Sabbia Bianca

di Carmen Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo -Ritorno- ***
Capitolo 2: *** Fervida Immaginazione ***
Capitolo 3: *** Deboli Barriere ***
Capitolo 4: *** Alti e Bassi ***
Capitolo 5: *** A Piccoli Passi ***
Capitolo 6: *** Brividi ***
Capitolo 7: *** Consapevolezza ***
Capitolo 8: *** Paure ***
Capitolo 9: *** Insicurezze ***
Capitolo 10: *** Un Inizio Perfetto ***
Capitolo 11: *** Il Giusto Posto Nel Mondo ***
Capitolo 12: *** Poche Parole ***
Capitolo 13: *** Doccia Ghiacciata ***
Capitolo 14: *** Mia ***
Capitolo 15: *** Una Visita Inattesa ***
Capitolo 16: *** Qualche Preoccupazione Di Troppo ***
Capitolo 17: *** Un Pugno Nello Stomaco ***
Capitolo 18: *** Io Sono La Tua Forza ***
Capitolo 19: *** Una Folle Paura ***
Capitolo 20: *** Una Realtà Agghiacciante ***
Capitolo 21: *** Un Uomo Dal Passato ***
Capitolo 22: *** Fino All'Ultimo Respiro ***
Capitolo 23: *** Epilogo - Sabbia Bianca - ***
Capitolo 24: *** Extra: L'annuncio ***



Capitolo 1
*** Prologo -Ritorno- ***


 

Vorrei tornare nel passato con l’esperienza di adesso,
per evitare di compiere quell’errore madornale di perdere tempo.
Perdere tempo facendo cose inutili e superflue,
invece di beare corpo e animo alla presenza dell’unico uomo al mondo
che riesce a farti sentire viva, quando per metà, sei morta.
 

Renesmee

 
 
 
 

