Wolf's Path, Il Sentiero del Lupo

di Volk Rossobardo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un altro disastro alle mura ***
Capitolo 2: *** Sicari ***
Capitolo 3: *** Guerrieri del Nord ***
Capitolo 4: *** Al completo ***
Capitolo 5: *** La Battaglia del Cancello ***
Capitolo 6: *** Sensazioni ***



Capitolo 1
*** Un altro disastro alle mura ***


Un altro disastro alle mura

 

Henry DeChene si fermò un istante in ginocchio, davanti alla sua spada con l’elsa dorata e la lama sporca di sangue profondamente piantata a nel terreno.
Nel cortile del maniero regnava una quiete innaturale, di quelli che neanche nei luoghi più desolati del mondo è possibile trovare.
Per quanto un posto possa essere silenzioso, si potrà sempre udire lo scrosciare dell’acqua di un lontano ruscello, il cinguettio di qualche uccellino oppure il fruscio delle foglie di un albero dalle fronde scosse dal vento. Sono tutti rumori che è naturale, scontato sentire, e che gli uomini quasi ignorano. Ma quando cessano anche i più semplici, l’uomo ne sente subito la mancanza.
L’unico rumore che il vento osava portare era quello delle grida degli uomini di Jaque Adolphe Detroix ,detto LeNoir ,”il nero” per i trattamenti che riservava ai prigionieri e a chiunque disobbedisse ai suoi ordini.
Quel cane traditore era passato dalla parte del suo padrone, Renaul Dammartin ,pochi giorni prima dell’assedio. Ovviamente, pur di compiacere il suo signore, aveva subito messo sotto assedio il castello più vicino, ossia quello del barone Gatien DeChene. Quello scenario devastato era frutto dell’ennesima sanguinosa battaglia per difendere il castello.
In quel momento, Henry, baldo cavaliere al servizio della casata DeChene, avrebbe pagato un uccellino a peso d’oro perché gli concedesse la rassicurante compagnia del suo canto.
Il giovane mormorò una preghiera, quindi si alzò ed estrasse dal suolo la sua spada. Si portò una mano alla fronte e si asciugò il sudore e la terra, che aveva raccolto quando era stato disarcionato, gli cadde sugli occhi. Henry soffocò un’imprecazione e sbatté velocemente le palpebre per calmare il bruciore. Il cavallo giaceva riverso in una pozza di sangue a poche braccia da lui. Si guardò in torno con aria disperata.
Jaque LeNoir e la sua armata avevano fatto un bel macello quel pomeriggio: ovunque erano disseminati cadaveri di uomini armati, ed i pochi superstiti dell’esercito di Chateu-Chene si aggiravano a passo svelto fra i corpi dei compagni caduti, nel vano e disperato tentativo di trovare qualcuno ancora in vita e di soccorrerlo. Le bianche cotte di maglia degli uomini di Gatien DeChene erano macchiate del rosso peggiore che ci sia: quello del sangue. Era troppo per il giovane cavaliere, troppo orrore da sopportare per i suoi giovani ed inesperti occhi di ventenne.
Cercò con lo sguardo il corpo che più di tutti temeva di trovare, e lo vide presso la torre sinistra del barbacane.
Suo fratello Bernard era disteso a faccia in su, dal suo petto spuntavano tre lunghe frecce dalle piume nere sfilacciate.
Henry corse tra le lacrime al corpo morente del gemello. Fu raggiunto dal capitano Eloi, un cavaliere alto e di grande esperienza, il quale aveva avuto l’ordine del Barone in persona di proteggere il figlio Henry.
Bernard aveva un rivolo di sangue che fuoriusciva dalla bocca e le labbra violacee, ma il capitano Eloi riuscì ancora una volta a notare la macabra somiglianza che legava il viso abbronzato ed i capelli castani tagliati corti del ragazzo a terra a quello del giovane Henry. –Monsieur Henry!- disse mentre stringeva le spalle del giovane sconvolto. Henry aveva definitivamente rinunciato a ricacciare indietro le lacrime, che scorrevano copiose sul suo volto. –Bernie!- gemette disperato. Il fratello sorrise a denti stretti e singhiozzando
–Henry! Sto bene! Mai stato meglio, davvero! La nostra terra soffre più di me in questo momento. I fiori sono freschi e leggeri in questa stagione, devi solo promettermi che non permetterai a LeNoir di distruggerli. Lascia loro il tempo di sbocciare, te ne prego.-
rantolò Bernard. Giaceva agonizzante ed era ormai inutile tentare di prestargli un qualsiasi soccorso. Henry continuava a piangere a dirotto e lo supplicava di smettere di parlare, che l’avrebbe salvato, ma alla fine fu costretto a promettere.
–LeNoir non si prenderà il nostro fiore, te lo giuro.-sussurrò.
–Fiore, fiore, fiore…- ripeté Bernard, spirando.
Henry chiuse gli occhi del fratello e appoggiò il capo al suo petto. Gli prese le mani e rialzò la testa. Aprì le mani del fratello e vi trovò un fiore di stoffa colorata. Henry lo piegò con cura e lo ripose nel colletto. Eloi lo tirò su per le spalle e lo abbracciò per rassicurarlo.
–Ora dobbiamo entrare. Gli uomini di LeNoir non attaccheranno fino all’alba.- disse mentre, insieme si ritiravano nel maniero dentro al quale si rifugiavano da quasi un mese.

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Capitolo 2
*** Sicari ***


Al centro della sala da pranzo c’era una grandissima tavola imbandita con le più deliziose pietanze.

