Il Lupo e la Rosa (/viewuser.php?uid=90924) Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo *** Capitolo 2: *** I - Ricordi *** Capitolo 3: *** II - Incontri *** Capitolo 4: *** III - Sivelle *** Capitolo 5: *** IV - Regali *** Capitolo 6: *** V - La Festa di Fidanzamento *** Capitolo 7: *** VI - L'Enigma *** Capitolo 8: *** VII - La Congrega del Salice *** Capitolo 9: *** VIII - Il Mercato di Sedan *** Capitolo 10: *** IX - Sorrisi di Dama e Spade di Soldati *** Capitolo 11: *** X - D'una lite e un aiuto *** Capitolo 12: *** XI - La Gran Maestra *** Capitolo 13: *** XII - Litigio e Lezioni *** Capitolo 14: *** XIII - Lezioni (seconda parte) *** Capitolo 15: *** XIV - Puoi Perdonarmi? *** Capitolo 16: *** XV - La Festa *** Capitolo 17: *** XVI - Il Matrimonio (prima parte) *** Capitolo 18: *** XVII - Il Matrimonio (seconda parte) *** Capitolo 19: *** XVIII - Dea e Dio *** Capitolo 20: *** XIX - La Prova *** Capitolo 21: *** XX - Bocciolo *** Capitolo 22: *** XXI - Di Amuleti e Notizie *** Capitolo 23: *** XXII - Riccioli color del sangue *** Capitolo 24: *** XXIII - Misteri *** Capitolo 25: *** XXIV - Gelo di fine Maggio *** Capitolo 26: *** XXV - Nessuna Notizia *** Capitolo 27: *** XXVI - Alizée *** Capitolo 28: *** XXVII - Amicizia *** Capitolo 29: *** XXVIII - Notte di Mezza Estate (parte prima) *** Capitolo 30: *** XXIX - Notte di Mezza Estate (seconda parte) *** Capitolo 31: *** XXX - Gelosie nocive *** Capitolo 32: *** XXXI - Una vita per una vita *** Capitolo 33: *** XXXII - Di un ritorno e una scomparsa *** Capitolo 34: *** XXXIII - La Tortura *** Capitolo 35: *** XXXIV - Notte prima dell'alba *** Capitolo 36: *** XXXV - Il Lupo *** Capitolo 37: *** Epilogo *** Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
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Capitolo 19
*** XVIII - Dea e Dio ***
XVIII
Dea e Dio
La mia vita era in parte cambiata. Prima ero solo una sarta che di tanto in tanto aveva il permesso di accedere a Palazzo, mentre ora dovevo districarmi in varie cose. Ero una moglie e dovevo prendermi cura della casa e del mio amato marito, ma allo stesso tempo Flaviano aveva accettato di non recludermi totalmente in quel luogo. In molte, una volta sposate, dovevano rimanere in casa e occuparsi esclusivamente di ciò e della futura prole, ma io non avevo alcuna intenzione di abbandonare il mio lavoro, che tante gioie mi aveva dato, e neanche le mie sorelle streghe. Odiavo mentire o omettere dettagli ma, sebbene mi fidassi e amassi in modo sincero il mio sposo, non volevo distruggere la mia promessa: non potevo dirgli nulla della Congrega. I primi giorni, non fu facile recarmi al Salice. Temevo di essere osservata, seguita, giacché ancora la concentrazione era rivolta sulla novella sposina. Tuttavia, Flaviano trascorreva quasi tutte le intere giornate al Forte e così, una volta concluso il mio lavoro alla Magione di Madame le Marchand, sgusciavo via raggiungendo le mie, ormai, adorate sorelle. Tutte mi accoglievano con gioia, eccetto Sylvie, la Gran Maestra, che ancora mi osservava con un’incomprensibile freddezza. Avrei voluto parlarle, penetrare in quella barriera di ghiaccio e farmi accettare anche da lei, ma non sempre era facile. O forse, non avevo abbastanza determinazione. Le altre streghe trascorrevano ogni momento che potevo concedere loro spiegandomi in maniera più approfondita la magia. Elodie mi aiutò a comprendere maggiormente gli elementi, focalizzandomi soprattutto sul mio, l’aria, e insegnandomi a gestirlo. Inizialmente non fu facile ma man a mano che mi esercitavo, che entravo in contatto con quella fonte di energia, mi sentivo potente. Non si trattava, però, di un sentimento negativo. Più volte Elodie mi aveva ribadito che le streghe non usano gli elementi per scopi malvagi, bensì traggono tutta l’esperienza necessaria dalla natura, per poi creare insieme l’armonia. I rituali da loro svolti – ai quali mi trovavo a partecipare raramente, giacché si svolgevano di notte e mi era impossibile lasciare mio marito – si concentravano unicamente sul richiamo della Dea e del Dio suo sposo, e sull’utilizzo di erbe magiche, sapientemente amalgamate da Cécilie, che tanto si prodigò nel farmi conoscere ogni genere di pianta. Le lezioni con Claire erano le più difficili. Non era facile imparare i vari significati delle rune e degli altri strumenti. M’insegnò l’importanza delle pietre, che mutavano il loro utilizzo e il loro potere sulla base anche del colore e delle loro caratteristiche e mi ritrovai a incantarmi di fronte all’ametista, una pietra violacea, e al quarzo rosa. L’ascoltavo sempre con muto silenzio, azzardandomi a far domande solo qualora non riuscissi a comprendere la sua spiegazione, ma rimasi sempre più affascinata da quel mondo misterioso e dalla sua infinita sapienza, nonostante avesse solo la mia età. Soprattutto con lei sviluppai un rapporto più intimo. Era come se la conoscessi da sempre, da una vita precedente a quella. Spesso lei faceva sogni terribili che la portavano a svegliarsi urlando, pallida e fragile. Quando la trovavo così, mi prodigavo per starle vicina e farla sentire meglio. Tra tutte le streghe, era lei alla quale mi sentivo più affine. Una sera, quando il sole stava appena tramontando all’orizzonte e lasciava una scia violacea nel cielo, ci trovavamo tutte al di fuori dell’antro, sedute sullo spiazzo d’erba. Grazie alle temperature molto alte di quella piacevole estate, anche Ophélie si trovava con noi. Avevo il capo appoggiato sul suo petto e lei mi sfiorava un poco i capelli. Dovevo tanto a quell’anziana strega. Mi aveva fatto nascere e aveva aiutato mia madre a riprendersi dai dolori del parto. Per me era come una vera e propria nonna, sapiente e deliziosa, alla quale poter riferire i propri pensieri e dalla quale trarre saggi consigli. Stavo riflettendo sull’ultimo rituale al quale avevo assistito. Osservando le varie streghe non avevo notato troppe differenze dai rituali cattolici o protestanti. Eppure tra le due religioni a lungo era scorso il sangue, ed entrambe non accettavano il rito pagano. « Ophélie perché in questa congrega si parla di un Dio e una Dea? » Quella domanda mi sfuggì dalle labbra e quasi non mi accorsi di essere stata proprio io a parlare. Ophélie mi sfiorò appena il viso con la sua mano rugosa e, dopo aver emesso un sospiro, rispose: « Il nostro credo si fonda sulla duplice entità del maschile e del femminile, Rosa Bianca, oltre che sulla perfetta armonia con la natura che il Dio e la Dea ci hanno donato e nella quale sempre si rispecchiano ». Si fermò per riprendere fiato e m’indicò con un dito la natura circostante, anche non potendo vedere. « Guardati intorno, bambina mia, in ogni foglia, fiore, albero, in ogni granello di terra si può vedere l’energia e l’amore degli Dei, ma possiamo trovare tutto ciò anche dentro di noi. Quando tessiamo un incanto, prepariamo una pozione o eseguiamo anche il più semplice rituale, la Dea e il suo Sposo sono in noi. Grazie al loro aiuto possiamo realizzare tutto questo ». Io non osai rispondere, cercando di far mio quel concetto. Mi guardai intorno, osservai gli ultimi raggi di sole sfiorare le foglie degli alberi, e sprofondai una mano verso il basso a raccogliere un poco di terriccio. I miei occhi chiari si soffermarono sui quei minuscoli granelli, cercando di comprendere come potessi trovare lì il Dio e la Dea che tanto veneravano. « Anche per i cattolici e i protestanti Dio si manifesta in ciò che ha creato, ma non compare una Dea… » « Ne sei proprio sicura? » domandò una terza voce che subito associai alla Gran Maestra. Si era materializzata alle nostre spalle, come dal nulla – sebbene sapessi che nessuna delle streghe era capace di magie simili – e tra le braccia stringeva docilmente il gatto nero, che mi fissava con quei grandi occhi gialli. Mi scostai da Ophélie, notando per l’ennesima volta lo sguardo contrariato di Sylvie – che forse non gradiva quel contatto – e le donai la mia attenzione, non riuscendo a comprendere la sua domanda. « Be’, sì… fin da bambina mi è stato insegnato che esiste un unico Dio, altri non ve ne sono » bisbigliai, confusa. Lei sorrise, ma sembrava un sorriso sarcastico, e non sincero. « I vostri preti o pastori non venerano anche la Madre del Cristo? Pensaci un poco, non vedi in lei come l’immagine cristianizzata della Dea? » Strinsi le labbra, come se fossi stata colta da un sentimento strano. Se ci fossero stati ecclesiastici in quel momento, per lei sarebbe seguita una morte certa per blasfemia. Ero scossa da emozioni contrastanti: da una parte, la religione che sin da piccola avevo professato, dall’altra quel loro credo al quale mi stavo pian piano avvicinando. Nel momento in cui iniziano a formarsi delle domande, ecco che diviene più difficile avere fede. In quell’attimo, infatti, iniziai a pormi vari quesiti e provai a immaginare il dolce volto di Maria sulla modesta statua di legno laccato, unico adornamento della piccola chiesetta di Padre Paul. La Dea da loro adorata poteva essere associata realmente all’immagine della Madonna? O era considerato un vero e proprio atto di blasfemia? Mi sentivo inerme, completamente confusa, in quel groviglio di pensieri e domande cui non sapevo trovare una risposta. Sylvie, la Gran Maestra, si limitò a sorridere soddisfatta e avanzò di qualche passo, bloccandosi appena dinanzi a noi, senza tuttavia celarci l’immagine del sole calante sulla quale soffermava i suoi occhi scuri. Ophélie allungò una mano a cercare la mia ed io gliela donai, lasciandogliela stringere leggermente. « La mia piccola Fresia non ha intenzione di importi il nostro credo, vuole solo farti comprendere quello che pensiamo » mormorò con voce un poco rauca, ma poi sollevò lei stessa lo sguardo vacuo verso il sole, di cui poteva forse vedere una fioca luce a causa della sua vista appannata. « C’è stato un tempo in cui i popoli adoravano solo la Grande Madre Terra. Tutti gli uomini erano considerati uguali, perché tutti erano i suoi figli. A lei poi si affiancarono figure maschili. La Dea fu poi associata alla Luna, nel suo triplice aspetto, il Dio, suo sposo, al lucente Sole. Per molto tempo si è parlato e si parla ancora di molti Dei e molte Dee, ma la realtà è una sola… » Come a completamento del suo discorso, udii la voce della Gran Maestra continuare: « Tutte le Dee sono un’unica Dea, come tutti gli Dei sono un unico Dio. Non importa i tanti nomi che le varie religioni rivolgono loro, resteranno sempre un’unica Dea e un unico Dio ». Ripetei tra me e me quella prima frase, come se ne fossi rimasta incantata. Quelle parole riuscirono a sciogliere un poco quel groviglio di pensieri e farli fluire in modo più semplice. Tuttavia, c’erano ancora domande e quindi presi parola. « Se quanto dite è vero, perché ci sono continue lotte tra le religioni? Perché cattolici e protestanti si uccidono a vicenda ed entrambi condannano i culti pagani, considerandoli opera del Demonio? » mormorai, rabbrividendo nel proferire l’ultima parola. « È una domanda che spesso mi sono chiesta e ancora non ho trovato la giusta risposta » replicò, Sylvie, e la vidi socchiudere gli occhi per qualche istante. « Loro non comprendono la parola tolleranza. Nei secoli passati hanno distrutto ogni simbolo pagano o, qualora non potessero, ne hanno modificato il nome. Osserva le feste, se ne sono appropriati cambiando il nome in uno più consono alla loro religione, osserva come la Dea sia stata rilegata in secondo piano. Loro hanno paura… ». Aprì di scatto gli occhi e non si accorse che le sue mani erano sprofondate con troppa irruenza nel folto pelo del gatto che, miagolando infastidito, le sgusciò via allontanandosi dal luogo. « Per loro le donne sono figlie del peccato, amanti del Demonio, che devono essere condannate o poste in un piano inferiore. È facile per le donne sedurre e fare cadere in tentazione gli uomini. Non è stata forse la prima donna a far cadere nel peccato il primo uomo, dopotutto? » si bloccò, riprendendo fiato. Ophélie socchiuse gli occhi, mentre la sua mano grinzosa sfiorava la mia, come a volermi tranquillizzare, in netto contrasto con la rabbia che ora trapelava dagli occhi della Gran Maestra, che verso di me aveva rivolto lo sguardo. « Odiano sentirsi deboli e ci attaccano se siamo belle. Odiano sentirsi inferiori a noi per intelligenza e ci rilegano a semplice compito di moglie e madre, che deve crescere i suoi figli e obbedire sempre al marito. Non attacco nessuna religione, anzi, sono aperta alle altre, perché nell’immagine della Santa Vergine io scorgo il volto della Dea e so che lei non è mai scomparsa, nonostante i suoi figli e le sue figlie siano torturati e uccisi, e i suoi simboli distrutti. Lei vive ancora, ma loro non lo sanno o forse fingono di non sapere » sospirò, cercando poi di rilassare le mani che si erano chiuse a pugno. « Siamo costrette a nasconderci, a non palesare agli altri il nostro credo, dobbiamo stare attente anche a come agiamo, a ciò che diciamo. Molte sorelle sono morte, ma la morte genera solo altra vita. Torneranno, torneremo tutte. La vita è un circolo che non avrà mai fine ». Vidi i suoi occhi farsi umidi, nel dire quelle ultime parole. In quel volto perennemente freddo e distante, colsi un’emozione forte e forse impossibile realmente da celare. Avrei voluto alzarmi e accoglierla tra le mie braccia, per confortarla, ma non osai farlo. Eppure, proprio in quel momento mi accorsi che probabilmente il suo atteggiamento era dovuto a un dolore ancora vivido, a una ferita che ancora sanguinava. « Fresia, ma petite joie » mormorò Ophélie, e lasciò la mia mano, indirizzandola verso l’alto, verso di lei. La Gran Maestra si riscosse da quell’attimo di debolezza e accolse la mano dell’anziana tra le sue. Mi scostai un poco, immobile e muta spettatrice di quel momento. Non volli disturbarle e così rivolsi il mio sguardo al cielo. Dopo qualche minuto, Sylvie si allontanò da noi, limitandosi a guardarci. Ophélie tornò di nuovo a donarmi attenzione e riprese: « Rosa Bianca? » « Sì? » « Credo che per oggi possiamo concludere qui. Chiedo venia mia cara, ma avrai assimilato fin troppi dubbi e argomenti su cui riflettere. Ci sarà tempo per comprendere ancor meglio gli Dei che tutti noi veneriamo ». Effettivamente in quel momento mi sentivo colma di pensieri, altro mi sarebbe stato difficile comprenderlo tutto in una volta. « Va bene, Menthe. Vuoi che ti aiuti a tornare dentro? Il sole è ormai quasi scomparso all’orizzonte e per me è venuto il momento di tornare a casa ». « Certo, bambina, certo. Accompagna questa povera vecchia dentro e poi torna dal tuo amato sposo ». Senza perdere tempo mi alzai e tesi le mani verso di lei. L’aiutai ad alzarsi a sua volta e, sempre porgendole il mio braccio come appoggio, la condussi all’interno della grotta. Poi ripresi la strada verso casa, senza togliermi dalla testa le mille domande cui dovevo donar risposta. *
« Mon amour? » La voce di Flaviano mi accolse non appena misi piede in casa. Mi sentivo ancora scossa dalle diverse rivelazioni alla mia domanda e, in un primo momento, non vi badai. « Mon amour, tutto bene? » domandò ancora e solo in quel momento posai lo sguardo su di lui che, abbigliato con una semplice camiciola bianca e braghe scure mi guardava, preoccupato. « Oh, sì, io sto bene, ma voi cosa ci fate già qui? » chiesi, non immaginando di arrivare dopo di lui. « Abbiamo concluso prima al Forte e sono tornato dalla mia bella mogliettina » mi cinse i fianchi con le mani ed io scivolai con il capo sul suo petto per qualche minuto. Aspirai il suo odore, percepii il suo calore e mi sentii al sicuro tra le sue braccia. « Come mai non vi ho trovata in casa? » domandò, inarcando un sopracciglio. « Io… sono andata a trovare delle care amiche e non mi sono accorta dello scorrere delle ore. Non potevo immaginare che il vostro ritorno anticipato, ma ora vi preparo subito qualcosa da mangiare » mormorai, cercando di apparire convincente. Lui mi scrutò il viso con perizia, come se cercasse di comprendere se il mio dire fosse veritiero o meno, ma dopo qualche minuto disse: « E chi sono queste amiche? Le conosco? O intendete Mademoiselle Lemoine e le altre noiose dame? » « No, non ero a Palazzo, non conosco solo Louise-Marie, seppur sia la mia amica più cara. Sapete, mon cher, sono una sarta rinomata a Sivelle; ogni giorno vengono numerosi acquirenti e a volte ho avuto il piacere di intrattenere piacevoli conversazioni con alcune persone, che in seguito sono diventate amiche. Comprendete? » gli sorrisi, divertita. « Non so se le ricordi, ma c’erano al nostro matrimonio… Erano tre deliziose fanciulle, abbigliate con colori vivaci… » « Spero che non vi intratterrete anche con uomini, e sulle dame non posso ricordarlo giacché non avevo occhi che per voi in quel momento, come sempre, ma douce ». Mi sfiorò le labbra non lasciandomi il tempo di replicare ed io mi abbandonai a quel bacio. « Mi piace vedervi così geloso, ma mai arrecherò danni al nostro amore, perché è solo per voi che il mio cuore batte… » mormorai, non appena ci fermammo per riprendere il respiro. Mi strinse maggiormente a sé, e notai i suoi occhi farsi luminosi e le sue labbra distendersi in un sorriso più ampio. Dopo poco tornò a baciarmi con più passione, ma ben presto un rumorio particolare provenne dal suo stomaco. Io risi divertita nel scorgere il rossore su quel viso leggermente olivastro, tipico dei mediterranei. « Credo che sia meglio andare a cucinare ». Lui annuì e mi sciolse dal suo abbraccio. Quella sera, dietro a due ciotole di brodo di legumi e pane e due caraffe di birra, discorremmo delle nostre rispettive giornate. Flaviano era un tipo abbastanza espansivo: mi raccontava spesso aneddoti accaduti nel corso delle ore di lontananza, ma non entrava particolarmente nello specifico del suo lavoro. Non era permesso alla moglie conoscere tutto del lavoro del rispettivo marito, ma ciò non mi dispiaceva. Mi fidavo ciecamente di lui e non volevo intervenire in quella parte del suo mondo più intima e inaccessibile, come del resto ne avevo una io. In realtà, spesso mi era capitato di volergli riferire tutto e anche in quel momento volevo svelare tutto ciò che il mio cuore racchiudeva, ma mi era difficile confidargli un segreto tanto importante in cui era implicata anche la vita di diverse donne. Mio marito era un uomo molto dolce, romantico e intelligente, ma non sapevo come potesse reagire a una rivelazione inerente le streghe. Cercai di sondare il terreno, con una semplice domanda: « Flaviano, voi cosa ne pensate delle altre religioni? » Lui mi guardò sorpreso, non attendendosi forse una tale curiosità. « Voi sapete la religione che mi è stata impartita sin dall’infanzia e che professo, e sapete anche che da quando sono arrivato in Francia ho accettato anche quella protestante, giacché altrimenti sarebbe difficile vivere in codesta cittadina » si fermò per un istante, e bevve un sorso di birra, prima di proseguire. « Cosa volete sapere di preciso? » « Ecco… quelle che vengono definiti culti pagani, li accettereste mai? » Lui spalancò gli occhi e poi sembrò farsi serio di colpo. Il suo sguardo non era più luminoso, ma era come se un’ombra gli fosse discesa sul viso. Quasi rabbrividii nel rimembrare un unico momento in cui l’avevo visto come ora: quando avevamo litigato. « Non comprendo la vostra curiosità, ma sono pronto a dirvi che non accetto questi culti del Demonio. Mia madre è morta nell’atto di dar alla luce mio fratello, ed è chiaro che è stata opera di quella strega e delle sue strane erbe ». Non urlò, ma il suo tono fu così tagliente da spingermi a non chiedere altro. Avevo paura della sua reazione e da quel momento in poi compresi che fosse meglio trattenere quel segreto per me e non lasciare trapelare nulla. Amavo immensamente quell’uomo e sapevo che non mi avrebbe fatto del male. Non lo avrei abbandonato per un pensiero simile dovuto anche alla tristezza per quell’increscioso avvenimento, né ci avrei litigato. Nulla poteva rovinare il nostro matrimonio, sebbene nel mio cuore si aprisse una crepa, piccola ma pulsante, per dover sempre mentire all’uomo che amavo al fine di proteggere le sorelle per cui provavo, ormai, un affetto immenso. Quella notte, subito dopo aver fatto l’amore, dormii poco e male. Incubi tormentarono il mio sonno. Voci, grida, litigi non resero quiete quelle ore che mi separavano al mattino e, quando mi svegliai, notai l’altra parte del letto vuota. Mio marito si era già recato al forte e un nuovo giorno doveva iniziare anche per me. *
In una calda notte d’agosto, Sylvie decise che era giunto il momento di accettare in maniera ufficiale il mio ingresso nella Congrega. L’oscurità era quasi totale, se non fosse per un tiepido falcio di luna che sembrava sorridermi in cielo. Ero elettrizzata, ma anche spaventata non conoscendo la prova che avrei dovuto affrontare per essere realmente ritenuta degna di diventare strega. Flaviano quella notte doveva rimanere al Forte e non dovetti, quindi, inventare scuse per la mia assenza. Probabilmente non avrebbe accettato, né compreso – anche giustamente – di vedere sua moglie fuori di notte a fare chissà cosa. Tuttavia mi reputavo fortunata nell’avere al mio fianco un marito non opprimente né tantomeno intollerante. Avevo la mia libertà che altre donne del popolo potevano solo invidiare, ergo non potevo lamentarmi. Fui condotta fuori dall’antro da Claire, strega scelta per guidarmi in quella prova. Ero felice di averla al mio fianco, perché proprio con lei ero entrata più in sintonia. Non vidi le altre, ma immaginai che mi stessero attendendo nel luogo prestabilito. Indossavo unicamente la tunica bianca che mi avevano donato al mio ingresso nell’ordine, ma non potevo avere alcun tipo di ornamento: né fermagli o nastri né gioielli e, cosa ancor peggiore, dovevo lasciare anche i miei calzari. A piedi nudi avanzai lungo il sentiero che conduceva nel fitto del bosco. Non v’era alcun alito di vento e la mia fronte era già madida di sudore. Per me fu scelta proprio la notte in cui si diceva cadessero dal cielo le stelle, associate alle lacrime di un santo, ma non sapevo se anche le streghe credessero in una leggenda simile. Claire mi teneva per mano, valida guida luminosa in quel buio. Dopo un breve tratto di cammino, mi fece fermare all’inizio del bosco, laddove gli alberi erano più fitti e formavano uno stretto sentiero. La notte non era così luminosa ma, a una visione più attenta, scorsi una serie di petali bianchi posti come a definire un percorso da seguire. Sollevai lo sguardo sulla strega al mio fianco, come a porle una muta domanda e lei disse: « Qui devo lasciarti giacché ora inizia la tua prova. Segui il percorso indicato dai bianchi petali e sii pronta ad affrontare gli ostacoli che la Dea porrà sul tuo cammino ». Per un attimo mi sentii mancare. Da quel momento in poi sarei rimasta sola, priva di consigli e di appoggio, e la paura sembrò avvilupparmi in una stretta morsa. Impallidii e non smisi di guardare Claire, il cui viso non sembrava lasciar trapelare emozioni. Per un attimo pensai di non essere degna né veramente pronta. Una voce insidiosa mi sussurrava all’orecchio di lasciare stare, ma poi sentii la mano affusolata di Claire sfiorarmi il viso con dolcezza. « Ci vediamo alla fine del percorso, sorella mia » mi sorrise e poi svanì nel nulla, lasciandomi sola. Quelle sue parole, sorella mia, sortirono un effetto positivo in me. Il cuore batteva ancora con prepotenza nel petto, ma una nuova voce, più potente e chiara, s’impose sulle altre velenose. Trassi un profondo respiro e sollevai lo sguardo verso il tiepido raggio di luna nel suo ultimo quarto. Non ero sola, la Dea era al mio fianco. _________________________________________________________________ Ecco qui il nuovo capitolo. Voglio dire solo due cosine a proposito: 1) Non è assolutamente mia intenzione offendere alcuna religione con quanto ho scritto in tale capitolo, anzi, io ho una mente abbastanza aperta. 2) La frase "tutte le dee sono un'unica dea e tutti gli dei sono un unico dio" è liberamente ispirata/presa dalla Saga di Avalon di Marion Zimmer Bradley, autrice che adoro immensamente e che, con le sue opere, mi ha spinta a riflettere parecchio. Questa frase mi è entrata così dentro, che non potevo non inserirla in questa storia. Tutto qui :) A presto e grazie a chi legge e lascia un segno! |
Capitolo 20
*** XIX - La Prova ***
XIX
La Prova Avanzai lentamente facendo attenzione a seguire la strada tracciata dai petali. Non potevo immaginare cosa avrei dovuto affrontare, ma dopo pochi minuti mi accorsi di essere entrata come in una sorta di labirinto. Rami più bassi mi sferzarono le braccia coperte solo da una leggera tunica, e i rumori della notte mi facevano compagnia. Dopo diversi minuti di cammino, avvertii l’aria farsi ancora più calda, tanto da spingermi a respirare a fatica. Il sudore si addensò come tante piccole gocce sulla mia fronte per poi scivolare sulle gote. Mi fermai per alcuni istanti, volendo appurare che stessi seguendo il corretto percorso e, quando notai i petali dinanzi a me e ai lati, compresi che probabilmente avrei dovuto affrontare un ostacolo. Infatti, così fu. All’improvviso cominciai a vedere offuscato, come se una patina trasparente fosse calata dinanzi ai miei occhi rendendo la vista distorta. Respiravo ancor più a fatica e in breve tempo iniziai a tossire, quando ecco che compresi la fonte di quel mio disagio: un muro di fuoco era comparso proprio di fronte a me, rischiarando il luogo. La fiamma illuminava l’oscurità, riflettendosi sul mio volto. Avvertivo un caldo indescrivibile, mentre strisce sottili scarlatte si tendevano verso di me nel vano tentativo di avvilupparmi. Inconsapevolmente indietreggiai, ma il mio sguardo rimase vigile e diretto verso il primo elemento, la prova iniziale. Cercai di fare dei profondi respiri, tesi ad armonizzare il battito del mio cuore e ad acquietare la mia paura. Valutai mentalmente cosa fare. Non v’erano altre vie da seguire. Il labirinto di petali di rose permetteva di seguire unicamente quella strada, quindi dovevo comprendere come oltrepassare quella barriera scarlatta senza ustionarmi. Ripercorsi mentalmente tutte le lezioni affrontate con le varie Streghe, fino a che nella mia mente non si materializzò la voce squillante di Elodie e la sua spiegazione attinente gli elementi. Mi concentrai unicamente sulle informazioni che avevo assimilato sul fuoco. Il fuoco è l’elemento del Sole, della forza, del coraggio e della vitalità. Luce e fiamma che alimentano il mondo. Simbolo di purificazione e di rigenerazione. Ripetei più volte quelle parole a me stessa, mentre gocce di sudore iniziarono a imperlare la mia fronte, rigandomi poi il viso, simili a lacrime silenziose. Il calore era sempre più potente e il cuore non smetteva di battere con violenza. Mi sentii smarrita, incapace di credere alle mie potenzialità. Non avevo forza, né coraggio, forse non valevo niente come strega. Come sovente, mi lasciai avvolgere da quel senso d’inferiorità e incapacità di andare avanti che quasi fui sopraffatta. Volevo smettere, sin da subito. Eppure una parte di me, piccola ma presente, tentava di farsi strada, di spingermi a reagire, incapace di credere che potessi cedere al primo ostacolo. Lottò con il muro che avevo eretto e fuoriuscì sottoforma della voce chiara e allegra di Elodie, che assunse però una sfumatura seria nel dire certe parole. Ricorda sempre, Desirée, il fuoco è capace di bruciare solo se credi veramente in questo. Devi riuscire a comprenderlo, ad avvicinare il tuo spirito a lui, a smettere di pensare, ma vederlo come un qualcosa di positivo, incapace di far male, facile da gestire. Noi streghe possiamo entrare in contatto con ogni genere di elemento, comprenderlo, e manipolarlo a nostro piacimento purché non siano usati per gettar scompiglio o provocare dolore. Desirée chiudi gli occhi e inizia a vedere la fiamma non dinanzi ai tuoi occhi, ma dentro di te. Rendila un tiepido calore, incapace di nuocere al tuo corpo, a te stessa. Trassi un respiro più profondo e finalmente risposi a quella piccola parte di me, lasciandola guidarmi del tutto. Scrutai per l’ultima volta la fiamma dinanzi a me e, poi, chiusi gli occhi non curandomi più di quelle strisce sottili che tentavano di sfiorarmi. In quell’oscurità che ora era la mia mente, cercai di concentrarmi sulla fiamma, facendola materializzare dentro di me. Una tiepida scintilla emerse e pian piano si fece sempre più ampia, fino a diventare simile a uno sfavillante fuoco. Sentii il mio corpo riscaldarsi, ma rimasi il più tranquilla possibile. Avevo bisogno di concentrazione per entrare in perfetta armonia con quell’elemento. Man a mano che mi concentravo sulla fiamma, scacciavo ogni altro pensiero. Niente più paura, niente più incapacità di agire, niente più blocchi. Mi lasciai accarezzare da quelle lingue scarlatte, gialle e arancioni, con spruzzi di viola di tanto in tanto, e mi accorsi che non faceva male. Come spinta da una forza sconosciuta, avanzai verso la fiamma reale, sempre mantenendo gli occhi chiusi. Sapevo che quello era un momento cruciale. Un minimo di esitazione, un pensiero negativo, e mi sarei fatta male, forse anche molto. Il calore era ormai indescrivibile, eppure non desistetti. Guidata da quella fiamma interiore che non bruciava, attraversai quella barriera di luce e fiamma e, nel momento in cui aprii gli occhi, mi ritrovai, di nuovo, nella perfetta oscurità. Il fuoco era sparito. Rapida andai a osservare le mie mani, le braccia coperte appena dalla leggera veste bianca e mi accorsi con sorpresa di non avere neanche la benché minima ustione. Mi voltai per qualche istante a guardare il sentiero dietro di me e poi sorrisi, eccitata. Avevo superato la prima prova, l’elemento che in me destava un maggior terrore. Volsi lo sguardo verso il cielo, a ringraziare la Dea sotto la forma di un falcio di luna e proseguii. Il sentiero tracciato attraversava alberi più diversi, non proseguiva mai del tutto dritto, ma spesso dovevo voltarmi a destra o a sinistra fino a che non mi ritrovai in un punto da cui non riuscivo più a scorgere neanche quella tiepida luce della luna e delle stelle, sue sorelle, che fino a quel momento mi avevano guidato. Intorno a me il buio regnava sovrano e al suo fianco il silenzio insistente mi gettava ancor di più nello sconforto. Mi mordicchiai le labbra e strinsi al petto le braccia come vano tentativo di incoraggiare me stessa. Quella piccola parte di me che mi aveva permesso di superare la prima prova non era scomparsa e quindi riuscii a proseguire. Non riuscivo a scorgere neanche i miei piedi e mi vidi costretta ad allungare le mani nel tentativo di comprendere se potessi aggrapparmi a qualcosa o meno. Tastai il vuoto più volte, fino a che non mi ritrovai a toccare qualcosa di freddo e duro, quasi granitico, che compresi, ben presto essere una spessa roccia. Continuai a camminare, sempre sfiorando quella sorta di parete, che mi dava un poco di sicurezza nei miei movimenti, quando sentii una sorta di fruscio, un battito d’ali e un suono che non compresi subito. Mi fermai, tesa, e il suono scomparve per un istante come a farsi beffa di me. Un passo ancora ed esso tornò più potente, fino a che qualcosa non mi sfiorò e potei osservarlo meglio solo quando mi era ormai a un palmo dal viso. Un piccolo pipistrello nero e peloso stava volando proprio verso di me. Istintivamente mi accucciai a terra e gettai un grido, il cui eco si ripercosse per tutta quella che ormai, come avevo compreso, era una caverna. Rimasi per qualche secondo in quella posizione, e tastai appena sotto i miei piedi. V’era del terriccio fresco e un poco bagnato. Lo lasciai scivolare di nuovo dalle mie mani e, una volta ripresami dallo spavento, mi rialzai e ripresi il cammino. La Terra è simile al ventre della madre. Ti protegge, accoglie, nutre, cresce, fortifica. Lascia sprofondare i tuoi piedi nudi sul terriccio, Desirée, attrai da esso l’energia. Senti la voce che da essa proviene e falla arrivare al cuore. Quasi nessuno ormai è capace di ascoltare realmente il respiro della terra, così preso da pensieri e attività della vita. Eppure, se tutti ci fermassimo per qualche istante, scopriremmo una sensazione difficile da descrivere a parole, ma intensa e altrettanto difficile da dimenticare. Le parole dell’anziana strega si univano a quelle della giovane Elodie ed erano limpide e chiare in quell’oscurità accecante che mi avvolgeva. Provai la sensazione di essere di nuovo un neonato nel ventre della propria madre, cieco al mondo, ma cullato dalle sue parole e amato in modo incondizionato. La grotta, rappresentazione reale della terra in quel momento, mi avvolgeva ma non mi faceva più paura. Avanzai a piedi nudi, sprofondandoli nel terriccio fresco, e rabbrividii un poco. Eppure era un’emozione intensa. Gocce d’acqua, provenienti dalle profondità del luogo, producevano un suono nel loro scivolare verso il basso. A ciò si unì una voce lontana, di donna, che sembrava cantare una dolce nenia per acquietare e far addormentare il proprio figlio. Una voce che ben presto si fece più vicina, più reale. Una voce che profumava di un passato impossibile da dimenticare. La voce di mia madre. Lacrime silenziose bruciarono i miei occhi e non fui capace di trattenerle. Gridai il suo nome, ma la mia voce produsse unicamente un eco al quale non vi fu risposta. Il canto si smorzò per qualche minuto, ma poi si fece più vivo. Mi fermai e mi sembrò di essere avvolta dall’abbraccio protettivo di mia madre. Le sue mani invisibili mi sfiorarono i capelli e la sua voce, colma di dolcezza, tentava di rassicurarmi. In mezzo a tanto amore, la tristezza vi s’introdusse, spingendomi ad aumentare il pianto, singhiozzi incontrollabili facevano sobbalzare il mio corpo, mentre continuavo a invocarla, a dire tutto ciò che il mio cuore aveva serbato fino a quel momento. Non potevo vederla e, sicuramente, era tutto frutto di un’illusione, ma non m’importava. Piansi come una bambina e non mi accorsi minimamente dello scorrere del tempo. Sarei voluta rimanere lì. Sentivo la mancanza di quei gesti d’affetto che mi erano stati tolti quando ancora ero troppo piccola per capire, troppo piccola per rimanere sola, senza una madre, né un padre. « Desirée, ma petite et douce fille. Ora devi andare. Non puoi più trattenerti qui. Un’altra prova ti attende, ma io ti sarò sempre vicina ». « Madre, madre mia. Non lasciarmi di nuovo sola, non abbandonarmi. Ho bisogno di te ». « Sei ormai una donna e di te tanto sono orgogliosa. Ma ora va’ ». Tentai di ribattere, di trattenerla, ma dopo aver sentito come un soffio, un bacio leggero sulla gota destra, la voce e quell’inconsueta presenza mi abbandonarono, lasciandomi di nuovo nell’opprimente oscurità. Mi sentivo piccola e indifesa, e non riuscii a smettere di piangere. Mi avvolsi le braccia intorno al busto, come nel vano tentativo di colmare quell’abbraccio non più esistente, e rimasi lì ancora per qualche tempo. Quando mi fui ripresa, cercai di trovare la medesima determinazione che nella prima prova mi aveva spinta. Era bello rimanere in quel guscio protettivo, ma la vita doveva sorgere. Io dovevo rinascere e divenire quella per cui la Dea mi aveva chiamata. Trassi un profondo respiro e tornai ad avanzare, ancorandomi ancora alle pareti della grotta, fino a che nel bel mezzo del buio, scorsi una luce lontana, proveniente da un foro che in principio mi parve troppo piccolo per passarvi, ma compresi che diveniva sempre più grande quanto più mi avvicinavo. Era la luce in fondo al tunnel. La mia rinascita. Schermai i miei occhi nonostante la luce fosse fievole, ed emersi dalla grotta, come un figlio lascia il grembo della madre. Avevo superato la seconda prova, ma non ebbi tempo per stare tranquilla poiché fui colpita da un getto d’aria così potente che quasi mi spinse indietro. L’aria il terzo elemento, l’ennesima prova. Chiusi gli occhi, mentre le raffiche di vento mi sferzavano il viso con violenza. I miei capelli si riempirono di foglie e polvere sollevata da quell’elemento impetuoso. La mia veste bianca si sollevò lasciando emergere le mie gambe nude. Con una mano tentai di schermarmi il viso, con l’altra di tenere al suo posto la tunica. L’aria tuttavia non era così gelida, ma era come essere colpita da aghi acuminati, sottili e invisibili, impossibili da bloccare. Tentai di avanzare, pur con enormi difficoltà, ma ad ogni passo che facevo in avanti, il vento mi spingeva indietro di tre. Mi ritrovai esattamente al punto di partenza, l’uscita della grotta, e pian piano mi sentii sempre più stanca. Lottare non era facile, ma c’era un unico lato positivo in tutto ciò: l’aria era il mio elemento, la mia essenza ne era imperniata, ed io potevo dimostrare in tale occasione i miei miglioramenti nel riuscire a manipolarlo. Cercai di rimanere ancorata a terra, ma allontanai la mano dal viso e lasciai la veste, non impedendole ulteriormente di sollevarsi. Non avevo motivo di essere troppo pudica in tale situazione, nessuno mi osservava né tanto meno avrebbe potuto giudicarmi. Ero sola. Non aprii gli occhi, ma cercai di respirare seguendo il ritmo del mio cuore. Scacciai dalla mia mente ogni pensiero che potesse nuocermi e farmi perdere la concentrazione e mi focalizzai unicamente sull’aria, su quel vento impetuoso che continuava a sferzarmi il viso e il corpo, come se volesse scagliarmi addosso tutta la sua rabbia. Ascoltai la sua voce imperiosa, quel suono tipico del vento forte, e cercai un contatto con la natura. Dentro di me rivolsi le mie parole alla Dea, alla ricerca di un aiuto e di sostegno e, quando finalmente mi sentii pronta, provai una sensazione piacevole. Un leggero formicolio sfiorava le mie mani, raggiungendo le braccia e poi tutto il corpo. Era energia pura che scorreva nelle mie vene, e mi faceva sentire forte. Le mie labbra si distesero in un sorriso lieve e poi sollevai le mani verso l’alto, tese proprio contro quella sorta di minaccia invisibile, e mormorai parole che sorsero spontanee, come se fossero sempre state lì, dentro di me, e non attendessero altro di essere proferite. Mentre mormoravo quella sorta di richiamo, di formula magica, le mie mani iniziarono a muoversi come sorrette da un filo invisibile. Volevo attirare il vento a me, farlo rispondere al mio richiamo, muovere al mio volere, attrarlo a me e dentro di me. Non era facile, per nulla, ma non demorsi. Mani invisibili continuarono a schiaffeggiarmi, ma non persi la dovuta concentrazione. Aumentai il volume della mia voce, ripetendo le medesime parole più volte, come una litania che non aveva fine. Accarezzai l’aria, cercai di avvilupparla nelle mie mani, di armonizzarla al mio volere, fino a quando il vento si fece via via più leggero. Dall’urlo imperioso che aveva fino a quel momento emesso, la sua voce diminuì d’intensità, facendosi pian piano leggera e soffice come la brezza estiva. Divenne poco più di un sussurro che ascoltai deliziata. Ricambiai il suo saluto, le sue parole delicate, e mi lasciai avvolgere come da un abbraccio, mentre rivoli d’aria s’insinuarono impertinenti nella mia veste, tra i miei capelli – ormai in disordine – e mi sfiorarono il viso, come soffice carezza. Hai mai udito le voci del vento? L’Aria, simbolo di libertà e di spazio, ha voce leggera e porta consigli. Fermati ad ascoltare la voce dei suoi figli. Il vento dell’est porta cambiamenti, quello del sud ti consiglia sull’amore e infonde il coraggio, ma non dimenticarti di ascoltare quello dell’ovest signore della purificazione, che porta rilassamento o quello del nord che sussurra al tuo orecchio la via per giungere alla Verità. La voce di Sylvie giungeva chiara alle mie orecchie, ed io non riuscivo a smettere di sorridere. Le sue parole erano veritiere. L’aria è densa di consigli da seguire. Essa ti parla, spetta solo a noi fermarci ad ascoltarla, aprire la mente e il cuore alle sue parole. Mi beai ancora di quella confortante sensazione, poi sentii svanire il vento e l’aria tornò a farsi umida. Guardai con attenzione davanti a me e notai che il percorso delimitato dai petali di rosa bianca proseguiva. Non persi altro tempo e avanzai. Un sorriso persisteva sulle mie labbra mentre proseguivo il mio cammino. Non sapevo quante altre prove avrei dovuto affrontare, ma mi sentivo forte e determinata e soprattutto ero orgogliosa di me per come avevo manipolato l’elemento verso cui il mio spirito era affine. Sentivo ancora l’energia dell’aria dentro di me e ne ero elettrizzata. All’improvviso avvertii che qualcosa sotto i miei piedi era mutato: non più erba e terra, ma l’acqua di quello che mi accorsi essere un lago. Mi fermai, non comprendendo cosa avrei dovuto fare, quando una voce a me familiare e benvenuta mi disse: « Hai attraversato il muro di fuoco e da esso hai tratto la forza e ne sei stata purificata. Nel ventre della Madre ti sei ritrovata e il suo abbraccio ti ha confortata. Il vento impetuoso hai saputo trattenere, ma ora è della sacra acqua che sei chiamata a rinascere a vita nuova, se veramente ne sei degna ». La voce di Sylvie risuonava alta e chiara, anche se non potevo vederla. « Cosa devo fare? » domandai « sono pronta a rinascere ». « Togli le tue vesti, figlia, e immergiti nel lago. Lascia che l’acqua deterga il tuo corpo e lavi ogni tua impurità. Poi sorgi a nuova vita e appari alla presenza della Dea dai tre volti. Vai! » Annuii e, sebbene fossi restia a denudarmi del tutto, mi liberai della stoffa bianca, ritrovandomi ben presto nuda. Con le braccia, tuttavia, tentai di nascondere la mia intimità, mentre avanzavo verso la parte un poco più profonda del lago, al fine di immergermi del tutto. L’acqua fresca a contatto con il mio corpo nudo mi provocò un brivido, ma ben presto riuscii a lasciarmi coinvolgere totalmente dal piacevole benessere che ne scaturiva. La sentivo accarezzarmi, scivolare in ogni parte del mio essere, e avevo realmente la sensazione che potesse purificarmi totalmente. Ero totalmente sprofondata in quel lago e i suoni della natura, già abbastanza silenziosi in quella notte, si fecero sempre più soffusi, lontani. C’ero solo io e quell’elemento che scorreva in ogni parte di me, insinuandosi anche ove la mia intimità non era più celata da vesti. Sorrisi lievemente, allietata da quel piacere e da quel silenzio e poi, quando non ce la facevo più a trattenere il respiro, emersi con il capo. Trassi un profondo respiro, quell’aria tiepida che non mi rendeva spiacevole quella sorta di bagno notturno, quella prova semplice ma sacra che dovevo adempiere. Sentii il mio corpo ormai completamente rilassato. Come se l’acqua avesse alleviato e cancellato ogni pensiero, ogni problema, ogni paura. Mi sentivo nuova, come se in quel preciso momento una nuova Desirée fosse nata. Ben presto quella solitudine e quel silenzio furono interrotti dalla voce alta e, quasi, sovrumana della Gran Maestra che a me rivolse le sue parole: « Sorgi a nuova vita, Desirée, figlia della Dea. Esci dalle acque e vieni incontro al tuo nuovo destino. La Dea e il Dio suo sposo ti chiamano, vogliono da te il giuramento. Sei dunque pronta? » Rimasi in silenzio solo per qualche istante, quando le mie labbra si schiusero da sole e, come mosse da un filo invisibile, dissero: « Madre mia, Padre, la vostra umile figlia è pronta a rispondervi ». Senza perdere tempo uscii completamente dal lago. Gocce rimasero sul mio corpo ancora privo di veli, ma ora non sembravo avere titubanze, né pudore. Avanzai senza coprirmi, illuminata lievemente dalla pallida luce lunare che sfiorava la mia pelle candida. Ad attendermi a poca distanza dalla riva, notai la presenza di sei figure, più altre due distanti, che sorreggevano torce per rischiarare il luogo. Riconobbi ben presto la mia amata sorella, Claire, che aveva tra le mani un involucro scuro. Al centro era posta Sylvie, che appariva molto più grande rispetto alla sua bassa statura, come se in lei vi fosse un’altra entità, forse l’emanazione della Grande Dea. Ma le altre erano coperte da veli. Non riuscivo a scorgere i loro volti, ma potei intuire la presenza di un uomo e solo in quel momento una punta di rossore m’imporporò il viso. Avrei voluto nascondermi, ma fui attratta dallo sguardo lucente della Gran Maestra. Mi fissava con un’intensità particolare, ma v’era severità nel volto. Non disse nulla, ma parve volgere appena lo sguardo verso la figura ammantata di bianco. Mi voltai ed ella avanzò d’un passo verso di me. Sorreggeva tra le mani un oggetto d’argento, dalla forma della luna crescente. Dietro il velo candido, scorsi un viso conosciuto. Elodie, la più piccina tra le streghe, mi rivolse un sorriso gioioso ma poi disse: « Io sono la Vergine, la fanciulla inviolata, spensierata, curiosa e affamata di conoscenza. Emanazione della purezza, del candore. Rappresento l’inizio della vita, la luce e la speranza. Figlia dell’Alba, io sono il principio. La luna crescente è il mio volto. A te ora chiedo, sorella, sei disposta ad accettarmi? » Ascoltai le sue parole con attenzione. Fissai il primo volto della Dea e poi chinai il capo, portando le mani incrociate all’altezza del petto, e dissi: « Sì, ti accetto ». La Vergine annuì mestamente e poi tornò alla sua posizione. Il suo posto fu ben presto preso dalla seconda figura, ammantata completamente di un rosso scuro. Tra le mani sorreggeva un oggetto rotondo d’argento, simbolo della luna piena. Scorsi il viso di Cécilie e attesi le sue parole. « Io sono la Madre che ascolta con compassione e amore. Emblema di fertilità e protettrice degli amanti. Donna matura, sposa, e generatrice di vita. Simbolo di potenza, di sessualità femminile, di creazione. La Luna piena è la mia personificazione. A te ora chiedo, figlia amata, sei disposta ad accettarmi? » Ripetei il medesimo gesto e ancora le medesime parole. Non v’era altro da dire. « Sì, ti accetto ». La Madre sorrise dietro il velo scarlatto e andò a posizionarsi al suo posto. Dopo di lei seguì la Vecchia che sorreggeva il medesimo oggetto d’argento, ma nella forma della luna calante. Già prima di scorgere il suo volto, compresi che spettava a Ophélie quel ruolo e le sorrisi con dolcezza, nonostante fosse ammantata con un colore spento, lugubre, come le tenebre. Nonostante la sua cecità, la vidi disporsi perfettamente dinanzi a me e prendere parola. « Io sono l’Anziana, la Saggia, emanazione del mistero, della conoscenza. Mio è il potere di scorgere oltre il mondo che ci circonda, sollevando il velo, il confine con gli spiriti. Io sola comprendo il mistero della morte, della fine, la capacità di abbandonarsi all’oscurità senza paura. Io sono la fine, il vespro. La luna calante mi rappresenta. A te ora chiedo, bambina, sei disposta ad accettarmi? » Le sue parole produssero in me dei brividi lungo la schiena. Parole di morte, di velo tra i mondi, la fine, non rincuoravano. Eppure, proprio in quel momento appresi una consapevolezza nuova. Quei tre volti facevano parte di me, di ogni donna. Erano state scelte Elodie, Cécilie e Ophélie, ma qualsiasi altra donna poteva rappresentare la Dea, a seconda delle fasi della vita. La Dea si poteva scorgere in ognuna di noi. Io ero stata Vergine, sarei diventata Madre e infine Anziana. Quella consapevolezza mi fece affiorare un sorriso sulle labbra e chinandomi appena, dissi. « Sì, ti accetto ». Con passo incerto anche l’Anziana tornò al suo posto e fu di nuovo la volta di Sylvie di parlare. « Hai accettato la Dea nel suo triplice volto, ma non v’è solo lei. Al suo fianco sorge il suo sposo adorato. Per essere accettata ed entrare nel nostro ordine, ti è chiesto di ascoltare anche le parole del Dio ». L’unica figura maschile avanzò di un passo verso di me. Era completamente nudo, come me, e la cosa mi imbarazzò. Per un attimo mi sentii in colpa. Il mio sposo neanche sapeva che ero lì, e soprattutto così vicina a un altro uomo, privo di vesti, di protezione. Ma una voce in me mi riscosse da quei pensieri negativi. Quell’uomo, di cui non potevo scorgere il volto perché protetto da una maschera rappresentante il sole, era la mera rappresentazione del Dio, e nulla sarebbe successo tra di noi. Dovevo stare tranquilla. Respirai profondamente al fine di tranquillizzarmi, e lui parlò. La sua voce era forte e sicura. « Io sono il Dio, sposo della Dea. Io sono il Sole, la luce che rischiara il giorno. Sono il seme che germoglia nella terra. Non può esistere il mondo senza il Dio o senza la Dea. Noi siamo complementari. Dalla Dea nasco, a lei dono amore e in lei muoio per rinascere poi ancora, in un ciclo che non ha mai fine. A te ora chiedo, tu che sei fanciulla, madre, e anziana, mia amante e sposa, sei disposta ad accettarmi? » Il mio volto pallido era ora completamente rosso dall’imbarazzo, ma ascoltando le sue parole mi accorsi di essere realmente di fronte all’emanazione del Dio, e abbassando lo sguardo dissi: « Sì, io ti accetto ». Il Dio non mi sfiorò. Si limitò a guardarmi ancora dietro quella maschera, e poi tornò al fianco della Gran Maestra che sollevò le braccia al cielo. « Hai affrontato ogni prova con coraggio e determinazione, hai accettato la Dea e il Dio suo sposo, e loro hanno accettato la tua richiesta. Fratelli e sorelle tutte, Desirée oggi lascia la sua vecchia vita per entrare nella nuova. Sorgi radiosa tu che sei fanciulla, madre e anziana, e oggi sorella. A te è concesso il permesso di accedere alla Congrega del Salice. A te è donata una veste nuova, una diversa pietra. Benvenuta… Strega! ». Quell’ultima parola mi donò reazioni contrastanti. Brividi ma anche eccitazione. Non ero più una semplice neofita, ora ero realmente una rappresentante della Congrega, una vera sorella per tutte loro, una strega. Avevo superato ogni prova, accettato gli Dei, una nuova religione non così distante dalle altre, in verità, ed ero stata presa. Ero orgogliosa di me e lessi nei loro sguardi lo stesso sentimento. Claire mi si avvicinò e mi donò quello strano involucro che avevo intravisto in precedenza. Era una nuova tunica, di un blu intenso, con annesso un ciondolo con uno zaffiro del medesimo colore. Mi aiutò a indossare il tutto e finalmente non fui più nuda al mondo. La mia nuova vita aveva inizio. Ora ero una strega. _______________________________________________________________________________________ Questo è uno dei
capitoli che mi è piaciuto di più scrivere, anche
se uno dei più complicati. Quando scrivo di magia - un
elemento che amo inserire nelle mie storie - non è mai
veramente facile. Anche qui, lo ammetto, si sentono i riferimenti alla
Saga di Avalon, anche se ho cercato di rinterpretarli a mio modo, e mi
auguro di averci messo un pizzico di originalità.
