A Damn Smile di _Dolphin_ (/viewuser.php?uid=110421)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio dell'incubo ***
Capitolo 2: *** Bodyguard ***
Capitolo 3: *** Un nuovo compagno di classe ***
Capitolo 4: *** Una decisione stupida ***
Capitolo 5: *** Chi si fa i fatti suoi, campa cent'anni ***
Capitolo 6: *** Non c'è soluzione ***
Capitolo 7: *** Grazie ***
Capitolo 8: *** Una notte diversa ***
Capitolo 9: *** Un'altra giornata monotona ***
Capitolo 10: *** Tutto, tranne che monotonia. ***
Capitolo 11: *** Il fuoco ***
Capitolo 12: *** Se una giornata inizia male, non può che andare peggio ***
Capitolo 13: *** La lettera ***
Capitolo 14: *** Identikit ***
Capitolo 15: *** Delusione ***
Capitolo 16: *** Si va scuola senza ma e senza se ***
Capitolo 17: *** Claudio Marchisio dei poveri! ***
Capitolo 18: *** I'm going back to the start ***
Capitolo 19: *** Ciao Riccardo! ***
Capitolo 20: *** Lo sai o non lo sai? ***
Capitolo 21: *** Tra Angelo Azzurro e bugie ***
Capitolo 22: *** L'ultimo saluto a Riccardo ***
Capitolo 23: *** L'ultima giornata ***
Capitolo 24: *** La fuga ***
Capitolo 25: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 26: *** un brutta e una bella notizia. ***
Capitolo 27: *** Alla fine, è tutta questione di fiducia ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** L'inizio dell'incubo ***
Salve a tutti!
Questa è una nuova Fan Fiction che spero vi
piacerà. Non l'ha letta mai nessuno e l'ho completata un'ora
fa perciò ho deciso di pubblicarla subito. La copertina
rappresenta a grandi linee la storia, anche se in realtà
nella foto manca un altro personaggio importante, ma ho deciso dopo di
farlo diventare importante e quindi la copertina era già
fatta.
Adesso vi lascio leggere il primo capitolo, aggiornerò
abbastanza spesso (spero di essere abbastanza veloce anche quando
inizia la scuola! çç ). Aspetto le vostre
recensioni, positive o negative che siano! ;)
Buona lettura!
“Vivi
la vita attimo per attimo, come se fosse l'ultimo.” Jim
Morrison.
Capitolo
Uno.
Il
sole inizia a sorgere e un po' di luce entra dalle persiane che ho
lasciato aperte come ogni notte, perchè dormire al buio non
mi
piace. Mi sono svegliata prima ancora che suonasse la sveglia, ma
cerco lo stesso di riprendere il sonno, anche se tra poco
suonerà e
infatti, non ho nemmeno il tempo di finire questo pensiero che il
telefono si illumina, vibra e canta una canzoncina abbastanza
irritante. Spengo la sveglia e mi alzo facendo tutto quello che
faccio ogni mattina.
Alle
sette e trenta vado alla fermata dove saluto i ragazzi che prendono
il pullman con me. Stiamo in silenzio fino all'arrivo dell'autobus,
perchè alle sette e mezza del mattino nessuno ha voglia di
parlare,
nemmeno l'autista che a malapena ricambia il mio saluto. Prendo il
mio solito posto, mi metto le cuffie e ascolto un po' di musica. So
che dovrei ripassare biologia, la mia coscienza mi dice di ripassare
e so che dopo me ne pentirò, ma non ho nessuna voglia e
anche se mi
mettessi a leggere non riuscirei a capire niente perchè non
sono
abbastanza attiva.
Dopo
mezz'ora di strada arriviamo a scuola e come al solito la campana
è
già suonata. Entro in classe e sono già tutti
seduti e la
professoressa ha iniziato a fare l'appello.
-Buongiorno-
saluto.
-Giada
sei sempre in ritardo!- risponde la prof di francese con aria
scocciata.
-Scusi,
è arrivato ora il pullman-
Vado
a sedermi al mio posto, vicino a Giuseppe, saluto le altre mie
compagne e iniziamo ad aggiornarci sulle ultime news, ma non facciamo
in tempo a iniziare che la professoressa ci richiama e inizia la sua
solita lezione noiosa.
Prendo
la matita e inizio a pasticciare il banco, ma quando la calco troppo
si spunta perciò prendo il temperino e sto per iniziare a
temperare
buttando la tempera per terra, ma l'occhiataccia dell'insegnante mi
fa capire che devo andare al cestino perchè altrimenti
sporco per
terra.
Inizio
a temperare, ma le mie mani fatte di ricotta mi fanno cadere il
temperino per terra e tutto accade in un secondo. Mi inchino per
raccoglierlo e nell'esatto momento in cui sto per afferrarlo sento
uno sparo.
Non
ho il tempo di pensare a nulla, i miei compagni urlano e si scatena
il panico. Mi rialzo e riesco a vedere il proiettile che si trova nel
muro, alla stessa altezza dove si trovava la mia testa prima che mi
cadesse il temperino. Non ho il tempo di pensare a niente, usciamo
dall'aula e scappiamo fuori, mentre per tutta la scuola si crea una
confusione e un panico contagioso.
Nel
giro di dieci minuti è arrivata la polizia e iniziano a fare
domande
a tutti i presenti e in attesa che arrivi il mio turno mi siedo nel
marciapiede cercando di respirare. Sto tremando e non riesco a
smettere di pensare che se non mi fosse caduto il temperino a
quest'ora sarei finita sotto terra. Mi assale una nausea improvvisa e
Alessia si siede affianco a me e mi abbraccia.
-Ce
la siamo vista brutta. Ho paura perfino a stare qua seduta. Guarda
come mi tremano le mani-dice lei.
Annuisco.
-Anche
io mi sento malissimo, ma tu che hai visto?-
-Niente,
non ho fatto in tempo a vedere niente perchè è
successo così
velocemente. Ma secondo te, perchè proprio a noi?-
Riesco
soltanto a fare spallucce perchè poi due poliziotti si
avvicinano
per dirmi che mi vogliono parlare e Alessia se ne va.
Un
poliziotto è in borghese, l'altro in divisa. Quello in
borghese è
giovane, alto, con degli occhi scuri ma bellissimi, una barba non
molto folta e un bel sorriso. Il poliziotto in divisa è
giovane
anche lui, i capelli scuri e leggermente ricci, occhi verdi ed
è
alto più o meno quanto l'altro.
Vorrei
alzarmi, ma sono sicura di non essere assolutamente in grado di
restare in piedi, le mie gambe tremano così tanto che se mi
alzassi
cadrei sicuramente.
-Ciao
Giada, io sono il commissario Riccardo Serra e lui è il
sovraintendente Luca Cabassi. Vogliamo farti qualche semplice
domanda, niente di cui preoccuparsi.- dice il poliziotto in borghese.
-Piacere.
Scusatemi se non mi alzo in piedi, ma sono certa che le mie gambe non
reggerebbero.-rispondo cercando di calmarmi, perchè a quanto
pare il
tremore non sembra voler diminuire.
-Non
preoccuparti, capisco che quello che è successo oggi non
è qualcosa
che succede tutti i giorni. Prenditi tutto il tempo di cui hai
bisogno.- dice con voce gentile e rassicurante il commissario.
-Sa,
non è perchè hanno sparato alla finestra della
mia classe che sto
tremando e non è nemmeno perchè ho paura di stare
qua perchè
potrebbero sparare di nuovo, ma è perchè sono
scampata alla morte
per un soffio. Quel maledetto proiettile si trova esattamente dove
mezzo secondo prima dello sparo si trovava la mia testa, ha idea di
che cosa significa? Non so quale Santo mi abbia salvato, so solo che
sarei dovuta morire oggi.- dico tutto ciò con una
consapevolezza che
prima non avevo. Sono scampata alla morte, mettetela come volete ma
quel proiettile era per me. Qualcuno mi ha salvato, non so bene chi,
ma in ogni caso, grazie!
I
poliziotti si guardano per qualche istante e cambiano totalmente
espressione. Una ruga profonda è apparsa nella fronte del
commissario.
-Sai
dove si trova il proiettile? Nessuno è riuscito a dirlo
perchè
nessuno ha visto niente e noi stiamo aspettando i colleghi per fare
il sopralluogo.-
Faccio
un sorriso storto.
-Il
proiettile si trova nel muro dietro la porta, dove c'è il
cestino a
circa un metro e sessanta di altezza. Se non mi fosse caduto il
temperino e non mi fossi inchinata a raccoglierlo a quest'ora non
sarei stata qui a parlare con voi.- dico mentre guardo le mie mani
che tremano.
Il
commissario dice all'altro poliziotto di andare a verificare se
realmente è così e quando se ne va, si inchina
per guardarmi bene
negli occhi.
-É
stato sparato un solo colpo vero?-
Annuisco.
-Sai
che cosa significa?- chiede con una dolcezza e una preoccupazione
nella voce quasi irreale.
Annuisco
di nuovo.
-Significa
che ero io il bersaglio. Stava sparando a me.- rispondo con la voce
che mi trema e mentre le lacrime mi salgono agli occhi, ho come la
certezza che non sia finita qua. Ho la sensazione che questo sia
soltanto l'inizio di una vera e propria caccia.
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Capitolo 2 *** Bodyguard ***
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Mi
hanno tenuto per ore alla centrale di polizia e hanno chiamato i miei
genitori che quando hanno saputo cosa era successo per poco non
muoiono di infarto. Mi dispiace aver coinvolto anche loro, ma essendo
minorenne devono essere per forza informati e quindi, ovviamente,
sono venuti a sapere che in realtà l'obbiettivo ero io.
Ci
hanno sottoposto a interrogatori infiniti e ci hanno fatto diecimila
domande di ogni genere,ma non sono riusciti a scoprire niente di
nuovo. Non abbiamo nemici, siamo sempre stati una famiglia unita, non
abbiamo nessun precedente, i miei genitori fanno un lavoro
tranquillo, insomma niente che possa far capire come mai qualcuno ce
l'abbia con noi.
Il
commissario ha mandato a casa i miei circa un'oretta fa, ma io sono
dovuta rimanere per le ultime domande. Ha rassicurato i miei
dicendogli che mi accompagnerà personalmente a casa.
Adesso
sono seduta in attesa che esca dal suo ufficio e che mi porti a casa.
Sono distrutta e spaventata e non vedo l'ora di buttarmi nel letto e
farmi una lunga dormita, anche se sono sicura di non riuscire a
chiudere occhio.
Ho
smesso di tremare, è rimasta soltanto un po' di nausea. Penso di
aver avuto un attacco di panico, cosa assolutamente comprensibile
viste le circostanze, spero davvero di non iniziare a tremare di
nuovo, è davvero orribile non poter gestire il tuo corpo, anche se,
considerando come sarebbe dovuta andare oggi non mi lamento per un
po' di tremore e nausea.
Chiudo
gli occhi e inizio a pensare a cosa sarebbe realmente accaduto se
fossi morta oggi. Chissà come avrebbero reagito i miei genitori e se
si sarebbero messi a piangere oppure sarebbero stati forti e come
glielo avrebbero detto a mio fratello di soli nove anni che la
sorella non c'era più? E mia sorella? Lei come avrebbe reagito?
Sono
talmente sovrappensiero che non mi accorgo che la porta dell'ufficio
del commissario si è aperta e quando mi poggia una mano sulla
spalla, mi spavento e automaticamente balzo in piedi.
Guardo
il commissario con occhi sbarrati e faccio un profondo respiro mentre
cerco di calmarmi.
-Mi
scusi, ero sovrappensiero e non l'ho sentita arrivare-
-No,
scusami tu. Dopo la giornata che hai passato oggi quella di metterti
la mano nella spalla è stata una pessima mossa. Sei pronta per
andare a casa?-chiede.
La
sua voce e il suo modo di guardarti ti trasmettono sicurezza e
calore. Questo commissario dev'essere davvero una persona stupenda,
anche se sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto.
Durante
il tragitto in macchina rimango in silenzio e lui lo spezza soltanto
una volta con una semplice domanda.
-Vuoi
sapere cosa succederà adesso?-
-Preferisco
non saperlo- rispondo, anche se dentro di me so già cosa succederà.
Continueranno le indagini, cercheranno testimoni, faranno tutti i
rilievi possibili e bla, bla ,bla.
Arrivati
in piazza mia, lui spegne la macchina e rimane in silenzio, vorrebbe
dire qualcosa, ma non lo fa, forse per paura di spaventarmi ancora di
più e io non voglio proprio sentire quello che ha da dirmi. Apro lo
sportello e scendo.
-La
ringrazio. Buonanotte- lo salutò senza nessuna emozione nella voce e
chiudo lo sportello.
Sto
per aprire la porta di casa quando lui abbassa il finestrino. Lo
sento sospirare.
-Forse
è il caso che tu inizi a darmi del tu. Buonanotte, Giada.- e se ne
va.
Questa
frase può significare solo una cosa e cioè che lo vedrò talmente
spesso che sarebbe inutile continuare a chiamarlo commissario e
dargli del lei e mi sento invadere dallo sconforto. Proprio come
avevo immaginato.
Nonostante
siano le dieci passate i miei mi stanno aspettando in cucina e stanno
parlando tra di loro, ma quando entro interrompono il loro discorso e
vengono ad abbracciarmi, mentre io scoppio a piangere tra le loro
braccia.
Stanotte
non ho chiuso occhio, sono riuscita ad addormentarmi alle cinque e
mezza e un'ora dopo mi sono dovuta alzare per andare a scuola. Non so
se quella di andare a scuola, sia una buona idea, ma dal momento che
nessuno me lo ha ancora impedito io ci vado, perchè anche se l'idea
di poter essere sparata di nuovo mi mette i brividi e mi fa venire la
nausea non voglio restare rinchiusa in casa tutto il tempo. La vita
deve continuare e poi, se qualcuno vuole uccidermi di certo non si
fermerà soltanto perchè non esco più di casa.
Mi
guardo allo specchio e noto delle occhiaie enormi, così ci passo il
correttore sperando di coprire almeno in parte la mia stanchezza.
Vorrei poter bere un caffè, ma poi mi verrebbe l'agitazione e sono
già abbastanza ansiosa. Ci manca solo il caffè!
Io
e mia sorella andiamo alla fermata del pullman, ma né io né lei
affrontiamo il discorso della sparatoria e da una parte è meglio
così, preferisco non parlarne.
Mentre
cammino mi guardo spesso intorno e ho come l'impressione di essere
seguita da qualcuno. Questa è pura paranoia, lo so. So che nessuno
mi insegue davvero, o almeno credo, però non riesco a
tranquillizzarmi.
Vedo
un signore seduto al tavolino del bar che mi fissa e poi ce n'è un
altro seduto in una panchina e mi fissa anche lui. Accelero il passo
e mia sorella è quasi costretta a correre per stare al mio passo, ma
nonostante tutto non dice niente.
Quando
arriviamo alla fermata ho quasi il fiatone e inizio a tremare di
nuovo. Mi sento male, sento che l'ansia mi assale e voglio soltanto
tornare a casa e chiudermi dentro. Quella di andare a scuola è stata
una pessima idea, ma ormai non posso tornare a casa, non avrebbe
senso, sono arrivata fin qua, tanto vale andare a scuola.
C'è
una macchina che passa e ripassa nel mentre che aspettiamo il pullman
e naturalmente l'uomo che guida mi fissa insistentemente. É
lui quello che mi vuole sparare, me lo sento è lui.
Arriva
il pullman e salgo il più velocemente possibile, ma quando vedo un
uomo seduto al mio posto il mio cuore perde un battito, poi lo
riconosco: è il commissario.
-E
lei che ci fa qui?- gli domando senza nemmeno salutarlo.
Lui
fa un sorriso, un meraviglioso sorriso.
-Era
questo che intendevo quando ti ho detto che forse è il caso che tu
inizi a darmi del tu, anche perchè altrimenti mi fai sentire
vecchio-
Mi
siedo affianco a lui e mi domando se mi farà da bodyguard fino a
quando tutto questo non sarà finito.
-Non
ho bisogno di te, sto benissimo, grazie.- mento spudoratamente.
Lui
alza un sopracciglio e mi guarda con uno sguardo serio.
-Ah
si? Quindi prima non avevi la sensazione di essere seguita
continuamente? Non ti guardavi intorno con aria impaurita?-
E
lui come faceva a..Ma certo!
-Erano
poliziotti, vero? L'uomo al bar, e quello della panchina e il tizio
in macchina.-
Lui
annuisce.
Fantastico!
A quanto pare la situazione è veramente grave se devo essere
costantemente seguita da poliziotti.
Non
ho nemmeno la forza di rispondere a Riccardo, sono talmente stanca
che non ho voglia di discutere.
-Mi
dispiace, ma dovrai veramente abituarti.-
Annuisco.
Infondo non è così male avere lui come guardia del corpo, in
qualche modo riesce a farmi sentire al sicuro, protetta.
-Non
hai dormito granché stanotte o mi sbaglio?-
Sorrido.
-Il
correttore per le occhiaie non fa miracoli.- rispondo.
-Dai,
prova a riposarti un po', appena arriviamo a scuola ti sveglio- dice
mentre fa cenno di appoggiarmi alla sua spalla.
Sono
talmente stanca che non ci penso due volte e così mi appoggio a lui
e chiudo gli occhi cercando di pensare esclusivamente alle cose belle
come ad esempio, il fatto che io sia ancora viva.
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Capitolo 3 *** Un nuovo compagno di classe ***
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-Non è possibile!-dice Riccardo incazzato.
La sua voce mi fa svegliare di soprassalto e scopro di essere
già arrivata a scuola. Mezz'ora di dormita non è stata
sufficiente, anche perchè adesso mi sento ancora più
scombussolata di prima. Faccio uno sbadiglio e mi stiracchio.
-Con chi ce l'hai?-gli chiedo.
Mi fa un cenno in direzione del cancello di scuola e vedo che è
affollato di persone con telecamere e microfoni. Giornalisti.
Faccio una smorfia.
-Dovrai rispondere a qualche domandina.- dico sarcasticamente.
-Non sono qui per me.- risponde lui e quando vede che non capisco
quello che sta cercando di dirmi, si spiega meglio -Sono qui per te.-
-Per me?- chiedo con incredulità cercando ,nonostante sia
abbastanza chiaro, di capire come mai cercano me. -Oh aspetta, loro
sanno che sono io il suo bersaglio?- domando quando finalmente arrivo a
capire.
Lui fa una smorfia e un sorrido amaro.
-Non..non dire che sei il suo bersaglio, questo nome fa venire i
brividi. E comunque non so chi glielo abbia detto, ma questo è
un bel problema. Qualunque cosa ti chiedono non rispondere, d'accordo?
Anzi, tu vai dentro, io mi fermerò con loro.- conclude Riccardo
mentre scendiamo dal pullman.
Appena i giornalisti ci vedono scendere ci vengono incontro e fanno a
gara a chi arriva per primo, sembrano degli avvoltoi. Iniziano a farmi
domande su domande e io non so nemmeno da che parte guardare. Riccardo
ha detto di andare dentro, ma il problema è che non posso andare
da nessuna parte perchè loro hanno bloccato praticamente
qualsiasi via d'uscita e infatti Riccardo cerca di farmi passare
dicendo ai giornalisti che non ho niente da dire e che quando ci
saranno novità sul caso qualcuno glielo farà sapere.
Dopo tante gomitate e spintoni siamo riusciti a entrare a scuola e
andiamo in aula, ovviamente ci hanno spostato di classe visto che in
quella di ieri stanno ancora facendo i rilievi. Sento gli sguardi di
tutti gli studenti, professori, bidelli addosso e ho come l'impressione
che cerchino di stare lontano da me. Lo capisco perchè quando
passo si spostano tutti quanti e questo è..devastante, sapere
che le persone hanno paura di stare con te non è sicuramente una
bella cosa. É assurdo come in un secondo tutta la tua vita
può cambiare.
Non voglio nemmeno entrare in classe perchè ho paura di sapere
cosa diranno i miei compagni e se anche loro mi dovessero evitare come
mi evitano le persone qua fuori, non so se avrò il coraggio di
continuare ad andare a scuola.
Anche Riccardo mi osserva, ma lui sta cercando di capire a che cosa
penso. Questa situazione non piace nemmeno a lui, ma nessuno di noi
può farci niente. Voglio dire, non condanno nessuno,
perchè so quanto possa essere spaventosa l'idea di stare vicino
a un bersaglio. Non dico che sia corretto starmi lontano, dico solo che
è comprensibile.
Siamo davanti alla porta di classe, faccio un profondo respiro e poi entro. Tutti gli sguardi sono puntati su di me, ovviamente.
Riccardo entra sicuramente per presentarsi e per rispondere alle loro
domande, se ne avranno, ma immagino che dopo se ne vada e mi
aspetterà all'uscita.
Io vado a sedermi al mio posto e Alessia e Federica sono le uniche due
persone che non mi fissano, ma semplicemente mi sorridono e mi
abbracciano.
Riccardo si mette davanti alla cattedra e inizia a parlare.
-Salve a tutti ragazzi. Io sono il commissario Riccardo Serra e come
ben sapete sono qui per tenere d'occhio la situazione e soprattutto per
controllare Giada. Da oggi mi vedrete praticamente tutti i giorni fino
a quando questa situazione non si risolverà e mi auguro che
possa accadere molto velocemente. Avete domande di qualche tipo?-
chiede mentre mi lancia un'occhiata.
Erika, con la sua voce grossolana chiede: -Ma se ci sparano di nuovo?-
Riccardo risponde con tutta tranquillità.
-Non credo che qualcuno voglia sparare a voi. Siamo riusciti a capire
che in realtà quello che vuole è Giada, perciò
nessuno vi torcerà un capello.-
Erika non sembra convinta della risposta e continua: - E se per caso vuole sparare a Giada, ma sbaglia mira e spara uno di noi?-
-Ha una buona mira, non sparerà se non è sicuro di avere
Giada sotto tiro, ma noi siamo qui apposta per fare in modo che non
accada niente di tutto ciò.- ribatte mentre accenna una sorriso.
A questo punto Erika risponde che secondo lei non è giusto che
io continui ad andare a scuola quando qualcuno cerca di uccidermi,
mettendo così in pericolo la vita di tutti loro, ma non fa in
tempo a finire la frase che Alessia si alza in piedi e le risponde
dicendo che ho diritto quanto lei di andare a scuola e che, se non si
sente sicura se ne può andare e può tornare quando tutto
questo sarà finito. Detto questo Alessia, mi guarda e mi
sorride, mentre Riccardo mi guarda per vedere come reagisco, ma quando
incrocio il suo sguardo abbasso gli occhi. Sto per scoppiare a piangere
perchè capisco che anche se il resto della classe non ha detto
niente, la maggior parte la pensa come Erika.
-Penso che la ragazza- dice Riccardo indicando Alessia -ti abbia
già risposto. E questa risposta vale per tutti quanti. Bene,
direi che è il momento di iniziare la lezione.- conclude mentre
viene verso di me.
Si siede nella sedia accanto alla mia e cerco di capire cosa sta
facendo. Una vocina dentro di me mi dice che lui dovrà restare
anche in classe con me, a seguire la lezione con me, ma io spero
veramente che non sia così. Mi va benissimo essere controllata
da lui e da tutti i suoi uomini fino a quando la situazione non si
calmerà, ma avercelo addirittura in classe mi sembra abbastanza
esagerato, anche perchè sarebbe pesante da sopportare. Riccardo
mi sta simpatico ed è una persona eccezionale, ma io voglio i
miei spazi. Preferisco che mi controlli da lontano, così
è troppo vicino. É come se non potessi fare niente senza
la sua supervisione. Non sono passate nemmeno ventiquattro ore e
già non ne posso più. Non so per quanto potrà
andare avanti tutto questo.
-So che questo non ti piace, ma è davvero necessario-dice sottovoce lui, come se mi avesse letto nel pensiero.
Mi limito ad annuire e prendo un quaderno dove inizio a pasticciare.
Quando prendo la matita, la mia mano sinistra ha come un tremore, un
leggero spasmo. Faccio finta di niente, ma vedo che Riccardo se
n'è accorto, anche sta in silenzio. Noto che ha di nuovo la ruga
di preoccupazione nella fronte.
-Parlami di te.- dice mentre cerca di distrarmi, anche se sembra davvero interessato.
Lo fisso per qualche secondo cercando di capire se davvero vuole
sentire qualcosa di me, poi scrollo le spalle e inizio a parlargli di
me, di come sono, di quello che mi piace fare, di com'era la mia vita
prima che accadesse tutto questo. Parliamo fino alla fine dell'ora,
fregandocene altamente della lezione.
-Adesso tocca a te. Quanti anni hai?-
-Non si chiede l'età a un vecchio signore come me.-dice con voce seria.
Non posso fare a meno di scoppiare a ridere.
-Ho fatto trentadue anni da poco-ammette.
Proprio come pensavo io, è giovanissimo.
-E come mai hai scelto di diventare poliziotto?-
Lui ci pensa su qualche secondo prima di rispondere.
-Mi è sempre piaciuto, fin da piccolo, aiutare le persone in
difficoltà. Le persone che avessero bisogno di aiuto come..-
-Come me- concludo la frase al posto suo.
Lui annuisce e capisco che essere qui con me e dovermi controllare
ventiquattro ore su ventiquattro non gli costi affatto, ma lo fa con
uno strano piacere e con una voglia davvero incomprensibile. Vuole
aiutarmi davvero e questo lo rende, ancora una volta, una persona
eccezionale.
-La tua ragazza cosa dice del fatto che passerai con me la maggior
parte del tempo?-gli chiedo cercando di trattenere una risata.
Lui fa una faccia sorpresa.
-Cosa ti fa credere che io sia fidanzato?-
Federica risponde al posto mio.
-Un uomo bello come lei è impossibile che sia single.- dice lei mentre scoppia a ridere e noi la seguiamo a ruota.
-Primo,anche voi siete assolutamente obbligate a darmi del tu e secondo, l'unica fidanzata che ho è il mio lavoro-
Io, Fede e Ale ci guardiamo come per dire “Quest'uomo è
proprio da sposare” e infatti due secondi dopo Alessia mi manda
un messaggio con scritto “É davvero un poliziotto
fantastico, simpatico e soprattutto è un figo da paura!”.
Io mi metto a ridere e Riccardo mi chiede perchè sto ridendo.
-Niente, assolutamente niente.- dico mentre cerco di trattenere le risate.
Lui mi fa un sorriso mozzafiato e per un attimo mi dimentico il motivo
per la quale lui è lì, fino a quando non bussano alla
porta ed entra il poliziotto di ieri, quello che era con Riccardo la
prima volta che abbiamo parlato, Luca.
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Capitolo 4 *** Una decisione stupida ***
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Luca entra scusandosi con la professoressa per il disturbo,
mi saluta con la mano e con un sorriso gentile, e chiede a Riccardo se
può uscire un attimo.
Ricambio il saluto e chiedo a Riccardo se devo andare anche io, ma fa cenno di no.
-Non c'è bisogno, ma non muoverti di un centimetro.- mi ammonisce.
L'ansia torna a farsi sentire, ma Alessia e Federica si accorgono di
quello che sta succedendo e riescono a farmi distrarre fino a quando la
professoressa non ci richiama e mi manda alla lavagna.
Economia aziendale. Non ci capisco niente degli esercizi, e quando vado
alla lavagna e la prof mi dà un problema da risolvere, non so
nemmeno da che parte iniziare.
Prendo il pennarello per iniziare a scrivere e in attesa che la
professoressa mi detti l'esercizio guardo fuori dalla finestra e penso
che questo sarebbe un momento perfetto per spararmi, soprattutto
perchè Riccardo non c'è. Chissà se l'assassino mi
sta osservando oppure è nascosto da qualche parte a tramare un
nuovo modo per uccidermi. Magari, anche oggi mi sparerà dal
palazzo di fronte, come la prima volta.
-Allora Giada, ti muovi a scrivere l'esercizio?- mi richiama la prof.
Ritorno con la testa sulla terra e in quel momento entra Riccardo che
quando mi vede alla lavagna mi fa l'occhiolino per augurarmi buona
fortuna e si siede al suo nuovo posto mentre continua a sorridere,
anche se ho notato la ruga sulla fronte. Sicuramente quello che gli
hanno detto non è niente di buono.
Dopo avermi praticamente regalato un cinque la prof mi manda a posto e
sto già pensando a come recuperarlo, quando Riccardo
commenta:-Sei davvero un genio in economia-
Gli faccio una linguaccia.
-E tu sei davvero un simpaticone. Ci sono novità?-chiedo.
Riccardo si siede meglio nella sedia e vedo che ha una pistola. Rimango
molto colpita, anche se non dovrei vista la situazione in cui mi trovo
e mi domando se prima o poi la dovrà usare.
-Ha sparato da una Beretta M12 questo significa che o è un
militare o un poliziotto, ma è molto più probabile che
sia un militare.-spiega lui.
-Non è una buona notizia.-dichiaro.
Lui scrolla le spalle.
-Questo restringe il campo, ma allo stesso tempo è come se
stessimo cercando un ago in un pagliaio. Conosci qualche militare?-mi
domanda mentre osserva dei fascicoli.
Faccio cenno di no con la testa.
-Non ne conosco neanche uno e sicuramente nemmeno i miei. Non capisco perchè un militare dovrebbe avercela con me-
Lui sembra pensarci su, alla fine si arrende e scuote la testa.
-Non ne ho idea, ma bisogna stare doppiamente attenti. I militari hanno un'ottima mira.-
Faccio una smorfia e penso che Riccardo abbia il magico potere di farti
salire un'ansia incredibile, ma è meglio così, almeno
è sincero e non ti nasconde niente.
Sbuffo.
-Non preoccuparti, hai un'intera squadra di poliziotti al tuo fianco- dice sorridendo.
Cerca di confortarmi, ma le sue parole stanno avendo l'effetto
contrario perchè è come se, oltre alla mia vita, debba
preoccuparmi anche della loro.
-Sembra di essere in un episodio di Flashpoint.-commenta Federica.
-Che vuoi dire?-domando io.
