Eppure mi hai cambiato la vita

di Moon9292
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'inizio dell'avventura ***
Capitolo 3: *** Primo giorno ***
Capitolo 4: *** Scoperte ***
Capitolo 5: *** Lasciarli andare ***
Capitolo 6: *** Cosa ti succede, Paolo? ***
Capitolo 7: *** Migliori amici ***
Capitolo 8: *** Un trio combinaguai ***
Capitolo 9: *** L'altra faccia del mondo ***
Capitolo 10: *** Proteggere ***
Capitolo 11: *** Racconti d'orrore ***
Capitolo 12: *** Il trio combinaguai è tornato! ***
Capitolo 13: *** Nuovi guai all'orizzonte ***
Capitolo 14: *** E pace fù ***
Capitolo 15: *** Consulenze di natale ***
Capitolo 16: *** A natale puoi... ***
Capitolo 17: *** Certi dolori tornano ***
Capitolo 18: *** Metà desiderio ***
Capitolo 19: *** La forza dei fratelli ***
Capitolo 20: *** Basta così! ***
Capitolo 21: *** Conto alla rovescia ***
Capitolo 22: *** Ricordi d'amore ***
Capitolo 23: *** Addii e ritorni ***
Capitolo 24: *** Déjà-vu ***
Capitolo 25: *** Adozione ***
Capitolo 26: *** Andrà tutto bene ***
Capitolo 27: *** Verità svelate ***
Capitolo 28: *** La fine di tutto ***
Capitolo 29: *** Un amore grande quanto il mondo ***
Capitolo 30: *** Un lieto fine ***
Capitolo 31: *** Cene divertenti, e incontri strani ***
Capitolo 32: *** I sogni son desideri... ***
Capitolo 33: *** Eppure mi hai cambiato la vita ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Capitolo 1 - Prologo


Il treno delle otto e mezza, come ogni mattina, passava puntuale. E, come ogni mattina, era gremito di gente che spintonava, senza ritegno, le povere persone costrette a stare in piedi per la mancanza di posti a sedere. Tra quelle persone ovviamente c’ero anche io.
Come sempre, ogni mattina faticavo ad andare d’accordo con le mie tre sveglie squillanti che rendevano già la giornata abbastanza snervante, senza contare poi lo stress nel doversi sistemare il più decentemente possibile, per cercare di non spaventare il primo passante col mio aspetto da troglodita e abbastanza inquietante, che assumevo non appena mettevo un piede fuori dal letto. Solo una cosa riusciva a farmi stare meglio, ed era il caffè. Dolce e inebriante caffè, che riempiva la mia cucina di quell’aroma che avrei voluto conservare in bottiglia e utilizzarlo come profumo tutti i giorni. Persa nell’assaporare quel meraviglioso gusto, ero sempre in ritardo. Di conseguenza, ogni mattina correvo come una forsennata per riuscire a prendere il treno ed arrivare alla facoltà di biotecnologie a Napoli in tempo per l’inizio dei corsi. Anche quella mattina sembrava una delle mie solite giornate tediose, divisa tra i corsi all’università, il lavoro al bar e il giro di visita alla mia dolce zietta. O meglio, era quello che pensavo, prima di imbattermi in colui che avrebbe per  sempre cambiato la mia vita. Ma forse sto correndo troppo. A quel tempo ancora non sapevo che gli aventi di quel giorno mi avrebbero stravolto da capo a piedi, e che da allora tutto sarebbe stato diverso.
Ero come al solito rimasta avvinghiata al palo davanti alla porta dove abitualmente scendevo dal treno, quando un ragazzo mi calpestò il piede procurandomi un dolore talmente forte da risultare insopportabile.
<< Ahia!! >>, esclamai di botto.
Il ragazzo mi guardò con sufficienza, e sbuffò sonoramente.
<< Non dirmi che ti ho fatto così male, signora. Stai esagerando >>, mi rispose con sufficienza.
Rimasi incredula di fronte a quel ragazzino così sfrontato che aveva appena calpestato in modo poco garbato il mio piede. Era alto, per la sua età. Aveva si e no 13 anni, ma era già lungo un metro e sessantasei, come me.
<< Scusami? Qui quella che dovrebbe spazientirsi sono io, non tu, moccioso impertinente. Tu dovresti chiedermi scusa. Tua madre non ti ha insegnato l’educazione? >>, domandai acida. Il mio sguardo era tagliente, ma anche nella rabbia, notai con mio enorme disappunto, che il ragazzino era veramente carino. Cosa decisamente inappropriata e fuori luogo. Avevo 26 anni, cazzo! Non potevo trovare carino un ragazzino di 13 anni più piccolo di me. Questo era sintomo di un forte esaurimento nervoso dovuto al troppo studio e alla mancanza di fidanzati nella mia vita da tempo indeterminato.
<< Tzè. Sembri proprio una vecchia con questo linguaggio. “Tua madre non ti ha insegnato l’educazione”… >>, rispose forse più acido di me.
<< Senti tu razza di impertinente che non sei altro… >>, ma non mi lasciò finire la frase, perché poggiò con irruenza la sua mano calda sulla mia bocca, per farmi tacere. Si avvicinò felino al mio volto, sussurrando sulla mia pelle: << E poi, fossi in te non sparerei a mille su una persona che non conosci. Chiaro, signora? Non sputare sentenze senza prima lavarti la bocca >>. Il suo sguardo era talmente gelido, non solo per il colore degli occhi. Azzurri a tal punto da sembrare ghiaccio sciolto.
No, c’era qualcosa in essi che faceva percepire un dolore così forte da sembrare quasi vivo. Non riuscì a provare una forte pena per quel ragazzino, che in realtà era ancora un bambino. I miei occhi per un’istante si velarono di lacrime silenziose, che con velocità, ricacciai indietro ricordandomi il motivo per cui stavo attaccando briga con un moccioso.
Tolsi con violenza la sua mano dalla mia bocca, e lo guardai con sfida. Sarà stato alto quanto me, ma cavolo, non mi avrebbe mai intimidito!, pensai con furia.
<< Moccioso, fai bene ad aprire le orecchie. Tu… >> e gli puntai un dito sul petto, che guarda caso era già tonico e muscoloso. << …potrai anche avere ragione sullo sputare sentenza. Ma io… >> e puntai l’altro indice della mia mano verso il mio petto. << …sono una donna che non si fa minacciare da nessuno. Ci siamo intesi? Perciò tu e il tuo fare da fighetto, potete anche allontanarvi il più lontano possibile, oppure fare quel che vuoi. A me non interessa minimamente >>.
Non era stato uno dei miei migliori discorsi ispirati. Solitamente ero un’oratrice perfetta. Ma era ancora mattina presto, e il cervello prima di un certo orario non carburava adeguatamente.
Il ragazzino però fece qualcosa che mi sorprese e non poco. Sorrise, con fare sfrontato sempre, ma con una certa ammirazione nei miei riguardi.
<< Sei forte, signora >>, disse dopo avermi squadrato ancora un po’ da capo a piedi.
<< Già che ci sei, potresti evitare questo signora? Mi mette i brividi >>, dissi ancora colpita da quel sorriso sprezzante.
<< Va bene. E di grazia come dovrei chiamarti, signora? >>, mi rispose lui palesandomi ancora quell’inarcamento all’insù delle  sue labbra.
<< Lisa >>, risposi dopo aver ponderato adeguatamente se dare corda o meno al ragazzino di fronte ai miei occhi.
<< Piacere Lisa. Io sono Ianto >>, mi porse la mano.
I suoi modi erano spavaldi e sprezzanti, ma anche posati ed eleganti, nonostante la sua palese giovane età.
<< Ianto? È un nome bizzarro >>, alla fine strinsi la sua mano. Era calda e morbida. Strano per un ragazzino di 13 anni, mi trovai a pensare.
<< E’ una lunga storia >>, rispose freddamente alla mia constatazione.
<< Ok >>, lo guardai scettica ma non volli sapere altro. In fin dei conti io e il mocciosetto non solo ci eravamo appena conosciuti, ma avevamo anche appena finito di litigare. Quella giornata era veramente cominciata in modo bizzarro.
<< Posso chiederti che cosa ci fai su questo treno? >>, mi chiese Ianto tornando quello di prima.
<< Potrei farti la stessa domanda >>, risposi sulla difensiva. Non so perché ma quel ragazzino mi metteva in soggezione, con quei suoi occhi ghiacciati e l’aspetto imponente.
<< Rispondi sempre ad una domanda con un’altra domanda? >>, mi domandò tronfio.
<< Potrei farti la stessa domanda >>, dissi con lo stesso tono.
Di nuovo il ragazzino si lasciò andare a quel sorriso strano. Era un semplice sorriso, ma rendeva i suoi lineamenti diversi. Quasi fiabeschi. Certamente l’aspetto era quello di un principe delle fiabe. Alto, capelli color del miele, occhi di ghiaccio, spalle larghe e fisico imponente. Lineamenti delicati, ma allo stesso già mascolini. E quella strana luce spenta che albergava nel suo sguardo lo rendevano misterioso.
<< Si. Sei decisamente forte, Signora >>. Era decisamente divertito da quella conversazione, e in più il ritorno al ‘signora’ mostrava quanto poco riguardo avesse nel parlare con una persona più grande di lui.
<< Ho capito che siamo in una situazione di stallo. Perciò, da persona intelligente, quale mi ritengo di essere, uscirò fuori da questo gioco del ‘rispondi acidamente’ >>, mi disse con presunzione e falsa modestia, ma sempre molto divertito. << Se proprio vuoi saperlo ho fatto sega da scuola. Contenta? >>
<< Come mai hai fatto filone? >>, domandai scettica dimenticandomi che, di quel ragazzino, conoscevo poco e niente. E che quindi era fuori luogo la mia domanda. Troppo personale.
<< Ho fatto che? >>, mi chiese invece lui dubbioso.
<< Ma si filone, marinare, bigiare, sega… insomma, perché hai saltato la scuola? >>, chiesi perplessa.
<< Ahhh. Capito. Beh semplice. Perché non mi andava >>, rispose con noncuranza.
<< Quanti anni hai, Ianto? >>, domandai all’improvviso cogliendolo di sorpresa.
<< Quelli che dimostro >>, fece lui maliziosamente.
<< Beh, dall’aspetto direi che hai su per giù 13 anni. Mentalmente, da quello che ho potuto vedere, ne hai 5 >>. Risposi per le righe, prendendomi una piccola rivincita su quel mocciosetto che cercava in tutti i modi di mettermi in soggezione e in imbarazzo.
<< Molto spiritosa >>, s’imbrunì. << Comunque hai indovinato. Ho 13 anni >>.
Risi nel vedere la sua espressione così mogia, e allo stesso tempo tenera. Era veramente carino
<< Sono un genio. L’ho sempre detto. Comunque non è per testare le mie doti intellettive il motivo per cui ti ho chiesto la tua età >>, continuai con espressione più addolcita. << Era per sapere l’età media in cui i ragazzini decidono che vale la pena di rovinarsi la vita, saltando la scuola perché gli va >>. Speravo che con quel discorso tagliente, sarei riuscita in qualche modo a catturare la sua attenzione.
<< Rovinarsi la vita? Per aver fatto sega? Mi pare esagerato >>. Bingo! Aveva abboccato all’amo.
<< Certo. Oggi cominci col fare sega una volta ogni tanto. Domani lo fai ogni mese. Dopodomani ogni settimana. E alla fine ti ritrovi a non essere più andato a scuola e aver perso i tuoi anni migliori, solo perché un giorno non avevi voglia di entrare in classe >>, conclusi il mio discorso ispirato aspettandomi una standing ovation. Sapevo che non l’avevo ancora convinto con le mie parole. Lo capivo dal suo sguardo perplesso. Ma almeno avevo attirato la sua curiosità.
<< Ribadisco. Solo perché un giorno ho saltato la scuola? >>. Era veramente scettico.
<< Innanzitutto, ritengo tu sia troppo giovane per fare filone, o sega. Secondo, la motivazione ‘non mi va’ non è sufficiente per spiegare la ragione per cui non sei entrato a scuola. Terzo, i tuoi genitori hanno fatto dei sacrifici per mandarti a scuola, per cui tu dovresti ripagarli. Almeno per far si che la loro schiena non si sia spezzata per nulla >>
<< Primo non credo che esista un’età per fare sega. Secondo la motivazione ‘non mi va’ è sufficiente in quanto un giorno di totale distrazione dalle lezione equivale ad un giorno perso. E come si fa a guadagnare un giorno perso? Semplice, non si può. Quando un giorno è andato, sono 24 ore che non torneranno mai più. Almeno io le faccio fruttare queste ore >>. Quell’affermazione sulle ore perse, mi fece rendere conto che ad aver parlato era stato quel dolore vivo che albergava in lui e che evidentemente era più forte del ragazzo stesso. << Terzo, non puoi sapere cosa hanno fatto i miei genitori per me, e neanche se hanno fatto dei sacrifici. Perciò credo che tu stia ricommettendo lo stesso errore di prima, ovvero sparare a zero su cose che non conosci >>. Era nuovamente alterato. Ogni riferimento ai suoi genitori lo mandava in bestia.
<< E in più chi ti dice che i miei genitori si siano spaccati la schiena per mandarmi a scuola? >>
<< La tua divisa >>, e indicai la tenuta che indossava. Era viola spento quasi prugna, a quadretti, con i bordi rossi e la cravatta nera, e lo stemma di un leone dorato all’altezza del cuore. Insomma un pugno nell’occhio. Chiunque aveva disegnato quella divisa, doveva essere decisamente privo del gusto.
<< Oh >>, esclamò Ianto guardando il suo vestiario.
<< Già. Vai in una scuola privata >>, non era una domanda, ma una semplice costatazione.
<< Scoperto >>. Mi rivolse uno sguardo divertito, che non gli avevo visto ancora. Finalmente i suoi occhi prendevano un po’ di vita.
<< Quindi direi che il mio terzo punto batte il tuo. E anche il primo visto che a tredici anni si è troppo giovani per stabilire se si possa fare filone o meno. In più non sei autorizzato a fare praticamente nulla vista l’età >>. Lo guardai trionfante. << Il secondo punto… hai ragione! >>, esclamai facendogli prestare massima attenzione alle mie parole.
<< In che senso? >>, chiese dubbioso.
<< Hai ragione. I giorni trascorsi non tornano più. Se perdi 24 ore della tua vita non le recuperi. Proprio per questo io credo che dobbiamo godercela fino in fondo questa vita >>. Dissi più a me stessa che a lui. Infatti non lo guardavo neanche negli occhi. << E’ troppo breve per poterla sprecare coi ma e con i se. E se questo significa fare filone e guardare il panorama che ci circonda, oppure fermarci a parlare con uno sconosciuto in treno. Oppure, ancora, buttarsi a capofitto in qualcosa senza certezze e senza promesse, solo per poter gustare sulle proprie labbra il vero gusto della vita… allora io credo che dobbiamo farlo. Bisogna vincere le proprie paure e le proprie insicurezze e fare quello che si vuole >>. Poi mi ricordai che il mio discorso da brava oratrice non doveva essere per me, ma per il mio interlocutore. Quindi alzai lo sguardo e lo puntai nei suoi occhi. Era colpito, lo si capiva bene, ma doveva ancora capire il punto fondamentale del mio ragionamento. << Ma questo non vuol dire che non dobbiamo tenere fede ai nostri impegni. Quello che tu credi un giorno perso, in realtà, può riservarti molte sorprese. Una conoscenza, un caffè delizioso da assaporare >>, la mia totale adorazione verso il caffè era palese in quel momento. << Anche una noiosa lezione di classe può risultare piena di sorprese >>
<< E come? >>, domandò Ianto perplesso.
<< Aiutandoti a scoprire chi sei in realtà >>, risposi con la massima sincerità.
<< Ribadisco. Come? >>. Il suo scetticismo stava quasi prendendo forma.
<< Una lezione è piena di significati nascosti. Parole gettate li per caso, ma che in quel momento possono aiutare il tuo animo ferito. E possono indirizzarti verso il tuo futuro. Sei ancora troppo giovane per comprenderlo, ma il potere delle parole è molto più forte di qualsiasi altra cosa al mondo. E se le sai usare, stai sicuro che niente potrà ostacolarti >>. Finì la mia arringa aspettandomi un applauso da un pubblico immaginario. Ero stata convincente. Anche alle mie orecchie. Infatti quel discorso era servito più a me, che a Ianto. Ne ero consapevole. La mia tediosa vita sarebbe dovuta cambiare, a cominciare da quella mattina stessa.
<< Sai una cosa, Lisa. Potrai essere una Signora antipatica e burbera >>, mi canzonò. << Ma sai usare le parole. Non dico che mi hai aperto un nuovo mondo, ma forse mi hai avviato verso una strada che mi darà tante possibilità >>. Era maledettamente serio. Sembrava quasi un adulto.
<< Non c’è di che, Ianto >>, sorrisi genuinamente.
<< Non puoi saperlo, però adesso mi hai dato qualcosa che non mi veniva dato da tanto tempo >>. Puntò il suo sguardò nel mio. Quel ghiaccio che erano i suoi occhi, era scosso da tremiti invisibili ad occhio umano. O meglio a chiunque, tranne che a me.
<< Cosa? >>, chiesi incuriosita.
Ma non potei sentire la risposta, perché l’interfono annunciò la mia fermata. Era passata mezz’ora senza che neanche me ne rendessi conto. Guardai Ianto con imbarazzo, ricordandomi solo allora che era un ragazzo di 13 anni appena conosciuto e che emanava arroganza da ogni foro della sua pelle.
<< Devo scendere >>, dissi timidamente.
<< Certo >>
<< Beh Ianto >>, dissi voltandomi prima di scende l’ultimo scalino del treno, << è stato bello conoscerti. Strano ma bello >> aggiunsi divertita.
<< Anche per me. Strano, ma bello. E anche istruttivo. Grazie >>, mi disse sinceramente.  Per la prima volta da quando avevo cominciato a parlare con lui, scorsi nell’espressione e nei modi di fare, la sua vera età. Sembrava un pulcino indifeso e abbandonato, ma con tanta voglia di combattere. Fui sinceramente colpita.
<< Prego. E mi raccomando, la prossima volta, non fare filone. Pardon, fare sega >>, dissi con un sorriso scendendo l’ultimo scalino e fermandomi sulla banchina. Mi voltai verso di lui e guardai con lentezza le porte richiudersi alle mie spalle. I nostri occhi si incontrarono un’ultima volta. Quello sguardo di ghiaccio sarebbe rimasto per tutta la mia vita impressa nella mia memoria. Poi dopo qualche minuto il treno ripartì portandosi via con se il giovane ragazzo venuto da chissà dove che in una sola mattina mi aveva insegnato molto più di quello che s’impara a scuola. Mi aveva insegnato a vivere. Lo ringraziai mentalmente. Mi voltai e m’incamminai verso quel cambiamento che ancora non sapevo, sarebbe avvenuto da li in poi.




Buonasera a tutti, mi presento. Sono Moon9292 ed ho 20 anni... No no scherzo. Non vi ammorberò con una mia lunghissima presentazione che comincia ora e non finisce finchè non avrete tutti i capelli bianchi. Volevo lasciare un piccolo commentino per questa storia. Se qualcuno comincerà a seguirmi, scoprirà che non è la mia prima storia che scrivo. Ma non pubblico ormai da tempo immemore, causa mancanza di ispirazione XD
Perciò direi che questa potrebbe essere come la mia seconda prima volta XD (nessuno faccia caso al riferimento spinto, grazie!)

La storia non so quanto sarà lunga, questo è solo un piccolo anticipo. Infatti il capitolo si chiama "Prologo", quindi si può ben dedurre che non siamo per niente entrati nel vivo di questo mondo che la mia mente ha partorito. Il nome del personaggio maschile è un mio speciale tributo ad uno dei personaggi che ho amato di più nella storia dei telefilm, Ianto di Torchwood. Però anche in questa cosa del nome c'è un po' di mistero, bah chissà... Il nome del personaggio femminile è stato un tributo supplementare sempre per Ianto...ve l'ho detto che ho amato questo personaggio XD... Spero che la storia vi piaccia, o comunque che possa interessarvi in minima parte... Mi piacerebbe avere qualche commento, per sapere se come inizio vi aggrada, e se vale la pena di continuarla...

Ah sappiate che la mia autostima è molto bassa, quindi con i commenti regolatevi di conseguenza...XD Nooo scherzo... Forse... Chi lo sa! Per scoprirlo continuate a seguirmi...un bacione a tutti.

Ciauu!

Moon9292

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Capitolo 2
*** L'inizio dell'avventura ***


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Capitolo 2 - Linizio dell'avventura


4 anni dopo…
<< Prego si accomodi, signorina Cristillo >>, disse affabile l’uomo.
<< Grazie, preside Martino >>. Mi accomodai sulla sedia di fronte alla scrivania.
<< Allora, il dottor Gallo mi ha raccomandato di assumerla senza riserve. Come mai, se posso chiederle, gode di questa ottima reputazione con uno dei più stimati ricercatori d’Italia? >>, mi domandò scettico.
<< Perché sono la migliore >>, sorrisi senza pudore. << La mia non è presunzione. Io sono davvero la migliore. Mi sono laureata con il massimo dei voti nel minor tempo possibile. Alla specialistica ho fatto altrettanto. E il mio progetto sulle anomalie genetiche ancora viene discusso nella mia facoltà. I migliori scienziati hanno tentato in tutti i modi di poter disporre del mio progetto come meglio potevano. Ma solo il dottor Gallo è riuscito a guadagnarsi la mia stima >>. Come sempre, quando cominciavo un’arringa, partivo in quarta. Ma questa volta era per un motivo diverso. Stavo proteggendo la mia reputazione. Da che avevo visto il preside Martino, avevo sospettato che non credesse nelle mie abilità. Specie perché ero dotata di un certo fascino, e il dottor Gallo godeva di una famosa reputazione come latin lover. Ma io non avevo mai avuto quel genere di rapporto con il dottore. La nostra era una semplice relazione di lavoro. Un’ottima relazione di lavoro, a dire il vero. E odiavo la gente che credeva che fossi arrivata in cima solo per il mio bel visetto, e non per il mio cervello. Perciò ogni volta che si toccava l’argomento, m’infervoravo. << Mi ha assunto nel suo laboratorio di ricerca tre anni fa, e da allora abbiamo fatto passi da gigante nella ricerca genetica. E io ho dimostrato tutta la mia conoscenza e la mia bravura. È per questo che la mia affermazione di pocanzi era del tutto priva di presunzione. Sono una serie di dati di fatto che accreditano la mia versione. Ma se lei dubita ancora delle mie capacità… >>, presi la mia ventiquattr’ore e tirai fuori un plico di documenti che porsi al preside Martino. << …le ho portato una statistica dei lavori a cui ho preso parte, i loro risultati e le vittorie ottenute con progetti personali sempre svolti nel laboratorio del dottor Gallo >>.
<< Sono un bel po’ di fogli >>, constatò con un sorriso il preside, una volta presi i documenti in mano.
<< Si, signore. Sono un bel po’ di fogli >>
Li sfogliò con disinvoltura, senza realmente leggere cosa c’era scritto sopra. Tipico di chi risiede su una posizione di rilievo rispetto agli altri. Il suo atteggiamento di sufficienza nei confronti del resto della popolazione era una cosa offensiva e anche snervante. Ma rimasi composta sulla mia sedia, aspettando un prossimo commento acido di quell’uomo. Era senza dubbio affascinante. 50 anni portati bene, capelli brizzolati, nessun segno di calvizie ne stempiatura, naso molto fine ed elegante, mascella definita. Snello ed elegante nel suo completo in giacca e cravatta. Occhio verde scuro, e un principio di barbetta incolta bianca. Da giovane doveva essere stato veramente bello, e con la vecchiaia aveva acquisito quel fascino che caratterizza le persone mature di bell’aspetto. Ma a me non importava minimamente del suo aspetto. Anzi, non m’importava minimamente dell’aspetto di nessun uomo in generale. Per me c’era sempre e solo una persona nel mio cuore, e ci sarebbe stata sempre.
<< Sa, lei è davvero qualificata per questo impiego. Certo, non è mai stata un’insegnante. Ma mi fido di Umberto… >>
<< Lei è amico del dottor Gallo? >>, domandai scettica. Quell’uomo aveva la fama di essere un latin lover, certo, ma anche di essere un gran rompi balle. Nessuno riusciva a stare nella stessa stanza con lui per più di dieci minuti. Tutti eccetto me. Io e il dottore avevamo stretto anche una buona amicizia, una volta messo in chiaro che con me non avrebbe mai potuto avere nessun rapporto amoroso, o sessuale.
<< Secondo lei come potrei aver avuto il suo nominativo dal dottor Gallo? Non penserà che l’ho contattato di mia spontanea volontà per farmi mandare un suo ricercatore? >>, mi chiese divertito il preside.
<< No certo che no. Mi scusi. La mia è stata una domanda sciocca >>
<< Oh, niente affatto. Io ritengo che nessuna domanda sia sciocca, se fatta con interesse. Almeno è quello che sostengo >>, disse tornando a sfogliare i documenti. Quell’affermazione mi fece spuntare un sorriso. Forse, dopotutto, non era così male il preside. Mai giudicare un libro dalla copertina, mi diceva sempre mia madre.
<< Comunque le vorrei porgere una semplice domanda, alla quale se risponderà bene avrà il lavoro. Altrimenti per me sarà stato un piacere conoscerla, ma temo che la cosa finisca qui. È pronta per l’ultimo test? >>, domandò il preside. Il suo sguardo e la sua voce erano così seri, che un brivido percorse tutta la mia colonna vertebrale. Non sapevo che aspettarmi, ma ero preparata al peggio.
<< Sono pronta >>, inghiottì la saliva in preda all’ansia.
<< Bene. Quello che voglio sapere è… >>, abbassò lo sguardo e fissò per qualche secondo i documenti che avevo portato. Sapevo che stava creando un po’ di suspense per cercare di mettermi nel sacco, ma io ero preparata a ben altro. << …se le voci di corridoio, nel quale si dice che lei sia l’unico essere umano in grado di rispondere e prendere di petto Umberto, siano vere? Cioè, lei davvero risponde al mio amico con un ego smisurato, in modo sfrontato e senza remore? No perché sul serio, nessuno è mai stato in grado di farlo. È un uomo che incute terrore negli altri. Io sono veramente sgomento nell’apprendere una tale notizia. E ho necessità di sapere se effettivamente queste voci siano veritiere o è solo una montatura creata da chissà chi >>.
Ero veramente perplessa. Credevo che fosse una domanda seria, nel quale avrei dovuto dimostrare tutte le mie conoscenze. Invece era una questione talmente futile, da sembrare quasi finta. Come se in realtà stessi sognando. Sbattei le palpebre più volte cercando di capire se stavo dormendo, oppure ero sveglia e mi trovavo davvero in quell’ufficio con uno strano individuo. Quando capì che era tutto reale, mi schiarì la voce e poi risposi con una certa titubanza. << Ehm, direi che le voci siano veritiere, per quanto pompate possano essere. Il dottor Gallo ed io non abbiamo mai avuto problemi nel comunicare, e se una cosa non mi stava bene gliela dicevo senza remore. E non vedo perché avrei dovuto farmi scrupoli nell’affrontare di petto un uomo che, essenzialmente, è uguale a me o a lei signore. Un semplice essere umano >>. Cercai di essere il più onesta possibile.
<< Oh, mi creda. Lei è la prima persona che definisce Umberto Gallo un semplice essere umano. La maggior parte della gente tende a credere che sia un genio. Un essere fuori dal comune. Anzi, una categoria a parte del genere umano. E il fatto che lei non lo consideri tale, mi sorprende non poco. Questo denota un forte spirito e un carattere indomabile. Mi piace >>, sorrise il preside.
<< Temo di non capire, signore >>, risposi veramente sconcertata. Quella conversazione aveva dell’incredibile.
<< Sto dicendo che ha ottenuto il lavoro, e non solo. Avrà anche l’appartamento al di fuori della scuola. Può cominciare domani >>, disse pacatamente e con un sorriso gentile.
<< Davvero? >>, domandai felice.
<< Davvero >>
Mi alzai dalla sedia di scatto e corsi ad abbracciare l’uomo che di fatto era appena diventato il mio capo, dietro la scrivania.
<< Ehi, che entusiasmo. Si controlli, la prego. Non amo le effusioni >>, disse scherzoso il preside.
Quando mi resi conto di cosa avessi appena fatto, mi staccai di colpo dall’uomo. Lo fissai imbarazzata e rossa in viso e tronai al mio posto mormorando scuse appena udibili.
<< Ora, visto che siamo riusciti a frenare il suo entusiasmo, direi che dovremmo affrontare questioni che ritengo urgenti >>. Si appoggiò allo schienale della sedia girevole, e cominciò a scrutarmi. << Quanto sa di questo posto, signorina Cristillo? >>
<< Ehm, poco signore a dire il vero. Il dottor Gallo mi ha comunicato solo due giorni fa che ero stata scelta per questo impiego, perciò non ho avuto il tempo per documentarmi. Mi dispiace >>, risposi sinceramente.
<< Non si preoccupi. C’è di peggio per cui dispiacersi. Allora, dunque le spiego. Questo istituto è una scuola privata che parte dall’asilo per raggiungere l’università. I nostri studenti vengono iscritti da che sono ancora in fasce >>. Lo guardai confusa. Non credevo fosse così importante quella scuola.
<< Non faccia quell’espressione, signorina. È un istituto prestigioso. Chiunque, dopo essere uscito da qui, ha un posto assicurato nelle migliori imprese, aziende e incarichi di altro genere. comunque come avrà potuto notare, venendo qui, questo posto si può definire un quartiere a parte da Roma. E in effetti è anche distanziato dal centro della città. È circondato da alte mura che circoscrivono tutto il perimetro, case annesse. La scuola è posta giusto al centro >>. Sembrava di trovarsi fuori dal mondo. Non potevo credere che questo quarterie fosse talmente isolato, da non poter ammettere neanche un estraneo. << Ecco perché per lei faremo un’eccezione, come richiesto. La sua abitazione si trova al di fuori del perimetro circondato. Dieci minuti di macchina, che le verrà fornita dalla scuola, e potrà andare e venire da casa sua quando vuole >>
<< La ringrazio >>, dissi cortesemente.
<< Si figuri. Dicevamo? Ah, si. Le persone che vivono qui, sono le più altolocate di tutta Italia. E quindi sono le più ricche. Si potrebbe dire che il 70% dell’economia del paese gira grazie a queste persone. Sono famiglie antiche, con radici profonde e che godono ovviamente di particolari privilegi >>. Era talmente assurdo quello che stavo ascoltando che comincia quasi a crederci. Il preside aveva un’espressione troppo seria per poter scherzare. E, da quello che potevo conoscere di quell’uomo, non sembrava neanche che stesse fingendo. << Coloro che abitano qui, mandano i propri figli, nipoti, in questa scuola. La migliore d’Italia. La “Newton-high” >>
<< Newton-high? >>, non riuscì a trattenere quel commento. Era un nome veramente ridicolo.
<< Si lo so. Il nome lascia a desiderare. Fu cambiato due presidi fa. Era un americano convinto che il precedente nome non rendesse bene l’idea. E dato che cambiare nome alla scuola, comportava una serie di fastidi, decisero che non doveva essere cambiato. Però tutti conoscono l’importanza di questa scuola. E la rispettano, nonostante il nome bizzarro >>
<< Bizzarro è poco. Senza offesa >>, aggiunsi mortificata.
<< Non mi sono offeso. Lo trovo anche io poco elegante e di cattivo gusto, ma ormai temo non ci sia più niente da fare. Comunque dicevamo. Questi ragazzi vengono iscritti fin dalla nascita e appena compiuti cinque anni vengono mandati all’asilo. Poi elementari e via dicendo… Ogni anno le famiglie mandano un assegno per il mantenimento dei figli. E le posso garantire che le cifre che raggiungiamo a fine anno hanno dell’incredibile >>
<< Ah non ne dubito. Noto una certa follia nelle persone che vivono qui. Quasi mirassero a diventare i padroni del mondo >>, commentai ironicamente.
<< Alcune famiglie, le più ricche, mirano a quello. Perciò troverà nei suoi studenti, un passato un po’ difficile, per quanto la loro infanzia lo permetta. Proprio perché sappiamo a quale pressione i nostri studenti siano sottoposti, abbiamo dei dormitori per loro. Quindi una sala mensa e una sala attrezzature per chi volesse fare sport. Insomma, siamo dotati di tutti i comfort per i nostri ragazzi >>
<< Interessante. C’è anche una sala per i massaggi per caso? No, sa ho il collo bloccato da qualche giorno e mi piacerebbe metterlo a posto >>. Non riuscì a trattenere il mio sarcasmo. Ero stata cresciuta in una famiglia modesta, che faticava ad arrivare a fine mese. Perciò mi avevano insegnato il valore del denaro. Quei ragazzi, invece, ero convinta fossero ricchi figli di papà viziati all’inverosimile, che dello studio o del resto del mondo non gli interessasse minimamente.
<< No, signorina, siamo sprovvisti di tale sala. Come lei adesso sa, i nostri ragazzi sono talmente ricchi da potersi permettere un massaggiatore privato per ognuno di loro. Abbiamo pensato di spendere in modo più proficuo i soldi destinati a tale scopo >>, il preside sorrise divertito di quel commento. Non si era offeso, per fortuna. << Comunque questa è una scuola specialistica. Dalle medie in poi si studiano materie scientifiche, perché miriamo a produrre futuri medici e ricercatori, biologi e scienziati, fisici e matematici >>
<< Questo è molto bello. State producendo un esercito di persone che potrebbero migliorare il mondo. Vi faccio i miei complimenti >>, dissi ammirata.
<< Grazie. In questa scuola, però, è di stampo vecchio stile >>
<< Ovvero? >>, domandai curiosa.
<< Ovvero ogni classe ha un’insegnante unico >>, disse tranquillamente l’uomo.
<< Mi sta dicendo che vi è una sola figura in tutte le classi, per cinque ore, tutti i giorni che insegna tutte le materie? >>, domandai esterrefatta.
<< Proprio così. E le ore sono sei >>, mi sorrise il preside.
<< Ma è legale? E soprattutto è fattibile? Cioè, non si esce fuori di testa con tutto questo lavoro? >>
<< Si è legale, e si è fattibile. Tutti gli insegnanti che sono qui, insegnano da anni. Perciò è fattibilissimo. Sul punto uscire fuori di testa, beh, direi che si, se non si ha abbastanza forza, si esce fuori di testa >>
<< Fantastico >>, mormorai nervosa. << Proprio quello che mi serve >>
<< Penso di si >>, disse dolcemente l’uomo. Alzai lo sguardo e lo fissai nei suoi occhi. << Credo proprio che sia ciò di cui ha bisogno, signorina Cristillo >>.
Non risposi. Continuai a fissarlo senza distogliere lo sguardo. Ero turbata, nervosa, e preoccupata per ciò che mi aspettava. Non ero preparata a tutto questo, però forse mi avrebbe fatto bene assentarmi completamente dalla vita che mi stavo lasciando alle spalle.
<< Lei dice? >>, sussurrai.
<< Io dico >>, disse teneramente.
<< Ok >>
<< C’è un ultimo punto su cui vorrei metterla al corrente. Vede domani inizia la scuola e io sono sprovvisto di un insegnate, come lei ben sa. La vorrei delucidare sul motivo di tale situazione >>
<< Mi illumini >>, scherzai.
<< Vede il professor Elefante si è preso un anno sabatico per motivi personali >>, fissò per un attimo le proprie mani congiunte come se cercasse le parole. << E questi motivi personali sono un forte esaurimento dovuto al troppo stress, dovuto al lavoro che svolgeva qui >>
<< Come? È uscito fuori di testa perché troppo stressato? Non mi pare molto incitante >>, commentai sempre più nervosa.
<< Non è tutto. Il suo esaurimento non è stato dovuto alla mole di lavoro, quanto… >>, altra pausa in cerca di parole adatte. << …alla classe che gli era assegnata >>
<< Cioè? >>
<< Cioè, la classe in cui andrà ad insegnare è una classe problematica >>, disse con gravità. << Sono 20 alunni, e ognuno di loro ha dato il suo bel da farsi al povero professore Elefante. Li ha presi con se dal primo liceo, ma adesso che iniziano il quarto non ne poteva più. Ha chiesto un po’ di ferie, per cercare di recuperare le proprie forze >>. Quelle informazioni non facevano che aumentare il mio terrore. Non avevo mai sopportato gli adolescenti, figurarsi poi quelli con problemi. << Per quanto la riguarda, il suo mandato durerà solo un anno. Alla fine di giugno, quando ci saranno gli esami, il suo contratto scadrà e lei tornerà alla sua vita, giù a Napoli. Fino ad allora, dovrà avere a che fare con 20 ragazzi in preda agli ormoni, con problemi personali di ogni genere che le comporteranno, ne sono sicuro, vari incidenti e molte avventure. E non c’è bisogno di possedere capacità paranormali per prevedere tali avvenimenti. Conosco i miei ragazzi >>, concluse il preside.
Non riuscì a fiatare. Ero troppo impegnata ad assimilare le notizie appena ricevute per poter anche solo pensare di emettere un suono dalla mia bocca. Non ero preparata a tutto ciò. Io contavo solo di allontanarmi dalla mia casa, per sistemare le idee. Invece mi sarebbe toccato caricarmi sulle spalle pesi troppo grandi per me, e non credevo che ne sarei stata mai capace.
<< So che tutto ciò può sembrare spaventoso, ma mi creda se le dico che lei è qualificata per farlo >>, aggiunse il preside quasi come se mi avesse letto nei pensieri.
<< E lei che ne sa? >>, domandai acida.
<< Per il semplice fatto che lavora con Umberto. Questo la qualifica per qualsiasi inconveniente. E in più… >>, si fermò giusto un attimo per guardarmi accertandosi delle mie reazioni. << …conosco la sua storia. E so che la forza che possiede è talmente grande, da potercela fare senza difficoltà. Questo anno l’aiuterà, mi creda. Chiunque sia mai venuto qui, e poi se ne è andato, alla fine ha avuto degli insegnamenti tali da vedere la vita in modo diverso. Perciò quando le dico che lei è qualificata, deve credermi >>.
Guardai il preside con le lacrime agli occhi. Mi trattenni giusto per pudore. Non conoscevo quell’uomo se non da poche ore, ma già sentivo una forte amicizia ed una profonda stima. La mia idea iniziale era del tutto sbagliata. E come sempre, la mia mamma aveva ragione. Mai giudicare un libro dalla copertina, mi ridissi. Perché sapevo, senza neanche chiederglielo, che avrei sempre potuto contare su quell’uomo.
<< Allora che mi dice. È pronta per affrontare questa sfida? >>, domandò speranzoso.
Guardai lui, poi le miei mani, ed infine di nuovo lui. Quando il mio sguardo si posò nuovamente su quegli occhi verde scuri, quasi come la foresta, capì di aver preso la mia decisione. Inspirai. Poi dissi: << Va bene, facciamolo >>.
 La mia nuova vita era appena cominciata. 


Salve gente, sono sempre io, Moon9292.
Pirma di tutto volevo ringraziare chi ha letto il primo capitolo, e soprattutto _rain_ e 
Loreena Scrittrice  per aver messo nelle seguite la mia storia e Loreena Scrittrice per averla commentata. Spero che anche questo capitolo ti piaccia.
Vi porto oggi il secondo capitolo della mia storia. Da quello che potete notare, fondamentalmente non succede nulla. Apprendiamo solo che sono passati 4 anni dall'episodio in treno con Ianto, e che Lisa è stata assunta in una scuola privata veramente particolare, di quelle che non esistono fondamentalmente XD Ha fatto conoscenza del preside che rivedremo presto, e nei capitoli futuri sapremo qualcosa su di lui. però questo molto più in la... e infatti, visto che sono molto cattiva, non vi svelerò assolutamente nulla... Dopo questo capitolo si entrerà nel vivo della storia. Vonosceremo i nuovi alunni della nostra giovane eroina, e comincerà da subito nel dover affrontare i problemi di un ragazzo problematico. Chissà che le accadrà? E che fine avrà fatto Ianto? lo scoprirete nella prosisma puntata... Per ora vi lascio con un piccolo anticipo... Giusto una frasetta... Un bacio a tutti
Moon9292


<< E tu, bambola, saresti? >>, domandò con sfacciataggine il ragazzo.
<< La tua nuova insegnante>>, risposi con sfida.

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Capitolo 3
*** Primo giorno ***


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Capitolo 3 - Primo giorno
 

Ero nella mia nuova stanza da letto a disfare i bagagli. O meglio quelle tre valigie che mi ero portata da casa. Avevo deciso che la maggior parte della mia roba sarebbe rimasta giù a Napoli, in attesa del mio ritorno. Qui avevo portato solo lo stretto necessario. Niente di più, niente di meno. La casa per fortuna era già arredata, anche se così la sentivo meno mia. Ad esempio quella camera da letto era troppo sobria. Un letto matrimoniale semplice, un armadio in legno semplice a quattro ante, una scrivania abbinata all’armadio sulla parete di destra rispetto al letto, due comodini, e uno specchio accanto alla porta d’accesso. Sui comodini, giusto per dare un senso di calore, vi erano due lucernari.
Fine. Oltre ad una finestra situata sopra la scrivania, in quella stanza non vi era più luce. In verità la casa era veramente molto piccola. Una cucina e un salottino comunicanti separati da una penisola, un bagno, un ripostiglio ed una stanza da letto. Ecco tutto. Un semplice monolocale, ma per me era più che soddisfacente. In più la casa sembrava una di quelle camere d’hotel americane, con scala posizionata fuori ed un balcone comunicante con tutti gli altri appartamenti. Sotto i miei piedi, sapevo vi era un vecchietto di settant’anni che abitava li da tempo immemore. Lo avevo incontrato mentre portavo i miei bagagli sopra. Mi aveva fermato chiedendomi se mi fossi appena trasferita. Una volta data la mia risposta affermativa, lui aveva dichiarato di conoscere tutti i condomini di quello strano stabile, in quanto abitava li da non sapeva più quanti anni. Gli avevo sorriso affabile, poi con la scusa dei bagagli mi ero ritirata nei miei alloggi. Ora erano le otto e mezza di sera. Non avevo cenato e stavo finendo di sistemare i miei pochi vestiti con molta noia. Ero troppo agitata al pensiero di ciò che sarebbe successo il giorno dopo. Il mio primo giorno di scuola. Il mio primo giorno di scuola come insegnante. Ricordo ancora quando, da adolescente, avevo affermato senza ombra di dubbio che non sarei mai diventata una professoressa. E adesso eccomi qui, a pensare a cosa fare il giorno dopo nella mia classe. Il preside mi aveva consegnato l’orario di lezione, specificandomi che, anche se ero l’unica insegnante, dovevo attenermi all’orario scolastico. << Bisogna che ogni materia abbia il suo giusto compenso orario >>, aveva affermato quella mattina. Avevo fatto qualche domanda sul programma, ma lui mi aveva garantito che dai libri di testo avrei compreso facilmente cosa dover fare studiare ai miei alunni. Di conseguenza, mi aveva dato una borsa contente tutti i libri che avrei usato in quell’anno. E avevo inteso perfettamente cosa volesse significare” saprà cosa fare”. Perché quei libri erano talmente lineari, scritti passo dopo passo, che sbagliare sarebbe stato difficile. Ecco perché, almeno da quel punto di vista, mi sentivo più tranquilla. Ma l’idea di avere a che fare con 20 adolescenti scalmanati mi mandava nel panico più totale. Non mi sentivo pronta, anche perché tra me e quei ragazzi passavano solo 13 anni di differenza. Non sapevo se ero in grado di gestirli e di farmi rispettare, oppure se in quell’anno avrei avuto precocemente i capelli grigi per il troppo stress. Comunque ormai era fatta. Avevo accettato quel compito e lo avrei portato a termini, a qualunque costo. Ero assurdamente tenace, caparbia e soprattutto testarda. Se mi mettevo in testa una cosa, quella avrei fatto. E in testa avevo l’assurda idea che avrei svolto il mio compito nel miglior modo possibile, e che qualsiasi ostacolo avessi incontrato sul mio percorso, lo avrei affrontato di petto e senza timori. La mia grinta fu scalfita solo da un pensiero che, prepotentemente, si fece largo nella mia mente. Quei ragazzi, come mi era stato comunicato, erano pieni di problemi personali, anche se faticavo a credere a questa cosa. Ed io, che di problemi ne ero già sufficientemente piena, come avrei potuti aiutarli se non riuscivo ad aiutare neanche me stessa? Forse ero semplicemente destinata a soccombere, ma non senza aver lottato. E questo era il mio proposito. Avrei lottato contro tutto e tutti.
<< Forza, Lisa >>, mi dissi fissandomi nello specchio della camera da letto. << Sei una donna di trent’anni, forte, bella e combattiva. Puoi affrontare senza nessuna paura un mucchio di adolescenti viziati. Sei più forte di tutto >>. In quel momento ci credevo davvero alle mie parole. Forse me la sarei veramente cavata quell’anno.
 
Stavo attraversando le strade di quell’immenso istituto. Già la prima volta che avevo messo piede in quel luogo, la mia incredulità aveva raggiunto livelli stratosferici. Il parco era immenso. Alberi di ogni genere popolavano il giardino, insieme ad aiuole e piccoli cespugli. Si ergevano, poi, varie strutture di svariate dimensioni e su ogni ingresso vi era affisso un cartello che specificava la funzione di quel palazzo. Vi era la piscina e la palestra da un lato, i laboratori in un altro palazzo, le aule per il biennio accanto ai laboratori e di fronte le aule per il triennio. I vari uffici, compreso quello del preside, situato di fianco alle aule scolastiche per gli alunni più grandi, e in fondo a tutto s’innalzava in tutta la sua potenza il palazzo destinato ai dormitori e alla mensa. Solo quella struttura era più grande del mio condominio. Figurarsi l’intero stabile che dimensioni doveva avere. Parcheggiai la macchina affidatami dalla scuola nella zona riservata alle auto, e mi diressi verso la struttura che mi interessava. Intorno a me ragazzi di tutte le età camminavano composti ed eleganti verso le proprie aule. Ma restavano ragazzi, e quindi la confusione che vi era in quel giardino era tale da coprire anche i miei pensieri. Mi guardai intorno cercando di capire che tipo di ambiente ci fosse, e notai le divise che indossavano. Viola spento quasi prugna, a quadri con i bordi rossi ed una cravatta nera. All’altezza del cuore vi era un leone d’oro. Pensai subito che chi avesse progettato quelle divise non aveva il minimo senso del gusto. Ma come finì di pensarlo, mi bloccai sul posto avendo una strana sensazione di déjà-vu. Era come se avessi già ponderato tale affermazione. Cercai di fare mente locale, ma non mi veniva in mente dove e quando avessi visto quelle divise. Forse mi sarebbe tornato in mente. Mentre procedevo spedita verso l’aula affidatami notai un nuovo fattore. La preponderanza di maschi in quell’istituto. Ragionai un attimo e intuì che ovviamente una famiglia prestigiosa volesse affidare il proprio impero economico al figlio maschio maggiore, e che una femmina potesse essere anche mandata in un istituto pubblico. Non che le sue scuole pubbliche fossero meno capaci di quelle private, solo che a cambiare era il prestigio e la fama. Quello privato aveva una certa rilevanza anche per quanto riguarda l’assunzione nei vari laboratori, quello pubblico invece non era visto di buon occhio. Comunque il mio terrore, per quella consapevolezza, crebbe a dismisura. Con la fortuna che avevo, era più che certo che la mia classe sarebbe stata maschile. E ne ebbi la conferma quando mi fermai sulla soglia dell’aula al secondo piano e vidi venti alunni maschi intenti nel raccontarsi le loro avventure estive. Le mia gambe cominciarono a tremare. Il peggio si era avverato! Non ero mai stata una persona particolarmente socievole. Certo quando mi veniva presentato qualcuno, ero in grado di parlare normalmente e risultare anche simpatica. Ma questo accadeva quando era una sola persona, o un gruppo esiguo di persone che a prima vista mi risultavano simpatiche. Ma venti adolescenti, per di più maschi, era veramente oltre la mia portata. Il vociare di quell’aula era tale da sfondare i mie timpani, e sentivo lentamente l’aria diminuire di più. stavo quasi annaspando.
<< Ha trovato con facilità l’aula? >>.
Mi voltai di scatto, spaventata per la voce improvvisa. Era il preside Martino.
<< Preside. Mi ha spaventato >>, dissi tirando un sospiro. Il mio cuore batteva come un martello pneumatico.
<< Mi scusi, non era mia intenzione. Allora, ha avuto difficoltà nel trovare l’aula? >>, mi domandò nuovamente.
<< No, grazie. E’ stato abbastanza semplice >>
<< E allora cosa aspetta ad entrare? La campanella è suonata da qualche minuto >>. Sembrava sinceramente divertito.
<< Cosa? >>, domandai agitata. << Ma io non l’ho sentita >>
<< Forse perché è troppo concentrata nel cercare di calmare le gambe tremolanti >>, continuò sempre più divertito.
<< Si nota molto? >>, chiesi scoraggiata.
<< Abbastanza. Ma io sono un ottimo osservatore, perciò quello che io noto non tutti sono in grado di percepirlo >>
<< Non so se sentirmi sollevata, o preoccupata sinceramente >>, osservai cercando nel frattempo di prendere tempo.
<< Ah, non si preoccupi signorina. Quello che io osservo resta nella mia mente di persona. Il preside in queste circostanze non entra. E posso anche intuire il motivo di tale trambusto nel suo cuore e nella sua mente >>. Quell’uomo riusciva sempre a sorprendermi in un modo o nell’altro. Senza ombra di dubbio avevo sbagliato ad inquadrarlo. << Lei è terrorizzata da quei ragazzi. E soprattutto non si aspettava una classe completamente maschile >>
<< No, decisamente non me lo aspettavo >>, concordai con l’uomo. << Ora capisco perché il professor Elefante si è preso un anno sabatico >>. Provai a fare dell’umorismo, ma quello mi si ritorse contro. In questo modo, mi ero spaventata da sola ancora di più
<< Si probabilmente questo è uno tra le cause principali dell’esaurimento del professore >>, concordò scherzosamente il preside. << Lasci che le dica una cosa, però, signorina Cristillo >>. Ritornò serioso come lo era stato in quelle poche occasioni in cui mi aveva detto sempre la cosa giusta. << Quella classe potrà anche essere indisciplinata e turbolenta. Ma non importa cosa si ritroverà davanti. Perché ciò che conta, è qui >>, e puntò l’indice sul mio petto, all’altezza del cuore. << E’ la forza, e il coraggio che ha dentro che conta. Ha una potenza di spirito che neanche immagina di possedere. E sono sicuro che ce la farà. Perché lei, semplicemente, non può fallire. Mi creda >>.
Guardavo il preside negli occhi. Dentro quella foresta profonda e misteriosa. Nei suoi  occhi rileggevo quelle parole, e come per magia, esse passavano nei miei occhi castani. E più entravano in me, e più restavano scolpite nel profondo della mia anima. Adesso sapevo che ce l’avrei fatta. E questa consapevolezza trasmise al mio corpo una pace tale, da non sentire più difficoltà ne paura. Adesso, come non mai, ero tranquilla.
<< Grazie >>, disse sinceramente grata.
<< Si figuri >>, mi sorrise dolcemente l’uomo. << Adesso entri dentro, e si faccia valere >>. Mi spinse verso l’interno dell’aula. Annuì sorridendo, ed entrai verso quello che sarebbe stato il mio campo di battaglia. Quando arrivai alla cattedra, la maggior parte degli alunni si era voltata a guardami incuriositi. Non sapevano chi io fossi, e forse attendevano ancora l’arrivo del professore Elefante.
<< Buongiorno a tutti >>, dissi con voce forte e tranquilla. << Prego accomodatevi >>. Poi mi voltai verso la porta e vidi il preside ancora li, fermo a guardarmi. Mi sorrise teneramente, e con la testa mi incitò a continuare. Presi un profondo respiro, poi mi voltai verso gli alunni che, nel frattempo, si erano accomodati sempre scrutandomi.  << Da oggi per tutto l’anno, sarò la vostra nuova insegnante >>, dissi con tranquillità.
<< Come? >>, esclamò sbigottito un ragazzo seduto al terzo banco nella fila centrale partendo dalla sinistra. Nell’aula vi erano quattro file di banchi singoli, ed ogni fila aveva un totale di cinque alunni.
<< Proprio così >>, risposi al ragazzo. Era un bel giovane, con capelli castano chiaro, occhi azzurri ma molto banali, naso a patata e labbra carnose. Si vedeva che era un ricco figlio di papà. Dal suo sguardo si poteva avvertire chiaramente la sua superbia. << Il professore Elefante, per ragioni private che di sicuro non vi riguardano, ha dovuto prendersi un anno sabatico. Perciò lo sostituisco io >>, risposi con sicurezza. Il ragazzino non mi avrebbe intimidito.
<< Ma lei è… >>, cominciò a balbettare evidentemente scosso dal cambiamento.
<< Cosa? >>, domandai quasi divertita. << Bella? Affascinante? Sicura di me? Intelligente? Preparata? >>
<< Lei è una donna >>, esclamò sconvolto.
<< Davvero? >>, chiesi fintamente sbigottita. << Ma ne sei sicuro? Cavolo, non me ne ero mai accorta. E scusa come l’avresti capito? Io non ci sono mai arrivata >>, dissi sarcasticamente.
Questo sortì una risata generale in tutta la classe. Mi voltai verso la porta e vidi il preside sorridere sempre più divertito. Poi mi fece un cenno con la testa, e si congedò consapevole, ormai, che avevo la situazione sotto controllo. Mi andai a poggiare davanti alla cattedra. Piegai le braccia sul petto, e fissai nuovamente il ragazzo che aveva parlato.
<< Allora, sto aspettando. Ho sinceramente bisogno che tu illumini sia me che la mia classe sul dato che io sono una donna >>, continuai divertita.
<< Ecco, beh, io, insomma… >>, balbettò ancora a disagio.
<< Forse lo hai intuito dalla camicetta? >>, finsi di venirgli incontro. << O forse dalla gonna che arriva sopra al ginocchio e che quindi scopre metà delle mie gambe snelle? Oppure dai capelli lunghi e mossi? Oppure ancora dalla mia faccia abbastanza aggraziata, rispetto ad un maschio? Oppure ancora… >>, aprì le braccia e puntai le mani verso il mio seno. <<… hai intuito la natura del mio sesso da queste, che suppongo per te siano ancora sconosciute. Perciò vi presento. Loro due sono le gemelle, o per meglio dire, seno… >>, la classe si ruppe nuovamente in una risata più fragorosa. Il ragazzo era seriamente rosso in viso. <<… e tu di grazia saresti? Così posso completare la presentazione >>
<< Altieri. Giuliano Altieri >>, disse con voce sottile.
<< Piacere Altieri. Ecco presentazione completata. Ora signor Giuliano, è soddisfatto oppure vuole che andiamo avanti? Sa c’è qualcos’altro che forse potrei presentarle per rendere definitivo il mio stato sessuale. Ma è una zona abbastanza intima, e solitamente non ci batte il sole >>, feci sarcastica.
<< No va bene così. La ringrazio >>, si affrettò a rispondere il ragazzo.
<< Bene. Mi fa piacere saperlo. Ora, se nessun altro ha da obiettare, comincerei col presentarmi e poi facciamo l’appello >>, dissi sicura di me.
Andai alla lavagna, poggiata sul muro di fianco alla cattedra e scrissi il mio nome.
<< Io sono la professoressa Lisa Cristillo. Ovviamente voi mi chiamerete professoressa, mentre io mi prendo la briga di chiamarvi per nome >>, dissi tornando ad accomodarmi davanti alla cattedra. Presi il registro in mano e dissi: << Cominciamo con l’appello >>.
Chiamai dodici persone, chiedendo loro di farmi un riassunto del programma precedente di una materia a caso, e fin dove erano arrivati. Domandai anche la media con cui erano stati promossi, e scoprì un sacco di cose interessanti. Ad esempio che di quei dodici, solo tre sapevano rispondermi in modo dettagliato e senza entrare nel panico, alla domanda sul programma dell’anno precedente. Gli altri erano decisamente carenti in questo. E questo mi fu confermato apprendendo le medie di questi soggetti. 9 di loro erano stati promossi con la media del sei. Poi scoprì che Altieri era stato promosso con la media del 7.5, e che era abbastanza preparato, vista la sua capacità nel sapermi esporre il programma di biologia dell’anno precedente. Poi fu la volta di Boccanera Fabio, con la media dell’8.3. Sembrava che la chimica, lui, la mangiasse a colazione. E infine toccò a Gabetti Paolo , media dell’8.7. Era un genio della matematica. Materia per la quale io non ero molto sicura, ma conoscendolo e intuendo la sua preparazione, sapevo che avrei potuto contare sempre su di lui. Continuai il mio appello finché non chiamai…
<< Manfredi, Ignazio >>. Non ricevetti alcuna risposta. Alzai lo sguardo dal registro e cominciai a scrutare l’aula. << Manfredi, Ignazio >>, ripetei più convinta. Solo allora notai che, all’ultimo banco sulla fila all’estrema destra, vi era un posto vuoto. Proprio accanto a Gabetti Paolo. lo sguardo del ragazzo era mortificato. Chiusi di scatto il registro e domandai:
<< Signor Paolo, potrebbe farmi la grazia di rispondere a questa semplice domanda? >>, chiesi leggermente alterata.
<< Sono costretto non è vero? >>, domandò lui sempre più mortificato.
<< Direi di si >>, risposi convinta. << Saprebbe dirmi, gentilmente, dov’è il suo amico Manfredi Ignazio? >>.
<< Qualcuno mi ha chiamato? >>, disse una voce sconosciuta e profonda.
Mi voltai verso la porta e vidi un ragazzo bellissimo. Alto un metro e settantasei, capelli sbarazzini di colore del miele, bocca tirata in un sorriso sfrontato, e occhi come il ghiaccio. Riebbi nuovamente una sensazione di déjà-vu. Il giovane era appoggiato ad uno stipite della porta, e con una mano reggeva la cartella sulla spalla. Lo vidi scrutarmi da capo a piedi, fermandosi più del dovuto sul mio seno. Non avevo la più pallida idea di chi fosse, ma già mi stava dando i nervi.
<< E tu, di grazia, saresti? >>, chiesi stizzita.
<< Manfredi. Ignazio Manfredi . E tu, bambola, saresti? >>, chiede di rimando con sfacciataggine.
<< La tua nuova insegnante >>, risposi con sfida. Intuì istintivamente che, quando il preside definiva quella classe problematica, in realtà per il 70% si riferiva a quel tipo.
<< Interessante. Finalmente questa scuola di schifo a mandato in pensione quel vecchio bacucco >>, disse divertito.
<< Mi dispiace deluderla, signor Manfredi, ma il professore Elefante tornerà ad insegnare l’anno prossimo. Solo per quest’anno avremo il piacere di farci compagnia. Io come professoressa e lei come studente >>. Ero talmente acida, che, non solo ero passata col chiamarlo per cognome, ma in più avrei potuto cominciare a sputare veleno.
<< Questo si che è ancora più interessante. Ciò significa che potrò intrattenermi con lei in qualsiasi momento, in qualsiasi ora, anche da soli per avere delucidazioni su qualche argomento, che ne so, tipo biologia? >>, domandò malizioso. Nel frattempo era entrato in aula, molto lentamente, con fare sensuale. Provai un moto di rabbia verso quel personaggio e il suo atteggiamento, e verso di me che avevo letto quella nota squallida e fuori luogo. Perché inconsciamente, lo avevo trovato davvero sexy. Era come il personaggio cattivo di una fiaba d’amore nel quale lui è il protagonista. Sapeva di avere fascino e bellezza, e non faceva nulla per mascherarlo.
<< Ma certamente. Sa, signor Manfredi, era la mia massima aspirazione ritrovarmi sola con lei, al di fuori dell’orario di lavoro, parlando di biologia. Si davvero. Mi sono fatta assumere solo per questo >>, dissi ironica ritornando in me. Io per il resto del mondo maschile, ero diventata asessuata. E così sarebbe sempre stato.
<< lo immaginavo. Nessuno può resistermi >>, disse accattivante.
<< Oh già. Le sue doti sono famose in tutto il mondo. Ora la prego si segga al suo posto >>, ed indicai il banco vuoto. << Non vorrà fare attendere quella povera sedia. Sa, ha aspettato tutta l’estate per poter riavere su di se il suo dolce sedere >>, dissi fintamente addolorata.
<< Oh mai io pensavo che volesse farmi sedere accanto a lei, professoressa >>
<< Ah davvero? E che cosa te lo avrebbe fatto intuire? >>. Stavo raggiungendo veramente un livello critico di cattiveria. Ma non mi sarei mai fatta battere da un moccioso come lui.
<< Ma come, e io che pensavo che tutto questo discorso sul voler restare da solo con me fosse un tentativo di abbordaggio >>, mi rispose suadente.
<< Oh, ma io invece mi riferivo alla sedia >>, risposi fintamente ingenua. << Non era di lei che stavamo parlando? Cavolo, non ho inquadrato la conversazione.  Sapevo che lei e la sedia eravate in rapporti molto intimi. Del tipo un piede di essa infilato su per il suo ano, con stimolazione di prostata annessa >>.
La classe si proruppe nuovamente in una risata. Sul volto del giovane Manfredi era apparso un sorriso diverso, quasi ammirato. Non potei evitare di notarlo. Ma non mi feci ingannare una seconda volta. Gli indicai il banco e continuai:
<< Prego, si accomodi. Non faccia attendere oltre la sua compagna. E le ricordo che da domani in poi la campanella suona alle otto e un quarto e non sarà più tollerato un ritardo simile. Sono le otto e mezza >>, volli specificare come per avvalere la mia tesi.
<< Certamente. Non voglio più fare attendere la mia dolce metà >>, disse accarezzando lo schienale della sedia, una volta sedutosi.
<< Troppo gentile. Grazie per questa concessione >>
<< Mi scusi. Lei sa il mio nome e cognome, ma io non conosco il suo >>, mi chiese incuriosito.
<< Provi a leggere la lavagna, poi ne riparliamo. Oppure arrivi puntuale, la prossima volta >>, dissi infastidita.
<< Cristillo Lisa. Uhm bel nome >>, commentò ad alta voce.
<< Tante grazie. Vorrei poter dire la stessa cosa, ma risuonerebbe falso >>. Quando ero arrabbiata con qualcuno, nessuno poteva trattenere il mio sarcasmo cattivo.
<< Ha ragione, mia cara professoressa. Ma non tutti siamo fortunati come lei, nel poter vantarsi di un bel nome. Che poi è la prima cosa che ti segna per sempre, fin dalla nascita. Se già da quello parti male, allora non ci si può neanche immaginare quanto pericolosa possa diventare la vita >>, constatò con finta cerimoniosità, ma con sguardo velato. << Ah comunque è un piacere averla conosciuta, professoressa Cristillo Lisa >>, disse marcando il mio nome.
Lo guardai malamente, senza rispondere. Volevo solo andare avanti con l’appello e cominciare un po’ la lezione.
Furono le sei ore più lunghe della mia vita. Dopo l’arrivo improvviso del giovane Manfredi, non ci fu più un attimo di pace. Ogni scusa era buona per fare battute sarcastiche o di natura sessuale su di me. Ed io prontamente ribattevo ancora più sarcastica. Cosicché inscenammo vari siparietti per l’intera classe. Non ero riuscita ad apprendere quale fosse la media di quell’Ignazio, pertanto non sapevo se inquadrarlo come intelligente ma maleducato. Oppure stupido e maleducato. Quando gli facevo qualche domanda lui rispondeva correttamente, senza però omettere una battuta fuori luogo. Oppure ad altre domande, affermava di non conoscere la risposta, e da li un’altra battuta fuori luogo era inevitabile. Tutta la classe rideva per queste scene. Tutti tranne due ragazzi. Uno era Gabetti Paolo, che squadrava demoralizzato e allo stesso tempo arrabbiato il compagno di banco. Questo, dal canto suo, non lo guardava mai. E se lo faceva, assumeva uno sguardo quasi mortificato. Sembrava fosse intimidito. Se non fosse stato un completo stronzo, mi avrebbe fatto un po’ pena. L’altro ragazzo invece era Storti Roberto. Non rideva non perché fosse anche lui arrabbiato in qualche modo con il compagno di classe. Ma perché semplicemente dormiva profondamente sul banco. Quando avevo fatto l’appello e non avevo ricevuto alcuna risposta, temetti quasi di rivivere la scena di prima con quest’altro ragazzo.
<< E adesso si può sapere dov’è Storti Roberto >>, dissi esasperata.
<< E proprio qui, prof >>, mi rispose divertito Ignazio Manfredi.
<< Come? >>, chiesi confusa.
Il ragazzo indicò con uno sguardo il banco di fronte a Gabetti. Vi era una persona addormentata profondamente. Mi avvicinai al giovane e lo fissai. Poi mi abbassai all’altezza dell’orecchio e presi un profondo respiro ed urlai. Il ragazzo si svegliò di colpo, terrorizzato e sconcertato.
<< Ah, benvenuto tra noi >>, dissi sarcastica.
<< Come scusi? E lei chi è? >>, mi chiese con la voce impastata di sonno e ancora terrorizzato.
<< Mi sta prendendo in giro? >>, chiesi leggermente alterata. Intanto l’intera classe cercava di trattenere a stento le risate.
<< Ehm, veramente no. Mi dispiace >>, rispose mortificato il ragazzo.
Notai che era anche lui molto bello. Capelli neri, occhi verde chiaro, pelle diafana e muscoloso quasi quanto Ignazio. Quel paragone mi fece leggermente arrossire. Avevo appena paragonato uno sconosciuto adolescente ad un altro sconosciuto adolescente che già odiavo con tutta me stessa.
<< Interessante. Bene, allora io direi che per rimediare a questo grave danno, lei debba scrivermi almeno cento volte il mio nome e cognome, che tra parentesi è scritto alla lavagna >>, indicandola . << E mi fa trovare il foglio domani mattina sulla cattedra. In più ci aggiunge una bella ricerca di biologia sugli eucarioti e procarioti. E mi raccomando, deve essere lunga cinque pagine, ne una in più ne una in meno. E domani mattina la condividerà con tutta la classe. Mi sono spiegata? >>, dissi pacatamente. Sembravo un serial killer pronto a far fuori la sua vittima. Vidi il giovane inghiottire ed annuire. Tornai alla cattedra e, quando mi voltai, vidi sul volto di tutti i ragazzi sguardi terrorizzati. Tutti tranne, ovviamente, quello di Manfredi  e quello di Gabetti. Il primo mi guardava divertito, il secondo osservava la schiena del giovane sedutogli di fronte con compassione. Non mi soffermai molto su quel terzetto perché prosegui il mio appello.
 
Erano passate due settimane dall’inizio della scuola. Ogni giorno era un’avventura di versa. Il personaggio principale di questi disturbi durante la lezione era, come sempre, Ignazio Manfredi. Di tanto in tanto il resto della classe lo seguiva. In quelle due settimane avevo capito più o meno come era suddivisa la classe. Nella fila all’estrema sinistra, vi erano i ragazzi più tranquilli della classe, che non davano alcun fastidio. Poi nella fila centrale partendo da sinistra, quella in cui sedeva Altieri Giuliano, era riservata ai classici figli di papà viziati fino alla punta dei capelli e che ritenevano oltraggioso che una donna insegnasse loro. Nella fila centrale partendo da destra, i primi tre banchi erano occupati da tre fratellastri. Si odiavano come non mai, in quanto il loro padre in comune aveva seminato la sua eredità contemporaneamente in tre donne. Da li erano nati quei tre, di cui sicuro uno era malato. Il suo aspetto costantemente giallognolo, e occhiaie viola stavano ad indicare problemi di salute forti, visto e considerato che comunque assumeva varie pillole solo nell’arco della mattinata. Il ragazzo si chiamava Vincenzo, il fratello seduto dietro di lui era Marco e quello seduto al primo banco era Fabio. E facevano parte della famiglia Boccanera. Solo Fabio aveva una buona media, gli altri due si mantenevano sul sei. Comunque loro erano i tre fratelli. Nella fila all’estrema destra, i primi quattro banchi erano occupati da quelli che io definivo “la famiglia Adams”. Quattro soggetti con il gene della tristezza nelle vene. Venivano chiamati emo, e sui polsi avevano strane cicatrici che, se avessi voluto indagare, sono sicura avrei scoperto fossero cicatrici da taglio. La sola idea mi metteva i brividi. Infine vi era l’ultimo gruppo composto da Ignazio Manfredi, Paolo Gabetti e Roberto Storti. I primi due stavano sempre insieme anche se Ignazio sembrasse non gradire troppo la presenza dell’amico. Il terzo era escluso da tutti i gruppi in quanto dormiva sempre. E la cosa più assurda era che quest’ultimo faceva parte di quella piccola cerchia di ragazzi con la media più alta dell’otto. L’unico di cui non sapevo ancora nulla, dal punto di visto scolastico, era proprio Ignazio che non si sbottonava mai su se stesso. Ad esempio nella mensa scolastica, luogo di cui avevo appreso l’esistenza solo il secondo giorno, non si faceva mai vedere. I ragazzi e i professori andavano li per pranzo e poi ognuno si dedicava alle proprie attività pomeridiane. Chi con i propri club, chi invece si allenava in una delle squadre scolastiche, chi invece andava in biblioteca a studiare. Mentre i professori, durante il pomeriggio, erano tenuti in ostaggio dal preside per preparare il programma di studio del giorno dopo oppure in riunioni snervanti e alle volte costretti anche a prendere parte ad un club a nostra scelta e insegnare una materia di nostra scelta. Ovviamente io avevo decretato fin da subito che avrei fatto parte del gruppo di ricercatori nei laboratori e che avrei tenuto conferenze sulla genetica umana.
Comunque, ritornando ad Ignazio, lui scompariva e non si faceva vedere fino al mattino successivo. Il suo unico modo di comunicare con gli altri era tramite battutine sprezzanti e con il suo atteggiamento arrogante. E in quelle due settimane era diventato sempre più sfrontato finché un giorno non successe l’irreparabile.
Eravamo giunti all’ultima ora di lezione di quel giovedi. Era stata abbastanza pesante come giornata. Due ore di matematica, una di chimica, una di italiano, e adesso stavamo facendo storia. Stavo spiegando l’età moderna, quando ad un certo punto sentì qualcuno sbuffare. Mi voltai sapendo già chi fosse.
<< Dimmi, Ignazio, c’è qualcosa che vuoi condividere con la classe? >>. Non avevo voglia di litigare. Ero stanca, affamata, e con un gran mal di testa.
<< Solo il mio disappunto verso questa materia, e soprattutto verso questo argomento. Argomento, che tra parentesi, non interessa neanche a lei. Anzi parliamoci chiaro. Tutta la parte umanistica non le interessa minimamente, prof >>, disse sicuro di se.
<< Quello che interessa e me non è affare tuo, in primo luogo. Secondo, nessuna ha mai detto che la parte umanistica non mi piaccia. Anzi la trovo interessante, e in più io adoro leggere. E terzo credo che tu debba portare molto più rispetto a me, ai tuoi compagni, e alla materia che stai studiando >>. Cominciai la mia arringa personale. Stanca o meno, affamata o meno, e con o senza un mal di testa perforante, non avrei lasciato vincere un ragazzino come lui neanche per tutto l’oro del mondo.
<< Punto primo, se lei insegna una materia che non le piace questo influisce sulla spiegazione di essa e ciò comporta ad una bella confusione per tutti noi oltre che ad una naturale avversione per questa. Secondo, lo si capisce perfettamente che non ha interesse nelle materie umanistiche. E lo si deduce facilmente dai suoi occhi. Quando parla di italiano o storia, sono spenti o assenti. Quando parla di chimica, o biologia o qualunque altra materia scientifica i suoi occhi brillano come luce riflessa. È in estasi >>. Rimasi sconcertata da quell’affermazione. Era troppo intima e delicata per essere stata appena fatta da un troglodita come quel Manfredi. << Terzo, io porto rispetto solo a chi lo fa con me. Lei mi porta rispetto, perciò io la rispetto. I miei compagni mi portano rispetto e di conseguenza lo faccio anche io con loro. La storia non lo fa, perciò io la tratto come merita >>, concluse soddisfatto incrociando le braccia dietro la testa con un sorriso trionfante. Lo guardai con cattiveria. Non mi avrebbe messo nel sacco.
<< Sugli altri due punti non mi va di tornare a discutere, in quanto sono intimi e personali. E non gradisco nessuna affermazione come quella di prima, che intralcia il rapporto di insegnate e professore. Perciò la prossima volta astieniti >>, dissi infervorata. Il sorriso di Ignazio aumentò. << Ma parliamo del terzo punto. Tu non rispetti me, e neanche i tuoi compagni >>, dissi sprezzante. << Per quanto riguarda me, mi tratti con sufficienza, come se fossi una bambolina senza cervello che sta qui solo perché ci deve stare. E i tuoi compagni ti stanno alla larga, perché hanno paura di te e delle tue reazioni. Quello che tu credi rispetto, in realtà è solo timore nei tuoi confronti >>
<< E la differenza sta nel…? >>, domandò senza scomporsi.
<< Nel fatto che presto o tardi qualcuno ti toglierà da quel piedistallo su cui ti sei messo, e ti farà aprire gli occhi su un aspetto di te che non conoscevi >>, dissi tagliente.
<< Ovvero? >>, il tono era sempre arrogante, ma colsi negli occhi un cambiamento. Come se si stesse rabbuiando.
<< Quanto tu sia insignificante. Per tutti noi, per il resto del mondo. Svegliati, moccioso, e renditi conto che la vita non è quella che vivi tu, fatta di rose e fiori e tanti soldi di papà… >>
<< Stia zitta >>, disse arrabbiato ma con voce pacata. Le braccia adesso non erano più dietro la testa, ma erano abbandonate sul banco in piena tensione.
<<… fuori da qui c’è un mondo che tu non conosci, e la sottana di tua madre non potrà proteggerti per sempre… >>. Quando partivo, niente poteva farmi fermare. Ero dimentica di tutto, persino del ruolo che investivo in quel momento. Adesso ero solo nella modalità “offendi più che puoi”.
<< Stia zitta >>, disse Ignazio con voce più alta.
<<… e vedi di darti una svegliata, altrimenti sarai costretto a fare i conti col resto del mondo. E quelli si saldano da soli, senza l’aiuto di nessuno… >>
<< Lei non sa di cosa sta parlando >>, disse quasi al limite il giovane Manfredi.
<< Ah davvero? Adesso non fai più lo sbruffone. Ma ti sei visto? Mi fai quasi pena. Compatisco i tuoi poveri genitori che hanno avuto la sfortuna di avere un figlio come te. Non vorrei mai essere nei loro panni>>. Adesso ero diventata davvero cattiva.
<< STIA ZITTA! >>, urlò Ignazio alzandosi. Nei suoi occhi vi era il fuoco della rabbia, ma anche un dolore nero e profondo. Vivo. Talmente vivo da potersi toccare con mano. Lo guardai sgomenta, rendendomi conto di aver esagerato. Ero diventata ciò che più temevo e odiavo: una persona fredda, cinica e senza sentimenti. Ed io non ero così. Ma per qualche strana ragione, Ignazio mi ricordava troppo me stessa. Quel dolore sordo, la solitudine di chi sa che non vi è più speranza. L’agonia che si prova solo quando si perde qualcuno di importante... Lui era come me. Glielo potevo leggere negli occhi, in quel preciso momento. E questo mi spaventava. Ne ero terrorizzata. Il ragazzo prese la cartella sulle spalle e venne davanti a me. Mi fissò con una furia tale da farmi arretrare, fino ad andare a sbattere contro la cattedra.
<< Non si azzardi mai più a parlare di cose di cui non sa nulla. Mai più! >>, sillabò sul mio volto. Poi andò verso la porta ed usci sbattendola con violenza. Ero ancora turbata da ciò che era avvenuto. Nessuno in classe osava fiatare. Sapevo che tutti gli sguardi erano fissi su di me, ma io non avevo il coraggio di ricambiarli. Ironico. Prima mi difendevo a spada tratta come una leonessa, e adesso mi ritraevo nella mia tana come un coniglio. Buffo personaggio che ero. Passarono vari minuti in cui nessuno fiatò, poi suonò la campanella che decretò la fine della giornata. Tutti si alzarono silenziosamente dai loro banchi e si diressero verso l’uscita sempre in religioso silenzio. Io mi andai a sedere dietro la cattedra e presi il mio volto tra le mani. Ero stanca e stressata. Forse non sarei mai riuscita ad arrivare a fine anno. Forse era il caso di parlare con il preside e dire che quella di farmi insegnare in quella classe era stata una pessima idea. Stavo ancora rimuginando su cosa dire al preside per cercare di andarmene via da quell’istituto, quando qualcuno si fermò davanti alla cattedra. Alzai lo sguardo e vidi due occhi nocciola fissarmi. Era alto un metro e settanta circa, fisico asciutto, capelli castano scuri e qualche lentiggine sul volto. Di per se, era un ragazzo abbastanza normale. Ma quegli occhi color nocciola, così profondi e così intensi, rendevano il suo sguardo magnetico che quasi si faticava a togliergli gli occhi di dosso. Paolo Gabetti mi fissava con quello sguardo magnetico che trasmetteva preoccupazione.
<< Sta bene? >>, mi domandò sinceramente angosciato.
<< Si, grazie Paolo. Sto bene >>, risposi sorridendogli. In sua presenza, era difficile essere di cattivo umore. Trasmetteva una serenità tale, da farti stare in pace con te stessa. Paolo era una di quelle persone che, se non ci fossero state, si sarebbe sentita la mancanza.
<< Mi dispiace per quello che è successo. Con Ignazio intendo >>
<< Non dovresti essere tu a scusarti. Ma lui >>, dissi stancamente.
<< Forse dovreste scusarvi a vicenda, professoressa >>, disse dopo qualche secondo di silenzio.
<< E perché mai dovrei scusarmi. È stato lui a cominciare >>. Mi resi conto di aver dato una risposta degna di una bimba di cinque anni, non di una donna di trent’anni.
<< Lui forse avrà un po’ esagerato con quel riferimento sulle materie umanistiche, ma lei ha fatto qualcosa di molto peggio >>, sentenziò Paolo.
<< Ah si? E di grazia cosa avrei fatto di così tanto grave? >>, domandai nuovamente arrabbiata. Mi sembrava di stare su di una giostra. Un momento prima ero tranquilla, il momento dopo sbraitavo contro la prima persona che capitava.
<< Ha offeso i suoi genitori >>, disse con una serietà tale da farmi paura.
<< Non è un bambino delle elementari. Ha 17 anni, l’anno prossimo ne farà 18. Se anche dicessi qualche parola in più sui suoi genitori, arrivare ad arrabbiarsi in quel modo e sintomo di insanità mentale >>, dissi acida.
<< No, lei non capisce >>, scosse la testa con decisione.
<< E cosa non capirei? >>, chiesi acre.
<< I genitori di Ignazio sono morti >>.






Salve a tutti, signori e signore (penso più signore)... vorrei presentare alla vostra gentile attenzione, un nuovo capitolo di "Eppure mi ha cambiato la vita"...spero che gradiate e apprezziate (anche con qualche commentino se possibile XD) questo capitolo che tratta del primo giorno di scuola... per chiunque di noi, il primo giorno è stato traumatico, ma per la nostra cara Lisa ci saranno degli imprevisti molto divertenti :P chissà che succederà nelle prossime puntate... come sono perfida!!!
Passiamo ai ringraziamenti.
Prima di tutto ringrazio Allegra_, Loreena McKenzie, Pixel e _rain_ per aver aggiunto la mia storia nelle seguite. Spero che continui a piacervi!!!
Un ringraziamente speciale va poi a Loreena McKenzie ed Allegra_ che hanno recensito la mia storia. Mi raccomando, continuate a farmi sapere cosa ne pensate dei prossimi capitoli.
E per ultimi, ma non ultimi, ringrazio tutte quelle persone che comunque hanno letto la mi storia. Spero di riuscire a soddisfarvi e a farvi innamorare di questi personaggi, come li amo io...
E adesso vi lascio con un piccolo anticipo XD Un bacio
Moon9292


"Sa, ci credevo davvero", disse voltandosi sull'uscio della porta. Il suo sguardo era talmente stanco e addolorato, da lasciarmi senza fiato. Quasi come se provassi anche io il suo dolore.
"A cosa?", chiesi in un sussurro.

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Capitolo 4
*** Scoperte ***


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Capitolo 4 -  Scoperte


<< I genitori di Ignazio sono morti >>, disse mestamente Paolo.
In quel preciso istante, il sangue nelle vene mi si raggelò. Fissai il ragazzo di fronte a me inebetita. Ero completamente spiazzata da quella rivelazione.
<< Cosa? >>, domandai con un filo di voce. Non potevo credere alle mie orecchie.
<< Si, i genitori di Ignazio non ci sono più. Da molto tempo, ormai >>, confermò Paolo. << Quattro anni e mezzo. Cinque a giugno >>.
Posai lo sguardo sulla cattedra. Ero come estraniata dal mondo. Nelle mia mente risuonavano solo le parole di Paolo, e nel caos totale che infestava la mia mente, rividi la scena di quell’ultima ora. Io, Ignazio, in quell’aula, ad urlarci contro parole di rabbia, cattive, mirate a ferire. E le mie avevano ferito, profondamente. Perché non toccavano un punto insensibile del suo cuore. Ma aggiungevano sale ad una ferita che non si sarebbe mai richiusa. E io lo sapevo bene. Nessuno più di me poteva capire cosa stava provando quel ragazzo. Quanto, anche a distanza di anni, la perdita di qualcuno che si ha amato con tutto se stesso possa fare male. Ed io, nella mia ottusità, non avevo fatto altro che aprire a mani nude sempre di più quello squarcio nel suo petto. Sentivo un’improvvisa nausea crescere in me. Volevo solo scappare in bagno e vomitare anche l’anima. Ma non lo feci. Anzi, alzai nuovamente lo sguardo e lo posai su Paolo. Dopo pochi minuti di silenzio, in cui lui mi fissava domandandosi cosa stesse accadendo nella mia mente, io aprì bocca.
<< Cosa è successo? >>, chiesi sottovoce.
<< Come? >>
<< Che cosa è capitato ai genitori di Ignazio? >>, cercai di darmi un contegno modulando la mia voce.
<< Stavano percorrendo un tratto di strada in montagna. Era buio. Non sarebbero dovuti essere li. Ma per ragioni di lavoro, il signor Manfredi fu costretto a recarsi nel luogo dell’appuntamento >>, mi spiegò tristemente. Sembrava che il fatto colpisse anche lui da vicino. << Sa, il padre di Ignazio era un architetto famoso. Lo avevano chiamato per una ristrutturazione di una casa di montagna >>, mi spiegò. Allora capì perché il cognome Manfredi non mi risultava nuovo. Lo avevo già sentito una volta. La struttura in cui lavoravo a Napoli era stata costruita da un certo Manfredi, e facendo due calcoli, molto probabilmente quell’uomo doveva essere il padre di Ignazio. << Mentre si dirigeva al luogo dell’appuntamento, su una curva, una macchina che veniva di fronte cominciò a sbandare. Il conducente era ubriaco >>. A quel punto la nausea tornò. Sentì in più gli occhi pizzicarmi. Le lacrime erano pronte a scendere. << Per cercare di evitare la macchina, il signor Manfredi sterzò bruscamente, ma era troppo vicino alla banchina. E sotto c’era uno strapiombo. Non c’è stato niente da fare >>.
Piangevo. Piangevo come se quel fatto mi toccasse da vicino. Ogni parola di quel racconto era intrinseca di dolore ed agonia. Sembrava quasi la storia di un libro drammatico. Ma purtroppo quella era la realtà, ed aveva colpito in pieno un ragazzino piccolo e la sua famiglia. Un’incidente aveva distrutto la vita di quelle persone con una crudeltà tale, da non lasciare altro se non un vuoto profondo.
<< Professoressa si sente bene? >>, mi domandò preoccupato Paolo vedendo la mia faccia sconvolta ed in lacrime.
<< Ignazio. Lui dov’era quando è accaduto l’incidente? >>, chiesi tra un singhiozzo e l’altro ignorando le parole del ragazzo. Mi guardò per un secondo perplesso, poi triste, ed infine sospirò.
<< A casa mia >>, affermò colpevolmente. << Avevo chiesto ad Ignazio se poteva darmi una mano a ripetere l’interrogazione di matematica. Che motivo stupido >>, disse amaramente. << Sarebbe dovuto andare anche lui quel giorno, ma non ci andò. Rimase con me >>. Ormai anche Paolo era in procinto di piangere. Lo vedevo dai suoi occhi lucidi. << Non potrò mai dimenticare il momento in cui Ignazio ricevette la chiamata della polizia che gli comunicava la morte dei genitori. Sono cose che non si posso scordare >>, affermò ormai piangendo. Ed io lo imitavo. << Da allora non è stato più lo stesso. Studiava ancora ed aveva la media più alta della classe. Lui non vuole dirlo, ma l’anno scorso è stato promosso con la media del nove punto due. È il migliore della classe >>, disse orgoglioso.
Rimasi scioccata nell’apprendere il voto del ragazzo. Era altissimo. Ciò non faceva che aumentare il disagio che provavo nei miei confronti.
<< Comunque cambiò radicalmente >>, proseguì Paolo. << Abbandonò il nuoto, lo sport che più amava al mondo e che praticava da quando aveva cinque anni. Era arrivato a gareggiare persino nelle gare internazionali aggiudicandosi sempre i primi posti. Ma da allora ha smesso. E, da che era un ragazzo allegro, estroverso e buono con tutti, adesso è diventato una specie di teppistello che esce tutte le sere dalla scuola e torna alle prime luci del mattino >>, dichiarò quasi arrabbiato. Sembrava una moglie gelosa.
<< Tu come lo sai? >>, chiesi perplessa.
<< Perché io e lui condividiamo la stessa camera >>, confessò Paolo. << Sa, Ignazio è uno dei studenti più ricchi in questo istituto, eppure quando arrivammo al liceo, scelse di andare nei dormitori invece di restare a casa con i nonni. Gli chiesi se potevamo andare nella stessa camera, ma lui non rispose. Né si, né no. Mi fissò con sguardo annoiato, coma a dire: “fai quello che ti pare” >>. Ad ogni parola, il volto di Paolo si rabbuiava sempre di più. Quella storia non aveva solo distrutto la vita di un ragazzo, ma aveva ferito inevitabilmente anche le persone che gli stavano accanto e che lo volevano bene. E tra questi, evidentemente, c’era anche il giovane che avevo di fronte.
<< Tu da quanto lo conosci? >>, domandai sinceramente curiosa.
<< Dall’asilo >>, dichiarò Paolo. Abbassò lo sguardo con dolcezza. Non potevo fare altro che provare tenerezza per quel ragazzo. << Una volta il signor Manfredi disse che ero stata una benedizione per il figlio. Sin da piccolo Ignazio era una testa calda, ed io invece ero quello più razionale e calmo. Venivo accolto in casa loro come un figlio. Mi sentivo amato come un figlio >>, disse sorridendo ad un ricordo. << Da quando non ci sono più, tutto è stato diverso >>, osservò con profonda tristezza. Il ricordo felice era volato via nel vento.
<< Paolo… >>, iniziai cercando le parole più adatte. Un pensiero stava albergando nella mia mente da un po’, e non riuscivo più a trattenermi. <<…da come parli, sembra che ti ritieni responsabile della morte dei genitori di Ignazio. Ho ragione? >>, chiesi timidamente.
Paolo sgranò gli occhi a quella domanda, ma non rispose. Anzi abbassò nuovamente lo sguardo verso il pavimento, confermando la mia ipotesi.
<< Perché ti accusi? È stato un’incidente >>, affermai perplessa. Il giovane aveva ricominciato a piangere silenziosamente.
<< Lui era con me quella sera >>, disse tra le lacrime. Poi alzò di scatto lo sguardo, e quello che vidi mi lasciò senza parole. Il viso che avevo di fronte non era più magnetico, ma una maschera di dolore. E quegli occhi così profondi, erano talmente bui e colpevoli che mi spaventarono. << Se non fosse rimasto con me a studiare, se io non gli avessi chiesto di restare, adesso anche Ignazio sarebbe morto >>
<< Proprio per questo dovresti sentirti sollevato di quella tua richiesta. Hai salvato una vita umana >>, dissi con ovvietà.
<< Lei non capisce >>, urlò piangendo. << Il giorno del funerale, sulla tomba della sua famiglia, Ignazio senza guardarmi mi disse che avrebbe preferito morire con loro. Invece lo avevano lasciato in vita. Mi chiese perché doveva continuare a vivere, se ormai non vi era più nulla a trattenerlo. Lui voleva morire. E invece, per colpa mia, questo suo desiderio non gli è stato concesso >>, affermò con rabbia.
Ero allibita per tale affermazione. Nessun’essere umano poteva sopportare per tanti anni un tale dolore e senso di colpa senza restarne per sempre compromesso. E questi erano i sintomi di quella malattia. Mi alzai di scatto senza riflettere e corsi ad abbracciare Paolo. In un primo momento il ragazzo si irrigidì tra le mie braccia, poi si lasciò andare e mi afferrò saldamente, come un bambino in cerca della sua mamma. Doveva desiderare così fortemente quel contatto umano che annullasse per un momento i suoi sensi di colpa, da agognarlo con tutto se stesso, quasi gli servisse per tornare a respirare ancora.
<< Non è stata colpa tua >>, gli sussurrai dolcemente tra i capelli.
Non rispose. Continuava a piangere nulla mia spalla. Passarono dei lunghi minuti di silenzio, in cui l’unico rumore udibile erano i battiti dei nostri cuori. Poi, sempre silenziosamente, sciogliemmo l’abbraccio. Puntai il mio sguardo sul quel tenero viso, mentre Paolo fissò il pavimento in imbarazzo. << Paolo, guardami… >>, e misi una mano sotto al suo mento costringendolo a guardarmi. <<… non è stata colpa tua. Ok? >>
Lui mi scrutò per un po’, cercando di capire se effettivamente le mie parole erano vere oppure no. Desiderava veramente essere perdonato, senza sapere che il primo a doverlo fare, era proprio lui stesso.
<< Prof, c’è un’ultima cosa che deve sapere >>, dichiarò il ragazzo quasi con solennità.
<< Dimmi >>
<< Ignazio è rimasto sconvolto da tutta questa faccenda, ma il dolore più grande è stato nel perdere la sua sorellina >>, disse tristemente.
La nausea ritornò prepotentemente. Tolsi la mano da sotto il mento del ragazzo, e la lasciai cadere al mio fianco. Ora si che il dolore era davvero insopportabile.
<< Sua sorella? >>, chiesi incredula.
Paolo annuì con la testa.
<< Quanti anni aveva? >>, ero masochista, ma dovevo saperlo. Sapere contro cosa dovevo combattere. Perché avevo deciso, dal primo momento in cui Paolo aveva aperto bocca, che avrei aiutato Ignazio. Costi quel che costi. Perché lui era troppo simile a me. E se non riuscivo ad aiutare me stessa, almeno con lui non avrei fallito.
<< Sei anni >>, dichiarò infine.
Il sangue si raggelò nuovamente nelle mie vene. Era davvero orribile ciò che Ignazio aveva dovuto sopportare, il dolore che doveva aver tollerato. Ne era sicuramente saturo, e sicuramente un altro lutto gli sarebbe stato fatale.
<< Sono una persona disgustosa >>, decretai infine appoggiandomi alla cattedra. << Prima devo averlo ferito così profondamente. Se mi odia fa bene >>
<< Io invece credo un’altra cosa, prof >>, disse Paolo con fare cospiratorio.
<< Cosa? >>, chiesi orripilata dalla persona che ero diventata.
<< Che lei è l’unica che può aiutarlo >>, affermò con una tale tristezza, che mi si sciolse il cuore. Alzai lo sguardo di scatto e lo fissai nel suo.
<< E come? >>, chiesi stupita.
<< Lei è l’unica ad avergli tenuto testa. E sono sicuro che lei sia l’unica che può fare qualcosa per lui >>, mi disse sorridendo. << Io non ci sono riuscito. Ma forse perché non posseggo quello che invece lei ha >>, disse mestamente Paolo. Poi si allontanò da me, dirigendosi verso la porta. Mi stava lasciando con quella frase in sospeso, ma non glielo avrei permesso.
<< Ehi, aspetta. Non puoi lasciarmi così >>. Il ragazzo si fermò sulla soglia, poi si voltò e mi regalò uno dei suoi sorrisi più belli.
<< Forse non lo sa, ma quando guardo nei suoi occhi, vedo le stesse cose che leggo negli occhi di Ignazio.  Perciò potete solo aiutarvi a vicenda>>, e si voltò nuovamente. << Aula 213. Terzo piano, infondo al corridoio a destra. Lo troverà li, seduto vicino alla finestra. E’ li che passa tutti i suoi pranzi >>. Poi si allontanò senza più voltarsi.
Nella mia testa risuonavano le sue ultime parole.
 
Mi avventurai silenziosa verso quel corridoio vuoto al terzo piano. Sentivo il battito del mio cuore rimbombare nelle mie orecchie. Non ero mai stata tanto agitata in vita mia per un confronto. Solitamente affrontavo le cose di petto, senza lasciarmi intimorire. Ma le cose, da un po’ di tempo, erano cambiate. Ad esempio non avrei mai pensato di dover confrontarmi con un ragazzo di diciassette anni, oppure non pensavo che un giorno avrei mai insegnato. Invece eccomi li, a fare entrambe le cose. E non potevo essere più terrorizzata di cosi. Arrivai davanti all’aula 213, con il cuore in gola e la trovai aperta. Mi affacciai, per vedere l’interno. Era una stanza bella grande, con molte più file di banchi della mia, ed una doppia lavagna. La parete di fronte alla porta era piena di finestre che affacciavano verso il cortile interno. Invece nell’aula dove insegnavo, vi erano solo due finestre oscurate da due grandi alberi, e  dio conseguenza la luce entrava a stento. Guardai verso i banchi e notai una figura silenziosa seduta in quello centrale. La luce del sole creava un’aurea interno a quella persona, da renderla quasi angelica. Capelli biondi, pelle luminosa e uno sguardo in grado di riflettere la luce del cielo. Ignazio era la cosa più bella che io avessi mai visto. Rimasi a scrutarlo affascinata per un tempo indefinito. Non credevo che al mondo esistesse tanta bellezza. Ne ero quasi imbarazzata. Il suo mondo interiore sembrava risplendere di luce propria ed io, che ero un punto oscuro non definito, desideravo ardentemente quella sua brillantezza. Poi mi riscossi dai miei pensieri. Non ero venuta per fare pensieri filosofici, ma per aiutare un ragazzo in difficoltà. Mi appoggiai allo stipite della porta e congiunsi le braccia sul petto.
<< Perché sei qui e non con i tuoi compagni? >>, domandai improvvisamente.
Ignazio voltò di scatto il viso cercando la figura che aveva appena parlato. Quando mi trovò, puntò il suo sguardo perplesso nel mio. Per la prima volta, da che ero arrivata li, vidi un ragazzo indifeso e bisognoso d’affetto.
<< Che ci fa qui? >>, chiese con voce rotta. Evidentemente in lui vi era una battaglia di emozioni.
<< Potrei farti la stessa domanda >>, dissi sorridendo. Il mio carattere combattivo stava tornando a risorgere.
<< Risponde sempre ad una domanda con un’altra domanda? >>, mi chiese lui. Ma nel farlo sorrise dolcemente. Un sorriso che non gli avevo mai visto e che lo rese, se possibile, ancora più bello.
<< Potrei farti la stessa domanda >>, dissi io sorridendo vittoriosa. Provai un senso di déjà-vu, ma lo misi a tacere. Non era il momento di perdersi in pensieri inutili.
Ignazio sorrise ancora di più. Sembrava stranamente sereno.
<< Posizione di stallo. Come sempre >>, affermò giocoso. << Comunque sono qui perché non ho voglia di stare giù, in quel casino di mensa >>.
<< Posso sedermi con te? >>, domandai indicando con la testa la sedia di fronte alla sua.
Il ragazzo annuì. Mi avvicinai e voltai la sedia verso il banco in cui era seduto. Eravamo uno di fronte all’altra e, a quella vicinanza, potevo osservare meglio come il sole incorniciava il suo viso. Da vicino era ancora più bello.
<< Allora, perché non hai voglia di spendere il tuo tempo con i tuoi coetanei? >>, chiesi una volta ripresami dallo stupore della sua bellezza.
<< Non mi va >>, rispose semplicemente.
<< Davvero? A questa età già ti scocci di stare vicino agli altri? Sei un po’ precoce. Solitamente questo accade quando si ha quarant’anni >>
<< Ah si? E chi lo ha stabilito? >>, chiese ironicamente.
<< Nessuno in verità. Sono regole non scritte. E tu le stai infrangendo >>, dissi convinta.
Ignazio mi fissò a lungo, poi scoppiò in una fragorosa risata. Lo guardai scettica, non capendo il motivo di tanta ilarità.
<< Perché ridi? >>, chiesi dopo un po’, infastidita.
<< Neanche due ore fa io e lei abbiamo litigato. Ci siamo dette parole alquanto spiacevoli, e mi viene a parlare di regole non scritte? Lei è una donna strana >>, disse tra una risata e l’altra.
<< Me lo dicono in molti che sono strana. Non sei il primo e non sarai, di certo, l’ultimo >>, affermai tranquillamente.
<< E non ha mai pensato di fare qualcosa al riguardo? Intendo per la sua stranezza? >>, chiese tra il divertito e il serio.
<< No. Mi vado bene così come sono. Perché, tu vorresti cambiare qualcosa di te? >>, domandai incuriosita.
<< Forse. A volte vorrei semplicemente essere un’altra persona >>, disse guardando fuori dalla finestra. Emanava una tale solitudine, che rischiava seriamente di soffocarmi.
<< Perché vorresti vivere una vita diversa dalla tua? >>, domandai seria.
<< Perché forse, semplicemente, non sono soddisfatto della mia >>, disse tornando a guardarmi. Quello sguardo ghiacciato entrò in me raggelandomi il cuore. Sentivo che l’emozione poteva farmi collassare da un momento all’altro.
<< Sciocchezze >>, dissi facendo un gesto con la mano.
<< Come scusi? >>, domandò scettico.
<< Ho detto sciocchezze. Come fai ad essere insoddisfatto della tua vita, già così giovane? Non puoi, semplicemente >>, dissi fissando fuori dalla finestra.
<< Lei che ne sa della mia vita? >>. Percepì una certa irritazione da parte di Ignazio. Si stava alterando.
<< Forse so molto più di quello che pensi >>, affermai convinta tornando a scrutarlo.
Il ragazzo mi fissò, studiandomi. Poi un sorriso irritato comparve su quel volto efebico.
<< Deduco che Paolo, come al solito, non è riuscito a tenere cucita la bocca >>
<< Ti vuole bene. Si preoccupa per te >>, esclamai convinta senza tentare di negare l’evidenza. A che scopo poi. Era meglio mettere in chiaro che io sapevo tutto.
<< Non sono affari di Paolo, ne tantomeno suoi, di quello che faccio o non faccio >>, ribadì stizzito Ignazio.
<< Io invece credo che siano affari di chiunque ti voglia bene >>
<< Ah si? E allora lei che diritto ha di intromettersi nella mia vita privata? Non può di certo dirmi di volermi bene, visto e considerato che ci conosciamo da due settimane e che oggi, come ha tenuto a palesarmi, sono il disonore della mia famiglia morta >>, concluse furioso.
<< Oh, per piacere non provare a fare la vittima con me>>, dissi infastidita. << Tanto so che non ti ritieni tale. Stai solo cercando una scusa per allontanarmi come fai con tutti. Anche con il tuo amico Paolo. E io so perché lo fai>>
<< Ah si? E sentiamo, quale sarebbe questo motivo? >>, chiese sarcastico.
<< Per paura >>, dissi con tranquillità. << Per paura di dover rivivere le stesse emozioni che hai provato quando sono morti i tuoi genitori>>. Mi appoggiai al banco, avvicinandomi di più ad Ignazio che, intanto, era rimasto basito dalle mie parole. Non fiatava. << Sei così terrorizzato di legarti nuovamente a qualcuno, che tieni tutti distanti. Perché temi che un giorno quelli ti abbandoneranno, come hanno fatto i tuoi genitori. E tu non puoi sopportare di riprovare quel dolore. Perché ne sei saturo. Ecco qual è il motivo >>, conclusi fissandolo negli occhi.
Ignazio non parlava. Mi guardava spaventato come un animale in gabbia. Le mie parole erano così vere, che faticava ad accettarle. Perché questo avrebbe comportato il dover mettersi in gioco nuovamente, e lui non era ancora in grado di farlo.
<< Ma sai, devi sapere una cosa >>, dissi guardando il banco. Stavo affrontando un discorso difficile, anche per me, perché questo voleva significare che anche io avrei dovuto accettare quelle parole. << I morti non tornano. Ed aggrapparci a loro non fa bene >>. Respirai profondamente, sentendo le lacrime pungermi gli occhi. Faticavo a parlare, ma non potevo fare diversamente. << E non desiderano questo. Loro ci hanno amati così tanto, che per noi vorrebbero solo che andassimo avanti, conservandoli nei nostri cuori come ricordi felici e non dolorosi. Vorrebbero che continuassimo a vivere appieno la nostra vita, anche per loro, godendocela in tutto il suo splendore>>. Le lacrime sgorgarono, senza che potessi fermarle. Continuavo a tenere lo sguardo fisso sul banco e sulle mie mani. Avevo paura di alzarlo, perché sapevo che vi avrei trovato il mio riflesso. << E non farlo, significa disprezzare il dono che ci è stato fatto e che a loro è stato negato >> . Inspirai profondamente. Poi, con un gesto rapido, asciugai le lacrime dal mio volto, e tornai a sedermi composta sulla sedia. A quel punto presi coraggio, ed alzai il viso. Quello che vidi fu proprio ciò che mi aspettavo. Terrore. Terrore allo stato puro. Terrore nel dover lasciare andare qualcuno che si è perso. E allo stesso tempo, paura di dover affrontare nuovamente la vita, consapevoli che da un momento all’altro tutta la felicità può essere spazzata via. Ignazio non piangeva, ma sapevo che il suo cuore stava annegando in un mare di lacrime. Lo capivo solo guardando quegli occhi di ghiaccio che non potevano nascondere nulla. Cominciammo a fissarci negli occhi, incapaci di fare diversamente. Poi, non riuscendo più a sopportare il peso del suo sguardo, distolsi i miei occhi. Guardai un punto in basso, alla mia sinistra. Solo allora mi ricordai di essere passata prima alla mensa e di aver preso qualcosa da mangiare per entrambi, convinta che Ignazio non avesse nulla di pronto. E infatti così era. Non c’era cibo, ne acqua in quella stanza, e dubitavo che nel suo zaino ci fosse qualcosa di commestibile. Presi la busta e la poggiai sul banco, a metà strada tra me e lui. Il ragazzo fissò prima me, poi la busta, e poi di nuovo me. Il suo sguardo era abbastanza eloquente. Si stava domandando cos’altro la mia contorta mente avesse partorito.
<< Ero venuta per scusarmi, di quello che è successo in aula >>, dissi titubante.
Ignazio alzò elegantemente un sopracciglio, esortandomi a continuare. Il momento di prima, pieno di sentimenti così diversi, eppure così simili, era cessato. Avevamo messo da parte quel discorso, e sapevo che prima o poi l’avremmo ripreso.
<< Va bene, lo ammetto >>, mi arresi alla fine. << Ho esagerato prima. Non dovevo. Scusami >>
<< Esagerato? È un eufemismo >>, mi rispose arrogante.
<< Non tirare la corda, mocciosetto >>, dissi tagliente.
Ignazio mi guardò, poi sorrise nuovamente con dolcezza. Sembrava, anche, che fosse molto felice.
<< Prof, quanti anni ha? >>, mi chiese all’improvviso.
<< Non sono cose che si chiedono ad una donna. Insieme al peso, ovviamente >>, affermai fintamente oltraggiata.
<< Ma lei non è una donna come le altre. O mi sbaglio? >>. Mi mostrò il suo sorriso più sfrontato che possedeva. E devo dire che fece il suo effetto, perché il mio cuore batté all’impazzata. Non capivo più cosa mi stava succedendo. Misi a tacere quello stupido ed inutile organo, e risposi.
<< Hai ragione. Comunque ne ho trenta. Perché? >>
<< Io ne ho diciassette. Perciò direi che la fase del mocciosetto è superata, non crede? >>, domandò tranquillamente. << E in più volevo dirle che… dispiace anche a me per quello che è successo oggi in aula >>, ammise abbassando lo sguardo. Sembrava imbarazzato
<< Direi che siamo due idioti e che forse è il caso di ricominciare. E… no, la fase del mocciosetto non l’hai ancora superata >>, sorrisi trionfalmente. Il mio carattere combattivo aveva avuto la meglio sui miei buoni propositi di deporre l’ascia di guerra. Ma non era una guerra nociva. Anzi, era più un prendersi in giro come amici. E forse, dal sorriso che mi fece Ignazio, saremmo potuti diventare buoni amici.
<< Allora cosa mi ha portato da mangiare? >>, domandò curioso.
<< Pizza margherita >>, affermai soddisfatta aprendo la busta.
<< Io preferisco quella con le patatine e i wurstel >>
<< Oh, ma stai zitto >>, scherzai.
 
Il giorno successivo tornai nell’aula 213, sapendo che Ignazio sarebbe stato li. Ed infatti lo trovai nella stessa posizione del giorno precedente, sempre senza cibo e acqua, intento a fissare la finestra.
<< Che cosa c’è di cosi bello li fuori? >>, chiesi andando a sedermi nello stesso posto del giorno precedente.
Il ragazzo si voltò di scatto, stupito di sentire la mia voce. Mi scrutò mentre mi posizionavo di fronte a lui.
<< Prof, lo sa che entrare così di soppiatto nuoce gravemente alla salute di chi le è accanto? >>, chiese ironico.
<< E tu lo sai che guardare sempre fuori dalla finestra non farà di te un volatile? >>, risposi prontamente.
<< Questo botta e risposta è istruttivo. Ti insegna a pensare velocemente ad una risposta tagliente. Mi piace, grazie >>, mi disse Ignazio sorridendomi divertito.
<< Non c’è di che. Quando vuoi >>, confermai sorridendogli spontaneamente. << Allora, mi spieghi che cosa c’è li fuori che ti attrae così tanto? >>
<< Niente in particolare >>, rispose ritornando a guardare fuori dalla finestra. << Mi piace osservare il cielo, e scrutare le nuvole cercando di trovare le forme più bizzarre. E poi mi sento libero perdendomi in questa distesa di azzurro. Quasi come se ne facessi parte anche io >>, sospirò mestamente.
<< Uhm, interessante. Ma sai, la fuori, nella vita terrena c’è molto da scoprire. A cominciare dalla mensa. Si possono scovare notizie interessanti >>, dissi prendendo la busta comprata alla mensa, e poggiandola sul banco.
<< E cosa esattamente? >>, chiese lui curioso.
<< Per esempio cosa c’è dentro questo pollo >>, e gli mostrai la vaschetta contente una strana massa informe di carne. << Insomma siete ricchi sfondati, eppure avete una mensa che non saprei dire se è disgustosa o abominevole >>, constatai aprendo la seconda vaschetta di pollo e porgendola ad Ignazio.
<< Si in effetti bisognerebbe fare un’inchiesta, e scoprire chi è che ha deciso di ucciderci >>, affermò il ragazzo guardando con sospetto il suo contenitore.
<< Forse dovevo fiondarmi sulla pasta al sugo >>, osservai con disgusto.
<< No, per carità. Quella è una bomba nucleare >>, disse sconvolto Ignazio.
<< Perché? >>
<< Una volta che la mangi, non esci più dal bagno >>, rivelò fissandomi negli occhi.
<< Bleah, che schifo. Ma i finanziamenti di ogni anno non servono proprio a questo? A migliorare le vostre condizioni di vita? Con questa roba, la vita te la tolgono >>, domandai nauseata. Quella poltiglia aveva veramente un odore sgradevole.
<< In teoria si. Ma i nostri genitori preferiscono i laboratori, al nutrimento >>, affermò Ignazio posando la vaschetta e fiondandosi sulle patatine che, nel frattempo, avevo poggiato sul banco. Lo imitai all’istante.
<< Ah si? Geniali. Davvero. E poi uno dice perché certa gente non dovrebbe diventare genitore >>, dichiarai sconcertata.
<< E lo dice a me? Mia nonna e mio nonno non sono i migliori esemplari di genitori amorevoli >>, disse sarcastico.
<< Ah si? >>
<< Si. Anzi, se fosse stato per loro, io non sarei dovuto mai nascere >>, confessò masticando una patatina.
<< Davvero? E come mai? >>, chiesi incuriosita.
<< Perché non approvavano le scelte di mio padre >>. Si pulì le mani sul tovagliolo di carta che gli avevo dato e cominciò a raccontare. << Vede, mio padre non voleva diventare scienziato né ricercatore, e tanto meno medico. Lui amava l’architettura, e l’idea di costruire case solide. Così, fu il primo studente a lasciare questo posto il primo anno dell’università e trasferirsi a Roma >>, la sua voce traboccava d’orgoglio verso quel padre che ormai non c’era più. << Entrò nell’università pubblica, facoltà architettura. Mentre era li, conobbe mia madre, che frequentava la facoltà di lettere >>
<< Tua madre non era di questo posto? >>, domandai scioccata. Da quando ero li, avevo capito che quelle famiglie tendevano a voler conservare la purezza del loro sangue, come se fossero privilegiati.
<< Già >>, sorrise gioioso. << Mia madre è stata la prima persona estranea a varcare la soglia di queste mura. Intendo quelle all’entrata del quartiere. Comunque sta di fatto che si conobbero, si innamorarono e decisero di sposarsi anche contro il volere dei miei nonni  paterni >>. Ogni volta che nominava i nonni, il suo sguardo diventava duro e feroce. Li odiava davvero. << Ovviamente fu uno scandalo, e i genitori di mio padre decisero di chiudere definitivamente con lui. Ma quando mia madre rimase incinta di me, improvvisamente queste care persone tornarono a farsi sentire . Supplicarono mio padre di trasferirsi in casa con loro, ed in cambio i miei nonni lo avrebbero aiutato con la carriera >>, era davvero inacidito mentre raccontava. << Mio padre dopo la laurea, infatti, non riusciva a trovare lavoro. E dovendo mantenere una moglie ed un figlio in arrivo di li a nove mesi, decise controvoglia di accettare. Ma alle sue regole. Ovvero che non avrebbero interferito con la mia educazione, cosa a cui miravano in verità. Alla fine accettarono. Ed improvvisamente mio padre divenne un architetto famoso. Era bravo su questo non c’è dubbio, ma l’umiliazione di essere arrivato in quel modo al vertice lo mandava in bestia >>. A quel punto si interruppe nel racconto. Qualcosa lo turbava davvero.
<< Cosa è successo poi? >>, chiesi spronandolo a continuare.
<< Lui scoprì che non trovava lavoro a causa dei genitori. Avevano fatto in modo di fargli terra bruciata intorno. Scoppiò un putiferio, ma alla fine la questione si risolse grazie a mia madre, che era troppo buona e gentile per il mondo intero. Il cliente che mio padre doveva vedere, la sera in cui morì, era un amico di mio nonno. Perciò la colpa è tutta loro, e di tutti questi figli ricchi e viziati. Per questo vivo nei dormitori. Ho bisogno di stare il più lontano possibile da quelle persone >>, concluse inferocito.
Rimasi perplessa da quel racconto. Il ragazzo aveva molti più problemi di quanti ne immaginavo.
<< Wow. Ignazio, la tua vita sembra un libro >>, dissi scioccamente alla fine dando voce ai miei pensieri.
<< E’ un complimento o un’offesa? >>, chiese perplesso.
<< Direi che dipende dai punti di vista. Da persona esterna direi che è buono. Chiunque vorrebbe vivere una vita romanzata. Ma se fossi all’interno della storia, direi che è una maledizione >>
<< Non è molto confortante >>, disse scettico.
<< Non sto cercando di confortarti. Dico solo una cosa oggettiva >>, dichiarai sicura. Avevo capito pienamente che quel ragazzo era smanioso d’amore e affetto, ma non potevo evitare di dire la mia. << E in più mi rendo conto che vivere con persone che ti hanno creato tanti problemi non è facile, ma quella è l’unica famiglia che ti resta >>
<< Coma fa a dirlo? >>, chiese impetuoso.
<< Da come parli. Sei costretto a vivere nei dormitori, perché non hai un’altra casa in cui andare. Significa che non c’è nessuno che può tenerti con se >>, esposi la mia idea. Sapevo, senza che lui me lo confermasse, che avevo ragione.
<< Complimenti. Lei si che ha intuito >>, mi disse sorridendo mestamente.
<< Forse proprio perché sei solo, dovresti cercare di avere un rapporto più stretto con i tuoi nonni. Tutti meritano una seconda chance >>
<< Non chi ti ha fatto soffrire così tanto >>, affermò arrabbiato.
<< Perché, loro ti hanno mai fatto qualcosa? >>, chiesi acidamente.
<< Hanno ucciso i miei genitori >>, esclamò scandalizzato.
<< Ti sbagli. Non è stata colpa loro, ma di quell’uomo che era al volante in quella macchina. La colpa è sua >>, dichiarai convinta della mia tesi.
<< Ma loro hanno fatto conoscere mio padre a quell’amico. Se si fossero fatti gli affari loro da sempre… >>
<< Tu ora non staresti qui, ma in una scuola pubblica, rinchiuso in un orfanotrofio >>, lo interruppi. Era arrivato il punto chiave della questione.
<< Che sta insinuando? >>, domandò Ignazio scettico.
<< Ignazio, quando arriva il tuo momento, non c’è niente che puoi fare. Devi andartene punto e basta. E per i tuoi genitori e per tua sorella era arrivata l’ora >>, dissi dolcemente.
<< No, non è vero. Avrebbero potuto vivere ancora un po’. Mia sorella aveva solo sei anni! >>, esclamò poi sempre più sconvolto. << Che razza di Dio può decidere che, per una bambina così piccola, è arrivata la sua ora? Eh? Me lo spieghi >>, esclamò inferocito.
<< Non posso spiegartelo. Perché, semplicemente, non c’è una spiegazione. O se c’è, a noi non è dato saperla >>
<< Quindi uno deve accontentarsi di questo. Accettare le cose così come vengono, perché non c’è altro modo di fare >>, affermò con cattiveria.
<< Tu puoi modificare solo le cose che rientrano nella tua sfera personale di scelte. Solo quello puoi controllare. Ma cose come il destino, non puoi affrontarle. Devi adattarti alle scelte che qualcun altro prende, ed accettarne le conseguenze. Tuo padre avrebbe potuto scegliere di non andare all’appuntamento, ma non l’ha fatto. Perciò in fondo è anche colpa sua, no? >>, domandai convinta di una sua reazione violenta. Ero preparata a tutto, ma non al silenzio che piombò tra di noi. Ignazio mi fissò, come se avesse appena visto un mostro sulla mia faccia ballare la samba. Era sconvolto. Ma sembrava stesse riflettendo sulle mie parole. Poi, abbassò lo sguardo, e cominciò a sussurrare.
<< Io ho bisogno di dare la colpa a qualcuno. Perché altrimenti non saprei come convivere con questo dolore che mi dilania il cuore giorno dopo giorno. Ho bisogno di sapere che, se non fosse stato per qualcun altro, la mia famiglia sarebbe ancora viva. Ho bisogno di questa convinzione per riuscire a sopravvivere >>. Non mostrava la sua faccia, ma sapevo che stava trattenendo le lacrime con tutte le sue forze.
<< Ignazio, la vita non accetta delle scorciatoie. Prima o poi devi affrontare le cose. Ed imparare a vivere, invece che accontentarti di sopravvivere >>.
Alzò di scatto lo sguardo, e lo fissò nel mio. Per il resto del pranzo nessuno dei due disse più una parola.
 
<< Che cosa vorresti fare da grande? >>, domandai un giorno.
Ormai passavo tutti i miei pranzi in compagnia di Ignazio. Avevamo affrontato tutto ciò che ci era venuto in mente. Ricordo più bello, più imbarazzante, più divertente… Mai quello più triste. Perché sarebbe stato troppo difficile sostenere quel tipo di conversazione.
<< Non saprei. Lei come ha capito di voler fare la ricercatrice? >>, mi domandò curioso il ragazzo.
Non mi aprivo mai veramente sul mio passato. Perché ne ero troppo spaventata. Sapevo che se lo avessi affrontato di petto, non avrei trovato altro che memorie perse ed innocue. Solo che non avevo il coraggio di farlo.
<< Mia zia >>, decisi istintivamente di essere onesta.
<< Cioè? >>, domandò Ignazio ancora più curioso.
<< Ecco… >>, cominciai cercando di trovare le parole da dire. <<… Io sono cresciuta con mia zia. Mia madre era troppo impegnata con il lavoro, e mio padre non si curava di me. Preferiva bere >>, dissi sprezzante. Non sapevo perché, ma con quel ragazzo mi aprivo con una facilità tale da sbalordirmi da sola. << Comunque la mia infanzia l’ho passata con mia zia, la sorella di mia madre. Ho vissuto tanti momenti belli con lei. Non c’è stato mai un solo momento in cui io mi sentissi triste per la mancanza di mia madre o di mio padre >>, sorridevo ricordando tutte le cose fatte con mia zia. I giochi, le passeggiate, la spesa… tutti momenti preziosi che tenevo ben saldi nella mia mente.
<< Sembra bello >>, osservò con un sorriso Ignazio.
<< Lo era, davvero >>, esclamai guardandolo e rispondendo al suo sorriso. << Poi però quei momenti sono finiti >>, dissi perdendo il sorriso.
<< Perché? >>, chiese cauto il ragazzo.
<< Perché è morta >>, affermai sbriciolando un po’ di pane sul banco. Quel giorno, dalla mensa, avevo portato hamburger e spinaci con del pane.
<< Com’è morta? >> chiese Ignazio, dopo qualche secondo di silenzio.
<< Tumore >>, dissi semplicemente senza troppe inflessioni sulla mia voce. Non volevo soffrire ancora per quella storia. Erano passati tanti anni ormai. Volevo solo ricordare i momenti belli vissuti con mia zia. Perché c’erano altri ricordi orribili che dovevo ancora affrontare.
<< Non so che dire >>. Ignazio era vistosamente imbarazzato.
<< Non devi dire niente >>
<< Mi dispiace >>
<< Banale >>, affermai sorridendo sarcastica.
<< Sarà banale, ma è la verità >>, sostenne il ragazzo. << Quanti anni aveva lei, quando è morta? >>
<< 16. Da quando non c’è più, la vado a trovare tutti i giorni al cimitero >>, confessai senza pensare. << Anche mentre ero all’università. Finivo di lavorare e poi passavo da lei. Era di strada, e per me era un’abitudine andare li, dov’era sepolta >>
<< Io non vado al cimitero da non so più quanto tempo >>, mi confessò mestamente Ignazio.
<< Perché? >>
<< Ho paura di non riuscire ad affrontare la situazione >>, rispose sottovoce.
<< Sei un ragazzo forte. Sono sicura che ce la puoi fare >>, lo incoraggiai sorridendogli.
<< Potrebbe accompagnarmi. Almeno le prime volte. Un sostegno mi farebbe comodo >>, propose imbarazzato senza guardarmi negli occhi.
<< Certo. Così posso dire a tua madre che personaggio sei, e di venire a trovarti in sogno e farti una bella lavata di capo. Magari metti la testa a posto >>, provai a scherzare sperando che il ragazzo stesse al gioco.
<< Non ci conti. Mia madre mi amava troppo. Al massimo verrebbe in sogno da lei per rimproverala >>, disse scherzoso. Stava giocando con me.
<< Ah si? E come mai? >>
<< Perché lei non mi tratta bene >>, affermò altezzoso.
<< Non ti tratto bene? Ma se tutti i giorni ti porto il pranzo dalla mensa >>, dichiarai indignata.
<< Già. Questo significa che sta attentando alla mia vita >>, scherzò Ignazio.
<< Ma sentilo. Sei un ingrato >>
<< Ingrato? È questa la parola più offensiva che ha trovato? >>, domandò divertito.
<< Oh, credimi, di parole offensive ne ho a bizzeffe, ma non sarebbero molto eleganti >>, dissi sorridendogli. Stavamo giocando e scherzando come due buoni amici. Gli argomenti difficili erano stati superati ormai.
<< Prof, non può cadermi così in basso da pensare parole offensive per rispondere alle mie provocazioni >>, affermò scandalizzato.
<< Mocciosetto. Quando sarai abbastanza grande, potrai avere qualcosa da ridire sul mio modo di parlare. Fino ad allora, taci >>, sostenni tronfia.
<< Ecco che ritorniamo alla storia del mocciosetto. Vede, sentirselo dire costantemente, è incredibilmente irritante. Visto e considerato che ho già diciassette anni >>, disse inacidito
<< Io direi che hai solo diciassette anni. Quando parli con qualcuno più grande, devi dire “solo”. E poi tu sei un mocciosetto per me. Abbiamo 13 anni di differenza >>, esclamai convinta della mia tesi.
<< L’età non è quella anagrafica. Ma quella che ti senti dentro, e quella che ti da la propria esperienza di vita >>, disse serio.
<< E quindi tu quanti anni avresti? >>, comincia a prenderlo in giro.
<< Almeno trenta, come lei. Anche di più se aggiungiamo il mio quoziente intellettivo >>, affermò appoggiandosi allo schienale.
<< Sai sei incredibile. Sul serio. Sei l’essere umano più egocentrico che io abbia mai conosciuto >>, dissi con stupore.
<< Quando vuole. Impartisco anche lezioni. Il mio credo fondamentale è: io sono il migliore! >>, proclamò come un profeta.
Sorrisi di quell’affermazione e chiesi di delucidarmi su qualcun altro dei suoi più famosi credo.
 
Era passato un mese da quando avevo cominciato ad insegnare. Ormai era metà ottobre, ma avevo consolidato una certa routine. Mattina sveglia presto, colazione, lezione fino alle due, pranzo nell’aula 213 con Ignazio, pomeriggio passato in laboratorio a tenere lezioni di genetica, cena a casa mia, libro, e alle undici ero già sotto alle coperte a dormire. Insomma, avevo sviluppato le mie abitudini e sembrava non volessero cambiare. Ripensavo ogni tanto alla conversazione avuta con il preside il giorno prima di diventare insegnante, ovvero che avrei aiutato a risolvere i problemi di quei ragazzi. Ma mi resi conto che in realtà non c’era nulla da dover risolvere. O meglio, era quello che credevo. Perché tutto cambiò una mattina, il 16 ottobre. Quello fu il giorno in cui si misero in moto una serie di eventi, che scatenarono una reazione a catena da creare conseguenze importanti. Arrivai in classe come al solito alle otto e tre minuti, ma quando entrarono i miei alunni notai subito una differenza.
<< Paolo, dov’è Ignazio? >>, chiesi al giovane ragazzo dall’aria magnetica. Non avevamo più avuto modo di parlare dall’ultima volta. E un po’ mi dispiaceva. Era bello confrontarsi con una persona come lui.
<< Non saprei, prof >>, disse mortificato. << Stamattina è uscito prima di me, e da allora non l’ho più visto >>
<< Va bene >>, annuì e presi a fare la prima lezione. Nel frattempo il mio cervello si attivò. Avrei avuto la conferma all’ora di pranzo.
Quando si fecero le due e mezza, mi avviai verso la famosa aula spettatrice di tante conversazioni più o meno brillanti, o più o meno facili. Entrai nella stanza e trovai quel che mi aspettavo. Ignazio era seduto al banco come al suo solito, intento a fissare la finestra. Il suo volto, però, esprimeva un dolore profondo e sincero. Qualcosa non andava. Arrivai davanti al banco, e poggiai con poca grazia la busta contenente il cibo sul ripiano, attirando l’attenzione del giovane.
<< Prof, l’eleganza è un tratto femminile che lei decisamente non ha >>, disse monocorde.
<< Dovrei farti rapporto, mocciosetto. Quindi ringraziami, invece di fare commenti sarcastici sui miei modi di fare >>, affermai inacidita.
<< Grazie >>, disse sempre senza alcuna inflessione nella voce. Stavo cominciando a preoccuparmi.
<< Allora, si può sapere che cosa hai avuto di più importante da fare? Deve esserci una motivazione davvero valida per spiegare la tua assenza di oggi >>, domandai inviperita. Necessitavo di risposte e, quanto è vero Dio, le avrei ottenute.
<< Non mi andava >>, rispose Ignazio tornando a fissare la finestra.
<< Come sarebbe non mi andava? Che razza di motivazione è? >>, chiesi sbigottita. Possibile che quel ragazzo fosse così lunatico?
<< E’ una motivazione più che valida. Significa che non volevo sprecare un giorno qui a scuola. Un giorno andato, è un giorno perso >>, dichiarò tornando a fissarmi negli occhi.
Ebbi l’ennesima sensazione di déjà-vu, ma la ignorai conscia di avere cose ben più importanti da fare. Per esempio evitare che la mia rabbia prendesse il sopravvento.
<< Vediamo se ho capito bene. Oggi hai saltato la scuola perché non ti andava e perché, di conseguenza, non volevi sprecare un giorno? Ho capito bene? >>, domandai sempre più collerica.
<< Esatto >>
<< Sei ridicolo >>, conclusi appoggiandomi con la schiena sulla sedia. << Non ti rendi conto della fortuna che hai nell’apprendere, nell’andare a scuola? Non capisci che mai nessun giorno è sprecato, se lo si vive nel modo giusto? >>, dissi con fervore.
<< Lei crede che sia così, ma io la penso in modo diverso >>, dichiarò Ignazio appoggiandosi a sua volta sulla sedia.
<< Ah si? E come sarebbe, sentiamo >>, chiesi sarcastica.
<< Sarebbe che non importa quanto sia fortunato nell’apprendere, né quanto io debba vivere un giorno della mia vita per trarne il meglio, o di come le parole pronunciate in quel giorno che io credevo inutile, in realtà, possano acquisire un senso tale da farmi riconsiderare anche le mie idee. Non importa nulla. Perché comunque vadano le cose, non cambia mai niente >>, enunciò con passione. Sembrava che ogni parola gli costasse fatica e dolore.
<< Ah davvero? E quindi io avrei sprecato le mie ultime due settimane di vita per stare dietro ad un ragazzo che non crede in nulla, e che quindi non ascolterà mai veramente ciò che gli dico? È questo quello che mi stai dicendo? >>, domandai astiosa. Non potevo credere che quel giovane, così pieno di buone qualità, sprecasse in quel modo la sua vita.
<< Dico che quando si ha avuto a che fare con le cose brutte della vita, il resto non è altro che un bagliore effimero, che nasconde ciò che è la verità. E cioè che, comunque vadano le cose, alla fine soffrirai sempre. Perché è questo lo scopo della vita. soffrire senza speranza di una fine >>, dichiarò con le lacrime agli occhi. Non si vergognava neppure di piangere davanti a qualcun altro. Sembrava non gli importasse più di niente. Dal canto mio rimasi a bocca aperta da tali parole. Una parte di me non poteva che concordare con lui. L’altra, quella combattiva e fiera, non poteva accettare l’inevitabilità della vita. Dovevo fare qualcosa.
<< Che cosa ti è capitato? >>, chiesi con le lacrime agli occhi.
<< Ho solo ricordato perché la mia esistenza è questa >>, disse. Nel frattempo una lacrime era sfuggita al suo controllo e scendeva silenziosa, giù per la sua guancia. << Oggi è il compleanno di mia sorella, avrebbe compiuto 10 anni. Solo 10 anni. Mi spiega, allora, perché dovrei continuare a credere in un futuro migliore e pieno di speranza, se già a quell’età si deve soffrire in quel modo? Mi spieghi perché una persona di dieci anni meritava di morire rispetto ad un’altra più grande? >>, esclamò ormai con il viso stravolto dalle lacrime. << Mi dica perchè devo continuare a credere che qualcosa di bello prima o poi accadrà, se ormai la mia vita è spezzata? >>.
Anche il mio viso ormai era stravolto dalle lacrime. Non riuscivo ad emettere un suono, perché semplicemente non trovavo nulla di valido da dire. Aveva ragione. Che diritto avevo io di dargli speranza, quando ero la prima che ormai non credeva più in nulla? Non potevo, punto e basta. E anche lui lo capì. Lesse nel mio sguardo la consapevolezza che non c’era nessuna ragione valida, per poter continuare a desiderare qualcosa. Asciugò gli occhi con un gesto rapido della mano. Non lo imitai. Avevo bisogno che quelle lacrime restassero ancora sul mio viso, per ricordarmi quanto poco ormai valessi come persona. Perché non ero stata in grado di regalare un futuro migliore ad un altro essere umano, a cui stavo cominciando a legarmi sul serio. Passarono lunghi attimi di silenzio, in cui nessuno di noi osava guardarsi. Poi Ignazio incrociò le braccia al petto e disse:
<< Lei non si ricorda di me, non è vero? >>.
Alzai finalmente lo sguardo sul suo volto, perplessa per quella affermazione.
<< Come? Ricordarmi di te? >>, chiesi a mia volta. Cominciai ad asciugarmi le lacrime.
<< Già >>, annuì lui spavaldo.
<< Perché dovrei ricordarmi di te? >>, chiesi un po’ più combattiva. Odiavo sembrare una mollacciona.
<< Perché noi due ci siamo già incontrati, Signora >>, esclamò lui sottolineando l’ultima parola.
Qualcosa in me cominciò a muoversi.
<< L’ho già sentito >>, annunciai alla fine. << Quel “Signora” pronunciato in quel modo. Io l’ho già sentito >>.
<< Si, perché sono stato io a chiamarla così >>, sorrise arrogantemente. << Forse questo l’aiuterà a ricordare. Posso chiederti che cosa ci fai su questo treno? >>, disse ironico.
<< Potrei farti la stessa domanda >>, pronuncia a bassa voce. Avevo capito.
<< Esatto >>, annuì lui divertito.
<< Ianto >>, esclamai con un filo di voce. << Ma com’è possibile? >>
<< Sorpresa eh? Io l’ho riconosciuta dal primo momento, prof. Lei invece non ha una buona memoria >>, confermò lui.
<< Ma tu ti chiami Ignazio >>, affermai stupidamente.
<< Già, così mi hanno detto >>
<< Ma quel giorno mi dicesti che il tuo nome era Ianto >>, continuai ancora.
<< Non proprio. Dissi solamente: “Io sono Ianto”, non “Il mio nome è Ianto” >>, chiarì.
<< E allora “Ianto” cos’è? Un soprannome? Un diminutivo mal riuscito? Cosa? >>, chiesi cominciando ad innervosirmi. Mi sentivo presa in giro.
<< Niente di tutto ciò. Ianto è il nome con cui sono stato chiamato nei mie primi tredici anni di vita >>, disse con semplicità. Poi il suo voltò mutò nuovamente. Divenne serio e addolorato. << Mia sorella disse il mio nome, come prima parola >>. In quel momento mi si strinse il cuore. Capì, in quell’istante, quanto profondo fosse il sentimento che legava Ignazio alla sorellina più piccola. E quanto questo non faceva che aumentare la sofferenza nell’averla perduta per sempre. << Lei però non era in grado di dire Ignazio. Ianto era il modo in cui pronunciava il mio nome. Da allora lo amai con tutto me stesso, e decisi di farmi chiamare così. Perché mi sentivo molto più “Ianto” che “Ignazio”. L’ultima volta che qualcuno mi ha chiamato nello stesso modo in cui lo faceva mia sorella, è stato quattro anni fa, su di un treno diretto a Napoli, da una sconosciuta a cui avevo appena calpestato il piede >>, spiegò nuovamente con le lacrime agli occhi. Anche io cominciai a lottare contro le mie lacrime. << Per l’ultima volta, in tutta la mia vita, volevo sentirmi richiamare in quel modo. Volevo sentire “Ianto” dalla voce di qualcun altro, che non fosse legato al mio passato. Volevo rivedere mia sorella. È questa la verità. E fu lei la prescelta >>, continuò con voce rotta. << E, forse lei non se lo ricorda, ma fu in questo giorno che ci conoscemmo. E quello è stato l’ultimo giorno in cui mi sono sentito vivo >>, asciugò con rabbia le lacrime dal suo viso, si alzò e mi fissò negli occhi. << Ma adesso non ha più importanza. Perché lei, come è accaduto a me tanto tempo fa, ha dimenticato chi sono. Perciò Ianto non esiste più >>, esclamò irato. Si allontanò velocemente dal banco. Non riuscì ad emettere un solo suono. Non ne ero più in grado, sconvolta com’ero.
<< Sa, ci credevo davvero >>, disse voltandosi sull'uscio della porta. Il suo sguardo era talmente stanco e addolorato, da lasciarmi senza fiato. Quasi come se provassi anche io il suo dolore.
<< A cosa? >>, chiesi in un sussurro. Finalmente avevo trovato la forza di parlare.
<< A quelle parole. Quelle che disse sul treno quattro anni fa. Che dobbiamo goderci la vita e vincere le proprie insicurezze. Ci credevo sul serio >>, affermò sorridendo tristemente. Poi il sorriso sparì. << Ma la vita mi ha insegnato che, credere in essa, è solo tempo perso. Buona giornata prof >>, mi voltò le spalle ed usci da quell’aula.
Nella mia testa e nel mio cuore, sentivo ancora l’eco delle sue parole, misto all’eco dei suoi passi, che si allontanavano da me.





Buonasera a tutti gente, sono sempre io Moon9292 che torna ad aggiornare la sua storia con un capitolo decisamente particolare. Si rivela, infatti, il mistero di Ignazio, la sua vera identità e il suo triste passato. Questo è un capitolo davvero difficile, però necessario per il continuo della storia. Adesso si che sarà divertente XD non vedo l'ora di scrivere i prossimi capitoli, così accadranno tante di quelle cose... non sto nella pelle XD
Passiamo ai ringraziamente. 
Ringrazio sempre 
Allegra_Loreena McKenziePixel _rain_ che hanno aggiunto la mia storia tra le seguite. E ringrazio in modo particolare, come sto facendo ormai in tutti i commenti dei miei capitoli, Allegra_, Loreena McKenzie e _rain_ per aver recensito la mia storia. Non sapete che supporto mi da sapere le vostre opinioni e capire che la storia vi piace. Grazie mille, davvero XD (me commossa!!!)...
Allora piccola comunicazione di servizio:
Non so come mi è venuta questa idea, ma ho deciso che questa storia sarà come una serie televisiva, quindi verrà pubblicata un giorno a settimana, come se fosse una puntata XD forse mi odierete, ma che volete farci!!! Quindi vi comunico che la serie televisiva "Eppure mi hai cambiato la vita", andrà in prima serata sul canale "Fanfiction" ogni martedi sera... non mancate mi raccomando!!! XDXD
E ora vi lascio con un piccolo spoiler... un bacione
Moon9292



"Guardai il suo volto addormentato domandandomi come un ragazzo così bello, potesse soffrire così tanto. Ormai mi ero resa conto che, senza volerlo, mi ero affezionata a lui, e mai lo avrei abbandonato. Non ora che finalmente aveva trovato la speranza. Non ora che finalmente aveva ripreso a vivere".

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Capitolo 5
*** Lasciarli andare ***


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Capitolo 5 - Lasciarli andare


Com’era strana la vita. Un attimo prima credi di avere le tue certezze, le tue convinzioni. Qualcosa su cui basare tutto il tuo futuro. E l’attimo dopo è tutto spazzato via, con una semplice folata di vento. Quando meno te lo aspetti, la vita ti gioca sempre un tiro mancino. E se sei pronto è bene, se invece non sei preparato, allora sono guai. E non puoi farci nulla. Devi solo accettare l’ineluttabilità di quella cosa chiamata vita. Io non ero mai stata pronta, quando mi capitava il così detto tiro mancino. E neanche quella volta lo ero. Dopo gli eventi di quel pranzo, il 16 di ottobre, dieci giorni erano passati. Ed io non ero stata in grado di rimediare a nulla. Ignazio aveva smesso di venire nell’aula 213. In quei dieci giorni, avevo fatto da sponda costantemente tra la stanza, testimone di così tante discussioni, e la mensa, sperando di vederlo. Ma niente. Lui non voleva più stare solo con me. Lo avevo intuito anche durante le lezioni. Solitamente qualche nostro battibecco sorgeva sempre, ma adesso Ignazio evitava anche il mio sguardo. Non avevo più un punto di contatto con lui, e non sapevo come rimediare a quel danno. Nella mia mente, spesso, ripensavo a quel giorno di quattro anni fa, quando quel tredicenne presuntuoso mi aveva calpestato il piede in treno. Per entrambi, quello era stato il giorno in cui le nostre vite erano cambiate profondamente. La sua in peggio, e la mia in meglio. Ma anche io, poi, avevo dovuto affrontare qualcosa di troppo grande, troppo al di la delle mie capacità. Spesso la gente mi diceva che Dio ci mandava solo dolori che eravamo in grado di affrontare. Odiavo quando sentivo quell’affermazione. Li avrei presi volentieri a calci in quel bel fondoschiena che si trovavano, domandandogli se Dio dava loro la forza di sopportare il peso del mio piede conficcato su, per il loro retto. Ma, da persona educata e razionale qual ero, mi limitavo a sorridere e a ringraziare per quelle splendide parole di conforto che mi davano. Ma adesso, mi rendevo conto, che la prima incapace di aiutare un altro essere umano, ero io stessa. La vita mia e di Ignazio si era unita, toccata e legata in un modo tale, che ormai mi era difficile tirarmene fuori. E, nonostante sapessi ciò, non riuscivo a fare un solo passo per smuovere quella situazione. Andai a scuola con la testa bassa, appesantita da pensieri troppo grandi e difficili da sorreggere.
<< Professoressa Cristillo, buongiorno >>, disse un uomo avvicinandosi. Mi voltai, notando che il preside stava affiancandomisi.
<< Buongiorno, preside >>, risposi con voce afflitta.
<< Mi pare di intuire che oggi non è in splendida forma >>
<< Intuisce bene, preside >>, risposi sempre più triste.
<< E come mai, se posso permettermi di chiedere? Cos’è che l’affligge a tal punto, da non farmi godere del suo splendido sorriso >>, domandò divertito l’uomo.
<< Sa quando crede di avere la situazione sotto controllo e poi, boom. Succede una catastrofe? Ecco, è quello che è capitato a me >>, sbottai improvvisamente con rabbia. Rabbia rivolta a me stessa ed alla mia incapacità di fare qualcosa, di agire.
<< Uhm, si credo di aver presente lo scenario. Eppure non mi sembra che il suo boom sia stato così eclatante, professoressa. Io non ho udito nulla >>, affermò scherzosamente il preside.
<< Forse dovrebbe fare una visita dall’otorino, allora. Perché le assicuro, che il mio botto può essere paragonato solo a quello di Hiroshima e Nagasaki >>, esclamai sarcastica.
<< Caspita, allora dovrei davvero andare dall’otorino >>, dichiarò giocoso l’uomo. << O forse, lei sta ingigantendo un fatto che di per se, non è così tragico come crede >>, aggiunse poi tornando serio.
<< Mi creda, è bello grosso il problema >>
<< Non metto in dubbio le sue parole. Ma intuisco che questo suo grande boom, in realtà, sia stato solo un fuoco d’avviso. Se non sistema le cose, allora sarà un vero e proprio botto con i fiocchi. Fino ad allora, può ancora aggiustare la situazione >>, dichiarò con sicurezza.
<< Come? >>, domandai esasperata.
<< Ah, questo non lo so. Sta a lei, riuscire a sistemare le sue faccende personali >>
<< Non è giusto. Lei è il preside, spetta a lei risolvere i problemi >>, affermai con stizza. Sembravo una bambina di sette anni. Patetica.
<< Si. Io sono il preside. Ma adoro vedere i miei subordinati soffrire >>, affermò l’uomo sorridendomi. << E poi io sono deputato al risolvere solo ciò che riguarda la scuola. I problemi personali dei miei alunni e dei miei collaboratori, non sono affar mio >>
<< Insomma se ne lava le mani >>, decretai fermandomi davanti la mia aula.
<< Già. E devo dire che le lavo abbastanza accuratamente >>, concluse il preside allargando sempre più il suo sorriso. << E poi mi creda se le dico, che solo la morte è qualcosa che non può essere sistemata. Tutto il resto è nulla. Buona lezione, professoressa Cristillo >>, e si allontanò salutandomi dolcemente. Quello che non sapeva, era che proprio di una questione di morte si trattava.
Passò la mattina, e ovviamente non ci furono cambiamenti. Ormai ero al limite della sopportazione. Ignazio, come la campanella aveva squillato, era fuggito via, scappando per chissà quale meta. Se un giorno o l’altro lo avessi avuto sotto le mie mani, giuro, che lo avrei sottoposto a tutte le torture esistenti in questo mondo.
<< Prof, posso parlarle >>, disse un ragazzo fermandosi davanti alla cattedra. Alzai lo sguardo, e vidi Paolo che, con i suoi occhi magnetici, mi fissava preoccupato.
<< Paolo. Alla fine io e te parliamo solo quando qualcosa ti affligge. Dovremmo cambiare abitudine >>, esclamai sospirando. Sapevo già, ancor prima che aprisse bocca, che cosa aveva intenzione di chiedermi.
<< Già. Forse un giorno >>, concordò lui sorridendomi mestamente.
<< Allora, che cosa vuoi dirmi? >>
<< Prof, che cosa è successo tra lei ed Ignazio? Sono dieci giorni che la situazione è precipitata. Eppure mi sembrava che le cose fossero migliorate tra di voi >>, domandò sinceramente in ansia.
<< E’ successo che la qui presente, non è stata in grado di aiutare il tuo amico, come tu avevi predetto >>, esclamai beffardamente. << Sono una povera imbecille, che crede di sapere tutto, ma che in realtà non sa fare nulla. E che ha rovinato un ragazzo >>, conclusi malignamente. Ero arrabbiata con me stessa, e con tutto quello che rappresentavo. Una donna che aveva perso la speranza, e la fiducia. Una donna, ormai, che non possedeva più un cuore, ma solo tanto sarcasmo.
<< O cacchio >>, esclamò sorpreso Paolo. Prese una sedia e si sistemò di fronte a me. << Sta peggio di quel che credevo >>
<< Già >>, sbuffai con ironia.
<< Mi dispiace. Ma io continuo a sostenere che lei può aiutarlo >>, affermò con convinzione il ragazzo.
<< Paolo, non capisci? È finita! Punto, fine. Non c’è altro che io possa fare. Non sono stata in grado di aiutarlo, non sono riuscita ad alleviare il suo dolore. Non sono neanche stata in grado di asciugargli una lacrima. Non ho fatto nulla >>, urlai con rabbia.
<< No, è lei quella che non capisce. Adesso sa come stanno le cose. È già un grande passo avanti >>, continuò lui con fermezza. << Ora deve solo trovare il modo di sfondare il buco che ha già creato nel suo cuore >>
<< Non c’è nessun buco, chiaro? Perché quel cuore, non esiste più. Al suo posto ci sono solo briciole microscopiche. Impossibili da riattaccare >>, dissi esasperata.
<< Il cuore umano subisce ferite, cicatrici. Ma non si distrugge mai. Perché è la cosa più forte che abbiamo >>, dichiarò Paolo guardandomi dolcemente negli occhi.
<< E’ qui che ti sbagli. Perché io penso l’opposto. Che il cuore sia la cosa più fragile al mondo. Una volta che lo intacchi, è segnato per sempre. E se si spezza, puoi star certo che non ne sbucherà uno nuovo al suo posto >>, affermai con cattiveria.
<< Lei crede? E allora perché la gente non muore di crepacuore, quando soffre, sentiamo? Mi dica perché le persone vanno avanti, e continuano a vivere? Per uno schifoso gioco perverso creato da chissà chi, con l’unico scopo di far divertire lo spettatore? Eh? Mi risponda >>, domandò lui con ferocia. Sembrava che stessi toccando tasti dolenti anche con lui. Lo fissai, dritto nei suoi occhi. Rividi la stessa tristezza che mi mostrò quel giorno di quasi quattro settimane fa.
<< Non lo so >>, sbuffai stanca.
<< Io invece credo di saperlo >>, affermò lui causticamente. << Perché la vita continua, in un modo o nell’altro. E non c’è spazio per chi resta indietro. Perché chi decide che non vuole proseguire, è solo molto debole. E spaventato >>, dichiarò solenne. << Terrorizzato che prima o poi dovrà ritrovare nuovamente la forza di proseguire sul suo cammino, sapendo che c’è sempre la possibilità che qualcosa di orribile possa accadere. Una persona debole, che si nasconde dietro affermazioni del tipo “ho il cuore a pezzi”. Perché il cuore non è mai a pezzi. Siamo noi a volerlo percepire così, ma in realtà è sempre li, pronto a battere ancora e ancora. Sempre più forte. Può subire lividi, ammaccature, graffi. Ma non si distrugge mai >>.
Lo guardai sbalordita. Quel ragazzo possedeva una saggezza, che mi lasciava esterrefatta. Non l’avevo mai vista in quel modo. Ero chiusa nelle mie convinzioni di sofferenza e dolore, per lasciare spazio anche alla più tenue speranza. Però, forse, aveva ragione. Mi stavo nascondendo dietro a delle stupide parole, delle stupide idee, solo perché ero troppo spaventata di soffrire ancora. Di provare quel dolore atroce, che già una volta mi aveva paralizzata.
<< Prof >>, continuò Paolo dopo qualche momento di silenzio. << Io non voglio rimproverarla, e farla soffrire. Dico solo che lei per prima, si sta nascondendo >>.
Poi si alzò lentamente dalla sedia, e si diresse verso l’uscita.
<< 3392457734 >>, dissi prima che uscisse.
<< Come? >>, domandò lui voltandosi perplesso.
<< E’ il mio numero di cellulare. 3392457734. Se dovesse succedere qualcosa, se avessi bisogno di parlarmi, chiamami >>, dichiarai dolcemente.
<< Grazie, prof >>, mi sorrise Paolo. Poi si voltò, nuovamente, ed uscì dall’aula.
 
Era giunta con lentezza la sera. Ero a casa, intenta a leggere il mio solito libro. Ma non riuscivo a concentrarmi. Nella mia testa, sentivo ancora le parole dette da Paolo. Più ci ripensavo, e più capivo che aveva ragione. E di conseguenza, più ero arrabbiata con me stessa. Mi atteggiavo, dicendo di essere una forte. Una dura, capace di poter fronteggiare qualsiasi evenienza. Invece ero l’opposto. Debole, spaventata, incapace di fare un passo senza prima essermi assicurata di non pungermi con uno spillo. In poche parole, ero un mollusco. Non riuscivo a prendere sonno, anche se ormai si era fatta mezzanotte e mezza. Orario insolito per me, che avevo delle abitudini ben radicate nella mia mente. Mi alzai, sbuffando, dirigendomi verso la cucina, con l’intenzione di farmi una camomilla, l’unica cosa in grado di placare i miei nervi. Stavo versando l’acqua nella tazza, quando sentì il mio cellulare squillare. Fui sorpresa, perché nessuno mi chiamava ormai da non sapevo quanto tempo. E comunque non lo faceva a quell’ora. Andai verso il tavolino nel salotto, dove era poggiato il mio telefonino, e vidi sul display un numero che non conoscevo.
<< Pronto? >>, dissi esitante.
<< Prof? È lei? >>, mi chiese la voce dall’altra parte del ricevitore. Una voce incredibilmente angosciata.
<< Si. Sono io. Ma tu chi sei? >>, chiesi sempre più restia.
<< Sono Paolo. Paolo Gabetti, prof >>
<< Paolo! Non ti avevo riconosciuto >>, esclamai tirando un sospiro.
<< Prof, ho bisogno di aiuto >>, dichiarò il ragazzo nel panico.
<< Che è successo? >>, domandai cominciando a preoccuparmi.
<< Si tratta di Ignazio >>, spiegò lui. << Deve raggiungermi assolutamente >>
<< Dammi l’indirizzo >>, affermai con fermezza.
 
Giunsi il più in fretta possibile davanti alla discoteca che Paolo mi aveva indicato. Il posto si chiamava “Il paese dei balocchi”, e già il nome era tutto un programma. Se poi ci aggiungevamo anche chi frequentava quel locale, raggiungevamo livelli di delirio inarrestabili. C’erano i tatuati fin dentro le narici, quelli con i piercing sospettavo anche nel cervello. Dark, punk, emo… insomma una vasta gamma di etnie diverse. Non che giudicassi o criticassi i loro stili di vita, per carità. Solo non condividevo il loro culto verso il macabro, e non mi gustava molto l’idea che, la massima aspirazione, fosse nel suicidio. Decisamente io e quei soggetti non ci prendevamo. Perciò quando entrai in quel posto, mi sentì decisamente a disagio. Se nel mondo di fuori io ero la più normale tra tanti, li ero la più assurda tra tanti. Nei miei pantaloni della tuta, e la mia maglietta bianca, con il cappotto beige, attiravo decisamente l’attenzione. Il che era paradossale. Ma se quelli che mi stavano intorno erano vestiti di nero, o meglio svestiti di nero, capelli di colori e forme impossibili, io decisamente ero fuori luogo. Mi addentrai dentro quella massa di corpi sudati e maleodoranti, e raggiunsi il posto che Paolo mi aveva detto per telefono. Un angolo della discoteca, separato da una specie di tenda, dove vi erano i divani. Dio solo sapeva che cosa ci facevano li dietro, ed io lasciavo volentieri solo a Dio quell’informazione. Arrivai con molta fatica davanti alla tenda, sospirai e la scostai pronta al peggio. Quello che vidi fu molto più normale di ciò che mi aspettavo. Vi erano un totale di sei divani, con poco spazio a separarli, e tavolini bassi dove appoggiare le bevande davanti a ciascun sofà. Metà di questi era occupato da persone intente a pomiciare, altri due erano vuoti. Poi notai un terzo, l’ultimo alla mia destra, dove vi era qualcosa di insolito. Due ragazzi, seduti, senza che stessero facendo nulla di osceno o pericoloso. Mi avvicinai e trovai ciò che cercavo.
<< Prof! >>, esclamò sollevato Paolo. Era seduto accanto ad una strana figura, vestita di nero e con i capelli sparati in aria. Aveva un espressione stanca ed annebbiata, tipica di chi era ubriaca, e dalla bocca perdeva qualche goccia di sangue. Non vedevo bene il viso, perché era appoggiato alla spalla di Paolo.
<< Ti prego dimmi che quello ridotto uno straccio, appoggiato quasi come un salame sulla tua spalla, non è Ignazio >>, chiesi speranzosa.
<< Potrei anche dirle questo, ma non sarebbe la verità >>, rispose il ragazzo afflitto.
<< Cavolo >>, dissi arrabbiata. << Forza, aiutami a portarlo in macchina >>, esclamai prendendolo per un braccio e passandomelo sulle spalle. Paolo mi imitò, e si alzò dal divano.
<< Mi spieghi che diavolo gli è successo? >>, urlai verso il ragazzo, mentre passavamo in mezzo a quella folla inferocita.
<< Di tutto >>, mi urlò disperato il giovane. << Stavo rientrando in camera dopo la cena, e l’ho visto sgattaiolare via dalla finestra. L’ho seguito, perché avevo notato il colore dei capelli e questi vestiti decisamente assurdi >>, raccontò Paolo. << E’ venuto qui, ed ha cominciato a bere come una spugna >>
<< Questo posto non controlla le carte d’identità, vero? >>, domandai retorica.
<< Ovviamente no. Comunque, sta di fatto che ha ingerito una quantità assurda di alcolici. E dire che l’alcool lo regge bene >>, affermò esasperato il ragazzo.
Riuscimmo ad arrivare finalmente alla porta d’ingresso. Uscimmo, respirando subito un’aria diversa, più pulita e decisamente meno pestilenziale.
<< Poi che altro è successo? >>, chiesi abbassando il tono della voce. Sentivo, però, le orecchie ancora fischiarmi per il baccano della discoteca.
<< Ho provato a convincerlo ad andarcene, ma non mi ha dato retta. Ed alla fine si è fatto pestare pure da uno decisamente più grosso di lui. Il che è tutto dire, vista la sua stazza >>
<< Come mai? >>, chiesi perplessa. Da quando in qua la gente picchiava a caso?
<< Perché questo coglione di migliore amico che mi ritrovo, ci ha provato con la ragazza del mammut. E quindi si è meritato il pugno in faccia. Non sono intervenuto. Così magari imparerà la lezione >>, dichiarò inferocito Paolo. Non lo avevo mai sentito così arrabbiato.
<< Decisamente un coglione >>, concordai con lui. Raggiungemmo la mia macchina, e lo sistemammo sui sedili posteriori. << Siete venuti a piedi? >>
<< Si >>, confermò il ragazzo.
<< Sali, ti do un passaggio a scuola >>, affermai dirigendomi verso il posto del guidatore.
<< Con lui come facciamo? >>, domandò Paolo sedendosi accanto a me.
<< Lo porto a casa mia. In questo stato, non può entrare a scuola. Verrebbe scoperto dopo neanche venti passi. Però sarebbe una bella punizione, se a beccarlo fosse il preside >>, dichiarai maligna.
<< Verrebbe espulso >>, mi disse il giovane.
<< Se lo meriterebbe eccome >>, affermai sempre più cattiva.
Raggiungemmo in silenzio la scuola. Ogni tanto controllavo che Ignazio respirasse ancora.
<< Grazie prof. Di tutto >>, disse grato Paolo, prima di scendere dalla macchina.
<< Figurati. Era il minimo che potessi fare. Sono io quella che deve ringraziarti >>, risposi sorridendogli.
<< E per quale motivo? >>
<< Per le parole di oggi pomeriggio, e per avermi dato fiducia. Non mi avresti chiamato, se non mi ritenevi all’altezza della situazione >>, risposi con calma.
<< So che lei è la migliore. Buonanotte prof >>, mi salutò Paolo chiudendo la portiera.
Inspirai profondamente. Poi rimisi in moto la macchina, diretta verso casa mia.
 
<< Dove sono? >>, chiese una voce impastata dal sonno.
<< A casa mia, imbecille >>, risposi acida verso Ignazio.
<< Che ci faccio a casa sua? >>, domandò il ragazzo, più confuso.
<< Vediamo. Ti ho salvato le chiappe, trascinandole via da quel buco che osano chiamare discoteca, e ti ho portato qui, a casa mia, perché se avessi anche solo provato a mettere piede a scuola, saresti stato espulso prima ancora di fare un rutto >>, dichiarai sarcastica.
<< Io non rutto >>
<< Tutto qui? Questa è la migliore risposta che sai darmi? >>, chiesi cominciando ad innervosirmi sul serio.
<< Sono troppo stanco, e ho un mal di testa troppo forte, per pensare a qualcosa di meglio >>, esclamò Ignazio chiudendo nuovamente gli occhi.
<< Eh, no bello mio. Tu non puoi dormire. Non ne hai il diritto. Non dopo che ti ho trascinato qui >>, esclamai indignata scuotendolo.
<< Non le ho chiesto di certo io, di farlo >>, rispose con indifferenza il giovane.
<< No, hai ragione. Lo ha fatto Paolo, il tuo amico >>, dichiarai alterandomi. << Perché era troppo preoccupato per te >>
<< Si fa troppi problemi quel ragazzo. Dovrebbe solo lasciarmi vivere in pace >>, dichiarò con menefreghismo. Non potevo credere alle mie orecchie.
<< Davvero sei così indifferente verso coloro che ti amano? Sei già a questo punto? >>, domandai scioccata.
<< Senta >>, esclamò Ignazio voltando la testa verso di me. << Sono stanco, ho mal di testa, e credo di essere anche stato picchiato. Non ho voglia di dilungarmi in discorsi difficili del tipo “chi mi ama” o “chi mi vuole bene” >>
<< Invece noi ci dilungheremo proprio su questo. Hai idea di quello che ha passato Paolo, della paura che gli hai fatto prendere? Di quanto tu, con i tuoi atteggiamenti, lo ferisca? >>, domandai sdegnata.
<< E’ troppo sensibile, gliel’ho già detto >>
<< No, non è troppo sensibile. È il senso di colpa, che lo spinge a preoccuparsi per te in questo modo >>, dichiarai inacidita.
<< Il senso di colpa? E per cosa? >>, chiese finalmente interessato alla conversazione.
<< Nei tuoi confronti. Lui si sente in colpa per la morte dei tuoi genitori >>, risposi con fermezza.
<< Cosa? >>, esclamò sorpreso Ignazio. Tentò di alzarsi, ma il mal di testa post-sbronza non glielo permise.
<< Stai giù >>, affermai inespressiva.
<< Mi spieghi questa cazzata >>
<< Va bene, te lo spiego. Lui si sente in colpa nei tuoi confronti, perché tu eri a casa sua la notte che i tuoi genitori morirono. Perché se tu non fossi rimasto per aiutarlo a studiare, a quest’ora saresti morto anche tu. E visto che non apprezzi il dono della vita che ti è stato fatto, ma anzi lo disprezzi e cerchi di gettarlo via ad ogni occasioni, si è autoconvinto che se non fosse stato per lui, adesso tu non staresti soffrendo. E preferirebbe stare male come un cane, piuttosto che vedere soffrire te >>, dichiarai acida.
Lo vidi guardarmi perplesso, come se quelle cose non lo riguardassero veramente.
<< Ma è ridicolo >>, affermò una volta assimilate quelle informazioni.
<< Lo so, ma Paolo ne è convinto. Ed è per questo che cerca di proteggerti sempre >>, dissi riacquistando un po’ più di calma.
<< Ma io non sono arrabbiato con lui. Io ce l’ho a morte… >>, ma non lo lasciai finire.
<< Con i tuoi genitori e tua sorella >>, affermai mestamente.
<< Lei non sa come mi sento >>, esclamò prontamente Ignazio, con livore. Avevo toccato il punto più sensibile sella sua anima
<< Invece ti sbagli. So esattamente come ti senti. Sei arrabbiato con loro, perché ti hanno abbandonato. Se ne sono andati, e non ti hanno portato con se >>, dichiarai con tristezza.
<< Non è vero. La smetta, non dica stronzate >>, cominciò ad alzare il tono di voce, sempre più inferocito.
<< Tu non puoi perdonarli. Ed è questo che ti fa più rabbia e più paura. Sei terrorizzato all’idea di dimenticarli, come loro hanno fatto con te >>
<< LA SMETTA >>,urlò alzandosi dal letto. Le lacrime contornavano il suo bel viso. << Perché mi hanno abbandonato? Come hanno potuto pensare che potessi vivere senza di loro? Come hanno potuto credere che potessi farcela? >>, domandò poi disperato tra un singhiozzo e l’altro.
Lo imitavo. Piangevo silenziosamente, percependo il suo dolore come mio. Sentivo il cuore a pezzi. Ma come Paolo mi aveva insegnato quel giorno, il cuore non si spezza. Si ammacca e si graffia, ma resta sempre li, a pulsare, con tutte le sue forze.
<< Perché la vita continua. Ogni battito, ogni respiro, è un segno. Ci dimostra che siamo ancora vivi, e che possiamo andare avanti. Dobbiamo solo trovare il coraggio di affrontare i nostri dolori. Ma quando lo facciamo, siamo testimoni del più grande spettacolo che il mondo ha da offrirci. La speranza >>, dissi con voce spezzata. << La speranza che un giorno ritorni a splendere il sole nelle nostre vite, e che i dolori del passato diventino solo dei ricordi di una vita che ormai non c’è più. I tuoi genitori, tua sorella, non vorrebbero che tu restassi ancorato a loro. Specie se questo ti fa soffrire >>. Mi alzai dalla poltrona, e mi accomodai sul letto accanto ad Ignazio. Gli presi la mano e la strinsi forte. << Vorrebbero che tu li lasciassi andare. Che gli premettessi di proseguire oltre, lasciandoti solo dei bei ricordi >>.
Il ragazzo mi fissava silenzioso, piangendo tutte le lacrime che possedeva.
<< Ma non so come. Come si fa a lasciare andare qualcuno che abbiamo amato così tanto? >>, mi domandò singhiozzando.
<< Non c’è un modo, per farlo. Forse l’unica cosa che possiamo fare e continuare a vivere, per noi e per loro >>, ipotizzai sorridendogli con dolcezza. Ignazio mi fissò, perplesso. Come se stesse ponderando accuratamente le mie parole. Poi rispose al mio sorriso.
<< Mia madre diceva sempre che, quando qualcosa andava storto, l’unica cosa da fare era sedersi ed ammirare le nuvole. Perdersi in quella distesa di nubi come zucchero filato. Fissarle, ci avrebbe fatto apparire i nostri problemi insignificanti >>
<< Tua madre era una donna saggia >>, dichiarai sorridendogli.
<< Lei ha mai guardato le nuvole? >>, mi chiese curioso Ignazio.
<< No, ma dovrei. Anche io ho qualcosa da dover dimenticare >>,confessai con onestà.
<< Ha perso qualcuno? >>.
Fissai intensamente il ragazzo davanti ai miei occhi. Poi spostai lo sguardo sulla foto poggiata sul comodino. Ignazio mi imitò e la vide. C’eravamo io ed un uomo, abbracciati. Felici come non mai.
<< Mio marito >>, sussurrai con dolore.
<< Cosa gli è capitato? >>, domandò il giovane tornando a guardarmi. I miei occhi, invece non si spostavano da quella foto. Quasi come catturati.
<< E’ morto l’anno scorso. Tumore al pancreas >>, confessai tra le lacrime.
<< Lo amava molto >>, constatò dolcemente Ignazio.
<< Si >>, annuì tirando su col naso. << Sai, lo conobbi lo stesso giorno che ti incontrai la prima volta >>
<< Davvero? >>, domandò sorpreso.
<< Si. Il discorso che ti feci quel giorno servi più a me che a te. Presi coraggio, ed afferrai la mia vita. La scelta più azzeccata che avessi mai potuto prendere >>, confessai dolcemente.
<< Ha mai rimpianto di averlo sposato, col senno di poi? >>, chiese improvvisamente Ignazio.
Riflettei per un attimo su quelle parole, poi aggrottai la fronte. << No. In quest’ultimo anno di dolori, e sofferenze, non c’è mai stato un solo giorno in cui avessi rimpianto di averlo sposato >>
<< Deve essere bello sapere che in questa vita, siamo stati amati tanto profondamente. È una cosa che non ci lascerà mai, neanche dopo la morte >>, constatò con saggezza Ignazio.
<< Anche i tuoi devono aver percepito tutto il tuo amore >>, affermai convinta.
Ignazio mi guardò nuovamente, come se stesse saggiando le mie parole. Poi sorrise felice. Il primo sorriso reale che mi avesse mai mostrato.
<< Che ne dice se andassimo insieme a guardare le nuvole, prof? >>, domandò entusiasta.
A quella richiesta insolita, cominciai a ridere divertita. Capì che stava cominciando ad andare avanti. Che aveva preso coraggio, e che finalmente si sarebbe lasciato alle spalle tutto il suo dolore.
<< Mi piacerebbe molto >>, annuì felice.
<< Lo sa una cosa, prof? Lei mi piace >>
<< E questo che significa? >>, chiesi leggermente perplessa.
<< Che da oggi in poi ci proverò con te, prof >>, affermò con decisione Ignazio.
Sbarrai gli occhi per quell’affermazione. Non potevo crederci. Quel tipo aveva appena finito di fare una confessione, nei mie riguardi. A me!
<< Ah davvero? >>, chiesi scettica.
<< Certo. Ti farò innamorare di me, prof >>
<< Siamo passati pure al tu, vedo >>, constatai ancora perplessa. << Beh, allora da adesso in poi, se tu mi dai del tu, io ritornerò a chiamarti Ianto >>, azzardai. Sapevo che quel nome costituiva un grosso ostacolo per il ragazzo. E temevo di aver osato troppo.
Ignazio mi fissò per qualche secondo, poi annuì con decisione. << Mi farebbe davvero piacere se mi chiamassi Ianto >>.
Lo guardai sorridendo, capendo che finalmente gli orrori del suo passato lo stavano lasciando.
Si addormentò dopo un po’, poggiato con la testa sulle mie gambe. Mi ero messa anche io sotto le coperte, e Ianto ne aveva approfittato all’istante per avvicinarsi a me, come un cucciolo bisognoso d’affetto. Per la prima volta, dopo tantissimo tempo, sentivo di nuovo del calore umano. Non mi ero mai resa veramente conto di quanto mi mancasse, fino a quel momento. Accarezzai con dolcezza la testa del giovane, fissandolo. Guardai il suo volto addormentato domandandomi come un ragazzo così bello, potesse soffrire così tanto. Ormai mi ero resa conto che, senza volerlo, mi ero affezionata a lui, e mai lo avrei abbandonato. Non ora che finalmente aveva trovato la speranza. Non ora che finalmente aveva ripreso a vivere.



Buonasera, gente. Come promesso, oggi vi ho portato il quinto capitolo di "Eppure mi ha cambiato la vita"... Un capitolo difficile, pieno di dolore e sofferenza ma necessario. Da adesso le cose saranno un po' più comiche XD Non vedo l'ora di vedere cosa accadrà...
Passiamo ai ringraziamente!!!
Grazie a tutti coloro che leggono la mia storia, ed in particolare 
Allegra_Loreena McKenzie, _rain_ e Pixel...grazie a voi, sono spronata ad andare avanti con questa storia. Grazie mille!!! XDXD
Ci vediamo martedi prossimo, signori e signore... Un bacio
Moon9292


"Ti hanno mai detto che sei esasperante?", domandai acida.
"Spesso, ma questo fa parte del mio fascino", esclamò Ianto divertito.

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Capitolo 6
*** Cosa ti succede, Paolo? ***


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Capitolo 6 - Cosa ti succede, Paolo?


Mi svegliai con un gran cerchio alla testa. Quella dannata sveglia non cessava di emettere quel suono fastidioso e penetrante. I miei poveri timpani chiedevano vendetta, ed avevano ragione a mio modo di vedere. Tortura peggiore di quell’aggeggio infernale non c’era, questo era poco ma sicuro. Mi alzai con lentezza, e mi voltai verso il posto su letto accanto al mio. Vuoto. Sentivo che qualcosa non andava. Ma non riuscivo bene a capire cosa. Avevo un maledettissimo vuoto di memoria, dovuto al sonno e alla mancanza di caffeina nelle mie vene. E la caffeina, per me, era come ossigeno. Scrutai con sguardo stanco la camera da letto, grattandomi la testa. Era un gesto abituale che facevo la mattina. Come mi sedevo sul letto, cominciavo a grattarmi. Non sapevo neanche io perché. Forse per convincermi che non stavo più sognando, e che quella era la vita reale. Bah, ho sempre detto che chi mi capiva era veramente bravo. Come mio marito ad esempio. Il solo pensiero di quell’uomo fantastico che avevo sposato, mi rese incredibilmente triste. Però le parole di Paolo erano state un toccasana per me. Forse sarei riuscita ad andare avanti. Aspetta. Paolo?! All’improvviso un dettaglio importantissimo tornò alla mia memoria. La discoteca. Che diavolo avevo combinato la sera precedente? Ed era mai possibile che l’astinenza da caffè, aveva effetti deleteri sul mio povero cervello? Evidentemente si. Guardai nuovamente il posto sul letto accanto al mio. Sembrava che qualcuno avesse dormito li. Cosa impossibile, visto che l’unico uomo che poteva starci era sepolto sotto terra. Fantastico, i pensieri macabri di prima mattina erano quello che ci voleva, per cominciare egregiamente la giornata. Il chiodo fisso di scoprire cosa diavolo fosse successo la notte scorsa, mi stava massacrando. Dovevo andare assolutamente a farmi visitare, vista la mia incredibile scarsa memoria. Ritornai sul dettaglio discoteca, cercando di estrapolare il contenuto. Poi ricordai il volto di Ianto, seduto con la faccia affondata nella spalla dell’amico, ubriaco e con il labro gonfio dovuto ad un recente pestaggio. Ianto? Ianto?
<< Ianto! >>, esclamai urlando e scendendo dal letto. Avevo ricordato. Dopo esserlo andato a ripescarlo dalla discoteca, lo avevo portato a casa mia per evitare che fosse espulso. Poi ricordai la conversazione, la questione nuvole, il suo pianto, il mio pianto. E ricordai che finalmente, quel ragazzo aveva ricominciato a vivere. Andai in cucina, di corsa, sperando e temendo allo stesso tempo di trovarlo. Non ero ancora del tutto pronta ad affrontarlo. Specie dopo avergli rivelato di mio marito. Ma quando arrivai nella stanza, non lo trovai. Non vi era nessuna traccia del suo passaggio. Cominciai a perlustrare la casa, da cima a fondo, impiegandoci davvero poco. Non mi ero mai resa veramente conto di quanto quel posto fosse piccolo. Ero stata davvero assente mentalmente negli ultimi tempi. Con desolazione, pensai ritornando in cucina, poggiando una mano sul fianco e l’altra in testa. Dove diavolo era finito quel moccioso, mi domandai.
<< Ah, dannazione >>, urlai esasperata. << Come cavolo ho fatto a perdermi un diciassettenne? Che razza di impiastro dono diventata? >>
<< Direi che su una scala da uno dieci, tu sei strana forte almeno otto e mezzo, nove >>, esclamò divertito qualcuno alle mie spalle.
Mi prese il panico. Corsi ad afferrare la cosa più vicina che avevo a disposizione, e mi voltai di scatto. Davanti a me vi era Ianto appoggiato allo stipite della porta d’ingresso, con i vestiti della sera precedente, i capelli ritornati normali, e l’espressione più perplessa e divertita che disponeva nel suo arsenale.
<< Facciamo undici >>, affermò squadrandomi.
<< Tu! >>, gli ringhiai contro. << Che diavolo di fine avevi fatto, si può sapere? >>
<< Colazione >>, esclamò tranquillamente mostrandomi una busta del bar vicino casa mia. << Cos’è, avevi paura che fossi un ladro, prof? E speravi di tramortirmi con un libro? >>, domandò divertito guardando la mia arma di difesa. Osservai il libro che avevo in mano. Era spesso, sicuramente, ma come arma era fallimentare. Dovevo dargliene atto.
<< Il peso della coltura può danneggiare gravemente, se usato in modo incauto >>, ribattei orgogliosa. Non potevo perdere contro quel moccioso.
<< Certo. Sicuramente avresti terrorizzato un ladro. “Stai lontano oppure ti scaglio contro Angeli e Demoni” >>, ironizzò Ianto entrano finalmente in casa. Si diresse verso la penisola della cucina. << Sono certo che sarebbe scappato a gambe levate >>
<< Se fosse stato uno come te, sicuramente sarebbe scappato >>, affermai raggiungendolo e sedendomi su di uno sgabello.
<< Veramente quel libro l’ho già letto >>, dichiarò con tranquillità posizionando due cornetti e due caffè sul tavolo.
<< Fai meno lo sbruffone, con me. Ti ricordo che sono ancora la tua insegnante e che quindi, di norma, sono superiore a te >>, dissi inacidita prendendo uno dei due caffè.
<< Oh, andiamo. Non attaccarti alla storia dell’insegnante. Mi cadi in basso. Ribatti in modo più energico >>, affermò Ianto sedendosi accanto e prendendo anche lui un caffè.
<< Ianto, sono le sette e mezza del mattino. Quale risposta efficace pretendi da me? >>
<< Mi stai cadendo, prof. Io sono bello, vispo e pimpante >>, mi sorrise divertito.
<< Noto. Cos’è ti sei fatto una dose massiccia di droga? >>, domandai con cattiveria.
<< Io sono sempre così >>
<< Non si direbbe. E poi questa colazione è troppo normale, per te. Direi, piuttosto, che a colazione mangi cornetto ripieno di sarcasmo, con un bicchiere ricolmo di presunzione, e qualche biscotto farcito di cattiveria >>, dichiarai afferrando un cornetto a caso.
<< Quello è mio >>, affermò deciso il ragazzo, precipitandosi sul cornetto. Me lo tolse di bocca, senza darmi il tempo di ribattere. << E si dia il caso, che vado a fare colazione alla mensa scolastica. È ovvio che di prima mattina non sia al massimo delle forze >>
<< La tua ossessione maniacale verso oggetti e persone è patologica. Dovresti farti curare >>, esclamai sarcastica prendendo l’altro cornetto rimasto. << A proposito. I tuoi capelli sono normali >>
<< Wow, sei davvero fuori di testa, prof, a prima mattina. Come ti aspettavi che avessi i capelli? >>, domandò ironico Ianto.
<< Mah, non lo so. Forse sparati in aria, neri e incredibilmente inquietanti? >>, ribattei con la stessa moneta.
<< Ah, si riferisce a ieri sera. Ecco, beh, quella era una tintura temporanea >>, rispose leggermente in imbarazzo.
<< Tintura temporanea? >>, chiesi incerta.
<< Si, tipo quei mascara per capelli che si tolgono dopo un lavaggio. Ho usato un prodotto simile. È bastato lavarmi i capelli, che sono tornati come prima >>, mi delucidò il ragazzo. Riflettei un secondo su quelle parole. Un dubbio stava cominciando ad assalirmi.
<< Ianto, credo che la domanda sorga spontanea. Ma tu da che ora sei sveglio, e quando e dove di preciso ti sei lavato i tuoi capelli? >>
<< Mi sembra evidente che io li abbia lavati qui >>, disse con ovvietà. << Per quanto riguarda gli orari, beh non ho dormito molto, in effetti >>
<< Come mai? >>, chiesi curiosa.
<< Prof, ecco, ehm non so come dire. Cioè io … >>, cominciò con esitazione.
<< Ianto, poche chiacchiere e arriva al punto >>, sbuffai.
<< Prof, tu russi >>, affermò guardandomi con decisione negli occhi.
<< Cosa? >>, chiesi convinta di non aver sentito bene.
<< Mi dispiace, ma non sapevo come dirtelo. Russi come un trombone. Un camion in confronto a te, è una sinfonia melodica >>, continuò Ianto.
<< COSA? >>, urlai inferocita. << Moccioso, comincia a correre perché ho intenzione di strangolarti >>, affermai alzandomi dallo sgabello.
Ianto mi sorrise divertito, poi cominciò a correre per la casa inseguito da me e dalla mia furia omicida. Era da veramente tanto tempo che non avevo un risveglio così movimentato e divertente.
 
Arrivammo a scuola alle otto meno dieci. Per colpa di quel mocciosetto, avevo dovuto fare i salti mortali per preparami in fretta, visto che lui doveva ritornare nella sua camera e cambiarsi i vestiti. Dopo quel mezzo inseguimento avuto in casa, con un mio capitombolo sul tappetino del salotto, eravamo ritornati quasi seri. Certo, continuavamo a punzecchiarci, ma in modo più calmo e pacifico. Mi erano davvero mancate quelle battutine acide del ragazzo. Dieci giorni di astinenza avevo dovuto affrontare. Non riprendemmo più il discorso di quella notte. Entrambi lo ritenevamo ormai chiuso, e Ianto sapeva che se avesse voluto parlarmi di qualcosa, bastava che mi raggiungesse. Io lo avrei ascoltato senza remore. Ci lasciammo nel parcheggio delle auto, senza imbarazzi o cerimonie. Un semplice “a dopo”, fu più che sufficiente a soddisfarci. Avevo capito che nel nostro bizzarro rapporto, le cose plateali e sfarzose erano decisamente fuori luogo. La semplicità e la gaiezza erano le cose necessarie per noi. Anche quel saluto quasi banale, fu detto con divertimento. Perché, non importava cosa, io e Ianto insieme stavamo bene. Pensavo a queste cose, mentre mi dirigevo verso l’aula.
<< Professoressa Cristillo >> , mi chiamò qualcuno. Mi voltai e vidi il preside venirmi incontro come il giorno precedente.
<< Buongiorno preside >>, lo salutai calorosamente.
<< Oh, che piacere rivedere sul suo splendido volto il suo altrettanto splendido sorriso. Le hanno mai detto che quando inarca in quel modo le labbra, diventa ancora più bella? >>, disse dolcemente l’uomo.
<< Credo di no, signor preside. O almeno, non in questa forma >>, constatai guardandolo dubbiosa. Il modo che aveva di esprimersi era veramente fuori dal comune.
<< Beh, naturale. Nessuno usa più un linguaggio forbito come il mio >>
<< Io direi eccentrico, se mi permette >>, affermai sorridendogli divertita.
<< Il suo buonumore, mi fa presupporre che i fuochi d’avviso siano cessati. Oppure c’è stato un boom così catastrofico da averla fatta diventare pazza? >>, domandò ironico.
<< Per fortuna i fuochi d’avviso sono finiti. Aveva ragione lei, preside >>, confessai con dolcezza.
<< Sono lieto di sentirlo. Ero piuttosto inquieto, dopo le sue parole. E dire che io non mi occupo dei problemi personale dei miei… >>, iniziò ma non lo lasciai terminare.
<< … dei miei alunni e dei miei collaboratori. Si, me lo ha riferito ieri >>, terminai divertita. << La ringrazio di essersi preoccupato, preside. Ma adesso va tutto bene >>
<< Vedo >>, disse scrutandomi con uno strano sguardo. Sembrava stesse cercando di leggermi dentro.
<< Preside… >>, cominciai leggermente in imbarazzo. << Sembra che lei stia cercando si spogliarmi. La cosa non mi fa sentire molto tranquilla >>
<< Veramente, è quella la mia intenzione. Denudarla anche della sua pelle, e carpire le informazioni che tiene nascoste nel suo cuore >>, affermò con tranquillità.
<< Ma questo è omicidio, e mi pare che sia punito legalmente, qui in Italia. Oppure in questo quartiere, le leggi sono diverse? >>, domandai sarcastica.
<< Beh, vista l’economia che c’è qui dentro, direi che con ogni probabilità, se uno di questi ragazzi commettesse un omicidio, verrebbe scagionato in meno di tre ore. Ma poi, la legge italiana non fa sempre questo, anche con gli altri criminali? >>, rispose lui con la stessa ironia.
<< Si ha ragione >>, sorrisi divertita. Poi mi fermai davanti la mia aula. << Io sono arrivata. Grazie della compagnia, preside >>, dissi con sincerità.
<< Professoressa, mi tolga un dubbio >>, mi bloccò sulla soglia della porta. << Cosa ci deve fare con quei cioccolatini? >>, chiese guardando la busta che avevo tra le braccia.
<< Un tipo di lezione innovativo >>, dichiarai enigmatica.
Poi entrai nell’aula ed attesi i miei alunni.
 
<< Allora, chi mi sa dire la legge di Arrhenius? >>, chiesi ai miei ragazzi.
Li vidi alzare quasi tutti le braccia. Quella lezione mi piaceva particolarmente. Ero seduta sulla cattedra con in mano la busta di cioccolatini aperta. Tutti quanti l’avevano notata. Ovviamente a chiedermi spiegazioni fu Ianto, anche lui dubbioso. Non l’aveva vista quella mattina.
<< Prof, che deve farci con quei cioccolatini? >>, chiese tornando al voi. Per fortuna sapeva come comportarsi in classe.
<< Oggi sperimentiamo un nuovo tipo di lezione >>, dichiarai entusiasta.
<< Ovvero? >>, chiese Marco Boccanera.
<< Ovvero che oggi faremo una specie di quiz. Io vi faccio le domande, e uno di voi risponde. Chi mi da la risposta corretta si becca un cioccolatino >>, dissi sempre più energica. Quella lezione mi elettrizzava.
<< Ma è una cosa da bambini >>, affermò annoiato Giuliano Altieri.
<< Giuliano, mio caro. Noto che, anche stamattina, ti sei alzato dal lato arrogante del letto. Cerca di cambiare sistemazione stanotte. Non vorrei dover sopportare la tua puzza sotto il naso anche domani >>, risposi sarcastica rivolta al ragazzo. Questi non mi rispose, ma sbuffò sedendosi con stizza al suo posto.
<< Comunque, alla fine della giornata, chi avrà guadagnato più cioccolatini, avrà un otto in tutte le materie che si portavano oggi >>, continuai sorridendo ai miei alunni. A quelle parole, tutti loro drizzarono le orecchie. Sembravano predatori in caccia. E la preda erano i miei poveri cioccolatini.
Passammo le prime due ore, tra le risate generali e piccoli litigi tra i ragazzi. Eravamo passati a chimica.
<< Allora, vediamo chi deve rispondermi >>, cominciai scrutandoli uno a uno.
<< Prof, non trovo giusto che sia lei a dover decidere chi deve rispondere. È ovvio che andiamo poi per favoritismi >> , sbuffò Ianto.
<< Zitto tu, che sei quello che ha più cioccolatini di tutti >>, lo liquidai.
<< Si, ma se lei avesse scelto sempre me, ora avrei tutta la busta sul mio banco >>, esclamò il ragazzo sempre più infastidito.
<< Vedilo come un’opera di carità nei tuoi confronti. Faccio in modo che la tua linea resti perfetti >>, risposi con sarcasmo.
<< Non si preoccupi che a quella ci penso io. Magari facendo del buon sano sesso >>, ipotizzò il giovane scrutandomi. Diventai rossa fin sopra la punta delle orecchie, capendo dove avesse voluto andare a parare. Non era riferito a qualcuno in generale, ma a me. Quel riferimento al sesso era rivolto a me, e alla sua promessa di farmi innamorare di lui. Scesi dal banco e mi diressi verso la sua postazione. Gli sorrisi con cattiveria, e poi mi ripresi tutti i cioccolatini che aveva vinto.
<< Ehi, ma che fa? Quelli me li sono guadagnati >>, disse inalterato.
<< Oh, dolcezza, faccio in modo di farti evitare il problema alla base. E poi è una piccola punizione per la tua sfrontatezza. Diciamo che chi rompe paga. E tu hai rotto decisamente le mie scatole >>, affermai tornando a sedermi sulla cattedra. << Prendi esempio da Paolo. Lui oggi non ha emesso neanche una parola. E questo lo fa per la linea, dico bene? >>, domandai ironica al giovane in questione.
Paolo sembrava stesse su di un mondo a parte. Non ascoltava, e non aveva preso parte alla lezione neanche una volta.
<< Come? >>, domandò sovrappensiero.
<< Oh, ma che bello. Tre dei miei venti alunni oggi finiranno in punizione >>, esclamai inacidita.
<< Mi scusi prof, ma non sto capendo >>, dichiarò il ragazzo sempre più perplesso.
<< Scemo, la dolce prof ti sta dicendo che sei nei guai. Ha, oggi si sgobba, Paoletto >>, spiegò divertito Ianto.
<< Già. Vi divertirete molto voi due e il terzo in questione >>, dichiarai sempre più cattiva.
<< Come? Credo di non aver capito bene? >>, domandò confuso Ianto.
<< Hai capito benissimo, Ignazio >>, dissi sottolineando il nome. Non volevo che gli altri sapessero che avevo preso a chiamarlo con il suo soprannome. Anche perché non sapevo se il ragazzo volesse che i compagni di classe lo chiamassero in quel modo. << Tu e il giovane Paolo starete qui a fare qualche lavoretto extra. Per punizione, si intende >>
<< Ma io non posso >>, esclamò il giovane dagli occhi come il ghiaccio.
<< E di grazia quale sarebbe questo impegno improrogabile? >>, domandai ironica.
Ma Ianto non mi rispose. Anzi, mi fissò con astio. Quasi come se volesse dirmi: dopo facciamo i conti. Sorrisi, perché sembrava un fidanzato innervosito alle prese con i capricci della fidanzata isterica. Mi tolsi immediatamente quel pensiero dalla testa. Le parole fidanzati e Ianto non potevano stare nella stessa frase. Assolutamente.
<< E il terzo chi sarebbe? >>, domandò senza interesse Paolo.
<< Il giovane Roberto, che come al solito, preferisce vagare nel mondo dei sogni invece che ascoltare la lezione >>, dichiarai esasperata verso il ragazzo in questione. Roberto Storti per me era un punto interrogativo. Dormiva sempre, prendeva voti alti ai compiti e alle interrogazioni, e non si mostrava mai in pubblico. Come Ianto, anche lui, suonata la campanella, spariva. E non avevo la minima idea di cosa gli passasse per la testa. Quei suoi occhi verdi, sembravano celare un mistero profondo. Spazientita, gli tirai contro un cioccolatino.
<< Cos?... Come? >>, domandò il ragazzo svegliandosi di soprassalto.
<< Che ho fatto io di male? >>, domandai rivolta verso me stessa portandomi teatralmente una mano alla fronte. L’intera classe scoppiò in una risata.
 
<< Allora, vi è chiaro che cosa dovete fare? >>, domandai perplessa ai tre che avevo di fronte.
<< Cristallina >>, rispose sarcastico Ianto. << Prof, se facciamo risplendere questi bei attrezzi da laboratorio, dopo ce lo da un bacino? >>.
<< Ti hanno mai detto che sei esasperante? >>, domandai acida.
<< Spesso, ma questo fa parte del mio fascino >>, esclamò Ianto divertito.
<< No, questo fa di te un cretino >>, dichiarò inespressivo Paolo, appoggiando annoiato la guancia sulla mano.
Sia io che Ianto lo guardammo perplessi. Non ci aspettavamo quel commento pungente e cattivo, soprattutto da Paolo. Ma per tutta la giornata era stato strano. Non aveva dato segno di essere il solito di sempre, e sembrava sopportare a stento la presenza di Ianto accanto.
<< Noto che qui si fa colazione con pane e acido, la mattina >>, constati esasperata.
<< No, c’è chi preferisce il menefreghismo nel cornetto. Altri ancora la cattiveria. Altri invece… >>, continuò Paolo con lo stesso tono, ma fu bloccato da uno Ianto visibilmente seccato.
<< Si può sapere che ti prende? Sei uno stronzo da stamattina >>, domandò inacidito.
<< Ah beh, tu sei stronzo da almeno quattro anni. Perciò direi che siamo pari >>, affermò sarcastico Paolo.
Prevedevo una marea di guai. Nel frattempo Roberto, era uscito con tutta la tranquillità del mondo dall’aula. Sembrava quasi non volesse trovarsi di mezzo alla baraonda che da li a poco sarebbe successa.
<< Ragazzi, cerchiamo di stare calmi >>, provai cercando di calmare gli animi.
<< No che non mi sto calmo, prof. Questo qui vuole fare a pugni >>, esclamò irritato Ianto.
<< Oh, non preoccuparti. Tu hai già dato ieri sera, perciò non voglio infierire ancora >>, affermò arrabbiato Paolo.
<< Paolo, vedi di darti una calmata. Altrimenti finisce male >>, disse il giovane dagli occhi azzurri come il ghiaccio con fare intimidatorio. Sembrava di assistere ad uno scontro su chi avesse più testosterone.
<< Ah si? Che bello, sai solo minacciarmi. È un piacere vedere un’amicizia basata su questo. Minacce ed insulti. Ed un’ingratitudine costante, che non fa altro che dilaniarmi il cuore >>, esclamò con ferocia Paolo. Non lo riconoscevo. Sembrava che in quelle poche ore fosse diventato un’altra persona.
<< Si può sapere perché ce l’hai tanto con me? >>, domandò incredulo Ianto.
<< Io odio il modo in cui mi tratti. La superficialità che metti nel nostro rapporto >>, affermò scattando in piedi il giovane. << Il fatto che io per te non valgo niente. Che sono solo qualcuno di inutile che si preoccupa troppo, e che non sta mai al suo posto >>, continuò con le lacrime agli occhi. << Cosa credi, che io non sappia che tu mi guardi dall’alto verso il basso, giudicandomi. Trovandomi disgustoso e fastidioso. Una presenza scomoda che… farebbe… >>, ma il pianto improvviso gli fece morire le parole sulle labbra.
<< Ma che… >>, cominciò sconvolto Ianto. << Che stai dicendo, Paolo? >>
<< Sto dicendo che preferiresti che io fossi morto >>, sbottò il ragazzo urlando e scappando verso la porta.
Io, dal canto mio, non riuscì a dire neanche una parola. Ero troppo sbigottita, anche per pensare. Chi era quel ragazzo? E cosa ne aveva fatto di Paolo? Possibile che il suo senso di colpa, in quella notte, lo avesse distrutto in quel modo?
<< Ma che diavolo è successo? >>, domandò confuso Ianto guardandomi.
Non avevo la più pallida idea di cosa rispondergli.
 
Tornai silenziosamente a casa. Era stata una giornata perfetta fino a quella discussione. Paolo era scappato via, e non era più tornato. Ianto mi aveva lasciato, per andare a cercarlo. Idem Roberto che, come si era reso conto dell’assenza di tutti, aveva sbaraccato le sue cose e se n’era andato senza rivolgermi una parola o anche uno sguardo. Arrivai stremata, e mi buttai sul divano. Troppe cose mi frullavano per il cervello. Che diavolo era successo a Paolo? Non era mai stato così feroce e cattivo. Specie nei confronti dell’amico, verso il quale provava un affetto micidiale. Io davvero non riuscivo a spiegarmelo. Ad un certo punto suonò il mio cellulare. Guardai confusa il display, e notai che quel numero io già la conoscevo.
<< Pronto >>
<< Sono io >>, rispose Paolo con voce monocorde.
<< Guarda te chi si fa sentire. Allora, sei tornato in te, o sto ancora parlando con l’altra personalità, quella stronza? >>, domandai acida.
<< Ho bisogno di parlarle, prof >>, dichiarò Paolo ignorando il mio commento.
<< Stiamo già parlando >>
<< Di persona. Vediamoci sul terrazzo della scuola. Tra un’ora >>. Poi il ragazzo riattaccò.
Guardai perplessa il cellulare. Erano le sei, e l’appuntamento era alle sette. Non sapevo cosa aspettarmi, ma avevo quasi paura. Brutto segno.
 
Arrivai puntuale, come un orologio svizzero, sul terrazzo della scuola. Da li si poteva vedere l’intero edificio. Non che ci fosse molto da ammirare, ma era stranamente romantico quel posto. Una coppietta di giovani innamorati, avrebbe potuto trascorrere dei bei momenti li.
<< Paolo >>, chiamai il ragazzo. Erano solo le sette, ma già era buio pesto, e non si vedeva assolutamente nulla. La luce della luna era ancora troppo tenue.
<< Sono qui >>, disse una voce nell’oscurità. La raggiunsi, e intravidi una figura appoggiata alla ringhiera.
<< Volevi parlarmi? >>, domandai curiosa verso il ragazzo.
<< Mi dica >>, cominciò Paolo senza voltarsi dalla mia parte. << Cosa si prova quando la tua vita è ormai giunta al capolinea? Quando tutto quello che vedi è solo merda emanata dalla tua pelle, e che gli altri rifuggono anche dal tuo sguardo? Cosa si prova ad essere morti nonostante il cuore continui a battere? >>.
Era incredibilmente triste e malinconico. Provai dolore nel vedere quel ragazzo speciale così distrutto e terrorizzato. Volevo aiutarlo, sentivo di doverlo aiutare.
<< Paolo, cosa c’è che non va? Perché mi fai queste domande? >>, chiesi con cautela.
Il ragazzo non rispose. Passarono pochi minuti di silenzio, nel quale nessuno dei due osava muoversi. Poi il giovane si voltò verso di me con lentezza. La luna e le stelle, avevano cominciato a risplendere alte nel cielo. Così potei notare il viso del giovane. Era stanco, affranto, deluso dalle speranze perdute. Qualcosa che non avevo mai visto.
<< Aveva ragione lei, sa? Il cuore è fragile, e si può spezzare. Le mie erano solo cazzate >>, sorrise con tristezza.
<< No, non è vero. Tu avevi ragione e io torto >>, risposi prontamente.
<< No, invece. Ho capito che nella mia vita il dolore è intrappolato in un eterno ciclo. Non si può uscire da esso. Ed io son così stanco di lottare, così stanco di dover cercare costantemente di sopravvivere e non annegare >>, affermò con durezza.
<< Che stai dicendo, Paolo. Io davvero non capisco >>, ed era vero. Non capivo cosa stesse provando a comunicarmi.
<< Sto dicendo che sono stanco della mia vita. Per una sola volta, una sola, avrei voluto che le cose andassero bene. Che non fossi costretto a soffrire, a dover subire nuovamente l’umiliazione. Non dover vergognarmi di me stesso, e di quello che sono >>, affermò allargando con dolore le braccia. Sembrava fosse punto da mille spilli.
<< Tu dici di essere stanco di sopportare. Ma cosa, esattamente? Cos’è che ti sta mangiando vivo dall’interno? >>, domandai cauta. Avevo l’impressione che, anche una sola parola falsa, avrebbe potuto mandare in frantumi quel ragazzo incredibilmente fragile.
<< Io non credo più di voler andare avanti, sa prof? >>, mi domandò ironico Paolo.
<< Non dire stronzate. C’è sempre un motivo per andare avanti >>, ribattei con decisione. << Stai commettendo l’errore di nasconderti dietro le tue parole, le tue debolezze. Invece devi essere coraggioso, ed affrontare i tuoi demoni >>
<< Non ne ho più la voglia, prof. Sono stanco di essere odiato da tutti >>, affermò stancamente il  ragazzo.
<< Ti riferisci a Ianto? >>, domandai esitante.
<< Ianto… >>, pronunciò quel nome con sarcasmo e dolore. << Avere il permesso di dire quel nome è un grande privilegio, sa? Io ho perso questo diritto tanto tempo fa >>
<< No, non è vero. Tu e Ianto, siete grandi amici. Entrambi lo sapete >>
<< Eravamo grandi amici. Ora non siamo più nulla >>, confessò Paolo tra le lacrime. Vidi una goccia scendere sulla sua guancia, risplendendo alla luce della luna. Anche al buio, con l’anima in agonia, quel ragazzo era sempre bellissimo. << Siamo come il fumo di un grande incendio. Ci disperdiamo nell’aria, senza tornare mai più insieme >>
<< Io invece penso che tu e lui siate come gli acidi e le basi. Non potete vivere l’uno senza l’altro. E tu questo lo sai, vai forte in chimica >>, provai a scherzare sperando di farlo sorridere. Tentativo inutile. Mi scrutò da capo a piedi.
<< Sa, lei è riuscita a conquistare il suo cuore. Ed io la invidio. Vorrei poter occupare anche io un posto in quel cuore grande, puro e generoso. Un cuore che illumina. Invece non posso, non ne sono degno. Lo sporcherei troppo>>
<< Parli così per via della storia dei genitori di Ianto? >>, domandai perplessa.
<< Anche >>, confermò misterioso Paolo.
<< E per cos’altro? >>
<< Vede prof, io sono un qualcosa di squallido. Sporco e viscido. Ianto mi odia perché i suoi genitori sono morti, e lui non era li con loro. E mi odia perché sono… >>, ma non terminò la frase perché le lacrime tronarono più forti che mai.
<< Sei cosa, Paolo? >>, lo incitai dopo qualche minuto.
<< Sono gay, prof. Io sono omosessuale >>, confessò con stanchezza.
<< Cosa? >>, chiesi perplessa.
<< Sono una checca, prof. Mi piace leccare e succhiare il pe… >>, ma non lo lasciai finire.
<< Si, grazie ho capito. Gentile da parte tua avermi dato questa spiegazione lungimirante >>, affermai sarcastica.
<< Quando vuole >>, rispose con lo stesso tono.
<< Ma io non capisco, Paolo. Perché dici di essere disgustoso? Solo perché sei gay? Non credo che Ianto sia razzista >>, affermai convinta. Non volevo credere che effettivamente il nocciolo della questione fosse quello. Io sapevo per certo che tutto quello doveva essere un grosso malinteso.
<< Vorrei che lei capisse, prof. Ma non c’è modo. Io l’ho chiamata qui solo per chiederle un favore >>, confessò dopo pochi istanti.
<< Cosa? >>, chiesi ancora confusa.
<< Potrebbe dire a Ianto che mi dispiace, e che io gli vorrò sempre bene, e che porterò i suoi saluti ai suoi genitori, sperando che li veda? Può dirgli che occuperà per tutto il resto della mia vita, anche se di vita me ne resta poco, un posto speciale nel mio cuore? Lo farebbe? >>, mi domandò Paolo, con una calma innaturale.
<< Credo di non capire >>, affermai perplessa. Non capivo quel suo discorso strano. Perché dovevo riferirgli quel messaggio assurdo? Poi realizzai. Quella era la calma prima della tempesta. E la tempesta che stava per abbattersi su di noi, era veramente catastrofica.
<< Addio >>, mi sorrise Paolo.
Lo vidi arrampicarsi sulla ringhiera del terrazzo, pronto a saltare. Cominciai a correre verso la sua direzione, ma era troppo tardi. Un piede era già sospeso a mezz’aria.
<< NOOOOOOO >>, urlai disperata. Sentivo la fine giungere vicina.



Salve gente, sono io, Moon9292. Oggi vi porto un nuovo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...spero vi piaccia XD
Sarò breve nei commenti...
Ringrazio tutti quelli che leggono la mia storia, che la seguono e che recensiscono XD... se volete farmi sapere la vostra opinione sulla storia, non dovete fare altro che lasciare anche un piccolo commento, giusto per sapere che ne pensate...
Ci vediamo alla prossima puntata, ovvero martedi prossimo... Un bacio
Moon9292


"Saremo amici per sempre", disse con dolcezza Ianto.
"Promesso? Per sempre? Anche con i tuoni, fulmini e saette?", sussurrò tra le lacrime il giovane

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Capitolo 7
*** Migliori amici ***


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Capitolo 7 - Migliori amici


Era una notte estiva. Un temporale fuori stagione, imperava nel silenzio notturno. Tre bambini erano chiusi nella camera. Uno di loro, costretto nel letto per via di due gambe rotte, sorrideva dolcemente all’amico terrorizzato. Tremava di paura e abbracciava con forza il terzo, che rideva ilare per la scena.
<< Ho paura >>, piagnucolava il ragazzino.
<< Ma dai, sono solo due fulmini >>, lo prese in giro l’amico.
<< No, non è vero. Ci sono i tuoni, i fulmini e le saette >>, continuò imperterrito.
<< Ma sei qui per me, per consolarmi del fatto che non posso muovermi dal letto, o sei qui solo per farti proteggere da noi? >>, domandò il ragazzino bloccato a letto con divertimento.
<< Non prendetemi in giro voi due... AHHHHH >>, urlò di terrore il bambino. Un fulmine, seguito dal tuono, era appena giunto.
I due ragazzi, dopo aver sentito le urla dell’amico, erano esplosi in una risata fragorosa. Sembrava non riuscissero più a contenersi.
<< La finite voi due? >>, si lamentò il terzo con le lacrime agli occhi. << Non siete miei amici, se mi trattate così >>
<< Ma se siamo amici da tanto tempo. Non fare il bambino >>, rispose divertito il ragazzo sul letto.
<< Già, e ti ricordo che quello che ti sta abbracciando forte, sono io >>, aggiunse l’altro stringendosi al petto con fermezza l’amico terrorizzato.
<< Ma voi due non mi volete bene. Siete sempre pronti a prendermi in giro. Pensate che io non sappia che in realtà non mi sopportate? >>, domandò con rabbia il ragazzino. Le lacrime sgorgavano senza freni ormai.
<< Ma che dici? Noi ti vogliamo bene >>, dichiarò con tranquillità il bambino sul letto.
<< Esatto. Non staremo con te se fosse diverso >>, affermò con sicurezza il terzo ragazzo.
<< Davvero? >>, domandò speranzoso il bambino guardando con dolcezza i due amici.
<< Certo >>, annuì uno.
<< Sicuro >>, confermò l’altro. << Anzi sai che ti dico? Saremo amici per sempre >>
Il bambino guardò i due amici con gioia. Sorrise con un’intensità tale da abbagliare l’intera stanza. << Promesso? Per sempre? Anche con i tuoni, fulmini e saette? >>
<< Promesso >>, rispose il terzo ragazzino sdraiato sul letto, sorridendogli a sua volta.
La gioia che provarono in quell’istante, fu talmente grande, da riempire i loro cuori. Era un momento perfetto.
 
<< NOOOOOOOO >>, urlai disperata. Sentivo la fine giungere vicina.
Ecco, un’altra persona che non ero stata in grado di proteggere, di salvare. La sua vita era li, ad un passo da me, ed io non riuscivo ad afferrarla. Come avrei potuto convivere con questo nuovo dolore? Come sarei riuscita a sopravvivere? No, non poteva finire così. Dovevo fare qualcosa! Dovevo salvare Paolo, costi quel che costi. Corsi con tutta la forza che possedevo nelle gambe, con disperazione e tenacia. Non avrei mollato, non avrei ceduto. Era li, quasi del tutto fuori dalla ringhiera, così vicino eppure così tristemente lontano. Una nuova forza nacque in me. Era la consapevolezza che se avessi fallito, tutto sarebbe stato perduto. Guardai in volto Paolo, e lo vidi sorridermi con dolcezza e rassegnazione. Aveva rinunciato ormai al dono della vita, quasi come se non gli importasse proprio più di nulla. Era come se la consapevolezza che a quel mondo non ci fosse più niente per cui valesse la pena per continuare ad andare avanti, lo avesse raggiunto. Non voleva più vivere. Ma io non glielo avrei permesso. Corsi sempre più veloce. Capì, però, che ormai non c’era più niente da fare. Il suo corpo pendeva sempre di più al di la del tetto, ed io ero ancora troppo distante. Il dolore per quella perdita era già li, pronto ad aggredirmi da un momento all’altro. In quel momento però accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Una figura, sbucata dal buio, giunse come un leone giunge verso la sua preda. Silenzioso e fulmineo. Senza possibilità di vie di fuga. Arrivò con un balzo verso Paolo, e lo trascinò per un braccio dentro il terrazzo. Mi bloccai, paralizzata e senza fiato. Quasi come se l’adrenalina nelle mie vene, fosse scomparsa tutta d’un tratto. Ero spossata e fragile. I due ragazzi caddero di peso sul pavimento. Paolo era ancora scioccato. In meno di un secondo era passato dalla consapevolezza che la sua vita presto sarebbe finita, al sapere che invece avrebbe continuato ad andare avanti. Si sdraiò sulla schiena e guardò con il fiatone il suo salvatore. Feci la stessa cosa, e vidi due occhi di ghiaccio terrorizzati ed, allo stesso tempo, infuocati dalla rabbia. Ianto.
<< Che cosa… >>, cominciò Paolo fissandolo, ma non riuscì a finire la frase, perché il ragazzo gli saltò addosso e cominciò a prenderlo a pugni.
<< O SANTI NUMI >>, urlai per lo spavento.
Mi precipitai verso i due, cercando di fermarli e separarli, ma Ianto non me lo permise. Mi scacciò via con una gomitata. Non sembrava neanche più lui.
<< Ianto, fermati! >>, urlai nuovamente cercando di farlo tornare in se.
<< Come.Hai.Potuto.Pensare.Di.Fare.Una.Cosa.Simile >>, ringhiò tra un pugno e l’altro il ragazzo contro Paolo.
Capì in quell’istante che cosa stava accadendo. Ianto era disperato, perché un’altra persona che amava con tutto il suo cuore, stava per abbandonarlo di nuovo. E un dolore simile, non avrebbe potuto sopportarlo. Sarebbe morto per davvero quella volta. Provai una forte tristezza pensando a quel ragazzo così forte eppure così fragile. Il suo dolore era il mio dolore.
<< Ianto >>, sussurrai afflitta. In quell’unica parola avevo trasmesso tutti i miei sentimenti.
Vidi il ragazzo bloccarsi di colpo, con un pugno ancora in aria pronto a scagliarsi contro la faccia di Paolo. Tremava dalla rabbia, ma sembrava stesse tornando in se. Il ragazzo sotto di lui non fiatava. Accoglieva stoicamente ogni colpo dell’amico, quasi come se sapesse di meritare quella punizione.
<< Come hai potuto pensare di lasciarmi? >>, domandò con voce tremante e afflitta Ianto. << Come hai potuto credere che io non provassi dolore nel perderti? >>.
Paolo non rispose, ma guardò l’amico con le lacrime agli occhi. Sembrava stesse lottando contro se stesso, diviso tra la voglia di smettere di soffrire e il dolore nel sapere di procurare sofferenza alla persona più importante per lui. Ianto guardò per un attimo l’amico, poi si alzò con lentezza e mi si avvicinò senza volgere il suo sguardo verso di me. Io li osservavo silenziosa, in ansia, con la paura che potesse succedere qualsiasi cosa da un momento all’altro.
<< Come hai potuto decidere di abbandonarmi anche tu? Lasciarmi qui, da solo, ad affrontare una vita di sofferenze, senza voltarti mai indietro? Come hai potuto credere di dirmi addio? >>, chiese ancora con le lacrime agli occhi. Le mie di lacrime, invece, erano sgorgate ormai da un pezzo. Soffrivo nel vedere quel ragazzo ridotto così. Non potevo fare diversamente. Paolo non guardava Ianto, ma fissava il cielo, con le lacrime che scorrevano lungo le guance e cadevano al suolo, attratte dalla forza di gravità. Poggiai una mano sulla spalla del ragazzo, cercando di infondergli coraggio. Ma quei sentimenti evidentemente non gli arrivarono, perché scostò bruscamente la mia mano, e si diresse spedito verso l’uscita. Attraversò la porta senza voltarsi indietro. Senza guardare cosa si stava lasciando alle spalle: una persona in pezzi, distrutta da un dolore cieco e sordo, e tuttavia più potente di qualsiasi altra cosa. Fissai con intensità il punto in cui Ianto era uscito, sperando con tutto il cuore che potesse stare bene. Poi mi voltai con lentezza verso Paolo, ancora sdraiato. Mi avvicinai accovacciandomi, e lo guardai in viso. Quel viso così bello, e così triste.
<< Che cosa è successo, Paolo? >>, domandai con dolcezza.
Il ragazzo non mi rispose. Osservava con ostinatezza il cielo, perso in chissà quali pensieri. Stava cercando disperatamente di trovare le sue risposte nelle stelle.
<< Paolo, parlami. Dimmi cosa c’è che non va? Come sei arrivato a pensare di poter farla finita? >>, continuai senza giri di parole. Volevo sapere la verità. Quelle parole sembrarono colpirlo, perché sospirò con forza, cercando di reprimere un singhiozzo.
<< Avanti Paolo. Puoi farcela. Aprimi il tuo cuore >>, lo incoraggiai con dolcezza.
<< Ho perso tutto >>, sussurrò con voce rauca. Il suo tono era così basso, che faticai a sentirlo.
<< Perché pensi di aver perso tutto? >>, domandai con forza.
<< Ho perso tutto >>, ridisse nuovamente lui.
Sospirai stancamente. Volevo delle risposte, non mi sarei accontentata semplicemente di stargli accanto. Dovevo aiutarlo. Presi con delicatezza, ma con vigore, il viso del giovane e lo voltai verso di me. I nostri occhi s’incontrarono. Due mondi diversi, collisero tra di loro. Annegai in quel mare nocciola, così profondo e sofferente. Solo e abbandonato. Ecco cosa c’era nel mondo di Paolo. Solo una grande, immensa, vasta solitudine. Mi sentì soffocare da tanta desolazione, ma non distolsi lo sguardo. Dovevo essere forte.
<< Paolo >>, dissi nuovamente a bassa voce. << Cosa hai perso? E perché pensi di averlo perso? >>.
Il ragazzo mi scrutò per qualche secondo, indeciso se aprirsi o meno. Sembrava stesse tornando il solito Paolo, pieno di vita e di forza, che ha sempre tutte le risposte.
<< Io l’ho letto >>, confessò sussurrandomi.
<< Cosa hai letto? >>. Sembravamo in una di quelle sedute di ipnosi, in cui l’ipnotizzatore deve guidare il suo paziente facendogli domande mirate a scoprire la verità.
<< Il suo diario >>
<< Il diario di chi? >>, chiesi incuriosita.
<< Di Ignazio >>, dichiarò tornando a piangere.
Non risposi, perché capì che non avrei cavato un ragno dal buco in quella situazione. Dovevo rimandare ad un altro momento le spiegazioni. Perciò decisi il da farsi, e mi caricai quasi in spalla Paolo, diretti verso casa mia.
 
Giunse con lentezza il mattino. Mi stiracchiai nel letto, assonnata, ancora nel mondo dei sogni. Poi mi voltai di lato, verso l’altro lato del letto. Paolo dormiva ancora, con tranquillità. Le emozioni della sera precedente, sembravano averlo abbandonato del tutto. Nel mondo dei sogni tutto è possibile, e tutto è molto più bello. Perché in quel mondo, cose che non potranno mai accadere nella vita vera, si avverano. Sorrisi verso il ragazzo, poi mi alzai e mi diressi verso la cucina, pronta a farmi una bella tazza di caffè. Erano passati dieci minuti da quando mi ero alzata, quando una voce giunse alle mie spalle.
<< Che ore sono? >>, domandò Paolo.
<< Le sette e mezza. Hai dormito bene? >>, domandai con tranquillità.
Il ragazzo non mi rispose. Si avvicinò con cautela verso di me e si sedette al mio fianco. Io, dal canto mio, osservavo con calma i suoi movimenti. Se voleva parlare, sapeva che avrebbe trovato in me una confidente. Lo guardai, avvertendo il suo disagio, e sorrisi intenerita. Sembrava un cucciolo spaurito.
<< Mi dispiace, per ieri sera >>, iniziò con indecisione Paolo. << Mi sono comportato in modo orribile >>
<< No, ti sei comportato come uno stupido >>, constati con tranquillità.
<< Già >>, concordò lui con rammarico.
<< Paolo >>, dissi con fermezza guardandolo dritto negli occhi. << Cosa è successo? >>
<< Ecco… >>, cominciò sempre spaventato. << E’ una lunga storia >>.
Sorrisi, e gli porsi una tazza di caffè. Lui mi guardò dubbioso.
<< Abbiamo tempo, e per fare discorsi importanti, c’è sempre bisogno di caffeina  nelle vene >>, dichiarai solenne.
Paolo rise di quella mia affermazione, e poi sorseggiò con più tranquillità la tazzina che gli avevo dato. Restammo in silenzio per qualche minuto. Poi ripresi nuovamente il discorso.
<< Allora, adesso te la senti di raccontarmi perché volevi sprecare la tua vita? >>.
Il ragazzo ritornò ad essere a disagio, agitandosi sulla sedia. Ma sembrava avesse deciso di voler parlare.
<< Ha presente quando mi ha riaccompagnato al dormitorio, l’altro ieri? >>, domandò lui guardando fisso le sue mani.
<< Certo >>, annui non capendo dove volesse arrivare.
<< Beh, ecco, quando sono tornato a casa, ero molto agitato. Ignazio mi aveva fatto davvero preoccupare >>, continuò lui sempre più a disagio. << Ero coi irrequieto, che non smettevo di andare avanti e indietro per la stanza. Mentre camminavo su e giù, poi, ho urtato accidentalmente la scrivania di Ignazio, ed è caduto il suo diario >>, confessò quasi imbarazzato. In quel momento capì cosa stesse blaterando la sera precedente, sul terrazzo.
<< Tu l’hai letto? >>, domandai sapendo già la risposta.
<< Non volevo, lo giuro. È solo che quando è caduto si è aperto >>, provò a giustificarsi.
<< Lo so. Sei un ragazzo intelligente, che rispetta la privacy e la vita altrui. Ti conosco >>, dissi con convinzione. Ero davvero certa delle mie parole.
<< Grazie >>, mi sorrise impacciato lui.
<< E’ stato quello che ti ha fatto impazzire? Quello che hai letto? >>, chiesi sapendo nuovamente la risposta.
<< Si >>, annuì lui, senza continuare.
<< Paolo, se per sapere ogni cosa, te le devo tirare fuori dalla bocca con le pinze, veramente non finiamo più >>, scherzai sbuffando. << Avanti, a me puoi dire tutto. Tu mi hai rimproverato ed aiutato. Ora è il mio turno >>, dichiarai con forza.
Paolo mi guardò incerto, poi mi sorrise.
<< Ok >>, sospirò e proseguì. << Ho raccolto il diario da terra, ed ho notato che si era aperto proprio sulle ultime pagine. Erano state scritte qualche giorno prima >>. Il suo sguardò si spense nel ricordare quelle parole. << Erano intrise di dolore e sofferenza, per la perdita dei genitori. Stavo per precipitarmi qui, per raggiungere Ignazio e stargli vicino, quando poi ha cambiato argomento. Parlava di me >>, a quel punto una nuova lacrima scese sul viso del ragazzo. La sua voce si incrinò. << Diceva che ero invadente, fastidioso, ed odiava dovermi stare accanto. Perché la mia presenza, gli ricordava costantemente di aver perso la sua famiglia a causa mia. Perché, per colpa mia, lui non era morto con loro >>. Il suo cuore era straziato, e i suoi occhi devastati dalle lacrime. Paolo era veramente distrutto per quella situazione. << Odiava il mio modo di essere, la mia natura. Lo disgustavo. Quelle pagine erano piene del suo odio per me, e per quello che sono. Mi sono sentito pugnalare al petto, all’altezza del cuore >>. Ormai la sua voce era stravolta dal pianto. Sofferente e distrutta. Dal canto mio, non potevo credere a quelle parole. Ianto, quel ragazzo dolce e spiritoso, in verità era tutt’altra persona. Uno strano campanello nella mia mente squillò. ‘Non è come sembra’, mi urlò il mio cervello.
<< Sei sicuro di aver letto bene? >>, domandai disperata. Da un lato c’era la consapevolezza che le parole di Paolo rivelassero il vero Ianto, dall’altra la sensazione che tutto quello era sbagliato.
<< Si. So quello che ho letto >>, confermò il ragazzo calmandosi, ma mandando me in agitazione. << Nella mia vita ho perso tutti quelli che mi erano accanto, ma almeno avevo Ignazio. Ma sapere che lui mi odia, mi ha fatto capire che sono solo al mondo, e che nessuno mi ama >>, dichiarò mestamente Paolo abbassando lo sguardo.
Provai una forte empatia verso quel ragazzo. Per tutta la mia esistenza, mi ero sentita come Paolo. Odiata e rifiutata da tutti. Ma poi era arrivato mio marito, e il sole era entrato nella mia vita. Poggiai dolcemente una mano sulla sua, e lo invitai a guardarmi.
<< Non sei solo. Nessuno è mai solo. Anche quando credi che tutto sia finito, che non c’è anima viva che voglia averti al tuo fianco, ecco che appare qualcuno pronto a sostenerti sempre >>, gli sorrisi dolcemente. << Le cose migliori arrivano, non quando meno te le aspetti, ma quando meno credi di meritarle. Quando non vuoi neanche cercarle, perché pensi di non averne il diritto. Credimi, tu non sei e mai sarai solo >>
<< Davvero? >>, sussurrò speranzoso il ragazzo, dopo qualche secondo di silenzio.
<< Davvero >>, annuì con decisione.
Paolo mi fissò con i suoi immensi occhi nocciola, dolcemente. Poi mi sorrise, felice e fiducioso in un futuro migliore. Sembrava illuminare il mondo intero. Ero davvero contenta di poter ammirare quella luce, e restarne quasi abbagliata. Ad un certo punto squillò il mio cellulare. Mi alzai per prenderlo, e notai un numero sconosciuto.
<< Pronto? >>, chiesi titubante.
<< Lui è li? >>, domandò una voce fredda che riconobbi all’istante.
<< Buongiorno anche a te Ianto. Dormito bene? >>, chiesi sarcastica.
<< Prof, rispondi alla domanda >>, continuò lui con fermezza. Capì subito che quella freddezza, celava una forte preoccupazione. Voleva sapere come stava Paolo.
<< Si è qui. Adesso sta bene >>. Nel frattempo il ragazzo in questione, si agitò sulla sedia. Era anche lui spaventato da quella situazione. Ed io, per stare dietro a quei due mocciosi, sarei uscita fuori di testa. Me lo sentivo.
<< Bene >>, rispose velocemente Ianto.
<< Come hai avuto il mio numero? >>, domandai incuriosita. Sapevo di non averglielo mai dato.
<< Era nella rubrica di Paolo. Mi spieghi perché lui ha il tuo numero, ed io no? Sono offeso e geloso >>, dichiarò contrariato il ragazzo.
<< Perché tu sei uno stalker, Paolo invece no >>, affermai tranquillamente.
<< Ora sono offeso, geloso ed arrabbiato >>, esclamò Ianto.
<< Sopravvivremo tutti >>, risposi con indifferenza.
<< Lui… >>, iniziò nuovamente Ianto con incertezza. << …ha provato di nuovo a…? >>, ma non riuscì a finire la frase.
<< No >>, risposi immediatamente.
<< Meno male >>, sospirò rincuorato.
Capì subito che in tutta quella storia doveva esserci un malinteso. Nessun essere umano che odia qualcun altro, si informerebbe per sapere come sta la persona che disprezza. Tanto meno essere felice nell’apprendere che stava bene.
<< Appena finita la lezione, tu e lui vi fermata in aula. Dobbiamo parlare. E porta il tuo diario >>, dichiarai improvvisamente sbalordendo sia Ianto che Paolo. Quest’ultimo mi fissò terrorizzato.
<< Cosa? Come sai del mio diario? >>, domandò sbalordito Ianto.
<< Poche chiacchiere. Fallo e basta. Ci vediamo dopo >>, e chiusi bruscamente la conversazione.
Paolo mi guardava ancora in preda all’ansia.
<< E’ ora di chiarire questa situazione >>, dichiarai risoluta.
 