L'idea, in fondo, è di mostrare l'antico credo, prima dell'avvento del cristianesimo e... ho dovuto per forza di cose trarre informazioni dal web e dai libri che ho letto. La dea è sempre stata identificata con un triplice volto, Vergine, Madre e Anziana e non potevo non inserire questo particolare. Il dio è identificato con il sole, per questo ho inserito quella maschera. Spero che possa piacervi :) Grazie a chi legge, ha inserito la mia storia nelle varie sezioni, e commenta ! Grazie infinitamente anche per il vostro aiuto :) |
Capitolo 21
*** XX - Bocciolo ***
XX
Bocciolo
La mia vita era notevolmente cambiata. Ero giunta come una bambina orfana, e nel giro di circa dieci estati mi ritrovavo moglie dell’uomo che amavo sin dal primo momento in cui i nostri sguardi s’incrociarono, e strega. Avevo molte persone intorno che mi volevano bene e verso le quali provavo un affetto sincero. Non ero sola ma attorniata da sentimenti che mi scaldavano il cuore. Ero felice, vedevo tanta luce intorno a me, e solo un piccolo spazio oscuro nel fondo del mio cuore non mi permetteva di essere del tutto serena con me stessa: non potevo dire a mio marito della mia seconda natura, lui non avrebbe capito, e forse temevo che il suo amore potesse mutare. Probabilmente sbagliavo a pensarla in quel modo, a volte mi sentivo terribilmente in colpa: era come se non credessi in maniera totale nel suo amore, come se temessi di essere ripudiata per quella vita oscura agli occhi di tanti, ma per me essenziale. Nessuno mi avrebbe mai allontanata dalle mie sorelle, nessuno poteva permettersi di non essere più ciò che ero veramente, e di cui ero orgogliosa. Non dissi mai a Flaviano la realtà dei fatti, ma cercai di tramutare le mie bugie – che tanto m’infastidiva dire, anche perché non ero mai stata un’ottima attrice – in qualcosa che aveva almeno il sapore di una mezza verità. Cercavo di dividere le ore delle giornate tra il mio lavoro, il mio sposo e il nostro nido d’amore e le mie sorelle, che non smisero di insegnarmi altre cose che fino a quel momento ignoravo totalmente. Non era facile gestire tale situazione, la sera spesso ero esausta, ma cercavo di farmi trovare sempre in casa al suo ritorno. Il suo lavoro, in fondo, mi era di grande aiuto. Trascorreva gran parte delle giornate con gli altri soldati, e anche lui tornava a casa molto stanco. Ciò nonostante il nostro amore era sempre più vivo, e così la passione che ci univa quasi ogni notte sul talamo che condividevamo. In quei momenti era come se la stanchezza scomparisse per un attimo, lasciando il posto a un forte desiderio che ci spingeva l’una tra le braccia dell’altro, l’uno dentro l’altra. Ai momenti con lui, succedevano quelli a lavoro. Madame Le Marchand si era ripresa del tutto, anche se i segni del suo malore erano visibili sul suo viso invecchiato e i suoi capelli ormai bianchi. Tuttavia, aveva ripreso il pieno controllo della Magione e controllava imperturbabile l’operato di ognuna di noi. Non v’era più tensione tra di noi. Avevo compreso che il suo affetto nei miei riguardi era del tutto sincero ed io ricambiavo a mio modo: era per me la madre che mi era venuta a mancare troppo presto. Vedevo meno la mia cara amica Louise-Marie, ma ogni volta che mi invitava a Palazzo non smetteva di parlarmi di sé e del suo amore con il freddo Capitano Svensson. Ancora non riuscivo a comprendere come potesse essere nato qualcosa tra due persone tanto diverse, ma ero realmente felice di sapere che finalmente anche il cuore libertino della mia amica e sorella si era legato a quello di un solo uomo, anche se ovviamente non riusciva a smettere di dedicare sorrisi e attenzioni ai cortigiani che l’adulavano per le sue qualità. Le altre dame mi osservavano con strani sguardi, nei quali scorgevo forse sentimenti d’invidia o superbia. Si ritenevano superiori per la loro posizione sociale, più alta sicuramente della mia e quasi mi osservavano con sdegno, forse per la mia presenza in un luogo a me non troppo affine. L’invidia però era dovuta alla mia situazione rispettevole: ero una donna sposata e la mia abilità nel realizzare abiti e accessori, incrementavano il mio prestigio agli occhi del Conte e della sua Consorte. Così le dame non osavano disprezzarmi in modo troppo palese, ma mi accettavano e cercavano di essere perlomeno gentili nei miei confronti. Non amavo molto la loro compagnia, ma non potevo far a meno di quella di Louise-Marie, della sua solarità e – anche se a volte eccessiva – della sua parlantina che mi faceva un poco svagare dai miei tanti doveri. Nei restanti momenti della giornata, mi recavo alla Congrega del Salice. Le mie sorelle erano perfettamente consapevoli della mia impossibilità di stare con loro tutto il tempo, ma ogni volta mi accoglievano con calore e affetto, e persino lo sguardo di Sylvie, la Gran Maestra, non era più così severo nei miei riguardi. Persino Ètoile, il misterioso gatto della congrega, aveva osato strusciarsi sulle mie gambe ed emettere le sue deliziose fusa, forse in segno di accettazione. M’insegnarono a catalizzare meglio l’energia degli elementi, soprattutto dell’aria che mi era più affine; spesso Sylvie stessa provava a costatare i miei miglioramenti, attraverso prove che svolgevamo all’aperto, nel folto del bosco laddove altre persone non potessero vederci. In verità temevo sempre di essere scoperta, ma la tranquillità delle mie sorelle mi rilassava e finii per non pensarci più. Ophélie e Cécilie continuarono a spiegarmi in maniera più dettagliata ogni genere di erba, e potei prima assistere poi operare personalmente alla preparazione di speciali unguenti e oli che potessero curare ferite più o meno gravi. Ero solita meravigliarmi per la loro sapienza, e nell’utilizzare solo delle semplici erbe per guarire dei malanni. Era strano, interessante, magico, ma, a pensarci bene, erano le stesse erbe che prelati e monache usavano tranquillamente, senza correre il rischio di essere additati come eretici. Man a mano che conoscevo quel nuovo mondo, mi ponevo sempre più domande alle quali non riuscivo a trovare risposta. Come potevano accusare e uccidere persone solo perché avevano esperienza nell’utilizzare erbe o credevano in qualcosa così simile a quella religione che tanto sostenevano essere l’unica da seguire, perché la vera in assoluto? Il mio cuore e il mio animo sensibile non riuscivano a comprendere tanta malvagità, e a volte emergeva nella mia mente un pensiero che forse non sarebbe stato apprezzato dai popolani e dagli ecclesiastici: e se il malvagio si annidasse proprio negli animi di coloro che accusavano gli altri di essere eretici? Quelle domande, quei pensieri, quelle risposte le serbavo per me. Era una tiepida mattina di fine estate, il sole era sorto solo da qualche ora e mi trovavo immersa nella radura dinanzi all’ingresso dell’antro. Flaviano era andato via molto presto, ed io ne avevo approfittato per raggiungere le mie sorelle, giacché il pomeriggio lo avrei dovuto trascorrere tutto tra la Maison, la mia dimora e una visita a Louise-Marie che doveva raccontarmi nuove notizie che aveva appreso nei corridoi del Palazzo. Soffiava una leggera brezza che sembrava portare fievoli sussurri, mentre mi sfiorava il volto. Mi avvolsi nella mantellina scura, e portai di nuovo lo sguardo verso Cécilie che mi stava mostrando un’erba particolare, spiegandomi gli effetti che avrebbero prodotto sul corpo umano. Ascoltavo con attenzione la sua voce pacata, la sua capacità di far comprendere anche le cose che mi apparivano più complesse, quando un rumore proveniente dal mio stomaco mi spinse ad arrossire. Lo sentii gorgogliare, ma non ne compresi il motivo, fino a quando un senso di nausea giunse fino alle mie labbra. Le serrai, ma feci appena in tempo a voltare il capo di lato, che vomitai tutto quel poco che avevo mangiato. Rimasi alcuni istanti in quella posizione, cercando di respirare un poco a fatica; lo stomaco mi bruciava, e le mie labbra avevano un sapore sgradevole. Cécilie, allarmata, si protese verso di me e mi tenne il capo, aiutandomi in quella situazione inconveniente. Quando finalmente sembrai calmarmi, sollevai il viso e guardai smarrita la strega erborista al mio fianco. Lei prese un fazzoletto dalla tasca della sua tunica e mi tamponò con delicatezza le labbra, prima di dire: « Non ti senti bene, Desirée? » « Non capisco… ho mangiato poco questa mattina, ma… forse qualcosa che era andato a male » mormorai perplessa. Mi sentivo debole e stanca, quel malessere toglieva ogni energia e il pericolo di vomitare ancora non sembrava del tutto svanito. Cécilie mi aiutò a sollevarmi da terra e pose meglio la mantellina sulle mie spalle. « Credo che sia meglio rientrare, ti preparerò un infuso caldo che attenuerà un poco la sgradevole sensazione che provi, oltre che scacciare in parte l’odore nella tua bocca ». Aggrappata a lei, entrammo all’interno della grotta, accedendo infine alla grande sala dove si trovavano le altre. Tutte spalancarono i loro occhi, forse vedendo il mio pallore improvviso e mi si avvicinarono. Elodie mi riempì di domande, mentre Sylvie e Claire rimasero immobili a guardarmi, anche se nei loro sguardi scorgevo un poco di apprensione, più evidente nella seconda, in verità. Gli occhi della Gran Maestra sembravano sempre di difficile comprensione: erano come uno specchio appannato, dal quale non era facile scorgere la vera essenza. « Elodie, insomma! Non si è sentita bene, ma ora le preparo un ottimo infuso e vedrai che si rimetterà in breve tempo in forma! Ma non assillarla troppo con le tue innumerevoli domande! » esclamò Cécilie, e la strega elementale sbuffò, incrociando le braccia sotto al petto, imbronciata. Mi fecero sedere su uno dei cuscini, ponendomi una ciotola nel caso dovessi ancora rigurgitare. Cercai di respirare e rilassarmi, ma l’odore degli incensi emanati nell’aria mi destò un altro senso di nausea. Mi strinsi nella mia mantellina, avvertendo improvvisamente freddo, e Claire si posizionò al mio fianco, sfiorandomi leggermente il viso in una carezza. Mi sorrise con dolcezza e sembrava essere del tutto tranquilla. Come se lei avesse scorto qualcosa, se lei sapesse altro che io ignoravo completamente. Nel giro di pochi minuti, Cécilie tornò con una tazza fumante. Erbe aromatiche dal piacevole odore si scioglievano nell’acqua bollente, e non appena riuscii a trarne un sorso, mi sentii leggermente meglio, anche se lo stomaco – irritante – continuava a gorgogliare. « Vedrai che ora starai meglio. Ma cerca di mangiare cose più salutari, se possibile… » mormorò l’erborista, ma una risata roca la bloccò. Ci girammo tutte verso Ophélie, l’anziana strega seduta come sovente accanto al camino acceso anche in quel momento. « Perché ridi, Menta? » mormorai. « Oh, è semplice bambina. Non starai meglio in poco tempo, quell’infuso sarà solo un’attenuazione, un piccolo rimedio temporaneo. Trascorreranno mesi in cui dovrai essere pronta a gestire queste situazioni, e anche altre ». Corrugai la fronte, non comprendendo quelle parole. Avevano il sapore di una minaccia e quella risata mi sembrava fonte di cattiveria, ma sapevo bene che Ophélie era l’immagine della bontà, della comprensione e della gentilezza, oltre che detentrice di enorme saggezza. Poi, mi sentii osservata. Occhi dalle sfumature diverse erano puntati verso di me: tutte le streghe mi osservarono sorridenti, come se avessero capito qualcosa di cui io ero totalmente ignorante. « Non capisco… » « Ma come no! È così semplice, Desy! Tu… » ma la piccola Elodie fu interrotta da Cécilie, che le impedì di parlare, ponendole – dispettosa – una mano sulle sue labbra, spingendola ad emettere un grugnito strano e divertente insieme. Le sue parole furono completate di nuovo da una risata di Ophélie, che riprese: « Nel tuo ventre un seme è stato posato. Un nuovo bocciolo nascerà, fino a divenire un fiore delicato e rischiarare di luce la tua e la nostra vita ». Spalancai gli occhi e le labbra e per poco la tazza non mi cadde dalle mani. Fu ripresa saldamente dal rapido movimento di Claire. Guardai Ophélie ancora qualche istante, poi, le mie mani ormai libere, andarono a porsi sul mio ventre. Nel momento in cui compresi, calde lacrime sgorgarono dai miei occhi. Lacrime di un’intensa emozione. Lacrime di felicità. *
Qualche ora dopo ero a lavoro, ma non riuscivo a smettere di sorridere e di sfiorarmi il ventre. Era ancora troppo presto per notare segni evidenti, ma il pensiero che dentro di me stesse crescendo una nuova vita mi rendeva euforica. Non riuscivo a comprendere come Ophélie fosse così certa di quel mio stato, ma poi valutando il mio ciclo che non arrivava da tempo ormai, e la sua immane esperienza per le gravidanze, non ebbi più dubbi. Le mie colleghe mi scrutavano perplesse, notando la mia strana reazione, e la piccola Julie, dopo diversi minuti, mi si fece vicina e mi sfiorò appena il braccio. « Desirée vi sentite bene? » mi domandò, inclinando il capo di lato. Io mi voltai verso di lei, guardandola con quel perenne sorriso fisso sulle mie labbra e le carezzai la testolina riccioluta, prima di rispondere: « Sto splendidamente, ma pétite! » Lei mi guardò, non proprio convinta della mia risposta, ed io emisi una risatina. Forse sembravo aver perso il senno, ma in quel momento non m’importava dare spiegazioni. « Julie potresti portarmi un poco di lana bianca? Quella già lavata e lavorata, pronta ad essere usata per realizzare indumenti ». La piccola apprendista annuì, contenta di essere utile per qualche cosa. La vidi allontanarsi e raggiungere una cassapanca dove v’era proprio la lana da me richiesta, e sospirai. La mia mente vagò al futuro. Immaginavo già di avere una piccola come lei, pronta a correre per la mia modesta dimora, e chiamarmi maman mentre tornava tra le mie braccia. In verità non avevo grandi preferenze sul sesso del nascituro; avrei ovviamente accettato con gioia anche un bambino, magari somigliante per qualità e fisico al mio amato. Quello che la Dea e il Dio suo sposo ci avrebbero concesso sarebbe stato ugualmente gradito, giacché era fonte del nostro immenso amore e del nostro legame che da quel momento era ancora più saldo. Julie tornò rapidamente verso di me, lasciando della lana sul mio tavolo. « Cosa dovete farci? » mi domandò, non trattenendo la sua consueta curiosità. « È una sorpresa! » risposi, ammiccandole, « ma se vuoi puoi restare qui a vedere che cosa uscirà fuori ». « Oh sì, vi prego. Sono così curiosa! » esclamò, ed io la invitai a sedersi su uno sgabello proprio al mio fianco. La bambina rimase silenziosa, ma seguiva continuamente ogni mio movimento, in parte per curiosità, in parte per il suo grande desiderio di divenire un giorno un’ottima sarta. Io sapevo bene cosa fare e trascorsi quelle ore a realizzare qualcosa che in verità non era in vendita, qualcosa che avrebbe fatto comprendere al mio amato della lieta novella. Qualche ora dopo dinanzi a me v’erano due piccole scarpine di stoffa, di piccola fattura. Sembravano poter calzare i piedini di un elfo, o meglio quelli di un bambino molto piccolo. Erano adornati da un filo bianco che poteva chiuderli un poco sulla caviglia. Li ammirai, emozionata, e Julie mi guardò non riuscendo a comprendere perfettamente. « Sono delle scarpine per un bambino? Chi è nato, se posso saperlo? » domandò, ed io le sorrisi e sfiorai appena il mio ventre, in un gesto già diventato consuetudinario. « In verità sono per un bambino che deve ancora nascere… » Julie guardò il mio viso e poi laddove si era posata la mia mano e solo dopo qualche minuto comprese e il suo viso da bambina si accese di luce. « Oh! Voi? È lì dentro? » iniziò a chiedere, agitata dall’eccitazione. « Oh Desirée sono così felice per voi! » La sua vocina acuta aveva attirato l’attenzione delle altre, che non ci misero molto tempo a comprendere. Lasciarono immediatamente i loro attrezzi e mi attorniarono, iniziando a complimentarsi con me. Il laboratorio divenne un insieme di voci, acclamazioni, e risate, tanto da attirare Madame Le Marchande, che subito ci venne incontro, battendo più volte le mani come per richiamarci all’ordine. « Ebbene che cosa succede qui? Chi vi ha ordinato di fare festa? Avete terminato i vostri lavori? Cosa c’è di tanto bello da ridere e ciarlare in questo modo? » Le artigiane le lasciarono lo spazio per vedere di persona, e Madame posò subito gli occhi su di me e poi sulle scarpine che comparivano sul mio tavolo. « Che cosa significa questo, Desirée? » mi domandò, e poi scorse il mio rossore e le mani che non volevano lasciare quella protezione che doveva avvolgere la creatura dentro di me. « Tu? Cosa? Quando? » Sembrò perdere la sua serietà, e quasi temetti di vederla svenire. Una delle sarte si avvicinò, al fine di sostenerla, ma Madame la scansò. « Desirée… » la sua voce era rotta dall’emozione. Incurante della presenza di così tante persone, i suoi occhi grigi s’inumidirono di lacrime che non riuscì a trattenere. Allungò le braccia verso di me, ed io mi alzai per lasciarmi avvolgere dal suo abbraccio. « L’ho scoperto solo oggi… » mormorai al suo orecchio, e lei – sempre a voce bassa – mi disse: « Tua madre sarebbe proprio orgogliosa di te, come lo sono io… » La sua frase mi fece commuovere e, in breve tempo, laddove v’erano state risate, uscirono lacrime che contagiarono tutte. Ma non c’era nulla di male a piangere, soprattutto se ciò era causato da tanta felicità. *
Non c’era stato tempo per recarmi a Palazzo in quella giornata densa di emozioni, e poi desideravo vedere subito Flaviano per potergli rivelare la gioiosa notizia. Non sapevo bene quali parole usare e proprio per quel motivo avevo realizzato quelle due scarpine, sperando che un dono simile potesse spiegare laddove le parole non fossero riuscite a farlo. Una volta tornata a casa, mi prodigai nella cucina di una deliziosa cenetta. Per una volta volli scegliere tutto quel che di più buono v’era a disposizione, in fondo si trattava di un momento speciale. Passai anche alla taverna, per prendere una bottiglia di vino rosso, il preferito di entrambi, e salutare il simpatico Oste che non perse occasione di rivolgermi complimenti, che tanto infastidivano la sua gelosa mogliettina. In poco tempo la stanza si riempì di un buon odore di carne arrostita e patate, oltre che verdure di vario tipo e attinenti alla stagione. Preparai la tavola: non avevamo nulla di così elegante come si poteva vedere a Palazzo, ma neanche si poteva dire che vivessimo nella povertà, anzi adoravo la mia vita così com’era, il lusso non mi si confaceva. Collocai anche una candela al centro della tavola, che sarebbe dovuto rimanere accesa per tutta la serata. Quando tutto fu pronto, disposi il pacchettino nel quale avevo inserito le scarpine di lana, proprio sopra al piatto del mio amato marito, e mi sedetti. Fremevo dalla curiosità, cercando di immaginare mentalmente come avrebbe reagito. Sarebbe stato felice? Avrebbe avuto particolari preferenze per il sesso della creatura che tanto ci univa? Non riuscii a rimanere troppo tempo ferma al mio posto, iniziai a vagare per le stanze, a sistemare cose in realtà già al loro posto, a controllare il cibo ormai quasi cotto. Controllai dalla finestra se arrivasse qualcuno e poi, quando udii dei passi, sorrisi raggiante, ma il mio cuore iniziò a battere incontrollato. Ero emozionata, agitata. Seguii con lo sguardo la porta che si apriva, e lo vidi togliersi il cappello dal capo e il mantello, ponendo il tutto su una sedia posta all’ingresso. Non smisi di osservarlo, curiosa di vedere ogni singola reazione. Flaviano voltò lo sguardo verso la cucina, respirando il buon profumo e poi mi guardò, rivolgendomi un dolce sorriso, ma il suo viso appariva stanco. « Che buon profumino, mia adorata. Sembrano carne, patate e anche verdure. A cosa devo questa cenetta prelibata? » chiese, avvicinandosi di qualche passo a me, fino a che non fu abbastanza vicino da sfiorarmi il viso con una carezza. « Questa sera ho voluto regalarci una cena migliore del solito. È una serata magica, mon amour. Sedetevi, tranquillo, e attendete che vi porti tutto… » mi fermai un attimo, scrutandolo con più attenzione « Ma vi vedo stanco. Il Capitano Svensson vi fa allenare duramente nell’ultimo periodo, o sbaglio? » domandai con pacatezza. Lui mi guardò e annuì, prima di rispondere: « In verità è così. Siamo sottoposti a un duro allenamento, ma non me ne dispiace. Sono nato per fare il soldato e voglio dimostrare ciò che valgo ». Nei suoi occhi si scorgeva una luce di determinazione, ma poi i suoi lineamenti si addolcirono. « Non permetterò alla stanchezza di rovinarci questa serata che si prospetta deliziosa. Ma ancora non mi avete spiegato il motivo di tutto ciò ». « Ogni cosa a tempo debito. Sedetevi, arrivo subito ». Sfiorai le sue labbra con le mie, giusto per un istante e poi sfuggii alle sue braccia, andando a prendere tutto ciò che avevo cucinato, per portarlo in tavola e servire mio marito e me stessa. Lo sentii osservarmi per un po’ ma, quando tornai al tavolo, lo vidi seduto a scrutare con interesse e confusione la scatola che avevo lasciato sul suo piatto. Rimasi in silenzio e posi il tutto in tavolo. Pentole fumanti emanavano ancora quei deliziosi odori di cibo, poi lui sollevò lo sguardo verso di me e disse: « Questo? Anche un regalo per me? Ho dimenticato qualche ricorrenza forse? » Notai la confusione nel suo sguardo e mi sfuggì un sorriso divertito. « Oh no, è qualcosa che non potete aver dimenticato. Apritelo pure ». Non se lo fece ripetere due volte. Aprì il pacchetto, ed estrasse le due scarpine di lana bianca. Aggrottò la fronte, ancora più perplesso, e poi mi guardò. Non riusciva a comprendere, così mi avvicinai a lui. « Se questo è un enigma, ammetto di non averlo capito ». « Non credo che sia così difficile. Non vedete, mon amour? Sono delle scarpine, ma troppo piccole perché siano fatte in dono a un uomo ». « Effettivamente, sembrano adatte a un neonato… » mormorò, osservandole ancora qualche istante, prima di sgranare gli occhi e voltarsi verso di me, senza riuscire a parlare, sebbene le labbra si muovessero. Io presi una delle sue mani tra le mie e la portai a sfiorare il mio ventre. Lo vidi quasi sbiancare dalla sorpresa, e per un attimo temetti che non fosse felice della notizia. Tuttavia non esitai, e dissi: « Dentro di me c’è vita. Un timido bocciolo è stato seminato e attende solo di sbocciare ». Lui deglutì, ma non allontanò la sua mano da dove l’avevo messa. « Vi ho fatto perdere le parole, ma mi auguro che non sia perché la notizia vi turba in modo negativo. È il frutto del nostro amore, una creatura che ci lega ancora più di prima. Ditemi, Flaviano, vi ho così scosso? Non siete felice? » Quegli istanti che gli servirono per riprendersi e formulare una frase furono per me interminabili. Erano quasi un peso che mi colpiva il cuore e lo faceva gelare. Rimasi in silenzio, ma stringevo ancora la sua mano. Poi lo vidi alzarsi di slancio e un sorriso illuminò il suo bel volto, prima di donarmi un bacio colmo di passione. Lo lasciai fare e ricambiai, e non riuscii a trattenere quelle lacrime, ormai mie compagne, che scesero a rigarmi il viso. « Come siete sciocca Desirée, come potete solo pensare che per me sia qualcosa di negativo?! Dentro di voi c’è vita, il nostro bambino, nostro figlio! Non c’è gioia più grande che poteste regalarmi. Mia amata, mio sole luminoso, mio eterno amore ». Si chinò a baciarmi il ventre più volte, lo accarezzò con dolcezza – anche se ancora non era visibile il segno – e poi tornò a guardarmi. Posò le dita ad asciugarmi le lacrime, che copiose continuavano a scendere, e mi baciò ancora, senza sosta. Ero così felice! Ogni paura scomparve, e fu ancora più bello di quanto potessi immaginare. Dopo altri momenti d’intensa emozione, consumammo la nostra cena tra risate e sorrisi, pensando già al nostro futuro con nostro figlio. In verità lui avrebbe preferito un maschio, ma non gli sarebbe dispiaciuto neanche se avessimo avuto una femmina. « …se poi vi assomiglierà sarà incantevole, proprio come voi ». « O magari più di me » risi, e lui rise con me. Pensammo anche ai possibili nomi. Se fosse stato un maschio, lui avrebbe voluto chiamarlo Edoardo, come suo padre, se fosse stata femmina avrei voluto chiamarla Alizée. Non v’era un motivo preciso, mi piaceva il suono di quel nome e poi era simile al nome di un vento. Chiacchierammo per ore e ore. Lui mi lasciò sedere sopra di sé, ed io mi beai delle sue calde braccia intorno a me. Solo quando la candela stava per spegnersi, ci alzammo da tavola e raggiungemmo il letto. Non riuscimmo a prendere sonno presto; la stanchezza che ci accumunava era scomparsa, e passammo altro tempo a bisbigliare tra noi e coccolarci. Finimmo la nostra magica serata con quell’atto di unione che ci aveva così legati e fatto il dono più bello che potesse esistere. Una creatura. Un figlio o una figlia. Nostro, solo e unicamente nostro. Il nostro piccolo bocciolo. ______________________________________________________________________________________________________________________________ L'amore dei due non poteva non
essere coronato da un bambino o bambina, no?
Dedico questo capitolo molto dolce a tutti coloro che hanno la fortuna di donare e ricevere l'amore, un sentimento così bello che spero un giorno torni a rischiarare il mio cuore. In fondo domani è San Valentino, no? Ma anche a chi con le proprie recensioni mi aiuta ad andare avanti con questa storia, lasciando il proprio parere, e facendomi comprendere quanto forse non sia una storia da buttare, anzi. Dovrei imparare davvero a credere un po' di più in me stessa. A presto, con il nuovo capitolo ! |
Capitolo 22
*** XXI - Di Amuleti e Notizie ***
XXI
Di Amuleti
e Notizie
« Diventerò zia! » La voce sonora di Louise-Marie risuonava alta e vibrante nel giardino adiacente al Palazzo, incurante degli sguardi dei cortigiani e servitori che la guardavano con fare perplesso, non avendo compreso il nocciolo del nostro discorso. La notizia della mia gravidanza aveva illuminato il volto della mia amica, spingendola a emettere sospiri continui e a scrutare più volte il mio ventre, che ancora – in verità – non era visibile. « Oh, ma douce, ma precieuse amie, quale lieta novella mi dai! Non sei emozionata? Io lo sono eccome! Dovremo pensare a tante cose: ai vestitini, cappellini, o magari dei graziosi guantini perché no! Poi si potrebbe organizzare una festa, magari qui a Palazzo, vedrai che il Conte e la Contessa saranno lieti! Dopotutto ultimamente l’aria qui sembra sempre tesa e fredda, e non so più come rallegrare le loro Altezze. Oh sì, tu mi potrai dare l’occasione utile per… » Impedirle di parlare oltre mi era quasi impossibile, quando a un tratto, girando l’angolo del Palazzo, la nostra strada fu bloccata da una figura alta e robusta che, sbadatamente stava per travolgerci. Istintivamente portai le mani al ventre, come tentando di proteggere quella scintilla di vita che avevo dentro di me, mentre Louise-Marie proruppe con un gridolino e disse: « Ma insomma, voi, volete stare attento! Rischiavate di travolgere la Prima dama di corte e una Madame incinta! Fate più attenzio… » si bloccò, e nel scorgere chi fosse dinanzi a noi, i tratti del suo volto si addolcirono e le sue labbra, dapprima stizzite, si distesero in un sorriso. « Mon amour, perdonatemi, non credevo foste voi! Dove stavate andando così rapido? Cosa succede? » Il Capitano Svensson – perché di lui si trattava – si fermò a un passo da me, giusto il tempo per non cadermi addosso, e borbottò parole in una strana lingua che non riuscii a comprendere. Fissò i suoi occhi di un azzurro chiarissimo su di me, e sembrò trasmettermi una consueta freddezza che mi turbava sempre. Nel sentire le parole dell’amata indietreggiò di un passo, e fece scivolare il suo sguardo sul mio ventre. Sembrava turbato, e poi sul suo volto passò come un’ombra. Appariva arrabbiato, come se quella notizia non fosse per lui qualcosa di buono. Lo sentii borbottare altre parole per me prive di senso, perché incomprensibili, ma non distolsi lo sguardo da lui. Mi sentivo offesa dal suo fare, e a stento trattenni parole indelicate nei suoi riguardi. Lo facevo solo per puro rispetto nei confronti del mio amato e della mia amica, ma dentro di me ribolliva il sangue; ero pronta a scagliarmi su di lui, su quello sguardo freddo e distaccato, su quelle labbra quasi stizzite per la mia condizione, che fino a quel momento aveva suscitato solo sorrisi e gioia. Non lo comprendevo e non lo sopportavo. Rimanemmo per qualche istante a fissarci con ostilità silenziosa, ma poi Louise-Marie ci riportò alla realtà, schiarendosi la gola con un falso colpo di tosse, attirando così l’attenzione su di sé. « Scusatemi se disturbo, ma ci sono anche io qui con voi », mormorò quasi a denti stretti, alternando lo sguardo tra di noi, e per un attimo mi sembrò di scorgere un sentimento negativo anche nei suoi occhi. Distolsi l’attenzione dal Capitano, voltandomi a guardare un lato del giardino; non riuscivo a parlare in quel momento, tale era la rabbia che provavo dentro, ma per mia fortuna il gigante dalle poche parole, interruppe il suo silenzio. « Mistero! » esclamò, rispondendo finalmente alla domanda di Lou e mostrando un sorriso sornione che fece sciogliere la mia amica in un sospiro, e ribollire ancora di più il sangue nelle mie vene. Fece per andarsene, ma dopo alcuni metri si arrestò, voltandosi appena e pronunciando un chiaro: « Congratulazioni, possa questo evento essere per voi e il vostro sposo il primo di molti altri ». Non appena fu lontano, sbuffai e finalmente buttai fuori il mio veleno. « Ah! Ma come fai a sopportarlo? È insolente, freddo, distaccato. Non ha nemmeno risposto in maniera sincera alla tua domanda, e poi hai visto come mi ha guardata? Come se disprezzasse sin da ora la creatura che porto in grembo, è un essere… » « … così attraente! Con quel fascino degno di mistero. M’incuriosisce, mi da modo di indagare da sola per scoprire ciò che nasconde! Non è magnifico? Suvvia, non fare quella faccia, soeur, e sorridi! Piuttosto, dove ero rimasta? » si fermò a pensarci un po’ su, mentre io scuotevo il capo sempre più perplessa dal suo dire, e poi aggiunse, « ah sì, la feste, vedi io pensavo di… » Riprese a parlare di feste, vestitini, nomi e quant’altro ed io l’ascoltai annuendo di tanto in tanto e cercando di impedirle di realizzare il futuro di quella creatura che ancora non si era neanche formata dentro di me, ma le sue numerose chiacchiere non scacciarono via dai miei pensieri quello sguardo di ghiaccio che si era posato sul mio ventre, con tanto odio, o almeno così sembrava. *
I mesi trascorrevano velocemente; l’estate aveva lasciato il posto al triste autunno e le prime foglie ingiallite iniziavano a cadere dagli alberi. Lo spiazzo di natura dove ero solita incontrarmi con Flaviano, quando non eravamo ancora sposati, ora era ricoperto da una sorta di rivestimento giallo e rossiccio: foglie su foglie ormai stanche si erano staccate dai rami degli alberi tutt’intorno ricadendo docilmente verso il suolo, lasciandoli privi di copertura. L’autunno non era una stagione che amavo, mi sembrava triste, spoglio, destava in me un’insolita malinconia, e i primi freddi iniziavano ad avvertirsi, cosa che io non gradivo molto. Per fortuna il caldo fuoco del camino nella grotta attenuava, un minimo, quella sgradevole sensazione che provavo. Quel giorno era il turno di Claire di svolgere una lezione, e ci trovavamo tutte intorno a lei ad ascoltarla con curiosità. Le altre in verità conoscevano già l’argomento che avrebbe trattato, ma adoravano passare quanto più tempo possibile insieme, e poi l’interesse non svaniva mai, soprattutto quando si parlava di pietre e amuleti protettivi e magici. Nelle mie condizioni non potevo sforzarmi fisicamente nel realizzare incanti, quindi avrei trascorso quelle lunghe settimane nell’apprendere nuove nozioni, nel conoscere più profondamente le erbe e anche la particolarità e il significato di ogni singola pietra. Claire distese su una sorta di coperta violetta una serie di piccole pietre dei colori e delle forme più diverse e i miei occhi v’indugiarono sopra, ammaliati. Facemmo tutte assoluto silenzio quando Claire iniziò a parlare, la sua voce risuonò chiara e sicura: « Le pietre, come i profumi, le essenze, le erbe, i colori e gli elementi, come anche noi stessi e gli animali e ogni cosa del mondo creato dagli Dei, contengono energia. Esse possono influenzare le nostre vite, le nostre personalità, possono donarci protezione o aiutarci nei momenti di difficoltà, donandoci coraggio, forza, aiutandoci a credere nelle nostre capacità ». Fece una breve pausa, soffermando i suoi occhi chiari su di me, poi riprese: « Possono anche essere un ottimo collegamento tra il nostro mondo e quello spirituale e hanno la capacità di rendere più stabile la nostra magia. Spesso sono associate ai vari pianeti, alla Luna e al Sole. Inoltre è bene ricordare che ciascuna pietra è depositaria di un proprio potere che è bene scoprire e comprendere al meglio, prima di farne un qualche uso ». Il mio sguardo scivolò di nuovo sulle pietre, soffermandosi su una piccola e rotonda, completamente rosa. La guardai ammirata, ma ne notai ben presto un’altra, viola. Erano le mie preferite, oltre allo zaffiro blu che portavo incastonato sul ciondolo al collo; anche se era effettivamente impossibile disprezzare le altre. Avevano tutte una loro particolarità che colpiva e avrei voluto possederne una per ogni genere. La mia curiosità però era associare ciascuna pietra al suo potere, per comprendere quale poteva essermi utile in particolari situazioni. Ma prima che potessi rivolgerle una domanda, come di sovente, sembrò che Claire avesse già percepito qualcosa, e rivolse le sue parole proprio a me. « Noto che osservi in particolare due pietre, sorella. Quella rosa è un quarzo, portatore di amore e felicità, inoltre favorisce la pace e la fedeltà nelle lunghe relazioni ». « Allora non ti serve proprio eh! » s’intromise la giovane Elodie, ridacchiando divertita. Cécilie scosse il capo all’ennesima uscita dell’amica-nemica, ma io risi a mia volta. « No, le sue qualità magiche non fanno per me. E questa viola? » chiesi, curiosa. « Ametista », riprese Claire. « Considerata la pietra dello spirito, è benefica e protettiva. Spesso è utilizzata durante la meditazione, la divinazione e in questioni riguardanti gli spiriti. È la mia pietra preferita, quella che ho scelto e mi è stato concesso di indossare per sempre al mio collo ». Detto ciò, portò la mano destra a sfiorarsi il ciondolo, e notai la sua pietra violacea. Le sorrisi, grata per la spiegazione, poi tornai a guardare quella sorta di gemme. « Le altre pietre da noi indossate che potere hanno? » chiesi ancora, desiderosa di conoscenza. « Lo zaffiro blu che porti al collo favorisce la guarigione fisica, e dal punto di vista magico e psicologico ha un effetto calmante e rasserenante; rafforza la volontà permettendo anche di realizzare i propri desideri. È la pietra associata a Saturno, al cielo, alla fiducia… ». Spostò poi lo sguardo su Elodie, « il rubino è una pietra completamente rossa, stimola il coraggio ed il potere, difende dai nemici e ovviamente è associato all’elemento fuoco. » Sorrise ed Elodie annuì vigorosamente, orgogliosa della sua amata pietra anche per tale motivo. « La pietra verde di Cécilie è lo smeraldo che, oltre ad essere un potente guaritore, ha il potere di rivelare il futuro e di rafforzare la memoria; è anche considerato simbolo di libertà e amore assoluto. E, infine, c’è… » « … l’onice. » la interruppe la Gran Maestra, portando i suoi occhi di un blu scuro sul suo ciondolo. « Una pietra totalmente nera, che spesso desta timori in coloro che non possono capirne il significato celato. Favorisce una grande protezione, soprattutto quando si devono affrontare avversari in battaglie o conflitti di ogni genere. » in quel momento mi fissò con intensità, tanto da provocarmi un brivido lungo la schiena, ma poi riprese con più tranquillità. « Oltre a ciò è molto utile per la magia difensiva e favorisce la stabilità fisica e mentale ». Rimasi per qualche minuto senza parole, cercando di assimilare e ricordare per sempre tutte quelle informazioni che mi stavano riferendo. « Ovviamente queste sono solo alcune delle tantissime pietre esistenti in natura. Nel corso delle prossime settimane sarà mio piacere fartele conoscere tutte, Desirée » aggiunse Claire, ed io annuii. « L’ultima cosa utile da sapere è questa: prima di essere utilizzate a fini magici o fisici, occorre purificarle affinché possano realmente influire con il loro potere ». « Purificare? Com’è possibile farlo? » domandai. « In verità vi sono diversi metodi, ma quello che preferisco è la purificazione tramite i quattro elementi. Elodie, Cécilie sareste così gentili da aiutarmi? ». Non ci fu bisogno di spiegare troppo. Le due si alzarono all’unisono e si avviarono presso un cassettone posto in un lato della grande sala, lo aprirono e presero degli oggetti che potei scorgere solo quando li posero dinanzi a Claire. Erano una coppa, nella quale in quel momento Cécilie vi versò dell’acqua e un incensiere che fu presto acceso, lasciando fluttuare la sua striscia di fumo profumato. Claire estrasse, da un piccolo sacchetto, della terra che pose sulla coperta stesa sul pavimento, precisamente in alto, al nord; Cécilie mise la coppa d’acqua a ovest, Elodie lasciò l’incensiere a est e infine Sylvie accese una candela, ponendola a sud. Guardai quei gesti con assoluta attenzione e curiosità, concentrandomi mentalmente e fisicamente ad avvertire l’energia che sicuramente si sarebbe creata in quei sacri gesti. Claire guardò per qualche istante le varie pietre, e la sua bianca mano affusolata scivolò a prenderne una di un giallo particolare, con sfumature arancioni. La sentii mormorare qualche parola: « L’ambra dona forza, saggezza e pace ed aiuta ad assorbire più facilmente il dolore ». Annuii silenziosa, comprendendo che la spiegazione era per lo più rivolta a me, e poi mi limitai a seguire il rituale. Claire prese la pietra tra le sue mani e socchiuse gli occhi, come se volesse attingere a quell’energia presente in essa; quando fu pronta, tornò a guardare i quattro simboli posti nei quattro punti cardinali, e pose l’ambra nella terra, per poi ricoprirla. Le sue labbra si schiusero appena, e lentamente mormorò: « Con la Terra, o Ambra, io ti purifico! » Non riuscii a scorgere i volti delle altre tanto ero presa da quei piccoli gesti densi di potere. Avvertii un piccolo brivido scorrermi nelle vene, come se l’energia della pietra iniziasse a sprigionarsi. Sorrisi di fronte a quella piacevole sensazione, e il rito proseguì. Claire liberò la pietra dalla terra, dopo qualche minuto, e la passò più volte nel fumo dell’incenso, in senso antiorario. « Con l’Aria, o Ambra, io ti purifico! » La passò quindi sulla fiamma della candela, e ancora ripeté le medesime parole: « Con il Fuoco, o Ambra, io ti purifico! » E, infine, la pietra fu immersa nell’acqua per qualche minuto ancora. La vidi ancora proferir parola: « Con l’Acqua, o Ambra, io ti purifico! » L’energia presente nel luogo era forte. Tutti gli occhi delle streghe erano concentrati in quei gesti, in quella piccola pietra densa di potere. Dopo qualche istante ancora, Claire ritirò la pietra dall’ultimo elemento, e la pose all’interno di un panno lindo e me la porse. « Asciugala e tienila tra le mani, sorella mia. Avverti il suo potere, fallo scorrere in te e dona il tuo a essa. L’ambra ora ti appartiene e ti aiuterà se la terrai con te. È tua. Custodiscila amorevolmente come so che tu sai fare. Puoi anche incastonarla in un gioiello, se vorrai ». Mi sorrise lievemente, ed io la guardai un poco stupita, ma poi le mie labbra si distesero in un sorriso denso di ringraziamento. Strinsi la pietra avvolta dal panno tra le mie mani, e socchiusi gli occhi. L’energia sprigionata era così forte da sorprendermi. Un formicolio sulle mani, poi sulle braccia, brividi sul corpo, e d’un tratto mi sentii pervasa da una luce intensa. La magia e ciò che mi donava mi piacevano sempre di più. *
Il malinconico autunno si spense velocemente e il suo posto
fu preso dal freddo inverno. Quell’anno fu particolarmente
rigido; nonostante fossi ben coperta da un caldo mantello e da guanti
di lana, le mie mani erano perennemente gelate, causando buffe smorfie
nel mio amato, ogni volta che lo sfioravo appena. A volte lo facevo
apposta, forse per il mio spirito un po’ infantile, forse
perché ero perfettamente consapevole che con lui potevo
scherzare liberamente, non si sarebbe arrabbiato per simili
futilità.Poco dopo il Natale, che le streghe chiamavano Yule, ci stavamo dirigendo verso la Taverna “Le tre spade” per svagarci un poco e non rimanere perennemente in casa e soprattutto perché l’oste Jean ci aveva invitato a una sorta di festicciola alla quale non potevamo mancare. Dinanzi alla porta, Flaviano mi lasciò andare e mi aprì l’uscio quel che bastava per entrare. « Prima le signore ». « La ringrazio, monsieur! » esclamai, e mi intrufolai lesta all’interno così da trovare un po’ di tepore. A contatto con il calore del luogo, le mie guance ritrovarono un poco di rossore, e sentii di nuovo il sangue fluire nel mio corpo. Nello scorgerci l’oste ci venne subito incontro, raggiante. La sua faccia rotonda era completamente rossa, forse per il calore, forse anche per l’alcool che già – come sempre del resto – gli scorreva in corpo, e tra le mani portava due grandi calici colmi di birra. « Madame e Monsieur Marli siete finalmente arrivati! Prego prego, volete un po’ di birra? Del vino? Qui siam tutti a festeggiare! » « Oste Jean, io prendo volentieri un boccale di birra, ma per la mia dolce mogliettina incinta non sarebbe salutare. Avete del buon succo di mela o di qualche altro frutto? » ribatté Flaviano, fermo dietro di me e cingendomi il fianco quasi a voler proteggermi dall’oste civettuolo. « Oooh già! La nostra bella sartina è incinta, è vero! Ma fatevi vedere, con il vostro corpicino così minutino è difficile vedere il pancione! » disse, guardandomi forse un po’ troppo, e anche un poco più in alto della pancia, che già iniziava a essere un poco più evidente. Abituata com’ero alle sue parole, non ci feci caso e risi divertita, anche se il tocco di mio marito sui miei fianchi si fece un poco più protettivo. « Siete sempre troppo gentile, Jean! È ancora presto per vedere il pancione, ma già i primi segni ci sono, anche se credo che siano più in basso rispetto a dove puntate gli occhi » risi ancora, e poi aggiunsi a voce più bassa « ma vedo vostra moglie laggiù, credo che stia guardando proprio dalla nostra parte ». L’oste sembrò rizzarsi di colpo a quelle mie parole, e smise di puntare gli occhi sul mio corpetto. Si guardò intorno e, intercettato lo sguardo severo della moglie dietro il bancone, replicò: « Uh, sedetevi pure! Quel tavolo laggiù è libero, arriverò al più presto con birra e idromele! Orsù! » e se ne andò a servire altri due presenti. Io risi ancora qualche secondo e poi aggrappandomi al braccio del mio amato – in verità contrariato dal fare dell’oste – ci sedemmo al nostro tavolo. La taverna era viva, si avvertiva quell’allegria propria delle feste e forse anche del vino e della birra che scorreva come acqua nei corpi degli astanti. Scrutai tra i vari tavoli e sul bancone, riconoscendo molti abitanti di Sivelle. V’erano giovani, anziani di entrambi i sessi. Alcuni parlavano sommessamente, altri giocavano, altri brindavano. Il loro vociare risuonava nel luogo, e ci si poteva ascoltare soltanto parlando abbastanza vicini. Flaviano mi guardava apprensivo, non era stato sicuro di volermi condurre in tal sito nel mio stato, ma io avevo così tanto insistito che alla fine dovette cedere, anche se ancora era riluttante. Mi sfiorò leggermente una mano e gli sfuggì la consueta smorfia. « Anche qui dentro le tue mani sono così fredde. Proprio non comprendo ». Io gli sorrisi e alzai le spalle. « Non posso farci nulla, è un problema che non so proprio risolvere ». Lui mi baciò la mano e poi portò l’altra a sfiorarmi il ventre appena pronunciato. Lo fece con gentilezza, come temendo di potermi far male anche con un gesto così amorevole. « Sei proprio sicura di voler stare qui? Basta una parola e torniamo a casa… non mi sembra molto tranquillo ». Scossi il capo e tentai di tranquillizzarlo. « Stai tranquillo, mon cher, nulla può accaderci qui dentro. L’oste Jean mi vuole bene e non permetterebbe a nessuno di nuocermi ». Lui si accigliò, e disse: « Ti vuole fin troppo bene, anzi, a mio parere è lui che potrebbe nuocerti ». « Sei geloso maritino mio? » mormorai, sorridendo maliziosa. « Non devi farti problemi, sono anni che si comporta così ma ormai lo vedo più come un gioco. Anche perché non si è mai azzardato a toccarmi, altrimenti la moglie temo che lo uccida ». « Se non lo fa lei, lo faccio io ». Scossi repentinamente il capo a quel suo dire. « Non provarci neanche! » « Vedremo » sorrise angelicamente, anche se il suo sguardo non preannunciava nulla di buono, ma non pensavo che avrebbe mai veramente osato far del male a un povero oste. « Eccolo che ritorna, spero che non riprenda con i suoi soliti commenti impertinenti e che i suoi occhi non scivolino troppo sul tuo corpetto » borbottò, ed io gli strinsi la mano per quietarlo. Voltandomi vidi arrivare effettivamente Jean con il solito sorrisone sul volto, e posò sul tavolo i due boccali. « Un boccale di birra per il Monsieur, e un idromele per la bella Madame. Se serve altro, fate un fischio! » « Vi ringrazio Jean » gli sorrisi appena, e Flaviano lo guardò male. L’oste non rimase oltre, tornando al fianco della moglie. « Suvvia mostrami un sorriso e non guardare male il povero Jean. Siamo qui per distrarci e divertirci! A noi e al nostro piccolino ». Alzai il boccale e lui mi fece felice. Sorrise e scacciò – forse per un poco – il pensiero dell’oste e fece cozzare il boccale contro il mio. « Alla nostra deliziosa famiglia ». Bevemmo con calma i nostri boccali, e iniziammo a parlare del più e del meno. Di tanto in tanto mi beavo dei caldi gesti di lui: mi sfiorava il volto, posava le labbra sulla mia fronte, sfiorava il mio ventre e non smetteva di sorridere nel parlare del nostro bambino, o bambina. Scorgevo nel suo volto una tale gioia e una luce così intensa che mi faceva palpitare violentemente il cuore. Sarebbe stato un buon padre, lo sentivo. Qualche volta il mio sguardo vagava tra gli astanti: mi dilettavo sovente nell’osservare i volti, le espressioni e i gesti degli altri, come se così facendo potessi tentare di conoscerli. Quando terminammo le nostre bevande e si fece tardi, Flaviano m’invitò a tornare a casa e questa volta non mi opposi. Ero molto stanca, e avevo proprio bisogno di un buon riposo. Salutammo i due osti e uscimmo, e ad attenderci c’erano i primi fiocchi di neve della stagione. Esordimmo in un “oh” di stupore e i nostri volti si volsero verso il cielo, lasciandoci accarezzare da quelle soffici stelle bianche, nonostante il freddo m’intorpidisse le ossa. Adoravo la neve, adoravo quel manto candido che si creava a terra. Ma al contempo mi accorsi che sarebbe stato difficile tornare spesso dalle mie amate sorelle streghe. « Sei felice? » mi disse Flaviano, avvolgendomi tra le sue braccia mentre ammiravamo quel segno divino. « Come potrei non esserlo quando sono al tuo fianco, tra le tue braccia, circondati da questa bellezza? » Lui posò le labbra sulle mie, le avviluppò in un dolce bacio, che io ricambiai. Rimanemmo così attaccati per diversi istanti, fino a quando una risata sguaiata, strana e a tratti spaventosa ci bloccò. Ci guardammo intorno e lui mi strinse ancora più a sé, con la sua perenne voglia di proteggermi da tutto e tutti. Davanti a noi camminava goffamente un’anziana signora: era vestita di stracci scuri con i quali tentava di proteggersi da quel freddo gelido. Non sembrava però tremare, come se avesse del fuoco a riscaldarla dentro. Una mantella le copriva le spalle, un velo le circondava il volto lasciando intravedere solo degli sprazzi di capelli tendenti al bianco. La sua pelle era raggrinzita, le sue labbra aperte in un sorriso strano, priva quasi del tutto di denti. Quella visione non mi avrebbe causato brividi se non fosse stato per quella strana risata. Tuttavia, in parte mi tranquillizzai. Era la solita anziana signora che girava per le vie di Sivelle farneticando di continuo e spesso cercavo di non ascoltarla. « Ah, l’amore che lega questi due colombi! Com’è vivo, com’è vero. Ma ai miei tempi non potevamo mica commettere questi atti sconci davanti a tutti ». Ci voltammo, non v’era nessuno, ma lei riprese: « La notte è calata presto e con essa questi strani fiocchi! Oh, come son freddi, o le mie povere ossa! » « Buona donna se avete freddo, potete riposare nella taverna qui vicino. Troverete cibo e bevande calde per confortare le vostre ossa » rispose Flaviano, impedendomi di avvicinarmi troppo a lei. « Oh che gentiluomo avete trovato, fanciulla! Così cortese, così ben fatto! Oh lo conosco bene quell’oste, non sempre mi ha accolta con grazia! Io povera mendicante senza soldi! » Questa volta avanzai risoluta, nonostante i tentativi di Flaviano di impedirmelo. « Posso darvi io delle monete per pagare questa notte e parlare per voi al buon oste che personalmente conosco. Ecco, prendete… » le porsi qualche monete, ma lei mi fissò con attenzione. « Oh, se i miei occhi stanchi non mi ingannano siete la sarta del villaggio. Certo, certo, siete proprio voi che numerose volte vi siete avvicinata al bosco ». Tremai, nel sentire quelle parole. Temevo che il mio amato potesse far domande, temevo che il mio segreto potesse sfuggire, e che quella gioia che provavo potesse sfumare troppo velocemente. Mi afferrò per il braccio, ignorando le monete e bisbigliò. « Fate attenzione al bosco, è denso di misteri. Streghe volano sul dorso di una scopa e ballano languide con il principe delle tenebre, ma si odono anche ululati alla luna. Si dice che grossi lupi vaghino tra gli alberi, pronti a sterminare le fanciulle che vi si recano. Ascoltatemi, ascoltatemi! » Rise di nuovo, più sguaiatamente ed io mi ritrassi. Flaviano mi riportò a sé, allontanandomi da quella vecchia. Non aveva compreso tutto, ma la invitò ad andarsene. Tuttavia la vecchia stessa, dopo quelle parole, se ne andò di sua spontanea volontà, perdendosi nella notte, incurante del mio aiuto e del freddo. « Desirée stai bene? Cosa ti ha detto quella vecchia pazza? Ti ha fatto del male? Non avresti dovuto avvicinarti troppo a lei, non si sa mai cosa possa fare. Dovrebbero rinchiuderla ». Mi osservò il braccio con cura, ma io lo ritrassi e lo rassicurai. « Sto bene, sono solo scossa ». Abbassai lo sguardo e dopo poco lo riportai su di lui. « Ha parlato di lupi nel bosco ». Tralasciai volutamente la parte delle streghe, perché ben sapevo che non facevano cose simili. Flaviano si fece serio e serrò le labbra. Sembrava teso, spaventato per me, e indeciso se parlare o meno, ma poi disse: « Un fondo di verità c’è nelle parole di quella vecchia pazza. Sembrano aggirarsi davvero lupi al bosco, che spaventano i nostri cavalli quando siamo di ronda. Non ti addentrare mai al bosco da sola, soprattutto di notte. Promettimelo ». Il suo sguardo e la sua voce erano così decisi che non potei tirarmi indietro. Gli promisi che non ci sarei più andata, ma questo avrebbe comportato non andare più dalle mie amate sorelle, almeno per un po’. La cosa mi addolorava, ma avrei scritto loro e una soluzione l’avremmo di certo trovata. Tornammo a casa, scossi e privi di quella gioia con la quale eravamo partiti. Quella notte ebbi un sonno tormentato da sogni. Ero sola al bosco, correvo più veloce che potevo. Dietro di me dei passi, sempre più vicini, sempre più forti. Alla fine inciampai su una radice che usciva dal terreno, caddi a terra. Tentai invano di strisciare via, ma il mio inseguitore era vicino, troppo vicino. All’improvviso un ululato. La luna piena brillava alta nel cielo, e dietro di me v’era un lupo completamente nero e con due occhi iniettati di sangue. Mi guardava e spalancava le fauci… A quel punto gridai, e mi svegliai. *
Altri mesi trascorsero senza che io potessi recarmi dalle streghe. La neve, dopo quella sera, era caduta nei giorni seguenti rendendo quasi impossibile camminare tra le strade della piccola città. Non potevo muovermi, se non per recarmi a lavoro e la sera ero costretta a rimanere in casa, a volte anche da sola, in parte per la promessa fatta a mio marito, in parte perché ero veramente spaventata dall’idea di incontrare uno di quei lupi, come nel sogno terribile che si ripeteva per molte sere. Cercai di non scoraggiarmi troppo. Il giorno successivo avevo scritto una lettera a Claire, dicendole che non potevo tornare per un po’ di tempo e tutte le streghe m’invitavano a star tranquilla. Loro ci sarebbero sempre state e in qualche modo, non appena la neve si fosse sciolta, avremmo trovato un modo per rincontrarci. Mi dissero anche che, in effetti, si sentivano ululati di lupi – in particolar modo nelle notti di luna piena – ma che non temevano per le loro vite. Anche i lupi erano figli della grande Dea e non potevano realmente far male, se non era l’uomo stesso ad attaccarli o far loro paura. La cosa però non riusciva a rincuorarmi del tutto. Stringevo a me l’anello con l’ambra che vi avevo fatto incastonare, e cercavo di non disperarmi, per il bene mio e del bambino che stava crescendo nel mio grembo. Pian piano stavo aumentando di peso e le prime forme di rotondità divenivano sempre più evidenti. Mi guardavo spesso allo specchio, curiosa e desiderosa di vederlo crescere e di poter sentire già quei calci tipici dei bambini ormai formati. Ma era ancora presto e dovevo attendere. La gravidanza procedeva bene, nonostante alcuni momenti in cui i dolori erano più intensi e la nausea mattutina mi lasciava priva di forze, ma pian piano si andava attenuando. Con Flaviano le ore scorrevano felici, anche se in quelle ultime settimane di febbraio sembrava sempre più stanco e teso. Gli allenamenti erano sempre più duri, e in cuor mio incolpavo il Capitano Svensson per ridurre i suoi uomini in quello stato. Non ne capivo il senso, ma cercavo di lasciare tali pensieri nel mio cuore. Ogni volta che tornava a casa, comunque, riservava dolcezze a me e anche parole al piccolo. Posava le labbra sul mio ventre e iniziava a sussurrare dolci pensieri, che mi facevano spesso commuovere. Una parte di me non vedeva l’ora di avere quel bambino, maschio o femmina che sia, in modo da poter vivere ancor meglio e vedere di persona l’abilità di mio marito come padre. Amavo quell’uomo in maniera totale, difficile da descrivere, difficile da far comprendere agli altri. Era il mio sole, come io lo ero sempre stata per lui. Ci completavamo, anche se quel piccolo neo m’impediva di essere totalmente sincera con lui. Non potevo, non potevo realmente dirgli del mio essere strega. In una tiepida mattina di fine marzo, mi trovavo nella nostra casa tutta presa da un nuovo abitino per il bambino, quando Flaviano tornò in anticipo. Mi aspettavo il suo arrivo per l’ora di cena, e mi colse impreparata. Alzai lo sguardo su di lui, confusa, e stavo per proferir parola quando mi spaventai per come appariva: era pallido e non riusciva ad alzare gli occhi. Mi sembrava profondamente triste, ma non appena incontrai il suo sguardo, notai che in esso brillava un’insolita luce, anche se era oscurata da una parte di ombra. Era come se fosse combattuto, come se serbasse nel cuore una notizia che da una parte lo rendeva felice, dall’altra triste. Lasciai scivolare a terra il mio lavoro, e mi alzai per andargli incontro. « Mon amour, che succede? Perché sei tornato prima del previsto? Cosa ti turba? » Lui prese le mie mani tra le sue e le strinse con un’insolita forza. Era teso, incapace di comunicare, ma poi le sue labbra si mossero e disse: « Tra due settimane esatte dobbiamo partire ». « Partire? Chi? Perché? » Il mio cuore batteva furente nel petto, mentre cercavo di cacciare via un pensiero evidente che si era formato nella mia mente. « Il Conte deve contribuire alla guerra, inviando anche i suoi soldati, così è stato deciso da sua Maestà » si fermò, cercando comunque di trattenermi per non farmi cadere a terra, avvertendo già il mio pallore e il mio tremolio. « Devo partire ». |
Capitolo 23
*** XXII - Riccioli color del sangue ***
XXII
Riccioli color del sangue Devo partire. Non avrei mai pensato che quelle due parole potessero fare così male. Provai una fitta lancinante al petto, tanto che per un attimo ebbi paura di morire in quel momento, ma non potevo permettermelo, soprattutto per la creatura che avevo in grembo. Flaviano mi sostenne, poiché rischiavo di svenire e mi lasciò scivolare con cura su una sedia. Mi guardò spaventato e premuroso al contempo. « Desirée come stai? Parla ti prego ». Mi avvicinò un bicchiere alle labbra, ma lo scansai con una mano. Provai a dire una parola, ma le mie labbra si mossero senza proferire suono alcuno. Feci un altro sforzo e finalmente la mia voce, seppur fievole, uscì. « Partire in guerra… con così poco preavviso ». « In verità v’era tensione nell’aria già da mesi, ma non potevo dirtelo finché neanche io lo sapevo con certezza ». « Ma… resterò sola, il nostro bambino… » farneticavo, non riuscendo a creare delle frasi complete. Lui abbassò lo sguardo, posandolo sul mio ventre, e sospirò tristemente. « Il destino ha voluto che mi allontanassi da voi proprio ora; ma io… tornerò in tempo per vederlo, ne sono sicuro ». In verità la sua voce non era così decisa, il tono non così sicuro ed ero perfettamente consapevole che non potevano esserci sicurezze. Le guerre potevano durare settimane, ma anche mesi e addirittura anni, e il pensiero che dovessi concludere la gravidanza e mettere al mondo nostro figlio senza di lui, mi spinse a piangere. Scivolai con il capo sul suo petto, mi aggrappai con le mani alla sua camicia e singhiozzai con disperazione. Io non volevo, non poteva accadere una cosa simile proprio ora che avevo tutto, proprio ora che la felicità era completa. « Non voglio, Flaviano, non voglio. Non puoi lasciarmi sola proprio ora, non puoi abbandonare il tuo bambino. Io non posso farcela senza di te… » Flaviano mi strinse tra le sue braccia, massaggiò la mia schiena, accarezzò i miei capelli e disse: « Non vi abbandonerò mai, Desirée. Non posso farlo perché vi amo troppo. Siete la mia vita, il senso della mia esistenza ». Portò una mano sotto il mio mento, facendo in modo da spingermi ad alzare il volto, a guardarlo. « Ti fidi di me, vero? Ma douce, mon Ange, come puoi credere che io voglia abbandonarti? Lasciarti affrontare da sola questo momento? Non credi che questa notizia faccia male anche a me? Soffro immensamente, ma il giorno in cui i nostri occhi si sono incontrati e i nostri cuori si sono aperti l’uno all’altra, sapevi già che io ero un soldato. Eri perfettamente consapevole che innamorandoti di me, scegliendo me come tuo compagno e marito avresti dovuto affrontare questi momenti ». Lo fissai, nonostante il suo volto fosse offuscato dalle lacrime. Annuii alle sue parole e deglutii. Era tutto vero, lo sapevo e lo avevo accettato. Ma tra il dirlo e il doverlo affrontare c’era un vasto mare. Era difficile, tremendamente difficile accettarlo. « Devi essere forte ed io so che tu potrai farcela. Hai affrontato delle sfide spiacevoli nella tua vita, nonostante tu sia ancora così giovane, e la tua infanzia è stata turbata, ma ora guardati. Sei un’ottima sarta, la più apprezzata di questa contea, sei una splendida moglie e sono sicuro che sarai una madre esemplare. Sii forte per te, per lui che deve ancora nascere… » posò una mano sul mio ventre « e per il nostro amore. Io tornerò indietro, da voi ». Le sue parole furono convincenti, anche se il dolore che provavo pulsava ancora nel mio petto. Non era facile accettare la sua partenza, ma decisi di godermi quelle ultime settimane al suo fianco. Nei giorni successivi dedicai ogni singolo momento a lui. Non volevo perdere neanche un singolo istante del nostro tempo insieme, anche se passava troppo velocemente come a farsi beffe del mio dolore. Uno dei momenti in cui lui era con gli altri soldati, lo dedicai a un rituale. Chiusi porta e finestre della mia casa, ed eseguii alla perfezione ogni singolo gesto che aveva svolto Claire, nella purificazione della pietra. Tra le mie mani stringevo un’onice, completamente nero, che sarebbe stato un perfetto amuleto protettivo per il mio amato, essendo utile in battaglia. Lo passai nella terra, poi nell’aria tramite l’incenso, e successivamente sulla fiamma della candela, concludendo nell’acqua. L’asciugai con cura e la strinsi tra le mie mani, mormorando una muta preghiera alla Dea affinché intercedesse per difendere il mio amato sposo. Con la dovuta attenzione, mi recai presso le sorelle Precieux e chiesi loro di incastonare la pietra all’interno di un ciondolo d’argento. Ci vollero alcuni giorni, ma la mia richiesta fu svolta al meglio. Rimirai il ciondolo e la sua pietra per qualche istante e, dopo aver pagato adeguatamente le due donne, tornai a casa. Le due settimane trascorsero troppo in fretta. Avevamo cercato di vivere quei momenti sorridendo e parlando incessantemente, e dove le parole finivano, i gesti affettuosi prendevano il loro posto. Dormivamo poco, come se non potessimo accettare di sprecare quelle ore, ma quando il sonno arrivava, avvertivo il calore del suo corpo sul mio. Stretta tra le sue braccia, dimenticavo l’imminente guerra. Tuttavia tutte le cose belle devono finire e il giorno della partenza arrivò. Flaviano era pronto, ed io tentavo di mantenere la calma e di non piangere, anche se non era facile. « Mia amata… » « Mio adorato… » mormorai, prima di aprire le mie mani e volgerle verso di lui. « Ti prego, accetta questo mio dono. Lo so che non credi a queste cose, ma vedilo come un altro modo per esserti vicina anche in quei momenti. Portalo sempre al tuo collo, aderente alla pelle e, quando vorrai, serralo tra le tue mani e pensami, io sarò lì con te… ». Lui guardò curioso lo strano ciondolo, sembrò valutare un attimo e poi mi sorrise. Fissai nella mia mente quel sorriso luminoso e ogni singola parte di lui, come per imprimerla meglio nel mio cuore e nei miei ricordi. Prese il ciondolo dalle mie mani e lo indossò subito, nascondendolo poi sotto la divisa. « Così il mio angelo potrà proteggermi ». Annuii e gli sorrisi a mia volta, prima di buttarmi di nuovo tra le sue braccia. Mi beai di quel momento, aspirai il suo odore, e trattenni a forza le lacrime. Soltanto quando lui fu lontano, disposto in fila con gli altri soldati capeggiati dal Capitano Svensson, lasciai scivolare le mie lacrime, mentre il mio cuore si struggeva di dolore, ed io mi sentii improvvisamente sola e vuota. Era come se fuori il mondo fiorisse e la terra si ridestasse grazie alla primavera nascente, mentre dentro di me rimanesse il freddo inverno a gelarmi le ossa e il cuore. *
