And what if it was worth it?

di Francibella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non è mio figlio! ***
Capitolo 2: *** Born to be free ***
Capitolo 3: *** Tutti i ragazzi che non ho amato ***
Capitolo 4: *** Non farmi scappare, per favore ***
Capitolo 5: *** Parlami del futuro ***
Capitolo 6: *** It was totally worth it ***



Capitolo 1
*** Non è mio figlio! ***


Non è mio figlio!


«Hannah, ti devo chiedere una cosa.» Hannah Abbott alzò appena gli occhi dai fogli che aveva sul bancone. Erano le cinque di un giovedì pomeriggio di autunno inoltrato. Il locale era pressoché vuoto. I ragazzi non potevano uscire da scuola e gli adulti erano ancora al lavoro. Effettivamente la presenza di Neville Paciock, suo marito, nonché professore di Erbologia, era piuttosto sospetta. «Sei sicura che Frank sia mio figlio?» Questa volta Hannah con uno scatto fulmineo alzò la testa fino a incontrare gli occhi di suo marito. «Insomma, Alice è fisicamente identica a me, quindi siamo sicure. Augusta… Beh, sinceramente è così impacciata, goffa e timida che credo potrebbe essere solo figlia mia in… beh in tutto il mondo. Ma Frank…»
«Cosa ti fa dubitare della tua paternità?»
«Lui è così… figo.» La risata pura e cristallina di Hannah fece voltare i pochi avventori della locanda.
«Figo? Che termine poco da Professor Paciock
«Non prendermi in giro. Frank è bello e popolare. Insomma, è uno che piace. Non è come me.»
«Amore, anche tu eri figo l’ultimo anno.»
«Grazie, avevo guidato la rivolta contro Voldemort! Frank fa il Battitore a Quidditch!»
«È anche molto intelligente, o non sarebbe stato nominato Prefetto.»
«Appunto. Non sembra mio figlio.»
«Solo perché non è evidentemente disagiato, non vuol dire che non sia un Paciock. Ma dimmi cosa ti ha fatto maturare questa riflessione così profonda?»
«Li osservavo, oggi.»
«Chi osservavi?»
«I ragazzi. James, Albus, Scorpius, Fred e Frank, principalmente. Sono quelli belli, quelli che tutte guardano. Mi spiego gli altri, ma non mi ero reso conto che Frank fosse così… forte!»
«Neville, sei proprio tenero! Ma io devo controllare i conti e tu dovresti osservare meno i ragazzi.»
«Credi che sia fidanzato?» Hannah scosse la testa sconsolata e togliendo gli occhiali da lettura si concentrò completamente sul marito.
«Perché non glielo chiedi? Parla con Frank. Digli che hai notato che tutti lo vogliono, ma che non vuoi che si monti la testa. E buttaci dentro un riferimento alle ragazze, ma non farlo in maniera così… impacciata.»
«Sono un Paciock, Hannah, siamo impacciati per definizione, lo sai.» Neville scoccò un bacio alla moglie e si diresse verso la porta, troppo presto per sentire Hannah aggiungere a bassa voce «Lo so, Neville, lo so.»
                                                                                         ***
«Mi devo preoccupare, papà?» Neville stava sudando, a novembre inoltrato, e continuava a torcersi le mani.
«Ma no! Perché mai?»
«Sono stato convocato da un professore, tu che dici? Sai è la mia prima volta.»
«La prima volta?»
«Sì, che mi convocano.»
«Beh sei qui come figlio. E io come padre. Ti devo parlare.»
Il primo pensiero di Frank fu che i suoi genitori stessero per divorziare, ma sapeva che in quel caso sarebbe stata Hannah a parlargli. Neville – suo padre – aveva il terrore dei discorsi. Se si trattava di Erbologia, andava tutto bene, ma parlare di avvenimenti personali lo terrorizzava. Successivamente pensò che forse suo padre aveva scoperto che Frank aveva passato tutte le risposte del test di Storia della Magia a Fred e James. No, non era possibile. Al lo aveva profondamente sgridato, ma non l’avrebbe mai detto a Neville!
«Di cosa?»
«In un certo senso… di te.» Doveva aver scoperto del test. Forse avrebbe dovuto scusarsi subito, ma voleva vedere come suo padre pensava di introdurre l’argomento. «E dei tuoi amici. James, Fred, Al, Scorpius, Ian Nott, Tom McLaggen e….»
«So come si chiamano i miei amici, papi, andiamo avanti.»
«Voi siete i fighi della scuola.» Frank dovette davvero trattenersi per non scoppiare a ridere. Cosa intendeva dire? Passandosi una mano tra i capelli, scosse la testa sconsolato. «E sono contento per te, immagino che sia una cosa bella. Tutti ti vogliono, tutti ti apprezzano. Avete i posti migliori in Sala Comune, la gente si sposta al vostro passaggio e…»
«Papà, non è un telefilm americano stereotipato sugli anni del liceo prodotto da MTV.»
«Eh?» Frank alzò gli occhi al cielo, suo padre ci aveva provato a conoscere la cultura babbana, ma nulla era entrato in quella testa sempre un po’ distratta.
«Lascia stare, papi. Quelle cose che dici tu, non accadono davvero. Tutti ci trattano diversamente solo perché siamo figli degli eroi del mondo magico. Nulla di più.»
«Non è vero! Siete belli, intelligenti, talentuosi. Guardati! Non sembri mio figlio, hai un bel viso, un fisico invidiabile, sempre quel sorrisino da bravo ragazzo. Sei quello che tutte le studentesse di Hogwarts vogliono. E lo so perché troppo spesso sento le loro conversazioni o ritiro bigliettini imbarazzanti.» Neville continuava il suo monologo incurante del rossore che si diffondeva sul volto di suo figlio. Forse se l’avesse notato non avrebbe più dubitato della sua paternità. «Voglio solo assicurarmi che voi non siate troppo…»
«Bulli? Tipo Draco Malfoy o simili?»
«Sì, più o meno.»
«Non lo siamo, papi. Fred fa i suoi scherzi a tutti, indipendentemente da chi siano. Al è un bonaccione, che vede sempre il meglio nelle persone. Scorpius è un po’ occupato a sentirsi a disagio. E James… Beh ecco James bulleggia un po’, ma lo teniamo sotto controllo. E io… beh nessuno si è mai lamentato.»
«Ok. E non approfittatevi delle ragazze, mi raccomando!»
«Papà!»
«Scusa, Frank, ma sai le avventure di una notte all’apparenza possono soddisfare, ma alla lunga… ti lasciano vuoto dentro.»
«Non ho avventure di una notte. E non ho nemmeno una ragazza, se questa è la prossima domanda.»
«Uhm… è molto strano.»
«Non sono gay, papi. Mi piacciono le ragazze, solo che…» Forse avrebbe potuto dirlo a suo padre. Lui l’avrebbe capito, sapeva cosa voleva dire non essere corrisposto. Lo sapeva di sicuro. «C’è una ragazza. Io ho una megacotta per lei, ma non mi guarda.»
«Perché? »
«Perché mi ha sempre visto. Sono sempre stato lì, sotto i suoi occhi, e adesso mi confondo tra l’infanzia e l’adolescenza. Posso ottenere solo sorrisi affettuosi e occhiate tenere. Di quelle occhiate cariche di significato che lancia agli altri nemmeno l’ombra. Mi piace da morire da un sacco di anni. All’inizio era qualcosa di scarsa importanza, ma adesso mi piace molto e io… Non ci pensa proprio, sai? Essere rifiutato è brutto, ma almeno mi avrebbe preso in considerazione. Invece no, non valgo nemmeno quello. È tremendo. Se fossi Frank o una carota sarebbe lo stesso.» Neville trattenne una risata e guardò il figlio con intensità.
«Chi è?» Decise che l’avrebbe aiutato, in qualsiasi modo possibile.
«Dominique. Dominique Weasley.»
Certo, che difficoltà c’era? Era solo una delle ragazze più corteggiate in tutta la scuola.
                                                                                       ***
«Professor Paciock, mi devo preoccupare?» In Dominique non c’era traccia dell’alterigia e della superbia che aveva caratterizzato Fleur alla sua età. Dominique era una Weasley. Sorridente, gioviale, simpatica e alla mano. Rimaneva comunque una Veela e perciò molto bella. Convocarla era stato difficile, perché era una Corvonero e il professor Vitious avrebbe potuto chiedere spiegazioni, ma Dominique si era presentata all’appuntamento senza opporre resistenza. E ora era lì, seduta dove pochi giorni prima era stato Frank, che sorrideva. Neville la squadrava, mentre fingeva di cercare un documento. Era bella, sì, bellissima, ma non era quello che aveva fatto innamorare Frank – e mezza scuola. Era quel sorriso perfetto, da copertina l’aveva definito Alice. Dolce e affettuoso. Era quello che Frank diceva di poter avere da lei.
«No, Dominique, affatto. I tuoi voti sono abbastanza buoni.» Neville non mentiva, la giovane Veela se la cavava discretamente nella sua materia. «Sì, c’è stato un piccolo calo rispetto all’anno scorso, ma nulla di grave.» All’improvviso la risata di Dominique sferzò l’aria.
«Prof, davvero non immagina perché? La facevo più intelligente.» Forse avrebbe dovuto offendersi, ma Dominique diceva cose di questo tipo in maniera così genuina che era impossibile arrabbiarsi. «Sa con chi facciamo Erbologia quest’anno? Con i Serpeverde. Mentre l’anno scorso? Con i Grifondoro. E chi c’era? Quale giovane Grifondoro era così gentile da darmi una mano?» Neville la guardava spaesato. «Frank!»
«Ah. Io non… Oh beh meglio, se me l’aveste detto, avrei lasciato così le Case.» Dominique liquidò la cosa con una scrollata di spalle. «In ogni caso ti volevo parlare proprio di questo. Di Frank. Da un po’ di tempo è strano, con la testa da un’altra parte. Ho tentato di estorcergli delle informazioni e ho capito che si tratta di una ragazza.» Mentre parlava, Neville osservava le reazioni sul volto di Dominique. Per ora nulla. «Ma non una qualsiasi, una importante. E a quanto pare, lei ricambia i suoi… sentimenti. Solo che non mi dice chi è o cosa sta succedendo. Voglio che Frank abbia dei buoni voti, non voglio vederlo calare a scuola per una ragazza! Così mi chiedevo, non è che magari sai chi è questa ragazza?» Dominique scosse la testa «In realtà pensavo fossi tu, sai voi siete sempre così vicini e Hannah ha sempre detto che saresti stati una bella coppia» Probabilmente Hannah non aveva mai pronunciato i loro due nomi nella stessa frase, ma Neville doveva mentire. Almeno un po’. «Se non sei tu, fa niente, ma se sei tu non è che potresti parlargli? Sai… Non vuoi che si rovini la media, vero?»
Quando Dominique Weasley uscì dallo studio del professor Neville Paciock sembrava un po’meno serena di quando era entrata.

