Love Trap

di Kat Logan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tokyo, prigione dei ricordi e custode dei segreti più profondi ***
Capitolo 3: *** Destiny, lost memories and meetings ***
Capitolo 4: *** Somehow, somewhere in time will we remember all of the suffering ***
Capitolo 5: *** Dear friend, bring me back my memories ***
Capitolo 6: *** Dance With The Devil ***
Capitolo 7: *** Dance With The Devil - Part II ***
Capitolo 8: *** Uragiri wa boku no namae wo shitteru ***
Capitolo 9: *** What else is there? ***
Capitolo 10: *** Black Hole ***
Capitolo 11: *** Passi falsi ***
Capitolo 12: *** Passi falsi - Part II ***
Capitolo 13: *** Insonnia ***
Capitolo 14: *** Senza via d'uscita (non completo) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

“Alcune volte il passato è una cosa che non si riesce proprio a dimenticare. E altre volte il passato è una cosa che faresti di tutto per dimenticare. E a volte impariamo qualcosa di nuovo del passato. Che cambia tutto ciò che sappiamo del presente.
 
- Grey’s Anatomy –





Los Angeles, 3 Giugno 2011
 
 
Aveva terminato ciò che le era stato commissionato in perfetto orario, trovandosi esattamente dove il suo cliente aveva richiesto.
La calura estiva era andata scemando con il calare della sera, ma nonostante ciò, le sue guance, avevano assunto un colorito accesso e la fronte era perlata da piccole gocce di sudore.
Il suo cuore aveva deciso di ribellarsi ai battiti regolari e una strana sensazione alla bocca dello stomaco le stava contorcendo le viscere in maniera anomala.
Il cervello registrò quella sensazione come panico. Ma per quale motivo doveva provare una cosa del genere?
Guardò l’orologio da polso, sincronizzato con quello della propria squadra.
Ventidue e trenta. Tutto in regola.
Mosse qualche passo, nervosa, facendosi aria con la busta sigillata che teneva in mano; e di cui non si era preoccupata del contenuto, in quanto non aveva avuto l’ordine di guardare al suo interno.
Regole. Esistevano per una ragione. Mantenevano l’ordine e non l’avevano mai fatta fallire, non aveva motivo per infrangerle.
 
Un vivace fischiettare nell’aria.
Dev’essere lui.
“Buona sera!”
“Ecco ciò che desiderava!” Allungò la mano, porgendo all’uomo dalla pelle olivastra e gli occhi di smeraldo, non appena ne vide la figura comparire sulla soglia di quella stanza vuota, la busta di carta bianca che stava stringendo.
Lo fece senza troppi complimenti, frettolosa, quasi come a non voler restare un minuto in più in sua compagnia.
“Un momento…” il suo cliente socchiuse la porta, pacato, invitandola a restare. “Vorrei che guardasse cosa c’è li dentro!”
A quelle parole la sensazione di ansia crebbe ancora di più.
“Signore, con tutto il rispetto…è roba sua. Il mio lavo-”
“Le sto dicendo di aprirla. Lo faccia.” Le ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
Le mani le presero a sudare. In tutta la sua vita, non aveva mai provato una tensione del genere senza motivo apparente. Deglutì, impedendo alla sua espressione di far trapelare la paura che si stava annidando dentro di lei.
Le dita affusolate catturarono il sottile contenuto della misteriosa busta tirandolo fuori.
Una foto.
“La guardi…”
Michiru ubbidì. L’immagine ritraeva il viso di una donna sorridente, dai lunghi capelli scuri, gli occhi di un nero profondo e la stessa carnagione dell’uomo.
Dev’essere indiana. Valutò tra sé e sé, osservandone attentamente i tratti.
“La riconosce?”
“Non direi…mi spiace!” Disse rimettendo la foto al suo posto.
“No.” Proruppe l’altro.
“No. Cosa?”
Michiru puntò gli occhi in quelli smeraldo che si erano fatti sottili come lame, senza capire.
“No, non le spiace!”
La ragazza lo scartò con un movimento felino, pronta a spalancare la porta e ad abbandonare quel posto.
“Non le consiglio di lasciare questa stanza…” la mano una volta sfilata dalla tasca dei pantaloni rivelò un piccolo oggetto nero, che Michiru riconobbe come un detonatore.
“Un ottimo modo per catturare tutta la mia attenzione!” esclamò tagliente, mentre i suoi muscoli s’irrigidivano e l’aria le sembrò farsi più densa, quasi irrespirabile.
“Ne ero certo”, sorrise soddisfatto l’altro prima di continuare.
“Quella…era mia moglie” le rivelò con lo sguardo velato di emozione, “tu nemmeno te la ricordi, che razza di persona sei? L’hai ammazzata e non ricordi il suo viso, mentre io…oh io la sogno ogni notte! Mi sta perseguitando…”
Michiru non riusciva a formulare una risposta, la sua bocca si era fatta improvvisamente arida e la sua concentrazione era totalmente dedicata all’oggetto pronto a produrre tutt’altro che innocue scintille.
“Merita giustizia…”
“E l’avrà facendomi saltare in aria?”
La sua domanda scatenò una risata nel suo interlocutore, che ora sembrava piuttosto divertito.
“Oh no!” Una luce sinistra s’impossessò nei suoi occhi, “questo servirà ad uccidere la tua amata! Ti toglierò esattamente quello che hai tolto a me!”






Note dell'autrice:

Come promesso alle mie fedeli lettrici, eccomi qui alla carica con una nuova storia.
Anche questa fic nasce come "esperimento", come la mia amata Stockholm Syndrome (inizia a piangere come una disperata), tengo a puntualizzare questa cosa così vi preparate al fatto d'imbattervi in un racconto psicopatico come la sottoscritta.
Mi preme annunciarvi poi, che "solo" con il prologo, la storia ha già deciso di fare di testa sua, ma chi mi conosce ormai sa bene che questa è una mia caratteristica...
Come ormai di regola vi metto la mia pagina autore su fb, dove trovate anticipazioni e deliri vari.
Eccola!  
detto questo...passo e chiudo!


Kat


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Tokyo, prigione dei ricordi e custode dei segreti più profondi ***



Capitolo 1.

Tokyo, prigione dei ricordi e custode dei segreti più profondi

 
 
 

Tokyo, 23 Settembre 2011.
Ore: 22.30
 
Era settembre inoltrato; e il sole aveva cominciato a giocare a nascondino in anticipo rispetto ai caldi mesi di luglio ed agosto, trasformando così le serate tiepide ed autunnali in autentiche notti dense e scure.
La città di Tokyo, sfavillante e lucente come un diamante, grazie alle numerose luci intermittenti e colorate che illuminavano l’atmosfera sin dal primo pomeriggio, non permetteva ad alcun occhio umano di godere del cielo stellato, corte della pallida luna che si stagliava quasi al centro perfetto di esso.
 
Michiru, dal piano più alto di un palazzo signorile di recente costruzione, lasciava che il blu dei suoi occhi si perdesse al di la dell’ampia vetrata, unico ostacolo a separarla da quel cielo nero pece.
Nero, come ultimamente era gran parte della sua mente.
Da qualche tempo sembrava aver come dei blackout riguardo alcuni recenti avvenimenti della sua vita, mentre il suo passato era perfettamente integro e limpido nella sua memoria.
“Non si preoccupi, probabilmente è solo colpa dello stress dovuto alla sua attività. Dovrebbe ringraziare di essere viva e in buona salute con tutto quello che rischia ogni volta”.
Quelle erano state le precise parole del medico della Hide Secrets Agency, l’organizzazione segreta per la quale lavorava ininterrottamente da ormai tre anni.
Avanzò scalza, in punta di piedi, sul parquet lucido e pulito.
Con un gesto deciso aprì la vetrata per dirigersi sul balcone dove la brezza settembrina soffiava prepotente.
Venne scossa da un brivido, ma nonostante la maglia in cotone che indossava, fosse troppo leggera per quell’ora e quell’altezza non si tirò indietro.
Si sporse leggermente, guardando il paesaggio sotto di lei.
I rumori della città sembrarono essere attutiti da quel soffio feroce che le scompigliò dispettoso i capelli.
L’eco di una sirena si perse in lontananza così come la frenata brusca dell’auto che inchiodò al rosso improvviso del semaforo nella strada sottostante.
Guardò il passaggio notturno. Nonostante fosse venerdì, la via sembrava essere poco affollata.
Tornò a prestare attenzione al cielo.
Così in alto da essere vicino agli Dei…
Allungò una mano in aria come per provare a toccare quell’oscurità che le stava entrando nelle ossa.
Eppure così lontana dalla perfezione, nonostante quello che dicono.
Una serie di passi alle sue spalle.
Michiru ritrasse la mano e affinò l’udito prestando attenzione a quel suono.
Più vicini a lei.
Un lieve sorriso le incurvò le labbra.
“Seiya!”, esclamò senza voltarsi.
Una parola masticata e soffocata all’istante alle sue spalle.
“ Sei ancora troppo rumoroso!”
Il giovane chinò il capo grattandosi la testa ricoperta dalla lunga chioma mora, legata in una coda.
“Accidenti!” disse con un filo di voce per poi affiancarla sul balcone.
“Miss Kaiō, che ci fa qui?”
“ Ancora con la storia del maggiordomo?” domandò la ragazza trattenendo una risata.
“Certe abitudini sono difficili da dimenticare. Sotto copertura sono sempre il tuo servizievole mastino! E poi…”, la mano di Seiya passò le dita tra i lunghi capelli scompigliati color acqua marina, “ammetto che non mi dispiace ricevere ordini da te!”
“ Oh, ma smettila!”
“Non hai ancora risposto alla mia domanda. E’ di nuovo la tua insonnia a tenerti qui ?”
“Già”.  Michiru si limitò a dare quella scarna risposta alzando lievemente le spalle.
“Hai preso la tua compressa?”
“In realtà…no!” disse restia ad affrontare l’argomento e passandosi le mani su entrambe le braccia cercando di riscaldarsi.
Seiya sparì per qualche istante mentre le sue labbra si fecero scappare uno sbuffo leggero.
Attraversò il salotto arredato con mobili lineari e moderni, arrivando alla cucina.
Michiru contò mentalmente quei passi, udì il dito del ragazzo fare pressione sull’ interruttore della luce, il conseguente prendere un bicchiere di vetro, lo sportello del frigo che si apriva, l’acqua versata, uno sbadiglio, la mano che agguantava il barattolino bianco delle pillole e la luce che veniva spenta.
“Prendi!” Le ordinò una volta nuovamente raggiunta;  porgendole il flaconcino con una mano e il bicchiere colmo d’acqua con l’altra.
“Ho come l’impressione…” prese in mano una pillola,  “che questa roba non mi faccia bene.”
“Non essere sciocca, te l’ha prescritta un medico, mica un ciarlatano! E poi…sono praticamente vitamine e basta, non possono farti alcun male!”
“Ma…”, Michiru guardò con sospetto il farmaco, “ho come l’impressione che mi facciano qualcosa, che…in qualche modo aumentino il vuoto di memoria che sento negli ultimi tempi!”
“Non fare la paranoica, su!” La incitò lui con un sorriso, “ancora qualche giorno e poi non dovrai più preoccupartene!”
La ragazza finalmente si decise a dargli ascolto. Con un gesto secco mandò giù la piccola compressa e bevve un lungo sorso d’acqua porgendogli poi il bicchiere vuoto.
“Me lo porti via?” si rivolse a lui come se realmente fosse il suo domestico.
“Con piacere, signorina!” ridacchiò Seiya divertito, per poi tornare con una coperta calda che mise sulle spalle di Michiru.
“Grazie”.
Arrossì violentemente per quel gesto premuroso nei suoi confronti, ringraziando la complicità delle tenebre.
“Ah, come faresti senza di me?”
“In effetti…non lo so proprio!” Si fece piccola, sistemandosi meglio la coperta.
“Scorderei un mucchio di cose…”
“E’ solo perché sei stanca, dovresti dormire”.
Dormire. Non mi piace cadere nel vuoto. Cadere nel buio.
Da mesi ormai, nessun sogno allietava più le sue notti. Ogni volta che si stendeva nel letto e chiudeva gli occhi le sembrava di essere inghiottita dal nero. Di cadere senza riuscire ad opporsi, in un lungo tunnel senza luce.
“Io vado!” esordì il ragazzo, “devo sistemare alcune cose, in caso tu decida di accettare l’incarico che ti proporranno domani!”
Michiru lo fermò con una presa ferrea al polso, “ne sai qualcosa?”
Seiya sembrò pensarci un momento su, puntò i suoi occhi blu nell’oceano tempestoso che apparteneva alla ragazza.
“Solo che si tratta di una cifra assurda e che non sarà facile…”
“Nient’altro?”
Un cenno negativo del capo fu la sua risposta.
“Io i dettagli vengo a saperli solo una volta che tu hai accettato. Il mio compito è sempre e solo lo stesso…” posò la sua mano calda su quella affusolata di Michiru, facendole allentare la presa.
“Proteggerti e servirti”.
“Non ne ho bisogno!” una certa stizza si era impossessata della sua voce.
Odiava quella cosa. Odiava il fatto che qualcuno dovesse rischiare per lei.
“Dovete mettervi in testa…”
“Abbiamo già affrontato questo discorso” la interruppe Seiya mettendola a tacere.
“Vai a dormire, diventi aggressiva!”
“Non finisce qui!” le gridò dietro, mentre il giovane si era già allontanato quanto bastava per raggiungere la porta d’ingresso.
Lo scatto della maniglia, un leggero cigolio, il rumore che indicava il chiudersi della porta blindata e poi di nuovo il silenzio.
E’ uscito senza darmi ascolto. Come al suo solito.
Quella riflessione venne interrotta dallo squillare insistente del telefono.
Michiru attese.
A quell’ora poteva solo essere una persona.
Quella folle di Usagi!
Decise di non rispondere, consapevole che avrebbe passato l’intera notte al telefono se avesse osato tirar su la cornetta.
Rientrò, chiudendo fuori il freddo e i rumori della città, in attesa che scattasse la segreteria telefonica.
Biiipp!” il suono della segreteria che invitava a lasciare un messaggio.
“Ehi Michiru!!” la voce squillante di Usagi sembrò quasi rimbombare nella stanza. “Devi deciderti a fare un messaggio vocale decente, non puoi lasciare solo questo squallido…” si schiarì la voce e imitò un “Biip!” stridulo e fastidioso come il suono delle unghie sulla lavagna.
“A parte questo…dove sei finita? Sei fuori? Sei uscita con Seiya? Ooh, state insieme?! Voglio i dettagli!!”
Michiru si coprì il viso in fiamme con le mani, mugugnando un “oddio ma è impazzita? Per fortuna che è uscito!”
“Cooomunque…” la voce dell’amica non aveva ancora terminato il suo discorso e sembrava piuttosto restia a concludere quella conversazione a senso unico.
“Ci vediamo domani! Al caffè! Solito orario! Dobbiamo spiarlo!”
E adesso di chi sta parlando?
“Quanto è bello dovres - ” il tempo di registrazione del messaggio era scaduto lasciando a metà il discorso delirante della biondina frizzante.
Michiru tirò un sospiro di sollievo, anche se era coscia che di li a poco, Usagi avrebbe provveduto a richiamare per consumare l’intera memoria dell’apparecchio telefonico, farneticando sull’avvenenza di ragazzi a lei sconosciuti.
Un capogiro le prese alla sprovvista costringendola ad ancorarsi con le mani al tavolo presente alle sue spalle.
Maledizione, la testa!
Aspettò qualche istante, respirando lentamente a capo chino.
I suoi occhi vagarono nell’oscurità, fino ad incontrare una lettera scritta a mano abbandonata sulla superfice in vetro scuro, debolmente illuminata da un fascio di luce lunare.
 
“Cara Michiru, come stai? Gli studi qui in America vanno alla grande! La facoltà d’informatica è semplice per me. Pensa che l’ultima rata l’ho pagata grazie a - ”
La ragazza interruppe bruscamente la lettura mentale di quei fogli già visti ed inchiostrati da una calligrafia fitta ed ordinata, ripiegandoli e mettendoli nella busta bianca a cui appartenevano.
 
Di nuovo lo squillo del telefono.
Biiip!”
Michiru sospirò rassegnata.
“Sono di nuovo Usagi! Non avevo finito! Stavo dicendo che…”
Ogni volta sembra di averla in casa!
La ragazza sorrise tra sé e sé, optando per una doccia calda mentre la voce di Usagi continuava ad essere il sottofondo di quella serata solitaria.
Il sonno non sembrava voler arrivare; e lei aveva bisogno di distendersi i nervi.
Entrò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Aprì il getto d’acqua calda della doccia.
Si sfilò la maglia e quando la testa riemerse dal tessuto i suoi occhi si puntarono sullo specchio davanti a lei.
Il vapore dell’acqua, aveva cominciato a diffondersi nella stanza rivelandole una scritta nascosta che ora spiccava sul riflesso della sua immagine.
“Los Angeles” lesse sottovoce un po’ stranita.
“Cosa significa?”
Non l’ho mai scritto io; e Seiya non può essere stato. Non si ferma certo qui a fare la doccia, è un raro caso che si fosse addormentato qui sta sera…
La sua mente cercò di correre dietro ad ogni considerazione possibile, in cerca di una risposta plausibile che sembrava non esistere.
“Per quale motivo poi proprio, Los Angeles?”
 
 
*
 
 
Haruka fece scivolare le mani nelle tasche dei jeans stretti che indossava.
Calpestò le foglie morte, cadute sul marciapiede, emettendo ad ogni passo un sinistro scricchiolio.
Gli auricolari nelle orecchie pompavano a tutto volume una canzone dei Foo Fighters; e lei, persa in quelle note, in quei riff aggressivi di chitarra, non prestava attenzione a dove stava andando.
Semplicemente camminava a vuoto, girovagava senza una meta precisa. L’unica cosa di cui era certa, era che se anche fosse stata bendata o avesse scelto di percorrere strade a lei sconosciute, sarebbe sicuramente passata accanto al parco di Yoyogi nel quartiere di Shibuya ritrovandosi poco dopo col naso all’insù a fissare uno degli imponenti palazzi vetrati poco distante dalla stazione di Harajuku.
Ovunque vada mi ritrovo sempre qua senza sapere il perché.
Spense il suo lettore mp3, togliendosi le cuffiette.
Voleva concentrarsi e non essere distratta da altro, voleva capire perché ovunque decidesse di andare puntualmente si bloccava lì sotto. In attesa di qualcosa a lei sconosciuto.
Quel posto le dava una sensazione di familiare, ma nulla di più.
Non riusciva a trovare un ricordo che la legasse a quel luogo in particolare.
La bionda sbuffò innervosita per non aver raggiunto una conclusione, che spiegasse quella stranezza.
Mi sento un’idiota. Però questa via ormai è una persecuzione.
“E’ come se fosse il destino a portarti sempre qui, vero?”
Una voce sconosciuta alle sue spalle la fece sobbalzare.
Era così immersa nei suoi pensieri da non aver colto la presenza di qualcun altro vicino a lei.
Una di queste volte vengo ammazzata se continuo così!
Una donna sembrò uscire dall’oscurità.
Era più grande di lei e una luce strana, porpora, brillava nei suoi occhi a mandorla.
“Non volevo spaventarti, perdonami!”
“Non…non mi sono spaventata!”
“Non ho potuto fare a meno…” la sconosciuta le si avvicinò sorridente, “di notarti!”
Il mio charme colpisce sempre!
Prima che Haruka potesse rispondere con una delle sue battute, quella prese a scuotere la testa in segno negativo.
“Non compiacerti per la tua bellezza, non è per quello che mi sono avvicinata a te!”
Ma come diavolo…legge nel pensiero?
“Ti stai domandando se leggo nella mente, vero?”
“Accidenti, sembri piuttosto brava!” L’incredulità prese possesso del suo viso.
“Più che altro so interpretare le espressioni delle persone!” rivelò la donna tendendole la mano per presentarsi.
“Mi chiamo Setsuna! Setsuna Meiō!”
“Piacere…” disse ricambiando la stretta “Heles!”
Mai rivelare il proprio nome.
“Un bel nome, per quanto falso sia!”
Haruka s’irrigidì. Come faceva quella Setsuna ad essere così perspicace da capire che aveva usato uno dei suoi nomi da copertura?
“La tua aura dice tante cose di te…ma tu…” Setsuna si spostò una ciocca di capelli scuri dal volto scrutando meglio i lineamenti fini dell’altra, “tu non credi in questo tipo di cose, vero?”
Ogni parola che sputava fuori quella donna stava colpendo, affondando, distruggendo ogni certezza, ogni molecola di scetticismo che da sempre albergava in lei.
Si era sempre sbagliata? Esisteva qualcosa di più grande? Gente dalle doti talmente straordinarie da poter prevedere il futuro? Un destino, il fato?
La ragazza rimase interdetta, il suo scetticismo sembrava voler venire demolito all’istante, senza troppi complimenti.
Boccheggiò un momento come in cerca di aria, ma quello che le mancava in non era una manciata d’ossigeno, bensì le parole.
“Ti va di farti leggere la mano? Posso dirti qualcosa anche attraverso le carte...”
“Io non credo in queste cose!” rispose decisa e con tono fermo, Haruka.
“Non ti faccio pagare nulla!” rise leggermente l’altra, senza stupirsi di quella reazione.
“E perché dovresti farlo a gratis?”
Setsuna si appoggiò con la schiena al palo della luce che ora stava cominciando ad emettere un fastidioso ronzio.
“Perché sono convinta che tu abbia un destino piuttosto interessante…per non parlare del tuo passato!”
“E tutto questo lo vedi dalla mia aura?” le fece il verso Haruka ruotando gli occhi, anche se spiazzata completamente.
“Pensavo fossi una a cui le sfide piacessero, evidentemente mi sbagliavo!” una punta di delusione colorò la voce della donna che voltandole le spalle si diresse a passi veloci in un piccolo negozio dalla porta socchiusa, a breve distanza da dove si erano fermate a parlare.
La bionda rimase impalata. Indecisa sul da farsi.
“Non sia mai che mi tiri indietro” sbiascicò un po’ punta nell’orgoglio per l’affermazione della sconosciuta e raccogliendo la provocazione.
“Ehy aspetta!” gridò raggiungendola con poche falcate grazie alle sue gambe lunghe e veloci. “Vediamo se sei davvero brava!” le disse con un sorriso di sfida.
“Bene, accomodati.” Disse con voce lieve Setsuna mentre un tintinnio, dovuto al campanellino appeso alla porta ne indicava la chiusura.
“Vendi strane cose qui dentro…” ne convenne incuriosita Haruka, sedendosi senza smettere di guardare gli scaffali fitti di oggetti a lei sconosciuti e sfere di cristallo che la circondavano.
Setsuna accese alcune candele e le posò sul tavolo in legno scuro intagliato che si trovava davanti all’altra.
“Wow…fai le cose in regola eh? Con tanto di atmosfera da film horror!”
“Fa silenzio...” sussurrò portandosi un dito alle labbra, “non disturbare le carte!”
Decisamente non fanno per me queste cose e lei…ha qualche rotella fuori posto!
Setsuna appoggiò un mazzo di tarocchi al tavolo, dopo averlo mescolato davanti agli occhi dell’altra. Vi appoggiò un orecchio sopra e rimase in silenzio, come in ascolto di qualcosa.
“Oh…” sussurrò.
“Ehm?!”
“Le carte parlano…”
“Si, tutto chiaro, come no. Credo che farei meglio a…”
“Ti tiri indietro?” il tono grave e serio. Gli occhi di Setsuna si ridussero a due fessure.
Haruka si morse il labbro per poi sbuffare. “Certo che no!” disse incrociando le braccia al petto e imbronciandosi appena.
“E’ che tutte queste stranezze non fanno per me!” cercò di spiegarsi gesticolando appena.
“Risulta strano ciò che non conosci, ma non conoscendo le cose…non puoi affermare con assoluta certezza che siano strane realmente”.
Ok troppi giri di parole.
“Dammi la mano…” le ordinò per poi prendere a studiare il suo palmo.
“La linea della vita è interrotta…eppure tu, sei qui. Di fronte a me.”
“Iniziamo con le buone notizie!” disse sarcastica Haruka.
Il sarcasmo era una vera e propria difesa, l’aiutava a mantenere il sangue freddo in ogni situazione, a rimanere lucida.
Per quanto non credesse alla magia, all’occulto e fosse una persona razionale, stava cominciando a sentire una certa tensione al cospetto di quella donna, che seppur le risultasse tremendamente strana sembrava carpire particolari al più delle persone nascosti.
“Qualcuno ha messo fine alla tua vita. Le linee parlano chiaro. Il tuo passato e il tuo presente sono interrotti. Come si fa ad avere un futuro senza questi due?”
“Non sono brava con gli indovinelli!” disse con una risatina nervosa.
L’altra si premurò di mostrarle un sorriso rassicurante, lasciandole la mano e porgendole il mazzo di tarocchi.
“Pesca una carta…”
La mano della bionda venne scossa da un leggero tremore per poi sfilare una carta.
“La luna. Rappresenta il tuo presente, è un arcano maggiore”.
“In parole semplici?”
“Gli arcani maggiori sono tutti custodi di grandi segreti. Devi nascondere molte cose…la luna è il sogno, la magia…l’illusione. Alla luce della luna le cose non appaiono chiaramente, sono diverse che alla luce del giorno”.
Che si riferisca al “mistero del palazzo?”
La giovane mostrò una smorfia poco convinta e alzando le spalle intimò Setsuna a continuare.
“Pesca un’altra carta per il tuo presente…”
“Oh il papa!” esclamò la donna osservando la figura che Haruka le rivelò questa volta.
“Hai un alleato in questa situazione di poca chiarezza! Questa persona sarà la tua guida! Avanti pescane una per il tuo futuro immediato!”
“Non ti esaltare in questo modo però. Mi stai dicendo cose che nemmeno capisco!”
“E’ solo perché non ci ragioni sopra!”
“Se…se come no!” Con fare svogliato scelse un’altra carta, ripromettendosi che dopo quella avrebbe messo fine alla pagliacciata in corso.
La figura di una persona vestita di stracci, sull’orlo di un precipizio catturò l’attenzione di Setsuna.
“Hai trovato il matto!” La donna sospirò, puntando il gomito al tavolino e posando il volto sulla propria mano.
“La carta indica che stai per buttarti in qualcosa di nuovo, la tua scelta non sarà dettata dalla ragione ma dall’istinto! Ora…”
“Ora me ne vado!” la interruppe la bionda alzandosi bruscamente dalla sedia, “mi dispiace ma sul serio non…”
“Scappa Haruka. Scappa al tuo destino!”
Io non le ho detto come mi chiamo.
La bionda venne percossa da un brivido e senza pensarci due volte si lanciò in una corsa sfrenata verso casa, come se fosse inseguita da un fantasma.
 
 
 
La luce dello schermo del pc attirò l’attenzione di Haruka una volta rientrata nel proprio appartamento.
Riprese fiato, compiendo alcuni respiri profondi e piegandosi in avanti con le braccia sulle ginocchia continuando a fissarlo a distanza.
Non capiva cosa l’era preso, quella reazione non era certo da lei.
Era una che non si lasciava impressionare facilmente e che soprattutto non fuggiva a gambe levate, eppure non aveva mai corso così velocemente in vita sua.
Una volta che il suo respiro fu tornato regolare si dedicò al suo computer.
Fece per spegnerlo quando una finestra di conversazione si aprì all’improvviso davanti ai suoi occhi.
“Ma che…qualcuno è entrato nel sistema!! Un maledetto Hacker!”
Fece per chiudere la strana finestra virtuale ma il messaggio che comparì sotto i suoi occhi la impietrì.
“Sicura di sapere chi sei, Haruka?”
Di chiunque si trattasse sapeva il suo vero nome, ma l’agenzia non poteva essere, non era quello il loro modo consueto di comunicare e di certo non si perdevano a fare certe domande.
“Chi sei? Come fai a sapere il mio nome?” Digitò il messaggio velocemente, incuriosita e tesa allo stesso tempo.
Si sedette alla scrivania impaziente di leggere la risposta alla sua domanda.
“La dea dell’amore”.
“Questa è bella!”
Stava per digitare che non aveva tempo da perdere ma un altro messaggio la precedette.
“C’è un incarico che devi accettare. Riguarda la HSA.”
“L’ Hide Secrets Agency? Come fa questa persona a conoscerla? E…”
“Devi fidarti, sono qui per aiutarti”.
Le parole della veggente le tornarono alla mente prepotenti.
“Che questa Dea dell’amore sia…il mio papa? E l’incarico di cui parla… la carta del matto!”
Una mano spettinò i corti capelli miele per poi posarsi sui suoi occhi stanchi.
“Devo essere stupida a farmi impressionare in questo modo…”
Perché dovrei darti ascolto?” Chiese all’interlocutore misterioso.
“Perché hai molto da perdere”.
“Questa serata ha davvero dell’assurdo!” Haruka si alzò, dirigendosi in cucina a prendere una birra dal frigo, quando tornò alla sua postazione ad attenderla c’era un altro messaggio.
“Dai, fulmine. Fidati!”
 
Il tempo sembrò fermarsi. La bottiglia le scivolò dalle mani, schiantandosi sul pavimento con un sonoro tintinnio prima che i cocci di vetro schizzassero rovinosamente sulla moquette.
“Non è possibile…” la bocca rimase semi aperta. Mentre lo sterno cominciava a bruciarle per la scarsa ossigenazione.
I muscoli sembrarono non voler rispondere più ad alcuno stimolo ed anche solo il serrare la mascella divenne un’operazione troppo impegnativa da compiere.
Solo una persona mi chiamava così. Quella bambina…com’è possibile?
Le dita digitarono la sua ultima frase, prima che la sua mente si scollegasse per scivolare nel tunnel dei ricordi.
“Accetto. Cosa devo fare?”  La sua ultima scritta rimase a lampeggiare sullo schermo bianco in attesa di una risposta che non sarebbe tardata ad arrivare.
 
 
 
 
 


Note dell’autrice:
 
Dopo tre giorni di scrittura ecco il risultato! Spero non lo riterrete noioso, nonostante sia un capitolo “lento”.
Immaginate che questa fic sia un puzzle composto da pezzettini piccolissimi, ecco, anche le cose che sembrano cavolate qui sono in realtà tasselli che serviranno al quadro generale, perciò sono necessari capitoli di questo genere prima di arrivare a quelli alla “rambo”, per cui smaniate tanto xD intesi? Abbiate pazienzaaa!!
Una piccola puntualizzazione su Seiya, qui è un uomo come nell’anime. Essendo un AU è un uomo e basta, non un travestito o come vogliamo “catalogarlo”, altrimenti risulterebbe una brutta copia di Haruka e come sappiamo di Ruka ce n’è una sola! (so che nel manga è una donna ma mi attengo alla seconda versione sopra citata u.u).
In caso sia OOC o riteniate che qualsiasi personaggio lo sia, beh avvisatemi che lo aggiungo agli avvertimenti della fic!
Come avete visto, il signorino e Michiru hanno un rapporto un po’ strambo, figurarsi se non facevo diventare un mezzo mentecatto  pure lui! XD
Piano piano verranno presentati tutti i personaggi, Usagi compresa. Prevedo una storia piuttosto lunga perché cercherò di affrontare le vicende di tutti quanti e non solo di Haruka e Michiru.
Donne avvisate…mezze salvate! ;D

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Capitolo 3
*** Destiny, lost memories and meetings ***


Capitolo 2.
 
Destiny, lost memories and meetings

 
 
 
Tokyo, 24 settembre 2011.
Ore 8.00 a.m.
 
L’odore del caffè e della cioccolata calda che riempiva l’aria, solleticò le narici della biondina solitaria, che sedeva sognante al tavolino del locale.
Le pareti rosa sbiadito e l’atmosfera zuccherosa della pasticceria stonavano con il cielo plumbeo e il grigiore che quella mattina avvolgeva la città.
Usagi abbandonò la testa sul dorso della mano che le faceva da sostegno, sospirando rumorosamente e lasciando che il suo sguardo si perdesse ancora una volta oltre il bancone.
“Quanto è bello…” disse con un filo di voce, non riuscendo a trattenere quel pensiero prepotente solo nella sua testa.
“Buongiorno Usagi!”
La ragazza si ridestò da quel sogno ad occhi aperti catturata dalla voce amica che l’aveva nominata.
“Buongiorno Michi-chan!” rispose con un ampio sorriso che le illuminò l’intero volto. “Hai visto quanto è diventato bello questo posto dopo che è stato ristrutturato?”
“Si, è davvero accogliente!”
Michiru accompagnò la frase con un cenno affermativo del capo mentre prendeva posto accanto all’amica aprendosi la giacca. “Ho il vago sospetto però…”, le puntò gli occhi di un azzurro denso nei suoi, come ad indagare ogni suo pensiero più nascosto, come per leggerle anche l’anima, “che il tuo sospiro di poco fa, non si riferisse all’architettura o all’arredamento del posto…mi sbaglio?”.
La bionda avvampò fino alla punta delle orecchie e imbarazzata prese a ridacchiare nervosa.
“Si tratta di lui!” confessò con un lieve cenno della testa, indicando un ragazzo alto e moro intento a riordinare la vetrinetta dei dolci.
Ecco la nuova ossessione della settimana che ora ritiene l’amore della sua vita, vediamo quanto dura! Pensò divertita Michiru che ormai conosceva come le sue tasche la ragazza.
“Salve ragazze, cosa desiderate?” la voce calda e gentile del soggetto della loro conversazione pronto a prendere le loro ordinazioni, le colse alla sprovvista.
“Ehm…Ehm…” Usagi sembrava fosse a un passo dall’esplodere, sarebbe mancato poco e il suo naso avrebbe cominciato a fischiare come una pentola a pressione.
“Una cioccolata calda con panna per la mia amica e un the caldo per me!” si apprestò a dire Michiru, sperando che Usagi nel frattempo si riprendesse senza andare in iperventilazione o svenire li.
“Perfetto…” il moro scarabocchiò un appunto sul piccolo notes che teneva tra le mani per poi arricciare le labbra sul cappuccio della penna.
“B-b-bis!”
“Come biondina?” domandò a quel balbettio il ragazzo sorridendo intenerito, “vuoi per caso i biscotti alla cannella che ti piacciono tanto?”
 
Si, è lui! L’uomo per me! Sa cosa mi piace! Mi ama, chissà che splendidi figli nasceranno dalla nostra unione…Stop! Cervello stai calmo! Usagiii respira! Parla! PARLA, che sei brava a farlo!!
 
“Si, grazie!” quelle due parole le costarono uno sforzo sovrumano. Non era mai successo. Nessuno era mai riuscito a renderla incapace di formulare una frase in senso compiuto.
“Usagi devo preoccuparmi?” domandò l’altra, non appena la nuova fiamma della bionda si allontanò con le loro ordinazioni.
“Tu sei il mio asso nella manica, ma se…” deglutì, “se non sei più in grado di…”
“Michi!” la interruppe l’altra. “Sarò all’altezza per ogni compito che mi assegnerai te lo garantisco, ma qui…” Usagi le prese le mani tra le sue, stringendole. “Qui si tratta dell’uomo perfetto!”
L’abbiamo persa!
“Lui, sa cosa mi piace! Cosa ordino ogni mattina!” disse con gli occhi che le brillavano di gioia e un colorito acceso che le dipingeva le guance.
“Per forza! Mi sa che lo spii da un bel po’! Era riferito a lui quel messaggio di sta notte in segreteria, vero?”
“Ah ma allora li ascolti!”
“Certo che lo faccio!”
La bionda rise di gusto “Ah, Michiru sei proprio stramba!”
“Parla lei!” la ribeccò con affetto la ragazza.
“E quella chi è?!” sbottò all’improvviso Usagi appoggiando le mani al tavolo in un impeto di sorpresa.
Una donna più grande di lei, dai lunghi capelli scuri e gli occhi che sembravano appartenere ad un altro mondo si avvicinò al ragazzo dei suoi desideri.
“Non riesco a leggere il labiale! Maledizione!” sibilò assottigliando gli occhi.
Michiru si portò una mano alla fronte sconsolata, appellandosi a qualche forza superiore in una tacita preghiera.
Fa che quella donna non baci il “suo” uomo o non avrà vita facile!
I due si abbracciarono calorosamente.
“Lui sa cosa mi piace…” Usagi ringhiò a denti stretti quello che sembrava un mantra ormai. “Il rossetto rosso è da vecchia poi, è fuori moda!” continuò tra sé e sé, mentre la sua espressione sembrava tramutarsi in quella di un leone che ha appena avvistato la gazzella sulla quale avventarsi per cena.
 
 
 
*
 
 
La testa era abbandonata sulla superfice dura della scrivania, mentre un braccio giaceva penzolante verso il pavimento.
I capelli le ricadevano spettinati sul viso stanco, segnato da alcune leggere occhiaie, segno della notte insonne passata al computer, che tuttavia non andavano ad intaccare la bellezza dei suoi lineamenti androgeni.
Il respiro, pesante e regolare, accompagnava l’alzarsi e l’abbassarsi della gabbia toracica fino a quando qualcosa non disturbò il suo sonno.
Un sogno. Forse un ricordo, si insinuò prepotentemente nel buio più profondo che morfeo aveva creato per farla riposare.
La fronte si aggrottò appena nel rincorrere quelle immagini.
 
“Devo seminarli in qualche modo”.
Era sottopressione, poteva sentire il respiro sul collo dei due scagnozzi che la stavano seguendo.
Allungò il passo cercando di essere sospetta il meno possibile, mescolandosi alla folla brulicante di persone che passeggiava per Rodeo Drive.
Senza prestare troppa attenzione ai passanti prese contro la spalla di un uomo piuttosto piazzato che indossava un cappello da cowboy sulla testa.
Lo sguardo torvo dell’uomo la investì in pieno e lei decise di dileguarsi con un pacato “mi scusi”, per non cercare ulteriori rogne, vista la stazza dello sconosciuto.
Con la coda dell’occhio scrutò i due uomini in nero che la stavano pedinando.
“Cavolo, non mollano, pensano ancora sia io…”
I suoi occhi cobalto cercarono una soluzione, qualcosa che potesse scagionarla per quella fretta improvvisa che la faceva apparire come una ladra in fuga e il cielo le mandò direttamente un angelo.
Un paio di occhi profondi come il mare, di un azzurro sgargiante, liquido, attirarono la sua attenzione.
“Oh eccoti tesoro!” esclamò avvicinandosi alla sconosciuta dagli occhi magnetici che teneva tra le mani due borse lucide su cui spiccava la scritta “Prada”. L’abbracciò senza che l’altra avesse il tempo di controbattere per poi dire ad alta voce “Per fortuna che ti ho trovata!”
 
Il sogno svanì di colpo.
Haruka si sentì scivolare nel vuoto mentre il suo corpo rischiò realmente di cadere dalla sedia.
Sbarrò gli occhi riuscendo a mantenere l’equilibrio, aggrappandosi con un gesto istintivo delle mani alla scrivania.
“ACCIDENTI!” gridò innervosita per poi alzarsi e tentare di sgranchirsi, avvertendo il collo e i muscoli intorpiditi per la posizione scomoda che aveva assunto per tutta la notte.
Sbuffò, irritata per il brusco risveglio, lanciando un’occhiata all’orologio digitale del lettore dvd.
Una doccia e poi mi catapulto fuori, non posso fare tardi.
Abbandonò i suoi vestiti a terra dirigendosi al bagno con in testa solo gli occhi dell’angelo sconosciuto di cui proprio non riusciva a ricordare il viso.
 
 
*
 
 
Michiru uscì dal locale dopo aver pagato il conto senza Usagi, che era corsa via come una furia per pedinare da brava stalker, la donna, che non aveva capito che ruolo avesse nella vita dello sconosciuto moro che già progettava di sposare.
Sorrise al pensiero della follia dell’amica, che spesso e volentieri si faceva prendere dalle sue fantasie per poi ritrovarsi in situazioni al limite dell’assurdo. Usagi era così. Istintiva, fantasiosa e innamorata dell’amore. Ci credeva così tanto nei sentimenti, che alle volte si lasciava prendere la mano superando il limite della normalità.
La giovane guardò l’orario, affrettandosi a scendere gli scalini della metropolitana della linea Ginza.
Doveva raggiungere Shimbashi per recarsi all’agenzia e la presenza dell’ altra non era richiesta, in quanto collaborava con lei per sua scelta e non direttamente per l’organizzazione.
Salì sul treno, quasi trasportata dalla corrente della folla che spintonava per entrare.
Cercò un appiglio per aggrapparsi, in cerca di equilibrio, quando un sonoro “Auch!” le fece alzare lo sguardo.
“Il piede! Togli quella cosa appuntita dalla mia scarpa!” si lamentò una ragazza bionda molto più alta di lei, con gli occhi lucidi.
Michiru capì solo in quel momento di averle pestato un piede con il suo tacco dodici e si portò una mano alla bocca in un gesto istintivo.
“Perdonami! Non l’ho fatto apposta, è così affollato!” Tentò di discolparsi mentre l’altra continuava a lamentarsi. “Quella è un arma non una scarpa! Cavolo!”.
“Ho detto che mi dispiace!” ribatté perdendo leggermente la pazienza.
Non è il caso di farla tanto lunga!
Haruka stava per ribattere quando incontrò i suoi occhi a cui non aveva prestato attenzione, troppo presa dal dolore al piede.
Lo scossone della metropolitana che partiva a tutta velocità per i sotterranei della città, interruppe quel breve lasso di tempo in cui tutto sembrò fermarsi, sbilanciando ulteriormente la sconosciuta contro di lei, che si ritrovò tra le sue braccia.
“Occhi d’angelo!” sputò fuori per la sorpresa rischiando di soffocare nell’incontrare le sue iridi sgargianti.
“Come, scusa?!” Una smorfia confusa dipinse il volto di Michiru, che pensò di aver capito male.
Merda, l’ho detto ad alta voce! La bionda decise di sorvolare sulla domanda che l’era stata posta e di continuare ad interagire con il suo solito caratterino che mandava in bestia le belle ragazze, come quella che si trovava davanti.
“Non sei certo un peso piuma…”
“E tu non sei certo un esempio di buone maniere!” rispose piccata l’altra.
“Eppure non ti dispiaccio, guarda come mi stai addosso…” disse regalandole il sorriso più beffardo del suo repertorio.
“Se lo spazio vitale me lo permettesse, puoi stare certa, che sarei più contenta se mi trovassi ad almeno cento metri di distanza da te!”
“Ah-Ah!” il sorriso non aveva intenzione di abbandonare il suo viso, “dite tutte così! Poi…” avvicinò le labbra al suo orecchio e in un sibilo concluse con “una volta che venite a letto con me, non potete più farne a meno!”
Michiru si sentì andare a fuoco. Tutta quella sfacciataggine e il prendersi gioco di lei la stava facendo ribollire.
Insopportabile!
“Aoyama-itchōme!” La voce metallica del mezzo pubblico, informò i suoi passeggeri della fermata in corso.
“Senti…mancano ancora tre fermate e non ho intenzione di intrattenere una conversazione con te!” masticò Michiru guardandola seriamente.
“Allora…” Haruka posò una mano su quella candida dell’altra, staccandole delicatamente le dita dalla stoffa, ancora ancorate alla sua giacca nera “prova a starmi lontana!”
“Da oggi odio ufficialmente i mezzi pubblici” disse sottovoce Michiru voltandole le spalle.
La bionda sospirò rumorosamente “eh, anche io preferisco la mia moto, ma devo ammettere che sta mattina ho fatto un incontro divertente…”
“Quale parte di: non ho intenzione di affrontare una conversazione con te, non ti è chiara, bionda?!”
“Uh, aggressiva! Mi piace!”
Michiru sospirò, quella sconosciuta sapeva portarla allo sfinimento e all’esaurimento di ogni briciolo della sua immensa pazienza con poche parole.
Fece ruotare gli occhi, soffermandosi a fissare il soffitto per un momento cercando di mantenere la calma e non mollarle un ceffone.
“Dai…non te la prendere…”
Ancora una volta la voce dell’altra punse il suo udito.
“Se vuoi puoi rimanere aggrappata ancora un po’ a me, non mi da fastidio!” la incalzò, “dai, che fai non mi parli più? Ti sei offesa?”
Il mezzo frenò, “Stazione di Shimbashi”, le porte meccaniche si aprirono e la fiumana di lavoratori e studenti si sparse per la galleria sotterranea, pronti a risalire in superfice.
Michiru si apprestò ad uscire, senza guardare alle sue spalle ne a rispondere alle parole di Haruka che ormai erano solo un lontano brusio.
 