-Ti ricordi quell'episodio dove un militare voleva uccidere un uomo perchè assomigliava al fratello morto in guerra?-
Adesso mi viene in mente l'intero episodio, uno dei migliori in
assoluto. Uno degli episodi che è riuscito a tenermi con il
fiato sospeso fino alla fine.
Riccardo alza lo sguardo dai fogli.
-Potrebbe essere. Tu non hai niente a che fare con lui, ma questo non
significa che lui non abbia un legame con te. Forse, gli ricordi
qualcuno in particolare. Federica sei fantastica!-dice mentre batte il
cinque con lei ed esce fuori.
Io, Alessia e Federica ci mettiamo a ridere fino a quando la
professoressa non ci richiama e ci dice di stare in silenzio. É
straordinario il modo in cui Riccardo riesca a farsi amare da tutti, ed
è fantastico come riesca a farti ridere nonostante vada tutto
male.
Il telefono che è sopra il banco vibra. Lo tengo sempre
lì, tanto non mi beccano mai e poi la vibrazione nemmeno si
sente.
Leggo il messaggio distrattamente, sicura che sia Francesca, una vecchia compagna di classe.
“Io sbaglio solo una volta. La prima volta ho sbagliato, ma la seconda non sbaglierò.”
All'inizio non capisco, certa che fosse veramente la mia amica,
perchè altrimenti chi poteva essere? Solo dopo, guardando il
numero, mi rendo conto che non è Francesca e non è un
numero che ho in rubrica.
Mi sembra abbastanza chiaro chi sia. É lui e adesso ha anche il
mio numero. Un brivido mi corre lungo la schiena e l'ansia mi assale,
ma decido di non dire niente a Riccardo, per quanto questa decisione
possa sembrare stupida.
-Ma quanto è che non ti fai una bella dormita?-mi dice Riccardo mentre salgo in pullman e lo saluto.
-Due settimane e mezzo. Ormai dormo due ore a notte.-rispondo mentre mi
convinco sempre di più che mettere il correttore per nascondere
le occhiaie non basta a far andare via la stanchezza.
-Però in pullman ti addormenti sempre nella mia spalla. Non capisco cosa cambia.-
Scrollo le spalle e mi appoggio sulla sua spalla pronta a dormire per
circa mezz'ora. In realtà so bene che cosa cambia, con lui
riesco a dormire perchè mi sento al sicuro, a casa lui non
c'è e quindi ho paura, ma questo non gliel'ho ancora detto.
In queste due settimane e mezzo Riccardo è riuscito a diventare
una dipendenza perchè non riesco più a fare niente
se non c'è lui e in questo momento sono la sua ombra. Dove va
lui, vado io. Dove vado io, va lui.
E se adesso tutto questo mi fa stare bene, prima o poi inizierà
a farmi del male. Quando lui se ne andrà io dovrò
imparare a camminare da sola perchè per ora, riesco a camminare
solo se c'è lui.
Non so se se ne sia accorto, ma quello di cui si è sicuramente
accorto è che stiamo diventando amici. Ridiamo per tutto,
sdrammatizziamo quando succede qualcosa di brutto, lui è sempre
sincero con me e io altrettanto, anche se c'è stata una cosa che
non gli ho detto e cioè dei messaggi che mi sono arrivati
dall'uomo che mi vuole uccidere. Dopo quello che mi ha mandato la
mattina a scuola, circa sei giorni dopo me n'è arrivato un altro
con scritto: “Sto preparando una trappola fantastica per
te”.
Li ho salvati in una cartella del telefono e mi sono ripromessa che se
dovessero arrivare più di cinque messaggi allora lo dirò
a Riccardo. Quando ho provato a dirglielo mi è mancato il
coraggio, non so come mai, ma penso che sia perchè ammettere che
la faccenda è più seria di come sembra e che mi possa
rintracciare come vuole, significa essere veramente in pericolo e non
voglio incasinare ancora di più Riccardo e i suoi uomini
perchè sono sicura che inizierebbero a fare turni lunghissimi
pur di proteggermi e mi sentirei terribilmente in colpa.
Può sembrare che io non voglia che l'assassino venga preso, ma
non è così. Semplicemente sono arrivata alla conclusione
che lui è più furbo di noi, che aspetterà anche
per anni e che quando sarà sicuro di non sbagliare più mi
ucciderà. Non avrebbe rischiato tanto a mandarmi dei messaggi se
non fosse stato sicuro di non venire preso.
Con questo pensiero mi addormento per un po'.
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Capitolo 5 *** Chi si fa i fatti suoi, campa cent'anni ***
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Arriviamo
a scuola come sempre e ormai nessuno bada più a noi. Si sono tutti
abituati alla presenza di Riccardo e dei suoi uomini. Anche in classe
nessuno ci fa più caso e se bussa qualche poliziotto non rimangono
più sorpresi.
Anche
con Alessia e Federica, Riccardo è riuscito a instaurare un bel
rapporto e ormai formiamo un quartetto davvero perfetto.
Mentre
noi seguiamo la lezione, lui prende il suo portatile e dei fascicoli
e lavora su altri casi oltre che al mio e qualche volta quando non ho
voglia di seguire gli chiedo se mi fa entrare in internet e anche se
all'inizio si lamenta alla fine me lo lascia sempre.
Alla
prima ora oggi abbiamo inglese, per fortuna! Amo l'inglese ed è
l'unica materia che trovo interessante, ma Alessia pensa che sia
noiosissima e infatti mi chiede il telefono per giocarci.
Dopo
neanche mezz'ora Riccardo esce fuori a fare una telefonata e Alessia
mi tamburella un dito sulla spalla.
-Di
chi sono questi messaggi?- chiede mostrandomi i messaggi che sono
contenuti nella cartella che nessuno doveva aprire.
Non
rispondo.
-Riccardo
lo sa?-chiede lei sospettosa.
Un
attimo di esitazione e poi rispondo.
-Certo
che lo sa!-
Mi
riprendo il telefono e mi giro dall'altra parte.
-Tu
sei pazza. Sei pazza!- mi dice lei.
-Ti
ho detto che lo sa e adesso fammi seguire la lezione.-concludo io
cercando di tenere un tono di voce neutro senza far trapelare il
nervosismo.
Spero
che Alessia non chieda la conferma a Riccardo, anche se so che non mi
ha creduto. Ha capito di chi sono quei messaggi e ha capito che non
gli ho detto niente, ma spero vivamente che non apra la bocca e che
si faccia i fatti suoi. Lei non può capire.
Federica
ha capito tutto, ma lei non dice niente. Nelle faccende che non le
riguardano non s'immischia mai ed è questo che mi piace di lei.
Anche se pensa che quello che sto facendo è sbagliato sono sicura al
cento per cento che non andrà a dire niente a Riccardo.
Spero
che anche Alessia per una volta, ragioni come Federica.
Appena
Riccardo apre la porta mi giro verso Alessia e capisco che ha
intenzione di dire tutto.
-Non
dire niente, per favore.-la supplico.
Alessia
annuisce e io faccio un enorme sospiro di sollievo, mentre mi fido di
lei.
Dopo
tre ore di noia infinita arriva la ricreazione e io e Federica
andiamo in bagno, mentre Riccardo va al bar e Alessia va a farsi un
giro.
Federica,
mentre andiamo in bagno mi mette una mano nella spalla e mi dice
semplicemente di stare attenta. É una persona fantastica, riesce a
capirmi al volo.
Quando
torno in classe c'è Luca che mi tiene sotto controllo e ci mettiamo
a chiacchierare fino a quando non gli squilla il telefono ed esce
fuori dalla porta. Anche con Luca il rapporto si è molto rafforzato,
è il migliore amico di Riccardo e anche loro fanno tutto insieme
perciò lo vedo molto spesso. Luca ride sempre e ha un ottimo senso
dell'umorismo, ha il vizio di passarsi la mano tra i capelli ricci
quando parla e quando sorride mette i mostra le fossette, insomma è
adorabile.
La
classe è praticamente deserta. Ci siamo solo io, Federica, Antonio,
Chiara e Sonia.
Guardo
fuori dalla finestra. Nel cortile ci sono un sacco di studenti che
fumano e che chiacchierano. Io non esco mai alla ricreazione,
preferisco stare in classe e chiacchierare tranquillamente senza
casino.
-Dov'è
Giada?- chiede Riccardo. É incazzato.
-Dentro-risponde
Luca visibilmente sorpreso da quella domanda.
So
già cosa mi dirà adesso, appena metterà il piede dentro l'aula.
-Ti
ha mandato dei messaggi non è vero?-domanda incazzato come una iena.
Non prova nemmeno a stare calmo, mi prenderebbe a schiaffi
volentieri. Non mi giro verso di lui e continuo a guardare fuori
dalla finestra.
Non
lo rispondo neanche, tanto lui non ha bisogno di conferme.
-Quando
avevi intenzione di dirmelo? Perchè tu avevi intenzione di dirmelo
vero? Oppure avresti aspettato che ti trovassi uccisa da qualche
parte?-urla lui.
L'attenzione
di tutti i presenti è rivolta verso di noi. Anche Luca è rientrato
dentro per vedere cosa succede.
Faccio
dei lunghi respiri, ma continuo a non rispondere.
-Come
hai potuto tenermi nascosta una cosa del genere? Ci stiamo facendo il
culo così per cercare di tenerti sotto controllo e tu che fai? Non
mi dici nemmeno che ti arrivano dei messaggi dal tuo potenziale
assassino? Ma perchè diavolo ci sono io qua? I miei uomini stanno
facendo i doppi turni per te e questo è il modo in cui ci ringrazi?
Lo sapevo. Lo sapevo che avrei dovuto mettere il tuo telefono sotto
controllo fin da subito, ma non l'ho fatto perchè volevo lasciarti
un po' di privacy e perchè pensavo che se fosse successo qualcosa tu
me lo avresti detto!- continua a urlare lui ormai fuori controllo.
Riesco
a vedere il suo riflesso nel vetro e vedo che si passa una mano tra i
capelli.
-Ma
almeno mi stai ascoltando? Mi rispondi?-
Il
fatto che io non lo guardo lo fa incazzare ancora di più così mi
giro e lo guardo negli occhi.
Mi
aspettavo di vedere rabbia nei suoi occhi, invece ci vedo soltanto
delusione e questo mi fa sentire tremendamente in colpa, eppure non
riesco a scusarmi.
-Cosa
vuoi che ti dica? Non sono io che ti ho chiesto di venire a farmi la
guardia e non ti ho nemmeno chiesto di mettermi diecimila poliziotti
alle calcagna. Non sono io che te l'ho chiesto. Hai fatto tutto tu
senza nemmeno chiedermi se fossi d'accordo!- sbotto io.
Tutti
quanti ci guardano e vedo Alessia che entra in classe.
Mima
un “Mi dispiace” con le labbra e Luca la fulmina con lo sguardo.
-Dovevi
farti i cazzi tuoi!- urlo contro di lei.
-Doveva
saperlo-ribatte lei.
-Non
stava a te deciderlo!-
-Perchè
tu me lo avresti detto, vero?-domanda Riccardo furioso. -Io mi fidavo
di te.-dice con la voce carica di delusione.
La
campanella suona e rimango spiazzata davanti alle sue parole. Nella
classe regna il silenzio e a poco a poco rientrano anche gli altri
compagni che quando vedono le nostre facce chiedono spiegazioni, ma
nessuno ha il coraggio di rispondere.
Mi
avvicino a Luca e lui mi abbraccia.
-Non
era così che doveva andare. Ve lo avrei detto, lo giuro.- gli dico
sottovoce con la voce tremante.
-Lo
so, non preoccuparti si sistemerà tutto.- dice mentre mi bacia i
capelli.
-Ma
si, falle pure le coccole dal momento che se le merita!-dice
Riccardo.
Luca
non risponde e se ne va.
Inizia
un'altra ora di lezione. Biologia.
Vado
a sedermi al mio posto, mentre incrocio lo sguardo di Federica pieno
di dispiacere.
Non
guardo nemmeno in faccia Alessia perchè sono così incazzata con
lei. Non capisco come abbia potuto fare una cosa del genere, non sta
a lei decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Io glielo avrei
detto, solo non ora. Non così.
Riccardo
tiene il pugno chiuso e gli occhi fissi sui soliti fascicoli. Io
prendo una matita e inizio a farla tamburellare nel tavolo dal
nervoso.
Non
riesco a smettere di pensare alle sue parole “Mi fidavo di te”.
Si fidava di me e ora non riuscirà più a farlo. Non è arrabbiato,
è deluso, è ferito ed è colpa mia. Forse avrei dovuto dirglielo
dall'inizio, ma sicuramente glielo avrei detto prima che fosse troppo
tardi. Non è vero che avrei aspettato che mi trovasse morta, glielo
avrei detto prima che potesse accadermi qualcosa del genere e non è
certo colpa mia se i suoi uomini fanno i doppi turni per me, anche se
capisco che fanno uno sforzo enorme e invece da parte mia non c'è
stato nessun ringraziamento.
I
sensi di colpa si stanno facendo sentire e le sue parole mi
rimbombano nella testa, la matita tamburella nel banco più veloce di
prima e Riccardo posa una mano sopra la mia per farla smettere. Non
c'è forza in quel gesto, c'è soltanto tanta delicatezza e questo mi
fa sentire in colpa ancora di più.
Prendo
coraggio e sussurro a bassa voce.
-Se
solo cercassi di capirmi-
Lui
alza la testa di scatto e mi fulmina con uno sguardo.
-E
tu hai cercato di capirmi?-
Non
ribatto perchè sto per crollare per questo mi alzo in piedi e chiedo
alla prof se posso andare in bagno.
-É
appena finita la ricreazione- risponde lei.
-La
prego.- supplico.
Lei
capisce dal mio aspetto che è qualcosa del serio e con un cenno mi
dà il permesso di andare.
Appena
uscita dall'aula non vado in bagno perchè so che lì chiunque mi
troverebbe all'istante, perciò scendo le scale e mi infilo nella
prima stanza libera.
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Capitolo 6 *** Non c'è soluzione ***
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Sono nell'aula LIM. Non so perchè la chiamino
così e generalmente viene usata se devono farci vedere dei
video. Non è molto grande come stanza, ma visto che ci devo
stare solo io va benissimo.
Non accendo nemmeno la luce perchè se mi dovessero venire a
cercare non voglio che mi trovino , mi metto nell'angolo più
lontano dalla porta e mi raggomitolo su me stessa, appoggiando la testa
sulle ginocchia.
“E tu hai cercato di capirmi?”. La frase di Riccardo mi suona in testa come il ritornello di una canzone.
Lo aveva detto in un modo così tagliente, come se volesse
sottolineare il mio egoismo, ma non è così. Non sono una
persona egoista anzi tutto il contrario perchè da una parte non
ho detto di quei messaggi per non creargli altri problemi e invece
Riccardo ha come scaricato la colpa a me. Come se fosse colpa mia il
fatto che loro fanno i doppi turni per me, ma non sono io ad aver
chiesto le guardie del corpo, non sono io che ho chiesto a un pazzo
assassino di cercare di uccidermi e non sono stata io ad aver chiesto
l'aiuto di nessuno. Nessuno.
Il telefono vibra e immagino che sia Federica per dirmi che mi stanno
cercando tutti quanti visto che in bagno non ci sono, ma non è
lei. Il contenuto del messaggio è corretto, è il mittente
ad essere sbagliato.
“Ti cercano tutti. Dove sei finita, dolcezza? Se non ti trovano loro, potrei trovarti io.”
Un brivido mi percorre lungo la schiena e mi assale l'ansia. Le mani
come sempre iniziano a tremare e cerco di trattenere un conato. Faccio
dei lunghi respiri cercando di guardare l'altra faccia della medaglia,
perchè magari non è il mio assassino a mandarmi quei
messaggi, ma solo qualche cretino che si diverte a fare scherzi idioti
e sinceramente, mi sembra la spiegazione più logica. Eppure
nonostante tutto, il senso di angoscia non se ne va e sento che il
corpo trema più di prima, esattamente come mi era capito
all'inizio di tutto quanto. Mi manca il respiro, sono tachicardica, e
mi viene da vomitare. Cerco di respirare con più calma
possibile, ma non ci riesco. Ho il fiatone come se avessi corso
la maratona e quando sento dei passi nel corridoio cerco di trattenere
il respiro, anche mentre aprono la porta cerco di respirare il meno
possibile, ma avendo il fiatone è impossibile che non si
accorgano di me.
-Eccoti qua.- dice Riccardo mentre accende la luce, il tono di voce totalmente distaccato.
Alzo lo sguardo verso di lui e gli basta un istante per capire che qualcosa non va.
-Ti senti bene?-domanda mentre viene verso di me.
Mi limito ad annuire perchè tremo talmente tanto che non
riuscirei a pronunciare nemmeno una sillaba. Cerco di contenere il
tremore per evitare che Riccardo si accorga che la situazione è
peggio di quanto sembra e prego affinché se ne vada il
più presto possibile.
Non voglio che sappia che mi capita spesso di stare male, non
così tanto, ma abbastanza per farmi credere che sto per morire.
-Santo Cielo, ma stai tremando. Hai freddo?- chiede, mentre si inginocchia davanti a me.
-N..n..no- cerco di dire.
Mi tocca la fronte con la mano per vedere se ho la febbre.
-N..n..non..ho..la..f..f..feb..bre- biascico io.
Lui si alza e tira il cellulare fuori dalla tasca.
-Chiamo un medico.-
Io, totalmente incapace di alzarmi da terra, gli tiro la giacca e gli
imploro di non farlo perchè tanto tra poco sarà passato.
Non sembra tanto convinto, però si siede a fianco a me e mi fa appoggiare su di lui.
-Non è la prima volta che ti capita, giusto?-
Scuoto la testa e cerco di spiegare tutta quella situazione, ma lui mi
dice semplicemente: -Ne parliamo dopo- e allora aspettiamo che i
tremori passino, che il capogiro si attenui, che la nausea svanisca,
che il cuore torni a battere normalmente e che il respiro si calmi e
senza accorgerci del tempo è passata già mezz'ora e
inizio a stare meglio.
Mi alzo e Riccardo si alza con me. Si accerta che io stia bene e poi si
appoggia al tavolo con le braccia incrociate, io mi metto di fronte a
lui con le spalle attaccate al muro a braccia incrociate come lui. Ora
possiamo iniziare a parlare.
-Mi è arrivato un altro messaggio poco prima che entrassi tu.- gli porgo il telefono e gli mostro il messaggio.
Lui serra la mascella e mi dice di fargli vedere anche gli altri.
Obbedisco e il suo viso diventa più scuro quando li legge, la
ruga è tornata a farsi spazio nella sua fronte e la mascella
è serrata.
Mi guarda e la gentilezza è sparita dal suo volto. Non c'è traccia di compassione e tolleranza. Solo..delusione.
-Mi disp..-
-Ho bisogno della tua password di Facebook, di Twitter, della tua email
e di tutti gli altri siti dove sei iscritta- mi interrompe lui.
Lo guardo stupita e sento montarmi la rabbia.
-Tu non puoi farmi questo!-urlo.
Alza un sopracciglio.
-Lo sto già facendo.- risponde con un tono che sottintende l'ovvietà della cosa.
-Ti comporti come un bambino. Me lo vuoi fare a dispetto?-
Lui alza le braccia disperato e scuote la testa.
-Pensi che io mi diverta a trattarti così? Pensi che non mi
dispiaccia a non lasciarti nemmeno un po' di privacy? Ma non mi lasci
altra scelta. Se continuo a darti retta finirò per farti
uccidere, questo riesci a capirlo?-
Io non rispondo perchè la testa mi gira alla velocità della luce e la vista si annebbia.
-Mi aspettavo una tua scenata con tanto di urla e colpi.-
Il suo tono di voce lascia trapelare la sorpresa. Ho la vista talmente annebbiata che non riesco più a vederlo.
-Magari dopo perchè ora sto per svenire.- gli rispondo mentre mi tengo saldamente al muro.
-Cosa??-domanda lui, mentre io perdo i sensi.
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Capitolo 7 *** Grazie ***
kf
Sento
un dolore allucinante alla testa, e delle voci in sottofondo, come se
fossero un po' in disparte. L'odore è quello inconfondibile
dell'ospedale e se non fossi troppo stanca per fare qualsiasi tipo di
movimento aprirei gli occhi e mi accerterei che di esserci realmente.
Mi
ricordo di aver detto a Riccardo che stavo per svenire e l'ultima
parola che ho sentito è stato il suo:-Cosa??- e poi più niente,
perciò lui avrà chiamato un medico e hanno deciso di ricoverarmi
per degli accertamenti e sicuramente gli avrà anche detto che mi
sentivo male già da prima, così adesso mi bucheranno in tutte le
parti del corpo per cercare di capire che cosa ho che non va.
Ho
il terrore di aprire gli occhi e di vedere la faccia di mia madre
preoccupata, o di mio fratello triste o peggio ancora di vedere
Riccardo.
Anche
se stavo per svenire sono riuscita a capire perfettamente quello mi
aveva detto. Ha intenzione di tenermi sotto controllo perchè non si
fida più di me, ma non si limiterà solo al cellulare, ma anche
Facebook, Twitter e tutti gli altri siti in cui sono iscritta. In
pratica non ho più privacy, per niente. Non potrò nemmeno fare una
telefonata in santa pace senza che loro stiano lì ad ascoltare. Non
so per quanto potrò reggere questa situazione e forse è anche per
questo che non apro gli occhi perchè non voglio tornare alla realtà
e la realtà è che qualcuno sta cercando di uccidermi.
Cerco
di non pensarci e mi concentro sulle voci. Stanno sicuramente
parlando di me perchè qualcuno, molto probabilmente un medico, dice
che sono molto stanca e che quando mi sento male è perchè mi
vengono attacchi di panico e per questo consiglia di farmi visitare
da uno psicologo vista la situazione in cui mi trovo.
Riccardo
lo ringrazia e sento dei passi che si allontanano e infine la porta
si apre e si chiude.
Sento
Riccardo sospirare e si siede su una sieda vicino al letto, mentre mi
prende la mano e sussurra un: -Mi dispiace-.
Non
so se ha capito che sono sveglia, ma sembra semplicemente un pensiero
detto ad alta voce. In ogni caso mi viene da piangere, perchè
quest'uomo ha un cuore enorme. In due settimane non si è staccato da
me nemmeno un attimo, dorme pochissime ore perchè o sta con me o
lavora sul mio caso, cerca sempre di farmi ridere, mi tratta come se
fossi sua sorella e io non mi sono mai posta il problema che magari
un “Grazie” gli piacerebbe riceverlo.
L'unica
cosa che ho fatto è stato nascondergli una cosa assolutamente
fondamentale per il caso.
Mi
dispiace così tanto che non trovo nemmeno le parole per descrivere
come mi sento.
Apro
gli occhi e lui mi sta fissando con i suoi occhi scuri. Un sorriso
gli illumina il volto, come se per un attimo si fosse dimenticato di
quello che ho combinato.
-Come
ti senti?- mi chiede.
Invece
di rispondere alla sua domanda, faccio un lungo respiro e trovo le
parole giuste.
-Grazie.
Grazie perchè da quando è iniziato tutto questo tu mi hai preso
sotto la tua ala protettiva. Grazie perchè quando mi hai detto che
avrei dovuto darti del tu lo hai detto con serio dispiacere. Grazie
perchè mi fai sempre dormire sulla tua spalla. Grazie perchè non ti
lamenti mai. Grazie perchè sei sempre sincero con me, anche quando
mi devi dare le notizie peggiori. Grazie perchè ogni mattina stai in
classe per sei ore. Grazie perchè non sbuffi mai. Grazie perchè mi
sopporti. Grazie perchè capisci quando è il momento di lasciarmi
sola con i miei pensieri. Grazie perchè capisci quando ho bisogno di
un abbraccio. Grazie perchè quando piango la tua maglietta è sempre
lì. Grazie perchè sei la persona più fantastica che io abbia mai
conosciuto e sapere che ti ho deluso mi fa sentire così
incredibilmente in colpa e ci sto male perchè non meriti niente di
tutto ciò. E se avere la password di ogni sito ti farà
riconquistare la mia fiducia sono disposta a dartele immediatamente.
Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto. Sono stata una stupida, ma
non volevo aggiungere altri problemi a quelli che già avete perchè
ho pensato che probabilmente è solo qualche imbecille che si diverte
a fare scherzi. Scusami.-
Ho
tenuto lo sguardo basso fino alla fine del discorso per paura di
guardarlo negli occhi perchè magari tutte queste parole non sono
state sufficienti a farmi perdonare da lui.
Lentamente
alzo lo sguardo e lo punto sul suo viso. Ha gli occhi lucidi ed è
visibilmente provato.
-Questo
è stato il discorso più bello, emozionante e sincero che qualcuno
mi abbia mai fatto.- dice con la voce rotta dall'emozione. Si alza,
mi abbraccia e mi dà un bacio nella fronte. Poi gli faccio spazio
nel letto e si sdraia affianco a me.
Mi
dice che domani potrò uscire e mi riferisce quello che il dottore
gli aveva detto mentre io dormivo, o così lui crede.
-Forse
andare da uno specialista ti aiuterà.- commenta lui.
-Io
sto bene, non ho bisogno di uno strizzacervelli.-
Ride
e poi lascia cadere l'argomento con un semplice: -Ne parliamo con i
tuoi, va bene? Adesso riposa.-
Ci
sono dei libri sul comodino e immagino che sia stata mia mamma a
portarmeli. Il nuovo libro di Sparks. Ah, lei sì che sa quello che
voglio. Adoro Nicholas e il suo modo di scrivere, e non vedo l'ora di
iniziare a leggere, perciò non perdo tempo e inizio il libro.
Riccardo
guarda l'autore del libro e fa un smorfia.
-Ti
piacciono i libri romantici? Non lo avrei mai detto. Sembri
così..senza cuore.-sghignazza lui.
Gli
do una gomitata e poi mi immergo di nuovo nella lettura, mentre lui
si mette a studiare dei fascicoli e deduco che siano fascicoli molto
impegnativi perchè ha la ruga sulla fronte.
Dopo
qualche ora che stiamo perfettamente in silenzio, ognuno immerso
nella lettura e nei proprio pensieri, mentre sto per girare pagina la
mia mano inizia a tremare, solo la mano, come il giorno dopo lo sparo
in classe. Anche questa è una cosa che mi capita spesso, ma in
genere non mi capita quasi mai davanti a Riccardo e ora sono sicura
che se ne sia accorto.
Io
fisso la mia mano con una seria preoccupazione e frustrazione, mentre
Riccardo si limita a prenderla e a stringerla tra le sue.
Forse
non sarebbe male andare da uno psicologo, anche perchè sono quasi
sicura che la situazione peggiorerà. Tra attacchi di panico e
tremori alle mani, forse è il caso di sentire un altro parere e di
farmi aiutare, nonostante mi costi ammetterlo sono consapevole che
non sto bene. Nessuno può stare bene quando ti viene sconvolta la
vita in mezzo secondo. Ho bisogno di aiuto e all'istante.
-Andrà
tutto bene, d'accordo?-mi conforta Riccardo.
Non
rispondo perchè non sono sicura che questa faccenda possa
concludersi con un lieto fine.
Qualche
istante dopo la porta si apre ed entra mia madre che viene a
salutarmi e a chiedermi come sto. Lavora in questo ospedale, perciò
immagino che saprà cosa mi ha detto il medico e mi aspetto una delle
sue prediche sul fatto che devo mangiare di più e bla bla bla e
invece chiede a Riccardo che cosa ha detto. Evidentemente non era
riuscita a incontrare il medico prima.
Riccardo
si alza dal letto e lancia uno sguardo veloce prima a me e poi alla
mia mano. Io, silenziosamente, spero che non le dica niente sul
tremore alle mani, ma so già che le dirà tutto come suo solito e mi
preparo per una sfilza di esami lunghissimi che mi farà fare mia
madre.
-Mmm..Ha
detto che è molto stanca e lo stress non l'aiuta per niente e che
forse, sarebbe il caso di farla seguire da uno psicologo, ma per il
resto va tutto bene e domani la dimettono.-
Mamma
mi fa un leggero sorriso.
-Forse
andare dallo psicologo è proprio quello che ci vuole.-
Alzo
gli occhi al cielo.
-Si,
l'ho già sentito dire. Non ti siedi?- le chiedo mentre vedo che si
avvia di nuovo verso la porta.
Scuote
la testa.
-Monto
tra cinque minuti e non posso fermarmi. Ci vediamo più tardi e cerca
di riposare.-
Mi
lancia un bacio ed esce. Riccardo si avvicina alla finestra e guarda
un punto qualunque, lontano. Io riesco a notare le sue occhiaie
perfino da lì, non so come faccia a non crollare, ma dalla sua
faccia sembra che non dorma da una settimana intera.
-Perchè
non vai a dormire un po'?-
Lui
sembra pensarci su, ma poi scuote la testa energicamente.
-Non
posso, devo tenerti d'occhio.-
Sbuffo.
-Sono
sicura che a Luca non dispiacerà passare qualche ora con me e poi
posso pure stare da sola ogni tanto. Sai, è opprimente.- dico
l'ultima parola sottovoce, come per evitare una reazione furiosa di
Riccardo.
Lui
si gira verso di me e mi sorride.
-Lo
so, mi dispiace, ma non posso proprio permetterlo ora. Farò venire
Luca per un paio d'ore e io cercherò di dormire, forse da lucido
ragiono meglio.-
Si
avvia verso la porta e mi minaccia di non uscire per nessun motivo
perchè tanto tra meno di un minuto sarà arrivato Luca e di non
provare nemmeno a scappare perchè altrimenti mi lega.
Non
posso fare a meno di ridere, anche se l'idea di scappare devo
ammettere che mi è passata per la testa già da un po', ma sono
sicura che mi ritroverebbe in pochissimo tempo.
-Grazie
per non aver detto a mamma dei tremori alle mani.-
-Me
ne sono dimenticato.-dice mentre apre la porta e va via.
-No,
non è vero.- sussurro io tra me e me.