                                                                      


 




Nda. Non ero sicura che sarei arrivata a pubblicare davvero questa storia che mi frulla in testa da un po'. Ho pensato a questo pairing grazie a "You&me: feels like I'm in love" di MiaStonk (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=803646&i=1), ma questa long non è in alcun modo legata alla long di Mia. Semplicemente da lì è nata l'idea di una coppia Dominique/Frank.
Non so bene quanti capitoli verranno, ma non tanti, anche perché in parte l'ho già scritta, perciò...
Spero che possa piacere!

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Capitolo 2
*** Born to be free ***



 

Born to be free


«Hai parlato con Dominique?» Un adirato Frank Paciock stava in piedi davanti al padre nella Serra. «Mi tratta in maniera strana da quando… Da quando ho parlato con te. E ho saputo che l’hai convocata.»
«I suoi voti stavano calando, Frank.»
«Lei mi evita e abbassa lo sguardo quando io la cerca.»
«Starà riflettendo sui suoi sentimenti.»
«Non prendermi in giro, papà.»
«Lasciale ancora un po’ di tempo. Poi potreste parlarle. Sai, dirle che la…»
«No!»
                                                                       ***
«Professor Paciock, dobbiamo parlare.» il tono era autoritario, molto Fleur. Anzi, forse era più da Molly. Dominique si confermava una Weasley.
«Dimmi, Dominique. Di cosa ti va di parlare? Del fatto che oggi ti ho richiamata tre volte perché eri distratta.»
«No, di Frank. Perché mi ha detto quella cosa?»
«Quale cosa?»
«Quella che io e Frank staremmo bene insieme e tutto il resto. Ora lo guardo come un ragazzo!»
«Prima come lo guardavi, come un gufo?» Neville si girò per nascondere un sorriso, poi ricordandosi di quando aveva parlato con Frank aggiunse «o come una carota?»
«No, come un amico di infanzia. Non certo come uno che potresti baciare o…»
«E in questi nuovi sguardi cosa vedi? Insomma come ragazzo com’è?»
«Figo e dolce. E premuroso. E non so perché le sto dicendo tutte queste cose, ma adesso forse mi sono presa una cotta per lui ed è tutta colpa sua.» Tipico di Dominique, anche questo. Era così sincera e genuina che non riteneva di dover mettere un filtro alle sue parole, nemmeno quando parlava con Neville Paciock, suo professore e padre di Frank.
«Mia?»
«Sì, mi ci ha fatto pensare.»
«Nessun ragazzo ti direbbe di no, Dominique. Nemmeno Frank.»
Dominique sorrise mesta, in quel modo che è tutto suo e che non si poteva associare a nessuno dei suoi eccellenti genitori.
                                                                       ***
Dominique si stiracchiò per l’ennesima volta. Non riusciva proprio a studiare, troppo presa da pensieri che andavano in tutte le direzioni, meno che in quella di Difesa Contro le Arti Oscure. Per l’ennesima volta raccolse i capelli in una coda, che dopo pochi minuti avrebbe sciolto. Non indossava la divisa scolastica, come sempre fuori dall’orario di lezione. Qualche professore storceva il naso, ma era il suo modo di sentirsi libera e indipendente. Dominique ne aveva davvero bisogno. Essere la figlia di mezzo era strano. I suoi genitori le volevano molto bene, ma lei non era un animale sociale come i suoi fratelli. Vicky non appena aveva un problema correva nelle forti braccia di Bill, mentre Louis passava il tempo attaccato alla gonna di Fleur. Dominique era uno spirito libero, e i suoi genitori lo stavano finalmente capendo. Scacciando questi pensieri, tornò a concentrarsi sul tema che avrebbe dovuto scrivere.
«Qui a Corvonero studiate così?» Senza alcun bisogno di girarsi, sapeva che era Frank. Lo aveva evitato negli ultimi giorni, è vero, ma non era una cosa così incredibile. Non erano migliori amici o roba del genere. Erano amici, basta. Anche se lui a volte sembrava capirla meglio di tanti altri. E poi c’era il particolare del tatuaggio. Era stato Frank ad averla accompagnata, ad averle tenuto la mano e ad aver confuso il tatuatore per evitare le obiezioni davanti al fatto che non era maggiorenne (dannati Babbani, cosa vuol dire diventare maggiorenni a diciotto anni?). Certo, poi l’aveva presa in giro per quello che aveva scelto, ma la pelle era sua e faceva quel che voleva.
«Sono un po’ distratta»
«Notavo» con una grazia che non ci si sarebbe aspettati da un ragazzo grande e grosso come lui, Frank si sedette accanto a lei. «Anche i vostri indovinelli, diventano sempre più banali. Il vostro standard si sta decisamente abbassando.»
«Senti chi parla! Fred mi ha detto che all’ultima lezione di Astronomia hai tenuto il telescopio con il coperchio per metà della lezione.» Frank sorrise in maniera un po’ tirata, annuendo. «Stavo pensando a quando siamo andati a fare il tatuaggio.»
«Non mi ricordare il momento più basso di tutta la mia vita. Ingannare un povero Babbano per permetterti di marchiarti la pelle.» Dominique rise dell’indignazione del povero Frank.
«Vuoi vederlo?» Fortunatamente Dominique era tornata a osservare il fuoco e non poté vedere il rossore che si diffondeva sul viso di Frank.
«Me lo ricordo piuttosto bene.» la ragazza fece come se non avesse sentito e aprì la camicetta, facendo scivolare una spallina, fino a scoprire la scapola.
Frank rimase fermo qualche secondo, poi posò un dito sulla pelle candida di Dominique. Con il polpastrello seguì il contorno della scritta e del disegno, senza accorgersi dei tremiti che tutto ciò provocava in Dominique.
«Born to be free. Banale e scontato.»
«Io preferisco vero e reale.»
«Questione di punti di vista. Comunque non è così brutto, se te la sentivi.» Dominique si voltò di scatto e fissò Frank con intensità.
«Voglio che si chiaro a tutti, non voglio dare adito a fraintendimenti. Non sono di nessuno e non lo sarò mai.»
Forse era questo il motivo per il quale non si era mai dichiarato a Dominique. Non avrebbe mai potuto averla, lei non lo avrebbe mai amato con la stessa intensità con cui l’amava lui. Ed era frustrante; doloroso e frustrante.
«Magari un giorno cambierai idea.»
«Sinceramente, non credo proprio.»
«Non è così male l’idea di essere di qualcuno. In senso lato intendo. Guarda i tuoi genitori, si amano, si sono dati l’uno all’altra, ma non sono infelici. »
«A volte mi chiedo se mia madre sia davvero felice. Avrebbe potuto avere tutto quello che voleva e invece…»
«Lo ha avuto. Voleva Bill Weasley, e lo ha avuto nonostante le proteste di Molly. Voleva una bella famiglia, e l’ha avuta nonostante la guerra.»
«Come fai a sapere che era quello che voleva?»
«Se ne sarebbe andata. Tu potrai dire che sei lo spirito libero della famiglia, ma non è proprio così. Non sei l’unica. Tua madre è quel tipo di donna che se vuole una cosa se la prende, e se non le va bene cambia le carte in tavola.»
«Che ne sai? Tu non la conosci così bene!»
«Conosco bene te.» Frank seppe immediatamente di essersi compromesso. Il passo successivo sarebbe stato dire a Dominique che lei era come sua madre. «Un po’ le assomigli, sotto questo aspetto.»
«Va bene, loro si amavano e hanno quello che vogliono, ma non tutti sono nati per vivere in una coppia. Per sposarsi, per fare bambini.»
«No, Dominique, non tutti, ma io credo che tutti alla lunga desiderino qualcuno con cui condividere alcune esperienze, alcuni momenti. E non vuol dire dipendere da qualcuno. Forse confondi le due cose.»
«Lo sai dove mi vedo tra quindici anni?» Frank scosse la testa «Con un bel lavoro, libera, bella, indipendente, single, senza famiglia, in viaggio per posti nuovi e sconosciuti. Una lettera a casa ogni tanto e un gadget per i figli di Vic e Teddy.» Frank non gliel’avrebbe mai detto, nemmeno sotto tortura, ma trovava quella prospettiva di vita un po’ deludente e squallida. «Tu dove ti vedi, Frank?»
«Felice e soddisfatto, spero. Senza rimpianti.»
«Non è una risposta alla mia domanda.»
«Un po’ ingrassato, con meno capelli, con un lavoro che mi piace. Sposato con la donna che amo e circondato da almeno un paio di bambini. Tante foto in casa, molti libri nella libreria e almeno un paio sul mio comodino. La scopa sempre pronta per un giro tra i cieli con i miei amici o con i figli più grandi. »
«Un quadretto felice, insomma.» Il tono della ragazza era più sprezzante che altro.
«Avrò viaggiato prima, Dom, avrò fatto le mie esperienze. Ma fra quindici anni, avrò trentadue anni e mi sembra un’età adatta per pensare a farmi una famiglia.»
«Avere una famiglia vuol dire dipendere da qualcun altro, dover dare spiegazioni e cose di questo genere.»
«Dominique, io non ti sto convincendo a cambiare la tua visione del mondo e non dovresti farlo neppure tu. Non è solo questione di aver paura di rimanere da solo, voglio qualcuno che condivida gioie e dolori della vita con me. Voglio avere una donna che mi ami e che mi abbracci al funerale di mio padre. Tu no, tu cerchi altre cose, non vedo che problema ci sia.»
Il problema era – almeno per Dominique – che al solo pensiero di Frank sposato con un’altra donna, il cuore della ragazza era stato presa dalla gelosia più cieca. L’idea che lui potesse prendere da un’altra donna quello che lei non avrebbe mai voluto dargli la uccideva. Ed era irrazionale, perché era Dominique stessa ad aver rifiutato quel futuro.
Quando andarono a dormire, il cuore e la mente di Dominique e di Frank spaziavano negli stessi sentimenti e pensieri. Entrambi vedevano l’altro più lontano di prima, ma Dominique si rendeva conto di provare forti sentimenti per Frank, mentre questi aveva deciso di sotterrarli per sempre. Non poteva amare qualcuno che non avrebbe mai visto la vita nella stessa maniera. Sapeva che era stupido, perché avevano appena diciassette anni, ma certamente dopo i M.A.G.O. Dominique avrebbe trovato il modo di partire e volare.