Nel cielo terso del distretto centrale di Tokyo si stagliava un pallido sole che sembrava non riuscire a scaldare l’aria, Michiru si strinse nella sua giacca, nascondendo parte nel viso nel colletto alto del capo che indossava.
I sensi ben affinati le fecero notare chiaramente dei passi ben cadenzati che la seguivano.
Attraversò la piazza, superando la fontana circolare, il cui bordo in pietra bianca faceva da muretto ad alcuni giovani, intenti a scambiarsi dritte e consigli su qualche compito in classe.
Si lasciò alle spalle uno dei viali principali con la sua fila di alberi ormai totalmente spogli e svoltò in una via stretta e poco trafficata.
Lì, intuì di non essere ancora sola dallo schiarirsi della gola della presenza dietro di sé.
Nella sua visuale entrò la facciata dello studio medico che fungeva da copertura per l’ Hide Secrets Agency, allungò il passo fino ad arrivare alla porta d’ingresso, quando i passi che la seguivano si fermarono con lei.
“Abbiamo lo stesso medico oggi! Ah, che coincidenza!”
Non ci credo, ancora lei!
Michiru si voltò ritrovandosi la faccia da schiaffi della bionda incontrata in metropolitana.
“Possiamo presentarci ora?” chiese l’altra tendendole la mano.
“Preferirei di no!” fu la risposta della giovane che senza aspettare un minuto di più scivolò dentro all’edificio.
Guarda te che peperino che è occhi d’angelo!
Haruka infilò prontamente il piede in mezzo alla soglia per non farsi chiudere fuori, si avvicinò a quella che era una sorta di reception e mostrò un cartellino alla ragazza che era seduta a quella postazione.
“Sono in visita bellezza, sai dirmi dove posso trovare Kunzite – Sama?”
Che strano tizio, si chiama come una gemma…
Haruka abbozzò un largo sorrise, scompigliandosi appena la chioma dorata per intimare la ragazza che la guardava fissa, a rispondere.
“S-s-segua l’agente Kaiō – Sama! Sta…andando anche lei dal capo!”
“Grazie…” la bionda attese il nome della giovane che stava assumendo in viso, le sfumature del viola, incantata dalla sua bellezza.
“Me-Melissa!”
“Grazie mille Melissa, sei stata gentilissima!” disse facendole l’occhiolino ed entrando nell’ascensore al fianco di Michiru che tentò di chiuderla fuori.
“Quanta fretta, agente Kaiō!” le disse infilandosi tra le porte.
“Non ti ho mai vista qui”.
“Ah, ora conversazione la possiamo fare!” la prese in giro Haruka.
“In realtà non è mia intenzione, sono qui per lavoro!”
“Come siamo ligie al dovere, sei una donna di polso! Allora…l’altra parte del tuo nome?!”
“Non importa che tu la conosca!”
“Perché sono in visita?”
“Perché sei una pivella!”
Il campanello dell’ascensore segnò l’aprirsi delle porte interrompendo per un momento il loro scambio di battute.
Michiru uscì precedendola e andando a bussare alla porta a vetri che spiccava nella sala, a confronto con le altre più semplici e di colore nero opaco.
“Pivella a me?!” Haruka sembrava sconcertata da quel soprannome che le era stato affibbiato.
L’altra aprì la porta senza degnarla di una risposta, perché lo fece il suo capo per lei.“Tutti quanti sono dei pivelli in confronto alla nostra Michiru Kaiō, che è la migliore agente del Giappone!”
L’uomo dai lunghi capelli argentati sorrise da dietro la sua scrivania. Nella sua voce c’era stata una punta non troppo velata di orgoglio nel pronunciare quella frase.
“Accomodatevi, signore!” disse mostrando loro, le due sedie rosse con un cenno della mano.
Le due ragazze ubbidirono.
“Dunque…”, Kunzite aprì una carpetta e ne estrasse alcuni fogli, facendo scivolare il suo sguardo chiaro e tagliente sulle parole stampate ad inchiostro nero sulla superfice di carta.
“Il nostro cliente…” cominciò appoggiando il busto allo schienale della sedia in pelle scura, “il signor Simon Davis, ha chiesto esplicitamente di te Michiru…”
La ragazza accavallò le gambe, portandosi le mani in grembo “Bene sentiamo!” Il tono era piatto, privo di ogni sorpresa. Non era la prima volta che qualcuno dall’estero avesse del lavoro che voleva fosse svolto esclusivamente da lei.
“Dice che gli sono state portate vie delle armi, da alcuni russi con cui aveva aperto alcuni affari…”
“Mafia russa?! Quelli sono cattivi!” sbottò Haruka divertita.
“Si, non sono gente docile solitamente”.
“Di quanto parliamo?” domandò Michiru pronta a memorizzare ogni dettaglio.
“Ti pagherebbe sessantamila dollari!”
Haruka sgranò gli occhi non riuscendo a tenere un contegno per quella cifra che era appena scivolata fuori dalle labbra con tutta naturalezza a quell’uomo.
“Fammi capire…” Michiru si tirò col busto verso la scrivania, “Se questo Simon Davis è pronto a spendere così tanto per me, perché non se le ricompra?”
“Sono armi antiche, da collezione, Dio solo sa quanto valgono!”
“Bene, sappiamo altro?”
“Dovrai andare a Los Angeles per questo incarico.”
Il sentire nominare la città fu come un fulmine a ciel sereno per Michiru, il ricordo della scritta nel bagno le tornò vivido alla mente.
Devo accettare? Si riferiva a questo?
La ragazza deglutì un momento, con lo sguardo che vagava in pensieri di cui solo lei era a conoscenza.
“Voglio il mio team, ci spartiremo la somma…ma senza di loro non vado.”
“Hai la possibilità di lavorare come meglio credi, in quanto pagherai con quel denaro le persone di cui vuoi circondarti. Il cliente ha dato una sola clausola da rispettare…”
“Ovvero?” lo interruppe Michiru.
“Di inserire in questo lavoro l’agente 117”.
“Ovvero me!” le chiarì le idee la bionda seduta a fianco a lei, indicandosi con l’indice e ben consapevole che quella clausola era stata inserita dalla  Dea dell’amore e non da quel tale.
La unghie si conficcarono nel bracciolo della sedia.
Dovrei avere questa simpaticona tra i piedi tutto il tempo?
“Allora Michiru, accetti?”
La ragazza guardò in cagnesco la sua nuova collaboratrice.
“Spero sarà all’altezza…”
Qualcosa non quadra ma devo scoprire cos’è questa storia di Los Angeles.
“Accetto!” sibilò poi guardando Haruka con lo sguardo di un macellaio.
“Bene, sono contento. Mi raccomando di una sola cosa…” l’uomo appoggiò i gomiti al tavolo incrociando le mani. “Non è ammesso mandare a puttane l’operazione, è chiaro? Lavoro pulito. Niente prigionieri, niente testimoni.”
“Come al solito!” esclamò Michiru alzandosi e pronta ad uscire dall’ufficio.
“Avviso io Seiya!” le disse il suo superiore. “Tu raduna la squadra e parti entro oggi.”
“Si, signore!”
 
 
 
Pechino, 24 settembre 2011.
 
Cina, la patria della pirotecnica.
Per lei non c’era niente di meglio per rilassarsi di una bella esplosione in qualsiasi forma si volesse presentare.
Da qualche mese ormai si era stabilita li; e del Giappone le mancavano davvero poche cose.
“Rei, Rei!” Un bambino dagli occhi scuri a mandorla e i capelli spettinati cercò di tirarle la stoffa dei Jeans aderenti, riuscendo solo come risultato a pizzicarle una gamba.
“Ahi! Dimmi, piccolo Zhou!” La ragazza mora si chinò verso il bambino per sentire cosa aveva da dire e soprattutto sperando di non farsi pizzicare ancora. Constatando che quelle dita piccole e sottili erano peggio dei morsi di una zanzara.
“Li facciamo i fuochi d’artificio sta sera?” chiese con lo sguardo luminoso e pieno di speranza.
“Ma, Zhou! Non è mica capodanno!!”
“E allora? Manca ancora tanto a capodanno! Ti prego Rei, ti pregooo!!” Il bambino la implorò cominciando a saltellarle intorno.
L’arrivo di un sms interruppe il loro discorso catalizzando anche l’attenzione del giovane amante della pirotecnica.
“Chi è? Un fidanzato? Ce l’hai il fidanzato in Giappone?”
“Che? Fatti gli affari tuoi, curioso!!” le rispose la ragazza ridendosela e prendendo l’oggetto tra le mani.
Osservò il nome del mittente che conosceva molto bene.
Michiru.
“Allora? Li facciamo si o no?” domandò impaziente ancora una volta.
C’è del lavoro da fare a Los Angeles. Sei con me?
Rei sorrise rispondendo a quel messaggio e preparandosi psicologicamente a partire in fretta e furia; e ad affrontare un lungo viaggio.
“Hei, peste mi dispiace! Temo proprio che stasera non potrai avere i tuoi fuochi d’artificio colorati!”
 
 
 
Tokyo, 24 settembre 2011.
 
“Fulmine sei un mito! Nessuna è veloce come te! Le batterai alla campestre domani ne sono sicura!”
“Signorina?” La voce del ragazzo moro alla cassa la riportò al presente. Lontano da quella pista assolata e da quel ricordo adolescenziale.
“Si?”
“Le ho messo nel sacchetto il suo muffin ai mirtilli, cosa mi aveva chiesto da portare via come bevanda?” domandò gentilmente, cercando tra i fogliettini sparsi sul bancone l’ordinazione che aveva sbadatamente perduto per la troppa confusione di quella mattinata.
“Un Hot Calpis alla fragola! Grazie!” disse con un largo sorriso.
“Bene arriva!” disse il pasticcere porgendole lo scontrino.
La ragazza lo prese tra le mani guardando con scarso interesse il prezzo per poi lasciarlo ricadere sul marmo lucido.
Attese che l’uomo poco distante da lei si avvicinasse, facendolo passare gentilmente davanti così che potesse guardare meglio la vetrinetta dei dolci esposti, mentre lei con un gesto rapido e delicato gli sfilò dalla tasca dei pantaloni il portafoglio.
Afferrò svelta una banconota per poi far cadere l’oggetto a terra.
“Ecco qua!” il ragazzo le porse la sua ordinazione da portare via.
“Grazie mille!” disse la bionda affrettandosi a pagare per poi toccare la spalla all’uomo che gli aveva offerto la colazione inconsapevolmente.
“L’è caduto il portafoglio a terra! Faccia attenzione!”
“Oh grazie signorina!” disse piegandosi a raccoglierlo.
“Non c’è di che! Arrivederci!” e grazie per aver offerto!
Uscì ascoltando l’eco del suono allegro del campanellino appeso alla porta, si diresse poco più avanti addentando il suo dolce, fermandosi poi alla vetrina di un piccolo negozio, dove una ragazza dai lunghi codini aveva spiaccicato il naso e le mani al vetro per scrutare al suo interno.
“Qualcosa d’interessante?” domandò alla ragazza.
“Non proprio…” sbiascicò quella senza staccare il suo sguardo dall’interno.
“Ti piace questa roba? Magia…credi nel destino?!” prese a chiaccherare la sconosciuta per poi tirare un lungo sorso alla sua bevanda.
“Non lo so, forse al destino…all’anima gemella!”
Oh qualcuno innamorato dell’amore come me!
La ragazza cercò di mantenere un po’ di autocontrollo senza lasciarsi andare all’entusiasmo più sfrenato per quell’affermazione.
 
“Qualunque cosa succeda, Mina, qualunque…non farmela perdere! Non farmi perdere l’amore della mia vita!”
“D’accordo, ma Haruka cosa sta succedendo?”
“Fai in modo che si ricordi, io devo stac-”
Il fastidioso segnale della linea interrotta le riempì la testa e le orecchie.
 
“Ehi! Ehi il cellulare!” disse Usagi scuotendola per una spalla. Vedendo la sconosciuta con lo sguardo perso nel vuoto, che sembrava non averlo udito nonostante la suoneria alta. “Sta suonando non lo senti?”
“Oh, si, ehm…grazie!” rispose porgendole senza troppi complimenti il suo dolce smangiucchiato in mano.
“Pronto?”
“Ehi, Mina!”
“Akira! Amore, ciao!” gridando entusiasta alla cornetta.
“Allora, come va li?” chiese il suo interlocutore con una nota di preoccupazione nella voce.
“Tutto regolare per ora! Tieniti pronto!” esclamò Minako allontanandosi da Usagi e lasciandole le sue cibarie.
“ Ha accettato quel lavoro con Michiru. Domani arriveranno in America!” sussurrò piano, in modo che nessuno potesse udirla se non il fidanzato.
“Bene. Io sono pronto. Sta attenta mi raccomando!”Minako immaginò lo splendido sorriso al di la della cornetta.
“Non preoccuparti. Rubare è il mio mestiere…e farlo con delle preziose informazioni che potranno aiutare la nostra amica, sarà un piacere!”
“D’accordo…e…Mina!”
“Si?!”
“Non mangiare troppi dolci in mia assenza!”
Minako si fece scappare una risata.
“Ci proverò!”
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Ce l’abbiamo fatta!!! Haruka e Michiru si sono incontrate, o meglio re-incontrate!Sono spuntati fuori il personaggio di Rei e quello di Minako! E Akira, presto farà la sua comparsa!
Per chi non lo sapesse, Akira è uno dei personaggi di Stockholm Syndrome (Fidanzato ormai storico della nostra Minako, che anche qui sarà ossessionata dai dolci, mentre al baldo giovane non ho fatto mutare il suo hobby per la cucina! Non è collegato, se non per il suo lato caratteriale, alla mia fic precedente, perciò niente paura se non l’avete letta!)
Beh, non mi rimane che aspettare le vostre opinioni!
 
Kat
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Somehow, somewhere in time will we remember all of the suffering ***


 

Capitolo 3

Somehow, somewhere in time will we remember all of the suffering



Per un momento credette che quel viaggio non avrebbe mai avuto fine.
Le chiacchere di Usagi erano state un vero e proprio supplizio per tutto il tempo.
Ma lo trova il tempo di respirare?Quella era stata l’unica domanda che si era posta fissandola di sottecchi, come se la ragazza potesse essere un alieno o qualche strana forma di vita appena sbarcata dalla luna.
“Si insomma Michi-chan capisci com’è la situazione? Io devo indagare ulteriormente!!! Non mi arrendo all’idea che il mio principe azzurro stia con quella…quella…” la biondina esitò un attimo in cerca di una definizione adatta a descrivere la donna che aveva pedinato.
“quella strega!”
“Oddio, Usagi non ti sembra di esagerare?” la voce di Michiru intercalò per un momento la parlantina dell’altra, dando per qualche istante una sorta di sollievo alle orecchie di Haruka, che dal suo posto in prima classe cercava di seguire quel discorso apparentemente privo di significato secondo i suoi canoni.
“Ma no Michi-chan! Strega, strega! Ha un negozio pieno di roba strana! Prevede il futuro!” Continuò la biondina saltellando sul sedile.
“Parli di Setsuna?” azzardò Haruka intromettendosi nel loro fitto parlottare.
Usagi si bloccò di colpo sbarrando gli occhi.
“Quel bel ragazzo lì è uno che origlia, Michi!” sentenziò con fare grave e incrociando le braccia al petto.
La bocca di Haruka rimase semi aperta in una smorfia interdetta.
“Non gliel’hai detto a miss chiacchera?” domandò rivolgendosi a Michiru che stava soffocando una risata.
“In realtà non è il mio nome…” ci tenne a precisare, “Ma…cosa dovevi dirmi Michi-Chan?”
“Io ti avevo avvertita che avremmo avuto compagnia, ma eri così intenta a parlare che non mi hai prestato attenzione!”
“Quindi…” la ragazza dai lunghi codini indicò vigorosamente l’estranea, “il bel ragazzo fa parte del team?”
Michiru annuì con un cenno del capo.
“Sei il suo fidanzato?”
“Cambia la lettera finale della tua parola con una a…” le diede corda Haruka.
Usagi sembrò confusa. La guardò con fare pensieroso mentre Michiru si era sporta per cercare di colpire Haruka con il giornale di moda che aveva tra le mani.
“Ooh, non ci credo sei…sei…”
“Donna!” l’aiutò Michiru sbuffando, “una donna terribilmente fastidiosa e piena di sé. Non è stata una mia scelta!”
“Ti ha costretto ad essere la sua fidanzata?”
Haruka si portò le mani in grembo senza riuscire a trattenere una fragorosa risata, mentre l’altra si apprestava a spiegare ad Usagi che la scelta di cui parlava era relativa al loro lavoro e non ad una fantasiosa relazione che l’amica stava già immaginando, senza darsi un contegno.
 
Forse a causa del continuo blaterale della sua nuova compagna di avventura, o forse per le ore di volo, Haruka chiuse le palpebre, allontanandosi dal presente per pochi istanti.
 
“Uccellino in gabbia, ripeto! Uccellino in gabbia!” il messaggio arrivò gracchiante alle sue orecchie tramite un piccolo auricolare.
Quelle poche parole le rimbombarono in testa come il ronzio dopo un’esplosione. Riuscirono ad intontirla, a renderle la mente meno lucida.
Aspettò mezzo minuto prima che lo stesso identico messaggio le arrivasse nuovamente, solo leggermente distorto.
“Non è possibile…” sibilò incredula, mentre un nodo alla gola stava attentando alla sua vita senza permettere all’aria di arrivarle ai polmoni.
“Cosa vuole dire?” ringhiò presa all’improvviso da una rabbia inaudita.
“Lo sappiamo entrambe.”
“Dev’esserci un errore!” cercò di controbattere alla voce che suonava vagamente metallica per via dell’apparecchio.
“Nessun errore. Ritirati Haruka, non fare stupidaggini!”
La bionda guardò l’orologio da polso. Mancava ancora un minuto e mezzo prima dello scadere del tempo.
“Haruka, ci sei ancora?”
“Si”.
“Torna alla tana!”
“Manca ancora…”
La voce dall’altro capo stroncò la sua frase.
“Non ci mette mai fino all’ultimo minuto, non serve! E’ out!”
“Non può essere out maledizione!”
“Torn-” un’interferenza s’inserì nella discussione. Non aveva più alcun contatto dalla squadra.
Sapeva cosa doveva fare. Le regole erano ben poche e precise in quel mondo. Anche un bambino sarebbe riuscito a rispettarle, ma non lei. Avrebbe disubbidito. Non poteva rimanere a lottare con l’ansia o uno stupido attacco di panico che voleva farla soffocare, se la persona che amava rischiava di non esalare più alcun respiro.
 
“Hei tu!”
L’aereo sussultò leggermente.
“Heiii!”
Si sentì tirare leggermente per la spalla.
“Signorina si sieda al suo posto! Non vede che le spie per allacciarsi la cintura si sono accese?!”
La voce stridula dell’hostess che stava rimproverando Usagi, fece riaprire gli occhi ad Haruka.
“Che?! Piattola che vuoi?!”
“Ti eri addormentata come un sasso! Stiamo per atterrare!” si sbracciò la biondina mentre veniva malamente rispedita al suo posto.
“Bel modo di svegliare la gente…” borbottò a bassa voce.
“Non sappiamo nemmeno il tuo nome…” cercò di giustificare l’amica Michiru, sistemandosi la cintura per l’atterraggio.
“Se me lo chiedessi con gentilezza…”
“Oh no, non m’interessa!” la interruppe l’altra.
“Come siamo acide…”
“Come siamo simpatiche…”
“Ehi, se mi svegli con un bacio la prossima volta vedrai che il mio umore sarà migliore!!”
“Sei fortunata che devo starmene seduta e legata o un ceffone non te lo saresti risparmiata questa volta!”
 

***

 
 
Los Angeles 25 Settembre 2011.
 
Il rumore delle rotelline del trolley argentato di Michiru che scivolava sul pavimento lucido del LAX International Airport, si mescolò ai passi concitati del fiume di persone che vagava da una parte all’altra dell’aeroporto, ai saluti della gente, al chiacchericcio fitto di slang americani e alla voce metallica dell’altoparlante intenta ad annunciare i voli in partenza dai numerosi gate, stordendo appena Usagi che sbuffò sonoramente accanto a lei; mettendo su un’espressione piuttosto provata in viso.
“UFFA!!! CHE STANCHEZZA!” gridò in tono lamentoso.
“Perché devi urlare quando parli? Ti sentiamo lo stesso sai?!” la riprese subito Haruka piuttosto infastidita.
“Tu sei sempre così scontrosa?”
L’altra scrollò le spalle, senza degnarla di risposta, limitandosi ad indossare gli occhiali da sole in vista dell’uscita che dava sul grande parcheggio della struttura.
“Hey Michi-Chan!” miagolò Usagi, appendendosi al braccio dell’amica per poi strusciarci appena la testa bionda, “che si fa ora?”
“Aspettiamo Seiya, dovrebbe essere già fuori con l’auto!” le spiegò paziente Michiru sospirando piano.
“Chi è costui?” domandò Haruka, non appena le porte scorrevoli si richiusero alle sue spalle esiliando l’aria condizionata all’interno dell’edificio.
Nonostante fosse settembre la giornata si prospettava soleggiata e la brezza fresca e pungente di Tokyo sembrava essere soltanto un lontano ricordo.
“E’ il fi-”
“E’ il maggiordomo!” disse Michiru interrompendo Usagi che era pronta a ricamare sulla strana relazione che c’era tra l’amica e il ragazzo.
“Eccolo è proprio la!” esclamò poi, apprestandosi ad indicare con un dito un punto indefinito a poca distanza da loro.
Lo sguardo chiaro di Haruka nascosto dalle lenti scure scivolò a pochi metri di distanza, incrociando un’elegante auto nera dai finestrini oscurati, con a fianco un ragazzo alto, in divisa, che rivolse un largo sorriso a Michiru e le aprì la portiera non appena la ragazza gli si avvicinò.
“Buongiorno Kaiō Sama! Ha fatto buon viaggio?” domandò cordiale mentre le prendeva premuroso il bagaglio dalle mani e lo sistemava dal baule.
“Non c’è male…di certo le chiacchere di Usagi non mi hanno fatta annoiare!” ridacchiò lei mentre si accomodava sul sedile posteriore, in pelle begie della vettura.
“Ah testolina buffa! Non cambi mai!” sorrise Seiya alla ragazza dai codini color grano che aveva assunto le più diverse gradazioni di rosso sulle gote.
“Insomma Seiya! Non chiamarmi in quel modo! Ho un nome io, sai?!”
“Ma davvero?! Che sbadato! Temo di averlo dimenticato!” scherzò lui facendola accomodare all’interno dell’abitacolo per poi prendere il posto di guidatore ed ignorare Haruka che rimase interdetta sul marciapiede.
Ma guarda questo idiota, vuole lasciarmi a piedi!
La bionda bussò sul vetro dell’auto cercando di mantenere la calma.
Il finestrino si abbassò appena “mi spiace non compriamo nulla!”
“Mi prendi per il culo?!” La calma aveva ceduto il posto al nervosismo.
“E’ con noi lei!” intervenne Usagi, “Seiya falla salire!”
“Madame?” domandò lui alzando un sopracciglio verso Michiru.
“Fa come ti dice Usagi…è con noi…”
“Oh…” il finestrino venne nuovamente chiuso. “Devo scendere ed aprirle la portiera?” domandò lui in un sibilo.
“No, farà da so-”
“ALLORA MENTECATTO! LO APRI O NO STO CATORCIO?! TOGLI IL BLOCCO!” gesticolò la bionda da fuori. La pazienza non era mai stata una delle sue doti migliori, tanto che alle volte credeva di non esserne proprio dotata.
“Sali!” disse Usagi facendole posto accanto a lei.
“Grazie mille” grugnì Haruka sbattendo letteralmente la portiera una volta salita, “hai guadagnato punti…”
“Ooh!” la bionda con un gridolino di gioia per quella notizia buttò le braccia al collo dell’altra che s’irrigidì all’istante.
“Che diavolo fai?!”
“Ti abbraccio!! Mi hai fatto un quasi complimento per la prima volta!!”
“Mollami subito!”
“Non ci penso nemmeno, diventeremo grandi amiche me lo sento!”
“Se sei così appiccicosa non ci giurerei!”
“Oh…lasciati andare, donna dal nome sconosciuto!”
“Io ce l’ho un nome! Solo che Michiru non è interessata a conoscerlo!” protestò Haruka con una punta di fastidio mal celata nella voce.
“Non ho bisogno di saperlo…”, gli occhi color mare la osservarono dallo specchietto e la bocca si piegò in un leggero sorrisetto, che Haruka trovò fastidioso quanto terribilmente sexy allo stesso tempo.
“Tu sei l’agente 117!”
E’ identificata con un numero!A Seiya non sfuggì quel particolare, come non gli sfuggirono quegli occhi che l’avevano guardato irritati, qualche istante prima. Non c’erano dubbi. Era lei, Haruka Ten-ō.
 

***

 
 
Tokyo, 25 settembre 2011.
 
Minako arrivò al grande negozio di modellini nel quartiere di Nakano.
Guardò i quattro piani, che sapeva si potevano girare tutti in non meno di due ore a causa della vasta quadratura dell’edificio.
Inspirò profondamente prima di entrare.
Sono brava.
Entrò, ritrovandosi davanti un corridoio pieno di scaffali colmi di manga e gadget dai più svariati colori.
Ce la faccio. So che è qui. Posso rubare ogni cosa. Posso prendere tutte le informazioni che mi servono…
“Posso aiutarla?” domandò una commessa intenta a catalogare una pila di fumetti.
“Uhm si, cerco la sezione per gli abiti dei cosplay!” sorrise Minako.
“Certo, deve recarsi al piano di sotto, scenda le scale…la trova li a destra!”
“La ringrazio!” disse gentile la biondina scendendo veloce la rampa di scale.
Al piano inferiore l’aspettava una galleria colma di abiti. Il soffitto e le pareti erano tinte di un blu scuro e delle lampade al neon illuminavano quella galleria, considerata un tempio sacro per gli amanti dei personaggi anime.
Avanzò spedita, percorrendola a grandi falcate.
Fortunatamente a quell’ora del mattino il negozio era poco affollato, proprio come si era premurata di controllare guardando gli orari di punta.
Esiste davvero un sito per ogni cosa! Pensò compiaciuta.
Si ritrovò alla fine del lungo corridoio con una parete a bloccarle il passaggio, dove, chinandosi appena scorse da dietro il manichino una sottile piastra in metallo.
Eccoti qui, birichina! Volevi nasconderti bene eh?!
Minako si guardò attorno, per assicurarsi di essere sola.
Nessuna telecamera nei paraggi e nessun curioso nei dintorni.
La sua mano cercò qualcosa nella tasca della giacchetta nera di pelle che indossava e né estrasse una piccola tessera magnetica che posò sulla superfice argentea nascosta.
Clack.
“Ah ma che bel costume!”  esclamò ad alta voce con fare non curante.
Spostò il manichino e con una leggera spinta la parete si scostò silenziosa.
La ragazza scivolò oltre la soglia segreta richiudendosela alle spalle.
“Io avrei usato una porta più pesante, se fossi stata in loro!” disse tra sé e sé, accendendo una pila che con un fascio di luce illuminò quell’oscurità nella quale si era appena calata senza paura.
 
 

***

 
 
Los Angeles, 25 settembre 2011.
 
 
L’auto si fermò sul ciglio della strada sotto l’ombra di una delle palme che erano piantate lungo il viale.
“Cosa stiamo facendo?” domandò Haruka, dopo essersi riuscita a togliere di dosso Usagi, che ora come una bambina curiosa si sporgeva dal finestrino aperto.
“Recuperiamo la squadra!” rispose Michiru in tono piatto.
“All’asilo?” la bionda sembrò ringhiare appena, gettando uno sguardo verso la scuola d’infanzia a pochi metri da loro.
“Non proprio…”
“oh eccola!” esclamò Seiya facendo un cenno verso una fiumana di studenti intenti a scappare a casa, che usciva rumorosa dall’edificio dall’altra parte della strada.
Università informatica di L.A. Lesse mentalmente Haruka, rassicurandosi sul fatto di non dover badare ad una poppante.
Un caschetto di capelli blu spiccò, anche se più basso, tra le altre teste e si diresse nella loro direzione sorridente.
“Non scendi ad aprirle la portiera?” disse in tono sarcastico Haruka punzecchiando l’autista della situazione.
“Ciao ragazzi!” La voce della giovane che stringeva a sé una voluminosa tracolla raggiunse tutti i presenti nella vettura, “Benvenuti a Los Angeles!” disse con un sorriso salendo sul sedile posteriore accanto ad Haruka.
“Ciao Ami!” dissero in coro gli altri.
“Scusa se non ho risposto alla lettera che mi hai mandato, non ho fatto in tempo…” si apprestò a scusarsi Michiru.
“Non ha importanza! Ora siamo di nuovo tutti insieme e a quanto pare c’è anche…”
“117!” Usagi precedette Haruka presentandola con il suo numero.
“oh…” la nuova arrivata le strinse la mano, “fa tanto lager nazista, uhm senza offesa!”
“Non mi offendo”.
“Non si offende! Michiru non vuole sapere il suo nome!” esclamò nuovamente Usagi non riuscendo a trattenere la parlantina.
“Rei si unisce a noi?!” domandò curiosa Ami.
“Si, arriva direttamente alla villa, ha avuto dei problemi in aeroporto ai controlli!” chiarì Seiya intento a guidare nel traffico americano.
“Scommetto che anche questa volta l’han scambiata per una terrorista!” disse con una risata Michiru scatenando l’ilarità del resto della compagnia.
Haruka sprofondò nel sedile silenziosa.
Ma in che cavolo mi sono cacciata?
Era dall’altra parte del mondo circondata da sconosciuti, pronta a far parte ad una missione suicida vista la compagnia, in cui si era buttata dando ascolto ad un fantasma che si nascondeva dietro ad una strana chat; e come se non bastasse c’era lui. Quel Seiya che l’aveva irritata tremendamente a prima vista. Pieno di sé e cascamorto con Michiru.
Cercò di scacciare il senso di nervosismo che le creava il ragazzo e si concentrò sulla strada.
La macchina svoltò entrando nel quartiere di Beverly Hills dove le macchie di verde e i prati ben curati nascondevano, dietro agli imponenti cancelli bianchi, ville lussuosissime.
“Eccoci arrivati!” Annunciò Seiya, facendo aprire il cancello automatico, in ferro che si stagliava davanti a loro.
Haruka notò una figura a cavallo di un Harley Davidson che entrò con loro nel vialetto ghiaiato, circondato dai palmizi e da un prato verdissimo dotato di un’alta siepe per la privacy.
“Ci trattiamo bene…” disse con un fischio meravigliato una volta scesa dall’auto e ammirando la bassa struttura bianca e moderna, dotata di un portico ad archi che dava su una grande piscina incastonata nella pietra lavorata ambrata.
“Ogni volta può essere l’ultima in questo lavoro…perciò…non badiamo a spese per il nostro quartier generale!” sorrise Michiru.
“Si è poi solitamente…” s’intromise Usagi nella conversazione, alzando l’indice della mano per enfatizzare meglio la sua spiegazione, “il classico è che Michiru sia una stra riccona, con tanto di guardia del corpo barra maggiordomo nel tempo libero! Perciò dobbiamo essere credibili!”
“Pronunci sempre anche la punteggiatura?” domandò la bionda facendo riferimento al “barra” pronunciato dall’altra.
“Alle volte…” fece spallucce Usagi.
Perfetto. Una gabbia di matti!
La moto parcheggiò vicino a una fontana in pietra poco distante dall’auto.
Una ragazza mora rivelò il suo volto togliendosi il casco e si avvicinò a loro con un pesante borsone in spalla.
“Rei, ce l’hai fatta!”
“Certo Michiru! Non sarei mancata per nulla al mondo!”
“Fatti abbracciare!” gridò Usagi stritolandola in una morsa che avrebbe potuto soffocare qualsiasi essere umano in pochi minuti.
“Fa piano Usa-” provò a dire l’altra cercando di non far ondeggiare troppo la sacca che penzolava dalla spalla “rischiamo di saltare in aria!”
A quelle parole la biondina si allontanò senza troppi complimenti.
“Ho del materiale per delle esplosioni da paura!!” spiegò l’altra come se tutte le persone sane di mente andassero in giro con delle potenziali bombe in spalla.
“E sei venuta con la moto?!” urlò Ami portandosi poi una mano alla bocca, come a scusarsi per il tono troppo alto di voce.
“Non avevo altro modo…è solo la metà della roba che mi ero portata, quei bastardi dei controlli mi hanno portato via un sacco di roba, gliela farò pagare!”
L’arrivo di un mms distolse l’attenzione di Haruka dalla conversazione folle delle sue nuove compagne d’avventura.
 
Da: Anonimo
@: Haruka
Messaggio: “La conoscevi e non eravate semplici amiche.
                         La dea dell’amore.”
 
Haruka guardò la foto che l’era appena stata inviata sotto al testo del messaggio.
Occhi d’angelo! Le sue iridi sembrarono ingrandirsi alla vista dell’immagine che la ritraeva abbracciata a Michiru.
Com’è possibile? Che sia…un fotomontaggio?
Osservò meglio la foto, sullo sfondo, oltre le loro spalle in lontananza spiccava la scritta bianca “Hollywood” sulla famosissima collina, poco distante da dove si trovavano ora.
Siamo già state in America?
La sua mente vagò, brancolando nel buio più assoluto, in una fitta rete intricata di ricordi e immagini labili e confuse.
Che il sogno dell’altra notte fosse reale? I suoi occhi erano un ricordo?
“Donna molto interessata al suo cellulare, piacere!” la voce di Rei la strappò dalle sue riflessioni.
“Sono Rei!” continuò con la mano in attesa di una stretta.
“Piacere…bella moto!”
“E’ il tuo nome in codice?” ridacchiò l’altra.
“No, mi riferivo alla tua Harley, comunque le tue amiche, hanno deciso che sarò solo 117 a quanto pare!”
“Le mie amiche, ora dovrebbero essere anche le tue! Bisogna essere affiatate in queste cose! E comunque quella l’ho solo noleggiata!”
“Di solito faccio tutto da so-”
“Signore, se volete accomodarvi, un bel the con stuzzichini vi aspetta!” esclamò Seiya sulla porta da perfetto maggiordomo.
Usagi si fiondò di corsa all’interno della casa senza indugiare oltre mentre le altre la seguirono mantenendo un certo contegno.
La porta rimase gentilmente aperta dal ragazzo fino a quando non fu il turno di Haruka che se la vide sbattere in faccia.
“MA SCHERZIAMO?!” La ragazza bussò prepotentemente.
La voglia di saltargli addosso e strangolarlo aveva invaso ogni singola cellula del suo corpo.
“VUOI CHE LA BUTTI GIU’ DAMERINO DA STRAPAZZO?! LO FACCIO!”
A quelle parole la porta si aprì.
Il sorriso di Seiya sembrò scemare di colpo quando incrociò il suo viso.
“Le buone maniere non sono mai state il tuo forte…” disse in modo che potessero udire solo loro due le sue parole.
Haruka rimase immobile sulla soglia.
Cosa cavolo ne sa lui?
“Ascoltami…non provo simpatia per te. Sei piuttosto fastidiosa e il fatto che tu abbia un numero agente non mi lascia il minimo dubbio su di te…”
“Che co-”
“Non interrompermi…” Gli occhi chiari si fecero minacciosi.
“Non ho intenzione di fare il gentile o di farti da servo. La mia unica priorità è Michiru”.
Haruka non capì il significato delle sue parole ne la sua ostilità verso di lei.
“Allora voi due?!” la voce di Michiru echeggiò dalla sala in cui si erano accomodate le ragazze.
“Io non ti ho mai visto e non so chi tu sia…” sibilò, “ma mi stai già sulle palle!”
“PREGO MADAME!” le rispose Seiya con una smorfia facendole strada fino ad accompagnarla dalla compagnia.
Il salotto era luminoso grazie alle ampie finestra a vetri che davano su parte della piscina e il lampadario in cristallo contribuiva a dare alla casa un tocco elegante per quanto fosse moderna.
Haruka si lasciò andare sulla poltrona rossa libera, accanto a Michiru, sbuffando rumorosamente e incrociando le braccia al petto, senza alcuno scrupolo nel mostrare tutto il suo disappunto per quella situazione.
“Un the ai mirtilli, Kaiō Sama?”
Gne, gne! Quante moine! Come lo odio questo tizio!
“Oh, si! Ti ringrazio Seiya!” rispose Michiru raggiante, mentre il giovane con un gesto delicato, versava il liquido fumante nella tazzina di porcellana perfettamente in equilibrio sul piattino in coordinato, ben attento a non macchiarsi i guanti candidi che gli ricoprivano le mani.
 
Usagi si lanciò sui pasticcini riempendosi la bocca mentre il ragazzo non si risparmiò un’occhiata assassina ad Haruka che lo sfidò con lo sguardo.
“Bene…ora che ci siamo tutte...” annunciò Michiru bevendo un sorso della sua bevanda, “Ti presento il team al completo!”
Haruka annuì con un cenno del capo curiosa di capire come funzionavano le cose con quella che lei definiva la gang del bosco.
“Hai già avuto modo di capire che la nostra Usagi è una gran chiaccherona. Lei è il nostro asso nella manica. E’ ottima per distrarre le persone che possono darci delle grane e interpreta alla perfezione ogni ruolo che le assegniamo!”
“Allora, tesotilna buffa…hai una bella utilità!”
“Solo Seiya può chiamarmi così!” la riprese l’altra con la bocca piena.
“Come ti pare…”
Michiru aspettò un’istante per poi continuare, posando la tazzina al tavolo in vetro e accomodandosi meglio tra i cuscini bordeaux della sua poltrona.
“Lei è Ami. E’ un genio del computer!” spiegò con aria fiera.
“Non esagerare Michiru!” arrossì l’altra timidamente abbassando lo sguardo sui suoi piedi.
“Fa la modesta, ma ti assicuro che nulla è impossibile per lei. Va alla facoltà di informatica ma ogni volta rischia sempre di correggere i professori che al confronto non sanno un’ accidente! Con lei nei paraggi ogni sistema elettronico è spacciato!”
“Fammi indovinare…” disse Haruka indicando la mora che le sedeva di fronte.
“Rei si occupa di esplosivi vero?”
“Esattamente. E’ andata in Cina per mettere a punto delle nuove super bombe!”
“BUM!” intervenne l’altra piuttosto sonoramente imitando uno scoppio.
“Rimane solo cenere quando passa lei…” sospirò Michiru.
“E tu…Michiru…” la voce bassa e roca della bionda la fece rabbrividire. Per quanto fosse arrogante e piena di sé doveva ammettere che aveva un fascino magnetico e che lei non ne era totalmente immune.
“Di cosa ti occupi?”
“Di tutto il resto!” esordì Usagi, per poi tornare a fissare con occhi languidi Seiya che le fece l’occhiolino, scatenando in lei una risatina maliziosa.
“Io porto a termine la missione con ogni mezzo che mi offrono le mie compagne!” si limitò a dire.
“Si, apre ogni tipo di cassaforte, ha un’ottima mira a sparare con qualunque arma e se la cava con la lotta in generale!” puntualizzò Rei addentando un tramezzino.
“Ma non mi dire…picchi duro!”
“Puoi dirlo forte!”
 
Michiru la guardò intensamente, cercando di scrutare una qualche incertezza nel suo sguardo cobalto sconosciuto, talmente intenso da risultarle accecante.
Due occhi che non accennavano a sottomettersi e che continuavano a tenerle testa muti. Silenziosi.
 
Lei, non poteva circondarsi di persone deboli, non poteva rischiare.
Aveva bisogno di gente affidabile, che non si lasciasse intimidire o piegare da niente e nessuno.
Doveva capire se il suo modo di fare era autentico o sotto quella corazza di sicurezza si nascondesse una fragilità che potesse risultare dannosa all’operazione.
“Non so come siate abituati dalle vostre parti…” disse con tono fermo e serio.
“Salta la parte intimidatoria bellezza, con me non serve!” Haruka era calma, sembrava che nulla potesse turbarla.
“So che sei la migliore nel tuo campo, che chiedono appositamente di te e che non fallisci mai…” sgranò gli occhi, mimando una smorfia di finto stupore. “Wow! Impressionante!” Continuò sarcastica.
Usagi s’irrigidì appena, avvicinando la bocca all’orecchio di Rei. “Secondo me farà saltare i nervi a Michi!”
“Naa! E’ paziente lei!” la rassicurò l’altra sventolando una mano per enfatizzare la sua tesi.
“Tu, sei stata troppo in Cina! Non sai come stanno ora le cose!” puntualizzò la biondina cercando di mantenere il tono più basso possibile.
“Ragazze, non credo sia la sede più adatta per parlare ora di questo!” masticò tra i denti Ami, tirando fuori dalla sua tracolla un portatile nero pronto all’uso.
Michiru si schiarì la voce per attirare l’attenzione.
“Abbiamo solo due regole…” cominciò.
“Bene, sentiamo. Non mi piacciono le regole e gli schemi fissi, perciò meno sono meglio è!”, puntualizzò la bionda.
“Regola numero uno: non dare nessun tipo di arma in mano ad Usagi!” l’indice si alzò andando a fare compagnia al pollice che stava ad indicare il punto uno.
“Regola numero due: In caso si metta male, nessuno torna indietro, per nessuno motivo e di chiunque si tratti!”
 
Una logorroica, una pirata informatica, una piromane, un pseudo maggiordomo che mi chiude in faccia la porta appena ne trova l’occasione e una super donna che lascia indietro i suoi compagni quando compaiono i guai…direi che posso stare tranquilla! Valutò Haruka sospirando.
 
“Sai…non ti facevo così!” disse appoggiando il viso al palmo della mano sorretto dal gomito puntato sul bracciolo della poltrona.
“Così come?” indagò Michiru.
“Spietata, oserei dire.”
La ragazza sembrò non capire.
“Sei una che lascia indietro i suoi compagni quando il gioco si fa duro. Ti facevo più leale. Odio i traditori…”
“Non si tratta di voltare le spalle agli altri!” intervenne in sua difesa Ami, che sembrava aver raccolto una buona dose di coraggio.
“E’ solo che…”
“Che la missione ha la priorità su tutto!” l’aiuto Michiru scura in volto.
“Credimi, non è nella mia natura abbandonare un amico in difficoltà ma…”
“Balle!”
“La nostra agenzia impone delle regole e vanno rispettate!” Ora fu il turno di Rei. “Da noi ci sono delle conseguenze se fallisci”.
“E cosa potranno mai fare?” il tono di Haruka sembrò divertito, per quanto il sarcasmo fosse fuori luogo in quel momento.
Notò Usagi sprofondare nel divano in silenzio e la mancanza di Seiya nei paraggi, cosa che la sollevò enormemente.
“Allora?”
“Non si sa.” Tagliò corto Rei.
“Come sarebbe a di-”
“La gente sparisce!” la interruppe Michiru alzandosi in piedi.
“Se fallisci scompari. Non abbiamo mai capito in che modo…se ti facciano fuori o ti spostino in un’altra sede. A volte è meglio non fare domande!” sospirò, il fiato le si era fatto improvvisamente corto.
“Piuttosto che rischiare che una di noi finisca chissà come e chissà dove, facciamo di tutto per portare a termine il compito che ci viene assegnato, a qualunque costo”.
Un silenzio pesante calò nella stanza dopo quella frase, che sembrava aver scosso un po’ tutti i presenti.
Michiru fece qualche passo verso il pianoforte nero a coda presente nella stanza.
Haruka la vide cedere appena trovando sostegno nello strumento.
“Qualcosa non va?” le domandò con un filo di voce.
“Solo un capogiro…”
“Michiru…” la voce di Seiya precedette la sua entrata di qualche secondo.
“Si?!”
“Non vorrei chiedertelo ma…hai preso le tue medicine?”
Ho saltato due turni dalla partenza.
“Si” mentì.
“Sicura?”
“Si!”
“Non voglio che t-”
“Oh ma l’hai sentita? Ha detto di si!” sbottò Haruka.
Senza sapere perché l’aveva aggredito verbalmente. Non aveva simpatia per lui e la cosa era reciproca, ma non avrebbe mai pensato di aver una tale spinta nel difendere quella che per tutto il tempo aveva fatto l’altezzosa con lei.
“Non sto parlando con te”.
Le mani strette in due pugni tremarono appena. Un’altra parole e lo avrebbe preso a cazzotti. Stava per esplodere.
“Bene, vado al bagno.” Disse uscendo dalla stanza per evitare l’esplosione di una rissa.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Dopo 12 pagine sono riuscita a concludere. Mi stava scappando la mano come ai tempi di Stockholm così ho chiuso qui!
Nel prossimo capitolo apparirà il nostro amato Akira, ancora un po’ di pazienza e spero di entrare nel vivo della mission impossible, delle nostre protagoniste!
Insomma spero di non avervi annoiato. Credo sia importante l’interazione tra i personaggi perciò devo darci spazio! Non abbandonatemiiii!!!
 
Ah il negozio di modellismo, fumetti, cosplay ecc di quattro piani esiste realmente e sul serio non lo riesci a girare tutto in almeno due ore!
Alla prossima!!!
Kat
 
 
 
[Noticina piccina picciò] in caso qualcuno fosse interessato ho indetto un contest multifandom. Se siete interessati lo trovate sul forum di efp o sulla mia pagina fb o insomma…basta chiedere a me via mail :D
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Dear friend, bring me back my memories ***


Capitolo 4.
 
Dear friend, bring me back my memories

 
 
A Los Angeles il sole era sorto da poche ore, mentre Tokyo era ancora immersa nelle dense tenebre notturne.
Minako in quell’oscurità sembrava trovarsi a suo agio e una certa tranquillità l’aveva pervasa, nonostante portasse in giro con sé informazioni altamente top secret che le sarebbero potute costare la vita.
I suoi passi echeggiarono per le vie che quella notte sembravano essere meno vitali del solito.
Un manto di silenzio e rumori ovattati sembrava aver ricoperto la città e le sue luci abbaglianti, tanto da farle divenire quasi fioche.
Entrò sbadigliando rumorosamente nel caffè vuoto di Shibuya, a pochi metri dallo strano negozio di oggetti misteriosi, da cui proveniva una flebile e tremolante luce.
La sala disabitata del locale per l’ora tarda, le sembrò il posto ottimale nel quale ristorarsi e leggere i documenti di cui era entrata in possesso.
“Non è tardi per andare in giro a quest’ora da sola?” la voce gentile del ragazzo moro che le serviva solitamente la colazione, la sorprese mentre era intenta a sprofondare sulla comoda sedia rivestita da un cuscino rosa pastello.
“Può darsi lo sia...” gli rispose non curante “ehy Mamoru…”
Lo sguardo del ragazzo sembrò sorprendersi e sgranarsi appena al pronunciare del suo nome.
“Ho letto il tuo cartellino…” si apprestò a dire la ragazza indicando il sottile pezzo di plastica su cui era inciso il suo nome in nero.
“Oh si me ne dimentico alle volte!” sorrise l’altro, grattandosi imbarazzato la testa.
“Lavori davvero tante ore…” ne convenne Minako, appoggiando il capo al tavolo, del tutto intenzionata ad ignorare le regole del galateo.
“Fai tutto da solo? Stare aperto anche la notte dev’essere massacrante!” mugolò mentre un altro sbadiglio la sorprendeva.
“Ho assunto due ragazze che mi aiutano nel pomeriggio, faccio solo qualche ora la mattina e poi sono qui la sera! Anche tu sembri piuttosto stanca!” sorrise lui, “vuoi che ti porti un caffè bello forte? Mi pare che tu abbia qualcosa da studiare…”, azzardò indicando con un cenno della testa la spessa carpetta che aveva sotto al suo mento la ragazza.
“Non mi piace il caffè, è troppo amaro!” sbuffò Minako, decidendo di posizionarsi in maniera un po’ più consona alla situazione. “Però…credo mi ci voglia proprio… Magari accompagnato da qualcosa di dolce! Ti è avanzata qualche ciambella?” domandò sperando in una risposta affermativa.
“Ti piacciono proprio i dolci eh?!”
“Mi mettono di buon umore!”
“E dimmi fai palestra? Sei piuttosto magrolina!”
“Mi muovo molto! Consumo in fretta!”
Mamoru sospirò. “Temo di doverti dare una brutta notizia…le ciambelle con la glassa colorata che ti piacciono tanto sono finite. Ho però un’ottima torta con panna e fragole!”
“Ricordi sempre quello che mangiano i tuoi clienti?”
“Il più delle volte! Ho un’ottima memoria per ciò che piace alla gente!”
“Funziona, perché tutti tornano! Vada per la tua torta con fragole!”
“Certo Miss! Vado e torno!” annunciò, dirigendosi alla cucina.
Minako si stiracchiò le braccia e dopo aver controllato di non essere osservata buttò la testa tra i preziosi documenti.
Spero di aver fotocopiato tutto, non ci tengo a tornare la dentro.
L’idea di intrufolarsi nuovamente nell’archivio segreto di Nakano non l’attirava per nulla.
Gli occhi azzurro cielo sorvolarono sull’intestazione scritta in grassetto per scivolare più in basso.
“Il soggetto 117 è associato ai membri della squadra A e ad un civile…”
Minako arricciò le labbra assumendo un’espressione concentrata, quasi come se cercasse di tradurre dei geroglifici o venir a capo di qualche strano enigma.
“Il civile in questione manca di documentazione. Leggere modulo 1.2 per maggiori informazioni…bla bla…”
Si portò l’indice alle labbra per inumidirlo e sfogliare i numerosi fogli in cerca del misterioso allegato.
“Modulo 1.2! Eccolo!” sibilò per poi puntare le pupille sulla prima riga che riportava in stampatello il nome Mamoru Chiba.
“Ecco qui il tuo caffè e…la torta!” la voce del ragazzo la fece sobbalzare.
“Oh, grazie! Che velocità!” commentò la ragazza chiudendo istintivamente la carpetta.
“Vuoi che vada a prenderti un Hot Calpis? Scommetto che te ne verrà voglia dopo quel caffè!”
“Aggiudicato! Sei proprio un genio caspita!”
“Vado e torno!”
“Fa con comodo!”
Minako guardò il ragazzo allontanarsi nuovamente.
Mamoru Chiba…Mamoru Chi- Oh cavolo! Lui è…è…è lui il civile!
Con uno scatto convulso riportò l’attenzione sul documento per accertarsi di aver letto bene. Una foto confermò ogni suo dubbio.
Il cameriere era lo stesso civile di cui si parlava nella cartella di Haruka.
La confusione si mischiò ad un’insana curiosità di scoprire ogni singolo oscuro segreto di quella torbida storia.
“Il reinserimento nella società del suddetto civile è avvenuto con riscontro positivo”. Ok, calma. E’ stato reinserito da cosa alla vita quotidiana? Se è considerato civile e non un agente non faceva parte di alcuna agenzia in teoria. Non ci capisco niente! Cerchiamo questa benedetta squadra A, un pezzo alla volta.
Tornò al primo foglio cercando la nota che indicava un altro allegato.
“Modulo 1.3. Componenti squadra A dell’ HSA: Michiru Kaiō, Rei Hino, Ami Mizuno...Usagi Tsukino*”
“L’ultimo nome è associato a una nota a quanto pare…” ragionò a bassa voce, per poi portarsi alla bocca una forchettata di torta.
“Hot Calpis in arrivo! Eccolo qua!”
“Grazie!” rispose distrattamente Minako, prendendo a sfogliare tutti i fogli nel disperato tentativo di placare la sua sete di sapere.
“Scissione dei componenti, trasferimento agente 117, riabilitazione, agente di controllo, modulo di trasferimento per il dimenticatoio…”
La bionda credette di aver letto male, ormai tutte quelle strane parole sembravano far a pugni con i suoi neuroni, ma controllando per tre volte la riga letta precedentemente ebbe la conferma di non aver avuto un’allucinazione.
Perché dovrebbe servire un modulo per spedire qualcosa nel dimenticatoio? Le cose in un posto del genere vanno perse. Perché averne traccia?
Minako confusa si passò una mano tra i capelli per poi poggiarla alla fronte.
“Sarà una lunga notte questa…ne sono certa!”
 