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Capitolo 8 *** Una notte diversa ***
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Fisso il soffitto della mia camera da un paio d'ore. É
l'una del mattino e questa è una delle notti peggiori, quelle
dove quando cerco di dormire faccio incubi, perciò preferisco
stare sveglia ad annoiarmi. La mia testa è un fiume di pensieri
di tutti i tipi. In questo momento sto cercando di vedere il mio futuro
e la cosa preoccupante è che non vedo un futuro, è come
se il mio cervello fosse convinto che non ci sarà un futuro.
Certo, se penso a domani riesco perfettamente a immaginarmelo, ma se
penso all'anno prossimo non riesco proprio a immaginare niente. Buio.
Il mio cervello gioca brutti scherzi.
La mia mano sta tremando di nuovo, ma questa volta non c'è
Riccardo che la stringe tra le sue. La fisso da tutte le angolazioni e
mi chiedo che diavolo c'è che non va. Non ho intenzione di dirlo
a mia madre e a quanto pare nemmeno Riccardo ha intenzione di farlo per
fortuna, ma so che continuerà a tenermi d'occhio e sono quasi
certa che non l'ha detto a mia madre perchè è convinto
che se vado dallo psicologo la mia mano smetterà di tremare e
probabilmente ha ragione, ma non sono ancora del tutto sicura di
volerci andare.
Cosa darei per riuscire a dormire, mi sto annoiando in una maniera
incredibile. Mia sorella dorme nel letto affianco al mio con la bocca
semichiusa e sembra stia sognando, beata lei!
Mi alzo dal letto, guardo fuori dalla finestra e come al solito i
poliziotti in borghese sono sempre dentro la macchina che mi
sorvegliano. Stanno chiacchierando tra di loro e immagino che
stare in macchina per un'intera notte senza poter fare niente
dev'essere abbastanza pesante e noioso.
Poi mi viene in mente un'idea. Mi metto un paio di pantaloni, indosso
una felpa, le converse, prendo lo zaino e le chiavi di casa. Lascio un
bigliettino ai miei.
“Non preoccupatevi per me. Sto bene. I poliziotti sono sempre
alle mie calcagna. Domani vado a scuola con loro. Un bacio.”
E prima di uscire apro la dispensa e prendo un paio dei dolci che la mia nonna ha fatto per me, li incarto ed esco di casa.
Appena apro la porta i due poliziotti mi fissano con aria interrogativa e uno di loro apre il finestrino.
-Dove hai intenzione di andare all'una di notte?-chiede a bassa voce, per non svegliare nessuno.
Io non rispondo, vado verso la loro macchina, apro lo sportello e mi
siedo tranquillamente nel sedile di dietro come se fosse la cosa
più normale del mondo.
-In commissariato.-rispondo, sottintendendo l'ovvietà della cosa.
Uno di loro, il più giovane che avrà circa ventisette anni, alza un sopracciglio e si mette a ridere.
-All'una di notte? Riccardo non ci ha detto niente.-
L'altro annuisce come per confermare quello appena detto dal suo collega.
-Infatti Riccardo non lo sa, ma sono sicura che non gli
dispiacerà e non dispiacerà nemmeno a voi. Dev'essere
terribilmente noioso stare qui tutta la notte senza fare niente,
perciò per farmi perdonare vi ho portato un paio di dolcetti che
ha fatto mia nonna. Assaggiateli.- dico facendo il mio miglior sorriso.
-Questa si chiama corruzione, lo sai vero? Ci stai dando questi dolci
solo perchè vuoi andare in commissariato.- commenta l'uomo
più grande mentre cerca di trattenere un sorriso.
Io mi limito a scrollare le spalle e a fare un altro sorriso.
Il poliziotto giovane prende i dolci e poi mette in moto la macchina e andiamo in commissariato.
Nel giro di due minuti siamo arrivati, mi tolgo la cintura di sicurezza
e scendo dalla macchina. Anche i poliziotti scendono con il vassoio dei
dolcetti in mano e mentre sono distratti gliene rubo uno.
-Scusatemi, ne devo portare uno a Riccardo. Potrebbe non essere felice
di vedermi e spero di poter corrompere anche a lui!.-urlo mentre inizio
a correre per entrare dentro il commissariato perchè sono sicura
che me lo avrebbero ripreso.
Quando entro mi fissano tutti quanti, e sono tutti molto sorpresi di
vedermi lì all'una di notte, ma io non ci faccio caso e mi
dirigo verso l'ufficio di Riccardo, perchè sono abbastanza
sicura che sia ancora in ufficio a studiare fascicoli.
“Commissario Riccardo Serra”. Busso leggermente e poi senza aspettare la risposta entro.
É la prima volta che vedo il suo ufficio. Non è molto
grande, però è pieno di foto appese al muro, c'è
una scrivania al centro, uno scaffale con dei libri dalla parte opposta
alla porta e poi sulla destra c'è un divano in pelle nera e
vicino c'è un mobiletto con sopra una foto.
Riccardo è dietro la scrivania, la quale è piena di fogli
da tutte le parti, con un portatile e una tazza di caffè.
Appena entro alza la testa e il suo sguardo che sembra totalmente
assente, appena mi vede diventa più vigile che mai. Si alza e mi
viene incontro.
-Cosa ci fai qui? Con chi sei venuta? Ti è successo qualcosa?-
Lo guardo per un attimo sconcertata da tutte quelle domande e dalla facilità con la quale si preoccupa per me.
-Non riuscivo a dormire così ho chiesto ai due poliziotti di
guardia di accompagnarmi perchè immaginavo che fossi ancora
sveglio. Ti ho portato anche un dolcetto.- spiego, mentre gli porgo il
dolce che lui afferra senza pensarci due volte.
Il viso si rilassa e sorride.
-Lo sai che ho un debole per i dolci, ma comunque non spiega
perchè tu sia venuta qui. Non c'è molto da fare e io devo
lavorare.-
Dal tono di voce percepisco tutta la stanchezza e le occhiaie sottolineano il fatto che dorme veramente poco.
Scrollo le spalle e mi siedo nel divano.
-Ho pensato di stare con te e mentre lavori starò qui seduta nel divano e non ti darò nessun fastidio.-
Lui torna a sedersi dietro la scrivania.
-Non ti dico di accomodarti visto che lo hai già fatto e
comunque questo dolce è squisito.- commenta prima di tornare a
immergersi tra i fascicoli senza dire altro. É troppo preso dal
lavoro per potersi permettere due chiacchiere con me e un po' sono
delusa, in principio ero venuta proprio per scambiare due chiacchiere,
ma preferisco lasciarlo lavorare piuttosto che fargli perdere tempo con
me.
Prendo la foto che c'è sul mobiletto vicino al divano e noto che
è una foto di noi due, fatta qualche giorno fa mentre eravamo in
classe, durante la ricreazione. Ho dovuto pregarlo per farsi fare una
foto, perchè lui non voleva assolutamente farsi immortalare.
Alla fine la foto è venuta benissimo perchè ritrae noi
due sorridere come due vecchi amici o come fratello e sorella.
Sembriamo così felici e spensierati che forse è proprio
questo il bello della foto, perchè non mi capita molto di
sorridere ultimamente anche se tutti cercano di farmelo fare in
continuazione non è così semplice. Sono terribilmente
stanca di tutta la situazione in generale e poi il fatto che non riesco
a dormire mi stanca ancora di più.
Mi sdraio nel divano e continuo a guardare la foto, mentre sento tutta
la stanchezza accumulata in questi giorni scivolarmi addosso, ma sono
sicura che se mi addormentassi inizierò ad avere gli incubi, per
questo cerco disperatamente di tenere gli occhi aperti, ma mentre
guardo la foto le palpebre si fanno sempre più pesanti e alla
fine mi arrendo e chiudo gli occhi e nel giro di pochi istanti mi
addormento con il rumore del digitare dei tasti del computer in
sottofondo.
-Dove scappi?- urla l'assassino dietro di me. E io continuo a correre
senza voltarmi indietro, corro, corro, corro fino a quando non inciampo
su una pietra e allora lui si fa sempre più vicino e io cerco di
rialzarmi, ma lui è più veloce e mi afferra per una
gamba. Posso solo urlare, ma questo non serve a niente perchè la
strada è deserta, non c'è nessuno che mi può
aiutare. I poliziotti non ci sono, Riccardo non c'è, sono tutti
spariti e io sono da sola con il mio assassino. Finalmente è
riuscito a prendermi, e sono sicura che adesso mi spara. Morirò
e non ho avuto l'occasione di salutare nessuno.
-Sei mia- dice con ghigno in faccia.
Bum. Bum. Sono morta.
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Capitolo 9 *** Un'altra giornata monotona ***
un'altra giornata monotona
Mi
sveglio di scatto riprendendo a respirare. É come se qualcuno mi
avesse tenuto le mani al collo per qualche minuto. Sono tutta sudata
e per un attimo non capisco dove mi trovo, poi ricordo di essermi
sdraiata nel divano di Riccardo e sicuramente mi sono addormentata.
Lo sapevo che non avrei dovuto farlo. Succede sempre così e anzi,
questo è uno degli incubi minori.
-Giada,
era solo un sogno.- dice Riccardo allarmato, mentre si inginocchia
per terra vicino al divano e mi toglie la coperta di dosso.
Sicuramente me l'ha messa quando si è accorto che dormivo
profondamente.
Io
lo fisso con gli occhi spalancati e ho bisogno di qualche secondo per
riprendere a respirare normalmente. Guardo l'orologio sulla parete e
segna le 5:40 del mattino. Ho dormito più del previsto e questo mi
sorprende, ma mi sento più stanca di prima perchè fare gli incubi
mi stanca più di quando non dormo.
-Dove
sono i bagni?.- chiedo con un'apatia nella voce quasi impressionante.
Mi
alzo in piedi e mi dirigo verso la porta.
-Aspetta
un attimo.- cerca di fermarmi Riccardo ancora preoccupato.
Mi
giro di scatto verso di lui.
-Dove
sono i bagni, Riccardo?- gli chiedo disperata.
La
mia faccia sconvolta e il mio tono di voce lo convincono che non è
proprio il momento.
-In
fondo a destra.- sospira lui.
Corro
verso i bagni e spero di non incontrare nessuno altrimenti
inizieranno a farmi tantissime domande e mi chiederanno in
continuazione se sto bene. Per fortuna sono vuoti e vado verso i
lavandini e vedo la mia immagine riflessa allo specchio ed è a dir
poco spaventosa. Sono bianchissima, e ho delle occhiaie profonde,
peggio di quelle di Riccardo.
Apro
il rubinetto e mi sciacquo la faccia con l'acqua gelata per
rinfrescarmi un po' e spero che anche un po' di stanchezza se ne
vada.
Entro
dentro uno dei tre gabinetti, abbasso la tavoletta e mi siedo con le
gambe al petto, così se dovesse entrare qualcuno non mi vedrebbe.
Sto
di nuovo tremando, e divento tachicardica nel giro di qualche
istante, ma ormai sono quasi abituata a questa reazione perchè mi
capita dopo ogni incubo. Inizia a essere una sensazione familiare.
Per
un attimo mi domando se non fosse stato meglio morire quando mi hanno
sparato almeno mi sarei risparmiata tutta questa angoscia, i
poliziotti si sarebbero concentrati su altre cose e io sarei stata
sottoterra a dormire beatamente per l'eternità. Ho sempre amato
dormire e prima mi buttavo tra le braccia di Morfeo non appena si
presentava l'occasione, adesso invece ho il terrore di farlo. E di
nuovo penso che forse sarebbe stato meglio morire subito, avrei
risparmiato tanto stress e tante preoccupazioni alla mia famiglia.
Si, certo, avrebbero sofferto per la mia morte, ma prima o poi si
sarebbero abituati, invece a questa situazione non ci si abitua mai.
É già passato un mese, ed è stato il mese peggiore di tutte le
nostre vite. A volte mi domando se Riccardo ha mai pensato che se
fossi morta subito le cose sarebbero state migliori per tutti, se
dovesse averci pensato non mi sentirei offesa, anzi lo capirei.
Senza
accorgermene sono passati quindici minuti e decido di uscire perchè
tanto stare qua dentro non risolve certo la situazione e mi sono
scocciata perfino di pensare.
Apro
la porta del bagno e seduto per terra trovo Riccardo che, vedendo la
mia faccia sorpresa, si apre in un sorriso.
-Pensi
veramente tanto.-commenta mentre si alza.
-Da
quanto sei qui? Non ti ho sentito arrivare.-
Scrolla
le spalla e mi guarda come per ricordarmi che è un poliziotto.
La
mia faccia si riflette di nuovo nello specchio. Nemmeno un'intera
squadra di truccatori e parrucchieri riuscirebbe a sistemarmi.
Esco
dal bagno seguita da Riccardo che mi scruta attentamente.
-So
che non vuoi parlarne, ma posso farti solo una domanda?-
Annuisco.
-Ti
succede sempre così?-
-Oh
no, questo è stato uno degli incubi minori.-
Per
un attimo mi guarda per cercare di capire se sono seria o se sto
scherzando, e quando capisce che sono serissima, la sua ruga torna di
nuovo sulla fronte.
-Senti,
so che sono le sei del mattino, ma visto che sei qui voglio farti
vedere delle foto di militari che possono essere in qualche modo
collegati a te, d'accordo?-
Annuisco
e insieme andiamo nel suo ufficio. Ci sediamo nel divano e vediamo
insieme delle foto di uomini adulti.
-Questa
faccia ti sembra familiare?-
-No.-
-E
quest'altra?-
-No.-
-Questa
invece l'hai mai vista?-
-No,
nemmeno questa.-
-Va
bene, guarda questa. É qualcuno che conosci?-
-No.-
É
come cercare un ago in pagliaio. Queste facce non mi dicono niente,
non c'è qualcosa di familiare in nessuno di loro, sono dei perfetti
sconosciuti.
Alla
fine, dopo che nemmeno la trentesima persona mi sembra familiare,
chiudiamo tutto veramente sconsolati. Sembra di essere alla ricerca
di qualcosa di assolutamente introvabile. Noi aspettiamo che faccia
la prossima mossa, ma non si espone mai più di tanto e se lo fa non
commette mai errori, come quando mi ha mandato i messaggi. Ognuno
proveniva da un numero di cellulare diverso e ogni scheda veniva
gettata perciò è impossibile rintracciare la persona che li ha
mandati e quindi andiamo avanti alla cieca.
Riccardo
mi mette una mano sulla spalla.
-Dai
andiamo a fare colazione che altrimenti perdi il pullman.-
E
con questa frase si è chiusa qualsiasi conversazione. Nessuno di noi
due ha voglia di parlare, siamo troppo stanchi e per essere le sei e
mezza del mattino siamo fin troppo sconsolati e di cattivo umore. Io,
perchè non dormo e perchè speravo di riconoscere qualche faccia.
Riccardo, perchè non dorme e perchè sperava che io potessi
riconoscere qualche faccia. I motivi sono uguali. É proprio iniziata
male questa giornata.
Per
fortuna c'è Luca che fa colazione con noi e la sua allegria e il suo
essere sempre positivo alleggeriscono la tensione. Riesce a far
ridere chiunque, anche se hai il morale sotto i tacchi. É il
migliore amico di Riccardo ed è anche la sua ombra, sono
inseparabili da quando sono nati.
-Allora,
cosa abbiamo intenzione di fare oggi?.- chiede Luca pieno di
aspettative.
-Andiamo
a scuola, torniamo a casa, io studio, voi lavorate e fine della
giornata.-dico io.
Luca
scuote la testa, con finta tristezza.
-Che
monotonia. Dobbiamo fare qualcosa di diverso come..andare in
discoteca!-
I
miei occhi si illuminano, ma è questione di istanti perchè Riccardo
mi smonta come niente, dà un colpo a Luca e con tono autoritario
dice: -Smettila. Non metterle certe idee in testa che poi ci crede.-
poi si alza e si dirige verso l'ufficio con una tazza di caffè tra
le mani.
Luca
si gira verso di me e abbassa la voce.
-Io
dicevo sul serio.- e mi fa l'occhiolino.
-Ti
ho sentito!- urla Riccardo.
Luca
alza gli occhi al cielo e io scoppio a ridere. Ci vogliono dei
momenti così, dove si ride e si scherza altrimenti sarebbe
impossibile andare avanti in questa situazione.
Dopo
neanche mezz'ora siamo pronti per un'altra e monotona giornata.
Questi capitoli sono stati un po' noiosetti, ma ci volevano perchè..il peggio sta per accadere! Al prossimo capitolo! ;)
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Capitolo 10 *** Tutto, tranne che monotonia. ***
ghg
Buona lettura! Spero che questo capitolo, che è decisamente più movimentato, vi possa piacere!
Se
c'è una materia che proprio non capisco è la chimica, o meglio, non
riesco capire la mia professoressa e a giudicare dalle facce dei miei
compagni deduco di non essere l'unica.
Mancano
ancora dieci minuti alla ricreazione, ma sembra non passare più il
tempo.
Sbuffo
e Luca mi lancia uno sguardo assassino, perchè sono da circa
quaranta minuti che non faccio altro.
Oggi
in classe è rimasto lui con me, mentre Riccardo è rimasto in
ufficio e arriverà per la ricreazione. Luca non ama molto stare in
classe, ma la lezione di chimica la trova assolutamente interessante,
per questo è stato l'unico a stare attento. Prima o poi mi farò
dare ripetizioni da lui.
Il
suono della campanella. Ricreazione. Tutti quanti ci alziamo e la
maggior parte dei compagni esce fuori in cortile, invece le poche
persone che rimangono si mettono a giocare a carte.
Anche
Luca si mette a giocare, io invece non ne ho voglia, perciò mi metto
a guardarli fino a quando non arriva Riccardo che porta il caffè
all'amico.
Mi
allontano dal tavolo dove stanno giocando e vado alla finestra. Sento
lo sguardo di Riccardo addosso, ma per fortuna non mi chiede niente.
C'è
qualcosa di strano fuori, solo non riesco a capire cosa. Mi sento
osservata, eppure nessuno mi guarda. Ci sono solo i ragazzi che
fumano e chiacchierano eppure mi basta lanciare uno sguardo nel
palazzo di fronte per vedere un uomo che mi fissa. Si, mi fissa. Non
è una semplice persona che guarda fuori dalla finestra, ma è un
uomo che mi osserva.
Mi
giro verso Riccardo e Luca.
-Lì
di fronte c'è un uomo che mi sta fissando.-
Riccardo
si avvicina e Luca interrompe la partita e anche lui viene verso di
me.
-Non
c'è nessuno.-dice Riccardo.
Mi
rigiro verso la finestra ed effettivamente nel palazzo di fronte non
c'è più nessuno.
-Era
lì, ne sono sicura.- affermo mentre indico la finestra dove stava
l'uomo.
Riccardo
e Luca si scambiano uno sguardo veloce.
-Sei
stanca, poi stamattina ti ho fatto vedere tutte quelle foto e
sicuramente ti è sembrato di vedere qualcuno.- ribatte Riccardo.
Dubita
di quello che ho visto? Si, è vero, sono stanca ma questo non
significa che non ci vedo e inoltre la persona che ho visto non ha
niente a che fare con le foto che mi ha mostrato stamattina. Era una
persona diversa.
-Sono
stanca, è vero, ma so quello che ho visto. Vi giuro che lì c'era un
uomo che mi fissava.- ripeto con un tono di voce deciso e sicuro.
Riccardo
mi guarda per una frazione di secondo poi guarda Luca.
-Non
uscire dalla classe. Adesso verrà qualcuno a stare con te.- dice
Riccardo e poi insieme a Luca corre verso l'uscita.
In
classe è sceso il silenzio, perchè tutti quanti hanno ascoltato la
nostra conversazione.
-Sicuramente
non era nessuno di importante.- mi dice Federica abbozzando un
sorriso.
Alessia
annuisce, per confermare quello che ha detto Federica.
Io
e Alessia abbiamo cercato di sistemare le cose, dopo che lei era
andata a dire a Riccardo dei messaggi che mi arrivavano nel telefono
e le cose vanno meglio, anche se non mi fido ancora del tutto di lei.
Vado
al mio posto e mi metto a ripassare inglese visto che alla fine della
ricreazione abbiamo il compito e anche gli altri hanno smesso di
giocare a carte e si sono messi a ripassare. Non ho nemmeno il tempo
di aprire il quaderno che suona la campanella e la professoressa
entra dopo nemmeno quarta secondi, non perde mai un secondo di tempo.
Ci
consegna i compiti appena rientrano tutti i compagni e io, anche se
ho la testa altrove cerco di farlo il meglio possibile e mentre sono
intenta a descrivere la mia casa, la porta si apre ed entra Luca
senza Riccardo. Viene a sedersi affianco a me, come al solito, mentre
la professoressa ci lancia occhiate continue per assicurarsi che non
mi suggerisca niente.
-Allora?
C'era qualcuno?-domando in preda all'ansia.
Scuote
la testa e sussurra per non disturbare.
-Non
lo so. Appena ho visto che c'erano uomini sufficienti sono tornato
dentro per stare con te. Ho pensato che nell'attesa ti avrebbe fatto
comodo avere qualcuno di familiare vicino, invece di qualche altro
poliziotto scorbutico. In ogni caso se dovessero avere bisogno di me,
mi chiameranno.- dice mentre indica il suo cellulare che sta sopra il
banco.
-Grazie.-
gli dico sinceramente.
Mi
fa l'occhiolino e torno con la testa al compito, visto che il tempo
passa e io sono ancora all'inizio. Amo l'inglese ed è l'unica
materia che studio volentieri, ma in quest'ultimo mese non ho fatto
praticamente niente e nonostante il compito sia abbastanza facile e
sono sicura di riuscire a farlo, faccio una grande fatica a
concentrarmi. Ho completato un solo esercizio su sei e anche Luca se
n'è accorto, tanto che mi dà una pacca sulla spalla per
incoraggiarmi e la professoressa gli lancia un'occhiataccia.
Il
telefono di Luca vibra dopo neanche cinque minuti e lui si alza ed
esce fuori a rispondere. Io lascio perdere totalmente il compito e
fisso la porta chiusa in attesa di vederla riaprire, con il cuore a
mille sperando in buone notizie. Ogni volta mi riprometto di non
illudermi e di non sperare, ma è proprio vero quando dicono che la
speranza è l'ultima a morire, anche quando ti imponi di non sperare
e sai che alla fine ci rimarrai male però in fondo ci speri lo
stesso. E io sono così, ci spero sempre e ogni volta è sempre
peggio.
La
maniglia si abbassa, ma la porta rimane chiusa. Dai, Luca entra
dentro, penso mentalmente.
Passano
altri infiniti trenta secondi e alla fine la porta si apre. La faccia
di Luca è sconvolta, sembra che stia per scoppiare a piangere e non
penso che dimenticherò mai la sua espressione di sconcerto. Qualcosa
non va. L'ansia si fa sempre più forte. Luca non entra nemmeno
dentro, mi guarda, cercando di riprendere il controllo.
-Devo
andare.- poi guarda la professoressa e continua:-Non la faccia uscire
per nessun motivo, per favore.-
Il
resto della classe ha interrotto il compito e sta seguendo la scena
con serio interesse.
-Che
cosa è successo?- chiedo con un filo di voce, tanto che non sono
sicura che mi abbia sentito.
-Devo
andare.-ripete.
-Dove
devi andare? Dov'è Riccardo? Che cosa è successo?- chiedo
disperata, anche se dentro di me so che cosa è successo, soltanto
che non lo voglio accettare.
Lui
mi guarda per qualche istante senza dire niente.
-Gli
hanno sparato. É grave.- dice con un filo di voce.
Lo
sapevo. Dentro di me lo sapevo che prima o poi sarebbe successo
qualcosa del genere. Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui
qualcuno mi avrebbe detto che era successo qualcosa a Riccardo e quel
momento era arrivato, solo che io non sono minimamente pronta per una
notizia del genere e la cosa mi sconvolge. Non posso credere che gli
abbiano sparato.
-Fammi
venire con te.- dico, mentre le lacrime mi rigano il viso e bagnano
il compito.
Scuote
la testa.
-No,
non puoi. Stai qua e finisci il compito. Appena so qualcosa ti
prometto che ti chiamo.- risponde lui.
E
se ne va.
Tutti
mi guardano e la professoressa che si è accorta del passare del
tempo e visto che nessuno sta facendo il compito, richiama la classe
e incita a finire il compito.
Io,
invece rimango a fissare il vuoto per circa un minuto, dopodiché mi
alzo e decisa mi dirigo verso la porta. Non ho intenzione di stare
qua, quando Riccardo rischia di morire. Lo voglio vedere.
-Giada,
dove stai andando? Non puoi uscire! Entra dentro!-urla la
professoressa. Neanche ci faccio caso.
-GIADA!
Se esci ti faccio sospendere! Finisci il compito altrimenti è due!-
continua ad urlare lei, ma io me ne sbatto altamente ed esco fuori
dalla scuola nel giro di venti secondi.
Piango
così tanto che non riesco nemmeno a vedere dove sto andando.
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Capitolo 11 *** Il fuoco ***
gh
Questo
capitolo è un po' corto, è vero, ma non sono riuscita a
fare più di così. Non ho idea di che cosa si senta quando
uno viene sparato (e sinceramente mi auguro di non doverlo mai
provare), perciò scrivere questo capitolo dal punto di
vista di Riccardo è stato abbastanza difficile, ma spero vi
possa piacere lo stesso.
Buona lettura!
Riccardo POV
Fuoco. L'unica cosa che riesco a sentire è il fuoco che brucia
dentro di me. Ho pensato molte volte cosa avrei provato se mi avessero
sparato, ho pensato che si provasse molto dolore, ma questo..questo va
oltre il dolore. É come se il fuoco si fosse impossessato del
mio corpo, è un bruciore che toglie il respiro, parte
dall'addome e sento le mie forze svanire. Provo a muovere una mano e
quando l'avvicino al viso vedo che è ricoperta dal sangue, mi
pizzica, formicola e trema ossessivamente. Sto per morire, lo so e non
ho avuto l'occasione di salutare a Luca, a Giada.
Oh Giada, come farà adesso senza di me? In questi mesi mi sono
accorto come sia diventata dipendente da me, ho notato come non riesca
più a starmi lontano. Sono diventato il suo bastone e adesso che
sto morendo chi la sosterrà? Sono sicuro che Luca
riuscirà a prendersene cura e riuscirà a prendere quel
bastardo anche senza di me. Non voglio morire eppure il fuoco mi sta
divorando, velocemente. Ogni secondo che passa, le palpebre si fanno
più pesanti, il respiro più lento e più doloroso.
Spegnete il fuoco, vi prego.
-Riccardo! Riccardo sono qui.- sento la voce lontana di Luca, eppure
lui non è lontano, è qui, proprio a fianco a me, ma le
orecchie mi ronzano e la sua voce è quasi un eco.
Mi prende la mano e non riesco a capire se è lui che piange o sono io, forse siamo entrambi.
Sono consapevole che questi saranno i miei ultimi minuti di vita
così, cerco di prendere fiato e cerco di pensare lucidamente
nonostante il fuoco mi stia ancora divorando, più veloce di
prima.
-Le lettere..sono..nel cassetto..in ufficio, d'accordo?-
-Stai zitto! Nessuno dovrà leggere quelle lettere è
chiaro? Tu non stai morendo! Adesso arriva l'ambulanza e tra poco
starai bene. Non ci sarà bisogno delle lettere!- urla Luca
mentre singhiozza ed io non ho la forza per ribattere, anche se vorrei
farlo, ma il fuoco è così doloroso e mi gira la testa, le
mani mi pizzicano e voglio solo chiudere le palpebre. Solo per qualche
secondo.
-No, no Riccardo apri occhi! Rimani sveglio! Guardami. Non
addormentarti, per favore. Rimani sveglio per me, per Giada.- dice
Luca, mentre sento la sua voce farsi sempre più lontana. Apro
gli occhi, cerco di tenerli sbarrati e faccio di tutto per restare
sveglio, per Luca, per Giada.
Sento che la situazione precipita, non ho più le forze, mi sento
svuotato e il fuoco continua a bruciare il mio corpo e la mia anima
imperterrito. Essere sparato è qualcosa di tremendamente
scioccante ed è molto peggio di come lo fanno sembrare nei film
e va ben oltre l'immaginazione di chiunque. Solo chi lo prova sa dire
esattamente che cosa si sente e l'unica cosa che riesco a sentire io
è il fuoco che non mi lascia respirare.
Non riesco più a sentire la mano di Luca sulla mia, eppure lui
la sta stringendo forte questo significa che ho perso la
sensibilità alle mani e adesso che ci faccio caso non riesco a
sentire niente dall'addome fino ai piedi. Non sento più il mio
corpo. Non voglio morire, devo pensare a Giada e non voglio farle
leggere quella maledetta lettera, non così.
Con la coda dell'occhio vedo un medico avvicinarsi a me e Luca mi
lascia la mano per fare spazio a lui che mi infila la maschera
dell'ossigeno ed è l'unica cosa che riesco a vedere prima di
chiudere definitivamente gli occhi, perchè tenerli aperti mi
costa tanto e non ho più la forza, nemmeno per respirare.
Sono in uno stato di semi incoscienza, riesco a sentire delle voci, ma non sono abbastanza lucido per capire che cosa dicono.
Un ventata fresca mi attraversa il viso e il corpo, donandomi qualche
secondo di sollievo e capisco di essere fuori dall'edifico e quando sto
per abbandonarmi definitivamente al sonno sento una voce che urla il
mio nome.
-Riccardo! Riccardo!-
Quella voce la riconoscerei tra mille. Giada, qualcuno le dovrà
dire che mi dispiace davvero tanto di non averla potuto salutare. Mi
dispiace di non aver preso il bastardo piccoletta, ma spero che Luca
riesca a fare di più di quello che non sono riuscito a fare io.
E sai che c'è, piccoletta? C'è che mi dispiace di averti
sgridato quando non mi ascoltavi o facevi di testa tua, in quel momento
mi sembrava la cosa più giusta da fare, ma adesso, davanti alla
morte mi sembra un'assurdità. Avrei dovuto passare più
tempo con te lo so e mi dispiace anche di questo. Infine, mi dispiace
di stare morendo davanti ai tuoi occhi, non volevo infliggerti altro
dolore. Scusami.