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Capitolo 3
*** Tutti i ragazzi che non ho amato ***


 

Tutti i ragazzi che non ho amato


Così quella era l’altra donna. In verità era l’unica. Era La donna. Era la fidanzata di Frank. Banale, scontata. Quasi squallida. Già vista milioni di volte e mai notata.
Vic e Fleur la descrivevano come amabile e dolce. Suo padre, Louis e Teddy la trovavano molto carina e decisamente adeguata per uno come Frank.
I Paciock – soprattutto Hannah e Alice – erano estasiati dalla futura nuora. Anche Neville ne parlava sempre molto bene. Augusta, come ai tempi di Hogwarts, rimaneva l’unica alleata di Dominique.
Gli amici di Frank certo non la disprezzavano, perché cucinava bene ed era sempre tollerante, anzi spesso spingeva Frank a uscire di più con i ragazzi. D’altronde, si diceva Dominique, abbiamo appena venticinque anni! Solo Al pareva un po’ perplesso.
Erano fidanzati da tre anni, quasi quattro, convivevano da un anno abbondante. Lei era la figlia di una negoziante di Diagon Alley e dava una mano alla madre nel negozio. Frank ormai seguiva le orme degli zii acquisiti ed era un giovane Auror insieme a Scorpius Malfoy.
Dominique non aveva messo piede in Inghilterra da quando era partita un anno dopo il diploma come inviata per un giornale francese. Ora tornava per il battesimo del suo secondo nipotino.
Neville Paciock apprezzava Emily, l’apprezzava davvero. Era molto carina, tenera, educata, molto innamorata di Frank. Aveva gli occhi chiari, i capelli rossi e la pelle bianchissima.
Lucy Weasley, che era stata all’estero per molto tempo come Dominique, conobbe Emily quel giorno, come Dominique, e la loro presentazione fu piuttosto divertente, perché Lucy con quel suo tipico candore disse: «Così tu sei la dolce metà di Frank, mi hanno molto parlato di te, ma purtroppo non ho mai avuto occasione di conoscerti prima. Alla fine, a furia di vivere con i Weasley, Frank ha scelto una donna molto… Weasley, no?» Lucy si riferiva ai capelli rosso-arancioni, alle lentiggini e agli occhi chiari e grandi, tutti risero, ma il cuore di Dominique urlò in silenzio. Se la prendeva con se stessa, sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, ma il saperlo non cambiava le cose. Aveva scritto spesso a Frank in quegli anni e lui le rispondeva sempre. Aveva accennato a Emily, ma giusto poche parole. Dominique non immaginava che fosse una storia così seria.
Emily aveva visto Dominique, l’aveva seguita per tutta la cerimonia. Aveva sempre sentito parlare di lei. Bella come sua madre e sua sorella, ma più disinibita, più sensuale. Uno spirito libero. Gli amici di Frank facevano sempre battutine su di lei, ed Emily temeva il suo arrivo. Sapeva che Dominique e Frank si scrivevano, ma non sapeva cosa ci fosse effettivamente stato tra loro. Nei giorni prima del battesimo, si era convinta che Dominique non potesse essere così bella come dicevano. Infatti era così. Era peggio. Era decisamente più bella e affascinante e non faceva nulla per nasconderlo. E la povera Emily che mai aveva odiato qualcuno nella sua vita, odiò Dominique Weasley prima ancora che le fosse presentata.
Frank dal canto suo indugiava nelle presentazioni, perché non voleva vedere Emily e Dominique vicine, che si stringevano la mano. Il passato rimasto in potenza, mai diventato atto e il presente destinato a essere il futuro.
Fu Dominique ad avvicinarsi. Sapeva che Emily non avrebbe potuto non vederla. Il tacco a spillo, il vestito stretto e con un lungo spacco e l’espressione decisa erano come una luce faceva splendere Dominique nella sala.
«Dominique Weasley, piacere.»
«Emily Sald, sono la fidanzata di Frank.»
«Lo so, mi ha scritto di te. Come va il negozio?» Emily balbettò che andava tutto bene, Dominique non pareva minimamente a disagio.
«Magari un giorno di questi passo dentro. Ho proprio bisogno di assortire il mio guardaroba con qualcosa di più… inglese.»
«Hai… Hai intenzione di fermarti qui a lungo?»
«Beh, è casa mia.» Dominique proruppe in una falsa e gelida risata. Nonostante tutto, era rimasta sempre la stessa, era sorridente, gioviale, gentile e vera, ma con Emily non ce la faceva. Proprio non riusciva. Doveva dare il peggio di sé. Dopotutto lei avrebbe avuto Frank per sempre, Dominique riteneva di avere diritto a una piccola rivincita. «Ho capito cosa intendevi, sì mi fermerò un po’ qui. Ho girato molto e ora voglio riprendere un po’ i contatti con la mia terra.»
«Allora dovresti proprio passare da noi un giorno di questi.»
«Contaci, Emily, lo farò di sicuro. Oh Frank ci sei anche tu!» Per un attimo l’espressione di ghiaccio si sciolse e Dominique donò il suo bel sorriso a Frank, ma fu solo un attimo.
«Dominique. Quanto tempo.»
«Otto anni. Ne devono passare ancora sette, poi vedremo dove saremo.»
«Non è obbligatorio, potremmo cambiare idea.»
Per un momento, Dominique lesse negli occhi di Frank una silenziosa domanda. Potresti? E Dominique avrebbe voluto urlare che per lui avrebbe potuto, ma sapeva che sarebbe stata solo una menzogna. Se anche avesse modificato il proprio stile di vita per Frank, alla fine l’avrebbe odiato ed egli era qualcosa di troppo prezioso per odiarlo. Così gli sorrise mestamente e scosse la testa. Non posso, Frank. Forse ti amo e il mio amore è cresciuto in questi anni, proprio per questo non posso. E poi c’era Emily, Frank non aveva bisogno di Dominique.
                                                                       ***
Rose Weasley si pettinava i lunghi capelli davanti allo specchio, Roxanne e Lily erano distese sul grosso letto matrimoniale in centro alla stanza. Molly si metteva lo smalto, seduta di fianco a Rose. Lucy se ne stava seduta per terra con le gambe incrociate.
«Sei arrivata finalmente, ci chiedevamo dove fossi finita.» Dominique era ferma, impalata sulla porta.
«Non è la mia stanza, questa?»
«Tecnicamente è la nostra stanza.» Disse Molly senza alzare lo sguardo dalle sue unghie perfette. Rose guardò Dominique e sorrise. «Pensavamo che magari avresti potuto avere bisogno di noi.» Disse con la sua flebile vocina.
«O magari hai solo voglia di divertirti con noi.» Aggiunse Roxanne.
«O di spettegolare» Postillò Lily.
«O di stare semplicemente insieme» Terminò Lucy.
Dominique ricordò che a Hogwarts non erano state sempre tutte amiche.
C’era Rose che era amica di tutte e cercava di farle andare d’accordo. Molly che se ne stava per i fatti proprio e non voleva rendere conto a nessuno della sua vita, ma che correva tra le braccia di Rose o di Dominique quando ne aveva bisogno. Roxanne, che era sempre allegra e in vena di scherzi, era molto legata a Rose e a Lily, mentre trovava Dominique e Molly troppo sofisticate. Lily si era un po’ allontanata da tutte, si era creata un giro di amiche non adatte a lei, invidiose, che le fomentavano rancore contro Dominique e Molly, che erano molto belle e richieste. E Lucy che non aveva amiche, ma se ne stava a Serpeverde, chiusa in se stessa, perché allontanava le altre persone. Infine Dominique che era amica di Molly, ma a volte la trovava un po’ costruita e finta,  che dipendeva da Rose nei momenti bui della sua vita, mal sopportava Lily Potter e si dispiaceva di non avere la simpatia di Roxanne. Erano state complicate, nell’adolescenza, ma poi si erano ritrovate, quelle che erano rimaste a casa  o quelle che si erano fatte sentire. Dominique si sentì sola e immaginò che tra loro ci fosse un legame indissolubile, che Dominique aveva ormai reciso.
Rose si alzò e si diresse decisa verso Dominique. Quando furono vicine, Rose spalancò i suoi occhioni e fissò Dominique. «Mi sei mancata molto, Dom. Non stare lontana da noi anche quando sei presente.» Poi la prese per mano e la condusse sul letto, dove fece mettere sedute Lily e Roxanne;  senza bisogno di parole,  Molly abbandonò lo smalto, Lucy si avvicinò al letto. Tutte guardavano Dominique, ma nessuno la stava giudicando. Immaginò che volessero sapere dei posti che aveva visto, delle persone che aveva conosciuto.
«Vogliamo sapere ciò che nelle lettere non era scritto.» Non aveva scritto sempre a tutte, ovviamente. A Rose e Molly scriveva una volta alla settimana. Alle altre con meno frequenza. A Lily o a Lucy solo al loro compleanno e alle feste comandate. Eppure sembravano tutte abbastanza informate.
«Vi ho detto praticamente tutto»
«Non hai parlato di ragazzi» Rose assunse un’espressione contrariata, probabilmente avrebbe voluto introdurre l’argomento in maniera meno brusca, ma Molly era così.
«Oh sì, vogliamo sapere tutto!» aggiunse Lily con un urletto. Dominique raccontò di tutti i ragazzi che aveva conosciuto. Di quelli passeggeri, di quelli che l’avevano fatta ridere, di quelli che l’avevano fatta piangere, di quelli che aveva lasciato o di quelli che l’avevano lasciata e poi raccontò di quelli che aveva finto di amare. Ma non disse alle cugine che non era mai stato amore profondo, che non si era mai lasciata coinvolgere. Perché forse solo Molly avrebbe potuto capirla. Rose certo non avrebbe approvato.
«Ragazzi francesi, brasiliani, canadesi, statunitensi, italiani, tedeschi, svedesi, certo, molto interessante. Ora dicci dei ragazzi inglesi.»
«Non sono stata in Inghilterra, non ci sono ragazzi inglese.»
«Uno c’è.» Lucy che era rimasta zitta tutto il tempo, si era avvicinata. «Ero lì quando hai conosciuto Emily. E non sono stupida, nonostante non fossi a Corvonero.»
Dominique si chiese se avrebbe avuto un senso negare, ma lo sguardo preoccupato di Rose le fece capire che era meglio dire la verità, tutta la verità nient’altro che la verità.
Raccontò loro tutto. Non omise nulla. Il tatuaggio, i dubbi del professor Paciock, il momento in cui si era resa conto di provare qualcosa per Frank, la consapevolezza che le loro vite sarebbero andate per strade diverse. «Se anche avessi detto lui che lo amavo, la nostra sarebbe stata una storia con una data di scadenza e lo avrei perso per sempre.»
«Ti avrebbe aspettata» sentenziò Molly
«Ti sta aspettando» aggiunse Rose
«Voi non capite, io non…»
«Tesoro, quasi nessuna di noi a diciassette anni voleva mettere su famiglia o cose del genere. Solo Frank. E Rose forse, che ha sempre avuto quell’istinto materno. Ma ora sono passati otto anni. Ti sei chiesta cosa vuoi ora? Vuoi ancora viaggiare? Vuoi ancora fingere di amare? Io stessa so che lo stile di vita che conduco ora è destinato a finire. Mi diverto, lo ammetto, ma fra un po’ penserò a cercare seriamente un uomo. Faccio come te, Dom. Evito i ragazzi di cui potrei innamorarmi, perché non cerco questo, ora. Con la differenza che tu sei già compromessa, sei già innamorata. E lui è qui e sono certa che ti ami. Smettila di scappare, Dominique. Tu scappi, non sei affatto libera. Sei costretta a viaggiare per non stare qui e soffrire.» 