Il treno era ripartito ormai da un po’.
Non vedendo nessun volto familiare, avevo preso il mio borsone e mi ero seduta su uno scalino a fianco alla biglietteria.
Anche a distanza di anni ricordavo esattamente l’odore di Forks, specie l’odore della stagione autunnale che amavo e che odiavo allo stesso modo.
Solo noi, creature soprannaturali, riuscivamo a carpire la fragranza che rilasciano le foglie nell’attimo in cui si staccano dal ramo. E in quel momento ce n’erano migliaia che ingiallite o semplicemente imbrunite, fluttuavano leggere fino a toccare la strada.
Il caos di persone che si affrettavano a lasciare la stazione ferroviaria era svanito senza che me ne rendessi conto. A quell’ora nelle case si serviva la cena e quel venticello tagliente che s’infilava sotto i vestiti, non era di certo invitante a stare lì fuori.
Guardai l’orologio, erano quasi le nove di sera. Perché Jacob non arrivava?
Afferrai il cellulare nella borsa e mandai un sms ai miei genitori per dirgli che il viaggio era andato magnificamente e che non avevo avuto nessun tipo di problema, poi lo riposi nella mia tasca.
Per quanto cercassi di starmene tranquilla e spensierata, uno strano nervosismo mi pizzicava sottopelle; un’impazienza tale da farmi tremare lo stomaco, da farmi battere il cuore più veloce del solito.
Erano due anni che non vedevo Jacob, esattamente da quando per forza maggiore io e la mia famiglia avevamo dovuto cambiare città. Il loro aspetto invariato nel tempo cominciava a scaturire curiosità e nonostante modificassero sempre pettinatura e abbigliamento, cercando di proposito di apparire più grandi, il loro volto continuava a essere giovane e bello, senza rughe e liscio come il marmo.
E così da un giorno all’altro, proprio in autunno, mi ero ritrovata con l’ingrato compito di dire addio al mio Jacob. La persona più importante di tutta la mia vita. Colui che c’era sempre stato sin dalla mia nascita e che mi aveva accompagnato con dedizione e amore nel percorso della mia crescita.
Ricordo ancora il dolore lancinante che mi colpì, quando vidi il suo viso deformarsi per la sofferenza, dopo avergli rivelato che stavamo per partire.
Non puoi farmi questo, Nessie.
Non ti rendi conto di quanto ci farà male.
Noi non possiamo stare lontani.
Non avevo mai dimenticato le sue parole, ogni singola notte, mi tornavano in mente e mi tormentavano fino a farmi piangere.
Lasciarlo, pur sapendo dell’imprinting, era stata la decisione più difficile che avevo mai preso in vita mia. E anche la più sbagliata.
I miei genitori non mi avevano imposto nulla, mi avevano dato libera scelta. Sarei potuta rimanere con lui a La Push o affittare un monolocale a Forks. Avrei potuto continuare a coltivare la nostra amicizia speciale e godermi Jacob in ogni suo magnifico aspetto. Ma ero troppo stupida per rendermi conto della fortuna che avevo, troppo bambina per pensare a certi aspetti del nostro rapporto che sarebbero potuti mancarmi fino a farmi perdere il respiro.
Ero eccitata al pensiero di una grande città, di nuovi amici. Il college mi aspettava, la casa diversa, una vita nuova… Ma il prezzo da pagare era troppo alto ed io purtroppo me ne resi conto troppo tardi quando ormai non potevo più tornare indietro.
Io non posso seguirti Nessie, sono il capobranco.
Forse potrò venire una volta al mese, fin lassù.
Non lasciarmi.
L’avevo stretto in un abbraccio e lui aveva ricambiato con vigore. C’era qualcosa fra di noi. Io lo sapevo. Lui lo sapeva. Per qualche strano motivo però, nessuno dei due si era mai spinto oltre il semplice legame di amicizia, tranne una volta. Ovviamente era stato lui a prendere l’iniziativa.
Prima di lasciarlo definitivamente lo avevo guardato in quei suoi occhi neri, tanto profondi ed espressivi. Soffriva, ed io non ero da meno. Avevo pianto fiumi di lacrime davanti a lui, senza alcuna possibilità di trattenermi. Ero stata male sul serio, ma non era bastato a impedirmi di fare l’idiozia più grossa della mia vita: lasciare Forks.
Ti voglio bene, Jake.
Io di più, Nessie.
Con gli occhi lucidi si era chinato su di me e mi aveva dato un bacio leggerissimo tra il labbro superiore e il naso…
Nonostante ciò, sentivo che mi stava condannando, sapevo che non mi avrebbe mai perdonato.
Mi ritrovai a trattenere un gemito di dispiacere, mentre la stazione ferroviaria diventava sempre più desolata. Il signore all’interno della biglietteria aveva serrato il vetro attaccandoci poi una targhetta con scritto chiuso.
Per un solo istante, mi venne il panico… e se Jake non fosse venuto a prendermi? Se la mia improvvisata gli avesse dato fastidio? Se non avesse letto il mio sms?
Cercai di scacciare via il terrore pensando a qualcosa di sciocco.
Chissà se gli fossi piaciuta ancora… Beh, tecnicamente non avevo subìto ulteriori cambiamenti. Quando ero andata via, avevo otto anni e la mia maturazione era già completata da un anno, ero una donna fatta. Ora a distanza di ventitre mesi e dieci giorni, avevo i capelli più lunghi e mettevo un po’ di trucco, tutto qui.
Ero sempre Nessie, la sua Nessie. Gli sarei piaciuta ancora… certo.