Ma nello sguardo dei cavalieri e del barone Gatien DeChene non c’era né il sollievo per essere sopravvissuti all’ennesima battaglia, né l’attrazione per quelle prelibatezze, ma solo il lutto per i sempre più numerosi posti a sedere senza proprietario.
Henry non si sedette vicino al padre, come era tradizione, né vicino alla cugina, dama Arielle, che con quei suoi occhioni verdi ed i capelli lunghissimi color miele incantava tutti gli armigeri del barone, bensì accanto al capitano Eloi, vicino ai suoi uomini.
Aveva ordinato alla servitù di apparecchiare un altro lungo tavolo, al fine di ospitare anche i fanti, guerrieri che suo padre non considerava degni di tanta attenzione, ma che Henry rispettava almeno quanto i cavalieri.
Francois Mance, un cavaliere al servizio del sovrano da diversi anni, che si era trovato a combattere contro Adolphe LeNoir per la prima volta, fissava di storto tutti i fanti ed Henry stesso, sembrava però non avere l’appoggio dei suoi compagni d’armi.
Durante la cena regnò il silenzio più totale, rotto soltanto dal rumore dei coltelli sui taglieri di legno.
A rompere il silenzio fu proprio la voce di Henry. Il giovane si alzò in piedi fissando i cavalieri intorno a lui.
–Non resisteremo a lungo, è inutile che ci illudiamo.- annunciò, ma la sua frase fu accolta solo da grugniti di consapevolezza.
Nessuno osò replicare, consci del fatto che era impossibile vincere la battaglia da soli.
–Padre, possiamo chiedere aiuto a qualcuno!- disse infine Henry al padre, il quale seguiva la scena in silenzio, con la testa appoggiata ad una mano ed il gomito sul tavolo.
–No, figliolo, Filippo Augusto sta radunando le truppe e presto verrà un messaggero a chiederci aiuto. Vedrà che siamo in difficoltà e ci porterà dei rinforzi. Basterà resistere ancora una settimana o due.- disse il barone. Henry si sentì come colpito da un dardo.
–Una settimana o due? Per allora saremo già morti e sepolti!- sbottò. Un ombra scura si mosse nell’oscurità delle torce. Poi se ne mosse un’altra, e un’altra ancora. Nessuno sembrava accorgersi di niente. Il capitano Eloi sembrava l’unico a sapere qualcosa, ma seguiva i movimenti estranei con naturalezza.
–Cairs è già caduta da tempo ed i nostri alleati non possono aiutarci. Ormai non c’è niente da fare: dobbiamo evacuare la città con il passaggio che si apre sotto il castello.- suggerì Francois, con un’espressione sprezzante.
Ma certo, il passaggio che portava all’esterno delle mura all’interno degli alloggi dei servitori. Il barone DeChene saltò sulla sedia.
–No! Non se ne parla nemmeno, e farò impiccare chiunque tenti di mettere in pratica una simile vigliaccheria!- minacciò.
–E allora tanto vale che ci arrendiamo e che facciamo risparmiare la vita almeno ai servi ed alle donne.- replicò amaro Francois. Eloi si alzò in piedi a sua volta e prese la parola.
–Francois, vi invito a stare al vostro posto!- lo ammonì il capitano. Gatien lo zittì con un cenno della mano.
–Adesso basta. Continueremo a combattere, e se moriremo, lo faremo con onore. Non possiamo fare altro per adesso. LeNoir avrà del filo da torcere, parola mia!- disse sedendosi e pensando di aver spento ogni litigio.
Ma il capitano Eloi proseguì anche contro il volere del suo signore. –Era ora che qualcuno facesse qualcosa.- mormorò mentre un sorriso sghembo e triste si allungava sul suo volto. Dall’ombra gettata dalle torce  spuntarono tre individui incappucciati, con un lungo mantello nero e delle armi cinte al fianco.
Accanto ad uno di essi c’era un grosso lupo dal pelo grigio e gli occhi verdi come il mare limpido.
Il primo, vicino al lupo, era molto alto, armato di una spada a due mani con il manico foderato di quello che sembrava essere cuoio. Tuttavia, portava sulle spalle uno scudo rotondo di considerevoli dimensioni. Il secondo era nella media come altezza, ma aveva spalle larghe e muscoli ancor più pronunciati del suo compagno. Da una faretra spuntavano delle frecce lunghe quasi un metro, con le piume bianche e candide, simili a quelle degli  arcieri inglesi, ma l’arco che aveva sulle spalle non era il listello di tasso tipico degli inglesi né il legno di nocciolo degli imperiali. Sembrava fatto di corno, un materiale usatissimo fra i vichinghi ed i mangudai dell’est. L’ultimo del gruppo aveva un pugnale seghettato di colore simile al muschio, probabilmente in ardesia, ed una fila di coltelli attaccati alla cintura. Era abbastanza basso e non portava i guanti, rivelando mani pallide ed inesperte, probabilmente adolescenziali.
Alla vista di quegli uomini armati, i cavalieri corsero alle armi e si schierarono davanti al barone per proteggerlo, mentre Francois stava tendendo un arco. I più arditi si lanciarono contro agli intrusi con le lame tese, ma si trovarono davanti il capitano Eloi.
–Fermi! Loro non sono nemici, li ho fatti chiamare io per contribuire alla nostra causa!- annunciò, ed i cavalieri si fermarono confusi.
Henry ordinò loro di rinfoderare le spade. Il re era cinereo.
–Tu hai osato fare entrare degli uomini nel la mia casa senza chiedere il mio permesso!- lo accusò il sovrano furente.