 << Allora, oggi dobbiamo risolvere la faccenda. Non voglio altri spaventi come quelli di ieri sera >>, cominciai rivolgendomi ai due ragazzi. Le lezioni erano finite velocemente, e l’ora di chiarire era giunta. Paolo tremava come un pulcino, spaventato persino dalla sua stessa ombra. Ianto ostentava sicurezza e decisione, ma avevo imparato a leggergli l’anima. Dentro era irrequieto, disperato ed addolorato. La connessione che c’era tra di noi, era una cosa che ancora mi sconcertava. Mi bastava guardarlo, per capire i suoi pensieri. Non avevo ancora deciso se quella situazione mi piaceva, o mi spaventava. Ma quello non era il momento per rifletterci.
<< Io non ho fatto niente >>, affermò con decisione Ianto.
<< Non ne sarei tanto sicura >>, risposi con sarcasmo.
<< Ah davvero? E sentiamo, che avrei fatto >>, continuò il ragazzo con lo stesso tono.
<< Paolo, coraggio >>, dissi rivolgendomi al giovane rimasto silenzioso. << Digli la verità >>.
Quest’ultimo teneva lo sguardo fisso a terra, timoroso anche solo di respirare. Sapevo che stava lottando con tutte le sue forze, per riuscire ad aprirsi, ma sembrava stesse perdendo.
<< Tsè, non hai neanche il coraggio di guardarmi. Sei patetico >>, dichiarò beffardo Ianto.
Mi voltai inferocita verso la sua direzione. Ero allibita da tale atteggiamento. Specie perché lui, in verità, era veramente preoccupato per quella situazione.
<< Ehi, finiscila. Non sei autorizzato a rivolgerti così verso Paolo >>
<< Ma finiamola. Guardalo >>, dichiarò il ragazzo fissando quasi con disgusto il giovane che gli era accanto. << Con questo suo modo di fare spaurito, da cane bastonato. Cerca di attirarsi la pietà di tutti, ma in verità è un’ipocrita, bastardo >>, le sue parole erano fredde e sprezzanti. Paolo, dal canto suo, ascoltava silenzioso quelle affermazioni. Ma lo vedevo tremare dalla rabbia. << Che parla tanto, ma che in verità prende in giro solo chi gli è attorno. Pensa solo a se stesso, e non ha paura di tradirti. È uno schifoso, idiota, menefreghista e infame. Ti pugnala alle spalle, e poi cerca di rimediare attirando l’attenzione su di se. Perché non può permettersi di perdere il suo pubblico… >>, ma non continuò quella sua lunga lista di insulti perché Paolo si alzò con velocità dalla sedia, lo raggiunse, e gli diede un pugno.
Ero sconvolta. Non solo per le parole di Ianto, ma anche per quel gesto disperato di Paolo. Sembrava essere stato trafitto da mille aghi. Il giovane dagli occhi di ghiaccio non si scompose minimamente. Era come se tutta quella storia non lo toccasse minimamente. Anche il pugno, sembrava come se non l’avesse preso lui.
<< Ora.Basta. >>, sillabò con ferocia Paolo.
<< Adesso mostri le palle, eh? >>, domandò beffardo Ianto.
<< Non puoi parlarmi proprio tu cosi. Tu, che mi hai pugnalato alle spalle >>, continuò il giovane stringendo i pugni e fronteggiando l’amico.
<< Ancora con questa storia? >>, domandò il ragazzo dagli occhi di ghiaccio sarcastico. Nel frattempo si era alzato anche lui. << Vedi, è proprio di questo che sto parlando. Tu ti inventi le cose, così da poter rigirare la frittata, e far sembrare che sei la povera vittima >>
<< Io non rigiro proprio nulla. Dico solo la verità >>, rispose con ira Paolo, offeso da tutti quegli insulti.
<< Si, la verità che il tuo cervello distolto ha plasmato, per farti sembrare migliore di chi ti sta accanto >>, esclamò furioso Ianto. La situazione stava degenerando.
<< Ok. Basta. Time out >>, mi intromisi mettendomi tra i due. << Tu in quell’angolo, e tu in quell’altro. Questa non è la gara a chi ha più testosterone, o a chi caccia il miglior insulto. Chiaro? >>, domandai ai due sarcastica. Questi non mi risposero, ma continuarono a fissarsi con odio. << Allora Paolo, dici le cose come stanno >>, incitai il ragazzo.
<< La verità? >>, disse con stizza il ragazzo. << E’ che ho scoperto cosa tu pensi di me. Poi sarei io l’ipocrita. Tu, quello che diceva che eravamo migliori amici. Sei un bastardo >>
<< Io ipocrita? Questa è bella >>, affermò  sdegnoso Ianto. << Io non ho fatto nulla. Sono stato sempre coerente >>
<< Oh, certo. L’unica cosa coerente che hai detto, è stata il giorno dei funerali dei tuoi >>, urlò Paolo.
<< Ehi, bada a come parli. E poi che diavolo centrano i miei genitori? >>
<< Non prendermi in giro. Ti credevo mio amico >>, continuò il ragazzo dagli occhi nocciola.
<< Potrei dirti la stessa cosa. Chi tra i due ha cominciato ad odiarmi ingiustamente, e poi ha tentato di suicidarsi lasciandomi qui da solo, eh? Sentiamo >>, domandò Ianto con sarcasmo, ma anche collera.
<< Io ti avrei lasciato solo? Sei tu quello che mi ha lasciato. Sono io quello solo >>, ribatté Paolo con forza.
<< BASTA >>, urlai disperata. Non ne potevo più. Stavo uscendo fuori di testa per via di quella situazione. << Adesso voi due vi calmate. E cercate di stare in silenzio >>, dissi vedendo i due provare a ribattere. << La questione è molto semplice. Banale se permettete. Vi rendete conto che voi due vi state dicendo le stesse cose? >>, domandai sgomenta. Sembrava che nessuno di loro capisse come stavano le cose. Ma io si. Quei due ragazzi si volevano bene, e portavano l’altro in un posto speciale del cuore. E pensare di essersi persi a vicenda, li feriva quasi mortalmente. Sorrisi sconcertata. Se non fossi stata coinvolta anche io in quella storia, probabilmente l’avrei ritenuta surreale.
<< Che vuoi dire? >>, domandò con stizza Ianto.
<< Sto dicendo che voi due vi sentite offesi per l’atteggiamento dell’altro nello stesso modo. E questo vuol dire solo una cosa >>
<< Che siamo due folli psicopatici? >>, domandò ironico Paolo.
<< No, anche se è la verità >>, constatai irritata per la loro mancanza di perspicacia. << Significa che, in realtà, vi volete bene. E che l’uno ritiene l’altro speciale, e risiedete nel cuore dell’altro in un posto unico. Voi siete ancora legati >>, dissi con ovvietà.
I due mi fissarono stupiti, poi si guardarono a vicenda, sconvolti dalla verità che gli stavo dando. Si scrutarono silenziosi, attenti a captare anche il più piccolo cenno dell’altro. Sbuffai nuovamente, per la loro diffidenza. << Paolo, puoi dire gentilmente perché tu ritieni di essere stato preso in giro da questa gran testa di mulo >>, dissi irritata.
<< Ehi >>, rispose offeso Ianto, ma lo ignorai. Paolo mi fissò leggermente preoccupato, poi abbassò il capo e sospirò.
<< Ho letto il tuo diario >>, confessò imbronciato.
<< Tu hai fatto cosa? >>, domandò l’altro seriamente furioso.
<< E’ stato un’incidente ok? Ho urtato per sbaglio la tua scrivania ed è caduto. Ma il punto non è questo >>
<< E quale sarebbe? Te, che non ti fai gli affaracci tuoi? >>, domandò Ianto sarcastico.
<< No. Sapere cosa pensi di me. Leggere su quella carta, con inchiostro indelebile, quanto tu mi disprezzi >>, dichiarò, tra improvvise lacrime, Paolo. il solo pensare a ciò che aveva letto, lo distruggeva.
<< Aspetta, cosa? Leggere che? >>, domandò perplesso Ianto.
<< Non fare il finto tonto. Non puoi negare l’evidenza >>
<< No, invece. Io non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo >>, continuò il ragazzo sempre più sconcertato.
<< Ianto >>, dissi con forza richiamando l’attenzione del giovane su di me. << Di a Paolo perché lo ritieni un bastardo ipocrita >>. Il ragazzo mi fissò, insicuro. Non voleva aprire il suo cuore. Non era pronto. << Forza >>, lo incoraggiai sorridendogli. Ianto mi guardò nuovamente, poi sospirò.
<< Oltre al suo atteggiamento assurdo di ieri e di oggi, quello che più mi ha ferito è stato sapere che… >>, si bloccò cercando di trovare il coraggio. Abbassò anche lui lo sguardo. << …sapere che aveva intenzione di lasciarmi >>
<< Cosa? >>, domandò esterrefatto Paolo.
<< Si. Sapere che volevi andartene e lasciarmi qui. Che per te era così facile prendere, e voltarmi le spalle. Questo mi ha ferito tantissimo >>, continuò il giovane con tristezza.
I due si fissarono nuovamente silenziosi. Io sorrisi divertita. Stavamo arrivando alla svolta decisiva. Capì subito di essere di troppo così, muta e leggera, uscì dall’aula senza disturbarli, ma non mi allontanai. Al contrario mi appoggia allo stipite della porta, e li osservai.
<< Mi stai prendendo in giro >>, disse Paolo.
<< No, non lo sto facendo >>
<< Invece si. Io l’ho letto >>, continuò imperterrito il giovane.
<< AHH, dannazione. Si può sapere di cosa stai parlando? >>, urlò disperato Ianto.
<< Delle ultime pagine che hai scritto >>, confessò tra le lacrime Paolo. << Quelle in cui dici di odiarmi, di non volermi accanto, e che sono solo un peso >>
<< Cosa? >>, domandò sbigottito il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Non mentire. Io so che mi odi. Specie perché è colpa mia se tu sei vivo, invece che essere morto come i tuoi genitori >>, continuò il ragazzo, mostrando tutto il suo dolore e la sua sofferenza. << Sapere che ti disgusto come persona. Che ti fa schifo ogni cosa di me, anche il mio essere gay. Io ho perso tutti. La mia famiglia, i tuoi genitori, Roberto e adesso te. Sono rimasto solo >>, concluse Paolo sempre più disperato. Il suo volto era devastato dalle lacrime.
Volsi il mio sguardo verso Ianto, aspettando una sua reazione. Dapprima fu sconcertato, poi più passava il tempo più il suo volto si induriva. Non mi aspettavo una simile freddezza.
<< Hai letto tutte le pagine? >>, domandò con distacco.
<< Che importa >>, rispose Paolo.
<< Rispondi >>, affermò il giovane cercando di trattenersi.
<< No, va bene?! Cosa sarebbe cambiato! Non potevo sopportare di leggere altro >>
<< Tu… >>, cominciò Ianto. Poi si voltò di colpo verso il suo zaino, lo aprì con irrequietezza ed estrasse qualcosa. Quando si girò nuovamente, vidi un quaderno doppio, usurato e con le pagine ammaccate. Il diario. << Hai letto il diario, eh? Adesso ti faccio vedere >>, affermò furioso il ragazzo, e cominciò a sfogliare le pagine.
<< Che stai facendo? >>, domandò perplesso Paolo.
<< Sei arrivato qui, giusto? >>, chiese Ianto indicando un punto sul diario. L’altro non rispose, distogliendo lo sguardo. << Bene. Apri quelle stupide orecchie: “… Odio il suo modo di fare invadente, che cerca sempre di intromettersi nei miei fatti e nei miei pensieri…” >>
<< Non voglio sentire >>, dichiarò a disagio Paolo.
<< Oh invece ascolterai. Questo è interessante: “…e nei miei pensieri” >>, poi lo sguardo di Ianto mutò, e divenne dolce e gentile. << “Eppure è grazie a lui, se sono ancora vivo. Ricordo bene le parole che gli rivolsi quando ci fu il funerale dei miei genitori. Se non era per lui, io sarei morto con loro. Beh, a quell’epoca le dissi con rabbia e rancore. Ma la verità, è che io sono andato avanti solo grazie a lui, e che è vero che sono sopravvissuto solo per lui. Mi fa sentire come se non fossi solo e abbandonato. Mi sento amato, solo perché lui è accanto a me. Il suo modo di fare, la sua natura, mi mettono a disagio perché lui è così pulito e vero. Io, invece, vengo attraversato costantemente da sentimenti di odio e pensieri molto bui, ed ho quasi paura di sporcarlo. Di poterlo contaminare con il mio sudiciume. Ma so che, se lui è al mio fianco, non dovrò temere mai nulla. E’ come la candela durante il blackout, che ti guida durante il tuo cammino, aspettando pazientemente insieme a te che ritorni la luce. La mia vita la devo a lui, e spero che lui non mi lasci mai” >>, finì di leggere chiudendo il diario.
Sia io che Paolo eravamo senza parole. Pensieri così belli e così profondi non avrei mai pensato di udirli. Ianto amava davvero l’amico, e non avrebbe mai permesso che questo lasciasse il suo fianco. Paolo, dal canto suo, piangeva silenzioso. Era esterrefatto da ciò che aveva udito, e sembrava che dovesse ancora assimilare quelle parole. Ianto si avvicinò lentamente all’amico, poi lo abbracciò con forza.
<< Non ti ho mai odiato. E non ho mai pensato che fosse colpa tua se io soffrivo per la perdita della mia famiglia. Non te l’ho mai detto o dimostrato in questi ultimi anni, ma è la verità. E ti chiedo scusa se in passato mi sono comportato da vero stronzo, ma da adesso le cose cambieranno. Te lo prometto >>, dichiarò il giovane tra i capelli di Paolo.
<< Io… non ci credo… Ignazio, tu… >>, cominciò il ragazzo, ma fu prontamente bloccato dall’amico che lo scostò leggermente per poterlo guardare negli occhi.
<< Ehi, io sono Ianto, l’hai dimenticato? >>, disse sorridendogli.
In quel momento, Paolo si illuminò. Era felice come non mai, lo si capiva guardandolo solamente. Sapere di appartenere ancora all’amico, e di risiedere in un posto speciale del suo cuore, lo rendeva euforico e gioioso.
<< Davvero? >>, chiese speranzoso.
<< Certo. E non osare mai più dire che ti odio o ti trovo disgustoso perché sei gay. Tu per me sarai sempre Paolo, che ti piaccia o no. Chiaro? >>, dichiarò con fermezza Ianto.
L’amico lo guardò commosso, poi l’abbracciò stretto, quasi come se necessitasse di lui per poter respirare. Guardai sinceramente toccata quella scena. Sorridevo come un’idiota, ma ero felice. Era bello vedere come l’amore e l’amicizia trionfassero sempre. E che a dispetto dei problemi e delle incomprensioni, esse sopravvivessero per tutta la vita.
<< Ho paura, però, che dovrò allontanarmi da te, per un po’ >>, dichiarò dopo qualche attimo Ianto.
<< Perché? >>, domandò spaurito Paolo. L’idea di allontanarsi dall’amico lo terrorizzava.
<< Vorrei poterti stare accanto, ma se la mia presenza dovesse solo farti soffrire, allora mi sacrificherei per il tuo bene >>, continuò mestamente il ragazzo.
<< Ianto, che diavolo stai blaterando? >>
<< Sei innamorato di me, no? >>, disse Ianto con leggero imbarazzo. Paolo si scostò dall’amico, e arrossì violentemente.
<< No, ma che cavolo vai dicendo. Assolutamente no >>, affermò il ragazzo con veemenza.
<< Che? >>, chiese perplesso Ianto.
<< Non sono innamorato di te. Tu sei il mio migliore amico, sei importante, ma fine. Niente di più >>, dichiarò Paolo con dolcezza.
<< Ma quando mi dicesti che eri innamorato… >>, cominciò l’amico ancora dubbioso.
<< Mi riferivo ad un altro >>, si affrettò a rispondere il ragazzo arrossendo nuovamente.
<< Ahhh, ora capisco. E non mi dirai chi è vero? >>, domandò con fare cospiratorio.
<< No >>
<< Va beh, che una certa idea me la sono fatta >>, disse divertito Ianto.
<< Finiscila >>, rispose Paolo dandogli un buffetto.
<< Ehi >>, lo richiamò il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
<< Cosa? >>
<< Saremo amici per sempre >>, disse con dolcezza Ianto.
<< Promesso? Per sempre? Anche con i tuoni, fulmini e saette? >>, sussurrò tra le lacrime il giovane.
I due non risposero, ma si sorrisero a vicenda. Li guardai non capendo bene la situazione. In verità c’erano parecchie cose che non capivo di quella strana conversazione. Però ero ugualmente felice.
<< Promesso >>, sussurrò qualcuno vicino.
Mi voltai verso la mia sinistra e vidi che, dalla seconda entrata dell’aula, un ragazzo stava fissando con malinconia i due giovani presenti nella stanza. Roberto Storti era li, immobile, perso nei suoi ricordi. Lo fissai perplessa, rendendomi conto che la parola appena pronunciata, era una risposta alla domanda fatta da Paolo. Ma c’erano troppe cose che non sapevo, e non capivo il perché della presenza del ragazzo li, o se era lui il Roberto che Paolo prima aveva nominato. Il ragazzo, sentendosi osservato, si voltò lentamente verso di me. Ci fissammo negli occhi, in silenzio, senza avvicinarci o muoverci minimamente. Poi il giovane mi sorrise con tristezza, e si allontanò nel corridoio con la schiena ricurva, e un dolore silenzioso che portava nel petto. Ora si che ero confusa.



Buonasera a tutti gente XD... ben ritrovati con un nuovo capitolo di "Eppure mi ha cambiato la vita"... non mi dilungherò molto con i commenti, perchè il capitolo è già abbastanza lunghetto...dico solo che è stato davvero difficile scriverlo, ma è stato anche bello... mi è piaciuto veramente tanto, e spero che concordiate con me... lo dedico a tutti quelli che hanno una/un migliore amica/o speciale che portano nel cuore...
Ringrazio chi segure la storia e chi la recensisce sorpattutto, perchè mi fanno capire che sto facendo un buon lavoro... grazie mille, gente, come sempre senza di voi non potrei fare nulla XD... ringrazio anche coloro che leggono semplicemente la storia, con la speranza che in futuro potranno trovarla di loro gusto...
Ci vediamo a martedi prossimo, con un nuovo capitolo... Un bacio a tutti... Ciauuuu
Moon9292


"Eravamo inseparabili. Alcuni ci chiamavano i tre moshettieri. Mio padre, invece, il trio combinaguai"

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Capitolo 8
*** Un trio combinaguai ***


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Capitolo 8 - Un trio combinaguai


Erano le otto e mezza di sera. Quella giornata era stata decisamente stancante. In verità, gli ultimi giorni era stati tutti sfiancanti. Prima la storia di Ianto, lui che non mi rivolgeva più la parola, la discoteca. Il parlarsi, e il chiarirsi. Confessare i propri dolori. Poi Paolo. Il suo comportamento strano, l’odio profondo nei confronti dell’amico. Il suo tentato suicidio. Ed infine, il chiarimento toccante e commovente di quella mattina. Si, decisamente questi ultimi giorni avevano prosciugato tutte le mie energie. Ora capivo appieno le parole del preside il giorno del colloquio. Una classe difficoltosa, piena di problemi, con soggetti al limite del patologico. Quei ragazzi avevano bisogno di una guida, e quel pazzo di uomo messo a capo di un complesso scolastico incredibilmente ampio, aveva decretato che io dovessi assumere quel ruolo. Ma era fuori di testa o cosa? Io, che avevo già i miei problemi da risolvere, ero stata mandata in una classe simile. Doveva spiegarmi come aveva potuto pensare che una come me, avrebbe potuto aiutare quei ragazzi. Cosa ci aveva visto di buono in me? A mala pena ero riuscita a sopravvivere, quando mio marito era morto. Anzi, neanche quello. Ero semplicemente scappata da quel dolore e quella sofferenza. Non l’avevo affrontato, e adesso i fantasmi di quella perdita mi perseguitavano ancora. Quello era stato uno dei motivi per cui avevo accettato di andarmene via da casa mia, e diventare per un po’ insegnante. Questo, ed un serie di circostanze che mi avevano fatto comprendere che, se non avessi risolto il mio problema, probabilmente sarei impazzita del tutto. Ma continuare ad indugiare su questi ragionamenti, non avrebbe fatto altro che farmi soffrire ancora di più. Anzi, il dolore era già pronto ad agguantarmi. Attendevo con paura di essere aggredita, ma questo non accadde. Come era possibile? Solitamente, pensare a mio marito non faceva altro che crearmi dolore e pena. Invece, questa volta, non avvenne il solito. Sentivo sofferenza, certo, ma molto più lieve. Quasi sopportabile. Cominciai a riflettere su quale motivo potesse esserci per questa mia nuova forza e consapevolezza. Improvvisamente una piccola luce nella mia mente si aprì, ed un ricordo venne a galla. O meglio, una frase pronunciata negli ultimi giorni di vita di mio marito.
“ Promettimi che, se un giorno il mio ricordo dovesse pesarti troppo, tu mi dimenticherai”
Che stessi cominciando a … dimenticare?
No, non era possibile. Non poteva veramente succedere questo. Il panico mi prese. Non potevo dimenticare. Non ero ancora pronta ad andare avanti. Avevo troppa paura. Io mi ero promessa che non lo avrei mai fatto. Che non l’avrei mai lasciato andare. Eppure qualcosa di nuovo stava accadendo, ed io non sapevo cosa. Come un flash, nella mia mente, apparve un’immagine. Un ragazzo di diciassette anni, sorridente, che mi fissa con occhi di ghiaccio, divertiti e gioiosi. Ianto. Scattai di colpo, alzandomi dal divano dove ero seduta. Non poteva essere. Non potevo credere che quel moccioso impertinente di Ianto, avesse sconvolto a tal punto la mia vita. Certo, ero molto presa da lui. Volevo aiutarlo, e vederlo felice. Ma non potevo credere che quel ragazzino fosse entrato in me così tanto. Che si fosse scavato con la forza un posto nel mio cuore, così profondo, da stravolgere i miei sentimenti più intimi. Non volevo questo. Non potevo permettere che questo accadesse. Mi sedetti nuovamente sul divano, pronta ad affogare quelle nuove consapevolezze, quando ad un certo punto bussarono alla porta. Mi alzai, incuriosita e mi diressi all’entrata. Quando l’aprì trovai davanti a me l’oggetto dei mie dubbi e delle mie ansie.
<< AHHH >>, urlai dallo spavento. Chiusi la porta, quasi sbattendogliela in faccia. Non ero pronta ad affrontare quel ragazzo.
<< Ehm, prof, ti senti bene? >>, mi domandò Ianto dall’altro lato della porta, perplesso.
<< Si >>, risposi in preda al panico. << Che vuoi? Che diavolo ci fai tu qui? >>, domandai acidamente.
<< Se apri, forse te lo spiego. Lo sai, sei veramente strana >>, disse lui divertito.
<< Io non sono strana! >>, esclamai infervorata, ma continuando a restare appoggiata alla porta, quasi come se la stessi bloccando per evitare che lui la sfondasse.
<< Non ne sono tanto convinto. Lo sai vero, che mi hai urlato in faccia e mi hai chiuso qua fuori? >>, domandò sarcastico lui.
<< Certo che lo so. Non sono stupida >>, affermai con decisione.
<< E allora mi spieghi perché lo hai fatto? E soprattutto, perché continuo a stare qua fuori? Comincio ad avere freddo >>, chiese Ianto sempre più ironico e perplesso.
<< Problemi tuoi. Non dovresti essere con Paolo a godervi la vostra rinata amicizia? >>
<< Sono stato con Paolo fino ad ora. Prof, mi si stanno ghiacciando le chiappe. Che vogliamo fare? Restiamo così e parliamo con la porta di mezzo, oppure ti decidi ad aprirla e a farmi entrare? >>, sbuffò il ragazzo dall’altra parte.
<< Ehm, posso avere qualche minuto per rifletterci? >>, chiesi cercando di prendere tempo.
<< Ma certo. Fai con comodo. Tanto qui quello strambo sono io. Sai, i vicini cominciano a fissarmi in modo ambiguo. Sarà perché sto parlando con una porta? >>, disse sarcasticamente Ianto.
<< Beh, se parli da solo è ovvio che tu sia ritenuto pazzo >>, esclamai cercando di deviare il discorso. Pessima scelta di parole.
<< Chi è più strano? Quello che sta parlando con una porta, sapendo che dall’altra parte c’è qualcuno che mi ascolta e mi risponde, o quello che sta dall’altra parte che mi parla e mi risponde, ma si ostina a non volermi fare entrare? >>
<< Touché >>, colpita e affondata.
<< Touché un corno. Apri e fammi entrare >>, affermò con decisione Ianto.
<< Non ci ho ancora riflettuto adeguatamente >>, cominciai con voce tremolante. Non ero pronta ad affrontarlo, specie per i pensieri su cui stavo rimuginando prima. Com’era possibile che quel ragazzo fosse venuto da me, proprio nel momento in cui avevo maggior bisogno di risposte? Che fosse stato il destino? No, non credo. Anche perché io non penso che il destino esista. È più una questione di coincidenze. O almeno è quello che ho sempre pensato. Prima di incontrare Ianto.
<< Direi che tu abbia aspettato anche troppo. Prima che sfondi la porta, fammi entrare >>, dichiarò con fermezza il ragazzo.
<< Sei un bruto, presuntuoso e violento >>, esclamai infantilmente. Mi resi conto che, da quando ero arrivata a Roma e in quella scuola, il mio lato infantile era spuntato fuori molto spesso.
<< Certo, mia dolce e delicata principessa. Ma se vuoi evitare di saggiare la mia potenza immensa, ti consiglio di farmi entrare >>, minacciò Ianto.
<< Non è un buon modo per convincere le persone, questo, sai? Prova a cambiare atteggiamento >>, continuai sulla linea di prima. Prendere tempo era la mia specialità.
<< Prof! Fammi entrare! >>, affermò con forza e decisione Ianto.
Capì che non potevo fare diversamente. Pronta o no, dovevo farlo entrare. Ed io non ero decisamente pronta. Ma, con un nodo in gola, e le mani tremolanti, mi forzai ad aprire la porta. Quando la spalancai, trovai uno Ianto decisamente scocciato, fissarmi con un’intensità tale da farmi sciogliere all’istante. Abbassai lo sguardo, impreparata per quei sentimenti, e mi spostai di lato per farlo entrare. Cosa diavolo mi prendeva? Farmi intimorire in quel modo da un moccioso come lui. Come potevo essere diventata così patetica. Ianto entrò in casa e andò dritto verso la penisola della cucina. Era stato in casa mia solo una volta, ma si comportava come se la frequentasse abitudinariamente. Chiusi la porta d’ingresso, e mi diressi anche io verso la penisola. Solo allora notai un’enorme teglia di pizza portata dal ragazzo. lo guardai confusa. Come faceva a sapere che io amavo la pizza?
<< Allora, che momento di follia era quello? Soffri di disturbi bipolari, o cosa? >>, domandò leggermente divertito e leggermente irritato il ragazzo.
<< Nessun momento di follia. Come mai hai portato la pizza? >>, chiesi ignorando la sua battuta.
<< Perché? Ti disturba? >>, rispose Ianto aprendo il cartone e mostrando una meravigliosa pizza, metà margherita e metà bianca con patatine e wurstel.  Le mie preferite.
<< Ti dispiacerebbe rispondere? Sai, odio quando la gente ignora le mie domande >>, dissi inacidita.
<< Senti chi parla. Tu ignori sempre ciò che dico >>, ribatté ironico il ragazzo.
<< Questo perché le tue domande sono fuori luogo e illogiche >>
<< A me sembrano invece perspicaci e intelligenti >>
<< Modesto >>, dissi sarcasticamente.
<< Sempre. Non lo sai che sono un modello di virtù e umiltà? >>, domandò ironico e divertito Ianto.
<< Come no. Un modello da imitare. Se vogliamo fuorviare i poveri ragazzini >>, lo presi in giro sedendomi sullo sgabello.
<< Potrei offendermi di queste parole, sai? >>, rispose fintamente ferito il ragazzo.
<< Convivremo tutti con questo dolore. Allora mi vuoi spiegare una buona volta che diavolo ci fa una pizza gigante sul ripiano della mia cucina? >>, domandai stanca e leggermente irritata.
<< Avevo fame >>, disse Ianto con naturalezza.
<< Come scusa? Cioè, tu hai una mensa da cui trarre tutto il nutrimento necessario, e invece vieni qui a disturbare? >>, chiesi stupita.
<< Molto gentile da parte tua. Si, veramente delicata. Come un fucile infilato in gola. O come tre dita messe su per il rett… >>, ma non lo lasciai finire di parlare.
<< Si, abbiamo capito il concetto >>, affermai infastidita.
<< Comunque, avevo fame. Oggi a pranzo non ho mangiato, come sai bene. E la mensa, non da tutto quel nutrimento che tu dici. Anzi, se vuoi continuare a vivere, è meglio non andarci li. Mi domando come mai, con tutti i soldi che diamo alla scuola, il vecchio non si decide ad assumere un cuoco migliore >>, domandò beffardo Ianto.
<< Beh, in effetti >>, concordai a malincuore con lui.
<< Comunque sono qui, anche perché volevo stare un po’ con te >>, ammise senza nessun disagio il ragazzo. Io, invece, dal canto mio, diventai rossa come un pomodoro. Come poteva dire cose così imbarazzanti, senza battere ciglio? Davvero non capivo.
<< E come mai volevi stare con me? >>. Ecco, perfetto. Mi scavavo la fossa da sola.
<< Volevi ringraziarti >>, disse invece lui sorprendendomi.
<< Di cosa? >>, domandai sinceramente perplessa.
<< Di oggi, e di quello che hai fatto per me e per Paolo >>, rispose lui con tranquillità fissandomi negli occhi.
<< Non ho fatto nulla. Si potrebbe dire che ve la siete suonata e cantata da soli >>, affermai divertita.
<< Si, in effetti abbiamo combinato un gran bel casino >>, confermò Ianto.
<< Casino è un eufemismo. Diciamo che stavamo sfiorando la tragedia. Ed è tutta colpa tua >>, dichiarai con decisione.
<< Colpa mia? Che ho fatto >>, domandò sbigottito Ianto.
<< Se tu non avessi scritto quelle parole, e non ti fossi comportato da stronzo con Paolo, tutto questo non sarebbe mai successo >>, dissi con ovvietà.
<< Non è colpa mia se quell’idiota non si fa i fatti suoi, e poi non finisce di leggere le cose una volta cominciato. Se lui avesse letto tutto, non saremmo arrivati al bel volo dell’angelo che voleva fare >>, affermò con decisione il ragazzo.
<< Sarà, ma io continuo a sostenere che la colpa è tutta tua. Non dovevi comportarti male con lui >>, dichiarai con fermezza.
<< Avrò sbagliato gli atteggiamenti nei suoi confronti, ma d’altro canto avevo le mie buone ragioni. Insomma, ero orfano! >>, disse Ianto con ovvietà.
<< E tu pensi che sia una scusa? Non cercare di pararti il culo, amico. Questa non è una buona ragione per cambiare atteggiamento nei confronti di chi si vuole bene. Se cambia il tuo carattere, è ok. Ma non si può lasciare che un avvenimento della tua vita, sconvolga te e chi ti circonda. Devi essere forte, ed affrontare le cose di petto >>, esclamai con veemenza. Quel discorso era rivolto a me, lo sapevo bene. Perché io, come Ianto, dopo quello che mi era capitato, avevo completamente cambiato il mio modo di agire e di pensare. Non perché in me si era maturato effettivamente tale cambiamento, ma semplicemente perché così era molto più facile affrontare la vita. E questo mi faceva capire solo una cosa: che ero una vera e propria codarda.
<< Va bene. Fine della morale. Ho capito, ho chiesto scusa, e sto cambiando. O meglio sto tornando ad essere il vecchio me. E il vecchio me ha fame e vuole mangiare la pizza. Che ne pensi? >>, disse divertito Ianto. Sorrisi, ed annui. Anche io avevo fame. Prendemmo il cartone, e ci dirigemmo verso il divano, pronti a divorare la teglia in pochi minuti, e a comportarci quasi come dei maiali. Mentre addentavo un pezzo di pizza con i wurstel, cominciai a parlare.
<< Ianto, posso chiederti una cosa? >>
<< Certo >>, annui lui prendendo il quarto pezzo di pizza.
<< Prima di tutto: perché hai i capelli bagnati? >>, chiesi notando solo ora la sua chioma del colore del miele, umidiccia e con alcune ciocche di capelli attaccate alla fronte.
<< Oh, perché sono andato a nuotare >>, rispose lui con tranquillità.
<< Come? >>, dissi esterrefatta. Ricordavo perfettamente quando Paolo mi aveva detto che Ianto non nuotava più da quando i genitori erano morti.
<< Ti stupisce così tanto? >>, rispose ironico.
<< Si, decisamente mi stupisce. Paolo aveva detto che tu non nuotavi più >>, dichiarai confusa.
<< Paolo, eh? Non si fa mai gli affaracci suoi >>, sbuffò Ianto.
<< Mi spiegheresti gentilmente >>, lo incitai infastidita. Odiavo quando la gente creava della suspense. Era inutile e frivola.
<< Ok, questa è la storia. Mia madre mi aveva iscritto a nuoto da che ero molto piccolo. Diceva che era uno sport completo e salutare. In più ti insegnava sia a stare in gruppo, che a sapertela cavare da solo >>, affermò Ianto con tranquillità. Non potevo ancora credere che quel ragazzo, una volta così restio a parlare del proprio passato e della propria famiglia, adesso potesse intraprendere un discorso nominando i genitori senza sofferenza.
<< Tua madre era veramente intelligente e saggia >>, dissi riconfermando la mia idea di quella donna mai conosciuta.
<< Vero, ma questo l’hai già detto. Comunque, sta di fatto che mi appassionai al nuoto, arrivando a praticarlo agonisticamente in poco tempo. Poi, dopo la morte dei miei genitori, ogni cosa aveva perso di significato ed importanza. Non volevo più fare niente, e pensare più a niente. Mi importava solo di coltivare in me il dolore della perdita, e non badavo più a nulla. Ovviamente questo riguardava anche il nuoto >>, disse con leggera enfasi. I ricordi di quel periodo, di quel vuoto totale, del nulla, lo facevano soffrire ancora. Era difficile accettare il fatto di essere stati deboli, e di aver ceduto allo sconforto. E io potevo capirlo più di tutti. << Comunque abbandonai la squadra. Fino ad ora non pensavo che sarei ritornato a nuotare, invece dopo aver parlato con te, tutto ciò che pensavo e sentivo, è stato stravolto. Grazie prof, tu mi hai salvato >>, affermò con  trasporto e dolcezza Ianto, guardandomi negli occhi. Io arrossi, imbarazzata da quelle parole. Come poteva essere così tenero e carino? Ed io come potevo resistere a quei meravigliosi occhi di ghiaccio? Semplicemente, non potevo.
<< Non ho fatto nulla >>, dissi con voce tremolante.
<< No invece. Tu hai fatto tutto. Se non era per te, a quest’ora sarei in una discoteca, ubriaco a provarci con la ragazza di qualcun altro. Paolo sarebbe sotto terra, morto stecchito, e la mia vita sarebbe più miserabile di come lo era >>, esclamò con decisione il ragazzo. Non risposi, optando per un silenzio timido e sincero. Alle volte era meglio restare così, muti, fissandosi negli occhi, invece di dire parole inutili e fuori luogo. In questo modo, concetti difficili a parole, si sarebbero trasmessi solo con la forza dello sguardo. << Comunque dopo che tu mi hai aiutato, ho capito quanto mi mancava nuotare. Così ieri sono andato dall’allenatore, e mi sono iscritto al club di nuoto. Tutti pensavano che non ce l’avrei mai fatta, invece sono stato bravissimo. Non ho battuto il mio record personale, ma con impegno e buona volontà, ce la farò in poco tempo >>
<< Sono felice per te >>, dissi con una sincerità disarmante, da sorprendere perfino me stessa.
Ianto non rispose. Mi fissò, sorridendomi. Rimanemmo a lungo in quello stato. Occhi negli occhi. Incapaci di fare altro, se non di guardarci. Poi il ragazzo distolse lo sguardo, per la prima volta in imbarazzo, ed io feci la stessa cosa.
<< Sai … >>, riprese lui esitante. << In questi anni, io ho fatto palestra, solo perché volevo mantenermi in allenamento, e non perdere la tonicità muscolare. Per le ragazze >>, aggiunse quando non capì dove volesse arrivare a parare.
<< Ah. Il classico sciupafemmine, belloccio e palestrato, ma senza sostanza >>, lo presi in giro.
<< Già >>, annuì lui mortificato. << Non mi importava molto di ferire gli altri. Perché quello appagava il mio dolore. Pensavo: ehi, perché tu devi essere felice mentre io sto agonizzando qui, cercando disperatamente di sopravvivere? Cose così >>, si bloccò imbarazzato come non mai. Capì il motivo di tale disagio, perciò gli andai subito incontro.
<< Sai, è normale pensare a cose come questa. È giusto domandarsi “perché a me”. Non c’è niente di male >>, lo consolai.
<< Chissà. Magari hai ragione. Però, per colpa di questo “perché a me”, ho fatto male a tanta gente. Mi sento in colpa >>, dichiarò lui mestamente.
<< E’ vero, ti sei comportato male. E non era giusto nei confronti di quelle persone. Però non sei da biasimare. Hai agito come un normale essere umano. E l’importante, ora, è che tu abbia compreso i tuoi sbagli, e che cerchi di rimediare. Questo è ciò che conta >>, dissi con sincerità, senza mezzi termini.
Ianto mi guardò, cercando di leggermi dentro. Sperava che io pensassi sul serio quelle parole. Come se la sua vita dipendesse da questo. Poi sorrise, felice.
<< Sai, dici sempre le cose giuste. Sei veramente un mito, prof >>, affermò con gioia.
<< Si lo so. Modestamente, sono unica nel mio genere >>, mi pavoneggiai.
Poi entrambi scoppiammo a ridere. Era da tanto tempo che non stavo così bene. Che qualcuno riuscisse a farmi ridere in quel modo, spensierato e divertito. Mi era mancato tutto questo. Poi tornammo seri, e rimanemmo in silenzio. Non di quelli imbarazzanti, in cui non si sa cosa dire. Ma un silenzio in cui si riflette sui propri pensieri e sui propri sentimenti.
<< Alle volte… >>, cominciò Ianto con solennità. << Il nuoto mi mancava così tanto, che di nascosto, quando tutti dormivano, sgattaiolavo in piscina. Mi spogliavo e facevo poche vasche. Solo in quei momenti mi sembrava di respirare di nuovo >>, confessò sorridendomi. Poi il sorriso scomparve. << Ma dopo qualche minuto in cui nuotavo, il dolore diventava improvvisamente immenso, troppo forte. Insopportabile. Come se mille spilli stessero perforandomi la pelle, tutti contemporaneamente. In quel momento, scappavo dalla piscina, e mi rifugiavo vicino al muro, tremolante e spaventato. L’aria, che finalmente ero riuscito a respirare, scompariva. Rarefatta. Era davvero brutto affrontare quelle situazioni. Terrorizzante >>.
Lo fissai, attenta ad ogni sua parola. Stava confessando qualcosa di così intimo e personale, che qualsiasi mia affermazione sarebbe stata fuori luogo. Ianto continuò a guardare le sue mani, in cerca del coraggio. Stava cercando disperatamente di terminare quel discorso, che per lui era molto importante. Poi alzò di scatto lo sguardo, e lo puntò nel mio e, sorprendendomi, sorrise. << Dopo che sei arrivata tu, tutti quei spilli sono scomparsi. Non ho mai più avvertito la loro presenza. L’aria non ha mai più abbandonato i miei polmoni, e il coraggio di fare ciò che ho sempre amato di più, è tornato. Quando ho sostenuto il test per entrare in squadra, ero davvero spaventato all’idea di dover riprovare quel dolore così familiare, e così pericoloso. Invece… >>, si bloccò sopraffatto dalle emozioni. Non piangeva, ma era veramente felice. <<… invece quando ho messo piede in acqua ho pensato: ecco, sono a casa. Non sono mai stato così felice in vita mia. E, anche se tu negherai, tutto ciò lo devo a te. Solo, ed esclusivamente a te >>, concluse guardandomi con gioia.
Sentivo le lacrime pulsare. Volevano uscire dai miei occhi, ma glielo avrei impedito. Non era tempo di piangere. Quello era il momento di essere felici. Ed io non l’avrei rovinato. Sapere di aver portato così tanta gioia, nella vita di quel ragazzo, mi aveva reso così piena, da non avere bisogno più di altro. Che sensazione meravigliosa si prova quando la persona più importante per te, è finalmente felice grazie a te. Aspetta un momento. La persona più importante per te? Che razza di ragionamento stavo facendo. Ianto, la persona più importante per me? Dovevo essere andata in overdose da pizza, per pensare un’assurdità simile. Per forza di cose. Scossi leggermente la testa, cercando di scacciare via quel pensiero assurdo.
<< Prof, stai bene? >>, domandò Ianto vedendo i movimenti della mia testa.
<< Certo. Perché me lo chiedi? >>, dissi imbarazzata.
<< La tua testa ha cominciato a muoversi freneticamente >>, affermò con ovvietà il ragazzo.
<< Ehm, non farci caso >>, liquidai la faccenda con una scrollata di spalle. << Allora, la seconda cosa che volevo chiederti. Dunque, oggi Paolo ha cominciato a fare discorsi che non ho capito molto bene >>
<< Del tipo? >>, chiese Ianto sorseggiando un bicchiere d’acqua.
<< Del tipo… >>, cominciai afferrando l’ennesimo trancio di pizza con le patatine, e addentandolo. << Che lui era rimasto solo. Che aveva perso tutti, famiglia, i tuoi genitori e un certo Roberto. Non ci ho capito molto in verità >>
<< Che c’è da capire? >>, disse beffardo il ragazzo.
<< Ti ricordo che io qui sono nuova. Non conosco tutti i retroscena alla beautiful di questo posto >>, affermai acidamente inghiottendo la pizza.
<< Vero >>, concordò lui. << Vediamo. La storia è un po’ lunghetta, e forse dovrei cominciare dall’inizio. Dunque, sapevi che all’inizio il meraviglio due formato da me e Paolo, era un meraviglioso trio? >>, domandò divertito Ianto.
<< Cosa? Davvero? >>, dissi stupefatta.
<< Si >>
<< E che è successo al terzo? È scappato? Si è trasferito? Qualche altra storia strappalacrime che, a quanto pare, qui regnano sovrane? >>, chiesi sarcastica.
<< Come? Davvero non hai capito a chi mi sto riferendo? >>, domandò sconcertato Ianto.
<< No, Ianto. Perché dovrei saperlo >>, esclamai infastidita.
<< Haa, non ci posso credere. Che pessimo intuito che hai >>, mi sbeffeggiò lui.
<< Attento che se continui a prendermi in giro, ti ritroverai un brutto voto in pagella >>, lo minacciai.
<< Come se fosse possibile. Comunque la persona di cui sto parlando la conosci pure tu >>, affermò divertito il ragazzo.
<< Davvero? Chi è? >>, chiesi sempre più sbalordita.
<< Uhm, il terzo componente, oltre a me e Paolo, era… >>, ma non continuò. Lo guardai dubbiosa. Passarono vari minuti in cui nessuno disse nulla. Poi capì cosa stava facendo, e subito mi inacidii.
<< Stai creando suspense, vero? >>, domandai brusca.
<< Si >>, affermò vivacemente Ianto.
<< Odio la suspense >>, dissi con lo stesso tono di prima.
<< Lo immaginavo >>, continuò sempre più allegro il ragazzo.
<< Stai continuando a fare suspense >>
<< Lo so >>
<< Sto cominciando ad innervosirmi >>
<< Lo scopo è quello >>.
Quel botta e risposta, mi era mancato. E sospettavo che anche per Ianto era la stessa cosa. Forse stava cogliendo quell’opportunità per ritornare a fare una cosa solo nostra, che rendeva il nostro rapporto speciale ed unico. Dannazione! Ancora pensieri su questo ipotetico rapporto che c’era tra me e quel ragazzo. Dovevo darmi una calmata e ritornare in me. Assolutamente.
<< Potremmo finirla? >>, affermai sempre più inacidita.
<< E perché? Mi sto così divertendo >>, rispose allegro Ianto.
<< Ianto! >> esclamai con voce leggermente più alta.
<< Ah, va bene. Ho capito, cavolo. Con te non si può scherzare. Comunque ti do un indizio >>, disse sbuffando. << E’ alto, occhi verdi, capelli scuri, e secondo me soffre di narcolessia. Ora hai capito? >>
A quel punto intuì subito chi poteva essere. Ma non potevo crederci.
<< No! >>
<< Oh si >>, annuì Ianto divertito.
<< Non è possibile >>, continuai io stupefatta.
<< Invece si >>
<< Mi stai dicendo che Roberto Storti era il terzo componente del vostro gruppo? >>, domandai sbalordita.
<< Già. Strano il mondo >>, confermò lui.
<< Ma stiamo parlando della stessa persona? Quello che ha una media altissima, anche se dorme sempre? L’asociale, che non parla mai con nessuno? Lo stesso ragazzo a cui ho lanciato una caramella addosso? La stessa persona? >>, chiesi incredula.
<< Il solo ed unico >>, dichiarò il ragazzo vivacemente.
<< Ma se adesso non vi parlate >>, constatai sorpresa. Che diavolo era successo a quei ragazzi i quegli ultimi anni.
<< Beh, una volta non era così. Vedi, io, Paolo e Roberto ci siamo conosciuti all’asilo. Frequentavamo la stessa classe. Quando parlai loro per la prima volta, capì che sarebbero diventati i miei migliori amici. Così quel giorno stesso li portai a casa. E li scoprì che eravamo anche vicini di casa. Paolo abitava affianco a me, e Roberto di fronte alla casa di Paolo. Al centro tra le nostre case, come se fosse stato destino, c’era un albero grande e maestoso che arrivava con dei rami robusti alle nostre camere. Perciò, quando volevamo vederci, bastava arrampicarsi sul ramo e raggiungere la casa di uno di noi>>, rispose Ianto con sguardo malinconico e col sorriso sulle labbra. Quei tempi gli mancavano molto. << Paolo e Roberto si conoscevano da prima. Infatti tra loro c’era un rapporto speciale. Qualcosa che io non potevo assolutamente comprendere. Ma anche con me, ognuno di loro, aveva un rapporto speciale. Unico. Eravamo inseparabili. Alcuni ci chiamavano i tre moschettieri. Mio padre, invece, il trio combinaguai… >>
 
<< Mamma! MAMMA! >>, urlò Ignazio appena entrato in casa.
<< Che diavolo urli, Ignazio . Lo sai che non sono sorda >>, esclamò una donna arrivando da una delle stanze del piano terra. Alta, capelli del miele, e grandi occhi castani. Bellissima.
<< Mamma ho portato degli amici >>, affermò il bambino sorridendo alla donna, ignorando completamente l’ammonizione che gli era stata fatta.
<< Davvero? >>, chiese contenta. Guardò i due bambini, immobili dietro al figlio. Uno era alto quanto ad Ignazio, capelli scuri e dei occhi verdi. Sguardo serio ed educato, ed un’espressione gentile in volto. L’altro era leggermente più basso dei due amici. Un viso molto semplice, ma con due occhi nocciola così magnetici, da renderlo bellissimo. Era spaventato, e si nascondeva leggermente dietro all’amico.
<< Voi due avete una faccia conosciuta >>, constatò la donna scrutandoli.
<< Mamma, non disturbare i miei due nuovi amici >>, sbuffò Ignazio.
<< Signorino, bada a come parli a tua madre. Porta rispetto >>, esclamò la donna con autorità.
<< Scusa mammina >>, rispose con dolcezza il bambino. Stava provando ad arruffianarsi la madre.
<< Uhm, che lecchino di figlio che ho >>, affermò divertita la donna. Poi si abbassò al livello del figlio e lo abbracciò forte. << Ma ci stai riuscendo perfettamente >>.
Ignazio ricambiò l’abbraccio della madre, senza vergogna. Non aveva paura di mostrare l’affetto che provava verso i genitori.
<< State provando a farmi ingelosire vuoi due? Anche io voglio partecipare all’abbraccio >>, disse una terza voce maschile. Era un uomo alto, capelli neri e occhi come il ghiaccio. Impossibile non notarli, e non pensare quanto belli fossero. Arrivò con velocità da Ignazio e la madre, e li abbracciò stretti, in una morsa che non lasciava vie di fuga.
<< Papà >>, si lamentò il bambino. << Mi stai facendo male >>
<< Stupido uomo, staccati >>, ringhiò la donna verso il marito. L’uomo li lasciò, e si sedette a terra, imbronciato.
<< Cattivi. Voi non mi volete bene >>, affermò con la voce di un bambino.
<< O Santi numi. Non ho un bambino. Ne ho due >>, esclamò fintamente esasperata la donna, portandosi teatralmente una mano alla fronte.
<< Si, ma un bambinone troppo cresciuto che tu ami con tutta te stessa >>, dichiarò l’uomo con un sorriso arrogante. I due si fissarono intensamente, sorridendosi complici. Era evidente anche ad occhio estraneo che i due si amavano immensamente.
<< Dio, ma perché dovete essere sempre così sdolcinati >>, sbuffò Ignazio.
<< Giovanotto, porta rispetto alle smancerie dei tuoi genitori. Senza di queste non saresti nato >>, disse l’uomo voltandosi verso il figlio. In quel momento però ricevette un pugno sulla testa. << Ahia, tesoro. Mi hai fatto male. Che diavolo ti prende? >>, esclamò fintamente dolorante l’uomo. Non si era fatto nulla.
<< Non rivelare prima del tempo dovuto, come si fanno i bambini. Se comincia a fare domande, te la vedrai solo tu >>, affermò con rabbia la donna.
<< Ops >>, fece la linguaccia l’uomo. Poi si voltò verso il figlio e solo allora notò i due bambini, immobili, che osservavano divertiti la scenetta. << Ehilà ragazzi, salve. Voi siete? >>
<< I miei amici, papi. Ti presento Roberto e Paolo >>, disse Ignazio indicando i due.
<< Uhm, Roberto e Paolo. Avete una faccia conosciuta >>, dichiarò l’uomo pensieroso. << Tu che dici tesoro? >>
<< Anche a me sembrano familiari >>, concordò la donna. Poi dopo qualche momento, l’uomo si alzò in piedi e si diede un pugno in mano, intento a far capire che era riuscito a ricordare.
<< Ci sono. Tu sei Roberto Storti e tu Paolo Gabetti. I figli dei nostri vicini >>
<< Hai ragione >>, esclamò la donna stupita.
<< Cosicché, il ragazzo più ricco di tutto questo posto, è diventato amico dei due ragazzini più ricchi. Chi l’avrebbe mai detto >>, ragionò il padre. << Beh, benvenuti in famiglia ragazzi. Io sono Giovanni Manfredi, e questa è la mia dolce consorte, Claudia >>
<< Piacere, signori Manfredi >>, disse senza esitazione Roberto sorridendo affabilmente. Paolo invece non rispose.
<< Il piacere è tutto nostro, ragazzi. Prendetevi cura del nostro Ignazio >>
 
<< Hahaha. I tuoi genitori dovevano essere uno spasso. Avranno traumatizzato quei due >>, dissi ridendo a crepa pelle. Ianto aveva appena finito di raccontarmi l’incontro avvenuto tra la sua famiglia e i due suoi migliori amici.
<< Si, in effetti. Dopo quella presentazione, portai Paolo e Roberto in stanza, dove mi dissero che avevo una famiglia decisamente assurda >>, constatò lui.
<< Beh si. Però in fin dei conti anche loro dovevano avere dei genitori come i tuoi, no? >>, dissi ingenuamente.
<< Chi? Paolo e Roberto? Assolutamente no >>, affermò con decisione Ianto.
<< Cioè? >>
<< Cioè, che i miei genitori erano gli unici a comportarsi così. Mia madre non era di queste parti, e mio padre aveva abbandonato questo posto. Si sono conosciuti fuori da questo quartiere >>
<< Si, la conosco la storia >>, dissi tranquillamente.
<< Comunque, loro erano amorevoli e gentili. La maggior parte dei genitori qui, invece, pensa a come fare per avere più soldi, a programmare la vita dei figli in modo che siano persone di successo, non badando a loro e ai loro desideri >>, affermò con rabbia al pensiero della gente che viveva in quel posto. << I genitori di Roberto erano gentili, e simpatici. Gli volevano bene, ma non erano espansivi e comunque miravano anche loro a far diventare il figlio qualcuno di successo, badando comunque ai desideri di Roberto. I genitori di Paolo, invece, sono sempre stati calcolatori ed opportunisti. Le apparenze prima di tutto. Niente affetto, ne amore. Solo soldi, prestigio e studi. Paolo è cresciuto in un ambiente familiare rigido e conservatore. Per questo si legò profondamente prima a Roberto, poi a me, ed infine alla mia famiglia. Perché eravamo la sua ancora di salvezza >>, concluse Ianto con dolcezza.
<< Wow, non pensavo che Paolo avesse di questi problemi. Con la dolcezza che ha, pensavo fosse cresciuto in un ambiente amorevole >>, constatai stupita.
<< No, invece. Al contrario. Quella dolcezza fa parte della sua anima. È una di quelle cose che non cambierà mai >>, disse sorridendomi.
<< Poi? >>, lo spronai. << Che altro è successo? Continua >>
<< Beh, dopo quell’incontro, cominciarono le nostre avventure… >>
 
<< Ignazio, che diavolo stai facendo? >>, domandò Roberto all’amico.
<< Scendi da li, forza. Così ti farai male >>, aggiunse un Paolo in preda al panico.
Ignazio era aggrappato ad un alto ramo. Guardava la finestra di una casa, scrutando il suo interno con attenzione. Non badava quasi agli amici.
<< Ignazio, scendi subito di li! >>, urlò con forza Paolo. Sembrava una madre in preda ad un crisi isterica per colpa del bambino indisciplinato. Era sempre il più saggio e calmo di tutti, nonostante i suoi sei anni.
<< Silenzio voi due. Devo portare a termine la mia missione >>, affermò con serietà Ignazio. Sembrava un militare pronto all’assalto.
<< Si può sapere di che missione stai parlando? Ignazio, devi aver preso un colpo in testa, bello forte. Stai cominciando a dire stupidaggini >>, dichiarò solenne Roberto.
<< Ah, fa silenzio, Robi. Non puoi capire. Qua ne va del mio orgoglio maschile >>, esclamò indignato il ragazzino, sempre avvinghiato al ramo.
<< Centra qualcosa quello che è successo oggi a scuola, forse? >>, domandò Paolo ritornato leggermente più calmo.
<< Qualcosa? Centra tutto! >>, affermò furioso Ignazio.
<< Ma dai. Melissa voleva solo scherzare. Non l’avrà fatto apposta a mangiare la tua merenda >>, dichiarò esasperato Roberto.
<< Invece si. Me l’ha detto lei. Quando ho aperto lo zaino, e non ho trovato la mia merenda, lei mi ha raggiunto e ha cominciato a ridere. Ha detto che il panino con la nutella era proprio buono, e che sperava che la mia mamma ne facesse altri al più presto. L’ha fatto apposta >>, disse Ignazio inferocito.
<< E con questo? Tu che intenzioni hai di fare adesso, sentiamo. Romperti la testa? >>, ironizzò Paolo.
<< No, ma appena quell’oca esce dalla sua camera, io entro e le prendo la sua bambola preferita. Così impara a rubare la merenda altrui >>, dichiarò con rabbia il ragazzino.
<< Ma sei impazzito? Non puoi fare una cosa simile >>, esclamò imbufalito Paolo, agitandosi come una matto.
<< Beh, però ha del geniale questo piano. Occhio per occhio, dente per dente >>, concordò Roberto con calma.
<< Grazie Robi! >>, esclamò Ignazio con decisione.
<< Non dargli corda, tu. Aiutami a tirarlo giù da li, prima che faccia qualche stupidaggine >>, affermò Paolo ammonendo l’amico.
<< E come vuoi tirarlo giù, sentiamo? Lo prendi con una corda e lo tiri? Non siamo in un cartone, Paolo >>, disse Roberto sbuffando.
<< Tu che proponi di fare? >>, domandò inferocito l’amico.
<< Ehi, zitti. Sta uscendo >>, sussurrò Ignazio. I due rimasero muti. Passarono pochi minuti, poi il ragazzo si mosse. << Bene, è uscita. Io entro >>. Il ragazzino si sentiva una spia internazionale, coinvolta in un caso di massima sicurezza. Si mosse sul ramo, e raggiunse facilmente la finestra della camera.
<< Non ti azzardare, Ignazio. Scendi giù! >>, minacciò Paolo. Era davvero esasperato.
Roberto, poco dopo, raggiunse l’albero, e cominciò a salire.
<< Che stai facendo? >>, domandò perplesso Paolo.
<< Vado con lui >>, rispose con calma l’amico.
<< Che cosa? >>
<< Gli amici si aiutano sempre. Soprattutto nei momenti del bisogno. Io non lo lascio andare da solo >>, dichiarò con fermezza Roberto, fissando l’amico negli occhi. << Tu che fai? Vieni? >>.
Paolo sbuffò. Guardò agitato Roberto, poi Ignazio, poi di nuovo Roberto. Alla fine, esasperato, raggiunse anche lui l’albero e cominciò a salire.
<< Sia chiaro. Io sono fortemente contrario a tutto ciò >>, esclamò affannato.
Gli altri due non risposero, ma risero di quell’affermazione. Erano un trio unito. E lo sarebbero sempre stati. I tre raggiunsero senza fatica la finestra della ragazzina, ed entrarono. Un’enorme letto a baldacchino rosa, un cassettone rosa, specchio rosa, giocattoli rosa, cavallo a dondolo rosa… sembrava di trovarsi in un’immensa big babol.
 << Bleah >>, esclamarono all’unisono i tre.
<< Che dobbiamo cercare? >>, domandò poi Roberto.
<< Avete presente quella barbie che Melissa si porta dietro sempre? >>, cominciò Ignazio, iniziando a perlustrare la camera.
<< Quella con il vestito rosa e sbrilluccicante? >>, chiese Paolo.
<< Esatto. È quello il nostro obiettivo >>, esclamò con veemenza il ragazzo.
I tre cominciarono a cercare la bambola con insistenza. Sotto a letto, nel letto. Nell’armadio, sotto l’armadio… ovunque, ma senza successo.
<< Dove accidenti è finita questa dannata bambola?! >>, esclamò infervorato Ignazio.
<< Sei sicuro che non se l’è portata dietro? >>,chiese Roberto.
<< Sicuro >>
<< Si, ma qui non c’è >>, affermò Paolo guardandosi intorno.
Poi i tre furono attratti da qualcosa. Un’immensa casa delle bambole rosa, chiusa, sembrava li stesse chiamando. I tre si affiancarono, fissando il giocattolo.
<< Pensate anche voi quello che penso io? >>, disse eccitato Ignazio.
I due annuirono sorridenti. Poi con lentezza si avvicinarono al giocattolo, e con calma, l’aprirono. All’interno trovarono l’oggetto dei loro desideri. Ignazio lo afferrò con flemma, poi lo sollevò.
<< SI >>, urlò entusiasta.
<< Ce l’abbiamo fatta >>, esclamò divertito Roberto.
<< Siamo grandi >>, concordò Paolo.
<< Ma che diavolo state facendo, voi tre qui? >>, esclamò una quarta voce. I tre si voltarono verso la porta, e videro la madre di Melissa in accappatoio, fissarli.
<< Oh oh >>, esclamò preoccupato Roberto.
<< Che si fa? >>, chiese Paolo, in preda al panico.
<< SCAPPATE >>, urlò Ignazio ai due amici.
I tre si voltarono di scatto verso la finestra, e vi corsero incontro, arrancando ed inciampando sui giocattoli sparsi per la stanza. La madre della bambina cominciò ad inseguirli, cadendo varie volte anche lei. Il primo ad andare sul ramo fu Paolo, seguito da Roberto. Stava uscendo anche Ignazio, quando la donna, ancora sdraiata a terra per l’ennesima caduta, lo afferrò ad una caviglia. Era in trappola. I due amici, quasi arrivati a terra, si voltarono e videro l’amico in difficoltà.
<< Andate! >>, esclamò Ignazio.
Ma i due non si mossero. Anzi. Fecero marcia indietro e lo raggiunsero. Paolo afferrò le mani di Ignazio, e Roberto cercò di staccare le mani della donna dalla caviglia del giovane.
<< Che state facendo? >>, domandò Ignazio sbigottito.
< Ti salviamo, scemo >>, esclamò Paolo.
<< L’ho detto prima. Gli amici non si lasciano >>, affermò Roberto.
Ignazio sorrise commosso dai sue due amici. << Grazie ragazzi >>. Poi insieme, cercarono di sfuggire alla morsa della donna. Con molta difficoltà, ci riuscirono. E scapparono velocemente giù dall’albero.
<< Maledetti! Me la pagherete! >>, urlò la signora dalla finestra.
I tre ragazzini, intenti a ridere come dei pazzi, non la sentirono nemmeno.
Arrivarono a casa di Ignazio, ancora divertiti e soddisfatti di ciò che avevano fatto.
<< Siamo stati grandi >>, esclamò Ignazio.
<< Si, bel lavoro di squadra >>, concordò Roberto.
<< Secondo voi, la madre di Melissa lo dirà ai nostri genitori? >>, chiese preoccupato Paolo.
<< Bell’osservazione, Paolo. Come sempre sei il più intelligente e saggio di tutti >>, concordò una quarta voce.
I tre ragazzini si voltarono, e videro il padre di Ignazio, fissarli a braccia conserte, con espressione divertita ma anche inferocita.
<< Ciao papi >>, disse timidamente Ignazio.
<< Signor Manfredi >>, salutarono Paolo e Roberto.
<< Allora, marmocchi. Potete gentilmente spiegarmi perché la signora Breva ha chiamato qui, con furia omicida, affermando che mio figlio e i suoi amici si erano intrufolati in casa sua? >>, chiese sarcastico.
<< Possiamo spiegare tutto >>, cominciò Ignazio.
<< Si signor Manfredi. Noi abbiamo fatto solo ciò che ritenevamo giusto >>, affermò Paolo.
<< Rubare? È questo il vostro concetto di “giusto”? >>, domandò ironico l’uomo.
<< No, certo che no. Abbiamo agito in nome della giustizia, e per tutti coloro che sono vittime delle angherie dei prepotenti >>, dichiarò Roberto con enfasi.
<< Come vedo, sei sempre quello più furbo qui, Roberto. Ma stavolta non mi inganni con i tuoi giri di parole. Che è successo? >>, disse divertito l’uomo.
A quel punto Ignazio si avvicinò al padre e raccontò cosa era successo nella mattinata. Appena terminato il racconto, l’uomo si abbassò al livello del figlio e gli mise una mano sulla spalla.
<< Figliolo, capisco che sei stato vittima di bullismo, e che hai voluto vendicarti. Ma questa non è mai la soluzione. Chi agisce così, si comporta da vigliacco, e fa lo stesso gioco del bullo. Tu ti sei abbassato al livello di Melissa >>, affermò il padre di Ignazio, guardando con dolcezza il figlio.
<< Mi dispiace >>, disse lui mestamente.
<< Va bene >>, concordò lui, abbracciandolo. << In quanto a voi due >>, disse rivolgendosi ai due ragazzi in disparte. Sentendosi chiamati in causa, saltarono sull’attenti. << La prossima volta mi aspetto che blocchiate questo monello di figlio che mi ritrovo. Chiaro? >>
<< Signorsì, signore >>, risposero all’unisono i due, divertiti.
Anche Ignazio e il padre scoppiarono a ridere.
<< Papà, ehm, cosa faccio ora con la bambola? Gliela devo restituire? >>, domandò tristemente il bambino. Il signor Manfredi guardò il figlio, capendo quanto lo infastidisse dover umiliarsi davanti alla ragazzina.
<< Quale bambola? Io non vedo nessuna bambola >>,e sclamò l’uomo prontamente.
<< Come? >>, dissero in coro i tre ragazzini.
<< Avete perso la bambola mentre tornavate, ricordate? Quindi non si può restituire nessuna bambola, giusto? >>, poi fece l’occhiolino al figlio, come segno di intesa.
Il ragazzo capì quello che il padre stava comunicandogli. Sorrise, e corse ad abbracciarlo. Era il padre migliore del mondo.
<< Non essere così allegro. Devi ancora affrontare tua madre. Invece voi due, farete bene a tornare a casa. Ho convinto la signora Breva a non chiamare i vostri genitori. Le ho promesso che l’avrei fatto io. Perciò sbrigatevi ad andare a casa, e consideratevi in punizione. Niente televisione e giochi per due settimane. Chiaro? >>, esclamò l’uomo verso i due ragazzini.
Paolo e Roberto annuirono poi, felici per essere scampati al pericolo dei loro genitori, corsero ad abbracciare il signor Manfredi.
<< Wow, quanto affetto. Eppure tutti e tre siete in punizione. Che razza di bambini siete? >>, esclamò divertito l’uomo. Poi ricambiò affettuosamente il gesto.
 
<< Non ci posso credere?! Eri un delinquente impertinente anche a sei anni. Incredibile >>, dissi divertita da quel racconto.
<< E non solo. Avevo la faccia tosta di imporre le mie idee, anche quando avevo torto marcio >>, affermò galvanizzato Ianto.
<< Viziato, ricco e figlio di papà! L’ho sempre detto >>, decretai con fermezza.
<< No, dai. Ai miei tempi ne ho avute di punizioni. Quella volta ad esempio, mia madre decise che la punizione doveva essere: niente telefono, niente giochi, nessuna uscita pomeridiana con i miei amici, e nessun dolce  pomeridiano per due settimane. Sia io che i ragazzi, annullando così l’autorità di mio padre. Ah, qualche volta ci scappava anche qualche schiaffo >>, ricordò con un sorriso il ragazzo.
<< “Ai miei tempi”. Ma sentitelo. Ragazzino, ti ricordo che hai diciassette anni, non cinquanta. “Ai miei tempi” dovrò cominciare a dirlo io a breve >>, ammisi con tristezza. Ormai mi stavo facendo vecchia, non c’erano dubbi.
<< Prof, dai non sei così vecchia. Hai solo trent’anni. Che sarà mai? >>, provò a risollevarmi il morale Ianto.
<< Non è l’età anagrafica che vale, ma quella che ti senti dentro. Ed io mi sento molto più vecchia della mia età >>, esclamai sconfortata. << Va beh, lasciamo perdere. Dunque, cosa successe dopo? >>, chiesi sinceramente incuriosita.
<< Andammo da mia madre, io, papà e i ragazzi. Ovviamente ci fu una sfuriata pazzesca. Per poco non le scoppiarono le coronarie, tanto che urlò >>, disse divertito Ianto.
<< Ci credo. L’avevi combinata grossa. Tu e quei due scemi che ti ritrovavi come amici. Ottimi amici, ma scemi >>, risposi sorridendo.
<< Già. Mia madre se la prese anche con loro. Disse una cosa del tipo: “Voi due, dovete badare a questo cretino di figlio che ho, non ritrovarvi invischiati nei suoi loschi affari. Tu Paolo sei il più saggio e intelligente, e tu Roberto sei il più furbo e perspicace. Come avete fatto a farvi abbindolare da un’idiota simile, come mio figlio?” >>, poi il ragazzo cominciò a ridere di cuore ricordando quelle frasi. Io non potei fare altro che accodarmi. Passarono vari minuti, in cui non facemmo altro che ridere di gusto. Una volta ricomposti, ripresi il discorso.
<< Ah, tua madre era un mito >>
<< Già. Davvero, donne come lei non ne ho mai più conosciute >>, disse asciugandosi una lacrima. Poi alzò lo sguardo e lo puntò su di me. << Anche se devo dire che tu le assomigli un po’ >>, dichiarò con decisione.
<< Io?! Davvero? Non penso proprio. Fossi stata in lei, ti avrei gonfiato di botte >>, negai con veemenza.
<< Beh, qualche pugno in testa me lo diede. Sia a me che a mio padre >>
<< Tuo padre? E che c’entrava? >>, chiesi incuriosita.
<< Beh, secondo il ragionamento di mia madre, papà centrava ogni qual volta io commettevo qualche stupidaggine. Del tipo: “L’idiozia l’ha presa tutta da te, cretino di un marito. Assumitene la responsabilità”. Cose del genere >>, affermò Ianto ricordando divertito quelle parole.
<< Bella, questa. E tuo padre che faceva? >>
<< Abbassava la coda tra le gambe, e chiedeva perdono per i suoi geni difettosi >>, rispose ridendo il ragazzo. Non riuscì a trattenermi neanche io, perciò ritornammo nuovamente a sghignazzare per svariati minuti. Passato il momento di ilarità, ritornai alla carica con le mie domande.
<< Tua madre doveva essere incinta a quell’epoca >>, azzardai sapendo quanto quel tasto fosse dolente per il giovane. Ma andava affrontato.
<< Già >>, annuì Ianto abbassando mestamente il capo e sorridendo con tristezza.
<< Ianto… >>, incominciai sentendomi in colpa.
<< No, non fa niente. Non ti preoccupare. Questo è uno di quei dolori che non passeranno mai >>, ammise il ragazzo, alzando lo sguardo e guardandomi con dolcezza. << Amavo molto mia sorella. Era il mio personale regalo. Non sono mai stato geloso di lei. E Paolo e Roberto erano felici quasi quanto me. La consideravano come una sorellina. La nostra mascotte >>
<< Doveva essere la bambina più felice del mondo >>, dissi con affetto. Com’era ingiusta la vita. Una bambina di pochi anni, la cui esistenza era stata spezzata troppo presto… non era giusto.
<< Si. Era davvero felice. lo eravamo tutti >>, confermò Ianto abbassando nuovamente lo sguardo. << Sai scoprimmo pochi giorni dopo quell’incidente della bambola, che mamma era incinta… >>
 
<< Sapete che la mia mamma ha detto che presto avrò una nuovo fratellino, o una nuova sorellina? >>, disse orgoglioso Ignazio.
<< Davvero? >>, rispose sorpreso Roberto.
<< Wow che invidia >>, esclamò Paolo.
<< Si, si. Non vedo l’ora. Ha detto la mamma che nascerà tra nove mesi >>, continuò con lo stesso tono il ragazzino.
<< Nove mesi? Così tanto? Come mai? >>, domandò Paolo.
<< Beh, tutti sanno che la cicogna ci impiega tanto, Paolo. Non essere così sciocco >>, affermò con ovvietà Roberto.
<< Veramente… >>, cominciò Ignazio indeciso. Gli altri due all’altro capo della cornetta attendevano silenziosi che il ragazzo continuasse.
<< Ignazio, dobbiamo pregarti per farti finire la frase? >>, domandò ironico Roberto.
<< Già, non lasciarci sulle spine >>, concordò Paolo.  
<< No, non è questo. È che io per primo non ci ho capito granché >>, ammise il ragazzino.
<< Capire cosa? >>, domandarono all’unisono gli amici.
<< Vedete, la mamma ha detto che tra nove mesi la mia nuova sorellina o il mio nuovo fratellino, uscirà dalla sua pancia. Io mi domando, come ci è finito li dentro? >>, disse perplesso Ignazio.
<< Davvero ha detto questo? >>, domandò Paolo anche lui dubbioso come l’amico.
<< Già. E papà non fa altro che accarezzare la pancia della mamma. Mi domando se non siano impazziti >>, affermò sconcertato il bambino dagli occhi di ghiaccio.
<< Ma non capite, gente. È così ovvio >>, decretò infine Roberto con fare superiore.
<< Cosa? >>, domandò Paolo.
<< Tua madre, Ignazio, si è semplicemente mangiato il bambino portato dalla cicogna. E adesso lo terrà dentro alla pancia per nove mesi, per farlo crescere forte e sano. Quando sarà pronto, lo vomiterà >>, affermò con sicurezza il ragazzino.
<< Davvero? >>, domandò Ignazio sconvolto. Non poteva credere alle sue orecchie.
<< Roberto, a me non convince molto questa cosa. Tu ne sei davvero sicuro? >>, chiese Paolo incerto sulle parole dell’amico.
<< Ma sicuro che è così. Ho mai detto stupidaggini io? >>, dichiarò con decisione il ragazzino.
<< Beh, si forse hai ragione. Ma questo vuol dire che la mamma di Ignazio è una mangiatrice di bambini! >>, esclamò preoccupato Paolo.
<< No, non penso. Credo che lo faccia per il bene del figlio. Però fossi in te, Ignazio, andrei a chiedere a tua madre >>, suggerì Roberto.
<< E che faccio se si arrabbia e poi mi mangia? >>, domandò preoccupato Ignazio.
<< Io e Roberto verremmo a salvarti, non temere. Vogliamo molto bene a tua madre, ma faremo di tutto per riaverti >>, affermò con coraggio Paolo.
<< Grazie ragazzi. Vi voglio bene >>, disse Ignazio commosso.
<< Anche noi. Ora vai >>, lo incitò Roberto.
 
<< Nooo! Non ci credo. Davvero eravate convinti che tua madre avesse mangiato il bambino? >>, domandai sconvolta e divertita.
<< Che vuoi. Avevamo solo sei anni. Chi poteva immaginarsi che esistevano cose come il pene e la vagina, oppure il sesso >>, affermò Ianto, ridendo.
<< Si ma addirittura pensare alla mamma mangia bimbi, mi pare un’esagerazione. La cicogna era credibile >>, dissi con ovvietà.
<< Si, ma se i tuoi genitori ti dicono che tua sorella tra nove mesi esce dalla pancia della mamma, tu che pensi? Che se l’è mangiata, per forza >>, esclamò con decisione il ragazzo.
<< Va bene, va bene. Comunque, dopo che facesti? >>, chiesi sempre più curiosa.
<< Andai da mia madre e le domandai senza mezzi termini: “Mamma, hai mangiato il mio fratellino?”. Ero terrorizzato dalla sua reazione. Temevo che potesse mangiare anche me >>, ammise divertito Ianto.
<< Haha, ci credo. Io ti avrei mandato in un collegio, visto tutti i guai che procuravi da piccolo >>
<< Mamma ci ha pensato più volte. Però poi, decretava che se io andavo in collegio, anche papà doveva andarci. Sai per la questione dei geni. E papà ripartiva sempre con la solita frase: chiedo perdono per i geni difettosi che ha ereditato da me. Una cosa buffissima >>, disse il ragazzo ridendo.
<< Haha, tuo padre era uno spasso. E tua madre una donna eccezionale >>, affermai sogghignando.
<< Si, erano davvero una grande coppia. Comunque, mamma rise di quella mia domanda, e mi chiese il motivo per cui gliela facevo. Come un’idiota ammisi che Roberto mi aveva suggerito per telefono che quell’ipotesi era giusta >>, continuò il racconto Ianto.
<< Si, e tu eri in punizione, giusto? >>, domandai sorridendo.
<< Già. Prima mi spiegò che non mangiava i bambini, ma che papà aveva messo il fratellino o la sorellina nella pancia della mamma. Poi mi diede un pugno in testa, per aver disubbidito alle sue parole >>, concluse il giovane.
<< Te lo eri meritato. Si rispettano i genitori >>, dissi con fermezza.
<< Si, ma il fatto che diede un pugno in testa anche a Paolo e a Roberto, non era una cosa tanto normale. Non erano neanche suoi figli, eppure li puniva e li sgridava come se lo fossero >>, ammise Ianto riflettendoci.
<< Voleva bene ai due. Questa è la spiegazione >>, dissi quasi con ovvietà.
<< Si, e Paolo e Roberto volevano molto bene ai miei genitori >>, concordò il ragazzo.
<< Poi? Che altro avete combinato? >>, chiesi sempre più incuriosita.
<< Vediamo. Dopo la nascita di mia sorella, combinammo solo delle marachelle, per un anno. Niente di eclatante. Passato un anno, e dopo che ero diventato già Ianto, però, arrivò l’incidente >>, disse Ianto con tranquillità.
<< L’incidente? >>, domandai perplessa.
<< Si, l’incidente... >>
 
<< Papà! Mamma! >>, urlò Ianto disperato, verso i genitori che corsero incontro al figlio.
<< Ianto! Che è successo? >>, domandò preoccupata la madre.
<< Non volevo. Mi dispiace >>, cominciò a singhiozzare il ragazzino.
<< Ehi, tesoro va tutto bene >>, provò a consolarlo il padre, accovacciandosi di fronte al figlio.
<< No, non va bene per niente >>, esclamò sempre più disperato Ianto.
<< Shh, calmati amore. Calmati >>, sussurrò dolcemente la madre sedendosi vicino al bambino. Erano in sala d’attesa dell’ospedale più famoso di Roma.
<< Mi dispiace >>, ripeté il ragazzino.
<< Adesso ascoltami, Ianto >>, affermò con decisione il padre afferrando con le mani il volto del figlio, e costringendolo a guardarlo. << Va tutto bene. Qualsiasi cosa è successa, si risolverà, chiaro? >>
Ianto guardò con le lacrime agli occhi il padre. Aveva disperatamente bisogno di credere a quelle parole. Altrimenti sarebbe caduto in pezzi.
<< Te la senti di raccontarmi cosa è successo? >>, domandò dolcemente la madre scuotendo il figlio per le spalle. Il ragazzino la fissò per qualche minuto, impaurito, poi annuì flebilmente, deciso a raccontare cosa era accaduto.
<< Stavamo giocando a pallone vicino all’ingresso del quartiere. Ero curioso di uscire, così ho convinto Paolo e Roberto ad oltrepassare la soglia che divideva le nostre case da Roma. Abbiamo camminato per un bel po’ >>, cominciò a narrare con voce tremante il bambino. << Quando siamo arrivati nella città, ci sembrava di essere in un altro mondo. Eravamo molto felici >>, poi le lacrime cominciarono a scorrere frenetiche sul volto del bambino. << Io non l’ho vista la macchina. Veramente >>, affermò disperato Ianto.
<< Va bene, tesoro ti crediamo. Ma che è successo? >>, continuò il padre.
<< Stavo attraversando la strada, senza guardare, perché la palla mi era scivolata dalle mani. Non ho visto la macchina arrivare. Roberto invece si. Ha urlato il mio nome, e poi… >>, ma non riuscì a proseguire perché il pianto lo bloccò. Ma non ci furono bisogno di altre parole. I genitori di Ianto si guardarono, capendosi al volo. Roberto doveva aver spinto il figlio fuori dalla traiettoria della macchina per salvarlo. Ma così facendo, era stato investito lui. Un gesto eroico, ma stupido. Poteva constargli la vita. Eppure i due genitori, non riuscirono a frenare il senso di sollievo nell’apprendere che il figlio era appena scampato alla morte. Senso sostituito immediatamente da quello di colpa, e di paura. Paura di perdere quel bambino che consideravano come un figlio. Così coraggioso e leale, da aver preso una macchina al posto dell’amico. Gli sarebbero stati debitori per sempre.
<< Ianto >>, disse una voce debole.
I tre alzarono lo sguardo verso la figura. Davanti trovarono un Paolo distrutto. Sconvolto, sporco di sangue e con uno sguardo perso. Si precipitarono dal ragazzino.
<< Paolo! Dov’eri finito? >> domandò disperato Ianto.
<< Io ero ancora li, in mezzo alla strada >>, cominciò a raccontare il ragazzo. Ma la sua voce era strana, quasi estranea a quel corpo. Era confuso e non capiva cosa stava accadendo. Era sotto shock. << Stavo guardando il punto in cui Roberto è stato messo sotto. Mi sono accovacciato a terra, e ho visto tutto quel sangue. Ma… io non capisco. Dov’è Robi? Perché non è qui? Cosa gli è successo? Ianto… >>, cominciò disperato a piangere. Stava lottando contro il dolore. << Ianto, aiuto. Io non capisco. Voglio Roberto. Voglio Roberto. VOGLIO ROBERTO! >>, urlò distrutto.
Ianto non resistette a quella visione, e lo abbracciò con tutte le sue forze. Lo abbracciò, cercando di sostenerlo. Doveva proteggere l’amico a tutti  i costi.
<< Shh, ci sono io qui >>, lo consolò.
<< Voglio Roberto. Voglio Roberto >>, continuò a sussurrare Paolo, come una cantilena. Sembrava sotto incantesimo. Non era in lui, e i genitori di Ianto lo capirono subito. Dovevano trovare un modo per aiutarlo.
<< Giovanni! Claudia! >>, esclamò un uomo.
I presenti si voltarono verso la voce, ed un uomo alto e paffuto, ma con degli occhi verdi bellissimi li raggiunse. Era stravolto, il viso segnato dalla preoccupazione e dalla sofferenza.
<< Ernesto >>, esclamò il padre di Ianto andandogli incontro. << Ianto ci ha raccontato cosa è successo a tuo figlio. Come sta? >>, domandò preoccupato.
<< Eh, adesso sta bene. Ha perso parecchio sangue, ma sembra che le ferite siano superficiali >>, disse sollevato l’uomo.
<< Meno male >>, esclamò confortato il padre di Ianto.
<< Già. Ero venuto a controllare come stava tuo figlio. Sai, non si muoveva da li >>, ed indicò la sedia su cui il ragazzo stava seduto prima. << In più volevo sapere di Paolo, se aveva notizie. Roberto come si è svegliato, ha chiesto subito degli amici >>
<< E’ davvero un gran bravo ragazzo >>, ammise la madre di Ianto, intervenendo dopo aver sentito le parole dell’uomo che aveva di fronte.
<< Ernesto, dobbiamo ringraziare tuo figlio. Ha salvato il nostro bambino >>, disse commosso il padre di Ianto.
<< Non preoccuparti. Ha fatto solo ciò che riteneva più giusto >>
<< Si, ma così ha rischiato la sua vita. Io non so come esprimere la mia gratitudine. Davvero >>, dichiarò con le lacrime agli occhi la donna.
<< No, davvero. Roberto non vorrebbe essere ringraziato. Però adesso, dovrà stare a riposo per molto tempo chiaro? >>, disse autorevole l’uomo rivolto ai due ragazzini.
<< Davvero sta bene? Ne è sicuro? >>, domandò preoccupato Ianto. Paolo, invece, ancora leggermente sotto shock, ascoltava silenzioso.
<< Davvero >>, sorrise dolcemente il padre di Roberto.
<< SI! >>, urlò di gioia il ragazzino dagli occhi di ghiaccio. << Hai sentito, Paolo? Roberto è ancora vivo. Robi è ancora qui con noi! >>
<< Davvero? >>, domandò speranzoso Paolo, quasi completamente ripresosi.
<< Si, Paolo. Lui è ancora qui >>, confermò Ianto.
Paolo lo guardò intensamente. Poi, con forza, abbracciò l’amico e scoppiò in un pianto silenzioso.
 
<< Cavoli, è stato brutto come incidente >>, commentai dispiaciuta.
<< Si. Per settimane, i miei incubi erano popolati dalla visione di Roberto in un mare di sangue >>, annuì Ianto.
<< Paolo doveva volere molto bene a Roberto >>, dissi intenerita al pensiero di quel cucciolo dagli occhi magnetici.
<< Te l’ho detto, erano molto legati. Dove c’era uno, trovavi l’altro. Si completavano le frasi a vicenda. E non passava un solo giorno che non si vedessero. L’uno era l’estensione dell’altro. Un rapporto unico, speciale >>, dichiarò dolcemente il ragazzo.
<< Non ti sei mai sentito escluso? >>, chiesi curiosa.
<< Assolutamente no. Anche se tra loro c’era questo rapporto così intenso, io facevo parte del gruppo. E con me, condividevano un’amicizia profonda, sincera, e piena d’amore. Anche allora, come oggi, eravamo legati da un forte affetto. Hai visto il mio ricongiungimento con Paolo, no? >>, affermò con calma Ianto.
<< Hai ragione >>, concordai sorridendo. << Roberto che si fece in quell’incidente? >>, domandai sorvolando sui commenti della causa dell’incidente. Non volevo essere indiscreta e riaprire, magari, ferite ancora dolorose, e sensi di colpa mai andati via.
<< Slogature degli arti superiori, trauma cranico, graffi, lividi. Perse molto sangue da un taglio profondo al fianco. Hai presente quei ornamenti per macchine sul cofano anteriore? >>, disse Ianto.
<< Si >>
<< Beh, Roberto ci andò a finire sopra. Gli perforò la pelle. Non fu un bello spettacolo >>, affermò il ragazzo leggermente orripilato. Dal canto mio, non potei fare altro che assecondarlo. << Comunque, il danno più grave fu alle gambe. Si ruppero entrambe, e per un po’, ci fu il rischio che non sarebbe riuscito più a muoverle. Il medico prescrisse riposo assoluto per due mesi. In pratica non poteva alzarsi dal letto >>
<< Deve essere stato difficile >>, commentai dispiaciuta.
<< Già. Per fortuna era estate, cosi convinsi mamma e papà a tenerci Paolo per poter andare a trovare Roberto tutti i giorni >>, si gongolò Ianto.
<< Perché facesti una cosa simile? >>, domandai perplessa.
<< Perché questo è un mondo fatto di apparenze. E in che periodo migliore si può sfoggiare tutta la propria ricchezza, se non in estate? >>, chiese retoricamente il ragazzo.
<< Si, l’estate è il periodo migliore >>, concordai amaramente.
<< Già. Anche i genitori di Paolo la pensavano in questo modo. Non potevano rinunciare alle apparenze, e Paolo non poteva rinunciare a Roberto. Perciò trascorse da me tutta l’estate. O meglio la notte, perché durante il giorno eravamo da Robi >>, terminò di spiegare Ianto.
<< Capito. E quindi rafforzaste la vostra amicizia, suppongo >>, ipotizzai.
<< Ci promettemmo amicizia eterna >>, confermò mestamente il giovane. << Hai presente quell’affermazione che ci siamo fatti oggi io e Paolo? >>
<< Quale, quella degli “amici per sempre”, “anche con fulmini, saette…” e non ricordo che altro? >>, domandai confusa.
<< Esatto. Fu in quel periodo che ci facemmo quella promessa. E da allora ce la ripetemmo tantissime volte… >>
 
Era una notte estiva. Un temporale fuori stagione, imperava nel silenzio notturno. Ianto, Paolo e Roberto erano chiusi in camera di quest’ultimo. Costretto nel letto per via delle due gambe rotte, sorrideva dolcemente all’amico terrorizzato. Paolo tremava di paura e abbracciava con forza Ianto, che rideva ilare per la scena.
<< Ho paura >>, piagnucolava il ragazzino.
<< Ma dai, sono solo due fulmini >>, lo prese in giro l’amico dagli occhi di ghiaccio.
<< No, non è vero. Ci sono i tuoni, i fulmini e le saette >>, continuò imperterrito Paolo.
<< Ma sei qui per me, per consolarmi del fatto che non posso muovermi dal letto, o sei qui solo per farti proteggere da noi? >>, domandò Roberto incredibilmente divertito.
<< Non prendetemi in giro voi due... AHHHHH >>, urlò di terrore il bambino. Un fulmine, seguito dal tuono, era appena giunto.
I due ragazzi, dopo aver sentito le urla dell’amico, erano esplosi in una risata fragorosa. Sembrava non riuscissero più a contenersi.
<< La finite voi due? >>, si lamentò Paolo con le lacrime agli occhi. << Non siete miei amici, se mi trattate così >>
<< Ma se siamo amici da tanto tempo. Non fare il bambino >>, rispose divertito Roberto.
<< Già, e ti ricordo che quello che ti sta abbracciando forte, sono io >>, aggiunse Ianto, stringendosi al petto con fermezza l’amico terrorizzato.
<< Ma voi due non mi volete bene. Siete sempre pronti a prendermi in giro. Pensate che io non sappia che in realtà non mi sopportate? >>, domandò con rabbia Paolo. Le lacrime sgorgavano senza freni ormai.
<< Ma che dici? Noi ti vogliamo bene >>, dichiarò con tranquillità Roberto.
<< Esatto. Non staremo con te se fosse diverso >>, affermò con sicurezza Ianto.
<< Davvero? >>, domandò speranzoso il bambino guardando con dolcezza i due amici.
<< Certo >>, annuì Roberto.
<< Sicuro >>, confermò Ianto. << Anzi sai che ti dico? Saremo amici per sempre >>
Paolo guardò i due amici con gioia. Sorrise con un’intensità tale da abbagliare l’intera stanza. << Promesso? Per sempre? Anche con i tuoni, fulmini e saette? >>
<< Promesso >>, rispose Roberto, sorridendogli a sua volta.
La gioia che provarono in quell’istante, fu talmente grande, da riempire i loro cuori. Era un momento perfetto.
 
<< Ora ho capito >>, esclamai sorpresa.
<< Già >>, confermò Ianto.
<< Per questo Roberto ha detto… >>, ma la mia voce scemò. Il ragazzo che avevo di fronte non sapeva che oggi Roberto Storti era fuori dalla porta, a guardare lui e Paolo riconciliarsi.
<< Roberto cosa? >>, domandò curioso Ianto.
<< Ehm, niente >>, negai cercando di apparire sicura. Per mia fortuna risultai convincente, perché il giovane non fece altre domande.
<< Comunque da allora dicevamo sempre quelle frasi, come un motto tutto nostro. Io: “Saremo amici per sempre”. Paolo: “Promesso? Per sempre? Anche con i tuoni, fulmini e saette”. Ed infine, Roberto concludeva con: “Promesso” >>, sorrise mestamente al ricordo.
<< Ti mancano molto quei giorni? >>, domandai con tristemente.
<< Già >>, concordò Ianto con un sorriso affranto.
<< Ma cosa è successo? Perché vi siete separati? >>, domandai confusa. Non riuscivo a capire cosa fosse successo a quel trio così unito. Perché si erano distanziati così tanto?
<< Onestamente? Non lo so >>, ammise Ianto.
<< Come sarebbe? >>, chiesi perplessa.
<< Sarebbe che l’ultima volta che ho parlato con Roberto, fu il giorno prima dei funerali  dei miei. Lui era partito improvvisamente, dopo i suoi esami di fine anno, per andare dai nonni. Quando ci fu l’incidente, Paolo lo chiamò, ma lui non riuscì a tornare. Quella sera mi telefonò distrutto… >>
 
<< Ianto, mi dispiace >>, cominciò Roberto disperato dall’altra parte della cornetta.
<< Fa niente, amico >>, disse Ianto inespressivo.
<< DANNAZIONE! >>, urlò con dolore. << Dovevo essere li. Non bloccato in questo posto >>
<< La tua presenza non avrebbe cambiato nulla. Loro sono morti, e niente li riporterà indietro >>, affermò il ragazzo dagli occhi di ghiaccio monocorde. Ma nel suo cuore, pronunciare quelle frasi gli costò lacerazioni impossibili da rimarginare.
<< Lo so, Ianto. Ma io sono tuo amico, e non essere li con te, e a dare l’ultimo saluto a… >>, ma non terminò la frase, perché il pianto lo sommerse. Era distrutto, preda dello sconforto. << A salutarli un ultima vola, mi uccide >>
<< Ci sono già state troppe morti. Non voglio che nessun altro muoia mai più >>, dichiarò Ianto con voce incrinata.
<< Amico mio >>, sussurrò dolcemente Roberto.
<< Robi >>, continuò Ianto con voce  sempre più distrutta dalle lacrime improvvise. << Non so che fare. Ora sono solo. Mi hanno lasciato qui. Ma per quale ragione, eh? Tu che sai tutto dammi una fottutissima ragione >>
<< Ianto, la ragione non esiste >>, disse Roberto unendosi al pianto dell’amico. << Certe cose orribili, capitano, e tu non puoi farci nulla. Purtroppo, devi subire le ingiustizie, e devi affrontare questo dolore >>, si fermò, per raccogliere le idee in subbuglio. << Ogni respiro, ogni azione, può cambiarci la vita. Noi dobbiamo andare avanti, fare il nostro dovere e fare anche dei progetti. Ma qualche volta, dobbiamo anche fermarci, e ricordarci che la vita è troppo breve per sprecarla. Non dobbiamo mai tenerci i nostri pensieri per noi, ma dobbiamo condividerli con chi amiamo. Guardarci intorno, e godere delle cose meravigliose che il mondo ci offre. Perché oggi siamo qui, e domani può tutto finire. È questo che dobbiamo fare. Anche tu. Devi continuare ad andare avanti >>, concluse con fermezza ed enfasi, Roberto.
Ianto rimase ipnotizzato da quelle parole. Era come se gli stessero perforando la carne. Chiedergli di andare avanti, quando i suoi genitori e sua sorella non erano ancora stati sepolti, era crudele. Non poteva fargli una cosa simile. Mai.
<< Ianto >>, riprese l’amico con dolcezza. << Non sei, e non sarai mai solo. Io e Paolo ti saremmo sempre accanto. Abbiamo fatto una promessa, ricordi? >>
<< Amici per sempre >>, sussurrò con profondo dolore Ianto.
<< Esatto. Promesso. Amici per sempre >>, concluse Roberto amorevolmente.
 
<< Ma alla fine dell’estate, quando Roberto finalmente tornò, non ci rivolse mai più la parola. Anche durante quei lunghi mesi estivi, non ci fece nemmeno una chiamata. E noi non sapevamo come rintracciarlo >>, terminò mestamente il racconto Ianto.
<< Non posso crederci. Cioè, lui all’improvviso, dall’oggi al domani, ha troncato un’amicizia durata anni, così, senza motivo? >>, chiesi incredula.
<< Già. Ancora adesso, mi domando perché lui abbia deciso di allontanarsi da noi. Certo, non sono stato una grande compagnia in questi ultimi quattro anni. Ma abbandonarci così, è stato davvero eccessivo >>, constatò amaro il ragazzo.
<< Esatto. Non ci si comporta così >>, esclamai inferocita.
<< Quello che soffrì più di tutti di questa situazione, fu Paolo >>, continuò tristemente Ianto. << Aveva perso qualcuno che, di fatto, era più prezioso della sua stessa vita. E tutto questo senza una spiegazione >>
<< Povero Paolo >>, commentai affranta.
<< Per questo oggi ha esclamato di aver perso tutto. I rapporti con i genitori erano freddi e difficili prima, ma quando Paolo decise di dormire ai dormitori con me, quella meravigliosa famiglia che si ritrova, lo ha abbandonato completamente. In pochi anni ha perso i genitori, Roberto, la mia di famiglia… io sono l’ultima persona che gli resta >>, affermò con forza, ma anche dolore il ragazzo.
<< Che cosa orribile. Solo, senza le persone che più amava. Ci credo che voleva farla finita >>, dissi amaramente.
<< Già. Ma io non l’ho mai lasciato. Anche nei miei momenti di maggior sconforto, e dolore, l’unico a cui restavo legato era Paolo. Almeno con lui, manterrò la mia promessa >>, dichiarò con veemenza Ianto.
<< Ti manca, non è vero? >>, chiesi sorridendogli dolcemente.
<< Chi? >>, rispose di rimando.
<< Roberto. Senti la sua mancanza >>, affermai sicura.
<< Anche se fosse, le cose non cambiano >>, rispose incattivito.
<< Sei arrabbiato con lui, giusto? >>
<< Non è così semplice >>, ammise riluttante.
<< E cos’è complicato? >>, continuai cercando di fargli aprire quell’ultima sua parte di cuore.
<< Io non sono arrabbiato con lui, non perché non c’è stato quando i miei genitori sono morti, e perché per mesi non si è fatto sentire >>, dichiarò con enfasi. << Ma perché ci ha abbandonati. Se n’è andato senza motivo, e mi ha fatto molto male. Ci eravamo promessi amicizia eterna, ma lui in un niente ha distrutto tutto. E noi non meritavamo neanche una sua spiegazione >>, continuò con rabbia e dolore. << Quattro anni. Sono passati quattro anni, e lui per tutto questo tempo, non ci ha mai rivolto la parola. Niente. Neanche un ciao o un vaffanculo. Il totale nulla scontrato contro la potenza del nostro affetto >>.
Non sapevo che dire. La verità era che Ianto aveva ragione. Il dolore e la rabbia, erano più che giustificati. Eppure dentro di me sentivo che c’era dell’altro. Era la stessa sensazione che avevo provato, scoprendo le parole del ragazzo dagli occhi di ghiaccio, nel suo diario. Provavo le stesse cose, ovvero che quella non era tutta la verità. Mi tornò alla mente quel primo pomeriggio, quando avevo udito Roberto pronunciare la parola “promesso”, sorridermi mestamente, e allontanarsi con le spalle ricurve. Qualcosa doveva essere successo. Ma stavolta non avrei potuto indagare, e questo mi faceva infuriare. Volevo sapere la verità, ma non me n’era data la possibilità.
<< E per quanto riguarda il fatto che mi manca, beh… è vero. Mi manca terribilmente. Nel senso che mi mancano tutte le nostre avventure, e le chiacchierate e i nostri progetti. Mi manca sapere che un tempo c’è stato un sentimento così forte che ci univa, e che non sarà mai più così >>, continuò con  sofferenza Ianto. Ogni parola era intrisa di solitudine e disperazione per quella separazione forzata, a cui era stato costretto. << Vorrei che fosse ancora qui con me, ma so che non c’è possibilità che ritorni >>.
Non riuscì a sopportare altro. Mi alzai dal divano e lo raggiunsi, sedendomi accanto a lui. Ianto mi guardò stordito. Non sapeva che aspettarsi. Non gli diedi tempo di dire o fare nulla, perché lo abbracciai forte, stringendolo al petto, cercando di infondergli sicurezza e amore. Volevo proteggerlo, in qualsiasi modo. Come una madre difende il proprio figlio. Come un’amante difende l’amato. O come un amico che protegge l’altro da una macchina, venendo investito. Volevo essere il suo tutto. Il suo intero mondo. E solo per quella sera, avrei mandato a quel paese dubbi ed insicurezze.
<< Shh, va tutto bene. Qualsiasi cosa brutta accaduta in passato,  adesso non potrà ferirti mai più. Ci sono qui io con te, e ti prometto che ti difenderò da ogni male. Non ti abbandonerò mai >>, promisi con forza e amore.
<< Davvero, prof? Prometti? >>, chiese Ianto speranzoso, stringendosi al mio abbraccio.
<< Lo prometto >>
<< Grazie prof >>, disse felice il ragazzo. Lo sentì sorridere di gioia a contatto col mio petto. Sorrisi a mia volta. << Sai prof, sei veramente un mito >>
<< Si lo so >>, tornai a pavoneggiarmi. Nessuno avrebbe potuto separarmi da lui. Mai.
 
Dopo quel giorno, il 28 ottobre, erano passate tre settimane. Era il 17 novembre, ore quattro del pomeriggio. Un freddo quasi invernale, da penetrarti nelle ossa, ed io ero bloccata in sala professori, a correggere quei maledetti compiti in classe di matematica. Avrei dovuto chiedere a Paolo aiuto, o anche a Ianto. Insomma, quei due erano due geni in ogni materia. Ero stanca, affamata, infreddolita e con un mal di testa talmente forte, da perforarmi il cranio. Diavolo! Peggio di così non poteva andare. Dopo quel famoso giorno a casa mia, Ianto aveva deciso che era meglio mangiare in mensa con Paolo, perché lui non voleva spostarsi da li. Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio non capiva la ragione, ma l’amico era stato irremovibile. Perciò io e Ianto rinunciammo ai nostri pranzi nell’alula 213. Di conseguenza, decisi che portarmi il pranzo da casa, o scegliere qualcosa di commestibile dalla mensa, era tempo perso. Mi accontentavo del minimo indispensabile, non preoccupandomi affatto che dopo qualche ora, con ogni probabilità, avrei avuto una fame tremenda. Con questo spirito abbattuto ed inferocito, mi sfogai sui compiti che avevo tra le mani, sarebbe stata un’ottima valvola di sfogo. Dopo poco, però, qualcuno bussò alla porta distraendomi dai miei pensieri malvagi.
<< Avanti >>, dissi sbuffando, senza neanche voltarmi verso la porta.
<< Chiedo scusa, sto cercando una professoressa >>, disse timidamente una voce femminile.
<< Come si chiama l’insegnante? >>, chiesi aggiungendo con la penna rossa un altro scippo su quel foglio. Era di Altieri. Perfetto, quello si che sarebbe stato rilassante.
<< Professoressa Cristillo. Sa dirmi dove trovarla? >>, continuò la donna.
<< Uh-Uh >>, annuì assorta in quel compito. Poi alzai di scatto la testa. Un momento! La professoressa Cristillo ero io! O cavolo, stavo perdendo completamente la testa. Mi voltai finalmente verso la porta, e vidi una donna di cinquant’anni, capelli castani legati in una coda bassa. Senza un’ombra di trucco, con rughe ed occhiaie che contornavano i suoi occhi. Abiti dimessi: gonna ampia beige, e maglione pesante grigio. Una donna vecchia, e dall’apparenza povera. Ma ciò che più mi colpivano erano gli occhi: tristi, spenti, sofferenti oltre ogni limite. << Sono io la professoressa Cristillo. Prego si accomodi >>, dissi indicandole la sedia davanti a me.
<< Grazie >>, sorrise affabile la donna, poi entrò e si accomodò.
<< Mi dica, cosa posso fare per lei? >>, chiesi curiosa.
<< Vorrei parlarle di una cosa molto importante. Si tratta di mio figlio, Roberto Storti >>, disse la donna, agitata e nervosa.



Buonasera a tutti gente... Eccoci giunti ad un nuovo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"... E' un capitolo lunghissimo, ma non potevo fare diversamente. Le cose che dovevo dire erano tante, perciò abbreviarlo, avrebbe solo danneggiato la storia... spero possiate perdonarmi (specialmente Loreena McKenzie, che una volta mi aveva suggerito di fare capitoli più brevi... stavolta ho sgarrato di brutto XD)...
Ok, vorrei ringraziare tutti coloro che leggono la mia storia, che l'hanno messa nelle seguite o nelle preferite... grazie ragazzi!
Un saluto particolare va a Loreena McKenzie, Allegra- e _rain_, che con i loro commenti, mi rendono incredibilmente felice, e desiderosa di aggiornare la storia... credetemi, grazie a voi, desidero che arrivi il martedi più in fretta possibile XD ripeto, grazie di cuore...
Bene, direi che è tutto... l'ultima cosa che mi resta da fare è augurarvi buonanotte, e ci rivediamo martedi prossimo con un nuo capitolo XD
Un bacio... Ciauu
Moon9292


"Perchè tutte a me? Insomma, che avevo fatto di male, nella mia vita precedente, da meritarmi questo?"

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Capitolo 9
*** L'altra faccia del mondo ***


ATTENZIONE: CAPITOLO DAI CONTENUTI FORTI, CON SCENE ESPLICITE, NON ADATTO AI MINORI, O A CHI TROPPO SENSIBILE. SE VI DISTURBANO ARGOMENTI DI QUESTO GENERE, ALLORA VI CONSIGLIO DI NON LEGGERE...




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Capitolo 9 - L'altra faccia del mondo


Perché tutte a me? Insomma, che avevo fatto di male, nella mia vita precedente, da meritarmi questo? In fin dei conti, in questa esistenza mi ero sempre comportata bene, rispettando regole, e seguendo certi schemi ben precisi. Invece, qualcuno, si divertiva a torturami. Per forza! Altrimenti come si spiegava la quantità di guai che mi erano stati inflitti. Se esisteva Dio, doveva darmi parecchie spiegazioni a riguardo. Perché non era umanamente possibile dover fronteggiare tutte queste situazioni, in così breve tempo le une dalle altre. Perciò due erano le cose: o io ero dotata di una sfiga immensa, capace di attirare anche le più insignificanti difficoltà e trasformarle in sciagura, oppure in una vita precedente dovevo essere stata il più grande killer di tutti i tempi. Almeno trecento uomini dovevo aver ucciso, per poter spiegare la ragione per cui dovevo trovarmi sempre ad affrontare quelle situazioni. Ancora dovevo capire come il mio cervello bacato avesse accettato di fare una cosa simile. Dannate lacrime. Devono essere state quelle, non c’era altra ragione. Ero sempre stata troppo sensibile di fronte a quelle gocce salata che scorrevano dagli occhi. Chiunque piangeva davanti a me, sapeva di avermi fregato. Poteva fare di me ciò che voleva. Ed io anche in questo caso, non mi ero smentita. La mia mente vagava verso poche ore prima, quando quella donna era entrata nell’aula professori ad interrompermi, per poter parlarmi.
 
 << Vorrei parlarle di una cosa molto importante. Si tratta di mio figlio, Roberto Storti >>, disse la donna, agitata e nervosa.
<< Mi dica >>, la invitai con enfasi. Quel nome, aveva riacceso in me il ricordo di Ianto distrutto per la perdita dell’amico. Non capivo il perché, ma saperlo ferito mi feriva a mia volta, e mi faceva anche perdere le staffe, ad essere onesti.
<< Beh vede, io non saprei da dove cominciare >>, affermò la donna titubante.
Ecco, ci risiamo. Chissà perché, chiunque dovesse cominciare a raccontarmi qualcosa, doveva partire da un tempo passato remoto. Non potevano semplicemente fare un sunto della situazione, così da rendere le cose più semplici per tutti? Ovviamente no, sarebbe stato troppo bello.
<< Cominci dall’inizio >>, suggerì con finta dolcezza.
<< Avrà notato dai miei vestiti, che non sono proprio una persona facoltosa >>, esordì stupendomi.
In effetti, ora che ci riflettevo, quella donna non sembrava affatto una persona ricca, come quelle che giravano in quel quartiere. Assomigliava di più ad una semplice popolana, che faticava ad arrivare a fine mese. Non esposi i miei pensieri. Non solo per non suonare sgarbata, ma anche perché confermare quella sua ipotesi era scontato. Era ovvio che non era una persona facoltosa.
<< Vede, noi abbiamo affrontato una… >>, provò a trovare le parole giuste, con molta difficoltà. Uno strano campanello suonò nella mia mente. << …abbiamo fronteggiato dei problemi, chi ci hanno portato alla… povertà >>, biascicò alla fine, vergognandosi immensamente di se stessa. Non riuscivo a capire perché ci si dovesse imbarazzare per il proprio stato sociale. Ognuno era quello che era, indipendentemente dalle scarpe o dai vesti che portava, o dal proprio conto bancario. Quel discorso da ricchi presuntuosi proprio non lo sopportavo.
<< Signora, non c’è bisogno di essere imbarazzati >>, provai ad incoraggiarla.
<< Non mi dica queste cose. Lei non sa come ci si sente. Avere tutto, e poi perderlo in un’istante >>, esclamò infuriata. Dentro di me, un drago sputafuoco stava arrostendo le mie budella. Quell’affermazione ebbe il potere di farmi imbestialire, mandando a quel paese qualsiasi sentimento di compassione o di affetto per quella donna.
<< Signora, giudicare dalle apparenze è decisamente sbagliato. Non mi conosce e non sa la mia storia. E stabilire che quello posso aver provato in vita mia, solo perché non sono mai stata ricca, equivale a niente in confronto alla sua di esperienza, lo considero un’offesa bella e buona. Perciò si astenga da questi commenti >>, dichiarai con decisione e durezza. Avrebbe imparato come ci si comportava con me.
La donna mi guardò, spaesata, come se avessi appena parlato in un’altra lingua. Decisamente era stata colta alla sprovvista. Dopo qualche attimo di silenzio, poi, mi sorrise, cogliendomi di sorpresa. E adesso che diavolo le prendeva?
<< Mio figlio aveva ragione. Lei è davvero una persona in gamba >>, disse addolcendo lo sguardo.
Forse dopotutto avrei potuto riconsiderare ciò che pensavo della signora. Adularmi, era il modo migliore per scalfire il mio orgoglio.
<< Allora >>, sospirai cercando di tornare all’argomento principale. << Mi dica che cosa posso fare per lei >>
<< Va bene. Come le stavo dicendo, per una serie di circostanze, siamo divenuti poveri. Ed ora sono preoccupata per Roberto >>, disse turbata.
<< Mi scusi signora, ma non riesco ad afferrare il nesso tra le due cose. Come mai è preoccupata per suo figlio? >>, chiesi dubbiosa. Davvero non riuscivo a capire.
<< Vede, da quando non abbiamo più un soldo, Roberto ha deciso… >>, si bloccò nuovamente arrossendo di colpo e riempendo gli occhi di lacrime. << …ha cominciato a lavorare >>.
<< Ok >>, dissi sinceramente scettica. Che male c’era se un ragazzino di diciassette anni avesse deciso di lavorare per aiutare la famiglia? Nessuno. Anzi, io lo trovavo un atto da lodare.
<< No, lei non capisce. In questo posto è vietato, ai minorenni, di lavorare. E se frequenti l’università, l’unico impiego che puoi occupare è nella tua facoltà >>, mi spiegò agitata, cominciando anche a singhiozzare.
Ora capivo perché tutto quel turbamento. E l’unica cosa che mi venne da pensare fu: ma che merda di posto era quello? Un luogo in cui tutta la tua vita è controllata. Prima dai tuoi genitori, poi dai tuoi insegnanti… ma santi numi! Un po’ di libertà per questi ragazzi. Ora capivo perché il padre di Ianto fosse scappato da quel quartiere. E aveva fatto più che bene.
<< Non lo sapevo. Mi dispiace >>, dissi sinceramente toccata. Quella famiglia era davvero nei guai.
<< Noi non abitiamo più qui. Non possiamo permettercelo >>, affermò amaramente. << Per questo Roberto è riuscito a trovare lavoro. Non essendo soggetto a controlli, poteva essere più libero. Però il punto è questo >>, ma come, prima si fermò. Stavo cominciando ad innervosirmi. Ma perché tutti amavano fare della suspense?
<< Qual è il punto signora? >>, chiesi leggermente innervosita. Davvero, io odiavo la suspense.
<< Il punto, è che io non ho mai saputo che lavoro facesse. Ma adesso sto cominciando a preoccuparmi. L’altra sera, è tornato a casa alle prime luci del mattino >>, esclamò agitata.
Aspetta, aspetta, aspetta. Se la matematica non era un’opinione, e due più due faceva sempre quattro, allora si poteva anche spiegare il perché quel ragazzo in classe dormiva sempre.
<< E non sa cosa ha fatto? >>, domandai ingenuamente.
<< No, purtroppo. Da quando ha trovato lavoro, io non ho più parlato molto con mio figlio. La mattina a scuola, torna a casa e si rinchiude in camera per tutto il pomeriggio a studiare. E poi verso le otto di sera esce e va a lavoro >>, confessò mestamente.
<< Alle otto di sera? Ma che razza di lavoro è questo? >>, esclamai sbigottita.
<< Non lo so. Non ha mai voluto dirmelo. Quel giorno, quando è tornato alle prime luci del mattino, stava talmente stanco che quando si è andato a fare la doccia, ha dimenticato di chiudersi nel bagno. E allora io li ho visti >>, disse tornando a piangere. Singhiozzava così forte, che temetti potesse restare senza fiato. Mi avvicinai e le presi dolcemente una mano. Era ruvida e callosa, segno che quella donna facesse lavori manuali pesanti.
<< Cosa ha visto? >>, la spronai.
<< I lividi. Lividi su tutto il corpo. Ovunque. Che razza di lavoro ti può portare ad avere tutti quei lividi? Anche nelle… >>, esclamò disperata, per poi bloccarsi nuovamente. Quella donna, non c’era dubbio, amava fare la suspense.
<< Anche? >>, la incitai per l’ennesima volta.
<< Anche nelle parti intime >>, biascicò stancamente.
<< Oh >>, dissi scioccamente. Quello si che non era un buon segno. Che razza di mestiere svolgeva quel ragazzo? Il campanello d’allarme nella mia testa suonò molto più forte. Davvero un bruttissimo segno.
<< Io ho paura. Molta paura. Non so che fare. Lei deve aiutarmi >>, mi supplicò la donna piangendo disperatamente. Strinse forte la mia mano, come volesse infondermi attraverso quel contatto, tutto il dolore di cui disponeva. Abbassai il capo, sapendo che stavo per cacciarmi in qualche brutto guai. Ne ero assolutamente convinta.
<< Va bene. L’aiuterò >>, accettai con un sospiro.
 
E adesso, eccomi qui, a giocare a 007, pedinando un marmocchio di diciassette anni, che non aveva fatto altro che causare problemi, a mio modo di vedere le cose. Insomma, una della mia età, che si mette a fare queste cose, è davvero ridicola. Mi ero messa d’accordo con la madre di Roberto, per cercare di capire cosa diavolo stava accadendo. Perciò alle otto meno un quarto, avevo raggiunto l’appartamento del ragazzo, nascondendomi. Quel quartiere era davvero povero. Le case tutte diroccate, emanavano quella forte sensazione di vecchio e pericolante. Sicuramente un terremoto avrebbe abbattuto quel posto. Alle otto precise, mentre ero fuori a ghiacciarmi, vidi Roberto uscire fuori dal suo palazzo, e dirigersi verso un punto imprecisato della città. Lo seguì, maledicendomi per la milionesima volta della mia sfortuna, e per la troppa sensibilità che avevo quando vedevo qualcuno piangere. Insomma, io ero una biotecnologa non un agente segreto, quelle cose non facevano per me. Lo stavo seguendo ormai da un quarto d’ora, senza ottenere risultati. Aveva camminato tranquillamente, osservato le vetrine di vari negozi, e adesso stava prendendo un caffè in una caffetteria all’aperto. Non ne avevo mai vista una in vita mia, ma in quel momento invidiavo tutti quelli che potevano avvicinarsi e deliziarsi con qualche bella bevanda calda. Dannata me!
<< Prof, che ci fai qui? >>, domandò qualcuno alle mie spalle, facendomi saltare.
Ma che diavolo. Da quando ero arrivata in quel posto, la gente non faceva altro che prendermi alla sprovvista. Insomma, avevo scritto da qualche parte, magari proprio sulla schiena, che per rivolgermi la parole bisognava farmi prendere un’accidenti. E poi chi riusciva a farmi fuori, che vinceva, un premio? E che miseria. Quando mi voltai, ancora spaventata, vidi due occhi di ghiaccio fissarmi interrogativi.
<< Ianto. Che diavolo ci fai qui? >>, chiesi perplessa e anche innervosita.
<< Una passeggiata con un compagno di squadra >>, spiegò indicandomi un ragazzo al suo fianco. Alto, spalle larghe, ma niente di particolare, se paragonato alla bellezza di Ianto. Oddio, adesso il freddo mi aveva congelato quegli ultimi pochi neuroni che mi erano rimasti. Da dove mi uscivano frasi del genere?
<< Ciao >>, lo salutai imbarazzata.
<< Salve >>, rispose l’amico.
<< Allora, che ci fai qui? >>, mi domandò nuovamente Ianto.
<< Ehm, ecco. Niente, facevo una passeggiata anche io >>, mentì alzando di un’ottava di troppo la mia voce. Ero pessima nel mentire. Mio marito me lo diceva sempre: le bugie stavano a me, come l’olio stava col fuoco. << Amo il freddo, la sensazione di insensibilità alle dita delle mani e dei piedi quando cammini, le labbra secche e il vento che ti scombina i capelli, annodandoli tutti, e facendoti diventare calva una volta tornata a casa mentre te li spazzoli. Si, amo decisamente fare una passeggiata col freddo >>, maledetto sarcasmo che mi faceva parlare. Ma perché non potevo stare con la bocca chiusa per una volta?
Vidi Ianto sollevare un sopracciglio perplesso. Beccata all’istante. Anche l’amico trattenne un sorriso, facendomi intuire che ero stata decisamente pessima. Maledetta onestà.
<< Ehm, Dario, possiamo rimandare la nostra passeggiata? Credo di avere da fare >>, domandò Ianto al compagno.
<< Certo, nessun problema. È stato un piacere conoscerla >>, mi salutò il ragazzo, prima di andarsene.
<< Anche per me >>, risposi con voce bassa e tremolante. Ora si che ero nei guai.
<< Allora, prof. Che vogliamo fare? >>, affermò Ianto incrociando le braccia e fissandomi negli occhi, divertito.
<< Ah, io non so te, ma voglio proseguire nella passeggiata >>, esclamai con forza.
<< Andiamo prof, che mi stai nascondendo? >>, domandò il ragazzo penetrandomi con lo sguardo. Sulle labbra sempre quel sorrisetto presuntuoso.
<< Niente >>, affermai con decisione. Non mi sarei mai lasciata vincere da un poppante come lui. << Sto facendo una passeggiata, e si dia il caso che tu mi stai disturbando, quindi vedi di andare via >>
<< Prof >>, cominciò Ianto con voce bassa e suadente. Si avvicinò piano, con fare studiato, bloccandomi con le spalle vicino al palo della luce che c’era dietro di me, e dietro il quale stavo tentando di nascondermi per non farmi scoprire da Roberto. Ero decisamente una pessima spia. Il ragazzo abbassò il suo voltò, facendo si che i nostri nasi quasi potessero sfiorarsi. Sentivo il suo alito caldo e profumato sulla pelle, rabbrividendo all’istante. Che diavolo mi stava prendendo? Eccitarmi per un contatto simile? Ma scherziamo? Non poteva e doveva essere. Purtroppo per me, però, fui tradita dal mi stesso corpo. Le mie guance si dipinsero di un accesso rosso imbarazzo, rendendomi buffa e poco femminile. Vidi Ianto stendere ancora di più il suo sorriso trionfatore. << Tu, le bugie, non le sai dire >>, esclamò con lo stesso tono in cui mi aveva chiamato. Dei brividi attraversarono tutta la mia colonna vertebrale. In pochi erano riusciti a prendermi in quel modo. Anzi, solo mio marito. Eppure quel ragazzino, riusciva a farmi battere il cuore, come se fossi stata un’adolescente alle prime armi. Quanto a fondo può cadere una persona prima di ritenersi completamente distrutta? Io stavo precipitando, ormai, da un bel po’. Il mio orgoglio, per fortuna, riuscì a battere l’imbarazzo. Scostai Ianto da quella vicinanza troppo stretta, e rimisi nuovamente dei paletti a separarci.
<< Senti, non ho tempo per te >>, affermai con decisione, cercando di placare i battiti del mio cuore.
<< Perché? >>, domandò con arroganza.
<< Ma come perché? Non ho tempo per te, punto e basta >>, esclamai cominciando ad innervosirmi sul serio.
<< Non ti lascerò in pace, finché non mi avrai rivelato che diavolo stai combinando >>, continuò sempre con presunzione.
<< Senti, marmocchio, quello che combino o non combino, non è affare tuo, chiaro? >>, dissi con durezza.
<< Invece è affare mio. Mi pare di averti già detto che mi piaci, e che voglio conquistarti. Perciò tutto quello che riguarda te, per me diventa la massima priorità >>, dichiarò con una sincerità e calma disarmanti.
Boccheggiai, in cerca di ossigeno. Come poteva dire quelle cose, e sembrare del tutto indifferente allo stesso tempo. E soprattutto perché il mio cuore aveva preso a martellarmi nel petto, con ferocia? Che mi stava capitando? Ci fissammo al lungo negli occhi, incapaci di fare altro. quel meraviglioso color ghiaccio mi stava avvolgendo, come mai mi era successo nella vita. Volevo perdermici sempre di più, e dimenticare tutto il resto. Vidi Ianto avvicinarsi lentamente, sempre senza distogliere il suo sguardo dal mio. Sapevo che stava per accadere, ma comunque non riuscivo a fermarmi. Era come se la gravità mi stesse attraendo verso quel corpo, così possente e così bello. Non potevo fare diversamente. Una sua mano andò ad appoggiarsi sul mio fianco, e la sentì bollente sotto tutta la quella stoffa. Il mio respiro tremò. I nostri visi erano sempre più vicini. Ormai mancava davvero poco. Quelle labbra così invitanti, finalmente, avrei potuto assaggiarle…
<< Dannazione, moccioso! Fai attenzione >>, urlò un uomo.
<< Mi dispiace >>, si scusò un ragazzo, la cui voce mi suonò familiare.
Cazzo! Roberto! Mi staccai velocemente da quelle braccia avvolgenti e mi voltai dandogli le spalle, rossa come un pomodoro, e col cuore a mille. Avevo dimenticato la mia missione, e soprattutto che io e quel ragazzo eravamo non solo insegnante ed alunno, ma c’erano anche 13 anni di differenza a separarci. Il mio respiro era sempre più affannato. Ma quello che più mi preoccupava, era il cuore. Sembrava quasi come se avesse perso qualcosa di fondamentale per la sua integrità. Si sentiva triste e solo. Mi sentivo davvero male. Dietro di me, avvertì un profondo sospiro di Ianto, segno della sua insoddisfazione per quel mancato contatto tra le nostre labbra. Alzai lo sguardo, puntandolo di fronte a me, e vedendo Roberto al centro della strada, intento a pulirsi il cappotto sporco di caffè. Era impossibile non notarlo da quella posizione
<< Prof, che ci fa qui Roberto? >>, domandò Ianto, vedendo subito l’amico.
Appunto. Accidenti, e adesso che mi inventavo?
<< Ehm >>, cercai di dire qualcosa, ma senza ottenere successo.
<< Prof >>, mi richiamò lui.
<< Uffa, e va bene >>, sbottai infastidita voltandomi, e ritrovandomi nuovamente quegli occhi di ghiaccio a fissarmi. Mi sarei potuta perdere davvero in quel ghiaccio. << Lo stavo seguendo, ok? >>
<< No che non è ok. Perché lo stai pedinando? >>, mi domandò lui infervorato.
<< Non è affare tuo >>, risposi meccanicamente.
<< Si invece. La donna che mi piace segue quello che un tempo era il mio migliore amico. Direi che ho tutti i diritti di sapere che diavolo sta succedendo  >>, esclamò sempre più imbestialito Ianto.
<< Senti, tu… >>, ma non finì la frase, perché il mio sesto senso mi suggerì di voltarmi. Quando lo feci, vidi Roberto essersi già incamminato verso mete ignote. << Merda >>, esclamai digrignando i denti, e ricominciando a seguirlo. Dietro di me avvertivo la presenza costante di Ianto, che non voleva abbandonarmi. << Che diavolo stai facendo, moccioso? >>
<< Ti sto seguendo >>, rispose con naturalezza.
<< Cos’è, un gioco? Io seguo Roberto, e tu me? >>, domandai ironica.
<< Ovvio. Non posso lasciarti andare. So già che finiresti nei guai >>, rispose con fare accusatorio.
<< Non sono una bambina. Me la so cavare da sola >>, dissi stizzendomi.
<< Ho i miei dubbi al riguardo >>, affermò sarcastico Ianto.
<< Ti ricordo, moccioso, che quello che è stato ripescato ubriaco e livido da una discoteca, eri tu, non io >>
<< Errori di gioventù >>, dichiarò strafottente.
<< Errore di gioventù? Ma se è successo il mese scorso >>, esclamai allibita. Come rigirava le questioni lui, non lo faceva nessuno.
<< In un mese si cambia. Si matura >>
<< Si, così mi diventi un bel pomodoro da passare >>, risposi sarcastica.
<< Pessimo paragone >>, mi rimbeccò lui.
<< Io lo trovo calzante. Rosso come la passione, appiccicaticcio come la colla, e fastidioso da levare da i vestiti. Ti ricorda qualcuno >>, domandai ironica.
<< Che dolce, mi hai appena definito passionale >>, disse Ianto con dolcezza. Lo fissai sconvolta, e potevo giurare che al posto degli occhi, si potevano distinguere due cuori.
<< O santi numi >>, esclamai sconfortata.
<< Prof >>,  mi richiamò con serietà.
<< Che c’è? >>sbottai esasperata.
<< Non mi piace dove siamo >>, rispose Ianto. Sentivo che era molto teso.
Osservai meglio il posto dove eravamo arrivati, e mi irrigidì anch’io. Un quartiere squallido, sporco e lurido. Prostitute su di ogni lato della strada. Vagabondi stesi per terra, ubriachi o pesti. Persone malfamate che ti squadravano da capo a piede, e locali a luci rosse ovunque. Non mi ero resa conto dove fossimo arrivati, troppo presa da quel battibecco con Ianto. Ogni volta c’era quel ragazzo nelle vicinanze, perdevo il punto di vista delle altre cose, focalizzandomi solo su di lui. Dovevo assolutamente darmi una regolata.
<< Che razza di posto è mai questo? >>, esclamai sorpresa, e anche spaventata.
<< E’ la feccia di Roma. Un posto dove tutta la merda della città, si riunisce, o ci viene buttata da chi è più fortunato >>, mi spiegò guardandosi intorno, con circospezione. Era agitato, lo capivo benissimo. E per questo motivo, io ero più agitata di lui.
<< Ma non capisco. Che diavolo è venuto a fare qui Roberto? >>, domandai sempre più sbalordita e schifata. Le scene che si potevano osservare, erano davvero sgradevoli. Vomiti, risse, persone che ti fissavano lussuriose. Addirittura prostitute che svolgevano il loro mestiere li, davanti a tutti, senza pudore. Voltai lo sguardo nel vedere i giochi di bocca che una di loro stava facendo al proprio cliente.
<< Beh, le risposte sono due. Qui si viene o in cerca di un divertimento alternativo… >>, rispose Ianto sospirando agitato. << …oppure vieni a vendere il tuo corpo >>
<< E’ disgustoso. Ma nessuno può fare nulla? >>, domandai inorridita.
<< E’ la vita purtroppo. Chi finisce qui, vuol dire che non ha più nessuno, e che ha perso ogni speranza >>, dichiarò amaramente.
<< Allora che ci fa Roberto qui? >>, domandai nuovamente, quasi come fossi un giradischi rotto. Non potevo credere che quel ragazzo fosse finito in un posto simile.
<< Ecco la risposta >>, disse con durezza Ianto.
Puntai lo sguardo davanti a me, e vidi il giovane entrare in un locale buio, con un luce al neon viola e una ad intermittenza bianca. Ci avvicinammo lentamente, e quando arrivammo fuori al locale rabbrividì. In vetrina, due giovani ragazzi, nudi si esibivano ballando e strusciando con gli oggetti più disparati. I loro corpi, esposti allo sguardo di tutti, erano martorizzati, coperti di lividi. Sentì un conato di vomito, attanagliarmi le viscere. Ero sicura che avrei dato di stomaco presto.
<< “The showcase of sex”. Dio, esiste davvero >>, esclamò orripilato Ianto.
<< Che razza di posto è questo? >>, domandai sempre più disgustata.
<< E’ una specie di leggenda, per chi non frequenta questo quartiere >>, mi spiegò il ragazzo con una calma rinata. Ma avvertì, lo stesso, nel suo tono di voce un senso di angoscia. Era davvero preoccupato. << Si dice che questo, è il miglior locale a luci rosse di tutta Italia. Li dentro si trova roba solo di prima qualità >>
<< Roba di prima qualità? >>, domandai incerta. Sentivo, però, di non essere del tutto pronta alla risposta.
<< Prostituti. Di sesso maschile >>.
Infatti, non ero decisamente preparata per quel responso.  Un nuovo conato di vomito mi assalì, ma riuscì a domarlo. Dovevo andare a fondo di quella faccenda.
<< Continua >>, lo spronai.
<< Sicura? >>, domandò Ianto preoccupato per me.
<< Sto bene >>, affermai con fermezza, continuando  a fissare i due ragazzi nelle vetrine.
<< I ragazzi che lavorano qui, son per lo più maggiorenni. Ma, alle volte, capita che dei minorenni vengano assunti >>, spiegò mestamente. << Da quello che si racconta, le cose che succedono in questo posto sono davvero orribili >>
<< Ovvero? >>, domandai con fermezza. Adesso ero davvero pronta al peggio
<< I ragazzi che lavorano qui… beh, ecco…vengono posizionati in delle stanze che circondano tutto il locale. Vengono sodomizzati, torturati, e sottoposti alle peggiori violenze sessuali della loro vita >>.
Non potevo credere alle mie orecchie. Quelle povere persone, martoriate e assassinate nell’animo. Sottoposti ad una simile tortura, ogni giorno. Era davvero orribile quello che la razza umana potesse fare. Partorire certe brutalità, era davvero sintomo di una malattia mentale profonda. In quel momento mi vergognai profondamente della mia specie.
<< Non è tutto >>, aggiunse mortificato Ianto.
<< Che altro manca a questo splendido quadro? >>, domandai sarcastica.
<< Si dice che i prostituti lavorino in due ambienti. O al centro del locale, come ballerini di lap dance, camerieri nudi, o tavoli e Dio solo sa cos’altro. Oppure… >>, ma non prosegui, quasi spaventato dalle sue stesse parole.
<< Dannazione, Ianto! Sputa il rospo >>, sbottai inferocita.
<< Oppure lavorano in queste stanze, che però sono alla vista di tutti. Non so bene che significhi, ma centra qualcosa il nome: showcase, ovvero vetrina >>, mi spiegò inorridito dalle sue stesse parole.
Riflettei per qualche minuto, cercando di respirare quanta più aria disponessi. Dunque, Roberto era povero. Lavorava di notte. Lavorava in quel quartiere. Era entrato in quel postaccio che qualcuno osava definire locare, quando era solo un girone infernale dantesco. E in più…:
 
<< Cosa ha visto? >>, la spronai.
<< I lividi. Lividi su tutto il corpo. Ovunque. Che razza di lavoro ti può portare ad avere tutti quei lividi? Anche nelle… >>, esclamò disperata, per poi bloccarsi nuovamente. Quella donna, non c’era dubbio, amava fare la suspense.
<< Anche? >>, la incitai per l’ennesima volta.
<< Anche nelle parti intime >>, biascicò stancamente.
 
O merda! Quello si che era davvero un brutto segno. Quell’orribile sensazione che avevo provato durante il giorno, presagio di catastrofe, adesso stava suonando come un’orchestra nella mia mente. Ero davvero preoccupata. Alzai lo sguardo, in direzione dei due ragazzini. Vidi quello alla mia destra fissarmi. I suoi occhi, quei bellissimi occhi castani, spenti. Quasi fossero morti. Non c’era più vita in quel giovane. Sentì un groppo in gola, e anche una rabbia feroce. Dovevo scoprire la verità a qualunque costo, e salvare Roberto. Perciò, senza alcuna esitazione, esclamai:
<< Entriamo! >>. 








Buonasera a tutti. ecco a voi un nuovo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...come ho premesso all'inizio, è un capitolo davvero forte, con tematiche davvero difficili. E soprattutto non proprio adatti a chi è sensibile, quindi se vi ha dato fastidio in qualche modo il capitolo, vi chiedo scusa...
Devo confessare che questo non è uno dei miei capitoli preferiti, e che scriverlo non è stato semplice... quindi non sono per niente soddisfatta di come è venuto... se anche voi la pensate come me, ditemelo che lo sistemo... così martedi prossimo pubblico il nuovo, e riposto questo corretto... se invece a voi è piaciuto, allora sono davvero contenta XD
Ora la domanda è una sola: come andrà a finire? Che cosa troveranno Lisa  e Ianto nel locale? Beh, la risposta la troverete martedi prossimo XD...questo capitolo, da solo non spiega molto, ma abbinato ai prossimi, vi farà capire che cosa è successo a Roberto XD...
Ringrazio tutti coloro che leggono, aggiungono la storia nelle seguite, e ringrazio coloro che recensiscono sempre: _rain_ e Loreena McKenzie...grazie mille!!!
Va beh, adesso vi lascio...ci vediamo martedi prossimo...un baciotto XD
Moon9292

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Capitolo 10
*** Proteggere ***


ATTENZIONE: CAPITOLO DAI CONTENUTI FORTI, CON SCENE ESPLICITE, NON ADATTO AI MINORI, O A CHI TROPPO SENSIBILE. SE VI DISTURBANO ARGOMENTI DI QUESTO GENERE, ALLORA VI CONSIGLIO DI NON LEGGERE...




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Capitolo 10 - Proteggere


<< Entriamo! >>, esclamai con forza.
Ianto mi fissò, preoccupato. Evidentemente non era pronto a varcare la soglia di quel luogo. Ma a me non importava. Dovevo entrare, e svelare quel mistero. E soprattutto, scoprire che mansione Roberto svolgesse al suo interno, anche se una mezza idea me l’ero fatta. Ma speravo davvero di sbagliare.
<< Prof, ne sei sicura? Io non ne sono molto convinto >>, domandò il ragazzo incerto.
<< Certo che ne sono sicura >>, ribadii con più vigore, senza distogliere lo sguardo dai due ragazzini esposti in vetrina. << Devo sapere che combinano qui dentro, e devo salvare Roberto >>
<< Senti, nessuno più di me vuole sapere che diavolo sta combinando quel cretino di Roberto. Ma questo posto è davvero un luogo malfamato >>, rispose teso, Ianto. << La gente che entra qua dentro, dice che ne esce profondamente cambiato. Addirittura c’è chi sostiene che degli amici non sono più usciti >>
<< Motivo in più per entrare >>, esclamai sempre più convinta delle mie parole.
<< Prof, ascoltami! >>, affermò il ragazzo agitato, afferrandomi per le spalle e costringendomi a fissarlo. I suoi occhi erano davvero preoccupati. Ma non riuscivo a capire per chi, se per noi o per l’amico. << Qui dentro, non ho la minima idea di cosa aspettarmi. Potrebbe essere davvero pericoloso >>
<< Ianto >>, dissi con dolcezza. Capivo le sue paure, perché erano anche le mie. Ma non avrei mai abbandonato Roberto. Appoggiai con delicatezza la mia mano, sulla guancia del ragazzo. La sua pelle era ghiacciata, ed anche un po’ ispida per via della ricrescita. Ma non avrei mai immaginato che fosse così bello poterlo sfiorare. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. Avrei voluto toccarlo per sempre. Ma non era quello decisamente il momento per pensare a queste cose. << Capisco la tua paura. Anche io ho paura. Avere paura è la cosa più normale del mondo. Ma non bisogna lasciarsi vincere da essa. Bisogna essere più forti, capito? In questo momento, una persona a cui vogliamo bene, ha bisogno di sapere che siamo coraggiosi. Che entreremo in questo posto e che lo tireremo fuori dai guai, anche con la forza >>
<< Io non ho paura per me >>, confessò il ragazzo con dolcezza, ma allo stesso tempo con forza. << Io ho paura per te >>.
In quel momento mi fissò, come solo il suo sguardo poteva fare. Penetrandomi fin dentro l’anima. Ai suoi occhi, io ero nuda. Sempre! E non avrei cambiato quella sensazione per nulla al mondo, perché mi sentivo a casa. E non c’era nessun luogo migliore di casa propria. Ianto appoggiò il capo vicino alla mia mano, approfondendo quel contatto. Sembrava un cucciolo bisognoso di carezze. Ed io, in quel momento, gli avrei concesso di tutto.
<< Non voglio che ti accada nulla. Non potrei sopportarlo >>, aggiunse in un sussurro.
<< Non mi accadrà nulla. Te lo prometto >>, risposi con lo stesso tono.
Ianto mi fissò nuovamente. Poi sospirò. Prese la mia mano, e la strinse nella sua con forza, ma al tempo stesso con delicatezza. I suoi occhi, incastrati nei miei, mi trasmettevano emozioni che non credevo avrei mai più avvertito. Amore, desiderio, bisogno. Lui, davvero, non voleva perdermi. Gli sorrisi, cercando di tranquillizzarlo, e trasmettendogli una piccola parte dei sentimenti che stava infondendomi.
<< Va bene. Facciamo questa pazzia >>, sospirò infine.
Poi entrambi ci voltammo, per entrare in quel mondo sconosciuto, pieno di misteri e pericoli.
Varcata la soglia, ci trovammo immersi in una profonda oscurità. Non si vedeva davvero nulla. Ianto strinse con più forza la mia mano.
<< Ianto, mi stai stritolando >>, bisbigliai leggermente irritata. Mi stava facendo davvero male.
<< Scusa >>, mi rispose sottovoce.
<< Che cavolo! Non si vede nulla >>, esclamai scocciata.
<< Che ti aspettavi. Un cartello con una scritta al neon, gigante, che diceva: “Benvenuti. Abbassa i pantaloni così risparmiamo tempo”? >>, mi apostrofò Ianto.
<< Certo che no. Ma non mi aspettavo neanche che non si vedesse un tubo. Che razza di night club è questo? Per menti molto fantasiose? Ti immagini gli scenari, invece di viverli o vederli? >>, continuai la mia arringa.
<< Beh, di sicuro siamo in un corridoio >>, dichiarò con sicurezza il ragazzo al mio fianco.
<< E come fai a dirlo? Occhi a raggi infrarossi? >>, ironizzai.
<< No, nessun ragno geneticamente modificato mi ha ancora morso >>, rispose Ianto con la mia stessa moneta. << Basta che tocchi le pareti ai tuoi lati, per capire che siamo in un corridoio, Sherlock >>.
Leggermente confusa, allungai l’altra mano libera alla mia sinistra, e in effetti mi trovai a tastare una superficie solida. Però non era muro.
<< C’è qualcosa di strano >>, commentai.
<< Cosa? >>, chiese Ianto dubbioso.
<< Non ti sembrano strani questi muri, Watson? >>
<< Strani in che senso? >>, domandò sempre più confuso il ragazzo.
<< Sono freddi, e non so, come se non fossero fatti di cemento o quant’altro. Sembrerebbe più… >>, ma non riuscii a terminare la frase, perché Ianto mi precedette.
<< Vetro! >>, esclamò.
<< Già >>, confermai sempre più confusa. Che razza di posto era?
Ritornammo a camminare in silenzio, sempre immersi nell’oscurità. Ad un certo punto, però, una luce al neon viola scuro si accese, cogliendoci alla sprovvista. Quel fioco bagliore, ci lasciò comunque accecati, ormai abituati alla completa cecità. Ci fermammo, lasciando ai nostri occhi il tempo di riprendersi. Quando, finalmente, riuscimmo a mettere a fuoco, guardammo ciò che ci circondava. Anche con quella minima luce, realizzammo che effettivamente eravamo circondati da vetri. Ognuno di questi era grande quando la parete di una camera, separati poi ognuno da un tratto di muro largo mezzo metro. Un bruttissima sensazione prese ad attanagliarmi lo stomaco.
<< Ianto >>, chiamai il ragazzo con voce tremolante.
<< Si? >>, rispose lui con più sicurezza, ma al tempo stesso teso.
<< Non mi sento molto tranquilla >>
<< Te lo fai venire in mente solo ora, che ormai siamo dentro? Ti ricordo che io non ero d’accordo fin dall’inizio ad entrare >>, mi rinfacciò Ianto.
<< Non ti facevo così cagasotto >>, lo scimmiottai sorridendo.
<< Se ti dicessi che non ho paura, mi crescerebbe il naso a dismisura. Ma una situazione del genere l’affronterei meglio, se fossi solo >>, mi rispose leggermente irritato il ragazzo.
<< Ah si? E perché io ostacolo il tuo coraggio? >>, domandai cercando di distrarmi da quella orribile sensazione.
<< Non posso sistemare la situazione, se devo badare a te. E se sistemo la situazione, tu sei alla mercé di chi è dietro a questo posto. Con un viso come il tuo, sei un bersaglio facile >>, spiegò lui con finta calma.
<< Non so se prenderlo come un complimento, o come un’offesa >>
<< Fuori da qui, è decisamente un complimento. Qui dentro, invece, è un rimprovero >>, mi sciolse il dubbio.
<< Grazie, lo terrò a mente quando usciamo fuori da qui >>, risposi con ansia.
Ci stavamo facendo forza da soli, con quel nostro scambio di battute. Avevamo bisogno di restare ancorati alla realtà. Improvvisamente, sentii un lamento soffocato provenire da uno di quei vetri. Scattai all’indietro, contro l’ampio petto di Ianto. Quando le mie spalle entrarono in contatto con i pettorali del ragazzo, percepii una sicurezza improvvisa. Mi sentivo protetta, e al sicuro. Una sensazione mai provata prima, neanche con mio marito. Quella consapevolezza, mi fece tremare. Avevo paura di quel sentimento, e al tempo stesso sentivo scariche elettriche attraversarmi la schiena. Ero davvero destabilizzata.
<< Ehi, tutto bene? >>, mi domandò Ianto, portandomi alla realtà.
Quando sentii la sua voce, mi riscossi, staccandomi immediatamente da lui, quasi come fossi stata scottata. Non riuscii a guardalo, troppo imbarazzata anche da me stessa.
<< Si, tutto bene >>, risposi con agitazione.
<< Che hai sentito? >>, chiese il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Eh? Come? >>, domandai a mia volta, ancora troppo scioccata dalle sensazioni provate prima. Davvero, non riuscivo a capire cosa mi stava accadendo. Ma soprattutto, non potevo accettare il fatto di aver provato un’emozione nuova, mai sperimentata con mio marito. Era semplicemente impensabile che un moccioso di diciassette anni potesse farmi sentire protetta. Io non potevo e non volevo accettarlo.
<< Prof, l’oscurità ti ha fuso qualche rotella nel cervello >>, commentò sarcastico Ianto.
<< Spiritoso >>, risposi aggressiva. << Comunque ho sentito uno strano lamento provenire da uno di questi vetri >>
<< Sicura? >>, domandò il ragazzo scettico.
<< Certo. Non sono ancora pazza >>, ma nel dire questo, una vocina nella mia testa mi ricordò che non era del tutto esatta quell’affermazione. La misi a tacere, evitando di causarmi altri problemi.
Poi, quasi come se qualcuno avesse deciso di accogliere le nostre domande, i vetri cominciarono ad illuminarsi. Poco per volta, con una lentezza esasperante.
<< Ma che diavolo…? >>, domandai confusa e preoccupata.
Ianto ed io, ci avvicinammo, pronti a scappare o ad affrontare qualsiasi scenario avremmo potuto vedere. La flemma di quelle luci era esasperante, eppure non desideravo conoscere davvero cosa celavano al loro interno. Il mio sesto senso mi diceva di prepararmi al peggio. Quando poi fummo del tutto illuminati, capì che il peggio era arrivato. Un ragazzo, forse appena diciottenne, imbavagliato, con le mani appoggiate con forza al vetro. Nudo, con un anello fallico e pinzette ai capezzoli. Ed un uomo con il volto coperto da una maschera, ed un frustino in mano, che lo prendeva con forza e violenza. La stanza, illuminata come una sala d’operazione, conteneva al suo interno una sedia da film dell’orrore, e attrezzi di svariato genere. Una cosa li accumunava tutti: la violenza. Manette semplici o incrociate, catene attaccate ai muri,  falli anali di lunghezze improponibili, strane altalene appese al soffitto, plug anali… sembrava di assistere ad un film porno BDSM. Anzi, stavo assistendo ad un vero e proprio stupro. Il mio stomaco si attorcigliò, preso da forti conati di vomito. Era davvero orribile quella scena, e in vita mia, non avrei mai desiderato assistere a quell’orrido spettacolo. Di tutte le torture che l’uomo poteva creare, la violenza carnale forse era tra le più brutali. Perché ti annullava come persona, umiliandoti irrimediabilmente. La tua condizione umana era spezzata, privandoti di tutti quei diritti naturali di cui godiamo fin dalla nascita. Quel tipo di violenza non sarebbe mai potuta essere dimenticata o cancellata dalla propria memoria, minando per sempre il proprio futuro. Ed io, che pur non subivo quel massacro, sapevo che non sarei mai più stata la stessa. Perché i miei occhi, ormai erano contaminati. Voltai di scatto la testa, cercando di ripararmi da quella vista, e fissai lo sguardo in quello di Ianto. Il ragazzo osservava sconvolto e turbato quello scenario. Il suo volto era pallido, ed i suoi occhi tremavano dalla rabbia. Anche per lui non era semplice sopportare quello spettacolo. Nel frattempo tutti i vetri presero ad illuminarsi con la stessa flemma del precedente, portando a rischiarare completamente quel corridoio. Quando tutte le luci furono accese, trattenni rumorosamente il fiato. Ovunque ti giravi, potevi vedere dietro ad ogni vetro, scene di brutale violenza. Uomini, anzi demoni incappucciati che prendevano con ferocia poveri giovani, costringendoli ad umiliarsi. Alcuni incatenati, altri appesi in quell’altalena. Altri ancora costretti a fare giochi perversi con i vari aggeggi di cui le stanze disponevano. Sentivo la testa girarmi, e la nausea salire sempre di più. Estenuata da quelle scene, appoggiai le mani sulle mie ginocchia incurvandomi, cercando di dimenticare. Dimenticare come dei poveri ragazzi potessero essere distrutti con tanta facilità. Adesso si che mi vergognavo con tutta me stessa della mia specie. Le lacrime cominciarono a pungermi con insistenza gli occhi, e non le avrei di certo trattenute. Infatti, le lasciai scorrere senza remore giù, lungo il mio viso.
<< Quelle… persone…o mio Dio…quei ragazzi >>, cominciai a biascicare tra un singhiozzo e l’altro.
<< Lo so >>, Ianto si accovacciò al mio fianco, cercando di incutermi forza. Appoggiò una mano sulla mia schiena, ed un’altra sulla mia mano che tenevo ancorata al ginocchio, in una morsa ferrea.
<< Ma come…come si può…arrivare a tanto…perché… >>, continuai sempre più divorata dalle lacrime.
<< Ehi >>, mi chiamò con dolcezza il ragazzo.
Quello per me fu un richiamo istintivo, non potevo resistergli. Perciò, voltai lentamente la testa verso il volto di Ianto, puntando il mio sguardo nel suo. Quello che vidi fu amore. Tanto amore. Più amore di quanto un essere umano possa aver mai concepito, capace di riempire l’anima più dilaniata. E quell’amore era per me. Solo per me. Non riuscii a reprimere la sensazione di felicità e appagatezza del mio animo. Ero completa, e questo bastava a cancellare ogni dolore del mio essere. Mi gettai a capofitto tra le braccia di Ianto, senza pensarci due volte. Avevo bisogno di un suo abbraccio, di sentirmi stringere, di sentirmi a casa. Il giovane di non si fece cogliere impreparato. Mi afferrò saldamente, e mi trasmise tutto l’amore di cui disponeva. La testa riprese a girarmi, ma stavolta non era per le scene orribili a cui avevo assistito. Ma perché era piena di sentimenti, forse anche soffocanti, ma nonostante tutto meravigliosi.
<< Va tutto bene. Ci sono io qui con te >>, mi sussurrò dolcemente tra i capelli.
Non riuscì a reprimere un sorriso. Anche se ero più grande di lui di ben tredici anni, Ianto mi proteggeva come solo un uomo adulto avrebbe potuto fare.
<< Grazie, moccioso >>, dissi, non riuscendo a trattenere quel commento.
Lo sentì ridere, e ciò mi riempì di gioia. Il mio umore, la mia anima, dipendevano da lui. Passarono vari minuti, in cui restammo in silenzio. Attorno a noi gemiti di ogni specie gareggiavano tra di loro, per primeggiare. Ma noi non sentivamo assolutamente nulla, se non il battere del nostro cuore. Ed era il suono più dolce di tutti. Poi, con lentezza, ci staccammo tornando a fissarci negli occhi. Nuovamente un’ondata d’amore mi investii, come se il ghiaccio di quei occhi si fosse sciolto sommergendomi completamente. Rimanemmo così senza fare un gesto, o pronunciare una parola. In quei attimi di silenzio, capii che ormai ero irrimediabilmente presa da quel giovane. E che forse non sarei più potuta tornare indietro. Il panico prese il sopravvento, portando a voltare il mio sguardo verso il pavimento. Avevo paura di quei sentimenti troppo forti ed inaspettati, e non ero ancora pronta a lasciare andare mio marito. Troppo ancora dovevo affrontare, prima di poter amare nuovamente qualcuno. Perciò mi alzai, spezzando quella magia. Ianto mi fissò, leggermente deluso e anche paziente. Sapeva che in me qualcosa stava lottando, così rispettò il mio allontanamento.
<< Ti senti meglio? >>, mi domandò appena ci mettemmo in posizione verticale.
<< Si, grazie >>, annuii senza guardarlo negli occhi.
<< Adesso capisco cosa si intende per “vetrina” >>, commentò con acidità Ianto.
<< Già. È una cosa orribile >>, aggiunsi.
<< Vuoi uscire? Ti riaccompagno a casa, e vengo a cercare Roberto da solo, se vuoi >>, propose il ragazzo con fare apprensivo.
Sorrisi, nel constatare che ero sempre al primo posto nei suoi pensieri. Nessuno mi aveva mai trattato come faceva lui, forse neanche mio marito, e questa cosa non faceva altro che destabilizzarmi. Come potevo rifiutarlo?
<< Non temere. Sto bene. Ce la faccio >>, affermai con decisione, ritornando a guardarlo negli occhi.
<< Sicura? >>
<< Assolutamente >>
<< Va bene, allora. Proseguiamo >>, mi prese la mano e, silenziosamente con lo sguardo rivolto al pavimento, percorremmo il lungo corridoio.
Per quanto potevamo, cercammo di ignorare quelle stanze dietro a quei vetri. I gemiti, però, non volevano lasciarci stare. Ci inseguivano ovunque, entrando con forza nelle nostre teste. Ogni tanto lanciavo un’occhiata fugace a quelle figure, e vedevo sempre giovane presi con forza e brutalità. I loro corpi erano martoriati, pieni di lividi e graffi. Rabbrividii al solo guardarli. In quel momento l’immagine di Roberto prese violentemente posto nella mia mente. Temevo per lui e per la sua vita. Purtroppo le cose non si mettevano proprio bene. Continuammo a camminare con timore. Da fuori non mi sarei mai aspettata che quel posto fosse stato così grande. Avevamo già superato venti stanze per lato, e sembrava che dovessimo affrontare ancora molta strada. Quando ormai le stanze erano diventate trenta, vedemmo alla fine del corridoio una porta rinforzata, bella grossa. Nessun rumore proveniva dall’altra parte.
<< Due sono le ipotesi >>, cominciò Ianto, spezzando quel silenzio. << O qua dietro non c’è assolutamente nulla, oppure… >>
<< Oppure questa è una porta insonorizzata >>, conclusi.
<< Esatto >>, concordò il ragazzo. << Che facciamo, proseguiamo? >>
<< Arrivati a questo punto, direi di si >>.
Afferrai la maniglia anti panico della porta, e spinsi con forza. Appena aperta, fummo investiti da una musica spacca timpani, e dall’inequivocabile odore del sesso. Entrammo, assolutamente sconcertati, e quello che vedemmo andava ben oltre la nostra immaginazione. Luce soffusa con fari in movimento che illuminavano l’intera stanza. Era incredibilmente grande, una vera e propria discoteca. Quattro pilastri circondavano il perimetro, e al lato destro dell’entrata un lungo bancone la faceva da padrone. Al centro vi era una passerella, che si diramava in due direzioni, su ciascuna delle quali vi era un giovane intento a ballare con movimenti sensuali. Ovviamente nudi. Anche il barista dietro al bancone era nudo, vestito solo di un papillon nero. Lungo tutta la stanza vi erano divanetti e tavoli, lasciando vuoto solo il centro della pista, dove si potevano ammirare i clienti e i ballerini in danze altamente erotiche. Sembrava di trovarsi sul set di dirty dancing, in versione decisamente porno. Sui tavoli, dei giovani nudi, fungevano da tovaglie per quei clienti pervertiti. Oppure intrattenevano gli ospiti ai divanetti, lasciandosi toccare ovunque essi avessero voluto. E, purtroppo, la stanza era circondata ancora da quei vetri  dove altre scene di violenza la facevano da padrone. Mi sembrava di essere capitata in un film dell’orrore.
<< Cazzo >>, esclamò schifato Ianto, urlando, cercando di sovrastare il fracasso di quella musica.
<< Puoi dirlo forte >>, urlai di rimando.
<< Che dobbiamo fare, prof? Come lo troviamo Roberto in mezzo a questo casino? >>, domandò preoccupato.
<< Non ne ho la minima idea >>, confessai amareggiata.
<< Bene. Bel piano >>, commentò sarcastico Ianto.
<< Sai, non ho avuto modo di prepararmi adeguatamente. Ero presa da altro >>, esclamai acidamente.
<< Beh, i baristi sono quelli più indicati per avere informazioni. Trovi? >>, propose il giovane.
<< Sei tu esperto di discoteche >>, annuii, non trattenendomi dal prenderlo in giro.
<< Spiritosa >>, criticò Ianto, mentre ci avvicinavamo al bancone.
Ovviamente anche li i clienti erano intenti a molestare i poveri ragazzi, rigorosamente nudi. Ognuno di loro aveva una cosa in comune: sguardo spento, quasi morto. Erano senza vita. Quegli occhi mi incutevano terrore e dolore. Non potevo sopportare di vederli un’istante in più. Perciò decisi di focalizzarmi solo sul barista, una volta seduti sugli sgabelli.
<< Ehi, barista >>, chiamò Ianto attirando l’attenzione del giovane. Aveva si e no venticinque anni.
<< Sera. Che vi porto? >>, domandò meccanicamente senza inflessioni nella voce. Anche il suo di sguardo, era spento.
<< Vorremmo delle informazioni >>, dissi facendolo voltare dalla mia parte.
<< Se non ordina, non può stare qua dentro >>, aggiunse come un automa.
<< Come? >>, chiese scettico il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< O ordinate, oppure sloggiate >>, ripeté meccanicamente.
<< Ma è assurdo >>, commentai  indignata. Non potevo credere a ciò che sentivo.
<< Questa è la regola >>, aggiunse sempre senza inflessioni. Sembrava di avere di fronte un cyborg.
<< Che facciamo? >>, mi domandò agitato Ianto voltandosi verso di me.
<< Che vuoi che facciamo?! Non c’è altra scelta. Ehi, terminator, portami qualcosa >>, affermai con furia al barista.
Il ragazzo non mi rispose. Si mosse semplicemente, prendendo varie bottiglie alcoliche, e cominciò a mescolarle creando uno strano cocktail rosso fuoco. Anzi, ne creò due. Poi ce li porse, iniziando a fissarci con quei occhi cibernetici.
<< Perché due? >>, domandai perplessa.
<< Siete in due >>, rispose semplicemente lui.
<< Questo lo so. Ma io ho ordinato solo per me >>, aggiunsi esasperata. Ricordavo più intelligente terminator.
<< O ordinate, oppure sloggiate >>, ripeté con quella sua voce meccanica.
<< Questo l’ho capito. Però… >>, esclamai irritata, ma Ianto mi bloccò posando una mano sulla mia spalla.
<< Prof, penso che intenda che entrambi dobbiamo ordinare. Altrimenti chi non lo fa, deve andarsene >>, mi spiegò con pacatezza. Però, sentivo dal suo tocco, tutto il suo nervosismo.
<< Ah, dannazione. Va bene, li bevo io >>, commentai sdegnata.
<< Come li bevi tu? >>, esclamò sgomento Ianto.
<< Non farò bere un diciassettenne. L’avrò anche portato in un quartiere a luci rosse, ma non sono così folle da farlo ubriacare >>, spiegai alacremente. 
<< Sicura? Non mi sembrano bevande leggere >>, mi domandò scettico il ragazzo.
<< Io reggo bene l’alcool. Non preoccuparti per me >>, dichiarai con fermezza.
Presi il primo bicchiere, e cominciai a sorseggiarlo. Era buono, dolce, leggero. Ma sapevo che dietro quel suo aspetto delicato, si nascondeva una grossa minaccia. << Contento? >>, domandai sarcastica al barista finendo il primo cocktail in pochi minuti.
Il giovane  barista mi fissò, senza interesse, non rispondendomi. Ma percepii dal suo sguardo che non era soddisfatto. Lanciò un fugace sguardo anche al secondo cocktail, facendo intuire che entrambi i bicchieri andavano svuotati.
<< Sei una rottura di coglioni, terminator >>, commentai inferocita afferrando la seconda bevanda. Senza esitazione, lo tracannai in un unico sorso, facendo stupire Ianto.
<< Prof, sei un alcolista o qualcosa del genere? >>, chiese perplesso.
Appena finii di bere, appoggiai con forza il bicchiere, sospirando. Puntai il mio sguardo in quello del barista. Non faceva una piega.
<< Allora, adesso puoi parlare oppure c’è qualcos’altro che dobbiamo fare? Tipo spogliarci e fare sesso sul bancone >>, domandai con cattiveria.
<< Che volete sapere >>, disse il giovane. Nel frattempo afferrò un bicchiere e cominciò a pulirlo.
<< Ah, finalmente si ragiona >>, affermai esasperata. Intanto la testa cominciò a girarmi.
<< Volevamo sapere dove possiamo trovare una persona >>, iniziò Ianto con sicurezza.
<< Chi >>, continuò il barista sempre senza inflessioni nella voce.
<< Si chiama Roberto. Roberto Storti. Lo conosci? >>, domandai agitata.
<< Si, lo conosco >>, annuì il ragazzo. Notai, improvvisamente, un lampo di vita in quei occhi spenti. Sembrava avessimo toccato un punto delicato.
<< Dove possiamo trovarlo? >>, continuò Ianto. Anche lui aveva notato quel barlume di vita.
<< Voi chi siete? >>, chiese il ragazzo dietro al bancone. Adesso era davvero interessato a quella conversazione.
<< E’ importante? >>, dissi acida.
<< Si >>, affermò con determinazione.
<< Sono la sua professoressa. E lui un suo amico >>, confessai con ferocia.
<< Uhm, la sua professoressa? >>, commentò lui ironico.
<< Problemi? >>
<< Assolutamente >>, alzò le mani in segno di resa. << Ok, vi dirò quello che vi interessa sapere >>, dichiarò appoggiandosi al bancone. Si poteva intravedere, attraverso lo specchio alle sue spalle, le sue sode natiche. Se non mi fossi trovata in quella situazione, avrei speso maggiore attenzione per quei glutei davvero ben fatti.
<< Cioè? >>, domandò Ianto.
<< Questo non è un posto casto. Io sono il più grande qua dentro, e lavoro qui da sei anni. Li ho conosciuti tutti, quelli che sono passati di qui. E posso descrivere il volto di qualsiasi lavoratore. Anche quello di chi adesso, purtroppo, non è più qui tra noi. E posso garantire che molti non ci sono più >>, confessò con tristezza. Finalmente la vita aveva preso il possesso di quel corpo, anche se non nel modo che avrei voluto.
Il mio livello di cattiveria, si abbassò di colpo. Adesso avevo capito per quale motivo, quel barista si atteggiava a terminator. Era un suo modo per proteggersi, da tutto ciò che lo circondava. Gli orrori a cui doveva aver assistito, non potevano nemmeno essere contati.
<< Roberto è il più giovane tra tutti noi >>, continuò abbassando il tono della voce. Evidentemente non voleva essere ascoltato da orecchie indiscrete. << E’ arrivato qui quattro anni fa, disperato, cercando un lavoro >>, nell’udire quelle parole un campanello scattò nella mia mente, facendomi agitare sullo sgabello. Lanciai uno sguardo verso Ianto, e lo vidi davvero interessato e allo stesso tempo agitato. Forse avremmo trovato una spiegazione per quell’assurdo atteggiamento che il ragazzo aveva avuto con i suoi due migliori amici. << All’inizio fu assunto come tuttofare. Poi col tempo, crescendo, è diventato un bel ragazzo. E il capo lo ha notato. Due anni fa fu promosso a cameriere passivo, ovvero nudo, ma estraneo a qualsiasi atto sessuale. Poi l’anno scorso è salito in passerella, e adesso… >>, ma si bloccò, sinceramente addolorato.
<< Cosa? >>, domandammo all’unisono io e Ianto. L’ansia ci stava divorando.
<< Adesso è passato al maggior grado che qui si può raggiungere, escluso il barista >>, confessò con tristezza. Si fermò nuovamente, facendo aumentare la tensione.
<< Maledizione, cosa? >>, esclamai esasperata. Altra suspense. Dannata suspense!
<< La vetrina >>, dichiarò secco.
Ma bastarono quelle poche parole, per farmi agghiacciare. Le mie tempie pulsavano, talmente forti erano i battiti del mio cuore. Lo stomaco si attorcigliò, facendomi riprovare nuovamente la nausea. Voltai lentamente lo sguardo verso Ianto, e lui fece lo stesso. Potevo leggere, attraverso i suoi occhi, le stesse paure che avevo io. Nessuno dei due voleva credere alle proprie orecchie.
<< Il brutto è che è stato proprio lui a chiedere di essere spostato li >>, continuò il barista ignorando il nostro sgomento. << Ha cominciato un mese fa, e si è beccato subito uno dei clienti più violenti che abbiamo. Ho passato l’intera notte a curare tutte le sue ferite >>, confessò con amarezza.
Il mio cuore si bloccò immediatamente. Non potevo assolutamente credere a quello che stavo ascoltando. Mi sentivo morire.
<< Dove? Dov’è lui, adesso? >>, sibilò Ianto con rabbia mal celata.
<< E’ li >>, ed indicò un punto dietro le nostre spalle. Io e il giovane dagli occhi di ghiaccio ci alzammo contemporaneamente. << Vi prego… >>, ci bloccò nuovamente il barista, facendoci voltare un'altra volta verso la sua direzione. << … Lui è come un angelo. Da quando c’è lui, qui dentro si respira un’aria completamente diversa. C’è vita. Dopo che è entrato in vetrina, però, la sua anima si è spenta. E il gelo è tornato, qui. Quindi vi chiedo solo una cosa: portatelo via, prima che sia troppo tardi. Per tutti noi, ormai non c’è più speranza. Ma per lui è diverso. Vi prego >>, ci supplicò con voce tremante. Stava trattenendo a stento le proprie emozione.
<< Non temere. Lo trascinerò fuori da questo posto con le buone o con le cattive >>, affermai con decisione.
Poi io e il giovane al mio fianco, riprendemmo a camminare. Attraversammo quell’immensa orgia che la faceva da padrone in quella discoteca. L’odore andava alla testa. In più i due cocktail stavano cominciando a fare il loro effetto. Come previsto, erano davvero delle bevande a tradimento. Molto presto sarei stata ubriaca. Ma dovevo resistere fino all’ultimo. Arrivammo con difficoltà davanti alle vetrine indicateci. Le scrutammo con attenzione, cercando di scorgere Roberto. Cercavo con tutte le forze di non farmi trascinare dall’orrore di quelle visioni, provando a distaccarmene. Anche se era davvero difficile. Stavamo camminando, quando ad un certo punto Ianto si bloccò facendomi urtare la sua spalla.
<< Ma che diavolo fai? >>, domandai infastidita.
Quando lo fissai, sul suo volto, però, avvistai qualcosa che non avrei mai voluto vedere. Terrore, paura, sgomento, tristezza, incredulità… era davvero scioccato. Seguì la linea del suo sguardo, e lo puntai sulla vetrina di fronte a noi. Un giovane ragazzo, legato al muro con le catene, imbavagliato con un morso a bocca aperta. Un blocco al membro, per evitare una precoce eiaculazione. Stuprato con violenza da un uomo, e da un plug anale contemporaneamente. Il sangue colava come una fontanella. Ero disgustata da quella scena, ma quando fissai attentamente il volto del ragazzo rimasi di sasso. Roberto. Il giovane studente della mia aula, il dormiglione per eccellenza, sottomesso con la forza. Non volevo credere a ciò che stavo vedendo. Non potevo assolutamente farlo. Altrimenti sarei stata costretta ad accettare vera quella realtà così estranea a me. Guardai nuovamente Ianto, ma il suo stato d’animo non era cambiato. Osservai nuovamente la scena oltre il vetro.
<< Ti prego, no… >>, sussurrò con sincero dolore il giovane dagli occhi di ghiaccio.
Sentii nuovamente le lacrime pungermi. Soffrivo per Roberto, per Ianto, per quei giovani presenti in quel posto, per la situazione. Per tutto. Cominciai a piangere silenziosamente. Nessuno dei due osava fare un passo, o dire altro. Improvvisamente, come se si fosse sentito osservare con insistenza, Roberto aprì gli occhi sofferenti. Il suo sguardo cominciò a vagare per l’intera stanza alla ricerca di qualcosa. Quando, poi, lo puntò oltre la vetrata, ci vide. Sgranò i suoi dolci occhi verdi, terrorizzati da ciò che stavano osservando. Non poteva credere a ciò che vedeva. Era semplicemente paralizzato. Stessa cosa per me e per Ianto. Appena i nostri sguardi si incontrarono, sentii una scarica elettrica partire dal collo e scendere per tutta la colonna vertebrale. In quel momento, capii che non potevo restare li ferma a guardare. Dovevo agire.
 
La mattina seguente, mi alzai con un terribile cerchio alla testa. Della serata appena trascorsa, ricordavo solo fino ad un certo punto. La mia memoria si bloccava al momento in cui scorgemmo Roberto, dietro la vetrina. E francamente quella era una delle cose che avrei voluto dimenticare maggiormente. Mi avviai con fatica alla penisola in cucina. Erano le sette e mezza, e già non ne potevo più. La sera precedente avevo provato troppe emozioni, per restare del tutto serena. Prima il pedinamento, poi vedere quei giovani, poi scoprire di Roberto, e in tutto ciò, avvertire quelle strane emozioni nei confronti di Ianto. Era davvero troppo. Lo dicevo, io, che in una vita precedente ero stata un famoso killer. E adesso ne avevo avuto la conferma. Mi preparai con lentezza un caffè forte, cercando di cominciare quella giornata difficile. Stavo per assaporare quel dolce gusto, quando il campanello di casa cominciò a suonare insistentemente. Il suono di quell’aggeggio infernale, mi penetrò il cervello, scombussolandolo completamente. Arrivai con flemma alla porta, e con altrettanta svogliatezza l’aprì. La luce del sole mi investii in tutto il suo bagliore. Mugolai, lamentandomi.
<< Che cosa ti è capitato? >>, mi domandò divertito la persona che era venuto a disturbarmi.
<< Ehm, Ianto? >>, domandai titubante. La luce mi impediva di mettere a fuoco il viso del mio interlocutore.
<< Chi altri? Allora, si può sapere che hai combinato? >> , continuò sempre più euforico il ragazzo.
Lo feci entrare senza rispondergli. Non potevo farlo se ero accecata. Quando richiusi la porta di casa, cominciai a sbattere velocemente gli occhi, per farli riabituare all’oscurità.
<< Come sarebbe che ho combinato? Dovresti saperlo meglio di me. Anzi, sono io a chiederti cosa è successo ieri sera? >>, domandai scettica.
<< Aspetta, sono confuso. Tu davvero non ti ricordi di ieri sera? >>, chiese perplesso il ragazzo andando ad accomodarsi allo sgabello della penisola. Intanto aveva afferrato un cornetto da un busta, che solo ora notavo.
<< Ricordo solo fino ad un certo punto. Quando abbiamo trovato Roberto… >>, ma la mia voce scemò. Quei ricordi mi facevano male, e sospettavo che anche per Ianto fossero dolorosi.
<< Beh, non c’è molto altro da ricordare. Siamo rimasti li, impalati, per un altro po’. Poi tu ti sei voltata verso di me e mi hai chiesto di riaccompagnarti a casa. Ed io l’ho fatto >>, spiegò con calma il ragazzo.
<< Dio, non ricordo nulla >>, commentai raggiungendolo al bancone, ed afferrando la tazza di caffè.
<< E come mai non ricordi? >>, chiese il giovane.
<< Quei due cocktail erano micidiali. Chissà quali schifezze c’erano dentro >>, spiegai esasperata da quel maledetto mal di testa.
<< Però, la mitica prof battuta da due stupidi alcolici. Chi l’avrebbe mai detto >>, mi prese in giro Ianto.
<< Fai poco lo spiritoso, moccioso. Sono una donna ferita, e non si infierisce su chi sta già male >>, lo ripresi con acidità.
<< D’accordo. Non sono qui per litigare, ma per parlare >>
<< Ok. Parliamo. Che vuoi? >>, chiesi con timore. Per esperienza personale, avevo imparato che quando qualcuno cominciava un discorso con la frase “dobbiamo parlare”, era sicuro che la discussione sarebbe stata difficile.
<< Che dobbiamo fare con Roberto? >>, domandò Ianto, incredibilmente ansioso.
<< Ehm, non ci ho ancora pensato >>, confessai imbarazzata.
<< Fantastico >>, esclamò il ragazzo infastidito. << Vedi di pensarci entro stamattina, perché ho lasciato un biglietto sul banco di Roberto in cui gli dicevamo che volevamo parlargli, durante il pranzo nell’aula 213 >>
<< Che cosa hai fatto? >>, urlai inferocita.
<< Beh, mi sono detto: prima cominciamo, prima finiamo >>, spiegò con tranquillità Ianto.
<< Ma ti rendi conto di ciò che hai fatto? Io non ho la più pallida idea di ciò che devo dire. Non ho neanche, ancora, metabolizzato ciò che è successo ieri sera >>, affermai furiosa.
<< Senti, qualcosa ti farai venire in mente. Ed io non lascio un amico in difficoltà, specie la situazione in cui si trova. Noi dobbiamo aiutarlo, e il più presto possibile >>, dichiarò con solennità il ragazzo.
Volevo ribattere, davvero. Ma non riuscii a trovare nulla da dire, perché semplicemente Ianto aveva ragione. Dovevamo trovare una soluzione e in fretta. E per quella mattina, mi sarei inventata qualcosa.
 
L’ora di pranzo arrivò con una velocità estrema. Sia per me, che per gli altri due ragazzi, quell’orario rappresentava un punto di svolta. E tutti e tre eravamo davvero agitati per ciò che sarebbe accaduto. Andai con lentezza studiata verso l’aula 213, testimone di molte conversazioni tra me e Ianto. L’ultima volta che entrambi eravamo stati li dentro, era stato quando avevo scoperto la sua identità. Da allora, era passato molto tempo. E molte cose erano cambiate. Soprattutto il ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Arrivai davanti alla porta, sospirai profondamente, ed infine facendomi coraggio, entrai. Al solito banco, era già seduto Ianto. Ma di Roberto ancora nessuna traccia.
<< Ehi, non è ancora arrivato? >>, domandai al ragazzo, cogliendolo di sorpresa.
<< Ah, sei tu. Mi hai fatto prendere un colpo. Comunque, no non è ancora arrivato. Ma sospetto che sarà qui a momenti >>, disse con tranquillità il giovane.
<< Guardavi le nuvole? >>, domandai cogliendolo alla sprovvista.
<< Già >>, mi sorrise teneramente.
<< Trovata qualche risposta? >>, continuai sedendomi di fronte a lui.
<< Non molte, a dire il vero >>, confessò mestamente Ianto.
<< Forse queste cose non possono essere risolte dagli altri, ma solo da noi stessi. Bisogna contare sulle proprie forze >>, ipotizzai guardando a mia volta il cielo nuvoloso, tipico di novembre.
<< Può darsi. Ma un aiuto fa sempre comodo >>, scherzò Ianto.
<< Un aiuto per cosa? >>, domandò una terza voce cogliendoci di sorpresa. Sia io che il giovane dagli occhi di ghiaccio ci voltammo, in direzione della voce. Sulla soglia della porta trovammo Roberto, intento a fissarci con finta impassibilità. Ma mi bastò guardare un po’ più attentamente quei meravigliosi occhi verdi, per cogliere la sua inquietudine profonda.
<< Sei qui >>, commentò monocorde Ianto. In quel momento, si trasformò nella persona che era all’inizio di settembre. Quel cambiamento mi stupì.
<< Direi di si, se mi vedi >>, commentò ironico Roberto.
<< Già, ti vedo bene >>, esclamò il giovane al mio fianco, non nascondendo un doppio senso in quell’affermazione. Non riuscivo a capire il perché di quel suo atteggiamento.
<< Roberto, dobbiamo parlare >>, mi intromisi nel discorso.
<< Di cosa? >>
<< Di ieri sera, ovviamente >>, spiegai, come se non fosse stato abbastanza ovvio.
<< Non c’è niente da dire. Avete ficcato il naso in cose che non vi riguardano >>, dichiarò con tranquillità il ragazzo, entrando nella stanza. Ma percepì dai suoi modi, che ogni centimetro della sua pelle chiedeva aiuto.
<< Affari che non ci riguardano? Si hai ragione. Personalmente non mi riguarda più questa situazione, visto che ormai non sei più mio amico >>, commentò acido Ianto.
Non riuscì a trattenermi, e gli diedi una forte gomitata nello stomaco.
<< Ahia, prof >>, si lamentò il giovane.
<< Professoressa, lasci stare. Ignazio non imparerà mai a tenere la bocca cucita, ed evitare commenti pungenti. Tutto ciò che gli viene in mente, gli passa anche dalla bocca >>, spiegò con freddezza Roberto, incrociando le braccia al petto. Nel farlo, però, notai una smorfia di dolore. I lividi della sera precedente dovevano fargli molto male.
<< Pensi di conoscermi così bene, Roberto? Non pensi che sono cambiato dall’ultima volta che mi hai parlato? >>, domandò sarcastico Ianto.
<< Se sei cambiato o meno, non è più affare mio, ormai. Non trovi? Come hai tenuto a precisare, non siamo più amici >>, commentò con amarezza il ragazzo.
<< Roberto >>, lo richiamai, attirando la sua attenzione. << Perché lo fai? Perché ti sottoponi a quella tortura? >>, domandai mestamente.
<< Perché lo faccio? >>, chiese. Il suo sguardo tornò ad essere freddo ed impassibile. Mi sembrava di avere a che fare nuovamente con un cyber. << Ovviamente, lo faccio per i soldi. E voi perché eravate li? Vi piacciono le cose alternative? >>
<< Tua madre ha chiesto il nostro aiuto. È preoccupata per te >>, spiegai con dolcezza.
<< Non c’è motivo per essere preoccupati. Sto bene. E adesso se avete finito, io avrei delle cose da fare >>, detto ciò si voltò, incamminandosi verso la porta. Entrai nel panico. Dovevo fermarlo. Ma non sapevo come. Poi un’idea mi balenò.
<< “Promesso!” >>, esclamai con forza.
Roberto si arrestò di colpo. Rimase di schiena,  ma vidi il suo respiro farsi sempre più irregolare. Poi, con molta lentezza, si voltò e puntò il suo sguardo nel mio.
<< Come? >>, chiese spaesato.
<< “Promesso!”. È quello che hai detto quando Ianto e Paolo hanno fatto pace. Fuori dalla porta dell’aula. Ti ho sentito >>, spiegai con una calma innaturale.
Gli occhi del ragazzo si dilatarono leggermente. Era vistosamente agitato, e grazie a quel suo panico forse avrei potuto aiutarlo.
<< Come sarebbe quando ho fatto pace con Paolo? >>, domandò perplesso Ianto.
<< Quando vi siete detti quelle frasi “amici per sempre” ecc… >>, spiegai, sempre senza distogliere il mio sguardo da quello di Roberto, che mi fissava con altrettanta intensità. << … lui era fuori dalla porta ed ha risposto “promesso”. Come quando eravate bambini. Questo dovrà pur significare qualcosa >>.
<< L’hai detto davvero? Hai detto quella parola? >>, chiese sinceramente sorpreso il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
Ma Roberto non rispose. Continuò a fissarmi senza interruzioni. Era ferito dalla mia confessione, e al tempo stesso supplicava per un aiuto. Voleva e non voleva essere salvato. Ma io lo avrei tirato fuori dai guai.
<< Tu non hai mai dimenticato Paolo e Ianto, non è vero? Nel tuo cuore loro sono sempre i tuoi migliori amici >>, dichiarai con sicurezza.
Non rispose, restando in religioso silenzio. Ma come si suol dire, chi tace acconsente.
<< Robi >>, lo supplicò improvvisamente Ianto.
Non lo avevo mai sentito quel suo tono di voce. In quel momento capì il suo atteggiamento precedente. Roberto era uno che andava affrontato di petto, per farlo parlare. Non si sarebbe mai confidato se non veniva scosso dall’interno. E l’unico modo per farlo era ferirlo. Il ragazzo voltò lentamente il suo sguardo, e lo puntò in quello di Ianto. Il verde incastrato nel ghiaccio. Una coppia perfetta.
<< Che devo dirti? Cosa vuoi che ti risponda? >>, domandò sarcastico con voce tremante. Stava cercando di trattenere le lacrime.
<< La verità >>, rispose il giovane al mio fianco.
<< La verità? Beh, la verità è che io ho un passato che nessuno deve conoscere. Nessuno, perché altrimenti sarebbe sporcato, infettato da queste mie sudicie mani. Sporche come il grasso di una macchina, come il sangue sui vestiti. Nessuno deve essere toccato da me e dal mio passato >>, esclamò con ferocia.
Non lo riconoscevo più. Da giovane dormiglione, a ragazzo lascivo, poi cyber, e adesso in pieno tormento nei sentimenti. Ero davvero preoccupata per lo stato emotivo e psicologico di quel giovane.
<< Non è vero. Tu non hai fatto nulla >>, affermò con sicurezza Ianto.
<< C’eri anche tu ieri sera, o sbaglio? Anche tu hai visto come sono stato preso, sbattuto più volte, e usato come un giocattolo sessuale. Perciò non farmi la morale sul fatto che non è colpa mia. Perché la verità è che è assolutamente colpa mia. Sono io che l’ho cercata. Me la merito, tutta questa punizione >>, dichiarò con dolore Roberto.
<< Non puoi dire sul serio. Io lo so perché lo fai. Hai dei problemi economi, e vuoi aiutare la tua famiglia. Ma questa non è la soluzione giusta. Troveremo il modo per aiutarti, però adesso ti prego, smettila di farti del male >>, dissi dolcemente. Dentro di me soffrivo per quel povero ragazzo. La sua vita era stata, ormai, spezzata.
<< Sarebbe bello se fosse così facile. Ma non lo è. Perciò, non posso fare nient’altro se non offrire questo involucro che ho, al miglior offerente. In fin dei conti la vita funziona così, no? >>.
Ma non fece in tempo a finire la frase, che Ianto gli tirò uno schiaffo potente sulla guancia. Talmente forte da fargli voltare la testa. Rimasi allibita per quel gesto, ma in fin dei conti, sentivo che era giusto.
<< Non dire certe assurdità >>, sillabò con rabbia il giovane dagli occhi di ghiaccio. << Miglior offerente? Involucro? Ma che cazzate vai blaterando? Tu non sei un oggetto, tu sei Roberto >>
<< Una volta, forse. Ora non sono più niente >>, esclamò con livore il ragazzo, voltando il suo sguardo in quello di Ianto.
<< No, non è vero. Tu sei ancora qua dentro da qualche parte, io lo so >>
<< Tu cosa ne vuoi sapere. Non abbiamo rapporti da quattro anni, non siamo più amici. Tu ormai non mi conosci >>, dichiarò con cattiveria Roberto.
Il suo odio nei confronti dell’ex amico, mi lasciava sconcertata. Non riuscivo a capire la ragione di tanto astio.
<< Perché sei così arrabbiato con me? Che cosa ti ho fatto, di tanto grave? Perché mi odi così tanto? Tu non hai il diritto di essere arrabbiato con me. Te ne sei andato via, lasciandomi. Mi hai spezzato il cuore >>, affermò sconcertato ed anche furioso Ianto.
A quel punto capii. Non era rabbia quella che provava. Roberto stava facendo lo stesso gioco dell’amico, solo all’opposto. Lo stava ferendo di proposito, per allontanarlo. Quasi come se volesse… salvarlo. Quel pensiero mi colpì come una palla in mezzo agli occhi.
<< Roberto, perché stai facendo di tutti per allontanarci? Perché vuoi proteggerci? >>, domandai senza tanti giri di parole.
I due si voltarono verso la mia parte. Lo sguardo di Ianto era confuso, quello di Roberto invece era terrorizzato. Bingo! Avevo visto giusto.
<< Non so di cosa stia parlando >>, provò a dissimulare il ragazzo.
<< Oh, invece sai benissimo di cosa sto parlando. Tu stai facendo di tutto per allontanarci, per proteggerci. Ma da cosa? Non dirmi che riguarda la questione dell’infettare e sudiciume, perché così mi cadi veramente in basso >>, continuai la mia arringa con arroganza, avvicinandomi ai due ragazzi. << Un giovane intelligente come te, non può cadere in simili assurdità. E in più, il fatto che adesso lavori in “vetrina” e che sei povero, sono collegati. Quindi non sei sporco come vuoi far presupporre. Perciò l’unica alternativa che mi viene in mente è che tu voglia allontanarci perché non ci vuoi invischiati in qualcosa. Quindi lo fai per proteggerci. Ho ragione? >>, domandai retoricamente, con un sorrisetto furbo.
Sapevo di averci visto giusto, e lo sguardo di puro sgomento che il ragazzo mi lanciò fu una chiara conferma. Adesso non restava che capire a cosa stavamo andando incontro, come salvare Roberto e concludere la vicenda . Un gioco da ragazzi.
<< Non importa quale sia la mia risposta. Voi non dovete ficcare il naso in questa storia >>, esclamò con vigore il giovane.
<< Che stai dicendo, Roberto? Io mi ci ficco e come. Tu sei mio amico >>, affermò con decisione mista a dolcezza, Ianto.
<< No, non lo sei >>, dichiarò Roberto con fermezza, sorprendendo il ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Poi si voltò senza aggiungere altro, incamminandosi verso la porta. Per lui la conversazione era finita.
<< E Paolo? >>, domandò improvvisamente Ianto, facendo bloccare l’amico a metà strada.
Questi non si voltò, ma capii subito che la sua attenzione era al massimo ora.
<< Cosa centra Paolo? >>
<< Lui cos’è? Un tuo amico? Un conoscente? Niente? >>, chiese con cattiveria il ragazzo.
<< Cosa stai insinuando? >>, domandò con ira Roberto. Quel tasto, per lui, era molto più sensibile di tutti gli altri.
<< Andiamo, voi due eravate inseparabili. Poi da un momento all’altro, sei sparito dalla sua vita. Come credi che lui abbia reagito? >>
<< Non lo so, e non mi interessa >>, esclamò il ragazzo. Ma il suo tono era talmente incerto, che in realtà intendeva tutto il contrario.
<< Non ti credo >>, sorrise beffardo Ianto. << Sai quanto volte ho dovuto asciugare le lacrime dal volto di Paolo, perché sentiva la tua mancanza? Sai come si è sentito dopo il tuo abbandono? Di quanto lui abbia sofferto, perché non eri più al suo fianco? >>.
Vidi Roberto tremare dall’emozione. Sentiva vero dolore per quelle parole. Ma non poteva cedere, e questo non faceva che rafforzare il mio pensiero: lui ci stava proteggendo dal suo passato.
<< Lo sai che Paolo è innamorato di te, da anni ormai? >>, confessò Ianto, sorprendendo sia l’amico che me.
La reazione più clamorosa, ovviamente, la ebbe il giovane dagli occhi verdi. Si voltò di scatto, come punto da un immenso spillo. Era scioccato, e confuso. Ma potevo leggere nel suo sguardo la gioia di quella notizia. Alcuni tasselli dello stesso puzzle stavano prendendo il loro posto.
<< Davvero? >>, sussurrò Roberto.
<< Davvero >>, confermò Ianto.
Vidi il ragazzo sorridere impercettibilmente. Poi quel sorriso svanì, lasciando posto ad un dolore soffocante. Le lacrime riempirono gli occhi del giovane, e cominciarono a scorrere lungo il suo viso. Ero impreparata a quella scena. Così come lo era Ianto. Nessuno dei due si aspettava una reazione simile.
<< Io…non posso >>, sussurrò Roberto tra un singhiozzo e l’altro. << Non posso >>, ripeté con più forza. Poi si asciugò frettolosamente le lacrime e si voltò dandoci nuovamente le spalle. << Non sono giusto per lui. Digli di dimenticarmi, e di trovare l’amore da qualche altra parte. Io non vado bene >>, affermò con sofferenza.
Poi riprese a camminare, ed uscì da quella porta, lasciando me e Ianto, prede della confusione più totale. Adesso si che la situazione era davvero complicata.



Buonasera, gente, eccomi con un nuovo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...
Un capitolo davvero crudo e difficile, pieno di orrori. Spero vi piaccia, io ci ho messo tanto nello scriverlo. In più ho anche la febbre, perciò siate comprensivi per questa povera scrittrice (magari lasciando anche un commentino XD)...
Dunque, la "saga" di Roberto non è ancora finita. L'epilogo per il ragazzo ci sarà nel prossimo capitolo (visto vi ho già anticipato qualcosa... quindi in teoria non dovrei lasciare lo spoiler, ma se non lo faccio _rain_ mi mangia XD)...Chissà come andrà a finire. Bah U.U XDXD
Passiamo ai ringraziamenti:
RIngrazio tutti coloro che leggono la storia, e coloro che l'hanno messa tra le seguite, ricordate e preferite XD Grazie mille...
Ed un ringraziamento speciale va a _rain_, Loreena McKenzie e Deilantha, che recensiscono sempre tutti i capitoli...grazie di cuore, davvero, se non fosse per voi, questa storia forse andrebbe nel dimenticatoio...mi date la forza per dare il mio meglio e continuare a scrivere XD (me commossa XDXD)
Va beh, dai vi lascio qui, e vi dò appuntamento a martedi prossimo con un nuovo capitolo.
Un bacione
Moon9292



"Che cosa ci fa, lei qui?", domandò Roberto confuso.
"Sono una persona incredibilmente testarda, peggio di un cammello. Potrebbe essere definita patologica, la mia ostinazione"

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Capitolo 11
*** Racconti d'orrore ***


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Capitolo 11 - Racconti d'orrore


Ero davvero furiosa. Con me stessa e con quella cavolo di situazione. Insomma, dovevo salvare Roberto, e invece non avevo fatto altro che riaprire ferite profonde in Ianto, e allontanare il ragazzo sempre di più. E se continuavo su questa linea, ero sicura che avrei distrutto profondamente Paolo, la cui psiche era ancora in equilibrio precario. Volevo bene a quel ragazzo dagli occhi nocciola, ma percepivo ancora sulla pelle i brividi che provai la sera in cui tentò di suicidarsi. E adesso a quelli si erano aggiunti i conati di vomito nel ricordare le scene di violenza viste in quel locale. Ma dico scherziamo? Un trio più sgangherato e complicato di quello dovevo trovarlo solo io. Ovviamente la mia fortuna non voleva proprio saperne di aiutarmi. E se per i primi due casi, ero riuscita in qualche modo a risolvere la situazione, adesso non avevo la più pallida idea di come togliermi da questo impiccio. Come potevo aiutare Roberto, quando era lui stesso a respingermi? Non potevo sicuramente imporgli la mia volontà, ma d’altra parte non potevo lasciare le cose com’erano. Durante il pranzo, quello scontro tra Ianto e Roberto aveva destabilizzato molto il primo. Eravamo tornati a casa mia poco dopo che il giovane dagli occhi verdi ci aveva lasciato. Appena varcata la soglia di casa, Ianto era corso verso il divano e, con mio grande stupore, aveva cominciato a piangere. Sembrava un bambino di sette anni il cui gioco preferito è appena stato rotto. Corsi da lui e lo abbracciai forte. Non potevo sopportare di vedere quei suoi meravigliosi occhi, rossi e umidi per il pianto. Non tolleravo vedere la sua schiena scossa dai singhiozzi, e soffrivo come non mai nel percepire il suo cuore affranto e disperato. Ianto amava davvero Roberto, come amava anche Paolo. E vedere il suo grande amico in difficoltà, in quella situazione, doveva averlo ferito profondamente.
<< Ianto, guardami >>, dissi cercando di alzare il volto del giovane, trovando una certa resistenza. Ma non mi sarei di certo lasciata scoraggiare da questo. << Guardami >>, ripetei con più forza. Alla fine il ragazzo fu costretto ad alzare lo sguardo e a puntarlo nel mio. Quando lo fece, sentii una dolcezza mai provata prima. Quel ragazzo era davvero unico, angelico a dirla tutta. I suoi occhi, così tristi e lucidi, avevano la capacità di sconvolgermi all’interno come nessun’altro sapeva fare. Io davvero adoravo quel ragazzo. Ma non era quello il momento di pensare a questi sentimenti, perché purtroppo si, io stavo cominciando a provare qualcosa per Ianto, e negarlo avrebbe solo offeso la mia intelligenza. Ma non ero ancora pronta per affrontarli.
<< Prof >>, mi chiamò il ragazzo, con voce supplichevole. Aveva bisogno di me.
<< Ascoltami, noi lo salveremo. Capito? Lo salveremo! >>, esclamai con decisione.
<< Come? >>, mi chiese con voce timida e incerta. Una nuova ondata di tenerezza mi invase.
<< Non lo so. Un’idea mi verrà. Ma non lo lasceremo solo, e ti prometto che ti riporterò il tuo amico. Ti giuro, che farò il possibile per farlo tornare da te >>, dichiarai con una certezza tale, da stupirmi anche io. Anche perché non avevo la più pallida idea di come avrei fatto. Ma sapevo per certo che non avrei fallito.
<< Lo prometti? Davvero? >>, mi guardò un po’ più rincuorato il ragazzo.
<< Certo. E sappi che quando do la mai parola, io la mantengo sempre. Costi quel che costi >>, sorrisi al giovane.
Ianto fece la stessa cosa. I nostri sguardi si incontrarono di nuovo. Eravamo così vicini, che potevo percepire sulla pelle il suo alito caldo, dolce e inebriante. Il mio cuore batteva talmente forte, da ovattare qualsiasi rumore esterno. Ceravamo solo io, lui e i nostri cuori. Quella situazione, sapevo, non avrebbe portato a nulla di buono. Ma, come la sera precedente, non riuscivo assolutamente a staccarmi da Ianto. Era impossibile per me. Allontanarlo, comportava a farmi una violenza, sia fisica che emotiva. Ed io non ero mai stata masochista. Quel ghiaccio era ovunque, intorno a me. Anche dentro di me. Quei occhi che avrebbero potuto distruggere mari e oceani, ora stavano distruggendo me. Ed io non avrei mai potuto subire tortura più dolce e bella di quella. Vidi il suo volto avvicinarsi sempre di più al mio, con una lentezza tale, da farmi provare una strana frenesia. Una parte di me era ancora terrorizzata all’idea di quello che stavamo facendo, e dei sentimenti che Ianto mi suscitava. Ma un’altra, quella irrazionale, dominata dal mio cuore, voleva a tutti i costi distruggere quella lontananza tra i nostri visi, e unire le nostre bocche. Quando ormai il volto del ragazzo era ad un soffio dalle mie labbra, decisi di spegnere il cervello. Non capii come, ma il cuore aveva vinto sulla ragione. Chiusi gli occhi istintivamente, sapendo che presto avrei saggiato la consistenza di quelle meravigliose labbra. Sapevo, ancora prima di provarle, che sarebbero state morbidi e calde, dolci e a tratti insistenti. Stavamo per toccarci, e la sensazione di sentirmi a casa, mi affogò immediatamente. Lo sentii sfiorarmi la bocca.
‘Cause nobody wants to be the last one there. Cause everyone wants to feel like someone cares’
Ci staccammo di colpo, sentendo una strana musica provenire dalla borsa di Ianto. Mi andai a sedere velocemente sul divano di fronte, nascondendo il mio viso incredibilmente rosso e imbarazzato. Non potevo credere a quello che stavo per fare. Come diamine avevo potuto permettere di avvicinare così tanto il giovane? Addirittura stavamo per baciarci. Non poteva accadere. Non doveva accadere. Era una di quelle cose talmente sbagliate, da sembrare quasi impossibili anche solo pensarci. Io non potevo provare sentimenti per Ianto. Ero una donna sposata, cavolo. In quel momento però, realizzai una cosa. Io non ero sposata. Ero vedova. Quella consapevolezza, mi fece deprimere ancora di più. Perché avevo promesso amore eterno a mio marito, e lui aveva promesso di non abbandonarmi mai. Ed invece sembravamo destinati ad infrangere entrambi i nostri giuramenti. Ma se lui non aveva mantenuto la parola data, io non avrei fatto la stessa cosa. Perciò mai e poi mai avrei permesso nuovamente a Ianto di avvicinarsi a me. Nel frattempo il ragazzo aveva afferrato il suo cellulare dalla borsa, ed aveva risposto alla chiamata.
<< Pronto? >>, disse al suo interlocutore.
<< Oh Paolo, dimmi >>
<< Si, sono con lei >>, sbuffò alzando gli occhi al cielo.
<< No, Paolo. Non hai interrotto proprio niente >>, esclamò con voce infastidita e ironica. Era palese che stesse mentendo.
<< Idiota, finiscila. Sono a telefono, con lei in stanza, e tu pretendi che ti racconti qualcosa?! Lo farò quando torno >>, affermò guardandomi di sottecchi e sorridendo. Uno di quei sorrisi arroganti e presuntuosi, che mi facevano battere freneticamente il cuore.
<< Comunque perché hai chiamato? >>
<< Ah >>, dissi improvvisamente agitato.
<< Si ecco, noi avevamo… da fare >>, aggiunse sempre più nel panico.
<< No, non ti sto mentendo. E piantala di psicoanalizzarmi. Mi fai incazzare >>, sbottò infastidito.
<< Cavolo, Pà. Sembri mia nonna quando mi fa il terzo grado. Dammi un po’ di respiro >>
<< Si, lo so. Mi stavi aspettando. Me ne sono dimenticato >>, sbuffò scocciato.
<< Ma quanto la fai tragica. Ho saltato un pranzo alla mensa, non con il presidente >>
<< Idiota, ma che mi fai, scenate di gelosia? Lo sai che sceglierei te al presidente >>, sorrise divertito. In quel momento intuii quale fosse la discussione. Il pranzo saltato, per colpa del nostro incontro con Roberto. Poi, come se mi fossi appena risvegliata da un sogno, sentii le ruote del mio cervello attivarsi con dei meccanismi vari. Stavo cominciando ad elaborare un piano.
<< Ma la vuoi finire. Paolo, chiedo umilmente perdono. Mi faccio perdonare stasera, va bene? >>
<< Senti, sembri un parassita, dico davvero. Povero chi ti si piglia >>, esclamò scherzando.
A quel punto il piano brillò nella mia mente. Sapevo esattamente cosa fare, ma dovevo agire in fretta, altrimenti tutto sarebbe andato a farsi benedire. Mi alzai di scatto dal divano e mi avviai verso la porta di casa. Erano le quattro, perciò sicuramente il piano avrebbe funzionato. Presi la giacca e aprii la porta. In quel preciso istante una mano mi afferrò il polso sinistro impedendomi di proseguire. Mi voltai, e vidi due occhi di ghiaccio fissarmi, un po’ furiosi e po’ incuriositi. Ianto non si aspettava di certo che lo avrei abbandonato, dopo quello che stavamo per fare. Un qualcosa che comunque non si sarebbe ripetuto mai più
<< Paolo devo andare >>, disse monocorde attaccando il telefono in faccia all’amico, senza neanche aspettare una risposta. << Dove stai andando? >>
<< Ho un piano >>, risposi solamente.
<< Di che stai parlando? >>, mi chiese confuso Ianto.
<< Non ho tempo per spiegarti. Ma devo andare >>, risposi frettolosamente.
<< No, mia cara. I tuoi piani non vanno mai bene. Devo ricordarti l’ultima volta dove siamo finiti? >>, affermò con acidità il giovane.
<< I miei piani vanno sempre a buon fine. Alla fine scopro sempre ciò che voglio, no? >>, dissi indispettita. Odiavo quando mi si rinfacciavano le cose.
<< Già, peccato che nel mezzo però ci siano sempre e solo casini >>
<< Non è vero. Siete voi idioti che combinate casini. Io non centro nulla >>, affermai scocciata. Quando me ne uscivo con queste frasi, ritornavo ad essere una bambina.
<< Oh, no mia cara. Sei tu che ci porti all’esasperazione. Devo ricordarti come abbiamo finalmente fatto pace io e te? Oppure al volo di Paolo? O alla bella scorrazzata di ieri sera nel locale? Tutte tue brillanti idee >>, mi rispose ironicamente.
<< Veramente l’unica esasperata qui, sono io. Sul serio, voi fate i casini e poi tocca a me risolvere la situazione. Mai provato ad andare da uno psicologo, giusto per curare questa vostra vena folle e schizofrenica?  Sai, mi risparmiereste anni di vita >>, affermai sarcastica. Se voleva discutere, avrebbe trovato pane per i suoi denti.
<< Prof, senti, non voglio sembrare puntiglioso. Ma sei tu che sei leggermente un po’ fuori di testa >>
<< Io e la mia psiche stiamo benissimo. Sei tu e quel cavolo di cervello che ti ritrovi a dover fare un controllo. Ti sei fatto di acido ultimamente? Perché quel tuo neurone triste e solo è decisamente morto >>, affermai sempre più incattivita. E il bello, era che non avevo la minima idea di come fossimo finiti a discutere.
<< Io e il mio neurone battiamo te e quella zucca vuota, se vuoi saperlo. Perciò non rinfacciarmi qualcosa che in realtà corrisponde alla tua situazione mentale >>, rispose piccato Ianto. Eravamo davvero ridicoli.
<< Senti >>, sospirai stanca. << Non ho tempo per discutere. Ho un piano per salvare Roberto, e devo farlo adesso. Perciò devi lasciarmi andare, cosicché io possa fare il mio dovere, e mantenere la parola data >>, dichiarai esausta. Non ne potevo più di dover salvare sempre la situazione, e spiegarmi. Mi sarei presa una pausa, dopo aver sistemato questo casino.
<< E quale sarebbe questo tuo brillante piano? >>, domandò sarcastico il ragazzo.
<< Ma mi senti quando parlo? Ti ho detto che non ho tempo adesso >>, esclamai esasperata. Possibile che non mi capisse anche quando parlavo perfettamente in italiano?
<< Prof, io capisco, ma non mi fido >>, spiegò con calma.
<< Come sarebbe non ti fidi? >>, domandai offesa. E adesso qual era il problema?
<< Prof, ti conosco. In certe situazioni sei coraggiosa fino a diventare una folle suicida. In altre scappi con la coda tra le gambe >>, mi rispose con tranquillità. Eppure percepii una vena di pura rabbia in quel discorso. Sembrava quasi come se stesse rimproverandomi. Puntai lo sguardo dietro la schiena del giovane trovando il divano, e capii a cosa si riferiva: a quel mancato bacio, e alla mia fuga provvidenziale. Mi inviperii immediatamente. Come si permetteva di giudicarmi e criticarmi per quello che avevo fatto. D’accordo era la seconda volta, e si scappavo continuamente. Ma non poteva assolutamente permettersi di biasimarmi per le mie azioni. Davvero si aspettava che fossi felice e contenta di buttarmi tra le braccia di un ragazzino di diciassette anni, mio alunno e con un passato talmente complicato, da far sembrare la tragedia greca una stupida commedia?
<< Senti >>, iniziai cercando di trattenere la rabbia. << Quello che stava accadendo sul quel benedetto divano e qualcosa che tu ed io non possiamo permetterci assolutamente >>
<< Perché? >>, domandò prontamente.
<< Come perché? Ti sei forse dimenticato in che situazione siamo? >>, domandai a mia volta scioccata. Come poteva essere così superficiale?
<< Non mi cadere in basso prof. Sappiamo benissimo che se volessimo fare qualcosa, nessuno ce lo impedirebbe. Sei solo tu che non vuoi >>, ribadì con livore il giovane.
<< E anche se fosse? Non puoi criticarmi se non voglio fare niente, se non me la sento >>, dissi infastidita. Non potevo credere che dovessi sentirmi in colpa per quello che provavo. Io semplicemente, non ero pronta a lasciarmi andare col giovane. Anzi, non volevo farlo. Non avrei tradito la fiducia di mio marito. Mi morsi l’interno del labbro, cercando di reprimere il dolore che provavo ogni volta che pensavo a mio marito.
<< Sai, posso capire che tu abbia paura, o che non te la senta perché ancora toccata per quello che è successo con tuo marito. Ma non puoi privarti di una cosa bella come l’amore >>, mi rispose stranamente con dolcezza Ianto. Anche il suo sguardo si era addolcito. << Ed io lo so bene. Ho allontanato il mondo per paura di soffrire ancora. E tu adesso stai allontanando me, perché hai paura. Paura di cedere al peso dei tuoi sentimenti, di quello che suscito in te, e dell’attrazione che provi nei miei confronti >>
<< Tu non sai niente >>, risposi prontamente. Ma sapevo che stavo dicendo una bugia. Perché il ragazzo aveva dannatamente ragione.
<< Invece si che lo so. E leggo nel tuo sguardo la voglia di continuare da dove c’eravamo fermati sul divano, ma anche il terrore di accettare la realtà. Ed io non ti forzerò. Non lo farò mai. Perché sei troppo importante per me, e ti aspetterò per tutto il tempo che ci vorrà. Ma non voglio sentire che non possiamo per via che sei più grande o perché sei la mia insegnante >>, affermò con Ianto. Il suo sguardo, il suo intero essere emanava amore. E tutto questo era rivolto verso me. Ed io ne ero satura fin sopra ai capelli. Mi riempiva e mi faceva sentire viva come non mi era mai successo. E ne ero terribilmente spaventata. Il ragazzo si avvicinò a me sempre di più, poi portò le sue labbra vicino al mio orecchio. << Ti aspetterò per tutta la vita >>, sussurrò con voce seducente e melodiosa. Lunghi brividi percorsero il mio corpo, mandando il mio cervello a farsi benedire. Ero completamente persa pe questo ragazzo. E se non fossi stata così testarda nella mia scelta di allontanarlo da me, gli sarei saltata addosso e avrei assaggiato finalmente quelle meravigliosa labbra invitanti. Leggermente carnose e sicuramente morbide. Ianto si allontanò leggermente da me e mi fissò negli occhi, poi portò le sue labbra sulla mia fronte e depositò un bacio dolcissimo. Il cuore martellò forte nelle mie orecchie, e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Stavo male, per tutta quella situazione e per il senso di colpa che provavo nei confronti di mio marito. Io non potevo stare con Ianto, perché lui ci sarebbe sempre stato. Perché ero incompleta, mancante di un pezzo. Un pezzo seppellito sotto terra a chissà quanti metri di profondità e che mai sarebbe tornato da me. Ed io non andavo bene proprio per questo. Mi allontanai di scatto da quel contatto meraviglioso che erano quelle labbra, e cominciai a correre per le scale di quel condominio. Dovevo mettere una distanza tra di noi. Una distanza tra i nostri sentimenti, e tra i nostri cuori ormai già troppo legati.
 
Arrivai dopo un quarto d’ora davanti al condominio di Roberto. Il mio brillante piano consisteva nel parlargli faccia a faccia, in casa sua, dove non avrebbe potuto mentire. Perché quel luogo era appunto casa sua, e lui non avrebbe mai potuto sporcarla con le sue menzogne. Salii le scale rendendomi subito conto che non avevo la più pallida idea a quale piano abitasse il ragazzo. Perciò tornai sui miei passi, maledicendomi mentalmente, e arrivai al citofoni. Scorsi i vari nomi e alla fine trovai quello giusto. Bussai un volta sperando di trovare qualcuno. Avevo paura di aver fatto un viaggio a vuoto, ed ero ancora più terrorizzata all’idea di dover tornare a casa e riaffrontare Ianto. Non me la sentivo di guardarlo negli occhi e trovare quell’amore che sapevo di non meritare, perché mai avrei potuto ricambiare. Bussai un’altra volta cominciando ad imprecare ad alta voce, facendo voltare qualche passante. Poi ad un certo punto, una voce gracchiante mi rispose.
<< Chi è? >>. Era una donna. La madre di Roberto.
<< Signora sono la professoressa Cristillo >>
<< Professoressa, prego salga >>
<< A che piano? >>, domandai speranzosa.
<< Al terzo. La porta a sinistra >>, mi comunicò la donna, poi chiuse la comunicazione.
Mi avvia con passo svelto verso l’interno del palazzo, e salii le scale velocemente. Quando arrivai davanti alla porta, la trovai già aperta. Entrai chiedendo permesso, ritrovandomi in un appartamento piccolo ma accogliente. Appena varcata la soglia di casa ci si trovava subito in un salotto. Un semplice divano, un tavolino basso, e qualche mobile era l’arredamento di quella stanza. Poi vi era un piccolo corridoio con tre porte, probabilmente le camere da letto. Invece sulla sinistra appena entrati, vi era un piccola porta da cui poi sbucò fuori la madre del ragazzo.
<< Professoressa si accomodi >>, mi disse entrando nella stanza dalla quale era appena uscita.
Mi affacciai alla porta, e vidi una cucina di minuscole proporzioni. Un tavolo per quattro attaccato alla parete sinistra e di fronte il lavello, la cucina e il frigorifero occupavano tutta la parete. Non c’era altro. Solo qualche mobile, per contenere probabilmente il cibo. Ma null’altro. Era davvero piccola come casa.
<< Mi scusi per questa mia improvvisata >>, dissi andando a sedermi.
<< Si figuri. Le faccio un caffè? >>, domandò con dolcezza la donna. L’idea che mi ero fatta di lei era completamente sbagliata. All’inizio mi era sembrata altezzosa e antipatica. Invece era solo una povera signora la cui vita doveva essere stata molto ingiusta. Come per la maggior parte delle persone, del resto.
<< Grazie mille >>, annuii  gentilmente.
Poi il silenzio regnò sovrano. Entrambe aspettavamo di poter assaporare il caffè, sapendo che poi i discorsi si sarebbero fatto spiacevoli. Volevamo goderci la famosa quiete prima della tempesta. Passarono vari minuti, poi il caffè fu pronto e servito in due semplici tazzine bianche. Soffiai sulla bevanda calda, ed infine assaporai quel meraviglioso gusto che mi mandò in estasi. Amavo il caffè. Il mio corpo era composto per il cinquanta per cento da caffè. Entrambe finimmo di bere la dolce bevanda, e poi posammo le tazze.
<< Mi dica, professoressa. Perché è qui? Ha scoperto qualcosa su mio figlio? >>, spezzò il silenzio la signora.
In quel momento mi trovai impreparata. Come potevo risponderle? Si, suo figlio si fa violentare selvaggiamente? No decisamente non mi sembrava una buona idea. Perciò optai per una seconda strada.
<< Posso chiederle una cosa? >>
<< Certo >>, annuì tranquillamente la donna.
<< Come siete finiti qui? >>, ed indicai la stanza.
<< Intende come abbiamo fatto ad essere poveri? >>
<< Si >>, confermai un po’ preoccupata per la reazione che la signora avrebbe potuto avere.
Invece mi stupii. Mi sorrise dolcemente, ed abbassò lo sguardo puntandolo verso le sue mani, che nel frattempo avevano cominciato ad accarezzare la fede di matrimonio.
<< Sa, mio marito era molto ricco. La sua famiglia lo era. Era un famoso dirigente di un laboratorio di ricerca, e guadagnava tantissimo >>, cominciò sorridendo. Poi il sorriso scomparve. << Purtroppo però, cominciò a fare investimenti sbagliati, ad affidarsi a persone incompetenti o che volevano il suo male >>
<< Volevano cacciarlo dal suo posto? >>, domandai incuriosita.
<< Già. E mio marito era così buono e fesso che si faceva fregare sempre. Perciò si affidò a queste persone. E le conseguenze sono state catastrofiche >>, continuò a spiegare. Poi le lacrime cominciarono a solcare il viso della donna. Mi si spezzava il cuore nel vederla ridotta cosi.
<< Cosa è successo? >>, domandai con dolcezza.
<< Quattro anni fa, affidò una somma di un capitale consistente nelle mani di un suo collaboratore. Quest’uomo però le usò nel modo sbagliato, e alla fine scappò, facendo ricadere la colpa sul mio povero marito. Alla fine, andando ad indagare, il suo collaboratore aveva fatto affari con dei mezzi mafiosi di questa zona >>, spiegò con una tristezza tale, da rendermi quasi difficile anche respirare. Mi sembrava di percepire sulla pelle il suo dolore. In più rimasi scioccata da tale rivelazione. Non me l’aspettavo proprio.
<< E poi? >>, la incalzai leggermente preoccupata per le parole che avrei potuto sentire.
<< E poi, questi mafiosi risalirono al mio povero marito e lo minacciarono. O rimborsava loro i soldi mancati per pagare il debito, o avrebbe passato i guai. Sa, quel fesso di marito che avevo non solo aveva dato il capitale alla persona sbagliata, ma aveva affidato il laboratorio, nella parte economica ad un altro compare. E quest’ultimo pure lo ha fregato >>, continuò cercando di controllare il respiro smorzato dai singhiozzi.
<< Che cosa gli hanno fatto? In quali casini si è cacciato? >>, domandai sempre più presa.
<< Il suo laboratorio era diventata un’attività fraudolenta. Debiti ovunque, tasse non pagate, immobili non dichiarati… insomma, non era in una buona situazione. In più vi erano prove che testimoniavano contatti vari con la mafia >>
<< No >>, esclamai sbigottita. Non potevo crederci. Sembrava di essere in un telefilm americano.
<< Si, purtroppo. Alla fine mio marito si rifiutò di pagare. E quei bastardi spifferarono tutto alla polizia. Quando la storia venne fuori, la polizia venne in casa nostra, e arrestarono mio marito. Io portai di corsa mio figlio dai nonni, senza spiegargli nulla. Per mia grande fortuna, quella sera che portarono via il padre, lui era a casa degli amici, così non assistette alla scena. Io non potrò mai dimenticarla >>, poi si bloccò preda di un nuovo attacco di pianto. Era come se stesse rivivendo quelle scene nuovamente. Soffriva ora come allora.
<< O mio Dio. E poi che cosa è successo a suo marito? >>, domandai con apprensione, appena la donna si riprese.
<< Fu condannato in quell’estate. La mafia aveva corrotto i funzionari, credo, perché mai nessun caso è stato risolto così velocemente. Cera da dire che le prove erano schiaccianti. Poi, quando tornammo a casa nostra, i mafiosi ci stavano aspettando >>
<< Come? >>, esclamai incredula.
<< Si. Erano in casa, e minacciarono me e mio figlio con un coltello. Dovevamo ripagarli dei soldi che gli dovevamo. Il mio povero Roberto, terrorizzato eppure così coraggioso. Voleva difendermi, a tutti i costi. Quella sera fu costretto a vedere qualcosa che lo ha segnato profondamente >>, rivelò abbassando il capo quasi vergognandosi.
<< Cosa? >>, sussurrai spaventata.
<< Mi picchiarono con tutta la loro forza >>, confessò tornando a piangere. In quel momento mi alzai dalla sedia, e corsi ad abbracciarla, sentendo il cuore stretto in una morsa. La donna si sfogò per svariati minuti, preda del panico nel ricordare la violenza subita. Quando poi si riprese, alzò lo sguardo e lo puntò nel mio. << Il mio piccolo poi fu marchiato. Sul fianco sinistro ha una cicatrice. Il loro anello, simbolo del gruppo che rappresentavano, lo bruciarono. Divenne rovente. E poi con una brutalità immensa, glielo premettero sul fianco tappandogli la bocca e immobilizzandolo. Ancora adesso si vede. Quel momento è ancora vivo nei mie ricordi >>.
Provai una nausea incredibile a quel racconto. Non potevo credere alle mie orecchie. Era tutto così irreale, lontano dalla mia quotidianità, dalla mia realtà, che non potevo concepirlo come vero. Ma sapevo che purtroppo non era così. Lo vedevo dagli occhi della donna che stringevo tra le braccia, che era tutto vero, e che quel povero ragazzo era stato costretto a sopportare di tutto e di più. Mi sentivo male al ricordo della sera precedente. Roberto era marchiato nell’animo, non solo nello spirito. E non sarebbe mai guarito del tutto. Ma io dovevo aiutarlo. Dovevo provarci, e forse non avrei fallito. Sempre se giocavo le carte giuste. Passammo un altro quarto d’ora a chiacchierare io e la donna, dove mi confidò vari ricordi del passato. Amava il figlio più di qualunque altra cosa, e bastava guardarla negli occhi per capirlo. Roberto, nonostante tutto, era fortunato ad avere una mamma così. Poi, la porta di casa si aprì ed una persona entrò in cucina.
<< Mamma sto morendo di fame >>, esclamò il ragazzo. Si bloccò istantaneamente nel momento in cui il suo sguardo si posò su di me. << Cosa ci fa lei qui? >>, domandò Roberto confuso.
<< Sono una persona incredibilmente testarda, peggio di un cammello. Potrebbe essere definita patologica, la mia ostinazione >>, risposi sorridendogli.
<< Io vado di la. Parlate con calma >>, esclamò la donna alzandosi dalla sedia e avviandosi verso la porta. Poi si fermò sulla soglia e si voltò guardandomi, e sorrise. << Grazie per avermi ascoltato >>
<< Si figuri. Quando vuole >>, risposi dolcemente.
Poi la donna riprese il suo cammino, e andò in una delle camere. Nel frattempo Roberto continuava a fissarmi con astio. Poi sorrise ironicamente e si sedette sulla sedia di fronte alla mia.
<< Devo dedurre, che mia madre le ha raccontato tutto >>, esordì con rabbia.
<< Deduzione esatta >>, confermai con serietà.
<< E allora cos’altro vuole. La verità la conosce ora. Perché è ancora qui? >>, domandò con livore nei mie riguardi.
<< Voglio aiutarti >>, risposi con calma.
<< Allora non ha sentito la storia di mia madre. Siamo invischiati con la mafia, nessuno può aiutarci >>, esclamò con una rabbia tale da spaventarmi.
<< Io posso >>, ribadii senza sapere veramente cosa dire. La verità era che non potevo nulla contro la mafia, ma non potevo permettere che un giovane di diciassette anni dovesse subire tutte quelle atrocità.
<< No che non può. Abbiamo venduto tutto. Casa, macchine, beni, gioielli… e alla fine siamo riusciti a ripagare in qualche modo il nostro debito. Ma non saremo mai liberi >>, rispose con sempre più furore.
<< Mi stai dicendo che non avete più debiti? >>, domandai perplessa.
<< Si. Ho finito di pagarli un mese fa. Ma noi non saremo mai liberi. Sento che torneranno prima o poi. Lo sento nella pelle. Perché loro ormai me l’hanno marchiata, ed io sono infetto. E chiunque si avvicini a me, rischierà la vita >>, sussurrò con rabbia il ragazzo.
<< Stronzate. Loro forse torneranno, e si hai ragione. Io non posso nulla contro di loro. Ma li hai già affrontati una volta. Lo farai anche stavolta. E non sei infetto. Anzi. Sei forse tra le persone più belle che io conosca >>, confessai con dolcezza.
<< Non è vero >>, esclamò con dolore il ragazzo.
<< Si che è vero. Non puoi lasciare che loro vincano. Non farli vincere su di te >>, provai convincerlo afferrandogli una mano. Ma questi la ritrasse, come se si fosse appena scottato.
<< Non mi tocchi >>, esclamò spaventato.
<< Perché? >>
<< Perché potrei sporcarla >>, ripeté meccanicamente come se fosse stato un cd rotto. Qualcuno doveva avergli inculcato nella testa quella stronzata così profondamente, che ormai era una parte di lui.
<< Tu non mi sporcherai mia. Tu sei la persona più limpida del mondo. E anche la più coraggiosa >>, ribadii con determinazione.
<< No, non lo sono. Ha visto cosa faccio la notte. Sa come ho abbandonato i miei amici. Come ho spezzato il cuore all’’unica persona che mai avrei voluto ferire. Io non sono un brava persona >>, esclamò con odio. Odio rivolto verso se stesso.
<< Quattro anni fa tu li hai lasciati perché li volevi al sicuro. Questo fa di te un eroe >>, dichiarai con convinzione.
<< No, fa di me un pezzo di merda. Li ho trattati male, ho abbandonato un amico nel momento del bisogno, e Paolo… >>, ma si bloccò nel pronunciare quel nome. Perché sembrava che anche solo pensarlo, gli facesse male. << Ha idea di come sia difficile lasciare andare una persona che ami, solo per poterla vedere felice? Sapere che non sarai mai la sua felicità, perché non vai bene? Perché non sei giusto? Ha la minima idea di quanto fottutamente faccia male? >>, domandò con dolore e rabbia.
<< No, non so cosa si provi nel lasciare andare qualcuno che ami >>, risposi con calma. << Ma so quanto fottutamente faccia male perdere quella persona, e sapere di non poterla più stringere tra le braccia, e toccarla o assaporarla. O anche solo guardarla. Fa morire. Ecco cosa si prova >>
<< Fa ancora più male sapere che sarò io a ucciderla, se gli sto accanto >>, sussurrò con dolore.
<< Tu non la ucciderai >>, affermai prendendo nuovamente una sua mano tra le mie, impedendogli di ritirarla. << Tu non lo farai. Tu ami Paolo, perciò non potrai fare altro che renderlo felice >>
<< Ah si? E come? Facendolo assistere mentre mi faccio scopare al locale? Oppure lo faccio assumere? O meglio ancora facciamo un’orgia? >>, domandò sarcastico Roberto.
<< Devi lasciare quel lavoro, e trovarne uno migliore >>
<< Si certo, come se fosse facile. E poi sa, li pagano bene. E in più ci si diverte, e si gode come non mai. Dovrei provare a darle qualche giocattolo che usiamo. Magari potrà provare piacere >>, disse con un tono di voce così malvagio, da farmi rabbrividire. Non potevo credere ai miei occhi, e alle mie orecchie. Quello che aveva pronunciato quella frase non era Roberto, ma qualcuno talmente distrutto dal dolore, da non provare altro se non odio e rabbia. Poi una luce scintillò in quei occhi maledettamente verdi. Una luce di vita e di amore. Il ragazzo era ancora li, e io avrei lottato per farlo uscire. << Se ne vada >>, sussurrò.
Lo fissai ancora qualche secondo, poi mi alzai, e andai verso la porta d’ingresso. La varcai velocemente, e corsi fuori dal palazzo, alla ricerca di aria. Appena fuori, inspirai più volte sperando di calmare il mio cuore. Passati vari minuti, riuscii a riprendermi. Tornai in me, ed afferrai il cellulare, digitando un numero.
<< Ianto, dobbiamo passare al piano B >>, esordii appena risposero dall’altro capo.