Tra di noi c’era l’imprinting, io sarei stata sempre importante per lui. Come Jacob lo sarebbe stato per me. Il centro del mio mondo era lui.
Avevo fatto le mie cretinate, i miei sbagli. Avevo pianto per ore al telefono con lui perché non trovava mai il tempo di venire a farmi visita ed io a causa degli studi e del mio lavoretto, ero altrettanto indaffarata.
Mi era bastato un solo mese per pentirmi di essere andata via da Forks. Un mese dove ogni notte, in silenzio, mi aspettavo di percepire il respiro di Jake e non c'era. Un mese dove aprivo la finestra aspettandomi di sentire il suo ululato e non sentivo mai un bel niente. Un mese dove fantasticavo sui possibili risvolti della nostra storia e tutto rimaneva solo e soltanto fantasia.
Ora però ero tornata. Determinata.
Ero maturata molto e sapevo ciò che volevo. E ciò che volevo, era lui.
Sempre che il mio lupo non avesse trovato una ragazza molto più intelligente di me, che gli donasse tutto ciò di cui lui aveva bisogno e che io ero stata troppo egoista per dargli.
Se così fosse stato, non potevo prendermela con nessun altro che con me stessa. Ero stata io la stupida della situazione e ora ne pagavo le conseguenze.
Sospirai sentendo il cuore andare a mille quando i miei pensieri si buttarono a capo fitto su qualcosa che finalmente potevo pensare liberamente, senza rischiare di vedere il volto di mio padre scioccato e schifato.
Immaginavo le labbra di Jacob sulle mie, sul mio corpo. Quelle labbra così bollenti e carnose che spesso si poggiavano sulla mia fronte per conforto.
E quelle mani… grandi e ruvide, sempre ovunque. Sui fianchi per farmi il solletico, sulle spalle per spingermi, sul viso per coccolarmi.
Lo volevo tutto. Di nuovo. Volevo ogni sua attenzione, ogni suo gesto, ogni sua più piccola parte. Tutto. E lo volevo come mai l’avevo avuto.
<< Ness? >>.
Sussultai con il respiro che mi si fermò in gola.
Era la sua voce. La voce del mio Jacob. Era inconfondibile col suo timbro basso e rauco. Inconfondibilmente eccitante e forse lui nemmeno se ne rendeva conto.
I miei occhi rimasero fissi sul pavimento dove vedevo i suoi scarponcini marroni con i lacci slacciati e la linguetta fuori. Risalii con lo sguardo sui suoi jeans neri che fasciavano le cosce muscolose. Eccola… la sua camicia verde a quadri aperta con sotto una t-shirt che sembrava troppo stretta per quel torace tanto ampio.
E poi il suo viso. Perfetto… quella carnagione scura, i capelli nerissimi, gli occhi dolci e vispi, la bocca piena e umida.
Ora posso morire.
<< Jacob… >>.
Rivederlo fu una sensazione inimmaginabile. Fu come rinascere.
Il suo odore mi riempiva le narici, la sua presenza mi riempiva la vista e il cervello. Ero completamente inebetita.
Mi sollevai spolverandomi i jeans e lui era altissimo, un colosso. Sebbene fossi sul gradino, dovetti alzare la testa per incrociare i suoi occhi.
E nonostante i due anni trascorsi, lo sguardo che mi riservava era sempre lo stesso, identico. Non era cambiato nel tempo, quello no… ma forse i suoi atteggiamenti sarebbero stati diversi.
Il mio sesto senso mi diceva che Jacob non mi avrebbe perdonato facilmente.
<< Ce ne hai messo di tempo eh? >>, mi sussurrò all’orecchio mentre le sue mani calde si stringevano intorno alla mia vita.
Mi avvinghiai a lui per paura che se non l’avessi fatto, sarei morta in quello stesso istante e respirai quel suo odore muschiato tanto buono. Quell’odore di ragazzo che sprigionava voglie represse galoppanti, sogni censurati e pensieri proibiti.
Gemetti avvolgendogli il collo con le braccia.
<< Dio mio, quanto mi sei mancato… >>.
<< Dovevi pensarci prima, Cullen >>.
Sorrisi ignorando la sua risposta, dovevo essere forte. Probabilmente Jacob mi avrebbe riservato un sacco di battutine taglienti alternate a comportamenti indifferenti e freddi, perciò dovevo prepararmi a ogni eventualità. Se volevo arrivare al mio obiettivo, non potevo abbattermi già da subito. 
Gli baciai la guancia. Lui mi scostò i capelli dalla fronte passando con lo sguardo dai miei occhi alla mia bocca. Eravamo così vicini…
Non avrei avuto niente da obiettare se mi avesse baciato. Ovviamente.
<< Ora sono qui, questo è l’importante >>.
Sapevo che non era vero. Sapevo che non potevo pretendere che dopo due anni di assenza, non bastava fare una gita a La Push per cancellare il mio errore con lui e con me stessa, ma lo dicevo per buon auspicio, tutto qui.
<< Sei bellissima >>, sussurrò imprigionandomi ai suoi occhi scuri. << E sei mia >>.
Sì, sono tua.
Sollevò un angolo della bocca in un accenno del suo bellissimo sorriso. << Beh, sei il mio imprinting, che sarebbe più corretto da dire >>.
Intrecciò la sua mano con la mia e prese il mio borsone in spalla.
<< Dove andiamo? >>, chiesi correndo per mantenere il suo passo.
<< Ti faccio conoscere mia moglie e i miei bambini >>.
<< Che cosa? >>, sbottai inorridita.
Lui rise di gusto stringendomi la mano. << Scherzavo, non hai perso l’abitudine di abboccare a tutto? >>.
Mugugnai risentita. Mi era preso un colpo, seriamente.
<< Preparati, ti faccio vedere la mia nuova casa >>.
 