Louise-Marie venne quel medesimo pomeriggio a trovarmi. Ero sdraiata sul nostro letto, a respirare l’odore che ancora serbava di mio marito, e sfogandomi un poco. Ero fisicamente e mentalmente stanca e spossata. In verità non avevo voglia di vedere nessuno, il mio cuore sperava sempre che la partenza del mio amato Flaviano fosse stata solo un incubo dal quale mi sarei presto risvegliata, e lui sarebbe tornato da me, sorridente e pronto ad avvolgermi tra le sue braccia. Tuttavia, lei cercò di farmi comprendere che il dolore provato era simile, giacché anche il suo amato Capitano era partito e che in quel momento non dovevo rimanere sola. « Desirée, ma chére amie, » passò le dita con delicatezza tra i miei boccoli, « devi cercare di reagire. So che è dura, però suvvia! Dobbiamo dimostrarci forti e farci trovare allegre quando loro torneranno! » esclamò, tentando di mostrare la sua solita allegria, anche se notavo che fosse un poco appannata. Annuii, tirando poi su con il naso, ma non mi mossi dal letto. Mi sentivo quasi priva di forze. Imperturbabile la dama continuò: « Sono o non sono due baldi e coraggiosi giovani? Sia il mio Capitano sia il tuo nobile soldato torneranno indietro, da noi, altrimenti ce li andiamo a riprendere! » scherzò, e per un attimo l’immagine di una donna incinta e di una dama delicata armate contro guerrieri esperti, riuscì a farmi ridere tra le lacrime. « Ce l’ho fatta! Dopotutto tra le tanti arti di una dama c’è quella di saper far ridere gli altri! Ed io sono o non sono la Prima Dama? » alzò il mento con superbia, ma poi tornò a sfiorarmi il viso con la sua mano guantata. « Ora alzati da questo letto, amica cara, e scaccia le lacrime, mostrandomi un bel sorrisone! » Sollevai il capo e poi, con più difficoltà, il busto ritrovandomi seduta; presi un fazzolettino che mi veniva porto e mi detersi gli occhi e le gote, al fine di ridarmi perlomeno la parvenza di un contegno, e poi tentai di sorridere, ma questo fu davvero un gesto forzato, tanto che assomigliò più a una smorfia grottesca che a un vero e proprio sorriso. Louise Marie mi scrutò e poi scosse il capo. « Non ci siamo, Madame, un sorriso deve lasciare incantati, suscitare ammirazione, colpire; il tuo sembra un ghigno di qualche mostro notturno! » arricciò il naso, per poi sfiorarmi le mani e stringerle alle sue. « Ho trovato! Perché non vieni a stare a Palazzo per tutto il tempo che vorrai? Posso pensare io a parlarne con i Conti, e una stanza per te c’è sempre. Sei consapevole che difficilmente so farmi dire di no » sorrise, superba, e poi aggiunse: « Potremmo passare tutto il tempo insieme, organizzare giochi, e qualche ballo. Lo so che può sembrare inopportuno con i soldati in guerra, ma dopotutto bisogna mantenere sempre allegra la corte, soprattutto in questi momenti dove il tedio e la tensione possono imperversare ». Scossi il capo ben presto a quella proposta, e provai a prendere parola: « Ti ringrazio, Lou, ma…» Lei mi bloccò: « Se è per il lavoro, sarai libera di lasciarlo almeno fino al termine della tua gravidanza no? Il grembo inizia a ingrossarsi e non è bene per una signora continuare a svolgere lavori, con il rischio di perdere il bambino ». Portai repentinamente le mani al pancione, che iniziava effettivamente a vedersi, con fare protettivo e le lanciai uno sguardo pieno di lampi. « No, ho detto. Ti ringrazio davvero per la tua visita e per la tua cortese proposta, ma mi vedo costretta a rifiutare. Il mio lavoro non è così faticoso da rinunciarvi, e se proprio non voglio abbattermi ma tornare a vivere anche senza Flaviano, non ho intenzione di smettere la mia routine ». Lei si mordicchiò il labbro inferiore e sembrava provare irritazione. Non amava ricevere no, e ciò era visibile sul suo viso. « Credimi Lou, non voglio essere dura e severa con te, soprattutto perché sei sempre stata così gentile con me, ma non posso venire in un ambiente che non mi appartiene, sotto gli sguardi continui di dame superbe e altezzose e, soprattutto, non riesco a organizzare feste quando mio marito è in guerra e rischia la sua vita per questo regno e il volere di sua Maestà ». Lei sbuffò, spazientita. Nei suoi occhi verdi zampillavano scintille d’irritazione evidente. Tuttavia, giocò la sua ultima carta. « Alle dame posso pensare io, so come mettere a tacere quelle vipere invidiose. Per il resto non ti chiedo di fare la vita di corte, ma semplicemente di vivere più comodamente questi ultimi mesi… » Scossi di nuovo la testa, irremovibile, e poi aggiunsi stancamente ma in modo tenace: « Non insistere oltre, ti prego, amica mia… sto bene qui, ho tutto quello che mi serve. Verrò a trovarti ogni volta che potrò, ma rimarrò qui ad attendere mio figlio e mio marito ». Lei alzò le spalle e ci rinunciò. Sapevo di averla ferita, ma non potevo dirle di sì a tutto. Non poteva essere lei a decidere della mia vita, avendo io il libero arbitrio per fare le mie scelte. Si alzò, dunque, non avendo molto altro da dire, ed io l’accompagnai alla porta. « Mi dispiace della tua scelta, ma se dovessi cambiare idea sai dove trovarmi ». « Non la cambierò, ma ti ringrazio di cuore ». Ci congedammo e la seguii con lo sguardo mentre saliva sulla carrozza che riprese il suo viaggio verso la corte. Rimasi per qualche istante ancora alla porta, osservandomi intorno, come nel vano desiderio di vedere tornare indietro i soldati ma, proprio quando stavo per rincasare, arrivò al mio udito il grido di quella che poteva essere una bambina, attorniato da tante piccole voci maschili, piene di parole non così consone a pargoli di quell’età. Mi voltai verso il luogo da cui provenivano e subito scorsi, a non troppa distanza dalla mia casa, un gruppo di ragazzini del villaggio, che facevano un circolo intorno a qualcosa, o forse sarebbe meglio dire… a qualcuno. Decisi subito di avvicinarmi, per comprendere cosa stesse succedendo. Quattro ragazzini stavano effettivamente attorno a quello, che a primo impatto, appariva un quinto, lanciandogli sputi e imprecazioni. Non amavo quel genere di trattamento, ma non erano i primi monelli che incontravo nella mia vita. Una volta abbastanza vicina, alzai la voce: « Che cosa state facendo? Lasciatelo andare subito! » I ragazzini si voltarono verso di me e, in un primo momento, mi guardarono ghignando e non dando segno alcuno di volermi ascoltare, ma poi sollevando di nuovo polvere con i piedi verso il ragazzo a terra, si allontanarono di corsa e ridendo come pazzi, felici dell’esito delle loro meschine azioni. Io avanzai di un nuovo passo, chinandomi poi sulla figura a terra, tutta raggomitolata su se stessa come nel vano tentativo di proteggersi. « Ehi, va tutto bene? » chiesi, gentilmente. La figura sollevò appena lo sguardo su di me, ma si ritrasse, tremando ancora spaventata. « Non avere paura di me, non voglio farti del male. Puoi fidarti… » Il ragazzino sollevò del tutto il volto, e dai tratti oltre che dal fisico minuto, mi accorsi che avevo errato: avevo dinanzi a me una bambina, che dimostrava davvero pochi anni, almeno all’apparenza. Mi guardò con due grandi occhi grigi, cercando di valutare se potesse fidarsi o meno di me. Il suo volto tondo e paffuto, era macchiato di polvere, ma si poteva scorgere una spruzzata di efelidi sulle gote. Era vestita con un abito logoro e sgualcito, rattoppato in alcuni punti, e del tutto nero, colore che si rifletteva sul velo che le cingeva il capo, non permettendo di mostrare neanche una ciocca dei suoi capelli. Quella bambina m’incuriosiva, e non comprendevo il motivo per cui era stata così attaccata da quei monelli, fino a quando, alzando il busto, comparve tra le sue braccia un gatto completamente nere, dai grandi occhi gialli, tutto tremante e malandato. « È F-Ferito ». La sua vocina uscì flebile da quelle labbra rosee, e riuscii appena a percepirla. « Sono stati loro a ferirlo? E tu stai bene? » Lei annuì più volte con il capo, ma senza guardarmi. Osservava il gatto, sfiorandolo con le manine. Leggevo nel suo volto la preoccupazione e la voglia di salvare quella creatura; per proteggere l’animale aveva quasi rischiato la sua vita. Quella visione mi donò un’emozione intensa, che crebbe non appena le posi un’altra domanda: « Dove sono i tuoi genitori? Ti porto da loro, e poi curiamo questo micino, va bene? » La bimba mantenne lo sguardo basso, ma potei notare il suo corpo essere scosso da un singhiozzo. « I-io no-non ho pi-più la ma-mamma né il pa-papà ». In quel momento mi sembrò di rivedere me stessa. Rimasta sola al mondo, tra uomini crudeli, priva di protezione, di amore, di affetto. Non ci pensai due volte, e con delicatezza, presi la bambina con me. Volevo fare qualcosa per lei, iniziando dal portarla via da quel posto ove tutti potevano guardarci. « Vieni con me, penseremo a lui e poi anche a te. Ti fidi di me? Giuro che non ti farò male, e poi è quasi l’ora di pranzo, possiamo mangiare insieme se vuoi… ». Sembrò rifletterci per alcuni istanti, guardò il gatto e posò una manina sul suo stomaco, e poi mi guardò. Mi riflessi di nuovo in quegli occhi chiari, densi di storie tristi da raccontare, ma pronti a vivere ancora. « E lu-lui? » domandò. « Ho anche del latte, per lui » la rassicurai. A quel punto la bambina decise che potevo essere affidabile. Tentò di alzarsi, ed io la presi giusto in tempo per non farla cadere di nuovo. La sentii tremare al mio tocco, ma le sorrisi, nel tentativo di rassicurarla. Lei non sfuggì. Era stanca, era debole e soprattutto voleva salvare quel gattino che teneva tra le sue braccia. Aiutandola, l’accompagnai nella mia modesta dimora e lì mi presi cura del gatto, che aveva una zampina ferita, e poi quando fu sicura che il suo piccolo amico sarebbe stato meglio, si lasciò prendere cura anche di lei. Dopo averle offerto qualcosa con cui ristorarsi, le proposi di lavarla, per curare al meglio i piccoli lividi che le erano stati inflitti. Lei non si oppose, ma quando tentai di toglierle il velo dal capo, mi spinse via con un’insolita forza. Il mio gesto, però fece scivolare un poco quel tessuto di lato, lasciando intravedere un ricciolo… color del sangue. *
« Non devi aver paura, ti porto da persone molto buone che potranno ospitarti. Loro sono come me, e di me ti fidi, non è vero? » Avevo deciso di portare l’orfana presso la Congrega del Salice. Non appena avevo scorto il particolare colore dei suoi capelli, non potevo fare altro per salvaguardarla. Mi ero affezionata subito a lei, forse perché mi ricordava un po’ me stessa, forse per la dolcezza che emanava e quel suo essere come un pulcino spaurito in un mondo di esseri crudeli. Volevo proteggerla e dimostrarle quell’amore che ogni bambino doveva meritare, ed ero certa che le mie sorelle streghe mi avrebbero aiutato senza esitazioni. « Ora, tieni la mia mano e attendi qualche istante ». Proferii le parole del potere che mi avrebbero concesso di passare oltre e ben presto il buio ci avvolse. Avvertii le mani della piccola stringersi con forza sulla mia veste, impaurita. Tremava come una foglia, ma io le sfiorai appena una spalla come per darle la mia rassicurazione. Quando una prima luce tornò a rischiarare il luogo, la piccola sembrò rilassarsi un minimo, ma non mollò la presa. Avanzai sicura, conducendola verso l’ampia sala centrale dell’antro, e fui accolta – come sempre – dai sorrisi e dai saluti esultati delle streghe. Tutte mi salutarono affettuosamente, ma quando intravidero la bambina che le guardava con occhi pieni di paura e anche stupore, si fermarono e scese il silenzio. Cécilie, Claire ed Elodie alternarono i loro sguardi tra la bambina e me, facendomi silenziose domande. « Sorelle mie, ho bisogno del vostro aiuto, » principiai a dire. « Ho trovato questa bambina per strada, è orfana e non posso lasciarla sola. Allo stesso tempo però, non posso tenerla con me, ma sono sicura che qui troverà un ambiente confortevole dove vivere ». Cècilie ed Elodie si avvicinarono, ma la piccola si nascose dietro di me, spaventata. « Non avere paura, pétite, non vogliamo farti male » proferì con dolcezza Cécilie, tendendole una mano. « Questa qui, dice bene! Anzi, lo vuoi un bel biscotto? » continuò Elodie, estraendo da una tasca della tunica proprio un bel biscotto che attirò i grandi occhi grigi della bambina. Claire restò al suo posto, poco distante e disse: « Sai bene che non dipende da noi l’entrata o meno di questa bambina della nostra congrega » soffermò i suoi occhi chiari sulla bambina, che pian piano cedeva alla curiosità e al biscotto, e poi aggiunse « ma presto sapremo cosa le riserverà il futuro ». « Il futuro può diventare subito presente, mia cara Claire » esordì Sylvie, comparendo come al solito dal nulla, con al fianco la vecchia Ophélie. « Sei sempre così affettuosa e premurosa, Desirée, ma non è bene far conoscere i nostri misteri a tutti i pulcini sperduti che incontri nel tuo cammino. Chi può dirci se quella bambina non è una spia o non finga di essere una povera orfana indifesa? » La fissai, indecisa se parlare dinanzi a tutti di quel piccolo problema, ma lei riprese: « Tuttavia leggo nei tuoi occhi che c’è un motivo ben preciso per cui hai portato qui la bambina e non a quei pastori che decantano spesso la carità e l’aiuto verso i più poveri e gli emarginati ». « È così, infatti, Gran Maestra » ammisi. La bambina prese il biscotto tra le mani, ma poi le cadde a terra, attirata dalle nuove venute. Tornò a tremare, ascoltando quei discorsi e si aggrappò di nuovo a me, come in cerca di protezione. Io le passai un braccio intorno alle spalle, avvolgendola protettiva ma anche rassicurante ma Sylvie si avvicinò a noi. Puntò gli occhi di un blu molto scuro sulla piccola, e la osservò con attenzione, soffermandosi in particolare sul velo scuro che le copriva i capelli. « Come ti chiami, bambina? » disse. La piccola sprofondò il suo visto sulla mia veste, non riuscendo a rispondere. « Non devi aver paura, piccola, non ti farà alcun male » mormorai. Sylvie non ripeté la domanda ma attese finché la bambina non tornò a sollevare il viso e rispose incerta e con un fil di voce: « Ly-Lydie ». Vidi la Gran Maestra spalancare gli occhi, ma poi annuire sommessamente. « Bene, Lydie. Io sono Sylvie, la custode di questo luogo in cui ti trovi. Presto, se vorrai, potrai conoscere tutte noi e accedere ai misteri che ivi custodiamo ». Lydie annuì, ancora titubante, e non allontanando la mano dalla mia veste. « Ora, però, potrei sapere cosa cela questo velo? » La bambina scosse il capo, più volte risoluta. « Eppure non capisco, non vuoi mostrarci i tuoi splendidi capelli? » « H-ho pa-pau-u-ra. So-no br-brutti. » « Brutti? Ne sei sicura? Io non riesco a comprendere come i capelli possano esserlo. Vedi capelli brutti qui dentro? » Lydie scosse il capo e poi rispose: « N-no. So-sono mo-molto be-belli. M-ma, i-io li h-ho d-di un co-colore o-orri-ribile ». Sylvie sembrò pensarci un po’ su, mentre tutte noi attendevamo di vedere l’esito di ciò che stava accadendo di fronte ai nostri occhi. In verità trovavo impossibile convincere quella bambina a togliersi quel velo, ma confidavo nel potere della mia Gran Maestra. « Potrei osservarli? Ti giuro che se li troverò brutti, ti farò indossare di nuovo quel velo e nessuno li vedrà più, va bene? » Lydie non disse nulla, né scosse il capo. Sembrava riflettere, poi mi guardò. Io le sorrisi, incoraggiante, e le sfiorai appena le spalle, poi accadde qualcosa che mi stupì. Tornò, infatti, a guardare Sylvie con una punta di determinazione nello sguardo e poi portò le manine sul velo, iniziando a farlo scivolare. Quello che apparve non sembrò uno spettacolo orrendo come aveva detto la piccina: emerse, infatti, una massa fluente di riccioli selvaggi di un rosso color del sangue. Erano splendidi alla vista di un soggetto che non vedeva in quel colore un marchio del Signore delle Tenebre, e anzi si udirono sospiri nella sala. Lydie abbassò lo sguardo a terra, mentre le sue gote s’imporporarono. Si sentiva a disagio, imbarazzata e forse temeva di ricevere critiche o urla. Ma non emerse nulla di ciò. Restammo in silenzio, ma dai nostri sguardi si notava una tale ammirazione, anziché turbamento. Sylvie spalancò le labbra e per un attimo mi sembrò di scorgere un turbamento nei suoi occhi, come se divenissero più umidi, in procinto di emozionarsi. Si chinò per essere alla stessa altezza della piccina, e poi le posò una mano sulla spalla, facendola sobbalzare. La trattenne con dolcezza e poi le sorrise. Un sorriso che ben poche volte avevo visto sorgere sulle sue labbra. « Lydie, piccola cara, non devi più pensare che questi capelli siano orrendi. Non c’è nulla di male ad avere un colore simile, anzi… è stupendo. È simile alla rosa scarlatta che sorge nei giardini delle regge più rinomate, o a un semplice papavero che nasce spontaneo nei prati. Non c’è traccia di malvagità in te, e nel tuo cuore. Lo sento, lo vedo nei tuoi occhi. Lydie togli per sempre questo velo dal capo, qui, con noi non dovrai avere paura alcuna. Nessuna ti giudicherà o ti criticherà, nessuna di noi ti farà mai del male. Lydie vuoi stare con noi? » La piccola la guardò, scioccata e notevolmente sorpresa. Non si aspettava nulla di ciò, e per diversi minuti non riuscì a spiccicare parola alcuna. Mi guardò e notò un sorriso, guardò ogni altra strega, ma scorse lo stesso medesimo sorriso. Tutte noi la volevamo lì, tutte noi concordavamo in perfetta armonia con le parole della nostra Gran Maestra. Fu colta da un’emozione intensa che la portò alle lacrime, ma poi, quasi inconsapevolmente si sporse ad abbracciare Sylvie, e disse più volte la parola sì. __________________________________________________________________ Mi rendo conto di aver fatto attendere troppo con questo capitolo, ma sono stati giorni pieni di impegno e anche malessere. Sì, l'influenza (senza febbre) ha colpito anche me, e sto passando giorni in cui muscoli, testa e stomaco non mi danno tregua, e solo ora sono riuscita a mettermi finalmente al pc per controllare la mia amata storia, e proporla a voi! Spero che questo nuovo capitolo vi possa piacere e che la piccola Lydie vi susciti la stessa tenerezza che ha recato in me quando è entrata nel mio cuore e nella mia testa. A presto :) |
Capitolo 24
*** XXIII - Misteri ***
XXIII
Misteri Lydie fu accolta ben presto in Congrega. Tutte rimasero deliziate da quella bambina e le spiegammo chiaramente quale fosse il nostro ruolo e scopo. Al sentire parlare di streghe la vidi sobbalzare e spalancare i grandi occhi grigi, agitata, ma riuscimmo a tranquillizzarla. Ben presto quella paura, forse causata da un passato non facile, lasciò il posto alla meraviglia e allo stupore. Si sentì attratta da quel mondo e, quando vide Etoile, il gatto della Gran Maestra, sembrò illuminarsi. Quel felino che tanto mi aveva trasmesso timore per quel suo sguardo misterioso e intenso, provocò una reazione diversa su di lei. Ben presto divennero ottimi amici e, con lo stupore di tutte, eccetto Sylvie e Ophélie, il gatto si lasciò coccolare dalla bambina e ricambiò con una profusione d’incantevoli fusa. Quando giunse il momento opportuno, partecipai al rito di accoglienza della piccola tra noi streghe. Fu in parte diverso dal mio, ma ugualmente magico e denso di energia. Lydie sembrò aver perso la paura, ciò nonostante non riuscì mai a eliminare quel difetto nella pronuncia, e mi accorsi che probabilmente era una sua caratteristica: era balbuziente, ma la sua imperfezione non causava turbamenti. La adoravamo in tutto e l’avremmo protetta per sempre. Una volta divenuta novizia del nostro ordine, fui incaricata di realizzare per lei una tunica adeguata, di un bianco candido, e Ophélie le donò il nome di un fiore: il giglio, simbolo di purezza. La portai con me al laboratorio e, per quell’occasione, decidemmo di farle indossare di nuovo il velo nero, per nascondere quello che per il mondo esterno, ottuso e ristretto, sarebbe stato un problema. La piccola arricciò il naso, ma poi obbedì mansueta. « Non ci metteremo molto. Il tempo di prendere le tue misure e poi potremo tornare al nostro rifugio ». Lydie annuì, guardandosi attorno guardinga. Aveva fiducia in noi, ma non nel mondo al di fuori, che tanto l’aveva oltraggiata per qualcosa che neanche dipendeva da lei. Aveva un animo puro e nobile, nonostante dovesse avere soltanto dieci estati. Una volta all’interno del laboratorio, salutai tranquillamente le mie colleghe e l’apprendista Julie e, tenendola per mano, condussi Lydie vicina al mio tavolo. Aveva lo sguardo basso e smarrito e non sembrava volermi lasciare. Gli sguardi curiosi delle altre sarte la turbavano e la mettevano fortemente a disagio. Le accarezzai il volto, delicatamente, e le sorrisi, rassicurante. Lei ricambiò con un sorriso timido, soffermando poi lo sguardo sull’altra bambina presente. Julie ci stava fissando con un insolito cipiglio, puntava i suoi occhi nocciola contro Lydie, ma sul suo volto non appariva sorriso alcuno. Tuttavia non ci feci molto caso, avevo altri pensieri e non volevo tenere a lungo la piccola strega lontana dal rifugio che avrebbe rappresentato per lei una migliore protezione. Inclinando appena il busto, quel tanto che mi permetteva il ventre gonfio, presi gli strumenti utili per poter misurare il corpicino della novizia al mio fianco. « Ora solleva le braccia, Lydie. Ecco così, solo un istante… ». Lei obbedì senza problemi, sembrando però impacciata e vergognosa. Era come se avvertisse ancora gli sguardi delle mie colleghe, ma voltandomi notai che erano tornate tutte a lavoro, eccetto Julie che era rimasta immobile a osservarci. Le sue labbra erano rese ancor più sottili per la contrazione, e turbata le domandai: « C’è qualche problema, pétite? » Julie spalancò la bocca, presa all’improvviso e poi, dopo diversi istanti di silenzio, scosse il capo con vigore. Non disse parola alcuna e anzi la vidi correre fuori dal laboratorio, sbattendo la porta alle sue spalle come mai aveva fatto prima. Rimasi notevolmente turbata, perché l’apprendista non si era mai comportata in tal maniera; era sempre stata gentile e moderata nei modi, tanto che immaginavo, sarebbe diventata una dama perfetta, se non fosse stata una figlia di contadini. Lydie mi guardò confusa e provò a dire qualcosa. Io le posai delle dita sulle labbra, invitandola a non parlare. « Non ti preoccupare, vado a vedere cosa le prende. Tu resta qui, mi raccomando. Torno subito ». Vidi il suo sguardo smarrito e il suo volto divenire più pallido. Non avrei voluto lasciarla sola, ma si trattava solo di pochi passi. Le sorrisi di nuovo e mi avvicinai alla porta, ma nel momento in cui l’aprii e guardai fuori, Julie non c’era più. Era scomparsa. Scossi il capo ed emisi un sospiro, sconfortata e incredula, ma tornai al mio lavoro, certa che fosse unicamente una semplice gelosia di bimba che sarebbe passata ben presto. Non appena ebbi concluso con le misure, riaccompagnai Lydie al bosco, lasciandola tra le mani di Sylvie, che tanto sembrava aver preso a cuore quella bambina, con mia gioia ma anche con stupore, dato il modo in cui invece aveva accolto me. *
La stanza di Claire era avvolta nella penombra, solamente due
candele violacee, realizzate dalle streghe stesse, illuminavano
fiocamente il loco. Mi persi a contemplare le sfumature rossastre che
le flebili fiamme creavano sul suo candido volto, quel gioco di luci e
ombre che m’incuriosivano e incantavano, e
l’espressione attenta del suo sguardo, presa in quei gesti
abituali e sacri che stava compiendo. Eravamo sole. Le altre sorelle ci avevano concesso quel momento per permettermi di apprendere uno dei tanti aspetti della divinazione, tramite le carte chiamate trionfi. Mi sentivo affascinata da quel ramo magico, ma allo stesso tempo impaurita. Non era facile divinare. Dalle lezioni impartitemi da Claire stessa, avevo compreso che soltanto con il tempo, la perseveranza e una mente aperta avrei potuto forse apprendere quella nobile arte. « Esistono due grandi categorie nelle quali possiamo racchiudere la divinazione: il metodo visivo e quello interpretativo. Il primo è sicuramente il più difficile ». Si fece seria e il suo sguardo sembrò osservare lontano, come se guardasse oltre il mondo materiale. « La visione può condurti lontano, in altri mondi. È come un viaggio che ti permette di capire il passato, il futuro, ma anche lo stesso presente, ma non è facile tornare… spesso si cade ». La sua voce si ridusse a un sussurro leggero, ma poi sbatté le palpebre e tornò a osservarmi, con dolcezza. « Tuttavia oggi ti insegnerò un altro tipo di divinazione. Queste carte hanno ciascuna un diverso significato, un simbolo che va interpretato a seconda anche della situazione e della persona che richiede il consulto. Osservale attentamente Desirée, noterai presto che ognuna ha un determinato disegno che allude a un significato nascosto, misterioso ». Claire fece una pausa e sistemò le varie carte sul telo che aveva disposto a terra. Le osservai con attenzione, notando come l’una fosse differente dall’altra. Vi erano ventidue carte con disegni differenti. Notai figure umane, animali, ambienti, strutture. Rabbrividii nello scorgere una figura simile a quella che nell’immaginario di tutti corrispondeva al Demonio, rappresentato come un essere cornuto, che sembrava osservarmi con un ghigno divertito. Una mano scivolò al mio ventre, come per proteggere il mio bambino da quell’immagine, e poi tornai a scrutare le altre, fino a quando Claire non riprese parola. « Alcune carte possono provocare terrore, lo capisco, ma non è detto che quelle che a noi ci sembrano più negative, corrispondano ad aspetti funesti. Ogni carta va collegata alla seguente e bisogna anche osservare il modo in cui compariranno nel momento esatto in cui andremo a girarle. Al dritto o al rovescio? » Quella stanza sembrava essere divenuta a un tratto più piccola. Percepivo il calore delle candele e mi ritrovai a sudare. Iniziavo a comprendere sulla mia pelle quanto grande e importante fosse ciò che stavamo facendo. Non era nulla su cui scherzare, ma qualcosa da conoscere nella sua vera essenza. Mi limitai ad annuire, avendo paura di non riuscire a emettere suono e Claire non disse nulla. Riprese le carte tra le sue mani e iniziò a mescolarle con cura. Seguii i suoi gesti, ammirando la sua particolare bravura e agilità, e quasi mi persi in quel movimento sempre uguale ma denso di un simbolismo che io non potevo ancora concepire. « Mescolare le carte è un gesto simbolico di distruzione e creazione di un nuovo equilibrio. Nel momento esatto in cui ho iniziato a mescolarle, infatti, ho distrutto l’ordine. Ora, dimmi tu, quando ti senti pronta, quando smettere ». Assimilai la sua spiegazione e mi concentrai ancora sulle carte. Attesi qualche secondo e, quando mi sentii pronta, dissi: « Ora ». Claire si fermò all’istante e pose il mazzo così raccolto a terra. « Solleva una parte del mazzo con la mano sinistra, senza scrutare le carte, e poi lascialo a terra ». Feci quanto richiesto e lei riprese a mescolare per qualche altro minuto. La fermai ancora una volta e poi disse: « Ci sono tanti metodi per rispondere alle domande, oggi voglio insegnarti uno tra i più semplici. Pensa intensamente a una domanda da porre, mentre io dispongo le carte nel loro ordine ». Annuii di nuovo e cercai di pensare a qualcosa che più mi premeva in quel momento. C’erano vari pensieri inerenti alla mia vita, il mio lavoro, la creatura che mi cresceva in grembo, ma poi i miei pensieri si focalizzarono su mio marito ancora in guerra. Su ciò che sarebbe successo. « Sei pronta? » « Sì » mormorai rapidamente. Claire dispose le carte formando una sorta di croce, cosa che mi stupì. La prima a sinistra, la seconda a destra, la terza in alto, la quarta in basso, e al centro lasciò uno spazio vuoto. Depose le restanti carte a terra, nascoste alla nostra vista e quindi mi guardò. Quel suo sguardo così chiaro mi penetrò nel profondo dell’anima e mi ritrovai a tremare. Ero curiosa, affascinata, ma anche spaventata. Non era facile per me conoscere quello che poteva accadermi. Claire tornò a osservare le carte e voltò la prima. « L’innamorato » sentenziò. Volsi lo sguardo al disegno e notai che vi era rappresentato un giovane uomo tra due figure femminili, una vestita più poveramente dell’altra e sopra di loro v’era una sorta di angelo alato, simile a un cupido, pronto a scoccare la sua freccia. Non mi sembrò una carta negativa, ma non conoscevo il significato misterioso che l’avvolgeva. Attesi, rimanendo in silenzio, mentre la fiamma delle candele vibrava sotto di noi, gettando ombre e luci sul volto della mia sorella e colorando di sfumature rossicce i suoi capelli miele. « Rappresenta te, e posta in maniera positiva indica una persona indecisa, combattuta tra due diverse strade. Una scelta difficile che porta a una maturazione, all’abbandono dell’infanzia spensierata. Tuttavia, definisce anche una persona buona e generosa ». Le sue parole mi colpirono. Effettivamente avevo dovuto abbandonare presto la mia infanzia, colpita da un fato avverso e doloroso, eppure la mia strada seguì un andamento favorevole, fino a piombare di nuovo di fronte a un bivio, a una duplice scelta: decidere se scegliere quel cammino magico o meno, se serbare il silenzio su di loro o tradirle. Ero anche una persona indecisa nella vita, ma il mio animo si era sempre dimostrato aperto e di natura bonaria e generosa. Sì, mi rappresentava. Le sorrisi leggermente, invitandola a proseguire. Claire sollevò la seconda carta, e disse: « L’appeso ». Scorsi un uomo appeso a testa in giù per un piede a un palo retto da nodose travi di legno. L’altra gamba, libera, era piegata verso l’interno. Quell’immagine mi provocò un leggero brivido, pensando a tutti coloro che subivano quella tortura. Erano considerati perlopiù traditori, ma quale significato poteva nascondere? Fu Claire, ovviamente, a rivelarmelo con l’assoluta calma e un sorriso sulle labbra, che m’incuriosì. « Posta in questa posizione, nel senso dritto, questa carta non è foriera di eventi propriamente infausti ». Si fermò, soffermando il suo sguardo su di me. « Indica, infatti, una prova necessaria da attraversare, un periodo forse doloroso, un sacrificio momentaneo che però prelude a un successivo miglioramento. È un momento in cui occorre fermarsi e affidarsi al destino o agli Dei, chiedendo il loro aiuto, ma non agendo di persona ». Un momentaneo sacrificio. Ripetei dentro di me. Era proprio quello che stavo provando da quando il mio amato marito era partito per la guerra. Mi sentivo sola, persa, e mille paure affioravano continuamente in me. Senza di lui era difficile andare avanti con quella creatura che cresceva dentro di me. Tuttavia, se dovevo attraversare un po’ di dolore prima di essere di nuovo felice, potevo farcela. Claire attese qualche secondo ancora e poi voltò la terza carta, quella in alto. La vidi spalancare per un solo istante gli occhi, ma poi tornò perfettamente immota, senza lasciare segni espressivi, mentre sussurrava: « La Torre ». Mi accorsi che questa carta era rovesciata, perché la potevo vedere perfettamente dritta dal mio lato. V’era rappresentata effettivamente una torre, che sembrava avere una corona come tetto. Tuttavia era scoperchiata da una sorta di lingua di fuoco, mentre due figure umane cadevano al suolo e piccole sfere colorate riempivano l’aria. Attesi il responso ma, quel fulmineo mutamento di sguardo della strega, mi aveva turbata. « Questa carta può indicare una situazione traumatica, cambiamenti radicali ma necessari. Indica di fare attenzione sia a una possibile persona che conosci, sia a una situazione particolare, perché può non promettere nulla di buono ». Deglutii, sentendomi la bocca secca. Improvvisamente avevo bisogno di bere, ma non potevo permettermi di troncare così quell’atto. Respirai a fondo e cercai di comprendere come associare quella carta ad avvenimenti reali, alla mia vita, alle persone che mi circondavano. Non sembravo aver nemici, o perlomeno non lo sapevo. Era difficile comprendere quelle parole e temevo che Claire non mi avesse detto tutto, come a non volermi far preoccupare. Poi, voltò un’ulteriore carta, ed io sbiancai di colpo. « La morte » sentenziò. Per un attimo uno spiffero d’aria sferzò la fiamma di una delle candele, che tuttavia non si spense. Ero tutta presa, a primo impatto, dalla figura demoniaca che non mi ero soffermata su quella. Morte. V’era uno scheletro con una falce in mano, che camminava in un campo cosparso di mani e di teste. Quella visione mi sconvolse, facendo affiorare un senso di nausea, che a stento repressi. Si riferiva a una morte reale? Riguardava me? Il mio bambino? Mio marito? O chi? Sfiorai il mio ventre prominente e quasi trasalii quando avvertii il tocco caldo della mano di Claire sulle mie. « Ricorda sempre, Desirée. Non tutto quello che vedi, è sempre ciò che sembra. Anche questa carta non è per forza di cose negativa. Anzi, la morte può portare a nuova vita, esprimere una rinascita, un cambiamento radicale. La vita di ogni uomo è un circolo continuo. Si nasce per poi morire e rinascere ancora, sotto nuove forme, sotto nuove spoglie, ma con lo stesso spirito ». Annuii non del tutto convinta di quelle parole. Era come se avvertissi che c’era qualcosa di strano, qualcosa di negativo che quelle carte volevano dirmi. Ma forse sbagliavo, in fin dei conti, il mio amato era protetto dal talismano che gli avevo realizzato e anch’io stavo bene. Tutti intorno a me non presentavano segni negativi. Anche se la nostra lite aveva portato Madame Le Marchand a invecchiare di colpo, ora era tornata forte e attiva come prima. No, dovevo stare tranquilla. Mi lasciai consolare dal sorriso di quella strega che sentivo sempre più affine al mio spirito e lei, senza attendere altro tempo, prese un’altra carta dal mazzo, la pose al centro della croce e poi la voltò. Una donna con un ampio cappello in testa chiudeva le fauci a un leone. Quell’immagine mi fece sorridere. Pensai a come venivano considerate spesso le donne, persone deboli, incapaci di combattere contro un animale simile. Invece, quella figura lo aveva immobilizzato e, addirittura, osava posare le mani sulla sua bocca. Mi piaceva. « La Forza », esplicò Claire e poi aggiunse, « una carta senz’altro positiva. Come puoi vedere questa donna è vittoriosa. Quest’ultimo responso è una sorta di sintesi di tutto ciò che abbiamo appena visto. Attraverserai delle difficoltà nella tua vita, che ti metteranno a dura prova, ma poi se avrai una forza di volontà e cercherai di combattere, riuscirai ad andare avanti ». Trassi un respiro di sollievo. La mia vita era sempre stata costellata di momenti pesanti, dolorosi, ma ce l’avevo sempre fatta. Quel responso finale mi aveva rincuorata e il mio viso riacquisì un poco di colore. Non appena Claire ripose al loro posto le carte, l’atmosfera pesante e magica che impregnava la stanza sembrò dissolversi ed io mi tranquillizzai. « Come prima volta non è stato facile, vero? Ma se vorrai potrai imparare anche tu a divinare e interpretare il nostro presente e il futuro ». « Mi spaventa un po’ farlo » commentai. « Trovo questo metodo molto complicato da comprendere, tutti questi significati nascosti, e poi quelle figure mettono i brividi ». Claire si concesse una breve risata e poi prese le mie mani. « È complicato sì, è un metodo che richiede molto tempo per essere imparato, e anche una buona dose di volontà, determinazione e attenzione. Non sempre si riesce a comprendere fino in fondo quello che le carte vogliono dirci, a volte si possono commettere errori, ma se ti concentri e cerchi un contatto stretto con questi strumenti, potrai ascoltare la loro voce ». Annuii leggermente, ma dentro di me sapevo che probabilmente sarei stata più portata per le erbe. Adoravo le lezioni di Cécilie, la conoscenza di ogni pianta, arbusto, fiore e frutto, i loro significati nascosti e i loro poteri. Forse perché alcune essenze le utilizzavo anche nel mio lavoro di sarta, per colorare la stoffa. Ma la curiosità e il desiderio di imparare non moriva mai in me. « Quando ti sentirai pronta, ti insegnerò la Visione tramite l’acqua ». I suoi occhi brillarono nel nominare il suo elemento amato. « Viaggiare tra i mondi è difficile, ma se si mantiene un contatto forte con le tue sorelle o chi ti assiste, potrai tornare indietro ». Quella sua ambiguità e mistero mi lasciavano sempre senza parole. Dopo qualche minuto tornammo dalle altre ma, mentre mi incamminavo verso casa quelle carte riaffiorarono come immagini confuse nella mia mente, ghigni e risate meschine risuonarono nelle mie orecchie e sembravano foriere di negatività, tanto da spingermi a rabbrividire nonostante le alte temperature. ________________________________________________________________ Ma ciao! Ricordo che scrivere questo capitolo è stato molto faticoso. Non sono un'esperta di tarocchi, anche se vorrei apprendere meglio quest'arte, quindi ho cercato tutto il materiale possibile su internet e ho associato le "carte" alla mia storia. Non è stato semplice, e spero di non aver errato con i significati. Qualora qualcuno se ne intenda meglio, e ritenga che abbia compreso male, me lo dica senza problemi :) Vi è piaciuta questa "lezione"? Ricordatela bene, perché preannuncia il "futuro" di questa storia. E Julie, cosa le prende? note: I trionfi è il modo in cui anticamente venivano chiamati i tarocchi! Vi lascio con un'immagine che associo alla piccola Lydie! Lydie A presto! |
Capitolo 25
*** XXIV - Gelo di fine Maggio ***
XXIV
Gelo di fine Maggio
Con il trascorrere delle settimane il mio corpo mutava sempre di
più. Il ventre era così prominente che mi
affaticavo facilmente, ma dentro di me nasceva una nuova
consapevolezza. La prima volta che il mio bambino si fece sentire, mi
sorpresi, ma un sorriso affiorò ben presto sulle mie labbra
e stavo per chiamare Flaviano, quando rammentai che lui non poteva
rispondermi, e su di me piombò una tela scura di tristezza.
Avrei voluto condividere con lui ogni momento, dal mutamento del mio corpo – sebbene in parte provassi un po’ il timore di piacergli meno – a primi dolci ‘colpetti’ del frutto del nostro amore. Ero seduta sul prato, nei pressi dell’antro, quando sentii il piccolo battere. Sul mio viso dovette affiorare una smorfia, giacché vidi la piccola Lydie avvicinarsi subito a me, lasciando cadere le graziose margherite che aveva raccolto fino a quel momento. « No-non ti se-sen-ti be-bene? » mi chiese preoccupata, posando una mano sulla mia spalla. Aveva perso le sue paure e si era abituata alla nostra presenza. Per me era come una piccola sorellina che non avevo mai potuto avere, e le volevo bene. Scossi il capo e le sorrisi dolcemente per tranquillizzarla, e poi presi la sua mano posandola sul mio pancione. Lei esitò inizialmente, come temendo di farmi male. « Stai tranquilla, fleur de lys, non mi farai alcun male. Posa la tua mano sul mio ventre e ti farò sentire una cosa ». Lei mi guardò ancora titubante, ma poi si lasciò andare. Attese qualche minuto e, non notando nulla di strano, sollevò lo sguardo di nuovo verso di me, con fare interrogativo. « Aspetta ancora e non esitare, non mi puoi far male » le mormorai, dolcemente. Lei annuì e i suoi riccioli rossi si mossero, incantandomi. Con il tempo mi ero innamorata di quei capelli. Erano morbidi e setosi e il colore, così scuro, era particolare, ammaliante. Lì, al riparo da sguardi indiscreti, poteva lasciarli liberi senza paura, senza preoccupazioni. Ed era un piacere osservarla. Era una bambina molto dolce, dal gran cuore. Dopo la prima timidezza, spiccò in lei una solarità che contagiò tutte. Spesso mi dilettavo a guardarla correre nel prato o a curiosare, sempre alla ricerca di nuove cose da imparare, da conoscere. D’un tratto ebbi come un’immagine diversa di lei; una lei adulta, minuta, elegante nella sua veste nera, simile a quella della Gran Maestra. I suoi capelli erano ancora più lunghi e i grandi occhi grigi erano intensi, pregni di saggezza e potere. Sbattei le palpebre e tornai alla realtà, quando la vidi sobbalzare al colpetto che ricevette. La osservai scostare subito la mano, impaurita, e spalancò gli occhi puntandoli su di me. Io risi divertita, ma poi le tesi di nuovo la mano, senza tuttavia forzarla, ma attendendo paziente che si calmasse. Avevo imparato a capirla. « Quello che hai sentito è solo un calcio del mio bambino ». Lei mi guardò dubbiosa, poi puntò lo sguardo verso il pancione coperto dalla mia tunica blu, modificata per il mio nuovo corpo. « Lui, o lei, sta crescendo pian piano dentro di me, e tra qualche mese verrà al mondo ». Lydie spalancò le labbra e poi, dopo averci riflettuto un po’ su, tornò ad avvicinarsi e si sdraiò accanto a me. Pose di nuovo una mano sul mio ventre e iniziò ad accarezzarlo, con un gesto che esprimeva una tale tenerezza da commuovermi. Poi vi posò le labbra, lasciandovi un bacio, e non potei più trattenermi. La strinsi a me, affondai il mio viso tra i suoi bei ricci e piansi commossa. Era una bambina adorabile, che aveva troppo sofferto nella vita e ora meritava tutto l’affetto possibile. *
« Finalmente sei venuta, non ci speravo
più! » esclamò Louise-Marie e fece per
spalancare le braccia per accogliermi, quando si fermò
puntando gli occhi sul mio pancione. « Guarda che non morde » dissi, sfociando poi una risatina. Posai le mani, come ormai mi accadeva fin troppo spesso, sul mio ventre e lo sfiorai con leggere carezze. « Oh sì, lo so perfettamente » replicò, alzando il mento fieramente. « Ma non pensavo che potessi diventare così… grossa » arricciò la punta del naso, e per qualche secondo la vidi ancora scrutare attentamente il mio ventre, per poi sfiorare la sua pancia perfetta. « Diventerò così? Oh ». Non mi offesi, immaginando cosa potesse passare nei suoi pensieri; presi le sue mani con delicatezza e la guardai con dolcezza. « Non temere, ma chére amie, non resterò sempre così e, quando accadrà, anche tu riuscirai a tornare in perfetta forma. Poi non saresti felice di donare un figlio al tuo bel capitano? » I suoi occhi si soffermarono sui miei, mantenni il suo sguardo e mi persi in quel verde intenso. Sembrava titubante, incerta, come se fosse avvolta da una miriade di pensieri contrastanti; poi interruppe il silenzio, donandomi un sorriso. « Ogni cosa a suo tempo. In fondo non siamo nemmeno sposati! » esclamò, ridacchiando. « Ma ora siediti, non vorrai restare troppo in piedi in queste condizioni! Oramai non dovrebbe mancare molto, no? » Mi accasciai su una poltroncina della sala Turchese, e scossi il capo. « Pochi mesi ancora e finalmente verrà fuori. Non vedo l’ora, ma… » mi rattristai un poco « …vorrei tanto che quel giorno mio marito fosse tornato ». Louise-Marie si adagiò con eleganza su una poltrona vicina e annuì, prima di prendere le mie mani. « Non deve essere facile vero? Ma ho sentito dire che le cose si stanno mettendo bene per i nostri uomini » si fermò, guardandosi intorno guardinga, poi riprese a voce più bassa, « una dama non dovrebbe essere a conoscenza di certe cose, ma sai com’è, le voci corrono a palazzo ed io non posso di certo perderle! Tanto più che è lecito per una dama conoscere la sorte dell’amato, e ovviamente informare anche te ». Le sorrisi, grata. « E sai come stanno? Sono feriti? » chiesi, allarmata. La dama scosse il capo e sospirò. « Sfortunatamente non so molto. So che è una battaglia che non dovrebbe durare a lungo. Sono passati diversi mesi, ma probabilmente e con un po’ di fortuna saranno di ritorno molto presto. Magari il tuo bel maritino riuscirà a essere presente alla nascita del suo primogenito! Ed io potrò rivedere il mio adorato capitano ». I suoi occhi brillavano nel parlare del suo amato, e le sue parole mi rincuoravano. Le notizie migliori si potevano avere solo a Palazzo e non sembravano per nulla negative. Il desiderio profondo che avevo di rivedere presto mio marito, si trasformò ben presto in una rigogliosa e luminosa speranza che mi tranquillizzò e portò un po’ di felicità nel mio cuore. Mio marito sarebbe tornato, il mio Flaviano. Dovevo resistere, attendere ancora qualche settimana da sola e poi quella sofferenza sarebbe finita, quella distanza persa, e il nostro amore sarebbe aumentato ancora di più con la gioia che ci avrebbe portato nostro figlio. Sentii le lacrime affiorarmi negli occhi e la risata di Louise-Marie mi accolse. « Sei sempre stata molto sensibile, chérie, ma la gravidanza ti fa piangere troppo facilmente! » rise ancora, portando la mano guantata dinnanzi alle labbra rosse come fragole mature, e poi ordinò a una domestica di portarci una buona tisana e diversi pasticcini. Trascorsi delle ore piacevoli in compagnia della mia migliore amica, parlando di frivolezze, ma anche dei nostri rispettivi sentimenti. Ammiravo la sua capacità di non piangersi troppo addosso, ma di continuare a gestire ogni aspetto della sua vita come se non fosse accaduto nulla di male. Mi parlò anche di diversi cortigiani che continuavano ad adularla, e lei si beava di tutte quelle attenzioni. Non sembrava aver perso quella vanità e quel desiderio di essere al centro delle attenzioni degli uomini, ma anche di mantenere il suo ruolo di prima dama. Su questo non riuscivo a comprenderla del tutto; sembrava quasi che non le importasse di avere un uomo ora, e di ricevere solo le sue attenzioni. Sempre se un uomo freddo e solitario come il Capitano Svensson potesse concedere parte del suo tempo e dei suoi sguardi per la donna amata. Ma, in fondo, avevo imparato ad accettare il suo carattere. Era come una sorella per me e in cuor mio pensavo che nessuno ci avrebbe mai potute allontanare. *
Tra un impegno e l’altro le mie giornate passavano velocemente e non mi accorsi che maggio era arrivato e se ne stava anche quasi andando, e che la mia gravidanza era ormai quasi arrivata agli sgoccioli. Mancavano ancora poche settimane e poi avrei dovuto affrontare il parto. Il pensiero mi spaventava, avendo sentito di molte donne che non erano sopravvissute al parto, o che magari avevano perso i loro bambini, e più di una volta le mie notti erano state tormentate da incubi ricorrenti che mi gettavano in un baratro profondo facendomi svegliare in preda a un pianto sconnesso, senza neanche la possibilità di essere rincuorata da nessuno. Mi svegliavo e cercavo mio marito, ma l’altra metà del letto era fredda, vuota, priva della sua presenza. Ormai non riuscivo più a scorgere neanche il suo odore. Mi mancava tremendamente e ogni giorno trascorrevo ore a scrutare dalla finestra, in attesa del ritorno dei soldati. Ma ogni mia speranza era vana. Le parole di Louise-Marie mi avevano inizialmente rincuorata, ma non vedevo l’ora che quel mio desiderio potesse diventare realtà. Non potevo andare troppo spesso dalle streghe, e Madame le Marchande mi aveva anche impedito di lavorare nelle mie condizioni. Dovevo riguardarmi e riposare, e in effetti mi sentivo sempre molto stanca. Tuttavia non fare nulla, mi permetteva di pensare e questo non mi piaceva. Il troppo pensare faceva male al mio cuore. Le mie sorelle streghe, ad eccezione della Gran Maestra e dell’anziana Ophélie, venivano di tanto in tanto a trovarmi, persino la mia piccola Lydie, coprendo con cura i suoi riccioli. In quelle ore mi sentivo felice e riuscivo a dimenticare i miei tanti pensieri. Cécilie mi donò delle erbe da prendere per impedire ai miei strani sogni di prendere il sopravvento e pian piano riuscii a sprofondare in un sonno privo di sogni, che mi faceva svegliare tranquilla. Un mattino di fine maggio, mi alzai con un sorriso sulle labbra. Il calore del sole che penetrava dalla finestra raggiunse il mio viso e sembrava una calda carezza. Amavo la primavera, così ricca di fiori, di colori e di quel piacevole tepore che riusciva a scaldarmi fin dentro l’animo. Mi sentivo più attiva, più viva. Il freddo era ormai scomparso e si respirava un’aria nuova. Iniziai a sistemare un poco la casa, canticchiando alcune nenie che mi aveva insegnato mia madre nella mia infanzia, quando delle voci concitate provenienti dalla strada attirarono la mia attenzione. Sembravano acclamazioni, ma non solo quello. Avvertivo lo scalpiccio di cavalli e di scarpe sul terriccio. Il mio cuore prese a battere più forte, come se anticipasse ciò che i miei occhi avrebbero potuto scoprire ben presto. Lasciai stare le mie mansioni e mi fiondai – per quanto possibile – verso la porta, uscendo per comprendere cosa stava succedendo. Sulla strada centrale v’era una fila di uomini in divisa. Erano sporchi, stanchi, e scrutando nei loro occhi si poteva scorgere tutto ciò che avevano dovuto affrontare in quei mesi lontani da casa. Erano uomini d’arme, cui era insegnato sin da piccoli a combattere e non cedere mai, spesso a non avere pietà, eppure in quel giorno li vedevo com’erano realmente: degli uomini, con sentimenti, con le proprie paure, ma con una forza d’animo tale da spingerli ad andare avanti. Certo, ero perfettamente consapevole che tra loro vi potessero essere anche persone incapaci di avere un cuore nobile, di commettere crimini orrendi, eppure in quel momento li guardavo con ammirazione. Erano andati a combattere per il loro re e signore e ora tornavano a casa, vincenti. Iniziai anch’io ad acclamarli, ma ben presto spostai la mia attenzione a qualcos’altro che mi stava più a cuore: dovevo trovare mio marito, corrergli incontro e accoglierlo nel migliore dei modi. Dentro di me esultavo di gioia, presto non sarei più rimasta sola, presto ci sarebbe stato il mio amato a scaldare il mio letto, e accogliermi tra le sue braccia nelle lunghe notti, nonché donarmi un sorriso al risveglio. Avremmo trascorso le ultime settimane insieme, immaginando la nostra nuova vita con un figlio, e tanto altro ancora. Il periodo difficile era giunto finalmente al termine. Lo cercai dunque con lo sguardo, doveva esserci sicuramente. Il mio amuleto lo aveva protetto e stava per tornare da me. Mossi qualche passo ancora verso il gruppo, senza tuttavia intralciarli, ma non riuscivo a scorgerlo in mezzo a tutti quegli uomini così malridotti. Alcuni erano feriti leggermente, altri più gravemente ed erano sorretti dai compagni, ma tra loro non riuscii a scorgervi Flaviano. Ne fui in parte rincuorata. Non era ferito. Poi, posai lo sguardo su uno degli uomini più alti, e riconobbi il Capitano Svensson. Una benda gli solcava l’occhio destro e un’altra era posta attorno al collo. Mi mordicchiai le labbra, pensierosa. In cuor mio speravo che non fosse grave, ma poi lo vidi fermarsi, guardarmi per diversi minuti e poi voltarsi verso alcuni suoi uomini che annuirono. Non riuscivo a smuovere lo sguardo da lui e, quando lo vidi dirigersi verso di me, con passo claudicante, rabbrividii improvvisamente, nonostante il caldo. Si fermò a pochi passi da me, e batté i tacchi per salutarmi, reprimendo a stento una smorfia. Chinai leggermente il capo e poi presi parola: « Capitano Svensson, è una tale gioia vedervi tornare tutti sani e salvi » accennai un lieve sorriso, nonostante la mia voce sembrava quasi scossa da un tremolio. « Ma, dove posso trovare mio marito? Non riesco a scorgerlo tra i soldati… è stato forse ferito? Forse era uno di quelli bendati e non l’ho potuto riconoscere? » L’unico occhio visibile, azzurro come il ghiaccio, mi fissò con un’intensità tale da farmi rabbrividire di nuovo. Sentivo il mio cuore battere troppo freneticamente, come se conoscesse già la risposta alle mie domande. « Madame Chervalie… vostro marito non è tra i feriti, né tra gli altri soldati. Lui…» scorsi per la prima volta incertezza nel suo dire, nei suoi modi sempre freddi e distaccati. Ora sembrava finalmente umano, turbato, incapace di trovare parole. « È caduto in battaglia, per… proteggermi. È stato un uomo valoroso, che ha combattuto sempre con coraggio e determinazione, fino all’ultimo ». Quelle parole erano veleno. Quelle parole erano come una lama affilata che mi perforava il petto e il cuore. Quest’ultimo aveva smesso di battere all’improvviso, o almeno in apparenza, e mi sembrava di sentirlo sanguinare. Sbiancai improvvisamente e mi sentii venir meno, come se le gambe non potessero più sostenere il peso del mio corpo. « Non è vero… non può essere vero. Lui… lui doveva tornare. Il nostro bambino nascerà tra poco, lui aveva promesso di tornare. Oh, vi prego non vi burlate di me, dov’è il mio amato? » farneticavo. « Flaviano? Flaviano! » chiamai a gran voce, tornando a guardare i soldati, ma non rispondeva. Lui non c’era. Avvertii numerosi sguardi su di me, persone del villaggio che sembravano spalancare gli occhi, comprendendo il mio dolore e scuotendo il capo. Alcune donne bisbigliavano tra di loro, altri rientrarono nelle loro dimore, vi erano anche Jean e sua moglie, e mi sembrò di scorgere nei loro occhi una strana pietà. Provavano questo per me? Perché mai? Flaviano doveva essere vivo, il mio Flaviano stava sicuramente scherzando, ma presto sarebbe tornato da me. Sì. Ma era una convinzione che non poteva permanere, anche l’ultimo soldato si allontanò, e non avevo scorto il suo volto, i suoi dolci lineamenti, il suo sorriso cordiale, il suo aspetto nobile e fiero. Il mio Flaviano… « Lui non può essere… » non riuscivo a dirlo, e le lacrime iniziarono a offuscarmi la visuale. Stavo per svenire, lo sentivo, e mi sentii afferrare saldamente da grandi mani, che mi impedirono di cadere a terra. Respirai profondamente e tornai a guardare il capitano, avvertendolo così vicino, ma dall’incredulità passai alla rabbia, rammentando le sue parole. …è caduto in battaglia, per… proteggermi. « Flaviano è morto per proteggervi? Dovevate essere voi a prendervi cura dei vostri uomini! Era vostro amico, e voi… come avete potuto? Flaviano, marito mio… mio amore… non puoi lasciarmi, non puoi abbandonare il tuo bambino. Flaviano, torna da me… » Le mani forti del Capitano continuavano a sorreggermi, mentre battevo le mie sul suo petto, inconsolabile. Sapevo che non era giusto accusarlo, scorgevo nei suoi occhi un’insolita tristezza, ma non potevo non prendermela con qualcuno. Lui non sarebbe più tornato da me, ed io non potevo accettarlo. « Cercate di calmarvi per il bene di vostro figlio e vostro » disse, non cercando minimamente di difendersi ai miei attacchi. Io mi bloccai, facendo scivolare il mio sguardo sul mio ventre. Il mio bambino, ancora non nato, non aveva già più suo padre. Avrei dovuto crescerlo da sola, affrontare ogni momento senza mio marito. Mi avrebbero derisa, umiliata, avrebbero fatto lo stesso con il mio bambino? Non era quello a importarmi, non potevo vivere senza di lui, ma allo stesso tempo dovevo vivere per consentire al mio bambino di nascere e crescere, dovevo reagire per consentirgli una vita dignitosa… Dovevo, dovevo, ma in realtà in quel momento non avevo le forze. Mickel continuò a sostenermi e poi, quando fu certo che potessi tenermi in piedi da sola, trasse da una delle tasche della divisa un ciondolo d’argento, con una pietra scura. « Prima di morire mi aveva detto di riportarlo a voi ». Presi con mani tremanti l’amuleto e lo fissai stordita. In quel momento il mio odio aumentò, raggiungendo anche le streghe, coloro che mi avevano garantito che quella pietra potesse dare la giusta protezione in battaglia. E, invece, aveva fallito miseramente! Tutte le mie certezze crollarono, ma poi con una voce quasi estranea dissi: « Lo portava con sé quando… quando… » non riuscii a completare la frase, ma lui comprese e scosse il capo. « Lo ha sempre lasciato all’accampamento, non volevo scalfirlo né macchiarlo. Diceva che era il vostro dono e voleva trattarlo adeguatamente ». Una risata isterica sfuggì dalle mie labbra, quando compresi. Lui non aveva ascoltato le mie parole e l’amuleto non lo aveva potuto proteggere. Sentii il mio volto bagnarsi di lacrime e il freddo mi avvolse. Il sole era come scomparso per me, nonostante fosse ancora lì a risplendere, e mi accorsi che quel maggio non era più caldo come pensassi. Ora comprendevo il responso che mi avevano dato le carte e anche il motivo per cui mi sembrava che Claire mi nascondesse qualcosa, che non volesse dirmi tutto con sincerità, come se ci fossero problemi. Perché non mi aveva detto nulla? Perché mi aveva lasciata all’oscuro? Ma se avessi saputo, come avrei reagito? Sarei andata avanti comunque? Non lo sapevo. In quel momento non sapevo nulla. Una miriade di immagini comparve nella mia mente. La torre, la morte, l’appeso… carte orrende unite l’una all’altra. Il mio amore, il suo sorriso, e poi il sangue sul suo volto. Il mio amato lasciato in un campo di battaglia, caduto, perso per sempre. Non sarebbe più tornato, mai più. Nessuno poteva ridarmelo, nessun Dio, nessuna Dea, nessun essere mortale. Fui scossa da singhiozzi, mentre ripetevo convulsamente il suo nome e, quasi inconsapevolmente, crollai tra le braccia del Capitano Svensson. Non mi curai delle persone né dei sentimenti, in quel momento avevo bisogno solo di un abbraccio, di un conforto. Lo sentii irrigidirsi, mentre sprofondavo con il viso sul suo petto – incurante della sporcizia o dell’odore malsano, causato anche dal sangue secco – e continuavo a piangere disperata; ma poi sorprendendomi, lo sentii avvolgermi con le sue braccia, sfiorandomi leggermente, con rispetto, e con l’assoluto intento di confortarmi e forse confortare anche il suo cuore. Restai tra le sue braccia per non so quanto tempo, ignorando tutto e tutti. Il gelo mi entrò fin nelle ossa, facevo fatica a respirare, mentre le lacrime avevano preso ormai il pieno controllo di me stessa. Non riuscivo a placarle, né a fermare quella miriade di pensieri che mi riempivano la testa, con immagini, voci, ricordi. Ero come entrata in un’altra dimensione. Intorno a me non c’era più nessuno, niente bisbigli, niente sguardi colmi di pietà. Ero da sola e con me c’era lui. Il mio Flaviano che mi sorrideva, che mi sussurrava dolci frasi colme di amore, che mi stringeva a sé, che mi baciava, che mi sosteneva e che eliminava quella sofferenza e quella solitudine nella quale ero sprofondata. Stringevo nella mano il ciondolo che doveva proteggerlo, e mi attaccavo con forza alla sua immagine illusoria. Persa in quella realtà alternativa, quasi non mi accorsi di essere sollevata e poi adagiata sul mio letto. Qualcuno si stava prendendo cura di me, ma io ero altrove. Ero con lui e mai avrei voluto abbandonarlo. Il mio Flaviano. ___________________________________________________________________ Sì, lo so che Flaviano era un personaggio amato, ma la storia prende altre strade. Purtroppo l'amore di Desirée non c'è più. Ma cosa accadrà ancora? In fondo, questa storia oltre all'amore presenta il dramma, e questo è solo l'inizio. Spero che questo capitolo vi coinvolga. Nel rileggerlo mi sono commossa. Sì, scrivo cose tristi e poi ci sto male, masochista io! eheheheh. Grazie a chi legge, a chi ha inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite, e a chi lascia un segno del proprio passaggio. Vi ricordo che non mordo e... mi piacerebbe anche sapere perché spesso vedo i numeri delle seguite scendere così dal nulla. Se avete commenti da fare, io sono qui, e sono aperta a tutto ciò che è costruittivo per me! A presto, spero! |
Capitolo 26
*** XXV - Nessuna Notizia ***
XXV
Nessuna Notizia « Mio sole? » Aprii gli occhi non appena riconobbi il suono inconfondibile della sua voce, il buio lasciò il posto ben presto a una luce meravigliosa che incorniciava il volto del mio amato. Sembrava un essere divino, mentre chinava il suo volto sul mio e mi osservava con quegli splendidi occhi nocciola che tanto amavo. « Sei tornato… » sussurrai, sollevando le braccia verso di lui per accoglierlo, per cingerlo a me. « Io sono sempre stato con te, e sempre lo sarò ». Posò il suo capo tra i miei seni e ci unimmo in quell’abbraccio che aveva il sapore di una lontananza dimenticata, di un amore mai scomparso, di un vuoto ormai colmato. Sprofondai con le dita tra i suoi capelli castani, e non mi curai della polvere o di altro. Ai miei occhi appariva splendido e privo di ferite. Sollevò il capo e adagiò le sue labbra sulle mie, suggellandole in un dolce bacio. Quanto mi era mancato, ma ora era lì. « Hai mantenuto la promessa, sei tornato, e a breve avremo anche nostro figlio ». Quelle parole sembrarono turbarlo, l’espressione sul suo volto si fece seria e incomprensibile. « Che succede? » mormorai, senza capire. « Sii forte mio dolce angelo. Per lui… per te. Hai tanto da offrire al mondo, ancora ». « Non capisco… » « Sarò sempre con te… » L’ultima frase divenne ben presto un eco, mentre la sua figura si scostava da me, si allontanava via via, come se la luce che lo circondava lo avviluppasse e lo rapisse al mio tocco. Tentai di allungare le braccia per prendere le sue mani, per impedirgli di andare via, ma mi sentivo inerme, come se un peso opprimente non mi permettesse di avvicinarsi, mentre lui si allontanava sempre di più da me. Ripetei il suo nome numerose volte, piansi, cercai di lottare contro quella forza invisibile che si opponeva a me, ma fu tutto inutile. Lui scomparve in un vortice di luce, ed io mi svegliai. *
Ogni cosa ha il suo inizio e
la sua fine, ma la morte e la vita sono un ciclo continuo che non ha
mai fine. Non devi disperare, figlia, tutto ciò che accade,
ha il suo motivo.