 

***

 
 
Los Angeles, 26 settembre 2011.
Boyle Heights.
 
Gli aggettivi raccomandabile, alla moda e signorile non andavano di certo a braccetto con quella zona della città.
I turisti sapevano di doversi tener ben lontani da quel quartiere, così come chi viveva a Los Angeles, evitava di passarci se non era costretto a farlo.
La strada era semi deserta e il semaforo guasto forniva il via libero ai pochi autisti che si erano avventurati lì.
A bordo del suo Pick up nero, un ragazzo tatuato era intento a pescare dal contenitore in plastica appoggiato al sedile, un’aletta piccante di pollo speziata mentre canticchiava una canzone rock e batteva sul volante le dita a tempo di musica.
“Se Mina sapesse che a quest’ora di mattina, mangio questa roba mi disconoscerebbe come fidanzato! Maledetta America! Che brutte abitudini!”
Svoltò a destra verso Santa Monica Boulevard parcheggiando davanti ad una costruzione modesta e bassa.
Scese dall’auto, sbattendo lo sportello e scaricando dal cassone lucente una borsa dall’aria piuttosto pesante.
Attraversò il cortile che aveva come unico ornamento un prato verde sgargiante tagliato all’inglese e una siepe rasata irregolarmente da qualcuno che si era improvvisato giardiniere su due piedi.
Aprì la porta liberandosi dei due lucchetti che la bloccavano grazie ad un mazzo di chiavi che aveva tenuto attaccato alla propria cintura sino a quel momento ed entrò all’interno dell’abitazione.
“Ho troppi giocattoli qui, se non mi decido a svenderne un po’ non basterà più quest’appartamento…”
Valutò facendo scivolare lo sguardo da una parte all’altra delle due stanze completamente spoglie se non fosse stato per le teche di vetro ed alcune spade appese alle pareti.
“Non voglio mica dover sacrificare anche la cucina!” disse sbuffando, per poi portarsi le mani sui fianchi.
Da quando era lontano da Minako aveva preso il brutto vizio di pensare ad alta voce e di parlare da solo per tenersi compagnia.
La voce di Bon Jovi che intonava la sua “It’s my life” lo destò dalle sue riflessioni facendolo rispondere al cellulare.
“Si?!”
La voce dall’altra parte gli parve quasi un miraggio.
“Haruka, sei tu?”
Una risposta affermativa.
“Certo, dimmi tutto…”
Un sorriso gli tirò gli angoli della bocca verso l’alto.
“Tra mezz’ora sono da te, bionda!”
Una battuta all’altro capo del telefono lo fece ridere di gusto. Aveva dimenticato quanto l’amica fosse capace di farlo divertire con quel modo burbero e irriverente che si trascinava dietro da quando erano solo dei ragazzini.
Chiuse la comunicazione dopo qualche istante col sorriso sulle labbra e non riuscì a non trattenersi dal mandare un messaggio alla propria ragazza.
“Haru, mi ha contattato. Corro da lei”.
 
 

***

 
Los Angeles, Beverly Hills.
 
 
Il jet lag non aveva permesso ad Haruka di chiudere occhio.
Aveva passato la nottata a rigirarsi nel letto king size che l’era stato assegnato, senza riuscire a prendere sonno; così era finita per ascoltare ogni singolo rumore provocato dalle sue temporanee coinquiline.
La sua prima distrazione era stata la discussione piuttosto accesa tra Seiya e Michiru, dove solo per una questione di buone maniere la ragazza si era trattenuta dall’insultarlo. Era durata per circa un’ora e mezza per poi concludersi con lo sbattere violentemente della porta e un borbottio nervoso del pseudo maggiordomo, dopo di che il silenzio era durato sino alle tre di notte, inframezzato dall’armeggiare di Rei con qualche strana diavoleria altamente infiammabile, quando Usagi aveva cominciato a salire e scendere da un piano all’altro della villa farfugliando parole senza senso.
Haruka aveva compreso poi, che la ragazza soffriva di sonnambulismo quando l’altra si era presentata in camera sua nel cuore della notte provando ad infilarsi tra le lenzuola del suo letto, convinta di parlare con un certo Mamo – Chan.
L’unica che non si era fatta sentire era stata Ami e la cosa non la sorprese.
Da quello che aveva potuto vedere il giorno prima sembrava una ragazza piuttosto mite e molto timida, a prima vista pareva quasi non centrare nulla in mezzo a quel concentrato di strani soggetti.
Infilò il proprio cellulare in tasca, un po’ stranita dal fatto di non essere ancora stata contattata dalla dea dell’amore, per qualche nuova rivelazione che l’avrebbe lasciata a fissare il piccolo schermo con l’espressione da baccalà.
Scese le scale seguendo il vociare allegro e senza sosta di Usagi proveniente dal bordo piscina.
“Colazione all’aperto questa mattina eh?!”
“Fino a che il tempo dura…” si limitò a dire Michiru osservando il cielo limpido sopra di loro.
“Si sta bene in effetti!” disse stringendosi nelle spalle Haruka per poi sedersi accanto a lei.
“Centodiciassetteeeee! Buongiornooooo!!” Il saluto di Usagi le perforò i timpani.
“Non urlare piccola stalker! Sta notte ho dovuto portarti con la forza in camera tua prima che provassi a violentarmi chiamandomi come tuo qualche strano fidanzato!”
“Che coooosa?! Io non l’ho il fidanzato! E’ impossibile!”
“Non ha importanza, fatto sta che mi chiuderò per bene a chiave per evitare strane sorprese ora che so, sei così arzilla anche mentre dormi!”
Haruka indossò gli occhiali da sole che erano rimasti appesi al colletto della sua t-shirt fino a quel momento per indossarli.
La luce di settembre a Los Angeles pareva quella primaverile in Giappone.
“Michiru, ho chiamato un amico che potrebbe aiutarci…” cominciò, versandosi una dose di caffeina sovrumana in una tazza di ceramica blu notte.
“Dato che non sappiamo da che parte cominciare per trovare il russo che ha rubato le armi…”
L’altra assunse uno sguardo meravigliato accavallando le gambe sullo sdraio di legno sul quale era distesa.
“Ma brava 117! Allora non sei un totale disastro!”
La voglia di prenderla e buttarla in acqua si fece prepotente in Haruka.
Quel suo modo di fare riusciva a mandarla in tilt. Era tremendamente sexy e irritante allo stesso tempo.
Seiya deve proprio avere il cervello di una zucchina per riuscire a litigare con questa meraviglia. Idiota.
“Hai fatto bene! Spero che il tuo amico sia un valido contatto, altrimenti faremo in qualche altro modo!”
Michiru le regalò un sorriso e in quel momento Haruka capì che per quanto folle potesse risultare il messaggio della sua informatrice segreta, doveva essere vero.
Non era la prima volta che vedeva quelle labbra piegarsi per lei.
Una sensazione di calore e malinconia la pervase improvvisamente.
Possibile che abbia ragione? Che quella foto sia realmente vera? Che io e lei fossimo qualcosa di più che semplici amiche?
“Devi dirci la verità, 117!” La voce di Ami che si sedette di fronte a lei con aria seria e il suo portatile sulle ginocchia la strappò dalle sue riflessioni.
“Come?!” domandò confusa la bionda sbattendo a ripetizione le ciglia dietro alle lenti scure.
“Ho provato tutta la notte a fare ricerche su di te…”
Allora persino lei non ha dormito.
“E perché l’avresti fatto?” Le domandò portandosi la tazza colma di caffè fumante alle labbra.
“Perché tu sei nuova e volevo sapere di più sul tuo conto!”
Haruka si voltò verso Michiru che alzò le mani come a discolparsi.
“Io non le ho chiesto di far nulla…” sibilò.
“Si, come no…”
“E’ vero!” s’intromise Ami. “Ho fatto tutto di mia iniziativa, non ho sempre bisogno di ordini!” precisò con voce ferma, senza staccare gli occhi dallo schermo e digitando qualcosa alla tastiera.
“Insomma…sembra quasi che tu non esista! Hai solo questo stupido numero!”
“Basterebbe chiedere, ma voi nemmeno volete sapere il mio nome…”
“Potresti mentire!”
“Sei proprio diffidente eh?!”
“Tu nascondi qualcosa! Senti, io abbatto le muraglie digitali di chiunque…” uno strano fuoco sembrò brillare negli occhi blu della ragazza che ora la stava fissando truce.
“Nasa, FBI…nessuno, NESSUNO…” alzò il tono della voce marcando quella parola, “mi tiene fuori dai propri dati!”
“Non ti è venuto in mente…che forse non sei così brava?” disse pungente Haruka. Amava provocare la gente, provava sempre un certo gusto a infastidire le persone e per quanto avesse provato a sbarazzarsi di quella cattiva abitudine proprio non ci riusciva.
A quelle parole seguì un flebile “ahi ahi” di Usagi e lo sguardo di Michiru le fece intendere che non era il caso di continuare su quella strada.
“Spero di aver capito male…”
“Si, Ami lei non intendeva certo dire che-”
“Allora come sarebbe la storia dei segreti?” Haruka interruppe Usagi che era accorsa in sua difesa, per paura che cominciasse a parlare troppo.
Di prima mattina non poteva tollerare un suo sproloquio infinito, anche se era per giustificarla.
“Sicura di esistere?”
Quella domanda la inquietò.
Già. Esisto? Come mai non ho idea di aver avuto una storia con Michiru eppure esiste una foto di me e lei insieme?
“Insomma. Di te si sa solo che sei di sesso femminile e il tuo numero agente. Non un dato in più. Non è stato criptato nulla, è davvero come se non ti appartenesse alcun dato. E’ strano che la tua ditta, non fornisca alcuna informazione sul tuo conto…lavori li, da Giugno!”
Devo chiedere ad Akira…lui saprà di sicuro qualcosa. E’ il mio migliore amico, non gli ho mai nascosto nulla!
Un momento…come sarebbe a dire che lavoro lì, solo da Giugno?!
“Potremmo legarla con una carica di esplosivo addosso!” sbottò Rei apparendo in giardino con un piattino di biscotti in mano.
Tutti gli sguardi si spostarono sulla mora che aveva appena pronunciato quelle parole.
“Si, insomma…suppongo che con una bomba che potrebbe farla saltare per aria, ci direbbe la verità su qualunque cosa e non mentirebbe no? Nessuno lo farebbe in una situazione del genere…”
“Parla seriamente?” s’informò Haruka allucinata e lasciando cadere la sequenza di misteri che affollava la sua mente.
“Si, si. Non scherza mai su bombe o cose del genere!” le rispose Michiru.
“Metodi un po’ meno pericolosi non ne conosci Reiuccia cara?” s’informò Usagi mentre cercava di tenersi goffamente a galla nella piscina.
“Questa era la mia proposta…”
“Beh, io non mi sento di accettare!”
“Non ti biasimo 117!” l’appoggiò Ami recuperando la sua calma che sembrava essere andata persa qualche istante prima.
“Questo numero se lo sento ancora una volta mi farà vomitare, io mi chia-”
“HARUKA!” il suo nome venne urlato da una figura che le corse in contro per abbracciarla prima che lei riuscisse ad identificarlo.
“A-Akira!” Le mani della ragazza tirarono la stoffa della camicia a quadri dell’altro.
Le sembrò di non vederlo da un’eternità.
Il suo profumo familiare le solleticò le narici. Era come essere a casa in quel momento. Era come quando erano ragazzini e passavano interi pomeriggi insieme. Lui, lei e…la dea dell’amore.
MINAKO!
La bionda si scostò sciogliendo l’abbraccio.
Ma certo può essere solo lei…lei mi chiamava fulmine! La ragazza di Akira. La bambina che ho conosciuto quando avevo dieci anni e rubava ai banchetti delle fiere!
“Mi scusi Kaiō – Sama, il signore ha insistito per entrare e prima che potessi fermarlo mi ha riempito le mani di…di queste!” Seiya mostrò alle ragazze una pila di pirofile tra le braccia.
“Oh si…ehm ho pensato di farvi provare alcuni dei miei nuovi dolci! Mi servono delle cavie!” sorrise raggiante il moro grattandosi la nuca imbarazzato.
“Avevo troppa voglia di vederti, mi sono fatto prendere dall’entusiasmo!”
“Hey…centodicias-” Usagi si corresse, “Haruka, è il tuo fidanzato?! Questo bel ragazzo qui che sembra essere anche uno chef?!”
“Stai scherzando miss chiacchera?! E’ il mio migliore amico!”
“Ed è single?!”
“No, spiacente signorina!” rispose baciandole la mano Akira.
“Non fare il cascamorto, idiota!” lo spintonò Haruka.
“I tuoi benvenuto, mi scaldano sempre il cuore!” Disse ironico lui. “Non mi presenti il tuo Harem?”
“Puoi andare Seiya, non stare lì impalato!” lo liquidò Michiru senza troppi complimenti.
Evidentemente non hanno ancora fatto pace. Cavolo, sa essere davvero fredda!
Haruka notò con una piacevole sorpresa quella reazione e probabilmente il suo viso fece trasparire quella sorta di contentezza che stava provando.
“Che hai da gongolare?” le ringhiò Seiya all’orecchio.
“Il tuo maggiordomo dovrebbe essere più cortese…” commentò Akira ridendosela sotto i baffi, rivolgendosi con lo sguardo a Michiru.
“Ha un pessimo carattere in effetti, prego siediti…posso darti del tu?”
“Ma certo!” Anche perché ci conosciamo bene. “Piacere, Akira!” si presentò stringendole la mano.
“Michiru, piacere mio! Loro sono…Rei, Ami e…” si guardò attorno in cerca di Usagi, “Beh, l’altra è Usagi che a quanto pare è andata a confortare Seiya con qualche parolina magica!”
“Viene trattata piuttosto bene la servitù!”
“Non è un vero domestico quello…” intervenne Haruka con una nota di disprezzo nella voce, “è una copertura e lo si capisce lontano un miglio, anche perché mi sbatte fuori di casa e non mi apre la portiera dell’auto!”
“Te la sei legata al dito eh?!” rise Michiru senza riuscirsi a trattenere.
“Perdono ma non dimentico!”
Non dimentico…un detto poco azzeccato per quanto mi riguarda a quanto pare!
“Haruka ha detto potevi aiutarci…”
“Non mi ha raccontato nulla, le sue parole sono solo state: potresti muovere il tuo culo e raggiungermi qui a Beverly Hills?”
“Si, beh fa parte del suo stile direi!”
“Ehm…sono qui, davanti a voi. Potreste evitare di parlare della sottoscritta in questi termini?”
“Quali termini?” fece il finto tonto Akira scuotendo la testa verso l’altra ragazza con la quale stava conversando.
“Non fare l’idio-”
“Le buone maniere Haru! Guarda te…mi stai lontana per un po’ di tempo e mi diventi una camionista!”
La bionda sbuffò riprendendo il suo posto sospirando.
“Un certo Simon Davis…” cominciò a spiegare Haruka, “è proprietario di alcune armi da collezione che gli sono state sottratte da un mafioso russo…”
“Simon Davis, Simon Davis…oh si!” Akira la interruppe ricordando qualcosa.
“A quel tipo piacciono le cose taglienti…oh ma certo! Gli ho procurato io stesso una scimitarra araba lo scorso mese!”
Gli sguardi pieni di ammirazione di Michiru, Ami e Rei si posarono sul ragazzo.
“Te l’avevo detto, che poteva esserci utile!” sorrise Haruka sottolineando il concetto al capo della missione.
“Sono un trafficante di armi e quando mi vengono fatte richieste un po’ anomale le ricordo bene!” spiegò Akira.
“Interessante…” ne convenne Michiru, intenta ad ascoltare il resto che aveva da dire il loro nuovo collaboratore.
“Negli ultimi tempi era in rapporti stretti con un certo Dimitry Ivanov! Un giovane piuttosto affascinante lo ammetto…”
“Possiamo saltare la parte in cui t’innamori del cattivo?”  chiese Haruka impaziente.
“Dai, è un bell’uomo?!” la voce di Usagi sembrò saltare fuori dal nulla.
La ragazza era tornata con in mano un piatto contenente tutti e tre i tipi di dolci portati da Akira e sembrava gradirli parecchio, a giudicare dalla voracità con la quale se li stava divorando.
“E’ un tipo giovane, ti piacerebbe biondina! Ma temo che non sia un buon partito! A proposito…sono buone le torte?”
“Fantastiche! Ne mangerei a quintali!”
“Dici che avrei dovuto metterci più zucchero a velo in quella al cioccolato?”
“mmmhhh…” Usagi se ne portò alla bocca un altro morso e con aria di chi la sa lunga in ambito culinario, diede il suo autorevole giudizio.
“No, però l’avrei farcita con appena un po’ più panna vanigliata!”
“L’abbiamo perso…” sospirò Haruka, “se qualcuno gli da corda in ambito culinario è finita!”
“Un trafficante di armi appassionato di cucina…wow…secondo te vende bombe migliori delle mie, Michi?” domandò Rei.
“Non saprei, per me le tue sono il massimo!” la rincuorò l’amica.
La mora sembrò soddisfatta della risposta e si mise in paziente attesa del resto.
“Usagi, potresti tenere i consigli di cucina per dopo?” Questa volta fu Ami a parlare.
La bionda gonfiò le guance un po’ risentita di quell’invito ricevuto a tacere ma ubbidì all’istante.
“Dicevi?!” Incalzò Haruka l’amico.
Akira tentò di riprendere le fila del discorso e dopo aver alzato le iridi ghiaccio verso l’orizzonte tornò al suo racconto.
“Dimitry Ivanov, si vede lontano un miglio che è un pezzo grosso ed è l’unico russo in circolazione…beh oltre alle sue guardie s’intende!”
“Abbiamo trovato chi derubare!” sorrise Michiru, “dobbiamo capire come avvicinarlo…ti ha chiesto di procurargli qualcosa in particolare?” chiese poi al moro.
“No, per ora è a posto…”
“Non credo sia il caso di metterlo in mezzo a questa faccenda” puntualizzò Haruka, “è già abbastanza a rischio a darci certe informazioni!”
“Oh Haru…” sospirò Akira per poi scompigliarle la zazzera biondo cenere, “non preoccuparti per me, ci entro volentieri in questa missione. Ho ricevuto ordini precisi dalla nostra cara Mina…ci sono dentro fino al collo!” disse affettuoso e con la sua caratteristica espressione serena.
“Sempre a dar retta a quella donna tu!”
“Puoi contarci!” rispose l’amico.
“Sul suo conto non c’è nulla nella rete…” sentenziò Ami, che per tutto il tempo aveva setacciato il web in cerca di qualcosa che potesse essere utile alla squadra.
“Sappiamo solo l’indirizzo di casa sua!” Aggiunse per poi aggrottare appena la fronte, “non credo però tenga li qualcosa di rubato”.
“Mi hai letto nel pensiero!” disse Michiru, “di sicuro non possiamo bussare alla sua porta e chiedergli dove ha messo quelle armi…deve fidarsi di noi in qualche modo. O comunque…dobbiamo avvicinarlo abbastanza e fare in modo che sputi il rospo!”
“Oh, ma certo!” Akira batté il pugno sul palmo della propria mano in preda alla propria illuminazione.
“Ora che ci penso…mi ha invitato ad un party nella sua villa. Si terrà domani! Sarebbe un’occasione perfetta per avvicinarlo!”
“Ha una lista?” domandò Haruka.
Il ragazzo annuì con un cenno del capo, “ci vuole un invito cartaceo anche…”
“Non è un problema! Tu ce l’hai?” domandò Ami.
“Si, in macchina…da qualche parte!”
“Ottimo, penserò io a farne una copia identica e…” la ragazza sembrò perdersi in qualche strana schermata che solo lei poteva tradurre in linguaggio umano; e dopo un click entusiasta del mouse annunciò “siamo ufficialmente in lista!”
“A quanto pare, possiamo iniziare il nostro lavoro!”
Michiru era sollevata di cominciare ad operare. Non le piaceva perdere tempo e far aspettare i propri clienti.
In più, lavorare, la distraeva dal senso di vuoto mentale che provava di continuo e riusciva a non focalizzarsi sull’idea che le stesse realmente succedendo qualcosa.
Guardò l’orologio da polso e guardando l’ora si alzò dirigendosi verso la cucina.
Non appena si fu allontanata, Haruka annunciò alle altre che sarebbe andata a cercare l’invito con Akira nella sua auto.
“Ci sono molte cose che non quadrano Akira. Cos’è questo scherzo di Michiru e me insieme?” domandò non appena furono lontani da orecchie indiscrete nel vialetto dell’abitazione.
“Davvero…non ricordi nulla?”
“Dovrei?”
“Direi di si, Haru!” commentò il ragazzo mentre saliva a bordo del Pick up per cercare il piccolo cartoncino lasciatogli poco tempo prima dal russo.
“Saresti così gentile da spiegarti?”
“Oh beh, se me lo chiedi in questo modo non posso certo non degnarti di una risposta!”
Si abbassò con la testa sotto al volante per controllare che l’invito non fosse scivolato sotto ai sedili.
“Maledizione, devo decidermi a pulire i tappetini!”
“Allora?!” Insistette l’altra.
“Sai, Haru…è un po’ difficile spiegare qualcosa di cui non si sa praticamente nulla! E’ per questo motivo che io e Mina stiamo indagando!” le rispose per poi riprendere a guardarla negli occhi.
“Inizia da quello che sai”. Haruka si appoggiò con la schiena alla macchina incrociando le braccia senza darsi per vinta.
“Dove può essere andato?!” farfugliò l’altro senza smettere di cercare e tuffando le mani nello sportellino posizionato davanti al posto del passeggiero. “Eri innamorata Haru. Avevi trovato la donna della tua vita…”
Il cuore di Haruka perse un battito.
Ho perso Michiru?
“L’hai conosciuta proprio qui, a Los Angeles…stavi scappando da due energumeni dopo che avevi portato a termine uno dei tuoi lavori. Per depistarli hai fatto finta di correre dalla tua ragazza…hai scelto lei!”
Lo sguardo di Akira s’illuminò incrociando il pass per la festa a cui dovevano imbucarsi.
Allora…era un ricordo non un sogno quello dell’altra notte!
“Se era così importante, come mai io non la conosco ora? Non ricordo nulla di nulla?”
Il tono era alterato. Sapeva che Akira non aveva motivo di mentirle eppure non le sembrava possibile che storie e persone potessero andare perdute nel dimenticatoio da un giorno all’altro.
“L’ultima volta che eravate insieme eravate qui…” le sventolò l’oggetto tanto cercato sotto il naso, come a dirle “trovato!” e ripercorsero il viale ghiaiato, fermandosi accanto alla fontana.
“Stavate partecipando a uno dei vostri lavori, vi eravate messe ad operare assieme dopo esservi conosciute ma…qualcosa è andato storto.”
Uccellino in gabbia! Ripeto uccellino in gabbia!
La voce che l’era risuonata in testa a bordo dell’aereo prese il timbro di Rei.
“Non ci mette mai fino all’ultimo minuto, non serve! E’ out!”
“Non può essere out maledizione!”
Haruka si portò le mani alle tempie, la testa sembrava volerle scoppiare da un momento all’altro.
La vista le si fece meno nitida, nella sua visuale entrò l’asfalto grigio e un furgoncino nero dai vetri oscurati che in realtà apparteneva solo ai suoi ricordi.
“Ti senti bene?” La voce di Akira sembrò riportarla li.
“Continua…” sibilò, accorgendosi di essersi aggrappata al polso dell’amico.
“Haru, sei pallida, hai una brutta cera…”
“Continua…dannazione!” la voce le uscì roca. Simile ad un ringhio.
“Non so altro…so solo che hai chiamato Minako…” Akira sospirò, prendendole piano la mano e staccandole le dita dal suo polso.
“Le hai detto, devo andare. Se succeda qualcosa fa in modo che ricordi. Ti prego. Non farmela dimenticare. Non farmi dimenticare nulla. Dopo di che le hai messo giù e quando ti abbiamo vista, a Tokyo, sembrava come se…”
“Come se…cosa?” domandò sudando freddo.
“Come se fossi stata resettata. Non sapevi nulla di Los Angeles, di Michiru. Della missione. Niente di niente. Era come se fossi rimasta a prima di partire…”
“Non…” le mani le presero a sudare e un senso di nausea la colse improvvisamente. “Non è possibile un cosa del genere…e poi…anche lei non sa nulla, voglio dire, l’hai vista no?!”
“Stiamo facendo tutto quello che possiamo Haru…” Akira dispiaciuto le diete una pacca leggera sulla spalla. Sapeva che Haruka non amava gli abbracci o le dimostrazioni di affetto troppo invasive, così optò per quel semplice contatto, sperando potesse percepire un po’ del suo calore, della sua vicinanza.
“Arriveremo a capo di tutto, vedrai! Ora andiamo…”
“Si”. Disse mestamente la bionda mentre la vibrazione del cellulare si fece insistente nella tasca dei suoi jeans.
Spinse la porta a vetri entrando seguita dall’amico, guardò il display del cellulare e vide lampeggiare una piccola busta bianca.
Aprì il messaggio tremante e quando lesse quelle poche righe per poco l’oggetto non le scivolò dalle mani.
 
 
 
Da: Anonimo
@: Haruka
 
Messaggio: “Qualunque cosa ti abbiano dato, smettila di prenderla immediatamente. Che sia una compressa, sciroppo, una bustina. Anche se ti hanno detto che è un antibiotico o un anti infiammatorio, buttala. Non ingerirla. Smetti subito, prima che sia troppo tardi. Prima di scivolare nell’abisso dell’oblio eterno.     La dea dell’amore”.
 
 
Le gambe sembrarono diventarle una pesante ed inutile zavorra, intenzionate a non muoversi di un solo passo.
Il cervello diede loro l’impulso di avanzare ma tutto fu inutile.
Haruka era come paralizzata; e non per colpa di un veleno o qualche sostanza strana. Era paralizzata dal terrore di quell’ultima frase.
Oblio eterno…
“Michiru!” gridò a pieni polmoni quel nome e non appena una scarica di adrenalina e paura la colpì in pieno si fiondò verso la cucina.
Sperando che ancora una volta l’altra avesse disubbidito a Seiya.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Ed eccomi qui, con tredici pagine deliranti.
Sono un po’ in ritardo e probabilmente lo sarò ancora per un po’, causa esami. Tuttavia cerco di aggiornare e scrivere appena posso, perché credetemi…lo preferisco di gran lunga allo studio.
Ma veniamo a noi u___u Finalmente è arrivato Akira. Siete contente? E’ ancora lui, vero?! Per un momento ho avuto paura non fosse lo stesso di Stockholm, ma confido nel fatto di averlo reso lo stesso che abbiamo tanto amato :D
Rei mi è saltata fuori un po’ psicopatica. Ami un po’ più burbera del previsto forse…non saprei. Però in fin dei conti mica può stare zitta e buona in eterno no? Avrà un minimo di personalità! (spero). Qualora vi risulti gente eccessivamente OOC, ditemelo e io provvedo ad aggiungere il tag. Ho sempre il terrore che mi diventino OOC i personaggi in caso non si fosse notato!!
Sono stata indecisa se terminare il capitolo a quando Ami, annuncia andranno il ballo, ma poi ho optato per aggiungere la parte finale che avete trovato qui e ammetto che ora mi è salita l’ansia! Maledizione XD
(E’ stato cancellato un dialogo tra Haruka e Michiru di tre pagine che trovavo estremamente inutile e noioso).
Ditemi che ne pensate! Spero non vi abbia annoiato!
Vi adoro!!
Baci
Kat

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Capitolo 6
*** Dance With The Devil ***


Capitolo 5.
 
Dance with the devil

 
 
La voce di Haruka rimbombò per tutto l’atrio della villa.
Aveva urlato con quanta più voce aveva in corpo, fino a farsi bruciare i polmoni.
All’improvviso, la paura di non poter tornare indietro, di rimanere sola in quel limbo che pareva non aver una via d’uscita l’attanagliò prepotentemente.
Non ti permetterò di fuggire al nostro passato così facilmente, Michiru.
Quel pensiero attraversò come un fulmine a ciel sereno la sua mente, mentre le gambe lunghe e atletiche si erano messe in moto in una corsa sfrenata verso la cucina.
La figura di Seiya si stagliava solitaria nella stanza alle prese con uno strofinaccio e alcuni piatti, ma dell’altra nessuna traccia.
“Dov’è lei?!” il tono le uscì più agitato di quanto avrebbe voluto far vedere e la cosa la irritò ulteriormente. Non le piaceva che le sue preoccupazioni o le sue paure fossero messe in piazza con tanta facilità e soprattutto non voleva apparire vulnerabile davanti alla persona che sicuramente la odiava di più all’interno di quella casa.
“Cosa stai blaterando?”
“Non ho tempo da perdere, sai benissimo a chi mi riferisco!” rispose secca la bionda, mentre la sua mano pareva voler sbriciolare lo stipite della porta a cui si era appoggiata per frenare la sua velocità.
“La calma è la virtù dei forti, non te l’hanno mai insegnato?”  le rispose l’altro con fare non curante.
“Se volevo delle perle di saggezza non mi sarei certo rivolta a te! Non hai l’aria di essere un santone…anzi non hai proprio l’aria di essere uno a cui chiedere consigli. Maledizione!” Sputò quelle parole prima di lasciarsi alle spalle Seiya, che soffocava una risata di soddisfazione.
Si diresse decisa al piano superiore, facendo due gradini alla volta nel disperato tentativo di trovare Michiru.
Il corridoio era deserto, le pareti bianche illuminate dai raggi tiepidi del sole e il silenzio regnava sovrano senza rivelare alcuna presenza umana.
“Michiru?!” la chiamò ancora una volta, con il fiato corto mentre apriva una ad una le porte che le si presentavano davanti.
Il suo battito le martellò prepotente nelle orecchie e per un momento ebbe quasi l’impressione di trovarsi in un labirinto.
Deglutì rumorosamente, appoggiando la mano sulla maniglia della porta bianca del bagno.
Se ho detto a Minako di non farmi dimenticare nulla, ne valeva la pena…
A quel pensiero spalancò l’uscio decisa a tornare indietro con Michiru sul viale della memoria che in qualche modo era stata strappata loro, che l’altra lo volesse o meno.
“Hey, non si bussa più?!”
Michiru pronunciò la frase rimanendo immobile davanti allo specchio soprastante il lavandino con un bicchiere a mezz’aria.
“Fermati!” disse senza mezzi termini Haruka, entrando e dirigendosi a grande falcate verso di lei senza prestare attenzione alle sue proteste.
Una volta intercettato il flacone di pillole appoggiato alla mensola, accanto al lavandino, lo prese per poi gettarne il contenuto nella tazza e tirare lo sciacquone.
“Oh bene!” sospirò sollevata una volta completato quel lavoro, sotto gli occhi sgranati dell’altra, che la fissava senza capire.
“Ma…che diavolo hai fatto?!”
“Ne hai prese altre? No, vero?”
“Non si risponde a una domanda con un’altra domanda!” protestò Michiru portandosi le mani ai fianchi, “comunque non sono affari tuoi!”
“Sei sempre così acida o succede solo quando litighi col fidanzato?!” la provocò la bionda mentre studiava attentamente l’etichetta del contenitore ormai vuoto.
“Io non so-” Michiru si bloccò un momento per poi variare la risposta, “ma quale fidanzato?!”
“Il maggiordomo!” le chiarì le idee Haruka, senza staccare gli occhi dai caratteri microscopici che riportavano  parole a lei semisconosciute.
“Seiya, non è il mio fidanzato!”
“Lo sembra!” ribatté la bionda.
“Beh, non lo è e comunque…non sono affari tuoi, mi spieghi che stai combinando?”
Haruka sbuffò. Si portò una mano alla tasca posteriore dei jeans e ne estrasse un pacchetto di caramelle bianche che travasò nel flacone delle pillole di Michiru.
“Queste…” spiegò Haruka, “sono in caso il tuo non fidanzato rompa le scatole, è per precauzione…e per la cronaca, mi devi un grazie e un pacchetto di mentine!”
“Non ti sto seguendo. Hai l’aria di una che non ha le rotelle a posto sai?”
“Oblivion!” esclamò Haruka, dopo che con una breve occhiata l’occhio le rivelò quella parola tra le altre.
Allora Minako ha ragione! Anche se…non credo bastino queste a far dimenticare un lasso di tempo piuttosto lungo.
“Senti…” Michiru richiuse la porta così da isolarsi con lei nella stanza. “Saresti così cortese da illuminarmi?”
“Tu rispondi alla mia domanda di prima?”
“Non ho fatto in tempo a prenderne altre da quando siamo qui”, tagliò corto con aria spazientita per poi incrociare le braccia al petto
“Molto bene, non devi proprio più prenderne. Intesi?”
“Per quale motivo?”
“Hai dei vuoti di memoria?”
“La finisci di riempirmi di domande senza darmi risposte?”
“No”. Rispose perentoria.
“Negli ultimi tempi ho dei vuoti si. Molti…quelle me le ha da-”
“Queste non aiutano. Ascolta Michiru…” l’espressione di Haruka si fece seria.
Il suo viso aveva perso l’ombra beffarda e strafottente che lo abitava solitamente.
“Mangiati solo le caramelle. Nient’altro che ti rifili l’agenzia o Seiya, siamo intese? Ho delle fonti attendibili che mi dicono che questa è robaccia. Non farà altro che aumentarti i vuoti che hai, inoltre…” puntò con il dito la parola  oblivion nascosta magistralmente tra le altre, “questa ne è un ulteriore conferma! Nessuno legge mai le etichette!”
“Ammettiamo che tutto questo sia vero…perché t’interessi? Cosa ci guadagni?”
“Una buona azione, un posto in paradiso…non che ci creda particolarmente ma non si sa mai, meglio prendere precauzioni no?!”
Haruka le passò accanto, dandole le spalle pronta a lasciare la stanza e a ritenere quella conversazione finita una volta per tutte, quando Michiru la bloccò per un braccio.
“Aspetta.”
Possibile che Seiya ne sapesse qualcosa e che insistesse così tanto per farmele prendere?
Lo sguardo blu reale di Haruka la investì in pieno e per la prima volta, Michiru, si soffermò in quei due pozzi capaci di farla rabbrividire.
Si sentì come persa in quelle profondità, inghiottita; e allo stesso tempo ebbe la sensazione di averle già esplorate per lungo tempo.
In quella manciata di secondi, rimanendo aggrappata al suo braccio come se fosse la sua ancora di salvezza, il dubbio del tradimento dell’amico si affievolì scemando con la fitta al petto, con la quale aveva fatto sentire la sua presenza.
“Hai intenzione di staccarmelo?” domandò l’altra riferendosi alla presa ferrea che non le permetteva di andarsene.
“Scusa…” sibilò Michiru riprendendo il controllo di sé stessa e allentando la presa.
“Non me la bevo la storia della coscienza pulita e della buona azione. Se fosse per quello non faresti il lavoro che fai. Ci sei passata anche tu?”
Haruka si strinse nelle spalle. “Mi avevano prescritto degli integratori. Ma…sono una persona poco costante e che non ama prendere medicinali e affini. Perciò dopo la prima settimana ho lasciato perdere. L’ho visto quel capogiro di ieri…succede quando smetti o non sei costante, ma poi passa…”
“Ed ora, hai ancora la sensazione di vuoto?”
La bionda ridacchiò nervosa. “Posso dirti che di chiaro ho ben poco. Qualche flash che mi provoca delle tremende fitte alla testa ma…ehi! Meglio quelle del buio assoluto non trovi?”
Michiru le sorrise, sentendo di aver finalmente stabilito un contatto con lei.
Di aver fatto un passo nella sua direzione, per quanto distanti ancora fossero.
“Continuerò ad indagare su questa storia…”
Per qualche assurdo motivo decise di fidarsi, “d’accordo” disse in un soffio, cercando di soffocare l’idea che Seiya ne sapesse qualcosa e la voglia violenta di prenderlo a schiaffi che non si addiceva ad una ragazza dai modi eleganti come lei.
 
 
Tokyo, 4 Giugno 2011
 
Il fiato le si era fatto corto.
Aveva corso scansando i campanelli di ragazzi che sentivano l’arrivo dell’estate e i numerosi passanti che pullulavano sulla via principale di Shibuya.
Era partita dall’America con solo la sua borsa , lasciando a Los Angeles tutto il resto.
Con sé aveva i documenti falsi, unici complici di quella fuga, che attestavano che lei ora era Maria Amane, un italo giapponese.
Ami si era premurata di curare ogni dettaglio per farla tornare in patria alla ricerca d’aiuto, per quanto potesse fare il tutto in meno di un’ora e mezza.
Erano rimaste in due e quel pensiero la spaventava a morte.
Spalancò la porta del caffè che ormai conosceva bene e lanciò un’occhiata al bancone.
Una ragazza dai capelli rossi era intenta a preparare una tisana per un cliente, mentre un giovane cameriere si occupava dei tavoli.
“Oh ciao!” la ragazza le fece un cenno con la mano, fortunatamente senza pronunciare il suo vero nome, in caso qualcuno d’indesiderato si fosse mescolato alla clientela.
“Se cerchi Mamoru è al piano di sopra!” continuò quella sorridendole, mentre posizionava sul vassoio il servizio da the.
“Grazie mille!” sibilò svelta per poi salire le anguste scale che la portarono al piano superiore.
“Mamo – chan!”
“Usagi, che ci fai qui? Non eri a Los Angeles?” il ragazzo scattò in piedi dalla sedia preoccupato nel vedere la bionda tutta spettinata e dall’aria sconvolta varcare la soglia del suo piccolo ufficio.
“Sssht” Usagi lo zittì portandosi l’indice alla bocca e chiudendosi la porta alle spalle.
Scostò le tende per guardare in strada e controllare che nessuno l’avesse seguita.
“Non chiamarmi Usagi!”
“Come sarebbe a dire? Cosa è successo?”
“Mamo – chan…” pronunciò quel nome in un singhiozzo, mentre alcune lacrime lasciarono i suoi grandi occhi per andarle a rigare il viso.
Improvvisamente aveva paura. Paura di perdere il ragazzo che amava e di non rivedere più le sue amiche.
Mamoru le si avvicinò stringendola tra le braccia e tuffando il viso nei suoi capelli, non l’aveva mai vista così fragile. Doveva essere successo qualcosa di grave perché fosse turbata in quel modo.
“Ascoltami…” disse con voce rotta dal singhiozzo, mentre le sue mani tiravano la stoffa della maglietta rossa che indossava l’altro come ad avvicinarlo ancora di più a sé.
“Io non ti ho detto tutto…”
“Che cosa intendi?” pose la domanda con tono pacato per non agitarla ulteriormente.
“Non ti ho detto nello specifico cosa sono andata a fare in America perché non voglio metterti in pericolo!”
Il moro si scostò appena da lei. Voleva guardarla in viso e capire cosa le stava nascondendo.
“Puoi dirmi qualunque cosa, insieme affronteremo tutto, però smettila di piangere così, ti prego. Vederti in questo stato mi fa ma-”
“Oggi è venuta Minako? Ho bisogno di lei, non la conosco bene ma…credo sia l’unica in grado di aiutarmi, sono sparite tutte!”
Perché aveva tirato in ballo Minako da un momento all’altro? Cosa voleva dire che erano sparite tutte?
Un brivido gli percorse la schiena. Era all’oscuro del significato di quelle parole ma avvertì come una sensazione palpabile di pericolo nell’aria.
“Oggi non è ancora venuta…però se non mi fai capire di cosa si tratta, io non posso aiutarti!”
“Qualcuno ha rapito Michiru, Haruka e Rei. Loro non scomparirebbero mai senza dir nulla. Siamo rimaste io ed Ami ma non so ancora per quanto…” la frase cadde nel vuoto senza che trovasse una fine.
Un rumore sinistro aveva attirato la sua attenzione facendole estrarre di riflesso dalla sua tracolla una pistola, puntandola verso la porta.
“Sta indietro!” ordinò a Mamoru che la osservò paralizzato e spiazzato.
“Cosa ci fai con un’arma in mano?” La versione di Usagi bambinesca ed allegra che conosceva lui, faceva a pugni con quell’immagine che gli si stava presentando davanti.
“E’ per precauzione. Di solito non me le lasciano…sai quanto sono goffa!” una punta d’ironia riuscì a colorarle la voce.
Usagi sentì provenire dal piano di sotto uno scalpiccio agitato seguito poi da delle grida indistinte e alcune sedie che venivano strisciate sul pavimento lucido dalle piastrelle bi-color che arredavano la saletta.
“Cosa diavolo sta succedendo?” Mamoru si affacciò alla finestra. Una folla di curiosi si era riunita attorno al palazzo.
Molte persone erano al cellulare, mentre altre erano prese ad indicare qualcosa che proveniva dalla porta del suo locale.
Una nube nera e densa di fumo si sollevò nell’aria.
“C’è del fumo…”
“Hanno appiccato un incendio!” Usagi posò l’arma portandosi le mani nei capelli.
Era colpa sua. Erano li.
L’avevano seguita.
Ed ora per eliminare lei e Mamoru, che era inevitabilmente un testimone, avevano deciso di far sembrare tutto un incidente facendoli bruciare vivi li dentro.
Lo guardò per poi gettargli le braccia al collo.
“Mi dispiace…”
“Cerchiamo di uscire di qui, ok?” Disse deciso il ragazzo ricambiando l’abbraccio.
Usagi annuì chiamando a raccolta tutto il coraggio di cui disponeva.
La porta si era bloccata intrappolandoli li dentro e nonostante le spallate di Mamoru, nel tentativo di buttarla giù non accennava a lasciarli uscire.
“Dovremmo scendere dalla finestra…” disse cercando di mantenere la calma nonostante la situazione non fosse delle più rosee.
“No”.
Usagi prese la pistola e sparò alla serratura, “prova ora!”
“Non ti chiederò se l’hai già fatto in passato!” borbottò lui, riuscendo finalmente a vedere il pianerottolo e la rampa di scale invasa da una fitta cortina nera che stava rendendo l’aria irrespirabile.
 
 

***

 
 
Los Angeles, 27 settembre 2011
Ore 20.30.
 
Tutto era pronto per il ballo alla tenuta di Dimitry Ivanov.
Ami aveva provveduto a dare un ruolo ad ogni membro della squadra, maggiordomo compreso, con grande disappunto di Haruka che avrebbe dovuto averlo intorno anche quella sera.
Per lo meno, dopo l’episodio delle strane pillole accaduto il giorno precedente, Michiru sembrava un po’ più rilassata e meno fredda con lei.  Come se Haruka si fosse riuscita a guadagnare un po’ del suo rispetto e della sua fiducia, pur mantenendo le distanze del caso.
 
“Ora mi spieghi perché io devo starmene a casa qui con te!” protestò Rei con tono irritato, mentre con lo sguardo sembrava voler appiccare fuoco all’amica.
Ami, senza scomporsi si limitò a chiudere il proprio portatile per poi guardarla da dietro i suoi occhiali da vista.
“Non possiamo presentarci come una scolaresca, non trovi? Saremmo veramente troppo sospetti”.
“Ci vanno in cinque!” disse ringhiando, per poi buttarsi malamente sul divano.
“Di la verità…è perché a te non piacciono gli eventi troppo in; e vuoi qualcuno che rimanga a farti compagnia. Scommetto che non sei mai andata ad un ballo scolastico!” rincarò la dose, decisa a non demordere.
“Punto numero uno: ci vanno in quattro. Akira non è da contare. Lui è realmente invitato al ballo, perciò non possiamo definirlo un imbucato”.  Alzò l’indice per sottolineare meglio i punti alla collega. “Punto numero due: Un ballo mafioso non è proprio da considerarsi un evento in. Non lo ritengo al pari del Red Carpet o di un after party per celebrità…e scommetto di non essere l’unica a pensarla in questo modo”. Il medio indicò prontamente il numero tre, mentre la mora cominciava a sbuffare e a spazientirsi per aver scatenato quella serie di puntualizzazioni da parte dell’altra, che doveva affrontare ogni sua parola argomentandola a dovere.
“Tre: Non ho bisogno della tua compagnia. Un password cracker sarebbe sufficiente a tenermi occupata e a colmare la solitudine di cui tu credi io soffra…”
“Ok, abbiamo capi-”
“No ora mi fai finire, devo arrivare al punto quattro!”
“Sentiamo…”
“Io al ballo ci sono andata e anche con un cavaliere!”
“Fantastico. Sono contenta per te! Questo non toglie però, che mentre gli altri saranno in mezzo a mafiosi e magari a chissà quali esplosivi o bombe pronte a far un bel buco nel muro di qualche stanza, noi saremo qui, rinchiuse in una bellissima casa di Beverly Hills…il che è deprimente!”.
 

***

 
Haruka era indecisa sul da farsi.
Il piano era chiaro nella sua mente, ciò che la tormentava non era l’esito della missione ne lo svolgimento. Il contrasto interno che la tormentava era se dire o meno a Michiru del loro passato insieme.
In fondo sai poco e niente. Non ti crederebbe…meglio lasciar perdere e sperare che lei stessa possa ricordare qualcosa.
Si guardò allo specchio sistemandosi la giacca nera sulla camicia che aveva indosso e optando per una sciarpa in seta grigio perla al posto della cravatta.
Guardò distrattamente il cellulare.
Nessun nuovo messaggio da Minako, la dea dell’amore…
A quel soprannome la sua mente tornò indietro agli anni del liceo.
 
“Haru sei veramente diffidente! Ti dico che è grazie a me che quei due ora stanno insieme!” sbottò divertita la biondina con dipinta in viso una smorfia di soddisfazione.
“Oh, andiamo! Già si piacevano era palese che sarebbe successo!”
“Guasta feste! Ma gli hai visti? Nemmeno si rivolgevano la parola! Sono due persone troppo timide ed insicure! E’ grazie a me che ora sono venuti a sapere l’una i sentimenti dell’altro! Sono un genio!”
“Altro che genio, sei una ficcanaso!”
“Akira, dille qualcosa!” la ragazza cercò l’aiuto del proprio fidanzato, intento a leggere una rivista di cucina.
“Qualcosa…”
“Simpatico! Te lo butto via quello se non mi presti attenzione!” lo minacciò Minako, portandosi le mani ai fianchi.
“Va bene, va bene!” borbottò lui, “però se i miei muffin ai mirtilli non verranno bene…sarà colpa tua…mia cara dea dell’amore!”
 