 
 
Angolino Autrice

Ecco la mia ennesima storia. Inizialmenete non credevo che sarebbe riuscita a coinvolgermi più di tanto, ma già dal quarto capitolo mi sono dovuta ricredere, perchè la adoro, come adoro Jacob e i licantropi e il sovrannaturale. 
Anticipo i ringraziamenti a tutti coloro che leggeranno e che mi lasceranno un loro pensiero. E grazie alle ragazze che mi hanno sostenuto sin dal primo rigo, loro sanno chi sono <3.
Come tutte le mie storie, anche questa verrà aggiornata ogni domenica, nell'arco della giornata.
A presto! :)

 
 

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Capitolo 2
*** Fervida Immaginazione ***


L’amore ha così tante sfaccettature…
A volte è un po’ beffardo e ti confonde.
Ma di certo, con me, aveva fatto un ottimo lavoro,
non mi aveva lasciato alcun dubbio.
Anche a distanza di anni, il vederlo, il toccarlo… scaturiva in me
sempre le stesse sensazioni.
Il tempo si annullava e mi sentivo leggera.
E mi sentivo calda.

 

    Renesmee 

 
 
 
 
 
Jake lanciò il mio borsone nel cofano e mi raggiunse sul marciapiedi. Non resistetti all’impulso di corrergli incontro e saltargli in braccio.
L’imbarazzo iniziale era svanito in un batter di ciglia e ora a distanza di soli pochi minuti, il tempo sembrava non esser trascorso tra di noi. Era quasi come se non fossi stata via per due lunghi interi anni, ma solo per qualche stupido giorno. Sperai vivamente che la situazione non si ribaltasse.
Quelle braccia forti che mi sostenevano come se fossi aria, mi erano mancate da morire. Strinsi i suoi capelli fra le dita e gli scoccai un bacio sulla tempia.
<< Non crederai che sarà tutto rosa e fiori, vero parassita? >>, mi disse fintamente imbronciato, ma con un bagliore sinistro negli occhi che mi fece capire che il risentimento era ancora vivo in lui e aspettava solo il momento giusto per uscire allo scoperto. << Ce l’ho a morte con te. A morte >>, ribadì.
<< Mi farò perdonare >>.
<< Sarà davvero difficile >>, disse enfatizzando un’occhiataccia.
<< Ci riuscirò >>.
È proprio vero quando si dice che si apprezza ciò che si ha, solo nel momento in cui si perde. Ma per fortuna era tutto finito ormai, tutto sarebbe tornato alla normalità.
Tra le tante chiacchiere il percorso in auto sembrò durare pochissimo. Jacob parcheggiò l’auto di fronte a casa sua e si affrettò a recuperare il mio borsone, mentre io mi sentivo piacevolmente stralunata.
L’aria umida di La Push, non mi era mai piaciuta né tantomeno il suo freddo pungente e le continue piogge e invece ora, mi confortavano.
Avrei voluto urlare talmente era la gioia che mi attraversava.
Sono a casa. Finalmente sono di nuovo a casa.
La dimora del mio Jake era a La Push, proprio all’interno della Riserva. Quel pezzo di paradiso sferzato spesso dai venti oceanici, era molto migliorato. Lo spazio dedicato alle abitazioni, si era ingrandito e tutte le staccionate erano state dipinte e messe a nuovo. Avevano anche scavato una nuova stradina che abbreviava il percorso fino in spiaggia.
Jacob fece tintinnare le chiavi fra le dita destandomi dai miei pensieri.
Mi passò davanti sorridendomi e mi precedette sin sull’uscio di casa. Teneva il borsone in spalla e la camicia stringeva talmente forte sul suo bicipite, che pensai che il tessuto potesse strapparsi da un momento all’altro.
Ecco che avevo ricominciato…
Per tutta la strada fino a casa avevo cercato di tenere a bada i miei pensieri perché erano davvero controproducenti per me, purtroppo però non c’ero riuscita tanto bene…
Qualsiasi parte del corpo di Jake che attirava la mia attenzione, si trasformava presto in un pensiero spinto o… troppo spinto.
Persino quando vedevo che cambiava marcia pigiando la frizione e stringendo la presa sul cambio, aveva qualcosa di inspiegabilmente sexy. Sarà stato per i jeans che si stringevano ancora di più intorno alla sua coscia muscolosa oppure le vene del braccio che s’ingrossavano ulteriormente dandogli l’aspetto di essere forte e prestante da morire, ma io capitolavo ogni volta. E mi ritrovavo a sprofondare sul sedile sempre di più, quasi fino a voler diventare un tutt’uno col tessuto.
<< Che fai lì impalata? >>, mi chiese Jake all’improvviso facendomi sussultare.
Mi schiarii la voce e lo raggiunsi sul pianerottolo; aprì la porta con uno scatto e mi fece cenno di entrare.
C’era un buon odore lì dentro ed era tutto buio.
<< Non c’è Billy? >>.
Jacob richiuse la porta alle sue spalle e buttò il borsone in un angolo.
<< Vivo da solo, Nessie >>.
Sbarrai gli occhi in preda a qualche strano tipo di paura di genere non definibile e poi girai un po’ su me stessa, guardandomi intorno.
<< E da quando? >>.
<< Da qualche mese >>.
<< Non me l’hai detto >>, costatai con un sorriso incerto.
<< Non è una cosa importante >>.
La casa di Jacob era come dire… perfetta, piccola, accogliente e disordinata.