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Capitolo 4
*** Non farmi scappare, per favore ***



Non farmi scappare, per favore




«Sono passati tanti anni, Dominique»
«Otto»
«Mi fa impressione rivederti qui, sai?»
«Mi creda, professor Paciock, anche a me. Non credevo sarei tornata a Hogwarts. E di certo non pensavo che sarei venuta qui, nel suo ufficio. Senza offesa, eh.»
Neville scrollò le spalle e le sorrise con dolcezza.
«Anche se non è proprio lo stesso ufficio. Com’è essere il preside?»
«Un’emozione unica, Dominique, credimi. Stare seduto dove stava Albus Silente… Beh credo che sia la seconda esperienza più bella della mia vita. No, la terza.»
Dominique rise, e questo cancellò quegli otto anni. Stesso sorriso, stesso suono.
«Quali sono le prime due? Se non sono troppo personali, ovviamente.»
«La prima è quando ho tenuto in braccio Frank per la prima volta. Non ci potevo credere. Quel bambino perfetto veniva da me. E da Hannah ovviamente. Era nostro. Mi mancava il fiato, perché era perfetto. Solo la natura – o Dio o chi per lui – poteva creare qualcosa di così perfetto. E io ne ero stato partecipe. Ovviamente ho provato lo stesso anche per le altre due figlie, ma la prima nascita ti incide il cuore. La seconda è stato quando ho sposato Hannah, senza dubbio. Non il giorno del matrimonio, lì ero troppo confuso. È stato quando siamo andati in luna di miele. Ho conosciuto questo ragazzo, parlavamo un po’ e ho scoperto che anche lui era in luna di miele. La sera ci siamo dati appuntamento al ristorante con le rispettivi consorti. Quando ho detto Lei è Hannah, mia moglie. Il mio cuore si è fermato. Lo rendeva vero. La terza migliore esperienza della mia vita è quando mi sono seduto su questa sedia e la professoressa Stanley mi ha detto Preside, vuole apportare qualche cambiamento? Sai una cosa, Dominique? So anche quale sarà prossima. Quando accompagnerò Alice e Augusta all’altare.»
Nessuno dei due si era accorto delle lacrime che scorrevano sulle guance di Dominique. Quando Neville alzò lo sguardo, si rese conto che forse aveva esagerato.
«Dominique, io non immaginavo di crearti tanto dolore…»
«Non avrò mai queste esperienze, sa, professor Paciock?»
Neville soffriva, soffriva davvero, nel veder le lacrime di Dominique, perché lei era sempre abbastanza felice. Al massimo arrabbiata, ma quel dolore avrebbe perforato il cuore di chiunque. Ciò che lo faceva soffrire maggiormente era la totale incomprensione dell’origine di quella tristezza.
«Certo che le avrai. Troverai l’uomo giusto» magari Frank «e condividerete insieme queste esperienze.»
«Lo so, è stupido, ma io non riesco. Il pensiero di vivere tutta la vita con la stessa persona, fare dei figli, pagare la casa, i vestiti e poi andare a lavorare, a pranzo dai suoceri… tutto ciò mi fa venire attacchi di claustrofobia.»
«Dominique, è del tutto normale. Il problema è che tu ci pensi, non devi farlo. La nostra mente è uno spazio immenso, non ce ne rendiamo conto, ma nel nostro cervello potrebbe starci l’intero universo. È tutto incasinato lì dentro, ci sono pensieri, emozioni, sogni, parole dette, non dette, sussurrate, ritirate. Quando formuliamo un pensiero, questi non se ne va, rimane lì, giace inerte, fino a quando ritorniamo sui nostri passi. Allora si ingrandisce, sempre di più. Così alla fine è come se ogni volta lo mettessi sotto una lente di ingrandimento, e alla fine credi che ti scoppierà la testa, perché questo pensiero ha assorbito tutto il resto. A volte non mangi, perché pensi solo a quella cosa. Ti chiedi fino a quanto potrà andare avanti, se avrà mai una fine, ma la risposta è no. No. Perché la mente umana è immensa, perciò puoi morirci con quel pensiero. Perciò non puoi sperare che prima o poi scoppi da sé. Ciò ovviamente non significa che non ci sia niente da fare. C’è una soluzione. Basta non pensarci. Sembra stupido e banale, ma non lo è. Come quando devi prendere i tuoi M.A.G.O. All’inizio ti dici che è troppa roba da studiare, non ce la puoi fare. Ma cosa fai? Stai seduta tutto il giorno a dirti non ce la farò mai? No, ti metti a studiare. Magari sei un po’ scoraggiato o depresso, ma studi. Fai gli esami, li passi e sei promosso. E il “non ce la farò mai” dov’è? Dov’è, Dominique? Se n’è andato, da solo, perché ha capito che quello – la tua mente intendo – non è il posto per lui. Pensare al matrimonio o ai figli o alle responsabilità ti uccide, fidati di me. Le devi vivere. Per questo si dice vivere la vita e non “pensare la vita” o roba simile. Un passo alla volta, un sorso dopo l’altro. Te lo dice uno che prima di sposarsi ci ha messo quasi due anni. Hannah voleva lasciarmi, te lo giuro. E quanto ci ho messo prima di decidermi ad avere un figlio, te lo risparmio. Il mio matrimonio ha vissuto momenti orribili. Avevo una paura assurda. Io ero praticamente orfano, volevo bene a mia nonna, ma non era sempre stato rose e fiori. La mia infanzia era stata traumatica, avevo pessimi ricordi di ogni cosa. Hannah mi ha aiutato a pensare alle cose belle. Ai momenti belli che ho trascorso qui. Quando mi allenavo con l’ES, l’amicizia di Luna, di Harry, di Hermione. I primi bei voti in Erbologia. E non credere che accettare la carica di preside sia stato facile, eh. Un altro dolore. Questa volta mi ha convinto Frank.» Neville vide Dominique sussultare al nome del ragazzo, e si fermò per prendere fiato. «Non è facile, lo so, ma sarebbe così noiosa la vita senza alcuna difficoltà.»
«A me sembrava che mia madre fosse un po’… intrappolata. Anche mia nonna Molly. E zia Hermione litiga sempre con zio Ron.»
«Voglio farti vedere una cosa, ma sarebbe vietato, perciò… acqua in bocca?»
Dominique sembrava un po’ perplessa, ma regalò al professor Paciock un sorriso un po’ acquoso che lo fece sperare. Poi annuì delicatamente.
Raggiunsero il Pensatorio e Neville vi inserì un proprio ricordo.
«Entreremo nella sua testa, professore?»
«In un certo senso»
Ufficio del Professor Paciock, sicuramente. Dominique riconobbe alcuni dei regali di ex studenti che teneva sulla scrivania. Poi le foto dei figli, della moglie e di alcuni amici. Sulla sedia davanti alla cattedra una ragazza, piccola, bionda e magra. All’inizio Dominique la scambiò per se stessa, ma era troppo magra, in maniera innaturale. Si avvicinò piano, aggirò la cattedra e guardò la ragazza. Era sua sorella Victoire. Non ricordava di averla mai vista in quello stato. Magra, con le occhiaie e lo sguardo triste. Così poco da Vic. La sue parole erano interrotte dai singhiozzi e il professor Paciock sembrava preoccupato e addolorato. Dominique non capiva, perciò si rivolse a quello che era ormai il Preside Paciock. «Cosa le è successo?» Neville prese un respiro profondo, guardò il se stesso del passato e poi tornò a fissare Dominique.
«Gli anni di tua sorella qui a Hogwarts non sono sempre stati rose e fiori. Le altre ragazze erano invidiose. Lei era famosa, era una Weasley, ma era anche in parte Veela, perciò molto bella. Le adolescenti possono essere un po’ cattive. In quel periodo Vic aveva litigato pesantemente con le sue amiche per un motivo sciocco, ma si sentiva come se tutti le avessero voltato le spalle. Aveva smesso di mangiare, perché la tristezza la chiudeva lo stomaco. Dormiva poco, si addormentava in classe e i suoi voti stavano calando. Qui l’avevo convocata per parlarne, ma erano già due mesi che versava in questo stato. Aveva toccato il fondo, ma la cosa positiva è che ora poteva solo risalirne. Vieni, andiamo in un altro ricordo, non invadiamo oltre la privacy di tua sorella.»
Dominique era di nuovo nel vecchio ufficio del Professor Paciock. Erano passati qualche anni. Tanti, a dire la verità. Il Frank delle foto era già grande, frequentava il sesto o settimo anno. Questa volte erano due le persone sedute davanti al professore. Dominique si avvicinò velocemente e riconobbe subito Teddy e Vic. Si tenevano la mano. «Mi dicono che si sposeranno. Vic non era più mia alunna, ma vollero venire a dirmelo di persona. In un certo senso, li avevo fatti avvicinare io. Dopo che mi resi conto di quanto Vic fosse compromessa, pensai a come aiutarla. Lasciai cadere un paio di frasi con Teddy. Lui si dimostrò il degno figlio di suo padre e fece tutto ciò che gli era possibile per dare una mano a Vic. E ci riuscì, no? Prima di passare alla prossima scena, voglio che tu li guardi bene. Soprattutto tua sorella.» Quella era la Vic che tutti conoscevano. Bella, in ordine, felice.
Sembrava il corridoio di un ospedale. Probabilmente lo era. Dominique individuò il Paciock del passato e lo seguì. Al suo fianco c’era Frank, con un mazzo di fiori in mano. «Camera 207, dovrebbe essere a sinistra, ma…» Frank era poco attento ai borbottii del padre. «Papi, pensi che ci sarà?» Entrambi i Neville Paciock si fermarono e osservarono Frank dritto negli occhi. «Tesoro, hai sentito anche tu cos’ha detto Bill. Non tornerà.»