Ma tutte queste cose le posso solo pensare, nessuno glielo dirà
mai e l'unica cosa che le resterà di me sarà una stupida
lettera.
|
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Capitolo 12 *** Se una giornata inizia male, non può che andare peggio ***
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Mi asciugo gli occhi con forza per cercare di vedere qualcosa
e quello che posso vedere è un'ambulanza con i lampeggianti
accesi, tanti poliziotti, un sacco di gente ferma a guardare e una
barella sorretta da due medici che esce fuori dal palazzo. In quella
barella c'è Riccardo con la maschera dell'ossigeno nel naso. Le
lacrime tornano a farsi spazio nei miei occhi e io corro disperatamente
in quella direzione e quando sono abbastanza vicina da poter toccare
Riccardo, qualcuno mi si piazza davanti e mi blocca, impedendomi di
fare qualunque cosa.
-Tu non puoi andare.- dice con tono severo. É un poliziotto che
ho visto parecchie volte in caserma perciò sa benissimo chi sono
e non capisco perchè non mi faccia passare. Io..io devo vederlo.
Potrebbe essere l'ultima volta che lo vedo e voglio stargli vicino,
voglio dirgli che andrà tutto bene.
Il mio corpo è scosso da violenti singhiozzi e cerco di oppormi
con tutta la forza che possiedo al poliziotto che mi impedisce di
andare da lui.
-Ti prego, fammi andare. Ti prego.- imploro disperata, visto che il
tentativo di divincolarmi è fallito miseramente davanti alla
forza di quest'uomo.
Lui scuote la testa con forza. Non ha intenzione di farmi passare. Sto
piangendo così tanto che mi manca il respiro e mi sembra di
stare per svenire, ma non mi arrendo e con tutto il fiato che ho urlo
disperata:-Riccardo! Riccardo!- sperando che lui riesca a sentirmi.
Mi sento a pezzi, tremendamente in colpa e non riesco a pensare che
cosa succederebbe se lui dovesse morire. Non ci voglio nemmeno pensare
e mi sento così male che voglio solo morire.
Luca, che stava parlando con altri poliziotti, quando mi sente gridare viene verso di me e dice al poliziotto di lasciarci soli.
Io, non appena ho campo libero cerco di precipitarmi da Riccardo, ma
Luca intercetta le mie mosse e mi afferra per un braccio. Lo sguardo
duro, arrabbiato.
-Ti avevo detto di restare in classe. Maledizione, perchè non
fai mai quello che ti chiedo?-si passa una mano sui capelli, frustato.
Ignoro totalmente le sue parole e farfuglio qualcosa di molto confuso, con la voce rotta dal pianto.
-Io..Io lo voglio vedere. Non può morire, non può morire.
Ti prego Luca, non farlo morire.- imploro come se la vita di Riccardo
dipendesse da lui.
Quando pronuncio queste parole, la faccia dura di Luca si trasforma in
una faccia piena di dispiacere e vedo i suoi occhi riempirsi di lacrime.
-Oh Giada, mi dispiace così tanto.-dice con voce rotta, mentre viene ad abbracciarmi.
Nessuno ha la forza per dire qualcos'altro e lasciamo che le lacrime
parlino per noi, mentre restiamo abbracciati a piangere come dei
bambini in mezzo alla strada sotto gli occhi di tutti.
Siamo nella sala d'aspetto dell'ospedale da almeno due ore e aspettiamo
notizie di Riccardo, ma nessuno ancora è venuto a dirci niente.
Sappiamo che lo stanno operando all'addome e basta. Nessuno ci dice
niente e io non ne posso più di aspettare.
La sala è piena di colleghi e amici di Riccardo, e Luca è
qui a fianco a me mentre mi tiene una mano sulla gamba per farla stare
ferma visto che la muovo nervosamente da due ore.
Hanno tutti la faccia esausta, di chi non ne può più di tutto questo stress e vorrebbero farsi una bella dormita.
Mi alzo e abbandono la sala d'aspetto sotto lo sguardo inquisitore di
Luca, che capisce che ho bisogno di stare un po' da sola, e me ne esco
fuori a prendere un boccata d'aria. Ha iniziato a piovere e io rimango
sotto la tettoia dell'ospedale appoggiata al muro mentre fisso la
pioggia.
Sento gli occhi gonfi e pesanti e non voglio iniziare di nuovo a
piangere visto che ho smesso da poco, ma davvero mi sembra di non poter
fare altro che versare lacrime per Riccardo e non so dirvi se sia
maggiore il senso di colpa oppure il dispiacere.
Se solo non avessi detto niente, se solo non mi fossi affacciata a
quella finestra. Mi dovevo trovare io al posto di Riccardo, quel
fottuto bastardo vuole me, è me che deve uccidere e invece per
proteggermi Riccardo si è preso una pallottola al posto mio e
potrebbe non farcela. Non so nemmeno che fine abbia fatto il bastardo,
probabilmente nessuno è riuscito a prenderlo e nessuno è
riuscito a ferirlo, ma del resto non appena hanno sparato a Riccardo si
sono tutti concentrati su di lui.
Voglio che tutto questo finisca, voglio mettere fine a questa specie di
caccia e l'unico modo è di incontrare faccia a faccia
l'assassino. Solo io e lui. Senza nessun altro.
Sono totalmente concentrata su questi nuovi pensieri che quando Luca mi
raggiunge posandomi una mano sulla spalla, sobbalzo per lo spavento.
Mi accenna un debole sorriso di scuse.
-Ci sono novità?- domando stancamente.
Scuote la testa.
-Mi dispiace.-ripeto per la milionesima volta, cercando di non scoppiare di nuovo in lacrime.
-Non è colpa tua.-mi dice con tono deciso.
Non ne posso più di sentirmi dire che non è colpa mia.
Come possono cercare di confortarmi tutti con questa frase, quando il
poliziotto che non ha fatto altro che salvarmi la vita in questi ultimi
mesi rischia di morire?
-E invece si!- sbotto. -Smettila di dire il contrario. Così non
mi consoli! Se tu non fossi tornato per stare con me, perchè ti
facevo pena, magari saresti riuscito a salvare Riccardo perchè
tu e lui siete..telepatici. E se io non mi fossi affacciata alla
finestra non sarebbe successo tutto questo. Voi ve ne dovete andare,
dovete lasciarmi da sola, abbandonare il caso. Lui vuole me e fino a
quando non mi avrà cercherà di uccidere tutti quelli che
mi stanno intorno! Perchè non lo capisci? -
Sono senza fiato e disperata e Luca si mette di fronte a me e si abbassa di qualche centimetro per guardarmi bene negli occhi.
-Questo è il nostro lavoro. Salvare delle vite, proteggere le
persone, arrestare i cattivi e prendere delle pallottole rientra nel
nostro mestiere. Noi siamo addestrati a qualunque situazione di
emergenza e mettere a repentaglio la nostra vita per proteggerne
un'altra fa pare del lavoro! Io sono tornato da te soltanto
perchè sapevo che i ragazzi potevano gestire la situazione anche
senza di me. Quella pallottola avrebbe potuto prendersela chiunque e tu
non puoi continuare ad autocommiserarti per quello che è
successo perchè tanto ormai le cose non cambiano. Quindi
reagisci! Pensi che se ne noi ce ne andiamo tu riuscirai a
sopravvivere? Tu morirai senza di noi, mettitelo in testa.- urla lui.
Rimango in silenzio per qualche istante cercando di soppesare bene le
parole di Luca che nel frattempo si è allontanato da me e si
passa una mano sul volto a dir poco stanco. Sembra invecchiato di dieci
anni.
Nonostante tutto quello che mi ha detto le sue parole non hanno alcune
effetto su di me, anzi sembrano rafforzare i miei pensieri.
-Forse me lo sono messa in testa da molto prima di voi.- dico con voce
ferma, mentre volto le spalle a Luca e torno dentro, sperando di
ricevere notizie dal medico.
Quando metto piede nella sala d'aspetto vedo un chirurgo che parla con
un collega di Riccardo e questo mi fa capire che ci sono delle
novità buone o cattive che siano ed è abbastanza
difficile capire quali siano, così mi avvicino a lui e con voce
carica di ansia gli chiedo di aggiornarmi.
-Sei una sua parente?-mi domanda il chirurgo mentre mi fissa con i suoi
grandi occhi azzurri. Sembra giovane, avrà al massimo quaranta
cinque anni, alto, con i capelli che iniziano a diventare bianchi nelle
tempie, il viso spigoloso, ma dall'aria molto affabile.
Scuoto la testa.
-No, però io..-
-Mi dispiace, solo i parenti e in questo caso i colleghi hanno il
diritto di sapere come sta. É il regolamento- m'interrompe lui,
pur mantenendo un tono di voce gentile e premuroso e mostrandosi
sinceramente dispiaciuto.
Detto questo si allontana senza dire più niente e io rimango
lì come un ebete in attesa che qualcuno mi faccia sapere come
sta. Non sono molto amata dai colleghi di Riccardo, soprattutto da
quelli che sono qui e dopo quello che è accaduto sono ancora
meno gradita ai loro occhi.
Non ho il coraggio di chiedere a loro come sta Riccardo, perchè
probabilmente non mi risponderebbero nemmeno, perciò mi siedo e
aspetto, che cosa non lo so, però aspettare mi sembra l'unica
cosa che posso fare.
Dopo qualche minuto che sono seduta un poliziotto, forse l'unico che
prova un po' di compassione per me, si viene a sedere a fianco a me.
-Quando è arrivato qui le sue condizioni erano molto gravi, ha
perso molto sangue e i medici hanno cercato di intervenire come meglio
potevano e sono riusciti a estrarre il proiettile, ma a causa del
troppo sangue che ha perso adesso è..in coma. Non sappiamo
quando o..se si risveglierà, ma i medici sono ottimisti e non ci
resta che aspettare.- dice a bassa a voce, come se parlare gli costasse
una grande fatica.
-Grazie per avermelo detto.- dico io mentre gli occhi mi si riempiono
di lacrime e la testa inizia a girarmi vorticosamente. In coma,
Riccardo è in coma.
Mi alzo dalla sedia e vado a cercare un posto dove posso stare da sola,
senza nessuno intorno, dove posso sfogare tutta la mia rabbia.
Riccardo. Potrebbe non risvegliarsi mai più, il mio migliore amico.
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Capitolo 13 *** La lettera ***
hj
Capitolo
tredici
Sono
nella chiesa dell'ospedale. La parola chiesa e la parola io non
possono stare nella stessa frase da parecchi anni ormai, eppure mi
ritrovo seduta in uno di quei banchi marroni senza fare niente. Non
sto nemmeno piangendo stranamente, ma non ho nemmeno più la forza di
piangere. Sono talmente disperata da essere venuta in Chiesa. Io che
mi sono allontanata da Dio da un bel po' di tempo ora mi ritrovo a
dover chiedere il suo aiuto. Non sto pregando, sto solo cercando di
stabilire un contatto con lui.
Non
riesco a smettere di pensare al fatto che Riccardo potrebbe non
risvegliarsi mai più e di nuovo i miei pensieri si indirizzano nella
stessa direzione di prima. Questo gioco deve finire il più presto
possibile e non ho intenzione di vedere altre persone farsi male a
causa di un fottuto pazzo di mente che se la prende con le persone
senza un reale motivo, o forse un motivo c'è, solo che non abbiamo
ancora capito quale. Non l'ho mai visto a parte alla finestra di
fronte alla scuola, ma non mi è sembrato un viso familiare, non lo
avevo mai visto prima eppure lui mi vuole uccidere. Cosa gli avrò
mai fatto di male?
Voglio
incontrarlo, voglio parlare faccia a faccia con lui, voglio sapere
che cosa lo porta a darmi la caccia, voglio che tutto questo finisca.
Ma come posso fare? Sono sorvegliata ventiquattro ore su
ventiquattro, il mio cellulare è controllato, il computer è
controllato e in ogni caso non saprei come rintracciarlo. Devo farmi
venire un'idea, o forse devo solo aspettare che lui si faccia vivo di
nuovo, perchè sono sicura che non passerà molto tempo prima che
faccia il suo prossimo passo. Anche lui si sta stancando e tutto
questo non potrà durare in eterno.
Con
questi pensieri mi distraggo e per qualche istante mi chiedo che cosa
ci sono venuta a fare in chiesa, ma la realtà torna a farsi sentire
impetuosa come sempre, bastarda come non mai.
Sento
dei passi che si fanno sempre più vicini e penso che sia qualche
altra persona decisamente più credente di me che sia venuta a
pregare per salvare la vita a qualche familiare o qualche amico.
Visto che non sono più sola decido di andarmene, ma quando mi giro
riconosco Luca che viene verso di me e si siede nel mio stesso banco,
a qualche centimetro di distanza. Ha gli occhi rossi, sicuramente ha
pianto. Mi si stringe il cuore a vederlo così, sta soffrendo molto
più di me per le condizioni di Riccardo, eppure nonostante tutto
sono ancora arrabbiata con lui per come mi ha trattata prima.
Ha
una busta da lettere in mano e senza dirmi niente me la porge. Ho
come l'impressione che non riesca nemmeno a parlare talmente è
sconvolto.
-Non
le voglio le tue scuse- dico, dando per scontato che la lettera fosse
da parte sua.
Scuote
la testa e accenna un debole sorriso. I suoi occhi però non vengono
contagiati dal suo meraviglioso sorriso.
-Non
è da parte mia.- sussurra.
Afferro
la busta e c'è scritto con una calligrafia ordinata e precisa “Per
Giada”. Riccardo. Riconoscerei la sua scrittura ovunque, è
così perfetta.
La
apro con mani tremanti, cercando di trattenere le lacrime e mi
domando perchè mai mi abbia voluto scrivere una lettera.
Faccio
un respiro profondo e inizio a leggere ad alta voce, così che anche
Luca possa ascoltare.
-Giada,
immagino che se Luca ti abbia consegnato questa lettera è perchè mi
è successo qualcosa di estremamente grave. Quando ti ho incontrato
la prima volta e ho capito che la faccenda era più seria di quello
che potesse sembrare, ho pensato subito che le cose si potessero
complicare anche per me. Non ho idea di quello che mi sia successo e
spero non sia qualcosa di definitivo, ma se stai leggendo è perchè
le speranze sono poche. Voglio dirti che mi dispiace di non poter
essere con te adesso, sei una ragazza adorabile e soprattutto
intelligente. Sei diventata la mia migliore amica in così poco
tempo, sei la sorellina che non ho mai avuto. Sei quella rompiscatole
che in poco tempo è riuscita a conquistarsi un posto speciale nel
mio cuore..-
La
mia voce s'incrina e tiro su con il naso, mentre cerco di togliermi
le lacrime dagli occhi per poter continuare a leggere. Le mani mi
tremano così tanto che non riesco a tenere il foglio e sono
costretta a poggiarlo nelle ginocchia. Anche Luca è terribilmente
commosso.
Continuo
a leggere.
-..Voglio
ringraziarti per tutte le risate che mi hai regalato in questi mesi,
mi ero perfino dimenticato di che cosa volesse dire ridere! Mi hai
dato un motivo per alzarmi la mattina e per continuare il mio lavoro.
Mi hai spronato quando non ce la facevo più, mi hai portato il
caffè, mi hai tenuto compagnia e prendermi cura di te è stata la
miglior cosa che mi potesse capitare. Eri la mia piccolina e lo sarai
sempre. Sei una forza della natura e non so che cosa abbia fatto per
meritarmi la tua presenza ogni giorno. Posso solo dirti che mi
dispiace per il modo in cui ci siamo conosciuti, in un contesto dove
una ragazza di sedici anni non dovrebbe mai entrare a farne parte, ma
è successo e io spero di essere riuscito a fare al meglio il mio
lavoro e..-
Non
riesco più a leggere perchè il mio corpo è scosso da singhiozzi
irrefrenabili e le lacrime non mi permettono di leggere oltre.
-Continuo
io.- dice Luca prendendo la lettera dalle mie ginocchia.
Si
schiarisce la voce, rotta dall'emozione e continua a leggere.
-E
spero veramente di poterti abbracciare anche solo un'ultima volta,
perchè non sopporto l'idea di andarmene senza salutarti, proprio non
ce la faccio. Grazie, di tutto. Sei una persona fantastica e sono
l'uomo di più fortunato del mondo ad averti conosciuto. In cuor mio,
spero che tu non debba mai leggere questa lettera, perchè non voglio
aggiungere altra sofferenza al tuo cuore già fragile. Ciao,
piccoletta.-
Luca
si asciuga una lacrima solitaria che gli scivola lungo la guancia,
poi piega con cura la lettera e la infila dentro la busta. L'unico
rumore che si sente sono i miei singhiozzi che cerco disperatamente
di controllare e mi abbandono contro la spalla di Luca che
prontamente mi cinge le spalle con un braccio.
Quando
i miei singhiozzi si affievolisco e sono sicura di riuscire a parlare
prendo un lungo respiro.
-Quando
te l'ha data la lettera?-
-Qualche
settimana fa ero a cena a casa sua e mi ha detto che se mai gli fosse
successo qualcosa nel suo ufficio c'erano due lettere. Una per me, e
una per te e stamattina mi ha detto di prenderle.-
-Cosa
c'era scritto nella tua lettera?-chiedo curiosa.
Scrolla
le spalle e fa un sorriso.
-Per
lo più cazzate, poi è arrivata la parte strappalacrime che è più
o meno simile alla tua.-
Cala
di nuovo il silenzio e ognuno è immerso nei proprio pensieri. Io mi
domando come mai Riccardo abbia scritto una lettera solo per noi due
e non per la sua famiglia. Non mi ha mai parlato della sua famiglia e
non ho mai visto nemmeno una loro foto, l'unica cosa che so è che è
figlio unico, ma dei suoi genitori non mi ha mai accennato niente e
io non gliel'ho mai chiesto, forse perchè non c'è stata nemmeno
l'occasione. O forse perchè semplicemente non ne vuole parlare.
-Come
mai la sua famiglia non è qui?-domando a Luca.
-Siamo
noi la sua famiglia.- dice sottovoce con una punta di affetto nella
voce. -Non mi stupisce che non ti abbia detto niente al riguardo.
Probabilmente se tu glielo avessi chiesto lui ti avrebbe risposto, ma
altrimenti non ne parla mai. Ha perso i contatti con i genitori già
da un bel po' di tempo e si può dire che sia cresciuto in casa mia.
La mamma aveva problemi di droga e il padre se n'è andato quando
aveva dieci anni.-
Non
è quello che definirei un'infanzia allegra e non avrei mai
immaginato una cosa del genere perchè Riccardo è sempre così
allegro, sempre così disponibile, con chiunque. Forse è anche
grazie all'infanzia che ha avuto se è diventato un poliziotto subito
pronto a dare una mano.
-Che
storia triste.-
Luca
annuisce e io alzo la testa dalla sua spalla pronta per andare via
dalla Chiesa e andare da Riccardo, ma Luca mi ferma.
-Ho
trovato questa per terra. Sicuramente ti è caduta dalla tasca. Eri
davvero adorabile da piccola.- dice mentre tira fuori dalla tasca
posteriore dei jeans una foto color seppia che ritrae una bambina da
piccola mentre sorride. Avrà circa sei anni.
Mi
sorprendo a fissare quella bambina che è praticamente uguale a me
solo con qualche anno in meno, ma quella bambina non sono io è
qualcuno di sorprendente simile.
-Dove
l'hai trovata?-
-Vicino
alla panchina dell'ospedale.-dice Luca mentre si alza anche lui.
Annuisco
e lo ringrazio mentre metto la foto dentro i pantaloni e insieme ci
avviamo verso l'uscita della Chiesa. Luca va da Riccardo, mentre io
gli chiedo il permesso per uscire un attimo fuori. Lui acconsente a
patto che rientri subito visto che dobbiamo andare in commissariato
per fare l'identikit dell'uomo che ha sparato a Riccardo.
Corro
velocemente verso l'uscita dell'ospedale, mentre la fotografia che ho
in tasca diventa sempre più pesante. Non sono io. Chi diavolo è?
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Capitolo 14 *** Identikit ***
idg
Mentre corro fuori dall'ospedale mi assale un dubbio atroce.
Quella persona non sono io, però è estremamente simile a
me, sembriamo quasi gemelle, ma sono sicura al cento per cento di non
avere una gemella e non è una coincidenza che quella foto fosse
vicino alla panchina dell'ospedale dove guarda caso ci sono io. E chi
poteva sapere una cosa del genere se non l'uomo che ha fatto in modo
che io venissi in ospedale? Solo chi mi vuole uccidere poteva saperlo e
sono sicura che quella foto l'ha messa lui lì per fare in modo
che io la trovassi. Il movente fino ad ora non era mai uscito fuori, ma
se il movente fosse in qualche modo collegato alla foto? Se quella foto
rappresentasse il motivo per cui mi vuole far fuori?
Scuoto la testa rendendomi conto che l'idea è totalmente assurda
e impossibile, sto solo cercando di trovare un movente a tutti i costi
e questo è l'unico che mi è saltato in testa.
Intanto sono arrivata nella panchina, e mi chiedo perchè abbia
messo solo una foto che chiunque avrebbe potuto prendere, ma non
finisco di pensarlo che sotto la panchina trovo un fogliettino.
Con il cuore in gola lo apro e con una calligrafia ordinata c'è
scritto “Almeno che tu non voglia vedere qualcun altro morire o
farsi male, ti aspetto tra una settimana alle sedici e trenta, nella
zona industriale in via Verdi numero 5. Ti conviene pensare a un piano
per scappare, altrimenti non ne resterà uno vivo. E niente
sbirri! A presto, dolcezza.”
Le mani mi tremano peggio di prima e per un attimo ho l'impressione che
riesca a leggermi nella mente. Solo qualche minuto prima desideravo
mettere fine a tutto questo e adesso ho la possibilità di farlo
per davvero. Non so se rallegrarmi o sentirmi male. Il mio corpo opta
per la seconda opzione e vengo assalita dalla nausea mentre la testa
prende a girarmi vorticosamente. Faccio del respiri profondi e cerco di
calmarmi, non posso stare male ora altrimenti Luca se ne
accorgerà e verrà a scoprire tutto quanto.
Stai calma, stai calma, mi ripeto per almeno una ventina di volte e
cerco di riprendere un aspetto normale. Focalizzo i miei pensieri su
qualcos'altro per il momento e nascondo il foglietto insieme alla foto
nella tasca dei pantaloni e mi dirigo di nuovo dentro l'ospedale prima
che Luca si insospettisca.
Lo incrocio in un corridoio e mi chiede se sono pronta per andare in commissariato.
-Veramente volevo salutare Riccardo.- dico con voce delusa.
-Anche io, ma dicono che per oggi non sarà possibile. Dobbiamo aspettare a domani.- dice sconsolato anche lui.
Mentre saliamo nella Ford Focus grigia di Luca do un'occhiata veloce
all'orologio e noto che si sono fatte già le cinque,
chissà perchè ho l'impressione che dormirò in
commissariato stanotte.
Mi squilla il cellulare e noto con una smorfia di disappunto che
è di nuovo mia madre a chiamarmi. Sarà la decima volta
che chiama!
Rispondo aggiornandola brevemente su le ultime novità che non
sono poi molte dall'ultima volta che ha chiamato, cioè tre
quarti d'ora fa, e le dico che tornerò sul tardi. Chiudo la
chiamata e i miei pensieri possono concentrarsi di nuovo sul foglietto
e sulla foto.
Ho una settimana di tempo per preparare un piano di fuga a prova di
sbirri, devo riuscire non solo a scappare, ma anche a raggiungere la
zona industriale senza lasciare tracce. Non so che cosa aspettarmi e
non so nemmeno se voglio farlo, l'unica cosa che so è che lo
devo fare, per proteggere tutti gli altri come loro hanno protetto me
in questi mesi.
Le mani tornano a tremare come sempre quando penso a cose che mi
mettono ansia e le stringo a pugno sperando che passi in fretta.
Mi domando ancora chi possa essere quella bambina nella foto. Sembra
una foto antica, ma con tutti i programmi che esistono per modificare
le foto potrebbe essere anche una foto moderna.
-Mi ascolti?- sbuffa Luca mentre entriamo dentro il commissariato. Non
mi ricordo nemmeno di essere scesa dalla macchina. Sono proprio fusa.
-Cosa?-domando distrattamente.
Mi lancia un'occhiataccia.
-Ti ho chiesto se devi studiare per domani.-
-No, per fortuna no.- mento spudoratamente mentre penso alla mole di
cosa che dovrei studiare. Francese, chimica, italiano. E anche se devo
studiare tutto questo per domani sono sicura che se prendessi i libri
in mano non riuscirei a capire nemmeno una parola talmente sono
distratta. E poi, che mi serve studiare se tra una settimana
sarà tutto completamente finito?
Andiamo nella scrivania di Luca, lui accende il computer che parte con un ronzio e lentamente si avvia.
Nel frattempo che il computer carica, Luca si prende una tazza di
caffè mentre io rimango a girare in tondo con la sedia girevole.
Si, ogni tanto anche io mi comporto come una bambina.
-Finirai per vomitare.-commenta Luca di ritorno mentre alza gli occhi al cielo.
Vomiterei se solo avessi mangiato qualcosa, penso tra me e me. Non
esprimo questo pensiero ad alta voce altrimenti mi farebbe mangiare a
forza, perciò mi limito a sorridergli.
Luca si siede nella sedia accanto alla mia e dopo aver bevuto un sorso di caffè apre il programma per l'identikit.
Ero assolutamente convinta che la questione si sarebbe risolta in
qualche minuto. Del resto che ci vuole a dire il colore degli occhi e
dei capelli? E invece no, dopo un'ora siamo ancora qui, davanti al
computer e le nostre frasi sono sempre le stesse.
-Ha la barba?-
-No, niente barba, né baffi o pizzetto.-
-Il mento era sporgente oppure normale?-
-Da dove l'ho visto io sembrava normale.-
-Quindi così-dice Luca mentre modella la faccia dell'omino al
computer -E gli occhi, sei riuscita a vedere di che colore sono?-
-Castani. I capelli erano neri. Corti, ma non troppo.-
Insomma per un'ora ci siamo limitati a parlare di occhi, capelli,
sopracciglia e tutto quello che può esserci in un viso. Adesso
l'omino al computer non è più una persona sconosciuta, ma
è identico all'uomo che stiamo cercando.
Io e Luca ci scambiamo una breve occhiata e annuisco per confermare il fatto che sia lui, senza ombra di dubbio.
Luca chiama un collega, gli dà la stampa dell'identikit e gli
chiede di scannerizzarlo al computer e controllare nei registri di
tutti i militari che non sono più in servizio per qualunque
motivo. Il collega annuisce e se ne va lasciandoci soli.
Visto che sono le sei e mezzo di sera penso di poter tornare a casa per
cena e sono quasi tentata di chiamare mia madre per dirmi di lasciarmi
la cena, ma l'idea viene scartata immediatamente quando alla parola
cena mi sale la nausea. Il mio stomaco non è assolutamente
disposto a ricevere cibo.
Vago con la mente e penso alle cose da fare in quest'ultima settimana
di vita. Vorrei fare talmente tante cose che mi ero ripromessa di fare
prima di morire, ma qualche mese fa di ceto non mi aspettavo un
ultimatum. Adesso mi rimane solo una settimana per fare quello che ho
sempre voluto fare, ma in realtà non c'è poi molto da
fare. La maggior parte delle idee sono da scartare, come quella di
viaggiare il più possibile, riempire due librerie di libri,
incontrare Nicholas Sparks, incontrare i miei calciatori preferiti,
andare ad un concerto, andare in discoteca, ubriacarmi, andare a San
Siro..e se tolgo tutte queste cose le uniche cose che mi restano da
fare sono passare più tempo con la mia famiglia, con Luca, con
Riccardo e con le mie amiche.
Mi domando che cosa dirò al mio assassino quando saremo faccia a
faccia. Mi darà il tempo di parlare oppure mi sparerà
immediatamente? Spero che mi uccida subito senza farmi soffrire troppo,
non potrei sopportarlo. Forse dovrei scrivere delle lettere anche io,
ma che cosa ci scriverei? Mi dispiace tanto non avervi potuto salutare,
ma il mio assassino mi sta aspettando?
Se penso che lo incontrerò senza dire niente a nessuno andando
così a firmare la mia condanna a morte, mentre Riccardo lotta
per restare in vita mi sento terribilmente egoista. Eppure non mi
sembra di avere altre alternative.
Le mie mani tremano di nuovo e se non cambio immediatamente direzione
ai miei pensieri il tremore si diffonderà in tutto il corpo.
Luca mi guarda con la coda dell'occhio e io abbasso lo sguardo.
-Perchè ti tremano le mani?-
Scrollo le spalle.
-Pensieri.-
-Pensieri tipo..?-lascia la domanda in sospeso in attesa che io risponda.
-Niente di che.- dico io sperando che l'argomento si chiuda lì.
In effetti dopo un'ulteriore occhiata Luca torna a concentrarsi sul computer e non dice più niente.
Muoio dalla voglia di dirgli tutto, ma mi morsico la lingua fino a
farmi uscire sangue. Sento il sapore metallico sulla bocca e la lingua
mi pizzica e quando sto per alzarmi per andare a sciacquarmi la bocca
torna il poliziotto di prima con un foglio in mano.
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Capitolo 15 *** Delusione ***
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É impossibile decifrare la faccia del poliziotto, che
dopo una breve occhiata consegna il foglio a Luca che lo ringrazia. Il
poliziotto gli rivolge un sorriso gentile e se ne va.
Luca mette il foglio al centro della scrivania così che anche io
posso vederlo. É un foglio con tutti i dati anagrafici
dell'assassino.
Si chiama Michelangelo Scarlatti, nato a Roma il 29 settembre del 1978.
Figlio di Elisa Fumagalli e Sandro Scarlatti, entrambi deceduti. Era
nell'esercito in Afganistan, ma sei mesi fa non è più
risultato idoneo ai test psicologici.