C’era un unico grande ambiente con un piccolo cucinino e il salone col divano e la tv e poi in fondo c’erano due porte una di fronte all’altra e pensai che una fosse la camera da letto e l’altra il bagno.
Vicino all’entrata, c’era uno specchio e un piccolo tavolino dove erano poggiate delle cornici con all’interno delle foto, alcune vecchie altre molto recenti.
C’era Jacob con Rachel e Billy, Jacob con mia madre, io e Jake quando avevo all’incirca quattro anni e Jacob con una ragazza.
<< E lei? >>, chiesi perplessa mostrando la foto al mio amico. << Chi è? >>.
Jacob storse le labbra pensieroso, forse per trovare il nome adatto da attribuire alla ragazza, poi assunse un’aria noncurante.
<< Diciamo che è una cara amica >>.
Diciamo. E proprio quel diciamo non mi piacque per nulla, fu ancora peggio che sentirsi dire è la mia ragazza, per esempio.
Dopotutto che cosa pretendevo? Imprinting o no, lui era single e molto bello. Era umanamente impossibile che nessuna lo notasse o che resistesse al suo fascino. Persino mia madre, si era innamorata di lui e come darle torto?
Sospirai poggiando la foto al suo posto e mi tolsi le scarpe rimanendo a piedi nudi. Cercai con lo sguardo il mio amico e per poco non sussultai quando lo vidi poggiato contro la credenza della cucina che mi fissava con gambe e braccia incrociate. Emanava virilità.
<< Che c’è? >>, gli chiesi con un sorriso tirato.
<< Vieni qui >>, mi ordinò.
Non trovando alcun motivo per rifiutare – anche perché piuttosto mi sarei buttata nel fuoco – mi avvicinai.
Il suo odore era dappertutto, mi stordiva. E ricordai che da bambina indossavo le sue maglie quando per motivi di ronda, non poteva dormire con me.
Quando fui abbastanza vicino, Jacob mi attirò a se e mi strinse le sue braccia intorno fino a incrociare le mani dietro alla mia schiena.
<< Sei così uguale e… così diversa >>.
Sorrisi col fiato in gola. I nostri cuori battevano all’unisono, come era sempre stato e percepivo il suo corpo come non mai.
Ogni più piccola vibrazione scorreva anche attraverso la mia pelle e mi elettrizzava, mi creava aspettativa. E mi spingeva a cercare sempre di più, sempre di più.
Poggiai le mie mani sui suoi avambracci e li accarezzai lentamente fino a risalire alle sue spalle… la sua peluria, i nervi tesi, la forma dei muscoli, il ruvido del tatuaggio, la forza che sprigionava…
Il pensiero che qualcun’altra lo avesse toccato, baciato o sentito, mi faceva impazzire. Non potevo permettermi di condividerlo con nessuna, non l’avrei sopportato. Lui era mio. E basta.
<< Che vuoi dire? >>, gli chiesi incuriosita cercando di non apparire in preda a una crisi di entusiasmo.
Lui cercò il mio sguardo a lungo e si soffermò nei miei occhi per un tempo che sembrò interminabile. Le sue iridi erano qualcosa di eccezionale, inspiegabile con termini terreni. Sarei potuta affogare in quelle pozze nere e intense. A volte talmente erano espressive, che non c’era bisogno che parlasse per spiegare cosa lo tormentava o cosa lo faceva arrabbiare.
Lo sguardo che più mi piaceva e mi lasciava senza fiato, era quando i suoi occhi si accendevano di passione, di eccitazione. Purtroppo era capitato di rado che succedesse e forse era dovuto al troppo autocontrollo, ma quando succedeva io morivo. Lentamente.
Ed era ciò che mi stava succedendo in quel momento. Il corpo di Jacob aveva cominciato a bruciare e la sua stretta si era invigorita. A un tratto mosse la bocca come se volesse mordersela e strinse forte la mascella.
Quella sera aveva la barba di qualche giorno… era scura scura e gli adombrava le guance. Sollevai il palmo della mano e la toccai… era ruvida, ma non m’importava, sarebbe stato sublime sentirla sfregare sulla mia pelle. E poi gli stava divinamente, lo faceva sembrare più maturo, proprio bello e dannato.
<< Sembri più consapevole >>.
<< Sembro più consapevole >>, ripetei.
<< Aspetta un attimo… >>, disse Jacob incuriosito.
Mi annusò sul collo e sotto la guancia e anche fra i capelli. << Come mai la tua pelle non ha più quel fastidioso sentore vampiresco? Non dirmi che hai deciso definitivamente di non bere più sangue… >>.
M’imbronciai e incrociai le braccia sul petto. << Certo che non hai proprio tatto >>.
Mi scostai da lui con fare stizzito e andai verso il frigorifero mentre Jake ridacchiava sotto i baffi e copriva il tavolo rotondo con delle piccole tovagliette.
<< Hai fame Cullen? >>.
<< Sì, che cosa mangiamo? >>.
<< Una bistecca ben cotta e dell’erba >>.
<< Erba? >>.
<< Insalata >>, mi sbeffeggiò, poi prese i bicchieri dalla credenza e mi guardò ancora con uno strano sguardo di fierezza che sapevo benissimo da che cosa scaturiva.
<< Davvero hai deciso di non nutrirti più di sangue? >>.
<< Non ti dava fastidio la mia quasi-puzza di vampiro? >>.
Rise annuendo e la sua bellezza mi fece annodare lo stomaco.