«Ma è il suo primo nipotino!» Il Neville del passato chiuse gli occhi e scosse la testa sconsolato. Quello del presente guardò Frank negli occhi e tentò di toccargli una spalla.
«State parlando di me, vero?»
«Sì, Dominique, ma non è questo che voglio mostrarti.»
Nella camera 207 c’era Vic a letto, di fianco a lei Teddy con in braccio un piccolo fagottino. Era Arthur Remus Lupin. «Di nuovo, guarda Victoire.» Sudata, stanca, in disordine e bellissima. Così era Vic. Dominique si avvicinò e vide una luce splendente nei suoi occhi. «Andiamo»
«Secondo te cosa volevo mostrarti?»
«Credo di averlo capito, ma voglio che lei me lo dica lo stesso. Per favore.»
«Teddy ha aiutato tua sorella in un brutto momento. Si sono conosciuti e innamorati. Erano così giovani quando si sono sposati, ma altrettanto felici. Il quarto ricordo, che però mi sembrava inutile mostrarti, è tua sorella al battesimo. Donna, moglie, madre. Immagino che anche lei a volte non ce la faccia più, vorrebbe urlare e magari si chiede chi gliel’abbia fatto fare. Ma ci sono alcuni momenti, Dominique, per i quali vale davvero la pena di rischiare, cadere, sbagliare. Ne vale la pena. Punto. Non c’è nulla che io possa aggiungere. Volevo mostrarti tutto ciò su tua sorella, perché è una persona vicina a te, in tutti i sensi, e perché credo che sia una delle persone che renda maggiormente visibile la differenza. Può essere bella in maniera disarmante e allo stesso tempo il suo dolore può ucciderti. Con tutto ciò, Dominique, non voglio dire: abbandona i tuoi sogni e sposati con il primo che capita. Solo riconsidera il concetto di libertà. Tu hai detto che vuoi essere libera. Cosa vuol dire per te libertà?»
Rimasero in silenzio, per un po’. Dominique ne approfittò per guardarsi intorno. C’erano sempre tante foto. In una c’erano addirittura lei e Frank il giorno del diploma. Erano così felici. Emily sembrava non comparire in nessuna cornice, si disse con un misto di gioia e perplessità Dominique. Lei era il futuro, avrebbe avuto delle foto fra qualche anno. Continuava a guardare quella di lei e Frank. Erano così felici.
«Bella foto, eh? Sì, sono stato un po’ dubbioso. Ma poi mi sono detto che tanto Emma non viene mai nel mio studio, perciò…»
«Emma?»
«Oh, Emily. Tu non hai idea, non mi sta in mente il suo nome. Poco male. La chiamo sempre cara o robe del genere. Per fortuna Hannah lo sa e mi dà una mano, sarà demenza senile.»
«Cosa vuol dire che è stato dubbioso?»
«Beh, sai, vedere quell’immagine potrebbe fare male. Il tuo ragazzo di fianco a una ragazza così bella. Che è sua amica, che sente ancora. Non so, potrebbe essere gelosa. Tutta questa nostra discussione è nata da io che vagheggiavo – al solito direbbe Hannah – ma non ti ho chiesto per cosa era venuta qui.»
«Esattamente per quello che lei ha vagheggiato»
                                                                       ***
«Frankie, quale onore.»
«Papà è grave.»
«Chi? Qualcuno è all’ospedale?»
«No. Cielo, no. Non così grave.»
Neville appoggiò la testa allo schienale della poltrona e si concesse un breve sorriso. Forse aveva fatto – o stava per fare – qualcosa di davvero buono.
«Ieri sono andato dai genitori di Emily.»
«Emily? Oh certo, Emily. La tua fidanzata Emily.»
Frank guardò perplesso suo padre e andò avanti.
«Dopo cena, mentre Emily e sua madre guardavano qualcosa in soffitta, il padre di Emily mi ha offerto un amaro e abbiamo parlato un po’. Sostanzialmente mi ha detto che sarebbe il caso che io sposassi Emily. Eravamo lì, parlavamo del più e del meno. Lui ci infilava qualche frase sui nipotini, sulle vacanze e il mio unico pensiero era NO.»
«No cosa?»
«No, non ho alcuna intenzione di lasciare il mio lavoro per dare una mano nel loro negozio. No, non affitterò una grande casa in Italia o in Francia o in Spagna dove potremo stare tutti insieme d’estate. No, non voglio il fratello di Emily come testimone. E no, non sposerò Emily. Non voglio. Ovviamente non gliel’ho detto, ma non voglio.»
«Hai parlato con Dominique?» Frank arrossì e balbettò. «Mi sembra una domanda facile. L’hai vista?»
«Ho avuto una conversazione con Rose, che forse avrebbe potuto riguardare Dominique.»
«Io ho parlato con Dominique. E ti voglio dire una cosa. Sai quando due settimane fa parlavamo di un tuo possibile matrimonio e io ti ho detto che ero disposto a darti una mano economicamente, ma che io e mamma non ci saremmo immischiati? Beh, se non vai a parlare con Dominique e le dici quanto l’hai sempre amata, non ti darò nemmeno un centesimo. Vai, parlale e dille la verità. Tutta. Poi se dopo averlo fatto vorrai ancora sposare Emma, Ellen o come cavolo si chiama, fallo. Ti darò tutti i soldi che ho, non mi interessa. Ogni lasciata è persa, Frankie, vai. E non dirmi che lei ha paura, non vuole una cosa seria. Sono cavolate che vi siete detti a diciassette anni e dietro alle quali vi siete nascosti per tutto questo tempo. Sii uomo e prenditi le tue responsabilità verso il tuo e il suo cuore. Va’!»
Dopo aver seguito con lo sguardo Frank che varcava i cancelli di Hogwarts e si smaterializzava, Neville borbottò «Io in una grande casa con quella  famiglia, non ci passo nemmeno un weekend.»
                                                           ***
«Mio padre ha detto che ti sei comportato in maniera strana ieri sera.»
Frank fingeva di leggere il giornale seduto in poltrona. In realtà pensava a Dominique che non si trovava da nessuna parte. Emily girava per casa in tuta, mentre faceva seccare la crema di bellezza in viso. A volte Frank credeva che fossero andati a vivere insieme troppo presto, erano saltati subito ai pigiamoni e alle tute sformate, dando poco tempo a quel periodo in cui credi che la tua ragazza sia perfetta sempre, perché la vedi solo per uscire – dopo ore di attenti preparativi – o la mattina, dopo che per una volta avete dormito insieme e quindi c’è il piacere di trovarsela accanto. Altre volte invece credeva che fosse un problema loro. Aveva visto la propria madre in stati peggiori e Neville continuava a trovarla bellissima.
«Frank, mi ascolti o no?»
«No. Emily non ti stavo proprio ascoltando.»
Emily parve perplessa dalla risposta, ma ostentò nonchalance e ripeté la domanda. In fin dei conti Frank era un ragazzo attento, le prestava sempre ascolto.
«Cos’avevi ieri sera? Mio padre ti ha trovato strano.»
«Mi stava parlando di dove saremmo potuti andare in vacanza appena i nostri bambini avessero avuto l’età per Smaterializzarci con noi. Era lui quello un po’ strano.»
«Dai, lo sai che mio padre si sente vecchio, ha paura di morire e vuole lasciare le cose a posto.»
«Sì, non solo quello vuole lasciare. Vorrebbe anche che io lasciassi il mio lavoro al Ministero per venire in negozio con te. Cosa che non farò mai. Categoricamente.» Frank riprese il giornale, convinto di aver concluso la discussione.
«Scusa, cosa hai detto?»
Emily era lì, ferma e immobile. Lo fissava sconvolta.
«Tu… tu credevi che io avrei smesso di essere un Auror quando ci fossimo sposati?»
«Sì. Mi sembra ovvio! Cos’è devo stare a casa con i bambini mentre tu rischi la vita in giro per il mondo?»
«Beh non lavorerò ventiquattro ore su ventiquattro. Starò a casa anch’io con i bambini. Ma nel frangente in cui non saranno a scuola, con mia madre, le mie sorelle, una babysitter, dai tuoi e io in missione, sì, si suppone che ci stia tu. Così durante la aperture straordinarie – di domenica o simili – starò io. Mi sembra prematuro questo discorso, comunque.»
«No, a me sembra il momento giusto. Io non voglio che tu faccia l’Auror quando saremo una famiglia. Credevo che fosse scontato, che tutti facessero così.»
«Harry, Ron e tutte i loro colleghi lavorano ancora. Emily, stai un po’ farneticando.»
«No, Frank, tu non hai capito. Non è una cosa su cui voglio discutere o su cui posso riflettere. Io non starò a casa a prepararmi l’abito da vedova, mentre curo i tuoi figli perché tu sei in giro in missione.»
«Sai una cosa, Emily? Questa discussione non è prematura. È inutile. Perché questa situazione non si presenterà mai, non ci sposeremo e non avremo dei figli. E sai perché? Perché io ti lascio, ti mollo. Finisce qui. Frank, il prevedibile Frank, l’abitudinario, dolce e tenero Frank si tira indietro. Dii a tuo padre che non si deve più preoccupare per il matrimonio che tarda. Non ci sarà e basta.»
«Frank, forse potremmo parlarne meglio, tu che dici?»
«Dico che dovresti toglierti la maschera perché si sta seccando e dico anche che hanno suonato alla porta. Perciò io apro, mentre tu vai in bagno.»
Stranamente felice dopo aver rotto la relazione più importante della sua vita, Frank andò ad aprire la porta.
Lei era lì. «Non farmi scappare ancora, per favore.»