Mentre leggo tutti questi dati avverto una sensazione strana, mi accorgo di essere profondamente delusa.
-Pensavo che una volta letti il nome, il cognome e tutti questi dati
avrei riconosciuto l'uomo, ma mi accorgo di non aver mai sentito il suo
nome, non conosco i suoi genitori e non l'ho mai visto da nessuna
parte. Quindi, cosa diavolo vuole da me?- domando presa dallo sconforto.
-Non lo so. Non lo so, davvero.-
Dal tono di voce capisco che anche Luca è deluso e mi chiedo di
nuovo se la settimana prossima prima di uccidermi mi spiegherà
perchè mi ha dato la caccia per così tanto tempo. Da una
parte muoio dalla voglia di saperlo, dall'altra preferisco restarne
all'oscuro.
-Cosa fareste se un giorno mi rapisse?-
Non riesco a trattenermi dal chiedere. Questa domanda potrebbe pure
farmi uscire allo scoperto, ma voglio sapere cosa faranno lunedì
prossimo quando si accorgeranno che improvvisamente sono sparita.
Inconsciamente li sto preparando a una situazione di emergenza.
Vedo il panico che attraversa gli occhi di Luca.
-Non succederà. Sei sempre sorvegliata, non potrebbe succedere.-
-Ma se succedesse?-insisto. Perchè la mia bocca non sta zitta?
Luca piega la testa di lato e ora nei suoi occhi c'è un misto di curiosità e preoccupazione.
-Se dovesse succedere ci metteremo subito alla tua ricerca e riusciremo
a trovarti perchè so che saresti così furba da lasciare
delle tracce ben visibili.-
Sorrido e annuisco, apparentemente soddisfatta della risposta.
Effettivamente, in un contesto normale farei proprio così, ma
lunedì una cosa del genere non dovrà succedere e anzi,
dovrò stare ben attenta a non lasciare tracce. Come impronte, o
cellulari accesi. Dovrà essere tutto calcolato nei minimi
dettagli.
Luca si alza dalla scrivania esce dalla stanza e lo sento parlare con
un collega, ma non riesco a capire cosa si dicono. Mi appoggio allo
schienale della sedia e chiudo per un attimo gli occhi, mentre sento la
stanchezza scivolarmi addosso, ho davvero bisogno di dormire.
-Giada, sto ordinando la pizza. Tu come la vuoi?- urla Luca dall'altra stanza.
-Sono a posto così, grazie!- urlo di rimando.
Luca non risponde e poco dopo ritorna da me. Appena sento i suoi passi apro gli occhi.
-Sei distrutta, perchè non vai a farti una doccia nel frattempo
che arriva la pizza?-domanda mentre mi lancia le chiavi di casa sua.
Io, che non ho i riflessi pronti, non le afferro e cadono facendo
rumore. Mi inchino per raccoglierle e quando mi alzo vedo Luca che
nasconde un sorriso.
-Non è divertente.- commento -E ti ho detto che la pizza non la voglio.-
La mia voce rivela un filo di irritazione.
-Infatti non ne ho preso due.-
Sono sorpresa, pensavo che mi obbligasse a cenare. Forse inizia a capire anche lui.
-Ah, meno male.-commento con un sorriso.
Lo oltrepasso per andare a casa sua che sta sopra il commissariato.
-Ne ho presa una gigante che mangeremo in due.-lo sento dire e dal tono di voce capisco che sta ridendo.
Mi volto e lo fulmino con un'occhiata mentre mi domando perchè è così testardo!
Non dico niente e a grandi passi mi dirigo fuori dal commissariato.
Proprio a fianco c'è una porta che conduce agli appartamenti che
ci sono sopra, naturalmente ci vivono in uno Riccardo, in uno Luca e
negli altri due qualche altro poliziotto di cui non ricordo il nome.
L'appartamento di Luca è a fianco a quello di Riccardo. Avevate dubbi?
Nel portachiavi ci sono soltanto due chiavi. Una della macchina e una dell'appartamento.
Apro velocemente ed entro dentro.
L'appartamento è ben arredato con quadri alle pareti e mobili
moderni. C'è una cucina ad isola, due camere da letto, un bagno
e un soggiorno. Insomma non manca niente.
Ormai ci vengo talmente tante volte che la considero la mia seconda
casa. Nella seconda camera infatti, ci dormo io tutte le volte
che rimango fino a tardi in commissariato, ormai quella stanza è
mia. Ho anche l'armadio con alcune delle mie cose dentro.
Mi dirigo nella mia stanza e prendo una maglietta vecchia e degli shorts che uso quando sto in casa.
Vado in bagno, mi spoglio ed entro sotto il getto della doccia caldo.
Che sensazione meravigliosa! Una bella doccia calda è tutto
quello che ci vuole dopo una giornata terribilmente stressante.
Ci rimango almeno venti minuti e appena uscita mi vesto e vado in
camera mia dove il cellulare si è appena illuminato. É
Federica che mi chiede come sta Riccardo e le rispondo brevemente
dicendole che è in coma e che quando ci vediamo le
spiegherò tutto meglio.
Mi sono sdraiata nel letto e riprendo la foto e il bigliettino che
avevo messo nei jeans. Mentre riguardo la foto capisco che non è
la bambina in sé ad assomigliarmi, ma il suo sorriso che
è identico al mio. Più la guardo e più mi convinco
che sia quello il movente. Non può essercene nessun altro, e
mentre Luca continua a cercarlo, io l'ho già trovato e lui non
ha minimamente pensato che la bambina in foto non sono io ed è
meglio così. Non deve sapere niente e devo stare attenta a non
far trapelare nulla e lunedì prossimo, quando sarà
arrivato il momento di incontrare Michelangelo Scarlatti devo mettere
in pratica quello che, dopo anni di CSI e RIS, sono convinta di aver
imparato. Sarebbe solo un pericolo inutile, per me e per loro.
Nascondo la foto e il bigliettino in mezzo al libro che sto leggendo e
che è poggiato nel comodino. La radiosveglia mi ricorda che non
sono nemmeno le otto di sera, ma le palpebre si fanno improvvisamente
pesanti e senza accorgermene finisco per addormentarmi.
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Capitolo 16 *** Si va scuola senza ma e senza se ***
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Mi sveglio tutta sudata e agitata, ma ormai inizio ad abituarmi a
questa situazione. Anche stanotte ho fatto un incubo, ma non era uno
dei soliti in cui l'assassino mi segue e io scappo, questa volta
l'assassina ero io e cercavo di uccidere Michelangelo Scarlatti.
Eravamo nella zona industriale, dove ci dovremmo incontrare la
settimana prossima e io avevo in mano una pistola, la stessa con la
quale nella realtà aveva cercato di uccidermi, e lo tenevo sotto
tiro. Non volevo spararlo per davvero, volevo solo spaventarlo, ma a un
certo punto la mano ha iniziato a tremare e ho premuto il grilletto
inavvertitamente. Il proiettile l'ha colpito dritto al cuore e lui
è caduto a terra con un tonfo. Il sogno finiva con me che mi
inginocchiavo accanto a lui e scoppiavo a piangere, seriamente
dispiaciuta per la sua morte.
L'orologio segna l'una e mezza del mattino, decido di alzarmi e vado a
sciacquarmi il viso per togliermi il sudore e quella sensazione
sgradevole di dosso. Poco dopo entro in camera di Luca per vedere se
è rientrato e vedo che si addormentato con dei fascicoli in mano
e la luce accesa. Mi avvicino lentamente e gli tolgo i documenti e li
poggio nel comodino, mentre spengo la luce. Esco silenziosamente e
torno in camera mia per prendere il libro che sto leggendo in questi
giorni, tanto ho capito che non mi riaddormenterò e vado in
cucina.
Quando accendo la luce vedo che c'è il cartone della pizza con
sopra un bigliettino scritto da Luca: “Magari alle tre del
mattino ti viene fame. Non dire che non sono premuroso!”
Non posso trattenermi dal ridere, e proprio mentre apro il cartone di
pizza il mio stomaco brontola. Finalmente ha deciso di farmi
ingurgitare qualcosa senza che mi venga la nausea.
Mi mangio la metà della pizza che mi ha lasciato Luca in un
batter d'occhio e quando sono bella sazia mi bevo un bicchiere di acqua
ghiacciato. Ah, ora sì che va meglio!
Mi siedo nel divano e apro il libro. Sono ancora alle prime pagine, ma
la lettura si fa subito interessante fino a quando a un certo punto
leggendo un pezzo di storia mi salgono i brividi.
“Joona sente il proprio cuore che batte, sente il sangue scorrere
rapido attraverso le vene fino al cervello, sente il polso tuonare
nelle tempie. Ma è tempo di guardare, registrare e pensare. Il
volto della ragazza è nascosto. Come se avesse paura, come se
non volesse vedere il suo aggressore. Prima di essere adagiata sul
letto, la ragazza è stata oggetto di una violenza feroce.”
Chiudo di scatto il libro e decido di metterlo da parte perchè
non mi sembra proprio il caso di leggerlo in un momento come questo.
Voglio leggere qualcosa di divertente, e se non fossi così pigra
accenderei l'Ipad e mi metterei a leggere Iddiozie & Diavolerie che
sicuramente riuscirebbe a distrarmi e alla fine decido di guardare la
televisione, prendo il telecomando e accendo la tv mentre cerco
qualcosa da guardare.
Trovo una replica del Dr.House che adoro, e anche se l'episodio l'ho
già visto non mi dispiace riguardarlo e mentre c'è la
sigla mi fermo a pensare solo per un istante se anche con me
Michelangelo, dopo che mi ucciderà, mi metterà nel mani
nel volto come se non stessi guardando. Di nuovo mi vengono i brividi
solo a pensarci e cerco disperatamente di concentrarmi sul dottore che
zoppica nello schermo della televisione.
-Giada. Svegliati, sono le sei e mezza. Devi prepararti.- dice Luca a
un centimetro dal mio orecchio. Il suo respiro mi fa venire la pelle
d'oca. Non mi ricordo di essermi addormentata, ricordo solo che stavo
guardando la televisione. Dopo quello che è successo ieri, ero
assolutamente convinta di non dover andare a scuola per due motivi:
primo perchè sono stanca e secondo perchè voglio andare a
trovare Riccardo e ho intenzione di passare con lui tutto il tempo che
ho a disposizione.
-Non ci vado a scuola oggi.- mormoro con voce assonnata, mentre continuo a tenere gli occhi chiusi.
Sento Luca sospirare.
-Non puoi perdere un altro giorno di scuola, i tuoi genitori..-
Quella frase fa scattare un campanello d'allarme nel mio cervello.
-Merda! I miei! Ieri dovevo tornare a casa, ma poi mi sono addormentata
e non li ho avvisati. Mi sono totalmente dimenticata!- interrompo Luca,
mentre di scatto apro gli occhi e cerco di alzarmi decentemente, ma mi
dimentico di essere nel divano e come mi giro cado a terra come un
sacco di patate.
Luca cerca di trattenere una risata e mi offre una mano, mentre con
tono divertito commenta:-Sei sempre la solita. E comunque i tuoi li ho
chiamati io.-
Lo fulmino con lo sguardo.
-E non potevi dirmelo prima?- rispondo un po' acida mentre afferro la sua mano e mi alzo in piedi.
Mi trascino in camera mia e mi butto nel letto decisa a continuare a dormire. Sento Luca sbuffare ed entra anche lui in camera.
-Devi alzarti e devi andare a scuola. Ti prego, non ho voglia di discutere di primo mattino!- dice esausto.
-Devo andare da Riccardo.-mi lamento mentre apro gli occhi. Lui
è in piedi appoggiato allo stipite della porta e si passa una
mano sui folti capelli ricci. Il suo volto è il ritratto della
stanchezza e dimostra almeno dieci anni in più. Sospira e mi
fissa con i suoi occhi verde smeraldo, mi sta implorando
silenziosamente.
-Da Riccardo ci andrai non appena torni da scuola e potrai starci quanto vuoi. Promesso.-
-Ma..- cerco di dire prima di incontrare il suo sguardo. Sta per
perdere la pazienza e non è uno che la perde facilmente. -Va
bene.- sospiro infine mentre mi alzo e mi dirigo verso il bagno.
Vedo che il mio zaino è poggiato in un angolo della stanza e
deduco che qualcuno sia andato a recuperarlo a scuola dopo che me ne
sono scappata. Sorrido mio malgrado, c'è sempre qualcuno che si
ricorda le cose al posto mio.
Mi faccio una doccia velocemente, bevo una tazza di latte e dopo
mezz'ora sono pronta per andare alla fermata del pullman sicura che
anche Luca venga con me, ma lui è ancora seduto al tavolo in
ciabatte mentre beve il caffè e..legge documenti. C'è chi
legge il giornale e chi legge fascicoli.
Muoio dalla voglia di dirgli di lasciare perdere tutto e di non stare
lì a rodersi il fegato visto che non ne vale più la pena
di stare a cercare moventi e prove, ma non posso. Devo resistere solo
una settimana, anzi sei giorni senza dire niente a nessuno. Posso
farcela.
-Tu non vieni?-
Lui risponde senza nemmeno alzare gli occhi da quello che sta leggendo.
-No, devo finire qui e poi devo passare in ospedale.-
-Ah-dico con tono deluso.
Finalmente alza lo sguardo e inclina la testa per studiare la mia
espressione, ma abbasso lo sguardo e dopo un saluto frettoloso esco di
casa.
Non capisco perchè non viene con me, in genere è sempre
venuto senza alcun problema, però evidentemente vuole stare con
Riccardo e fa benissimo, ma il punto è: perchè lui
può andarci e io devo aspettare di uscire da scuola? Non mi
sembra giusto e mi sento tradita, lo so è ridicolo, ma mi da
veramente fastidio e il mio umore è appena diventato nero.
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Capitolo 17 *** Claudio Marchisio dei poveri! ***
Claudio Marchisio dei poveri!
Fuori da casa c'è un poliziotto che mi sembra di avere
già visto. É uno dei due poliziotti che mi aveva
accompagnato all'una di notte da Riccardo, è quello più
giovane. É alto, i capelli corti biondi tenuti in alto con il
gel e gli occhi azzurri. É la fotocopia di Claudio Marchisio e
mentalmente inizio a fare pensieri a dir poco sconci su di lui.
Immagino che mi accompagnerà lui a scuola.
-Sei pronta per una nuova entusiasmante giornata di scuola?- domanda.
Mi limito a fare una specie di grugnito in segno di risposta.
-Sono sicuro che oggi visto che ci sono io con te ti divertirai sicuramente.-
Molto modesto e sicuro di sé il signorino. Fisicamente
potrà anche essere uguale a Marchisio, ma mentalmente no di
certo!
Alzo un sopracciglio ed evito di rispondergli per rispetto, altrimenti
gli direi senza dubbio di abbassare la cresta. Questa giornata va di
male in peggio. Non mi era sembrato così antipatico il primo
giorno che l'ho incontrato, sicuramente era merito dei dolcetti che gli
avevo portato.
-Sei sempre così silenziosa?-
No, è solo che non amo molto parlare con i cretini come te. Ah no, non posso dirglielo.
-No, è che sai la mattina sono attiva più o meno quanto il cane di Heidi, Nebbia. Non so se questo rende l'idea.-
Lui annuisce mentre sorride impercettibilmente. Con tutti i poliziotti che ci sono proprio a me doveva capitare questo.
-Comunque io sono Matteo.- dice mentre mi porge la mano. Rimango un po' delusa, per un attimo ho sperato si chiamasse Claudio.
-Giada, ma immagino che tu lo sappia già.-rispondo io.
Lui mi guarda con l'espressione alla “ovviamente” e sorride
di nuovo mettendo in mostra le fossette e i denti splendenti. Distolgo
velocemente lo sguardo per evitare di svenirgli davanti.
Restiamo in silenzio per tutto il tragitto e anche in pullman nessuno
dei due dice niente. Sento le occhiate di tutti che mi trapassano la
schiena, sicuramente saranno venuti a conoscenza di quello che è
successo a Riccardo e adesso non fanno altro che guardarmi e quando
incrocio lo sguardo di qualcuno, loro abbassano subito lo sguardo. E se
in pullman hanno il buon senso di abbassare lo sguardo a scuola non
succede la stessa cosa, tutti mi fissano e nessuno abbassa lo sguardo,
anzi lo tengono puntato su di me fino a quando non sono io ad abbassare
gli occhi. Questa cosa mi disturba, odio essere al centro
dell'attenzione.
Gli occhi iniziano a pizzicarmi, segno che sto per scoppiare il lacrime
e Matteo mi mette una mano sulla schiena mentre mi spinge verso la mia
classe che stranamente sa dove si trova.
-Non ci badare. Ti fissano e parlano di te perchè qui è
talmente noioso che non succede mai niente e perciò non sanno di
chi sparlare.-mi incoraggia lui.
Forse non è così antipatico, penso mentre varco la porta
di classe. Federica e Alessia vengono subito incontro e mi abbracciano
e mi chiedono notizie di Riccardo. Gli racconto tutto quello che
è successo e tutte le novità che ci sono sull'assassino,
tralasciando la parte in cui mi ha mandato la foto e il bigliettino.
Mentre finisco di parlare con loro entra in classe la professoressa
d'inglese. Mi ero totalmente dimenticata che c'era lei anche oggi e se
me ne fossi ricordata, di sicuro non ci sarei venuta.
Appena mi vede mi fulmina con lo sguardo e va a sedersi alla cattedra senza distogliere lo sguardo da me.
-Mi sembra un tantino incazzata. Cosa diavolo le hai fatto? Le hai ucciso il gatto?-dice Matteo.
Cerco di trattenere una risata, ma non ci riesco. Mai l'avessi fatto.
-Giada, visto che hai tanta voglia di ridere sappi che hai preso due al compito!-dice la professoressa.
E fin qui tutto bene, del resto lo sapevo che era da due il compito.
-E ti sei presa un bella ammonizione e il preside oggi vuole
incontrarti. Vediamo se adesso ridi ancora.- dice con un sorriso da
stronza stampato sulla faccia.
Il sorriso mi muore sulle labbra e non perchè mi sono beccata
una stupida ammonizione o perchè ho preso due, ma perchè
con ogni probabilità dopo che il preside mi avrà parlato
chiamerà i miei genitori e non voglio dargli una delusione del
genere, hanno già abbastanza problemi non ho intenzione di
aggiungerne altri. Soprattutto in quest'ultima settimana.
-Ho come l'impressione che tu sia, come dire, nella merda.-commenta sarcastico Matteo.
Gli lancio un'occhiataccia.
-Giuro che se lo dici a Luca ti ammazzo.- lo minaccio mentre gli punto contro le forbici.
Si mette a ridere e alza le mani.
-Non sono uno spione e non ho intenzione di sentire Luca urlare.-risponde con un'altra risata.
Evidentemente trova la questione molto divertente, mentre io mi
preoccupo anche del fatto che Luca lo venga a sapere. Ci tiene troppo
al fatto che io vada bene a scuola e sapere che ho preso un due,
più un'ammonizione, più un colloquio con il preside gli
farà venire un infarto e mi dirà un sacco di cose che mi
faranno sentire in colpa per un bel po' di tempo.
Mi massaggio le tempie in cerca di una soluzione perchè ho come
l'impressione che dal preside non sarò da sola, chiamerà
sicuramente i miei genitori o Luca visto che sono le persone che si
occupano di me in questo momento. Sono nella merda fino al collo.
Dopo neanche cinque minuti bussano alla porta e una bidella apre la
porta senza nemmeno aspettare “l'avanti” della
professoressa e non si degna nemmeno di salutare, ma si sa che in
questa scuola le bidelle sono tutte antipatiche.
Punta gli occhi su di me e annuncia che devo scendere dal preside da
sola. Ha calcato sulla parola da sola questo significa che Matteo non
deve scendere. Brutto segno.
In classe regna il silenzio cosa che accade solo quando mi succedono le
disgrazie, mettendomi così al centro dell'attenzione, che carini
che sono i miei compagni!
Mi alzo dalla sedia molto lentamente, mentre la mia mano inizia a
tremare. La stringo a pugno e vedo che anche Matteo si alza, forse non
ha colto quello che la bidella cercava di dirgli e infatti glielo
ripete molto chiaramente.
-Lei non può scendere. Al colloquio dovrà esserci solo la signorina.-ripete con aria di superiorità.
Sono curiosa di vedere l'espressione di Matteo e quando mi giro verso
di lui non riesco a capire se trova la cosa divertente o se è
irritato.
-Forse lei non sa che il mio lavoro è tenere d'occhio la
signorina, come la chiama lei, per tanto sono obbligato a scendere e a
partecipare al colloquio con il preside con o senza il suo permesso.-
dice con voce tranquilla e con un sorriso stampato in faccia che
rendono le sue parole ancora più taglienti.
Dalla classe si solleva qualche risata e la bidella si sposta stizzita per farci passare.
Scendiamo velocemente le scale in silenzio mentre l'ansia mi uccide da
dentro, sento le farfalle nello stomaco e spero veramente che Matteo
riesca a tirarmi fuori da tutta questa situazione anche se non mi
sembra possibile. Del resto perchè dovrebbe farlo?
So perfettamente dove si trova l'ufficio del preside anche se non ci
sono mai stata e quando mi trovo davanti alla porta, faccio un respiro
profondo, busso e aspetto il suo “avanti”.
Matteo rimane silenzioso e per un attimo mi viene il dubbio che non sia
più dietro di me e prima di entrare nell'ufficio mi giro e vedo
che sta ridendo sotto i baffi.
Sembra che non faccia altro che ridere! Almeno un po' di sostegno
potrebbe darmelo e se non altro potrebbe sforzarsi di fare il serio e
invece non ci prova nemmeno. Gli lancio un'occhiataccia e poi entriamo.
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Capitolo 18 *** I'm going back to the start ***
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L'ufficio
non è molto grande e c'è giusto lo stretto necessario. Una
scrivania marrone, uno scaffale con dei libri, una bandiera
dell'Unione Europea attaccata alla parete dietro la scrivania e foto
del preside con varie persone nelle altre pareti.
Il
preside quando ci vede entrare alza lo sguardo su di noi e si toglie
gli occhiali da lettura.
É
un uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati.
-Accomodatevi.-
dice mentre ci indica le sedie. Gli manca un dente davanti e un altro
è spezzato perciò non riesce a parlare correttamente e la sua voce
fa venire da ridere, ma cerco di trattenermi e lancio uno sguardo a
Matteo che sembra diventato serissimo di colpo. Evidentemente
troviamo divertenti cose diverse, è proprio strano questo tipo.
Tende la mano al preside e si presenta, mentre quest'ultimo lo
squadra dalla testa ai piedi e lo guarda come per dire: “Non sarai
un po' troppo giovane per fare il poliziotto?”.
Matteo
sembra non farci caso e si siede nella sedia, mentre io sono già
seduta. Il preside trae un profondo respiro.
-Allora
Giada, sono sicuro che tu sai perchè sei qui. Quello che è successo
ieri è un fatto estremamente grave, nessuno può permettersi di
uscirsene da scuola come e quando gli pare perchè per un gesto del
genere c'è l'espulsione..-
Appena
sento la parola espulsione sbianco totalmente e inizio a muovere
nervosamente la gamba. Lui continua con la sua ramanzina.
-Hai
idea dei guai che avresti fatto passare all'intera scuola se per
disgrazia ti fosse successo qualcosa lì fuori? A quanto mi risulta
il poliziotto che era con te in classe ti aveva chiaramente detto di
restare in classe, ma tu invece te ne sei fregata delle regole e te
ne sei uscita lo stesso. Adesso, io capisco la tua situazione,
capisco che hanno sparato a una persona che vuoi bene ed è per
questo che non ho intenzione di espellerti..-
Il
mio cuore riprende a battere normalmente e mi lascio scappare un
sospiro di sollievo.
-Ma
devi capire che le regole vanno rispettate, per questo ho intenzione
di sospenderti per una settimana con obbligo di frequenza e desidero
parlare nell'immediato con i tuoi genitori per informarli
dell'accaduto e per fare in modo che quello che è accaduto ieri non
si ripeta mai più.- conclude lui.
Il
mio cuore perde dei battiti per la seconda volta. Lo sapevo che alla
fine avrebbe voluto parlare con i miei genitori, per un attimo avevo
pensato che avrebbe lasciato correre per pietà e invece niente.
Maledizione.
Sto
per dire qualcosa, ma Matteo mi precede.
-Lei
ha assolutamente ragione. Giada si merita una punizione e una
sospensione mi sembra più che giusta perchè il suo gesto è stato
veramente grave e se per lei non è un problema vorrei informare
personalmente i suoi genitori per fare in modo che riceva una bella
punizione anche da loro. Sono molto deluso da lei in questo momento e
non voglio fargliela passare liscia per nessun motivo.-
Sono
sconcertata, non posso credere che abbia davvero detto tutto questo.
Deluso da me? Ma come si permette? Nemmeno lo conosco. Le uniche
persone che potrebbero essere deluse da me sono i miei genitori, Luca
e..Riccardo. Lui non ha nessun diritto di dirmi queste cose e non ha
nemmeno il diritto di avvisare i miei. Non so come ho fatto a
pensare, anche solo per un momento, che mi avrebbe coperto le spalle.
Che stupida che sono.
Mi
morsico il labbro inferiore mentre cerco di trattenere le lacrime dal
nervoso.
-D'accordo,
lascerò il compito di avvisare i suoi genitori a lei. La ringrazio
per la collaborazione.- dice il preside mentre sorride a Matteo.
Il
colloquio è chiaramente finito così ci alziamo, salutiamo e
usciamo. Sono così furiosa che decido di uscire fuori nel cortile
per prendere una boccata d'aria, mentre Matteo mi segue a ruota e
quando gli lancio un'occhiataccia vedo che sta sorridendo. Sorride!
Non ci credo, mi viene voglia di prenderlo a pugni. Mi fermo di botto
e mi giro verso di lui che è dietro di me, ma visto che non si
aspettava una reazione del genere mi viene addosso e la mia faccia si
ritrova nel mezzo del suo petto.
Lo
allontano immediatamente con le mani e sento i suoi addominali che
non mi lasciano del tutto indifferente, ma non mi fanno nemmeno
dimenticare quello che ha fatto.
Lui
rimane un attimo sconcertato e fa un passo indietro come se avessi la
lebbra. Vedo che la pensiamo allo stesso modo.
-Devi
smetterla di ridere. Devi toglierti quel sorrido dalla faccia! Non
posso credere che tu abbia detto realmente quelle cose, voglio dire,
chi sei tu per me? Con quale diritto mi punisci?-grido mentre lo
fisso. Devo alzare la testa visto che è piuttosto alto.
Lui
inclina la testa e cambia espressione, sembra frustrato.
-Ero
serio quando ti ho detto che non avrei detto niente. Pensavo l'avessi
capito che stavo mentendo al preside per coprirti le spalle. Non ho
intenzione di dire niente ai tuoi genitori senza il tuo permesso e
francamente penso che non debbano venire a sapere niente perchè
hanno abbastanza problemi. Ci sono stato così tante volte
nell'ufficio del preside quando avevo diciassette anni, che so
perfettamente cosa significa cacciarsi nei guai. Ti assicuro che non
uscirà una parola dalla mia bocca e non ho intenzione di farti una
ramanzina perchè sei abbastanza grande per capire da sola che hai
sbagliato. E mi dispiace se il mio sorriso ti da così tanto
fastidio, ma sono un tipo molto positivo che prende tutto sul ridere.
Non posso farci niente- dice con un tono di voce e un sorriso che
sembrano volersi scusare.
E
il premio come miglior figura di merda va a..Giada! Un grande
applauso!
Voglio
sotterrarmi, non posso credere di averlo aggredito così quando in
classe mi aveva chiaramente detto che non avrebbe detto niente.
Certo, era riferito a Luca e dal preside parlavamo dei miei genitori,
ma in ogni caso avrei dovuto chiedergli delle spiegazioni invece che
aggredirlo così.
-Io..-tento
di dire visibilmente in imbarazzo. La mia faccia diventa viola.
-Facciamo
così, perchè non iniziamo tutto da capo? Piacere, io sono Matteo e
ho ventiquattro anni.-dice mentre sorride e mi tende la mano. Oltre
ad essere alto, avere gli occhi azzurri, avere i capelli biondi,avere
degli addominali che fanno paura è pure più giovane di quanto
credevo!
Stringo
la sua mano e mi trattengo dal dirgli che è la fotocopia di
Marchisio e che è un grandissimo figo.
-Io
sono Giada e ho diciassette anni.- mormoro ancora imbarazzata.
Scoppiamo
a ridere e lentamente torniamo in classe mentre non posso fare a meno
di pensare che Matteo sia proprio carino. Arrossisco leggermente e
appena mettiamo piede in classe gli occhi di tutti si puntano di
nuovo su di noi, come sempre, ma questa volta lascio perdere e vado a
sedermi al mio posto mentre spiego brevemente a Federica e ad Alessia
cosa mi ha detto il preside.
Il
resto dell'ora lo passo a fingere di ascoltare la lezione d'inglese,
mentre in realtà sto giocando a tris con Matteo. Se la professoressa
mi becca sono ufficialmente morta, senza dover aspettare sei giorni!
Quando
mi giro per guardare fuori dalla finestra vedo che Claudia è
incantata a guardare Matteo.
-Credo
che Claudia si sia innamorata di te.-gli dico sottovoce.
Lui
fa un sorriso sghembo.
-Pensi
che se le mando un mazzo di rose con scritto “Scusa non mi
interessi” mi perdonerà?-
-No,
non credo.- esclamo io, mentre vinco a tris per la terza volta di
fila.
Anche
se mi sto divertendo non vedo l'ora che finisca questa giornata di
scuola per poter andare da Riccardo, ho tante da dirgli.
Ehm, si, ho un debole per Marchisio, non si era capito? U_U Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Nel prossimo capitolo Giada finalmente riuscirà a vedere Riccardo. Secondo voi che cosa gli dirà? ;)
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Capitolo 19 *** Ciao Riccardo! ***
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Sono
appena arrivata in ospedale e l'odore tipico di disinfettante mi
solletica il naso. Non ho idea di dove sia la stanza di Riccardo e
per questo Luca mi sta aspettando nella sala d'attesa.