Ecco com’era nato quel nomignolo.
Haruka si portò una mano alla fronte, possibile fosse così facile dimenticare le cose?
Un leggero sbuffo le lasciò le labbra e due tocchi leggeri alla porta la strapparono da ogni ricordo o riflessione.
“Avanti…”
“Sono Michiru, posso entrare?”
“Certo. E’ aperto!”
Dal corridoio fece capolino la testa di capelli acqua marina raccolti in un elegante chignon e poi la figura snella ed elegante della ragazza, fasciata in un tubino nero e un copri spalle dello stesso grigio che aveva scelto Haruka per la propria sciarpa.
La bionda a quella visione rimase senza fiato.
Il suo cervello sembrava aver perso improvvisamente la facoltà di tradurre le parole che l’altra stava pronunciando.
“Uhm, volevo controllare che…” Michiru abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe col tacco, per la prima volta sembrava imbarazzata. “Avessimo gli stessi colori…sai, essendo una coppia, credo che sia meglio se abbiamo qualcosa in coordinato!”
Sta zitta e baciami. Ecco cos’avrebbe voluto dirle Haruka.
“Mi stai ascoltando?”
“Eh?!”
“Qualcosa non va?”
“No…” deglutì, “tutto ok!” disse in un soffio, cercando di scacciare dalla testa la scena di lei che chiudeva la porta per poi buttare Michiru sul letto.
“Perciò…te la senti d’interpretare il ruolo di uomo?”
Haruka rise nervosa. “Stai scherzando? E’ perfetto per me!”
“Bene, allora…” Michiru sembrò esitare un momento, “vado a controllare che Usagi, sia pronta e poi possiamo andare!” sorrise, lasciando che il suo sguardo limpido e azzurro scivolasse sull’altra.
“Stai davvero bene…” disse un po’ goffa Haruka prima che quella potesse abbandonare la stanza.
“Non mi dire, centodiciassette sa fare anche la galante oltre alla sbruffona!”
Fantastico, che figura da idiota che ho fatto. Dovevo stare zitta! Ma che testa che ho…
Stava per tirare fuori una delle sue battute provocatorie accompagnate dalla sua smorfia sicura di sé, per controbattere quando l’altra aggiunse qualcosa.
“Grazie e comunque…sei molto bella anche tu, così”.
La chiusura della porta segnò la sua uscita.
Ha detto che sono bella…a quel pensiero le sue guance pizzicarono colorandosi appena.
Haruka si diede prontamente uno schiaffo, “non fare la ragazzina Ten-ō!” disse indicando la sua immagine allo specchio con fare minaccioso.
 
 

***

 
 
Los Angeles, Westwood.
Tenuta di Dimitry Ivanov.
 
L’auto sulla quale si trovavano Haruka, Michiru ed Usagi era guidata da Seiya che seguiva diligentemente il pick up di Akira.
La bionda avrebbe voluto avere due tappi nelle orecchie per evitarsi la parlantina di Usagi come continuo sottofondo, ma poté solo rimediare schivando le occhiate torve del maggiordomo che le lanciava dallo specchietto, ammirando il paesaggio al di fuori della vettura.
Avevano passato da poco la prestigiosa Università della California stanziata in quel quartiere ricco e meno verdeggiante di Beverly Hills, casa di alcuni storici del cinema, che ospitava il vintage Movie Theatre e la lussuosissima villa del creatore di Playboy, Hugh Hefner. Ma quando la macchina frenò, Haruka dovette constatare che la casa delle conigliette più famose d’America, poteva benissimo essere il bagno, se non lo scantinato della dimora di Dimitry Ivanov.
Al cancello una guardia armata fece segno ad Akira e a Seiya di accostare.
La bionda tirò giù il finestrino per udire l’uomo armato che faceva scendere l’amico dal suo mezzo.
“Ehy, ehy punta quell’ AK – 47 gold, che il sottoscritto ti ha procurato lontano da me per cortesia!” esclamò Akira con le mani alzate in segno di resa.
“Questo modo di accogliere gli ospiti non mi è mai piaciuto…” proseguì mentre quello gli poneva in americano misto a russo una domanda.
“Sono Akira Aoki, questo è il mio invito!” disse mostrando il pezzo di carta all’uomo piazzato che lo controllò a dovere.
“Quelli…” indicò poi il moro, “sono con me, amici miei. A Dimitry piaceranno! Hanno l’invito anche loro! Sono in lista!”
Seiya sventolò con nonchalance il cartoncino fuori dal vetro oscurato.
“Dòbrii vecier! Buona permanenza!” disse la guardia aprendo il cancello automatico e facendo segno ad Akira dove posizionare la macchina.
“Il mio M-16 è molto più bello di quell’affare pacchiano…” commentò Michiru tra sé e sé trovando approvazione in un sorriso, accompagnato da un gesto del capo di Seiya.
“Peccato, non averlo potuto portare!” Le diede manforte Seiya.
“Già. Troppo ingombrante. Se qui si mette male, bisogna combattere a mani nude!”
Usagi si avvicinò all’orecchio di Haruka che seguiva dal sedile posteriore, con un sopracciglio alzato la conversazione dei due.
“Michi, è molto brava sai? E’ un asso con il Kung-fu…e anche con il Kali filippino!”
“Miss Chiacchera, cos’è il Kali filippino? Lo hai coniato tu?”
“Non me lo sono inventata!” Usagi la guardò leggermente offesa, arricciando appena le labbra.
Sospirò con gli occhi al cielo con un’espressione che aveva tutta l’aria di un “beata ignoranza” e cercò di sfoggiare al meglio le proprie conoscenze teoriche.
“E’ anche detto Escrima. Veniva imparato dalle tribù indigene per difendersi. Può sembrare semplice da imparare, ma non è così…” la ragazza sospirò appena, cercando nella propria mente tutte le conoscenze che aveva a riguardo.
“E’ ritenuta la miglior arte per usare i coltelli e difendersi da essi, è un combattimento con armi da taglio per questo…” Usagi si portò una mano davanti alle labbra sussurrando ancora più piano, come a confidarle un segreto. “Porta sempre un coltello con sé, quando non può girare con un altro tipo di arma. Anche sta sera…di sicuro ce l’ha!”
E’ dove diavolo l’ha infilato un affare tagliente in quel micro vestito?
Haruka interruppe sul nascere quel dilemma, prima che la portasse ad immaginare Michiru con ancora meno stoffa addosso.
“Come mai sai tutte queste cose?” decise di domandarle Haruka, mentre l’auto si fermava e il motore si spegneva.
“Perché mentre si allena Michiru, mi chiede spesso di leggerle la storia delle varie discipline. Ama sapere ciò che fa…così, dato che a me non è permesso usare nessun tipo di arma se non la mia parlantina, io cerco di imparare più che posso. A volte il tutto mi serve anche per tirare fuori argomenti di conversazione, con le persone più strambe che incontriamo nelle varie missioni…”
“Ma dai…allora la gang del bosco, fa le cose proprio fatte bene!” alluse Haruka alla squadra di Michiru, prendendola in giro.
Seiya, aprì le portiere dell’auto facendo scendere le ragazze e riservando ad Haruka una punta di fastidio nella frase “prego”, mentre si accingeva a scendere.
La bionda per tutta risposta raggiunse Michiru, prendendola sotto braccio e urlando al ragazzo un “Vedi di non farmi vergognare sta sera. Sei un domestico, non un ospite!”, come a sottolineare la sua supremazia in quella recita.
Akira cercò di soffocare la risata che la scena aveva scatenato in lui, facendo strada al gruppetto nel viale addobbato per l’evento da collane di luce blu sugli alberi e un’enorme fontana di luce all’ingresso della villa.
“I vostri nomi prego” disse con aria disinteressata un uomo mastodontico vestito in un completo nero.
Akira prese la parola, avendo abbastanza confidenza in quell’ambiente.
“Akira Aoki. E i miei amici…Milena Kaiō, sua cugina Bunny e il compagno di Lady Kaiō, Haruki Ten- ō con tanto di servitù al seguito!” concluse indicando Seiya che trattenne la propria irritazione.
“Molto bene, ci siete tutti in lista, prego…”
Il gruppo entrò trovandosi un salone vuoto, dalle tonalità oro e panna con un’ imponente scalinata in marmo e un lampadario in cristallo che rifletteva su ogni goccia i frammenti di luce.
“Saliamo…” disse deciso Akira.
Haruka si allargò appena il colletto della camicia, un po’ per il caldo, un po’ per la tensione. Per lei essere disarmata era fonte di disagio. Se la cavava con la lotta corpo a corpo, ma la sicurezza di impugnare un’arma dotata di proiettili era qualcosa a cui faceva a meno di rinunciare.
Bizzarro come il mio nome, con solo l’unico cambio di lettera finale diventi maschile.Si concentrò su un pensiero futile come quello per placare il suo animo.
Quando un giovane dagli occhi blu cerulei, così chiari da sembrare trasparenti sotto i riflessi della luce chiara e i capelli platino si avvicinò loro.
“Oh, Akira! Mi vuoi sorprendere con delle bellissime donne!” disse abbracciandolo e riferendosi a Usagi e Michiru.
L’accento russo nella voce lo catalogò senza ombra di dubbio come Dimitry negli appunti mentali dei presenti.
“Sono Dimitry, Dimitry Ivanov!” baciò cortesemente la mano di Michiru che gli riservò uno sguardo compiaciuto.
“Piacere mio, sono Milena…”
“Oh ma che splendido nome! Non è giapponese però!”
“no, infatti…mia madre era italiana e ha voluto farmi dono di un pezzetto della sua cultura!” disse con tono tranquillo, recitando alla perfezione il tutto come se fosse una storia vera.
“Vi ha fatto dono anche di molta bellezza!”
“Siete troppo gentile…e la vostra dimora è un incanto! Lasciate che vi presenti il mio fidanzato, presto marito…” disse civettuola, appoggiando una mano alla schiena di Haruka per spingerla leggermente verso di lui.
“Haruki Ten- ō”, sospirò stringendogli la mano. “Le donne…” continuò con fare leggermente sofferente, “devono sempre sottolineare che sono prossime alle nozze!”
Il ragazzo sembrò divertito da quelle parole e accennò un largo sorriso.
“E questo delizioso fiore biondo?”
“Sono la cugina e ho bisogno di un drink!”
“Il bar è laggiù mia cara, vodka russa! La migliore! Ne approfitti!”
“Ah, così mi tenta!” disse Usagi, piegando leggermente la testa e facendo una mezza piroetta nel suo vestito rosso, scollato sulla schiena.
“Con permesso…”
Ma dove va?
Michiru vide Haruka irrigidirsi e come se potesse leggerle nel pensiero le disse “non preoccuparti. E’ tutto a posto, non farà danni…se non beve troppo”.
Dunque Usagi agiva in disparte? Avrebbe cercato informazioni da altri che non erano i bersagli principali.
Ottima pensata. La gente di cui si contorna Ivanov, potrebbe scucirsi più facilmente di lui!
“Se volete darmi i vostri soprabiti…” intervenne Seiya rivolgendosi ad Haruka e Michiru.
“Oh grazie, assicurati che non vada perso nulla!” pigolò Michiru.
“Ma certò Kaiō Sama, sarà mia cura portare tutto nel guardaroba…signore…” tese una mano ad Haruka che gli lasciò il proprio cappotto con uno sguardo sprezzante.
“Se non vi dispiace…io raggiungerei mia cugina, vedo che è già molto in confidenza con alcuni ospiti!” esclamò Michiru, vedendo Usagi dispensare sguardi languidi e risatine qua e là.
“Ma certo! Noi ci intratterremo con discorsi da uomini!” rispose prontamente Dimitry.
Un cameriere passò con dei calici colmi di vino rosso e champagne sui propri vassoi.
“Gradite?” domandò cortesemente.
“Perché no…” Akira prese un bicchiere per poi passarne un altro all’amica.
“Allora... di cosa vi occupate?” domandò il russo ad Haruka intenta a sorseggiare le bollicine.
“Possiedo un’industria…”
“Interessante…”
La bionda dovette inventare sul momento, “un’industria automobilistica!” precisò, ricorrendo alla propria passione per le auto.
“Ma sa…ho un hobby ancora più interessante…”
“Ha a che fare con la sua futura sposa suppongo!” disse malizioso il giovane, mostrandole un sorriso sghembo.
Haruka tentò di non affogarsi con lo champagne.
“Oltre agli intrattenimenti che mi offre la mia signora, ho un debole per le armi da collezione.” Fu diretta. Andò dritta al punto.
Valutò il rischio di quella mossa, ma voleva farla finita il prima possibile.
“Il mio secondo amore, dopo la mia Milena, ovviamente!” aggiunse lanciando un’occhiata alla ragazza, ammirandola nel suo abito.
“Eh caro Dimitry, questo mascalzone mi ha conosciuto proprio per questo motivo!” s’intromise Akira dando una vigorosa pacca sulla spalla di Haruka.
“Allora abbiamo qualcosa in comune anche noi!” disse entusiasta il russo, “non amo però le armi da taglio. Preferisco quelle da fuoco”.
Male. Pensò Haruka. Perché se ama quelle da fuoco ha rubato delle spade a Simon Davis? Peccato che non potesse porgli quella domanda.
“Adoro le armi da fuoco sa…ma ho una particolare attrazione anche verso le Katane e le Scimitarre!” Fece riferimento ad una delle cose che poteva aver sottratto all’americano, sperando che abboccasse, anche se si stava addentrando in un territorio davvero pericoloso con tutte quelle allusioni.
Akira, vide tra la folla di gente ben vestita alcune guardie del corpo in giacca elegante nera dotate di auricolare che controllavano la stanza.
Sicuramente oltre agli auricolari nascondevano anche delle lucenti revolver.
Dimitry, fece segno ad uno dei body guard di avvicinarsi.
Sia Akira che Haruka lo notarono, ma cercarono di mantenere i propri sudori freddi sotto controllo.
Che abbia capito qualcosa?
“Haruki…” il russo pronunciò quel nome guardando la bionda con uno sguardo, che sebbene fosse così chiaro nascondeva un che di luciferino.
“Che ne dice, di venire con me…nella sala fumatori per un sigaro?”
“Uhm, la ringrazio…non fumo”.
“Insisto”, il tono apparì come un ordine al quale sottostare.
Haruka sentì il battito farsi prepotente nel suo petto.
Lanciò uno sguardo ad Akira, che non seppe come intervenire ma a spezzare il silenzio ci pensò lo stesso Dimitry.
“Così mentre io, fumo…potremmo scambiare quattro chiacchere sulle armi che più ci piacciono…”  quell’invito aveva assunto una tonalità poco rassicurante.
L’idea di essere rinchiusa in una stanza, con un mafioso, disarmata e con il suo bodyguard che sicuramente di armi addosso ne aveva, non le andava molto a genio.
La bionda accettò, sforzandosi di mostrare un sorriso di cortesia.
“Akira…” disse con voce appena più rauca, “potresti dire a Milena che mi assento con il signor Ivanov? Non vorrei che si agitasse…senza trovarmi qui!”
Il moro annuì con un cenno del capo.
“Sa…non può stare senza di me!” disse poi a Dimitry come per trovare una scusante a quella sorta di avvertimento che aveva incaricato all’amico di fare.
“Ne sono convinto…Ah, Ionna, cara! Vieni a fare un gioco!” esclamò da un momento all’altro il russo, richiamando l’attenzione di una giovane dagli occhi di ghiaccio truccati pesantemente di nero e i lunghi capelli del medesimo colore.
Un gioco? Che cos’ha in mente?
Ionna gli sorrise, mettendo in mostra con un gesto della mano i vistosi gioielli che indossava.
“Noi andare a divertirci?” domandò a Dimitry, che le cingeva la vita con una mano.
“Si, piccola…andiamo a fare uno dei tuoi giochi preferiti…”
La donna ridacchiò, “Anche a te piacere il brifido?” domandò ad Haruka, una volta entrata in una stanza con alcuni pregiati arazzi che ricoprivano parte delle pareti.
“Come dici? Il brivido?”
“dà!”
Anche nella sua immensa ignoranza per il russo la bionda interpretò quel verso gutturale come un’affermazione.
“Direi di si. Il brivido della corsa soprattutto…”
L’altra chiuse la porta alle sue spalle e si avviò verso un mobile contenente alcuni liquori, prese un bicchiere e ci versò un liquido ambrato porgendolo poi ad Haruka.
“Tu, bere questo, così tuo coraggio aumenta!”
L’altra ringraziò domandandosi per quale motivo avesse bisogno di coraggio liquido.
Il bodyguard, muto, rimase sull’attenti aspettando istruzioni dal proprio capo, che si sedette su una poltrona pitonata accendendosi un sigaro, facendo poi accomodare Ionna sulle proprie ginocchia.
Haruka si passò una mano tra i capelli, cercando di non lasciare trasparire il suo disagio.
“Dunque…” cominciò Dimitry sputando una boccata di fumo nell’aria, “so che sei un nuovo arrivato e mi stai piuttosto simpatico. Forse è anche merito di Akira, ah…quel ragazzo mi fa morire dal ridere e mi piace…ma” inspirò dal sigaro, trattenendo per un momento il respiro. “Io…” Ionna, si premurò di accarezzargli i capelli chiarissimi un po’ annoiata da quel discorso che stava togliendo tempo al suo gioco preferito.
“Devo potermi fidare delle persone…”
Haruka non protestò. Era più che ragionevole, che un uomo del calibro di Dimitry richiedesse una prova di fiducia da parte di un estraneo.
“Cosa devo fare?” domandò senza mezze misure Haruka, decidendosi a bere una boccata del liquore offertole dall’altra donna.
“Mi piace il tuo modo di fare…” ne convenne il russo, “Ionna piantala per favore!” disse a quella che forse era un’amante appiccicosa, facendole ritrarre la mano ingioiellata dal suo capo.
Ionna sbuffò contrariata ma riprese la sua espressione felice non appena sentì le labbra del ragazzo appoggiarsi all’incavo del suo collo.
“Voglio che giochi con noi!” sentenziò, con un sorriso che faceva trapelare tutto tranne che un gioco innocente.
“Dan, muoviti!” la guardia si affrettò ad estrarre da un cassetto uno scrigno dorato, raffinatamente intarsiato da alcune gemme.
“Scegline una Haruki…” disse Dimitry mentre Dan, le porgeva la scatola aprendola.
Tre pistole! Non vorrà mica…
La risposta arrivò dall’altro che forse notò il suo sguardo cobalto sgranarsi appena alla vista delle armi.
“Roulette Russa!”
A quelle due parole Ionna s’illuminò battendo piano le mani, quasi estatica.
Gioca pesante, la signorina! Constatò mentalmente. Sotto a quel trucco scuro si nascondeva un viso apparentemente dolce, ma a quanto pareva estremamente letale.
Haruka scelse la semplice Makarov, modello russo semiautomatico da dodici colpi.
Deglutì appena, porgendola a Dan che si accinse a caricare l’arma, quando in quel momento due colpi alla porta anticiparono l’entrata di qualcuno.
Haruka aveva riconosciuto quel tocco deciso e delicato; e vedendo entrare Michiru nella stanza sorrise leggermente.
“Scusate il disturbo…” disse la ragazza entrando senza chiedere il permesso.
“Mi…Milena, cosa fai qui?”
“Non ti trovavo più amore, avevo voglia di stare con te! Mi lasci sempre sola in queste occasioni!” disse avvicinandosi e dandole un bacio leggero sulla guancia.
“Torno presto di là da te, non preoccuparti devo finire una cosa qui…”
Ionna sussurrò qualcosa all’orecchio di Dimitry che annuì con il capo piuttosto interessato.
“Perché non ti unisci a noi?” domandò prontamente con sommo entusiasmo da parte della sua compagna, che si alzò in piedi a preparare un liquore anche per Michiru in caso si fosse unita a quel gioco perverso.
“Non…credo sia il caso…” tentò Haruka prima di venire bloccata dall’altra che domandò interessata, “di cosa si tratta?”
“Roulette Russa!” ribadì cinguettando Ionna e mostrandole i denti bianchi in un enorme sorriso contornato da un acceso rossetto rosso.
“Ci sto”. Disse senza pensarci due volte, senza il minimo tremore nella voce.
“Se gioca il mio uomo, lo faccio anche io. Le cose si fanno insieme giusto?!” cercò approvazione negli occhi di Haruka in cui riuscì a scorgere un lampo di disperata sorpresa.
“Ti va bene l’arma scelta dalla tua dolce metà?” le domandò Dimitry entusiasta.
“Mi fido ciecamente…” gli rispose Michiru mandando giù l’intero bicchiere offertogli da Ionna per poi sfiorare la mano di Haruka, che si domandò cos’avesse in mente.
Cosa stava facendo? Era solidarietà? Aveva un piano? Perché rischiare la propria vita per lei? Si fidava davvero o era solamente fiduciosa nel fato?
Haruka rinuciò ad avere delle risposte. Accettò la scelta dell’altra confidando in lei e nella fortuna, anche se era consapevole, di star ballando col diavolo.
“Se si gioca, si gioca sul serio”. Si lasciò sfuggire in un soffio.
“Ne sono consapevole!” la voce di Michiru era al contempo sicura e melodiosa.
Può un angelo avere tanto coraggio?
“Sapete come si gioca no? In questo caso il tamburo può contenere dodici cartucce. Dan l’ha caricato con due proiettili. Sarà più interessante così!”
Ionna approvò quella decisione “Zi, così macari muore coppia! Oppure rimane solo uno dei due in fita! Ma comunque cioco durare di più!”
“Grazie per la delucidazione cara…” la zittì Dimitry dandole una pacca sul sedere e scatenando in lei una risata.
“Come il sottotenente Vulič, nel racconto di Lermontov…giochiamo per la fiducia nell’immutabilità del destino!” disse quelle parole in tono solenne, avvicinandosi al tavolo circolare attorno al quale si posizionarono le due coppie e Dan.
Haruka prese un respiro profondo. Calmati. Nella sua testa fu la voce di Michiru a sussurrarglielo che prese posto accanto a lei.
Dimitry si puntò la canna alla tempia, “cominciamo…” premette il grilletto ma non si udì nessuno sparo.
Il gioco continuò in senso orario e l’arma venne impugnata da Ionna, che pronunciando qualcosa in russo con tono allegro fece per spararsi, ma anche questa volta il proiettile non toccò a lei.
Dan, un po’ meno convinto degli altri, forse perché obbligato a quel macabro gioco sbuffò appena. I suoi occhi si fecero liquidi, sembrò osservare qualcosa di lontano oltre la parete reale. Haruka si aspettava lo scoppiare dello sparo ma anche per Dan prevalse il silenzio carico di tensione.
“Tocca a te…” disse Michiru guardandola senza smettere di sorridere.
Possibile fosse così coraggiosa? Dove la trovava quella forza?
Le mani sudate della bionda impugnarono la pistola scelta da lei. I due colpi erano ancora entrambi in canna. Sarebbe toccato a lei il primo?
Deglutì, ascoltando il proprio battito scalciarle prepotente nel petto.
Disse una preghiera per se stessa. Breve, silenziosa.
Premette il grilletto, strizzando le palpebre ma il click della camera vuota la rassicurò, decidendo di tenerla in vita per il momento.
“Congratulazioni!” le disse con voce vellutata Michiru.
“Non fare del sarcasmo!” la frase le uscì strozzata, quasi come una supplica.
La ragazza sentì il metallo freddo a contatto con la propria pelle. Quella era di gran lunga la missione più esaltante della propria vita.
Si stupì a quel pensiero, non era da lei cedere ad un’euforia così macabra eppure si sentì quasi eccitata.
Un brivido le percorse la schiena.
Avrebbe visto un’altra alba?
Il terrore sopraggiunse, uccidendo quella sorta di adrenalina che per qualche oscuro motivo aveva per un momento preso il sopravvento su di lei.
Haruka ha passato il primo round. Pensò. Magari quella pallottola è qui. Pronta per me.
Socchiuse gli occhi, mentre nella stanza l’odore di paura si faceva intenso.
Se davvero qualcuno le aveva tolto i suoi ricordi e lei non poteva recuperarli, pensò che era meglio farla finita subito con quel gioco maledetto.
Premette il grilletto, pronta per udire come ultimo rumore della sua vita il boato di uno sparo e tra i denti sibilò “Sono pronta a ballare col diavolo”.
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Che cosa ardua da scrivere!! Waa!! Tredici pagine alla fine non ho centrato il punto che volevo. Ma va bene così! Ormai la capacità di sintesi è andata a farsi benedire!! Non pensavo che questo “ballo” potesse prendere una piega del genere e di doverlo “spezzare” in due capitoli!
Anche quella psicopatica di Ionna, non era prevista! E’ nata dal nulla! Ma ormai ce la teniamo!
Non era previsto nemmeno il flashback di Usagi ne il battibecco tra Rei e Ami però alla ci sono finiti qui pure quelli! Insomma un fritto misto sto capitolo!
Per lo meno ora si capisce che la ristrutturazione del locale di Mamoru è avvenuta a causa dell’incendio! XD Io e i miei dettagli insignificanti!!!
Che altro dire… ah si, le due parole in Russo che dice il bodyguard a inizio serata sono un “buona serata” appunto. Simpatico… -.-“
Per il titolo mi sono ispirata alla canzone “Dance with the devil” che ho postato sulla pagina fb, inizialmente il diavolo in questione doveva essere un altro e non Dimitry.
Per la parte della roulette russa ho ripreso qualche verso della canzone di Rhianna “Russian Rulette”, rimaneggiata e messa qua e la.
In definitiva…spero che vi sia piaciuto e che non mi abbandoniate!
 
p.s. Devo scappare, perdonatemi gli errori non ho riletto. Lo so, sono una sciagurata!

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Capitolo 7
*** Dance With The Devil - Part II ***



Capitolo 6.
 
Dance with the devil – Part II

 
 

Nessun rumore se non quello dei pesanti respiri che stava compiendo Haruka per non andare in iperventilazione dalla tensione, si levò nella stanza.
Ancora una volta nessun proiettile aveva mietuto la sua vittima.
La bionda si asciugò con il dorso della mano il sudore che le aveva perlato la fronte.
Aveva dovuto combattere con tutte le forze per non strappare l’arma dalla presa di Michiru;  e ora le dita che aveva tenuto serrate in due pugni, quasi le dolevano per quanto le aveva strette.
“A quanto pare, non era ancora il nostro momento…” le disse la ragazza con una vaga espressione di sollievo sul viso.
Aveva avuto paura anche lei. Haruka ne era certa, poteva leggerglielo in quei due pozzi cristallini che tremanti cercavano di tranquillizzarla.
Michiru non aveva nessun piano dunque! Ha accettato questa sfida e basta, rischiando di mandare tutto all’aria compresa la sua vita. Irresponsabile.
Ma nonostante quel pensiero provò gratitudine verso l’altra e non poté far a meno di sorridere leggermente.
“Bene, bene…” Dimitry aveva spezzato la tensione con la sua voce calda. “Sembra che siate una coppia proprio fortunata…tuttavia abbiamo a disposizione ancora sette colpi”.
“Un uomo come te sta temporeggiando? Andiamo avanti con questo gioco!” gli rispose Haruka impaziente di farla finita e ritrovando tutto il coraggio di cui disponeva.
La tensione la stava mangiando interiormente, era un tarlo pronto a divorarle ogni briciolo di fermezza e sangue freddo. Aveva partecipato alle missioni più disparate e pericolose eppure, in quel momento, forse per la presenza di Michiru al suo fianco in quello che si stava rivelando un possibile suicidio; e la consapevolezza di aver perso qualcosa d’importante da ritrovare ad ogni costo, lei era vittima della paura. Vacillava.
La bionda respirò a fondo trattenendosi dal tremare.
Il russo si puntò la pistola alla tempia pronto a sparare una seconda volta.
Non devi morire, bastardo. Ci servi.
Per quanto disinteressata ed egoista fosse, quella era una preghiera.  Supplica che il destino sembrò ascoltare accontentandola.
“Vediamo se ora fare bum!”, a pronunciare la frase fu Ionna che con il suo entusiasmo macabro ancora negli occhi arrivò alla fine del suo gioco preferito.
Il suo sorriso rosso cremisi si distorse appena sotto il colpo del tanto temuto sparo che echeggiò nella stanza.
La giovane si aggrappò per un momento al mobile, mentre le sue unghie curate e tinte di una colorazione scarlatta scivolarono impotenti sulla superfice così come tutte le sue forze, sfuggirono al suo corpo abbandonandola.
Si udì un flebile e confuso “Da svidanija” nel rantolo che emise prima di crollare al suolo senza vita, facendo ripiombare la stanza nel silenzio più assoluto.
Dan si scostò appena, guardando il corpo esanime ai suoi piedi ma nessuna emozione lo tradì. Ma nonostante il suo volto rimase impassibile e i suoi tratti duri Michiru non poté far a meno di pensare che quella morte avesse turbato più lui di Dimitry, nonostante sembrasse proprio quest’ultimo, quello dei due più vicino a Ionna.
Se fosse successo a me…Haruka avrebbe fatto qualcosa? Mi avrebbe dato un ultimo sguardo?
Si sentì stupida a pensare ad una cosa del genere, eppure in quel momento, aveva un estremo bisogno di capire se a qualcuno fosse importato della sua fine o se tutti fossero rimasti impassibili davanti al suo cadavere.
 
“Haruki!”
“Si?!”
La voce del mafioso che richiamava l’attenzione di Haruka strappò Michiru alle sue domande.
“Cosa vuole fare? Se la sente di andare avanti?”
“Ho forse detto di volermi tirare indietro?”
“Era quello che volevo sentire…” Dimitry sorrise serafico. Soddisfatto.
“Dan, chiama qualcuno a ripulire questo macello!” aspettò che l’uomo uscisse dalla stanza per poi continuare a parlare, sostenendo lo sguardo dell’altra. “Non ha mollato…mi piace questo. Credo di potermi fidare di lei…”
“Sono sollevato dalle sue parole!” esordì Haruka, posando una mano sulla schiena di Michiru accanto a lei che sembrava essere improvvisamente impallidita. “Non ho nulla da nasconderle!”
“Questo solleva me…ed ora, se volete scusarmi ho una questione da risolvere!”
A quelle parole lo sguardo ceruleo del russo scivolò su Ionna. “Godetevi la festa!”
 
 

***

 
 
Usagi era diventata l’intrattenimento di diversi ospiti, era appoggiata al banco del bar accerchiata da tre uomini che sembravano gradire la sua rumorosa compagnia.
Akira l’aveva lasciata fare, guardandola piuttosto divertito. Non aveva alcun diritto di interferire nel suo lavoro, perché in fin dei conti è quello che stava facendo. Lavorare.
La bionda ridacchiò passando una mano sulla giacca gessata del giovane dai capelli castani, che indossava un paio di occhialini, che sembravano scivolargli sul naso ad ogni minimo contatto con la ragazza.
“Che ne dici? Ci stai per un altro bicchierino di vodka?”, lui annuì un po’ impacciato e timido, facendo un gesto distratto al barman.
Nonostante quel suo atteggiamento remissivo sembrava essere il preferito di Usagi, probabilmente perché si era fatto sfuggire qualche balbettio che aveva catturato completamente l’attenzione della giovane.
Una volta arrivato il nuovo bicchiere alcolico, colmo di ghiaccio, Usagi non si risparmiò di gridare un sonoro “Kampai!”
I tre risero, guardandola mandare giù tutto d’un fiato il liquido.
“Beh?! Non brindate con me?! E’ una festa! Bisogna divertirsi!”
“Si dice Kampai da voi?” domandò incuriosito l’uomo un po’ più adulto dei tre, sbottonandosi un bottone della camicia.
La ragazza annuì, assumendo una colorazione un po’ più accesa in viso.
“Qui, si dice Cheers!” spiegò poi l’americano.
“Non sono sicura di riuscire a pronunciarlo come si deve!”
“Sarai bravissima, vuoi provare con un altro bicchierino?” la invitò timidamente l’altro sistemandosi con un dito gli occhialini.
Usagi distribuì tra raggianti sorrisi, scostando la lunga chioma dietro le sue spalle per mettere meglio in mostra la sua scollatura. “Può darsi…ma prima…ditemi cos’altro possiede questo Dimitry!”
 
 

***

 
 
“Com’è andata?” domandò Akira dando una pacca alla spalla di Haruka che si era allentata la cravatta.
“Siamo vive…” Sospirò appena per poi dargli un pizzicotto al fianco. “Ma non ti avevo detto di farmi raggiungere da Michiru!” lo riprese a bassa voce e lanciando un’occhiata nei dintorni. Tutti si stavano divertendo e nessuno sembrava intenzionato a prestare particolare interesse alla loro conversazione.
“Rilassati. Io l’ho solo avvertita come tu mi hai chiesto! Ma sai com’è…le donne quando si mettono in testa di fare una cosa non le fermi! E lasciatelo dire, Michiru, per quanto più fine e posata di te, ha un bel caratterino!”
“Sei davvero un gentiluomo. Mi fai sempre passare per una sorta di camionista!”
Akira rise di gusto, cercando di non controbattere con qualcosa che mettesse a dura prova la scarsa pazienza dell’amica.
“Abbiamo dovuto giocare alla roulette russa…” le rivelò improvvisamente. Come se stesse pensando a voce alta e non riuscisse a bloccare solo alla sfera del cervello quella notizia.
“Wow, bella fortuna!”
“Eh, si! Bella davvero!” Il tono della bionda si era fatto sarcastico, “che hai fatto tu, tutto questo tempo?”
“Niente, mi sono goduto lo spettacolo di Usagi!” disse indicando la ragazza con il suo calice di vino rosso in mano.
“Molto utile…”
“Non eri tu, quella che non voleva mi mettessi in mezzo?” Le rinfacciò l’amico senza però alcun accenno di fastidio nella voce.
“Touché”.
Haruka si appoggiò alla colonna alle sue spalle, constando che lei al  momento si era solo guadagnata la fiducia di quel pazzo esaltato di Dimitry, ma non aveva scoperto nulla di utile, così decise di confidare nelle doti di Usagi per qualche informazione in più.
“A proposito, dov’è finita la tua dolce metà?”
“A me lo chiedi? E poi non è…dolce…”
Il ragazzo la guardò con un sopracciglio alzato e l’aria di chi la sa lunga.
“Non…” Haruka avvampò imbarazzata. “Non…guardarmi in quel modo!”
“In quale modo, scusa?” Akira era maledettamente divertito ogni volta che riusciva a farla innervosire. In quei rari momenti, la maschera spavalda che l’amica ostentava si scioglieva completamente lasciando allo scoperto la vera Haruka. Quella che si emozionava, dolce e premurosa, che spesso aveva dovuto soffocare per sopravvivere al mondo in cui era abituata a vivere. Quella che riusciva a ripararsi malamente e goffamente sotto la sua punta di orgoglio che non l’abbandonava mai.
“Come se sapessi meglio di me le cose!” sputò tutta d’un fiato.
“Oh…ma io infatti le so molto meglio di te!” disse gongolando.
“Che vorresti dire?”
“Che tempo fa eri una gattina che faceva le fusa sotto le sue carezze! Non ti saresti mai azzardata a dire che Mi…” indugiò un momento, “Milena…non fosse dolce!”
Haruka sentì un’ondata di calore pervaderla dalla punta dei capelli fino a quella dei piedi.
“Beh, ora non lo è!” cercò di giustificarsi incrociando le braccia al petto indispettita.
“Se…se…”
“E non è la mia metà!” si apprestò a sottolineare.
“Anche qui sbagli…”
Come risposta Akira ebbe solo un borbottio e lo sguardo omicida che i due occhi cobalto gli concessero, prima di abbandonare la sua figura e scivolare su quella di Michiru che aveva fatto nuovamente la sua comparsa nel salone da ballo.
 

***

 
 
“Non arriverà!” Michiru ringhiò la frase a denti stretti mentre l’indiano si premurava che il nodo attorno ai polsi della donna fosse stretto abbastanza da non sciogliersi facilmente.
Il tempo limite per tornare indietro era scaduto e le tenebre erano scese, ponendo fine al giorno ed inghiottendo ogni piccola luce presente al di fuori di quella struttura.
Spente come la speranza di Michiru di uscire indenne da quella situazione.
“Che persona sarebbe se non lo facesse?” domandò pacato l’altro, per poi alzarsi e appoggiarsi al tavolo in legno sul quale giacevano le armi della ragazza e cavi di ogni tipo e colore.
“Non si tratta di che tipo di persona è…” spiegò lei, irrigidendosi appena sulla sedia alla quale era stata accuratamente legata, per guardarlo meglio in volto.
 “Abbiamo delle regole, farà ciò che deve e non tornerà qui”.
“Anche uccidere è sbagliato!” proruppe l’uomo osservandola tagliente. “Ma io non mi risparmierò dal farlo per amore, così come quella persona non si risparmierà di infrangere qualche regola per portarti in salvo”.
La rabbia pervase Michiru che si dimenò, con l’unico risultato di stancarsi e farsi male da sola, pentendosi di aver ubbidito all’uomo.
Non importava il dolore che si stava procurando agli arti, perché il pensiero che potesse accadere qualcosa ad Haruka era peggiore.
Non importava a quale punizione fosse stata sottoposta, l’avrebbe accettata, purché servisse a salvarla.
“Non sta facendo nulla per amore, lo sta facendo per vendetta!”
L’espressione dell’altro mutò in una smorfia di disappunto, che ben presto assunse le tonalità della rabbia più profonda per averlo in qualche modo giudicato.
Si avventò verso di lei con la velocità di una gazza, ribaltando violentemente la per poi osservarla gemere, quando con un rumore sordo finì sul pavimento polveroso.
Si abbassò, soffiandole ad un orecchio “Se non verrà lei qui, la bomba che ho messo sotto al furgone dove ti stava aspettando esploderà comunque…anche se…il progetto originale è un altro!”
“IO TUA MOGLIE NON SO CHI SIA!” Lo urlò con tutta la forza che aveva in corpo, con la voce macchiata dalla disperazione. Quasi facendosi male, fermando il proprio respiro per qualche istante.
L’aria calda che impregnava l’edificio privo di condizionamento sembrò subire un leggero cambiamento. Divenne più respirabile.
Una porta sbatté violentemente su quel piano, responsabile della corrente che si era insinuata in quella cappa infernale.
Dei passi veloci riecheggiarono per il lungo corridoio spoglio, indicando l’avvicinarsi di qualcuno.
L’uomo raddrizzò nuovamente la sedia e con lei Michiru.
Fischiettò, sorridendo appena nel pregustarsi l’arrivo di chi sicuramente stava cercando l’assassina di sua moglie.
Rimasero in attesa. Immobili. Michiru cercando di cogliere l’identità del proprietario di quei passi e l’uomo speranzoso di fare la conoscenza di chi avrebbe ucciso.
 
“Va tutto bene signorina?” la voce calda di Seiya irruppe in quel ricordo, catapultandola nuovamente al presente.
Un valzer in mi minore riempì l’aria con la sua melodia.
“Non ha una bella cera…non sarebbe meglio-”
“No”. Michiru sorrise leggermente, lasciando che due fossette ai lati delle labbra solcassero il suo volto.
“Sto bene, non preoccuparti”.
“Sembra che lei abbia visto un fantasma!”
Potrebbe essere. Cos’era quello? Lo spettro di un ricordo?
Le iridi azzurre di Michiru che sotto la luce splendente dei lampadari di cristallo sembravano ancora più limpide, accarezzarono il profilo del ragazzo.
Si perse nei suoi capelli corvini e sulle mascelle ben delineate fino a che il suo viso sembrò quasi sdoppiarsi, sovrapponendosi a quello che ora la sua mente le stava facendo vedere.
 
“Seiya?!” Il suo nome scivolò fuori dalle labbra di Michiru vedendolo sulla soglia della stanza.
Una sensazione di sollievo sembrò farsi spazio in lei.
“Non è da te farti disarmare in questo modo!” esordì facendole l’occhiolino.
“Chi diavolo sei? Non è te che stavamo aspettando!”
Seiya incurante dell’uomo e delle sue parole entrò nella stanza, dirigendosi verso di lei.
Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Anche in quello stato riusciva ad essere una visione.
“Che ci fai qui?” la domanda apparteneva alla ragazza.
“Che domande che fai! Sono qui per salvarti, è ovvio no?! Il mio compito è proteggerti”.
 
“Ti va di ballare?” le domandò in un sorriso, allungando una mano verso di lei.
E’ dalla mia parte. Lui è sempre stato dalla mia parte…
A quella rivelazione l’aria sembrò arrivarle meglio ai polmoni.
“Volentieri!” accettò l’invito facendosi più vicino al moro stringendogli la mano, dopo un piccolo inchino da parte del ragazzo.
 
 
 
“Io vado a prendere una boccata d’aria”. Il tono di Haruka era piatto anche se dentro stava esplodendo e Akira se ne accorse.
Aveva notato le sue piccole narici dilatarsi appena, in uno sbuffo silenzioso; e il sopracciglio vibrarle impercettibilmente sotto ai ciuffi dorati che in parte lo ricoprivano.
Ogni qualvolta s’innervosiva la reazione era la medesima sin dai tempi del liceo.
Il ragazzo non obbiettò, ne provò a fermarla, perché ogni suo tentativo di trattenerla sarebbe risultato vano oltre che fonte di ulteriore malumore per l’altra, che tutto quello che chiedeva anche se non in modo esplicito, era di rimanere sola.
Il moro si limitò ad annuire con il capo guardandola andarsene verso il bancone con le mani in tasca.
 
Da quando nella sua visuale era subentrato anche Seiya, il suo umore era nettamente peggiorato. E come se non bastasse si era aggiunta la fastidiosa sensazione di perdere un battito all’avvicinarsi del suo corpo a quello di Michiru, di stringerla a sé facendo il galante. Come se lei non potesse fare lo stesso.
In qualche modo era quasi sicura che si trattasse di una competizione per lui, di farle vedere che non era all’altezza.
Ma poi all’altezza di cosa?Si domandò silenziosamente, mentre le note della musica e il chiacchericcio degli ospiti si faceva più lontano alle sue spalle.
Sbuffò sonoramente appoggiandosi alla ringhiera in pietra bianca del vasto balcone, adornato da anfore e rose rosse nei vasi esterni che davano sul giardino.
Si perse con lo sguardo oltre il vasto terreno verde che apparteneva ad Ivanov, in cerca di una distrazione, qualcosa che non la facesse pensare a Michiru e a Seiya avvinghiati l’uno all’altro.
Quel bastardo ha sorriso tutto soddisfatto mentre lei accettava di ballare con lui.
Ma il vero problema non era quello.
Non era il fatto di averla guardata con gli occhi da pesce lesso o averla invitata a ballare.
Bensì che Haruka fosse consapevole che tempo prima Michiru in qualche modo apparteneva a lei, ed ora Seiya aveva carta bianca e poteva fare ciò che più gli aggradava perché di fatto il passato era passato; e lei non poteva più vantare alcun diritto su quella ragazza dalla bellezza quasi sovrannaturale e dalla personalità simile ad un maremoto.
Una tempesta interna si stava scatenando in lei a tutti quei pensieri e per un momento non seppe più distinguere se il secondo demone di quella serata dopo Dimitry, fosse Seiya o la sua stessa gelosia.
 
“Oh andiamo, non è da te arrenderti così!” Una voce allegra, simile ad un tintinnio di campanellini risuonò nella tranquillità del terrazzo.
Haruka si girò di scatto nella direzione da cui provenne quella frase.
Un’ombra indefinita si mosse nel buio della parte più lontana della vetrata svelando solo qualche istante dopo, la figura di una ragazza dai capelli acconciati sulla testa grazie ad un fiocco.
“Sembra che ti ci voglia proprio un’esperta di cuori come me questa volta!” aggiunse divertita, portandosi alla bocca un pasticcino dalla glassa colorata.
“Mina, sei tu!”
“Ah, allora ti ricordi fulmine!
Un largo sorriso tirò gli angoli della bocca di Haruka donandole nuovamente un’aria meno corrucciata.
“Sei stata tu a mandarmi tutti quei-”
“Esattamente!” la interruppe l’altra, per poi abbandonare distrattamente il suo piattino pieno di briciole in un angolo della balaustra.
“Allora me lo dai un abbraccio?” domandò allargando le braccia verso di lei.
“Ma certo…”
“E TU COSA CI FAI AVVINGHIAT -” meglio usare il maschile? Lasciamo perdere! “alla mia ragazza?” la voce di Akira andò sfumando sull’ultima parte della frase, perdendo l’enfasi iniziale a causa della riflessione sulla grammatica che l’aveva colto di sorpresa.
“A lasciare incustodite le proprie signore, si rischia di venirne derubati sai?” lo prese in giro la bionda con ritrovato sarcasmo.
“Da quale pulpito…”
“Vuoi che ti faccia nero ora o preferisci che aspetti la fine della serata?”
Akira rispose con una linguaccia per poi andare a stringere fra le braccia la propria ragazza.
“Mi sei mancata…”  le disse senza preoccuparsi di apparire smielato o di far trasparire quella sua debolezza davanti ad altri.
“Anche tu! Hai fatto il bravo?”
“Ci puoi scommettere piccola!”
Minako rise piano posandogli un bacio sulle labbra che tanto aveva aspettato di riassaporare per poi staccarsene sospirando appena.
“Ho scoperto un po’ di cose…”
“Non credo però che questa sia la sede adatta per parlarne!”
“Scusa un momento ma tu come hai fatto ad entrare qui dentro?” s’intromise nuovamente Akira.
“Come faccio quando entro da qualche parte a rubare qualcosa no?!”
Il ragazzo rinunciò a priori a chiedere ulteriori delucidazioni. Minako avrebbe sempre risposto come se le cose fossero ovvie senza mai rivelare nulla nel dettaglio.
Era una causa persa in partenza provare ad indagare.
“Credo che voi abbiate un po’ di cose da dirvi…io posso aspettare fino a domani a sapere tutto quanto!” esclamò Haruka, desiderosa di lasciare un po’ di privacy ai suoi due amici che erano stati separati a lungo, in un certo senso per colpa sua.
“Solo…” Minako la trattenne tirandola leggermente per una manica, “solo una cosa mi preme dirtela adesso!”. Nel dire quella frase, Haruka scorse il celeste di quegli occhi rabbuiarsi e nascondere la loro caratteristica scintilla di vitalità.
“Ti ascolto…”
“Fai attenzione, perché tra di voi…c’è un traditore”
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Sera a tutti quanti!!! Mi scuso per il ritardo ma l’esame non mi ha lasciato il tempo di scrivere perciò ho fatto tutto il possibile per rimediare in un solo giorno e aggiornare!
Il capitolo è un po’ più corto, ma non volevo caricarlo troppo di avvenimenti, perché in un certo senso mi sembrano più che sufficienti. Inoltre…è stata una faticata. Mi sembra che il tutto sia un po’ slegato qui…mmh…speriamo bene!
Vi avviso che questa storia non verrà aggiornata prima del nuovo anno, in quanto il 29 partirò per Monaco e farò ritorno a casa il 3; e nei prossimi giorni avrò poco tempo per scrivere causa periodo Natalizio.
Detto questo…ringrazio chiunque mi stia seguendo in silenzio e chi ogni volta trova un po’ di tempo per commentare i miei sproloqui. [Sono felicissima delle persone che mi hanno rivelato che Love Trap sta diventando per loro una seconda Stockholm Syndrome *__* è davvero una cosa magnifica questa!]
In particolar modo vorrei poi dedicare il capitolo a Caso e a Skullrose. La prima perché mi ha dato un prezioso aiuto per il mio esame e ha avuto la pazienza di spiegarmi alcune cose che non avevo capito, la seconda per aver passato dalle 16 all’una di notte con me, nella speranza d’installare alcuni programmi che proprio non ne volevano sapere del mio pc e in generale per il mega supporto che mi sta dando.
Siete sempre tutti quanti fantastici, i migliori lettori che potessero capitarmi.
Buone feste a tutti quanti e…ci ritroviamo a Gennaio per il nuovo aggiornamento!!
Kat
 
 
p.s. per chi segue anche Star System: Per Star System cercherò invece di fare un aggiornamento prima di partire, siccome ne ho “soppresso” uno per poter pubblicare prima questo capitolo ;D
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Uragiri wa boku no namae wo shitteru ***


Avviso ai gentili lettori: Il capitolo che segue può risultare "palloso" e contiene dialoghi talvolta dementi. Lettori avvisati, mezzi salvati! ;D



Capitolo 7.