Quelle parole mi tormentavano la mente, tuttavia non riuscivano a penetrare nel mio cuore distrutto. Da quando i soldati erano tornati senza il mio Flaviano e avevo appreso della sua morte, non c’era niente che potesse spingermi a lasciare il mio talamo e affrontare la vita. Volevo lasciarmi andare, così forse avrei potuto raggiungerlo presto e saremmo stati insieme per sempre. Nessuna guerra, nessuna lontananza né dolore potevano farci male. Ma in quel macabro desiderio, quasi dimenticavo di quella vita che scorreva dentro di me. Non avrei mai voluto far male a quel bambino ormai quasi del tutto formato, ma non avevo la forza di ridestarmi da quella sorta di limbo senza fine nel quale ero sprofondata. Ben presto mi fu detto che il Capitano Svensson mi aveva adagiato sul mio letto ed era rimasto al mio fianco, dopo aver mandato un messo a chiamare Madame le Marchand, e solo allora, quando ormai aveva capito che non poteva fare altro, era tornato al Forte insieme ai suoi uomini. Madame era arrivata presto, ma io non mi accorsi quasi per nulla della sua presenza, né del suo stato d’animo, se non per quel leggero tocco nel prendere la mia mano tra le sue. Cercò, sicuramente, di parlarmi, di farmi reagire, di spingermi a comunicare qualcosa, ma – almeno inizialmente – non avevo che lacrime da versare, fino a quando non finirono. Mi sentii prosciugata, mentre un forte mal di testa mi creava una pesantezza indescrivibile e, dopo aver bevuto giusto qualche sorso di tisana, sprofondai in un sonno più dovuto alla stanchezza che alla mia voglia di riposare. La prima notte lui mi apparve in sogno. Mi sembrò di averlo realmente lì, di sentire le sue forti braccia intorno a me, di avvertire il suo odore, le sue calde labbra sulle mie, di perdermi nei suoi occhi. Quando, però, mi accorsi che anche nei miei sogni mi era negata la sua presenza e mi svegliai, compresi che era tutto vero. Lui non c’era più e non potevo andare a piangere neanche sulla sua tomba. Non sapevo neanche, dove avessero lasciato il suo corpo. Flaviano… Era l’unica parola che usciva dalle mie labbra, non riuscivo a formulare nient’altro. E fu in quel secondo giorno che entrai in quel tragico stato che mi avrebbe portato alla morte, se non avessi ritrovato le forze. Sentivo la presenza di Madame intorno a me. Aggirarsi qualche tempo per la cucina nel tentativo di prepararmi qualcosa che, puntualmente non mangiavo, o restare perlopiù al mio fianco cercando di farmi reagire. Una parte di me, nascosta ma presente, avrebbe voluto fare qualcosa, soprattutto per non gettarla di nuovo nello sconforto più totale, né rischiare la vita di mio figlio, ma mi era impossibile. *
Correvo sullo spiazzo d’erba nei pressi della foresta di Sivelle, il vento s’insinuava leggero tra i miei capelli, e il sole vi creava riflessi d’oro. La mia risata risuonava nell’aria e, a essa, se ne aggiunse un’altra. Sembrava maschile, allegra, che colpiva il mio cuore. « Non mi prendete! » « Ne siete così sicura? » La risposta era, ovviamente, no. In pochi minuti lui afferrò il mio polso e mi spinse a interrompere la corsa. Ripresi fiato e mi voltai, sorridendo allegra. «Va bene, avete vinto, ma solo per questa volta! Siete avvantaggiato con quei vestiti… » « Non inventate scuse, rosellina mia, riuscirei a prendervi anche se indossassi un vestito ampio come il vostro ». « Voi indossare un vestito femminile? » lo guardai dall’alto in basso e poi emisi una risata che nacque dal cuore a una possibile simile visione. Lui arrossì e scosse il capo. « Oh insomma, era un modo di dire! Non vi burlate di me! » Detto ciò mi attirò a sé, cingendomi i fianchi ed io sprofondai il capo sul suo petto. Sentii il suo cuore palpitare più veloce, come il mio. « Ora però, merito il mio premio. Ho vinto, no?» « Sì, avete vinto. E quale premio desiderate, monsieur Marli? » «Il bacio della più bella fanciulla sulla quale i miei occhi si siano mai posati ». « E chi sarebbe? » chiesi, fingendo una gelosia inopportuna, giacché ero conscia già della risposta. « Colei che risponde al nome di Desirée Chervalie, la più bella dama di Francia ». Fu il mio turno di arrossire, ma poi sentii le sue dita sollevarmi il mento e il suo volto farsi sempre più vicino al mio. Ero emozionata e impaurita. Mai avevo baciato un uomo, prima, ma il desiderio era tanto da quando avevo incontrato per la prima volta Flaviano. Mi lasciai andare, e lui posò delicatamente le labbra sulle mie. Il nostro primo bacio. Ricordi di un passato riecheggiavano nella mia mente, come a voler giocare malvagiamente con il mio cuore già sanguinante. Ogni mattina era sempre più dura per me alzarmi. A fatica Madame e altre sarte venute ad aiutarmi, compresa la piccola Julie, riuscivano almeno a farmi compiere i gesti importanti affinché il mio organismo potesse funzionare adeguatamente, e in certi momenti riuscii a mandare giù qualcosa di sostanzioso e non solo tisane calde. Nonostante il caldo, un gelo mi era entrato nelle ossa ed ero perennemente avvolta da coperte, che puntualmente gettavo a terra durante il mio sonno agitato. Non ero molto in me, ma scorgere i visi colmi di pietà e paura tra quelle donne mi dispiaceva ed era anche fonte di rabbia. Non lo sopportavo. Volevo essere lasciata a me stessa, e non essere biasimata per la mia situazione. Loro erano felici no? E allora potevano andare nelle loro dimore, senza guardarmi così male. Avevo pensieri negativi e, spesso, le guardavo con disprezzo, pur comprendendo nel profondo del mio animo che erano solo preoccupate per me e per il bimbo che portavo in grembo. Stavo deperendo e, se avessi continuato di quel passo, lo avrei senz’altro perso, gettando al vento anche l’ultimo ricordo del mio amato. Una notte, spalancai gli occhi e notai la presenza di diverse figure incappucciate. Mi agitai e stavo per gettare un urlo, quando una mano si pose sulle mie labbra, impedendomi di farlo e una voce autoritaria mi avvolse. « Non urlare, o attirerai tutto il villaggio qui. Siamo noi ». « Desirée, cara, siamo venute ad aiutarti… » una voce più gentile e dolce si aggiunse alle altre, e poi una terza più infantile. « L’anziana è stata sedata, ora dormirà abbastanza profondamente e non ci disturberà ». « Elodie sii più gentile » mormorò la seconda, e qualcuno prese la mia mano, stringendola con delicatezza. « Mi dispiace, sorella. Avevo tentato di tranquillizzarti, ma temevo… » « Basta così Claire, non è questo il momento » sentenziò la prima voce, e tutte si zittirono. Io mugolai un poco e infine le mie labbra furono liberate. « Non urlare, né disperarti ora. Siamo qui perché non possiamo permetterti di fare ciò che stai pensando. Devi reagire » continuò quella che ormai compresi essere Sylvie, la Gran Maestra. Io girai lo sguardo altrove, osservando il buio. Non m’interessava la loro presenza, anzi quasi la trovavo irritante. « Desirée, ma chére, ti ho portato diverse erbe e degli infusi che ti faranno stare subito meglio. Ophélie, inoltre, mi ha consigliato qualcosa per salvare la vita anche al tuo piccolo. Ma douce, non lasciarti andare, te ne prego », la voce di Cécilie sembrava quasi tremare, come se fosse commossa, ma non riuscì a convincermi del tutto. « Abbiamo anche delle pietre con noi, possono donare forza e coraggio e sostenerti in questo duro cammino » aggiunse Claire, con un fil di voce. M’irrigidii sul letto e poi spalancai gli occhi con rabbia. Le guardai una a una nella soffusa luce dell’unica candela accesa, e sibilai parole che serbavo nel cuore. « Non so che farmene delle vostre erbe, e soprattutto delle vostre pietre! Io mi fidavo di voi, credevo fermamente nel loro potere e invece, quell’onice maledetta non è servita a nulla. Flaviano è morto! E tu, Claire, dovevi avvertirmi e non fomentare nella mia mente vane illusioni! La morte, la torre, l’appeso! Era tutto chiaro, e tu sapevi! » Un silenzio di tomba seguì quelle mie parole velenose. Il tocco della mano di Claire si allentò, fino a scomparire. Si era ritratta, ma non potevo scorgere bene se il suo viso lasciava trapelare una qualche emozione. Sapevo che le avevo colpite, e forse anche ferite, ma cos’erano quelle mie parole in confronto al dolore che mi logorava il cuore? Infine, fu Sylvie a parlare. « Il dolore che provi è comprensibile, ma non ti da il diritto di infierire così tanto contro le tue sorelle, o in ciò che crediamo e in cui anche tu dovresti credere fermamente dal momento in cui hai giurato ». Risi, isterica, e poi sputai altre parole, incontrollabili: « Tu puoi capirmi? Che ne sai tu dell’amore? Che ne sai tu del dolore? Hai mai avuto un uomo d’amare e che ti amasse con tutto il suo cuore? Hai mai aspettato un bambino che non potrà mai conoscere suo padre? » Sentii qualcuna gemere, altre sospirare sorprese. Elodie stava per rispondermi, ma fu bloccata subito da Sylvie, che poi tornò così a rivolgersi a me: « Tu non conosci il mio passato, non sai nulla di me. Ti ho accolta nel mio ordine, ma posso anche buttarti fuori! » si bloccò per un istante e poi riprese. « Tuttavia non lo farò, perché so perfettamente che queste parole velenose sono dettate solo dal dolore che ti affligge, che è immenso e indescrivibile. Non ho mai amato un uomo, né ho avuto un bambino e mai potrò affrontare una simile gioia, forse, ma anch’io ho conosciuto l’amore, un tempo… » la sua voce, di solito ferma e autoritaria, s’incrinò e riuscì a turbarmi, « …un amore forte che mi aveva fatto conoscere una felicità immensa, ma anche a me è stato negato. Anch’io l’ho perso, e pensavo realmente di non riuscire ad andare avanti. Ma non è questo che si deve fare, neanche quando la vita ci appare vuota e priva di senso. Non ti ripeterò del ciclo continuo della vita e della morte, ma una cosa posso dirla. Se ami davvero tuo marito, devi vivere. Se non vuoi farlo per te stessa, fallo per il figlio che cresce nel tuo grembo. È parte di te, ma è anche parte del tuo Flaviano. Se tu muori, morirà anche quella scintilla di vita, e anche l’ultima traccia di quell’amore immenso che vi ha uniti. Vuoi questo? » D’un tratto fui scossa da una serie di sentimenti. Paura, tristezza, rabbia lasciarono il posto al vuoto, dal quale poi emerse una nuova consapevolezza. Non sapevo che la Gran Maestra avesse amato, ma comprendevo bene che le costava molto rivivere quel momento, lo avvertivo dal suo tono di voce e dalla fragilità che scorsi anche in lei. Non era più quella donna forte e ammantata di un potere enorme, che incuteva anche un certo timore, ma appariva come una persona fragile, che aveva tanto sofferto e la cui ferita forse non si era ancora rimarginata. Calde lacrime tornarono a solcarmi il viso, e le mie mani sfiorarono il mio grosso ventre. « Scusami… piccolo mio. Scusami… » mormorai, e sentii la tensione presente nella stanza distendersi. « Scusatemi tutte… non volevo ferirvi, ma… mi sento così sola e non posso pensare che lui non tornerà mai più ». Le streghe si avvicinarono tutte al mio letto. Sentii le loro braccia avvolgermi in un caldo abbraccio, eccetto quello di Sylvie che rimase in piedi a osservarci. « Stai tranquilla, Desy! Vedrai che tornerò a farti ridere » disse Elodie e a lei seguì Cécilie. « Non sei sola, ma douce, noi ti staremo sempre vicine, lo sai vero? Sei nostra sorella, e siamo legate ». Infine, fu il turno di Claire. Avvicinai una mano al suo volto e sentii che anche lei aveva pianto. La baciai sulla fronte, nonostante la tristezza che mi avvolgeva e la stanchezza. « Scusami sorella mia. Non volevo offenderti… davvero. So che l’hai fatto per me ». « Non volevo essere io a farti del male annunciandoti la notizia… e volevo sperare che le carte avessero fallito, per una volta » mormorò Claire, ed io l’abbracciai restando ancora qualche istante tra le sue braccia. Adoravo quelle streghe e mi sentii uno schifo nell’aver detto tale oscenità, ma loro avevano compreso il mio malessere. « Ora però, prendi questi infusi e domani mangia tutto quello che Madame Le Marchand ti darà. Devi rimetterti in forze, a breve il tuo bambino verrà al mondo » disse Cécilie con dolcezza e, donandomi una tazza con uno dei suoi strani ma infallibili infusi, aggiunse « reagisci anche per lei, si vede che ti ama come una madre, e che l’addolora vederti così ». Annuii e bevvi tutto. Le streghe rimasero al mio fianco per qualche ora ancora, ma prima che il sole sorgesse all’orizzonte, Sylvie sentenziò che era l’ora di andare. « Ti aspettiamo al Salice, quando vorrai ». « Grazie… davvero ». Le salutai e poi voltai lo sguardo su Madame che dormiva tranquilla – grazie anche a quello che le era stato dato dalle streghe – su una sedia. Sorrisi con affetto a quella donnina forte ma dal gran cuore, e cercai di riposare. Crollai in un sonno senza sogni, ma con un’idea precisa in testa. Non sarebbe stato per nulla facile, ma dovevo farlo: avrei iniziato la mia risalita, un piccolo passo alla volta. Il mio Flaviano viveva in me e in quella creatura che presto sarebbe nata. Per sempre. *
Ritornare alla vita non era semplice, ma un giorno dopo l’altro tentai di recuperare le forze. V’erano momenti in cui sprofondavo in pensieri cupi, in cui il dolore era talmente forte e pungente che dovevo fermarmi, e le lacrime sembravano non avere mai fine. Tentavo di apparire tranquilla, o di avere almeno una parvenza di serenità, quando mi trovavo con Madame e altre persone, ma nel buio della mia dimora e in solitudine mi sfogavo, lo chiamavo, e non riuscivo ancora ad accettare la mia nuova vita senza di lui. Ero stanca di sguardi densi di pietà e accettavo con gran gioia le visite delle streghe, che almeno cercavano di rubarmi sorrisi e di andare avanti, cercando di alleviare le pene del mio animo e spingermi a vivere di nuovo. Non potendo più recarmi di persona al Salice, viste le mie condizioni, erano loro a venire, abbigliate con abiti popolani per non dare troppo nell’occhio. Anche la piccola Lydie a volte, coprendo i suoi rossi capelli con un velo, trascorreva qualche ora con me, deliziandomi con la sua squisita dolcezza. Era l’affetto delle persone a me più vicine che mi permetteva di andare ancora avanti, oltre ovviamente a quel piccino che avevo nel grembo e che presto avrei potuto stringere tra le mie braccia e donargli tutto l’amore di cui ero capace. Eppure, c’era una persona che non avevo più avuto modo di vedere e che non si era mai presentata alla mia porta, né aveva mandato messaggi: Louise-Marie. La sua assenza mi rattristava, avrei avuto bisogno anche del suo conforto, della sua amicizia, del suo affetto. In un primo momento pensai che volesse rimanere con il suo amato e magari lasciarmi un poco alla mia tristezza. Lei mi conosceva da quando eravamo piccole e sapeva bene che nei primi tempi sarebbe stata dura parlarmi. Probabilmente era “spaventata” anche da una mia possibile reazione, ma dopo giorni non si era ancora fatta vedere. Chiesi di lei a Madame, ma scosse il capo non sapendo nulla e alla fine decisi di scriverle un messaggio. Non ottenni risposta alcuna e la cosa m’impensierì davvero. Decisi, quindi, di presentarmi a corte ma, mentre seguivo il sentiero che mi portava a Palazzo, incontrai il Capitano Svensson, vestito di tutto punto e non più sporco e distrutto come il giorno del suo ritorno, anche se il suo occhio era ancora bendato. Ci fermammo a pochi passi l’uno dall’altra e chinai appena il capo, gesto che lui ricambiò. Era dal giorno in cui mi aveva dato la triste novella che non lo incrociavo e la cosa mi turbò un poco. Mi fu detto che si era occupato di me prima dell’arrivo di Madame e rammentai anche di essermi abbandonata tra le sue braccia, cosa che mi fece subito arrossire. « Madame Chervalie… » « Capitano Svensson, lieto meriggio » mormorai. I nostri sguardi s’incrociarono per diversi istanti, ma abbassai il mio, non riuscendo a sostenere quel ghiaccio e anche ricordando come mi ero avventata su di lui. Lo avevo colpito a male parole e anche, forse, ferito. « Come vi sentite? » mi chiese, sempre un poco distaccato. « Sto cercando di tornare a vivere… almeno per lui » risposi, con sincerità, sfiorando appena il pancione ormai notevolmente evidente. Lui annuì, e poi sembrò volermi salutare, ma prima che potesse farlo, aggiunsi: « Posso chiedervi una cosa? » Lui mi guardò, per un attimo scorsi una strana luce sull’unico occhio non bendato, e poi annuì di nuovo. « Avete notizie di Mademoiselle Lemoine? Non la sento né vedo da giorni e non ha neanche risposto a una mia missiva. Sapete dirmi come sta? » Non avevo mai parlato troppo con lui, ma era il suo promesso sposo e sicuramente doveva avere notizie, averla vista, sapere qualcosa. « Mademoiselle Lemoine attualmente non si trova più qui, a quel che mi è stato riferito si è diretta a Parigi, ma non ha lasciato alcun messaggio a me, né ad altri... e, giudicando dalla vostra richiesta, presumo che nemmeno voi ne siate a conoscenza. E, non so nemmeno se sia un trasferimento definitivo o temporaneo, giacché nemmeno i Signori che servo sanno rispondere alle mie domande ». La notizia mi lasciò senza parole. Spalancai le labbra, confusa e disorientata. Non era da lei non lasciare traccia di sé, non dirmi nulla, né tantomeno a lui. Annuii alle sue parole, e poi dissi: « No, non so nulla, ma Lou non si è mai comportata così. Mi ha sempre scritto o detto di persona cosa le succedeva e… era così felice di sapere del vostro ritorno » sospirai, e mi sentii un poco triste. Colei che reputavo una sorella mi aveva messa da parte e non sapevo neanche se sarebbe mai tornata, se si fosse fatta sentire, o altro. Un altro vuoto nella mia vita. « Vi ringrazio comunque per avermi comunicato questa notizia, magari presto ci scriverà. In caso la sentirete, sareste così cortese da farmi avere sue nuove? Io, da parte mia, farò lo stesso ». « Lo farò con piacere… » Sembrò esitare, come se volesse aggiungere altro, ma poi non disse nulla. Forse ci aveva ripensato, forse non era importante. « Vi ringrazio… ora, è meglio che torni indietro. A presto, Capitano. » Ci salutammo e poi proseguimmo per strade diverse, ed io tornai a casa scossa e demoralizzata. Ero rimasta senza marito, senza la mia migliore amica, ma per fortuna avevo ancora Madame e le streghe, e il mio piccolo bocciolo. _________________________________________________________________ Ciao a tutti! Ecco qui il nuovo capitolo! C'è ancora un poco di Flaviano, ma un altro piccolo tassello si aggiunge alla trama. Forse inizierete a capire già qualcosa su ciò che accadrà, ma spero di entusiasmarvi e sorprendervi ugualmente! Mancano ancora molti capitoli, e ... diciamo che le cose potrebbero sempre peggiorare (sadismo mode on, eheheh). Be', se vorrete continuare a leggerla vi ringrazio! Lasciate anche un parere,se vi va, sono proprio curiosa di capire dove sbaglio o se la storia piace davvero! Grazie a tutti voi che leggete e un grazie in più a chi lascia un commento! A presto :) |
Capitolo 27
*** XXVI - Alizée ***
XXVI
Alizée Nelle settimane seguenti provai a inviare missive a corte. Conoscevo alcune dame, ma la risposta era sempre la stessa. Louise-Marie era partita, forse per Parigi, ma non si sapeva se e quando avrebbe fatto ritorno a Sivelle. Sospirai affranta, ma poi l’immagine della mia amica abbigliata di abiti e gioielli sfarzosi lasciò il posto ai pensieri. La vidi danzare leggiadra ed elegante, con gentiluomini in sale di grande fascino e ricchezza. Sì, forse era questa il suo vero destino, tuttavia non riuscivo a comprendere il motivo per cui non me ne avesse parlato. Non ero forse come una sorella per lei? Stava per concludersi un altro mese, il caldo si faceva sentire particolarmente, e con quel ventre gonfio mi sembrava tutto più difficile. Anche i più piccoli gesti erano troppo faticosi, e ben presto mi ritrovai a letto in preda ai dolori. I tempi della gravidanza erano giunti ormai al termine, ma in quella casa mi ritrovai sola. Fui colta da una paura terribile: ero sola e non riuscivo a muovermi. Era notte e fuori il cielo scintillava di stelle e la pallida luna mostrava il suo sorriso. Non potevo comunicare con nessuno, ma neanche partorire da sola. Gridai quando una fitta mi colpì e poi cercai di respirare. Gocce di sudore imperlarono la mia fronte e il mio viso, mentre mi aggrappavo alle fresche lenzuola in cerca di un appiglio contro il dolore. Quando la fitta passò, portai una mano al ciondolo del mio grado di strega, lo zaffiro blu. Invocai l’aiuto delle mie sorelle streghe, come se così facendo potessero veramente sentirmi, ma poi mi accasciai di nuovo, quasi senza forse. Temevo per me, ma soprattutto per il mio bambino. Non volevo perdere anche lui. Piansi, lacrime amare che non riuscivo a gestire, e trasalii nel sentire qualcosa di umido uscire dal mio corpo. Poi la porta si aprì. « Siamo giunte in tempo, per fortuna! » esclamò una voce d’usignolo, alla quale seguì un borbottio. « Se tu mi avessi spiegato con maggior cura quali erbe dovevo prendere, forse non ci avremmo messo tutto questo tempo ». « Basta bambine. Non è il momento di bisticciare, la piccola Rose Blanche ha bisogno dell’aiuto e del sostegno di tutte » proseguì una voce anziana. Vidi la speranza. Erano loro, le mie adorate sorelle e ora tutto poteva andare per il meglio. « Ragazze… siete voi! Venite… presto » riuscii appena a dire, prima di urlare di nuovo in preda a un’altra fitta dolorosa. La prima a giungere fu Elodie, seguita da Cécilie e infine Claire sosteneva la vecchia Ophélie. Non scorsi né la Gran Maestra, né la piccina, ma ben presto ottenni la risposta alla mia muta domanda. « Sylvie ha preferito tenere al sicuro la bambina, per questo ora non sono qui » mormorò Ophélie con voce graffiante, nonostante il suo tono sereno. « Ora ci prenderemo cura noi di te » aggiunse Claire, soffermando i suoi occhi d’acqua marina su di me. Sorrisi loro, seppur sentissi di mostrare più una smorfia che un vero e proprio sorriso, e loro si avvicinarono maggiormente al mio letto. « Cécilie sai cosa devi fare. La mia vista è ormai quasi svanita, e sta a te il compito di assistere la nostra Rosa Bianca in questo momento. Ti guiderò io ». Posò una mano grinzosa sulla spalla della giovane strega, la cui tensione evidente sembrò distendersi a quel tocco. Annuì con il capo e si chinò su di me. « Oh bene, le acque si sono già rotte, tuttavia potrebbe mancare ancora qualche ora, ma questi dolori sono normali. Ora prepariamo tutto l’occorrente, ma tu devi star serena. Tra qualche ora al massimo terrai il piccino tra le tue braccia, e tutto ciò che hai sofferto, svanirà come per magia » mi sorrise con dolcezza, ed io annuii sebbene non ne fossi molto convinta. Claire fece accomodare Ophélie su una sedia, non troppo distante, così da controllare ciò che veniva fatto, mentre Cécilie iniziò a dettare i suoi ordini. « Elodie prepara dell’acqua calda e trova degli asciugamani puliti. Quando sarà pronta, porta tutto qui ». Elodie per una volta sembrò non ribattere, consapevole che era un momento serio e importante, e Cécilie si voltò quindi verso Claire e disse: « Claire potresti rimanere al fianco di Desirée mentre io preparo l’infuso? » « Certamente » rispose e, una volta che Cécilie si fu allontanata, prese il mio posto affianco a me. Ophélie rimase silenziosa al suo posto, per un attimo mi apparve come una strana statua piena di rughe. « Ti ho portato una pietra. Lo so, forse non ci credi più dopo quello che è… successo » mormorò, esitante, ma io in quel momento di lucidità le sfiorai appena la mano. « Non devi preoccuparti. Ci credo ancora nel potere delle pietre… » risposi, per tranquillizzarla. Claire mi osservò ancora, quel suo sguardo solitamente imperturbabile ora appariva scosso, stava anche analizzando la veridicità delle mie parole, ma poi annuì serena. « Questa è una Malachite. Può aiutarti ad affrontare meglio il parto » estrasse da un sacchettino di velluto una pietra di un verde intenso, dalle strane righe che sembravano quasi formare degli strani disegni. Annuii nuovamente, e lei la pose sotto il mio cuscino, a protezione. Forse per il mio credo reale in quella pietra, forse per suggestione, mi sentii un poco meglio almeno per diversi minuti. « Come sta la piccola Lydie? Mi dispiace non essere potuta venire più così spesso ». Claire iniziò a detergere la mia fronte e il mio volto con un fazzoletto di stoffa, ma fu Ophélie a prendere parola. « Il piccolo giglio sta fiorendo ogni giorno che passa. L’apparenza distorce la realtà. Sembra piccola, indifesa, fragile ma nasconde un fuoco dentro ». « Il fuoco, infatti, è il suo elemento, la sua essenza » aggiunse Claire. « Non lo avrei mai detto, ma sono felice per lei… ora finalmente può vivere » ma, un'altra contrazione mi spinse a gridare, e in quel momento tornò Cécilie con un infuso caldo e fumante; e fu Claire a lasciarle di nuovo il posto, tornando dietro Ophélie. « Bevi cara, questo infuso di foglie di lampone allevierà, un poco, i tuoi dolori… ». Con una mano mi sollevò il capo, con l’altra avvicinò la tazza fumante alle mie labbra, facendo attenzione a non ustionarmi e spingendomi a berla a piccoli sorsi. Mi fidavo ciecamente di lei, ed ero consapevole della sua abilità con le erbe. « Acqua pronta e asciugamani puliti trovati! » trillò Elodie tornando nella stanza. « Posali pure ai piedi del letto, non è ancora venuto il momento di usarli, ma non manca molto… » replicò Cécilie, aiutandomi a mandar giù altro infuso che mi aiutò, effettivamente, a stare meglio. Quando l’ebbi terminato, tornai ad adagiare il capo sul morbido cuscino, e chiusi gli occhi per qualche istante. Cercai di rilassarmi, anche se non era facile, e lasciai che l’infuso facesse il suo effetto. « Credo che ci sia bisogno di un’altra candela. La notte è lunga ed è meglio non rimanere al buio quando dovrò aiutare il bambino a venire al mondo » continuò Cécilie, voltandosi verso Elodie. Quest’ultima inarcò un sopracciglio, ma poi sospirò e iniziò a cercare una nuova candela da tenere pronta nel caso dovesse essere utile. La sentii rovistare, mentre Cécilie si pose in fondo a letto e iniziò a sollevare le mie vesti. Aprii gli occhi, scrutandola contrariata, ma lei rise divertita. « Oh, come credi che possa aiutarti se non sollevo le vesti? Devo controllare com’è la situazione e quanto tempo manca ancora. Suvvia, non devi essere pudica, cara, non ti farò nulla di male ». Imbronciai le labbra, ma poi smisi di essere riluttante e sollevai le gambe come mi venne anche richiesto, e la lasciai denudarmi in parte. Mi sentivo imbarazzata con tutti quegli sguardi su di me, anche se erano tutte donne, era una situazione insolita e non così bella. Sentii Ophélie porre domande sulla mia “situazione” e Cécilie rispondere, ma in materia ero piuttosto ignorante. Non avevo mai veramente assistito a un parto come loro ed ero terrorizzata. Forse le voci che avevo sentito di donne morte non mi aiutavano, quindi tentai di pensare ad altro. Cercai di visualizzare nella mia mente un cielo limpido, con solo qualche soffusa nuvola bianca a chiazzarlo; il vento le spostava leggere, come pallidi viaggiatori nell’infinito. L’immagine mi piacque e mi aiutò a rilassarmi un poco, fino a quando un forte dolore non mi fece di nuovo tornare alla realtà. Questa contrazione fu più dolorosa delle altre, e quando finì, mi mancò il respiro. Cécilie si fece seria, ma quando sollevò il viso a incontrare i miei occhi, sorrise teneramente. « Cerca di fare respiri rapidi, cara, non trattenerti » disse, ma non appena pensavo che fosse passato, né seguì un’altra. Gridai con quanto fiato avevo in corpo, e questa volta fu Ophélie a intervenire. « Ci siamo, bambine. Cécilie stai pronta, Desirée, mia bianca rosa inizia a spingere… presto tutto finirà ». Non comprendevo più nulla, il dolore era troppo intenso, forse accresciuto dalla mia sensibilità ma anche dal mio stato emotivo, dalle brutte immagini e pensieri circa le gravidanze finite male. Tuttavia, feci ogni cosa che mi fu impartita. Quando mi fu detto di spingere, spinsi, di respirare, respirai. Mi sentivo sempre più debole, e non riuscivo a scorgere una fine. Avrei voluto mio marito, che fosse lì a stringermi la mano, ma la consapevolezza di aver fatto un pensiero sciocco mi bloccò. Anche se fosse stato ancora vivo, non era permesso agli uomini di vedere una partoriente. Sbuffai, mentre le contrazioni mi davano una breve tregua. Rimasi distesa e avvertii la mano paffuta di Elodie sul mio viso. Tentava di pulire il mio volto sudato, ma sembrava spaventata, seppur cercasse di non lasciarlo trapelare. Altre contrazioni si susseguirono, mi contrassi tutta, puntellai i piedi sul letto, gridai parole che forse non avevano neanche un senso, me la presi con tutti e con nessuno, non ero in me. Voltandomi notai Claire prendere il posto di Elodie, ora divenuta totalmente pallida. Forse non era in grado di sostenere quella visione, e si accucciò a terra, sprofondando il capo sulle gambe dell’anziana strega. Ophélie pose una mano sui suoi capelli scuri e mormorò parole che non riuscii a sentire, forse nel tentativo di tranquillizzarla. Poi, tutto si fece di nuovo confuso. Strillai ancora, chiesi di porre fine a tutto quel dolore che non credevo di poter sopportare e spinsi con tutta la forza che avevo in corpo, anche se diventava sempre minore. « Non ce la posso fare… non ce la faccio. Basta… vi prego, basta… » E, proprio quando stavo per venir meno, avvertii diverse voci che si mescolavano tra di loro. Avvertii Cécilie spingermi a fare un ultimo sforzo. Vedeva la testa. Il mio piccolo… Sentii Claire sussurrarmi parole incoraggianti e poi impallidire nel vedermi non reagire. Poi, una voce diversa, maschile, ma per sempre indelebile nel mio cuore si unì alle loro, per poi divenire preponderante. Forza mio angelo, fatti coraggio. Un ultimo sforzo e il nostro piccolo vedrà la luce. Non sei sola, non lo sarai mai. Ce la puoi fare, ce la devi fare. Forza, mio amore eterno. Forse spinta da quella voce, in preda alla vana illusione di averlo ancora lì, cercai un ultimo rimasuglio di energia e, gridando, spinsi più forte che potevo… e al mio grido fece eco un pianto acuto. « Ce l’hai fatta, Desirée è nata! » esclamò Cécilie, in preda a una forte emozione. Teneva tra le braccia un esserino minuscolo e rosso che si dibatteva e gemeva. Sbattei le palpebre più volte, cercando di focalizzare la mia attenzione sulla creatura che avevo generato, e mi sorpresi nel sentire quelle parole. « Nata? » chiesi con un sussurro. « Sì, ma chére. È una bambina… una bellissima bambina » confermò, Cécilie. Sentii affiorare le lacrime, quasi non vidi più nulla. L’immagine di quella neonata, di mia figlia, si fece appannata. Ero troppo debole per fare o dire altro. Cécilie la pose su di me ed io allungai leggermente una mano per sfiorarla. Mi sembrava così piccola, così indifesa, così delicata che temevo di farle male. Ormai non avevo occhi che per lei, anche se sentivo qualcuno singhiozzare nella stanza. Compresi che tutte si erano emozionate, unite da un tal evento. « Il miracolo della vita… ho potuto assistervi ancora una volta. Grazie Dea » disse Ophélie, ed Elodie si azzardò solo in quel momento a sollevare di nuovo il capo per vedere la bambina. Cécilie tagliò il cordone ombelicale e prese la piccina per lavarla accuratamente. Poi, me la lasciò di nuovo in grembo, avvolta da fasce, e riprese a occuparsi di me. Quando incrociai i grandi occhi di mia figlia, me ne innamorai subito. La strinsi con delicatezza tra le mie braccia e le sorrisi. « Alizée, il mio piccolo bocciolo » le posai un lieve bacio sulla fronte, e poi lei iniziò a piangere più forte. « Credo che la piccina abbia fame » s’intromise Ophélie. Mi aiutarono a portarla al seno e lei iniziò a poppare, avidamente. Gemetti leggermente a quella sensazione insolita e poi sorrisi tra le lacrime. Le streghe rimasero con me. Il sole stava per sorgere e mi accorsi solo in quel momento di quanto tempo fosse durato quel supplizio che aveva donato una gioia immensa. La bambina si era addormentata tra le mie braccia e il sonno stava cogliendo anche me, ma riuscii appena a dire… « Madame… deve essere avvertita » e a udire la risposta di Ophélie che mi disse che l’avrebbero fatto loro, che crollai in un sonno ristoratore. *
Quando riaprii gli occhi, il sole era già alto e s’insinuava tra la piccola finestra della mia stanza. Le candele erano state spente e la prima voce che mi accolse fu quella di Madame Le Marchande. « Desirée, bambina mia, ti sei svegliata! » Mi sorprese essere chiamata a quel modo da quella donna non facilmente preda dei sentimenti, almeno in apparenza ma sorrisi. « Sì… hai visto mia figlia? » le dissi, ma volgendo lo sguardo sul letto non la trovai. Spalancai gli occhi allarmata, ma poi il suo pianto si fece sentire, e comparve Claire con la piccina tra le braccia. Trassi un respiro di sollievo e tesi le braccia per riprenderla. « Si era svegliata e piangeva. Così ho deciso di prenderla, per non farti svegliare. Avevi bisogno di riposo ». Le sorrisi grata e poi spostai l’attenzione su Madame, che guardò la donna con fare accigliato. « Se avessi saputo prima la cosa, avrei chiamato subito il medico. Padre Paul ne conosce uno molto abile, e… ma come hai fatto? E chi c’era ad aiutarti? » chiese, tesa. « Stai tranquilla, davvero. Non ero sola. Vi era una levatrice di grandi doti e sotto la guida di una donna che dovresti conoscere. Il suo nome è Ophélie ». Madame spalancò le labbra a quel nome, ma poi parve rilassarsi. « Madame Ophélie? Pratica ancora quest’arte? » « Ormai è piuttosto anziana e la sua vista non è più come un tempo, ma ha una preziosa apprendista che si è occupata egregiamente di me. Rincuorati, madre mia, ora sto bene e anche Alizée. Non vuoi vederla meglio? » Madame sembrò rifletterci un po’ su, ma la vidi commuoversi e chinò il viso verso la bambina. Non la sfiorò, ma il suo volto si distese in un sorriso luminoso nell’osservare le pieghe sul viso roseo di mia figlia e quelle manine chiuse a pugnetti. Era adorabile. La bambina più bella del mondo. Perlomeno per il mio cuore di madre. Una volta lavata si poteva scorgere una leggera spruzzata di capelli biondicci, ma i suoi occhi sembravano scuri. « Alizée? » chiese Madame, ed io annuii. « Era un nome stabilito con Flaviano ». La mia voce s’incrinò e la felicità fu distorta dal pensiero che quella creatura appena nata non avrebbe mai avuto un padre. Sarei stata io suo padre e sua madre. L’avrei protetta da ogni male. Lei era il mio bocciolo e nessuno doveva ferirla. « Un nome delizioso… sì » annuì con il capo, e solo in quel momento la figura immobile e silenziosa di Claire s’intromise. « Vi chiedo perdono, ma se non devo esservi di aiuto ancora, Madame Desirée, io tornerei alla mia dimora. Non dovete avere nessun timore di chiedere altro, tuttavia. Sarò pronta a tornare e con me le mie sorelle ». Fui sorpresa nel vederla parlare in tono così formale, tuttavia compresi il motivo. « Andate pure, mia cara, vi ringrazio per l’aiuto vostro e delle vostre sorelle. Portate i miei saluti a Madame Ophélie e, se non dico una sciocchezza, anche quelli di Madame Le Marchande ». Mi voltai verso quest’ultima per avere una conferma e lei guardò prima me e poi Claire. « Esattamente. Spero di poterla incontrare di nuovo, un giorno ». Si fermò un attimo, e poi aggiunse: « Mi prenderò cura io di Desirée, ora ». In quell’istante qualcuno bussò alla porta. Madame si accese subito, e disse: « Deve essere Padre Paul, gli ho detto di passare qui per benedire la nascita della tua creatura ». Incrociai lo sguardo di Claire e mi feci seria. Ora che ero passata alla fede pagana, non vedevo il motivo per cui Padre Paul dovesse benedire la mia piccola, ma poi rammentai le parole spesso sentite presso la Congrega del Salice. Tutte le dee, anche se hanno molteplici nomi, sono un’unica Dea, e tutti gli dei, anche se appartenenti a fedi diverse, sono un unico Dio. Quindi compresi che, in fin dei conti, era come ricevere la benedizione di quell’unico Dio. « Non sono molto presentabile però… » mormorai, notando la mia veste scomposta, e i capelli arruffati. Le mie gote si tinsero di rosso, imbarazzata. Madame prese un mantello e me lo pose addosso, facendo attenzione alla piccina tra le mie braccia. « Padre Paul capirà, non serve essere presentabili davanti a un uomo casto e pio come lui ». Annuii non del tutto convinta e le concessi di andare ad aprire. Non appena fu uscita dalla stanza, Claire si chinò su di me e prese la pietra da sotto il cuscino. « Meglio non rischiare. Lui non capirebbe » sussurrò. La fece scomparire in una tasca della veste e aggiunse: « Torneremo presto, mia dolce ». « Grazie di tutto… davvero ». La salutai, ma mentre lei si stava avviando verso l’uscita, padre Paul entrava nella stanza. Lo vidi soffermare i suoi occhi su di lei e per un attimo sembrò scosso, forse dalla sua nobile bellezza, e dentro di me sorrisi, pensando a quanto fosse veramente casto e pio quello che era comunque un uomo, con le sue passioni. Poi, deglutì, e tornò a donare attenzione alla stanza e infine a me. Inarcò le sopracciglia, perplesso, forse nel notare la mia condizione non così adatta alla presenza di un uomo, ma poi si avvicinò di qualche passo al letto. « Madame Chervalie lieto giorno » chinò appena il capo, ma poi scese con lo sguardo sulla piccina addormentata tra le mie braccia. « Questa deve essere la creatura. Quale nome le avete donato? » chiese, ed ebbi come la sensazione di essere sotto interrogatorio. Deglutii e poi dissi con fermezza: « Alizée. È il nome che suo padre ed io abbiamo deciso nel caso fosse nata una bambina ». Padre Paul si accigliò di nuovo e in quel mentre tornò Madame. « Padre Paul non è una bambina incantevole? » « Tutti i bambini sono uguali dinanzi a Dio. Se il suo cuore rimarrà puro come in questa sua infanzia, sarà sicuramente incantevole agli occhi dell’Unico Altissimo ». Io rimasi in silenzio, reprimendo risposte non adatte. Lui sembrò riflettere ancora un po’ su, ma poi alzò una mano e iniziò a compiere la sua benedizione in nome di Dio sulla bambina. Guardai Alizée dormire tranquilla, al sicuro tra le mie braccia, e in quel momento compresi davvero il motivo per cui dovevo andare avanti. Le avrei donato tutto il mio amore e lottato per lei fino alla morte. _______________________________________________________________________________________________________________________________________ Non sono proprio soddisfatta di questo capitolo, ma spero che non sia scritto male. Ovviamente, se trovate errori, non esitate a farmeli notare! :) In questo capitolo non succede molto ai fini della trama, ma arriva un altro delizioso personaggio, non trovate? La piccola Alizée! *_* Vi piace? Ancora si vede poco, ma pian piano la conoscerete meglio! A presto, e grazie a chi legge, lascia recensioni e ha aggiunto questa storia tra le preferite, ricordate e seguite! Alla prossima :) |
Capitolo 28
*** XXVII - Amicizia ***
XXVII
Amicizia
Nei giorni seguenti ci fu un gran via vai. Tutti coloro che mi conoscevano volevano congratularsi con me e vedere la bambina. Ero un po’ disorientata e non abituata a quel flusso di persone nella mia umile dimora. Sebbene avessi ripreso leggermente le forze, grazie anche ai sostanziosi pasti di Madame e agli infusi d’erbe di Cécilie, mi sentivo ancora piuttosto stanca ed ero, almeno in un primo momento, allarmata a causa di quel sangue che fuoriusciva dal mio corpo in maniera inconsueta. Sia Ophélie sia Madame, tuttavia, mi tranquillizzarono e la vecchia strega mi diede un ulteriore infuso d’erbe per attenuare il flusso e alleviare i dolori che ancora mi coglievano. Vedere tutti quei volti, mi provocava un leggero fastidio. In verità solo alle donne era permesso di accedere alla “stanza del parto”, mentre gli uomini restavano in cucina e, nell’udire la voce chiassosa del buon oste Jean, compresi che aveva preso pieno possesso del luogo. Al pensiero sorrisi, era un buon uomo e sapevo che non avrebbe arrecato danno alcuno. Le donne mi circondavano e le loro voci formavano un brusio che ben presto mi fece perdere il senso delle loro parole. Eppure accanto ai sorrisi, vedevo sguardi densi di pietà. Alcune bisbigliavano tra loro, scuotevano il capo e, quando intercettavano il mio sguardo, si sforzavano di sorridermi. Avevo però imparato a distinguere un verso sorriso che fa illuminare gli occhi da uno falso e forzato e la cosa m’irritò. Strinsi la piccina a me e le sussurrai parole di conforto. L’avrei cresciuta da sola e resa una donna splendida e, quando fosse stata abbastanza grande da capire, le avrei parlato di suo padre, dell’uomo amabile che era e di quanto amore le avrebbe dato. Ricacciai indietro le lacrime, non volevo piangere dinanzi a quelle persone, non avevo bisogno della loro pietà e anzi, ciò serviva unicamente a rendermi più forte e a fronteggiare la vita a testa alta, perché io non avevo peccato e la Dea e il Dio avrebbero vegliato su di noi. *
« Così è lei Alizée », disse Sylvie guardando la neonata che dormiva nella culla. Aveva portato con sé Ophélie e la piccola Lydie che, curiosa, si era avvicinata e guardava estasiata la creaturina. « Oh! M-ma è è… s-simile a t-t-te! I ca-capelli bi-biondi… » Notai che come al solito la bambina che avevamo accolto mesi prima si soffermava sui capelli, forse dentro di lei non aveva ancora superato il suo timore per la sua chioma color del sangue. « Sì, ma ha gli occhi di suo padre » risposi. In effetti con il trascorrere delle settimane gli occhi di Alizée avevano assunto le sfumature del legno, come quelli di Flaviano. « Questo ti crea disagi? » chiese Sylvie, ruotando gli occhi blu su di me. Io abbassai i miei e risposi: « Inizialmente sì. Sono uguali a quelli di Flaviano, ma ormai penso che probabilmente la Dea abbia voluto far rivivere il suo ricordo in nostra figlia. Ogni volta che guardo i suoi grandi occhi, è come se lui fosse ancora qui ». «… e lui sarà sempre con voi, perché è dentro di te… » s’intromise Ophélie posandomi una mano all’altezza del cuore, «… nel tuo cuore. » La guardai e avvertii le lacrime pungermi gli occhi, ma poi le sorrisi. « To-tornerai a-al Sa-sa-salice? » mi domandò Lydie, distogliendo l’attenzione da Alizée. « Certo. Non appena potremo uscire, tornerò… se la piccola è ben accolta », così dicendo soffermai lo sguardo su Sylvie, come per conoscere da lei la risposta. « Potrai tornare quando vorrai. La piccola è un dono della Dea e potrai portarla con te. Ma… dovrai fare più attenzione ora. Gli sguardi del popolo e di Padre Paul sono su di te e non vorrai mettere in pericolo la tua vita, la sua e la nostra, non è vero? » Il suo sguardo intenso mi pulsò dentro, ma io lo sostenni fermamente. « Non farò mai nulla per mettere a repentaglio la vita di chi amo. Verrò solo quando sarò sicura di non essere vista o seguita ». In quel momento sentii la porta aprirsi e vidi Lydie indossare subito della stoffa per coprire i suoi capelli. Colsi la paura nel suo sguardo e desiderai ancora di più proteggerla. Sylvie l’aiutò, notando il suo tremolio e quando udii la voce di Madame Le Marchande mi rincuorai. Entrò nella stanza e interruppe quanto stava dicendo nel notare la presenza delle tre figure femminili, ma quando soffermò l’attenzione su Ophélie, spalancò le labbra. « Ophélie siete proprio voi? » domandò con un fil di voce. « Sì, mia cara Angélique. I miei occhi sono coperti da un velo, ma riconoscerei la vostra voce anche da lontano ». Le guardai emozionata, mentre si ritrovarono dopo anni. Erano state amiche un tempo, ma gli anni erano avanzati in fretta e le giovani si erano perse, per poi ritrovarsi ormai anziane. In quel momento, però, notai un’altra presenza: dietro Madame era spuntata Julie che guardava seria l’altra bambina, Lydie. Non riuscivo a decifrare il suo sguardo. Sembrava come… gelosa. « Nonna credo che sia meglio andare ora. Lasciamo Madame Chervalie in buona compagnia » disse Sylvie e mi sorpresi nel sentirla parlare così, ma dovevano per forza giocare sulla finzione. « Certamente. Angélique è stato un piacere rivedervi. Vi saluto ora, con la speranza che le nostre strade possano tornare a incrociarsi di nuovo, prima della fine ». Tese le sue mani a cercare quelle di Madame, la quale, dopo aver esitato un poco, ancora sorpresa, le strinse alle sue. « Lo spero vivamente anch’io… » mormorò, emozionata. « Desirée prendetevi cura di voi stessa e della vostra splendida creatura. Vi attendo presto ». Lydie mi abbracciò con tenerezza e mi baciò sulla guancia destra. Io la strinsi a me e ricambiai il bacio, ma mi sentivo osservata e, quando sollevai lo sguardo, incrociai quello pieno di rabbia di Julie. Decisi di affrontare in seguito la cosa e mi rivolsi alle streghe. « Vi ringrazio della vostra visita e portate i miei saluti alle vostre sorelle ». Sylvie, Lydie e Ophélie si congedarono ed io rimasi da sola con Madame e Julie. « Julie, cara, non vieni ad abbracciarmi? » L’apprendista sarta rimase, per qualche secondo, rigida sul posto, ma poi corse tra le mie braccia e mi strinse con foga. « Ma pétite, non vedo l’ora di vedere i tuoi progressi! » Lei mi liberò dalla sua stretta e arrossì tutta, ma poi sfilò un biglietto dalla tasca della veste e me lo porse dicendo: « Il capitano Svensson vi manda i suoi saluti e mi ha chiesto di consegnarvi questo ». Presi il biglietto, sorpresa, e iniziai a leggerlo. M.elle
Chervalie, vi porgo le mie più sentite congratulazioni
riguardo al lieto avvenimento appena accadutovi. Sperando che sia per
Voi motivo di gioia, capace di farVi superare i dolori recenti, mi
dichiaro a Vostra disposizione qualora aveste bisogno di qualsivoglia
cosa. Spero accettiate quindi questo piccolo omaggio per Vostra figlia.