Appena
lo vedo lo abbraccio e gli do un bacio sulla guancia.
-Nanetta
com'è andata a scuola?-
-Tutto
bene e a te com'è andata la mattinata?-
Fa
una smorfia.
-Ti
accompagno da Riccardo.- dice cambiando argomento.
L'ospedale
è abbastanza grande e Riccardo è ricoverato al terzo piano nel
reparto di terapia intensiva. La sua stanza è la prima a sinistra.
Luca apre la porta e mi fa entrare, poi se ne va e mi lascia da sola
con Riccardo. Non sembra nemmeno lui, è pieno di tubi ed è
collegato a un sacco di macchinari. Mi salgono le lacrime agli occhi,
è così triste vederlo nel letto inerme.
-Ah
Giada, quasi mi dimenticavo-dice Luca mentre si affaccia sulla porta.
-Sabato
sera ho una sorpresa per te. Manca ancora qualche giorno, ma te lo
volevo dire già da adesso. Non vedo l'ora, sono sicuro che un po' di
svago ci farà bene. Ci vediamo dopo!-
E
se ne va definitivamente lasciandomi lì come un deficiente. Sa
perfettamente che odio le sorprese e allora perchè mi vuole fare una
sorpresa? Sono curiosa di sapere che cosa sarà, ma decido di
pensarci dopo perchè ora voglio pensare solo a Riccardo.
Mi
avvicino a lui e gli do un bacio sulla guancia attenta a non toccare
i tanti tubi che entrano ed escono dal suo corpo.
Avvicino
la sedia che c'è affianco al letto così da potergli stringere la
mano.
-Ciao
dormiglione, come stai?-lo saluto. -Sono successe un sacco di cose
nelle ultime ventiquattro ore e ho un disperato bisogno di parlarne
con qualcuno e visto che tu adesso stai dormendo e non mi puoi
rimproverare penso proprio che dirò tutto a te. Da dove inizio?
Dunque, abbiamo scoperto il nome dell'assassino, ma penso che Luca te
lo abbia già detto prima di me, in ogni caso lunedì prossimo
finalmente lo incontrerò faccia a faccia per la prima e ultima
volta. Mi ha fatto trovare una foto e un biglietto che ho nascosto
nel libro che sto leggendo, non voglio che nessuno lo sappia. Si, lo
so che cosa stai pensando e riesco perfino a immaginarmi il tuo tono
di voce severo che mi rimprovera per un gesto tanto stupido, ma che
cosa posso fare? Tu sei disteso in un letto d'ospedale per colpa mia
in un certo senso e non ho intenzione di vedere altre persone fare
questa fine. No, non scriverò a nessuno delle lettere strappalacrime
come hai fatto tu, che tra l'altro era stupenda. Mi manchi così
tanto e sono passate solo poche ore. Maledizione Riccardo ti devi
svegliare perchè voglio salutarti per l'ultima volta e guarda qua
che hai combinato! Mi hai fatto piangere di nuovo. Ti dovrei
denunciare lo sai?- dico con un mezzo sorriso mentre mi asciugo una
lacrime e riprendo fiato. -Mi domando se tu riesca a sentirmi, da una
parte spero di sì, dall'altra spero di no. Spero di no perchè se ti
dovessi svegliare dopo che io sarò già..morta e avrai sentito
questa conversazione sono sicura che ti faresti venire i sensi di
colpa per niente. Sai che oggi ho conosciuto Matteo? Mi delude sapere
che non tu non me lo abbia presentato prima, deve accompagnarmi a
scuola più spesso! É troppo carino e ha degli addominali da paura!
Oh su, non fare il geloso, non glieli ho mica visti! Ti assicuro che
è stato un caso. Sai che oggi ho preso un due in inglese, un
ammonizione, un colloquio con il preside più una sospensione?
Naturalmente Luca non lo deve sapere, ha così tante cose a cui
pensare. Manchi tanto anche a lui, in realtà manchi a tutti perciò
muovi le chiappe e svegliati che senza di te non c'è divertimento. A
proposito di divertimento hai sentito prima quando Luca mi ha detto
che sabato ci sarà una sorpresa per me? Secondo te, che intenzioni
ha? Non per dire, però secondo me sta approfittando della tua
assenza momentanea per farmi fare qualcosa che tu non approveresti
mai! Devi svegliarti e riprendere in mano la situazione altrimenti mi
toccherà portare Luca in qualche squallido bar per farlo ubriacare
così per una volta smetterà di lavorare. Sono sinceramente
preoccupata per lui, sei il suo braccio destro e non puoi
abbandonarlo proprio adesso. Spero soltanto che tu riesca a
svegliarti prima di lunedì. Non voglio che rimanga solo.-continuo a
parlagli imperterrita fino a quando qualcuno bussa sulla porta già
aperta. Per un attimo mi spavento perchè ero convinta che la porta
fosse chiusa, ma quando mi accorgo che è il medico e non Luca faccio
un sospiro di sollievo.
Entra
nella stanza con il classico camice bianco, gli occhiali neri, i
capelli neri e un viso affabile, avrà all'incirca quarantacinque
anni.
Si
avvicina a Riccardo e controlla i monitor, cambia una flebo e annota
qualcosa nella cartella clinica e infine mi guarda e sorride come a
volersi scusare.
-Mi
dispiace interromperti, ma l'orario delle visite è terminato.-
Non
sapevo che finisse così presto l'orario delle visite, avevo
intenzione di rimanerci a lungo e invece me ne devo andare.
Il
medico, che probabilmente si è accorto della mia delusione, si
avvicina alla porta e si volta nuovamente verso di me.
-Ti
posso concedere altri cinque minuti, non di più.-
-Grazie
mille.-
Sorride
di nuovo e poi esce lasciando la porta aperta.
Mi
alzo dalla sedia e la sposto vicino al muro mentre il mio sguardo
cade sulla televisione appesa nella parete di fronte al letto di
Riccardo e sorrido leggermente. Mi avvicino e mi alzo in punta di
piedi per riuscire a prendere il telecomando. Accendo la televisione
e dopo un breve zapping tra i canali vedo che trasmettono uno dei
telefilm preferiti di Riccardo. Mi riavvicino a lui.
-Hai
visto che c'è White Collar? Santo Cielo quanto è sexy Matt Bomer!
Si, lo so che te l'ho già detto un sacco di volte. Stavo notando che
tutto sommato non ti è andata male no? La stanza è grande, sei da
solo, le finestre si affacciano proprio sul giardino e hai pure la
televisione. Va bene, me ne vado così puoi guardare la televisione
in pace. Ci vediamo domani dormiglione. Ti voglio bene.- gli dico
mentre gli do un bacio nella guancia e lascio la sua mano. Per un
attimo mi sembra di aver sentito la sua mano stringere la mia, ma
quando mi avvicino per osservare meglio noto con profonda delusione
che Riccardo è immobile esattamente come quando sono entrata. Mi
sono soltanto illusa.
-Vedrai
che si risveglierà. Le probabilità sono molte alte.-dice una voce
alle mie spalle.
Non
mi sono accorta che il medico è entrato di nuovo in stanza.
-Lo
spero. Arrivederci e grazie.-lo saluto mentre gli passo a fianco e mi
dirigo verso l'uscita.
Pensavo
di trovare Luca nella sala d'aspetto, invece c'è Matteo e mi dice
che Luca è andato via poco fa e ha chiesto a lui di accompagnarmi.
Strano.
Mi
faccio lasciare a casa di Luca perchè devo prendere alcune cose che
ho lasciato a casa sua. Durante il tragitto non parliamo, non ho
voglia di dire niente e Matteo sembra averlo capito, così mi lascia
pensare in pace e quando arriviamo mi saluta con il suo solito
sorriso a trentadue denti. Mi lascia senza fiato.
Quando
entro in casa Luca mi saluta come al solito con affetto e gli dico
che oggi non dormirò lì, ma che sono venuta a prendere alcune cose.
C'è
qualcosa di strano, ma non riesco a capire che cosa. Entro in stanza
e prendo la poca roba dai cassetti, lo spazzolino e ancora ho la
sensazione che ci sia qualcosa di strano e non riesco a capire che
cosa fino a quando non mi avvicino al comodino per prendere il libro.
É spostato, e sono sicura di non essere stata io a toccarlo. Un
brivido freddo mi attraversa la schiena.
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Capitolo 20 *** Lo sai o non lo sai? ***
gh
Apro immediatamente il libro e controllo che la foto e il
biglietto siano ancora lì. Non mi ricordo in che pagina li avevo
messi la prima volta eppure anche questi mi sembrano in qualche modo
spostati. Prendo il libro e vado in cucina da Luca che è intento
a cucinare la carne. Solo l'odore mi provoca la nausea.
-Luca.-dico in attesa che si volti e mi guardi in faccia. Si volta e mi
sorride tranquillamente come se non ci fosse niente di strano.
-Si?-
-Hai..letto questo libro oggi?-chiedo mentre cerco di tenere un tono di voce neutrale.
Lui alza un sopracciglio.
-Secondo te ho avuto il tempo di leggere?-mi risponde con un'altra
domanda eppure il suo tono di voce è normale, allegro e stanco
come sempre e non sembra affatto arrabbiato.
Se fosse venuto a conoscenza del bigliettino e della foto o se avesse
ascoltato la conversazione con Riccardo a quest'ora sarebbe stato
furioso e mi avrebbe sottoposto a un infinito interrogatorio e
naturalmente non mi sarei scampata la ramanzina con tanto di sensi di
colpa al seguito.
Invece era come se non sapesse veramente niente, nonostante il libro
fosse spostato e la porta della stanza di Riccardo fosse rimasta aperta
per tutto il tempo. Qualcosa sembra non quadrare, ma mi convinco che
siano tutte coincidenze, altrimenti non l'avrei passata così
liscia e nel giro di qualche minuto ho già lasciato la faccenda
alle spalle.
Sabato è arrivato e sto per scoprire quale sarà la
sorpresa che Luca ha organizzato, non ho idea di dove andremo, ma
sarà qui per le dieci, cioè tra un'ora e non sono ancora
pronta. Non ho idea di cosa mettermi, mi ha semplicemente detto di
vestirmi elegante, ma non mi sento molto a mio agio con i vestiti. Mia
madre bussa alla porta e quando vede che sono ancora vestita da casa mi
lancia un'occhiataccia, apre l'armadio e tira fuori un vestito color
corallo rosso con una fascia di strass sopra lo stomaco e due fiori
ricamati in alto. Non avevo minimamente idea che ci fosse un abito
così bello dentro il mio armadio.
-Appena l'ho visto l'ho comprato. Sono sicura che ti starà
benissimo e sarà perfetto per questa sera.-esclama mia mamma
entusiasta.
Provo il vestito e noto che addosso è ancora più bello.
Nonostante io non abbia il fisico da modella questo vestito lo fa
sembrare perfetto e adesso che il vestito l'ho trovato, rimane il
problema delle scarpe, ma non faccio in tempo a cercare una soluzione
che mia madre ce l'ha già a portata di mano. Un nuovo paio di
decoltè nere lucide con un tacco da dodici. Sono stupende.
-Dovrebbe essere il tuo numero.- dice mia madre mentre me le fa
misurare. Mi stanno benissimo e mi avvicino allo specchio grande per
vedermi tutta intera.
Non mi ricordo quando è stata l'ultima volta che mi sono vestita
così elegante, almeno sapessi per che cosa lo faccio!
Decido di truccarmi, amo l'azzurro perciò decido di mettermi la
matita azzurra insieme al mascara mentre per l'ombretto opto per un
colore simile al vestito e infine aggiungo un po' di lucidalabbra
trasparente.
Sento bussare alla porta e mi accorgo che ho impiegato un'ora per fare
queste semplici cose. Ah, noi donne. Mi guardo un'ultima volta allo
specchio e sembro totalmente un'altra persona, questo abito in qualche
modo mi sembra esagerato, troppo elegante.
-Secondo te è eccessivo?-chiedo a mia madre che mi guarda dalla porta.
-Sei bellissima.- dice lei mentre si avvicina e mi dà un bacio
sulla guancia. -Ora vai e divertiti. Dormirai da Luca stanotte visto
che tornerete tardi e ti ho già portato la roba lì.-
Sorriso e la ringrazio mentre mi affretto a scendere le scale. Nel fra
tempo mio padre ha aperto la porta e mentre scendo al piano di sotto
Luca, Matteo e mio padre si fermano a guardarmi. Sto cercando di capire
a quale dei tre verrà un infarto per primo. I loro sguardi sono
puntati verso di me e io mi sento terribilmente a disagio. Arrossisco
violentemente e finisco di scendere le scale.
Abbasso lo sguardo e fisso i miei piedi.
-É eccessivo vero?-domando morsicandomi il labbro inferiore.
-No, è perfetto.- dice Luca mentre mi sorride.
Salutiamo mio padre e saliamo nella macchina di Luca.
-Non sapevo che ci fossi anche tu.-dico rivolta verso Matteo che si
è seduto dietro lasciando a me l'onore di sedermi davanti.
-Non lo sapevo nemmeno io.-risponde mentre lancia un'occhiata a Luca.
Lui sorride sotto i baffi e noto che anche loro due sono vestiti molto
eleganti. Dei jeans, una camicia bianca dentro i pantaloni e una giacca
nera elegante. Sembrano gemelli.
I riccioli di Luca sono spettinati come sempre e il suo profumo
è buonissimo; anche Matteo ha un profumo che già conosco,
dovrebbe essere “Acqua di Giò” di Giorgio Armani. Ci
mancava solo il suo profumo a farmi girare la testa, come se lui non
fosse già in grado di farlo da solo.
-Avete intenzione di fare conquiste?-domando.
-Dovremmo chiederlo a te!-risponde Matteo.
Sorrido imbarazzata.
-Posso sapere dove stiamo andando?-
-No.-rispondono loro due contemporaneamente.
Alzo gli occhi al cielo e sto in silenzio per tutto il resto del
viaggio. Cerco di non pensare al fatto che oggi sia già sabato e
che mi resta solo un giorno e mezzo per fare quello che mi pare. Scuoto
la testa e faccio prendere ai miei pensieri un'altra direzione, del
resto oggi mi devo divertire, oggi non si pensa a niente di male.
Dopo venti minuti di viaggio arriviamo in una località di mare e
ci parcheggiamo davanti a un ristorante pizzeria chiamato
“Modesto”. Appena entriamo un odore di pizza ci travolge e
inevitabilmente mi viene la nausea. Sapevo che saremmo andati a
mangiare prima di andare nel luogo della vera sorpresa, ma in questa
settimana il mio appetito è diminuito ulteriormente e mangio a
malapena due pasti al giorno. La cena non rientra tra i pasti che
mangio. Inutile dirvi che sono dimagrita tantissimo in questi ultimi
mesi, altro che dieta.
Il ristorante è abbastanza grande e c'è già un
sacco di gente e i tavoli rimasti sono veramente pochi. Le pareti sono
azzurre e piene di foto. In sottofondo si sente una canzone del momento
molto orecchiabile che ho già sentito alla radio diverse volte.
Un cameriere ci viene incontro e ci chiede se abbiamo prenotato e alla
risposta positiva di Luca ci accompagna a un tavolo un po' in disparte
dal resto della sala e ci fa accomodare lasciandoci i menù.
Alla fine decidiamo tutti quanti di prendere la pizza, io naturalmente la prendo margherita.
Dopo circa mezz'ora ci portano le pizze e mentre Matteo e Luca la
mangiano nel giro di cinque minuti, io dopo mezz'ora ho mangiato solo
uno spicchio.
-Non hai mangiato praticamente niente!- dice Matteo mentre indica con un dito il mio piatto.
-Non ho molta fame.- rispondo con una smorfia.
-Come mai?-mi chiede Luca e per un attimo mi sembra che la domanda sia più un'accusa che una semplice curiosità.
Scrollo le spalle tenendo lo sguardo puntato su di lui per cercare di
capire se c'è qualcosa che non va, ma lui come al solito si apre
in un sorriso e mi ruba la pizza dal piatto e la divide con Matteo.
A distanza di qualche giorno ho di nuovo la sensazione che Luca sappia più cose di quanto dovrebbe.
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Capitolo 21 *** Tra Angelo Azzurro e bugie ***
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Non appena finiscono la mia pizza continuiamo a parlare del
più o del meno ridendo e scherzando come se nulla fosse e dopo
un bel po' di tempo Matteo lancia un'occhiata a l'orologio e fa notare
che è già mezzanotte e che dobbiamo andare.
Dopo aver pagato ed essere usciti dal ristorante la mia
curiosità inizia ad aumentare a dismisura. Mi dirigo verso la
macchina, ma con un cenno Luca mi dice che dobbiamo proseguire a piedi.
Attraversiamo la strada semi deserta e dopo aver percorso un breve tratto ci troviamo..nella spiaggia.
Era questa la sorpresa? Portarmi a passeggiare sulla spiaggia? La delusione si fa strada dentro di me.
Iniziamo a camminare sulla sabbia e mi tolgo i tacchi. La sabbia
è fresca e rende piacevole la camminata. Ognuno è immerso
nei proprio pensieri, ma vedo un sorriso di soddisfazione sulle labbra
di Luca e non capisco cosa ci sia di così divertente fino a
quando non vedo un locale sulla spiaggia che ha tutta l'aria di essere
una discoteca.
Mi hanno portato in discoteca? Non ci posso credere! Mi hanno portato in discoteca!
-Stiamo andando in discoteca?-
Matteo e Luca annuiscono e io inizio a saltare come un deficiente.
-Non ci posso credere. Vi adoro! Grazie, grazie, grazie.-dico mentre abbraccio prima uno e poi l'altro.
Dopo il mio attimo di pazzia arriviamo nella discoteca che è per
metà all'aperto e per metà dentro e noi ci dirigiamo
all'interno dove la musica ci assorda immediatamente e riuscire a
parlare tra di noi diventa un'impresa. É quasi impossibile
restare vicini visto che è pieno di gente che si muove e ci
sballotta da una parte all'altra.
Anche noi iniziamo a ballare come se fosse la cosa più naturale
del mondo e riesco a vedere sul viso di Matteo e Luca il divertimento.
Chissà da quanto tempo non si divertivano così tanto!
Quando la giacca di Luca si solleva noto che ha con sé la
pistola e questa cosa mi mette a disagio, pensavo veramente che avremo
lasciato i problemi a casa questa sera.
Lui si accorge del mio disagio e si avvicina al mio orecchio.
-Non potevamo lasciarle a casa. Mi dispiace.-urla lui.
Annuisco e ritorno a ballare a ritmo di musica. Una ragazza bionda, con
occhi azzurri, e delle forme mozzafiato si avvicina a Matteo e dal
labiale riesco a capire che gli ha appena chiesto se voleva ballare con
lei e lui con un cenno del capo le risponde di no. Lei se ne va un po'
offesa e lui scrolla le spalla e a Luca gli fa:-Non è il mio
tipo.-
Lui scoppia a ridere e gli lancia un'occhiata come per dire “si certo come no”.
Il DJ cambia canzone ogni due minuti e anche se non è il genere
di musica che ascolto io, riesco a muovermi benissimo qua dentro e mi
diverto tantissimo. Un'altra ragazza con capelli e occhi scuri,
truccata eccessivamente, con almeno una quarta di seno e un sorriso
smagliante si avvicina a Luca e gli urla nell'orecchio:-Ti va di venire
fuori con me?- e gli bacia un orecchio. Io e Matteo ci lanciamo
un'occhiata un po' perplessa.
Luca si allontana leggermente da lei e con volto impassibile le
risponde semplicemente:- No, grazie.- e quando la ragazza se ne va lui
lancia un'occhiata al suo fondo schiena e si limita a fare una smorfia.
-Perchè non la smettete di tenermi d'occhio e andate a rimorchiare qualche ragazza?-urlo io, mentre trattengo una risata.
Scuotono la testa entrambi, ma quando mi siedo al bancone del bar e gli
dico che non mi muoverò da qui si convincono e si buttano al
centro della discoteca e in un attimo li ho persi di vista.
Dal momento che sono in discoteca e che sarà la prima e ultima
volta che ci metterò piede, decido di prendermi un cocktail
tanto per dire che ne ho assaggiato uno. Sbircio velocemente il listino
che c'è nel bancone e decido di prendere un angelo azzurro.
Richiamo l'attenzione del barman e gli dico che cosa voglio, ma lui mi
squadra dalla testa ai piedi e aspetta qualche secondo prima di
chiedere:-Ce li hai diciott'anni? Mi serve un documento.-
Non solo non ho un documento, ma non ho nemmeno diciott'anni. L'ho
sempre detto che essere maggiorenni ha dei vantaggi incredibili. Solo
perchè sono un anno più piccola mi vedo tolta la
possibilità di bere l'unico cocktail della mia vita.
-Lo dia a me.-dice Matteo alle mie spalle.
Il barman mi guarda per vedere se a me sta bene e dopo un'istante
prepara l'Angelo Azzurro e lo serve a Matteo che si è seduto a
fianco a me.
Lui mi passa il cocktail e inizio a berlo. L'alcool che scenda
giù nella gola me la fa bruciare leggermente, ma ha un sapore
buonissimo.
-Come mai non sei in pista?-gli chiedo mentre gli indico il mio bicchiere offrendogli il cocktail.
-No, grazie, devo essere lucido. Del resto sono in servizio, no?
Comunque, non c'è nessuna che mi interessa. Preferisco stare
qui.-dice sorridendo.
Arrossisco lievemente e per evitare che se ne accorga prendo il mio
bicchiere in mano e giro nella sedia così da avere lo sguardo
rivolto verso la pista e Matteo mi imita.. Vediamo Luca in pista che si
scatena e Matteo tira fuori il cellulare e inizia a fargli delle foto.
-Con queste potremmo ricattarlo.- dice ammiccando verso di me.
Scoppio a ridere e proprio in quel momento Luca ritorna verso di noi.
-Non ho più l'età-esclama affannato. -E ti conviene cancellare le foto.- dice con finto tono serio a Matteo.
Si siede nella sedia alla mia destra e lancia uno sguardo al mio
bicchiere, ma quando gliene offro un goccio rifiuta anche lui e alla
fine me lo bevo tutto io.
Non pensavo di reggere così bene l'alcool e nonostante l'Angelo
Azzurro sia fortissimo rimango perfettamente lucida fino alle cinque
dopo che abbiamo ballato, saltato, riso e scherzato e decidiamo di
andarcene.
Io ho i piedi distrutti per colpa dei tacchi, ecco perchè
preferisco un paio di Converse e durante il viaggio di ritorno nessuno
dice niente perchè siamo troppo stanchi per dire qualunque cosa.
Quando arriviamo in commissariato, scendiamo dalla macchina e Matteo si avvia verso la sua.
-Grazie per la serata. Mi sono divertito tantissimo! Buonanotte!-dice salutando con la mano.
-Buonanotte!-rispondiamo insieme io e Luca, mentre ci avviamo verso casa sua.
Appena metto piede in casa mi tolgo i tacchi e li butto per terra e mi
dirigo in camera mia pronta a gettarmi nel letto all'istante.
-Giada?-mi chiama Luca.
-Mmm?-
Lui si affaccia in stanza.
-Ti sei divertita stasera?-chiede in tono serio.
Mi volto verso di lui e sorrido.
-Penso di non essermi mai divertita così tanto in vita mia. Ci
voleva proprio una serata così.- e vado ad abbracciarlo. Lui
sembra riluttante a ricambiare l'abbraccio, ma dopo mi stringe a
sé e affonda la faccia nei miei capelli. -Grazie, davvero. Per
tutto. Sei davvero una persona fantastica e il migliore amico del
mondo.-dico stringendolo più forte, mentre cerco di mandare
giù il groppo che ho in gola.
Lui non dice niente per qualche istante.
-Perchè mi dici queste cose?-
Mi sarei aspettata di tutto tranne questa domanda. Sciolgo l'abbraccio
per guardarlo bene in faccia e il suo volto è impassibile. Ho
come l'impressione che aver fatto venire Matteo all'ultimo momento,
avermi portato in discoteca e avermi fatto divertire sia stato soltanto
un modo per farmi capire tutto quello che mi perderò da
lunedì. Di nuovo ho la sensazione che lui sappia molto di
più di quello che lasci intendere.
-Te le volevo dire. Non te lo dico mai.-mento, sapendo perfettamente
che quello è il mio modo per salutarlo nonostante mi rimanga
ancora un giorno.
Lui si apre in un sorriso e mi scompiglia i capelli.
-Sei sempre così sincera.- dice mentre mi fissa attentamente
negli occhi -Ti voglio bene. Buonanotte!- mi saluta mentre scompare
chiudendo la porta dietro di sé.
Nonostante ci siano tante cose che mi insospettiscono rimango dell'idea
che se Luca sapesse qualcosa non mi tratterebbe così dolcemente,
ma anzi, non mi rivolgerebbe la parola.
Con questi pensieri mi tolgo il vestito e mi butto nel letto
addormentandomi all'istante e per la prima volta dopo mesi senza
sognare niente.
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Capitolo 22 *** L'ultimo saluto a Riccardo ***
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Un raggio di sole mi arriva proprio sugli occhi ed è
questo che mi sveglia. Apro lentamente gli occhi spostando la testa per
riuscire a vedere l'orologio. É mezzogiorno e mezzo e non mi
capitava di dormire così tanto da mesi, mi sento veramente
riposata anche se le orecchie mi fischiano ancora per via della musica
assordante di ieri notte.
Mi alzo con la velocità di un bradipo e rimango seduta nel letto
per qualche istante pensando a quello che devo fare nel mio ultimo
giorno. La prima cosa è sicuramente andare a salutare Riccardo,
poi stare con la mia famiglia e cazzeggiare tutto il resto del giorno
in attesa che arrivi il domani. Che giornata interessante. Pensandoci
bene devo anche trovare il modo di scappare senza farmi vedere, non
sono ancora riuscita a trovare un metodo abbastanza efficace. Mi
farò venire in mente qualcosa, in qualche modo riuscirò a
scappare domani.
Faccio uno sbadiglio e vado in cucina.
-Luca?-chiamo.
Nessuna risposta e proprio in quel momento mi squilla il cellulare che è sul tavolo.
-Ti sei appena alzata vero?-mi chiede Luca dall'altro capo del telefono
e dal tono di voce capisco che sta sorridendo. -Scommetto che vuoi
andare da Riccardo. Appena sei pronta scendi giù, qualcuno ti
accompagnerà.- conclude lui.
Sono così prevedibile? Penso tra me. Lo ringrazio e vado a farmi
la doccia e nel giro di quindici minuti sono pronta e scendo le scale,
mentre fuori un poliziotto in divisa mi sta aspettando. É uno di
quelli antipatici, uno dei più anziani, con la barba bianca e
lunga e i capelli radi, bianchi anche loro. Mi saluta a malapena e di
certo io non mostro entusiasmo alla sua vista, ma mi accontento e salgo
in macchina. Naturalmente nessuno dice niente durante il tragitto e per
fortuna che l'ospedale è vicino e non appena arriviamo scendo
velocemente e vado dentro, abituata ormai a farmi i tre piani di scale
che mi portano alla stanza di Riccardo.
Il poliziotto invece rimane nella sala d'aspetto.
Appena arrivo davanti alla sua stanza, vedo che la porta è
aperta e dentro c'è il medico che il primo giorno mi aveva
permesso di restare ancora un po'. Ormai ci incontriamo sempre e ogni
volta mi lascia stare con Riccardo qualche minuto in più.
-Salve dottore.-lo saluto allegramente.
-Ciao Giada. Come stai?- mi chiede aprendosi in un sorriso.
Approfitto di questa domanda per chiedergli una cosa che avevo in mente
di fare già da un paio di giorni, ma non ne avevo mai avuto
l'occasione. Questo è il momento perfetto.
-Benino. In realtà volevo chiederle una cosa.- dico sottovoce.
Lui diventa stranamente attento e inclina la testa per osservarmi meglio e con un gesto della mano mi incita a continuare.
-Da qualche mese soffro di attacchi di panico e la notte non riesco quasi a dormire e volevo sapere se mi poteva dare qualcosa.-
Lui sembra rifletterci su qualche istante e poi annuisce.
-In realtà qualcosa ci sarebbe, però per una ragazzina
non è molto indicato, soprattutto per la tua età.
É un farmaco in grado di far passare gli attacchi di panico,
tuttavia non li guarisce e per questo deve essere associato a una
terapia cognitiva comportamentale. Stai già andando da uno
psicologo?-
-Devo andarci domani per la prima volta.-mento con tranquillità.
Lui annuisce e prende un foglio e una penna e inizia a scrivere. Poi si avvicina e me lo consegna.
-Si chiama Xanax e lo puoi prendere anche alla farmacia dell'ospedale
che si trova al piano terra. Lo devi prendere quando ti senti molto
agitata. Puoi prendere da un minimo di cinque gocce a un massimo di
quindici, poi quando vai dallo psicologo riuscirete a trovare un
accordo per quanto tempo dovrai assumerlo.-
Annuisco e lo ringrazio, mentre lui se ne esce e chiude la porta.
In realtà il farmaco non mi serve per gli attacchi di panico, o
meglio sì, ma solo per domani. Ho intenzione di prenderlo prima
di andare dall'assassino, perchè non voglio che mi venga un
attacco proprio mentre vado da lui altrimenti questo manderebbe in
frantumi il mio piano. Devo essere calma e concentrata e queste gocce
me lo permetteranno.
Mi siedo nella sedia vicino al letto di Riccardo e come al solito gli prendo la mano.
-Ciao dormiglione, oggi sono venuta un po' più tardi del solito,
ma ieri siamo andati in discoteca e siamo tornati alle cinque del
mattino. Ci siamo divertiti tantissimo e ci saresti dovuto essere.