Uragiri wa boku no namae wo shitteru

 
 

“Tra di voi c’è un traditore”.
 Quella frase aveva risuonato per tutta la notte nella mente di Haruka con lo stesso tono di voce preoccupato di Minako, che come una canzone dal suono distorto ma insistente, di cui non riusciva a ricordare il titolo anche se in fondo sapeva di conoscerlo bene, non le aveva dato pace.
Distesa sul pavimento, a gambe e braccia aperte, Haruka rimirava il soffitto candido della sua stanza. Quella era la posizione che assumeva ogni qualvolta doveva concentrarsi e sbrogliare i dubbi Amletici che riuscivano a destabilizzarla.
Emise un lamento, seguito da uno sbuffo infastidito e l’attenzione tornò ancora una volta su quella frase.
Quelle poche parole avevano avuto un effetto devastante su di lei. Le avevano tolto il sonno e avevano contribuito a far nascere un’inquietudine crescente, che lentamente s’insidiava in ogni angolo del suo essere, arrivando persino a farla dubitare di Akira e Minako.
Potevano ingannarla i suoi migliori amici? Le due persone che conosceva sin da quand’era una ragazzina?
Haruka si diede un ceffone come per rinsavire. Non poteva pensare ad un’eventualità del genere.
“Se anche fosse…non avrebbe avuto senso avvertirmi…”
Si portò una mano alla fronte, sfiorando i ciuffi ribelli che le ricadevano sugli occhi.
“Che mal di testa…” mugugnò, socchiudendo le palpebre e lasciando che il tepore dei raggi solari provenienti dalla grande vetrata la colpissero in pieno mentre il viso di Michiru si faceva sempre più nitido tra i suoi pensieri.
 
 

*** 

 
 
“Starbucks è l’invenzione più intelligente del mondo!” Lo sguardo brillante di Minako rasentava la soddisfazione più profonda nell’osservare tra le mani il proprio bicchiere colmo di schiuma e panna.
Akira sospirò appena, appoggiando il capo alla propria mano per osservare meglio la propria ragazza.
Adorava la sua espressione da bambina davanti ai dolci e amava quel sorriso che aveva sempre in viso, capace di contagiare anche le persone più burbere attorno a lei.
Osservò le labbra rosee addentare il muffin al cioccolato per poi incresparsi in una buffa espressione che lasciò comparire due lieve fossette ai lati della bocca.
“Perché mi guardi così?” chiese incuriosita, inclinando appena la testa di lato.
“Perché è da tanto che non ti guardo mentre mangi…siamo stati lontani parecchio!”
“Ed è così interessante guardare la gente mentre divora prelibatezze di questo genere?” , lo incalzò prendendo la cannuccia del suo frappuccino tra le labbra e ridendo sommessamente.
“No. E’ bello guardare te!” le parole gli uscirono di getto, senza alcun freno, sincere. Così tanto da spiazzare appena Minako che si ritrovò ad arrossire vistosamente, anche se abituata alla spontaneità del ragazzo.
Akira, sembrava riuscire sempre ad esprimere quello che sentiva senza problemi con quelle piccole pennellate perfette che andavano sempre a segno; e lei a volte quasi invidiava quella sua capacità di comunicare in modo così semplice e genuino, quel saper usare le parole giuste per esprimere le più vaste gamme di emozioni.
Il tocco gentile della mano dell’altro sulla sua, la risvegliò da quella breve vacanza mentale sulle capacità del fidanzato e captò la sua attenzione.
“Allora Mina, di che tradimento si tratta?” domandò lui guadandosi attorno scrupolosamente e abbassando il tono di voce.
“Co-come?! Io non ti ho tradito! Non lo farei mai!”. Minako ritrasse la mano in un gesto di stizza sentendosi offesa da quell’insinuazione.
“Sei così insicuro della nostra relazione?!”, afferrò la borsetta facendo per alzarsi ma Akira la bloccò prima che potesse abbandonare il tavolo costringendola nuovamente a sedersi.
“Cos’hai capito?! Sei impazzita?! Parlo di…” lo sguardo attraversò la sala del locale per poi puntarsi nell’azzurro limpido degli occhi della ragazza, “mi riferisco a quello che hai detto ieri ad Haru!”
“Oh!”
“Oh?!”
“Si, ops!”
“Minako, non vorrei apparire meno gentiluomo di quello che sono solitamente ma…hai cominciato a drogarti per caso?”
“Ma no stupidino! Scusami!” Minako si sentì sollevata da quella battuta e riprese prontamente la mano di Akira tra le sue. “Temo di aver frainteso la domanda!”, concluse lasciandosi andare ad una risata imbarazzata.
“Uno di questi giorni rischierai il collasso…”
“Solo per gelosia!”
“Gelo-sia?!” domandò incerto Akira lasciandosi scappare un sorriso divertito.
“Non prendermi in giro, la conosco quella smorfia!”
“No io…non”, il ragazzo tentò di trattenersi, anche se una risata fragorosa stava scalciando prepotente per farsi sentire.
“Non ti prenderei mai in giro”
“E allora cos’è quella faccia? Sembra tu stia per soffocare!”
“Mi viene da ridere…” disse cautamente lui, premurandosi subito di rassicurare Minako che stava assumendo un’espressione lievemente accigliata. “Ma solo perché…è una cosa carina…”
“Il fatto che io sia gelosa è carino?”
“Si, dopo tutto questo tempo tu sei ancora gelosa di me, un po’ come al liceo…quando avevi paura che qualche studentessa potesse mettere le sue…” s’interruppe un momento alzando l’indice, “manacce schifose; e questa è una tua degna citazione, su di me!”.
Minako si strinse appena nelle spalle, “ho solo paura di perderti, è un po’ come se prima di te non ci fosse stato nulla!”
“Se continui a parlare in questo modo…rischierai seriamente di venire ricoperta di baci lo sai?!”
“Potrei apprezzare molto questa sottospecie di minaccia!”, una punta di malizia le colorò la voce rendendola ancora più morbida e sensuale.
Akira si ributtò contro lo schienale della sedia, portando le braccia dietro al capo. Doveva allontanarsi di qualche centimetro da lei o avrebbe seriamente rischiato di saltarle addosso davanti a tutti i presenti.
“Non ho capito molto bene come siamo passati alla tua gelosia dal sospetto di un mio possibile tradimento nei tuoi confronti, cara la mia bionda!” boffonchiò guardando il soffitto con fare da finto distratto.
“Dettagli…”
“Certo, come sempre!”, le rispose ironicamente posando la sua totale attenzione nuovamente su di lei, mentre sfoggiava un sorriso sghembo che avrebbe provocato un serio svenimento a Minako se fosse stata in piedi e non ben ancorata alla sua sedia.
 
 

***

 
Distante.
Ecco come aveva interpretato il comportamento di Haruka da quando erano tornate alla loro villa.
Per tutto il tragitto verso casa la bionda era rimasta in silenzio, senza inveire contro Usagi che parlava a vanvera a causa di tutta la vodka ingerita alla festa del mafioso russo, o lanciare qualche frecciatina velenosa a Seiya.
Distante, con i suoi pensieri. Con lo sguardo lontano…perso.
A Michiru sembrava di averla sotto gli occhi, di vederne i tratti così vicini e reali tanto da poterli toccare. L’aveva osservata per tutto il viaggio in macchina dallo specchietto, cercando di decifrarne le espressioni o le movenze ma non era riuscita a cogliere nulla.
Il fatto di non essere riuscita a leggerla in qualche modo le bruciava come una sconfitta, era un piccolo fastidio all’altezza del petto che la punzecchiava ad intervalli regolari ed era uno smacco per il suo ego.
Non capiva perché in quel momento fosse così turbata dal non essere sulla sua stessa linea d’onda, di non riuscire a captare quale problema avesse.
“Oh andiamo Michiru, non essere sciocca!”, lo disse tra sé e sé sistemandosi i capelli davanti allo specchio e guardando la sua immagine riflessa.
Gli occhi di un azzurro quasi accecante vennero attraversati da un flebile scintillio, impercettibile, che morì attraversando l’iride chiara, ma che a lei non sfuggì e in un battito di ciglia, dietro alle sue spalle, le sembrò di vedere chiaramente l’immagine di Haruka e di sentirne la presa calda e forte stringerle la vita.
Michiru s’impedì di urlare mentre il suo raziocinio cercava una soluzione logica a quella sorta di allucinazione di cui poteva sentire il respiro solleticarle il collo.
Mi sono addormentata? Dev’essere un sogno…
Schiuse le labbra in cerca di aria, cercando di regolarizzare il battito accelerato e con lui il proprio respiro, senza riuscire a muoversi di un centimetro o ad opporsi a quella presa. Deglutì, guardando lo spettro negli occhi prima di serrare le palpebre e scoprire nel riaprirle che come era comparsa, Haruka era di nuovo svanita.
Le gambe di Michiru cedettero, costringendola a scivolare lentamente sul pavimento.
“Sono sveglia…non è possibile…non…” che sia un effetto collaterale delle medicine?
“Michiru?!” Usagi sulla soglia aveva spalancato la porta della stanza e la stava fissando con un’espressione stranita in viso. “Che fai per terra? Ho bussato ma non mi hai risposto…”
“Non…non ti ho sentita”.
Ogni rumore era svanito di fronte a quell’episodio, la paura e la concentrazione nel trovare una spiegazione logica all’accaduto l’avevano distratta dal mondo circostante.
“Ti senti bene? Non è da te…tu che non senti arrivare qualcuno poi è da fantascienza!”
“E’ tutto ok, avevi bisogno?”
“Uhm…”, Usagi si grattò il capo cercando di capire se per l’amica fosse realmente un buon momento per lavorare. “Volevamo fare il punto della situazione…in più, ci sono Akira e un’altra amica di Haruka di sotto”. La frase venne seguita da un sorriso della ragazza che aggiunse “la sua amica l’ho incontrata per caso a Tokyo quella mattina che ho pedinato quella che vuole rubarmi il principe azzurro, oh a proposito…chissà cosa starà facendo!”.
Gli occhi sognanti e il sospiro della biondina rilassarono i nervi dell’altra che archiviò la faccenda fantasma, ritrovando l’energia e la dedizione che metteva nel proprio lavoro.
“Andiamo a fare il nostro dovere Usa-chan!” concluse Michiru chiudendosi alle spalle la porta della stanza, ed imprigionando la dentro lo spettro di un ricordo.
 
 

***

 
“Ciao fulmine!” Minako saltò al collo di Haruka schioccandole un sonoro bacio sulla guancia, mentre lasciava che la porta a vetri del salottino si chiudesse alle sue spalle rischiando di prendere in pieno viso Akira che s’impose di non lasciarsi sfuggire un’ esclamazione piuttosto colorita.
“Minako, potresti staccarti da me? Mi stai stritolando!”
“Oh Haru! Non essere così rigida dai!”
“Non sono rigida!” protestò l’altra cercando di liberarsi dalla presa affettuosa dell’amica.
“Si, Mina basta! Staccati! Tutto questo affetto nei suoi confronti m’indispettisce, nonostante ami vedere l’ espressione di puro fastidio sulla faccia della nostra super donna!”
La ragazza si ricompose di malavoglia per poi sfilare dalla borsa il fascicolo che si era studiata a Tokyo e da dove aveva tratto una marea d’informazioni dai toni oscuri.
Scosse appena il capo, divertita da quella situazione. Haruka aveva dimenticato un sacco di cose, ma il rapporto tra lei ed Akira non era cambiato di una virgola, sembravano due bambini in continua competizione, loro erano rimasti sempre gli stessi nonostante qualcuno o qualcosa avesse manipolato la mente della loro amica d’infanzia.
“Cos’è quello?” domandò Haruka, appoggiandosi con la schiena ad una parete ed incrociando le braccia al petto con aria curiosa.
“Compiti a casa!” ridacchiò Akira, sedendosi comodamente sulla sedia dallo stile vagamente roccocò che trovò a poca distanza da sé, mentre un’occhiataccia si stava premurando di fulminarlo per la risposta che aveva dato.
“Informazioni Top Secret…e…di cui si capisce davvero poco!” sospirò un po’ abbattuta Minako sparpagliando i fogli sopra al tavolo, per illustrare quello che si era letta attentamente in una sola nottata.
“Posso dirti con assoluta certezza che conoscevi tutte le persone che sono in questa villa, vedi?” puntò il dito sotto l’elenco di nomi che spiccava su uno dei pezzi di carta che ora stava sventolando davanti al viso dell’amica.
“Che altro? Sai dirmi qualcosa di questo fantomatico traditore?”
“Qui, si parla di un agente di controllo incaricato di supervisionarvi tutte quante…ma non è specificato di chi si tratta, c’è solo un numero identificativo!”, spiegò Minako abbandonandosi sulla sedia accanto ad Akira e accavallando le gambe sotto al tavolo, mentre la concentrazione nel provare a scovare le risposte giuste le si poteva leggere in viso.
“Non possiamo chiedere ad Ami di trovare qualcosa su di lui?” azzardò Haruka grattandosi nervosamente il collo mentre lo sguardo vagava oltre i vetri della porta, attento ad osservare il resto del team che era all’oscuro di tutta la faccenda della quale stavano discutendo.
“Mina aveva già provveduto. Sembra non esistere questa persona…l’agenzia sa come proteggersi!” intervenne prontamente il ragazzo per poi anticipare la risposta alla domanda che sapeva stava ronzando in testa all’amica.
“Minako quando era a Tokyo aveva preso contatti con Ami senza rivelare chi fosse, in caso qualcuno avesse controllato il suo computer o i suoi movimenti…”
“Già!” sorrise soddisfatta aggiungendo con aria solenne “Le ho pagato alcune rate universitarie in cambio di quel bel programmino con cui sono riuscita a contattarti anonimamente e per informazioni di questo tipo!”.
“Siete inquietanti ragazzi…”, sbottò Haruka lasciando la sua posizione e chinandosi verso Minako, “Tu perché sai comprare la gente con questo tipo d’idee…e tu…”, si avvicinò ad Akira che essendo seduto era più basso di lei, per poi esercitare con un dito una piccola ma fastidiosa pressione sulla sua fronte. “Perché anticipi le mie domande come se mi leggessi nella mente! Vedi di non frugare troppo tra i miei pensieri, delinquente!”
Il moro rise di gusto giustificandosi con un “è che sei talmente prevedibile...” ed un “ti conosco come le mie tasche!” che fece affiorare un’espressione più rilassata anche sul viso dell’altra.
“Io comunque ho avanzato un’ipotesi…”
Gli sguardi chiari e penetranti di Haruka e Akira la investirono per poi tingersi di stupore alle sue parole.
Minako si prese un momento per masticare il suo chewingum rosa  e far scoppiare una piccola bolla del medesimo colore tra le labbra.
“Credo che il traditore in questione sia Seiya…lui è l’unico che non è menzionato nel team! Sembra essere un esterno”.
“Se fosse quel capellone non mi sorprenderei, è così ostile!”
“E se invece fosse proprio qualcuna delle ragazze per destare meno sospetti e lui non centrasse nulla?”
“Sei troppo ingenuo tu, Akira…” lo riprese la fidanzata, “vuoi vedere il buono anche dove non c’è! E’ chiara come il sole la cosa!”
“Non fare la saccente! Non ti si addice, tesoro!”
“Scusa ma il nome di Usagi non è accompagnato da un asterisco a cui non sei riuscita a risalire?!”
Quell’imbranata non può essere una spia!Valutò Haruka portandosi la mano sotto il mento con fare riflessivo.
E se fosse così astuta da fare la tonta?!
“Sinceramente non  credo sia possibile…” sbottò la bionda mentre la bocca dell’amico si schiudeva in una smorfia tra lo schifato e l’interdetto.
“Cos’è ti sei offeso?” domandò intromettendosi ancora una volta in quel piccolo ed amichevole scontro.
“Ora stai dalla sua parte?!” Le domandò il moro indicando la propria fidanzata.
“Non sono dalla parte di nessuno io!”
“Guarda che ti schieri con la sanguisuga coccolosa, così!” ribatté il ragazzo.
“Non sono una sanguisuga! Sono molto più carina di quegli animaletti neri e viscidi!”
“Sei crudele verso quelle creature…”
“Già, donna insensibile!”
“Ma…hey voi due! Cos’è ora vi coalizzate?” Minako si alzò recitando la parte dell’offesa e minacciandoli con un “Me ne vado da qui se continuate in questo modo!”
 
Il siparietto venne bruscamente interrotto da un leggero bussare seguito dal cigolio della porta che si apriva lasciando intravedere la figura di Michiru.
“Scusate se v’interrompo…”, entrò appena nella stanza, con passo leggero e silenzioso.
Si schiarì la voce e dopo aver stretto la mano a Minako, ed essersi presentata, guardò Haruka dritta negli occhi riservandole un velo di freddezza ancora lievemente offesa con sé stessa per non aver interpretato il suo comportamento.
“Usagi ha qualcosa da dirci a proposito di Dimitry Ivanov, volevamo fare il punto della situazione”. Seguì un momento di silenzio in cui le teste di Akira e Minako si girarono verso Haruka per vederne la reazione, straniti da quella strana atmosfera che non avevano mai respirato prima di quel momento.
“Vuoi unirti a noi?”
Michiru spezzò il silenzio con quella domanda afferrando prontamente il pomello della porta, come se non vedesse l’ora di lasciare quella stanza.
“Certo”.
“Bene”.
“Vengono anche loro però”.
“Come vuoi…”
In realtà vorrei un sacco di cose, tra cui capire i tuoi sbalzi di umore.
“Andiamo ragazzi!”. Haruka fece scivolare la sua mano sulla schiena dell’amica per spingerla leggermente in avanti e avanzare fuori dalla stanza; e con quel gesto per quanto disinteressato fosse, qualcosa scattò in Michiru.
Una fitta. Un fastidio. La malsana curiosità di sapere se Haruka avesse qualche interesse nei confronti di quella biondina frizzante, se le piacesse quel tipo di ragazza e la conseguente delusione di non essere stata lei la destinataria di quel tocco.
Michiru, tu hai qualcosa che non va…
I pensieri tornarono un istante a lei davanti allo specchio, con Haruka alle spalle che la guardava adorante.
“Qualcosa non va?”
Michiru scosse la testa in segno negativo dopo essere stata strappata anche da quel pensiero, in cui per un momento aveva trovato una sorta di consolazione.
“E’ tutto ok!” disse in un soffio; e per la prima volta mentì.
 
 

***

 
 
“Strega, sei una strega! Dovresti bruciare!”
Ormai quelle parole non la colpivano più in alcun modo. Era quasi diventata un’abitudine sentirsi chiamare strega dai ragazzini che abitavano nelle vicinanze del tempio di suo nonno, o da chi la conosceva abbastanza da sapere che usava le antiche pergamene per allontanare le energie negative dal luogo in cui viveva.
C’erano però dei momenti in cui quelle parole le rimbombavano in testa prepotenti come gli spari di un cannone. Così forti da riuscire a ferirla. Capaci di creare delle vere e proprie spaccature nella sua piccola corazza di ragazzina coraggiosa e testarda dietro alla quale il più delle volte trovava riparo.
Fu uno di quei giorni, in cui si sentiva vulnerabile e quelle parole cercavano di farla inginocchiare sanguinante al suolo che capì di dover rispondere alle “bombe” con un rumore più forte. Quello di un’esplosione che fosse riuscita a coprire quel ronzio fastidioso.
Così, comprò il suo primo fuoco d’artificio con il consenso del suo caro nonno e quelle scintille scoppiettanti e colorate sopra la sua testa riuscirono a placare la sua anima ferita dalla cattiveria delle persone.
Le fiamme a cui la maggior parte della gente le augurava di andare incontro erano diventate delle amiche danzanti.
Rei aveva trovato nel fuoco un alleato. Un calore sovrumano che la riscaldava nelle notti più buie e in cui aveva incubi pieni di gente manovrata da stupidi pregiudizi che l’additava con cattiveria.
Comprò libri, ritagliò articoli, cercò in internet e pian piano lei stessa divenne la creatrice del suono prepotente di piccoli oggetti infiammabili, capaci di buttare giù muri, barricate; e nella sua testa, anche l’odio che le riservava chi la considerava una strega.
 
 
“Rei!” con una manata poderosa Usagi la colpì sulle gambe distese sul sofà per attirarne l’attenzione.
“Hai capito che ho detto?!”
“Eh?! Cosa?!”
Usagi mise su il muso, dispiaciuta dalla suo essere distratta dal racconto con cui stava intrattenendo l’intero team.
“Dicevo…che quel ragazzetto timido timido con gli occhialetti e il viso d’angioletto, mi ha spifferato dopo qualche drink e uno sguardo per nulla disinteressato al mio decolté che Dimitry ha una passione sfrenata per i casinò e il gioco d’azzardo. Tanto che ne possiede alcuni a Las Vegas!”
“aah…quindi?!” chiese disinteressata la mora, portando la mano a reggersi la testa come se il solo ascoltare le costasse un’immensa fatica.
“Quindi centodiciaset- uhm, Haruka ha avuto un’intuizione niente male!” continuò saltellando estasiata e domandando a Seiya un altro pacchetto di biscotti da sgranocchiare rumorosamente.
“Che idea hai avuto? Scusate, mi ero distratta!”
Haruka alzò le spalle. Poco le importava se Rei perdeva il filo del discorso o se Dimitry fosse scappato in Norvegia con tutte le armi che appartenevano a Simon Davis, a lei interessava recuperare il proprio passato. Arrivare in fondo a quella matassa intricata e misteriosa che qualche ragno aveva provveduto a tessere attorno ai mesi precedenti della sua vita.
Nella vita sono tante le cose che si perdono, ma quando sono i ricordi a scomparire…si perde anche una parte di noi stessi.
Haruka sospirò.
Ed io non voglio essere incompleta. Non voglio che qualcuno si porti via dei pezzi di me.
“Se io fossi in lui…” spiegò a Rei una seconda volta, “metterei delle cose che ho rubato e voglio tenermi stretto in un posto sicuro. Una cassaforte è un buona soluzione ma…cosa c’è di meglio di un caveau?”
“Quindi credi che Ivanov abbia messo in uno dei suoi casinò quelle armi!”
“Esattamente!”
“Non c’è bomba delle mie che non possa sfondare una di quelle porte d’acciaio!”
“Per questo contiamo su di te!” intervenne sorridente Michiru, “i tuoi esplosivi sono sempre stati all’altezza!”
La mora annuì con un cenno del capo ed Ami avanzò timidamente una domanda. “Questa però è solo una nostra ipotesi, non una certezza…come facciamo ad esserne sicure? Non possiamo certo fargli saltare in aria tutto e farci scoprire!”
“Faremo in modo che ce lo dica lui…”
Ami aggrottò le sopracciglia perplessa e per tutta risposta Michiru la rassicurò indicandole il suo portatile.
“Tu pensa a trovare la lista dei Casinò di cui è padrone…noi pensiamo a farlo confessare e poi sapremo quale scegliere!”
“Bene, mi metto al lavoro!”
“Ottimo! Ci sono domande?”
“Quale occasione possiamo usare per avvicinarci nuovamente a lui?” chiese Usagi dopo aver alzato la mano come una scolara diligente.
La suoneria di Akira spezzò il silenzio che stava per anticipare la risposta di Michiru.
“Scusate…” si frugò in tasca e guardò lo schermo sul quale spiccava il numero del mafioso russo, “è lui!” taglio corto con un sorrisetto sorpreso.
“Scommetto sarà questa, la nostra occasione Usagi!”
 

 
***

 
“CHE COSA?!” il tono di voce era quasi arrivato alla soglia di inquinamento acustico.
Usagi era in piedi sul letto, aggrappata saldamente ad una delle tende del baldacchino e sembrava non essere intenzionata a scendere da li.
“Su non fare storie, mica è la prima volta!”
“La fai facile tu, Rei! Michi – chan aiutami ti prego dille qualcosa!”
Michiru la guardò con sguardo implorante e provò un po’ di compassione per l’amica. Non era facile trattare con lei, ogni volta era una battaglia placare i suoi capricci quando si metteva in testa che qualcosa non le andava a genio e si metteva a scalciare come una bambina pestifera emettendo suoni striduli al limite della sopportabilità dell’ orecchio umano.
“Puoi farlo solo tu, Usagi!”
Semplice, diretta. Pochi giri di parole.
“Ha chiesto esplicitamente di te, si vede che l’hai colpito!” le sorrise amorevolmente, quasi in modo materno.
Le dita della bionda sembrarono allentare appena la presa dal loro appiglio.
“Sei l’unica che è così brava a recitare…non sarà difficile!”
Elogiarla. Era quello il segreto. Farla sentire imbattibile.
“Si, sei come una super eroina! Sacrificati per una buona causa!” le resse il gioco Rei, stanca di discutere e perdere tempo a sprecare fiato.
Usagi mugugnò tra sé e sé, “sedurlo eh?!” sospirò pesantemente come se le venisse chiesto un’enorme sforzo.
Non posso tirarmi indietro adesso, ho sempre aiutato Michi-chan!
“Fai un po’ la casca morta…” le suggerì Michiru.
“Si, sbatti un po’ le ciglia!” consigliò Rei.
“Vacci a letto!” esclamò senza pudore Haruka, attirando su di sé tutta l’attenzione delle presenti che le lanciarono un’occhiata omicida.
“Ehy che ho detto di male? Se va a letto con il nemico vedrete che canterà come un galletto!”
“Non c’è bisogno di essere così estremiste!” La rimbeccò l’ex fidanzata con aria di rimprovero.
“In amore e in guerra tutto è lecito!”
“Non riuscirai a giustificarti in questo modo con Michi – chan!” Le fece presente Usagi mentre con un salto atterrò seduta sul materasso facendo cigolare le molle.
“Non puoi chiedere ad Usagi di essere audace come te, risulterebbe ridicola!” esclamò senza contegno Rei, che venne spintonata dalla diretta interessata, che accompagnava quell’allontanamento con una protesta rumorosa fatta di urletti scandalizzati atti a scandire i leggeri colpi che le stava maldestramente sferrando.
Michiru si mise in mezzo alle due per stroncare sul nascere un battibecco che sarebbe durato ore.
“Voi due basta! Rei, vai da Ami o a studiarti un tipo di bomba che non faccia troppo rumore ma sia efficace! E tu, Usagi, preparagli un the come si deve, fai scivolare la spallina, quello che ti pare ma vai a prepararti! Su forza! Sei grande ce la farai!”
La mora uscì con passo strascicato e di mala voglia, mentre Usagi sembrò rinvigorita da quelle parole e scattò come una molla giù per le scale alla ricerca di un vestito adatto per l’occasione nel suo armamentario.
“Preparargli un the…” ridacchiò Haruka una volta che le altre due si furono allontanate, “far scivolare la spallina, è questo che faresti tu?!”
 La guardò con un sopracciglio alzato, con lo stesso sguardo beffardo della prima volta che l’aveva incontrata in metropolitana.
Fastidiosa. Questo in lei non cambia mai.
“Anche se sei abile, mostrati inabile; anche se sei capace mostrati incapace”.
“Impressionante, citi l’Arte della guerra! Ecco questo si che mi affascina in una donna…”
“Mi meraviglio che tu la conosca! Ad ogni modo, dubito che ti basti questo per essere sedotta!” le rispose Michiru, facendo per andarsene e terminare quella conversazione che stava cominciando a farla innervosire.
“Quando vuoi sei pungente come uno spillo! Eppure in qualche modo devi aver fatto…”
La bionda le bloccò la strada, piazzandosi davanti alla soglia e fermandola con un braccio appoggiato allo stipite.
Michiru la guardò riducendo i suoi grandi occhi a due fessure.
Haruka riusciva a sovrastarla con la sua altezza ma non le incuteva alcun timore, non la temeva, nonostante quel carattere burrascoso che si ritrovava.
“Stai vaneggiando? Non capisco a cosa tu ti stia riferendo”.
Con una mossa veloce si chinò e le passò sotto il braccio ritrovandosi oltre la soglia.
 
Io non mi ricordo il perché, ma non ti ho amata per capriccio, per noia o per gioco. Se l’ho fatto è stato perché evidentemente desideravo averti più di ogni cosa.
E odio questo tuo modo di allontanarti, questa tua aura d’irraggiungibilità. Mi metti in difficoltà. Vorrei sapere quanto ho corso per arrivare a te. Che velocità ho sfiorato per starti dietro e se il vento è abbastanza audace da poterti raggiungere.
Vorrei urlarti che tu eri mia, perché anche se non posso toccarlo con mano io ne ho la certezza. Ti sento dentro, lo sento nelle ossa, sei sotto la mia pelle.
Rivoglio tutto quanto ciò che mi appartiene, per questo non mi arrenderò e metterò insieme tutti i cocci.
“Hai ragione scusami, sono solo stanca”.
Haruka fece un passò indietro. Rinunciò al suo orgoglio completamente presa da quella cascata di pensieri che l’aveva quasi sfinita con la sua forza e la sua violenza.
Si può provare qualcosa del genere per chi non conosci? Era così concentrata a porsi domande che non notò il nuovo sguardo che le stava riservando Michiru.
Che qualcosa in quel suo smettere di voler essere superiore, l’aveva colpita rivelando l’Haruka che una volta, a sua insaputa, aveva amato profondamente. Quella che sapeva dove fermarsi ed era capace di domare la sua parte spaccona, quella a cui in fondo non importava vincere se con la sua ritirata poteva scatenare un sorriso in qualcun altro.
 
 
 
 
Los Angeles, Westwood.
Tenuta di Dimitry Ivanov.
 
Michiru frenò l’auto davanti al cancello al posto di blocco.
Aveva deciso di accompagnare Usagi alla villa di Dimitry per assicurarsi che l’amica fosse pronta ad affrontare quell’incarico e premurarsi che avesse posizionato correttamente il microfono e la piccola telecamera che Ami aveva inserito nella spilla lucente, che aveva le sembianze di una libellula, puntata al cardigan slacciato.
“Identificarsi prego”. Ordinò l’uomo al cancello in un americano stentato, che quasi fu incomprensibile a Michiru nonostante avesse padronanza della lingua.
“Sono Milena Kaiō e con me c’è Bunny-”, non riuscì a finire la frase che una voce gracchiante ordinò nella ricetrasmittente della guardia un “lasciale passare” da parte di Ivanov.
“Entrate nella covo del nemico…” sussurrò Usagi  nel microfono che aveva addosso, una volta che la macchina fu entrata nel viale e la sua voce non rientrava nel raggio di udito della sentinella.
“Ce la fai a piazzare qualche telecamera in casa?” le domandò Michiru mentre si esibiva in un parcheggio da manuale.
“Vedrò di farcela”.
“Più convinta Usagi”.
“Ce la farò Michi – Chan!”
“Fantastico, questo è lo spirito giusto! Ecco il tuo principe…” disse fra i denti l’amica intravedendo la figura del giovane uomo che le stava raggiungendo indossando un sorriso smagliante.
“Quale onore Lady Kaiō, ci allieterà con la sua presenza?”
“Oggi sono solo l’accompagnatrice di mia cugina, la sua vera Lady!” rispose in un sorriso, seguendo con lo sguardo Dimitry che aveva raggiunto la portiera di Usagi e l’aveva aiutata a scendere, riservandole un elegante baciamano.
“E’ proprio sicura di non voler rimanere?” Le domandò con fare galante, sistemandosi la giacca scura che indossava.
“Sicurissima. Il mio quasi marito mi sta aspettando, non vorrei farlo attendere troppo. Prendetevi cura di Bunny, mi raccomando!”
“Sarà un piacere, questo è un posto molto sicuro”, cercò di tranquillizzarla lui.
“Non ne dubito!”
“Arrivederci allora!”
“Ciao Milena!” la salutò Usagi con un cenno della mano, mentre ascoltava l’accendersi nuovamente del motore.
“A più tardi, ciao Bunny!”
Michiru lanciò un’ultima occhiata allo specchietto retrovisore mentre i pneumatici scivolano sulla ghiaia del viale; e scorse la mano di Dimitry scivolare verso il fondoschiena di Usagi che sembrò fremere appena a quel contatto, per poi ridacchiare a qualcosa che l’altro le sussurrò all’orecchio.
La ragazza riservò un vago cenno di saluto all’addetto alla security, svoltando per poi fermarsi ad un isolato di distanza in attesa che l’amica svolgesse il suo compito ed in modo da poter intervenire prontamente in caso di bisogno.
Si portò all’orecchio il cellulare e con voce decisa annunciò: “l’agnello è nella tana del lupo, è tutta vostra!”
 

***

 
 
Minako girò ancora una volta la piantina della città californiana, continuando a sprofondare sempre un po’ di più nel sedile accanto a quello del guidatore.
“Sei sicura di volerlo fare?” domandò apprensivo Akira, facendo appena un po’ più di pressione col piede sul pedale dell’acceleratore.
“Devo. Qualcosa non quadra in tutte quelle scartoffie…”
La risposta della ragazza arrivò con voce tranquilla, tanto da far pensare che si trattasse di una gita rilassante e non di una missione suicida.
I capelli biondi si mossero appena nell’abitacolo, cullati dall’aria che proveniva dal finestrino abbassato.
Minako socchiuse appena gli occhi pensierosa, buttando la testa all’indietro sul poggia testa e assaporando il sapore alla ciliegia del lecca lecca di cui si era munita per ragionare più lucidamente.
Non aveva idea di dove trovasse tutto quel coraggio.
Non era nemmeno certa che fosse una buona mossa quella che voleva tanto azzardare, ma sentiva che quella era l’unica strada giusta da percorrere per quanto tortuosa fosse.
“Se ci fossimo stati noi, al posto di Haruka…sono certa che lei non si sarebbe fermata davanti a nulla per farci riavere un pezzo del nostro passato, è per questo che voglio farlo”.
Minako parlò con il sorriso a fior di labbra, si sentiva in dovere di spiegare il perché di quella decisione ad Akira, che sapeva si stava torturando interiormente anche se non lo dava a vedere.
L’espressione allegra e beata del ragazzo infatti non era mutata in quel breve viaggio verso l’ignoto e il pericolo, ma lei, aveva imparato a percepire quando i suoi tratti divenivano appena più spigolosi, leggermente più duri, tanto da intaccare quell’aura intangibile di felicità che riusciva a sprizzare ad ogni ora del giorno.
“Lo so, è per questo che non ho intenzione di fermarti sebbene io non sia d’accordo a darti in pasto agli squali!”
Una risatina leggera spezzò la tensione e Minako posò una mano su quella del moro che stringeva il cambio accarezzandone la pelle.
“Se dovesse succedermi qualcosa sono sicura che riuscirai a farci un’ottima zuppa con quei pesci cane!”
“Pensavo si trattassero di squali, Mina!”
“Non fa differenza!”
“Oh si, invece! Il tempo di cottura è diverso!”
“Sei davvero incorreggibile!”
“E’ per questo che ti piaccio!”
La ragazza lasciò la sua mano per andare a scompigliarli i capelli lunghi corvini.
“Già…è proprio vero…” disse in un sospiro.
Un cartello di benvenuto e una costruzione che spiccava tra alcuni alberi verdi in fondo alla strada, apparendo come una torre di cristallo attirò la loro attenzione.
Il paesaggio era mutato notevolmente sotto i loro occhi e le larghe strade adornate da alte palme di Los Angeles avevano lasciato spazio a nuovi colori e costruzioni in stile orientale.
“Benvenuta a Little Tokyo, tesoro!”
“Wow!”
Minako si sporse dal finestrino con la curiosità di una bambina che vede un posto incantato.
“Sembra davvero di essere in Giappone. Impressionante!”
“In America non si fanno proprio mancare niente…” sbiascicò Akira rallentando appena la velocità, così da permettere alla ragazza di ammirare meglio il paesaggio che li circondava e trovare quello che stavano cercando.
“Certo che la HSA è proprio megalomane. Siccome è un’organizzazione giapponese hanno messo il loro quartiere generale a Little Tokyo in questo continente. Mi domando se all’interno del loro staff ci sono solo asiatici o hanno fatto alcune eccezioni riguardo l’etnia!”
“Direi che lo scoprirai presto, perché siamo arrivati a destinazione!”
Il pick up si fermò davanti al Japanese American National Museum. Una costruzione circolare, in pietra rossiccia e ampie vetrate che investivano di luce l’interno dell’edificio.
“Come farai ad introdurti senza destare sospetti?”
Minako si slacciò la cintura avvicinandosi all’orecchio del ragazzo. “Con un piccolo aiuto da parte di Ami, a sua insaputa mi sono inserita nel personale dell’agenzia”, soffiò appena quelle parole e dopo una breve pausa continuò, portandosi ancora più vicina ad Akira.
“Non sono un’agente ma una sottospecie di scienziata!”
“Hanno un equipe di scienziati?”
“Una specie…degli studiosi che si occupano di cose super top secret. E dove c’è un segreto c’è del marcio no?!”
Le labbra lasciarono un casto bacio sulla guancia di Akira che la trattenne stringendola a sé.
“Vedi di non cacciarti nei guai…”
Minako gli accarezzò la testa, respirando il suo profumo fresco e pungente.
“Altrimenti?”
“Mi toccherà venire qui e prendere a calci tutti quanti!”
“Saresti così rude?”
“Probabile…”
Le lande ghiacciate incontrarono il cielo sereno degli occhi dell’amata.
“Ti amo, Mina”.
“E tu profumi di menta piperita!”
“Cosa?! Io ti dico che…e…tu…”
Minako lo zittì premendo le labbra sulle sue.
Chiuse gli occhi e le sembrò di tornare sotto il cielo stellato di Shibuya dove da ragazzini si scambiarono quello che per tutti e due era il primo bacio della loro vita, con i residui di un cono gelato schiantato sulla maglietta di lui per la goffaggine della ragazza e un paio di sandali col tacco che le facevano male ai piedi. Dolore che sparì a quel contatto, a quel leggero inebriarsi per la prima volta l’uno dell’altro.
“Ti amo anche io ragazzino!” disse sottovoce una volta datogli nuovamente respiro.
Akira ebbe l’istinto di fermarla ma non fece in tempo a trattenerla, che la ragazza era già saltata giù chiudendo violentemente la portiera della vettura e lasciandolo nell’abitacolo con il solo sottofondo di una canzone rock.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
#Il titolo in giapponese significa letteralmente “il traditore conosce il mio nome” ed è anche il nome di un anime che ho visto (la critica a questo verrà fatta dalla sottoscritta in separata sede u_u)
#Little Tokyo esiste realmente a Los Angeles
# L’arte della guerra (di cui Michiru cita una frase) è un trattato di strategia militare cinese.
 
 
Dopo cinque giorni ce l’ho fatta. Sono riuscita a sfornare qualcosa che assomiglia vagamente a un capitolo per quanto “sbagliato” sia.
Lo chiamo sbagliato perché…beh doveva essere un’altra cosa XD
Volevo partire in quarta con un bel po’ di action e invece mi sono ritrovata a scrivere un continuo turbamento psicologico da parte di tutti quanti.
Potrete mai perdonarmi?
Prima o poi avremo una buona dose di movimento comunque perciò basta aspettare. Lo so vi chiedo molto…sempre in attesa…ma che ci posso fare?! Prendetevela non con me ma con la storia in sé se è noiosa! U___U *sfugge alle proprie responsabilità*.
Bien, con questo vi saluto bella gente. (Credo aggiornerò nuovamente questa prima di Star System).
 
N.B. Per chi ha amato Stockholm Syndrome: è stato creato un forum dalla cara lettrice Skullrose, con l’aiuto di altre “suonate” dedicato alla fanfiction.
Se vi va di fare un salto il link è questo Forum
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** What else is there? ***



Capitolo 8.
What else is there?

 

It was me on that road
But you couldn´t see me
Too many lights out, but nowhere near here
It was me on that road
Still you couldn´t see me
And then flashlights and explosions
Roads and getting nearer
We cover distance but not together
I am the storm, and I am the wonder
And the flashlights nightmares
And sudden explosions
 
What Else Is There –Royksopp

 
 
Il vociare delle ragazze proveniente dal piano di sotto risultava quasi ovattato, affievolito dal continuo mescolare, sollevare il coperchio da alcune pentole e padelle, tagliuzzare vigorosamente con coltelli da macellaio alcune verdure, da parte dello strano amico di Haruka che come una furia, senza spiegare nulla a nessuno, si era precipitato alla villa per poi rinchiudersi in cucina.
La fronte di Seiya si corrugò in un’espressione concentrata.
Inutile questo Akira io non lo conosco, certo un tipo del genere può essere solo un amico di Haruka.
Sospirò appena, mettendosi l’anima in pace e smettendo di cercare tra i visi visti nel corso del tempo, conscio di non averlo mai incontrato prima di quel momento.
Si portò le mani dietro alla nuca, incrociando le braccia sul cuscino, rimanendo ancora qualche minuto disteso sul letto.
Nelle sue pupille chiare apparve il riflesso del quadro che era appeso in bella mostra sulla parete di fronte a lui.
Sorrise al ricordo di Michiru che aveva insistito tanto per comprarlo ad un mercatino del posto, la prima volta in cui l’agenzia li spedì per un caso a Los Angeles, proprio in quella stessa villetta sulle colline di Hollywood.
Quel ricordo era nitido come una fotografia.
Scolpito nella sua mente.
Se solo si fosse concentrato un po’ meno sul sorriso di Michiru e la sua risata cristallina avrebbe quasi potuto catturare nuovamente ogni colore, ogni profumo attorno a loro.
Ma non gli si poteva chiedere quello. Niente l’avrebbe distratto da quella voce argentea, da quella risata allegra che solo lui riusciva a scatenare in lei prima dell’arrivo di Haruka.
Era tutta colpa sua. Della sua spavalderia, della sua arroganza del suo essersi intromessa nelle loro vite.
Un moto di rabbia gli fece scagliare il cuscino contro una delle ante dell’armadio che era stata dimenticata aperta.
Si alzò scosso da quei sentimenti di astio ed amarezza che gli stavano bombardando ogni fibra del suo essere, ogni nervo pronto a scattare per scagliarsi su Haruka.
Poco importa se è una donna…
Non aveva pietà per lei. Non aveva pietà per chi aveva preso il suo posto nella vita di Michiru senza chiedere permesso, non aveva pietà per chi l’aveva costretto ad agire come mai avrebbe voluto.
Si richiuse la porta alle spalle e avanzò per il corridoio a passi felpati, passando davanti alla stanza lasciata distrattamente aperta, che apparteneva ad Haruka.
Stava per passare oltre quando qualcosa attirò la sua attenzione.
In mezzo al caos più totale, dovuto ad abiti lasciati qua e là e scarpe fuori posto spiccava sul letto un malloppo di fogli che non dovevano trovarsi in quel posto e soprattutto non avrebbero dovuto trovarsi in mano a lei.
Seiya riconobbe il timbro che come un marchio troneggiava sulla dicitura a inizio pagina.
“La sottosezione dell’Hide Secrets Agency”, sibilò a bassa voce entrando e appropriandosi dei documenti.
Non è possibile…come ha fatto ad averli?
La mani sfogliarono velocemente le pagine, facendosi appena sudate per la tensione.
 
“Seiya che cosa significa?” Michiru lo fissò confusa.
Il sorriso aveva abbandonato il suo volto e i suoi occhi erano ora dominati da cavalloni agitati che avrebbero voluto inghiottirlo nelle profondità più oscure dell’oceano.
“Lo sto facendo per te, Michi…”
“Pensavo fossi con me, non contro di me!”, qualcosa nella sua voce s’incrinò.
“E’ così! Perché credi che lo stia facendo? E’ per proteggerti, per non farti perdere tutto ciò per cui hai lavorato così a lungo…”
“Io mi fidavo”. Furono le ultime tre parole che la sua voce gli fece udire, prima che una lacrima solcasse il suo viso facendolo sentire un verme.
 
“Non te l’hanno insegnata l’educazione? Non si entra nella stanza degli altri senza permesso”.
Haruka coprì con due lunghe falcate la distanza che li separava per poi tentare di sottrargli i preziosi documenti, ma Seiya, nonostante non l’avesse sentita arrivare troppo preso dai ricordi che lo stavano tormentando, fu più veloce e fece scattare la mano all’indietro allontanandola da ciò che stava bramando.
“Che ci fanno questi qui?”
“Non sono affari tuoi.”
“Come gli hai avuti?”
“Anche questo non ti riguarda!”
“Gli hai già letti tutti quanti?”
“Sei idiota?! Smettila di fare domande per cui non avrai mai una risposta. Ridammeli!”
Haruka si sporse in avanti tentando di riprenderseli ma l’altro fu più veloce ancora una volta.
“Non fare del casino Ten’ō, non un’altra volta!”
“Come potrei far del casino se non so un bel niente?!”
Seiya a quella frase si sentì sollevato.
Troppo stupida per capirci qualcosa…
Lo zigomo si sollevò appena per l’ombra di un sorriso, quando venne colpito da un pugno in pieno viso.
Si era distratto e non lo aveva visto arrivare.
Stupida un cavolo, ne ha approfittato, come sempre del resto.
“Non me li vuoi ridare tu? Me li prendo io!” ringhiò Haruka saltandogli addosso come una belva inferocita.
I due si ritrovarono sul pavimento con i documenti sparpagliati ovunque a causa dell’urto e Seiya sentì chiaramente il dolore propagarsi per tutta la sua guancia.
“Brutto idiota guarda cos’hai combinato!”
“Tanto è un porcile lo stesso questa stanza!”
“Tu non fai il domestico?! dovresti pulire!”
“Forse stavo per fare pulizia ma tu mi sei saltata addosso!”
“Oh no, non attacca con me! Non rigirare la frittata! Finto damerino da due soldi…E per la cronaca…io non salto addosso agli uomini!”
“La nostra posizione e ciò che è appena successo dimostra il contrario!” la schernì Seiya, tentando di liberarsi dal corpo della ragazza che su di lui cercava di colpirlo nuovamente ma con scarso successo.
Ora il ragazzo era pronto a difendersi da ogni colpo  ma Haruka non era intenzionata a mollare.
“Non vorrai picchiare una donna!” lo incitò lei, mentre non si dava per vinta.
Ormai il suo scopo era fargli più male possibile.
Al diavolo i pezzi di carta. Non vedevo l’ora di farti nero.
“Farò un’eccezione con te!”
“Ma quale onore!”
Seiya le bloccò i polsi in modo da non rischiare che le sue mani lo colpissero nuovamente.
“Per essere una donna hai la mano pesante”.
“Solo il meglio per te!”
Il sorriso di Haruka svanì nel momento in cui si sentì sollevare e capì che la situazione si stava ribaltando.
“Non mi piace stare sotto, brutto bastardo. Togliti!”
“I doppi sensi su di me non hanno effetto, i miei tipi di donna sono altri…”
“Come chi? Michiru ad esempio?”
Quel nome fu come una scossa. Gli occhi blu del ragazzo si animarono sfumando in un colore diverso, assumendo una venatura inquietante.
L’altra riuscì a malapena a sentire il suo polso venire liberato per poi intercettare il gomito di lui, pronto a sferrarle un colpo che l’avrebbe fatta urlare dal dolore se solo non si fosse scostata di pochi millimetri.
“Ma sei impazzito?! Criminale!”
 