Quando conclusi la lettura, Julie si fece avanti e mi porse una piccola bambolina di stoffa, semplice ma graziosa. *
La luce del sole s’insinuava elegante tra i rami degli alberi, riverberando sul manto erboso adorno dei primi fiori della primavera nascente. Sedevo a terra, in quello spiazzo d’erba che più di una volta mi aveva avuta come ospite e che serbava, come un amico silenzioso, ricordi d’amore, d’amicizia, ma anche di dolore. Sorreggevo la mia bambina, che batteva le mani divertita. I mesi erano trascorsi velocemente e Alizée era sbocciata, mostrando i miei tratti, l’oro nei capelli, ma i suoi occhi castani erano un chiaro ricordo di mio marito. Con il passare dei giorni il mio cuore si era rassegnato alla perdita, ma questo non m’impediva di svegliarmi talvolta nel cuore della notte e di tastare il letto nella vana ricerca del mio amato. Il mio Flaviano. Al suo posto un’altra figura maschile si era fatta più presente nella mia vita: Mickel Svensson, il Capitano delle Guardie del Conte. Mi aveva promesso di essermi vicino dalla nascita della piccola e da quando Louise-Marie ci aveva lasciato senza spiegazioni di sorta, c’eravamo avvicinati solo al fine di aiutarci a vicenda e di sopperire all’assenza dei nostri rispettivi amori. Quella vicinanza mi fece ben presto comprendere che il mio iniziale disprezzo nei suoi confronti non aveva motivo di esistere, giacché sotto quella scorza di ghiaccio si nascondeva un animo nobile. Non riuscivo ancora a comprendere molti dei suoi atteggiamenti né tantomeno i suoi pensieri, che sembrava celare dietro quello sguardo freddo e distante, e in verità non sapevo neanche molto del suo passato. Sembrava sempre non volerne parlare ed io lo rispettavo. Era divenuto come un amico e questo mi bastava. Mi soffermai sul suo sguardo che seguiva i movimenti di Alizée. Si era affezionato molto a mia figlia, cosa che mi aveva destato stupore da principio, forse perché si sentiva in colpa della morte di suo padre, o forse perché anche a lui quegli occhi castani glielo rammentavano. « Pensate ancora a lui? » domandai spezzando quel silenzio tra noi. Mickel si voltò sorpreso e poi tornò a guardare la piccolina. « Come potrei non farlo? » fece una breve pausa e poi aggiunse « a lui devo la mia vita ». Annuii, spostando per un attimo lo sguardo sulla bambina che, a nove mesi, mostrava già una certa vitalità, ma poi ripresi parola. « È da molto che sento il desiderio di chiedervelo, ma non ho mai trovato il momento opportuno, o forse non ne ho mai avuto veramente il coraggio ». Lui tornò a guardarmi, i suoi occhi grigi mi fissarono con curiosità e mute domande. « Che cosa è successo quel giorno? » Chiuse gli occhi e rimase in silenzio per diversi attimi che mi apparvero come lunghi e infiniti minuti, poi disse: « Eravamo riusciti a mettere in fuga diversi nemici ma, quando credevamo di aver vinto, uno di loro si scagliò furente verso di me. Mi colse impreparato. Avevo fatto l’errore di abbassare la guardia per un momento e in un lampo vidi la Morte davanti a me… Ma… » si fermò e lessi nella sua voce la difficoltà nel proseguire « … Flaviano se ne accorse e si parò davanti a me. È morto per proteggermi… » Riaprì gli occhi e vidi ardervi il fuoco. « Lo vendicai, non ebbi pietà. Corsi poi da lui e sperai di non arrivare troppo tardi. Volevo salvarlo, dare la mia stessa vita per lui, ma era troppo tardi. Mi fece promettere di proteggere voi e il figlio che recavate in grembo ed è quello che intendo fare ». Sentii le lacrime pungermi gli occhi ma le ricacciai indietro. Strinsi a me Alizée e poi domandai ancora. « Dove riposa ora il suo corpo? » Non avevo potuto vederlo, né piangere sulla sua tomba. Flaviano dimorava solo nel mio cuore e il suo corpo? « Ho provveduto a tumularlo su una collina nei pressi del luogo della battaglia. Lì giace e il punto è indicato da una croce di legno sprofondata nella terra, come memento ». Gli sorrisi grata per quel suo gesto e compresi con più intensità l’affetto vero e sincero che l’univa a Flaviano. Ero certa che anche lui avrebbe fatto lo stesso e quella protezione che ci donava mi faceva sentire meno sola. Posai una mano sulla sua e la sfiorai leggermente. « Non dovete sentirvi in colpa per quanto è successo. Flaviano ha fatto il suo dovere, prima come soldato ma soprattutto come amico. Vi era veramente affezionato. Sono sicura che voi avreste fatto lo stesso, perché il vostro cuore è nobile » gli sorrisi ancora una volta, arrossendo lievemente quando lui mi guardò con una tale intensità da penetrarmi nell’anima. Mi ci volle qualche secondo per ritrovare la voce, e continuare. « In questi mesi ci siete stato molto vicino e vi devo ringraziare dal profondo del mio cuore. Avete contribuito a farmi andare avanti, nonostante la grande perdita ». Mickel non disse nulla, limitandosi a muovere le labbra in una parvenza di sorriso, ed io mi accorsi solo in quel momento di aver lasciato ancora la mia mano sulla sua. L’allontanai subito, sfiorando i riccioli di Alizée che giocava serena con i ciuffi d’erba. Restammo qualche ora ancora in quell’angolo di Sivelle silenzioso e riparato dal chiasso del centro. Non c’era bisogno di grossi discorsi tra noi. Rispettavamo i nostri silenzi e ciò mi portò a concentrarmi sulla natura circostante. Il tempo era volato dalla nascita di Alizée. Inizialmente mi ero trovata in difficoltà. Il dolore era troppo grande nonostante la gioia di quel nuovo arrivo; non avevo esperienza come madre e, se non fosse stato per le mie sorelle streghe e per Madame Le Marchand, mi sarei sentita persa. Non tornai troppo spesso al Salice, ma solo quando l’opportunità si presentò e non mi sentii veramente sicura di non essere vista. Alizée diventò il nostro piccolo gioiello e tutte l’adoravano immensamente. La dolcezza infinita di Lydie con la mia piccola mi riempiva il cuore. Quella bambina aveva tanto sofferto a causa della cattiveria umana, ma ora poteva finalmente vivere la sua infanzia, in un ambiente dove l’affetto era grande. L’antro era un luogo magico, fuori dal mondo reale, dove potevamo essere al sicuro dalla crudeltà, dalla violenza e praticare quelle semplici lezioni che ormai non mi sembravano più atti dettati dal Demonio. Mi recavo ancora in chiesa a sentire i sermoni di Padre Paul, ma puramente per non essere vista male e recare turbamenti a quella serenità nella quale ero riuscita a entrare di nuovo. Madame Le Marchand si rivelò essere – con grande stupore di molti – una splendida nonna, ed io ormai non riuscivo a non vederla come una nuova madre. Eppure c’era un altro vuoto che non poteva ancora essere colmato. Nessuna lettera arrivò. Nessuna notizia. « Avete avuto notizie da lei? » Un’ombra oscurò il viso di Mickel, e poi scosse la testa. « No. È a Parigi, l’unica cosa che sono tenuto a sapere ». « Non mi sembra giusto. Voi siete il suo uomo, vi dovevate sposare presto e… mi sembra così strano che ancora non abbia mandato notizia alcuna ». Si strinse nelle spalle, ma mantenne il silenzio per qualche istante. « Non obbligo nessuno a restare » disse, ed io non riuscii a rispondere se non dopo diversi minuti. « Mi manca. A volte vorrei correre da lei a conversare come un tempo, ma lei non c’è più. È un’ombra che via via sbiadisce nei ricordi… » Mi sentivo arrabbiata e ferita. Non ero più preoccupata, perché i Conti avevano confermato che era viva e felice presso la corte reale, ma mi sentivo messa da parte come se, ora che viveva in un ambiente più altolocato, io non contassi più nulla per lei. Poi mi dispiaceva anche per come si era comportata con il suo uomo. L’amava aveva detto e avrebbe voluto sposarlo. Lui era quello giusto e perché lo aveva lasciato senza una parola? Sospirai, affranta, ma poi avvertii un soffio d’aria fredda sferzarmi il viso. Rabbrividii e Mickel se ne accorse. Mi guardò e poi osservò il cielo. « Il sole sta per tramontare, è meglio tornare a casa, il freddo può far male alla bambina ». Annuii al suo dire e, stringendo Alizée a me per ripararla dall’aria, mi alzai e, insieme, tornammo nella mia dimora, dove mi lasciò. *
Maggio tornò e portò con sé il triste ricordo della morte del mio amato. Quel giorno stesso mi svegliai e, affacciandomi sulla strada, rammentai l’immagine dell’anno precedente. I soldati che tornavano, ma lui non c’era. Una fitta ferì il mio cuore e, ancora una volta, le lacrime sgorgarono improvvise e non ci fu modo di bloccarle. Caddi a terra e il mio corpo fu scosso da singhiozzi. In quel momento il pianto di Alizée risuonò nella casa, e mi spinse a ritrovare la forza per rialzarmi. Non era facile, ma dovevo essere determinata per lei. Detersi le lacrime con una manica della veste e mi avvicinai alla culla dove la piccola piangeva. La presi tra le braccia e la cullai amorevolmente per placarla. « Mio dolce tesoro, bambina mia, shhh ». Nonostante la mia voce fosse leggermente roca, intonai una dolce nenia per farla addormentare di nuovo. Pian piano il pianto sfumò, fino a terminare del tutto. Osservai quegli occhi così uguali a quelli di suo padre, e trattenni le lacrime a stento, fino a quando non si chiusero e Alizée si addormentò. « Ti proteggerò sempre… » mormorai appena, stringendola ancora un poco a me. Era l’unico dono che la vita mi aveva lasciato per ricordare quell’amore che pensavo potesse durare per sempre, e nessuno me l’avrebbe potuto togliere. Stavo per rimettere la piccola nella culla, quando qualcuno bussò alla porta, nonostante fosse ancora leggermente aperta. Riconobbi la voce di Mickel e, in quel momento, fui felice di vederlo. Avevo voglia di qualcuno che potesse proteggermi, distogliermi da quel dolore che era tornato a gravarmi nel cuore e, sebbene non ne comprendessi il motivo, desideravo veramente che la persona che aveva bussato fosse lui. « Entrate pure, Capitano Svensson » lo invitai con un gesto a entrare e poi aggiunsi « lascio la piccola e sono subito da voi. » Mickel annuì reclinando appena il capo. Lasciai scivolare mia figlia sulla sua culla e poi tornai da lui, invitandolo ad accomodarsi, ma lui rispose: « Non sono qui per restare, ma solo per farvi una richiesta ». « Ponetemi pure qualsiasi domanda, Capitano » replicai, guardandolo con una nota di curiosità. Il suo viso si contorse, come se gli costasse molto parlare. In verità, rispetto ai primi tempi, si era aperto con me, ma vedevo che in certi momenti era come se gli costasse molto abbassare quella sorta di muro che lo distaccava dagli altri. « Un anno è trascorso e vorrei tornare alla collina. Vorreste venire con me? » domandò e i suoi occhi grigi attirarono i miei. Ci misi qualche secondo per comprendere e poi sentii le lacrime tornare a pungermi gli occhi. « Sì, ma… la bambina? » « Potete lasciarla a Madame Le Marchand. Il viaggio non è molto lungo, ma potrebbe crearle problemi ». Presi qualche minuto per rifletterci su, poi annuii. « Concedetemi qualche minuto per organizzare tutto e poi vi seguirò. Possiamo vederci all’ingresso della città ». « Bene, vi attenderò lì ». Chinò appena il capo e uscì, ed io mi recai velocemente alla Maison di Madame, portando con me la piccola che continuava a dormire beata tra le mie braccia. Quando Madame mi vide, strabuzzò i piccoli occhietti grigi ed indagatori, con sorpresa. « Desirée cosa ci fai qui? Uh, parbleu, c’è anche la piccolina ». Sorrisi divertita nello scorgere il suo viso, segnato da rughe sempre più evidenti, illuminarsi nel notare Alizée. « Devo chiedervi un favore, Madame. Potreste tenermi la piccina per un giorno? » « Certamente, ma posso chiederti il motivo di una tale richiesta? » domandò, posando appena una mano su quella di mia figlia, ma rivolgendo il suo sguardo su di me. « Il Capitano Svensson mi ha proposto di andare con lui alla collina ove riposa il mio amato Flaviano » confessai, abbassando il tono di voce per non farmi udire troppo dalle altre presenti. Madame socchiuse gli occhi, guardandomi torva, e bisbigliò. « Voi sola con il Capitano? » « Perché questa domanda? Non ci vedo nulla di sconveniente. Mi vuole portare alla tomba di mio marito » risposi dapprima veemente alla sua domanda, ma poi aggiunsi, cercando di rilassarmi, « è passato un anno da quando Flaviano è morto e non ho potuto piangere mai sulla sua tomba, sul suo corpo. Potevo solo aggrapparmi ai ricordi e so bene che sono importanti, ma voglio vedere dove il suo corpo mortale riposa ». Madame mi osservò ancora con titubanza, ma poi sospirò. « Va bene, lascia la bambina a me, ma cerca di tornare presto ». Tese le braccia per prendere Alizée ed io, dopo aver dato un bacio sulla testolina bionda, la lasciai – seppur con un po’ di riluttanza giacché era la prima volta che mi allontanavo abbastanza dalla mia bambina, anche se per poco – a Madame che l’accolse con allegria. Com’era cambiata. O forse, era meglio dire che era questa la vera Madame che si celava dietro una scorza dura. Mickel Svensson mi attendeva davanti alle mura principali della città di Sivelle, e recava con sé due cavalli: una puledra dallo splendido manto marrone e uno stallone nero. Gli sorrisi lievemente e poi iniziammo il nostro percorso. « Siete disposta ad andare veloce? » domandò, dopo un breve tratto a passo tranquillo. « Credete che solo voi sappiate cavalcare? » domandai, schernendolo un poco, e poi spinsi la puledra a farsi più celere, sorprendendo forse lo stesso Capitano che, tuttavia, in cima al suo destriero scuro come la notte, riuscì in breve tempo a raggiungermi e superarmi. Acquisimmo ben presto una notevole velocità; sentivo il vento insinuarsi tra i miei boccoli e sferzarmi sul viso. Tuttavia la ritenevo una sensazione piacevole: l’aria era il mio elemento, la mia essenza, la sostanza immateriale cui ero più affine e non mi disturbava. Anzi, era un’amica che sussurrava parole leggere, mi accarezzava e teneva compagnia in quel viaggio che mi avrebbe portata ove il corpo del mio amato riposava da oltre un anno. Ci fermammo solo un paio di volte a ristorarci e far abbeverare i cavalli. Non parlammo molto, ma notai quanto anche lui si trovasse in perfetta sintonia con la natura. L’osservai mentre chiudeva gli occhi e sembrava ascoltare una sinfonia nascosta, ed io rivolsi i miei occhi al cielo, così limpido, se non fosse per qualche soffice nuvola bianca che lo colorava un poco. Amavo perdermi a osservare quel punto lontano e infinito, e scoprire le forme più particolari che le nuvole assumevano. Quando ormai era giunto il crepuscolo, Mickel si volse verso di me e indicò una piccola sommità non lontana da un sentiero che fuoriusciva dalla foresta. Sollevai lo sguardo e notai una sagoma nera che sembrava come una croce cristiana e compresi che era quello il posto. Improvvisamente avvertii un senso di freddo e mi strinsi nel mantello blu, mentre i nostri passi ci spinsero sempre più vicini. Mickel scese a terra e lasciò il cavallo, poi aiutò anche me. Lo ringraziai e poi tornai a voltarmi verso la croce conficcata a terra. Mi sentii a un tratto pesante, le mie gambe tremavano, mentre mi muovevo fino a quel punto sotto il quale riposava nel suo sonno eterno – almeno per i cristiani – il corpo del mio amato marito. Crollai a terra e sfiorai con le mani la croce, leggermente logora, ma ancora resistente al tempo. Subito affiorarono ricordi di un tempo che fu, nel quale eravamo felici e innamorati, progettavamo un futuro insieme. Ma ora? Tutto era svanito come cenere nel vento. Non riuscii a trattenere ancora le lacrime che scesero con prepotenza a rigarmi il volto. Posai le mani sul terreno, come se potessi toccare anche lui, e invocai più volte il suo nome. Flaviano, Flaviano, Flaviano… A un tratto, però, avvertii un tocco leggero sulla mia spalla destra. Mi voltai con gli occhi ancora colmi di lacrime e notai Mickel al mio fianco, che si sforzava di mantenere un aspetto forte, ma nei suoi occhi leggevo il profondo dolore che, in un certo senso, ci univa ed era rivolto al medesimo uomo che avevamo amato, seppur in modi differenti. Dopo non so quanto tempo, mi sollevai da terra, detergendomi le lacrime con la manica della veste, e guardai per l’ultima volta il punto in cui solo la croce rimaneva a memento del mio amato. Guardai Mickel e i nostri occhi s’incontrarono scambiandoci muti pensieri. Lo ringraziai senza parole e lui scosse leggermente il capo e poi, istintivamente, mi ritrovai tra le sue braccia, forse desiderosa di un gesto di conforto – e che potesse confortare nel medesimo momento anche lui -. Mickel sembrò inizialmente sorpreso da quel mio slancio, ma poi mi circondò con le sue forti braccia e mi lasciò sfogare in silenzio. Aveva imparato a conoscermi ed io gli fui grata, perché in quel momento non potevano esservi parole adatte per confortarmi e l’unica cosa che occorreva era il suo abbraccio. L’abbraccio protettivo e affettuoso di un amico. |
Capitolo 29
*** XXVIII - Notte di Mezza Estate (parte prima) ***
XXVIII
Notte
di Mezza Estate
(prima parte) Una fiamma riverberava nell’oscurità della collina. C’eravamo accampati lì per la notte, sotto un cielo denso di stelle e completamente sgombro da nubi. Non avevo mai passato la notte all’aperto, ma in compagnia del Capitano Svensson potevo mantenere una certa tranquillità. Con il trascorrere dei mesi avevo iniziato a fidarmi di lui e, dopotutto, era un uomo d’armi ma anche d’onore. Ero avvolta nel mio mantello, cercando di ripararmi da una leggera brezza che mi sfiorava il collo. I miei occhi erano fissi sulle fiamme, ma con il pensiero le oltrepassavo, scrutando la croce sotto la quale riposava nel suo sonno eterno l’unica persona che avevo amato. Il mio uomo, la mia vita, mio marito. Il Capitano era lì, inginocchiato dinanzi alla sua spada conficcata nella terra, e sembrava mormorare delle parole che al mio udito non erano comprensibili. Non era la mia lingua, era così distante, così diversa. Sembrava assorto come in preghiera e fintanto che proseguì, non me la sentii di parlare. Lo fissai ammirata e anche confusa, e poi lui sfilò la spada e tornò a sedersi di fronte a me, gettando rapidamente gli occhi sul fuoco, come se volesse controllarlo. « Capitano Svensson? » domandai, dopo qualche altro breve attimo di silenzio. Lui sollevò lo sguardo verso di me ed emise solo un leggero mugulio come a farmi comprendere che ascoltava. « Posso farvi una domanda? » aggiunsi e, al suo gesto di assenso con il capo, continuai: « Che cosa significavano quelle parole che avete detto dinanzi alla croce sotto la quale riposa Flaviano? » Lui mi guardò per qualche istante, e il suo sguardo era pensoso, come chiedendosi mentalmente se parlarne con me o meno, ma poi schiuse le labbra e disse: « Ecco, io là vedo mio padre. Ecco, io là vedo mia madre e le mie sorelle e i miei fratelli. Ecco, là vedo tutti i miei parenti defunti, dal principio alla fine. Ecco, ora chiamano me, m’invitano a sedermi in mezzo a loro nella sala del Valhalla. Dove l’impavido può vivere per sempre. » Inarcai le sopracciglia turbata. Non riuscivo a comprendere questa sua “preghiera”, né cosa fosse questo Valhalla che non sapevo neanche pronunciare nel verso giusto. Lui mi sorrise divertito, forse cogliendo il mio turbamento e poi aggiunse: « Quella che vi ho appena detto è una preghiera del mio popolo. La recito nei momenti di sconforto per pensare che il sacrificio dei valorosi non sia mai vano ». Il sacrificio dei valorosi. Gli sorrisi grata e mi sorpresi per l’ennesima volta nel comprendere quanto puro e vero fosse stato – e fosse ancora reale – il suo tipo di amore nei confronti del mio amato sposo. Non era unicamente stato un suo sottoposto, ma un fratello, il suo braccio destro, la sua seconda spada. Restammo a parlare ancora un poco intorno al fuoco, per poi mangiare qualcosa che il bosco ci offriva. Bacche e una lepre che Mickel era riuscito a scovare. Poi ci sdraiammo a terra, pur mantenendo una certa distanza tra noi, per vero rispetto, e mi ritrovai a fissare le stelle immote sull’arco celeste. Erano così tante, così brillanti, di una bellezza di poco inferiore alla Luna. Il volto della Grande Madre risplendeva donando un sorriso alla terra, ma le sue piccole figlie o sorelle non erano da meno. Ognuna di loro, come ogni creatura vivente, poteva avere il suo scopo, il suo particolare attributo che le rendeva ognuna speciale a suo modo. Incantata dalle bellezze della natura e del cielo, mi strinsi il mantello intorno al corpo e pian piano mi addormentai, sognando di riposare tra le braccia del mio amato sposo. Il mio riposo fu turbato da un ululato. Tremante mi ridestai, guardandomi intorno allarmata. Il Capitano Svensson era immobile, ritto, frapponendosi tra me e la foresta, mentre posava appena la mano sul pomo della spada. Lo osservai, affascinata, nonostante il terrore che s’insinuava in me. Un altro ululato mi spinse a gemere ma fui zittita quasi bruscamente dall’uomo al mio fianco. Cercai di ripararmi accanto al fuoco ormai quasi morente, le ultime fiamme rischiaravano leggermente la collina, permettendoci di non essere completamente al buio. Non osavo parlare, nonostante avessi domande che mi agitavano e non mi mossi oltre, attendendo eventuali ordini dal Capitano. Lui, immobile, scrutava con attenzione tra gli alberi, fino a quando sembrò udire qualcosa che io non fui altrettanto abile da sentire. Lasciai vagare il mio sguardo tra gli alberi e, infine, notai due occhi lucenti osservarmi con aria famelica. Non mi servì aguzzare la vista per vedere meglio, immaginavo perfettamente quale belva fosse. I lupi avevano infestato molte volte i miei sogni da quando era giunta voce che potessero trovarsi anche a Sivelle, e ora il pericolo era reale. Istintivamente mi ritrassi, fermandomi quando sentii il calore sempre più opprimente del fuoco. Sapevo che quegli animali ne avevano il terrore e un poco mi rincuorava rimanere così vicina a quell’elemento, che in verità, mi trasmetteva timore. Avrei voluto usare qualche incantesimo del mio elemento, ma non potevo farlo dinanzi a Mickel, e quindi pregai mentalmente la Dea di aiutarci e guidare la mano del Capitano o spingere il lupo ad andarsene. Ad un tratto sentii l’uomo mormorare parole incomprensibili. I suoni erano duri, lontani dalla mia lingua, ma li associai subito alla sua terra, poiché erano così simili alla preghiera che aveva intonato in precedenza. Lo vidi chinarsi appena, puntando i suoi occhi di ghiaccio contro quelli lucenti del lupo che, dapprima feroce, sembrò farsi sempre meno aggressivo. Mi domandai silenziosamente il motivo per cui non avesse ancora estratto la spada, ma poi restai palesemente sorpresa da ciò che avvenne: con un guaito il lupo sembrò chinar la testa per un istante e poi prese a correre lontano, liberandoci dalla sua presenza. Mickel tornò ben dritto e si voltò verso di me unicamente quando il lupo fu ormai scomparso ed io lo guardai, sorpresa e confusa. « Co-come avete fatto? » domandai con un filo di voce. Lui scosse il capo leggermente, facendo qualche passo verso di me, ma guardando oltre la mia figura. Sembrò perdersi un momento nei suoi pensieri ma, infine, rispose. « Nella mia terra vi sono numerosi lupi e ho imparato a conoscerli. Molti temono che siano belve malefiche, ma spesso la loro ferocia è dettata dalla fame o dalla paura ». « Paura? » domandai, un tantino perplessa. « Esatto, paura. Anche loro ne hanno » replicò con freddezza. « Avete pronunciato solo delle parole nella vostra lingua e… e… il lupo è scappato, anzi si è quasi inchinato a voi, prima di andare via. Io… non comprendo ». « Siete una donna troppo curiosa » disse, sfoggiando un sorriso sarcastico che quasi mi irritò se non fossi stata ancora scossa dalla paura e dalla confusione che mi aveva arrecato quella scena. « Dovreste dormire. V’è ancora qualche ora all’alba, e il viaggio di ritorno non è breve ». Non disse altro ed io compresi dal suo tono di voce, secco e tagliente, che non c’era possibilità di porre ulteriori domande. Tornai a sdraiarmi avvolta dal mantello, ma non riuscii a prendere subito sonno. Non era facile per me non provare paura di ritrovarmi addosso quella belva, anche se il Capitano aveva dimostrato doti maggiori di quelle che gli attribuivo. Il mattino giunse in fretta e mi accorsi di essermi, infine, addormentata, giacché avvertii le grandi mani di Mickel scuotermi un poco, con un tentativo di grazia che non gli apparteneva troppo, ed io mi ritrovai a osservare il sole che – ancora basso – tingeva di luce dorata la collina sormontata dalla piccola croce. Mi sollevai, mangiai qualche cosa, e poi sfiorai ancora una volta il terreno sotto il quale giaceva il corpo di mio marito. Qualche lacrima, ingrata, riuscì a scivolare di nuovo dai miei occhi, ma poi fui pronta per partire. Dovevo tornare a casa dalla mia piccola, prima che Madame pensasse che mi fosse successo qualcosa di grave o di scandaloso. *
« Ti manca ancora? » mi domandò Claire, mentre eravamo sedute a osservare la piccina che giocava allegra nella grande sala della Congrega del Salice. Ora che Alizée aveva ormai un anno, andavo più spesso a trovare le mie sorelle per apprendere le loro arti, ma anche per trovare una piacevole compagnia. La guardai per un momento, sprofondando in quegli occhi verde-acqua e poi annuii. « Sì. Nonostante sia passato un anno, non riesco a dimenticarlo. Ogni mattina mi sveglio nel nostro letto e lo sento vuoto. Senza di lui mi sembra sempre più duro andare avanti… Credo che questa mancanza non avrà mai fine ». Claire mi prese le mani stringendole un poco tra le sue, comprensiva. « Ti posso ben comprendere ». Inclinai appena la testa di lato, lasciando scivolare i biondi boccoli liberi da fermagli o altro, e chiesi: « Anche tu hai perso una persona amata? » « Sì, ma non allo stesso modo » rispose e socchiuse appena gli occhi, prima di continuare. « Non era di nobile nascita, come me, e mio padre non poteva accettare che la sua unica figlia si perdesse tra le braccia di un umile servitore. Ero destinata a sposare qualcuno di più altolocato per non gettare la nostra famiglia in disgrazia e farla risorgere a uno splendente futuro. Ma io volevo seguire il cuore e non la ricchezza. Così una notte scappai con il mio amato, e raggiungemmo Sivelle ». Sospirò e riaprì gli occhi che si erano fatti liquidi, come se il suo elemento affine volesse palesarsi con intensità. « Eravamo felici insieme. Non m’importava di non avere più ricchi abiti, o servitori, o una dimora sontuosa. Poi, un giorno lui cambiò. Si fece scontroso, scostante. Si allontanò da me, fino al punto di sparire del tutto. Non potevo tornare a casa mia, e neanche volevo. E poi ho incontrato Sylvie… » Mi commossi nell’ascoltare le sue parole e scorgere la fragilità che si nascondeva dietro quell’aspetto algido e forte, le sfiorai il viso leggermente con una carezza e poi dissi: « E lui non l’hai più visto? » « Solo una volta. Lo scorsi da lontano. Quando mi vide, mi sembrò di scorgere della sofferenza, ma poi scomparve di nuovo dalla mia vita. Ma… mi manca. È l’unico uomo che ho mai amato e che, nonostante tutto, sempre amerò… ». Sembrò sull’orlo di piangere, ma riuscì a non scomporsi. Io la strinsi a me, e cercai di infonderle tutto il mio affetto. Mi ero legata a lei in maniera profonda, un poco più che alle altre. Era come una sorella che mia madre non aveva mai potuto darmi. Ci scostammo solo quando la giovane Elodie arrivò nella stanza – seguita da Cécilie e dalla piccola Lydie -, e risuonò la sua voce trillante e allegra, che riuscì come sempre a contagiarci. *
Il solstizio d’estate era appena passato ed io mi trovavo al laboratorio intenta a cucire, ma i miei pensieri vagavano altrove. Avevo trascorso il giorno più lungo dell’anno insieme alle mie amate sorelle streghe, andando alla ricerca di erbe propizie a una tale festa: verbena, aglio, ruta, artemisia e altre ancora. Avevo ascoltato con puro interesse la descrizione dettagliata che Cécilie ci donava riguardo alle loro proprietà e caratteristiche, aiutata di tanto in tanto dalla saggezza più acuta di Ophélie e da rari ma importanti, interventi di Sylvie. Il sole splendeva alto nel cielo e sembrava non avere mai fine. Adoravo quel giorno, poiché le tenebre sembravano non arrivare mai. Non che la notte fosse spaventosa, ora che avevo imparato a conoscerla, ma adoravo il calore che i raggi solari mi infondevano. Ricordai con un sorriso la mia piccola bambina tra le braccia di Claire, che si era proposta liberamente di permettermi un poco di riposo dal mio dovere di madre, il suo sguardo amorevole nei confronti di quel piccolo bocciolo che stava fiorendo e forse un desiderio nascosto di avere anche lei la stessa fortuna. Per un attimo mi rattristai ricordando la sua triste e breve storia d’amore e un senso d’irritazione per l’uomo che l’aveva abbandonata così miseramente mi fece pungere e gemere leggermente di dolore, attirando lo sguardo curioso di Julie che cuciva al mio fianco. « Vi siete fatta male? » mi domandò, apprensiva, ma io scossi il capo, sfiorandole una gota con la mano. « No ma pétite, sono stata solo un po’ sbadata ». Quando tornò al suo lavoro, osservai con pura curiosità il suo lavoro: era sicuramente migliorata molto ed ero certa che ben presto sarebbe diventata un’ottima sarta, forse anche migliore di me. Sorrisi serena e tornai al mio lavoro, ma i miei pensieri tornarono alla sera prima, al rituale destinato al Dio che illuminava la terra in quel giorno tanto particolare. Eravamo tutte disposte all’interno di un cerchio, circondando una sorta di piccolo altare in pietra, con i simboli rituali più importanti: coppa, piatto, athamé, oltre alle erbe che avevamo raccolto, ovviamente. Invocammo il Dio e la Dea e le nostre voci risuonavano alte e limpide nell’aria. Mi sembrava di rivivere un’altra vita, antecedente, lontana, ma allo stesso tempo vicina. Mi sentivo felice, completa. Sapevo che quello era il mio posto, la mia vera essenza. Bruciammo le vecchie erbe e benedimmo le nuove, appena raccolte, e infine ci nutrimmo dei frutti degli alberi. Un rituale magico che non avrei mai dimenticato e che avrei vissuto ancora e ancora, aumentando la consapevolezza in ciò che stavo attuando; ma i giorni di festa non erano ancora giunti al termine. A pochi giorni di distanza, nella festa che la chiesa rivolgeva a San Giovanni, ci sarebbero stati fuochi propiziatori di fertilità, e un sorriso ironico mi sfuggì al pensiero che i cattolici rinnegavano comportamenti pagani che in verità avevano accorpato e continuavano a svolgere sotto diversi nomi. Non li comprendevo, ma speravo in cuor mio che presto la ragionevolezza potesse far svanire tutto il disprezzo per le antiche religioni, facendo trasparire il concetto che tutti gli Dei in fondo erano un unico Dio, così come tutte le Dee erano la rappresentazione di un’unica Dea. « Oggi siete sbadata davvero » disse ridendo Julie, notando come avessi fatto un errore di cucitura. Me ne accorsi, ma sorrisi a mia volta, annuendo al suo dire. *
La
vigilia della notte di San Giovanni era finalmente giunta. Tutta la
popolazione di Sivelle, in particolar modo i contadini, aveva
abbandonato presto i consueti lavori per dedicarsi alla preparazione
dei fuochi sulla cima delle colline, nella campagna esterna alla
città stessa. Notai l’allegria e il fervore che
accendeva gli animi delle persone e che contagiarono anche me. Non
appena fui pronta, mi recai alla Maison per cercare Madame Le Marchande
con la quale avrei raggiunto il luogo destinato ai rituali. A noi si
unì la piccola Julie che mi accolse con un sorrisone solare.
Si stava creando già una lunga fila, e quando
oltrepassai le mura d’ingresso della
città, fui accolta da una moltitudine di voci, che formavano
un brusio incomprensibile. Ma c’era allegria, calore, festa.
Alizée si agitava tra le mie braccia ma, quando qualcuno si
faceva troppo vicino a noi, sprofondava il suo visetto sul mio petto,
in cerca di protezione. Si respirava un’atmosfera serena, libera da costrizioni o timori. V’erano tavoli addobbati di leccornie varie e bevande di ogni genere: dalla birra, al vino, al sidro. Salutai con un sorriso l’oste Jean e sua moglie, che erano alle prese con il loro banchetto, e mi guardai intorno. Cercavo le mie amate sorelle che per l’occasione avrebbero presenziato a quella festa che non si discostava poi molto dal loro credo. Anzi, erano state le nuove religioni ad appropriarsi delle antiche, per poi condannarle con un’incoerenza che non riuscivo a comprendere. « Desirée! » Qualcuno invocò il mio nome. Era una voce trillante, cui donai presto un volto: Elodie, Cécilie, Claire e la piccola Lydie stavano sopraggiungendo e in breve tempo ci circondarono. Notai i loro vestiti e sorrisi divertita nel comprendere come non avessero rinunciato ai colori del loro grado, sebbene non indossassero le tuniche dell’ordine. Rosso, verde, violetto e bianco, si univano al blu che indossavo e al dorato che adornava la mia piccina. « Mademoiselles è un piacere vedervi tutte! » esclamai, mantenendo un certo decoro per non dare troppo nell’occhio. Elodie ridacchiò divertita, mentre la piccola Lydie mi si avvicinò sfiorandomi una mano libera. La guardai con tenerezza, sfiorandole appena il capo coperto da una semplice cuffia di stoffa che impediva di mostrare il rosso sangue dei suoi capelli. « Piccola mia… » sussurrai, e notai con la coda nell’occhio lo sguardo attento e implacabile dell’altra bambina al mio fianco: Julie puntò i suoi occhi sull’altra e le sue labbra si tesero in preda a una sorta di nervosismo. Scostai la mano dalla piccola strega neofita e, stavo per rivolgere parola a Julie, quando quest’ultima si allontanò senza saluto alcuno. « Quella bambina ha bisogno di educazione » commentò con irritazione Madame, per poi rivolgere i suoi piccoli occhi grigi alle streghe. « Lieta di conoscervi e rivedervi. Vi prego di scusare Julie e il suo comportamento inspiegabile ». Claire, Cécilie ed Elodie scossero il capo e non fecero commenti, non essendosi offese e comprendendo, ma scorsi il viso turbato di Lydie e cercai di rincuorarla con un nuovo sorriso. « Non temere piccina, le passerà ». Lydie annuì, ma non perse il suo turbamento. « Madame Ophélie e Mademoiselle Morin non sono qui? » domandai. « Credo che arriveranno tra qualche momento. Madame Ophélie aveva bisogno di riposare ancora un poco, ma prima che il sole scenda all’orizzonte saranno qui » rispose Claire in tono pacato. « Vi prego, Mademoiselle. Quando Ophélie sarà qui, sareste così gentile da chiamarmi? Vorrei trascorrere del tempo con lei » aggiunse Madame con un filo di commozione negli occhi. « Certamente, Madame Le Marchande, lo farò con molto piacere ». Claire chinò appena il capo biondo, intrecciato con eleganza che tanto la faceva apparire come una nobile donna, per il suo portamento, i suoi gesti, la sua incantevole bellezza, nonostante indossasse un abito di una certa semplicità. Un brusio crescente interruppe le nostre ciarle, fino a che anche gli ultimi rumori non cessarono del tutto. Mi voltai e scorsi la figura alta e snella, tutta abbigliata di nero, di Padre Paul che risaliva la collina per porsi più alto rispetto al popolo. I bambini furono zittiti dai più grandi, e tutti s’invitarono l’un l’altro a far silenzio per ascoltare il sermone di quell’uomo all’apparenza anonimo ma dotato di un grande carisma. « Fratelli e sorelle carissimi. Siamo qui riuniti oggi per festeggiare un uomo molto importante nella storia del nostro Dio: San Giovanni il Battista, colui che battezzò il Cristo e morì professando il vero e condannando i peccatori! In questa notte si accenderanno i fuochi che potranno scacciare da questa terra ogni essere immondo: streghe e stregoni, ma anche quelle belve feroci che tanto sono associate al Demonio! Ogni maleficio in questa notte non avrà motivo d’essere, perché la luce dell’unico Dio arderà alta e proteggerà tutti i figli che crederanno in lui! » Il brontolio sommesso di Elodie, prontamente bloccato da Cécilie, allontanò la mia concentrazione dal sermone. Mi voltai a guardare le mie sorelle e non vidi in loro nulla di così malvagio. Guardai dentro di me e, nonostante i miei tanti difetti, non pensavo di essere una persona cattiva; e poi il mio sguardo spaziò tra coloro che ascoltavano con fervore il prete. Sembravano tutti pendere dalle sue labbra, compresa Madame, e un brivido freddo scivolò lungo la mia schiena. Se avesse saputo, mi avrebbe vista come un essere malefico e fatta bruciare nel fuoco purificatore? Scossi il capo per scacciare quel pensiero, e scorsi in lontananza la figura alta e poco distante del Capitano Svensson. Non indossava la sua divisa, ma un semplice completo e i suoi occhi fissavano il prete sulla collina, ma la sua mascella sembrava contratta, come se fosse teso o irritato. Forse era solo una falsa visione che avevo avuto. In quel momento Padre Paul concluse il suo sermone e invitò i contadini a fare festa, per poi allontanarsi e ridivenire anonimo, perdendosi tra la folla. Io mi voltai di nuovo a cercare Mickel, ma mi accorsi che era scomparso. Sospirai appena e, proprio in quel momento, sentii la voce un poco roca e bassa di Ophélie. « Rosa Bianca, piccolo bocciolo, eccovi qui » mi voltai, e la piccola Alizée tra le mie braccia riconobbe l’anziana, tendendo le braccia paffute verso di lei, gioiosa. Ophélie sorrise e aggiunse: « Il suono della risata di un bambino così piccolo è musica per le mie orecchie d’anziana… » « Ophélie… » mormorò Madame al mio fianco, donando appena di uno sguardo e di un saluto la figura minuta della Gran Maestra, Sylvie. « Angélique, siete voi? » domandò, l’anziana strega, tendendo le sue dita gracili e rugose verso di lei. Madame l’accolse con cura tra le sue mani ed io le lasciai a parlare con tranquillità. Il cielo stava assumendo appena sfumature un poco più scure, sebbene il sole fosse ancora presente e illuminasse il luogo, ma già la gente cantava e ballava allegra, abbeverandosi e mangiando tutto quel ben di Dio che trovavano sui vari tavoli. Io seguii le altre, mi accontentai di poco, e poi ci sedemmo tutte sul prato a parlare o a lasciare che i silenzi riempissero quei momenti che ci dividevano, ancora per poco, dall’accensione dei sacri fuochi. « Le religioni che seguono il Cristo pensano che il fuoco possa scacciare gli spiriti maligni e le streghe dalla terra, ma… noi siamo qui » iniziò Sylvie, venendo interrotta dal brontolio di Elodie che non poté più trattenersi dal dire: « Sono ridicoli, ecco! Non mi pare che i loro fuochi o le loro parole ci facciano del male, eppure noi siamo… » Lo sguardo intimidatorio di Sylvie, però, la spinse a bloccare subito il suo dire, non volendo incorrere nell’ira della Gran Maestra, la quale riprese il suo discorso. « Placa il tuo nervosismo, sorella » sfiorò con le mani uno stelo d’erba e continuò. « Ognuno deve essere libero di professare e credere in ciò che vuole, purché non vada a intaccare la vita o le convinzioni altrui. So bene che loro non lo fanno, ma noi non siamo allo stesso modo. Rispettiamoli ». Mi persi a guardare quella giovane donna dotata di una saggezza così grande, e il mio cuore palpitò della più completa ammirazione. Se Padre Paul aveva un gran carisma, poteva solo sfigurare di fronte alla saggezza di Sylvie e della Dea che serviva e che spesso notavo in lei. Alizée gattonò sull’erba, sfiorando le gambe della Gran Maestra e subito tentai di riprenderla, ma Sylvie m’interruppe con un gesto. « Lasciala stare Desirée, non mi disturba ». Annuii e la guardai prendere la bambina tra le braccia e sprofondare le mani tra i suoi riccioli biondi. Lydie, al suo fianco, la guardava con tenerezza e non lessi gelosia alcuna. Era così tenera e così diversa da Julie… « Noi cosa vediamo in questa festa? » domandai, con curiosità. « Secondo un’antica credenza in questa festa il sole, associato ai sacri fuochi che a breve saranno accesi, si sposa con la luna, legata all’acqua. I nostri riti non si discostano da quelli dei Cristiani. I falò servono a purificare, sono legati alla fertilità e la rugiada mattutina, che potremo vedere e raccogliere domani, ha i medesimi significati ». Fertilità e purificazione. Due significati in cui credevano anche i Cristiani, e allora perché non riuscivano ad accettarsi? « I f-fuochi! » ci interruppe Lydie, volgendo lo sguardo ammaliato e colmo di curiosità verso la collina. In effetti, le ore erano passate velocemente, e il cielo si tingeva di viola e di rosso. Contadini erano saliti sulla collina e nei territori circostanti ed erano pronti ad accendere i falò. La festa aveva davvero inizio. « Voltatevi sorelle, e protendete i vostri spiriti al fuoco. Rivolgete i vostri pensieri e il vostro cuore al Dio Luminoso, che vi riscalda con il suo calore ». Le parole soffuse di Sylvie mi penetrarono nel cuore, ed io mi persi nel fuoco. Mi sentii avvolgere dalle sue spire, calde ma non ustionanti. Il fuoco era un sacro elemento che avevo studiato e appreso. Avvertivo la pelle ardere di un calore speciale, quello del Dio Luminoso che s’insinuava fin dentro la mia anima, accendendola di una nuova luce. _________________________________________________________________ Lo so, lo so. Ci ho messo veramente troppo tempo ad aggiornare questa storia, ma ho avuto un periodo pieno di impegni, tra lavoro e altre passioni, non ho trovato modo di farlo prima! Spero però che questo capitolo vi piaccia, anche se è l'insieme di tanti, singoli momenti, che mettono in luce i diversi personaggi. Il prossimo capitolo è la continuazione di questa magica notte dove... be', scoprirete che accadrà! Le parole di Mickel sono una preghiera normanna funebre, prima di una battaglia. Una persona mi ha consigliato di inserirla, e l'ho trovata adatta al contesto. Alla prossima! (sì, questa storia è lunghetta... :P) |
Capitolo 30
*** XXIX - Notte di Mezza Estate (seconda parte) ***
XXIX
Notte di Mezza
Estate
(seconda
parte)
La notte molto lentamente sembrava occupare il posto del giorno, ma io avvertivo ancora il calore del sole sulla mia pelle. Avanzavo lentamente tra la folla festante: gruppi di persone si riunivano in grandi cerchi, danzando, cantando; uomini tracannavano birra e vino a fiumi, bambini si rincorrevano felici, donne parlavano tra loro o accettavano con timidezza gli inviti di baldi messeri. I falò ardevano alti sulle colline e, voci si alzarono colte da stupore, quando fascine infiammate venivano fatte precipitare lungo i pendii, per poi essere accompagnate da grida e canti. Il calore infiammava gli animi delle persone ed io non riuscivo a smettere di sorridere, mentre stringevo al petto la mia bambina, ormai assopita. Mi ero allontanata dalle mie sorelle streghe per vagare un poco in solitudine, Madame era rimasta con la cara Ophélie, ed ora i miei piedi si muovevano, quasi istintivamente, verso i fuochi. Mi tenni un poco lontana per non disturbare il sonno di Alizée, ma socchiusi gli occhi per avvertire più profondamente quell’elemento legato al mio. Il fuoco purificatore, fonte di fertilità. Quando riaprii gli occhi, scorsi un volto al di là del fuoco. Il volto di un uomo alto, con una cicatrice che gli sfiorava l’occhio destro, scorrendo verso il collo. Mickel Svensson era lì, ma non appariva come il fuggente e freddo Capitano delle Guardie, ed io quasi inconsapevolmente, mi mossi e mi ritrovai ben presto dinanzi a lui. « Capitano, anche voi qui? » « Non chiamatemi capitano, non in questo giorno » rispose, fissandomi con i suoi occhi di ghiaccio. « Perdonatemi » chinai appena lo sguardo, ma poi tornai a osservarlo, spinta da una strana forza che non mi permetteva di sviare oltre i miei occhi da lui. « Notavo l’assenza della vostra divisa, in effetti. Siete anche voi spinto dal desiderio di festeggiare? » Un sorriso ironico incurvò le sue labbra, prima di rispondermi: « Sì, ma, forse vi deluderà o irriterà sapere che non è al Santo Cristiano che il mio cuore è rivolto ». Lo fissai con stupore. La sua mascella si contrasse, forse credendo che fossi sconvolta da quelle parole, che per i cristiani potevano sembrare oscene o blasfeme, ma il mio stupore era per un motivo diverso. « Ecco, vi ho sconvolto. Vi lascio al vostro Santo », fece per andarsene, ma io lo fermai. « No ». Lui si fermò e mi guardò con aria interrogativa e perplessa. « Non andate via, ve ne prego » mi fermai un solo istante, per cercare di sistemare i pensieri. « Non sono né delusa, né irritata, né sono qui per criticarvi o spingervi ad accettare qualcosa di diverso da quello che il vostro cuore ha scelto di seguire ». Questa volta fu lui a essere sorpreso dalle mie parole, ma non gli permisi di dire altro. « Ognuno di noi deve credere in ciò che vuole, e… » esitai, non sapendo se potevo andare oltre, ma qualcosa nel mio cuore mi spinse a continuare con fiducia, « seppur sia nata avendo un determinato credo, la mia vita è cambiata da più di un anno. Vi prego di serbare queste mie parole nel vostro cuore e di non tradirmi. Io… sento di potermi fidare di voi ». Sorprendendomi di nuovo, Mickel allungò una mano a prendere la mia, con esitazione, poi la presa si fece più salda. Il suo tocco era caldo, o forse era solo la presenza del fuoco così vicino a donarmi quel senso di calore? « Potete fidarvi e parlare liberamente, ma forse è meglio non qui ». Mi voltai e notai la presenza di altre persone intorno a noi che, seppur fossero presi dalla festa, potevano essere orecchie indiscrete e fonti di pericolo, non solo per me. Tenendomi sempre per mano, Mickel mi condusse al limitare di un boschetto nei pressi della collina. Da lì si potevano scorgere ancora gli alti falò, ma il vociare sembrava più attenuato, distante. M’invitò a lasciare la piccola a terra, avvolta da un mantello, in modo da riposarmi un poco dal suo peso – sempre più evidente – e poi ci sedemmo a una distanza piuttosto ravvicinata, eppure non provavo disagio. In fondo era solo un caro amico di cui ormai sentivo sempre più di fidarmi, no? « Qui potete parlare ». Annuii, ma per qualche istante ancora rimasi senza parole. Pensieri iniziarono a vorticare nella mia mente, e le immagini di Flaviano e Mickel si confusero. Flaviano era cristiano, lui non avrebbe mai accettato il mio credo, lui detestava le streghe, mentre Mickel sembrava così vicino a me… « I miei genitori erano ugonotti, ma a causa del conflitto tra le due religioni persero la vita ». Il ricordo gravava ancora nel mio cuore, ferendolo con ferocia. « Tuttavia, Madame continuò ad insegnarmi la medesima religione che qui, a Sivelle, è accettata. Credevo fermamente nell’unico Dio, e mi reputavo una buona credente, ma poi… ho incontrato delle donne. Fanciulle come me, perlopiù, che mi fecero aprire gli occhi. Mi mostrarono un’altra religione. Antica, oltraggiata, rinnegata, eppure così simile alle nuove… » Avvertivo lo sguardo sincero di Mickel scrutarmi, ma non condannarmi né giudicarmi e, quindi, continuai con maggiore fiducia. « Mi accolsero come una sorella, una figlia. M’insegnarono la saggezza, la conoscenza delle erbe, delle pietre, e… ad amare il Dio, ma anche la Dea sua consorte. A un tratto, si è aperto qualcosa in me, una consapevolezza nuova. Mi sono sentiva veramente completa una volta che ho imparato ad accettare tutto questo e ad aprire gli occhi e il cuore. Ma… non posso parlarne con nessuno. Siete il primo con il quale mi sono aperta, e… non so perché ma non temo ripercussioni sulla mia vita, sulla mia piccola, sulle persone che mi hanno accolta. Posso fidarmi di voi, non è così? » Mickel mi guardò intensamente, ma non riuscivo a decifrare i sentimenti sul suo volto. Era di nuovo una maschera impassibile, ma poi le sue grandi mani avvolsero le mie, e compresi in quel gesto muto di non temere nulla. Mi sentivo libera ora, cose che non avevo potuto dire neanche al mio amato sposo ora potevano essere condivise con una persona che, fino a pochi mesi prima, pensavo di odiare. « Il vostro segreto è in buone mani » proferì, non lasciando le mie mani. « Anch’io credo in qualcosa di diverso da quello in cui credono i Cristiani; so quanto sia pesante dover nascondere il nostro vero io, una parte di noi che gli altri non possono comprendere ». Non sapevo bene cosa dire, ma scorgevo nel suo sguardo che dovevo trattenere il mio desiderio di sapere di più. Per una volta ritrassi la mia curiosità e accettai quelle poche parole di comprensione. Mi sentivo a mio agio con lui e così intenta a sfogarmi, non mi ero veramente resa conto della nostra vicinanza, delle nostre mani ancora unite, e della lontananza dal resto della popolazione. Sedevamo a terra, tra alberi che s’innalzavano verso il cielo ormai scuro. Stelle luminose spiccarono come perle sul manto nero, e la luna sembrava essere invisibile nel suo ciclo oscuro. Da lontano si sentivano le grida, i canti, e le risate di chi ancora festeggiava. Per un attimo mi chiesi dove fossero le altre streghe e Madame, ma poi i miei pensieri si persero sulla volta del cielo notturno. Restai ferma a guardare in alto, con le mani ancora nelle sue, come se non volessi allontanarle o respingerlo e, quando spostai lo sguardo verso di lui, mi accorsi che anche lui sembrava assorto nei suoi pensieri e non la smetteva di fissare qualcosa nel cielo, ma poi, come avvertendo di essere osservato, si voltò e i nostri occhi s’incontrarono. Avvertivo il calore del fuoco pervadermi ancora e uno strano desiderio s’insinuò con veemenza in me. Mi sentii attrarre come a una forza soprannaturale e, in breve tempo, mi ritrovai tra le sue braccia. Lui non si trattenne, se non per un impercettibile istante in cui il suo corpo divenne rigido, ma poi sembrò rilassarsi e avvolgermi a sé. Non c’erano sguardi a scrutarci, né pericoli. C’eravamo solo noi e la mia bambina che riposava tranquilla sul manto erboso, ma dentro di me sentivo che non m’importava nulla se anche ci fosse stato qualcuno intorno. Riposi i mille pensieri in un angolo della mia mente e lasciai che il cuore mi guidasse. Era come se non rispondessi più delle mie azioni, della persona ferma e rigida che ero, dei mille dubbi che mi portavano spesso a non fare certe cose, per paura di peccare, di sbagliare. Sentii le sue mani sfiorarmi il volto e socchiusi gli occhi; scivolarono sul mio collo e poi, lentamente, sui miei seni. M’irrigidii, colta da un gesto che non provavo più da mesi e mesi, ma poi tornai a rilassarmi. Lo lasciai sfiorarmi e mi accorsi che lo faceva con una delicatezza che non sembrava appartenergli. Riaprii gli occhi e scorsi un sorriso sulle sue labbra, che ricambiai. Gli sfiorai il viso, seguendo la linea della cicatrice che dall’occhio destro scendeva sino al collo; poi vi posai le labbra, lasciando una scia di baci, come nel tentativo di lenire quella ferita che in verità era già guarita, come se potessi farla svanire. Il desiderio era forte in me, il fuoco pulsava nel mio corpo, e mi lasciai andare senza più restrizioni o esitazioni. Le mie mani scivolarono sulla camicia bianca e, notando una sorpresa nel suo sguardo, le insinuai sul suo petto, togliendola poi del tutto. Notai, grazie al riverbero delle fiamme lontane ma alte, altre cicatrici che baciai nuovamente. Lo sentii sussurrare il mio nome. Desirée. Mi fermai. Non l’avevo mai sentito pronunciato dalle sue labbra e mi parve ancor più bello. Alzai il volto e lui lo raccolse tra le sue mani, spingendolo al suo. Le nostre labbra s’incontrarono e unirono, scoprendosi, avviluppandosi. Mi baciò con passione, una sensazione che ormai ci avvolgeva entrambi. Sentii il tonfo di tamburi in lontananza, le risate, forse i salti dei giovani amanti sui fuochi per propiziare il loro amore, la fertilità, la gioia, e intanto, in quel piccolo angolo riparato, riscoprivo un amore nuovo, una passione intensa, un desiderio che non riuscivo e non volevo bloccare. Le sue mani tentarono di slacciarmi il vestito, ma notando il suo fare inesperto in quel settore, lo fermai e mi alzai. Con un sorriso divertito sul volto, mi tolsi con facilità l’abito lasciandolo scivolare a terra. Lessi desiderio nel suo sguardo e tornò a tirarmi giù, su di lui. Mi abbandonai di nuovo tra le sue braccia forti e lasciai che mi baciasse in ogni lembo libero di pelle. Provai brividi quando le sue labbra, ardenti, si posarono sul mio collo e all’altezza del seno. Poi mi scostò da sé, permettendoci così di liberarci del tutto degli ultimi