Buonasera a tutta...chiedo perdono, umilmente perdono, per non aver pubblicato la settimana scorsa, ma ho avuto un po' di problemi, perciò ho rimandato a quest'oggi il  nuovo capitolo...però per farmi perdonare ho intenzione di aggiornare due volte nella stessa settimana...così nessuno sarà più arrabbiato con me XDXd...
parliamo del capitolo...finalmente veniamo a conoscere il passato di roberto, e scopriamo perchè ha abbandonato i suoi amici quattro anni fa...e sappiate che per lui le cose non sono finite qui, perchè (piccolo spoiler senza dire nulla però) nel prossimo capitolo, che chiuderà la sua "saga", verremo a conoscere un nuovo probelma del ragazzo, dalle conseguenze abbastanza importanti...vi starete dicendo: ma tu, autrice bastarda, odi così tanto il povero roberto? e la risposta è...no, anzi io amo roberto...però il suo personaggio prevede una storia alle spalle veramente difficile, che lo porterà a crescere e a maturare...prometto che per lui poi ci saranno momenti decisamente migliori...e vi anticipo che in un futuro (non so bene quanto lontano), ci sarà una missing moments tra lui e un altro personaggio...provate ad immaginare chi XDXD
Bene, passiamo ai ringraziamente...
ringrazio tutti coloro che leggono la storia, tutti coloro che l'hanno aggiunta tra le seguite le ricordate o le preferite, e soprattutto ringrazio coloro che recensiscono sempre, e che mi spronano ad andare avanti con questa storia...grazie mille!!!
Ah un ultima cosa...la canzone della suoneria di ianto è "Nicklback - Gotta be somebody"...vi consiglio di sentirla...è bellissima!!! e poi ci stà una bellezza il significato della canzone, col momento in cui suona XDXD
un bacio gente
Ci vediamo uno di questi giorni con l'aggiornamento (non dirò quando, perciò tenete d'occhio la storia XD)
un bacio
Moon9292

"La prego mi lasci in pace", esclamò esasperato il giovane.
"No, mi dispiace. Non lo farò mai"

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Capitolo 12
*** Il trio combinaguai è tornato! ***


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Capitolo 12 - Il trio combinaguai è tornato


Dovevo smetterla con questa pessima abitudine. Insomma, a me neanche piacevano i film di spionaggio. E odiavo con tutta me stessa James Bond. E allora qualcuno può spiegarmi gentilmente, come diavolo avevo fatto a ritrovarmi per la seconda volta di fila a spiare la casa di un ragazzino di diciassette anni, con un passato turbolento, e un presente decisamente da buttare? C’era da dire che almeno questa volta, le cose sarebbero andate diversamente. Non avrei mai permesso a Roberto di raggiungere quel posto disgustoso che qualcuno aveva il barbaro coraggio di chiamare locale. Avrei fatto in modo che il ragazzo non fosse più toccato, da nessuno, e soprattutto contro la sua volontà. Perché, per quanto lui poteva negare o fingere, sapevo che lui non voleva essere sfiorato in quel modo da nessuno di quelle persone di merda. Avevo cominciato a fare anche qualche conto nella testa. Riunendo le parole dette dal barista a quelle di Roberto, avevo qualche teoria su come si fossero svolti i fatti. Il giovane dagli occhi verdi deve i soldi alla mafia, così decide di trovarsi un lavoro redditizio che gli permetta di studiare e provvedere alla madre contemporaneamente. Giunge in questo locale, “The showcase of sex”, e inizia con lavori di basso rilievo. Poi negli anni, la sua posizione matura e viene promosso sempre di più. Finché un giorno di un mese fa, entra a far parte della congregazione attiva di quel posto, ovvero lavora nelle vetrine, come prostituto. Contemporaneamente a quello, il ragazzo finisce di pagare i debiti che ha con la mafia. Perciò i due fatti sono in qualche modo concatenati. Deve aver fatto due conti in tasca, rendendosi conto che andando avanti cosi, non sarebbe mai riuscito a scrollarsi di dosso la mafia, perciò l’unica cosa da fare era quella di assumere la posizione di maggior rilievo nel locale. Una posizione che ti permette di guadagnare fiori di quattrini, ma che purtroppo ti devasta nell’anima e nel corpo. Ma qualcosa non tornava. Se finalmente aveva rotto i rapporti con quei delinquenti, perché diavolo non se ne andava da quel posto, e non si cercava un lavoro più dignitoso e decisamente meno pericoloso? Il mio intuito mi suggeriva che le cose dovessero essere più complicate di così. E la cosa non mi piaceva per niente. Speravo davvero che il mio piano B andasse a buon fine, altrimenti non ci sarebbe stato più nulla da fare. Mentalmente pregavo con tutte le mie forze che tutto andasse bene, perché quell’attesa era diventata davvero snervante. Odiavo la suspense, e ancora di più aspettare. Stare ferma in un unico posto, e guardare lo svolgere degli eventi, senza potere intervenire. Io non ero fatta per stare seduta in panchina. Il mio intero essere era programmato per alzarmi e combattere, per affrontare le situazioni di petto e risolvere i problemi una volta per tutte. Dovevo sempre correre vero una meta, perché fermarsi sarebbe equivalso a morire. Ed ecco anche spiegato il perché fossi stata assunta come insegnante. Perché a casa, l’unica cosa che potevo fare era restare ferma ed immobile, ed io non ce la facevo più. Ma non era questo il momento di pensare al mio passato, e a ciò che avevo lasciato alle spalle. Questo era il momento di agire. Perciò attesi pazientemente che si facessero le otto. Come l’altra volta, vidi Roberto scendere silenzioso le scale. Il suo volto era stremato, stanco, più del solito. Provai una fitta di dolore nel vedere la sua espressione dolorante, e nel ricordare il suo passato. Ma non potevo indugiare. Perciò, appena lo vidi incamminarsi verso il centro della città, lo richiamai.
<< Stai andando da qualche parte? >>, chiesi alzando la voce, ed infilando le mani nel mio cappotto scuro. Anche quella sera, come la precedente, faceva un freddo cane. Roberto si voltò di scatto, nel sentire la mia voce. Appena mi vide, il suo sguardo mi penetrò nel corpo. Era furioso e insofferente. In quel momento non dovevo stargli molto simpatica.
<< Ancora lei. Ma si più sapere cosa vuole da me? La prego mi lasci in pace >>, esclamò esasperato il giovane.
<< No, mi dispiace. Non lo farò mai >>, risposi tranquillamente avvicinandomi a lui.
<< Perché? >>, domandò furioso, e girandosi completamente verso di me. << Per quale assurdo motivo non può andarsene per la sua strada, e lasciarmi vivere la mia vita? >>
<< Perché tu, la tua vita, te la stai rovinando. Ed io non posso assistere indifferente a questo sfracello. Non lo farò >>, continuai sempre con la stessa calma di prima. Dentro però, ero davvero agitata. Il mio cuore batteva furiosamente.
<< La vita è la mia. Se voglio rovinarmela, lei non può fare nulla >>, ribatté con livore il giovane.
<< No, non è vero. Posso fare qualcosa. Posso fare entrare un po’ di sale in quella zucca vuota che ti ritrovi >>, brava Lisa. Complimenti, offendilo, così è sicuro che lo porti dalla tua parte. Dannata me e la mia boccaccia. Vidi Roberto infervorarsi ancora di più. I suoi occhi emanavano scintille di fuoco nei miei riguardi, ed il suo volto s’imporporò per la rabbia. Sembrava stesse per esplodere da un momento all’altro.
<< Come si permette? Cosa ne sa lei del mio dolore, dei miei sacrifici? Non può giudicarmi >>, rispose in preda alla collera.
<< Hai ragione, non posso giudicarti. Ma posso esprimere il mio pensiero >>, confermai avvicinandomi ancora con passo lento. Ormai i metri che ci separavano erano davvero pochi. Non c’era nessuno in quel momento in mezzo alla strada, e i rumori della città erano lontani ed ovattati. Sentivo solo il mio cuore, e le parole taglienti del ragazzo. << Ed il mio pensiero è che tu ti stai rovinando la vita. Ed io non voglio che questa accada >>
<< Ah no? Mi sembrava che non le stessi molto simpatico >>, commentò sarcastico Roberto.
<< All’inizio non eri uno dei miei alunni preferiti, devo ammetterlo. Poi però le cose sono cambiate. Ho iniziato davvero ad odiarti >>, confessai con dolcezza.
<< Gentile da parte sua dirmi queste cose. Decisamente mi sta convincendo a fare quello che vuole >>, affermò mordace.
<< Vedi, ti ho odiato perché ho scoperto la tua storia d’amicizia con Paolo e con Ianto >>, continuai sempre con affetto. Non capivo perché, ma quel ragazzo mi ispirava amore sotto tutti i punti di vista.
<< Sono confuso >>, constatò sinceramente perplesso il giovane dagli occhi verdi.
<< Ianto mi ha raccontato la vostra storia. Come siete diventati amici voi due e Paolo, e delle vostre avventure. Ancora adesso rido ricordando la storia della bambola >>, sorrisi divertita al pensiero.
Vidi Roberto riflettere sulle mie parole. Poi quando ricordò anche lui quell’episodio, sul suo viso apparve un timido sorriso divertito, e allo stesso tempo triste. Quei ricordi ormai appartenevano ad un passato troppo lontano, per sembrare reale. Erano di un’altra persona, che non aveva dovuto subire tutta quella sofferenza e violenza.
<< Eravamo dei ragazzini pestiferi >>, rispose con trasporto, abbassando lo sguardo.
<< Un trio combinaguai >>, confermai. Roberto alzò di scatto il volto verso di me chiedendomi silenziosamente come facessi a sapere di quel nomignolo. << Si, Ianto mi ha anche raccontato di come vi chiamava suo padre >>
<< Già, suo padre >>, mormorò mestamente.
Mi avvicinai ancora di qualche passo, trovandomi finalmente a pochi passi di distanza dal giovane. Potevo vedere chiaramente come il suo volto fosse una maschera di dolore per quelle parole che gli stavo dicendo, per quei ricordi troppo pesanti da sopportare e per il peso delle sue responsabilità verso una famiglia che gli aveva procurato solo dispiaceri.
<< Mi ha raccontato anche di quella volta in cui gli salvasti la vita >>, continuai con un tono di voce più basso, ma carico di sentimenti. Volevo trasmettergli tutto l’affetto di cui disponevo.
<< Non ho fatto nulla >>, si sminuì il giovane alzando le spalle.
<< No, non è vero. Ti hai rischiato la vita, per proteggere qualcuno che amavi. Hai anteposto la tua salvezza, e hai dato tutto te stesso per un altro essere umano >>, risposi con ovvietà.
<< Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque >>, continuò minimizzando l’avvenimento.
<< E’ qui che ti sbagli >>, affermai con decisione. << Perché nessun altro, se fosse stato al tuo posto, avrebbe fatto altrettanto. L’istinto di sopravvivenza è forse l’istinto più forte che noi abbiamo. Tu invece lo hai soppresso, e hai fatto in modo che solo l’amore governasse i tuoi passi. E lo fai tutt’ora >>
<< Già, l’amore. Farsi sbattere, giustamente dovrebbe essere sinonimo d’amore >>, rispose sprezzante.
<< No, non è il fare sesso per soldi. Ma il contesto che ti porta a fare quel mestiere, che mi fa capire che tutte le tue azioni sono governate dall’amore. Prima non l’avevo capito, e per questo ti odiavo >>, dichiarai emozionata. Sentivo che quelle parole erano dannatamente giuste. Solo così avrei fatto breccia in quel muro di cemento in cui il ragazzo si nascondeva. << Ti odiavo, perché avevi fatto soffrire qualcuno a cui io volevo molto bene. Anzi a dire il vero a due persone a me care. Ianto e Paolo. ma adesso che so, ora che conosco la tua storia, capisco che tu sei stato la persona più coraggiosa del mondo >>
<< Non ci vuole poi tutto questo coraggio nel farsi scopare >>, commentò amaramente il giovane.
<< No, non è questo l’atto di coraggio di cui parlo >>, negai con forza.
<< E di cosa diamine sta parlando allora? >>, domandò esasperato Roberto.
<< Sto parlando della forza che hai avuto nell’allontanare le persone che amavi per proteggerle, anche se questo ti ha straziato il cuore. Sto parlando del coraggio che hai avuto nel proteggere tua madre, e fare in modo che non le accadesse mai più nulla di brutto >>, spiegai con un trasporto tale, da sentirmi piena d’amore. Lo stesso che aveva governato tutta la vita del giovane a me di fronte. Mi avvicinai ancora di più, arrivando ormai davanti al ragazzo. Alzai le braccia e le poggiai sulle sue spalle, guardandolo dritto negli occhi. << Sto parlando del coraggio che hai avuto nell’affrontare una situazione così difficile e delicata, troppo grande per un ragazzino di tredici anni. Tu hai tutto il mio rispetto, e ti sei conquistato un posto nel mio cuore che sarà sempre tuo >>.
Vidi gli occhi di Roberto allargarsi sempre di più, sorpreso dalle mie parole. Cominciarono anche ad inumidirsi, e il suo labbro inferiore tremò leggermente. Era emozionato, confuso, e commosso per le mie parole. Sapevo di aver scavato un buco nel suo cuore, di aver fatto centro in quella muraglia. E nessuno mi avrebbe fermato. Lo avrei portato dalla mia parte, e non sapevo come, ma sentivo l’eccitazione della vittoria. Ero certa che ce l'avrei fatta. Due lacrime silenziose scesero sulle guance del giovane, carezzando morbidamente la sua pelle. Quei meravigliosi occhi verdi, sgranati e spaventati, mi facevano una tale tenerezza, da mandarmi in corto circuito il cervello. Mi resi conto che davvero volevo bene a Roberto, e che mai più avrei permesso che il ragazzo soffrisse. Poi quel momento svanì. Il giovane scrollò le mie mani dalle sue spalle, e si asciugò con stizza le lacrime. Fece qualche passo indietro mettendo nuovamente distanza tra i nostri corpi, cercando di riprendere il controllo della situazione.
<< Lei sta dicendo delle assurdità, e mi sta facendo perdere solo tempo prezioso. Devo andare a lavoro, non provi a seguirmi >>, mi minacciò puntando un dito contro, poi si voltò per riprendere a camminare, ma sapevo come trattenerlo.
<< Adesso ti stai comportando da codardo >>, affermai ad alta voce. Lo vidi bloccarsi sul posto, e tremare lievemente. Non sapevo se per la rabbia, o per il freddo. Si voltò lentamente, lanciandomi contro uno di quei sguardi più spietati e cattivi di cui disponeva nel suo arsenale.
<< Come? >>, sussurrò con ferocia.
<< Adesso stai scappando, come un codardo. Io ti sto offrendo una via di uscita, e tu la rifiuti >>, continuai sbeffeggiandomi di lui.
<< Non prosegua su questa strada, professoressa. Altrimenti non risponderò più delle mie azione >>, mi avvertii, voltandosi nuovamente verso di me.
<< Cosa mi fai, se continuo? Eh? Mi lancerai uno di quei giocattoli che usi in quelle stanze? >>, domandai beffarda.
Roberto scattò, raggiungendomi in poche falcate. Prese il colletto del mio cappotto con entrambe le mani e mi alzò leggermente. Quella predominanza fisica non mi spaventava minimamente.
<< Sta giocando col fuoco. Lei non ha idea di cosa potrei farle >>, continuò a minacciare, sperando di intimorirmi. I suoi occhi erano fissi nei miei, e potevo vedere le saette che mi lanciava contro.
<< Non mi farai nulla. Lo so. Perché sei buono nell’animo, e queste sono solo stupide parole dette per spaventarmi. Ma non attacca >>, sputai velenosa, colpendolo dritto al cuore.
Infatti, pochi secondi dopo, il ragazzo mi lasciò, senza però scostarsi da me. Lo vidi calmarsi, anche se era ancora vistosamente agitato.
<< La smetta. Io non ho chiesto il suo aiuto >>
<< Lo so. Sei troppo orgoglioso per poter chiedere a qualcuno una mano. Ma non per questo io te la negherò. E poi non lo sto facendo solo per te >>, dissi enigmatica. Lo vidi alzare un sopracciglio dubbioso delle mie parole. Sorrisi divertita per quell’espressione. << Lo sto facendo anche per loro >>, ed alzai una mano indicando un punto dietro le sue spalle.
Roberto si voltò con una lentezza esasperante, spaventato da ciò che poteva vedere. Quando i suoi occhi puntarono le due figure, li sgranò. Due giovani si avvicinavano con passo tranquillo verso di noi. Stavano discutendo scherzosamente, ancora ignare della nostra presenza.
<< Sei un cretino, mi hai fatto prendere un colpo >>, disse un ragazzo dai capelli castani, e gli occhi nocciola.
<< Ma dai, era uno stupido scherzo >>, rispose l’altro dagli occhi di ghiaccio.
Poi risero divertiti per chissà quale motivo. Scrutai furtivamente il volto di Roberto. Un insieme di emozioni si leggevano. Era spaventato, felice, preoccupato, impaurito, e incredibilmente innamorato. Quando poi le due figure furono abbastanza vicine, si voltarono contemporaneamente verso la nostra direzione, rimanendo silenziosi di colpo. Ianto sapeva che forse avrebbe incontrato l’amico, perché lo avevo avvisato di farsi trovare in questo posto, a quest’ora. Ma Paolo non ne aveva la mina idea. La sua espressione era davvero un qualcosa di clamoroso. Era veramente sorpreso. Ma soprattutto, era felice di poter trovarsi faccia a faccia con il suo amore.
<< Robbi >>, sussurrò il ragazzo dagli occhi nocciola.
Il giovane al mio fianco, trasalì nel sentire il suo nome pronunciato dalle labbra dell’amico. sorrisi dolcemente a quella scena. Mi accostai al ragazzo dagli occhi verdi, guardando i due nuovi arrivati.
<< Professoressa >>, sussurrò confuso Paolo. << Che diavolo ci fate voi qui. E che sta succedendo? >>
<< Prof, è questo allora il tuo piano B? >>, domandò divertito Ianto.
<< Indovinato >>, confermai allargando il sorriso.
<< Che diavolo ha combinato? >>, sussurrò inviperito Roberto, senza togliere gli occhi di dosso ai due ragazzi.
<< Io? Niente >>, esclamai fintamente innocente.
<< Prof, le bugie non le sai dire. Te l’ho già detto >>, mi apostrofò allegramente il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
<< Moccioso, taci >>, lo minacciai puntandogli un dito contro. Lui scosse la testa, sempre più eccitato. Quella situazione non lo spaventava minimamente.
<< Qualcuno può spiegarmi cosa succede qui? >>, domandò esasperato Paolo, sentendosi tagliato fuori dalla discussione.
<< Non sono io a dover spiegare >>, risposi con calma. Poi mi voltai verso il giovane al mio fianco, e lo spintonai. << E’ lui a doverlo fare >>
<< Cosa? Che scherzo è mai questo? >>, urlò sbalordito Roberto. Non si aspettava quelle parole.
<< Forza, Roberto. Spiega un po’ ai tuoi vecchi amici come hai passato gli ultimi quattro anni della tua vita >>, lo incoraggiai, prendendolo anche un po’ in giro.
<< Non può dire sul serio. Non può farmi questo >>, mormorò stringendo i denti. La sua collera era davvero a dei livelli apocalittici.
<< Mi sono resa conto di una cosa Roberto >>, gli risposi ignorando le sue parole. << Se qualcuno non vuole essere salvato, non posso fare nulla. Perché in realtà non sono io quella che deve farlo >>
<< Che blatera? >>, continuò il ragazzo sempre più inferocito.
<< Tu non vuoi essere salvato da me >>, risposi sorridendo. Poi alzai una mano, ed indicai le due figure di fronte a noi. << Tu vuoi essere salvato da loro due, ed in particolare da Paolo. Per questo li hai allontanati, ed è per questo che avete sofferto tutti e tre. Siete contorti, e masochisti. Però alla fine è l’affetto che provato nei vostri confronti, a farvi agire in questo modo >>.
Roberto mi fissò, impallidito e preoccupato dalle mie parole. Perché in fondo all’anima, sapeva che erano vere. Non ero io quella che doveva aiutarlo. Ma i suoi due migliori amici.
<< Forza amico >>, lo incoraggiò Ianto. Ci voltammo a guardarlo, e vedemmo il suo dolce sorriso spuntare. << Puoi farcela. Sì onesto >>.
Il giovane continuava però a tacere. Non era pronto a questo. Non se lo aspettava, ed aveva paura. Paura del loro giudizio, delle loro parole. Paura di condividere un passato così difficile, e pieno di orrori.
<< Roberto >>, sussurrò nuovamente Paolo.
A quelle parole, nulla valeva l’ostinazione del ragazzo. Perché semplicemente, lui non poteva resistere a quel dolce richiamo. Glielo leggevo negli occhi. Abbassò il volto, inspirò profondamente, poi espirò.
<< Quattro anni fa, mio padre fu arrestato >>, cominciò a raccontare, sorprendendo i sue due amici. Ianto questa parte della storia non la conosceva, e per Paolo tutto questo era nuovo. << Aveva dato i soldi in mano alle persone sbagliate, e affidato il laboratorio ad un essere incompetente. In poche parole, lo fregarono >>, alzò di colpo gli occhi e fissò intensamente i due giovani. Le lacrime cominciarono a scendere copiose. << L’uomo a cui aveva dato i soldi, fece affari con la mafia del quartiere >>. A quelle parole, i due ragazzi trasalirono, avvicinandosi lentamente all’amico. << Vennero a casa e minacciarono mio padre. O li ripagava, oppure avrebbe fatto una brutta fine. Sapete mio padre com’era. Testardo, orgoglioso e furbo. Credeva di poter fregarli >>
<< Come te >>, aggiunsi, cercando di stemprare l’atmosfera pesante. Roberto sorrise ed annuì col capo.
<< Si, come me. Comunque si rifiutò. Quei bastardi andarono alla polizia. Vi ricordate quando mia madre mi spedì di fretta e furia dai nonni, quell’estate? >>, domandò abbassando nuovamente lo sguardo.
<< E chi se la dimentica >>, confermò tristemente Ianto. Anche per lui, quel periodo era stato difficile. Paolo non rispose, limitandosi ad ascoltare sempre più interessato.
<< Beh, lo fece perché volle risparmiarmi la scena di mio padre preso di forza dalla polizia. Lo arrestarono e lo condannarono in quell’estate. Undici anni di galera >>, spiegò piangendo sempre più forte. La sua voce però, usciva chiara senza inflessioni, dimostrando quanta forza il giovane disponeva. << Quando tornai alla fine dell’estate, la mafia venne da noi. Io volevo subito raggiungerti Ianto, ma non me lo permisero. Perché loro ci stavano aspettando in casa >>.
<< O mio Dio >>, esclamò sbalordito Ianto. Paolo era ancora muto, ma dai suoi occhi scesero silenziose delle lacrime di dolore sincero nei confronti dell’amico. Non era compassione, ma vera e autentica sofferenza. Quasi come se avesse provato lui quelle esperienze.
<< Quando entrammo in casa, ci presero. Mi immobilizzarono, e picchiarono furiosamente mia madre. Non potrò mai dimenticare il sangue, e la violenza che subì >>, raccontò, mettendosi una mano davanti agli occhi. Ora essere forti era impossibile. Il peso di quei ricordi era troppo grande,  per restarne indifferenti. Non riuscii a trattenermi. Afferrai la mano libera di Roberto, e la strinsi con forza cercando di infondergli tutto il coraggio di cui disponevo. Il giovane mi guardò, e sorrise grato del mio gesto. Poi rialzò lo sguardo, e lo puntò verso i suoi amici. Inspirò nuovamente, poi si sbottonò il giubbino, stupendo tutti noi. Sapevo cosa stava per fare, ma non ero sicura di riuscire a guardare quella ferita fatta quel giorno. Roberto, poi alzò la maglietta che indossava, e mostrò a tutti noi quella cicatrice dolorosa. Era una croce con un serpente attorcigliato intorno. Ben visibile e leggermente arrossata rispetto alla sua pelle. Rabbrividii nel vederla, e scostai subito lo sguardo. Non potevo sopportare oltre. Puntai gli occhi verso i due ragazzi che avevo di fronte. Ianto serrò la bocca, arrabbiato come mai l’avevo visto prima. Forse anche più di quando Paolo aveva provato a suicidarsi. Leggevo nei suoi occhi il dolore per non aver potuto fare nulla, e la consapevolezza di non essere stato presente nei momenti di bisogno dell’amico. Il giovane dagli occhi nocciola invece era sconvolto. Singhiozzava sonoramente, senza riuscire a trattenersi. Davvero stava soffrendo per quella ferita. Roberto abbassò nuovamente la maglia, e riprese il racconto. << Il loro anello aveva questa figura. Me lo hanno inciso col fuoco sulla carne, per non dimenticare mai più quel momento. Hanno fatto si che, ogni volta che chiudo gli occhi, io ricordi quel giorno. Il giorno in cui la mia vita è stata rovinata. Perché da li gli eventi sono precipitati >>, si asciugò le lacrime velocemente. Sapevo che era spaventato per quello che da li avrebbe dovuto raccontare. Temeva il giudizio delle due persone più importanti della sua vita. Strinsi nuovamente la sua mano, e lui ricambiò la stretta. Poi prese coraggio e continuò. << Capii in quel preciso istante che la mia vita non era più al sicuro. E che lo stesso era per le persone a me vicino. Presi la mia decisione. Dovevo allontanarvi. Solo così sareste stati al sicuro >>
<< Un momento >>, lo interruppe Ianto, improvvisamente colto da un lampo. << Tu ti sei allontanato da noi, perché non volevi che ci accadesse nulla di male? Perché temevi che saremmo rimasti invischiati nella vicenda? >>
<< Si >>, confermò Roberto.
I due ragazzi non fiatarono. Scese un silenzio innaturale. Poi rimasi veramente sbigottita da quello che accadde. Un mano veloce andò a schiaffeggiare il volto del ragazzo. Paolo, nel suo mutismo, aveva appena sferrato un colpo deciso nei confronti dell’amico. Sia io che Ianto, ci guardammo negli occhi increduli. Poi ritornammo a guardare le due figure.
<< Cretino >>, sussurrò furioso e con la voce spezzata il giovane dagli occhi nocciola. << Tu ci hai allontanato, per un motivo assurdo. Sei un bastardo. Hai idea di quello che abbiamo passato? Di quello che ho passato? Come hai potuto? >>, cominciò ad urlare Paolo, in preda alla collera.
Mi allontanai di scatto da quella situazione, sapendo di essere di troppo, e mi avvicinai silenziosa al fianco di Ianto. Percepii un leggero tremolio dal suo corpo. Era furioso, e anche profondamente addolorato. Non riuscii a trattenermi. Sapevo che era una pessima idea, anche per quello che era accaduto nel pomeriggio, ma non me ne importava minimamente. Volevo fargli percepire la mia presenza, e trasmettergli tutto l’amore di cui disponevo. Perciò gli afferrai la mano, e la strinsi con forza. Ianto non mi guardò, ma a sua volta mi strinse la mano. Rimanemmo in silenzio vicini, assistendo a quella scena a dir poco paradossale.
<< Tu sei un bastardo. Dovevi venire da noi. Dovevi venire da me >>, continuò ad urlare Paolo, in preda alla disperazione.
<< Non potevo >>, mormorò Roberto. Aveva ancora il viso voltato di lato. Poi, con una flemma estrema, girò il capo e puntò i suoi occhi verdi in quelli nocciola dell’amico. << Dovevo proteggerti >>
<< Io non avevo bisogno di protezione. Io non ho bisogno di essere protetto >>, marcò queste ultime parole con enfasi e sconforto. << Io ho sempre avuto bisogno di una sola cosa: te. Io volevo solo che tu facessi parte della mia vita >>, sussurrò tra le lacrime.
Mi si strinse il cuore nel vedere Paolo distrutto e con il cuore in mano. Avevo anche paura che la sua psiche potesse subire ulteriori danni dopo aver appreso queste notizie.
<< Che cosa è successo dopo? >>, domandò Ianto, interrompendo quel silenzio carico di sentimenti.
Roberto puntò lo sguardo sull’amico, e capii che il racconto adesso prevedeva toni decisamente più gravi e difficili da affrontare. Speravo solo che tutto andasse bene. Il ragazzo dagli occhi verdi abbassò lo sguardo, poi lo puntò negli occhi nocciola di Paolo. Lo guardò con amore, come solo una persona profondamente innamorata può fare.
<< Perdonami >>, sussurrò, ricominciando a piangere. Alzò lentamente la mano, ed accarezzò dolcemente la guancia dell’amico, asciugandogli le lacrime. Gli sorrise, ma con una tristezza tale, da spezzarmi il cuore. Poi si allontanò di qualche passo, frapponendo tra il suo corpo e i nostri un muro invisibile. Sospirò nuovamente, e riprese a raccontare. << Dopo quell’episodio, io e la mamma fummo costretti a vendere tutto ciò che avevamo. Il ricavato fu preso dalla mafia. Solo una piccola somma riuscimmo a trattenere, che ci servii per comprare questa casa. Il debito però non era estinto. Perciò, fui costretto a trovare… >>, ma si bloccò. Tratteneva a stento la paura. Era terrorizzato da ciò che sarebbe potuto succedere nel momento in cui avrebbe finito di svelare il mistero del suo lavoro. Abbassò lo sguardo, e sospirò nuovamente. Poi riprese a parlare con voce roca e sussurrata. << …fui costretto a trovare lavoro. Me ne serviva uno che non influenzasse la mia vita scolastica, e che mi permettesse di guadagnare abbastanza. Fu così che uno di quei delinquenti mi presentò ad un suo amico, che gestiva un night club >>.
Appena pronunciate quelle parole, compresi tutto ciò che restava ancora nascosto. Roberto non poteva abbandonare il lavoro, perché il suo capo era in combutta con la mafia. E temeva un loro ritorno proprio perché era ancora troppo vicino a quelle figure losche. Ora il quadro mi era completo. Ma non per questo era meno grave.
<< Un night club? >>, domandò perplesso Paolo.
Il giovane dagli occhi verdi inspirò profondamente, poi alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi del ragazzo di fronte. Era tormentato, ma non si sarebbe tirato indietro. Non più.
<< “The showcase of sex” >>, pronunciò quelle parole, quasi come se fosse stato un condannato a morte.
Sentito il nome del locale, Paolo tremò visibilmente. Portò le mani alla bocca, e trattenne il respiro. Cominciò a negare forte con la testa. Conosceva quel posto, lo si intuiva dalla sua reazione.
<< No. No. No >>, sussurrò tra le lacrime.
Roberto ricominciò a piangere, disperato ed umiliato.
<< Mi dispiace >>, mormorò afflitto.
Paolo abbassò la testa, cercando di riappropriarsi del suo stato d’animo. Era incredulo, disperato, distrutto. E tuttavia, percepivo ancora profondamente innamorato.
<< Cominciai dal basso >>, continuò Roberto. << Tuttofare, spazzino, e così via. Poi sono arrivato a ballare la lap dance. In questi ultimi quattro anni, non ho fatto che lavorare e spaccarmi la schiena in quel posto. Ma più andavo avanti, più i soldi non bastavano. Tra il debito, il cui interesse cresceva vistosamente, e le spese quotidiane, non riuscivamo ad arrivare a fine mese. Più volte sono rimasto a digiuno, perché non avevamo i soldi per fare la spesa. Così un mese fa presi una decisione >>, affermò deciso e comunque afflitto. Quella era la parte più difficile del racconto. Il ragazzo dagli occhi nocciola, alzò il viso, e puntò lo sguardo in quello del compagno. Sapeva cosa stava per dire, ma tuttavia non era pronto. << Andai dal capo, e chiesi di poter lavorare… >>, si bloccò trattenendo il respiro. Poi lo rilasciò, insieme alla parola più dura da pronunciare. << … in vetrina >>.
Paolo riabbassò il volto, e pianse copiosamente. Percepivo il suo dolore per quelle parole. Sapevo quanto gli costasse ascoltarle. Sapere che l’uomo che ami, è costretto a prostituirsi per poter sopravvivere. E il senso di impotenza, nel non riuscire a fare nulla. Non poter neanche supportarlo nei momenti più difficili. Era quello ciò che più addolorava il giovane dagli occhi nocciola. La consapevolezza di non aver potuto aiutare come doveva l’uomo che amava. Ianto strinse forte la mia mano, poi la lasciò. Si avvicinò lentamente all’amico. Quando furono uno di fronte all’altro, si guardarono dritto negli occhi, per un tempo che mi parve infinito. Poi Ianto, come sempre mi sorprese. Allungò le mani e afferrò la vita del ragazzo dagli occhi verdi, attirandolo a se. Poggiò la sua fronte su quella di Roberto e chiuse gli occhi. L’amico lo imitò e rimasero così per molto tempo. Poi Ianto aprì gli occhi e li puntò in quelli del giovane, che nel frattempo aveva aperto anche i suoi.
<< Ti voglio bene >>, sussurrò dolcemente il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
Cominciai a piangere anche io, vedendo quella tenera scena. Due migliori amici, allontanati da un destino crudele, il cui affetto mai è cessato, finalmente uniti. E stavolta neanche Dio in persona li avrebbe separati. Roberto sorrise per quelle parole. Un sorriso dolce, affettuoso. Poi si separarono. Ianto si discostò dall’amico, e si voltò venendo nuovamente al mio fianco. Di getto gli strinsi la mano, come prima, incurante delle conseguenze. Volevo solo trasmettergli quanto ero fiera di lui, e della sua persona. Paolo, nel frattempo, aveva osservato tutto nel più religioso silenzio. Nel momento in cui, poi, i suoi occhi incontrarono quelli di Roberto, prese un respiro e cominciò a parlare.
<< Mi dispiace >>
<< Lo so, non vuoi più vedermi. Ti faccio schifo >>, lo bloccò il ragazzo dagli occhi verdi, disperato per quella consapevolezza. Paolo sorrise dolcemente, e si avvicinò all’amico.
<< Fammi finire >>, disse guardandolo dritto negli occhi. << Mi dispiace, perché non ci sono stato in questi quattro anni. Ero troppo occupato nel prendermi cura del mio dolore. Sapere di essere stato abbandonato da te, mi ha profondamente distrutto >>, abbassò il volto cercando le parole adatte. Nel frattempo Roberto trattenne il fiato, troppo teso per poter anche solo respirare. << Tutto quello che ho sempre voluto, era stare al tuo fianco, non mi importava come. Perché tu per me eri come una stella. Quella stella in grado di guidarci nel nostro cammino. Pronta a brillare e a risplendere solo per me, sempre e comunque >>, rialzò il viso, osservando i lineamenti forti e mascolini del giovane che aveva di fronte. Sorrise dolcemente, poi riprese a parlare. << Eri anche la mia forza, perché sapevo che con te al mio fianco, avrei abbattuto qualsiasi muro. Perderti, è stata la cosa peggiore che mi sia mai capitata. Temevo che sarei sprofondato nel mio dolore, però ce l’ho fatta. Perché tu mi hai insegnato a credere in me stesso, e a non mollare mai. E sono qui, solo grazie a te >>, allungò una mano e sfiorò la guancia di Roberto. Il ragazzo, a quel tocco, chiuse d’istinto gli occhi, ed appoggiò il volto contro la mano del compare. Poi li riaprì lentamente. Di fronte vide la creatura più bella che avesse mai incontrato. Paolo sorrise con amore, poi riprese a parlare. << E adesso sarò io la tua roccia, la tua forza, la tua luce, la tua stella. Ti guiderò io, e tu potrai appoggiarti a me. E non me ne andrò mai più, neanche se sarai tu stesso a cacciarmi. Perché io ti amo. Ti amo. Ti amo con un’intensità tale da sconvolgermi, e travolgermi. Alle volte mi sembra di affogare in questo amore che provo per te. Ma sarebbe la morte più bella e dolce che potrei avere. Morirei mille e mille volte in questo modo >>, sussurrò quelle parole lentamente. Ma alle mie orecchie risuonarono più forti di qualsiasi altro suono. Sorrisi spontaneamente, e istintivamente strinsi forte la mano di Ianto. Stretta ricambiata dal ragazzo. Vidi Roberto sgranare leggermente gli occhi umidi, dai quali dolci lacrime scesero per incorniciare il suo volto. Lacrime di gioia più belle non potevo vederle. Speravo davvero in un lieto fine tra i due. Poi vidi Paolo avvicinare lentamente il volto verso il ragazzo, coronando finalmente il loro sogno d’amore. Roberto reagì spontaneamente avvicinando anche il suo di viso. Quello che però poi accadde, mi lasciò veramente sbigottita. Il giovane dagli occhi verdi sgranò lo sguardo, come un disperato. Si allontanò dall’amico, lasciandolo sorpreso ed anche spaventato. Si spostò di qualche passo, poi cominciò a piangere disperatamente. Io e Ianto ci lanciammo uno sguardo preoccupato. Adesso cosa diavolo stava succedendo?
<< Robbi, come… perché? >>, domandò confuso Paolo.
<< Non posso >>, sussurrò distrutto tra le lacrime Roberto.
<< Ma perché? >>, continuò il ragazzo dagli occhi nocciola.
<< Non posso rovinarti la vita >>, il tono in cui lo disse era forse la cosa più difficile da sopportare in tutto quel racconto. Prostrato, affranto, inconsolabile, e quasi mortale.
<< Perché? >>, mormorò Paolo seriamente preoccupato.
Roberto alzò lo sguardo e lo poggiò sul compagno. Occhi più disperati non li avevo mai visti. Poi sospirò sonoramente.
<< Anche io ti amo, e proprio per questo che devo lasciarti andare >>, confessò affranto il ragazzo dagli occhi verdi.
<< Ma che stai dicendo? Entrambi ci amiamo, adesso potremmo stare insieme per sempre >>, ribatté Paolo felice per quella confessione, ma anche confuso per le altre parole.
<< Sono sieropositivo >>, confessò in un sussurro Roberto.
In quel momento mi parve che il mondo mi crollasse addosso. Spalancai gli occhi, e portai la mano libera alla bocca. L’altra attanagliò quella di Ianto. Il giovane dagli occhi di ghiaccio trattenne rumorosamente il fiato. La sensazione di dolore e spaccatura nel proprio essere aleggiava sulla testa di entrambi. Ma quello che mi lasciò più sconcertata fu la reazione di Paolo. In un primo momento rimase spiazzato da quelle parole, paralizzato quasi. Poi cominciò a piangere copiosamente, lamentandosi come fosse stato un’animale ferito. Infine cadde sulle proprie ginocchia, quasi come se non riuscisse più a sostenere il proprio peso. Portò le mani al volto e lo coprì, piangendo sempre più forte. Roberto lo raggiunse prontamente e si inginocchiò davanti. Poi lo abbracciò stretto, cercando di tranquillizzarlo, ed accarezzandogli i capelli. Passarono vari minuti in quella posizione, minuti in cui tutti noi metabolizzavamo quella confessione. Poi Paolo finalmente riuscì a calmarsi. Si discostò quel tanto che bastava da Roberto, per poterlo guardare meglio negli occhi. Prese ad accarezzargli una guancia, con fare dolce e amorevole. Il ragazzo dagli occhi verdi, non poteva fare altro che accogliere quelle dolci premure, così tanto agognate. Poi entrambi si alzarono contemporaneamente, senza interrompere quel contatto corporeo e visivo. Erano l’uno l’estensione del corpo dell’altro. Passarono altri minuti di silenzio, infine il giovane dagli occhi nocciola prese coraggio e parlò.
<< Ricominciamo >>, sussurrò dolcemente.
<< Come? >>, domandò confuso Roberto.
<< Ricominciamo dall’inizio. Non m’importa se sei malato o no, né del resto. Quello che voglio è stare con te. E voglio farlo cominciando dall’inizio. Ritorna da me, amore mio. Ritorna al mio fianco, e affrontiamo il futuro insieme >>, mormorò amorevolmente il ragazzo.
Il giovane dagli occhi verdi, sgranò nuovamente lo sguardo, che prontamente gli si riempì di lacrime. Non si aspettava di certo una proposta simile. Credeva che sarebbe stato abbandonato, troppo sporco e schifoso per stare vicino ad una persona pura come era Paolo. In quel momento, però, tutto il resto non gli importava più. Adesso si sarebbe preso anche lui la sua fetta di felicità, quella che gli spettava di diritto. E poco importava quello che avrebbe dovuto affrontare, e delle difficoltà certe o anche della malattia. Per lui l’unica cosa importante era quello di poter stringere nuovamente tra le braccia il ragazzo che gli offriva amore incondizionato. Annuì tremando dall’emozione. Poi entrambi si sorrisero felici. Sapevano che la loro strada era disseminata da profondi ostacoli, ma nulla avrebbe più potuto separarli. Si avvicinarono nuovamente, con lentezza. Ed infine le loro bocche si sfiorarono in un contatto casto e delicato, che fu prontamente approfondito. Si unirono dolcemente, in un bacio lungo e profondo. Intorno a loro, l’aria era carica d’amore. Era veramente lo spettacolo più bello a cui assistere. Passarono vari minuti, ed infine si staccarono, in cerca di ossigeno. Si sorrisero nuovamente. Sentii la stretta di Ianto farsi più forte. Potevo percepire la trepidazione e l’affetto che provava verso i suoi due migliori amici. Poi li richiamò.
<< Ehi >>, i due si voltarono, sempre sorridenti. << Saremo amici per sempre >>, disse sicuro e felice.
I due giovani sorrisero, entusiasti e commossi per quelle parole. Poi Paolo, prese tra le sue mani quelle di Roberto e guardò i due amici.
<< Promesso? Per sempre? Anche con i tuoni, fulmini e saette? >>, sussurrò con amore.
I due amici si voltarono a guardare il ragazzo dagli occhi verdi, che ricambiò lo sguardo.
<< Promesso >>, rispose con un filo di voce.
Ero commossa da tanto affetto e da tanto amore.
 
<< Dici che abbiamo fatto bene a lasciarli soli? >>, domandò Ianto preoccupato.
<< Avevano bisogno di recuperare il tempo perduto. E poi noi abbiamo altro da fare >>, risposi con calma continuando ad avanzare con sicurezza per quelle strade.
Avevamo lasciato da dieci minuti Paolo e Roberto sotto casa di quest’ultimo. Sapevo che avrebbero preso le cose con calma, e sapevo anche che non avrebbero fatto casini. Ma adesso la cosa che più mi premeva era risolvere un’altra faccenda. Prevedevo una notte molto lunga.
<< Allora, precisamente qual è il piano? >>, chiese perplesso Ianto.
<< Arriviamo lì, chiediamo del capo. Gli parliamo. Tu gli offri dei soldi, se è necessario, e chiudiamo una volta per tutte la questione >>, risposi con fare annoiato.
Stavo cercando in tutti i modi di calmarmi. Avevo preso l’impegno con Roberto che lo avrei tirato fuori dai guai, e questo significava farlo licenziare. Ma non ero sicura di come sarebbe andata la situazione.
<< E tu lo trovi un bel piano? E poi scusa perché devo sborsare io i soldi? >>, protestò il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Perché io non sono ricca. Tu si. E non credo che potremmo chiedere a Roberto di sganciare i soldi per farlo licenziare. Non trovi? >>, risposi sarcasticamente.
<< Vero. Bell’osservazione Watson >>,  costatò divertito Ianto.
<< Che fai, ricominciamo con i nomignoli? >>, dissi allegramente.
<< Oh, certo mia dolce e piccola donzella. E poi il suo cavaliere è sempre pronto a difenderla >>, affermò soddisfatto, e passò un braccio attorno alle mie spalle. Lo lasciai fare, intimamente felice di quel contatto.
<< Mio prode eroe. Come farei senza di te? >>, domandai ironicamente.
<< Me lo domando anche io >>, rispose prontamente il giovane. Poi tornò serio. << Dici che tra loro andrà tutto bene? >>
<< Ti riferisci a Paolo e Roberto? >>
<< Già >>
<< Beh, io ho conosciuto l’amore, Ianto. E quello che ho visto tra loro è forte e profondo. Si amano da anni, e non si sono mai dimenticati. Direi che si, andrà bene tra di loro >>, confermai con certezza.
<< Quando dici che hai conosciuto l’amore ti riferisci a tuo marito? >>, domandò mestamente il giovane.
<< Certo Ianto, a chi altro dovrei riferirmi? >>, affermai fintamente scocciata. Sapevo che così facendo, però, lo ferivo. Ma dovevo mettere le distanze tra i nostri sentimenti.
Il giovane non rispose, e procedemmo silenziosamente, ognuno immerso nei propri pensieri. Quando arrivammo davanti al locale, rimasi ancora disgustata dalle figure in vetrina. Gli stessi ragazzi del giorno precedente che ballavano, senza vita in corpo. Non rimanemmo però molto ad osservarli, perché avevamo una missione da compiere. Avanzammo nel locale, ed attraversammo il corridoio. Arrivati davanti alla porta, la spalancammo, trovandoci di nuovo sommersi in quel caos, e quell’odore forte e nauseabondo del giorno precedente. Sarebbero potuti passare mesi, o anche anni, ma ero certa che non mi sarei mai abituata a tutto ciò. Ci dirigemmo verso il bancone, dove vi era lo stesso barista del giorno prima. Questi ci guardò, sorrise, e ci servii senza neanche parlarci due birre, prontamente afferrate da me.
<< Stasera sei ben disposto? >>, domandai cominciando a sorseggiare la prima bevanda.
<< Roberto non è qui, ma voi si. Deduco che avete fatto ciò che vi ho chiesto >>, rispose il barista pulendo un bicchiere.
<< Sapevi della sua malattia? >>, chiese Ianto.
<< Si, purtroppo lo sapevo. Ma era anche certo che si sarebbe ammalato >>, confermò il giovane.
<< Perché? >>, domandai sempre sorseggiando la bottiglia.
<< Perché il suo primo cliente, quello violento che quando ti prende, ti spacca in due il culo, è malato di AIDS. Chiunque qui, che è andato con quel tipo, si è ammalato. Roberto è stato anche fortunato. È sieropositivo, ma non ha contratto la malattia vera e propria. Se si cura e sta attento, potrebbe non contrarla mai >>,spiegò sempre con tranquillità il ragazzo.
Annuii, e ripresi a sorseggiare la bottiglia. Appena finita, mi rivolsi nuovamente al barista.
<< Dobbiamo parlare col tuo capo. Dove lo troviamo? >>, domandai con una serietà tale, da sorprendere me stessa.
<< Volete chiedere la libertà di Roberto? >>, ci chiese di rimando il ragazzo.
<< Esatto. E non ce ne andremo finché non l’avremo ottenuta >>, confermò Ianto.
<< Quel corridoio. In fondo. Il suo ufficio è l’unica porta che c’è >>, spiegò indicando un lungo corridoio ai lati del palco.
Lo ringraziammo, e ci avviammo verso il luogo indicato. Era poco illuminato, con le pareti scrostate. Fine. Non c’era altro. Quando arrivammo di fronte all’unica porta, bussammo attendendo una risposta.
<< Avanti >>, disse un uomo, dalla voce profonda e risuonante.
Quando entrammo, ci trovammo di fronte ad una stanza maleodorante, piccola e poco illuminata. Vi era solo una scrivania, con vari documenti sopra ed un computer. L’unica luce era quella di un lampadario dal soffitto, poco luminosa. Dietro alla scrivania vi era un uomo viscido, sui sessanta. Pelato, sudato quasi come se fossimo in piena estate. Una canottiera bianca sporca e umida, fasciava il busto grosso e molliccio di quell’essere. Mi si rivoltò lo stomaco nel vedere quel mostro che aveva assunto Roberto. E la consapevolezza che quel ragazzo fosse stato costretto ad avere a che fare con un simile personaggio, non faceva che aumentare la mia nausea.
<< Uhm, nuovi clienti. Sedetevi. Questa è la prima volta che vedo una donna interessata ai miei ragazzi >>, sogghignò l’uomo divertito. Era veramente disgustoso.
<< Non siamo clienti >>, risposi prontamente.
<< Ah no? E allora chi siete? >>, domandò sempre più eccitato quell’essere.
Ne io ne Ianto avevamo il coraggio di sederci in quelle uniche due sedie, che stavano di fronte alla scrivania. Sentivo che se mi fossi appoggiata su di loro, sarei stata macchiata a vita.
<< Siamo qui per trattare la libertà di uno dei ragazzi >>, affermò con fermezza Ianto.
<< Oh, scommetto che siete qui per Roberto. E’ l’unico assente stasera. Ho indovinato? >>, rispose l’uomo cominciando a ridere di gusto.
<< Esatto. Cosa ci trova di tanto divertente? >>, chiesi perplessa.
<< Vedete. Quel ragazzo mi appartiene. E ha un laccio intorno al collo bello spesso e forte >>, spiegò l’uomo.
<< Lui non appartiene a nessuno, razza di maiale in calore >>, esclamai indignata.
<< Dolcezza, io l’ho assunto, e lui ha firmato un contratto. Lui è mio >>, continuò l’uomo giungendo le mani sulla pancia.
<< D’accordo, merda umana. Cosa vuoi in cambio della sua libertà? >>, domandò Ianto prendendo le redini della situazione.
<< Beh tu potresti prendere il suo posto. Saresti il numero uno in questo locale, con un fisico ed un faccino come il tuo >>, propose quella sottospecie di mostro.
A quelle parole, scattai come una molla. Mi misi davanti al ragazzo, ed allargai le braccia, in segno di protezione. Non avrei mai ceduto Ianto. A nessuno.
<< Lui non va da nessuna parte >>, affermai con fermezza e decisione. Nessuno avrebbe messo le mani sul “mio” ragazzo. Sentivo dietro la schiena, lo sguardo penetrante del giovane. Percepivo mi stesse fissando intensamente.
L’uomo ci guardò, poi scoppiò in una fragorosa risata. Ma non mi sarei mai fatta intimidire. Mai.
<< Ritira gli artigli, gattina. Nessuno toccherà quel ragazzo. Contenta? >>, rispose l’essere tornato finalmente serio.
<< Cosa vuoi in cambio della libertà di Roberto? >>, ridomandai stando sempre davanti a Ianto. Non mi fidavo a lasciarlo andare.
<< Vedete, questo mondo è un posto difficile. E per ogni cosa ci vogliono soldi. Ah questi soldi >>
<< Poche chiacchere. Quanto vuoi? >>, domandò Ianto, prendendo un libretto degli assegni dal portafogli.
Quando lo fece rimasi sconcertata. Da quando i ragazzi di diciassette anni andavano in giro con un libretto degli assegni? Alla sua età, io al massimo giravo con un portamonete comprato alla bancarella di un nero. E non avevo neanche tre euro dentro. Me lo ricordo bene.
<< Cinquecento mila. Il ragazzo è uno che ci sa fare >>, rispose sbrigativo il mostro.
Ianto strappò immediatamente un assegno, lo riempì e lo lanciò sulla scrivania. Fu prontamente afferrato da quell’essere che se lo rigirò tra le mani, ammirato ed euforico.
<< Spero di non rivedere mai più la tua faccia, maiale >>, risposi girandomi e dirigendomi verso l’uscita.
<< Oh, ci rivedremo eccome. Questo è solo l’inizio >>, affermò prontamente l’uomo.
A quelle parole non ci vidi più. Mi voltai verso quell’essere, lo raggiunsi in pochi secondi, e con una morsa rapida e ferrea afferrai le sue parti intime e le stritolai. L’uomo, dapprima rimase scioccato, poi il dolore si fece sentire, e cominciò a trattenere il fiato.
<< Stammi a sentire, brutto maiale che non sei altro. Tu non avrai mai più un centesimo da noi, non vedrai più Roberto e non lo contatterai neanche. Non ci cercherai, non dirai di noi, e sparirai dalle nostre vite. In caso contrario io ti stacco seduta stante le palle, e le do in paste ai cani. Poi ti squarto dall’ombelico in su, e ti faccio ingerire una bella quantità di acido, giusto per stare più tranquilli. Mi sono spiegata? >>, minacciai con un sussurro metallico. Ero fuori di me dalla rabbia. E quando questo accadeva, tendevo ad essere un tantino violenta. L’uomo annuì, trattenendo ancora il fiato. I suoi testicoli, tra le mie mani, stavano facendo decisamente un rumore sinistro. Perciò le lasciai, e mi incamminai nuovamente fuori dalla porta, soddisfatta del risultato ottenuto. Ianto, che aveva assistito a tutta la scena silenziosamente, fischiò in segno di approvazione.
<< Devo ricordarmi di non farti arrabbiare mai >>, esclamò divertito.
<< Oh, ma sta zitto >>, rispose fintamente scocciata, sbattendomi la porta alle spalle. Speravo di non dover più tornare in quel posto.
 
Toc toc.
<< Avanti >>, rispose un uomo dalla voce profonda e risuonante.
Un ragazzo alto, sui venticinque anni, con un fisico asciutto, entrò nell’ufficio poco illuminato. Non era una bellezza, eppure era molto affascinante. Emanava carisma, e attirava gli  altri come api col miele.
<< Lo hai lasciato andare vero? >>, domandò il giovane barista all’uomo robusto e sudato all’inverosimile.
<< Ovvio. Io mantengo sempre le mie promesse. Ora dammi ciò che mi spetta >>, sussurrò con voce sensuale. La tensione erotica era alle stelle.
Il barista entrò definitivamente dentro all’ufficio, chiudendo la porta a chiave. Cominciò a spogliarsi lentamente, inscenando un balletto erotico. Il suo cuore nel frattempo, piangeva lacrime e sangue. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di liberare Roberto, anche vendere se stesso e la sua anima al diavolo. Ed era quello che aveva fatto. Tanti anni, cercando di stare lontano dalla vetrina, ed ora costretto da un patto ad offrire il proprio corpo a quell’animale del suo capo. Ma avrebbe compiuto qualsiasi sacrificio per quel dolce angelo conosciuto quattro anni fa.
“Vai Roberto. Vivi la tua vita, goditi il tuo amore. Sii felice, e gioisci ogni giorni della bellezza che ti circonda. Fallo per te stesso, e fallo un po’ anche per me”, pensò con le lacrime agli occhi,  mentre veniva preso con ferocia dall’uomo viscido e puzzolente.
 
<< Quindi mi ha lasciato andare così? Senza fare storie? >>, mi domandò per l’ennesima volta Roberto, in quella mattina.
<< Si marmocchio. Quante volte te lo devo dire. Siamo andati, abbiamo parlato, e sei stato liberato >>, spiegai esasperata. Non dicevo però tutta la verità. Omettevo il dettaglio soldi, perché sapevo perfettamente che se il giovane avesse saputo che Ianto aveva pagato cinquecento mila euro, si sarebbe sentito in colpa a vita.
<< Va bene ok. Voglio crederle, professoressa. Ma ora la domanda nasce spontanea. Che diavolo ci facciamo qui dal preside? >>, chiese Roberto sinceramente perplesso.
Eravamo nell’ufficio dell’uomo, attendendo che ci raggiungesse, appena terminato un colloquio con un genitore. Quella mattina, dopo essermi svegliata, avevo avuto una brillante idea.
<< Lo capirai al momento opportuno >>, risposi sbrigativa.
<< Prof, Ianto mi ha detto di non fidarmi troppo delle sue idee >>
<< Non ascoltare quell’idiota. Le mie idee sono sempre geniali >>, ribadii il concetto per l’ennesima volta. Stavo, però cominciando a dubitare di queste parole. Insomma, tutti non facevano che ripetermi che le mie idee erano pessime. Che fosse la verità?
<< Professoressa Cristillo. Che piacere riceverla a quest’ora del mattino. E guarda, è accompagnata anche dal giovane Storti. Che magnifica sorpresa >>, esclamò entusiasta il preside appena entrato nel suo ufficio. Si accomodò elegantemente alla sua poltrona, giunse le mani, e ci fissò allegro. << Allora, cosa posso fare per voi? >>
<< Preside, arriverò subito al punto >>, esclamai diretta e precisa.
<< Mi piace. Questo suo modo di fare mi aggrada particolarmente >>, affermò l’uomo divertito.
<< Preside, Roberto ha bisogno di un lavoro >>, confessai senza riserve.
L’uomo continuò a sorridere, ma non più allegro. Era un sorriso enigmatico, che mi preoccupava.
<< Prof, che cavolo blatera >>, sussurrò tra i denti Roberto, inviperito.
<< Temo di non comprendere appieno la questione, professoressa >>, rispose l’uomo sempre in modo affabile.
<< Preside, Roberto è povero. È rimasto in questo istituto solo perché il padre fu previdente da pagargli alla nascita tutte le rate della scuola in un unico colpo >>, continuai a spiegare.
Con la coda dell’occhio, vidi Roberto irrigidirsi sulla sedia, ed afferrare in una morsa il bracciolo. Non mi avrebbe scoraggiato quella sua ritrosia a parlare dei suoi fatti privati. Avevo un piano e dovevo portarlo a termine.
<< Mi dispiace per questa spiacevole situazione. Ma davvero non riesco a comprendere >>, continuò l’uomo.
<< Vede, il giovane esce da un periodo orribile. E non voglio entrare nei dettagli, se no me lo espelle seduta stante. Però sappia che non è stato facile per lui affrontare questi ultimi quattro anni. Adesso è uscito da quella storia, ma ha bisogno di lavorare >>, spiegai pacatamente ma con fermezza.
<< Temo siano necessari più dettagli, per poter avere un quadro completo della faccenda. Roberto, racconta >>, lo esortò il preside.
Poggiai la mia mano su quella del ragazzo, e lo incoraggiai con lo sguardo ad esporre i fatti. Il giovane, così, per la seconda volta, fu costretto a raccontare la sua vicenda. Non entrò nei dettagli precisi, ma arrivò solo a scalfire la superficie di quei ricordi. Vidi il preside non mutare assolutamente espressione. Quasi come se quella storia gli scivolasse addosso. Al termine del racconto, rimase pochi minuti in silenzio. Poi sospirò
<< Capisco. Quindi, professoressa, lei vuole il mio consenso a farlo lavorare, sapendo perfettamente che è contro il regolamento scolastico? >>, domandò con calma l’uomo.
<< Non proprio. Voglio che lei acconsenta a farlo lavorare per me >>, esclamai tranquillamente.
<< Come? >>, domandò il preside.
<< COSA? >>, urlò sorpreso Roberto.
<< Ehi, moccioso. Così mi stordisci >>, esclamai tappandomi l’orecchio leso.
<< Temo di essere confuso più di prima, professoressa >>, continuò l’uomo sempre col suo fare posato.
<< Ok. Mi spiego. Io ho bisogno di un’assistente per le mie lezioni supplementari di genetica che si svolgono ogni pomeriggio. A fine lezione, sistemare e pulire tutto il materiale, è davvero sfiancante. Ed ho bisogno di qualcuno che mi liberi da questo peso. E Roberto è adatto per questo incarico >>, esposi il mio piano con calma, convinta non so per quale ragione, che l’avrei spuntata. Nel frattempo Roberto mi fissava allibito. Non si aspettava questo tipo di aiuto da parte mia.
<< Quindi lei lo vuole come collaboratore? Dico bene? >>
<< Precisamente >>, confermai.
<< E come intende fargli percepire lo stipendio? Lei sa perfettamente che ogni centesimo dell’istituto è finemente organizzato, predisposto per un compito. Qui tutto è accuratamente pagato >>, domandò scettico l’uomo.
<< Ho pensato anche a questo. Il mio stipendio lo faremo a metà >>, dichiarai con calma.
<< COSA? >>, urlò nuovamente Roberto. << No, non posso accettare >>
<< Taci, marmocchio. Nessuno ti ha interpellato >>, sbottai infastidita.
<< Lei è disposta a dividere il suo stipendio con questo ragazzo? >>, chiese davvero perplesso il preside.
<< Certo. Ragioni, al mese prendo duemila euro. In più queste lezioni extra mi vengono pagate cinquecento euro. Insomma guadagno ogni mese duemilacinquecento euro. Alla fine, diviso in due verrebbe una sommetta discreta >>, affermai senza remore.
<< Prof, lei davvero farebbe questo per me? >>, sussurrò Roberto con le lacrime agli occhi.
<< Certo, frignone >>, dissi dolcemente accarezzandogli una guancia. << Però ti avviso che sono un capo esigente, perciò preparati a dover lavorare >>
<< Lei, professoressa, da per scontato che accetterò >>, affermò composto il preside.
<< Si, signore >>, confermai, tornando a fissare l’uomo dietro la scrivania.
<< E posso chiederle chi le da questa certezza? >>, domandò divertito l’uomo.
<< In questi mesi ho imparato a conoscerla. Ogni volta che ero in difficoltà, lei era li, pronto a darmi un consiglio e a tirarmi su di morale. Potrà anche dire che se ne lava le mani dei problemi dei suoi collaboratori, ma io so che non è così >>, affermai con sicurezza, e amorevolmente. In quei mesi avevo imparato a voler bene a quell’uomo. << Lei finge disinteresse, ma scommetto che se volesse potrebbe dirmi ogni singola questione che c’è stata in questa specie di set per beautiful italiano. E non mi dica che ho torto, perché so che ho ragione >>
<< Potrà anche essere vero, ma questo non può garantirle una mia risposta affermativa >>, espose composto l’uomo.
<< Invece si. Perché lei vuole bene a tutti noi. Beh magari non ai figli di papà, ma so che ci vuole bene. E so che non lascerebbe mai un ragazzo come Roberto in difficoltà. Ho ragione? >>, domandai retoricamente.
Sapevo che l’avrei spuntata. Perciò non mi preoccupavo più di tanto. Il preside mi fissò intensamente, precludendomi l’accesso ai suoi pensieri. Roberto, nella sedia accanto, era davvero agitato. Sperava in una risposta affermativa. Questo avrebbe significato un cambio radicale nella sua vita. Poi l’uomo sospirò, e sorrise dolcemente.
<< Sia chiaro, che questa è un’unica eccezione. Il ragazzo dovrà promettere di avere una media dell’otto punto uno, come minimo, e dovrà lavorare tutti i giorni, senza saltarne neanche uno. Dovrà ripagare questa nostra concessione, con un duro lavoro. E non voglio scandali. Perciò mantenga un profilo basso, signor Storti. Ho bisogno che mi garantisca che ciò che ci siamo confessati in questo studio, resti tra queste mura. Chiaro? >>, affermò con decisione il preside.
Roberto scattò dalla sedia, e cominciò a saltare dalla gioia in mezzo alla stanza. Risi di quella reazioni, sinceramente felice per come erano andate a finire le cose. Confermai al posto del ragazzo, e diedi la mia parola al preside. Uscimmo dall’ufficio ancora emozionati. Quando ci incamminammo per il corridoio, trovammo Ianto e Paolo fermi ad attenderci. Finalmente per quei ragazzi dalle vite sgangherate, le cose erano andate al loro posto. I loro problemi, le loro questioni private… Ogni cosa era stata risolta, con fatica, lacrime e sudore. Ma ne era valsa la pena. Vedere i loro volti sorridenti e felici, mi riempiva l’anima. Avrei potuto vivere di questo per il resto dei miei giorni. Alla fine, tutto era tornato nella norma, e con mia somma gioia e timore potevo affermare con certezza una cosa: il trio combinaguai era tornato!




Buonasera gente!!! Ecco a voi il 12° capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"... con questo si conclude la saga di Roberto, e anche momentaneamente dei problemi dei tre ragazzi. Eh si, vi ho anticipato una cosa... in futuro per questi tre ragazzi non ci sarà propriamente la pace, ma manca davvero tanto prima di arrivare a quel punto XDXD 
Beh che dire di questo capitolo... è stato lungo e difficile. L'ho scritto in più giorni... inizialmente volevo pubblicarlo ieri, però mi sono resa conto che era incompleto... perciò l'ho revisionato tutto oggi, modificando varie parti che non mi convincevano, e questo è il risultato... spero che vi piaccia... e soprattuto comunico che ho finito di martoriare (sempre momentaneamente XD) Roberto... povero ragazzo!!! povero, con la mafia alle costole, costretto ad abbandonare amici e amore, costretto a prostituirsi, e infine anche sieropositivo... mamma quanto sono stata perfida con questo ragazzo O.O giusto per essere precisi, e per dare qualche nozione XD la sieropositività e quando contrai il visru dell'HIV, e sviluppi gli anticorpi... non sei malato di AIDS ma sei portatore della malattia, e se non ci si cura si rischia di contrarla... bisogna fare davvero attenzione...ai fini della storia, ho dovuto modificare i tempi della malattia, ovvero per sapere se sei malato bisogna far passare all'incirca sei mesi...qui, ho dovuto praticamente farla scoprire subito XD... altra cosa, ho pensato che fosse quasi d'obbligo ammalarsi di questa malattia, quando si fa il prostituto, perciò ho fatto si che Roberto fosse infettato...potrete mai perdonare il mio accanimento? XD almeno vi ho ripagato con un dolce primo bacio (in tutti i sensi XD) tra Roberto e Paolo...spero vi sia piaciuto...volevo addentrarmi nel dettaglio del gesto, però descrivevo il tutto dal punto di vista di Lisa, e lei il dettaglio di certo non poteva saperlo...perciò è stata una descrizione estrena ai personaggi...spero cmq che vi sia piaciuta (a me sinceramente piace, l'ho trovata molto dolce...anche se io sono di parte...insomma, sono l'autrice XD)
altra nota...i professori delle scuole private non prendono tanto al mese, però questa è una scuola per privilegiati, per l'alta borghesia di Roma, quindi era d'obbligo che la cara Lisa percepisse uno stipendio di tutto rispetto XDXD
Ultima precisazione... quel pezzetto in cui si parla del barista, preso dall'ex capo di Roberto, è da un punto di vista esterno (ovviamente XD)...l'ho aggiunto, perchè era giusto mantenere un tono un po' più "realistico" della vicenda...nessun malavitoso avrebbe lasciato andare un pezzo prezioso come Roberto, a meno che non avesse avuto qualcosa in cambio...e questa cosa, oltre ai soldi di Ianto, è anche il sacrificio del barista, che vende il proprio corpo, per la salvezza dell'amico...lo so che è triste, e deprimente che per lui le cose non vadano bene, e sia costretto a ciò...però questa è la vita, e la natura umana U.U (come sono saggia XD)
Veniamo ai ringraziamenti...ringrazio di cuore, chi legge e mette tra la storia tra le preferite/seguite/ ricordate...grazie mille
Un ringraziamento speciale alle quattro che recensiscono sempre: Deilantha, _rain_, Loreena McKenzie e Allegra_... grazie mille, davvero...è solo per merito vostro se la storia continua...me commossa ^-^ XDXD
va beh, vi lascio, che oggi ho fatto dei commenti lunghissimi XD... che posso dire, recensite e fatemi sapere cosa ne pensate...
un bacio
Moon9292


"Ehilà prof", mi salutò divertito Ianto.
"Dannazione, Ianto, ma che fai, mi segui? Sei una specie di stalker, che attende il momento opportuno per aggredirmi?"

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Capitolo 13
*** Nuovi guai all'orizzonte ***


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Capitolo 13 - Nuovi guai all'orizzonte


10 dicembre. Ormai mancavano pochi giorni all’inizio delle vacanze invernali. In quel momento, non facevo altro che ripensare a quanto la mia vita fosse cambiata. In quei pochi mesi, tutto il mio mondo era stato rivoluzionato. Ero scappata da casa mia, incapace di sostenere ancora quella situazione a dir poco pazzesca. La morte di mio marito aveva profondamente minato la mia psiche. Andarmene era stata la scelta giusta. Non sempre scappare è sinonimo di debolezza. A volte, andare via significa proprio essere forti, essere capaci di ricominciare di nuovo, prendendo in mano le redini della nostra vita. Sapevo che non ero ancora stata in grado di risolvere tutti i miei problemi, eppure quei mesi mi avevano cambiato profondamente. Avevo conosciuto, toccato con mano, nuove realtà, nuovi mondi. Situazioni difficili, e persone meravigliose. Avevo conosciuto la dolcezza di Paolo, e il suo modo di prendersi cura delle persone che amava. Sperimentare la sua bontà d’animo, aveva in qualche modo reso più limpida la mia anima. E constatare anche quanto questa sua sensibilità lo rendesse fragile, come vetro. Bastava una semplice folata di vento, per poterlo spazzare via. Avevo potuto appurare con orrore, quanto la vita di una persona possa essere influenzata da un solo singolo attimo. E come per colpa di questo momento, la propria esistenza possa essere spezzata. Ancora oggi, dopo molto tempo, sognavo quel giorno in cui il ragazzo aveva provato a suicidarsi. I brividi lungo la mia schiena non mi lasciavano tregua per tutta la notte. Speravo davvero di non dover mai più assistere ad uno spettacolo simile.
In quei mesi avevo conosciuto Roberto, il ragazzo più forte ed eroico che possa esistere sulla terra. il suo gesto di altruismo e di protezione nei confronti dei sue due amici, e il profondo amore che lo legava al giovane dagli occhi nocciola. Era stato davvero bellissimo assistere a quel bacio. Non lo avrei mai dimenticato. Perché nell’aria potevo percepire tutto l’amore che essi provavano l’uno per l’altro. Avevo potuto assistere alla rinascita di una fenice, che brucia nelle fiamme ardenti della vita, e che dalle sue ceneri rinasce più forte e maestosa di prima. Roberto era questo, una fenice. Lui rinasceva costantemente, ogni giorno, affrontando tutto i suoi dispiaceri. Lo vedevo lottare, e al tempo stesso essere felice finalmente. Non importava che fosse malato, o che avesse sul collo il fiato putrido della mafia, o il corpo marchiato a vita da quei giorni da prostituto. Lui era nato per combattere, per proteggere e per vivere la sua vita nel modo migliore che conosceva: passare i suoi giorni accanto al suo amore. Una manifestazione di tanto affetto io non la conoscevo. Era veramente bello partecipare a questo spettacolo, e sapere che una piccola parte della loro felicità era dovuta anche al mio intervento. Mi sentivo bene con me stessa, sapendo di aver potuto fare in modo che i due giovani potessero riunirsi nuovamente.
Avevo conosciuto un uomo che agiva nell’ombra, indiscreta, nascosta agli occhi di tutti. Che nonostante tutto, si prodigava per dare a tutti i suoi collaboratori, un po’ di felicità. Sapevo che il preside Martino ci osservava sempre, pronto ad intervenire per tenderci una mano. Lo avevo capito quando, durante le mie difficoltà, lui compariva sempre strappandomi un sorriso o dandomi un consiglio. Lui era una semplice persona che faceva del bene a chiunque entrasse nel suo campo visivo. Era una di quelle persone la cui assenza si nota, come se il mondo diventasse un po’ più freddo senza la sua immensa persona. E sapevo che avrei sempre potuto contare su di lui. Lo dimostrava anche il fatto che avesse permesso a Roberto di assistermi, e lavorare al mio fianco. Lui, semplicemente, era una persona buona.
E poi avevo conosciuto Ianto. Oh, Ianto. Lui era il mio punto di forza, la mia luce nei momenti di buio, la mia casa, e anche il mio eterno punto interrogativo. Affrontare il suo dramma, sostenerlo nei momenti di sconforto e di dolore, mi aveva aiutato anche ad affrontare quella che era la mia situazione. Con la sua mano, mi aveva condotto in un mondo in cui le cose andavano bene. Mi aveva fatto capire che c’era speranza ancora per tutti. E che era concessa sempre una seconda occasione per essere felici. E lui ne era la prova vivente. Aveva passato tanti anni in preda al dolore, mentre adesso rideva sempre. Guardava il mondo con gioia, e le nuvole erano ormai solo un lontano ricordo. Averlo al mio fianco, aveva fatto si che in me nascesse la speranza e la voglia di ricominciare. Ecco perché io ero debitrice a questo ragazzo di soli diciassette anni. E quei suoi occhi. Dio, quei meravigliosi occhi di ghiaccio. Erano la cosa più bella, e totalizzante che avessi mai visto. Di occhi chiari il mondo ne era pieno, ma mai nessuno di essi brillava di quella luce propria, di quella gaiezza e vitalità. Nessuno di loro ardeva al fuoco. Ed io mi sentivo sempre più ingabbiata in essi. Ma non avrei ceduto. Per quanto lui portasse gioia e speranza nella mia vita, io non potevo cedere. Lo avevo promesso a mio marito e a me stessa. Perché anche se lui non c’era più, io percepivo ancora sulla mia pelle tutto l’amore che provava per me. Perché lui non se n’era mai andato via. Era ancora qui con me, ed io non lo avrei mai tradito. Neanche se questo avesse dannato la mia anima per l’eternità. Mio marito era ancora con me.
Riflettevo su queste cose, quel giorno. Ero in laboratorio di genetica. Stavo tenendo la mia lezione pomeridiana con i ragazzi di tutte le sezioni. Ancora non capivo come era possibile che ragazzi di prima stessero nella stessa classe di quelli di quinta. Quando avevo dato la mia disponibilità per insegnare quella materia, mi dissero in segreteria che non dovevo preoccuparmi della classe affidatami. Ci avrebbero pensato loro. Si certo, gran bel lavoro avevano svolto. Quella non era una classe omogena, ma un’accozzaglia di ragazzi selezionati a caso da un’idiota che lavorava dietro ad una scrivania. Veramente geniali quelle persone. Sul serio. Per fortuna c’era Roberto al mio fianco, che mi sosteneva nei momenti di stress totale. Quel ragazzo era davvero intelligente. Con un cervello come il suo, avrebbe sicuramente compiuto grandi imprese. Da quando il trio si era riunito, eravamo tornati tutti e quattro a mangiare nell’aula 213. Alla fine si era scoperto il perché di tanta reticenza da parte di Paolo nei giorni precedenti. Stando in mensa, sperava di poter vedere il suo ragazzo, perché si, il loro rapporto ormai era ufficiale, o almeno lo era per noi. Comunque, sperava di poterlo incontrare e provare a riallacciare i rapporti. Ricordo che io e Ianto abbiamo riso per parecchi minuti a quell’affermazione. Davvero, quel ragazzino era troppo dolce. Roberto, invece, intenerito, gli aveva accarezzato teneramente una guancia, facendolo arrossire. Nel vederli così uniti ed innamorati, non avevo potuto trattenere un moto di dolcezza nei loro confronti. Ianto, invece, da troglodita qual era, aveva cominciato a lanciare addosso ai due amici, pezzettini di pane, solo per il gusto di disturbarli. Da li la situazione era degenerata. Ancora adesso devo togliere rimasugli di cibo dai capelli.
Ritornando a noi. La presenza di Roberto era necessaria per mantenere buona la classe in cui tenevo lezione. I bidelli si erano spesso lamentati con me per i pezzetti di gesso che erano costretti a togliere ogni pomeriggio dal pavimento. Diciamo solo che non ero una persona molto paziente. Se qualcuno mi faceva innervosire, gli lanciavo contro qualsiasi cosa. Non era un comportamento molto maturo e posato, ma almeno rispecchiava la mia personalità. Anche col professore Gallo ogni tanto mi lasciavo andare a questi piccoli sfoghi bambineschi. Per fortuna non ero mai stata licenziata. Grazie a Roberto, però, adesso il gesso restava nell’apposito contenitore. E per gli alunni più indisciplinati, la soluzione era molto semplice. Roberto era più pericoloso di me. Il suo sguardo intimidatore, accompagnato anche dal suo fisico importante, riuscivano in qualche modo a sedare gli atteggiamenti dei ragazzi. Quel pomeriggio la situazione non era troppo differente dagli altri. Tenevo la lezione, spiegavo qualche nozione basilare della materia, e spaziavo anche in altri campi.
<< Prof posso andare in bagno? >>, mi domandò un ragazzo.
Quando mi voltai, notai che a parlare era stato uno della mia classe mattutina. Faceva parte del gruppo degli emo, con strane cicatrici sul polso. Capelli a caschetto liscissimi e neri. Pallido come la morte, labbra rosse sicuramente truccate, matita nera pesante intorno agli occhi. Piercing al naso e sul sopracciglio sinistro. Nicola Ferrara si presentava in tutto il suo splendore di ragazzo tormentato interiormente. Il suo fisico, talmente mingherlino da sembrare inesistente, lo reggeva con fatica. Non ci voleva molto per capire quanto fossero profondi i suoi disturbi interni. Avevo notato, però, da qualche tempo a questa parte uno strano atteggiamento da parte del ragazzo. O meglio, più strano del solito. Era sempre agitato, i suoi occhi spesso viaggiavano da un punto all’altro, senza trovare pace. Era perennemente depresso, poi ad un tratto diventava felice, oppure aveva scatti d’ira pesanti. Insomma, la situazione non mi piaceva per niente.
<< Certo, vai pure >>, acconsentii un po’ titubante. Non sapevo perché, ma avevo una strana sensazione.
Sensazione che si confermò dieci minuti dopo, quando il ragazzo non era ancora rientrato dal bagno. Sbuffai spazientita, pronta a fare una sfuriata contro il mal capitato.
<< Roberto, pensaci tu alla classe. Io vado a recuperare quel cretino di Ferrara >>, esclamai infuriata.
<< Ok, prof >>, annuì il giovane.
Mi avvia a passo di carica nel corridoio, verso il bagno. Tenevo lo sguardo basso, tentando di calmarmi. Ovviamente fallii miseramente. Ma che diavolo aveva nella vescica quel cretino? Il Tamigi? Sbuffai spazientita per l’ennesima volta, quando andai a sbattere contro qualcosa. Anzi, contro qualcuno.
<< Prof, ti sei fatta male? >>, mi chiese una voce preoccupata e al tempo stesso divertita. Una voce che avrei riconosciuto ovunque, anche in mezzo a mille persone. Alzai lo sguardo e trovai davanti a me due occhi di ghiaccio fissarmi intensamente.
<< Ianto >>, lo chiamai esasperata.
<< Ehilà prof >>, mi salutò divertito Ianto.
<< Dannazione, Ianto, ma che fai, mi segui? Sei una specie di stalker, che attende il momento opportuno per aggredirmi? >>, sbuffai indispettita. Il ragazzo si stava divertendo un mondo. Anche perché ero finita a gambe all’aria. Mi porse una mano, sorridendomi dolcemente.
<< Forza, ti aiuto io >>
Afferrai la mano, che prontamente mi trascinò verso l’alto con una presa ferrea. Mi stupivo ancora per la morbidezza di quelle mani, o per la forza del ragazzo. Mi sentivo una piuma, quando ero tra le sue braccia.
<< Comunque prof, mi stai diventando paranoica >>, sentenziò divertito il giovane,
<< Ah si? E di grazia perché sono paranoica? >>, domandai incrociando le braccia al petto.
<< Credere che ti sto spiando, è sinonimo di persona megalomane con piccoli spruzzi di follia >>, affermò sempre più gioioso il ragazzo. Non avevo la minima idea di cosa ci trovasse di tanto buffo in quella situazione.
<< Penso di aver già provveduto a spiegarti che non sono schizzata. Sono obiettiva e realista. E tu mi stai sempre tra i piedi >>, sbottai inferocita. Odiavo quando mi si dava della pazza.
<< Vero, è successo spesso che fossi presente al momento giusto nel posto giusto. Questo non significa che sono uno stalker >>, spiegò pacatamente Ianto.
<< E allora che ci fai qui? >>, domandai esasperata.
<< Andavo al bagno >>, rispose con un’alzata di spalle.
<< Al bagno? >>, chiesi perplessa.
<< Si >>
<< Lo stesso bagno che si trova dalla parte opposta? >>, dissi sarcastica. << Stai offendendo la mia intelligenza, moccioso >>
<< Non sto mentendo >>, affermò punto sul vivo Ianto.
<< Non ti credo. E poi non dovresti essere a nuotare, sirenotto? >>, lo presi in giro, sapendo quanto gli desse fastidio essere chiamato così.
<< Questa me la paghi, prof. Oh si >>, sussurrò minaccioso.
<< Certo come no. Allora, mi spieghi che ci fai qui? >>
<< E’ molto semplice, donna di poca fede. Il nuoto è stato spostato di un’ora per problemi dell’allenatore. E sono qui perché davvero devo andare in bagno >>, spiegò con tranquillità il giovane.
<< Ribadisco. Il bagno è dall’altro lato. Che ci fai qui? >>
<< Quello lì è bloccato. Stavo andando in quelli dei professori. Dio, certo che tu la parola fiducia neanche la conosci >>, esclamò infastidito Ianto.
Ma non lo sentii nemmeno. Il mio cervello aveva registrato solo una cosa: bagno bloccato. Lo stesso bagno nel quale Ferrara era stato risucchiato più di dieci minuti fa.
<< Merda! >>, sbottai irritata e preoccupata al tempo stesso.
Scansai Ianto, e mi diressi a passo spedito vero il bagno alla fine del corridoio. Ovviamente il rumore dei passi raddoppiò, segno che non ero più sola.
<< Dove corri, prof? >>, domandò interessato Ianto.
<< Al bagno >>, risposi prontamente.
<< In che guaio ti sei cacciata stavolta, prof? >>, chiese spazientito il ragazzo.
<< Io non mi caccio nei guai. Sono loro che vengono da me >>, spiegai infastidita.
<< Certo come no. Ed io indosso le lenti a contatto colorate >>, sbuffò Ianto.
<< Indossi le lentine colorate? >>, domandai sorpresa.
<< No! Ovvio che no >>, affermò indignato il giovane.
<< Ah mi sembrava strano >>, commentai tranquilla.
Finalmente arrivammo davanti alla porta del bagno. Provai ad aprirla, ma come aveva già detto Ianto, era bloccata. Così presi a bussare con forza.
<< Nicola? Ehi apri >>, urlai preda di una pessima sensazione.
Nessuno rispose. Il totale silenzio. Ormai la sensazione era certezza. Qualcosa dietro quella porta era successa.
<< Prof >>, mi richiamò il giovane al mio fianco, mettendomi una mano sulla spalla. Mi fissò intensamente negli occhi, poi guardò la porta ed infine sorrise. << Questo farà male >>
Senza neanche darmi il tempo di capire quelle parole, lo vidi scagliarsi con forza verso la porta. Una potente spallata, con rumore annesso, riecheggiò per quel corridoio solitario.
<< Santi numi! >>, esclamai sorpresa da quel gesto.
Ianto si allontanò dalla porta trattenendo la spalla. Doveva essersi fatto un male cane.
<< Cazzo, ma che fai? Ti vuoi far saltare i legamenti? >>, affermai toccando prontamente la zona lesa. Involontariamente cominciai a massaggiare quella parte, come fosse stato un gesto abituale. Non me ne resi neanche conto, finché non incontrai gli occhi del giovane. Sorpresi e anche felici. Mi fissava con una tale intensità, da sentire piccole scosse elettriche nell’aria e sulla nostra pelle. Allontanai di scatto le mani, arrossendo velocemente. Odiavo quando sentivo le gote imporporarsi. Mi sentivo un’adolescente in crisi ormonale preda della sua prima cotta. Ianto sorrise divertito, ma non parlò. Non emise alcun suono, facendomi comprendere quanto fosse maturo. Aveva capito quanto fossi a disagio in quel momento, ed infierire non avrebbe migliorato la situazione. Anzi avrebbe solo peggiorato le cose. Poi il giovane tornò a fissare la porta, con ostilità. Nuovamente non ebbi il tempo di parlare, che vi si scagliò nuovamente contro. Questa volta il colpo fu talmente forte, da riuscire a sbloccare quella dannata porta. Ovviamente la spalla doleva ancora di più.
<< Ahi, ahi, ahi >>, gemette il ragazzo saltellando sul posto e massaggiandosi la zona.
<< La prossima volta impari ad atteggiarti a  macho man >>, lo apostrofai.
<< Ehi, almeno ho aperto la porta >>, si lamentò il giovane.
Lo ignorai ed entrai nel bagno, nuovamente preda di una brutta sensazione. Che andò ad avverarsi nel momento in cui i miei occhi si posarono su di una figura stesa per terra, in preda a dei piccoli spasmi muscolari. Mi precipitai vicino al corpo, costatando che fosse Nicola Ferrara. Mi inginocchiai alla sua destra, mentre Ianto prendeva posto alla sua sinistra. Ci lanciammo uno sguardo complice e preoccupato.
 << Nicola! >>, lo chiamai nel panico. << Nicola, cazzo, rispondimi >>
Il ragazzo però sembrava non sentirmi. Aveva gli occhi sbarrati, fissi e spenti. Un brivido corse lungo la mia schiena.
<< Prof >>, sussurrò terrorizzato Ianto. I suoi occhi fissavano un punto preciso dietro la mia schiena.
Mi voltai di scatto, osservando il pavimento, e notando subito l’oggetto interessato. Una siringa, con alcune gocce ancora, e sporca di sangue. Ritornai a fissare il ragazzo steso sul pavimento.
<<  Merda, è in overdose >>, esclamai spaventata.
E adesso? Che diavolo mi inventavo? Cominciai a pizzicargli le guance, sperando di ricevere una qualche reazione. Che non avvenne. Controllai il battito e se respirava ancora, e per fortuna ad entrambi i miei controlli ci fu una risposta positiva.
<< Che facciamo prof? >>, domandò agitato il giovane dagli occhi di ghiaccio.
In quel momento mi venne in mente un’unica cosa.
<< Aiutami ad alzarlo. Dobbiamo fargli vomitare anche l’anima >>, esclamai afferrando un braccio di Nicola.
Ianto non se lo fece ripetere due volte, e mi aiutò a trascinarlo in piedi. In quel momento mi resi conto di una cosa: quando un corpo era quasi morto, il suo peso aumentava a dismisura. Quel ragazzo di forse neanche sessanta chili, adesso era più pesante di un macigno. Lo trascinammo con fatica vicino al water. Stavo per staccarmi, ed infilare due dita in gola al ragazzo, quando la voce di Ianto mi trattenne.
<< Non ti azzardare a lasciarlo, capito? >>, minacciò tesissimo e anche provato per lo sforzo di tenere in piedi il giovane.
<< Come sarebbe? >>, esclamai perplessa.
<< Ti avverto che se lo lasci, questo cade. Non lo riesco a tenere >>
<< E io come faccio a farlo vomitare, se non mi stacco, me lo spieghi? >>, domandai furiosa.
<< Non ne ho la minima idea. Ficcagli un piede in gola >>, suggerì il giovane.
<< Un piede? Ma ti sei fatto anche tu? >>, affermai esagitata.
<< Prof, ma che sta combinando qui dentro? >>, domandò una terza voce.
Alla porta poi, si affacciò Roberto. Appena focalizzò la scena, il suo volto impallidì. Aprì e chiuse la bocca più volte, in preda alla confusione.
<< Robi! >>, urlò Ianto.
<< Roberto >>, mi unii all’urlo. << Muoviti, e vieni qui a darci una mano >>
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Corse al mio fianco ed afferrò il braccio del giovane. Io mi spostai in avanti, afferrandogli il viso. Notai una piccola reazione della pupilla. Sembrava stesse riprendendosi.
<< Tenetelo fermo. Io gli ficco due dita in gola >>, affermai decisa.
Presi coraggio, e infilai le mie dita giù, lungo la sua gola, spingendo sempre più in fondo. Mi sembrava quasi di toccare il suo esofago. Vidi il viso del giovane contrarsi, e lo stomaco preda di piccoli spasmi. Stava per vomitare. Neanche il tempo di formulare questo pensiero, che dalla bocca, passando tra le mie dita e scivolando lungo la mano, fuoriuscì il vomito. Vidi la sua intera colazione uscire, insieme a della sbobba gialla. Insieme al ragazzo, stavo per vomitare anche io. La puzza era stomachevole, e la sensazione al tatto era veramente disgustosa.
<< Bleah >>, esclamò schifato Roberto.
<< Prof, io ho una cotta per te, ma davvero ti prego dopo lavati le mani. È repellente >>, affermò Ianto, con il volto contratto in una smorfia orripilata.
<< Ma dai? Ed io che pensavo di mangiarci con queste dita, poi leccarle e farle assaporare anche a te >>, commentai sarcastica.
<< Grazie, stavo frenando il vomito. Ma dopo questa sua affermazione, adesso mi unisco anche io a Nicola >>, dichiarò sempre più nauseato Roberto.
<< Ti prego non ti ci mettere pure tu >>, sbuffai stancamente.
<< Prof si può sapere in che casino si è ficcata stavolta? >>, domandò Roberto.
Lo guardai, spalancando gli occhi. Com’era possibile che anche lui avesse detto la stessa cosa di Ianto? Vidi il giovane dagli occhi di ghiaccio ridacchiare sotto i baffi. In quel momento la mia ira raggiunse livelli pericolosi.
<< IO? Che diavolo centro io stavolta? Mica ce l’ho ficcata io la siringa nel braccio a questo cretino >>, urlai esasperata.
Finito di farlo vomitare, lo adagiammo nuovamente a terra. Adesso aveva ripreso un colore più normale, e gli spasmi erano finiti. Ma doveva essere soccorso da dei medici immediatamente.
<< Dobbiamo andare in ospedale. Subito >>, affermai convinta.
<< Chiamo l’ambulanza? >>, domandò Roberto.
<< No, assolutamente no. Se lo fai, questo coglione verrà espulso seduta stante. Non lo voglio sulla coscienza >>, dichiarai con fermezza.
<< E allora che facciamo? >>, chiese Ianto.
<< Ce lo portiamo noi >>
<< E come? L’ha detto lei che se questo tipo si fa vedere, viene espulso immediatamente >>, sbuffò Roberto, contrariato per quella situazione del cavolo.
<< Già. Neanche due passi, che ci ritroviamo tutti fuori ai cancelli della scuola >>, diede manforte Ianto.
<< Ma voi due sapete solo fare l’uccello del malaugurio? >> sbuffai infastidita. Poi mi venne in mente una cosa. << Roberto, chiama Paolo. Digli di raggiungerci >>
Il ragazzo mi fissò perplesso, poi fece come dissi. Tempo cinque minuti, che arrivò Paolo di corso, trafelato e visibilmente preoccupato. Guardò noi, poi il ragazzo a terra, e di nuovo noi.
<< Che diavolo avete combinato? >>, domandò perplesso.
<< Idiota >>, esclamammo contemporaneamente sia io, Ianto e Roberto.
Il nuovo arrivato ci fissò, contrariato per quell’offesa.
<< Forza dacci una mano >>, lo incoraggiai cominciando a tirare su il giovane Ferrara.
Ianto e Roberto afferrarono il ragazzo per le braccia, mentre io e Paolo per le gambe.
<< Qualcuno mi vuole spiegare che sta succedendo qui? Che ci fa Nicola svenuto? E cos’è questa puzza nauseabonda? E professoressa perché la sua mano e ricoperta di roba viscida? >>, domandò Paolo osservando la mia mano, e facendo una smorfia schifata. Poi guardò i sue due amici con fare insistente.
<< Noi non centriamo nulla >>, si discolpò Roberto.
<< Si, chiedi a lei >>, diede manforte Ianto.
Io nel frattempo li fissavo allibita. Non solo si facevano sottomettere da un ragazzino più basso e mingherlino di loro, ma davano l’intera responsabilità della faccenda a me! Che razza di traditori.
<< Professoressa, in che guaio si è cacciata stavolta? >>, domandò esasperato Paolo.
Li non ci vidi più. Diventai rossa per la rabbia. Possibile che non ispiravo fiducia? Che ero una che dava l’impressione di andarsi a cacciare costantemente nei guai? Una piccola vocina nella mia testa mi suggerii la risposta a queste domande, ma la zittii, consapevole che non fossero rispose a me gradite.
<< Ma dico siete impazziti? Finitela tutti e tre di fare le comare e accusarmi di cacciarmi nei guai. Io non me li vado a cercare, sono i guai che vengono da me >>, urlai esasperata e in preda alla collera.
Mollai malamente la gamba che avevo in mano tra le braccia di Paolo, e mi avviai verso la porta.
<< Prof dove cavolo vai? >>, mi gridò dietro Ianto.
<< A prendere la macchina, imbecille. Qualcuno deve portare questo emerito coglione in ospedale, e l’unica munita di mezzo di trasporto sono io. Quindi spetta a me. Voi seguitemi >>, spiegai infastidita.
Ci dirigemmo silenziosi e guardinghi verso il cortile. In mente pregavo tutti i Santi per far si che non ci beccassero. Per una volta la fortuna mi ascoltò. Non c’era anima viva in quel posto. Ogni alunno o professore era impegnato in un’attività pomeridiana, lasciando a noi il campo libero. Entrai in fretta in macchina, abbassai il finestrino e guardai i tre ragazzi, che nel frattempo avevano sistemato nei sedili posteriori, Nicola.
<< Io vado in ospedale. Appena so qualcosa, vi informo. Tu Roberto finisci la lezione al posto mio, e inventati una palla per giustificare la mia assenza >>, esclamai ancora imbestialita. Stavo per mettere in moto e partire, quando mi bloccai. Mi voltai, e squadrai i tre ancora fermi a fissarmi. << Ovviamente mi aspetto che manteniate il silenzio su questa faccenda. E soprattutto, mantenete nascosta l’assenza di Ferrara, mi sono spiegata? >>, li minacciai. Poi misi il piede sull’acceleratore, e partii senza neanche aspettare una loro risposta.
I tre giovani fissarono la macchina andare via, poi Paolo, ripresosi dallo shock iniziale, cominciò ad agitarsi.
<< O cazzo >>, sussurrò.
<< Cosa? >>, chiese preoccupato Roberto. Quando si trattava del fidanzato, era sempre sull’attenti.
<< Quello era Nicola Ferrara >>, mormorò nuovamente Paolo.
<< Bella scoperta, Pa. Non ce n’eravamo accorti >>, sbuffò Ianto.
<< No, forse tu non capisci >>, negò con la testa vistosamente. Poi puntò un dito contro un punto in lontananza, proprio dove era scomparsa la macchina. << Quello è Nicola Ferrara. Quel Nicola Ferrara >>, urlò agitato.
<< O merda >>, sussurrò Roberto come risvegliatosi da un momentaneo blackout mentale.
<< Vi dispiacerebbe spiegare anche a me, il motivo di tutta questa ansia >>, esclamò esasperato Ianto.
<< Quel tipo, è il rappresentante degli studenti >>, spiegò Roberto.
<< E quindi? >>, chiese confuso Ianto.
<< E quindi si dia il caso che lui i pomeriggi li passi qui con il preside o col vice preside, per cercare di sistemare i casini di questa scuola >>, continuò nella delucidazione Paolo.
A quel punto anche il giovane dagli occhi di ghiaccio capì. Come avrebbero nascosto l’assenza di un personaggio di questo rilievo?
<< O porca puttana >>, esclamò Ianto. A quell’affermazione, Roberto gli lanciò un’occhiataccia contro. Occhiata che non sfuggì all’amico. << Senza offesa, Robi >>, sorrise fintamente innocente il giovane.
<< E ora come lo teniamo nascosto uno dei personaggi più famosi di questo istituto? >>, domandò sconsolato Paolo.
I tre non risposero. Si guardarono negli occhi. Qui ci voleva un piano.
 
<< Allora siete pronti ad attivare il piano “Bomba scaccia pensieri”? >>, domandò eccitato Ianto.
<< Bomba scaccia pensieri? Ma che razza di nome è? >>, chiese perplesso Roberto.
<< Ragazzi, non mi piace questa cosa. Non mi piace proprio per niente >>, esclamò in preda all’ansia Paolo.
<< Tranquillo amore, ci sono qui io a proteggerti >>, sussurrò dolcemente Roberto nell’orecchio del fidanzato.
Questi prontamente arrossì. Sentire sulla pelle quel respiro, e sentirsi chiamare amore per Paolo era sempre destabilizzante. Ancora non aveva metabolizzato di essere diventato il ragazzo di Roberto. L’amore  e la felicità di saperlo ricambiare nei sentimenti, aveva offuscato tutto il resto.
<< Santi numi, mi farete venire il diabete >>, sbuffò spazientito Ianto.
Fintamente spazientito. Perché non c’era nessun essere umano al mondo più felice di lui, nel sapere i suoi due migliori amici felici ed insieme.
<< Allora, Ianto. Ripetimi il piano >>, disse Roberto.
<< Dunque, le lezioni pomeridiane sono quasi giunte al termine >>, cominciò a spiegare il giovane dagli occhi di ghiaccio con fare cospiratorio. << Quando suonerà la campana, Nicola dovrà in teoria raggiungere il preside. Ma è qui che entra in ballo il nostro piano. Noi attiveremo questa bomba, cosicché il preside sia costretto a venire qui e risolvere il problema. I miei calcoli prevedono che, per risolvere la situazione,  ci impiegherà dalle due ore e mezza alle tre ore >>
<< Calcoli basati su quale ragionamento logico, genio? >>, domandò agitato Paolo.
<< Ho controllato per bene gli effetti della bomba. Credetemi, ci vuole tutto questo tempo, per sistemare la faccenda >>, affermò convinto Ianto.
<< Ok, e poi? Quando la storia sarà finita? Che facciamo? >>, domandò Roberto.
<< Niente più. Alla fine si sarà fatto troppo tardi, e il preside non vorrà di certo più vedere Nicola >>, confermò tranquillo il giovane dagli occhi di ghiaccio. Poi sul suo viso apparve un sorriso divertito e colpevole.
<< Cosa? >>, chiese sempre più agitato Paolo. Conosceva quel sorriso. E prevedeva solo guai.
<< Ecco, ho elaborato anche un piano B. E non ti piacerà >>, affermò indeciso Ianto.
<< Sia chiaro, io non rubo e non faccio nulla di illegale >>, esclamò deciso Paolo.
<< Tecnicamente, amore, tu stai per fare già qualcosa di illegale >>, puntualizzò Roberto.
<< Zitto tu >>, lo apostrofò Paolo.
<< Uff. Comunque Ianto, che prevede questo piano B >>, lo esortò il giovane dagli occhi verdi.
<< Ehm ecco… >>, ed indicò una sacca ai suoi piedi.
Dieci minuti dopo, un Paolo sempre più arrabbiato ed agitato si voltò completamente vestito.
<< Dannazione Ianto, ti odio >>, esclamò guardando con pura rabbia l’amico.
<< Ma no dai perché…stai…stai bene >>, cercò di contenersi dal ridere Ianto.
<< Si amore…questo è un look che…ti si addice molto >>, gli diede man forte Roberto.
<< Vi odio. Vi odio, vi odio dal profondo del cuore. Perché devo farmi coinvolgere sempre nei vostri assurdi piani^ >>, esclamò esasperato Paolo.
<< Dai, amico. Vedrai che andrà bene. Forza mettiamoci a preparare la boma >>, affermò Ianto, per poi voltarsi sul bancone da laboratorio intento a preparare la bomba.
Il piano A, prevedeva questa bomba a gas, creata con sostanze in laboratorio. C’avrebbe impiegato poco per reagire, e nel momento in cui questa reazione fosse avvenuta, ci sarebbe stata una grossa fuoriuscita di fumo pestilenziale, talmente potente da fare evacuare l’intero piano.
Il piano B consisteva nel far travestire Paolo da Nicola. Appena la professoressa era sparita con il ragazzo a bordo, Ianto aveva elaborato questo piano. Perciò, dopo aver dato appuntamento agli amici nel laboratorio, era corso in camera sua, ed aveva recuperato i suoi vestiti per le serate emo  a cui ogni tanto si concedeva. Aveva preso il colorante per capelli nero, ed era corso nel laboratorio. Di corporatura, Paolo e Nicola si somigliavano, sebbene il primo fosse un po’ più alto e un po’ più robusto. Perciò se qualcosa fosse andato storto, Paolo avrebbe finto di essere Nicola, e avrebbero cercato di risolvere il problema.
Passarono vari minuti, in cui nessuno fiatò. Poi finalmente la bomba fu pronta. Mancavano cinque minuti alle sei, dopodiché sarebbe suonata la campanella, annunciando la fine delle lezioni pomeridiane. La bomba aveva già cominciato a reagire. I tre si allontanarono cautamente dal bancone, terrorizzati che qualcosa potesse essere andato storto. La puzza cominciò a farsi sentire.
<< Cristo, che schifo >>, esclamò disgustato Ianto.
<< Mamma mia è repellente >>, affermò Roberto tappandosi il naso.
<< Io odio questo piano >>, sbuffò Paolo, nauseato dalla puzza.
Poi la bomba esplose. Un potente fiotto di fumo cominciò ad uscire, invadendo la stanza in pochi minuti. I tre ragazzi entrarono nel pallone, e scapparono velocemente dalla porta.
<< Via! >>, urlò Ianto.
<< Di corsa! >>, urlò Paolo.
<< Gambe in spalla! >>, urlò Roberto.
Un gran numero di persone era uscito sul piano, per cercare di capire cosa fosse quel caos. Videro una strana nebbiolina invadere il pavimento, ed una puzza sempre più nauseante farsi forte. Le persone cominciarono a scappare, troppo disgustate, o spaventate per quello che stava accadendo. I tre ragazzi, nel frattempo si erano fermati ad assistere alla scena. Come previsto, pochi minuti dopo, giunse il preside, preoccupato per la situazione. I tre sorrisero e si voltarono, consci che il piano fosse andato a buon fine.
<< Ferrara >>, esclamò un uomo alle loro spalle, facendoli gelare sul posto.
Ianto e Roberto si fissarono un  momento, poi si voltarono lentamente, per osservare il preside che in lontananza aveva chiamato quello che credeva fosse Nicola. Poalo, invece era come paralizzato.
<< Ferrara, sai dirmi che sta succedendo? >>, chiese agitato l’uomo.
Paolo, ripresosi dallo shock iniziale, negò con la testa, senza emettere alcun suono.
<< Dannazione! >>, sbottò il preside infastidito. << Va bene, puoi andare, la riunione di oggi salta. Se vieni a conoscenza dei fatti, e risolvi il quesito su cosa sia successo qui, gradirei che tu me lo facessi sapere subito. Intesi? >>
Paolo annuì silenziosamente. Poi i tre si allontanarono furtivamente, sperando davvero di non essere più in pericolo. Quando arrivarono nella stanza del dormitorio di Ianto e Paolo, si lasciarono andare. Tre risate fragorose ruppero il silenzio della camera. I ragazzi non riuscivano più a trattenersi. Ianto era arrivato a rotolarsi tra le coperte del suo letto. Paolo invece si era appoggiato a Roberto, il quale lo stringeva convulsamente, in preda ad un attacco potente di ridarella.
<< Ah ragazzi è stato davvero forte >>, commentò Ianto.
<< Già. Non credevo che il lato oscuro, fosse così piacevole >>, confermò Paolo.
<< Uhm, il mio piccolo diavoletto >>, sussurrò eccitato Roberto nell’orecchio del fidanzato.
Questi gli sorrise, voltò il viso verso il giovane, e gli depositò un casto bacio a fior di labbra, come dimostrazione di tutto il suo amore. Poi i due si fissarono innamorati negli occhi. Passarono pochi secondi, ed infine tornarono entrambi contemporaneamente a fissare l’amico, ancora stravaccato sul letto. Ianto dal canto suo aveva assistito felice come mai lo ero stato a quella scena. Gli piaceva vedere i due amici così uniti, intenti a scambiarsi effusioni. A differenza della maggior parte della gente, a lui non dispiaceva o disgustava vedere due ragazzi dello stesso sesso amarsi.
<< Ragazzi siamo stati grandi >>, affermò ancora divertito.
Paolo e Roberto si lanciarono uno sguardo complice, poi si lanciarono sul letto dell’amico, con l’intenzione di ingaggiare una guerra tra di loro. Altre risate di gioia riempirono la stanza. Quel momento era perfetto
 
<< Posso entrare per vederlo? >>, domandai ad un’infermiera.
<< Beh, lui ha chiesto della persona che lo ha portato qui. Ma non so se posso >>, rispose titubante la donna.
<< La prego >>, la supplicai con gli occhi lucidi.
Non ce la facevo più. Erano tre ore che stavo chiusa in quel dannato ospedale. Appena arrivata, i medici avevano subito portato Nicola a fare delle analisi. Dopo non so quanti e quali trattamenti, dopo tre ore finalmente era fuori pericolo. In più era sveglio e chiedeva continuamente della persona che lo aveva portato lì. Alla fine l’infermiera, commossa dai miei occhi lucidi, mi accompagnò alla porta del ragazzo. Attraversato tutto il corridoio, finalmente giunsi alla camera di Nicola. Bussai lentamente.
<< Prego >>, disse una voce flebile e stanca.
Entrai, e notai subito il letto in cui era disteso il ragazzo, e quello al suo fianco vuoto. Odiavo gli ospedali, specie nel ricordare in quale occasione c’ero stata l’ultima volta. La morte di mio marito. Scacciai via quel pensiero, e non badai molto alla stanza. Sapevo che era la tipica stanza da ospedale, uguale a tutte le altre. E proprio per questo volevo farci il meno caso possibile. Volevo evitare che nuovi ricordi spiacevoli riaffiorassero alla memoria. Molte volte, per sopravvivere, era meglio non ricordare. E questo era uno di quei casi. Mi avvicinai ai piedi del letto. Quando fui abbastanza vicina da essere scrutata per bene in viso, notai che il giovane disteso impallidì se possibile ancora di più. I suoi occhi erano terrorizzati. Non si aspettava la mia presenza lì.
<< Professoressa >>, sussurrò in preda al panico.
Lo guardai per un secondo silenziosa. Lo scurati dall’alto verso il basso, notando la flebo al suo braccio sinistro. Mi domandai come poteva una persona cadere così in basso. Poi sospirai.
<< Ciao Nicola >>




Buonasera gente...eccoci giunti al tredicesimo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...qui verrà presentato un nuovo caso umano...a quanto pare per Lisa non c'è mai un attimo di pace...dopo aver affrontato la morte dei genitori di ianto, il tentato suicidio di paolo, e tutti i casini di roberto (e di casini ce ne sono stati tanti U.U), eccoci piombare nel mondo della droga...tengo a precisare che queste cose sono state tutte partorite dalla mia fantasia, perciò non avendo mai affrontato problemi simili, non so bene se li sto trattando nel modo giusto...perciò se qualcuno che magari ha affrontati simili situazioni, dovesse infastidirsi nel leggere queste cose, chiedo subito scusa...non era mia intenzione turbare nessuno...
passiamo ai ringraziamenti...
come sempre ringrazio chi legge la mia storia e chi l'ha messa nelle preferite e seguite...
un ringraziamente speciale va come sempre a: Deilantha, _rain_, Allegra_, Loreena McKenzie e SpinellaTappo98...grazie a voi e alle vostre recensioni che mi danno la forza e la voglia di continuare a scrivere questa storia...
beh che altri dire...recensite e fatemi sapere che ne pensate del nuovo capitolo XD
ci vediamo martedi prossimo con un  nuovo aggiornamento 
un bacio
Moon9292


"Pronto?", rispose una voce divertita.
"Ianto? Hai da fare stasera?"

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Capitolo 14
*** E pace fù ***


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Capitolo 14 - E pace fù


<< Ciao Nicola >>, lo salutai con un sospiro.
Quella situazione era davvero pesante, e difficile da gestire. Non sapevo come comportarmi dinanzi ad un ragazzo la cui vita voleva giungere al termine. Perché chi abusa di droga, solo questo vuole: porre fine alla propria vita, al proprio dolore. Avevo paura che questa conversazione non sarebbe stata facile e neanche felice.
<< Professoressa >>, sussurrò terrorizzato il ragazzo.
<< Allora, Nicola. Tu ed io dobbiamo discutere di parecchie cose. Non ti pare? >>, domandai ironica.
Era ovvio che avessimo molte cose di cui parlare. Non mi sarei accontentata di un “mi dispiace” o qualsiasi altra stronzata. Avrei preteso la verità, e l’avrei ottenuta anche con la forza.
<< Non credo ci sia molto da dire, prof >>, rispose con un sorriso amaro il giovane. Distolse lo sguardo puntandolo sul pavimento alla sua destra. Evidentemente sopportare il mio sguardo era troppo.
<< Io invece credo il contrario >>, incrociai le braccia, indossando i panni della guerriera. Perché adesso avrei dovuto lottare. << Direi che dopo tre ore di attesa, me la merito una spiegazione. Specie perché sei qui, vivo, solo grazie a me >>.
Lo vidi sgranare leggermente gli occhi. Non gli piaceva decisamente quella situazione. Andava tutto a suo sfavore. Ma non si mosse dalla sua posizione, e non aprì bocca. Sospirai forte, indecisa se picchiarlo seduta stante, oppure aspettare qualche altro minuto, per vedere se riuscivo a cavare un buco dal ragno. E in questo caso il buco era quella sua stramaledetta bocca.
<< Allora, Nicola. Tu sai perché sei qui, io lo so. Lo sanno tre dei tuoi compagni di classe >>, a quell’affermazione, il ragazzo puntò lo sguardo su di me, terrorizzato. Non si aspettava di essere stato sorpreso dai suoi compagni. << Ma nessuno di noi sa il motivo per cui tu sei qui. O meglio, tu lo sai, ma noi no. Quindi vorrei che ci rendessi partecipi di questo grande mistero >>.
Il giovane abbassò nuovamente lo sguardo, puntandolo sulle sue coperte. Vedevo le mani stringere e lasciare ininterrottamente le lenzuola, incapace di fare altro.
<< Nicola… >>, sospirai per l’ennesima volta. << Me lo devi >>, mi giocai la carta dei sensi di colpa. Odiavo dover arrivare a dare colpi così bassi, ma in certe situazioni l’onore doveva andarsi a fare benedire per forza. Infatti ottenni l’effetto desiderato. Dagli occhi del giovane, calde lacrime di tristezza cominciarono a scendere, rigandogli il viso.  Disprezzavo profondamente le lacrime. Erano la massima manifestazione del dolore di una persona. Più soffrivi, e più piangevi. Ed io detestavo quei momenti in cui mi rendevo conto che la gente soffre, perché capivo anche di non poter fare nulla per il loro dolore. E restare immobili, impotenti di fronte al fato, era qualcosa che mi disgustava immensamente.
<< Cosa vuole sapere? >>, mormorò tristemente.
Tirai un sospiro di sollievo nel saperlo finalmente collaborativo.
<< Tutto. Dall’inizio. Ogni cosa, e soprattutto perché >>, risposi con fermezza.
<< Beh, non c’è molto da dire. La mia famiglia è famosa e ricca, lo sa bene >>, cominciò lui con amara ironia. Il sorriso sarcastico si ripresentò su quelle labbra ora rosa carne, senza più quel rossetto rosso ad incorniciarle.
<< Lo so. E so anche che sei il rappresentante degli studenti. La tua media non è altissima, ma solo perché non ti impegni. E so anche che dentro quella scatola cranica, c’è un cervello funzionante >>, affermai con rabbia. Odiavo chi non sapeva apprezzare ciò che la vita gli dava. Perché li consideravo immeritevoli. << Allora vorrei capire perché, un ragazzo che ha praticamente tutto, e che è stato baciato dalla fortuna, tenta di buttare all’aria tutto questo? >>
<< Perché non è assolutamente vero che io sono stato baciato dalla fortuna. Anzi, tutto ciò è solo una maledizione >>, esclamò infervorato Nicola, tornando a guardarmi negli occhi. Non avevo mai visto tanta rabbia e determinazione in quello sguardo.
<< Una maledizione? >>, domandai perplessa.
<< Si >>, annuì il ragazzo. Poi sospirò, e riabbassò lo sguardo. << Ha idea di cosa significhi vivere in una famiglia che da te si aspetta di tutto? Essere figlio unico, con responsabilità troppo elevate sulle spalle? Dover sempre mantenere alto il buon nome di famiglia? >>, domandò arrabbiato come non mai.
Lo fissai, senza battere ciglio. Alla fine era sempre questo il problema. Forse essere ricchi e appartenere ad una famiglia importante non era da considerarsi una fortuna. Mi morsi il labbro inferiore cercando di trovare le parole adatte. Non trovavo una motivazione valida, quella della famiglia, per gettare tutto all’aria, eppure non avendo vissuto la sua vita non potevo criticare. Dovevo perciò trattenermi dal giudicarlo.
<< Perciò hai pensato bene di farla finita? Di trovare sfogo nelle droghe? Pensavi che così facendo i tuoi problemi si sarebbero risolti? >>, chiesi pungente, nonostante l’essermi astenuta dal fare commenti più pesanti.
<< No. Non è per questo che ho cominciato a drogarmi >>, negò mestamente il giovane. Il suo sguardo era sempre rivolto alle lenzuola.
<< Spiegati meglio, Nicola. Io non ci sto capendo nulla >>, affermai infastidita. Odiavo quando non riuscivo a comprendere le cose.
<< Fin da piccolo dovevo mantenere alte le aspettative di papà. E devo dire che ero sempre stato bravo, anche se la cosa mi pesava molto >>, spiegò con profonda tristezza. << Poi, arrivato al liceo, le cose si complicarono. Quel mondo era molto più difficile, e le aspettative di papà aumentarono  sempre di più. Io non ero in grado di sostenerle. A quel punto conobbi Mario. Fu un vero toccasana >>
<< Aspetta >>, lo bloccai confusa. << Mario? Stai parlando di Mario Terrafoglia? Il tuo compagno di classe? >>, chiesi sbigottita.
<< Esatto >>, confermò lui.
A quel punto qualche tassello di quel puzzle, cominciò ad incastrarsi. Mario Terrafoglia era un mio alunno, che faceva parte del club degli emo. Insieme a lui, vi erano altri due ragazzi,  Andrea Girami e Carlo Domina. Avevo intuito che a capo del quartetto ci fosse Mario, e che il suo braccio destro fosse Nicola, ma non credevo che la relazione durasse da così tanti anni. E qualcosa di sicuro mancava. Specie perché ultimamente, sembrava che le cose non andassero troppo bene tra i due.
<< Continua >>, lo esortai sempre più presa.
<< Conobbi Mario, il cui stile di vita lo conosce bene. Emo fino al midollo osseo, ma non è una cattiva persona. Anzi, mi è stato vicino per tutti questi anni. È il mio migliore amico >>, spiegò sorridendo mestamente.
Quel discorso sull’amicizia non mi era nuovo. Sospettavo che in quella scuola, l’unica cosa che permettesse ai studenti di andare avanti, fossero le amicizie. Altrimenti non si spiegava perché per tutti loro, l’amico era fonte di sopravvivenza.
<< Ok, brava persona e migliore amico. Poi, che altro è successo? >>
<< Beh, lui mi spiegò ciò in cui credeva, e stranamente mi trovai d’accordo. Lui sosteneva che la vita era tutta qui, che non c’era niente ad attenderci. E che dovevamo godercela il più possibile >>, affermò tornando a fissarmi negli occhi. Odiavo ammetterlo, ma quelle parole corrispondevano a quella parte di me che più aborrivo. << Diceva che non siamo altro che burattini nelle mani di un popolo, governato da pupazzetti. Incapaci di aiutarci o di renderci felici. E che restare integrati in questa popolazione era come annullare il proprio io e la propria intelligenza. Eravamo tutti schiavi di un sistema corrotto, e non funzionante >>. Si, decisamente stavo detestando quel discorso. Perché ci aveva preso in pieno. << Lui aveva scelto di allontanarsi da questa comunità nell’unico modo che conosceva, e che lo escludeva dalla massa. Essere una persona pensante, con delle proprie idee, porta inevitabilmente all’essere esclusi dagli altri. Perciò aveva scelto di essere emo. Perché in quel modo facilitava il processo di emarginazione. Chi è che non odia il diverso? >>, chiese retoricamente. Anche li mi trovai, mio malgrado, d’accordo.
<< Quindi sei diventato emo come lui >>, constatai senza particolare inflessioni nella voce. Nicola mi fissò, ed annuì. << E poi? Che è successo? Come sei arrivato qui? E perché quelle cicatrici sul polso? >>, domandai indicando il polso ferito.
Nicola nascose istintivamente l’arto sotto le lenzuola, ed abbassò lo sguardo nuovamente. Lo vidi mangiucchiarsi il labbro inferiore, indeciso se proseguire o meno. Poi sospirò.
<< Diventammo migliori amici, e mi presentò a tutta la sua cerchia di amici. Col tempo al nostro gruppo, si unirono Andrea e Carlo. Anche loro erano rimasti affascinati dal discorso di Mario. Però tra tutti, io ero il suo migliore amico. Me lo diceva sempre >>, affermò con orgoglio. Quell’amicizia gli faceva brillare gli occhi scuri. << Gli anni passavano, e mio padre disprezzava sempre di più ciò che ero. Mi minacciò: o davo una svolta alla mia vita, o mi diseredava. Non avevo scelta. Dovevo fare qualcosa. Ma non ero disposto a rinunciare a Mario o al mio modo di essere, perché finalmente avevo trovato la mia strada. So che può sembrare assurdo, ma io sono questo. Sono così, e non mi cambierei per niente al mondo >>, dichiarò con voce tremante. Lui era davvero felice di ciò che era, non si imbarazzava minimamente. Tutti noi avremmo pagato oro per avere quella sicurezza. E proprio per questo continuavo a non capire le scelte che avevano portato Nicola li in ospedale. Perché buttare tutto così? << Alla fine decisi che l’unico modo per fare contento mio padre, era quello di diventare rappresentante degli studenti, aumentando così le mie responsabilità. Mario mi aiutò, e questo fece si che la nostra amicizia si consolidò sempre di più. Alla fine, un semplice ragazzo di terzo liceo, venne eletto rappresentante degli studenti. Questo mi riempì d’orgoglio. Fu quella sera che io, Mario, Andrea e Carlo decidemmo di fare un patto tra di noi. Avremmo condiviso con la persona più importante per noi, qualcosa di unico e prezioso >>, le ultime parole le sussurrò, quasi imbarazzato.
Non riuscivo a capire il motivo di tanta reticenza nel raccontare. Cosa avevano potuto fare di così scabroso da vergognarsi? In quel momento, vidi Nicola sfiorarsi il polso, tornato nuovamente fuori dalle lenzuola. Li capii che le prossime parole non mi avrebbero fatto piacere.
<< Che cosa avete fatto? >>, domandai timorosa.
<< Andammo sul terrazzo della scuola, e decidemmo di fare qualcosa di pericoloso ed imbarazzante >>, sussurrò arrossendo.
<< Ti prego, dimmi che non avete fatto un’orgia >>, lo supplicai.
A quelle parole, Nicola alzò lo sguardo di colpo. Era arrossito vistosamente, e il suo sguardo era di fuoco.
<< Ma che diavolo dice? Assolutamente no! Non avrei mai fatto nulla di simile >>, negò con forza.
<< Ti ricordo che ti sei drogato. Per quanto ne so, potresti aver fatto anche di peggio >>, lo ammonii con il mio solito sarcasmo.
<< Ok, sono un’idiota perché mi sono drogato. Ma non avrei mai potuto fare qualcosa legato al sesso. Per me il sesso è sacro >>, esclamò con decisione.
Lo guardai sbattendo più volte gli occhi. Ecco, ora davvero le avevo sentite di tutti i colori. Un diciassettenne maschio, rappresentante degli studenti, emo e con molti soldi, che fa uso di droghe, che considera il sesso un atto sacro era qualcosa che mi mancava. Decisamente avrei dovuto rivedere tutte le mie idee.
<< Ok. Va bene, niente orgia. Cos’avete fatto allora? >>, domandai cercando di tornare sull’argomento principale.
<< Ecco, Mario portò un coltello, e decidemmo…insomma…decidemmo di condividere con la persona più importante per noi…il…nostro…il nostro sangue >>, mormorò arrossendo fin sopra la punta delle orecchie.
Ecco, ora davvero le avevo sentite tutte. Non potevo crederci. Quei quattro idioti avevano fatto un patto di sangue. Davvero, non c’era limite alla follia umana.
<< Fammi capire. Vi siete improvvisati vampiri? Cos’è, speravate di diventare delle specie di Edward Cullen? >>, domandai con immenso stupore.
<< Ovviamente no. Prof, mi sta offendendo con questo suo modo di fare >>, dichiarò ferito Nicola.
<< Oh, certo. Perché quella che fa cose assurde sono io, vero? Sono io in un letto d’ospedale, con cicatrici sul polso dovute ad una specie di patto di sangue, con il culto del depresso e l’aspetto di uno zombi nerd >>, affermai sarcastica.
<< Ok. Lasciamo perdere >>, sospirò Nicola, abbassando lo sguardo. << Noi abbiamo deciso di diventare fratelli di sangue. Ecco quello che abbiamo fatto. Ci siamo tagliati i polsi, ed io con Mario e Carlo con Andrea, ci siamo scambiati il nostro sangue >>
Fantastico. Una banda di cretini che si scambiava sangue, cercando di trasmettersi malattie, solo per uno stupido culto. Davvero, la generazione attuale io non la capivo. Come potevano essere arrivati a pensare una simile idiozia. Non conoscevano quel modo genuino e puro di dimostrare amicizia? Non sapevano che c’erano modi più sani per diventare come fratelli? Non potevano essere come Ianto, Paolo e Roberto? Dannazione al libero arbitrio. Se fossimo stati tutti uguali, dotati di un cervello funzionante, certe assurdità non le avremmo mai concepite.
<< So cosa sta pensando >>, esclamò di punto in bianco Nicola.
<< No, non lo sai >>, affermai piccata.
<< Si, invece. Sta pensando che siamo stati degli idioti, con poco cervello e con malattie del sangue. Ma le assicuro che niente mi ha reso più felice, che essere unito con il sangue a Mario. Niente >>, dichiarò il giovane con una tale convinzione, da lasciarmi perplessa. Lui davvero adorava quel Mario Terrafoglia.
<< Va bene, ok. Sto pensando questo. Ma comunque quello che io penso non è rilevante ai fini della storia. Prosegui >>, lo esortai accantonando il discorso sangue.
<< Ecco, dopo quel taglio, ci ritrovammo immersi in un mondo nuovo. Tutti e quattro avevamo scoperto una cosa che ci lasciava perplessi, e al tempo stesso ci rendeva calmi >>, continuò sussurrando timidamente. Non mi ci volle molto per capire di cosa stava parlando.
<< Avete cominciato a tagliarvi >>, dichiarai convinta.
<< Esatto. Non ci rendevamo conto di quello che stavamo facendo. Non siamo neanche mai stati depressi o tristi. Il nostro modo di essere emo, non prevedeva la depressione. Eppure tagliarci ci dava una scarica di adrenalina. Più ci tagliavamo e più ci sentivamo vivi >>, confermò con enfasi Nicola. Quel discorso non mi piaceva per niente. << Poi però accadde che Mario, dopo un litigio pesante col padre, andò sulla terrazza della scuola, e cominciò a tagliarsi entrambi i polsi. Profondamente >>, delle dolci lacrime cominciarono a scendere nuovamente sulle guance del ragazzo. Sembrava ancora scosso da quei ricordi. << Se non avessi trovato Mario, a quest’ora sarebbe sepolto sotto terra. Rimase in ospedale per due settimane. In quel momento diventammo davvero fratelli di sangue. Perché, scoprimmo, che entrambi avevamo lo stesso gruppo sanguigno. Gli donai tutto quello di cui lui aveva bisogno. E non me ne sono mai pentito. Finché… >>, ma a quel punto il suo tono di voce si affievolì, e rimase in silenzio. Le lacrime divennero sempre più forti. Adesso si entrava nel discorso che riguardava la droga, me lo sentivo.
<< Coraggio, Nicola. Confidati con me. Nessuno può tenersi tutto dentro. Ha bisogno di parlare. Tutti hanno bisogno di un amico >>, lo esortai dolcemente. Mi avvicinai al lato del letto, e poggiai la mia mano sul polso destro, quello ferito. Strinsi forte quell’arto, lasciando su di esso la mia impronta. Volevo che il mio calore si trasmettesse sulla sua pelle, e lo marchiasse a fuoco. In questo modo lui non sarebbe mai più stato solo. Perché avevo la certezza che la ragione della droga fosse dovuta alla sua improvvisa solitudine. Nicola, dopo un primo momento di smarrimento, poggiò la sua mano sinistra sulla mia stringendola a sua volta.
<< Una sera andai in un nuovo locale. Ero solo, perché Mario non poteva uscire di casa. Era appena passato un mese dal suo ricovero. Era aprile, quando entrai in quello che divenne il nostro posto. Una discoteca del centro di Roma. Era bella, ampia, e c’erano persone come me. Anni passati ad essere solo in mezzo a tanti, e in quel momento mi sentii finalmente appartenere ad un luogo. Ero felice. E li conobbi la ragazza dei miei sogni. Margherita. La più bella ragazza del mondo >>, le lacrime si fermarono, ma nei suoi occhi e dai suoi tremiti percepivo tutta la sua tristezza e il suo dolore. In quel momento, la sua sofferenza era anche la mia. Ed io non potevo fare nulla per fermarla.
<< Poi? >>, lo esortai in un sussurro.
Ma Nicola non rispose. Era troppo preso a cercare di controllare il suo cuore, per badare a me. Non potei trattenermi. Lo strinsi dolcemente tra le braccia, lasciando il polso leso. La sua testa poggiò sulla mia spalla, incastrandosi perfettamente tra il collo e la clavicola. Appoggiò lentamente le sue mani sulla ma schiena, e cominciò a stringere il maglione che indossavo. Dolcemente gli accarezzavo i capelli, sperando di infondergli un po’ dell’amore che in quel momento provavo per lui. Era strano come, per una persona sconosciuta con cui non hai mai avuto a che fare, si cominci a sentire sentimenti da un momento all’altro. Volevo proteggere quel ragazzino, come una madre vuole proteggere suo figlio. Ecco come mi sentivo. Istintivamente, provai un sincero affetto per quel ragazzino tremante e oscuro. Volevo che la luce tornasse a brillare nei suoi occhi. Lo volevo davvero tanto. Passarono vari minuti, in cui rimanemmo fermi in quella posizione. Appena Nicola si fu ripreso, si staccò dalla mia spalla, continuando a fissarla. Gli posai una mano sulla guancia, accarezzandolo col pollice.
<< Mi dispiace. Le ho sporcato il maglioncino con i resti del mio trucco >>, sussurrò dispiaciuto.
Non controllai neanche i danni. Non mi interessavano. Tutta la mia attenzione era concentrata verso quel minuscolo ragazzo.
<< Non fa niente. Te la senti di continuare? >>, domandai cercando di rassicurarlo.
<< Si >>, annuì Nicola. Poi si allontanò di poco, e prese a fissarmi negli occhi. Sembrava un cucciolo di cane abbandonato sul ciglio della strada. << Margherita è la figlia del proprietario. Aprì quel locale proprio per dare la possibilità alla ragazza e ai suoi amici di avere un posto in cui riunirsi. Nel giro di un anno, quella discoteca diventò famosissima. Quando andai lì, la conobbi al bar, perché aiutava il padre servendo i clienti. Tutti la conoscevano. Fu amore al primo sguardo >>, affermò con un sospiro malinconico. << L’amai dal primo istante, e non mi importava che fosse più grande di me quattro anni, o che fosse praticamente irraggiungibile. Per me lei era tutto il mio mondo. Passai tutte le sere in quella discoteca, sempre al bancone, sperando che mi notasse. E una sera fu così. Ah, fu la notte più bella della mia vita. Avevamo parlato per tantissimo tempo, e lei mi sorrideva in quel suo modo dolce e genuino. Non potrò mai dimenticarlo. Come non dimenticherò mai anche la sera che tutto venne distrutto >>, aggiunse con tono carico di dolore e odio. Adesso si che le tessere del puzzle andavano sempre più a combaciare. << Mario, dopo essersi ripreso, e dopo aver avuto il permesso di uscire di casa dal padre, venne con me alla discoteca. Non gli avevo parlato di Margherita, perché volevo prima accertarmi di essere ricambiato dalla ragazza. Fu il mio più grande errore. Perché quella sera si conobbero, e subito lessi qualcosa di strano nei loro sguardi. Quella sera si cercavano sempre, ogni loro spostamento era captato dall’altro, neanche avessero avuto un radar. E il modo in cui si guardavano era così intenso da rendere tutto il resto opaco. Capii subito, anche senza chiedere, che i due si erano innamorati. Il mio migliore amico e la ragazza che amavo, innamorati l’uno dell’altro >>, sussurrò le ultime parole. Riprese a piangere, e abbassò nuovamente la testa. Era come se il peso dei ricordi fosse troppo da sostenere. Stavo male per lui, perché la cosa più difficile da affrontare è essere rifiutati dalla persona amata. Ci si sente inadeguati, privi di qualche cosa di fondamentale per piacere a questa. È come se il nostro modo di essere, la nostra stessa esistenza non andasse bene. E per un ragazzo fragile come Nicola, quel dolore era troppo grande. << Neanche due settimane dopo, venni a sapere da Mario che i due si erano fidanzati. Non avevo mai visto il mio migliore amico così felice. I suoi occhi erano così luminosi, da abbagliare ogni cosa. Impazzii dal dolore e dalla rabbia. Volevo portargliela via. Lei era mia, non sua. Io dovevo mettermi con lei, non lui. Io l’avevo conosciuta per prima. Quel pomeriggio saltai la scuola, e andai al locale, per dichiararmi e prendere ciò che mi spettava >, aggiunse, poi alzò la testa e puntò il suo sguardo ferito nei miei occhi, colpendomi come con uno schiaffo. << Ha idea di come ci si senta male a dire ti amo ad una persona, e non sentirsi rispondere anche io? Sa quanto straziante è sentirsi rispondere amo già un altro? E’ qualcosa di massacrante al livello dell’anima, come un coltello da macellaio sparato dritto nel petto. Un raschiamento continuo del proprio cuore. Io non ce la faccio più >>, biascicò le ultime parole in un mare di lacrime. La sua voce era spezzata dai singhiozzi, e le spalle tremavano. Era davvero scosso. Non riuscii a trattenermi. Lo presi nuovamente tra le mie braccia e lo abbracciai forte. Lo strinsi al petto quasi come se lo volessi inglobare nel mio corpo. Volevo davvero trasmettergli tutto il mio amore e affetto. Volevo proteggerlo. Desideravo dal profondo del mio cuore che non soffrisse più, e che finalmente fosse felice. Lo desideravo davvero. Passarono parecchi minuti, in cui l’unico rumore percepibile alle orecchie erano i suoi singhiozzi. Gli accarezzavo i capelli, sperando che presto l’ondata di dolore passasse. Quando poi finalmente, si riprese, ci staccammo leggermente, permettendoci così di vederci in volto. Il suo sguardo era puntato sul mio petto, ma sapevo che non stava fissando il mio seno. Cercava solo un modo per proteggersi, e sorrisi teneramente nel vederlo così piccolo e indifeso. Non sembrava un ragazzo di diciassette anni, ma un bambino di dieci. Lo accarezzai in volto, asciugandogli nel frattempo anche le lacrime rimaste sulle gote. Quando poi i singhiozzi passarono, tentai nuovamente di spronarlo.
<< Nicola, cosa è successo dopo? >>, sussurrai.
Il ragazzo sospirò sonoramente. I ricordi facevano davvero male.
<< Dopo che mi rifiutò, continuammo ad essere amici. O almeno era quello che lei credeva. Per me, Margherita divenne un’ossessione. La pensavo continuamente, giorno e notte. E maledicevo ogni gesto d’affetto che Mario e la ragazza dei miei sogni si scambiavano. Li ho odiati davvero tanto. Ma per amore loro, fingevo che tutto andasse bene. Finché un giorno di due mesi fa, Mario venne da me emozionato, come un bambino a natale. Quando gli chiesi che cosa fosse successo, il mondo mi crollò addosso >>, raccontò con un filo di voce. Ogni tanto qualche lacrima scendeva ancora dai suoi teneri occhi scuri, ed io prontamente l’asciugavo.
<< Che cosa ti raccontò? >>, chiesi temendo la risposta.
<< Che lui e Margherita avevano… >>, prese un respiro profondo, quasi come se cercasse il coraggio di parlare. << …avevano fatto l’amore. Per la prima volta. Per entrambi. Avevano deciso che il momento era arrivato, e così hanno pensato bene di unirsi sia spiritualmente che carnalmente. Per me non c’erano più speranze. Quando fai l’amore con una persona, quella è per sempre. Ero distrutto, avevo perso le cose per me più importanti: il mio migliore amico, e la ragazza dei miei sogni. Mi restavano Carlo e Andrea, ma non era abbastanza. E quella sera mostrai il lato peggiore di me >>, continuò il suo racconto. A quel punto mancava solo una tessera del puzzle, per avere il quadro completo della situazione. La droga. Ma non per questo, mi sentivo meno male per lui. Aveva davvero sofferto per via di quei due giovani, che comunque non avevano nessuna colpa.
<< Che successe? >>, domandai per l’ennesima volta. La suspense regnava sovrana nei cuori della popolazione di quella scuola.
<< Andai al locale >>, mormorò, arrossendo per l’imbarazzo di quelle parole. << Mi ubriacai come non avevo mai fatto. Quando Mario e Margherita provarono a fermarmi, io esplosi. Sfogai tutta la mia rabbia di quei mesi su di loro. Dissi che erano dei bastardi, senza cuore. Che mi avevano rovinato la vita, che li odiavo, e che speravo con tutto me stesso che soffrissero. Quando Mario provò a parlarmi, gli augurai di morire >>, sussurrò quell’ultima frase, vergognandosi anche di respirare. Sembrava davvero dispiaciuto di quelle parole. Anche se non era giustificato per ciò che aveva detto, comunque non potevo criticarlo. Era troppo dolce e tenero per poter essere giudicato, e il dolore che aveva provato doveva essere stato davvero forte per farlo arrivare a pronunciare quelle parole. In quelle poche ore in cui eravamo stati vicini, soprattutto da quando avevamo cominciato a parlare, avevo capito che Nicola era una persona veramente buona. E che mai avrebbe fatto male a qualcuno, specie alle persone che amava.
<< Ehi, Nicola. Non ti puoi martorizzare per quello che hai detto quella sera. Hai sbagliato, è vero, ma a tutti capita di commettere degli errori. L’importante è rimediare. E tu hai sofferto tanto, per via del loro amore. Avevi bisogno di sfogarti >>, gli dissi dolcemente accarezzandogli sempre più forte una guancia. Le lacrime avevano ripreso a scendere. Nicola continuava a non guardarmi negli occhi. Era imbarazzato a morte. Misi l’altra mano sotto al suo mento, e lo costrinsi ad alzare lo sguardo. Quando i nostri occhi si incontrarono, sorrisi. Volevo fargli capire che per me, lui era sempre la stessa persona. Un ragazzino timido alle volte, un po’ scansafatiche, ma con un grande cuore. Dopo un po’ mi sorrise anche lui. Un accennato incurvamento delle labbra, che mi fece battere forte il cuore. Amavo quando la gente sorrideva, perché diventava più bella. Bisognava sempre ridere, a mio avviso.
<< Grazie, prof. Lei è davvero buona. Però non ho ancora finito la storia >>, mormorò timidamente.
<< Penso di conoscerla. Dopo quel litigio, hai cominciato ad usare droghe per cancellare il tuo dolore, vero? >>, affermai certa delle mie parole.
Nicola sgranò leggermente gli occhi, il suo sorriso scomparve, lasciandovi al suo posto una smorfia di disgusto vero se stesso.
<< Si >>, confermò lui.
<< Sai che questo è il tuo vero peccato? L’unico sbaglio imperdonabile che hai fatto in tutta questa vicenda? >>, domandai dolcemente, anche se con una punta di rimprovero.
<< Si >>, riconfermò lui, abbassando lo sguardo.
<< Nicola, impara una cosa >>, dissi decisa, ricostringendolo a guardarmi negli occhi. << Non abbassare mai lo sguardo davanti alle altre persone. Mai. Perché tu non sei debole, e non vali meno di loro. Tu devi sempre affrontare le cose, di faccia. In ogni occasione >>, quelle parole pronunciate dalle mie labbra, mi ferirono profondamente. Perché io avevo fatto la stessa cosa. Però sembrarono colpire positivamente Nicola, perché dopo qualche momento di smarrimento, mi sorrise ed annuì. << Ora devi farmi una promessa >>
<< Cosa? >>, domandò curioso il ragazzo.
<< Devi promettermi che non userai mai più quella merda. Chiaro? >>, dissi con forza.
<< Certo. A me faceva schifo, anche. Però ne avevo bisogno, perché non sopportavo più il dolore al petto. E oggi ho fatto la più grande stronzata della mia vita. Me la sono iniettata nelle vene. Per fortuna era un dose minuscola, altrimenti adesso non sarei più qui >>, sorrise amaramente il giovane. Almeno aveva promesso.
<< Ora devo andare, Nicola. Tu fa il bravo, ok? Io tornerò domani >>, dissi improvvisamente, lasciandolo stupito.
<< Già va via? >>, domandò infatti in preda al panico.
<< Vado a risolvere una faccenda. Ma ti prometto che appena sistemato, tornerò qui. E scommetto che starai meglio, quando domandi ci vedremo >>, dissi sorridendo divertita.
<< Che deve fare? >>, chiese Nicola dubbioso, incurante delle mie parole.
<< Lo vedrai domani. Tu promettimi che stasera cercherai di stare tranquillo, e che riposerai. Ti voglio bello carico domani >>, affermai divertita.
<< Va bene >>, annuì il giovane rassegnato a non sapere che cosa dovevo fare.
Quando vidi sul suo volto quell’espressione corrucciata, non riuscii a resistere. Mi abbassai al suo livello, e depositai un dolce bacio sulla sua fronte. Una mia mano accarezzò i suoi capelli, lasciandolo sempre più di stucco. Quando mi separai, lo fissai negli occhi sorridendo. Lo vidi davvero spaesato. Il suo sguardo domandava a gran voce il perché di quel gesto. Non gli risposi.
<< Ci vediamo domani pomeriggio. Ciao Nicola >>, lo salutai, lasciandolo li in quel letto d’ospedale.
Quando scesi giù, nel parcheggio, presi il cellulare dalla tasca, sapendo esattamente cosa dovevo fare. Selezionai il numero dalla rubrica, ed attesi la risposta.
<< Pronto? >>, rispose una voce divertita.
<< Ianto? Hai da fare stasera? >>
 
Quando arrivammo davanti alla discoteca, erano le nove di sera. Il “Cuore di notte” risplendeva in tutta la sua bellezza, davanti ai nostri occhi. Era immenso, almeno così pareva all’esterno. E la fila per entrare era davvero lunga. Si prospettava una lunga attesa.
<< Wow >>, esclamò sbigottito Roberto.
<< Già. Niente a che fare con quel postaccio in cui raccattammo Ianto >>, commentò Paolo.
<< Ehi >>, si offese Ianto.
<< Finitela, tutti e tre >>, sospirai esasperata. Era da quando ci eravamo messi in macchina, che qui tre non la finivano di battibeccare. Non li sopportavo più. << Ancora mi domando perché vi ho portati tutti con me >>
<< Perché ci vuole bene? >>, ipotizzò Paolo.
<< Perché quando ha invitato Ianto, noi eravamo presenti, e da persona educata ha esteso l’invito anche a noi? >>, continuò Roberto.
<< Perché questa donna ha un’innata capacità di ficcarsi nei guai, ecco perché. Prof lo sapevi che portandoci tutti, avresti preso parte a queste scenette da idioti >>, commentò sarcastico Ianto.
<< Senti moccioso >>, gli puntai un dito in petto, infuriata. << Prova a ripetere che mi ficco nei guai, e ti assicuro che Nicola avrà un compagno di stanza in ospedale >>
<< Sei troppo manesca. Non ti si addice. Che fine ha fatto la grazia innata nelle donne, di cui tutti parlano? >>, domandò divertito Ianto.
<< L’ho ficcata nel cesso >>, risposi come una degna camionista. Mi mancava il mezzo, e avrei potuto cominciare quel mestiere.
<< Vedi, sei troppo volgare. Dovresti farti dare qualche lezione di galateo dalla femminuccia che è in Paolo. So che fa miracoli >>, affermò entusiasta il ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Non capivo da dove venisse tutta quell’ilarità.
Il giovane dagli occhi nocciola, si avvicinò pericolosamente all’amico, e gli diede uno schiaffo in testa.
<< Ridillo? >>, lo minacciò con un pungo sospeso in aria.
Ianto, che non si era fatto minimamente male, cominciò a ridere sempre più divertito.
<< Ma cher, rilassati. Ti verranno le rughe precocemente, così >>, disse dolcemente Roberto afferrando il fidanzato da dietro con un braccio, e facendogli abbassare il pugno con l’altro. Quando però lo lasciò, si ritrovò una gomitata nello stomaco, che lo costrinse a piegarsi leggermente su di se.
<< Prova a chiamarmi nuovamente ma cher, e ti stacco le palle a morsi >>, lo minacciò furioso Paolo.
Roberto, di tutta risposta, cacciò la lingua divertito. Non si era fatto un granché male. Più li guardavo, più restavo stupita dal loro livello di idiozia, e anche da quanto fossero uniti. Il rapporto tra qui tre era davvero unico e speciale.
<< Piccolo Robi, hai bisogno di una spalla su cui piangere? >>, domandò fintamente dispiaciuto Ianto avvicinandosi all’amico.
<< Oh, mio buon amico. Il mio dolce fidanzatino mi tratta male, e mi aggredisce. Come posso fare? Oh, povero me >>, recitò con finto melodramma Roberto appoggiandosi alla spalla del ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
Non riuscii a trattenere una sorriso divertito, alla scena. Specie perché Paolo cominciò a sbraitare vistosamente, alzando le braccia in aria ed agitandosi come fosse stato posseduto. Erano davvero un trio comibinaguai. Dopo vari minuti, in cui le urla del ragazzo dagli occhi nocciola risuonavano forti, mi avvicinai ai tre esasperata. Diedi sulla testa di ciascuno di loro un piccolo cazzotto, attirando la loro attenzione.
<< Ahia prof, mi hai fatto male >>, si lamentò Ianto.
<< Zitto tu, che hai la pellaccia più dura di un muro. Adesso entriamo, e risolviamo la faccenda >>, li esortai incamminandomi verso la fila.
Passò un’ora, prima di riuscire ad entrare in quella discoteca. Avevo un diavolo per capello. Quella giornata era stata davvero massacrante per i miei poveri neuroni. Quando entrammo, ci ritrovammo in uno spazio davvero ampio. Le luci erano soffuse, e per la sala risuonava la classica musica da discoteca. La prima parte del locale, quella vicino all’entrata, era piena di tavolini, dove la gente poteva consumare bevande e cibo, o riposarsi dal ballo. Al centro del posto vi era il bar a 360°. Ovvero che aveva una forma quadrata, dove si poteva ordinare da qualunque angolazione, e non solo da un lato del bancone. Dietro, vidi, era ben fornito di bevande alcoliche. Superato il bar, in fondo alla stanza vi era la vera e propria discoteca, con una pista da ballo, i cubi dove si poteva ballare e inscenare uno spettacolo di lap-dance, e infondo vi era la postazione dj. Era davvero un gran bel posto. Ci avviammo a passo sicuro verso il bar, sperando di trovare qualche sgabello libero. Quando arrivammo, vidi due sgabelli pronti per l’uso. Mi fiondai senza pensarci due volte, e subito fui affiancata dai miei accompagnatori. Al mio fianco, si sedette Ianto, mentre gli altri due rimasero in piedi dietro.
<< Allora, prof, qual è il piano? >>, domandò Ianto, cercando di sovrastare la forte musica.
<< Cerchiamo Margherita >>, dissi urlando.
<< E come la riconosciamo? >>, chiese pragmatico Roberto.
<< Ah, non ne ho idea >>, ammisi alzando le spalle. Avevo dimenticato di chiedere una descrizione dettagliata della ragazza a Nicola.
<< Bel piano, professoressa >>, commentò sarcastico Paolo.
<< Beh, la prossima volta mister perfettino, risolvi tu i macelli degli altri. Se la consulenza viene chiesta a me, allora seguiamo il mio piano >>, risposi piccata.
<< Questo posto è completamente diverso dalla discoteca in cui veniste a ripescarmi >>, commentò amaramente Ianto. I ricordi di quel periodo, per lui, erano davvero bui.
<< Già. Niente divanetti dove si fa roba, niente pazzi schizofrenici. E niente fidanzate altrui da conquistare, con il conseguente pugno sulla faccia da parte del ragazzo macho >>, confermò Paolo guardandosi intorno.
<< Già. Quella volta, quando vi venni a prendere, mi spaventai molto. Specie per i divanetti dove vi eravate seduti. Temevo stavate facendo roba >>, affermai guardando i due ragazzi.
A quella mia affermazione, vidi Roberto agitarsi vistosamente.
<< Fare roba? >>, domandò con una voce trattenuta.
<< Oh sai. Le solite cose. Una pomiciata qui, una pomiciata la. Ci stavamo divertendo, anche se quella sera ero andato completamente >>, confermò Ianto con un’alzata di spalle.
Trattenni a stento un sorriso. Perché ci stavamo prendendo gioco di Roberto, e il ragazzo ci stava cascando completamente. Cominciò a guardare prima Ianto, poi Paolo, poi me, ed infine di nuovo il fidanzato. A quel punto Paolo sbuffò infastidito, ed io e il ragazzo dagli occhi di ghiaccio scoppiammo a ridere.
<< Idiota. Ti stanno prendendo in giro. Ti pare che mi metta a pomiciare con quel decerebrato di Ianto? Dico, sei impazzito? >>, domandò piccato Paolo.
<< Ehi, io sono il ragazzo dei sogni di molti maschi e molte femmine. Dicendo questo, mi offendi >>, affermò fintamente risentito Ianto.
<< Finitela su. Siamo qui per aiutare Nicola, non  per perdere tempo >>, dissi con fare maturo. In verità mi stavo divertendo moltissimo. Stare con quei tre era davvero spassoso. << Ora odino da bere, e chiedo di Margherita >>
<< Ordini da bere? Prof ti devo ricordare cosa è successo l’ultima volta che hai bevuto? >>, domandò ironico Ianto.
<< Zitto tu. Era quel dannato cocktail ad essere strano, non sono io che non reggo l’alcool >>, dissi offesa. << E’ stata tutta colpa di terminator >>
<< Terminator? >>, domandò confuso Paolo.
<< Si, il barista del locale dove lavorava Roberto >>, confermò Ianto. Con la coda dell’occhio, guardammo tutti il giovane dagli occhi verdi, per vedere una sua eventuale reazione a quel riferimento. Ma per fortuna non disse nulla.
<< State parlando di Giò? >>, chiese confuso.
<< Giò? >>, domandai perplessa. Chi diavolo era Giò?
<< Si, il barista dello “The showcase of sex” >>, affermò Roberto.
<< Terminator si chiama Giò? >>, domandò Ianto.
<< Si, Giovanni. Lo conoscete? >>, chiese il giovane dagli occhi verdi.
<< Si. È lui che ci ha aiutati quella sera che venimmo lì. Solo che mi è costato lo stomaco >>, commentai inferocita.
<< Lo stomaco? >>, domandò perplesso Paolo. Non ci stava capendo granché.
<< Si, la prof quella sera prese due cocktail, per avere in cambio delle informazioni. E il mattino dopo si è ritrovata con lo stomaco nel cesso, insieme all’anima >>, affermò con noncuranza Ianto. Dannazione, un po’ di tatto. Stava parlando del mio stomaco, dopotutto.
<< Beh ci credo. I cocktail di Giò sono micidiali. Ne basta uno per mandarti fuori gioco. Per questo lavorava dietro al bar, e non nelle vetrine. Avete visto quanto era bello? >>, commentò con ovvietà Roberto.
<< Come scusa? Chi sarebbe bello? >>, domandò con sguardo feroce Paolo. Sembrava pronto a dare battaglia.
<< Ehm, tesoro mio. Oggettivamente Giò è un bel ragazzo. Ma nulla in confronto a te >>, provò a sbrigliarsi dalla situazione il giovane dagli occhi verdi.
Io dal canto mio, non ricordavo minimamente il viso di terminator. Mi aveva aiutato, e mi dispiaceva per lui, ma non riuscivo a focalizzare la sua immagine. Non ci badai più di tanto, perché in quel momento passò una barista. La richiamai, e questa si avvicinò con un dolce sorriso sulle labbra. Era alta, con i capelli lunghi e bicolore. La parte di sopra era bionda, mentre quelle di sotto era nera. Aveva un piercing al sopracciglio sinistro, ed uno al naso. Trucco molto forte, abbinato al suo modo di vestire. Un topo a giro maniche nero e attillato, ed una minigonna di jeans molto corta. Però, in quel suo modo di essere, in quella sua oscurità, emanava un’aura molto dolce. Il suo sguardo rassicurava, e ti faceva sentire in pace. Il suo sorriso, poi, era davvero bello.
<< Salve, che posso fare per voi? >>, domandò sorridendoci.
<< Una birra per me >>, dissi alzando la mano.
<< Ed una anche per me >>, si aggregò Ianto.
<< Anche io >>, aggiunse Roberto.
<< La voglio anche io >>, terminò Paolo.
<< Scusa, puoi per piacere ignorare questi tre cretini, e portare la birra solo a me? >>, domandai tranquillamente.
<< Ehi >>, esclamò offeso Ianto.
<< Che c’è? >>, chiesi bruscamente voltandomi verso il giovane.
<< Anche io voglio bere >>, si lamentò il ragazzo, incrociando le braccia come un bambino.
<< Sono già un’incosciente a portarvi in discoteca a quest’ora quando invece dovreste stare a casa studiare o a dormire. Se poi vi faccio bere, e meglio che mi arrestino direttamente >>, commentai sarcastica.
Intanto la giovane si stava divertendo sempre di più. Prese una birra da sotto il bancone e la stappò, continuando a sorridere gioiosa.
<< State insieme? >>, domandò indicando me e Ianto.
<< No, assolutamente >>, negai con forza. Troppa forza, da risuonare falsa anche alle mie orecchie.
<< Io sono pazzo di lei, e lei sotto sotto lo è di me. Ma dobbiamo ancora ufficializzare la cosa >>, rispose invece con calma Ianto.
<< Zitto idiota >>, dissi con livore dando un pungo sulla testa al ragazzo.
<< Ahia, prof. Mi hai fatto male. Cattiva prof >>, si lamentò il giovane.
<< Ehm, scusa, per caso conosci una certa Margherita? >>, domandò Roberto intromettendosi in quella che sarebbe diventata una discussione secolare.
<< Sappiamo che lavora qui >>, aggiunse Paolo.
<< Beh, non so chi voi siate, ma ce l’avete davanti >>, disse la ragazza indicandosi.
<< Tu sei Margherita? >>, domandai sbigottita.
<< Così mi è stato detto >>, confermò la giovane, sorridendoci.
<< Noi ti stavamo cercando >>, affermò Ianto.
<< Dobbiamo parlare con te >>, continuai io.
<< Professoressa? Gabetti? Manfredi? Storti? Che ci fate voi qui? >>, domandò una sesta voce alle nostre spalle.
Quando mi voltai, vidi Mario Terrafoglia fissarci perplesso. Ecco, ora si che il quadretto era completo. Dietro al ragazzo spiccavano due altre figure: Carlo e Andrea.
<< Amore, li conosci? >>, chiese perplessa Margherita.
<< Si. Lei è la mia insegnante, e gli altri tre sono miei compagni di classe >>, spiegò brevemente il giovane.
<< Mario, anche con te dobbiamo parlare >>, dissi rivolgendomi al ragazzo. << C’è un posto in cui possiamo stare tranquilli? >>, domandai voltandomi verso la ragazza.
Questa annuì, e ci fece strada verso una stanza isolata, a fianco della postazione dj. Quando entrammo, ci trovammo dentro una stanza bella grande, e molto illuminata. Aveva, però, solo due divani ad arredarla.
<< Allora, di cosa ci doveva parlare? >>, chiese sbrigativo Mario, sedendosi su un divano. Al suo fianco, lo raggiunse subito Margherita. Dietro, in piedi rimasero invece silenziosi Carlo e Andrea. Io mi accomodai sull’altro divano, mentre i miei tre accompagnatori rimasero alzati dietro le mie spalle.
<< Dobbiamo parlare di Nicola >>, dissi arrivando subito al punto.
Sul volto dei due giovani di fronte a me, un’ombra apparve. Mario distolse lo sguardo velocemente, mentre Margherita si portò una mano alla bocca, con fare pensoso.
<< Non credo siano affari suoi >>, commentò acido il giovane.
<< Invece si, specie perché oggi Nicola è stato male >>, dissi con tranquillità.
Sentite quelle parole, Mario e Margherita puntarono i loro occhi fissi su di me. Potevo leggere dai loro volti l’ansia e la paura per le mie parole.
<< Che è successo? Come sta? >>, domandò la ragazza, con voce tremolante.
<< Nicola è andato in overdose >>, spiegai con pacatezza.
A quel punto i due rimasero senza parole, e calde lacrime scesero sulle guance della ragazza. Anche Carlo e Andrea, calmi e composti, cominciarono ad agitarsi. I tre ragazzi erano davvero simili. Alti, capelli neri, occhi scuri. Pallidi come cadaveri, e vestiti di nero. Solo che se Carlo e Andrea erano dei ragazzi incredibilmente anonimi, Mario emanava un fascino tutto suo. Forse era il fascino del leader, fatto era che chiunque si trovasse vicino, a lui ne era irrimediabilmente attratto.
<< O mio Dio >>, sussurrò Margherita.
<< Ma come? Perché? >>, chiese agitato il giovane.
<< Dopo che litigò con voi, all'incirca due mesi fa, è entrato in depressione. Ha pensato che l’unico modo per stare meglio fosse drogarsi. Ed oggi è entrato in overdose. Adesso sta bene. Sono riuscita anche a parlarci, e mi ha raccontato tutta la storia >>, spiegai tranquillamente.
<< Tutta la storia? >>, domandò spezzando il suo silenzio, Carlo.
<< Si. Di come siete diventati amici, del vostro legame di sangue fatto sul tetto della scuola. Di come avete cominciato a tagliarvi, e di come tu >>, ed indicai Mario. << Sei finito in ospedale. E anche di come ha conosciuto te >>, ed indicai Margherita. << E di come poi le cose sono andate a rotoli >>
<< Lui non ci ha mai detto nulla >>, affermò infastidito Andrea.
<< Beh, oggi era sconvolto. E mi ha spiegato di come gli si è spezzato il cuore nel vedere il suo migliore amico fidanzarsi con la ragazza che amava >>, affermai dolcemente.
<< Non è colpa nostra. Questa è una cosa che non potevamo controllare >>, rispose alterato Mario.
<< Sta calmo amore >>, provò a tranquillizzarlo la ragazza poggiando una mano sulla sua spalla. << Mi dica, che le ha detto Nicola >>
<< Tutto. Ogni cosa. Di come si è innamorato al primo sguardo di te… >>, dissi cominciando a raccontare. Ma fui bloccata dal giovane seduto sul divano.
<< Aspetti. Al primo sguardo? Che vuol dire? >>, chiese perplesso.
<< Vuol dire che lui si è innamorato di Margherita la sera che l’ha conosciuta >>, risposi fissandolo.
<< Ma lui a me non ha detto nulla >>, affermò con ovvietà Mario.
<< Perché voleva essere prima certo sei sentimenti della ragazza. Non poteva immaginare che il suo migliore amico si sarebbe innamorato della stessa donna, e che gliel’avrebbe soffiata da sotto il naso >>, spiegai amaramente. Pensare alle lacrime di Nicola, in qualche modo mi faceva irritare.
<< Io non lo sapevo >>, sussurrò spaesato il giovane.
<< Allora è per questo che ci ha detto tutte quelle brutte cose quel giorno >>, affermò con tristezza Margherita.
<< Già >>, confermai.
<< Beh, ma questa non lo giustifica. Non lo avrei mai ferito se ne avessi avuta l’opportunità. Lui è come un fratello per me >>, affermò con decisione Mario.
<< Bel fratello che sei allora >>, commentò acido Carlo.
<< Come? >>, chiese il ragazzo voltandosi verso gli amici.
<< Già. Nel momento del bisogno, tu hai abbandonato Nicola, perché troppo orgoglioso. In questo periodo abbiamo provato a stare con lui, ma sappiamo tutti che non siamo noi le persone indispensabili per quel ragazzo >>, continuò Andrea, riprendendo il discorso dell’amico.
Sorrisi a quei due. Erano due bravi ragazzi, non c’era ombra di dubbio.
<< Ma che state dicendo? >>, domandò perplesso Mario.
<< Hanno ragione. Se davvero ti spacci per fratello di Nicola, allora perché l’hai abbandonato? >>, ripresi io leggermente irritata.
<< Perché dovevo restare accanto a qualcuno che non desiderava la mia presenza? >>, affermò con rabbia il giovane.
<< Perché tu sai bene che Nicola disse quelle parole solo perché era sconvolto, e soffriva. Ma non le pensava sul serio >>, esclamai con decisione.
<< No, non è vero. Le pensava eccome >>, dichiarò convinto il giovane.
<< Ti sbagli e tu lo sai. Ma non vuoi ammetterlo. Perché questo significa accettare di aver commesso un errore, e tu sei troppo orgoglioso per farlo >>, dissi infastidita da quell’atteggiamento.
<< Amore, hanno ragione >>, sussurrò timida Margherita.
<< Per Nicola, il vero problema, non è stato perdere la ragazza dei suoi sogni. Ma perdere te, suo fratello >>, dissi con enfasi, indicando il ragazzo.
<< Basta. Tutti quanti >>, esclamò, alzandosi velocemente dal divano, Mario. << Voi non avete idea del male che mi ha fatto. Mi ha ferito profondamente con le sue parole. E’ stato come ricevere una pugnalata al petto. Lui mi ha tradito >>
<< E tu? Non hai fatto la stessa cosa? >>, domandai infastidita.
<< Io?! >>, esclamò sorpreso il giovane fissandomi dall’alto.
<< Tu, anche se inconsapevolmente, lo hai tradito per primo, portandogli via la ragazza che amava. Come ti saresti sentito, se le parti fossero state invertite? Eh? Non lo avresti odiato? >>, chiesi con livore.
Mario parve pensarci su un attimo, poi abbassò il capo mestamente, e tornò a sedersi. Afferrò saldamente la mano della sua fidanzata, e la strinse con forza. Non rispose, ma capii dal suo silenzio che mi dava ragione.
<< Mario >>, lo chiamò una voce alle mie spalle. Era Ianto. << Sai, io e questi due pazzi schizzati di Paolo e Roberto siamo migliore amici. Per me sono come fratelli. Ma per colpa mia, e colpa di altri fattori che non sto qui a spiegare, siamo stati separati per quattro anni. Credimi se ti dico che questa lontananza è stata massacrante. Un dolore così forte è davvero troppo da sopportare >>, disse con una dolcezza tale da commuovermi.
<< Già. Voi siete stati separati per soli due mesi, e siete arrivati già a questo punto. Quattro anni non li reggete >>, commentò Roberto con il suo classico tono gentile.
<< Forza, l’amicizia è una cosa meravigliosa. Tutti devono avere il migliore amico accanto, altrimenti che vita sarebbe? Il destino vi ha voluti insieme, legati da un profondo affetto. Non gettare via tutto. E questo te lo dice una persona che credeva di aver perso ogni cosa >>, aggiunse con amore Paolo.
I miei tre ragazzi. Ero così orgogliosa di loro.
<< Io… >>, disse perplesso Mario.
<< Forza amico >>, lo spronò Carlo.  
<< Ce la puoi fare >>, aggiunse Andrea.
<< Dai, amore. Tu sai che è la cosa giusta da fare >>, affermò Margerita.
Passarono vari minuti in cui restammo tutti in silenzio. Sentivo il cuore battere velocemente. Speravo davvero con tutto il cuore che la situazione si aggiustasse. Poi, Mario sospirò.
<< Mi manca >>, mormorò imbarazzato e commosso.
Sorrisi raggiante. Con me, si aggregarono sia Margherita, sia Carlo e anche Andrea. I tre dietro le mie spalle, anche se non li vedevo, sapevo che stavano sorridendo felici. Li conoscevo troppo bene.
<< Bravo, Mario. Hai fatto la cosa giusta >>, dissi orgogliosa. << Domani andiamo da lui >>
 
<< Mi spieghi perché dobbiamo aspettare qua fuori? >>, domandò annoiato Ianto.
<< Te l’ho già detto. Quei tre devono risolvere la questione da soli. Noi non possiamo fare più nulla >>, risposi infastidita.
<< Ma almeno una sbirciatina la possiamo dare. Su, prof, mi sto annoiando >>, esclamò supplicante il ragazzo.
<< Dio, quanto sei noioso. No, non possiamo sbirciare. E poi tu che ci fai qui? Non dovresti essere a nuoto? >>, domandai alterandomi.
<< E perdermi lo scontro tra qui tre? Giammai >>, affermò con tono teatrale.
<< Se ti fai cacciare dalla squadra, sarà solo un tuo problema >>, commentai acida.
<< Tu dovresti essere a lezione, ma hai lasciato la cattedra a Roberto. Direi che tra me e te, tu sei quella più nei guai >>, commentò divertito Ianto.
<< Oh, sta zitto >>, lo liquidai irritata.
Eravamo li da quasi un’ora appoggiati alla parete del corridoio dell’ospedale. Mario e  Margherita, appena finita la pausa pranzo, erano venuti con noi a trovare Nicola. Ovviamente quest’ultimo, nel vedere i due ragazzi, aveva cominciato ad agitarsi. Con una carezza in testa, lo avevo calmato, e rassicurato che adesso le cose per lui sarebbero andate meglio. Dopodiché sono uscita dalla stanza lasciandoli soli, a chiarirsi. Il tutto tallonata da Ianto, che non accennava ad allontanarsi. Era una vera piattola.
<< Sei sicura ad aver fatto bene a lasciare Margherita li con loro? >>, domandò preoccupato il giovane.
<< Si. Le cose non sono come sembrano >>, affermai saggiamente.
<< Cioè? >>, chiese perplesso Ianto.
<< Cioè che Nicola per la ragazza ora come ora, prova solo una profonda ossessione. Può darsi che all’inizio l’abbia amata, ma adesso Margherita  era diventata il suo chiodo fisso. L’aveva posta in un gradino così alto nella sua mente, da farla diventare perfetta >>, spiegai guardando il giovane negli occhi. << Si era convinto che se avesse avuto tra le sue braccia la ragazza, allora tutti i suoi problemi sarebbero svaniti. Non era amore. L’ossessione non è mai amore >>
<< Vero. Però tutto questo, allora, non ha senso >>, commentò Ianto indicandosi intorno.
<< Perché, quando mai le questioni amorose hanno senso? >>, domandai retoricamente.
<< Come sei saggia, prof. È per questo che mi piaci >>, mi sorrise divertito il giovane.
<< Oh, ma stai zitto >>, lo zittii nuovamente, arrossendo vistosamente.
Quella mattina era cominciata male, e stava proseguendo peggio. Avevo dovuto spiegare la ragione per cui Nicola si trovasse in ospedale al preside. Ovviamente avevo dovuto inventare una bugia, dicendo che l’incidente del pomeriggio precedente, provocato da quel trio combinaguai, omettendo ovviamente il loro coinvolgimento, aveva fatto sentire male il ragazzo. Era dovuto andare urgentemente in ospedale, e li avevano deciso di trattenerlo per qualche giorno. Questa scusa, sono stata costretta anche a ripeterla ai genitori del giovane. Mi sono sembrati sinceramente preoccupati per il figlio, perciò tutte quelle ansie e paranoie di Nicola, secondo me sono state dettate solo da una cosa: l’adolescenza. Ogni adolescente entra in conflitto con i propri genitori, arrivando a pensare di non essere amati. E questo valeva anche per quelli ricchi. Passarono altri dieci minuti, finché alla fine la porta della camera di Nicola si aprì, ed uscirono provati ma entusiasti Mario e Margherita.
<< Professoressa >>, mi chiamò il ragazzo.
<< Allora com’è andata? >>, domandai sorridendogli.
<< Bene. Abbiamo chiarito, ed ora siamo di nuovo fratelli >>, spiegò felice Mario.
<< E anche con me adesso siamo di nuovo amici. Non mi odia >>, aggiunse raggiante Margherita.
<< Sono contenta. Ora andate a casa? >>, domandai.
<< Si. Nicola è stanco. Torneremo domani. Per oggi ci accontentiamo di sentirci telefonicamente >>, confermò il ragazzo.
<< Bene >>
<< Professoressa? >>, mi chiamò titubante Mario.
<< Dimmi >>, lo esortai curiosa.
<< Grazie >>, disse fissandomi negli occhi. Erano talmente seri, da lasciarmi spiazzata.
Non risposi, limitandomi a ricambiare lo sguardo. Poi i due ci salutarono, e scomparirono per i corridoi. Non sprecai altro tempo, ed entrai insieme a Ianto nella stanza di Nicola. Era li, seduto, raggiante e con residui di lacrime sul volto.
<< Professoressa >>, esclamò felice.
<< Ciao Nicola >>, dissi andando a sedermi sul letto.
<< Grazie di cuore. Davvero. Mario mi ha raccontato cosa ha fatto ieri sera >>, affermò il giovane stringendomi una mano. Con l’altra lo andai ad accarezzare in testa.
<< Non ho fatto nulla. Ho solo detto come stavano le cose. Sono stati qui due a capire >>, mi sminuii.
<< No, non è vero. Senza di lei, le cose non si sarebbero mai smosse. Ed io, probabilmente, non sarei qui >>, spiegò dolcemente Nicola.
<< Adesso hai capito i tuoi veri sentimenti per Margherita? >>, domandai cambiando completamente discorso.
<< Si >>, annuì timidamente il giovane. << La mia era un’ossessione malsana. Non dovevo arrivare a tanto >>
<< L’importante e che tu abbia compreso i tuoi errori, e che impari da essi >>, lo ammonii saggiamente.
<< Già. Ed è per questo che ho preso contatti con un gruppo di sostegno per ex drogati. Voglio uscirne il più pulito da questa storia >>, mi confessò sereno il giovane.
<< Sono orgogliosa di te >>, affermai sorridendogli. Ero davvero felice per come si erano risolte le cose.
<< Sa, è stata una ragazza di un anno più piccola di me a dirmi di questo gruppo. È passata di qua, e mi ha visto. Senza dirmi nulla, è entrata e mi ha detto di questo gruppo. Quando le ho chiesto come sapesse che ero un drogato, mi ha risposto che lo capiva dai miei occhi. Lei partecipa perché il padre è anche lui come me, e quindi la vedrò di nuovo >>, disse emozionato.
<< E’ carina? >>, domandai divertita.
<< E’ bellissima. Quasi quanto lei >>, affermò con naturalezza.
A quelle parole arrossii vistosamente, e con la coda dell’occhio vidi Ianto agitarsi. Potevo leggere dal suo sguardo l’odio e la gelosia che provava nei confronti di Nicola. Intimamente sorrisi. Non capivo perché, ma saperlo geloso mi rendeva felice.
<< Professoressa, io vorrei condividere con lei una cosa, se permette >>, disse con serietà Nicola.
<< Cosa? >>, domandai perplessa. Non sapevo perché, ma non ero molto tranquilla.
Infatti, neanche un minuto dopo, le labbra di Nicola poggiarono dolcemente sulle mie. Erano calde e leggermente screpolate. Impacciate ed anche timide. Sapevano di buono, anche se lasciavano un leggero retrogusto di medicinali. Le sue labbra si mossero lentamente sulle mie, ma non approfondì quel contatto. Niente lingua o altro. Solo uno sfiorarsi di labbra. Dopo un paio di minuti, Nicola si staccò e mi sorrise felice.
<< Volevo che il mio primo bacio fosse con lei, prof. Lei mi ha salvato, e avrà per sempre un posto speciale nel mio cuore >>, sussurrò felice.
Dal canto mio, non riuscivo a muovermi o a dire una parola. Sentivo dietro la schiena due occhi perforarmi da parte a parte. Sapevo che Ianto era a dir poco furibondo. E questa gatta da pelare, proprio non sapevo come risolverla. Per mia fortuna venne un’infermiera che ci disse di andare, perché il paziente doveva riposare. Salutai impacciatamente Nicola, ed uscii insieme a Ianto. Ci incamminammo silenziosamente. Quando poi quella situazione divenne ingestibile, sbottai.
<< Ianto, finiscila. Numero uno non hai il diritto di essere arrabbiato, numero due hai visto come sono andate le cose, no? >>, esclamai esasperata.
<< Non ho il diritto di essere arrabbiato? Io ho tutti i diritti di essere furioso con quel moccioso >>, affermò infuriato il giovane.
<< Moccioso? Ma se avete la stessa età >>
<< Questo è irrilevante >>, si bloccò in mezzo al piano d’ospedale, e mi fermò poggiando una mano sul mio braccio. << Come devo farti capire che tu mi piaci, e che sono geloso anche dell’aria che respiri? Io voglio essere l’unico per te >>, dichiarò senza riserve e con serietà. Ogni volta che diceva frasi di questo genere, mi spiazzava sempre. Portai una mano alla fronte, cercando di coprire il mio viso arrossito.
<< Perché devi dire sempre queste cose così imbarazzanti? >>, sospirai sconcertata.
<< Perché è la verità >>, dichiarò con fare solenne.
<< Non migliori la situazione >>, dissi a fior di labbra. poi alzai lo sguardo e lo puntai nei suoi occhi. Pessima scelta, perché quel ghiaccio mi inglobò completamente. << Senti mi dispiace, ma è stato un piccolo bacio senza pretese, dato come ringraziamento, chiaro? Niente di più >>
Vidi Ianto riflettere su quelle parole. Poi si avvicinò lentamente. Mise un braccio intorno alla mia vita, ed appoggiò l’altra mano sulla mia guancia, catturandomi in una morsa. Accostò il suo viso al mio, togliendomi tutto il respiro. Sentivo il cuore battere furiosamente nel petto.
<< Ianto… che fai >>, sussurrai in cerca di aria.
Il giovane non rispose, ma avvicinò sempre di più il volto. Quando poi chiuse gli occhi, non riuscii a trattenermi. Feci altrettanto, aspettando da un momento all’altro quel contatto. Sentivo per tutto il copro una scarica elettrica. Ero felice. Improvvisamente, dopo tanto tempo, ero felice. E questo mi spiazzava. Passò, però, un minuto, ma non sentii le labbra di Ianto poggiarsi sulle mie. Aprii lentamente un solo occhio, e vidi il giovane fissarmi trionfante con un sorriso arrogante.
<< Punizione >>, sussurrò giocoso.
A quel punto arrossii ferocemente, e mi scansai di corsa.
<< Come… cosa >>, mormorai confusa.
<< Dovevo fartela pagare per il bacio di Nicola, e anche per ieri che mi hai chiamato sirenotto >>, rispose facendomi la linguaccia.
Lo fissai con odio puro.
<< Comincia a correre >>, sussurrai maligna.
Ianto non se lo fece ripetere due volte, e prese a correre divertito per il piano d’ospedale. Io lo seguii, urlandogli contro le peggiori frasi, ed ignorando le parole di ammonimento delle infermiere. In quel momento vedevo solo Ianto, che correva giocoso e sorridente, davanti a me. Non c’era altro. Il mio intero essere era rivolto verso di lui.




Bunosera a tutti...Eccoci con il nuovo capitolo di "Eppure mi ha cambiato la vita"...
parto col chiedere scusa del ritardo, ma martedi quando volevo pubblicare non andava internet, e ieri mi sono dimenticata di farlo ^-^ chiedo venia XDXD
che dire del capitolo? conosciamo nicola, la sua storia, e conosciamo anche altri tre personaggi della classe di lisa...ovviamente mario e nicola, hanno bisogno di essere aiutati, e quindi siamo già a quota cinque elementi disperati...però anche carlo e andrea avranno i loro piccoli problemini, ma non voglio anticipare nulla XDXD...spero che il capitolo vi sia piaciuto, ed io corro a nascondermi dalla furai di _rain_ e Allegra_ per il bacio tra nicola e lisa, e quello mancato tra ianto e lisa...ragazze se mi uccidete sappiate che non vedrete mai il bacio tra i due protagonisti +_+ haha vi ho avvisate U.U
ovviamente ringrazie tutti quelli che leggono e seguono la storia, ed in particolar modo a quelle persone che recensiscono...grazie mille, come sempre...sarò monotona e ripetitiva, ma grazie davvero...
ed quini adesso vi saluto e vi aspetto martedi con un nuovo capitolo della storia XDXD
un bacio
Moon9292

Ps: Allegra_ tu mi chiedesti l'immagine di roberto e paolo...allora ti posso dire che scoprirai il loro aspetto tra un paio di capitoli, quando pubblicherò anche la one shot dedicata a loro due (solo che sarà a rating rosso, quindi spero che tutti voi siate maggiorenni XDXD)


"Sentii quel maledetto campanello squillare per l'essesima volta. Dannazione, non ce la facevo più"

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Capitolo 15
*** Consulenze di natale ***


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Capitolo 15 - Consulenze di natale


Ah dea bendata. Dove sei? Cosa ne è stato di te? E soprattutto: perché mi odi così tanto? Credevo che alla sfortuna ci fosse un limite, ma evidentemente mi sbagliavo. Anzi, non evidentemente. Era una cosa certa. Appurato sotto pelle, con anni e anni di esperienza, la dea bendata aveva decisamente scelto il suo bersaglio da abbandonare. Mia zia mi ripeteva alle volte, quando tornavo a casa dopo una giornata penosa a scuola, che quando Dio stava distribuendo la fortuna io ero in bagno. E aveva dannatamente ragione. Facendo un rapido riepilogo della mia vita negli ultimi anni, potevo evidenziare una lista a dir poco triste. Dunque, a soli ventinove anni ero diventata vedova, perdendo per sempre l’uomo di cui ero profondamente innamorata. Poi, non contenta di ciò, restando a casa stavo perdendo poco a poco il senno, così ho fatto i bagagli e, da migliore codarda quale ero, sono scappata in un’altra regione, per iniziare un lavoro che con me poco aveva a che fare: l’insegnante. E questo, di per se, è già abbastanza ridicolo. Non soddisfatta, mi hanno anche assegnato una classe difficile, in tutti i sensi. E da quando sono arrivata qui, non ho fatto altro che cacciarmi e togliermi dai guai. Ho salvato Ianto dal suo baratro oscuro. Ho salvato Paolo dal suo tentato suicidio e dalla sua depressione. Ho salvato Roberto dal suo lavoro e dalla sua vita. Ho salvato Nicola strappandolo alla droga, e ho salvato il suo rapporto con Mario. E in tutti ciò sono costantemente stata pedinata da quel folle di Ianto, che ha preso una cotta per me, e adesso non mi lascia in pace. E soprattutto mi sconvolge costantemente nei miei sentimenti. Ma arrivare il 25 di dicembre, Natale, la festa più bella dell’anno a detta di molti, con trentanove e mezzo di febbre, era davvero un’esagerazione! Non potevo essere così sfortunata da dover passare la giornata più felice del mondo, costretta nel mio triste appartamento senza neanche un pranzo decente. Senza un amico, o anche un parente vicino a me. Ormai avevo perso le speranze in mia madre, e mia zia non c’era più da molto tempo, e quello sarebbe stato il secondo natale senza mio marito. Peggio di così, si muore. La scuola era finita il 21 di dicembre, e il giorno dopo mi sono ritrovata con questa febbre da cavallo. Ovviamente Ianto mi ha dato il tormento, volendo venire a trovarmi a tutti i costi, ma glielo avevo proibito. Non esisteva che quel ragazzo per colpa mia si ammalasse. La parte razionale di me, mi suggeriva che era questo il motivo. Quella irrazionale, invece, nascosta nel profondo della mia anima, non voleva che il giovane soffrisse, che stesse male. Lo volevo preservare da tutti i mali del mondo. Anche dai batteri. E questa parte di me, dovevo sopprimerla a tutti i costi. Non mi sarei lasciata affogare nei miei sentimenti. Assolutamente! Su questo ero molto decisa. Non avrei ceduto neanche di un millimetro, anche se il lavoro era davvero faticoso. Alle volte mi domandavo se valesse davvero la pena battermi così tanto per cancellare queste emozioni che solo lui riusciva a provocarmi. Mi chiedevo cosa ci fosse di tanto sbagliato se mi lasciavo andare a lui. Ma poi la vocina razionale del mio cervello, mi ricordava perché ero li a Roma, e non a casa mia. E mi ricordava anche quanto fossi stata codarda, e spaventata, per arrivare ad abbandonare la mia vita di punto in bianco. Ma non avevo altra scelta. O meglio, la scelta c’era, ma non era accettabile. Per questo avevo lottato con le unghie e con i denti, per fare in modo che quel moccioso non venisse a trovarmi neanche un giorno. E, stranamente, c’ero riuscita. Mi aspettavo che Ianto fosse più combattivo, ma evidentemente il desiderio di vedermi non doveva essere troppo forte. Questo pensiero mi intristiva parecchio, perché sempre quella parte irrazionale di me, si rendeva conto di desiderare le attenzioni che il ragazzo aveva nei miei riguardi. Ma questo era un controsenso. Perché io non volevo quelle manifestazioni di affetto. Insomma, ero davvero un gran casino. E in più, la mia testa stava esplodendo per via del dolore e della febbre. Quella mattina mi ero trascinata con le mie ultime forze, sul divano del salotto. Avevo acceso il camino, facendo riscaldare l’ambiente, visto che si gelava. Mi stupivo ancora della presenza di un camino in quella casa piccolissima. Insomma, non aveva molto senso, ma chi ero io per dire che qualcosa non avesse senso? Comunque, ero seduta con una coperta sulle gambe e il mio fedele libro tra le mani. Il programma della giornata prevedeva: leggere, leggere e ancora leggere. Forse, se ne avessi avuto la forza, avrei provato anche a mangiare, ma su questo punto dovevo ancora riflettere attentamente. Il mio unico addobbo natalizio, un alberello striminzito comprato nel supermercato già addobbato e festante, era stato posizionato sul muretto che separava l’ambiente della cucina dal salotto. Stavo sfogliando il mio libro, quando ad un certo punto bussarono alla porta. Il mio cervello scattò all’istante. Nuovamente le due parti del mio essere erano in conflitto: una parte desiderava fosse Ianto, e l’altra ripugnava con tutta se stessa quell’opzione. Mi alzai con gran fatica, trascinandomi verso l’ingresso, con ancora una lotta interiore accesa. Quando aprii cautamente la porta, quel duello cessò decretando il vincitore. Davanti ai miei occhi vi era un ragazzo dai capelli e occhi scuri, vestito di pelle nera e con la faccia bucherellata da piercing. Mario, nel suo splendore di emo, era dinanzi alla mia porta dell’appartamento. A quella vista, spalancai la bocca, incredula. Come faceva quel ragazzo a sapere dove abitavo, ma soprattutto che ci faceva a casa mia?
<< Mario >>, lo chiamai con voce squillante.
<< Buongiorno professoressa. So che è presto, ma vorrei parlare >>, si scusò il ragazzo.
Lo lasciai entrare, senza proferire parola, costatando che effettivamente era molto presto. Erano solo otto e un quarto. Cosa voleva da me quel giovane, ad un orario improponibile? Ci accomodammo sui due divani, uno di fronte all’altro. Rimisi nuovamente la coperta sulle mie gambe, in stile vecchietta, e lo fissai stranamente divertita dalla sua presenza. Insomma, quel ragazzo stonava completamente con quell’appartamento.
<< Allora, Mario. Cosa posso fare per te? >>, domandai affabile.
<< Ho bisogno di un consulto >>, affermò con decisione il giovane.
<< Un consulto? >>, chiesi perplessa. La situazione cominciava a puzzarmi.
<< Si, avrei bisogno di un suo parere. Lei è una donna, giusto? >>, cominciò Mario, diventando sempre più nervoso.
<< Beh, così mi è stato detto. Ma credo che su questo punto, abbiamo più che abbondantemente discusso il primo giorno di scuola, mi pare >>, abbozzai un sorriso ricordando quel giorno. Il giorno in cui la mia vita era completamente cambiata.
<< Già, è vero. Giuliano >>, disse semplicemente il ragazzo, sorridendo anche lui al ricordo. << Comunque lei, visto che è una donna, cosa farebbe se scoprisse che è incinta? >>, domandò tornando serio. Troppo serio. Incredibilmente serio.
Quella domanda mi spiazzò completamente. E ora che diavolo gli rispondevo? Ma soprattutto perché mi faceva una domanda di quella portata? Una strana sensazione cominciò a colpirmi lo stomaco. E non mi piaceva.
<< Ehm, Mario. Io ho trent’anni, quindi direi che se fossi sposata, e con l’uomo giusto, sarei molto felice di avere un bambino >>, spiegai sorridendo fintamente. Quella risposta mi aveva ricordato in un solo istante, tutto ciò che non avevo più, e che non potevo avere. Una famiglia. Cacciai prepotentemente le lacrime indietro. Non dovevo mostrarmi debole.
<< Ok. Ma se lei avesse vent’anni, e il suo fidanzato diciassette? Se non foste sposati, ma siete ancora in quella fase della vita in cui non capite un accidenti di ciò che volete essere, del futuro, e di tutte quelle altre cagate li? Che farebbe? >>, ripartì alla carica, agitandosi come un cavallo imbizzarrito sul mio divano.
<< Mario, sinceramente non so che risponderti. Per farlo, dovrei trovarmi nella situazione, ma non ci sono >>. Sul volto del ragazzo apparve un’espressione delusa ed infelice, che mi colpii il cuore. Io odiavo quando le persone stavano male. Accidenti a me e alla mia sensibilità. << Però posso provare a fare un ipotesi >>, azzardai sperando di non fare casini.
Quando vidi sul volto del giovane comparire uno sguardo entusiasta, carico di aspettative, mi resi conto che come mio solito mio ero cacciata nei guai. Perfetto! Sola a natale, con la febbre alta, ed un ragazzo incredibilmente nero con domande difficili che si aspetta risposte intelligenti da parte mia. Meglio di cosi non poteva andare.
<< Ehm, credo che forse sarei confusa, ansiosa, e incredibilmente preoccupata per il mio futuro >>, quando cominciai a parlare, però, una strana calma scese nel mio cuore. Era come se le parole che stavo pronunciando, le sentissi vere, e non di circostanza. Questo mi convinse a proseguire. << Sarei preoccupata perché sono giovane, ho un futuro davanti a me, ed un bambino non rientra nei miei piani. In più, con un padre così piccolo, è davvero una grande responsabilità. Un ragazzo di soli diciassette anni, che praticamente ha smesso di prendere il latte dalla mamma solo pochi anni fa, non è in grado di curare un bambino >>, alle mie parole, Mario si rabbuiò davvero tanto. Ciò che dicevo lo stava ferendo, ma non avrei potuto sostenere altro. La verità, come sempre, fa male. << Ci sarebbero cose a cui dovrei rinunciare, e cose completamente diverse. La responsabilità di una nuova vita, ricadrebbe completamente sulle mie spalle. Essere pronti a tutto questo, è impossibile. Non lo si è da adulti, figurarsi da ragazzi >>
<< E se il padre in questione, lo volesse questo bambino? >>, sussurrò Mario, fissando mestamente il pavimento.
<< Gli farebbe onore. Ma un bambino non è un giocattolo. Volerlo con tutto il cuore, è diverso che crescerlo. Questo padre… >>, rimasi vaga, perché se avessi detto chiaramente che il padre era il giovane davanti ai miei occhi, sapevo che sarebbe scappato. << …deve rendersi conto che un figlio è qualcosa di immensamente grande, e che bisogna fare la scelta giusta, non basandosi sui propri desideri. Ma sulle esigenze del bambino. È lui la persona più importante, non il padre o la madre. Bisogna pensare a ciò che è meglio per questa nuova creatura >>
<< Mi sta suggerendo che devo dare in adozione mio figlio? O peggio, che Margherita deve abortire? >>, domandò alterato Mario, alzando di scatto lo sguardo e puntandolo nel mio. Aveva finalmente abbandonato quella farsa del nascondere la verità sul bambino e sui genitori. Questo era di buon auspicio. Dimostrava che stava pensando al figlio. In una maniera contorta, ma ci stava pensando.
<< Mario, elimina l’ipotesi aborto, perché non va neanche considerata. Una vita è una vita, che sia passato un giorno dal concepimento, o mesi. Perciò abortire, equivarrebbe ad uccidere tuo figlio con le tue stesse mani. Ma l’adozione… >>, lasciai in sospeso la frase. Dare in adozione un bambino era orribile. Specie perché sentirsi rifiutati dai propri genitori, ancora in fasce, significava segnargli per sempre la sua esistenza. Io capivo perfettamente come ci si sentisse ad essere rifiutati dai tuoi stessi genitori. Indegno, sporco, macchiato di un peccato impossibile da lavare. Non era bello. Ma non tutti sono destinati ad essere dei genitori, perciò per il bene di un figlio, bisognava anche lasciarlo andare.
<< Non voglio >>, sussurrò Mario tra le lacrime. Si prese la testa tra le mani, disperato, e cominciò a scuoterla.
Non mi alzai dal mio posto sul divano. Farlo era inutile. Non potevo lavare via quel suo dolore. Tutto ciò che potevo fare, era assisterlo silenziosamente.
<< Mario >>, lo richiamai dopo vari minuti di silenzio. Il giovane alzò di poco lo sguardo, fissandomi di sottecchi. << Le cose stanno così. O fai nascere tuo figlio, rinunciando a molte cose, e sperando di essere un buon genitore. Ma sapendo di non poter garantire un buon futuro per tuo figlio. Oppure lo lasci andare, sperando che il domani per lui sia migliore. Una famiglia pronta a crescerlo, ad accudirlo, che gli dia affetto e amore, e gli garantisca un futuro. Per ogni scelta, c’è sempre una conseguenza. Le due facce di una stessa medaglia. Tu cosa scegli? >>, dissi seria, fissandolo negli occhi. Volevo che lui capisse che qualsiasi cosa avesse fatto, avrebbe dovuto pagarne le conseguenze. A cosa era disposto a rinunciare? Quanto maturo era quel giovane? Era questo che doveva capire, ma solo con le sue forze.
<< Io gli voglio già bene >>, mormorò sofferente Mario.
<< Lo so >>, annuii mestamente. Vederlo in quello stato mi straziava il cuore.
<< Voglio solo che lui sia felice >>, continuò a sussurrare.
<< Lo so >>, confermai nuovamente. ‘Forza, ragazzo, puoi arrivare alla scelta giusta!’, lo incitai mentalmente.
<< Lei mi ha detto che questo bambino stravolgerà completamente il mio futuro. Che dovrò rinunciare a tante cose, e che non potrò mai garantirgli un futuro felice, nelle condizioni in cui sono ora. Se i miei genitori sapessero di questo bambino, mi diserederebbero e mi caccerebbero di casa. Un bambino a diciassette anni, con una popolana… un vero orrore per loro >>, mormorò infelice. Fissava il pavimento, quasi avesse paura a guardarmi. << Questo bimbo vivrebbe odiato dai nonni, con dei genitori troppo giovani per capire cosa è meglio per lui. E probabilmente gli rovineremmo la vita. Eppure… >>, sussurrò quell’ultima parola. Poi alzò lo sguardo di scatto puntandolo nel mio con decisione. << …nonostante tutto questo, io non posso abbandonarlo. Lui è mio figlio. È una parte di me. E so, ancora prima di conoscerlo, che è la parte migliore di me. Io non lo lascerò, anche se so tutto questo, anche se so che mi odierà, io non posso lasciarlo andare >>, affermò con forza.
<< Bravo, ragazzo >>, sorrisi felice. Era quella la risposta che speravo sentire.
<< Come? >>, chiese confuso Mario. Si aspettava tutt’altra mia reazione.
<< Hai ascoltato le mie parole. Hai compreso le difficoltà che avrai in futuro. E nonostante ciò, non hai mollato. Molti ragazzi della tua età avrebbero scelto l’affidamento, perché spaventati da questo futuro incerto e pieno di rinunce. Tu hai scelto tuo figlio. E questo ti fa onore >>, spiegai serenamente. Ero convinta di tutte le parole che avevo pronunciato in quel quarto d’ora. E sapere che tra nove mesi ci sarebbe stata una nuova vita, mi rendeva felice. Forse dopotutto, quel natale non era poi tanto male.
<< Grazie, professoressa. Lei mi ha salvato… di nuovo >>, mormorò imbarazzato Mario.
<< Non ho fatto nulla. Sei stato tu a fare tutto >>, risposi con convinzione.
Il ragazzo mi fissò per qualche istante. Poi sorrise e si alzò lentamente dal divano.
<< Ora vado >>, annunciò avviandosi verso la porta. Stavo per alzarmi e accompagnarlo, ma mi bloccò con un gesto della mano. << Ero così preso dai miei problemi, che non le ho chiesto neanche come stava. Grazie, professoressa. Di tutto. Buon natale >>, mi salutò con un sorriso, dirigendosi versò l’ingresso.
Aprì la porta, ed uscì senza voltarsi. Beh, come inizio di giornata, non era andata poi tanto male. Scacciai dalla mente i pensieri su Mario, e tornai beatamente al mio libro.
 
Era passata un’ora da quando Mario era uscito dalla porta di casa. Stavo ancora leggendo. In quel lasso di tempo, non mi ero mossa di un solo millimetro. E molto probabilmente le mie ossa avrebbero gridato vendetta. Ero arrivata ad un punto cruciale della storia, quando ad un certo punto, qualcuno bussò alla porta di casa. Alzai velocemente gli occhi, puntandoli sull’ingresso, domandandomi chi diavolo potesse essere di nuovo. In me ricominciò quel dannato duello. Alle volte mi odiavo da sola. Quando aprii la porta di casa, questa lotta decretò nuovamente il vincitore. Davanti a me, vi era un ragazzo alto, un volto semplice, ma con dei meravigliosi occhi nocciola, da penetrarmi in fondo all’anima.
<< Paolo. Che ci fai qui? >>, chiesi perplessa.
<< Posso entrare professoressa? >>, domandò triste il giovane.
Lo feci accomodare nuovamente sul divano, dove un’ora prima vi era stato Mario. Mi misi di fronte, fissandolo attentamente. Era agitato, e stava pensando a qualcosa. Lo percepivo semplicemente guardandolo, e questo mi stupii. Mi ero davvero legata al giovane.
<< Pensavo fossi nella casa in montagna con i tuoi genitori >>, dissi rompendo il silenzio.
<< No, beh da quando vado al liceo, festeggio li solo alla vigilia, poi a natale torno qui e sto con Ianto >>, spiegò abbassando lo sguardo.
<< E allora cosa ti porta qui da me? >>, chiesi perplessa.
<< Ecco c’è una questione che vorrei discutere con lei, professoressa >>, spiegò imbarazzato.
‘Anche tu’, pensai divertita. Quel natale si stava rivelando interessante.
<< Dimmi >>, lo esortai dolcemente.
<< Vede, quest’anno io e Ianto non festeggiamo insieme >>, cominciò a raccontare Paolo.
<< Ah no? >>, domandai curiosa.
<< No. Ho chiesto a Ianto se potevamo rinunciare solo per questa volta alla nostra tradizione >>, continuò il giovane fissando sempre il pavimento.
<< E come mai, se posso chiedertelo? >>, avevo come la netta impressione che centrasse qualcosa il fidanzato.
<< Volevo festeggiare il natale, per la prima volta da soli, con Roberto >>, sussurrò diventando rosso come un peperone.
Bingo! Esultai felice per averci preso nuovamente. Sorrisi divertita dall’espressione del giovane. Alle volte era davvero timido.
<< E’ una cosa bella. Ma non capisco quale sia il problema >>, affermai confusa. Per quanto potevo indovinare alcune cose, altre mi restavano ignote. Non avevo la palla di vetro, dopotutto.
<< Io e Roberto stiamo insieme da più o meno un mese, no? >>, esclamò, sviando la mia domanda. Continuava a fissare ostinatamente il pavimento.
<< Ehm, credo di si. Ma non capisco… >>, dissi increspando le sopracciglia con fare dubbioso. Ma fui interrotta da un’esclamazione che davvero mi lasciò sbigottita.
<< Voglio fare sesso con Roberto >>, dichiarò con decisione Paolo, alzando lo sguardo da terra e puntandolo nel mio.
Anche quel ragazzo era una contraddizione vivente. Faceva affermazioni di questa portata con un tale impeto, eppure arrossiva anche fin sopra la punta delle orecchie. Lo fissai davvero meravigliata. Tutto mi sarei aspettato da quel giovane, ma non una frase simile. Insomma, non era a me che doveva fare certe confessioni. Nonostante la mia età, provai imbarazzo. Quella situazione era davvero comica e assurda, a mio modo di vedere le cose.
<< Ehm, ok >>, dissi come un’idiota. << Però io non vedo dove sia il probl… >>, ma fui bloccata nuovamente.
<< Lui non vuole >>, spiegò abbassando nuovamente la testa.
Ecco, quello si che era davvero il raggiungimento dell’apice di assurdità giornaliera. Questa proprio non me l’aspettavo. Roberto, innamorato perso di Paolo, che non vuole fare sesso con lui? Era incredibile anche solo a pensarla una frase simile. Un campanello nella mia testa, comunque cominciò a suonare, segno che i miei neuroni stavano lavorando per trovare una spiegazione a tale affermazione.
<< Ah >>, esclami sempre più stupida.
<< Già >>, confermò in un sospiro Paolo.
<< Posso chiederti perché? Tu sai il motivo? >>, domandai cautamente. Non volevo ferirlo.
<< Lui dice che… ha paura >>, mormorò mestamente.
A quel punto una luce nel mio cervello si accese, facendomi capire tutto, o quasi.
<< Per via del suo ex lavoro >>, constatai tristemente. Alla fine quel brutto periodo lo aveva segnato davvero tanto. Era impossibile che una cosa simile non si ripercuotesse nella sua vita attuale.
<< E anche per via della malattia >>, confermò Paolo, aggiungendo il dettaglio della sieropositività.
<< Capisco >>, mormorai guardando il pavimento.
Rimanemmo in quello stato per vari minuti. Non sapevo che dire. Da una parte comprendevo Paolo e il suo desiderio di unirsi con il fidanzato, ma dall’altra capivo anche i timori di Roberto. Era davvero un gran bel casino.
<< Io non riesco a capire. Forse non mi ama abbastanza. Forse non gli piaccio fisicamente >>, sussurrò infelice il ragazzo. Ecco, ci mancava solo che partisse per uno dei suoi viaggi mentali. Eravamo davvero a cavallo.
<< Paolo, non dire stronzate. Te l’ha spiegato anche lui il perché della sua reticenza >>, lo rimproverai per la sua insicurezza, tornando a guardarlo.
<< Ma sono motivi assurdi. Non stanno ne in cielo ne in terra >>, affermò con livore il giovane, alzando gli occhi dal pavimento e puntandoli nei miei.
<< Non hanno senso? Paolo, ti rendi conto di quello che Roberto ha subito? Della violenza che ha sopportato? Del dolore fisico e spirituale? Hai idea di quanto lui sia stato segnato da quell’esperienza? >>, domandai incredula. Un discorso così egoista da parte di Paolo non me lo aspettavo proprio.
<< Lo so. Io me ne rendo conto >>, confermò il giovane tornando a guardare il pavimento. << Ma è proprio per questo motivo che voglio farlo. Voglio che lui abbia un ricordo felice del sesso, io voglio ripulire il suo animo. E solo facendo sesso posso farlo. Voglio dimostrargli che quell’atto è la cosa più bella che due innamorati possono fare, e non una violenza. Voglio che lui sia felice >>, affermò Paolo con amore.
Lo guardai ammirata. Il suo discorso egoista nasceva dalla volontà di far stare bene il suo uomo. E questo gli faceva onore. Quel giovane era una scoperta continua.
<< E’ un pensiero molto bello il tuo. Ma non credo sia così semplice. Lui vede il sesso come un qualcosa di squallido, indipendentemente  dalla persona con cui lo fa. È più forte di lui >>, affermai con dolcezza.
<< Ma proprio per questo voglio farlo. Io voglio che lui mi guardi e pensi: “ecco, lui mi rende felice”. Non pretendo di cancellare il suo dolore con la spugna. Ciò non avverrà mai, ma non posso accettare il fatto che lui non sia felice. Farlo con me, fargli prendere la mia prima volta, diventerà a sua volta la sua prima esperienza. Non so se riesco a spiegarmi >>, dischiarò agitato il giovane, cominciando a grattarsi la testa.
<< Tu quindi stai parlando del fare l’amore, cosa che per entrambi è estranea? >>, chiesi pensando di aver trovato il bandolo della matassa.
<< Esatto >>, confermò Paolo.
Un pensiero più ingenuo e innocente non l’avevo mai sentito. Sorrisi emozionata. Paolo era davvero una grande persona, da un cuore puro e generoso. Nessun altro avrebbe mai pensato a qualcosa di simile. Ciò che più gli stava a cuore era la felicità di Roberto, e avrebbe fatto in modo di dargliela. E quel pensiero sul fare l’amore era la dimostrazione palese di quanto ci tenesse.
<< E’ ammirevole da parte tua. Però forse dovresti aspettare che anche Roberto si sia convinto di ciò. State insieme da poco tempo, in fin dei conti >>, non che fossi contraria al pensiero di Paolo, ma anche il fidanzato doveva esserne certo. Altrimenti sarebbe stata una nuova violenza per lui.
<< Aspettare? Cosa dobbiamo aspettare? Abbiamo atteso quattro anni per poter arrivare fin qui. Lo amo ormai da tempo immemore, e abbiamo rischiato davvero tanto, prima di metterci insieme. Io non voglio più aspettare >>, affermò con enfasi il giovane dagli occhi nocciola.
Ed effettivamente aveva ragione. Quei due avevano sfiorato la possibilità di non stare più insieme. Ora si meritavano la felicità. Ma c’era ancora un punto da sistemare.
<< Paolo, ti rendi conto che voi non sarete come le altre coppie? Non lo sarete mai? >>, domandai tristemente.
<< In che senso? >>, chiese confuso il giovane fissandomi negli occhi.
<< Lui sarà sempre sieropositivo, che tu lo voglia o no. Non potrete essere come le altre coppie nella vita intima, perché il rischio è troppo >>, spiegai dolcemente.
<< Lo so >>, confermò il ragazzo.
<< Davvero? Sei sicuro? >>, continuai con decisione. << Ti rendi conto che il vostro rapporto sessuale  dovrà essere protetto, sempre? Che non potrai mai provare il piacere di sentire un corpo caldo dentro di te? Che questo sarà sempre chiuso da un involucro che vi separerà fisicamente? Lo sai? >>, domandai con un tono forse un po’ troppo acido, ma necessario per fargli capire certe cose.
<< Lo so >>, annuì Paolo, con decisione.
<< Sai anche che certe cose non potrete farle, o se le fate dovranno essere comunque protette? Sai che non potrai mai… ‘assaggiarlo’? >>, domandai, arrossendo imbarazzata. Non avrei mai pensato di dover affrontare un simile discorso, da ammalata e a natale.
<< Lo so >>, riconfermò Paolo, arrossendo anche lui. Era divertente vederlo di quella tonalità.
<< Paolo, voi sarete costantemente assaliti dall’ansia che qualcosa possa andare storto. La paura viva che tu possa rimanere contagiato, in ogni momento, o che le condizioni di Roberto possano peggiorare da un momento all’altro. Sei consapevole di tutto questo? >>, continuai con serietà. Volevo capisse a cosa stava andando in contro, con quella decisione. Che comprendesse che la situazione era davvero più grave di quello che credeva. Paolo mi fissò con decisione negli occhi, senza rispondermi.
<< Lui è tutto ciò che voglio. Scalerei monti, e affronterei ogni male di questo mondo. Tutto per lui. Perché lui è il mio mondo. Vorrei fare l’amore con lui per sempre, perché questo mi renderebbe felice. Io so solo questo, e forse può essere poco per lei. Ma a me basta. Io lo amo >>, spiegò con un tale trasporto, che mi trovai a provare i suoi stessi sentimenti. Paolo era davvero la persona migliore di questo mondo. Sorrisi serena per quelle parole. Non vi erano più dubbi sulla portata dei sentimenti che il ragazzo nutriva nei confronti del fidanzato.
<< E allora cosa stai aspettando? Vai da lui, e digli queste stesse parole. Forse opporrà resistenza all’inizio, ma capitolerà. Non potrebbe fare altrimenti >>, lo spronai entusiasta.
Paolo mi fissò, e sorrise a sua volta. Era contento per le mie parole. In fin dei conti aveva solo bisogno di qualcuno che lo ascoltasse e lo appoggiasse nelle sua decisione. Si alzò dal divano, avvicinandosi velocemente a me, e senza preavviso mi abbracciò forte. Rimasi spiazzata da tale gesto, ma poi ricambiai felice. Mi ero davvero affezionata a Paolo.
<< Grazie >>, sussurrò nel mio orecchio.
<< Non ho fatto nulla. Sei tu che hai fatto tutto >>, riaffermai nuovamente. Quei ragazzi stavano crescendo velocemente, e al contempo maturavano. Ed io ero onorata di poter assistere a tale spettacolo.
 
 Dieci e venti. Seduta sul divano, leggevo il mio adorato libro. Avevo detto che avrei passato in quel modo la mattina, no? Beh, stavo adempiendo solo ciò che mi ero prefissata. Ma quando suonarono nuovamente alla porta, cominciai a temere che ci fosse una congiura contro di me. Che diavolo avevano tutti quanti quella mattina? Nessuno era con la propria famiglia a festeggiare il natale? E perché nel mio cervello era ricominciata quella dannata lotta tra razionalità ed irrazionalità? Alle volte mi odiavo proprio. Specie quando andai all’ingresso per la terza volta, e riprovai quel senso di delusione nell’appurare che non fosse Ianto a bussare, ma bensì… Carlo? E lui che diavolo ci faceva li? Natale era davvero la giornata delle sorprese.
<< Ehm, Carlo, ciao. In cosa posso esserti utile? >>, lo salutai dubbiosa.
<< Posso entrare? >>, domandò atono fissandomi.
Lo feci accomodare su quel divano spettatore di varie scene. Mi accomodai al mio solito posto, prendendo la coperta e posizionandola sulle mie gambe. Cominciai a stritolarla, inquieta. Proprio come Mario, anche Carlo stonava con l’appartamento. Quel suo essere così oscuro, lo rendeva angosciante.
<< Come hai saputo il mio indirizzo? >>, domandai perplessa.
<< L’ho chiesto a Mario >>, spiegò veloce.
In quel momento mi balenò in mente una domanda importante, che non mi ero ancora posta.
<< E lui come ha saputo dove abito? >>
<< Manfredi >>, disse sbrigativo il giovane.
A quel nome, il mio cuore sussultò. E più batteva veloce, più mi odiavo. Non potevo reagire in quel modo solo per aver sentito il nome di Ianto. E in più dovevo odiarlo per aver detto i fatti miei ad altri. Stupido moccioso!
<< Ed io come posso esserti utile? >>, domandai sorridendo fintamente. Quel tipo mi faceva davvero paura.
<< Ho un problema >>, disse con il suo solito tono atono.
<< Che problema? >>, lo esortai sudando freddo. E questo era davvero il colmo, vista la febbre a trentanove e mezzo che avevo.
<< Andrea >>, rispose con il suo modo di fare.
Sbuffai mentalmente, troppo codarda per farlo anche fisicamente. Si aspettava che gli tirassi con la pinza tutte le informazioni? Era esasperante.
<< Carlo, se non ti spieghi, io non capisco >>, esposi i miei pensieri, censurandoli da tutte le parolacce.
<< Mi sono innamorato di lui >>, spiegò senza particolare emozione.
Quella risposta mi lasciò a dir poco sorpresa. Decisamente quello era un giorno assurdo. Forse stavo ancora dormendo. Mi pizzicai una mano di nascosto, per accertarmi che fossi sveglia. Quando provai dolore, seppi che quello che avevo di fronte a me, era davvero Carlo.
<< Ah >>, esclamai troppo stupita. Non sapevo che dire. << E il problema è…? >>
<< Lui è il mio migliore amico. Abbiamo scambiato anche il sangue. Siamo come fratelli. Se adesso gli dico che lo amo, mi abbandonerà >>, affermò inespressivo come sempre.
Fu spontaneo chiedermi se davvero provava quei sentimenti che decantava, oppure mi stesse prendendo in giro.
<< Ehm, come mai pensi questo? >>, domandai incerta.
<< Lui è etero >>, rispose velocemente.
<< Lui sa che sei gay? >>, chiesi cercando di trovare una soluzione.
<< Io non sono gay >>, affermò guardandomi negli occhi.
<< Come? >>, esclamai incredula.
<< Non sono gay >>, dichiarò convinto.
<< Carlo, hai appena detto che ami il tuo migliore amico. Amico maschio. E anche tu sei maschio. Se non sei gay allora sei bisessuale >>, risposi confusa.
<< E’ questo il punto >>, disse mostrando per la prima volta le sue emozione. Appoggiò la fronte sui suoi palmi, affranto, e impaurito. Sembrava un cucciolo indifeso. Ora non faceva più tanta paura. << Io non sono ne gay ne bisessuale. Non mi ha mai attratto un maschio. Ho sempre avuto partner femmine. Il corpo femminile mi eccita. Vado su youporn ogni settimana. E il video che ho visto che si avvicina di più ad un rapporto omosessuale era quello tra due donne. Io non sono gay >>, esclamò con forza. Poi il suo corpo tremò impercettibilmente. Alzò lentamente gli occhi e li puntò nei miei. Li vidi arrossati e sul punto di lacrimare. Mi si strinse il cuore nel vederlo ridotto così. << Non sono gay, eppure quando vedo Andrea lo desidero con tutto il mio essere. Il cuore mi batte forte, quasi volesse esplodere. E mi riscopro schiavo dei suoi sguardi e dei suoi rari sorrisi. Sono geloso anche solo di chi lo sfiora. E mai vorrei che lasciasse il mio fianco. Cosa c’è di sbagliato in me? >>, domandò cominciando a piangere.
<< Non c’è niente di sbagliato in te, Carlo >>, mormorai mestamente. Le sue lacrime era come una stilettata nel petto. Perché sapevo che scorgere un’emozione su quel viso, e addirittura vederlo piangere, era una cosa rarissima.
<< E allora perché lo amo? >>, sussurrò infelice il giovane.
<< Perché è l’amore che sceglie le sue vittime. Le colpisce, e se ne infischia delle conseguenze. Tu non sei sbagliato, perché l’amore è una cosa bellissima. E il sentimento che provi per Andrea è qualcosa di unico, che non proverai mai per nessun altro >>, mi alzai dal divano e lo raggiunse, inginocchiandomi davanti a lui. Quei gesti mi procurarono un forte dolore al corpo, ma li ignorai. Misi una mano sotto al suo mento, e lo alzai in modo che i nostri occhi si incontrassero. << Tu hai avuto la fortuna di innamorarti del tuo migliore amico, di tuo fratello, della persona più importante per te, con cui condividi anche un po’ del tuo sangue. Dovresti ritenerti la persona più onorata del mondo per provare tale sentimento. Non sei sbagliato, sei solo umano >>, spiegai dolcemente.
Carlo mi fissò intensamente, come se cercasse la pecca in quel discorso. Ma non la trovò, perché ero stata maledettamente sincera.
<< Che devo fare? >>, domandò disperato.
<< Vai da lui, e parlagli. Aprigli il tuo cuore >>, lo esortai con amore.
<< E se mi rifiuta? >>, chiese terrorizzato da quella prospettiva.
<< Avrai almeno tentato. Una vita di rimpianti e meglio di una vita di rimorsi, credimi. Io sono piena di rimorsi per ciò che non ho fatto, e questa condizione mi uccide alle volte. Qualsiasi cosa accada, però, non pentirti mai dei tuoi sentimenti, perché sono bellissimi >>, spiegai sorridendogli. Il suo sguardo si rasserenò un po’, ma restava comunque titubante. << Se poi avrai bisogno di una spalla su cui piangere, il mio indirizzo lo conosci, ok? >>.
Carlo mi guardò ancora poi, cogliendomi davvero di sorpresa, si aprì in un tenero sorriso. Quel ragazzo lo avevo giudicato normale di aspetto, inquietante anche. Ma quando sorrideva, il suo volto si illuminava, rendendolo davvero bello. Avrebbe dovuto sorridere sempre.
<< Grazie >>, sussurrò fissandomi.
<< Di nulla >>, risposi sorridendo a mia volta. Un’altra cosa di quel sorriso era il fatto che fosse contagioso. << Ora vai da lui >>, lo esortai alzandomi da quella posizione.
Carlo mi seguii e annuì silenzioso. Poi si voltò verso l’ingresso e aprì la porta. Prima di uscire, però mi guardò nuovamente.
<< Lei è davvero una bella persona. Non si distrugga per ciò che non può più fare. Non si merita quel dolore. Lei merita la felicità >>, affermò seriamente. Spalancai gli occhi, stupita di quella frase. << Ho notato che ha la febbre, perciò si riguardi. Buon natale >>, mi salutò e poi si richiuse la porta alle sue spalle.
 
Undici spaccate. Finalmente ero arrivata agli ultimi capitoli di quel libro. “Jane Eyre” era davvero bellissimo. Non vedevo l’ora di leggere il finale, anche perché ero arrivata ad un punto cruciale, quando suonarono per la quarta volta alla mia porta. Mi misi le mani nei capelli, preda della disperazione. Non ne potevo più. Chi era adesso? Zittii malamente quelle due vocine che urlavano “Ianto” e “non deve essere Ianto”. Quando spalancai con rabbia la porta, fissai con astio la persona che avevo di fronte.
<< Prof, dovrei parl… >>, ma non lo lasciai finire, perché gli misi la mano sulla bocca.
<< Alt. Frena la lingua, Roberto. Prima che tu possa dire o fare qualcosa, mi preparerai del caffè. Tanto caffè. E solo dopo che avrò bevuto, parlerai. Chiaro? Non voglio sentire neanche una parola uscire dalla tua bocca >>, lo minacciai furiosa.
Sapevo che il ragazzo non aveva colpe, ma quella mattina se all’inizio era stata divertente, adesso era divenuta una tortura. Dannata me quando ho pensato tristemente che quel giorno sarei stata sola. Come si suol dire, attenta a ciò che chiedi perché potrebbe realizzarsi? Ecco, ero stata accontentata in pieno. Mi andai a sedere al divano, attendendo ansiosa il mio caffè. Vidi Roberto lavorare nella mia cucina. Preparò velocemente il caffè e lo mise altrettanto velocemente sul fuoco. Il tutto in religioso silenzio. Quando poi fu pronto, lo verso i due bicchierini. Prese lo zucchero, e mi fissò.
<< Quattro >>, risposi alla sua domanda silenziosa.
Il giovane annuì e mise quattro cucchiaini di zucchero nel mio bicchiere. Ripeté quelle mosse per il suo caffè, e si avvicinò nuovamente. Mi diede la mia bevanda, ed io la assaporai come una tossica. Il caffè era davvero una droga per me. Quando finimmo di bere, mi ero calmata. Poggiai la tazzina sul divano, e cominciai a fissare Roberto.
<< Parla >>, lo esortai, rompendo finalmente quel silenzio.
<< Paolo vuole fare sesso con me >>, spiegò senza giri di parole.
Avevo come una sensazione di déjà-vu. Beh, era ovvio. Il giovane dagli occhi nocciola, poche ore prima era stato seduto sul quel divano dicendomi le stesse cose.
<< E tu non vuoi? >>, domandai curiosa. Sapevo le risposte di Paolo, ora volevo conoscere la sua versione dei fatti.
<< Lo voglio più di qualsiasi altra cosa >>, mormorò triste il giovane.
<< Il problema allora risiede dove? >>, chiesi confusa.
<< Nel fatto che lo sporcherò, se oso anche solo toccarlo >>, spiegò il giovane fissando il pavimento.
<< Capisco. Non hai ancora superato questa cosa >>, constatai dispiaciuta.
<< Come posso superarla. Prof ho concesso ad altri, a molti altri, di fare di me ciò che volevano. Sono una puttana >>, esclamò alzando la voce. Gli occhi però erano sempre fissi sul pavimento.
<< Tu non ti sei concesso. Sei  stato costretto dalle circostanze >>, affermai con decisione.
<< E la differenza quale sarebbe? >>, domandò demoralizzato.
<< Che non hai avuto scelta. Perché se avessi potuto, non ti saresti mai fatto toccare da altri. Credimi,  questa è la differenza più importante >>, dissi con dolcezza.
<< Ma il risultato è sempre lo stesso. Sono sporco e lo testimonia anche il fatto che sono sieropositivo >>, mormorò mestamente il ragazzo.
<< Tu sei la persona più bella e limpida del mondo. Il male ti ha toccato, è vero, ma hai avuto la forza di restare così com’eri. Sei riuscito a non cambiare, ma solo a migliorare. Questo fa di te la persona più coraggiosa del mondo. E anche la più pura >>, dichiarai convinta delle mie parole.
<< Io non mi sento puro. Ci sono momenti in cui lo tocco, che mi mettono i brividi addosso. Sento di essere indegno anche solo nello sfiorarlo. Vorrei allontanarmi il più possibile, lasciarlo e dimenticarlo. Farei una cosa buona se gli permettessi di vivere una vita senza di me. Ma mi rendo conto che non mi possibile lasciarlo. Fisicamente è come se lui fosse una calamita ed io ferro. Spiritualmente perché la sua anima candida ed innocente attira la mia sporca e disgustosa come la falena viene attratta dalla luce >>, sussurrò tra un singhiozzo e l’altro. Poi alzò il viso, mostrandomi i suoi occhi verdi immersi nell’acqua delle sue lacrime. << Comprendo che senza di lui, io sarei sperduto in questo mondo. Sono egoista, lo so, ma non posso fare a meno di lui >>
Lo guardai dolcemente. Quel giovane uomo, così coraggioso, e adesso appariva così fragile. Mi faceva male il cuore vederlo ridotto in quello stato. Lui doveva sorridere, sempre. Perché quando sorrideva, il mondo era più bello. Volevo davvero bene anche a lui, al mio giovane assistente.
<< Se tu lo lasciassi, pensando di fare il suo bene, l’unico risultato che otterresti sarebbe la sua morte >>, affermai mestamente. Roberto mi fissò intensamente negli occhi. << Lo uccideresti, e probabilmente la sua oltre che una morte spirituale, diverrebbe in breve tempo anche fisica. Forse una volta avrebbe potuto guardare al futuro. Ma adesso, dopo che sei entrato nella sua vita, lui può farlo solo se ti stringe la mano. A che serve una vita, senza poterla condividere con la persona che ami? >>, calde lacrime cominciarono a scendere dal mio volto, stupendo il giovane. Quelle parole mi stavano graffiando il cuore. Perché erano rivolte anche a me. Come stavo sopravvivendo senza l’uomo della mia vita al mio fianco? Come riuscivo anche solo a respirare? In quel momento, due occhi di ghiaccio cominciarono a fissarmi arrabbiati. Mi stavano ammonendo per quei pensieri. Sorrisi nel constatare che comunque Ianto, anche se fisicamente non c’era, mi aiutava comunque. Perché quei suoi meravigliosi occhi mi stavano ricordando che non ero sola. << Roberto, ascoltami >>, dissi asciugandomi una lacrima. << Il passato non lascia scampo. Le lacrime si asciugano, il dolore passa, ma restano sempre le cicatrici. Noi dobbiamo imparare a convivere con esse e a guardare al futuro.  Questa è l’unica cosa che possiamo fare. Se tu permetti di lasciarti vincere dal dolore di ciò che è stato, ti perderai ciò che è e ciò che sarà. Paolo prima non c’era, adesso si. E sospetto che ci sarà anche in futuro. Niente è stato prestabilito, e possiamo ancora cambiare le cose >>, mi alzai e lo raggiunsi. Poggiai una mano sulla sua spalla, e un’altra tra i suoi capelli, cominciando ad accarezzarli. << Vai da lui. Goditi questi momenti felici, respirane ogni istante, e sii felice. La vita ci ha insegnato ad entrambi che tutto cambia in un solo istante. Noi dobbiamo goderci il più possibile quest’unica vita che ci è stata concessa >>
Le spalle del giovane furono nuovamente attraversate dai tremiti. Stava piangendo. Allungò le braccia e le avvolse attorno al mio bacino, in un tenero abbraccio. Misi le mie mani attorno alla sua testa, accarezzandolo dolcemente. Roberto aveva bisogno di quell’abbraccio materno. Aveva bisogno di aggrapparsi con forza a qualcun altro. Restammo in quella posizione per vari minuti. Quando poi il giovane si calmò, alzò lo sguardo e lo puntò nel mio. Era dolce e affettuoso, carico di riconoscenza. Ricambiai e sorrisi, accarezzandogli una guancia.
<< Stasera che fai? >>, domandai conoscendo la risposta.
<< Vado da Paolo >>, sussurrò emozionato.
<< Tua madre resta sola? >>, chiesi pensando a quella donna tutta sola in casa.
<< No, va dai miei nonni. Dopo che mio padre è stato arrestato, la mamma ha permesso solo questo ai nonni. Di vederci durante qualche festività. Non ha voluto il loro aiuto >>, spiegò aggiungendo quei dettagli.
<< Perché non si è fatta aiutare? >>, domandai curiosa.
<< Perché loro non hanno alzato un dito per aiutare mio padre, e la mamma ce l’ha con loro per questo >>, confessò con tranquillità.
<< Mi dispiace >>, sussurrai tristemente. Il passato di quel giovane era costellato da brutti ricordi.
<< Non si dispiaccia. Il passato è dietro di me. Ora devo guardare al presente e al futuro, giusto? >>, sorrise felice.
Ricambiai il sorriso allegramente. Ero contenta che le mie parole avessero aiutato Roberto in qualche modo. Il giovane poi staccò le braccia, e si alzò. Eravamo poco distanti l’uno dall’altra, ma non c’era malizia nei nostri gesti e nei nostri sguardi. Solo un profondo affetto. Ci sorridemmo dolcemente, poi il ragazzo si allungò, dandomi un leggero bacio sulla guancia.
<< Grazie, di tutto. Per la seconda volta >>, sussurrò allegro.
<< Non ho fatto nulla, davvero >>, per la quarta volta ripetei quella frase.
<< Si riguardi, prof. Ha la febbre alta >>, disse il giovane allontanandosi verso la porta.
<< Buon natale Roberto. E divertiti stasera >>, lo salutai felice.
<< Diciamo che me la godrò, questa serata >>, sorrise ammiccandomi.
Capii all’istante il doppio senso, e cominciai a ridere divertita, seguita a ruota dal ragazzo.
<< Buon natale, prof >>, ricambiò il saluto il giovane, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Mezzogiorno meno un quarto. Nuovo libro in mano, e un certo languorino allo stomaco. Riflettevo ancora sugli avvenimenti di quella giornata, quando ad un certo punto bussarono alla mia porta. Scalciai malamente le coperte, infastidita da tutto e tutti. Non ne potevo più. Adesso volevo solo essere lasciata in pace. Mi diressi come una furia alla porta, ma quando la spalancai, la rabbia scemò. Come, ovviamente, le famose due voci si zittirono decretando il vincitore.
<< Salve professoressa >>, mi salutò allegramente Nicola.
<< Nicola, che ci fai qui? >>, domandai scettica. Forse avevo mandato un comunicato in cui si richiedeva la presenza in casa mia, di tutti i miei alunni nell’arco della giornata.
<< Sono venuto a chiederle un consiglio. Mi fa entrare? >>, domandò sbirciando l’interno di casa mia.
Mi spostai di lato, e lo invitai silenziosamente ad accomodarsi. Nicola prese subito posto sul divano di fronte al mio, mentre io raccoglievo la coperta buttata a terra e mi sedevo al mio posto.
<< Che consiglio? >>, domandai curiosa.
Il giovane mi lanciò una scatolina rossa. L’afferrai prontamente, guardandolo storto. Non solo veniva in casa mia, ma mi lanciava contro anche le cose? Comunque, aprii la scatola, e vidi una collana in oro bianco con un piccolo quadrifoglio come ciondolo. Era bellissima.
<< Wow, è stupenda >>, mormorai sfiorando il ninnolo.
<< Le piace? >>, domandò ansioso il ragazzo.
<< Molto. Per chi è? >>, chiesi, lanciandogli nuovamente la scatolina.
<< Si ricorda quella ragazza del gruppo per ex drogati? >>, disse prendendo il regalo ed infilandolo nel giaccone.
<< Si. È per lei? >>, annuii sorridendo felice.
<< Volevo farle una sorpresa. Dice che va bene come regalo? >>, domandò nervoso.
Risi divertita per quella reazione. Alla fine Nicola era solo un cucciolotto, ancora ingenuo e molto insicuro. Il suo essere sempre perfetto era una gigantesca maschera per nascondere il suo vero io.
<< Perché ride? >>, disse perplesso il ragazzo.
<< No, niente. Non ti preoccupare. Comunque si, è perfetto come regalo >>, confermai felice.
<< Meno male >>, tirò un sospiro di sollievo.
<< Ti sei affezionato molto a questa ragazza >>, constatai entusiasta e timorosa allo stesso tempo. Temevo che il giovane potesse nuovamente soffrire per amore.
<< Si. Mi ha aiutato in queste settimane. Lasciarsi la droga alle spalle è davvero difficile, e ci sono momenti in cui temo di ricadere in tentazione. Sento che l’oscurità mi circonda, e ho paura di non farcela. Ma devo essere forte, per me stesso e per chi mi vuole bene >>, dichiarò sorridendomi.
<< Bravo. Sono fiera di te >>, esclamai orgogliosa di quel ragazzo.
<< So che lei si sta preoccupando per me. Teme che possa nuovamente ricadere in un’ossessione malsana. Ma non lo farò, stia tranquilla. Non voglio più farmi del male. Adesso lotterò per la mia vita, quindi non c’è motivo di preoccuparsi >>, spiegò felice il giovane.
<< Lo spero. Tu meriti il meglio. Sei un ragazzo d’oro. Ma non smetterò di preoccuparmi >>, affermai decisa.
<< Beh, si può iscrivere al fan club >>, ironizzò Nicola.
<< Il fan club? >>, domandai perplessa.
<< Si. “Uno per tutti, e tutti preoccupati per Nicola”. Finora gli iscritti sono i miei genitori, Mario, Margherita e Debora >>, rispose divertito il giovane.
Mi scappò una nuova risata. Quel giovane era davvero amato. Quando tornai seria, un nome riecheggiò nella mia mente.
<< Debora? E chi è? >>
<< La ragazza della terapia. Siamo amici, ma spero che diventeremo qualcosa di più. Stasera c’è una festa per tutti noi ex drogati, e sia io che i miei genitori abbiamo deciso di andarci. So che anche Debora ci sarà, quindi troverò il coraggio e le parlerò. Lei incroci le dita per me >>, e mi fece l’occhiolino, facendomi ridere nuovamente.
<< Lo farò non temere >>, poi tornai seria, e lo fissai intensamente. Nicola ricambiò il mio sguardo, attendendo pazientemente le mie parole. << Stai davvero bene, vero? Hai capito che noi tutti ti amiamo, e che ti accettiamo per quello che sei? >>
Il giovane abbassò lo sguardo, e fissò il pavimento mestamente. Poi sospirò.
<< Alcune sere sogno di trovarmi in un corridoio buio. Inizio a correre, ma mi sembra di non trovare uscita. Quando poi intravedo la luce, vedo i miei genitori con un altro me al loro fianco. Lui è perfetto, e riempie d’orgoglio la mia famiglia. “Lui si che è un vero figlio, migliore di te”, dice mia madre. “Tu non sei abbastanza”, risponde mio padre. Poi mi volto e vedo questo me perfetto ridere con Mario. Il mio migliore amico mi guarda con disprezzo, e sputa ai miei piedi. Poi tutti scompaiono, e restiamo io e il me perfetto. Questo si avvicina e mi accarezza la guancia con cattiveria. “Loro non ti vogliono. Preferiscono me, perché tu sei un inetto. Fattene una ragione. Tu sei buono solo a fare una cosa. A drogarti”, e mi posa una siringa in mano. A quel punto mi sveglio tremante e madido di sudore. Ho paura, e la voglia di drogarmi si fa forte >>, raccontò il giovane tremando impercettibilmente. Stavo male a vederlo così. Poi Nicola alzò lo sguardo e sorrise sincero. << In quei momenti sto male, ma penso alla forza che lei mi ha donato, professoressa. La sento scorrere nelle mie vene. E per quanto possa essere brutto, e stare male, io so che posso farcela. Perciò, si sto davvero bene >>
Sorrisi serena per quelle parole. Avrei continuato a preoccuparmi per Nicola, ma sentirmi dire queste parole sincere dalla sua bocca, mi tranquillizzava molto.
<< A proposito professoressa. Deve controllare Ignazio >>, disse improvvisamente il giovane.
A quel nome sussultai nuovamente. Quel ragazzo mi faceva sempre lo stesso effetto.
<< Perché? >>, chiesi incerta.
<< Perché l’ho chiamato per avere il suo indirizzo. Ma quando ha saputo che ero io e che chiedevo di lei, mi ha sbattuto il telefono in faccia. Ho dovuto chiamare Paolo, per saperlo >>, spiegò innocentemente.
A quell’affermazione, risi davvero divertita. Ianto non cambiava mai. E speravo ardentemente che restasse per sempre così.
 
Mezzogiorno e mezza. Ormai la fame regnava sovrana. Ogni tanto il mio stomaco mormorava rumorosamente. Chiedeva del cibo, e al più presto possibile. Per mia fortuna la febbre era un po’ scesa. Da trentanove e mezzo era scesa a trentotto. Improvvisamente la mia pace venne distrutta per l’ennesima volta. Sentii quel maledetto campanello squillare per l’ennesima volta. Dannazione, non ce la facevo più. Stavo per piangere dalla disperazione, quando suonarono nuovamente. Mi alzai contro voglia, ignorando le mie solite vocine. Ormai mi ero abituata a loro. Quando aprii la porta, spalancai la bocca.
<< Andrea >>, mormorai confusa.
<< Posso entrare? >>, saltò i convenevoli, arrivando direttamente al punto.
Lo feci accomodare sul divano, poi mi sistemai al mio posto.
<< Fammi indovinare. Mario ti ha detto dove abitavo >>, ipotizzai.
<< Esatto >>, confermò lui.
<< E sei venuto qui, perché hai bisogno di parlarmi >>, continuai ormai solida in questa routine.
<< Esatto >>, annuì Andrea.
<< Centra qualcosa Carlo? >>, domandai stranamente speranzosa.
<< Mi sono innamorato di lui >>, sentenziò il giovane.
Nella mia mente esplose un boato di gioia. Campane, trombe, urla, applausi… insomma ero partita per la tangenziale. Forse la fame aveva effetti collaterali sui miei poveri neuroni.
<< Beh è una cosa bellissima >>, affermai contenendo la mia contentezza.
<< No, non lo è >>, negò con forza il giovane.
<< Ah >>, esclamai perplessa. Poi una lampadina si accese nella mia testa. << Fammi indovinare. Pensi sia sbagliato amare una persona dello stesso sesso >>
<< Che immensa stronzata che è questa >>, mi smentii all’istante. Adesso si che ero confusa.
<< E allora perché non va bene? >>
<< Perché lui ama un’altra >>, spiegò con calma. Però notai come le nocche delle sue mani erano diventate bianche. All’apparenza poteva sembrare indifferente, ma dentro stava esplodendo.
<< Aspetta. E tu come fai a saperlo? >>, non potevo di certo dirgli che Carlo era innamorato di lui. Mi avrebbero staccato la testa, e banchettato con il mio corpo.
<< Me l’ha detto Nicola >>, spiegò alzando le spalle.
Nicola! Quel dannato moccioso era in grado di fare più danni lui, che uno tsunami. Perché non se ne stava un po’ con la bocca cucita?
<< Ah. E scusa tu cosa vuoi da me? >>, domandai perplessa.
<< Mi deve dire come fare a dimenticare una persona >>, affermò con decisione, lasciando trasparire un po’ dei suoi sentimenti.
<< COSA? >>, urlai sbigottita.
<< Deve aiutarmi a dimenticare Carlo >>, continuò con determinazione.
<< Ma la tua è una stronzata. Non si può dimenticare una persona così, a comando. Non funziona in questo modo >>, spiegai abbassando la voce, ma restando incredula. Davvero si aspettava che facessi i miracoli.
<< La prego >>, sussurrò, abbassando lo guardo. A quelle parole mi paralizzai. Sul volto del giovane potevo leggere il dolore e la sofferenza per quella situazione. << Deve aiutarmi. Io devo lasciarlo andare. Ma non ci riesco da solo. Ho bisogno di qualcuno che mi guidi >>
<< Andrea, capisco come ti senti. Ma credimi, non c’è modo di spegnere i sentimenti a comando. Se ci fosse, il mondo sarebbe un posto migliore >>, spiegai amaramente.
<< Lui mi è sempre vicino. Ovunque mi giri, lui è accanto a me. Anche quando non c’è, io avverto la sua presenza. Nonostante ciò, i nostri cuori sono separati da un velo invisibile. Io non posso raggiungerlo. E questo mi sta diventando insopportabile. È un anno e mezzo che lo amo, ma adesso voglio mettere la parola fine a questo amore. Ne ho bisogno per continuare a vivere >>, spiegò con enfasi Andrea, tornato a guardarmi negli occhi.
Lo fissai intensamente, sentendo con mano il suo dolore. Essere rifiutati è davvero orribile. Ma la cosa assurda, era che il giovane veniva ricambiato nei sentimenti. Come metterli sulla buona via? Come farli chiarire? Mi balenò un’idea subdola. Non era da me pensare simili trucchetti, ma a mali estremi, estremi rimedi.
<< Va bene, Andrea. Vedrò di aiutarti >>, sospirai fintamente affranta. << L’unico modo per chiudere un capitolo della propria vita, scrivere la parola fine, è togliersi il peso dal cuore. Devi andare da Carlo e dirgli la verità. Soffrirai all’inizio, questo non posso negartelo. Ma poi ti sentirai più leggero, e in meno che non si dica starai bene >>. Nella mia mente partii una standing ovation per l’interpretazione sublime che avevo fatto. Stavo per crederci io stessa a queste parole. Sapevo che Andrea era disposto a tutto pur di stare meglio, e quindi avrebbe preso coraggio e si sarebbe dichiarato. Sono un vero genio. Due piccioni con una fava.
<< Davvero starò meglio? >>, chiese speranzoso il giovane.
<< Assolutamente >>, annuii con convinzione. Un po’ però mi dispiaceva prenderlo in giro in quel modo, ma non c’era altra soluzione.
<< Ok. Lo farò. Grazie professoressa >>, e si alzò dal divano riacquistando la calma iniziale.
Si avviò verso la porta, silenzioso.
<< Andrea >>, lo chiamai. Il giovane si voltò, aspettando che continuassi. << Buon natale. Presto starai meglio, te lo prometto >>, lo incoraggiai.
<< Grazie, anche a lei >>, salutò con un cenno del capo, ed uscì velocemente di casa.
Quando richiuse la porta sorrisi divertita. Sarebbe stato bello vedere le facce dei due nel momento in cui si dichiaravano, ma non era possibile. Poi cominciai a pensare agli altri che erano venuti in quella mattina. Mario. Paolo. Nicola. Roberto. E nuovamente a Carlo e Andrea. Sperai ardentemente che per loro questo natale fosse indimenticabile.