Eloi fece un passo indietro. –Vostra maestà, questi uomini sono dei sicari molto abili. Li ho fatti passare per il passaggio segreto, ma l’ho fatto in buona fede!-.
Vedendo che la spiegazione del capitano non placava in alcun modo la furia del padre, Henry si intromise.
–Padre, vi prego! Lasciate che questi guerrieri ci aiutino, come il capitano Eloi desidera che sia!-.
Il re sembrava confuso, ma scelse di percorrere la via della ragione e non quella del sangue, per la fortuna di Eloi.
–E che aiuto possono portare tre soldati alle nostre forze, se contro abbiamo il vassallo più potente di Dammartin?- domandò il castellano trattenendo a stento l’ordine di decapitare il suo generale.
Eloi sospirò. –Non sono semplici guerrieri, bensì dei sicari infallibili. Li ho ingaggiati per uccidere LeNoir, in modo da lasciare senza guida il suo esercito.- spiegò il capitano in tono solenne.
Arielle sembrava attirata dal discorso tanto quanto gli uomini. A quel punto gli uomini tirarono giù il cappuccio, rivelando i loro volti. Quel movimento brusco fu motivo di preoccupazione per molti cavalieri. Francois non riuscì a mantenere il sangue freddo e scoccò. La freccia colpì la gamba di uno degli uomini, quello armato di coltello. Il dardo lo aveva colpito solo di striscio, ma la ferita era abbastanza profonda e colava sangue in abbondanza.
Il lupo, di sicuro non era un cane per via delle sue dimensioni, ringhiò mettendo in mostra una fila innaturale di denti d’avorio bianchissimi e temibili, che gli coprivano quasi tutte le labbra come solo un essere diabolico era capace di fare. Un coltello volò dalle mani dello straniero armato di spada e tagliò di netto l’arco di Francois, che cadde all’indietro terrorizzato. Arielle in persona si precipitò ad aiutare il ferito, nonostante il disappunto del padre e dei cavalieri.
Ma la giovane sentiva che c’era qualcosa di particolare in quei misteriosi combattenti. I cappucci si erano spostati completamente e finalmente, avvicinandosi, la giovane nobile poté vedere i volti degli stranieri.
Il ragazzo, solo ragazzo poiché Arielle non si sentiva di definirlo un uomo in quel momento, che aveva lanciato il coltello era ancora più massiccio di quanto da lontano si poteva vedere. Portava lunghissimi capelli biondo come la resina che gli scendevano fino alla vita, non dimostrava più di trent’anni ed aveva gli occhi azzurri più profondi, magnetici e glaciali che la giovane donna avesse mai visto.
L’individuo con l’arco di corno era l’antitesi dello spadaccino: capelli neri come il carbone, secondi solo agli occhi per il timore che incutevano, ed aveva il viso duro e dai lineamenti decisi, in netto contrasto con il viso soave del primo. Nonostante i lineamenti duri il suo volto risultava gradevole, ma aveva un aspetto combattivo e scaltro. I due erano accomunati solo dall’età. Infatti, anche l’arciere era molto più giovane dei cavalieri al servizio del Barone.
Lo sguardo di Arielle cadde sul ferito e la ragazza perse ogni parola: l’ultimo membro del clan di guerrieri era una ragazzina di appena dodici anni, con i lunghi capelli rossi sottili e lisci come la seta più pregiata. Aveva gli occhi azzurri come lo spadaccino, e la dama non poté fare a meno di notare il fascino misterioso che li legava.
Tornò ad occuparsi della ferita: estrasse un fazzoletto dal vestito e lo strinse sul taglio, per fermare l’emorragia.
Quel gesto suscitò scalpore anche tra i soldati del barone, troppo timorosi di avvicinarsi. I due guerrieri ancora in piedi erano furenti. Il giovane spadaccino mise una mano sotto al mantello e ne tirò fuori una balestra di piccole dimensioni. Puntò l’arma verso i soldati. L’altro incoccò una freccia e prese a sua volta la mira. I cavalieri fremettero e si buttarono di nuovo contro a chi aveva osato sfidare il loro sovrano così sfacciatamente.
Si fermarono di colpo vedendo il loro capitano Eloi ed il nobile Henry che si erano schierati a lame tese dalla parte dei nemici.
La confusione regnava sovrana, mentre il giovane Henry tremava, forse per l’adrenalina, forse per la vista di quel bellissimo lupo con i denti così spaventosamente numerosi e terrificanti. Fu il barone ad intervenire.
–Soccorrete subito la bambina, e scortate in una stanza i nostri viandanti. Portategli qualcosa da mangiare. Parleremo dopo di ogni questione. Ora non desidero altro che finire quella che potrebbe essere la mia ultima cena.- disse stancamente.
Oramai non aveva più né la voglia né le forze per affrontare a mente lucida una tale scelta, ed ormai non temeva neanche più il morso del mostro a quattro zampe.
I due guerrieri stranieri vennero accompagnati de Henry, Eloi ed Arielle in persona.
Al giovane capitano sembrò di sentire una frase dall’uomo con l’arco di corno, ma era a bassa voce e non riuscì a distinguere altro che le parole “guerra” e “Anja”. Il resto fu un mistero.
L’ultima cosa che vedette furono i medici che si chinavano sulla bambina e le porte di legno massiccio che si richiudevano.