“Ehy voi due! Che state facendo?” La voce di Akira fece immobilizzare Seiya e Haruka che si bloccarono all’istante come pietrificati.
“Toglimelo di dosso!”
Akira agitò un mestolo in aria.
“Va bene miss! Sei fortunata che ti conosco perché la cosa è piuttosto equivoca, se fosse salita una delle altre due, chissà che avrebbe pensato e…”
“AKIRA MUOVITI CHE QUESTO QUI VUOLE PRENDERMI A GOMITATE IN FACCIA!”
“Uh, rude! Le ragazze non si dovrebbero colpire a prescindere ma…in faccia poi…”
“Oh stai zitto tu! Faccio da solo!” sbottò Seiya liberando dalla sua presa Haruka e alzandosi cercando di sistemarsi al meglio gli abiti tutti sgualciti dalla colluttazione.
“Che problemi hai?” domandò Akira togliendosi il sorriso dalla faccia e minacciandolo con l’utensile da cucina come se fosse una spada.
“Ho problemi con lei…e se ti metti in mezzo gli avrò anche con te tra non molto!”
“Uh, che paura Seiya!” le fece il verso Haruka mentre si sistemava la frangia color miele e senza nascondere la sua intenzione a non lasciar perdere.
“Ti consiglio di andare di sotto…Ami e Rei sono piuttosto agitate davanti a quello schermo, forse c’è qualche problema con Usagi!”, gli consigliò Akira facendo all’amica un cenno che la intimava a non infierire ulteriormente sull’altro.
“Vado…ma…Ten’ō, non finisce qui. Più tardi dobbiamo discutere!”
“Si, magari davanti a una tazza di the che mi servirai tu!”
Seiya controllò il suo istinto di metterle nuovamente le mani addosso, anche se faticò non poco a trattenersi; e con i pugni ancora serrati e i denti che mordevano il labbro inferiore per il nervoso, scese le scale raggiungendo le altre al piano di sotto.
 
 

***

 
Usagi aveva piazzato con successo due delle telecamere consegnatole da Michiru ed era sicura che in quel momento, Ami e Rei, la stavano osservando dall’altra parte di uno schermo.
Sospirò impercettibilmente, sistemandosi meglio nella strana posizione che aveva assunto per tentare di coprire in parte uno dei piccoli oggetti che stava rivelando al resto dell’equipe tutto ciò che succedeva nell’ampia stanza in cui si trovava con Dimitry.
“Ho saputo che ti sei informata su di me al party…” disse compiaciuto il russo scuotendo lentamente il liquido alcolico che aveva nel bicchiere e guardando al di la del vetro che dava sul proprio giardino.
“Beh…” Usagi si alzò cercando di essere il meno maldestra possibile, accarezzando leggermente il tavolo in marmo che aveva dietro di sé.
“Mi sembri un uomo interessante!”, lo disse con un tono basso e caldo, cercando di apparire abbastanza gatta morta, da far cadere nella sua rete il mafioso che a quella frase si focalizzò su di lei togliendo l’attenzione dal suo liquore.
Usagi inclinò appena la testa all’indietro, abbandonandosi ad una risatina civettuola che solitamente risultava magnetica per gli uomini come lui, quando sentì la sua presenza più vicina e il suo tocco freddo solleticarle la pelle.
Funziona.
“E dimmi…cosa mi rende così interessante?!” il soffio caldo di Dimitry percorse l’epidermide del suo collo per poi arrivare al suo orecchio.
“Beh…”, le mani della bionda esitarono un momento prima di passare lentamente sulla stoffa gessata del gilet dell’altro.
“Trovo estremamente affascinanti gli uomini di potere sai?”
Le labbra del ragazzo si tirarono in un sorriso che quasi fece capitolare realmente Usagi che osservandolo meglio si soffermò sui suoi lineamenti glaciali ma terribilmente magnetici.
Maledizione Usa! Ferma gli ormoni! Riprenditi!!
“Mi hanno detto…” cominciò facendo un po’ la disinteressata e prendendogli dalle mani il bicchiere per poi appoggiarlo al tavolo, “che hai dei casinò a Las Vegas…adoro giocare d’azzardo!”
“Mmm…davvero? E cosa ti piace?”
“Beh…il blackjack…” si girò lentamente di spalle portando davanti a lei il bicchiere in vetro, mentre la mano di Dimitry le scostava i capelli dal collo e le sue labbra cominciavano a lasciare una scia di baci sulla pelle scoperta.
“Poi…il poker…”
Usagi sfilò una piccola fialetta dal taschino del cardigan e ne versò il contenuto nel liquore.
Dovrebbe fare effetto prima così…
Si rigirò di scatto, vedendo la smorfia contrariata del russo che avrebbe voluto continuare l’esplorazione appena cominciata e cercò di consolarlo porgendogli nuovamente il suo drink.
“Grazie…” borbottò, per poi portarsi alle labbra il vetro e mandare giù tutto d’un fiato il suo liquore corretto.
 

***

 
“Qualcosa non va…” Seiya indicò sul monitor la finestra più piccola relativa alla telecamera piazzata da Usagi al di fuori della stanza in cui si trovava.
Ami fece un zoom con un click del mouse.
“Oh diavolo!” sbottò Rei guardando l’immagine e drizzandosi in piedi.
“Le guardie di Dimitry…” disse stringendo i denti Ami.
“Lei le ha appena somministrato il Tiopental, se entrano a breve se ne accorgeranno!”
“Avverti Michiru!” la intimò Rei.
“No, vado io!” s’intromise Seiya.
“Lei è li vicino, è pronta è in macchina, tu ci metteresti troppo!”
“Se mandi Michiru io vado!”
“Rischi di mandare a monte tutto!” sbottò Rei, “non t’intromettere!”
“Già, non t’intromettere Seiya, vado io!” Haruka aveva raggiunto il gruppetto dopo aver parlato qualche minuto con Akira e riposto al sicuro i documenti che avevano scatenato la precedente rissa nella sua stanza.
“Nessuno di voi va!” gli ammonì Ami prendendo il cellulare e chiamando Michiru.
“L’agnello è sotto tiro!” le disse per poi sentire la linea cadere immediatamente alle sue parole.
“Hai fatto?” domandò Haruka impaziente, battendo il piede sul parquet scuro.
“Si l’ho avvertita, è già in movimento”.
“Ok, allora io vado!” annunciò Seiya ignorando ciò che gli era stato detto da Ami.
“Anche io!” si apprestò a dire Haruka infilandosi velocemente la giacca di pelle.
“Tu con me non vieni!” precisò il ragazzo sulla soglia.
“Chissene frega, guidi come mia nonna! Rei, prendo in prestito la tua moto!” urlò alla mora.
“NO! E’ a noleggio quella!”
“Vabbè a questo punto vado anche io!” si aggiunse Akira con un sorriso, lasciando nelle mani di Ami incredula il suo amato mestolo e consegnando il grembiule a Rei.
“Io conosco quella villa e Ivanov meglio di loro! Ah, Rei…tra cinque minuti spegni il fornello e mescola o si brucia tutto!”
“Ma nessuno mi ascolta quando parlo? Sono io quella intelligente qui!”
Ma la protesta di Ami non venne accolta da nessuno.
 
 

*** 

 
Dimitry barcollò appena e Usagi lo prese prontamente sotto la spalla per non farlo cadere.
“Piano da bravo…”
“Che…che sta succedendo?” domandò confuso, con lo sguardo assente e la voce atona.
“Succede che per venti minuti dirai solo la verità!” sorrise Usagi facendolo accomodare sulla sedia davanti a sé.
“Non fa male…tranquillo!” Lo rassicurò guardando l’orologio.
Solitamente era Michiru ad occuparsi del siero della verità e far parlare le vittime designate.
Lei sapeva farlo magistralmente e sapeva anche come trattare con le persone a cui spillava informazioni una volta svanito l’effetto dell’anestesia.
Usagi ricordò che Michiru era solita fare delle prove con domande semplici prima di cominciare con quelle vere e proprie.
“Come ti chiami?”
“Dimitry Ivanov”.
“Fantastico, giusto…”
L’uomo sembrò non capire la sua risposta cominciando a fissare il soffitto che ritraeva gli affreschi di alcuni angeli.
“Qual’è la tua nazionalità?”
“Sono russo?”
“Le persone che erano con te a giocare alla roulette russa al party?”
“Ionna…Haruki…Milena e Dan”.
“Bene. Ti fidi di Haruki ora?”
“Si”.
“E io ti piaccio? Ok questa è curiosità!”
“Hai un bel sedere!”
Usagi scoppiò a ridere. In un’altra occasione gli avrebbe mollato un ceffone per quella risposta priva di tatto ma decise di passar oltre, contenta di essersi tolta lo sfizio di fare una domanda strettamente personale ed essere sicura che il diretto interessato non mentisse.
“Ora devo farti due domande, molto importanti Dimitry…” prese un respiro profondo e lo guardò negli occhi cerulei dell’uomo che la fissavano apparendo quasi privi di vita.
“Hai preso tu le armi di Simon Davis?”
“E’ stato Dan non io personalmente”.
“Beh va bene, ma le possiedi tu ora, no?”
“Esatto”.
“Dove si trovano ora?”
Il bussare poderoso alla porta la fece sobbalzare interrompendola sulla domanda più importante che aveva da fargli.
“Signore?!”
“Dan?!”
“Si, signore sono io! Posso entrare?” domandò in americano stentato con un forte accento russo.
“Usa-”
“Sssshtt non devi dirgli nulla…zitto!” le sussurrò all’orecchio Usagi tappandogli la bocca per farlo tacere.
Maledizione!
 
L’entrata di una macchina nel viale attirò  non solo la sua attenzione ma anche quella di Dan che rinunciò al momento ad entrare nella stanza per andare a controllare di chi si trattasse.
 
Michiru era entrata dal cancello principale come aveva fatto poco prima, senza troppi problemi, ma ora doveva raggiungere Usagi senza essere seguita dalle guardie di Dimitry.
Se sparo sentiranno il rumore, niente pistola.
Scese dall’auto riservando un largo sorriso a Dan che comparì sulla porta con le dita appoggiate al manico della sua pistola non ancora estratta.
“Salve Dan!”
“Buon pomeriggio signorina Milena…”
Michiru entrò, notando che all’interno della tenuta non c’erano altri scagnozzi al di fuori di Dan che la seguiva a breve distanza.
“Dovrei incontrarmi con Dimitry e mia cugina…è questa la stanza?”
Indicò la porta bianca chiusa che si ritrovò davanti a sé e vedendo la cimice piazzata da Usagi domandò di proposito, “è questa cos’è?”
Dan si fece avanti incuriosito, osservò l’oggetto spalancando la bocca quando si rese conto di cosa fosse.
“E’ un-”, non fece in tempo a finire la frase che Michiru gli prese la nuca spingendola violentemente contro la parete facendogli perdere i sensi all’istante mentre il corpo dell’uomo cadde pesantemente all’indietro lasciando una scia rossa lungo il muro candido.
 
“Eccomi Usagi”.
“Michi – chan! Sei qui!”, la ragazza dovette trattenersi dal saltarle al collo e stringerla in un abbraccio dalla gioia di vederla.
“Ok, finiamo in fretta abbiamo troppe cose da sistemare!” la intimò Michiru senza troppi complimenti, sapendo che il tempo scorreva veloce e non avrebbe aspettato i loro comodi.
La biondina annuì con il capo lasciandola fare, chiudendosi dentro a chiave.
“Allora Dimitry…dove si trovano le armi sottratte a Davis?” lo domandò in maniera fredda, senza troppi preamboli, con una voce così distaccata da renderla quasi irriconoscibile, da riuscire a seppellire con un solo colpo di pala, la Michiru dolce e gentile che Usagi conosceva bene; e che tutti sapevano esisteva.
“Nel caveau di uno dei miei casinò”.
“Quale precisamente? Voglio il nome.”
“L'Excalibur Hotel and Casino”.
 
 

*** 

 
 
La moto di Haruka si fermò dietro al fuoristrada di Akira che le lampeggiò accostando dietro ad un’alta siepe.
Il ragazzo scese dall’auto e si avvicinò all’amica.
“Non puoi entrare dal davanti. Suppongo che Michiru sarà già dentro, troppa gente insospettirà tutti quanti…passa da dietro”.
“Non ha nessuno sul retro?”
“Si dovrebbe aver una guardia anche sul retro…io vado ad attirare un po’ l’attenzione al cancello principale, voi cercate ovviamente di uscire dal retro chiaro?!”
“Non mi piace che ti metti in mezzo”.
“Non è solo la tua battaglia ormai Haruka…”
“Che vuoi dire?” la bionda si tolse il casco per respirare meglio e tentare di capire cosa intendesse l’amico.
“Che Minako sta rischiando grosso, perciò ci siamo dentro tutti…”
Akira fece per girarle le spalle e avviarsi alla macchina ma Haruka lo bloccò prima.
“Cosa sta facendo? Perché non ne so niente?!”
“Si è infiltrata nell’organizzazione, le disse all’orecchio. Non deve saperlo nessuno o si metterà male la cosa…”
“Tu gliel’hai permesso?” La voce di Haruka aveva assunto una nota di sconvolgimento e il senso di colpa e la preoccupazione per l’amica bussarono alle porte del suo essere.
“Tu non l’avresti fatto per noi?” Akira le scompigliò i capelli biondi con un gesto affettuoso della mano e Haruka poté sentire con tutta se stessa l’amore e il coraggio che le stavano offrendo i suoi migliori amici.
Ed io che ho avuto dei dubbi su di loro…
“Che stai aspettando? Vai!”
 
 
 

***

 
 
“Usagi aiutami a portarlo dentro…” disse Michiru indicandole Dan ancora a terra privo di conoscenza.
“Oddio Michi – chan, l’hai ucciso!” disse coprendosi la bocca Usagi con una mano.
“No, non…non credo! Allora mi aiuti?! Pesa!”
“Ma…ma guarda quanto sangue! Ci sporcheremo tutte!”
“USAGI!”
“Ok, ok!”.
La biondina prese Dan per i piedi mentre Michiru lo sollevò per le spalle portandolo all’interno della stanza.
“Ok, allora…”
“Si, allora che si fa!”
“Usagi, se diventi così nervosa mi agiti. Ho bisogno di stare tranquilla mentre lavoro, lo sai!”
“Si, scusa hai ragione ma…oddio!”
Usagi incollò il naso e i polpastrelli al vetro della finestra come per osservare meglio qualcosa.
“Cosa succede?!”
“Guarda! C’è Haruka! E anche Seiya!”
“Che cosa?!” Michiru la scostò delicatamente dal vetro e nella sua visuale entrarono Haruka e Seiya sporchi d’erba che sembravano battibeccare tra loro, rischiando di sconfinare in una rissa.
La ragazza con un gesto di stizza strattono la spilla di Usagi per farsi vedere da Ami tramite il pc.
“Cosa ci fanno qui?!”
L’auricolare della biondina diede prontamente una risposta al suo orecchio.
“Ami dice che ha tentato di fermarli ma non ci è riuscita!”
“Perché stai sorridendo?” domandò Michiru portandosi una mano alla fronte sentendosi improvvisamente stanca, “c’è dell’altro?”
“No, niente è solo che…”
“Solo che…?”
“E’ romantico! Corrono subito tutti in tuo aiuto!”
“No, Usagi. Corriamo tutti in TUO aiuto!” concluse lei spostando appena la sedia su cui Dimitry era ancora seduto, ipnotizzato.
“Facciamogli dimenticare tutto…” disse Michiru aprendogli la bocca e versandogli sulla lingua una polverina bianca.
“Cos’è?!”
“Scopolamina…un dosaggio di questo genere gli farà avere un’amnesia. Non si ricorderà di questo pomeriggio e noi…saremo fuori dai guai!”
“Ragazze avete finito?” Haruka, con il fiatone pose la domanda non appena riuscì ad aprire dall’esterno la finestra.
Quei pochi metri con Seiya, che ancora la stava spintonado, si erano rivelati una vera e propria battaglia.
“Akira non so per quanto terrà impegnati tutti al cancello principale…”
“Ah c’è anche lui!”, esclamò sarcastica Michiru mentre cercava di trovare il polso a Dan, “non bastavate voi due? Io qui ho già fatto!”
“Io, cioè…noi, volevamo controllare che tutto andasse per il verso giusto!”
“Grazie Seiya, non importava…tanto io e Usagi, dobbiamo passare da davanti! Ti pare che possiamo volatilizzarci così?”
“Eh ha ragione!” disse Haruka mandando la pazienza di Seiya a farsi benedire.
“Vuoi che ti faccia nera qui?”
“Sono pronta!”
“Voi due piantatela!” s’intromise Michiru cercando di mantenere un tono di voce basso.
“D’accordo…” bofonchiò Haruka togliendo le mani dal bavero di Seiya. “Quello li è ancora vivo?”
“Si. Già che ci siete, portate Dimitry in camera sua. Li, non avranno il coraggio di disturbarlo…”
“e Dan?” chiese ancora una volta Haruka.
“Lui lo sistemo io!” affermò Seiya con tono grave.
 
 
 
 
 
 
 
Los Angeles, Beverly Hills.
 
 
Rei ed Ami avevano aspettato in giardino accanto alla piscina, il ritorno degli amici. L’acqua calma e piatta come una tavola aveva permesso loro di placarsi l’animo nell’attesa, ma quando sentirono il cancello automatico aprirsi e il rombo dei motori avvicinarsi non poterono fare a meno di correre dagli altri spinte dall’adrenalina e dalla sete di sapere i dettagli dell’operazione nei minimi particolari.
Si dovettero accontentare però del racconto entusiasta di Akira ed Usagi, gli unici due che comparvero con un sorriso, soddisfatti del loro operato.
 
Seiya di dileguò in cucina per riordinare l’attacco culinario di Akira che aveva avuto durante il pomeriggio, monopolizzando i fornelli per ore, nella speranza di distendere nervi e non vedere per qualche minuto la faccia di Haruka, che in quel momento non stava di certo invidiando.
 
Al piano di sopra, infatti, Haruka si stava subendo l’ennesima ramanzina da parte di Michiru che sembrava aver assunto le sembianze di una belva inferocita, abbandonando il proprio essere aggraziato e paziente.
“Io davvero non capisco cosa vi sia saltato in mente!”, esclamò scuotendo la testa per poi sfilarsi ciò che indossava e infilarsi un altro capo addosso.
“Potevate far saltare tutto quanto! Non era una situazione talmente grave da richiedere il vostro aiuto. Tutto era sotto controllo!”, chiuse il cassetto con una tale violenza che il rumore sembrò echeggiare per qualche istante nella stanza.
La bionda intanto si era voltata e coperta gli occhi con una mano, in vista del fatto che Michiru troppo nervosa per essere interrotta e ragionare a mente lucida si era praticamente spogliata davanti a lei pur non avendo alcuna confidenza.
Non avendola ora…precisò nella sua mente Haruka senza riuscire a togliersi dalla mente il fatto che erano state fidanzate, che ormai era diventata un’ ossessione.
“Insomma, allora che senso ha la nostra regola del non tornare indietro per nessuno se poi voi spuntate fuori dal nulla quando non ce n’è alcun motivo, rischiando di farci scoprire?!”
“Adesso basta Michiru”.
“No, basta un bel niente!” Protestò lei, voltandosi e vedendola con gli occhi chiusi.
Le guance le s’infiammarono non appena capì il gesto dell’altra, ma era talmente imbarazzata che non riuscì più a dire nulla.
“Ascolta non m’interessa se tu non capisci…”
Finalmente Haruka liberò la propria vista e in quel momento, presa dall’istinto di essere sincera decise di liberare anche i suoi sentimenti. Di sganciare la bomba che era scoppiata già da un bel po’ dentro di lei.
“Da parte mia la cosa è semplice. L’ho fatto perché…”
“Perché?”
Seguì un breve silenzio.
Haruka non si aspettava quel tono duro e improvviso nel bel mezzo del suo discorso.
“Allora, perché l’hai fatto Haruka?” la spinse a continuare Michiru torturandosi le mani dietro la schiena.
“Perché io non posso controllare questo, purtroppo”, concluse Haruka appoggiando la mano sul cuore.
Michiru si avvicinò come spinta da qualcuno e le posò la mano sul petto.
Sentì pulsare il suo cuore sotto le sue dita affusolate ad una velocità spropositata.
“A me non interessa che tu non ti ricordi…nemmeno io ad essere sincera me lo ricordo…”
“Di co-”
“Fammi finire per favore, perché non ce la faccio più e se non dico queste cose ora chissà quando e se riuscirò a farlo”. Il tono era quasi implorante e gli occhi cobalto di Haruka si erano fatti liquidi, tanto da pregare silenziosi anche loro e non lasciare alternativa a Michiru se non quella di ascoltare.
“Io non mi ricordo com’è stata la nostra storia…da quel che mi hanno detto eravamo felici e io ti adoravo letteralmente. Questo non stento a crederlo…”, fece una pausa imbarazzandosi appena, prese un lungo respiro e continuò guardandosi i piedi, incapace di fissare nell’azzurro intenso delle iridi di Michiru dove sarebbe di certo annegata in pochi secondi se non fosse stata prudente.
“Probabilmente tu ora per me provi qualcosa di simile all’odio ed io non so proprio come abbia fatto a piacerti…ma non posso scampare a questo. Al mio battito feroce ogni volta che ti vedo. Alla difficoltà che provo nel tenerti testa ogni volta, a non cedere all’istinto di baciarti quando c’incontriamo per il corridoio…è per tutto questo che l’ho fatto. E’ perché nonostante io non mi ricordi di noi provo qualcosa di talmente forte che non è sparito ed è più vivo che mai. E’ per il nostro passato che combatto, è perché lo rivoglio indietro… e voglio indietro pure te, che io non posso stare ferma se centri tu in qualcosa di pericoloso”.
L’aveva detto. Aveva sputato fuori ogni cosa, ignara delle conseguenze che tutto ciò poteva portare.
Si era liberata da quel peso che le opprimeva il petto e le mozzava il respiro.
Si era liberata dal fantasma di un passato che non conosceva affatto ma voleva afferrare con tutta se stessa.
E adesso cosa penserai?
Si aspettava di essere cacciata o essere presa per matta.
Si aspettava un ceffone in pieno viso e qualche offesa, ma con sua grande sorpresa invece sentì il palmo caldo di Michiru appoggiarsi sulla sua guancia e accarezzarla appena.
“Sul serio siamo state insieme?” le domandò con tutta la spontaneità del mondo e con la voce colorata dall’emozione e dalla sorpresa.
“Si…ho…ho anche una foto…” disse imbarazzata Haruka ripensando all’mms ricevuto da Minako il primo giorno che atterrarono a Los Angeles.
“Posso…posso vederla?” chiese titubante Michiru.
L’altra annuì con un cenno del capo, tirò fuori il cellulare dalla tasca e glielo porse.
“Oh”, Michiru riuscì ad emettere solo quel suono a causa del respiro che le si fece improvvisamente corto.
La rabbia di poco prima sembrava essere scomparsa nel nulla, dissolta, mai esistita. Tutto quello che ora Haruka poteva vedere sul viso dell’altra era la nascita di un sorriso a fior di labbra che andava ad incresparle il viso.
“Siamo venute proprio bene…” sentenziò senza staccare gli occhi dalla foto.
Forse l’aveva detto solo per togliersi dall’imbarazzo di quella situazione, o forse lo pensava davvero. Ma quello che importava a lei era averla li accanto, vicina, anche se in qualche modo erano ancora lontane mille miglia dal punto in cui si erano ritrovate tempo addietro.
 
Cos’altro c’è?
Cos’altro c’era di così bello? Cos’altro c’era che ancora non sapevano l’una dell’altra?
 
Nella mente di Michiru le domande viaggiavano alla velocità della luce. Impazzite come schegge appuntite che andavano a conficcarsi nella sua testa senza darle tregua.
Haruka era comparsa all’improvviso nella sua vita, evidentemente così come se n’era andata, o forse era sempre stata sulla sua strada ma lei non era riuscita a vederla a causa delle troppe luci.
Qualcosa scattò in lei. La voglia di sentirla li con lei, di riassaporare un pizzico di ciò che l’era stato portato via.
Si ritrovò invidiosa di quella foto che aveva visto, della felicità di cui era intrisa e di cui lei ora non poteva godere per qualche strano scherzo del destino.
Così si ritrovò combattente, si scoprì soldato; e finì in guerra. Una guerra contro la se stessa del presente, una guerra contro chi si era impossessato di ciò che era suo e gliel’aveva strappato senza troppi complimenti.
Allungò le braccia trascinando la sua compagna di battaglia con sé, si alzò sulle punte, affondando le dita sottili e affusolate nei suoi fili di grano ribelli e trovò la pace sulle sue labbra calde.
Quel bacio le regalò un brivido, poi il paradiso per poi scendere fino ad un piano sotto il cielo e scoprire un limbo in cui sarebbe rimasta per tutta l’eternità se fosse stato necessario. Vi scoprì la gioia, la malinconia, la voglia di ritrovarsi e di sentirsi l’una dell’altra e poi; nel momento in cui la dolcezza di quel contatto si stava facendo sentire lo vide. Nitido, chiaro, limpido, davanti a lei, sotto le sue palpebre semi chiuse scovò un ricordo e capì che Haruka era una tempesta, un miracolo, un’esplosione improvvisa ed un incubo luminoso.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
* si applaude da sola* è dalle undici di sta mattina che sono stata su questo capitolo, spero ne sia uscito qualcosa di buono! Io ce l’ho messa tutta e sinceramente sono rimasta abbastanza soddisfatta. Soprattutto da questo finalone tutto sentimento e smancerie.
Ho scelto per questo capitolo il titolo della citazione che ho inserito all’inizio.
E’ una canzone che adoro alla follia e una sera ascoltandola ho pensato che Haruka nella vita di Michiru potesse essere una tempesta, un’esplosione, qualcosa di forte, improvviso ed inarrestabile…insomma che la travolgesse! In poche parole…mi sembrava adatta u.u
In teoria dovevo affrontare in questo capitolo anche la situazione “Minako” in cui si è imbarcate e un’altra cosa ma ho deciso di tralasciarle per inserirle nel prossimo capitolo.
Ma passiamo alle cose “tecniche” e tralasciamo i miei soliti sproloqui!
Ho fatto una ricerca perché volevo capire un po’ le tecniche di “mindfucking”, i lavaggi del cervello insomma…così da tirar fuori dai guai Usagi e Michiru. Ebbene ho trovato il progetto: MKULTRA utilizzato dalla CIA negli anni cinquanta e sessanta che serviva a “manipolare” il comportamento di determinate persone.
Tra le tante cose venivano usate il tiopental sodico e la scopolomina.
Non potevo certo far usare a quelle due un elettroshock…perciò ho optato per il tiopental per l’ipnosi, che veniva usato come siero della verità…e siccome LSD (si usavano anche quella) ci metteva circa 30/90 minuti ad agire e il lasso di tempo era troppo lungo mi serviva qualcosa di più veloce per far dimenticare il tutto a quel malcapitato di Dimitry. Ammetto che mi ha fatto un po’ pena XD
Così…via di scopolomina!
Spero di avervi chiarito un po’ di più le idee…
 
N.B. Magari nel prossimo capitolo faccio un riassuntino perché qui le cose si fanno un po’ complesse…pensate di averne bisogno?
Baci, baci.
Kat
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Black Hole ***


Cose da tenere a mente per questo capitolo:
- Sono state piazzate da Usagi 2 telecamere in casa di Dimitry, di cui una rotta
- Haruka ha rivelato a Michiru della loro passata relazione.
- Nessuno ricorda tranne Seiya
- Michiru al ballo di Ivanov ha ricordato di essere stata salvata da Seiya.
- Minako si è introdotta nella sede americana dell’agenzia.
- Simon Davis è stato derubato da Dimitry Ivanov. 



 
Capitolo 9

Black Hole

 
 



Non poteva ancora credere al modo in cui aveva abbandonato Akira sulla sua auto, a come gli era sfrecciata davanti senza riservargli un ultimo sorriso o uno sguardo, ma era ben conscia del fatto che se non avesse agito in quel modo avrebbe ceduto alla tentazione di fuggire via con lui, mandando all’aria tutta la fatica che aveva fatto nel raccogliere quel coraggio che si era impossessato prepotentemente di lei e sembrava volerle esploderle nel petto.
Minako si portò distrattamente una mano al cuore e ascoltò i suoi battiti accelerati.
Forse era quello a voler uscire dalla sua gabbia toracica, non la forza che aveva trovato per introdursi li dentro.
Una volta entrata nel museo era stato facile individuare l’ascensore principale il cui tasto “-1” portava direttamente al centro della reception della sede americana dell’HSA. Aveva trovato il tutto un po’ troppo scontato per i suoi gusti, ma non poteva certo lamentarsi del fatto che tutto fosse filato liscio e che nessun ostacolo si era presentato a sbarrarle la strada.
“L’agente Iago, sta arrivando per farle vedere il posto.” Le annunciò la segretaria dall’aria fredda e rigida che al suo arrivo si era premurata di farle un accurato interrogatorio e controllare la sua scheda nel computer.
Iago…un nome in codice poco rassicurante, se è come quello shakesperiano c’è da star attenti!
“Dotteressa Marta?!”
Minako venne colta all’improvviso dalla voce rauca di un giovane alto e spettinato, che in poche falcate riuscì a raggiungerla porgendole prima la mano per presentarsi e poi un camice bianco, con tanto di cartellino identificativo appeso al taschino.
“Piacere sono…”
“L’agente Iago immagino!” lo interruppe con un sorriso cordiale la ragazza ricambiando la stretta e cercando di esaminarlo attentamente con una rapida occhiata.
“Esatto. Benvenuta nel nostro team, dev’essere una persona in gamba se è stata selezionata qui da noi…ecco il suo camice!” aggiunse l’uomo dandole un leggero colpetto col capo d’abbigliamento che Minako avrebbe dovuto indossare.
La segretaria osservò lo scambio di battute dei due per poi tornare a battere freneticamente qualche codice di cui probabilmente solo Ami sarebbe riuscita a captarne il significato.
“Prego, mi segua…le faccio vedere la parte della nostra struttura che le interesserà!”
“D’accordo”, farfugliò Minako seguendo Iago e rigirandosi tra le mani il cartellino che le era stato consegnato con il camice, sul quale spiccava quel buffo nome che si era affibbiata.
Marta No.Per il cognome aveva scelto le ultime lettere di quello che le apparteneva realmente e vederlo stampato e plastificato le fece sollevare appena gli angoli delle labbra al pensiero che la sua nuova identità sembrava volersi annullare da sola con quel “no”.
“Di cosa si occupa precisamente?” la incalzò incuriosito l’agente, mentre le faceva strada scendendo una rampa di scale che portava ad un piano più basso rispetto il sotterraneo dove già si trovavano.
“Uhm…”
Pensa. Pensa in fretta.
“So che voi scienziati siete di poche parole con noi comuni mortali ma sa sono curioso di capire di cosa si occupa una bella ragazza come lei, è sicuramente la più giovane tra i cervelloni qui dentro, scommetto che ha una mente brillante!”
Minako tirò un lungo respiro, cercando di non apparire troppo ansiosa.
Lei era brava a rubare oggetti e informazioni, era veloce ad introdursi in ambienti sconosciuti e ad uscirne altrettanto in fretta, ma non si era mai costruita un’identità nuova di zecca su due piedi come doveva esser pronta a fare in quel momento.
“Quanti complimenti…” sventolò un po’ la mano in aria, facendo finta di essere lusingata dalle parole di quello che catalogò come un Don Giovanni da strapazzo,  per poi decidere di rischiare rispondendo alla sua domanda con un argomento che le stava molto a cuore, la memoria di Haruka.
Mal che vada rimedierò con qualche battuta.
“Mi occupo della memoria dei vostri, o forse a questo punto dovrei dire…nostri 007!”
A quelle parole la presa di Iago si fece più rigida sul corrimano della scala, come se il suo equilibrio si facesse precario e gli occhi grandi dal colore verde intenso sembrarono accendersi di una certa preoccupazione.
“Ho forse sbagliato ed è la nuova psicologa?” chiese confuso, riguardando il modulo che la segretaria gli aveva dato un attimo prima che potesse presentarsi alla nuova arrivata.
“No, no…io…” Minako sentì una sorta di macigno bloccarle le vie respiratorie ma decise di continuare su quel sentiero minato, “io cancello la memoria delle persone!”.
Per quanto pensasse fosse assurda la frase da lei appena pronunciata, percepì nella tensione di Iago che quello che aveva appena detto doveva corrispondere in qualche modo a verità.
“Oh, capisco…” la voce vibrò appena. “Per far parte di una sezione del genere deve davvero essere un mezzo genio.” Sentenziò abbassando di scatto lo sguardo, come improvvisamente spaventato da quella rivelazione.
“Sezione?”
“Si, è una spazzina!
“Mi scusi ma non la capisco”.
“Noi vi chiamiamo così”.
“Noi scienziati?” lo incalzò Minako, seguendolo per un lungo corridoio illuminato da alcune luci al neon e sul quale si affacciavano solo due porte.
“Voi della Black Hole!”
“Forse non sono così intelligente perché continuo a non capire, potrebbe illuminarmi?!”
“Da noi, la sezione che si occupa di questo tipo di faccende si chiama Black Hole, buco nero…e vi soprannominiamo gli spazzini, perché riuscite a cancellare tutto quello che serve, spazzate via anni di ricordi in pochi minuti se necessario”.
Minako cercò di regolarizzare il proprio respiro.
Era spaventoso.
Stava finalmente raggiungendo le risposte che voleva, ma più si avvicinava alla verità, più aveva voglia di scappare.
“Ho detto qualcosa di sbagliato? Io non sono molto pratico in materia sa…lavoro sul campo come dire, non in laboratorio e…”
“No, dice giusto. Assolutamente!” affermò cercando di essere il più convincente possibile.
“Beh, la lascio ai suoi colleghi ora. Questo è il pass magnetico per entrare nella Black Hole!”, spiegò indicandole con un cenno del capo la porta che si stagliava davanti a loro.
“Devo farla proseguire da sola perché non ho il permesso di entrare!”
“Capisco beh…”
“Le auguro un buon lavoro!” tagliò corto Iago.
 Improvvisamente sembrava aver una fretta del diavolo, come se le sue gambe non riuscissero a rimanere ferme un momento di più in quel posto.
Minako percepì il suo disagio e in qualche modo si sentì spaventata anche lei, al pensiero di chiudersi alle spalle quella porta dietro alla quale si nascondeva chissà quale altro inquietante segreto.
 
 

***

 
 
Due figure di altezza diversa camminavano l’una di fianco all’altra sul marciapiede di Eagle Rock Boulevard.
I passi erano cadenzati, lenti ma in perfetta sincronia tra loro.
Le mani di Haruka erano affondate nelle tasche dei jeans, la schiena leggermente ricurva all’indietro sembrava donarle una certa rilassatezza, un aspetto da turista; e il viso, volto verso l’alto guardava distrattamente il cielo per poi passare alle insegne colorate  dei locali americani.
Vicino a lei, Michiru osservava le vetrine dei negozi e il suo olfatto cercava di registrare quanti più odori possibili galleggiavano nell’aria.
Era convinta che un profumo potesse rendere più nitido un pensiero, un ricordo; e intimorita da quel nero profondo che aveva invaso parte della sua memoria voleva aggiungere alla lista di ciò che stava vivendo in quel preciso istante più fragranze possibili, in modo da imprimere nella sua mente ogni immagine sulle quali le sue iridi azzurre e limpide si posavano, sperando di rendere il tutto incancellabile.
Una mano stringeva sulla spalla la borsa esageratamente grande, che le pendeva lungo il fianco destro mentre l’altra le ricadeva lungo il tronco, ondeggiando leggermente ad ogni passo; sfiorando quella dell’altra ma senza mai toccarla realmente.
Dopo il bacio che si erano scambiate la sera prima un leggero imbarazzo era calato tra di loro, ma la voglia e l’improvviso bisogno di stare vicine, come a recuperare parte del tempo che era stato sottratto loro le aveva spinte ad uscire insieme e a partecipare a quello che pareva un appuntamento mal riuscito.
“Hai fame?” domandò improvvisamente la bionda per rompere il ghiaccio e spezzare quel silenzio irriverente che aveva deciso di mandare in letargo persino il suo sarcasmo pungente e i suoi doppi sensi, procurandole un certo fastidio e facendola sentire un’impedita priva della minima capacità di conversare e sedurre una donna.
Il suo dito indicò il carretto degli hot dog dietro al quale un uomo di colore stava riempendo di senape e ketchup alcuni panini, ma l’espressione sul viso di Michiru le fece intuire che quello non sarebbe stato un “si”.
“Forse…non è esattamente il tuo stile quello di mangiare per strada eh?!” rifletté ad alta voce Haruka, fermandosi e guardandosi attorno in cerca di un’idea.
“Vorresti dire che sono una da ristorante di classe e che non posso apprezzare le cose semplici?”
“No, per carità e che…” Haruka presa in contropiede gesticolò goffamente come ad aiutare il proprio cervello a macchinare lo specchio sul quale arrampicarsi.
“Niente scuse!” Michiru assunse uno sguardo velatamente minaccioso e le puntò un dito allo sterno, “la pensi proprio così!”
“Ehi, dove tocchi!”
“Tocco quello che mi pare e piace!”
“Quindi ti piaccio!” esclamò con aria trionfante la bionda, forse con un livello di voce un po’ troppo alto, perché sembrò scatenare l’attenzione di alcuni passanti curiosi che rallentarono il passo per osservarle meglio.
“Io…non…non volevo dire questo!”, una sfumatura porpora andò ad intaccare la pelle candida delle guance di Michiru che per tutta risposta abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe.
Riesce sempre a mettermi in difficoltà!
“Ora sei tu quella che cerca di arrampicarsi sugli specchi!” la schernì la compagna, lasciandosi andare ad una risata che contagiò anche l’altra.
E’ che sei tu, il tuo modo di fare, la tua voce e il tuo modo di scherzare, di prendermi in giro. Questo mi fa ridere, mi fa dimenticare l'imbarazzo, la vergogna. Mi fa emozionare perché rivolgi a me la tua attenzione. Per quanto cerchi di trattenermi, di non lasciarmi troppo andare, di mantenere un minimo distanza, se si tratta di te…io sono felice.
Quel pensiero scorrazzò libero nella mente di Michiru che presa da quel turbinio di sentimenti non si accorse di star fissando Haruka nel suo sguardo cobalto, che al passare di ogni secondo si accendeva sempre più di curiosità.
“Che ti prende occhi d’angelo? Ti sei incantata perché sono troppo bella?”
“Ma che…” Michiru le diede una leggera spinta alla spalla per poi passarle davanti e incamminarsi lungo la via affollata, “sei troppo sicura di te! Smettila!”
“Ehi, aspettami! Dove corri?! Prima ti fermi un’eternità a guardarmi poi scappi via come una pazza isterica per seminarmi?”, domandò divertita Haruka sbrigandosi a raggiungerla.
Non l’avrebbe persa in mezzo a tutte quelle persone.
Non l’avrebbe fatta scivolare via sotto ai suoi occhi. Era decisa a non lasciarsela sfuggire, perché ora poteva percepire chiaramente quanto si stessero avvicinando, quanto in poco tempo erano riuscite a distruggere la distanza che le separava; e con il sorriso sulle labbra, concentrandosi solo sulla sua figura elegante e snella che la precedeva a passo deciso perfettamente in equilibrio su quei tacchi che usava per apparire più alta, riuscì a percepire il sapore dolce e zuccherino del loro primo bacio.
 
 

*** 

 
 
Dimitry Ivanov era livido di rabbia.
Le labbra carnose erano tirate in modo tale da evidenziare ancora di più la mascella già ben delineata, conferendogli un aspetto minaccioso nonostante i tratti angelici che lo contraddistinguevano.
Niente e nessuno poteva prendersi gioco di lui.
Sono stato ingannato, oltraggiato, ma nessuno mi farà passare per fesso! Questo mai.
Sull’onda di quei pensieri con passo svelto salì in auto, non appena Dan gli aprì la portiera con un gesto più automatico che di cortesia; e un’altra guardia armata saliva al posto del passeggiero.
“Andiamo dal signor Davis, sono sicuro possa esserci utile!”, scandì ogni parola lentamente in russo mentre dallo specchietto vedeva il riflesso di Dan che abbassava lo sguardo sulla strada e si apprestava ad eseguire l’ordine del suo capo.
Che quell’imbecille sbattesse la testa contro il muro poteva anche starci…ma i due che hanno ripulito il tutto si sono dimenticati di quella cimice sotto al tavolo…
L’uomo sospirò, portandosi una mano alla tempia che gli pulsava dolorosamente.
Negli occhi aveva il lampo della determinazione ma soprattutto, nelle sue iridi quasi trasparenti si poteva leggere la brutalità di quello che poteva fare se offeso, senza che l’ombra del rimorso si posasse sulla sua coscienza.


***  

 
 
Quando Haruka e Michiru rientrarono alla villa tutti gli sguardi si posarono su di loro.
C’è chi le guardò con discrezione come Ami, con la coda dell’occhio abbassando ritmicamente lo sguardo sui tasti del computer o da dietro alcuni schizzi di esplosivi su carta come Rei; e chi invece le fissò con uno sguardo carico di curiosità, che non passava inosservato come Usagi.
Le due risero ancora una volta e da come si stavano divertendo non si accorsero di aver immediatamente attirato l’attenzione in casa e che ogni attività o chiacchericcio era terminato di colpo al loro apparire, tanto che Haruka, così presa dal suo mondo che ora vedeva solo Michiru e nient’altro che lei, non si preoccupò di togliere il braccio che cingeva distrattamente le spalle dell’altra.
Seiya si limitò a rimanere in piedi nella sua posizione, imponendosi di mantenere una certa calma, passando uno strofinaccio sulla superfice lucida di un piatto in porcellana che sicuramente avrebbe avuto vita breve se qualcosa nel loro comportamento lo avesse scosso più del dovuto.
“Divertite?!” Usagi fu la prima a interrompere quell’idillio e a riportare le due sul pianeta terra. “E quella macchia rossa sulla felpa di Haruka cos’è?! Oddio è sangue? Ti sei fatta male Haruka? Eh?!” domandò trattenendo il respiro e lanciandosi verso la bionda per osservare meglio il particolare che aveva notato.
“E’ pizza”.
“Pizza?!” domandò Usagi alzando appena un sopracciglio.
“Si, Haruka era convinta che io fossi una da ristorante elegante e basta…l’ho fatta ricredere mangiando per strada una pizza e…l’è finita addosso come punizione per una delle sue battutacce!” le spiegò Michiru, mentre Haruka si decise a scostarsi togliendosi la felpa blu di dosso.
“Sembra stata una giornata divertente…”
Michiru sorrise alla riflessione dell’amica e si diresse sul divanetto accanto ad Ami che ancora non aveva proferito parola.
“Torniamo alle cose di lavoro…” sospirò, armandosi di pazienza e cercando di controllare l’entusiasmo che ancora le scorreva nelle vene, per quelle ore divertenti e spensierate che aveva appena trascorso.
“Ho scaricato la pianta dell' Excalibur Hotel and Casino!” disse diligentemente Ami, passandole un foglio che raffigurava il caveau della struttura prima di cimentarsi nella sua accurata descrizione.
“Mi sono informata e oltre alle sale da gioco si tengono anche alcuni spettacoli, penso che sarebbe bene lavorare nel caveau proprio durante uno di questi show, il Torunament of Kings sarebbe perfetto, così da attirare meno l’attenzione in caso dovessi usare dell’esplosivo o fare rumore più del dovuto siccome sono previsti dei fuochi d’artificio”.
“Quindi abbiamo un tempo limitato…d’accordo, vai avanti…” disse sbrigativa Michiru affondando tra i cuscini e cercando di studiare la faccenda più a fondo possibile.
“Lo spettacolo dura quarantacinque minuti circa, in quel tempo devi prendere quello che ci serve e uscire”. Puntualizzò Rei, aggiungendo un “pensi di farcela?” con un tono velatamente preoccupato.
“Ce la farò, non abbiamo mai fallito no?!”
Ami diede una leggera gomitata alla mora masticando un “non è proprio così”, che attirò l’attenzione di Michiru e anche di Haruka, che prevedendo una notizia bomba in arrivo non poté fare a meno di avvicinarsi e mettersi in ascolto del piano.
“Qual è il problema? Quindi? Ragazze dovete essere precise in queste cose…cosa volevi dire Ami?” la incalzò Michiru irrigidendosi appena.
“Che…hai solo trenta secondi per uscire dalla camera della cassaforte con le armi”.
“Come diavolo può farlo?!” sbottò Haruka cedendo alla tensione.
“Rei ha progettato una bomba EMP, che provocherà un balckout in tutta Las Vegas. Così oscureremo le telecamere della stanza del caveau, ma il guasto non dura più di trenta secondi. Devi piazzarla tu dall’interno e noi la facciamo scoppiare dall’esterno. Incide sugli elettroni nessuna fiammata non preoccuparti Michiru, ma se la vigilanza ti vede li dentro è finita.” Sentenziò Ami rivolta al capo squadra.
“Quindi avete deciso che entrerà solo lei a rischiare la pelle?” il tono di voce di Haruka si fece feroce, un moto di rabbia e apprensione le stava scoppiando dentro, bombardando il suo cuore.
“Per chi ci hai pre-”, la risposta di Rei venne interrotta dalla voce di Michiru che piantò i proprio occhi in quelli di Haruka.
“E’ sempre stato così. Io svolgo il lavoro vero e proprio dopo di che me la svigno, incolume”. La frase le uscì in tono piatto.
Haruka non riuscì a captare nessuna sfumatura di emozione o timore nei suoi occhi e nessuna incrinatura colorò la sua voce.
Quando si trattava di “lavoro”, Michiru pareva diventare meno umana di quanto fosse realmente e questo le incuteva un certo timore.
“Vai avanti Ami, come entro?”
“Abbiamo pensato di farci aiutare da Akira”.
“No, è fuori discussione”. Questa volta Haruka non avrebbe ammesso repliche. “Lui, non deve entrare in questa faccenda”.
“Ci serve per fare entrare Michiru, Ivanov si fida di lui. Deve solo fingere di avere un carico di armi da consegnargli e in una delle casse ci sarà Michriu, così arriverà prima all’interno della camera che c’interessa perché di fatto ci sarà già dentro!”
“Non se ne parla!”
“HARUKA!” Michiru gridò il suo nome alzandosi in piedi.
“Hai forse un piano migliore visto che obbietti ogni cosa?!”
La bionda anche se non vide l’espressione di Seiya in quel momento, non fece fatica a immaginarselo con un sorriso compiaciuto sul volto tutto gongolante per come stava venendo trattata.
“Non ce l’ho ma…”
“Allora chiederemo ad Akira cosa ne pensa. E’ libero di tirarsi indietro se vuole ma se lo farà, lo deciderà lui stesso, non tu”.
Non poteva crederci.
In quel momento Haruka, per quanto s’impegnasse non trovava nulla in Michiru di riconducibile alla ragazza gentile e spiritosa che sapeva essere.
Di quella che aveva imparato a conoscere.
Era come avere un’altra persona con le sue sembianze davanti a sé, priva di ogni sensibilità o tatto.
“Che diritto hai tu, solo di metterlo in mezzo?!”
“E tu di decidere per lui?”
“E’ un mio amico!”
“Ci tiene ad aiutarti però!”
“Può aiutarmi senza rischiare la pelle. Hai idea di come siano i mafiosi russi? Non sono molto docili se li fai incazzare, penso che anche tu lo sappia senza che te lo debba spiegare io”.
La conversazione dai toni sempre più accesi ammutolì i presenti e nessuno, a parte Seiya che andò ad aprire alla porta, si accorse che Akira e Minako avevano appena valicato la soglia della stanza.
“Che sta succedendo qui?” domandò Minako appoggiando distrattamente qualcosa sul bancone in marmo che divideva il cucinotto dal resto della sala, insieme alla propria tracolla, dirigendosi verso le due che gesticolavano alzando animatamente la voce senza prestare la minima attenzione al resto.
Solo quando diede un pizzicotto al braccio di Haruka per farsi notare, l’amica la degnò di uno sguardo.
“Fulmine, puoi calmarti?”
“No, Mina…non posso proprio!”
“Dovresti perché…”
“Centra Akira”. La freddò Haruka per dissuaderla dal continuare ogni tipo di predica che voleva farle per renderla più docile.
“No, centri tu. Dobbiamo parlare. Adesso”.
Haruka sbuffò. Sapeva che se le avesse dato retta l’avrebbe avuta vinta un’altra volta, ma il tono che aveva usato e l’occhiata che le aveva lanciato aveva scatenato in lei il dubbio che ciò che aveva da dire non poteva davvero aspettare oltre.
Michiru fece accomodare Akira che venne subito placcato da Usagi con un discorso sui biscotti al cioccolato per smorzare la tensione, prima di chiedergli se sarebbe stato disposto a dare il suo contributo per la missione.
Tirò un lungo respiro, torturando tra le dita una lunga ciocca di capelli  acqua marina mentre guardava Haruka sparire su per le scale con Minako.
Non volevo litigare…
La sensazione di averla in qualche modo persa si annidò in un angolo del suo petto provocandole una leggera fitta.
 