Dovevi vedere Luca come si scatenava. Se ci penso mi viene da ridere,
sai mi mancheranno tutte queste cose. Si, sono venuta per salutarti,
per l'ultima volta. Lo sai che domani non potrò venire
perciò ti saluto adesso. Non ti lascerò una lettera come
hai fatto tu, anche se forse dovrei visto che molto probabilmente
quando ti sveglierai non ti ricorderai niente di tutto quello che ti ho
detto. Riesco quasi a sentire la tua voce che cerca di urlare e cerca
di impedirmi di fare questa cazzata, ma non puoi farlo, e da una parte
sono contenta. Probabilmente se tu non fossi in coma non avrei mai
decido di fare una cosa del genere e se mi soffermassi più del
dovuto a pensare a tutto quello che lascerò probabilmente
cambierei idea. Per questo cerco di pensarci il meno possibile, ma
tu..tu devi farmi una promessa. Mi devi promettere che ti risveglierai
il prima possibile perchè Luca da solo non ce la fa, lo capisci?
Non..non ce la può fare e adesso che io me ne vado sarà
completamente solo perciò promettiti che ti prenderai cura di
lui e non ti sentirai in colpa per niente. Me lo prometti?-chiedo con
la voce rotta dal pianto e per un'istante penso davvero che mi
risponderà. -Grazie davvero per tutto quello che hai fatto in
questi mesi. Non mi hai lasciata sola neanche un attimo e ti sei
impegnato tantissimo. Sei stato un ottimo amico e la tua spalla era
sempre pronta per me. Non lo dimenticherò mai. Sei una persona
davvero speciale e non posso credere che non hai ancora trovato una
fidanzata! Certo che se continui a dormire non la troverai mai, non
credi?-
Mi alzo dalla sedia e lo abbraccio stando ben attenta ai tubi che gli
attraversano il corpo e spero di sentire le sue braccia che mi
avvolgono, ma non succede niente. Come sempre.
-Mi dispiace, mi dispiace così tanto. So che vi causerò
tantissimo dolore a te, a Luca, alla mia famiglia, ma è davvero
necessario. E questo non significa che non vi voglio bene, significa
soltanto che non c'è altra soluzione lo capisci? Ti voglio un
bene dell'anima, non dimenticarlo.-
Sciolgo l'abbraccio mentre le lacrime mi rigano il volto e per un
attimo sono tentata di raccontare tutto a Luca, ma guardare Riccardo
disteso su questo letto mi ricorda che cosa sarebbe capace di fare
Michelangelo se non mi presentassi domani. Non posso mandare tutto a
puttane. Non adesso.
Bacio un'ultima volta Riccardo sulla guancia e mi avvio sulla porta
dove mi giro a guardarlo. Mi dispiace che l'ultima immagine che
avrò sarà quella di lui disteso in un letto d'ospedale,
avrei preferito vederlo sorridere.
Esco velocemente dalla stanza e chiudo la porta alle mie spalle. Mi
asciugo le lacrime e non appena riprendo un po' di autocontrollo scendo
le scale e vado in farmacia dove mi consegnano lo Xanax in gocce. Sono
proprio curiosa di vedere che effetto mi fa e che cosa si sente quando
si prende.
Raggiungo il poliziotto in sala d'attesa che sta leggendo il giornale e
quando mi vede arrivare alza gli occhi e mi osserva a lungo,
probabilmente si è accorto che stavo piangendo. Mette da parte
il giornale e usciamo dall'ospedale. Quando saliamo in macchina mi
chiede dove mi deve lasciare e gli dico di portarmi a casa.
Devo passare le ultime ore con la mia famiglia.
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Capitolo 23 *** L'ultima giornata ***
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Quando entro a casa mia madre è intenta a cucinare,
mio padre è a lavoro, mia sorella è a pranzo da un'amica
e mio fratello sta guardando la televisione.
Quando saluto, mia madre inizia a farmi l'interrogatorio sulla serata
di ieri, così mentre apparecchio la tavola le racconto tutto
quanto. Quando parlo e mi soffermo sui particolari della serata ridendo
a crepapelle lei si rallegra e sembra sinceramente contenta per me. Se
solo sapesse quello che mi aspetta domani..
Per la prima volta dopo settimane riusciamo a mangiare insieme e lei ha
perfino cucinato le patatine fritte che adoro e anche se non ho molto
appetito non riesco a dire di no e me le mangio nel giro di qualche
minuto.
-Mamma, ti va se ci guardiamo qualche film più tardi?-chiedo con la bocca piena.
-Certo, è da molto che non passiamo un po' di tempo insieme.-
Decidiamo di guardare film drammatici e optiamo per The Last Song, I
Passi Dell'Amore e Ho cercato il tuo nome, insomma tante lacrime e
tanto Sparks.
Visto che sono soltanto le due del pomeriggio mi metto un po' al
computer ed entro su Twitter per vedere le novità, e infine
decido di aiutare mia madre nelle pulizie di casa.
Spolvero la mia stanza, quella dei miei genitori e infine quella di mio
fratello ed è proprio qui che trovo la via di fuga ideale. La
finestra di mio fratello si trova sopra una specie di tettoia che
collega casa nostra al terrazzo di mia nonna e io non devo far altro
che attraversare la tettoia senza cadere nel mio orto o nella casa
disabitata e vecchia che si trova a fianco alla mia.
Decido di fare una prova per vedere se il piano può riuscire.
Apro la finestra attraverso la tettoia stando ben attenta a non
scivolare e mezzo minuto dopo mi ritrovo nell'orto di mia nonna mentre
lo attraverso di corsa per uscire dalla porta sul retro che tiene
sempre aperta di giorno e che si affaccia direttamente sulla strada.
Appena esco nella strada inizio a saltellare come un'idiota pensando
che il mio piano sia infallibile e che niente potrà andare
storto. Ritorno velocemente a casa e finisco di spolverare
dopodiché prendo i dvd e io e mia madre ci buttiamo nel divano e
iniziamo a guardare The Last Song con la scatola di fazzoletti in mano.
Più o meno alla fine del film, da quando il padre della
protagonista è ricoverato all'ospedale, iniziamo a piangere come
delle disperate e quando rientra mio padre per poco non gli viene un
infarto.
-Perchè state piangendo?- chiede allarmato mentre ignora totalmente la televisione.
Mia madre tira su con il naso.
-Il padre ha un cancro e lei l'ha scoperto solo ora.-dice singhiozzando. Io naturalmente non sono da meno.
Mio padre per un attimo ha lo sguardo offuscato come se non riuscisse a
capire di cosa diavolo stia parlando mia mamma con un cenno gli indica
il televisore.
Allora lui sbuffa e alza gli occhi al cielo.
-Voi donne siete tutti uguali!- dice mentre esce dal soggiorno e sale al piano di sopra.
Il nostro pianto dura fino alla fine de I Passi Dell'Amore e qualche
volta ricompare una lacrimuccia anche durante Ho Cercato Il Tuo Nome
che è sicuramente il meno tragico dei tre.
Alla fine dei film ci accorgiamo che sono già le sette e mezza
di sera e mentre fuori è già buio e mia madre si rimette
ai fornelli io salgo in camera mia e mi rendo pienamente conto che tra
meno di ventiquattro ore non ci sarò più. Sto cercando un
modo per salutare Luca, ma mi rendo conto che non posso dire niente
senza che lui capisca che c'è qualcosa sotto, perciò
penso che mi limiterò al solito abbraccio. Scrivergli una
lettera non mi sembra proprio il caso, perchè di sicuro non lo
farà sentire meglio.
Durante la cena non tocco quasi niente come al solito e appena finisco
salgo subito in camera mia e mi sdraio nel letto mentre fisso il
soffitto e ascolto i Coldplay.
Dopo qualche minuto entra mia madre e si siede nel mio letto mentre spegne l'Mp4.
-Stai bene? Ti vedo strana oggi.-
-No è solo che stavo pensando a quanto dev'essere stato difficile per voi in questi mesi. Sai, con tutta questa storia.-
Mia madre annuisce e accenna un sorriso.
-É stato difficile, ma grazie a Luca, a Riccardo e a tutta la
squadra siamo riusciti a stare molto sereni perchè sappiamo che
sei in buone mani, nonostante ogni giorno speriamo che tutto questa
finisca presto.-dice lei con voce preoccupata.
Ora sono io che accenno un sorriso.
-Finirà presto.-
-E tu come fai a dirlo?- mi chiede improvvisamente curiosa.
Scrollo le spalla.
-Lo so e basta.-dico sorridendo mentre mi avvicino ad abbracciarla. Lei
ricambia immediatamente l'abbraccio e riesco a sentire il suo profumo
che è così buono.
Mi dispiace tantissimo per il dolore che causerò a lei e al
resto della famiglia e vorrei restare tra le sue braccia per sempre, ma
prima di scoppiare in lacrime sciolgo l'abbraccio e le do un bacio
proprio mentre mio padre entra per chiedermi se voglio guardare la
partita con lui.
Ci posizioniamo io e lui nel divano con una ciotola di pop corn in mano
mentre il derby Milan-Inter sta iniziando e ovviamente noi tifiamo
Milan.
Per quanto io ami il calcio oggi non riesco proprio a seguire la partita e guardo il televisore come se fossi inerme.
-Goaaaaaaal! Goaaaaaal!-urla mio padre mentre fa saltare alcuni pop corn per aria.
Non posso fare a meno di ridere e cerco di condividere la sua gioia.
Probabilmente se fosse stato un giorno qualunque mi sarei messa anche
io a strillare come una pazza, ma oggi proprio non ci riesco.
-Hai visto che ha segnato Nocerino?- mi domanda mio padre.
Annuisco e sorrido. Ha fatto proprio un bel goal.
-In genere quando segna lui inizia a urlare come una dannata. Non..hai
voglia di guardare la partita vero?-chiede un po' deluso.
Mi alzo dal divano e gli do un bacio.
-Scusami, oggi proprio non ho voglia. Vado a letto, ci vediamo domani.
Buon lavoro.-gli dico certa che domani mattina non lo vedrò
perchè lui esce sempre presto e torna intorno alle quattro del
pomeriggio e a quell'ora domani sicuramente non sarò a casa.
-Ah, dimenticavo. Ti voglio bene.- gli dico con un groppo in gola pensando che questa è l'ultima volta che lo vedo.
Corro in camera mia e affondo la faccia nel cuscino mentre scoppio a
piangere e questa volta non è per il film drammatico di Sparks.
Voglio parlare con qualcuno e raccontargli tutto, ma non posso parlarne
con Riccardo perchè tanto non mi risponderebbe, non posso
parlarne con la mia famiglia né tanto meno con Luca. Ne parlerei
con Matteo se non fosse un poliziotto.
Mi rimane un'ultima persona con cui parlare, anche se sono consapevole
dei rischi che corro perchè anche se è la mia migliore
non posso sapere come reagirà e anche se al novanta per cento
sono sicura che terrà la bocca chiusa, rimane quel dieci
percento di possibilità che vada a dire tutto a Luca facendo
saltare tutto, ma non ne posso più di tenermi tutto dentro. Ho
bisogno di parlarne con lei.
Prendo un telefono con un'altra scheda che non è tenuta sotto
controllo dai poliziotti e compongo il numero di Federica mentre
continuo a singhiozzare.
-Pronto Giada? Perchè mi chiami durante il derby? Per farmi
sapere che ci state umiliando?-domanda lei da tifosa interista.
-N..no non è per quello.-dico con la voce che si spezza.
Il suo tono diventa serio e preoccupato.
-Stai bene?-
Tiro su con il naso.
-No. Devo dirti una cosa.-
Prendo fiato e le racconto tutto quanto a partire dalla foto per poi
proseguire con il biglietto e con il luogo dell'appuntamento, poi le
dico di come ho intenzione di scappare e che nessuno sa niente a parte
lei e Riccardo. Le racconto tutto questo in un fiume di lacrime e
quando capisce che se vado lì sicuramente non ne uscirò
viva inizia a piangere anche lei.
-Ti prego non farlo. Vai da Luca e raccontagli tutto prima che sia troppo tardi. Ti prego.- singhiozza lei.
-Non posso farlo, non posso. Cerca di capirmi, se ci fossi stata tu in
questa situazione probabilmente avresti fatto lo stesso. Giurami che
non dirai una sola parola.-
La sento singhiozzare attraverso il telefono e dopo qualche attimo di silenzio la sento parlare di nuovo.
-Te lo giuro. Però..ripensaci..ti prego, fallo per me. Hai pensato al dispiacere che causerai a tutti quanti?-
-Lo so, ma dopo quello che è successo a Riccardo non vedo
soluzioni. Questa storia non finirà mai altrimenti.-dico io
continuando a piangere.
Lei rimane di nuovo in silenzio per qualche istante.
-Quindi..ci..saluteremo domani..mattina?-chiede con la voce che si spezza di continuo.
-No, domani ti devi comportare come se niente fosse. Ci salutiamo
adesso. Mi dispiace, Fede. Sei la mia migliore amica e in questi
quattro anni sei stata un'amica e una compagna ideale. Ti voglio bene.-
dico mentre i singhiozzi mi fanno tremare tutto il corpo.
Lei esplode in un pianto ancora più rumoroso.
-Mi mancherai così tanto. Mi dispiace davvero tanto. Non meritavi una cosa del genere.-
-Senti fammi un favore. Tra qualche settimana dovrai chiamare Luca e
gli devi dire che mi dispiace tantissimo e che è stato un gesto
stupido, ma necessario e che gli voglio un mondo di bene e che è
stata una persona eccezionale. Lo farai?-
-Certo. Te lo prometto. Ci vediamo domani a scuola?-
-Si, per l'ultima volta.-sussurro io.
-Per l'ultima volta.-ripete lei.
Finiamo così la conversazione, certe che qualunque altra parola
sarebbe scontata o inutile. Adesso che ho parlato sinceramente con
Federica mi sento un po' meglio, ma non abbastanza per farmi prendere
sonno e così finisco per passare l'intera notte a guardare il
soffitto e a pensare all'imminente appuntamento e per un attimo
soltanto non vedo l'ora di incontrare Michelangelo.
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Capitolo 24 *** La fuga ***
jtyj
Il lunedì mattina mi comporto come se niente fosse
nonostante dentro di me il mio stomaco fa le capriole e le farfalle
saltellano da una parte all'altra, per non parlare delle occhiaie che
mi occupano metà faccia e ci metto un po' di correttore anche se
in questi mesi ho imparato che non serve a granché. Decisi di
vestirmi come sempre, jeans, felpa di Spongebob con il cappuccio e
converse.
Spero di non dover andare a scuola con Luca, anche perchè
altrimenti sarebbe più complicato comportarmi come se niente
fosse, ma considerando che la fortuna non è mai stata dalla mia
parte perchè proprio oggi dovrebbe esserla? E infatti fuori
dalla porta di casa ad aspettarmi c'è proprio lui con un sorriso
a trentadue denti.
-Buongiorno!- mi saluta dandomi un bacio nella guancia.
Mi limito a un cenno del capo e capisce immediatamente che ho passato la notte in bianco, ma non fa nessun commento.
-Non ci siamo visti niente ieri.- commenta con voce delusa -Cos'hai fatto?-
Cerco di sorridere mentre penso “comportati come nulla fosse”.
-Ho finito tutte le mie lacrime mentre guardavo film di Sparks.- e
mentre parlavo al telefono con Federica, ma naturalmente questo non lo
dico. -E ho sbavato dietro a Nocerino durante la partita.-
Lui scoppia a ridere e poi durante il viaggio nessuno dice più
niente, ognuno perso nei propri pensieri. Guardando bene Luca noto che
anche lui ha passato la notte in bianco. Le sue occhiaie sono profonde
quanto le mie e non si è fatto la barba la mattina, ma non gli
dico niente, temendo in qualche modo la risposta.
Quando arriviamo in classe salutiamo come al solito e non appena mi
vede Federica, mi saluta con voce roca e poi si allontana. So che non
lo ha fatto perchè è arrabbiata con me, ma solo per
evitare di scoppiare a piangere. Forse avrei fatto meglio a non dirle
niente.
-Come mai oggi non ti riempi di baci?-chiede Luca che ovviamente si è accorto che qualcosa non quadra.
-É arrabbiata perchè ieri hanno perso.-dico ben informata
sul finale di partita, nonostante ieri non l'abbia vista.
Lui si mette a ridere e scuote la testa, mentre la lezione inizia e io
interrompo qualunque tipo di conversazione fingendomi interessata alla
lezione di chimica quando in realtà non so nemmeno a che
capitolo siamo.
Appena suona la ricreazione Luca scende al bar e non mi accorgo che
è rientrato fino a quando non mi da un leggero colpo alla felpa
e quando mi giro per vedere chi è lo trovo con un cornetto in
mano e un caffè nell'altro.
-Lo vuoi il cornetto?-mi domanda con un sorriso. Nonostante sia il suo
solito sorriso noto che non riesce a coinvolgere anche gli occhi e
sembra preoccupato.
Decido di prendere il cornetto visto che non ho nemmeno fatto colazione
e prima di darmelo Luca gli da un morso. Lo fulmino con un'occhiata
mentre lui continua a bere il caffè come se niente fosse. Sembra
che la preoccupazione sia sparita, ma non riesco a stare del tutto
tranquilla.
Sono le quattro e sono da un'ora che cammino avanti e indietro nella
stanza mentre mi stropiccio le mani e l'ansia mi divora. Ho detto a
Luca che sarei passata in commissariato alle sei e avrei cenato con
lui. Quando si accorgerà che qualcosa non va sarà troppo
tardi perciò le sei è un orario perfetto.
Guardo l'orologio per la trentesima volta e decido che è ora di
andare. La zona industriale non è proprio vicina e in ogni caso
non ne posso più di stare in casa. Tiro fuori le gocce di Xanax
dal cassetto, vado in bagno e prendo il bicchiere, ci metto un po'
d'acqua e ci aggiungo sette gocce tanto per andare sul sicuro. Prendo
un respiro e mando giù tutto d'un fiato. Che schifo, non ho mai
preso un farmaco più disgustoso di questo e trattengo a malapena
un conato mentre bevo altri due bicchieri d'acqua per far passare il
sapore amaro e acido delle gocce.
Dopo neanche un minuto le farfalle nello stomaco passano, il cuore in
gola ritorna al suo posto e sento tutti i miei nervi che si distendono.
Dio che sensazione meravigliosa! Non posso credere di aver aspettato
tanto prima di prendere lo Xanax!
Sono passati altri cinque minuti, lascio il telefono nel comodino di
camera mia, vado nella stanza di mio fratello e apro la finestra con
cautela cercando di fare il meno rumore possibile. Mia madre è
giù che stira e non mancherà molto prima che si accorga
della mia assenza.
Salgo nel davanzale e percorro il tratto dalla tettoia al terrazzo di
mia nonna trattenendo il fiato e solo quando arrivo al suo orto lascio
andare l'aria. Non mi soffermo più di tanto anche se sono
abbastanza sicura che mia nonna è in Chiesa, così mi
affretto verso l'uscita sul retro e mi ritrovo per strada.
Inizio a correre disperatamente verso la zona industriale e cerco di
mettere più distanza possibile tra me e la mia casa. Inizio a
sudare nel giro di breve e di certo avere una felpa non mi aiuta, ma
decido ugualmente di tenerla perchè toglierla mi rallenterebbe e
non posso permettermi di restare indietro neanche per un istante, ma
dopo cinque minuti di corsa rallento drasticamente perchè sono a
corto di ossigeno. Non sono mai stata una maratoneta e adesso mi pento
di non essermi allenata abbastanza durante le ore di ginnastica!
Sono praticamente a metà tragitto e decido di camminare
velocemente cercando di farmi notare il meno possibile dalle persone,
soprattutto quelle che mi conoscono, ci manca solo che mi fermino per
chiedermi come sto. Dopo circa due minuti, quando ho ripreso un po' di
fiato riprendo a correre e dopo altri cinque minuti arrivo nella via
dove ci siamo dati appuntamento. É pieno di capannoni
abbandonati e cerco il numero 5, che si trova poco lontano da dove sono
io. É di un rosso spento, abbastanza grande e pieno di finestre
alte.
Non posso credere di essere davvero qui e anche se dovrei sentirmi
agitata o nervosa in realtà mi sento calma, appagata. Tutto
merito dello Xanax, o forse sono io che ho accettato il fatto di dover
morire? La mia vita in cambio della loro, mi sembra un buon compromesso.
Fisso la porta grigia e afferro la maniglia nera e l'abbasso mentre
lancio un pensiero a mia madre. Si sarà già accorta che
manco? Scuoto la testa e apro delicatamente la porta mentre entro
dentro.
Nel
prossimo capitolo, finalmente Giada incontrerà Michelangelo.
Cosa si diranno? E Giada avrà il tempo di parlare?
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Capitolo 25 *** Faccia a faccia ***
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Il capannone all'interno è grande, contrariamente a
quanto si direbbe guardandolo da fuori. Nonostante ci siano le finestre
non è molto illuminato perchè sono piccole e allungate e
la luce non riesce ad entrare bene. L'odore è quello tipico che
si sente quando si entra in una casa abbandonata, odore di muffa e
chiuso. Noto che c'è anche un'altra porta dalla parte opposta da
dove sono entrata io.
Quando cammino verso il centro del capannone i miei passi riecheggiano
nella stanza che sembra deserta. Sembra, appunto. Più mi
avvicino e più riesco a distinguere una persona seduta al centro
con le gambe incrociate, lo sguardo fisso su di me e quella che ha
tutta l'aria di essere una pistola poggiata per terra alla sua destra.
É lui, è Michelangelo Scarlatti e mi sta per uccidere.
Sinceramente non mi sarei aspettata di vederlo seduto per terra, ma
pensavo che mi avrebbe sparato non appena avessi messo piede lì
dentro. Mi vorrà far soffrire prima di uccidermi? Non potrei
sopportarlo.
-Sei puntuale. Ti stavo aspettando.-dice con voce tranquilla come se
fosse un normale appuntamento tra amici. La sua voce è profonda,
ma anche calda, rilassata.
Il suo viso è in penombra, ma riesco comunque a distinguere
l'ombra di un sorriso che si apre sul suo volto. Rimango senza fiato
nel vederlo sorridere. Ha un sorriso che ti toglie il respiro, un
sorriso ingenuo, ma spontaneo che mette in evidenza le fossette. Uno
dei sorrisi più belli che io abbia mai visto in vita mia.
Mi fa cenno di sedermi davanti a lui e io come un'automa obbedisco e mi
siedo nella sua stessa posizione e finalmente ci guardiamo per la prima
volta negli occhi. Faccia a faccia.
Mi aspettavo di trovare una persona dallo sguardo glaciale e spietato,
ma trovo tutto l'opposto. Il suo sguardo è caldo, amichevole,
rilassato. Non è quello che mi aspettavo e la cosa mi mette a
disagio, non capisco che cosa voglia fare e di nuovo, come se mi
leggesse nel pensiero risponde alla domanda silenziosa.
-Voglio fare quattro chiacchiere con te, va bene?-dice mantenendo un tono di voce rilassato.
Annuisco.
-Come sta il tuo amico? Il poliziotto?-mi domanda con una leggera preoccupazione nella voce.
La cosa mi sorprende, di nuovo. Mi ha davvero chiesto come sta
Riccardo? Prima lo spara e poi mi chiede come sta? Lo fisso con gli
occhi sbarrati e mi chiedo se vuole veramente sapere come sta o se mi
sta solo prendendo in giro, ma il suo silenzio mi fa capire che sta
aspettando una risposta.
Mi schiarisco la gola.
-É in coma, ma dovrebbe svegliarsi presto.- rispondo con tono neutrale e sorpresa dal fatto che non mi manchi la voce.
Lui annuisce e sorride, di nuovo.
-Sono contento e mi dispiace avergli sparato, ma lui si è messo
in mezzo tra me e te e questo non doveva succedere, capisci?-
Continua a tenere il tono di voce rilassato come se stessimo parlando
del tempo e io, non sapendo cosa mi dire, mi limito ad annuire.
-So che hai tante domande da farmi perciò ti ascolto. Avanti chiedimi pure quello che vuoi.-
Più parla e più mi risulta difficile credere che
quest'uomo sia un assassino. Ha un viso così gentile e dolce, e
dalla sua voce traspare sicurezza che se lo incontrassi per strada
probabilmente lo scambierei per una persona subito pronta ad aiutare
gli altri e disponibile a tutti, ma la pistola al suo fianco non lascia
alcun dubbio.
Visto che mi sta dando la possibilità di fargli delle domande ne
approfitto per togliermi quei dubbi che da mesi mi hanno massacrato.
Con gesti lenti e chiari tiro fuori dalla tasca dei pantaloni la foto
che mi aveva mandato e la fisso di nuovo.
-Chi è questa bambina?-domando con una calma sorprendente.
Lui fa di nuovo un sorriso. Questa volta è un sorriso triste.
-É mia madre. Non la trovi graziosa?-
Annuisco.
-Il suo sorriso è..uguale al mio.- constato ad alta voce.
Questa volta è lui ad annuire.
-Quindi è per questo che mi vuoi uccidere.-
Non è una domanda e lui non risponde, si limita a guardarmi.
-Perchè non lo hai ancora fatto? Cosa stai aspettando?-
Mi stupisco di quanto sia stupida la mia bocca. Da come l'ho detto sembro impaziente di morire.
-Che fretta abbiamo, Giada? Vedo che non hai portato gli sbirri
perciò possiamo prenderci tutto il tempo che ci occorre. Voglio
parlarti di mia madre, ti va di ascoltare?-chiede dolcemente e in
questo momento mi ricorda molto un bambino indifeso, abbandonato.
Annuisco, anche perchè nonostante lui mi abbia chiesto se voglio
ascoltare non mi sembra di avere altre alternative e poi sono veramente
curiosa di conoscere la storia.
Il suo sguardo diventa velato, come se non fosse più in un capannone abbandonato con me, ma indietro negli anni.
-Mia madre si chiamava Elisa ed era una delle donne più belle
che io abbia mai visto e non lo dico solo perchè sono suo
figlio. Oltre ad essere una bellissima donna era anche una moglie
perfetta e una madre incantevole e premurosa. Sono figlio unico,
perciò tutte le sue attenzioni erano rivolte a me. Siamo sempre
stati uniti e lei mi ha sempre supportato in qualunque cosa facessi.
Eravamo una famiglia felice fino a quando mio padre non morì in
un incidente d'auto e d'improvviso restammo solo io e mia madre. Avevo
trent'anni e la morte di mio padre fu un duro colpo per entrambi,
avevamo perso il nostro punto di riferimento, il capo della famiglia,
colui che portava i soldi a casa. Mia madre ogni tanto badava a degli
anziani, ma dopo la morte di mio padre questo non fu più
sufficiente per sostenere le spese. Più passavano i giorni
più io e mia madre diventavamo legati. Io ero il suo migliore
amico e lei era la mia migliore amica. Siccome avevo già
trent'anni e non avevo trovato ancora un lavoro e i soldi non bastavano
mai, decisi di arruolarmi e andare in Afganistan per riuscire a
racimolare soldi. Quando lo dissi a mia madre lei scoppiò in
lacrime e mi disse che non ce l'avrebbe fatta senza di me, ma io le
promisi che si trattava solo di qualche mese e che l'avrei chiamata
ogni giorno. Così arrivò il giorno della partenza e
arrivati in Afganistan trovai un mondo completamente nuovo. Le
ispezioni, le bombe, i falsi allarme tutto mi metteva sotto stress e
c'erano così tante cose da fare che passavano giorni prima di
riuscire a sentire mia madre. Quando ci sentivamo entrambi scoppiavamo
a piangere e ognuno ripeteva all'altro quanto gli mancasse. Passavano i
giorni, le settimane e i mesi, ma a me sembravano non voler concedere
il permesso di poter tornare a casa e così passò un anno.
Un giorno qualunque mia madre mi chiama e mi fa: “Sto male”
e io, ingenuamente le chiesi se avesse la febbre, pensando che il suo
malessere doveva essere causato da un virus passeggero, ma lei
tirò su con il naso e mi disse: “Ho un tumore al cervello.
Mi rimangono due mesi di vita.”- si ferma un attimo a prendere
fiato e noto che ha gli occhi lucidi, e io cerco disperatamente di non
piangere mentre la sua storia mi tocca nel profondo.
Dopo un istante riprende a raccontare.
-Rimasi sconvolto da quella notizia e le promisi che sarei tornato il
prima possibile a casa per stare con lei, ma quando andai dal generale
per chiedergli di farmi tornare a casa lui mi rispose che non era
possibile e che avrei dovuto aspettare tre mesi prima di tornare. Tre
mesi erano decisamente troppi e mia madre non avrebbe resistito tanto a
lungo, ma non potevo fare nient'altro. Potevo solo pregare Dio di farla
resistere per tre mesi, ma il suo era un tumore aggressivo e
così dopo neanche due mesi il generale mi chiamò nel suo
ufficio per dirmi che lei era morta e che potevo tornare a casa per un
paio di mesi. Non c'è stato momento peggiore in tutta la mia
vita di quando l'ho vista distesa dentro la bara, così magra e
pallida, così inerme. Il suo volto sembrava angelico e sereno e
non dimenticherò mai il senso di colpa che provai e che provo
tutt'ora nel sapere che non sono stato con lei nei suoi ultimi giorni
di vita. Con il passare dei mesi la sua perdita non è diventata
meno dolorosa, ma solo accettabile e stavo imparando a conviverci fino
a quando non sei arrivata tu.-dice mentre mi punta un dito contro.
Non ha paura di mostrarsi debole e non si cura delle lacrime che gli
inondano il viso, come del resto io non mi curo delle mie. Mi morsico
il labbro inferiore per evitare di singhiozzare e cerco di piangere
silenziosamente.
Quando mi indica accenna un breve sorriso.
-Ti ricordi quando sei andata a Roma l'estate scorsa? Io ti ho visto
alla Fontana Di Trevi mentre ridevi con tuo fratello e sono rimasto
letteralmente sconvolto nel vedere che hai il sorriso uguale a lei.