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Capitolo 3
*** Guerrieri del Nord ***


Attesero a lungo in una stanza vicino a quella di Arielle, accompagnati dal ritmo frenetico delle gocce di pioggia insistente che cadeva sui tetti. 
L’atmosfera non era certo accogliente, ma se non altro il letto pulito e fresco e la cesta di vimini accanto al giaciglio rendevano il tutto più accettabile.
L’odore, notò Tyr osservando il suo lupo, era assai penetrante, ma non riuscì a capire se in senso buono o cattivo. Il mistero si risolse quando vide che il suo fedele amico si accucciò con un mugolio soddisfatto ai suoi piedi. Tyr lo accarezzò senza guardarlo.
I suoi occhi erano impegnati ora a guardare Ullr che giocherellava nervosamente con la corda del suo arco di corno, ora la giovane dama che li aveva accompagnati con tanta premura, e che ora li fissava con grande curiosità. Tyr riuscì persino a cogliere un suo sorriso, e subito ritrasse lo sguardo. Arrivò un uggiolato dal pavimento foderato di assi. 
–Fenrir! Piccolino va tutto bene?- sussurrò con preoccupazione al suo lupo.
La bestia aveva abbandonato la forma demoniaca ed era tornato ad essere il solito cagnolone placido. Tyr gli grattò la pancia sorridendo.
Il gesto attirò lo sguardo di Eloi e di Henry, seduti in disparte che osservavano in silenzio i due estranei. 
–E’ molto bello, il vostro cane.- azzardò con voce soave la bella dama. Il commentò colpì tutti, persino Fenrir che rizzò le orecchie. Tyr la guardò stupito di tanta ingenuità. Tuttavia, fu Ullr a rispondere, e lo fece in modo secco e maleducato.
–Se voi non foste così sciocca, avreste capito che Fenrir non è un cane.- osservò. 
Tyr gli scoccò un’occhiataccia, Arielle si ritrasse ferita nell’orgoglio.
–Non c’è bisogno di essere così sgarbati.- replicò Tyr portandosi una ciocca di capelli biondissimi dietro l’orecchio.
L’atmosfera che lo circondava era candida, quasi eterea, e per un attimo Arielle fu sicura che se qualcuno avesse per assurdo dato uno schiaffo a quella creatura, la sua mano sarebbe passata attraverso al suo corpo come attraverso a quello di un fantasma. Infine sarebbe caduto trafitto da una freccia oppure dalla spada. Perché senza dubbio quegli uomini avevano una forza misteriosa ed invincibile dalla loro parte, o non avrebbero sfidato tutti gli uomini del barone. 
Comunque, Tyr sembrava dispiaciuto che la giovane ragazza fosse stata così offesa, ma adesso era preoccupato per Anja, la quale era sottoposta alle cure di mani sconosciute. 
Ma in quel momento entrò Gatien DeChene, il barone e castellano. Tyr e Ullr si alzarono ed accennarono un inchino. Lo stesso fecero Arielle, Eloi ed Henry. 
Il barone rispose con un cenno del capo.
–Ho capito che siete qui per aiutarci, e probabilmente lo farete. Ma ho una domanda molto importante da porvi, anche se risulterà sicuramente scontata: chi siete voi? Non capita tutti i giorni che dei guerrieri sfidino senza paura un intero schieramento di cavalieri.- disse senza nascondere la sua curiosità personale.
Tyr prese il fiato: in tanti gli avevano posto quella domanda, e sempre in situazioni alquanto scomode. 
La domanda stessa era per loro parecchio scomoda. Intervenne però prima che Ullr avesse tempo di rispondere con una delle sue sfacciataggini.
–Siamo viandanti e bardi del nord. Veniamo dalle terre più a nord della Scandinavia.- 
Henry si prese la parola alzandosi in piedi, evidentemente insoddisfatto della risposta. Aveva incominciato ad irritarsi: quei tue tizi erano entrati a casa loro, avevano minacciato la loro autorità ed ora mentivano anche. 
–Io non vi credo. Voi non siete dei viandanti e così affermando offendete l’intelligenza mia e di mio padre. Il capitano Eloi è un mio compagno d’armi da moltissimo tempo e mio amico da sempre, e non rischierebbe la mia amicizia e la vita stessa per far entrare due bardi nel castello. Voi abusate del nostro tempo, che già scarseggia.- accusò ad alta voce. 
I due, anzi, i tre non replicarono né sostennero la loro tesi.
Quello con i capelli lunghi però fece una smorfia di disprezzo. Il biondino, che aveva l’aria di essere il più ragionevole dei due rispose con sorprendente garbo.
–Non possiamo raccontarvi chi siamo in realtà, perché non ci credereste e ci reputereste dei pazzi. Vi prego di accettare la nostra spiegazione che tanto vi altera.- disse guardando i loro ospiti. Henry posò la mano sull’impugnatura della spada, offeso da tanta calma più che da un’eventuale obbiezione.
Ma la provocazione non mancò a venire: Ullr si alzò in piedi e si aggiustò la cintura alla quale erano appesi una spada corta e una faretra.
–Andiamo Tyr. Questa gente non vuole il nostro aiuto. Preferiscono aspettare che LaNoir li scanni come maiali.- grugnì mentre si avviava verso la porta. 
Fu fermato dalla mano del compagno. –Ullr ma che diavolo ti prende?- chiese stupito lo spadaccino leggendo la paura negli occhi del suo intrepido compare. 
–Qui c’è puzza di tradimento- gli sussurrò nell’orecchio.
–Qualcuno vuole tradirli, ma io non so chi è. Sono sicuro che è all’interno delle mura, il bastardo!-.
Le parole non sfuggirono ad Henry, il quale le interpretò come un affronto e si offese a morte. 
Sguainò la lama e fendette l’aria accanto all’orecchio di Ullr. La spada incontrò lungo il suo tragittò la lama azzurro zaffiro di Tyr, che la impegnò e la strappò dalle mani di Henry con una maestria sovrumana. Tutti erano increduli da quello che era appena successo, ed Arielle lanciò un urlo appena vide le scintille prodotte dalle lame. Gatien assistette immobile e fissò la spada del figlio volare in fondo alla stanza. 
Poi alzò una mano ed indicò Arielle.
–Lasciaci.- la invitò, ma la sua voce risuonava più come un ordine. 
La fanciulla uscì dalla stanza e richiuse la porta. Si sedette affianco all’entrata. Gatien riprese a parlare
–Questa scena dimostra che non siete quello che dite di essere. Ora io non vi chiederò di raccontarmi ciò che vi riguarda in privato, ma vi chiedo qual è il vostro piano per aiutarci.- disse con tono asciutto e stanco, ma con un briciolo di ammirazione.
–Grazie, signore. Il mio nome è Tyr, lui è Ullr ed il mio amico quadrupede si chiama Fenrir. Siamo sicari provenienti dal nord, non viandanti, ma siamo sul serio Scandinavi. Il nostro obbiettivo è assassinare LeNoire in modo da lasciare l’esercito senza una guida. I suoi uomini saranno confusi e potrete assalirli o come minimo guadagnare tempo prezioso. Non sono così forti senza una guida. Potrete fare ciò che volete.- spiegò Tyr a voce moderata. 
Al barone bastò ed il suo volto cambiò improvvisamente. Da duro ed asciutto che era diventò radioso e soddisfatto.
–Eccellente! Se a voi va bene questa stanza potrete aspettare qui fino a questa notte.- annunciò battendo le mani.
Tyr si sistemò di nuovo i fastidiosi capelli lunghi.
–Voi siete gentilissimo, ma tutti i membri del gruppo sono fondamentali. E quando dico tutti, intendo proprio tutti.- rispose invece Ullr indicando con gli occhi la porta. 
Infatti in un’altra di quelle stanze stava Anja, la ragazzina con i capelli rossi, sulla quale gli speziali stavano operando per arrestare l’emorragia e fasciare la ferita. Tyr sembrava contrariato agli occhi di Henry, ma aveva un’aria di chi aveva già perso da tempo quella battaglia.
Il barone annuì.
–Si, la giovane donna…- disse sottintendendo la domanda.
–Anja- l’aiutò Tyr. Il barone annuì di nuovo. 
-Sta bene. I nostri medici stanno lavorando e vi manterremo informati sulla situazione della ragazzina. Quando sarete pronti farete il vostro, di lavoro.- disse e con questo fece per congedarsi insieme ad Henry ed Eloi. 
Ma quando raggiunse la soglia venne preso da un dubbio.
–Dimenticavo di chiedervi che cosa volete in cambio.- concluse.
Tyr non aveva nulla in mente in quel momento di preoccupazione.
–Vedremo dopo. Niente di esagerato comunque.- lo rassicurò. 
I loro ospiti uscirono chiudendosi la porta alle spalle.