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Capitolo 5
*** Parlami del futuro ***


 

Parlami del futuro


Aveva pensato a Frank tutto il giorno. Poi era andata da sua sorella, che era stata molto gentile. Avevano giocato con Arthur, mentre l’altro bambino dormiva. Sembrava che non fossero passati otto anni. Vic non le aveva chiesto niente, si era limitata a qualche piccola affermazione su quanto amasse Teddy e i suoi piccoli bambini.
«Sembri davvero felice, Vic.»
«Lo sono, Dom, lo sono davvero. Ti ricordi quando abbiamo trovato il diario di mamma, tanti anni fa?» Dominique annuì. «Ora mi rendo conto di che errore feci. Fu tutta colpa mia. Non avremmo dovuto leggerlo, ma soprattutto non avrei dovuto farlo leggere a te. Ricordo quanto fu tremendo per me. Leggere di tutta quella sofferenza e quel dolore che lei provava per causa nostra. Certe frasi le ho sognate la notte per anni. La parte dove rimpiangeva la sua vita di prima, quella senza figli l’ho scolpita in mente. Forse non avremmo dovuto leggerlo, ma era lì in bella vista e noi eravamo bambine curiose. Mamma non avrebbe dovuto lasciarlo lì. Il punto è che io non avrei dovuto permettere a te di leggerlo. Avrei dovuto proteggerti da quelle pugnalate. Perché erano cose dette in un momento di disperazione. Eri così piccola, Dom. Scusa se non ti ho protetta. So che ora è colpa mia se ti sei un po’ incasinata la vita.»
Dominique era rimasta ferma, zitta. Fissava Victoire, mentre le immagine di quel pomeriggio si mischiavano con il presente. «Avremmo dovuto parlarne prima, Dom. Ma io avevo paura, sai, mi dicevo che mamma non pensava quelle cose, ma non ne ero sicura. Non mi avresti creduta. Ora però è diverso, adesso so che non le pensava. Perché anch’io a volte credo di non vedere la fine del giorno, poi li guardo e mi rendo conto che sono la mia vita. Lo sono davvero. So che venire qui ora, quindici anni dopo, non ha senso, ma puoi ancora riparare agli errori che hai fatto per colpa mia.»
«Non è colpa tua, Vic.»
«Avrei dovuto parlare con te. Non fingere che non fosse accaduto nulla.»
«Anche io avrei dovuto parlarne. Con te o con la mamma. O con chiunque altro. Solo parlarne mi avrebbe fatto stare meglio.»
«Però non lo abbiamo fatto, Dom. Non è tempo di piangere sul latte versato. Hai venticinque anni, vai a prenderti ciò che è tuo. Fregatene di quella finta rossa del cavolo. Mi ha regalato un vestitino che mio figlio non indosserà mai. Totalmente fuori moda e poi dice che lavora nell’ambiente. Cielo, un obbrobrio!»
«Grazie» Dominique sorrise un po’ incerta
«Tesoro, siamo Weasley. Non ti far spaventare da una Emily qualsiasi. Perché le mangi a colazione, quelle come lei.»
                                                                       ***
«Dominique, cosa ci fai qui?»
«Sembri felice.»
La felicità di Frank era qualcosa che Dominique non aveva messo in conto, perciò si disse che era tutto sbagliato, era pronta ad andarsene, quando Frank la tirò per la manica del maglione e la prese tra le sue braccia.
«Non sono così felice. Cioè in questo momento sì perché ho appena distrutto la mia vita, ma non sono felice nel complesso. Beh ora che tu sei tra le mie braccia, la cosa va un po’ meglio, ma sai io sono noioso e previdente, perciò sto già pensando a quando non ci sarai più e dovrò annusare le tue lettere, quindi non mi godo la felicità.»
«Non voglio andarmene, voglio restare, però è difficile. Non ho nulla per rimanere qui, se non tantissima paura.»
«Dominique, vorrei poterti dare qualche motivo per rimanere.»
Si fissavano negli occhi, si ponevano mute domande. Dominique scacciava i pensieri cattivi e sbagliati come Neville le aveva detto di fare. Frank avrebbe voluto saldarla a sé, ma la voleva vedere felice, anche se questo avesse significato lontano da lui.
«Frank, la nostra discussione non è…»
Emily si fermò sui gradini. Si era tolta la maschera, ma indossava ancora quella tuta informe. Guardava Dominique ancora tra le braccia di Frank. Dominique sembrava imbarazzata e intenzionata a sciogliere l’abbraccio, ma il ragazzo glielo impedì. Frank continuava a fissare ora l’una ora l’altra. Dominique che aveva l’aria di essere uscita di casa quella mattina e non ancora rientrata, sembrava aver pianto,  aveva un rigurgito del piccolo John Rufus sulla spalla, ma era bellissima, stupenda, molto più di quanto Emily avrebbe mai potuto essere.
«Ciao, Dominique. Forse Frank non te lo ha detto, ma non è proprio un bel momento. Ci fa piacere averti qui, a casa nostra, ma…»
«Mia. È casa mia. Tuo padre ha detto che non avrebbe dato un solo galeone fino a quando non ci fossimo sposati. Questa casa è mia. E dei miei. Perciò ci viene chi voglio io. Dominique rimane. Anzi,» controvoglia Frank sciolse l’abbraccio con Dominique e si avvicinò a Emily «vai pure a letto, Emily. Io non ci vengo. Né stasera né mai. Dormirò sul divano o non dormirò affatto. Non lo so, non mi interessa. Non voglio darti dei tempi o roba del genere, ma dovresti davvero andartene da casa mia. Diciamo in una settimana o due? Puoi andare dai tuoi, da un’amica, in una casa tutta tua, non mi interessa. Solo è meglio che te ne vada da qui.»
«Frank, solo perché ho detto che voglio che tu non faccia l’Auror non vuol dire che…»
«Tu hai progettato la nostra vita senza di me. Insieme ai tuoi. Anche farmi pressare da tuo padre era una tua idea. Così come i soldi della casa. Quando la signora che me l’affittava, mi disse che o la compravo o l’avrebbe venduta, tuo padre disse che mi avrebbe dato una parte dei soldi se ci fossimo sposati. Era una mossa, non credevi che avrei pagato quella cifra da solo, vero? Invece sei stata fregata. Perché io mio padre mi ha dato dei soldi, io ci ho messo gran parte dei miei risparmi e Harry mi ha fatto un mega prestito senza interessi. E lo hanno fatto per me, perché mi volevano bene e non volevano che sposassi la ragazza sbagliata. Perciò non è solo per l’Auror. È perché non voglio vivere la vita che tu hai deciso per me. E perché non voglio affittare una casa in Spagna quando i bambini saranno un po’ più grande dove portare anche i miei e i tuoi.»
Una nuova e strana sensazione avvolse Frank. Felicità, libertà e senso di potere.  Poter scegliere della propria vita. Senza guardare più Emily, si rivolse a Dominique, che era ancora lì. Nell’ingresso, appoggiata al pianoforte, con un grosso maglione bianco fino a metà coscia, i capelli sciolti e un po’ arruffati e gli occhi pieni di domande.
«Andiamo a prenderci una bella tisana, Dom.»
                                                                       ***
«Ti ha sul serio detto che voleva che tu lasciassi il tuo lavoro?»
«Sì. Perché lei non voleva curare i miei figli mentre me ne andavo in giro.»
«Sei stato stronzo a mollarla così. Dopo tutto questo tempo.»
«Mi conosci, Nic, non sono mai stato stronzo nella mia vita. C’è sempre una prima volta.»
Si sorrisero delicatamente, mentre si lasciavano cullare dal dondolo sulla veranda di Frank.
«Sai quando siamo andati a fare il tatuaggio? Ti ricordi cosa ho detto circa la frase che avevo scelto?»
«Sì, era quel discorso sull’essere la figlia di mezzo, un po’ Weasley, un po’ Veela. Tante aspettative, troppe pressioni, no?»
«Mentivo. Mentivo di brutto. Era tutta una colossale bugia. In parte ne ero consapevole, in parte no. Ora lo sono totalmente. Quando avevo dieci anni, io e mia sorella decidemmo di andare in esplorazione della soffitta. Era stata una mia idea, Vic era contraria, ma non voleva che andassi da sola, perché i miei non erano in casa. Tentò di dissuadermi, ma io ero piuttosto convinta. Così andammo. Era fine Agosto, ma fuori pioveva molto. Insomma un’atmosfera un po’ inquietante. Trovammo dei vecchi vestiti di mia madre, la divisa di Quidditch di mio padre, quello che chiunque si aspetterebbe di trovare. Io avevo dieci anni, per me erano cose grandiose. Vic mi supervisionava, mentre teneva una candela in mano, pronta ad accenderla se fosse diventato troppo buio. A un certo punto mi parve di vedere un topo o simili, mi spaventai e andai addosso a una cassa. Quando Vic venne a vedere se mi fossi fatta male, notammo che vi era appoggiato un diario. Vic voleva rimetterlo a posto, ma io pensai che sarebbe stato divertente leggere di quando mamma era a Beaubatons, perciò lo aprimmo. Non era di quel periodo, risaliva ai mesi successivi alla mia nascita. Mia madre parlava di me e di Vic. C’erano frasi tremende, che fecero impressione sia a me sia a Vic. Parlava di noi come se fossimo state figlie del demonio. Per me fu terribile. Mi convinsi che io, mio padre e mia sorella avessimo tarpato le ali a mia madre. Sostanzialmente lo leggemmo tutto e quando i miei rientrarono con Louis scappammo nelle nostre camere. Non ne parlammo mai, io e Vic, intendo. Solo che ognuno lo interpretò come preferì. Vic mi aveva vista da piccola e sapeva che ero capricciosa, dal pianto facile, ma non demoniaca. Perciò era consapevole dell’esagerazione della mamma. La sua reazione fu di rifiuto di Fleur. Le parlava in maniera garbata, ma sempre indifferente. Quando partì per Hogwarts, scrisse lettere solo a mio padre, dicendo di salutare la mamma. Erano sempre state così unite, ma ora sembravano estranee. Vic non lo sa, ma nostra madre soffrì molto. Non si capacitava di cosa fosse successo. Io avrei dovuto dire la verità, ma non lo feci mai. Quell’anno Vic si mise con Teddy, che le fece capire quanto fosse fortunata ad avere ancora i suoi genitori e perciò la spinse a riappacificarsi con mia madre, ma io so che quella ferita è ancora lì. Oggi più che mai, perché Vic non parlerebbe mai in quei termini di Arthur o di John. Credimi, mai. Io da parte mia, ebbi un’altra reazione. Mi sembrava di aver obbligato mia madre a quella vita, perciò cercai di darle il minor fastidio possibile, cercando addirittura di stare con Louis più tempo. Però mi promisi che mai avrei permesso a qualcuno di fare quello che noi avevamo fatto a mia madre. Perciò mi volli tatuare quella scritta, perché ognuno sapesse che io ero libera e volevo esserlo.»
«Accipicchia. Come hai fatto questa analisi?»
«Tu non ci crederai, ma un terzo l’ho fatto da sola, un terzo Vic e un terzo tuo padre.»
«Mio padre? Neville Paciock?»
«Devo dire che ho sempre avuto conversazioni illuminanti con lui nel suo studio. In ogni caso sono qui per fare ammenda. Perché avrei dovuto dirti tutto allora.»
«No, non eri obbligata.»
«Forse, ma avrei dovuto farlo. Anche quando parlavamo del futuro, io avrei dovuto dirti la verità. Sai parlare con voi Paciock è utile, ma – non dirlo a tuo padre – tu rimani il mio preferito. Avrei dovuto farlo otto anni fa con te, non stamattina con tuo padre.»
«Stamattina eri da mio padre? C’ero anch’io.»
«Cosa ti ha detto?»
«Di non sposare Emily. Non prima di aver chiarito con te.»
«Tu hai deciso di non sposarla del tutto?»
«Esattamente. Hai ragione, mio padre dà dei consigli che non sono male, alla fine.»
Rimasero un po’ nella stessa posizione, Dominique appoggiata a Frank, la tazze vuote sul tavolino e le stelle nei loro occhi.
«Non andartene più, Dom. So che girare il mondo è bello, ma ci sono cose fantastiche anche rimanendo a casa con la propria famiglia e i propri amici.»
Era solo un sussurro, ma Dominique lo sentì bene e rabbrividì.
«Non so se sono all’altezza.»
«A quale altezza?»
«Alla tua, Frank. Tu sei così bravo con certe cose.»
«L’abitudine, credo. Sono otto anni che mi destreggio tra queste poche strade note. Possiamo fare con calma. Te lo prometto, ti terrò la mano. Fai solo un tentativo. Conceditelo.»
Dominique strinse forte le mani di Frank e si disse che ne valeva la pena. Anche solo per dire di averci provato.