Buonasera a tutti...scusate se sarò breve nei commenti ma è davvero tardi e vorrei andare a letto XDXD...ho aggiustato proprio adesso il capitolo...spero vi piaccia :)
questo capitolo va in coppia con il prossimo, quindi non perdetevi l'aggiornameto di martedi prossimo...a proposito, avete notato l'assenza di ianto? viene nominato spesso, ma non compare...a chi è che è mancato?? alzate la mano prego U.U
Cmq tralasiando le cretinate, ringrazio coloro che leggono la storia ma che soprattutto recensiscono XDXD grazie mille gente...
mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate del capitolo...
ci vediamo martedi prossimo XD
un bacio

Moon9292


"A natale puoi..."

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Capitolo 16
*** A natale puoi... ***


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Capitolo 16 - A natale puoi...


A natale puoi… crearti una famiglia
 
Mario, uscito dall’appartamento della professoressa, si avviò spedito verso il centro di Roma. Sapeva di stare facendo una cosa folle, ma non gli importava, fintanto che avesse ottenuto il suo scopo. Sarebbe dovuto rientrare a casa, per aiutare e festeggiare con la sua pseudo famiglia, ma non gli importava davvero un granché di loro. Dei genitori ipocriti, che giudicano e comandano a bacchetta il resto del mondo, e soprattutto il proprio figlio, non meritavano neanche di essere pensati. Figurarsi se Mario avrebbe festeggiato con loro la festività più magica di tutto l’anno. No! Quello era un giorno da passare con le persone che si ama, quelle vere che ti restano al fianco sempre, nel bene e nel male, indipendentemente da cosa indossi o da quale sia il tuo pensiero. Quello era un giorno da festeggiare con una “famiglia”, con persone degne di essere chiamate così. E sapeva già con chi doveva stare, quale era il suo posto. Al fianco di Margherita, la donna che amava. Doveva tutto a quella ragazza. La sua vita, il suo cuore, la sua felicità. Non gli importava che fosse una popolana, come la definivano quei ricchi. Non importava se era oscura a suo modo, o che avesse un credo emo. Per lui, la cosa che contava, era il fatto che lei lo amasse con tutta se stessa. E adesso lei aspettava un figlio da lui. Un figlio! Una creatura speciale, meravigliosa, che avrebbe riempito le loro vite di gioia. Ci sarebbero state tante difficoltà, e molte sfide da affrontare. Questo era certo. Ma Mario era pronto a tutto. Avrebbe scalato montagne, sfidato ogni male del mondo, pur di proteggere i suoi due tesori. Ricordava perfettamente come quel giorno di una settimana fa, Margherita gli avesse comunicato la sua gravidanza.
<< Mario, dobbiamo parlare >>, aveva esordito con voce grave, seduta al tavolo della sua cucina.
<< Dimmi amore >>, rispose lui con un sorriso sulle labbra.
<< Mi dispiace davvero tanto. Io non immaginavo che sarebbe mai accaduta una cosa simile. Sul serio, io non volevo >>, cominciò a singhiozzare la giovane, portandosi le mani in faccia.
<< Amore, mi stai spaventando >>, disse preoccupato Mario, allungando le mani verso di lei. Voleva farle capire che lui c’era, che non l’avrebbe mai lasciata.
<< Sono incinta >>, sussurrò tra le lacrime.
<< Come? >>, chiese confuso il ragazzo, spalancando gli occhi.
<< Aspetto un bambino. Da te >>, riconfermò con voce più forte la giovane, abbassando le mani, e posando lo sguardo in quello sconvolto del fidanzato.
<< Ma…come? Com’è possibile? Io… >>, Mario era oltremodo confuso. E spaventato. Il cuore gli batteva forte in petto. Come poteva essere? Lei, incinta?
<< Si, di due mesi e mezzo >>, continuò Margherita, trattenendo a stento le lacrime.
<< Ma io ho fatto sempre attenzione. Ho indossato il preservativo ogni volta >>, esclamò in preda al panico il ragazzo. Si alzò di scatto dalla sedia e cominciò ad andare avanti e indietro per la stanza, vistosamente agitato.
<< Mario, mi pare ovvio che non è andato sempre tutto bene. Evidentemente quella sera si deve essere rotto >>, rispose lei incrociando le braccia al petto, segno di un evidente nervosismo.
 << Io lo controllo sempre, quando lo sfilo. Vedo se è… pieno >>, sbuffò la parola imbarazzato. << Oppure se non lo è. E ricordo che non era mai vuoto >>
<< Mario, pensi che mi sia montata da sola, e mi sia messa incinta da sola? È ovvio che il preservativo non era integro. E poi mi ricordo anche, che proprio in quel periodo tu hai voluto fare quell’esperimento >>, affermò innervosita Margherita.
<< Quale esperimento? >>, domandò perplesso il ragazzo, voltandosi verso la fidanzata.
<< Quello di farlo senza, almeno all’inizio >>, rispose lei.
<< Ti rendi conto di quello che dici? Io ho dato giusto qualche spinta, senza. Poi mi sono infilato il preservativo e abbiamo continuato. Tu non sei la Madonna dei nostri tempi. Non puoi essere rimasta incinta con quello >>, rispose infervorato Mario.
<< Mi sono documentata. Durante il rapporto, l’uomo perde del liquido, che contiene una piccolissima quantità di spermatozoi. E quella è bastata a fregarmi, perché ero in piena fase fertile. Ecco come è successo >>, spiegò inacidita.
Mario rimase senza parole. Non poteva credere che per uno stupidissimo esperimento, fatto una sola volta e anche per cosi breve tempo, lei potesse essere rimasta fregata. Che loro fossero fregati. Perché sapeva che da li in poi la sua vita sarebbe cambiata, in un modo o nell’altro. Per sempre.
Non era pronto. Non era neanche lontanamente pronto a prendersi cura di un bambino. A stento riusciva a badare a se stesso, figurarsi di una creatura così piccola e indifesa. Avrebbe dovute responsabilizzarsi, crescere, maturare. Comportarsi da adulto. Ma lui non era adulto. Lui era un ragazzino spaventato e dipendente dai genitori. Insomma, andava ancora a scuola. Come poteva permettersi di crescere un bambino? Era un’idea folle.
<< No. Non ce la faccio. Non sono pronto >>, sussurrò spaventato, continuando a vagare per la stanza con sguardo perso.
Non badava neanche più a ciò che diceva, troppo perso nelle sue elucubrazioni. Non vide neanche quanto le sue parole avessero ferito la sua fidanzata, che lo guardava con occhi sconvolti e pieni di lacrime. Margherita sapeva che quella sarebbe stata una notizia scioccante per il giovane, ma non si aspettava di certo un rifiuto così netto e drastico. Non dava altre possibilità. Abbassò lo sguardo, delusa e amareggiata. Avere un figlio a soli vent’anni non era facile. Non aveva i mezzi necessari per crescerlo, e neanche la maturità per farlo. Ricordava ancora con profondo dolore la morte della madre quando aveva solo sedici anni, e fu quello ad averla cambiata così radicalmente. Era diventata una persona completamente diversa dopo la dipartita del genitore, e adesso lei avrebbe avuto quello stesso ruolo. Doveva prendere una decisione e subito. Ma non con Mario presente. Non con lui nella stessa stanza che girava come un ossesso.
<< Mario, forse è il caso che per un po’ non ci vediamo >>, sussurrò sofferente.
A quel punto il giovane tornò in se, puntando lo sguardo fisso in quello della fidanzata. Era ancora in preda al panico per la notizia del bambino, eppure quell’affermazione lo aveva destabilizzato di più dell’idea di diventare padre. Non vedere Margherita? Per un po’? Quanto tempo era “un po’”?
<< Che significa? Perché? >>, domandò spaventato.
<< Dobbiamo pensare. Riflettere. E capire cosa vogliamo davvero. E insieme non possiamo farlo. Io ho bisogno di tempo per… capire >>, mormorò la ragazza, abbassando lo sguardo. Tremava, per il dolore e la sofferenza che quelle parole le causavano. Ma non doveva cedere. Quella “questione” era troppo importante, e bisognava fare la scelta giusta.
<< Ma perché? Io e te siamo una squadra. Dobbiamo restare uniti >>, cominciò ad urlare Mario, terrorizzato da tutto ciò che gli stava accadendo.
<< No, Mario. Una volta eravamo una squadra >>, rispose la ragazza ricominciando a piangere. Poi alzò lo sguardo e lo puntò in quello del fidanzato. << Adesso siamo due ragazzini che hanno fatto il passo più lungo della gamba, e si ritrovano separati. Uniti, ora come ora, ci distruggerebbe soltanto. Io devo stare sola, per capire. E per perdonarti. Per perdonarmi. E non ce la faccio con te vicino >>
Mario la guardò perso. Quasi come se la sua stella guida fosse scomparsa dal suo campo visivo, e adesso avesse smarrito la strada per tornare a casa. Si fissarono ancora un po’, poi il giovane raccolse le sue cose, e andò via.
Adesso, esattamente una settimana dopo, sarebbe ritornato da lei. La sua stella avrebbe brillato più splendente di prima, e mai più l’avrebbe persa. Quando arrivò al palazzo della ragazza, bussò con foga. Non vedeva l’ora di vedere Margherita, riabbracciarla, ed assaporare nuovamente il suo profumo. Voleva nuovamente inebriarsi della sua presenza.
<< Chi è? >>, rispose una voce femminile e metallica. Margherita.
<< Sono io. Amore apri. Devo parlarti >>, rispose allegro come non lo era da troppi giorni ormai.
Nessuno rispose, ma il cancello del palazzo venne aperto, e così anche l’ingresso. Il ragazzo si fiondò sulle scale, e raggiunse di corsa il terzo piano. Trovò una porta alla sua destra già aperta, e entrò in quella casa spettatore di tante meravigliose scene tra lui e la fidanzata. Quando respirò l’odore di quel posto, si sentì nuovamente a casa. Mario sapeva che quello era il luogo a cui apparteneva, e che solo li avrebbe potuto essere felice. Dalla porta della cucina, sbucò fuori la testolina bicolore della fidanzata, che lo guardava con sofferenza. Mario constatò con forte disappunto quanto quella fosse pallida e, paradossalmente, dimagrita. Ma avrebbe rimediato presto. Molto presto.
<< Mario… >>, sussurrò la ragazza, restando a debita distanza. Era quasi come se avesse paura di avvicinarsi.
<< Aspetta, lasciami parlare >>, la bloccò il giovane, euforico per il discorso che aveva preparato in mente.
<< Ho abortito >>, rispose lei ignorando le sue parole.
In quel momento una cascata d’acqua gelata crollò sul ragazzo. Era come se fosse improvvisamente stato spento. Il suo cuore, la sua mente… tutto in totale blackout. Non poteva essere. Non credeva alle sue orecchie. Il dolore, forte e distruttivo, lo perforò da parte a parte. Suo figlio non c’era più. La sua meravigliosa creatura scomparsa. Niente aveva più senso.
<< Mi dispiace. Ma quando te ne sei andato, la settimana scorsa, ho chiamato subito il consultorio e preso appuntamento per quel giorno stesso pregandoli di visitarmi. Mi hanno dato tempo una settimana per rifletterci. E stamattina sono andata in ospedale a fare l’intervento >>, spiegò la giovane piangendo sommessamente. Non singhiozzava, ma i suoi occhi erano inondati di lacrime. << Mario non potevamo crescerlo. Non potevo farlo nascere. Tu… >>. Ma la giovane fu bloccata da un gesto che la lasciò completamente spiazzata. Mario cadde in ginocchio, davanti a lei, quasi come fosse privo di forze. La fissava, ma non la vedeva. E i suoi occhi si riempirono di dolorose lacrime. Piangeva silenziosamente. Lui, una persona tutta d’un pezzo, che neanche nei suoi momenti più difficili aveva pianto, adesso gemeva come un bambino. Margherita non riusciva a credere a ciò che vedeva. Respirava a fatica. Quella visione la distrusse mentalmente. Era pronta a tutto, a qualsiasi scenata il fidanzato le avesse propinato. Anche ad essere lasciata da lui, ma non a quello. Non a quella palese dimostrazione di sofferenza. Quello proprio non poteva accettarlo. Si avvicinò velocemente al ragazzo, si inginocchiò di fronte a lui, e lo abbracciò stretto. Mario non rispose a quel gesto. Continuava a fissare davanti a se, con sguardo vacuo. Nella sua mente risuonava solo una frase: mio figlio non c’è più.
<< Mi dispiace >>, singhiozzò la ragazza. << Mi dispiace tanto >>.
Passarono molti minuti in quella posizione. Nessuno dei due aveva la forza di staccarsi o anche di parlare, e meno che mai cercare di provare a parlare di quella situazione. Poi, finalmente, Mario si riscosse. Tornò nel mondo dei vivi. Prese le braccia della ragazza, ancora strette intorno al suo collo, e le staccò dolcemente. La giovane si allontanò dal fidanzato, pronta a qualsiasi cosa.
<< Ti prego, dimmi perché >>, chiese solamente lui, in un sussurro mortale.
<< Mario, io… >>, ma non completò la frase. La sua mente vagava avanti e indietro. Doveva prendere un’altra decisione. La più importante fra tutte. Quella che avrebbe deciso il futuro di entrambi. Fissò nuovamente il giovane negli occhi, e quando vide una triste lacrima solitaria, solcare nuovamente quella morbida guancia, capì cosa doveva fare. Si alzò da quella posizione ed entrò in cucina, in religioso silenzio. Mario la fissò, attento a non perdere neanche un solo movimento. Nel petto sentiva solo il vuoto più totale. Niente aveva più senso. Tutto ciò che ricordava ora era l’immagine di un bambino mai venuto al mondo, che gli sorrideva felice. Altre lacrime bagnarono il suo volto. Dopo pochi istanti, Margherita ritornò all’ingresso, con delle carte in mano.
<< Tieni >>, gliele porse, senza guardarlo.
Il ragazzo non sapeva che fare. Poi una strana voce nella sua testa, lo obbligò a prendere in mano quei documenti, e scorgere le parole scritte. Vi erano tre fogli. Quando lesse il primo, sbarrò gli occhi. Poi passò lentamente al secondo, timoroso di ciò che poteva scorgere. Quando lesse anche il secondo foglio, gli occhi si spalancarono sempre di più. Quando poi, tremante, prese il terzo foglio, balzò in piedi. Guardava con meraviglia quelle immagini, che lo stavano portando lentamente alla vita.
<< Queste… >>, sussurrò scosso.
<< E’ l’ecografia del piccolo, si >>, confermò la giovane, fissando il pavimento.
<< Ma come… Tu prima hai detto… >>, ma non riusciva a finire neanche una frase, troppo preso dall’onda di sentimenti che lo stavano travolgendo. << Spiegami >>, riuscì a finalmente a pronunciare.
<< Ti ho mentito. Volevo che tu credessi che il bambino non c’era più. Mi dispiace averti fatto soffrire >>, mormorò Margherita, unendo le mani in gesti morbosi.
<< Perché volevi che io credessi in questo? >>, domandò incredulo Mario.
<< Volevo darti una possibilità di scelta. La possibilità di vivere una vita. Ti amo troppo per poterti vedere sacrificato per me, per questo bambino. Non volevo che tu soffrissi. Quando ti ho detto di essere incinta, tu hai dato in escandescenze. Credevo non fossi pronto. Volevo solo che tu fossi felice >>, confessò la ragazza tornando a piangere.
<< Tu credevi che la mia felicità stesse nel fatto che mio figlio non c’era più? Davvero pensavi una cosa simile? >>, esclamò indignato Mario.
<< Io non sapevo che fare. Mario, avevo paura. Io ho paura. Ma non potevo uccidere questo bambino, e tanto meno darlo via. Io non avevo possibilità di scelta, ma tu si >>, dichiarò sempre più sconvolta la giovane, alzando finalmente lo sguardo e puntandolo in quello del suo forse ex ragazzo.
<< Hai idea di cosa mi ha causato quella tua dannata affermazione di poco fa? Hai idea di come mi sia sentito? Credevo di morire >>, affermò sempre più inferocito il giovane. Però dentro di se provò una forte emozione, in contrasto con l’arrabbiatura: si sentiva rinascere. Si sentiva vivo.
<< Non pensavo che tu ti sentissi così. Quando ti ho detto dell’esistenza di questo bambino, sembrava che tu non volessi saperne. Ecco perché l’ho fatto. Non mi aspettavo invece che tu avessi scelto lui. Che tu avessi scelto noi >>, rispose la giovane puntandosi le mano contro, e piangendo tutta la sua disperazione.
<< Io non potrei mai scegliere altro che non sia te. Anzi, voi. Io ti amo. E amo già questo nostro figlio >>, disse Mario con dolcezza. Si avvicinò lentamente alla ragazza, e poggiò delicatamente le mani sulla pancia della fidanzata. << Neanche lo conosco questo ometto, e già io lo amo da impazzire. Come amo da impazzire te. Io non poteri mai desiderare altro che questo. Voi due adesso, siete la mia famiglia. Non potrei mai abbandonarvi >>
<< Tu vuoi restare qui con me? Nonostante la nostra giovane età? Nonostante siamo ancora immaturi e incoscienti per un bambino? Nonostante la mia bugia di prima? >>, sussurrò tremante e speranzosa Margherita. Desiderava ardentemente una risposta affermativa.
<< Io non solo desidero questo. Ma voglio anche che tu sappia che un giorno, quando potremo, ti sposerò. Sarai mia moglie, e cresceremo questo meraviglioso bambino, che spero ardentemente somigli a te, a saremo incredibilmente felici. Affronteremo tutte le battaglie di questo mondo, a cominciare dai miei genitori. Sopporteremo il giudizio degli altri, e ci sosterremo a vicenda quando ci renderemo conto di essere dei genitori incompetenti. Ma poi, basterà guardare il frutto del nostro amore, basterà vederlo sorridere nella nostra direzione, e ci renderemo conto di essere in paradiso. Nel nostro personale paradiso. Io voglio te, lui, questo, tutto. Voglio questa nostra piccola, disastrata e meravigliosa famiglia >>, sussurrò sorridendo felice verso la sua fidanzata, e futura moglie. << Però la prossima volta che mi rifai una cosa simile, te la faccio pagare >>, la minacciò lui, sorridendo.
<< E’ una promessa? >>, scherzò divertita la giovane.
<< Assolutamente si >>
Poi entrambi sorridendo, ripresero a lacrimare. I loro occhi mostravano amore e felicità. Si unirono lentamente in un dolce bacio, assaporandosi a vicenda, con la consapevolezza che la loro vita da quel momento in poi non sarebbe stata più la stessa. Sapevano di aver trovato il loro posto nel mondo. Insieme, tra le braccia dell’altro, indissolubili nel loro amore. E con una fantastica famiglia nel loro prossimo futuro. Quale regalo migliore di natale poteva esserci?
 
A natale puoi… scoprire l’amore
 
‘Devo dirglielo. Devo dirglielo. Devo dirglielo’, pensava Carlo mentre passeggiava per le vie di Roma.
‘Devo dirglielo. Devo dirglielo. Devo dirglielo’, pensava Andrea mentre passeggiava per le vie di Roma.
Quella situazione li stava portando entrambi alla follia, senza saperlo. Parlare con la professoressa quel giorno, aveva reso le cose molto più chiare per tutti e due, ma restava ancora difficile accettare quella situazione. Uno era convinto di essere rifiutato perché sapeva l’altro essere etero. E l’altro partiva già sconfitto, con la consapevolezza che nel cuore dell’amato ci fosse qualcun altro. Insomma, stavano trincerandosi in pensieri assurdi, e su quanto avrebbero sofferto nel momento in cui si sarebbero confessati.
Carlo non poteva sopportare l’idea di essere odiato, addirittura disgustare il proprio amico con quel suo amore quasi sporco. Certo, la professoressa aveva detto che non c’era niente di più bello dell’amore, indipendentemente dai soggetti. Ma per lui era ancora difficile accettare questo suo lato ancora sconosciuto, improvviso, e sicuramente temuto. Sapeva anche che aprire il proprio cuore, equivaleva a perdere il proprio migliore amico, suo fratello. Andrea non sarebbe mai voluto rimanere accanto ad un essere simile, e l’abbandono di quest’ultimo destabilizzava Carlo più di qualsiasi altra cosa. Ciò che più lo spaventava, non era essere rifiutato, ma essere abbandonato dalla persona che considerava più importante di chiunque altro.
Andrea, dal canto suo, era convinto di non avere chance con il ragazzo dei suoi sogni. Insomma, sapeva che Carlo fosse innamorato di un’altra persona, e questa cosa lo feriva profondamente. Avrebbe voluto rubare il cuore del compagno e tenerlo prigioniero per il resto della sua vita, così gli sarebbe appartenuto per sempre. Ma sapeva che una cosa simile non era possibile. Purtroppo per lui, doveva dimenticarlo e lasciarlo andare. Altrimenti non sarebbe mai andato avanti con la sua vita. Ma faceva male, maledettamente male. Un male cane che ti prende allo stomaco e fa contorcere le proprie viscere, raggiungendo il cuore e stringendolo in una morsa mortale. Non c’era via di scampo a quel dolore continuo e massacrante.
Entrambi passeggiavano per quelle vie, tristi, incappucciati e stretti nei loro giubbotti. Non era giorno di festa per loro. Quel natale non portava magia, ma solo tanta tristezza.
Carlo camminava con la testa bassa, cercando di attirare meno sguardi possibili. Sapeva che la sua presenza inquietava la maggior parte delle persone. La sua aria troppo seria, quei suoi vestiti così neri e oscuri, lo rendevano un soggetto da evitare. Soffriva per quella solitudine, e l’unico che l’avesse mai accettato era anche quello che stava per perdere per sempre.
Andrea camminava con le mani incastrate nelle tasche del jeans rigorosamente nero, guardandosi distrattamente attorno, e notando con forte disappunto quante coppie felici ci fossero in giro. Le vedeva anche scansarlo per paura, ma a queste reazioni c’era abituato. In fondo non gli importava di cosa pensasse la gente. Non aveva mai avuto peso il giudizio degli altri, e odiava le ristrettezze imposte dal mondo. Bello, brutto. Alto, basso. Magro, grasso. Bianco, nero. Etero, gay. Odiava tutto questo. Ecco perché aveva scelto di non appartenere a niente di tutto ciò. Addirittura non aveva neanche voluto scegliere la propria sessualità, capendo di essere bisessuale fin dalla seconda media. Ma adesso, vedere quelle coppie felici, passeggiare mano nella mano, e fino a qualche tempo prima ignorate, lo infastidivano profondamente. Perché sapeva che non avrebbe mai potuto fare lo stesso con l’unica persona di cui si fosse mai innamorato in vita sua.
Passeggiavano senza guardare avanti, senza sapere quale meta raggiungere, ma guidati da una forza sconosciuta. Camminavano, quando ad un certo punto, sentirono forte l’istinto di guardarsi intorno, senza capire perché. Era un richiamo troppo forte. Quando lo fecero, voltarono il capo uno alla propria destra, e l’altro alla propria sinistra. Si videro subito, uno di fronte all’altro, sui marciapiedi opposti. Si fissarono intensamente negli occhi per qualche istante. Era surreale come il destino li conducesse sempre l’uno al fianco dell’altro. Sapevano entrambi che avrebbero percepito la presenza dell’altro anche senza saperlo, anche se questi si fosse presentato alle proprie spalle improvvisamente. Loro avrebbero sempre saputo dove volgere il proprio sguardo per guardare la persona amata.
Quando decisero di sbloccare quella situazione, si mossero contemporaneamente. A Carlo scappò un timido e triste sorriso per quelle azioni, perché sapeva che presto non avrebbe potuto più godere di quei gesti così belli e unici che li distinguevano. Andrea non mutò la propria espressione, ma il suo cuore prese ad agitarsi perché consapevole che non avrebbe mai più provato quelle meravigliose sensazioni con nessun’altro al mondo. Poi fece un cenno con la mano, indicando l’amico di restare fermo. Attraversò velocemente la strada, e si porse di fronte al viso corrucciato e bellissimo di Carlo.
<< Ciao >>, lo salutò con dolce freddezza. Tra loro c’era questo rapporto, fatto da gesti freddi all’apparenza, ma profondi e carichi di affetto per loro due.
<< Ciao >>, ricambiò il saluto Carlo.
<< Che ci fai qui? >>, chiese Andrea curioso.
<< Cercavo di schiarirmi le idee. Tu, invece, che fai? >>
<< La stessa cosa. Passeggiavo sperando di trovare la forza per fare una cosa >>, affermò Andrea. Lo guardava dritto negli occhi, cercando di scorgere una qualche reazione o emozione che potessero fargli sperare in un futuro più roseo, ma quella speranza era vana, lo sapeva bene.
<< Pare che questo natale per noi sia tormentato >>, sentenziò fintamente divertito Carlo. Alzò leggermente il volto, in quanto l’amico era più alto di lui di qualche centimetro. L’espressione fredda che gli altri vedevano in quel viso, per lui era invece calda e aperta. Non c’erano mai stati segreti tra di loro, almeno fino a quel momento.
<< Dobbiamo parlare >>, proclamò Andrea.
<< Si, anche io ho qualcosa da dirti >>, confermò Carlo.
I due rimasero silenziosi. Si fissavano negli occhi, cercando di scorgere ciò che l’altro nascondeva nel proprio cuore. Ma se una volta bastava guardarsi negli occhi per capirsi, in quel momento erano profondamente distanti. Non riuscivano più a comprendersi, e questo li distruggeva interiormente.
<< So tutto >>, affermò con decisione Andrea. Sul suo volto una scossa di dolore profanò quei occhi neri e profondi.
Carlo cominciò a boccheggiare. Non si aspettava quella frase, ne aveva paura. Non era pronto, ancora. Sentiva il macigno nel proprio cuore diventare sempre più forte. Ma sapeva che non poteva restare muto ancora per molto. Perciò abbassò lo sguardo, mortificato. Non riusciva a sostenere gli occhi meravigliosi dell’amico.
<< Mi dispiace >>, sussurrò tristemente. << Te lo giuro, non volevo che accadesse. Ma è… capitato >>
<< E’ capitato? Queste cose non capitano. Queste cose succedono e basta e non si può fare nulla. Mi sento così male >>, rispose addolorato Andrea.
<< Ti giuro, Andrea, se potessi tornerei indietro. Tutto pur di non perderti >>, disse Carlo cercando di trattenere le lacrime.
<< Perdermi? Quindi sai che questa situazione comporterà un nostro allontanamento? >>, domandò timoroso Andrea.
<< Si, lo immaginavo >>, confermò il ragazzo non riuscendo più a frenare le gocce salate nei suoi occhi. << Ti prego dammi un’altra chance. Ti prometto che non ti deluderò più >>, lo supplicò.
<< Un’altra chance >>, mormorò tristemente Andrea. Come poteva negargliela? Facile, ricordando tutto il dolore che stava provando in quel momento, sapendo di non possedere il cuore dell’amato. Dargli un’altra possibilità significava annientarsi con le proprie mani, e Andrea non era mai stato masochista. << Carlo, mi dispiace. Ma non ce la faccio >>
Carlo trattenne rumorosamente il fiato. Ecco, lo sapeva. Era finito, tutto. Ogni cosa stava venendo distrutta da quei suoi sentimenti. La professoressa sbagliava, perché quell’amore era sporco. Se causava tanto dolore, allora era malsano. Non andava provato. Ma reprimerlo era davvero difficile.
<< Ti prego, non gettare tutto al vento. Non sprechiamo questi lunghi anni di amicizia. Ci siamo dati anche il nostro sangue. Non permettiamo che questa… storia assurda ci separi per sempre >>, Carlo sputò fuori le ultime parole, accoltellandosi nel petto. Sapeva che avrebbe dovuto passare giorni difficili, se l’amico avesse accettato di restargli accanto. Ma era disposto a tutto pur di non perderlo.
Andrea dal canto suo, ragionava su quelle parole. Lui ormai conviveva con quell’amore da più di un anno. Aveva sacrificato molto di se stesso. All’inizio anche lui aveva fatto quel ragionamento. Sopprimere tutto ciò che aveva dentro, pur di non perderlo. Ma adesso non ce la faceva più. Era sfinito. Quella presenza costante nella sua vita, ormai non gli dava più gioia. La sua sola vicinanza non gli bastava più. Lui aveva la disperata esigenza di andare oltre, e standogli accanto non ce l’avrebbe mai fatta.
<< Non posso >>, sussurrò tristemente. Negli occhi di Carlo, un lampo di sofferenza lo trapassò. << Cerca di capirmi. Io non resisto più. E’ troppo per me. Sono stanco di tutto questo. Ti prego, devi permettermi di andare avanti >>, lo pregò Andrea. Il suo volto, sempre così impassibile, adesso aveva assunto un’espressione così tormentata, angosciata. E i suoi occhi scuri, sembravano annegare nelle lacrime, anche se non stava piangendo. Carlo percepiva tutto questo, guardandolo, e si domandava come potevano essere arrivati a tanto. Come potevano farsi così tanto male a vicenda. No, non poteva continuare. Sapeva che se avesse voluto trattenere Andrea, sarebbe bastato dimostrargli che non provava più nulla per lui. Ma questo era troppo. Era come chiedergli di non respirare più, di non vivere più. Abbassò il capo, mestamente, con la consapevolezza che presto tutto sarebbe finito, e lui sarebbe precipitato in un profondo oblio.
<< Va bene >>, annuì Carlo piangendo sempre di più. << Sei libero. Ti lascio andare. Non sarai più costretto a stare al mio fianco. Tutto quello che per me conta e saperti felice. Solo questo. E se per esserlo, devi starmi lontano, io lo accetto. Sono disposto a tutto pur di vederti sorridere, anche a perderti >>
Andrea sentiva il suo cuore sbriciolarsi sempre di più. Quelle parole facevano male, un male cane. Perché nella sua folle e cieca illusione, le aveva registrate come parole che un innamorato dice per far stare bene il proprio compagno. Come se per Carlo contasse solo la sua felicità. Ma sapeva che questa era solo una ridicola fantasia. Il suo migliore amico non lo amava, e lui doveva ritornare a stare bene. Se lo doveva. Annuì leggermente con il capo, e si voltò dando le spalle all’amico, incominciandosi ad incamminare.
Carlo piangeva sempre più disperato, vedere quelle spalle allontanarsi, gli stavano distruggendo l’anima e il corpo. Non riusciva più a resistere. Sapeva che presto sarebbe crollato al suolo, distrutto dal suo dolore. Tutto questo non poteva essere vero. Sperava che fosse un suo orribile incubo, ma quando si diede un pizzicotto, capì di essere nella realtà.
Andrea fece qualche altro passo, quando poi si bloccò. Il suo respiro era veloce, quasi come se non riuscisse ad inalare l’aria. Il cuore batteva furioso in petto. Il suo corpo sudava, e sentiva brividi freddi lungo la colonna vertebrale. Non poteva finire così. Non doveva finire così. Era arrabbiato, con Carlo, con se stesso, con la persona che gli aveva portato via il suo unico amore. Odiava il mondo e il destino, e per questo si sarebbe preso una rivincita. Si voltò di scatto, notando che Carlo era ancora lì fermo, che lo fissava piangendo grosse lacrime. I loro sguardi si incontrarono nuovamente, e Andrea non riuscì a resistere. Corse verso l’amico, e senza dargli tempo di reagire e dire qualcosa, poggiò le sue grandi mani sulle sue guance e lo baciò, voracemente.
Andrea aveva sempre desiderato quel contatto con quelle labbra. Le aveva immaginate piccole, un po’ screpolate e fredde. Chissà perché, poi. Ed invece i sogni non corrispondevano per niente con la realtà, e le emozioni provate durante quei momenti onirici erano nulla in confronto a ciò che stava provando ora. Quelle labbra erano dolci, morbide, calde, inebrianti, perfette. Le assaporò con gusto, leccandone ogni singola zona, desiderando di profanarle sempre di più. La sua lingua scivolò tra le due labbra, cercando di insinuarsi al suo interno, anche forzandole. Ma non trovò ostacoli. Perché si schiusero leggermente da sole, permettendo alla sua lingua di leccare i denti bianchissimi di Carlo, e scendere sempre più infondo, bramando un contatto più intenso. Quando sfiorò la lingua del compagno, sentì il paradiso nel proprio cuore. Era dove doveva essere, nel posto giusto. Nell’unico posto che sentisse appartenergli. Andrea sapeva che non avrebbe mai più provato queste sensazioni con nessun’altro, perché il suo cuore ormai era stato donato per sempre al suo unico amore. Sfiorò dolcemente la lingua timida del compagno, bramando sempre di più. Spinse la sua più in fondo alla gola, approfondendo quel contatto umido e meraviglioso. Assaporò il gusto di quella bocca così invitante, toccando ogni cosa, dal palato ai denti. Era tutto semplicemente perfetto.
Quando Carlo vide Andrea voltarsi per guardarlo, sperò con tutto il suo cuore che l’amico tornasse indietro. Che le cose potessero ricominciare in qualche modo. Quando lo vide correre da lui, capì che non era tutto perduto, e che forse ci sarebbe potuta ancora essere l’opportunità per loro di essere amici. Al diavolo il dolore, al diavolo l’amore… niente era più importante della presenza di Andrea nella sua vita. Ma quando questi lo raggiunse in poche falcate, e le sue mani si depositarono sul suo viso, percepì una strana speranza fatta di nuovi sapori. Se prima aveva desiderato con tutto il cuore non perdere il suo migliore amico, adesso in lui ardeva il sogno di poter ambire a qualcosa di più: possedere il suo cuore. Più veloce di un battito, le labbra di Andrea si unirono alle sue, lasciandolo senza fiato e incapace di pensare o agire. Quello era un sogno, non la realtà. Per forza. Neanche nelle sue più recondite fantasie, aveva sperato tanto. E invece stava accadendo. Chiuse d’istinto gli occhi, sapendo già che l’altro avrebbe fatto lo stesso. Percepì le labbra del suo amico strusciare sulle sue. Erano carnose, morbide e un po’ screpolate. In una sola parola perfette. Non avrebbe sapute descriverle meglio. Niente di ciò che avesse mai provato era stato così paradisiaco. Neanche quando aveva fatto sesso per la prima volta si era sentito così felice ed eccitato. Avvertì sulla propria bocca qualcosa di umido, e in un lampo di razionalità capì che si trattava della lingua di Andrea che lo stava assaporando e chiedeva il permesso di entrare in lui. Non glielo avrebbe negato per nulla al mondo. Tutto quello che desiderava era stringerlo ed assaggiarlo, e adesso il suo sogno era realizzato. Schiuse le labbra permettendo l’ingresso della lingua dell’altro. Sentì i propri denti venire assaporati e risucchiati in un vortice di felicità. Quando poi la sua lingua entrò in contatto con quella dell’amico, capì che non avrebbe mai amato nessun’altro al mondo che non fosse stato Andrea. Che l’unica persona per la quale sarebbe stato disposto anche a morire era li che lo stava baciando. Andrea era tutto il suo mondo. Le loro lingue cominciarono a danzare, dapprima timide, poi sempre più vogliose. Non si accontentavano più. Carlo non riuscì ad entrare nella bocca dell’amico, perché ancora troppo sconvolto, ma ugualmente lo assaporò succhiando ed accarezzandogli la lingua.
Passarono pochi minuti, o forse anni. A nessuno dei due ragazzi importava nulla del resto del mondo, neanche delle persone che si voltavano a guardarli schifati. Esistevano solo loro. Quando poi la necessità di ossigeno fu indispensabile, si staccarono con un sonoro schiocco, ancora eccitati e appagati da quel contatto. Andrea e Carlo aprirono lentamente gli occhi, tornando a fissarsi. I loro sguardi erano languidi e carichi d’amore. L’unica cosa che riuscivano a vedere era il volto del compagno, e quello spettacolo era unico.
Andrea, poi, lentamente appoggiò la propria fronte contro quella dell’amico, e annusò profondamente l’odore di Carlo.
<< Scusami >>, sussurrò ancora affannato e tremante. << Ma questo mi apparteneva di diritto. Ora posso andare avanti >>, detto questo si staccò, e diede nuovamente le spalle all’amico con l’intenzione di andare via.
<< Aspetta. Fermo. Che significa? Perché l’hai fatto? E queste parole? Io davvero non capisco >>, Carlo era oltremodo confuso. Non riusciva a capire. L’unica cosa di cui si rendeva conto era che il suo cuore batteva furioso nella sua gabbia toracica, desideroso di tornare al luogo a cui apparteneva: nel petto del compagno.
<< Credevo fosse chiaro >>, affermò con durezza Andrea, sempre di spalle.
<< No, non è chiaro. Spiegati >>, gli ordinò Carlo, con tono imperioso.
Andrea si voltò di scatto, e poggiò il suo sguardo in quello dell’amico. Era duro, arrabbiato ed ostinato. Ma nonostante tutto, innamorato.
<< Ti amo. Cazzo, ti amo come non ho mai amato nessuno in vita mia. Non riesco a respirare, non riesco a fare nulla, non riesco a vivere se tu non ci sei. E tu, purtroppo, non ci sei. Ed io non riesco più a sopportarlo. Non ce la faccio più, Carlo >>, confessò alzando la voce, e tremando vistosamente. Il suo corpo era attraversato da scariche fortissime di sentimento. << Io ho bisogno di stare bene. E con te al mio fianco, mi è impossibile. Questo bacio era un bacio d’addio, perché non posso più stare al tuo fianco. E tu devi lasciarmi andare. Ti prego >>.
Carlo lo fissò, incredulo. Non poteva credere alle sue orecchie. Aveva davvero sentito bene? Andrea gli aveva detto “ti amo”? No, questo non era possibile. Questo doveva essere per forza un sogno. Si diede un pizzico, nuovamente, convinto più che mai di non provare nulla. Ma quando percepì un forte dolore alla mano, si rese conto che era davvero la realtà. E la realtà era che Andrea, il suo Andrea, lo amava. Cominciò a sorridere sempre di più, finché non esplose in una fragorosa risata felice. Il mondo adesso era tornato a girare. Non era più in bianco e grigio, ma aveva assunto le tonalità di un nuovo colore: il colore dell’amore.
<< Che cazzo ti ridi? Io ti dico che ti amo, e tu ridi? Sapevo che non corrispondevi, ma così stronzo non ti facevo. Io me ne vado >>, affermò arrabbiato e deluso Andrea. Si voltò nuovamente e riprese a camminare.
Carlo lo vide compiere quel gesto, e senza pensarci due volte, lo bloccò per una mano, costringendolo a guardarlo. Si avvicinò di corsa, e gli diede un forte bacio. Uno di quelli possessivi, che ti lasciano senza fiato e che ti fanno girare la testa. Quel contatto, per entrambi, sembrò durare troppo poco. Quando si staccarono, ansanti, si fissarono nuovamente negli occhi.
<< E questo che significa? >>, sussurrò Andrea confuso. Non riusciva a capire.
<< Significa che ti amo anche io, imbecille. E che mi hai fatto dannare l’anima, mannaggia a te >>, rispose sorridendo Carlo.
Andrea spalancò gli occhi. Non credeva alle sue orecchie. Quelle parole erano state davvero pronunciate da quelle labbra? Era un altro dei suoi sogni? Si ricordò delle sensazioni e della morbidezza che quella bocca gli aveva regalato, e capì che era tutto vero.
<< Ma Nicola mi aveva detto che eri innamorato di un’altra >>, esclamò sempre più perplesso, ma estremamente felice, Andrea.
<< Quell’idiota ti ha detto questo? Io amo solo te, ormai non so più da quanto tempo >>, dichiarò sempre più felice Carlo. << Tempo fa, è vero che gli dissi che amavo una persona, ma quella persona eri tu. Chi altri potrei amare se non te, che sei il mio migliore amico, mio fratello, la mia anima, il mio cuore >>, le ultime parole le sussurrò emozionato.
Andrea non poteva credere alle sue orecchie. Quella dichiarazione era la cosa più bella che avesse mai sentito in vita sua. Sorrise, commosso e felice. Poi un dubbio gli venne in mente.
<< Ma allora prima, quando mi hai detto quelle cose sul cambiare, eccetera, a cosa ti riferivi? >>, chiese perplesso.
<< Credevo che avessi scoperto che ti amavo, e che fossi disgustato da questi sentimenti. Avrei fatto di tutto pur di non perderti, anche sacrificare me stesso >>, rispose sereno Carlo. Adesso niente lo avrebbe più turbato.
<< Coglione che non sei altro. come potrei provare disgusto per te, che sei la cosa più bella che mi sia mai capitata? Tu sei il mio angelo oscuro, bellissimo e nero. Perfetto per me >>, sussurrò felice Andrea sulla bocca dell’altro.
Poi i due si fissarono intensamente. Quel momento perfetto, fatto di sguardi e di parole non dette, culminò in un altro bacio, dolce e appassionato. Un nuovo sfregarsi di lingue, sapori e sensazioni. Quel natale cominciato così male, adesso si era concluso nel migliore dei modi. Con due cuori finalmente uniti.
 
A natale puoi… avere nuove chance
 
Era sera. Finalmente la festa stava cominciando. Nicola aveva portato i suoi genitori, ancora impacciati per quell’ambiente umile e fondamentalmente povero. La sala dove solitamente facevano la loro seduta di riabilitazione, era stata addobbata con pochi festoni e decorazioni per l’occasione, e come cena ognuno aveva preparato qualcosa da condividere con gli altri. Solitamente quella stanza sempre intrisa di dolore e difficoltà, adesso sembrava piena di armonia e gioia. Ma si sa, a natale tutto è più bello. Ma per Nicola, la cosa più bella che potesse esserci al mondo, era quella ragazza, minuta, ma con il carattere più forte del mondo. Piccola, occhi scuri e piccole efelidi sul volto, magra come un grissino, ma con il sorriso più bello del mondo. Debora, in tutto il suo splendore, attraversava la soglia della porta con il suo abito rosso e semplice. Non era niente di particolare, forse comprato in un negozio di vestiti usati. Ma per Nicola quel semplice indumento era diventato bellissimo, solo perché fasciava il corpo della ragazza. Il suo cuore prese a battere furiosamente. Non riusciva staccarle gli occhi di dosso.
<< Figliolo, forse dovresti andare da lei >>, suggerì a bassa voce il padre. Nicola non si era nemmeno accorto che lo avesse raggiunto alle sue spalle.
<< E’ molto graziosa in quell’abito, caro. Dovresti dirglielo >>, continuò la madre, arrivata anche lei.
Nicola sorrise felice. Forse non erano i genitori migliori del mondo, e ancora si aspettavano tanto da lui, imponendogli decisioni e idee. Ma gli volevano un gran bene, e desideravano solo il meglio per lui. A volte si rischia davvero poco, per mandare in frantumi un rapporto bellissimo. E questo, quella famiglia composta da tre persone, lo sapeva bene. Avevano sfiorato la possibilità di non essere più insieme, e questo non era tollerabile. Nicola sorrise, si voltò verso i suoi parenti e li abbracciò forte.
<< Grazie. Vi voglio bene >>, sussurrò commosso.
Quando si staccò, vide la madre asciugarsi frettolosamente una lacrima, mentre il padre aveva lo sguardo caldo e amorevole. Diede loro le spalle, e si incamminò verso quella che era la sua nuova felicità, e sperava che durasse per sempre. Quando raggiunse Debora, la sentì chiacchierare allegramente con due uomini del corso. Ridevano e scherzavano, come fossero amici di vecchia data.
<< Ehm, scusate >>, si intromise timidamente Nicola. In tasca, il pacchetto regalo da dare alla ragazza, pesava più di un macigno.
I tre si voltarono verso di lui, e sorrisero festosamente.
<< Nicola, auguri e buon natale >>, esclamarono i due giovani in coro.
Erano due fratelli, orfani, e cresciuti in mezzo alla strada. A soli sedici anni cominciarono a fare uso di droga, senza smettere per dieci lunghi anni. Quando poi uno dei due era stato trovato con della roba in tasca da alcuni poliziotti, fu costretto ad un anno di carcere. Il fratello rimasto in libertà, fu trascinato dalla sua vita dissipata, abbandonato anche dall’unica persona che gli restava. Passato un anno, i due si ritrovarono, ma erano profondamente cambiati. Se quello rimasto in prigione era riuscito a disintossicarsi, e ad imparare un mestiere, l’altro aveva gettato via la propria esistenza, immergendosi sempre più a fondo in quel mare oscuro della droga, del sesso, e dello spaccio. Il fratello ripulito provò per più anni a tirarlo fuori da quel giro, ma non ci riuscì in nessun modo. Quando però una sera lo chiamarono dall’ospedale, dicendogli che il fratello era stato ricoverato per overdose e che era entrato in coma, sentì la propria vita spezzarsi. Fu la settimana più lunga per entrambi. Una settimana di coma, ma quando si svegliò l’uomo comprese di stare gettando via la propria vita. Così avevano intrapreso entrambi la strada della guarigione. Quello era il terzo anno che frequentavano quel corso di recupero per ex drogati.
<< Auguri Nicola >>, sorrise amorevolmente Debora.
Nicola ricambiò quel sorriso così dolce, senza rendersi conto di come gli altri due spettatori li stessero fissando. Poi silenziosamente si allontanarono, permettendo ai due di restare un po’ da soli. Nicola e Debora si fissavano intensamente negli occhi, come se non ci fosse altro. Poi il ragazzo sfiorò per sbaglio la scatola chiusa nella sua tasca, e sembrò risvegliarsi da un sogno meraviglioso popolato dall’unica persona importante: Debora.
<< Dov’è tuo padre? >>, le chiese allora il ragazzo.
<< E’ a prendersi qualcosa da bere >>, rispose la giovane sorridendo felice.
Rimasero nuovamente in silenzio, stavolta carico di imbarazzo e tensioni. Poi Debora fece qualcosa di sorprendente. Prese la mano di Nicola, e la strinse forte nella sua.
<< Non ti ho mai ringraziato >>, sussurrò arrossendo.
<< Per cosa? >>, chiese Nicola sentendo il proprio cuore battere furioso nel petto.
<< In questo periodo mi sei stato molto vicino. E non sai quanto mi hai aiutato >>, affermò la ragazza guardandolo dritto negli occhi, con forza.
<< Tu dici queste cose a me? Sono io che devo ringraziarti. Senza di te, non sarei stato così bene, non mi sentirei più schiavo della droga. Senza di te, non avrei mai resistito >>, rispose agitandosi Nicola. Quelle parole le sentiva così tanto, da sembrare marchiate a fuoco sulla pelle.
<< Grazie anche per non avere mai indagato sulla storia mia e di papà. Sei stato davvero gentile >>, continuò lei, abbassando il volto. Quell’argomento la imbarazzava e rattristava molto.
Era vero, Nicola non sapeva molto del passato di Debora. Anche se durante la terapia la gente doveva parlare di se e del rapporto con la droga, non tutti scendevano nei dettagli su come fosse arrivato a drogarsi. Quasi tutti lo facevano, ma il padre di Debora non lo aveva mai fatto. Anche se il ragazzo era molto curioso sul passato della sua innamorata, non avrebbe mai invaso la privacy altrui.
<< Non mi interessa il tuo passato. O meglio, mi interessa al solo scopo che tutto di te per me è importante. E capire come sei diventata questa persona meravigliosa, mi interessa. Ma il tuo passato non è fondamentale per me. Ricordati questo >>, sussurrò dolcemente Nicola, accarezzando lentamente una guancia della giovane.
Debora, sorpresa sia da quelle parole che da quel gesto, sgranò gli occhi. Poi, appoggiò il volto su quella mano che la stava sfiorando, perdendosi in quelle iridi scure. Nicola era davvero un ragazzo speciale, e meritava tutto l’amore del mondo. Conosceva il suo passato, e perché fosse li, e lo rispettava per il coraggio avuto nell’affrontare quella vita che stava andando alla deriva. Ma c’era qualcosa che lo rendeva irresistibile. Quella sua dolcezza infantile, quei suoi modi così delicati e virili. E quelle sue mani morbide che quando ti toccavano, rendevano il mondo un posto più bello.
<< Io ho un regalo per te >>, mormorò arrossendo furiosamente il giovane, e staccando la mano dal volto della ragazza.
Prese la scatolina dalla tasca, e gliela porse aspettando la sua reazione. Quando la giovane aprì il regalo, rimase senza parole tanto era bella quella collana. E quel ciondolo, era semplicemente meraviglioso. Lei, superstiziosa e credente nella fortuna, le veniva regalato un amuleto prezioso. Lo prese con due dita, temendo di rompere l’oggetto così delicato, e lo ammirò felice come mai era stato nella sua vita. Guardò il ragazzo davanti ai suoi occhi, e si scoprì incredibilmente innamorata di quello sguardo e quel volto.
<< Mettimela >>, disse solamente.
Nicola non se lo fece ripetere due volte, e prendendo la collana dalle mani della ragazza, gliela infilò cautamente. Sfiorò la pelle e le spalle di quel corpo splendido, rimanendone folgorato. Adesso era tutto perfetto.
<< Grazie. È meravigliosa >>, sussurrò sempre più commossa la giovane rimirandosi ancora il ciondolo.
Vederla cosi bella e abbagliante, rendeva Nicola estremamente felice. Nulla al mondo avrebbe potuto distrarlo dal rimirare la giovane davanti ai suoi occhi. Prese un respiro e poi decise di chiedere una cosa che da molto tempo lo premeva.
<< Debora, senti ti va se qualche sera usciamo insieme. C’è qualcosa che vorrei dirti, ma voglio farlo in privato >>, chiese timido il giovane abbassando gli occhi.
La ragazza aveva capito cosa stesse provando a dirgli. Che quell’appuntamento era un pretesto per avere dei momenti soli e per dichiarargli i suoi sentimenti. Sorrise sempre più felice. Quel giovane timidone era la sua salvezza.
<< Mi piaci anche tu, Nicola >>, lo prese controtempo la giovane. Il ragazzo alzò di scatto lo sguardo, sconvolto e estasiato da quelle parole. << E accetto molto volentieri di uscire con te >>, concluse sorridendo, e afferrando nuovamente la mano di Nicola.
Questi ricambiò il sorrise, e strinse quella mano che gli stava infondendo calore e speranza. Aggiungere altre parole era superfluo. Sarebbero state inappropriate e fuori luogo. Entrambi si incamminarono verso la stanza, con la consapevolezza che anche per loro una nuova vita stava per cominciare. Che quel natale, aveva regalato delle nuove possibilità di essere felici. Dono più bello non poteva esistere.
 
A natale puoi… unirti corpo e anima
 
<< E’ stato meraviglioso >>, mormorò felice Paolo.
<< Anche per me lo è stato >>, confermò sorridendo Roberto.
I due, a terra, davanti al caminetto accesso, avevano fatto l’amore per la prima volta. Era stato splendido, incredibile e totalizzante. Le sensazioni che avevano provato, l’amore che sgorgava dai loro cuori e si riversava nel corpo dell’altro, era stato qualcosa di unico. In nessun’altro luogo, posto o persona avrebbero mai trovato l’amore che sentivano provenire dall’altro. Per la prima volta in vita loro, i due ragazzi pensavano che era bello amare.
<< E tu che neanche volevi farlo >>, lo prese in giro Paolo, stringendosi di più al petto del fidanzato.
<< Beh, allora meno male che ci sei tu che mi hai costretto >>, rispose allo scherzo Roberto, accarezzando dolcemente la schiena del compagno.
Stesi sul pavimento, uno sopra l’altro, videro il mondo negli occhi del proprio amore. Occhi verdi negli occhi nocciola. Com’erano perfetti l’uno vicino all’altro.
<< Davvero ti ho costretto? >>, domandò preoccupato Paolo alzando la testa dal petto del ragazzo, e guardandolo dritto negli occhi.
<< Quanto sei scemo. Ovvio che non mi hai costretto. Mi hai solo fatto capire qual era la cosa giusta da fare >>, rispose Roberto sorridendo, e accarezzando dolcemente il viso del giovane.
<< Cosa? >>, chiese il ragazzo dai occhi nocciola, tornando sereno. La cosa di cui aveva più paura era temere di aver forzato il fidanzato in qualcosa. Che non volesse farlo, ma che per accontentarlo si fosse concesso. Quasi come se fossero ancora nei ruoli di prostituto e cliente.
<< Unirci corpo e anima >>, sussurrò felice il giovane dai occhi verdi.
Alzò la testa da terra avvicinandosi al volto di Paolo, che prontamente lo seguì, unendo in un meraviglioso bacio le loro labbra. Inizialmente fu un semplice accarezzarsi, sfiorarsi. Poi il bacio divenne sempre più esigente e contemporaneamente, quasi come fossero stati un unico corpo e un’unica mente, dischiusero le labbra, permettendo il passaggio delle lingue infuocate che non aspettavano altro che toccarsi a vicenda. Ma, come ogni cosa che li caratterizzava, andarono piano. Le loro lingue si sfiorarono timide, in leggeri e veloci tocchi. Poi, prendendo nuovamente familiarità con la gemella, si accarezzarono sempre più voracemente, scambiandosi il loro sapore. Poi i due ragazzi insoddisfatti di quel tocco ancora troppo superficiale, spinsero sempre più infondo la propria lingua nella bocca dell’altro, arrivando a leccare ogni angolo di quel paradiso umido. Palato, denti, gola… nulla fu risparmiato. Baciarsi, per loro, era la cosa più bella del mondo, e mai avrebbero voluto smettere. Ma purtroppo respirare per loro era indispensabile. Perciò si staccarono controvoglia, ansanti e felici. Si sorrisero contemporaneamente, stupendosi per l’ennesima volta, di come i loro cuori e i loro corpi si muovessero contemporaneamente. Ogni gesto, anche durante il rapporto, era stato naturale e simultaneo a quello dell’altro. Se uno respirava, anche l’altro lo faceva. Se uno accarezzava, anche l’altro lo faceva. Se uno baciava, anche l’altro lo faceva. Se uno amava, anche l’altro lo faceva. Erano davvero un’unica anima. E mai più si sarebbero separati, questo era poco ma sicuro. Ormai il loro destino era quello di essere uniti, come se un filo di ferro li legasse all’altezza del petto. Separandosi, il loro cuore sarebbe stato strappato di forza dal proprio corpo. Tutto quello di cui avevano bisogno era stretto tra le loro mani. Tutto qua. Bastava davvero poco per essere felici.
<< Ti amo >>, sussurrò innamorato Roberto, sfiorando nuovamente la guancia del compagno.
<< Ti amo anche io >>, rispose innamorato Paolo, godendosi le carezze del ragazzo.
Poi un rumore attirò la loro attenzione. Lo stomaco del giovane dai occhi nocciola, brontolò furiosamente, facendo arrossire il ragazzo. Roberto, invece, scoppiò a ridere.
<< Uffa, non ridere >>, si lamentò come un bambino Paolo.
<< Scusa, ma è stato davvero troppo divertente. Hai rovinato un momento magico >>, lo canzonò il giovane dai occhi verdi.
<< Uffa. Sei un bastardo >>, si arrabbiò fintamente Paolo.
<< Su, dai non arrabbiarti amore mio >>, Roberto abbracciò forte il fidanzato, dandogli un dolce bacio sulla testa. << Sei meraviglioso, ma la prossima volta, prima di fare l’amore, mangiamo. Va bene? >>
<< Ok >>, annuì imbarazzato Paolo, ricordandosi di come lo avesse trascinato sul pavimento quasi subito dopo essersi incontrati in casa. Non voleva mangiare niente che non avesse il sapore di Roberto.
Con quel pensiero in testa, i due si alzarono dal pavimento, raccattando i boxer, e andando in cucina, per cercare di mangiare qualcosa. Le mani rimasero ancorate l’una nell’altra per tutto il tempo.
 
A natale puoi…
 
Sera. Dopo una mattinata così intensa, ci fu solo la pace più assoluta. Era stato bello aiutare i miei ragazzi con i loro problemi, e mi sentivo appagata e felice con me stessa. Fare la cosa giusta era davvero gratificante. Eppure, adesso, in quella casa sola, e con ancora la febbre addosso, mi sentivo di nuovo abbattuta. Questa cosa mi urtava perché non ero mai soddisfatta delle cose che avevo. Se prima mi lamentavo dell’ossessione dei miei alunni, e delle loro continue visite, adesso avrei pagherei oro per avere qualcuno accanto a me. Quasi due anni fa, mio marito a quest’ora mi avrebbe stretto tra le sue braccia, ripetuto nel mio orecchio le parole “ti amo”, e avremmo fatto l’amore fino ad addormentarci l’uno nelle braccia dell’altra. Adesso invece non c'era nessuno qui con me. Stranamente, però, non era solo l’amore di mio marito a mancarmi, ma anche due occhi color ghiaccio che mi scrutavano e osservavano intensamente, come fossi l’unica cosa da poter guardare. Ianto. Chissà cosa starà facendo, dove sarà e con chi. Volevo improvvisamente vederlo, parlarci e scherzare nel nostro tipico modo. Quel pensiero era assurdo. Io non potevo desiderare di averlo qui al mio fianco. Era sbagliato, maledettamente sbagliato. E la cosa che più mi faceva stare peggio, era sapere che il mio cuore aveva accettato già la sua presenza. Adesso lo spazio che c’eranel mio petto era condiviso da mio marito e da Ianto, e questo non andava bene. Era assurdo, folle, ed io non ero d’accordo. Io amovo mio marito, lo avrei amato per sempre. Io glielo avevo promesso. E mantenevo sempre la parola data. Eppure una parte del mio cuore reagiva solo alla presenza di Ianto, come se esistesse solo per lui. Avevo paura. Paura di quello che provavo. Di ciò che cominciavo a sentire, e di quello che avevo lasciato. Avevo paura del futuro, di stare male di nuovo, e avvertire nuovamente quel dolore mortale in petto. Non potevo sopportare di soffrire ancora così. Avevo bisogno di sapere che c’era speranza. Che in futuro la felicità tornasse  ad albergare nel mio cuore. Solo così potevo guarire dai miei mali interiori. Ma so, anche, che non me lo sarei mai permesso. Che sarei rimasta ancorata al passato, e avrei guardato il mondo scivolarmi di fianco e proseguire, lasciandomi indietro. Sospirai affranta. Pensieri così tristi il 25 di dicembre sono inappropriati. Chiusi il terzo libro che avevo finito di leggere durante quel giorno. Erano le nove di sera, e tutto quello che avevo ingerito durante il giorno era una tristissima minestrina. Come avevo fatto a cadere così in basso? Da quando ero diventata cosi patetica? Sospirai nuovamente, sistemando meglio la coperta sulle gambe. Se solo ci fosse stato qualcuno al mio fianco, capace di farmi sorridere.
Ad un certo punto il campanello di casa squillò. Rimasi a fissare inebetita la porta. Cos’era, un segno? O una presa in giro? In base alle mie esperienze passate, propendevo più verso la seconda ipotesi. Il campanello trillò una seconda volta, ma io non trovavo il coraggio di aprire. Qualcosa mi diceva che se l’avessi fatto, poi non sarei più tornata indietro.
<< Prof, ci sei? Avanti, aprimi. Hai un febbrone da cavallo, quindi non credo tu sia andata a fare baldoria >>, disse una voce scocciata. Ianto.
A sentire quella voce, il mio cuore perse un battito. Improvvisamente mi resi conto di quanto in quei giorni il ragazzo mi fosse mancato. Com’era possibile? Come aveva fatto ad entrare così profondamente in me in così poco tempo? Senza pensarci un secondo mi alzai di scatto dal divano, dirigendomi verso la porta. Stavo per aprirla, quando una voce nella mia testa mi bloccò.
‘Se lo fai, se apri questa porta, dopo non sarai più in grado di tornare indietro. Dovrai affrontare i tuoi demoni. Sei disposta a farlo?’, mi disse con la sua vocina petulante e fastidiosa. Sapevo che era la mia coscienza, ma la odiavo lo stesso. Perché aveva sempre ragione. Ed io odiavo avere torto.
<< Prof, mi si stanno ghiacciando le chiappe. E questa scena mi sa tanto di già vissuta. Vogliamo fare il bis? >>, si lamentò il ragazzo, ricordando l’episodio in cui non volevo farlo entrare in casa.
Quella volta vinse, e quando appoggiai la mano sulla maniglia della porta, capii che anche adesso aveva vinto. Zittii quella fastidiosissima voce nella mia testa, e spalancai la porta. Li, davanti a me, incappucciato e infreddolito, si stagliava la persona più bella che avessi mai visto. Cappello nero calato sulla testa, giubbotto pesante dello stesso colore, jeans, un’espressione birichina e anche lievemente infastidita, e quei suoi meravigliosi occhi di ghiaccio. Ianto mi fissava, non sapendo quale reazione causasse in me.
<< Prof, fammi entrare forza. Se non l’hai capito ho freddo, e queste dannate buste pesano >>, continuò a lamentarsi il giovane.
Solo allora notai che portava varie buste di plastica, abbastanza pesanti. Mi spostai di lato facendolo entrare. Lui si accomodò velocemente, e portò le buste alla penisola che separava la cucina dal salotto. Le adagiò, si tolse cappello e giubbotto, e corse davanti al camino acceso cercando di catturare quanto più calore possibile. Io intanto rimanevo ferma, a fissarlo, incapace di fare anche un solo passo. Quando Ianto si voltò, e notò che ero ancora ferma vicino al divano, cominciò a parlare.
<< Prima che tu cominci ad inveire contro di me, e a minacciarmi di lanciarmi qualche libro dal dubbio peso >>, ed indicò il libro che era posato sul tavolino basso. << Fammi spiegare perché sono qui. Dunque, so che tu mi avevi detto di stare lontano, che avevi la febbre, e che non volevi farmi ammalare, ma io non ce la facevo più >>, esclamò sbuffando e allargando le braccia. Sembrava un bambino infastidito. << Apprezzo che tu voglia proteggermi, e che non voglia farmi ammalare, ma a tutto c’è un limite. E come tu ti preoccupi per me, anche io lo faccio per te. Come pensi mi sia sentito, sapendoti sola e malata in casa? Stavo impazzendo. E non avere tue notizie, mi lacerava l’anima. Non ti azzardare mai più a fare una cosa simile, altrimenti dovrai vedertela con la mia furia >>, mi minacciò con serietà, puntandomi un dito contro.
Ero perplessa, incredula, e felice. Lui si era preoccupato per me. Ci teneva a me. Questo mi rendeva serena. Ero convinta che non gli interessassi abbastanza, o che lui non tenesse abbastanza a me. Ma un pensiero mi venne alla mente.
<< Scusa ma se eri così preoccupato per me, perché non sei venuto prima? >>, domandai  confusa.
<< E come potevo, scusa? Mi hai intimato di starti alla larga finché non fossi stata bene >>, sbuffò Ianto scuotendo la testa.
<< E da quando tu ascolti ciò che ti dico? >>, chiesi incredula. Questa era una novità anche per me.
<< Da quando hai la febbre altissima, e non ti devi agitare. Se mi fossi ribellato, e fossi venuto qui, tu ti saresti preoccupata, e la tua temperatura sarebbe salita ancora di più. Non potevo rischiare. Per me tu sei importante, e voglio che tu stia bene. Ho resistito fino ad ora, ma sono giunto al mio limite. Ed ora eccomi qui >>, disse senza imbarazzo o vergogna.
Lo fissai spalancando gli occhi. Come poteva essere così sincero? Era maledettamente disarmante. Mi portai una mano al volto, cercando di nascondere l’imbarazzo.
<< Come fai a dire cose così, con questa nonchalance? >>, domandai scuotendo la testa.
<< Boh, mi escono naturali. Io sono acqua e sapone, e non ho peli sulla lingua >>, disse con tranquillità. Poi si avvicinò, e mi tolse la mano dal viso. Appoggiò le labbra alla mia fronte, e rimase fermo per qualche istante. Il mio petto sembrava squarciarsi, tanto il cuore batteva furiosamente. Non sapevo che fare, e il mio naso era infilato sul suo collo. Senza volerlo inspirai il suo odore. Sapevo di buono. Poi quel contatto terminò, a mio avviso troppo presto, e si allontanò, dirigendosi verso la penisola. << La febbre non è molto alta. Meno male. Adesso mangiamo >>, affermò prendendo varie vaschette dalle buste.
Mi avvicinai cauta, cercando di regolarizzare il battito cardiaco. Ero ancora scossa, perciò mi misi a sedere sullo sgabello in completo silenzio. Solo allora notai la quantità di cibo e bevande portata da Ianto.
<< Ehi, ma quanta roba hai portato, si può sapere? Devi sfamare un reggimento? >>, domandai scioccata.
<< Per quanto possa sembrare irreale visto il tuo corpo, tu mangi molto. E queste sono vere prelibatezze. Ritieniti fortunata >>, mi apostrofò lui continuando a cacciare roba.
<< Io non mangio molto. Mangio il giusto. E che significa quel riferimento al mio corpo? >>, dissi infastidita.
<< Che sei magra. E non capisco come sia possibile. Le persone che mangiano e non ingrassano, sono quelle che vengono odiate di più >>, rispose Ianto monocorde.
<< Odiate di più? Anche da te? >>, provai a scherzare, ma la sua risposta cominciò ad interessarmi molto.
<< Odiare te? No, decisamente no. Io non sono tutti, io sono io. Quindi la massa è qualcosa che non mi riguarda >>, affermò Ianto guardandomi negli occhi.
Rimasi spiazzata da quelle parole. E il  mio cuore riprese a battere furiosamente. Adoravo quando diceva frasi simili, piene di significato e mature. Mi facevano capire quanto il ragazzo fosse profondo. Mi faceva semplicemente impazzire. Tossii nervosamente, distogliendo lo sguardo, e fissando una vaschetta.
<< “La massa non mi riguarda”… uhm, non è che mi stai diventando emo? >>, lo presi in giro, cercando di smorzare l’atmosfera.
<< Nahh. Il nero mi si addice, ma non sono fatto per quel genere di vita >>, rise divertito Ianto.
<< A proposito di emo. La prossima volta non sbattere il telefono in faccia a Nicola. Non è carino, brutto zoticone che non sei altro >>, dissi ricordandomi del ragazzo e di quello che mi aveva riferito.
Vidi Ianto stringere furioso un vassoio. La sua aura diventò nera e oscura. Quasi demoniaca.
<< Quel bastardo è venuto qui? >>, domandò digrignando i denti.
Vederlo in quel modo mi faceva ridere da una parte, e dall’altra mi intimoriva. Era davvero bizzarra la sua gelosia.
<< Si. È venuto qui. Moccioso, imparati a comportare civilmente >>, lo rimproverai nuovamente.
<< Dannato bastardo. Quando lo vedo lo faccio fuori >>, minacciò Ianto.
<< Tu non fai fuori proprio nessuno. Ora siediti a calmati >>, sospirai alzando gli occhi al cielo.
<< Che voleva? Cosa ti ha detto? Ti ha baciato di nuovo? >>, domandò a raffica il ragazzo guardandomi preoccupato.
<< Santi numi, Ianto, ma sei davvero paranoico. È venuto a chiedermi un consiglio sulla persona che gli piace, e non mi ha baciato. Ma poi perché devo darti spiegazioni?! >>, esclamai indignata dal mio e dal suo atteggiamento.
<< Perché mi piaci, ecco perché mi devi delle spiegazioni. Perché tu vuoi darmele, perché vuoi farmi stare tranquillo. Ecco perché >>, spiegò tranquillo il giovane, tornando a sistemare il cibo.
<< Ti odio >>, esclamai infastidita. Afferrai una vaschetta di lasagna e cominciai a mangiarla avidamente.
<< L’odio è un sentimento passionale. E diventa presto amore >>, sorrise ammiccandomi. Prese anche lui una vaschetta e cominciò a mangiare.
<< Oh sta zitto >>, esclamai prendendo un altro boccone.
Fu così che passai la serata di natale. Mangiammo tutto quello che Ianto aveva portato, parlando del più e del meno e litigando la maggior parte delle volte. Poi ci dirigemmo sul divano, dove i nostri dibattiti continuarono. Risi, come non avevo mai riso in vita mia. Ianto creava in me emozioni nuove, che non sapevo di conoscere. Non avevo mai pensato di possedere una vasta gamma di sentimenti. E quelli che avevo li riservavo tutti per mio marito. Invece con quel giovane, stavo riscoprendo una nuova me stessa. Forte, combattiva, testarda, giocosa, divertente, allegra, spensierata, bisognosa d’affetto… un nuova me che  a tratti mi spaventata. Riscoprirsi a trent’anni è pericoloso. Si rischia di perdersi. Ma con Ianto vicino, sapevo che avrei sempre trovato la strada di casa. Perché  lui era luce, era calore, era una cioccolata calda nelle domeniche invernali, era un camino accesso con un buon libro, era un gelato dolce, era vita, era speranza. Lui era amore. Eravamo seduti sul divano, da qualche ora. Era quasi mezzanotte, ed io stavo per addormentarmi. Mi resi conto, nel dormiveglia, che Ianto aveva poggiato per bene le coperte sulle nostre gambe. Poi mi aveva passato un braccio intorno alla spalla, e attirato contro al suo petto, facendomi accoccolare dolcemente. Ricordo che mi avvinghia al maglione, e strusciai la mia testa sul suo petto come fossi un gatto. Mi sentivo bene, ero felice. L’ultima cosa che pensai prima di addormentarmi, era che li, tra le braccia di Ianto, mi sentivo a casa. Ianto era la mia casa.



Buonasera signori/e...eccoci con un nuovo capitolo di "Eppure mi ha cambiato la vita"...cosa dire?
beh, che spero vi piaccia XDXD...io è ufficiale adoro la coppia andrea e carlo...sono carini e stupidi insieme *-* XDXD
qualcuno di voi potrà dire leggendo la parte di roberto e paolo: tutto qui? così poco? e dov'è la loro prima volta?
vorrei spiegarvi che non sono impazzita, ma che per loro dedicherò una one shot proprio di quel momento...qui ho descritto solo la parte finale...scrivere tutto su quella sera sarebbe stato troppo lungo XDXD
per quanto riguarda margherita, l'unica cosa che vi posso dire, è che io mi sarei comportata come lei...se il mio fidanzato reagisse a quel modo alla notizia che sono incinta e se fossimo ancora troppo piccoli, lo lascerei libero..perchè nn sarebbe un uon padre e perchè meriterebbe la felicità...
detto questo ringrazio tutti quelli che leggono e aggiungono la storia alle preferite/seguite XDXD grazie soprattutto a quelle quattro splendide ragazze che recensiscono sempre XDXD...grazie, siete uniche...
invito anche gli altri a recensire, così conosco nuovi pareri...confrontarsi per uno scrittore è importante...
detto ciò, vi anticipo che durante la settimanan uscirà la one shot, quindi chi la volesse leggere, tenga sott'occhio la mia pagina XDXD come anticipo, vi lascio l'immagine di copertina...che ne pensate di roberto e paolo? vi piacciono?
un bacio
Moon9292



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Capitolo 17
*** Certi dolori tornano ***


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Capitolo 17 - Certi dolori tornano


Lunedi mattina, 7 gennaio. La scuola ricominciava quel giorno. Ricominciare le lezioni di lunedì mattina, subito dopo aver passate qualche settimana a casa per le vacanze natalizie, era davvero da suicidio. Già prima odiavo quel giorno della settimana, perché veniva subito dopo la domenica. Ma in più farlo diventare come “giorno di ripresa della scuola”, lo metteva dritto nella lista nera. A mio avviso, il lunedì andava abolito. Avrei preferito addirittura ricominciare la settimana lavorativa di martedì. Qualsiasi cosa, ma non il lunedì. Questa era una mia ferrea certezza. Spesso venivo presa in giro da mio marito per questa mia assurda convinzione ed avversione verso uno stupidissimo giorno della settimana. Ricordo quanto rideva alle mie buffe facce della domenica sera, quando mi lamentavo di quel giorno nefasto che l’indomani sarebbe arrivato. Mi prendeva in giro, e si divertiva a farmi il verso. Mi innamoravo ogni volta sempre di più quando mi imitava. Potrebbe sembrare assurdo, ma sentivo il cuore scoppiare d’amore tutte le volte che quell’uomo si burlava di me. Io, orgogliosa e testarda oltre i limiti umani, che cedevo all’amore in quel modo ridicolo. Dovevo essere pazza già all’epoca, e adesso le cose non avevano fatto che peggiorare. Precipitare in un baratro oscuro dal quale non c’erano vie d’uscita. O forse una c’era, ed ero io che non volevo accettarla. Una via d’uscita dagli occhi di ghiaccio, che quando mi abbracciava, percepivo la sensazione di appartenenza. Mi sentivo a casa, felice e rilassata come non ero più da non so quanto tempo. Una via d’uscita bellissima, ma in qualche modo terrorizzante e impossibile per la mia ostinazione. Ormai, dopo quel giorno di natale, avevo cominciato ad accettare l’idea di sentire il cuore battere nuovamente per una persona diversa da mio marito. Avevo cominciato ad accettarla, ma una parte di me ancora lottava contro quei sentimenti. Era quella parte ancora legata al passato, ancora innamorata di una persona che non c’era più da quasi due anni. Quella parte di me che mi stava facendo impazzire, e che non voleva lasciarmi vie di fuga. Odiavo questo dualismo del mio cuore. Quasi come volesse separarmi in due. Ma perché doveva essere così? Perché quelle due parti del mio cuore non potevano fondersi in un’unica cosa? Perché era tutto così dannatamente difficile? Non riuscivo davvero a capire il motivo per cui le cose dovessero essere o bianche o nere. A che diavolo esistevano le altre sfumature di colore? L’arcobaleno nel cielo esisteva per una ragione, no? Allora perché la mia vita doveva assumere solo due tonalità di colori. Che tra l’altro, erano anche i più brutti, i più tristi. Io volevo andare avanti, continuare la mia vita. Fare in modo che potessi essere felice ancora, ma questa possibilità non mi era concessa. E scappare da casa mia, aveva aggravato la situazione. Perché se una volta, in passato, il mio cuore apparteneva solo ad una persona, adesso invece c’era un altro essere umano che mi aveva conquistato. Lentamente, con calma, e con affetto. Poco a poco, goccia a goccia, mi aveva fatto cadere tra le sue braccia, con pazienza e amore. Ed io non avevo saputo resistergli. Eppure non potevo abbandonarmi ad esso. Non ci riuscivo. L’amore per mio marito, il nostro eterno “Si” detto all’altare, davanti ad un prete, era tutto troppo forte. Era ancora la parte più importante di me, quella. Avrebbe vinto sempre. E sapevo anche il perché. Proprio per questo ero scappata da casa mia, e mi ero ritrovata ad insegnare a Roma. Il destino, però, è più forte di tutto. E sulla mia strada aveva messo nuovamente quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio, che già una volta mi era entrato dentro, in profondità. Ma se la prima volta era stato un fugace incontro, adesso il percorso intrapreso da entrambi percorreva strade parallele che, man mano che le cose andavano avanti, si avvicinavano sempre di più. Chissà se un giorno si sarebbero toccate, e incrociate, oppure unite in un’unica strada. Purtroppo sospettavo di no. Troppe cose ancora non erano state risolte, e ormai ero già arrivata a gennaio. Ancora sei mesi, e poi tutto sarebbe finito. Sarei tornata a casa mia, dalla quale ero scappata. Sarei tornata dai miei incubi e dalla mia pazzia. Forse stavolta, sarei riuscita a superare tutto. Ma era troppo presto per cantare vittoria. Prima dovevo tornare, e poi forse un giorno sarei stata felice. Ianto sarebbe diventato un ricordo. Ma sarebbe stato per sempre il più bello della mia vita. Gli dovevo già molto, e probabilmente in futuro mi avrebbe aiutato ancora di più. Perché lui era così. Regalava gioia e vita a chi gli stava intorno. Una persona luminosa, brillante speciale, capace di aiutare con un solo sorriso. Lui era unico. Comunque, quello non era il momento per perdersi in quei pensieri incasinati, e troppo svenevoli. Avevo una classe da affrontare. Dopo quel natale, non avevo visto quasi nessuno. Solo Paolo, Roberto e Ianto erano tornati a casa mia. Avevo scoperto con gioia della prima volta tra i primi due, e la felicità del giovane dagli occhi di ghiaccio nell’apprendere quella lieta notizia. Adesso quei due ragazzi erano più uniti che mai. Lo si percepiva dall’aura che emanavano. Da una parte invidiavo il loro amore. Ma dall’altra non potevo che ammettere quanto il loro rapporto fosse unico. Era una gioia per gli occhi vederli insieme. Anche Ianto concordava con me. Paolo e Roberto erano due anime destinate ad appartenersi per sempre. Poi, l’ultimo dell’anno lo avevo trascorso da sola. Ricordo ancora quando Ianto mi aveva chiamato dallo chalet dove era stato costretto dai nonni a recarsi.
 
<< Prof, cazzo, mi dispiace immensamente. Vorrei essere li con te adesso >>, esordì con questa frase appena cominciata la chiamata. Era mezzanotte meno dieci. Pochi minuti ancora, e sarebbe scattato il nuovo anno.
<< Non dire idiozie, Ianto. Non fa niente. L’importante e che tu ti diverta >>, affermai con finta convinzione. La verità era che non volevo stare da sola quel giorno. E paradossalmente, speravo che il giovane restasse al mio fianco anche quella notte, come era accaduto per natale.
<< Come pensi che possa divertirmi, qui da solo, senza di te?! È una follia anche solo a dirlo >>, esclamò indignato Ianto, con quel suo solito modo di fare. Non si curava minimamente dell’effetto che avevano le sue parole sugli altri.
<< Sincero come al tuo solito, vedo. Non cambierai mai >>, sospirai sconfitta dalla nonchalance con cui il ragazzo diceva le cose.
<< Perché dovrei cambiare. Questo è un mio pregio >>, si gongolò. Potevo perfettamente immaginarlo con quella sua faccia da schiaffi.
<< E anche modesto. Sei un ammasso di carne fatto di virtù e pregi, vedo >>, ironizzai divertita.
<< Ma quanto mi conosci bene, prof? È stupefacente quanto tu ed io ormai sappiamo l’uno dell’altra >>, commentò allegro Ianto.
<< Sei senza speranze, moccioso. Spero che con l’anno nuovo migliorerai un po’. Pregherò affinché il tuo cervello si evolva, e passi da uno stato larvale a quello di bruco >>, dissi con la mia solita acidità.
<< Veramente io sono già una bellissima farfalla >>, affermò con convinzione.
<< Sei decisamente senza speranze >>, sospirai sconfitta. Quel suo modo di fare era davvero impossibile.
<< Ma come, prof. Non sono senza speranze. Ormai sto anche per diventare maggiorenne. Ancora un altro po’, e finalmente sarò tuo perfetto pari >>, dichiarò felice Ianto.
<< Perfetto pari? Moccioso, ti ricordo che i tredici anni di differenza restano. Se tu fai diciotto anni, io ne faccio trentuno. E gradirei che tu non mi ricordassi che ormai sono diventata vecchia. Pochi anni e sarò nei quaranta, poi nei cinquanta, poi nei sessanta. Poi, ancora nei… >>
<< Nella tomba >>, concluse sarcastico il giovane. << Prof, sei veramente molto ottimista. Sul serio, dovresti contenerti. Non ti fa bene alla salute essere così positiva >>
<< Spiritoso. Tu non puoi capire come la vita passi velocemente superata una certa soglia d’età >>, dichiarai punta sul vivo. Ed era anche vero quanto io fossi negativa in tutte le cose.
<< E tu non puoi capire quanto poco mi freghi che sei più vecchia di me di tredici anni. Perché, che ti piaccia o no, io farò parte della tua vita. Per sempre. E quanti anni hai, o che età dimostri, sono cose che non mi toccano minimamente >>, esclamò con tranquillità il ragazzo. Percepivo comunque una nota d’amore in quel suo tono di voce. E questo fece battere furioso il mio cuore. << Tutto ciò che per me conta e trascorrere il resto della mia vita al tuo fianco. Tra poco diventerò maggiorenne, e non ci sarà niente che potrà ostacolare quello che sento. Neanche la tua determinazione al non volermi accettare. Perché lo so che anche tu provi qualcosa per me. Lo sento. E io non mi darò mai per vinto. Potrà sembrarti un’assurdità questo mio modo di pensare, oppure apparirò ridicolo ai tuoi occhi. Ma questa è la sola ed unica verità che conosco. E a me basta >>, concluse la sua personale arringa nei miei confronti.
Rimasi senza fiato e parole. Incredibile per una come me. Come aveva fatto a colpirmi in quel modo, con quelle parole così dannatamente giuste e belle? Come poteva avermi fatto provare sempre più forte quei sentimenti? E tutto questo parlandomi per telefono. Se me lo fossi trovato davanti agli occhi, che sarebbe capitato? Mi sarei sciolta. Ne ero certa. Perché era quello che mi stava capitando, anche adesso. Io davvero adoravo quel ragazzo. E forse anche qualcosa in più. Anzi, non forse. Io provavo per davvero dei sentimenti per Ianto. Questo mi spaventò, come solo poche cose nella mia vita avevano fatto. Dove sarei andata a finire, se proseguivo per quella strada? Che cosa ci sarebbe capitato? Troppe domande, troppi pensieri, e soprattutto troppe paura. Non ero disposta ad affrontare ancora il dolore e le difficoltà che quella relazione ci avrebbe portato. Io non avevo più la forza. Ma sentire quelle frasi, quelle meravigliose parole, mi portavano a credere e a sperare in tutto. Le sentivo riecheggiare nella mia mente, con un eco sempre più forte. Invece di scemare, questo aumentava di più, senza possibilità di quietarlo. Come mi sarei mossa adesso? Quali passi avrei dovuto percorrere? In quel momento la mia testa era piena di “Ianto”. Non pensavo ad altro. Anche il ricordo di mio marito era stato accantonato in un angolo remoto. Fatto a dir poco stupefacente. Non esisteva che io smettessi di pensare a quella persona così importante per me. Eppure era successo. Cosa mi stava capitando? Che cosa succedeva in quel mio dannato cuore?
<< Prof, lo so che sei spaventata adesso. E lo deduco non solo dal tuo silenzio, ma anche dal suono del tuo cuore. Ci potranno separare miglia e miglia di distanza, ma io continuerò a sentire il tuo cuore battere. Lo sentirò sempre, qualsiasi cosa accada. Perché siamo uniti, ormai. Sei stata l’unica cosa buona che mi sia capitata da anni a questa parte. Sei entrata nella mia vita, quando ormai non c’era più niente per me. Quando tutto era spento, vuoto. Quando le cose crudeli accadevano ogni giorno. Sei arrivata quando credevo che ormai per me fosse giunta la fine. Ed io non posso più separarmi da te. Tu sei diventata il mio tutto, prof. >>, continuò nuovamente Ianto, regalandomi ancora parole sempre più belle. Quasi come se il mio intero essere necessitasse di sentirle. Volevo ancora di più. Volevo assaggiare con maggiore forza quelle sensazioni che mi stava donando. Cominciai a piangere senza motivo. O forse un motivo c’era. Mi stavo riscoprendo piena di sentimenti per lui. O almeno quella parte di me totalmente concessa a Ianto. Sentivo di stare tornando lentamente alla vita. Non provavo quella sensazione da troppo tempo, ormai. E quasi mi sentivo affogare dalla portata di tali sentimenti. Volevo parlare, esprimere con parole ciò che provavo, ma mi era impossibile. Quindi rimasi in silenzio, beandomi ancora dell’eco di quelle frasi che risuonavano sempre più forti nella mia testa.
<< Prof, manca solo un minuto all’anno nuovo. E vorrei cominciarlo dicendo una cosa, che forse ti spaventerà o che ti scioccherà. Ma non mi importa, sinceramente. Come dicevano in “Via col vento”, francamente me ne infischio >>, ridemmo entrambi per quella sua affermazione. Era così bello parlare con lui. Poi scattò la mezzanotte. Il resto del mondo, esplose in boati di felicità. Tutti volevano cominciare al meglio quell’anno. Ma io attendevo solo una cosa.
<< Prof, ti amo >>, dichiarò infine con profondo amore Ianto. Trattenni il respiro rumorosamente. Le orecchie fischiavano, e il cuore palpitava velocemente. Non potevo contenermi. Il mio corpo reagii da solo a quelle parole. Sentii le guance imporporarsi, e un sorriso timido apparire da solo sul mio volto. In quel momento, ero davvero felice. << Buon anno, prof >>.
 
Mi avviai verso l’interno della scuola, pronta a ricominciare, o almeno speravo di essere pronta. Sentivo l’agitazione di quella giornata, quasi come se fosse stato il mio primo giorno di scuola. Sembrava fossi tornata a quel giorno di settembre quando tutto era cominciato. Ianto non lo sentivo e vedevo da quella famosa chiamata, ma sospettavo che le cose non sarebbero comunque cambiate. Lui sapeva come mi sentivo e come la pensavo. E sapeva anche che, qualsiasi fosse stata la mia decisione, avevo comunque bisogno di tempo. E lui mi avrebbe concesso anche la luna, se gliel’avessi chiesta. Di questo non ne dubitavo. Quindi non ero particolarmente agitata per quell’incontro. Sentivo, però, una strana sensazione in corpo. Quasi come se qualcosa stesse per accadere. Era il mio istinto che mi parlava, ed ogni volta che lo aveva fatto, succedevano sempre delle cose positive o negative. E quella sensazione, era decisamente negativa. Ecco perché ero in preda al panico. Non sapevo che cosa aspettarmi, ma avrei cacciato come sempre i miei artigli.
<< Professoressa Cristillo, buongiorno e buon anno >>, mi salutò il preside venendomi incontro.
<< Buongiorno e buon anno anche a lei, preside Martino >>, ricambiai il saluto con troppa freddezza, nonostante quell’uomo mi fosse mancato molto, durante quelle settimane. Ero ancora troppo presa dalle mie sensazioni.
<< Come mai questo suo umore oscuro? Qualcosa l’affligge? >>, domandò gentilmente.
<< No. Niente di particolare. Solo che… >>, ma non terminai la frase non sapendo cos’altro aggiungere. Che cosa potevo dire: preside ho una brutta sensazione e sono preoccupata? Mi avrebbe preso per pazza.
<< Solo che…? >>, mi esortò sorridendomi.
<< Ecco, ha presente quando all’improvviso, avverte nel cuore una sensazione spiacevole? Le è mai capitato? >>, domandai di rimando.
<< Certo. Capita a tutti noi di sentire la voce dell’istinto comunicarci. Ci mette in guardia dalle cose che capiteranno. È questo ciò che l’affligge, professoressa? Avverte un brutto presagio? >>, rispose con pacatezza. Il preside era sempre lo stesso. Non sarebbe mai cambiato. Percepivo da lui, però, una profonda solitudine. Chissà quale passato oscuro l’uomo nascondeva.
<< In verità si. So che può sembrare una sciocchezza, però mi sento inquieta. Qualcosa sta per succedere. Ma non so cosa >>, confermai abbassando lo sguardo. Mi vergognavo profondamente di me stessa.
<< Oh, non si preoccupi. Professoressa Cristillo, lei è un essere umano, dotato di grande intelligenza e perspicacia. E so che può affrontare qualsiasi avversità. La brutta sensazione che avverte, la riuscirà ad affrontare nel migliore dei modi. Non dubito minimamente delle sue capacità >>, mi consolò l’uomo dandomi una veloce pacca sulla spalla. << Però, se posso darle un consiglio, non si affligga per ciò che ancora non è accaduto. La vita sa sempre come sconvolgerti, e come cambiare l’equilibrio delle cose. Se lei si anticipa nelle preoccupazioni e nelle sofferenze, non vive più serenamente. Io le consiglio di godersi attimo per attimo, perché le cose brutte capitano quando uno meno le attende. E non può proprio evitarle. Intanto che esse succedano, quindi, dovrebbe sorridere sempre. Il suo sorriso è troppo bello, per essere mascherato da un broncio >>.
Sorrisi commossa per quelle parole. Io adoravo il preside. Alzai lo sguardo e lo puntai in quello verde scuro dell’uomo. Vidi che quei due occhi erano tristi e solitari, anche se il suo volto era sorridente. Provavo tristezza nel sapere che quella persona meravigliosa, fosse infelice. Che qualcosa lo facesse soffrire. Ma non potevo che ringraziarlo per le sue parole d’incoraggiamento. Nonostante il preside fosse abbattuto, cercava comunque di aiutarmi. Era davvero una persona al di fuori del comune. Annuii con vigore la testa. Avrei accettato il suo consiglio. Del resto, sapevo bene quanto la vita di una persona potesse essere sconvolta in un solo istante. Perciò nel frattempo, avrei sorriso.
<< Sono contento di poter ammirare il suo sorriso, appena fiorito sul suo volto. Ma mi dispiace abbandonarlo così presto. Mio malgrado, siamo già arrivati alla sua aula. Perciò passi pure a trovarmi quando le fa più comodo. Mi fa molto piacere parlare con lei, professoressa Cristillo >> , disse il preside davanti all’aula. Stava per allontanarsi, quando lo richiamai.
<< Preside >>, l’uomo di voltò fissandomi curioso. << Per quello che vale, grazie di tutto. Mi aiuta sempre, anche quando non è tenuto a farlo. È davvero una persona meravigliosa, e parlare con lei è incredibilmente piacevole. Se non disturbo, verrò volentieri nel suo ufficio, per discutere ancora >>, esclamai con enfasi.
<< Oh, mi creda. Il piacere è tutto mio. Buona giornata, professoressa >>, e se ne andò nuovamente, regalandomi un sorriso davvero dolce.
Lo fissai andare via per qualche minuto, quando una voce alle mie spalle, mi fece trasalire.
<< Dovrei essere geloso? Cos’era questa scenetta? >>, domandò Ianto furente.
<< Buongiorno anche a te, Ianto. L’educazione la conosci, oppure ti mancano proprio le basi per la convivenza pacifica con gli altri esseri umani? >>, domandai sarcastica, voltandomi a fissarlo. Facendolo, però, il mio cuore prese a battere furioso nel petto. Vedere quegli occhi di ghiaccio, averlo a pochi passi di distanza da me, mi faceva esplodere interiormente. Una parte di me voleva buttarsi tra quelle braccia forti e stringerlo al mio petto, assaporando quelle labbra che sospettavo fossero dolci, morbide e incredibilmente eccitanti. Dall’altra parte volevo scappare, e rifugiarmi in quel mio mondo pazzo e fuori dal comune. Lo stesso mondo dal quale ero già scappata.
<< E tu lo sai che dovresti rispondere alle domande che ti si rivolgono, invece che domandare qualcosa a tua volta? Anche tu non conosci l’educazione, prof >>, affermò indispettito Ianto, guardandomi dall’alto verso il basso. Ma non mi sarei fatta intimorire.
<< Per tua informazione, io sono ben educata. E rispondere a domande stupide come le tue, è davvero una perdita di tempo. Tempo che invece dovrei impiegare iniziando la lezione >>, dissi scansandolo e avviandomi verso l’interno della classe. Quando gli passai accanto, però, Ianto fece una cosa che mi lasciò senza fiato. Poggiò una mano sul mio braccio, costringendo a fermarmi, poi si abbassò all’altezza del mio orecchio.
<< Anche tu mi sei mancata >>, sussurrò respirando e soffiando nel mio padiglione.
Un brivido caldo percorse tutta la mia colonna vertebrale. Quel soffio era stato così eccitante e destabilizzante, da farmi quasi perdere l’equilibrio. Non risposi, e liberai velocemente il braccio da quella presa, desiderosa di mettere delle distanze tra i nostri corpi. Vidi, però, con la coda dell’occhio un sorriso divertito incorniciare quel volto. Voleva essere preso a schiaffi, senza ombra di dubbio. Mi accomodai velocemente alla cattedra, salutando tutti gli alunni, e esortandoli ad accomodarsi alle loro postazioni. Quel primo giorno non volevo essere troppo cattiva con loro, perciò passai la prima ora e mezza a farmi raccontare cosa avessero fatto per le vacanze di natale. Insomma, era il primo giorno di scuola anche per me. Fortunatamente la scenetta che accadde a settembre con Altieri non s ripresentò, e per mia ulteriore fortuna il ragazzo non diede segni di particolare intolleranza nei miei riguardi. Era tutto tranquillo, come sempre. Poi, come predetto dal destino, accadde l’irreparabile. Eravamo giunti alla terza ora. Stavamo facendo un piccolo riepilogo di matematica, materia di quell’ora. Controllavo alla cattedra i compiti per le vacanze di ciascun alunno. Volevo che tutti avessero svolto il proprio lavoro.
<< Boccanera Vincenzo >>, chiamai esortandolo a raggiungermi per farmi vedere il quaderno.
Ma dopo qualche secondo in cui non ci fu un solo accenno da parte del giovane interpellato, alzai lo sguardo puntandolo sugli occhi del giovane. Era un ragazzino molto carino. Capelli castano chiaro, occhi grigi, viso delicato e effeminato. Mingherlino, dava la sensazione di dover essere protetto costantemente. Quasi come se fosse un angelo. Il colorito giallognolo che possedeva quando lo avevo appena conosciuto, non era scomparso. Eppure, grazie a quella sua sfumatura della pelle, sembrava molto più bello. Le occhiaie invece erano scomparse, lasciando così spazio a quegli occhi grigi di brillare alla luce senza più nessun riflesso oscuro.
<< Vincenzo, che vogliamo fare. Vieni alla cattedra, si o no? >>, lo esortai spazientendomi.
Il ragazzo però continuava a non rispondermi. Neanche mi guardava a dire il vero. Fissava con ostinazione il banco, quasi come se sopra vi fosse scritto il mistero della vita. Rimasi leggermente perplessa da quel suo atteggiamento. Solitamente il ragazzo, sebbene non fosse una cima nello studio, era sempre molto educato e disponibile. Se qualcuno gli domandava qualcosa, lui rispondeva con un sorriso dolce e spontaneo. Tutti lo adoravano. Tutti tranne i suoi due fratelli. O meglio, il primogenito Marco lo odiava in modo sviscerale. Fabio, semplicemente, lo ignorava come se non esistesse neanche. Anche in quella situazione, si poteva ben vedere quanto i tre fratelli non si potessero sopportare. Infatti, Fabio fissava davanti a se senza preoccuparsi minimamente del fratello alle sue spalle. La stessa cosa Marco, che osservava con ostinazione  fuori dalla finestra. Quando ormai erano passati parecchi minuti, mi alzai dalla cattedra puntando le mani sulla sua superficie.
<< Boccanera Vincenzo. Sei pregato di rispondermi. È forse chiedere troppo avere un po’ della tua attenzione? >>, domandai sprezzante.
A quel punto, poi, il giovane alzò lentamente la testa. Quello che vidi mi sconvolse. I suoi occhi, bellissimi e particolari, adesso erano vacui, quasi spenti. Sembrava non riuscissero neanche ad inquadrarmi. Il suo volto divenne improvvisamente pallido, quasi cadaverico. Sembrava trasparente, un fantasma. Se lo avessi messo controluce, molto probabilmente avrei visto le vene nel suo corpo e il sangue scorrergli attraverso. La brutta sensazioni si ripresentò.
<< Profe…ssore…ssa >>, mormorò spaventato.
Poi cadde rovinosamente a terra, al lato destro della sedia.
<< VINCENZO >>, urlai in preda al terrore.
Corsi verso di lui, preoccupata di ciò che stava accadendo. La stessa cosa fecero Ianto, Paolo e Roberto. Gli altri alunni si alzarono dalle loro sedie, preoccupati, intenti a fissare la scena che si presentava. Quello che mi sconvolse completamente, e che notai solo per qualche istante, fu la reazione dei due fratelli. Si alzarono velocemente dalle loro postazioni, e sembravano stessero muovendo i loro passi per soccorrere il fratello più piccolo. Poi, però, si bloccarono guardandosi negli occhi. Una caratteristica peculiare della famiglia Boccanera era il colore degli occhi. Tutti e tre i fratelli avevano gli occhi grigi. I due ragazzi, dopo essersi scambiati un  lungo sguardo, si allontanarono dal corpo di Vincenzo, posizionandosi vicini alla cattedra guardando, come fossero spettatori estranei, la scena. Eppure si percepiva dai loro sguardi e dalle loro espressione, quanto fossero terrorizzati in quel momento. Alla fine smisi di badare a quei due giovani, e prestai la massima concentrazione al ragazzo disteso a terra.
<< Vincenzo. Ehi, Vincenzo guardami >>, lo chiamai schiaffeggiandogli lentamente le guance.
<< Prof, che facciamo? >>, domandò apprensivo Paolo. Stava entrando nel panico.
<< E’ svenuto >>, affermò con certezza Ianto guardando il giovane.
Alzai lo sguardo puntandolo in quello ghiacciato di Ianto. Mi sembrò quasi come se ci leggessimo nel pensiero. Entrambi capimmo subito cosa l’altro stava pensando. In quel momento disperato e fuori dal comune, riuscii a provare la meravigliosa sensazione di appartenere a qualcuno. Qualcuno di importante e speciale. Mi arrabbiai con me stessa per quella felicità inconscia che provavo. Non era decisamente il momento di stare sereni. Riportai la mia attenzione al giovane svenuto tra le mie braccia.
<< Paolo chiama un’ambulanza >>, cominciai ad impartire i miei ordini. << Roberto, controlla le medicine che di solito prende. Magari c’è qualcosa di utile >>, vidi il giovane dagli occhi verdi annuire e scattare veloce quasi come un militare. Era bravo a gestire le brutte situazioni. Del resto, col passato che aveva, il contrario mi avrebbe stupito. << Ianto aiutami a farlo riprendere >>.
Il ragazzo annuì, e si posizionò dietro di me, alzando le gambe di Vincenzo da terra. Io cominciai a controllare il battito cardiaco del giovane, costatando con mia somma preoccupazione, quanto questo fosse debole e lento. Non andava per niente bene. Vidi se il respiro era regolare e se ci fosse qualcosa che potesse ostruire la trachea. Poi andai a tastare il resto del corpo del giovane, cercando di scoprire quale fosse la causa di quello svenimento. Quando poi andai a tastare l’addome, appena sotto lo sterno nella zona addominale destra, notai qualcosa che non tornava. Era leggermente gonfia e sembrava dolorante. Brutto segno.
<< Prof >>, chiamò Roberto attirando la mia attenzione. << Qua ci sono degli antidolorifici, alcune siringhe. E poi delle fiale di Gemcitabina e Streptozocina. Ma sono tutti per via endovenosa. Come diavolo fa ad usarli? E perché? >>.
Sentendo il nome di quei farmaci, rimasi bloccata per vari minuti. Non mi erano nuovi quei nomi. Per niente. Anzi, li ricordavo con chiarezza, e anche a cosa servissero. Non avrei mai potuto dimenticarli. Neanche se fossero passati milioni di anni. Boccheggiai per vari minuti, incapace di pensare o fare qualsiasi cosa. Nella mia mente scene di vita vissuta, scorrevano velocemente. Mi mostravano un passato che avrei voluto dimenticare. Un passato infelice, che mi aveva segnato profondamente.
<< Prof >>, una voce attutita mi richiamò.
<< Prof >>, continuò quella voce cercando di riportarmi alla realtà.
<< PROF >>, urlò disperata.
Sbattei più volte gli occhi, tornando a quel momento. Vincenzo ancora svenuto a terra, e Ianto che mi fissava preoccupato.
<< Che diavolo ti succede? >>, domandò perplesso.
<< Niente >>, mormorai, portando la mia concentrazione sul giovane a terra.
<< L’ambulanza sta arrivando. Sono ai cancelli >>, esclamò trafelato Paolo, entrando nell’alula.
Non risposi. La mia attenzione era tutta posta in quel piccolo ragazzo, troppo giovane. Non volevo credere a quella realtà così sconvolgente. Non potevo sopportare nuovamente di rivivere le stesse cose passate. Non potevo, e non era neanche giusto. Perché la vita doveva essere così crudele? Perché essa, quando le cose sembravano stessero andando al loro posto, decideva di stravolgermi nuovamente? Perché ero costretta a dover sempre soffrire?
Pochi minuti dopo, arrivarono tre paramedici, cominciando a visitare il giovane.
<< Soffre di qualche malattia? >>, domandò uno di loro.
<< Non lo sappiamo >>, rispose prontamente Ianto.
Il ragazzo doveva aver percepito la mia incapacità di agire in quel momento. Ero ancora troppo sconvolta.
<< Sapete come contattare i familiari? >>, domandò un altro. Nel frattempo gli altri due avevano posizionato Vincenzo sulla barella, pronti a trasportarlo verso l’ospedale.
<< Veramente ci sono i due fratelli qui >>, rispose Roberto con tranquillità, indicando i due giovani. Capivo però dal movimento dei suoi occhi quanto dentro fosse in ansia.
<< Bene, se volete potete seguirci >>, disse nuovamente il paramedico invitando Fabio e Marco a seguirlo.
I due si fissarono, poi silenziosamente accodarono all’uomo. Nel frattempo Vincenzo era stato trasportato verso l’ambulanza. Io rimasi scioccata. Non sapevo più cosa fare, ne come comportarmi. La mia mente era ancora troppo sconvolta per poter fare qualcosa, o anche solo pensare. Sapevo solo che quell’aula fosse troppo stretta per me. Non riuscivo neanche a respirare. Corsi fuori, senza curarmi minimamente dei miei alunni. In quel momento non ero più un’insegnante, ma una donna trafitta da lame. Era sofferente, invasa dai ricordi. Corsi forsennatamente verso il luogo più lontano da tutto e tutti. Quando giunsi sul tetto, spalancai la porta con forza, e raggiunsi velocemente la ringhiera. Mi aggrappai ad essa con forza, quasi come fosse la mia ancora di salvezza. Sentivo la nausea avvilupparmi lo stomaco. Il respiro veloce, e il cuore battere furioso come non mai. Sembrava volesse ricordarmi ad ogni movimento, quanto dolore un corpo umano può sopportare. Quante ferite riesce a sostenere nel corso della vita. Voleva  ricordarmi che esso era giunto al limite massimo consentito di sofferenza. Cominciai a piangere disperata. Non riuscivo più a riprendermi. Poi una mano gentile ma decisa, mi arpionò la spalla, costringendomi a voltarmi. Quello che vidi fu un corpo tonico e muscoloso avvicinarsi e stringermi con dolcezza. Due braccia forti mi strinsero, e un mento si appoggiò sulla mia testa. Inspirando il profumo che quel corpo emanava, capii immediatamente chi fosse.
<< Shh, va tutto bene >>, mormorò dolcemente Ianto. << Ci sono qui io con te >>.
Mi avvinghiai con forza alle spalle del giovane. Avevo bisogno che qualcuno mi sostenesse. In quel momento non mi importava davvero di sembrare una bambina piccola. Non mi importava di sembrare indifesa e folle. Necessitavo più dell’aria, una figura a cui aggrapparmi, per sopportare quel dolore lancinante nel petto. Restammo in quella posizione per molto tempo. Calmarmi era difficile. Quando finalmente il mio respiro si fece regolare, Ianto parlò di nuovo.
<< Va un po’ meglio adesso? >>, chiese affettuosamente.
<< Si >>, sussurrai con voce nasale.
<< Cosa ti è successo? >>, domandò preoccupato il giovane.
<< Ho solo ricordato qualcosa di spiacevole >>, risposi senza entrare nel dettaglio.
<< Centra qualcosa la malattia di Vincenzo? >>, ipotizzò Ianto. Il ragazzo aveva davvero intuito.
<< Si >>, sussurrai nuovamente. Ma non avrei detto altro. Anche solo respirare faceva male. Spiegare per me equivaleva ad un suicidio.
<< Te la senti di tornare giù? >>, disse ansioso.
Riflettei per un momento sulla risposta da dargli. Ero pronta? No, non ero neanche lontanamente pronta ad affrontare nuovamente la vita di sempre. Cominciai a tremare come una foglia. Ero in piena crisi di panico. Ianto si staccò da me, e portò le sue mani calde e morbide sulle mie guance, abbassando la testa. Così facendo, i nostri sguardi si incontrarono alla stessa altezza.
<< Ehi, io sono qui con te. Non vado da nessuna parte. Ci sarò io a sostenerti nei momenti di buio, perciò non devi temere di nulla. Sono qui solo per te. Ti amo >>, affermò asciugandomi una lacrima col pollice.
Quelle parole bellissime, mi diedero coraggio. Mi ricordarono che non ero sola, e che potevo contare sull’appoggio di qualcuno. Un essere speciale, fuori dal comune, che poco a poco mi aveva conquistato. Eppure in quel momento non riuscivo ad evitare di percepire la netta distanza tra le mie due parti. Quella legata a mio marito, e quella legata a Ianto. Presto avrei dovuto lasciare andare una delle due, ma non riuscivo a fare una scelta. Avevo troppa paura. Il momento, fortunatamente, non era ancora giunto. Così annui al giovane dagli occhi di ghiaccio. E lentamente scendemmo le scale per tornare in aula. Trascorsero le restanti ore, con lentezza estrema. La classe era ancora troppo sconvolta per ciò che era accaduto a Vincenzo. Eravamo tutti preoccupati, perciò la lezione non fu troppo approfondita. Quando finalmente suonò la campanella di fine giornata, mi imposi di mantenere la calma. Avrei raggiunto l’ospedale solo alle cinque. Perciò con determinazione, raggiunsi l’aula 213 per il pranzo, sistemai poi i documenti per la scuola. Preparai la lezione da far svolgere a Roberto, facendo solo una mezzoretta nel pomeriggio, ed infine con passo fintamente tranquillo raggiunsi la mia macchina. Il tutto, ovviamente, tallonata da Ianto.
<< Santi numi, Ianto. Hai intenzione di seguirmi ovunque? >>, domandai esasperata una volta partiti.
<< Si, e se è necessario, ti seguo anche in bagno >>, affermò divertito il giovane.
<< Uhm, sarebbe un’esperienza alternativa >>, commentai sarcastica.
<< Assolutamente >>, confermò il ragazzo sorridendo. Poi tornò serio e prese a fissarmi. << Lo sai vero, che ti seguirei anche in capo al mondo? Farei tutto per te >>.
Non risposi. Ero ancora troppo scioccata per gli avvenimenti di quel giorno. Certo era che quelle parole mi aiutassero tantissimo. Ianto, in una sola giornata, era diventato il mio palo, la mia forza. Qualcuno a cui potermi aggrappare. Non sapevo se fosse un bene. La mia mente era troppo sconvolta, per poter avere grandi capacità di giudizio. Non ero più in grado di distinguere ciò che era giusto da ciò che era sbagliato. Se in quei mesi, ero riuscita a trattenermi con il giovane, a placare la mia anima e miei desideri, adesso ero preda dell’angoscia e dell’ansia. Ero entrata nella spirale di confusione che albergava nel mio cuore. Per sopravvivere, potevo solo appoggiarmi a Ianto. Ma era davvero giusto farlo? Non dovevo solo contare sulle mie forze, e provare a guarire da sola? Qual era il giusto modo di comportarsi?
Andammo in ospedale in religioso silenzio. Anche quando entrammo nella sala d’aspetto, nessuno dei due aveva parlato. Poi, chiedemmo all’infermiera che stava all’accettazione dove fosse Vincenzo. La donna ci indicò gentilmente la stanza, e noi andammo sempre silenziosi al terzo piano. Quello era lo stesso ospedale nel quale fu ricoverato Nicola, e purtroppo sapevo bene quali reparti ci fossero al terzo piano. Prendemmo l’ascensore, e poi una volta arrivati, ci dirigemmo verso la zona indicata dall’infermiera. Arrivati all’entrata del reparto, una scritta in nero attirò la mia attenzione. “Reparto oncologia”. Abbassai velocemente lo sguardo, quasi come se quelle due parole mi avessero ferito gli occhi. Ianto non si espresse, nel leggere quelle parole. Forse, da un lato se le aspettava. Oppure era una persona incredibilmente forte, capace di poter sostenere qualsiasi peso sulle spalle. Sospettavo fosse la seconda ipotesi. E questo non fece che avvalorare la mia tesi: Ianto era davvero una persona unica.
Ci dirigemmo lentamente verso la stanza. Eravamo quasi arrivati, quando vidi un dottore uscire dalla camera indicataci dall’infermiera. Andai spedita incontro all’uomo, sperando di ottenere delle informazioni.
<< Dottore >>, richiamai la sua attenzione.
L’uomo si voltò verso di me, e poi verso di Ianto, che nel frattempo mi aveva raggiunto. Era slanciato, magro. Capelli diradati e scuri, indossava occhiali dalla montatura spessa, e aveva dei grossi baffi scuri che nascondevano il suo labbro superiore.
<< Si? >>, ci chiese l’uomo guardandoci.
<< Buonasera. So che probabilmente non è autorizzato a parlarcene, ma vorrei chiederle come sta Vincenzo Boccanera. E soprattutto, potrebbe dirci cos’ha? >>, domandai tutto d’un fiato, in preda all’ansia.
<< Questa è la prima volta che qualcuno si interessa a quel ragazzo. E’ la prima volta che qualcuno mi chiede delle sue condizioni >>, esclamò sorpreso l’uomo.
<< Davvero? >>, domandò perplesso Ianto.
<< Assolutamente. Vincenzo è un mio paziente, uno dei più cari. Sono suo medico da più di un anno >>, affermò con enfasi il dottore. Intravidi sul camice il cognome. Ghidelli.
<< Dottore, io sono la sua insegnate soltanto da settembre. Non so nulla di quel ragazzo, ma ho bisogno di sapere. La prego >>, lo supplicai. Qualcosa nel mio sguardo lo convinse, perché sospirò ed annuì col capo.
<< Vincenzo venne da me un anno e mezzo fa, accompagnato solo dall’autista. La madre era morta da anni, e il padre non si curava di lui. Solo più tardi venni a conoscenza dell’esistenza di due fratellastri avuti da altre relazioni. Ma neanche loro sembravano curarsi di lui. So per certo che, comunque, lui ama più della sua stessa vita i due fratelli. Era ed è un ragazzo d’oro, quindi mi ci affezionai subito >>, affermò fissandomi dritta negli occhi. << Feci le analisi al ragazzo, lo controllai più volte.  Non capivo perché il gastroenterologo lo avesse mandato da me, ma quando feci la risonanza magnetica, capii subito quale fosse il problema >>, a quel punto cominciai a tremare, sapendo già la diagnosi che mi avrebbe dato. << Tumore al pancreas, in stato avanzato >>.
A quelle parole, chiusi di colpo gli occhi, come se avessi ricevuto una pugnalata al petto. Mi venne subito in mente mio marito, e il giorno in cui ci diedero la loro sentenza, comunicandoci quella stessa patologia. Fu il giorno più brutto della mia vita. Non potrò mai dimenticare quanto dolore provai nel ricevere quella notizia. Anche ora, come all’epoca, sentii la terra crollarmi sotto i piedi. Percepivo sulla pelle lo sguardo preoccupato di Ianto. Lui conosceva la storia di mio marito, e della sua malattia. E, intelligente com’era, doveva aver intuito che io già lo sapevo, e che la mia reazione quella mattina fosse dovuta ai ricordi del mio passato. Riaprii lentamente gli occhi, cercando di cacciare indietro le lacrime. Poi con un gesto del capo, esortai il dottore a continuare.
<< Abbiamo provato a trattarlo in tutti i modi. Farmaci, radioterapia, chemioterapia. Ma niente. Nulla è servito. L’operazione è stata esclusa fin da subito. Il tumore aveva ricoperto quasi tutto il pancreas, e asportarlo completamente era impossibile. Quel giovane ha avuto tutte le sfortune del mondo. Orfano di madre, abbandonato dal padre, disprezzato dai fratelli, e malato di uno dei mali più pericolosi al mondo e soprattutto rarissimo alla sua età. Malato gravemente, oltretutto >>, poi sospirò mestamente. << Purtroppo non c’è più niente da fare >>, commentò tristemente l’uomo.
Sembrava davvero che fossi tornata nel passato, e che dietro quella porta di quella stanza d’ospedale, in quel lettino scomodo, ci fosse mio marito. L’uomo che amavo, e che stava morendo.
<< Quanto gli resta? >>, sussurrai tra le lacrime. Anche quella frase l’avevo già detta in passato.
<< Sei mesi, più o meno >>, rispose sospirando stanco l’uomo.
<< Quanto tempo fa avete fatto questa previsione? >>, domandai con voce spezzata.
L’uomo non rispose. Guardò prima me, poi Ianto, poi di nuovo me. Si tolse gli occhiali, e li pulì con l’orlo del camice. Li rimise al suo posto, e portò le mani ai fianchi, in un gesto disperato e rassegnato.
<< Sei mesi e mezzo >>, affermò con tristezza. << Sei mesi e messo fa, gli dissi che sarebbe sopravvissuto solo altri sei mesi. Ormai siamo giunti al limite. Con le analisi di oggi, il ragazzo forse arriverà alla fine di gennaio >>, poi suonò il cercapersone dell’uomo. Lo prese e vide la chiamata. << Scusate ma devo andare >>
<< Certo >>, annuì Ianto, capendo subito che non sarei stata in grado di parlare.
Quella situazione era impossibile per me. Ero scappata dal mio passato, e questi non faceva che perseguitarmi. Non ero pronta a sopportare quel dolore nuovamente. I ricordi di quando era morto mio marito erano ancora troppo vivi, sebbene se ne fosse andato quasi due anni fa. Già, quasi due anni. Poco tempo ancora, e sarebbe stato l’anniversario della sua morte. Le lacrime ripresero a scendere, ma le scacciai con il dorso della mano. Quello che stava in un letto d’ospedale, morente, era Vincenzo. E lui adesso aveva bisogno di tutto il mio appoggio. Salutai il dottore, e poi mi voltai a fissare la porta della camera.
<< Sei pronto? >>, domandai con rinnovata decisione a Ianto. In verità, avrei dovuto chiedere a me stessa se fossi stata pronta.
<< Sono pronto >>, confermò il ragazzo, fissando anch’egli la porta.
Poi presi un profondo respiro, ed entrai in quella stanza. Il meccanismo degli eventi futuri, cominciò a mettersi in moto.



Salve a tutti gente, e ben trovati col nuovo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...che dire, spero che vi piaccia...da adesso in poi, come avrete bene intuito, le cose si faranno più drammatiche...questo capitolo segnerà l'inizio di una nuova fase della storia...ci saranno tante rivelazioni, si scopriranno segreti, ci saranno problemi da affrontare sempre più gravi...insomma un bel mix di cose XDXD
Ricordo, per chi non l'avesse ancora letta, che ho pubblicato la one shot di paolo e roberto...se andate alla mia pagina la trovate...si chiama "Eppure mi hai cambiato la vita - un natale sotto l'albero"...se vi va leggetela e lasciate magari anche qualche commentino XDXD
Vorrei fare un piccola precisazione...martedi prossimo, come tutti saprete, è natale ed io non pubblicherò il capitolo...quindi sono ancora indecisa cosa fare: se farvi un regalo e pubblicare nuovamente questa settimana un capitolo, e poi un altro ancora la settimana prossima, oppure pubblicare direttamente il prossimo capitolo la settimana seguente? voi come preferireste, sentiamo...quanta voglia avete di leggere questa storia XDXD fatemi sapere mi raccomando...
ringrazio tutti coloro che stanno aggiungendo la storia alle seguite/preferite...aumentano sempre di più e questo mi fa davvero piacere...ringrazio ancora coloro che recensiscono, perchè per un autore leggere i pareri delle persone è importante...e per me leggere i vostri, mi rende immensamente felice XDXD
va beh, io vi lascio...e vi do appuntamento ad uno di questi giorni oppure alla settimana prossima XD
un bacio
Moon9292


"<< Come puoi dire questo? Lui è tuo fratello! >>, esclamai indignata"

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Capitolo 18
*** Metà desiderio ***


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Capitolo 18 - Metà desiderio


Appena spalancai la porta, quello che vidi mi colpii dritto al cuore. Vincenzo, con quel suo corpo mingherlino, steso in un letto troppo grande per lui, con una flebo attaccata al braccio. Le lenzuola bianche stonavano con quel suo solito colorito giallognolo, e quella stanza così asettica era davvero opprimente. Cozzava con troppa forza contro il carattere solitamente gentile e disponibile del ragazzo. Quella visione era davvero brutta. Seduto composto vicino al letto, ma troppo impettito, stava Fabio che leggeva un libro con attenzione. Appoggiato alla parete vicino alla finestra, invece, c’era Marco che come suo solito guardava ovunque tranne che nella direzione dei due suoi fratelli. Com’era possibile che si odiassero in quel modo? Come potevano disprezzarsi a tal punto, da non poter restare nemmeno nella stessa stanza? Quelle persone non si rendevano conto della fortuna che avevano. Potevano contare sulla presenza di una figura importante come quella di un fratello, nel caso avessero avuto bisogno. Mia madre non era mai stata una donna presente nella mia vita, ma quando si trattava della sorella, accorreva veloce come un fulmine. E quando mia zia morì, potei vedere con i miei stessi occhi quanto mia madre fosse rimasta sconvolta per quel lutto. Come se una parte del suo cuore fosse stata seppellita con la donna, che di fatto, mi aveva cresciuto. E ora, vedere quelle tre persone così divise, non faceva che aumentare la mia rabbia e la mia tristezza. Entrai con passo deciso nella stanza, e mi avvicinai silenziosa al letto. I tre ragazzi mi fissarono, chi indifferente, chi felice e chi sprezzante.
<< Ciao Vincenzo >>, salutai dolcemente il ragazzo.
<< Salve professoressa. Come mai è qui? >>, domandò il ragazzino, sorridendomi debolmente.
<< Sono venuta a trovarti. Ti dispiace? >>, chiesi ricambiando il sorriso.
<< Certo che no. Anzi, sono contento che sia qui >>, poi notò la figura alle mie spalle. << Ci sei anche tu, Ignazio. Ciao >>
<< Ciao, Vincenzo. Come ti senti? >>, domandò affettuosamente Ianto.
Non feci nessun cenno al modo in cui Vincenzo aveva chiamato il mio accompagnatore. Sapevo che solo per le persone importanti, Ianto si faceva chiamare col suo soprannome.
<< Meglio. Ho avuto solo un capogiro, tutto qui. Mi dispiace che vi siate spaventati per così poco >>, affermò con convinzione il ragazzino. Sapevo, però, che la realtà dei fatti era ben diversa. Ed era una realtà molto più tragica.
<< Vincenzo ha avuto una cattiva digestione. Tutto qui >>, sbottò improvvisamente Fabio, con fare annoiato. Non aveva distolto neanche lo sguardo dal libro.
Vincenzo si voltò a guardare il fratello. Vidi nei suoi occhi un velo di sofferenza, mascherata bene. Quella situazione doveva farlo soffrire molto.
<< Già >>, mormorò mestamente il ragazzino steso nel letto.
<< Vincenzo >>, lo richiamai attirando nuovamente la sua attenzione. << So che non avrei dovuto, e mi dispiace intromettermi, ma ho chiesto informazioni al tuo medico. Mi ha detto tutto >>, confessai improvvisamente imbarazzata per quella mia mancanza di tatto.
Il giovane sbarrò gli occhi, terrorizzato. Poi li richiuse velocemente, ma notai come le sue mani scheletriche, strinsero con foga le lenzuola. Stava cercando di calmarsi. Appena riaprì gli occhi, sorrise debolmente. Stava soffrendo davvero tanto. In quel momento mi venne in mente il ricordo di mio marito, quando ci fu detto che ormai non c’era più nulla da fare. Nel suo sguardo vidi le stesse cose che leggevo in quello di Vincenzo. Rassegnazione, dolore, rabbia e anche determinazione nel voler continuare a lottare per la propria vita. Un altro paletto si conficcò nel mio petto.
<< Mi dispiace che abbia saputo la verità. Avrei voluto tenerla nascosta più a lungo >>, si scusò il giovane.
<< Scherzi? Non c’è niente di cui tu ti debba preoccupare. Non hai fatto nulla di male, davvero >>, affermai con decisione, posando una mia mano su quella del giovane, invitandolo a rilassare la presa.
<< Grazie >>, sussurrò il ragazzino, rilasciando un poco il lenzuolo.
<< Abbiamo finito con i convenevoli? >>, domandò improvvisamente Marco, con voce annoiata e carica di rabbia.
<< Come scusa? >>, domandò incredulo Ianto.
<< Chiedevo se questa patetica scenetta fosse finita. Mi sta venendo la nausea solo al guardarvi. “Grazie” di qua, “Scusa” di là. Che idiozie >>, commentò acido il ragazzo.
Era molto diverso dal fratello più piccolo. Marco era alto, abbastanza muscoloso. Capelli neri come la notte, occhi grigi, e un’espressione maschile contornata dal filo di barba incolta. I suoi occhi, però, erano perennemente imbronciati, quasi come se la vita non facesse altro che fargli torto. Era una persona che nascondeva molte cose, nel suo interno. Lo avevo capito fin da subito.
<< Ehi, mostra un po’ di rispetto >>, affermai con decisione. Odiavo quelle persone menefreghiste e cattive senza motivo. Anche se forse dentro di se, il motivo lui ce l’aveva. << Qui c’è tuo fratello, nel letto. Ed è anche malato. Come puoi dire queste cose? >>
<< Mio fratello? >>, domandò scandalizzato. Il suo volto assunse un ghigno maligno. << Quell’ammasso di carne malato? Ma non mi faccia ridere. Quella persona è solo per metà mio fratello. E per quanto mi riguarda, è una metà inutile >>.
Rimasi a bocca aperta. Come poteva dire quelle parole, così, a cuor leggero? Soprattutto davanti al fratello. Come poteva odiarlo a tal punto da fregarsene anche della sua malattia? Poi, come un flash, mi tornò alla mente la sua reazione quella mattina, quando Vincenzo si era sentito male. Stava accorrendo per soccorrerlo, e il suo volto era terrorizzato. Adesso, quello che vedevo era tutt’altra espressione. Eppure sapevo che c’era molto più, nascosto sotto a quel corpo arrogante. Sentimenti molto più profondi, che non erano mai stati rivelati.
<< Ma ti rendi conto delle assurdità che stai dicendo? Un fratello è sempre tale, anche se ha un genitore diverso dal tuo. È la persona più importante della tua vita. E’ quella che ti resta accanto nel bene e nel male, e che non ti giudica mai. Come puoi disprezzarlo a tal punto? Non ti rendi conto della fortuna che hai? >>, esclamò sconvolto Ianto. Lo vidi, con la coda dell’occhio, tremare impercettibilmente. Quel discorso lo prendeva molto a cuore.
E capii subito il perché. Lui amava profondamente sua sorella. La sorellina che purtroppo aveva perduto quattro anni fa. La stessa persona che lo aveva chiamato “Ianto” per la prima volta, e che lo aveva amato con tutta se stessa. Ianto era sempre molto coinvolto quando si intavolava il discorso “fratelli”, perché lui la sua sorellina non ce l’aveva più. E avrebbe pagato oro pur di poterla vedere anche solo per un momento. Poterla sentire parlare e abbracciare un’ultima volta.
<< Quanto siamo sentimentali. Manfredi, da te questo non me lo aspettavo. Credevo che fossi un menefreghista senza scrupoli >>, commentò divertito Marco.
<< Brutto figlio di puttana, il menefreghista qui sei tu >>, urlò perdendo la pazienza Ianto. Quando si toccava il tasto del suo passato, diventava molto suscettibile.
Nel frattempo Vincenzo osservava la scena silenzioso. Gli occhi sbarrati, emanavano una profonda tristezza per quella situazione. Sembrava quasi sul punto di piangere.
<< Io? Figlio di puttana? Ha, questa è buona. In verità, il vero figlio di puttana è quel coglione di mio “fratello” Vincenzo. E anche un po’ lo è quest’altro coglione di Fabio. Sono loro i veri figli di puttana >>, esclamò con profonda malignità Marco.
A quelle parole, Vincenzo sbarrò gli occhi, puntandoli sulle sue mani. Silenziose lacrime cominciarono a rigargli il volto. Fabio, invece, chiuse di botto il libro. Si alzò con calma dalla sedia, e fissò con indifferenza me e Ianto.
<< Con permesso >>, salutò col capo, e si avviò lentamente alla porta, uscendo fuori, e allontanandosi da tutto e tutti.
Appena sentii la porta richiudersi, puntai il mio sguardo furente in quello grigio di Marco. Sentimenti nascosti o meno, stavo cominciando davvero ad odiare quel ragazzino.
<< Coglione, infame che non sei altro. Come puoi dire questo? Lui è tuo fratello >>, esclamai indignata indicando Vincenzo. Poi puntai una mano alle mie spalle, indicando la porta. << E quello che è appena uscito, è l’altro tuo fratello. Tu sei un essere vile, e dovresti capire la fortuna che hai ad avere una famiglia >>.
Marco mi fissò con rabbia. La sua espressione non era per niente rassicurante, eppure nei suoi occhi vidi passare un lampo di dolore e malinconia. Intuii che le sue stesse parole, lo aveva ferito. Poi tornò indifferente e meschino come prima. Si staccò dalla parete e si avvicinò con passo spedito alla porta. La aprì, ma rimase sulla soglia, dandoci le spalle.
<< Io non ho fratelli >>, affermò con decisione e sofferenza.
Poi uscì dalla stanza lasciandomi senza parole. Guardai sconvolta Ianto, cercando di leggere sul suo volto un segno che ciò che avevo appena vissuto fosse, in realtà, un sogno. Ma quando vidi la sua espressione amareggiata, capii che quella era la triste verità. Voltai poi il mio sguardo verso il ragazzino disteso sul letto. Ora, più di prima, sembrava incredibilmente piccolo e indifeso. Stavo male a vederlo ridotto in quello stato. Piangeva silenziosamente, lacrime amare. Non potevo credere che una figura tanto angelica, potesse essere maltrattata in questo modo. Mi sedetti sul materasso, al fianco del ragazzo, e presi una sua mano stringendola nella mia. Questi, a sua volta, strinse la mia mano, cercando un appiglio che gli desse speranza. Quando vedevo quel corpo e quegli occhi, non riuscivo altro che pensare quanto una vita umana possa essere costellata da sofferenza. Quel ragazzino di soli diciassette anni, aveva sofferto tantissimo in quella sua breve vita. Non riuscivo a non immedesimarmi in quella figura. Anche io, come lui, avevo dovuto provare la sofferenza dell’abbandono, e il dolore per la malattia. Avrei tanto voluto che almeno la morte gli fosse risparmiata, ma conoscevo troppo bene la realtà di quella situazione. A certe cose non c’è scampo.
<< Ehi >>, sussurrai dolcemente.
<< Mi dispiace che abbia assistito a questa scena >>, rispose con un filo di voce Vincenzo. La sua voce nasale, oppressa dalle troppe lacrime, era così triste, che mi si strinse il cuore.
<< Non dire sciocchezze. Non è colpa tua se quell’idiota di Marco è così tanto… idiota >>, affermò con decisione Ianto, sedendosi nello stesso posto dove poco prima vi era Fabio.
<< E’ comunque mio fratello >>, rispose con un sorriso sofferente Vincenzo, guardando il ragazzo al suo fianco.
<< Hai ragione. Perdonami, non volevo essere offensivo >>, si scusò prontamente Ianto. Si rese conto subito dell’errore in quelle parole. Offendere i fratelli del ragazzino era sbagliato.
<< Vincenzo, so che forse è chiedere troppo, ma vuoi spiegarci il motivo di tanto astio nei tuoi confronti? Perché Fabio e Marco ti odiano? >>, domandai cercando di essere il più delicata possibile.
<< Ecco, vede, non so se lo sa ma io, Marco e Fabio siamo fratellastri. Ognuno di noi è nato da madri diverse. Marco è il primo, Fabio il secondo e io il terzo. Nostro padre, si può dire, che amava la bella vita. E soprattutto adorava portarsi donne in casa >>, spiegò abbassando lo sguardo. Sembrava vergognarsi di quelle parole. << Fu costretto dai nonni a sposarsi. Così a trent’anni prese in moglie la madre di Marco. Lei era davvero innamorata di mio padre. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, anche accettare quella situazione assurda. Mio padre non si faceva alcuno scrupolo a portarsi altre donne in casa, nonostante sotto lo stesso tetto ci fosse sua moglie. Povera donna, ha pianto tantissime lacrime per quell’amore folle che provava >>, commentò tristemente Vincenzo.
<< Dev’essere stato difficile per lei >>, aggiunsi sentendo un profondo affetto per quella donna dal destino così infausto.
<< Molto. Poi però sembrò per lei essere arrivata la felicità. Si scoprì incinta, e quella notizia la riempì di gioia. Qualche mese dopo, però, un’altra donna venne accolta nelle mura di quella casa. Quando le due si incontrarono, quest’ultima rivelò di essere anch’essa incinta. Era la madre di Fabio. La moglie di mio padre, rimase terribilmente scossa da quella notizia. Le si spezzò il cuore >>, confessò piangendo silenziosamente. Provai una forte pena per quelle poverine. L’amore poteva fare molti più danni di quelli che si poteva immaginare. << Poi successivamente, dopo qualche altro mese, alla porta di casa, si presentò mia madre, annunciando di aspettare un altro figlio da mio padre. Mia madre era una donna delicata, che proveniva dall’esterno del quartiere. Mio padre aveva avuto una relazione con lei, solo per il suo aspetto angelico e delicato. Aspetto che poi ha trasmesso a me. Mia madre era anche debole di costituzione, quindi le bastava poco per ammalarsi. Molti medici le avevano sconsigliato di proseguire la sua gravidanza, ma lei non aveva ceduto. Voleva che nascessi a tutti i costi. Quando nacqui, il costo fu pagato. La mamma morì di aneurisma cerebrale>>, confessò in un sussurro.
Quelle parole mi colpirono profondamente. Una lacrima solitaria, rigò il mio volto. Come poteva sopportare tutti quei pesi? Come facevano quelle sue spalle così mingherline, a sostenere quei ricordi così nefasti? A me bastava ricordare per qualche secondo mio marito, per provare un dolore forte e lancinante. Vincenzo era davvero forte.
<< Alla fine, nascemmo tutti e tre. La madre di Marco e la madre di Fabio rimasero nella stessa casa, e mi accolsero come un figlio. Cosa che non aveva mai fatto mio padre. Lui non voleva sapere nulla di noi. Gli bastava che avesse degli eredi da poter sfoggiare durante i party o le ricorrenze importanti. Ma a me questo non aveva mai pesato. Le due donne che mi hanno cresciuto, mi hanno dato tutto l’amore di cui necessitavo. E in più, sembrerà strano, ma avevo sviluppato un fortissimo amore nei confronti dei miei due fratelli, che comunque non dimostravano grande affetto nei miei confronti >>, continuò il suo racconto, sorridendo mestamente per quei ricordi di quand’era fanciullo. Poi, il suo viso si rabbuiò nuovamente. << Passarono vari anni. La nostra vita scorreva tranquilla, in un certo senso. Crescendo insieme, io seguivo sempre quei due miei fratelli maggiori, sperando di poter unirmi al loro gruppo. Fabio era sempre molto posato, ma ogni tanto qualche gesto d’affetto nei miei confronti ce l’aveva. Una carezza, una gentilezza…qualsiasi cosa. Marco, invece, era sempre molto scontroso, anche se con quel suo modo di fare, lo vedevo che ci proteggeva. Sia me che Fabio. Ma quei momenti finirono troppo presto >>, ricominciò a versare quelle sue amare lacrime. Soffrivo nel vederlo così, perché inconsciamente rivedevo la me stessa di qualche anno fa. Quella che vegliava giorno e notte il corpo del marito morente. Ianto, invece, ascoltava silenzioso e attento quel racconto. Anche per lui non era facile sentire parlare di fratelli e genitori, visto che gli era stata negata la possibilità di poter vivere la sua famiglia. Ma sapevo che, grazie alla sua immensa forza, sarebbe riuscito a sopportare qualsiasi dolore. Ed io, grazie a lui e al suo modo di essere un pilastro per me, sarei rimasta in piedi. << Quando avevo nove anni, alla porta di casa si presentò una donna. Diceva di essere incinta di mio padre. Un altro fratello. La madre di Marco non riuscì a sopportare quel peso, quel dolore. Quella stessa sera, si tolse la vita. Ingurgitò così tante pasticche di sonniferi, che non si svegliò più. Un cliché >>. Appena udii quelle parole, sentii una stretta allo stomaco. La nausea prese il sopravvento, e gli occhi cominciarono a lacrimare. Stavo male, perché la vita di quel ragazzino coincideva troppo con la mia storia. Ancora potevo sentire i tubi della flebo, infilati nel mio braccio. Scossi la testa, cercando di scacciare via quei dannati ricordi. << La trovò proprio Marco, la mattina dopo. Per lui fu un vero colpo. La madre di Fabio, invece, non riuscì più a sostenere quella situazione assurda. Così, dopo il funerale della madre di Marco, fece le valigie, e ci abbandonò. Il volto sempre impassibile e posato di Fabio, fu scalfito profondamente quando apprese della fuga di sua madre. Non lo avevo mai visto così sconvolto. La sua solita maschera, si crepò profondamente, mostrando tutto il suo lato umano. Fragilità, dolore, dispiacere, insicurezza… tutto quanto. Io, dal canto mio non avendo avuto una vera madre, mi ero affezionato tantissimo a quelle surrogate di mamma che avevo avuto. Perderle entrambe a pochissimo tempo di distanza, fu uno shock. Ma sentivo che ce l’avrei fatta, perché mi restavano le cose più importanti: i miei due fratelli. O almeno, era quello che pensavo >>, sussurrò le ultime parole. Quei tre ragazzi, abbandonati da tutto e tutti, avevano sofferte le pene dell’inferno. Come erano riusciti a sopravvivere? Questa domanda non faceva che rimbalzarmi continuamente nella testa. Erano davvero delle persone straordinarie.
<< E’ stato dopo quegli eventi, che i rapporti tra te e i tuoi fratelli si sono incrinati? >>, domandò dolcemente Ianto. Percepivo da quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio, una maturità tale, da lasciarmi sbalordita. Stava affrontando quel racconto con forza e saggezza, mentre io mi lasciavo andare ai miei ricordi e alle mie sofferenze. Non stavo reagendo come un’adulta, ma come una bambina spaventata e insicura. Non mi piaceva per niente quello che stavo diventando.
<< Si. Dopo l’abbandono della madre di Fabio, scoprimmo qualche tempo dopo, che quella donna venuta in casa nostra, era un’impostora. Non era incinta di mio padre, e il sacrificio delle mie due mamme acquisite era stato vano. Qualcosa deve essersi rotto sia in Marco che in Fabio. Ma soprattutto al primo. Dopo che capimmo la verità, quei due cominciarono a comportarsi in maniera orribile, sia tra di loro che con me. Non giocavamo più, non parlavamo più. Quei rari gesti d’affetto che loro avevano nei miei riguardi, non si presentarono più. Fabio era impassibile più del solito. Leggeva e studiava sempre, rinchiudendosi nel suo mondo impenetrabile. Solo la madre riusciva a portarlo fuori da li. E con il suo abbandono, lui non è più uscito. Marco invece, divenne violento e insofferente. Non ci sopportava proprio. Un giorno mi diede un pugno, dicendomi che era tutta colpa mia e di Fabio se la sua vita era così miserabile. Disse che se noi non ci fossimo mai stati, la sua mamma sarebbe ancora viva. Che eravamo delle persone orribili, e che lui ci disprezzava. Allora capii di aver perso tutto. Ogni cosa era volta via nel vento, smarrita per sempre >>, concluse Vincenzo, stringendo con forza le coperte. Piangeva sempre più forte, senza sosta. Il respiro era irregolare, e quel suo volto giallognolo era segnato dalla sofferenza di quei ricordi.
Non ci pensai due volte. Mi allungai verso il suo corpo, stringendolo poi in una morsa ferrea. Non capivo perché, ma volevo trasmettergli tutto l’amore materno di cui lui aveva bisogno. Percepivo in lui la necessità di sentirsi amato nuovamente come lo era un tempo. Sapevo che quel mio abbraccio avrebbe sortito un effetto effimero, ma non importava fintanto che avesse portato gioia, anche se pur per un secondo, nel cuore di quel ragazzo. Nel mio petto, invece, il dolore urlava lacerandomi i timpani. Sentire quelle parole, associarle con la mia storia, ricordare quanto avevo patito per la perdita di mio marito, aveva fatto si che in me nascesse il forte desiderio di scappare ancora. Andare lontano, sempre di più, fino a dimenticare anche chi ero. In quel momento, i miei occhi si scontrarono con quelli di ghiaccio di Ianto. E capii. Non avevo bisogno di scappare, e andare lontano. Perché la mia perdizione era li, a portata di meno, proprio di fronte. Ianto mi avrebbe concesso la pace di cui necessitavo. Lo sentivo in ogni parte del mio corpo. Lui mi avrebbe salvato, e finalmente io avrei avuto qualcuno su cui appoggiarmi. Sorrisi mentalmente di quelle mie constatazioni. Se al mio fianco ci fosse stato Ianto, non avrei più sofferto. Dopo pochi minuti mi allontanai da quell’abbraccio, sperando di scorgere negli occhi di Vincenzo un qualche bagliore di tranquillità e serenità. Ma quando guardai i suoi occhi grigi, mi resi conto che un semplice gesto d’affetto non avrebbe aiutato molto. Infatti, il suo sguardo trasmetteva ancora solo dolore.
<< Vincenzo, cos’altro ti affligge? >>, domandai a bruciapelo. Poteva sembrare una domanda sciocca ad orecchio esterno, ma avevo capito che quel ragazzino non era molto abituato a parlare di se. Quindi farlo sfogare, anche per il motivo più banale, non poteva fare altro che giovargli,
<< Io… io >>, ma non riuscì ad esprimere i suoi pensieri. Era troppo chiuso nel suo mondo, per poter anche solo pensare di parlare con qualcuno.
<< Avanti, apriti con me. Ti prometto che ti ascolterò, e ti starò vicino >>, lo incoraggiai stringendogli una mano tra le mie.
<< Ti posso garantire che tenere tutto il dolore dentro se stessi, non porta altro che all’auto distruzione. Anche se non ti potremo dare consigli importanti, ti sentirai subito meglio una volta detto ciò che provi >>, continuò Ianto, ricordando il periodo in cui era lui a non parlare di se stesso. Quella solitudine forzata, gli aveva causato forti dispiaceri.
<< Io… mi sento così male >>, cominciò Vincenzo, convinto dalle nostre parole. Dai suoi occhi scesero nuove lacrime. << Non è giusto. NON E’ GIUSTO!  Perché tutto a me? Perché devo soffrire così tanto? Che ho fatto di male? Niente. Non ho neanche diciotto anni, eppure sono condannato. Perché devo sopportare tutto questo? Non ho una madre, ne un padre che mi appoggiano. Non ho nessuno. Credevo di avere dei fratelli, ma questi mi disprezzano. Io ho solo questo forte dolore, che mi sta consumando dall’interno. Non è giusto. Io non lo meritavo. Io non merito di morire. Perché? PERCHE’? >>, cominciò ad urlare il ragazzo, piangendo disperato.  Una mano strinse spasmodicamente le lenzuola, l’altra stritolò la mia, ancora legate. << Io ho una vita davanti. Avrei voluto fare tante cose. Mi sarebbe piaciuto diplomarmi, andare all’università, scegliere la carriera che più amavo. Mi sarebbe piaciuto amare ed essere amato. Avrei voluto provare a fare l’amore, e vorrei tanto poter aver dato almeno il mio primo bacio a qualcuno, invece niente. Non potrò sposarmi, ne avere figli, e non potrò invecchiare. Non potrò avere nulla, perché morirò prima ancora di compiere diciotto anni! Quale Dio può volere una cosa simile? Quale Essere Onnipotente può portare tanto dolore ad una vita umana? Io voglio vivere. CAZZO, IO VOGLIO VIVERE! >>, le sue parole furono inghiottite dalle lacrime e dalle urla di dolore che il suo cuore stava provando. Era più di un anno che teneva taciuti quei sentimenti dentro di se. Forse era tutta una vita che desiderava aprirsi con tutto se stesso, ma non aveva mai potuto farlo. Era stato condannato dalla vita a non parlare, a non avere un confidente che potesse sostenerlo, e adesso non ce la faceva più.
Quelle parole erano la cosa più straziante che il mio cuore ammaccato potesse sentire. Piansi con Vincenzo e insieme a lui, ci stringemmo in un forte abbraccio. Le sue mani si aggrapparono salde alla mia schiena, cercando un appiglio disperato. Aveva il disperato bisogno che qualcuno potesse sostenerlo, togliendogli dalle spalle quei pesi troppo grandi per la sua tenera età. Necessitava di qualcuno che gli stesse vicino, e che gli desse quell’amore sempre negato. Vidi Ianto abbassare il capo, fissando intensamente i suoi piedi. Potevo però intravedere le lacrime rigargli il volto e i singhiozzi scuotergli la schiena. Quella camera d’ospedale era diventata spettatrice di grande dolore e sconforto. In se racchiudeva tre cuori sconvolti da eventi troppo grandi, tre cuori segnati a vita da sofferenze immense. Le nostre cicatrici non erano poi così diverse. Ognuno, a modo suo, aveva patito il dolore per l’abbandono, e la ferita di essere privato di qualcuno ingiustamente. Provare il patimento della malattia, e cosa ne consegue poi doverne portare gli strascichi dietro. Noi eravamo dei sopravvissuti, e sempre lo saremo stati. Ma lo scopo della vita, sapevo bene, non era quello di sopravvivere. Ma di vivere. E per noi era troppo difficile cercare di perpetuarlo. Strinsi ancora più forte Vincenzo. Passarono vari minuti, in cui gli unici suoni che si potevano udire, erano i nostri singhiozzi e i respiri affannati. Poi il ragazzino si staccò da me, ma fu subito raggiunto da Ianto, che non riusciva più a stare in disparte. Si sedette sul letto e appoggiò la propria fronte sulla spalla di Vincenzo, inspirando ed espirando rumorosamente. Le spalle ancora scosse dagli ultimi singhiozzi.
<< Ignazio >>, mormorò scioccato Vincenzo.
<< Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Avrei dovuto accorgermi del tuo dolore. Ma ero troppo impegnato ad ascoltare me stesso. Sono stato sciocco ed egoista. Se avessi aperto gli occhi, un po’ di più, adesso staremmo portando insieme il peso di questa sofferenza >>, mormorò Ianto contro la spalla del ragazzo. Non c’era dubbio. Quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio era la colonna portante per tutti noi.
<< Ehi, non dire idiozie >>, sorrise commosso Vincenzo, con ancora gli strascichi di lacrime sul volto. << Tu non potevi fare nulla. Questo è un peso che devo portare da solo. Avevo bisogno di sfogarmi, tutto qua >>
<< Invece tu non devi essere solo >>, affermò con decisione Ianto. Poi alzò di scatto il viso, e puntò il suo sguardo in quello del giovane dagli occhi grigi. Gli afferrò le mani, e le strinse con forza. << Ti prometto che tu non sarai mai più da solo. Ti starò vicino, sempre e comunque. Sarò la tua forza e il tuo sostegno. I tuoi sogni diventeranno i miei, e così potrai vivere con me. Ti prometto, che nel mio cuore, tu non morirai mai >>, dichiarò solenne il giovane.
Gli occhi di Vincenzo tornarono a riempirsi di lacrime, troppo sconvolto e commosso per quelle parole. Anche io, dal canto mio, non riuscii a contenere i miei sentimenti. Era troppo forte ciò che stavo provando in quel momento, perciò lasciai fuoriuscire altre gocce salate dai miei occhi.
<< Ignazio… >>, cominciò Vincenzo, ma fu interrotto.
<< Chiamami Ianto. Per le persone importanti, io sono Ianto >>, gli comunicò il giovane.
<< Ianto? Un soprannome? >>, domandò confuso il ragazzino steso nel letto.
<< Diciamo che “Ianto” è la vera personalità di questo scemo. È quando torna ad essere “Ignazio”, che bisogna preoccuparsi >>, mi intromisi, cercando di scherzare.
<< Ehi, prof, non sei per niente carina >>, si lamentò il giovane dagli occhi di ghiaccio guardandomi indispettito.
<< Io non devo essere carina, idiota. Sono una donna fatta e vissuta. Carina lo dici ad una sedicenne >>, sbuffai, incrociando le braccia al petto.
Era una scena senza senso, e forse anche inappropriata per la situazione. Ma in qualche modo, grazie a quello stupido scambio di battute, potevo sentire i nostri cuori farsi più leggeri. Infatti, dopo poco, Vincenzo cominciò a ridere forte, divertito per quelle assurdità. Dopo poco lo seguì Ianto, e infine mi accodai anche io. Ridemmo davvero tanto, come se quelle risate avessero il potere di scacciare ogni male dalle nostre vite. Era bello ridere in compagnia. Me lo diceva sempre mio marito, ed io con lui mi divertivo da matti. Adesso avrei condiviso quell’atto solenne con persone divenute estremamente importanti per la mia vita. Passati vari minuti, le risate cominciarono a scemare, lasciandoci ancora intorpiditi per quel senso di tranquillità percepito in quel frangente. Dopodiché, Vincenzo ci guardò, prima me e poi Ianto, e ci concesse uno dei suoi sorrisi più belli e angelici.
<< Grazie! Davvero! Grazie dal profondo del mio cuore. Avevo bisogno di essere abbracciato con amore… >>, e mi guardò con intensità. << Avevo bisogno di sfogarmi… >>, guardò le sue mani. << E avevo bisogno di sentirmi dire che non ero solo, e che anche nella morte, sarei potuto vivere comunque. Temevo che una volta finita la mia vita, sarei stato dimenticato. Ma adesso so che non è così >>, e terminò la frase guardando Ianto.
<< Non sarai mai dimenticato. Noi ti ricorderemo per sempre. Vivrai nei nostri cuori, e non potrai più lasciarci >>, affermai con decisione, portando una mia mano su quella del ragazzo.
<< Insomma, sarò un parassita >>, scherzò Vincenzo.
<< No, sarai molto di più. Sarai il nostro angelo personale >>, dichiarò Ianto posando la sua mano in quella libera del ragazzo.
Il giovane dagli occhi grigi ci guardò nuovamente, ed infine strinse con forza le nostre mani. Saremmo per sempre stati legati da quel patto.
 
I giorni successivi trascorsero quasi tranquillamente. La mia routine prese una nuova piega. La mattina la passavo a scuola, poi mangiavo insieme a Ianto, Paolo e Roberto nell’aula 213 e nel pomeriggio facevo la mia solita lezione di genetica, supportata da Roberto. Ma dopo questo, le mie abitudini erano cambiate. Appena finito con la scuola, mi dirigevo verso l’ospedale, ogni giorno con nuovi passeggeri a bordo. Ianto era sempre fisso nel sedile accanto al mio, ma c’erano volte in cui venivano Paolo e Roberto, altre in cui si univa Nicola. Altre ancora Mario e Nicola, oppure Andrea e Carlo. Durante queste “scampagnate” all’ospedale, ero stata anche messa al corrente di tutte le novità. Mario aveva scoperto il sesso del bambino, anzi della bambina. Si, lui e Margherita aspettavano una bellissima bambina. Avevo anche scoperto che tra Nicola e la sua Debora, l’amore era sbocciato, e stavano insieme da qualche tempo. Ed infine, con mio grande stupore e felicità, avevo scoperto del fidanzamento tra Carlo e Andrea. Alla fine si erano chiariti del tutto, comprendendo azioni del passato e frasi sconnesse. Avevano finalmente raggiunto l’apice della loro felicità, e sospettavo non si sarebbero mai più lasciati. Vincenzo, invece, era davvero felice di tutte quelle visite. Lo riempiva di gioia e serenità sapere di essere amato, e di avere degli amici su cui contare. Non importava che quell’amicizia fosse nata tardi, agli sgoccioli della sua vita. La cosa che veramente contava, era che fosse sbocciata nonostante tutto. Il suo cuore, certo, era ancora pieno di tristezza per la morte imminente, e per la mancanza delle due persone più importanti per lui. Ma Vincenzo continuava a sorridere lo stesso. Aveva davvero una grandissima forza d’animo. Quando capitava che venissero tutti quanti a trovarlo, non riuscivo ad evitare di osservarli, estasiata e commossa. Vederli così uniti, sorridenti malgrado la malattia, ridere, giocare e scherzare, mi faceva battere forte il cuore. E in più, ogni giorno Ianto aveva un qualche gesto d’affetto nei miei confronti, posto a dimostrare  il suo amore nei miei confronti. Una stretta di mano, una carezza, un sorriso, una parola… qualsiasi cosa. Io, dal canto mio, non riuscivo ad evitare di sentirmi protetta e a casa. Sapevo che era sbagliato, e non passava giorno che non mi sentissi in colpa sia nei confronti di mio marito che nei confronti di Ianto. Sentivo di starli prendendo in giro entrambi. Come se stessi vivendo con un piede in due scarpe. Ero divisa da troppi sentimenti, e nessuno di loro riusciva a prendere il sopravvento sull’altro. O forse, ero io a non riuscire a prendere una vera decisione. Comunque in quel momento la mia mente era troppo presa da altre cose, per poter pensare veramente ad una soluzione. In particolar modo, il fatto che di Fabio e di Marco non si era neanche vista l’ombra in ospedale. E quando cercavo di mettermi in contatto con uno di loro, questi sfuggivano come lepri cacciati dai lupi. La mia intenzione era quella di parlare per primo con Fabio, ma mi rendevo conto che quella mia idea era quasi utopia. Questi mi sfuggiva costantemente, ma non mi sarei data per vinta. Avrei aiutato Vincenzo, costi quel che costi. Perché sapevo che il suo più grande desiderio, era quello di riconciliarsi con i suoi fratelli prima di morire, ed io l’avrei realizzato.  Ormai non c’era più molto tempo. La sua vita era agli sgoccioli. Quella mattina del 21 gennaio, ero partita con una nuova determinazione. Arrivata in classe, notai subito Fabio e il suo volto impassibile. Lo guardai con astio, perché quel suo modo di fare mi urtava davvero tanto. Spiegai ogni materia, come se stessi incitando i miei alunni alla guerra. Non era un buon inizio. Appena finite le lezioni, cercai di raggiungere il giovane, ma questi mi sfuggii. Sbuffai sonoramente, ma non mi sarei data per vinta. Cominciai a girare tutto l’istituto, cercando il giovane. Andai alla mensa, in palestra, nelle piscine, vicino ai dormitori, sul tetto. Ma niente. Non lo trovavo da nessuna parte. Mentre sospirai frustrata, chiudendo gli occhi, mi andai a scontrare contro una persona.
<< Ahia >>, mormorai afflitta. Quando aprii gli occhi, mi trovai un volto freddo, e oscuro.
<< Professoressa, sta bene? >>, mi domandò con finta ostilità Andrea.
<< Ah, più o meno. Ragazzi, voi mangiate troppe fibre. Sete muscolosi come Maciste >>, mi lamentai toccandomi il braccio leso.
<< Veramente mangio in modo equilibrato, quindi direi di essere un tipo abbastanza normale >>, commentò con indifferenza il ragazzo.
<< Ecco. È proprio questa affermazione, che mi fa capire che sei strano >>, affermai acidamente.
<< Beh, anche lei lo è. E non mi sono dimenticato le parole di natale. Lei mi ha fregato >>, dichiarò Andrea guardandomi dritto negli occhi.
<< Confesso il mio peccato >>, e sorrisi divertita. << Però è servito. Grazie a quel mio consiglio, alla fine ti sei messo con il tuo Carlo >>, e sottolineai la parola “tuo”.
<< Beh… ecco… >>, mormorò imbarazzato il giovane. Finalmente su quel volto sempre scontroso, vidi un’espressione diversa, umana. << La ringrazio. Ha fatto bene. Se fosse stato per me e per Carlo, non Ci saremmo mai messi insieme. Invece, grazie al suo intervento, le cose sono andate in modo ben diverso >>
<< Io non ho fatto nulla. Ho solo spinto un po’ le cose, ma voi avete fatto tutto >>, mi screditai convinta delle mie parole. In realtà io non avevo fatto quasi nulla.
<< Dal mio punto di vista le cose sono un po’ diverse. Perciò se ha bisogno di qualcosa, io sono a disposizione >>, affermò tranquillo Andrea. Era nuovamente tornato posato e impassibile.
<< Beh, forse qualcosa puoi fare >>, mormorai pensierosa.
<< Dica >>, mi incitò il giovane.
<< Per caso sai dove posso trovare Fabio? >>, domandai a bruciapelo.
<< No >>, dichiarò senza dubbi il giovane.
<< Ah… >>, sussurrai delusa.
<< Ma posso rintracciarlo >>, proseguì Andrea. Poi, senza lasciarmi dire altro, prese il cellulare e compose un numero. << Pronto, ciao sono io. Si tutto bene. Senti devo chiederti un favore. Sai dove posso trovare Fabio Boccanera? Uhm. Aha. Si, grazie mille. Ti devo un favore amico. Ci sentiamo. Ciao >>, concluse quella chiamata. Rimasi perplessa. Aveva chiamato un amico per chiedergli dove fosse Fabio? Cos’era, il grande fratello, dove bastava spostare una telecamera per trovare il concorrente?
<< Ehm, Andrea. Quella chiamata, cos’era? >>, domandai perplessa.
<< Ho chiesto ad un amico che sa tutto, dove fosse Fabio. E mi ha detto che è in biblioteca. Passa li tutti i suoi pomeriggi, a quanto mi è stato detto >>, mi annunciò il ragazzo, cogliendomi di sorpresa.
Lo fissai allibita, impressionata. Ora si che quel posto era diventato davvero strano per me. Retroscena alla beautiful, intrighi, misteri, e anche informatori segreti. Non mancava davvero nulla in quella scuola.
<< Grazie Andrea >>, dissi sorridendogli grata e anche divertita.
<< Di niente. Mi sono sdebitato per il favore di natale. Ora siamo pari >>, affermò con tranquillità il giovane.
<< E scommetto che tu sei un tipo a cui piace pareggiare i conti >>, scherzai dandogli un piccolo spintone, e incamminandomi verso la biblioteca al primo piano.
<< Ehi, professoressa >>, mi richiamò il giovane.
Mi voltai e sorrisi, invitandolo a proseguire.
<< Riuscirà ad aiutarli. I tre fratelli, intendo. Solo lei può farlo. Insomma, ha aiutato tutti noi >>, mi incitò Andrea. Poi avvalorò quelle parole, regalandomi un sorriso raro e dolce. Vedere quell’incurvamento su quelle labbra, mi lasciò senza parole. Poi ricambiai quell’espressione, davvero grata. Avevo bisogno di essere incoraggiata. Mi rivoltai, e ripresi il mio cammino.
 
Quando giunsi alla biblioteca, mi resi conto di non essere mai entrata in quel luogo. Io, che amavo i libri, non avevo mai varcato la soglia di quella stanza. Ero abbastanza stupefatta di me stessa, ma capii che le mie abitudini di quei mesi erano cosi ben radicate in me, da non lasciare scampo a nulla. Neanche alle mie passioni. Tirai un forte sospiro, e alla fine decisi di entrare. Quando spalancai la porta, mi trovai immersa in un mondo fatto di pagine e pagine, scaffali ricolmi di libri, e un’atmosfera così rilassata e tranquilla, da stordire. Le pareti erano ricoperte di mobili alti fin sopra al soffitto, straripanti di libri. Varie scrivanie poste al centro della stanza, e un camino posizionato in un angolo. Sembrava di stare in uno scenario fiabesco. Rimasi a bocca aperta per qualche minuto, sentendomi nel paese dei balocchi. Quando poi adocchiai l’unica figura presente nella sala, mi riscossi. Non ero venuta per immergermi nelle mie più recondite fantasie, ma per aiutare dei ragazzi. Perciò scrollai la testa, e mi incamminai verso l’unica scrivania occupata. Fabio sedeva li, con un libro tra le mani, concentrato nella lettura. Era un saggio di biologia. Mi domandavo come a quell’età si potesse essere così concentrati e persi in un libro così difficile. Mi avvicinai silenziosa, timorosa anche solo di respirare. Quell’atmosfera così pacata e tranquilla, faceva si che anche un solo rumore, fosse ampliato con potenza. Era come quando si entra in chiesa a messa già cominciata. Quando alla fine giunsi vicino al ragazzo, questi non mi guardò, ma dai suoi gesti divenuti più rigidi, capii di essere stata percepita.
<< Che ci fa qui, professoressa? >>, domandò con voce monocorde Fabio, spezzando quel silenzio assordante.
<< Sono qui perché voglio parlare con te >>, risposi con fermezza.
<< E di cosa, se posso chiedere? Non credo che io e lei abbiamo questioni in sospeso >>, commentò il ragazzo continuando a leggere.
<< Invece si che abbiamo una questione in sospeso. E si da il caso che quella questione è proprio tuo fratello, quello che non vai a trovare da almeno due settimane >>, affermai acidamente. Fabio però non prestò attenzione alle mie parole, ma anzi continuava ad ignorarmi. Così, infastidita oltre ogni limite, presi il libro che stava leggendo e glielo chiusi con forza. << Adesso tu mi ascolti >>, sillabai inferocita.
Il giovane alzò gli occhi annoiato, e li puntò di fronte a se. Poi sospirò rumorosamente, e si voltò verso di me. Quando i nostri sguardi si incrociarono, capii che quella conversazione sarebbe stata difficile. Penetrare in quella barriera fitta che proteggeva il cuore di quel giovane, era praticamente un’impresa titanica. Ma io sarei diventata anche Ercole, se fosse stato necessario.
<< Prego. Mi illumini >>, disse sarcastico Fabio.
Presi la sedia al suo fianco, la spostai, e mi sedetti vicino. Dovevo ancora ponderare per bene le parole da usare. Un passo falso, e mi sarei giocata qualsiasi possibilità.
<< Fabio >>, sospirai ancora indecisa su cosa dire. << Vincenzo mi ha raccontato un po’ la vostra storia >>
<< Beh, questo mi fa capire solo che quel ragazzo ha la bocca troppo larga, e che lei è un’impicciona >>, affermò il ragazzo con finta indifferenza. In realtà avevo percepito un certo interesse da parte sua. Voleva vedere dove andasse a finire quel discorso.
<< No, questo dovrebbe farti capire quanto ci sta male. Lui rivuole la sua famiglia. Vincenzo rivuole i suoi fratelli >>, dichiarai con dolcezza.
<< Non so di cosa stia parlando. Per quanto mi riguarda noi non siamo mai stati veri fratelli, meno che mai in questi ultimi anni >>, rispose con prontezza Fabio. Sembrava una risposta già pronta.
<< Si, da quando tua madre se n’è andata >>, ribattei senza timori.
<< Non sa di cosa sta parlando. Perciò non ne parli tanto a cuor leggero >>, dichiarò piccato il ragazzo. Quel commento sulla madre doveva averlo ferito.
<< Invece so benissimo di cosa sto parlando. Perché, non solo conosco la tua storia, ma so anche cosa si prova quando un genitore ti abbandona. Mia madre non si curava di me. Mi lasciava sempre a mia zia. È stata lei a crescermi. Poi è morta, e io mi sono ritrovata completamente sola. Perciò so perfettamente di cosa stai parlando >>, confessai con trasporto, ricordando quegli anni in cui ero stata molto male per l’indifferenza da parte di mia madre, e per il calore con il quale era cresciuta grazie alla mia preziosa zia.
<< Lei parla di un caso completamente diverso dal mio. Mia madre è stata costretta ad abbandonarmi. Non poteva più vivere quella vita. E la colpa di tutto ciò è solo dei miei fratelli. Se non fossero mai nati, io ora avrei ancora mia madre >>, esclamò infervorato Fabio. Stavo cominciando a penetrare nella sua barriera.
<< Ti sbagli. Perché la verità è diversa. Tu dai la colpa alle persone sbagliate >>, risposi con dolcezza, posando una mano sulla spalla del giovane. << La colpa non è dei tuoi fratelli, ma di tua madre >>
<< Non dica cose così orribili. Come si permette. Mia madre era una donna eccezionale >>, urlò disperato il giovane, alzandosi di scatto dalla sedia, e allontanandosi dal mio tocco. Sembrava quasi come se lo avessi ustionato, con la mia mano.
<< Può darsi che tua madre sia stata eccezionale, nei tuoi primi anni di vita. Ma la verità è che è stata lei a scegliere di abbandonarti >>, dichiarai alzandomi a mia volta e raggiungendolo. Quando mi misi di fronte a lui, costrinsi i suoi occhi a fissare i miei. Il suo sguardo era pieno di rammarico e rabbia. Sentimenti trattenuti da troppi anni. << Lei ha scelto di fare le valigie e andarsene. È stata lei che ha preso la decisione di lasciarti indietro, non curandosi più di te. Lei ha deciso che tu potevi essere sacrificato per il suo bene. La colpa è sua >>
<< Stia zitta. Basta! Lei non sa di cosa sta parlando. Non viveva quella situazione. Non può comprendere quanto difficile… fosse >>, proclamò con enfasi Fabio. Sembrava un cavaliere pronto a difendere la sua dama in difficoltà.
<< Può darsi che quella situazione non fosse facile, ma è stata lei a scegliere di scappare. Lei ha deciso di intraprendere la fuga, e non affrontare la realtà. Lei poteva fare molte cose, ma ha optato per la strada più facile. Tutti noi siamo bravi a darcela a gambe levate, ma solo pochi decidono di restare e combattere >>, appena finii di pronunciare quelle parole, il mio cuore subii una scossa violenta. Mi ricordò con intensità, che anche io ero una di quelle persone che avevano deciso di scappare, lasciandosi tutto alle spalle. Io avevo scelto ciò che era più semplice, e meno doloroso per me. Ma adesso le conseguenze stavano diventando troppo pesanti. Sentivo che presto sarei nuovamente impazzita. Scossi leggermente la testa, cercando di evitare di pensare a quelle cose inutili. Non era il momento di riflettere sulla mia esistenza.
<< No, non è vero. Non mi ha abbandonato di sua spontanea volontà. Lei… lei mi voleva bene >>, provò a convincersi Fabio, cominciando a piangere.
Ormai avevo penetrato la sua barriera, e quello che vi avevo trovato era solo tanto dolore e solitudine. E un rancore profondo per quella figura che lo aveva distrutto in quel modo.
<< Fabio, capisco che possa fare male accettare la realtà. Scontarsi con la verità è qualcosa di doloroso, ma devi accettarlo. E la realtà vuole che sia stata lei a lasciarti da solo. Ad abbandonarti a te stesso quando eri un bambino. È stata lei, non i tuoi fratelli. Loro non l’avrebbero mai fatto. Perché cascasse il mondo, un fratello ti resterà sempre accanto. E lo sai. Hai visto come Vincenzo ti è rimasto vicino, nonostante tutto >>, affermai, poggiando le mie mani sul volto del ragazzo, ed asciugandogli con i pollici le lacrime che ancora scendevano su quel viso.
<< Io… sono solo… mamma mi ha abbandonato >>, sussurrò disperato. Il suo sguardo era smarrito.
<< Non è vero. Non sei solo. Con te ci sono Vincenzo e Marco. Loro sono la tua famiglia >>, risposi con dolcezza.
<< La mia famiglia? >>, domandò confuso Fabio. Sembrava un bambino, a cui andassero spiegate anche le cose più elementari.
<< Si, la tua famiglia. Ma la stai perdendo, e questa volta sarà solo colpa tua. Vincenzo ti vuole bene >>, omisi il nome di Marco, perché anche lui era ancora un mistero da risolvere. << Se continui su questa strada, li perderai per sempre >>, poi mi avvicinai un po’ di più al suo volto, e lo guardai negli occhi con fermezza. << Fabio, Vincenzo sta morendo. E se non fai qualcosa adesso, perderai per sempre la possibilità di rimediare con lui. Allora si che sarai veramente solo, e non potrai fare altro che accusare e biasimare te stesso. Sei pronto a vivere una vita così? >>.
Fabio mi guardò perplesso. I suoi occhi, confusi e pieni di lacrime, sembravano vagare per tutta la stanza, anche se continuavano a guardami. Poi, improvvisamente, un lampo di lucidità e consapevolezza lo colpì. In cuor mio, capii che il giovane avesse compreso le mie parole e che stesse ponderando sulla veridicità. Poi Fabio abbassò i suoi meravigliosi occhi grigi, portò una sua mano sulla mia, e la strinse debolmente.
<< Ho paura >>, sussurrò disperato.
<< Di cosa? >>, chiesi prontamente.
<< Di soffrire ancora. Di essere abbandonato di nuovo. Ho paura che verrò lasciato indietro, e stavolta per sempre. Vicenzo… >>, ma pronunciare quel nome, gli causò un profondo dolore. Fabio strizzò gli occhi, quasi come fosse colpito da una forte luce. << Vincenzo, se ne sta per andare. Anche lui mi sta per lasciare. Io non ce la posso fare. Non sono abbastanza forte per sopportare anche questo >>
<< Fabio >>, mormorai con le lacrime agli occhi. Mi sembrava di rivedere la me stessa del passato quando, guardandomi allo specchio, vedevo solo debolezze, insicurezze e fragilità. Anche io, come quel giovane dagli occhi grigi, credevo di non farcela. E alla fine non avevo avuto la forza di lottare contro il dolore della perdita. Rimanere vedova mi aveva completamente distrutto. << Devi renderti conto di una cosa. Le persone che se ne vanno, non ci lasciano mai veramente. Le senti sempre qui, dentro il cuore. E percepisci la loro presenza più chiaramente nei momenti del bisogno. Se hai amato davvero una persona, questa non ti lascerà mai >>, dissi con convinzione.
Perché era la verità. Mio marito non mi aveva mai abbandonato, solo che era rimasto con me nel modo peggiore in assoluto. Chiusi con forza gli occhi, per scacciare dalla mente quei ricordi. Poi li riaprii puntandoli in quelli di Fabio, attendendo una sua reazione. Il giovane, dapprima rimase stranito da quelle strane parole, poi sembrò soffrire, ed infine la rassegnazione passò nel suo sguardo. Aveva compreso quale fosse la strada da intraprendere.
<< Mi porti da Vincenzo >>, mormorò alla fine.
 
Quando arrivammo in ospedale, quello che mi colpii fu la calma di quel posto. Erano le quattro precise, inizio dell’orario visite che durava per tutto il pomeriggio. Ma a differenza delle altre volte che ero andata a trovare Vincenzo, quel posto sembrava deserto. Forse anche l’ospedale sapeva che quel giorno era speciale. Finalmente ci sarebbe stato quel chiarimento tra i due fratelli. Un chiarimento atteso da anni. Speravo vivamente che tutto andasse per bene, sia per Fabio che Vincenzo. Dopo tutto il dolore sopportato, meritavano di essere felici. Almeno per quel poco tempo che rimaneva. Purtroppo sapevo bene che quando un medico dava una data di scadenza per la vita di una persona, questa si realizzava sempre. E a Vincenzo era stata data una piccola deroga. Forse quel famoso Dio di cui tutti parlavano, aveva scelto di concedere quell’opportunità a quei ragazzi di rimediare. Forse non era poi così ingiusta la vita, se almeno le cose si fossero appianate. Volevo sul serio che la situazione si risolvesse. Avevo bisogno di sapere che almeno una volta nella vita, le cose andassero nel verso giusto. Che nonostante tutto, ci fosse ancora speranza. E quei fratelli erano la mia opportunità di riscatto. Magari, un giorno dopo tutto questo, forse sarei riuscita a tornare a casa e avrei affrontato definitivamente il mio personalissimo demone. Un  demone davvero potente. Comunque, ci avviammo verso la camera di Vincenzo. Sapevo che a quell’ora era sveglio, pronto ad attendere la visita di uno dei suoi nuovi amici. La felicità che provava in quei momenti era quasi palpabile. Quando arrivammo davanti alla stanza, presi un profondo respiro e mi voltai verso Fabio.
<< Sei pronto? >>, domandai agitata.
Il ragazzo annuì pensieroso. Forse stava scegliendo con cura le parole da dire, o il modo più adeguato per riuscire a chiare con il fratello. Mi voltai nuovamente verso la porta e bussai con forza. Non c’era più tempo per i ripensamenti.
<< Avanti >>, invitò una voce allegra dall’altra parte.
Aprii la porta, e vidi quella minuscola figura distesa nel letto. In quelle ultime due settimane, Vincenzo era diventato magrissimo. Non riusciva più a mangiare perché la nausea era troppo forte. Perciò veniva nutrito costantemente da una flebo. Il volto giallognolo era infossato e sempre più scuro. Le occhiaie erano pesanti, e la forza sembrava aver abbandonato quel corpo. Gli restava davvero poco da vivere. La malattia lo aveva mangiato lentamente dall’interno, fino a consumarlo. Ma gli occhi continuavano a resistere. Quelle perle grigie trasmettevano costantemente forza e volontà di vivere. Ogni volta che lo fissavo negli occhi, sentivo sulla pelle la vitalità che albergava in quel corpo. Lo stesso sguardo fiero e risoluto che aveva mio marito nei suoi ultimi giorni di vita. Per me, entrare in quella stanza d’ospedale, era sempre come fare un tuffo nel passato. E ogni volta era come ricevere una piccola lacerazione del cuore. E sapevo che i pezzetti andati, non sarebbero più tornati. Ma, anzi, al loro posto avrebbero lasciato dei solchi profondi e incolmabili. Mi domandavo come sarei riuscita ad andare avanti. Quando entrai nella stanza, seguita da Fabio, mi vidi rivolgere un sorriso brillante e meraviglioso.
<< Salve professoressa >>, mi salutò Vincenzo. Non aveva ancora notato la presenza del fratello.
<< Ciao Vincenzo >>, ricambiai quel sorriso. << Ti ho portato una sorpresa >>, poi mi scansai e mostrai al volto incuriosito del ragazzino nel letto, il viso familiare di Fabio.
Quando Vincenzo lo notò, cambiò completamente espressione. L’espressione divenne confusa, gli occhi smarriti e il sorriso scomparve. Non credeva a ciò che vedeva. Sapevo che in cuor suo aveva abbandonato la possibilità di avere nuovamente nella sua vita la presenza dei fratelli, ma io gli avrei concesso questo suo ultimo desiderio.
<< Ciao Vincenzo >>, salutò con poca voce Fabio.
<< Tu… ma come… >>, mormorò il ragazzino nel letto.
<< Vincenzo >>, cominciò Fabio senza darmi la possibilità di spiegare le cose. << Sono venuto qui per parlare >>
<< Parlare? >>, domandò Vincenzo. La sua confusione era quasi palpabile.
<< Si parlare. Voglio spiegarti. Innanzitutto voglio dirti che non ti odio >>, riprese il discorso il fratello di mezzo. << Ho però dato la colpa a te e a Marco di tutti i mali della mia vita. Non sono stato abbastanza forte da affrontare la realtà. Avevo troppa paura di vedere veramente come stavano le cose, e rendermi conto che avevo sbagliato tutto nella mia vita >>
<< Fabio, capisco. Non devi giustificarti >>, lo bloccò Vincenzo riprendendo una piccola parte di quel sorriso. Ma era una parte debole e troppo triste. Mi si incrinava il cuore ogni volta che lo vedevo.
<< Invece si. Devo dire le cose come stanno. Ne va della nostra felicità >>, ribatté con decisione Fabio. << Quando mamma se n’è andata, io ho visto solo ciò che volevo vedere. E cioè la presenza scomoda di due fratelli che in qualche modo, accusavo. Vi incolpavo per l’abbandono di mia madre. Pensavo… anzi ero convinto, che se voi non ci fosse stati, mia madre non se ne sarebbe mai andata. Ma la verità è ben diversa. E forse in cuor mio già la sapevo, ma non volevo vederla. È molto più facile vivere in un sogno, che affrontare la vita vera >>, si scrollò le spalle il ragazzo, nervoso e con le lacrime agli occhi. Anche Vincenzo piangeva silenziosamente. << E la vita vera vuole che mia madre ha scelto di lasciarmi. Lei non è stata abbastanza forte da restare per me, ed io me la sono presa con voi. Arrabbiarmi con la mia mamma era troppo difficile e doloroso. Significava anche accettare il suo abbandono, ed io non ero pronto >>
<< Nessuno lo sarebbe mai stato. Non devi sentirti in colpa di questo >>, lo giustificò con un filo di voce Vincenzo.
<< Dovresti invece darmi la colpa di tutto. Io per questo motivo, ti ho trattato così male. Ti ho trattato peggio che un’animale. E questo non era giusto nei tuoi confronti. Tu non hai fatto nulla. Anzi, sei rimasto nonostante tutto >>, affermò con voce rotta dal pianto Fabio. Poi si mosse e raggiunse il fratello vicino al letto. Si sedette, e prese tra le sue mani, quelle scheletriche di Vincenzo. << Quando poi ho saputo della tua malattia, ho fatto qualcosa di orribile. Ho posato lo sguardo da un’altra parte, perché non volevo vedere. Non volevo guardarti mentre anche tu mi lasciavi. Mentre tu… morivi >>, sussurrò inghiottendo lacrime davvero amare. Vincenzo lo fissava sconvolto, ma tuttavia ancora dolce. Invece io, restavo in silenzio con le lacrime agli occhi, a guardare come quelle due persone si chiarissero finalmente, esprimendo il loro amore reciproco. << La verità è che nel cuore ho sempre saputo che tu, sei rimasto con me. Sempre e comunque. E che mi hai dato la forza di affrontare la mia vita. Non ho mai voluto ammetterlo, perché sarebbe stato come ammettere di avere una debolezza. E le debolezze significano dolore. Ed io non ero disposto ad affrontare altro dolore. E quando ho saputo della tua malattia, ho compreso che accettarla significava anche abbracciare la possibilità di perderti. Ed io sono debole. Tanto! Così tanto, che non riuscivo a starti accanto, senza pensare che probabilmente quelli sarebbero stati i nostri ultimi momenti insieme. E così ho fatto peggio. Ho spezzato i cuori di entrambi. Sono davvero una persona orribile. Perdonami! >>, e scoppiò a piangere. Un pianto interminabile ed inconsolabile. Non avevo mai visto quel volto così impassibile, mostrare così tanti sentimenti in una volta.
Fabio stava davvero soffrendo. Quasi come se fosse lui il condannato a morte. E in un certo senso, io sapevo bene che una parte di lui sarebbe morta insieme al fratello.
<< Fabio >>, sussurrò con voce spezzata Vincenzo. Le lacrime stavano annegando quegli occhi grigi. << Ti prego, non piangere. Io non sono arrabbiato con te. Confesso di esserlo stato, all’inizio. Perché non capivo >>, dichiarò il ragazzo, accarezzando la testa del fratello con dolcezza. << Ma poi, crescendo, mi sono reso conto che in realtà tutti noi abbiamo sofferto tantissimo per colpa di altri. Le scelte dei genitori ricadono sempre sui figli, e siamo noi a pagarne le conseguenze. E la nostra conseguenza è stata quella di allontanarci. Ma noi restiamo comunque legati da un qualcosa di inspiegabile. Da una forza ben superiore della gravità >>, poi Vincenzo posizionò la sua mano sotto al mento del fratello, e lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi. Grigio nel grigio. << Noi siamo fratelli. Lo siamo sempre stati, e qualsiasi cosa accada, lo saremo sempre. Anche dopo la mia morte, tu saprai che in vita tua c’è stata una persona che ti ha amato più di te stessa. E quella sono io. Ti voglio bene, Fabio. E te ne vorrò sempre, indipendentemente dalle scelte che hai fatto in passato. E sono sicuro che la stessa cosa vale per Marco. Non c’è niente di più forte del bene che noi fratelli proviamo tra di noi. E un giorno, saremo uniti. Lo sento. Qui, nel mio cuore affaticato. Noi non verremo separati mai, neanche dopo la mia morte >>, concluse il ragazzo con forza e decisione.
Fabio non parlò. Era troppo sconvolto anche solo per poter pensare di aprire bocca. Forse addirittura anche solo per partorire un pensiero. Stava ancora assaporando quelle meravigliose parole che il fratello aveva appena pronunciato. Erano parole di perdono, e redenzione. Finalmente Fabio stava avendo l’opportunità di poter essere scagionato da tutte le sue colpe. Quella fortuna non capitava a tutti. E se il ragazzo avesse atteso ancora, probabilmente non gliene sarebbe mai più stata data la possibilità. Poi, quasi come fossero stati posseduti da entità sconosciute, si avvicinarono. O meglio, Fabio si avvicinò al fratello che lo accolse a braccia aperte. Si unirono in un forte abbraccio, capace di scacciare qualsiasi dolore o sofferenza del passato. Era bello e commuovente vedere quelle due figure così vicine e legate. Guardandoli, capii una cosa. Era vero, il legame tra fratelli non si può spezzare in nessun modo. E guardando Fabio e Vincenzo, mi resi conto che il loro amore avrebbe sconfitto anche la morte. Ora per loro le cose sarebbero state molto più felici, nonostante tutto. Metà desiderio di Vincenzo era stato realizzato. Ora, mancava la parte più difficile. Ma ce l’avrei fatta. Perché la felicità, per tutti noi, poteva ancora esistere.




Salve gente, e auguri di buon Santo Stefano a tutti XDXD chiedo perdono per aver pubblicato solo oggi e non la settimana scorsa, ma tra i regali, uscite e impegni vari, davvero non ho potuto fare diversamente...come avrete notato, il capitolo è abbastanza lungo e complesso, quindi non potevo arroznarlo XDXD spero che vi piaccia, e che riesca nel mio intento...farvi versare qualche lacrimuccia haha...consideratelo come un regalo tardivo di natale...perciò mamma natale (che sono io XD) vi augura BUON NATALE A TUTTI!!!! (anche se un po' in ritardo :P)...mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate, lasciando anche un piccolissimo commento...mi piace sempre leggere cosa pensano le persone quando leggono le mie storie XD...
e ovviamente ringrazio a tutti dei commenti avuti...tra vecchie e nuove conoscenze, sono rimasta davvero commossa...grazie mille, di cuore...come sempre, vado avanti nello scrivere per voi...*me vuole bene a tutti voi XD*
ora, come spoiler extra, vi dirò che il prossimo capitolo concluderà in un certo modo la saga di Vincenzo, ma che comunque nel capitolo seguente ci sarà altro da dire XDXD so che non ci avete capito nulla, però è più divertente così hahaha...il natale decisamente non mi ha reso buona XDXD
ci vediamo durante questa settimana per l'aggiornamento...
un bacio
Moon9292


"<< Mi domando quanto tu debba ancora soffrire, prima di renderti conto di stare sbagliando ogni cosa >>"

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Capitolo 19
*** La forza dei fratelli ***


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Capitolo 19 - La forza dei fratelli


<< Allora hanno fatto pace? >>, domandò Ianto, afferrando un trancio di pizza.
<< Così sembrerebbe. È stata una bella scena. Degna di un telefilm >>, sdrammatizzai, mordendo la mia fetta di pizza con wurstel e patatine.
Era la sera di quel lunghissimo lunedì. Erano le nove e un quarto, e Ianto si era presentato alla mia porta di casa, con una teglia di pizza in mano, e un sorriso così rassicurante da non lasciarmi altre vie di fuga. Dovevo farlo entrare per forza. Quel giorno il mio cuore aveva sofferto troppo, e i ricordi si erano sovrapposti tutti troppo in fretta e con troppa intensità. Faticavo a ritornare alla realtà. Troppi dolori mi avevano sorpresa in pochissimo tempo, e ancora non riuscivo ad essere completamente me stessa. Mio marito, e tutto quello che comportava il suo pensiero, mi avevano destabilizzata. Avevo il bisogno fisico di aggrapparmi a qualcuno. Di possedere una persona come roccia, in grado di sorreggermi in quei miei momenti di totale sconforto. Ovviamente, come la vita mi aveva insegnato, il destino gioca sempre dei tiri mancini. Appena formulato questo desiderio, ecco comparire alla mia porta, con la velocità di un fulmine, Ianto. Vedendolo, il mio cuore aveva scalpitato. Ormai mi ero rassegnata ai sentimenti che provavo per quel ragazzo. Come mi ero rassegnata al fatto di essere spaccata in due, nel cuore. Mi sembrava di stare giocando al tiro alla fune, con le mie due personalità agli estremi e il cuore al centro. Tiravano entrambe ai loro lati con forza e tenacia, spezzandomi in due perfette metà. Ma non si vive con il cuore in due, perciò presto o tardi una delle due parti avrebbe vinto. Sapevo che se le cose fossero andate avanti in quel modo, avrebbe vinto il sentimento che nutrivo per mio marito. Perché ancora, da perfetta codarda quale mi ero scoperta essere, non avevo affrontato il mio dolore. E scappare dai propri demoni non porta mai a niente di buono. Ormai lo sapevo bene. Ma la parte di me che stava cominciando a sentire quelle forti emozioni per Ianto, non voleva cedere in nessun modo. Era ostinata come il ragazzo in questione. O forse, ero io ad essere ostinata. A non voler arrendermi verso quel nuovo spiraglio di luce e speranza per il futuro. Una parte di me, appena scoperta, aveva ancora la forza di lottare per qualcosa. Questo mi stupiva, e mi spaventava. Guardare al futuro apriva moltissime strade e possibilità. E tra queste il mio cammino poteva essere costellato da altri dolori e sacrifici. Non ero pronta ad affrontare quest’evenienza. Lo sapevo bene. Anche per questo, ero convinta che avrebbe vinto mio marito. E quel giorno ne era stata una conferma. Avevo provato troppa sofferenza, per essere dimenticata tutta in un colpo. Forse col tempo ce l’avrei fatta, ma non avevo tutta la vita davanti. E presto Ianto si sarebbe stancato di me e della mia indecisione. In fin dei conti, era anche normale una cosa simile. Chi mai vorrebbe restare legato in eterno ad una persona indecisa, codarda, e divisa in due? Nessuno sano di mente. Anche se, in effetti, Ianto non era propriamente un ragazzo dalla mente sana. In lui c’era un settanta percento di follia e un trenta di sanità mentale. Magari era una percentuale che andava a mio favore. O magari era solo un’altra azione pazza che avremmo compiuto entrambi, nell’affidare la nostra vita nelle mani dell’altro. Dovevo tenere presente anche il fattore differenza d’età, e le nostre posizioni attuali. Insegnante ed alunno. Decisamente la bilancia propendeva verso mio marito. E con quei pensieri nella testa, presto o tardi mi sarei surriscaldata fino ad esplodere. Non era il momento di pensare a queste cose. Dovevo ancora aiutare una persona a realizzare l’ultimo desiderio, finché era ancora in vita. Comunque, quando Ianto bussò alla mia porta, quella sera, lo feci accomodare direttamente sul divano, spettatore di tante situazioni assurde e comiche. Ci sedemmo, e cominciammo a mangiare silenziosamente la pizza. O almeno, fin quando il giovane dagli occhi del ghiaccio, non intavolò la conversazione “fratelli Boccanera”.
<< Sono felice per loro. Vincenzo merita un po’ di serenità >>, commentò Ianto sereno.
<< Serenità? Certo! Di sicuro un ragazzo di soli diciassette anni, condannato a morire da qui a pochissimo tempo. E quando dico pochissimo tempo, intendo giorni >>, affermai pungente. Avevo notato di essere diventata particolarmente acida in quell’ultimo periodo. << Comunque, condannato alla morte, senza una madre ne un padre, con un rapporto burrascoso con i fratelli, e praticamente senza mai aver vissuto, sicuramente avrà la serenità di cui merita >>
<< Uhm, attenta che se mordi, uccidi avvelenato qualcuno >>, esclamò ironico il giovane.
<< Dico la verità >>, esclamai piccata. Posai la fetta di pizza nella teglia, e mi pulii le mani. Poi mi alzai dal divano dirigendomi verso la penisola. Sembrava che un ragno mi avesse punto.
<< Ehi, ma che ti prende prof? >>, domandò perplesso il ragazzo. Era estraneo per lui vedermi agitata in quel modo.
<< Sono nervosa, ok? Ti da fastidio? >>, sbottai improvvisamente, girandomi e lanciandogli un’occhiata furiosa.
<< Ok. Sei nervosa. E il motivo? >>, chiese il giovane, alzandosi e raggiungendomi. Quando si posizionò davanti a me, mi resi conto di una cosa. Ianto era cresciuto in quegli ultimi mesi. Non solo nell’altezza e nel fisico. Ma anche caratterialmente. Io, invece, ero rimasta indietro.
<< Il motivo? E me lo chiedi anche? Ianto, Vincenzo sta morendo >>, dichiarai sconvolta.
<< Già, e lo sai lui, lo sai tu, e lo sappiamo tutti. Questa non è una novità >>, rispose serio.
<< Come puoi essere così indifferente? Insomma, è un ragazzo di diciassette anni, la cui vita si sta spegnendo lentamente. E ormai è agli sgoccioli. Non gli resta ancora molto. Forse non arriverà alla settimana prossima >>, stavo quasi urlando, ma non mi importava. Avevo necessità di sfogarmi.
<< Lo so. Ed è veramente triste. Ma non possiamo fare nulla. Quello che invece possiamo fare, è cercare di regalargli un po’ di serenità. Fino al giorno in cui non aprirà più gli occhi, l’unica cosa che possiamo fare, è renderlo felice >>, affermò il giovane con convinzione. Sembrava che fosse lui il trentenne ed io la diciassettenne.
<< Non puoi regalare felicità ad una persona condannata alla morte. Lui non potrà più ridere, scherzare, respirare, saltare, giocare. Non potrà più fare nulla. Non proverà sentimenti, mai più >>, avevo le lacrime agli occhi, e presto sarebbero sgorgate fuori.
<< Ma lui continuerà a vivere >>, rispose con dolcezza Ianto. Poggiò una mano sul mio volto, carezzandomi lentamente.
<< Come? >>, domandai disperata. Avevo bisogno di sapere com’era possibile. Come poteva vivere una persona anche se il suo cuore aveva smesso di battere? Dovevo saperlo, così forse avrei potuto riavere in modo sano, con me, mio marito.
<< Nei nostri cuori. Continuando a vivere, noi lo faremo vivere dentro di noi. Un pezzetto ciascuno, e vivrà tante vite diverse. Assaporerà tanti momenti diversi, e godrà dell’amore di tante persone diverse>>, le lacrime avevano preso a scivolare lungo le mie guance, ma prontamente furono asciugate dalle dita affusolate di Ianto. Era bello avere qualcuno pronto a sorreggerti in quei momenti difficili. << L’amore non muore mai, e questo lo sappiamo bene entrambi. I miei genitori, mia sorella, tuo marito… continuano a vivere dentro di noi, e continuano ad essere amati ogni giorno di più >>, avrei voluto rispondergli che alle volte, non era un bene questo. Che nonostante si abbia amato così tanto, dopo la morte, questo amore diventa come un parassita che ti consuma l’anima. << E anche per Vincenzo sarà la stessa cosa. Noi dobbiamo solo continuare a vivere, per noi e per loro. È questo l’unico obbligo che dobbiamo avere nei loro confronti. Regalargli un po’ della nostra esistenza. Solo così chi non c’è più, non ci lascerà mai >>.
Ormai i miei occhi erano un fiume in piena. Non riuscivo più a smettere di piangere. Non sapevo addirittura come fermarmi. Ma avevo Ianto con me, e questo mi avrebbe dato la forza. Non ci pensai due volte. Lo strinsi a me, in un abbraccio forte, afferrando saldamente la sua vita e stringendomi ad essa. Il mio pilastro personale era li, tra le mie braccia, e forse, se ne avessi avuto abbastanza il coraggio, non lo avrei mai più lasciato. Sarei diventato il suo virus, e lo avrei impestato con la mia presenza. Ma sapevo che lui mi avrebbe concesso ogni cosa, e forse ne stavo approfittando, ma averlo vicino era necessario per la mia sopravvivenza. E così quella sera passò, appollaiati sul divano, in un abbraccio rassicurante e caldo, con i nostri cuori uniti. No, con Ianto accanto a me, non sarei mai caduta nel baratro della mia follia. Mai.
 
Il giorno dopo, andai con nuove energie a scuola. Avrei sistemato quella situazione, una volta per tutte. Quindi il mio scopo del giorno, era quello di scovare Marco, fargli entrare un po’ di sale in zucca, e trascinarlo dal fratello. Così Vincenzo avrebbe visto il suo sogno realizzato, e sarebbe morto in pace. Anche se morire in pace, a quell’età era davvero impossibile. Ogni volta che pensavo a quel ragazzino steso nel letto, la mia mente sovrapponeva il volto di mio marito a quello del giovane, così da creare un unico scenario. Ovviamente, anche i sentimenti si univano, facendo si che in me il dolore per la morte di mio marito e per quello della morte del ragazzino diventassero una bomba nucleare. Se non mi fossi data una calmata, questa sarebbe esplosa. Solo pensare a quegli occhi di ghiaccio, e al volto che li racchiudeva, mi dava serenità e calma. Sapevo che mi sarebbe bastato chiamarlo, per poter stare bene. E finché avessi potuto disporre di quella scelta, l’avrei sfruttata al meglio. Mi vergognavo sempre di più di me stessa, e di quel mio modo assurdo di fare. Ma non potevo fare diversamente. Ne andava della mia stessa vita. E in fin dei conti, l’istinto di sopravvivenza è l’istinto più forte che abbiamo. Comunque, entrai in classe pronta ad affrontare quella giornata. Individuai subito Ianto, neanche avessi un radar. Seduto al suo posto, rideva e scherzava con Paolo, Roberto, Mario e Nicola. Vederlo vicino al ragazzo oscuro che mi aveva rubato un bacio, era strano e quasi innaturale. Ma sembrava che tra i due le cose si fossero risolte, e che addirittura fossero diventati molto amici. Carlo e Andrea invece, li avevo intravisti vicino ai bagni, amoreggiare dolcemente. Anche quell’effusioni tra i due era qualcosa di strano. Non perché fossero maschi. Ma perché erano, appunto, Carlo e Andrea, le persone più emo che io avessi mai conosciuto. Sempre oscure e con la faccia inespressiva. Ma quando erano vicini, i loro occhi brillavano di felicità e amore. Quasi come fossero appagati nell’avere la semplice presenza dell’altro. Fabio, invece, era intento ad ascoltare silenzioso i discorsi del gruppetto appena creatosi. Questo mi sconvolse più del resto. Da quando era diventato amico di quei ragazzi? Fissai dubbiosa Ianto, quasi come a trasmettergli quella mia domanda. Quando il giovane mi vide, sorrise. Ignorai quel suo volto felice e il mio cuore galoppante, e con gli occhi indicai il fratello Boccanera. Speravo capisse cosa stessi provando a domandargli. Il giovane dagli occhi di ghiaccio non solo capì cosa stavo chiedendo, ma mi fece anche l’occhiolino. Poi si alzò dal posto e con Fabio sottobraccio, si avvicinò alla cattedra.
<< Buongiorno, prof.  Dormito bene? >>, domandò allegro.
Fabio, invece, aveva lo sguardo rivolto verso il basso. Era anche arrossito.
<< Bene grazie. Sono entrata in un universo parallelo, o cosa? >>, chiesi a bruciapelo.
<< Universo parallelo? No, penso tu sia entrata più nel mondo dei drogati. Nicola potrebbe picchiarti per questo, lo sai? >>, affermò ironico il giovane.
<< Troppo mingherlino. Lo stenderei in un colpo >>, scrollai le spalle, aprendo la borsa. << Allora, da quando siete amici, voi? >>, ricominciai guardando Fabio.
<< Ecco… >>, mormorò imbarazzato il ragazzo in questione.
<< Ma come, prof. Io e Fabio siamo sempre stati grandi amiconi, non è vero? >>, scherzò Ianto. Le guance del giovane dagli occhi grigi si fecero ancora più rosse. Era strano vederlo così espressivo. Solitamente la sua faccia non tradiva alcuna emozione.
<< Ehi, moccioso, lascialo in pace. Non lo vedi che sta esplodendo? Tra poco la sua testa farà un gran bel botto >>, commentai divertita.
<< Professoressa! >>, esclamò imbarazzato dalla testa ai piedi Fabio, fissandomi con rimprovero.
<< Che c’è? Dico la verità >>, mi giustificai. << Però la mia domanda è legittima >>
<< Diciamo che noi e Fabio abbiamo deciso di iniziare questo nuovo rapporto. Non è mai troppo tardi per essere amici. vero? >>, domandò Ianto rivolgendosi al ragazzo. Con quel noi, supponevo si riferisse anche al resto del gruppo rimasto vicino ai banchi.
<< Si >>, sussurrò impacciato Fabio.
<< Mi fa piacere. Vincenzo sarà felice di sapere questa notizia >>, commentai sorridendo dolcemente al giovane Boccanera.
<< Già >>, mormorò nuovamente il ragazzo dagli occhi grigi. Nominare il fratello aveva fatto nascere in lui due reazioni diverse. La prima era felicità nel rapporto ritrovato, la seconda era dolore nel sapere di stare per perderlo. Capivo quei sentimenti fin troppo bene.
<< Ehi, non c’è da essere tristi, ok? Non bisogna mai fasciarsi la testa prima di rompersela. Questo significa che Vincenzo è ancora vivo, e che dobbiamo goderci questi ultimi momenti con lui, il più possibile. Chiaro? >>, domandò Ianto stringendo una spalla di Fabio. Stava cercando di infondergli coraggio e speranza. E dal mio punto di vista, sembrò riuscirci. Perché Fabio alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi di ghiaccio. Poi sorrise e annuì.
<< Ok. Ragazzi sedetevi che cominciamo la lezione. Poi oggi pomeriggio andiamo tutti da Vincenzo in ospedale, che ne dite? >>, chiesi ai due. Sapevo che questa mia proposta li avrebbe resi felici.
<< Certo. Non vedo l’ora di vedere quel tipetto >>, confermò entusiasta Ianto.
<< Io dovevo andarci in ogni caso. Ho anche mandato un messaggio a Vincenzo per fargli sapere che venivo. Giusto nel caso non avesse voluto vedermi >>, si giustificò Fabio. La paura di essere rifiutato dal fratello, doveva terrorizzarlo.
<< E lui che ti ha risposto? >>, domandai curiosa.
<< Che sono un’idiota senza cervello. Che non devo sprecare soldi nel mandare messaggi così banali, e che andare in ospedale da lui è praticamente una tappa obbligatoria del mio percorso >>, confessò arrossendo il giovane.
Io e Ianto scoppiammo a ridere. Era davvero divertente vedere le reazioni così assurde di quei fratelli. Erano uno spasso. Adesso mancava solo il fratello maggiore, e il quadro sarebbe stato completo. Decisi così di affrettare i tempi.
<< Ragazzi, vi dispiace andare voi da soli, in ospedale? >>, chiesi ai due.
<< Perché? >>, rispose prontamente Ianto.
<< Devo fare una cosa >>, e puntai il mio sguardo in quello del giovane dagli occhi di ghiaccio. Se la telepatia funzionava realmente tra di noi, gli avrei trasmesso il mio piano.
<< Ok >>, confermò il ragazzo dopo un po’.
E dal suo sguardo, sembrava avesse capito quali erano le mie intenzioni. E questo mi colpii profondamente. Era assurdo quanto fossimo uniti io e Ianto. Ormai uno sguardo era capace di trasmettere all’altro, i nostri pensieri più profondi. Quel legame era veramente forte.
<< Professoressa, mi dispiace disturbarla, ma la lezione sarebbe dovuta cominciare un quarto d’ora fa. Forse è il caso di rimandare i convenevoli con Manfredi. Che dice? >>, domandò una quarta voce. Una voce malefica e che io odiavo con tutta me stessa.
<< Santi numi, Giuliano, sei davvero una zecca. Fatti una dose di camomilla a prima mattina >>, sospirai infastidita da quell’interruzione. << Comunque sedetevi tutti. Cominciamo la lezione >>.
Detto questo, Ianto e Fabio si accomodarono salutandomi con un sorriso. Lanciai un’ultima occhiata al giovane dagli occhi di ghiaccio, poi la mia attenzione fu spostata da un altro paio di occhi. Quelli grigi e infuriati. Marco mi fissava, con intensità. Quasi volesse penetrarmi nel profondo. Mi sentivo nuda sotto quello sguardo, ma non avrei ceduto. Il sale in quella zucca glielo avrei infilato. A tutti i costi.
 
<< … Bene, domani non dimenticate di consegnarmi la vostra relazione. Capito? Ora potete andare >>, congedai i miei alunni.
Era appena finita la lezione. Oggi era stata una giornata davvero impegnativa. Due ore di matematica, una di latino, una di chimica, e due ore di fisica. Avevo un gran mal di testa. Giorni simili andavano, a mio modo di vedere le cose, bruciati. Insomma, il settanta per cento della lezione di oggi sicuramente sarebbe stato cancellato con un colpo di spugna, da quasi tutta la classe. E sicuramente questo sarebbe avvenuto appena messo un piede fuori dall’aula. Il trenta per cento restante non avrebbe attecchito a sufficienza, cosicché quelle sei ore di studio sarebbero state del tutto sprecate. Quello era il mio dovere, ovviamente. E avrei portato a termine qualsiasi incarico. Ma lo stesso avevo il diritto di lamentarmi. Dopotutto io non ero una vera insegnante. Restavo sempre una ricercatrice da laboratorio, abituata ad avere a che fare con vetrini e microscopi, e non con adolescenti di quasi diciotto anni. Perciò mi sarei lamentata fino all’ultimo, di quella mia condizione quasi obbligatoria. Mi rendevo pienamente conto che se avessi voluto, o se ne avessi avuto la forza, adesso sarei a casa a fare il mio piacevole dovere. Invece per la mia codardia, e per il mio passato, ero costretta a stare rinchiusa in quelle quattro mura ad insegnare, a dei ragazzi problematici, concetti che detestavano. E, a dirla tutta, detestavo io per prima. Ma almeno avevo avuto dei vantaggi da quella situazione. Prima di tutti, conoscere Ianto. Quello era stata la mia personale vittoria contro un destino duro e malevolo. Poi, aiutare tutti quei ragazzi e farli ritornare a vivere. Quello era davvero il mio più profondo orgoglio. Vedere su quei visi i loro sorrisi, e sapere che in parte era merito mio vedere quell’incurvamento delle labbra, faceva esplodere di gioia il mio cuore. E a proposito di aiutare i miei alunni, avevo una missione da compiere. Quel giorno avrei portato sulla retta via anche Marco. E così Vincenzo sarebbe potuto morire in pace. Anche se pace in una morte così precoce e sofferente non poteva esserci. Comunque, tralasciando quei pensieri troppo tristi, mi preparavo ad uscire dalla classe e a dirigermi verso l’aula 213 per il pranzo. Ma la mia attenzione fu spostata verso una figura. Era ancora seduta al banco, senza muoversi o sistemare la propria roba. Mi fissava con insistenza. Marco attendeva pazientemente che gli dessi corda. Stava velocizzando i tempi. Doveva aver intuito quella mattina la mia intenzione di andare da lui e parlargli, così aveva risparmiato tempo. Cominciai a guardare anche io con la stessa intensità il ragazzo, attendendo pazientemente che tutti i ragazzi fossero usciti.
<< Prof? >>, richiamò la mia attenzione una voce.
Mi voltai e vidi Ianto osservarmi con preoccupazione. Non gli piaceva quella situazione, anche perché sembrava aver intuito quali erano i programmi miei e di Marco. Restare da soli e parlare.
<< Va tutti bene. Tu vai avanti, e se non arrivo entro un quarto d’ora, cominciate a mangiare >>, lo tranquillizzai.
<< Sicura? >>, domandò il giovane fissandomi sempre di più.
<< Certo >>, quegli occhi di ghiaccio stavano penetrando nella mia carne, carezzando dolcemente la mia anima. Mi davano i brividi.
<< Non mi piace, prof. Mi sento troppo irrequieto >>, sussurrò il ragazzo avvicinandosi, ed evitando di farsi sentire da Marco. Tentativo andato male, secondo me. Perché quest’ultimo sorrideva divertito.
<< Ianto, va tutto bene. Io e Marco dobbiamo parlare. E tu questo lo sai. Vai a mangiare, poi quando avrò finito ti chiamo. Ok? >>, cercai di farlo calmare con le mie parole e con il mio tono di voce basso e posato.
<< Va bene >>, sospirò sconfitto. << Ehi tu >>, poi richiamò l’attenzione di Marco.
<< Dimmi >>, lo incitò beffardo il giovane.
<< Prova a fare qualcosa di male, e te la vedrai con me >>, affermò con forza Ianto.
<< E’ una minaccia? >>, domandò Marco con un sorriso strafottente in viso.
<< Prendila come vuoi. Basta con non fai nulla che possa urtare la mia pazienza. Perché stai pur certo che poi te ne pentirai amaramente >>, continuò sempre più deciso il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Va bene, Manfredi. Sarò un bravo ometto >>, disse sarcasticamente il ragazzo seduto al banco.
Io dal canto mio, non potei evitare di sentire il mio cuore sussultare dalla commozione e dalla felicità. Non mi ero mai sentita così tanto protetta e sostenuta in vita mia. Era una delle sensazioni più belle al mondo. Sentivo calore e pace nel petto, e sapevo che qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe andato tutto bene. Perché Ianto era con me. Con la sua forza e il suo buon cuore, mi avrebbe aiutato e sostenuto. Nessun male avrebbe potuto sfiorarmi, fintanto che lui fosse rimasto al mio fianco. Sorrisi felice, quasi come una scema. Poi Ianto mi guardò e sorrise anche lui.
<< A dopo, prof >>, mi salutò amorevolmente.
Sapevo che nella stanza c’era un mio alunno e che ci stava fissando. Ma non me ne importava un fico secco. Non mi interessava in quel momento, ciò che gli altri potevano pensare di me e di quella strana relazione che avevo con Ianto.
<< Ciao, Ianto >>, ricambiai il saluto. Il mio tono di voce risultò incredibilmente dolce. Quasi da innamorata.
E anche Ianto lo capì. Perché il suo sorriso si allargò sempre di più. Poi riservò un’ultima occhiata minacciosa a Marco, e infine se ne andò, lasciandoci soli. Seguii ogni spostamento del giovane, quasi come se ne dipendessi. Poi mi voltai e fissai il ragazzo rimasto. Questi sorrise divertito, si alzò dal banco, e si posizionò davanti ad esso. Ci si appoggiò lentamente, ed estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca.
<< Non si fuma, ne in classe ne nella vita di tutti i giorni >>, lo rimbeccai incrociando le braccia al petto, e poggiandomi davanti alla cattedra.
<< Beh, non si amoreggia neanche con uno studente. Eppure lei lo fa, quindi direi che siamo pari >>, rispose prontamente il giovane. Quel commento non mi piacque per niente.
<< Io non amoreggio con nessuno >>, mi difesi, alzando un po’ troppo la voce.
<< Come no. Professoressa, c’ero anche io in quest’aula. E poco fa ho visto una scenetta molto interessante. Non pensavo che se la intendesse con Manfredi. Ha buon gusto >>, continuò sempre più cattivo il giovane. Il suo sguardo emanava odio allo stato puro. Ma era un odio strano, quasi come se fosse mirato a difendere, attaccando.
<< In effetti mi sarebbe potuta andare peggio. Potevo trovare una persona come te. Invece mi è andata alla grande >>, affermai con ironia. Lo avrei ripagato della stessa moneta.
<< Oh, mi creda. Io sono il top. Non potrebbe desiderare di meglio >>, affermò divertito Marco.
<< Penso che anche un lama è meglio di te >>,  dichiarai con forza.
<< Le piace essere sputata in faccia, professoressa? Non immaginavo apprezzasse queste strane tecniche sessuali >>, commentò beffardo.
<< Tutto pur di non stare con te.  Qualsiasi razza animale, vegetale, o fantastica sarebbe meglio di te. Tu sei alla base della catena di questo mondo >>, esclamai con acidità.
<< Così mi ferisce >>, e portò teatralmente le mani al petto.
<< Non è qualcosa che mi interessi più di tanto. Ma credo che siamo decisamente usciti fuori tema. Non è di questo che voglio parlare >>, affermai stringendo ancora di più le braccia al petto.
<< Ah si? E di cosa vuole parlare? Della mia bellezza? Fascino? Intelligenza? Del mio futuro? >>, chiese ironico Marco.
<< Di tuo fratello. Anzi, dei tuoi fratelli. Fabio e Vincenzo >>, risposi con serietà.
<< Oh, ecco perché non ci sono arrivato prima. Perché non c’è nulla di cui parlare. Quelle persone non esistono >>, dichiarò Marco pungente. Ma intravidi nella sua espressione qualcosa che si incrinava, e queste mi spinse ad andare avanti.
<< Certo che c’è qualcosa di cui parlare. Quelle persone soffrono per il tuo atteggiamento >>
<< Non è un problema mio >>, rispose con un alzata di spalle il giovane. Intanto aspirò una boccata di fumo.
<< E’ un problema tuo, invece. E lo sarà per il resto dei tuoi giorni. Perché, vuoi o non vuoi, loro restano i tuoi fratelli. E presto ne perderai uno per sempre >>, affermai con decisione, avvicinandomi al ragazzo. << Vuoi restare in questa situazione? >>
<< Si. Ci voglio sguazzare finché non mi stancherò. E questo gioco mi diverte così tanto, che penso non mi stancherò mai >>, sorrise con arroganza Marco, soffiandomi una boccata di fumo.
<< Questo gioco ti distruggerà la vita. Fabio e Vincenzo andranno avanti, e ti lasceranno indietro. E quello che ne soffrirà sei tu >>, dichiarai strappandogli di mano la sigaretta, e gettandola a terra.
<< L’avevo appena accesa >>, si lamentò il giovane, con sguardo omicida.
<< Apri gli occhi, Marco. E guarda cosa stai facendo. Hai fatto terra bruciata, intorno a te. Non hai più nessuno. E per cosa? Solo per mantenere vivo l’odio nei confronti di due persone che ti amano, nonostante tutto >>, affermai con forza, ignorando il commento sulla sigaretta.
<< Mi amano? Che stronzate. E la terra bruciata intorno a me, non mi dispiace per niente. È meglio stare da soli. La gente non ti ferisce e non ti abbandona. È molto più facile sopravvivere >>, dichiarò sprezzante Marco.
<< No, questo si chiama scappare. E credimi, io lo conosco bene questo modo di fare. E non porta a niente di buono >>, affermai sentendo il mio personale coltello girare nella carne. Il cuore stava sanguinando nuovamente.
<< La fa un po’ troppo tragica, professoressa. Non c’è niente di male nel cercare di liberarsi della presenza scomoda di certi individui >>, commentò con superficialità il giovane.
<< La presenza scomoda di chi? Dei tuoi fratelli? Loro non potranno mai essere una presenza scomoda, perché sono le uniche due persone che non ti giudicheranno mai. E tu lo sai bene. Lo hai visto il loro modo di fare in questi anni. E l’amore unico che provano nei tuoi riguardi, ti dovrebbe far capire quanto sei fortunato >>, esclamai iniziando ad alterarmi.
<< Fortunato? FORTUNATO? Ma lei che cazzo ne sa della mia vita. Di quello che ho passato, di quello che ho subito, solo per la presenza di quei due. Solo perché esistevano. Lei non sa niente >>, urlò imbestialito Marco.
<< Io so che Fabio e Vincenzo ti amano. E questo, ritengo sia la cosa più importante di tutto >>, affermai senza spaventarmi. Quel moccioso non mi incuteva nessun terrore.
<< L’amore da solo non basta. Ci vuole anche un passato decente, che unisca due persone. E il mio passato, unito a quello di quei due, non è per niente bello >>, soffiò il giovane sulla mia faccia.
<< Il passato è passato. È un qualcosa che resta li, alle tue spalle. Certo, puoi guardarlo e aggrappartici con tutte le tue forze, ma non cambia assolutamente niente >>, quelle parole mi fecero venire la nausea. Quanto ero ipocrita, alle volte. Come potevo dire certe cose, se la prima che le trasgrediva ero io? Davvero, come potevo essere diventata così ignobile?. << Non puoi restare a fissarlo e a rimpiangerlo per sempre. Prima o poi arriva un momento in cui devi lasciarlo andare, e tornare a vivere. A guardare il presente. Solo questo! >>.
Marco sembrò riflettere sulle mie parole. Poi scosse con forza la testa, e si allontanò, mettendo distanza tra i nostri corpi. Voleva ritornare distaccato e indifferente. Solo così avrebbe potuto affrontare quella discussione difficile. Si avvicinò lentamente alla finestra, e guardò fuori. Qualcosa attirò la sua attenzione, perché aggrottò le sopracciglia con fare pensieroso.
<< Il passato non è qualcosa che si può dimenticare. Se sta li, alle nostre spalle, e per ricordarci ciò che è accaduto e per non commettere più gli stessi errori >>, commentò con voce monocorde il giovane.
<< Può darsi. Ma io ritengo che gli errori sono un qualcosa da cui non possiamo scappare. Li commettiamo, che ci piaccia o no. Non impariamo veramente da essi, ma capiamo solo il modo in cui affrontarli una volta fatti. È questa la vera esperienza >>, affermai con dolcezza avvicinandomi di un passo.
<< Non mi sembra qualcosa di sensato. Saremmo davvero stupidi, se facessimo sempre gli stessi sbagli >>, affermò divertito Marco.
<< Che ci piaccia o no, siamo essere umani fatti per sbagliare e rimediare, e sbagliare e rimediare ancora. Magari non facciamo sempre lo stesso errore, ma alla fine ripetiamo un lungo ciclo. Ma ci sono cose non dobbiamo fare. E una di queste è sprecare questa nostra unica vita, e dare un calcio al nostro cuore. Se allontani le persone che ami e che ti amano, allora sei da condannare >>, dichiarai facendo un altro passo.
<< Da condannare? E quando sono gli altri a sbagliare, allora? Che cosa bisogna fare? Lei che sa tutto, mi risponda >>, affermò con cattiveria Marco, voltandosi nuovamente dalla mia parte. << Mi dica, se qualcuno che ami, ti fa soffrire, come bisogna reagire? C’è un modo? Io non lo conosco. So solo che se una persona sbaglia non merita di essere perdonata >>
<< Tutti meritano una seconda occasione. Persino tu >>, risposi prontamente fermandomi di colpo.
I nostri occhi erano incastrati. Quasi come se fosse una battaglia, nessuno di noi voleva cedere. Farlo avrebbe decretato automaticamente l’altro come vincitore, e non eravamo disposti ad accettarlo.
<< Forse semplicemente non sono abbastanza forte, da poter concedere ad altri una seconda chance. Non ho bisogno di altro dolore, in questa mia vita >>, mormorò tristemente Marco.
<< Nessuno vuole soffrire di più. Ma questa è una condizione umana inevitabile. Se accetti di stare accanto a qualcuno, allora devi accettare l’intero pacchetto. Felicità e dolore. Non puoi evitare nessuna delle due >>, risposi con un filo di voce.
<< Allora scelgo il nulla >>, affermò prontamente il giovane.
<< Non c’è questa possibilità. Il nulla è l’assenza di qualcosa o qualcuno. Questo significa che accetti solo il dolore di questo pacchetto >>, sentivo le lacrime pungermi gli occhi. Quel discorso mi stava privando delle mie forze. Perché sbatteva con forza sulla mia faccia tutte quelle verità scomode che non volevo sentire.
Marco mi fissò intensamente, poi abbassò lo sguardo, quasi come se stesse accettando quelle parole. Forse non era tutto perduto. Magari ce l’avrei fatta nel mio scopo, e avrei finalmente aiutato quei tre fratelli. Ma dopo qualche attimo, il giovane tornò a fissarmi con determinazione e astio.
<< Non sceglierò Fabio e Vincenzo. Non lo farò mai >>, esclamò con livore avvicinandosi minaccioso.
<< Perché? Perché non puoi farlo? Non ti rendi conto che anche loro hanno sofferto per la situazione di casa vostra? Perché? >>, domandai con ritrovata forza.
<< Se non si fossero intromessi con prepotenza nella mia famiglia, a quest’ora nessuno di noi avrebbe sofferto >>, urlò con decisione Marco.
<< Non hanno scelto loro di fare parte della tua famiglia. La colpa non è la loro >>, dichiarai con ovvietà.
<< Sono nati. È questa la loro colpa >>, esclamò prontamente il giovane.
<< Cosa? >>, domandai incredula. Come poteva dire quelle cose? Con così tanta facilità, poi. Che fosse davvero impossibile farli riavvicinare? Improvvisamente un lampo di genio attraversò la mia mante. Senza rendermene conto, gli ingranaggi del mio cervello avevano lavorato, formulando un’ipotesi talmente valida, da risultare ovvia. Mettendo insieme questo discorso, col suo passato e con quello che era accaduto, ora tutto aveva un senso. << O mio Dio >>, sussurrai sconvolta.
<< Cosa? >>, chiese perplesso Marco aggrottando le sopracciglia.
<< Ora capisco. Tu non pensi queste cose >>, mormorai incredula.
<< Ma che diavolo sta blaterando? >>, domandò infuriato il giovane.
<< Tu non le pensi, ma le pensava tua madre. Tu stai mantenendo in vita un pensiero. Così senti di essere vicino a tua madre. Non vuoi lasciarla andare >>, continuai sempre più scioccata. Quel suo modo di fare e pensare era talmente simile al mio, da lasciarmi senza fiato. Io e Marco eravamo molto più simili di quanto pensavo.
<< Da dove tira fuori queste idiozie? >>, sbottò nervoso il giovane.
<< Vuoi restarle fedele, perché se seguissi il tuo cuore, adesso ti staresti precipitando da Vincenzo. E sosterresti tuo fratello Fabio in questo momento difficile >>, sussurrai avvicinandomi al ragazzo. Questi invece, indietreggiò. << Cavolo come ho fatto a non pensarci prima >>. Quelle sue azioni erano identiche alle mie, perché era quello che stavo facendo anche io. Mi aggrappavo a mio marito, al suo ricordo, negandomi la possibilità di vivermi Ianto.
<< Lei sta dicendo un mucchio di sciocchezze >>, negò con poca forza Marco.
<< Io sto dicendo la purissima verità. E’ quasi sconvolgente >>, sbottai sempre più sorpresa.
<< Lei deve essere drogata >>, continuò il giovane.
<< Tua madre odiava i tuoi fratelli. Odiava quella vita che era costretta a vivere, ma da signora si comportava nel modo più giusto. E così trattava bene Fabio e Vincenzo. Ma in cuor suo, la loro presenza l’avvelenava. E tu hai assorbito lentamente questo suo pensiero >>, cominciai ad ipotizzare, sapendo di stare dicendo la verità. E lo capivo anche vedendo le reazioni sconvolte di Marco. Mi fissava come se fossi un mostro. << Ma, finché lei era in vita, quella parte del tuo cuore marchiata a fuoco dalle emozioni di tua madre, era separata dalla tua vera natura. Natura che ti portava ad amare i tuoi fratelli. A volerli proteggere. Solo se ami davvero qualcuno, vuoi tenerlo al sicuro >>, ormai il giovane era pallido, come solo una persona colpevole poteva essere. Quel pallore che non riusciva più a nascondere le vere emozioni. << Ma dopo che tua madre si è tolta la vita, ti sei sentito quasi obbligato a mantenere vivi quei sentimenti. Quasi come se fosse un tuo specifico dovere di figlio, e hai sacrificato te stesso e il rapporto con Fabio e Vincenzo. Tu hai mantenuto in vita tua madre, attraverso uno stratagemma che non fa altro che procurarti dolore >>. Anche io avevo fatto la stessa identica cosa. Avevo creato uno stratagemma per mantenere in vita mio marito, sacrificando tutto il resto. E adesso ne pagavo le conseguenze.
Il giovane cominciò a guardarsi intorno, cercando una via di fuga. Ma capendo al volo che questa non c’era, spostò nuovamente il suo sguardo sul mio. Leggevo determinazione e ostinazione.
<< E anche se fosse? Lei non può giudicarmi. Io faccio quello che mi pare >>, rispose provando a difendersi.
<< Marco, non capisci che è sbagliato. Che tutto questo non porterà a niente di buono >>, affermai con forza. Ecco nuovamente la mia parte ipocrita sbucare fuori. Io ero la prima ad aggrapparmi a quell’espediente per tenere con me mio marito, e non riuscivo a lasciarlo andare. Come avrei convinto il ragazzo a farlo?
<< Lei non sa nulla. Non capisce >>, sbottò agitato il giovane.
<< Io capisco fin troppo bene >>, sussurrai dispiaciuta. Sia per me che per Marco.
<< Io lo devo fare. Mamma avrebbe voluto questo, lo so >>, continuò con ostinazione il ragazzo.
<< Tua madre non voleva questo. Non avrebbe mai voluto farti soffrire, ne sono sicura >>, affermai con dolcezza.
<< Si, infatti mi hanno fatto soffrire i miei fratelli. È per colpa loro che la mamma se n’è andata >>, rispose con furia Marco. Intravidi piccole lacrime in quegli occhi grigi.
<< Non è vero. E’ stata tua madre a togliersi la vita. Lei ha scelto di abbandonarti. Non sono stati i tuoi fratelli, ma lei >>, risposi con prontezza, sapendo di essere poco delicata. << Lei ha scelto di abbandonarti, e per quanto possa essere tua madre, è a lei che devi dare la colpa di tutto. Tutta questa importanza non se la merita. Nessuno che abbandona qualcun altro, merita qualcosa >>
<< Non dica questo! Non deve dire questo >>, urlò inferocito Marco.
<< Marco, lo so che fa male. So quanto dannatamente faccia male sentirselo dire. Ma adesso basta, è finita. Devi lasciarla andare, e ritornare a vivere >>, affermai con dolcezza. Ora avevo raggiunto l’apice dell’ipocrisia. Marco nel frattempo mi fissava. I suoi occhi avevano un disperato bisogno di piangere, ma sembrava che stesse lottando con tutte le sue forze per non farlo. << Devi perdonare tua madre, i tuoi fratelli e anche te stesso. Devi farlo, altrimenti commetterai l’errore più grande di tutti. Quello che ti lascerà una ferita talmente profonda, che neanche il tempo rimarginerà >>, mi ero avvicinata ancora. Ormai ci separavano pochi passi. << Ti perderai gli ultimi istanti di vita di Vincenzo, e non potrai più tornare indietro. Quando uno è morto, è morto. Punto. Non c’è altro che si possa fare. E se tu continui per questa strada, rimpiangerai, in un modo impossibile da sopportare, di non essergli stato accanto. E credimi, quel dolore non passa >>.
Quella situazione era talmente simile alla mia, che mi sembrava di stare vivendo in un déjà-vu. Ormai il loro dolore si confondeva col mio. Era un miscuglio di sensazioni troppo forti e intense da poterle reggere. Perciò decisi di separare il mio cuore da quel contesto. Solo così sarei riuscita a sopravvivere. Perché il mio cuore sanguinava sempre di più. Troppo forte. Inarrestabile, e presto sarei morta dissanguata. Marco dal canto suo, mi fissava intensamente cercando di scorgere un qualsiasi appiglio, pur di volgere quella situazione a suo favore. Ma semplicemente non c’era, e lui lo sapeva bene. Infatti dopo pochi minuti, si voltò sconfitto. Si diresse nuovamente verso la finestra, intento ad osservare il paesaggio circostante.
<< Sa quanto difficile possa essere l’esistenza di una persona, solo perché non è stata la prima scelta? Sapere di non essere abbastanza importanti, da essere scelti da chi si ama, è qualcosa che ti segna. Io ho solo voluto scegliere mia madre. Magari così potrò dire che sono stato amato e che ho amato >>, sussurrò senza guardami.
<< Tu sei amato. Credimi. Fabio e Vincenzo ti amano moltissimo >>, risposi con voce spezzata dalla troppa emozione.
<< Non dopo tutto quello che ho fatto >>, scosse la testa con forza. << Io volevo solo essere la prima scelta >>, si lamentò con voce tremante. Tra poco sarebbe scoppiato a piangere.
<< Marco… >>, ma non mi lasciò finire la frase.
<< La prego, se ne vada. Esca fuori di qui, per favore >>, mi supplicò il giovane senza guardarmi.
Avrei voluto ribattere, restare ferma e cercare di spronarlo a reagire. Ma non feci nulla di tutto ciò. Mi voltai silenziosamente, avviandomi verso la porta. Quella conversazione mi aveva privato di tutte le forze, e non riuscivo più a pensare. Sulla soglia dell’aula però mi fermai, voltandomi, e guardando nuovamente il giovane.
<< Mi domando quanto ancora tu debba soffrire, prima di renderti conto di stare sbagliando ogni cosa >>, poi mi girai nuovamente, ed uscì da quella stanza lasciandomi alle spalle una persona col cuore spezzato, e con l’anima straziata dal peso dei ricordi.
 