<< Beh, non avevo altra scelta. L’unico modo per non puzzare è basare la mia dieta solo su cibo umano, quindi… >>.
<< Quindi, ti sei sacrificata per me >>.
Non risposi vista l’evidenza dei fatti e poi mi sentivo un po’ patetica a dire la verità. Ero persa di lui, ormai ne ero consapevole, ma farglielo capire così apertamente non credevo che fosse salutare per me. E non sarebbe stato prudente perché conoscevo Jacob abbastanza bene da sapere che quando meno me lo aspettavo, avrebbe potuto usare quella debolezza contro di me.
<< Cullen te lo ribadisco… stai facendo del tuo meglio, ma non ti perdono nemmeno se mi porti la luna >>.
Si mise ai fornelli, mentre io versavo l’acqua nei bicchieri. Quando lui era concentrato su qualcos’altro e non su di me, sembrava quasi che il mio coraggio raddoppiasse. Infatti, mi avvicinai a lui sbattendo il mio fianco contro il suo. << Non c’è nulla che io possa fare per farmi perdonare? >>, chiesi ammiccando.
<< Non ti conviene farmi certi tipi di domande >>, ridacchiò lui. << Non so cosa potrei chiederti >>.
<< Magari io sono disposta a darti quel qualcosa… >>.
Jacob girò la bistecca in una piccola padella e poi mi perforò con lo sguardo. Non disse niente ma la sua serietà, mi fece capire che faceva sul serio e che non mi conveniva scherzare su certe cose.
<< Scherzavo… >>, sussurrai ritirandomi nel mio guscio. Ero una codarda!
Ma i suoi occhi erano stati talmente duri, che mi avevano fatto battere in ritirata.
C’era tensione tra di noi, potevo avvertirla e lui sicuramente l’avvertiva più di me. Sebbene facessimo finta di niente, con abbracci e battutine varie, sapevo che nel momento in cui avessimo affrontato il discorso della mia partenza, tutti i nodi sarebbero venuti al pettine.
Dopo quasi due anni, quello era il nostro primo incontro e anche se avevamo avuto l’opportunità di stare ore e ore al telefono, Jacob glissava l’argomento “partenza” ogni qual volta cercavo di affrontarlo.
Diceva che non faceva bene a nessuno dei due discutere o nel mio caso cercare di farmi perdonare e giustificare il mio trasferimento, perché per come la pensava lui, avremmo finito per litigare. E il fatto di non poterci vedere, avrebbe ingigantito fino all’estremo ogni piccolo equivoco.
Ci sedemmo a tavola, uno di fianco all’altro. Jacob all’improvviso aveva assunto un’aria indecifrabile, quasi arrabbiata. Eppure non avevo fatto ancora niente per poterlo fare indispettire, avevamo riso e il nostro incontro era stato molto meglio di tutte le mie aspettative.
<< Allora… >>, iniziò. << Come mai questa visita improvvisa? Che cosa ti ha spinto fin qui, nella terra dimenticata da Dio? >>.
Deglutii con una strana sensazione che serpeggiava in fondo al mio stomaco. Evidentemente il gioco era finito, l’entusiasmo del vedersi dopo tanto tempo, era svanito. Ora eravamo solo io e lui, con tutti i nodi al pettine, come previsto.
<< Mi mancavi >>, ammisi sommessamente con la voce quasi strozzata. Dio, come mi sentivo patetica, ma di certo non gli avrei mentito. Non potevo rischiare di peggiorare la situazione e poi credevo che la verità fosse sempre la migliore delle soluzioni.
Jacob tagliò un pezzetto della sua bistecca, senza fare la più piccola delle espressioni… anzi, la sua mascella sembrava digrignarsi un po’ troppo spesso.
Solo due anni prima, se gli avessi rivelato una cosa del genere, lui mi avrebbe sorriso e mi avrebbe stretto a se accarezzandomi i capelli.
Beh… le cose erano cambiate molto più di quello che pensavo.
<< Che c’è? >>, chiesi bevendo un sorso d’acqua.
Lui fece spallucce, ma in modo abbastanza sarcastico. << Non so cosa pensare sinceramente >>, asserì duro.
<< Perché? >>, bevvi un altro sorso d’acqua, giusto per fare qualcosa. All’improvviso mi sentivo fuori posto, a disagio e dannatamente colpevole.
<< Il perché lo sai, Nessie. A dire la verità pensavo che non saresti più venuta neppure a farmi visita. Avrei giurato che le nostre conversazioni telefoniche fossero solo di circostanza e non perché realmente avessimo desiderio di sentirci >>.
<< Per te era così? >>, chiesi, prevedendo quasi che la risposta fosse affermativa. Fortunatamente però, lui non rispose e si alzò dalla sedia riponendo il suo piatto nel lavandino.
<< Importa qualcosa, adesso? >>, chiese guardandomi di sottecchi.
Scossi la testa, poggiando la forchetta sul tavolo. << Lo sapevo che prima o poi avremmo affrontato questo discorso, Jake. E so di aver sbagliato col mio stupido comportamento, avrei dovuto pensarci meglio, prima di trasferirmi. Ma ora, che cosa posso dirti? Lo sbaglio è stato fatto e non posso tornare indietro. Posso solo cercare di recuperare il nostro rapporto >>.
<< E perché mai, Nessie? Hai una nuova vita, nuovi amici, persino un ragazzo… >>, sbuffò cercando di trattenere il nervosismo e io mi chiesi come diavolo faceva a sapere che avevo un ragazzo, non gli avevo accennato mai niente. << La tua nuova vita non comprendeva me, lo sapevi benissimo sin da quando hai preso la decisione di partire >>.