                                                                       ***
A venticinque anni, Dominique Weasley si sentì tornare adolescente. Perché provò una serie di cose per la prima volta. Ma non era come quando a tredici anni aspettava con ansia il primo ciclo, per sentirsi come tutte le altre. O come quando era finita nel letto di Todd Hedson per non sentirsi inferiore. Ora era adulta e c’erano una serie di sfumature che prima le erano sfuggite.
Ci fu il primo appuntamento. Frank la invitò a un aperitivo, in un bar molto particolare. Poi camminarono un po’ per il quartiere, divertendosi a cercare i maghi in incognito. Verso sera, si smaterializzarono a Diagon Alley, perché il tramonto dietro la Stamberga Strillante era una delle cose che avevano sempre impressionato Frank e che non avevano mai potuto condividere, perché erano solo amici a Hogwarts.
Ci fu anche il primo bacio. Che fu poi lo stesso giorno dell’appuntamento, perché il sole che si nascondeva dietro l’orizzonte era romantico e Dominique desiderava da troppo tempo baciare Frank. Perciò gli aveva letteralmente buttato le braccia al collo e aveva avvicinato il proprio volto al suo. «Sto per fare quello che avresti dovuto fare tu otto anni fa, Frank. Spero non sia un problema.» Frank la guardò ancora per un secondo, così vicina che avrebbe potuto contare le sue ciglia e poi le sorrise. «Non credo proprio che sarà un problema, Nicky.» E mentre appoggiava le proprie labbra su quelle di Frank, Dominique si disse che nulla di tutto ciò aveva alcun senso, perché Frank era decisamente un ragazzo di cui innamorarsi. Soprattutto per lei. Frank era contro tutte le regole che si era data, che si era imposta. Frank era il tipo di ragazzo che vuoi presentare ai tuoi genitori e alle tue amiche per mostrare quanto sei fortunata ad averlo trovato. Frank era quello con cui fai progetti, perché è naturale farlo, sembrerebbe sbagliato il contrario. Con Frank, Dominique si vedeva vecchia e circondata di nipotini. Era Frank, era tutto questo e non era sbagliato. Non era l’uomo di un’altra o cose di questo genere. Era lì e lei avrebbe potuto averlo. Con calma, aveva detto lui quella sera. Ma era difficile mantenere la calma, quando Frank aveva delle labbra così morbide e soffici, che parevano avere l’odore delle cose più buone di questo mondo.
Ci fu anche la prima litigata. Il futuro era un tabù, non ne parlavano mai. Perché Frank aveva paura di spaventare Dominique e di farla scappare, perciò era costretto a frapporre un filtro tra la sua mente e la sua bocca. Dominique non era abituata a pensare al futuro, se non a quello lavorativo. Perciò dopo aver trovato lavoro nel settimanale del Profeta, riteneva di non doversi preoccupare di nulla. Frank viveva ancora nella propria casa, da cui Emily stava ultimando il trasloco; mentre Dominique era stata gentilmente ospitata da Victoire. Una sera erano seduti sul divano di Frank, incastrati l’una nell’altro, avvinti in quel tipo di abbraccio che riscaldava Dominique. «Todd Hedson, eh?»
«Che c’è di male? Era carino!»
«Sì, ma avresti potuto avere qualsiasi ragazzo della scuola – esclusi i tuoi cugini – e tu sei stata per la prima volta con quello lì? Era strano, secondo me.»
«Originale. L’ho scelto per questo, nessuno se lo sarebbe aspettato.» Frank scosse la testa perplesso. «Lo so, col senno di poi era una sciocchezza, ma allora non sembrò tanto sbagliato. Comunque non fu nulla di che. Credo che lui non si aspettasse che io fossi vergine.» Davanti all’espressione di rabbia, dolore e disgusto che occupava il volto di Frank, Dominique trattenne un sorriso «Diciamo che non fu piacevole, per me. Per lui non so, ma certo non replicammo mai. Adesso tocca a te.»
Il giovane Paciock pareva molto in imbarazzo. «Naya Jones»
«Stai scherzando? La mia amica Naya Jones?»
«Già.»
«Siete stati insieme e non me lo avete mai detto?» Dominique sembrava un po’ alterata, ma era chiaro che stava facendo di tutto per nasconderlo.
«Non siamo stati insieme. Abbiamo solo… Non voglio dire che non…» Frank prese un bel respiro «Eravamo al sesto anno, il primo in cui Naya giocava nella nostra di Quidditch. All’inizio erano tutti molto sospettosi del suo ingresso in squadra. La vedevano tutti solo come una ragazza carina e basta. Qualcuno mormorava che fosse addirittura stata con James per ottenere il posto. Erano calunnie e basta, perché Naya aveva davvero battuto tutti gli altri alle selezioni ed era brava. Beh, tutte queste cose le saprai già, visto che eravate amiche anche allora. In ogni caso, io mi sentii di darle il mio supporto, ma in maniera del tutto smaliziata. La sostenevo e le dicevo che era brava. Una sera finimmo gli allenamenti e rientrammo in Sala Comune. Erano tutti a mangiare perché erano le sette e mezza, io dissi che non avevo fame e che me ne sarei tornato in camera a leggere. Anche Naya disse che non sarebbe andata a mangiare, rimanemmo un po’ a parlare e poi non so come accadde, ma ci baciammo. Successivamente… beh puoi immaginare cosa accadde. Finimmo in camera mia e quando mi svegliai la mattina dopo, lei era appoggiata al mio petto. Era la prima volta per entrambi e non fu nulla di speciale. Il giorno dopo ne parlammo a lungo e decidemmo di non dare troppo peso alla cosa. Io mi sentivo uno schifo, perché era la sua prima volta, ma lei disse che era contenta che fossi stato io… il primo, diceva che si fidava di me, che non l’avrei divulgato. E non lo feci, effettivamente sei la prima che lo sa. Immagino che i miei amici credano che sia stata Amy la prima, quando ci mettemmo insieme al settimo anno. Qualche volta pensammo anche di… replicare, ma io pensavo già a te, sarebbe stato scorretto. In più lei sembrava un pochino interessata e non sarebbe stato corretto darle false speranze.»
«Non posso crederci! Naya era una delle mie migliori amiche!»
«Sì, ma io e te non stavamo assieme allora, perciò…»
«Lo so. Soltanto che lei non me lo disse! Mai!» Frank scrollò le spalle, dubbioso se fosse stata una bella idea quella di raccontare a Dominique la propria prima volta. «In ogni caso ha senso, ho sempre pensato che avesse un debole per te. È così strano. Pensare che tu sia stato con Naya la tua prima volta. È stato tanto tempo fa.»
«Una vita fa, direi.»
Erano rimasti in silenzio, per qualche secondo.
«Frank, perché fai così?»
«Tu mi ha chiesto con chi è stata la mia prima…»
«Non quello. Perché mi parli del passato, quando vuoi parlarmi del futuro? Lo so. Credi davvero che non me ne renda conto? Non sono stupida e ti conosco bene. Dopo che sei stato con Vic, Teddy e i bambini vuoi sempre dire qualcosa, ma poi ti fermi. Perché non mi parli del futuro? È perché non ti vedi con me? So che sono difficile, ma mi sto impegnando tantissimo.» Il tono di voce di Dominique era pericolosamente alto e acuto, le mani strette come quando stava per iniziare una discussione. Era chiaro che quel pensiero non era nuovo e improvviso, ma al contrario doveva averlo maturato da un po’.
«Dominique, io vedo te nel mio futuro. Anzi potrei anche dire che se socchiudo gli occhi mi sembra che tu coincida con il mio futuro. Non te ne parlo perché non voglio che tu ti spaventi, ti senta oppressa.»
«Non puoi decidere tu per me, Frank.»
«Scusa, Nicky, ma sono egoista e ti voglio tutta per me. Non posso pensare di farti scappare da me.»
«Io voglio davvero pensare al futuro insieme a te. Ok, ho detto di andarci con calma, ma voglio parlarne, non fare finta di niente.»
Frank si mise a sedere e fissò negli occhi Dominique, che si era seduta dall’altra parte del divano durante la discussione.
«Da dove vuoi cominciare?»
«Da casa dei tuoi genitori o dei miei.»
«Scusa?»
«Voglio dire ai miei e ai tuoi che stiamo insieme. Che non è un capriccio momentaneo, un revival di quando eravamo a Hogwarts.»
Frank non poté far altro che sorridere. Uscivano insieme da nemmeno un mese, non avevano nemmeno mai fatto l’amore, era strano pensare di presentarla già ai suoi, ma dopotutto la conoscevano già.
«I miei ne saranno entusiasti.»
Quella fu anche la prima volta che fecero l’amore. E fu bello, molto bello. Meglio delle loro rispettive prime volte – sicuramente – ma meglio anche delle altre volte. Perché era un modo per ritrovarsi finalmente. Lo fecero lì, sul divano. Dove prima si erano abbracciati e poi avevano litigato. Dominique spogliò Frank lentamente. Assaporando la sempre maggior vicinanza con la sua pelle. Poi lasciò scorrere le dita, lentamente, sul suo petto. Era come lo aveva immaginato a diciassette anni. Anzi era meglio. Adorava vedere Frank rabbrividire sotto il suo tocco. «Sei bellissimo, Frankie.»
«Dovrei dirlo io.»
Dominique zittì qualsiasi protesta con un bacio e continuò a passare le mani sul dorso di Frank, che nel frattempo le aveva sfilato maglione e camicetta. Mentre Frank con una mossa esperta le slacciava il reggiseno, Dominique pensò che forse avevano fatto bene ad aspettare. L’idea di Frank che come un imbranato armeggiava con la chiusura del reggiseno, avrebbe rischiato di farla ridere e di rovinare il momento. Le mani di Frank sembravano contenere alla perfezione il seno di Dominique e lo massaggiavano e mordicchiavano lentamente, facendo gemere la ragazza. Pian piano l’eccitazione di Frank che le premeva sull’inguine le fece accelerare il ritmo. Voleva Frank, lo voleva davvero.
«Frank» era solo un sussurro carico di desiderio, ma lui parve capire ogni cosa e infatti sdraiò Dominique sul divano e si mise sopra di lei.
«Io non voglio correre troppo… Sei sicura di… Possiamo aspettare»
«Possiamo?» Frank la guardò un po’ dubbioso. «Secondo me no. Lo voglio davvero tanto, Frank.»
Senza perdere un altro secondo, Frank sfilò i pantaloni di Dominique, mentre lei armeggiava con la sua cintura. In un battito di ciglia anche le mutande di Dominique erano per terra. Solo il sottile strato di cotone dei boxer di Frank li separava. Si guardarono negli occhi per un breve e intenso attimo. Poi lei denudò completamente Frank.
Quando lui entrò in lei, Dominique pensò che anche quello fosse un momento da aggiungere alle esperienze che valeva la pena di vivere. Non che l’avrebbe mai detto al signor Paciock, comunque. I loro corpi sembravano adattarsi alla perfezione. Le mani di lei intrecciate sulla schiena di lui, le gambe incrociate sui suoi fianchi. Frank sopra di lei, sudato e ansante era ancora più bello che vestito elegante al matrimonio di Vic.
L’orgasmo li colse quasi nello stesso momento. Dominique urlò il nome di Frank all’apice del piacere, seguita poco dopo da Frank che si abbandonò sul corpo della sua ragazza.
«Stai… Per favore, rimani… lì.» Il peso di Frank era piacevole da sopportare. Non lo aveva mai sentito così vicino. «Non ti lascerò più, Frankie. L’ho fatto una volta e ho rischiato di perderti per sempre. Non farò due volte lo stesso errore.»
«Me lo auguro, Dom. Perché questa volta verrei a prenderti. Non sarei codardo come otto anni fa.»
                                                                       ***
Frank avrebbe voluto andare prima dai Weasley, ma Dominique era estremamente convinta che i Paciock avrebbe voluto saperlo prima.
«L’ho già detto a Vic. Voglio dirlo prima ai tuoi. Anzi, dovremmo dirlo prima a tuo padre.»
«Perché a mio padre?»
«Non è stato un po’ il nostro Cupido?» Frank guardò la propria ragazza un po’ perplesso.
«Se vogliamo vederla in questa maniera.»
«Oh sì, e poi voglio tornare a Hogwarts tenendoti per mano. Continuiamo a parlare del passato, no? Eppure è ora di lasciarcelo alle spalle, perciò come se non visitando il luogo dove tutto è cominciato?»
 