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Capitolo 4
*** Al completo ***



Anja tornò il mattino successivo, accompagnata da dama Arielle.
Tyr aveva dormito tutta la notte male per via delle preoccupazioni sulla salute della ragazzina.
Ma vedendola arrivare di corsa (anche se in realtà stava solo camminando solo un po’ più velocemente a causa della ferita) il cuore gli si risollevò all’improvviso.
La accolse fra le sue braccia e la strinse forte. I sorrisi erano comparsi sul viso di tutti, persino di Ullr e di Fenrir, che faceva le feste alla convalescente.
–Non ci sei mancata nanerottola irritante!- aveva commentato Ullr con ironia che ostentava una certa felicità.
Tyr non aveva parole e la stringeva a se con forza. Si abbassò e le mormorò qualcosa nelle orecchie.
Dopo Anja rialzò il capo e lo guardò negli occhi sorridendo.
Il bel visino pallido era coperto in parte dai capelli rossi scuri e fiammanti.
Arielle la guardò e le fece l’occhiolino. La ragazzina rispose con un sorriso.
–I medici dicono che non è grave e che potrò essere di nuovo in piena forma tra un paio di giorni. Ma io ho male!- si lagnò.
Il suo commento fanciullesco e sincero strappò un sorriso ai presenti.
Ullr invece era stanco di stare fermo.
–Io vado giù dagli arcieri del barone a ridicolizzarli. Voglio farli sentire come i perdenti che sono!- annunciò con la solita sbruffonaggine.
Tyr le rivolse un’occhiataccia.
–Piuttosto dai una mano a rimettere insieme le difese. Domani andiamo in guerra e voglio che l’esercito di LeNoir non danneggi nemmeno un palmo delle mura.- rispose amaro.
Ullr borbottò qualcosa e se ne andò.
Arielle stava fissando Tyr con occhi attenti.
Alla fine si avvicinò a lui e gli si fermò ad una spanna di distanza, tanto che poteva sentire il suo fiato leggero soffiargli contro il petto.
Vedere una giovane ragazza di minute dimensioni affrontare le dimensioni impressionanti anche per un uomo in quel modo avrebbe sconvolto chiunque.
Lo stesso Tyr si sentì a disagio.
Arielle puntò i suoi occhi verdi in quelli color ghiaccio dello spadaccino e non sembrò per nulla intimorita. Lo sfidò prima con lo sguardo e poi con le parole.
–Ma chi siete voi?- domandò curiosa.
Tyr la guardò sottecchi e concluse che non poteva semplicemente mentire, ma doveva dire il più possibile il vero.
–Lei è mia figlia.- disse indicando con lo sguardo Anja, la quale giocava rumorosamente con Fenrir in fondo alla stanza.
Arielle apparve spiazzata.
–Non vi somigliate molto.- tentò di giustificare il rossore improvviso delle sue guance.
Tyr trovò che il viso della dama era ancora più attraente, ma non lo disse ritenendolo molto sconveniente. Scosse però la testa
–No, a dire il vero ha preso tutto dalla madre.- confermò.
–Però ha gli occhi uguali ai vostri.- osservò subito dopo la ragazza.
-Voi avete un volto strano, che insieme ai vostri capelli vi fanno sembrare…-. Lo sguardo gli cadde su Fenrir –Un lupo! Vi sembrerò una folle ma avete l’aspetto vagamente ferino!- mugolò arrossendo per la vergogna, ma cercando di mascherare il tutto con un'apparente noncuranza. La situazione stava diventando scomoda per entrambi, e quindi fecero il possibile per non prolungarla oltre.
–Come avete intenzione di uccidere LeNoir?- chiese con voce atona Arielle.
–Lo prenderemo di notte nel sonno. Alle guardie ci penseremo io ed Ullr. Anja lo ucciderà e la finiamo in fretta.- spiegò rapidamente Tyr.
Arielle annuì.
–Intanto parteciperemo alla battaglia da dietro le mura. Nessuno verserà più sangue dopo che LeNoir sarà morto.- concluse.
Arielle si fece rigida.
–Ho perso mio cugino ieri. Henry ha portato il cadavere di suo fratello all’interno delle mura.- disse ricacciando coraggiosamente indietro le lacrime. Tyr annuì.
–Io ho perso la madre di Anja.- disse invece.
–Sapete, voi mi dovete molto.- mugolò Arielle.
–Sono stata a lungo vicino ad Anja ed ho aiutato i medici.- proseguì.
–Ed io vi ringrazio ma non ho nulla per ripagarvi.- rispose Tyr.
–Una cosa ci sarebbe…- disse Arielle.
–Insegnatemi a combattere.- lo scongiurò.
–Se avrò il permesso di vostro padrino, o chiunque sia il vostro protettore, lo farò.- tagliò corto Tyr.
–Mio padrino non sarà mai d’accordo. Lo dovrete fare di nascosto.- lo contraddisse subito la ragazza.
–E va bene, imparerete a combattere. Quando desiderate iniziare?- chiese rassegnato.
–Tra dieci minuti alla piazza d’armi.- annunciò Arielle soddisfatta.
–Benissimo vi manderò Anja.- rispose ridacchiando Tyr.
–Ho detto che avreste imparato a combattere, non che io vi avrei insegnato!- disse mentre scoppiava in una fragorosa risata.
L’ilarità del giovane fu interrotta da un suono di lance percosse sugli scudi.
Corse subito ad affacciarsi alla finestra e si riparò d’istinto quando vide il folto nugolo di frecce abbattersi contro ai bastioni, mietendo vittime senza pietà. Anja urlò e corse verso Tyr. Il giovane sguainò la spada ed imbracciò lo scudo
. –Restate qui e chiudete la porta.- ordinò mentre si precipitava di fuori seguito da Fenrir.
Arielle riuscì a vedere la mutazione del lupo mentre usciva.
Aveva perso l’aspetto di cucciolo con il quale giocava con Anja. Ora era visibilmente più muscoloso ed i denti avevano un aspetto sovrannaturale. Il lupo ruggiva ed ansimava in modo spaventoso ed a ogni balzo mostrava le temibili zanne fitte come aghi.
Scomparvero giù per le scale.
Arielle prese Anja con se e richiuse la porta con il chiavistello.