<< Perché… perché non mi hai convinto a restare? >>, chiesi sottovoce con gli occhi bassi. Ero anche egoista e volevo scaricargli una colpa che non gli apparteneva.
<< Perché così non avresti sofferto il distacco dalla tua famiglia, saresti stata al sicuro e poi lo volevi con tutta te stessa. E infine io sto bene se tu stai bene >>.
<< Anche io >>.
<< Non è vero >>, ringhiò. << Andiamo Nessie, non prendiamoci in giro >>.
<< Ok >>.
Voglio dire… ok, meglio che non mi pronuncio. Effettivamente aveva ragione su tutta la linea. Anche se per poco tempo, mi ero goduta il trasferimento, senza stare male al pensiero che lui soffrisse la mia assenza; ci avevo impiegato un po’, mentre lui a causa dell’imprinting avvertiva tutte le emozioni, le esigenze e i desideri, nell’immediato.
Egoista, menefreghista e ancora egoista!
<< Siamo umani, possiamo sbagliare ed io ho sbagliato >>.
Jacob sollevò un angolo della bocca. << A dire il vero, non siamo proprio umani, ma questa te la lascio passare >>.
Feci strisciare la sedia sul pavimento e mi alzai avvicinandomi a lui. Infilai gli indici di entrambe le mie mani, nelle tasche dei suoi jeans e guardai la sua espressione dura addolcirsi.
<< Sei fortunata >>, sussurrò mentre nei suoi occhi imperversava un tipo di tempesta a me sconosciuta.
<< Ad avere te? >>.
<< Soprattutto >>, disse con arroganza. << In realtà perché non riesco a tenerti il muso lungo per troppo tempo. Faccio il cattivo, ma sono un buono >>.
<< Io non ci giurerei, quando ti arrabbi fai paura >>.
Risi quando lui mi pizzicò un braccio. << In due anni sono cambiate un sacco di cose, Nessie. Compresi io e te e… >>.
<< Non importa, Jacob. Dico davvero. Non mi aspettavo diversamente >>.
Finii di sparecchiare il tavolo, riposi l’acqua nel frigorifero e poi aprii il rubinetto dell’acqua per lavare quei due piatti sporchi. Jacob aveva acceso la tv e si era immerso nella telecronaca di una partita di baseball, rimanendo in piedi col telecomando in mano.
Per qualche istante osservai l’acqua che scivolava sulle mie dita e immaginai la mia vita in quel modo… io che facevo qualche faccenda e Jake mi era intorno a fare dell’altro, ma condividevamo lo stesso tetto, lo stesso letto. E c’era anche un bambino che giocava spensierato sul tappeto e una fede nuziale che brillava al mio dito.
<< Che ti succede? >>, chiese Jacob all’improvviso, strappandomi alle mie fervide immaginazioni. Per poco non mi cadde il piatto dalle mani.
<< Niente, perché? >>.
<< Il tuo cuore… sembra che stia facendo una corsa >>.
Feci una risatina isterica pensando a qualcosa da dire, ma parlò di nuovo lui.
<< Pensavi ai tuoi sbaciucchiamenti col nuovo fidanzatino? >>.
Sembrava noncurante, ma non lo era per niente. Il suo tono era infastidito, sarcastico. Lo lasciai a crogiolarsi nelle sue insinuazioni senza dirgli che il batticuore era dovuto proprio a lui e che il mio fidanzatino non era più tale.
Asciugai i piatti e mi chinai dinanzi al mio borsone per prendere l’occorrente necessario per fare una bella doccia e cambiarmi. Il viaggio era stato lungo e la stanchezza cominciava a farsi sentire; in alcune occasioni la mia parte vampiresca non serviva a granché.
Jacob mi raggiunse. << Quanto tempo hai intenzione di fermarti? >>.
Per sempre.<< A dire il vero non lo so >>.
<< Vai a dormire da Billy? C’è la mia vecchia stanza libera e… >>.
Sprofondai in un burrone. << Non mi… io… io pensavo di… non >>, sospirai e mi feci coraggio. << Pensavo di rimanere qui, non voglio andare altrove >>.
Jacob per un istante fece vagare il suo sguardo sul mio corpo, dalla testa ai piedi e viceversa e poi annuì. << Se il tuo fidanzatino non ha nulla da ridire, figuriamoci io >>.
<< Piantala >>, dissi sorridendo e dandogli una pacca sul fianco. << Non è più il mio ragazzo >>.
<< Comunque puoi dormire nel mio letto stanotte, tanto io non ci sarò >>.
E anche se ci fosse stato, dov’era il problema? Non sarebbe stata la prima volta che condividevamo un unico materasso.
<< Vai di ronda? >>, chiesi col cuore che mi tremava. E se fosse andato a trovare la sua cara amica della foto?
<< Sì >>, si poggiò le mani sui fianchi guardandosi intorno. << Laggiù c’è il bagno e poi di fronte c’è la camera da letto. Fai come se fossi a casa tua, non preoccuparti di riordinare nulla, tanto io ci vivo in questo casino >>.
Mi baciò la fronte all’improvviso, prima di camminare verso l'uscita. << Buonanotte >>, disse senza voltarsi indietro.
Buonanotte, dissi mentalmente una volta rimasta da sola. Ma non avevo alcuna intenzione di rimanere in casa a deprimermi con le mie mille paure… sarei andata nel bosco a rivivere le vecchie emozioni. Sarei andata nel bosco per abbracciare il mio lupo rossiccio, il mio Jacob.
 