Così ho iniziato a seguirti ogni giorno, ho scoperto molto
presto dove vivi, dove studi e quando sono stato sicuro ho sparato per
la prima volta, ma qualcosa è andato storto e tu ti sei salvata
e poi sai perfettamente com'è andata.- conclude lui con un gesto
della mano. Il suo sguardo è di nuovo sereno e rilassato, mentre
io non riesco a fermare le mie lacrime. Mi sarei aspettata di tutto,
tranne una storia come questa. Un brivido mi scivola lungo la schiena e
faccio un respiro profondo, poi alzo lo sguardo su di lui.
-Mi dispiace tantissimo per tua madre e ho sempre saputo che c'era un
motivo dietro la tua furia omicida nei miei confronti e non mi sarei
mai aspettata una cosa del genere..-
-Però?-mi anticipa lui.
Attendo qualche istante prima di rispondere. Non sono sicura di volerlo
dire davvero perchè temo una sua reazione violenta, del resto la
pistola è ancora a fianco a lui e non ci vuole niente a
prenderla.
-Però uccidermi non te la farà tornare indietro.-
Lui sospira e mi fissa intensamente.
-No, ma tu sei qui e lei no. Non meriti di stare qui. Perchè lei
no e tu si?-mi domanda e nuovamente mi chiedo se si aspetti una
risposta così decido di dargliela lo stesso.
-Perchè io non sono lei. Mi hai seguita per mesi e sono sicura
che anche tu ti sei accorto che io e tua madre, a parte il sorriso, non
abbiamo niente in comune. Mi sbaglio? Io credo di no. Dopo che mi
uccidi che cosa ottieni? Probabilmente ti sentirai soddisfatto per un
po' e dopo? Dopo ti accorgerai che comunque non ti è rimasto
niente. Non sei una persona cattiva e mio malgrado mi rendo conto di
non essere arrabbiata con te, non ti odio e non provo disgusto. L'unica
cosa che riesco a provare per te è compassione. Vuoi uccidermi?
Fallo, ormai sono qui, ma secondo me dovresti andartene. Ti assicuro
che non dirò una parola a nessuno, come vedi sono venuta da
sola, perciò ti puoi fidare. Anche perchè, francamente,
penso che tua madre in questo momento si stia rivoltando nella tomba.
Sicuramente non si aspettava che suo figlio diventasse un omicida. Puoi
scegliere, vedi un po' tu.-
Mi stupisco io stessa del discorso che ho appena fatto. Non riesco a
capire se sono stupida o ritardata. Davvero spero che un discorsetto
del genere riesca a farlo vacillare? Non potrà funzionare eppure
il tempo passa e lui rimane in silenzio alternando lo sguardo tra la
pistola e me. Ci sta davvero riflettendo e proprio quando sembra aver
preso una decisione il silenzio viene interrotto da un casino assurdo
che all'inizio fatico a comprendere.
Le due porte cadono a terra con un rumore assordante, nelle finestra ci
sono cecchini con tanto di fucili e dall'entrate vengono verso di noi
almeno una decina di uomini. Per un attimo sono disorientata e penso
che tutte quelle persone siano venute qui per uccidere me, ma poi
intravedo la figura di Luca, Matteo e di molti altri poliziotti che ho
visto tantissime volte in commissariato e nel giro di qualche secondo
la situazione precipita totalmente.
Michelangelo è come ve lo siete immaginate? ;)
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Capitolo 26 *** un brutta e una bella notizia. ***
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Appena si accorge di cosa sta succedendo, Michelangelo si alza in piedi con un balzo e afferra la pistola.
-Mi hai mentito!- urla. Non c'è rabbia nel suo volto, ma
c'è solo delusione. Si stava fidando di me e capisco che la
decisione che aveva preso era quella di scappare e lasciarmi libera. Se
solo fossero arrivati cinque minuti dopo. Ma come hanno fatto a
trovarmi? Non ho lasciato tracce per strada e loro non sapevano niente.
Come hanno fatto?
Sento Luca che gli urla di gettare la pistola, ma Michelangelo continua
a tenerla ben salda nella mano destra nonostante tremi leggermente.
-No, io..io non lo sapevo. Non gli ho detto niente te lo giuro!-
Le lacrime iniziano a scorrere lungo le guance e cerco disperatamente
una soluzione, anche se mi rendo conto che non esiste una via d'uscita
e non c'è alcuna possibilità di far ritornare le cose
come prima. Provo un odio talmente profondo nei confronti dei
poliziotti che per un attimo ho intenzione di schierarmi dalla parte di
Michelangelo, fino a quando il mio subconscio non mi sussurra di
smetterla di pensare certe cazzate.
Michelangelo continua a guardarmi nonostante i poliziotti stiano
urlando contemporaneamente un sacco di cose. I nostri sguardi rimangono
fissi uno sull'altro per diversi istanti, nei suoi occhi c'è
soltanto la profonda delusione di chi è stato tradito e nei miei
c'è tanta paura e dispiacere.
Lui alza la mano destra dove impugna la pistola e la punta contro di me
e ho giusto il tempo di chiudere gli occhi e sussurrare un “mi
dispiace” che si sente lo sparo forte e deciso.
Aspetto qualche istante prima di riaprire gli occhi e mi accorgo di non
sentire dolore, così mi rendo conto di essere perfettamente
viva, ma Michelangelo non è più davanti a me e con la
coda dell'occhio vedo Luca che abbassa il braccio dove tiene la
pistola.
Mi costringo ad abbassare lo sguardo e vedo Michelangelo disteso per
terra in una pozza di sangue con un buco proprio all'altezza del cuore.
Mi getto per terra e cerco di mettergli una mano nel petto mentre i
miei pantaloni si inzuppano di sangue.
-Nooo!- urlo disperata mentre la mia testa si appoggia sul suo petto.
-No, no, no! Perchè l'hai fatto?- continuo ad urlare mentre mi
volto per guardare Luca. Non c'è risentimento o compassione sul
suo viso. Non c'è niente, i suoi occhi sono vuoti e spenti.
Distolgo subito lo sguardo e lo poggio di nuovo sul volto di Michelangelo che sembra così sereno.
-Non puoi morire. Non puoi morire. Ti prego, ti prego resisti!-
Il mio corpo sussulta ad ogni singhiozzo che faccio e nessuno dice
niente, mi sento solo io che urlo e piango per la morte del mio
assassino.
Si sente un cellulare che squilla e dopo qualche minuto sento Luca che
dice qualcosa a Matteo, ma sono troppo sconvolta per cercare di capire
quello che gli dice, vedo soltanto che se ne va dopo avermi lanciato un
ultimo sguardo questa volta carico d'odio.
Non ci do troppo peso e torno a concentrarmi su Michelangelo mentre gli accarezzo i capelli.
-Non eri una persona cattiva. Io lo so, non lo eri. Non ti ho tradito.
Mi dispiace così tanto, spero solo che tu e tua madre possiate
stare di nuovo insieme. Scusami.- continuo a singhiozzare.
Probabilmente i poliziotti qui intorno si chiedono se non sono andata
fuori di testa, ma loro non sapevano la sua storia, loro non lo avevano
visto piangere, loro non sapevano niente!
Matteo, molto lentamente, si avvicina e mi circonda le spalle con un braccio.
-Giada, dobbiamo andare. Non c'è più niente da fare, è morto.-dice dolcemente.
Scuoto la testa.
-Non mi avrebbe sparato, non mi avrebbe sparato-ripeto come un'automa.
Allora, lui capisce che non me ne vado se non vengo presa di peso e
così, con molta delicatezza, mi prende in braccio e mi porta
verso l'uscita mentre io continuo a piangere sul suo petto.
-Andrà tutto bene- dice e sono le ultime parole che riesco a sentire prima di svenire.
Per la seconda volta nel giro di qualche mese mi ritrovo in un letto
d'ospedale. Lo capisco dall'odore che sento non appena mi sveglio e dal
rumore che proviene dalle macchine che sono collegate ai tubi che si
trovano dentro le mie braccia. Apro lentamente gli occhi e mi accorgo
di essere sola in stanza e stranamente non sono delusa, ma anzi spero
che i miei genitori vengano a trovarmi il più tardi possibile.
L'orologio segna le dieci e un quarto di sera perciò probabilmente nessuno verrà a farmi visita prima di domani.
Non mi sono affatto dimenticata di quello che è successo, ma mi
sforzo di non pensarci altrimenti rischierei di svenire un'altra volta.
Sono rimasta profondamente scossa da quello che è successo e mi
accorgo di come tutto sia andato al contrario rispetto a come l'avevo
immaginato io.
Mi sarei aspettata di incontrare una persona spietata e fredda pronta
ad uccidermi e invece avevo trovato una persona triste e profondamente
addolorata che aveva deciso di risparmiarmi alla morte e se non fosse
stato per l'intervento di Luca tutto sarebbe andato per il meglio.
Sapevo che c'era qualcosa che non andava fin da quando avevo trovato il
libro spostato, ma avevo ignorato tutti gli indizi che mi facevano
capire che Luca sapeva tutto quanto. Era stato più furbo, non mi
aveva detto niente però mi aveva seguito. Non riesco ancora a
capire come abbia fatto a seguirmi visto che quando sono andata
all'appuntamento non c'era nessuno, ma del resto è un poliziotto
e sa come nascondersi.
Più ci penso e più mi sento in colpa per il fatto che
Michelangelo sia morto. La vittima che si sente in colpa per la morte
dell'assassino, assurdo eppure mi sento davvero così e l'unica
cosa che riesce a consolarmi è pensare che adesso lui sia
insieme alla madre.
Una lacrima solitaria scivola lungo la guancia e viene assorbita dal
cuscino mentre ripenso a tutto quello che è capitato nel giro di
un paio d'ore.
Qualcuno bussa alla porta, ma io non ho voglia di vedere nessuno,
così non rispondo immaginando che la persona capisca che io sto
dormendo, ma invece la porta si apre e una sedia carrozzella entra in
camera un po' a fatica. Rimango a bocca spalancata nel vedere chi
c'è seduto.
-Riccardo.-sussurro.
É proprio lui, sveglio, vivo e viene verso il mio letto. Sono
sicura che sia un'allucinazione così mi do un pizzicotto nella
mano. Il viso è un po' stanco, ma per il resto è il
Riccardo di sempre e si spalanca in un largo sorriso appena mi vede.
Scendo dal letto un po' a fatica per colpa delle flebo e “corro” ad abbracciarlo.
-Principessa-dice mentre ricambia l'abbraccio e immerge il viso nei miei capelli.
-Mi sei mancato così tanto.-
Annuso a lungo il suo profumo e non posso credere che sia veramente qui.
-Ma quando ti sei svegliato? Come stai?-
Lui parla senza staccare l'abbraccio e dal tono di voce capisco che sorride.
-Mi sono svegliato qualche ora fa e anche se sono un po' rincoglionito sto bene. E tu?-
Questa volta stacca l'abbraccio e mi allontana un pochino per guardarmi
bene in viso. Io mi siedo nel letto di fronte a lui. Immagino che si
sia svegliato quando Luca ha ricevuto quella chiamata al capannone,
perciò non so cosa rispondere perchè non so se è
già stato informato delle ultime novità, anche se non
sembra affatto arrabbiato.
-So quello che è successo.-dice lui leggendomi nel pensiero.
Lo guardo bene in volto e cerco di capire se sta trattenendo la rabbia, ma nel suo volto c'è solo calma.
-Non ne voglio parlare.- dico abbassando lo sguardo sulle mie mani.
-D'accordo, ne parleremo quando sarai pronta.- dice sorridendo.
Scendo dal letto e lo abbraccio di nuovo più forte di prima,
anche lui mi stringe di nuovo senza esitazione e restiamo così
per qualche minuto per recuperare il tempo perso negli ultimi giorni.
Dopo un po' che parliamo del più e del meno Riccardo sbadiglia e
decide di andare in camera a dormire un po', mi augura la buonanotte ed
esce dalla stanza.
Nel corridoio lo sento parlare con qualcuno e tendo l'orecchio per riuscire a sentire meglio.
-Non è il momento.-dice Riccardo.
-Non me ne frega.- Riconosco la voce di Luca.
-Non puoi parlarle domani? É stanca.-
-E io sono più stanco di lei!-
Mi sembra di sentire Riccardo sbuffare.
-Fai come ti pare, tanto non risolverai niente. A domani.-
Dalla conversazione capisco che Luca ha intenzione di venire in camera
e infatti sento i suoi passi riecheggiare nel corridoio e farsi sempre
più vicini.
Nonostante non abbia voglia di discutere con lui e nonostante mi sento
stanchissima mi preparo a sentire la sfuriata di Luca. Non appena mette
piede nella stanza sbatte la porta e capisco che la situazione è
più grave del previsto.
Per
la serie, al peggio non c'è mai fine. Non solo è morto
Michelangelo e Giada è a pezzi, ma deve pure sentire la sfuriata
di Luca, e che sfuriata!
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Capitolo 27 *** Alla fine, è tutta questione di fiducia ***
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Questo è l'ultimo capitolo prima dell'epilogo!
Buona letturaaaa!
In cinque mesi che conosco Luca non l'ho mai visto così
incazzato. Sembra un'altra persona, il volto scuro, la mano che passa
più e più volte tra i capelli ricci, la camminata avanti
e indietro per la stanza e gli occhi verdi che sembrano di ghiaccio.
Io sono seduta nel letto il più lontano possibile da lui quando
improvvisamente si ferma e mi guarda con uno sguardo così
fulminante che mi impedisce di abbassare lo sguardo per paura che mi
mangi viva. Sono veramente spaventata; in questo momento sembra lui
l'assassino e non sto scherzando.
Finalmente si decide a parlare o meglio, urlare.
-Come hai potuto farmi una cosa del genere? Tu..-urla mentre mi punta
un dito contro. Secondo me gli viene un infarto a momenti. -Sono
talmente incazzato che non riesco nemmeno a parlare! Io mi fidavo di
te!-
Chissà perchè ho l'impressione di aver già sentito queste parole.
-Pensavo che se ci fosse stato qualcosa tu saresti venuta a dirmelo e
invece no, hai voluto fare a modo tuo come sempre e io per una
settimana sono rimasto lì come un cretino a fare finta che non
mi nascondessi niente. Pensavi davvero che non me ne fossi accorto? Eri
così distratta e cercavi di fare tutto con naturalezza che era
palese che nascondevi qualcosa, così mi sono sentito costretto a
sentire quello che dicevi a Riccardo e per poco non mi viene un
collasso quando capisco cos'hai intenzione di fare e sai, per un attimo
ho pensato che fosse tutto uno scherzo fino a quando non sono tornato a
casa e ho trovato veramente il biglietto e la foto nel libro. E
più passavano i giorni, più mi illudevo che all'ultimo
momento mi avresti detto tutto. Ti ho perfino portato in discoteca
sperando che questo ti facesse crollare e invece niente. Così ho
dovuto organizzare tutto alla cieca e nel fra tempo cercavo un modo per
tenerti d'occhio mentre andavi all'appuntamento e stamattina ho pensato
di metterti una specie di gps che mi segnalasse la tua posizione e sai
che cazzo ho fatto per tutto il giorno? Mi sono aggrappato alla
speranza che non ti togliessi quella felpa perchè altrimenti non
avrei avuto un piano di riserva. Io, Luca, che si aggrappa alla
speranza, ma quando mai? E poi arriviamo lì nel capannone e ci
posizioniamo fuori in silenzio in attesa, ma da fuori non si sentiva
niente e io non avevo idea di che cosa fare perchè più il
tempo passava e più aumentava il rischio e così siamo
entrati e grazie a Dio eri viva e poi lui ha perso la testa e..l'ho
sparato un secondo prima che il suo proiettile ti perforasse la testa.
Hai idea di come diavolo mi sia sentito per tutta la settimana?-
Ho come l'impressione che stia per mettersi a piangere dal nervoso e
anche se la cosa più saggia per me sarebbe stare zitta non
riesco a trattenermi dal dire:-Sei tu che l'hai costretto.-
Mai l'avessi detto! Luca si avvicina a me e avvicina il viso a cinque centimetri dal mio. I suoi occhi bruciano di rabbia.
-Che cosa?-sibila.
-Non mi avrebbe sparato, stavamo tranquillamente parlando fino a quando
non siete arrivati voi.-anche la mia voce si sta alzando.
Lui si allontana un pochino per guardarmi meglio.
-Io ti ho salvato la vita.-sussurra.
Scuoto la testa.
-Non mi avrebbe sparato.-ripeto.
Luca stringe le mani a pugno e aspetta qualche istante prima di parlare
con voce calma che lo fa sembrare ancora più incazzato.
-Dopo mesi e mesi passati a proteggerti, a cercare di prendere il
bastardo e farlo fuori tu decidi di schierarti dalla sua parte? Dalla
SUA? Se non fossi entrato in quel momento a quest'ora non staremo
facendo questa conversazione e io mi sarei dovuto prendere la
responsabilità di tutto. Avrei dovuto spiegare a Riccardo e ai
tuoi genitori come mai fossi morta nonostante ti tenessimo sorvegliata
ventiquattro ore su ventiquattro! Ti rendi conto di quanto sei stata
egoista?-
Scuoto la testa decisa e ostinata a non tapparmi la bocca.
-Tu non capisci, tu..non hai sentito quello che mi ha detto.-
Lo schiaffo che ricevo è talmente inaspettato e veloce che la
mia faccia si gira dall'altra parte e la guancia inizia a pizzicare
immediatamente.
Luca si fissa un attimo la mano prima di puntare lo sguardo di nuovo su di me con un misto di incredulità e meraviglia.
Io rimango a bocca aperta per qualche istante. Mi ha mollato uno schiaffo. Luca. Ha mollato uno schiaffo a me.
Faccio un sorriso amaro.
-Deduco che la nostra conversazione sia finita.-commento io.
Lui riprende il controllo di se stesso e ignora il fatto che mi abbia mollato uno schiaffo.
-Non abbiamo concluso proprio niente.-
Sospiro mentre la stanchezza si fa sentire sempre più pesante e
devo fare uno sforzo enorme per mantenere la lucidità.
-Se tu ti fossi messo nei miei panni anche solo per un istante
capiresti che cosa si prova a essere il bersaglio per mesi interi e
quando vedi la persona che cerca di salvarti la vita finire in coma
capisci che è il momento di chiudere la storia e se poi ti si
presenta l'occasione con tanto di minaccia al seguito l'unica cosa che
ti rimane da fare è accettare perchè non sopporteresti di
vedere altre persone finire in quelle condizioni perchè cercano
di salvarti la vita. E se poi ti fai un'idea dell'assassino, ma quando
lo incontri trovi una persona diversa, una persona che ha sofferto
talmente tanto che provi perfino compassione e riesci anche a
perdonarlo per quello che ha fatto allora forse riusciresti a capirmi.
Si, forse sono stata un'egoista, ma se non fossi andata a
quell'appuntamento noi saremo ancora qui a cercare di rintracciarlo
inutilmente. Ti assicuro Luca che non mi avrebbe sparato, ne sono
sicura al cento per cento altrimenti non sarei qui a dirtelo e che tu
ci creda o no mi dispiace terribilmente che sia morto perchè si
fidava di me e io mi fidavo di lui. E con questo la nostra
conversazione finisce qua, che ti stia bene o no. Vattene.-
Il mio mento trema impercettibilmente e volto la faccia dall'altra parte mentre sento il suo sguardo addosso.
Rimane in silenzio per un po' e quando riprende a parlare la sua voce trema.
-Sei riuscita a fidarti del tuo assassino e non sei riuscita a fidarti
di me abbastanza da potermi dire cosa stava succedendo. Penso di non
essere mai stato così deluso in vita mia.-
Il tono con cui lo dice e la voce spezzata mi fanno girare verso di lui e vedo che una lacrima gli scivola lungo la guancia.
Le parole che mi ha detto vanno ben oltre lo schiaffo che mi ha dato,
questo vale come mille coltellate nel cuore, ma non so proprio cosa
dirgli e per questo, dopo avermi lanciato un'ultima occhiata delusa si
avvicina alla porta e abbassa la maniglia.
Capisco che se lui esce dalla stanza le cose tra noi non torneranno mai
più come prima e io gli voglio troppo bene per permettere che
questo accada. Non voglio perdere anche lui.
-Aspetta- gli dico e lui si ferma mentre torna a guardarmi e si
appoggia allo stipite della porta. -Io avevo il dovere di dirtelo, ma
ormai è successo e non credere che per me sia stata una
settimana facile, a volte volevo davvero dirti tutto, ma il pensiero
che lui vi avrebbe fatto del male mi tratteneva e così mi sono
stata zitta. In fondo lo sapevo che conoscevi la verità, ma ho
preferito ignorare gli indizi e sotto sotto speravo che venissi anche
tu al capannone. So che ti aspetti un mi dispiace, ma se te lo dicessi
non sarebbe vero perchè probabilmente se potessi tornare
indietro lo farei di nuovo, però mettiamola in questo modo:
è finita. Io sono viva, lui invece..-
Lascio la frase in sospeso mentre rivedo il suo corpo disteso per terra
in una pozza di sangue e gli occhi si riempiono nuovamente di lacrime.
-Pensavo di morire oggi, e ho passato l'ultima settimana a pensare come
tu, Riccardo e i miei avreste superato la mia morte. E allora quando
pensavo che dirti tutto sarebbe stata la scelta migliore, mi
ritornavano in mente le parole del bigliettino e sapere che qualcun
altro di voi, che tu, saresti potuto morire..Io non ce l'ho fatta.
Averti deluso è la cosa che più mi ferisce, ma non c'era
altra soluzione, non in quel momento e..quello che mi detto
Michelangelo è stato così..così..così..-
Non riesco più a parlare perchè i singhiozzi mi
impediscono di dire qualunque cosa e mi ritorna in mente tutto il
discorso che ho fatto con Michelangelo e mi rendo conto che è
stata la giornata più brutta della mia vita, peggiore perfino
del giorno in cui tutto è iniziato. Sono rimasta terribilmente
scioccata per tutto quello che è successo nel giro di qualche
ora e vorrei solo piangere senza smettere mai.
Luca si sposta dalla porta e si avvicina a me e si sdraia nel letto
mentre io mi sposto per fargli un po' di spazio. Mi prende tra le sue
braccia e poi con la voce dolce come il miele mi dice: -Non so che cosa
sia effettivamente successo là dentro e immagino che tu non ne
voglia parlare, ma ti assicuro che quando ti deciderai a farlo
sarò qui pronto ad ascoltarti. Mi dispiace davvero vedere che ci
stai così male e Riccardo aveva ragione, non è proprio
questo il momento di discutere. Non avresti dovuto vedere quello che
hai visto oggi, non avresti dovuto vederlo mai. Mi dispiace di averti
mollato uno schiaffo e mi dispiace per tutta questa situazione del
cazzo. E adesso piangi, piangi più che puoi. Andrà meglio
e tu ti riprenderai perchè sei giovane e forte e noi saremo qui,
con te.-
Io mi limito ad annuire e continuo a piangere per un tempo che mi
sembra infinito. Restiamo abbracciati come fratello e sorella a
consolarci l'uno con l'altra fino a quando, esausti, non ci
addormentiamo tutti e due.
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Capitolo 28 *** Epilogo ***
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Epilogo
Sette mesi dopo
-Riccardo vuoi una birra?-urla Luca dalla cucina.
-Si, grazie-urla di rimando Riccardo.
-E tu, Giada?-
-E smettila cretino!-risponde Riccardo prima che possa farlo io.
-Volevo solo essere gentile.-dice Luca mentre torna con due birre in una mano e la ciotola di pop corn nell'altra.
I pop corn naturalmente li prendo io e con un cenno della mano li
invito a stare zitti visto che il secondo tempo della partita sta per
iniziare. Oggi c'è Juventus-Milan e mi dispiace dire che sono
l'unica milanista in questa casa, perchè i due signorini tifano
Juventus naturalmente. Siamo ancora zero a zero, ma dopo nemmeno dieci
minuti dalla ripresa del secondo tempo c'è una
possibilità che il Milan segni. Rimango con il fiato sospeso
mentre vedo Nocerino che corre dietro al pallone e fa un eccellente
assist a Pazzini che senza nemmeno pensarci la butta dentro segnando un
fantastico goal.
-Gooooaaaaaaaaaaaaal!-urlo io mentre mi alzo di scatto rovesciano
metà ciotola di pop corn per terra. -Pazziniiiiiiii!- continuo a
urlare come una pazza.
-Bastardi-urla Riccardo.
-Non vincerete.-dice Luca.
Io mi risiedo nel divano e li guardo un'espressione compiaciuta.
-Rosicate, rosicate.- dico mentre ci concentriamo di nuovo sulla partita.
Succede così tutte le volte che guardiamo un'amichevole, la
Champions o semplicemente il campionato e talvolta finiamo per litigare
sul serio e per me che sono l'unica a tifare Milan diventa difficile
combattere contro loro due. Non è giusto.
Dopo altri quarantacinque minuti più recupero la partita finisce
con la vittoria del Milan e rimango per il resto della serata a
sottolineare il fatto che abbiamo vinto dando così fastidio ai
ragazzi.
Nonostante siano passati sette mesi dalla fine di tutta quella storia,
io, Riccardo, Luca e molto spesso anche Matteo continuiamo a vederci
almeno tre volte a settimana.
Inizialmente avevo pensato che, una volta chiuso il caso, ci saremmo
allontanati definitamente e mi dispiaceva tantissimo, così dopo
averne parlato con la psicologa che iniziò a seguirmi, decisi
di dire ai ragazzi quello che pensavo e loro senza neanche
pensarci due volte mi risposero che era impossibile che smettessimo di
frequentarci, perchè la famiglia non si abbandona mai. É
proprio così, siamo una famiglia e io mi ritrovo ad averne due
adesso. La famiglia composta da mia madre, mio padre, mio fratello e
mia sorella che mi hanno sempre sostenuto anche dopo aver fatto quello
che ho fatto e poi Riccardo, Luca e Matteo che hanno continuato a
sopportarmi nonostante tutto.
Sono riuscita a superare l'anno scolastico nonostante sembrasse una
missione impossibile, ma con il mio impegno, l'aiuto della psicologa,
l'affetto delle mie famiglie e l'aiuto prezioso di Federica, che come
potete immaginare era stata felicissima di sapere che ero scampata alla
morte, ce l'ho fatta e quindi devo iniziare il quinto anno.
Ci è voluto un po' di tempo prima che riuscissi a riprendermi
dalla morte di Michelangelo, ma con il passare dei mesi il dolore si
è affievolito e talvolta mi capita di pensare a lui nei momenti
più impensabili. Non penso mai a lui come una persona cattiva,
ma come una persona che ha avuto un crollo emotivo e che aveva
semplicemente bisogno d'affetto. Nonostante tutto quello che ha fatto
non smetterò mai di ringraziarlo per avermi fatto conoscere
persone meravigliose come Riccardo, Luca e Matteo. Senza di lui a
quest'ora loro erano dei perfetti sconosciuti o quasi.
É strana la vita a volte, ti fa aprire gli occhi in una maniera
assurda, ti sconvolge il tuo mondo tranquillo e ti insegna delle care
lezioni. A me tutta quest'esperienza ha insegnato che non bisogna mai
giudicare un libro dalla copertina e bisogna sempre guardare in fondo
alle cose e sono sicura che anche a loro gli abbia insegnato le stesse
cose, perchè quando ho avuto il coraggio di raccontare la storia
di Michelangelo hanno cambiato modo di vederlo e adesso siamo molto
più riluttanti a parlarne.
-Pianeta chiama Giada. Pianeta chiama Giada.-dice Riccardo mentre ride.
Scuoto la testa e mi riprendo.
-Sei sempre con la testa tra le nuvole.-dice Luca.
-Scusa, stavo pensando al goal fantastico di Pazzini, sai com'è.-
L'occhiata che ricevo da tutti e due mi fa capire che non è il
caso di continuare a scherzare sulla partita e mentre scoppio a ridere
senza motivo ci mettiamo a cucinare tutti insieme.
Il mio telefono vibra leggermente e segnala la presenza di un
messaggio. Luca e Riccardo si guardano mentre io leggo il messaggio
lasciandomi sfuggire un sorriso e arrossisco leggermente.
-Chi è?- chiede Luca mentre cerca di leggere il messaggio.
-Nessuno.-rispondo io mentre faccio finta di niente.
-Tanto lo sappiamo che è Matteo. Pensavi forse di riuscire a
tenere nascosto il fatto che stai uscendo con lui? Siamo dei
poliziotti. Non puoi.-commenta Riccardo mentre trattiene un sorriso.
Luca distoglie lo sguardo dalla pentola con dentro la pasta e fa l'occhiolino a Riccardo.
Io rimango letteralmente a bocca aperta, convinta che loro non
sapessero niente di tutto questo. Va bene che sono poliziotti,
però qui è essere sensitivi. Come hanno fatto a scoprirlo
se non ho mai lasciato trapelare niente? E sono sicura che nemmeno
Matteo abbia detto niente.
Cerco di capire se la cosa gli faccia piacere oppure gli dia fastidio.
Non stiamo uscendo da molto, giusto qualche settimana e volevo
aspettare a dirglielo nel caso poi non fosse una cosa seria, ma forse
avrei dovuto chiedergli il permesso.
-Ve lo avrei detto è solo che..- abbasso lo sguardo -L'avete presa male?-chiedo temendo la risposta.
-Male?- domanda Luca -Matteo è forse il ragazzo adatto a te,
oltre al fatto che è un poliziotto ha sempre il sorriso sulle
labbra e una pazienza infinita ed è proprio quello che ci vuole
per una ragazza come te. Ottima scelta!-
Riccardo annuisce.
-Concordo. Io e Luca abbiamo già chiarito con Matteo che se per
caso dovesse farti soffrire gli taglieremo le gambe. Sono sicuro che
starete insieme per parecchio tempo.- dice mentre scoppia a ridere
insieme a Luca e anche io mi aggrego alle loro risate mentre penso che,
dopo sette mesi, le cose iniziano ad andare per il verso giusto.
La
storia è giunta al termine e ringrazio tantissimo quelle persone
che hanno commentato ogni capitolo, che l'hanno messa nelle seguite e
nelle preferite. Spero davvero che vi sia piaciuta! ;)
A presto!
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