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Capitolo 5
*** La Battaglia del Cancello ***


Tyr incontrò nella piazza d’armi una parte della cavalleria e scorse in mezzo a loro Eloi, colui che aveva richiesto il suo aiuto.
Corse incontro al capitano e bloccò il cavallo
–Vengo con voi.- disse schietto.
Eloi annuì. –Un soldato in più non porterà che vantaggio. Ora prendi uno di quei cavalli in fondo alla piazza e una lancia per la carica iniziale.- disse indicando una fila di numerosi cavalli color nocciola presso le mura del castello.
Tyr corse verso l’obbiettivo e prese due lance da un grosso mucchio. Saltò noncurante su un cavallo e passò affianco ad Eloi.
–Cosa hai intenzione di fare con due lance? Sono troppo pesanti! Cadrai a terra all'inizio della carica!- lo avvertì il capitano ed impugnò la sua arma.
–Non per me. Se con una lancia puoi eliminare tre fanti, con due puoi farne fuori sei! D sicuro non sarà una lancia in più a buttarmi a terra!- spiegò spavaldo Tyr.
Eloi annuì senza capire e spronò il destriero in battaglia. Tanto vale che combattesse al meglio delle sue capacità, pensò.
Superarono il barbacane con un assordante rumore di zoccoli sul ciottolato e si lanciarono in una schiera compatta contro l’esercito di LeNoir.
Il vassallo aveva tenuto fede al suo nomignolo: lungo il confine si erano accumulati un formicaio di neri uomini, con il volto coperto da un cappuccio nero. Lo stendardo era uno straccio nero con un corvo rosso, ed era stranamente bagnata.
Henry li raggiunse al galoppo e indicò la bandiera. –Sangue. Quello dei nostri!- ruggì.
Tyr sentì una morsa stringergli lo stomaco all’idea di simile barbarie. Non era la sua prima guerra, ma nelle fredde e desolate terre a nord anche il peggiore dei tiranni aveva timore di disonorare un nemico morto.
–Riportiamo l’onore ai nostri caduti!- li incitò Henry a lancia alzata.
La carica partì con un rombo assordante.
Era come se la terra minacciasse di cedere sotto la devastante pressione degli zoccoli.
I cavalieri si abbatterono contro le fila disordinate dei fanti nemici, che non avevano avuto tempo per preparare una controffensiva, ma presto avrebbero ricevuto rinforzi. La violenza della scena era terribile, il rumore di ossa spezzate e di urla umane si confondeva con quello dei cavalli e delle spade che stridevno contro corazze e scudi.
MaTyr ci aveva fatto l'abitudine: spezzò entrambe le lance, una sullo scudo di un cavaliere, una sulla schiena di un picchiere. Il cavaliere cercò di colpirlo con la lancia ma Tyr aveva già impugnato lo scudo e con quello lo colpì violentemente in volto. Il cavaliere cadde.
Saltò giù dal cavallo.
–Che diavolo fai?- gridò Eloi senza che lui potesse sentirlo.
Snudò la spada ed imbracciò lo scudo come il suo bersaglio, i cavalieri andavano affrontati alla pari, sempre. Così era stato abituato lui.
Il giovane non aveva né elmo né usbergo, ma reggeva uno scudo da esploratore enorme rinforzato con liste di ferro incrociate e decorato di rosso. Era abbastanza per affrontare qualunque pericolo. Poi nell’altra mano brandiva la sua spada, non una qualunque, ed era una sicurezza in più.
Gli arcieri ed i balestrieri del barone tiravano in sincronia e poi si appiattivano dietro ai merli delle mura per proteggersi dalla salva di ritorno.
Tre soldati gli si pararono davanti.
Tyr schivò la mazza del primo e parò la lama del secondo con lo scudo. Affondò di punta la lama nel terzo nemico e lo gettò nella polvere. I due nemici rimasti lo aggredirono ancora e Tyr stavolta gli si lanciò addosso, portandosi lo scudo di fronte e scontrandosi con le lame degli altri.
Li travolse come un toro alla carica. Mentre i due fanti neri finirono al tappeto, Tyr troneggiava su di loro.
Un altro nemico spuntò dalla mischia sanguinosa, deciso a gettarsi contro il giovane guerriero, ma finì azzannato da Fenrir. La belva addentò il braccio del soldato perforando prepotentemente la cotta di maglia. 
–Bravo cucciolo.- si complimentò Tyr sollevato mentre si lanciava ancora in battaglia.
Individuò Henry e si fece strada fino a lui. –Salve- lo salutò ironicamente senza ricevere risposta.