Seiya sembrò quasi leggerle nel pensiero perché la sua voce arrivò a stordirla con un “non preoccuparti, se ne farà una ragione Michi, la missione prima di tutto no?!”
La ragazza alzò lo sguardo su di lui, intento a sistemare su un vassoio alcuni calici contenenti quello che sembrava un colorato cocktail pomeridiano e non poté fare a meno di notare che anche in quella farsa, era preciso e metteva tutto se stesso nonostante non ci fosse certo la necessità di ricoprire il ruolo di maggiordomo in quel momento.
Lui era l’emblema della professionalità, del dedicare tutto se stesso ai suoi doveri.
“Non sei la migliore mica per niente…” continuò sistemando sull’orlo dei bicchieri una fetta di arancio.
“Stai facendo solo il tuo dovere, se questo comporta discutere va bene così”.
Michiru annuì con il capo.
Lui è sempre dalla mia parte.
“Me lo faresti un sorriso ora che ti ho consolata?!” domandò con torno scherzoso lanciando un’occhiata soddisfatta al proprio operato.
Gli angoli della bocca di Michiru si tirarono appena verso l’alto.
“Un po’ meno finto dai…impegnati!”
“Uffa, Seiya! Va bene così?” domandò, scoprendo i denti con eccessivo entusiasmo.
“Ecco è quasi perfetto!” sentenziò il moro con aria felice.
Mi basta persino che tu faccia finta di sorridere per me…
“Dai, dammi quel vassoio. Ci penso io!”
“Come desidera, Miss!”
Questa volta Michiru sorrise realmente e attenta a non rovesciare nulla e a risultare impeccabile come avrebbe fatto lui, servì il resto del team seduto attorno al tavolino basso in vetro senza accorgersi dell’espressione di Seiya che stava mutando nell’aver trovato il cartellino dell’ organizzazione appartenente a Minako.
 
 

***  

 
 
Dan suonò ancora una volta il campanello della villetta tipica americana, circondata da uno steccato basso in legno.
Il prato era ben curato e la presenza di fiori e piante rigogliose in quello spazio doveva essere opera di una donna o di qualcuno con uno spiccato pollice verde.
Magari ha un giardiniere.Rifletté un momento in silenzio.
Non era raro che si perdesse in pensieri futili quando una certa ansia lo attanagliava.
Conosceva bene il proprio Boss e quando era di cattivo umore sapeva che poteva essere capace di tutto, senza scrupoli.
“Arrivo, arrivo! Un momento solo!”
Una voce maschile risuonò da dietro la porta con il conseguente rumore di chi scende le scale di corsa e una risatina accompagnò quei passi verso l’uscio.
In pochi attimi la porta d’entrata si aprì rivelando un uomo castano, alto, con un accenno di barba e una maglietta grigia sportiva spiegazzata mentre ai pantaloni della tuta nera, all’altezza del polpaccio, le manine piccole di una bambina si attaccavano tirandone la stoffa.
“Simon Davis?” domandò il compagno di Dan che lo affiancava nascondendo alle sue spalle il Dimitry.
“In persona…” deglutì l’uomo avvertendo un’ansia crescente e appoggiando una mano sulla testa della bambina che sorrideva ai due sconosciuti.
“Papà guarda! Il signore ha una pistola! E’ vera? E’ della puulizia?”
“Si dice polizia tesoro, perché non vai su in camera da tuo fratello?!” la invitò gentilmente senza staccare lo sguardo dai due energumeni che lo fissavano da dietro gli occhiali da sole neri.
La bambina accennò un saluto con la mano per poi saltellare sulle scale raggiungendo il proprio fratello in camera.
“Una ragazzina adorabile!” commentò Dimitry facendo la sua comparsa tra le due guardie, “non mi fai entrare?”
“Non credo ce ne sia bisogno, gli affari che avevamo in sospeso li abbiamo chiusi”.
Cercò di apparire sicuro di sé senza lasciare che l’ombra del terrore che gli stava attraversando gli occhi risultasse visibile ai tre individui che aveva davanti.
Devo essere forte per la mia famiglia.
“Credevo anche io, ma a quanto pare invece abbiamo ancora un conto in sospeso…”
“Non so di cosa stai parlando!”
“Aah”, Dimitry sospirò guardando la tettoia sopra il proprio capo adornata da alcuni rampicanti.
“Tua moglie è proprio portata per il giardinaggio…”
“Le piace, si”. Dove diavolo vuole arrivare?
“Sai…” il russo sbuffò leggermente, come dispiaciuto per qualcosa. “Se tu ora non collabori credo che…non potrà più fare quello che le piace di più”.
“Puoi evitare i giri di parole e le minacce?”
Simon Davis si asciugò con il dorso della mano alcune gocce di sudore che avevano cominciato a scendere lente dalla fronte.
Aveva capito di essere in una brutta posizione e la sua mente non riusciva a studiare un qualsiasi piano per salvare la propria donna e i suoi due bambini.
“Se tu avessi risolto le cose da uomo a uomo, ora io non sarei qui e non avrei bisogno di ricorrere alle minacce; e per carità…non avrei messo in mezzo la tua famiglia! Ma tu, hai preferito affidarti ad alcuni Giapponesi a quanto pare! Devono esserti costati una fortuna quei musi gialli, non bastavano gli americani?”
Come fa a sapere che ho ingaggiato quell’agenzia?!
“Ti rinfresco la memoria…Milena, no anzi…Michiru, Michiru Kaiō, la cugina pagliaccio o quel che è e i suoi tirapiedi”.
“Mi hai derubato”, tergiversò l’altro.
“Non stiamo parlando di questo ora, ci stiamo concentrando su quella gente. Potevi scegliere meglio, sono distratti!”
“Non so di cosa tu stia parlando”, insistette Davis.
“Non sai…”, Dimitry sgranò gli occhi cerulei per poi scoppiare a ridere. Una risata che non aveva nulla di allegro e preannunciava solo conseguenze spiacevoli.
“Dan, non sa di cosa sto parlando!” continuò dando una spinta alla spalla muscolosa del suo imponente scagnozzo.
“Vai a prendere i bambini! Vediamo se così gli torna la memoria!”
Dan eseguì gli ordini, spostando di peso l’uomo che gli sbarrava la strada sulla soglia, buttandolo a terra.
“Loro non centrano niente, lascia stare la mia famiglia farabutto!”
“Dimmi tutto di quell’agenzia, sto perdendo la pazienza!”
Il cervello di Davis sembrò non riuscire a mettere insieme le parole che servivano a formulare una frase di senso compiuto.
Il terrore che poco prima non voleva far trapelare ora era chiaro sul suo viso che fissava Dan salire le scale e dirigersi verso i suoi figli.
“Raccontami tutto se non vuoi che succeda qualcosa alle persone che ami, così io potrò fare una bella sorpresa alla signorina Kaiō e ai suoi colleghi”.
Dimitry entrò nell’abitazione assestando un calcio nello stomaco all’uomo che era responsabile di quella trappola che gli era stata tesa.
“Nessuno si prende gioco di me”.
 
 

*** 

 
 
“Dobbiamo parlare!”
Haruka aveva trascinato nella sua stanza Michiru senza darle alcuna spiegazione. Lasciò la presa ferrea al suo braccio e chiuse la porta alle loro spalle.
“Non devi farlo mai più!”
“Cosa?”
“Contraddirmi in quel modo davanti alla mia squadra”.
Puntualizzò Michiru.
Sta ancora pensando a quella storia.
“Non riguarda questo quello che devo dirti…”
“Haruka non ho tempo per il resto, ok? Abbiamo un incarico da svolgere e sinceramente voglio farlo alla svelta, voglio tornare a Tokyo, a casa mia, prendermi un po’ di ferie…Perciò cerca di collaborare e non farmi perdere tempo!”
“Sei davvero tu, questa?” Haruka vomitò quella domanda senza pensare al resto e Michiru s’immobilizzò di colpo, lasciando andare la maniglia e voltandosi nuovamente verso di lei.
“Cosa vuoi dire?”
“Sei davvero così? Lo sei sempre stata? Ti importa degli altri…ti importava di me?”
Michiru sbatté le ciglia più volte come stordita da quella domanda.
“Sei sicura di essere così?” La incalzò ancora la bionda, decisa a non farla uscire da quella stanza senza che prima sapesse la verità. “Non pensi potrebbero averti cambiata?”
“Di chi stai parlando?”
“La Black Hole, l’agenzia, gli spazzini”.
“E’ un rebus? Un indovinello? Parla chiaro!”
Era ancora fredda. Un iceberg appuntito. Una lama. Una punta di diamante che risplendeva in tutti i suoi riflessi gelidi sotto la luce. Non era la Michiru con la quale si era divertita per ore poco prima, non era quella che l’aveva baciata la sera precedente ma per lo meno aveva la sua attenzione.
“Minako ha scoperto delle cose…”
“Ne sei sicura?”
Haruka annuì con il capo sedendosi sul materasso del letto e Michiru la imitò mettendosi a fianco a lei.
“Minako si è infiltrata. E’ da ieri che è stata nella sede americana dell’agenzia e ha scoperto alcune cose. Esiste una divisione chiamata Black Hole, che come si può immaginare dal nome…o forse no, non lo si può immaginare perché è davvero fantascienza…” rise nervosamente per poi continuare quel racconto che le dava i brividi, “lascia dei buchi neri nella memoria di alcuni agenti. Come è successo a noi. Ora ne sono certa!”
Michiru rimase senza fiato, boccheggiò un momento con le labbra dischiuse in cerca di aria ma la ricerca di ossigeno era appena diventata una vera e propria sfida.
“In questa divisione ci sono quelli che chiamano gli spazzini. Loro intervengono quando qualcosa non va e fanno piazza pulita. Non so ancora in che modo riescano a farlo…Minako ha parlato di trattamenti, so che danno anche dei medicinali, come le tue pillole per evitare che torni a galla quello che loro decidono di far sparire”.
Un capogiro sorprese Michiru che si sentì venir meno e si aggrappò istintivamente al polso di Haruka.
Poteva avvertire il bruciore nei polmoni, la gola improvvisamente arida, le vene pulsare insistenti sotto la sua pelle. Ogni minimo dolore e meccanismo del suo organismo sembrò amplificarsi.
“No, ehy, ehy non svenire! Intese?!” Haruka le diede dei leggeri schiaffetti sulle guance.
“Dio, come fai a fare un lavoro del genere se mi collassi con un racconto così?!”, anche se la frase aveva l’aria di un rimprovero non voleva esserlo e Michiru lo capì, vi lesse in quelle parole la preoccupazione per lei, l’attenzione che le stava rivolgendo per non farsela scivolare via. Con la sua voce e il suo tocco la stava tenendo li, in quella stanza, con lei.
“E che…questo riguarda noi da vicino. Non qualcun altro”. Riuscì a dire Michiru una volta riuscita a radunare un minimo di lucidità.
Abbassò il capo, portandosi il viso alle ginocchia, ranicchiandosi il quella posizione.
La mano di Haruka accarezzò quella cascata di capelli ondulati color mare e quel tocco trasmise tutto il suo calore a Michiru che riuscì a percepirlo distintamente.
Forse è questo che mi ha fatta innamorare di lei…la sua forza e la sua gentilezza nei momenti in cui mi lascio andare alla debolezza io.
“A che stai pensando occhi d’angelo?” le domandò all’orecchio Haruka sentendo che alcuni brividi la stavano scuotendo.
Ora sotto i suoi occhi c’era di nuovo lei, la Michiru che le rendeva gelosa, quella che si domandava in che modo era riuscita a farla sua tempo prima.
“Quindi…”
“Cosa?”
“Quindi io non sono la migliore”. Sentenziò la ragazza svelando nuovamente il suo viso che ora portava incastonati due occhi arrossati ed umidi.
“Stai dicendo che sono rotta”.
“Non essere sciocca…sto solo dicendo che io, sono il tuo buco nero”.
 
Passarono alcuni attimi in cui l’unico rumore udibile nella stanza furono i loro respiri.
“Perché pensi sempre a essere la migliore nel tuo lavoro Michiru?” azzardò Haruka, facendo per allontanarsi quando la sua mano fu bloccata dall’altra sulla sua guancia per prolungare il contatto tra di loro.
“Non me lo ricordo più, credo abbiano cancellato anche quello. Non so più perché ho iniziato a fare quello che faccio”.
“Ok, non ha importanza…ricomporremo il puzzle una volta finito con questo incarico ok? Possono aspettare le tue vacanze?”
Michiru rise, asciugandosi le ultime lacrime che scivolarono veloci sulle sue gote.
“Posso aspettare si…Ah Haruka…”
“mh?”
“Mi dispiace”.
“Per cosa?”
“Per aver dimenticato quello che provavo per te!” affermò Michiru, abbassando appena lo sguardo un po’ imbarazzata.
Haruka sorrise.
Era come se all’improvviso si sentisse più leggera. Come se si fosse tolta il macigno che Minako le aveva scaricato addosso e sentiva che la tensione della discussione di prima era scomparsa, lasciando spazio a qualcos’altro. Un qualcosa che non sapeva identificare chiaramente ma che in qualche modo la stava facendo sentire bene.
Aveva come avuto l’impressione,  di aver ritrovato ancora una volta Michiru, di essere riuscita anche se per pochi istanti, a tirare il filo rosso invisibile che univa le anime gemelle e a raggiungerla tramite quello.
“Non devi scusarti. Sono convinta che non possano cancellare i sentimenti ma solo nasconderli!”
La guardò alzarsi dal letto, con i capelli spettinati e negli occhi riflessa tutta la forza che aveva nel cuore.
Un’immagine talmente bella ed irreale, che Haruka pensò di essersi addormentata e di aver davanti un suo sogno.
Le passò accanto, leggera. E nel spostare l’aria con quel movimento vi lasciò un profumo indescrivibile che aveva l’immensità del mare.
Vorrei baciarla di nuovo. Ma prima di farlo, doveva metterla in guardia.
“Michiru?!”
“Si?!”
“Sta lontana da lui, stai lontana da Seiya”.
Non sapeva che quella frase avrebbe scatenato una nuova spaccatura tra di loro impedendole di assaporare le sue labbra.
“E’ mio amico Haruka”.
“Un amico che ti ha drogata, aiutandoti a dimenticarti di me”. Ribatté nervosa, cercando di controllare la rabbia. Stava di nuovo camminando su un filo invisibile, teso sopra ad una voragine enorme e cercava di rimanere in equilibrio come un’acrobata del circo.
“Non credo lo sapesse. Lui è corso in mio aiuto quando un pazzo indiano voleva farmi fuori!”
“Ne sei certa?”
“Lo ricordo perfettamente. Mi è tornato alla mente al party di Ivanov. Lui, non mi farebbe mai del male”.
Michiru l’aveva appena spinta nel crepaccio. La sua mano non l’aveva trattenuta, non l’aveva aiutata a rimanere in piedi era quella che aveva decretato la sua fine in quel momento.
“Mi fido di lui e se non lo farai anche tu…credo che io non potrò fidarmi di te”.
Il profumo che alleggiava intorno ad Haruka, ora, era quello della tempesta.
Il mare calmo e piatto aveva perso la sua gentilezza lasciandosi andare ai cavalloni alti e prepotenti dell’oceano che possono ingoiare qualsiasi cosa si trovi sul loro percorso.
“Correrò il rischio…”
Michiru attese ancora un momento scossa da un brivido.
“Correrò il rischio di non meritarmi la tua fiducia allora”.
La speranza che aveva nutrito nell’altra si dissolse come nebbia, uscì sbattendo la porta, richiudendo oltre una parete Haruka rendendola distante da sé.
So quello che ho visto, non sono una stupida.
Strinse le mani in due pugni che ondeggiavano lentamente lungo il suo corpo quando incontrò Seiya che saliva le scale.
“Va tutto bene, Michi?”
L’altra non rispose a quella domanda perché se avesse dovuto essere sincera, per descrivere quello che provava in quel momento avrebbe usato una sequela di imprecazioni che non le appartenevano.
“Mi hai sempre protetta…”
Il ragazzo colse la sua fragilità in quel momento.
“Sempre e sempre lo farò!”
Michiru a quelle parole gli buttò le braccia al collo e lo strinse a sé lasciandolo di stucco.
L’aveva mai abbracciato prima d’ora?
Era sempre stata gentile con lui e affettuosa ma non ricordava di aver ricevuto un contatto come quello. Una stretta così forte che lo spingesse sempre di più verso di se.
“Puoi lasciare il mondo fuori Michiru. Sarò al tuo fianco, sempre”.
“Ci conto”.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo. Che faticaaaa!!
Nonostante l’esame che incombe minaccioso e il mio scarso studio ho provato a scrivere e…questo è il risultato! Spero vi piaccia, o per lo meno che scateni qualcosa in voi, che non vi lasci indifferenti.
( Mi auguro pure che non sia troppo "sconnesso").
Io personalmente sono arrabbiata! AHAHAH!! Questo Seiya mi fa arrabbiare e anche questa Michiru! Credevate che Michiru e Haruka dopo un bacetto avessero vita facile?! Naaa!! Dai, che noia se no!! O sbaglio?
Il prossimo capitolo sarà quello di Las Vegas, spero di regalarvi quindi un po’ di adrenalina!
Sono ansiosa di sapere che ne pensate!!
Baci baci
Kat
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Passi falsi ***



Capitolo 11.
Passi Falsi



 

Era stata ingannata, braccata, catturata e ingabbiata come un animale.
La rabbia per quella situazione era troppa da smaltire e non avrebbe ceduto facilmente alla disperazione, non lo avrebbe mai fatto fino a che al suo fianco fosse rimasta lei, Haruka.
Michiru si voltò verso la cella accanto alla sua e la vide masticare nervosamente tra i denti un “bastardi”, mentre cercava una soluzione per uscire da quella gabbia.
Le luci al neon vibrarono emettendo il ronzio che fino a quel momento era stato l’unico rumore udibile nelle vicinanze.
“Haruka…”
“Mh?” la sua voce interruppe all’istante la febbrile ricerca dell’altra di qualcosa che potesse tornare utile alla loro fuga.
“Non toccare le sbarre”.
“Cos…perché?!”
“Credo proprio che ci passi della corrente”.
Gli occhi chiari di Haruka si sgranarono increduli percorrendo poi dall’alto al basso la porta della sua cella.
“Come l’hai capito?”
“Intuito. Quando ci hanno portate qui si sono premurati di disattivare qualcosa…” s’interruppe, percorrendo con lo sguardo la stanza. “Ecco, quell’interruttore a qualche metro da te. L’hanno spinto prima. Non è la luce e non serve nemmeno ad aprire queste gabbie, inoltre…c’è un rumore. Una sorta di fischio leggerissimo e non ha nulla a che vedere con il ronzio dei neon”.
Un angolo della bocca della bionda si tirò verso l’alto facendo comparire sul suo viso un sorriso sghembo appena visibile.
“Sei proprio la migliore!  Attenta ai particolari in ogni situazione. Sicura di essere umana, vero?!”
“Maledettamente umana o ti avrei già tirata fuori di qui!”, rispose con un sorriso amaro Michiru.
Cosa poteva fare? Avevano una speranza di uscire da li?
Quello era il luogo da cui se si usciva non si era più se stessi.
Due uomini dell’agenzia entrarono seguiti da una donna con un camice che si fermò sulla soglia della stanza, indicando Haruka e costringendo Michiru ad abbandonare ogni riflessione per porre tutta la sua attenzione sulla fidanzata.
La vide irrigidirsi appena e assumere l’espressione concentrata che aveva ogni volta che cominciava a studiare dove colpire il suo avversario.
Uno dei due uomini in nero, si premurò di spingere l’interruttore al muro distante qualche metro dalla cella di Haruka, mentre l’altro si apprestò ad aprire con una chiave magnetica la porta che lo separava dalla ragazza.
“Andiamo”, ordinò avvicinandosi a lei.
“No, ma dico…inviti sempre così le ragazze ad uscire? Dovresti essere un po’ più galante”.
Michiru la vide temporeggiare appena.
Una battuta per distrarlo e colpirlo in pieno viso con un pugno ben assestato sulla mascella.
“Mai sottovalutare una donna!”, sibilò per colpirlo poi sotto al mento.
Scattò veloce alle sue spalle con pochi passi, felina, per stringergli il collo con un braccio e tentare di soffocarlo.
“Haruka, sono in due per la miseria!” gridò Michiru presa da un improvvisa tensione, “E sei disarmata” avrebbe voluto aggiungere se solo ne avesse avuto il tempo. Ma nemmeno quello fu dalla loro parte.
Il compare di quello che ora tentava di liberarsi dalla morsa di Haruka si avvicinò alla bionda con una stun gun, che non appena entrò in contatto con il suo fianco la fece accasciare a terra sotto la potenza di una scarica elettrica.
 
 
A quel ricordo Michiru si aggrappò al lavandino in ceramica bianca del bagno al piano superiore.
Il respiro le si era fatto improvvisamente affannato e fece appena in tempo a soffocare un urlo di terrore.
Quello non era un incubo. Era un ricordo.
Terribile, ma assolutamente reale.
Era stato fatto del male ad Haruka e lei, impotente, aveva solo potuto guardare senza far nulla.
Una fitta di dolore alla testa la colse impreparata facendola gemere appena.
“Cavolo…” mugugnò abbassando lo sguardo al pavimento per qualche secondo, piegando il capo per poi rialzarlo e guardarsi allo specchio dove scorse nel suo riflesso una goccia di sangue scivolarle sulla pelle.
“Ci mancava l’epitassi, fantastico!”
 Si sciacquò il viso, mettendosi poi seduta sul pavimento ed esercitando una piccola pressione al naso.
Posso di certo prendermi altri dieci minuti, valutò osservando l’orologio al polso che le sarebbe servito a Las Vegas.
Sospirò appena.Se non avessero discusso la sera prima, Michiru sarebbe corsa da Haruka per quella brutta sensazione che ora albergava in lei a causa di quel ricordo per assicurarsi che stesse bene.
Sarà sveglia? Dovrei salutarla prima di partire con Akira?
 
 
“Oh scusa!”
Michiru girò di scatto la testa verso la porta al suono di quella voce.
“Non…avevi chiuso”. Si giustificò Haruka rimanendo immobile sulla soglia e spettinandosi la zazzera bionda con fare lievemente imbarazzato.
Michiru notò che aveva addosso i pantaloni della tuta e una maglia larga e stropicciata, segno che si era alzata da pochi minuti.
E’ così carina assonnata!
“Comunque…”
Ecco ora dirà qualcosa di sgradevole che mi farà rimangiare quello che ho appena pensato. Pronta ad incassare il colpo per poi risponderle attese il resto delle sue parole.
“Non dovresti tenere la testa così all’indietro”.
Niente lamentele, nessuna frecciatina. Solo un consiglio detto con un tono che aveva le sfumature dell’affetto e della preoccupazione.
Era ancora sveglia o si era addormentata questa volta?
La sorpresa per quel comportamento le impedì di rispondere e la ragazza si limitò a guardare l’altra entrare senza troppi complimenti.
Haruka prese un asciugamano e lo bagnò sotto l’acqua fredda, borbottando un “ci vorrebbe del ghiaccio” per poi chinarsi davanti a Michiru ed occuparsi di lei.
“Togli quelle dita da li!” le ordinò con un sospiro e un timbro che voleva essere burbero per nascondere l’evidente gentilezza di cui invece era dotata.
“Ecco, tienilo premuto…così. Ti succede spesso?”
Michiru scosse piano la testa in segno negativo.
“Meglio così. Tampona un po’ di più…ci sono un sacco di capillari sai?! Se continua ancora per molto sarebbe bene passare all’ospedale”.
Non riesco ad essere arrabbiata se continua in questo modo…perché deve cambiare da un momento all’altro?! Se fosse sempre antipatica sarebbe tutto più facile.
“Sei silenziosa sta mattina. Sei preoccupata per Las Vegas?” indagò senza aspettarsi una risposta alle domande precedenti e ignorando il silenzio di Michiru persa nelle sue riflessioni.
“Andrà bene. Insomma…pure il tuo capo dice che siamo tutti pivelli in confronto a te!”
“Tu, chi sei Haruka?”
La domanda di Michiru non aveva potuto aspettare. Le era scivolata fuori dalle labbra con la spinta di un fiume in piena, con la forza di trovare una risposta alle innumerevoli domande che si affollavano sulla persona che le stava davanti.
Doveva capire di chi si trattava realmente.
Doveva scoprire ogni sua sfaccettatura perché la sua vicinanza, i suoi modi di fare, quella gentilezza nascosta da una corazza di sfacciataggine, la confondevano.
Avere Haruka vicina era come perdere l’orientamento.
Era un continuo vagare tra inferno e paradiso.
 

***

 
 
Akira era stato chiaro.
“Io andrò avanti con Michiru a Las Vegas, tu in serata raggiungimi la. Finita questa faccenda torniamo a Tokyo”.
Era stato risoluto ed incisivo con poche parole ed il tono era uno dei più seri che Minako avesse mai sentito.
Sapeva che voleva aiutare Haruka quanto lei, ma la preoccupazione di saperla infiltrata in quello che definiva il covo nemico era troppa.
“Sono disposto ad aiutarla lo sai, ma non sono disposto a perdere te per farlo. Non si tratta di sgraffignare un portafoglio o una collezione di gioielli a una signora ricca. Si tratta di gente che è pronta a lobotomizzarti se necessario”.
“Tutto chiaro boss!” sorrise tra sé e sé Minako ripensando alle parole del ragazzo mentre sfogliava alcuni documenti riguardanti la cartella di Michiru.
Le dita scivolarono sulle righe fitte di parole criptiche stampate ad inchiostro nero, c’era qualcosa che non le tornava. Qualcosa che non riusciva a capire. Una sorta di codice, un’ enigma.
Forse dovrei fare una fotocopia di questa parte e portarmela in Giappone. Devo rifletterci sopra. Sembra stata scritta da un pazzo che vaneggia…
 
“Dottoressa…”
Minako si torturò le labbra con una mano decidendo poi di farla scivolare nella tasca del camice ed estrarne un lecca lecca alla fragola.
“Zuccheri, mi ci vogliono zuccheri o non ci salto fuori!”
“Dottoressa!”
Scartò il dolce e lo infilò in bocca incurante della voce che la stava chiamando ancora una volta.
“Il ragazzo moro la sta aspettando fuori da qui, dice di doverle restituire una cosa. Non gli ho chiesto il nome però!”
“Eh, cosa?! Quale ragazzo? Ero impegnata a…” decifrare geroglifici. “A recuperare un paio di informazioni utili alla mia ricerca!” affermò con un sorriso e inchinandosi per ringraziare la collega che l’aveva avvertita.
“Vado e torno subito!” la rassicurò prima di strisciare il pass nella serratura elettronica della porta della Black Hole e abbandonare come un fulmine la stanza.
E’ impazzito Akira a venire qui dentro? Non dovrebbe già essere in partenza per Las Vegas?
Minako salì di corsa le scale, guardando l’orario nel suo cellulare.
Che sia successo qualcosa? Un imprevisto? Come è entrato?!
Le ginocchia si piegarono per farle salire l’ultimo gradino, ma quando la chioma corvina che scorse ad attenderla, per quanto familiare fosse non apparteneva ad Akira, ebbe l’impulso di tornare indietro e non farsi vedere.
Come diavolo fa a sapere…
Il cuore le prese a battere furiosamente in preda alla tensione.
Non importa. Ha chiesto di me. Lo sa, non posso scappare tanto vale affrontarlo.
Si fece coraggio e infilò le mani nelle tasche del camice bianco cercando di apparire disinvolta anche se in quel momento il suo dolcetto sembrava aver perso tutto il suo gusto zuccherino, lasciandole solo una sensazione di arido in bocca.
“Seiya?!”
“In persona, madame!”
Lo sguardo della bionda intercettò immediatamente il cartellino di visitatore autorizzato, appuntato sulla giacca sportiva del ragazzo che le parve quasi un monito, un’accusa per essere nel posto in cui ovviamente non aveva il permesso di stare.
“Hai perso il tuo cartellino ieri…” le disse avvicinandosi a lei, con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
“Non mi aspettavo che fossi in una sezione del genere!”
Le porse l’oggetto tenendolo comunque  vicino a se, come se fosse riluttante a restituirglielo.
“Dovresti stare attenta a lasciare in giro questo genere di cose…” le disse in un soffio, captando la tensione dell’altra a quelle parole.
Minako intrecciò le dita all’oggetto plastificato pronta a sfilarglielo da quelle mani grandi che non avevano ancora intenzione di restituirglielo.
“Attenta a quello che dici in giro e soprattutto…attenta a come interpreti le cose…mi auguro che tu non abbia consigliato di agire in determinati modi che ritenevi giusti, ma non lo sono affatto”.
“Del tipo?”
“Sospensione di medicinali o qualunque tipo di azione per porre rimedio a ciò che è stato fatto”.
Con uno strattone la ragazza si riappropriò del cartellino.
Il sangue le stava ribollendo nelle vene e la faccia da schiaffi che aveva assunto il ragazzo le faceva venir voglia di prenderlo a calci, nonostante non fosse un comportamento adatto ad una ragazza come lei.
Dunque sa davvero tutto…
Buttò nel cestino accanto al banco della segretaria il lecca lecca che aveva perso tutto il suo gusto, con un gesto stizzito. Seiya riusciva a rovinarle anche le cose che più amava ed ora era certa che era stato proprio lui a rovinare anche Haruka e Michiru.
Agente di controllo. Ricordava le parole del primo fascicolo che aveva rubato a Tokyo. Doveva trattarsi di lui. Ecco a cosa si riferivano… o meglio a chi si riferivano con quel termine.
Dimenticatoio. Più lo guardava, più i pezzi di quel puzzle si univano a ricostruire parte di quell’oscura faccenda.
Deve trattarsi della Black Hole…
“Beh, ti saluto! Come sai, abbiamo da fare!”
La guardò con un sorriso che a prima vista poteva risultare cordiale ma a cui dietro in realtà si nascondeva ben altro.
“Ti consiglio di non perderci la testa con quella roba!”
Aggiunse, come se fosse preoccupato per la sua salute.
“E’ il mio lavoro!” sottolineò Minako, tentando di non fare capire nulla alla segretaria che ora li guardava incuriosita benché cercasse di fare l’indifferente dietro il monitor del computer.
“Qualcuno potrebbe perdere ben altro, se ti concentri troppo”, tagliò corto il moro dirigendosi verso l’uscita del sotterraneo.
Si riferiva ad Akira? Quel dubbio la immobilizzò per qualche attimo sul posto, rendendola incapace di parlare o muoversi. Guardò il traditore uscire in tutta tranquillità, con un’aria serena in volto che lo rendeva ancora più inquietante ai suoi occhi.
“Attenta a come interpreti le cose…”
La frase riecheggiò nella sua testa una volta che le porte dell’ascensore si chiusero celando la figura di Seiya.
Minako tirò un sospiro di sollievo, quell’incontro aveva messo a dura prova i nervi.
Prese un respiro profondo e appese il cartellino al taschino cucito all’altezza del petto sul camice.
C’è ancora molto da capire. E devo farlo al più presto.
 

 
*** 

 
 
Las Vegas, Nevada.
 
Akira aveva guidato più a lungo del previsto a causa del traffico lento ed intenso. Il deserto roccioso e spoglio aveva fatto da paesaggio lungo tutto il tragitto ma non appena entrò in città con il proprio pick up, ne perse ogni traccia tanto che avrebbe pensato ad un miraggio, se non fosse stato per la temperatura elevata nonostante la stagione autunnale che ne ricordava la presenza.
I palmizi che adornavano i vasti viali di Los Angeles avevano lasciato posto a giardini in pietra bianca che risaltavano grazie al verde acceso di alcuni cactus presenti nelle abitazioni al posto dei prati curati all’inglese, che spesso erano presenti nell’altra città.
“Sembra proprio che siamo arrivati a destinazione!” disse con espressione sorridente per celare il nervosismo che aveva accumulato durante la guida e con cui non voleva contagiare la sua compagna di viaggio.
Michiru, abbassò  le lenti scure degli occhiali da sole sul naso osservando attentamente ciò che si trovava attorno a loro dal finestrino.
Controllò il cellulare su cui spiccava una busta lampeggiante, indicante il messaggio di Ami, che la informava di essersi sistemata con l’attrezzatura nella camera d’hotel di fronte al casinò di Ivanov.
“Possiamo procedere allora!” esclamò  abbandonando definitivamente gli occhiali da sole sul cruscotto dell’auto.
“Ami è pronta. Rei sono sicura lo sarà presto e…”
“Haruka ed Usagi saranno puntuali, arriveranno per tempo”, la rassicurò il moro mostrando al parcheggiatore un pass che permetteva loro di entrare nel garage sotterraneo dell’hotel.
“Grazie per averci aiutato Akira…”
“Non devi ringraziarmi, lo faccio con piacere”.
“E’ strano che sia un piacere, non hai nulla da guadagnare e tutto da perdere. Haruka aveva ragione ad arrabbiarsi.” Le rispose l’altra scivolando appena sul sedile e cominciando a togliersi la cintura di sicurezza.
“E’ qui che sbagli Michiru”. Le spiegò Akira cercando il posto che il personale aveva riservato loro, premurandosi fosse il meno visibile ad occhi indiscreti e telecamere di sorveglianza, oscurate accuratamente da Ami il tempo necessario per far si che Michiru entrasse in quello che doveva essere un finto cassone di armi.
“Sicuramente ho da perdere molto ma potrei guadagnarci la felicità di due care amiche”. Concluse facendo un occhiolino alla ragazza che lo guardava con un’espressione di ammirazione in viso e un pizzico di riconoscenza.
“Allora sono pronta ad entrare nella mia bellissima cassa!” disse con tono ironico Michiru, anche se la cosa in realtà non l’attirava per nulla.
Speriamo non diventi quella del mio funerale.
Akira spense il motore, uscì dall’abitacolo e aiutò a salire Michiru nel retro dell’auto su cui giaceva il suo futuro “nascondiglio”.
“Dunque…” cominciò aprendola, “ho fatto in modo, con le altre ragazze che sia possibile aprirla solamente dall’interno. Dovresti quindi essere al sicuro da possibili ficcanaso. E’ come se fosse saldata in poche parole”. Si chinò sull’oggetto indicandole tre placchette in metallo interne. “Con questo sblocchi il coperchio e puoi uscire”.
“Tutto chiaro”, rispose concentrata l’altra togliendosi la giacchetta che indossava. Era troppo caldo e dentro al caveau lo sarebbe stato ancora di più.
“Attiva l’auricolare una volta uscita, qui dentro non c’è dubbio che trasmetta e poi…prendi queste cose”. Disse Akira porgendole uno zainetto.
“L’han preparato Ami e Rei, c’è tutto il necessario”.
“Ricevuto. Sei un ottimo assistente! Grazie!” con un sorriso Michiru si sistemò all’interno della cassa mettendosi ai piedi il necessario fornitole dalle amiche.
“Comoda?!” le domandò il moro guardandola stendersi e sistemarsi al meglio nello spazio angusto.
“Ho dormito in posti migliori ma non mi lamento!”
“Allora…sincronizziamo gli orologi, così sarai pronta per i tuoi trenta secondi di buio di sta sera!”
Michiru ubbidì, impostando il proprio orologio al secondo con quello dell’altro.
“Buona fortuna Michi!”. Vide il coperchio chiudersi su di lei con un sonoro schiocco e le serrature scattare in automatico alla sua sinistra.
Prima che ogni raggio di luce venisse inghiottito dal buio scorse il sorriso amichevole dell’altro che la rassicurò un poco, anche se si rese conto che prima delle tenebre, le uniche labbra incurvate che fossero riuscite a placare la sua anima inquieta sarebbero state quelle spavalde di Haruka.
 

 
***

 
 
Gli anfibi pesanti di Rei echeggiarono per il salone principale dell’ Excalibur Hotel and Casinò che aveva all’esterno le fattezze di un castello da fiaba e che all’interno proponeva uno stile altrettanto principesco.
Gli enormi lampadari in oro che sovrastano il suo capo, appesi al soffitto illuminarono il suo sguardo sicuro e il sorriso rilassato di chi non ha nulla da temere. Si passò una mano sul petto per assicurarsi che la targhetta con il suo nome fosse ben fissata e visibile sulla camicia nera che indossava, per poi nascondere con cura sotto i lunghi capelli un piccolo microfono che l’avrebbe tenuta in contatto con Ami.
Guardò l’orologio da polso che segnava le sei e tre quarti.
Tra poco arriveranno gli ospiti per cenare prima di darsi alla pazza gioia e sperperare tutto al casinò. Valutò la ragazza, osservando l’afflusso di gente che cominciava ad entrare già in abbigliamento serale.
“Non vedo ancora Haruka e Usagi…” disse sottovoce al microfono, cominciando a fischiettare per mascherare quel suo discorso tra “sé e sé”.
“Entro”. Concluse poi bussando energicamente ad una piccola porta che sembrava stonare con la maestosità e l’imponenza scintillante di quel luogo.
Udì un borbottare, uno sbadiglio e infine dei passi pesanti avvicinarsi all’uscio che come venne spalancato rivelò la figura alta e massiccia di un uomo pelato, di cui il benvenuto le regalò solamente uno sguardo torvo accompagnato da un silenzio che richiedeva una spiegazione per l’interruzione del proprio operato.
“Sono la nuova addetta alla sicurezza”, disse senza troppi giri di parole Rei.
Non amava dar troppe spiegazioni, ne dispensava sorrisi e moine come Usagi. La sua tecnica era diretta, precisa. Avanzava come un panzer tedesco verso il suo obbiettivo senza giungere a compromessi o regalando adulazioni alle persone a cui era costretta ad avvicinarsi per lavoro.
L’uomo non la degnò di risposta, si limitò a scostarsi svogliatamente lasciandola entrare per poi tornare sulla sua sedia, che cigolò sotto il suo peso, davanti ad alcuni monitor presenti nella stanza e riprendendo quella che doveva essere la sua cena.
Figurati se non toccava a me il lardoso antipatico. Pensò tra sé e sé mentre un’altra figura del tutto opposta a chi l’aveva accolta, lunga e secca, intenta a tirare su energicamente da una cannuccia più coca cola possibile da un bicchiere in plastica si voltò verso di lei ricevendola con un cenno della mano.
“Benvenuta!” sentenziò non appena si staccò dalla bevanda, allentandosi poi la cravatta che giaceva attorno al colletto della camicia. “Sono Steve e lui, beh è Donat. E’ russo, puzza il più delle volte e non parla la nostra lingua ma…sa fare il suo lavoro!”.
Un uomo di Ivanov a tutti gli effetti.
“Ciao. Che abbiamo qui?” domandò Rei chiudendosi la porta alle spalle e visionando le stanze riprese dalle telecamere.
“Una donna tutto lavoro eh?! Ecco perché il Boss ti ha scelta!” disse cordiale Steve, indicando poi il primo degli schermi. “Abbiamo sotto controllo la sala da gioco, in particolare i tavoli di black jack due e sei…poi, da questa parte” aggiunse sospirando, “Controlliamo il corridoio che porta al Caveau e la stanza interna della cassaforte vera e propria”.
“Capisco…”
“Sicuramente bisogna prestare più attenzione alla sala da gioco è difficile che qualcuno non addetto possa entrare nel caveau”.
Guarda pure chi gioca, a noi fai un favore.
Il trillo di un telefono grigio interruppe la conversazione. Donat alzò la cornetta passandola a Steve, continuando a masticare il corposo panino, il cui condimento minacciava di colare da un momento all’altro sulla sua divisa.
“Si. Cosa? Ivanov non ci aveva detto stava aspettando un carico. Mh, si. Me ne occupo io!”.
Akira e Michiru!
“Vengo anche io. Credo che il nostro amico russo e il suo panino possano prestare attenzione da soli a questi bei televisori” si apprestò a dire la ragazza una volta che Steve concluse la telefonata.
“Si, certo. Fa parte del lavoro. Così saprai come muoverti per alcune faccende…”.
 
 

***

 
 
 
 
Haruka entrò nel suo completo blu firmato.
La camicia bianca leggermente aperta sotto una giacca elegante le dava l’aria di un ragazzo agiato e ribelle che aveva tutta l’aria di divertirsi quella sera.
Il lineamenti dolci del viso erano rilassati, nonostante gli occhi chiari scrutassero nei minimi particolari tutto ciò che la circondava.
L’azzurro limpido delle sue iridi rimbalzò sulla folla che entrava con lei nel Casinò, posandosi per un momento sull’orologio da polso che portava, per poi scivolare sul mobilio e intercettare il ghiaccio colmo di calore che solo gli occhi di Akira riuscivano a trasmettere.
Lo guardò con aria indifferente, sorpassandolo come se non lo conoscesse e incrociando Rei, nei panni della security che le lanciò un cenno impercettibile del capo.
L’operazione era iniziata a tutti gli effetti. Erano in gioco tutti quanti e di Dimitry nessuna traccia.
Sarà rimasto in città. Dopo tutto è raro che gestisca direttamente qui ogni serata. Valutò il tutto entrando nell’ampia sala dove si sarebbe svolto il banchetto con tanto di spettacolo medievale che i visitatori attendevano con ansia; e che quel luogo era l’unico a Las Vegas capace di offrirlo in grande stile. Tra la folla riuscì a riconoscere Usagi nel suo vestito elegante, nonostante per l’occasione indossasse una parrucca dai lunghi boccoli neri che toglievano una certa riconoscibilità alla sua buffa sagoma.
“Buona sera!” le disse avvicinandosi e salutandola con un raffinato bacia mano.
“A lei!” rispose con un sorriso. “Potremmo cominciare a bere qualcosa insieme per poi presentarci come si deve!” le suggerì afferrando due cocktail colorati dal vassoio che un cameriere stava facendo girare tra gli ospiti.
“Spero che possa perdonarmi ma…non posso bere. Vorrei essere lucido per le mie vincite al black jack di sta sera!” esclamò Haruka accompagnando la frase da un occhiolino.
Era solo andata a controllare che fosse tutto in regola e Usagi era la scusa perfetta per attirare l’attenzione delle telecamere su di lei. Sapeva che il posto era dotato di microfoni; e anche se non tutte le conversazioni potevano arrivare alle orecchie attente degli addetti alla sicurezza, in qualche modo lei doveva cominciare la sua recita in modo che si concentrassero su di lei e non sul caveau.
 
 

*** 

 
Rei, accompagnata da Steve si fermò davanti alla faccia sorridente di Akira.
“Buonasera”, cominciò cordiale il ragazzo della sicurezza osservando la cassa sdraiata su un carrello che pareva quello delle valigie.
“Buonasera a lei…” Akira assottigliò gli occhi controllando la targhetta riportante il nome dell’altro, “Steve!” aggiunse, appoggiando un braccio al banco lucido della reception.
“Non abbiamo avuto avvisi per questo carico”. Sottolineò senza troppe chiacchere l’addetto osservandolo.
“Mi ascolti bene, Steve”. Il moro marcò volutamente il nome dell’altro per attirarne la completa attenzione. “Non so se sa…” si guardò attorno, con fare circospetto e abbassando appena la voce, come a confidargli un segreto.
“Che non è molto legale trasportare e consegnare certi tipi di armi. Che diavolo di richiesta avrei dovuto fare?”
Steve borbottò qualcosa, schiarendosi la voce.
“Ma il signor Ivanov non ha…”
“Il signor Ivanov”, lo interruppe Akira, “s’incavolerà come una bestia se non consegno questi oggetti per lui molto preziosi nel vostro caveau. Di che diavolo ha paura? Ce lo porterò con la sua collega, mica andrò a farmi i fatti vostri la dentro. La testa che c’è di mezzo è la mia se permette e…non vorrei perderla. Credo sappia bene, che quando si altera il suo superiore non è quello che si può definire una persona ragionevole”.
“Devo insistere io non ho nessuna prova che lei -”
“No, sono io che insisto”. Il tono di Akira era risoluto. Un perfetto ed insistente trafficante di armi che avrebbe avuto ad ogni costo ciò che voleva ottenere.
“Il suo collega, il russo, mi conosce. Non mi ha mai fatto storie. Sono amico e fornitore del signor Ivanov da molto tempo. Sono una persona fidata. Se vuole chiamare Donat sono sicuro che risolveremo in un attimo la faccenda. Preferisce che disturbi direttamente il suo capo?”, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare mostrandogli lo schermo. “Questo è il suo numero, lo chiamo se preferisce”.
“No, d’accordo”.
Ho fatto centro.
“L’aiutiamo con questo carico e chiederò conferma dopo a Donat. Non voglio scomodare il capo”.
“Faccio io, non si preoccupi. E’ pesante”.
In realtà è fin troppo leggero, per quello voglio portarlo io fino alla fine.
“In più rischierà di far movimenti che potrebbero danneggiare le armi e Dio non voglia che inavvertitamente scoppi qualcosa! Sarebbe un macello!”.
“Bene, d’accordo.” Borbottò Steve parandosi davanti a lui e passandosi una mano tra i capelli corti e radi.
“Le faccio strada” intervenne Rei, con fare professionale.
Il collega rimase un momento interdetto per quella frase, ma la ragazza si apprestò a dargli spiegazioni.
“Mi hanno fatto fare il giro oggi pomeriggio, conosco il caveau. Posso fare io. Abbiamo il carrello non si farà fatica. Vai ad accertarti da Donat che il signor…”
“Aoki” l’aiutò Akira con fare gentile.
“Che il signor Aoki sia in regola, qui me la sbrigo io!”.
 