Neville Paciock era fuori di sé dalla rabbia. Quel piccolo e irreverente Serpeverde aveva fatto più atti di vandalismo in una settimana, che Draco Malfoy in sette anni.
«Higgins, ora tu mi ascolti bene. O moderi il tuo comportamento o io ti sbatto fuori da questa scuola. Non mi interessa nulla di chi sia tuo padre o di chi siano i genitori dei tuoi potenti amici. Perché lo dirò una sola volta, l’ultima persona che ho visto comportarsi in questa maniera – cricca di amici potenti e irriverenza contro i professori – era Tom Riddle alias Lord Voldemort. Perciò non ho intenzione di assistere alla nascita di un piccolo insolente Bambino Oscuro. Sono stato chiaro? Non farti più richiamare entro la fine dell’anno o ti sbatto fuori.»
Frank e Dominique rimasero fuori dalla porta, leggermente pietrificati dalle urla che giungevano dall’interno. Quando la porta si aprì, ne uscì un ragazzino carino, dall’aria spavalda. Forse del quinto, al massimo sesto anno. Frank ne approfittò ed entrò a salutare il padre, mentre Dominique attendeva fuori.
«Hey, bella.»
«Potrei essere tua madre.»
«Questo sarebbe davvero un problema, perché sei molto bella.»
«Sai qual è il vero problema? Il ragazzo cattivo ha stancato. Oggi le ragazze moderne, vogliono qualcuno che sappia dare loro tranquillità. Siete rimasti solo tu e Draco Malfoy a credere che il bad boy vada ancora. Ma lui è vecchio, si può capire.»
 
«Papà, ti devo dare una notizia piuttosto grandiosa.»
«Spero che tu non ti voglia rimettere con E… E… Elizabeth?»
«Emily. No, lei per fortuna ha finito il trasloco una settimana fa. E non è stato bello. Voglio… diciamo presentarti qualcuno.»
Dominique entrò nello studio del Preside, esibendo il proprio miglior sorriso. Si era vestita molto accuratamente per l’occasione, perché voleva mostrare al professor Paciock di meritarsi Frank. Nel proprio semplice, ma elegante vestito blu, Dominique era una delle ragazze più belle del mondo.
«Buongiorno, professor Paciock»
Neville, come qualsiasi Paciock degno di rispetto, arrossì vistosamente quando Dominique gli posò un bacio su entrambe le guance.
«Papi, io e Dominique stiamo insieme.»
Neville Paciock adorava Dominique, ma anche se lei non gli fosse piaciuta, il sorriso di Frank era così grande e sincero che l’avrebbe amata lo stesso.
«Vogliamo sederci? Prendete qualcosa da bere, brindiamo. Ditemi un po’, com’è accaduto? Sì voglio dire, davvero Dominique vuoi stare con Frank?»
«Papà!»
«Sì, signor Paciock, per tutta la vita e oltre.»
«Hannah non ci crederà mai.»
«Vorremmo dirlo noi alla mamma, se non ti dispiace.»
«Oh certo, ma non dicevo di quello, sai? A quello crederà, basta guardarvi in faccia. Non crederà mai che anch’io ho avuto un ruolo attivo in tutto ciò.»
«Non è vero. Non hai avuto nessun ruolo.»
«Oh, sì, Frank, non dire così. In almeno un paio di occasioni mi ha fatto riflettere. Una in particolare è stata determinante.»
«Beh se è così, magari… potreste…»
«Non chiameremo nostro figlio Neville, papà!»
Il professor Paciock arrossì, mentre Dominique stringeva forte la mano di Frank, per niente spaventata all’idea del futuro che li avrebbe attesi.
                                                                       ***
«Frank, uhm?»
I Weasley avevano avuto strane reazioni. Prima Fleur aveva sospirato rumorosamente e poi aveva parlato in francese stretto, esprimendo il proprio sollievo per il fatto che anche Dominique avesse finalmente trovato un ragazzo serio. Poi si era seduta, apparentemente assorta in qualche riflessione. Bill guardava Dominique con un’espressione criptica.
Dominique aveva deciso di parlare da sola ai suoi per la prima volta, poi avrebbe presentato loro Frank.
«Sei sicura?»
«Certo che è sicura. Porquoi? Frank est un bon garçcon.»
«Fleur, fa rispondere lei.»
«Perché no, papà?»
«Non dico no, solo… anche tu un amico di infanzia?»
«Papi, ho visitato più del 50% del nostro pianeta. Ho conosciuto un’infinità di uomini. Eppure sono tornata qui e ho scelto Frank. Penso di essere piuttosto sicura.»
«Immagino che tu lo sia, effettivamente. Lo sei sempre stata. Portacelo qui, il famoso Frank Paciock, cosicché io possa fargli le dovute raccomandazioni.»
Dominique era un po’ spaventata dal ghigno di suo padre, ma si disse che lei e Frank avrebbero potuto affrontarlo. Insieme.
                                                                       ***
«Frank!»
Il giovane Paciock stava apparecchiando la tavola, quando l’urlo della sua ragazza gli fece quasi cadere un piatto.
«Dominique, è successo qualcosa?»
«No, perché?»
«Non sei mai tornata così tardi!»
«Scusa, ho dovuto fare una cosa. Anzi, vieni così ti faccio vedere.»
Si sedettero sul divano – quel divano – e Dominique si tolse la maglietta, facendo arrossire leggermente Frank, nonostante stessero insieme da quasi un anno.
«Hai visto?»
«C-cosa?»
«Il tatuaggio»
A Frank sembrava uguale, ma poi lo guardò davvero.
«Born to be free… to love hai cambiato la scritta» Frank fece scorrere il dito sulla pelle di Dominique, come aveva fatto tanti anni prima.
«Sì, mi sembrava che stonasse. Non ho voluto cancellarlo, perché è la prova tangibile del percorso che ho fatto. Anche e soprattutto grazie a te.»
Frank continuò a seguire i contorni delle parole, poi strinse le mani intorno alla vita di Dominique e l’attirò a sé. Iniziò a depositarle una serie di piccoli baci sul collo e poi sulla spalla.  «Ti amo, Nicky.» Le sussurrò tra un bacio e l’altro.
«Ti amo. Ti amo proprio, Frankie.»
La tavola accuratamente apparecchiata da Frank fu momentaneamente dimenticata.

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Capitolo 6
*** It was totally worth it ***


 

It was totally worth it.


La luce del sole entrava dalla finestra, facendo risplendere i capelli di Dominique, ancora addormentata. In una stanza poco distante, Frank era seduto su una sedia con un’espressione concentrata, ma felice. Quando Dominique si svegliò e non lo trovò accanto a sé, si alzò in fretta e ancora mezza addormentata e a piedi nudi lo raggiunse nella piccola cameretta rosa.
«Frank, mi hai fatta spaventare.»
«Scusa, quando mi sono svegliato tu dormivi e sono venuto qui. Charlotte, fai ciao alla mamma.»
La piccola Charlotte Paciock staccò una mano dal collo del suo papà e sorrise a Dominique.
«Ti assomiglia sempre di più, Frankie.»
«Purtroppo per lei, sì. Ma ha il tuo sorriso, il tuo bellissimo sorriso. Chissà magari la prossima…»
«O il prossimo! Ancora non sappiamo il sesso, Frank.»
Frank appoggiò delicatamente la mano sul ventre di Dominique.
«Charlie, tu cosa vorresti una sorellina o un fratellino?»
«Ua soellina!»
«Sono totalmente d’accordo con te!»
«Ha solo due anni e l’hai già plagiata!»
«Mi conosci, tesoro, amo plagiare le piccole ragazze indifese.»
Allora Dominique si concesse un attimo per guardare la propria famiglia e si disse che ne era proprio valsa la pena. Per le fossette di Charlotte, così uguali a quelle di Frank. Per il modo in cui le sue piccole mani le stringevano le dita. Per ogni volta che si era svegliata e Frank era accanto a lei. Per le lacrime di sua madre e di sua sorella al proprio matrimonio. Per tutte le volte che aveva detto ti amo a Frank e per tutte quelle che lui l’aveva detto a lei. Per i momenti in cui guardava il professor Paciock – che ormai chiamava Neville – stringere tra le braccia Charlotte e pensava che in un certo senso era tutto merito suo.
Un giorno avrebbe raccontato a Charlotte – e all’altro bambino che portava in grembo e a tutti quelli che sarebbero venuti – la loro storia e avrebbe detto loro che era stato difficile, ma gli avrebbe insegnato che le cose difficili sono più belle. E li avrebbe amati tutti – Frank, Charlotte e gli altri – fino alla fine, fino a che ne avrebbe avuto le forze.
Il futuro era ancora un’incognita, ma Dominique non aveva più paura. 



 

Fine

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