Il figlio del barone era troppo impegnato a menare la spada ed a scrollarsi invano l’orrore degli uomini che cadevano trafitti ogni istante.
La terra ormai era ricoperta di un raccapricciante tappeto rosso e scivoloso. I soldati nemici invece di diminuire aumentavano sempre di più. I fanti avevano fatto in tempo a ricompattarsi in delle schiere ordinate ed efficaci. Gli arcieri nemici avevano ripreso a bersagliare le mura del maniero, anche se dall’alto piovevano frecce contro gli assedianti, la battaglia era tornata nelle mani dei soldati di LeNoir.
Tyr lo vide per la prima volta ad un centinaio di metri da lui.
Era impegnato in una battaglia con due uomini.
Sopra alla corazza nera ed alla cotta di ugual colore aveva un corvo color rubino e ne esibiva uno uguale sullo scudo da cavaliere. L’elmo era terrificante: un copricapo spesso e scuro come la pece con una visiera che copriva il volto completamente e delle striature rosse come un’incisione nella carne viva. Brandiva una Claymore con elsa intarsiata a cesto e la usava per fare il vuoto intorno a sé, seppure con un po' di difficoltà.
Due soldati caddero in una pozza di sangue, poi altri due, ed altri due ancora.
Tyr gli si lanciò incontro a lama tesa per la furia. –Sei mio bastardo!- ringhiò furibondo tenendo lo scudo di fronte a sé con la spada appoggiata sopra pronta a colpire.
Il primo fendente fu violento come il suo stato d’animo.
Il cavaliere nero lo intercettò in tempo per deviare la sua lama ed effettuare un affondo efficace, ma Tyr lo parò con la targa.
Continuò a premere con l’intenzione di gettare LeNoire giù dal destriero.
Il cavaliere capì che non poteva vincere uno scontro di muscoli con il suo rivale, incredibilmente più forte di un soldato normale, e spronò il cavallo, tentando di sfruttarne la forza per travolgerlo.
L’animale si impennò e Tyr dovette proteggersi ancora una volta dietro allo scudo per evitare di essere colpito dai micidiali zoccoli del palafreno.
L’urto gli strappò un’esclamazione di dolore. Era ancora stordito quando il nemico calò la spada, mirando al suo collo.
La mano del cavaliere ricevette un duro colpo e perse l’arma.
Una freccia bianca si era conficcata all’altezza del palmo ed aveva lacerato i guanti d’arme facendo sgorgare sangue a fiotti rosso scarlatto.
Il nero cavaliere urlò di dolore e batté in ritirata.
Un’altra freccia lo raggiunse alla gamba destra.
Tyr si voltò e vide Ullr che incoccava una terza freccia. –se la da a gambe l’idiota, eh?- borbottò.
Tyr ringraziò mentalmente l’amico mentre il corno suonava richiamando all’interno delle mura i superstiti.
Il gruppo di cavalieri ed i fanti si rifugiarono nel cortile interno per sottrarsi al tiro degli arcieri neri, ma non si allontanarono, nel caso gli uomini di LeNoir avessero deciso di effetuare un attacco improvviso mentre erano occupati con i feriti.
Ma la guerra si combatteva ormai solo più a distanza, poiché anche i fanti nemici erano fuori tiro per i balestrieri.
Alcuni dei fanti si sostituirono agli arcieri per rinforzarne le fila.
Tyr ed Ullr si unirono a loro, ma la tregua non tardò a venire, con sommo piacere dei difensori ormai stremati dalla fatica e dal dolore.
Anche gli ultimi uomini di LeNoir rimasti sul campo di battaglia si rifugiarono dentro il loro accampamento di mantellette e attesero come avvoltoi.
Le frecce smisero di volare ovunque falciando soldati.
Eloi fece ordinare agli uomini di posizionare altri otri d’olio e pece ai lati delle mura e di riempire quelli già presenti.
Ullr osservò in silenzio le sentinelle che decidevano i turni.
Fu raggiunto da Tyr. –Non muori anche tu dalla voglia di fare la sentinella? Metti che al Nero viene voglia di saltarci addosso all’ora di pranzo!- scherzò.
Ullr gli rivolse uno sguardo truce. –Ma no! L’idiota ci metterà troppo tempo a sedersi a tavola. E ancora di più a prendere il coltello!- obbiettò con serietà e decisione, per poi scoppiare con l’amico in una fragorosa risata.
La battuta in sé era abbastanza penosa, ed i due lo capivano perfettamente. Ma seriviva ridere in un momento del genere, e quel guizzo d’ilarità era accompagnato dalla gratitudine di essere sopravvissuti entrambi alla battaglia. E non era una gratitudine da poco.