<< Allora in classe ci sono due coppie omossessuali e due etero. Non l’avrei mai creduto >>, commentò divertito Vincenzo.
Erano le cinque e un quarto, e in quella stanza troppo asettica, stavamo rintanati tutti quanti. C’eravamo io, Ianto, Fabio, Paolo, Roberto, Nicola, Mario, Carlo e Andrea. Avevo chiesto al preside di saltare solo per quel pomeriggio la lezione di genetica, e per fortuna mi aveva concesso questa libertà. Perciò, eravamo tutti riuniti in quella stanza, a ridere e a scherzare.
<< Io non sono omosessuale. Lo sono loro >>, affermò con decisione Carlo, indicando Paolo e Roberto.
<< E’ vero. Noi siamo gay fino al midollo osseo, e siamo innamoratissimi >>, confermò Paolo, abbracciandosi stretto al fidanzato.
<< Scusa, ma se non sei gay, come fai a stare con Andrea? >>, domandò Fabio perplesso.
<< Perché l’amore trascende dalla sessualità, ma la mia preferenza, in termini tecnici, va verso le donne. Vero, Andrea? >>, rispose con serietà Carlo.
<< Parla per te. Io sono bisessuale >>, rispose con voce monocorde Andrea.
<< Hoho, a qualcuno piace inzuppare il biscotto in diversi buchi >>, commentò divertito Ianto.
<< Questo commento è da film porno >>, esclamai guardando scioccata il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Si, ma è la verità >>, affermò lui divertito.
<< E da quando sei bisessuale? >>, chiese perplesso Carlo.
<< Da sempre >>, confermò Andrea.
<< Qualcuno mi sa che è geloso >>, disse sorridendo Nicola.
<< Non so quanto tu possa parlare, ex drogato >>, scherzò Mario afferrando per le spalle l’amico.
<< Aspetta, sei un drogato? >>, domandò stupefatto Vincenzo.
<< Ex, prego. Non mi faccio da qualche mese >>, confermò Nicola.
<< E perché io non sapevo che sei bisessuale? >>, continuò Carlo ignorando il resto del gruppo.
<< Non è qualcosa che si va a sbandierare >>, rispose con ovvietà Andrea.
<< E tu stai per diventare padre, giusto? >>, domandò Fabio rivolgendosi a Mario.
<< Già. Una bellissima bambina. Spero tanto che assomigli alla madre >>, confermò Mario orgoglioso.
<< Questa classe è una sorpresa continua >>, commentò stupefatto Vincenzo.
<< Ma quindi sei stato con altri uomini? >>, ormai Carlo sembrava un cd rotto.
<< Veramente la prima volta che ho fatto sesso, è stata con un uomo >>, affermò con superficialità Andrea,
<< COSA? >>, domandò sconvolto il fidanzato.
<< Questa non me l’aspettavo. E che tipo era? >>, chiese incuriosito Nicola.
<< Un tipo focoso >>, rispose ammiccando Andrea.
<< E siamo sempre nell’argomento porno >>, commentai sconsolata.
<< Beh, se vogliamo parlare di casini della classe, Ianto ne sta combinando uno proprio adesso >>, commentò divertito Roberto.
<< Che casino? >>, domandò curioso Fabio, seduto sul letto del fratello.
<< Il signorino sta facendo una corte serrata alla nostra casa prof >>, confessò con un sorriso birichino Roberto.
<< Ebbene si, signori miei. Faccio il filo alla prof. E me la sto cavando anche bene. Presto cadrà nelle mie braccia >>, confermò pavoneggiandosi Ianto.
<< E ora siamo nell’argomento illegale >>, sbuffai portandomi teatralmente una mano alla fronte.
<< Andiamo, prof. Finiscila di fare la telecronaca della conversazione. Non è divertente >>, affermò Ianto.
<< Lo farei se voi faceste discorsi più normali. Insomma, parlate di cose assurde >>, sbottai sconvolta.
<< Siamo ragazzi >>, commentò pacato Paolo.
<< Quasi diciottenni >>, continuò Mario.
<< Che ti aspettavi? >>, concluse Ianto.
Li guardai uno a uno, con la bocca semi aperta per lo stupore. Poi alzai gli occhi al cielo.
<< Ho mal di testa. un fortissimo mal di testa >>, sbuffai senza speranza.
<< Non sono stato il tuo primo uomo? >>, riprese sempre più scioccato Carlo.
A quel punto calò il silenzio più totale. Fissammo tutti il ragazzo, poi come se l’avessimo programmato, scoppiammo tutti a ridere forte. Quella scena era troppo buffa. Non avrei mai pensato che in quella stanza d’ospedale avrei assistito a qualcosa di simile.
<< Ah Carlo, dove sei stato fino ad ora >>, commentò Ianto sciugandosi una finta lacrima dagli occhi.
Toc, toc.
Improvvisamente qualcuno bussò alla porta, distraendoci tutti.
<< Avanti >>, rispose prontamente Vincenzo, ancora divertito.
Quando la porta si aprì, rivelò una persona che non mi sarei aspettata di vedere. Marco entrò in camera, chiudendo la porta alle sue spalle. La stanza diventò muta, troppo sorpresa. Tutti sapevamo bene quali fossero i rapporti tra i fratelli Boccanera, e quella presenza era davvero sconcertante.
<< Marco >>, sussurrò sorpreso Vincenzo.
<< Ciao >>, salutò questo imbarazzato.
<< Che ci fai qui? >>, chiese Fabio meravigliato.
<< Sono qui perché… >>, ma le parole gli morirono in gola. Fissò in volto ognuno di noi. Poi i suoi occhi si soffermarono nei miei. Chiedevano appoggio, e glielo concessi. Con la testa gli feci segno di proseguire, e con la mente gli sussurrai che poteva farcela. Marco sospirò, e poi tornò a fissare i fratelli. << Sono qui perché devo parlarvi >>
<< Forse è il caso che usciamo >>, suggerì prontamente Roberto.
<< Non serve. Potete restare >>, ci fermò Marco.
<< Marco, avvicinati >>, lo chiamò Vincenzo.
Il ragazzo si avvicinò al letto del fratello, con passo pesante. Sembrava un condannato a morte. E sapevo che effettivamente cosi sarebbe stato. Perché dopo  quella conversazione, una parte di lui sarebbe morta. Quella legata alla madre. Arrivò vicino al letto, e guardò prima l’uno poi l’altro fratello.
<< Ciao >>, lo salutò dolcemente Vincenzo.
<< Che cosa devi dirci >>, sussurrò debolmente Fabio. Anche per lui era difficile quella conversazione.
<< Mi dispiace. Per tutto >>, cominciò Marco prendendo un forte respiro. << Ho sbagliato ogni cosa in questa vita. Ho fatto azioni, scelte, che mi hanno portato a commettere l’errore massimo. Vi ho allontanato da me >>
<< Non c’è bisogno di scusarsi, Marco >>, lo fermò Vincenzo mostrando il suo gran cuore.
<< Invece si. Devo scusarmi, con voi due, e addirittura prostrarmi ai vostri piedi, implorando perdono >>, affermò con decisione Marco.
<< Non è necessario. Accettiamo le tue scuse >>, affermò Fabio sorridendo. Anche lui necessitava della presenza del fratello maggiore.
<< Aspetta. Devo spiegarmi. Io vi ho sempre voluto bene. Non l’ho dimostrato nel migliore dei modi, ma è la verità. Quando ero bambino, quello che volevo era stare con voi e giocare. E poi sentivo di dovervi proteggere. Perché per me, dovevate essere sempre al sicuro. E alla fine sono diventato il vostro male. Avete dovuto difendervi da me >>, mormorò Marco, abbassando lo sguardo.
<< No, Marco. Noi abbiamo sempre saputo che non ci avresti fatte del male >>, affermò Vincenzo.
<< Invece ve ne ho fatto. Con le mie parole, le mie azioni, vi ho ferito, e non me lo perdonerò mai. Ma l’ho fatto perché ero appestato dai sentimenti di mia madre. E anche da quello che provavo per lei. Lei vi odiava, e di conseguenza dopo la sua morte, dovevo odiarvi anche io. Ma adesso ho capito >>, dichiarò con le lacrime agli occhi. Sapevo che stavolta non si sarebbe trattenuto.
<< Cosa hai capito? >>, domandò con voce spezzata, Fabio. Dai suoi occhi, piccole lacrime, cominciavano ad uscire. Vincenzo invece, piangeva apertamente.
<< Che sbagliavo. Che dovevo lasciare andare il ricordo di mia madre. Che se non ero la sua prima scelta, lo ero di certo per altre due persone. Voi due >>, ed indicò i fratelli. << Voi mi avete sempre scelto, donandomi immenso amore e affetto. Mi avete amato incondizionatamente, nonostante il mio atteggiamento. E io ve ne sarò eternamente grato. Anche se dicevo di odiarvi, in cuor mio sapevo che il vostro affetto mi manteneva in vita. E per questo che adesso, dopo anni, e senza remore posso dirvi che vi voglio bene >>, Marco si inginocchiò vicino al letto, prese le mani dei suoi fratelli tra le sue, e sorrise debolmente. << Vi voglio tanto bene. Siete la mia famiglia. I miei fratellini. E lo sarete per sempre. Prometto che da adesso in poi non vi lascerò più >>.
Fabio e Vincenzo piansero forte. Poi risposero al sorriso e strinsero la mano del fratello. Erano finalmente tornati uniti.
<< Però Vincenzo c’è una cosa che devi fare per me >>, sussurrò Marco.
<< Cosa? >>, chiese il ragazzino con voce tremante.
Il fratello maggiore fissò intensamente il più piccolo. Il suo volto era una maschera di dolore. Poi, improvvisamente, esplose.
<< Non mi lasciare. Ti prego, resta qui con me. Non andare via, non abbandonarmi anche tu. Ti supplico, fa qualsiasi cosa, ma resta >>, urlò scoppiando a piangere.
Quella scena mi fece bloccare il cuore. Quelle parole, quella disperazione, io la conoscevo bene. E rivederla in quel ragazzo mi stava lentamente uccidendo. I ragazzi nella stanza erano profondamente commossi. Paolo e Nicola piangevano liberamente. Roberto e Mario stringevano i due con forza, entrambi con gli occhi umidi. Carlo e Andrea si tenevano la mano, profondamente toccati. Ianto, invece, si avvicinò a me silenziosamente. Poi mi prese la mano e la strinse con forza. Dava e cercava coraggio in quella stretta poderosa. Ed io, gli concessi e mi presi la forza di cui necessitavo.
<< Marco >>, sussurrò distrutto Fabio. Poi questi scoppiò in un pianto furioso.
Entrambi i fratelli Boccanera si aggrapparono disperati al fratellino più piccolo, che nonostante tutto, era anche il più forte di tutti. Vincenzo piangeva silenzioso, conscio che presto la sua vita si sarebbe spenta. Ma il suo sguardo era limpido e sereno. Il dolore per la separazione dai suoi fratelli lo aveva abbandonato. Adesso era felice.
<< Ragazzi, non piangete vi prego >>, sussurrò invitando i fratelli a guardarlo. << Io resterò qui con voi. Non mi vedrete, ma ci sarò sempre >>, sorrise tra le lacrime stringendo forte le mani di Marco e Fabio. <<  In ogni vostro respiro o battito di cuore, ci sarà la mia presenza. Vi accompagnerò lungo il vostro cammino, e vivrò insieme a voi. Non sarete mai soli >>, poi si bloccò per riprendere fiato. Era debilitato e debole, ma lottava ancora. << Noi siamo fratelli, e lo saremo sempre. E questo legame è più forte della morte stessa, e ci permetterà di restare uniti. Sapervi in questo mondo, felici, sarà la mia gioia più grande. Io non ho rimpianti, e neanche voi dovete averne. Perché io sono felice. Ok? >>, concluse mormorando e guardando i due fratelli negli occhi. Poi con i pollici, asciugò via le lacrime dai loro volti, e sorrise. << Vi voglio bene, ragazzi, e ve ne vorrò sempre. La morte non ci separerà mai >>.
A quel punto Marco e Fabio si avvicinarono a Vincenzo, e si strinsero in un forte abbraccio. Vederli mi straziò e al tempo stesso riempii il mio cuore di gioia. Era bello vedere quell’amore così forte e così limpido. La morte non avrebbe vinto. A loro non sarebbe successo quello che invece era accaduto a me.
 
<< Va bene. È ora di andare, gente >>, richiamò all’ordine Paolo.
Erano le sette e mezza di sera, e presto l’orario delle visite sarebbe finito. Dopo quella parentesi straziante tra i fratelli, tutti si erano ripresi. Così avevamo continuato a ridere e scherzare con l’aggiunta di Marco. Vedere quei tre insieme era come guardare un arcobaleno dopo la tempesta. Spettacolare.
<< E va bene. Ma tanto domani siamo di nuovo tutti qui >>, sbuffò Nicola avviandosi verso la porta.
<< Nessuno ti ha invitato >>, lo canzonò Mario. I due poi si fecero una linguaccia.
<< Vincenzo come hai ben capito, non ti libererai di noi >>, affermò con decisione Roberto.
<< Sembra una minaccia >>, commentò Carlo.
<< Perché lo è >>, confermò Andrea.
<< Questo gruppo mi spaventa. Siamo un branco di pazzi sciroccati >>, dichiarò divertito Ianto.
<< Il capobranco sei tu >>, affermai dando uno scappellotto al ragazzo.
<< Ahia, prof. Perché devi essere sempre così violenta? >>, si lamentò il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Andiamo anche noi? >>, domandò Fabio al fratello.
<< Ok. Stiamo insieme stasera? >>, chiese imbarazzato Marco.
<< Certo >>, confermò Fabio sorridendo.
<< Ragazzi se mi chiamate, poi stasera con voi ci sono anche io >>, disse Vincenzo sorridendo.
<< Certo, mostro >>, annuì Marco dando una carezza in testa al fratellino.
<< Anzi facciamo una video chat >>, continuò Fabio sorridendo dolcemente.
Poi i due si alzarono e andarono verso la porta.
<< Professoressa, può aspettare un secondo ? >>, mi bloccò Vincenzo.
<< Ok >>, confermai, bloccandomi.
Gli altri mi guardarono, poi uscirono lasciandomi sola con il ragazzo. Quando la porta fu chiusa, mi avvicinai al letto, sedendomi poi di fianco al ragazzo. Con lo sguardo, lo esortai a parlare.
<< Volevo dirle una cosa >>, disse Vincenzo.
<< Cosa? >>, domandai curiosa.
<< Grazie >>, sussurrò quella parola felice e mostrandomi il sorriso più bello che aveva.
<< Di cosa? >>, chiesi perplessa.
<< Di tutto. Per avermi dato speranza, per avermi fatto sorridere. Par avermi portato degli amici >>, disse divertito quelle parole. << Per avermi fatto fare pace con i miei fratelli >>, mormorò poi tornando serio.
<< Io non ho fatto nulla >>, sussurrai commossa.
<< Invece ha fatto tutto >>, poi Vincenzo prese la mia mano e la strinse. << Ero convinto che sarei morto senza aver provato la gioia di avere con me di nuovo i miei fratelli. Solo, abbandonato a me stesso. E invece grazie a lei, c’è qualcuno accanto a me. Sono circondato dall’amore. Adesso posso morire in pace. Prima non potevo. Avevo troppe cose in sospeso >>.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Quel ragazzino mi stava ringraziando per aver fatto in modo che morisse felice. Senza rimpianti. Vincenzo era davvero unico.
<< Ti prego, non dire così. Io non ho fatto nulla. Se avessi potuto, ti avrei salvato la vita >>, sussurrai abbassando lo sguardo e cominciando a piangere.
<< Non dica così. Non potevo essere salvato >>, il ragazzino portò l’altra mano sotto al mio mento, costringendomi a guardarlo. Quando incontrai quegli occhi grigi, vidi solo una cosa: serenità. << Il mio è un male troppo grande. La morte non può essere sconfitta. Ma c’è molto di più oltre a questo. La vita non si riduce solo a nascere e morire. C’è molto altro, e grazie a lei che mi ha aiutato, adesso ho capito >>, sorrise felice, cominciando a piangere lacrime di gioia. << Che nonostante tutto, la vita sa sempre come sorprenderti. Che quando tutto sembra andare male, ecco che le cose si aggiustano. Che niente è immutabile, e che anche nella morte c’è vita. Io vivrò attraverso i vostri ricordi d’amore. E voi saprete che non vi lascerò mai. È questo il modo giusto d’amare, è questo l’amore puro e limpido. Vale la pena di vivere solo per godere, anche per un piccolo istante, di questo amore >>.
I miei occhi erano colmi di lacrime, e la bocca era troppo secca anche solo per riuscire a dire una sola parola. Strinsi con forza la mano di Vincenzo, e mi accasciai su quel corpo singhiozzando con forza. Avevo bisogno di piangere. Per me, per il ragazzino, per mio marito. Per tutto. Ero stanca e debole, e adesso non potevo più lottare. Quelle parole si erano insinuate troppo profondamente in me, per poterle ignorare. Ora non mi restava altro da fare che restare ferma e subire tutto quel dolore. Vincenzo cominciò ad accarezzarmi la testa con dolcezza. Anche se era lui quello bisognoso di sostegno, mi stava consolando.
<< Mi sarebbe piaciuto conoscerla di più, professoressa. Lei è il mio tipo ideale di donna. Sicuramente sarei stato un rivale di Ianto. Un rivale temibile >>, e scoppiò a ridere.
Lo seguii in quella risata genuina. Non c’erano rivali per Ianto. Lui era unico. Ma Vincenzo avrebbe sempre occupato un posto speciale nel mio cuore, e non se ne sarebbe più andato. Questa era una promessa.
 
Guardai stanca l’orologio. Le tre e mezza di notte. Sbuffai infastidita. Odiavo non riuscire a dormire. Per me il sonno, insieme al caffè, era qualcosa di sacro. Ma sapevo bene il motivo di questa mia insonnia. Quella domenica mattina, ero andata in ospedale, e le notizie non erano state per niente rassicuranti. Il medico ci aveva detto che Vincenzo aveva avuto varie crisi respiratorie durante la notte, per via di alcune metastasi nei polmoni. Il dolore all’addome era diventato insostenibile tanto che si pensava ad un coma farmacologico. Dopo la riappacificazione avvenuta quel martedi con i fratelli, le condizioni del giovane erano peggiorate rapidamente. Era come se Vincenzo stesse andando avanti solo per vedere realizzato il suo desiderio. Quello di riunirsi a Fabio e Marco. E dopo il raggiungimento di questo, poteva anche morire. La forza del suo sogno lo aveva spinto a resistere, ma adesso non ce n’era più il motivo. E presto si sarebbe spento. Era ormai una questione di giorni, ed io lo sapevo bene. Le stesse cose erano accadute anche a mio marito. La propagazione delle metastasi, le varie crisi, il dolore, ed infine restava l’ultimo passo: la morte. Mi rigiravo nel letto, insoddisfatta e angosciata. Avevo una bruttissima sensazione, e stavo cominciando a sentirmi male. Avevo provato troppe emozioni in quei giorni, e adesso mi sentivo come svuotata. Il passato si era affacciato troppe volte nella mia memoria, e presto avrei ceduto. O forse no. Forse grazie al sostegno di Ianto ce l’avrei fatta. Ormai quel ragazzo era diventato il pilastro della mia vita. e questo non era per niente una cosa buona. Sapevo che dovevo farcela con le mie forze, ma non ci riuscivo. Era più forte di me.
Sbuffai nuovamente scalciando le coperte, e alzandomi dal letto. Mi diressi in cucina con l’intenzione di farmi una camomilla. Quando arrivai davanti alla penisola, il telefonino cominciò a squillare. Il sangue si raggelò nelle mie vene. Da che avevo memoria, le cose più brutte erano accadute di notte. E quello squillo di telefonino era preludio di brutte notizie e dolore. Lo avvertivo dal suono sinistro e inquietante che emanava. Mi avvicinai guardinga al tavolino dove era appoggiato il cellulare, e dal display intravidi il nome di Ianto. Mi stava chiamando alle tre e mezza di notte. Decisamente era un pessimo segno. Afferrai il telefonino e lo portai all’orecchio, accettando la chiamata.
<< Pronto? >>, chiesi agitata.
<< Prof >>, una voce spenta e sofferente rispose dall’altra parte.
<< Che è successo? >>, domandai allarmandomi. In cuor mio già sapevo la risposta, ma non volevo accettarla. Poi Ianto decretò la sentenza.
<< Vincenzo è morto >>



Buonasera gente...eccomi qui con l'ultimo aggiornamento dell'anno di "Eppure mi hai cambiato la vita" XDXD spero vi piaccia...con questo si conclude la saga di Vincenzo, anche se il prossimo capitolo sarà ancora lui il centro di tutto... per capire di cosa sto blaterando dovrete leggere il prossimo capitolo XDXD alla fine marco ha fatto pace con i fratelli...spero che vi piaccia come soluzione...non avrei mai fatto morire vincenzo senza prima fargli fare pace col fratello maggiore...a proposito di pace, vi dico solo una cosa: presto ci sarà il momento clou...dove tutti si spiegherà, tutto si capirà e forse si aggiusterà...e la suspense aumenta XDXD mi diverto moltissimo!!!
Beh che altro dire...grazie di cuore a coloro che leggono la mia storia, ma soprattutto a coloro che la recensiscono...siete fantastici, sul serio!!!
quindi vi lascio con lo spoiler, e con gli auguri di buon anno e che il 2013 porti tanta gioia e felicità...che siate soddisfatte della vostra vita e che vi accadano solo cose belle...
un bacio immenso
Moon9292


"Non potevo credere a ciò che vedevo, eppure era accaduto realmente"


AUGURI DI BUON ANNO A TUTTI!!!!!!!

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Capitolo 20
*** Basta così! ***


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Capitolo 20 - Basta così!


Sistemai per bene la gonna nera, la maglia a collo alto, e le calze aderenti. Quel giorno avrei affrontato qualcosa che credevo di non dover più rivivere. Qualcosa di terribile, massacrante mentalmente e fisicamente, qualcosa che lasciava un segno profondo e indelebile nell’animo umano. Andare ad un funerale era la tortura peggiore che l’uomo poteva aver creato. Non bastava il dolore per aver perso la persona cara, doverla vedere con gli occhi chiusi per sempre e senza più respiro, ma andavamo anche a “festeggiare” questa dipartita con l’atto più ipocrita al mondo. Avevo partecipato in tutto a due funerali nella mia vita, e mai avevo visto più ipocrisia in quei due giorni, che nella mia intera esistenza. Persone che non conoscevi neanche, persone che ti detestavano, prostrate dal dolore per la morte di qualcuno che, fondamentalmente per loro, non era nulla. Solo un essere umano che occupava un posto nel mondo, indistinto, in mezzo a tante altre esistenze. In quei momenti di assurda follia, un piccolo barlume di lucidità mi coglieva, e percepivo una cosa: il mondo era un immenso circo. Clown, esibizionisti, contorsionisti…un ammasso di corpi umani che agivano senza rigore di logica. Certe volte venivo colta da attacchi improvvisi di ridarella. Nei momenti meno opportuni, durante quelle giornate soffocanti, una piccola risata mi scappava nell’assistere a quello spettacolo. Poi queste stesse persone, vedendomi ridere, si voltavano dalla mia parte, guardandomi come se fossi una specie di alieno provenuta da chissà quale angolo dell’universo. Io ero la strana, non loro. Beh, in effetti come dargli torto. Se sei una persona normale in mezzo ad un branco di persone folli, allora la normalità non appartiene più a te, ma a loro. Di conseguenza, la mia sanità mentale veniva giudicata come follia. E a me stava bene, perché non era di loro che dovevo curarmi, ma del mio cuore distrutto per la morte della persona amata. Avevo visto le tombe di mia zia e di mio marito, e quei sarcofaghi erano rimasti nella mia memoria, impressi a fuoco. Ricordavo ogni intarsiatura e ogni piccolo particolare. Non riuscivo a dimenticare nulla. In più mi rendevo conto che, durante il giorno del funerale, ogni cosa rimaneva scolpita nella mia memoria. Ma i giorni a venire, quelli della vera consapevolezza, sfuggivano come vapore al vento. Non ricordavo assolutamente nulla di quei momenti, il vuoto più totale. Come se il mio cervello si fosse spento per un certo periodo di tempo, e poi da solo avesse ripreso il normale funzionamento. Era strano come la mente umana agiva. È durante quei giorni che si soffre di più, che il dolore ti assale e non lascia più vie di fuga. Era come un manto avvolgente, e più provavi a districarti da esso, e più ti si stringeva addosso. Così il dolore prendeva la mia anima e la trascinava nel baratro più profondo. E proprio in quel momento, la mente entrava in gioco spegnendo tutti i ricordi di quei momenti, e lasciandoti solo un forte senso di spossatezza nelle ossa. Solo una volta aveva fallito. E in quel caso mi ero trovata in ospedale. Un bel viaggio dritto nella terapia intensiva per due giorni, e poi in reparto per quasi due settimane. Gran bel lavoro che aveva fatto. E da li le cose poi erano precipitate. Si, decisamente il cervello era qualcosa di assolutamente incomprensibile per me. E quel giorno così nefasto, avrebbe creato sicuramente nuovi giochi per sopportare il dolore della perdita di Vincenzo. Ripensare a quel ragazzo, portava inevitabilmente delle lacrime ai miei occhi. Ma non ne potevo più di piangere. Ero stufa di tutte quelle gocce salate che solcavano il mio viso, marchiandolo a fuoco. Erano due giorni che non facevo altro che disperarmi e soffrire. Due giorni di sofferenze atroci, e non vedevo l’ora di finirla. Marco e Fabio, dopo gli avvenimenti di quel lunedì notte, avevano deciso di posticipare il funerale di Vincenzo il 30 di gennaio. Sembrava quasi come se volessero prendere tempo, come se non fossero ancora pronti a seppellire sotto terra il proprio fratellino. Ed io potevo capirli. Non c’era cosa peggiore che lasciare andare le persone amate. Farlo, porta inevitabilmente a distruggere una parte di se stessi, e nessuno è disposto a soffrire. Tutti, compresa io, preferivamo conservare i nostri cari nelle parti più recondite del cuore. Era come se la persona amata fosse ancora viva, in un certo senso. Che non fosse andata in qualche parte inaccessibile a noi. Come se in un modo o nell’altro, essa facesse ancora parte della nostra vita materiale. Nessuno sopportava il dolore del nulla, e preferiva quello stratagemma autolesionista e falso. Ma alle volte era meglio la menzogna che la nuda e cruda realtà. E Marco e Fabio avevano la mia piena comprensione. Ma non poteva essere rimandato per sempre quel momento. Il momento in cui bisognava separarsi dal proprio caro. Perciò era stato deciso che quel mercoledì mattina, avremmo svolto il funerale di Vincenzo nella chiesa del quartiere. Quando ero entrata in quella zona della città, non avevo notato quell’edificio alto ed imponente. Ma quando Ianto, il giorno precedente, mi aveva mostrato dove fosse la chiesa, ero rimasta sbalordita. Era immensa. Molto alta, e una capienza che avrebbe fatto invidia a qualsiasi cattedrale. L’interno ero sfarzoso come il resto del quartiere, e su tutte le pareti vi erano le vetrate dai colori più belli e luminosi. Sul soffitto, scene di bibbia erano raffigurate con maestria e con precisione. E l’altare, posto su un gradino più alto rispetto ai banchi, sembrava fosse fatto di cristallo tanto era delicato e maestoso. E dietro esso, un’altissima statua in oro raffigurante le figure più importanti della bibbia. Non era di mio particolare gusto quella specie di scultura, ma sicuramente valeva moltissimo e portava prestigio non solo alla chiesa, ma a tutto il quartiere. E quel giorno l’intera scuola avrebbe ammirato quell’imponente edificio. Il preside era stato così gentile da concederci quel giorno e il successivo di festa, per commemorare la dipartita di un caro amico. Sistemai meglio il collo alto, che portava un po’ di prurito, e mi guardai un’ultima volta allo specchio. Ero pronta. Bene, lo show poteva cominciare.
 
Quando entrai nel cortile della chiesa, era piena di persone. La maggior parte di esse, facevano parte della scuola. E la cosa che più mi lasciò sbalordita, fu che tutti gli studenti indossavano la divisa scolastica. Rimasi commossa da quel gesto, perché sapevo che Vincenzo amava moltissimo quella divisa. Un giorno, durante una delle mie visite in ospedale, mi aveva raccontato che indossarla gli dava un senso di appartenenza. Come se non fosse solo, ma circondato da persone di uno stesso immenso gruppo. Era bello vedere come gli individui potessero diventare uniti in un solo attimo. Molto meno sapere in che situazione questa unione si veniva a creare. Girando un po’ lo sguardo, notai che ad un lato del cortile, vicino alla ringhiera, vi era posizionato un gruppo di otto persone che conoscevo bene. Mi incamminai verso di loro.
<< Professoressa, buongiorno >>, mi salutò Nicola, appena mi vide. Il solito sorriso che mi rivolgeva, quel giorno era appena accennato, ed aveva un retrogusto molto amaro. Gli occhi erano rossi.
Tutti si voltarono nella mia direzione, e salutai ognuno di loro.
<< Salve ragazzi >>
<< Buongiorno prof >>, ricambiò Ianto posizionandomisi di fianco. Era stato un gesto automatico, come se il suo posto fosse li accanto a me. Anche i suoi occhi di ghiaccio erano rossi e umidi.
<< Marco e Fabio? >>, chiesi notando la loro assenza.
<< Sono dentro >>, rispose prontamente Andrea.
<< Sa, devono tenere le relazioni pubbliche >>, commentò sarcastico Roberto.
<< Il padre li sta mettendo in mostra? >>, domandai incredula.
<< Ovvio. Tutti ne approfittano, in situazioni come queste. Per mettere in risalto il dolore della famiglia. Ti fa acquisire prestigio >>, sputò acido Mario.
<< Tesoro calmati, su >>, disse Margherita, con tono pacato. La pancia si vedeva sempre di più.
<< Ciao, Margherita. Come stai? >>, chiesi sfiorando quella zona del suo corpo, dove stava crescendo una vita.
<< Bene, professoressa. Grazie >>, sorrise dolcemente la ragazza.
<< Quando dovremmo cominciare? Voi lo sapete? >>, domandò Carlo con una voce nasale. Anche lui doveva aver pianto molto.
<< Tra mezz’ora. Sapevo che il funerale cominciava alle dieci >>, affermò Ianto guardando l’orologio.
In quel momento un forte singhiozzo risuonò in mezzo a noi. Ci voltammo tutti verso un’unica direzione. Paolo stava piangendo disperatamente. Le sue mani chiuse a pugno, palesavano quanto stesse lottando contro se stesso per calmarsi e dimostrarsi forte. Ma era impossibile riuscirci. In quei momenti il dolore è troppo grande, per riuscire a controllarlo.
<< Scusatemi >>, singhiozzò asciugandosi, con la manica della giacca, le lacrime. << Avevo promesso a me stesso e a Vincenzo che non avrei pianto…ma… non ci riesco >>, e scoppiò in un pianto ancora più forte.
Roberto accorse prontamente. Lo abbracciò forte, cercando di farlo calmare. Paolo incastrò la testa tra il collo e la spalla del fidanzato, e lo strinse a se. Un secondo singhiozzo partì, e voltandomi vidi Nicola piangere copiosamente.
<< Scusate anche me >>, biascicò tra le lacrime. << Non credevo che sarei stato così male. Invece… >>, ma non finì la frase perché i singhiozzi erano troppo forti.
Un braccio passò attorno alle sue spalle, avvolgendolo in una morsa stretta. Mario stava cercando di consolarlo. Ma anche lui piangeva sommessamente. Quindi Margherita lo abbracciava, cercando di infondendogli coraggio e amore.
<< Non credevo che quel piccoletto potesse entrarmi così tanto dentro >>, commentò Mario, stringendosi alla fidanzata.
Carlo e Andrea, si tenevano la mano, silenziosi. Il primo, lentamente, stava abbandonando la sua maschera imperscrutabile, lasciando il posto a quel dolore difficile da contenere. Andrea, invece, guardava in basso. Il suo volto non mostrava nessuna espressione, ma i suoi occhi sempre così freddi e scuri, adesso erano come uno specchio. Riflettevano tutti i sentimenti che il giovane provava dentro. E potevo benissimo leggere la sofferenza che accomunava tutti noi. Improvvisamente sentii qualcosa di caldo e umido rigarmi il volto. Stavo piangendo, senza neanche rendermene conto. Portai una mano al volto. Quando la guardai e la vidi bagnata, mi resi conto che stava capitando di nuovo. L’oscurità mi stava assalendo. Quell’orrendo percorso che avevo già affrontato, stava ricominciando. E stavolta non avevo scappatoie. Cominciai a tremare, per la paura e la disperazione. Non volevo riprecipitare in quel baratro. Non avrei avuto più le forze per uscire. In quel momento, però, una mano mi trattenne. Quando la lucidità riprese spazio nella mia mente, riconobbi la mano di Ianto che mi afferrava saldamente, trascinandomi via dal quel buio pesto. Lo fissai incredula. Non poteva essere vero. Mi aveva salvata. Quella mano mi stava infondendo sicurezza e forza. Ero allibita. Ianto era davvero la mia colonna portante. Potevo sopravvivere solo se lui mi stava accanto. Quando poi tornai completamente lucida, vidi che anche il suo volto era rigato dalle lacrime. Anche lui aveva bisogno di me. Inspirai profondamente, e poi guardai uno a uno i ragazzi di quel gruppo.
<< Ehi >>, li richiamai. Quando la loro attenzione fu completamente nei miei riguardi, sorrisi debolmente. << Forza, gente. Coraggio! Vincenzo non avrebbe mai voluto tutto questo. Se adesso fosse qui, ci rimprovererebbe come solo lui sapeva fare >>
<< Avrebbe detto: “Ma che cretini di amici che ho” >>, mormorò con un sorriso, Roberto.
<< “Piangere per me? Ma dico, scherzate?! Che cosa vi passa nel cervello?” >>, aggiunse Nicola, asciugandosi le lacrime.
<< “Vi è andata bene che sono nell’Aldilà, altrimenti vi avrei presi a calci nel sedere” >>, continuò Mario, sorridendo divertito.
<< “Se vedo ancora una sola lacrima sulle vostre facce, allora vi conviene prepararvi ad affrontare la mia ira” >>, lo scimmiottò Carlo.
<< “Perché vi perseguiterò anche nei sogni” >>, sussurrò con voce appena udibile Paolo.
<< “E se proprio mi fate arrabbiare, anche nel cesso” >>, disse con voce appena incrinata Andrea.
<< “Non vi libererete tanto facilmente di me” >>, affermò con emozione Ianto.
<< “Perché vi voglio bene. Siete i miei amici. Siete la mia famiglia” >>, conclusi io asciugandomi una lacrima.
Sorridemmo tutti quanti, divertiti per quei pensieri. Appartenevano in tutto a Vincenzo, che minacciava sempre di perseguitarci dopo la morte. Era bello sapere di aver stretto quel legame così profondo e pieno d’affetto. Vincenzo non era più solo, e mai sarebbe scomparso dalle nostre menti.
<< So che non è il momento, ma quel piccoletto mi disse una cosa qualche tempo fa >>, riprese Mario.
A quel punto afferrò una busta ai suoi piedi che avevo notato solo in quel momento. L’aprì e notai una bottiglia di brachetto con dei bicchieri di plastica.
<< Mario, sei venuto qui per ubriacarti? >>, domandò perplesso Margherita.
<< No, che diavolo vai a pensare >>, negò indignato il ragazzo. << Vincenzo mi disse che durante il giorno del suo funerale, avremmo dovuto brindare a lui e alla sua vita eterna. Me lo fece promettere >>.
Sorrisi commossa di quel gesto. Poi il giovane aprì in pochi gesti la bottiglia, evitando che facesse troppo rumore, e versò il contenuto nei bicchieri. Finita quell’operazione, ci fissammo per qualche secondo, poi cominciai alzando il bicchiere in aria.
<< A Vincenzo >>, affermai con decisione.
<< E alla sua vita eterna >>, continuò Ianto.
<< A Vincenzo >>, urlarono tutti i ragazzi in coro.
Qualsiasi fosse stato il posto in cui era andato, sapevo che Vincenzo avrebbe avuto quel saluto.
 
Mi voltai guardando in giro, e notando le persone presenti, in quel posto. Avevo da poco lasciato i ragazzi ancora vicino alla ringhiera, desiderosa di avvicinarmi a Marco e Fabio. Ma mi era impossibile. I due giovani erano assaliti dal branco di clown che avrebbero preso parte a quella cerimonia. Un conato di vomito mi assaltò la gola. Odiavo vedere quelle scene di ipocrisia, perciò decisi di uscire un po’ per prendere aria. Non avrei resistito un secondo di più in quella chiesa. Sulle scale d’entrata, osservavo con fare annoiato quel branco di approfittatori. In quel momento, però, notai una figura nascosta dietro ad una macchina, e che riconobbi subito. Lo avevo visto solo una volta, in ospedale, quel lunedì maledetto che ci aveva portato via Vincenzo. Mi avvicinai, indignata. Il padre dei ragazzi, il signor Boccanera, stava fumando tranquillamente una sigaretta, e nel frattempo corteggiava senza pudore una giovane donna. Mi avvicinai a passo di carica, pronta a dare battaglia.
<< Signor Boccanera >>, lo richiamai con voce furente.
La giovane in questione, appena mi vide, si defilò velocemente, arrossendo imbarazzata. Invece l’uomo mi guardò furente. Avevo interrotto il suo gioco, e questo era imperdonabile.
<< Si? >>, domandò con voce annoiata.
<< Sa chi sono io? >>, chiesi cercando di trattenermi.
<< Dovrei? >>, rispose questi alzando un sopracciglio.
<< Certo. Sono la professoressa dei suoi figli >>, mi morsi l’interno della guancia. Adesso avrei insegnato ad una classe di 19 ragazzi, invece che 20.
<< Ah. Buongiorno >>, salutò il signor Boccanera, con tranquillità.
<< Vorrei farle una domanda >>, cominciai sempre più scioccata e arrabbiata.
<< Prego >>
<< Ma lei è davvero così ignobile come persona, o sta cercando di reprimere la sua parte sofferente? >>, esclamai con furia.
<< Credo di non aver capito bene la domanda >>, rispose perplesso l’uomo.
<< Si rende conto che ha appena perso un figlio. Che Vincenzo è morto! >>, una fitta di dolore partì all’altezza dello stomaco. << Lei è qui ad amoreggiare e a scherzare con una donna, quando dovrebbe essere vicino agli altri suoi due figli >>
<< Mi rendo conto di essere al funerale di mio figlio, professoressa. Non sono ancora rincitrullito >>, affermò con calma il signor Boccanera.
<< Come? >>, domandai allibita.
<< So dove mi trovo >>, confermò questi.
<< E non prova nulla? Dolore? Dispiacere? Niente? >>, continuai sempre più esterrefatta.
<< Lasci che le dica una cosa, professoressa >>, cominciò l’uomo, avvicinandosi a me. << Quello che mi interessa davvero, sono i soldi e le donne >>, una mano viscida mi sfiorò la guancia, con fare provocante. << Di quei tre bastardi, non mi è mai interessato nulla. Per me, possono morire, scappare, fare qualsiasi cosa. Non mi interessa, e non è una cosa che mi tocca. Sono qui solo per tenere le apparenze, e per fare vita sociale. Così otterrò vari piccioni con una fava >>, e sul suo volto si allargò un sorriso disgustoso. << Fama, soldi, potere, e donne. Anzi, se vuole fare un giro, sarò ben disposto ad accontentarla >>, mormorò malizioso.
Capii all’istante il doppio senso di quella frase, ma la mia mente era ancora sconvolta per le parole appena sentite. Quell’uomo non provava dolore, ne altri sentimenti, per la dipartita di Vincenzo. Era un meschino essere che pensava solo al sesso e al denaro, e questo mi disgustava profondamente. Sentii nuovamente un conato di vomito, più forte di tutti quelli provati in quel giorno. Non credevo che un simile essere umano potesse esistere, e speravo di avere la fortuna di non incontrarlo mai. Ma dopotutto, non ero famosa per essere la persona dalla buona stella. Lo guardai minacciosa, intimandogli con lo sguardo di allontanarsi. E il messaggio fu recepito bene, perché vidi il signor Boccanera fare qualche passo indietro.
<< Lei è una persona ripugnante. Mi fa schifo. E deve solo provare ad avvicinarsi nuovamente a me, o a Marco e Fabio, ed io le farò rimpiangere anche di essere nato >>, a quel punto mi avvicinai io, incutendogli timore. << Quel coso schifoso che si ritrova in mezzo alle gambe, gli giuro, che se lo troverà a penzolare fuori dal balcone, se osa anche solo farmi sentire la sua puzza repellente. Sono stata abbastanza chiara, o vuole un esempio? >>.
Il signor Boccanera mi guardò allibito, poi senza aspettare neanche un secondo, si allontanò a passo spedito verso l’interno della chiesa. Non mi voltai per guardarlo, perché tremavo ancora dalla rabbia. Ero furente con quell’essere abietto che si spacciava per padre. Odiavo le persone come lui. Mi facevano sul serio schifo. Calde lacrime di frustrazione cominciarono a scendere.
<< Mi creda, se le dico che piangere per un essere come quello, è un atto inutile >>, disse una voce calma alle mie spalle.
Mi voltai velocemente, colta di sorpresa. Davanti ai miei occhi, vi era un uomo alto, sulla cinquantina, brizzolato. Mi trovai a fissare il preside, nel suo completo in giacca e cravatta nero. I suoi occhi, solitamente sempre brillanti e luminosi, ma con una piccola nota stonata, adesso palesavano la loro sofferenza.
<< Preside >>, sussurrai ancora piangendo.
<< So che è difficile da accettare la loro esistenza, ma purtroppo il mondo è pieno di persone come il signor Boccanera. Avevo tanto sperato che non assistesse a quella scena, professoressa >>, continuò l’uomo con dispiacere.
<< Non deve rammaricarsi, preside. Non è colpa sua, se ho avuto a che fare con quell’uomo >>, affermai con forza.
<< Lo so. Ma comunque sono molto dispiaciuto che questo incontro sia avvenuto. Mi scuso profondamente >>, e inchinò leggermente il capo.
<< Ma che fa? Non deve mica scusarsi lei >>, dichiarai presa alla sprovvista.
<< Invece devo. È mio dovere, come uomo, porgerle le mie più sentite scuse per l’offesa arrecatele. Se fosse in mio potere, avrei già provveduto a sbarazzarmi di quel signore >>, dichiarò il preside alzando lo sguardo.
Capii che non l’avrei spuntata in quella situazione. Ne andava del suo orgoglio maschile. E io di certo non lo avrei privato di quella sua riconciliazione con se stesso. Perciò, sorrisi dolcemente, riconoscendo che il preside era forse la persona più nobile che avessi mai incontrato.
<< Va bene, preside. Accetto le sue scuse, e la prego, non si preoccupi per me. Io me la so cavare da sola >>, affermai con affetto.
<< Oh, lo so bene che lei è una persona dotata di grande tenacia e forza. E che non ha bisogno della protezione di nessuno. Ma so anche che, una giovane donna, nonostante tutto, va sempre protetta. A dispetto del suo carattere >>, dichiarò con solennità l’uomo.
<< Lei parla sempre come un gentiluomo dell’ottocento >>, constatai divertita.
<< Grazie. Per me è una gioia udire queste sue parole. Ma dai suoi bellissimi occhi, noto una profonda oscurità >>, disse l’uomo con una tranquillità disarmante. Anche quelle sue parole mi lasciarono allibita.
<< Oscurità? >>, domandai perplessa.
<< Si, esatto. Come se qualcosa nel suo corpo, la stesse divorando. Vorrei poterle essere d’aiuto, ma temo che non posso fare nulla >>, continuò il preside sempre con la sua solita flemma.
<< Davvero io non capisco >>, e invece capivo, eccome, ciò a cui si riferiva. E questo mi spaventava.
<< Spero che riesca ad affrontare i suoi demoni interiori, professoressa. Lei è una bellissima persona, e sarebbe un vero peccato perderla >>, esclamò l’uomo sorridendomi tristemente.
Dal canto mio non risposi, troppo scioccata da quelle parole. Il preside Martino, conosceva il mio passato. E aveva anche capito da cosa stavo scappando. Me lo leggeva dentro. E solo una cosa mi fu chiara in quel momento. Io e quell’uomo condividevamo un passato molto simile.
 
Entrai nuovamente nella chiesa. Mancavano dieci minuti all’inizio della cerimonia. Stavo cercando un posto dove accomodarmi, quando vidi due cose. La prima, era Ianto che attirava la mia attenzione indicandomi un posto accanto al suo. La seconda, era vedere due figure nascondersi dietro ad una parete laterale della chiesa. Le riconobbi immediatamente. Dissi sottovoce a Ianto che lo avrei raggiunto subito, e mi incamminai verso la parete. Appena arrivai, sentii due voci parlare piano.
<< Forza, Fabio. Ce la possiamo fare >>, affermò con forza Marco. Ma nella sua voce, sentivo una nota molto triste e provata.
<< No, non ce la faccio. Basta, me ne voglio andare a casa >>, singhiozzò tra le lacrime Fabio.
Quella voce mi fece stringere il cuore. Era orribile ciò che stava accadendo a quei due ragazzi. Non ci pensai neanche due volte, e mi sporsi. Quando mi videro, sospirarono di sollievo.
<< Ciao >>, li salutai dolcemente.
<< Buongiorno professoressa >>, ricambiò il salutò Marco.
Fabio invece, provò ad abbozzare un sorriso, ma non gli venne un granché. Mi avvicinai velocemente al ragazzo e lo abbracciai forte. Il fratello di mezzo, appena sentite le mie braccia stringerlo, scoppiò in un pianto disperato.
<< Shh, va tutto bene. Ci sono io con te >>, sussurrai tra i suoi capelli.
<< Professoressa >>, mormorò disperato Fabio.
Marco, invece, era silenzioso e guardava la scena commosso.
<< Lo so. Fa male. Fa male da impazzire >>, continuai, cominciando a dondolare col corpo. << So che senti il tuo cuore farsi in tanti pezzettini. Quasi come se la tua vita fosse risucchiata via, e a te restassero solo cocci vuoti e dolorosi >>, mi staccai lentamente dal corpo di Fabio e lo costrinsi a guardarmi. I suoi occhi grigi, disperati e umidi, mi fissavano speranzosi. Voleva che alleviassi in qualsiasi modo il suo dolore. << Ma una persona un giorno mi disse, che il cuore umano non si spezza mai. Che è la cosa più forte che abbiamo. E aveva ragione. Lui batte ancora qui, e continuerà a battere sempre. E presto il suo battere non farà più male. Starai meglio, e riuscirai a vivere nuovamente la tua vita >>
<< No. Non è vero. Non tornerà mai più come prima. Farà sempre male >>, negò con forza Fabio, piangendo sempre di più. << La prego, lo spenga. Spenga questo dolore, la supplico. Non ce la faccio più >>.
Quelle parole, spezzate da forti singhiozzi, dette con voce nasale e soffocate dalle lacrime, mi crearono un dolore lancinante al petto. Non credevo che delle semplici lettere messe insieme per creare una frase, potessero far soffrire in quel modo.
<< La supplico lo porti via. Io non voglio più pensare a niente, non voglio più stare male. Scacci via dal mio cuore Vincenzo, per favore. Altrimenti morirò anche io >>, lacrime copiose segnavano quel viso, in piccole righe. Righe cariche di disperazione e sofferenza.
<< Fabio >>, sussurrò Marco tra le lacrime.
Con forza, violentandomi, presi il controllo delle mie emozioni, e le addormentai, cosicché avrei potuto aiutare Fabio. Presi il suo volto dolcemente tra le mie mani, e cominciai a cancellare quelle strisce umide dalle sue guance. Poi sorrisi tristemente.
<< Non posso. È una cosa che non posso fare. Mi dispiace. So che fa male, ma dovrai conviverci per sempre >>, mormorai.
<< Perché? Perché? Perché? >>, domandò come una litania il ragazzo.
<< Perché la vita è imprevedibile >>, risposi asciugando le nuove lacrime e guardando con forza il giovane. << Perché accadono cose impensabili, che non puoi controllare. Puoi solo subire, e convivere con le conseguenze >>, cominciai a piangere nuovamente, avvertendo il pizzicore delle mie emozioni tormentarmi il cuore. Si stavano svegliando. << Perché le persone muoiono, e tu non puoi farci niente. Puoi solo accettare che se ne vadano via, e conservare nel cuore il loro ricordo. E un giorno, quando sarai abbastanza pronto, potrai guardarti alle spalle, e vederle li, che ti osservano e ti accompagnano nel tuo lungo cammino. Per sempre >>.
Fabio mi guardò sorpreso e quasi ammirato per quelle parole. Sembrava come se le sentisse vere. Anche se era troppo presto, e il dolore avrebbe continuato a pulsare per molto tempo ancora, sapeva che alla fine sarebbe stato meglio. Ero riuscita a dargli speranza. Non tutto era perduto.
 
<< … Ed ora, se qualcuno vuole dire qualche parola, può farlo >>, invitò il prete dopo quasi un’ora di celebrazione.
Ero seduto accanto a Ianto, mano nella mano, dall’inizio della funzione. Avevamo bisogno l’uno dell’altro, per sostenerci in quel momento difficile e prostrante. Quando ero entrata in chiesa, avevo fatto di tutto per evitare di vedere al centro, davanti all’Altare, cosa ci fosse. Ma adesso, mi era impossibile. Quella bara marrone chiaro, pulita e limpida, con varie composizioni floreali attorno, attirava la mia attenzione. Come una calamita. Li dentro, steso e immobile per sempre, vi era Vincenzo. Non avrei mai più rivisto il suo volto o il suo sorriso,  o quei suoi occhi grigi. Non avrei più potuto parlarci o ridere e scherzare con lui. Niente di tutto questo. L’unica cosa che ci restava, era poter parlare attraverso una lapida, e fissando con tristezza l’immagine che avremmo sempre visto, li, stagliarsi sul marmo bianco. E sapere che dall’altra parte, non ci sarebbe mai stata una risposta. Solo questo ci era concesso. E a mio avviso, era davvero troppo poco. L’amore e tutto ciò che comportava, non valeva tutta quella sofferenza. Il gioco non valeva la candela. Ed io, dal canto mio, non sarei mai più riuscita a guardare la mia classe con gli stessi occhi di prima. La sua assenza sarebbe pesata come un macigno. E non avremmo fatto altro che piangere e soffrire per quell’addio silenzioso, e pieno di strascichi. Solo tristezza ci restava. A tutti noi. Quando prestai attenzione alle parole del prete, rimasi sorpresa da ciò che vidi.  Marco si incamminava verso l’Altare. Quando raggiunse il microfono, fissò tutti noi per qualche minuto. Poi, forse fu una mia impressione, ma il suo sguardo si posò nel mio, e mi guardò per un’istante. Alla fine abbassò gli occhi, e sospirò. Quando li rialzò, vidi una forza estranea al mio essere. Una forza di cui avrei avuto bisogno.
<< Salve. Io sono Marco. E per chi non mi conosce, sono il fratello maggiore di Vincenzo >>, cominciò con voce calma e posata. << Vi starete domandando: ehi, ma questo fratello da dove esce. Oppure: che cosa vuole, siamo qui da un’ora e ci si mette anche quest’altro a parlare >>, e scimmiottò tutti i presenti. Una piccola risata generale partì ovunque. Quando poi il silenzio fu ristabilito, il giovane proseguì. << So che siete stanchi, ma vogliate portare un attimo di pazienza. Non vi ruberò molto tempo. Ho bisogno di dire delle cose al mio fratellino, e questa è l’occasione migliore che mi si è presentata negli ultimi tempi. Dunque… >>, e fece una piccola pausa, riflettendo per bene sulle parole da dire. << …Sapete, Vincenzo è sempre stato un tipo fragilino, con la tendenza a mettersi nei pasticci. Da piccolo mi ricordo che una volta, per seguire un cane, si perse per le strade di Roma. Le nostre varie madri, impiegarono un’ora e mezza a ritrovarlo. E nel frattempo io e Fabio, l’altro mio fratello, eravamo a casa in pensiero, sperando che non fosse capitato nulla di male >>, sorrise divertito al ricordo di quel momento, e forse anche a qualche altro ricordo. << Se ripenso a tutte le cose che sono successe, che Vincenzo ha combinato, non posso fare altro che sorridere divertito. Era un vero personaggio. Alle volte da piccolo lo paragonavo ad un cartone animato >>, un nuovo coro di risate partì per tutta la chiesa. << Se poi penso, invece, a tutte le volte che si è ammalato quando era un bambino, mi vengono i brividi. Aveva sempre la febbre, oppure un raffreddore, oppure mal di testa, o qualsiasi altro disturbo che esisteva al mondo. Era davvero fragile, quasi come il vetro. In lui vedevo sempre una persona da proteggere. Da difendere. Un qualcosa di prezioso che andava difeso dal mondo. Rinchiuderlo sotto una campana di vetro, sarebbe stato molto più facile. E mi avrebbe risparmiato un sacco di fatica >>, altra risata da parte di tutti noi. Nel frattempo, nel sorriso, calde lacrime cominciarono a scendere nuovamente lungo il mio viso. Marco guardò tutta la folla, poi tornò serio, e cominciò a fissare la bara, con sofferenza e amore. << Ma non mi sono mai pentito di tutto questo. E mi dispiace di non avergli mai dimostrato quanto bene gli volessi. Dopo la morte di mia madre, in me qualcosa non funzionava più, e me la sono presa con le persone sbagliate. I miei due fratelli hanno molto risentito del mio lutto, specialmente Vincenzo, che mi guardava con ammirazione. Come se volesse seguirmi e assomigliarmi un po’ di più. Ed io l’ho ferito profondamente, abbandonandolo a se stesso, e lasciandolo affrontare la sua malattia che lo ha divorato lentamente, dentro. Fino a portarmelo via >>, silenziose lacrime solcarono il volto di Marco, il cui sguardo era sempre fermo sulla bara. Ora cominciava la parte difficile del discorso. << Per colpa della mia stupidaggine, non gli sono stato accanto in questi anni, quando ne aveva più bisogno. Quando nella notte lo sentivo piangere sul cuscino, per qualcosa andata male, oppure perché si sentiva solo. Il mio dovere di fratello e anche il mio cuore, mi dicevano: “Alzati! Vai da lui! Ha bisogno di te!”. Ma alla fine restavo sempre nella mia stanza, fingendo di non sentire. Perché era molto più facile per me. Se fossi rimasto coinvolto in qualche modo con Vincenzo o con Fabio, il mio cuore ne avrebbe risentito. E io non avrei potuto portare avanti la battaglia silenziosa che sostenevo per qualcun altro. E così facendo ho commesso errori su errori. Finché poi, alla fine, mi sono ritrovato con un fratello morente nel letto. E allora ho capito >>, le lacrime continuavano a scendere copiose. Tirò su col naso, la sua voce tremava, e il corpo era scosso dai singhiozzi. Ma era forte, e non avrebbe ceduto. Il suo sguardo si allontanò un attimo dalla bara, e si rifugiò nei miei occhi. Dopo pochi secondi, tornò nuovamente a fissare la bara. << Che quello che stavo facendo mi stava portando a perdere per sempre, una delle due persone più importanti di tutta la mia vita. Quella che, nonostante tutto, continuava ad amarmi indistintamente. E che sperava che un giorno fossi ritornato da lui. La costanza del suo amore nei miei riguardi, è qualcosa che ancora mi spaventa, e fa battere forte il cuore. Ma è bellissimo sapere di essere stato amato così tanto. Mi sento saturo d’amore, e auguro a tutti voi di provare quest’emozione >>. Poi la sua voce si incrinò del tutto, e il pianto si fece ancora più forte. << Ma non auguro a nessuno di voi di perdere un fratello, di perdere una vostra metà esatta. Perché fa un male cane, e sembra di affogare, tanto si soffre. E nonostante io sappia che lui non mi abbandonerà mai, che mi ha promesso di restare sempre al mio fianco nonostante la morte, mi rendo conto che questo ora non basta. Che desidero di più. Che voglio tornare ad abbracciarlo, a guardarlo, a ridere e a parlare con lui. Che voglio rivedere specchiati i miei occhi nei suoi. Gli stessi occhi grigi che noi tre fratelli condividiamo, e che ho sempre visto i suoi molto più luminosi dei miei. Vorrei tutto questo, ma so che non è possibile. E mi sento quasi mancare l’aria >>, tirò un forte respiro, quasi a marcare quel concetto. L’intera chiesa era silenziosa, sofferente per quelle parole. Non mi voltai, ma sapevo che tutti i ragazzi, piangevano. La mano di Ianto si strinse più forte nella mia. Lui sapeva quale fosse la portata di quel dolore. Perdere un fratello o una sorella. Lui sapeva quanto si soffriva. << Mi sembra di vivere in un incubo, in questo momento, e non so quando ne uscirò. Spero che tra poco mi sveglierò nel mio letto, e troverò Vincenzo nella stanza vicino alla mia, tranquillamente addormentato. Ma questo è il vero sogno. E quello che sto vivendo è la realtà. Una realtà che non mi piace, ma va bene così >>, sospirò rassegnato. Il tono di voce era tornato quasi normale, anche se le lacrime continuavano a scendere. << Non si può tornare indietro, e la vita continua, in qualche modo. Ed io e Fabio, dovremmo vivere per sempre con una parte di noi, mancante. O forse no >>, cominciò a riflettere nuovamente sulle sue parole. Poi sembrò trovare un piccolo barlume di speranza. << Forse un giorno, quando questo dolore sarà diminuito, quando diventerà sopportabile, mi renderò conto che avevi ragione. Che non mi avresti mai abbandonato, e che saresti stato sempre vicino a me. Che anche se fossimo stati separati per lunghissimi chilometri, tu saresti rimasto sempre al mio fianco. Che ovunque tu sia, saremo sempre uniti dal nostro legame profondo. Mi hai detto di continuare a vivere anche per te. Li per li pensai: ma come posso vivere una vita senza di te? Ma adesso comprendo cosa volevi veramente dirmi >>, Marco sorrise dolcemente in direzione della bara, come se Vincenzo potesse davvero vederlo, e ricambiarlo. << Che dovevo essere felice, perché un pezzetto della mia felicità, sarebbe arrivato a te. È questo l’obbligo di chi resta. Rendere felici se stessi e la persona cara. Ed io prometto che lo farò, fratellino. Ti renderò felice, ovunque tu sia. E proteggerò Fabio, perché so che anche questo desideravi. E credimi: neanche la morte potrà separarci >>. Poi si allontanò dal microfono, e camminò lentamente verso la bara. Si mise di fianco ad essa, e la fissò per qualche minuto. Infine si inginocchiò vicino, e l’abbracciò come se stesse abbracciando il fratello. Poggiò anche qualche dolce bacio su quella superficie in legno. Rimasi commossa nel vederlo compiere quelle azioni. Era bellissimo e allo stesso tempo straziante, difficile da sopportare. Tutto quel dolore mischiato all’amore che Marco provava per Vincenzo, era una bomba nucleare. Un mix di sentimenti potenti e penetranti nel cuore. Strinsi più forte la mano di Ianto, cercando in lui, il mio pilastro. Poi vidi Marco alzarsi lentamente, e accarezzare la bara. << Ti voglio bene, fratellino >>, sussurrò nel silenzio generale. A quel punto, Fabio si alzò, e raggiunse il fratello più grande, posizionandosi di fianco. Gli cinse la vita con un braccio, mentre Marco gli strinse forte le spalle. E rimasero li, intenti a fissare la bara dove giaceva addormentato per sempre, il loro caro fratellino Vincenzo.
 
Mi soffiai il naso, buttando l’ennesimo fazzolettino per terra. Era il 31 gennaio, e ancora portavo addosso gli strascichi del funerale del giorno precedente. Beh, in effetti era passato troppo poco tempo, perché stessi meglio. Ma adesso ero entrata in una spirale autolesionista. Nella mia mente, i ricordi di quel mercoledì e i ricordi del funerale di mio marito, si confondevano creando un unico filo conduttore, con immagini diverse ma aventi un fattore in comune. Il dolore. Dolore per la perdita, dolore nel sapere che non rivedrò mai più gli occhi della persona amata, dolore nel capire che questa era andata in un posto impenetrabile per me. Non ne potevo più di soffrire così tanto. Avevo faticato per quasi due anni, nel cercare di sopprimere la sofferenza per la morte di mio marito. Ero addirittura scappata, cercando di mettere quanti più chilometri possibili, tra me e il mio tormento. Ma non era servito a niente. Mi aveva trovato comunque. E avevo appreso una lezione importante. Non si può scappare dalla propria vita, perché è come scappare da se stessi. E non ci si può abbandonare, che ci piaccia o meno. Ma questa consapevolezza non mi aiutava di certo ad affrontare quella situazione. Semmai la peggiorava. Perché questo voleva dire che avrei sofferto per sempre. E non era la mia massima aspirazione nella vita, comprare mille pacchetti di fazzoletti e consumarne altrettanti ogni giorno. Decisamente, non ero nata per quello scopo. Durante quel giorno e mezzo, avevo rifiutato di vedere o parlare con qualsiasi essere umano. Dopo il funerale, ero andata silenziosamente al cimitero, e avevo visto come la bara veniva depositata nel suo giaciglio eterno. Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. La mia mente si era del tutto appannata, e l’immagine della lapide di mio marito era sbucata fuori dai recessi della mia memoria. E anche le stesse emozioni di allora, erano riapparse nel mio cuore. A niente erano serviti tutti i sonniferi che avevo cercato di dare a quelle emozioni. Dopo la comparsa di Ianto, il mio intero essere era stato sconvolto. Tutto il mio lavoro per non soffrire più, era andato a farsi benedire. Ed ora non sapevo più cosa fare per cercare di stare bene. Forse non ne avevo neanche più le energie, e la voglia per trovare quella salvezza che meritavo. In fin dei conti, il tormento della mia anima era così profondo, che tanto valeva lasciarlo li, agire indisturbato, senza che cercassi più di mettergli i bastoni tra le ruote. Alla fine, a che serviva lottare, se poi le cose si ripetevano in un ciclo senza fine? A che serviva sperare in una salvezza, se poi si doveva riprecipitare nel baratro della disperazione? A quel punto, tanto valeva conservare le energie per qualcosa di più utile, e più soddisfacente. Mi odiavo quando pensavo che tutto era finito, perché sapevo che così non era. Ma semplicemente ero stanca. Non volevo più soffrire. Questo era il mio unico desiderio. Invece qualcuno Lassù, si divertiva a vedermi piangere e disperare. E a questo punto, chi ero io per togliergli lo spettacolo. Solo una stupida pedina che veniva mossa senza ritegno verso posti sempre più bui. Nella mia mente una sola frase aleggiava, e la ripetevo quasi fosse un mantra: Basta così! Basta così! Basta così!. Era finita. Per me non c’era altro. Neanche due occhi di ghiaccio stavolta avrebbero potuto aiutarmi. Anzi, potevano portare solo scompiglio in questa situazione già precaria. Avevo accettato i miei sentimenti per Ianto, ma dopo il funerale di Vincenzo, la presenza di mio marito si era fatta più vivida. Adesso lo percepivo nuovamente sulla pelle, nel corpo, dentro il cuore. Come era accaduto fino alla fine di agosto, prima che scappassi da casa mia. E sentirlo nuovamente in me, aveva creato nuove ferite profonde. Io non volevo lasciare andare mio marito. Gli avevo promesso eterno amore, e non volevo tradire la sua memoria e il sentimento che ci legava, sia in passato che adesso. Non potevo accettare Ianto, perché avrei dovuto rinunciare a quell’uomo speciale che mi aveva fatto l’onore di sposarmi. Invece, ero disposta a perdere Ianto. Anche questa consapevolezza, mi fece capire che dovevo spegnere qualsiasi sentimento per il giovane dagli occhi di ghiaccio, e concentrarmi su quel dolore che continuava ad albergare in me. Non ero disposta a creare nuovi legami, non ero disposta a concedermi ad un altro. Non volevo più amare, perché avevo conosciuto l’amore, e l’avevo perso. E non poteva essere sostituito. Perciò, basta così! soffiai nuovamente il naso, vedendo il cellulare squillare di nuovo. Era la ventunesima chiamata di Ianto. Stava battendo un record personale. Quanto ancora voleva darmi il tormento, prima di capire che non c’era più niente in me. Che tutto era finito. Seppellito in una bara di legno, e che mai più sarebbe tornato. Basta così! Dopo aver assistito alla scena della lapide, ero corsa via da quel cimitero, e mi ero rifugiata in casa. Ianto e il resto del gruppo avevano capito il mio desiderio di restare sola, e perciò non mi avevano disturbato, ma da quella mattina, il giovane dagli occhi di giaccio, aveva preso a chiamarmi incessantemente, desideroso di chissà cosa. Ormai erano le sette di sera, e il cellulare non squillava da circa mezz’ora. Che si fosse arreso? Beh, meglio così. Io non volevo essere vista, essere amata, essere salvata. Volevo continuare a scavarmi la fossa da sola, e raggiungere sottoterra mio marito. Questo mi avrebbe dato pace, avrebbe alleviato i miei sensi di colpa nei confronti dell’uomo che avevo sposato. Perché provavo una colpa immensa per aver ceduto al sentimento, per aver provato emozioni troppo forti per Ianto. Sapevo anche riconoscere il loro nome, ma non volevo pronunciarlo. Perché troppo in contrasto con quella parte del mio cuore legata al passato. Due metà divise in uno stesso corpo. Come si può sopravvivere se si è divisi a metà? Non si può, punto. Basta così! Non volevo più sentire quella spaccatura, costante e pulsante. Nella mia mente, le due fazioni si sfidavano senza sosta, lasciandomi spossata. Presi l’ennesimo fazzoletto, e soffiai il naso gocciolante. Avevo un aspetto orribile. Una tuta nera, consunta e sbiadita. I capelli erano arruffati. Gli occhi rossi, gonfi e lucidi per il troppo pianto. Il viso bianco, e il naso rosso. Un vero mostro. Odiavo quel mio aspetto trasandato. Non ero vanitosa, ma avevo sempre badato al mio volto e al mio corpo. Agli abiti, non di alta moda, ma comunque ben tenuti, e al trucco, non pesante ma leggero, e capace di rendermi carina. Adesso invece ero solo la pallida ombra di ciò che ero. Un’ombra mostruosa, irriconoscibile, tremante e assomigliante ad un Goblin. Provavo vergogna e pena per me stessa. Basta così! Si fecero le sette e un quarto, quando il cellulare riprese a squillare. Sbuffai scocciata e innervosita.
<< Ma che vuoi da me? Lasciami in pace >>, urlai contro il cellulare.
A quel punto il campanello di casa trillò. Sobbalzai dal divano, perplessa e spaventata. Chi poteva essere alle sette e un quarto? Chi poteva venire a disturbarmi mentre affondavo nelle mie lacrime? Solo un nome balenò alla mente. E davvero speravo di sbagliarmi.
<< Prof, apri. Ti ho sentita >>, sbuffò spazientito Ianto.
Tremai violentemente. I sentimenti traboccarono da tutto il mio essere. Volevo aprire, e non volevo aprire. Volevo piangere, e non volevo piangere. Volevo amare Ianto con tutta me stessa, e volevo rifiutarlo senza battere ciglia. Non risposi, terrorizzata dalle conseguenze.
<< Santi numi, prof. Vuoi aprire questa cazzo di porta, e vuoi che te la sfondi a forza di calci? >>, esclamò impetuoso Ianto. Sembrava sul punto di esplodere. Chissà perché poi era così furioso.
<< Va via >>, sussurrai, afferrandomi la testa con le mani, e scuotendola forte. Volevo cacciarlo via. Dal mio corpo, dalla mia mente, e dal mio cuore. Faceva tutto troppo male. Volevo solo dimenticare. Annegare nell’oblio e restarci per l’eternità. Basta così!
<< Cazzo! Apri questa merda di porta! >>, continuò il giovane, battendo un pugno contro il legno massiccio.
Sussultai. Non avevo mai visto Ianto così furioso, neanche quando aveva dovuto affrontare il lutto per la morte dei genitori. Alla fine sospirai, tremante, e con le lacrime agli occhi. Mi avvicinai, con passo lento alla porta, e poggiai le mani e la fronte sulla superficie.
<< Ti prego >>, mormorai con voce più forte. << Va via >>
<< No. Non me ne vado >>, negò con trasporto Ianto. Chissà perché, nella mia mente, lo vidi dall’altra parte della porta, appoggiarsi ad essa nel mio stesso modo.
<< Perché? >>, domandai singhiozzando. Calde lacrime rigarono il mio volto.
<< Perché ti amo >>, sussurrò emozionato Ianto.
Sospirai forte. Mi asciugai con il dorso della mano, le lacrime cadute, e mi allontanai dalla porta. Fissavo il pomello, aspettando che agisse da solo. Non avevo il coraggio di prenderlo, e girarlo. In cuor mio speravo che facesse lui la scelta. Se fare entrare Ianto o meno. Farlo entrare, avrebbe significato accettarlo. Lasciarlo fuori, avrebbe significato rifiutarlo. Da perfetta codarda qual ero, speravo ardentemente che qualcun altro potesse prendere quella decisione al posto mio. Ma sapevo bene che nessuno poteva farlo. Solo io dovevo scegliere. Il passato, o il futuro? O meglio, il passato o il presente? La testa mi stava scoppiando. Non ero più in grado di ragionare. Così chiusi gli occhi, e pensai un’ultima volta al mio personale mantra. Basta così! Poi allungai la mano, e feci scattare la serratura. La porta si aprì, rivelando uno Ianto, arrabbiato e preoccupato allo stesso tempo. Afflitto e innamorato. Tremante e sicuro di se. Lo fissai, come fossi una bambina in cerca del padre, per avere protezione. Ma lui non era mio padre. Era Ianto. Il ragazzo che mi era entrato nell’anima e aveva fatto battere nuovamente il mio cuore. Il suo sguardo scrutava il mio volto, il mio corpo e la mia anima. Era come lava rovente a contatto con la pelle. Insopportabile. Perciò mi voltai, incamminandomi verso il divano. Volevo mettere nuovamente distanza tra noi due.
<< Che sei venuto a fare? >>, chiesi dura.
<< Volevo vederti >>, rispose con semplicità Ianto.
<< Perché? >>, domandai sempre più cattiva.
<< Perché ti amo >>, ripeté il giovane.
Mi voltai di scatto, come morsa da un animale feroce. Ero in preda alla rabbia. Quella risposta avrebbe fatto battere il cuore di un qualsiasi essere umano. Ma io non ero gli altri. E il mio cuore sembrò subire una condanna a morte. O meglio, una parte del mio cuore. Mi avvicinai con forza e decisione verso il giovane, e senza pensarci due volte, lo schiaffeggiai. Ero giunta al limite.
<< Che tu sia dannato. Ti odio, Ianto. Ti odio con tutta me stessa >>, urlai disperata.
Ianto non fece e disse nulla, seguì con il volto il mio schiaffo, sottoponendosi a quella punizione immeritata. Sapevo razionalmente che il giovane non ero colpevole di nulla. Ma il cuore lo accusava di tutto.
<< Perché? Perché io? Perché a me? Io stavo così bene da sola. Avevo il pensiero di mio marito nella mente. C’era solo lui >>, continuai ad urlare, e nel frattempo altre lacrime cominciarono a rigare sempre di più il mio volto. << Poi sei arrivato tu. E hai sconvolto ogni cosa. Hai distrutto tutto. Perché? Perché? Io volevo solo mantenere fede alla promessa fatta. E invece sei arrivato tu, con la tua boria e arroganza, e mi hai trascinato in tutto questo. In questo mare agitato ed impetuoso, che non fa altro che sbattermi sugli scogli. Io stavo bene, senza di te. Ma tu no! Ti sei voluto intromettere nella mia vita >>, lo afferrai per il giubbotto, e lo  scrollai forte. << E GUARDA DOVE SIAMO ARRIVATI! A QUESTO! SIAMO ARRIVATI A SOFFRIRE, A PIANGERE E A SEPPELLIRE I NOSTRI AMICI! PERCHE’? PERCHE’? >>, urlai preda di una follia cieca e sorda, ma dotata di una forza erculea. Poi lo lasciai andare, e abbassai il viso, chiudendo gli occhi, e cercando nella memoria, il volto di mio marito. Avevo bisogno di ritrovarlo, ma vedevo solo degli occhi di ghiaccio fissarmi con sofferenza e amore. << Ti odio. Con tutta me stessa. E tuttavia non ti odio, anzi… provo dei sentimenti troppo forti, sentimenti sconvolgenti, che mi stanno facendo perdere il senno. E io sono già abbastanza folle, ecco perché sono scappata di casa. Quindi… basta così! >>, rialzai di scatto il volto, e fissai nuovamente quegli occhi che mi scrutavano come avevo visto nella mia mente. Con dolore e profondo amore. << Io ti farò del male, e tu ne farai a me. Soffriremo troppo, e alla fine ci resterà solo la cenere delle nostre anime, consumate da questo profondo dolore. Non dobbiamo andare avanti, o moriremo >>.
Avevo il respiro affannoso. Gli occhi umidi, continuavano a lacrimare gocce salate che scendevano lungo il mio viso, accarezzando gli zigomi, il mento e il collo. Ianto mi fissava addolorato. Restammo per vari minuti in silenzio. Poi il giovane fece un passo verso di me. Il suo sguardo era mutato. Scintillava di una nuova consapevolezza. E questo mi avrebbe annientato del tutto. Allungò una mano, e l’appoggiò delicatamente sul mio viso, accarezzandomi e asciugandomi le lacrime.
<< Soffriremo. Piangeremo tanto. Ti odierò. Mi odierai. Ti ferirò mortalmente. Tu ferirai me con una spada di ferro. E i nostri cuori sanguineranno internamente >>, portò l’altra mano al viso, e asciugò le restanti lacrime. << E in questo mare di sangue, vi vedo così tanto amore, da riempire il mondo. Affogherò con un dolce sorriso sulle labbra, sapendo di essere amato. Sapendo che sotto lo strato di sangue ci sei tu che affogherai con me. Moriremo insieme felici, uniti nel nostro abbraccio. E i nostri cuori diventeranno una cosa sola. Io non ho paura di tutto questo, e attenderò la morte con impazienza, perché essa mi porterà a te >>, sorrise e pianse gocce salate. Era bellissimo. << E so che anche tu vuoi unirti a me. Il tuo sguardo è pieno d’amore. Non mi servono parole, ne grandi gesti, ne altro. Mi basta vedere il tuo sguardo che riflette il mio. Tu ed io. Non c’è altro che conta >>, poi si asciugò frettolosamente le lacrime versate, e portò nuovamente le mani sulle mie guance. Il suo sguardo si fece serio, carico di passione. L’atmosfera sembrava emanare scariche elettriche. Anche gli odori erano mutati. Forti e pungenti, penetranti nelle narici. Il tipico odore della passione. Cominciai a tremare dalla paura. Sapevo cosa stava per accadere, e tuttavia non ero pronta. Forse non lo sarei mai stata, ma in quel particolare momento, non ero per niente certa. Ma non mi ribellai, ne strisciai fuori da quella presa ferrea. << Adesso io ti bacerò. E poi ti porterò di la sul letto e farò l’amore con te. Ti trasmetterò tutto ciò che sento, tutto il mio intero sentimento. E poi non ti lascerò mai più andare >>, sussurrò con voce lussuriosa ed eccitata. << Se vuoi scappare, fallo ora. Io non ti costringerò. Ma se resti, farò esattamente ciò che ho detto >>.
Sgranai gli occhi. Non ero pronta. Non sapevo che fare. Avevo paura, e il cuore prese a martellarmi forte nel petto.
Scappare o restare? Scappare o restare? Ianto avvicinò il volto al mio.
Scappare o restare? Scappare o restare? Sentivo il suo alito caldo sul volto, e sulle labbra.
Scappare o restare? Scappare o restare? Ormai ci separavano pochi millimetri.
Scappare o restare? SCAPPARE O RESTARE?
Basta così!
Chiusi gli occhi, e accettai quelle labbra premere contro le mie. Erano come le avevo sempre immaginate. Calde, morbide, piene. Racchiudevano un intero mondo in esse. Le strusciammo per un po’. Il cuore batteva furioso nel petto. Una parte di me stava brillando di pura luce e felicità. L’altra stava morendo, appassendo velocemente. Come un fiore senza acqua. Le mie mani andarono ad afferrare la vita forte e mascolina di Ianto, e stringerla con foga. Dagli occhi chiusi altre lacrime scesero. Ero felice e disperata. In eterno dualismo. Le mani di Ianto, pazientemente, asciugavano quelle gocce. Poi insieme, schiudemmo le labbra, permettendo alle nostre lingue di incontrarsi ed esplorarsi. Il sapore del giovane era inebriante, dolce e fresco. Le labbra e la lingua, esperte, si muovevano lentamente contro le mie, trascinandomi in quel gioco sensuale. Mi sentivo accaldata, lo stomaco si contorceva per l’emozione e l’ansia. Erano quasi due anni che non baciavo un uomo. Quasi due anni che non venivo sfiorata. Quasi due anni che non venivo amata nel letto. Ianto aumentò il ritmo del bacio, e portò le mani lentamente sui miei fianchi e poi dietro la schiena, stringendomi e spingendomi di più contro il suo petto. Le mie mani, invece, abbandonarono i fianchi del giovane, e si poggiarono sul petto forte e ampio. Strinsi il giubbotto, con forza, cercando di aggrapparmi a qualcosa, anche se non sapevo bene cosa. La differenza d’altezza si sentiva molto, così mi alzai sulle punte, appoggiandomi interamente al corpo di Ianto. Nel basso ventre del giovane, un forte rigonfiamento premeva contro la mia coscia, sfiorando la mia intimità. Sentivo sempre più caldo. Ianto, poi, afferrò i miei glutei, e mi alzò senza alcuno sforzo. I suoi muscoli, tesi e scattanti, si agitavano sinuosamente sotto tutti quei strati di vestiti. Strinsi le mie braccia intorno al collo del giovane, e le gambe intorno ai suoi fianchi. Ora le nostre intimità erano pienamente a contatto, e senza rendermene conto cominciai a strusciarmi su di essa, facendo reagire il pene di Ianto sempre di più. Era duro e scattante, e presto sarebbe entrato in me. Sapevo che avrebbe fatto male, ma mai quanto faceva male la metà del mio cuore in quel momento. Era prossima alla morte. Stavo tradendo la memoria di mio marito. La promessa fatta quel giorno dinanzi al prete. Lo stavo tradendo, senza ritegno, provando piacere. La lingua di Ianto, sulla mia, era sempre più bollente, e mille scariche elettriche correvano lungo la mia schiena fino ad arrivare in un punto ben preciso del mio basso ventre. Senza rendermene conto, arrivammo nella camera da letto, e il giovane mi posò delicatamente sulle lenzuola, fissandomi con ardore. Voleva possedermi, amarmi, farmi sua. Ma voleva anche bearsi di ogni momenti, assaporarlo con lentezza. Prese a spogliarmi con profonda flemma. Un capo d’abbigliamento alla volta. Prima i calzini, poi tirò giù la cerniera della giacca della tuta, e la sfilò facendomi alzare di poco dal letto. Poi cominciò ad alzarmi con movimenti calmi e studiati la canotta, unico indumento che fasciava il mio busto. Chiusi gli occhi assaporandomi ogni istante. Poi quando i miei seni furono scoperti, sentii il respiro di Ianto farsi spezzato e veloce. Quando ritornai a fissare il suo volto, lo sguardo famelico e pieno d’amore mi investii in pieno. Mi desiderava con intensità. Con forza. Mi voleva, e questo mi fece sentire completa e al tempo stesso distrutta. La metà del mio cuore morente stava battendo i suoi ultimi colpi. Ianto scese ad assaggiare un mio seno, e lo assaporò con dolcezza. Sentivo la testa esplodermi, e il desiderio farsi accecante. Volevo di più. Con le mani cominciai a spingere la testa del giovane contro il mio corpo, invitandolo ad andare oltre. I miei ansimi cominciarono a riempire il silenzio della stanza. Ianto, controvoglia, si staccò dal mio seno, e finì di togliere la canotta. Poi alzatosi, prese a sfilarmi i pantaloni della tuta, con calma studiata. Voleva che il nostro desiderio crescesse sempre di più. E ci stava riuscendo. Quando anche i pantaloni della tuta furono tolti, un ultimo ostacolo era rimasto tra noi. Le mie mutande, bagnate di eccitazione. Ianto, senza neanche darmi il tempo di riflettere, si spogliò veloce. E in un battito di ciglia, fu quasi nudo. Come me, anche lui indossava solo le mutande. Tornò a stendersi sul mio corpo, e riprese a baciarmi, facendo incontrare il mio seno e i suoi pettorali. Come avevo sempre immaginato, il giovane era davvero bello. Spalle larghe, muscoli ben definiti, vita sottile, gambe tornite, un leggero accenno di peluria bionda. Era davvero perfetto. Istintivamente aprii le gambe, facendo accomodare in mezzo ad esse, Ianto. I nostri corpi erano quasi del tutto uniti. La sua bocca, ancora sulla mia, succhiava e leccava le mie labbra. E le nostre lingue danzavano in una guerra senza vincitori ne vinti. La mia testa era leggera, e il corpo sembrava quasi volasse. Era tenuto a terra solo per due motivi. Il primo era il peso di Ianto su di me. Il secondo era la metà del mio cuore, fattasi come macigno, che andava a spegnersi velocemente. L’altra brillava e tremava di gioia. Poi, quando il fiato cominciò a mancare, Ianto si staccò da me, fissandomi intensamente negli occhi. Quel ghiaccio penetrante e vivo, mi stava trapassando l’anima. Era pieno d’amore, di felicità. Guardarlo mi riempiva. Era bello poter vedere quanto mi amasse, e sentivo che anche i miei occhi in parte lo ricambiavano. L’altra invece, era spenta e morente. E lui parve accorgersene, perché chinò il capo, e mi baciò la fronte, quasi volesse scusarsi. Poi le sue mani si mossero lentamente, e afferrarono insieme le nostre mutande. Con delicatezza, le portò giù, lasciandoci interamente scoperti ed eccitati. Vidi con la coda dell’occhio, il membro pulsante e scattante del giovane svettare contro la mia intimità. Essa, a sua  volta, era incredibilmente bagnata. Quando poi mi concentrai un po’ di più, notai che il pene di Ianto era di notevoli dimensioni. Ingoiai un po’ di saliva, sapendo che avrei sofferto un po’. Era da molto che non facevo l’amore, e perciò ero, fisicamente parlando, non del tutto pronta ad accoglierlo dentro di me. Il mio cuore morente, invece, temeva con tutto se stesso quell’unione. Lo sentivo nelle orecchie urlare disperato, con le ultime forze, di non farlo. Di tornare indietro, e di lasciarlo vivere. L’altra parte invece mi implorava di continuare, altrimenti sarebbe morta. Non sapevo che fare. Perciò, da perfetta codarda, lasciai prendere la decisione a Ianto. Questi si posizionò meglio in mezzo alle mie gambe, e con una mano condusse il suo membro pulsante vicino alla mia apertura. Chiusi prontamente gli occhi, attendendo tremante. Presto una parte di me sarebbe morta, e come tutte le cose morte, non sarebbe più tornata. Poi, lentamente, il membro di  Ianto scavò in me, procurandomi dolore e un forte bruciore. Il giovane fece piano, attendendo i miei tempi. Le mie mani si strinsero forte sulle spalle del ragazzo, e le mie unghie graffiarono quella meravigliosa pelle. Passarono vari minuti, poi alla fine mi adattai a quell’intrusione nel mio corpo, e mi lasciai andare. Ianto percepì il mio rilassamento, e prese a muoversi lentamente in me. Più spingeva, e più scavava nella mia anima. La metà del mio cuore cominciò a contorcersi. Gli restavano pochi secondi. Quando poi il piacere cominciò ad invadermi, la sentii sussurrare morente. La vedevo, con gli occhi della mente, guardarmi sofferente ed implorante, mentre l’altra vittoriosa, farmi il cenno della vittoria. Non sapevo come sentirmi. Felice o distrutta. Quando poi le spinte si fecero più veloci ed intense, il piacere esplose in me, portandomi ad avere un forte orgasmo. E seppi con precisione, che in quell’istante, la metà del mio cuore aveva esalato l’ultimo respiro. Ianto uscì fuori dal mio corpo e subito dopo rilasciò il suo seme sul mio stomaco. Ma non sentivo più niente. Con gli occhi della mente, ero troppo sopraffatta nel vedere metà del mio cuore morta. Il dolore prese a soffocarmi. Volevo urlare, disperarmi, distruggere. Era come se avessi perduto una seconda volta mio marito. Cominciai a piangere copiosamente tra le braccia di Ianto. Il giovane, vedendo quelle gocce, non provò a fermarle. Anzi. Mi strinse più forte a se, e prese a baciarmi in fronte, con fare protettivo.
<< Ci sono qui io, Lisa >>, mi sussurrò amorevolmente. Non mi sfuggii il fatto che avesse usato il mio nome. Dopo quello che avevamo fatto, sarebbe stato strano il contrario. << Io ci sarò per sempre, amore mio >>.
Così lasciai uscire tutte le lacrime che avevo in corpo. Soffrivo, e vedevo con la mia mente il volto di mio marito sorridente, allontanarsi sempre di più da me.  
 
Appena mi sveglia, sentii i raggi caldi del sole entrare dalla finestra e sfiorarmi lentamente. Il mio corpo, un po’ indolenzito, era nudo, stanco e addossato contro qualcosa di morbido. Spostai di poco lo sguardo, e vidi il corpo di Ianto steso sotto al mio. La mia testa, appoggiata sul suo forte pettorale, e il braccio che lo stringeva in vita. Una mano del giovane invece, era posizionata saldamente sulla mia schiena, quasi come se volesse tenermi più stretta contro il suo corpo. Il suo respiro calmo e cullante conciliavano il sonno. Ma la mia mente, ora attiva del tutto, pensava solo una cosa. Che avevo fatto? Perché mi ero abbandonata al giovane? Come avevo potuto cedere, lasciando morire la metà del mio cuore appartenente a mio marito. Con gli occhi della mente, rividi il suo volto allontanarsi da me. Sentii gli occhi umidi. Stavo per scoppiare nuovamente in lacrime. Ma non volevo. Ne avevo abbastanza di piangere. Lentamente mi alzai, e fissai il corpo nudo del giovane. Non potevo credere a ciò che vedevo, eppure era accaduto realmente. Io e Ianto avevamo fatto l’amore. Ma, invece di sentirmi piena e felice, sentire la parte del mio cuore restante esultare, percepivo la sensazione di vuoto. Quel cuore rimasto a metà era muto, e voleva darmi il tempo di riflettere. Quindi capii. Avevo sbagliato. Non dovevo lasciarmi andare. Soprattutto per i motivi sbagliati, per cui lo avevo fatto. Avevo sempre considerato Ianto la mia colonna portante, e di conseguenza mi ero appoggiata a lui, facendogli prendere sempre tutte le decisioni riguardanti il nostro rapporto. Io, troppo codarda e sofferente, non avevo mai preso in considerazione i sentimenti del giovane, e avevo lasciato a lui il peso di qualunque azione. Mi ero lasciata solo trascinare dalla corrente, senza fare nulla. Se avessi riflettuto un po’ di più, se avessi avuto più coraggio, ora non sarei nel mio letto, nuda con Ianto dormiente accanto. Non mi sentirei vuota e così distrutta. Starei bene. Ma se fossi stata più coraggiosa, probabilmente a settembre non sarei neanche scappata da casa mia, e avrei affrontato li mio dolore. E in tutta quella storia, l’unico che ci avrebbe rimesso era Ianto. Avrebbe sofferto a causa mia, del mio passato e del mio tormento. No, non potevo permetterlo. Se c’era anche un solo modo per proteggere Ianto, lo avrei fatto. E sapevo che c’era una sola cosa da fare. Per una volta dovevo essere io a scegliere, ad agire per il bene di entrambi. Sarei stata coraggiosa, e avrei affrontato quella battaglia. Lo dovevo, a Ianto, a mio marito, e a me stessa. Quella storia doveva finire, ed avrei agito subito. Mi alzai e vestii velocemente. Non persi tempo a preparare nulla, tanto sapevo che dove stavo andando, avrei trovato tutto ciò che mi occorreva. Infilai il cappotto, e scrissi un bigliettino, che poggiai sul mio cuscino. Mi chinai sul volto del ragazzo e gli baciai delicatamente la fronte, sapendo che c’era un’ultima cosa da dire. Sorrisi dolcemente. Poi mi accostai vicino all’orecchio del giovane.
<< Ti amo >>, sussurrai con amore e con profonda disperazione.
Speravo che quelle mie parole gli arrivassero dritte al cuore. Poi mi alzai, e andai alla porta. Il fresco del mattino mi investii. Respirai forte, prendendo coraggio, e mi incamminai, lasciandomi alle spalle un corpo ed un cuore caldo. Un cuore che mi aveva conquistato poco a poco. Ianto
 
Quando Ianto si svegliò quella mattina, si sentì leggero e appagato. Era pieno d’amore. Finalmente, dopo tanti mesi, aveva avuto la donna che amava. Tra qualche settimana avrebbe compiuto diciotto anni, e tutto sarebbe stato perfetto. Sorrise e allungò le braccia cercando un corpo caldo accanto al suo. Ma trovò solo le lenzuola fredde e vuote. Aprì di colpo gli occhi, e si guardò intorno spaesato. Una strana sensazione prese ad animarsi nel petto.
<< Lisa >>, chiamò improvvisamente agitato. << Lisa! >>, urlò più forte.
Quando poi il suo cuore stava traboccando sgomento e terrore ovunque, si accorse di un biglietto sul cuscino e lo afferrò velocemente.
“Mi dispiace immensamente, Ianto. Spero che tu capisca. Tua, Lisa”.
Poche parole, una frase semplice, che ebbe il potere di distruggere Ianto. Fissò la stanza, sperando che quello fosse solo uno scherzo. Ma così non fu. Era solo. E per la prima volta in vita sua, si sentì davvero abbandonato da qualcuno. 




*fa le valgie, infilando il tutto più velocemente possibile*... Oh, salve gente, siete qui *nasconde la valigia dietro la schiena, con sguardo disperato*...ehm, fatte buone feste??? Ok, penso che dovrò scusarmi per molte cose...prima di tutto, il ritardo dell'aggiornamente, ma dovete sapere che in questa settimana non ho avuto un attimo di tempo, e scrivere un capitolo simile richiedeva la mia totale concentrazione...
la seconda, beh, per come sn andate le cose...so che mi odierete, ma credetemi se vi dico che lisa doveva lasciare ianto nudo nel letto...altrimenti i due si sarebbero davvero uccisi a vicenda...per sapere come si evolveranno le cose dovete solo leggere i prossimi capitoli...stiamo arrivando al punto cruciale XDXD...non vedo l'ora...
vi è piaciuta la descrizione della scena di sesso? spero di si, perchè io, rileggendola, non l'ho trovata male...e solitamente sn molto dura circa il mio lavoro...quindi fatemi sapere che ne pensate, tutti voi XDXD
ah, ora che ci penso, da qualche giorno ho aperto una pagina facebook, dove parlerò delle mie storie, posterò anticipazioni, immagini, e commenterò con voi i miei personaggi...mi piacerebbe che passaste per di la...al primo che mette mi piace, farò un super spoilerone sulla storia XDXD promesso!!! 
il link è questo: 
http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl  ... mi farebbe piacere se passasse per di la...
detto ciò, vi lascio con un forte buonanotte...da oggi in po' si riprenderà con la solita pubblicazione il martedi...quindi ci vediamo martedi prossimo XDXD
Un bacio
Moon9292




"Ianto? Ianto è morto! Non esiste più. Adesso c'è solo Ignazio!"

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Capitolo 21
*** Conto alla rovescia ***


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Capitolo 21 - Conto alla rovescia


Meno sette giorni all’esplosione
 
Ianto rigirava tra le mani quel biglietto dannato, che aveva segnato la fine.
“Mi dispiace immensamente, Ianto. Spero che tu capisca. Tua, Lisa”. Ma cosa doveva capire? Cosa era andato storto? Cosa diamine era successo di così grave, da fare addirittura scappare la donna dal suo stesso letto, quella mattina. Ianto davvero non capiva. Continuava a pensare e ripensare ad ogni singolo momento della notte precedente. Avevano fatto l’amore, si erano uniti in un solo corpo. Eppure il giovane percepiva su di se un velo estraneo, fastidioso, pungente. Un velo che lo disturbava a livello inconscio e che gli faceva percepire che qualcosa, quella notte, non era andata per il verso giusto. Ma cosa? Ianto non stava più capendo nulla, e il suo cervello stava fondendo tanto il pensare. Stava andando verso scuola, sperando di trovare la professoressa. Doveva chiederle spiegazioni. Il velo continuava a infastidirlo nell’animo, ma cercava di ignorarlo, per quanto potesse. Non era il momento di riflettere su strane sensazioni, e sesti sensi nefasti. Doveva solo sapere, e tutto poi sarebbe andato a posto. O almeno lo sperava. Quel messaggio non lasciava presagire niente di buono, ma non tutto era perduto. Ianto e la stessa Lisa meritavano una seconda occasione per essere felici, e lo sarebbero stati insieme, per quanto le circostanze fossero contro di loro. Ma in fin dei conti non era nulla di veramente importante. Perché, per Ianto, se l’amore era vero, non ci sarebbero stati ostacoli. E Ianto sapeva che quello che provava era vero amore. Sospirò per la millesima volta, quella mattina del primo febbraio. La propria fantasia delusa, aveva già creato nella sua mente scene di come le cose sarebbero dovute andare. Risveglio imbarazzante, una battuta stupida per spezzare l’aria tesa, un bacio casto e dolcissimo per sentirsi nuovamente vicini, colazione vicino al muretto della cucina, e poi andare mano nella mano verso la scuola. Ma niente di questo sarebbe avvenuto, perché Lisa era scappata da Ianto. Sospirò per l’ennesima volta, poi alzò lo sguardo verso l’alto. I cancelli del quartiere stagliavano davanti, in tutta la loro maestosità. A Ianto, guardandoli, venne un accenno di nausea. Odiava quel posto, e la gente che vi abitava. Gli unici che si salvavano, erano i suoi amici di classe. E i suoi genitori, ovviamente. Ma gli altri erano tutte persone orribili, con la puzza sotto il naso, sempre pronti a disprezzare il resto dell’umanità. Soprattutto il diverso. E Ianto si domandava cosa avrebbero pensato tutte quelle persone, se avessero saputo che nella sua classe vi erano due coppie omosessuali, un ex prostituto, un ex drogato fidanzato con la figlia di un ex drogato, un ragazzo emo con la fidanzata incinta, e soprattutto un allievo innamorato della sua professoressa. Sicuramente sarebbero impazziti, e un sorriso divertito spuntò sulle labbra del giovane immaginandosi le loro facce. Si, sarebbero decisamente impazziti dallo sdegno. Scosse la testa, cacciando il pensiero di quelle persone, e si avviò verso la scuola. Quel giorno le lezioni sarebbero ricominciate, e alla fine di esse avrebbe preso in disparte Lisa, e avrebbero chiarito ogni cosa. Ripensare alla classe, gli fece stringere il cuore in una mossa ferrea. Quello sarebbe stato il primo vero giorno in cui le loro vite cominciavano senza Vincenzo. In quei giorni di lutto, Ianto non aveva davvero elaborato la scomparsa dell’amico. Era come un soffio leggero che spingeva sul cuore, che gli ricordava costantemente che quella vita non c’era più. Ma non aveva ancora pienamente compreso cosa quell’assenza significasse. Quasi vivesse in un sogno, dal quale stava per svegliarsi in modo molto brusco. L’agitazione per quella consapevolezza vicina, cresceva sempre di più nell’animo di Ianto. Aveva bisogno di appoggiarsi a qualcuno, in quel momento. Aveva bisogno della donna che amava. Aveva bisogno di Lisa. Arrivò davanti al cancello della scuola, consapevole di avere la stessa espressione di un condannato a morte. Quasi si aspettava che tutte le persone presenti nel cortile, gli facessero spazio per farlo passare e gridassero uno alla volta “Uomo morto che cammina!”. Ma, ovviamente, niente di tutto questo accadde. Nessuno fece caso alla presenza di Ianto. Erano impegnati con le loro vite, e il giovane dagli occhi di ghiaccio un po’ li invidiava. In quei mesi aveva compreso che il male più profondo poteva insinuarsi in qualsiasi vita, anche quella che all’apparenza sembrava perfetta. Ma la popolazione scolastica viveva per il 90% in agiatezza, con un futuro brillante, e la consapevolezza che la vita per loro sarebbe sempre stata a loro favore. Ma per lui, questa certezza era svanita una sera di più di quattro anni fa, quando la macchina dei genitori aveva avuto un’incidente, e lo avevano abbandonato li, in quel mondo. Poi era arrivata Lisa, e gli aveva insegnato che esiste per tutti quanti una seconda possibilità di vita. Che non tutto era stato scritto, e che non sempre le cose brutte accadono. Ma ci sono anche momenti belli, quelli per cui vale la pena di vivere. E la notte passata, per Ianto, era uno di quei momenti che rendevano la propria vita speciale, luminosa. Anche se molte ombre si erano insidiate in quel letto. Ma non aveva importanza, perché quel giorno tutto si sarebbe sistemato. Pensava a queste cose, quando arrivò davanti alla sua stanza del dormitorio. Aprì la porta, e un uragano lo investì.
<< Ma dove diavolo sei stato questa notte? >>, urlò in preda al panico Paolo.
<< Paolo, ti prego, è ancora presto per diventare mamma chioccia. Il servizio comincia alle otto e mezza, e ora sono solo le otto meno dieci >>, rispose seccato Ianto, dirigendosi verso il suo letto.
Doveva infilarsi la divisa scolastica, preparare la cartella, e darsi una lavata.
<< Finiscila, idiota. Mi hai fatto preoccupare tantissimo >>, ribatté deciso il giovane dagli occhi nocciola.
<< E scommetto che avrai assillato Roberto >>, scherzò Ianto.
<< Ovvio. E anche lui era preoccupato >>, confermò Paolo.
<< Senti, Paolo >>, Ianto si girò verso la sua direzione, e gli mise le mani sulle spalle, in gesto di conforto. << E’ tutto apposto. Non è successo nulla di grave. Anzi… >>, e un sorriso entusiasta comparve sulle labbra del giovane.
<< Anzi? >>, domandò incuriosito Paolo, abbandonando il suo ruolo di mamma chioccia.
<< Anzi, stanotte è successo qualcosa di bello. Molto bello >>, affermò Ianto. Dal suo tono, si percepiva tutto l’amore che provava.
<< Non mi dire che…? >>, cominciò il giovane dagli occhi nocciola, capendo quello a cui stava alludendo Ianto.
<< Si >>, confermò il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, allargando sempre di più il sorriso.
Paolo lo fissò per qualche minuto, ponderando le parole appena udite. Sembrava stesse cercando di capire dove fosse la fregatura, o se fosse uno scherzo. Ma appurato che il discorso appena udito, era vero, sgranò gli occhi. Poi senza preavviso cominciò ad urlare e a saltare entusiasta.
<< SI! SI! SI SI SI! >>, il giovane saltellava per tutta la stanza, ignorando lo sguardo confuso di Ianto. << Amico racconta >>, domandò con decisione Paolo, una volta tornato davanti a giovane.
<< Dopo, adesso dobbiamo andare in classe. Prima devo parlare con Lisa, e poi racconterò sia a te che a Roberto tutti i dettagli, d’accordo? >>, affermò saggiamente Ianto.
Il giovane dagli occhi nocciola, annuì con vigore, sorridendo ancora felice. Ianto sapeva che per Paolo, le cose fondamentali nella sua vita, erano la felicità di Roberto e la sua. Sapeva che Paolo metteva sempre loro due al primo posto, dimenticandosi persino di se stesso, e Ianto non poteva  che essere commosso da questo modo di fare così altruista dell’amico. Lo amava con tutto se stesso, nel modo più genuino. Paolo era il suo migliore amico, e questo dato non sarebbe mai cambiato. I due si prepararono velocemente per andare in classe, e corsero per i corridoi dell’istituto pur di non fare tardi. Quando entrarono in classe, Ianto si bloccò sulla soglia della porta. Il suo sguardo, involontariamente, cadde subito sul secondo banco, nella fila centrale partendo da destra. Un banco che sarebbe rimasto per sempre vuoto. Un banco che aveva perso nel modo più tragico e brutale il suo proprietario. Un amico andato via, senza speranza di un suo ritorno. Ianto percepì il gelo nelle ossa. La sensazione di abbandono, provata quella mattina si ripresentò. La nausea lo prese all’improvviso. Si vide piccolo e indifeso, e odiava sentirsi in quel modo. Inghiottì con fatica la sua stessa saliva, tanto la gola era chiusa. Voleva guardare ovunque, qualsiasi cosa, ma il suo sguardo non si spostava da quel banco triste e solitario.
<< Fa uno strano effetto, entrare e non vedere Vincenzo, vero? >>, domandò tristemente Paolo.
Ianto annuì solamente. Non era in grado di parlare, ne di emettere qualsiasi altro suono.
<< Forza, dobbiamo essere forti, per Vincenzo e per gli altri >>, incitò il giovane dagli occhi nocciola.
Entrambi presero un profondo respiro, e si avvicinarono velocemente ai propri posti cercando di ignorare, per quanto gli era possibile, quel banco vuoto.
<< Ciao >>, salutò dolcemente Roberto.
I due ragazzi si erano appena accomodati sulle loro sedie.
<< Ciao amore >>, rispose al saluto Paolo, dando un bacio leggero al fidanzato.
<< Ciao Robbi >>, salutò Ianto sorridendo.
<< Allora, stanotte abbiamo fatto baldoria o cosa? >>, domandò Roberto, sorridendo malizioso.
<< Si, il nostro caro amico Ianto è diventato uomo >>, rispose caustico Paolo.
<< Ha-ha, spiritoso >>, sputò acido Ianto.
<< Uhm, allora fammi indovinare. Centra per caso una certa professoressa bellissima, che tutti noi conosciamo, un letto, e molto divertimento? >>, chiese divertito Roberto.
<< Esattamente, amore. Come dicevo, il nostro Ianto è diventato uomo >>, confermò nuovamente Paolo.
<< Se non la finite immediatamente tutti e due, non vi racconto nulla, e poi vi gonfio di botte >>, li minacciò Ianto.
<< Uhm, tutto questo amore di prima mattina potrebbe farti male, amico mio >>, disse divertito una quarta voce.
Quando il trio si voltò, videro Mario, Nicola, Andrea e Carlo avvicinarsi.
<< Ciao ragazzi >>, li salutò allegro Paolo.
<< Ciao >>, risposero in coro Andrea e Carlo.
<< Mario, questi due idioti mi fanno impazzire. Pensi di poterti sbarazzare di loro? >>, domandò Ianto.
<< Posso provvedere >>, confermò Mario, facendo ridere tutti quanti.
<< Ehm, qualcuno ha visto Fabio o Marco? >>, chiese timidamente Nicola.
<< No, purtroppo >>, negò Roberto.
<< Ho provato a chiamarli, ma la loro governante mi ha risposto che avevano bisogno di stare da soli e di non essere disturbati >>, comunicò Carlo.
<< Beh, li posso capire. Non deve essere facile per loro >>, sospirò tristemente Mario.
<< Già. Ho anche visto il padre fare i bagagli e lasciare la casa. Chissà dove è andato >>, continuò Andrea.
<< Ha fatto i bagagli? >>, domandò perplesso Ianto.
<< Si. L’ho visto con i miei stessi occhi. Stava partendo, e dalla quantità di valigie, deve essere un viaggio bello lungo >>, affermò Andrea, sempre col suo tono di voce monocorde.
<< Si, è partito per l’Inghilterra, e  non credo tornerà più >>, confermò una voce.
Si voltarono tutti verso di essa, e videro Marco e Fabio sorridenti, intenti a fissare tutto il gruppo.
<< MARCO! FABIO! >>, urlarono in coro tutti.
<< Quanto entusiasmo. Ragazzi contenetevi >>, li prese in giro Fabio.
<< Che ci fate qui? >>, domandò Nicola.
<< Beh, sai com’è, questa è una scuola, e noi veniamo qui per imparare >>, rispose sarcastico, Marco.
<< No, nel senso, perché siete qui dopo… >>, ma Nicola non riuscì a finire la frase.
Il cuore di tutti si strinse in una morsa ferrea. Sapevano tutti cosa Nicola volesse dire. Dopo la morte di Vincenzo.
<< Vincenzo avrebbe voluto così >>, rispose Fabio, sorridendo dolcemente.
<< Già. Lui voleva che noi vivessimo le nostre vite, anche per lui. E la scuola gli piaceva molto, nonostante non fosse una cima >>, continuò Marco.
Le loro espressioni, e le loro voci erano cosi calme, da sembrare innaturali. Ianto sapeva che dentro provavano una grande tristezza, ed un immenso dolore, ma lottavano per andare avanti. Perché Vincenzo avrebbe voluto così. Sorrise commosso e ammirato per quella forza e per quella determinazione che i due giovani mostravano.
<< Siamo con voi. Lo sapete vero? >>, domandò con affetto Paolo.
<< Si, lo sappiamo. Grazie >>, confermò Fabio.
<< Bene, e ora superato questo momento imbarazzante, torniamo a noi. Sapete che fine ha fatto la professoressa? >>, chiese Marco.
<< Come? Perché lo chiedi? >>, disse Ianto cominciando ad agitarsi. Aveva una brutta sensazione. Il velo si fece più pungente.
<< Beh, perché sono ormai le nove meno venti, e di lei nessuna traccia >>, rispose con ovvietà Fabio.
In quel momento, tutti si resero conto del ritardo colossale della professoressa. Ianto entrò nel panico. Non andava bene, per niente. Il velo si strinse forte intorno alla gola del giovane, quasi come volesse soffocarlo. Dove era andata a finire Lisa? La risposta fu data qualche minuto dopo.
<< Attenzione ragazzi >>, richiamò all’ordine una voce maschile. Quando Ianto la inquadrò, vide il preside entrare nella classe e posizionarsi davanti alla cattedra. << Devo comunicarvi una cosa. La professoressa Cristillo sarà assente per qualche tempo >>, in quel momento il cuore del giovane dagli occhi di ghiaccio smise di battere, e il velo lo strinse sempre di più. Pochi secondi ancora e sarebbe soffocato. << A causa di questa assenza, la lezione di oggi sarà sospesa. Le lezioni riprenderanno regolarmente da domani. Vi verrà assegnato un supplente che resterà per tutto il tempo in cui la professoressa sarà assente. Avete domande? >>, chiese il preside rivolgendosi a tutti quanti.
Ianto, senza neanche rendersene conto, alzò lentamente la mano. Doveva sapere, doveva chiedere. Solo così sarebbe sopravvissuto al velo che stringeva il suo collo.
<< Mi dica Manfredi >>, lo interpellò il preside.
Ianto ignorò gli sguardi curiosi dei suoi compagni di classe. Prese un profondo respiro e con voce incerta cominciò a parlare. << Per quanto tempo la professoressa sarà assente? >>
Il preside non rispose immediatamente. Passarono vari secondi. Ianto sentiva che presto sarebbe arrivata o la sua condanna o la sua salvezza. Incrociò le dita, sentendo il cuore battere irregolare.
<< Tra una settimana mi comunicherà quando intenderà rientrare. Ma dalla sua voce, avvertivo la netta sensazione che non sarebbe stato presto  >>, rispose secco il preside.
La sentenza era arrivata. Il cuore di Ianto aveva smesso di battere.
 
Meno sei giorni all’esplosione
 
Ianto non chiuse occhio quella notte. L’ombra dell’abbandono lo seguiva ovunque andasse, e il cuore faticava a pompare sangue nelle vene. Batteva lento, flebilmente, quasi come se si stesse spegnendo lentamente. Dopo la comunicazione del preside, era scappato dalla classe, precipitandosi a casa di Lisa, sperando di trovarla, o comunque di capire cosa fosse successo. Ma non ebbe risposta. Il vuoto e il silenzio regnavano sovrani in quella casa. Ianto era rimasto li per tutto il giorno, seduto immobile sul divano, incapace di muoversi o di pensare. Poi verso le dieci era tornato nel dormitorio, ignorando Paolo e Roberto, e andando a dormire. Ma quella mattina non era cambiato nulla. Era sempre solo, l’ombra non lo aveva abbandonato e il cuore ancora faticava a battere. Quasi sperava di non doversi più svegliare. Sapeva che non avrebbe retto altri giorni in quello stato. L’ultima volta che aveva sofferto in quel modo era stato quando i genitori erano morti. E gli ci erano voluti quattro lunghissimi anni per riprendersi. Ma ora era diverso. Perché la verità che aveva capito durante quella lunghissima notte, era che i genitori non avevano avuto scelta. Non volevano veramente lasciarlo, ma non potevano tornare indietro. Lisa invece, aveva scelto di andarsene. Lo aveva fatto sapendo cosa si lasciava alle spalle, e quel tradimento era difficile da perdonare. Ianto lo percepiva come una piccola fiammella che cominciava a farsi spazio nel suo cuore. La rabbia e il tradimento stavano crescendo come dei parassiti in lui, e presto ne sarebbe stato divorato.
“Torna presto, Lisa. Altrimenti per me sarà la fine”, pensò tristemente Ianto.
Una volta Lisa aveva detto che in lui c’era sia Ianto che Ignazio, e che se si ripresentava il secondo, bisognava preoccuparsi. Ebbene, Ianto sentiva che quella fiammella nel cuore stava portando a nascere qualcosa di brutto. Di nefasto, e che assomigliava molto a “Ignazio”. E ne aveva paura. Sospirò tristemente, alzandosi dal letto e cominciandosi a preparare per andare a scuola.
<< Ianto? >>, lo chiamò una voce nel buio della stanza.
<< Dimmi Paolo >>, sospirò esausto il giovane.
<< Lo sai che se vuoi parlare, io e Roberto ci siamo, vero? >>, domandò preoccupato Paolo.
<< Si, lo so >>, confermò tristemente Ianto. Sapeva che stava facendo allarmare i due amici, specialmente il giovane dagli occhi nocciola, ma non poteva fare altrimenti.
<< Cosa è successo, quella notte? >>, chiese esitando Paolo.
Ianto rimase paralizzato. Non sapeva che rispondere. Cosa era accaduto quella notte? Ancora non riusciva a capire. Chiuse gli occhi, ed entrò nel bagno senza rispondere all’amico.
 
Meno cinque giorni all’esplosione
 
Ianto sedeva tristemente sul suo letto. Ormai erano tre giorni che Lisa era scomparsa, e il ragazzo non sapevo più cosa pensare. La fiamma nel suo cuore andava ad espandersi, e chissà quando ci sarebbe stato l’incendio che lo avrebbe consumato per sempre. Aveva paura di perdersi di nuovo in quell’oblio che lo aveva pervaso per quattro lunghissimi anni. Non sarebbe riuscito più ad uscirne, specialmente la rabbia lo avrebbe distrutto. Fissava dritto, verso il muro, non sapendo che fare ne che cosa pensare. Aveva paura anche della sua stessa ombra. Erano le sei del pomeriggio, e di Roberto e Paolo non c’era neanche traccia. Per Ianto era anche meglio così, perché la loro presenza avrebbe significato soltanto un moto incessante di compassione. E lui non poteva sopportarlo. Voleva restare solo con se stesso, a pensare e riflettere. A cercare di capire cosa era accaduto quella  notte. Ma le uniche cose che gli venivano in mente erano le lacrime di Lisa. Quelle lacrime salate che avevano bagnato il viso della donna. Sapeva che in tutta quella storia c’entrava il marito della donna, e capiva che durante l’amplesso Lisa avesse perso una parte di se stessa. Ma arrivare ad abbandonarlo li, in quel letto era troppo. C’era sicuramente qualcosa che non sapeva, e quel qualcosa era la chiave per risolvere l’enigma. Ma la rabbia, il dolore, la tristezza di tutta quella situazione, gli impedivano di pensare lucidamente. Sapeva soltanto che ora era solo, di nuovo. E che niente avrebbe potuto arrestare la rabbia che provava, se non il ritorno della donna che amava. Ma poi, valeva davvero la pena aspettarla? Una persona che lo aveva abbandonato, era degna di essere amata? Forse no. Forse Lisa non meritava neanche di essere rimpianta. Ianto sapeva che, di certo, lui non meritava di soffrire in quel modo. Tutto quello che voleva era la pace. E stare finalmente bene.
 
Meno quattro giorni all’esplosione
 
<< Ianto, che ci fai qua sopra? >>, domandò preoccupato Paolo.
Il ragazzo si era rifugiato sul tetto della scuola, a godersi il tramonto. Il rosso fuoco che si espandeva nel cielo, rappresentava ciò che Ianto stava provando. La fiamma ormai era cresciuta, e presto avrebbe consumato il cuore del ragazzo. Questione di giorni.
<< Sappiamo che vuoi restare solo, ma adesso hai bisogno di noi, Ianto >>, affermò dolcemente Roberto.
<< Bisogno degli altri? Beh, a quello che mi risulta, quando ho avuto bisogno di una persona al mio fianco, quella poi mi ha pugnalato >>, rispose sarcastico Ianto.
<< Capiamo quello che vuoi dire, ma non puoi continuare ad andare avanti così. Ti stai distruggendo da solo >>, esclamò preoccupato Paolo.
Ianto, preso da un improvviso moto di rabbia, si alzò dal pavimento, e guardò con profondo astio i due amici.
<< E cosa dovrei fare, sentiamo? Eh? Voi che avete le risposte a tutto, ditemi che cazzo devo fare? >>, allargò le braccia indicandosi intorno. << Guardatevi intorno. Sono sopra un dannato tetto, a fissare il tramonto, cercando di capire, di trovare una semplice ragione per cui io debba soffrire così tanto >>
<< Ianto, non ci sono ragioni per la sofferenza. Arriva e basta. Tu devi solo saperla affrontare >>, rispose saggiamente Roberto.
<< Beh, io non sono una persona stoica. Mi butto giù, e non riesco ad affrontare le difficoltà. Ecco come sono fatto >>, sentenziò il giovane, dando la schiena ai due amici, e tornando a guadare il cielo.
<< No, tu non ti butti giù. Tu ti fai dominare dalla rabbia, che è peggio >>, rispose afflitto Paolo. Ianto sentì il cuore sanguinare. << Io so cosa ti accade in quei momenti, e credimi non mi piace ciò che diventi. Ma stavolta non ti lascio solo ad affrontare tutto. Adesso io sono con te >>.
Ianto cominciò a riflettere su quelle parole. “Adesso io sono con te”. Ma in che modo una persona poteva fare parte della vita di un altro, senza intaccare per sempre l’anima di questa. Le persone lasciano sempre una traccia nella vita degli altri. Una traccia indelebile. E se quella traccia è una ferita dolorosa, allora è impossibile guarire. Ianto sospirò afflitto. Voleva piangere ma non ne aveva le forze. Anche solo versare una lacrima significava affrontare quel dolore. Come quando aveva deciso di opporsi al vuoto che avevano lasciato i genitori e la sorellina. Ma ora non voleva più provare nulla. Voleva sprofondare nell’oblio della sua mente. Alzò lo sguardo, e vide il cielo tinteggiato di rosso.
<< Sapete >>, sussurrò sofferente. << Ho sempre visto la mia vita come un cubo di rubik. Non sono mai stato in grado di trovare l’unica soluzione possibile, per mettere a posto tutti i tasselli. Poi è arrivata Lisa, e improvvisamente ogni cosa ha preso una piega diversa. La soluzione era sotto il mio naso, ed io stavo procedendo spedito verso il raggiungimento della felicità. E ora lei se né andata, e con se ha portato via anche la strada per risolvere il cubo. Ora sono di nuovo disperso. E non so come uscirne. E nessuno può aiutarmi >>. Un brivido percorse la schiena del giovane. Non era un semplice brivido di freddo. Era qualcosa di più profondo, come una scossa nel suo cuore.
<< Tu sai la strada qual è. Devi solo trovare la forza di percorrerla >>, affermò dolcemente Roberto. Ianto percepì dietro di se dei passi, e capì che l’amico si stava avvicinando. Pochi istanti, e una mano forte si appoggiò sulla spalla del giovane, per rassicurarlo. << Capisco il tuo dolore, credimi. Ogni cosa è grigia, insapore e senza forma. Ma non è così. E’ solo la tua percezione delle cose che è cambiata. Devi ritornare a guardare con lucidità il resto del mondo, e finalmente potrai stare bene >>.
Ianto non si voltò, né disse qualcosa. Tornò a fissare il cielo, sperando che un segno potesse giungere. O che almeno una piccola pioggerella spegnesse il fuoco che si propagava nel suo cuore.
 
Meno tre giorni all’esplosione
 
Ianto aprì la porta di quell’appartamento. Una piccola parte di se sperava che Lisa fosse tornata, e che lo accogliesse a braccia aperte. Ma quella speranza fu distrutta immediatamente. Nessun’essere umano era presente in quella casa. Abbandonata da troppi giorni. Come Ianto, anche la casa si sentiva vuota. Desiderava che la proprietaria tornasse, in quel modo avrebbe ripreso vita. Ianto andò a sedersi lentamente sul divano, spettatore di tante scene felici e non. Si appoggiò contro i cuscini e chiuse gli occhi. Immagini di vita passata, iniziarono a scorrere nella mente del giovane. Le pizze mangiate, le conversazioni, le improvvisate, gli abbracci. E poi quella famosa notte in cui tutto era cominciato ed era finito. Con gli occhi della mente rivide il bacio dolce che aveva scambiato con Lisa. Ma niente di tutto ciò gli provocava un qualsiasi tipo di sollievo. Sentiva solo il dolore e il vuoto. La fiamma prendeva sempre più vita, e la paura di quella rabbia devastante, gli faceva vivere male anche un semplice minuto. Riaprì di scatto gli occhi, non sopportando più il peso dei suoi ricordi. Appoggiò la fronte contro i palmi della mano, cercando di rilassarsi. Ma niente aveva effetto. Quella donna lo aveva devastato nel profondo. Il suo animo era sottosopra, e niente riusciva ad alleviare il dolore che provava. Purtroppo non riuscì neanche ad allontanare dalla mente i ricordi, poiché questi si tramutarono in un disco di parole pronunciate da Lisa. Aveva detto che sarebbe stata sempre con lui, ma non era vero. L’aveva abbandonato. A Ianto mancava tantissimo quella donna. Le risate, gli scherzi, il prendersi in giro… ogni cosa lo faceva stare male. Un male da cani. E più stava male, più la rabbia aumentava. Nonostante avesse detto che non l’avrebbe lasciato, se n’era andata di sua spontanea volontà. Ianto si alzò dal divano e cominciò a passeggiare nervosamente per tutto il salotto. Non trovava pace da nessuna parte. Aveva bisogno di vederla per stare meglio. Ma ciò non era possibile. Era quasi come desiderare di rivedere i suoi genitori e sua sorella. Vagò per la stanza, quando improvvisamente inciampò in qualcosa. Spostò lo sguardo verso l’oggetto incriminato, e vide un libro. Incuriosito, si avvicinò e prese il libro da terra. Lo esaminò attentamente, e quando vide il titolo impallidì. “Angeli e Demoni”. Il libro che una volta aveva usato per minacciarlo, quasi come se fosse un ladro. Il giorno in cui si era svegliato in casa di Lisa, dopo aver deciso di affrontare il suo dolore. Il giorno in cui tutto era cominciato. Il giorno in cui la sua vita aveva intrapreso quel percorso, e che alla fine lo aveva portato li. Una grandissima rabbia lo prese forte. Si alzò, e con forza scagliò il libro contro il divano. Sperava quasi di distruggerlo, così avrebbe distrutto anche quella parte di lui che ancora amava quella donna. Una parte che ancora aspettava il ritorno di Lisa, come un cucciolo di cane abbandonato in mezzo alla strada che aspetta il ritorno dei propri padroni. Si guardò intorno rivedendo nuovamente, scene di vita vissute con la donna. Ovunque! Non c’era neanche una sola mattonella di quella casa che non fosse impregnata del ricordo di loro due insieme. Anche la più sciocca immagine si ripresentava, creando una profonda cicatrice nel giovane. La stanza cominciò a girare velocemente, come un tornado, e immagini del passato si mischiavano ad altre, creando un unico film. Ianto si sentì sopraffare, non aveva vie di uscita. Il cuore batteva furioso nel petto, sanguinando sempre di più. L’aria sembrava stesse sparendo, e annaspava sperando di sopravvivere. Ianto si guardava intorno, desiderando di trovare una via d’uscita, ma non c’era. Aveva paura. Molta paura. Paura di non farcela, di morire li, in quel posto e in quel momento. La stanza girava sempre più veloce. Infine, Ianto si bloccò e cominciò a d urlare disperato. Ad urlare con tutto il fiato in gola. Ad urlare con tutte le sue forze, sino a rimanere senza aria. Urlava tutto il suo dolore, e lo sconforto. Poi si lasciò cadere a terra, distrutto e provato in corpo. Non aveva più un briciolo di forze per restare in piedi. Sentì qualcosa colare sulle sue guance. Qualcosa di bagnato. Si toccò il volto e scoprì delle lacrime scorrere verso il basso. Ma non si sentì meglio, anzi stava sempre peggio. Non era stato come quando aveva pianto per i genitori. Quando, dopo aver versato quelle lacrime, si era sentito subito meglio. Il peso nel cuore era aumentato, insieme alle fiamme della rabbia. Quel pianto gli aveva aperto gli occhi: era davvero solo. Aveva perso tutto ciò che amava.
 
Meno due giorni all’esplosione
 
Ianto stava uscendo dalla classe. Anche quel giorno vuoto era passato. Ormai erano cinque giorni che Lisa era scomparsa, e il giovane non sapeva che fare. Dopo aver pianto tutte le lacrime in corpo, il giorno prima, aveva abbandonato quella casa di fretta e, senza pensarci neanche un’istante, aveva gettato per strada le chiavi di quell’appartamento. Non voleva più tornarci, ne avere a che fare con quelle quattro mura. Chiudendosi la porta alle spalle, aveva anche abbandonato le memorie struggenti che lo legavano alla donna. Ora non gli restava veramente più nulla. E la paura di quella rabbia che lo stava bruciando vivo si era tramutata in una sottile speranza. L’unica cosa che gli rimaneva era la speranza di poter stare meglio, anche vivendo per la rabbia. Si gettò la cartella sulle spalle, e si incamminò verso l’aula 213. Quell’abitudine non l’avrebbe mai persa, probabilmente. Anche se forse quell’aula era un altro posto da evitare. Ma non riuscì ad sottrarsi dall’andarci. Appena varcata la soglia dell’aula, nuove immagini lo investirono. Ma il vuoto che sentiva, lo proteggeva come uno scudo. I ricordi gli rimbalzavano addosso, senza scalfirlo. Perché, semplicemente, non c’era più niente da distruggere. Si avviò verso la solita sedia, prendendo posto vicino alla finestra. Poi, quasi come un riflesso incondizionato, guardò le nuvole. La mente si svuotò di ogni cosa, e anche il cuore non provò più nulla. C’era solo il silenzio intorno. Non c’era più niente. Passarono pochi minuti, o forse ore, ma non se ne accorse. Finché la sua mente fu riportata nella realtà, dal bussare incessante sulla porta. Si voltò di scatto verso il rumore, e vide otto persone fissarlo. I suoi amici lo guardavano con dolcezza e compassione.
<< Ciao >>, li salutò senza inflessione nella voce.
<< Ehi >>, ricambiò il saluto Mario.
<< Possiamo entrare? >>, domandò timoroso Carlo.
<< E’ un paese libero. Potete fare quello che volete >>, rispose senza espressioni il giovane.
<< Però, bella perla di saggezza, amico. Complimenti >>, affermò divertito Mario, entrando nell’aula, seguito poi dagli altri.
<< Allora, che ti prende? >>, domandò Fabio, guardandolo pensieroso.
<< Niente >>, minimizzò Ianto riprendendo a guardare fuori dalla finestra.
<< Se, come no, e io sono etero >>, sbuffò Roberto.
<< Beh, sarebbe un’interessante piega >>, rispose sarcastico Ianto.
<< No grazie, preferisco non vederla quella piega >>, affermò prontamente Paolo.
<< Meglio vivere con delle fette di prosciutto sugli occhi, piuttosto che accettare la realtà >>, disse senza intonazione Ianto.
<< Meglio vivere con le fette di prosciutto sugli occhi, piuttosto che ridursi ad un vegetale come te >>, continuò con lo stesso tono di voce Andrea.
Ianto sbuffò infastidito. Si voltò verso gli amici, e li guardò con astio uno ad uno.
<< Insomma, che volete da me? >>, domandò rabbioso il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Vogliamo il tuo bene, Ianto. Ecco cosa vogliamo >>, affermò con decisione Marco.
<< Parli proprio tu, che ti sei fatto dominare dalla rabbia per anni >>, sputò con odio Ianto. Sapeva che così facendo lo feriva, ma non gli importava. Una parte di lui gli urlava di tornare se stesso, di uscire e di riprendere a vivere con amore. Ma la fece zittire.
<< Si, parlo proprio io. Io, che per colpa del mio rancore, ho perso la possibilità di godermi mio fratello. Una possibilità che non riavrò mai più indietro >>, affermò Marco con dolore. Ianto intravide una lacrima negli occhi dell’amico, e si sentì tremendamente in colpa. << Ma ora non ha più senso stare qui a pensare a quello che si è perso. Bisogna reagire e andare avanti, per il bene di chi se n’è andato >>.
Ianto prese per vere quelle parole. Perché le aveva provate sulla sua pelle quando aveva pianto per la morte della sua famiglia. Ma la situazione era diversa. Perché Lisa non era morta, ma se n’era andata di sua spontanea volontà. Lei, con le sue stesse gambe, aveva deciso di andarsene, lasciandosi tutto alle spalle. Anche il cuore di Ianto. Il giovane si alzò dalla sedia, e fissò con dolore l’amico. Sospirò afflitto, e prese a parlare.
<< Vincenzo non se ne sarebbe mai voluto andare. Se avesse potuto scegliere, sarebbe rimasto qui con te, al tuo fianco >>, una lacrima scese dagli occhi di Marco. << Ma Lisa è viva. E se n’è andata, perché per lei è stato molto più facile così. E’ molto più facile lasciarsi alle spalle i problemi, e decidere di ignorarli. Costa meno fatica. Restare è per i coraggiosi, gli impavidi di cuore, o per gli incoscienti >>, la sua voce mal celava la rabbia che provava nei confronti della donna. << Lei se n’è andata perché non era disposta a lottare per quello che voleva veramente. Ed io non sono disposto ad aspettare qui il suo ritorno. Mi dispiace >>.
Passò oltre i suoi amici, e si incamminò verso l’uscita. Ogni passo che faceva, era un pezzo di cuore lasciato alle sue spalle. Ancora poco e avrebbe perso ogni cosa. La fiamma lo stava divorando ormai. Nessuno provò a fermarlo, perché sapevano che non avrebbero potuto fare nulla. Arrivato sulla soglia della porta, si fermò perché gli venne in mente una frase che esprimeva appieno ciò che provava.
<< Jim Morrison una volta disse: “Dicono che l’amore è vita. Io per amore sto morendo” >>.
Poi, senza aggiungere altro, riprese il suo cammino.
 
Meno un giorno all’esplosione
 
<< Sei di nuovo qui? >>, domandò Roberto.
Ianto, seduto nuovamente sul tetto della scuola, non si stupì di essere seguito.
<< Si, perché? Disturbo? >>, rispose sarcastico.
<< Non dire idiozie >>, affermò stanco Paolo.
<< Non dovresti neanche farle, in effetti, le idiozie. Ianto parla con noi >>, lo supplicò Roberto.
Il giovane dagli occhi di ghiaccio si alzò, con un sospiro. Si voltò verso gli amici e li fissò intensamente.
<< Che cosa volete che vi dica? Quanto mi manca Lisa? Quanto vorrei rivederla, stringerla tra le braccia e sentire nuovamente la sua voce? >>, la fiamma nel suo cuore cominciò a pulsare. Ormai era questione di qualche ora e poi sarebbe esplosa. << Volete che vi dica che sono furioso perché mi ha lasciato? O che non riesco a capire cosa sia andato storto? >>, improvvise lacrime cominciarono a scendere sul volto del giovane. << O che sto male, come forse non sono mai stato in vita mia? Che sento un profondo vuoto nel petto, che mi risucchia l’anima giorno dopo giorno? Che vorrei poter tornare indietro e trattenerla? Che volete sentirvi dire? >>.
Sospirò afflitto, e abbassò lo sguardo, incapace di fissare gli amici ancora. Il loro sguardo era troppo forte e penetrante. Impossibile da sostenere.
<< Mi dispiace >>, mormorò tra le lacrime Paolo.
Poi ci fu un profondo silenzio. Nessuno dei tre aveva il coraggio di parlare. Infine Ianto sentì un respiro più profondo.
<< Sai, quando ero un prostituto, sentivo spesso quel vuoto. La mia anima veniva risucchiata, quasi come se ci fosse un buco nero. Eppure ogni giorno quando mi svegliavo, mi scoprivo ancora vivo con un’anima presente >>, Roberto si avvicinò al giovane dagli occhi di ghiaccio, e gli mise la mano sotto al mento, costringendolo a guardarlo. << Noi crediamo che quando qualcuno ci fa soffrire, si porta via un pezzo di noi. Ma non è così. Non sono dei ladri capaci di rubare il nostro cuore. Siamo noi che sopprimiamo una parte del nostro cuore, come se questo ci permettesse di continuare a vivere. Ma uccidendoci, non si sopravvive >>.
Ianto lo fissò con dolore. Profondo ed immenso dolore. Poi copiose lacrime solcarono il suo viso. Prese il giubbotto dell’amico tra le mani, e lo strinse forte, cercando di aggrapparsi a qualcosa. Qualcosa che gli permettesse di farlo vivere ancora. Un forte vento cominciò a soffiare. Ianto alzò lo sguardo, e prese a fissare il cielo, e vide le nuvole spostarsi. Un’immagine improvvisa comparì li, in quella distesa d’azzurro. Il volto di Lisa, sorridente, che lo fissava. Inizialmente quell’immagine gli scosse il cuore amorevolmente. Come se rivederla, anche nel cielo, gli avesse dato sollievo. Ma quella sensazione sparì presto. Improvvisamente sentì solo rabbia invaderlo. La rabbia per quella donna che lo aveva lasciato senza dargli spiegazioni. Una donna che lo aveva illuso di poter essere felice una seconda volta. E che poi aveva distrutto tutte le sue speranze. L’immagine di Lisa scomparve dal cielo, e tornò a fissare le nuvole. Le vide seguire il percorso designato dal vento. Inaspettatamente desiderò essere una nuvola. Una nuvola che seguiva passivamente il vento. Un vento capace di portarlo via, verso orizzonti migliori. Voleva seguire il vento, così sarebbe potuto andare via da li. Sarebbe potuto andare sempre più lontano da lei. Dalla donna che lo aveva distrutto.
<< Il vento >>, sussurrò Ianto.
<< Cosa? >>, domandò perplesso Roberto.
Paolo intanto si era avvicinato, e fissava dubbioso i due amici.
Il giovane dagli occhi di ghiaccio, però, non rispose. Voleva continuare a contemplare la risposta che avrebbe potuto alleviare quella sofferenza. Il vento avrebbe spento il fuoco della sua rabbia. E lo avrebbe allontanato per sempre da Lisa.
 
Giorno dell’esplosione
 
Ianto arrivò svogliatamente in classe. Non aveva dormito per l’ennesima volta. Ormai non ce la faceva più a sopportare quella situazione. Presto sarebbe crollato. Entrò nell’aula e si accomodò al suo posto, senza degnare di uno sguardo i suoi amici. Paolo e Roberto lo fissavano preoccupati e dispiaciuti. Quegli sguardi però infastidivano sempre di più Ianto, che voleva solo essere lasciato in pace. Era passata una settimana da quando aveva visto per l’ultima volta Lisa. Sospirò affranto. Il fuoco della sua rabbia aveva raggiunto il suo limite. Bastava un solo ed ultimo avvenimento, e sarebbe esploso nel petto del giovane. Stava riflettendo su quella sua situazione, quando entrò il preside in classe. Un’orribile sensazione attraversò la spina dorsale del giovane. Una sensazione nefasta.
<< Buongiorno ragazzi. Ho da farvi una comunicazione >>, esordì l’uomo.
I vari compagni di classe si accomodarono, silenziosi. Ianto, invece, cominciò ad agitarsi sulla sedia. Sudava freddo e sentiva il cuore pompare forte nelle vene. Più o meno avvertiva le stesse sensazioni provate una settimana prima, quando era stato comunicato che Lisa sarebbe stata assente.
<< Ho parlato con la vostra insegnante. E mi ha comunicato quanto tempo ha intenzione di stare via >>, l’uomo fece una pausa. Quasi come se cercasse le parole adatte. Guardò ciascun alunno, poi il suo sguardo si poggiò su Ianto. Sembrava quasi come se stesse comunicando con il giovane. Il suoi occhi trasmettevano tristezza e compassione. A Ianto non piaceva quella situazione. Il preside, infine, sospirò stancamente. << La professoressa Cristillo mi ha comunicato che sarà assente… per un tempo indeterminato >>.
A Ianto parve di sentire la sua sentenza di morte. Il cuore cominciò a pompare sempre più forte, finché non avvertì un’esplosione in petto. Le fiamme erano dilagate in tutto il suo corpo, e la rabbia lo dominò. Si alzò di scatto dalla sedia, quasi come se si fosse ustionato, e corse fuori dall’aula, ignorando il preside. Corse senza sosta, verso il tetto. Sperava di sentire il vento spegnere le fiamme nel suo corpo. Ma quando giunse fuori, con orrore constatò che non c’era un solo filo d’aria. Era tutto completamente immobile. Si girò intorno, in preda al panico. Il cuore batteva furioso. Poi, improvvisamente si paralizzò. Anche il giovane si bloccò. Emise un forte gemito, e un respiro strozzato attraversò la sua gola. Si guardò il petto, e un’orrenda consapevolezza lo pervase. Il suo cuore era vivo, ma non batteva più. Aveva perso tutto. Ora non c’era più niente che lo tratteneva. L’amore era scomparso, e restavano solo le fiamme. Chiuse gli occhi, sconfitto e si lasciò divorare. In quel momento sentì dei passi avvicinarsi, e capì senza neanche voltarsi chi fossero.
<< Ianto? >>, domandò incerto Roberto.
<< Ianto, tutto bene? >>, continuò preoccupato Paolo.
“Diciamo che ‘Ianto’ è la vera personalità di questo scemo. È quando torna ad essere ‘Ignazio’, che bisogna preoccuparsi”
Le parole di Lisa risuonarono nella mente di Ianto, e allora capì cosa quelle fiamme avevano portato. Riaprì gli occhi, e un sorriso malvagio apparve sul volto del giovane.
<< Ianto? Ianto è morto! Non esiste più. Adesso c’è solo Ignazio >>.
 
Tre settimane dopo
 
Giravo silenziosa per quella casa. Ormai era quasi un mese che pernottavo li, tra quelle mura. Sapevo di non disturbare nessuno, eppure non ero del tutto tranquilla. Dopo quella mattina del primo di febbraio, ero scappata verso la stazione, e avevo preso il primo treno per tornare a casa. Ma non nell’appartamento a Napoli, dove vivevo. Bensì nella casa in montagna di mio marito, dove nel retro della casa, fuori dal giardino, era stato creato un cimitero di famiglia, e dove mio marito era stato seppellito. Dalla finestra della cucina, si poteva benissimo vedere quel luogo spettrale. Sapevo che in passato, la famiglia di mio marito, avesse chiesto un permesso speciale al comune per fare diventare quel luogo, un posto di riposo eterno. Stranamente, con molte fatiche, avevano ottenuto quel permesso, e adesso li vi era la lapide dell’uomo che avevo amato e che avevo sposato. Un uomo che ormai non c’era più da due anni. Quel giorno, infatti, era l’anniversario della sua morte. Due anni fa, mio marito si era spento, lasciandomi qui tutta sola. Sospirai afflitta, ricordando quei momenti. Poi altri ricordi si insinuarono nella mia mente. E tutti avevano come protagonista un giovane dagli occhi di ghiaccio, che mi fissava felice. Ianto mi mancava molto, ma non era ancora tempo per tornare. In quelle quattro settimane non avevo avuto il coraggio di affrontare il mio demone. Spesso la mente ritornava a quella notte, quando avevo fatto l’amore con il giovane. Mi domandavo cosa avesse provato il ragazzo svegliandosi in un letto vuoto, e leggendo il mio biglietto. Qualcosa mi diceva che si sarebbe sentito solo e abbandonato. Ma per il bene di entrambi, era necessario allontanarmi. E quando sarei tornata da lui, gli avrei raccontato ogni cosa. Sospirai nuovamente, guardando il cimiero.
<< Non ci sei ancora andata? >>, domandò una voce alle mie spalle.
<< No, signora >>, negai con tristezza, alla madre di mio marito.
La donna aveva preso a vivere in quella casa di montagna, dopo la dipartita del marito. Voleva stargli vicino, e andarlo a trovare tutti i giorni. Non avevo conosciuto mio suocero, ma dalle descrizioni della mamma di mio marito, l’uomo doveva essere splendido. Come mia suocera. Una donna sui settantasette anni, arrotondata per via dell’età, capelli bianchì e setosi raccolti in una cosa bassa. Occhi neri, e un viso rugoso ma ancora affascinante. Da giovane era stata una bellissima donna, e da anziana si era mantenuta davvero bene. Ma quello che la rendeva speciale, era il suo carattere. Buona d’animo, disponibile verso tutti, gentile e amorevole. Insomma, perfetta
<< Perché non ce la fai? >>, domandò la signora.
<< Lo sa il perché >>, risposi seccata.
<< Si, è vero. Ma mi era parso di capire che fossi tornata per un motivo ben preciso >>, continuò la donna. << E cioè che dovevi chiudere con tutta questa storia >>
<< Non è facile >>, sussurrai sofferente, abbassando lo sguardo.
La signora poggiò una mano sulla mia spalla, invitandomi a guardarla. Quando lo feci, vidi profondo amore.
<< Bambina mia, non è mai facile chiudere con il passato. Ma se guardi con attenzioni, ti accorgerai che ciò da cui stai scappando, non sono altro che memorie sepolte in noi. Non bisogna avere paura di quello che ci si lascia alle spalle >>, mormorò dolcemente la signora. Poi poggiò una mano sulla mia guancia e mi fece una profonda carezza. << Mio figlio non avrebbe voluto che tu fossi rimasta aggrappata in questo modo a lui. Vorrebbe che tu fossi felice, e che proseguissi nel cammino della tua vita >>, poi staccò la mano dalla mia guancia e si allontanò. Sulla soglia della porta, però, si voltò e tornò a guardarmi. << Devi tornare a vivere, Lisa. Solo così potrete essere felici entrambi >>.
Detto ciò la donna si voltò, e riprese il suo cammino. Fissai per qualche istante la porta della cucina, sentendo delle calde lacrime rigarmi il volto. Aveva preso a piangere senza neanche rendermene conto. Mi asciugai con la manica della maglia, il mio viso. I miei gesti erano intrisi di rabbia, e dolore. E anche quel semplice movimento, fu accompagnato da uno strascico furioso. Basta, dovevo porre fine a quella storia. Aprii di colpo la porta che dava sul retro del giardino, e mi incamminai a passo spedito verso il cimitero. Varcato l’ingresso di quel luogo, la mia determinazione vacillò. Ero davvero pronta a lasciare andare il passato? A lasciare andare via da me mio marito? Non lo sapevo. Non ero più sicura di nulla. Cominciai a tramare per la paura. Ogni azione genera delle conseguenze. Ed io sapevo che quel mio gesto avrebbe generato una conseguenza talmente importante, che non mi sarebbe più stato possibile tornare indietro. Mi incamminai con passi meccanici verso la lapide di mio marito. Quando la raggiunsi, nuove lacrime cominciarono a scendere, ma le scacciai via velocemente. Presi a fissare la foto incastonata nel marmo. Un uomo di bell’aspetto. Occhi marroni, giovane, dai capelli scuri e corti. Alle volte mi domandavo come una persona simile avesse scelto proprio una come me. Sorrisi ai vari ricordi di me e di mio marito, insieme. Improvvisamente sentii un calore invadermi il petto. Capii che stava ricominciando. Che il mio demone era tornato. Chiusi forte gli occhi, sapendo che stava giungendo l’atto finale. Ed io dovevo essere forte e soprattutto pronta. Ma la verità era che non lo ero. Cominciai nuovamente a tremare da capo a piedi. Aprii lentamente gli occhi e mi voltai alla mia sinistra. Vidi un uomo avvicinarsi. Sapevo esattamente chi fosse, e rimasi li attenendo di essere raggiunta. Quando l’uomo mi fu accanto, sorrise dolcemente e mi fissò dal suo metro e ottanta. Come mi era mancato quel sorriso.
<< Cia Lisa >>, mi salutò amorevolmente.
Inspirai ed espirai forte. Più volte, quasi come se cercassi di prendere tempo. Poi, capendo che non potevo fare altrimenti, sospirai forte, e guardai con dolore e amore allo stesso tempo la persona che avevo di fronte. La paura prese il sopravvento. Sapevo che la mia voce sarebbe uscita sottile e roca, appena avessi cominciato a parlare. Ma il mio interlocutore avrebbe capito ogni mia parole. Quindi mi decisi a parlare.
<< Ciao Diego >>. 




Salve gente...innanzitutto chiedo scusa per il ritardo, ma non ho potuto fare altrimenti...poi chiedo scusa per il capitolo...non è un granchè e mi dispiace molto...non solo avete aspettato due settimane per leggerlo, ma in più non è il massimo :( se volete potete linciarmi...
dett questo, non ho molto da commentare...perchè se ve ne parlo, rischio di rivelarvi qualcosa dei prossimi capitoli, ma non voglio rischiare...solo una domanda voglio farvi: chi è Diego? O.O boh, chi lo sa...si vedrà nel prossimo capitolo XD
ringrazio tutte quelle che recensiscono sempre la mia storia...grazie mille gente...è per merito vostro che vado avanti, e non mi stancherò mai di dirvelo...in più invito a chi legge la storia, a lasciare un commentino veloce per sapere cosa ne pensate, e se avete delle idee da suggerire...
ah, vi invito anche a passare per il mio contatto facebook (
http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl), così possiamo parlare delle storie che scrivo ecc...XDXD
ah, vi invito anche a leggere la mia ultima OS, che trovate nella mia pagina...e se vi va di lasciare un commentino XDXD
quante richieste che ho fatto stasera O.o
va beh, ora vi lascio, dicendovi buona notte...ci vediamo martedi prossimo con il nuovo capitolo
un bacio
Moon9292


"Lisa Cristillo, vuoi sposarmi?"

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Capitolo 22
*** Ricordi d'amore ***


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Capitolo 22 - Ricordi d'amore


<< Beh Ianto >>, dissi voltandomi prima di scendere l’ultimo scalino del treno, << è stato bello conoscerti. Strano ma bello >> aggiunsi divertita.
<< Anche per me. Strano, ma bello. E anche istruttivo. Grazie >>, mi disse sinceramente. Per la prima volta da quando avevo cominciato a parlare con lui, scorsi nell’espressione e nei modi di fare, la sua vera età. Sembrava un pulcino indifeso e abbandonato, ma con tanta voglia di combattere. Fui sinceramente colpita.
<< Prego. E mi raccomando, la prossima volta, non fare filone. Pardon, fare sega >>, dissi con un sorriso scendendo l’ultimo scalino e fermandomi sulla banchina. Mi voltai verso di lui e guardai con lentezza le porte richiudersi alle mie spalle. I nostri occhi si incontrarono un’ultima volta. Quello sguardo di ghiaccio sarebbe rimasto per tutta la mia vita impressa nella mia memoria. Poi dopo qualche minuto il treno ripartì portandosi via con se il giovane ragazzo venuto da chissà dove che in una sola mattina mi aveva insegnato molto più di quello che s’impara a scuola. Mi aveva insegnato a vivere. Lo ringraziai mentalmente. Mi voltai e m’incamminai verso quel cambiamento che ancora non sapevo, sarebbe avvenuto da li in poi.
Arrivai in facoltà che erano quasi le nove. La lezione del mattino stava cominciando, ed io non potevo permettermi ritardi inutili. Ero la migliore del corso, ma purtroppo, a causa dei miei mille impegni, non ero ancora riuscita a prendere la specialistica. Mi mancavano tre esami in tutto, però era degradante sapere di essere ancora una studentessa, quando gente molto più inetta di me, era già nel mondo del lavoro. Per fortuna avevo già ricevuto delle proposte da alcuni dei laboratori più importanti d’Italia, grazie alla mia tesi di laurea. Però, finché non concludevo la specialistica, non potevo accettare nulla. Ah, Dio, come odiavo la mia vita certe volte. Sbuffai sonoramente, mentre mi incamminavo nei cortili della facoltà. Come mia abitudine, non guardavo davanti a me, ma fissavo con intensità il terreno, e nel frattempo mi perdevo nelle mie fantasie più sfrenate. Riflettevo su quanto alle volte le cose non andassero nel modo giusto, quando andai a scontrarmi. Caddi rovinosamente a terra, col sedere dolorante.
<< Ahi >>, mi lamentai.
<< Oddio, scusami. Ti sei fatta male? >>, domandò una voce maschile in preda all’ansia.
<< Noo, assolutamente. Anzi, è come se le mie chiappe avessero appena subito un massaggio shiatsu >>, ironizzai incattivita dalla botta.
<< Ah, allora è stato un bene >>, commentò divertito il mio assalitore personale.
Alzai lo sguardo di scatto, con l’intenzione di fulminare chiunque fosse la causa del mio dolore. Ma quando posai la vista sulla persona di fronte a me, il cuore perse un battito. Un ragazzo alto un metro e ottanta, capelli scuri e occhi castani. Un sorriso ampio e tenero, con un filo di barba incolta ad incorniciare un viso stupendo. Ogni centimetro di quella pelle, emanava dolcezza allo stato puro. Rimasi a bocca aperta, fissando sempre più intensamente la figura davanti a me. Nel giro di poche ore, avevo incontrato due degli esponenti maschili più belli sulla terra.
<< Ehilà >>, richiamò l’attenzione il mio interlocutore.
Scossi velocemente la testa, consapevole dell’orrenda figura che avevo fatto. Avevo passato gli ultimi tre minuti a fissare imbambolata il ragazzo di fronte a me. Di certo non si poteva dire che ero partita col piede esatto. Mi alzai velocemente, senza posare lo sguardo sul giovane. Raccolsi le mie cose cadute, e senza neanche dirgli una parola, mi dileguai nel giardino della facoltà.
<< Ehi, aspetta >>, mi urlò dietro il giovane, ma non mi voltai.
Passarono le prime ore della mattina, senza che il mio cervello avesse combinato qualcosa. I miei pensieri erano completamente andati per il volto di quel ragazzo incontrato nel giardino. Sospirai tristemente, riflettendo sul fatto che non avevo una relazione con un giovane da tantissimo tempo. Anche troppo. Ormai ero certa di non sapere neanche più come si baciasse una persona. Mi incamminai a testa bassa, verso la mensa scolastica. Ad un certo punto, senza neanche rendermene veramente conto, mi ritrovai nuovamente col sedere piantato a terra, pulsante e dolorante.
<< Ouch >>, mi lamentai, massaggiandomi il fondoschiena.
<< Forse sul tuo culo c’è una calamita attira pavimenti. Questo spiegherebbe perché passi più tempo a terra che in piedi >>, scherzò divertito la persona che mi aveva mandato giù.
Quando alzai gli occhi, ritrovai lo stesso ragazzo della mattina a fissarmi. Il suo sguardo sprizzava gioia. Un moto di rabbia mi attraversò da capo a piedi. Odiavo la gente che si prendeva gioco di me, e non importava che il giovane fosse davvero bello o altro. Nessuno poteva prendermi in giro.
<< Senti tu >>, iniziai a ringhiare alzandomi da terra. << La vuoi piantare di schiantarmi al suolo, neanche stessimo giocando a rugby? Il mio culo è fatto di carne e ossa, non di una molla gigante >>.
<< E siamo anche spiritose. Interessante! >>, scherzò il ragazzo, fissandomi sempre col suo sorriso tenero in viso. << Incassi i colpi come un uomo, hai un caratterino niente male, e sei anche dotata di una bellezza straordinaria >>, il giovane mise le mani sulle mie spalle, mi fissò intensamente e poi con un’aria decisamente seria disse: << Sposami! >>.
In quel momento rimasi scioccata. Ero allibita da quelle parole assurde e dette con tanta tranquillità, quasi non si rendesse conto della loro portata. Scossi impercettibilmente la testa, cercando di capire se stavo sognando oppure no. Ma quando, da quelle mani poggiate sulle mie spalle, un calore si diffuse in tutto il corpo, procurandomi un forte brivido di piacere, capii di essere davvero li.
<< Ma ti sei ammattito? Sono io che sono caduta, non tu. Da dove ti escono fuori certe cose? >>, domandai scioccata.
<< Sei la donna perfetta. Non voglio che mi scappi dalle mani >>, rispose calmo.
<< Io…davvero…sono scioccata >>, affermai allontanando dalle mie spalle quelle mani caldissime.
<< Addirittura? Solo perché hai ricevuto una proposta di matrimonio? Moltissime tue coetanee farebbero i salti di gioia >>, disse divertito il giovane.
<< Ma che ho oggi. Emano ormoni che attirano gli idioti? >>, mi domandai ricordando l’incontro avuto con il ragazzino nel treno quella mattina.
<< Uhm, sicuramente degli ormoni che attirano li emani, ma non so se serva per accalappiare idioti. Insomma, hai preso me >>, e si indicò con serietà.
<< Appunto >>, esclamai acida. << Senti, finiamola qui, con questa commedia. Sono stanca e ho fame. Voglio andare a mangiare qualcosa, quindi…ciao >>, e così dicendo mi scansai avviandomi verso l’interno della facoltà.
<< Aspetta >>, e una sua mano mi afferrò il braccio, bloccandomi. << Come ti chiami? >>
<< Perché vuoi saperlo? >>, domandai sulla difensiva.
<< Perché voglio conoscere il nome della mia futura moglie >>, affermò con serietà il giovane, sorridendomi sempre. Nel suo tono avvertii anche un fare ammaliante.
<< Lisa >>, risposi controvoglia.
<< Lisa. Un nome davvero speciale per una ragazza speciale >>, commentò il ragazzo allargando sempre di più il sorriso.
<< E di grazia, potrei sapere io con quale pazzo evaso da un manicomio sto parlando? >>, chiesi ironica.
<< Il mio nome è Diego. Non dimenticarlo, dolcezza >>, rispose con voce sensuale.
<< Oh, stai sicuro che non posso dimenticarlo >>, commentai sarcastica.
Poi staccai la mano di Diego dal mio braccio e mi avviai verso la mensa.
<< E’ stato un piacere, pazzo di nome Diego >>, lo salutai voltandomi un’ultima volta.
<< Il piacere è tutto mio >>, rispose sorridendo.
Mi allontanai di qualche altro passo, quando la sua voce mi raggiunse nuovamente.
<< E ricordati che presto diventerai mia moglie >>.
Un sorriso spontaneo comparse sul mio volto.
 
<< Allora ci esci con me >>, mi domandò per l’ennesima volta Diego.
<< Per la milionesima volta. No, non ci esco con te >>, sbuffai infastidita.
<< Ma perché no, scusa? Insomma, siamo promessi sposi >>, si lamentò il ragazzo con voce infantile.
Sospirai portandomi le mano nei capelli. Era passato già un quarto d’ora, da quando aveva cominciato con quella specie di mantra. Da quando ci eravamo conosciuti, Diego non faceva che darmi il tormento. Era passato un mese dal nostro primo scontro, e da allora non si era più staccato da me. Voleva conoscermi, parlarmi, passeggiare con me, uscire con me, accompagnarmi a casa. Insomma, voleva passare tutte e ventiquattro le ore insieme. Ed io ero giunta al mio limite. Non che la sua presenza mi dispiacesse davvero. Era un ragazzo bellissimo, e anche intelligente. Frequentava la facoltà di lettere e filosofia, e stava anche per laurearsi. Anche a lui, come me, mancavano tre esami per la laurea. Era un ragazzo brillante, e con un sogno da seguire: diventare insegnante di liceo. Mi aveva raccontato di desiderarlo da quando aveva dieci anni. Un sogno davvero forte. E questo mi piaceva. In più era anche divertente e spiritoso. Un ragazzo perfetto. Eppure ne ero intimidita. Una specie di campanello d’allarme mi risuonava in testa. Qualcosa mi diceva che dovevo stargli lontana, oppure sarei caduta nella sua trappola. Una trappola mortale, a giudicare dalla portata del mio allarme personale. Comunque, nell’ultimo quarto d’ora aveva deciso di ossessionarmi con la sua richiesta di uscire insieme.
<< Senti, finiscila con questa storia dei promessi sposi >>, affermai incattivita.
<< E perché? >>, domandò davvero sorpreso.
<< Primo, perché è una baggianata. Secondo, odio essere presa in giro, specialmente su una cosa tanto importante. Terzo, non ti ho neanche detto si, quindi non siamo promessi sposi >>, elencai i punti sempre più inalterata.
<< Ancora non hai detto si. Appena esci con me, scommetto che accetterai di corsa >>, affermò Diego allargando il sorriso.
<< Ma perché ti sei fissato con me? >>, domandai esasperata.
<< Perché il mio istinto mi dice che sei la persona giusta per me >>, rispose con dolcezza.
Rimasi senza parole. Quella spontaneità nel dire certe cose mi lasciava davvero perplessa. Era disarmante alle volte. Odiavo sentirmi così impotente per i suoi modi di fare, e ne ero anche irrimediabilmente attratta. Quel ragazzo rappresentava davvero una minaccia per me. Ogni centimetro del mio corpo urlava perché mi allontanassi da quel giovane. Il mio cuore, invece, gridava a gran voce di avvicinarmi a lui, e di cadere in quel baratro ignoto che mi si stagliava di fronte. Non sapevo che fare.
Se perdi 24 ore della tua vita non le recuperi. Proprio per questo io credo che dobbiamo godercela fino in fondo questa vita. E’ troppo breve per poterla sprecare coi ma e con i se. E se questo significa fare filone e guardare il panorama che ci circonda, oppure fermarci a parlare con uno sconosciuto in treno. Oppure, ancora, buttarsi a capofitto in qualcosa senza certezze e senza promesse, solo per poter gustare sulle proprie labbra il vero gusto della vita… allora io credo che dobbiamo farlo. Bisogna vincere le proprie paure e le proprie insicurezze e fare quello che si vuole’
Le parole dette quella mattina di un mese prima, improvvisamente, risuonarono nella mia testa. Mi spingevano verso l’ignoto, verso il buttarsi nell’avventura, e fare quello che riteniamo giusto per noi. Per la nostra felicità. Quelle parole, mi stavano spingendo verso il baratro. Un sorriso entusiasta comparse sul mio volto.
<< Perché stai sorridendo? >>, domandò incuriosito Diego.
Ma si, chi ero io per andare contro alla mia stessa volontà?
<< Sai una cosa >>, affermai prendendolo alla sprovvista. << Ci esco con te. Ci vediamo stasera alle otto? >>, domandai sorridendo complice.
Gli occhi di Diego si spalancarono. Non se l’aspettava di certo questa piega improvvisa della situazione.
<< Certo che si. Stasera alle otto, davanti alla pizzeria “Pepe nero”. Va bene? >>, domandò rinvigorito ed eccitato al tempo stesso. Il suo solito sorriso si allargò ancora di più.
<< Va bene. A stasera >>, confermai felice.
 
<< Allora, raccontami qualcosa di te >>, domandai incuriosita.
Eravamo seduti al tavolo della pizzeria da quasi un quarto d’ora, attendendo pazienti che l’ordinazione arrivasse. Ero arrivata con qualche minuto di ritardo, mentre Diego era stato puntuale come un orologio svizzero. Per quell’occasione, avevo voluto indossare qualcosa di decisamente inusuale per me. Un vestito nero, stretto in vita, lungo fino a metà coscia, con una profonda scollatura sul davanti, e anche sulla schiena. Avevo quindi aggiunto anche un coprispalle dello stesso colore del vestito, e che arrivava a coprirmi la schiena nuda, lasciando illibato il davanti. Le scarpe col tacco, mi permettevano di dimezzare la differenza d’altezza col giovane, essendo io alta un metro e sessantasei e lui un metro e ottanta. Diego, invece, per quella sera aveva deciso di indossare una camicia bianca attillata, che risaltava il suo corpo atletico, una giacca grigia, e dei jeans aderenti. Appena il mio sguardo si posò sulla sua figura, il mio cuore perse più battiti, per poi accelerare bruscamente. La sua bellezza era incredibile, quasi da lasciare senza fiato. In quel preciso istante, la sensazione di stare sbagliando, di dover scappare da quella persona scomparve, lasciando il posto ad una nuova sensazione, unica e mai sperimentata: la consapevolezza di essere nel posto giusto al momento giusto. Li era dove dovevo essere.
Sensazione che non fece che aumentare quando Diego, dopo avermi vista, esclamò sbalordito: << Sei bellissima >>.
Il suo tono di voce, sempre così onesto, quella volta risuonò ancor di più sincero. I suoi occhi sembravano essere stati catturati dalla mia presenza, e il suo corpo protendeva con naturalezza verso il mio. Rimasi devastata da quanto perfetti eravamo insieme. Poi insieme, nella nostra perfezione, ci incamminammo all’interno del locale.
<< Cosa vuoi sapere >>, domandò divertito Diego, sorseggiando il suo bicchiere di birra.
<< Ah non lo so. Da dove vieni, della tua famiglia, perché vuoi diventare insegnate…cose così >>, alzai le spalle, afferrando il mio boccale di birra.
<< Uhm, vediamo >>, cominciò a riflettere il giovane, appoggiando i gomiti sul tavolo. << Dunque, vengo da un paesino vicino Napoli, Castellabate. Ma sono cresciuto praticamente qui, a Caserta, visto che i miei nonni vivevano qui >>
<< Quindi sei di nascita napoletana, e di razza casertana. Interessante mix >>, commentai divertita.
<< Assolutamente. Unico nel mio genere. Organizzo anche spettacoli per chi vuole vedere il fenomeno da baraccone >>, continuò allegro Diego.
<< Allora prenoto subito un biglietto >>, affermai decisa.
<< Per te è gratis >>, sussurrò sensuale il giovane.
Arrossii involontariamente per quella frase. Non me l’aspettavo, e la mia guardia era abbassata. Sapevo che non sarei stata in grado di difendermi con le unghie quella sera. Ero praticamente alla sua mercé. Questa cosa mi spaventava molto. Diego, invece, sorrise divertito per la reazione che mi aveva suscitato. Il suo ego doveva essersi gonfiato davvero molto.
<< Comunque >>, continuò dopo qualche momento di silenzio. << Sono cresciuto praticamente qui. E specialmente nella casa in montagna di famiglia, dove passavamo tutti i weekend. È li dove voglio andare a vivere, una volta diventato vecchio >>
<< Perché? >>, chiesi incuriosita, una volta ripresami dal rossore di poc’anzi.
<< Perché quel luogo è magico. Rende possibile, ciò che è impossibile. Fa realizzare i propri sogni >>, affermò con fare sognante.
<< Sembra interessante. E anche ridicolo, ad essere onesti >>, esclamai sorridendo.
<< Vero. Per chi non c’è mai stato può sembrare così, eppure ti assicuro che non mento >>, dichiarò con decisione. << Tu invece, sei di qui? >>
<< Si, sono di Caserta >>, annuii.
<< E come mai ti sei ritrovata a fare biotecnologie? >>, domandò incuriosito Diego.
<< Perché l’idea di fare ricerche, di cercare un nuovo modo per curare le persone, mi affascina >>, diedi la risposta standard di sempre.
 In verità, il motivo per cui avevo scelto quella facoltà era per via di mia zia, morta per un tumore. Volevo trovare una cura per questo grande male, che infestava quasi tutte le case del mondo. Il mio fare riservato aveva avuto la meglio anche in quell’occasione. Soprattutto la mia paura di aprirmi verso gli altri, aveva vinto.
<< Bugia >>, esclamò improvvisamente Diego.
Spalancai gli occhi perplessa.
<< Cosa? >>, domandai.
<< Stai mentendo. Non è questo il motivo per cui hai scelto questa facoltà >>, rispose divertito il giovane.
<< E tu che ne sai, scusa? >>, affermai inacidita.
<< Perché è il mio istinto che mi parla. E visto che sei tu, questo è ancora più forte >>, dichiarò Diego sorridendomi dolcemente.
Ero senza parole. Quel tipo mi aveva capito come mai aveva fatto nessun altro essere umano. Era riuscito ad arrivare nel mio cuore, senza neanche sforzarsi più di tanto. Mi aveva fatto scegliere di precipitare nel baratro, senza fare quasi nulla se non ossessionarmi con la sua presenza. Diego, senza che me ne accorgessi, era entrato realmente nella mia vita.
<< Coraggio, Lisa. Apriti con me >>, mi incoraggiò poggiando la sua mano calda sulla mia.
 Quel tocco mi provocò il batticuore, e questo mi spinse ad aprirmi.
<< Sono cresciuta con mia zia, perché mia madre non aveva mai tempo per me. E mio padre, invece, passava più tempo a bere che ad occuparsi di sua figlia>>, cominciai a raccontare, abbassando gli occhi, ma aggrappandomi alla mano di Diego. << E’ stata mia zia ad educarmi, a farmi andare a scuola…a farmi da madre. Era tutta la mia famiglia >>, una piccola lacrima scese sulla mia guancia, ma la asciugai in fretta, perché odiavo essere debole. << Poi un bel giorno, quando avevo sedici anni, mi comunicò che le era stato diagnosticato un tumore all’ultimo stadio. Morì in pochi mesi >>
Rimanemmo per qualche minuto in silenzio, con il peso delle mie parole sulle spalle di entrambi. Sapevo cosa stava pensando Diego. Che ero una ragazza problematica, che gli dispiaceva per mia zia, che non sapeva cosa dire, e tante altre banalità che si dicono in quelle circostanze. Ma il giovane mi sorprese per l’ennesima volta.
<< Sei diventata biotecnologa perché vuoi trovare una cura per il tumore, vero? >>, domandò sapendo già la risposta.
<< Si >>, annuii perplessa.
<< Beh, allora uno di questi giorni devi portarmi da tua zia >>, esclamò con calma.
<< Come? >>, chiesi scioccata.
<< Voglio andare da tua zia e ringraziarla per averti fatto diventare la persona fantastica che sei. Per averti ispirato un così nobile sentimento. Anche da morta, tua zia è stata la tua guida. Va ringraziata per questo >>, spiegò con una sincerità disarmante.
Ero spiazzata, senza parole. Quel ragazzo era una sorpresa continua. Non faceva mai ciò che mi aspettavo, prendendomi sempre in contropiede. E quel suo commento su mia zia, inaspettatamente, mi aveva riempito di gioia.
<< Non te l’aspettavi vero? Che ti chiedessi una cosa simile, intendo >>, affermò dopo qualche minuto di silenzio.
<< In verità no. Mi aspettavo una delle classiche frasi di circostanza che odio tantissimo >>, confermai sorridendo.
<< Odio i clichè. Penso che l’imprevedibile sia il vero senso della vita. Non aspettarsi mai niente la rende ancora più eccezionale, specie quando poi qualcosa arriva e ti sorprende >>, spiegò rispondendo al sorriso.
<< Sempre che questa cosa appena arrivata sia una bella cosa. Altrimenti se è brutta, rischia di fare molti più danni del normale >>, commentai sorseggiando la mia birra.
<< Beh, la vita è fatta anche di questo. E’ anche per questo che la vita è così bella, non credi? Il fascino dell’ignoto, e tutte quelle cose la…i casini sono la manifestazione massima che siamo vivi >>, affermò con saggezza Diego.
<< Cos’è, sei il nuovo Confucio? >>, domandai divertita, e anche meravigliata da tanta assennatezza.
<< Nah, non ho tutta quella barba >>, esclamò divertito.
Risi di gusto per quella frase. Non era particolarmente brillante, o divertente. Eppure provocò in me un eccesso di risa. Quel ragazzo stava sconvolgendo tutto il mio intero essere. Dopo qualche minuto, mi ripresi.
<< E te, invece? Quale scheletro nell’armadio nascondi? >>, domandai interessata sinceramente.
<< Nessuno scheletro >>, aggirò la domanda Diego.
<< Bugia >>, esclamai con lo stesso tono usato dal giovane prima. Non sapevo come, ma avevo capito immediatamente che stava mentendo.
<< Ahhh, beccato. Dannazione >>, si lamentò. Ma dai suoi occhi intuii che anche lui era sorpreso da quella mia capacità di comprenderlo. Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda in tutti i sensi.
<< Allora, cosa mi nascondi >>, continuai sempre più incuriosita.
<< Ehm, anche mio padre è morto >>, rispose abbassando lo sguardo, ma con il suo sempiterno sorriso, anche se più spento.
<< Oh, scusa. Non volevo essere indiscreta >>, mi affrettai a scusarmi mortificata.
<< Ora sei tu che stai cadendo nel classico cliché >>, esclamò divertito Diego, guardandomi di sottecchi.
<< Hai ragione >>, confermai imbarazzata. << Scusa >>
<< Piantala di scusarti. Non è poi la fine del mondo >>, affermò allegro il giovane, tornando a fissarmi.
In quel momento due pizze arrivarono al nostro tavolo, permettendomi di riprendermi dal mio momentaneo shock e anche dalla mia figuraccia. Ero la prima che odiava sentirsi dire ‘mi dispiace’, e ora lo avevo usato. Ero davvero senza speranze.
<< Sei senza parole? La pizza di ha mangiato la lingua? >>, domandò rallegrato Diego, una volta che la cameriera si fu allontanata.
<< Idiota >>, bofonchiai, sentendomi subito meglio. Vederlo di nuovo brioso, mi faceva sentire nuovamente felice. Chissà perché poi.
<< Comunque è morto un paio d’anni fa. Ecco perché non ho ancora terminato gli studi, nonostante i miei ventisei anni >>, continuò il giovane tornando serio e abbassando lo sguardo.
<< Come mai? Che è successo? >>, chiesi perplessa.
<< Quando mio padre è morto, eravamo pieni di debiti. Sai, non abbiamo mai navigato davvero nell’oro, e le spese mediche per mio padre sono state molto care. In più i miei genitori hanno fatto parecchi viaggi, pur di trovare una cura per il mio papà >>, spiegò Diego, continuando a non guardarmi negli occhi.
Avevo notato che il giovane fissava sempre, senza alcun ritegno. Quando invece non lo faceva, stava a significare che voleva nascondere i propri sentimenti tormentati. Perciò, senza riflettere, mi allungai sul tavolo , e misi una mano sotto al mento del giovane costringendolo a guardami. Volevo che condividesse tutto con me. Non solo i ricordi, ma anche il suo cuore. Ormai Diego mi aveva intrappolato nella sua rete. Il ragazzo rimase scioccato per quel mio gesto. Poi, vedendo la serietà del mio volto, e forse intuendo il mio desiderio di sapere ogni cosa, si rilassò allargando il sorriso. Nel mio intimo, intuii anche in lui il desiderio di condividere tutto con me.
<< Di che soffriva tuo padre? >>, domandai con calma.
<< Anche lui è morto per un tumore. Tumore al pancreas >>, spiegò brevemente senza distogliere lo sguardo.
Riuscii a scorgere, in quei occhi scuri, la sofferenza ancora viva di quei momenti difficili. Sapevo cosa si provava nell’avere un familiare malato di quel male. Ed era un’esperienza che non auguravo neanche al mio nemico. Afferrai la sua mano con la mia, stringendogliela, facendogli capire che non era solo. E che con lui c’ero io. Passarono vari minuti in cui restammo in silenzio, occhi negli occhi e mano nella mano. Il resto del mondo non esisteva. C’eravamo solo noi. Due persone disastrate, con un passato orribile alle spalle da dimenticare, che si davano conforto e aiuto a vicenda. Poi, Diego, si aprì in un immenso sorriso.
<< Allora mi sa che mi sposi per davvero >>, commentò divertito.
Lasciai di scatto la mano, quasi come fossi rimasta ustionata, e incrociai le braccia al petto. Sembravo una bambina imbronciata.
<< Scemo >>, esclamai infastidita.
Diego, invece, scoppiò a ridere. Sembrava non riprendersi più, e questo non fece che alterare ancora di più i miei nervi.
<< Hai finito? >>, domandai dopo vari minuti di quell’esagerata ilarità.
<< Scusa, è che la tua faccia era troppo buffa >>, affermò ancora in preda al troppo riso.
<< Beh, perdonami se ho la faccia da clown. È l’unica che ho, quindi bisogna accontentarsi di quel che si ha >>, commentai inacidita.
<< Io trovo che la tua faccia sia adorabile >>, dichiarò Diego, con un sorriso amorevole.
Quel sorriso ebbe la capacità di sciogliermi. Tutta l’arrabbiatura scomparve, lasciandomi solo la sensazione di pienezza e felicità. Diego mi stava davvero mandando alla deriva.
<< Forza, mangiamo >>, sbuffai con un sorriso.
 
<< Hahaha, quindi dopo aver infilato la treccia della mia compagnia nella tempera, presi le forbici e gli tagliai i capelli, convinto di aver risolto il problema >>, esclamò Diego, scoppiando a ridere.
Cominciai a ridere divertita anche io. Il giovane mi stava raccontando di un suo episodio del passato davvero assurdo, che metteva in risalto una cosa del suo carattere: il suo essere imprevedibile e pieno di vita.
<< E poi che successe? >>, domandai tra le risate.
<< La bambina scoppiò a piangere vedendo la sua lunghissima treccia a terra. La maestra mandò a chiamare subito mia madre, la quale mi mise in punizione >>, spiegò il ragazzo ripresosi dall’eccesso di risa.
<< Eri un bambino pestifero, insomma >>, commentai fissandolo.
<< Abbastanza. Però quando vidi il volto della mia compagnia distrutto per la sua treccia caduta, appresi una lezione di vita importante: alle persone puoi fare molto male, anche con un semplice gesto. E che per ogni azioni c’è sempre una conseguenza >>, affermò con saggezza.
<< E la tua di conseguenza qual è stata? >>, chiesi incuriosita.
<< Che quando sono arrivato a casa, ho preso il rasoio di papà e mi sono rasato a zero la testa >>, confessò con orgoglio, toccandosi i suoi corti capelli neri. << E’ da allora che li porto sempre corti >>
<< Perché hai fatto un gesto così assurdo? >>, domandai sbigottita.
<< Occhio per occhio, dente per dente >>, alzò le spalle. << Il giorno dopo andai dalla bambina e le disse: “Adesso anche io non ho più i capelli. Pace fatta?”. Fu la mia prima fidanzatina >>, dichiarò divertito.
Scoppiai a ridere. Era troppo divertente quel racconto, e questo mi fece capire molto sul carattere di quel giovane. Era leale e sincero, spiritoso e allegro. E sempre pronto ad aiutare il prossimo. Così come era da bambino, era rimasto anche da adulto. E questa era una cosa davvero bella.
<< Sei un personaggio davvero singolare >>, commentai sorridendo.
<< Spesso me lo dicono. Io lo considero un complimento >>, rispose al mio sorriso.
Era mezzanotte e mezza, e stavamo passeggiando per la città. Nessuno dei due aveva voglia di tornare a casa. Volevamo ancora inebriarci della presenza dell’altro, e continuare a raccontarci i momenti più divertenti delle nostre vite. Avevo come la sensazione che della presenza di Diego, non mi sarei mai stancata. Era come una calamita per la mia anima. Ne volevo sempre di più. Volevo essere sempre più legata a lui. Non avevo mai provato una sensazione simile. Solitamente, il mio carattere schivo e riservato, teneva alla larga la gente. Ma con Diego, non ero proprio capace di allontanarmi ne di escluderlo dalla mia vita. In un tempo davvero breve, era riuscito a diventare una figura molto importante per me. Sorrisi felice per quel mio pensiero. Era da tanto che aspettavo di trovare qualcuno come lui.
<< A cosa pensi? >>, domandò dolcemente.
<< La verità? >>, domandai di rimando.
<< Sempre >>, annuii con decisione.
<< Che è bello stare con te. Che era da tanto che aspettavo questo momento di beatitudine, di essere al posto giusto, di essere felice >>, mi fermai voltandomi verso Diego. Il giovane fece altrettanto, fissandomi con una serietà quasi estranea al suo volto. Sembrava pendesse dalle mie labbra. << Era da tanto che aspettavo te >>, sussurrai emozionata.
Il cuore mi batteva forte in petto, e temevo e agognavo al tempo stesso una reazione del giovane. Diego mi fissava, con intensità e desiderio. Non sapevo quale sarebbe stata la sua risposta, ma nel mio intimo percepii di averlo reso felice con le mie parole. Una mano del giovane si alzò lentamente verso il mio viso, poggiandosi sulla mia guancia sinistra. Mi accarezzò dolcemente, procurandomi i brividi. Senza pensarci sopra, appoggiai il mio volto contro quella mano grande, godendo appieno di quei gesti. I nostri sguardi erano incatenati. Sentivo sempre di più di appartenere a Diego. Era stata una vera fortuna aver accettato quell’invito ad uscire. Lentamente, poi, il giovane si avvicinò a me, abbassando la testa. Di scatto, reagii avvicinandomi ed alzandomi sulle punte dei piedi. Sapevo cosa stava per accadere, e non vedevo l’ora. Quando le nostre labbra si incontrarono a metà strada, sentii di aver trovato il mio posto nel mondo. Li tra quelle braccia forti, in quelle labbra calde e leggermente screpolate. In quell’antro di paradiso che era la sua bocca. Le nostre lingue si sfiorarono lentamente, assaporandosi e accarezzandosi. Il sapore di Diego era un qualcosa di unico. Dolce e allo stesso tempo frizzante. Inebriante, capace di ubriacarti e renderti schiavo. Ne volevo sempre di più. Le mie mani affondarono nei capelli corti del giovane, sentendone sotto i polpastrelli la morbidezza. Le mani di Diego, invece, si strinsero sui miei fianchi, abbracciandomi forte. Quasi come se volesse incorporarmi. Ed io glielo avrei lasciato fare. Passarono pochi minuti, o forse ore, quando poi ci staccammo in cerca d’ossigeno. Le nostre fronti si unirono, respirando uno l’odore dell’altra. Il mio cuore batteva sempre più veloce nel petto, quasi come se volesse raggiungere il posto vuoto nella gabbia toracica di Diego. E sentiva, anche senza toccarlo, che per il giovane era la stessa cosa. Dopo svariati minuti di silenzio, un sorriso felice spuntò sul volto del giovane.
<< Adesso si che ti sposo >>, sussurrò divertito.
Gli diedi un piccolo pizzicotto alla base del collo, ma un sorriso comparve sulle mie labbra.
<< Scemo >>, sussurrai  contenta.
 
<< Sul serio, come mi hai convinto a fare questa pazzia >>, esclamai scioccata.
<< Perché mi ami e faresti di tutto per rendermi felice >>, sussurrò Diego nel mio orecchio, abbracciandomi forte.
Quel sussurro procurò un brivido nella colonna vertebrale, come sempre accadeva. Sorrisi felice. Ero spaventata per la nuova piega che aveva preso la mia vita, ma non vedevo l’ora di cominciarla. Fissavo gli scatoloni sparsi per tutta la casa, con dentro le mie cose dentro. Portarli da casa mia all’appartamento di Diego era stato difficile, e anche molto lungo. Il giovane abitava a Napoli, e spostarsi con una trentina di scatoloni pieni zeppi di cose mie, non era stata una passeggiata.
<< Non posso crederci lo stesso >>, risposi divertita, stringendomi di più al corpo del mio uomo.
<< Perché? >>, domandò sinceramente curioso Diego.
<< Perché stiamo insieme da soli sei mesi. E adesso viviamo insieme. Tra sei mesi che succede, ci sposiamo davvero? >>, esclamai sarcastica.
<< Beh, io te lo ripeto tutti i giorni che ti voglio sposare, quindi per me non ci sono problemi >>, affermò con un’alzata di spalle il ragazzo.
<< Io l’ho sempre detto che sei uno scemo >>, sbuffai alzando gli occhi al cielo.
<< Ed io ti ho sempre detto che non sai mentire >>, sussurrò Diego sul mio collo.
Poi ci poggiò la sua bocca, baciandomi quello strato di pelle sensibile. Un gemito scappò dalle mie labbra, e chiusi istintivamente gli occhi, assaporando di più quel momento.
<< Uhm, adoro la tua pelle e il tuo sapore. Ti mangerei viva >>, mormorò il giovane leccando la superficie del mio collo.
Allungai una mano, accarezzando la nuca del giovane. Poi mi voltai, e ci perdemmo in un lunghissimo bacio, fatto di sapori e saliva. Il modo in cui le nostre bocche si incastravano alla perfezione mi lasciava sempre senza fiato. Dopo qualche minuto, ci staccammo ansanti.
<< Vuoi…inaugurare la nostra nuova vita insieme qui sul divano… >>, e sfiorai sensualmente il tessuto del divano dove eravamo seduti. << …o vuoi inaugurare la nostra camera da letto? >>
Un sorriso felice spuntò sul volto di Diego. In quei mesi avevo notato una cosa. Il mio uomo sorrideva sempre. Ma il sorriso più bello lo riservava solo a me. Era un sorriso pieno d’amore, di felicità e di appartenenza.
<< LA CAMERA DA LETTO! >>, urlò divertito.
Poi mi prese  in braccio, e corse verso la nostra stanza. In sottofondo, come colonna sonora, le nostre risate unite in un’unica esclamazione di felicità.
 
Fissavo il mio uomo, incuriosita e anche spaventata. Qualcosa non andava. Erano già un paio di giorni che si comportava in quel modo strano. Lo vedevo agitato, sempre con la testa per aria, e non riusciva a stare fermo per più di un minuto. Erano passati sei mesi da quando avevamo cominciato a convivere, e quello era il giorno del nostro anniversario. Avevamo organizzato una cena a lume di candela in casa, ma quell’agitazione del giovane mi spaventava davvero tanto. E se avesse deciso di lasciarmi? E se non voleva più stare con me? Cosa avrei fatto? Sapevo che la mia vita sarebbe finita. Che non avrei più avuto ragione di esistere. Speravo ardentemente di sbagliarmi, oppure sarei stata in guai seri. All’ennesimo sbuffo di Diego, scattai come una molla.
<< Insomma si può sapere che ti prende? >>, domandai con voce alta e arrabbiata.
<< Prego? >>, chiese il giovane, quasi come fosse preso alla sprovvista.
<< Prego un corno. Sei teso come una corda di violino. Peggio di quando ti sei laureato, o di quando io ho preso la specialistica >>, esclamai esasperata.
<< Scusa >>, mormorò dispiaciuto Diego, abbassando lo sguardo.
Quel gesto mi colpii in pieno. Non aveva più abbassato lo sguardo da quel giorno in pizzeria, quando ci baciammo per la prima volta. Da allora aveva condiviso con me tutte le sue emozioni. Ma in quel momento, quegli occhi abbassati, mi crearono uno squarcio nel petto. Sentivo la fine giungere vicina.
<< O mio Dio >>, sussurrai disperata. Le lacrime fecero capolino dai miei occhi.
Diego alzò di scatto il volto, e quando mi vide piangente, si avvicinò velocemente a me, preoccupato.
<< Lisa… >>, esclamò in preda all’ansia, provando a mettermi le mani sulle spalle.
Ma lo scansai, quasi come se avessi preso  una scossa elettrica. Diego rimase scioccato da quel mio gesto.
<< Ma come…perché…? >>, domandò allibito.
<< Non toccarmi. Non mi toccherai mai più >>, esclamai digrignando i denti.
<< Ma che diavolo stai dicendo? >>, urlò Diego.
<< Ho capito tutto. Non c’è bisogno che tu dica nulla. Forza, fallo e basta >>, dichiarai tra le lacrime, ma con spavalderia. Avrei mostrato di essere forte, anche dopo aver sentito le parole ‘E’ finita’. Non avrei ceduto.
<< Cosa? Sai tutto? >>, mormorò scioccato il giovane.
<< Si, so tutto. Quindi non tiriamola troppo per le lunghe e facciamola finita qui >>, la mia voce cominciò a tremare.
<< Facciamola finita? Lisa, ma che diavolo stai blaterando? Che cosa cazzo hai capito?  >>, domandò infuriato Diego.
<< Che mi vuoi lasciare. Quindi fallo velocemente, come si strappa un cerotto >>, sussurrai ormai preda delle lacrime.
Il giovane mi fissò perplesso, poi scoppiò a ridere convulsamente. Si teneva la pancia, e lacrimava per le troppe risate. Lo  guardai scioccata. Non capivo il senso di quel gesto, e di quel suo ridere tanto. Ma sapevo di sentirmi ferita e umiliata. E anche molto incazzata.
<< Vaffanculo Diego. Da te non mi aspettavo tanta insensibilità >>, esclamai indignata.
Poi presi, e mi voltai verso la camera, intenta  a fare le valigie. Una grossa mano si poggiò sulla mia spalla, bloccandomi.
<< Scusa…scusa amore…ma è stato davvero buffo >>, commentò divertito Diego.
<< Il mio dolore è una cosa buffa? >>, urlai inferocita, girandomi di scatto.
<< Certo che no >>, negò prontamente il giovane. << Ma il malinteso si >>
<< Il malinteso? Di che parli? >>, chiesi confusa.
<< Volevo chiederti di sposarmi >>, spiegò semplicemente Diego.
In quel momento il mio cuore si paralizzò. Non credevo alle mie orecchie. Una luce nuova e sconosciuta si irradiò nel mio petto.
<< Cosa? >>, sussurrai sbalordita.
<< Quando venisti a vivere a casa mia, dicesti che , se andavamo così di fretta, ti avrei chiesto di sposarmi dopo sei mesi. Beh, ti ho preso alla lettera >>, dichiarò divertito.
Poi prese un anello dalla tasca, e si inginocchiò. Credevo che stesse scherzando, ma con quel gesto ogni dubbio sulla veridicità di quelle parole, era stato cancellato. Ma il timore che fosse pazzo restava. E anche io dovevo essere pazza, perché vederlo li inginocchio, intento a chiedermi di sposarlo, mi rendeva felice come mai ero stata nella mia vita. Diego respirò forte, poi prese la mia mano, e mi guardò dritto negli occhi.
<< Lisa Cristillo, vuoi sposarmi? >>, domandò con voce sicura.
Ma dentro di me, sapevo quanto stesse tremando all’idea di un mio rifiuto. Nel frattempo, la mia mente era partita in una battaglia.
‘Sono troppo giovane  per sposarmi’
‘E’ l’uomo che amo’
‘Stiamo insieme da troppo poco tempo’
‘E’ la persona con cui voglio passare il resto della mia vita’
Cosa faccio? Cosa faccio? Cosa faccio?
<< Si >>, sospirai felice.
 
<< Vuoi tu, Diego Volpe, prendere come tua legittima sposa la qui presente, Lisa Cristillo, per amarla, onorarla e rispettarla, in salute e malattia, in ricchezza e povertà finché morte non vi separi? >>, domandò il prete.
Diego, eccitato e felice, mi guardò come se fossi la cosa più bella al mondo. Non vedeva altro che me. Era bellissimo nel suo smoking nero. Lo rendeva ancora più affascinante e dolce.
<< Si, lo voglio! >>, esclamò allargando il sorriso, e stringendo di più le mie mani.
<< E tu, Lisa Cristillo, vuoi prendere come tuo legittimo sposo il qui presente, Diego Volpe, per amarlo, onorarlo e rispettarlo, in salute e malattia, in ricchezza e povertà finché morte non vi separi? >>, domandò il prete rivolgendosi a me.
Il mio cuore batteva furioso nel petto. Ero emozionata come mai nella mia vita. E non ero mai stata tanto felice come in quel momento. Ringraziavo tutto il mondo per avermi fatto scontrare con Diego quel giorno. Da allora la mia vita era stata diversa. Diego, con la sua sola presenza, aveva reso un’esistenza grigia, speciale, unica. Non lo avrei mai ringraziato o amato abbastanza per quello che aveva fatto per me. Sorrisi felice. Presi un profondo respiro, e poi risposi.
<< Si, lo voglio! >>, il sorriso di Diego divenne sempre più grande.
<< Per il potere conferitomi dalla Chiesa, vi dichiaro marito e moglie! Può baciare la sposa >>, tuonò il prete.
L’intera chiesa, composta da una cinquantina di invitati, esplose in esclamazioni di gioia. Ma ne io ne Diego ci curammo di loro. Nei nostri occhi e nelle nostre orecchie, l’unica cosa che riuscivamo a percepire era la presenza dell’altro. Ci avvicinammo lentamente, sorridendoci complici.
<< Ti amerò per sempre. Lo prometto qui, davanti a te e a Dio >>, sussurrai commossa.
<< Sempre >>, rispose Diego con amore.
Poi le nostre labbra si toccarono per la prima volta, come marito e moglie.
 
<< Amore, vieni qui che dobbiamo riempire la scatola dei desideri >>, mi chiamò Diego.
Eravamo tornati da soli tre giorni dalla nostra luna di miele. Per l’occasione avevamo deciso di abbandonarci al classico cliché: una settimana a Parigi.
<< La scatola dei desideri? Cos’è? >>, chiesi incuriosita, uscendo dalla cucina, e raggiungendo mio marito sul divano del salotto.
<< E’ la scatola dove depositi tutti i tuoi desideri. Quando saremmo vecchi, poi, l’apriremo e vedremo se quello che desideravamo si è realizzato >>, spiegò sorridendomi Diego.
Lo guardai divertita, e poi fissai lo scatolone, carta e penna che c’erano sul tavolino.
<< E a che serve fare una scatola? Non basta ricordarsele, le cose? >>, domandai allegramente.
<< Perché questa scatola è magica >>, esclamò con fare cospiratorio.
<< Ahhh, ora si che è chiaro >>, scherzai.
<< Hehe >>, rise gioioso. Poi il sorriso diminuì di intensità, e lo sguardo si allontanò, perso in chissà quale ricordo. << Questa scatola viene dalla casa in montagna. Me la diede mio padre quando avevo dieci anni >>, cominciò a raccontare Diego, accarezzando la superficie dello scatolone. Io rimasi silenziosa per tutto il tempo. << Mi disse che, quando avrei trovato la persona con cui condividere i miei sogni, avrei dovuto riempirla con tutti i miei desideri. Mi avrebbe portato fortuna. Diceva che, grazie a questa scatola, tutto si sarebbe realizzato >>
Lo fissai commossa, e felice. Quando Diego parlava del padre, gli occhi gli si illuminavano. Doveva essere stata una grande persona, e il figlio lo amava molto. Senza pensarci su due volte, presi carta e penna e li porsi a Diego.
<< Prima tu >>, lo incitai sorridendo.
Mio marito sorrise di rimando, prese carta e penna e cominciò a scrivere il suo desiderio. Passammo le due ore successive stravaccati sul divano, a cercare cosa scrivere su quei foglietti. Ridemmo e scherzammo tantissimo, e moltissime cose assurde uscirono fuori. La maggior parte dei biglietti erano davvero impossibili. Poi, senza che Diego se ne accorgesse, scrissi un bigliettino, che inserii prontamente nella scatola, sorridendo poi soddisfatta.
“Voglio restare per tutta la vita con Diego”
 
<< Signor Volpe, mi dispiace, ma i risultati dei test hanno evidenziato la presenza di un carcinoma >>, annunciò il dottore.
Quella sentenza, alle mie orecchie, suonò come una sentenza di morte. Il cuore smise di battermi in petto, e sentii l’energia e la voglia di vivere abbandonare il mio petto e poi il mio  corpo. La mano di Diego si strine forte nella mia, ed io ricambiai quel gesto con altrettanto vigore.
<< Dove si trova? >>, domandò con voce instabile mio marito.
<< Al pancreas >>, sospirò il medico.
Il mondo mi crollò definitivamente sulle spalle. Lo stesso tumore che aveva tolto il padre a Diego, adesso minacciava di portarmi via mio marito. No, non potevo accettarlo. Non potevo assolutamente permettere che una cosa simile capitasse.
<< Cosa devo fare? >>, chiese Diego con un filo di voce.
<< Innanzitutto faremmo un primo ciclo di chemioterapia. Dopodiché vedremo come avrà reagito il tumore >>, ci informò il medico.
<< Ma guarirà, vero? >>, domandai scioccamente, con le lacrime agli occhi.
Il dottore, però, non rispose.
 
<< Stenditi, forza. Il dottore ha detto che non devi fare sforzi >>, dissi dolcemente a Diego, spingendolo sul letto.
<< Va bene >>, mormorò affaticato.
In quegli ultimi due mesi, mio marito era diventato nell’aspetto un’altra persona. Aveva perduto tutti i capelli, e le sopracciglia. Il peso era diminuito notevolmente. Diego aveva perso undici chili. E il colorito della pelle era orma giallognolo, e sembrava quasi come se ci si potesse vedere attraverso. Eppure Diego, nel carattere, nonostante la malattia, era rimasto sempre lo stesso. Continuava ad amarmi con tutto se stesso, mi regalava sempre sorrisi dolcissimi, e mi trattava ancora come se fossi il suo prezioso tesoro. E più lui mi adorava a tal punto, più il mio cuore si lacerava in mille pezzi. La notte ero assalita costantemente dalla pura di perderlo. Mi svegliavo in preda agli incubi, e controllavo subito se mio marito era ancora li con me, oppure no. Non sopportavo l’idea di perderlo. Proprio non riuscivo ad immaginarlo. Per me, perdere Diego, era come perdere la mia stessa vita. La mia aria, la mia luce, la mia unica gioia di vita. Era come perdere tutto, anche me stessa. Sarei diventata pazza di dolore se Diego fosse morto. Ricacciai indietro le ennesime lacrime che minacciavano di uscire, mentre sistemavo le lenzuola del letto.
<< Lisa, ti puoi fermare un momento? >>, mi domandò mio marito, afferrandomi la mano.
La sua presa, una volta calda e forte, adesso era fredda e debole.
<< Dimmi. Ti serve qualcosa? >>, chiesi prontamente, sedendomi sul letto e accarezzandogli la guancia.
<< Si, ho bisogno di mia moglie >>, sussurrò dolcemente Diego.
<< Sono qui >>, risposi sorridendogli. Altre lacrime tornarono all’attacco. Perché improvvisamente un pensiero mi balenò in testa. Io ci sarei sempre stata, ma lui no. E questo non potevo accettarlo. Paradossalmente, ero io ad avere più bisogno di Diego, che lui di me.
<< Amore devi farmi una promessa >>, cominciò mio marito con voce seria. Troppo seria. Un campanello d’allarme suonò nella mia testa.
<< Cosa? >>, domandai cauta.
<< Devi promettere che qualunque cosa accada, tu ce la farai. Andrai avanti… >>, affermò con amore Diego. Tutto il suo essere era pieno d’amore per me. Ma in quel momento, il suo affetto nei miei confronti mi disturbava. Come poteva dire certe cose?
<< Basta, non voglio ascoltarti >>, esclamai duramente.
<< No, Lisa, ascolta. Sappiamo bene entrambi che in questi casi, le probabilità che io sopravviva sono basse… >>, continuò ignorando le mie proteste.
<< Basta! >>, sussurrai con violenza.
<< Potrei morire da un momento all’altro. E tu devi essere pronta ad ogni evenienza >>, dichiarò dolcemente Diego.
A quel punto non ci vidi più dalla rabbia. Così mi alzai di scatto, portai le mani alle orecchie, tappandole, e cominciai ad urlare.
<< BASTA! FINISCILA! SMETTILA! NON VOGLIO ASCOLTARTI >>, dolorose lacrime scesero sul mio viso, rigandomi il volto.
Ogni lacrima, era la manifestazione fisica di quanto dolore stessi provando. Non riuscivo più a smettere di piangere.
<< Amore >>, sussurrò affranto Diego.
Anche lui versò qualche lacrima, poi tornò sorridente come sempre. Si sedette sul letto, e con un po’ di fatica, riuscì a tirarmi vicino a lui.
<< Mi dispiace. Perdonami per tutto il male che ti sto causando. Non avrei mai immaginato che sarebbe finita così >>, cominciò Diego, asciugandomi alcune lacrime.
<< Non chiedere scusa…non hai fatto nulla >>, mormorai tra un singhiozzo e l’altro.
<< Invece ti sto facendo piangere >>, asciugò altre lacrime, poi mi costrinse a guardarlo. Quando i nostri occhi si incontrarono, mi si strinse il cuore. Quello sguardo sempre bello e gioioso, adesso emanava dolore e paura. << Quando il dottore mi ha diagnosticato il tumore, la mia mente è volata verso di te. Ho pensato: “No, e adesso chi baderà a Lisa”. Ho avuto tanta paura del futuro, di quello che può accadere. Ma adesso mi rendo conto solo di una cosa >>, il suo sguardo si riempì di lacrime, che una ad una cominciarono a scendere sul suo volto giallognolo. << Ho solo paura di perdere te >>
Lo  abbracciai d’istinto. Noi che ci siamo amati come mai era accaduto nella vita, adesso eravamo costretti a subire le conseguenze di quell’amore immenso e unico. Siamo nati insieme, e saremo morti insieme.
<< Non mi perderai mai >>, sussurrai tra le lacrime. << Sarò sempre con te, e ti amerò per sempre >>
<< Sempre >>, mormorò dolcemente Diego.
 
<< Mi dispiace signor Volpe, i risultati dei test non sono buoni >>, affermò il medico con rammarico.
Il cervello mi si spense, e il cuore smise di battere. Ecco, la morte era dunque giunta.
<< Cioè? >>, domandò stoicamente Diego.
<< I risultati ci dicono che il tumore non è regredito, ma anzi, ha continuato a diffondersi. Le metastasi hanno raggiunto tutto il corpo. Mi dispiace >>, dichiarò affranto il medico.
Ormai niente poteva più raggiungermi. Ero chiusa nel mio mondo dove la parola morte riecheggiava ovunque.
<< Quanto mi resta? >>, sussurrò debolmente Diego.
<< Dai tre ai sei mesi >>, dichiarò infine il dottore.
 
 << Lisa >>, cominciò Diego.
<< Silenzio, non voglio ascoltarti >>, risposi prontamente, voltando lo sguardo.
Erano giorni che mio marito voleva intavolare una conversazione impossibile da sostenere. Erano già passati tre mesi da quando il medico ci aveva detto che non c’erano più speranze. Ormai il conto alla rovescia era cominciato, e i miei nervi erano sempre più a pezzi. In più ci si metteva Diego, pronto a cominciare discorsi che andavano oltre la mia capacità di sopportazione.
<< Lisa >>, mi richiamò con tono duro. << Siediti immediatamente >>, mi ordinò indicando il posto sul letto accanto a lui.
Sbuffai sonoramente, ma Diego sapeva che non mi sarei mai rifiutata di seguire le sue parole. Presi posto accanto a lui, con la consapevolezza che da quel discorso ne sarei uscita a pezzi.
<< Che c’è? >>, domandai arrabbiata.
<< Noi dobbiamo parlare. Io ho paura… >>, cominciò mio marito, ma lo bloccai subito.
<< E’ normale la paura >>, dissi freddamente.
<< Si ma io ho paura per te >>, mormorò dolcemente.
<< Non devi >>, affermai sempre più distaccata. Non riuscivo a guardarlo negli occhi.
<< Amore, guardami >>, mi esortò Diego.
A quel punto le mie difese crollarono, e forti singhiozzi scossero il mio corpo.
<< Non posso >>, singhiozzai.
<< Perché? >>, domandò sofferente mio marito.
<< Perché non sono abbastanza forte >>, scoppiai a piangere a dirotto.
Diego mi abbracciò forte, ed io mi aggrappai a lui disperatamente. Avevo bisogno di lui, per sopravvivere. Senza mio marito io non ero niente.
<< Tu ce la farai. Sei forte come una roccia >>, sussurrò Diego, accarezzandomi i capelli e la schiena.
<< No, non è vero. Sei tu la mia roccia. Sono forte grazie a te. Senza di te, sono solo un mollusco >>, risposi ingoiando lacrime salate.
<< Hehe, il più bel mollusco di mare >>, rise divertito. Poi si allontanò da me, costringendomi a guardarlo. Appena incontrai quegli occhi che tanto amavo, il cuore venne perforato da mille spilli. << Devi farmi una promessa >>
<< No >>, negai con tono lamentevole.
<< Si invece. Devi promettermi che, se il mio ricordo dovesse farti troppo male, o fosse troppo pesante, tu mi dimenticherai. Prometti >>, affermò dolcemente Diego. Nel frattempo prese ad asciugarmi le lacrime.
<< No. NO! ASSOLUTAMENTE NO! COME PUOI CHIEDERMI UNA COSA SIMILE?! >>, urlai disperata, cominciando a dibattermi e a colpire il suo petto debole. << BASTARDO, TI ODIO! MI HAI ROVINATO LA VITA! PERCHE’? PERCHE’ HAI SCELTO ME? PERCHE’ MI HA FATTO INNAMORARE DI TE? SEI EGOISTA E CRUDELE.  MI ABBANDONI QUI E  TE NE ESCI CON QUESTE MINCHIATE? VAFFANCULO! >>.
Ormai ero preda della disperazione. Vedere Diego consumarsi in quel modo. Sapere che morirà. Vedermi sgretolare davanti agli occhi la vita perfetta che avevamo costruito insieme, senza poter fare nulla. Ero decisamente andata oltre il mio limite di sopportazione. Diego, nel frattempo, cominciò a piangere e questo mi fece sentire incredibilmente in colpa. Lui stava morendo ed io lo trattavo in quel modo. Ero una persona davvero spregevole.
<< Mi dispiace, non volevo dirti quelle cose >>, sussurrai tra i singhiozzi asciugandogli le lacrime.
<< Lo so. Però so anche che tu un giorno dovrai dimenticarmi, che ti piaccia o no >>, mormorò mio marito stringendomi una mano contro il suo viso. << Il mio ricordo comincerà ad appestarti come un parassita, ed alla fine arriverai ad odiarmi veramente. Ed io questo non posso sopportarlo >>, poi prese un profondo respiro, e nuove lacrime sgorgarono dai suoi occhi. << Mamma mia, non posso credere a quello che sto per dire >>, inspirò nuovamente. << Un giorno tu ti innamorerai di qualcun altro… >>, ma non lo lasciai finire di parlare.
<< Stronzate. Che stronzate vai dicendo? Io amerò solo te >>, affermai con decisione, sebbene le lacrime scorressero sul mio volto.
<< No amore, accadrà. È giusto così. Tu andrai avanti nella tua vita, lasciandomi indietro. Ed io ti guarderò dall’Alto. Vedrò come continuerai a vivere, e come la tua vita procederà spedita verso giorni migliori. Sarai felice e amerai nuovamente qualcuno, rendendolo l’essere più fortunato sulla terra, come hai fatto con me. Condurrai una vita splendida, e niente potrà ostacolarti >>, le lacrime mie e di Diego si unirono in un unico immenso pianto. Il mio cuore era un masso freddo e dolorante. Soffrivo come non mai. << Io ci sarò sempre, e vivrai con la consapevolezza che ti avrò amato più della mia stessa vita. E starò bene. Perché ovunque io sarò, sotto qualsiasi forma mi trova, io saprò dove sei. Sentirò la tua voce, e sarò felice >>, poi Diego prese la mia mano e se la portò al petto, all’altezza del cuore. << Questo è sempre stato tuo. Perciò devi farmi una promessa. Che mi dimenticherai, se per te sarà troppo difficile convivere con il mio ricordo >>.
Scoppiai in un pianto furioso, sapendo di non avere altra scelta. Non riuscivo più a parlare tanto stavo male. E Diego mi seguii nel pianto.
<< Prometti, Lisa. Promettimelo              ! >>, mi esortò con forza.
La mia testa si mosse da sola, annuendo alle sue parole. Non volevo davvero dimenticarlo, ma non avevo scelta. Avrei fatto di tutto per Diego, anche dargli la mia vita.
<< Bene. Ora devi promettermi un’altra cosa >>, continuò dolcemente.
<< Basta >>, sussurrai tra i forti singhiozzi.
<< Questa è l’ultima te lo giuro >>, poi mi alzò il viso, e fissò i miei occhi intensamente. << Apri la scatola dei desideri e realizza anche per me quello che abbiamo scritto dentro, ok? >>
Nuovamente annuii contro la mia volontà. Poi mi abbandonai ad un pianto disperato. Diego mi abbracciò forte, e cominciò a cullarmi, trascinandomi infine sul letto.
<< Ti amo >>, mi sussurrò tra i capelli.
<< Ti amo anche io >>, risposi piangendo.
Poi mi addormentai profondamente. Quando al mattino dopo mi svegliai, Diego giaceva immobile nel letto, accanto a me. Senza vita.
 
“Mi dispiace, non posso più vivere senza di lui. Spero che capirete questo mio gesto, ma sto andando dal mio unico amore. Con affetto. Lisa”
E invece ero ancora li, su quella terra, da sola. Senza più lui. Senza più mio marito. Senza Diego. Come potevo vivere in quel modo? Perché mi avevano costretta ad andare avanti, se quello che davvero desideravo era raggiungere Diego, ovunque egli fosse? Dopo la sua morte, avevo tentato di suicidarmi, ma la madre di mio marito, non sentendomi per qualche ora, aveva fatto irruzione in casa mia, trovandomi quasi morta. Ovviamente mi portò in ospedale, e da li fui tirata per i capelli dal tunnel della morte. Da allora erano passate tre settimane. Mi alzavo la mattina, facevo una misera colazione, mi trascinavo a letto, mi alzavo per un misero pranzo, mi trascinavo a letto, mi alzavo per una misera cena, e infine mi trascinavo a letto. Quella era diventata la mia routine. Non andavo più a lavoro, non vedevo nessuno, ogni tanto sentivo per telefono la madre di Diego, ma niente di che. Per me, ormai, niente aveva senso. Mio marito non c’era più, ed io avevo perso ogni cosa. Anche la volontà di vivere. Sapevo di avergli avevo promesso che se il suo ricordo fosse stato troppo difficile e pesante da sopportare, lo avrei dovuto dimenticare. Ma come potevo dimenticarlo se ogni cosa mi parlava di noi. L’intera casa era una collezione di momenti fatti di noi, insieme, felici. Un’intera collezione che mi ricordava brutalmente di averlo perduto per sempre. Che non sarebbe più tornato da me. Non mi avrebbe più abbracciato, parlato, scherzato, baciato, amato. Non avremo più potuto condividere nulla. Perché lui non c’era, era morto e mi aveva lasciato li tutta sola, ad affrontare una vita indesiderata e troppo difficile. L’odiavo per questo. L’odiavo per avermi abbandonata a me stessa. Avrebbe dovuto portarmi con se. Solo così sarei stata bene. Sarei stata felice. Ma no! Se ne era andato senza di me. E adesso, di me cosa restava? Niente, assolutamente niente. Scalciai le coperte, alzandomi dal letto, infastidita di tutto. Andai nel salotto, agitata e arrabbiata. Ma quando giunsi nella stanza, un dettaglio saltò alla mia mente. Qualcosa che non avevo notato prima e che adesso si stagliava li, di fronte a me. Mi avvicinai lentamente, e quando fui vicina il mio cuore smise del tutto di battere. La scatola dei ricordi era li sul tavolino, pronta a ricordarmi tutto ciò che avevo perduto e che mai avrei riavuto. Una rabbia incontrollata esplose in me. Senza rendermene conto, afferrai la scatola e la gettai a terra. Poi mi inginocchiai e cominciai a strappare tutti i bigliettini scritti da me e Diego. Per dieci biglietti strappati, ne rimanevano fuori altri cento.
<< Sarebbe stato meglio non averti mai incontrato! >>, urlai verso tutti quei fogli.
Poi uno, ripiegato male, e apertosi nella foga attirò la mia attenzione. Lo aprii con cautela. Quando lo lessi, gli occhi si spalancarono, riempendosi all’istante di lacrime. Quello era il mio biglietto segreto scritto alle spalle di Diego. Ma non c’era solo il mio desiderio. Ne era stato aggiunto un altro, a mia insaputa. Da una calligrafia ordinata e maestosa.
‘Voglio restare per tutta la vita con Diego’
‘Anche io voglio restare tutta la vita con Lisa. Sempre’
Copiose lacrime solcarono il mio viso. Mi accasciai al pavimento, spinta dal peso di tutti quei ricordi e quel dolore. Lo rivolevo indietro, ma questo era impossibile. Ed inoltre, ero consapevole che solo una cosa non avevo avuto ancora il coraggio di esprimere. Qualcosa che mi faceva male, e di cui avevo paura ad ammettere. Singhiozzai forte, poi parlai con voce rotta dal pianto.
<< Mi manchi! >>, sussurrai sottovoce, ma sapendo che il messaggio sarebbe arrivato forte e chiaro.
Ammettere questo sentimento, significava accettare la sua morte. Comprenderla ed affrontarla. Ma io non ero pronta. Non ero ancora abbastanza forte. Ero chiusa in quel limbo impenetrabile ed oscuro e non sapevo cosa fare.
<< Lisa >>, una voce maschile mi richiamò.
Alzai di scatto il volto, in preda al panico. Quella voce l’avrei riconosciuta in mezzo a mille. Davanti a me, nel suo completo in camicia e jeans, con l’aspetto bellissimo di quando l’avevo conosciuto, si stagliava Diego.
<< Diego, sei proprio tu? >>, sussurrai incredula, continuando a piangere.
<< Si amore, sono proprio io. Sono tornato >>
 
Sorrisi ai vari ricordi di me e di mio marito, insieme. Improvvisamente sentii un calore invadermi il petto. Capii che stava ricominciando. Che il mio demone era tornato. Chiusi forte gli occhi, sapendo che stava giungendo l’atto finale. Ed io dovevo essere forte e soprattutto pronta. Ma la verità era che non lo ero. Cominciai nuovamente a tremare da capo a piedi. Aprii lentamente gli occhi e mi voltai alla mia sinistra. Vidi un uomo avvicinarsi. Sapevo esattamente chi fosse, e rimasi li attenendo di essere raggiunta. Quando l’uomo mi fu accanto, sorrise dolcemente e mi fissò dal suo metro e ottanta. Come mi era mancato quel sorriso.
<< Cia Lisa >>, mi salutò amorevolmente.
Inspirai ed espirai forte. Più volte, quasi come se cercassi di prendere tempo. Poi, capendo che non potevo fare altrimenti, sospirai forte, e guardai con dolore e amore allo stesso tempo la persona che avevo di fronte. La paura prese il sopravvento. Sapevo che la mia voce sarebbe uscita sottile e roca, appena avessi cominciato a parlare. Ma il mio interlocutore avrebbe capito ogni mia parole. Quindi mi decisi a parlare.
<< Ciao Diego >>.



Ok, gente, sarò breve...questo capitolo è il ricordo di lisa e diego (e finalmente avete scoperto chi è XDXD contente?)...spero che vi piaccia, e che commentiate...so che dovrei dire altro, spiegare e ringiraziare, ma sono un tantinello stanca, e questo capitolo è stato estenuante...perciò vi lascio qui, dandovi appuntamento a martedi prossimo con il nuovo capitolo...
ricordo anche di seguirmi sul mio sito di Facebook, dove domani pubblicherò le foto di diego, così vedrete come l'ho immaginato XD...questo è il sito: 
http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl...mi raccomando venite a trovarmi XD
un bacio
Moon9292


"Ti ho amato immensamente, e una parte di me ti amerà per sempre"

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Capitolo 23
*** Addii e ritorni ***


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Capitolo 23 - Addii e ritorni


<< Ciao Diego >>, salutai mio marito con voce roca e sottile.
Il mio demone personale si ripresentò in tutto il suo splendore davanti ai miei occhi. Quanto adoravo quel sorriso, quanto amavo quei suoi occhi scuri e quei suoi capelli corti. Amavo tutto di lui. Lo amavo ancora, nonostante tutto. E forse lo avrei amato per sempre. Ma ormai, dovevo andare avanti. Lo sapevo. Lo avevo finalmente capito. Ed era stato merito di Ianto, se ero arrivata a questa conclusione tanto ovvia. Merito di quella nostra notte insieme, dove ci eravamo uniti anima e corpo. Nella mia mente potevo visualizzare quella parte di cuore morente che stava dicendomi addio. Avrei pianto ancora lacrime calde e amare, ma sarei andata avanti. Glielo avevo promesso. Diego non avrebbe voluto che io restassi ancorata al passato. Me lo aveva detto più volte durante quei mesi di agonia. Ma io, testarda ed ostinata qual ero, non gli avevo voluto dare retta. Ed alla fine ci eravamo ridotti in quel modo. Due anni in cui ero stata tormentata dal suo fantasma, dal suo ricordo. Da quel ricordo d’amore che non ero disposta a perdere. Ora dovevo mettere la parola fine a tutto questo. Lo dovevo a Diego, a me stessa e anche a Ianto, il ragazzino che mi amava così intensamente e genuinamente, e che poco a poco aveva conquistato il mio cuore. Ero convinta che non mi sarei più innamorata, e che avrei vissuto per sempre sola, tormentata dalla perdita di Diego. In fin dei conti, quando si ha amato così tanto e così intensamente, è difficile poi cedere il proprio cuore a qualcun altro. Invece Ianto se l’era conquistato con fatica e sudore, ma aveva vinto. E adesso volevo solo vederlo felice. Non potevo avere tutti e due nella mia vita. Diego e Ianto non potevano coesistere. Perciò avrei dovuto dire addio ad uno dei due. E sapevo a chi avrei dovuto rinunciare. Diego mi avrebbe amato per sempre, ed io lo avrei amato per il resto dei miei giorni. Ma Diego era il passato, e Ianto invece era il mio presente e il mio futuro. Perciò, col batticuore, e con il poco coraggio rimastomi, sorrisi alla figura di mio marito, e cominciai a sperare di riuscire a farcela fino in fondo. Di essere in grado di lasciarlo andare, come lui voleva.
<< E’ da un po’ che non ti vedo >>, disse Diego, dolcemente.
<< Ho avuto da fare >>, sussurrai con poca convinzione.
<< Si, lo so >>, annuì mio marito, avvicinandosi di un passo.
<< Hai visto tutto? >>, domandai nel panico. Se la risposta era affermativa, questo voleva dire che Diego aveva assistito a tutto quello che avevo fatto. Quindi anche a quello che era successo quella notte.
<< Amore, non vorrei essere ripetitivo, o scontato ma… >>, allungò una mano, carezzandomi la guancia destra. << …io sono parte di te, te lo ricordi? Perciò quello che vedi e fai tu, lo faccio anche io >>.
Sorrisi, appoggiando la testa contro quella mano così lunga e così reale, anche se sapevo che questo era impossibile. Quella mano, purtroppo, non era vera. Ma solo il frutto della mia immaginazione. Mi si strinse il cuore, nel constatare questa cosa.
<< Già. Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a …tutto >>, sputai l’ultima parola con forte imbarazzo.
<< Non ti preoccupare >>, tolse dolcemente la mano dal mio viso. << Era giusto così. Sapevo che prima o poi sarebbe capitata questa cosa >>.
Gli occhi mi si riempirono automaticamente di lacrime, che cominciarono a scorrere lungo il mio viso. Era davvero troppo affrontare mio marito, ma dovevo farlo. Non potevo tornare indietro, altrimenti niente avrebbe avuto più senso. Avevo bisogno di ritornare alla realtà. E Diego non ne faceva più parte.
<< Mi dispiace >>, singhiozzai.
<< Perché? >>, sussurrò mio marito, sorridendomi sempre.
<< Perché ho infranto tutte le promesse che ti avevo fatto >>, asciugai con forza le lacrime, infuriata con me stessa. << Ti avevo promesso che ti avrei amato per sempre, e che sarei stata per sempre con te. E alla fine mi sono innamorata di un altro >>, iniziai a gesticolare, come accadeva ogni qual volta ero nervosa o arrabbiata. << Ti avevo promesso che ti avrei dimenticato, e invece ti ho costretto a vivere in questa sorta di limbo per due anni. Sono un fallimento continuo. Una persona spregevole. Sono… >>, ma non riuscii a finire di parlare, perché una mano di Diego si poggiò delicatamente sulla mia bocca.
Spalancai gli occhi, allibita e confusa.
<< Hai finito? >>, domandò divertito. Annuii con la testa. << Bene. Amore, tu non hai fatto niente. E non sei ne una persona spregevole, ne un fallimento. Sei fantastica nella tua imperfezione, e non ti cambierei di una virgola >>, sorrisi commossa per quel commento. << Insomma, non tutte avrebbero accettato di sposarmi dopo solo un anno che stavamo insieme. Sei decisamente un tipo forte e interessante >>, spostò la mano dalla mia bocca, e mi portò una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio. Intanto stavo trattenendo il fiato per quelle parole. << Sei la persona di cui mi sono innamorato perdutamente, e sei anche quella che mi è stata vicino in ogni momento fondamentale della mia vita. La laurea, il matrimonio, la scatola dei desideri, la malattia… tante cose che, messe insieme, ti hanno resa speciale ai miei occhi >>, una lacrima solcò il viso di Diego. << Ti ho amata da subito. E qualsiasi cosa fosse accaduta, io avrei scelto sempre te. Questo fa di te una persona eccezionale >>.
Ormai piangevo senza controllo. Diego di certo non me la rendeva facile, dicendo quella parole. O forse, per meglio dire, era quella parte di me che voleva risorgere, che diceva quelle cose. Perché la verità era che la mia mente aveva richiamato indietro Diego. E adesso dovevo essere pronta a dirle addio. Quelle parole mi avrebbero seguita sempre, ma adesso era il mio turno di parlare.
<< Sei tu la persona eccezionale. Quella che è stata capace di farmi ridere, e riportarmi alla vita. L’unica in grado di concedermi un futuro. E questo lo porterò sempre con me >>, sorrisi dolcemente, immersa ancora nelle mie lacrime. << Ricordi quando abbiamo scritto la scatola dei desideri? >>
<< Certo. È stato un bel momento, quello >>, annuì mio marito.
<< Si, è stato un bel momento >>, confermai ricordando quel giorno sul divano. << Ricordi quel bigliettino che scrissi a tua insaputa? Quello in cui dicevo che volevo trascorrere tutta la mia vita con te? >>
<< Si, lo ricordo. E ricordo anche di aver scritto, sotto al tuo massaggio, che anche io volevo passare il resto della mia vita insieme a te >>, affermò Diego sorridendo.
<< Già >>, una nuova ondata di lacrime mi investii in pieno, ma avrei continuato quel discorso, a qualunque costo. << Ci credevo davvero. Volevo davvero passare il resto della mia vita con te >>
<< Anche io >>, sussurrò Diego. Altre lacrime sgorgarono dagli occhi di mio marito.
<< Avrei voluto trascorrere la mia vita con te. Avere dei figli, fare carriera, comprare casa, e magari un cane >>, nella mia mente potevo vedere tutte quelle cose bellissime e impossibili. << Vedere i nostri figli crescere, mandarli a scuola. Affrontare le prime cotte insieme, e alla fine, vederli imboccare la strada per il loro futuro >>
<< Diventare nonni >>, suggerì tra le lacrime Diego.
<< Già, vedere crescere i nipotini. E alla fine morire insieme. Ma tutto questo non potrà mai realizzarsi, e mi si spezza il cuore. Credimi se ti dico che vorrei tanto poter vivere ancora tutte queste cose insieme a te >>, affermai tra le lacrime.
<< Non è più possibile >>, dichiarò mestamente mio marito.
<< Non è più possibile >>, confermai con lo stesso tono.
Rimanemmo per qualche minuto in silenzio, scrutandoci, e guardandoci intorno. Non sapevo come proseguire. Ogni parola, portava verso una direzione, ma la paura di andare avanti era più forte di qualsiasi altra cosa. Restare in quel limbo non era male. Era facile, sicuro. Ma non potevo continuare così. Non potevo proprio. Due occhi del colore del ghiaccio si affacciarono alla mia mente. Mi fissavano gioiosi e pieni d’amore, come molte volte avevano fatto. Ma adesso, con la consapevolezza di ricambiare quell’amore, quegli occhi erano ancora più belli e innamorati di prima. Mi sentivo al sicuro solo nel fissarli. Era una bella sensazione. Vera, autentica, come non ne provavo da molto tempo. Mi riscossi da quel torpore, sapendo che avrei dovuto imboccare l’unica strada possibile. Alzai lo sguardo e lo puntai in quello di mio marito. Ma vidi Diego fissare qualcosa, così seguii il suo sguardo e mi trovai a fissare la foto utilizzata per la lapide. Avevamo scelto una in cui indossava un giubbotto di pelle, ed era appoggiato ad una finestra. Il miglior sorriso di sempre, e lo sguardo puntato su di me. Avevo scattato io quella foto. Sorrisi dolcemente al ricordo di quel giorno insieme, in quell’atrio dell’università, quando stavamo consegnando entrambi le nostre tesine. Avevo portato con me la mia macchina fotografica, perché dopo l’università avremmo fatto un giro per i luoghi storici di Napoli. Volevo conservare quei momenti in un album fotografico. E alla fine avevo cominciato a scattare foto ancora dentro la facoltà. Quel giorno era stato perfetto. Ci dicemmo per la prima volta le parole “ti amo”.
<< Fu una bella giornata >>, mormorò dolcemente Diego.
<< Si. Bellissima >>, risposi con lo stesso tono di voce.
Ripensando a quei momenti, ancora mi domandavo come fossi riuscita a sopravvivere, ad andare avanti, in quegli ultimi due anni.
<< Il mondo continuerà a girare, anche senza di me. E resterà sempre un posto bellissimo >>, poi puntò il suo sguardo su di me, fissandomi con amore. << E anche tu continuerai ad andare avanti senza di me, ed avrai una vita fantastica >>.
Sapevo che Diego era una manifestazione fisica della mia follia, e della mia voglia di riavere accanto mio marito. Ma ancora mi stupivo del fatto che, nonostante fosse morto, riusciva a capirmi ancora così bene.
<< Forse >>, ammisi tristemente, fissandolo negli occhi.
<< Non forse. Sicuramente >>, portò le sue mani sulle mie spalle, e inchiodò il mio sguardo nel suo. << Vivrai una vita piena. E forse la vivrai con il ragazzo dallo sguardo di ghiaccio >>, suggerì complice.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata. Non mi piaceva sentire Diego parlare di Ianto. Era qualcosa di sbagliato e ingiusto, per entrambi. Erano finiti in quel casino per colpa mia, e ora tutti ne stavamo pagando le conseguenze. Non volevo pensare a cosa Ianto avesse provato quella mattina, risvegliatosi solo nel letto, con quel mio messaggio striminzito. O al dolore che gli avevo causato, dopo essermi presa tutti quei giorni di festa da scuola. Era meglio affrontare un problema alla volta.
<< Non dispiacerti, Lisa. Ne per me, ne per quel ragazzo. Entrambi ti amiamo intensamente. E continueremo a farlo, nonostante il dolore inflittoci >>, affermò con dolcezza Diego, sorridendomi.
<< Perché? >>, domandai rabbiosa. << Perché continuate ad amarmi? Io non merito niente >>
<< Non è vero >>, negò prontamente mio marito. << Non è vero. Lisa devi renderti conto che tu sei speciale, e che l’amore che io provo per te è qualcosa di sincero. E nessun’essere umano, che non merita nulla, potrebbe suscitare un amore così >>.
Abbassai lo sguardo, incapace di sostenerlo ulteriormente. Mi odiavo quando facevo così. Quando ero così vigliacca, e debole. Io non ero fatta in quel modo. Sapevo di essere una persona più forte, capace di affrontare qualsiasi evenienza. O meglio, una volta ero così, prima di conoscere Diego. Dopo di lui, il mio intero mondo era stato stravolto, e aveva preso a girare intorno ad un'unica figura: mio marito. Perciò il mio obiettivo era quello di tornare a com’ero una volta. Solo così sarei stata in grado di affrontare quella situazione, e solo così avrei potuto rivedere Ianto. Questo pensiero mi spinse ad alzare gli occhi, e fissare nuovamente Diego. Lo guardai, sospirando tristemente. Sentivo dentro di me che stavamo giungendo alle battute finali. E anche Diego lo sentiva. Il sorriso sul suo volto lo dimostrava. Non era dolce come sempre, e neanche pieno d’amore. Era un sorriso carico di consapevolezza, di una persona che sa che sta per andarsene per sempre. Era uno di quei sorrisi che mi mostrava spesso durante la sua malattia. Improvvisamente le mani che mi stringevano le spalle si fecero meno reali, meno intense. Il cuore prese a battere furioso nel petto. Aveva paura. Presi un respiro profondo.
<< Tu sei qui davanti a me, eppure siamo così distanti >>, sussurrai infine. << Ti guardo, parlo con te, tocco il tuo volto, ma non sei qui. Anche i nostri cuori sono distanti, e questa lontananza non può essere colmata. Perché è impossibile per me raggiungerti, anche se avrei tanto voluto farlo >>, altre lacrime cominciarono a scorrere sui visi di entrambi. << Sei dall’altra parte del mondo, e anche se ora sei qui di fronte a me, io non posso avvicinarmi a te. E questa cosa è triste >>, alzai lentamente una mano, e la portai sul volto di Diego, cominciando ad asciugargli alcune lacrime. << Sei da qualche parte dove non posso portarti indietro, e dove tu non puoi tornare. Sei andato via da me. Ho passato gli ultimi due anni, in un sogno, in cui tu c’eri ancora. Ma adesso devo svegliarmi, capire e accettare che tu non sei più qui con me >>, Diego cominciò a strusciare il viso contro la mia mano, in una lenta carezza fatta d’amore e di disperazione. << Dovevo rassegnarmi quel giorno di due anni fa, ma non ci sono riuscita. Ho voluto continuare a vivere in una sorta di fiaba. Una fiaba dove per me era facile continuare a vivere il futuro con te. Ma questa è la vita vera >>, sussurrai le ultime parole, cominciando a sentire sempre meno la presenza di Diego. Stava svanendo davanti ai miei occhi. Ed ero io a farlo scomparire. Mi sentivo sempre più male, ma non avrei ceduto. << Mi sarebbe tanto piaciuto poter continuare a vivere questa vita con te. Avrei voluto che, tutti i momenti vissuti insieme, fossero durati di più. Ma noi due avevamo una data di scadenza. Ed ora me ne rendo conto. Siamo rimasti uniti fino all’ultimo, finché potevamo. E anche se non tornerai più da me, anche se non potrò più vederti, so che entrambi continueremo ad amarci. Sempre, come avresti detto tu >>, ormai entrambi eravamo un fiume in piena. Il cuore non faceva altro che pompare sangue e dolore, ma quella era la cosa giusta da fare. << Spesso ripenso alle nostre conversazioni, alle tue parole. Non posso farne a meno. E quindi, inevitabilmente, tornano alla memoria le parole dette durante quei tuoi ultimi giorni di vita, e alla promessa che mi hai strappato. Vorrei poterle dimenticare, a volte, e altre invece vorrei ricordare tutto. Sono rinchiusa in questa sorta di limbo da troppo tempo, e non so cosa devo fare. Non so quale sia la scelta giusta da fare. Non conosco una soluzione accettabile per il mio cuore >>
<< Forse perché non c’è nessuna soluzione. Forse l’unica cosa da fare, è dirsi addio >>, mormorò dolcemente Diego.
<< Già >>, sussurrai tra i singhiozzi quelle parole. Eravamo giunti alla fine. Adesso dovevamo dirci addio. << Io continuerò ad andare avanti, anche se tu non sei più in questo mondo >>, quella consapevolezza mi investii con la furia di un tornado. Ora sapevo che sarei riuscita a sopravvivere anche senza Diego.
<< Sei forte e coraggiosa. So che ce la farai >>, mio marito si avvicinò al mio volto, e in quel momento mi resi conto che stava per svanire. << Anche se non sarò al tuo fianco, io per te ci sarò sempre. Non mi vedrai, ma ci sarò >>
<< Lo so >>, annuii fissandolo intensamente in quei occhi scuri e meravigliosi. << Ci sono volte in cui mi manchi così tanto, che penso di non farcela. E sono sicura che anche in futuro sarà così. Guarderò dietro di me, e mi mancherai infinitamente. Ma… >>
<< …ma ce la farai >>, Diego terminò la frase al posto mio.
<< Esatto >>, annuii sorridendogli dolcemente. << C’è un’ultima cosa che devo dirti >>, presi un respiro profondo. << Ti amo. Ti ho amato immensamente, e una parte di me ti amerà per sempre >>
<< Anche io ti amo. Sempre >>, sussurrò dolcemente mio marito.
Poi le sue calde labbra, leggermente screpolate, si poggiarono sulle mie. Ci unimmo un’ultima volta in un bacio dolce, sincero, pieno d’amore, con la consapevolezza che quello sarebbe stato l’ultimo. Assaporai il sapore di Diego, consapevole che non lo avrei mai più ritrovato in nessun altro. Quel sapore era unico al mondo, e avrei dovuto dirgli addio. Mi aggrappai forte alle spalle di mio marito, rimandando sempre di più il momento dell’addio. Poi, passati vari minuti, riaprii gli occhi, e vidi il volto di Diego scomparire.
<< Mi mancherai tanto >>, sussurrai tra le lacrime.
<< Addio >>, sorrise dolcemente, per l’ultima volta, Diego.
Poi, così come era apparso quel giorno di due anni fa, così sparì. In quel pomeriggio di febbraio, mio marito morì davvero. Fissavo quel punto dove prima c’era Diego, confusa. Mi sentivo sola e anche un po’ disperata, eppure in pace con me stessa. Quel tormento, quel mantenere vivo il dolore, il voler continuare a vivere nel passato… era tutto finito. Ora sarei andata avanti con la mia vita. Altre lacrime solcarono il mio volto. Ma le avrei lasciate uscire. Era giusto così. Dovevano uscire per me, e per Diego. Mi voltai, fissando ancora una volta la foto installata nella lapide. Quel sorriso dolce non mi avrebbe più accompagnata nei giorni a venire. Ma sapevo che ad attendermi c’erano degli occhi di ghiaccio, e questo mi bastava per tornare a sperare nel futuro. Improvvisamente sentii scricchiolare dietro le mie spalle, ma non mi voltai.
<< Allora? >>, domandò semplicemente mia suocera.
<< E’ finita >>, dissi soltanto. << E’ tutto finito. Lui non riapparirà più >>
 
Ero nella mia stanza a disfare i bagagli. Mi sembrava di rivivere una scena del passato. Quel giorno di settembre, quando ero arrivata in quella casa, in un quartiere di Roma. Quando la mia vita era ricominciata. Un sorriso spontaneo comparve sul mio volto. Quante cose erano cambiate da allora. Avevo conosciuto Ianto, e lo avevo aiutato a superare la morte dei genitori. Lo avevo aiutato a ricongiungersi con Paolo. Avevo aiutato Roberto a superare i dolori della sua vita, a farlo tornare a vivere. A dargli un’altra occasione, nella vita, con Ianto e con Paolo. Avevo collaborato per la nascita di quell’amore così antico e profondo. Avevo aiutato Nicola ad uscire dal suo tunnel della droga, precipitato per via di un amore non corrisposto e per le troppe aspettative da parte dei genitori. Lo avevo aiutato a ricongiungersi con l’amico Mario. Avevo incoraggiato quest’ultimo a seguire la strada giusta, che lo avrebbe portato verso una famiglia felice, con un figlio in arrivo. Avevo collaborato, in maniera un po’ subdola, alla nascita dell’amore tra Andrea e Carlo. Avevo aiutato a riunire tre fratelli sfortunati, prima della fine. Ed infine, avevo aiutato me stessa a guarire da quella tortura. Ad uscire da quel limbo infinito in cui mi ero auto catapultata. Ora restava solo una cosa da fare. Parlare con Ianto, e spiegargli ogni cosa. Appena avevo messo piede in casa, l’odore del giovane dagli occhi di ghiaccio mi aveva investito. Anche se erano passati tantissimi giorni, quella casa sapeva ancora di Ianto. La malinconia mi assalii. Volevo vederlo, parlargli, baciarlo nuovamente. Ma prima dovevo spiegargli. E questa, forse, sarebbe stata la parte più difficile. Appena varcato l’ingresso, rividi con gli occhi della memoria, la scena del quel giorno, in cui disperata, mi ero concessa a Ianto. Però una cosa era fuori posto. C’era un libro sul divano, che sapevo doveva essere da un’altra parte. “Angeli e Demoni” portava alla mia memoria, tanti momenti divertenti e felici. E anche una consapevolezza. Ianto era stato in quella casa anche dopo che me ne ero andata. Dubitavo che quella stessa mattina avesse spostato il libro sul divano. Doveva essere stato preso da altro, ad esempio dal fatto che ero scomparsa. Perciò, sicuramente, era tornato in quel luogo, e chissà cosa aveva fatto. Forse sperava di rivedermi, sperava che fossi tornata. Ma come una stupida, ci avevo impiegato quasi un mese per riuscire a dire addio a Diego. Avevo molte cose da farmi perdonare. Quando poi ero entrata in camera da letto, con le lenzuola ancora disfatte, il ricordo di quella notte d’amore, sofferta e ricca di emozioni, prese possesso della mia testa. Vedevo continuamente, quasi come un disco rotto, le scene di me e Ianto su quel letto, uniti anima e corpo. Arrossii vistosamente, imbarazzata e stranamente euforica. Ora che non c’era più il ricordo di mio marito a farla da padrone in ogni mia azione, potevo godere appieno di quello che era accaduto. Sembravo un’adolescente alle prese con la sua prima cotta, e le sue prime esperienze sessuali. Ero davvero ridicola, ma non riuscivo a darmi un contegno. E poi perché avrei dovuto. Finalmente ero libera di vivermi quella storia d’amore. Avrei amato per sempre Diego, ma ora era arrivato il momento di tornare ad essere felice. E la mia felicità poteva essere riassunta in una sola parola: Ianto. Sapevo che sarebbe stato arrabbiato, e che forse avrei dovuto scontrarmi con la versione cattiva del giovane, ma confidavo nel suo amore, e in quello che di bello c’era in lui. Ianto non era una brutta persona, anzi. E non dubitavo minimamente di ricevere il suo perdono. Di questo ne ero assolutamente certa. Perciò finii di disfare le mie cose, e di rimetterle al loro posto. Decisi di lasciare però la foto di me e Diego sul comodino. Mio marito avrebbe fatto sempre parte della mia vita, e meritava avere una posizione fisica in quel mondo. E quello era il posto esatto. Lo sentivo dentro. Appena finii con le mie cose, mi misi nel letto. Solo il giorno prima avevo detto addio a Diego, ed ora ero pronta a ricominciare nuovamente la mia vita. Avevo già avvisato il preside che sarei tornata l’indomani a scuola. E non vedevo l’ora. Per la prima volta, dopo tanto tempo, potevo tornavo a credere nel futuro.
 