residui di vestiti, e ci fermammo a guardarci per qualche istante, come non ci eravamo visti mai: due corpi nudi, osservati dalle immote stelle del cielo, e circondati dalla natura silenziosa e protettiva. Le mie gote si accesero di un colorito rossastro, ma poi mi distesi al suo fianco e lo lasciai baciarmi e accarezzarmi; gli permisi di esplorare il mio corpo, di conoscerlo in ogni singolo dettaglio, come io potei conoscere il suo. Le nostre mani sfiorarono i nostri corpi, con sempre più ardente desiderio. Avevo voglia di lui, una voglia insaziabile che non potevo comprendere: ai miei occhi era come la personificazione del Dio Luminoso che s’insinuava in me, con la sua luce, la sua fiamma, facendomi ardere e mi chiesi se lui mi scorgeva un poco come l’immagine della Dea. Mickel sfiorò le mie gambe, insinuando pian piano le dita nella mia intimità. Avvertii un leggero fastidio, che pian piano si trasformò in piacere. Da tempo non mi concedevo a quell’atto d’amore totale, ma il mio corpo sembrò abituarsi presto a quel tocco, e quando il desiderio divenne troppo grande per attendere ancora, ci unimmo in un unico corpo. Era sopra di me, i nostri corpi iniziarono a muoversi in quella sorta di danza magica che portava a raggiungere l’apice del piacere, qualcosa d’indescrivibile a parole. Era come morire, di una morte lenta e deliziosa, per poi rinascere ancora con un intenso piacere che rimaneva ancora nel corpo e ti rendeva diversa, nuova. I suoni distanti si attenuarono sempre di più. Era come essere soli nel mondo. Io, Mickel e quel fuoco che si espandeva fin nelle nostre anime, nei nostri cuori e circolava nei nostri corpi. Sentivo i nostri gemiti risalire fino a cielo e sapevo che, intorno, altre coppie stavano unendosi in quell’estasi di piacere e di amore. Amore? Era veramente amore quello che provavo per lui? Quando tutto terminò e lui tornò a sdraiarsi al mio fianco, avvolgendomi ugualmente con un braccio, mi posi quella domanda. Avevamo fatto bene? E Flaviano? Per un attimo un senso di colpa s’insinuò in me, ma quando incontrai di nuovo lo sguardo di Mickel ogni pensiero svanì, e mi accorsi che la voce del cuore cantava a suon di battiti già la giusta risposta. I volti di Flaviano e Mickel, seppur diversi, si confondevano nei miei sogni. Sentivo una strana angoscia avvilupparmi in una morsa. Il sorriso del mio sposo si alternava agli occhi di ghiaccio del Capitano. Entrambi erano parte di me, ormai. Ma era stato giusto? Poi una voce soffusa e distante sembrò tranquillizzarmi, divenendo una nenia dolce che mi cullò dolcemente, permettendomi di riposare più serena. Mi svegliai che non era ancora giorno inoltrato. Il mio corpo era ancora nudo e Mickel riposava al mio fianco, non avendo – forse – mai smesso di avvolgermi nella sua stretta protettiva. Sospirai felice e mi accoccolai un poco di più a lui, posando il capo sul suo petto, ma facendo attenzione a non svegliarlo. Alzai lo sguardo verso l’alto e aspirai l’aria mattutina, per poi alzarmi. Nascosta tra quegli alberi, non mi curai di poter essere vista e mi mossi di qualche lieve passo, prima di fermarmi a scrutare laddove gli ultimi residui dei fuochi continuavano a brillare, mentre il fumo si alzava alto nel cielo. Tra poco i contadini avrebbero portato il bestiame ad attraversare quella coltre di fumo, per togliere loro eventuali malattie o proteggerli. Fertilità, purificazione. Parole che risuonavano nella mia mente, mentre osservavo il mio corpo, il mio ventre. Quell’unico atto di passione, o forse amore, aveva potuto già generare una nuova scintilla di vita? Scossi il capo a scacciare quel pensiero e poi risi. Che sciocca ero. Osservai il mio corpo e notai goccioline di rugiada brillarvi. Rugiada, l’acqua, la luna, la Dea. Avrei forse dovuto raccogliere un poco di rugiada per i riti divinatori, ma ero certa che le mie sorelle ci avessero già pensato. Chissà se si erano chieste dove fossi finita. Mi ritrovai a ridere di nuovo, fino a quando udii la sua voce dietro di me. « Perché ridi, Desirée? » domandò, confuso. Mi voltai e guardai quel corpo perfetto ai miei occhi, anche con tutta quella serie di cicatrici che gli sfioravano corpo e viso, e poi risi di nuovo un poco, prima di rispondere. « Perché sono felice, Mickel ». Mi sembrava strano chiamarlo solo per nome, eppure quel suono mi appariva più bello, più familiare, più mio. Notai le sue labbra schiudersi in un sorriso e corsi tra le sue braccia che mi avvolsero di nuovo. Adagiai il capo sul suo petto, respirando il profumo del suo corpo e della nostra passione che si era consumata in un posto forse inconsueto ma perfetto per quella nuova me, o forse per la vera me. Ero una figlia della Dea, la natura era il mio ambiente, il cielo, il nostro testimone. Non poteva esserci altro posto dove donarmi al Dio Luminoso, o forse a colui che per tanto tempo pensavo di odiare, e ora invece… amavo? Era davvero nato tutto in quel momento? Non ne ero certa. Forse avevo solamente impedito a lungo quel desiderio, sopprimendolo e ricacciandolo indietro, avvertendolo come un senso di colpa, un tradimento verso l’uomo che avevo tanto amato. Ma ora ero altrettanto certa che Flaviano sarebbe stato felice di quell’unione tra la sua amata e il suo migliore amico, l’unico di cui si fidava ciecamente e che avrebbe protetto anche la nostra bambina, che già lo adorava. Mi sentii morire e rinascere un’altra volta, prima che il sole sorgesse chiaro all’orizzonte, ma poi la piccola Alizée ci spinse a placare i nostri desideri, per occuparci di lei. Ci rivestimmo e, seppur con un filo di tristezza, lasciammo il nostro angolo speciale, dirigendoci verso la collina, dove chi aveva resistito alla lunga notte, ancora assisteva al rituale degli animali purificati. Trovai qualcosa da mangiare sia per Alizée sia per noi, e assistemmo l’uno accanto all’altra agli ultimi aspetti di quella festa, che ci aveva spinto a scoprirci e a comprendere i nostri sentimenti. Sarei voluta restare ancora abbracciata a lui, ma dinanzi alle persone dovevamo mantenere degli atteggiamenti dignitosi e far passare del tempo prima di abituare tutti alla nostra unione. La fiamma pian piano svanì, tutto si fece cenere, e anche il fuoco della passione che quella notte mi aveva accesa si attenuò, ma non scomparve. I nostri sguardi s’incontrarono più volte e mi parve di vederlo in modo diverso. Ai miei occhi non era più quell’uomo alto e distante che m’irritava, ma una persona che mi era stata vicina e aveva protetto me e la mia bambina quando la vita mi aveva tolto Flaviano. Un uomo che aveva riacceso la passione e che ora faceva parte di me. Provavo il desiderio di viverlo ancora di più, di scoprire meglio ogni parte di lui, di poter vedere svelato qualche suo segreto, di essere completamente sua. Quando tutto si finì, decisi di condurre Mickel dalle streghe. Mi fidavo di lui, ed ero certa di non fare errori. Non avrei messo in pericolo le mie sorelle e poi erano le uniche che non mi avrebbero giudicata. Madame Le Marchande mi voleva bene, ma non aveva mai accettato di buon grado la vicinanza con lui, e forse aveva bisogno di maggior tempo per comprendere e accettare. « Credi che quello che è successo, sia stata una follia? » mi domandò, ad un tratto. Io fermai il mio incedere e lo guardai, turbata. « No. Tu lo credi? » chiesi, ed ebbi una momentanea paura della risposta. « In un primo momento lo credevo, per Flaviano ». « Posso comprenderti, anch’io avevo paura di poter tradire Flaviano… ma non potevo più reprimere le mie emozioni. Mi sei stato così vicino, in tutto questo tempo e…io, io credo che Flaviano possa accettare quello che ci è successo... lui ti amava, come amava me, e… » Lui mi sfiorò il capo, per poi chinarsi a darmi un bacio sulle labbra. « Non sei turbato per quello che penserà Louise-Marie? Lei, in fondo, potrebbe tornare e forse non la prenderebbe bene… » solo in quel momento pensai alla mia amica, e mi sorse ancora più il dubbio di aver sbagliato, anche se una grande parte di me scalciava per impedirmi di provare questo senso di colpa. Lui s’irrigidì per qualche istante, ma poi rispose, in tono freddo: « Mademoiselle Lemoine ha fatto la sua scelta, ed io la mia ». Non riuscivo a comprendere se fosse ferito da ciò che aveva fatto la dama, se avesse veramente provato qualcosa per lei, o meno, ma quando mi avvolse di nuovo tra le sue braccia e cercò di tranquillizzarmi, ogni pensiero negativo svanì e rimase l’immagine dell’uomo che ora amavo, che teneva tra le braccia la mia bambina, figlia del suo migliore amico, ma sembrava adorarla come se fosse figlia sua. « Credo che le mie sorelle saranno felici di accoglierti, ma forse anche un poco turbate, ma non ci condanneranno ». Lui annuì, e procedemmo tranquilli per l’ultimo breve tratto che ci divideva dal Salice, ma quando fummo abbastanza vicini, ci raggiunse un lungo grido straziante di Claire e il fuoco che mi pervadeva mutò in ghiaccio. |
Capitolo 31
*** XXX - Gelosie nocive ***
XXX
Gelosie
nocive
Il grido di Claire risuonava ancora nella mia mente quando, proferito l’incantesimo opportuno, mi ritrovai con Mickel e Alizée all’interno del corridoio oscuro che portava alla grande sala. Le streghe erano tutte lì, che circondavano la mia più cara sorella, scossa da un tremolio eccessivo, e il cui volto era di un pallore quasi spettrale. Al nostro ingresso si voltarono e lessi uno sguardo di stupore e anche irritazione per la presenza del Capitano al mio fianco. Non le avevo avvertire, ma Sylvie non si curò subito di quell’inconveniente, presa da Claire. Mi avvicinai di qualche passo, mentre Mickel rimase distante, come non volendo guastare una situazione già tesa, ma non osai dire una parola, giacché Claire stava mormorando frasi confuse, quasi sconnesse, e mi resi conto che stava avendo una delle sue visioni. « Non è finita... le nostre sorelle non hanno pagato abbastanza la follia umana. No! » si agitò tra le braccia di Sylvie, che tuttavia la trattenne saldamente, infondendole la sua energia. La sentivo vorticare nell’aria e le mie dita fremettero mentre brividi mi scorrevano lungo tutto il corpo. « Stanno tornando. Uomini vestiti di scuro. C’è malvagità, oh, troppa! Purificazione... le fiamme salgono in alto, c’è troppo fuoco, troppo. Oh Dea! » Sylvie decise di intervenire e passò una mano a coprire per un attimo gli occhi stralunati di Claire, per poi allontanarla di nuovo. Era un gesto semplice che consentiva, però, di scacciare la visione, specialmente se spiacevole come quella. « Basta così, Claire. Torna tra noi » disse con autorità ma Claire tremò ancora tra le sue braccia, come scossa da una nuova terribile sensazione. Mi buttai a terra e le presi una mano, incurante dello sguardo alterato di Sylvie. Non potevo vedere colei alla quale ero più legata in quello stato, non potevo permetterle di perdersi tra i mondi e non tornare. Avevo bisogno di lei. Sussurrai il suo nome, la richiamai, protesi la mia energia al suo corpo, così gracile e pallido. Per un attimo Claire sembrò calmarsi, il suo respiro era affannoso, ma sentivo che stava tornando; poi s’irrigidì e strinse con veemenza la mia mano, facendomi anche male. Gemetti leggermente, ma guardai preoccupata il suo volto contratto. Gli occhi erano spalancati, le labbra violacee e, quando parlò, sembrò avere una voce diversa. « Morte... Fiamme… Dolore… Le loro voci risuonano ancora nella mia mente, è un peso terribile… Sangue, troppo sangue… » « Basta! Ti chiedo di tornare ora! Sorella, sei rimasta troppo in quel confine invisibile tra i mondi, basta! Torna indietro, ora e senza esitare! » La voce imperiosa di Sylvie risuonò nella stanza, alta e pura, interrompendo ogni possibile suono. Mi voltai a guardarla e notai la sua figura più alta di quello che fosse realmente. Rimasi ancora una volta affascinata da quel suo potere e chinai il capo, infondendo ancora una volta la mia energia, il mio amore, a quella sorella che stava lottando per tornare. Claire spalancò di nuovo gli occhi ed emise un lungo gemito, prima di accasciarsi a terra, priva di forze. Sentii la stretta sulla mia mano farsi sempre più fievole e, stavo per chinarmi su di lei, quando Ophélie posò una mano sulla mia spalla. « Stai tranquilla, bambina. Lei è tornata e presto si riprenderà ». Annuii non smettendo però di guardare la strega di divinazione a terra, e poi sentii di nuovo la voce di Sylvie risuonare chiara, seppur avesse perso l’illusione che le conferiva il suo potere: era tornata minuta, ma i suoi grandi occhi blu erano fissi su di me. « Cécilie, Elodie portate via Claire, ha bisogno di riposare. Lydie va con loro ». Le tre streghe obbedirono subito, voltando appena lo sguardo verso di me, ed io rimasi ad attendere le sue aspre parole verso di me e colui che avevo portato senza il suo permesso. « Desirée chi ti ha dato il diritto di portare qui quell’uomo? » Avvertii i passi di Mickel che avanzava minaccioso, come se volesse proteggermi, ma io con un gesto lo invitai a fermarsi. Potevo cavarmela da sola. « Nessuno, Gran Maestra, ma… » « Hai forse dimenticato il tuo giuramento? Vuoi forse mettere in pericolo te stessa, le tue sorelle e tua figlia? Quell’uomo ha visto con i suoi occhi qual è uno dei nostri poteri e chi ti dice che non ti tradirà? » « Io… mi fido di Mickel. Lui è diverso… » Sylvie proruppe in una risata sarcastica e amara insieme. Si voltò verso Mickel che, nonostante fosse molto più alto di lei, non gli infondeva paura alcuna. « Sei solo una sciocca! Cosa ti fa pensare che sia diverso? Che cosa sai veramente di lui? Che cosa sa di te? È il capitano delle guardie, dovrà rispondere al Conte che ha come consigliere Padre Paul. Pensi che non appena sarà necessario, non ci butterà sulle fiamme? Non ti tradirà? » Sentii affiorare le lacrime nei miei occhi, mentre mi alzavo da terra e cercavo di trovare la forza di ribattere. « Mickel non mi tradirà. Lui non è un cristiano, né un ugonotto. Sento di potermi fidare di lui, il mio cuore mi dice che posso farlo. Lui non ci tradirà ». Credevo di essere sicura del mio dire, ma mi voltai ugualmente verso di lui, come per cercare di comprendere se avessi ragione, se fosse la verità. Mickel spostò lo sguardo da Sylvie a me, e i nostri occhi s’incontrarono. Erano la fonte dell’anima, ed io sentivo che dietro quella scorza di ghiaccio, aveva un animo puro e nobile. Non mi avrebbe tradita. Prima che potessi dire altro, fu Mickel a parlare, spingendo Sylvie a guardarlo con disprezzo. « Non farò mai del male a Desirée, né a voi. Ho giurato di mantenere il segreto e lo farò. Potete essere libera di crederci o meno, ma guai a voi se arrecherete dolore a Desirée. Ho giurato di proteggerla, e sono disposto a fare di tutto ». « Anche a uccidere una donna, Capitano? » domandò, Sylvie con un sorriso di sfida sulle labbra. « La mia spada colpisce i miei nemici, e chi fa del male a Desirée o a sua figlia, diviene mio nemico. Badate a voi, non esiterò ad abbatterla su chi si dimostrerà ostile verso di loro ». Rimasi senza parole. Non avevo mai sentito formulare frasi simili da Mickel, e nel mio cuore emersero sensazioni diverse: da un lato un poco di paura per la situazione che si era creata, dall’altra un sentimento d’amore che pulsava più forte, nel comprendere quanto quell’uomo si fosse legato a me. Aveva giurato a Flaviano di proteggermi, ma ora sapevo che non era più una questione di giuramento, forse c’era di più. « Sylvie, mia cara, il Capitano Svensson ha un cuore nobile. Dobbiamo concedergli una prova. Desirée sa quel che dice e bisogna credere a quel che il suo animo sostiene ». Sylvie s’irrigidì alle parole di Ophélie: da un lato era troppo legata all’anziana strega per ribattere, dall’altro c’era qualcosa nel suo essere che le impediva di fidarsi degli uomini, come l’eco di un oscuro passato che serbava nel cuore, impedendo ad altri di venirne a conoscenza. « Così sia. Ma se il vostro cuore avrà sbagliato, il peso del sangue delle tue sorelle graverà su di te » disse volgendo il suo sguardo su di me. C’era disprezzo, quasi delusione, e mi spinse ad abbattermi. Sentii una parte del mio cuore sbriciolarsi: avevo tanto lottato per dimostrarle il mio valore, ero riuscita a conquistare il suo cuore, ma ora era come se avessi perso tutto. Sylvie si voltò e scomparve dietro una delle porte dell’antro, mentre io avvertivo una grande tristezza, che non riusciva a essere neanche alleviata dalle parole rassicuranti di Ophélie. « Fresia ha i suoi motivi, ma non devi provare tristezza. Lei non comprende, ma non ti odia. Il tempo allevierà ogni cosa. Torna a casa, Rosa Bianca, anche tu hai bisogno di riposare. Capitano, occupatevi delle mie bambine ». Avvertii il braccio di Mickel intorno alle mie spalle e quasi sobbalzai ma poi, dopo aver salutato l’anziana strega, mi lasciai condurre nella mia dimora, senza riuscire a dire una parola. *
I
giorni seguenti non tornai alla Congrega del Salice. Avevo bisogno di
stare un po’ lontana dallo sguardo sprezzante e deluso di
Sylvie. Non provavo, però, alcun senso di colpa. Mi fidavo
ciecamente di Mickel, e sentivo che avrei potuto mettere nelle sue mani
la vita mia e quella di mia figlia. Ci incontravamo sovente, cercando
di non dare troppo nell’occhio. In verità avevo
smesso di provare imbarazzo o paure per le chiacchiere della gente; era
la mia vita e non stavo facendo niente di male. Il mio solo intento era
di far comprendere alle persone che amavo quanto fosse importante
Mickel per me. Con Madame non fu facile, ma poi comprese che la mia
felicità veniva prima di ogni altra cosa, ed era pronta ad
aiutarmi per poter organizzare un matrimonio che potesse porre fine al
ciarlare e agli sguardi accusatori e imbarazzati degli abitanti di
Sivelle. Tuttavia, non ci fu molto tempo per iniziare i preparativi. La visione di Claire ci fu presto chiara. Voci giunsero fino a me, gettandomi in un’atmosfera di pura paura. Ecclesiastici dalle vesti scure arrivarono a Sivelle, portando con loro uomini dallo sguardo sadico; e presto compresi quale terribile minaccia potevano rappresentare per noi streghe, e non solo. Gli Inquisitori erano giunti a scacciare anche da quelle zone il male, la tentazione, l’errore. Come presto appresi, non si trattava d’inquisitori spagnoli, anche dalla parte protestante vi erano religiosi che svolgevano il medesimo scopo. Quando Mickel mi portò la terribile notizia, guardai la piccola Alizée giocare a terra gioiosa. Scappare non era possibile, sarei stata accusata immediatamente. Dovevo semplicemente continuare la mia vita, cercando di fare ancora più attenzione. La vita ci donava una nuova prova, che avrei cercato di superare, anche se la mia paura era evidente e scorsi uno sguardo cupo anche in Mickel. Gli sfiorai lievemente il viso e lo baciai. Avevo voglia di consolarlo e, forse, di pensare alle cose belle che avevo. Non potevo lasciarmi prendere dalla disperazione. Mickel mi cinse i fianchi, spingendomi a sé e ricambiando il bacio con più ardore. Sentivo di amarlo ogni giorno di più, anche se non glielo avevo mai detto apertamente, ma era come se non ce ne fosse bisogno. Comunicavamo molto con i silenzi, con gli sguardi, con i gesti, e questo ci bastava per comprenderci a vicenda. Gli Inquisitori furono accolti da Padre Paul, ma durante la messa della domenica rimanevano seduti immoti in un angolo dietro l’altare. Avvertivo il loro sguardo indagatore su ogni presente e i sorrisi beffardi dei loro servitori, uomini sgradevoli che sembravano godere del loro ruolo, della loro autorità. Purtroppo, o per fortuna, avevo solo udito da lontano dei loro metodi per estorcere confessioni, spesso non veritiere, e nel sentire gli sguardi dei due uomini vestiti di scuro su di me, rabbrividii. Dovevo cercare di essere forte e di celare la mia vera essenza dietro una maschera. Non ero abituata a mentire, spesso non ero neanche capace di recitare, ma ero perfettamente consapevole che ora dovevo farlo. Vivere la vita come una comune cittadina di Sivelle, donna di chiesa e adoratrice dell’unico Dio. Mi sentivo sporca a fare cose in cui non credevo, ma era l’unica soluzione per andare avanti; tuttavia nessuno mi avrebbe impedito di recarmi dalle mie sorelle. Dovevo farlo con discrezione ben maggiore, ma con Mickel al mio fianco mi sentivo al sicuro. Un giorno i due Inquisitori, seguiti dai loro servitori, giunsero alla Maison. Sotto il loro velato intento di saluto, sapevo che c’era dell’altro. Il loro era un vero e proprio controllo di ogni genere di comportamento che potesse essere una chiara dimostrazione di un eretico. Madame li accolse con garbo, invitandoli ad entrare. Mostrò loro il nostro operato, ed io guardai incuriosita il più giovane tra i due, che iniziò a parlare, invitandoci a ricordare che l’umiltà e l’amore per l’unico Dio dovevano venire prima del lusso e dello sfarzo. Era un uomo dai corti capelli scuri, sulle cui tempie comparivano i primi fili argentati, aveva occhi scuri e implacabili, una mascella larga e spesso indurita dal suo atteggiamento severo. Era pallido e il suo volto era scevro da barba o baffi. Quando puntò i suoi piccoli occhi su di me, sentii affiorare un lieve rossore, tuttavia mantenni fermo lo sguardo, per non palesare apertamente il mio senso di disagio. L’altro era un uomo anziano: i suoi occhi di un verde ormai sbiadito, quasi scomparivano tra la moltitudine di rughe che solcavano il suo volto magro. Aveva radi capelli di un bianco pallido, e labbra raggrinzite. Le dita erano magre e sembravano come lunghi artigli di un rapace. Mi sembrava così esile e non riuscivo a comprendere come un uomo di tal natura potesse emanare un tale potere. La sua autorità era evidente, e si diceva che proprio lui – all’apparenza il più innocuo – confermava le pene più severe per i peccatori. Nello scorgere Julie, posò la mano sulla sua testolina castana, e disse: « Bambina, noto che nutri una grande passione in questo lavoro, ma nutri il medesimo amore per il nostro Dio? » Julie sembrò avere meno paura di me, ma poi con voce che parve sicura, annuì con decisione. « Sì, Padre. Seguo gli insegnamenti dell’unico Dio e mi reco sempre ad ascoltare la sua parola ». L’anziano inquisitore si congratulò con lei, mormorando ancora qualche parola, per poi sfiorarle ancora un poco il capo e invitò in seguito tutti ad andare altrove. Il mio sguardo scivolò sulla piccola Julie che guardava gli uomini uscire con uno strano sorriso sulle labbra sottili. *
Qualcuno bussò alla porta della mia dimora. Era
ormai notte e non comprendevo chi potesse essere. Mickel doveva
rimanere al forte ed ero sola con la mia bambina, e lo spettro degli
Inquisitori fece pulsare il mio cuore. Cercai di placarlo,
convincendomi che non avevano nessuna prova della mia vera essenza, del
mio reale credo, e mi avvicinai alla porta. Trassi un profondo respiro
e poi feci scivolare la mano sul pomo, ruotandolo quel tanto che
bastava per aprirla. Di fronte a me notai Elodie avvolgermi con le sue
braccia, in preda alle lacrime. Non l’avevo mai vista in
quello stato e subito avvertii una stretta al cuore.« Desirée… Oh, Desy… » gemette, e affondò il capo sul mio petto. Al suo fianco Cécilie, con gli occhi ugualmente umidi, ci spinse a entrare per non dare troppo nell’occhio. Le lasciai entrare, richiudendo poi la porta e, spinsi Elodie a sedersi proponendole di prepararle un caldo infuso ma, di fronte al suo diniego, chiesi: « Che cosa è successo? » « La piccola Lydie… » Sgranai gli occhi a sentire quel nome e mi aggrappai con forza alle mani di Cécilie spingendola a parlare, mentre il mio cuore accelerava il suo ritmo. La strega erborista gemette lievemente, ma poi disse: « Non riusciamo più a trovarla. Era uscita con noi, ma le avevo detto di non allontanarsi troppo, e… » si bloccò, incapace di proseguire, e al suo posto Elodie prese parola. « Abbiamo ritrovato solo questo » tirò su con il naso ed estrasse dalla borsa una cuffia di stoffa. Tremando la presi tra le mani e con voce esitante, mormorai: « La sua cuffia… con questa celava i suoi capelli agli occhi degli altri ». In quell’attimo compresi in quale terribile pericolo si trovasse la piccina. Sentii affiorare le lacrime, ma le ricacciai indietro. Non c’era tempo da perdere, dovevamo tornare alla Congrega del Salice e capire come aiutarla, se era ancora possibile fare qualcosa. Cercai di mostrarmi risoluta e determinata, invitai le altre a farsi forza e presi Alizée. Coperte da un mantello leggero, con il cappuccio a celare il viso, ci avviammo silenziose verso il Salice, facendo perfetta attenzione a non essere viste. Sylvie ci attendeva con Claire – ripresasi – e Ophélie. Mi lanciò ancora uno sguardo di disprezzo, ma non me ne curai. C’era in gioco la vita di una bambina alla quale entrambe eravamo profondamente legate, e non mi importava della sua delusione nei miei confronti. Io stavo bene con me stessa. « Temo che Lydie sia stata presa dagli Inquisitori nella peggiore delle sorti » principiò a dire, mostrando, purtroppo, il mio medesimo pensiero. « Che cosa possiamo fare per salvarla? » chiesi. « Al momento cercarla, comprendere… » ribatté con fare enigmatico Sylvie, prima di spostare lo sguardo verso Claire che prese un piatto d’argento, ponendolo a terra. « Tu ed io, Desirée, eravamo le più legate a Lydie, ma vorrei che sia proprio tu a dimostrarmi quanto vali veramente come strega ». Le sue parole m’irritarono. Eravamo in una situazione di grave natura e lei cercava sempre di comprendere il mio valore. Sconvolgendo anche me stessa, mi dimostrai irrispettosa forse, ma era troppo il timore per la bambina. « Lo farò, ma non per mera dimostrazione del mio valore. Io voglio salvare Lydie, perché ho giurato di proteggere le mie sorelle ». Claire sorrise e scorsi il medesimo sorriso bonario sul volto rugoso di Ophélie. Sylvie assottigliò lo sguardo fissandomi per istanti interminabili, e poi annuì. « E sia. » Con un gesto invitò Claire a versare acqua cristallina all’interno del piatto, ed io lasciai mia figlia tra le mani di Elodie. « Spogliati di ogni gioiello che indossi e slega i tuoi capelli. Né nodi né orpelli devono impedire la vista. Il confine tra i mondi è sottile, ma anche profondo. Claire ed io saremo pronte a farti tornare, se ti spingerai troppo oltre ». Rabbrividii per un istante, consapevole di ciò che mi sarebbe accaduto se non fossi tornata indietro. Forse la pazzia mi avrebbe accolto, o la morte. Lydie, però, aveva bisogno del mio aiuto ed io intendevo donarglielo. Lasciai tra le mani di Cécilie quei pochi gioielli che indossavo e tolsi le forcine che mi legavano i capelli. I boccoli dorati scesero ai lati del mio viso, e quando mi chinai sul piatto con l’acqua, lo circondarono. Sylvie accese bastoncini d’incenso che profusero un odore che arrivò alle mie narici. Aspirai il loro profumo e sentii la testa vorticare. « Respira, così, più profondamente e poi lasciati andare… » le parole di Sylvie si facevano via via più lontane, man a mano che sprofondavo nell’acqua. La vidi vorticare, incresparsi come mossa dal vento, e poi il mio corpo si lasciò completamente andare e la mia mente si aprì alla visione. Vidi riccioli rossi come il sangue avvolgere un corpicino minuto, scosso da singhiozzi. Una bambina sedeva a terra, all’interno di una stanza buia e fredda. Gocce d’umidità cadevano al suolo, come un suono ripetitivo e terribile. La bambina piangeva e cercava di coprire la veste bianca, lacerata, con le esili braccia. Invocava nomi, tra i quali il mio. Un balbettio che aumentava per la paura. Un balbettio che mi struggeva il cuore. Un rumore le fece sollevare il viso, rigato da lacrime e sporco di terra. La porta si aprì e un uomo vestito di nero entrò mormorando parole che non riuscivo a comprendere. La bambina cercò di allontanarsi, ma la gamba era fermata da una catena che l’arpionava, ferendola. Pianse, ma non fece più nomi. Impaurita. La sagoma nera sfiorò l’aria in un gesto di benedizione e poi lasciò il posto a un energumeno che ridacchiò divertito, mentre con sadismo buttò un piatto con poco pane a terra. Umile cibo per una carcerata. Non so cosa riuscissi a dire di quello che vedevo. Forse parole confuse, che non avevano molto senso. Tuttavia, non mi era permesso ancora tornare. Avvertii una domanda su cosa le fosse successo, cosa l’avesse portata lì, e poi l’acqua s’increspò e la visione mutò. C’erano due bambine. La prima della precedente visione indossava una cuffia di stoffa a celare i suoi capelli, la seconda aveva trecce castane e occhi del medesimo colore. Sembravano parlare, no, forse stavano litigando. Non comprendevo le loro parole, ma avvertivo odio da parte della seconda bambina. La prima cercò di allontanarsi, ma la bambina castana la bloccò. Ci fu un secondo tentativo, ma anche quello andò a vuoto. La piazza ove si trovavano, si riempì di persone. C’erano anche due uomini di nero vestiti a osservare con attenzione il tutto. La bambina con la cuffia sembrò arrossire e pianse, invitando l’altra a lasciarla passare ma… questa, con un gesto deciso le afferrò la cuffia, strattonandola quel tanto che bastava per farla cadere. Riccioli color del sangue. Stupore. Paura. Brusio incessante. La bambina castana sorrise. L’acqua tornò a incresparsi ed io fui costretta a tornare alla realtà. Mi aggrappai con forza all’energia di Claire e di Sylvie, e quando riemersi mi accasciai a terra, esausta, e il mio volto si rigò di lacrime. _________________________________________________________________ Effettivamente non c'è pace in questa storia, ma tra i vari avvertimenti c'è il genere drammatico. Sono arrivati gli inquisitori e per le streghe iniziano i guai. Cosa succederà alla piccola Lydie? Lo scoprirete nel prossimo capitolo! A presto. Vi lascio con l'immagine del bel Capitano Svensson! Mickel! |
Capitolo 32
*** XXXI - Una vita per una vita ***
XXXI
Una Vita per una Vita La gente affollava la piazza
principale di Sivelle, proprio di fronte alla piccola chiesa di Padre
Paul. Sembrava che quel giorno tutti non avessero problemi ad
abbandonare il proprio lavoro, riversandosi con curiosità
– e forse avidità – a partecipare alla
morte della prima strega che gli Inquisitori avevano preso. Io ero
lì, avvolta in un mantello leggero con il cappuccio che mi
copriva i tratti del viso e i miei lucenti capelli, a pochi passi dal
palco, ove era stata ammassata legna e su cui spiccava un palo atto a
legarvi la presunta strega. Tremai sconvolta dalla crudeltà
umana, pensando che l’accusata era solo una bambina che aveva
la sfortuna – per quei cuori ignoranti e crudeli –
di avere i capelli di un rosso acceso. Avvertii il tocco leggero della
mano di Sylvie, al mio fianco, e mi voltai verso di lei, sorpresa. Non
aveva mai avuto un simile atteggiamento nei miei confronti e ora mi
sorrideva, come cercando di tranquillizzare la tensione crescente. La
mia piccola Alizée l’avevo lasciata a casa, con
una ragazza pronta ad aiutarmi, non volendo renderla partecipe di un
simile crimine, di un dolore che solo chi aveva una mente aperta e un
cuore privo di pregiudizi poteva comprendere appieno.
Le altre streghe erano sparpagliate tra la folla, non volendo destare sospetti. Non avevamo un piano ben preciso per salvare la bambina, in verità non sapevo neanche se sarei riuscita a fare qualcosa per aiutarla. Sylvie aveva scosso la testa e poi aveva sorriso; un sorriso che non comprendevo. Sembrava serena, tranquilla, come se sapesse in anticipo le sorti di quel giorno. Tuttavia noi altre eravamo veramente turbate e il mio cuore fremeva. Un brusio crescente salì dalla folla, c’erano persone che non sopportavano più l’attesa. Volevano vedere e forse deridere la sorte di quella strega. Avrei voluto gridare, metterli a tacere, scuoterli fino a farli rinvenire, ma sapevo che il mio intento non avrebbe sortito nulla di positivo, anzi, un tale atteggiamento mi avrebbe messo in cattiva luce. Poi dei tonfi, come il battere di un bastone sul terreno, fecero scemare il brusio fino a interromperlo del tutto. Sul palco comparvero le oscure figure degli Inquisitori e di Padre Paul e, a seguire, militi che reggevano con rudezza la piccola Lydie. Soffermai il mio sguardo su di lei e tremai. Era sporca, i suoi capelli erano stati del tutto rasati lasciando solo uno scalpo rossiccio. Appariva impaurita e cercava con occhi terrorizzati – nei quali però si poteva scorgere un filo di speranza – le uniche persone che l’avevano amata, seppur per breve tempo. Incrociò i nostri occhi e notai Sylvie sorriderle, come a donarle forza, ed io cercai di fare lo stesso. Era l’unica cosa che potevo donarle in quel frangente, ma non ero pronta a vederla ardere, seppur in quell’elemento che faceva parte di lei. Inconsciamente strinsi con più forza la mano di Sylvie e lei sussurrò: « Stai tranquilla, Desirée. La Dea è amorevole con le sue figlie », poi il suo tono si fece ancor più sommesso, ma riuscii a comprendere ugualmente il filo dei suoi pensieri. « E io non lascerò che la uccidano, non lo permetterò ancora ». Calcò quell’ultima parola, spingendomi a guardarla confusa. Non riuscivo a comprendere cosa volesse dire. Era la prima volta che ci trovavamo in una situazione simile, no? Eppure, una risposta arrivò rapida alla mia mente: in fondo, io non conoscevo tutto il passato di quella donna dotata di un potere straordinario. Tornai a guardarmi intorno e trovai la figura imponente del Capitano Svensson. Proprio in quel momento i nostri sguardi s’incrociarono e lessi un dolore discreto sotto quel ghiaccio. Mickel mi era vicino, ma il suo ruolo gli imponeva di controllare la situazione. Notai la sua mascella rigida, le sue mani posate con forza sul pomo della spada, e i suoi occhi che mi accarezzavano. Mi era vicino, ma anche lui sembrava inerme di fronte a quello che stava accadendo. Quando gli Inquisitori iniziarono a parlare, la mia attenzione fu portata nuovamente sul palco, dove la piccola Lydie, affranta, era stata legata barbaramente sul palo in attesa della sentenza. A parlare fu il più anziano, che con una mano reggeva un crocefisso riflesso contro di lei, e con l’altra puntava il dito indice, accusatorio, contro il popolo. « Non lascerai vivere colei che pratica la magia! Così ha parlato Iddio, unico e solo » la sua voce risuonò tuonante nell’aria, sgraziata e roca, ma ben precisa nel formulare un passo della Bibbia. Poi, si voltò di nuovo verso Lydie che sembrava ormai rassegnata al suo triste destino, sebbene il suo esile corpicino fosse scosso da singhiozzi incontrollabili. Sentii le lacrime affiorare agli occhi, e dentro di me avrei voluto tendere una mano per accarezzarla e placare il suo dolore e le sue paure, ma il vecchio tornò a parlare. « Noi, Guillaume Piccard, giudice per diritto divino e mondatore d’eresia, ottenuta la possibilità d’amministrare la giustizia, uditi i testimoni e letti gli atti, nonché veduto con l’occhi nostri il marchio del maligno, tacciamo l’imputata di stregoneria e la condanniamo al rogo sicché il fuoco possa purificare i suoi peccati. Possa Iddio avere pietà dell’anima sua ». Provai un senso di nausea nel sentire con quanta ipocrisia avanzava una simile condanna. Lydie non era figlia del maligno, non l’adorava e quel marchio era solo una caratteristica meravigliosa del suo corpo. Spostai lo sguardo sull’altro inquisitore, che guardava immobile il popolo, con sguardo arcigno. Non sembrava provare il minimo senso di disagio e, a malincuore, sorpresi Padre Paul sorridere. Un sorriso incomprensibile per un simile orrore. L’avevo tanto ammirato per la sua incredibile capacità di parlare, per il suo carisma ma ora mi sembrava un verme viscido come i due inquisitori. Fremetti di rabbia, ma poi non avvertii più il tocco della mano di Sylvie sulla mia. Mi voltai verso di lei, e notai uno scintillio nei suoi occhi blu. Lei mi sorrise con una tenerezza che non avevo mai scorto e poi mi sussurrò di allontanarmi. Rimasi immobile non comprendendo, ma il suo sguardo si fece più duro, e mossi qualche passo indietro, permettendo ad altre persone avide di godersi meglio lo spettacolo di avanzare, e tra loro mi confusi. A un cenno dell’inquisitore anziano, uno dei gendarmi al servizio degli ecclesiastici strofinò una sull’altra due schegge di pietra focaia e, con la scintilla che si sprigionò, vi sfiorò uno straccio imbevuto d’olio, legato a un pezzo di legno. Lo straccio prese ben presto fuoco, e il gendarme lo avvicinò alla pila di ciocchi e legnetti che circondavano la figura della piccola Lydie, facendole gettare un grido che mi straziò il cuore. La folla iniziò a fare rumori, alcuni inveivano contro la strega volendo la sua morte, altri pregavano Dio affinché allontanasse da loro al più presto la figlia del maligno; donne stringevano al petto i propri figli, nell’assurda speranza di proteggerli. Eppure io sapevo perfettamente che in mezzo a quella folla v’erano persone che piangevano, ed io stessa avvertii il mio volto bagnarsi da lacrime che non riuscivo più a trattenere. All’improvviso però, tutti si voltarono verso una figura che era avanzata verso il palco: era esile e minuta, lunghi capelli scuri e mossi le scivolavano fino alla vita e con mio grande stupore compresi che era Sylvie. Sollevò le braccia al cielo e la sentii proferire parole del potere. Spalancai gli occhi, comprendendo che stava richiamando le forze del cielo e della tempesta affinché accorressero in aiuto della piccola. Potenze del cielo accorrete al mio richiamo. Nuvole oscure coprite il cielo e fate che l’acqua si unisca all’aria! Fulmini, lampi e tuoni, scrosciate furenti per respingere il fuoco nemico! Dea, Madre mia, ascolta la mia voce, sostienimi nel tuo abbraccio, non permettere che la violenza distrugga la tua figlia più pura, guida la mia mano, mantieni saldo il mio spirito, e permettimi di bloccare questo scempio! Il fuoco ha già preso una vita, ed io ne reclamo un’altra! Potenze del cielo accorrete al mio richiamo, e spazzate via l’orrore. Fulmini, lampi e tuoni, colpite gli impuri e preservate la purezza! Questo è il mio potere, io lo invoco, ed esso sia! Il suo richiamo fu ascoltato. Laddove il cielo era limpido e sereno, come a farsi beffe del triste giorno, ora s’addensavano nubi scure e grondanti d’acqua. La pioggia scese con violenza, sferzando i visi degli astanti, e spingendo tutti a correre via, ma scivolando lentamente anche sui ceppi, facendo affievolire e poi cessare il fuoco. Tra grida e paura si generò il caos: persone sbattevano contro di me, rischiando di farmi cadere, ma io restai immobile a osservare la scena. Lampi e tuoni dipingevano di luce le nuvole, provocando tremendi boati che facevano sussultare le persone e piangere i bambini. Cercai di trovare le mie sorelle, ma in quella confusione non era facile. Avevo ormai perso di vista anche Mickel, e quindi tentai di avanzare, con il vano intento di poter aiutare la bambina ormai svenuta ma ancora legata al palo. Osservai i gendarmi, dapprima spavaldi, farsi deboli come pecore, e tremare di fronte a quella magia, ma gli ecclesiastici, dopo un primo momento di puro terrore, puntavano il dito contro la Gran Maestra, appellandola strega e tentando di convincere i gendarmi, riluttanti, ad afferrarla. Quando vidi uno dei militi farsi coraggio e avvicinarsi a Sylvie, mormorai poche parole del potere, generando dei venti gelidi che spazzavano via l’uomo, tenendolo il più lontano possibile da lei. Non gli avrei permesso di ucciderla. Poi, a quel degenero totale, si unirono nuove figure che mi fecero perdere la concentrazione. Erano avvolte da mantelli neri, con il cappuccio a celare il capo, e sul volto mi parve di scorgere come delle maschere strane, deformi, simili a un animale. Caddi a terra scossa da un forte tremito, mentre immagini di sogni che avevano tormentato numerose mie notti comparvero nella mia mente. Erano lupi, con denti aguzzi e un sorriso malsano. A una visione più attenta li vidi sfoderare delle spade affilate, mentre si avvicinavano a grandi falcate al palco dove giaceva il corpo privo di sensi di Lydie. Volevo urlare, ma non riuscivo a farlo. Mi era impedito anche muovermi, scossa da un tale senso di terrore e una paura che non riuscivo a trattenere. Temevo per la bambina, ma anche per Sylvie, immobile e ancora con le braccia al cielo, ammantata della sua energia che pian piano svaniva per la debolezza che quel potere implicava. Chiusi per un istante gli occhi, lasciandomi andare alle lacrime, e non volendo assistere a quello strazio ma, quando udii un duplice grido sferzare l’aria, li riaprii all’istante, osservando la scena. Da un lato una delle figure scure dal volto lupino aveva infilzato la spada al petto l’anziano inquisitore che si contorceva per il dolore, nello spasimo della morte, dall’altro lato scorsi Sylvie accasciarsi a terra, e l’immagine del giovane inquisitore gioire mentre la lama di un coltello insanguinato scintillava tra le mani del gendarme. Un grido si bloccò sulle mie labbra, quando sentii delle mani avvolgermi il corpo e venire portata via. L’ultima cosa che riuscii a scorgere, fu l’oscurità che circondava le figure di Sylvie e Lydie, i volti dei lupi, e poi il buio. *
« Desirée? » Udii una voce soffusa e lentamente aprii gli occhi, cercando di vedere nitidamente. La figura che mi sormontava era alta e flessuosa e circondata da un’aurea di luce che non mi permetteva di distinguere correttamente i lineamenti. Sbattei le palpebre un paio di volte e poi provai di nuovo. Questa volta riuscii a scorgere il viso di Claire che mi osservava con preoccupazione evidente. « L-Lydie? » chiesi, con tono impastato. « Sta riposando ora, è al sicuro » mi sorrise lievemente, ma scorgevo ombra nei suoi occhi chiari. « Sylvie? Dov’è la Gran Maestra? L’ho vista avanzare… lei… lei ha creato un potente incantesimo. Sentivo l’energia vibrare nell’aria, l’avvertivo sulla mia pelle, ma poi… » Claire scosse il capo e chiuse gli occhi, e un vento gelido mi penetrò nell’animo. Che cosa era successo? Ricordi riaffiorarono con prepotenza, immagini nitide che facevano male. Ombre salivano sul palco, l’inquisitore anziano era morto, ma il gendarme… aveva colpito Sylvie. Una triste consapevolezza si fece viva in me, un senso di vuoto che sembrava avvolgere il mio cuore. Un’assenza che non poteva essere vera. « Che cosa le è successo? Claire… » la guardai con una muta preghiera. Non potevo credere di essere stata così debole da svenire e non aiutarla. « Vieni con me » mormorò unicamente, ed io mi sollevai dal giaciglio sul quale mi avevano lasciata riposare e che compresi essere la mia stanza all’antro della Congrega del Salice. Claire mi precedette, ed io avanzai lentamente, con la testa pesante e la sensazione di cadere di nuovo. Troppe emozioni mi avevano turbata, ma il pensiero che Lydie fosse ancora viva mi permetteva di non cedere totalmente alla disperazione. Ma Sylvie? La mia domanda trovò la sua risposta: la Gran Maestra giaceva tra le braccia sottili e pallide di Ophélie. Era mortalmente pallida, i lunghi capelli scuri e ondulati le si riversavano sul petto e le circondavano il viso. Gli occhi erano chiusi, le labbra esangui, e notai una chiazza scarlatta all’altezza del fegato, ma notai la presenza – seppur lieve – del suo respiro. Accanto a loro, Cécilie avvolgeva con un braccio le spalle di Elodie che piangeva in modo straziante, mentre il suo corpo ancora non del tutto maturo era scosso da singhiozzi inconsolabili. Mi avvicinai a loro e m’inginocchiai per essere all’altezza di Ophélie. Osservai l’anziana strega mentre reggeva saldamente il corpo di colei che reputava come una vera figlia, ma non notai lacrime. Sembrava però invecchiata maggiormente, se possibile, e il suo sguardo già cieco era posato fissamente sul corpo della giovane Gran Maestra, che respirava a fatica. Con una mano tremante tentai di sfiorare il volto incredibilmente pallido di Sylvie, scostandole una ciocca scura e osservandola con tristezza. « Sylvie… perché? » Avrei voluto dire molto di più, avrei voluto aiutarla, fare qualcosa, anziché rimanere a una concreta distanza mentre lei si immolava per salvare una bambina dalla bestialità umana, ma lei me l’aveva impedita e nel profondo del mio cuore sapevo anche il motivo. Non voleva mettermi in difficoltà, soprattutto per la mia Alizée. Ma non avevamo giurato tutte di proteggerci l’una con l’altra? « Rosa bianca non affliggere il tuo cuore puro con domande inopportune » la voce di Ophélie mi colpì, ma non scostai il mio sguardo da Sylvie. « Lei ha fatto la sua scelta e so che anche tu l’hai aiutata con la tua devozione, il tuo amore, la tua mente aperta e il tuo gran cuore. Non ti crucciare, piccola mia ». « Ma potevo fare di più. Io ero lì con lei, avrebbe potuto consentirmi di aiutarla. Volevo poter salvare Lydie, ma non perdere lei… Oh, se me l’avesse permesso… ma sono debole. Sono svenuta, non so neanche come sono arrivata fin qui e… » Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e, voltandomi, incrociai gli occhi colmi di lacrime di Elodie. « Ho sentito il tuo potere » tirò su con il naso, e poi continuò « c’era un forte vento che si univa all’energia di Sylvie. Tu hai fatto tanto… Oh Desy, hai fatto tantissimo ». Si buttò tra le mie braccia ed io l’avvolsi in un abbraccio protettivo, cercando di farla calmare, ma quegli occhi grandi e gonfi di lacrime mi contagiarono e ci ritrovammo a piangere entrambe, sotto lo sguardo delle altre. Quando riuscii a riprendermi un poco, spostai lo sguardo verso Cécilie, e le dissi: « Con le tue erbe non può salvarsi? » Cécilie scosse il capo, sfiorando leggermente i suoi occhi – rossi per il pianto che aveva punto anche lei – con una manica della veste. « Ho tentato, ma la ferita è troppo profonda… » La sua risposta fu però interrotta da un sospiro, un alito di voce che proveniva dal corpo quasi privo di forze di Sylvie. Ci voltammo tutte a osservarla. Lasciai a Elodie il posto per farle tenere la mano, in fondo era la prima persona a essere stata accolta da quella donna morente, ma mi tenni abbastanza vicina. « Fresia mia dolce bambina » mormorò Ophélie, carezzandole il volto. Ci fu un leggero movimento del corpo, ma poi Sylvie si limitò ad aprire unicamente gli occhi: il blu che li dipingeva sembrava ancora essere vivido, mentre ci osservava una a una, ma poi la sua vista divenne distante, come appannata da un velo invisibile e impenetrabile. Le sue labbra violacee si distesero in un sorriso luminoso, e si mossero leggermente nel vano tentativo di proferire parola, ma uscì solo un nome. Un sussurro appena. Elise. Un nome nuovo, mai sentito prima. Non compresi ma non potei neanche pormi altre domande, perché notai il suo viso illuminarsi come se avesse scorto una figura, la Dea forse, o proprio quella Elise che aveva invocato, ma poi emise un ultimo sospiro prima di ricadere tra le braccia di Ophélie, del tutto immobile. Non c’era più vita in lei. Sylvie Morin, la Gran Maestra che ci aveva accolte e insegnato il suo sapere, la sua forza, il suo coraggio, ci aveva lasciate. Ci furono pianti, singhiozzi, parole, e il miagolio di un gatto nero: Etoile era arrivato a salutare la sua padrona, che tanto aveva amato. Sprofondò il musino sul suo viso, lo spinse sulla mano dandole un tocco forte che potesse spingerla a reagire, ma quando comprese che non lo avrebbe più accarezzato, emise una serie di miagolii strazianti che mi perforarono il cuore, già del tutto ferito. Sylvie non c’era più. Non era una cosa facile da capire, da sopportare, da credere. L’odio, la cecità, l’ignoranza, la crudeltà l’avevano uccisa. Ma era veramente morta? No, lei aveva abbattuto tutto quel marciume. Aveva sacrificato se stessa per salvare una piccola innocente che non aveva colpa alcuna. Aveva dimostrato l’amore puro, vero, reale. Una persona così poteva essere considerata malvagia? No. Ci aveva donato un grande insegnamento e, solo in quegli ultimi attimi di vita, avevo veramente capito che lei mi aveva amata come sorella, nonostante tutto. Ed io avevo perso di nuovo una persona importante, una sorella, per colpa di uomini che credevano di professare una religione giusta. *
C’era un laghetto al centro della foresta, dove si riflettevano i pallidi raggi lunari. Avevamo vegliato sul suo corpo per un intero giorno e atteso che la piccola Lydie si ristorasse per partecipare al rito. La reazione della piccola fu straziante. Si sentiva tremendamente in colpa e a nulla bastarono le nostre parole di conforto. Lei non c’entrava nulla, ma potevo comprendere quell’ombra viscida che le avvolgeva il suo cuore puro. Infine, furono le parole della saggia Ophélie a spingerci a reagire. Non piangete bambine mie, la morte non è la fine. Quello che vedete senza vita è solo il corpo, ma l’anima esiste ancora e passerà di vita in vita, fino a che gli Dei non riterranno che sia giunta la piena maturazione. Ci rincontreremo, forse. Dovevamo andare avanti, continuare a realizzare il sogno per il quale era morta Sylvie e preservare le nostre vite. Avevo inviato una missiva a Mickel affinché prendesse con sé Alizée per almeno un giorno. Non potevo tornare dalla mia bambina, non prima di aver donato il mio ultimo saluto alla Gran Maestra. Le nostre tuniche di diverso colore formavano chiazze di colore nell’oscurità opprimente, mentre posavamo il corpo immoto di Sylvie sulla pira funebre che avevamo preparato. Mi posi tra Ophélie e Lydie, e le altre intorno alla pira, così da formare un perfetto cerchio. Era un momento importante, dove saremmo state chiamate a convogliare le nostre energie per un unico fine: onorare la più grande delle streghe. Ophélie ci aveva indicato che cosa fare e ora eravamo tutte concentrate a richiamare il nostro elemento affine. Chiusi gli occhi e – come le altre – sollevai le braccia verso l’alto per cercare il potere. Allontanai dalla mente ogni pensiero, ogni immagine che potesse minare la mia concentrazione e lasciai che il buio fosse l’unica cosa visibile. Trassi dei profondi, intensi, respiri, sentendo il mio corpo oscillare leggermente. Concentrai la mia mente sull’aria, l’elemento che mi aveva scelta e che mi completava, e avvertii lentamente l’energia scorrere nelle mie vene, dalle mani, fino alle braccia, per poi convergere in tutto il resto del corpo, avvertendo un formicolio piacevole. Quando mi sentii pronta, aprii gli occhi di scatto, e sentii – più che vedere – che tutte le altre avevano fatto lo stesso. Il luogo era colmo di energie diverse e, guardando con occhi interiori, potei avvertire come la sensazione di essere pura aria, e al mio fianco, v’era la perfetta incarnazione degli altri elementi. Terra, Acqua, Fuoco. All’unisono le nostre voci si unirono, mormorando parole del potere: la terra tremò leggermente sotto i nostri piedi nudi, le acque del placido laghetto s’incresparono d’incomprensibili onde, mentre la fiamma delle due streghe più giovani zampillò sulla pira funebre, avvolgendo in pochi attimi il corpo dell’amata Gran Maestra. Io convogliai l’aria affinché sfiorasse l’elemento affine, e donasse un’ultima carezza e saluto al corpo di colei che mi aveva insegnato a comprendere perfettamente l’elemento che ci univa. La fiamma divenne alta, sollevata dal vento, e ben presto laddove v’era un corpo mortale, non vidi che fuoco. Un fuoco che non feriva. Un fuoco che realmente purificava. Un fuoco che non uccideva. L’unico fuoco che poteva avvolgere il corpo di una strega. Prendendoci per mano, iniziammo a cantilenare una nenia, un ultimo saluto a Sylvie, e così continuammo fino a che le prime luci dell’alba non rischiararono il cielo denso di tenebre. ___________________________________________________________________________________________________________________________________ Questo
è stato forse il capitolo migliore. Non so
perché, ma credo di riuscire a scrivere meglio le cose
più drammatiche, ma magari è solo una mia
impressione.
Comunque la
storia, come avrete capito, inizia a farsi più drammatica, e
non è finita qui. Spero che vi sia piaciuto e ammetto che un
po' mi dispiace non ricevere pareri o commenti che mi aiutino a
comprendere se quel che scrivo sia qualcosa di decente o meno.
Tuttavia, comprendo che non è sempre facile leggere al pc,
infatti io stessa ho molto ridotto il mio tempo - anzi, ultimamenten
non riesco proprio a leggere nulla al pc -.