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Capitolo 6
*** Sensazioni ***



Ullr, Tyr, Henry, Eloi ed il fedelissimo Fenrir entrarono nel castello con ancora le armi in pugno e l’usbergo addosso.
I due soldati si staccarono dal gruppo e si avviarono verso l’infermeria, dove i numerosi feriti si facevano medicare.
Eppure, stranamente nessuno gridava di dolore sotto ai ferri.
Tutti sopportavano il supplizio con impressionante e orgoglioso silenzio, rotto solo da qualche imprecazione sottovoce o qualche gemito.
Tyr scorse in mezzo al macello una leggiadra figura femminile, vestita di azzurro e di verde chiaro, e una sfuggevole al suo fianco, con addosso una tunica scura.
Sopraffatto dalla soddisfazione e da una strana sensazione allo stomaco, il giovane rinfoderò lo spadone e corse incontro ad Arielle e Anja, con lo scudo ancora agganciato al braccio, lasciando Ullr e Fenrir di sasso.
Abbracciò Anja con tutte le sue forze, tanto che la ragazzina urlò per via della pressione sulla ferita.
–Scusami!- gemette Tyr preoccupato.
Per tutta risposta la ragazzina lo abbracciò di nuovo affondando il bel viso nei suoi lunghi capelli biondi.
Quando gli fu concesso di sollevare la testa, Tyr incontrò lo sguardo di Arielle.
Lo spadaccino sentì per la prima volta una sensazione simile alla timidezza, ma più forte e fastidiosa, una specie di calore che investiva tutto lo stomaco.
Si stacco in fretta e arrossì quando la ragazza gli parlò.
–Forse non avete solo l’aspetto di lupo.- disse colma di ammirazione.
–Forse no, madonna.- balbettò Tyr.
La giovane aggrottò la bella fronte ed accennò alla piccola balestra al fianco di Tyr.
–Come fate a combattere con la spada a due mani, lo scudo e la balestra? La vostra statura vi concedono molta forza ma…- rimase incerta come concludere la frase.
Sembrava confusa e curiosa allo stesso tempo, sensazione che raramente aveva provato nella sicurezza viziosa di corte.
Eppure non poteva fare a meno di chiedersi cosa fosse possibile fare, a parte la guerra, con quel fisico tanto prestante e muscoloso.
–Oh, è per via della balestra?- domandò lo spadaccino come risvegliatosi dall’estasi, ma scuotendo dai suoi pensieri anche la giovane.
–Un regalo di Ullr. Da Bisanzio.- spiegò. Arielle spalancò gli occhioni chiari, cosa che fece spalancare il cuore a Tyr.
Arielle annuì. –Voi siete un uomo dalle mille sorprese…- disse sbigottita.
Il norreno tentò la fortuna.
–Magari non sono un uomo normale- suggerì con uno sguardo eloquente.
Arielle arrossì violentemente, ma stette volentieri al gioco di malizia
–Spero che avrete modo di dimostrarmelo, una volta. Sempre la vostra posizione ve lo permetta.- scherzò.
–Credo che sia la vostra di posizione il problema, madonna.- borbottò Tyr.
Giunse Ullr ed il lupo che accompagnava sempre il giovane spadaccino.
–Scusate se ho l’ardire disturbarvi, ma vi devo rubare un momento il cavaliere!-.
Pronunciò il titolo come un insulto e Tyr sentì che le cose non si mettevano per niente bene per lui. Ma cosa poteva mai aver fatto?
Ullr lo trascinò per la manica dietro un angolo mentre Anja iniziava una conversazione con Arielle.
–Guardati!- cominciò Ullr.
–Sto bene! Non sono morto né ferito e, a dire il vero, non mi sono mai sentito meglio!- ridacchiò Tyr posando lo sguardo su Arselle.
La giovane rideva di gusto, probabilmente per una battuta di Anja.
Sorrise a sua volta per il buon umore, ma poi la faccia truce dell’amico lo costrinse alla serietà
–Pensavo di non doverti ricordare perché siamo qui!- e così dicendo lo schiaffeggiò leggermente sulle guance, come per svegliarlo da un sonno profondo.
Sebbene avesse usato poca forza, le mani robuste di Ullr sortirono l’effetto dovuto.
–Svegliaaa! La francesina ti sta conciando come un pesce lesso! Non pensare neanche di… trattenerti!- lo minacciò con l’indice.
Lo spadaccino tentò la controffensiva
. –Non scherzare! Facciamo il nostro lavoro e andiamo via, ovvio!- replicò Tyr, ma dal suo tono si poteva intuire ben altro.
Ullr infatti non era convinto.
–No! non mi sembra per niente “ovvio”! Fammi solo capire…- disse provando con un altro metodo più diplomatico, anche se non vi eccelleva a causa dei suoi modi sbrigativi e talvolta prepotenti.
-Non ti hanno affascinato le bellezze mediterranee in Turchia, le fragili fanciulle cinesi o le attraenti britanniche e ti fai infinocchiare da una francese? Una stramaledettissima francesina  nobile, per giunta!- lo apostrofò con un misto di ira ed incredulità, ma a stento si tratteneva dallo scoppiare a ridere: anche a lui aveva iniziato a divertire la commedia assurda nella quale era coinvolto l’amico.
Tyr lo fissò serio in silenzio. Poi sorrise a trentadue denti pieno di soddisfazione e annuì.
–Non prenderla male. L’esotismo non fa per me!- disse scoppiando in una fragorosa risata per aver lasciato il suo compagno, il grande arciere, il duro uomo senza sorprese e perennemente sarcastico, imbambolato con la stessa espressione di un bambino davanti alla vetrinetta della bottega di un pasticciere.
Corse via lasciando Ullr a fissare il muro, con una terribile sensazione di fallimento.
L’arciere si riprese solo dopo un po’ e fissò Fenrir che lo guardava perplesso e un po' curioso.
Sembrava essersi accorto del fallimento di Ullr. E sembrava anche voler sottolineare la sua impotenza.
La faccia tosta e il regolare scodinzolare della bestia lo fecero sbottare del tutto.
–Tu ed il tuo amico siete sconvolgenti! Ecco cosa penso! Forse per la mancanza di aria norrena gelata vi si sono surriscaldati i cervelli!- borbottò.
Girando lo sguardo su Tyr, si accorse che era impegnato in un altro flirt con la sua Arielle, la quale pendeva dalle sue labbra, incantata dalle sue parole.   
–Forse non solo il cervello!- disse a se stesso, mentre si dirigeva verso le cucine in cerca di un po' di vino per rinfrescarsi la mente. 
 

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