Varcata la soglia del cancello dell’istituto, la mia sicurezza vacillò. Mille dubbi si affacciarono alla mia mente, mentre mi dirigevo a passo spedito verso la mia aula. E se Ianto non mi avesse perdonato? E se fosse andato avanti con la sua vita? E se non mi amasse più? Cosa avrei fatto io? Beh, ero sopravvissuta alla morte di Diego, potevo sopravvivere ad ogni cosa. Ma sapevo che mi sarebbero per sempre mancati quegli occhi ghiacciati. Mi sarebbe mancato sempre il modo unico in cui mi fissavano, e l’amore intenso che trasmettevano. No, ero più che decisa a riavere su di me quello sguardo, costi quel che costi. Con una nuova determinazione in corpo, andai a passo di carica verso l’aula. Anche quel posto mi era mancato. Quell’istituto così grande e prestigioso, che trasudava ad ogni angolo ricchezza e importanza. Anche quelle divise cosi sgraziate nell’abbinamento, mi erano mancate. Quel posto mi era entrato davvero nel cuore. Arrivata davanti la porta della mia classe, non riuscii però ad entrare dentro. Mi scoprii molto agitata, e nuovamente insicura. Altri dubbi si affacciarono nella mia mente. Sapevo che tutti gli alunni erano già dentro e che stavano aspettando solo che il loro insegnante arrivasse, per cominciare la lezione. Ma il batticuore mi impediva di muovere un passo. Ero tornata ad essere una vigliacca. Dannazione! Inspirai ed espirai più volte, cercando di calmare la mia ansia. Ma non stavo ottenendo i risultati sperati.
<< Ansia per il rientro? >>, domandò improvvisamente una voce accanto a me.
Scattai come una molla, in preda al panico, per l’improvvisa interruzione dei miei pensieri. Mi voltai, e trovai due occhi verde foresta fissarmi. Il preside, in quei giorni, non era minimamente cambiato.
<< Preside. Che piacere rivederla. Un po’ meno essere spaventata da lei >>, dissi cercando di regolarizzare il respiro. << Lo fa apposta a prendermi di sorpresa tutte le volte? >>
<< No, mi riesce molto naturale. Lei è un soggetto facile, da spaventare. Passa moltissimo del suo tempo con la testa persa tra le nuvole, professoressa >>, commentò divertito l’uomo.
Non riuscii a trattenere un sorriso. Mi erano mancati i modi di fare di quell’uomo.
<< Lo prendo come un complimento >>, affermai con orgoglio.
<< Assolutamente. Le mie parole, per lei, sono colme di  elogi alla sua persona. Lei non è una donna comune >>, dichiarò il preside.
<< Me lo dicono spesso, ultimamente >>,commentai amaramente, pensando alle parole dette da Diego, due giorni fa.
L’uomo mi sorrise nuovamente. Poi cominciò a scrutarmi intensamente, quasi stesse cercando qualcosa. Rimasi perplessa per quell’atteggiamento. Mi sentii in imbarazzo, senza sapere bene il perché.
<< Ehm, il mio viso ha qualcosa che non va? >>, domandai cominciando a tastarmi la faccia.
<< No, no, assolutamente. Anzi, è meraviglioso come sempre >>, affermò con tranquillità il preside, una volta finito di analizzarmi.
<< E allora perché mi sta fissando? >>, chiesi sempre più confusa. Non ci stavo capendo più nulla.
<< Lei è diversa >>, dichiarò l’uomo.
<< Diversa? >>, dissi alzando un sopracciglio.
<< Si, diversa. Ma non nel corpo. Bensì nell’animo. Qualcosa di bello le deve essere capitato in questi giorni di assenza >>, continuò il preside.
Spalancai gli occhi, sorpresa. Si notava così tanto che ero riuscita finalmente a dire addio a Diego, e ad andare avanti con la mia vita?
<< Davvero? >>, domandai stranamente felice.
<< Assolutamente. La sua anima è ancora più radiosa del solito. Illumina i cuori di chi le sta intorno. Una sensazione di calma si propaga nel corpo. Qualcosa che non ho da molto tempo, e che le invidio profondamente >>, dichiarò l’uomo sorridendomi. Ma dai suoi occhi, rividi quella tristezza che albergava in lui. E la riconobbi, perché era la stessa che qualche giorno prima avevo io. Mi sentii molto dispiaciuta per quell’uomo così buono e così gentile. Volevo che fosse felice anche lui. Ormai il preside Martino era diventato un buon amico per me.
<< Allora proverò ad infonderle un po’ della mia calma spirituale >>, provai a scherzare, senza ottenere molto successo.
<< Non si preoccupi. Mi basta saperla felice. Però credo che dovrò avvertirla di qualcosa accaduto durante la sua assenza. Qualcosa di spiacevole, ahimè >>, affermò riluttante l’uomo.
Non sapevo perché, ma entrai nel panico appena udite quelle parole.
<< Che è successo? >>, chiesi subito.
<< Vede, ci sono stati dei… tumulti durante la sua assenza. Qualcuno non ha gradito molto la sua scomparsa prolungata. E di conseguenza, ha cominciato a comportarsi in modo disdicevole >>, confessò il preside fissandomi dritta negli occhi.
Non ci fu bisogno di sentire nessun nome, o di aggiungere altro. Compresi all’istante ciò che mi stava dicendo.
<< Ianto >>, sussurrai afflitta. L’uomo annuii mestamente. << Cosa ha combinato? >>
<< Ecco, ha dato molti grattacapi al supplente. Ed ha assunto atteggiamenti arroganti, presuntuosi, che non fanno parte del suo carattere. Ed infine ha cominciato ad infrangere il regolamento scolastico. Ho voluto dargli del tempo, per farlo redimere, sapendo che solo lei poteva riportarlo sulla retta via >>, esclamò il preside con tono grave. << Ma se anche lei dovesse fallire, mi vedrò costretto a prendere seri provvedimenti. Se a settembre era un ragazzo ancora gestibile, ora non è più possibile controllarlo. Sono venuto a sapere anche che durante la sua festa dei diciotto anni… >>
<< Festa dei diciotto anni? >>, lo interruppi presa alla sprovvista.
<< Si, esatto. Il giovane Manfredi ha raggiunto la maggiore età una settimana fa. Non lo sapeva? >>, domandò perplesso il preside.
<< No, non lo sapevo >>, sussurrai tristemente. Sapevo che Ianto avrebbe compiuto gli anni, in quei mesi. Ma non immaginavo che fosse nato proprio in quel mese, e che non fossi stata presente durante la sua festa.
<< Beh, comunque, mi è stato riferito, senza entrare nel dettaglio, che il giovane Manfredi ha avuto una festa, diciamo, particolarmente movimentata. Non sono riuscito a reperire altre notizie, perché i suoi amici, nonostante gli atteggiamenti del giovane, gli restano fedeli. Però, so per certo, che sono successe delle cose durante i festeggiamenti >>, dichiarò infine il preside.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Feste di diciotto anni, atteggiamenti assurdi, situazioni particolari… ma che diavolo mi ero lasciata alle spalle, quel giorno? Cosa gli avevo fatto? Forse le domande che dovevano assillarmi non erano “se mi ama ancora”, ma se c’era ancora, da qualche parte, lo “Ianto” che avevo imparato ad amare. L’ansia nel trovare quella risposta, cominciò a torcermi le budella. Appena varcata la soglia di quell’aula, avrei avuto le mie risposte.
<< Grazie preside. Terrò conto delle sue parole, e rimedierò ai guai che le mie azioni hanno portato >>, dichiarai con decisione. Non mi sarei lasciata abbattere da quel macello. Avrei riportato da me Ianto, in un modo o nell’altro.
<< Bene, professoressa Cristillo. Conto su di lei. Riporti indietro quel ragazzo >>, affermò l’uomo sorridendomi. Poi si voltò e cominciò ad incamminarsi per il corridoio. Improvvisamente, si bloccò, e tornò a fissarmi. << In bocca al lupo >>, disse facendomi l’occhiolino, poi riprese la sua strada.
<< Crepi >>, sussurrai, prendendo un po’ d’aria.
Mi voltai verso l’entrata dell’aula, e senza indecisioni, spalancai la porta entrando in classe. Appena varcata la soglia, notai che tutto era come l’avevo lasciato. I banchi, la cattedra, le finestre. Chissà perché mi aspettavo che qualcosa fosse diverso. C’erano tutti e diciannove gli alunni che, alla mia entrata, ammutolirono completamente. Vidi diciannove paia di occhi fissarmi, facendomi sentire imbarazzata al tempo stesso. Ma solo un paio d’occhi mi interessava, e li cercai subito. Appena li trovai, qualcosa dentro di me si piegò. Due occhi di ghiaccio, mi fissavano ostili e rabbiosi. Anche indifferenti, a tratti. Non erano più gli occhi che avevo imparato ad amare, e che mi seguivano sempre con amore ad ogni mio passo. Quando fissai poi l’insieme, rimasi senza parole. Ianto era cambiato tantissimo. Anche seduto potevo notare l’aumentare della sua altezza. La massa muscolare era anch’essa lievitata notevolmente. I capelli erano più corti e sparati in aria con del gel fissante, e alcune ciocche erano diventate nere. In più, per completare l’opera, tre piercing la facevano da padrone in quel viso. Uno era sul lobo dell’orecchio, un altro al sopracciglio sinistro, e infine uno al labbro inferiore. Era qualcosa di agghiacciante vedere com’era diventato diverso. Una nuova consapevolezza prese il sopravvento. Quello non era più Ianto. Quello era Ignazio. E questa cosa non mi piaceva per niente.
<< Professoressa, è tornata >>, esclamò gioioso un ragazzo.
Quando mi riscossi dai miei pensieri su Ianto, mi voltai e vidi Nicola sorridermi felice. Solo allora mi resi conto di essere stata immobile per vari minuti, e di aver fissato intensamente Ianto. Perciò sorrisi di rimando al ragazzino, notando che non era cambiato minimamente.
<< Si, ragazzi >>, affermai guardando l’intera classe. << Sono tornata >>
 
Trascorsi le successive tre ore, a farmi raccontare come erano andate le cose in quei miei giorni di assenza, e facendomi dire dove il supplente fosse arrivato con le lezioni. Ogni tanto, senza farmi scorgere, guardavo tristemente Ianto, constatando che i suoi occhi non si posavano mai sulla mia figura, ma che anzi fissavano sempre fuori dalla finestra. Lo stavo perdendo, non c’erano dubbi. E stavolta sarebbe stato difficile riportarlo di nuovo da me. Poi passai le ore rimanenti a spiegare le varie materie, e a riprendere familiarità con il mio ruolo di insegnante. Avevo volutamente evitato di posare lo sguardo su quel banco vuoto, una volta appartenuto a Vincenzo, perché il dolore per la sua perdita era ancora fresco, ma sapevo che sarei riuscita ad affrontare anche quel problema. L’importante era procedere con calma, un passo alla volta. E dare la giusta priorità alle cose. E Ianto era in cima alla lista. Rividi i volti di tutti quelli che avevo aiutato e che erano diventati miei amici. Escluso il giovane dagli occhi di ghiaccio, gli altri erano rimasti gli stessi. Andrea e Carlo con le loro espressioni glaciali, Mario sempre emo, Nicola sempre così dolce, Fabio e Marco più sereni, Roberto e Paolo sorridenti. Però gli sguardi di quest’ultimi erano leggermente più appesantiti, preoccupati. Molto probabilmente Paolo, con l’aggiunta di Roberto, aveva rindossato i panni del salvatore di Ianto. E se, stavolta, le cose erano peggiorate, ciò significava che quel ruolo era diventato più faticoso. Mi sentii molto in colpa nei loro confronti, perché era tutta colpa mia. Ma non potevo fare altrimenti. Se non me ne fossi andata, Ianto avrebbe sofferto molto di più. E contavo di spiegargli proprio questo concetto. Appena giunta la campanella di fine lezione, presi un respiro profondo, e mi decisi ad agire.
<< Manfredi, puoi restare in classe, per qualche altro minuto? >>, domandai con voce perentoria, alzandomi dalla sedia, e posizionandomi davanti alla cattedra, nella mia consueta posizione.
Ianto mi fissò, rabbioso e sempre più ostile. Un ghigno malevolo, che mai gli avevo visto, lo accompagnò, mentre si risiedeva pesantemente sulla sedia. Il resto della classe si alzò, senza badare a noi due. Paolo e Roberto però si avvicinarono a me.
<< Bentornata, prof >>, sussurrò Roberto.
<< Grazie >>, risposi sorridendogli.
<< La prego, prof, sii gentile con lui >>, affermò preoccupato Paolo.
<< Non temere. Farò del mio meglio, e riporterò indietro Ianto >>, dichiarai con decisione.
I due sorrisero speranzosi, e si allontanarono silenziosamente. Appena chiusa la porta dell’aula, cadde il silenzio. Ne io ne Ianto emettevamo un solo suono. Anche se ero sicura che il giovane riuscisse a sentire il battere furioso del mio cuore contro la gabbia toracica. Non sapevo da che parte cominciare. Ero nervosa e in preda all’ansia. Che dovevo dire?
 << Allora, cosa vuole da me? >>, interruppe il silenzio Ianto. La voce che gli sentii era diversa, più marcata e dura. E soprattutto, piena di rancore. E non mi era neanche sfuggito l’abolizione del tu.
<< Come stai? >>, domandai presa alla sprovvista.
Ianto mi fissò per qualche secondo, poi scoppiò in forte attacco di ridarella. Si manteneva la pancia con una mano, e sbatteva il pugno dell’altra sul banco. Sembrava non riprendersi più. E anche quella risata non era quella che conoscevo. Era cattiva, acida, offensiva. Non mi piaceva per niente.
<< Perché diavolo ridi? >>, domandai innervosita.
<< Rido perché è davvero divertente questa situazione. Cos’è, ha paura che vado a dire agli altri, magari al preside, che si è scopato un suo alunno, per giunta minorenne? >>, affermò con cattiveria Ianto, appena finito di ridere.
Rimasi scioccata per quelle parole. Non credevo che le avrei mai sentite pronunciare dalla sua bocca. Ma evidentemente, c’era una prima volta per tutto. Boccheggiai, incapace di ribattere, o di dire qualsiasi altra cosa. Ianto ne approfittò alzandosi dalla sedia, e muovendosi con passo seducente verso di me.
<< Oppure teme che possa andare in giro a dire che nutre dell’attrazione sessuale per un suo alunno? >>, continuò con lascivia avvicinandosi.
<< Finiscila >>, affermai abbassando lo sguardo, incapace di guardarlo ancora per molto.
Non potevo sopportare di vedere quella versione orribile di Ianto. Sembrava di avere a che fare con “Dottor Jekyll e Mister Hyde”. Ianto sorrise ancora di più maliziosamente. Ormai era distante pochi passi da me. Ed io non sapevo che fare.
<< Ma come siamo timidi. Professoressa, forza, mi ha già scopato una volta. Se lo ricorda il mio corpo, non è vero? >>, affermò ormai vicinissimo, così tanto, che potevo sentire l’odore della sua pelle. << Si ricorda com’era avermi sopra, nudo, vero? >>, ormai era arrivati davanti a me. Poggiò le sue mani sulla cattedra, ai lati del mio corpo, imprigionandomi.
Dietro c’era il legno, davanti il fisico scultoreo di Ianto che premeva contro il mio. Non mi piaceva quella situazione. Mi sentivo in trappola. E Ianto, di certo, non era un predatore docile. Anzi, mi avrebbe sbranato da un momento all’altro. Un moto d’orgoglio si impossessò di me. Non mi sarei fatta battere da un moccioso, nemmeno se lo amavo. Così alzai lo sguardo, e lo puntai in quello del giovane, con spavalderia. Ianto, vedendo la mia determinazione, rise divertito, schernendomi ulteriormente.
<< Uhm, la gattina qui ha tirato fuori le unghia >>, poi avvicinò il suo volto al mio, e sussurrò sulle mie labbra. << E se lo ricorda il mio membro duro penetrarla, con forza? Si ricorda l’orgasmo che le ho fatto provare? >>.
Diventai rossa per la vergogna e la rabbia. Come si permetteva di dirmi quelle cose? Non ci vidi più, e gli tirai uno schiaffone fortissimo, capace di fargli voltare la testa. Ianto rimase paralizzato per qualche istante. Poi si voltò, fissandomi con una furia immensa. I suoi occhi di ghiaccio, fiammeggiavano per la rabbia. Anche il suo volto si distorse, assumendo un’espressione raccapricciante e pericolosa. Avevo appena attivato una bomba ad orologeria. Il giovane mi afferrò saldamente il polso e cominciò a stringere con forza. Troppa forza. Sembrava che volesse spezzarmelo. E stava anche riuscendoci. Non mi sarei fatta piegare dal dolore, però. L’orgoglio era troppo forte, perciò decisi che non avrei emesso neanche un rumore. Ma, oltre a stringere il polso, cominciò anche a storcermi il braccio. A quel punto, ero arrivata alla massima soglia del dolore. Così seguii il movimento del mio arto, lasciandomi uscire fuori dei gemiti di sofferenza. E ora come me ne tiravo fuori da questa situazione? Ianto parve ravvedersi, perché appena sentì il mio lamento, allentò la presa, e infine la lasciò del tutto. Intanto i nostri occhi non si erano staccati neanche per un secondo, e riuscii a scorgere un qualcosa. Un piccolo bagliore di luce in quell’oscurità della sua anima, sbucata fuori appena mi aveva sentito lamentarmi. Forse non tutto era perduto. C’era ancora una tenue speranza. Ianto, nel frattempo, si allontanò velocemente da me, dirigendosi a passo spedito verso il suo zaino. Raccolse le sue cose, e si incamminò verso l’uscita. Mi posizionai davanti alla sua strada senza pensarci su, due volte.
<< Ianto, aspetta >>, affermai a voce alta.
Però, al suono della mia voce, e al nome usato, il giovane si infuriò ulteriormente.
<< Non.Mi.Chiami.Ianto. >>, sillabò cercando di trattenersi.
<< Perché? >>, sussurrai addolorata.
Ianto mi fissò con sguardo omicida. Ma anche con dolore e sofferenza. In quell’anima c’era un mix esplosivo di emozioni, che mi lasciava stordita. Non sapevo più cosa il ragazzo provasse. Era tutto troppo confuso.
<< PERCHÉ LO HAI UCCISO! >>, urlò in preda alla rabbia. Spalancai gli occhi esterrefatta. Non credevo che il danno fosse così grave. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi, e l’impotenza farsi strada nel  mio corpo. << Lei lo ha ucciso! Ha ucciso Ianto. Ora è rimasto solo Ignazio, perciò veda di impararlo >>, dichiarò duramente, abbassando i toni di voce e ritornando a darmi del lei.
Boccheggiai nuovamente, non sapendo che dire. Era tutto così incasinato. L’unica cosa che sapevo, era che avevo creato un danno maggiore di quello che mi aspettassi. Avevo forse davvero ucciso Ianto. Avevo distrutto la persona che amavo. Il cuore mi faceva male in petto. Batteva furioso, cercando vendetta contro me stessa. Se quella era la punizione per la mia codardia, e per quello che avevo fatto sia a Ianto, che a Diego, che a me stessa, beh era un conto davvero salato. Ianto mi scansò e andò verso la porta. Non feci nulla per fermarlo, perché non ne avevo la forza. Dovevo ancora riordinare le idee.
<< A proposito. Ben tornata, prof >>, sputò acidamente il ragazzo.
Dopodiché lasciò l’aula, lasciandomi da sola, in preda al mio peggiore incubo. Perdere la persona che amavo. 





Buonasera a tutti, gente XD... ecco a voi il nuovo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...beh, che dire, è un capitolo davvero incasinato...si conclude la parte di diego/lisa e si riotrna ad affrontare la coppia lisa/ianto...o meglio lisa/ianto/ignazio...e di quest'ultimo che dire? vi apsettavate che fosse diventato un tale teppista, violento e con la faccia bucherellata?? scommetto di no XDXD e neanche che lisa si fosse persa la sua festa dei diciotto anni...e chissà cosa è successo durante la festa...haha, dai vi dico che nel prossimo capitolo roberto lo dirà...e, visto che oggi sono più buona, vi dò alcune notiziette ^-^...allora, il prossimo capitolo, concluderà questa parte di saga e si vedrà come andranno le cose tra lisa e ianto e se le cose si sistemeranno...poi ci saranno in tutto altre tre saghe da affrontare...due con protagonisti nuovi alunni, e una con nostre vecchie conoscenze...ed poi ci sarà la parte finale, e l'epilogo che possiamo considerarla una saga unica...insomma, avrete capito che mancano ancora un po' di capitoletti XDXD chi è contenta, alzi la mano!!!
cmq, torniamo seri e passiamo ai ringraziamenti...ovvero, ringrazio tutti quelli che leggono/seguono/hanno messo la storia tra le preferite...grazie di cuore XD...ma soprattutto, ringrazio le fedelissime, ovvero colore che recensiscono sempre tutti i capitoli: Sparkling June, Matipare, Deilantha, Allegra_, Loreena McKenzie e Roberta 97...grazie mille ragazze...per merito vostro questa storia continua ad esistere *-*
ricordo anche di passare per il mio contatto facebook, dove possiamo parlare delle mie storie e dei miei personaggi: 
http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl
ora vi lascio, dandovi appuntamento a martedi prossimo, con l'aggiornamento XD
un bacio
Moon9292


"Non credevo fosse possibile, ma sei la persona che mi ha fatto male più di tutte"

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Capitolo 24
*** Déjà-vu ***


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Capitolo 24 - Déjà-vu


Fine dell’ultima ora scolastica. Ormai era passata una settimana, e le cose non erano cambiate di una singola vergola dall’ultima volta. Ianto continuava ad evitarmi, o a trattarmi con indifferenza e disprezzo. Il suo sguardo era colmo di rabbia e rancore nei miei riguardi, ed ogni volta, vederlo, mi faceva male. Odiavo stare così male e far stare male lui, e sapere che la causa di tutta questa sofferenza ero io. Io e la mia inettitudine. La mia incapacità di lasciare andare il passato, di godere appieno del sentimento che nutrivo per un ragazzino di diciotto anni. Vivere questo nuovo amore pieno e soddisfacente. Era tutta colpa mia, e non sapevo come porre rimedio a tutto ciò. Avevo provato qualsiasi tipo di approccio. Parlargli dolcemente, fermarlo alla fine della lezione, andare nell’aula 213 e trovarla perennemente chiusa a chiave, mandargli messaggi sul cellulare. Qualsiasi cosa. Ma niente aveva sortito l’effetto desiderato. E nel frattempo il suo atteggiamento era sempre più incontrollabile. A stento riuscivo a contenerlo io. Ianto era diventato la parte orribile e cattiva di se stesso, e sembrava che non ci fossero speranze per fare riuscire fuori la parte dolce e meravigliosa che avevo imparato ad amare. Ed ovviamente tutto questo era la conseguenza delle mie azioni. In fin dei conti, non potevo prendermela proprio con nessuno, nemmeno con lui. L’unica da incolpare ero io. Chissà perché in quei miei trent’anni di vita, la maggior parte di essi li avevo passati nel sentirmi in colpa nei confronti di qualcun altro. Se c’era una cosa che avevo imparato, però, era quella di non arrendermi mai. E questo me lo aveva insegnato anche Diego. Se non mi avesse corteggiato così assiduamente, come aveva fatto, io non avrei mai ceduto. E per quel motivo, anche per onorare la memoria di mio marito, che avrei continuato ad andare avanti, e avrei tentato in un modo o nell’altro di riconquistare Ianto. Costi quel che costi, qualsiasi sia il tempo che ci avrei impiegato, io lo avrei riportato al mio fianco. Mai mi sarei arresa. Mai arrendersi. Ecco il segreto della vita. Ed io, grazie a due persone meravigliose, lo avevo capito. Non avevo un piano ben delineato, e  neanche molte speranze a dirla tutta, ma avrei perseverato. Questo era sicuro. E forse un giorno sarei riuscita a spiegare il motivo delle mie azioni, e il perché della mia fuga quella notte di tante settimane prima. La cosa più brutta, però, erano i ricordi dolorosi che mi assalivano. Quel Ianto dolce, premuroso, rassicurante di quella notte, sembrava svanito, ed io non riuscivo a tollerare la vista del mio letto matrimoniale. Il suo profumo sembrava essere diventato parte integrante del materasso. Perciò in quella settimana avevo preso a dormire sul divano, con una coperta addosso, e il libro “Angeli e demoni” stretto al petto. Ero abbastanza ridicola, a dirla tutta, però non mi importava di nulla. In verità non mi interessava più niente. Nella mia mente c’era solo Ianto, e il riconquistarlo. Ad essere onesti, non mi aspettavo tutto questo sfacelo con la mia fuga. Credevo che fosse arrabbiato, certo, ma non fino a questo punto. Ma la verità era che non avevo considerato un fattore importante: l’abbandono. Io e quasi il resto del mondo, vivevamo quella parola in un determinato modo. Ma per Ianto era diverso. Lui era già stato abbandonato dalle persone che amava. La sua famiglia era morta, lasciandolo tutto solo. E per lui, quella ferita, era più grande di qualsiasi altra cosa. La faceva da padrone in ogni sua azione, e ogni suo sentimento. E quello che avevo fatto io, era paragonabile come allo spargimento di sale su una ferita sanguinante e aperta. Avevo creato un ulteriore fosso nel suo petto. E se lo conoscevo bene, cosa di cui ero certa, il mio abbandono era stato più grave perché volontario. I suoi genitori e sua sorella non desideravano morire, io invece me ne ero andata con le mie gambe e con la mia volontà di farlo. E questo era considerato anche come tradimento. Beh, gran bel piano che avevo avuto quel giorno. Andarci a letto la sera prima, e poi lasciarlo da solo ancora addormentato nel mio letto. Proprio un’idea brillante. Ma almeno tutto questo gran casino aveva dato i suoi frutti. Avevo chiuso col passato, ma ad un caro prezzo. E lo scotto lo aveva pagato interamente Ianto. Stavo pensando a questo, mentre sistemavo le mie cose nella borsa, alla fine della lezione. Il giovane dagli occhi di ghiaccio, ovviamente, era stato il primo a defilarsi. Se avesse intrapreso una carriera come corridore, di sicuro avrebbe avuto un ottimo successo. Sbuffai esasperata, infilando con forza i libri nella borsa. La rabbia nei miei confronti era tale, da consumarmi completamente. E non ne potevo più di sentirmi arrabbiata con me stessa.
<< Sta bene, prof? >>, domandò una voce distraendomi dai miei pensieri.
Avrei riconosciuto ovunque quella voce. Sorrisi, felice nel sapere che certe cose non sarebbero mai cambiate.
<< Si, Paolo. Grazie >>, alzai gli occhi, per incontrare quelli nocciola di Paolo.
 << Posso parlarle, prof? >>, chiese il giovane sorridendomi tristemente.
<< Uhm, ho come l’impressione di vivere un déjà-vu >>, commentai, sedendomi e incrociando le braccia al petto. << Se non sbaglio adesso dovrei dire una cosa del tipo: “io e te parliamo solo quando qualcosa ti affligge. Dovremmo cambiare abitudine”. Vero? >>
<< Si. E io dovrei rispondere: “Magari un giorno” >>, rispose divertito Paolo, ricordando la scena di mesi addietro.
<< Temo che quel giorno non sia ancora arrivato >>, sospirai tristemente.
<< Beh, forse quando questa situazione si sistemerà, io e lei ci prenderemo un caffè e parleremo dei nostri rispettivi fidanzati >>, affermò, cercando di risollevarmi l’umore.
<< Ti immagini la scena. “Roberto ha fatto questo…”, “Ianto ha fatto quest’altro…” >>, risposi immaginando me e Paolo seduti al tavolo di un bar, a sorseggiare una buona tazza di caffè. Chissà perché, non mi sembrava tanto lontano come futuro.
<< Mi piacerebbe molto. Lei sarebbe una confidente perfetta >>, affermò deciso Paolo.
<< Eh, non ne sarei tanto sicura. Sono più brava a fare casini, che a sistemarli >>, mormorai.
<< Non dica così. Pensi a tutto ciò che ha fatto per noi. Per la maggior parte della classe. A quello che ha fatto per me >>, dichiarò commosso il giovane.
<< Non ho fatto molto per te, Paolo >>, risposi sicura.
<< Scherza? Lei mi ha dato la felicità, mi ha donato un nuovo motivo per svegliarmi la mattina. Mi ha dato la speranza >>, dichiarò con sicurezza il ragazzo dagli occhi nocciola.
<< No Paolo. Non sono stata io. Sei stato tu. Hai fatto tutto da solo >>, negai con veemenza.
<< Invece si sbaglia. Lei ha permesso che tutto ciò accadesse. Se al mio fianco adesso c’è Roberto, lo devo solo a lei >>, una lacrima solcò il volto del giovane. In quel momento pensai una cosa: che ero stufa di vedere le persone a me care piangere.
<< Ti prego, non piangere >>, mormorai abbassando gli occhi. Quella lacrima salata, mi dava veramente fastidio.
<< Scusi >>, rispose velocemente Paolo, asciugandosi il volto con le mani.
<< Forza, Paolo. Veniamo al punto in cui mi rimproveri di ciò che ho fatto, e facciamola finita >>, sospirai stancamente, alzando nuovamente lo sguardo.
<< Non voglio rimproverarla di niente. Non so bene perché si è comportata in quel modo, e quali siano le ragioni. Però so che Ignazio non può andare avanti così >>, dichiarò con decisione Paolo.
Sentire quel nome, mi procurò una forte fitta nel petto. Era come retrocedere di molti mesi, quando tutto era un gran casino, ed io dovevo cominciare a conoscere quei ragazzi. Ora però la situazione era ben peggiore.
<< Sei tornato a chiamarlo Ignazio >>, sussurrai disperata.
<< Si >>, annuì il giovane, abbassando lo sguardo. << Non ci permette più di chiamarlo Ianto. Ha detto che Ianto è… >>
<< Morto >>, conclusi la frase al posto del ragazzo.
<< Esatto >>, confermò alzando lo sguardo nuovamente.
Passarono vari minuti, in cui entrambi restammo in silenzio, cercando di riordinare le idee. Poi, stanca di quell’atmosfera, tirai in mezzo un argomento generico.
<< Ehm, come mai Roberto non è venuto, oggi? >>, chiesi curiosa.
<< Oh, è andato a fare le analisi >>, rispose Paolo. Gli occhi gli si illuminarono automaticamente. Parlare del fidanzato, per lui, era fonte di eterna gioia.
Vedere la sua reazione mi fece sorridere spontaneamente. Era bello vedere un amore così puro e genuino, nascere tra due ragazzi come loro. Poi, riflettei sulle parole dette dal giovane, e il panico mi investii in pieno.
<< Le analisi? Sta bene? >>, domandai prontamente.
<< Si, si. Non si preoccupi. Sono analisi di routine, che fa abitualmente. Deve tenere sotto controllo la sua malattia, perciò deve farsi visitare ogni tot di tempo >>, spiegò velocemente il giovane.
<< Ah, meno male >>, sospirai sollevata.
<< Però non sono venuto a parlare di questo, prof >>, riprese nuovamente il discorso Paolo.
<< Forza. Spara. Dimmi tutto >>, provai a buttarla sullo scherzo, ma mi uscii un tono molto falso e stonato. Non ero convincente. Per niente.
<< Ecco, vede, Ignazio in questo mese ha affrontato una situazione difficile e sofferente. E alla fine ha deciso di proteggersi creando un muro attorno al cuore, e trasformandosi in quella specie di mostro >>, spiegò Paolo, agitato e nervoso. Si torturava le mani, segno che c’era qualcosa che mi nascondeva.
<< Si, ho notato >>, confermai sarcastica.
<< La prego, faccia qualcosa >>, mi supplicò improvvisamente il giovane, appoggiandosi alla cattedra.
<< Paolo, non ho la minima idea di cosa fare >>, risposi mestamente.
<< Ma lei deve fare qualcosa >>, marcò la parola “deve”. << Non capisce, lui non è più se stesso. So che commetterà qualche follia se continua così. Mi creda, è molto peggio dell’ultima volta. Alla fine era gestibile, e potevo ancora ragionare con lui. Ma adesso non posso più fare nulla. Finirà con il fare qualche cazzata astronomica. Peggio di quella che ha già fatto >>
<< Ti riferisci al compleanno? >>, domandai prontamente.
A quelle mie parole, Paolo si irrigidì completamente, assumendo un’espressione, che in un’altra situazione avrei trovato ridicola. Sembrava costipato. Ma in quel momento, non mi faceva stare bene. Anzi, l’inquietudine per ciò che non sapevo aumentava sempre di più. Che diamine era successo durante quel benedetto compleanno?
<< Cosa sa del compleanno? >>, chiese agitato il ragazzo.
<< Niente. So solo che è successo qualcosa di grave >>, affermai alzando le spalle, sconfitta.
Lo vidi sospirare di sollievo. L’agitazione non faceva che crescere.
<< Mi puoi raccontare che diavolo ha fatto? >>, dissi cercando di trattenere l’ansia.
<< Prof, mi creda. Per lei, è meglio che non lo sappia >>, rispose prontamente il giovane.
<< Oh beh, questo si che mi fa stare tranquilla. Vivere nell’ignoranza. È il sogno di ogni uomo non sapere le cose >>, esclamai sarcastica.
<< Molti vorrebbero poter dimenticare il passato, ma non possono. Si consideri fortunata, prof >>, dichiarò saggiamente il ragazzo.
<< So bene cosa si prova, nel voler dimenticare >>, sussurrai tristemente. Diego era la conferma dei miei sentimenti.
<< Comunque lei deve aiutarlo. Non c’è altra soluzione. È l’unica che può fare qualcosa >>, affermò con decisione Paolo.
<< Paolo, ti sbagli. Non posso fare nulla, stavolta. E sai perché? Perché sono io la causa di tutta questa situazione di merda >>, esplosi esasperata. Le forze per combattere, improvvisamente, scemarono. << Io l’ho abbandonato, dopo esserci andata a letto. L’ho lasciato tra le mie lenzuola, senza dirgli una parola su dove stavo andando, su cosa dovevo fare, e quando sarei tornata. Spiegami tu come posso sistemare questo caos, se l’ho creato io >>
<< Esatto, l’ha creato lei. Tutto comincia con lei, e tutto finirà con lei. È l’unica che può porre fine a tutto questo >>, affermò con trasporto Paolo.
<< Paolo, davvero io non so come. Non so che devo fare >>, sospirai sconfitta.
Passarono nuovamente vari minuti di silenzio, nel quale entrambi eravamo persi nei nostri ricordi.
<< Si ricorda cosa le dissi quel giorno, quando la convinsi a parlare con Ignazio? >>, domandò improvvisamente il giovane, interrompendo il silenzio.
Lo guardai perplessa, cercando di portare alla memoria quelle parole. Ma non mi veniva in mente nulla.
<< Le dissi che solo lei poteva aiutare Ignazio, perché possedeva qualcosa che io non avevo >>, venne in mio aiuto il ragazzo, capendo che non riuscivo a ricordare quelle frasi. << E anche che quando la guardavo, vedevo le stesse cose che leggevo nello sguardo di Ignazio >>.
Improvvisamente mi tornò alla mente tutto, così annuii.
<< Ok, ma non vedo il nesso con tutto questo >>, risposi confusa.
<< In questi mesi, il suo sguardo non è cambiato minimamente. Ma quello di Ignazio si. È diventato sereno e felice. Lo sguardo di una persona innamorata >>, spiegò dolcemente Paolo. << Adesso le parti si sono invertite. Nel suo sguardo, ora leggo determinazione e sicurezza. E tanto amore nei confronti del mio amico. Mentre nello sguardo di Ignazio, si vede solamente buio >>
<< Continuo a non capire >>, continuai perplessa.
<< Lei è la luce, Ignazio è il buio >>, affermò con ovvietà Paolo.
<< Ah certo. Io sono la luce >>, dichiarai sarcastica.
<< Esatto. Lei è la luce. E di conseguenza potrà far brillare nuovamente il cuore di Ignazio. Solo lei può riuscirci, sia per questa ragione, che per un’altra >>, disse il giovane.
<< E cioè? >>, chiesi incuriosita.
<< Può riuscirci perché Ianto la ama >>, rispose dolcemente e con un sorriso, Paolo.
Quel commento fece nascere un’ondata di calore nel petto, che si tramutò in un sorriso sul mio volto. Ero ridicola, senza ombra di dubbio. Eppure sentirmi dire da un estraneo, che Ianto mi amava, mi riempiva di felicità. Ero davvero strana.
<< L’hai chiamato Ianto >>, sussurrai commossa.
<< Si, perché è Ianto ad amarla. Ignazio la odia. Anche se nel suo odio, io ci leggo tanto amore >>, affermò divertito Paolo. Poi tornò serio, e mi fissò dritto negli occhi. << Riporti indietro il mio amico >>
<< Ci proverò >>, sussurrai dolcemente.
<< Aula 213. Conosce la strada >>, disse il giovane, facendomi l’occhiolino.
<< Ma è chiusa a chiave >>, affermai con fare lamentoso.
<< Ecco, tenga >>, e poggiò una chiave sulla cattedra. Lo guardai confusa, e anche divertita. Quel ragazzo era sorprendente. << Ne ho fatta una copia, all’insaputa di Ignazio. La dono a lei. Ne faccia buon uso >>.
Poi Paolo si voltò, e si incamminò verso la porta.
<< Te lo giuro. La prossima volta parleremo davvero davanti ad una tazza di caffè, dei nostri fidanzati >>, dichiarai frettolosamente e ad alta voce.
Il giovane si bloccò sulla soglia della porta. Si voltò e mi guardò entusiasta.
<< Ci conto >>, poi riprese il suo cammino, lasciandomi sola.
Guardai la chiave sulla cattedra quasi come fosse una bomba. Avevo paura di ciò che potevo farci con essa, ma ero più che decisa a fare qualcosa. Così, l’afferrai, dirigendomi verso quell’aula spettatrice di tante parole e discussioni. Ed ora avrebbe assistito a qualcosa di molto più serio. Ero determinata a riportare Ianto da me. Costi quel che costi.
 
Arrivai davanti all’aula 213, tremante e in preda al panico. La chiave nella mia mano, sembrava essere divenuta un tutt’uno con la mia pelle, talmente la stringevo forte. In effetti faceva anche molto male. Non sapevo cosa avrei trovato dietro quella porta, o cosa avrei dovuto dire, ma tornare indietro non era più possibile. Perciò presi un ultimo respiro, ed infilai la chiave nella serratura. Appena aperta la porta, la prima cosa che penetrò nelle mie narici, fu il forte odore di sigaretta. E questa era un’altra cosa da aggiungere nella lista di cose che ora facevano parte del carattere di Ianto. Fumava, e questo vizio non mi piaceva per niente. Appena riuscii a mettere a fuoco ,l’intera aula, lo trovai immediatamente seduto al solito posto vicino alla finestra, con una sigaretta finita tra le mani. Era intento a fissare fuori il cielo, come aveva fatto in passato. Quella vista mi causò una forte malinconia per i tempi andati. Comunque, presi coraggio ed entrai nell’aula chiudendomi la porta alle spalle. Il giovane non si voltò a guardarmi, ma sapevo che mi aveva sentito. Percepiva la mia presenza, e lo avevo intuito dal leggere irrigidimento delle sue ossa. Sembrava stanco e senza forze. Di conseguenza per me c’erano molte più speranze di poter parlargli. Questa cosa mi rincuorò, e al tempo stesso mi fece stare male. Perché significava che ero una vigliacca. Scacciai quel pensiero dalla testa, e andai a sedermi al mio solito posto, di fronte a lui.
<< Vedo che Paolo non ha perso il vizio di farsi i fatti degli altri >>, commentò Ianto, dopo qualche minuto di silenzio, sempre senza guardarmi.
<< Beh, dovresti ritenerti fortunato. Hai degli amici fantastici >>, risposi prontamente. Ero pronta a dare battaglia.
<< Evviva! Come sono fortunato >>, esclamò con finto entusiasmo.
<< Fai poco lo spiritoso, Ianto >>, affermai scocciata.
<< Non chiamarmi in quel modo >>, dichiarò arrabbiato, guardandomi per la prima volta negli occhi.
<< No, lo farò. E tu sai perché >>, dissi con decisione.
<< E quale sarebbe il motivo, sentiamo. Perché io proprio non lo conosco >>, rispose sarcastico.
<< Il motivo è che tu sei Ianto >>, e marcai le ultime parole. << Quello che ho davanti a me, non sei tu. È solo la versione Hyde di te stesso. Una versione raccapricciante, a dirla tutta. Da quando sei un feticista dei buchi? >>, domandai scioccata, fissando i vari piercing a cui ultimamente se n’era aggiunto un altro sulla lingua.
<< Sono affascinanti. Hanno un che di misterioso e seducente >>, dichiarò con fare lascivo.
<< Io invece li trovo di pessimo gusto, e rendono il tuo viso peggio di una versione mal riuscita di un Picasso >>, affermai con sarcasmo.
<< Picasso è diventato una persona famosa e importante. Quindi lo considero un complimento >>, continuò con quel suo tono melenso e fastidioso.
<< Noto che ti sei bucato anche il cervello >>, ormai eravamo presi da quel botta e risposta cattivo e pungente.
<< Lei invece mi ha bucato il cuore, prof >>, disse con sarcasmo, ma notai una vena sincera in quelle parole.
Stavo raggiungendo il suo cuore, con quel gioco di botta e risposta. Forse gli riportava alla memoria vecchi ricordi di noi due. Come stava accadendo anche a me.
<< Mi dispiace >>, mormorai tristemente. Odiavo il fatto di averlo fatto soffrire.
<< E perché mai? In fin dei conti, ha fatto quello che voleva, si è comportata esattamente nel modo che più le si addice. Scappando via appena la situazione si è fatta difficile >>, dichiarò con profonda cattiveria.
<< Non dire così. E’ vero, sono stata vigliacca la maggior parte delle volte, con te. Ma questa volta è stato diverso. C’è una ragione se mi sono comportata in quel modo >>, affermai prontamente, cercando di spiegarmi.
<< Già, è vero. Avevo scordato il caro maritino morto, la promessa fattagli, eccetera eccetera eccetera. Sa, alle volte è monotona >>, commentò Ianto sarcastico.
<< Tu non sai di cosa stai parlando, Ianto >>, continuai con decisione.
<< E io le ho già detto di smetterla di chiamarmi in quel modo >>, rispose con ferocia il giovane. << Ho fatto fuori quel ragazzino, e l’ho sostituito con qualcosa di grandioso, di forte e potente >>
<< Con uno stronzo, lo hai sostituito >>, esclamai furiosa.
<< Può darsi. Ma almeno questo stronzo non le permetterà mai più di fargli del male >>, affermò malvagio il ragazzo.
<< Dannazione Ianto, ascoltami una buona volta >>, sbottai esasperata.
<< BASTA! >>, urlò collerico Ianto. Rimasi paralizzata da tanta rabbia e dolore. << Basta! Io non voglio sapere più niente di te, o di quello che è successo quella notte, o di qualsiasi altra cazzata ti riguardi >>, poggiò le mani sul banco, spingendo forte, quasi come volesse sfogare la sua furia. << Io ho chiuso con te, non ne voglio più sapere niente. Mi sono spiegato? >>.
Quelle parole mi provocarono profonde ferite nel cuore. Era il mio incubo fattosi realtà. Perdere per la seconda volta la persona che amavo, e stavolta per colpa mia. Tutto quel macello era stato creato dalle mie stesse mani, e non sapevo come porvi rimedio. Sentivo solo dolore, forte e penetrante. Un dolore che mi paralizzava. Ero impotente di fronte a questo muro degli orrori che si ergeva dinanzi a me.
<< Ti prego. Tu devi darmi la possibilità di spiegarmi. Devi ascoltarmi, prima di farla finita con me >>, lo supplicai.
<< E perché mai dovrei darti questa possibilità? Tu con me non l’hai fatto. Non mi hai permesso di starti accanto, quindi non vedo perché tu debba essere così fortunata >>, affermò duramente. << In fondo, chi scappa non merita seconde chance >>
<< Ma io non sono scappata >>, poi riflettei sulle miei parole, trovandole false. << O meglio, si sono scappata. Ma non per quello che tu pensi >>
<< E la differenza qual è? >>, domandò con rabbia.
<< La differenza sta nel fatto che sono andata via per noi. Perché se non lo avessi fatto, saremmo davvero affogati in un mare di sangue >>, dichiarai tristemente, ma con decisione.
<< No, il vero bagno di sangue è questo. Io avrei potuto affrontare qualsiasi cosa con te, solo perché tu eri al mio fianco. E invece hai preferito andartene, perché era molto più facile che restare e soffrire insieme >>, esclamò Ianto.
<< Ma non è così. Credimi è tutto molto più complicato >>, non riuscivo a trovare le parole per spiegarmi. E il giovane dagli occhi di ghiaccio non me ne dava neanche l’occasione.
<< Oh, allora le cose stanno così >>, mormorò con cattiveria. << Sei scappata, perché le cose erano complicate. Oh beh, che bel sentimento di merda che provavi >>
<< Maledizione, Ianto. Io ti amo >>, esclamai esasperata e piena d’amore. Non ce la facevo più a trattenere quelle parole. Avevo l’urgenza di confessargliele, perché solo così lui avrebbe capito la verità.
Ianto, dal canto suo, rimase spiazzato. Non se l’aspettava assolutamente quella mia frase. E in effetti, per lui era una novità. Non me l’aveva mai sentito dire. L’unica volta che lo avevo fatto, lui dormiva profondamente. E adesso le buttavo li, in quel modo così assurdo, come se avessero potuto fare qualcosa. Come se dirle, avrebbe reso quella situazione più facile. Ciò dimostrava sempre di più quanto fossi vigliacca. Avevo scelto il momento più assurdo per dirle. Se non l’avessi fatto, avrei perso Ianto. E non potevo permetterlo. Però, come diceva il detto, in amore e in guerra tutto è concesso. E io mi sarei concessa di essere una vigliacca, se questo avesse significato tenere stretto a me Ianto. Poi sul volto del giovane, comparve un sorriso malvagio, cattivo.
<< Ti aspetti sul serio che io creda alle tue parole? Mi hai preso davvero per uno stupido? Tu sei… incredibile, davvero. Sei un essere spregevole. Mi fai schifo >>, sputò quelle parole con una cattiveria tale, da lasciarmi spiazzata.
Quella frase mi fece molto male. Mi creò una ferita profonda e assurda. Sanguinante e dolorante. Ma non dovevo cedere. Non potevo cedere.
<< Ti sto dicendo la verità, cazzo. È proprio perché ti amo, che sono dovuta andare via >>, spiegai con forza.
<< Sei andata via, perché mi amavi? Ma ti rendi conto di quanto suoni falsa e ridicola >>, continuò Ianto, con quel suo tono.
<< Tu devi credermi, e devi lasciarmi spiegare >>, urlai esasperata, appoggiandomi sul banco e avvicinandomi al volto del ragazzo.
<< Io non ti devo proprio niente >>, imitò le mie stesse mosse, e si avvicinò al mio volto. Potevo sentire il suo respiro caldo sulla mia faccia. << Ma non lo capisci? Non credevo fosse possibile, ma sei la persona che mi ha fatto male più di tutte. Mi hai spezzato il cuore. E adesso pretendi di tornare, e di riportare le cose a come stavano prima? No, non è possibile. Ora l’unica cosa che puoi fare, è alzarti e andare a fare in culo >>.
Ero senza parole. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi, ma non potevo piangere. Non dovevo cedere, altrimenti avrei perso. Ianto mi stava distruggendo, mentalmente e fisicamente. Ma dovevo resistere. Solo così sarei riuscita a farlo tornare da me. Solo così lo avrei convinto del mio amore.
<< Ianto… >>, sussurrai disperata. << Ti prego >>.
Il giovane si staccò velocemente, quasi come fosse stato punto. Sembrava che non potesse più sopportare la mia vicinanza. Infatti distolse velocemente lo sguardo, ed incrociò le braccia al petto, mettendo distanza tra di noi. Mi sistemai anche io sulla sedia, appoggiandomi contro lo schienale. Avevo bisogno di ordinarmi le idee, e di trovare nuovamente la forza di affrontare tutto quello che stava accadendo.
<< Ok, ammettiamo che tu mi ami. Allora spiegami, perché te ne sei andata? Se mi amavi davvero, non potevi sopportare di starmi lontano >>, domandò improvvisamente Ianto.
<< E’ quello che sto cercando di spiegarti. C’è una ragione alla base di tutto questo. Una cosa che non sai, e che io non ti ho mai detto >>, cominciai a spiegare.
<< Beh, a quanto pare ci sono tante cose che non so di te >>, affermò sarcastico il giovane.
<< Ianto, dannazione fammi parlare >>, sbuffai esasperata.
<< Sai, io credo una cosa. Che tu non fossi pronta ad affrontare tutto questo. Che mentalmente non fossi pronta ad affrontare una situazione difficile. Ma credo anche che, se davvero è questo il motivo, allora il tuo non è vero amore. E’ solo un pallido riflesso di quello che provavo io >>, dichiarò duramente il ragazzo.
<< Santi numi, Ianto. Non è questo, assolutamente. Fammi parlare, per favore >>, sospirai stancamente.
<< No. Non voglia ascoltarti. Voglio solo che tu mi lasci in pace >>, sputò prontamente Ianto.
<< No, non lo farò mai. Prima di scrivere la parola fine a questa storia, devo spiegarmi >>, negai con forza.
<< Questa storia? Non c’è mai stata nessuna storia tra me e te. C’ero io, con il mio amore, che ti inseguivo, e tu che scappavi e mi spezzavi il cuore. Ecco cosa c’è sempre stato >>, affermò con decisione il giovane.
<< Ah, ma perché devi essere così difficile, con la testa dura, e con le orecchie tappate. Perché non vuoi capire >>, esclamai disperata.
<< Quello che capisco è che credevo che tu fossi il mio destino. L’amore della mia vita, e roba simile. E magari lo eri davvero. Ma non per questo, significa che doveva finire necessariamente bene >>, mormorò mestamente Ianto. Poi si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta.
<< Aspetta! >>, lo chiamai, bloccandolo per un polso.
Appena la mia mano entrò in contatto con la sua pelle, sentii il cuore pompare forte e veloce. Non percepivo il calore della sua pelle da tanto tempo, e risentirlo così, improvvisamente, mi fece girare la testa. Io amavo davvero quel ragazzo, e avevo bisogno di dimostrarglielo. Ne andava della mia stessa vita. Ianto, invece, era di tutt’altra opinione. Perché appena la mia mano entrò in contatto con il suo polso, la scostò velocemente. Ma rimase immobile, a metà strada tra il banco e la porta, dandomi le spalle, e respirando profondamente. Percepivo tutta la sua agitazione e la sua ansia.
<< Mi hai spezzato il cuore, Lisa >>, sussurrò dolorante. << Credevo che insieme saremmo stati bene. Che avremmo potuto vivere insieme. Ma tu non hai voluto provare. Hai rinunciato ancora prima di cominciare >>
<< No, non ho rinunciato. Se solo tu mi facessi parlare >>, dichiarai sempre più disperata.
<< E a che pro? >>, si voltò guardandomi dritto negli occhi. Quelli che mi colpii maggiormente, furono le lacrime comparire nei suoi occhi di ghiaccio, oltre che la sua espressione sofferente. << A che servirebbe? Ormai siamo arrivati a questo punto, nel quale qualsiasi cosa tu mi dica per me non ha più senso. Io non ti credo più >>.
Fu uno shock sentire quelle parole. Era davvero troppo. Non sapevo che fare, cosa dire. Non c’era più niente per me, ormai, che mi desse speranza. Così mi aggrappai alla prima cosa che mi venne in mente.
<< Tu mi ami >>, sussurrai, sentendo ormai le lacrime pronte ad uscire.
<< Già. Ti ho amato, tanto. Ma adesso devo dimenticarti >>, mormorò sofferente Ianto.
Si voltò, e riprese a camminare, dirigendosi verso la porta. Ogni suo passo, lo portava via da me. Era tutto finito. Non avevo più speranze. Sentivo il cuore sempre più pesante, e sofferente. Poi quando Ianto giunse alla porta, senza voltarsi, decretò la mia condanna a morte.
<< Ho fatto di tutto per te. Ho lottato per te >>, represse un singhiozzo. << Ma solo io l’ho fatto. E adesso sono stufo di lottare. È finita >>, poi aprì la porta e la varcò lasciandosi dietro le spalle un corpo informe e senza più cuore. E quel corpo ero io.
 
Seduta sul divano, alle undici della sera, piangevo tutte le mie lacrime. Lacrime amare, sofferte, e piene di colpa. Tutta quella situazione era solo colpa mia. Quel dolore, da parte di entrambi, era da imputare solo a me e alle mie azioni. Come avevo potuto essere così egoista, pensare che potevo sistemare la mia situazione con Diego, e poi pensare di trovare Ianto tranquillo e felice, pronto ad aspettarmi per l’eternità. Ero stata una stupida folle, e adesso ne pagavo le conseguenze. Avevo perso tutto. Per Ianto, avevo rinunciato a Diego. E per rinunciare a Diego, avevo perso Ianto. Che assurdo circolo vizioso avevo creato. Se fossi stata più forte, più coraggiosa, non si sarebbe creata questa situazione. Forse, non sarei neanche venuta a Roma, e non avrei conosciuto Ianto. Ma visto com’erano andate le cose, per lui sarebbe stato meglio così. Non gli avrei spezzato il cuore, e probabilmente un giorno avrebbe trovato la persona giusta, che lo avrebbe riempito d’amore. Una persona migliore di me. Ormai, però, era inutile piangere sul latte versato. Quel che fatto era fatto. Sospirai afflitta per la millesima volta, asciugandomi l’ennesima lacrima. Il pavimento di casa e il divano stesso, erano sommersi dai fazzoletti usati. Facevo pena e anche un po’ schifo, ad essere onesti. Improvvisamente il cellulare squillò. Persi qualche minuto nel cercarlo, sommerso da tutto quel macello. Poi finalmente lo trovai, incastrato tra i cuscini del divano. Appena lo presi, vidi subito chi era il mittente, ed entrai immediatamente nel panico.
<< Paolo, che succede >>, domandai subito.
<< Ehm, prof, la disturbo? >>, chiese il giovane, imbarazzato.
<< No. Che diavolo succede? >>, ridomandai con più forza.
<< Ecco, io e Roberto avremmo bisogno del suo aiuto >>, cominciò il ragazzo.
<< Non dirmelo. Ho un altro déjà-vu >>, commentai sarcastica.
<< Già. Ignazio si è ricacciato nuovamente nei guai >>, confermò sconfortato Paolo.
<< E’ simile all’ultima volta? >>, chiesi mentre mi sistemavo la tuta, e mi preparavo ad uscire.
<< Veramente è peggio >>, confessò il ragazzo, sempre più imbarazzato.
<< Fantastico >>, mormorai ironica.
<< Prof, può fare in fretta? Qua la situazione degenera in fretta >>, urlò una terza voce, che riconobbi. Roberto era abbastanza allarmato. E se lo era lui, dopo tutto quello che aveva passato, allora le cose erano davvero gravi.
<< Dammi l’indirizzo >>, affermai con fermezza. Quello era decisamente il giorno del déjà-vu.
 
Appena arrivai alla discoteca, la prima cosa che feci fu paragonarla a quella dell’ultima volta. Il confronto emise un verdetto sconcertante. La discoteca precedente era paragonabile ad un hotel a cinque stelle, rispetto a quello che avevo di fronte. Un luogo buio, pieno di gente decisamente poco raccomandabile. E la cosa che più mi sconcertava, era il fatto che si trovasse all’imbocco del quartiere malfamato dove una volta lavorava Roberto. Era praticamente il principio della fine. Ed ecco spiegato anche il perché di quella gente. Ce n’era di tutti i tipi. Capigliature di tutti i colori e forme, vestiti e svestiti in tutte le maniere. Ma quello che più mi terrorizzava era che ognuno dei clienti, possedeva una specie di arma. C’era chi aveva il pugno di ferro, chi fruste, coltelli di tutte le lunghezze e forme. Addirittura qualcuno aveva anche delle piccole pistole infilate nella cintura dei pantaloni. Decisamente quel posto era poco raccomandabile. Ovviamente la presenza di prostitute o spacciatori, era la cosa più scontata, e forse la meno pericolosa. Quando arrivai all’entrata, una serie di sguardi si posarono su di me, seguendomi come un’ombra. Dovevo andarmene al più presto da li. Un buttafuori però bloccò la mia strada.
<< Non puoi passare >>, affermò duramente con la sua voce possente e minacciosa. Un uomo di colore, massiccio e grosso, ostacolava il mio cammino.
<< Scusa, recupero tre persone, e poi vado via. Ci metto poco >>, spiegai velocemente.
<< Non puoi passare >>, ripeté nuovamente.
<< Ho capito. Ma ti ho spiegato che non voglio restare qui. Prendo tre persone e poi me ne vado >>, e provai ad incamminarmi verso l’interno. Ma una mano di poggiò sul mio petto spingendomi indietro.
<< Non puoi passare >>, sembrava un cd rotto.
<< Senti brutto scimmione >>, sbottai esasperata e furiosa. << Non voglio restare in questo posto di merda. Recupero tre cristiani di merda, e me ne vado via. Ti è entrato il concetto il quel cazzo di cervello? >>, decisamente la finezza non faceva parte del mio essere.
L’uomo mi guardò minaccioso. Si mire ritto, sovrastandomi di buoni trenta centimetri. Se avesse voluto, mi avrebbe staccato la testa con una mano. Ovviamente non mi fregava nulla di quello che mi avrebbe fatto, l’importante era recuperare Ianto, Paolo e Roberto.
<< Non puoi passare >>, sillabò minaccioso.
<< Ok, testa di cazzo. Ora mi hai fatto arrabbiare >>, presi il cellulare e composi il numero della polizia. << Ora chiamo la polizia e li faccio venire qui. Con tutti questi spacciatori, prostitute eccetera, finirete tutti nella merda. Specialmente quando spiegherò che qui dentro fate entrare anche dei minorenni. Uhm, che ne dici? Ti vuoi godere lo spettacolo, scimmione? >>, domandai sarcastica.
L’uomo mi guardò furioso. Grugnì quasi come fosse un’animale, poi alla fine si spostò lasciandomi libero accesso. Chiusi il cellulare, e lo guardai vittoriosa.
<< Grazie >>, affermai con presunzione.
Poi, senza aspettare la reazione dello scimmione, mi incamminai dentro quel posto. Se fuori sembrava un posto buio e orribile, dentro era anche peggio. Un lungo corridoio vecchio e cadente, sporco delle peggiori schifezze, alcune di dubbia provenienza, portava dentro alla discoteca. Ovviamente sul mio cammino, trovai persone intente a pomiciare in modo molto spinto. Mi venne in mente il giorno in cui andai per la prima volta in quel quartiere dove lavorava Roberto, e ricordai ciò che avevo visto in mezzo alla strada, e dentro al locale. Scacciai dalla mente quell’immagine, dirigendomi verso la discoteca. Appena arrivata alla fine del corridoio, trovai una porta. La aprii e una musica a volume altissimo mi investii. La puzza di alcol e di fumo mi penetrò nelle narici, disturbandomi profondamente. Misi a fuoco ciò che avevo davanti, trovandomi in un posto che superava le mie aspettative. Era una stanza grandissima, dove al lato sinistro della porta c’era il bancone, in fondo la cabina dj, ed in mezzo tutta pista, con vari cubi sparsi un po’ ovunque. In fine, al centro della stanza, vi era un cubo più grande di tutti, dove si poteva ballare in più persone. Molte più persone. Cominciai a vagare in quel posto, cercando Paolo e Roberto. Sarebbe stato un lavoro molto difficile. Quel posto era pieno zeppo di gente. Vagai per molti minuti, senza successo. Passato un quarto d’ora dal mio arrivo, mi stufai, e chiamai Paolo.
<< Pronto >>, lo sentii urlare.
<< Dove sei? >>, urlai di rimando.
<< Come? >>, chiese il giovane.
<< DOVE SEI? >>, urlai più forte.
<< Ah, siamo vicini al cubo centrale. Vicini al muro >>, spiegò Paolo.
Riattaccai velocemente, dirigendomi verso il posto indicatomi. Passarono altri minuti, poi finalmente li individuai. Roberto era salito su di una specie di sgabello e guardava sconvolto un punto, mentre Paolo scuoteva velocemente la testa. Li raggiunsi di fretta, pronta a qualsiasi scenario.
<< Prof! >>, esclamò felicemente Paolo, appena mi vide.
<< Ragazzi, dov’è Ianto? >>, domandai immediatamente, non vedendolo da nessuna parte.
<< Se si volta, prof, lo vede subito >>, affermò sarcastico Roberto, e mi indicò un punto alle mie spalle.
Mi voltai, agitata e temendo la scena che avrei visto. Ma niente mi avrebbe potuto preparare a ciò che vidi. Ianto, svestito in un modo assurdo, che ballava sul cubo centrale, quello più grande di tutti. Ballava, poi. Una parolona. Si strusciava contro delle ragazze, toccandole e baciandole ovunque. Una mano di quelle era infilata nei pantaloni stracciati e attillatissimi del ragazzo, intenta a fargli un bel lavoretto di mano. Una mano di Ianto, invece era infilata sotto la gonna di una seconda ragazza, mentre l’altra mano palpava vistosamente un seno scoperto di una terza ragazza. Altre gli giravano intorno, anelando anche un suo solo bacio, o addirittura una semplice leccata. Rimasi scioccata e sconvolta da quella scena. E profondamente ferita. Era vero, lo avevo lasciato, ma non meritavo quel dolore gratuito. Va bene che era arrabbiato, ma quello era troppo. Mi sentivo ferita ed umiliata. Non abbastanza, carente in qualcosa, tradita. Eppure non mi mancava nulla. Una rabbia incontrollabile mi crebbe dentro. Non sarei riuscita a trattenermi per molto.
<< Ianto >>, sillabai furiosa.
<< Già, glielo avevo detto che la situazione era peggiore, stavolta >>, esclamò esasperato Paolo.
<< Amore, stai tranquillo forza >>, provò a rassicurarlo Roberto.
<< Non dirmi stai tranquillo >>, urlò isterico il giovane. << Tu non c’eri la prima volta. Me la sono vista da solo. Non hai il diritto di parlare. Questa è tutta colpa tua >>
<< Colpa mia? Che ho fatto? >>, domandò sconvolto il ragazzo dagli occhi verdi.
<< Non hai fatto nulla. Ma me la devo prendere con qualcuno >>, affermò sempre più nevrotico Paolo.
<< E te la vuoi prendere con me? Siamo nella stessa barca, carino >>, dichiarò offeso Roberto.
<< Io so con chi prendermela. Se mi ritrovo Ianto sotto le mani, gli staccò le palle a morsi >>, sillabai minacciosa.
<< Prof, abbiamo bisogno di una mano, non di uno spargimento di sangue >>, commentò sarcastico Roberto.
<< Anche perché la castrazione è una mia prerogativa >>, disse Paolo con fare intimidatorio.
<< Amore, non sei d’aiuto >>, continuò Roberto sempre più esasperato.
<< Perfetto, io gli affetto il pene, e tu gli tagli le palle >>, dichiarai inferocita.
<< Ci conti >>, confermò Paolo.
<< Sei con me fratello? >>, domandai come presa dalla pazzia.
<< Sono con te, sorella >>, annuì il giovane dagli occhi nocciola, preso anche lui dalla mia stessa follia.
<< Oh santi numi. Perché tutte a me? >>, commentò Roberto avvilito.
<< Zitto, tu. Sono preda della rabbia. Devo picchiare qualcuno, e il mio sacco da boxe sarà Ianto >>, esclamai sempre più pazza.
<< Prof, noi abbiamo bisogno di una mano, non di Mike Tyson. Ha capito? >>, affermò con decisione Roberto.
Decisi così di calmarmi, e prendere un profondo respiro. Altrimenti avrei fatto sul serio fuori qualcuno. Così mi diedi una regolata, anche se la rabbia in me era forte.
<< Ok, sono calma. Posso farcela. Posso gestire questa situazione >>, dichiarai tornando semi normale.
<< Bene, ora ci dia una mano >>, disse Roberto.
<< No. Prima dovete rispondermi ad una cosa >>, cominciai improvvisamente, ricordando una cosa. Nel frattempo Ianto se la spassava sempre di più con quel gruppetto di ragazze.
<< Cosa? >>, domando Paolo.
<< Dovete dirmi che è successo al compleanno di Ianto. È stato il 22 di febbraio, giusto? >>, chiesi curiosa.
Paolo e Roberto si guardarono preoccupati negli occhi, aumentando la mia agitazione. Era certo che dovevo sapere che cosa diamine era successo durante quella festa.
<< Che c’è? >>, dissi duramente.
<< Ehm, prof, gliel’ho già detto. È meglio che non sappia >>, affermò Paolo, titubante.
<< No Paolo, tu non vuoi dirmelo, perché non vuoi tradire il tuo amico, e metterlo in una situazione peggiore >>, dichiarai con rabbia.
<< Ha ragione. Merita di sapere >>, sospirò sconfitto Roberto.
<< No, non puoi dirglielo >>, sillabò minaccioso il ragazzo dagli occhi nocciola. << Non puoi tradire Ignazio >>
<< Senti, Ianto è mio amico, Ignazio no. E comunque, io sono una persona leale, e Ianto lo sa. Dico sempre la verità >>, dichiarò Roberto.
<< Oh, certo. Ora ti fai uscire che sei leale e sincero. Quando però mi hai allontanato, quattro anni fa, e non mi hai detto che ti stava accadendo, non eri più tanto leale >>, commentò sarcastico Paolo.
<< Era diverso. Li stavo cercando di proteggerti. La prof merita di saperlo >>, affermò con decisione il ragazzo dagli occhi verdi.
<< Insomma si può sapere che cavolo è successo? >>, domandai esasperata.
Paolo guardò duramente il fidanzato, poi distolse lo sguardo, dandogli un tacito consenso. Finalmente avrei saputo.
<< Prof, è una storia che potrebbe farla soffrire. È pronta? >>, chiese Roberto.
<< Ne ho passate di cose. Sono pronta a tutto >>, commentai amaramente.
<< Ok. Allora, Ianto, il giorno del suo compleanno, ha invitato praticamente tutto l’istituto alla sua festa. Così ci siamo preparati, e ci siamo diretti al locale. Avevo già un sentore che le cose non sarebbero andate bene, perché il nome del posto indicatoci dall’invito aveva qualcosa di familiare. Quando poi siamo arrivati, lo riconobbi. Ianto ha organizzato la festa qui dentro >>, ed indicò il posto. Un brivido freddo scese lungo la mia colonna vertebrale. Stava per arrivare la batosta. << Erano già le dieci di sera, perché quello era l’orario indicatoci. Ma quando siamo entrati qui, non mi sarei mai aspettato di vedere quello che c’era. Vede, la particolarità di questo posto, che faceva anche un po’ di concorrenza al locale dove lavoravo io, era che, su prenotazione, potevi, ecco… creare una specie di harem >>
<< Harem? >>, domandai perplessa.
<< Si. Vede i cubi sparsi per la sala? Si possono unire a quello centrale, creando un’unica piattaforma grandissima. Il locale poi posiziona su questa piattaforma una specie di materasso fatto su misura, e mette anche delle tende trasparenti, cuscini, incensi vari… insomma crea un posto detto afrodisiaco. Da qui il nome del locale. “Aphrodisiac” >>, continuò a spiegare Roberto. Ormai prevedevo il peggio. Tutto quello che stavo sentendo, erano solo parole dette per creare uno scenario di distruzione. Ci avrei rimesso il cuore, in quella storia. Ne ero certa. << Comunque, quando siamo entrati, la struttura era stata già creata ed occupata. Ci saranno state una ventina di persone sopra, e un cinquecento sparse per la sala, esclusi i ragazzi di scuola. E su quella piattaforma stavano facendo… ecco, stavano facendo un’orgia >>, la testa prese a girarmi. Avevo capito cosa era accaduto, ma ancora non volevo accettarlo. Non potevo accettarlo. Una pomiciata ok, un gioco di mano passava ancora, ma un’orgia era troppo. << E il protagonista di quest’orgia era Ianto, o meglio Ignazio. Tutti noi, compresi gli spettatori eccitati e urlanti, abbiamo assistito a quello che è potuto succedere su quella piattaforma. Uomini e donne intenti a fare cose paragonabili quasi a quello che facevo io nel locale. E Ignazio… Dio, sembrava un’altra persona. Era terrorizzante. Ha fatto sesso con donne, e anche con uomini. Con  più persone contemporaneamente. E se pagavi una specie di quota di iscrizione, potevi entrare anche tu a far parte del gioco. Perciò si aggiungevano sempre più persone, e Ignazio non se n’è fatta scappare neanche una. Il giorno dopo l’abbiamo portato di corsa in ospedale a fare tutte le vaccinazioni possibili al mondo, pregando che non si fosse preso qualche malattia venerea. L’unica certezza che abbiamo, è che per fortuna non si è preso l’Aids, perché il locale su questo è molto rigido. Ma le garantisco che quello che ho visto, mi ha scioccato profondamente. Ed io ne ho viste di cose >>, terminò il racconto Roberto.
Io, ormai, non sentivo più nulla. Ero persa nel mio mondo, in cui immagini di Ianto che faceva sesso con donne e uomini volteggiavano davanti ai miei occhi. Il cuore batteva furioso nel petto, sanguinante e dolorante. Non volevo credere alle mie orecchie, perché era troppo. Non potevo sopportare il peso di quelle parole. Non ero mentalmente pronta. E la colpa di tutto quello era mia. Io avevo trasformato Ianto, facendolo diventare così. Non potevo prendermela con nessuno, se non con me stessa. Cosa avevo fatto? Avevo distrutto una persona meravigliosa e bellissima come Ianto, e avevo creato un mostro. Pungenti lacrime si affacciarono ai miei occhi, ma le ricacciai indietro, cercando di farmi vedere forte.
<< La cosa brutta fu che, il giorno dopo, venne vicino a me e Roberto dicendoci: “Ora capisco perché vi piace farlo tra maschi. Qualche volta possiamo provare a fare una cosa a tre, o magari invitiamo anche Andrea e Carlo” >>, continuò Paolo.
Ora ero definitivamente giunta al capolinea. Ora dovevo prendere a pugni Ianto. Perché una cosa era punire me, ma non poteva prendersela con i suoi amici. Così mi voltai per dirigermi verso la piattaforma centrale, e prendere il giovane dagli occhi di ghiaccio e picchiarlo furiosamente, ma fui bloccata da ciò che vidi. Un tizio grande e grosso prese Ianto per la maglietta strappata e attillata, lo sollevò da terra, e cominciò a prenderlo a pugni. Sospirai afflitta, avendo l’ennesima sensazione di déjà-vu. Anche quella volta il giovane si era cacciato in un guaio più grande di lui. Così, insieme a Roberto e Paolo, mi avviai verso la pista centrale pronta a difendere l’uomo che amavo, e che avevo distrutto.
 
<< Uh, Dio che male >>, mormorò Ianto, risvegliandosi nel mio letto.
<< Ah, ben svegliato ragazzino. Sei pronto per subire il secondo round di pugilato? Perché ho intenzione di farti molto male >>, domandai sarcastica, seduta sulla poltrona vicino al letto, dolorante e con un sacchetto di ghiaccio sulla fronte.
Io, Roberto e Paolo, per salvare Ianto, avevamo dovuto fare a pugni con vari personaggi, rischiando anche la vita, vista la popolazione di quella discoteca. Dopo molti cazzotti, finalmente eravamo riusciti a portare via il giovane dagli occhi di ghiaccio, e trasportarlo alla macchina, svenuto  e sanguinante. Dopo aver riaccompagnato Paolo e Roberto al dormitorio, avevo poi portato Ianto a casa, concludendo la giornata lunghissima con l’ultimo déjà-vu. Avevo vegliato per molte ore sul giovane disteso nel letto, sentendo dolore sia nel corpo che nel cuore. Perché l’ultima volta che era stato li, avevamo fatto l’amore. E in quel momento dubitavo che avrei mai potuto riaverlo tra le mie braccia. Finalmente, nella pace, e solitudine in cui ero piombata, avevo potuto dare libero sfogo alle mie lacrime represse. Dovevo piangere per molto. Primo fra tutto, aver perso la persona che amavo non solo col cuore, ma anche col fisico.
<< Ma dove sono? >>, domandò Ianto aprendo lentamente gli occhi e toccandosi la testa dolorante.
<< A casa mia >>, risposi acidamente.
<< Che ci faccio a casa tua? >>, chiese il ragazzo, un po’ più presente e anche in preda al panico.
<< Ti ci ho trascinato, dopo aver salvato quel tuo stupido culo dalla furia omicida di un mastino infuriato >>, spiegai sempre più cattiva.
<< Eri in discoteca? >>, disse il giovane spalancando completamente gli occhi, preoccupato.
<< Si. E se ti stai domandando che ci facevo li, la risposta è che Paolo e Roberto mi hanno chiamato preoccupati. E se ti stai domandando se ho visto qualcosa, la risposta è si. Ho visto tutto >>, dichiarai perfida. Poi mi alzai dalla poltrona, e gli misi con violenza il ghiaccio sulla fronte. << E so anche cosa hai combinato alla tua festa di compleanno >>, sussurrai con furia.
Poi mi voltai, e uscii fuori dalla stanza, troppo stanca per combattere col peso dei ricordi. Erano le due e mezza di notte, e volevo solo andare a dormire. Per fortuna che il giorno dopo era domenica. Andai davanti al divano, massaggiandomi il punto dolorante sulla fronte, quando sentii dei passi dietro le mie spalle.
<< Ehi, aspetta >>, mi chiamò duramente Ianto, facendomi voltare.
<< Che c’è? >>, sospirai stancamente.
<< Ti ringrazio per avermi aiutato, e mi dispiace che tu abbia assistito a quella scena. Ma non hai il diritto di essere arrabbiata. Hai cominciato tu questo gioco del “spezza il cuore alla persona che ti ama”, non io >>, affermò innervosito.
<< Senti, Ianto. Cresci un po’, così magari sarai anche in grado di ascoltare ciò che ho da dire. Ma per allora, non so sono disposta ad aspettarti >>, dichiarai rabbiosa.
<< Cosa? Cresci un po’? Tu dici queste cose a me? Ma ti rendi conto? Devo ricordarti chi è scappato tra i due? >>, esclamò furioso Ianto.
<< Ah, dannazione, moccioso, non hai capito un cazzo di tutta questa storia >>, urlai esasperata.
<< Non ho capito un cazzo? Ma sentila. Quella che non ha capito niente sei tu >>, affermò duramente il giovane. << Credi che sia fiero di ciò che sono diventato? Di quello che faccio? Pensi che sia stato felice di andare in ospedale e fare i vaccini per la prevenzione alle malattie veneree? Sei tu che non hai capito nulla >>
<< Se non sei fiero di ciò che sei diventato, allora perché perseveri? Perché non torni indietro? >>, domandai furiosa.
<< PERCHE’ NON POSSO >>, urlò distrutto Ianto. Rimasi sbigottita da tanto dolore. Non riuscivo davvero più a capire quel ragazzo. Il giovane prese qualche respiro profondo cercando di calmarsi, poi abbassò lo sguardo, e fissò il pavimento. << Non posso, perché non conosco nessun’altro modo per difendermi dal dolore che provo >>, sussurrò disperato.
<< Dammi la possibilità di spiegarmi, allora. Io non posso costringerti ad ascoltarmi, perché non capiresti. Sei tu che devi volere sentire ciò che ho da dire >>, affermai dolcemente abbassando i toni. In quel momento capii una cosa. Che, per quanto Ianto avesse potuto tradirmi, ero disposta a perdonarlo tutte le volte.
<< Perché dovrei volere ascoltarti. Tu te ne sei andata. Mi hai lasciato. Per capire che mi amavi, sei dovuta andare via. Ti rendi conto di ciò che significa? >>, esclamò sconvolto il giovane.
<< Ed è qui che ti sbagli. Perché io me ne sono andata, sapendo di amarti >>, risposi con trasporto.
<< E allora che razza di masochista sei? Come hai fatto a lasciarmi per così tanto tempo, quando io invece non riesco a vivere neanche un giorno senza di te? >>, chiese incredulo Ianto.
<< Perché era necessario >>, risposi con decisione.
<< Non è mai necessario lasciare la persona che si ama. Io non ho mai avuto il bisogno di andarmene per capire che ti amavo. Lo sapevo e basta >>, affermò mestamente il giovane.
<< Quale parte della frase: sapevo che ti amavo, quando sono partita, non ti è chiara? >>, domandai esasperata.
<< La parte in cui dici di amarmi >>, disse sarcastico il ragazzo.
<< Ma allora sei duro di comprendonio, tu. Dio, quanto sei difficile >>, esclamai frustrata.
<< Io sono il difficile? E chi è che se n’è andato perché dichiara che era necessario? >>, mi fece il verso.
<< Davvero molto maturo da parte tua >>, dichiarai aspramente, incrociando le braccia al petto.
<< Si, quasi quanto scappare dopo aver fatto l’amore con me >>, rispose con lo stesso tono, incrociando anch’egli le braccia.
Passarono vari minuti in cui entrambi restammo in silenzio, cercando di riordinare le idee. Il dolore fisico per le botte ricevute era passato al secondo posto, nella classifica delle priorità. Ora, la cosa importante, era risolvere quella situazione.
<< Senti, siamo in una situazione di stallo, e da qui non ne usciamo più. Dobbiamo trovare una soluzione >>, dichiarai stancamente guardandolo negli occhi.
Ma Ianto non ricambiò lo sguardo. Anzi, abbassò il suo, cercando di nascondere la sua espressione triste e afflitta. Che stava succedendo ora?
<< Che c’è? >>, chiesi perplessa.
<< Io… >>, mormorò confuso. Poi si lasciò scappare un singhiozzo, e le prime lacrime cominciarono a fuoriuscire.
<< Ianto >>, lo chiamai preoccupata, cercando di avvicinarmi, ma questi mi scansò.
<< Quando te ne sei andata, mi sono sentito cosi solo e tradito. Abbandonato da tutti, immeritevole anche della più piccola briciola d’affetto. Un reietto. È stato orribile >>, si asciugò frettolosamente le lacrime, cercando di riprendere un po’  di contegno. << Te ne sei andata, lasciandomi con questo dolore, profondo e penetrante. Incapace di gestirlo. Non mi è rimasto nient’altro, eccetto questo dolore nel petto. E ho paura che non proverò mai più qualcosa di bello >>, alzò lo sguardo, e lo puntò  nel mio. Finalmente, dopo tanto tempo, potevo nuovamente perdermi in quegli occhi di ghiaccio che avevo imparato ad amare. Sembrava quasi che stesse tornando da me. << Io vorrei davvero darti la possibilità di parlare, ma non ci riesco. Perché so di amarti, ma sono arrivato al punto in cui disprezzo la parte di me innamorata di te. Io, ora come ora, odio con tutto me stesso amarti. E nonostante ciò, questi sentimenti non se ne vogliono andare. Dopo tutte le lacrime, e la rabbia, e il dolore, restano ancora ben ancorati al mio cuore. È frustrante continuare così. Io non posso più permettermelo. Ho sofferto troppo in questa mia breve vita. E sono stanco. Ora voglio solo andare a casa >>, mormorò tristemente le ultime parole.
Poi si incamminò verso la porta, superandomi. La mia testa aveva registrato quelle parole, ma il cuore sentiva che finalmente era giunto il momento di spiegare. Ianto era pronto. Lo si capiva dal suo sguardo. Prima ostile ed oscuro, ora limpido e puro come sempre. Adesso era pronto a tornare ad amarmi. Così mi voltai, e dissi la prima cosa che mi venne in mente.
<< Adesso sei tu a scappare via >>.
Il giovane si bloccò davanti alla porta. Poi lentamente si girò verso di me, guardandomi perplesso e incredulo.
<< Come? >>, domandò sbigottito.
<< Ho detto che adesso sei tu a scappare. E sai perché? Perché sei pronto ad ascoltarmi, ma stai andando via lo stesso >>, spiegai tronfia.
<< Cosa? >>, chiese sempre più perplesso.
<< Si, e adesso mi fai parlare, senza interrompermi, altrimenti non capirai un tubo di ciò che ho da dire >>, affermai autoritaria.
<< Ma non farmi ridere. Io sono libero di fare ciò che voglio. E perciò me ne andrò via >>, si voltò verso la porta e pose la mano sulla serratura della porta.
<< Vedevo mio marito >>, esclamai senza tanti giri di parole.
Ianto si blocco, preso alla sprovvista. Di certo non si aspettava quella mia affermazione.
<< Cosa? >>, sussurrò confuso. Poi lentamente si girò, tornando a fissarmi.
<< Vedevo mio marito >>, dissi nuovamente alzando le spalle. << Dopo la sua morte, fui presa da una follia assurda. Ero troppo sconvolta e sofferente. Tentai anche il suicidio, ma fui salvata da mia suocera >>
<< Cosa? >>, urlò sconvolto Ianto.
<< Non ce la facevo a stare senza Diego. Dopo essere tornata a casa dall’ospedale, ero entrata in una specie di limbo autodistruttivo. E il tutto è culminato con la visione del mio defunto marito. Ho convissuto con questa figura per questi due anni >>, continuai a spiegare, agitata ma anche fiduciosa. Ianto doveva capire ed accettare le mie parole, altrimenti sarebbe stata la fine. << All’inizio era fantastico. Avevo di nuovo mio marito con me. Potevo di nuovo essere  felice. Ma più passavano i giorni e più tornavo in me, e più capivo che stavo vivendo in una follia. Stavo uscendo fuori di testa. E in più mi sentivo in colpa nei suoi confronti, per averlo trascinato in quel casino. E il tutto è culminato, ad agosto quando non riuscivo più a tollerare quella situazione. E perciò sono scappata, accettando di fare da insegnante in una scuola privata a Roma. E qui entri in gioco tu >>, nel frattempo mi avvicinai sempre di più al corpo di Ianto, sperando che non mi respingesse. << Non avevo previsto te. La mia vita era programmata per restare fedele alla memoria di mio marito, ma poi sei arrivato tu. E con la grazia di un elefante e la furia di un toro, hai penetrato le mie barriere, e sei entrato nel mio cuore. In un modo unico, tutto tuo. E ti sei conquistato a forza un posto nel mio cuore. Ma non ero ancora pronta a quello. Avevo bisogno di chiudere col passato, per andare avanti. Altrimenti sarebbe stata una carneficina. Mi sarei sentita eternamente in colpa nei confronti tuoi e di mio marito, per quello che stavo facendo. E di conseguenza tu avresti sofferto come un matto, e anche mio marito. E tutti saremmo stati male >>, mi avvicinai ancora di qualche passo, raggiungendolo finalmente. Ora eravamo uno di fronte all’altra. In quel periodo, era cresciuto ancora, arrivando a sfiorare il metro e ottanta. Presi coraggio, e alzai lentamente una mano, andando a posarla sulla guancia di Ianto, in una lenta ed eterna carezza. Il giovane non si scostò, ma anzi poggiò la guancia contro il mio palmo. Mossi lentamente il pollice, in un gesto circolare, assaporando sotto la pelle la sensazione di freschezza e morbidezza della guancia di Ianto. Adoravo toccarlo. << Quella mattina decisi di andarmene, perché dovevo dire addio a mio marito. Avevo scelto te. Ma dovevo chiudere con il passato. Non sono scappata da te, ma per te. Ho impiegato più tempo del previsto, questo è vero. Ma alla fine ce l’ho fatta, e sono tornata per stare con te. Perché ti amo, Ianto. Ti amo con tutto il cuore. Ho combinato tanti casini, ma questa è l’unica cosa buona che mi sia riuscita da un po’ di tempo a questa parte >>, sospirai sapendo di dover porre la domanda fatidica che avrebbe deciso il tutto. << E tu? Mi ami ancora, o vuoi chiuderla qui? Basterà una tua sola parola, per mettermi l’anima in pace >>, chiesi infine coraggiosamente.
Ianto non rispose. Chiuse gli occhi, godendo appieno di quella carezza. Poi poggiò la sua mano sulla mia, e la strinse. Infine, riaprì gli occhi, puntandoli nei miei.
<< Ci sarai ancora domattina, quando mi sveglierò? >>, sussurrò infine fissandomi.
<< Non vado da nessuna parte >>, singhiozzai commossa.
<< Allora la mia risposta è si, voglio ricominciare. Ti amo troppo per poterti lasciare andare >>, affermò, infine, dolcemente, chiudendo gli occhi nuovamente. << Ma non farmi mai più soffrire  in quel modo, ti prego. Non potrei sopportarlo >>
<< Ma più >>, mormorai tra le lacrime.
Ianto, poi, riaprì gli occhi e sorrise teneramente, come faceva  un tempo. Portò l’altra mano sulla mia guancia e l’accarezzò.
<< Mi sei mancata così tanto >>, sussurrò con amore.
<< Anche tu >>, confermai con lo stesso tono.
Ci fissammo in silenzio, poi lentamente, quasi come fosse studiato, ci avvicinammo. Quando le nostre labbra si incontrarono, provai la sensazione di essere a casa. Quelle labbra morbide e calde, erano il mio personale paradiso. E quel sapore speciale, era unico al mondo. Non lo avrei trovato da nessun’altra parte. Quando ci staccammo, mi sentii la persona più felice al mondo. Così sorrisi dolcemente, ricambiata da Ianto. In quel momento mi venne in mente una cosa.
<< A proposito >>, e portai velocemente una mano al mio orecchio, sfilandomi uno dei miei orecchini che indossavo sempre. Era un semplice cerchietto piccolo d’argento. Niente di speciale. Presi la mano di Ianto, e glielo poggiai sul palmo. Il giovane mi guardò perplesso. << Auguri di buon compleanno >>.
Il ragazzo scoppiò a ridere, soppesando l’oggetto che gli avevo donato.
<< Ma non avevi detto che ero raccapricciante con gli orecchini? >>, domandò divertito.
<< Beh, quello all’orecchio ha un suo perché >>, ammisi alla fine. << E poi questi orecchini sono speciali. Me li regalò mia zia, prima di morire, e da allora li indosso sempre >>, spiegai alla fine.
<< Aspetta, allora non posso accettare >>, rispose prontamente il giovane, agitato.
<< No invece, voglio che uno l’abbia tu. Così saremo legati, per sempre, da un qualcosa di speciale. Ok? >>, dissi, stringendogli la mano.
Ianto mi fissò dubbioso, poi sorrise felice, e mi baciò nuovamente con trasporto. Non mi sarei mai stancata di quelle labbra. Poi mi venne in mente un’ultima cosa. Così mi staccai velocemente dal ragazzo, e gli diedi uno schiaffo forte sulla testa.
<< Ahia. Mi hai fatto male, Lisa >>, si lamentò con voce infantile il giovane, toccandosi la parte lesa.
<< Questo è solo un avvertimento. Che si chiaro, non ti voglio mai più vedere in situazioni simili a quelle di stasera, o come quelle del tuo compleanno. Uomo avvisato mezzo salvato >>, lo minacciai puntandogli un dito contro.
Ianto prima mi fissò incredulo, poi si aprì in un sorriso euforico. Mi prese in braccio ridendo come un matto, e mi trascinò in camera da letto, pronti a darci da fare per recuperare il tempo perso. Non mi ero mai sentita così felice e viva come in quel momento. Seguii il giovane in quella sua risata euforica, sapendo che finalmente le cose sarebbero andate bene, e che niente ci avrebbe separato. Mai più. Prima di chiudere la porta della camera da letto, mi lasciai un ultimo appunto mentale. Il giorno dopo avrei invitato Paolo per un caffè. 




"E lei cosa vuole da me? Chi è per intromettersi nella mia vita privata?"

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Capitolo 25
*** Adozione ***


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Capitolo 25 - Adozione


<< Dai ti prego, fammi restare >>, mi supplicò Ianto.
<< Te l’ho già detto, no, no e ancora no >>, sbuffai portando i piatti nel lavandino.
<< Ma dai, perché no? >>, si lagnò il giovane.
<< Perché domani hai scuola >>, risposi con ovvietà, alzando gli occhi al cielo.
<< E allora? Non mi pare sia stato un problema per te, nei mesi passati. Quando ho dormito qui, siamo sempre andati insieme, poi, la mattina seguente >>, affermò con decisione il ragazzo, incrociando le braccia al petto.
<< Si, ma ora è diverso >>, dichiarai, avviandomi verso il divano.
<< Diverso in cosa, esattamente? Sai, non mi è tanto chiaro >>, esclamò sarcastico Ianto.
<< E’ diverso per noi due. Insomma, le altre volte tu ed io non facevamo sesso >>, dissi bloccandomi a metà strada tra la cucina e il divano, e guardando scocciata il mio ragazzo.
<< A maggior ragione, dovresti lasciarmi dormire qui con te >>, rispose con ovvietà il giovane.
<< Ma adesso la gente si insospettirà. Le altre volte poteva essere ancora giustificato, ma ora no. Ora è palese al mondo intero che tu ed io stiamo insieme. Lo sa quasi tutta la classe >>, esclamai con isteria.
<< Certo, perché la metà della classe, è nostra amica >>, dichiarò Ianto con ironia. << E’ ovvio che sappiano. Quindi questo è un motivo da escludere >>
<< Va bene, ma il resto dell’istituto non lo sa, e non deve saperlo. Sono ancora la tua insegnante, a quanto mi risulta >>, sbuffai esasperata. << Anche se dovrei essere cacciata a pedate per come ti ho traviato >>
<< Credo che tu mi abbia portato sulla retta via. Devo ricordarti dell’orgia? >>, domandò il giovane.
<< Ecco, un altro buon motivo per non farti restare. Altrimenti ti stacco i genitali, e li cucino come spuntino di mezzanotte >>, lo minacciai guardandolo storto.
<< Ti mancherebbero troppo >>, esclamò Ianto.
In quel momento, solo la mia grandissima pazienza mi bloccò dal dargli un calcio in quella zona discussa.
<< E io farò in modo di mancarti ora, e per il resto delle notti che ci restano come alunno ed insegnante >>, affermai vittoriosa.
<< Non osare >>, sillabò furioso il ragazzo.
<< Oh, si che oso. Ti farò scoppiare le palle, tanta l’astinenza a cui ti sottoporrò >>, affermai maliziosa.
<< Sappi che l’astinenza reca gravi danni al cervello >>, dichiarò Ianto.
<< Più di quelli che hai già? >>, risposi sarcastica.
<< Potrei impazzire, e di conseguenza non rispondere più delle mie azioni >>, minacciò il giovane.
<< E che mi faresti, sentiamo >>, lo spronai divertita.
<< Ti lego al letto, e ti uso come una bambola gonfiabile, che ha tutti i buchi al punto giusto >>, sussurrò sensuale.
<< Molto convincente, Ianto. Ma ciò non toglie che stasera te ne torni dritto al dormitorio >>, dichiarai autoritaria.
<< Ma perché, uffa. Paolo e Roberto dormono quasi sempre insieme. Perché tu ed io no? >>, continuò a lagnarsi il ragazzo.
<< Perché Paolo e Roberto sono due ragazzi di diciotto anni, e che hanno tutto il diritto di amarsi come più gli piace. Tu ed io, insieme, siamo illegali >>, spiegai stancamente.
<< No, facciamo scintille insieme. È diverso >>, puntualizzò Ianto.
<< Fai attenzione, perché questa scintilla tra poco ti darà fuoco. Dio, come ho fatto a sopportarti in questo mese >>, sbuffai esasperata.
<< Appunto. Domani facciamo un mese insieme >>, esclamò animato il giovane. << Io voglio svegliarmi con te accanto, e darti il buongiorno, baciarti nonostante il tuo alito pestilenziale, e farti gli auguri di buon mesiversario. Tutte cose che fanno le coppie normali >>
<< Punto uno: le coppie normali non si comportano così. Punto due: noi non siamo una coppia normale. Punto terzo: festeggiare il mesiversario è ridicolo, ed io non ho più l’età per queste cose. Punto quarto: il mio alito non puzza a prima mattina >>, mi lamentai indignata.
Come correva il tempo. Era già passato un mese, da quel famoso nove di marzo. Stavamo insieme da allora. E non avrei mai creduto possibile, ma la mia vita con Ianto, era diventata incredibile. Amavo tantissimo quel ragazzino impertinente, geloso, infantile e dolcissimo. Aveva riempito la mia vita, rendendola ogni giorno sempre più speciale. Prima vivevo un po’ alla giornata. Con il sole levante, e un dolore costante nel petto. Ma dopo la venuta di quel moccioso, ora tutto aveva assunto un nuovo colore, una nuova prospettiva. Era tutto molto più vivo, e luminoso, da quando Ianto faceva parte della mia vita in modo così costante. Nei mesi precedenti, era vero, lui c’era sempre, e si comportava più o meno come faceva in quel momento. Però la differenza ero io, e i sentimenti che provavo. Ero rimasta intrappolata per tantissimo tempo nel limbo di disperazione dopo la morte di Diego. Volevo tenerlo vivo e accanto a me, nonostante il male che mi autoinfliggevo, e l’ingiustizia a cui sottoponevo mio marito. Ma mi era necessario per sopravvivere. Ma da quel nove marzo, tutto era cambiato. Il mio intero mondo girava attorno ad un’unica figura: Ianto. Sapevo che era sbagliato diventare cosi dipendenti di una persona, che non era giusto nei miei confronti, che dovevo essere in grado di vivere la mia vita in maniera autonoma. Ma Ianto mi aveva insegnato anche quello. Lui era il fulcro centrale della mia intera esistenza, ma avevo nuovamente riacquistato la mia vita. Prima mi accontentavo semplicemente di andare avanti, di continuare a respirare in maniera automatica, e di ascoltare il cuore battere meccanicamente. Ma da quando quel ragazzino dagli occhi di ghiaccio mi aveva donato il cuore, e in cambio si era preso il mio, tutto era diverso. Non volevo più accontentarmi di sopravvivere. Io volevo vivere, e quello era il regalo più bello che mi aveva concesso. Non avrei mai potuto sdebitarmi con lui, per tutto quello che aveva fatto per me. Dopo tanto dolore, patimento, lacrime, adesso era tornato il sole a brillare. Ora vedevo il cammino da percorrere, e quel cammino era fatto per due. Per me e per Ianto. Avrei amato per sempre Diego, ma Ianto era il mio futuro, e forse lo era sempre stato. Non credevo nell’anima gemella, ma il destino era qualcosa di reale. Altrimenti non avrei saputo come spiegarmi la stranissima coincidenza di quel giorno in treno di quasi cinque anni fa. Avevo incontrato Ianto, e poi Diego. Avevo perso Diego, e poi avevo ritrovato Ianto. Qualcosa doveva esserci sotto. Il filo sottile che separa coincidenza e destino era stato oltrepassato da un pezzo, ormai. Ed io ero finalmente felice. Anche uno stupido scambio di battute, come quello che stava accadendo, era diventato una routine a cui non avrei mai rinunciato. La cosa che più mi aveva sorpreso in quel mese, era che io e Ianto non avevamo mai finto. Eravamo sempre stati naturali ed onesti l’uno con l’altra, sempre noi stessi. Nessuna forzatura aveva fatto parte del nostro rapporto. Eravamo semplicemente noi. Chi poteva dire altrettanto. Fortune simili capitavano raramente nella vita. Ed io ero stata molto fortunata, e solo in momenti come quelli me ne rendevo pienamente conto. La vita aveva preso a sorridermi, ed io non avrei mai più guardato un tramonto da sola. Ero stata sola per la maggior parte della mia esistenza. Avevo perduto mia zia, non avevo mai avuto una vera famiglia si cui contare. Poi era giunto Diego, ma anche lui, dopo un po’, mi aveva lasciata. Ora percepivo, però, che Ianto sarebbe rimasto sempre al mio fianco, comunque fossero andate le cose. Sapevo che se anche ci fossimo separati fisicamente, nei nostri cuori saremmo rimasti uniti. Era come se ci legasse un laccio indistruttibile. Mi piaceva pensarla in quel modo. Non ero mai stata una persona molto romantica, ma con quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio, tutto era diventato possibile. E avevo capito che i miracoli potevano ancora capitare. Nascosi un sorriso nato spontaneo, dopo quel pensiero. Non volevo comunque dargliela vinta. Ianto non avrebbe dormito in casa. La situazione si era fatta complicata. Io ero l’insegnante e lui l’alunno. Dovevamo mantenere un profilo basso, e ad essere onesti non eravamo molto bravi in quello. Le occhiate maliziose e piene d’amore non mancavano mai durante le lezioni. Il passare ogni singolo momento insieme era palese a chiunque. E il sorridere ogni secondo, era diventato anche imbarazzante. Per me, ogni persona dell’istituto sapeva, e aspettavo sempre una pugnalata dietro le spalle, o una convocazione dal preside, che mi invitava a lasciare di corsa la scuola per le mie azioni illegali. O peggio, l’arrivo della polizia. Fantasie di questo genere non mancavano mai, ed io avrei fatto qualsiasi cosa per evitare che si realizzassero. Speravo però in una collaborazione da parte del mio giovane fidanzato, ma questa mancava. Ovviamente!
<< Sei davvero seccante. Io volevo solo stare con te >>, si imbronciò Ianto.
Quel broncio ebbe la capacità di intenerirmi, ma non avrei ceduto. Così mi avvicinai al ragazzo, e gli accarezzai dolcemente una guancia.
<< Ma noi staremo comunque insieme. Anche se siamo lontani fisicamente, il mio cuore sarà sempre con te. Quindi puoi stare tranquillo >>, sussurrai con amore.
Ianto appoggiò il volto contro la mia mano, baciandomi poi il palmo.
<< Ma ho sempre voglia di inspirare il tuo odore. È come una droga, per me. E vorrei poterti guardare sempre. È come se i miei occhi perdessero la capacità di vedere, se tu non ci sei >>, confessò con il mio stesso tono.
Rimasi commossa per quelle parole dolcissime e piene d’amore. E sapevo che per me era la stessa cosa. Anche io riuscivo a vedere solo Ianto. E lo vedevo ovunque. Qualsiasi cosa mi rimandava con la mente a lui. Ero davvero persa, ormai. E questo mi spaventava un pochino, dovevo ammetterlo. Ma non sarei mai più scappata.
<< Anche io vedo solo te. Ma ho paura che se ci scoprissero, saremmo costretti a separarci. Io non voglio perderti. Tu sei la cosa più bella che mi sia mai capitata. Perciò, ti prego, fai come dico. Per il bene di entrambi >>, lo supplicai.
Il giovane dagli occhi di ghiaccio mi fissò a lungo, infine sospirò. Portò le mani intorno al mio bacino, stringendomi in un dolce abbraccio, e sorrise sconfitto.
<< E va bene. Faremo come dici tu. Non posso resistere a questi tuoi occhietti alla “Gatto con gli stivali”. Dannato cartone >>, imprecò il ragazzo, facendomi sorridere contenta.
<< Bravo il mio Rolf >>, lo presi in giro.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, sbuffando divertito.
<< Ancora con questa storia? Io ho solo quattro piercing, non 453 >>, esclamò sorridendo.
<< Hai ragione. Ma l’unico che conta davvero è quello che hai all’orecchio >>, e gli sfiorai con la mano il piccolo cerchietto che indossava.
<< Sai, ho fatto una ricerca. Il cerchio vuol dire infinito, qualcosa che non ha ne inizio e ne fine. La perfezione, insomma >>, confessò maliziosamente. << Questo vuol dire che noi siamo infinito, perfetti l’uno per l’altro, e che il nostro amore non finirà mai? >>
<< A differenza di qualcuno che conosco, io le cose le faccio con cognizione di causa >>, dichiarai saccente. << Si, sapevo cosa voleva dire il cerchio. E in effetti, credo che possa rappresentare noi. Siamo uniti da due piccoli cerchietti. Giusto? >>
<< Giusto >>, confermò dolcemente Ianto.
Poi, lentamente, avvicinò il suo volto al mio. Sapevo cosa stava per accadere, ma chissà perché non mi ero ancora abituata ai baci del giovane. Ogni volta, sembrava sempre come la prima. Emozionante, il cuore che batteva furioso, lo stomaco attorcigliato, la mente partita per l’Australia. Baciare Ianto era un’esperienza unica, anche se l’avessi fatto per i prossimi cinquant’anni. Le nostre bocche si incontrarono a metà strada, e potei saggiare la consistenza morbida di quelle labbra. Strusciammo per un po’ le nostre bocche l’una sull’altra, pregustando l’attesa di approfondire quel bacio. Poi, insieme, le schiudemmo, per permettere alle nostre lingue di giocare e riconoscersi. Era bello quel momento inziale. Sembravamo due timidi adolescenti alle prese con i primi baci. Lentamente riscoprivo il sapore dolce di Ianto. Un sapore inebriante, capace di mandarti in paradiso. Poi  il ritmo aumentò. Le nostre lingue entrarono sempre più in profondità, toccando e leccando ogni cosa. Palato, denti, labbra. Amavo baciare Ianto. Era un’esperienza unica e meravigliosa. Passarono vari minuti, in cui restammo legati in quel dolce bacio. Infine ci staccammo. Quando aprii gli occhi, vidi due pozze di ghiaccio sciogliersi d’amore, solo guardandomi. Non ero mai stata guardata in quel modo, ed ogni volta mi faceva sentire speciale, amata. Sorrisi felice.
<< Va bene, faremo come vuoi tu. Però adesso usciamo, e andiamo a prenderci un gelato, va bene? Accontentami almeno in questo, dai >>, supplicò Ianto, poggiando la sua fronte contro la mia.
<< E va bene. Anche se, mettendo su una bilancia le due cose, uscire e prendere un gelato insieme è molto più rischioso >>, dichiarai acidamente.
<< Sempre pronta a ribattere su ogni cosa >>, sbuffò divertito il giovane. Poi si staccò da me, dirigendosi verso la porta, ed afferrando le giacche di entrambi. << Forza, capricciosa di una donna, andiamo che se no si fa troppo tardi >>
 
<< Mi spieghi come fai a sopportare quei tre gusti? Banana, pistacchio e cioccolata? Mi viene la nausea solo a pronunciarli insieme >>, affermai disgustata.
<< Adoro questi tre gusti. Mi fanno impazzire >>, dichiarò Ianto, leccando il suo cono gelato.
<< Scommetto la banana, vero? >>, lo presi in giro maliziosamente.
<< Specialmente quella. Vuoi che ti ricordi nuovamente l’orgia? >>, domandò allusivo il giovane.
<< No grazie. Sto ancora cercando di dimenticare >>, negai imbronciandomi.
<< Dai su, ormai è passato. Che ti importa >>, esclamò allegramente il ragazzo.
<< Mi importa perché tutto l’istituto e chissà quanta gente di Roma, ha visto il mio fidanzato fare sesso con un mucchio di sconosciuti, sia maschi che femmine >>, risposi alterata.
<< Si, ma posso garantire che nessuno è come te. Sei la migliore, in quel campo >>, confessò seducente.
Gli diedi un colpo forte allo stomaco. Il giovane si piegò su se stesso, gemendo. Poi cominciò a ridere per la mia reazione. Un’altra cosa che avevo notato, stando con Ianto, era che la mia parte infantile usciva molto più spesso. E la cosa mi piaceva molto. Perché essere adulti negava tantissime gioie, che gli adolescenti e i bambini potevano provare. Perciò, grazie a quel moccioso, potevo sperimentare sempre tantissime emozioni.
<< Ehi >>, richiamò la mia attenzione il giovane.
<< Dimmi >>, e lo guardai. Il suo viso divenne più serio, e un po’ triste.
<< Mi dispiace averti fatto soffrire, per la questione del mio compleanno. E anche per il mio comportamento che ho avuto quando sei tornata. Sono stato un vero stronzo >>, si scusò abbattuto.
Era davvero tenero, vederlo così dispiaciuto per ciò che era accaduto in passato. Come potevo portargli rancore?
<< Non preoccuparti. Non devi scusarti >>, poi riflettei meglio su quelle parole, e sulle cose accadute. << O meglio, si devi scusarti perché ti sei comportato in modo orribile. Ma io ho fatto lo stesso, perciò siamo pari >>
<< Si, ma tu sei andata via, perché vedevi il fantasma di tuo marito. Era giusto che chiudessi prima col passato. Anche perché le cose a tre non mi sono mai piaciute veramente >>, dichiarò dolcemente Ianto.
<< Smettila >>, dissi ridendo e dandogli nuovamente un colpo allo stomaco. Il ragazzo mi seguii nella risata.
<< Hai fatto la cosa giusta. E io sono stato uno stupido a non capirlo prima. Anzi sono stato uno stupido a volerti forzare >>, ammise colpevole il giovane, una volta tornato serio.
<< Ianto, come potevi sapere. Io non ti avevo parlato del vero motivo per cui sono venuta qui a Roma. E tu ti sei comportato come avrebbe fatto qualsiasi altro essere umano. Non hai fatto nulla per cui doverti sentire così in colpa, davvero >>, provai a confortarlo.
<< E’ solo che continuo a pensare a quel mese di febbraio. A tutto ciò che è successo, a cosa ho provato. Alla rabbia che ho sentito dentro >>, confessò Ianto.
<< Credimi, pensare al passato non fa bene. E io ne so qualcosa. Certo, è importante ciò che è stato, ma non bisogna restargli aggrappato >>, dichiarai saggiamente.
<< Il punto è che a volte ho paura di ciò che si nasconde nel mio cuore >>, ammise il giovane fermandosi in mezzo alla strada, e fissandomi intensamente negli occhi. << C’è una parte davvero oscura, qui dentro >>, e si indicò il petto, all’altezza del cuore. << E ho paura che se succedesse qualcosa, non sarei in grado di controllarlo. L’ultima volta ha preso possesso del mio corpo per un mese. La prossima volta, per quanto? >>
Guardai il mio giovane fidanzato, vedendolo così saggio e maturo. Era cresciuto davvero tanto in quei mesi. Ero molto orgogliosa di lui.
<< Vedi, in ognuno di noi c’è una parte oscura, che tende ad uscire nei momenti difficili. Quando tu soffri, diventi cattivo. Quando io soffro mi aggrappo al passato, arrivando addirittura ad evocare i miei fantasmi, e a farmi tormentare da loro. Ognuno reagisce a suo modo, alla sofferenza. È una cosa normale. E non bisogna avere paura di se stessi, perché poi l’importante è sapere reagire. Alla fine tutto si aggiusta, in un modo o nell’altro. Bisogna solo essere forti, e non perdere le speranze >>, dissi dolcemente, stringendo la mano libera del ragazzo.
Ianto ricambiò la mia stretta, guardandomi intensamente negli occhi. Aveva bisogno di essere rassicurato. In quel mese trascorso insieme, lo avevo trovato alcune volte con lo sguardo perso, intento a ricordare il passato. E dai suoi occhi leggevo che, ciò a cui stava pensando, non era niente di felice. Il tempo passato separati, lo aveva segnato profondamente, e questa era una di quelle cose di cui mi sarei pentita per sempre. Ma, da quel momento in poi, ci sarei sempre stata. Mai più lo avrei fatto soffrire in quel modo. Lo avevo promesso a me stessa e a lui.
<< Forza, andiamo a casa >>, lo incitai amorevolmente.
Ianto sorrise timidamente, e riprendemmo il cammino.
<< Ti ho mai detto quanto ti amo? >>, esclamò dopo qualche minuto di silenzio.
<< Beh, potrei averlo scordato. Certe cose vanno ripetute costantemente >>, affermai maliziosa.
Poi entrambi scoppiammo a ridere, allentando la tensione creatasi negli ultimi minuti. Improvvisamente, il mio sguardo fu attratto da qualcosa. Focalizzai il punto di fronte a me, e vidi ciò che più temevo. Vicino ad un palo della luce, si nascondeva un ragazzo che conoscevo molto bene. Aveva i capelli ramati, gli occhi dorati, e qualche lentiggine sul volto. Era alto quasi quanto Ianto, e aveva un fisico abbastanza muscoloso. Cominciai a tremare per la paura.
<< Oh cazzo >>, esclamai in preda al panico, nascondendomi dietro a Ianto.
<< Che succede? >>, chiese allarmato il giovane.
<< Shh, fa silenzio >>, lo rimproverai. << Guarda di fronte a te, a qualche metro di distanza >>.
Ianto si fece silenzioso, e capii che stava seguendo le mie parole. Poi lo sentii singhiozzare.
<< Oh cazzo. Ma quello Manolo >>, affermò spaventato.
<< Già. Ma che diamine ci fa qui a quest’ora? Non dovrebbe essere al dormitorio o a casa dei suoi? >>, domandai isterica.
<< E io che diavolo ne so. Ti ricordo che ho passato le ultime cinque ore con te >>, rispose irritato Ianto.
<< Stiamo insieme da così tante ore? >>, domandai scioccata, dimenticando il ragazzino appena visto.
<< Ti pare questo il momento per riflettere su certe cose? Dobbiamo darcela a gambe levate, prima che ci scopra. Quello è amico stretto di Altieri >>, confessò sempre più nevrotico il giovane.
<< Di male in peggio >>, sussurrai inferocita. << Ok, allora noi adesso ci giriamo e senza fare rumore, ci allontaniamo da qui, va bene? >>
<< Ci sto >>, confermò Ianto.
Poi lentamente ci girammo e cominciammo a camminare in punta di piedi. Ad occhio esterno, sicuramente eravamo ridicoli, e probabilmente chiunque stava vedendoci avrebbe riso di noi per l’eternità. Ma la situazione interna era più grave di quanto si pensasse. Renato Manolo era un mio alunno, appartenente alla categoria dei ragazzi ricchi sfondati. Amico intimo di Giuliano Altieri, non aveva mai apprezzato particolarmente la mia presenza in classe. Non aveva creato disturbi di nessun genere, in verità, ma si percepiva che non ero molto gradita. Specialmente quando rispondevo pungente e sarcastica alle provocazioni dell’amico. Se avesse beccato me e Ianto insieme, sarebbe stata la fine per entrambi. Mi vedevo già sui titoli del giornale. “Insegnate di liceo privato, travia giovane studente, e lo porta a conoscere il mondo del sesso estremo”. No, non era decisamente il caso di farsi sorprendere. Perciò lentamente, ci incamminammo nella direzione opposta. Ma si sa, la fortuna non è mai dalla parte di chi ne ha bisogno.
<< Professoressa Cristillo? Manfredi? E voi che ci fate qui? >>, domandò agitato una voce alle nostre spalle.
Ianto ed io ci bloccammo sul posto, raggelati. Ecco, era arrivata la fine. Ci guardammo ansiosi negli occhi, poi lentamente ci voltammo, squadrando il giovane Manolo. Era vestito in modo casual, e i suoi muscoli risaltavano. Il volto era più bianco del solito, quasi spaventato. Quel ragazzo aveva una carnagione veramente chiara. Sospirai cercando di regolarizzare il battito cardiaco. Poi presi coraggio.
<< Renato, ciao >>, lo salutai con voce acuta. Sembravo un topo. << Come mai da queste parti? >>
<< Ehm, ecco io… >>, cominciò a balbettare.
Poi sentimmo una porta aprirsi, e risate femminili spandersi per tutta la strada. Il giovane Manolo, spalancò gli occhi terrorizzato. Si voltò, e fissò il punto da cui erano uscite tre donne da un bar, e le guardò per qualche secondo. Infine ritornò a fissare me e Ianto. Sembrava terrorizzato.
<< Io… devo andare >>, incespicò in preda al panico.
Ci superò, cominciando a correre e sparendo dopo pochi secondi dalla nostra vista. Lo guadai allontanarsi, senza poter dire o fare niente. Ero letteralmente spiazzata. Ne avevo viste di cose strane nella mia vita, specialmente in quei ultimi mesi. Ma quella era davvero bizzarra. L’espressione di confusione sul mio volto, era la stessa di Ianto.
<< Ma che diavolo è successo? >>, domandò perplesso il giovane.
<< Non ne ho idea >>, risposi con lo stesso tono.
 
 << Bene ragazzi, allora domani scade il termine di consegna sulla vostra ricerca di biologia. Avete avuto due settimane di tempo per prepararle, perciò pretendo di trovarle tutte sulla mia cattedra, chiaro? >>, minacciai i miei studenti, chiudendo il libro di testo e ponendolo in borsa.
<< Ma prof, io ho avuto da fare. Sa, con quel mio meraviglioso problema >>, rispose Mario alludendo ad un qualcosa che solo io avrei capito.
Beh, in realtà metà classe capii a cosa si stava riferendo. Sapevo che Margherita, la fidanzata del giovane, in quei ultimi giorni aveva avuto qualche problema con la gravidanza. Niente di serio, solo dei piccoli dolori all’addome e parecchia nausea. Ma quello non lo avrebbe esonerato dai suoi doveri scolastici.
<< Mario, il tuo meraviglioso problema >>, e sottolineai le ultime parole. << Non può esserti ancora da ostacolo, nel tuo lavoro scolastico. E soprattutto, non puoi usarlo come scusa per non fare il tuo dovere. Perciò, o domani mi consegni la ricerca, o sei in punizione. Chiaro? >>, lo minacciai dolcemente.
Una cosa che avevo imparato in quei mesi di insegnamento, era che le minacce aggressive non avevano il loro effetto. Ma niente poteva incutere più terrore negli alunni, se non la minaccia fredda, indifferente e anche dolce, alle volte. Suscitava il panico nelle persone, quel modo strano di esprimere un concetto pericoloso con un tono di voce calmo e pacato.
<< Cristallina >>, sputò terrorizzato il giovane, ingoiando saliva.
<< Bene. E questo vale per tutti >>, e guardai tutti i ragazzi.
Improvvisamente il mio sguardo si fermò sul giovane Manolo, che fissava il banco assente. Non avevo dimenticato ciò che era accaduto la sera precedente, e quel suo strano atteggiamento confermava che c’era qualcosa che non andava. In più il mio sesto senso, capace di captare qualsiasi pericolo, era entrato in funzione. Perciò prevedevo altri guai. Sospirai afflitta, sapendo che non sarei mai stata capace di farmi gli affari miei. Allo squillo della campanella, che decretava la fine delle lezioni, presi la mia decisione.
<< Bene potete andare, ragazzi >>, li invitai. << Renato, puoi restare un secondo, per favore. Avrei bisogno di parlarti >>, bloccai il giovane dai capelli ramati, mentre si avviava verso l’uscita.
Ianto, che nel frattempo, restava ancora seduto al suo posto, attendendo di poter restare solo con me, mi guardò confuso. Con gli occhi, cercai di fargli capire che dovevo parlare con il compagno di classe, e che lo avrei raggiunto dopo al solito posto. E, la cosa che più mi emozionò, fu che il giovane mi capii. Infatti lo vidi annuire lentamente, afferrare le sue cose, ed avviarsi verso la porta. Prima di uscire, però, mi lanciò un’ultima occhiata che interpretai come un “ fai attenzione”. Sorrisi cercando di rassicurarlo. Quando alla fine rimasi sola con Renato, iniziai ad entrare nel panico. E ora come me la sarei giocata?
<< Dica >>, mi esortò il giovane, altezzoso.
<< Ehm, vorrei parlarti di ciò che è successo ieri sera >>, cominciai cercando di trovare le parole.
<< Stia tranquilla, non ho detto a nessuno di lei e Manfredi. E non ho intenzione di farlo >>, dichiarò con fare annoiato.
Quel discorso mi prese in contropiede. Avevo dimenticato la parte di lui che scopriva me e Ianto insieme. Ero rimasta concentrata solo sulla reazione del giovane, alla vista di quelle tre donne, accantonando tutto il resto. Ma ora, che quel dettaglio era tornato alla mia mente, il panico riprese a stringermi lo stomaco.
<< Non c’è niente da dire su di me e Ianto… cioè Ignazio >>, mi corressi, sempre più agitata.
Ecco, avevo fatto un’altra gaffe. Maledizione a me e alla mia imbranataggine. Dov’era Ianto, quando avevo bisogno di lui? Ah già, lo avevo mandato via io.
<< Certo come no. Proprio nulla >>, confermò sarcastico il ragazzino.
<< Si. Non c’è niente da dire >>, dichiarai alterata. Quel tono di voce usato dal moccioso, stava davvero facendomi irritare.
<< Senta, non ho tempo da perdere. Mi dice cosa vuole da me? >>, sbottò stufato Renato.
<< Che ci facevi ieri sera, in mezzo alla strada? Chi stavi guardando? >>, domandai senza tanti giri di parole.
Il giovane rimase spiazzato dalla mia domanda. Lo vidi irrigidirsi, e spostare velocemente lo sguardo. Era nuovamente nel panico.
<< Non stavo facendo nulla >>, provò a giustificarsi balbettando.
<< Certo come no. Proprio nulla >>, gli feci il verso ricordando le parole dette prima.
<< E lei cosa vuole da me? Chi è per intromettersi nella mia vita privata? >>, domandò indignato. << Senta , lei non ha nessun diritto di chiedermi questa cosa. Chiaro? >>, esclamò sempre più impaurito.
<< Io ti chiedo questa cosa, perché sono preoccupata per te >>, risposi dolcemente.
<< E perché mai? Io e lei non abbiamo mai parlato. Io non faccio parte della sua cerchia di amici stretti. Non sono come Manfredi >>, sputò rabbioso il giovane.
<< Solo perché non ce n’è mai stata l’occasione, Renato >>, spiegai, sentendo scemare la pazienza. Ogni riferimento contro Ianto, mi faceva scattare come una molla. << E poi, diciamoci la verità. Tu non mi sopporti, e mi tratti sempre con fare presuntuoso e arrogante. Quindi la colpa non è mia, se non ci siamo mai conosciuti un po’ meglio >>
<< Non sono mai stato presuntuoso nei suoi confronti >>, si giustificò indignato il ragazzino.
<< Ah no? A me non sembra >>, risposi sarcastica.
<< Senta, sono stufo di questa conversazione. Mi lasci andare >>, sbuffò stancamente  il giovane.
<< No. Sono una persona testarda. Perciò ti lascerò andare solo quando mi avrai detto cosa c’è che non va >>, riaffermai con insistenza.
<< Ma perché? Davvero, io non capisco. Perché questo suo interessamento? >>, domandò sconvolto il ragazzo.
In quella domanda, ci vidi molto più di quello che diceva. Era come se si stesse domandando perché qualcuno si dovesse interessare a lui. Davvero, quella era una classe di disastrati.
<< Perché non siamo amici, questo è vero. Ma comunque vedo che sei in difficoltà >>, cominciai a spiegare dolcemente. << E quando qualcuno si trova in difficoltà, merita di essere aiutato. Da chiunque >>.
Renato mi guardò sconvolto. Sembrava non potesse credere alle sue orecchie.
<< Come? >>, sussurrò stranito.
<< Io sono fatta così Renato. Se vedo qualcuno che ha bisogno di una mano, non riesco a voltargli le spalle, e ad ignorarlo. Voglio aiutarlo >>, continuai addolcendo sempre di più il mio tono di voce.
Ero appoggiata alla cattedra, ed il giovane era seduto sul banco di fronte al mio. Ma non percepivo più nessuna distanza tra di noi. Quelle mie poche parole, sembravano averlo convinto. O forse stava cominciando a fidarsi. O forse, ancora, aveva semplicemente bisogno di parlare con qualcuno. Ed io ero capitata a fagiolo.
<< Allora, vuoi dirmi cosa c’è che ti turba? >>, riprovai sorridendogli.
Renato soppesò le mie parole. Poi si guardò le mani, riflettendo su cosa fare. Alla fine, dopo qualche minuto, lo vidi sospirare.
<< In quel bar lavora una donna >>, cominciò a raccontare.
<< Era una di quelle tre donne? >>, chiesi.
<< Si >>, confermò sospirando. Poi alzò gli occhi, e vidi in essi tanta disperazione. << Sa, non sono mai stato somigliante a nessuno dei miei genitori, però non era una cosa a cui facevo caso. Mi dicevo che magari avevo preso da un parente alla lontana. Che questo mio aspetto lo avevo ereditato da chissà quale familiare del passato. E i miei genitori non facevano nulla per sementire questa mia tesi. Mi hanno sempre amato e rispettato nelle mie scelte. Non sono come gli altri genitori. Loro mi voglio bene sul serio. E io sono sempre stato grato di avere una famiglia come loro >>, il suo tono concitato, e lo sguardo ferito, mi fecero capire che gli era successo qualcosa di molto grave. << Poi, però qualche tempo fa, successe qualcosa. In casa si tenne una cena di lavoro di papà. La cosa si svolse normalmente, e sembrò andare tutto bene. Andai in bagno, e quando tornai sentii i miei genitori e i colleghi di papà parlare a bassa voce. Rimasi stupito da tale atteggiamento, e l’istinto mi disse di nascondermi e ascoltare ciò che si stavano dicendo >>, una lacrima rigò quel volto così niveo. Era spettacolare vedere quella goccia salata calare lungo la guancia del giovane. << Li sentii parlare di me, su come stavo crescendo, come andavo a scuola. All’inizio era tutto molto regolare. Poi però fecero una singola domanda. Una sola frase, che ha stravolto completamente il mio mondo >>.
Poi si interruppe, quasi come se pronunciare quelle parole, gli costasse fatica.
<< Cosa chiesero? >>, lo esortai dolcemente.
Renato sospirò, ed abbassò lo sguardo. Il suo corpo era scosso da tremiti.
<< Se sapevo la verità, e come l’avevo persa >>, confessò sussurrando quelle parole.
<< E i tuoi genitori cosa risposero? >>, domandai, cominciando ad intuire la verità.
<< Che non sapevo nulla, e che la loro intenzione era di non dirmi nulla >>, dichiarò tristemente. Poi alzò lo sguardo, ferito e confuso. << Suonò nella mia testa un campanello d’allarme. Dovevo indagare, scoprire la verità. Cosa mi stavano nascondendo i miei genitori, io dovevo saperlo. Così cominciai a frugare tra le cose di mia madre, di mio padre, a fare piccole ricerche. Quando poi, alla fine di febbraio, ho scoperto la verità >>
<< Cioè? >>, chiesi temendo di sentire la risposta.
<< Ero nello studio di mio padre. Frugavo tra le sue carte. Accidentalmente, feci cadere un cassetto della scrivania. Mentre lo sistemavo, notai una cartellina nascosta tra i due scaffali. Era incastonata per bene, come se quello spazio fosse stato creato proprio per nasconderci dentro quei documenti >>, spiegò, tornando con la mente a quel giorno. << La presi e la lessi. E da allora il mio intero mondo è cambiato >>
Poi si interruppe per l’ennesima volta, sospirando tristemente.
<< Che cosa ha scoperto? >>, lo incitai.
<< Che sono stato adottato >>, confessò abbattuto.
Quelle parole mi fecero intristire, ma non mi sorpresero più di tanto. Avevo già intuito quale fosse la verità. Non potevo capire quella realtà di un ragazzino di diciotto anni, che scopriva di essere stato adottato. Era qualcosa fuori della mia portata, perciò rimasi in silenzio, incapace di dire o di fare qualunque cosa.
<< Dopo aver scoperto di essere stato adottato, passai molti giorni preda della rabbia e della tristezza. Odiavo i miei genitori adottivi per avermi mentito, e i miei genitori biologici per avermi abbandonato. Ho passato un momento davvero orribile e confuso. Poi alla fine presi la mia decisione. Dovevo sapere >>, continuò il suo racconto.
<< Sapere cosa? >>, chiesi confusa.
<< Perché. Perché ero stato abbandonato, perché non mi avevano voluto, chi erano i miei veri genitori >>, spiegò fissandomi intensamente.  << Cominciai a fare delle ricerche. Dal documento di adozione, sono risalito all’ospedale dove mi hanno partorito. E facendo ulteriori ricerche e domandando un po’ in giro, ho scoperto chi, quel giorno che sono nato, aveva dato in adozione il proprio bambino. Tre donne quel giorno abbandonarono i loro figli. E io sono risalito ai loro indirizzi >>
<< Le hai cercate? >>, domandai sapendo già la risposta.
<< Si. E alla fine, credo di aver trovato la mia madre biologica >>, confermò tristemente.
<< Era una di quelle donne, vero? >>, dissi sapendo nuovamente la risposta.
<< Si. Conosco il nome e l’indirizzo >>, annuì abbassando lo sguardo.
Passarono vari minuti in cui restammo in silenzio. Davvero non sapevo che dire, e in fin dei conti non ero io che potevo consolarlo. Renato aveva bisogno di sapere, e solo la madre biologica avrebbe saputo dare le risposte giuste.  Decisi che lo avrei aiutato.
<< Come si chiama tua madre? >>, chiesi curiosa.
<< Elisabetta. Elisabetta Falto >>, rispose, tornando a guardarmi negli occhi.
Appena sentii quel nome, un campanello nel mio cervello si accese. Entrai subito nel panico, cercando di trovare la risposta. Scavai nei meandri della memoria, finché non mi tornò in mente un momento particolare di mesi fa. Mi ero appena trasferita nel mio appartamento, quando il vicino di casa mi fermò mentre portavo su i miei scatoloni. E mentre dichiarava di conoscere tutti i condomini, aveva nominato qualche nome in particolare. Incominciai ad agitarmi vistosamente, attirando l’attenzione del ragazzo.
<< Che succede? >>, domandò perplesso.
<< Oh cazzo >>, esclamai trafelata. << Santissimi numi >>
<< Che succede? >>, richiese il giovane con più insistenza.
<< Io so chi è tua madre >>, sbottai guardandolo dritta negli occhi.
<< Come? >>, rispose sconvolto Renato.
<< Tua madre abita nel mio stesso condominio >>, confessai con un filo di voce.




Buonasera a tutti gente, come va??? ecco a voi il nuovo capitolo della storia...
so che è corto, e forse un po' frettoloso...però mettici la mancanza di ispirazione, mettici che le mie forze di scrittrice sono state prosciugate dal capitolo precedente, alla fine questo è il risultato...spero, cmq, che vi piaccia...ora conoscete questo nuov personaggio disastrato, con un passato triste e un problema da risolvere...per ora, lisa ha affrontato dieci casi umani, e con questo siamo a undici XDXD è davvero una classe disastrata XDXD...
cmq ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono la storia...siete davvero fantastici *-*
chi vuole seguirmi anche da fb, sapere novità, vedere foto, o fare anche due chiacchere, questo è link: 
http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl...non ci vado da un po', ma vi assicuro che non l'ho abbandonato XDXD
bene, non mi resta che augurarvi la buona notte, e darvi appuntamento a martedi prossimo...
un bacio
Moon9292



"Certo, le vado vicino e le dico: salve, io e lei non ci conosciamo, ma sono l'insegnante di suo figlio"

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Capitolo 26
*** Andrà tutto bene ***


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Capitolo 26 - Andrà tutto bene


<< Ok, secondo te che devo fare? >>, domandai affogando il mio cucchiaio nella ciotola del gelato.
<< Non saprei. Perché non provi a parlarle? >>, propose Ianto, imitando i miei gesti.
Erano le cinque del pomeriggio. Io e Ianto eravamo tornati a casa insieme, per “festeggiare” il nostro mesiversario, e discutere di quel nuovo problema presentatosi nella mattinata. Renato e la sua adozione. Come avevo fatto a non accorgermi di niente in quel mese? Beh, in effetti dovevo ammettere che ero stata presa dal mio idillio amoroso con Ianto. Non avevo badato a nient’altro se non al nostro rapporto, e a quanto lo amassi. Avevo fallito miseramente come insegnante! Non vedere che un mio alunno avesse un problema, era una questione seria e abbastanza grave. Ma mi rendevo anche conto, che non potevo fare altrimenti. Avevo passato troppi anni nel dolore e nella sofferenza, e specialmente il mese di febbraio era stato difficile e travagliato. Perciò non ero giustificabile, ma nemmeno condannabile per il mio interessamento unico nei confronti di Ianto. Sorridevo ancora nel pensare che era già un mese che io e il ragazzo dagli occhi di ghiaccio stavamo insieme. Ogni cosa era stata migliore da quel nove di marzo. Ma restava il fatto che Renato andasse aiutato. Ora più che mai dovevo riprendermi dalla mia caduta di ruolo, e ritornare ad aiutare un ragazzo bisognoso. Durante il tragitto di ritorno a casa, avevo raccontato a Ianto ciò che sapevo. E anche su come io e il mio alunno fossimo rimasti. Appena confessatogli che sua madre abitava nel mio condominio, mi aveva fatto promettere che avrei parlato alla donna e l’avrei convita a incontrarlo quella sera stessa. Non sapevo assolutamente come riuscire ad approcciarmi alla mia condomina, ma ormai non potevo più tirarmi indietro. E di certo, Ianto, non era d’aiuto.
<< Certo, le vado vicino e dico: “salve, io e lei non ci conosciamo, ma sono l’insegnante di suo figlio. Si, proprio quello che ha abbandonato” >>, risposi sarcasticamente.
<< No, credo che come approccio non funzionerebbe >>, constatò il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Ma vah?! >>, sbuffai ironica.
<< Ma non c’è stata neanche una singola volta in cui vi siete parlate, oppure date il buongiorno, o qualsiasi altra cosa? >>, chiese perplesso Ianto.
<< Mai >>, confermai abbattuta. << Con tutti i casini che ci sono stati da settembre, non ho mai avuto il piacere di conversare con un mio condomino >>
<< Certo che se ti uccidessero, la gente di questo posto non sarebbe molto d’aiuto alla polizia. Magari risponderebbero addirittura con : “ma perché, c’era una donna che viveva in quell’appartamento?” >>, scherzò divertito il ragazzo.
<< Molto utile, Ianto. Davvero tanto utile >>, risposi acidamente.
<< Senti, Lisa. Non so assolutamente come aiutarti. Come ben saprai non sono molto ferrato in campo familiare. Non ho avuto dei genitori su cui contare, purtroppo. E la stessa cosa vale per gli altri >>, si giustificò il ragazzo, leccando un altro po’ del suo gelato al cioccolato.
<< Se è per questo, neanche io >>, sentenziai.
<< Beh, allora dovrai trovare un modo tutto tuo per approcciarti alla donna >>, dichiarò Ianto.
<< Si, ma come si comincia un discorso simile. Davvero, non posso esordire dicendole di conoscere il figlio che ha abbandonato diciotto anni fa. E poi perché una donna dovrebbe abbandonare il proprio bambino? >>, chiesi scioccata.
<< Non saprei. Forse lo ha avuto da giovane, e non voleva ne tenerlo, ma neanche abortire >>, provò ad indovinare il ragazzo.
<< Questo non la giustifica. È come se io partorissi adesso, ma dato che non ho voglia ne di fare la mamma ne di diventare un’assassina, lo dessi a qualcun altro, neanche fosse una merce di scambio >>, affermai incattivita. Non sopportavo gesti simili. L’idea di abbandonare il mio stesso figlio mi sconvolgeva. Io non ne avrei mai avuto il coraggio.
<< Se sei incinta e stai per partorire, numero uno: complimenti, sei in gran forma >>, scherzò divertito il giovane. << Numero due: io non sono il padre. Con chi mi hai tradito, tesorino? >>
Guardai sbigottita il ragazzo davanti a me. Ianto doveva per forza provenire da un altro pianeta, altrimenti come si spiegava la sua capacità nel cambiare argomento, in così poco tempo, e passare da discorsi difficili ad altri stupidi?
<< Tu non sei umano >>, esclamai.
<< Lo prendo per un complimento >>, dichiarò entusiasta il giovane.
<< Farò finta di non averti sentito >>, dissi sempre meno convinta della sua sanità mentale. << Comunque non abbiamo trovato una soluzione >>
<< Lisa, la soluzione non la puoi trovare. O vai da lei e le dici che conosci il figlio, o vai da Renato e gli dici di cavarsela da solo >>, rispose Ianto con serietà.
<< Non posso abbandonare Renato. Devo aiutarlo >>, sospirai convinta.
<< E allora non devi fare altro che andare dalla madre e dirle che il figlio vuole vederla. Parole studiate sono futili. Devi andare dritta al punto >>, affermò con sicurezza il ragazzo.
<< La fai facile >>, sbuffai ironica.
<< Con me sei arrivata subito al punto, quando te ne ho dato l’occasione >>, commentò il giovane.
<< Con te era diverso >>, spiegai un po’ imbarazzata. Continuare su quel discorso mi avrebbe portato a confessare i miei sentimenti e ad aprirmi. Ancora non era allenata a quel tipo di conversazioni.
<< Perché? >>, chiese incuriosito Ianto.
Ecco, appunto. Mai che capisse all’istante quello che intendevo dire.
<< Perché eri tu >>, risposi frettolosamente.
<< Ehm , non capisco. Potresti spiegarti nel linguaggio degli alieni, gentilmente >>, scherzò sorridendo il ragazzo.
<< Volevo fare pace con te, ok? Ecco perché sono riuscita subito ad arrivare al nocciolo della questione. Ti rivolevo nella mia vita >>, esclamai arrossendo quasi come un pomodoro.
Ianto, sentendo le mie parole, sorrisi felice. Per lui, sentirsi dichiarare i miei sentimenti, era sempre fonte di gioia. Aveva sofferto davvero tanto per l’abbandono, sia per quello della famiglia, che il mio. Aveva la necessita, addirittura fisica, di sentirsi amato. Di essere guardato in modo unico, quasi come se fosse speciale. E quello era il modo in cui dei genitori, o una sorella ti guardano. O era il modo in cui lo guardavo io. Per me, Ianto, era il mio mondo. Mi aveva salvata, ancora prima di sapere che necessitavo di aiuto. Lui era stato fonte della mia felicità, sia nel passato che nel presente. E sapevo per certo, che sarebbe stato così anche per il futuro. Alle volte, temevo che il cuore mi scoppiasse per il troppo amore. Ma sarebbe stato bello morire così. Sorrisi di rimando al giovane, e silenziosamente ci avvicinammo per scambiarci un lungo bacio, al gusto del cioccolato. Appena sentii il suo sapore, constatai una cosa: il gelato era molto più buono se succhiato dalla bocca di Ianto. Quando ci staccammo, ci fissammo a lungo negli occhi.
<< Ti ho preso una cosa >>, sussurrò dolcemente il giovane dagli occhi di ghiaccio.
Spalancai gli occhi stupita. Non mi aspettavo un regalo.
<< Ianto, non dovevi >>, mi lamentai commossa.
<< Certo che dovevo. È dovere di ogni uomo fare doni alla propria donna. Cosi se la può rigirare tra le mani quanto vuole >>, dichiarò divertito.
<< Il ragionamento non fa una piega >>, annuii sarcastica.
Ianto si alzò dallo sgabello della cucina, e andò verso lo zaino, posato sul divano del salotto.  Da li, estrasse un piccolo pacchetto incartato. Quando poi ritornò, si mise di fronte a me, porgendomi il regalo. Lo afferrai con mani tremanti, incapace di contenere le mie emozioni. Quando lo scartai, mi trovai tra le mani una piccola scatoletta. Non sapevo perché, ma non avevo il coraggio di aprirla, perciò fissai il giovane, perdendomi in quel mare di ghiaccio.
<< Forza, apri >>, mi sollecitò sorridendo.
<< Non ci riesco >>, sussurrai con le lacrime agli occhi.
<< Perché? >>, domandò incuriosito.
<< Non lo so. Ho come la sensazione che ci troverò qualcosa di molto importante >>, continuai con lo stesso tono di voce.
Ianto sospirò, divertito.
<< Non ti si può nascondere niente. Hai troppo intuito per i miei gusti >>, commentò ironico.
<< Non sarei stata la migliore nel mio lavoro, se non avessi avuto intuito >>, sussurrai cercando di stare al gioco.
<< E sei anche modesta. Mi sono innamorato di una donna piena di virtù >>, continuò sempre più allegro il giovane.
Poi restammo in silenzio per qualche minuto, incapaci di dire altro.
<< Ianto, cos’è? >>, domandai infine, agitando tra le mani la scatolina che avevo.
Il giovane, mi fissò intensamente. Poi con le mani, l’aprì, rivelandomi la collana più bella che avessi mai visto. Era d’argento oppure oro bianco. Un filo sottilissimo, con un ciondolo meraviglioso. Era un piccolo cuore con incastonato al centro un brillante. Era semplice, e tuttavia fantastico. Qualcosa di unico e speciale.
<< Questa collana la regalò mio padre alla mamma >>, cominciò a spiegare Ianto, attirando tutta la mia attenzione. << Si erano trasferiti da poco nella casa in cui vivo, e papà guadagnava davvero tanto. Così un giorno, mentre la mamma era ancora incinta di me, papà le regalò questa collana, dicendole che così gli donava il suo cuore, e che doveva prendersene cura >>, ero senza parole, e le lacrime cominciarono a solcare il mio volto. << Papà aggiunse anche che la mamma era il brillante incastonato al centro del cuore, e che brillava di luce propria. Era la cosa più bella e preziosa al mondo >>, poi prese il cuore e lo voltò, rivelando delle parole incise posteriormente. << “Sempre amore”. Papà, con queste parole, le prometteva eterno amore. Da allora, ogni volta che la mamma gli diceva ti amo, lui rispondeva così. Sempre amore >>, poi tornò a fissarmi, rivelando piccole lacrime trattenute a stento. Eravamo entrambi incredibilmente commossi. Mi riscoprii ancora una volta innamorata di Ianto. Come poteva esistere un ragazzo così fantastico, e come potevo essere stata così fortunata da averlo tutto per me? Esisteva felicità più grande di quella che provavo in quel momento? Io non credevo. Ianto prese la collana e la portò davanti al mio volto. << Quando compii undici anni, la mamma mi disse che un giorno, avrei dovuto donare questa collana alla donna che avrei scelto. Quella con cui avrei condiviso il resto della mia vita. E quella donna sei tu >>, spiegò guardandomi dritto negli occhi. Il mio cuore perse un battito nel sentire quelle parole. Altre lacrime solcarono il mio volto. << Voglio che tu prenda questa collana. E che accetti il mio cuore >>.
Non sapevo cosa rispondere. Da un lato volevo afferrare quel ciondolo e nasconderlo come un tesoro. Dall’altra avevo paura del peso che avrei accettato, dell’importanza che quel gesto significava.
<< Io non so… >>, sussurrai combattuta.
<< Si, tu devi averla. Tu mi hai donato l’orecchino di tua zia, ed io ti regalo la collana di mia madre. Sono simboli che esprimono la nostra intenzione di amarci per tutta la vita, anche oltre la morte. Non esiste altra donna di cui potrei innamorarmi così. Lo so già. Tu sei l’unica, per me >>, spiegò dolcemente il giovane, asciugandomi il volto con la mano libera.
Non sapevo che fare, così mi lasciai trasportare dall’istinto. Mi gettai verso Ianto, abbracciandolo forte. Non volevo più separarmi da lui. Volevo diventare un’unica cosa con lui. Accettando quel cuore, avrei accettato il suo amore. E mi resi conto che quella, era la cosa più giusta da fare. Così, staccandomi leggermente, presi la collana che aveva ancora in mano, e la portai al collo, agganciandola. Appena fu sistemata, sentii come della luce irradiarsi nel mio petto. Era come se avessi davvero ricevuto il cuore di Ianto. Era una sensazione meravigliosa. Il giovane, vedendo il ciondolo sistemato, sgranò gli occhi.
<< Che c’è? >>, domandai preoccupata.
<< Non lo avrei mai creduto possibile >>, mormorò scioccato. Poi tornò a fissare il mio volto. << Il mio cuore non poteva trovare altro posto che sul tuo petto. E’ stato creato appositamente per essere donato a te. Sei meravigliosa >>.
Appena pronunciate quelle parole, altre lacrime solcarono il mio viso. Ero talmente felice. Gettai nuovamente le braccia intorno al collo di Ianto, abbracciandolo stretto. Non mi sarei mai più separata dal ragazzo. Lo avrei giurato sul nostro amore.
 
Ero nervosa e agitata. Non sapevo come avrei esordito, non sapevo come mi sarei presentata. E, soprattutto, con quale scusa. Stavo andando allo sbaraglio. Maledizione a me, al mio voler aiutare tutti, e a quel bastardo di Ianto che mi aveva lasciato sola con questa incombenza. “Solo tu sai come farcela. Io non posso venire”. Solo una stupida scusa, per lasciare a me il lavoro sporco. Ma gliel’avrei fatta pagare. Sicuramente. Oh, si poteva scordare il sesso per una settimana intera. Era una promessa. Nel frattempo, le mie mani stringevano convulsamente il cuore ricevuto in dono dal ragazzo solo mezz’ora fa. Stranamente, mi dava forza e coraggio, e sentivo la presenza di Ianto li con me. Alla fine, lui mi era accanto, comunque. Forse avrei dovuto rivedere la mia vendetta. O forse gliel’avrei fatta pagare comunque. Ero molto vendicativa, e in me scorreva sempre quella vena folle, che mi aveva portato a vedere Diego per tutto quel tempo. Nonostante se ne fosse andato per sempre, non sentivo più dolore per quella consapevolezza. Ormai il mio intero essere apparteneva a Ianto. Avrei amato per sempre Diego, questo era vero, ma la mia vita aveva preso a scorrere finalmente. E lo aveva fatto grazie al giovane dagli occhi di ghiaccio. Sorrisi, e trovai la forza di fare ciò che andava fatto. Così, senza esitazioni, bussai decisa alla porta della madre di Renato. Ma quando me la trovai davanti, mi resi conto di aver dimenticato un piccolo dettaglio: con che scusa mi sarei giustificata.
<< Salve, posso esserle utile? >>, mi chiese cortesemente.
Era una donna davvero bella. Alta un metro e settanta, occhi dorati, capelli biondi, e con un fisico pazzesco. Assomigliava molto a Renato. Nel frattempo, rimasi silenziosa a fissarla, incapace di dire qualcosa.
<< Posso esserle utile? >>, domandò nuovamente, perplessa, sorridendomi come se avesse a che fare con una pazza psicopatica.
A quel punto mi riscossi, sapendo di non aver fatto una buona impressione.
<< Ecco, io… io sono venuta… perché >>, dovevo pensare qualcosa, e in fretta. << Perché… ho finito il sale >>, esclamai alla fine convinta.
Poi, mi diedi uno schiaffo mentale. Come avevo potuto dire una cretinata simile. Avrebbe sicuramente chiamato qualche ospedale psichiatrico, e mi avrebbero rinchiusa all’istante. Forse Ianto avrebbe potuto tirarmi fuori. Dopotutto, era il mio fidanzato, ed era anche ricco. Si, alla fine me la sarei cavata. La donna mi fissò sempre più stranita. Si stava domandando se avesse davvero sentito quelle mie parole.
<< Ehm, ecco, non ci siamo mai presentate >>, ripresi, trovando le parole ed una scusa migliore. << Io abito in questo condominio. Da settembre >>, dichiarai con troppa forza. << E comunque, c’è il mio ragazzo da me, e stiamo preparando da mangiare per stasera perché è il nostro mesi…ehm, anniversario >>, mi corressi, rendendomi conto che se avessi pronunciato la parola “mesiversario”, mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. << E così, stavamo cucinando, ma ci siamo resi conto che ci mancava il sale. E così, sono venuta a bussarti per sapere… se tu avevi il sale. Tra tante persone, proprio te ho bussato. Ah, che ironia della sorte, eh? >>, esclamai sorridendo agitata. Mi ero incartata, decisamente.
La donna mi guardò confusa, poi rispose al mio sorriso agitato.
<< Ehm, io non sono di quella sponda. Mi dispiace >>, provò a giustificarsi.
Appena udite quelle parole, mi resi conto di quanto mi ero resa ridicola. Mi dimenai come tarantolata. Dovevo spiegarmi.
<< Oh, no no davvero. Io ho solo bisogno del sale, non di… altro >>, sputai l’ultima parola, arrossendo vistosamente. << Il mio ragazzo mi sta aspettando. Davvero io… voglio solo il sale, ti prego >>, la supplicai.
Avevo davvero toccato il fondo. Se prima potevo sperare di parlare con quella donna, in quel momento mi resi conto di aver perso la mia occasione.
<< Ehm, sei sicura di stare bene? Ha detto l’ultima frase in maniera strana >>, chiese dubbiosa.
Sospirai stancamente, maledicendomi per l’ennesima volta. Mi cacciavo sempre nei guai. O erano loro a seguirmi, questo non mi era molto chiaro.
<< Posso entrare? >>, domandai scoraggiata.
<< Certo. Accomodati >>, annuì facendomi segno di entrare.
Le mie speranze si risvegliarono. Dovevo averle fatto pena  o chissà che altro. Fantastico, apparivo miserabile agli occhi di una perfetta sconosciuta.
<< Grazie >>, mi affrettai ad entrare, cogliendo l’occasione.
Appena messo piede nell’appartamento, mi resi conto che era identico al mio. Stessi mobili, stessa disposizione delle cose e delle camere. Ogni cosa era uguale alla mia. Tranne che per il fatto che quella casa era molto più vissuta, e con molti più oggetti personali della donna, aggiunti successivamente. Ad esempio era stata pitturata di rosso, con tende bianche. Vi erano disegni dappertutto, e un grandissimo caos. Il pavimento era sporco di pittura un po’ ovunque, e della musica rock suonava dallo stereo di ultima generazione. Sebbene quella casa fosse completamente diversa dal mio modo d’essere, era lo stesso accogliente e affascinante, da un certo punto di vista. Mi piaceva molto, stranamente. Forse le avrei chiesto di fare qualche lavoretto per me.
<< Accomodati pure sul divano, se lo trovi. E ti prego, non badare al caos >>, si scusò la donna sorridendomi mortificata.
<< Grazie >>, sorrisi di rimando.
Mi sistemai sul divano, e notai subito una cosa. C’era un tavolino al centro, e sopra, tra le varie cose, vi erano anche delle fotografie. E una in particolare attirò la mia intenzione. Raffigurava una giovane ragazza, forse sedicenne, in ospedale, con un neonato tra le braccia. Era un bambino molto carino, pieno di lentiggini, e con gli stessi occhi della ragazza. Quella foto, mi diede sicurezza. Stavo facendo la cosa giusta, e dovevo portarla a termine.
<< Eccomi, con il sale, e anche una tazza di caffè. Spero ti piaccia >>, tornò la donna, porgendomi il sale in un contenitore di vetro, e il caffè.
Afferrai la tazza immediatamente. La mia adorazione per il caffè si risvegliò nel sentirne solo l’odore.
<< Grazie >>, sorrisi felice assaporando quella gustosa bevanda.
Restammo in silenzio per qualche minuto, ognuna persa nella propria degustazione. O forse solo io ero persa, mentre la donna davanti a me si domandava cosa diavolo volessi.
<< Allora, come ti chiami? >>, domandò improvvisamente.
<< Lisa. E tu? >>, chiesi di rimando, sapendo bene la risposta.
<< Elisabetta. Betta per gli amici >>, sorrise divertita.
<< Piacere di conoscerti >>, affermai allungandole la mano.
<< Piacere mio >>, rispose, ricambiando il mio gesto. << Allora, Lisa, qual è il vero motivo per cui sei venuta qui? Non crederai che sia così ingenua da credere alla storia del sale >>, disse divertita, sapendo di avermi scoperta.
<< Mi hai scoperta facilmente, vero? >>, domandai sconsolata.
<< Mia cara, ho trentaquattro anni, non venti. Capisco abbastanza in fretta, quando la gente mi sta mentendo. Ho una certa esperienza >>, confessò allegramente, ma con una punta amara. Quelle parole nascondevano molti significati.
<< Esperienza che ti ha portato ad abbandonare un figlio, vero? >>, chiesi senza tanti giri di parole. Ianto aveva ragione. Dovevo arrivare subito dritta al punto, senza tergiversare.
<< Cosa? >>, esclamò sbigottita Elisabetta. Non si aspettava di certo quelle mie parole.
<< Hai abbandonato un figlio, vero? >>, continuai con decisione, ma sempre con tatto. Non volevo essere cacciata per la mia sfacciataggine.
<< Non so di cosa stai parlando >>, rispose prontamente la donna, agitandosi sul divano.
<< Invece si, Elisabetta. So perfettamente di cosa sto parlando >>, negai dolcemente. << E questa foto lo dimostra >>, presi la fotografia e gliela mostrai.
Elisabetta rimase senza parole, guardando prima me e poi la fotografia. Alcune lacrime scesero dai suoi occhi dorati.
<< Cosa sai? >>, sussurrò tristemente.
<< Non molto, ad essere onesti. So solo che tuo figlio ti sta cercando >>, confessai con tranquillità.
<< Cosa? >>, esclamò sconvolta.
<< Avevi ragione, quando dicevi che non ero venuta per il sale >>, esordii, cominciando a raccontare. << Sono qui, con lo scopo preciso di parlarti di questo bambino che diciotto anni fa, hai abbandonato. Perché io lo conosco, e so che ti sta cercando. Che vuole parlarti, e farti delle domande >>
<< Lo conosci? >>, chiese con un filo di voce.
<< Sono la sua insegnante >>, spiegai.
<< Lui va a scuola? >>, domandò sbalordita. << E come va? Che scuola frequenta? Cosa vuole fare da grande? Si trova bene nella sua classe? >>
<< Ehi, piano piano >>, la frenai, alzando le mani. << Una domanda alla volta >>
<< Certo, scusa >>, si mortificò la donna.
<< Allora, si va a scuola. Anzi, un’ottima scuola. È stato fortunato, nella sua sfortuna, perché è stato adottato da genitori facoltosi >>, confessai dolcemente guardandola negli occhi.
Quegli occhi dorati, inondati di lacrime mal trattenute. E quelle mie parole la stupirono tantissimo. Non credeva che il destino di suo figlio fosse stato quello.
<< Davvero? >>, sussurrò sbalordita.
<< Davvero >>, confermai sorridendole. << I suoi genitori adottivi non gli hanno mai detto che era stato adottato, però qualche tempo fa l’ha scoperto. Si è messo subito alla ricerca della sua madre naturale, ed ora l’ha trovata >>.
<< Oh mio Dio >>, mormorò sconvolta.
<< Si, lo so che può sembrare assurdo, che sono diciotto anni che non lo vedi, ma lui vuole incontrarti. Stasera >>, spiegai velocemente.
Elisabetta si alzò di colpo dal divano, e cominciò ad andare avanti e indietro agitata e nervosa. Afferrò un pacchetto di sigarette da sopra al muretto della cucina, e cominciò ad aspirarne forti boccate.
<< No, no, non posso mi dispiace >>, esclamò improvvisamente, in preda al panico.
<< Come? Ma perché? >>, domandai alzandomi dal divano e bloccando la sua camminata furiosa.
<< Perché… perché… oh ma insomma, non sono fatti tuoi >>, sbottò innervosita.
<< Hai ragione, non sono fatti miei. Tu ed io non ci conosciamo neanche >>, confermai inacidita. << Ma conosco quel ragazzo, e ho visto i suoi occhi quando mi ha raccontato dell’adozione, di sua madre e di quello che voleva fare. Conoscerla, farle domande, sapere. E questo è affare mio, perché mi ha chiesto aiuto, ed non glielo negherò >>.
Elisabetta spalancò gli occhi, fissandomi. Non si aspettava quelle mie parole. Pensava di avermi intimorito, ma era solo una povera illusa. Non mi spaventavo tanto facilmente. La donna, senza aggiungere altre parole, si riposizionò nuovamente sul divano. Io la imitai, addolcendo il mio sguardo.
<< Perché non puoi vederlo? >>, ridomandai, con più gentilezza.
<< Perché io l’ho abbandonato >>, mormorò con voce spezzata.
<< Questo lo so. Ma non vuoi neanche spiegargli il perché, del tuo gesto? Lui merita di sapere. Ne ha bisogno, altrimenti non andrà mai avanti con la sua vita >>, affermai con decisione.
<< Ho paura >>, continuò sempre più disperata.
<< Lo so. Tutti noi abbiamo paura del nostro passato, ma devi affrontarlo, prima o poi >>, mi allungai afferrandola per le mani, costringendola a fissarmi negli occhi. << Forza, Betta, puoi farcela >>
 
<< Quindi ha accettato di vederlo? >>, domandò Ianto, accarezzandomi lentamente il fianco.
<< Già. Stasera alle otto si vedranno sulla panchina che c’è nel cortile del condominio. Quella che sta proprio sotto al mio appartamento >>, confermai, sistemandomi meglio contro al fianco del giovane.
Ero tornata da dieci minuti, dalla visita ad Elisabetta. La prima cosa che avevo fatto, era stata sedermi sul divano, trascinandomi Ianto dietro, e appoggiarmici contro. Ci stavamo coccolando un po’.
<< E questo appunto, cosa dovrebbe significare? >>, chiese divertito il ragazzo.
<< Semplice. Stasera alle otto ci posizioniamo vicino al balcone, e spiamo la loro conversazione. Voglio sapere perché una donna decide di abbandonare il proprio figlio >>, spiegai con decisione.
<< Immaginavo. Impicciona >>, mi prese in giro Ianto. Poi sospirò, fermando la mano sul mio fianco.
<< Che c’è? >>, domandai.
<< Volevo chiederti una cosa, che non c’entra niente con Renato e sua madre. Ma non so come iniziare >>, spiegò Ianto, diventando serio.
<< Si comincia solitamente dall’inizio >>, scherzai per allentare la tensione. Poi mi staccai dal corpo caldo del giovane, e lo guardai negli occhi. << Che c’è? >>.
Ianto mi fissò intensamente, poi abbassò lo sguardo, stringendomi la mano.
<< Ecco, tu mi hai detto che vedevi tuo marito >>, cominciò incerto. << Cioè, dopo la sua morte. Ed è per questo che te ne sei andata. Ma io, alla fine non so molto di questa storia. Cioè, lo so di essere insensibile chiedendolo e, cioè, se non vuoi rispondere il lo capisco, però… >>.
Sorrisi intenerita. Poi lo bloccai, baciandolo a stampo. Ianto si zittì immediatamente, assecondando il mio casto bacio.
<< Hai finito? >>, domandai divertita, staccandomi.
<< Si >>, confermò imbarazzato.
<< Hai ragione. Non ti ho raccontato molto di quello che è successo, e del fatto che vedevo Diego, ma mi vergognavo. E in più avevo paura di ripensare a quei momenti. Non ne vado fiera >>, confessai tristemente. << Sai, Diego è entrato nella mia vita quando credevo che niente potesse più toccarmi. Quando credevo che per me non ci fosse più nulla. E così mi ha aiutato tantissimo. Mi ha ridato la speranza >>, sorrisi ricordando quei momenti. Poi il sorriso si affievolì. << Dopo la sua morte, qualcosa in me si spezzò. Provai anche a suicidarmi >>
<< Cosa? >>, esclamò sconvolto Ianto.
<< Già >>, confermai mestamente. << Non ne vado orgogliosa, ma non posso rinnegare ciò che è stato. Comunque, dopo quel fatto cominciai a vedere Diego. E forse sono sopravvissuta grazie a questo motivo. Se non l’avessi visto, mi sarei lasciata andare nuovamente. Avrei tentato il suicidio di nuovo >>, continuai ricordando il mio passato. << Poi, però, mi sono resa conto di stare sbagliando ogni cosa, che non era giusto per Diego. Ma non riuscivo a lasciarlo andare. Per questo sono venuta qui a Roma. Dovevo provare ad andare avanti, ed ho incontrato te >>, sorrisi innamorata. Ianto mi fissava intensamente, pendendo dalle mie labbra. << Ho amato tantissimo Diego. Mi ha donato ciò di cui avevo più bisogno. Ma tu mi hai riportato alla vita, e non potrò mai sdebitarmi per ciò che hai fatto. Quando me ne sono andata, dovevo chiudere con il mio passato, perché altrimenti non avrei mai potuto vivere con te. E così ci siamo detti addio >>.
Finii di raccontare ciò che avevo nel cuore. Alcune lacrime solcarono il mio volto, ma erano di felicità. Ianto, dal canto suo, non sapeva che dire. Era sbalordito di quelle mie parole, ma soprattutto per il loro significato. Stava finalmente comprendendo ciò che aveva fatto per me, quanto la sua presenza fosse stata fondamentale. Aveva finalmente capito di avermi salvato la vita. Si gettò violentemente contro le mie labbra, succhiandole avidamente. Cominciò a baciarmi, quasi come se ne dipendesse la sua vita. Lo assecondai per tutto il tempo, capendo quanto avesse bisogno di possedermi in quel modo. Poi, passati vari minuti, ci staccammo ansanti. Ianto appoggiò la sua fronte contro la mia, e chiuse gli occhi.
<< Ti amo >>, sussurrò dolcemente.
<< Sempre amore >>, risposi ricordando le parole scritte dietro al mio ciondolo.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio sorrise commosso. Tutto era meravigliosamente perfetto.
 
<< Shh, fai piano >>, sussurrai contro Ianto.
<< Io faccio piano. Sei tu ad aver fatto un casino assurdo, prima >>, si lamentò il ragazzo.
<< Non è vero. Sono stata delicata con il vento >>, risposi inacidita.
<< Vorrai dire una tempesta >>, ribatté il giovane.
<< Continua così e ti mando sul serio in bianco >>, lo minacciai.
<< Questa scusa è vecchia. Trovatene un’altra >>, sbuffò Ianto.
Digrignai i denti, sapendo di dover trattenere tutti gli insulti che volevo mandargli contro. Stavamo sgattaiolando fuori sul balcone, intenti a spiare Renato e sua madre. Erano le otto in punto, e il giovane era già la, seduto, in attesa del confronto. Si vedeva chiaramente quanto fosse agitato e nervoso, e una parte di me voleva scendere e consolarlo, ma sapevo di non poterlo fare. Perciò mi sistemai in modo da non farmi scorgere, e feci segno a Ianto di imitarmi.
<< E ora che facciamo? >>, domandò il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
<< Aspettiamo >>, sospirai fissando Renato.
L’attesa durò quasi dieci minuti, quando Elisabetta si presentò davanti al figlio. Indossava pantaloni neri aderenti, una maglietta bianca e un giaccone di pelle. Renato, appena vide la donna, si alzò dalla panchina e la fissò silenziosamente. Entrambi erano in preda al panico, lo si vedeva chiaramente. Ma quella volta non sarei potuta intervenire, per salvare la situazione. Se la dovevano cavare da soli. Ianto ed io ci sistemammo meglio, per ascoltare attentamente la conversazione.
<< Ciao >>, salutò agitato Renato.
<< Ciao >>, rispose con lo stesso tono Elisabetta.
Poi restarono nuovamente in silenzio. Si scrutavano, cercando di trovare qualcosa di simile, qualcosa che li accumunasse. Qualcosa che attestava la loro parentela. Ma bastava guardarsi negli occhi, per trovare la prova certa che fossero madre e figlio.
<< Hai i miei stessi occhi >>, constatò Renato.
<< Beh, tecnicamente sei tu ad avere i miei occhi >>, dichiarò divertita Elisabetta. << Che dici, ci sediamo? >>, propose la donna, indicando la panchina.
Il ragazzo annuì, e si accomodò seguito dalla madre. Restarono nuovamente in silenzio per vari minuti.
<< Allora, la tua insegnante mi ha detto che vai in una scuola prestigiosa >>, cominciò Elisabetta, cercando di trovare le parole.
 << Si, vado alla “Newton-high” >>, confermò Renato.
<< Davvero? Ma quella è una scuola famosissima. Ci vanno le persone più ricche d’Italia >>, esclamò sconvolta la donna.
<< Già. I mie genitori sono persone facoltose >>, confermò il ragazzo.
Poi si bloccò, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto. Guardò Elisabetta, dispiaciuto. La donna, dal canto suo, sorrise tristemente per quelle parole.
<< Mi dispiace. Non volevo… offenderti >>, provò a scusarsi Renato.
<< No, non ti preoccupare. Non fa niente. È la verità. Io ho perso il diritto di essere chiamata “mamma” tanto tempo fa >>, rispose mestamente la donna.
Il ragazzo annuì lentamente, poi fissò il pavimento.
<< Perché? >>, domandò improvvisamente, interrompendo il silenzio.
<< Perché, cosa? >>, chiese Elisabetta.
<< Perché mi hai abbandonato? >>, disse Renato, tornando a guardare negli occhi la donna.
Quest’ultima rimase a bocca aperta. Era a disagio per quella domanda schietta, che portava subito al dunque, così distolse lo sguardo, e fissò le mani.
<< Avevo sedici anni quando rimasi incinta di te. I miei genitori erano persone di altri tempi, severi e rigidi su tantissime cose. Così crebbi ribelle, e combinai tanti casini. Ma restare incinta fu una cosa che loro non mi perdonarono. Anzi, mi cacciarono di casa, affermando che per loro ero morta >>, raccontò la donna, ricordando quegli avvenimenti del passato. Sia io, che Renato che Ianto restammo scioccati nell’apprendere quella notizia. << Vagabondai un po’ in giro, durante la gravidanza. Non ebbi il coraggio di abortire, ma nella mia testa c’era un pensiero ricorrente: “è tutta colpa di questo bambino” >>, poi tornò a fissare Renato, guardandolo dritto negli occhi. << Col senno di poi, sapevo che non era colpa tua, ma in quel momento non sapevo che fare >>
<< Potevi chiedere aiuto a mio padre, ad esempio. Potevate trovare una soluzione e non abbandonarmi >>, esclamò sconvolto il giovane.
<< Non potevo >>, negò dolcemente Elisabetta.
<< Perché? >>, domandò incredulo Renato.
<< Perché tuo padre non era di queste parti. Era uno studente universitario venuto in Italia per qualche mese. Ci conoscemmo in una discoteca, e fu amore a prima vista. Fu il primo uomo con cui feci l’amore >>, spiegò la donna, sorridendo dolcemente. << Quando partì, ci promettemmo che un giorno ci saremmo rivisti. Ma non fu così, e poco dopo la sua partenza, scoprii di essere incinta. Non avevo soldi per raggiungere tuo padre, che era irlandese. Così rimasi sola, senza speranze e con tanto rancore >>.
Eravamo tutti senza parole. Quella storia aveva dell’incredibile. Capivo Elisabetta per ciò che aveva fatto, ma non la giustificavo. Non bisognava abbandonare il proprio figlio, nemmeno se la situazione era così disperata.
<< Ora capisco il perché dei miei capelli >>, mormorò Renato.
<< Già, sono identici a quelli di tuo padre. Si chiamava Meekan, sai? >>, confessò sorridendo divertita Elisabetta.
<< Che nome… stupido >>, commentò Renato, poi scoppiò a ridere.
<< Già >>, concordò la donna ridendo anch’essa.
Passarono vari minuti, in cui entrambi risero, per allentare la tensione. Poi, contemporaneamente, tornarono seri.
<< Quando ho scoperto di essere stato adottato, mi sono sentito così… male >>, cominciò a raccontare Renato.
<< Mi dispiace >>, si scusò Elisabetta.
<< Perché? Perché non mi hai tenuto? Avresti potuto farcela se solo volevi >>, domandò il giovane trattenendo a stento le lacrime.
<< No, non potevo. Ero una bambina, quando ti ho messo al mondo. Non avevo niente in mano, ne un futuro ne speranze. Non potevo tenerti. Ti avrei rovinato la vita >>, si giustificò la donna.
<< Tu mi ha rovinato la vita, abbandonandomi. Ti rendi conto di come mi senta ferito e disprezzato, sapendo che neanche mia madre mi ha voluto >>, urlò Renato sconvolto.
<< Rovinato la vita? Renato, io te l’ho salvata, dandoti in affidamento. Ti ho permesso di avere una vita migliore, con genitori veri che ti avrebbero amato davvero. Tu hai trovato ciò che io non ho mai avuto: una famiglia >>, spiegò dolcemente Elisabetta.
<< Ma… come… >>, mormorò confuso il giovane.
<< Sei stato adottato da persone meravigliose, che ti hanno amato con tutte se stesse. E sei diventato il ragazzo fantastico che ho qui di fronte >>, affermò accarezzando una guancia del ragazzo. << Lo leggo dai tuoi occhi che sei felice. Non lasciare che questo fatto stravolga il rapporto con quelle persone che tu stesso definisci genitori >>, una lacrima solcò il viso di Elisabetta. << Potranno anche non averti messo al mondo, ma ti hanno amato e cresciuto come se fossi stato il loro figlio naturale. Devi essere grato per questo. Non sempre i veri genitori ti amano come dovrebbero. Guarda me! La mi famiglia mi ha cacciato di casa, e da allora non si sono più fatti vivi >>, si asciugò prontamente le lacrime dal viso. << Tu sei la persona più fortunata al mondo >>.
Renato rimase senza parole. In quell’ultimo periodo la sua ossessione per la madre biologica, lo aveva portato ad allontanarsi dalla cosa più preziosa che aveva: la sua famiglia. Quella che lo aveva cresciuto ed amato, nonostante non ci fosse un vincolo di sangue a legarli. Erano loro i suoi veri genitori.
<< Senti, ora devo andare. Comincia il turno al bar >>, esordì la donna alzandosi dalla panchina. << Stammi bene >>, lo salutò freddamente, per poi incamminarsi.
<< Aspetta >>, la fermò Renato. La donna, lentamente si voltò, guardandolo ferita. << Potrò vederti ancora? >>, chiese il giovane.
Elisabetta rimase in silenzio, lasciandoci tutti col fiato sospeso.
<< Renato, tu sei mio figlio, è vero. Ma io non sono più tua madre >>, affermò lasciandomi sconvolta. La stessa reazione avvenne nel  giovane dai capelli rossi. << Continuare questo rapporto farà del male ad entrambi. Porterà vecchie ferite a galla, e le riaprirà. È meglio se continuiamo a stare lontani. Non mi pento di averti partorito, ma averti ha cambiato profondamente la mia vita. Vederti costantemente finirebbe col far riaffiorare il rancore che nutrivo >>, Renato rimase profondamente colpito da quelle parole. Si vedeva quanto gli stessero facendo del male. << Non voglio odiarti. Voglio ricordarti come un bambino un po’ paffutello, con tante lentiggini e gli occhi come i miei. Voglio ricordarti in quell’unico momento in cui ti ho tenuto tra le braccia, in cui per la prima volta ho provato amore nei tuoi confronti >>, ormai il volto del ragazzo era una maschera di dolore. << Io non voglio un figlio. Non lo volevo allora, e neanche adesso. Forse non ne vorrò mai. Quell’esperienza avuta a sedici anni, mi ha segnato troppo. Sono felice di sapere che stai bene, che sei cresciuto e che sei diventato un così bel ragazzo. Ma non voglio fare parte della tua vita, e non voglio che tu faccia parte della mia >>, si voltò nuovamente dando le spalle al giovane. << Di te non ho nulla, se non un ricordo. E voglio che le cose restino così >>, poi si incamminò allontanandosi.
Renato la guardò intensamente, vedendola andare via. Ed infine, quando ormai fu troppo lontana per distinguerla, si accasciò contro la panchina, e diede libero sfogo alle sue lacrime. Dal canto mio, cominciai a riflettere su quelle parole finali. “Di te non ho nulla, se non un ricordo”. Ma non era vero. Aveva una foto col bambino. In quel momento capii la verità. Lei lo aveva fatto per lui. Sapeva di non potergli dare ciò che lui desiderava, ovvero l’amore materno, e l’unico modo per allontanarlo era ferirlo. Perché Renato aveva già l’amore di una madre, e anche di un padre. E lo stavano attendendo a casa loro. Per Elisabetta non c’era più spazio. Sorrisi tristemente, ammirando il coraggio di quella donna. Mi alzai dal nascondiglio, e raggiunsi Renato, seguita da Ianto. Ci accomodammo silenziosamente sulla panchina, ai lati del ragazzo, e poggiammo le nostre mani sulle sue spalle, dandogli conforto.
<< Avete spiato, vero? >>, domandò tra i singhiozzi.
<< Già >>, confermai.
<< Abbiamo imparato da te >>, scherzò Ianto, strappando al giovane un sorriso.
<< Io non capisco. Perché non vuole avere a che fare con me? Non le sto chiedendo di essere mia madre, ma solo di conoscerci meglio >>, si lamentò Renato.
<< E a cosa servirebbe? Tu hai già tutto ciò che ti serve. La presenza di Elisabetta, rischierebbe solo di sconvolgere le cose >>, spiegai dolcemente.
<< Tu ce l’hai già una mamma, Renato. Devi ritenerti fortunato >>, aggiunse Ianto.
<< Lo so. Però fa male sentirsi rifiutati dalla propria madre biologica. Sapere di essere stati abbandonati… mi fa sentire mancante, come se fossi difettoso >>, sussurrò tra le lacrime il ragazzo dai capelli rossi.
<< Sbagli. Perché tu sei perfetto così come sei. Non hai nulla che ti manca. Elisabetta potrà averti messa al mondo, ma non è tua madre >>, affermai dolcemente, convinta delle mie parole.
<< Anche io sono stato abbandonato dalla mia famiglia >>, confessò Ianto, attirando l’attenzione di Renato. << Sono morti quando avevo tredici anni. E darei qualsiasi cosa per poter rivedere ancora una volta mia madre. Tu puoi. Ti basta andare a casa, e la troverai li che ti aspetta a braccia aperte >>, dichiarò sorridendo il giovane dagli occhi di ghiaccio. Fui molto fiera di Ianto, in quel momento
<< Beh, più che a braccia aperte, furiosa per il ritardo che sto facendo >>, aggiunse divertito il ragazzo dai capelli rossi, dopo aver riflettuto su quelle parole.
Ianto ed io ridemmo per quell’affermazione.
<< Sai che puoi contare su di noi per qualsiasi cosa, vero? >>, domandai amorevolmente al giovane.
<< Si. Grazie >>, annuì Renato, sospirando stancamente. Quella conversazione lo aveva provato molto, e sicuramente si sarebbe portato gli strascichi per molto altro tempo ancora. Ma alla fine, sarebbe riuscito a superare quella storia. Ne ero certa. << Non credevo foste così forti. Mi avete sorpreso >>, esclamò dopo un po’, sorridendo divertito.
<< Mio caro, noi siamo pieni di sorprese >>, si gongolò Ianto.
<< Fai poco lo sbruffone, pavone.  Quella che ha fatto tutto il lavoro sono io. Non prenderti meriti che non hai >>, mi lamentai dando uno schiaffo dietro alla testa del giovane.
<< Ahia, mi hai fatto male Lisa >>, si lamentò Ianto toccandosi la parte lesa.
<< Così impari >>, sentenziai.
Renato ci fissò allibito, poi improvvisamente scoppiò a ridere. Io e il giovane dagli occhi di ghiaccio lo fissammo sconcertati, poi lo seguimmo in quelle risa. Ora più che mai, ero certa che le cose sarebbero andate bene. Per tutti noi.
 
Nel frattempo…
<< Perché mi stai portando a casa tua? >>, domandò divertito Roberto.
<< Perché voglio farlo di nuovo davanti al camino, come la nostra prima volta >>, spiegò euforico Paolo, trascinando il fidanzato verso la porta di casa.
<< Ma ci sono i tuoi! >>, esclamò sconvolto il giovane dagli occhi verdi.
Nel frattempo i due erano giunti davanti a casa di Paolo. Quest’ultimo aprì velocemente la porta, attirando verso di se il fidanzato. Gli scoccò un bacio a stampo intenso e pieno d’amore.
<< Stai tranquillo. Sono in viaggio d’affari e non tornano prima di domani pomeriggio >>, spiegò Paolo, dando veloci baci sul collo di Roberto.
Quest’ultimo si lasciò andare, facendosi trasportare dalla marea di emozioni che provava ogni qualvolta il fidanzato lo toccasse. Paolo gli sfilò il giubbotto e la maglietta velocemente. Roberto lo imitò cominciando ad accarezzare il corpo perfetto del fidanzato. Raggiunsero il camino con poche falcate, desiderosi di approfondire quel rapporto. Roberto sovrastò il corpo del fidanzato, cominciando a leccarlo e baciarlo ovunque.
<< Ti voglio >>, sussurrò voglioso.
<< Anche io >>, rispose sempre più perso Paolo.
<< Paolo! >>, esclamò sconvolto una terza voce maschile.
I due giovani si staccarono velocemente, guardando il punto da cui proveniva quella voce. Appena misero a fuoco chi aveva parlato, sbiancarono.
<< Mamma. Papà >>, sussurrò terrorizzato Paolo.



Buonasera, signori e signore...ecco a voi il nuovo capitolo, col quale si conclude la saga di renato XDXD forse è un po' breve, però io sinceramente l'ho apprezzata...c'è il dramma, come piace a me, ma è anche molto dolce e divertente a tratti...e poi compensa la drammaticità della prossima saga...e se siete furbi, e vi ricordate ciò che ho detto qualche capitolo fa, avrete capito anche chi sono i protagonisti della nuova saga (che tra parentesi, sarà abbastanza lunga...avrà sicuramente tre capitoli, ma credo che possa durare anche quattro...boh, chi lo sa, vedremo XDXD)...
allora che ne pensate della storia di renato...piaciuta? mi raccomando lasciatemi le vostre recensioni, così saprò cosa ne pensate XD...
ringrazio tutti coloro che seguono e recensiscono la storia...grazie mille, con tutto il cuore!!!
ricordo, inoltre, che per chi volesse seguirmi su fb, di passare per la mia pagina: 
http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl...
ora vi lascio, dandovi appuntamento a martedi prossimo con l'aggiornameno della storia...
un bacio
Moon9292


"Nuovi guai, vero?"


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Capitolo 27
*** Verità svelate ***


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Capitolo 27 - Verità svelate


<< Questa è l’ultima volta, Ianto. Dobbiamo essere discreti, chiaro? >>, mi lamentai sbuffando.
<< Dai forza, che un po’ di sana avventura non guasta mai nella vita >>, scherzò festoso il ragazzo.
<< La normalità è sottovalutata >>, mormorai sconsolata, ripensando all’ultimo anno della mia vita, e a quante avventure avevo preso parte.
Stavo entrando nel modo più discreto che conoscevo nel parcheggio della scuola. Alla fine l’aveva avuta vinta Ianto, ed era rimasto a dormire a casa mia per festeggiare. Dopo la giornata di ieri, in effetti, avevo bisogno che qualcuno restasse al mio fianco. Renato aveva mangiato pizza e gelato con me e il giovane dagli occhi di ghiaccio. Avevamo riso, e pianto per tutta la serata. Il ragazzo dai capelli rossi ci aveva raccontato un po’ della sua vita, ed io lo avevo riscoperto. All’inizio poteva sembrare altezzoso e sbruffone, ma nel profondo era una brava persona, con insicurezze e paure come tutti. Il suo era solo un atteggiamento per difendersi dal resto del mondo. E non potevo giudicarlo per questo. Tutti noi, per proteggerci, assumiamo determinati comportamenti. Alla fine, comunque, dopo aver mangiato e riso e pianto, senza rendercene conto eravamo diventati amici. Anche Renato aveva confessato di avermi rivalutato. Per lui, io ero un’insegnante incapace, con la tendenza a farsi gli affari degli altri. Invece, dopo quella giornata, avevo acquisito maggiore rilievo ai suoi occhi. E questa cosa mi faceva piacere. Perché Renato mi stava simpatico, e la stessa cosa valeva per Ianto. I due avevano scoperto di possedere un sacco di cose in comune. Passioni per la musica, per i libri, per i film… erano un bel duo in effetti. Alla fine della serata, poi, Renato se n’era andato sorridendoci dolcemente, e ringraziandoci per averlo supportato dopo il rifiuto della madre. Ianto, invece, era rimasto. E con le sue solite capacità persuasive, era riuscito a convincermi alla fine, ad ospitarlo a casa per la notte. Ovviamente, la notte l’avevamo passata a fare tutt’altro invece che dormire, quindi quella mattina mi sentivo stanca, affaticata, ed anche un po’ di cattivo umore. In più avevo una stranissima sensazione che ostruiva la bocca dello stomaco. Sentivo che qualcosa non andava. E quando avevo queste sensazioni, difficilmente sbagliavo. Perciò, da quella giornata mi aspettavo di tutto. Parcheggiai l’auto nel mio posto riservato, e scesi dalla macchina seguita da Ianto.
<< Ancora arrabbiata? >>, domandò dolcemente il ragazzo, appoggiandosi alla macchina.
<< Certo. Cosa non ti è chiaro del fatto che siamo insegnante ed alunno, e che se ci scoprono è la fine? >>, chiesi ironica.
<< Il fatto che nel tuo discorso, non è compreso il punto che ti amo >>, spiegò tranquillamente il giovane.
<< Alla gente non interessa minimamente che sei innamorato di me. Conta solo l’apparenza >>, sussurrai inferocita, mettendo a tacere il cuore. Ogni volta che Ianto dichiarava il suo amore per me, mi sentivo sciogliere dentro.
<< Su, piccola e dolce Lisa. Nessuno ci scoprirà >>, esclamò allegramente Ianto, avvicinandosi a me. Quando mi fu di fronte, appoggiò le sue meravigliose mani sui miei fianchi, ed incastrò i suoi occhi di ghiaccio nei miei. Mi sentii felice e a casa, con quei soli semplici gesti. << Ora mi dici cosa ti prende? Però voglio la verità >>
<< Chi ti dice che ci sia qualcosa che mi disturba? >>, domandai sulla difensiva. Ero ancora restia a cedere a quel profondo legame che ci univa. Il fatto che riusciva sempre a capirmi, mi turbava molto.
<< Ti conosco, dolcezza. So sempre quando qualcosa non va. Basta guardarti negli occhi, per carpire anche le tue più piccole emozioni >>, confessò sorridendo Ianto.
Non riuscii a trattenere il sorriso emozionato che comparve sulle mie labbra.
<< Non so ancora se questa cosa mi piaccia >>, sussurrai timidamente.
<< Cosa? >>, chiese curioso il giovane.
<< Che tu riesca a leggermi nel profondo. Una volta proteggevo a spada tratta la mia intimità. Con te mi sento nuda >>, mormorai sempre più imbarazzata.
<< Uhm, adoro quando sei nuda >>, esclamò eccitato Ianto.
A quell’affermazione, gli diedi un piccolo schiaffo sul braccio, facendo ridere entrambi. Alle volte sembravamo proprio dei bambini.
<< No, dai seriamente. Lo so che per te è ancora difficile essere quasi un tutt’uno con me >>, portò una sua mano alla mia guancia, carezzandola lentamente. << Però è questo il nostro destino. Essere uniti per sempre >>, poi poggiò un delicato bacio sulla mia fronte, facendomi provare un brivido lungo la colonna vertebrale. Adoravo quei piccoli gesti d’amore che riservava solo per me. << Allora, mi dici cosa c’è che non va? >>.
Sospirai, cercando di ritrovare un contegno. Ero ormai regredita perennemente all’epoca adolescenziale.
<< Ho una strana sensazione. Brutta, per essere precisi. Qualcosa sta per succedere >>, confessai abbassando lo sguardo.
<< Sei sicura? Tu ci prendi sempre quando hai queste sensazioni >>, chiese Ianto aggrottando le sopracciglia.
<< Già. Proprio perché ci prendo sempre, che sono agitata. Temo che oggi sia una giornata difficile >>, continuai lamentandomi.
Ianto inspirò profondamente, riflettendo sulle mie parole. Poi mi costrinse ad alzare lo sguardo, poggiando la mano sotto al mio mento. Quando i miei occhi incontrarono i suoi, vidi in quel mare di ghiaccio, forza, sicurezza e decisione.
<< Ascolta, qualsiasi cosa accada oggi, noi la affronteremo insieme. Chiaro? Siamo una squadra, tu ed io >>, mi incoraggiò il giovane.
Il mio cuore traboccò di forza ed orgoglio. In ogni singolo istante della mia vita, mi domandavo come avevo potuto essere così fortunata da trovare un ragazzo speciale e forte come Ianto. Ero la persona più felice al mondo.
<< Ti amo >>, sussurrai piena d’amore.
Mai confessione fu più vera e sincera della mia. Sentivo di esplodere tanto l’amore che provavo nei confronti di Ianto. Sapeva darmi forza, calore e protezione con un semplice sguardo. E sapeva anche farmi ridere, il che non guastava mai. Io adoravo ridere. La mia vita, sempre dura e difficile, mi aveva privato del sorriso per molto tempo. Di conseguenza lo agognavo. E grazie a quel ragazzino un po’ arrogante, presuntuoso e tanto dolce potevo finalmente godere anch’io delle gioie che la vita ha da offrire.
<< Eh lo so, anche io amo me stesso >>, affermò altezzoso.
Gli diedi un secondo schiaffo sul braccio, guardandolo fintamente offesa. Il giovane scoppiò a ridere. Adorava prendermi in giro.
<< Anche io ti amo >>, dichiarò infine, tornando serio e guardandomi dritto negli occhi.
Quegli occhi di ghiaccio mi inglobavano sempre. Mi sentivo protetta e a casa, ogni qual volta questi si posavano su di me. Sorrisi, e avvicinai il mio volto a quello del ragazzo. Ianto fece altrettanto, e a metà strada le nostre bocche si incontrarono. All’inizio fu un delicato strusciamento di labbra, poi facemmo maggiore pressione, agognando il momento in cui finalmente avremmo potuto godere entrambi del sapore dell’altro. Contemporaneamente, dischiudemmo le nostre bocche, permettendo alle nostre lingue di incontrarsi, riconoscersi e giocherellare un po’. Ianto sapeva sempre di buono e di fresco. Adoravo il suo sapore, e non me ne sarei stancata mai. Poi, le nostre lingue entrarono più affondo, cominciando a toccare e leccare il palato altrui. I nostri baci erano sempre così. Calmi, pieni d’amore, senza affrettare le cose, senza voler arrivare subito alla fine. Era fatto di fasi che portavano all’apice il desiderio e la passione che nutrivamo per l’altro. Non avrei mai più baciato nessun’altro come facevo con Ianto. E sinceramente, non avrei più voluto baciare un altro uomo. Per me, adesso e per sempre, esisteva solo quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio. E sapevo che per lui, esistevo solo io. Questa certezza mi accompagnava in ogni istante della mia vita. Era bello avere un punto fisso nella vita, a cui aggrapparsi. La stabilità era qualcosa che non avevo mai davvero sperimentato. Con Diego, tutto era andato molto velocemente. Il nostro amore, la convivenza, il matrimonio, la sua morte… ogni cosa era stata frettolosa, ed eravamo giunti in un solo istante al capolinea. Con Ianto, invece, sentivo finalmente la calma. Quella sensazione di pace e assoluta stabilità, che solo con il vero amore si prova. Improvvisamente sentii un rumore. Mi staccai di corsa dal giovane, lasciandolo li, con un’espressione inebetita sul volto. Cominciai a guardarmi intorno, sentendo sempre di più il panico aumentare.
<< Che c’è? >>, chiese Ianto stralunato.
<< Ho sentito un rumore >>, sussurrai terrorizzata.
Il ragazzo si guardò intorno, cercando di capire cosa ci fosse. Ma da nessuna parte si poteva scorgere nulla. Il parcheggio era una zona riservata. Non ci andava mai nessuno, se non durante i colloqui, o manifestazioni varie. Solo allora si popolava di persone e macchine, venute dal quartiere. Per il resto del tempo, ero la sola ad occupare quotidianamente un posto.
<< Lisa, non c’è nessuno >>, constatò Ianto.
<< Ti dico che ho sentito un rumore >>, ribattei decisa, continuando a voltarmi in tutte le direzioni.
<< Amore mio, posso combattere con le avversità, ma la tua paranoia è qualcosa che io non posso gestire >>, dichiarò divertito il giovane.
<< Io non sono paranoica >>, esclamai infastidita, tornando a guardare il mio ragazzo.
<< Certo, come no >>, affermò sarcastico Ianto.
<< Finiscila. Non sono paranoica, e dobbiamo andare in classe, che si sta facendo tardi >>, sbuffai cominciando ad incamminarmi. << E poi ti dico che ho sentito un rumore >>
<< D’accordo, amore, come vuoi tu >>, confermò Ianto, accondiscendente. Poi si bloccò in mezzo alla strada, guardandosi terrorizzato intorno.
<< Che c’è? >>, chiesi preoccupata.
<< Ho sentito un rumore >>, dichiarò facendomi il verso.
Non riuscii a trattenermi. Così presi un libro che avevo in borsa, e glielo lanciai contro, prendendolo in testa.
<< Ahi, Lisa, mi hai fatto male >>, si lamentò Ianto, toccandosi il punto leso.
<< Così impari a sfottermi >>, dichiarai inferocita, riprendendo il libro ed incamminandomi nuovamente.
Il giovane, ripresosi prontamente dalla botta, scoppiò a ridere.
 
<< Bene allora, è chiaro a tutti l’argomento della ricerca? Ci sono domande? >>, chiesi all’intera classe, guardandoli uno per uno.
Eravamo giunti a fine lezione, e la brutta sensazione non accennava ad abbandonarmi. Anzi, si era accentuata appena entrata nell’aula. E mi era bastato guardare un banco, per capire chi riguardava la mia inquietudine. Infatti, appena varcata la soglia della classe, avevo notato l’assenza di Paolo. E non solo! Si percepiva a mille miglia di distanza il nervosismo e l’ansia di Roberto. Qualcosa decisamente non andava. Ianto ed io ci lanciammo uno sguardo d’intesa, sapendo esattamente cosa fare. Appena la campanella di fine giornata squillò, guardai Roberto in modo eloquente. Il giovane, vedendomi, intuii i miei pensieri, perciò rimase fermo al suo posto. La stessa cosa la fece Ianto. Appena tutti i ragazzi lasciarono la classe, mi alzai dalla sedia, posizionandomi davanti alla cattedra.
<< Allora? Che è successo? >>, chiesi agitata.
<< Un casino, prof. Uno stramaledetto, schifoso, casino >>, esclamò inferocito Roberto, alzandosi di scatto dalla sedia, e cominciando a vagare per la stanza.
<< Ehi, amico. Forza, calmati e racconta >>, lo esortò Ianto posizionandosi al mio fianco.
<< Ieri pomeriggio, dopo aver finito la lezione di genetica, Paolo mi stava aspettando. Voleva uscire e andare a prenderci un gelato, fare una passeggiata, e roba così. Insomma, comportarci da fidanzati alla luce del giorno, senza temere di essere visti da qualcuno in questa merda di quartiere >>, cominciò a spiegare Roberto, fermandosi dal suo andare avanti e indietro, e sedendosi sul banco davanti al nostro. Il suo sguardo, però, non era mutato. Sembrava profondamente turbato e sconvolto da qualcosa. << Così abbiamo passato insieme l’intero pomeriggio. Ed è stato fantastico >>, dichiarò sorridendo al ricordo. << Siamo stati così bene, senza restrizioni o paure o ansie. Era bello poter dimostrare all’intero mondo il nostro amore >>, poi alzò lo sguardo, puntandolo su di noi. I suoi occhi erano pieni di lacrime. << Così, visto che eravamo stati così bene, non volevamo lasciarci. E poi, era da un po’ che non facevamo l’amore. Paolo, in più, voleva rifarlo a casa sua, davanti al camino. Come la nostra prima volta >>, spiegò dolcemente. Una lacrima sfuggì al suo controllo. << Mi ha trascinato, in serata, a casa sua. I genitori non dovevano esserci. Aveva detto che erano fuori per lavoro. Così siamo arrivati davanti al camino, e ci siamo baciati e ci siamo sdraiati e ci stavamo spogliando e… >>, sbuffò disperato, portandosi le mani tra i capelli.
<< Cosa? >>, chiesi in preda all’ansia.
<< E c’erano i suoi genitori! >>, urlò sconvolto.
Spalancai gli occhi incredula, e la stessa cosa fece Ianto. Non potevo credere alle mie orecchie.
<< Cosa? >>, domandò allarmato il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< C’erano i suoi genitori. Non erano andati in viaggio di lavoro. Stavano li, e ci fissavano sconvolti e schifati. Non credevano ai loro occhi. E Paolo… >>, continuò sempre più agitato, bloccandosi di colpo. Altre lacrime scesero dai suoi occhi. << Paolo era spaventato da morire. Li guardava e tremava. Ci siamo alzati velocemente, cercando di sistemarci, e pronti ad inventare una scusa. Paolo ha provato a parlare, ma non gliene hanno dato il tempo >>
<< Oh cazzo >>, mormorò scioccato Ianto.
<< Gli hanno dato uno schiaffo fortissimo. La madre piangeva disperata, il padre era furioso. Mi ha preso il braccio e mi ha trascinato di peso fuori di casa, sbattendomi la porta in faccia. Ho provato a parlare, ma non c’è stato verso di farmi ascoltare >>, concluse il racconto Roberto. Il suo volto era una maschera di dolore e angoscia.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. In una sola notte, mentre cercavo di aiutare un ragazzo, dall’altra parte c’erano due miei cari amici che affrontavano la loro più grande paura. Essere scoperti da chi non avrebbe mai potuto capire. Anche Ianto era incredulo. Lui conosceva molte più cose, molti più avvenimenti passati, e di conseguenza sapeva molte più cose di me. Specialmente su come erano fatti i genitori di Paolo. Ma avevo compreso la reale portata di ciò che era accaduto. E la situazione era davvero critica.
<< E Paolo? >>, domandò preoccupato Ianto.
<< Non lo so. Dopo che mi hanno cacciato, ho provato in tutti i modi a mettermi in contatto con lui. L’ho chiamato, gli ho mandato messaggi vari, ma niente. Non ho avuto risposta >>, spiegò tristemente Roberto.
Cercai di mettere insieme i vari pezzi del puzzle, per capire quanto disastroso era il quadro della situazione. Ma ogni scenario che mi si stagliava di fronte, era apocalittico. I genitori di Paolo erano persone intolleranti, severe, rigide, menefreghiste e conservatrici. Qualsiasi cosa poteva minare la loro stabilità, andava eliminata. Non avevano mai amato il figlio, e Paolo nonostante tutti i vari sforzi per farsi accettare, non era mai stato in grado di soddisfarli. E ora il giovane era appena stato scoperto insieme ad un altro ragazzo. Le cose non andavano decisamente bene.
<< Cosa prevede il prossimo futuro? Quali possono essere i possibili scenari? >>, domandai rivolgendomi ai due.
<< Non lo so. Quei due sono imprevedibili >>, rispose mestamente Ianto.
Roberto sospirò pesantemente. Poi, d’improvviso, scese dal banco e cominciò a dare calci ovunque, anche all’aria. Sembrava un’altra persona.
<< Ehi, calmo, Robbi >>, esclamò il ragazzo dai occhi di ghiaccio, avvicinandosi all’amico.
Lo bloccò per le spalle e lo costrinse a guardarlo.
<< Stai calmo >>, sussurrò dolcemente.
<< Ianto, quelle persone… tu lo sai che sono cattive. E sai l’influenza che hanno su Paolo. Loro… >>, mormorò tristemente Roberto piangendo sempre più.
<< Lo so. Però andrà tutto bene >>, affermò deciso Ianto. << Paolo ti ama, ed è questo che conta. Qualsiasi cosa abbiano in mente di fare, noi li fermeremo >>.
Mi sentii orgogliosa e profondamente commossa. Il giovane dagli occhi grigi mostrava ogni giorno sempre di più, quanto maturo fosse e quanto amore provasse per le persone a lui care. Sapevo, anche senza vederlo, che Ianto avrebbe sacrificato anche il suo braccio destro per i suoi amici. E per me, ero più che certa, che avrebbe sacrificato la sua vita. In fin dei conti, era quello che aveva fatto quando lo avevo abbandonato. Stava distruggendosi solo per me, ed io lo amavo per questo. E lo amavo per la sua sicurezza che dimostrava ogni qualvolta che vi erano difficoltà da affrontare. Le persone, probabilmente, davano a me il merito di averle aiutate, supportate o anche ascoltate. Ma la verità era che Ianto aveva fatto tutto. Mi aveva dato la forza in ogni istante. Solo per questo, ero riuscita a far fronte a tutte le situazioni avvenute. Ed era solo merito suo, se avevo potuto finalmente chiudere con il mio passato. E stavolta, ne ero certa, avrebbe dato il suo supporto ai suoi due migliori amici. Ed io avrei fatto altrettanto. Paolo e Roberto erano diventati anche miei amici. Non li avrei abbandonati.
<< Roberto, ha ragione Ianto. Troveremo una soluzione, e affronteremo quelle persone >>, aggiunsi, quindi, avvalorando le parole del ragazzo dagli occhi di ghiaccio. << E poi Paolo ti ama più della sua stessa vita. Perciò, qualsiasi cosa facciano i suoi genitori, lui sceglierà sempre te >>.
Roberto mi guardò, per un lungo istante, cercando di fare sue le mie parole. Accennò un sorriso, guardandomi dolcemente.
<< Ha ragione >>, poi fissò Ianto. << Avete ragione. Paolo mi ama. È solo questo che conta >>.
Sorrisi felice. Avremmo risolto ogni cosa.
<< Allora, quello che dobbiamo fare ora è… >>, ma fui bloccata da una suoneria.
Un cellulare stava squillando. Guardai prima Ianto e poi Roberto. Quest’ultimo si riscosse dai suoi pensieri, e andò verso il suo zaino, prendendo l’oggetto trillante.
<< Pronto? >>, domandò appena accetta la chiamata.
<< Mamma, dimmi >>, rispose appena sentita la voce dall’altra parte.
<< Si sono ancora a scuola, perché? >>, domandò confuso.
<< Perché, che è successo? >>, chiese sempre più allarmato. La giornata non faceva che peggiorare.
<< COSA? >>, urlò incredulo.
<< O mio Dio, arrivo subito >>, dichiarò chiudendo la conversazione.
Rimase per qualche secondo immobile, fissando intensamente il cellulare in mano. Sembrava più sconvolto e pallido di com’era già.
<< Robbi, che succede? >>, domandò apprensivo Ianto.
Il ragazzo dagli occhi verdi voltò lo sguardo, guardando prima l’amico e poi me. In quella foresta verde potevo leggere terrore allo stato puro.
<< A casa… >>, mormorò tremante. Lo vidi inghiottire, segno del suo sgomento profondo. << A casa… è arrivata una lettera >>.
<< Nuovi guai, vero? >>, chiese amareggiato, il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Vorrai dire altri guai >>, commentai sarcastica, incrociando le braccia e sospirando pesantemente. << Cosa succede, Roberto? >>.
Il ragazzo si schiarì la voce, e asciugò frettolosamente due lacrime sfuggitegli dagli occhi. Prese lo zaino e lo posizionò sulla spalla. Poi riportò il suo sguardo su me e Ianto. Infine sospirò stancamente, quasi come se ormai non riuscisse più ad andare avanti.
<< E’ arrivata una lettera anonima a casa nostra. Non mi ha detto il contenuto. Ma ha detto che riportava un marchio >>, poi alzò la maglia e mostrò la cicatrice che gli era stata marcata a fuoco sulla pelle. << Questo marchio >>.
Trattenni il fiato rumorosamente, sconvolta e spaventata da quella notizia. Ianto, come me, divenne una maschera di sgomento allo stato puro. Tutto ciò voleva significare solo una cosa.
<< O mio Dio >>, sussurrò nel panico il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Già. Sono tornati >>, confermò mestamente Roberto.
 
Il viaggio in macchina fu silenzioso, e carico di significati. Nessuno di noi riusciva anche solo a formulare un pensiero coerente, o che non fosse attraversato da orribili presagi nefasti. La cicatrice di Roberto, quel segno indelebile che lo aveva costretto a prostituirsi. Quell’orribile impronta del passaggio di persone orribili, che gli avevano rovinato la vita. La mafia era tornata a colpire, rivendicando chissà quali diritti sul giovane dagli occhi verdi. Ma glielo avrei impedito. Non avrei permesso che le loro sudicie mani, toccassero nuovamente quella famiglia. Avrei protetto con tutte le mie forze le persone a cui volevo bene. Roberto ormai era diventato parte integrante di questa strana “famiglia”. C’eravamo noi tutti. Io, Ianto, Paolo, Nicola, Mario, Marco, Fabio, Carlo, Andrea, e anche Vincenzo nonostante fosse morto. Perciò avrei difeso ad ogni costo ciò che più amavo. Parola d’onore. Giungemmo a casa del ragazzo, un quarto d’ora dopo aver lasciato la scuola. Ianto ed io avevamo deciso di accompagnarlo per supportarlo. Parcheggiai, e salimmo silenziosamente le scale per giungere all’appartamento del ragazzo. Quando fummo davanti la porta, però, Roberto si bloccò, paralizzato dalla paura.
<< Ehi, va tutto bene >>, lo incoraggiò Ianto, poggiando una mano sulla sua spalla.
<< Ci siamo noi con te >>, aggiunsi, imitando lo stesso gesto del giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Grazie >>, sussurrò commosso Roberto.
Poi prese un profondo respiro, ed aprì la porta di casa. Varcata la soglia, mi ritrovai in quello stesso ambiente che avevo conosciuto mesi addietro. Ianto era stato più volte a casa dell’amico, perciò per lui era familiare quel posto. Io invece lo avevo visitato solo una volta, e non certo per motivi felici. Ed anche questa volta, ero giunta in quel posto non per dialogare di sciocchezze varie. Forse portavo sfiga.
<< Mamma >>, chiamò Roberto. La sua voce era tremante.
La donna che avevo visto quel giorno in quella stessa casa, apparve nello stesso modo di tempo fa. Uscì fuori dalla cucina, e guardò intensamente il figlio. Il suo volto era pallido, bagnato, e gli occhi molto arrossati. Doveva aver pianto fino a qualche minuto prima. In mano aveva una lettera.
<< Mamma >>, sussurrò il giovane dagli occhi verdi, guardando la madre.
<< Ti prego dimmi che non è vero >>, cominciò la donna supplichevole. Le sue emozioni erano trattenute a stento. Da li a poco sarebbe scoppiata nuovamente a piangere.
<< Cosa…? >>, domandò confuso Roberto.
La donna abbassò lo sguardo, nascondendo le lacrime. Poi lentamente alzò la lettere che aveva in mano. La fissò un altro istante, e poi la voltò. Oltre al pezzo di carta, nella mano, aveva anche una fotografia, che non avevo ancora notato. Ma quando la misi a fuoco, rimasi paralizzata e col fiato corto. Non riuscivo a credere a ciò che stavo vedendo. Guardai di sottecchi Ianto, cercando sostegno e conferme. Il giovane dagli occhi di ghiaccio ricambiò il mio sguardo, terrorizzato anch’egli. Eravamo qualche passo indietro a Roberto, perciò non riuscivamo a scorgere il suo viso. Ma le sue spalle tremavano, segno dell’agitazione che aveva in corpo. La tempesta emotiva che doveva stare provando, era sicuramente immensa. Riportai, poi, lentamente, lo sguardo sulla foto. Ritraeva un giovane legato, imbavagliato, nudo, intento a fare sesso nel modo più brutale possibile. Un vecchio lo sovrastava, picchiandolo e violandolo senza ritegno. Quella foto ritraeva Roberto durante una delle sue notti di lavoro. Minacciare quel maiale del suo capo non era servito a nulla, perché la vera nemica in tutta quella storia, era sempre stata la mafia. E con quella, nessuno di noi aveva speranze.
<< Mamma >>, sussurrò nuovamente Roberto. Era sconvolto, e il tremito nella voce indicava che avrebbe preso a piangere molto presto.
<< Non voglio credere a questa… porcheria >>, esclamò la donna sempre più disperata. << Non voglio credere che il mio adorato figlio abbia fatto una cosa cosi. Perciò ti prego, dimmi che è solo una montatura. Un falso. Una cosa fatta al computer. Dimmelo! Dimmelo! >>, cantilenò la donna. << DIMMELO! >>, urlò infine.
Roberto sussultò, poi mestamente abbassò lo sguardo, senza emettere un solo suono. E quel gesto fu più che eloquente. Infatti la madre spalancò gli occhi ricolmi di lacrime. La vidi respirare faticosamente, quasi come se stesse andando in apnea.
<< O mio Dio >>, sussurrò distrutta.
<< Mi dispiace >>, si scusò Roberto scoppiando a piangere.
Il peso di tutta quella situazione fu tale, da farlo accasciare a terra, in ginocchio e stremato. Ianto ed io accorremmo prontamente, sorreggendolo e consolandolo in qualsiasi modo. Ma sapevamo entrambi che non c’era rimedio a tutto quel gran caos. Roberto, in un solo giorno aveva perduta tutto ciò che amava, tutto ciò che possedeva. La felicità che tanto agognava e che aveva conquistato difficilmente, andata perduta. Paolo non c’era, la madre aveva scoperto la verità, la mafia era tornata all’assalto. E la sua dignità calpestata per l’ennesima volta. No, non potevo sopportare oltre. Non potevo arrendermi a tutte quelle cose. Se il giovane dagli occhi verdi non aveva la forza di reagire, io invece ce l’avevo eccome. Perciò mi alzai di scatto da terra, e raggiunsi la donna con poche falcate. La guardai duramente, rimproverandole ogni cosa appena detta e fatta. Le presi la foto dalle mani, e senza darle il tempo di ribattere, la strappai in mille pezzi. Ianto mi guardò perplesso, la donna incredula, mentre Roberto mi osservò ma senza vedermi realmente. Era troppo distrutto, per poter anche solo pensare di reagire.
<< Mi stia a sentire, ora. Lei ha appena scoperto qualcosa di difficile, duro e sconvolgente. Lo capisco. Capisco che è sconvolta >>, esclamai severamente. << Ma non può distruggere suo figlio. Non può guardarlo in questo modo. Come se fosse un mostro abominevole, come se avesse commesso il peccato più orrido della sua vita >>, tornai a guardare nuovamente Roberto, e poi mi rivoltai fissando il mio sguardo in quello della donna. << Lo guardi bene! Lo veda! Guardi la persona meravigliosa che è diventato. Lui si è sacrificato per questa famiglia. Ha fatto ogni cosa solo per lei, per sua madre! Ha dato la sua intera esistenza, pur di vederla nuovamente felice >>, una lacrima scese sul mio volto, ricordando quei momenti di mesi addietro, quando avevo dovuto aiutare Roberto. Quando avevo toccato con mano tutta la sua orribile storia. << Ha annullato la sua dignità, per questo. Ha preferito distruggere tutto ciò che aveva. Ha allontanato i suoi amici, l’amore della sua vita. Tutto solo per poter difendere e proteggere le persone che amava >>, la donna prese a piangere copiosamente. Stava finalmente apprendendo la verità, quella che non era legata alla foto appena stracciata, ma alla verità più profonda legata al figlio. Quel meraviglioso figlio che aveva. << Si è ammalato, per questo >>, a quelle parole, si voltò di scatto verso Roberto, fissandolo terrorizzata. Altre verità erano uscite fuori, quel giorno. Verità difficili ed importanti. << Lui ha davvero sacrificato la sua intera vita per tutti voi. Perciò abbi rispetto di questo suo fantastico figlio. E ne vada fiera >>, tornai a guardare Roberto, che a sua volta mi fissava sconcertato. Non aveva mai saputo la verità su ciò che pensavo di lui. Gli sorrisi dolcemente, versando ulteriori lacrime. << Tu sei la persona più bella che abbia mai conosciuto. Sono davvero felice di averti incontrato. E sono orgogliosa di te >>.
Ci guardammo per qualche altro istante. Poi il giovane dagli occhi verdi si alzò di scatto dal pavimento, e mi raggiunse. Appena mi fu davanti, allungò le sue braccia e mi strinse in un forte abbraccio. Nascose il viso nell’incavo del mio collo, e prese a piangere. Ricambiai prontamente la stretta, sorridendo commossa. Era bello essere li. Poi alzai lo sguardo velato dalle lacrime, e guardai Ianto. Il giovane dagli occhi di ghiaccio mi fissava ammirato ed orgoglioso. E in quel momento, anche io fui orgogliosa di me stessa. Dopo qualche minuto, ci staccammo da quell’abbraccio, e ci fissammo negli occhi per pochi istanti.
<< Roberto >>, sussurrò la madre del ragazzo.
Questi si voltò, e guardò teneramente la donna. Sembrava un cucciolo disperato in cerca dell’affetto materno.
<< Mi dispiace, mamma. Non volevo deluderti, però… >>, cominciò a scusarsi il giovane.
Ma fu prontamente bloccato dalla donna, che lo guardò amorevolmente.
<< Scusami tu. Io ho sbagliato tante cose nella mia vita >>, cominciò sempre più commossa. << Ma una cosa l’ho fatta davvero bene. E quella cosa sei tu. Sono tanto orgogliosa di te, figlio mio >>.
Roberto spalancò gli occhi nell’udire quelle parole. Poi prese a piangere copiosamente.
<< Figlio mio >>, sussurrò dolcemente la donna, poggiando le mani sul volto del figlio.
<< Mamma >>, sussurrò commosso il ragazzo dagli occhi verdi.
Poi si lasciarono andare, anche loro, ad un lungo ed intenso abbraccio. Era sempre bello vedere l’amore tra madre e figlio. Un amore disinteressato, e senza doppi fini. Raggiunsi felice Ianto. Ci prendemmo automaticamente la mano, stringendola forte. Un problema finalmente era stato risolto.
 
<< Ok, questa merda è venuta fuori, ma adesso che ci facciamo? >>, domandò Ianto gettando sul tavolo l’ennesima foto.
Era passata un’ora da quando eravamo giunti a casa di Roberto. E in quell’ora, il giovane dagli occhi verdi e la madre, avevano parlato di tutto. Si erano raccontati gli ultimi quattro anni della loro vita. Avevano finalmente ripreso i rapporti perduti da tempo. La donna era anche venuta a conoscenza della malattia del figlio, ed aveva pianto ulteriormente per quello. Roberto aveva provato in tutti i modi a consolarla, ma non c’era stato verso. La madre, infatti, si sentiva una fallita. Aveva abbandonato il figlio, lo aveva costretto ad una vita orribile e difficile. Non aveva fatto nulla per aiutarlo davvero. Fortunatamente il figlio aveva detto tutte le cose giuste che servivano per farle comprendere, che per lui, lei era stata una madre formidabile, e che non l’avrebbe cambiata con nessun’altra. Inoltre Roberto gli aveva confessato il suo amore nei confronti di Paolo, e aveva finalmente dichiarato di essere omosessuale. All’inizio la donna era rimasta paralizzata, poi confusa, ed infine aveva accettato la cosa.
<< Se tu sei felice, se lo ami davvero, allora io ti appoggerò sempre >>, aveva detto sorridendo a Roberto.
Il giovane dagli occhi verdi rimase profondamente commosso nell’udire quelle parole. Finito di parlare, poi, la padrona di casa andò in camera sua per riposarsi. La giornata era stata molto stancante per lei. Troppe verità erano uscite fuori, in un solo istante. Era difficile da digerire tutta quella roba.
<< Ricominciamo d’accapo >>, esclamai, osservando l’ennesima foto. Si, perché quella che avevo strappato non era l’unica. Ne erano state spedite più o meno una trentina all’indirizzo della signora. Tutte raffiguranti Roberto in scene poco caste e raccomandabili. << Tua madre torna a casa dal lavoro, e trova la busta consegnata a mano nella cassetta delle lettere. Legge la lettera, e vede le foto >>
<< Giusto >>, confermò Roberto.
<< E la lettera dice: “Non ti libererai mai veramente di noi. Guardati le spalle, perché torneremo”. Giusto? >>, chiesi nuovamente, leggendo il pezzo di carta.
<< Giusto >>, annuì Ianto.
<< Uhm, fatemi ragionare >>, affermai meditabonda.
<< Che c’è da ragionare, Lisa. Mi sembra piuttosto chiaro quello che è successo, no? >>, esclamò sbuffando Ianto.
<< Zitto, tu. Che le tue rotelle hanno le ragnatele sopra, tanto è il tempo che non le usi >>, dichiarai acida.
<< Ehi, non sei per niente carina >>, si lamentò offeso il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Scusate, potreste concentrarvi su di me >>, richiamò l’attenzione Roberto. << Non vorrei ricordarvelo, ma qui abbiamo molti problemi a cui far fronte >>
<< Giusto, ed è proprio a questo che stavo pensando >>, confermai guardando i due ragazzi.
<< Cioè? Non capisco >>, disse confuso il giovane dagli occhi verdi.
<< Non vi pare una strana coincidenza tutto il macello che si è creato? >>, domandai con fare cospiratorio.
I due cominciarono a riflettere sulle mie parole, ma dai loro volti si capiva che brancolavano nel buio.
<< Non ti seguo >>, dichiarò infatti Ianto.
<< Sto dicendo che mi sembra molto strano che ieri sera, mentre tu e Paolo stavate per fare roba, i genitori di lui vi sorprendono. Soprattutto perché Paolo li sapeva fuori per lavoro >>, spiegai sempre più convinta della mia idea. << E poi, il giorno dopo, arriva a casa tua questa lettera con tutte queste foto e il messaggio della mafia. Non vi sembrano strane coincidenze? >>.
I due mi fissarono sbalorditi. Finalmente avevano compreso ciò che volevo dirgli. E sembrava, specie guardando le loro facce sconvolte, che la mia idea avesse un nesso logico. Che fosse sensata.
<< O cazzo. Sta dicendo che quei mafiosi di merda hanno avvisato in qualche modo i genitori di Paolo, e che è per questo che non sono partiti per il lavoro? >>, domandò sgomento Roberto.
<< Esatto. Ragiona, se loro ti hanno tenuto d’occhio, avranno scoperto che il tuo punto debole è Paolo. Perciò si saranno documentati su di lui, e avranno scoperto da che famiglia proviene >>, spiegai sempre più certa della mia idea.
<< Ok, hanno scoperto che i due si amano. E con ciò? Dove arriviamo? Qual è la conclusione? >>, chiese confuso Ianto.
<< La conclusione è che per ora la mafia non è il nostro principale problema >>, affermai con decisione.
<< Davvero? >>, domandò perplesso Roberto.
<< Davvero? >>, domandò scettico Ianto.
<< Davvero >>, confermai. << Ragionate sul biglietto. Dicono che torneranno, non che si faranno vivi presto. Perciò la prossima volta che torneranno, potrà anche essere tra mesi o addirittura anni. I loro lavoro l’hanno fatto >>
<< E cioè? Quale lavoro? >>, chiese confuso il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Si, tu decisamente non fai lavorare le rotelle da molto tempo >>, commentai sarcastica. Il ragazzo sbuffò spazientito. << Il lavoro che hanno portato a termine è stato quello di creare scompiglio nella vita di Roberto. Ora lui si trova nei casini. Ha forse perduto Paolo, stava per perdere la madre. Forse così miravano a farlo tornare da loro, o non lo so. Ma il punto è, che per ora, possiamo tirare un sospiro di sollievo >>.
Roberto mi fissò per qualche minuto. Poi sembrò concordare con le mie parole, e tirò davvero un sospiro di sollievo. Sapere di dover avere a che fare nuovamente con quelle persone, per lui doveva essere orribile. L’avevo, infatti, più volte visto sfiorare il fianco dove sapevo vi era la cicatrice.
<< Bene, allora dobbiamo solo risolvere il problema di Paolo. Come ci mettiamo in contatto con lui? >>, domandò Ianto fissandomi.
<< Beh, potremmo… >>, ma fui bloccata dallo squillo del telefonino di Roberto. Avvertii una sorta di déjà-vu.
Il ragazzo dagli occhi verdi prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, e guardò il nome della persona che lo stava chiamando. Quando lesse chi era, spalancò gli occhi sconvolto.
<< Chi è? >>, chiesi agitata.
<< E’ Paolo >>, mormorò il giovane.
<< E allora che aspetti, rispondi! >>, lo esortò Ianto.
Il ragazzo annuì, e prese la chiamata.
<< Pronto >>, disse con voce tremante.
<< Ehm, si. Dove? >>, chiese confuso.
<< Quando? >>, continuò aggrottando le sopracciglia.
<< Va bene. A tra poco >>, e chiuse la chiamata.
Ianto ed io lo guardammo per qualche minuto. Poi presi dalla forte curiosità, cominciammo a scalpitare sulla sedia.
<< Allora? >>, domandò nervoso il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Che ti ha detto? >>, chiesi interessata.
<< Ha detto che vuole vedermi >>, rispose Roberto meravigliato.
<< Davvero? E quando? >>, esclamò entusiasta Ianto.
<< Ora. Sul tetto della scuola >>, spiegò il ragazzo dagli occhi verdi.
<< Bene, che stai aspettando? Vai! >>, esclamai entusiasta.
<< No >>, mormorò mestamente Roberto.
<< Come? Perché no? >>, chiese sbalordito Ianto.
<< O meglio, non ci vado senza voi due. Dovete accompagnarmi >>, spiegò il giovane dagli occhi verdi, guardandoci.
<< Scusa, e per quale ragione. Quello è un momento vostro. Dovete chiarirvi, parlarvi. Risolvere la faccenda >>, esclamai confusa.
<< Lo so. È solo che… >>, annuì Roberto, bloccandosi poi.
<< Solo che? >>, lo esortò Ianto.
<< Ho paura >>, confessò il ragazzo.
<< Paura? E di cosa? >>, domandò il giovane dagli occhi di ghiaccio.
Vidi Roberto agitarsi sulla sedia. Sembrava preoccupato per qualcosa. Poi si alzò di scatto e cominciò ad andare avanti e indietro per la cucina.
<< Ah, ho paura. Perché voi non avete sentito la sua voce. Era diversa. Fredda, distaccata. Sembrava un’altra persona. Ed io ho paura di questa nuova versione di Paolo, perché è imprevedibile. Non so cosa possa fare, e sinceramente temo il peggio >>, esclamò sconvolto Roberto. Era in piena crisi di panico.
Tutte le cose accadute in quei due giorni lo avevano profondamente minato. Mi dispiaceva vederlo ridotto in quel modo.
<< Roberto, stai tranquillo. Andrà tutto bene. Paolo ti ama, e vedrai che vi chiarirete >>, ma le mie parole sembrarono non convincerlo assolutamente. Perciò sospirai, e guardai di sottecchi Ianto, per cercare una conferma al mio pensiero. Appena i nostri sguardi si incrociarono, la ottenni. << Ma se vuoi, se davvero insisti, ti accompagneremo. Ma noi staremo dietro la porta del tetto. Dovrai fronteggiare da solo Paolo. Chiaro? >>.
Roberto ci fissò per qualche istante, e poi annuì.
 