Se vi va, lasciate pure un pensiero :)Per quanto riguarda quell' Elise, per saperne di più vi invito a leggere il mio racconto breve su di lei e la nostra cara Gran Maestra, che purtroppo ha perso la vita. Spero vi possa piacere. Elise era il suo cuore. Un'anticipazione posso farla: non manca molto alla conclusione di questa storia :) A presto! |
Capitolo 33
*** XXXII - Di un ritorno e una scomparsa ***
XXXII
Fuoco.Di un ritorno e una scomparsa Fiamme divoravano il corpo di una donna legata a un palo sulla cima di un palchetto. Intorno a sé udiva le risate della gente che la osservava con un sorriso sadico sul volto, e puntava il dito contro di lei. “Strega, assassina, figlia e moglie del demonio…” tanti epiteti le venivano scagliati, mentre sagome scure puntavano croci verso di lei intonando litanie atte a scacciare il male e a purificare, insieme al fuoco, la sua anima corrotta. Il corpo bruciava, urla strazianti uscivano dalle sue labbra, mentre deperiva come un semplice ciocco di legno. Faceva male, colpiva nel profondo, e non aveva fine. Una morte lenta, tormentosa, inquietante. Altre figure scure s’intromisero tra i popolani, ma non avevano volti: maschere nascondevano i loro tratti, assumendo il grottesco ghigno di un lupo. Lupi, troppi lupi intorno a sé. Tra quell’oscurità e il fumo che le saliva sino agli occhi appannandole la vista affaticata dal dolore, scorse un’altra sagoma: era un vero lupo dal manto come neve e profondi occhi cristallini che la fissavano intensamente. La donna lo scrutò per alcuni istanti e il dolore sembrò attenuarsi. Ma chi era quella donna? Con mio profondo sgomento repressi a stento un urlo. Quella donna ero io. Ero sudata, ma non era dovuto meramente al caldo asfissiante che aveva portato con sé l’estate. Erano notti che facevo sogni tremendi ai quali non sapevo dare un senso. Forse erano il frutto delle mie paure, a seguito della morte della Gran Maestra e al pericolo corso dalla piccola Lydie. Da quel triste giorno, il sospetto e la paura si erano diffusi velocemente tra la popolazione. Sylvie, salvando la bambina, aveva dimostrato in un certo qual modo la veridicità delle parole degli inquisitori: c’era una strega e non doveva essere l’unica. Si erano rafforzati i controlli da parte degli armigeri al servizio dell’inquisizione e donne, che avevano l’unica sfortuna di praticare certe arti o di essere delle miserabili ai margini della società, erano state accusate delle stregonerie più folli che si potessero inventare. Si era generato il panico. Per potersi salvare molti accusavano altri. Persone che potessero stare loro scomode, vicini di casa odiati o altri motivi futili, che però causarono atroci torture – a quanto si diceva – ai malcapitati. Io stessa ero vista con sospetto. Mi era sempre più difficile passeggiare tranquillamente per le strade di Sivelle e andare semplicemente a lavoro. Ero una donna sola, con una bambina e un marito morto in battaglia e, agli occhi malsani degli inquisitori, potevo essere una preda facile, ma ero ben vista dai Conti per la mia arte e il mio operato. Tuttavia, v’era un altro motivo per cui rischiavo di essere additata come strega: c’era chi mi aveva visto con la piccola Lydie e questo era un pericolo. Temevo che Julie potesse tradire anche me, e spesso la osservavo con attenzione. Tuttavia, sembrava persa, confusa e la vedevo sempre pallida. Sul suo giovane volto si scorgevano i segni di un senso di colpa evidente. Per tali motivi non ero neanche più andata presso la Congrega del Salice, anche se cercavo di tenermi in qualche modo in contatto. Non volevo essere distante dalle mie sorelle in un momento di tale dolore ma, allo stesso tempo, non potevo rischiare la vita di mia figlia e la mia. In tutto questo, Mickel mi restò accanto. Spesso era lui il messaggero. Ci fidavamo di lui. Io mi fidavo di lui e lo amavo. Mickel c’era sempre per me e per la mia bambina. Si era creato un profondo legame tra noi e speravo tanto di poter interrompere gli sguardi malevoli delle persone, completando il nostro amore di fronte ai loro occhi. Ma era davvero tutto così facile? O mi avrebbero visto ugualmente male per concedermi a un altro uomo? La vita era diventata triste e grigia a Sivelle, e la luce che per tanto tempo mi aveva accolta nel suo candore stava svanendo come neve al sole. *
Continuare a svolgere una vita apparentemente normale non era facile; ma era essenziale per andare avanti. Il terrore gravava nella mia anima, ma una scintilla di luce la rischiarava: mia figlia. Era un caldo pomeriggio di luglio, l’afa sembrava non dare tregua e attendevo che svanissero le ore in cui il sole era alto e rovente, per uscire di casa. La mia piccola giocava tranquilla, con un gattino di legno intagliato dono di Mickel – sorprendendomi anche con questa sua abilità nascosta – ed io la scrutavo attenta e ammaliata. Alizée cresceva sana e bella, con riccioli biondi a circondarle il viso roseo e paffuto, su cui spiccavano intensi occhi color cioccolato. Il ricordo di Flaviano affiorava ancora, ma non sembrava più arrecarmi un gran dolore. La sua assenza era ancora palpabile e, probabilmente, una parte del mio cuore gli sarebbe sempre appartenuta, ma ero andata avanti e sentivo che anche lui sarebbe stato felice della mia scelta. Flaviano non avrebbe mai voluto la mia infelicità e si fidava ciecamente di Mickel, come se fosse un fratello anziché il suo Capo. Sospirai lievemente, ascoltando i suoni ancora privi di senso emessi da mia figlia, quando avvertii qualcuno bussare alla porta. Non aspettando nessuno, fui sorpresa e lentamente mi avvicinai per andare ad aprire. Quello che vidi, o meglio chi era di fronte a me, mi fece sbiancare. Una donna incantevole dall’aspetto algido e altezzoso, mi osservava con occhi furenti, come se vi aleggiassero delle fiamme. Era leggermente più alta di me e i capelli scuri erano raccolti con eleganza sul capo, mentre il suo corpo formoso era adornato da una veste rosso sangue. « Louise-Marie… » sussurrai, non riuscendo a dire altro. La mia migliore amica era lì, era tornata finalmente. Un insieme di emozioni mi scosse dentro: da un lato provavo una tale gioia da spingermi ad abbracciarla, lei era tornata a riempire quel vuoto che mi aveva lasciato la sua assenza, dall’altra avevo paura. Che cosa sarebbe successo ora? Mickel… « Madame Marli » replicò, lei, con un tono talmente freddo da ferirmi dentro. « Vorrei parlarvi ». Rimasi qualche secondo a guardarla, esitante, ma poi annuii e mi scostai di lato per permetterle di entrare nella mia dimora. Louise-Marie avanzò con passo lento e aggraziato, e si fermò a scrutare il volto della mia piccola. « Oh » mormorò, sorpresa. « Lei deve essere vostra figlia ». « Sì, è Alizée » confermai, per poi aggiungere, « Louise-Marie cosa hai? Sembri così cambiata, così fredda con me… » Lei guardò ancora qualche istante la bambina che aveva sollevato appena lo sguardo verso la nuova giunta prima di tornare a giocare e poi si voltò verso di me. Tra le mani, notai solo in quel momento, stringeva un nastro rosso, un mio regalo. « Non dovrei forse esserlo? » assottigliò gli occhi verdi, e strinse con più forza il nastro. « Perché? » domandai, incredula. Da quanto era tornata? Già sapeva? Lei rise istericamente, buttando la testa all’indietro. « Mi chiedete anche il motivo? Desirée non fate la sciocca! » sbottò, alzando la voce. « Sono tante le voci che corrono sul vostro conto, e non è stato difficile farle arrivare a me. Sono appena tornata e ho potuto già costatare la deliziosa accoglienza che voi e il Capitano Svensson mi avete riservato ». Si fermò per qualche minuto, come a riprendere fiato e la dovuta compostezza necessaria a una dama di tale lignaggio. « Avete allontanato da me l’unica persona per la quale ho provato veramente amore. Come avete osato? Come avete potuto farmi questo, proprio voi, proprio tu che conoscevi perfettamente i miei sentimenti? » Rimasi senza parole, a fissarla esterrefatta. Se da un lato quelle parole erano riuscite a farmi sentire colpevole, dall’altra s’insinuava con prepotenza un altro pensiero. « Non sapete cosa proferire ora, vero? Voi, proprio voi, mi avete tradita! Mi fidavo della vostra amicizia, credevo ciecamente in voi, e voi non avete atteso molto per infliggermi un tale dolore! Appena ho voltato le spalle, voi mi avete pugnalato. Che ingratitudine! Dopo tutto quello che ho fatto per voi! » sibilò, e il suo viso si tinse di rosso, tant’era infervorata. Respirai un paio di volte, ma dentro il mio cuore v’era come un serpente che mi aveva punto con il suo veleno. Non potevo sopportare tali attacchi, soprattutto da colei che era svanita nel nulla, mettendomi da parte nel momento in cui avevo più bisogno. Era questa la sua amicizia? Non scrivermi neanche più per farmi sapere come stava? Spingermi a pensare al peggio? « Non sono disposta a sentire ancora le vostre parole dense di veleno » replicai, tornando a rivolgermi a lei con la forma “distante”, e non il tu utilizzato solo con le persone più intime. « Siete scomparsa improvvisamente, senza lasciare una lettera né a me, né al vostro amato. Ho saputo solo che eravate a Parigi, e per mesi ho cercato di sapere di più, ma niente ». Presi fiato, cercando di abbassare il tono di voce e quando ripresi a parlare, si sentiva tutto il mio dolore. « Cosa ti prende ora? Perché non mi hai mai scritto? Io… posso avere l’unica colpa di essermi innamorata di Mickel, perché mi è stato sempre accanto quando il mio Flaviano è morto, e quando tu sei scomparsa. L’amore è dunque un crimine? » La guardai con occhi lucidi, e mi sembrò di leggere un filo di commozione anche nei suoi occhi smeraldini, ma quella sensazione scomparve velocemente. Tornò a fissarmi con odio e poi sorrise, un ghigno isterico. « Amore dite? » rise. « Voi amate il capitano Svensson e lui ama voi? » la risata si fece sempre più aspra, più alta, facendo piangere impaurita la mia bambina. « Vi odiavate, da quel che rammento. Non lo potevate sopportare. È così freddo, è così cattivo! » le ultime parole furono atte a canzonarmi. « Ora dal nulla, avete cambiato idea? Cos’è, il vostro letto era ormai troppo freddo da quando il vostro amato è perito? Avete giusto messo gli occhi sul mio! » La rabbia e l’indignazione s’impossessarono di me. Non potevo credere che quella dinanzi a me fosse la stessa donna che avevo amato come una sorella. « Esci da casa mia. Subito! » ringhiai, indicandole con un gesto la porta d’ingresso. « Posso capire il tuo dolore per non avere più Mickel, ma questo non ti dà il diritto di additarmi come una meretrice. Tu non sai quello che ho sofferto. Tu non sai il vuoto che Flaviano mi ha lasciato e che tu stessa hai lasciato, andando via senza una parola. L’hai fatto soffrire, hai fatto soffrire anche me. E ora torni indietro e ci incolpi per aver mutato i nostri sentimenti l’uno per l’altra? » La dama smise di ridere alle mie parole, mentre un fuoco mi dilaniava il petto e sembravo aver smarrito il raziocinio talmente ero arrabbiata e delusa. Dopo qualche istante, in cui rimanemmo a fissarci a vicenda, con il triste sottofondo delle grida di Alizée, Louise-Marie mi scagliò addosso il nastro rosso che stringeva tra le dita, colpendomi il viso. La stoffa mi sfiorò la pelle come una gelida carezza e lì compresi che ormai la nostra amicizia era arrivata a un punto di non ritorno. Ero ferita, triste, delusa e il vuoto che pensavo potesse essere colmato, non aveva fatto altro che allargarsi. Come poteva trattarmi così? Potevo comprendere i suoi sentimenti e a lungo mi ero sentita in colpa per provare amore nei confronti di Mickel, ma l’amore era un crimine? Le persone cambiano, così i sentimenti, e non è facile gestirli. Ci avevo provato, ma lei non era tornata, e ormai le cose erano mutate. Se Mickel lo avesse voluto, mi sarei fatta da parte, ovviamente, anche se con gran sofferenza, ma Louise-Marie mi aveva considerata come una prostituta pronta a riempire il suo letto quando ormai diventato troppo freddo, e non potevo passarci sopra. « Prendi il tuo sudicio regalo, strega! » sibilò. « Ora me ne vado, ma la mia vendetta arriverà ben presto! » Con un fruscio di vesti si avvicinò alla porta e una volta uscita la sbatté con poca grazia. Ero così scossa da tremare visibilmente e per poco non caddi a terra. Respirai più volte, profondamente, cercando di raggiungere uno stato di quiete, ma era difficile. Presi la mia piccola tra le braccia e sprofondai su una sedia, stringendomela al petto, e non potei frenare le lacrime che rigarono il mio volto. * Ero ancora seduta, quando sentii di nuovo bussare alla porta. La mia piccola si era addormentata, esausta, tra le mie braccia dopo aver pianto numerose lacrime. Mi alzai, con uno sforzo, e la posi all’interno della sua culla, e poi passai appena le dita sul mio viso per cancellare le tracce delle mie lacrime, seppur fosse difficile non far comprendere che avessi pianto. Sentivo gli occhi bruciare, e la testa essere preda di piccole palpitazioni che mi creavano fastidio. Tuttavia, avanzai lentamente verso la porta e l’aprii. Mickel era lì, davanti a me e mi guardò con un leggero stupore, che presto scomparve. La mascella si contrasse, mentre mi spinse a farlo entrare. Non mi opposi, lasciando che la porta si chiudesse dietro di lui. « Quindi sai » disse, non smettendo di guardarmi. Io annuii con il capo e provai un senso di vergogna nel comprendere che il desiderio di piangere non si era placato. « È stata qui » replicai, con voce roca. « Tu l’hai già incontrata? » Lui scosse il capo, per poi rispondere: « Di sfuggita, ma non abbiamo parlato ». Annuii di nuovo, e poi sospirai. « Louise-Marie è tornata, ma non sembra più la stessa. Mi ha aggredita con violenza, regalandomi epiteti che mai pensavo potessero uscire dalle sue labbra » tirai su con il naso, abbassando poi lo sguardo. « Immaginavo che non sarebbe stato facile per lei, sapere di noi… ma che colpa ne ho se ti amo? » Mickel mi sfiorò leggermente i capelli, e poi avvicinò le sue labbra alle mie, donandomi un bacio di fuoco che mi rendeva difficile dirgli quanto avevo nel cuore. « Però, se tu vorrai tornare con lei, sono disposta a tirarmi indietro… » Per me era un notevole sforzo proferire parole simili. Il mio cuore mi spingeva a dire altro. Non volevo perderlo, né lasciarlo. Era una delle poche luci che mi permettevano di non cadere in quella tenebra oscura che stava opprimendo la mia vita e il mio villaggio. « Provo sentimenti forti per te, è vero, ma voglio la tua felicità… non voglio farla soffrire anche se mi ha trattata male. Louise-Marie era come una sorella per me, e se… » le mie parole morirono in bocca, quando lui pose due dita sulle mie labbra, a zittirmi. « Non tornerò con lei. Lei mi ha abbandonato e ora ci sei tu nel mio cammino » si fermò per un attimo per soppesare i pensieri. Non era facile per lui dimostrare chiaramente a voce i suoi sentimenti, con parole adatte, dolci, o simili. « Io voglio te ». Il mio viso fu bagnato ancora dalle lacrime. Felicità, gratitudine, amore, erano tutti sentimenti che le spiegavano. Temevo di perderlo, ma il pensiero che avesse scelto me, mi rincuorava. Non volevo e mai avrei voluto far soffrire Louise-Marie, ma il mondo cambiava, così come i sentimenti. Quello che un giorno potevi odiare, conoscendolo meglio e consentendogli un’altra opportunità poteva rivelarsi il grande amore; ed io non volevo perdere Mickel. Sprofondai tra le sue braccia, affondando il viso contro il suo petto, e lui mi strinse a sé. Il veleno che scorreva nel mio cuore fu purgato da quell’amore intenso che scorreva tra noi. Eppure avevo paura. Louise-Marie aveva parlato di vendetta e tremavo ancora di fronte al suo sguardo furente. Fiamme vive nei suoi occhi, odio nel suo cuore, vendetta nelle sue parole, terrore in me. *
Le sue labbra cercavano le mie, i nostri corpi si muovevano in un’armonia perfetta che spazzava via i miei dubbi. Mickel ed io ci unimmo più volte quella sera, soggiogati da una passione che sembrava non saziarsi mai. Stare tra le sue braccia aveva allontanato per qualche ora il pomeriggio spiacevole che avevo trascorso, ma ora che la nostra danza d’amore aveva avuto termine, pensieri riaffiorarono nella mia mente. « Ho paura » mormorai, stringendomi maggiormente a lui come a trovare conforto e protezione. « Di cosa? » « Di Louise-Marie… » Lui scosse leggermente il capo e affondò le labbra tra i miei capelli. « Mi guardava con odio e non mi ha mai rivolto simili cattiverie prima d’ora ». « Forse le persone non sono mai come sembrano ». Fece una pausa distogliendo lo sguardo da me. « Ognuno porta dentro di sé una parte di luce e una di ombra, ma non è sempre la prima a prevalere ». Rimasi in silenzio per diversi minuti, soppesando le sue parole. Mickel non parlava spesso, ma quando lo faceva, lasciava trapelare la sua saggezza. Sfiorai lievemente il suo torace pieno di cicatrici e poi replicai: « Sì, hai ragione, ma temo che le sue non siano solo semplici parole di vendetta ». « Non ti farà del male ». Mi strinse, nuovamente, di più a sé, mentre i nostri corpi nudi ardevano di una fiamma ancora non spenta. « Tu la ami? » chiesi, dopo un poco di silenzio. « Forse un tempo provavo un qualcosa di simile all’amore ». La sua mascella si contrasse, facendosi rigida nel proseguire. « Ma poi si è spento quando se ne è andata ». « E ora provi odio? » « No. Indifferenza » rispose in modo gelido. L’indifferenza faceva più male dell’odio, ma potevo comprenderlo. Era stato abbandonato senza una parola, o un messaggio, neanche dopo mesi. Ed io provavo odio? No, i sentimenti mutavano sì, ma non con così grande rapidità. Ci dovevano essere motivi validi ed io per lei provavo solo una grande tristezza e forse anche delusione. Che cosa ne era stato della nostra amicizia? Non passò troppo tempo che sobbalzai sentendo dei colpi alla porta. Rabbrividii e Mickel mi strinse tra le sue braccia con fare protettivo. « Non aver paura, vengo con te ». Annuii non riuscendo tuttavia a essere tranquilla. Mi alzai e, dopo essermi infilata una veste velocemente, mi avvicinai alla porta, seguita dal mio amato che rimase dietro di me come un’ombra. Tremando aprii la porta e, con mio stupore, scorsi Elodie e Cécilie entrare velocemente. Non rimasi ferma, anzi, dopo aver gettato un rapido sguardo all’esterno e aver controllato la situazione, richiusi la porta e mi dedicai alle mie sorelle. Sui loro visi si potevano scorgere ansia, paura e confusione. I loro occhi erano lucidi e sembravano quasi tremare. « Elodie, Cécilie, cosa succede? » chiesi, sorpresa di vederle lì, rischiando anche le loro vite visti i controlli serrati che le guardie degli Inquisitori facevano. « Claire… » iniziò l’erborista, esitando. «… è scomparsa » concluse Elodie, con occhi prossimi al pianto. Un vento gelido mi attraversò il corpo, giungendo fino al cuore, nonostante la calura estiva. Bastarono quelle parole per farmi temere il peggio e gettarmi di nuovo in un pozzo profondo dove non c’era luce, dove tutto era buio e immensamente triste. |
Capitolo 34
*** XXXIII - La Tortura ***
XXXIII
Invitai
le due streghe a trascorrere il resto della notte lì, ma
rifiutarono. Non volevano mettere in pericolo la mia vita,
né la loro, ma era necessario informarmi. Claire, la mia
Claire, era scomparsa e il mio cuore si era fermato per qualche minuto.
Non era da lei scappare senza dire una parola, né stare
fuori per troppo tempo, quindi, guardandoci a vicenda avevamo
già compreso cosa potesse esserle successo. Ma come era
potuto accadere?La Tortura Quando Elodie e Cécilie se ne erano andate, scomparendo come ombre nella notte, io ero spinta da una voglia inconsolabile e forse folle di andare da Padre Paul, intercedere presso di lui, per liberare Claire. Fargli capire che non era una strega, che non aveva causato alcun male; cercare di entrare nel suo cuore per scaldarlo di una nuova luce ma Mickel me lo impedì. « Devo andare da Claire, devo fare qualcosa… » « Non puoi fare nulla, ora. Lo sai » ribatté lui, stringendomi le braccia, per bloccare ogni mio movimento. « Mickel lasciami! » sbottai, nervosa. « Non puoi impedirmi di salvare mia sorella, non puoi farlo. Io devo andare, Padre Paul mi aiuterà ». Lui rise, per poi scuotere il capo. « Credi davvero che in quell’uomo non sia insita la stessa stupidità che hai visto negli inquisitori? » domandò, con tono quasi sarcastico. « Lui è diverso… » mormorai, ma nel momento stesso in cui avevo proferito queste parole, ne dubitai anch’io. « Lui era lì quando una bambina stava per ardere. Lui non ha fatto niente per impedirlo » le sue parole, dense di gelo e verità, m’impedirono di ribattere. Era vero. Padre Paul non aveva mosso un dito, anzi, sembrava quasi contento della cosa. Una parte di me cercò delle giustificazioni, ma nessuna di queste riusciva a convincermi. Forse anche lui provava davvero il malsano desiderio di colpire le presunte streghe. Mi bloccai e repressi la mia volontà di ribattere o di muovermi. Il mio corpo cedette e mi ritrovai a cadere, se non fosse per il sostegno di Mickel. Lui mi prese tra le braccia, quasi come una bambina, e mi riportò a letto, dove mi adagiò con cura. « Non voglio perderla… » mormorai, mentre lacrime sgorgarono dai miei occhi chiari, di loro propria volontà. Mickel restò senza parole, ma posò le sue labbra sulla mia fronte. Sembrava quasi che il fuoco mi bruciasse, ma era una fiamma piacevole, dove volevo perdermi. Reagire non era possibile, al momento. Ma con il nuovo giorno avrei fatto qualcosa. Nessuno poteva impedirmelo. Sarei tornata al Salice e, forse, unendo i nostri poteri avremmo potuto salvare Claire prima che fosse troppo tardi. Avrei seguito l’esempio di Sylvie. Non potevano uccidere ancora. Vincere ancora loro. Il bene doveva trionfare. *
La luce del sole s’insinuava sinuosa nella piccola finestra della mia stanza, riverberando sul mio viso. Strizzai leggermente gli occhi, voltando il viso poi, lentamente, li aprii cercando di adattarli alla luminosità del giorno. Sfiorai con una mano l’altra parte del letto che, purtroppo, trovai vuota. Mickel, probabilmente, era dovuto andare a Palazzo e non poteva rimanere. Mi stirai un poco, allungando ogni fibra del mio corpo, e sbadigliai. La notte non era stata semplice dopo le tristi notizie del giorno precedente, ma tra le braccia di Mickel ero riuscita a trovare conforto, fino a sprofondare in un sonno senza sogni. Un nuovo giorno aveva inizio ed io dovevo essere pronta a reagire, seppure provassi un malessere più mentale che fisico, che mi riduceva senza forze. Troppi pensieri confondevano la mia testa e non sapevo da che parte iniziare. Portai le mani sul capo, come se premendomi le tempie, potessi dare loro un ordine, ma poi sospirai affranta. Di Louise-Marie mi sarei occupata in seguito; in fin dei conti dovevo lasciare passare i giorni, per permetterle di sbollire quella rabbia che le accecava occhi e cuore. Dovevo occuparmi di Claire. Ero presa da tali pensieri, quando udii dei colpi alla porta. Mi sistemai un poco ma poi, sperando che Mickel fosse tornato indietro, mi precipitai ad aprire, ma la sorpresa non fu minimamente piacevole. Impallidii nello scorgere quattro gendarmi al servizio dell’inquisizione, che mi guardavano con sorrisi lascivi e, in mezzo a loro, l’unico inquisitore rimasto. « Madame Marli? » « Sì, sono io » risposi, trovando un poco di coraggio, seppur il tono di voce fosse così sottile da temere di non essere stata capita. « Dovete seguirci, sono state mosse accuse gravi contro di voi ». Spalancai gli occhi, e udii come dal nulla, la voce di Louise-Marie. Prendi il tuo sudicio regalo,
strega! Ora me ne vado, ma la mia vendetta arriverà ben
presto!
Strega. Accuse gravi contro di me. Mi
sentii venir meno, ma cercai di raccogliere le mie forze per non
svenire dinanzi a loro.« Quali accuse, se posso permettermi? » « Non è qui che ne parleremo. Se non avrete nulla da nascondere, tornerete tranquilla a casa ». Lo guardai sorridere ambiguamente, ma sapevo che erano solo vane illusioni. Se li avessi seguiti, non sarei mai più tornata indietro ma, allo stesso tempo, non potevo fare altrimenti. « Vi chiedo di seguirmi senza fare storie, o la vostra posizione potrebbe aggravarsi ». « Datemi solo qualche minuto, vi prego. Ho la mia bambina che non può rimanere da sola ». L’inquisitore mi guardò con occhi gelidi, e poi le sue labbra sottili formarono un nuovo sorriso, più simile a un ghigno. « Oh, ma vostra figlia la porteremo con noi ». « No! » gridai, improvvisamente. « No? » mi fece eco lui. « Verrò con voi, ma non toccate mia figlia. Ve ne prego, Padre. Lasciate che la porti da Madame Le Marchand e poi vi seguirò » lo implorai, temendo per la vita di mia figlia. Quel piccolo pargoletto non c’entrava nulla. Ma lui non si lasciò prendere da sentimenti di pietà. Si voltò verso i gendarmi, ai suoi lati e impartì un ordine che mi gelò il sangue nelle vene: « Ispezionate ogni angolo di questa casa e trovate ogni possibile oggetto di cui non potete comprendere il significato o l’uso » fece una pausa e poi aggiunse « E prendete la bambina, la portiamo con noi ». Gridai di nuovo. Implorai. Corsi verso mia figlia, ma uno dei gendarmi mi bloccò la strada, precedendomi e prendendo senza troppa grazia la bambina, che iniziò a piangere impaurita. Implorai il gendarme, ma anche nei suoi occhi non riuscii a scorgere neanche un filo di pietà. Se quella era la sua vendetta, Louise-Marie aveva saputo ben colpire. Sarei stata disposta a morire, ma non potevo permettere che mia figlia subisse ogni genere di male. « Ho trovato qualcosa » disse l’altro gendarme, e consegnò all’inquisitore un ciondolo su cui spiccava una pietra scura. Il mio regalo protettivo a Flaviano era lì. L’avevano trovato, e poteva rappresentare la certezza assoluta della mia colpa. Ero una strega e presto avrei pagato anche con la vita. Louise-Marie stava per riprendersi la sua vittoria. *
Mi posero all’interno di una sorta di grande cesta,
sorretta da un palo di legno, sollevata da terra, per impedirmi
– se fossi stata realmente una strega – di
attingere forza dalla terra e liberarmi. Li osservai incredula, ma non
potevo far altro che sottostare ai loro ordini. Fossi stata da sola,
avrei tentato di fuggire, ma ogni mossa falsa avrebbe messo in pericolo
la vita di mia figlia. Attraversammo il sentiero principale di Sivelle,
che conduceva verso la piazza cittadina, e poi verso il Palazzo. Il
Conte aveva messo a disposizione degli Inquisitori le segrete, in modo
tale da processare e valutare con attenzione ogni caso di stregoneria
presente nel suo territorio. Avvertivo lo sguardo di ogni cittadino su
di me: colsi stupore in alcuni, ma altri bisbigliavano tra loro e
annuivano. Forse in molti mi credevano capace di far del male. Strinsi
a me la piccina, cercando di tranquillizzarla tra le mie braccia, e
guardai avanti. Tentai – con difficoltà
– di non mostrarmi debole, di non piangere, di non farmi
vedere troppo sofferente. Alzai il capo, fiera, ma quando udii una voce
a me cara, mi voltai e sentii il mio cuore fermarsi, straziata da
quella visione.Madame Le Marchand avanzava con affanno verso di noi, seguita dalla piccola Julie che, nell’intercettare il mio sguardo, sbiancò improvvisamente. La giovane apprendista si sentiva ancora terribilmente in colpa per aver accusato Lydie e averla quasi gettata tra le braccia della morte, ma ero ben consapevole del suo immenso affetto nei miei riguardi, e quasi mi commossi nel vederla piangere. « Padre, Padre, state facendo un errore! » esclamò Madame, quando ormai fu vicina. Il giovane inquisitore si fermò e così i suoi uomini, ed io spostai lo sguardo su di lei. Sarei voluta andare via, scomparire. Non potevo sopportare il dolore negli occhi di colei che amavo come una madre. « Non c’è errore di sorta, Madame » replicò, l’uomo di Chiesa, in tono gelido. « Ma presto interrogheremo Madame Marli e se avremo fatto un errore, faremo ammenda dei nostri peccati ». Posò una mano sul cuore, come se fosse sincero, ma io sapevo che avrebbe fatto di tutto per accusarmi e gettarmi tra le fiamme. « Dove la stata portando? Desirée, Madame Marli, è una donna di buon cuore » continuò Madame, alternando lo sguardo tra lui e me. « E la bambina… » « Verificheremo presto se la dama presente ha un cuore puro, e la bambina verrà con noi. Non vorrete, certo, allontanare una figlia dalle braccia di sua madre » disse, scrutandola con quei suoi occhi scuri e implacabili. « No, ma… » Cercai di concentrare tutta la mia attenzione su di lei, sperando che lei potesse leggere i miei occhi. Non doveva continuare, non potevo metterla in pericolo. Chiunque avesse ostacolato il braccio della Chiesa nell’adempiere un’impresa di tale portata, voluta da Dio stesso, avrebbe rappresentato una prova certa di colpevolezza. Non potevo permetterle di rischiare, né la piccola Julie. Madame sembrò combattere tra diversi pensieri, ma poi abbassò lo sguardo per qualche istante, arrendevole. Quando tornò a guardarmi i suoi occhi grigi erano bagnati di lacrime, e per un momento una sensazione gelida mi sfiorò il cuore: era come se presagisse una possibile morte, come se quella sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo viste. Avrei voluto abbracciarla. Avrei voluto farle capire quanto bene provavo per lei, ma i miei occhi parlavano e lei sapeva ormai leggere nella mia anima. Madame Angélique Le Marchand sarebbe rimasta per me come una seconda madre, e io l’avrei amata per sempre. Le rivolsi un dolce sorriso, mentre sentivo i miei occhi pungere per lacrime imminenti, tuttavia le ricacciai indietro. Dovevo essere forte. Per lei, per me, per Julie, per Alizée. « Lasciateci passare ora » ordinò perentorio l’inquisitore, facendo un gesto ai gendarmi affinché riprendessero il passo. Madame si scostò un poco, ma non smise di guardarmi. Sentii Julie gridare il mio nome e tentare di corrermi dietro, ma Madame la bloccò, stringendola con forza a sé, cercando di attenuare i suoi singhiozzi, quel dolore che lei stessa stava provando. Guardandole insieme pensai che, per alcuni anni, avrebbe avuto un’altra figlia con sé, anche se mi era parso di vederla invecchiare di colpo. *
Giunti
alle segrete del Palazzo, una donna anziana e tarchiata, priva di
bellezza, mi strappò Alizée dalle braccia. Tentai
di impedirglielo, di implorare quegli uomini a tenerla con me, ma tutto
fu presto inutile. Mi spinsero con la forza a lasciarla, ed io non
potei far altro che accasciarmi a terra e vedere la mia piccola che si
allontanava piangendo e allungando le sue braccia verso di me, fino a
scomparire.In quel momento crollai. Non riuscii a trattenere più le lacrime, neanche quando due gendarmi mi sollevarono con poca grazia e mi spinsero verso un corridoio oscuro. Il sole estivo, che splendeva nel cielo, sembrava ormai lontano, ma il calore del mio corpo mi aveva già abbandonata da prima. Avanzai lentamente, fino a ritrovarmi in una sorta di grande spiazzo in pietra, su cui spiccava una lunga corda appesa al soffitto legata a una carrucola, e un tavolo con due sedie, una delle quali già occupata – con mio sgomento – da Padre Paul. In un attimo di speranza, mi divincolai dalla presa degli uomini e mi chinai ai piedi del Pastore, sfiorandogli appena la veste. « Padre Paul, voi siete clemente e mi conoscete da tempo, vi prego aiutatemi ». Padre Paul mi osservò con sdegno e disprezzo, e con un semplice gesto del dito ordinò ai gendarmi di spostarmi da lì. Fui sollevata di nuovo, avvertendo le mani grosse e sudice di quegli uomini schifosi, e notai il suo gesto di stizza nel pulirsi la veste, come se fossi una mendicante o una persona malata. Rammentai in quel momento le parole di Mickel e compresi quanto fossi stata stupida ad abbassarmi ai suoi piedi, cercando aiuto. Padre Paul era come gli altri. Non mi avrebbe aiutata. Il suo cuore era marcio. Restai in piedi, dove mi lasciarono i due uomini, e notai il giovane inquisitore sedersi accanto al Pastore di Sivelle. Rimase in silenzio, sostenendo però i loro sguardi indagatori. Avevo peccato nell’accasciarmi a terra a implorare, ma ora avrei reagito diversamente. Non avevo colpe. Non avevo fatto nulla di male e loro lo avrebbero capito. I due uomini vestiti di scuro rimasero in silenzio per diversi minuti, poi quando presero parola, fu solo per ordinare a persone nascoste dietro a una porta di entrare. Entrarono altri uomini e una donna, che mi si avvicinarono, con sguardi duri. « Procedete pure » sentenziò, l’inquisitore. Non sapevo cosa dovesse succedere. Pensavo che si trattasse solo di un semplice interrogatorio, ma quando avvertii le mani della donna sulle mie vesti, mi ribellai. « Stai ferma Strega, è meglio per te » sibilò, prima di andare ad allentare i fili del mio vestito, fino a denudarmi completamente. Fui lasciata nuda e scoperta di fronte a quegli uomini e tentai di coprire la mia intimità con le mani. Provavo vergogna, mi sentivo sporca, osservata in maniera così lasciva da quegli uomini luridi e rozzi, da quegli uomini di chiesa, e anche dai nuovi arrivati che si azzardarono anche a muovere le mani verso di me. « Che cosa state facendo… » dissi, ma subito la voce dell’inquisitore si alzò. « Tacete ». Mi sentii ribollire il sangue nelle vene. Avrei voluto gridare, sputargli, scappare da lì, ricoprire le mie nudità. Mi sentivo male. Non potevo più sostenere quegli sguardi. La donna si allontanò con le mie vesti e svanì di nuovo nell’oscurità, mentre due uomini alti e magri, mi fecero sedere a terra. Sentii il freddo delle rocce propagarsi in ogni parte del mio corpo, e in quel momento avrei voluto davvero attingere alla forza degli elementi per ribellarmi. Ma un tale incantesimo richiedeva la giusta concentrazione, ed io non potevo allontanare facilmente quella miriade di tristi e vergognosi sentimenti che provavo. Uno dei due uomini estrasse dalla tasca dei suoi abiti un paio di forbici, e le avvicinò ai miei capelli. Un colpo solo e i primi boccoli dorati caddero a terra. Guardai quella parte di me scivolare verso il basso e compresi che quello era solo l’inizio. Louise-Marie era riuscita a vendicarsi veramente bene. Altri colpi di forbice e pian piano quella massa di capelli che tanto adoravo e che Flaviano aveva tanto decantato, scomparve dal mio capo, riversandosi a terra. Flaviano… se lui fosse stato ancora vivo, mi avrebbe protetta? Mickel. Avrebbe scoperto la mia assenza? Mi avrebbe salvata? Rimasi a terra, cercando ancora di coprire le mie nudità, ma ormai mi sentivo spenta e vuota. Il capo mi era stato rasato, e il mio corpo nudo era osservato con cura e avidità da quei vermi schifosi, che amavano solo far del male, accusando persone innocenti di farne ad altri. Quando il secondo uomo estrasse una serie di spilli, spalancai gli occhi e urlai. « C-cosa volete farmi? » dissi, in un sussurro appena percepibile. « Oh, tranquilla. Dobbiamo solo cercare il marchio del diavolo » spalancò le labbra in un ghigno, mostrando denti gialli e marci che mi diedero la nausea. Il marchio del diavolo? Che cosa era? Non riuscivo a comprenderlo. Due gendarmi si avvicinarono, spingendomi a terra, facendomi sbattere la testa sulla pietra, seppur lievemente. Uno mi prese le braccia, scoprendomi così il seno e il punto proibito, l’altro mi tenne bloccate le gambe, ed entrambi mi osservavano con grande desiderio nei loro occhi. Gridai, implorai, ma non ci fu verso di bloccarli. E… quando il primo ago mi punse il corpo, compresi quale fosse il modo di scoprire quel marchio. I primi spilli mi portarono a gridare, ma man a mano il dolore si faceva più sopportabile, come se il mio corpo si abituasse. Quando ne infilarono uno sulla coscia destra, così vicina al mio sesso, mi sentii mancare. Ma ormai avevo perso ogni forza. Mi sentivo debole, e abusata. Come se quegli uomini avessero raggiunto ogni parte del mio corpo e della mia anima. Non gridai, e quello parve essere il segno che la ricerca era, ovviamente, andata a buon fine o forse semplicemente – come ben speravo – era giunto il momento di finirla con quella tortura e comprendere che non fossi una strega, perlomeno nel senso che loro intendevano. « Bene, potete andare » ordinò l’inquisitore ai due uomini che si erano occupati così di me, e poi si voltò verso i gendarmi che, fingendo nulla, si erano arrogati da soli il diritto di sfiorarmi il seno o le cosce. Borbottarono lievemente, quando furono interrotti, ma prontamente mi sollevarono da terra e sostenerono con sgarbo, riportandomi dinanzi ai due uomini di chiesa. « Possiamo procedere con l’interrogatorio ». Non dissi nulla. Mi avevano già umiliata e non sapevo cosa rispondere, ma dovevo trovare la forza necessaria a ribattere prontamente alle supposizioni errate che certamente Louise-Marie aveva infuso in loro. « Madame Chervalie, Marli, siete stata accusata di aver commesso maleficium su due uomini » sentenziò l’inquisitore, scrutandomi con attenzione per qualche istante. « Monsieur Flaviano Marli, vostro marito, e il Capitano delle Guardie del Conte, Monsieur Mickel Svensson ». Inorridii a quelle parole, anche se immaginavo qualcosa di simile. Per Louise-Marie era facile accusarmi di aver stregato il suo uomo, anziché comprendere che ci univa un amore vero e reale, ma come potevano sostenere che avessi commesso qualcosa contro il mio Flaviano? Guardai Padre Paul, cercando di suscitare una qualche emozione in lui. Era stato lui a sposarci. Lui ci conosceva sin da bambini. Lui sapeva quanto lo amassi, quanto avessi sofferto nel perderlo, come poteva accusarmi di questo? Ma lui non mi guardò neanche un istante, come se io fossi sporca, o semplicemente non poteva sollevare i suoi occhi da religioso su un corpo femminile completamente nudo. « Confessate di aver commesso ciò di cui siete accusata? » domandò, implacabile, l’inquisitore. Io scossi il capo, e risposi: « Se l’amore è considerato peccato, che io sia accusata ». Trassi un profondo respiro, cercando di modulare meglio la mia voce, per essere più forte. « Ma non ho mai commesso alcun maleficium contro l’uomo che amavo, mio marito. Ho sofferto per la sua morte. L’ho amato quando era in vita, e ancora ora i miei sentimenti indugiano nel mio cuore, e non smetteranno mai di esistere ». « Eppure è stato trovato questo nel vostro appartamento. Testimoni oculari sostengono di averlo visto al collo di vostro marito. Una pietra scura, regalata da voi. Un amuleto realizzato da una strega ». « Mi dispiace contraddirvi, Padre, ma è un gioiello. Un ciondolo che ho regalato come pegno del mio amore e ricordo di me quando lui è partito per la guerra. Volevo proteggerlo, non maledirlo ». « Menzogne! » strillò, ma io non sobbalzai. Cercai di ancorarmi alla terra, per rimanere salda e dare l’apparenza di essere ferma. « Vostro marito è morto in battaglia, proprio dopo aver ricevuto come regalo quest’amuleto demoniaco! » Sentii affiorare le lacrime, ma le ricacciai indietro. « Mio marito non lo portava con sé quando è morto. Non è stato il ciondolo a causare la sua morte! » mi accorsi di alzare la voce, e uno dei gendarmi mi strattonò il braccio, facendomi gemere. « Lui è morto per salvare il suo più grande amico… il suo capitano ». « Il Capitano Svensson » replicò, prima di soppesare le ulteriori parole. « Avete gettato un maleficium anche su di lui. Non vi è bastato far morire vostro marito, mentre nel vostro grembo nasceva vostra figlia. Ne avete approfittato per soggiogare anche il Capitano. Ditemi, con quali artefizi magici lo avete allontanato dalla sua futura sposa, portandolo nella vostra alcova? » Arrossii di rabbia. Non potevo credere di essere condannata per simili accuse non veritiere. Flaviano volevo proteggerlo, perché lo amavo, ed era sempre l’amore che mi aveva condotta verso Mickel. Possibile che non lo comprendevano? Possibile che nutrivano una simile invidia da condannare chi provava amore? « Non ho fatto nulla, nulla! » urlai, ancora, incurante della nuova stretta al braccio che di certo mi avrebbe lasciato presto un livido. « Mickel… il Capitano Svensson era rimasto solo e tra noi, nel corso del tempo, è sorto un sentimento puro e intenso. C’è solo amore. L’amore è un peccato? » « L’amore verso un uomo di un’altra è un peccato molto grave. Non desiderare la donna d’altri, citano i Comandamenti, e ancor di più voi donne non avete diritto di desiderare uomo altrui. Siete sposata. Avete una figlia, e avete commesso un grave peccato, e dovrete fare ammenda ». « Non provo vergogna per quello che ho fatto ». Sentii i loro occhi volgersi verso di me. C’era sfida, gelo, cattiveria pura. Un desiderio malsano di vedermi abbassare la testa e implorarli, come avevo fatto pocanzi. Ma non si sarebbe ripetuto. Sostenni i loro sguardi e poi, l’inquisitore disse: « Siete stata vista anche accanto alla strega che ha realizzato quel maleficio che ha causato la morte del Padre Piccard, pace alla sua anima che nell’alto dei Cielo ora trova pace » si fermò, facendo il segno della croce, copiato da Padre Paul. « Ci sono altre come voi? Avanzate altri nomi, e potrete forse essere perdonata. Sempre se vi dimostrerete umile, farete ammenda dei vostri peccati, e chiederete il perdono di Dio ». Scossi il capo e serrai le labbra. Non proferii nome alcuno. Non avrebbero udito dalle mie labbra accuse verso le mie amate sorelle. Non avrei fatto il loro sporco gioco. Tanto sapevo che la mia fine sarebbe stata la medesima. « Non parlate? » Scossi il capo di nuovo e ugualmente non risposi. Uno dei gendarmi mi schiaffeggiò, facendomi cadere a terra. Portai le mani al viso, sentendolo bruciare. Dolore. Ma non mi sarei piegata. « Fermatevi. Non è questo il modo. Se non volete parlare ora, lo farete domani. Abbiamo altri metodi per ottenere le confessioni ». Il suo sguardo indugiò sulla corda e su altri attrezzi che prima non avevo notato, ma che mi misero i brividi e spinsero a guardare altrove. Avevo paura. Terribilmente paura, ma non potevo cedere. Sylvie non lo avrebbe fatto. « Domani vedrete anche la vostra bambina, forse così vi si scioglierà la lingua ». I gendarmi iniziarono a ridere e fare segni volgari al mio indirizzo, ed io fissai i due ecclesiastici con occhi sbarrati. « Mia figlia non c’entra nulla. Non potete, Padre Paul, aiutatemi! » « Portatela via. Una notte in cella le permetterà di pensare ». I gendarmi mi presero rozzamente per le braccia ed io mi accasciai. Fui sbattuta a terra, in una cella rozza e maleodorante, dove v’erano altre tre o quattro donne. Alcune erano ferite, avevano lividi sul volto e sulle braccia, ma tutte avevano subito il mio trattamento: erano rasate e nude, e le loro caviglie strette a gelide catene, come del resto fissarono a me. __________________________________________________________________ Non è stato per nulla facile scrivere questo capitolo. Ho letto molto sulla caccia alle streghe e i metodi di tortura, e ogni volta resto nauseata dalla crudeltà perpetuata su persone innocenti, soprattutto donne, accusate di crimini non commessi. La tortura che ho descritto qui è fievole in confronto ad altri metodi, ma ammetto che non riuscivo ad andare oltre e forse avrei davvero dovuto alzare il rating da arancione a rosso. Ho letto che svolgevano davvero questi "riti", questi atti orrendi. Forse non è sicuro, ma ho cercato di estrapolare dalla storia qualcosa che potesse essere utile alla mia trama. Spero che sia riuscita a trasmettere sentimenti non piacevoli, che potrebbero anche far riflettere. Come già detto, sono sempre stata interessata su un tale argomento ed è proprio per questo che è nata tale storia. Come al solito, voglio chiarire, che non c'è nessun attacco ad alcuna religione. Io sono aperta a tutto, ma è ovvio che nei secoli passati - ma del resto anche ora non è che le cose siano del tutto migliorate - ci sia stata troppa crudeltà. Davvero, troppa. E, in fin dei conti, questi atti sono da condannare, ma non la vera natura delle religioni (di cui poi ho un personale pensiero). Mi sono dilungata anche troppo. Spero che il capitolo sia stato interessante e mi auguro che seguirete la mia piccola Rosa fino alla fine. Non vi svelo di più! :) A presto e grazie a chi legge e lascia un suo pensiero! |
Capitolo 35
*** XXXIV - Notte prima dell'alba ***
XXXIV
Era
come vivere un incubo, ma purtroppo non era una mera illusione. Era
realtà.Notte prima dell'alba C’era tanto buio in quella cella comune, a parte una tenue luce sottile sulla quale piccole particelle di pulviscolo sembravano come sospese. Il freddo – nonostante la calda stagione – m’irrigidiva gli arti, facendomi tremare. Cercai, nuovamente, di nascondere le mie nudità, pur sapendo che erano gesti inutili ormai; mi sentivo lercia, come se avessero abusato di me. In quel momento non potevo sapere – o forse non lo avrei mai appreso – quando avrei potuto scordare il dolore di quegli spilloni sulla mia pelle, di quelle mani ruvide e callose sui miei seni, di quegli sguardi di disprezzo e libidine che mi erano stati rivolti. Non ero stata torturata fisicamente, ma dentro di me qualcosa si era spezzato per sempre. Ma io avrei avuto davvero un futuro? Non lo sapevo, ma ero conscia che il sorgere di un nuovo sole avrebbe solo rappresentato un giorno di pura sofferenza, di scelte per nulla facili. Che cosa avrebbero fatto alla mia bambina se non avessi parlato? Dove la tenevano ora? Alizée, il mio piccolo raggio di sole, stava bene? Mi trovavo sull’orlo di un baratro profondo, sospesa tra due scelte: non parlare e correre il rischio di vedere soffrire mia figlia, o fare i nomi e gettare tra le fiamme le mie amate sorelle. Ma avevo realmente una duplice scelta? Mi raggomitolai a terra e fui scossa da singhiozzi. Tutta la forza che avevo cercato di mostrare ai miei inquisitori era svanita. Mi sentivo sola, stanca, triste e vuota. Piansi amare lacrime per mia figlia, per Flaviano che sostenevano avessi ucciso io, per le mie sorelle streghe, per Madame e Julie e anche per quell’amica che avevo perso in siffatta maniera e che mi aveva relegata in quel angusto inferno in terra. Piangevo anche per Mickel, mi avrebbe mai trovata? Gocce cadevano dal soffitto sfiorando il pavimento e risuonando sgradevoli all’udito. Sentivo gemiti di altre donne e grida provenire – probabilmente – dal grande salone dove mi avevano interrogata. Una donna stava soffrendo terribilmente per peccati mai commessi: probabilmente un’emarginata della società, o una donna abile nel maneggiare erbe mediche e per questo invidiata dagli uomini cui spettava il compito di curare; o semplicemente era accusata per essere una donna sola, con una bambina da crescere e per il grande peccato di provare amore per un altro uomo. Noi donne dovevamo sottostare alle leggi degli uomini. Non potevamo essere troppo indipendenti o avere maggiori conoscenze. In quella società erano gli uomini a comandare. Dio, in fondo, non era un sostantivo maschile? Ma io avevo imparato a conoscere anche il suo volto femminile: la Dea, Vergine, Madre e Anziana, che era sempre pronta a sostenere le donne e che, in un certo senso, si poteva identificare con l’immagine di Maria. Le aprii il mio cuore, con la speranza di essere confortata e di trovare una risposta ai miei dubbi, alle mie non facili domande. Ero così concentrata sul mio dolore e su tali domande che quasi non udii una voce sottile e gentile che invocava il mio nome. « Desirée, tu qui? » Sollevai lo sguardo e scorsi un viso nell’oscurità della cella; era per metà in ombra, ma non mi era difficile riconoscerlo. « Claire? » domandai, poiché, anche se la sua voce era inconfondibile, il suo volto delicato era mutato. Era sporco di polvere e lividi scuri le avevano provocato un leggero gonfiore sotto l’occhio destro, ma quasi gridai quando mi accorsi che le sue braccia sembravano assumere una posa innaturale ai lati del suo corpo. Come se fossero lussate. « Cosa ti hanno fatto… » mormorai, tentando di allungare una mano verso di lei. « Gli uomini di Dio sanno trovare mezzi adeguati per estorcere confessioni, ma nessun nome uscirà dalle mie labbra ». « Ho avuto tanta paura di perderti, di arrivare troppo tardi per salvarti… » bisbigliai, nella speranza di non essere udita da altri. « Come ti hanno presa? » « Padre Paul » replicò, e poi piombò per qualche istante nel silenzio, e la sentii solamente sospirare. Io rabbrividii a quel nome, ancora incredula per la presenza del Pastore in quel luogo di tenebre, ma poi Claire riprese parola. « Ho sempre temuto il suo sguardo. Mi hanno accusata di aver compiuto un maleficium su di lui, di averlo soggiogato e ammaliato con i miei poteri da demone seduttore. Io, la concubina del Diavolo, colei che è riuscita a farsi insegnare l’arte della seduzione e della perdizione, spingendo così il povero Padre a fare pensieri impudichi, allontanandolo dall’unico Dio » si fermò, e la sentii emettere una risata strana, quasi isterica. « Il povero padre Paul ha ottenuto il suo scopo, trovando un pretesto per sfogare su di me la sua lussuria… ». Tra noi s’insinuò il silenzio e forse per la prima volta la sentii piangere. Non era mai stato facile leggere le emozioni sul suo volto, ma in tali circostanze non era facile non lasciarsi trasportare dal dolore. Padre Paul aveva abusato di lei. Claire era stata condannata solo per la sua bellezza. Questa era dunque una colpa? In cosa aveva commesso peccato? Mi sentii assalire da un profondo senso di rabbia e di nausea, e cercai di sfiorarla come per attenuare il suo dolore, ma lei si ritrasse al mio tocco e quindi mi fermai. Avrei voluto dire tante cose, ma in quel momento non mi uscivano le parole. Avrei voluto abbracciarla, ma se io mi sentivo ferita per quella leggera tortura, come doveva sentirsi lei? L’avevano ferita fisicamente e moralmente, e ora rischiavamo entrambe di morire. Mi sentivo ipocrita a dire che saremmo uscite da lì. Non ero più sicura di niente. « Oh Claire… » mormorai, unicamente, non riuscendo a trattenere nuove lacrime. Avrei dovuto essere forte, ma in quel momento il mondo era caduto su di me e non sapevo più uscire, emergere alla luce, comprendere cosa fare. Dopo diversi minuti, la sentii muoversi e poi dire: « Come sono arrivati a te? » « La tua arte mi aveva messa in guardia, ma il destino si è avverato in una maniera inaspettata. Louise-Marie, la prima dama e un tempo amica, si è voluta vendicare perché mi sono innamorata del suo uomo. Non avrei mai pensato che l’amicizia avrebbe potuto portare a qualcosa di simile ». « Questa non è la vera amicizia » replicò lei, cercando di ritrovare la sua compostezza e un tono gentile. « Un vero amico non si vendica, ma cerca di comprendere; non ti accusa, ma cerca di spiegarti cosa cela il suo animo. È importante parlare e venirsi incontro e, anche se fa male, sorridere per la felicità dell’altro ». Ascoltai le sue parole sagge e annuii. « Lei mi ha accusata di tradimento, ma è scomparsa nel nulla. È un peccato così grande amare? » « No, non lo è » mormorò Claire, con difficoltà. Mi morsi le labbra per aver posto una domanda sull’amore, pensando a come dovesse sentirsi lei. Aveva perso l’amore della sua vita e ora era stata malamente abusata da un uomo che si era invaghito di lei, ma che non poteva averla; sarebbe mai riuscita ad amare e concedersi ancora? Non sarebbe stato facile, per nulla. « Alizée » si fermò un istante, e colsi nei suoi occhi verde acqua la magia della visione. « Oh, no. È stata presa anche lei ». « Sì. Mi hanno accusata di aver compiuto un maleficium contro mio marito e contro Mickel, e c’è chi mi ha visto accanto a Sylvie. Mi hanno invitata a fare nomi, ho mantenuto il silenzio, ma… » « …ma utilizzeranno tua figlia per farti dire i nomi delle altre » completò lei, avendo intuito o forse visto. « Sì… e non so assolutamente che fare. Non voglio tradirle, ma non voglio che mia figlia soffra. Lei non c’entra nulla… » « Devi… » ma non concluse, perché proprio in quel momento la porta di ferro della cella venne aperta e due uomini della guardia ecclesiastica spinsero dentro una donna, esanime. Sangue grondava sul suo viso tumefatto, e non riuscivo a comprendere se fosse giovane o vecchia, anche il suo corpo sembrava aver subito scosse, e ora era svenuta a terra. Le chiusero le catene alle caviglie con poca grazia e uno dei due, rivolse il suo sguardo verso di me. « Il nuovo bocconcino è davvero prelibato » lo sentii dire, mentre si avvicinava di qualche passo claudicante a me. Cercai di allontanarmi, ma il ferro alla caviglia mi lacerava la pelle e m’impediva di scappare. Gridai, e cercai di porre le mani avanti nel tentativo di respingerlo. « Potremmo divertirci un po’ tu ed io, strega ». « No, andate via, via! » gridai, dimenandomi quando lui tentò di allungare le sue braccia nerborute per cingere le mie e, quando vi riuscì, mi sentii mancare. Non volevo subire violenze, non volevo permettere a quella bestia di farmi del male, ma mi accorsi di non poter far nulla, se non continuare a dimenarmi, cercando di graffiarlo sul viso. « Cagna! » gridò, l’uomo, quando io riuscii a graffiargli il viso, e la sua risposta fu uno schiaffo violento che mi fece ricadere inerme a terra. La testa mi pulsava, ma ero riuscita a rimanere vigile. In quel momento però, quasi mi dispiacque. Priva di sensi sarei riuscita a non avvertire nulla di quel che erano i suoi tentativi. Avrei potuto distaccare lo spirito dal corpo, ma non riuscivo a concentrarmi in quel momento ed era qualcosa che dovevo ancora apprendere. La mia esperienza come strega non era molta. Avrei voluto tanto avere ancora Sylvie, ricevere i suoi insegnamenti, apprendere la sua arte e far mio il suo coraggio. Non fu difficile per l’uomo arrivare facilmente al mio sesso, non avendo i vestiti a impedirgli l’accesso. Quando avvertii il suo dito penetrarmi, gridai con quanto fiato avevo in corpo. « Zitta, schiava del demonio. Lo so che apprezzi! » sbraitò lui, allungando una mano verso il seno e arpionandolo con forza tale da farmi gridare ancora, mentre con l’altra m’impediva di reagire. « Sta ferma ora, lurida sgualdrina! Vediamo se il tuo caro Capitano ti fa godere quanto me! » Sollevai lo sguardo verso di lui e in preda a una rabbia e a un disgusto enorme, gli sputai dritto nell’occhio, facendolo infuriare. Mi colpì di nuovo sul viso, e questa volta mi sembrò di sentir scorrere qualcosa di liquido, sangue, probabilmente, mentre l’uomo si affannava per abbassarsi le brache. Il dolore era troppo intenso e le forze svanite, non sapevo più come reagire, e stava quasi per raggiungere il suo scopo, quando lo udii gridare. Incredula lo guardai e lo vidi portare le mani agli occhi e agitarsi. « Ahh, i miei occhi. Bruciano, bruciano! » gridò, mentre il suo compagno si avvicinò senza capire. Si guardò intorno, ma non si accorse di ciò che era accaduto, come invece io compresi. Claire era rimasta in silenzio, non per assistere inerme a quell’orrendo spettacolo che aveva già subito, ma per ritrovare quel poco di energia che le consentisse di fare un incantesimo. L’acqua era il suo elemento e bastarono quelle poche gocce che cadevano dal soffitto, per plasmarla al suo volere. Era riuscita a trasformarla, probabilmente, in acqua bollente che aveva ustionato gli occhi della bestia che si era gettata su di me. Mi sfuggì un sorriso, che mai avevo provato di fronte alla violenza. Era anche un sorriso di muto ringraziamento alla sorella ritrovata che mi aveva aiutata. « Che cosa accade qui? » La voce di Padre Paul fece svanire il sorriso che univa me e Claire e la vidi ritrarsi maggiormente nell’oscurità. Io lo fissai con puro disprezzo, mentre i due gendarmi cercarono di spiegare la situazione. « Sono sicuro che è colpa di quella nuova strega! » gridò l’uomo che voleva abusare di me, e Padre Paul mi guardò con freddezza, lasciando trasparire però una nota di paura e incomprensione. « Coprite le vostre nudità e andate via di qui » ordinò, e i due uomini svanirono ben presto. Padre Paul mi si avvicinò, scrutando il sangue che mi scorreva sul viso, e i miei occhi fissi su di lui. Cercai il contatto con il mio elemento, nonostante il dolore che provavo al capo. Se avesse anche solo tentato di sfiorare me, o Claire, non avrei esitato a colpirlo. « Siete stata davvero voi, Desirée? » Come osava appellarmi così? Non risposi minimamente, ma non smisi di cercare il potere e di fissarlo con odio. « Continuate pure a tacere per ora, domani vedremo se riuscirete a trovare le parole ». Avevo voglia di colpirlo, di fargli male, ma lui si allontanò spostando lo sguardo verso Claire. Convogliai l’energia verso le mie mani, pronta a far scaturire il potere se solo lui avesse tentato di sfiorarla. Plasmai il mio elemento, secondo il mio volere. L’aria, sfuggevole, sembrò rispondere al mio richiamo e vorticò nella mia anima. La sentii mutare, come se diventasse in un certo qual senso più spessa, più pesante, pronta a essere modellata come creta. « Anche con il viso tumefatto siete ancora bella. Creatura demoniaca, voi, voi mi avete lacerato il cuore » si chinò, e allungò una mano verso di lei. Avvertii nell’aria una tensione crescente, ma non dissi una parola. Il mio elemento mi avvolgeva e ignorai la pulsazione nella testa, perché in quel momento dovevo dimostrare forza e coraggio per difendere Claire. « Vi allontanate da me? Avete paura? » continuava a parlarle, con quel tono viscido che mi ricordava tanto il corpo di un serpente. In quel momento provavo odio e quel sentimento prepotente mi aiutò ad aumentare la mia energia. « Non riesco a resistervi. Cosa mi avete fatto! Ah, i vostri occhi! Sono loro ad attirarmi verso il peccato, tra le fiamme dell’inferno ». Quando sentii Claire gridare al tocco di lui sul suo viso, lasciai scaturire il mio potere. Aria gelida colpì il corpo dell’uomo, spingendolo a cadere a terra. Altri colpi sferzarono il suo viso come fruste e quando si voltò intorno a cercare la fonte di un tale potere, scorsi i suoi occhi terrorizzati. Avrei voluto continuare ancora, ma l’angoscia, la violenza fisica, mi avevano così provata che ben presto le energie vennero meno. Tuttavia avevo ottenuto il mio scopo, ero riuscita ad allontanare quell’uomo viscido da mia sorella, e quando svanì oltre la porta, sospirai. « Desirée… grazie » mormorò Claire e, vidi la sua pallida mano affusolata venirmi incontro nel leggero baluginio della luce. Cercai di allungare la mia e le nostre dita si sfiorarono appena, non riuscendo a fare di più. « Grazie anche a te, sorella mia. » le sorrisi, stanca, e poi aggiunsi « ora però, abbiamo dato una vera dimostrazione di essere streghe ». Ci ritrovammo a ridere, seppur con una nota di amarezza e poi tra noi piombò di nuovo il silenzio. *
Un lungo prato verde si distendeva dinanzi a me, adorno di fiori dagli intensi colori e dai gradevoli profumi. Sentivo l’aria carezzarmi con gentilezza il volto, il cinguettio tintinnante degli uccelli tra i rami degli alberi, e un cielo azzurro e infinito mi sovrastava. Era una giornata deliziosa, che incantava i sensi. Mi muovevo lentamente, a piedi nudi, sentendo i fili d’erba freschi e assaporando quella piacevole sensazione. Non riuscivo a comprendere dove fossi, ma di certo quella non era Sivelle. C’era troppa luce lì, e troppa ombra nel mio villaggio. C’era troppa armonia e felicità in quel luogo, e troppo dolore dove avevo vissuto gran parte della mia vita. A un tratto udii una risata, e il mio sguardo si posò su una fanciulla. Sembrava il mio esatto riflesso, una me – però – più giovane. Bloccai il mio incedere focalizzandomi totalmente su di lei. Osservai i tratti delicati del suo viso, leggermente paffuto e roseo, i lunghi boccoli biondi che le ricadevano sciolti come onde fino alla schiena, ma quando si voltò notai i suoi occhi: erano grandi e marroni, caldi e profondi, e il suo sorriso mi fece sciogliere dentro. Sapevo di essermi sbagliata. Non ero io, ma la fanciulla era ugualmente una parte di me: vedevo la mia piccola Alizée cresciuta e ne fui orgogliosa. Era bella, bellissima. Era allegra e la sua risata risanava il mio cuore ferito. Era vestita elegantemente, di un bianco perlaceo, ed era viva. Che la Grande Madre volesse darmi un segno del futuro? In verità non lo sapevo, ma in quella situazione di tremendo dolore e sconforto, anche i sogni potevano rappresentare una forma di evasione. Alizée volgeva il suo sguardo verso gli alberi. Sembrava assorta, come se riuscisse a scorgere qualcosa che a me era impedito di vedere, forse per la distanza alla quale mi trovavo. Sedeva a terra e l’abito bianco nascondeva il suo corpo, avvolgendolo tra le sue soffici pieghe. Io non potevo smettere di guardarla. Sarebbe diventata realmente così mia figlia? Quell’esserino piccolo e paffuto che mi era stato strappato brutalmente dalle braccia? Nel mio cuore speravo di sì, anche se qualsiasi fosse stata la Alizée adulta, per il mio cuore di mamma sarebbe stata ugualmente incantevole. Avrei voluto realmente poterla crescere, fare di lei una creatura buona e modesta, insegnarle le poche cose che sapevo e soprattutto a guardare le piccole cose belle della vita, nonostante il mondo potesse essere crudele e meschino. Volevo farla ridere, come in quel sogno. Volevo donarle solo felicità. Ma quegli uomini di chiesa e la vendetta di una donna me l’avevano portata via, impedendo a una madre di vivere ogni giorno con la sua bambina. Sentii un ululato e un brivido percorse la mia spina dorsale. Allarmata cercai di gridare verso Alizée, spingendola a scappare di lì, a trovare un qualche rifugio ma, nel momento esatto in cui tentai di proferire parola, dalle mie labbra non uscì alcun suono. Portai la mano destra alla gola, incredula e sgomenta, e poi cercai di correre verso di lei, ma anche quel tentativo fallì miseramente. Radici degli alberi vicini mi avevano arpionato le caviglie in una morsa d’acciaio e non era facile liberarsene. Ogni volta che tentavo, percepivo la pelle lacerarsi e alla fine desistetti. Mia figlia era in pericolo e non potevo fare nulla. La realtà si confondeva con il sogno. Mi sentivo inerme e anche quel paesaggio di colore e luce sembrò oscurarsi all’improvviso. No. Non potevo rimanere ferma anche nel sogno. In quel mondo illusorio spesso potevo realizzare cose che nella vita reale mi erano impedite, ma altre volte i sogni seguivano il loro corso ed era impossibile per l’uomo reagire o compiere scelte diverse. Quel sogno si era trasformato in un terribile incubo. Dagli alberi sbucò una figura candida come neve. Aveva un folto manto, privo di macchie. Quando quella creatura si voltò verso di me, contemplai gli occhi del lupo: di un azzurro molto chiaro, più tendente al ghiaccio. Mi fissò in silenzio e immoto, sembrò penetrarmi dentro, come se volesse conoscere ogni fibra del mio essere, ogni parte dei miei pensieri e della mia anima. Non riuscii a dire una parola e anche se avessi provato mi era impossibile farlo. Ero diventata come un blocco di ghiaccio che si perdeva nel medesimo elemento. Lo contemplai, ammirai, ma allo stesso tempo avevo una terribile paura di quell’animale. Sembrava più grosso di un lupo normale e quel manto puro come le rose che amavo era insolito. Poi quel contatto visivo s’interruppe, e il lupo voltò di nuovo la sua attenzione verso Alizée ancora immobile a terra. Subito affiorò la medesima paura. Scalciai, ritrovandomi a urlare – senza emettere suono – nell’avvertire una fitta di dolore laddove la pelle si era lacerata; allungai le braccia nel vano tentativo di essere vista da mia figlia, ma lei sembrava avere attenzioni sono per quel lupo. Scelsi un’altra strada. Forse anche nei sogni potevo richiamare a me l’aria, il potere. Restai perfettamente immobile e cercai di rilassarmi, emettendo profondi respiri. Acquietai il ritmo del mio cuore, ma i miei occhi rimasero ben aperti a fissare mia figlia, il punto in cui avrei dovuto scagliare la mia energia, per impedire al lupo di attaccare. Sentii l’energia vorticare dentro di me, vibrare nel mio corpo, elettrizzare la mia pelle provocando un leggero, quanto piacevole, prurito. L’aria rispose al mio richiamo, penetrando nel mio cuore. La plasmai come un artista crea la sua opera, tentando di farle assumere una maggiore consistenza, cercando di immaginare come delle spire di vento pronte a scagliarsi come fruste sul corpo dell’animale, ma quando fui pronta, il lupo aveva già raggiunto la fanciulla, ed io rimasi sgomenta nello scorgere la scena che si presentava ai miei occhi. Alizée aveva teso la mano destra verso il muso del lupo che la sovrastava con la sua mole. Non sembrava avere alcuna paura, ma anzi rimaneva al suo fianco come fidandosi completamente di lui. Il lupo, a sua volta, rimase perfettamente immobile, attendendo forse il tocco della ragazza. Osservai mia figlia sfiorare il candido manto che doveva essere estremamente morbido al tatto, per poi affondare il suo viso sul suo corpo. Sembrava felice, rideva, e carezzava continuamente il lupo che non si azzardava minimamente a sfiorarla, a farle male. Rimasi immobile, e l’energia accumulata si disperse. L’aria tornò al suo aspetto leggero e sfuggente, e scivolò tra i capelli della fanciulla, facendo rizzare anche leggermente il pelo dell’animale. Contemplai quella scena e notai lo sguardo di mia figlia volgersi nuovamente verso di me, e un sorriso luminoso sembrò espandersi, allontanando le cupe ombre che avevano avvolto il luogo. C’era luce. Solo intensa luce. E la luce dell’alba continuò a sfiorarmi gli occhi, quando una voce mi attirò fuori dal sogno. « Desirée? » Aprii gli occhi molto lentamente, quasi non volessi allontanarmi da quella bellissima immagine che il sogno aveva portato con sé, ma poi quando finalmente riuscii a scorgere la triste realtà nella quale mi trovavo, compresi che quella luce sottile non era più portatrice di gioia. « Un nuovo giorno, infine, ha inizio » mormorai cupamente. ________________________________________________________________________________________________________________________________________ Eccomi di nuovo qui! In
verità non ho nulla da dire su questo capitolo, anche se
rileggendolo a distanza di tempo, mi ha sorpresa. Sì, mi
sorprendo di me stessa, eheh. Forse tendo a sottovalutarmi troppo.