 

*** 
 

 
Michiru tirò un sospiro di sollievo sentendo solo la coppia di passi appartenenti ad Akira e a Rei che la stavano portando senza intoppi nella stanza più interna al Caveau, quella della cassaforte contenente le armi di Simon Davis.
Sentì un lieve scossone una volta che i due amici sistemarono il suo nascondiglio in modo che non fosse visibile alla telecamera, una volta uscita da li, prima dei trenta secondi di oscurità che le avrebbero permesso di recuperare il bottino del loro cliente.
“Si sta facendo tardi, dobbiamo tornare di sopra. Non si può sostare qui!” spiegò Rei al ragazzo per poi abbandonare il posto sicuro di Ivanov.
Era stato un avvertimento nei confronti di Michiru quello, per avvisarla che di li a pochi minuti sarebbe dovuta entrare in azione.
Respirò a fondo. Raccogliendo tutta la calma e la concentrazione di cui aveva bisogno.
Si sgranchì le dita delle mani che avevano preso a formicolarle, dovevano essere agili e veloci, un po’ d’intorpidimento non poteva ostacolarla.
Chiuse gli occhi, contando mentalmente.
Cinque.
Haruka aveva appena vinto un’altra puntata al tavolo del black jack e un numeroso campanello di curiosi si era radunato accanto a lei.
Quattro.
Usagi, era nella sala del Tournaments of Kings che osservava distratta le ballerine in abiti medievali ballare una danza sensuale sui tavoli da “banchetto”.
Tre.
Rei in compagnia di Donat e Steve osservava dallo schermo la sala da gioco, concentrandosi sul ragazzo che sembrava deciso a sbancare il casinò quella sera.
Due.
Ami, compì un giro per la tensione, sulla sedia dotata di rotelline su cui ora non riusciva quasi a stare composta.
Uno.
“Baro!” la voce dalla cadenza siberiana di Donat, anticipò il suo puntare il dito sullo schermo incriminando Haruka.
“Si, sta barando. Non ci sono dubbi. Credo dovremmo intervenire tempestivamente. Non facciamogli lasciare l’hotel”.  Ordinò Steve, uscendo dallo stanzino seguito dalla montagna umana del suo collega.
 
Esco!Michiru, vide l’orologio illuminarsi.
Orario perfetto.
Attivò, il proprio auricolare e tempestiva sbloccò le serrature in metallo che le aveva mostrato Akira.
Scostò il coperchio della cassa, ora mobile; e ne uscì spolverandosi velocemente i pantaloni. Osservò la sua posizione. La telecamera da li non poteva vederla, ma una volta scesa dal ripiano sul quale si trovava sarebbe entrata nella visuale dell’occhio digitale.
“Ami, posso procedere?” domandò al piccolo oggetto inserito nel suo orecchio.
“Si, hai il via libera. Rei è l’unica nella sala di controllo”.
A quelle parole aprì veloce lo zaino estraendone la bomba EMP. La posizionò muovendosi in tutta libertà, senza preoccuparsi delle riprese che sarebbero state recuperate ed eliminate da Rei.
“Ci sono…manda l’impulso elettromagnetico”.
 
 
 
 
 
Donat e Steve si presentarono al tavolo di Haruka, che ormai aveva poco da offrire vedendosi l’intero bottino prosciugato dalla ragazza.
“Signore, credo dovrebbe seguirci fuori, gentilmente”. La intimò Steve facendo spazio al russo che incuteva ben più timore.
“Signori, perché quelle facce scure? Fate una giocata anche voi. Lavorate troppo!” rispose lei, rimanendo ancorata allo sgabello con la smorfia in viso di chi non ha intenzione di terminare ciò che lo sta facendo divertire.
“Glielo ripeterò un’altra volta con le buone maniere…si allontani dal tavolo”.
“Ehy, wow! Fate sul serio!” disse ridacchiando ed indicando la pistola che Donat le mostrò scostando la giacca dai propri pantaloni.
“D’accordo. Se insistete…” sbuffò, alzandosi in piedi e facendo per prendere la propria vincita da scambiare in denaro.
“Non ci siamo capiti, questi deve lasciarli qui”. Aggiunse il ragazzo bloccandole il braccio.
“Direi che è ora!” esclamò sorridendo e godendosi la smorfia perplessa dell’altro che non trovava un senso alla sua frase.
Le luci si spensero di colpo, provocando il caos generale.
L’impulso della bomba attivata da Michiru e Ami mandò in corto ogni tipo di elettricità lasciando completamente il locale al buio.
 
 
 
 
 
Michiru era rimasta immersa nell’oscurità come tutto il resto.
Le grida degli ospiti e la confusione dei piani superiori non arrivavano fino a lei.
La luce blu del suo orologio che cominciava il conto alla rovescia e quella di una torcia, le svelarono i contorni della stanza in cui si trovava.
Aveva appena fatto in tempo a posizionare alcuni esplosivi al plastico già preparati da Rei nello zaino, al portellone della grande cassaforte che fece saltare grazie al piccolo detonatore di cui era stata dotata, sbloccandola all’istante senza dover fare la fatica di trovarne la combinazione.
Nessuna fiammata. Rei sei una grande. Solo un po’ di polvere e…
“Michiru ci sei? Hai 26 secondi!” la informò Ami preoccupata dall’altra parte dell’auricolare.” Devi prendere il tutto e uscire di li, non so per quanto Haruka terrà occupati gli uomini di Rei”.
“Non è possibile”. Le labbra della ragazza si schiusero in una smorfia di stupore, mentre gli occhi osservavano increduli il vuoto che si trovavano davanti.
“Puoi farcela hai ancora tempo!” la incitò Ami.
“No, maledizione! Non capisci!”
“Hai ventidue secondi Michiru, venti ora! Sbrigati!”
“Ami. Non c’è niente qui dentro!” Michiru, urlò la frase perdendo la calma.
Nessuna traccia di spade o armi appartenenti a Simon Davis. La cassaforte era stata svuotata prima del loro arrivo.
Impossibile aver sbagliato casinò. Ivanov. Lo sapeva!
Il cervello di Ami sembrò andare in tilt a quelle parole. Com’era possibile? Qual’ era stato il passo falso?
“Ok”. Rispose cercando di mantenere un certo controllo. “Esci, immediatamente”.
Michiru non se lo fece ripeter due volte, fece dietro front svelta, caricandosi lo zainetto in spalla.
Avanzò nel buio cercando la direzione giusta.
Sei, cinque, quattro.
Stava raggiungendo l’uscita quando il fascio di luce si spense all’improvviso.
“E’ scarica”, constatò innervosita.
Dovette procedere a tentoni, al buio. Poggiò le mani alla parete quando sentì una fessura larga e profonda.
Che diavolo…
“Michiru?!”
“Non vedo nulla”.
“Avanza dritta solo non sbattere contro…”
Due, uno. Le luci si riattivarono all’istante e un rumore sinistro mise all’erta la ragazza che d’istinto si fece indietro con un balzo repentino, per non farsi colpire da una sorta di parete che si attivò all’istante.
“Non avevi parlato di ostacoli di percorso!” gridò nel microfono gettandosi con una capriola al di la dello sbarramento che comparì dal nulla davanti ai suoi occhi.
“Non…non erano segnati nella piantina. Non sono menzionati nell’impianto!”
L’aveva evitata per un soffio, rischiando di rimanere schiacciata dal peso di quella brutta sorpresa che Ivanov le aveva riservato.
Fece per rialzarsi, con il respiro mozzato e puntare dritto davanti a lei, quando nella sua visuale si presentò una porta stagna che minacciava un’altra volta l’uscita da quella che ora stava prendendo le sembianze di un’antica tomba profanata.
Non è possibile.
Quanti passi falsi avevano commesso per mandare a monte l’operazione con sviste come quelle?
Ami era una persona precisa, non avrebbe mai omesso particolari così rilevanti.
Le gambe di Michiru si fecero tremanti mentre si rialzava per avanzare verso la porta.
Che mi sta succedendo?
Un dolore feroce la colse al petto, costringendola a bloccarsi all’istante e a portarsi il palmo allo sterno.
“Ami, qualcosa non va”. Riuscì a dire in un soffio, digrignando i denti, mentre cercava di non perdere un equilibrio ormai precario.
Sentì le gambe divenire pesanti e la vista annebbiarsi appena.
Tossì, emanando un rantolo. Scaricò con un gesto affaticato lo zaino da sopra la sua schiena e lo lanciò per bloccare la chiusura della porta che minacciava imperterrita d’intrappolarla la sotto.
Siamo come ladri e questa è la maledizione di Tutankhamon. Pensò, prima di accasciarsi al suolo venendo inghiottita dall’oscurità più profonda.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Cercate di non odiarmi. Ci ho messo tantissimo lo so. In più mi sono persa in descrizioni e blaterare vario, così che ho dovuto stroncare nel bel mezzo dell’azione il capitolo. Ad ogni modo, spero che un po’ di adrenalina abbia cominciato a scorrere nelle vostre vene per poi esplodere tutta quanta nel prossimo capitolo che sarà inevitabilmente la seconda parte di questo.
Vi ringrazio per la pazienza e il continuo sostegno che mi mostrate qui e sulla pagina facebook.
Besos
Kat

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Capitolo 12
*** Passi falsi - Part II ***


 
 

Capitolo 12.
Passi falsi - part II



Un’antica leggenda giapponese, recita che sin dalla nostra nascita abbiamo un filo rosso invisibile legato al mignolo della mano sinistra.
Questo filo ci lega indissolubilmente alla persona alla quale siamo destinati, al nostro grande amore.
Le anime così unite, sono destinate ad incontrarsi, non importa il tempo che dovrà passare, le circostanze o le distanze che le separano: il filo non si spezzerà mai. Non si può sfuggire al fato.
Forse fu per quello, che nell’esatto momento in cui il corpo di Michiru toccò il suolo privo di sensi, un dolore lancinante urlò nel petto di Haruka; tanto forte da mozzarle il fiato.
Le sembrò che la carne potesse lacerarsi da un momento all’altro, eppure non era stata colpita da nulla, ma era conscia del fatto che un proiettile sparato alla stessa posizione sarebbe bruciato meno.
Che quel filo visibile solo agli occhi degli Dei e celato alla vista umana avesse subito uno strattone così violento da avvisarla che qualcosa stava accadendo alla propria metà?
 
Le luci si riaccesero accecando i presenti.
Haruka ne aveva approfittato, anche se affannata da quel dolore improvviso per allontanarsi dai due personaggi della security e recarsi nuovamente all’entrata principale del casinò, ma Steve fu veloce ad individuarla tanto che urlò a Donat di mettersi al suo inseguimento, intercettando in un’istante la sua posizione e indicandola al compare con un gesto enfatico del braccio.
Lo scagnozzo russo, con tutta la sua imponenza si fece largo tra la folla che aveva già dimenticato il blackout, in preda ai fumi dell’alcool e della voglia sfrenata di non interrompere il proprio divertimento pagato a caro prezzo quella notte.
Prese contro ad un cameriere che si accingeva a servire un vassoio colmo di calici a tre giovani, che già si pregustavano quella bevanda color cremisi con gli occhi, facendo franare liquido e cristalli sul pavimento.
Steve lo superò con uno scatto felino, destreggiandosi meglio tra le persone grazie alla figura atletica e longilinea che gli apparteneva, precipitandosi al di la della porta e scomparendo dalla sua visuale.
 
Quando il leggero fruscio delle carte da gioco, le musichette allegre delle slot machine e il rumore schioccante delle fisches si fecero più ovattate e lontane da Haruka, che nella sua folle corsa stava mettendo tutta l’attenzione e le sue energie, riuscì a distinguere la voce di Ami farle eco nell’orecchio grazie all’ auricolare di cui aveva completamente dimenticato l’esistenza.
Non puoi uscire!” bastarono quelle tre parole per allarmarla, mentre con la coda dell’occhio teneva sotto controllo la figura di Steve che si faceva sempre più minacciosamente vicina a lei.
“Che vuoi dire?” domandò al vento.
“Michiru”.  A quel nome seguì il vuoto e il suo cervello minacciò di spegnersi, di andare in corto.
Perché la stava nominando? Non era forse giù uscita da quel posto con il loro bottino?
“Michiru è intrappolata nel Caveau”. Ami lo disse mandando giù il groppone che ora le premeva sul petto, mordendosi convulsivamente il labbro perché sapeva di star sabotando l’operazione dandole quell’informazione.
A quella notizia le parole di quel primo pomeriggio a Los Angeles, in cui la diffidenza tra lei e Michiru giocava un ruolo predominante nel loro incontro, risuonarono alla mente di Haruka come un ammonimento, un campanello d’allarme.
Era cosciente che il pensiero che già si faceva largo tra i suoi neuroni avrebbe influenzato fortemente le sue prossime azioni e probabilmente avrebbe coinvolto l’intera squadra.
“Regola numero due: In caso si metta male, nessuno torna indietro, per nessuno motivo e di chiunque si tratti!”
Era stata chiara ed incisiva quella volta, ma a parlare era stata l’agente Kaiō o la ragazza che l’aveva baciata nella stanza di quell’enorme villa dove si erano accampate?
Non c’era tempo per le domande e non c’era tempo nemmeno per le esitazioni.
“Ci penso io!” confermò solo. Non lascerò certo che Seiya si metta in mezzo.
La moquette si trasformò in marmo lucido e svoltando l’angolo a tutta velocità i suoi piedi scivolarono appena riacquistando l’equilibrio grazie alle braccia che si spalancarono come due ali ai lati del suo corpo.
Le serviva un bagno, doveva superare la guardiola in cui Rei stava sottraendo le registrazioni e l’avrebbe raggiunto.
Li, avrebbe potuto sbarazzarsi di Steve.
 
Percorse il colonnato in pietra bianca sul quale si affacciavano feritoie dallo stile arabeggiante impreziosite da mosaici in vetro colorato e notò sulla propria strada Usagi, che si era appena sistemata su una spalla la borsa capiente contenente i nastri ricevuti da Rei, pronta a svignarsela fuori da quel posto.
I suoi occhi però, si sgranarono nel vedere Dan pararsi davanti a lei, accanto all’altra bionda.
Da dove diavolo è sbucato?
Prese fiato, continuando ad avanzare nella direzione del russo e gridò un “imprevisto!” che poteva interpretarsi in molteplici modi, ma che la compare riuscì a cogliere come un richiamo di aiuto dell’altra.
Haruka si stava preparando allo schianto con la montagna umana, ma Usagi fu più veloce.
Sfilò al cameriere di turno un drink destinato a qualcuno nella sala della festa e prontamente lo rovesciò addosso a Dan, interpretando un maldestro inciampare da donna alticcia che permise alla collega di deviare senza lasciarsi catturare.
“Ah, ma che sbadata! Il mio bicchiere le è franato addosso! E guardi che macchia!”. Usagi, traballante si attrezzò con un fazzolettino per pulire la mise dell’uomo che parve però, non aver alcuna intenzione di essere trattenuto.
“Non abbia fretta su o dovrà buttare l’intera divisa!” lo riprese lei artigliandosi alla camicia scura e mimando un’espressione di disappunto.
Un brontolio indistinto scivolò dalle labbra di Dan mentre cercava con lo sguardo il collega che sembrava essere svanito dietro al fulmine biondo che  pareva correre veloce quanto un auto sportiva.
“Occupati della signorina.” La voce di Rei lo sorprese tanto che sobbalzò nell’udirla.
“Chiamale un taxi e assicurati che arrivi a destinazione sana e salva, se succedesse qualcosa ad un cliente, Ivanov ce la farebbe pagare cara. Qui ho tutto sotto controllo io e Steve tra poco tornerà con il furfante”.
 
 

***

 
Nel caveau le luci erano accese, ma le sue pupille per quanto vorticassero veloci sotto alle palpebre non vedevano alcun bagliore.
Era immersa nel buio, in preda alle voci.
 
 
“Allora Michiru...”  quel tono aveva la parvenza di un sospiro, un che di sinistro.
“Te lo ricordi?”
La domanda aveva le sembianze di un soffio gelido, pericoloso, simile a un presagio di morte.
“Si” fu la sua risposta atona, assente.
“Ripetilo con me”. Le ordinò l’altro. “Un agente dell’ HSA non…”
“non appartiene a nessuno, non apre il cuore a nessuno, non si lega a nessuno”.
“Esatto. Ora sei perfetta!”.
 
Ma chi l’aveva elogiata a quel modo doveva essere un folle o quanto meno qualcuno di poco attento e preciso.
Era forse ignaro del fatto che la perfezione non esiste?
Soprattutto è assente nell’essere umano, che per natura compie errori ed è creatura imperfetta. E per quanto Michiru potesse apparire una sorta di macchina efficiente e ben collaudata, umana rimaneva; e il suo DNA prima o poi l’avrebbe tradita, colta in fallo.
Il suo avere un cuore, dei sentimenti, provare emozioni, insite nella sua natura sarebbe stato il suo tallone d’Achille.
 
“Puntare su una persona…è un rischio enorme” sibilò ancora incosciente, mentre la sensazione di venire inghiottita dal pavimento si fece sempre più vivida.
 

***

 
 
Nel bagno degli uomini si scatenò il caos più totale.
Gli specchi avevano rischiato di andare in frantumi sotto i colpi dei due che avvinghiati avevano sbattuto in vari punti della stanza.
Haruka venne spintonata contro la porta che all’esterno riportava la sagoma stilizzata di un individuo appartenente al sesso maschile.
Il viso di Steve era talmente vicino al suo che vi poté leggere ogni ruga comparsa per lo sforzo compiuto nel cercare di fermarla.
Col fiato ancora grosso la ragazza si divincolò.
“Devi farmi un piacere enorme!” disse a denti stretti.
La morsa dell’altro era talmente stretta e ferma da non permetterle di avvicinare le mani al suo volto, così lo colpì con un pugno allo stomaco che lo fece barcollare dolorante lontano da lei di un paio di metri.
“Mi servono i tuoi vestiti e mi servono in fretta!”.
“Cosa stai blaterando, razza di -” e prima che potesse finire di ribattere si ritrovò spintonato per il bavero all’interno di uno dei box del bagno.
“Credo di essere stata piuttosto chiara!” Un altro colpo nel precedente punto venne affondato, seguito da una ginocchiata che lo costrinse a piegarsi su se stesso.
“Se…sei una do -”
“Su è un segreto, non vorrai mica dirlo al mondo! Parla più piano!” e una gomitata lo colpì al collo facendolo urlare dal dolore.
“Diavolo che fatica senza un’arma!” esclamò portandosi una mano alla fronte perlata di sudore.
“Ami che devo fare, posso ammazzarlo o c’è qualche contro indicazione?” chiese all’auricolare mentre lo guardava cercare di riprendere la normale respirazione.
“Ma con chi stai parlando? Sei…pazz -”
“Sssh non sento!” gli sfilò la revolver dandoli un colpo con l’impugnatura che lo tenne occupato ancora qualche minuto, giusto il tempo che la risposta di Ami ci mise ad arrivare alle sue orecchie.
“Fai in fretta…”disse perentoria. “E fai meno vittime che puoi. Manderò Seiya ad occuparsene, vai da Michiru. Non mi risponde ed è ancora immobile su quel pavimento”.
 
Cosa?Un blackout colpì nuovamente la mente della ragazza mentre senza dover troppo pensare ai suoi movimenti fluidi, con una pressione delle dita colpì alla base del cranio Steve in uno dei punti vitali che nel Taijiquan permette il k.o. dell’avversario.
 
Michiru era rimasta bloccata per un malore?
Cosa era accaduto?
Era ancora viva?
Tutte quelle domande la fecero invadere dalla fretta.
Ci volle qualche minuto in cui le sue dita impacciate perché prese dalla frenesia, riuscissero a spogliare il ragazzo che accasciato alla parete le offriva i suoi abiti.
“Cosa ti è successo?” disse in un soffio allacciandosi la cintura dei pantaloni che sembravano calzarle a pennello.
Uscì da quello che era divenuto il suo spogliatoio per qualche minuto, con le ali ai piedi, mentre al pensiero di Michiru inerme il dolore al petto testimoniò ancora una volta la sua presenza.

 
*** 

 
Nella stanza d’Hotel dove Ami aveva stabilito il suo nuovo centro di controllo l’aria si era fatta densa di tensione tanto da essere irrespirabile.
Probabilmente se fosse stata in possesso di un coltello avrebbe potuto tagliare a fette l’atmosfera presente all’interno della lussuosa camera.
Usagi rientrando e aveva posato distrattamente la borsa sul letto, contenente i video della sicurezza sottratti, per poi fiondarsi davanti agli schermi che trasmettevano in diretta la loro missione.
“Cavolo, ma quella è Michi Chan!” esclamò indicando con l’indice il caveau e portandosi una mano davanti alla bocca che sembrava non accennare a richiudersi.
“Ma che è successo?”
“Vorrei saperlo anche io!”
“E le armi?”
“Dovrei dire che sono il primo dei nostri problemi secondo protocollo, ma entrambe sappiamo non è così!”
“Certamente!” gridò la bionda in preda all’agitazione, “Michi Chan è una cara amica!”
“Credi che Seiya la prenderà allo stesso modo?”
Ma quella domanda non ebbe bisogno di alcuna risposta perché sapevano che il ragazzo era più fedele all’agenzia di un cane al proprio padrone, tanto che alle volte sembrava aver perso l’umanità per divenire un automa al servizio dei loro superiori.
“Lo chiami tu o lo faccio io?” domandò Ami porgendo all’amica il cellulare.
“Deve proprio saperlo?”
Gli occhi cerulei dell’informatica sondarono lo sguardo dell’altra del medesimo colore.
Le sue pupille sembravano tremare e con loro anche il suo labbro inferiore.
Ami dovette deglutire rumorosamente per continuare quella conversazione, conscia che il terrore di scomparire come succedeva a chi falliva la stava per paralizzare impedendole ogni tipo di fuga.
“Ormai stiamo sforando i tempi…come glielo spieghiamo?”
“Facciamo quello che sappiamo fare meglio, diciamo una menzogna”. Propose l’altra in un tono che di fermo e convinto non aveva nulla.
“Usagi…” una pausa che spezzò la frase, come se il tempo potesse bloccarsi un momento per loro suggerendole la soluzione perfetta. “Non la faremo franca comunque, in più dobbiamo far sistemare il tipo della security che Haruka ha malmenato nel bagno, abbiamo bisogno di Seiya. Non doveva esserci questo intoppo capisci?”
“Può farlo Rei! E’ ancora dentro!”
“Deve tenere a bada anche il colosso a cui hai rovesciato addosso tutto quanto!”
“Facciamoci aiutare da Akira, dov’è ora?”
“A prendere la sua ragazza che sta arrivando con un autobus e poi non possiamo metterlo in mezzo! Rimane pur sempre un civile non poss-”
“NO!” La bionda stroncò la frase dell’altra prima che potesse finirla, battendo un pugno sul piano che manteneva in equilibrio i vari monitor.
“Non ci provi abbastanza Ami. Anzi, sembra proprio che tu non voglia nemmeno provarci se non si tratta di codici informatici. Anche io ho paura, ma li dentro c’è una nostra amica!”
“Esistono per un motivo le regole e Michiru sapeva a cosa andava incontro sin dall’inizio come tutti noi”.
L’amicizia si tirava indietro di fronte alle leggi che qualcuno al di sopra di loro aveva deciso?
Usagi scosse il capo in segno negativo.
Le lacrime agli angoli degli occhi minacciavano di sbavarle il trucco e rigarle il viso da un momento all’altro.
“Io con Seiya non ti aiuto. Te la sbrighi tu e questa è l’ultima volta che lavoro con voi e i vostri stupidi dogmi”.
Le voltò le spalle, svuotando il contenuto della sua borsa sul materasso e riappropriandosene avviandosi verso l’uscita.
“Spero che la tua coscienza non ti faccia più dormire se le succede qualcosa”; e con un gesto secco tirò verso il basso la maniglia uscendo dalle quattro mura che erano state appena testimoni di un’ alleanza andata in frantumi.
 
 
 
 
 


Note dell’autrice:
Ebbene si, avete il diritto di dirmene di tutti i colori. Ormai è passato un mese e mi presento con un capitolo breve e che in teoria doveva concludersi ma come vediamo, di concluso ha bene poco! XD
Purtroppo l’ultimo anno di università è davvero duro e mi sta mettendo parecchio alla prova,  motivo per cui ho dovuto bloccare l’altra fic in corso e mi presento con questo ritardo cronico e poche righe.
Ho pensato fosse meglio però “consegnarvi” qualcosa piuttosto che farvi aspettare ancora di più.
Mi sono decisa a portare a compimento questa fic e lo farò, però non so dirvi con quale tempistica ora pubblicherò i capitoli. Mi auguro solo che non ve la prendiate troppo e spero che chi di voi l’ha seguita fino a qui la continui fino alla parolina “fine”; che chissà quando riusciremo a vederla.
Vorrei dire un sacco di cose ma non sto a intasare il capitolo! Le scrivo magari sulla pagina facebook come al solito!
Un bacio grande.
 
Kat

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Capitolo 13
*** Insonnia ***


Capitolo 13.
Insonnia

 

Tokyo, Giappone.
5.30 a.m.
 
 
Nel quartiere di Shibuya, con le sue strade sempre brulicanti e le luci che non si spengono mai, la città non è destinata a dormire ne a sonnecchiare per riposare un po’ i propri occhi, partecipi di frammenti delle vite di migliaia di persone, di storie che s’intrecciano tra loro, passati e presenti divisi che si ricongiungono sulla stessa via per il futuro grazie a qualche strano scherzo del fato.
Ma quella notte non era stata solo Tokyo ad essere insonne, perché anche le iridi di Mamoru Chiba sembravano decise a non volersi staccare dal soffitto.
Il respiro era appena affannato, irregolare, basso. Ma abbastanza tagliente da fendere il silenzio della stanza.
Una mano giaceva sul suo petto che in quel momento racchiudeva un muscolo in subbuglio deciso a fare un rumore assordante nelle sue orecchie, tanto che ebbe paura che quel battere furente potesse in qualche modo disturbare la compagna che giaceva accanto a lui nel letto.
La giornata di lavoro era stata piena e stancante al locale, ma nonostante quella faticosa routine dopo un breve riposare aveva dovuto aprire i suoi occhi cerulei, che aveva sentito andare a fuoco nell’osservare quelle immagini oniriche che si erano susseguite nel suo breve sogno.
Socchiuse le palpebre provando a farsi vincere da Morfeo, ed eccola di nuovo.
Non era Setsuna, ma un angelo dai lunghi capelli dorati e la pelle chiara, l’opposto della sua fidanzata.
Gli stava sorridendo. E poi sbarazzina, si cimentava in una smorfia buffa con le guance che si gonfiavano rendendo ancor più piccole quelle labbra rosate e lucide che apparivano come un bocciolo.
Il suo cuore compì una capriola. Aveva deciso di fare l’acrobata quella notte e non si sarebbe certo fermato alle prime luci dell’alba.
 
 

***  

 
 
 
Las Vegas, Nevada.
21.30 p.m
 
I fuochi d’artificio si alzarono scoppiettanti nel cielo notturno, il mondo non si era certo fermato come per Haruka.
I minuti non erano divenuti interminabili, ma scorrevano regolari, con il loro solito ritmo; e oltre alle lancette anche il resto delle persone andava avanti.
C’è poco tempo. Si ripeté ancora una volta, scendendo le scale che portavano al caveau.
Arrivata alla porta che conduceva al labirinto in cui si trovava intrappolata Michiru, Haruka estrasse il pass magnetico dal taschino di Steve che le permise di accedere al corridoio che portava alla stanza dell’enorme cassaforte.
“Com’è potuto succedere?” masticò tra i denti correndo in direzione senza capacitarsi dell’accaduto.
Le luci fredde del neon tremarono appena al suo passaggio e davanti a lei si parò una porta stagna semi chiusa.
Solo una fessura di mezzo metro la separava dal pavimento grazie allo zaino che Michiru era riuscita a lanciare nell’ultimo istante di lucidità.
Un tremore metallico della barriera seguito da un rumore sinistro la minacciò di chiudersi sotto ai suoi occhi.
Haruka si distese sul pavimento lanciando uno sguardo al di la della fessura, quando nel suo campo visivo entrarono i capelli di Michiru raccolti e le sue palpebre serrate.
A quella visione le si gelò il sangue, pareva morta.
“Ehi, occhi d’angelo! Ti sembra l’ora del sonnellino di bellezza?!”, le parlò come se nulla fosse, con il suo solito tono spigliato anche se una certa inquietudine le stava attanagliando le viscere.
Non ricevendo alcuna risposta continuò a parlarle mentre cercò di valutare la situazione.
Con se, oltre alla pistola della guardia non aveva nient’altro per bloccare la chiusura della porta; e frugare nello zaino incastrato era il peggiore degli sbagli da commettere, così senza pensare troppo strisciò dalla parte opposta all’uscita raggiungendo il corpo inerme della ragazza.
“Ma guarda te, altro che super agente…la pivella è venuta a salvarti il…”
“Ha-ruk…” le labbra di Michiru si mossero tremanti interrompendola. “Non dire…volga-rità!”, riuscì a dirle con uno sforzo che all’altra parve enorme.
“Allora tanto male non stai se hai la forza di sgridarmi!”
Abbozzò un sorriso prendendole il polso per ascoltarne i battiti.
Gli occhi si assottigliarono appena nel contare mentalmente quel rumore che aveva bisogno di attenzione per essere percepito nel modo corretto. Pareva aver la febbre.
“Ehi, riesci a muoverti?”
“mh…”
“Bella addormentata, si o no? Non vorrei marcire qui dentro!” il viso pallido di Michiru ciondolò appena, sembrava non aver nemmeno la forza di reagire alle sue parole.
La bionda si guardò attorno e solo in quel momento si accorse dell’assenza del bottino.
Decisamente le cose non quadrano.
Si alzò proseguendo in direzione del portellone della cassaforte distrutto notandone la desolazione.
Ivanov è arrivato prima di noi e da bravo gatto ha pensato a come catturare i topi. Maledetto russo!
Fremette dal nervoso, serrando appena i pugni lungo il suo corpo.
Tra le macerie create da Michiru con lo scoppio per aprire la cassaforte ne vide alcune abbastanza grandi da rallentare ulteriormente la corsa verso il suolo dell’apertura che avevano come unica via di fuga.
Scelse una lamina non troppo pesante e la incastrò dalla parte opposta allo zaino.
“Ami, devi trovare la password che ferma la corsa di questa dannata cosa, non so quanto resisterà con uno zainetto e un pezzo di metallo”, disse Haruka all’informatica che aveva risposto cominciando a battere freneticamente alcuni tasti dalla stanza in cui si trovava.
“Michiru, non è il momento di dormire…riesci a strisciare?” le domandò dandole due leggeri colpetti sulle guance.
Al quel tocco sembrò reagire. Le dita afferrarono il polso dell’altra e le iridi chiare si puntarono nelle sue cobalto.
“Credo di averla uccisa io…”
Haruka aggrottò la fronte senza capire.
Cosa sta blaterando?
“Sono stata anche un’assassina per essere perfetta”.
“Che cosa stai…”
“Sssht” Michiru la zittì con posandole un dito sulle labbra. “Tu sei l’errore…” le disse a bassa voce.
“L’anomalia nel sistema perfetto che hanno creato. Sei come un virus. Sei da distruggere”.
La mano di Haruka libera dalla presa dell’altra si mosse davanti ai suoi occhi.
Le pupille di Michiru sembrarono ignorare quel movimento rimanendo puntate nella stessa direzione.
Eppure le sembrava fissasse lei mentre diceva quelle frasi prive di senso logico.
Ha la temperatura così alta da delirare?
Haruka sospirò appena, “non abbiamo tempo”, le disse sciogliendo il nodo creato dalle dita affusolate dell’altra attorno al suo polso. Ignara che quelle parole svelavano parte dell’enigma nel quale erano annegate tempo prima senza trovarne la soluzione.
 
 

*** 

 
 
Tokyo, Giappone
6.20 a.m
 
Mamoru aveva da pochi minuti aperto il locale come ogni mattina, tirandosi appena sopra al gomito le maniche arrotolate della camicia candida, ricoperta da un elegante grembiule nero.
Si posizionò dietro al banco con fare indaffarato, strofinando energicamente con un panno la superficie che sembrava non poter brillare ulteriormente.
Dalla cucina dietro di lui alcuni dolci appena sfornati emanavano una fragranza invitante che sembrarono attirare i primi clienti della giornata.
Il tintinnare del campanellino appeso alla porta d’entrata segnalò infatti l’entrare di due impiegate, che comparirono nei loro elegante completini grigi ordinando due caffè e qualcosa d’integrale da mettere sotto ai denti.
Il ragazzo sorrise educatamente anche se le ombre scure sotto ai suoi occhi rivelavano la stanchezza dovuta alla notte passata in bianco.
Sistemò le due tazzine sul vassoio, quando prendendo in mano uno dei due piattini di ceramica si domandò dove fossero finite due delle sue clienti abituali.
Era un po’ di tempo che sembravano essere svanite nel nulla.
Una era la ragazza sempre allegra che ordinava le cose più glicemiche della terra ad ogni ora del giorno e l’altra era la biondina dall’aria trasognata a cui lui portava sempre i biscotti alla cannella, quando impacciata, non riusciva a fargli quell’ordinazione.
Chissà che fine avranno fatto…
Di certo il lavoro senza cioccolate con panna o torte colorate piene di glassa così dolce da risultare quasi stucchevole era un po’ noioso.
Ora le ordinazioni erano grigie come i tailleur indossati dalle due impiegate sedute al tavolino in fondo alla sala che aspettavano le loro paste integrali e tristi.
Scosse appena il capo, quasi sconsolato per poi portarsi una mano alla fronte e tirare un lungo sospiro.
Socchiuse gli occhi, inspirando l’odore della caffeina che le due tazze sprigionavano a qualche metro dalle sue narici e per un attimo sprofondò in una sensazione simile al sonno che gli era venuto a mancare poche ore prima.
Avvertì la carezza di una mano vellutata sulla propria guancia e nel momento in cui avvertì quel tepore, alzando lo sguardo vide nuovamente quel volto.
Questa volta però non ebbe dubbi. Lo riconobbe all’istante.
Si trattava di lei, della ragazzina che balbettava a cui aveva pensato un attimo prima di chiudere gli occhi.
La porta che si apriva nuovamente lo riportò alla realtà con un piccolo sussulto che interruppe quella sorta di sogno ad occhi aperti.
Istintivamente si voltò verso la soglia, ma con sua grande delusione non apparve chi sembrava volerlo tormentare rubandogli il sonno ed ora ogni spiraglio di lucidità.
“Buongiorno, sarò subito da lei!” disse al giovane che si avvicinò alla vetrina dei dolci.
Servì le due precedenti clienti per poi tornare alla sua postazione, mentre con un colpetto alla guancia ricordò a se stesso che non dormire la notte faceva viaggiare troppo la sua mente.
Se una persona entra di soppiatto nei tuoi sogni, vuol dire che ha già preso possesso dei tuoi giorni. O per lo meno, dei tuoi pensieri.
 
 

*** 

 
 
Setsuna avvertì i primi sintomi del cambiamento non appena abbandonò il suo giaciglio per vestirsi e aprire la sua piccola attività.
Mamoru non aveva ripiegato le coperte dal suo lato del lato come faceva ogni mattina prima di abbandonare la loro stanza e aveva indossato gli stessi abiti del giorno prima, ignorando quelli puliti e piegati sulla sedia, preparati appositamente la sera prima.
Impossibile che fosse stato in ritardo, la sveglia era suonata puntuale e lei aveva percepito chiaramente il suo alzarsi immediato.
Non si era addormentato dunque.
Era stato puntuale e aveva avuto a disposizione il tempo di ogni mattina.
Non trovando alcuna risposta razionale a quelle piccole stranezze, decise di affidarsi ai tarocchi.  Di certo loro non mentivano, potevano essere criptici se non si sapeva come interpretarli ma anche se con un linguaggio estraneo alla maggioranza delle persone loro sapevano comunicare ciò che gli esseri umani non potevano o non volevano dire.
Si sedette, accarezzando il mazzo di carte e percependone l’energia che nascondevano.
Le palpebre si serrarono, celando i suoi occhi dai riflessi purpurei che contribuivano a renderla una donna enigmatica e misteriosa, mettendosi in ascolto.
La carte parlavano, avevano mille voci diverse e le parole si accalcavano una sull’altra in un’intricata matassa da sciogliere con pazienza e dedizione.
Loro avevano le risposte. Conoscevano passato, presente e futuro.
Come colta da un’intuizione improvvisa pescò una carta nascosta nel mazzo per poi voltarla scoperta sul tavolo e cominciando da quella, ne seguirono altre tre che andarono a formare una piccola croce.
Le labbra s’incresparono notando la misteriosa combinazione.
“Gli amanti dovranno fare i conti con il passato…” ecco il significato dei primi due tarocchi.
“Quello che sembrava essere chiuso era solo una porta bloccata che sta per essere sfondata”.
La mano curata raccolse le prime tre carte che avevano rivelato quelle deduzioni alla donna che ora stava sondando con lo sguardo l’ultima carta con la figura capovolta che troneggiava sul tessuto scuro che ricopriva il tavolino.
“La carta dell’imprevisto…”
Ogni cosa può succedere anche ciò che si ritiene impossibile. Non è raro, che ogni certezza venga ribaltata.
 



Las Vegas, Nevada.
 
 
Ami batteva i tasti del portatile in maniera febbricitante.
Codici e algoritmi invadevano lo schermo del piccolo computer mentre la coda dell’occhio non smetteva mai di sondare gli altri schermi sui quali apparivano le immagini delle telecamere del Casinò.
Doveva trovare il codice che disattivava la porta stagna che non era segnata sulla pianta dell’edificio ma era comparsa compromettendo parte della missione.
“Accidenti…” sibilò, sudando freddo.
La testa aveva cominciato a pulsarle e quei simboli tanto familiari sembrarono voler complicarsi tutto ad un tratto per allontanarla dalla soluzione che Haruka stava aspettando.
Pregò silenziosamente di riuscire a venir a capo di quell’enigma numerico il più in fretta possibile e risultare utile ad Haruka e Michiru o Usagi avrebbe avuto ragione. La notte non avrebbe dormito per i sensi di colpa.
Sarebbe rimasta eternamente insonne per colpa del suo esitare.
 
 

***  

 
 
Usagi prese l’ascensore assieme ad una vistosa signora agghindata a festa che portava un paio di occhiali da sole sul naso nonostante fosse sera.
Che le luci di Las Vegas fossero troppo forti per i suoi occhi?
Si perse un momento in quell’ultima domanda, provando a staccare il cervello dal pensiero delle amiche intrappolate poco più lontano sotto il pavimento lucido, sul quale camminava ignara una folla di persone.
Devo raggiungere Akira, sono certa che mi aiuterà. Ed anche Minako…loro non si tireranno indietro per Haruka.
Si aggrappò a quella speranza, nonostante non conoscesse bene i due, le erano sembrati pronti a tutto per l’amica.
Le porte automatiche si aprirono seguite dal campanello che indicò l’arrivo al piano terra e davanti a lei si stagliò la figura di Seiya con le mani nelle tasche dei pantaloni diretto sicuramente da Ami.
“Oh! Testolina buffa!” esclamò con un sorriso, rimanendo in mezzo alle porte per evitare si chiudessero.
“Non ho ricevuto nessuna notizia da Michiru o Ami…non è da loro non avvertire. Ormai sono passati…”
Le orecchie della ragazza sembrarono chiudere l’audio.
Usagi sprofondò in un silenzio abitato solo da un leggero ronzio, era troppo occupata a pensare cosa dire per ascoltare le parole del ragazzo.
“Non sai nulla?” chiese tutto d’un fiato, sforzandosi di sorridere.
Seiya scosse il capo in segno negativo. Gli occhi dal taglio allungato sembrarono sondare ogni muscolo del suo viso, mentre la testa s’inclinava leggermente in ascolto.
“Tutto risolto! Come vedi, io sono qui! Viva e vegeta fuori dal Casinò! Tutto filato liscio!”
Uscì dall’elevatore accarezzando la moquette del pavimento con le scarpe.
“Perché nessuno ha detto niente?”
Nelle missioni erano precisi. Tutti comunicavano in tempo reale ciò che succedeva, se c’era silenzio c’era inevitabilmente un imprevisto.
“Oh…beh…”.
Seiya non poteva salire da Ami o avrebbe scoperto ogni cosa; e lei doveva fare in tempo e avvertire Akira e Minako.
“Solo un piccolo contrattempo…”
“Quale contrattempo?”
Seiya fece un passo indietro, lasciando che le porte si chiudessero, preso da uno strano presentimento.
“Con l’auricolare! Solo con quello!”
“Perciò, stai dicendo che è saltato il collegamento e per questo Ami ancora non mi ha detto nulla?”
“Esattamente!”
“Usagi…” il ragazzo abbassò lo sguardo sui polsini della propria giacca sistemandoseli con fare tranquillo e curato.
“Quanto mi credi idiota?”
Usagi si sentì venir meno. Voleva spalancare le labbra in cerca d’ aria perché il respiro parve bloccarsi all’istante, ma s’impose di rimanere calma e continuare quell’assurda commedia.
“Non penso tu sia un’idiota…” cercò di rimediare.
“Allora forse lo sei tu”.
“Come dici?”
“La gente forse ci casca sul serio. Ma non sei abbastanza brava a mentire con me. Ammettiamo che la tua non sia una scusa per coprire qualcosa…credi che Ami, non mi avvertirebbe della riuscita di un incarico solo perché va in tilt il collegamento? Esistono i cellulari”.
Arrampicarsi sugli specchi. Era l’ultima cosa che poteva tentare di fare.
Sempre meglio che sputare il rospo senza nemmeno provarci…
“Ma dai!” Usagi scoppiò a ridere. Lo fece rumorosamente per far tacere quella voce nella testa che ostinata le ripeteva: “E’ finita. Sei nei guai!”.
Si portò persino una mano al ventre, come se davvero stesse per crepare dalle risate per il divertente malinteso.
“Che motivo avrei per mentirti? Insomma…se Michiru fosse nei guai credi non te lo direi?! A quale scopo?”
Doveva trovare una motivazione convincente alla sua tesi in modo da rigirarselo.
“Ami è troppo presa a smontare tutto per svignarcela e non ha certo pensato al cellulare! Haruka e Michiru sono a caricare il bottino sul furgone di Akira! La gente ha fretta di tornare a Tokyo, a casa! Ecco, perché stavo venendo a cercarti…per avvertirti io stessa! Altro che cellulari! Al diavolo la tecnologia!”.
Lo prese a braccetto facendogli un occhiolino, come a sottolineare che non c’era nulla da temere.
“Un drink per festeggiare la riuscita della missione? Che dici?”.
Se accetta, aiutale tu Rei. Sei ancora dentro, non posso tenerlo occupato e cercare contemporaneamente Akira!
Pregò silenziosamente l’amica come se fosse un Dio, sperando che almeno lei potesse udire in qualche modo quella supplica che le stava rivolgendo.
“Ti hanno mai detto…” la voce di Seiya interruppe il filo dei suoi pensieri che si frantumarono sotto il tocco della sua mano, che arrivò un attimo dopo a carezzarle la guancia per poi scivolare più in basso lungo la linea del collo.
“C – cosa?” chiese lei mentre un brivido le correva lungo la spina dorsale nell’ascoltare quella voce che improvvisamente si era fatta più calda.
Il ragazzo si avvicinò al suo orecchio.
Usagi poté sentire il suo alito caldo e immaginò le sue labbra carnose muoversi piano nel pronunciare quelle parole.
“Ti hanno mai detto che…non me la bevo se si tratta di Michiru?”
La ragazza s’irrigidì. Era stata davvero scoperta.
Che Ami l’avesse davvero avvertito non appena lei aveva abbandonato la stanza? Cosa sapeva di preciso?
Seiya si allontanò dal suo viso e con una mano le indicò il piccolo auricolare che ancora aveva addosso.
“Hai dimenticato di toglierlo. Chissà come mai questa sera siete tutte così sbadate!”.
Il tono era piatto e gli occhi erano due lame che la stavano trapassando da parte a parte.
“Dimmi subito cosa sta succedendo Usagi, perché se lo vengo a sapere da solo sarà molto peggio”.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Ce l’abbiamo fatta! Quasi non ci credo! Ammetto che mi è tornata voglia di scrivere questa fic nonostante il capitolo come il precedente sia più corto di quelli prima.
Il tempo però rimane quello che è, perciò per farvelo avere il prima possibile l’unica soluzione era farlo “corto”.
Spero vi stia piacendo e che questa fic non vi stia annoiando. Sono intenzionata a finirla come si deve senza tagliare alcune parti come avevo pensato di fare qualche giorno fa.
Non so come andrà finire. Il tutto ha preso una strada sconosciuta anche per me, quello che so è che questo capitolo anche se meno “agitato” del precedente mi ha lasciato qualcosa perciò voglio continuarla a scrivere come si deve!
 
Come sempre aspetto i vostri commenti se ne avete voglia ^^
Un bacio grande.
 
Kat

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Capitolo 14
*** Senza via d'uscita (non completo) ***


 
Attenzione: il capitolo non è concluso. Non so quando e se riuscirò a pubblicare e completare la fanfiction. Pertanto ho deciso di rendere pubblica la prima pagina del capitolo che scrissi mesi fa come ringraziamento per avermi sostenuta e attesa sino ad ora.
Un bacione dalla vostra Kat che ha sempre la testa per aria.




Capitolo 14.
Senza via d'uscita

 
 
Lo sai?
Se è il tuo ultimo giorno in questo mondo, lo sai? Lo senti? Hai un campanello d’ allarme che prende a suonare irrequieto nella testa o arriva tutto all’improvviso? La morte gioca con te a nascondino fino all’ultimo istante per poi rapirti e portarti con se, lontana da qui o in qualche modo puoi almeno tentare di sfuggirle, opporle un minimo di resistenza?
Puoi sentirti un po’ combattente o sei costretta a deporre le armi in partenza?
 
Michiru avrebbe voluto esporre quel fiume di pensieri ad Haruka.
Il desiderio di conoscere la sua opinione in merito alla questione si era fatto impellente ora che l’immagine dell’altra appariva sfocata e priva di contorni.
Ora che i lineamenti del suo volto minacciavano di divenire un tutt’uno con lo sfondo cupo della stanza e rischiavano di perdersi nel nulla.
Ci si sente così?
Ancora una domanda senza aver la forza di reagire.
Con fatica riuscì a tirare un sospiro.
Qualcosa le bloccava le vie respiratorie, un macigno talmente pesante che minacciava di schiacciarle la cassa toracica da un momento all’altro senza pietà. Una pietra immaginaria, plasmata dalla paura del fallimento.
Perché “del non riuscire a fare”, Michiru aveva il terrore.
Non era nell’ordine naturale delle cose che lei cedesse con così poco. Era stata addestrata alla perfezione, il suo lavoro era sempre stato pulito ed impeccabile, nessuna macchia nella propria carriera.
Ma ora, in quella macchina ben collaudata ed efficace qualcosa aveva ceduto inspiegabilmente; e il solo pensiero di essere tradita dal suo corpo, l’alleato più preparato ed affidabile che conoscesse era inaccettabile.
Un capogiro le fece serrare le palpebre mentre un’istante dopo le sue iridi vennero catturate dal movimento delle labbra di Haruka che nervosa masticava parole il cui suono però non arrivò al suo orecchio.
Anche i suoi sensi la stavano abbandonando senza pietà, non solo gli arti indolenziti che come paralizzati non le permettevano ancora di alzarsi.
Finirà tutto in questo modo?
Un’altra domanda affiorò nella sua psiche con un conseguente aggrottamento delle sopracciglia che non sfuggì alla compagna, pronta a ripetere la domanda a cui non aveva avuto risposta.
“Michiru, sul serio non riesci ad alzarti? Puoi almeno sentirmi?”
Solo un sibilo indistinto arrivò al suo orecchio, una vibrazione simile ad una carezza che spezzava il silenzio nel quale all’improvviso era piombata.
In qualche modo la voce di Haruka combatteva per arrivare a lei, per raggiungerla in quell’abisso sconosciuto che sembrava volerla inghiottire quanto le sue ultime notti buie ed insonni in cui nessun sogno aveva osato affacciarsi.

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