Eravamo da qualche minuto dietro la porta, che portava al tetto. Roberto non si decideva ad aprirla. Sembrava non averne il coraggio. Qualcosa, in quella chiamata, lo aveva turbato profondamente. Quasi come se, inconsciamente, sapesse quello che stava per succedere. E che non era niente di buono.
<< Allora ti decidi o no? >>, lo esortò spazientito Ianto.
Il giovane non ci guardò, ma sospirò profondamente.
<< Voi resterete qui, vero? >>, chiese con voce tremante.
<< Certo >>, confermai intenerita. << E ora forza, vai a riprenderti l’uomo che ami >>.
Roberto annuì. Prese un nuovo respiro, e con coraggio spalancò la porta. Prontamente, la bloccai in modo da poter vedere e sentire ciò che accadeva sul tetto senza essere visti. Mi posizionai in modo da far vedere anche Ianto. Sembravamo due spie di bassa lega, di quei film comici/demenziali. Eravamo molto ridicoli. Misi a fuoco le due figure sul tetto, e scorsi Paolo. appena lo vidi, mi sembrò di non riconoscerlo. Era pallido, distrutto, con gli occhi rossi, e un labbro gonfio. Il padre doveva averlo picchiato. La sensazione orribile ritornò ad attanagliarmi lo stomaco. Da quella conversazione, prevedevo solo guai.
<< Ciao >>, salutò Roberto. Dal suo tono si percepì tutto l’amore che provava verso l’altro.
<< Ciao >>, rispose freddamente Paolo.
In quel momento, capii cosa avesse voluto dire Roberto a casa sua. Quella era una versione diversa del Paolo che conoscevo. Una versione decisamente orribile.
<< Come stai? >>, domandò dolcemente Roberto.
<< Sono venuto qui per dirti una cosa >>, dichiarò Paolo, ignorando le parole del fidanzato.
La brutta sensazione prese a martellarmi il cuore.
<< Cosa? >>, chiese agitato Roberto.
Paolo inspirò profondamente. Abbassò lo sguardo, e poi lo riportò sul viso del giovane dagli occhi verdi.
<< E’ finita >>, esclamò.



"Le va di ascoltare la mia storia?"

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Capitolo 28
*** La fine di tutto ***


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Capitolo 28 - La fine di tutto


<< E’ finita >>, esclamò Paolo.
In quel momento, smisi di respirare per un tempo indeterminato. Spalancai gli occhi, sperando di aver udito parole sbagliate. Di non aver compreso davvero ciò che quel ragazzo dagli occhi nocciola, stava dicendo. Ma dall’espressione sconvolta, sofferente e distrutta di Roberto, capii che avevo sentito davvero quelle parole. Paolo aveva appena deciso di chiudere quella meravigliosa storia d’amore, cominciata qualche mese fa. Una storia d’amore sofferta, travagliata a piena d’ostacoli. Ma contemporaneamente bellissima. Una storia d’amore che ero convinta, sarebbe durata per l’eternità. Ma forse, il per sempre era un periodo di tempo davvero breve. Alzai lo sguardo, cercando quello di Ianto, e lo trovai spalancato a fissare le figure dei suoi due migliori amici. Neanche lui poteva credere davvero alle sue orecchie. Posai nuovamente gli occhi sui due ragazzi, e tornai a concentrarmi sulla loro conversazione. La sensazione d’ansia, nel frattempo, continuava sempre di più a crescere. Il peggio non era ancora venuto.
<< Cosa? >>, sussurrò Roberto, sconvolto e terrorizzato. << Che stai dicendo? >>
<< Hai capito benissimo. Voglio chiuderla qui >>, affermò con decisione Paolo.
Nei suoi occhi, però, riuscii a scorgere un lampo di puro dolore. A dispetto della sua espressione dura, quel ragazzo stava soffrendo tantissimo. Ciò indusse le mie rotelle a lavorare frenetiche, per cercare di capire cosa diavolo stava succedendo su quel tetto.
<< Ma che cazzo stai dicendo, Paolo. Che vuol dire che vuoi chiuderla qui? >>, urlò Roberto. Lo vidi cercare di trattenere le lacrime.
<< Voglio dire che non voglio più stare con te. Non voglio essere più il tuo ragazzo. Non voglio che tu sia più il mio ragazzo >>, dichiarò con fermezza il giovane dagli occhi nocciola. << Mi sono stufato di questa storia. Ed ora, se permetti, voglio tornare a casa >>.
Cominciò a muovere passi decisi verso la porta del tetto, ma fu bloccato prontamente da Roberto. Gli posò con forza le mani sulle spalle, inducendolo ad arrestarsi. Vidi sul volto di Paolo un’espressione sofferente. Il ragazzo dagli occhi verdi doveva aver stretto con forza le mani, procurandogli dolore fisico.
<< Tu non vai da nessuna parte, chiaro? >>, continuò ad urlare Roberto. << Non finché non avremo chiarito questa storia del cazzo >>
<< E cosa vuoi che ci sia da chiarire ancora? >>, ribatté con la stessa forza Paolo.
In quel momento, la sua espressione dura e indifferente, cominciò a vacillare. Stavamo giungendo finalmente alla vera confessione.
<< Voglio capire perché vuoi chiuderla qui, nonostante l’amore che entrambi proviamo >>, esclamò furioso Roberto.
<< Che entrambi proviamo? Chi ti dice che anche io ti ami >>, lo sfidò Paolo, guardandolo sprezzante.
In quel momento anche la sicurezza del giovane dagli occhi verdi, vacillò. Dopo tutto quel gran caos, se anche i sentimenti che sentivano, cominciavano ad essere messi in discussione, allora veramente stava per finire tra di loro.
<< Perché lo so. Lo sento. Qui dentro >>, sussurrò dolcemente Roberto, toccandosi il petto all’altezza del cuore. << Perché lo vedo dai tuoi occhi, quanto amore provi per me >>.
Paolo abbassò velocemente lo sguardo, incapace di nascondersi a quello scrutamento. Vidi le sue spalle tremare leggermente. Non doveva essere facile, per lui, contenere i suoi veri sentimenti. Proprio lui, che si lasciava trasportare senza remore dalle sue emozioni, quasi come se fosse dentro un fiume in piena. Lo avevo sempre invidiato per questo suo modo di provare l’amore. Libero e senza freni. Non c’era niente che potesse fermarlo. O meglio, che poteva fermarlo.
<< Tu non sai di cosa sta parlando >>, mormorò mestamente Paolo.
<< Si che lo so. So quanto mi ami, quanto io ti renda felice. E quanto tu renda felice me >>, affermò amorevolmente Roberto.
Poi, portò una sua mano sotto il mento del ragazzo, costringendolo a guardalo negli occhi. Appena i loro sguardi si incontrarono, la corazza di Paolo crollò definitivamente. Copiose lacrime scesero sul suo bel volto, trasformandolo in una maschera di dolore. Il giovane dagli occhi verdi, fece risalire la mano su quel viso, asciugando con il pollice quelle lacrime salate. Paolo chiuse istintivamente gli occhi, nel sentire quel meraviglioso contatto con la mano del fidanzato. Roberto sorrise trionfalmente. Tutto sembrava stesse volgendo al proprio favore. Quando, di scatto, Paolo aprì gli occhi, allontanandosi velocemente da quella mano. Sembrava quasi come se si fosse scottato.
<< Ma che…? >>, mormorò perplesso il giovane dagli occhi verdi.
<< Cazzo. Cazzo. CAZZO! >>, urlò sempre più forte Paolo.
<< Amore, non capisco. Ti prego spiegami >>, domandò agitato Roberto.
<< CHE COSA C’E’ DA SPIEGARE? >>, urlò tornando a fissare duramente gli occhi dell’altro. << Maledizione, Roberto, perché non capisci?! Tu ed io non possiamo più stare insieme >>
<< PERCHE’? DANNAZIONE, VOGLIO SAPERE QUESTO. PERCHE’? >>, sbraitò inferocito Roberto.
Io e Ianto, nel frattempo, osservavamo sempre più sconvolti quella scena. Non credevo che potesse essere possibile che un amore così bello, stesse andando a rotoli così velocemente. Tra tutti, ero convinto che quei due sarebbero veramente rimasti insieme, nonostante tutto. Ma ero pur sempre un essere umano, e come chiunque, potevo sbagliare.
<< Perché loro non vogliono >>, sussurrò mestamente Paolo.
<< Loro? >>, domandò Roberto confuso.
<< I miei genitori >>, spiegò il giovane dagli occhi nocciola, abbassando lo sguardo. << Dopo averci visto in quella situazione, hanno cominciato ad urlare. Non credevano ai loro occhi >>, copiose lacrime solcarono nuovamente il viso del ragazzo. << Ho provato a spiegare, ho cercato di fargli capire che ti amo. Ma non mi hanno dato retta >>, alzò il volto, fissando con profonda sofferenza gli occhi verdi del suo amato. << Per loro sono un abominio. Qualcosa che non doveva esistere, o che va aggiustato. E l’unico modo che hanno trovato per aggiustarmi, era quello di costringermi a lasciarti. Solo così tornerò ad essere loro figlio >>, terminò di spiegare.
Sia io che Ianto non potevamo credere alle nostre orecchie. Paolo aveva sempre avuto qualche difficoltà ad accettarsi per quello che era. Ma credevamo che con l’amore di Roberto, tutto fosse risolto. Invece non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Dal canto suo, Roberto fissava il giovane dagli occhi nocciola, come se lo vedesse per la prima volta. Quello che aveva davanti, non era il ragazzo di cui si era innamorato. Era una versione orribile di una persona ancora più orribile.
<< Ti prego, dimmi che non ho sentito quelle parole. Che non le hai pronunciate. Ti prego, devi dirmelo, perché altrimenti andrò in pezzi >>, sussurrò disperato Roberto, cercando di controllare sia le lacrime che i tremiti che attraversavano il suo corpo.
<< Mi dispiace tanto. Davvero, non sai quanto >>, mormorò rammaricato Paolo.
Le lacrime trattenute, uscirono con una forza tale, da sconvolgere il volto di Roberto. Mi sembrò di poter vedere il cuore di quel ragazzo sgretolarsi con furia. Potevo scorgere quei pezzi distrutti, precipitare al suolo, e sparpagliarsi ovunque. Roberto, in quel momento, mi sembrò un corpo senz’anima. Ianto iniziò a stringermi forte la mano. Quel gesto mi bastò per comprendere che anche lui aveva visto quel cuore spezzarsi. E sicuramente lo aveva visto anche Paolo, perché i suoi occhi si spalancarono dolorosamente.
<< Io… mi… mi sento male >>, mormorò Roberto portandosi una mano al petto.
Cominciai ad allarmarmi seriamente. Quella situazione stava degenerando così in fretta, che faticavo a seguire i vari avvenimenti.
<< Ti prego, Roberto, non fare così. Ti supplico >>, dichiarò tremante Paolo.
<< Sta zitto >>, sussurrò affannando Roberto.
<< Non volevo che le cose andassero così >>, continuò Paolo, senza ascoltarlo.
<< Sta zitto >>, affermò con più forza Roberto.
<< Tu non sai quanto io stia soffrendo >>, confessò Paolo.
<< STA ZITTO! >>, urlò con ferocia Roberto.
Il giovane dagli occhi nocciola trasalì per quelle parole pronunciate con tanta rabbia. Non credeva di averlo distrutto in quel modo. Potevo scorgere nel suo sguardo lo sgomento più totale. Lui era davvero convinto di essere quello che soffriva maggiormente. Ma sbagliava, su tutta la linea. E quella sofferenza la stava procurando ad entrambi soltanto lui, con le sue stesse mani.
<< Io ti amo, ti ho donato tutto il mio cuore, e tutto me stesso >>, sussurrò Roberto fissando un punto imprecisato del pavimento. << E tu, in cambio, mi stai lasciando. Mi stai strappando in mille pezzi >>, continuò sempre più sconvolto. Poi alzò gli occhi, e li puntò in quelli del ragazzo. Quando li vidi, scoprii una persona completamente distrutta. << Tu hai scelto loro >>.
Quelle parole furono la condanna di quella storia d’amore. Paolo aveva scelto i genitori, invece che l’amore della sua vita. Aveva preferito sacrificare una cosa meravigliosa, per un rapporto insano e a senso unico. Aveva voltato le spalle all’unica persona che lo aveva sempre amato, senza remore e senza volere niente in cambio. E ora doveva fare i conti con le conseguenze. Nella mia mente risuonarono le parole dette qualche ora fa. “Paolo ti ama più della sua stessa vita. Perciò, qualsiasi cosa facciano i suoi genitori, lui sceglierà sempre te”. Ero stata proprio io a dire quelle parole. Ne ero convinta al cento per cento. E invece dovevo ricredermi, perché le persone sono imprevedibili. E i sentimenti sono labili. E se non si era disposti a lottare in ciò per cui si credeva, allora niente era reale. E Paolo aveva smesso di lottare. Trattenni le lacrime che minacciavano di uscire dai miei occhi. Non volevo cedere a quella tristezza che stavo provando. Dovevo essere forte, per tutti i presenti. Specialmente per Roberto. Guardai Paolo, per la prima volta, con astio. Non lo riconoscevo più. Ma appena i miei occhi si posarono su quella figura, dovetti ricredermi. Quel giovane dagli occhi nocciola, che tanto avevo ammirato in passato, era rimasto lo stesso. Solo che, se per il resto del mondo riusciva ad tirare fuori la grinta che aveva in corpo, contro i genitori diventava un bambino desideroso di affetto. Avevo sempre saputo quanto volesse sentirsi amato dai suoi parenti, ma non immaginavo fino a quel punto. Guardandolo li, su quel tetto, vedevo un ragazzo confuso e spezzato in due. Una parte protendeva verso i suoi genitori, e un’altra verso Roberto. E aveva scelto di cedere alla prima. In quel momento mi sentii affine ai suoi sentimenti. In prima persona, avevo sperimentato quella divisione. Ma io, a differenza sua, avevo avuto il coraggio di scegliere la cosa giusta.
<< Complimenti, sul serio. Non ho davvero parole per dirti quanto ti odio >>, sussurrò sconvolto e inferocito Roberto, fissando duramente Paolo.
Uno sguardo gelido, freddo, senza amore. Uno sguardo tagliente che ferì profondamente il ragazzo dagli occhi nocciola. Non si aspettava tanto rancore. Nuove lacrime copiose scesero sul suo viso, e così abbassò lo sguardo prontamente, cercando di nascondersi.
 << Ho passato quattro anni della mia vita, in un inferno totale. Solo per proteggere le persone che amavo. Per salvare te >>, esclamò con furia il giovane dagli occhi verdi. << Ed ora, quando scelgo di affrontare la feccia di questo mondo, quando scelgo di ribellarmi, vengo preso a pesci in faccia dalla persona che amo di più su tutta la faccia della terra >>, sillabò sempre più collerico. << E non solo. Devo anche tornare ad affrontare quelle merde, nuovamente da solo, perché il mio uomo ha scelto di essere così cagasotto da non essere nemmeno capace di rispondere ai suoi genitori >>, si portò le mani nei capelli cominciando a tirarli. Sembrava impazzito, o forse stava davvero impazzendo. << Ed io mi odio così tanto, per avergli permesso di farmi del male. A tal punto da sentirmi sgretolare all’interno, come se fossi fatto di vetro >>, poi portò le mani al petto stringendolo forte. << E mi odio ancora di più perché, nonostante tutto, continuo ad amarti con tutto il cuore. Un cuore capace di battere solo per te >>, infine abbassò le braccia, sfinito senza più forze. Sembrava fosse giunto al capolinea. << E tu mi fai questo? Beh, complimenti ai tuoi genitori. Hanno vinto. Mi hanno fatto fuori >>, decretò infine con un sorriso amaro.
Paolo tremò vistosamente per quelle parole. Gocce salate caddero sul pavimento di quel tetto, come se volessero sfondarlo. Il giovane dagli occhi nocciola stava lentamente crollando, sotto il peso di tutta quella sofferenza. Mi dispiacque molto per lui. Non amavo vedere le persone a cui volevo bene, stare male in quel modo. Ma non potevo costringerlo a tornare con Roberto, e sfidare l’ira dei suoi genitori. Doveva da solo trovare la forza di affrontarli.
<< Ora puoi andare. Torna sotto la sottana di mammina e di papino. Continua a vivere in quella merda di vita che ti sei scelto, ed io farò altrettanto con la mia >>, decretò infine Roberto, voltandogli le spalle.
Stava incominciando ad incamminarsi, quando Paolo lo bloccò.
<< Aspetta >>, urlò terrorizzato.
Un lampo di speranza brillò negli occhi di Roberto. Forse non era detta l’ultima parola.
<< Che c’è? >>, domandò senza voltarsi.
Paolo sembrò soppesare le parole, quasi come se stesse lottando contro se stesso. Infine, altre lacrime scesero sul suo viso, segno che qualsiasi scontro interiore, avesse visto come vincitore una parte orribile del suo cuore.
<< C’è un’ultima cosa che devo dirti >>, confessò mestamente.
<< Cosa? >>, chiese preoccupato Roberto, sempre senza voltarsi.
<< I miei genitori, il sedici di questo mese, hanno deciso di indire una riunione straordinaria di tutta la scuola, consiglio e alunni annessi >>, spiegò tremante il giovane dagli occhi nocciola.
Una nuova scossa d’ansia attraversò il mio corpo. E capii che la stessa cosa era appena accaduta sia a Ianto che a Roberto.
<< Perché? >>, sussurrò il giovane dagli occhi verdi.
<< Vogliono convincere l’intero istituto che sei una persona cattiva, e che mi hai manipolato e violentato, costringendomi a stare insieme a te. Vogliono farti cacciare dalla scuola >>, confessò distrutto Paolo.
 A quelle parole, Roberto tremò vistosamente. Sbarrò gli occhi incapace di dire, pensare o fare altro. Nessuno di noi poteva credere a ciò che avevamo appena udito. Non c’erano parole per descrivere i nostri stati d’animo. Quelle persone avevano completamente fatto fuori un ragazzo di diciotto anni, il cui unico crimine era stato quello di innamorarsi. Il giovane dagli occhi verdi si voltò lentamente verso Paolo, sempre più incredulo. Appena gli sguardi di entrambi si incontrarono, capii che era davvero finita. Quei due non sarebbero mai più potuti tornare indietro. Paolo sembrava sul punto di scappare lontano, senza più voltarsi. Era come se volesse fuggire via da tutto quel dolore che stava provando. Roberto, invece, era immobile come una statua. Non c’erano emozioni sul suo viso di pietra, quasi come se quelle parole gli avessero succhiato via ogni cosa. Passarono vari minuti, in cui nessuno disse una parola. Poi finalmente il ragazzo dagli occhi verdi si riprese, e cominciò a sbattere forte gli occhi. Lentamente un sorriso si aprì sul suo viso. Poi questo si trasformò in una piccola ridarella. Ed infine scoppiò a ridere forte. Sia io che Ianto che Paolo lo guardammo confusi, non capendo cosa gli stesse accadendo.
<< Perché diavolo ridi? >>, domandò infine Paolo.
<< Rido perché stavo pensando ad una cosa >>, cominciò a spiegare Roberto, asciugandosi le lacrime, e tornando quasi serio. Sul volto ancora quel sorriso amaro. << La mafia mi ha tolto il passato. I tuoi genitori mi hanno tolto te e il presente. E adesso tenteranno anche di togliermi il futuro >>, spiegò, guardando sarcasticamente il ragazzo dagli occhi nocciola. Paolo, dal canto suo, mostrò un’espressione talmente ferita da farmi provare pena nei suoi confronti. << E’ ironico che una persona perda tutto il suo tempo. Che le venga tolta ogni cosa, quasi come se non esistesse più. Ed io sono così stanco di combattere, così sfinito nell’anima e nel cuore. E sono giunto ad una conclusione >>, affermò allargando le braccia. Nuovamente avvertii una sensazione orrenda allo stomaco. Stava per riaccadere qualcosa.
<< Che conclusione? >>, chiese con un filo di voce, Paolo, temendo la risposta.
<< Che non ne vale più la pena. Che non ha senso continuare questa lotta. Ho perso in partenza con tutti, anche con te. Quindi, a che scopo continuare >>, confessò amareggiato, e sempre con quel sorriso spento sul viso.
<< Roberto, non capisco. Mi stai spaventando >>, mormorò preoccupato il giovane dagli occhi nocciola.
<< Quello che sto dicendo è che, come tu hai preso una decisione, adesso la prendo anche io. Sono stanco di subire sempre. Per una volta, voglio manifestare la mia volontà >>, si avvicinò lentamente a Paolo, guardandolo dritto negli occhi. << E la mia volontà è quella di non voler continuare ad andare avanti in questa vita. Non ne ho più il motivo >>.
Paolo trattenne rumorosamente il fiato. Sgranò gli occhi, da cui forti lacrime cominciarono a scendere. Dal canto mio, ero seriamente sconvolta. E anche molto incazzata. Dopo tutta la fatica che avevo fatto per riportare indietro quel ragazzo, ora questo manifestava la sua voglia di morire. Eh no, non glielo avrei permesso. Mi voltai, poi, preoccupata a guardare Ianto. Un altro dei suoi migliori amici voleva morire, e la sua reazione mi spaventava. Quando posai gli occhi sul suo viso, lo vidi rosso. Stava trattenendosi dall’urlare e sbraitare come suo solito. I pugni stretti con le nocca bianche. Presto avrebbe preso a pugni qualcuno. Poggiai una mia mano sulla sua, attirando l’attenzione. Quando incontrai i suoi occhi di ghiaccio, gli sorrisi dolcemente. Volevo fargli capire che anche in quell’occasione avremmo sistemato le cose, e che lui non avrebbe più sofferto. Non potevo permettere che i suoi meravigliosi occhi tornassero tristi. Avrei salvaguardato la sua felicità ad ogni costo. Capito il mio pensiero, Ianto si rilassò leggermente. Poi la nostra attenzione fu calamitata da un forte rumore. Appena mi voltai, vidi una mano di Paolo alzata contro il viso di Roberto. Lo aveva appena schiaffeggiato.
<< Non osare mai più dire una cosa simile >>, sillabò minaccioso.
Il giovane dagli occhi verdi rimase per qualche secondo sconvolto. Poi si voltò verso il ragazzo, nuovamente sul viso quel sorriso amaro e spento.
<< E a te che importa. Mi hai lasciato >>, sputò con rabbia quelle parole, facendo trasalire Paolo. << Hai scelto i tuoi genitori invece che me. Ed ogni scelta ha le sue conseguenze. E io scelgo di farla finita >>
<< Non puoi dire sul serio. Non puoi dare la colpa a me >>, si agitò il giovane dagli occhi nocciola.
<< Davvero? Se tu avessi voluto, noi due adesso potevamo ancora stare insieme. Avremmo vissuto la nostra vita, le difficoltà, ogni cosa insieme. Ma tu ci hai rinunciato. Quindi ora io rinuncio alla mia vita >>, dichiarò sempre più ostile Roberto.
<< Ti prego non farmi questo. Ti supplico, non lo fare >>, sussurrò disperato e in preda alle lacrime Paolo.
<< Quando io ti ho pregato, mi hai rifiutato. Ora sono io che rifiuto te >>, dichiarò sprezzante il giovane dagli occhi verdi. Quando però vide sul volto dell’altro il terrore e il dolore allo stato puro che provava, il suo sguardo vacillò. << Tu, però, puoi sempre tornare indietro >>
<< Cosa? >>, esclamò sconvolto Paolo, alzando gli occhi.
<< Puoi sempre scegliermi >>, spiegò Roberto con una serietà tale, da fare accapponare la pelle. << Quando il sedici ci sarà quel consiglio di tutto l’istituto, verrai chiamato a testimoniare, e allora potrai scegliere me. E potremmo nuovamente stare insieme >>
<< No, non puoi chiedermi questo. Non puoi chiedermi di sacrificare la mia famiglia per te. Non puoi chiedermi di rinunciare ai miei genitori >>, negò con forza Paolo.
<< Non ti sto chiedendo di rinunciare a loro. Ti sto chiedendo di scegliere quello che vuoi veramente >>, spiegò Roberto.
<< Roberto io ti amo, però l’amore finisce prima o poi. I genitori, invece, sono per sempre. E non puoi chiedermi di sacrificarli per qualcosa destinato a terminare >>, esclamò il giovane dagli occhi nocciola, sempre più agitato e in preda al panico.
Sul volto del ragazzo dagli occhi verdi, si aprì un sorriso così triste e spento, da farmi mancare l’aria.
<< Già, destinato a finire. È quello che hai sempre pensato, vero? Che un giorno sarebbe finita. Pensa un po’ che ironia, io ho pensato il contrario. Che sarebbe durato per sempre >>, commentò fintamente divertito. << Comunque non ha più importanza questo, perché io non torno indietro. In effetti io non più nessuno per cui tornare indietro. E a quanto pare, non avrò neanche un futuro, perché una volta fuori di qui, io non avrò più nessuna possibilità >>, si allontanò nuovamente dal compagno, avviandosi verso l’altra parte del tetto. << Quindi, se dopo il sedici, verrò espulso, allora i tuoi genitori saranno felici di comprare dei fiori da portare sulla mia tomba, perché io non resterò in vita un minuto di più >>, poi si voltò dando le spalle a Paolo, e sospirò rumorosamente. Quest’ultimo, invece, piangeva sempre più disperatamente. << Ora basta. Sono stanco. Voglio restare solo >>
<< Roberto… >>, sussurrò in preda alle lacrime.
<< Va.Via >>, sillabò minaccioso Roberto, sempre senza voltarsi.
Paolo sgranò gli occhi, poi abbassò lo sguardo. Ed infine prese a correre verso di noi. Ianto ed io ci appiattimmo contro il muro, e guardammo il giovane dagli occhi nocciola scappare velocemente da quel tetto. Dietro le sue spalle, stava lasciando l’amore della sua vita, il suo cuore, tutto ciò per cui aveva lottato. Lo guardai allontanarsi, incapace di dire o fare qualcosa. Ancora non potevo credere alla conversazione appena conclusa. Mi voltai cercando lo sguardo di Ianto. Quando lo trovai, vidi il suo più totale sgomento e terrore. Ci staccammo dal muro, incapaci di dire o fare qualcosa. Dentro di me sentivo l’impulso di dover cercare Paolo e parlargli, ma il mio cuore voleva andare su quel tetto e parlare con Roberto. Ero divisa, e non sapevo che fare. Ma Ianto, come suo solito, mi venne incontro.
<< Non possiamo lasciarlo andare via cosi. Devi andare da lui e parlargli. Solo tu puoi farlo >>, mi esortò in giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Ma Roberto… >>, protestai debolmente.
<< Ci penso io a lui. Abbiamo la certezza che fino al sedici non farà niente, perciò la nostra priorità è Paolo ora >>, spiegò dolcemente. Poi mi strinse forte la mano, e sorrise. << Forza, vai >>.
Ricambiai debolmente il sorriso. Infine, mi voltai e corsi disperatamente, pregando di riuscire a trovare il giovane appena scappato. Scesi velocemente le scale arrivando al corridoio dell’ultimo piano, e cominciai a guardarmi intorno, aprendo bene le orecchie. Di Paolo neanche l’ombra. Speravo con tutto il cuore che non fosse scappato via dalla scuola, altrimenti col cavolo che l’avrei trovato. Il mio istinto, però, mi suggeriva a gran voce che il giovane fosse ancora dentro lo stabile. Dovevo solo trovarlo. Certo, più facile a dirsi che a farsi. Quel posto era immenso. Solo il triennio contava tre piani escluso il tetto. Mi fermai in mezzo al corridoio prendendo fiato. Non ero mai stata una grande atleta, e la mancanza di energia e di respiro per aver corso sulle scale, lo dimostrava. Appoggiai le mani ai fianchi, e cominciai a pensare. Ma la mia meditazione fu interrotta da uno strano rumore, come di sedia spostata malamente. Poi sentii un forte singhiozzo mal trattenuto, e seppi che avevo ancora qualche possibilità. Camminai per il corridoio, cercando di prestare attenzione a quei rumori, e facendomi guidare dalle mie orecchie. Non appena giunsi davanti all’aula in cui, ero certa, Paolo si fosse nascoso, mi lasciai andare ad un sorriso amaro. L’aula 213. Doveva essere maledetta per forza, se ogni qual volta ci entravo, dovevo avere a che fare con i problemi adolescenziali di qualcuno. Presi un profondo respiro, ed aprii la porta. Ma quando lo feci, non fui pronta a ciò che vidi. Paolo, accasciato a terra in mezzo all’aula. Si teneva la testa con una mano, mentre l’altra era stretta forte attorno al bacino, quasi come se volesse abbracciarsi da solo. Piangeva disperatamente, emettendo forti singhiozzi e versi strozzati di dolore. Il suo bel viso sconvolto in quella maschera sofferente. Mi venne un nodo in gola nel vedere in che stato era ridotto. Mi avvicinai lentamente, cercando di non fare movimenti bruschi.
<< Paolo >>, lo chiamai con un filo di voce.
Ma questi sembrò non udirmi. Strinse forte gli occhi, e prese un respiro profondo, cercando di calmare i gemiti. Pensai che si fosse placato, o che stesse tornando un po’ più cosciente. Ma invece mi sbagliavo di grosso.
<< AAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH >>, urlò di colpo, spalancando gli occhi, e versando ancora più lacrime.
Saltai all’indietro, spaventata da quell’urlo disumano, impregnato di dolore e disperazione. Senza volerlo, cominciai a piangere anche io. Presi coraggio e mi gettai a terra vicino al corpo del giovane. Gli passai un braccio attorno alle spalle, e gli feci posare la sua testa contro il mio petto, carezzandolo sui capelli e sussurrando parole dolci. Paolo continuò a piangere forte, a singhiozzare e ad emettere qualche urlo ogni tanto. Infine si calmò. Non sapevo quanto tempo avevamo passato in quella posizione, ma sentivo le gambe doloranti ed anchilosate. Il giovane dagli occhi nocciola versava solo lacrime, ma almeno non era più disperato come prima. Perciò azzardai a scostarlo dal mio petto, e a guardarlo in volto per bene. Era arrossato sulle guance, gli occhi nocciola erano immersi in una pozza rossa, e il suo viso era stravolto e stanco. Mi si strinse il cuore nel vederlo cosi.
<< Paolo >>, sussurrai dolcemente.
Il ragazzo aprì bocca, cercando di parlare, ma non emise alcun suono. Non aveva più forze in corpo.
<< Mi dispiace cosi tanto. Ma adesso devi essere forte, e devi parlare con me >>, affermai  delicatamente, ma con una certa durezza. Dovevamo trovare una soluzione a quel macello.
Paolo mi fissò incerto, poi chiuse gli occhi e sospirò. Infine annuì.
<< Bene. Adesso mi dici di preciso che cosa è successo con i tuoi genitori? Perché non erano al lavoro come tu sapevi? >>, domandai cercando di risalire al bandolo della matassa.
<< E’ arrivata una lettera >>, spiegò incerto con voce roca e bassa.
<< Una lettera, eh? >>, esclamai amaramente. Avevo ragione, allora. La mafia si era fatta viva anche con quel ragazzo.
<< Si. Diceva ai miei genitori che avevano un figlio che nascondeva loro qualcosa di grave, e di risolvere subito la questione, prima di trovarsi in situazioni spiacevoli >>, continuò sempre piangendo, ma con voce un po’ più ferma.
<< E loro sono rimasti, beccandovi in flagrante >>, dissi sospirando.
<< Già >>, confermò tremando leggermente. Altre lacrime scesero, facendomi capire che il giovane stava crollando nuovamente.
<< Ehi, sta calmo. Troveremo una soluzione >>, sussurrai carezzandolo nuovamente in testa.
Ma il giovane scosse forte il capo. Capii con quel semplice gesto, quanto fosse succube della famiglia.
<< Non c’è soluzione. Io e Roberto non possiamo più stare insieme >>, mormorò disperato.
<< No, invece. Puoi sempre ribellarti e seguire il tuo cuore >>, lo spronai dolcemente.
<< Lei non capisce >>, negò nuovamente.
<< Cosa? >>, domandai perplessa.
Il giovane abbassò la testa, sospirando forte. Poi la rialzò, fissandomi con quegli occhi privi di luce. Aveva perso ogni cosa, anche la speranza. Mi sentii incredibilmente impotente e furiosa. Non era giusto che un giovane di quasi diciotto anni arrivasse già a perdere la fiducia nel mondo e nel futuro.
<< Loro mi toglieranno tutto >>, spiegò tristemente. << Se non li scelgo, verrò cacciati da quella casa, diseredato e dimenticato da loro. Sarò solo in mezzo alla strada, senza un futuro e senza un tetto sopra la testa. Non avrò più i finanziamenti per la scuola, e verrò espulso >>, nuove lacrime sgorgarono da quelle pozze nocciola scure e senza la bellezza che le caratterizzava. << E Roberto, alla fine, mi lascerà perché lui andrà avanti con la sua vita, ed io sarò solo un peso. E a quel punto non mi rimarrà davvero più nulla >>.
Negai con forza, non accettando quelle parole. Si era fasciato la testa ancor prima di rompersela. I genitori dovevano avergli fatto il lavaggio del cervello, per fargli addirittura credere che Roberto lo lascerà. Perché di una cosa ero certa.
<< Paolo, voi due siete destinati a stare insieme >>, gli confessai dando voce ai miei pensieri.
Il giovane sorrise tristemente. Sembrava volesse credere a quelle parole, ma gli risultava difficile. Sospirò per l’ennesima volta.
<< Può darsi. Ma il fatto che lui sia il mio destino, non significa necessariamente che alla fine staremo insieme per sempre >>, mormorò amaramente.
Quelle parole mi scioccarono profondamente. Era già arrivato al punto da non illudersi più nella vita? A credere che non ci fosse niente di bello, o valido per cui lottare? Che tutto finiva, prima o poi? In quel volto non vedevo più il Paolo che avevo conosciuto, ed imparato ad apprezzare. La stessa persona che mi aveva spronato più volte a combattere, e a credere che valeva la pena continuare a vivere. Quello era in volto di chi aveva perso tutto, ed era stato segnato dalla vita irrimediabilmente. E sinceramente, quel nuovo Paolo non mi piaceva proprio.
<< Paolo non puoi credere questo. Tu lo sai che non è così. Sai che la verità è che i tuoi genitori ti stanno manipolando >>, cercai di convincerlo, scrollandolo leggermente per le spalle.
<< Lo so che mi stanno manipolando. Non sono così stupido >>, confermò sorridendomi nuovamente. Quel sorriso, però, era talmente spento che mi fece accapponare la pelle. << Ma una persona non può vivere senza i propri genitori >>.
Spalancai gli occhi, incredula alle mie orecchie. Aveva davvero detto una frase così assurda? Ma non si guardava intorno? Non vedeva i suoi amici in che modo vivevano? Non vedeva Ianto?
<< Non è vero. I ragazzi possono crescere senza i genitori. Possono sopravvivere! Sono i genitori che non sono più tali, senza i figli. Sono loro a dipendere da noi >>, gli spiegai dolcemente, continuando a tenerlo per le spalle. << Guarda Ianto. Guarda me. Guarda Fabio o Marco, che hanno perso entrambi la loro madre ed hanno un padre che è meglio non avere. Andrea, Carlo, Mario, tutti noi… Renato è stato abbandonato, lo sai? Eppure siamo ancora qui, che lottiamo e viviamo con tutto il nostro essere. Non abbiamo bisogno di un padre e di una madre, per vivere felici. Noi abbiamo il nostro cuore che sceglie ed ama. E il tuo ha scelto Roberto. Dovresti seguirlo >>.
Paolo mi fissò per alcuni istanti, poi versò nuove lacrime, tornando ad essere disperato come prima. Sembrava che le mie parole lo avessero ferito ancora di più.
<< Perché adesso piangi? >>, chiesi confusa.
<< Perché vorrei avere il vostro coraggio. Vorrei poter dire le stesse cose, che posso rinunciare ai miei genitori. Ma non ci riesco >>, urlò frustrato. << Tutto quello che ho sempre desiderato, era una carezza o uno sguardo d’intesa con la mia famiglia. E non l’ho mai avuto. Ed ora loro mi hanno chiesto il sacrificio più grande della mia vita, e ho acconsentito a farlo. Ed in cambio non ho avuto assolutamente nulla >>, tossì forte, cercando di trattenere i nuovi singhiozzi arrivati. << Ed ora ho perso Roberto, la mia ragione di vita. E non riesco a tornare indietro, perché non sono in grado di lasciare quel bambino desideroso d’affetto materno o paterno che vive in me. E se dopo il sedici, Roberto dovesse… >>, ma non riuscì a terminare la frase, troppo spaventato da quella possibilità. Si agitò velocemente, poggiando le sue mani sulle mie braccia e stringendole forte. Alzò il viso e mi fissò con occhi sgranati. << Non deve permetterglielo. Lei deve salvarlo. Lui deve vivere, ed essere felice. La prego, prometta! Prometta che lo salverà, la scongiuro. La supplico. Per favore >>, implorò distrutto e sconvolto.
Non potevo guardarlo in quello stato. Faceva troppo male. Così scostai le sue mani e lo abbracciai forte, stringendolo al petto, e accarezzandogli la schiena in gesti automatici ma comunque pieni di affetto.
<< Non ti preoccupare. Non gli accadrà nulla >>, lo rassicurai, sussurrandogli nell’orecchio. << Ma tu devi riflettere sulle mie parole di prima. Puoi davvero vivere senza Roberto? Puoi davvero scegliere i tuoi genitori, nonostante il male che ti stanno facendo? Hai tempo fino al sedici per capire ciò che realmente desideri, e ciò di cui puoi fare a meno >>, lo scostai dolcemente dall’abbraccio, tornando a guardalo in quegli occhi rossi e spenti. Sorrisi debolmente, cercando di non pensare a quanto fosse triste vederlo in quello stato. << Devi seguire il tuo cuore, Paolo, altrimenti non sarai mai felice >>.
Ed io sapevo bene di cosa stavo parlando. Perché anche io avevo dovuto scegliere tra Ianto e Diego. Paolo annuì tristemente. Poi restammo in quella posizione ancora per un bel po’, incapaci di lasciarci andare.
 
Passarono i giorni, e la situazione restò immutata. Paolo tornò a scuola, ma fu chiuso con il resto del mondo. Non parlava, ne sorrideva ne faceva altro con nessuno dei suoi amici. Ignorò persino Ianto, e alla fine tornò a vivere dai suoi genitori, abbandonando il dormitorio. L’unica libertà che aveva ottenuto da quella famiglia orribile e testarda, l’aveva persa. Ormai non gli restava più nulla. Passati i giorni, alla fine, fu completamente escluso dal gruppo, che invece dimostrava calore ed affetto umano solo per Roberto. Non che i ragazzi lo odiassero o qualcosa del genere. Semplicemente non accettavano quel suo atteggiamento di rinuncia e di sottomissione che aveva dimostrato di avere. Tutti loro avevano lottato e sofferto per qualcosa, ma alla fine erano rimasti fedeli ai loro principi. E non potevano credere che uno dei loro migliori amici fosse così debole. Era inaccettabile, da un certo punto di vista, perché così facendo faceva soffrire tutti quanti. Potevo capirli da una parte. Ma dall’altra io sapevo cosa significasse essere separati in due metà, e perciò non potevo giudicarlo o criticarlo. Volevo bene a Paolo, e desideravo solo la sua felicità. E la stessa cosa la voleva Ianto, e anche Roberto, nonostante non volesse ammetterlo. Quest’ultimo non aveva rinunciato al suo proposito di morire dopo il sedici, se la scelta del fidanzato fosse rimasta inalterata. Era come se anche lui, avesse perso ogni ragione per vivere. Mi sentivo stanca e frustrata, ed incapace di fare qualcosa. E senza, rendermene conto, giungemmo infine al sedici di aprile. Appena mi svegliai capii che quel giorno non sarebbe stato come gli altri. Avevo una strana sensazione in corpo. Ma non era ben definita, perciò non sapevo anche se era buona o brutta. Ciò mi diede un po’ di speranza, perché forse non tutto era perduto. Non volevo illudermi solo perché il mio istinto mi diceva una cosa. Ma era meglio vedere il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto. Ianto aveva dormito a casa di Roberto, cercando di consolarlo e farlo rinsavire dai suoi propositi, e speravo davvero con tutto il cuore che ci fosse riuscito. Mi alzai dal letto e come al solito, la prima cosa che feci, fu prepararmi una bella tazza di caffè. Mi tornò in mente quel giorno di mesi addietro, quando Paolo aveva tentato il suicidio ed era rimasto a dormire a casa mia. Le cose, in un certo senso, si stavano ripetendo. E speravo con tutto il cuore che il finale fosse gioioso come quello. Avevo deciso che, durante la riunione straordinaria, avrei preso le difese di Roberto anche a costo di andare contro le parole di Paolo. Non avrei permesso che quel giovane dagli occhi verdi fosse espulso. In un modo o nell’altro avrei salvaguardato il suo futuro. Ma per quanto riguardava il suo rapporto amoroso, potevo fare ben poco. Avevo parlato con Paolo, ora restava a lui scegliere e seguire il suo cuore. Sospirai tristemente, mentre mi vestivo, pensando a cosa sarebbe accaduto da li a qualche ora. La riunione scolastica avrebbe avuto luogo a mezzogiorno nella palestra della scuola. Il giorno prima ero andata a vederla, sapendo che avevano apportato delle modifiche per contenere tutte quelle persone. La mia prima impressione fu che mi trovassi dentro ad un tribunale. Al centro della palazzina erano stati disposti dei tavoli in semi cerchio e all’estremità libera, quella che stava di fronte agli spalti, era posizionato un tavolo in rilievo, più alto rispetto agli altri. La posizione d’onore del preside. Nel resto dello spazio libero, erano state posizionate varie sedie per permettere a più persone di partecipare a quello spettacolo. Avevo la nausea per come le cose erano andate. Quel mondo, fatto di soldi e di arroganza, mi disgustava profondamente. Quando si diceva che non erano i soldi a rendere felici, avevano ragione. Perché in quell’anno, avevo capito che più si era ricchi e meno liberi si era. Comunque, mi preparai ed andai a scuola con l’umore sotto terra, e poche speranze per il futuro. Intorno a me, vedevo ragazzini eccitati e desiderosi di apprendere cosa stesse per accadere. Era veramente triste vederli così euforici. Nessuno sapeva il motivo di quella riunione straordinaria, perché si era mantenuto il segreto. E tutti non vedevano l’ora di scoprire cosa ci fosse sotto. Sospirai esausta. Non vedevo l’ora che quella giornata appena cominciata, finisse. Appena varcata la soglia dell’aula, il mio morale si risollevò leggermente. Roberto era accerchiato dai suoi amici, e a questi si era aggiunto anche Renato, abbandonando momentaneamente o forse per sempre il gruppo di viziati di cui faceva parte precedentemente. Non appena i nostri occhi si incontrarono, ci sorridemmo dolcemente e comprensivi. Io ero dalla sua parte, e sempre lo sarei stata. Spostai lo sguardo e notai come Ianto mi fissasse intensamente. Mi sentii avvampare, e il cuore prese a battere furiosamente. Quegli occhi del ghiaccio mi stordivano sempre. Non appena il ragazzo capì la reazione che mi aveva causato, sorrise trionfalmente, facendo aumentare il mio cattivo umore. Poi la situazione precipitò. Dalla porta, entrò Paolo che cercò involontariamente lo sguardo di Roberto. I loro occhi si incontrarono praticamente subito, trasformando i visi di entrambi in due maschere di dolore. Odiavo vederli in quello stato. Gli occhi di Paolo si velarono immediatamente di lacrime, mentre quelli di Roberto si incupirono maggiormente.
<< Ianto, portami via da qui, ti prego >>, lo sentii sussurrare vicino all’amico, incapace di muoversi e fare anche un passo.
Era quasi come se le forze lo avessero abbandonato. Paolo sgranò gli occhi, sorpreso e sconvolto per quell’affermazione. Ianto non se lo fece ripetere due volte, e prese l’amico sottobraccio trascinandolo verso la porta. Quando il giovane dagli occhi verdi passò accanto all’amato, non lo degnò neanche di uno sguardo, ferendo profondamente Paolo. Lo potevo leggere dalla sua espressione pallida e sudata. Lo vidi trattenere le lacrime, sperando di riuscire in qualche modo a riprendersi. Quella scena, sommata a tutte le altre a cui avevo assistito in quell’ultima settimana, fece si che in me scattò qualcosa.
<< Nicola >>, urlai quasi come fossi posseduta.
<< Si prof? >>, chiese il giovane preso alla sprovvista.
<< Bada alla classe, finché non torno. Se ci impiego molto, allora fai lezione tu >>, decretai correndo verso la porta.
<< Eh? Faccio lezione io? >>, si domandò il giovane perplesso. Ma non appena mi vide uscire dalla classe urlò. << PROF, ASPETTI >>.
Ma non lo degnai di un’occhiata. Ero troppo presa dal mio piano. Dovevo fare qualcosa per quei due ragazzi, a cui volevo un bene dell’anima. E lo avevo scoperto proprio in quell’ultimo periodo, perché vederli separati e così sofferenti, mi spezzava il cuore. Andai sbattendo contro persone e cose, ma non ci badai molto. Iniziai a correre, finché dopo qualche minuto raggiunsi la mia metà. Presi un profondo respiro, cercando di controllare i battiti del mio cuore. Poi, con tutta la foga a mia disposizione, spalancai la porta che avevo di fronte.
<< Preside! >>, urlai entrando nella stanza. << Dobbiamo parlare >>.
L’uomo, seduto alla scrivania, alzò lo sguardo dai documenti che stava controllando, e mi fissò quasi divertito.
<< Professoressa Cristillo, che immensa gioia vederla entrare nel mio ufficio >>, mi salutò posizionandosi comodo sulla sedia, e sorridendomi. << Dall’irruenza con cui ha spalancato la porta, deduco che qualcosa di grave l’affligge >>
<< Non faccia il finto tonto, preside. Sa benissimo il motivo per cui sono qui >>, esclamai furiosa sedendomi di fronte all’uomo.
<< Suppongo che centri qualcosa la riunione che si terrà tra poche ore >>, affermò con calma il preside.
Lo fissai imbronciandomi, non capendo come quell’uomo riuscisse sempre ad essere calmo e composto.
<< Ovvio che è questo il motivo >>, affermai duramente.
<< Bene. L’ascolto >>, mi esortò a procedere.
<< Deve fermare questa farsa >>, decretai con forza.
<< Come? Temo di non aver compreso bene la sua richiesta >>, dichiarò perplesso l’uomo.
<< Lei sa che tutto quello che sta per succedere, è una follia. Non possiamo permettere che Roberto venga espulso >>, spiegai cercando di calmarmi. << Sa quanto quel giovane abbia sofferto, e quanto duramente abbia lottato per rimanere qui dentro >>, mi appoggiai con forza alla cattedra, sbattendo le mani. << Insomma, lei sa quanto abbia lottato per cercato di riafferrare la sua vita. Non possiamo permettere che tutto questo vada sprecato >>.
Il preside mi fissò per qualche secondo, poi sospirò stancamente. Si portò una mano agli occhi, massaggiandoli delicatamente. Sembrava fosse molto pensieroso e triste in qualche modo.
<< Lo so. So bene cosa ha dovuto affrontare quel povero ragazzo. Ma io ho le mani legate. Non posso fare nulla >>, spiegò mestamente, fissandomi negli occhi.
<< Ma perché? Perché non può? Lei è il preside, dannazione >>, esclamai furiosa.
<< So bene qual è il mio ruolo in questa scuola, professoressa Cristillo. Ma vale ben poco il mio titolo, in questa situazione >>, continuò l’uomo.
<< Non è vero. Noi possiamo fare qualcosa. Lei può fare qualcosa >>, lo supplicai cercando di trattenere le lacrime.
Non potevo rinunciare. Non dopo tutta quella sofferenza a cui avevo assistito. Roberto e Paolo dovevano essere lasciati liberi di vivere le loro vite. E il preside doveva aiutarmi in un modo o nell’altro.
<< Mi duole molto darle questa notizia, ma non posso fare assolutamente nulla contro quelle persone >>, ribadì pacatamente.
Quelle parole mi mandarono fuori di testa. Se neanche quell’uomo poteva fare qualcosa, allora forse era davvero tutto perduto.
<< No >>, negai con forza. << Non lo accetto! Non posso lasciarmi sconfiggere da quei pezzi di merda >>, affermai duramente.
Il preside mi fissò per un tempo indeterminato, poi sospirò.
<< Adesso le spiego perché non possiamo fare nulla contro quelle persone >>, si appoggiò sulla cattedra, e mi sorrise dolcemente. << Le va di ascoltare la mia storia? >>





Buonasera a tutti gente XDXD allora come va?? spero bene...finalmente il nuovo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...wow, questo capitolo è stato un parto XDXD beh, è stato molto difficile scriverlo, perchè è pieno di tristezza e dolore...roberto e paolo sono arrivati ad un punto di non ritorno, e sembra che non ci sia più speranza per loro...e lisa non può accettarlo...in questo capitolo non ci sono praticamente scene lisa/ianto, però anche da lontano quei due restano carinissimi ^-^...e va beh, non ho molto altro da dire, sinceramente...
se non grazie mille per le recensioni che lasciate...mi fate molto felice, quindi un'autrice felice scrive di più...perciò: recensite, recensite, recensite...hahaha sembro un mostro XDXD ricordo che, per chi volesse, c'è la mia pagina facebook, da cui potete seguire i miei scleramenti (anche se non ci vado molto, ma è una cosa momentanea...lo prometto XD): http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl...
quindi ora vi lascio con la mia buonanotte, dandovi appuntamento a martedi prossimo con l'aggiornamento, e scopriremo insieme finalmente la storia del preside XD
un bacio
Moon9292


"Sa cosa penso? Penso che lei è un gran vigliacco"

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Capitolo 29
*** Un amore grande quanto il mondo ***


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Capitolo 29 - Un amore grande quanto il mondo


<< Ehi Simone, hai sentito? Oggi viene uno nuovo. Uno “straniero” >>, esordì Gerardo appena entrato in aula.
Simone lo guardò indifferente, senza emettere alcuna parola. A lui non interessava minimamente delle novità di quella scuola. Per lui, l’unica cosa importante era avere il massimo dei voti in ogni materia, diplomarsi ed entrare all’università per intraprendere la carriera di medico. Era stato tutto programmato nei minimi dettagli. I suoi genitori avevano già pianificato ogni cosa per lui, perciò non gli restava altro da fare che mettere in atto quel progetto. Non aveva tempo per le relazioni private con altri, per le amicizie o addirittura per l’amore. Lui, Simone Martino, era stato generato dalla sua famiglia con l’unico scopo di assecondare i loro desideri. E in quei quasi sedici anni di vita, non si era mai posto il problema di ribellarsi o dire la propria. Perché in fondo gli andava bene così. Accettare la volontà di quei genitori invadenti e oppressivi non era niente di che, rispetto al non avere nulla. E lui di cose ne aveva a bizzeffe. Era lo studente più ricco di quella scuola, bellissimo e con un cervello da fare invidia a chiunque. Nonostante fosse solo al secondo anno di liceo, era in grado di svolgere compiti anche per quelli di terza o anche quarta. Con i suoi profondi occhi verde scuro, ammaliava ogni ragazza di quel quartiere, ed alle volte anche ragazzi, benché il sesso non gli interessasse in nessun modo. Simone stesso si definiva asessuato, perché non provava niente per nessuno. Alle volte dubitava anche di possedere un cuore. Sentiva il gelo nel petto, e spesso e volentieri preferiva la solitudine. Gli unici contatti più stretti che aveva erano quelli con sua madre e suo padre, ed anche quelli erano avvolti da una patina di freddo distacco. In quei quasi sedici anni di vita, non aveva mai vissuto veramente neanche un minuto, e dubitava che lo avrebbe mai fatto. Solo un uragano avrebbe potuto scuoterlo dall’interno. E nessuno era stato tanto bravo da suscitargli anche un piccolo accenno di movimento. Quell’apatia che provava, era così forte da impedirgli di provare una qualsiasi emozione. Non conosceva l’ansia, o la paura, o la felicità, o il divertimento. Niente di tutto ciò lo aveva mai sfiorato in tutta la sua vita. Gli unici compagni con cui condivideva un rapporto erano i suoi adorati libri. Leggeva ogni cosa, e apprendeva in via teorica qualsiasi sentimento esistesse nel mondo. Eppure, nonostante ciò, era incapace di sperimentare nella vita vera una qualsiasi avventura degna di nota. Ed anche quel giorno sembrava svolgersi come uno qualsiasi. Sveglia alle sette, colazione leggera per mantenere costante quel suo corpo longilineo, e poi scuola fino all’ora di pranzo. La notizia di un nuovo arrivato in classe, non gli suscitava alcun cambiamento interno. Era tutto come sempre. Neanche sapere che veniva da fuori quel quartiere, riusciva a smuoverlo. Perciò arcuò il suo elegante sopracciglio, mostrando la sua espressione più indifferente al compagno di classe.
<< Non sono cose che mi interessano >>, lo liquidò velocemente.
Poi con grazia e passo delicato, andò a sedersi al suo banco, e cominciò a leggere un libro portato da casa. Non badò a nient’altro che non fossero quelle pagine piene d’inchiostro. Poi, squillò la campanella e riposò il libro in borsa, pronto a cominciare una nuova giornata di scuola. Nel frattempo entrò il professore in classe. Neanche quella presenza così minacciosa per qualsiasi alunno, lo aveva mai turbato. Ma quando alzò gli occhi, si rese conto che ogni cosa sarebbe cambiata. Perché per la prima volta in vita sua, sentì il suo cuore battere più forte. Fu una sensazione unica, e insopportabile. Era un battito quasi doloroso, e sembrava che volesse sfondare la sua gabbia toracica. Lo stomaco si attorcigliò, e la fronte si imperlò di sudore. Non aveva mai provato un’emozione così forte e travolgente, e non credeva neanche che potesse esistere. E tutto quello solo per aver visto una figura nuova davanti ai suoi occhi. Dietro al professore, vi era il ragazzo più bello che avesse mai visto. Un ragazzo in grado di battere anche la sua di bellezza. Era alto più o meno un metro e settantacinque, capelli castano scuro corti ai lati ma con un ciuffo lungo sul davanti tirato indietro da uno strato leggero di gel. Occhi di un blu bellissimo, ed un sorriso unico, capace di trasmettere dolcezza e amore ovunque. La mascella marcata e leggermente squadrata rendevano quel volto mascolino. Sotto a quella divisa, sembrava essere nascosto un corpo magro con un accenno di muscolo. In un’unica parola: bellissimo. A Simone sembrò mancargli il fiato, tanto che quella figura lo aveva scombussolato. Non poteva credere di stare sentendo tutta quella vasta gamma di sentimenti, solo per aver visto un giovane.
<< Bene, prima di cominciare la lezione, diamo il benvenuto al vostro nuovo compagno di classe >>, esclamò il professore, interrompendo il flusso di pensieri di Simone.
Con un gesto, spinse in avanti il ragazzo, esortandolo a presentarsi.
<< Salve a tutti >>, salutò, facendo risuonare forte nell’aula quella voce profonda e seducente. << Il mio nome è Christian Gallo, e vengo da Milano. Spero che andremmo d’accordo >>.
Allargò il sorriso, facendo mancare nuovamente i battiti a Simone. Poi il professore continuò a parlare, spiegando un po’ le regole al nuovo arrivato, ma il ragazzo dagli occhi verdi ignorò completamente l’uomo. Tutta la sua attenzione era focalizzata verso quel giovane. Nella sua mente capì all’istante cosa fosse avvenuto, ma era incapace di accettarlo pienamente. Simone era sempre stato convinto di non provare interesse per il sesso, o per altre persone. Nei suoi quasi sedici anni di vita, non aveva mai avuto impulsi di nessun tipo. Non aveva mai baciato nessuno, o toccato se non per questioni indispensabili, e addirittura non aveva mai provato a masturbarsi. Non ne aveva mai sentito il bisogno, nonostante fosse in piena adolescenza. In quel momento, però, comprese di aver appena sperimentato il cosiddetto colpo di fulmine. E ne era spaventato a morte. Specie perché, quel sentimento era nato per un altro ragazzo. E questo non andava decisamente bene.
<< Ok, ora vada a sedersi, signor Gallo >>, affermò il professore attirando nuovamente l’attenzione di Simone.
<< Ehm, dove posso mettermi? >>, domandò il giovane dagli occhi blu, guardandosi intorno.
<< Si accomodi vicino al signor Martino, là al terzo banco. Le farà anche vedere dai suoi libri, finché non riuscirà a procurarseli >>, rispose con nonchalance l’uomo.
Il cuore di Simone, però, salì nella sua gola per poi precipitare verso il basso. Quella classe, composta da trenta alunni, aveva i doppi banchi, e il suo era tra i pochi ad essere occupato da una sola persona. Ed essendo il migliore dell’intero istituto, era quasi ovvio che il nuovo arrivato si accomodasse al suo fianco. Ma non per quello era meglio preparato. Non sapeva che fare, e non riusciva neanche ad emettere un solo suono, in quanto non aveva più saliva in bocca. Era in preda al panico, e il suo cuore non accennava a smettere di battere furioso. Quando, poi, Christian si sedette al suo fianco, sentì penetrare nelle narici il profumo di menta che l’altro emanava. Quell’odore così inebriante, gli fece girare la testa.
<< Ciao, io sono Christian >>, lo salutò cordialmente il ragazzo, porgendogli la mano.
Sul volto ancora quel sorriso dolce e amichevole. Simone lo fissò intensamente, senza sapere che fare. Era come paralizzato. Perciò annuì velocemente col capo, e si voltò puntando lo sguardo sui libri.
<< Piacere, Simone >>, mormorò velocemente.
L’altro lo guardò perplesso, non capendo cosa avesse fatto di sbagliato. Poi con una scrollata di spalle, guardò il professore, prestandogli attenzione. Nel frattempo, il giovane dagli occhi verdi gli lanciava ogni tanto qualche occhiata furtiva. Sapeva che da li in poi, la sua vita non sarebbe stata più la stessa.
 
Passò un mese da quando Christian era arrivato in quella classe. Era febbraio inoltrato, e Simone vagava per quei corridoi una volta tanto familiari, ma diventati improvvisamente troppo stretti. Si sentì braccare come un’animale, sapendo bene chi gli stesse dietro. Il ragazzo dagli occhi blu, da quando era arrivato, non aveva fatto altro che provare ad avere una conversazione con il suo compagno di banco, cercando anche di stimolarlo intellettualmente. Si, perché quel Christian possedeva un’intelligenza pazzesca. Era bravo quasi quanto Simone e forse, se si fosse impegnato seriamente, avrebbe anche potuto superarlo. Ma quest’ultimo non voleva saperne niente di lui. Voleva solo ritornare alla sua vecchia vita, fatta di apatia e solitudine. Detestava quel nuovo sentimento che provava nel cuore. E presto o tardi sarebbe impazzito. Perché, nonostante lo evitasse, spiava spesso Christian. Odiava quando qualcuno gli si avvicinava per parlare, e odiava con tutto il suo essere quel sorriso che donava a chiunque. Desiderava con tutto il suo corpo possederlo solo per se. Ma sapeva anche che non era possibile. Quel giorno, però, non riusciva a trovare pace. Era l’ora di pranzo, e l’unica cosa che sperava, era quella di poter mangiare in santa pace. Però, la presenza di Christian alle sue spalle, costante e quasi asfissiante, gli faceva girare la testa. Perciò, in un attimo di follia, prese le scale che portavano al tetto, e si fiondò li. Era convinto di averlo seminato, e tirò un sospiro di sollievo.
<< Accidenti, sei veloce nel correre >>, esclamò una voce, divertita.
Simone si voltò spaventato verso la porta, sbiancando velocemente appena vista la figura. Christian, in tutto il suo splendore, gli sorrideva tranquillamente, guardandolo.
<< Fai i 100 metri, come sport? >>, domandò avvicinandosi ancora di qualche passo.
Il giovane dagli occhi verdi, però, non riuscì a reagire o anche a dire una sola parola. Respirava con difficoltà, e il cuore batteva furioso nel petto. Se non si toglieva da quella situazione al più presto, sarebbe sicuramente svenuto.
<< Che c’è? Perché non mi rispondi? >>, continuò il nuovo arrivato, avvicinandosi sempre di più.
Simone involontariamente fece un passo indietro, mettendo nuova distanza tra di loro. Era spaventato all’idea di avere un cuore nel petto che batteva per un altro essere umano
<< Ah, scusa >>, mormorò dispiaciuto Christian notando il gesto fatto dal compagno.
Sul suo volto comparve un’espressione triste, che fece battere ancora più forte il cuore di Simone. Quel ragazzo era bellissimo in ogni occasione, che fosse felice o triste.
<< Non volevo disturbarti. Credevo che fossi timido o qualcosa di simile, per questo volevo parlarti >>, continuò sempre più dispiaciuto, facendo qualche passo indietro. << Ma evidentemente non ti sono simpatico. Scusa ancora >>.
Si voltò, e cominciò a camminare con le spalle incurvate e la testa sepolta in esse. Il cuore di Simone smise di battere improvvisamente, cogliendolo impreparato. Non voleva che l’altro se ne andasse. Lo voleva li, con lui, su quel tetto, da soli. Perciò, senza rendersene conto, scattò in avanti, e lo bloccò per un polso. Nella sua mano, quel polso gli sembrò grande e forte. Christian, sorpreso, si voltò nuovamente sgranando lo sguardo. Occhi blu negli occhi verdi. Bastò uno occhiata, ed entrambi seppero che le cose non sarebbero mai più state come prima.
<< Io… >>, mormorò sconvolto Simone, non sapendo bene che dire. Tra le mani, stringeva ancora forte il polso dell’altro. << Io… non sono bravo con le persone… sono apatico e solitario >>, spiegò fissandolo intensamente.
L’altro lo guardò a sua volta, senza parlare o dire altro. Al giovane dagli occhi verdi, sembrò di essere scrutato nell’anima. Poi Christian sorrise dolcemente, ed infine scoppiò a ridere forte. Simone rimase basito. Non si aspettava di certo una reazione simile. Credeva di ricevere comprensione o qualcosa del genere, non di essere preso in giro. Lasciò di scatto il polso, e si allontanò di qualche passo.
<< Scusa, scusa, non volevo offenderti >>, esclamò prontamente l’altro, placando le risate.
<< Per quale motivo hai riso? >>, domandò offeso Simone.
<< E’ stata una risata di sollievo. Credevo che mi odiassi, come la maggior parte delle persone di qui, perché vengo da fuori >>, spiegò riaccorciando le distanze, e tornando a sorridere dolcemente. << Sapere invece che sei fondamentalmente timido, mi riempie di gioia. Perché è mia intenzione diventare tuo amico >>, affermò con determinazione.
Simone rimase scioccato da quelle parole. Quella sicurezza lo investì in pieno, perché in vita sua non aveva mai avuto decisioni o certezze di quella portata. Lui, che aveva subito sempre passivamente la volontà altrui, invidiava quella determinazione. Per la prima volta in tutta la sua esistenza, capì quanto miserabile e vuota era stata la sua vita fino a quel momento.
<< Bene, ora ricominciamo d’accapo >>, esclamò divertito il ragazzo. Si avvicinò nuovamente, e allungò la mano. << Piacere, io sono Christian >>.
Il giovane dagli occhi verdi guardò prima il suo volto, poi la mano, ed infine nuovamente il volto. Si rese conto che, finalmente, avrebbe dovuto decidere qualcosa, anche se non era totalmente pronto. Se avesse accettato quella mano, la sua apatia e solitudine sarebbero stati intaccati per sempre. Se l’avesse rifiutata, avrebbe per sempre perso la possibilità di vivere quelle nuove emozioni. Prese un profondo respiro, ed infine decise. Afferrò saldamente la mano che l’altro gli porgeva, e lo guardò negli occhi.
<< Piacere, Simone >>.
 
<< Simo, aspetta! >>, esclamò Christian correndogli dietro.
<< Velocizza i tuoi passi. Non voglio attendere oltre, vista la fame che ho >>, affermò Simone, salendo le scale per raggiungere il tetto.
Da quel giorno di tre settimane prima, i due ragazzi divennero inseparabili. O meglio, Christian affiancava costantemente l’altro, mettendo in atto la sua intenzione di diventargli amico. Simone, dal canto suo, ostentava finta indifferenza e poca tolleranza nei suoi confronti. Ma in realtà, agognava più di qualsiasi altra cosa i momenti che passavano insieme. Voleva vederlo sempre, parlargli, toccarlo costantemente, ma soprattutto desiderava baciarlo. In quelle tre settimane aveva scoperto finalmente di provare desideri sessuali verso qualcuno. Ogni notte, da quel giorno, sognava di baciare quelle labbra sottili, di assaporarlo e di sentirlo sotto le proprie mani. Di sentire la consistenza di quel corpo, e di avvertire il suo calore contro la propria pelle. Arrossì imbarazzato, pensando al sogno della scorsa notte. Loro due, soli, sul tetto della scuola, in atteggiamenti molto intimi. Scrollò la testa, cercando di eliminare quell’immagine, continuando a camminare distratto. Però, considerata la sua disattenzione, appena giunto davanti alla porta, vi andò a sbattere contro. Cadde rovinosamente a terra, sbattendo con forza il sedere.
<< Stai bene? >>, domandò prontamente Christian, raggiungendolo preoccupato, e inginocchiandosi al suo fianco.
<< Ahi, no. Mi sono fatto male il culo >>, sbuffò Simone, toccandosi la parte lesa.
Il giovane dagli occhi blu lo fissò allibito, poi esplose in un fragorosa risata, accasciandosi a terra e tenendosi la pancia per le troppe risate. Il ragazzo dagli occhi verdi lo guardò ferito e furioso. Odiava mostrare la sua umanità a quel ragazzo, e soprattutto odiava essere così goffo quando l’altro era nei paraggi. Da quando lo conosceva, non aveva fatto altro che accumulare una serie di figuracce. Sbattere contro le porte, sporcarsi di gesso dalla testa ai piedi quando andava alla lavagna, sbrodolare il cibo sui suoi vestiti, e tante altre. Ma quella fu la prima volta che vide quella reazione. Solitamente, Christian sorrideva comprensivo e si assicurava che l’altro stesse bene.
<< Perché diavolo ridi?! Mi sono fatto male >>, esclamò infuriato Simone, alzandosi da terra, e massaggiandosi nuovamente il punto dolorante.
Il giovane dagli occhi blu si alzò a sua volta, asciugandosi le lacrime uscite per le troppe risate. Poi guardò l’amico, e sorrise teneramente.
<< Scusa, è che per la prima volta hai perso la tua compostezza >>, spiegò tranquillamente.
<< Eh? >>, domandò perplesso l’altro, non capendo cosa l’altro stesse dicendo.
<< Quando parli, usi sempre un linguaggio elegante e composto, pieno di belle parole. E anche quando cammini, sembra che voli >>, specificò fissandolo sempre negli occhi. << Quando adesso sei caduto, hai finalmente assunto un atteggiamento umano. Addirittura hai usato un’espressione adolescenziale. “Mi sono fatto male il culo” >>, gli fece il verso, divertito come non mai. << Ora so che sei umano >>.
Simone lo guardò, arrossendo violentemente. Non pensava che l’altro lo ascoltasse così attentamente, o che lo avesse osservato anche camminare. Il cuore prese a battere furioso nel petto. Si sentì importante e felice, come mai era stato. Grazie a quel giovane, stava sperimentando tantissime nuove cose. E per la prima volta, fu grato al fato di averlo fatto così goffo, perché aveva potuto godere del suono della risata di Christian. Preso dalla rabbia non ci aveva fatto caso, ma quella voce era musicale e bellissima anche quando rideva forte. Si riscosse dai suoi pensieri, sempre più imbarazzato. Si fece violenza, e staccò lo sguardo dall’amico, aprendo poi la porta e incamminandosi sul tetto.
<< Non è colpa mia se sono una persona elegante e con un bagaglio culturale ben fornito. Sei tu ad essere in difetto >>, esclamò ritornando ad essere composto e altezzoso.
<< Hehe, anche quando fai lo sbruffone sei carino >>, affermò divertito Christian, seguendolo.
Quelle parole fecero fare le capriole al cuore di Simone. Per sua fortuna dava le spalle all’altro, altrimenti avrebbe visto la sua espressione estasiata e felice. Il giovane dagli occhi verdi si accontentava davvero di poco, anche di quel complimento fatto con sufficienza. Continuò la sua camminata, posizionandosi al solito posto, seduto sul pavimento davanti alla ringhiera.
<< Non sono carino >>, mormorò impacciato, prendendo il cesto del pranzo.
Christian si accomodò velocemente al suo fianco e lo imitò. Prese un panino ripieno di mozzarella e insalata, e lo addentò.
<< Invece si >>, dichiarò con la bocca piena.
<< Maleducato. Non si parla quando si mangia >>, lo apostrofò Simone, arrossendo sempre di più.
Il giovane dagli occhi blu sorrise divertito per quell’affermazione, e diede un altro morso al suo panino. Passarono vari minuti in silenzio, ognuno preso dal suo pranzo e dai propri pensieri. Quando finirono, decisero di dedicarsi ai compiti da svolgere per il giorno dopo. O più precisamente, Simone studiava, mentre Christian, con gli occhi chiusi, sonnecchiava, sdraiato a terra.
<< Mi domando come tu possa avere dei voti di tutto rispetto. Raramente ti ho visto studiare >>, sbuffò il giovane dagli occhi verdi, sottolineando il libro che aveva in grembo.
<< Perché io ho un cervello più sviluppato del tuo >>, rispose divertito il ragazzo.
Sul suo volto il sorriso sempiterno, fece battere furioso il cuore di Simone. Quest’ultimo ringraziò il cielo per poter ammirare quel volto bellissimo, senza essere sorpreso. Adorava quei lineamenti mascolini e allo stesso tempo delicati, quel naso perfetto, quei capelli tirati indietro sempre da quel filo di gel. Si dispiacque solo di non poter osservare i suoi occhi blu, capaci di arrivare a sondare anche la sua anima. Il modo in cui lo sconvolgeva all’interno era tale, da farlo sentire sempre sottosopra. Sorrise felice per quelle ultime tre settimane in cui finalmente aveva vissuto la propria vita. Non aveva mai veramente compreso quanto tempo aveva sprecato nell’assecondare la volontà dei propri genitori, dimenticandosi di vivere. Ma grazie a quel giovane venuto da fuori, poteva finalmente definirsi umano. Grazie alla sua semplicità e dolcezza, era riuscita a tirare fuori il vero Simone, e gli sarebbe stato grato per l’eternità. E sapeva anche, che non gli avrebbe mai più permesso di allontanarsi da lui. Pur di averlo al suo fianco, avrebbe anche sopportato di essere suo amico per sempre, e di vederlo tra le braccia di un’altra. Al pensiero, però, di Christian con una ragazza, il suo sorriso scomparve, lasciando posto ad un’espressione amareggiata e infelice. Abbassò lo sguardo, stranamente ferito per quell’immagine che aveva preso vita nella sua mente.
<< Perché quella faccia? A che pensi? >>, domandò Christian, prendendo di sorpresa il giovane dagli occhi verdi.
<< A niente >>, rispose prontamente Simone, rialzando gli occhi, e tornando alla sua solita espressione indifferente.
<< Sai, dovresti mostrare più spesso le tue emozioni. Il tuo volto si illumina, anche se sei triste. Diventi davvero bello >>, commentò con tranquillità Christian, mettendosi a sedere.
Il respiro di Simone accelerò velocemente, e il cuore prese a battere come un martello. Ogni giorno che passava, si scopriva sempre più preso dal ragazzo con gli occhi blu, e quei commenti non facevano altro che aumentare quel suo sentimento. Sorrise felice, abbassando nuovamente lo sguardo, imbarazzato.
<< Davvero ritieni che io abbia un bel viso? >>, sussurrò arrossendo violentemente.
Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. Improvvisamente, sentì una mano sotto al suo mento che lo costrinse delicatamente ad alzare il volto. Appena lo fece, si trovò ad ammirare a poca distanza gli occhi blu di Christian. Senza che Simone se ne rendesse conto, il giovane si era avvicinato pericolosamente, e solo qualche centimetro li separava. Si trovarono a guardarsi negli occhi, incatenati ed incapaci di distogliere lo sguardo. Il cuore di Simone batteva furioso, e temeva che presto sarebbe uscito dal suo petto. Nella sua mente, tornò con forza il ricordo di quel sogno fatto, e desiderò con tutto se stesso che si tramutasse in realtà. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter azzerare le distanze, e baciarlo. Ma non lo fece, vigliacco e insicuro com’era, non sarebbe mai stato in grado di farlo.
<< Tu sei bellissimo. Non sminuirti mai, per favore >>, affermò con determinazione Christian, continuando a guardarlo e tenendo sempre la sua mano sotto al mento dell’altro.
Simone sentì il gelo nel petto sciogliersi definitivamente. E seppe che quell’apatia che lo aveva sempre caratterizzato, non sarebbe mai più tornata. Lui non sarebbe mai più stato lo stesso. Stranamente, fu felice di saperlo, perciò sorrise sereno. Negli occhi di Christian, un lampo indefinito lo attraversò velocemente. A Simone, sembrò che la distanza che li separava, si accorciasse lentamente. Il viso del giovane dagli occhi blu era incredibilmente vicino, tanto da sentire il suo respiro sul proprio volto. Inghiottì rumorosamente, sentendo l’ansia crescere e il cuore battere sempre più veloce. Tutte quelle nuove sensazioni lo stordirono, ma non si concesse il tempo di pensarci. Voleva solo sentire le labbra di Christian sulle proprie.
<< Ehi, fratellino, che diamine stai facendo? >>, domandò una terza voce.
Simone scattò all’indietro, terrorizzato. Da una parte provò delusione per quel mancato bacio, dall’altra avvertì l’ansia di essere stati sorpresi in atteggiamenti intimi, crescere in petto. Christian, invece, sbuffò, e si voltò indispettito. Quando il giovane dagli occhi verdi lo imitò, e vide la persona appena arrivata, trattenne rumorosamente il respiro. Vi era un ragazzo alto un metro e ottanta, capelli arruffati e leggermente mossi. Occhi castani e sguardo magnetico, un filo di barba incolta ed espressione arrogante. Sotto la divisa scolastica, si intravedeva un fisico magro e muscoloso. A Simone sembrò di vivere, per la seconda volta, lo stesso shock che aveva subito vedendo Christian. Nel giro di quasi due mesi, aveva conosciuto i due ragazzi più belli al mondo.
<< Che diavolo vuoi? >>, chiese scocciato il giovane dagli occhi blu.
<< Ti sono venuto a cercare, perché ha chiamato mamma >>, spiegò l’altro avvicinandosi. Simone sentì di bruciare di desiderio nei confronti di quel corpo. Una semplice camminata di quel ragazzo, emanava una fortissima carica erotica. Era sesso allo stato puro. << Ma tu, piuttosto, cosa combini? Ho interrotto qualcosa di importante con questo bel visino? >>, domandò divertito.
A quelle parole, il giovane dagli occhi verdi arrossì violentemente, infuriandosi. Poteva essere bello e magnetico quanto voleva lui, ma aveva un carattere sprezzante e talmente arrogante, da fare accapponare la pelle.
<< Idiota, non hai interrotto nulla >>, sbuffò Christian alzandosi da terra.
Il ragazzo dagli occhi blu porse, poi, la mano al compagno, aiutandolo ad alzarsi. Appena si toccarono, il cuore di Simone fece varie capovolte. Capì che per l’amico, quello che provava, andava ben oltre l’attrazione fisica. Per lui, nutriva un vero sentimento, profondo ed unico. Si sentì stranamente rincuorato, senza sapere il perché.
<< Allora, non mi presenti al bel visino? >>, domandò divertito il nuovo venuto.
Simone arrossì nuovamente per quel commento. Odiava a pelle quel ragazzo. Christian, invece, sospirò indispettito.
<< Lui è Simone >>, rispose contrariato il giovane dagli occhi blu, puntando la mano verso l’amico. << Simo, lui invece è mio fratello Umberto >>, ed indicò il nuovo arrivato.
<< Piacere Simone, detto bel visino >>, affermò Umberto allungando una mano, e sorridendo malizioso.
Il ragazzo dagli occhi verdi guardò quella mano infastidito. Poi ricambiò il gesto, stringendola con forza. Appena le loro mani entrarono in contatto, una scarica elettrica attraversò il corpo di Simone.
 
<< Ehi bel visino, lo mangi quello? >>, domandò Umberto allungando una forchetta verso il piatto di Simone.
Era l’ora di pranzo, e dopo quel giorno sul tetto, il ragazzo più sensuale di quella scuola aveva preso a dare il tormento al fratello più piccolo e all’amico di questo. Simone non sapeva più come scrollarselo di dosso. Era inizio aprile, e come al solito si trovarono in mensa. Lui e Christian non erano più riusciti ad andare da soli sul tetto, perché perseguitati costantemente da Umberto. Quel luogo, per Simone, era sacro. Li aveva parlato per la prima volta con il ragazzo dei suoi sogni, e non voleva che fosse sporcato dalla presenza di qualcun altro. In particolar modo da quel presuntuoso ed arrogante, che non li lasciava mai stare. Perciò, di comune accordo, i due amici avevano deciso di pranzare alla mensa. E quel giorno non faceva eccezione.
<< Si, lo mangio. Qualcosa in contrario? >>, chiese sarcastico Simone, proteggendo il proprio piatto.
<< Uhm, no. Solo che quel pezzo di carne lo scarti sempre, bel visino >>, alzò le spalle Umberto, e riprese a mangiare.
Il giovane dagli occhi verdi, abbassò lo sguardo imbarazzato. Quel tipo riusciva sempre a mandarlo fuori gioco, con i suoi commenti. Alle volte erano spinti, altri intelligenti, ed altri ancora molto dolci. E il fatto che lo osservasse sempre, lo destabilizzava dentro. Sentiva di nutrire profondi sentimenti per Christian, eppure il fratello riusciva a fargli battere lo stesso forte il cuore. Non sapeva come reagire. Non aveva mai provato tutte quelle sensazioni insieme, e dubitava di riuscire a reggerle ancora per molto. Non sapeva dare un nome alle diverse emozioni che nutriva nei confronti dei due fratelli Gallo. E sentiva, nel suo intimo, di dover fare quasi una scelta. Ma la confusione che provava nella testa e nel cuore era tale, da non fargli più capire niente. Lui, che era sempre stato abituato a non dover decidere qualcosa, ad avere tutto già programmato, a non provare alcun tipo di sentimento. E invece, in quel momento, si trovò a dover far fronte a tutte quelle nuove domande. Decise che se voleva evitare il surriscaldamento del cervello, avrebbe dovuto spegnerlo e godersi quel momento nuovo e irripetibile. Perché un’altra cosa che aveva capito in quei mesi, era che un singolo avvenimento era unico, e che niente andava sprecato.
<< Lascialo stare, Umberto >>, esclamò spazientito Christian. Poi lasciò cadere la forchetta nel piatto e si voltò verso il fratello. << Anzi, lasciaci stare. Che ci fai qui? Perché non sei tra i tuoi compagni di classe? >>
<< Non mi piace il modo in cui mi guardano. Sembra quasi che mi vogliano mangiare >>, spiegò addentando un altro pezzo di carne.
<< E non ti sei chiesto il perché? >>, chiese ironico il giovane dagli occhi blu.
<< Sarà perché sono figo. Tutti mi invidiano e mi vogliono >>, affermò alzando lo sguardo malizioso e puntandolo verso Simone. << Ma a me piace un certo bel visino. Deve ritenersi molto fortunato >>.
Ai due giovani andò di traverso ciò che stavano mangiando. Simone di certo non si aspettava quel commento così libero e spensierato. Non credeva di suscitare quel tipo di sentimento nell’altro. Christian, invece, guardò molto male il fratello. Sembrava che lo stesse odiando con tutto se stesso. Gli sguardi che lanciava erano impregnati di rabbia allo stato puro. Il ragazzo dagli occhi verdi rimase sconcertato da quella reazione. Si chiedeva perché l’amico fosse così furioso.
<< E’ meglio che vada a prendere da bere >>, sillabò tra i denti.                                  
Senza degnare di uno sguardo ne il fratello ne l’amico, si alzò e andò verso il bancone. Simone lo seguì con lo sguardo, incapace di distoglierlo. Amava poterlo guardare così intensamente, e sentiva il cuore battere forte nell’ammirare il fisico stupendo di Christian. Ogni cosa di quel ragazzo gli piaceva.
<< Bel visino, attento a non sbavare >>, lo prese in giro Umberto, riportandolo alla realtà.
Simone si voltò di scatto, imbarazzato e furioso con se stesso pe essersi fatto sorprendere.
<< Io non sbavo per nessuno >>, affermò indignato il giovane dagli occhi verdi. << Tu, invece, dovresti imparare a regolarti. Non sai che i tuoi commenti non sono affatto apprezzati?! >>, domandò sarcastico.
Umberto lo guardò per un lungo istante, poi si lasciò andare ad un sorriso malizioso e seducente, che fece sciogliere all’interno Simone. Quel sorriso doveva essere considerato illegale, talmente era bello.
<< Non ti credo, bel visino. A te piace quando ti dico queste cose, non è vero? Ti senti speciale >>, affermò suadente il ragazzo dagli occhi marroni.
A Simone non restò che abbassare il volto, arrossito ed imbarazzato. Umberto aveva maledettamente ragione. Ogni volta che dalla sua bocca uscivano complimenti rivolti verso il ragazzo, questi non faceva altro che inebriarsene ed apprezzarli con tutto se stesso. Alle volte, durante la giornata, agognava anche sentirlo, domandandosi cosa Umberto avrebbe detto quel giorno. E si vergognava profondamente di quel suo lato così miserabile e vanitoso.
<< Non ti abbattere, bel visino. A tutti piace ricevere complimenti >>, lo rassicurò dolcemente il giovane dagli occhi marroni.
Anche quei momenti dolci che gli riservava, facevano scalpitare il cuore di Simone. Era davvero troppo quello che sentiva. Perché, nonostante tutto, nella sua mente compariva sempre il volto di Christian. I due rimasero in silenzio per qualche minuto, presi ognuno dai proprio pensieri.
<< Sai, Chris è un ragazzo molto sensibile >>, dichiarò all’improvviso Umberto, attirando completamente l’attenzione di Simone.
<< In che senso? >>, domandò, infatti curioso.
<< Nel senso che ha un animo nobile sotto tanti punti di vista. Ma è anche debole >>, spiegò con una serietà in volto che il giovane dagli occhi verdi non gli aveva mai visto. Quel discorso, intuì, doveva essere importante. << Gli basta veramente poco per spezzarsi. E quando questo accade, bisogna aspettarsi il peggio >>.
Simone lo fissò per qualche secondo, interiorizzando quelle parole. Aveva la sensazione di doverle conservare, come se in futuro fossero state fondamentali per qualcosa.
<< Il suo cuore è cosi fragile? >>, chiese preoccupato il giovane dagli occhi verdi.
<< Già >>, annuì pensieroso Umberto. << Sai, nella nostra vecchia scuola, Chris era innamorato follemente di una persona. Ma questa non ricambiò quel sentimento >>, raccontò il giovane perso nei suoi ricordi. << Quando fu respinto, Chris entrò in depressione. Sembrava che niente riuscisse a risollevarlo. Poi quando seppe che ci saremmo trasferiti, in qualche modo si riprese >>, continuò, tornando a fissare il volto del suo interlocutore. Un sorriso spento comparve su quel bellissimo viso. << Era come se la sua mente avesse escogitato un modo per farlo risorgere dalle sue ceneri. In qualche modo, sembrò rinascere. Mamma e papà gli dissero che ci trasferivamo per me. Ma la verità è che papà decise di mettere distanza da Chris e quella persona. Temeva una qualche reazione pericolosa del mio caro fratellino >>, concluse assumendo un’espressione amara.
Simone rimase scioccato da quelle parole. non si aspettava quel passato così burrascoso dell’amico. Molti punti erano ancora oscuri, e la voglia di fare domande per sapere di più era forte. Ma dentro, una strana voce gli suggeriva di non chiedere, perché era meglio non sapere. Che se avesse scoperto la verità, sarebbe rimasto irrimediabilmente ferito. Abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello del giovane che gli stava di fronte. Quegli occhi così seri, trasformavano il volto di Umberto. Era, se possibile, ancora più bello. Perché oltre all’aspetto fisico, rispecchiava anche il suo animo nobile e amorevole. Simone capì che i due fratelli, per quanto litigassero davanti ai suoi occhi, si volevano un mondo di bene. Alzò nuovamente lo sguardo, rincontrando quello di Umberto. Il suo cuore sussultò.
<< Tu hai lasciato qualcuno, a Milano? >>, si trovò a chiedere senza sapere bene il perché.
Era curioso di conoscere anche il passato di quel ragazzo così arrogante, e tuttavia così dolce.
<< Cos’è, geloso bel visino? >>, domandò divertito.
Simone arrossì violentemente. Odiava quel suo modo di fare, soprattutto perché ne era incredibilmente affascinato.
<< Non ci sperare troppo >>, mormorò imbarazzato.
Umberto si lasciò andare ad una piccola risata allegra, cogliendo alla sprovvista il compagno.
<< Lo so, non temere. Stavo solo scherzando >>, affermò tornando quasi serio. << Comunque no, non ho lasciato nessuno ad aspettarmi. Più che l’amore, mi è sempre piaciuto divertirmi >>
<< Quindi hai lasciato una scia di cuore infranti >>, commentò deluso e stranamente infastidito.
Sapere Umberto tra le braccia di qualcun’altra gli creava un forte disagio interiore. Come se quell’opzione non fosse contemplabile.
<< Diciamo di si. In fin dei conti, io sono sempre stato il cattivo ragazzo >>, affermò sprezzante.
Ma Simone avvertì una vena sarcastica in quelle parole. Come se non corrispondessero alla realtà. Qualcosa gli stava di certo nascondendo. Fissò intensamente il volto bellissimo di Umberto, come per cercare di carpire le informazioni interessanti, ma non trovò niente. Anzi, sentì solo il cuore rimbombargli nelle orecchie, talmente batteva forte. Il giovane dagli occhi marroni, infatti, aveva preso a guardalo a sua volta. I loro occhi erano incatenati, e nessuno dei due sembrava voler distogliere lo sguardo.
<< Al bancone hanno servito la torta di mele >>, esclamò Christian sedendosi al tavolo.
I due giovani ancora incantati, saltarono spaventati sulle proprie sedie. Quell’interruzione improvvisa, li aveva distolti dall’osservarsi. Altrimenti avrebbero potuto continuare all’infinito. Simone ancora non riusciva a capire cosa gli prendeva, e perché il suo cuore facesse così. Umberto era come una calamita per il suo corpo. Lo attirava come non mai. Ma il suo cuore era sempre concentrato verso la figura di Christian. Infatti, senza rendersene conto, lui inconsciamente sapeva che l’amico stava tornando. Lo aveva percepito, in qualche modo. Eppure non riusciva a staccare gli occhi da quelli di Umberto. Qualcosa decisamente non andava nel suo cervello.
<< Tieni >>, disse dolcemente Chris, porgendo al giovane dagli occhi verdi un piatto.
Il ragazzo era stato così gentile da prendergli una fetta di torta. Arrossì vistosamente per quel gesto, e si sentì incredibilmente felice. Umberto, invece, continuava a fissarlo, senza pudore. Simone avvertiva sulla sua pelle quello sguardo magnetico. Poi lo sentì sospirare.
<< E a me non l’hai preso? >>, domandò rivolgendosi al fratello minore.
<< Hai due gamba e due braccia. Alza il culo e vatti a prendere da solo il dolce >>, affermò acido Chris.
<< Che dolce fratellino che ho. Grazie tante >>, commentò Umberto alzandosi dalla sedia. << Ah, bel visino, quanto sei fortunato >>, esclamò malizioso, prima di incamminarsi verso il bancone.
Simone abbassò lo sguardo, imbarazzato. Quella frase lo lasciò perplesso e confuso. Il suo intuito gli diceva che quelle parole, nascondevano molto più di quello che sembrava. Come se ci fosse un messaggio solo per lui.
<< Che ti ha detto mentre non c’ero? >>, domandò prontamente Chris, interrompendo il flusso di pensieri del giovane.
<< Niente di importante >>, mormorò Simone, giocando con il proprio dolce.
Non voleva confessare di essere venuto a conoscenza della debolezza d’animo del compagno. Sentiva di non doverlo dire. E poi, in fondo, voleva mantenere privata quella conversazione avuta con Umberto. Come se fosse un qualcosa che apparteneva solo a loro due. Si odiava quando pensava quelle cose.
<< Sai, mio fratello è bisessuale >>, esclamò d’un tratto il giovane dagli occhi blu.
Simone alzò di scatto lo sguardo, sorpreso da quell’affermazione. Non si aspettava di certo una confessione simile.
<< Davvero? >>, domandò perplesso.
<< Si. A Milano aveva una fidanzata, ma hanno rotto perché Umberto l’ha tradita con un uomo conosciuto in discoteca >>, confermò Chris, spiazzando sempre di più il povero Simone. << A mio fratello piace molto prendere in giro le persone. E mi sento in colpa per questo >>, confessò amareggiato.
<< E per quale motivo nutri questi sentimenti? >>, chiese confuso il giovane dagli occhi verdi.
<< Beh, perché Umberto ha riversato tutto il suo amore nei miei riguardi >>, spiegò dolcemente. << Da quando sono nato, anche se abbiamo solo un anno di differenza, lui non ha fatto altro che proteggermi. Mi ha sempre visto piccolo ed indifeso. Ed io gli sono grato per questo. Ma vorrei che si facesse una vita sua >>.
Simone lo guardò con dolcezza. Vedere quel lato tenero che mostrava nei confronti del fratello maggiore, lo faceva apparire ancora più bello del solito. Scoprire nuove sfaccettature del carattere di Chris lo rendeva euforico. Voleva sapere tutto dell’amico.
<< Sei incredibilmente fortunato ad avere un fratello così amorevole >>, commentò il ragazzo dagli occhi verdi, andando a stringere una mano del compagno posata sul tavolo.
Quel gesto nacque spontaneo, senza che potesse fermarlo. E quando si rese conto di aver allungato la mano, era già troppo tardi. Christian l’aveva stretta a sua volta, traendo forza da quel contatto. Simone sentì il cuore scoppiargli di felicità nel petto. Il calore che percepiva dal corpo dell’altro era unico e meraviglioso. Non avrebbe mai più sentito freddo, se l’altro fosse stato al suo fianco.
<< Sai, la mia famiglia è convinta che io creda che ci siamo trasferiti per Umberto. Sai, lui è il migliore dell’istituto >>, affermò Chris guardando con affetto gli occhi del compagno. Simone sapeva dell’intelligenza dei fratelli Gallo. Ma quando aveva scoperto che il migliore alunno di quella scuola fosse proprio Umberto, rimase scioccato. Leggere il suo nome alla prima posizione, nelle classifiche dei migliori studenti, e poi il suo seguito, infine, da quello di Christian, lo aveva lasciato basito. Non credeva possibile che esistesse un essere umano  capace di batterlo. << Hanno detto che lo facevano per permettere a mio fratello di realizzare il suo sogno, ovvero diventare ricercatore di laboratorio. Ma io so che il vero motivo per cui siamo qui, sono io >>.
Simone non poteva confessare di sapere la verità sul suo passato. Però, in qualche modo, voleva consolarlo. Dargli forza e speranza, e non farlo sentire più così in colpa. Sentiva il suo cuore premere per far capire all’amico, quanto lui fosse speciale.
<< Sai, le persone tendono a fare cose folli quando è coinvolto qualcuno a noi caro. Il minimo che possiamo fare, per rendere onore a queste loro scelte, è vivere al meglio la nostra unica vita >>, strinse con forza la mano di Chris, cercando di infondergli amore e coraggio. << Non sprecare il tempo a cercare motivazioni futili, o sensi di colpa opprimenti. La vita non aspetta nessuno, e se sei pronto è bene, altrimenti resterai da solo indietro. Sii felice di ciò di cui disponi, e goditi al meglio questa nuova esperienza >>.
Christian guardò scioccato Simone, non aspettandosi quelle parole. Ricambiò la stretta di mano, fissando intensamente il volto del compagno. Il ragazzo dagli occhi verdi sorrise dolcemente all’amico, infondendogli ancora più speranza e amore. Il cuore gli suggeriva di voler vedere, su quel meraviglioso volto, sempre un sorriso felice. E infatti, appena le labbra di Chris si incurvarono verso l’alto, cominciò a battere furioso nel petto di Simone. Il giovane dagli occhi verdi sapeva che, qualsiasi cosa fosse accaduta, non avrebbe mai più voluto lasciare quella mano. Nemmeno il sentire sul proprio corpo uno sguardo magnetico che conosceva bene, poteva distoglierlo da quel momento magico.
 
Simone si preparò per bene, quel giorno. Sistemò i capelli castani e ribelli, si lavò con cura e usò varie creme per la pelle, rasò la barbetta che ogni tanto cresceva, e indossò i suoi jeans più belli. Quelli che sapeva fasciavano con cura il suo didietro rendendolo ancora più appetibile. Indossò una camicia aperta davanti ed una maglietta sotto. Era pronto. Quel giorno, il sedici di aprile, era un giorno particolare. Era il compleanno di Chris, e l’amico lo aveva invitato a casa sua, nel pomeriggio, per festeggiare insieme. I genitori non ci sarebbero stati, e Umberto li avrebbe raggiunti solo in un secondo momento. Perciò i due sarebbero rimasti da soli per chissà quanto tempo. In cuor suo, Simone sperò che qualcosa quel giorno accadesse. Ogni notte, ormai, sognava di stare insieme a Christian, di baciarlo e toccarlo ovunque. Arrossì imbarazzato davanti alla sua immagine riflessa nello specchio del bagno. L’ultimo sogno lo aveva portato ad un’erezione tanto potente, da dover essere soddisfatta tra le lenzuola. Quel giovane che non aveva mai sentito desideri sessuali, e non aveva mai provato le gioie dell’orgasmo, improvvisamente si era trovato a dover soddisfare i propri istinti nel letto. Per lui era inaccettabile un atteggiamento simile, ma non poteva più farne a meno. La voglia che aveva di Chris era tale, da farlo agire nei modi più impensabili. Si guardò un’ultima volta allo specchio, e sorrise soddisfatto della sua immagine. Poi si avviò a piedi verso la casa dell’amico. Girò per qualche strada, con il regalo in mano, e la testa incastrata nelle spalle. Sentiva il cuore battere forte in petto per l’ansia e la trepidazione. Voleva stare da solo con Chris, e non vedeva l’ora di festeggiare con lui. Svoltò un’ultima strada, ed infine arrivò davanti all’abitazione della famiglia Gallo. La casa era piccola rispetta alle altre. Due piani, e un piccolo giardino sia davanti che dietro. Vi era un delizioso portico in legno, e Simone sospettava che l’interno fosse accogliente e familiare. Non come casa sua, grande ma fredda di sentimenti. Prese un ultimo respiro, e si incamminò verso l’entrata. Appena arrivò davanti la porta, con coraggio, bussò al campanello attendendo di essere ricevuto. Il cuore martellava sempre di più. Presto avrebbe sfondato la gabbia toracica del ragazzo. Passò un solo minuto, e la porta fu aperta. Sull’uscio si presentò Chris, nella sua maglietta bianca e i jeans stretti, i capelli sistemati come al solito e il sorriso più bello che avesse. A Simone parve una visione angelica, con quegli occhi blu capaci di illuminare le persone anche nelle notti più buie.
<< Simo, sei arrivato! >>, esclamò entusiasta il giovane, allargando sempre di più il sorriso.
<< Buon compleanno >>, mormorò imbarazzato il ragazzo dagli occhi verdi.
Non era facile per lui sostenere la visione di tanta bellezza.
<< Grazie >>, rispose dolcemente Chris. << Accomodati >>, e si spostò permettendo all’altro di entrare.
Come Simone aveva sospettato, la casa era piccola ed accogliente, rispetto alla sua. Appena varcata la soglia, sulla destra vi era un ampio salone con camino. Sulla sinistra invece vi era la sala da pranzo, da cui una porta portava alla cucina. Di fronte all’ingresso vi erano le scale, e sicuramente al piano di sopra vi erano le stanze da notte. Al lato di queste vi era un corridoio che portava al bagno e ad una seconda entrata per la cucina. Quella casa sembrò bellissima, agli occhi di Simone. Era umile e semplice, impregnata dell’affetto di una famiglia. Sarebbe stato bello vivere li.
<< Andiamo prima in cucina, che ti offro un pezzo di torta, e poi saliamo in camera mia >>, affermò felice Chris.
Si incamminò verso il corridoio, e in pochi passi giunsero in quella cucina incredibilmente accogliente. Al centro di questa vi era un bancone, dove faceva capolino una torta al cioccolato. A prima vista, sembrava squisita.
<< In quale negozio tua madre l’ha comprata? >>, domandò curioso Simone.
<< Negozio? No, l’ha fatta lei >>, spiegò divertito Chris prendendo un coltello e cominciando a tagliare la prima fetta.
Nel frattempo il giovane dagli occhi verdi si era accomodato su uno sgabello vicino al bancone.
<< L’ha fatta lei? Davvero? >>, chiese sorpreso. In vita sua non aveva mai visto la madre cucinare neanche un toast, figurarsi una torta.
<< Ovvio. Alla mamma piace molto cucinare. Ogni giorno ci prepara delle leccornie da far leccare i baffi >>, confermò il ragazzo porgendo una fetta a Simone.
Questo la prese e la osservò intensamente. Non credeva possibile che esistesse una tale rarità. Una torta cucinata con amore da una mamma per il proprio figlio. Era davvero incredibile per lui, visto il suo modo vivere.
<< Guarda che non mangia. Anzi, sei tu a doverla azzannare >>, scherzò Chris addentando il primo boccone.
<< E’ che in vita mia, non ho mai veduto mia madre preparare una torta per me. Credo che non sappia neanche accendere i fornelli >>, confessò imbarazzato Simone.
Christian lo guardò dispiaciuto. Lui aveva una bella famiglia, unita. E sapere che l’amico non poteva avere altrettanta fortuna, gli faceva male.
<< Se vuoi, puoi venire tutti i giorni qui a mangiare una torta preparata dalla mamma >>, affermò semi serio, guardandolo dritto negli occhi. << Sarebbe bello averti qui sempre >>.
Simone arrossì violentemente per quel commento, ed abbassò lo sguardo. Decise che per stemprare l’atmosfera, avrebbe mangiato la fetta che aveva nel piatto. Appena addentò il primo boccone, le sue papille gustative cominciarono a fare festa. Assaporò il gusto di quella prelibatezza, e ne rimase folgorato. Era la cosa più buona che avesse mai assaggiato. In pochi secondi finì la sua fetta. Christian, nel frattempo, lo guardò divertito.
<< Suppongo che ti sia piaciuta >>, commentò ridendo.
<< Altroché. È davvero la cosa più buona che io abbia assaporato. Sento ancora il gusto sul palato. Complimenti alla cuoca >>, confermò Simone sorridendo a sua volta all’amico.
I due rimasero a fissarsi negli occhi per vari minuti, incapaci di distogliere lo sguardo. Erano rapiti l’uno dall’altro. Quel momento era unico ed irripetibile. Nessuno li avrebbe disturbati, o giudicati. Erano solo loro due, con i loro sentimenti esposti sul tavolo. Due semplici ragazzi che stavano scoprendo le gioie dell’amore. Simone, però, ancora diffidente verso quelle emozioni, e con molta confusione nella testa, distolse per primo lo sguardo. Aveva il respiro corto, perciò cercò di prendere quante più boccate d’aria poteva. Con la forza della mente, provò a placare i battiti sempre più furiosi nel suo petto. Ma niente sembrò funzionare. Nelle narici, il forte odore di menta che l’altro emanava gli fece girare leggermente la testa. Si schiarì la gola, infine il suo sguardo fu catturato da qualcosa che aveva poggiato sul bancone.
<< Ah, questo per te >>, si ricordò osservando il pacchetto.
Lo porse a Christian, sorridendogli affettuosamente. Sperava che quel regalo fosse gradito. L’altro lo prese emozionato, e lo aprì.
<< Wow, che bello. “Il Principe Felice” di Oscar Wilde >>, esclamò entusiasta Chris.
<< Ti piace davvero? >>, domandò speranzoso Simone.
<< Certo >>, confermò ammirando ancora il libro in mano. Poi alzò lo sguardo, e lo puntò con dolcezza negli occhi dell’amico. << Grazie, è fantastico. Sul serio >>.
Il ragazzo dagli occhi verdi fu commosso per quella gratitudine. Sperava davvero che quel libro gli piacesse, e vederlo così entusiasta lo riempì di gioia. Il cuore batteva furioso nel petto, ma non se ne curò. Perché sentiva solo la pace interiore. Era bello fare qualcosa per la persona che si considera tra le più importanti. Ancora non aveva il coraggio di dare un nome a quei sentimenti che sentiva, perché significava non poter tornare più indietro. Ammetteva, però, che qualcosa di bello fosse nato, e che non vi fosse più solo amicizia tra i due.
<< Vieni, andiamo in camera mia >>, dichiarò all’improvviso Chris, prendendo Simone per un polso e conducendolo verso le scale.
Il ragazzo dagli occhi verdi non badò molto al tragitto, poiché la sua attenzione fu catalizzata da quella mano forte che stringeva il suo fragile polso. Sentì nuovamente il calore invaderlo in tutto il corpo. Poi giunsero davanti alla porta della camera, e Christian l’aprì conducendo l’amico nella stanza. Anche quell’ambiente era semplice. Un letto ad una piazza e mezzo posizionato al centro, una scrivania davanti con un computer fisso, e libri scolastici sparsi su di essa. Al fianco della scrivania, vi era un’alta libreria colma di libri di vario genere. In fondo alla parete vi era un armadio ampio, ed una finestra che dava verso il cortile dietro la casa. La stanza, pittata di azzurro scuro, rispecchiava esattamente il proprietario. Unica, semplice ed accogliente. Christian posò il libro ricevuto in dono su di un comodino, e tornò a guardare l’amico.
<< E questa è camera mia. Non è sicuramente paragonabile alla tua, che credo sia molto più grande, ma mi piace molto >>, spiegò allargando le braccia.
Simone si guardò intorno ancora un po’, poi posò lo sguardo sul giovane dagli occhi blu.
<< Invece è una camera bellissima. Neanche tutto l’oro del mondo, eguaglierebbe la sensazione che si avverte una volta varcata la soglia di quella porta >>, dichiarò con decisione.
Christian lo fissò intensamente, incapace di dire o fare altro. Poi, lentamente si avvicinò all’amico. Il petto del giovane dagli occhi verdi sussultò spaventato e al tempo stesso emozionato. Voleva avvertire nuovamente il calore dell’altro corpo, e tuttavia temeva quel contatto. Per Simone, era tutto nuovo. E non sapere che fare lo destabilizzava interiormente. L’unica cosa certa, erano i sentimenti che provava per Chris. Il resto era superfluo. Attese impaziente l’arrivo del compagno, ma questi lo stupì nuovamente. Con un gesto veloce della mano, lo riafferrò per il polso, e lo gettò delicatamente sul letto. Simone non ebbe il tempo di capire esattamente cosa stesse accadendo, che si trovò con la schiena appoggiata alle coperte, e il corpo di Chris che lo sovrastava. Era appoggiato sui gomiti, e i loro visi erano incredibilmente vicini. I respiri si perdevano l’uno nell’altro. il cuore del giovane dagli occhi verdi era come un tamburo impazzito, e forse sarebbe scoppiato dalla troppa ansia. La vicinanza dell’altro lo scuoteva in tutti i modi. Si sentiva felice e spaventato, euforico ma restio. E qualcosa nei suoi pantaloni già cominciava a crescere. Se i loro corpi si fossero avvicinati ancora di più, presto la sua intimità avrebbe sfiorato il corpo dell’altro. Simone arrossì violentemente, e non seppe cosa fare. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma il cervello non riusciva a partorire un solo pensiero coerente. E comunque la salivazione era completamente azzerata.
<< Scusa per la mia irruenza >>, sussurrò dolcemente Chris. << Volevo controllarmi. Davvero! Ma non riesco più a farlo >>.
Il ragazzo dagli occhi verdi rimase in silenzio, attendendo la confessione da parte dell’altro. Doveva sapere cosa provava realmente.
<< Da quando ti ho incontrato, ho sempre cercato il tuo sguardo. All’inizio volevo solo esserti amico. Ti vedevo così solo e timido, e desideravo portare pace nel tuo cuore >>, spiegò sempre più emozionato. << Ma dopo, quando ormai eravamo diventati amici, ho cominciato a sentirti più in profondità. Qui dentro >>, e sfiorò il petto all’altezza del cuore. Poi portò nuovamente la mano al lato del suo volto. << Volevo il tuo sguardo sempre rivolto nella mia direzione. Desideravo ardentemente che tu fossi al mio fianco. E vederti con mio fratello mi spezzava il cuore >>, sorrise dolcemente ricordando i momenti vissuti. << Non riuscivo a capire cosa mi stesse accadendo, ma non volevo che smettesse. Sei diventato molto più importante di quello che credevo >>, portò una mano ad accarezzare il volto di Simone. Quest’ultimo, avvertito il contatto, socchiuse gli occhi godendo appieno di quel gesto. Era meraviglioso essere toccato dall’altro. << Ora so cosa provo >>, sussurrò avvicinandosi ancora di più. Le loro bocche potevano quasi sfiorarsi. << E’ amore >>.
Il giovane dagli occhi verdi trattenne il respiro. Si sentì incredibilmente felice, e il cuore sembrava scoppiare talmente era pieno di quel sentimento. In qualche modo il suo cervello gli suggerì che provava le stesse emozioni, ma qualcosa lo bloccava. Era ancora confuso, e non sapeva bene come agire e neanche cosa fare. Voleva godersi il momento, ma non riusciva ad abbandonarsi completamente. L’apatia che lo aveva accompagnato in tutti quegli anni, l’aveva convinto che fosse sterile di sentimenti. Ma si sbagliava di grosso, ed ora doveva fare i conti con le emozioni umane. Sapeva solo una cosa. Che non avrebbe voluto nessun’altro che non fosse Chris.
<< Non ti forzerò. Se vuoi scappare puoi farlo. Io ti lacerò andare >>, affermò con amore il ragazzo dagli occhi blu. Poi riportò la mano sul volto di Simone, e l’accarezzò nuovamente. << Se invece anche tu desideri questo, allora non ti lascerò mai più andare >>.
I due si fissarono intensamente, quasi come se volessero leggersi nell’anima. E i loro occhi sembravano essere capaci di farlo. Simone non seppe come, ma annuì lentamente. Chris accennò un sorriso felice. Poi, con estrema calma, abbassò il capo arrivando a sfiorare il naso dell’altro. Infine le loro bocche sembrarono quasi toccarsi. Bastava un piccolo movimento, e si sarebbero congiunte. Al giovane dagli occhi verdi sembrò di sentire il suo cuore battere all’unisono con quello dell’altro. Sorrise felice a quel pensiero.
<< Ehilà ragazzi, che fate? Pomiciate? >>, domandò una terza voce sarcastica.
Christian sobbalzò per lo spavento, e cadde rovinosamente a terra, sbattendo forte il didietro. Simone, invece, si alzò a sedere in un unico movimento, portandosi le mani all’altezza del petto. Premeva forte, temendo di vedere schizzare fuori il proprio cuore. Quando si voltò verso la porta, vide Umberto appoggiato contro lo stipite. Li fissava intensamente. Sul volto un sorriso divertito, ma che non raggiungeva  gli occhi. Questi, infatti, erano spenti ed amareggiati. Il giovane dagli occhi verdi fu stranamente triste nel vederlo così.
<< Idiota di un fratello, che diavolo ci fai qui? >>, chiese furioso Chris.
Si alzò da terra, e raggiunse in poche falcate il fratello. Lo fronteggiò arrabbiato, pronto a dare battaglia.
<< Fratellino, lo sapevi che sarei tornato a casa, e che avrei dovuto badare a voi due ometti >>, affermò arrogante Umberto. Sul volto sempre quel sorriso strano.
<< E dovevi entrare in questo modo nella mia stanza? >>, domandò ironico il giovane dagli occhi blu.
<< Beh, dovevo proteggere la purezza del mio piccolo fratellino. Non vorrei mai che qualcuno si approfittasse di te >>, dichiarò divertito il giovane poggiando una mano sul capo del fratello, e carezzandolo in testa. Poi spostò lo sguardo verso Simone, guardandolo intensamente. << In effetti andava protetta anche la sua di purezza >>, infine si staccò dallo stipite e raggiunse le scale. << Forza ragazzi, scendete e venite a farmi compagnia! >>, urlò divertito.
Christian sospirò rumorosamente, e si voltò verso il compagno. I due si guardarono negli occhi, poi scoppiarono a ridere forte.
 
Simone attraversò con calma il cortile di scuola. Era inizio maggio, e il caldo stava cominciando a divenire insostenibile. Dopo quel giorno, lui e Chris non erano più riusciti a restare soli. Erano costantemente pedinati da Umberto, e le rare occasioni in cui il giovane dagli occhi marroni non era presente, erano comunque circondati dal resto del mondo. Quella situazione stava diventando sempre più assurda. Specie perché la confusione nella mente di Simone non accennava a diminuire. Non era ancora pronto a ricambiare in pieno i sentimenti di Christian, anche se ciò che provava era molto affine a quelli dell’altro. Però sentiva ancora quella forte attrazione per Umberto, che lo confondeva sempre di più. Stava cominciando ad odiare quel cuore così indeciso. Presto avrebbe dovuto scegliere. E qualcuno avrebbe sicuramente sofferto. Sospirò affranto per quel pensiero, e mosse un altro passo, quando si sentì tirare per la giacca della divisa. Appena si voltò, due occhi marroni lo fissarono divertito.
<< Ciao bel visino >>, lo salutò Umberto.
<< Buongiorno anche a te >>, ricambiò scocciato Simone.
Poi provò a fare un nuovo passo, ma rimase immobile. La sua giacca era ancora ancorata alla mano del ragazzo appena arrivato.
<< Mi liberi, gentilmente? >>, domandò ironico.
L’altro, però, sorrise scaltro, e lo trascinò verso i cancelli della scuola.
<< Ehi, che diamine fai? >>, chiese sconvolto Simone.
<< Semplice, oggi tu ed io facciamo saltiamo la scuola >>, spiegò divertito, continuando a trasportarlo.
<< COSA? Ma non esiste. Io devo andare a scuola >>, esclamò furioso il giovane dagli occhi verdi.
<< No, sei troppo rigido bel visino. Sembra che tu abbia un palo infilato su per il culo >>, negò sempre più entusiasta Umberto. << Devi scioglierti >>
<< E vuoi farmi sciogliere tu? Non credo proprio >>, dichiarò con determinazione Simone, bloccandosi sul posto e costringendo l’altro a fare altrettanto.
Quando i loro occhi si incontrarono, il ragazzo dagli occhi verdi arrossì leggermente. Quella bellezza era troppa, per poter essere ignorata. E i sentimenti che Umberto suscitava in lui erano comunque molto forti.
<< Bel visino, andiamo. Non hai mai fatto qualcosa di folle, in vita tua? >>, chiese sbuffando il giovane dagli occhi marroni.
<< Si, conoscerti >>, rispose Simone sarcastico.
L’altro sorrise divertito. Poi si avvicinò suadente al volto del compagno, e portò una mano sul suo fianco.
<< Forza bel visino. Se non fai follie adesso, quando le farai? Questa è l’età giusta per divertirsi, e fare cose assurde. Avrai tutto il tempo del mondo per essere responsabile >>, sussurrò dolcemente contro il viso di Simone. Quest’ultimo arrossì ulteriormente, sentendo il cuore battere furioso. << Andiamo, c’è una sola vita da vivere. Godiamocela >>.
Quelle parole svegliarono qualcosa nel giovane dagli occhi verdi. Gli vennero in mente tutti quegli anni passati a non vivere per colpa della famiglia. Non voleva più essere come prima, desiderava ardentemente godersi la propria esistenza. Perciò, senza rendersene conto, afferrò il polso dell’amico, e lo trascinò vero i cancelli del quartiere. L’altro rise felice, poi afferrò a sua volta la mano di Simone, stringendola nella propria, e cominciò a correre per quelle strade. Il giovane dagli occhi verdi rimase stupito per quei gesti, ma dopo pochi attimi si trovò ad imitarli, ridendo a sua volta. Le loro mani restarono unite per tutto il tempo, finché non giunsero per le strade di Roma. Decisero di visitare i posti che più amavano. Arrivarono alla fontana di Trevi, ed entrambi gettarono una moneta. Scattarono varie foto, fingendosi turisti. Corsero per le strade giocando ad inseguirsi. Visitarono piazza Navona, e mangiarono dolciumi fino a scoppiare. Simone si rese conto di non aver mai riso così tanto in tutta la sua vita, come in quei momenti. Ed anche il modo in cui l’altro ormai lo chiamava, gli risultava familiare.  Camminando, passarono davanti ad una struttura che il giovane dagli occhi verdi non aveva mai visto, ma che sembrò eccitare molto Umberto.
<< Entriamo, dai! Ti prego! Ti prego! Ti prego! >>, lo supplicò prendendo le mani dell’altro tra le proprie.
<< Ma che luogo è questo? >>, domandò Simone, diffidente.
<< Non conosci questo posto?! >>, esclamò sconvolto Umberto.
Quando il giovane dagli occhi versi negò, l’altro portò teatralmente una mano alla fronte scuotendo forte il capo.
<< Come hai fatto a sopravvivere in tutti questi anni, bel visino?! >>, domandò ironico. << Questo qui, è il miglior posto per divertirsi. Hai mai sentito parlare del paintball? >>.
Quando Simone sentì quel nome, capì immediatamente di cosa l’altro stesse parlando. Cominciò ad agitarsi capendo subito dove fossero giunti.
<< No, assolutamente no! Io non farò mai una cosa così barbara >>, contestò con forza cercando di allontanarsi da quel posto, ma con scarsi risultati. La presa dell’altro era ferrea.
<< E dai, che ti costa? Accontentami >>, continuò Umberto cercando di trascinarlo verso l’entrata.
<< Ti ho accontentato per tutta la mattina. Ma questo proprio non posso farlo >>, dichiarò con forza Simone.
<< Ah, ora capisco >>, affermò il giovane dagli occhi marroni, lasciando la mano dell’altro e guardandolo con sfida. << Te la fai sotto bel visino >>
Simone lo guardò furioso e con le guance arrossate. Il suo orgoglio era qualcosa che non andava toccato.
<< Io cosa? Io non temo nulla >>, esclamò rabbioso.
<< Ah si? Dimostralo >>, continuò Umberto avvicinandosi al volto del compagno. << Dimostra che non hai paura di vivere, ed entra con me qui dentro >>.
Il giovane dagli occhi verdi lo fissò intensamente, cercando di trattenere i vari improperi che la sua bocca voleva urlare. Poi decise, e si incamminò verso la struttura, con passo deciso. Il compagno lo guardò avviarsi e sorrise trionfante. Era abbastanza facile raggirarlo. Poi lo seguì. Fortuna volle che i due giovani erano soli quella mattina. Solitamente quel luogo pullulava di gente, ma essendo tutti a scuola, era praticamente deserto. Perciò i due affittarono con calma le tute, le armi e le ricariche, e si avviarono verso l’arena.
<< Ti sfido, bel visino. Chi perde deve pagare pegno >>, esclamò Umberto prima di cominciare il gioco.
<< Accetto >>, annuì deciso Simone.
Poi una tromba suonò, decretando l’inizio della partita. Passarono un’ora e mezza ad inseguirsi e spararsi contro. Risero, urlarono e giocarono come mai avevano fatto nella loro vita. Il giovane dagli occhi verdi si trovò a vivere una nuova esperienza, e si sentì più vivo che mai. In quel momento capì cosa lo attirava tanto in Umberto. Quel ragazzo era come un’iniezione di vita. Passato il tempo, un secondo squillo di tromba sancì la fine del gioco. I due si trascinarono verso il centro dell’arena, dove vi era una struttura ovale e grande. Ci si poteva sedere e riposarsi sopra con facilità. I ragazzi subito dopo essersi svestiti, si sdraiarono, attenendo che una voce metallica decretasse il vincitore.
<< E’ stato divertente >>, dichiarò con affanno Umberto.
<< Si, molto >>, confermò Simone. Si voltò verso l’amico e lo guardò intensamente, imitato prontamente dall’altro. << Grazie per aver insistito >>
<< Quando vuoi >>, sorrise dolcemente il giovane dagli occhi marroni.
I due rimasero in quella posizione per svariati minuti, incapaci di distogliere lo sguardo. Simone si sentì stranamente in pace. Poi un rumore attirò la loro attenzione.
<< Signori e signore >>, gracchiò una voce da un altoparlante. << La sfida tra ‘Leone super sexy’ e ‘Bel visino’… >>
<< Leone super sexy? Bel visino? >>, domandò sarcastico il giovane dagli occhi verdi.
<< Rispecchiano la realtà >>, dichiarò superbo Umberto, facendo ridere il compagno.
<< … è stata vinta da: ‘Leone super sexy’! >>, urlò fintamente gioiosa la voce.
Il ragazzo dagli occhi marroni guardò l’amico, poi si lasciò andare ad una fragorosa risata. Esultò quasi come se avesse vinto una partita a livello mondiale. Simone lo fissò sconfitto e divertito. Era bello vederlo così festoso.
<< Haha, bel visino hai perso! >>, urlò divertito Umberto mettendosi a sedere.
<< Non ti esaltare troppo. Sei stato solo graziato dalla dea bendata >>, dichiarò  sospirando il giovane dagli occhi verdi. << Forza, sono pronto a pagare pegno >>
<< Aspetta, devo rifletterci adeguatamente >>, affermò pensieroso Umberto, portandosi una mano sotto al mento. << Ci sono! >>, esclamò infine voltandosi verso l’amico.
<< Cosa? >>, chiese curioso il compagno.
<< Voglio un bacio >>, sentenziò il ragazzo dagli occhi marroni.
Simone lo fissò per qualche secondo, cercando di scorgere in quel volto, segni che facessero intendere che l’altro scherzasse. Ma scrutato più volte, si rese conto che non stava affatto scherzando. Anzi, era più serio che mai.
<< Ma anche no! Non ti bacerò >>, urlò incredibilmente imbarazzato.
<< E dai, hai promesso >>, si lamentò Umberto.
<< Ho dato la mia parola per pagare pegno, non di baciarti >>, specificò il giovane dagli occhi verdi.
<< Ma questo è il tuo pegno >>, confermò l’altro avvicinandosi pericolosamente. Simone rimase turbato, perché quella voce riuscì a scuoterlo all’interno, e quella vicinanza sempre più forte, gli fece battere il cuore. << Andiamo bel visino, è solo un bacio >>.
Il ragazzo dagli occhi verdi inghiottì rumorosamente, incapace di ribattere o fare altro. In fondo al cuore, sentiva anche lui il desiderio di toccare quelle labbra. Non sapeva il perché, ma voleva farlo. Perciò rimase a fissare il compagno, immobile, con gli occhi sbarrati, attenendo il momento in cui avrebbe dato il suo primo bacio. Umberto si avvicinò sempre di più, ed ormai era prossimo nel poggiare la propria bocca sopra a quella di Simone. In quel momento, però, un lampo attraversò gli occhi di quest’ultimo. Vide davanti a se, il volto sorridente di Christian. Il giovane dagli occhi marroni si bloccò, interrompendo la sua avanzata. Era riuscito a leggere, nello sguardo dell’altro, quel tentennamento, intuendo che qualcosa non andava. E sapeva anche cosa fosse. Perciò sospirò e cambiò direzione. Le sue labbra incontrarono la fronte imperlata di sudore di Simone, e depositarono un lungo e dolce bacio. Il giovane dagli occhi verdi rimase spiazzato da tale gesto. Non se lo aspettava.
<< Perché…? >>, sussurrò debolmente.
Il volto dell’altro sempre vicinissimo al proprio.
<< Perché non voglio baciarti solo per pegno >>, spiegò Umberto, con estrema dolcezza. << Perché voglio ricordarti così, in questo momento, con i capelli arruffati e incrostati di colore. Con la fronte sudata ed il volto accaldato >>, portò una mano sul viso di Simone, lasciandovi una lunghissima carezza. << Perché non voglio contaminare questo bel ricordo, facendo qualcosa di cui poi in futuro mi pentirò >>, poggiò la fronte contro quella di Simone, e lo guardò dritto negli occhi. << Perché quando ti bacerò, sarà perché lo vorrai anche tu. E non è questo il momento >>, prese una mano del compagno e la strinse nella sua. << Ti bacerò solo il giorno in cui ti volterai verso di me >>, Simone rimase scioccato da tali parole. Umberto aveva perfettamente compreso che il giovane non stava pensando a lui in quel momento, ma a Chris. << Devi guardare solo me, bel visino >>.
I due rimasero immobili per molto tempo, in quella posizione, fissandosi e godendosi quella pace interiore. Niente avrebbe mai intaccato il ricordo di quel giorno, loro due soli e felici. Anche se fosse stato l’ultimo che avrebbero passato insieme.
 
Simone guardò con sofferenza i cancelli della scuola. Non voleva varcarli. Temeva di fare anche un solo passo, ma non poteva essere così codardo, non fino a quel punto. Aveva già saltato troppi giorni di scuola, e sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare ciò che lo attendeva in quelle mura. Era un giorno piovoso di maggio inoltrato. Il tempo corrispondeva in pieno all’umore che provava il giovane dagli occhi verdi. Grigio, nuvoloso e minaccioso. Sospirò per l’ennesima volta, e decise di entrare. Dopo quel giorno trascorso con Umberto, di qualche settimana prima, Simone aveva evitato come la peste i due fratelli Gallo. La confusione era tale da farlo sentire in colpa con entrambi. Non riusciva a scegliere a chi dei due donare il proprio cuore. Era come se una parte di lui tendesse verso Chris, mentre l’altra verso Umberto. Provava anche un forte disgusto per se stesso. Così incapace di fare qualcosa, di agire e di prendere una decisione. Sedici anni di vita passati a sottostare a regole fatte da altri, ed aveva perso la capacità di scegliere per se. Con profonda tristezza ricordò il giorno del suo compleanno, avvenuto la settimana scorsa. Si era rifiutato di andare a scuola, facendo infuriare i propri genitori. Aveva evitato, come la morte, qualsiasi contatto con i telefoni o con il computer. Non volle vedere nessuno. Ma la cosa che più gli fece male, fu mandare a casa i suoi due unici amici, nonché contendenti del suo cuore, presentatisi improvvisamente a casa sua. Non aveva voluto vederli, fingendo di stare male. Guardare le loro espressioni deluse sui loro volti fu come una pugnalata per Simone. Da allora aveva trascorso l’intera settimana a scuola. Ma quel giorno avrebbe preso in mano le redini della sua vita, e non si sarebbe più fatto vincere dalla paura e dalle incertezze. Non credeva di essere ancora pronto per scegliere, ma non sarebbe più scappato. Fece i vari passi che lo separavano dalla sua classe, quando, però, varcò la soglia dell’aula non fu pronto a ciò che vide. Chris seduto al proprio banco, insieme ad una ragazza. Ridevano e scherzavano complici e felici. A Simone parve che gli si spezzasse il cuore. Il giovane dagli occhi blu, improvvisamente, voltò il capo verso la porta, vedendo l’amico lì, intento a fissarlo. Perse il sorriso e si alzò di scatto dalla sedia, ma bastò un solo istante, e Simone era già scomparso. Chris provò a seguirlo, ma la campanella suonò ed il professore entrò in classe. Il giovane dagli occhi verdi corse più forte che poteva senza sapere dove andare. Urtò contro molte persone, tra cui anche Umberto che provò a fermarlo ma senza successo. Voleva solo scappare da li, da tutto ciò che impestava il suo cuore. Da quella confusione che provava, e dalla consapevolezza che, forse, aveva perso la cosa più importante di tutta la sua vita. Si ritrovò sul tetto della scuola, senza sapere come, e rimase li, a fissare intensamente le prime gocce che scendevano dal cielo. Le osservava inerme ed impotente, come lo era stato per tutta la sua vita. Si sentì vuoto, perso e distrutto. Ricordò il primo momento in cui il suo sguardo aveva veduto il volto di Chris, ed una lacrima abbandonò i suoi occhi. Poi un’altra ed un’altra ancora, finché non scoppiò in un forte pianto, sovrastato solo dai tuoni del cielo. Si accasciò a terra, e strinse forte il petto. Gli faceva male il cuore, come se qualcuno glielo stritolasse. Sentiva di stare sanguinando interiormente. E forse, se fosse continuata tutta quella sofferenza, sarebbe morto per davvero. Ma alla fine cosa si sarebbe lasciato alle spalle? Una famiglia amorevole? Amici fidati? Un amore eterno? No, niente di tutto quello. Lui era solo. Lo era sempre stato. Aveva evitato il genere umano come se fosse contagioso, e per la prima volta si pentì di tutte le scelte fatte. Il rimorso lo assalì come un leone pronto a sbranarlo. Ma si sarebbe lasciato mangiare volentieri da un leone, se avesse potuto spegnere il proprio cuore e i propri pensieri. Rimasi li, inginocchiato a terra, per un lunghissimo tempo, incapace di fare altro. Continuò a piangere tutte le lacrime che aveva in corpo. In sedici anni non aveva mai pianto una sola volta. Ma ormai, si era reso conto che quello era il periodo di sperimentare tutte le sue prime volte. Primo amore, prima confusione, primo sorriso, prima eccitazione, prima sofferenza, prime lacrime… in pochi mesi, aveva sperimentato tutto ciò che si provava durante i sedici anni. Solo che lui le aveva subite in pochi mesi. Era stato travolto da quell’onda potente di emozioni, ed ora stava affogando in esse. Chi l’avrebbe salvato? Chi avrebbe potuto tirarlo fuori, prima che annegasse? Improvvisamente sentì due mani sollevarlo di peso da terra, e trascinarlo dentro la scuola, al chiuso e protetto dalle intemperie. I suoi occhi non videro quella figura, ma il suo inconscio seppe già chi fosse il suo salvatore. Quando fu sbattuto con poca delicatezza, contro il muro, poté ammirare quei meravigliosi occhi marroni, magnetici e seducenti.
<< Che cazzo credevi di fare, eh? Me lo spieghi? Prenderti una polmonite? >>, urlò furioso Umberto.
Simone non rispose, incapace di parlare. Era zuppo, e tremava dal freddo. Quanto tempo era rimasto fuori, sotto la pioggia? Il nuovo venuto lo fissò insistentemente, tenendolo ancora fermo contro quella parete. Le sue mani forti lo stringevano per le spalle.
<< Perché fai così? Che cosa è successo, me lo spieghi? >>, domandò abbassando di poco il tono di voce.
Il ragazzo dagli occhi verdi, però, restò muto, incapace ancora di emettere un solo suono. Cosa avrebbe dovuto dire? Che vedere Chris con un’altra gli aveva spezzato il cuore? Che stava male perché lo aveva perso? Che, nonostante tutto, dentro di se la presenza di Umberto lo sconvolgeva ancora? Che sentì nuovamente il desiderio di baciare quelle labbra carnose? Le fissò intensamente, bramandole come un assetato brama l’acqua. E Umberto se ne accorse, perché cominciò a fissare a sua volte la bocca dell’altro, e poi i suoi occhi.
<< Ah! Dannazione >>, urlò improvvisamente.
Poi, senza dare tempo all’altro di pensare, si avventò contro il viso di Simone, premendo forte le sue labbra su quelle del compagno. Il giovane dagli occhi verdi sgranò lo sguardo, incapace di pensare. Avvertì quella bocca morbida e bagnata contro la propria e capì. Umberto avrebbe sempre posseduto un posto speciale nel suo cuore. Un posto che avrebbe sempre battuto solo per lui. In un certo senso, quella parte di se amava Umberto. Ma il suo intero essere apparteneva a Chris. Tutta la sua anima e il suo corpo e il suo amore era dedicato completamente al giovane dagli occhi blu. Ma, ormai, niente aveva più importanza. Perché lo aveva perso. Perciò decise di chiudere gli occhi e lasciarsi andare al momento. Seguì passivamente i movimenti della bocca dell’altro. La aprì contemporaneamente a quella di Umberto, e le loro lingue si toccarono con forza e dolore. Era un bacio duro, carico di sofferenza e sentimenti contrastanti. Simone assaporò il sapore del compagno, ispezionò la sua bocca e toccò tutto ciò che poteva. Umberto fece la stessa cosa. Quando poi i loro corpi richiesero ossigeno, si staccarono con un sonoro schiocco. Si fissarono intensamente, ansanti e stanchi. Il cuore di Simone sanguinava e batteva velocemente. Non poteva più tornare indietro, e doveva fare i conti con i propri sentimenti. Improvvisamente sentì sul suo corpo due occhi che conosceva bene. Un brivido di paura attraversò la sua schiena, e lentamente voltò lo sguardo verso la sua destra. Chris li fissava sconvolto, e con lacrime mal trattenute. Sembrava che stesse per esplodere da un momento all’altro. Umberto si voltò, sorpreso, appurando la presenza del fratello. Appena i due Gallo si guardarono, qualcosa scattò. Chris si gettò con furia contro il più grande, sbattendolo contro il muro, e prendendolo a pugni.
<< COME HAI POTUTO? COME HAI POTUTO? >>, urlò tra un cazzotto e l’altro.
Umberto subì passivamente. Non si difendeva e non provava a ricambiare quei colpi. Sapeva di meritarseli, perché aveva approfittato di un giovane dai sentimenti confusi, nonostante sapesse quello che provava suo fratello minore. Lui sapeva bene ciò che Chris nutriva nei confronti di Simone. E se ne era infischiato, pensando solo ai suoi interessi. Perché quel ragazzino bellissimo, dal volto indifferente e con un caratterino particolare, era riuscito a conquistare il suo cuore. Umberto aveva compreso di amare Simone. Quest’ultimo fissò la scena incredulo ed impotente. Non sapeva che fare. Ma doveva agire in qualche modo. Perciò afferrò le spalle di Chris e lo strattonò, senza ottenere grandi risultati. Il giovane dagli occhi blu era forte, mentre lui non aveva molti muscoli su cui fare affidamento. Ma decise di non demordere. Tirò e tirò ancora più forte, finché una gomitata di Chris raggiunse il suo zigomo con forza. Lo colpì involontariamente, ma fece lo stesso malissimo. Si staccò dal corpo del compagno dolorante e con le lacrime agli occhi. Sicuramente sarebbe uscito un bel livido. Quello era da aggiungere alla lista delle “prime volte”. Non aveva mai fatto a pugni, e non era mai stato colpito. Ma ormai aveva capito perfettamente che c’era un prima volta per ogni cosa. I due fratelli Gallo smisero immediatamente di lottare, notando il volto sofferente di Simone.
<< O mio Dio >>, sussurrò terrorizzato Chris. << Mi dispiace, sul serio. Non volevo colpirti >>.
Il ragazzo dagli occhi verdi, però, non rispose. Era ancora troppo scosso da tutto quello che gli stava capitando. Perciò alzò lo sguardo ferito sui volti dei due compagni, e cominciò a piangere forte.
<< Io non ce la faccio più. Sono stufo di tutti questi sentimenti. Al dolore, preferisco tornare come ero prima >>, mormorò tra un singhiozzo e l’altro.
Poi prese e cominciò a correre nuovamente fuori sul tetto. Quello era il posto in cui era stato veramente felice. Aveva conosciuto Chris, aveva scoperto di provare dei sentimenti per quest’ultimo disciogliendo il gelo che aveva dentro, e nonostante tutto, era il posto in cui aveva conosciuto anche Umberto. I due fratelli Gallo lo videro scappare verso l’esterno, chiudendosi con forza la porta alle spalle. Il più grande sospirò, toccandosi la mascella dolorante.
<< Accidenti, fratellino, mi hai colpito davvero forte >>, si lamentò.
Chris si voltò di scatto verso l’altro, guardandolo con furia omicida.
<< Come hai potuto, Umberto? Come? Sapevi cosa provavo per lui, sapevi che lo amo >>, domandò furioso.
<< Rilassati, fratellino >>, sospirò il giovane dagli occhi marroni. Si portò davanti al più piccolo e sorrise tristemente. << Va dal bel visino, e capirai ogni cosa >>.
Il ragazzo dagli occhi blu lo fissò perplesso. Non voleva credergli, ma qualcosa in quella voce lo spinse a voltarsi e raggiungere l’amico sul tetto. Umberto rimase a fissarlo correre. Sospirò una seconda volta e si lasciò andare ad una risata amara
<< Chissà perché va sempre a finire in questo modo >>, poi si incamminò verso le scale, senza voltarsi più indietro.
Simone, nel frattempo, era immobile, intento a fissare il cielo plumbeo. Non volevo tornare indietro, non voleva più muoversi. Quello era il suo posto, anzi il loro posto. Avvertì dei passi dietro la schiena, e seppe senza neanche voltarsi, chi lo avesse raggiunto.
<< Perché sei qui? Ti prenderai un malanno >>, domandò con voce spenta.
<< Come facevi a sapere che ero io? >>, chiese perplesso Chris, raggiungendolo alle spalle.
<< Io so sempre dove sei >>, rispose Simone, sorridendo amaramente.
Poi rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri. La pioggia batteva forte, bagnandoli sempre di più. Ma non si curarono minimamente del tempo, o di qualsiasi altra cosa. Contavano solo loro due.
<< Umberto mi ha detto: “Vai dal bel visino, e capirai ogni cosa” >>, esordì improvvisamente Chris, cogliendo di sorpresa l’altro. << Che cosa voleva dire? >>.
Simone non sapeva bene cosa rispondere, ma era certo che presto avrebbe dovuto affrontare i suoi sentimenti. Una volta per tutte. Aveva compreso cosa provava per il maggiore dei fratello Gallo, ora restava chiarire con il più piccolo. Anche se, era convinto, ne sarebbe uscito distrutto. Lentamente, perciò, si voltò verso l’amico, e lo guardò dritto negli occhi. Com’era bello Chris, quasi come un angelo.
<< So di non essere una ragazza >>, cominciò con voce tremante. L’altro lo guardò perplesso, non sapendo dove volesse andare a parare. << E so anche di possedere un carattere davvero contorto. Difficile da fronteggiare. Non ho il seno, e tra le mie gambe c’è qualcosa in più, rispetto ad una donna >>, continuò sorridendo tristemente. << Nonostante questo, però, io… >>, ma non riuscì a finire la frase. Aveva paura. Se avesse dette quelle parole, non sarebbe più potuto tornare indietro. E il cuore non si sarebbe più ricomposto. Lo sapeva già. Ma non poteva più continuare a nascondersi. Doveva vivere. E vivere, alle volte, comportava anche soffrire. Quindi prese una boccata d’aria, e poi parlò forte. << Io ti amo >>.
Chris rimase scioccato. Non credeva di poter sentire quelle parole, e con tanta forza ed irruenza. Il suo cuore prese a battere forte. Ma era piacevole sentirlo pulsare in quel modo, perché batteva solo per la persona che amava. Simone vide l’altro avvicinarsi lentamente, sorridendo e con gli occhi più luminosi che mai. Quando furono a pochi passi di distanza, Chris alzò una mano bagnata e la portò sul volto del giovane dagli occhi verdi, e lo accarezzò dolcemente.
<< Anche io ti amo >>, rispose semplicemente.
Il cuore di Simone parve esplodere dalla felicità. Non credeva di essere ricambiato. Certo, c’era stata la scena sul letto del compagno, in cui si era più o meno dichiarato. Ma da allora era passato così tanto tempo, e lui aveva fatto così tante cose, che credeva di aver perso per sempre la possibilità di stare con Chris. E quello che aveva veduto quella mattina, lo aveva convinto ulteriormente. Ma, per la prima volta in vita sua, aveva sbagliato. E fu davvero felice di averlo fatto. Doveva comunque chiarire quel punto.
<< Stamattina, però, con quella ragazza… >>, ma non ebbe il coraggio di finire di parlare.
<< Mi stava chiedendo come fosse Milano. Dopo la scuola voleva andare in vacanza li >>, spiegò dolcemente Chris, intuendo i pensieri dell’altro.
Simone si sentì felice come non mai. Aveva sbagliato ancora. Sorrise entusiasta. Poi, portò la sua mano verso quella libera del compagno, e la strinse.
<< Baciami >>, sussurrò timidamente.
Chris non se lo fece ripetere due volte. Azzerò le distanze tra i loro volti, e poggiò le labbra contro quelle del compagno. Simone percepì subito la differenza tra quel bacio e quello scambiato prima con Umberto. Con il maggiore dei fratelli Gallo, solo una parte del suo cuore aveva preso a battere furiosa. Con il più piccolo, invece, ogni piccolo centimetro del suo corpo pulsava felice per quel contatto. Chiuse gli occhi, sbalordito di provare tanta attrazione per un semplice corpo. Portò le sue mani intorno al collo di Chris, e lo strinse forte. Il compagno, invece, poggiò le mani dietro la sua schiena e lo avvolse con amore. Strusciarono delicatamente le labbra, poi approfondirono di più il contatto. Dischiusero contemporaneamente la bocca, e permisero alle loro lingue di incontrarsi timidamente. Simone percepì più forte l’odore di menta che l’altro emanava. Era inebriante! Il contatto divenne più intraprendente, ed entrambi esplorarono la bocca dell’altro. Non si sarebbero mai stancati di baciarsi. E l’ossigeno parve una cosa secondaria, rispetto a quel contatto. Perciò passarono un tempo che parve infinito, stretti l’uno tra le braccia dell’altro. Quando poi, alla fine furono costretti a staccarsi, si fissarono negli occhi, capendo che l’amore che provavano era vero e sincero, e sarebbe durato per sempre. Simone lo avvertiva dentro la sua anima, Chris nel suo cuore. Niente avrebbe più potuto separarli. Il giovane dagli occhi verdi prese la mano dell’amato, e lo trascinò silenzioso per i corridoi della scuola, poi fuori, ed infine per le strade di quel quartiere. Chris si lasciò condurre senza dire una parola. Si fidava ciecamente del compagno, e lo avrebbe seguito sino in capo al mondo. Arrivarono davanti la casa di Simone, e questi lo condusse senza perdere tempo nella sua camera. Si chiusero la porta alle spalle, lasciando fuori il resto del mondo, e dolcemente si amarono.
 
<< Qual è la tua aspirazione? Cosa desideri per il tuo futuro? >>, domandò Simone addentando il suo panino.
Era passato un anno da quel giorno. Da allora molte cose erano cambiate. Il giovane dagli occhi verdi, poco a poco, aveva preso ad aprirsi rispetto al mondo, ed insieme al fidanzato avevano trovato amici fantastici. Finalmente era diventato umano. Il suo rapporto con Chris, col tempo, divenne sempre più forte, e alla fine i due capirono di essere una cosa sola ormai. Le cose con Umberto erano state un po’ più complesse, invece. Il maggiore dei fratelli Gallo faticò molto prima di riuscire a riconquistare la fiducia del più piccolo. Invece con Simone, in apparenza, non cambiò nulla. Continuò a corteggiarlo per finta, a prendersi gioco di lui e continuarono ad uscire insieme tutti e tre. Ma il giovane dagli occhi verdi notò che qualcosa nello sguardo dell’amico era mutato. Sembrava più spento e freddo, e il sorriso che lo caratterizzava era diventato meno intenso. Simone amava Chris, ma quella parte del suo cuore che batteva solo per Umberto, non era mai riuscita a sopprimerla, perciò gli faceva male vederlo in quello stato. Ma non poteva fare molto. Aveva fatto la sua scelta, e ne andava fiero ogni giorno sempre di più.
<< A parte stare con te, per sempre? >>, scherzò divertito Chris.
<< Scemo. Sii serio >>, Simone diede un piccolo buffetto sulla spalla del compagno. << Tra poco tempo termineremo il terzo anno di liceo. Alla fine dell’estate saremo alunni di quarta. E in un battito di ciglia andremo in quinto. Non ti senti soffocare per la fretta? Non avverti che le cose stanno avanzando troppo velocemente? >>.
Il giovane dagli occhi verdi pensava spesso al futuro, nell’ultimo periodo. Da quando stava con Chris la sua vita era cambiata molto, ma c’era una cosa che non era mutata. Ovvero l’influenza e l’oppressione che i genitori avevano su di lui. Se sua madre o suo padre dicevano una qualsiasi cosa, Simone la faceva. Non riusciva a ribellarsi ai due, e sicuramente non avrebbe mai potuto scegliere un futuro diverso da ciò che avevano già prefissato. Lui doveva diventare medico, ad ogni costo. Prima non ci aveva mai pensato più di tanto a quelle cose, ma da quando stava con Chris, si domandava spesso se avrebbe potuto assecondare per sempre la volontà dei propri genitori. Non era davvero interessato a diventare dottore, ma non aveva davvero scelta.
<< Vediamo, cosa voglio fare in futuro >>, cominciò a pensare il giovane dagli occhi blu. << Ci sono! >>, esclamò contento. Si voltò verso il fidanzato e gli sorrise felice. << Voglio aiutare le persone >>.
Simone rimase perplesso da quelle parole. Non se le aspettava proprio.
<< Aiutare le persone? >>, chiese scettico.
<< Si, voglio essere di sostegno a chi lo desidera >>, continuò Chris sempre più entusiasta.
<< Credevo che volessi divenire scienziato o qualcosa di simile >>, constatò il giovane dagli occhi verdi.
<< No, non fa per me quella vita. Sono bravo a scuola, ma preferisco passare il mio tempo in mezzo alla gente, piuttosto che rinchiuso in un laboratorio >>, negò Chris addentando nuovamente il suo pranzo. << Ecco, ci sono. Diventerò preside >>, dichiarò improvvisamente.
<< Preside? >>, domandò divertito Simone, guardando l’euforia del fidanzato.
<< Si, magari anche di questa scuola. Il preside aiuta i ragazzi, in un modo o nell’altro, e questa scuola ha tanto bisogno di essere salvata >>, si alzò dal pavimento ed andò verso la ringhiera. << Le persone fingono sempre, anche quando soffrono. E qui sembrano tutti felici, ma in realtà hanno problemi che non sanno affrontare >>, si voltò di scatto, e fissò Simone. Al giovane dagli occhi verdi parve di vedere un angelo. Il sole incorniciava il corpo del fidanzato rendendolo spettacolare. << Voglio che tutti siano felici >>
 
<< Che diavolo significa questo messaggio? Eh? Spiegamelo? >>, urlò furioso Chris.
<< Chris, mi dispiace sul serio. Ma non possiamo fare diversamente >>, si scusò disperato Simone.
<< Non possiamo fare diversamente? Ma che cazzo stai dicendo, Simo. Tu mi stai lasciando! >>, gridò folle di dolore.
A quelle parole, il cuore del giovane dagli occhi verdi si spezzò ulteriormente. Come avevano fatto a precipitare in quel modo le cose. Davvero non se lo spiegava. Stava andando tutto bene. I due erano felicemente fidanzati da due anni ormai, e il loro amore non aveva vacillato neanche per un solo istante. Poi era giunta la tempesta, sotto forma di due genitori. La famiglia di Simone aveva scoperto per caso il rapporto che c’era tra il figlio e il più piccolo dei Gallo, ed erano andati fuori di testa. Avevano trattenuto Simone a casa per molti giorni, urlandogli contro e cercando di farlo rinsavire. Ed alla fine l’avevano avuta vinta. Il ragazzo dagli occhi verdi, sotto minacce varie, aveva dovuto cedere acconsentendo di lasciare il fidanzato. Niente erano servite le lacrime o le urla di disperazioni. Lui non poteva nulla contro la volontà della sua famiglia.
<< Chris, ti prego, devi ascoltarmi e cercare di comprendere. Loro non possono essere contrastati. Hanno già vinto in partenza. Io non posso nulla contro il loro volere >>, singhiozzò sofferente.
<< Ti rendi conto delle assurdità che stai dicendo? Hanno vinto? Io non posso nulla contro di loro? >>, sillabò minaccioso il ragazzo avvicinandosi al fidanzato. << Tu puoi scegliere. Puoi fare quello che vuoi, se lo desideri davvero. Maledizione, Simo, tu mi ami >>.
Simone pianse forte. Non voleva sentire quelle parole. Voleva essere compreso ed avere il sostegno del fidanzato. Non poteva sopportare di essere odiato da lui, ma non poteva neanche disobbedire alla propria famiglia. Era nuovamente preda della confusione, ma quella volta non avrebbe potuto seguire il suo cuore.
<< Mi dispiace >>, sussurrò abbassando lo sguardo.
<< Non me ne faccio niente delle tue scuse. Per me te le puoi infilare su per il culo, visto che sei così bravo nel prenderlo dietro >>, dichiarò sprezzante Christian.
Poi si voltò e si incamminò verso casa sua. I due si erano dati appuntamento in una zona semi deserta del quartiere.
<< Chris! >>, urlò Simone provando a fermarlo.
Il giovane dagli occhi blu si fermò in mezzo alla strada, poi con lentezza tornò a fissare il fidanzato. Lo sguardo che gli lanciò fu tale, da spezzargli il cuore.
<< Hai tempo fino a stasera. Mandami un messaggio sul cellulare, vieni a casa mia, usa un piccione viaggiatore… fai quel che cazzo ti pare. Ma sceglimi >>, minacciò con calma.
<< Cazzo, Chris! >>, gridò furioso Simone. << Possiamo sempre vederci a scuola, nasconderci come abbiamo sempre fatto, prestando maggiore attenzione. Non dobbiamo lasciarci per davvero >>
<< No, mi dispiace. Non posso accontentarmi. Non voglio il contentino >>, negò con tristezza il ragazzo. << Io voglio te, non i resti del tuo amore. Noi possiamo stare insieme alla luce del sole. Non capisco perché hai scelto me, se poi non potevamo stare insieme >>
<< Ma noi stiamo insieme! >>, affermò con forza Simone.
<< No, non è vero. Fingiamo di stare insieme, ma la realtà è che tu non sarai mai mio, finché non ti libererai dalla tua famiglia >>, si asciugò una lacrima con forza. Sembrava non volesse piangere davanti al fidanzato. << Hai diciassette anni. Tra qualche mese andremo in quinta, ci diplomeremo e saremmo liberi da tutto. Vivi senza più l’influenza della tua famiglia, Simo, altrimenti non sarai mai felice >>, poi si voltò nuovamente. << Hai tempo fino alle otto di stasera, poi sarà finita. Per sempre >>.
Prese a camminare, lasciando solo Simone. Il ragazzo dagli occhi verdi guardò le spalle del fidanzato. Lo vide allontanarsi sempre di più, e si sentì male. Una stretta ferrea gli stritolò il cuore. Era come se dentro di se sentisse che quella era l’ultima volta che lo vedeva. E non poteva accettarlo.
 
Otto meno cinque minuti.
Simone fissò il cellulare con insistenza. Doveva scegliere, ma non era in grado di farlo. Aveva paura.
Otto meno quattro minuti.
Mancava poco, e presto sarebbe finito tutto. Ma il giovane non sapeva ancora come.
Otto meno tre minuti.
Simone pianse nuovamente. Sentiva freddo in tutto il corpo. Ormai era assuefatto al calore del compagno.
Otto meno due minuti.
Il cuore non smetteva di battere, furioso e sofferente. Piangeva lacrime di sangue.
Otto meno un minuto.
Ormai era giunto il momento. Non poteva più rimandare. Le cose non dovevano andare in quel modo.
Otto in punto.
Simone spense il cellulare.
 
Tre giorni dopo, il ragazzo dagli occhi verdi si incamminò verso la scuola. Era da quel pomeriggio che non vedeva il fidanzato, e aveva paura. La sua intenzione era quella di restare insieme di nascosto, e l’unico posto in cui potevano essere liberi di amarsi per davvero, era in quell’istituto, sul tetto della scuola. Loro due, soli e felici. Rimpiangeva con forza quei momenti. Sospirò nuovamente, quando ad un certo punto il suo cellulare prese a squillare. Appena lo guardò, e vide chi lo cercava, dentro di lui montò una strana rabbia.
<< Si può sapere dove siete spariti? Dov’è tuo fratello? Perché non viene a scuola? Dobbiamo parlare >>, urlò furioso contro Umberto, dimenticandosi di essere composto come sempre ed utilizzando un linguaggio meno formale.
<< Simo >>, singhiozzò disperato il giovane dagli occhi marroni.
<< Che succede? >>, domandò Simone paralizzandosi improvvisamente. Qualcosa non andava. Il suo cuore si bloccò. Aveva una bruttissima sensazione.
<< Simo, è successa una cosa >>, continuò Umberto, tirando su col naso.
<< Cosa? >>, sussurrò tremante.
<< Christian è… morto >>, confessò il giovane piangendo disperatamente. << Si è impiccato questa notte >>.
Simone però non lo sentì più. Nella sua testa rimbombavano quelle parole folli, semplici parole che ebbero la forza di spezzarlo in due. Era come se fosse morto. Si sentiva morto. E Christian non c’era più. Se ne era andato via, in un luogo dove non poteva essere raggiunto. Un posto distante milioni di chilometri. E lui era rimasto li, solo, senza di lui. Percepì il cuore incrinarsi, e poi avvertì come uno strappo. Una parte di lui se n’era andata via, per sempre. Il respiro gli si mozzò in gola, ma non se ne curò. Perché solo una cosa contava. Chris era morto. Simone si accasciò al suolo, privo di forze, e cominciò a piangere disperato. Il suo mondo era andato distrutto.
 
Il giovane dagli occhi verdi fissò con dolore quella lapide. Le lacrime sfuggivano al suo controllo, ma non se ne curava. Non gli importava minimamente di ciò che la gente avrebbe pensato, nel vederlo piangere. per lui, non contava più nulla. Perché Christian era morto, e niente sarebbe stato più come prima. Nella sua mente risuonavano le parole dette dal giovane, l’ultima volta che i due si erano incontrati.
“Hai tempo fino alle otto di stasera, poi sarà finita. Per sempre”
Era davvero finita per sempre. Simone doveva capire cosa il fidanzato intendesse dire, doveva intuirlo. Lo conosceva. Avevano trascorso gli ultimi due anni insieme, ogni giorno, amandosi  con tutto il cuore. Doveva sapere cosa intendeva con quel per sempre. Invece non aveva pensato a niente, che non fosse la paura di sfidare i proprio genitori. Se lui fosse stato coraggioso, tutto quello non sarebbe successo. Non si sarebbe trovato li, in quel triste e grigio cimitero. Ma sarebbe stato a casa di Chris, con il fidanzato al proprio fianco, magari a mangiare una di quelle meravigliose torte preparate dalla madre. Ma le cose non andavano mai come uno credeva. E la realtà era che Chris era morto, e la colpa era solo sua. Tutto ciò che gli restava del fidanzato erano i ricordi, e quella foto usata sulla lapide. Il resto era diventato cenere. Nuove lacrime solcarono il suo volto. Ormai non faceva altro che piangere, sapendo che niente avrebbe potuto riportare indietro l’amore della sua vita.
<< Ehi >>, salutò una voce alle sue spalle.
Senza neanche voltarsi, Simone seppe chi fosse arrivato.
<< Ehi >>, salutò a sua volta Umberto.
<< Sei qui da molto? >>, domandò avvicinandosi alla lapide del fratello.
<< Un’ora >>, confermò tirando su col naso.
<< Non dovresti stare qui, bel visino. Non ti fa bene >>,  affermò dolcemente il giovane dagli occhi marroni.
<< Lo so. È solo che stavo riflettendo >>, mormorò mestamente Simone.
<< Su cosa? >>, chiese curioso Umberto, accarezzando la foto del fratello.
<< Pensavo alle tue parole di moltissimo tempo fa. Quelle che pronunciasti in mensa, quando io e Chris non eravamo ancora fidanzati >>, prese un fazzoletto e soffiò il suo naso. << Tu mi avevi avvertito. Il suo cuore era fragile. Mi dicesti che bastava poco per spezzarlo. Io lo sapevo, sapevo quanto sensibile fosse. Eppure non ho avuto cura del suo cuore >>, sentì il cuore battere furioso contro il petto, e il respiro mozzarsi in gola. Soffriva ogni giorno sempre di più. << E’ morto per colpa mia. L’ho ucciso io >>, sussurrò disperato tra le lacrime.
Umberto sospirò tristemente. Si voltò verso l’amico, gli poggiò le mani sulle sue spalle, e lo costrinse a guardarlo. Quello che vide in quegli occhi verdi, fu straziante. Erano spenti, sofferenti e sanguinanti. Era come se, insieme al fratello, fosse morto anche lui. Gli faceva male vederlo in quello stato.
<< Bel visino, non è colpa tua >>, affermò con decisione, trattenendo le lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi. << Chris era un ragazzo fantastico, ma non era forte. Avrebbe potuto scegliere qualsiasi via, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per salvare il vostro amore. Ma ha scelto la via più codarda >>, portò una mano sul viso di Simone e gli asciugò una lacrima. << Ma so che, nonostante ciò, lui non ti ha mai accusato di nulla. Tu non hai fatto niente. Hai solo preso una decisione >>
<< Ma se io non avessi scelto la mia famiglia, lui sarebbe ancora qui >>, sussurrò colpevole il giovane dagli occhi verdi.
<< Non puoi dire così. Poteva succedere qualsiasi cosa, e lui sarebbe morto comunque >>, affermò dolcemente Umberto. << Non devi fartene una colpa >>
Poi lo lasciò andare. Si voltò nuovamente verso il fratello, sorridendo tristemente.
<< Mi mancherai per sempre, fratellino >>, mormorò con voce tremante, versando due lacrime. << E ti perdono per quello che hai fatto. Ti voglio bene >>.
Simone sentì il cuore sanguinare più forte per quelle parole. Abbassò lo sguardo, incapace di guardare ancora per molto quella figura. Era impossibile sostenere quella scena. Vedere Umberto piangere col sorriso sulle labbra era davvero straziante. Una visione simile, gli spaccò l’anima in mille pezzi.
<< Questa te l’ha scritta lui >>, esclamò improvvisamente il giovane dagli occhi marroni, cogliendo di sorpresa l’altro.
Quando Simone alzò lo sguardo, vide una busta bianca nelle mani di Umberto. L’afferrò tremante, incapace di contenere le proprie emozioni. Sapeva, ancor prima di leggerla, che quella lettera lo avrebbe ucciso definitivamente.
<< Io torno a casa. E dovresti farlo anche tu, bel visino. Ci vediamo a scuola >>, salutò il giovane dagli occhi marroni.
Poi diede le spalle all’amico, e si incamminò verso l’uscita. Simone rimase a fissarlo fino all’ultimo istante, rimandando la lettura della lettera. Aveva bisogno solo di un altro po’ di tempo. Ma quando Umberto scomparve definitivamente, sospirò, consapevole che il momento era giunto. Perciò, con mano instabile, aprì la busta, e cominciò a leggere:
 
“Ciao, mio dolce Simone.
Vorrei poter cominciare questa lettera chiedendoti come va, ma so già che mi odieresti ancora di più. Perciò non perderò tempo in stupide frasi fatte, per cercare di sdrammatizzare la situazione. So già che starai soffrendo tantissimo, e mi si spezza il cuore sapendo di non poter fare nulla per te. E soprattutto mi sento male nel sapere che la causa del tuo dolore sono io. Non pretendo che tu capisca, ma vorrei spiegarti. Ho vissuto per quindici anni in una specie di limbo, non sapendo chi fossi o dove dovevo andare. Ho sempre sentito una voce dentro di me, urlarmi quanto ero inutile ed incapace. Mi diceva che non valevo niente, e che il mio era solo uno spreco di spazio in questo mondo. Poi un giorno, quando stavo per compiere sedici anni, ho incontrato uno strano ragazzo. Il più bello che avessi mai visto, con due occhi verdi stupendi e un volto così indifferente da farmi sorridere. Quel ragazzo mi fece battere così forte il cuore, che temevo potesse esplodere da un momento all’altro. Tu, mio amato Simone, sei stato in grado di farmi vivere. Grazie a te, quella voce era scomparsa. Non c’era più nessuno che mi dicesse quanto inadatto fossi. Ma sentivo solo il mio cuore urlare il mio amore per te. Un amore grande quanto il mondo. Un amore grande quanto la storia dell’universo. Quando ci siamo incontrati l’altro giorno e mi hai detto che era finita, però, la voce è tornata. Mi ha sbeffeggiato, e ha detto che era giusto che tu mi lasciassi. Io non valevo nulla. Mio dolce Simo, io non posso vivere senza il tuo amore, e sentire che non potevo averti, mi ha fatto precipitare nell’oblio della disperazione. Dopo aver sperimentato la perfezione, non potevo più accontentarmi del limbo. Non posso semplicemente sopravvivere. Io ho bisogno di te, e se tu non ci sei, non voglio più andare avanti con questa vita. So che soffrirai, che piangerai e che sarai disperato a tal punto da voler morire. Perciò spero che quando leggerai questa lettera, pioverà proprio come quel giorno in cui ci siamo baciati la prima volta. Se piovesse, ascolteresti la mia voce in quelle gocce. Mi sentiresti dire: non piangere, amore mio. Va avanti con la tua vita, vivi come se mi avessi accanto. Realizza tutto ciò che desideri, e scegli da solo la tua strada. Ci sono tanti modi per morire, ma pochi per vivere, e tu devi trovare il tuo. Io sono morto, ma tu sei ancora vivo, e devi conservare questo bene prezioso. Un giorno ti dissi: voglio che tutti siano felici. Beh, oggi rettifico quelle parole. Voglio che tu sia felice.
Ti amerò per sempre.
Eterno tuo.
Christian
 
Ps. Puoi prenderti cura di quel folle di mio fratello? Lui ti ha sempre amato, e so che insieme potrete affrontare qualsiasi cosa. Anche la mia morte. Del resto, sei il suo bel visino, no?!”
 
Simone lesse più volte quelle parole. Provò un forte odio per Chris. Lo odiò con tutto se stesso. Come aveva potuto lasciarlo? Come aveva potuto credere che riuscisse a vivere senza di lui? Quanto pazzo poteva essere, per pensare una cosa simile. Guardò la lapide del giovane, e in uno scatto di ira, gli diede un calcio forte.
<< Sei un folle. Hai badato solo ai tuoi sentimenti, e ti sei infischiato dei miei >>, urlò disperato, cominciando a piangere copiosamente. << Come hai potuto farmi questo? Come hai potuto lasciarmi qui da solo? Se avessi saputo cosa sarebbe accaduto, non ti avrei mai scelto. Ti odio, Chris, e desidero non averti mai incontrato >>.
Detto questo, si voltò di scatto, e cominciò a camminare velocemente. Alle sue spalle, lasciava definitivamente il suo cuore. Niente sarebbe mai più stato lo stesso.
 
Simone raggiunse a piedi il centro di Roma, con la spalle incurvate e la testa bassa. Era passato ormai un anno da quando Chris era morto, ma niente era cambiato. Lo amava sempre, e gli mancava ogni giorno sempre di più. Alle volte gli sembrava di soffocare per il troppo dolore, altre faticava anche ad alzarsi dal letto, altre ancora era preso da una potente rabbia e l’unica cosa che desiderava era quella di spaccare tutto. Con i genitori ogni rapporto era stato interrotto, ma non se ne rammaricava. Vivevano sotto lo stesso tetto, ma conducevano vite separate. E a Simone andava bene così. Con gli amici di scuola aveva mantenuto i rapporti stretti, ma l’unico veramente indispensabile per la sua sopravvivenza era solo lui. Umberto. Da quel giorno, i due erano divenuti inseparabili. Si cercavano a vicenda, si leccavano le ferite, e tra di loro non avevano paura di mostrare i sentimenti che nutrivano. L’unica ragione per cui Simone non era davvero morto, era perché al suo fianco c’era il giovane dagli occhi marroni. E ringraziava il cielo per quella fortuna. Pensava quelle cose, mentre raggiungeva il luogo dell’appuntamento con l’amico. Quella mattina lo aveva chiamato chiedendogli di saltare la scuola, e di raggiungerlo verso le dieci. Aveva immediatamente acconsentito. Quando, fatta l’ora, si era incamminato, non credeva di ritrovarsi davanti a quel posto. Umberto era appoggiato contro il muro, con le braccia e gambe incrociate e lo fissava sorridendo divertito.
<< Te lo ricordi? >>, chiese senza neanche salutarlo.
<< Come potrei dimenticare >>, rispose allegramente, raggiungendolo. << Ci siamo venuti insieme, la prima volta che ho saltato la scuola >>.
Ricordò con malinconia quel giorno, dove avevano giocato al paintball. Li si erano quasi scambiati il loro primo bacio. Sembrava passata una vita da allora.
<< Bene, visto che ti ricordi, ho deciso di darti la rivincita, bel visino. Accetti? >>, chiese Umberto, presuntuoso come sempre.
<< Accetto >>, confermò divertito Simone.
I due, ridendo, entrarono nell’arena deserta. Affittarono le tute e gli attrezzi, e si prepararono alla sfida.
<< Chi perde paga pegno? >>, domandò il giovane dagli occhi verdi.
<< Ovvio, bel visino. E stavolta impegnati, se vuoi battermi >>, confermò malizioso l’altro.
Poi suonò una tromba, e la sfida cominciò. Simone credette di tornare indietro nel tempo. Gli sembrò di rivivere quel giorno, quando le cose erano diverse, e non esisteva tutta quella sofferenza. Rise e si divertì come non gli capitava ormai da tantissimo tempo. Non lo credeva possibile, ma capì che forse anche per lui c’era la possibilità di tornare ad essere felice. Forse c’era ancora speranza. Ma non era ancora pronto a guardare avanti. L’amore per Chris era ancora troppo forte, e il suo sguardo non lo avrebbe abbandonato presto. Forse lo avrebbe avvertito per sempre sulla sua pelle. Passò il tempo, ed una seconda tromba decretò la fine del gioco. I due, imbrattati e sudati come l’ultima volta, si avviarono verso la struttura ovale posizionata al centro dell’arena. Appena si sdraiarono stanchi, scoppiarono in una fragorosa risata.
<< Ah, bel visino, mi hai dato del filo da torcere, stavolta >>, commentò allegramente Umberto.
<< Mi sono allenato, nell’attesa di avere la mia rivincita >>, affermò divertito Simone.
<< Attenzione, la sfida tra ‘Leone super sexy’ e ‘Bel visino’… >>, gracchiò una voce metallica.
<< Sei monotono >>, si lamentò il giovane dagli occhi verdi, ricordando quei nomi.
<< Volevo vedere se avevi una buona memoria >>, scherzò Umberto.
<< …è stata vinta da: ‘Leone super sexy’ >>, decretò con forza.
I due si guardarono per un secondo, poi il ragazzo dagli occhi marroni urlò di gioia. Simone lo guardò sorridendo. Era bello vedere l’amico così felice.
<< Ti ho battuto ancora, bel visino >>, esclamò esaltato Umberto.
<< Non è valido. Sono convinto che tu abbia pagato il proprietario per farti vincere sempre >>, sbuffò il giovane dagli occhi verdi, fintamente offeso.
<< Così offendi la mia persona >>, rispose malizioso il ragazzo dagli occhi marroni.
<< Avanti, qual è il pegno? >>, sospirò sconfitto Simone.
Improvvisamente Umberto tornò serio, e lo fissò in volto. Il compagno non si aspettava di certo un atteggiamento simile. Una strana sensazione lo prese in pieno stomaco.
<< Il pegno è che tu sia felice >>, dichiarò con voce grave. << E’ passato un anno dalla morte di Chris, ma i tuoi occhi sono sempre più tristi. Ti ho osservato. Ho visto come ogni giorno che passava, ti consumavi lentamente. Il tuo viso non è più lo stesso. Il tuo sorriso si è spento sempre di più. Nel tuo sguardo vedo il tuo cuore morire poco a poco >>, portò una mano sulla guancia di Simone, e l’accarezzò lentamente. Poi riportò il braccio steso al suo fiano. << È come se tu fossi diventato un albero, nel periodo autunnale. Ogni giorno perdi una foglia, ed attendi impotente l’inverno. Così la tua anima perde una parte di se, e attendessi lentamente di morire. Ed io non voglio questo. Non voglio che tu raggiunga Chris. Tu devi restare qui, in questo mondo, con me >>.
Simone non seppe cosa dire. Sentiva quelle parole come vere, e si vergognò di se stesso. Era convinto che nessuno fosse a conoscenza di come moriva lentamente ogni giorno. Ma lui non era mai stato un bravo attore. Silenziosamente, sul suo volto scesero lacrime salate. Da quando il fidanzato era morto, non faceva altro che piangere.
<< Lo so che fa male. Anche io soffro, come il giorno in cui è morto. Ma so anche che lui non vorrebbe questo per me, e neanche per te. Non posso tornare indietro e salvarlo. Perciò il modo migliore per onorare la sua morte, è quello di vivere rendendolo fiero di me >>, una piccola goccia solitaria solcò il viso di Umberto, ma questo non se ne curò. << Lui è morto, ma io sono ancora vivo. E la vita va avanti, che mi piaccia o meno. E non starà li ad aspettarmi in eterno. La vita non aspetta nessuno. Neanche te, bel visino >>, allungò una mano ed afferrò quella di Simone, stringendola forte. << Quando ti deciderai a tornare nel mondo dei vivi, e lascerai andare mio fratello? >>.
Il giovane dagli occhi verdi, sgranò lo sguardo. In quell’unica frase aveva riassunto il modo in cui aveva vissuto quell’anno. Aveva passato più tempo a ripiangere il fidanzato morto, che a provare ad andare avanti. Voleva stare bene, provare a stare meglio. Ma non era ancora pronto. Non ce la faceva ancora.
<< Non posso >>, sussurrò con voce tremante. Fissò intensamente Umberto, e decise finalmente di aprire il suo cuore. << Mi manca così tanto, nonostante sia passato un anno. Ogni mattina mi sveglio col pensiero fisso che Chris non c’è più, e non potrò mai più vivere la mai vita con lui. Penso a ciò che è stato e ciò che non ci sarà mai, e mi sembra di soffocare, tanto è il dolore >>, portò la mano libera al petto e strinse con vigore. << Sento il cuore pulsare forte, lo sento sanguinare, e ho quasi paura che una mattina mi sveglierò e troverò il vuoto fisico qui dentro >>, altre lacrime scesero lungo il suo viso, ma Simone le scacciò con forza. << Ogni notte lo sogno. Lo vedo fuori dalla finestra della mia stanza, intento a salutarmi. Lo sento dirmi che mi ama. Poi sorride teneramente e mi dice addio. Ed ogni notte è come se lo perdessi per la prima volta. Nei miei sogni, è come se lo vedessi morire sempre. E fa male, incredibilmente male. Mi sembra quasi di impazzire. E l’unica cosa che vorrei fare è scappare >>.
Umberto ascoltò silenziosamente quelle parole. Odiava essere impotente di fronte a tutto quel dolore, ma davvero non poteva fare nulla. Lentamente attirò il corpo di Simone contro il proprio e lo strinse in un delicato abbraccio. Tutto ciò che gli rimaneva da fare era dimostrargli che non era solo. Il giovane dagli occhi verdi si strinse contro il compagno, e lo abbracciò stretto. Aveva bisogno di quel contatto. Nella sua mente, un turbinio di emozioni lo soffocavano. Il passato, il presente e il futuro si mescolavano creando un unico filo di straziante dolore. Vedeva i momenti felici passati insieme a Chris, e immaginava quelli che avrebbero potuto esserci. Ma non sapere per certo come sarebbe stata la sua vita insieme al fidanzato lo uccideva. Non poteva sopportare l’idea che per loro non poteva esserci un futuro. Alle volte desiderava con tutto se stesso dimenticare quei momenti felici, e di conseguenza anche quelli brutti. La sua vita sarebbe stata infinitamente più facile. Ma non poteva realizzare quel desiderio. Lui poteva solo convivere con quella sofferenza costante.
<< Bel visino, tu stai scappando dalla realtà >>, sussurrò Umberto, tra i capelli dell’altro. << Ti rifugi nel tuo mondo, fatto di dolore e ricordi. Ma non è scappando che starai meglio >>
<< Lo so >>, annuì Simone. La testa sprofondata nella spalla dell’altro.
<< Bel visino >>, lo chiamò il giovane dagli occhi marroni. << Ti amo >>.
Simone arrossì violentemente per quelle parole. Avrebbe tanto voluto ricambiare quel sentimento, rispondere ‘anche io’, e vivere la loro vita insieme. Avrebbe voluto assecondare quella parte del suo cuore che amava Umberto. Ma non poteva.
<< Lo so >>, rispose tristemente.
Il ragazzo dagli occhi marroni si lasciò andare ad una risata amara e priva di felicità.
<< Ah bel visino, così mi spezzi il cuore >>, commentò fintamente divertito.
Poi lentamente staccò il corpo del compagno dal proprio, e lo fissò intensamente.
<< Domani parto >>, confessò con un sorriso spento.
<< Cosa? >>, mormorò Simone, sconvolto.
<< Mi trasferisco. Vado a Napoli. Ho chiesto il trasferimento all’università ed hanno acconsentito >>, spiegò mestamente.
Il ragazzo dagli occhi verdi sentì il cuore battere forte. Era nel panico. Aveva paura. Non poteva perdere anche Umberto. Non poteva farcela senza di lui.
<< No, ti prego. Resta con me. Ti supplico, resta >>, lo scongiurò terrorizzato.
<< Non posso. Ti amo troppo per restare >>, negò con dolcezza il compagno.
<< Mi hai appena detto di non scappare. Ma la verità, è che sei tu a fuggire >>, urlò disperato Simone.
<< No bel visino. Non sto scappando. Entrambi dobbiamo guarire dal male che ci circonda, e stando insieme non possiamo farlo >>, dichiarò amorevolmente, accarezzando il volto dell’amico. << Se io resto, tu non sarai mai in grado di farcela da solo. Ti appoggerai sempre a me >>, calde lacrime solcarono il viso di Simone, ma Umberto le asciugò prontamente. << Ed io devo dimenticare il dolore che mi porto dentro per aver perso il mio fratellino. E devo dimenticare te >>, si avvicinò lentamente, ed infine poggiò la fronte contro quella di Simone. << Sei stata la cosa più bella che mi sia capitata, bel visino. Ma è arrivato il tempo di voltare pagina >>, sussurrò commosso.
Il giovane dagli occhi verdi rimase paralizzato per quelle parole. Sapeva nel suo intimo quanto fossero vere, ma non voleva sentirle per davvero. Non avrebbe retto un secondo abbandono. Specie dalla seconda persona più importante della sua vita. Ma Umberto aveva ragione. Non potevano andare avanti così. Doveva riuscire a stare nuovamente bene, ed insieme non ce l’avrebbero fatta. E Simone non poteva essere così egoista. Non poteva pretendere che l’altro rimanesse al suo fianco, nonostante il dolore che gli causava. Doveva lasciarlo libero, anche se faceva male. Sospirò infine, ed annuì. Non poteva fare altrimenti. La parte che amava Umberto piangeva disperata, urlando di tenersi stretto il ragazzo. Ma il resto della sua anima, quella dedicata interamente a Christian, sorrideva tristemente accettando quella situazione. Lo stava lasciando andare. I due silenziosamente si separarono, e senza dirsi altro, si avviarono verso gli spogliatoi. Si cambiarono, e sempre senza parlare uscirono fuori da quella struttura. Appena raggiunsero l’esterno, tornarono a fissarsi, sapendo che era giunto il momento.
<< Mi mancherai tanto >>, sussurrò tristemente Simone.
<< Anche tu, bel visino >>, annuì Umberto, sorridendo mestamente. << Ma staremo bene. E comunque potremo sempre sentirci >>.
Entrambi sapevano che non sarebbe stata la stessa cosa, ma dovevano farlo. Il giovane dagli occhi marroni sospirò sapendo in cuor suo che mai avrebbe dimenticato Simone. Non c’era riuscito in quei tre anni, e mai ce l’avrebbe fatta. Era entrato troppo in profondità, per poterlo dimenticare. Ma doveva andarsene, se entrambi volevano tornare a vivere. Si sarebbe dato un pizzico sulla pancia, soffrendo silenziosamente, e avrebbe atteso pazientemente il momento in cui l’amico fosse stato pronto a lasciarsi il passato alle spalle.
<< Stammi bene bel visino >>, salutò dolcemente Umberto.
<< Anche tu >>, mormorò con voce tremante l’altro.
Il ragazzo dagli occhi marroni, però, non era ancora pronto ad andarsene. Aveva bisogno di un’ultima cosa. Perciò si abbassò verso il viso dell’altro, e depositò un tenero bacio sulla bocca del compagno. Fu un contatto breve e delicato. Simone pensò di averlo immaginato. Rispetto al bacio che si erano scambiati quel giorno di pioggia sul tetto, così rude e duro, quello era stato infinitamente più bello. In quel piccolo contatto era stato espresso tutto l’amore che Umberto provava. Ed era stato magnifico.
<< Questo era mio di diritto >>, scherzò il giovane dagli occhi marroni, strappando un sorriso sul volto del compagno. << Adesso devo andare, bel visino >>
<< Ok >>, confermò tristemente Simone.
<< Ci vedremo sicuramente un giorno. Perciò per adesso diciamoci addio >>, fece qualche passo all’indietro, sorridendo dolcemente. << Sii felice bel visino >>, poi si voltò del tutto, allontanandosi da quel posto e dal suo cuore.
Simone lo vide incamminarsi lentamente. Fu come vivere un déjà-vu. Al posto di quelle spalle, gli sembrò di vedere Chris allontanarsi. Provò il desiderio di rincorrerlo per fermarlo. Ma dentro al cuore percepì di non doverlo fare. Era giusto lasciarlo andare. E in più il suo istinto gli diceva che quella non sarebbe stata l’ultima volta per loro, e che prima o poi si sarebbero rivisti. Dovevano solo attendere il momento giusto. E fino ad allora, Simone doveva imparare nuovamente a vivere…
 
<< E questa è la mia storia >>, terminò di raccontare il preside.
Non potevo credere alle mie orecchie. Quell’uomo così calmo e posato, aveva un passato talmente travagliato e simile al mio, che sentii accapponare la pelle. Molte cose passarono per la mia mente. Molte domande e pensieri. Tantissima voglia di sapere e conoscere. Ma un pensiero si fece largo nella mia mente, forte e prepotente. Premeva per uscire dalla mia bocca, ed io non ero nessuno per impedirglielo. Perciò guardai con forza il preside, presi un respiro, ed infine parlai.
<< Sa cosa penso? Penso che lei è un gran vigliacco >>, esclamai duramente.






Buonasera a tutti...ecco a voi il nuovo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...vi comunico che questo capitolo è stato praticamente un parto...all'incirca 29 pagine di word...un record!!! praticamente è il mio capolavoro, e perciò pretendo le vostre recensioni XDXD no, però davvero mi farebbe piacere leggere le vostre impressioni su questo aggiornamento...mentre lo leggevo, mi sono resa conto di aver creato una storia dentro la storia O.O una cosa incredibile!!! se volessi, potrei scriverla per davvero XDXD...vi dico che per scrivere questo capitolo, ho praticamente creato una playlist, con tutte le canzoni più tristi che conosco (tipo ci stava "Slipped away" di avril lavigne..."Per dirti ciao" di tiziano ferro..."He comes goodbye" di rascal flatts..."So long goodbye" dei sum 41...insomma una cosa incredibile, come non mi sono tagliata le vene è stato un miracolo XDXD)...perciò vi consiglio di leggere il capitolo accompagnate da una melodira dolce e malinconica...rende meglio l'atmosfera :)
beh, che dire...finalmente conosciamo il passato del preside...anche lui ha perduto l'amore della sua vita, come lisa...solo che chris si è sucidato...e scopriamo anche come abbia conosciuto umberto gallo che, per chi non ricordasse, è il datore di lavoro di lisa XD ecco svelato un nuovo mistero!!! la storia, essendo un ricordo, è scritta tutta in corsivo...spero che non vi distrubi...se così dovesse essere, ditemelo che la modifico e rendo il carattere normale XDXD...beh, che altro dire...uhm O.o...ah si, vi voglio cominciare ad avvisare che la storia avrà un massimo di trentacinque capitoli, non di più...se sn poco ispirata, diciamo, allora arriviamo a 34...non è ancora ben chiaro, però il mio progetto è farlo arrivare ai 35...quindi mancano sei martedi, e la storia sarà conclusa...chi è triste??? alzate la mano, prego U.U
per chi volesse, ho postato sul mio contatto facebook, le foto di simone/preside, christian e umberto...ovviamente quando erano giovani U.U questo è il mio contatto:  http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl...passateci mi raccomando XD
ringrazio poi le persone che recensiscono sempre la storia...senza di voi, non potrei fare nulla, ma questo lo sapete già ^-^
bn, e adesso vi auguro la buona notte...ci vediamo martedi prossimo XD
un bacio
Moon9292


"Mi oppongo!"

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Capitolo 30
*** Un lieto fine ***


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Capitolo 30 - Un lieto fine


<< Sa cosa penso? Penso che lei è un gran vigliacco >>, esclamai duramente.
Il preside mi fissò basito per alcuni secondi. Di certo non si aspettava quella mia affermazione uscita chissà dove, e priva di qualsiasi sentimento di compassione. In realtà, dentro di me sentivo di essere rimasta davvero scossa per quel racconto, ma c’erano così tanti sentimenti contrastanti nella mia testa, che non potevo davvero cedere alla tristezza. Quell’uomo aveva perso ogni cosa nella sua vita per colpa dei suoi genitori, e anche in quell’occasione stava ricommettendo lo stesso errore. Non potevo sopportare che si facesse così tanto male da solo. Perché non lo capiva? Perché non riusciva a comprendere che le sue azioni, portavano a delle reali conseguenze? Se avesse permesso di svolgere quell’assemblea, avrebbe nuovamente sacrificato il suo Chris. Perché sarebbe successa la medesima cosa. Paolo era debole quanto il preside, e non avrebbe mai potuto scegliere Roberto. Non era in grado di farlo, e mi dispiaceva immensamente per questo. Ma il giovane dagli occhi verdi non sarebbe morto. Io non l’avrei permesso. E se per ottenere ciò che desideravo, dovevo lottare da sola con bazuca e mitraglia l’avrei fatto. L’uomo continuò a fissarmi per qualche altro minuto, poi esplose in una risata senza gioia. Era amara e sofferente, ed esprimeva appieno come aveva vissuto la sua vita negli ultimi anni. Vuota e solitaria.
<< Sa, dovevo aspettarmi un atteggiamento simile. Lei è una donna forte, e di conseguenza non può comprendere la mia debolezza umana >>, commentò il preside sorridendomi mestamente.
<< Al contrario, preside. Io la comprendo benissimo. Anche io sono stata debole in passato >>, negai con freddezza. << Ma alla fine ho dovuto affrontare di petto la situazione, e combattere con tutte le mie forze per riuscire a risorgere dalle mie ceneri >>
<< Conosco la sua situazione, professoressa Cristillo. Mi informo sempre della vita privata dei miei collaboratori >>, spiegò l’uomo.
<< Non ne avevo dubbi. Dalla sua storia, e dal suo legame con il dottor Gallo, dovevo presumere che fosse a conoscenza della mia vita privata >>, commentai senza problemi. Non mi infastidiva quella violazione della privacy, perché la mia attenzione era catturata da ben altre situazioni, molto più gravi.
<< Mi perdoni per la mia curiosità, ma lei come è riuscita a tornare a vivere dopo tutto ciò che ha passato? >>, chiese con tranquillità. Ma dal suo sguardo, leggevo una certa trepidazione per la mia risposta. Voleva sapere come avevo fatto, perché così anche lui forse sarebbe riuscito a risorgere.
<< Vivendo, preside. Semplicemente vivendo >>, risposi scrollando le spalle. << Non c’è un modo universale per combattere il dolore. Ognuno lo fa con i propri metodi e basandosi sulle proprie forze. Io ho scelto forse la strada più tortuosa, perché cercare di vivere semplicemente mi ha portato ad affrontare i miei peggiori incubi, e a dover ritirare fuori un passato doloroso e dal quale stavo scappando >>, continuai ripercorrendo con la mente gli ultimi mesi, e alle varie avventure a cui avevo partecipato. In tutto questo, vi era un’unica costante che la faceva da padrone nei miei ricordi: la presenza di Ianto e del suo amore. Sorrisi dolcemente a quella consapevolezza. << Ma così facendo, come ben lei sa, ho ferito la persona per me più importante di tutte, e non mi perdonerò mai per questo. L’ho abbandonato, e così facendo, ho spezzato ad entrambi i nostri cuori. La fortuna ha voluto concedermi un’altra opportunità, ed io non l’ho sprecata >>, e ripensai al giorno in cui finalmente Ianto ed io diventammo una cosa sola. Un leggero rossore si affacciò sulle mie gote, ma non vi badai. Non era il momento di imbarazzarsi, quello. << Mi domando perché invece lei non voglia afferrare questa opportunità? Il destino le ha concesso una seconda chance, eppure la sta sprecando in stupide paure e ricordi. Ed io non accetto questo tipo di debolezza >>.
Il preside mi fissò intensamente, concentrato sulle mie parole. Sembrava stesse estrapolando goccia a goccia il significato più intimo che esse portavano. Quell’uomo soffriva da cosi tanti anni, che qualsiasi cosa bella potesse accadergli, sembrava non fosse mai abbastanza. Come se fosse un’illusione e che presto sarebbe svanita nel nulla. Prese un profondo respiro, e portò una mano all’altezza del petto, stringendolo forte. Sapevo cosa stava provando, perché anche io ci ero passata. La paura di ricominciare, di continuare a credere in qualche cosa, di tornare a sperare. La paura di dover lasciare il passato alle nostre spalle, e guardare solo al presente. Chi vive di memorie soffre inevitabilmente, quando si rende conto che la sua vita è solo un sogno. Che è arrivato il momento di svegliarsi, e di affrontare la vita vera. Quella difficile, che fa soffrire ed impazzire, che ti tira i capelli. Ma anche piena di meraviglie, e che ti regala un sorriso anche nei momenti più difficili. Quella che comunque, nel bene e nel male, ti fa sognare. Un lampo, però, attraversò lo sguardo dell’uomo. Un pensiero doveva averlo allontanato dalla realtà, per farlo riprecipitare nel suo incubo.
<< Chris, però è morto, professoressa Cristillo. E il destino non potrà mai riportarlo indietro >>, affermò con dolore e abbassando gli occhi.
<< Già, è vero. Lui è morto. E a quanto pare, insieme a lui è morto anche lei, preside >>, mormorai dispiaciuta.
<< Chi è che non muore, quando perde una persona fondamentale per la propria esistenza? >>, domandò ironico.
<< Nessuno muore, preside. Volenti o nolenti, noi restiamo ancora qui. E che ci piaccia o no, prima o poi dobbiamo accettarlo >>, dichiarai con saggezza.
L’uomo alzò di scatto il volto, tornando a fissarmi. Di tutte le parole che avevo pronunciato, quelle ultime proprio non se le aspettava. In passato non avrei mai potuto dire una cosa simile. Un pensiero così assurdo, e così veritiero. Ma in quel momento, con la vita che avevo condotto, finalmente avevo appreso una delle verità più assolute. Io ero viva. E solo questo doveva essere per me fonte di gioia. Perché la vita risplende sempre in tutta la sua bellezza, e quando tocca i nostri cuori, ci abbaglia come il più forte dei raggi solari. Ed io ero stata accecata completamente, dopo l’incontro con Ianto. Il mio personale sole. Tutta la mia esistenza la dovevo solo a lui.
<< Lei sul serio crede in queste sue parole? >>, domandò scettico il preside.
<< Completamente >>, annuii sorridendo dolcemente. << Ho trent’anni, e un’intera vita da vivere mi sta aspettando. Non lascerò mai più che il passato mi abbatta. E anche lei non dovrebbe lasciarsi abbattere. Ha ancora molti anni davanti a se, e li sta sprecando tutti quanti >>.
L’uomo mi fissò sempre più confuso. Non aveva mai pensato di sperare in qualcosa, glielo leggevo dallo sguardo. Ma doveva sapere a cosa stava rinunciando. Doveva capire che si stava avvicinando sempre di più alla sua fine, senza aver mai fatto qualcosa di reale in vita. Ammiravo il preside per moltissime cose, ma sotto altri aspetti era solo un debole. E da lui, questo proprio non potevo accettarlo.
<< Ho quasi cinquantuno anni, professoressa. Non credo sia possibile per me ricominciare in età così avanzata >>, sospirò malinconicamente.
<< Sbaglia a credere questo. Mezzo secolo l’ha sprecato nel rimpianto, le resta ancora l’altro. Ritorni a vivere, preside. Chris avrebbe voluto così >>, esclami con immensa dolcezza, sorridendogli con tutto l’affetto possibile di cui disponevo.
Ma l’uomo abbassò lo sguardo, ritornando triste e pensieroso. Un altro lampo lo aveva attraversato, e mi resi conto che quello che stava provando era puro dolore. Il cuore mi si strinse, nel vederlo ridotto in quel modo. Avevo sempre saputo che qualcosa ci accumunava, ma la ferita del preside era molto più profonda della mia. Perché era ingigantita dal senso di colpa.
<< Se io avessi scelto Chris, e avessi seguito il mio cuore, lui ora sarebbe al mio fianco >>, sussurrò disperato. << Invece, come ha detto lei, sono stato codardo. E mi pento ogni giorno della scelta che ho compiuto. Ma non posso tornare indietro >>.
Calde lacrime bagnarono il viso dell’uomo che avevo di fronte. La sua maschera si distrusse poco a poco, rivelando il vero volto del preside. Una persona piccola e debole, con tanta sofferenza in corpo, da riempire il mondo intero. Ma a me quel suo atteggiamento mi infastidiva. Piangersi addosso non serviva a niente. Mi dispiaceva per lui, e soffrivo nel vederlo ridotto in quello stato. Volevo bene al preside. Ma se non avesse cambiato la sua vita, le cose sarebbero sempre rimaste le stesse. E se io avevo trovato il coraggio di cambiare, allora tutti potevano farlo. Era solo una questione di scelte. Difficili e dolorose, e bisognava disporre di molto coraggio, ma erano solo queste. Scelte fatte da noi, per migliorare la nostra vita.
<< E continuare a rimpiangere il passato, cambierà le cose? O forse le peggiora soltanto? Vede, è tutta una questione di scelte. A diciassette anni ha scelto la sua famiglia, invece che il suo cuore. E adesso sceglie di piangere per la morte di qualcuno, invece che cercare di vivere anche per essa >>, esclamai duramente. Nella mente si affacciarono i volti di tutte le persone che avevo perso, e che mai più sarebbero tornate. Poi guardavo l’uomo davanti a me, e vedevo quanta vita veniva sprecata. E lui doveva saperlo. << In questo momento sto pensando a mia zia, a mio marito, ai genitori di Ianto e sua sorella, a Vincenzo, a Christian… ognuno di loro desiderava vivere con tutto il cuore. Alcuni sono morti per malattia, altri in incidenti, altri ancora hanno scelto di andarsene. Ma nessuno di loro voleva davvero morire >>, una lacrima rigò il mio volto. Pensare a chi non c’era più, mi faceva sempre soffrire immensamente. << E poi c’è lei, che nonostante sia ancora vivo, preferisce morire lentamente, giorno per giorno. E questo mi fa molta rabbia >>, mi alzai dalla sedia, incamminandomi verso la porta. Prima di uscire, però, mi voltai nuovamente, guardando con tristezza l’uomo che avevo di fronte. << Smetta di sognare, e ritorni nella vita vera. Affronti le sue paure, e faccia finalmente la cosa giusta. Il destino le sta offrendo una nuova occasione. Può scegliere un'altra volta, e chiudere definitivamente col passato >>.
Detto ciò, diedi le spalle al preside, ed uscii dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle. Mi ci appoggiai contro, respirando profondamente. Quella conversazione mi aveva prosciugata delle mie forze, ma non potevo lasciarmi abbattere. L’assemblea si sarebbe tenuta comunque, nonostante i miei sforzi, ed io dovevo salvare Roberto. E, con un po’ di fortuna, forse sarei riuscita a salvare anche Paolo. Riflettendoci meglio, avevo bisogno di molta fortuna. Sospirai mestamente, pensando al da farsi, quando un rumore attirò la mia attenzione. Un singhiozzo forte, proveniente da dietro la porta alla quale ero appoggiata. Senza farmi sentire, applicando tutte le tecniche di spionaggio che avevo appreso in quegli ultimi mesi, spiai l’interno della presidenza. Quello che vidi mi lasciò senza fiato. Il preside, distrutto dal dolore, piangeva disperatamente. Tra le mani stringeva una foto. Potevo solo immaginare cosa ci fosse raffigurata, ed ero certa che ritraeva Chris. L’uomo tremò leggermente, singhiozzando sempre più forte.
<< Mi dispiace >>, sussurrò tra le lacrime. << Mi dispiace tanto, Chris >>, altre lacrime sgorgarono dai suoi occhi, bagnando la cornice che stringeva tra le mani. << Mi manchi >>.
Bastarono quelle ultime parole, per farmi chiudere la porta. Cominciai a piangere silenziosamente. Ero profondamente addolorata per il preside, e desiderai con tutto il cuore che finalmente la pace lo andasse a trovare. Anche io, come Chris, volevo che fosse felice, ma non dipendeva da me, ne da nessun’altro. Solo quell’uomo poteva scegliere di essere felice. Solo lui poteva trovare nel cuore la forza di ricominciare. Come avevo fatto io, come aveva fatto Ianto, oppure Roberto. O come tutti i ragazzi della mia classe, che avevano scelto di essere felici. Solo Paolo stava rinunciando a questo suo diritto, e le conseguenze di tale situazione erano davvero troppo pesanti, per essere ignorate. Perciò mi diedi un pizzico sulla pancia, asciugai con furia le lacrime, e cominciai a camminare con passo spedito verso la mia aula. Erano ormai le nove passate, perciò mancavano poche ore a quella maledettissima riunione. Arrivai in pochi minuti davanti alla mia classe. Ma prima di aprire la porta, sospirai forte, cercando di farmi forza. Poi con un gesto secco, la spalancai entrando nell’aula. Per un attimo, avevo temuto di trovare un macello li dentro. Del tipo aerei di carta che volano, gente che si rincorreva come cretini, urla e schiamazzi di ogni genere. Per fortuna, invece, niente di tutto ciò si era avverato. Certo, non erano silenziosi nei propri banchi, ma i miei alunni si stavano comportando come normali adolescenti. Ognuno di loro si era riunito col proprio gruppo per scambiarsi quattro chiacchere. La cosa che mi colpii in modo positivo, fu vedere come queste divisioni si erano poco a poco rimpicciolite. Ricordo ancora il primo giorno in classe, quando vedendoli, mi resi conto che tra quei ragazzi non ci fosse unità. Erano divisi per file, e tra i vari banchi sembrava ci fosse un muro. Invece, vederli in quel momento, mi fece battere forte il cuore. Tranne qualche soggetto del gruppo dei figli di papà, come avevo preso a chiamarli, il resto era più o meno riunito intorno al banco di Ianto e Roberto. Questi due, infatti, erano rientrati durante la mia assenza. Ridevano e scherzavano come sempre, anche se un velo di tristezza aleggiava sulle loro teste. Infatti, vi era un’unica nota stonata in quel bellissimo quadro. Paolo era distaccato da tutti loro. Occupava il primo banco sulla fila di estrema destra, quella vicino alle finestre. Guardava il cielo con aria triste e malinconica. Sembrava stesse per trattenersi dal piangere ed urlare. Sospirai tristemente nel vederlo in quello stato, ma non sapevo davvero che fare. Una piccola idea mi balzò alla mente. Non era un granché, ma forse sarebbe servito a qualcosa.
<< Ragazzi, tornate ognuno ai propri posti >>, esclamai, prendendo posto alla cattedra.
I giovani, appena resisi conto della mia presenza, obbedirono senza tante cerimonie. Ianto mi fissò intensamente, cercando di leggermi nel pensiero. Era curioso di sapere cosa fosse successo, e perché avevo gli occhi rossi di pianto. Ricambiai lo sguardo, cercando di trasmettergli i miei pensieri. Volevo che si tranquillizzasse, non volevo farlo preoccupare. Il mio messaggio, come sempre, arrivò al mittente e il giovane dagli occhi di ghiaccio sorrise più tranquillo, ma sempre curioso. Adoravo questa nostra strana telepatia. Era una connessione a livello del cuore. Eravamo sempre più uniti, e niente e nessuno avrebbe potuto separarci. Accennai un leggero incurvamento delle mie labbra a quei pensieri così sdolcinati, e tuttavia tremendamente veritieri. Niente al mondo era più reale e sincero dell’amore che io e Ianto nutrivamo l’uno per l’altro. Poi, involontariamente, il mio sguardo cadde sulla figura di Paolo, e poi su quella di Roberto, e ricordai in che situazione eravamo. Perciò mi alzai dalla sedia, posizionandomi davanti alla cattedra, e appoggiandomici contro.
<< Bene, visto che a mezzogiorno dovremmo presenziare tutti alla riunione straordinaria o assemblea o come vogliamo chiamarla, direi che è inutile svolgere le lezioni odierne >>, esordii con fermezza. Un boato di gioia stava per esplodere in classe. Qualsiasi alunno sarebbe stato felice se le lezioni fossero state sospese. << Ma ne faremo una diversa dal solito >>, continuai, spegnendo immediatamente l’entusiasmo dei ragazzi. << Quanto ne sapete voi di letteratura romantica? >>, domandai di botto, guardando ciascuno di loro.
Questi mi fissarono per qualche secondo, senza capire bene il perché della mia domanda. Giustamente eravamo in una scuola prettamente scientifica, e di conseguenza la letteratura era sottovalutata.
<< Non capisco che intende, prof >>, domandò scettico Nicola.
<< Sto chiedendo cosa ne sapete dei classici romantici. Figure storiche famose la cui passione amorosa li ha portati alla distruzione. Il grande amore che infesta le pagine dei nostri libri preferiti. Insomma, quanto conoscete voi di questo argomento >>, spiegai sorridendo enigmatica.
<< Credevo non le piacesse insegnare la letteratura, prof >>, affermò perplesso Ianto. Entrambi ricordammo una delle lezioni dei primi tempi, quando io e il giovane litigammo proprio su questo. Quello fu l’inizio della nostra storia.
<< Vero, non mi piace molto insegnarla, perché sono molto razionale e scientifica nelle mie cose >>, confermai prontamente. << Ma ho una passione per i romanzi, di ogni genere. Leggo molto, in verità. E di conseguenza conosco abbastanza l’argomento di cui vi sto parlando >>.
Lanciai un’occhiata verso Paolo e Roberto, captando le loro reazioni. Come previsto, erano parecchio disinteressati, ma presto avrebbero concesso tutta la loro attenzione alle mie parole.
<< Allora, vediamo quanto siete preparati >>, cominciai a pensare riflettendo. << Bingo! >>, esclamai trovando un riferimento calzante. << Chi di voi conosce la storia di Achille e Patroclo? >>, domandai rivolgendomi ai miei alunni.
Quasi tutti loro mi guardarono stralunati, incapaci di comprendere cosa volessi dire. Paolo, però, cominciò a fissarmi intensamente, con la fronte corrucciata e gli occhi pieni di interrogativi.
<< L’Iliade? È questa la sua domanda? >>, chiese scettico Carlo.
<< No. Sto chiedendo chi conosce la storia di Achille e Patroclo. Nessuno di voi sa niente a riguardo? >>, continuai sempre più decisa.
<< No, prof. Ci sfugge il riferimento >>, negò Mario con un sorriso innocente.
<< Bene. Achille e Patroclo, si narra fossero cugini. Ma oltre al rapporto familiare, viene descritto un legame superiore >>, spiegai incrociando le braccia al petto. L’intera classe sembrava davvero presa dalle mie parole. Tutti stavano ascoltando la storia, tranne Roberto. Ma presto avrei avuto anche la sua di attenzione. << Si narra che tra i due ci fosse una grande amicizia, un amore fraterno. Ed anche un amore di tipo omosessuale >>, a quel punto il giovane dagli occhi verdi scatto di colpo, fissandomi negli occhi, sbalordito. Lo stesso stupore lo lessi negli occhi di Paolo. Ianto, invece, sorrise divertito, comprendendo subito lo scopo della mia lezione. << I due erano davvero legati. Achille considerava Patroclo un suo pari, un degno compagno. Il loro rapporto era unico >>
<< Scusi, prof, ma Achille non era legato sentimentalmente a Briseide, o come diavolo si chiama? >>, chiese perplesso Marco.
<< Ci sono diverse versioni, in cui vi è un unico punto comune. Il legame tra i due cugini. Che poi fosse di tipo amoroso o fraterno, vi sono varie interpretazioni. Ma il punto fondamentale è questo. I due si amavano, e quando Patroclo muore, il cuore di Achille viene dilaniato dal dolore. La guerra di Troia è anche questo. La vendetta del più grande guerriero, per aver perso il suo amato compagno >>, spiegai sorridendo dolcemente.
Paolo e Roberto si drizzarono sempre di più sulla sedia. Quell’argomento toccava profondamente i loro cuori, perché entrambi stavano per perdere l’amore della loro vita. Volevo che comprendessero a cosa andavano incontro. E avrei dato fondo a tutte le mie conoscenze per perpetuare il mio scopo.
<< Oppure chi non conosce la struggente storia tra Ettore ed Andromaca, costretti dal fato a doversi separare. La morte di lui, fa si che nel cuore della donna ci sia uno strappo tale, da renderle difficili e impossibili da sopportare i giorni a venire >>, continuai la mia filippica fissando con intensità i miei alunni. << Oppure Alessandro ed Efestione, il cui amore è ricordato con passione e dolcezza. Ed anche il loro destino tragico, ci fa comprendere quanto siano stati legati profondamente >>, a quel punto spostai lo sguardo su Paolo e Roberto. Entrambi sembravano davvero coinvolti dalle mie parole. Speravo di convincerli a fare la scelta giusta, portando loro esempi di amori tragici. << Chi non ricorda il mito di Amore e Psiche, la cui storia è piena di travagli e sofferenze e prove da affrontare, in nome del sentimento che provavano entrambi >>, una lacrima cadde dagli occhi nocciola di Paolo, ma questi l’asciugò prontamente. << Tristano e Isotta, Ginevra e Lancillotto, Paolo e Francesca… tutti loro hanno dovuto affrontare enormi battaglie per il proprio amore. E quasi tutti hanno perso >>, commentai mestamente continuando a guardare i due giovani. Roberto era una maschera di dolore, mentre Paolo cercava in tutti i modi di sforzarsi e non piangere. Odiavo vederli ridotti in quello stato. << Per non parlare di Romeo e Giulietta >>
<< Scusi, prof >>, esordì Ianto, attirando la mia attenzione. << Ma Romeo e Giulietta non se la sono, in un certo senso, cercata la fine che hanno fatto? >>, domandò fintamente curioso.
Sorrisi mentalmente, per l’arguzia e l’intuito che quel ragazzo dimostrava sempre. Quella era la storia che più calzava per i due giovani e Ianto aveva subito preso la palla al balzo.
<< Si, Ianto, hai ragione. In un certo senso i due se la sono cercata la fine tragica che hanno fatto >>, confermai sorridendo dolcemente. Poi spostai nuovamente lo sguardo su Paolo e Roberto. << Se avessero avuto un po’ di forza e coraggio, avrebbero potuto affrontare i loro genitori, e vivere appieno il loro amore. Ma sono stati codardi, ed hanno preferito la morte alla possibilità di stare insieme >>, spiegai con durezza.
I due ragazzi trattennero rumorosamente il fiato. Quella storia era tutta loro. Paolo non riusciva a sfidare i genitori, e Roberto aveva scelto di morire piuttosto che vivere senza il fidanzato. Due atteggiamenti davvero stupidi, ma che stavano portando a conseguenze davvero disastrose. E dovevano prenderne atto. << Bisogna sempre fare fronte alle conseguenze delle nostre scelte. E quello che possiamo fare è: o vivere da codardi come Romeo e Giulietta, o combattere come veri guerrieri come Achille e Patroclo. La scelta è solo nostra >>, commentai sprezzante.
Paolo e Roberto abbassarono mestamente il capo, in contemporanea, ammutoliti ed imbarazzati per le mie parole. Avevo colto nel segno, e forse quella lezione senza capo ne coda, poteva averli aiutati in qualche modo. Sapevo che lo scoglio maggiore sarebbe stato affrontare l’assemblea, ma almeno potevo dire di aver tentato quasi tutto per far rinsavire quei due ragazzi. Perciò presi un profondo respiro, e continuai a parlare di storie d’amore della letteratura.
 