Comunque sia, un altro tassello è entrato al suo posto e, vi avverto che mancano solo due capitoli alla conclusione, e così potrete scoprire se ci sarà un lieto fine o meno! Sono sadica, lo so. Vi faccio attendere! Sono curiosa di sapere le vostre impressioni, per cui non esitate a lasciare un commento. Sono aperta a tutto, purché siano interventi costruttivi e non offese (anche se finora non ne ho mai avute, e ne sono veramente felice). Alla prossima settimana, con il penultimo capitolo! |
Capitolo 36
*** XXXV - Il Lupo ***
XXXV
Il Lupo Rumori
provenivano all’esterno del portone di legno che ci
nascondeva al mondo. Sembravano urla, colluttazioni, e per un attimo
temetti che altre sventurate stessero subendo torture inaudite. Eppure,
a un ascolto migliore, potei intuire che appartenevano a uomini. Era
raro vedere uomini accusati di stregoneria, ma ero consapevole che non
era impossibile. Tuttavia mi guardai intorno e presto incrociai lo
sguardo, stupito, di Claire. Restammo senza parole per diversi minuti,
fino a quando uno strano rumore mi fece sobbalzare. Pareva un urlo, ma
non umano. Come il ringhiare di un cane. O forse un lupo, mi
sussurrò la coscienza ancora legata al sogno.
Tremai e cercai nuovamente lo sguardo di Claire, come a trovare in lei una fonte di rifugio, o forza. Che cosa stava accadendo? Udii altre donne gridare, atterrite, mentre una – più anziana – intonava le sue preghiere a Dio e alla Vergine Maria. Mi fermai un solo istante a osservare con quanto ardore pregasse e mi chiesi, mentalmente, come si potesse accusare di eresia o stregoneria una donna così. Aveva appena una tunica grigia a coprirle il corpo emaciato e raggrinzito, ed escoriazioni deturpavano il suo volto e le sue braccia. Provai un moto di compassione per lei, ma i miei pensieri furono sviati da un colpo potente alla porta. Tra le tre grate di ferro, che permettevano appena di far entrare l’aria in quel luogo stantio, vidi il volto macchiato di sangue di uno dei gendarmi. I suoi occhi erano spalancati da un puro terrore, come se avesse visto il diavolo in persona, ma in fondo stava per incontrarlo – se quel mondo esisteva -. Qualcosa lo aveva atterrato e, lentamente, si ritrovò a scivolare verso il basso e per un attimo non si udì più rumore alcuno. L’attesa della scoperta era terribile. Chi aveva ucciso quell’uomo? A chi appartenevano quelle urla? Tentai di allungare una mano verso Claire, e lei sfiorò appena le mie dita. Notavo nei suoi occhi lo stesso muto terrore che doveva apparire nei miei, ma cercavamo di darci forza a vicenda. V’erano lacrime e singhiozzi, urla e preghiere. Tutte eravamo allibite e impaurite, non potendo sapere cosa ci aspettasse, cosa si nascondesse oltre quella porta. Non potevamo muoverci e, sapevo, che alcune delle mie “compagne” non avrebbero potuto farlo anche senza le catene. Al silenzio seguì un nuovo grido. Qualcuno stava strillando parole per allontanare il maligno. Quella voce era inconfondibile, ma si leggeva una nota di puro terrore, e non più la freddezza che mi aveva rivolto il giorno precedente. Era la voce dell’inquisitore. Per un attimo le sue urla, i suoi gemiti, il terrore che trapelava dal suo tono di voce mi fecero provare sentimenti che non pensavo potessero far parte del mio animo. Provavo una macabra gioia nel sapere che stava provando la stessa paura che aveva inflitto a me e alle altre donne e bambine. Desiderai che soffrisse, come aveva fatto soffrire tante innocenti. Stupefatta, ardevo dal desiderio di vederlo morire in modo atroce, ma poi scacciai quell’immagine. Non volevo cadere nella sua bassezza, eppure era difficile non provare sentimenti tanto tetri verso una bestia senza cuore. « Non provare vergogna per i tuoi pensieri » mormorò Claire, come avendoli letti. « Li ho provati io stessa. Tutto sta nel non renderli realtà, per non cadere nel loro stesso marcio ». Annuii alle sue parole, e stavo per chiederle cosa pensasse che fosse, quando le urla dell’inquisitore si fecero più strazianti che mai, fino a cessare del tutto. Il mio cuore batteva frenetico nel mio petto. Temevo quasi che altre potessero udire quel suono nel silenzio nel quale eravamo sprofondate di nuovo. Avevo paura. Quella situazione mi faceva essere cieca e vivere nell’attesa opprimente di conoscere il mio destino. Pensai a mia figlia e desiderai che non fosse già stata portata lì. Qualsiasi cosa stesse succedendo non potevo pensare di averla persa. Trattenni a stento le lacrime, nel tentativo di mostrare coraggio, per una volta. Non era facile, ma dovevo farlo. Poi, una delle donne urlò. Mi voltai e scorsi un liquido scuro sul quale si rispecchiava la tenue luce dell’alba. Quello era sangue. Fui colta da un maggiore spavento, ma non potei dire altro che con un tonfo potente la porta fu spalancata, e al di là scorsi due lupi enormi, con i denti sporgenti e macchiati di sangue, che sembravano guardarci famelici. Per un solo istante rimasi talmente atterrita, da sembrar paralizzata. Nessun suono si unì alle grida delle altre, né riuscii a muovermi. Ero attratta dal lupo dal manto candido come la luce lunare e da due occhi di un azzurro tendente al ghiaccio. Sembrava il lupo del mio sogno. Al suo fianco, spiccava il suo compagno, dal manto rosso fulvo e due occhi gialli che fissavano la stanza con frenesia. Quando con un balzo furono abbastanza vicini a me e Claire, finalmente lanciai un grido e ricaddi a terra priva di sensi. *
I miei
sensi iniziarono a ridestarsi, ma provavo una strana sensazione: era
come se l’aria mi sferzasse il viso e qualcosa, o qualcuno,
mi trasportasse a gran velocità. Riaprii gli occhi
lentamente, temendo che tutto quello che avevo passato fosse solo un
incubo, ma ciò che vidi mi diede un grande sgomento. Le mie
dita si strinsero su un folto pelo candido sul quale il mio corpo era
adagiato. Non ero più nel buio di una prigione e quegli
strani lupi che erano apparsi all’improvviso non erano vane
illusioni. Colta da un senso di nausea e di paura persi nuovamente i
sensi e le tenebre mi avvolsero tra le loro spire.Quando finalmente mi svegliai di nuovo, non avvertii più la corsa frenetica. Non v’era movimento alcuno, tutto era statico e sotto al mio corpo v’era erba fresca. Con gradualità i miei occhi si abituarono alla leggera luce, e ritornai a contatto con la realtà. Mi guardai attorno e scorsi una serie di fitti alberi e l’ultimo raggio di sole infuocato s’infiltrava sinuoso tra i rami. Sgomenta vagai alla ricerca di risposte alle tante domande che mi confondevano la mente. Dove ero? Com’era possibile che fossero trascorse così tante ore? Era l’alba quando avevo perso i sensi la prima volta e già si approssimava il crepuscolo. Chi o cosa erano quelle creature? E com’ero finita lì? Ma, soprattutto, dove erano Claire e la mia bambina? « Finalmente ti sei svegliata ». Una voce maschile mi riscosse dai miei pensieri, una voce che fece vibrare le corde del mio cuore. « Mickel? Tu qui? » domandai, confusa ma felice. Lui annuì e poi si chinò verso di me, allargando le braccia, tra le quali mi fiondai. Assaporai per diversi istanti quella piacevole sensazione che il suo abbraccio sapeva donarmi, aspirai il suo profumo selvatico, ma mi accorsi di qualcosa che mi turbò. Mi scostai leggermente e lo guardai. I suoi occhi erano così simili a quelli del… « Vieni con me ora » m’invitò a seguirlo, ma quella nuova consapevolezza si faceva sempre più forte in me. Mi accompagnò poco distante, nel fitto del bosco un fuoco zampillava gioioso, attorniato da diversi uomini che avevo visto – facendo parte della Guardia del Conte – e una donna ridotta nel mio miserevole stato, che posava incerta il capo sulla spalla di un uomo moro. La sua postura era rigida, ma quando incrociai gli occhi di Claire – perché di lei si trattava – vi scorsi un’incredibile felicità macchiata da lacrime silenziose che li rendevano ancora più brillanti. « Desirée! » esclamò, facendo cenno di volersi alzare, ma fui io ad avanzare e sfiorarle il capo. « Mia dolce Claire… » mormorai, guardando poi l’uomo al suo fianco, il quale si era scostato un poco, ma che continuava a osservarla con un misto di preoccupazione, desiderio di protezione e qualcosa che era inconfondibile: così, infatti, mi guardava Flaviano e così anche Mickel. C’era amore, lo stesso sentimento che brillava negli occhi della mia Claire e così compresi che aveva finalmente ritrovato il suo grande amore: non se ne era mai veramente andato. Sorrisi teneramente alla strega di divinazione e il mio cuore si scaldò. Meritava di essere felice. « Sei turbata, Desirée, non è vero? » mi domandò Claire, invitandomi a sedermi al suo fianco, e così feci. « Lo ero anch’io, ma ora il tuo Capitano ci spiegherà ogni cosa ». « Ogni cosa? » domandai, sempre più confusa. Mi voltai e scorsi il viso di Mickel illuminato dalla fiamma che risaltava la cicatrice che gli sfregiava l’occhio destro. Si sedette a terra e prese un ramoscello con il quale sembrò tracciare dei segni sul terreno, ma poi tornò a guardarci tutti, posando infine quegli occhi così uguali al lupo bianco, su di me. Un brivido scorse rapido lungo la schiena a quella sorta di contatto visivo. Mi sentivo strana, impaurita, ma nel medesimo tempo ammaliata dalla sua persona. Che cosa si nascondeva dietro l’uomo che amavo? Che cosa ci facevano lì i suoi uomini? E dove erano finiti i grossi lupi che avevo visto in prigione? Le mie domande furono messe a tacere, però, dalla voce imperiosa di Mickel. « So che siete scosse, turbate e che desiderate conoscere come avete fatto a trovarvi qui. È difficile da dire, perché le mie parole potranno aumentare la vostra angoscia, ma è giusto che il mistero venga svelato ». Si fermò, un solo istante, abbassando gli occhi a terra e poi tornò a puntarli su di me. Restò a vagliare i pensieri, e mi guardò come se volesse analizzare la mia anima. Capire se poteva fidarsi. Io repressi un nuovo brivido e mi strinsi al mantello, con il quale mi ero ritrovata avvolta al risveglio, ma non abbassai lo sguardo. Lui poteva fidarsi di me, anche se temevo che potesse rivelarmi un lato oscuro che non avrei, forse, gradito. « I lupi che avete visto nella vostra prigionia non erano semplici animali selvatici. Erano più grandi. In queste lande sono chiamati Garou, in altre Lycan, in altre ancora Uomini Lupo, e… si trovano proprio qui dinanzi ai vostri occhi ». Mi guardai attorno allarmata, e Claire rabbrividì tra le braccia dell’amato. Sembrò guardarlo con un misto di paura, risentimento e comprensione. Io ero troppo turbata a scrutare tra gli alberi, per soffermarmi troppo ad analizzare i suoi pensieri, e in fondo erano unicamente suoi. « Siamo noi, Desirée. Io, Hans, Gustave, Mathieu e Andrés, siamo Licantropi, uomini che possono diventare lupi quando la luna brilla piena in cielo ». Persi completamente le parole. Mi sentivo assetata e avvertivo come un peso al cuore. Iniziai a sudare freddo e il mio corpo tremava letteralmente. Non riuscivo a reagire diversamente. La mia sensazione si era rivelata veritiera ed io non stavo bene. L’uomo che amavo, al quale mi ero donata, era un lupo? L’immagine del grosso animale bianco si sovrappose a quella dell’uomo che sedeva proprio di fronte al fuoco, e il cui viso era illuminato dalla fiamma che mi parve fare brutti scherzi, giocando con i suoi lineamenti, facendogli assumere quasi un terribile ghigno che mi fece gridare. Lui mi guardò e i suoi occhi si fecero cupi e vuoti. Li abbassò a terra, perdendo quasi la sua attenzione. Non volle avvicinarsi a me, forse temendo di spaventarmi ulteriormente, ma io mi sentii meschina. Doveva fidarsi di me, ed io lo avevo trattato così. Ma quale altra reazione poteva aspettarsi da me? Lui un uomo lupo? Lui poteva aggredire le persone per cibarsi o per semplice follia? Non ne sapevo molto, ma tante erano le storie raccontate su quelle terribili belve notturne ed io non riuscivo proprio a trovare parole o trattenere le emozioni. Sobbalzai leggermente quando avvertii un tocco sulla mia mano. Claire si era voltata verso di me, e mi aveva sfiorato la mano, non trattenendo una smorfia di dolore per quel gesto, ma poi mi sorrise con tenerezza e prese parola. « Desirée non cedere alle vane leggende che la paura umana alimenta. Anch’io sono sgomenta di fronte a questa rivelazione, ma il mio cuore sa che il mio Mathieu non potrà farmi mai del male. Sono stati loro a salvarci, e se conosci il suo cuore, sai che non potrà mai ferirti. Sono figli della Dea ». Mickel scosse il capo e sembrò borbottare tra sé. Io trassi un profondo respiro e, dopo aver annuito a Claire, tornai a guardarlo. Riprendere il controllo delle emozioni non era facile, ma non potevo offenderlo ancora. Mickel, il mio Mickel, era un lupo. Avvertivo come la triste consapevolezza di non averlo mai conosciuto interamente. « Non gettate parole al vento, nobile Claire, noi non siamo dei figli della Dea » ribatté con cupa rabbia, mentre i tratti del suo viso si facevano sempre più tesi, quasi una smorfia di disagio, come se lottasse contro se stesso per riuscire a dire le cose. Claire tentò di replicare, ma lui la zittì con un gesto della mano, e riprese il suo dire. « Noi siamo degli esseri maledetti. Di giorno umani, ma quando la luna assume la sua forma completa, ci attrae con forza, ci chiama a sé, ci invita a rivelare la nostra oscura seconda natura. È giusto che sappiate tutto e poi decidiate se rimanere al nostro fianco o meno ». Mi guardò con una tale intensità, che quasi piansi. Io non potevo pensare di lasciarlo, anche se la mia mente era in un tale subbuglio di pensieri, il mio cuore mi spingeva sempre a lui. « Qualunque sia la vostra reazione, però, vi aiuteremo a trovare un valido rifugio. Non potrete tornare a Sivelle e affrontare la vita di tutti i giorni, ormai conoscono i vostri volti e non potremo salvarvi di nuovo dalla meschinità di quei preti » digrignò i denti, inferocito, ma poi cercò di ritrovare la calma. Fissò il fuoco per diversi istanti, e poi continuò. « Noi siamo stati maledetti. I miei antenati si sono macchiati di un tale crimine che di generazione in generazione ogni figlio maschio rischia di contrarre questo male. Vi racconterò la mia storia, ma ognuno dei presenti ha la propria. La verità è che quello che abbiamo non è un dono che la Dea ci ha fatto, ma una maledizione alla quale non possiamo fuggire. Quando siamo uomini, siamo in grado di ragionare, ma quando l’altra parte prende il sopravvento è l’istinto e non la ragione a mandarci avanti. O, almeno, agli inizi è così… solo con gli anni, la perseveranza e la determinazione si può riuscire a dominare la bestia e a scegliere noi quando trasformarci, anche se non è bene restare uomini troppo a lungo, o l’istinto aggressivo si paleserà anche nell’umana forma ». Si bloccò ed emise un lungo sospiro, mentre io cercai di ancorarmi alla terra per rilassarmi. Risucchiai la sua essenza, il suo potere, così lontano dal mio, opposto ma allo stesso tempo complementare, e cercai di trarne la solidità, la fermezza, per non permettere a pensieri ed emozioni negative di colpirmi impetuosamente. Claire era rimasta silenziosa, alternando il suo sguardo tra Mickel e il suo Mathieu che la osservava con occhi tremendamente tristi mentre il discorso sulla sua seconda natura era rivelato. Forse temeva di perderla di nuovo ma ancora forse era proprio quello il motivo per cui se ne era allontanato. Non voleva farle del male. Il suo cuore era veramente puro, ne ero certa, come lo ero per Mickel. Non era facile per lui rivelare tutto, ma voleva porre la verità al di sopra di tutto, anche a rischio di perdermi. Lo amavo anche per questo. « Secoli fa, i miei antenati invasero una verde landa al nord di questa nazione. Arrivarono con le loro lunghe navi, e circondarono l’isola, per poi procedere verso l’interno. Erano fieri e assetati di conquista, come tutti i popoli che si erano succeduti all’epoca, e come tuttora del resto fanno. Anelavano a nuovi tesori, a nuove terre, e non ebbero alcuna remore a uccidere anche innocenti, perché questo è anche ciò che comporta entrare in guerra. Non sempre si riesce a placare la propria sete di sangue, anche l’uomo a volte cede all’istinto anziché seguire la ragione ». Sospirò, e i suoi uomini sembrarono copiarlo. Non indugiai troppo su di loro, ma li vidi come ammaliati dalle fiamme, mentre ascoltavano le parole del loro capo. « L’istinto guerrafondaio, la loro sete di sangue, il loro incomprensibile odio andò troppo oltre, quando nel loro cammino arrivarono uomini e donne dai vostri simili poteri. Erano dei druidi e le loro donne invocavano spesso la Dea di cui parlate. Riuscirono a fermarli per breve tempo, ma di fronte alle armi e alla temerarietà, nonché alla rabbia che avevano provocato, i miei antenati ribatterono con il ferro e il sangue. Druidi caddero come foglie a terra, mentre le loro candide vesti si macchiavano di un rosso vermiglio; diversa sorte dovettero affrontare le loro donne, contaminando la loro castità, i loro corpi, ma non le loro anime sempre devote alla loro Madre. E proprio una di loro, la più forte, invocò la terribile maledizione che ricadde sui maschi della mia famiglia, di generazione in generazione. ‘Voi che ci avete trattato come belve della notte, che avete dato adito al vostro macabro istinto, anziché alla ragione; voi che con le vostre nefandezze avete logorato questa terra, ucciso gli uomini e contaminato con il vostro marcio seme le donne, voi sarete puniti! Che un’orrenda maledizione ricada su di voi, sui vostri figli maschi, sui vostri nipoti, di generazione in generazione fino alla fine dei giorni. Invoco la Dea della Vendetta, della Tempesta e del Tuono, del Fulgore; ascolta le mie parole, rispondi al mio richiamo, e ricambia le nostre sofferenze maledicendo il loro popolo! Che di notte diventino vere belve, crudeli e senza ragione. Che possano mangiare le loro madri, figlie e amanti, che possano risvegliarsi al mattino con un profondo dolore nel loro cuore, e che vaghino soli, nei boschi, senza più nessuno, se non l’odio. Questa è la mia maledizione, e con il volere della Terribile Dea, ora sia!’ Così, ella parlò, ma quegli uomini risero di lei, non credendo che potesse realmente avverarsi una cosa simili. Tra di loro però, v’erano taluni più superstiziosi e credenti, e consapevoli che l’ira degli Dei potesse colpirli in maniera implacabile, iniziarono ad avere paura. Ma ormai era troppo tardi. Di giorno erano semplici uomini, di notte quando la Dea mostrava il suo volto completo, i loro corpi subivano una lunga e dolorosa metamorfosi. I loro arti si modificarono, urla disumane furono udite, come se il Diavolo stesso fosse sceso in terra; il loro corpo si coprì di un folto pelo, e il feroce istinto prese il posto della ragione. Come la Sacerdotessa aveva detto, si cibarono di qualunque persona riuscissero a trovare. Non potendo ragionare, non rammentavano neanche chi fossero, né dove si trovassero. Avevano solo fame, implacabile fame, che li portò a compiere i più tremendi misfatti. Madri, figlie e amanti caddero sotto la loro rabbia, e molti figli furono condannati a scontare questa maledizione, che ancora oggi va avanti… » Una serie di emozioni contrastanti mi sconvolse l’animo, mentre Mickel non faceva più soste nel suo racconto. Il suo modo di raccontare era così pieno di pathos, che mi sembrò di essere lì. La mia anima vagò nel cielo, fino a raggiungere la verde isola, e mi sembrò di assistere a quegli atti meschini. Provai dolore e un senso di pietà per quei druidi, ma soprattutto per le loro donne, impossibilitate a replicare, mentre quegli uomini abusavano di loro. Provai rabbia, sete di vendetta, desiderio di punirli io e stessa, e poi mi parve di udire con le mie stesse orecchie la voce della Sacerdotessa che invocava la sua maledizione. La mia pelle formicolava alle sue parole, il mio animo era con lei. Riuscivo a comprendere la sua ira, il suo desiderio di vendetta. Se qualcuno avesse fatto del male a me, alla mia bambina o alle mie amate streghe, avrei provato e, probabilmente, detto le medesime cose; ma, quando tornai nella realtà e incrociai gli occhi di Mickel, provai pietà per lui. Quegli uomini avevano meritato una tale vendetta, ma che colpa ne avevano le generazioni future? Che colpa ne aveva il mio Mickel? E di colpo mi ritrovai ad aver voglia di abbracciarlo, di stringerlo a me, di fargli capire che io c’ero per lui. Lui poteva anche essere una belva notturna, ma mi aveva salvato la vita, e non era stato lui a commettere tali crimini. Il mio cuore iniziò a battere, mentre lui tornava a parlare. « Questa è la mia storia. Altri potranno dirvi qualcosa di diverso, ma siamo tutti accomunati dalla medesima maledizione, che tuttavia ci ha uniti. Siamo un branco ora, e abbiamo imparato a gestire l’altra parte di noi. Non è nostra intenzione fare del male, anche se in passato è successo. Questa è la mia storia, Desirée, e ora sta a te decidere cosa fare di noi ». Sentii le lacrime bagnarmi il viso, e quasi priva di consapevolezza, mi alzai e mi chinai verso di lui. Ero ancora piuttosto debole e malconcia. Il mio viso, il mio capo privo di capelli, i lividi, non mi rendevano più deliziosa, ma lui mi guardò con il medesimo sguardo d’amore, di desiderio, ma anche con una paura che era impossibile celare. « Io ho scelto te, con i tuoi pregi, con i tuoi difetti. Io ho scelto te, e voglio te per il resto della mia vita ». Mi chinai a baciarlo, lentamente, ignorando i fischi degli uomini e la risata gioiosa di Claire alle mie spalle. Mickel mi strinse a sé, inizialmente con foga, ma poi rilassandosi sentendo il mio lamento e, in parte, il mio tremolio e la mia esitazione. Mi lasciai andare tra le sue braccia, beandosi dell’amore che ci univa, e per diversi istanti dimenticai tutto il male e la paura che avevo subito, e sorrisi nel vedere che i medesimi sentimenti erano provati da Claire, tra le braccia del suo amore. Ma poi… un pensiero agitò la mia mente. Un pensiero che mi riportò al buio più completo. « Alizée! » ______________________________________________________________________ Ecco qui il penultimo capitolo! Avevate già capito chi fosse il lupo? Vi piace questo mistero svelato e la loro storia? So che compare alla fine - ma in verità, questo lupo c'è sempre stato - ma analizzando il tutto con lo sguardo della Rosa, la storia si è incentrata su di lei, il suo essere strega, i suoi amori e i suoi drammi. Tuttavia, spero tanto di riuscire un giorno a scrivere qualcosa in più sui licantropi, soffermandomi maggiormente su tali creature. Incrociamo le dita e speriamo di ritrovare quella voglia e il tempo per scrivere! Detto ciò, vi do appuntamento alla prossima settimana, con l'ultimo capitolo di questa storia che spero vi abbia emozionato. A presto, e grazie a tutti voi che leggete e che lasciate i vostri preziosi commenti. |
Capitolo 37
*** Epilogo ***
XXXVI
Epilogo Il grande salice appariva diverso ai miei occhi. I suoi lunghi rami ricadevano, come inermi, verso il terreno e mi appariva stanco, vuoto, spento se tali aggettivi erano pertinenti per un albero. Era come se la scomparsa di Sylvie e il triste periodo che vivevano coloro che dimoravano magicamente dietro il suo ingresso lo avessero colpito duramente. Respirai l’aria fredda dell’ora che precedeva l’alba, e un brivido mi sconvolse il corpo, spingendomi a stringermi il mantello maggiormente attorno al mio esile corpo. Avvertii il braccio di Mickel circondarmi le spalle e sollevai leggermente lo sguardo per rivolgergli un sorriso di gratitudine. Tremavo ancora, mentalmente, avendo scoperto la sua seconda natura, ma aveva dimostrato più volte quanto fosse forte il suo amore per me e la mia bambina. Alizée. Mi avevano tolto la mia bambina da poco tempo, ma era come se fosse trascorso un periodo lunghissimo, estenuante. La sua assenza gravava sul mio cuore e desideravo davvero poterla vedere con i miei stessi occhi per sincerarmi del suo benessere. Guardai Claire, ma comprendendo che fosse più scossa e dolorante di me, cercai di trovare l’energia necessaria per formulare la parola che ci avrebbe consentito tutti di oltrepassare la soglia. Non mi sentivo sicura. Ero stanca e turbata sia fisicamente sia mentalmente, ma trovai un’inconsapevole forza pur di vedere la mia piccola. Alizée. Il mio cuore sussurrava il suo nome, mentre la mia mente era invasa da una luce intensa, e la mia pelle formicolava a contatto con l’energia pura che stavo risvegliando in me. Le mie labbra si mossero, quasi da sole, a formulare la parola e, come d’incanto, ci ritrovammo tutti lungo il corridoio scuro che dava l’accesso alla grande sala. Sentii delle voci, stupore, concitazione, sospiri, ma soprattutto una voce infantile, di bimba, la voce della mia Alizée! Corsi, per quanto le mie gambe potessero concedermelo, raggiunsi la sala principale dell’Antro, e i miei occhi si soffermarono subito sulla piccola creatura tra le braccia di Cécilie. Mi commossi profondamente, quasi non riuscii a trovare le parole. La guardai in ogni singolo punto del suo corpo e, solo quando non notai segni di violenza o differenze, sospirai, felice. Tuttavia, nel momento esatto in cui i suoi occhi incrociarono i miei e vide le mie mani tendersi verso di lei, la piccola pianse spaventata e si rifugiò quanto meglio poté tra le braccia di Cécilie. Ne fui profondamente turbata. Mia figlia non mi riconosceva più? « Alizée… sono la mamma » farfugliai, sentendomi però la bocca asciutta, come se le mie labbra non assaggiassero acqua da troppo tempo. Mickel mi raggiunse e cercò di nuovo di circondarmi le spalle con la sua mano, ma con uno scatto di rabbia lo scansai. Mi sentivo frustrata, arrabbiata, indignata e anche profondamente triste. Quegli uomini orribili, più simili a bestie, mi avevano fatto del male e di riflesso ne avevano fatto alla mia bambina. La sentivo piangere e quelle lacrime mi straziavano il cuore, come tanti colpi di spada. Poi, una voce spezzò il turbinio dei miei tristi pensieri. « Rosa Bianca, il tuo cuore non sia turbato ». Con l’aiuto di Lydie, Ophélie avanzò verso di me e le sue mani grinzose sfiorarono con delicatezza il mio viso, il mio capo rasato, il mio corpo. La lasciai fare, seppur non riuscissi a trattenere una smorfia. Tutto quello che avevo attraversato, non bastava? « Ora comprendo. Ti hanno maltrattata, hanno infierito sul tuo giovane corpo, e tua figlia non riesce a riconoscerti. Dalle il tempo di capire. Parlale, avvicinati a lei lentamente, e pian piano la tua bambina sentirà di nuovo il profumo di sua madre ». Il peso nel cuore era ancora forte e nella mia testa un ronzio incessante m’impediva di riflettere e ragionare a mente lucida su quelle sagge parole. Avvertii di nuovo il tocco delle sue mani ruvide sulle mie, il calore che m’infuse mi diede un incredibile sollievo. D’un tratto mi afflosciai, esausta, e piansi tutte quelle lacrime che ancora i miei occhi non erano riuscite ad espellere. L’anziana strega mi sostenne con una forza impensabile, seppur io cercassi di non gravarle troppo addosso. Avevo il bisogno dell’affetto di una madre e lei, insieme a Madame, era stata un qualcosa di molto simile. Intorno a noi tutti rimasero in silenzio, eccetto il pianto di Alizée e qualche lacrima silenziosa che brillava sui visi delle altre donne presenti. Quando finalmente riuscii a calmarmi, trovammo tutte posto a sedere, mentre Mickel rimase in piedi, come volesse vigilare la situazione o si sentisse fuoriposto. Io mi posi accanto a Cécilie e alla bambina, e cercai di sussurrarle parole e di avvicinarmi a lei. Non era un percorso facile, ma ogni volta che udiva la mia voce, immutata, Alizée sembrava guardarmi come se iniziasse a comprendere. Non sapevo cosa potesse pensare, così piccola, così ingenua, ma probabilmente non capiva come mai la sua mamma fosse così cambiata fisicamente. Ed io stessa mi sentivo orrenda. Quegli uomini avevano minato anche la fiducia in me, lacerato la mia anima, e avrei dovuto percorrere un lungo cammino prima di ritrovare la quiete e la pace con me stessa e con il mondo. Gli altri stavano discorrendo su ciò che era accaduto. L’uccisione di uomini di chiesa e di armigeri non sarebbe passata inosservata, e tutto si sarebbe inasprito ancora di più. Sarebbe passata di bocca in bocca la presenza di grandi lupi nella zona, e sapevo che non era difficile accompagnarli all’idea delle streghe. Alcune donne erano state salvate, ma quante ancora sarebbero morte per tali ingiustizie e la crudeltà umana? Il mio cuore fremeva. Non potevamo restare lì, ma non sapevo immaginarmi nulla al di fuori di Sivelle. « Porterò Desirée e Alizée via con me, nella mia patria natia. Non possono rimanere qui. È troppo conosciuta in città, e potrebbero riprenderla e questa volta mandarla sul rogo senza attendere altro tempo » sentenziò, all’improvviso, Mickel. Tutti si voltarono verso di lui, e notai molti accondiscendere. « Ma io non voglio lasciarle qui. Anche loro rischiano molto. Venite via con me » dissi, rivolgendomi alle mie sorelle streghe. Lessi nei loro occhi una tale confusione che in fondo era anche mia. Da un lato la paura di essere uccise, colpite, e maltrattate le spingeva a dirmi di sì, dall’altro era come se una parte di loro fosse così radicata in quel luogo da non volerlo lasciare. Elodie, Cécilie e la piccola Lydie si guardarono tra loro, ma poi tutti gli occhi furono puntati sulla saggia, l’anziana, colei che oramai era il capo della nostra congrega dopo la morte di Sylvie. « Le tue parole sono comprensibili, figlia mia, ma io non me ne andrò. Tuttavia, non impedirò alle altre di seguirvi ». Lydie le si accoccolò accanto e Ophélie le accarezzò il capo rossiccio con garbo. Per un attimo vidi come un’immagine che si alternava a quella. Come un’immagine futura. Vidi una Lydie più grande, che risplendeva di grazia e di potere e tra le sue braccia spiccava Etoile, il gatto nero che sempre accompagnava Sylvie. Ma non la vidi in terra straniera. Lei era rimasta. Lei e non solo lei. « Io non posso lasciare Ophélie, non posso proprio. Mi ha accolta quando tutto sembrava perso per me » rispose Elodie, scuotendo il capo con forza, anche se tra i suoi occhi dorati brillavano lacrime. Cécilie sembrava molto turbata. Era tra le persone più sensibili della Congrega, ma sapevo che nonostante le liti continue con Elodie, le era profondamente legata. « Credo che saprai già la mia risposta, mia cara Desirée. Ho ancora tanto da apprendere sulle erbe, e poi non posso lasciare che questa folle metta a soqquadro la nostra congrega! » Ci furono delle brevi risate, che scemarono, però ben presto. Avrei voluto convincerle, non volevo lasciarle lì… avrei voluto restare anch’io. « E tu, Lydie, vuoi venire con me? Claire? » domandai. Lydie sembrava turbata. Guardò a lungo ogni persona presente e soffermò molto il suo sguardo su di me, ma, infine, scosse il capo e si aggrappò a Ophélie. L’ammirai per la sua grande forza. In una bambina così piccola, che aveva affrontato qualcosa di terribile, che aveva visto quasi la morte in faccia, era difficile scorgere ancora così tanta determinazione. Notai come si fosse legata profondamente a Ophélie, oltre che a Sylvie, in quei lunghi mesi trascorsi insieme e non insistetti. Infine, fu la volta di Claire. Claire guardò le sue sorelle e poi il suo amato. Cercò negli occhi di quest’ultimo le risposte, gli sussurrò parole nascoste e infine rispose. « Il mio corpo non reggerebbe più un simile affronto. Amo le mie sorelle. Voi mi avete accolta qui con grande amore e affetto e mi avete aiutata ad ampliare il mio potere, le mie visioni, ma ora il mio cuore ha ritrovato la sua casa. Perdonatemi sorelle mie se vi arreco dolore, non è mia intenzione causarvi afflizione e auspico che non mi serbiate irragionevole rancore. Ma io… » si bloccò, per poi stringersi maggiormente a Mathieu che le pose un bacio sul capo rasato « io scelgo il cuore. Io scelgo lui ». « E noi verremo con voi, Capitano, se lo riterrete opportuno » aggiunse il soldato, rivolgendosi a Mickel, il quale acconsentì con il capo. Fui in parte rincuorata di sapere che almeno una delle mie sorelle mi avrebbe seguita, anche se il dolore di perdere le altre, unito alla paura, mi rendeva titubante. « Non voglio lasciarvi sorelle mie… forse potrei restare… » « No » risposero in un coro unanime, e poi lasciarono che Ophélie replicasse. « Non puoi restare bambina mia. Il tuo nome è conosciuto, la tua arte qui non sarà più desiderata. V’è odio, vendetta, e non posso permetterti di vivere unicamente qui dentro. Hai tua figlia da proteggere, il tuo uomo da amare e… sento che la tua vita è lontana da qui. Ti vedo alla guida di un’altra congrega, in una fredda ma verde landa al nord, in terra lontana, ma sia tu che la delicata e nobile Claire, sarete sempre vicine nel cuore ». Mi sentivo una bambina capricciosa e sciocca, quando mi accorsi di piangere di nuovo. Io non volevo davvero lasciarle, ma poi sentii il tocco di una piccola manina sul mio volto. La mia piccola Alizée mi stava sfiorando ed io compresi cosa dovevo fare. Dovevo andarmene soprattutto per lei e anche per Mickel. Neanche lui poteva restare più a Sivelle. Dovevamo andarcene. Per sempre forse… o almeno fino a quando le acque non si fossero davvero calmate. Una nuova alba giunse e per quel giorno restammo lì. Mickel, Mathieu e gli altri uomini uscirono dall’antro per cercare una carrozza e cavalli agili e riposati, in modo da viaggiare veloci, almeno per i primi giorni. Dovevamo scappare, non c’era tempo per fare molto. Cercai di lavarmi, indossai un nuovo abito e cinsi al collo il ciondolo color zaffiro, del mio grado di strega. Lo avrei sempre portato con me. Ero fiera di essere parte della Congrega del Salice che così tanto affetto mi aveva dato. Mi avevano aiutata a diventare più forte, matura, e consapevole delle mie qualità, a ritrovare un poco di fiducia in me stessa e soprattutto a scoprire il potere che mi avvolgeva. Non sarebbe stato facile lasciarle, ma Ophélie aveva ragione. Loro sarebbero rimaste sempre nel mio cuore, come tanti cristalli infrangibili ad adornarlo. Scrissi una lettera da consegnare a Madame, ringraziandola di tutto, ma non dicendole dove sarei andata. Non lo doveva sapere, non doveva rischiare di essere vista come complice, ma dovevo donarle in qualche modo il mio ultimo saluto. Mi sarebbe mancata enormemente. Lei, in fondo, era la madre che avevo perso da bambina, colei che mi aveva insegnato tutto ciò che sapevo nel mio lavoro da sarta. A lei dovevo la mia vita. Qualche parola la rivolsi anche a Julie, che nonostante tutto, avevo amato come una piccola sorella. Sapevo che lei, un giorno, avrebbe preso il mio posto nella Maison, divenendo una sarta abile e conquistando il cuore di tutti con le sue deliziose creazioni. Per Louise-Marie non riservai parole, né pensieri. Il mio cuore piangeva al pensiero di aver perso una persona che ritenevo amica, ma col tempo sarei riuscita a rimarginare la ferita. La notte scese troppo rapidamente. Avevo cercato di trascorrere tutto il tempo possibile con le altre streghe, ma era venuto davvero il momento di andare via. Dopo averle abbracciate, baciate, sussurrato parole d’affetto, e cercato di far loro cambiare idea per l’ennesima, futile, volta, restai sulla soglia per diversi minuti a guardarle, una a una. Ophélie la saggia, la folle Elodie, la dolce Cécilie e la piccola Lydie che sorreggeva tra le sue braccia il grande gatto nero che non mi soggiogava più con i suoi occhi gialli e penetranti. E tra di loro, sentivo aleggiare uno spirito, come una brezza leggera, sapevo che Sylvie le avrebbe sempre protette. Aveva donato la vita e avrebbe continuato a proteggere il suo Ordine, per sempre. Era difficile lasciarle, ma sorretta da un tale pensiero sentii il mio cuore farsi più leggero. Al fianco di Mickel, con Alizée finalmente tra le mie braccia, raggiunsi la carrozza, dove mi nascosi con Claire. Mia sorella sarebbe rimasta per sempre con me. E così, di notte, come fuggiaschi, abbandonammo Sivelle, quel villaggio che mi aveva accolta da bambina e dove avevo provato emozioni intense, trovato amori, felicità, tristezza, e potere, per sempre. *
Svezia, un anno dopo
Si respira un’aria nuova in questa verde e fredda landa. In piedi su un’altura che sprofonda a picco sul mare, osservo l’orizzonte, con l’assurda speranza di poter vedere la mia casa. Sivelle è lontana, tutti sono lontani, ma è come se un filo invisibile mi legasse strettamente a tutti coloro che nella mia vita ho amato e mi hanno amato. Respiro l’aria salmastra e la sento solleticarmi il viso arrossato. Non so quando, effettivamente, mi abituerò a queste temperature rigide, ma questa terra non mi dispiace. Mickel è come rinato. È la sua patria, la sua casa, e non ha smesso di svolgere il suo lavoro. La mia arte anche qui piace, anche se ho dovuto fare modifiche per accontentare la gente del luogo. Il vento mi punge gli occhi e mi stringo maggiormente al mio mantello di pelliccia per cercare un poco di calore. Il tessuto non sembra, tuttavia, nascondere le forme arrotondate del mio corpo. Sì, una nuova vita sorge in me e, nonostante la paura di Mickel di trasmettere la sua maledizione a un eventuale figlio maschio, io sono felice. So che lui lo aiuterà a capire la sua seconda natura, so che lui mi aiuterà a crescere al meglio il nostro bambino. Sono felice, perché Mickel ormai è tutta la mia vita, insieme ad Alizée e al frutto del nostro intenso amore. I miei capelli si sono di nuovo allungati e il vento sembra sfiorarli con delicatezza. La mia bambina è cresciuta e con il tempo ha imparato ad accettarmi di nuovo, a capire che nonostante il cambiamento fisico, io sono la sua mamma. Il cielo è limpido, nessuna nuvola sembra deturparlo, solo un’infinita pennellata di un piacevole azzurro mi sovrasta. Le ferite del cuore si sono ricucite. Mi capita, a volte, di fare ancora incubi che mi portano a quella prigionia, alla vendetta di un’amica, a quei tristi momenti, ma so che qui non potranno arrivare. Claire è rinata e completamente innamorata. Anche il suo ventre ha deciso di ospitare il frutto del suo amore. Mathieu ha capito che non poteva vivere senza di lei, e ora stanno recuperando insieme tutto il tempo perso. Con lei ho organizzato un'altra Congrega. Ci sono streghe anche qui e così possiamo divulgare il nostro sapere e il nostro potere. Guardo di nuovo il cielo e penso alle persone che hanno attraversato la mia vita, a chi è morto e ancora vive. Flaviano, Sylvie, Madame – morta per il troppo dolore poco dopo la mia partenza – non sono più qui, e presto con loro volerà alla Dea anche l’amata Ophélie, ma il loro amore, i loro insegnamenti, la loro forza, il loro sacrificio e la loro saggezza vivono ancora in coloro che restano. Chi rimane deve imparare a vivere, deve trovare la forza di andare avanti, anche se tutto sembra perso e disperato. Perché dopo l’oscurità, brilla sempre una nuova luce, dietro le nuvole si nasconde un cielo limpido come quello che mi avvolge. Sollevo le mie braccia verso il cielo e ancoro i miei piedi alla terra. Aspiro l’aria, lascio che entri dentro di me, e scorra lungo ogni parte del mio corpo. La sento pulsare nelle vene, avverto il potere, e finalmente mi sento viva. _______________________________________________________________________________________________ E così ci siamo. Anche questa storia è conclusa, anche se le avventure di Desy e degli altri personaggi continuano a vivere nel mio cuore. Ammetto che una lacrimuccia è arrivata, ma io tengo davvero moltissimo a questa storia. Forse troppo. A volte ho pensato di provare a farle spiccare il volo, ma ammetto che ho un po' paura. Paura che non sia all'altezza di altri romanzi, paura di essere ancora acerba. Forse un giorno rimetterò mano a tutto ciò e chissà... Come potete vedere, Desy, dopo tante tribolazioni, ha raggiunto il suo lieto fine. Non potevo non donarglielo, sarei stata davvero crudele. Spero che questo finale vi piaccia e vi susciti le stesse emozioni che ha scaturito nel mio cuore. E' vero, non ho descritto perfettamente la sorte di altri personaggi, soprattutto della Dama, ma è ovvio che la sua vita continui in una corte piccola, tra invidie, intrighi, pettegolezzi, con il suo cuore arido e vuoto, avendo perso due persone che l'amavano (o perlomeno Desirée le voleva un affetto sincero). Quindi, questa è anche una situazione pessima, non trovate? Come già detto altre volte, ho in mente una storia su Claire (e anche altri progetti su altri "piccoli" personaggi), ma purtroppo sono ferma al prologo, e non so quando riuscirò a buttarla giù del tutto. Per cui, interrompo qui gli aggiornamenti delle mie storie, e solo se avrò l'ispirazione giusta per racconti brevi, magari tornerò in questo sito. Anche perché, sarebbe ora che Marta, alias Piccolo fiore del deserto o Rosa del deserto, si decida a trovare la grinta giusta e il vero coraggio di far volare in alto le sue storie, nella speranza di raggiungere più lettori. Voi che dite, le ho le carte giuste? Forse sto solo sognando, ma i sogni si possono realizzare no? Bene, concludiamo il tutto con i ringraziamenti. Grazie di cuore a chi ha inserito questa storia tra le preferite: 1 - Daniawen 2 - Fly Away From Here 3 - KazucChan 4 - kifki91 5 - MerythGreen 6 - Mitzune_chan 7 - pietro_ap 8 - Poseidone358 9 - Standbyme 10 - Strix 11 - Vero_21D 12 - Xyle 13 - _walkingdisaster_ Grazie a chi l'ha inserita tra le ricordate: 1 - Greedo 2 - Kojina 3 - Mirrine 4 - pietro_ap 5 - Sasha29 6 - Vero_21D 7 - _FrenkieFaye_ 8 - _HeartDrum_ E anche a chi l'ha inserita tra le seguite: 1 - angevil 2 - Aryadaughter 3 - ax_articolo31 4 - blood_mary95 5 - bluewhite 6 - Chiara Marinucci 7 - darkmagic31 8 - Giuli_97 9 - jaia 10 - Jey_Jules 11 - ladyathena 12 - Mitzune_chan 13 - moreandmore 14 - pietro_ap 15 - Poseidone358 16 - RD Patruno 17 - Renesmee94 18 - Riveer 19 - Saphiradream 20 - SaraIS 21 - Sasha29 22 - Secretly_S 23 - spella 24 - vampira_aux 25 - Vero_21D Grazie a... Poseidone358, pietro_ap, controcorrente, Vero_21D, Kojina, Mitzune_chan, Saphiradream, Standbyme, Willa Shakespearelli, Strix per aver lasciato i vostri preziosi commenti. Mi hanno aiutata a comprendere di esser riuscita nel mio intento, e hanno suscitato numerosi sorrisi! E, infine, anche se non lo leggerai, grazie a te, perché nonostante tutto, mi hai aiutato in parte a dare vita al personaggio di Mickel Svensson. Oh quasi dimenticavo! Volevo mostrarvi i volti degli attori che associo ai vari personaggi! :) Desy + Flaviano + Mickel Louise Marie + Madame + Julie Lydie + Claire + Elodie + Cecilie Sylvie + Ophelie |