Guardai l’orologio al polso, costatando che ormai non c’era più tempo. Era mezzogiorno meno dieci, ed avevo passato l’intera mattinata a discorrere su miti antichi, e storie d’amore tragiche. Mi sono sentita anche un po’ stupida nel fare una lezione simile, data la quantità di smancerie affrontate, ma ne era valsa la pena. Leggevo negli occhi di Roberto una nuova consapevolezza. Forse c’erano delle speranze per lui, forse avrei potuto fargli cambiare idea. La vedevo difficile, invece, con Paolo perché, nonostante avesse compreso tutte le mie parole, lo sguardo terrorizzato che aveva non era minimamente mutato. Sospirai frustrata per quella situazione del cavolo, e pregai con tutte le mie forze che le cose andassero bene. Avevo ancora quella strana sensazione, provata sin dalla mattina, che non accennava ad abbandonarmi. Ancora non capivo se fosse un qualcosa di positivo, o negativo, ma presto lo avrei scoperto.
<< Bene ragazzi, è meglio fermarsi qui. Tra dieci minuti comincia l’assemblea, e come tutti sappiamo, certi soggetti devono essere presenti obbligatoriamente >>, affermai con sarcasmo, lanciando un’occhiata verso Paolo e Roberto.
Questi due si strinsero nelle loro sedie, cercando di farsi invisibili. Sapevamo che presto sarebbero finiti sulla bocca di tutti. Perciò mi preparai mentalmente a ciò che avremmo affrontato. Osavo mettermi in mezzo perché i due giovani erano miei cari amici, e perché volevo loro un gran bene, e poi perché ero solita cacciarmi sempre nei guai. E in quello mi ci sarei tuffata interamente, senza neanche una qualsiasi precauzione. Saremmo affogati tutti nella merda, di sicuro. Guardai velocemente Ianto, notando quanto fosse agitato, e capii dal suo sguardo che voleva parlarmi. Viva la telepatia! Pensai.
<< Ok, preparatevi e cominciatevi ad avviare. Nicola sei il responsabile >>, affermai rivolgendomi al giovane.
<< Ma come, prof, ancora? Ma perché sempre io? >>, si lamentò il ragazzo.
<< Perché sei il più responsabile, il rappresentante degli studenti, e perché ho deciso così >>, affermai con forza.
Nicola sbuffò sonoramente, ma alla fine annuì. Sorrisi divertita per il suo atteggiamento ancora infantile, e lo ringraziai di cuore. Vidi sfilare uno ad uno i miei alunni davanti agli occhi. Paolo non mi guardò neanche per un’istante, mentre Roberto  vedendomi sorrise mestamente. Ricambiai quel gesto, augurandogli tutta la fortuna di questo mondo. Alla fine, quando uscirono tutti, in aula restammo solo io e Ianto.
<< Allora, dove sei andata? >>, domandò prontamente il giovane dagli occhi di ghiaccio, avvicinandosi.
<< Dal preside >>, spiegai cominciando a sistemare la mia roba.
<< A fare che? >>, chiese perplesso.
<< Cercavo di convincerlo a cambiare idea, ad annullare l’assemblea, a fare qualcosa insomma! >>, esclamai alzando sempre di più la voce.
Ianto allungò una mano, accarezzandomi dolcemente la guancia. Adoravo il contatto fisico con lui, e soprattutto era assuefatta alle sensazioni che il suo corpo mi trasmetteva.
<< Dal tuo sfogo, deduco che è stato un buco nell’acqua >>, commentò mestamente il giovane.
<< Un gigantesco buco >>, confermai sospirando. << Tu, piuttosto, novità con Roberto? Sei riuscito a convincerlo? >>
<< Macché. Stanotte non abbiamo chiuso occhio. Era furioso, agitato, addolorato e tante altre cose… ho avuto la nausea nel guardarlo fare avanti e indietro per tutta la notte >>, dichiarò stancamente.
<< Insomma pare proprio che sia la fine >>, sputai acidamente, portando le mani ai fianchi.
<< Non è da te arrenderti così >>, affermò divertito Ianto.
<< E che altro dovrei fare, sentiamo? Hai qualche idea brillante da propormi? >>, domandai sarcastica.
<< No >>, negò tranquillamente il giovane. Poi portò entrambe le mani al mio volto, costringendomi a guardarlo. I suoi occhi erano incredibilmente luminosi e fiduciosi. Erano spettacolari. << Ma so che tu, come sempre, troverai una soluzione. Lo fai sempre. Vedrai che ti verrà un’idea all’ultimo minuto >>.
Lo guardai cercando di avere un po’ della sua fiducia, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare era che dovevo fare fuori nella maniera più brutale i genitori di Paolo. Non sarebbe stato un gran danno per l’umanità.
<< Tu dici? >>, domandai poco convinta.
<< Io dico >>, confermò Ianto.
Lo guardai ancora per qualche istante, poi annuii abbassando la testa. Prontamente le braccia del giovane mi circondarono la vita, stringendomi contro il suo petto. Mi aggrappai con forza alla sua maglia, annusando l’odore del giovane e  beandomi di quel gesto carico d’amore. Ianto prese ad accarezzarmi i capelli e la schiena. Mi sentivo incredibilmente bene. Avrei potuto fare qualsiasi cosa, se quel ragazzo era al mio fianco. Sorrisi per la nuova forza che avvertivo nelle vene, ed ero pronta a dare battaglia. Avrei salvato Paolo e Roberto, in un modo o nell’altro. Nel mio intimo, però, speravo che fossero quei due a salvarsi. Cosi facendo, avrebbero dimostrato l’amore che entrambi provavano l’uno per l’altro.
<< Forza, è ora di andare >>, mormorò tra i miei capelli Ianto.
Annuii con la testa, e mi staccai lentamente dal giovane. Avrei dato qualsiasi cosa per baciarlo, ma quello non era ne il momento ne il luogo adatto. Perciò lo fissai intensamente negli occhi, trasmettendogli tutto l’amore che provavo. Ianto ricambiò il mio sguardo, sorridendomi amorevolmente. Passarono vari minuti, in cui restammo in quella posizione, poi all’unisono ci incamminammo verso la palestra. Per tutto il tragitto restammo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa per risolvere quel guaio. Ma non sapevo molto bene cosa. Sentivo solo che il mio cervello stava cominciando a partorire un’idea. Ma non era ancora ben delineata. Mi stavo ancora arrovellando su quei pensieri, quando arrivammo davanti alla palestra. All’entrata e nel disimpegno vi era un gran via vai di gente, caos da tutte le parti, persone che ridevano e scherzavano. Genitori, alunni, insegnanti… erano presenti tutti. Rimasi scioccata da tutto quel baccano, ma soprattutto non mi aspettavo che venisse tutta quella gente.
<< Sembra che stiano per assistere ad uno spettacolo del circo >>, commentai amaramente.
<< Per questa gente i pettegolezzi sono paragonabili davvero ad uno spettacolo del circo >>, confermò Ianto sprezzante.
Continuai a voltarmi intorno, quando improvvisamente i miei occhi si posarono su una persona in particolare. Era agitata, con lo sguardo vacuo ed un’espressione sofferente che mi strinse profondamente il cuore. Paolo era immobile al centro del disimpegno, fissava con forza il pavimento incapace di fare qualsiasi cosa. Scappare o restare ed affrontare quella situazione. Vederlo li, agitato e triste, fece scattare qualcosa nel mio cervello. Improvvisamente l’idea sfocata che avevo in mente, prese forma e colore, delineandosi in tutti i suoi particolari. Ora sapevo cosa dovevo fare.
<< Ianto, vengo subito >>, decretai infine, cominciandomi ad allontanare per raggiungere Paolo.
Qualche passo, e gli arrivai di fronte. Il giovane, sentendosi fissare, alzò lo sguardo puntandolo nel mio. Gli occhi erano velati da lacrime mal trattenute. Sarebbe esploso molto presto.
<< Prof >>, sussurrò con dolore.
<< Sai, stavo ricordando una cosa >>, cominciai con forza.
<< Cosa? >>, domandò con voce tremante.
Lo fissai ancora per qualche minuto, cercando di scorgere in quel ragazzo, la figura che avevo imparato a voler bene nei mesi passati. Ma tutto quello che vedevo era il pallido riflesso di quel giovane. Sospirai affranta per quella consapevolezza.
<< Ricordavo quando il giorno di natale sei venuto a casa mia >>, spiegai duramente.
Paolo mi fissò per qualche secondo, senza capire cosa stessi dicendo.
<< Non capisco >>, mormorò confuso.
<< A natale sei venuto a casa mia, perché volevi parlarmi. Mi dicesti che volevi fare l’amore con Roberto ma che questi non era d’accordo. Io ti risposi “state insieme da poco, aspetta”. Ti ricordi cosa mi dicesti? >>, domandai fissandolo intensamente. << Dicesti che avevi atteso quattro anni, e che avevate rischiato tanto prima di mettervi insieme. Lo volevi a tutti i costi, perché desideravi che Roberto fosse felice. Gli volevi concedere la tua prima volta >>, affermai sprezzante.
Paolo tremò leggermente, incapace di sostenere quella conversazione.
<< Non capisco dove vuole andare a parare >>, mormorò timoroso. Abbassò lo sguardo, stringendo i pugni.
<< Ti spiegai che per voi il rapporto sessuale sarebbe stato diverso, rispetto al resto delle coppie >>, continuai ignorando le reazioni del giovane. << Ti dissi che non avreste potuto fare molte cose >>
<< La prego >>, sussurrò sofferente Paolo.
<< Non potevi assaggiarlo, ne sentirlo dentro di te senza protezione, che sarebbe stato difficile >>, affermai sempre più duramente, senza ascoltare i lamenti del ragazzo.
<< La supplico, basta >>, lo vidi chiudere gli occhi, cercando di trattenere le emozioni troppo forti.
<< Ti dissi che avreste vissuto costantemente con la paura che tu potessi essere contagiato, o che lui potesse peggiorare >>, il cuore mi batteva forte nel petto. Odiavo vedere Paolo ridotto in quello stato, ma non potevo fare altrimenti.
<< Perché mi dice tutte queste cose? >>, domandò furente il giovane, alzando di scatto lo sguardo. Ormai le lacrime scorrevano sul suo viso incessantemente.
<< Ti ricordi cosa mi rispondesti? >>, lo ignorai, addolcendo la voce e lo sguardo. Paolo trattenne il respiro, ripensando a quel momento. << Io lo ricordo bene. Mi dicesti che non ti importava niente di tutto questo. Che lui era tutto ciò che desideravi >>, mi avvicinai di qualche passo, fissandolo intensamente. << Che avresti affrontato ogni cosa per Roberto, perché lui era tutto il tuo mondo >>, il giovane dagli occhi nocciola strinse forte gli occhi, cercando di placare il dolore che sentiva. Ma sembrava non avere molto successo. Allungai una mano, e la poggiai sulla guancia del ragazzo, asciugandogli qualche lacrime. Paolo lentamente, aprì gli occhi e mi fissò con dolore. Faceva male vederlo in quello stato, ma dovevo proseguire. << Il ragazzo che venne da me a natale, aveva giurato eterno amore al proprio fidanzato. Dov’è finito ora quel giovane? Lui avrebbe lottato per il suo amore. Perché tu non riesci a fare altrettanto? >>, domandai mestamente. Paolo pianse ancora più forte nell’udire quelle mie parole. Sembrava che lo stessero smuovendo dentro, e speravo ardentemente di ottenere un qualsiasi risultato. << So che in questo te, c’è quel giovane che venne da me quel giorno. Tiralo fuori, Paolo, ed abbi il coraggio di seguire il tuo cuore >>.
Poi, lentamente, tolsi la mano dal viso del ragazzo, e mi incamminai verso il centro della palestra. Non mi guardai indietro, ma le mie orecchie potevano ben udire i singhiozzi mal trattenuti che Paolo stava emettendo. Presi un profondo respiro, e andai a sedermi alla mia sedia, al centro di quel tribunale improvvisato. Adocchiai subito Ianto, seduto sugli spalti, insieme al resto della classe. Di fronte a me vidi sedersi Roberto. Quello che mi lasciò perplessa fu vederlo solo senza la presenza della madre. Quando i nostri sguardi si incontrarono, domandai a bassa voce dove fosse la donna. Il ragazzo impiegò qualche minuto per capire, poi mi indicò un posto sugli spalti. Allungai lo sguardo, e dopo qualche minuto di ricerca, vidi la madre del ragazzo seduta e in preda all’agitazione. Due ipotesi si affacciarono alla mia mente, per spiegare quella situazione. O Roberto non voleva la presenza della madre accanto, oppure gli era stata negata anche quella figura. Il mio istinto mi suggeriva che la seconda alternativa era quella esatta. Inspirai profondamente cercando di trattenere la rabbia. Avevano tolto ogni figura di appoggio a Roberto, sperando di lasciarlo solo ed indifeso. Ma non avevano contato me. Con quei pensieri bellicosi, guardai le varie figure disporsi attorno al tavolo. Tutti gli insegnanti si domandavano cosa fosse successo, da organizzare quell’assemblea straordinaria. Anche gli spalti e le sedie poste al centro della stanza, si riempirono. Tutti ci osservavano silenziosi, cercando di capire cosa fosse accaduto. Infine entrò il preside seguito dai genitori di Paolo e quest’ultimo. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene, vedendo quelle due figure. Erano come me l’ero sempre immaginate. Finte, altezzose, ritoccate in ogni aspetto e con la puzza sotto il naso. Come poteva Paolo scegliere loro invece che il fidanzato? Quando i nuovi giunti si accomodarono ai propri posti, il preside accese il microfono, e cominciò a parlare.
<< Alunni e genitori di questa scuola. Siamo qui riuniti oggi per discutere di una faccenda delicata. Alla mia attenzione, è stata portata una denuncia contro un vostro compagno >>, l’uomo indicò Roberto. << Il qui presente, Roberto Storti, è stato accusato di… >>, ma non continuò la frase, guardando tutti i presenti. Poi prese un respiro e continuò. << … è stato accusato di aver molestato sessualmente il compagno Paolo Gabetti >>.
Un forte brusio si levò dagli spalti e dalle sedie. Lanciai un ultimo sguardo a Ianto, e poi tornai a fissare sia Roberto che Paolo. Il primo aveva un’espressione forte, coraggiosa. Avrebbe sopportato stoicamente tutta quella situazione. Il secondo, invece, aveva il viso abbassato. Potevo, però, notare quanto fosse rosso ed imbarazzato. Ma soprattutto tremendamente dispiaciuto per tutta quella situazione. Qualcosa sembrava mutato in quel volto. Era come se improvvisamente sembrasse confuso. Mi chiedevo perché.
<< SILENZIO! >>, urlò il preside. L’intera stanza sprofondò nel silenzio totale. L’uomo annuì soddisfatto. << Ora i genitori del suddetto Gabetti, avanzano la richiesta di espulsione del giovane Storti. Siamo riuniti per valutare la questione. Per capire se l’accusa è fondata, e soprattutto dobbiamo comprendere il da farsi >>, continuò l’uomo con freddezza.
Cominciò a far vagare lo sguardo in ogni direzione. Quando poi i nostri occhi si incontrarono, scorsi anche in quel viso qualcosa di nuovo. Corrucciai la fronte chiedendomi cosa fosse successo. Possibile che le mie parole avessero scosso nel profondo sia il preside che Paolo? Speravo ardentemente che la risposta fosse si.
<< Ora, lasceremo parlare i genitori del signor Gabetti, e sentiremo cosa hanno da dire >>, decretò infine l’uomo, tornando a guardare quelle due figure che odiavo.
Questi si alzarono dalle loro sedie, con tutta la loro presunzione ed arroganza. Guardarono con disgusto Roberto, e accesero infine il microfono che avevano di fronte.
<< Nostro figlio è sempre stato un ragazzo posato, a modo. Normale! >>, cominciò la madre, con la sua voce stridula e fastidiosa. La odiavo sempre di più. << Da qualche tempo a questa parte, però, è cambiato. È diverso. Ma soprattutto, è un ragazzo infelice >>, a quelle parole avrei voluto alzarmi e tirarle un pugno su quel naso rifatto.
<< Noi, da bravi genitori quali siamo, abbiamo cominciato ad indagare. Volevamo sapere cosa gli fosse capitato >>, continuò il padre. Un conato di vomito mi attraversò, sentendo sempre di più crescere la rabbia. Come potevano essere così ipocrite quelle due figure? Più le vedevo e più sentivo in me il desiderio di farle a pezzettini. Un sorriso però mi scappò. L’espressione scettica e sarcastica di Roberto era impareggiabile. Adoravo quel ragazzo. << Indagando, abbiamo scoperto che nostro figlio frequentava questo suo compagno di classe, Roberto Storti. ‘Sono amici, che male c’è?’ Ci siamo detti io e mia moglie >>, lo vidi stringere forte i pugni, facendo divenire bianche le nocche. << Quando poi, la settimana scorsa siamo tornati a casa, abbiamo scoperto la verità >>, urlò con rabbia.
La moglie cominciò a piangere, versando giusto due lacrime, ma facendo una scena degna di un’attrice professionista. Il marito cominciò a consolarla con dolcezza, posandole un braccio sulle spalle. Sembrava di stare assistendo ad una sceneggiata di bassa lega. Erano due veri bastardi. Lanciai uno sguardo verso Paolo, e lo vidi rosso fuoco, intento a fissare allibito i due genitori. Evidentemente, quelle scene affettuose dovevano essere rare in casa sua.
<< Signora si controlli, la prego >>, affermò con calma il preside. I due si ricomposero e guardarono l’uomo. << Continui, signor Gabetti >>
<< Si >>, annuì il padre di Paolo. Poi prese un profondo respiro, e continuò a parlare. << Siamo tornati a casa, e abbiamo visto quell’essere >>, ed indicò, indignato e con disprezzo Roberto. << Sdraiato sopra nostro figlio, che lo violentava con forza >>, nuove voci partirono dagli spalti, scioccati e disgustati. Il giovane dagli occhi verdi era allibito da quella storia inventata. Ed anche io non potevo crederci. Voltai lo sguardo, cercando Ianto. Quando lo trovai notai la stessa espressione perplessa e arrabbiata che avevo anche io.
<< Ordine! ORDINE! >>, urlò il preside, cercando di calmare la situazione.
Paolo abbassò lo sguardo, incapace di poter assistere ad altre scene. Sembrava sul punto di svenire. Se non gli avessi voluto così bene, lo avrei preso a calci nel sedere. << Quindi questa è la vostra versione dei fatti? >>, domandò il preside.
<< Si >>, confermarono i due genitori.
<< Bene. Allora adesso ascolteremo la controparte >>, ed indicò Roberto, invitandolo ad alzarsi.
<< Grazie, preside >>, affermò con calma il ragazzo dagli occhi verdi, alzandosi dalla sua postazione. Prese un respiro, poi guardò prima me, poi il preside, Paolo, ed infine i genitori di quest’ultimo. << La verità è che Paolo ed io ci amiamo, e quel giorno eravamo andati a casa sua per fare l’amore >>, spiegò con forza. Un terzo schiamazzo partì dagli spalti, ancora più sconvolti per la piega che aveva preso quella storia. Non sapevo se ridere per come si stavano svolgendo le cose, o essere disgustata per la brama di pettegolezzi che quella gente voleva. Però fui molto orgogliosa di quel giovane. Aveva dichiarato senza remore l’amore che provava verso il fidanzato. Lanciai uno sguardo al giovane dagli occhi nocciola, e lo vidi torturarsi le mani, cercando di trattenersi dal piangere. << Comunque quel giorno non abbiamo fatto nulla, perché i suoi genitori sono arrivati prima, e ci hanno fermati cacciando di casa me a forza di pugni, e rinchiudendo Paolo in camera sua >>
<< NON E’ VERO! BUGIARDO SCHIFOSO! >>, urlò la madre con furia.
<< E’ la verità >>, affermò invece Roberto.
<< Sei solo un bastardo omosessuale, tu. Un bastardo che ha approfittato di nostro figlio >>, tuonò con forza il padre.
<< Sarò un bastardo omosessuale, ma almeno io voglio davvero bene a Paolo, a differenza vostra. Io lo amo! >>, dichiarò con profondo amore e immensa certezza il giovane dagli occhi verdi. Ogni minuto che passava mi sentivo sempre più orgogliosa di lui.
Paolo, udendo quelle parole, alzò di scatto lo sguardo, puntandolo negli occhi di Roberto. I due si fissarono per svariati minuti e riuscii a percepire, soltanto vedendoli, quanto amore entrambi provavano l’uno per l’altro.
<< Tu l’hai violentato, figlio di puttana! >>, gridò con forza il padre.
<< Dovresti sparire dalla faccia della terra, mostro! >>, continuò con voce più alta la madre.
A quelle parole, non riuscii più a trattenermi, così mi alzai dalla sedia con forza, e sbattei le mani sul banco, ottenendo l’attenzione di tutti.
<< Mi oppongo! >>, sbraitai furiosa.
<< GRANDE PROF! >>, urlarono varie voci provenienti dagli spalti.
Non mi servii voltarmi per sapere a chi appartenessero quelle voci. Sorrisi mentalmente, sapendo di avere l’appoggio da parte di tutte le persone a cui volevo bene.
<< Professoressa Cristillo, non siamo in tribunale >>, spiegò confuso ed anche divertito il preside.
Sul volto di Roberto scappò un sorriso, e con la coda dell’occhio notai Paolo mordersi il labbro inferiore, cercando di trattenersi dal ridere.
<< Mi scusi preside, ma ho sempre desiderato dirlo >>, risposi con semplicità, facendo scattare una risata generale da parte di tutti, esclusi i genitori di Paolo. << Comunque è anche vero che mi oppongo. Queste persone >>, ed indicai le due persone che odiavo con tutta me stessa. << Stanno mentendo. E stanno dicendo delle cose orribili ad un ragazzo di diciotto anni. Un ragazzo d’oro, bello sotto tutti i punti di vista. E non merita di essere trattato così >>
<< Lei chi diavolo è? Si faccia gli affari suoi >>, sputò sprezzante la madre.
<< Signora, se davvero dice di amare suo figlio, dovrebbe sapere che sono la sua insegnante >>, risposi con un ghigno malefico.
La vidi boccheggiare, presa in contropiede. Non si aspettava un mio intervento.
<< Comunque questa è una questione che non la riguarda >>, continuò il padre, ripresosi dallo shock.
<< Invece si. Perché voglio bene sia a Paolo che a Roberto. E non permetterò che due fecce come voi gli rovinino la vita >>, risposi con furia, guardandoli con puro odio.
<< Come osa? Ma sa con chi ha a che fare? >>, domandò scioccata la madre.
<< Certo signora. Glielo anche già detto. Ho a che fare con due fecce >>, annuii allargando il mio ghigno.
Nuovi brusii partirono dagli spalti, ma non me ne curai. Il mio sguardo era rivolto verso Roberto, che mi fissava grato e pieno di affetto.
<< Professoressa Cristillo ha qualcosa da aggiungere? >>, domandò il preside.
<< Certo. Voglio dire la verità, ovvero che Roberto non ha mai fatto niente di male, specialmente nei confronti di Paolo. Anzi, lo ha sempre protetto >>, spiegai dolcemente ma con una certa autorità. << Roberto lo ama, e non lo avrebbe mai forzato >>, poi presi un respiro e guardai Paolo. Quest’ultimo mi fissò addolorato e con gli occhi pieni di lacrime. Non riuscivo a capire cosa volesse da me, ma io avrei detto solo la verità. << Ed anche Paolo lo ama >>
<< Calunnie! Menzogne! Bugiarda! >>, tuonò la madre.
<< Lei sta dicendo delle follie. Nostro figlio è un ragazzo normale >>, continuò sempre più disgustato il padre.
<< Che diavolo significa normale, eh? Che l’omosessualità è qualcosa contro natura? >>, urlai sconvolta.
<< Esatto! Non è normale amare persone del proprio sesso, e nostro figlio è una persona normale. Lui non ama quel mostro violentatore >>, spiegò la madre indicando con disprezzo Roberto.
<< I veri mostri siete voi che osate dire simili assurdità. Mi fate veramente schifo >>, sputai indignata da quell’atteggiamento folle.
<< Non osi dire certe cose a noi >>, urlò forte il padre.
<< Io dico tutto quello che voglio. Fate schifo >>, ripetei con ancora più forza.
<< BASTA! >>, gridò il preside attirando l’attenzione di tutti, e facendo calare il silenzio.
Lo fissai scioccata per tale impeto. Non immaginavo che quell’uomo fosse così autoritario. Quando voleva, allora sapeva essere anche forte, dopotutto.
<< Basta così! E’ ovvio che non giungeremo a nessuna conclusione se procediamo in questo modo >>, continuò il preside fissando tutti noi. Gli altri insegnanti erano troppo allibiti per poter parlare, figurarsi pensare. << Abbiamo ascoltato la versione dei signori Gabetti, quella del giovane Roberto Storti e anche della professoressa Cristillo >>, affermò con ritrovata calma. Poi si voltò verso Paolo e lo fissò dolcemente. << Ma non abbiamo ancora udito la tua versione, ragazzo. Cosa hai da dirci, Paolo Gabetti? Qual è la verità? >>.
A quel punto, il giovane sbiancò di colpo. Era giunto il suo momento. Guardò per un secondo i genitori, i quali lo esortarono con finti sorrisi ad alzarsi e dire la loro verità. Paolo lentamente, si alzò dalla sua sedia, avvicinandosi al microfono. Gli occhi perennemente bassi. Sentivo il cuore esplodermi tanto batteva furioso. Stavamo dunque giungendo al termine di quella follia. Bastava una parola, una sola parola di Paolo e tutto si sarebbe concluso. Temevo il peggio, e quella strana sensazione si fece risentire. Odiavo non sapere e odiavo ancora di più dover attendere. Le mie mani diventarono umide per il sudore, e sentivo che la stessa cosa la stavano provando un po’ tutti. La maggior parte era assatanata di sapere quale fosse il gossip su cui spettegolare. Quelli che volevano bene ai due, invece, erano nella mia stessa barca. Lanciai uno sguardo verso Roberto. Il suo volto era una maschera imperscrutabile. Avrebbe accettato stoicamente qualsiasi cosa, ma dai suoi occhi leggevo profondo amore. Un amore immenso rivolto unicamente nei confronti di Paolo. Se non ci fosse stata tutta quella storia, sarei stata profondamente commossa da quel sentimento.
<< La verità è… >>, cominciò con voce tremante Paolo. Continuava ostinatamente a guardare la superficie del banco. << La verità è… >>, disse nuovamente sempre più agitato. Poi, aggrottò le sopracciglia, e con lentezza alzò il viso puntando gli occhi in quelli di Roberto. Mi sembrò poter vedere le scariche elettriche che quei due sguardi emanavano. Riuscivo a percepire sulla pelle quanto profondo era l’amore che li univa. Ed anche Paolo se ne rese conto. Il suo volto era sfigurato dall’ansia e dalla confusione. Sembrava non sapere bene che fare. Il mio cuore batteva sempre più veloce. Poi, come per magia, un sorriso comparve sul volto di Roberto. Era dolce, affettuoso e gentile. Sembrava stesse dicendo “Tranquillo amore, va tutto bene. Fa ciò che devi. Io ti resterò sempre accanto”. Tremai dall’emozione per quei sentimenti. Guardai un’altra volta Paolo, e lo vidi scioccato. Una lacrima rigò il suo viso. Era come se fosse sommerso da tutto quell’amore che Roberto provava, e che lo stesse soffocando. Una sua parola e sarebbe morto. Una sua parola e avrebbe galleggiato in quel mare. Doveva solo scegliere. Poi, improvvisamente, i suoi occhi brillarono di una luce intensa. E capii. Capii che quell’incubo finalmente era finito, perché davanti ai miei occhi era risorto il vero Paolo.
<< La verità è… che io amo Roberto >>, affermò con voce tremante ma stranamente sicura.
La stanza precipitò nel silenzio più assoluto, poi esplose come una bolla d’acqua. Tutti cominciarono a parlare sconvolti. I brusii si fecero sempre più forti. Grida di gioia partirono da quel coro che conoscevo bene. Altre disgustate si levarono contemporaneamente, ma non ci badai molto. Sul mio volto comparve un sorriso immenso. Ero felice, immensamente felice. Guardai Roberto e lo vidi piangere dalla gioia. E non era mai stato così bello come in quel momento. E lo stesso era per Paolo. I suoi meravigliosi occhi nocciola erano tornati a risplendere di amore e forza. Finalmente era riapparso. I genitori di quest’ultimo rimasero scioccati, con le bocche aperte e gli occhi terrorizzati. Anche il preside si concesse una sorriso felice, per poi tornare alla sua espressione calma e posata. I miei colleghi insegnanti finalmente aprirono bocca, cominciando a parlare tra di loro del caso. Ma dalle loro parole, capii che il verdetto era a favore di Roberto.
<< Ordine, signori! Ordine! >>, gridò con forza il preside, ottenendo nuovamente il silenzio. << Bene. Allora signor Paolo, la sua versione quindi coincide con quella del giovane Roberto Storti? >>
<< Interamente >>, confermò Paolo, sorridendo dolcemente.
<< Perciò senza ulteriori indugi, direi che la scuola respinge la richiesta di espulsione del qui presente Roberto Storti >>, decretò il preside.
Un nuovo boato esplose nella stanza. Sempre più forti erano le grida di gioia che provenivano dal gruppo dei miei alunni. Alcune si pronunciavano ancora disgustate. Altre ancore era semplicemente sconvolte per come le cose erano andate. Avrei voluto urlare dalla felicità anche io, correre ad abbracciare i miei due amici, e stringerli con entusiasmo. Ma rimasi ferma nel mio posto, sorridendo come un’idiota. I visi di Roberto e Paolo erano incredibilmente luminosi e felici. Finalmente potevano amarsi alla luce del giorno. Sul volto del giovane dagli occhi nocciola scendevano copiose lacrime di gioia, su quello del ragazzo dagli occhi verdi il sorriso si distendeva sempre di più. Era meraviglioso poterli vedere, finalmente felici e nuovamente uniti.
<< NO! >>, urlò con disperazione la madre di Paolo.
La sala ripiombò nel silenzio totale, e tutti ci voltammo a fissare quelle due persone. Erano incredibilmente arrabbiate, furiose e piene d’odio. Sembrava che da un momento o l’altro avrebbero cacciato fumo dalle orecchie. Il giovane dagli occhi nocciola, si voltò a fissarli terrorizzato. Le conseguenze delle sue scelte stavano giungendo, infine.
<< Non lo accettiamo. Non esiste che nostro figlio diventi uno schifoso gay, contro natura e che stia insieme a quel mostro >>, tuonò con forza il padre.
Le mani cominciarono a prudermi. Dovevo assolutamente picchiarli, altrimenti la mia sete di sangue non sarebbe stata palcata. Come si poteva essere così ridicoli e idioti?
<< Che intendete dire? >>, chiese confuso il preside.
<< Che se nostro figlio sceglie quell’essere ignobile >>, spiegò il padre indicando Roberto. << Allora noi lo cacceremo di casa. Verrà diseredato, e per quanto ci riguarda sarà come morto >>.
Spalancai gli occhi scioccata da quelle parole. Temevo un atteggiamento simile, ma non credevo che potesse avverarsi sul serio. Stavano davvero eliminando dalle loro vite il proprio figlio? Ma non possedevano un cuore? Evidentemente la risposta doveva essere no, perché la madre annuì soddisfatta di quelle parole. Guardai terrorizzata Paolo, temendo una sua possibile ritrattazione. A quel punto lo avrei preso sul serio a calci. Ma sembrava che il suo volto fosse luminoso come prima, nonostante gli occhi terrorizzati e dispiaciuti. Affermando quelle cose, evidentemente, sapeva bene a cosa andava incontro. Mi voltai a guardare Roberto, e sul suo viso comparve un’espressione rabbiosa, e a dirla tutta anche minacciosa. Anche lui, come me, voleva farla pagare a quei due esseri miserabili. La sala era ripiombata nel silenzio più totale, attendendo di sapere che piega avrebbero preso le cose.
<< Quindi voi affermate senza indugi, che negherete l’esistenza di vostro figlio, nell’eventualità lui debba scegliere definitivamente il signor Roberto Storti? >>, domandò con calma il preside.
<< Esattamente. Se sceglie lui, noi non saremo più i suoi genitori >>, confermò la madre.
<< Bene, allora. Paolo, chi scegli? Roberto o i tuoi genitori? >>, domandò l’uomo, rivolgendosi a Paolo.
Quest’ultimo lo fissò terrorizzato e con le lacrime agli occhi. Ora arrivava la vera scelta, quella che avrebbe per sempre compromesso il suo futuro. Scegliere Roberto significava perdere tutto il resto. La scuola, la famiglia, un mantenimento certo, un tetto sopra la testa. Ma scegliere i genitori, equivaleva a sacrificare la propria felicità, il proprio cuore. Il giovane dagli occhi nocciola cominciò a guardarsi intorno spaesato, poi il suo sguardo puntò dritto al volto del fidanzato. E nuovamente si ripresentò quel sorriso rassicurante. Roberto stava esprimendo tutto il suo amore con quell’unico gesto. Gli stava comunicando che lui non lo avrebbe abbandonato mai. Paolo ricambiò quel sorriso, poi con ritrovata forza, tornò a guardare il preside.
<< Io scelgo Roberto, non m’importa delle conseguenze >>, esclamò con decisione.
Fui incredibilmente orgogliosa di quel giovane. Era tornato se stesso, e non potevo che essene felice. Quello era il vero Paolo. I genitori del ragazzo lanciarono dei versi furiosi nei confronti del figlio. Sembrava che stessero guardando un estraneo. Ma la cosa che più mi lasciò perplessa fu vedere l’espressione del preside. Un sorriso enigmatico e gli occhi pieni di fiducia. Cosa stava bramando quel suo strano cervello? La sala non osava proferire parola, incantata dagli avvenimenti. Sembrava che stessero assistendo ad uno spettacolo della televisione. Era davvero nauseante vederli.
<< Bene. Voi signori Gabetti confermate la vostra decisione? >>, chiese il preside con gentilezza.
<< Assolutamente >>, urlarono in coro i due.
<< Perfetto. L’intero corpo studentesco, accompagnato dai genitori, ha udito la rinuncia di queste due persone ad avere qualsiasi diritto su Paolo. Perciò da adesso in poi, non sono più accomunati da legami di parentela >>, esclamò l’uomo, alzandosi dalla sua postazione. Sul volto di Paolo comparve un lampo di malinconia. Anche lui avrebbe fatto parte della schiera dei figli abbandonati. Mi fece molta tristezza vederlo, ma sapevo che senza i propri genitori si poteva comunque sopravvivere. Solo che avremmo dovuto trovare una soluzione per la questione scuola. Ma quando tutto sembrava andare male, ecco che ci fu un colpo di scena davvero inaspettato. << Perciò, se Paolo lo desidera, potrà diventare mio figlio adottivo >>, continuò il preside sorridendo dolcemente al giovane. Paolo lo fissò sconvolto, e così feci anche io. E così fecero tutti. Non mi aspettavo quella piega. << Se lo desideri, puoi trasferirti a casa mia, ed io provvederò al tuo mantenimento in questa scuola e nel futuro a venire. Non sarai solo, io non ti abbandonerò >>, dichiarò con amore, allargando sempre di più il sorriso. << In questo momento, io sto scegliendo te >>.
E allora capii che il preside stava riscattando tutti quegli anni passati a darsi il tormento per aver perso Chris. Per non averlo scelto al momento giusto. Stava finalmente decidendo di tornare a vivere, come gli aveva suggerito il dottor Gallo e come io gli avevo detto qualche ora prima nella presidenza. Fui orgogliosa anche di lui. Sorrisi commossa, e qualche lacrima sfuggì al mio controllo.
<< Allora, che ne pensi Paolo? Ti va di affrontare questa nuova avventura insieme a me? >>, domandò il preside con gentilezza.
Il giovane dagli occhi nocciola rimase senza parole, poi nuove lacrime sgorgarono dal suo viso. Annuì con forza, incapace di parlare. Il preside sorrise entusiasta di quella risposta.
<< Come? Non può farlo >>, urlò sconvolto il padre.
<< Lei non ha nessun diritto su mio figlio >>, continuò la madre.
Il prurito alle mani aumentò sempre di più.
<< Certo che posso. Voi avete perso qualsiasi diritto sul giovane Paolo. E l’intera sala mi è testimone. Perciò, per quanto mi riguarda… >>, affermò con calma il preside, avvicinandosi alle due figure. << Potete andare anche a fanculo >>, sputò sprezzante.
Spalancai gli occhi nel sentirgli dire quelle parole. Aveva perso il suo atteggiamento posato e da gentiluomo, per dare voce alla sua personalità più arrogante e meno controllata. E dovevo dire che quel suo aspetto mi piaceva anche di più del vecchio preside. L’intera stanza precipitò in un silenzio innaturale, per poi dare sfogo a tutta la sua irruenza. Qualcuno parlava sconvolto di quella faccenda, altri erano entusiasti di aver assistito, altri ancora ridevano a crepapelle per l’uscita del preside. E non mi fu difficile individuare a quale gruppo appartenesse la mia classe. Perché, insieme a loro, anche io stavo tentando di trattenermi dal ridere. Poi, come nelle migliori commedie romantiche, Paolo e Roberto si raggiunsero. Rimasero per qualche minuto a fissarsi adoranti.
<< Mi dispiace per tutto >>, sussurrò commosso il giovane dagli occhi nocciola.
<< Non fa niente. Amore mio, non fa niente >>, rispose dolcemente il ragazzo dagli occhi verdi, allungando una mano ed accarezzando lentamente la guancia del fidanzato.
<< Ti amo >>, confessò Paolo, appoggiando il volto contro quella mano.
<< Ti amo anche io >>, dichiarò con trasporto Roberto.
Poi lentamente avvicinarono il volto, baciandosi dolcemente. Non badarono e niente e nessuno. Era come se non fossero presenti neanche in quella sala. Grida di gioia vennero dagli spalti. Versi disgustati vennero dagli spalti. Commenti canzonatori vennero dagli spalti. Ma i due giovane non si curarono di nulla. Nel loro mondo esistevano solo loro due, e nessuno avrebbe potuto disturbarli.
<< Andiamo via >>, digrignò il padre di Paolo, attirando la mia attenzione.
A quel punto ricordai che dovevo fare un’ultima cosa, prima di ritenermi soddisfatta. Perciò mi avvicinai con passo furioso verso quelle due persone. Appena fui davanti a loro, le guardai sprezzante.
<< Cosa vuole ora? >>, domandò disgustata la madre.
Ghignai maleficamente, poi senza ulteriori indugi le diedi un forte pugno contro il naso rifatto, mandandola al tappeto. L’intera sala trattenne rumorosamente il fiato. Anche Paolo e Roberto si staccarono, scioccati da quel mio gesto.
<< MA LEI E’ PAZZA? >>, urlò scioccato il padre.
Aprii sempre di più il ghigno, poi sferrai un secondo pugno, contro il viso dell’uomo, mandandolo subito al tappeto.
<< Ora si che sono soddisfatta. Sapete, avevo un certo prurito alle mani da dover placare >>, risposi sarcastica.
Tutti i presenti rimasero silenziosi per qualche momento, poi scoppiarono in una forte risata. Mi voltai verso gli spalti, e vidi Ianto sorridermi felice come un bambino. Finalmente tutto era tornato alla normalità.
 
<< Dannazione, Ianto fai attenzione con quello scatolone >>, urlai inferocita nei confronti del ragazzo.
<< Sei di impiccio, Lisa. Togliti dai piedi >>, gridò di rimando, spintonandomi nuovamente con lo scatolone.
<< A chi hai detto con sono di impiccio, eh? >>, esclamai indignata.
<< A te, impiastro di donna >>, rispose sprezzante il giovane.
<< Moccioso, ora te la faccio vedere io >>, sbraitai sempre più furiosa.
Gettai con foga lo scatolone che avevo in mano, e cominciai a rincorrere Ianto in quel giardino immenso, sotto lo sguardo sbigottito di tutti. Dall’assemblea straordinaria, quattro giorni erano passati, e le cose erano cambiate moltissimo. Roberto e Paolo non si staccavano neanche un secondo, memori dell’ultima settimana che avevano trascorso divisi. Il giovane dagli occhi nocciola aveva occupato quei giorni a casa del fidanzato, arrivando a saltare anche la scuola pur di rimanere soli ed insieme. Io e Ianto li avevamo incontrati nel pomeriggio di mercoledì, e avevamo passato delle ore davvero bellissime tra le strade di Roma, a mangiare gelati e a ridere come pazzi. Passammo anche davanti alla struttura del paintball di cui il preside mi aveva parlato. Ormai era chiusa da molti anni, ma riuscii ad immaginare perfettamente quei momenti che il dottor Gallo e il preside avevano trascorso. Li immaginai li dentro a giocare, a divertirsi. Nella mia mente si creò anche quell’ultima conversazione che avevano avuto. Li vidi baciarsi teneramente, e poi separarsi. Una fitta di dolore mi trapassò l’anima nel sapere ciò che avevano subito, ma ero incredibilmente fiduciosa che le cose si sarebbero sistemate. Qualcosa mi diceva che non tutto era finito, e che c’erano molte speranze. Ci demmo poi appuntamento a quella dolmenica mattina, per fare il trasloco di Paolo. Ovviamente i genitori di quest’ultimo avevano bruciato e buttato tutte le cose che appartenevano a Paolo, perciò il giovane se n’era procurate di nuove, grazie al supporto del preside. Quell’uomo mi aveva stupito ogni momento sempre di più. Sapevo anche che aveva intuito quale legame mi unisse a Ianto, ma non aveva mai fatto parola. Anzi, sorrideva divertito per i nostri modi di fare. Anche in quel momento mentre ci inseguivamo nel suo cortile, non opponeva nessuna resistenza. Nessun preside avrebbe mai accettato una relazione tra insegnate ed alunno, ma lui era diverso. Ed eravamo molto simili. Entrambi avevamo perduto nel modo più brutale possibile l’amore della nostra vita, ed entrambi stavamo cercando di tornare a vivere. Lui forse con qualche più difficoltà. Dimenticare il passato e gli anni di solitudine che aveva vissuto, erano difficili. Ma con un po’ di fortuna, e con la presenza delle persone giuste, ce l’avrebbe fatta. Ne ero più che certa.
<< Prof, non ti sembra di essere troppo vecchia per fare certe cose? >>, domandò divertito Mario, in tutta la sua presunzione.
Ovviamente quel giorno si erano radunati tutti i nostri amici, rendendo il momento molto più divertente e magico.
<< E tu invece non sei troppo piccolo per fare il padre? >>, risposi arrogante, arrestando il mio inseguimento.
<< Touché >>, concordò con un sorriso.
<< Potrei comprendere perché c’è tutto questo baccano in casa mia? >>, domandò perplesso il preside sulla soglia di casa.
<< Semplice, preside. Ha preso Paolo con se, ed ora deve sorbirsi tutto il pacchetto >>, spiegò dolcemente Fabio.
<< Se non si fosse intuito, il pacchetto siamo noi >>, specificò Carlo con la sua solita voce monotona.
<< Dovevo immaginare una ragione simile >>, sbuffò divertito l’uomo. << Professoressa Cristillo, ha fatto un ottimo lavoro con questi ragazzi >>
<< Grazie preside. Ma ad alcuni di loro devo ancora insegnare le buone maniere >>, affermai sarcastica.
Infine, riuscii ad afferrare Ianto per la maglietta. Questi si dimenava come un pazzo dalla mia presa, ma non lo lasciai andare, cominciandolo a riempire di piccoli pugni dati con amore. L’intero giardino esplose in grida divertite, prendendoci in giro. Paolo e Roberto si scambiarono qualche effusione. Carlo e Andrea si guardavano persi l’uno nell’altro. Nicola messaggiava con Debora. Mario chiamava ogni cinque minuti Margherita per sapere come stava. Marco e Fabio ridevano e scherzavano tra di loro come perfetti fratelli. Renato ci fissava allibito, però partecipava attivamente agli scherzi fatti tra di noi. Ognuno di noi sentiva nel cuore la presenza viva di Vincenzo, come dimostrazione delle sue parole. Non ci avrebbe mai lasciati. In quel momento mi sentii incredibilmente fortunata. La mia vita nella sua imperfezione era davvero perfetta.
 
Trascorsero le ore, ed alla fine si fece mezzogiorno passato. Il preside invitò tutti i presenti in casa per mettere qualcosa sotto i denti. Li vide sfilare uno ad uno, ed ogni volta sentiva di essere sempre più sereno e grato per come le cose avevano preso la giusta direzione. Gli ultimi furono Paolo e Roberto, che rimasero qualche istante davanti all’uomo fissandolo intensamente.
<< Preside, noi volevamo ringraziarla >>, esordì il giovane dagli occhi verdi.
<< Senza di lei, a quest’ora mi troverei in mezzo alla strada >>, proseguì commosso il ragazzo dagli occhi nocciola.
L’uomo li fissò dolcemente, ammirato per il coraggio dimostrato in quei giorni difficili. Avrebbe tanto voluto poter ritornare indietro nel tempo, e tirare fuori la stessa grinta che avevano quei due.
<< Non ho fatto molto, in verità. Il vero miracolo lo hai compiuto tu, Paolo >>, dichiarò con calma il preside. I due giovani arrossirono delicatamente. << Però ci sono delle regole da rispettare >>
<< Qualsiasi cosa >>, affermò prontamente Paolo.
<< Prima regola, non si trascura lo studio. Seconda regola, se deciderai di vivere qui e non nel dormitorio, dovrai tornare a casa entro la mezzanotte. Ma so già che sceglierai il dormitorio, vero? Non puoi abbandonare il giovane Manfredi >>, disse l’uomo guardandoli divertito.
Il ragazzo dagli occhi nocciola annuì con il capo. Non avrebbe mai lasciato solo Ianto. Per nulla al mondo.
<< Da qui nasce la terza regola, la domenica verrai qui a pranzo >>, continuò il preside.
<< Certo >>, confermò prontamente Paolo.
<< Quarta regola, gradirei che faceste sesso quando non sono presente in casa. E soprattutto sempre protetto >>, esclamò l’uomo.
I due arrossirono come pomodori, e imbarazzatissimi annuirono contemporaneamente.
<< Bene, ed ultima regola, quando sei a scuola chiamami preside. Ma qui, in casa e fuori dalle mura scolastiche, io sono semplicemente Simone. Chiaro? >>, domandò il preside.
<< Va bene presid… ehm Simone >>, confermò Paolo velocemente.
<< Perfetto. Ora entrate e cominciate a preparare il pranzo, io vi raggiungo subito >>, dichiarò l’uomo esortandoli ad entrare.
I due varcarono la soglia d’ingresso, lasciando Simone solo in giardino. Quest’ultimo alzò lo sguardo e cominciò a fissare il cielo. Si sentiva più leggero e sereno rispetto al passato. Aveva tanta rimorsi e rimpianti, ma le cose finalmente sarebbero andate meglio. Se lo sentiva. Ma c’era un’ultima cosa che doveva fare.
<< Ciao Chris >>, mormorò rivolto verso il cielo splendente. << E’ da tanto che non ti parlo. Sono trascorsi così tanti anni dalla tua morte, che alle volte mi sembra di non respirare. Mi manchi immensamente, amore mio. E vorrei averti qui con me. E’ un desiderio che esprimo ogni giorni alzandomi dal letto. Ma so che è irrealizzabile >>, sul volto un’espressione malinconica, esprimeva tutta la nostalgia di quegli anni passati. << Sono convinto che tu mi abbia seguito in tutto questo tempo. Che non ti sei perso un mio singolo giorno di vita. Lo so, ho sempre sentito il tuo sguardo puntato sulla mia schiena, come quando puntai il mio sulla tua quell’ultimo giorno che trascorremmo insieme. E so che non sei molto fiero delle mie scelte. Sono diventato preside per realizzare il tuo sogno, ma non ho fatto un granché >>, gli occhi gli divennero lucidi, ma si costrinse a non piangere. << Tu avresti dato molto di più alla nostra scuola. Ma non è possibile cambiare il corso degli eventi, e tu resti comunque morto. Di tutto quello che abbiamo passato, e vissuto insieme, c’è un unico vero rimorso che mi tormenta l’anima. Tra tutti quelli che ho, questo proprio non riesco a superarlo >>, affermò con profonda tristezza. << Quel giorno al cimitero, urlai con rabbia una frase che ha tormentato i miei incubi. Ti dissi che se avessi saputo, non ti avrei mai scelto. Che ti odiavo e che desideravo non averti mai incontrato >>, due lacrime scesero dagli occhi verdi di Simone, rigando quel viso malinconico. << Non è vero, amore mio. Di tutte le cose che ho vissuto, tu sei stata la migliore. Avrei preferito anche un singolo giorno, un singolo bacio, o una singola carezza da parte tua, che il nulla. Un singolo momento, rispetto ad una vita senza. E ti ringrazio per avermi amato, nonostante i miei difetti. E soprattutto nonostante l’averti condannato a morte >>, il cuore batteva talmente forte, da fare male. Sentiva il respiro sempre più corto, ma doveva proseguire. << Avrei dovuto sceglierti quel giorno. Seguire il mio cuore. Ma avevo troppa paura, e alla fine ho distrutto i nostri cuori. E nonostante siano passati anni, sento che il mio sanguina ancora. E quando le pulsazioni sono troppo forti, vorrei poter dimenticare il fatto che sei morto, e ricordare solo i momenti felici. Sarebbe davvero bello, se potessi tagliare le parti che non mi vanno a genio >>, un sorriso amaro spuntò sul volto di Simone. Con un gesto veloce, asciugò le lacrime. << Ma accettare di vivere, significa prendere tutto il pacchetto, giusto? Perciò mi tengo i ricordi così come sono, e continuo ad andare avanti >>, il sorriso amaro, si tramutò in dolce sorriso pieno d’amore. << Ed oggi mi sento più sereno, perché nonostante tutto, alla fine ti ho scelto. Ci sono voluti anni, ma adesso sei tu la mia prima scelta >>, una lacrima solitaria sfuggì nuovamente al controllo di Simone, ma questi non vi badò, preso dal suo discorso. << Vorrei che piovesse. Perché, proprio come dicesti nella lettera, io ti sento nelle gocce d’acqua. Ti sento sussurrare ‘Ti amo’, ed ogni volta ti rispondo che ti amo anche io. E che ti amerò sempre. Ma è arrivato il momento di voltare pagina >>, sussurrò con voce tremante. Stava per arrivare la fine di quel capitolo. Lo sentiva. Era prossimo ormai il momento in cui avrebbe detto addio a Chris. << Avevo bisogno di riscattare quella mia scelta, per poter dirti addio. E adesso l’ho fatto. Perciò questo non è la fine del nostro amore. L’amore non muore mai. Ma è solo l’inizio di qualcosa di nuovo, e sono un po’ spaventato ad affrontare questa vita senza di te. Ma sento che è questo che vuoi da me. Anche se un segno non sarebbe male >>, aggiunse con un sorriso più divertito.
In quel momento, il cellulare che aveva in tasca squillò. Simone restò perplesso. Quando poi lo estrasse dalla, e vide il nome, il sorriso si allargò sempre di più. Ritornò a fissare il cielo, guardandolo con immenso amore.
<< Grazie, Chris. Ti amerò sempre, e sarò felice proprio come volevi tu >>, mormorò dolcemente.
Poi con lentezza, accettò la chiamata e portò il telefono all’orecchio.
<< Pronto? >>, domandò allegramente, asciugandosi il viso bagnato.
<< Ciao bel visino. Come te la passi? >>, salutò allegramente Umberto.




Buonasera, gente...ecco finalmente un nuovo capitolo!!! Yeah, ce l'ho fatta XDXD...beh, con questo si conclude la saga di paolo...finalmente avete un lieti fine...hahaha, è vero negli ultimi capitoli sono stata molto cattiva con i miei personaggi, e soprattutto la storia era diventata molto triste (forse troppo O.o)...ma con questo spero di essermi riscattata un po'...alla fine paolo sceglie roberto, e simone sceglie chris XD una scleta difficile e sofferta, ma ce l'abbiamo fatta...come dice il titolo del capitolo, abbiamo avuto un lieto fine XDXD spero davvero che vi piaccia questo aggornamento, specialmente nel finale U.U la chiamata di umberto arriva proprio al momento più opportuno...chissà cosa vorrà dire O.O non voglio essere cattiva, perciò vi svelerò che la storia del preside è finita qui...lascio alla vostra immaginazione scegliere quale finale avere, se legarsi sentimentalmente finalmente ad umberto o chissà cosa...forse nel prossimo capitolo ci sarà qualche riferimento a questi due personaggi, ma niente di più...beh che altro dire...ringrazio coloro che recensiscono la mia storia...mi piacerebbe che qualcun altro mi facesse leggere il suo parere, quindi mi raccomando gente, recensite RECENSITE!!! hahahahaha sembro una pazza...ah, dimenticavo, passate nel mio contatto facebook, mi raccomando XD 
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va beh, adesso vi lascio e vi do appuntamento a martedi prossimo
un bacio
Moon9292


"Mi sembra di vivere uno strano 
Déjà-vu"

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Capitolo 31
*** Cene divertenti, e incontri strani ***


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Capitolo 31 - Cene divertenti, e incontri strani


Con calma, portai i piatti a tavola, cominciando ad apparecchiare. Odiavo non rendermi utile, e stare con le mani in mano era una cosa che non faceva per me. Perciò, anche se quella non era casa mia, avrei fatto lo stesso il mio dovere. Da quel giorno del trasloco, erano passate varie settimane. Ormai eravamo giunti al quindici di maggio, e le cose non avevano fatto altro che migliorare. Sentivo che la mia vita era diventata più bella, e sorridevo la maggior parte del tempo anche senza un vero motivo. Ianto mi prendeva in giro costantemente, ogni volta che mi lasciavo andare a questi miei strani versi. L’amore che entrambi provavamo era sempre più forte, quasi da farci divenire un tutt’uno. Sapevo, ancora prima che parlasse, quali fossero i suoi pensieri o le sue emozioni. Lui prevedeva le mie parole con una semplicità tale, da essere disarmante. Battibeccavamo ancora come due idioti, e ci lasciavamo spesso andare ad atteggiamenti infantili e poco normali. Gli confidavo ogni mio più piccolo pensiero, e lui faceva altrettanto. Eravamo diventati migliori amici, oltre che essere amanti. E questo mi rendeva estremamente felice. Non avevo mai pensato che potesse crearsi un simile rapporto, e invece ogni mia idea era stata annientata da quella furia di ragazzo. E l’amore fisico che vivevamo quasi tutti i giorni mi faceva girare la testa. Stare tra le sue braccia era estasi pura. Il cuore batteva sempre più forte ogni volta che mi possedeva, e amavo sopra ogni altra cosa baciarlo. Quelle labbra meravigliose e morbide mi facevano impazzire. Alle volte diventavo triste e malinconica ripensando al passato, e piangevo involontariamente quando la figura di Diego compariva nella mia mente. Ma Ianto era sempre li, pronto a tirarmi su di morale, o ad abbracciarmi e stringermi contro al petto. Solo il rumore del suo cuore poteva calmare il mio dolore. Al mio giovane fidanzato avevo raccontato ogni cosa della mia vita passata con Diego, e gli avevo mostrato anche la scatola dei desideri. L’avevo portata con me a Roma, dopo essere ritornata dalla mia fuga. Ogni singolo biglietto lo avevamo commentato, e avevo riso nel pensare a quei momenti. E avevo pianto anche tanto. Ma ormai la mia vita procedeva spedita verso un’unica direzione: la felicità. E Ianto era il mio compagno di viaggio. Insieme avremmo affrontato ogni cosa, superandola e restando uniti. Ci amavamo, questo era il punto. E niente ci avrebbe più separato. Su questo ne ero certa. Tra Paolo e Roberto le cose erano tornate come prima, ed erano anche migliorate. Non si nascondevano più agli occhi degli altri, e potevano baciarsi ogni qual volta lo desiderassero. Certo, non si lasciavano andare ad effusioni esagerate davanti alle altre persone per una questione di pudore, ma non temevano più di esprimere il loro amore. Avevano affrontato dei giorni difficili a scuola, dopo il loro rientro. Le persone chiuse mentalmente esistevano sempre e comunque, e spuntavano fuori da ogni parte. Alcuni ragazzi li avevano guardati con schifo. Altri, invece, si erano lasciati andare a commenti pesanti. Altri ancora, addirittura avevano fatto scherzi davvero di pessimo gusto come nascondere gli oggetti di Roberto, oppure rubare le cose di Paolo, lasciare scritte davvero offensive, e bagnare dalla testa ai piedi i due di sostanze appiccicaticce e luride. Ma i due avevano resistito con coraggio e forza ad ogni offesa. Non si erano lasciati trascinare dal corso degli eventi, restando fedeli al loro amore. Per fortuna noi amici non dovevamo comportarci come loro, perciò abbiamo reagito in ogni modo. Risposte agli insulti, e scherzi e offese fisiche ai responsabili di quei stupidi giochi. La situazione era degenerata a tal punto, che il preside fu costretto ad emanare una nuova regola che proibisse qualsiasi tipo di offesa fisica e morale nelle mura scolastiche. Aveva indetto molte conferenze sulla tolleranza verso omosessuali, e fatto lezioni private ad ogni classe per discutere di questi atteggiamenti sbagliati nei confronti di due persone che si amavano. Alla fine dei fatti, le cose si sistemarono. Il pensiero bigotto di quegli studenti non si modificò, ma almeno avevano preso ad ignorarli completamente. La cosa che più mi sorprese di tutta quella faccenda, fu vedere come Paolo e Roberto ignorassero completamente gli altri. Loro, semplicemente, si amavano, e del resto non gli interessava. Le cose da quell’assemblea erano decisamente cambiate, specialmente per il giovane dagli occhi nocciola. Anche per gli altri c’erano stati netti miglioramenti. Nicola e Debora erano diventati ufficialmente una coppia, ed io avevo anche conosciuto la ragazza. Era davvero carina e simpatica, e il suo carattere forte mi lasciava esterrefatta. La invidiavo alle volte per quella sua determinazione a voler continuare a vivere. Mario e Margherita avevano già cominciato ad organizzarsi per quando sarebbe nata la loro bambina, nonostante mancasse ancora un mese prima del parto. Avevo visto la cameretta della loro futura figlia, ed ero rimasta paralizzata dalla meraviglia. Era bellissimo il lettino in fondo al muro, oppure il fasciatoio, o i vari giochi per neonati sparsi per la stanza, o la sedia a dondolo dove poter cullare la bimba. Avevo versato qualche lacrima nel rendermi conto che desideravo avere un figlio anche io. Nel mio frettoloso rapporto con Diego, un bambino mi era mancato da morire. Ma non avevamo avuto proprio il tempo di pensare a concepirlo. Mio marito era morto troppo presto, ed io ero stata lasciata indietro. Perciò quel desiderio lo avevo accantonato. Ma la presenza di Ianto nella mia vita, aveva fatto rinascere quel mio sogno. Era presto per pensarci, lo sapevo. Ma avevamo tutto il tempo del mondo per mettere su famiglia. In fin dei conti, noi due saremmo rimasti sempre insieme. Carlo e Andrea erano rimasti sempre gli stessi, fondamentalmente. Ma nel loro sguardo qualcosa era mutato. Sapevo che ci consideravano la loro famiglia, ed avevano preso ormai a confidarsi con noi. E alla fine, con sommo stupore di tutti, avevamo appreso la loro intenzione di abbandonare il quartiere e i loro genitori bigotti, per trasferirsi da qualche altra parte e cominciare la loro vita insieme. Purtroppo, a differenza di Paolo e Roberto, loro due non potevano ancora mostrarsi in pubblico. Dovevano mantenere segreta la loro relazione, perché altrimenti  sarebbero stati separati per sempre dalle rispettive famiglia. Avevamo provato a convincerli di dichiararsi apertamente, e che qualsiasi cosa fosse accaduta, noi non li avremmo abbandonati. Ma per loro le cose andavano bene così com’erano. Non era un vero problema nascondersi per ancora un anno, e presto sarebbero stati liberi di vivere insieme. Quindi avrebbero semplicemente resistito. Non volevano intraprendere nessuna carriera scientifica, ma preferivano di più il lato umano della vita. Perciò, una volta concluso il liceo, avrebbero dato una mano alle varie comunità, guadagnando una miseria ma vivendo secondo i propri principi. Li ammiravo molto per quella determinazione che mostravano. Andrea desiderava diventare psicologo, mentre Carlo pensava di diventare assistente sociale. All’inizio, sapute le loro aspirazioni, avevo dubitato che potessero adempierle. Ma dopo averci parlato con insistenza, e sentito per bene le intenzioni che avevano, mi ero resa conto che ci sarebbero riusciti. Avrebbero realizzato tutti i loro sogni. E lo avrebbero fatto insieme. Marco e Fabio avevano consolidato il loro rapporto, diventando una cosa sola. Erano molto più che semplici fratelli. Avevano creato una famiglia, ed ogni giorno che trascorreva li vedevo sempre più felici e sereni. Alle volte capitava di sorprenderli fissare il cielo con un sorriso malinconico, ma prontamente distoglievano lo sguardo, mostrandosi sempre forti e combattivi. Fabio voleva diventare ricercatore, e scoprire un modo per curare i tumori. Marco, sorprendendomi, aveva comunicato l’intenzione di voler diventare medico. Il loro desiderio più profondo era quello di aiutare le persone che avevano vissuto situazioni simili a quella di Vincenzo. Ed io non potevo che essere orgogliosa di quella scelta. Vincenzo mancava a tutti noi, ed ogni tanto sentivamo il bisogno impellente di ricordarlo con le parole. Discutevamo anche per ore di piccoli momenti passati insieme, a parlare e chiacchierare, a ridere e a divertirci. Qualche lacrima scendeva lungo i nostri visi, e alle volte la disperazione per quella perdita era tale, da sentirci smarriti. Ma poi Marco e Fabio tiravano fuori un coraggio immenso, e consolavano i nostri poveri cuori. “Vincenzo non avrebbe voluto questo”, dicevano con dolcezza, sorridendo. E a quel sorriso, proprio non si poteva fare a meno di cedere. I due erano forse i più maturi dell’intero gruppo, perché affrontavano la vita sempre con ottimismo, godendo appieno di ogni piccola cosa. Lo facevano soprattutto per loro stessi, ed anche un po’ per Vincenzo. Fabio e Marco volevano vivere appieno la loro vita proprio perché il fratello minore glielo aveva chiesto. E non avrebbero mai potuto dire di no a quel piccoletto. Renato era ormai diventato parte integrante del gruppo. Da quando stava con noi, non era mai stato escluso da niente, ed alla fine aveva sviluppato un rapporto stretto con tutti quanti. Si era aperto, confidandosi con noi e raccontandoci della sua vita da figlio adottivo. E noi avevamo fatto altrettanto, raccontando tutte le nostre esperienze. Era nata una bellissima amicizia, e sapevo che mai sarebbe finita. Tutti noi, anche se ci fossero stati chilometri a separarci, saremmo rimasti uniti. Ormai eravamo una famiglia allargata, ed era la più bella che si potesse scegliere. E infine, l’ultimo aggiunto a quello strano gruppo era il preside, o come preferiva farsi chiamare fuori dalle mura scolastiche, Simone. Era il più anziano e saggio di tutti, e lo avevamo identificato come il capobranco. La sua casa era sempre aperta per tutti noi, e adoravamo passare le serate insieme a ridere e scherzare. Nei suoi occhi avevo notato un cambiamento. Sembrava che il preside fosse più sereno, e quasi felice. Ogni tanto si allontanava per rispondere al cellulare, e tra di noi erano cominciate le scommesse. Ci domandavamo con chi parlasse costantemente l’uomo, e avevamo puntato qualsiasi cosa per il gioco. Addirittura una volta Ianto aveva messo in palio le sue mutande preferite, e con nostra immenso divertimento, aveva perso. Ricordo ancora la sua faccia imbarazzata, appena uscito dal bagno, con le mutande in mano. A vincerle furono Nicola e Carlo, che conservano ancora come segno della loro vittoria. Oltre che a divertirmi quella sera, mi eccitai tantissimo. Immaginare Ianto nudo sotto ai pantaloni, mi fece uscire fuori di testa. Quella sera lo trascinai via presto, portandolo a casa mia. Non dormimmo per tutta la notte. Arrossii ripensando a quella nottata trascorsa tra le lenzuola, ed un piatto rischiò di cadermi rovinosamente a terra.
<< Prof, tutto bene? >>, domandò con calma Marco. Stava sistemando le posate sui tovaglioli.
<< Certo! Perché? >>, chiesi di rimando, cercando di darmi un contegno.
<< Beh, ha la faccia tutta rossa, e la mano le trema leggermente >>, constatò con un’alzata di spalle il giovane.
<< Si si. Tutto perfetto, come sempre >>, confermai prontamente, cercando di deviarlo dai miei pensieri.
Ci mancava solo che Marco scoprisse i miei ricordi poco casti, e ormai potevo dire addio al mio orgoglio.
<< Sarà >>, scrollò le spalle, e poi tornò alle sue attività.
Sospirai cercando di controllare i battiti del cuore. Dovevo darmi assolutamente un contegno. Ma quando alzai gli occhi e vidi di fronte a me Ianto, il mio controllo andò a farsi benedire. Prevedevo un’altra notte di fuoco passata tra le lenzuola del mio letto.
 
<< … Perciò vestimmo Paolo con abiti scuri, lo truccammo e gli colorammo i capelli. Era identico a Nicola, una cosa incredibile >>, spiegò tra le risate Roberto.
Eravamo seduti a tavola. Avevamo da poco finito di cenare e, tra un commento e l’altro, eravamo passati a ricordare i momenti trascorsi di quell’anno. Solo quelli più belli.
<< La faccia di Paolo era tutta un programma >>, confermò Ianto, ridendo a crepapelle.
Il diretto interessato, invece, aveva messo su un broncio adorabile, ed aveva incrociato le braccia al petto infastidito.
<< Solo perché sono più piccolo di voi spilungoni pompati >>, sbuffò il giovane dagli occhi nocciola.
L’intero tavolo si lasciò andare ad una risata divertita. Ne erano uscite fuori di tutti i colori, e finalmente avevo scoperto cosa fosse successo quel giorno che Nicola finì in ospedale.
<< Così siete riusciti ad ingannarmi, voi tre >>, constatò semi serio il preside.
<< Scusa. Davvero non volevamo, solo che quell’idiota era finito in ospedale e dovevamo parargli il culo >>, provò a giustificarsi Paolo, agitato per le conseguenze di quel racconto.
<< Ehi, non è carino definire così un tuo amico >>, si lamentò Nicola.
<< Ma che sei idiota è vero >>, affermò tranquillamente Debora.
<< Grazie amore, tu si che mi aiuti >>, rispose sarcastico il giovane, facendo scattare l’ilarità in tutta la stanza.
<< Beh, comunque sta di fatto che fu un piano geniale. Vero Ianto? >>, riprese Roberto, voltandosi verso l’amico.
<< Che ti aspettavi? Era un mio piano. Logico che fosse brillante >>, esclamò con presunzione il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
<< Proprio perché era tuo, allora bisognava preoccuparsi >>, lo presi in giro, pungolandogli una guancia.
<< Senti chi parla, Sherlock. Devo ricordarti in quanti casini ti sei messa quest’anno, solo per via dei tuoi brillanti piani? >>, domandò ironico Ianto, pizzicandomi un fianco.
<< Se vogliamo essere del tutto onesti, in questa tavola non scorgo nessuno che spicchi per intelligenza, visti tutti i precedenti >>, commentò divertito il preside.
<< Preside! >>, urali sconvolta.
<< Professoressa Cristillo, quante volte devo dirle di chiamarmi Simone? >>, sbuffò esasperato l’uomo.
<< Mi suona strano chiamarlo col suo nome. Lei resta comunque il mio capo >>, risposi imbronciata.
<< Esatto. Perciò le ordino di chiamarmi con il mio nome >>, dichiarò malizioso.
<< E allora lei deve fare altrettanto. Se io la chiamo Simone, lei mi chiama Lisa >>, risposi tagliente, assottigliando lo sguardo.
<< Lei è una donna davvero impossibile, lo sa? Ha sempre pronta l’ultima parola >>, constatò l’uomo sorridendo divertito.
<< Lo considero un complimento >>, affermai altezzosa.
<< Invece credo dovresti offenderti >>, dichiarò Ianto.
<< Taci, moccioso. Vogliamo ricordare tutti i casini che hai combinato tu? >>, risposi sarcastica.
<< NO! La prego, mi viene l’orticaria al solo pensare a tutto quello che mi ha fatto passare >>, urlò disperato Paolo, cominciando a grattarsi.
Scoppiammo nuovamente a ridere tutti quanti.
<< Ma quanti casini hai combinato Ianto? >>, domandò divertito Renato.
<< Molti amico mio, molti >>, disse il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Beh, c’è stata quella volta in cui abbiamo litigato furiosamente in classe >>, cominciai ricordando.
<< Poi quando scappò da scuola per andare in quella discoteca, tutto vestito di nero. Molto macabro >>, continuò Paolo.
<< Se non sbaglio ti facesti prendere a pugni da un tipo, giusto? >>, domandò Roberto.
<< Già. Fui costretta a portarlo a casa mia ubriaco e livido >>, confermai seccata. << Poi c’è stata quella volta che picchiò Paolo sul tetto >>, dichiarai ripensando a quel momento.
<< Vi siete picchiati sul tetto? >>, chiese perplesso Andrea.
<< Si. Non è stato piacevole >>, confermò Paolo toccandosi la mascella.
<< Beh, dopo di quello avete anche litigato come dei disperati >>, continuai  divertita.
<< Dobbiamo davvero ricordare tutto? >>, si lamentò Ianto sbuffando.
<< Io voglio sapere >>, confermò Renato sorridendo malignamente.
<< Anche io >>, aggiunse il preside.
<< Poi c’è stata la volta in cui mi seguii mentre pedinavo Roberto >>, spiegai rabbrividendo al solo pensiero di quell’orribile locale.
<< C’è da dire che se non l’avesse fatto, lei sarebbe finita in un brutto guaio >>, constatò Roberto.
<< Grazie amico mio. Tu si che sei dalla mia parte >>, rispose il giovane dagli occhi di ghiaccio sorridendo.
<< Va beh, poi c’è stata la volta in cui sfondò la porta del bagno con la spalla, quando Nicola stava male. Poi quando ha minacciato di morte Marco… >>, feci l’elenco contando sulle dita.
<< Alzo le mani, stavolta. Mi meritavo quelle minacce >>, sospirò sconfitto Marco.
<< …E arriviamo all’apice della carriera come combinaguai di Ianto, ovvero il suo mutamento da dottor Jekyll a mister Hyde, quando me ne sono andata >>, commentai guardando male il giovane dagli occhi di ghiaccio.
Questi incastrò la testa tra le spalle, abbassando lo sguardo imbarazzato. Non gli piaceva ricordare quel periodo.
<< Ahhh! Mi è tornata l’orticaria! >>, urlò disperato Paolo tornando a grattarsi.
Tutti quanti scoppiammo a ridere furiosamente. Quel ragazzo era davvero un personaggio.
<< Cavolo, avevo dimenticato quel momento folle >>, commentò divertito Fabio.
<< Già, quando aveva preso a trattarci male e ad escluderci >>, continuò Carlo.
<< E aveva assunto le sembianze di Ignazio, arrivando a fare stronzate su stronzate >>, aggiunse sbuffando Mario.
<< E quando ci invitò alla sua festa >>, esclamò sconvolto Renato.
<< Non fu per niente un bello spettacolo, amico mio >>, dichiarò saggiamente Marco.
<< Si, e fu squallido vedere quell’orgia >>, rispose Andrea con la sua voce monotona.
<< Ho la nausea al solo ricordo >>, confermò schifato Nicola.
<< Già, abbiamo dovuto portarlo d’urgenza in ospedale a fare i vaccini per la prevenzione contro le malattie veneree >>, asserì Roberto.
<< Questa storia non la conoscevo. Ianto, ne hai combinati di guai, eh? >>, considerò il preside.
<< Ok, basta. Abbiamo capito che non sono stato proprio uno stinco di Santo, in quest’anno e che ne ho fatte di cose. Ma non sono l’unico, uffa >>, si lamentò Ianto incrociando le braccia al petto.
<< Beh, però la cosa più divertente è successo in ospedale da Vincenzo >>, affermò Fabio.
<< E’ vero! Se ci penso rido ancora >>, esclamò divertito Mario.
<< Cosa? >>, domandò Debora.
<< Già, noi non conosciamo tutti i retroscena di scuola >>, aggiunse Margherita.
<< Il momento più divertente fu quando Carlo fece una scenata di gelosia ad Andrea >>, spiegò ridendo Fabio.
Al ricordo di quel giorno, scoppiammo tutti quanti a ridere, meno che i due interessati, il preside e le due ragazze.
<< Scenata di gelosia? >>, chiese perplesso l’uomo.
<< Grazie, dovevate proprio ricordarlo? Ci ho messo un secolo per rabbonire Carlo >>, sbuffò Andrea.
<< Rabbonirmi? Guarda, non farmici pensare. Mi hai nascosto una cosa di grandissima importanza, bastardo. Sei fortunato che non ti abbia preso a calci nelle palle >>, dichiarò infervorato Carlo.
<< Visto? Questo qui mi stacca la testa a morsi >>, si lagnò Andrea.
Ritornammo nuovamente a ridere furiosamente. Era troppo divertente vederli abbandonare le loro maschere imperscrutabili per mostrare quei lati umani.
<< Ah Carlo, ribadisco. Dove sei stato fino ad ora >>, esclamò tra le risate Ianto.
Poi, riacquistata un po’ di calma, spiegai serenamente l’episodio a cui ci stavamo riferendo. Appena compreso, il preside e le due ragazze rimasero a fissare scioccati i due giovani, per poi esplodere dal troppo ridere. A quelle risate, ci unimmo poi tutti quanti. Non avevo mai riso così tanto in vita mia. E desideravo ardentemente continuare a farlo per il resto della mia vita.
 
Io e Ianto passeggiavamo mano nella mano, per le strade di Roma. Adoravo quei momenti di totale tranquillità e armonia, dove niente e nessuno poteva sconvolgere le nostre vite. Quel silenzio carico di emozioni e parole sottintese. l’amore che scorreva come un fiume in piena tra i nostri cuori, e il dolce cullare dei suoi respiri, capaci di scaldarmi l’anima. Ecco, quello era uno di quei momenti che avrei conservato gelosamente nel mio cuore. Ianto per me era ormai il mio tutto, e non avrei più lasciato andare quella mano. Non importava cosa sarebbe accaduto in futuro, io non lo avrei mai più perso. In passato il mio desiderio era quello di diventare ricercatrice, e scoprire un  modo per curare le malattie più gravi al mondo. Ma da quando quel meraviglioso ragazzo dagli occhi di ghiaccio era entrato a far parte della mia vita, il mio sogno era mutato. Volevo ancora trovare una cura, ma non era la mia priorità. Al primo posto di tutti i miei sogni, c’era Ianto. Io volevo che fosse felice, che realizzasse tutti i suoi desideri, e che restasse al mio fianco per l’eternità. Questo era quello che più desideravo, e sarei sempre stata un appoggio per lui. Ma una domanda cominciò a martellarmi.
<< Ianto, ma tu cosa sogni per il tuo futuro? Cosa vorresti essere? >>, domandai curiosa.
<< E questa da dove ti esce? >>, rispose sorridendo divertito.
<< Stavo solo pensando. Tutti quanti hanno più o meno un sogno da raggiungere. Ma tu non mi hai mai parlato di queste cose. Ed ora mi domando: tu cosa vuoi fare da grande? >>, mi fermai in mezzo alla strada, cominciando a fissarlo intensamente. Volevo sapere ogni cosa di quel giovane, anche i suoi più piccoli segreti. Volevo che lui mi appartenesse completamente, come io appartenevo a lui.
<< Odio quando dici “da grande”. Mi fa pesare gli anni di differenza che abbiamo >>, sbuffò infastidito.
<< Beh, sei comunque un moccioso >>, replicai divertita. A quel commento, Ianto abbassò lo sguardo intristito ed anche un po’ arrabbiato. Era davvero dolce scorgere quell’espressione sul suo volto. Portai una mano sotto al suo mento, e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. << E sei il mio moccioso. Quindi, per quanti anni di differenza possano esserci tra di noi, tu sei comunque il mio uomo. E non ti cambierei mai per nessuna persona al mondo >>.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio sorrise commosso dalle mie parole, e strinse più forte la mia mano. Nel suo sguardo leggevo tanto amore. Avrei voluto stringerlo forte al petto, per come mi stava facendo sentire. Era meraviglioso provare quell’immensa sensazione d’amore che lui emanava. Poi Ianto inspirò profondamente, e distolse lo sguardo, cominciando a riflettere sulle mie parole.
<< Vediamo, cosa voglio fare da grande >>, pensò intensamente. << Beh, qualcosa di importante, sicuramente. L’idea di diventare biotecnologo non mi dispiace proprio. Sarebbe divertente lavorare per te >>.
A quelle parole scoppiai a ridere. Non credevo che potesse scegliere la mia stessa professione, e non riuscivo proprio ad immaginarlo dietro ad un microscopio. Era una visione troppo strana e angelica per poter diventare reale.
<< Perché ridi, scusa? Cosa c’è di buffo in quello che ho detto? >>, domandò Ianto perplesso.
<< E’ che non credevo che volessi passare la tua vita in un laboratorio. Ti vedevo più come un tipo dinamico, magari come dottore o qualcosa completamente estraneo alla scienza >>, spiegai tornando seria.
<< All’inizio anche io non volevo continuare questo percorso scelto dai miei nonni >>, confermò il giovane fissandomi. << Poi però sei arrivata tu >>
<< E che cosa avrei fatto, sentiamo >>, chiesi divertita.
<< Mi hai aperto gli occhi. Ho potuto comprendere quali fossero le scelte giuste da fare, quelle che potevano rendermi felice >>, dichiarò con un’intensità tale, da farmi rabbrividire. Non credevo di aver influito così tanto sulla sua vita. << Ed alla fine ho scoperto che questo mondo non è poi tanto male. E che mi piace studiare alla mia scuola, e che scegliere un cammino simile è la cosa giusta per me >>, poi alzò una mano, portandola sul mio volto, e cominciò ad accarezzarmi lentamente una guancia. << Però c’è una cosa che desidero più di ogni altra >>
<< Cosa? >>, sussurrai lentamente.
Ianto non rispose, ma avvicinò il volto al mio. Il cuore prese a battermi furioso nel petto, come accadeva ogni volta che il giovane stava per baciarmi. Amavo quel battito, perché era la prova fisica dei miei sentimenti per Ianto. Sentii il respiro caldo del mio ragazzo sul volto, e fremevo al pensiero che avrei presto assaggiato nuovamente il suo sapore. Le nostre labbra si sfiorarono lentamente, poi cominciammo a strusciarle. Ma quel contatto non mi bastava, e sapevo che anche a lui non sarebbe bastato. Infatti, Ianto cominciò a premere le sue labbra contro le mie, leccandole lascivamente. Stavo raggiungendo il limite. Non potevo resistere al sapore di quel ragazzo. Aprii la bocca, invitandolo ad entrare e cominciando a diventare parte attiva di quel bacio. Nel frattempo, le mie mani si aggrapparono alla vita del giovane, mentre quelle di Ianto andarono al mio volto, accarezzando con amore le mie guance. Le nostre lingue si incontrarono, leccandosi e succhiandosi a vicenda. E, come una droga, il sapore di Ianto penetrò nel mio cervello, disconnettendolo completamente. Non avevo più il controllo di me stessa, e quando questo accadeva, io e Ianto finivamo sempre tra le lenzuola del mio letto. E non vedevo l’ora di tornare a casa. Quando il fiato cominciò a mancare, io e il ragazzo ci staccammo con uno schiocco, ansanti e arrossati. Ci fissammo dritto negli occhi, perdendoci l’uno nello sguardo dell’altro.
<< Casa tua? >>, domandò in un sussurro.
<< Di corsa >>, risposi con lo stesso tono.
Sempre guardandoci, scoppiammo a ridere per la nostra irruenza e fretta. Poi riprendemmo il nostro cammino impazienti. Mancava poco a casa mia, e restammo in silenzio per tutto il tempo, carichi di passione e fuoco che voleva essere solo sprigionato. Un rumore attirò poi la nostra attenzione. Ci voltammo contemporaneamente verso un edificio poco distante dal mio condominio. Molte persone di varie età stavano uscendo da li.
<< Che cos’è quel posto? >>, chiese Ianto aggrottando le sopracciglia.
<< E’ una scuola preparatoria >>, spiegai riconoscendo l’edificio.
<< Cioè? >>, domandò il ragazzo perplesso.
<< Praticamente ti prepara ad affrontare qualsiasi cosa. Dai test all’università, ai colloqui di lavoro, oppure spiega come funziona ad esempio una tua ipotetica carriera futura. Ti fa fare delle prove, e cosi via. Hanno preso spunto dai giapponesi, che hanno una cosa simile >>, dissi con tranquillità, guardando le molte persone che uscivano da quel posto. << Prima svolgevano le lezioni da un’altra parte. Ma l’edifico è stato chiuso per i restauri, ed hanno affittato quel locale. Avevo letto il manifesto qualche giorno fa, ed oggi ricominciavano le lezioni >>.
Ianto annuì, capendo le mie parole. Entrambi fissavamo le persone che stavano uscendo. Non sapevo il perché, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quel posto. Sentivo una strana sensazione, come se dovessi restare li ed aspettare qualcosa. Era la stessa sensazione che avevo provato tutte le volte che avevo aiutato la mia classe. Perciò, ormai consapevole che non avrei potuto tirarmi indietro da quel nuovo impiccio, rimasi li ad aspettare. E quando alla fine scorsi una figura nota, un sorriso sarcastico si disegnò sulle mie labbra. Quello proprio non me lo aspettavo. Ianto, avvistando anche lui la stessa persona, spalancò gli occhi sorpreso.
<< Ma quello è… >>, mormorò confuso.
<< Già. Giuliano Altieri >>, confermai continuandolo a guardare.
Il ragazzo in questione, nel frattempo, sorrideva e parlava amichevolmente con un gruppo di persone di varie età. Non sembrava neanche lui, per il modo amichevole con cui si rivolgeva a quelle figure.
<< Ma che diavolo ci fa in quel posto? >>, chiese perplesso Ianto.
<< Non ne ho la minima idea >>, risposi alzando le spalle. Poi, come se si sentisse osservato, Giuliano voltò lo sguardo cercando qualcosa. Quando poi i nostri occhi si incontrarono, impallidì sconvolto. Senza badare più a nessuno, si avvicinò a noi con passo incerto. << Ma credo lo scopriremo presto >>.
Le mani mie e di Ianto, ancora intrecciate, si lasciarono di scatto. Non potevamo permettere che proprio uno come Giuliano scoprisse che rapporto ci fosse tra noi due.
<< Sai una cosa, Lisa? Mi sembra di vivere uno strano déjà-vu >>, commentò Ianto.
<< Ti riferisci alle mille volte che siamo stati beccati da qualcuno della classe in atteggiamenti poco casti? >>, affermai sarcastica.
<< Già >>, confermò il ragazzo con lo stesso tono.
Nel frattempo Altieri ci aveva raggiunto, fissandoci silenzioso e preoccupato.
<< Cosa… >>, cominciò con voce incerta. << Cosa ci fate…voi due qui? >>
<< Potremmo farti la stessa domanda >>, affermai con un’alzata di spalle.
<< Ma l’ho fatta prima io. Quindi tocca a voi rispondere >>, esclamò, riacquistando un po’ della sua arroganza.
Quel giovane era davvero impossibile. Perché doveva essere così viziato? Mi mandava fuori di testa.
<< Ok, Giuliano. Cerchiamo di avere una conversazione pacifica >>, risposi sospirando. << Io abito qui vicino. Eravamo a casa del preside a fare una cena tutti quanti, e Ignazio mi stava riaccompagnando a casa, perché si è fatto buio e lui è vero gentiluomo >>
<< Grazie, molto gentile prof >>, esclamò divertito Ianto.
Entrambi avevamo riassunto i ruoli di insegnante e alunno. Odiavo chiamare il mio ragazzo con il suo vero nome. “Ignazio”. Mi portava solo brutti ricordi alla memoria, tra cui quello del bacio scambiatosi in discoteca dopo che tornai dal mio viaggio a febbraio. Improvvisamente la voglia di passare la notte con Ianto scemò, cominciando a far posto alla collera. Non mi era ancora del tutto passata la rabbia per quella specie di tradimento.
<< Ah >>, commentò sorpreso Giuliano. Non si aspettava una risposta simile, e non poteva rinfacciarci proprio nulla.
<< Quindi tu cosa ci fai qui? >>, domandai divertita dalle sue reazioni.
<< Io ecco… ehm… sono qui perché… >>, ma non riuscì a finire la frase, troppo terrorizzato.
<< Compra una vocale, Altieri. Non si capisce una parola di quello che stai dicendo >>, affermò ironico Ianto.
Il giovane ci fissò terrorizzato. Apriva e chiudeva la bocca come se volesse dirci qualcosa. Di tutte le cose che potevano capitargli, quella di essere beccato da noi proprio non se l’aspettava.
<< Devo andare >>, strillò improvvisamente.
Poi, senza neanche darci il tempo di capire, si voltò su se stesso e cominciò a correre lontano da noi. Rimasi spiazzata da tale atteggiamento. Non mi aspettavo di certo una reazione simile. Era come se noi fossimo dei killer, e lui la vittima. Non capivo cosa fosse successo, ma non potevo restarmene ferma senza fare niente. Avrei indagato, e avrei cominciato proprio il giorno dopo, a scuola, come avevo fatto con tutti gli altri.
<< Quel tipo dovrebbe darsi una calmata >>, commentò perplesso Ianto.
<< Si, in effetti è un po’ strano >>, confermai continuando a guardare il punto in cui Giuliano era scappato.
<< Scommetto che ti infilerai anche in questa storia, vero? >>, domandò sospirando il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Ovvio >>, annuii divertita.
Restammo per qualche altro secondo in silenzio. Poi Ianto, mi afferrò nuovamente la mano stringendola.
<< Questo incontro non ha rovinato i piani della serata, vero? >>, chiese eccitato.
Sorrisi cattiva sentendo quelle parole. Nelle mie vene, scorreva ancora la collera per il tradimento subito a febbraio. Era un atteggiamento folle, il mio, ma gli avrei fatto scontare quel gesto per molto altro tempo ancora.
<< Si, mio caro. Non faremo più niente, stasera >>, dichiarai staccando la mia mano dalla sua.
<< E perché, scusa? Che ho fatto ora? >>, domandò scioccato.
<< Niente. Ho solo ricordato. Anzi, devo fare una cosa >>, affermai tranquillamente.
Poi, senza neanche dargli il tempo di pensare, gli pestai con forza il piede. Ianto scattò come una molla, sconvolto e dolorante per il mio gesto. Lo vidi portarsi il piede leso tra le mani, e saltellare come uno sciocco.
<< Ahia Lisa, mi hai fatto male. Ma che ti prende? >>, si lamentò con la sua vocina infantile.
<< Così impari a tradirmi >>, sbuffai infastidita.
Poi cominciai ad incamminarmi verso casa. Avevo fatto qualche passo, ma mi bloccai di colpo preda dei sensi di colpa. Odiavo quel mio essere vendicativa e al tempo stesso troppo buona. Non potevo fare niente di cattivo, che subito dopo dovevo rimediare. Specie quando si trattava di Ianto. Perciò mi voltai e tornai a prenderlo.
<< Vuoi il secondo round? >>, domandò ironico.
<< Potrei. Ma preferisco farlo tra le lenzuola >>, spiegai portandomi un suo braccio attorno alle spalle, e aiutandolo a camminare.
<< Uhm, adoro questa sfida. E tu sei piena di impeto, che mi sento molto eccitato >>, commentò il giovane divertito.
Il piede leso, ormai tornato sano, e un sorriso da prendere a schiaffi sul volto. Quello era il mio Ianto! E non lo avrei cambiato con nessuno al mondo.
 
<< Allora, studiate per il compito di domani, che sarà l’ultimo. Poi non voglio sentirvi lamentare se andate male, e prendete il debito in fisica >>, affermai sistemando le mie cose nella borsa.
Tra qualche minuto la campanella di fine giornata sarebbe suonata, ed io avrei parlato con Giuliano. Chissà perché ogni volta che c’era qualcosa che non andava, chiudevo una lezione con qualche compito da assegnare.
<< Prof, ma io domani non posso venire >>, esclamò nel panico Fabio.
<< Come mai? >>, chiesi sorpresa. Non era da Fabio saltare una giornata scolastica.
<< Devo fare delle analisi, visti i precedenti in famiglia >>, spiegò.
Sorrisi tristemente a quell’affermazione. Lanciai uno sguardo frettoloso al banco vuoto di Vincenzo, sentendo una stretta al petto. Il posto del ragazzo era rimasti li, come sempre. Nessuno lo aveva spostato di un millimetro. Era come se Vincenzo fosse ancora li con noi, seduto al suo banco. Non ci avrebbe lasciati mai.
<< Va bene. Vorrà dire che lo farai dopodomani, mentre interrogo >>, risposi con calma.
Fabio mi sorrise grato, poi cominciò a sistemare le sue cose. Quando la campanella suonò, tutti i ragazzi si alzarono, pronti per andare a mangiare.
<< Altieri, resta qui con me. Fammi un po’ di compagnia, ti va? >>, domandai sarcastica.
Giuliano mi fissò preoccupato, ed anche arrabbiato. Annuì con un gesto meccanico della testa, e si sistemò di nuovo al suo posto. Ianto, che nel frattempo mi aveva raggiunto, mi guardò confuso.
<< Che hai intenzione di fare? >>, sussurrò piano.
<< Impicciarmi dei fatti altrui ovviamente >>, risposi sorridendo.
Il giovane dagli occhi di ghiaccio sbuffò esasperato. Poi seguì svogliatamente Paolo e Roberto. Mentre usciva dalla porta mi lanciò uno sguardo ammonitore. Allargai il sorriso divertita per quelle sue reazioni. Era buffo vederlo in quello stato. Un mix tra geloso, preoccupato, innervosito e anche innamorato.
<< Allora, cosa vuole? Non ho tutto il tempo di questo mondo >>, domandò scocciato Giuliano attirando la mia attenzione.
<< Altieri che ci facevi ieri sera in quella scuola preparatoria? >>, chiesi senza tanti giri di parole.
<< Non sono affari suoi >>, sputò acidamente voltando lo sguardo.
<< Invece si. Sono la tua insegnante >>, spiegai avvicinandomi.
Sembravo un corvo pronto ad ammazzare la sua preda. E Giuliano lo sapeva bene quanto potessi essere pericolosa.
<< E allora? Che centra il fatto che è la mia insegnante? >>, rispose sulla difensiva.
Appoggiai le mani sul suo banco, e lo fissai con cattiveria. Il respiro del ragazzo si fece accelerato, come se temesse le mie azioni.
<< Centra perché il regolamento scolastico vieta qualsiasi tipo di attività lavorativa, o di altra natura. Come per esempio frequentare contemporaneamente un’altra scuola. Ed è mio dovere di insegnante dichiarare al preside ciò che ho visto ieri sera >>, spiegai con calma innaturale. Ero davvero inquietante, anche per le mie stesse orecchie.
Giuliano voltò di scatto lo sguardo, fissandomi terrorizzato. Si alzò di scatto dalla sedia, e poggiò le sue mani sulle mie braccia, stringendole agitato.
<< La prego non dica niente. La supplico, non lo faccia >>, mi pregò.
In quel momento decisi di abbandonare quel ruolo di cattiva e stronza, per assumerne uno normale, e a tratti anche dolce. Quel ragazzo sembrava davvero spaventato all’idea che facessi la spiona. Doveva stargli molto a cuore quella faccenda, ed io volevo aiutarlo.
<< Va bene. Non dirò nulla >>, confermai dolcemente. << Però devi dirmi che ci facevi la? >>.
Giuliano mi fissò intensamente. Sembrava che stesse prendendo in considerazione l’idea di dirmi la verità. Sembrava combattuto. Non riuscivo davvero a capirlo. Infine sospirò, ed abbassò il volto tornando a sedersi stancamente sulla sedia.
<< Ero la perché... >>, mormorò con un filo di voce. << … Perché stavo inseguendo il mio sogno >>.
A quel punto la mia curiosità crebbe a dismisura. Di quale sogno stava parlando?





"Se non realizzi i tuoi sogni, allora perchè li fai?"

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Capitolo 32
*** I sogni son desideri... ***


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Capitolo 32 - I sogni son desideri...


<< Ero la perché... >>, mormorò con un filo di voce. << … Perché stavo inseguendo il mio sogno >>.
A quel punto la mia curiosità crebbe a dismisura. Di quale sogno stava parlando? La mia mente era davvero confusa. Non riuscivo a collegare Giuliano con quella scuola preparatoria e il suo sogno. Sentivo le rotelle del mio cervello fumare per cercare di capire, ma davvero non ne venivo a capo. E la mia espressione doveva essere tutta un programma, perché Altieri, quel giovane ragazzo snob, viziato e pieno di se che mi odiava, guardandomi, sorrise timidamente. Dovevo sembrare davvero stupida, e arrossii leggermente per l’imbarazzo.
<< Ehm >>, cominciai cercando di darmi un contegno. << Mi dispiace, ma non riesco a capire >>.
Il ragazzo mi fissò per qualche istante, perdendo il sorriso. Poi, lentamente, abbassò lo sguardo intristito per chissà quale motivo. Sospirò pesantemente, e in quel momento intravidi un lato di Giuliano che davvero non conoscevo e che mai avevo intravisto. Era umano come me, e per questo aveva problemi e dispiaceri come tutti. Non era fatto di ferro o di chissà che altro materiale resistente. Lui era di carne, e sangue e cuore e provava emozioni come tutti. Provai una forte empatia nei suoi confronti, senza sapere bene il perché. Improvvisamente Altieri si alzò dal banco con flemma, e lentamente tornò a guardarmi negli occhi. Appena i nostri sguardi si incontrarono, vidi nei suoi una profonda disillusione, come se non ci fosse più speranza. Quasi come se il peso della realtà fosse troppo schiacciante anche solo per poter pensare di andare avanti, e di guardare al futuro con un sorriso. Sentivo sempre più dispiacere nei confronti di quel ragazzo.
<< Non fa niente. Non importa che non capisca. È solo una stupidaggine la mia >>, affermò in un sospiro.
Raccolse le sue cose, e senza darmi il tempo di ribattere, si avviò verso la porta.
<< Giuliano aspetta >>, esclamai appena prima che il giovane uscisse dall’aula.
Altieri si fermò, senza voltarsi. Le sue spalle erano ricurve, troppo ricurve. Sembrava che nella cartella, al posto dei libri, vi fossero dei macigni insostenibili.
<< Si riguardi, prof >>, salutò con voce spenta.
Poi riprese a camminare, senza voltarsi indietro. Non riuscivo a capire cosa fosse successo. Perché aveva avuto una simile reazione? che diavolo gli passava nella testa? Ero davvero confusa.
<< Ehi >>, mi richiamò una voce alle mie spalle, che conoscevo fin troppo bene.
Una voce capace di farmi rabbrividire per l’emozione. Sapeva accendere in me desideri nascosti, e far battere forte il mio cuore. Anche in quel momento, quello stupido organo che faceva sempre ciò che più gli andava di fare, cominciò a battere furioso. Alle volte lo odiavo per essersi lasciato sopraffare da quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Altre lo ringraziavo con tutta me stessa per avermi fatto innamorare di lui.
<< Hai origliato? >>, domandai voltandomi verso il giovane.
<< Si >>, confermò senza scrupoli.
Una cosa incredibilmente positiva di Ianto era che non sapeva mentire. Lui diceva sempre la verità, incurante delle conseguenze. Ignazio, invece, era una profonda matassa scura fatta di segreti e menzogne. Quel suo dualismo interiore mi faceva ancora girare la testa. Alle volte avevo paura che da un momento all’altro, Ignazio potesse uscire fuori e distruggere ciò che avevamo creato. Ma finché ci saremmo amati, niente avrebbe potuto separarci.
<< Cosa pensi? >>, domandai riprendendomi dai miei viaggi mentali.
<< Che sicuramente quel tipo nasconde qualcosa >>, dichiarò Ianto avvicinandosi lentamente. I suoi occhi erano incastrati nei miei. Sembrava stesse sondando la mia anima. << E che tu non ti farai gli affaracci tuoi >>.
Sorrisi divertita da quelle parole. Quel giovane mi conosceva troppo bene. Sempre per uno strano meccanismo mentale, dovevo ancora capire se quella cosa mi piaceva oppure no.
<< Già. Stasera indagherò a fondo e cercherò di scoprire la verità >>, confermai maliziosa.
<< Proprio stasera? >>, domandò Ianto preoccupato.
<< Si. Perché? >>, chiesi aggrottando le sopracciglia.
Il ragazzo non rispose, però. In compenso sul suo volto comparve la solita espressione che faceva sempre quando stava meditando qualcosa. E, solitamente, ogni volta che rifletteva quella che poi ci andava di mezzo ero io.
<< Potrei sapere cosa il tuo cervellino malato sta partorendo? >>, dissi sospettosa.
<< Donna di poca fede, sto riflettendo >>, esclamò divertito Ianto.
Poi lentamente, portò una mano al mio volto carezzandolo dolcemente. Senza volerlo, poggiai la mia guancia contro quella mano, godendo appieno di quel gesto. Bastava anche un semplice sfiorarsi tra i nostri corpi, che il mio cuore cominciava a battere furioso. Sentii i brividi lungo tutta la schiena, e la salivazione aumentare. Tutto il mio essere propendeva verso quel corpo che tanto amavo, e quella anima che mi abbagliava con la sua bellezza. Poi, come un fulmine a ciel sereno, ricordai il posto in cui mi trovavo e ritrovai un po’ della mia intelligenza, sparita chissà dove. Controvoglia, afferrai la mano di Ianto e lo spostai dal mio volto, stringendola un’ultima volta, prima di lasciarla andare. Il mio cuore urlava a gran voce di riportare l’arto del giovane sul mio viso. Sembrava che, ogni volta fossimo distanti, quello stupido organo sanguinasse, neanche fosse stato strappato. Lo misi a tacere incoraggiando il cervello a fare sentire a gran voce i suoi pensieri. Ero a scuola, e non potevo permettermi simili gesti. Il giovane non si lamentò di quel mio allontanamento. Aveva capito perfettamente qual era la situazione, e che il luogo non era per niente propizio per i nostri gesti d’amore. Come sempre, Ianto mi capiva quasi più di me stessa.
<< Allora stasera lo pedinerai? >>, domandò alla fine il giovane, incrociando le braccia al petto.
<< Si >>, confermai sbuffando.
Speravo di trascorrere una piacevole serata sul divano a leggere un libro, o magari mangiando qualcosa con Ianto. Ma ovviamente, come sempre quando si programma qualcosa, i piani vanno a farsi friggere.
<< Hai notato il volto di Giuliano quando ha parlato del sogno? >>, chiese Ianto riflettendo.
<< Si. Infatti mi domando di cosa stava parlando. Non credo di aver capito molto >>, affermai pensierosa.
<< Tu che sognavi da piccola? >>, domandò il giovane, cambiando improvvisamente discorso.
Rimasi spiazzata per quella domanda. Perché la gente doveva sempre cogliermi di sorpresa con qualche bislacca richiesta e quesito? Poi, visto che era stato il mio ragazzo a pormi quella domanda, decisi che avrei risposto onestamente.
<< Beh, forse i sogni che fanno tutti >>, risposi alzando le spalle.
<< Tipo? >>, indagò ancora. Sembrava che la questione gli interessasse davvero.
<< Ma si! Sposarsi, avere figli, trovare un buon lavoro, innamorarsi follemente. Nipoti, pensione, viaggi… cose così >>, dissi tranquillamente sorridendo.
Ianto meditò su quelle mie parole. Non era per niente soddisfatto di quella mia risposta.
<< Si, ma io sto parlando di sogni veri. Quelli che facevi la notte, sperando che un giorno si avverassero. Quelli che ti facevano battere forte il cuore, quando ci pensavi. Quelli che tenevi nascosti in quel famoso cassetto, aspettando solo il momento giusto per tirarli fuori e realizzarli >>, continuò sempre più interessato alla questione.
Mi sorprese quel suo volere sapere. Avevo fatto leggere a Ianto la scatola dei desideri fatta con Diego, ma a pensarci bene, li non c’erano i “miei” sogni. C’erano i progetti che avevo fatto con mio marito, quelli di coppia. Non i miei personali. Pensai nuovamente a me stessa e a quello che una volta volevo, e un’improvvisa rivelazione mi colpii in pieno petto.
<< Io volevo essere quella che sono diventata >>, esclamai sorpresa.
Solitamente ero molto critica con me stessa. Non riuscivo quasi mai a scorgere qualche pregio, a partire dal corpo, per arrivare al carattere. Ero sempre li in conflitto con me stessa. Ma la verità, pensandoci bene, era che fin da piccola volevo diventare la persona che ero. Quella che si faceva problemi su cosa mangiare o indossare. Volevo farmi rispettare, e prendere da sola le mie decisioni. Essere forte, e in grado di affrontare qualsiasi tempesta. Sapere dialogare e portare avanti le mie idee, senza farmi mettere i piedi in testa. io volevo essere esattamente in quel modo, e ci ero riuscita. Avevo anche ottenuto il lavoro dei miei sogni. Io ero una persona davvero realizzata, e non l’avevo mai capito.
<< Perché sei così sconvolta da questa cosa? Mi sembra che sia una cosa bella >>, esclamò felice Ianto.
Lo fissai intensamente negli occhi. Poi sorrisi come un’idiota. Alle volte potevo essere davvero cieca.
<< E’ che non me ne ero mai resa conto. Non avevo mai capito di essere diventata ciò che volevo. Solitamente la gente si guarda allo specchio e vede una persona diversa da quella che voleva essere. Io invece sono esattamente come desideravo. E non me n’ero mai accorta! >>, esclamai sempre più felice.
Essere consapevole di una cosa simile, mi rendeva euforica. Solo un anno fa non avrei mai potuto pensare di sentirmi così bene. Invece, grazie a Ianto e al suo amore, potevo affermare con tutta onestà che io, Lisa Cristillo, ero davvero una persona felice.
<< Sei sempre la solita idiota >>, sbuffò divertito il giovane dagli occhi di ghiaccio.
Senza rendermene conto, la mia mano partii da sola a colpire la testa di Ianto. Trattenni a stento una risata, per quel mio gesto, mentre il ragazzo cominciò a toccarsi la parte lesa, con un cipiglio offeso.
<< Dovremmo fare qualcosa per questa tua indole violenta, dolcezza >>, sbuffò sarcastico Ianto.
 
Mi tenni in disparte, cercando di nascondermi tra le persone che attraversavano la strada. Spiavo con insistenza l’entrata di quella scuola preparatoria, aspettando che Giuliano arrivasse. Erano quasi le otto e mezza, e gli incontri sarebbero cominciati di li a pochi minuti. Non vedevo l’ora di arrivare a scoprire quale profondo mistero ci fosse dietro a tutta quella storia. Specialmente perché avevo intravisto quel lato umano di Altieri, che mi aveva portato inevitabilmente a volerlo aiutare. Improvvisamente un rumore attirò la mia attenzione. Alzai gli occhi al cielo, infastidita e quasi al mio limite di sopportazione. Nella mia mente risuonava una sola unica domanda: perché tutte a me?
<< Si può sapere che diavolo ci fate qui, se poi dovete stare tutto il tempo a sbaciucchiarvi? >>, domandai furiosa, voltandomi verso le due figure.
<< Ma prof, uffa abbi un po’ di pietà per noi. Ci annoiamo! >>, esclamò con voce infantile Paolo.
<< Ehi, ciò significa che mi baci solo per noia? >>, chiese seccato Roberto.
<< No amore, è che se ci fosse più azione io non sarei tentato di assaporare le tue meravigliose labbra >>, rispose dolcemente il giovane dagli occhi nocciola.
<< Cosi va meglio >>, sorrise l’altro.
<< Vi giuro che se l’omicidio non fosse un reato, adesso vi starei strozzando con le mie stesse mani >>, sibilai minacciosa.
<< Senta, non dia la colpa a noi di questa cosa. È stato Ianto a dirci di starle azzeccati addosso come cozze con gli scogli >>, sbuffò Paolo.
<< Avevamo già altri piani per la serata. Ma visto che vogliamo bene sia a lei che a Ianto, abbiamo deciso di aiutarvi. Perciò ci ringrazi >>, dichiarò divertito Roberto.
<< Potevate anche evitare di ascoltare quell’idiota del vostro amico. Io non ho bisogno di essere pedinata, santi numi >>, sbraitai infuriata.
<< Rivediamo un attimino il passato, e poi potremmo considerare se davvero ha bisogno o no di scorta >>, affermò con astuzia il giovane dagli occhi verdi.
Digrignai nuovamente i denti, sbattendo i piedi a terra neanche fossi una bambina. Non potevo credere a come le cose erano andate a finire. Mentre stavo per uscire di casa alle otto, avevano bussato alla mia porta. Aprendola, avevo trovato Paolo e Roberto sorridenti, e divertiti. Avevo chiesto perché fossero venuti, e i due idioti mi avevano risposto che quel cretino ancora più idiota del mio ragazzo, non potendo venire quella sera, vista la riunione con i compagni di nuoto, aveva mandato quei due a sorvegliarmi e a tenermi d’occhio mentre pedinavo Giuliano. All’inizio avevo pensato che fosse uno scherzo, ma vedendo le loro espressioni convinte, avevo compreso che non era una menzogna. Ed era da mezz’ora, più o meno, che non facevano altro che sbaciucchiarsi, dirsi cose svenevoli da far venire il mal di stomaco, sfottermi e rendermi la vita impossibile. Ancora per poco, e poi li avrei presi a calci nel sedere. Sbuffai nuovamente, e poi mi rigirai verso la scuola preparatoria. In quel momento notai una chioma bionda che riconobbi immediatamente. Senza dire una parola, cominciai ad incamminarmi verso quel posto, seguita prontamente dalle mie due guardie del corpo, che avevo felicemente ribattezzato “scemo più scemo”. Attesi qualche minuto, nei quali Giuliano entrò nella scuola, e poi lo seguii all’interno. Appena varcata la porta, notai che vi era una piccola sala d’aspetto, come quelle che stavano in uno studio medico. Alla destra dell’entrata stava una scrivania con tanto di segretaria vecchia, e con gli occhiali spessi. Di lato alla scrivania si intravedeva un corridoio, e da li vidi scomparire Altieri. Senza pensarci sopra, riprendemmo a seguirlo. Ma fummo bloccati dal mastino di guardia.
<< Alt! Dove credete di andare? >>, domandò la signora di mezza età con la sua voce fastidiosa.
<< Stiamo inseguendo quel ragazzo >>, risposi senza pensarci sopra.
<< Giuliano? E perché lo stareste inseguendo? >>, chiese sempre più sospettosa, affilando lo sguardo. O almeno mi parve che affilava lo sguardo. Dietro a quegli occhiali spessi, non si capiva bene cosa stesse succedendo.
<< Sono la sua insegnante, e devo sapere che cavolo sta combinando quel tipo >>, esclamai infervorata. Rischiavo di perderlo di vista.
<< Questo non mi interessa minimamente. Qui dentro possono entrare solo gli iscritti, o le persone simpatiche. E lei non rientra in nessuna categoria >>, sentenziò con cattiveria la donna.
Non ci vidi più. Mi avvicinai con furia al bancone, digrignando i denti. La mia pazienza era stata messa a dura prova da “scemo più scemo” ed in quel momento era andata a farsi benedire. Due mani, però, arrestarono la mia corsa. Paolo stava trattenendomi con gentilezza. Poi con uno sguardo mi indicò un punto e mi voltai. Appena lo feci, vidi Roberto in modalità seduttore, avvicinarsi al bancone e sorridere dolcemente a quella brutta megera. Forse non era stata una brutta idea portarsi quei due appresso.
<< Buonasera >>, salutò cordialmente. Avvertii nella voce del ragazzo che qualcosa era mutato. Sembrava più seducente e gentile del solito. Mi metteva quasi i brividi.
<< E tu cosa vuoi? >>, domandò sorpresa la segretaria.
<< Volevo porgere le mie più sincere scuse per l’atteggiamento assunto dalla mia insegnante. Non avrebbe mai dovuto trattarla così. Lei svolge solo il suo mestiere, e lo fa egregiamente >>, rispose Roberto, con quella sua voce cosi tremendamente affascinante.
Anche la donna parve piacevolmente sorpresa dall’atteggiamento del ragazzo. Il suo viso era molto più rilassato e dolce. Sembrava quasi pendere dalle labbra di Roberto. Riflettendoci, chiunque sarebbe caduto nelle fauci del giovane dagli occhi verdi.
<< Non devi scusarti tu, mio caro ragazzo. Anzi, sei da premiare per questa tua gentilezza >>, dichiarò ammaliata la segretaria.
Paolo, dietro di me, sembrava stesse trattenendo a stento le risate. Lui conosceva molto bene il fidanzato, ed ero sicura che avesse già sperimentato quelle tecniche di seduzione.
<< Sa, purtroppo la mia insegnante soffre di un male atroce. Un disturbo che la porta a comportarsi in questo modo >>, esclamò con tristezza.
Le mie orecchie si aprirono. Chissà cosa si sarebbe inventato. La mia curiosità era immensa.
<< Un disturbo? >>, chiese perplessa la donna.
<< Già. Vede soffre di disturbi bipolari. Alle volte è felice, altre triste, e serate come questa diventa irascibile. Fa davvero pena >>, rispose rammaricato Roberto.
A quel punto, anche io cominciai a trattenermi dalle forti risate. Quel ragazzo era davvero sorprendente, e dotato di una intelligenza davvero unica.
<< Oh, mi dispiace >>, rispose velocemente la donna. Sembrava davvero dispiaciuta per me.
<< Fuori abbiamo visto Giuliano entrare qui dentro, e ci siamo chiesti il perché. Non lo stavamo pedinando, solo eravamo curiosi. La mia professoressa si preoccupa un po’ troppo, per via del suo disturbo. Capisce, dobbiamo accontentarla >>, Roberto si lasciò andare ad uno dei suoi sorrisi migliori che aveva in repertorio. Anche io sarei caduta ai suoi piedi. << Lei è una donna eccezionale, e sono convinto che capirà le nostre ragioni. Vogliamo solo chiedere al nostro amico cosa ci fa qui, e poi ce ne andiamo. Sono sicuro che lei potrà darci una mano, vero? >>.
La segretaria era ormai andata persa. Gli occhi sbrilluccicavano, e il sorriso ebete stampato in volto faceva capire quanto il suo cervello fosse poco presente in quel momento. Roberto aveva vinto. Mi trattenni dall’esultare, perché la recita doveva andare ancora avanti.
<< Va bene. Se è per te, mio caro ragazzo, farò un’eccezione. Secondo piano, terza porta a destra >>, rispose la donna, dolcemente lasciandoci passare.
<< Grazie mille. Lei è davvero fantastica >>, affermò sempre più seducente il giovane dagli occhi verdi.
Poi senza aggiungere altro, ci incamminammo tutti e tre nel corridoio bianco. Ai nostri lati vi erano porte chiuse, dove si sentiva un vociare continuo. In fondo al corridoio vi erano delle scale che portavano ai piani superiori, e con passo deciso ci incamminammo in quella direzione.
<< Roberto, devo dire che sei davvero grande >>, esclamai divertita, sicura che il mastino non ci avrebbe sentito.
<< Haha, stavo morendo dal ridere >>, affermò Paolo tra le risate.
<< “Compiaci il tuo cliente. Dagli ciò che desidera “ >>, rispose saggiamente il giovane.
<< Che? >>, domandai perplessa.
<< Era la prima regola del locale in cui lavoravo. “Compiaci il tuo cliente. Dagli ciò che desidera”. Bastava trattarla gentilmente e dirle ciò che voleva sentire. Ovvero che lei, prof, era una pazza squilibrata >>, spiegò con calma il ragazzo.
Lo fissai sconvolta. Non mi aspettavo di certo una risposta simile. Paolo, invece, continuava a ridere come se niente fosse. Evidentemente quella storia già la conosceva.
<< Non so se essere terrorizzata o affascinata per questa tua capacità di rigirarti le persone >>, risposi confusa.
Roberto non disse niente, ma allargò il sorriso enigmatico. Evidentemente in alcune occasioni, quella sua capacità doveva essere pericolosa. Scacciai via dalla mente quei pensieri, incamminandoci silenziosi verso la porta indicataci. Appena arrivammo, sentimmo un uomo parlare. Non si capiva bene cosa stesse dicendo, perciò lentamente aprimmo la porta, e sbirciammo dentro.
<< Allora chi vuole venire qui e fare una simulazione? >>, domandò l’uomo.
Era alto, con la pelle leggermente abbronzata, capelli ricci e occhiali spessi. Aveva tutta l’aria di essere un’insegnante di matematica.
<< Io! >>, esclamò felice una voce che riconobbi subito.
Giuliano si alzò dal suo posto, avvicinandosi al professore. Lo vidi concentrarsi come mai aveva fatto in classe. Era davvero un’altra persona in quel momento.
<< Allora, ragazzi, aprite il libro a pagina 37, e cominciate a svolgere i problemi dal numero 17 al 24 >>, affermò con serietà.
Rimasi sbigottita da quelle parole. Ma che diavolo stava dicendo? Non sapevo se ridere e chiamare l’ambulanza per portarlo in una clinica psichiatrica.
<< No Giuliano, così non va bene. Se lasci che i tuoi alunni si gestiscano da soli, avrai sempre il caos da parte loro, e non faranno ciò che hai richiesto. Devi invece fare come se quelli fossero i compiti a casa da consegnare per quella stessa giornata. Ora ti faccio vedere >>, lo redarguì l’uomo.
Poi, come aveva appena detto, cominciò a fare nuovamente quella scenetta ridicola. Forse le ambulanze da chiamare erano due.
<< Ma che succede qui dentro? >>, bisbigliò confuso Paolo.
<< Sembrano dei cretini >>, rispose Roberto.
<< Shh, silenzio! Devo capire >>, esclamai con decisione.
Poi prestai nuovamente attenzione a quelle persone. Restammo in ascolto per un’ora e mezzo, sentendo chiacchere su chiacchere da parte di quell’uomo e alla fine giunsi ad una conclusione, anche se mi sembrava ridicola. Giuliano stava frequentando quel corso preparatorio per imparare un mestiere, e sembrava proprio che volesse diventare insegnante. Ma quella mia ipotesi era davvero ridicola. Altieri era destinato a diventare medico o scienziato, come voleva la famiglia. Perché adesso stava seguendo un corso simile? Non aveva senso. Anzi, niente aveva senso. Improvvisamente una campanella, come quella scolastica, suonò attirando la mia attenzione.
<< Bene, ci vediamo domani, signori >>, salutò il professore.
Cominciai a tremare incapace di muovere un passo. Stavo per essere sorpresa con altri due ragazzi. E soprattutto Giuliano avrebbe capito che lo stavo seguendo. Quando la porta dell’aula fu aperta, capii che era troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Pochi secondi, e Giuliano si accorse della nostra presenza. Lo vidi sbiancare come un lenzuolo, e sul mio volto comparve un sorriso incerto e preoccupato.
<< Ciao >>, lo salutai debolmente. Quella serata non faceva che andare di male in peggio.
 
Chiusi la porta di casa, e mi avviai verso la cucina per riscaldare la pizza che mi era avanzata qualche sera precedente. Nel frattempo Giuliano si accomodò sul divano, impacciato e spaventato. Dopo averlo sorpreso alla scuola, lo avevo invitato a casa mia per parlare, e nel frattempo avevo congedato Paolo e Roberto, che più sereni che mai avevano preso la loro strada. Passarono vari minuti di assoluto silenzio, dove l’unico rumore che si sentiva era quello del fornetto acceso, intento a riscaldare la mia pizza. Appena finii, posizionai le fette su di un piatto e mi avviai nel salotto. Poggiai il piatto sul tavolino vicino ai divani, e mi accomodai di fronte a Giuliano. Un’altra seduta di psicoanalisi stava per cominciare.
<< Allora, ti va se riprendiamo il discorso che abbiamo interrotto stamattina? >>, proposi dolcemente.
Altieri alzò le spalle, sempre senza guardarmi. Era il suo modo per dirmi che andava bene.
<< Mi dicevi che frequentavi la scuola per inseguire il tuo sogno. Centra qualcosa quello che ho visto prima? >>, domandai cautamente. Il giovane annuì sempre senza guardarmi. << Il tuo sogno non riguarda carriere del tipo medico o scienziato, vero? >>, continuai sempre più dolcemente. Nuovamente, il ragazzo annuì. << Da quello che ho capito, centra qualcosa con l’insegnamento >>.
A quel punto Giuliano alzò il volto, spaventato e confuso. Sembrava che le mie parole lo avessero bruciato dentro.
<< La prego, non dica a nessuno quello che ha visto o che ha capito >>, mi supplicò preoccupato.
<< Ok, però tu devi spiegarmi >>, confermai con calma. La pizza si sarebbe di sicuro raffreddata.
<< La mia famiglia è una di quelle importanti, nel quartiere. E’ composta da soli medici, praticamente. E ogni figlio maschio deve intraprendere questa professione. È la tradizione degli Altieri >>, spiegò dopo qualche minuto di silenzio. La sua voce tremava ed era piena di tristezza. << Io ho sempre assecondato la volontà della mia famiglia, ma il mio sogno, quello vero, non è di diventare medico. Io voglio essere… un’insegnate >>, dichiarò infine. Gli occhi erano pieni di lacrime trattenute.
<< Non capisco perché tutto questo tormento per voler inseguire il tuo sogno >>, risposi con calma.
<< La mia famiglia non mi permetterà mai di fare ciò che voglio >>, affermò tristemente.
<< Come fai a dirlo? Hai mai spiegato ai tuoi quello che provi? >>, domandai perplessa. Ma sapevo già che la risposta che mi avrebbe dato, non mi sarebbe piaciuta per niente.
<< No, come potrei? Loro mi hanno già comprato il camice da dottore, preso accordi con la clinica privata dove lavora papà, e ho un posto sicuro all’università. Il mio futuro è già stato deciso, ed io non posso fare nulla >>, rispose sempre più abbattuto.
<< Ma stiamo parlando di te, e di quello che farai da grande. Come possono i tuoi genitori aver già deciso tutto? >>, esclami sconvolta.
Ma riflettendoci bene, e ripensando a tutto quello che avevo visto in quell’anno, era inutile stupirsi ancora dell’atteggiamento di quelle persone. Ormai sapevo di che pasta erano fatti, e gli unici a pagare le conseguenze dei loro gesti erano proprio i figli.
<< Perché il mio sogno non è importante. Io sono Giuliano Altieri, figlio di una grande e potente famiglia di medici. Non potrei mai deragliare il mio treno per fare l’insegnante. Non mi è concesso realizzare il mio sogno >>, sospirò amaramente.
Il peso di quel cognome doveva essere immenso, e solo in quel momento me ne resi conto. Ma non potevo accettare che le cose andassero in quel modo.
<< Non puoi buttare via tutto quanto. Giuliano, il tuo sogno è importante. È quello che ti spinge ad andare avanti. Se infrangi il tuo sogno, allora quello diventerà cenere non potrai più realizzarlo >>, spiegai dolcemente, cercando di farlo ragionare.
<< Ma resta comunque qualcosa che non interessa alla mia famiglia. Che importa se io sono infelice. Quello che conta è che diventi medico >>, sputò sprezzante.
<< Non è vero. La tua felicità, il tuo benessere sono importanti! Non puoi gettare al vento quello che desideri. Non puoi farlo così come se niente fosse. Ti ferirà profondamente non realizzare ciò che vuoi >>, continuai cercando di farlo ragionare.
<< Ma che importa? >>, sbuffò incrociando le braccia. << In fondo era solo uno stupido sogno >>
<< Uno stupido sogno? Non puoi dire sul serio? Non puoi credere a queste cose, te lo proibisco! >>, esclamai con forza. << E poi se non realizzi i tuoi sogni, allora perché li fai? >>.
A quelle mie parole, Giuliano rimase silenzioso. Dovevano aver colto il segno. Lo vidi mordicchiarsi il labbro inferiore pensieroso, e spaventato.
<< Non puoi decidere di cambiare ciò che desideri solo per accontentare gli altri. Certo, potrai cominciare a sognare altro, e magari realizzerai tutto quello che vuoi >>, continuai dolcemente, calmando i miei bollenti spiriti. << Ma nella tua mente, e nel tuo cuore, sentirai che ciò che più volevi al mondo non potrai più prenderlo. Resterà un buco dentro di te, e ti ricorderà tutti i giorni quello a cui hai rinunciato per fare felici gli altri. Sei disposto a soffrire in questo modo? Perché ti assicuro che sono dolori davvero difficili da sopportare >>.
Nella mia mente ritornarono con prepotenza tutti i progetti che avevo fatto con Diego. Tutto ciò che non avrei potuto avere e che sarebbe rimasto per sempre sospeso nella mia memoria. Ero una donna felice e realizzata, ma comunque avevo anche i miei scheletri nell’armadio.
<< Posso sopportare il dolore >>, mormorò tristemente Giuliano.
<< No, non puoi. Specie perché sarai sempre arrabbiato con te stesso, oltre che con gli altri. Perché ti sarai impedito da solo di aprire le ali, e spiccare il volo. Ti incolperai perché avrai deciso da solo di non realizzare il tuo sogno >>, negai  teneramente.
<< E se non ci riuscissi? Se non riuscissi a realizzare ciò che voglio? Allora avrei perso tutto, e non avrò più niente. Non posso correre questo rischio >>, esclamò terrorizzato il ragazzo.
<< E’ un rischio che devi correre, invece. Perché solo tuo puoi realizzare ciò che vuoi, e solo tu puoi trovare il coraggio di farlo. E se non sei coraggioso, allora è meglio che lasci perdere, perché la realtà e la difficoltà delle cose ti schiaccerà alla fine >>, spiegai con saggezza.
Ero stupita da me stessa per quel discorso importante che stavo avendo. Non credevo di aver raggiunto una maturità tale, da poter dire certe cose.
<< Io ho paura >>, rispose con voce tremante Giuliano.
<< Tutti hanno paura. Ma non per questo restano bloccati, ma anzi reagiscono e vanno avanti. Devi andare avanti anche tu, e realizzare ciò che più vuoi. Afferralo con le tue mani, e tienilo stretto al petto. E se fallirai, almeno potrai dire che hai tentato, e hai perso con orgoglio >>, dichiarai con dolcezza, sorridendogli. << Non vivere nell’ombra degli altri, ma fai ciò che vuoi, indipendentemente dal risultato. Puoi fallire e puoi avere successo, ma almeno avrai vissuto come vuoi tu, e nessuno potrà mai recriminarti qualcosa >>.
Giuliano mi fissò stupito. Non si aspettava quelle mie parole, e neanche io a dirla tutta. Avevo sorpreso anche me stessa. Ma ero contenta del risultato, perché non avrei potuto dire altro. Se neanche quelle mie parole lo avessero scosso dentro, allora non ci sarebbe più stato niente da fare. E mi dispiaceva che una persona come Giuliano dovesse sottostare al volere altrui. Alla fine avevo scoperto un ragazzo nuovo, con molte più paure e insicurezze di altri. In fondo, la cosa paradossale della vita, era sempre quel dualismo. Essere bulli nascondeva il fatto di avere paura. Essere indifferenti nascondeva il fatto di avere bisogno di aiuto, e così via. Tutto stava nel capire quale fosse la verità
<< Non me l’aspettavo >>, sussurrò confuso Giuliano.
<< Cosa? >>, domandai curiosa.
<< Questo, lei, le sue parole. Sono sbalordito >>, confessò leggermente imbarazzato.
<< Sarà la fame, ma non capisco che vuoi dire >>, risposi grattandomi divertita la testa.
<< Avrà notato un certo odio da parte mia nei suoi confronti suppongo >>, cominciò il ragazzo arrossendo sempre di più.
<< Si, avevo avuto questo sentore >>, confermai ironica.
<< Beh, la odiavo perché lei aveva ciò che io desideravo, e credevo che non avrei mai avuto. Ma la cosa che più mi faceva rabbia era vederla totalmente indifferente nel suo ruolo, come se non le importasse. Invece, io, avrei dato un braccio per prendere il suo posto >>, spiegò timidamente.
A quel punto compresi ogni cosa. Rividi nella mia mente i momenti in cui io e il ragazzo ci eravamo scontrati, e solo allora capii quanto vere fossero quelle parole. In fin dei conti, Giuliano era solo geloso. Sorrisi divertita per quel pensiero, perché ero convinta che nessuno, specialmente Altieri, sarebbe stato invidioso di me.
<< Sei un tipo contorno, tu >>, esclamai ridendo.
<< Un po’ >>, confermò Giuliano ridendo anche lui. << Però, adesso, ho capito che mi sbagliavo. Che lei non è indifferente, e che anche se il suo mandato sta per scadere, lei ha dato molto di più alla classe in un solo anno. Ha aiutato molti di noi, specialmente il mio amico Renato, e io le sono grato per questo. Se riuscirò a realizzare il mio sogno, allora mi ispirerò a lei >>.
Spalancai gli occhi dalla sorpresa. Quello proprio non me l’aspettavo! Ero davvero imbarazzata, e sentire tanti complimenti, specialmente dalla bocca di Giuliano, era davvero assurdo. Tutto mi sarei aspettata, tranne quello. Ma riflettendo nuovamente su quell’anno, molte cose erano state impreviste e sconvolgenti, quindi era inutile restare sempre così sorpresi.
<< Ispirarti a me? >>, domandai aggrottando le sopracciglia.
<< Si, voglio diventare un’insegnante proprio come lei, prof >>, confermò sorridendomi dolcemente il giovane.
Quello fu davvero il colpo finale. Tutto ciò in cui credevo era andato a pezzi, e il nuovo mondo che mi si presentava era davvero pieno di sorprese. E per festeggiare quella scoperta, decisi di invitare Giuliano a cenare con me e quella splendida pizza che era avanzata. Sospettavo che una nuova e meravigliosa amicizia fosse nata.
 
<< Benvenuto a casa del preside! >>, esclamò divertito Nicola.
<< Si, noi ci riuniamo qui >>, confermò Marco.
<< Questa è la nostra base segreta >>, sussurrò complice Renato.
<< Tecnicamente, voi qui siete miei ospiti. Perciò non fate diventare casa mia oggetto di vostra proprietà >>, dichiarò il preside apparecchiando la tavola.
Tutti quanti cominciammo a ridere come degli idioti. Dopo quella serata, erano trascorsi quattro giorni, e Giuliano era entrato a far parte del nostro gruppo. Quella era la prima serata che trascorreva in mezzo a tutti noi. Era ancora restio a lasciarsi andare completamente, e non aveva abbandonato del tutto il suo atteggiamento da ragazzino viziato. In fondo le brutte abitudini erano difficili da dimenticare. Però tutti gli altri erano stati così gentili e superiori, che avevano fatto finta di niente accettando il nuovo amico per com’era.
<< Simone, non mi diventi così pignolo e scontroso >>, risposi divertita.
<< Sto solo esponendo l’ovvietà dei fatti, Lisa. Essere chiari è tutto in questa società moderna >>, dichiarò saggiamente l’uomo mettendo i bicchieri sulla tavola.
<< Ma finiscila, che sei contento che invadiamo casa tua. Me lo hai detto proprio domenica scorsa >>, lo prese in giro Paolo.
Tra i due, in pochissimo tempo, si era creato un rapporto complice e sincero. Erano davvero legati, e sembrava, a volte, che si comportassero come padre e figlio. Ero felice perché Paolo finalmente aveva trovato la famiglia che tanto desiderava avere. E il preside sembrava avere ormai superato i dolori del passato. Questo mi rendeva incredibilmente contenta.
<< Non spiattellare davanti agli altri le nostre conversazioni private >>, si lamentò Simone sbuffando, e andando in cucina a prendere i piatti.
<< Non temere, ti ci abituerai presto a siparietti simili >>, affermò divertito Mario, vedendo l’espressione sconcertata di Giuliano.
Mi rendevo conto che per lui, abituato al freddo e all’indifferenza tra le persone, il nostro gruppo doveva essere decisamente fuori dagli schemi.
<< Si, e se vuoi possiamo raccontarti tutti i momenti buffi che abbiamo passato quest’anno, così anche tu sei aggiornato >>, propose Roberto affiancando l’amico.
<< Ti prego, no! Abbiamo rivangato il passato solo qualche giorno fa. Non potrei sopportare nuovi attacchi da parte di Lisa per la storia del mio compleanno >>, si lamentò preoccupato Ianto.
Ignorai bellamente quel commento, per rivolgere la mia attenzione a Giuliano. Volevo che fosse a proprio agio con tutti noi, perché quel ragazzo era davvero sensibile e poco fiducioso. Doveva rafforzarsi di più, se desiderava andare avanti in quel mondo. E stando con noi, forse, sarebbe stato più sicuro di se stesso.
<< Ehi perché non raccontiamo della scenata di Carlo per via della storia… >>, esordì Fabio, ma fu bloccato improvvisamente da una mano che andò a stringergli il colletto della camicia.
<< Non ti azzardare a rivangare quella storia, chiaro? Altrimenti sarò costretto a ribaltarti come un calzino  >>, lo minacciò furente Andrea.
La sala riprese a ridere nuovamente. Non ci curavamo neanche del fatto che un nostro compagno stava minacciando l’altro.
<< Perché questa reazione? >>, chiese perplesso Giuliano.
<< Perché altrimenti sarò costretto a fare da schiavo a Carlo per una settimana intera, e mi manderà in bianco per altrettanti giorni. Lo fa ogni volta che ricorda questa storia >>, spiegò furioso Andrea.
<< Ti ho sentito sai? Non sono mica sordo >>, esclamò infastidito Carlo. << Anzi, già che ci sei amorino, vammi a prendere un bicchiere d’acqua >>, ordinò perentorio il giovane.
Andrea sbuffò incavolato nero, e si incamminò in cucina a prendere ciò che il fidanzato aveva richiesto. Nuovamente esplodemmo dalle risate. Qualcuno sarebbe andato in bianco per una settimana.
<< Non so se essere terrorizzato da questo gruppo, o esserne conquistato >>, commentò Giuliano.
<< Amico mio, la seconda ovviamente. E già che ci sei, impara questo motto >>, spiegò Ianto afferrando il compagno per le spalle.
<< Quale motto? >>, domandai perplessa. Non ero a conoscenza di nessun motto.
<< Ah Carlo, dove sei stato fino ad ora >>, esclamo il giovane dagli occhi di ghiaccio.
Tutti quanti scoppiammo a ridere, anche il diretto interessato. Come sempre, ci aspettava una serata movimentata, all’insegna della follia.
 
Camminavamo per le strade di Roma, passeggiando silenziosamente. Tra me e Ianto, i silenzi non pesavano mai, benché fossero rari. Avevamo sempre qualche cosa da dirci. Ma quando restavamo in silenzio, assaporando quei dolci momenti, tutto diventava magico. eravamo mano nella mano, e come sempre il giovane dagli occhi di ghiaccio mi stava accompagnando a casa dopo la serata trascorsa dal preside. Fortunatamente tutto era andato bene. Giuliano si era trovato con tutti noi, ed aveva allacciato i rapporti con tutti. Ma soprattutto aveva rafforzato ancora di più la sua amicizia con Renato. Le cose non potevano andare meglio di così.
<< A che pensi? >>, chiese Ianto, interrompendo quel silenzio.
Alzando gli occhi da terra, mi resi conto che eravamo quasi giunti a casa mia. Il tempo, con il giovane dagli occhi di ghiaccio, passava troppo velocemente.
<< Alla serata >>, risposi onesta.
<< Siamo stati bene, vero? >>, commentò il ragazzo.
<< Assolutamente >>, confermai sorridendo. Poi cominciai a riflettere sulle domande che Ianto mi aveva posto. << Perché mi hai chiesto tutte quelle cose? Sui sogni eccetera >>
<< Beh, perché volevo sapere cosa sognavi, e se per caso avessi realizzato i tuoi desideri >>, spiegò il giovane.
<< Tutto qua? >>, chiesi dubbiosa.
<< Certo. Stavolta non ho secondi fini, non temere >>, annuì Ianto sorridendo.
<< Allora, adesso te la faccio io come domanda: tu cosa sogni? E non intendo come lavoro, a quella hai già risposto. Parlo di quello che desideri come persona, come essere umano. Non so se mi spiego >>, domandai curiosa.
<< Ho capito. Ma credevo che la risposta fosse banale, semplice e anche scontata >>, commentò il giovane dagli occhi di ghiaccio.
Ci fermammo in mezza alla strada. Ianto strinse saldamente la mia mano, e mi guardò intensamente. Nel suo sguardo lessi profondo amore, come accadeva ogni volta che mi fissava. Ma era bello sapere che fosse sempre la il suo sentimento. mi sentivo sicura e incredibilmente fortunata. Amavo sempre di più quel giovane.
<< Il mio sogno è banale >>, affermò dolcemente.
<< E qual è? >>, chiesi in un sussurro.
Ianto alzò la mano libera, e mi carezzò lentamente la guancia. Come sempre, appoggiai il mio viso, e mi beai di quei gesti. Non mi sarei mai stancata di quel semplice contatto, con mi dava così tanto.
<< Il mio sogno è trascorrere il resto della mia vita con te >>, rispose con voce bassa.
Quelle parole mi colpirono dritto in petto, facendomi sussultare. Sentii il cuore battere furioso. Ero immersa nell’amore e nel sentimento che il giovane provava nei miei confronti. Tutto intorno a me aveva le fattezze di Ianto. Quello si che era un mondo perfetto. Senza aggiungere altro, mi avvicinai al giovane, e poggia dolcemente le mie labbra sulle sue. Le struscia lentamente, poi fui presa da una voglia improvvisa di approfondire quel contatto. Così dischiusi la bocca e leccai le labbra di Ianto. Immediatamente queste si aprirono permettendomi di accedere in quell’anfratto caldo e umido che sapeva di buono, e che io amavo profondamente. Appena le nostre lingue si incontrarono, in me ci fu un’esplosione di fuochi d’artificio. Era la cosa più bella che avessi mai provato. Improvvisamente fui colta da una profonda rivelazione. Anche io desideravo trascorrere il resto della mia vita con Ianto. Sorrisi nel bacio, felice di aver capito quel mio profondo desiderio. Poi ci staccammo ansanti, ma felice. ci fissammo intensamente negli occhi, poi senza dire una parola tornammo nel mio appartamento. La notte era ancora giovane e noi avevamo bisogno di esprimere il nostro amore nella sua forma più pura. Ad attendermi, vi erano le braccia forti di Ianto, il mio paradiso personale.





Buonasera a tutti XD ecco a voi l'atteso capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...so che avete aspettato molto, ma non ho proprio avuto modo di scrivere...infatti ho un po' di recensioni a cui devo rispondere ^-^ perdonatemi, lo farò al più presto...però voglio rispondere ad una domanda che mi è stata fatta...ovvero, ormai siamo giunti al finale...avevo pensato di scrivere due capitoli e poi l'epilogo, ma andando a vedere, ho capito che sarebbero usciti due capitoli brevi, perciò ho deciso di accorparli e farne diventare uno più lungo...quindi vi comunico ufficialmente che ci restano altri due martedi per tenerci compagnia, poi questa storia sarà ufficialmente chiusa....waaaa, non voglio pensarci che se no mi vengono le lacrime >.< 
ringrazio tutti colore che recensiscono, o leggono solamente la storia...siete voi i veri protagonisti!!! come sono poetica U.U hhahaha
va beh, poi per chi volesse, seguitemi sul mio account fb (che ultimamente ho trscurato, ma non temete non l'ho abbandonato XD)...il link è questo: http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl...
ora vi lascio, e vi auguro buona notte a tutti...vi do appuntamento a martedi prossimo, e se vi va, lasciate un commentino XD
un bacio
Moon9292



"La professoressa Cristillo è pregata di andare urgentemente in presidenza!"

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Capitolo 33
*** Eppure mi hai cambiato la vita ***


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Capitolo 33 - Eppure mi hai cambiato la vita


Quando aprii gli occhi, quella mattina, la prima cosa che vidi fu il ghiaccio. Il ghiaccio che avevo imparato ad amare con tutta me stessa, che mi riempiva come nient’alta cosa al mondo. Amavo quel ghiaccio, mi faceva sentire bene, protetta, sicura ed amata. Essere guardata da quel ghiaccio mi faceva capire che ero importante. E non avrei mai rinunciato a quello sguardo. Ianto era diventato tutto per me. In pochi mesi aveva ricucito il mio cuore lacerato, e lo aveva fatto battere e brillare come mai era capitato in vita mia. Ero alla deriva, prima di arrivare a Roma. Una nave senza meta e senza capitano, con l’equipaggio in fuga sulle ultime scialuppe. Nessuno che mi guidava. E poi era arrivato lui. Quel ragazzino troppo bello per essere vero. Sfrontato ed arrogante, malizioso ed intrigante, dolce e sensibile. Ma soprattutto innamorato di me. E la mia nave finalmente era stata condotta in porto da quelle mani meravigliose e così esperte. Niente era più come prima. Ed io non sarei mai più stata la stessa, questo lo sapevo bene. Perché Ianto mi aveva cambiato dentro. Ero diventata forte, e allo stesso tempo fragile. Ero tante cose, e solo grazie alla presenza di quel ragazzo avevo scoperto chi ero davvero. Gliene sarei stata grata in eterno. Ianto mi fissò come se fossi la cosa più bella al mondo. Mi adorava, ed io adoravo lui. Appena i nostri sguardi entrarono in contatto, sul volto meraviglio di quel giovane apparve un sorriso luminoso, capace di abbagliare qualsiasi notte di buio profondo. Sorrisi di rimando, incapace di fare diversamente. Al cospetto di quella figura, non potevo fare altro che venerarla. Ianto si sporse verso di me, andando a baciarmi la schiena nuda che usciva fuori dalle coperte. Quel contatto con le sue labbra morbide, mi procurò profondi brividi lungo tutta la colonna vertebrale. Essere toccata da lui era la cosa più bella che potesse succedere. Era un insieme di emozioni, e sensazioni indescrivibili che facevano battere forte il mio cuore. Sorrisi dolcemente e innamorata. Era bellissimo quel risveglio. Ianto, dopo essersi staccato dalla mia schiena, si sistemò sulla sua parte di letto e si girò su un fianco per guardarmi in viso. Lentamente, ancora un po’ addormentata, lo imitai e presi a fotografare con la mente il suo volto bellissimo.
<< Sei sveglio da molto? >>, sussurrai con la voce ancora un po’ impiastricciata di sonno.
<< Dieci minuti, più o meno >>, rispose Ianto, sussurrando come se anche le pareti non dovessero ascoltarci.
<< Non riuscivi a dormire? >>, domandai aggrottando le sopracciglia. Il ragazzo dallo sguardo di ghiaccio aveva il sonno pesante, come me.
<< No, è che stavo pensando una cosa >>, rispose allungando una mano, e spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
<< Cosa? >>, chiesi rabbrividendo nuovamente per quel contatto.
<< Pensavo che vorrei svegliarmi cosi tutte le mattine, per il resto della mia vita. Sarebbe bello averti per sempre al mio fianco >>, confessò dolcemente, con voce tremante e piena di emozioni.
Il mio cuore prese a battere veloce, martellando la mia gabbia toracica. Ianto sapeva sempre come sconvolgermi dentro. Ormai tutto il mio essere reagiva solo per lui. Senza pensarci due volte mi allungai verso di lui, e delicatamente poggiai le mie labbra sulle sue. Un contatto leggero, come un soffio di vento, ma pieno di emozioni e carico di sentimenti. Anche un semplice sfiorarsi per noi, equivaleva ad esprimere tutto il nostro amore. Restammo uniti così per qualche secondo, senza fare altro se non sfiorarci le labbra. Poi, lentamente, allontanai il mio viso dal suo, per tornare a specchiarmi in quei meravigliosi occhi di ghiaccio. Sorrisi come una scema, senza sapere neanche il perché, e Ianto fece la stessa cosa.
<< Siamo davvero due idioti >>, esclamai divertita.
<< Parla per te. Io son sempre brillante, anche quando mi comporto da scemo. Ed ho un certo stile in ogni cosa >>, sentenziò superbo il giovane.
Sbuffai ridendo, sapendo quanto il suo ego fosse pompato. Non avrei mai osato dire che aveva ragione, che anche in certe situazioni lui brillasse come una stella. Non avrei più avuto vie di scampo, e convivere per sempre con quella sua boria era davvero troppo.
<< Forza, casanova. Alziamoci che dobbiamo andare a scuola >>, affermai tra uno sbuffo e l’altro, alzandomi e raccogliendo il mio pigiama buttato a terra.
Mentre infilavo il pantaloncino, cominciai a riflettere su come la mia resistenza avesse ceduto la sera precedente. Come sempre avevamo passato una bellissima serata in compagnia del preside e di tutti gli altri. A quel “tutti gli altri” si era aggiunto anche Giuliano, che da quel giorno del sedici maggio, ormai aveva preso posto fisso nel nostro gruppo. E la sera precedente, precisamente il nove di giugno, era stata davvero divertente. Avevo riso, scherzato, parlato, giocato e fatto i cretini fino a quasi mezzanotte. Altieri, dopo i primi momenti iniziali di turbamento, era entrato nel pieno dell’atmosfera, e incredibilmente il suo rapporto con tutti quanti noi era diventato unico e speciale. A dirla tutta, in quel mesetto scarso avevamo stretto un bel legame, ed io gli volevo bene. Non come ne volevo a Paolo o Roberto, perché questi erano unici ai miei occhi, ma era altrettanto bello. Dopo essercene andati, Ianto come sempre mi aveva accompagnato a casa. E nel momento di euforia, quando nelle vene scorreva ancora il divertimento e l’adrenalina per la serata, io e il mio ragazzo ci eravamo baciati davanti alla mia porta. Da li, poi, il passo verso il letto era stato davvero breve. E il passo per farlo restare a dormire, era stato ancora più breve. Le mie difese e la mia autorità avevano ceduto ormai da tempo sotto la forza di quel giovane, ma almeno speravo di poter riuscire a far valere la mia opinione ancora in qualcosa. Desiderio andato a farsi benedire, ovviamente. Ianto era rimasto da me, e sotto sotto ne ero davvero felice. Sorrisi nuovamente, mentre infilavo la maglia del pigiama, e mi avviai verso la cucina, pregustando il momento in cui avrei assaporato il dolce gusto del caffè. Dietro le mie spalle avvertivo i movimenti di Ianto, intento a seguirmi e a sedersi sullo sgabello della cucina. Preparai la macchinetta in un silenzio tranquillo. Appena l’odore di quella meravigliosa bevanda si propagò per tutta la stanza, mi sentii davvero in pace con me stessa. Avevo il mio lavoro, avevo i miei amici, avevo l’amore della mia vita accanto, e il caffè pronto per essere bevuto. Cos’altro potevo chiedere alla vita? Ma appena mi girai, le mie certezze crollarono. Ianto fissava intensamente le sue mani congiunte sul bancone, con un’espressione crucciata e disperata. Qualcosa non andava, ed entrai subito nel panico.
<< Ianto che c’è? >>, chiesi prontamente.
Il giovane alzò di scatto lo sguardo, puntandolo nel mio sorpreso. Poi, dopo qualche secondo, lo riabbassò tristemente, tornando a guardare le proprie mani.
<< Pensavo >>, disse nuovamente. Ma quella volta, il suo pensiero non doveva essere buono.
<< A cosa? >>, chiesi preoccupata.
Ianto sospirò malinconicamente, poi tornò a fissarmi. Nei suoi occhi un lampo di profonda angoscia lo torturava. Non mi piaceva per niente vederlo così sofferente. Odiavo quando chi amavo stava male, specialmente se questi era Ianto.
<< Siamo quasi alla metà di giugno. Oggi è dieci, e tra due settimane finirà la scuola >>, spiegò con voce grave. Il mio intuito si attivò all’istante. Sapevo già dove voleva andare a parare. << Quando sarà il momento, quando arriverà il trenta di giugno, e il tuo mandato a scuola scadrà, te ne andrai nuovamente, e mi lascerai solo >>.
Ascoltai quelle parole senza interromperlo, e lo fissai intensamente negli occhi. Avevo capito quale era il suo disagio, e la cosa mi riempii d’amore. Senza rendercene conto, ci eravamo intossicati l’uno con l’altro. Per entrambi la figura dell’altro era fondamentale, e questa cosa mi fece sentire importante ed amata. Ma soprattutto felice.  Io ero il primo pensiero di Ianto, e lui era il mio. Nessun amore sarebbe mai potuto essere così intenso. Lentamente mi avvicinai al bancone dove stava poggiato, e presi tra le mie mani le sue, stringendole forte. Sul mio viso, un sorriso pieno d’amore.
<< Non sei per niente turbata per il nostro allontanamento >>, disse il giovane. Non era una domanda, ma una constatazione.
<< No >>, confermai allargando sempre di più il sorriso.
<< Bello! Mi fa piacere sapere che sono l’unico che soffre per questa cosa. Davvero bello >>, sputò acido il giovane, cercando di svicolarsi dalle mie mani. Ma non glielo lasciai fare.
<< Non mi chiedi neanche perché non sono turbata? >>, domandai con fare misterioso.
<< No, non voglio chiedertelo. Perché, anche se così facendo calpesterò il mio orgoglio, io farò in modo che tu ed io resteremo uniti. Non mi interessa come. Potrei acciaccare il professore Elefante e farlo stare via per un altro anno, oppure seguirti infischiandomene di tutto e tutti. Ho mille opzioni, e tutti hanno come conclusione una sola cosa: tu ed io insieme >>, esclamò tutto d’un fiato il giovane con foga e decisone.
Lo guardai sgranando gli occhi. Tutto quell’impeto, quel desiderio, quella forza mi fecero rabbrividire. Ianto era unico, ed io non lo avrei mai cambiato di una sola virgola. Perché in quelle semplici parole, aveva dimostrato quanto perfetto fosse. E quanto puro e profondo fosse il suo amore per me. Ed io lo amavo con altrettanta forza. Perciò sorrisi nuovamente, stringendo forte le sue mani.
<< Sei davvero uno scemo, lo sai? >>, dissi divertita e con gli occhi luminosi.
<< Sto cominciando ad innervosirmi, Lisa >>, sbuffò infastidito il giovane.
<< Allora devi farmi una semplice domanda: “perché non sono turbata per il nostro imminente allontanamento?” Forza, chiedi >>, lo spronai allargando il sorriso.
Ianto mi guardò storto, non capendo dove volessi andare a parare. Le sue mani ancora intrappolate nelle mie.
<< E va bene. Allora, perché non sei turbata dal nostro allontanamento? >>, domandò facendomi il verso.
<< Perché non ci sarà nessun allontanamento >>, risposi felice.
<< Cosa? >>, esclamò sconvolto Ianto sgranando gli occhi.
<< Proprio così. Non sei il solo che soffre per questa cosa. Io ci stavo pensando da molto più tempo di te, e mi stupisco che tu mi stia ponendo questa domanda solo adesso >>, affermai dolcemente.
<< Non capisco. Che stai cercando di dirmi? >>, sussurrò il ragazzo.
<< Ho chiamato il Dottor Gallo, all’inizio di questo mese, dopo averci riflettuto per bene. Io non volevo separarmi da te, e perciò ho fatto l’unica cosa possibile. Ho chiesto il trasferimento >>, spiegai felice.
<< Hai chiesto cosa? >>, domandò a voce alta Ianto, spalancando sempre di più gli occhi.
<< Non volevo ripetere la stessa esperienza di febbraio. Ho rischiato di perderti, e non voglio più vivere senza di te. Quindi ho chiesto al Dottor Gallo di farmi trasferire al dipartimento scientifico della tua università. Manca solo la firma di Simone, che dovrebbe riceve i documenti oggi, ed è fatta. Resterò qui per sempre >>, continuai sentendo la voce tremare per l’emozione.
Ianto era incredulo. Sembrava non capire neanche le mie parole. Improvvisamente, però, un lampo di comprensione attraversò i suoi occhi, e capì. Capì che stavo dicendo sul serio, che sarei rimasta con lui, che non ci saremo più separati. Che non lo avrei mai più abbandonato. Aveva finalmente compreso quanto fosse profondo il mio amore per lui. Una lacrima solitaria rigò il volto del giovane. Ma non l’avrei fermata, perché sapevo che era una lacrima di felicità. In un battito di ciglia, Ianto si alzò dallo sgabello, fece il giro della penisola, e mi venne di fronte. Senza darmi il tempo di dire qualcosa, mi abbracciò stretto, come se potessi svanire da un momento all’altro. Ma non l’avrei fatto mai più. Io sarei rimasta. Ricambiai quell’abbraccio, aggrappandomi alla sua schiena come se fosse il mio rifugio. Perché Ianto era davvero la mia salvezza, il posto sicuro in cui stare. Sarei stata una stupida ad abbandonarlo, ed io non ero stupida.
<< E’ tutto vero? >>, sussurrò con voce incerta tra i miei capelli.
<< Certo. Non potrei mai mentirti su questo >>, risposi con la stessa voce.
Ianto si scostò leggermente dal mio corpo, e mi fissò intensamente negli occhi. Sapevo che ciò che leggeva nel mio sguardo era determinazione e amore. Ed era la stessa cosa che leggevo nel suo.
<< Ti amo >>, mi disse dolcemente.
<< Ti amo anche io >>, risposi con trasporto.
Quel momento era perfetto, e il bacio seguente fu forse tra i più belli che ci eravamo mai scambiati. Perché era pregno di certezze. La certezza che niente e nessuno avrebbe potuto separarci. Io e lui eravamo una cosa sola.
 
Arrivai a scuola felice e allegra come mai ero stata. Ianto in macchina non aveva fatto altro che parlare dell’estate e dei progetti futuri. Voleva passare una settimana al mare da solo con me, e poi magari unirci in qualche scampagnata con tutti gli altri. Sarebbe stato bellissimo e soprattutto divertente. Ma la cosa che più ci emozionava era sapere che alla fine del mese Margherita avrebbe partorito. Non vedevamo l’ora, perché la sera precedente, con voce emozionata, i due prossimi genitori avevano comunicato a tutti quanti che per il loro bambino, saremo diventati tutti zii. Anche se non c’era un legame di sangue, loro volevano che facessimo parte di quella nuova famiglia. Tutti quanti ci eravamo commossi, chi più e chi meno. Paolo, nella sua spontaneità che lo contraddistingueva, era scoppiato a piangere felice ed emozionato. La successiva ora l’avevamo passata a prenderlo in giro, soprattutto Roberto. Parcheggiai la macchina al solito posto, e insieme al mio ragazzo, ci avviammo verso l’entrata. In quel momento non mi importava davvero niente del fatto che potessero vederci insieme, perché niente avrebbe potuto guastare la mia felicità. Ma appena varcai la soglia della scuola, una bruttissima sensazione prese il mio stomaco. Era come se qualcuno mi avesse preso a pugni. Stavo quasi per piegarmi in due, per la furia di quella sensazione, ma non lo feci cercando di controllarmi. Non sapevo che stava per succedere, ma sarei stata pronta. Ianto era al mio fianco, e avrei affrontato qualsiasi tempesta. Nella mia mente si formulò un unico pensiero: “ quale caso umano sarà questa volta?”. Dopo un po’ giungemmo in classe, e non notai niente di particolare. Ma appena tutti si misero al proprio posto, vidi la mancanza di una persona. Giuliano non c’era ed era strano, perché quel giorno avrebbe dovuto essere interrogato. Perfetto, trovato il caso. Chissà cosa aveva combinato Altieri. Dalla sensazione che provavo pensai che fosse qualcosa di grave, ma avremo risolto tutto. Ne ero più che certa. Presi il libro di matematica, e cominciai a fare lezione. Passò un’ora e mezza, senza problemi e senza difficoltà. La sensazione non accennava ad andarsene, ma la ignorai, anche se lo stomaco cominciava a farmi parecchio male. Quella percezione era diversa da tutte le altre che avevo provato in quei mesi. Era forte, dolorosa, pericolosa e lasciava un senso di angoscia sul mio cuore. La stavo odiando con tutta me stessa. Poi una voce meccanica risuonò dagli altoparlanti.
<< La professoressa Cristillo è pregata di andare urgentemente in presidenza! Ripeto, la professoressa Cristillo è pregata di andare urgentemente in presidenza! >>, gracchiò la voce, che riconobbi come quella della segretaria.
Il mio sguardo si posò su Ianto, dubbioso. Ma questi mi sorrise tranquillo, ed io capii subito cosa stava pensando. Ero stata chiamata per via dei documenti del trasferimento. Grazie alla nostra speciale telepatia ci capimmo al volo, ed io mi rilassai un po’. La sensazione non se n’era andata, ma almeno sapevo che non c’entrava niente con quella convocazione. Chiusi il libro e lo posai sulla cattedra.
<< Bene, a quanto pare è richiesta la mia presenza. Fate i bravi, ragazzi. Ovviamente, Nicola bada alla classe >>, esclamai avviandomi verso la porta.
<< Non è giusto. Perché sempre io? >>, sbuffò il ragazzo andando a posizionarsi davanti alla cattedra, ed incrociando le braccia.
Era davvero carino in quella posizione. Sorrisi divertita, e mi avviai verso la presidenza. Ad ogni passo che facevo, però, qualcosa sembrava non andare. Improvvisamente mi sentii una condannata a morte che si avviava verso il patibolo. Potevo quasi udire la voce del mio carceriere, che corrispondeva a quella della segretaria, urlare: “uomo morto che cammina!”. Fantastico, anche le strane fantasie cominciavano a darmi il tormento. Quando imboccai il corridoio della presidenza, vidi tre figure. Riconobbi quella al centro, e aggrottai le sopracciglia. Giuliano aveva lo sguardo abbassato, e il volto preoccupato a morte. Qualcosa lo stava tormentando. Alla sua destra e alla sua sinistra due figure gli facevano da torri. Sicuramente erano i genitori, perché sul loro viso riconobbi l’espressione arrogante e superba che avevano tutti quanti. Senza neanche conoscerli, li odiai profondamente. Quando fui a pochi passi di distanza dalla porta del preside, Giuliano alzò il volto e mi guardò sconvolto. Sembrava avesse paura ed era incredibilmente dispiaciuto. Gli sorrisi cercando di tranquillizzarlo, ma ebbi l’effetto opposto perché il giovane cominciò a piangere silenziosamente. Non riuscivo davvero a capire cosa stesse succedendo, e la sensazione non faceva che aumentare. Bussai forte alla porta del preside, ed una voce stanca mi invitò ad entrare.
<< Mi ha fatto chiamare? >>, chiesi appena varcata la soglia della presidenza.
Ai miei occhi, apparve un Simone stanco e triste. Sembrava essere tornato quello di qualche tempo fa. Non mi piaceva per niente quella situazione.
<< Si accomodi professoressa >>, mi invitò il preside con un gesto lento.
<< Che succede? >>, domandai appena presi posto.
Simone sospirò profondamente. Portò una mano agli occhi massaggiandoli forte, poi tornò a fissarmi. Sulla scrivania notai una busta gialla, che l’uomo sfiorava ogni tanto.
<< E’ successa una cosa molto grave professoressa >>, esordì l’uomo.
<< Cosa? >>, chiesi preoccupata. Lo stomaco si contraeva sempre di più.
<< Stamani, sono venute quelle persone che ha incontrato fuori nel mio ufficio. Erano furiose e disgustate. Mi hanno portato questa >>, spiegò il preside indicandomi la busta gialla.
<< Credo di non capire >>, affermai confusa.
<< La apra, professoressa, e capirà >>, mi invitò l’uomo porgendomi la busta.
L’afferrai con mani tremanti, temendo che potesse esplodere da un momento all’altro. Neanche sapevo cosa conteneva, ma ne ero profondamente spaventata. Infilai la mano dentro, e sentii al tatto dei fogli lucidi. Tirai fuori quelle che erano delle fotografie. Quando il mio sguardo si posò su di esse, rimasi sconvolta. Il cuore prese a battermi furioso nel petto, e lo stomaco ormai cedeva al peso dei pugni che stava ricevendo. Non potevo credere ai miei occhi. Quelle che avevo davanti, erano foto mie e di Ianto, insieme in atteggiamenti inconfondibili. Tutte le foto erano state fatte nel parcheggio della scuola. In una Ianto aveva poggiato le sue mani sui miei fianchi. In un’altra mi stava carezzando la guancia. Un’altra mi baciava la fronte. Nell’ultima ci stavamo baciando. Le mie mani tremarono, e la fronte si imperlò di sudore, mentre un ricordo sepolto nella memoria veniva a galla:
 Improvvisamente sentii un rumore. Mi staccai di corsa dal giovane, lasciandolo li, con un’espressione inebetita sul volto. Cominciai a guardarmi intorno, sentendo sempre di più il panico aumentare.
<< Che c’è? >>, chiese Ianto stralunato.                                          
<< Ho sentito un rumore >>, sussurrai terrorizzata.
Il ragazzo si guardò intorno, cercando di capire cosa ci fosse. Ma da nessuna parte si poteva scorgere nulla. Il parcheggio era una zona riservata. Non ci andava mai nessuno, se non durante i colloqui, o manifestazioni varie. Solo allora si popolava di persone e macchine, venute dal quartiere. Per il resto del tempo, ero la sola ad occupare quotidianamente un posto.
<< Lisa, non c’è nessuno >>, constatò Ianto.
<< Ti dico che ho sentito un rumore >>, ribattei decisa, continuando a voltarmi in tutte le direzioni.
<< Amore mio, posso combattere con le avversità, ma la tua paranoia è qualcosa che io non posso gestire >>, dichiarò divertito il giovane.
<< Io non sono paranoica >>, esclamai infastidita, tornando a guardare il mio ragazzo.
<< Certo, come no >>, affermò sarcastico Ianto.
<< Finiscila. Non sono paranoica, e dobbiamo andare in classe, che si sta facendo tardi >>, sbuffai cominciando ad incamminarmi. << E poi ti dico che ho sentito un rumore >>.
Trattenni rumorosamente il fiato. Quel giorno avevo sentito bene. Ed il rumore era quello di una macchina fotografica. Ci stavano immortalando su quei fogli che sapevo mi avrebbero rovinato la vita.
<< Preside >>, sussurrai nel panico.
<< Professoressa, Altieri ha confessato di aver scattato queste foto qualche mese fa. I genitori, non so perché, sono giunti da me solo oggi. E le loro intenzioni non sono buone >>, spiegò rammaricato il preside.
<< Che sta cercando di dirmi? >>, chiesi non riuscendo a concentrarmi su niente.
<< Sto dicendo che i signori Altieri hanno chiesto la sua rimozione dall’incarico di insegnante con effetto immediato. Mi dispiace >>, continuò sempre più abbattuto.
In quel momento il mio pensiero andò dritto a Ianto. Cosa ci sarebbe successo? Che avremo dovuto affrontare ancora pur di poter stare insieme? Non vedevo la luce in quel tunnel, perché quelle foto erano la cosa più orribile che ci potesse capitare.
<< Io non so… la testa… e Ianto >>, mormorai sempre più nel panico.
<< Professoressa, ritorni in se perché questa conversazione non è ancora finita. E il resto è anche peggio di ciò che le ho appena riferito >>, disse tristemente il preside.
Qualcosa in me scattò, perché la mia testa parve tornare quasi lucida, e attiva. Avrei ascoltato attentamente ciò che Simone mi avrebbe detto.
<< Prosegua >>, lo invitai con voce più certa.
L’uomo sospirò nuovamente, poi poggiò i gomiti sulla scrivania, fissandomi dritto negli occhi.
<< I signori qui fuori volevano indire una nuova assemblea scolastica, come quella che ci fu per Paolo e Roberto. E volevano anche denunciarla, e gli estremi ci sono interamente. Lei ha commesso un reato, professoressa >>, rispose il preside con voce greve.
Solo in quel momento mi resi davvero conto di ciò che avevo fatto, in quale casino mi ero andata ad infilare. Quanto avessi sbagliato in quella storia. Non che il mio amore per Ianto fosse peccaminoso, ma il ruolo in cui ci trovavamo doveva essere più importante di tutto, ed io me n’ero completamente infischiata. Per la legge, ero un essere abominevole che aveva corrotto un povero ragazzo.
<< Li ho convinti a non fare nulla del genere. E’ stato difficile, ma sono riuscito nel mio intento. Però il punto è un altro >>, continuò con voce pesante.
Ad ogni parola che pronunciava, sentivo sempre di più il cuore sprofondare. Sapevo che il peggio sarebbe arrivato da li a pochi momenti.
<< Qual è il punto? >>, mormorai incerta.
<< I signori Altieri non la denunceranno, a patto che lei… >>, rispose il preside, bloccandosi poi a metà frase. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Poi tornò a guardarmi, quasi con le lacrime agli occhi. << Non la denunceranno a patto che lei se ne vada, professoressa >>.
Rimasi paralizzata, appena sentii quelle parole. Com’era potuto accadere una cosa simile. Quella mattina stavo festeggiando con Ianto per la nostra nuova vita insieme, e invece tutto stava andando perso. Non riuscivo a rendermi conto di niente.
<< Me ne vada? >>, domandai ingoiando il magone in gola.
<< Si. Hanno preteso che venga licenziata entro la mattina, ma non è tutto >>, affermò l’uomo.
<< Che altro c’è? Che diavolo voglio ancora? >>, domandai furiosa vedendomi tolte dalle mani tutte le cose belle che avevo faticosamente raggiunto.
<< Non voglio semplicemente che se ne vada dalla scuola. Loro pretendono che vada via da Roma, altrimenti la denunceranno. Le hanno concesso tempo solo fino a giovedì, dopodiché andranno alla polizia >>, concluse il preside in un solo fiato.
Il sangue mi si gelò nelle vene. Il cuore smise di battere, e tutto il mio mondo si distrusse. Dovevo andare via, altrimenti sarebbe successo il finimondo. Dovevo andare via per tutelare la mia immagine. Dovevo andare via per  salvare Ianto dalle conseguenze delle nostre azioni. Se fossi rimasta, la sua vita sarebbe finita per davvero. Il nostro amore ci avrebbe fatti affogare questa volta. E non sarebbe stata una morte piacevole, perché in un modo o nell’altro ci avrebbero diviso, e allora sarebbe stato peggio. Cominciai a piangere senza rendermene davvero conto. Le lacrime scendevano da sole, come se avessero vita propria. Erano la manifestazione fisica del mio cuore spezzato. Quel futuro che avevo intravisto quella mattina, così bello e limpido, pieno di sole e amore, era andato in pezzi per quattro foto. Tutto era finito, e stavolta non sarei più potuta tornare indietro. Perché non potevo combattere. Quella era una battaglia persa. E non importava se Ianto fosse maggiorenne, o altro. Io ero la sua insegnante e non potevo toccarlo. Neanche l’amore più profondo poteva essere giustificato agli occhi della legge.
<< Devo andarmene >>, sussurrai tra le lacrime.
<< Mi dispiace immensamente, Lisa >>, esclamò rammaricato il preside, passando al tu. << Ho provato in tutti i  modi a spiegare loro che sbagliavano, che quello che credevano non era la realtà. Ma non ho potuto fare nulla, e stavolta ho davvero le mani legate. Stavolta non possiamo vincere >>
<< Lo so. Io ero la sua insegnante, non dovevo toccarlo >>, dichiarai sentendo sempre di più il cuore farsi in mille pezzi. Presto sarebbe arrivato il crack finale, che mi avrebbe spezzato definitivamente.
<< Lisa, loro hanno preteso altre cose, e mi trovo d’accordo con queste richieste >>, continuò il preside.
<< Cosa? >>, chiesi piangendo sempre più forte.
<< Pretendono che tu non veda e non senta mai più Ianto. Ovviamente non possono impedirtelo, ma contano sulla tua collaborazione. Minacciano di chiamare la polizia, se fai diversamente >>, spiegò addolorato.
<< Perché sei d’accordo con loro? >>, domandai con un filo di voce.
<< Tu stai per andare via, e Ianto resterà qui. Se continuerete a sentirvi, lui non potrà mai andare avanti con la sua vita. Resterà ancorato a te, e rischieremo di perderlo nuovamente. Il suo rancore per la separazione forzata sarà tale, da distruggerlo. Se non vi sentite lui potrà tornare a vivere la sua vita, e magari forse un giorno, quando sarà pronto e maturo, verrà a cercarti. Ma dovrai stargli lontano per troppo tempo, prima che questo accada. Devi lasciarlo andare, solo così potrà essere felice >>, rispose il preside con tristezza e dolcezza allo stesso tempo.
Lo fissai sconvolta e consapevole. Quelle parole erano giuste, ed io non potevo fare altro che accettarle. Stava andando tutto molto velocemente, ma ero ovvio che fosse così. Neanche ci eravamo lasciati, e già dovevo pensare al suo bene, a farlo essere felice. Il mio cuore in cambio della sua vita. Questo era il prezzo che mi stavano chiedendo. E sapevo che lo avrei pagato. Perché se a febbraio io potevo decidere di restare, ora mi era impossibile. E andarmene restando legati ci avrebbe uccisi. La lontananza era qualcosa di insopportabile, specie se era forzata. Ianto sarebbe stato perennemente arrabbiato, e presto sarebbe spuntato fuori Ignazio. Conoscevo bene il mio ragazzo, e sapevo quanta paura provasse per quella sua parte d’anima nera. E io non volevo che avesse paura, non volevo che soffrisse. Lui doveva essere felice, perché aveva reso felice me. Il preside aveva ragione. Dovevo lasciarlo andare.
<< Ok >>, sussurrai tra le lacrime.
In quel momento, in quel preciso istante, il mio cuore fece crack! Era andato, non sarebbe più tornato come prima. Troppe volte era stato distrutto e lacerato, ma quella era la volta definitiva. Perché stavo rinunciando al mio amore, e non potevo combattere perché avevo le mani legate. Intorno a me, da quel momento in poi, ci sarebbe stato solo il vuoto.
<< Vai a casa Lisa. Prepara le valigie, prendi un biglietto del treno, e cerca di resistere. Tu mi sei stata accanto in un momento delicato della mia vita, ed ora io farò altrettanto. E lo stesso lo farà Umberto. Non avrai Ianto, ma non sarai sola. Te lo prometto >>, esclamò dolcemente Simone.
Mi porse entrambe le mani, e senza indugi, le afferrai stringendole forte. Avevo bisogno di sostegno, di forza, altrimenti non solo il mio cuore, ma tutto il mio essere sarebbe andato in mille pezzi. Rimanemmo in quella posizione per vari minuti, poi lentamente ci staccammo. Come un automa mi alzai dalla sedia, e senza più voltarmi indietro, andai verso la porta. Appena la aprii, davanti a me si presentò il volto piangente di Giuliano. Lo ignorai volontariamente. Niente avrebbe potuto farmi provare compassione per lui, perché mi aveva rovinato la vita. Lui e le mie azioni sconsiderate. Avevo perso tutto. Mi incamminai lungo il corridoio silenzioso della scuola, senza guardare niente. Volevo solo scappare, andare via il più lontano possibile. Dimenticarmi che in quel posto, avevo lasciato il mio cuore.
 
Il preside entrò lentamente nell’aula. Tutti gli alunni rimasero silenziosi, nel vedere quella figura. Paolo lo guardò domandandosi cosa ci facesse li. Non gli aveva detto nulla il giorno precedente, e questa improvvisata lo spaventava. E la stessa cosa la provava Roberto, e anche Nicola, e Mario, Marco, Fabio, Andrea, Carlo, Renato. Tutti loro. Ma soprattutto Ianto. Sentiva un immenso peso sul cuore, e la sensazione di essere stato abbandonato di nuovo. Sentiva le lacrime pungere gli occhi, ma non capiva il perché. Sapeva solo una cosa: voleva rivedere Lisa.
<< Silenzio, ragazzi. Devo comunicarvi una cosa >>, esclamò il preside, poggiandosi davanti alla cattedra.
In quel momento, Giuliano entrò nell’aula, con il volto stravolto dalle lacrime e l’espressione più colpevole che aveva in repertorio. Ianto si sentiva sempre di più inquieto e spaventato.
<< Che succede? Dove la professoressa Cristillo? >>, domandò preoccupato Renato.
<< Purtroppo è successa una cosa spiacevole. La professoressa Cristillo è stata… >>, il preside prese un profondo respiro. Poi posò lo sguardo su Ianto, e con gli occhi gli chiese scusa. << …è stata rimossa dal suo incarico con effetto immediato >>.
Il cuore di Ianto si fermò di colpo, per poi battere velocemente. Troppo velocemente. Non era un battito emozionato, ma furioso. Sembrava voler distruggere il giovane, ferirlo mortalmente e spezzarlo senza rimedi. Ianto, con quelle poche parole, stava morendo lentamente. Gli sembrò di rivivere un déjà-vu. Lisa che va via a febbraio e lo abbandona li, tutto solo e senza amore. No, non poteva ripetersi la stessa cosa. Lei glielo aveva promesso. Aveva detto che non lo avrebbe mai più abbandonato.
<< Come sarebbe? Che significa? >>, esclamò sconvolto Roberto.
<< Sono capitate delle cose, che non posso riferirvi. Ma la conseguenza di questi fatti è che la professoressa non potrà più essere la vostra insegnate >>, rispose il preside.
<< Che cazzate vai dicendo? Dov’è Lisa? >>, urlò Ianto alzandosi dal suo banco.
Sentiva la sua parte oscura cominciare ad uscire fuori. Aveva paura di tornare ad essere Ignazio, ma non poteva fare diversamente. Doveva capire che stava succedendo.
<< Si sieda, Manfredi >>, rispose duramente il preside, rifilando un’occhiata agghiacciante al ragazzo. << Tutto a tempo debito >>.
E con quelle poche parole, il ragazzo capì che presto avrebbe saputo tutto. La tentazione di scappare da quell’aula e andare da Lisa era forte, incredibilmente forte. Ma non poteva farlo. Era maturato, e sapeva ascoltare la ragione, finalmente. E questa gli suggeriva di aspettare, per capire. Doveva solo tenere a bada per poco la sua parte oscura. Ce l’avrebbe fatta! Avrebbe sicuramente resistito! Tutto per il suo amore.
 
Si ritrovarono per il pranzo sul tetto. Tutti quanti, nessuno escluso. Avevano provato anche a parlare con Giuliano, capire perché avesse pianto quando era entrato nell’aula, ma il giovane non aveva spiccicato parola, guardando sempre in basso. Ianto faticava a stare tranquillo. Si sentiva sempre più agitato, preoccupato e dolorante. Il cuore lo stava uccidendo.
<< Ianto calmati. Andrà tutto bene >>, esclamò convinto Paolo.
<< Che cazzo dici, Paolo. Hai sentito anche tu quello che ha detto Simone? >>, urlò inferocito il giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Lo abbiamo sentito tutti. Ecco perché devi stare calmo. Non fare sciocchezze Ianto >>, lo redarguì Andrea con la sua voce dura.
<< Si, si non farò stronzate stavolta. O almeno finché non avrò saputo la verità >>, affermò prontamente Ianto.
<< Anche perché stavolta non te la faremo passare liscia. Stavolta subirai le conseguenze delle tue azioni, amico. Mi dispiace, ma mia figlia non può crescere e avere come zio Ignazio >>, dichiarò con serietà Mario.
Ignazio lo guardò furioso, poi un lampo lo colpì. Appena si rese conto di ciò che aveva capito, sospirò amaramente.
<< Il mio orgoglio vorrebbe urlarti contro, in questo momento. Ma la ragione che ho imparato ad usare grazie a Lisa… >>, ingoiò un magone nell’aver pronunciato quel nome. << … mi dice che hai ragione. Se torno ad essere Ignazio, non posso starti accanto. Anzi, non posso stare accanto a nessuno di voi. Ignazio non vi merita, quindi se dovesse tornare fuori, allora lasciatemi perdere >>
<< Non accadrà, Ianto. Non temere >>, lo rincuorò Nicola.
<< Paolo, a che ora deve venire Simone? >>, chiese Roberto.
<< Non me l’ha detto. Mi ha mandato un messaggio dicendomi di vederci tutti quanti sul tetto all’ora di pranzo >>, spiegò Paolo, alzando le spalle.
<< Ragazzi sento dei passi >>, dichiarò improvvisamente Carlo.
Tutti si voltarono verso l’entrata, e dopo pochi minuti apparve il preside. Il suo viso era stanco e dispiaciuto, ed anche collerico. Qualcosa di grave era successo.
<< Spiegaci >>, lo esortò Ianto senza neanche salutarlo.
<< Non dovete fare questa domanda a me. Ma rivolgerla a qualcun altro, vero Giuliano? >>, esclamò duramente Simone.
Tutti cominciarono a fissare il ragazzo, che nel frattempo continuava a tenere lo sguardo basso. Copiose lacrime solcavano il suo viso.
<< Giuliano, che significa? >>, domandò Renato avvicinandosi all’amico.
<< Mi ero dimenticato anche della loro esistenza. Erano successe tante cose, e mi era passato dalla testa che nella mia camera ci fossero quelle foto >>, sussurrò disperato il giovane.
Ianto si avvicinò lentamente al compagno, e lo fissò confuso. La stessa espressione era impressa sui volti di tutti.
<< Che stai dicendo? Di quali foto stai parlando? >>, domandò Fabio.
<< Io non volevo che accadesse tutto questo. Davvero, mi dispiace >>, mormorò sempre più distrutto Giuliano.
<< Altieri, parla! Racconta tutto dall’inizio >>, disse con forza Marco.
Il giovane sospirò forte, poi alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi di ghiaccio di Ianto. Lo guardò profondamente dispiaciuto.
<< Ti ricordi quando tu e la professoressa veniste a scuola in macchina? Quando successe tutto quel macello tra Paolo e Roberto? >>, domandò con voce spenta.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio iniziò a riflettere, e subito gli venne in mente quell’episodio. Come dimenticare ciò che c’era stato la sera precedente e quello successo dopo. Annuì silenziosamente, invitandolo a continuare.
<< Beh, c’ero anche io la, nel parcheggio. E vi ho fatto delle foto >>, spiegò tristemente.
<< Tu hai fatto cosa? >>, urlò Ianto avvicinandosi pericolosamente al ragazzo.
<< Mi dispiace. Ma io odiavo la professoressa! Ero accecato dalla gelosia! Non ragionavo in quel momento. Davvero, non avevo intenzione di usarle, e non so neanche perché le ho fatte >>, si scusò prontamente Giuliano, arretrando di qualche passo.
Tutti quanti erano ammutoliti per quel racconto. Non riuscivano a credere alle proprie orecchie. Ed il peggio non era ancora arrivato.
<< Quando tornai a casa, le stampai senza logica. Appena le presi, capii subito che non ci avrei mai fatto nulla, e così le misi nel cassetto della scrivania, senza riflettere. Ma non immaginavo che per la mia sconsideratezza sarebbe successo tutto questo casino >>, continuò a spiegare il giovane, piangendo sempre più forte.
<< Di che casino stai parlando? >>, sibilò minaccioso Ianto.
<< Mia madre le ha trovate ieri sera. Ha visto le foto, ed è andata fuori di testa. Stamattina, i miei genitori mi hanno costretto a venire a scuola, e parlare con il preside. Hanno chiesto il licenziamento della professoressa >>, sussurrò tra le lacrime Giuliano.
Il cuore di Ianto sembrò fermarsi. Era come se l’intero mondo fosse precipitato nel baratro più profondo. Come quando va via la luce, solo che in quel momento sembrava essersene andata per sempre. Tutto era buio. Ogni cosa era vuota e priva di significato, o forma o qualsiasi altra cosa. Perché Ianto sapeva che quelle foto scattate erano la fine del suo amore. Sapeva cosa raffiguravano, senza neanche guardarle, perché ricordava perfettamente quella mattina. Come Lisa avesse sentito un rumore. Dei baci e delle carezze scambiate. Una mattina perfetta apparentemente, ma che in seno nascondeva una serpe velenosissima. Ianto sapeva anche che non avrebbero potuto lottare contro quei genitori, perché razionalmente avevano ragione. Lisa era la sua insegnate, e lei non dovevo toccarlo. Ma nessuno sapeva dell’amore profondo che li legava, di quanto potessero aiutarsi e darsi conforto a vicenda. Di quanto fossero indispensabili l’uno per l’altro. Non avrebbero mai capito, il mondo non li avrebbe mai capiti. Erano soli contro tutti, e stavolta non avrebbero vinto. Ianto lo sapeva, e anche Lisa lo sapeva. Era giunta la fine.
<< I genitori di Giuliano hanno preteso il licenziamento, ma non solo. Non sporgeranno denuncia, a patto che Lisa vada via da Roma, e non faccia più ritorno >>, aggiunse il preside tristemente.
Il cuore di Ianto fu colpito dall’ennesimo proiettile. L’avrebbe persa davvero, e forse per sempre. Non sarebbero più stati insieme. Era stato definitivamente abbandonato. Ma non provava rancore per Lisa, lei non centrava niente. Aveva anche chiesto il trasferimento pur di stare con lui. Avrebbe rinunciato al suo sogno di lavorare con il Dottor Gallo, pur di stare vicino al suo amore. E invece per delle stupide fotografie e per delle menti bigotte che non avrebbero capito, dovevano lasciarsi. Silenziose lacrime solcarono il volto del giovane. Non provava più niente, solo il vuoto. Quello che divorava dentro, lentamente, consumandoti poco a poco. Era come un parassita, e non vi era una cura per quel male. Forse Ianto neanche la voleva la cura. Senza dire neanche una parola, si voltò e corse via dal tetto, dalla scuola, dal quartiere. C’era un unico posto dove voleva andare.
 
Misi i vestiti nella valigia, asciugando le ultime lacrime sul mio volto. Non ne cadevano più ormai. Avevo pianto fino a prosciugarmi. Non restava più niente in me, eccetto il dolore. Il dolore nel sapere che presto sarebbe finita. Non sarebbe mai più stato come prima, e che per l’ennesima volta avevo il cuore spezzato. Ma a casa, quella che avevo lasciato, non c’era Ianto ad aiutarmi. Non c’erano lui e la sua forza e il suo amore a ricomporre il mio cuore. Quella volta sarebbe rimasto lacerato, e avrei dovuto imparare a conviverci per il resto dei miei giorni. Sul comodino, in bella vista, stava il biglietto del treno. La sera successiva sarei partita, senza poter più tornare indietro. Tutto era finito troppo velocemente. Io, che mi ero abituata alla calma, alle cose lente e dolci, avevo dovuto subire nuovamente la fretta sul collo. Il fare le cose tutto troppo velocemente. Come quando avevo conosciuto e mi ero innamorata di Diego, e avevo dovuto perderlo. Tutto troppo veloce. Non avevo avuto il tempo di abituarmi a qualcosa che già subito cambiava. E la stessa stava riaccadendo. Non avevo neanche avuto la possibilità di godermi il mio amore appieno, di fare progetti per il futuro, che tutto era andato a rotoli. E non avevo avuto la possibilità di abituarmi a questa condizione, che dovevo già ripartire. Non ero pronta. Non ero per niente pronta a tutto questo. Volevo solo la pace e la calma nella mia vita, ma evidentemente chiedevo troppo. Chiusi con rabbia la valigia piena dei miei vestiti, e mi incamminai verso il salotto. In poche ore avevo racchiuso tutta la vita che avevo trascorso in quell’anno. Non avrei più seduto su quei divani spettatori di tante scene, di tanti dialoghi. Niente più mattine felici insieme a Ianto, sulla penisola a bere il caffè. Nessun caminetto a riscaldarmi durante le mie letture. Non avrei più avuto nulla nell’altra casa, e il solo pensiero mi faceva venire la nausea. Trattenni un conato di vomito, quando improvvisamente sentii qualcuno bussare alla porta. Sapevo già, senza neanche aprirla, chi fosse. Quando la spalancai, due braccia forti mi stritolarono ad un petto ampio e muscoloso. Avrei riconosciuto anche con una sola carezza Ianto. Ricambiai quell’abbraccio con altrettanta forza, incapace di controllarmi. Il cuore batteva furioso, e i miei occhi si riempirono nuovamente di lacrime. Evidentemente non mi ero svuotata di tutto. Avevo ancora la forza per piangere. Entrammo sempre abbracciati, nel mio appartamento chiudendoci la porta alle spalle. In quell’abbraccio esprimevamo il nostro desiderio più grande: il non volerci separare. Non volevo lasciare Ianto. Non lo avrei mai voluto. La mia vita ormai apparteneva a lui, ed era con lui che volevo trascorrerla. Nel mio cuore avevo già visto il nostro futuro insieme. Ed era un meraviglioso futuro. E in poche ore tutto era andato distrutto. Restammo uniti in quell’abbraccio per eterni minuti. Del resto non ci importava nulla. Il mondo era stato chiuso fuori dalla porta, ed esistevamo solo io e Ianto. Infine ci staccammo, guardandoci negli occhi. Entrambi piangevamo disperati, sapendo che tutto stava per finire.
<< Ti amo >>, sussurrò tra le lacrime Ianto.
<< Anche io >>, risposi con la stessa voce.
<< Non voglio che tu vada via >>, continuò sempre più disperato.
<< Neanche io >>, confermai distrutta.
<< Stavolta però non possiamo combattere, vero? >>, domandò sconfitto.
<< No, stavolta abbiamo perso. Stavolta non possiamo uscirne vincitori >>, confermai continuando a piangere.
<< Non doveva andare così. Non doveva succedere. Tu ed io dovevamo restare insieme per sempre >>, esclamò addolorato.
<< Evidentemente il per sempre è un tempo molto breve. Perché domani sera parto, e non tornerò mai più >>, affermai ingoiando lacrime amare.
Ianto mi fissò sempre più sconvolto, poi riprese ad abbracciarmi più forte. Ricambiai prontamente quella stretta, sapendo che non ci sarebbe stata più altra occasione. Nella mia mente, giravano velocemente tutti i momenti trascorsi in quell’anno. L’incontro, i litigi, le lacrime, i sorrisi e gli scherzi, l’appoggio che ci eravamo dati, la rabbia, e il profondo amore che ci univa. Tutto questo stava per scomparire, e io non potevo fare assolutamente nulla. Sempre uniti, ci sedemmo sul divano, restando silenziosi per molto tempo. Qualsiasi parola sarebbe stata superflua. Non c’era niente che già non sapessimo. E sapevamo anche che il giorno dopo ci sarebbe stato l’inevitabile addio. Trascorremmo un’ora, semplicemente abbracciati, senza neanche baciarci una sola volta. Entrambi volevamo restare così, semplicemente l’uno nell’altro.
<< Non potremo sentirci, vero? >>, domandò all’improvviso Ianto, accarezzandomi la schiena.
<< Come l’hai capito? >>, chiesi tra le lacrime.
<< Siamo telepatici, te lo ricordi? Mi basta un tuo sguardo o un tuo abbraccio per carpire i tuoi pensieri >>, spiegò ridendo tristemente.
<< E cosa starei pensando? >>, risposi sorridendo a quelle parole. Era vero, noi due eravamo telepatici.
<< Che domani sarà un addio. Che per, non so quale motivo, non ci vedremo e sentiremo più. Il solo pensiero mi fa sentire male >>, spiegò stringendo la presa sulla mia schiena.
<< E allora non pensarci. Immagina il nostro futuro insieme, quello che stavamo progettando. Sono pensieri più felici, non credi? >>, dissi cercando di ignorare quel rumore sordo che faceva il mio petto. Era come se il cuore fosse veramente morto, ma battesse per inerzia.
<< Ero già andato ad un futuro dove tu ed io eravamo uniti, felici e innamorati. Ma in un batter d’occhio si è frantumato questo sogno >>, sussurrò tra i miei capelli.
<< Lo so, anche io ho provato la stessa sensazione. Ma so anche che quando saremo lontani, il mio cuore apparterrà sempre a te >>, risposi con la stessa voce.
<< Ed il mio apparterrà a te >>, dichiarò con decisione il giovane.
Poggiò una mano sotto al mio mento, costringendomi a guardarlo. Appena i nostri occhi si incontrarono, sentii un brivido lungo la colonna vertebrale. Era amore. Era dolore. Era rassegnazione. Era felicità. Era separazione. Era un brivido che sapeva di tutti questi sentimenti. Un mix letale che mi avrebbe condotto nuovamente alla pazzia. Ianto avvicinò lentamente la sua bocca alla mia, premendola poi un dolce bacio. Era sempre meraviglioso sentire quelle labbra innamorate. Amavo Ianto in ogni sua più piccola sfaccettatura. Strusciammo dolcemente le nostre bocche, poi desiderosi di approfondire quel contatto, dischiudemmo le labbra insieme, permettendo alle nostre lingue di incontrarsi come solo loro potevano fare. Timide all’inizio, smaniosi di riconoscere la propria gemella. Poi più profonde, andando a toccare e leccare ogni cosa di quella bocca amata. Ianto era ovunque in me. Nei miei occhi, nel mio cuore, nelle mie orecchie, nella mia bocca. Lui era tutto, e presto lo avrei perso. Quel bacio da dolce, divenne disperato manifestando appieno i nostri sentimenti. Con le mani accarezzai e tirai forte i capelli di Ianto, imprimendomi tra le dita la loro consistenza. Il giovane dagli occhi di ghiaccio strinse prepotentemente la carne della mia schiena e dei miei fianchi, quasi a volermeli strappare. Volevo di più, e anche lui. Portai le mie mani ai bordi della sua maglietta, tirandola verso l’alto e togliendola rapidamente. Ianto fece la stessa cosa con la mia, e insieme sbottonammo i jeans dell’altro. Basta al dolore, basta ai pensieri. Entrambi volevamo solo sentire di appartenerci almeno un’ultima volta. In pochi minuti, ci trovammo nudi stesi sul divano, io sotto e lui sopra. Ci staccammo da quel bacio, e Ianto prese a fissarmi e ad accarezzarmi una guancia con amore e dolcezza. Mi guardava come fossi la cosa più bella al mondo, come aveva fatto quella mattina, ed io lo guardavo nella stessa maniera. Ianto era così bello, e così pieno di amore in corpo da travolgere chiunque. In quel momento, vedendo quello sguardo, mi resi conto di quanto fortunata ero nell’essere stata amata da lui.
<< Non importa quanti chilometri ci separeranno, io ti amerò sempre. E un giorno verrò da te, questa è una promessa >>, sussurrò tra le mie labbra.
Due lacrime scesero lungo il mio viso, ma Ianto le asciugò prontamente con la bocca. Poi tornò a baciarmi, e contemporaneamente entrò in me, riempendomi interamente. Era la sensazione più bella che avessi mai provato. Appartenere completamente a lui, e sapere che lui era solo mio. Un unico essere diviso in due corpi. Due corpi che tornavano ad essere un’unica cosa. Tutto era ghiaccio, tutto era bello, tutto era amore. Tutto era Ianto. 
 
Era sera. Ianto ed io sedevamo nuovamente divano, intenti a farci qualche carezza e scambiarci qualche bacio. Dopo aver fatto l’amore, eravamo rimasti stesi e nudi fissandoci negli occhi. Solo quello. Volevo imprimermi nella memoria l’esatta forma e l’esatto colore di quei meravigliosi occhi di ghiaccio, e Ianto faceva altrettanto. Era assurda l’imprevedibilità della vita. Un attimo prima era tutto perfetto, l’attimo dopo tutto era andato perso. E su quel divano stavamo riconfermando quanto amore ci fosse tra di noi. Improvvisamente il campanello suonò. Senza dire una parola, andai ad aprire la porta. Quando la spalancai, rimasi sconvolta.
<< Sorpresa! >>, esclamarono tutti quanti.
Paolo, Roberto, Nicola, Mario, Carlo, Andrea, Marco, Fabio, Renato, Giuliano, Margherita, Debora, Simone… c’erano davvero tutti.
<< Che ci fate qui? >>, domandai sorpresa.
<< Non potevamo lasciarla andare senza aver fatto una delle nostre solite cene, no? >>, rispose divertito Paolo.
<< Già. E poi abbiamo portato la pizza >>, continuò Mario.
Senza darmi il tempo di dire altro, entrarono in casa, guardandosi intorno. Molti di loro c’erano già stati li, addirittura Paolo aveva dormito con me all’inizio di quell’avventura.
<< Beh, casa mia non era il rifugio più idoneo quest’oggi >>, affermò sorridendo il preside.
<< Di la verità. Ringrazi che stavolta abbiamo risparmiato casa tua >>, lo prese in giro Roberto.
<< Effettivamente deve essere stancante ripulire quasi tutte le settimane casa tua >>, constatò Margherita, andando a poggiare la busta della spesa sulla penisola. Intravidi dentro delle patatine.
Li guardai esterrefatta, vedendo con quanta familiarità sistemavano le cose in casa mia, e prendevano posto sul divano. Ianto mi affiancò guardandoli dolcemente. Un pensiero mi affiorò nella testa. Una delle mie più grandi paure per quell’imminente separazione, era che Ianto tornasse ad essere Ignazio. Ma vedendo tutte quelle persone li in casa mia, mi resi conto che il mio giovane ragazzo non sarebbe stato solo. Avrebbe sempre avuto l’appoggio di tutti loro, giovani ragazzi che volevano bene a Ianto. E un preside che nel giro di pochi mesi era diventato come un padre per tutti quanti. Eravamo diventati una grande famiglia, e questo mi rincuorava.
<< Prof, noto che casa sua non è cambiata minimamente >>, constatò Andrea seduto sul divano.
L’ultima vola che era stato li, sullo stesso divano, era natale quando ancora non stava con Carlo.
<< Che ti aspettavi scemo. Che avesse rivoluzionato l’ambiente? >>, domandò divertito Nicola.
<< Voi quando ci siete stati qui? >>, chiese curioso Fabio.
<< A natale. Ci siamo venuti più o meno tutti. Forse solo Ianto e credo Paolo erano venuti già qui altre volte >>, rispose con calma Carlo.
<< Vincenzo avrebbe adorato questo camino >>, commentò sereno Marco facendo nascere un sorriso sui volti di tutti.
<< Ragazzi ho fame, mangiamo su >>, esclamò Renato avvicinandosi alle pizze.
<< Scusate, tutti quanti voi state dimenticando qualcosa >>, dichiarò improvvisamente Debora attirando l’attenzione di tutti.
Contemporaneamente volgemmo lo sguardo verso Giuliano, che nel frattempo era rimasto vicino alla porta, con il volto basso e l’espressione più corrucciata del solito. Ianto ed io ci avvicinammo al giovane, silenziosi. Quando gli fummo di fronte, il giovane sospirò asciugandosi frettolosamente una lacrima.
<< Mi dispiace >>, sussurrò disperato. << Se potessi tornare indietro, brucerei quelle foto senza pensarci su un attimo. Ma non posso farlo. Perciò l’unica cosa che mi resta e implorare il vostro perdono, anche se so di non meritarlo >>
<< Già, non lo meriti >>, affermai duramente. In cuor mio, però, glielo avevo già concesso. E lo avevo fatto quella stessa mattina, quando allontanandomi dalla scuola avevo rivisto con la mente il volto distrutto di Giuliano.
<< Anche se sono ripetitivo, non posso fare altro che dirvi mi dispiace >>, mormorò piangendo nuovamente.
Ianto non fiatò un solo istante. Lo fissava serio. Poi gli mise una mano sotto al mento costringendolo a guardarlo. Appena i loro occhi si incontrarono, il giovane dagli occhi di ghiaccio diede un pugno sul viso di Giuliano. Non era un pungo forte, ma bastò a colpire profondamente il ragazzo. Altieri si portò una mano sulla guancia lesa, guardando sconvolto l’amico. Ma nel profondo dei suoi occhi lessi la consapevolezza di meritarsi quel gesto. E anche Ianto lo capii, perché allungò nuovamente la mano, ma non per colpirlo ancora. Lo attirò contro il suo petto, abbracciandolo dolcemente. Giuliano era sconvolto per quel gesto. Non se lo aspettava. Mentre io e il resto dei ragazzi presenti in stanza, sapevamo bene che quel pugno e quell’abbraccio corrispondevano interamente al carattere del giovane dagli occhi di ghiaccio.
<< Se non si è capito, ti perdoniamo >>, spiegai sorridendo a Giuliano.
Poi senza attendere oltre partecipai a quel gesto, stringendo sia Ianto che Altieri. Il dolore per l’imminente separazione non era scomparso, ma grazie a quelle persone potevo passare una bella serata, senza più pensare a niente.
<< Molto dolce come momento. Davvero, sono commosso. Ma io ho molta fame, mangiamo? >>, domandò Renato interrompendo quel momento carico di sentimenti.
Ci voltammo tutti nella sua direzione, poi scoppiammo a ridere forte. Quei ricordi sarebbero rimasti impressi nella mia memoria per sempre.
 
Il treno fermo davanti a me, mi stava ricordando con insistenza che tutto presto sarebbe finito. Il cuore batteva furioso, colmo d’ansia e di dolore. Ianto al mio fianco, stringeva forte la mia mano, infondendomi coraggio e prendendone altrettanto da me. Pochi minuti e poi avremmo dovuto dirci addio, forse per sempre. Il resto dei ragazzi rimase qualche passo indietro, lasciandoci quegli ultimi momenti da soli. Avevo salutato tutti con calore e affetto, piangendo come una bambina. Paolo non voleva lasciarmi, ed anche lui era in lacrime. Roberto mi strinse forte, e aveva gli occhi lucidi. Nicola era nelle stesse condizioni di Paolo, e quella sua faccetta buffa mi fece ridere di cuore. Mario cercava di fare il duro, ma sapevo che stava soffrendo. Andrea, come raramente era accaduto, mi mostrò la sua espressione triste. Carlo mi ringrazio sorridendomi dolcemente. Marco e Fabio mi salutarono abbracciandomi contemporaneamente, dicendo che in quel gesto c’era anche Vincenzo. Renato mi colpii dicendomi che nella prossima vita avrebbe voluto essere mio figlio. Giuliano si scusò ancora promettendomi che avrebbe realizzato il suo sogno. Margherita si dispiacque perché non avrei assistito alla nascita della figlia. Debora mi ringraziò per aver salvato Nicola. E Simone, stringendomi forte, mi sussurrò nell’orecchio:
<< Andrà tutto bene. Mi prenderò cura di Ianto, e ti terrò informata costantemente, se vorrai. Ricorda che non sei sola, e che io e Umberto ti aiuteremo sempre >>.
Quelle parole mi riempirono di gioia, e di amore. Non ero più sola, e finalmente lo avevo capito. Ma salutare Ianto era forse la cosa più difficile che dovevo fare. Mi misi di fronte al suo volto, dando le spalle al treno. Meno lo vedevo, meglio stavo.
<< Allora >>, esclamai imbarazzata.
<< Allora >>, rispose con lo stesso tono.
<< Siamo giunti alla fine. Chi l’avrebbe mai detto >>, dissi cercando di scherzare, cacciando indietro le lacrime.
Ianto non rispose, fissandosi le scarpe. La mia mano ancora ancorata alla sua, era stretta in una morsa ferrea. Di scatto il giovane alzò lo sguardo, guardandomi con forza e amore.
<< Sai, in questo ultimo anno, credo di aver provato molte più emozioni di quante se ne provano in una vita intera >>, esclamò sorridendomi. << All’inizio ti ho odiata, perché cercavi di entrare nel mio mondo, e in più non ti ricordavi di me >>, risi pensando a quei momenti. Sembrava essere passata un’eternità da allora. << Poi hai cominciato a piacermi, e la voglia di starti accanto era forte. In più mi trovavo sempre coinvolto nei casini in cui ti cacciavi >>
<< Non mi cacciavo nei casini. Loro venivano da me >>, risposi fintamente offesa.
<< Mi hai fatto provare la gelosia, l’angoscia e la paura così tante volte, che sarei potuto scoppiare >>, continuò Ianto, ignorando la mia affermazione. << Poi te ne sei andata, abbandonandomi e spezzandomi il cuore. In quel momento avrei voluto dimenticarti, volevo non averti mai incontrato. Lo desideravo con tutte me stesso >>, una lacrima sfuggì dai suoi meravigliosi occhi di ghiaccio. << Eppure mi hai cambiato la vita. E l’hai fatto lentamente e con costanza. Mi hai fatto diventare una persona migliore. Sono cresciuto e ho compreso me stesso. E alla fine ti sei innamorata di me, ed io ho fatto altrettanto. Perciò grazie di avermi amato >>, sussurrò dolcemente, andando ad accarezzarmi con la mano libera la guancia.
Dai miei occhi, scesero copiose lacrime. Il cuore batteva sempre di più, e mi riscoprivo follemente innamorata di quel ragazzo meraviglioso.
<< Quando ti conobbi, avevi tredici anni. Eri un moccioso con la bocca che puzzava ancora di latte. Quattro anni dopo ti ho incontrato ed eri così arrogante che avrei voluto prenderti a calci in culo per tutto l’anno >>, cominciai con voce tremante. Entrambi poi ridemmo per quelle mie parole. << Poi ti ho conosciuto, ed ho scoperto che eri molto più simile a me di quello che credevo. Ma non ero pronta a lasciarmi andare. In seguito sei diventato una specie di stalker che mi perseguitava ovunque andassi, e in più sbandieravi ai quattro venti quella cotta adolescenziale nei miei confronti >>
<< Non sei per niente carina >>, sbuffò divertito Ianto.
<< Poi mi hai detto che mi amavi, e i problemi sono aumentati. Perché nel frattempo avevo preso ad amarti anche io, ma non ero pronta >>, ripresi ignorando il suo commento. << Dovevo chiudere con Diego, prima di venire da te. E ti ho abbandonato spezzandoti il cuore. Quando sono tornata eri diventato come Dottor Jekyll e Mister Hide. E in più mi avevi cornificato, cosa che ancora mi brucia >>, esclamai dandogli uno schiaffo. Una nuova risata sgorgò dai nostri petti. Poi tornai seria, e le lacrime presero a rigarmi nuovamente il viso. << Eppure mi hai cambiato la vita. Sei arrivato con la furia di un tornado, e ti sei preso dello spazio in me senza chiedere permesso. Ho riso e pianto come mai avevo fatto nella mia vita. E hai guarito il mio cuore ferito. Sono tornata a vivere per merito tuo, facendomi innamorare profondamente di te. Perciò grazie per avermi amata >>, sussurrai commossa.
Entrambi piangevamo silenziosi. Poi lentamente ci avvicinammo, baciandoci lentamente. Quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei sentito il suo sapore, e volevo imprimermi ogni cosa nella memoria. Niente sarebbe svanito, neanche quelle emozioni devastanti che stavano popolando il mio cuore. Ero felice per le parole che Ianto mi aveva detto, ed ero disperata perché stavamo per lasciarci. Non volevo andarmene. Volevo restare con tutta me stessa e vivere con lui il resto della mia vita. Il resto del mondo non mi interessava, fintanto che avessi avuto Ianto con me. Ma proprio perché lo amavo, dovevo andare. Era il mio cuore per la sua vita, e poi sarei stata bene. Non ero più sola. Un sacco di gente mi voleva bene, e mi appoggiava. E nelle notti più buie la mia mente sarebbe corsa a quel ragazzino dagli occhi di ghiaccio che mi aveva amata con tutto se stesso. Che mi guardava venerandomi, e che aveva guarito tutte le mie ferite. Lo avrei rivisto con gli occhi della mente, e la luce sarebbe tornata. Perché Ianto era questo. Era luce, era calore, era brillantezza, era tutto ed era mio.
<< Attenzione, il treno sul binario 3 diretto a Napoli, sta partendo. Preghiamo i gentili passeggeri di accomodarsi >>, esclamò improvvisamente una voce metallica.
Ianto ed io ci staccammo da quel bacio, fissandoci negli occhi. Era giunta la fine, dovevo andare. Le porte del treno alle mie spalle mi reclamavano a gran voce. Senza voltarmi feci i passi che mi separavano da quel mezzo. Ogni passo fatto era un battito di cuore che moriva. Poi entrai nel treno, sentendo il metallo delle pareti premermi addosso. Non soffrivo di claustrofobia, ma in quel momento quel posto mi stava stretto.
<< Ti amo >>, affermò con amore Ianto.
<< Ti amo anche. E non ti dimenticherò mai >>, risposi sorridendo, mentre altre lacrime scorrevano lungo le mie guance.
<< Staremo di nuovo insieme. È una promessa >>, esclamò con  forza il giovane.
Allargai il sorriso, senza rispondere. I miei occhi erano fissi in quelli del ragazzo. In quel momento le porte del treno si chiusero, ed io sentii un tonfo nel mio cuore. Il respiro era accelerato, e l’ansia mi stava invadendo. Vidi il petto di Ianto abbassarsi e alzarsi velocemente. Anche lui aveva il respiro irregolare. Il petto mi faceva male, e avevo paura. Desiderai con tutta me stessa scendere dal treno e tuffarmi tra le braccia forti di Ianto. Ma non potevo. Il mio posto non era più li. Era giunto il momento di tornare a casa. Sul volto di Ianto sgorgarono altre lacrime, e lo stesso successe a me. Piangevo sempre più furiosa. Poi il treno cominciò a muoversi, e li ebbi la certezza che stavo andando via. Che non sarei mai più tornata, e che forse non avrei mai più rivisto Ianto. Il dolore mi invase interamente, ma sentivo anche tanto amore. Avevo amato ed ero stata amata immensamente. Chi poteva dire di aver avuto altrettanta fortuna, nella vita. Io ero stata graziata dalla dea bendata per aver portato sul mio cammino Ianto. E proprio come quel giorno di più di quattro anni fa, quando lo vidi andare via su quel treno, seppi che la mia vita, da quel momento in poi, sarebbe cambiata per sempre. 




Buonasera a tutti...eccoci qui con il penultimo capitolo di "Eppure mi hai cambiato la vita"...il prossimo sarà l'epilogo, quindi scopriremo cosa è successo ^-^ beh che dire, chi tra voi si aspettava questo finale?? eh, nessuno?? hahaha, allora vi ho sorpreso...spero che vi piaccia, e che non lo troviate affrettato...quando una relazione di questo genere viene a galla, le conseguenze possono essere devastanti...ecco perchè lisa e ianto hanno capito di non poter combattere...perchè razionalmente parlando, loro avevano torto...non doveva nascere niente tra i due...emotivamente parlando l'amore è più forte di tutto, ma la società in cui viviamo, che critica gli omosessuali, che non approva le coppie di fatto, che prende in giro coppie con venti anni di differenza, che è rimasta indietro su parecchi punti, di sicuro nn avrebbe accettato una relazione simile...ecco perchè lisa è partita...spero abbiate capito cosa volevo dire XD
che altro dire?? ah si, gente passate per la mia pagina facebook che, oltre a commentare e lasciare messaggi interessanti, sto per pubblicare le foto di tutti i personaggi, o quelli più somiglianti, e sto per creare delle immagini con le frasi più belle della storia...quindi mi piacerebbe sapere un vostro parere, e mi piacerebbe sapere qual'è la frase che più vi ha colpito...mi fareste felice XD il link di fb è questo: 
 http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl...
che altro dire?? ah si, ringrazio tutte quelle che recensiscono i capitoli...grazie di cuore, davvero...nell'epilogo vi nominerò una ad una XD
in più mi piacerebbe che tutti quelli che hanno messi la storia tra le preferite/seguite/ ricordate, e sn tantissimi, lasciassero una traccia del loro passaggio con una recensione anche minuscola...magari in questo o nel prossimo capitolo...così vi posso ringraziare personalmente per avermi accompagnato in questo viaggio che dura da settembre...ah basta così altrimenti piango XD
ora vi saluto, augurandovi la buonanotte...e notizia dell'ultimo momento: non ci sarà spoiler!!! XDXD se vi dico lo spoiler per l'epilogo si capisce tutto, no...ehm no non si capisce, ma ho deciso che non vi do lo spoiler punto e basta U.U hahaha, vi voglio bene gente...a martedi prossimo
un bacio
Moon9292

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Capitolo 34
*** Epilogo ***


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Capitolo 34 - Epilogo


Sette anni dopo…
 
Entrai nel laboratorio con la solita sicurezza che mi contraddistingueva. Ormai ero diventata un pezzo grosso, in quel posto. La seconda in carica dopo il dottor Gallo, che amichevolmente chiamavo Umby. Sette anni erano passati dal mio ritorno, e quella figura cosi superba ed arrogante era divenuto una presenza fissa nella mia vita. Lui, e Simone, che come aveva promesso, mi erano stati accanto in tutto questo tempo. Alla fine avevo scelto di non sapere nulla sulla vita di Ianto. Avrei provato troppa tristezza e malinconia nel saperlo lontano da me. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore diceva il detto. Beh, non era per niente vero. Ogni lunghissimo giorno trascorso lo avevo passato pensando a lui. A quel meraviglioso ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Lo amavo ancora, nonostante il tempo e la distanza. E mai avrei smesso di farlo. Avevo avuto diverse occasioni per dimenticarlo, per rifarmi una vita, ma non volevo. Ianto era l’unico che poteva farmi battere forte il cuore, e non lo avrei mai sostituito. Ricordo ancora con la stessa intensità, quegli strazianti sentimenti provati alla stazione. Quel dolore soffocante che mi lacerava l’anima e spaccava in mille pezzi il mio cuore. Alla fine si era ricomposto, ma mancava un singolo pezzetto. Un pezzetto di cui non disponevo più, perché era rimasto li con lui. Con il mio amore. Perciò, avevo faticato tanto per  riuscire a sopravvivere, in quei primi giorni di distanza. Alle volte mi svegliavo con un peso nel cuore da risultare insopportabile, altre mi sentivo più tranquilla perché sapevo qual era l’amore che univa me e Ianto. Altre ancora invece faticavo anche a scendere dal letto. Ma piano piano, col tempo, tutto si era attenuato ed era rimasta solo una patina sul mio cuore. Lo amavo ancora tanto, ma ero andata avanti e, con il peso delle esperienze, avevo ripreso a vivere. Già una volta mi ero lasciata andare a tal punto da non sentire più neanche il battito del mio cuore. Diego, con la sua morte, si era portato via ogni cosa di me, lasciandomi da sola in balia dell’oscurità. Ed ero diventata pazza per quel profondo dolore, a tal punto da vederlo nuovamente accanto a me. Ma Ianto era stato in grado di farmi riprendere ogni cosa, di restituirmi la mia vita ed il mio cuore, e gliene sarei stata eternamente grata. Ma soprattutto aveva fatto tornare in me la speranza nel futuro. Un futuro ancora non scritto, che avrei percorso pezzo per pezzo lasciando tracce di me, e decidendo da sola cosa fare. Io ero l’unica a poter controllare il mio destino, e per quanto le intemperie fossero dure, avrei continuato ad andare avanti sul cammino che mi ero scelta. Avevo scoperto una forza tutta nuova in me, e in quei lunghi sette anni non avevo fatto altro che mettermi alla prova. E ce l’avevo fatta, avevo superato ogni cosa. Ianto mi mancava, sarebbe sempre mancato, ma sarei andata comunque avanti. Glielo dovevo. Lui mi aveva insegnato tanto, e mi aveva aiutato più di qualunque altro essere umano. Non potevo deluderlo di nuovo, non potevo lasciarmi andare al dolore. Io sarei sempre andata avanti. Simone e Umberto, con la loro amicizia, mi avevano sostenuto, ed ero stata spettatrice delle meraviglie che la vita può ancora donarci. Ed erano stati proprio quelle due figure a farmi capire che niente era perduto. In quei sette anni, nonostante tutto, ero stata felice. Non come quando c’era Ianto con me, ma un altro tipo di felicità. Quella che si prova godendo delle piccole gioie. Nel sapere e nel vedere quanto ancora questa vita può sorprenderci, e regalarci nuove cose. Ogni giorno, è un giorno nuovo, e va vissuto appieno senza rimpianti o paure. Io non avevo più paura, e la vita aveva assunto tante piccole sfumature ai miei occhi. Tutto ormai era diverso per me, ed ero felice del nuovo mondo che ero riuscita a costruire. Un mondo nuovo, dove la mia immensa famiglia avrebbe sempre avuto un posto speciale. Paolo, Roberto, Nicola, Mario, Margherita, Andrea, Carlo, Marco, Fabio, Renato, Giuliano, Simone, Umberto, Debora…tutti loro erano diventati la mia casa, il mio porto sicuro, e anche se la distanza era tanta, potevo ancora sentirli li vicino a me, con le loro risate, i loro progetti, i sogni, e il futuro che stavano pian piano conquistando. Potevo avvertire la presenza sana di Diego, al mio fianco. Sentirlo felice per come avevo condotto la mia vita, orgoglioso di ciò che ero diventata. E l’amore profondo che nutriva per me. Un amore ricambiato in pieno. E poi ci sarebbe sempre stato lui. Ianto! Il mio più grande amore. Alle volte, però avevo ancora paura. Paura che lui avesse smesso di amarmi, e che si fosse dimenticato di me. Ma sapevo che, se anche fosse stato così, per me non sarebbe cambiato nulla. Avrei lo stesso continuato ad amarlo. E lo avrei fatto con il sorriso sulle labbra, augurandogli il meglio per la sua vita.
<< Dottoressa? Pronto? Mi sente? >>, mi richiamò il mio collaboratore.
Mi voltai di scatto verso Enrico, ritornando alla realtà e a luogo in cui ero. Seduta davanti al microscopio, nella mia stanza personale, dove avevamo accesso solo io e quel collaboratore strambo, che avevo assunto personalmente tre anni prima. Era un ragazzo semplice, occhiali rotondi un po’ da sfigato, fisico asciutto, come ci si aspetta da un ricercatore, molto alto quasi un metro e novanta. Ma quando si toglieva gli occhiali, sistemava i capelli che portava ostinatamente scomposti e spettinati, ed indossava vestiti che non fossero camice da laboratorio e magliette con strani disegnini addosso, diventava un ragazzo davvero affascinante e molto carino. Capelli castani e occhi azzurri, attirava gli sguardi sia maschili che femminili, ma lui non mostrava nessun particolare interesse per entrambi i sessi. A me, più che l’aspetto, piaceva il suo carattere. Era incredibilmente sbadato, combinava pasticci quasi ogni ora, e dimenticava spesso le cose. Mi domandavo ancora come non avesse combinato qualche disastro nei nostri esperimenti. Lui era il tipo che faceva cadere provette e vetrini con i materiali ancora dentro. Ma era fedele come un cucciolo di cane, e divertente come pochi. Aveva sempre la battuta pronta. Eravamo usciti insieme qualche volta, solo come amici, per bere una birra e ridere di qualche aneddoto accaduto la mattina o il giorno precedente. Ma niente di più. Enrico sapeva che il mio cuore apparteneva già ad un’altra persona. E poi l’esperienza di stare con un ragazzo più piccolo di me l’avevo già avuta, e a quasi trent’otto anni non me la sentivo proprio di ricominciare con un ragazzo più piccolo di otto anni.
<< Enrico, dimmi >>, affermai tornando con i piedi per terra.
<< Dottoressa, in questo laboratorio lo sbadato sono io, mica lei. Non è che la sto contagiando? >>, domandò divertito.
<< Non penso, mio caro. Anche perché se così fosse, dovrei cominciare a chiamarti lo iettatore, e dovrei cacciarti a pedate, per evitare che le tue influenze negative interferiscano ancora con il mio povero cervello >>, dichiarai sorridendogli perfidamente.
<< Lo sa? Questa sua vena malvagia mi inquieta parecchio >>, commentò passandosi una mano tra i capelli scombinati.
In quel semplice gesto, però, ci mise tutta la sua incapacità di movimento, andando ad urtare una beuta e facendola infrangere al suolo. Per fortuna era vuota, altrimenti sarebbe stato un  vero disastro. Guardammo entrambi i vetri sparsi per tutto il pavimento, poi contemporaneamente alzammo lo sguardo, fissandoci. Enrico era incredibilmente imbarazzato, io avevo un cipiglio perplesso che nascondeva la mia forte voglia di ridere. Quel tipo era davvero unico, ed anche per questo lo avevo assunto. Con lui non mancava mai l’occasione di ridere.
<< Ehm… >>, cominciò dispiaciuto.
<< Non credi dover fare qualcosa per questa tua incapacità nel compiere anche i più semplici gesti? >>, domandai sarcastica, sperando tra me e me che non cambiasse mai.
<< Forse dovrei cominciare a fare qualcosa >>, commentò sospirando.
<< Con questa a quanto stiamo? >>, chiesi ricordando gli innumerevoli incidenti a cui avevo assistito in quei tre anni.
<< Credo sia la settantasettesima beuta che rompo >>, dichiarò imbarazzato.
<< Caspita. Stai cercando di raggiungere un nuovo record? >>, risposi cercando di trattenermi dal ridere.
<< La prego, non infierisca. È già abbastanza mortificante così, se poi lei ci mette del suo allora sono davvero spacciato >> sbuffò indispettito. Alle volte non sembrava neanche avesse trent’anni.
<< Se non infierissi, che capo sarei scusa? E poi ti ricordo che il mio insegnante è stato il Dottor Gallo >>, affermai con un ghigno malefico.
<< Allora sono messo proprio male >>, aggiunse lui portando nuovamente la mano nei capelli.
E nuovamente andò ad urtare un portaprovette pieno. Fortunatamente i miei riflessi erano decisamente migliori dei suoi, così evitai che cadessero, afferrandolo al volo. Entrambi trattenemmo il respiro, timorosi che fosse accaduto un qualsiasi danno.
<< Enrico >>, ansimai fissando con terrore l’oggetto che avevo in mano. << Guai a te se provi a toccarti i capelli di nuovo. Mi sono spiegata? >>, lo minacciai sibilando, e tornando a fissarlo.
<< AHHH! Sono un vero disastro! Mi dispiace >>, si scusò il giovane agitato.
<< Ok, forza non è successo niente >>, sbuffai rimettendo a posto i vari oggetti, il più lontano possibile da quella figura minacciosa che era il mio collaboratore. << Forza, la strada per lo stanzino la conosci. Scopa e paletta! Avanti! Marsch! >>, lo incitai divertita.
Era impossibile mantenere il muso lungo con quel tipo. Era troppo divertente.
<< Non mi prenda in giro, Dottoressa. Uffa, sono già abbastanza imbarazzato di mio >>, commentò infastidito, dirigendosi verso la porta alle mie spalle. Tornai a concentrarmi sul vetrino che stavo analizzando, col sorriso sulle labbra.
<< Ah, Dottoressa! >>, esclamò improvvisamente Enrico rientrando dentro.
<< Dimmi >>, risposi senza voltarmi.
<< Oggi dovrebbe arrivare il nuovo o la nuova assistente che il Dottor Gallo ha assunto. Visto che lui è in crociera, mi sa che dovrà occuparsene lei >>, disse il mio aiutante.
<< Io sono troppo impegnata oggi. Sbrigatela tu, Enrico. Ovviamente evita di distruggermi il laboratorio, mentre fai da guida. Sai, i risarcimenti sono parecchio cari >>, commentai prendendolo in giro.
<< Dottoressa, la smetta! >>, si lamentò Enrico, facendomi ridere nuovamente.
Poi tornò la pace, e con essa vennero di nuovo i miei pensieri a darmi il tormento. Ianto era sempre il padrone dei miei ricordi. Non passava un minuto senza che la mia mente non andasse a quegli occhi di ghiaccio che mi mancavano così tanto. Mi mancava soprattutto il modo in cui erano capaci di guardarmi. Come se fossi la cosa più bella al mondo. Era una sensazione meravigliosa averli puntati addosso. Mi sembrava di essere speciale, unica. Ma ormai anche quelli erano andati, e più il tempo passava, e più mi rendevo conto che Ianto era lontano. Il respiro divenne affannoso, quasi come se la mia gola fosse ostruita. Era quel panico che alle volte mi prendeva, quando sentivo di essere sopraffatta dalla malinconia. Quando i ricordi non bastavano a darmi il sollievo che provavo la maggior parte del tempo. Quando l’unico pensiero che affollava la mia mente era “vorrei che fossi qui”. Ma lui non c’era, e chissà se ci sarebbe mai più stato. Presi un profondo respiro, cercando di controllare i battiti del mio cuore, e il dolore profondo per quella separazione forzata a cui eravamo stati costretti. Quando riuscii a calmarmi, sospirai ripensando a cosa avrei fatto in quel momento, se fossi rimasta a Roma. Era la metà di maggio, Ianto ormai aveva già compiuto venticinque anni e io tra pochi mesi ne avrei fatto trentotto. Sicuramente se fossi rimasta a Roma, starei facendo le stesse cose che facevo li, nel laboratorio di Napoli. Solo che poi, al mio ritorno, avrei trovato la casa calda e accogliente con la persona che amavo li, sulla porta, pronta ad abbracciarmi e baciarmi. A dirmi “ti amo”, facendo battere il mio cuore come solo Ianto era in grado di fare. Ed io sarei stata felice, piena e soddisfatta. Invece ero a Napoli, e la mia casa era vuota. Nessuno sulla porta ad aspettarmi. Nessun bacio, o abbraccio o frase romantica ad attendermi. Solo il pesce rosso che avevo comprato qualche mese prima, perché avevo voglia di stare in compagnia. Ma andava bene anche così. Quella malinconia che ogni tanto mi colpiva, alla fine spariva così come era comparsa, ed io sarei stata soddisfatta della mia vita. Forse quel giorno ero più triste del solito, perché i pensieri non facevano che tormentarmi, e i ricordi venivano spesso a galla. Presto, però, sarebbe passato tutto ed io avrei continuato ad andare avanti.
<< Dottoressa! >>, mi richiamò Enrico.
<< Dimmi, non trovi la scopa? Guarda che qui la usi solo tu, perciò solo tu sai dove l’hai messa >>, lo presi in giro, continuando ad analizzare il vetrino col microscopio.
<< Spiritosa, davvero. Sto morendo dal ridere >>, commentò ironico il mio assistente. << Sono venuto a comunicarle che è arrivato il nuovo assistente. È un maschio >>
<< E allora? Non ti avevo detto che dovevi vedertela tu? >>, domandai sbuffando.
<< Si, e gliel’ho anche detto che era occupata e che non poteva riceverlo, ma ha insistito per incontrarla >>, spiegò agitato.
<< Enrico, calmati. Nessuno ti aggredisce per questo. Rispiegagli la situazione, e digli che non posso vederlo perché sto lavorando >>, affermai con determinazione.
Il mio assistente uscì dalla porta, senza aggiungere altro. Una cosa che mi piaceva molto di quel tipo era che, nonostante la sua immensa sbadataggine, sapesse quando parlare o quando stare in silenzio. Aveva parecchio intuito su queste cose. Tornai al mio vetrino, cercando di tenere il più lontano possibile dalla mia mente il volto di Ianto, quando venni interrotta nuovamente da Enrico.
<< Scusi, Dottoressa, mi dispiace interromperla >>, si scusò il giovane.
<< Che succede adesso? >>, esclamai regolando il microscopio.
<< Succede che ho detto al nuovo che non può riceverlo, e che devo fargli io da guida. Ma non ne vuole sapere. Ha detto che vuole parlare soltanto con lei, Dottoressa >>, spiegò sempre più mortificato.
<< Ah, dannazione >>, sbuffai infastidita. << Ci mancava solo che il nuovo arrivato fosse arrogante e presuntuoso. Scommetto che è un figlio di papà del cavolo >>
<< Probabilmente. Veste firmato >>, commentò Enrico.
<< Fai entrare questo tipo, va. Prima me lo tolgo da davanti i piedi e prima posso tornare a lavorare >>, affermai scocciata.
Il mio giovane assistente uscì nuovamente fuori dalla stanza, andando a recuperare il nuovo arrivato. “Perfetto”, pensai, “cominciamo con il piede giusto, con questo nuovo acquisto”.
Dopo poco sentii dei passi dietro di me, ma non mi voltai neanche, dando poco peso al nuovo assistente. Se voleva fare l’arrogante con me, lo avrei ripagato con la stessa moneta.
<< Dottoressa, questo è… >>, cominciò Enrico, ma lo bloccai subito.
<< Si, si. Non ho molto interesse per un nome. Sono impegnata, perciò diamoci da fare e sbrighiamoci. Tipo nuovo, oggi ti farà da guida Enrico, chiaro? Io non posso, come puoi ben vedere >>, affermai scocciata, scrivendo degli appunti sul mio quaderno da lavoro.
<< Sembra proprio una vecchia con questo linguaggio. “Io non posso, come puoi ben vedere”. Però sa una cosa, Dottoressa? E’ forte >>, commentò il nuovo arrivato divertito.
Alzai di scatto la testa dal microscopio. Il cuore batteva a mille, e sentivo le orecchie pulsare tanto forte era la mia agitazione. Non potevo credere a quello che avevo sentito. Perché se lo avessi fatto, allora mi sarei illusa che finalmente l’attesa era finita. Perché avrei riconosciuto ovunque quella voce. Anche in fondo al mare, o nello spazio infinito. Quella meravigliosa voce che aveva accompagnato tutti i miei sogni, e i miei ricordi. Quella voce capace di farmi rabbrividire, di portarmi in paradiso. Di rendermi felice anche solo pronunciando una semplice sillaba. La voce che avevo imparato ad amare, e che mai più avrei dimenticato.
<< Già che ci sei, potresti evitare questo dottoressa? Mi mette i brividi >>, affermai con voce tremante, sempre senza voltarmi.
Avevo paura di girarmi, perché se avessi scoperto un’altra persona invece di quella che credevo, sarei precipitata nell’abisso più scuro. Era meglio continuare con quelle frasi che solo noi potevamo capire, perché erano state le prime che ci avevano visto uniti. Quel giorno in treno sarebbe rimasto per sempre indelebile nei miei ricordi.
<< Va bene. E di grazia come dovrei chiamarla, dottoressa? >>, domandò divertito il nuovo arrivato.
In quelle parole, oltre a sentire i brividi lungo la schiena, percepivo una profonda dolcezza. Una dolcezza che poteva appartenere solo ad una persona.
<< Lisa >>, risposi con le lacrime agli occhi. Ormai non avevo più dubbi.
<< Piacere Lisa >>, commentò il nuovo arrivato. << Posso chiederti perché non ti volti, e mi guardi in viso? >>
<< Potrei farti la stessa domanda >>, aggiunsi sorridendo. Nel frattempo una lacrima era scesa lungo il mio volto.
<< Rispondi sempre ad una domanda con un’altra domanda? >>, chiese palesemente divertito.
<< Potrei farti la stessa domanda >>, sussurrai con voce tremante.
A quel punto non riuscii più a resistere, e mi girai con la sedia. La prima cosa che i miei occhi videro fu il ghiaccio. Quel ghiaccio che mi era mancato come l’aria, come l’acqua, come il sonno, come tutto. Quel ghiaccio che amavo con tutta me stessa, e che mai avrei scordato. Poi l’inquadratura si estese, e potei ammirare finalmente quel viso che erano sette anni che non vedevo. Sette lunghissimi anni, nel quale avevo passato ogni notte a sognarlo, e ogni giorno a pensarlo. Un viso caro e amato, che finalmente era tornato da me. Ianto era cresciuto. Era diventato più adulto. Ora aveva venticinque anni, e il suo fisico era diventato ancora più imponente, ed era alto quasi quanto Enrico. Non era più quel ragazzino di diciassette anni che avevo conosciuto, o diciotto che avevo amato. Ora era un uomo a tutti gli effetti. Ma una cosa non era cambiata, ed era la cosa più importante fra tutte. Non era cambiato il suo modo di guardarmi. Ero ancora la cosa più bella che potesse vedere. Mi venerava ancora. Le lacrime scesero più copiose, mentre il sorriso sul mio viso si allargò di più. Ianto era visibilmente commosso, ma non piangeva. E grazie alla telepatia che ci aveva sempre accumunato, capii che si stava trattenendo, perché voleva evitare che le lacrime offuscassero la sua vista. E il fatto che riuscivo ancora a leggergli nella mente, fece battere più forte il mio cuore rinato. Finalmente quel pezzetto che era rimasto con lui, era tornato da me. Ora ero di nuovo completa. Nella mia mente risuonarono quelle parole che pronunciò alla stazione.
Staremo di nuovo insieme. È una promessa”.
E lui, come sempre, aveva mantenuto la parola data.
<< Ianto >>, sussurrai tra le lacrime.
<< Ciao Lisa >>, mi salutò con dolcezza.
<< Ehm, potrei capire che sta succedendo? >>, domandò confuso Enrico, riportandomi alla realtà.
<< Enrico, potresti lasciarci soli? >>, chiesi al mio assistente.
Questi annuì poco convinto, uscendo dalla stanza e chiudendo la porta. Eravamo solo io e Ianto. Per un lunghissimo istante ci fissammo intensamente negli occhi, senza dire o fare altro. Poi, con gambe tremanti ed incerte, mi alzai dalla sedia avvicinandomi, e lui fece altrettanto. A metà strada, ci fermammo. Finalmente potevo sentire di nuovo il profumo meraviglioso che quel ragazzo emanava. Come mi era mancato!
<< Sei qui >>, mormorai timorosa che potesse svanire da un momento all’altro.
<< Sono qui >>, confermò Ianto.
<< Credevo che non ti avrei mai più rivisto >>, continuai sentendo nuove lacrime scendere lungo il mio viso.
<< Non potevo sopportare di starti lontano ancora. Avevo raggiunto il mio limite >>, rispose con dolcezza.
Poi, lentamente, portò una sua mano al mio viso asciugandomi la guancia e carezzandomi. Trattenni istintivamente il respiro, sentendo la pelle rabbrividire per quel contatto. Era anche meglio di come ricordavo. Quelle meravigliose mani stavano di nuovo sfiorandomi, portandomi in paradiso con pochi semplici gesti. Quanto mi era mancata la sensazione di sentire il suo calore sul mio corpo.
<< Volevo tornare da te prima, ma non potevo. Non come ero allora! Piccolo, come un moccioso, e incapace di poter badare davvero a te. Dovevo crescere e maturare, altrimenti saremmo stati punto e d’accapo >>, aggiunse, continuando ad accarezzarmi. << Ho aspettato di finire il liceo, di cominciare l’università, di laurearmi, di entrare alla specialistica, e finire di studiare. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere, per finire prima. Per poter tornare il più velocemente possibile da te. Ed ora sono qui, e non ho intenzione di lasciarti mai più. E spero con tutto il cuore che tu mi voglia ancora, perché se così fosse, sarei la persona più felice del mondo >>.
Le sue parole forti, mature e decise, erano uscite con voce tremante, e con un velo di paura che attraversò anche il suo sguardo. Temeva un mio possibile rifiuto. Come se potesse accadere una cosa simile. Io lo desideravo con tutto il mio cuore e il mio essere. Stavolta neanche io lo avrei mai più lasciato andare, perché come lui avevo raggiunto il mio limite. Con dolcezza poggiai il mio viso contro sulla sua mano, approfondendo  quel contatto, e sorrisi felice.
<< Sette anni sono passati, Ianto. Sette lunghissimi anni. E l’unica cosa che è rimasta costante in tutto questo periodo, sai qual è? Il mio immenso amore per te >>, esclamai con voce emozionata.
Ianto sorrise come mai aveva fatto. Era felice, e lo ero anche io. Lentamente, si avvicinò al mio volto, ed io attendevo con trepidazione il momento in cui avrei potuto assaporare nuovamente le sue labbra, e saggiarne la consistenza.
<< Ti amo >>, sussurrò a pochi centimetri di distanza dalla mia bocca.
<< Ti amo >>, risposi con la stessa voce.
Poi non ci fu altro da aggiungere. Con quelle due parole, con quelle cinque lettere avevamo detto tutto. Senza attendere ulteriormente, unimmo le nostre labbra in quel bacio ricercato da sette anni. Mi resi subito conto che i miei ricordi non erano minimamente paragonabili a quella realtà. Quelle labbra perfette, carnose e calde erano nuovamente mie, e mai più le avrei lasciate andare. Portai le mie mani ai fianchi del ragazzo, sentendo con i palmi quanto mutato fosse quel corpo, ora molto più muscoloso del passato. Ianto era diventato ancora più bello e perfetto. Una sua mano rimase sulla mia guancia, mentre l’altra andò ai nei miei capelli, accarezzandoli dolcemente. I nostri corpi finalmente erano tornati ad essere un’unica cosa. Strusciammo le nostre labbra per qualche altro secondo, poi con lentezza, le dischiudemmo contemporaneamente. Finalmente potei sentire di nuovo quel sapore unico di Ianto. Quel sapore che amavo con tutta me stessa, e che era solo mio. Le nostre lingue si incontrarono in una danza a tratti lenta, a tratti dura, e a tratti vogliosa. Mi era mancato tutto quello. Poter sentirlo sulla mia bocca, sul mio corpo. Poterlo sentire di nuovo mio. Amavo Ianto, e mai avrei smesso di farlo. E la stessa cosa era per lui. Sapevo, senza neanche sentirglielo dire, che in quei sette anni ero stata l’unica per lui. Nessun’altra aveva preso il mio posto, neanche per un solo istante. Mi era sempre appartenuto, ed io ero sempre appartenuta a lui. Passarono lunghissimi minuti, in cui entrambi ci perdemmo nella bocca dell’altro. Poi, ansanti, ci staccammo riprendendo fiato. Ianto appoggiò la sua fronte contro la mia, ed inspirò il mio profumo.
<< Mi sei mancata tanto >>, sussurrò sul mio volto.
<< Anche tu. Ogni notte ti sognavo, e speravo con tutto il cuore che la mattina dopo fossi sdraiato accanto a me. Ma tu non c’eri mai >>, mormorai sentendo nuovamente le lacrime bagnarmi il viso. << Ma adesso non ha più importanza. Perché tu sei tornato, ed io non ti lascerò mai più andare >>.
Ianto depositò un bacio leggero sulle mie labbra, poi sorrise dolcemente.
<< Andiamo a casa >>, disse con voce roca e profonda.
Non risposi, ma lo presi per mano, conducendolo fuori da quel laboratorio. La mia vita era tornata a scorrere. Finalmente tutto era tornato al suo posto. Ianto era di nuovo al mio fianco. E mai sensazione fu più bella di quella di poter stringere alla luce del sole, e senza paure, la sua mano mentre insieme camminavamo verso il futuro che ci attendeva. Un futuro luminoso e brillante, forse tal volta costeggiato da difficoltà, ma che ci avrebbe visti uniti come una sola cosa. E mai più saremo stati separati.

Mi chiamo Lisa Cristillo. Questa è la vostra fine, ma non la mia. Perché da adesso comincia la mia nuova vita accanto all’uomo che amo. Accanto alla persona che mi ha reso felice e serena. Accanto alla persona che è riuscita a portare la speranza in me. Chi di voi può dire di essere stato altrettanto fortunato?
Ianto è il mio passato.
Ianto è il mio presente.
Ianto è il mio futuro.





Ed eccoci giunti al gran finale...Dio Santo, mi si spezza il cuore, ma la storia adesso è definitivamente conclusa...
Cavolo, non avrei mai creduto di arrivare alla fine, e di avere così tanti fan per questa storia...quando ho cominciato a pubblicarla ero molto disillusa e poco fiduciosa, soprattutto nelle mie capacità...ma poi, man mano che la storia proseguiva, voi lettori siete diventati tantissimi, e grazie alle vostre recensioni e al vostro supporto, ho potuto concludere questa storia...
Lisa e Ianto sono una parte di me, forse la migliore...come voi li ho anche invidiati per il loro carattere, che avrei voluto fosse mio, e per la fortuna di aver trovato l'amore...conoscendomi, vi sareste aspettati un finale non felice, o comunque qualche cosa di tragico...e per me la tragicità c'è, perchè Lisa e Ianto, per stare definitivamente insieme, hanno dovuto attendere sette anni...io non potrei mai sopportarlo, io sono una che vuole le cose vengano fatte subito, senza aspettare niente...e quando leggo che ci sono voluti degli anni, prima che due persone si rincontrassero, vengo sempre assalita dalla malinconia...e la stessa cosa mi è successa con questo epilogo...ma alla fine tutto è bene ciò che finisce bene XDXD
Mi mancherà non poter più leggere i vostri commenti su questa storia, ma spero con tutto il cuore che vogliate seguirmi anche nelle mie prossime avventure (e giusto per farmi un po' di pubblicità, ho pubblicato giusto oggi i prologhi di due mie nuove storie: "Da adesso in poi..." e "Una fidanzata per finta"...se andate nella mia pagina, o sul mio account facebook le trovate li pronte ad attendervi XD)...
Adesso passiamo ai ringraziamenti...
Ringrazio tutti quelli che hanno letto questa storia, dal primo all'ultimo...
Quelli che l'hanno messa tra le preferite:


1 - Allegra_ 
2 - angycullen 
3 - Frakimi
4 - frinciu
5 - fuck off i love 1D 
6 - Ginny_99 
7 - Giogi97c 
8 - immaterial 
9 - laughjust 
10 - Lelusc 
11 - lucry94 
12 - Mia Fernadez 
13 - Minelli 
14 - oleander97 
15 - OPaZzAO 
16 - paynecakes 
17 - RoBeRtA_97 
18 - snowandsky13 
19 - Sparkling June
20 - SpinellaTappo98 
21 - ViolaShine 
22 - Wiss 
23 - ZaynMalik_ILoveY 
24 - zeppy 


Quelli che l'hanno messa tra le seguite:

1 - Adrienne8588 
2 - Agapanto Blu 
3 - Alexya_ 
4 - Allegra_
5 - AllyB 
6 - Annalisapom
7 - ApeMaiaRosa 
8 - Audrey5 
9 - ayachan93 
10 - Babilovesfood 
11 - barrYs
12 - Blue Drake
13 - Brunette_ 
14 - cost 
15 - Deilantha
16 - demetrinadevonne92
17 - Ealrii 
18 - elspunk93
19 - fairylisa88
20 - Giogi97c 
21 - givemeasmile 
22 - Happillion
23 - HartAttacksecsidriu0
24 - Honey945_ 
25 - Icaro_smile 
26 - ilynap 
27 - katvil 
28 - Kureiji 
29 - lady angel 
30 - lia64 
31 - Little panda 
32 - Loreena McKenzie 
33 - Marauders forever
34 - Mary62 
35 - mati93 
36 - micki
37 - myllyje
38 - narniaishere 
39 - nextohim 
40 - Nicole Spurce 
41 - oleander97 
42 - PATATINAFRITTA 
43 - Persefone92 
44 - rebyswan
45 - RedLeo
46 - robbie25 
47 - Secretly_S
48 - Sparkling June 
49 - taffolina 
50 - unicorn_inthemind 
51 - Wiss 
52 - zacharyeyes 
53 - _pencil_ 


E quelli che l'hanno messa tra le ricordate:

1 - Brunette_
2 - dolceBiondina
3 - GreenBlackHead
4 - Iwannagofast 
5 - LaMano
6 - oleander97 
7 - sel4ever 
8 - Wiss 


Vi ringrazio con tutto il cuore, sul serio...siete voi i veri autori di questa storia (ecco che cominciano a scendere le prime lacrime ^-^ AHHHH qualcuno mi passi un fazzolettino, vi prego XD)...
Ma, in particolar modo, voglio ringraziare una a una le persone che hanno recensito questa storia...
Allegra_ che mi ha accompagnato dal primo momento in questa storia, senza stancarsi mai...
Deilantha e le sue recensioni chilometriche
Oleander97, la fan di tutte le coppie di questa storia haha
Roberta_97, che vuole a tutti i costi la sua OS su paolo e roberto, con quest'ultimo passivo (te l'ho promessa, quindi la farò sta tranquilla U.U)
Immaterial, e le sue recensioni che mi hanno fatto sganasciare dal ridere ogni volta
Loreena McKenzie, la prima in assoluto che ha recensito la storia 
Little panda, che anche se è arrivata verso la fine in questa nostra famiglia, è stata fantastica sempre
e Futaba, Happilon, SpinellaTappo98, Lelusc, Sparkling June, Minelli, AllyB, Giogi97c, Brunette_ ...
Insomma tutte voi che ci siete sempre state...*lacrime copiose le rigano il volto, oscurandole la vista e bagnando il computer*
Che tristezza...cmq, la storia è finita, ma chiunque di voi che vuole lasciare un commento, è liberissimo di farlo...è sempre bello avere nuove recensioni (lo ammetto, sn un tantino vanitosa, anche se ho l'autostima sotto i piedi O.O che paradosso!!!)...
Ricordo anche dell'esistenza del mio account facebook...qui il link:  http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl
Che altro dire...siamo giunti alla fine, ormai...ho ringraziato tutti, ho lasciato qualche commento stupido, come mio solito XD vi ho ricordato dell'esistenza dell'account fb, ho pianto come una fontanta (i fazzolettini promessi sono arrivati, quindi chiunque ne necessiti si rivolga a me che glielo passo ^-^)...
Ed ora è giunto il momento di salutarvi come sempre...è stato bello questo viaggio, lungo ed emozionante...ma tutti i viaggi, come cominciano, purtroppo finiscono e questo finisce qui!!!
Lisa, Ianto, Paolo, Roberto, Nicola, Mario, Margherita, Andrea, Carlo, Vincenzo, Fabio, Marco, Diego, Renato, Giuliano, Debora, Simone, Umberto e Christian vi salutano augurandovi tutto il bene possibile...
E anche io vi auguro tutto il bene di questo mondo XDXD
Un bacio
Moon9292

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