 
 
Angolino Autrice

Sono molto contenta che questa storia piaccia e spero che continui a essere così.
Volevo segnalarvi una storia che ho letto di recente, una storia bellissima, con protagonista Leah. Questo è il link, fateci un salto, ne vale davvero la pena. 
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1154132
A domenica prossima! :)

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Capitolo 3
*** Deboli Barriere ***


 
Era impossibile per me resistergli.
In qualche modo riusciva ad abbattere le barriere
pudiche che mi permettevano di essere inibita davanti ai suoi occhi.
Quando meno me l’aspettavo,
appariva una Me passionale e avida di attenzioni.
Avida di tocchi. Avida di Jacob.

 
 

Renesmee

 
 
 

La camera da letto di Jacob era come il resto della casa: piccola, bella e disordinata.
Mi sedetti sul letto rifatto con delle lenzuola verde scuro e ne accarezzai il tessuto liscio e fresco, immaginandomi Jacob semi nudo che ci si avvolgeva abbandonato all’incoscienza del sonno.
Sorrisi, sperando che la mia immaginazione diventasse presto realtà.
Avevo molti ricordi del mio amico che si rigirava fra le lenzuola, ma il ricordo aveva perso forza e non mi provocava più dei brividi impetuosi che mi scorrevano lungo la schiena, quindi c’era bisogno di una piccola spolverata.
Sul comodino teneva una bottiglia d’acqua a metà, una lampada e una sveglia quadrata con le lancette fosforescenti. Sulla parete a destra del letto, c’era una finestra che affacciava sulla stradina che portava verso le altre case di La Push e a fianco a essa c’era uno specchio lungo rettangolare con la bordatura nera; c’era anche un armadio e una sedia colma di vestiti smessi.
Camminai verso lo specchio, quando vidi diverse fotografie appuntate alla parete con del nastro adesivo o con delle simpatiche puntine a forma di cuore, un dettaglio che non mi piacque per nulla e non perché non mi piacessero i cuori, ma solo perché Jake non l’avrebbe mai fatto.
Le fotografie ritraevano lui e quella ragazza sconosciuta, la sua cara amica. Adesso, non avevo alcun dubbio sulla provenienza di quei cuori e la cosa mi diede immensamente fastidio.
Che grado di intimità avevano per far sì che entrasse in camera sua e appuntasse le foto alla parete? C’era persino un bacio rosso fuoco, stampato sullo specchio all’altezza della bocca di Jake, cioè a due spanne sopra la mia testa.
C’erano foto di una sconosciuta e neppure una mia… a parte quella all’entrata in cui avevo quattro anni.
Dal nervoso e dalla paura, per poco non scoppiai a piangere come una bambina. Era davvero frustrante tutta quella situazione ed ero certa che lo sarebbe diventata sempre di più, soprattutto perché il volto di quell’estranea, era dolce, bello e angelico, tanto da impedirmi di scaricare la mia rabbia su di lei.
Per parecchi minuti cercai di scacciare i brutti pensieri, senza riuscirci. Mi era passata anche la voglia di andare a correre nel bosco e rivedere il mio lupo e tutti i suoi amici.
Era meglio dormire piuttosto che incontrarlo con quel muso lungo, così decisi di fare la cosa più saggia: indossai della biancheria pulita e mi rifugiai nel suo letto.
 
Jacob aveva trascorso con me tutta la notte. Benché fossimo soltanto nei miei sogni, la sensazione che lui ci fosse davvero, era così reale da lasciarmi di stucco.
Il bisogno di lui era così forte, che il mio corpo e la mia mente cercavano in tutti i modi di riparare alla sua assenza, e non capivo fino a che punto fosse positivo.
Mi chiesi se una mezza vampira come me, potesse soffrire di allucinazioni.
A dispetto del cattivo umore della sera precedente, il mio sonno era stato tranquillo e continuo. Mi ero svegliata soltanto quando avevo sentito dello sbatacchiare di stoviglie proveniente dalla cucina, ma adesso la casa era tornata a immergersi nel silenzio più assoluto.
Attraverso le tendine verde acerbo, filtrava una lama di luce all’interno della quale turbinavano pulviscoli leggeri e semitrasparenti e li osservai quasi rapita lasciando ai miei sensi il tempo di svegliarsi. Poi accarezzai il posto vuoto a fianco al mio e avvilita mi chiesi per quale motivo Jacob, non fosse venuto a coricarsi lì. Forse aspettava che mi svegliassi in modo da non condividere il letto, oppure aveva preferito il divano… Qualunque delle due ipotesi si fosse rivelata veritiera, avrebbe fatto male lo stesso.
Mi alzai, stropicciandomi gli occhi e andai verso la sedia colma di vestiti smessi, che Jake teneva di fianco all’armadio; afferrai una sua maglietta e dopo averla indossata, decisi di darmi una bella rinfrescata.
Il bagno era ancora intriso da un forte odore di bagnoschiuma e ciò significava, che il mio amico aveva fatto la doccia da poco meno di mezz’ora.
Mi sciacquai il viso, mi lavai i denti e feci tutto ciò che di solito si fa appena svegli e poi pettinai pure i capelli. Non capii il perché mi ostinavo con tutti quegli accorgimenti, quando avevo indosso una maglia stropicciata che mi faceva da abito ed ero a piedi nudi. E purtroppo anche quel quesito aveva un’ovvia risposta: non volevo che Jake mi vedesse trasandata. Volevo che mi vedesse bellissima, la più bella di tutte.
Il salone era immerso nella penombra, tutte le imposte delle finestre erano socchiuse per far entrare meno luce possibile e la televisione muta, trasmetteva le immagini di cartoni animati. L’aria era pulita e fresca, probabilmente fino a poco tempo prima, le finestre erano state spalancate. E poi c’era Jake sdraiato supino sul divano, con un braccio dietro la nuca e con indosso solo dei boxer neri malamente nascosti da una coperta che stava già cadendo sul pavimento. Dormiva…
Sospirai torturandomi le mani e guardandomi la punta dei piedi.
Aveva preferito addormentarsi sul quel divano scomodo e stretto, piuttosto che prendere il suo legittimo posto nel letto. E solo perché c’ero io.
Non potei fare a meno che guardarlo e fantasticare a più non posso su di lui, anche se non nego che spesso e volentieri le mie angosce tornavano alla ribalta.
La sera prima mi aveva chiesto se preferivo andare da Billy e forse la motivazione era proprio perché non sopportava più avermi intorno, specie ora che aveva ristabilito la sua tranquillità, la sua normalità senza di me. Oppure lo faceva per rispetto a Kate?
Il braccio che teneva piegato dietro la nuca, metteva in evidenza il muscolo che si gonfiava e sembrava in tensione. Il suo viso era perfetto, la sua bocca appena schiusa. Il petto largo e robusto si alzava e abbassava col suo respiro… i suoi addominali simili a pietra, i suoi fianchi stretti…
<< Nessie, sei inquietante >>.
Sussultai all’improvviso non riuscendo a trattenere un gridolino impaurito.
<< Sei sveglio? >>.
<< A meno che non sia un sonnambulo che riesce a intrattenere una discussione mentre dorme ad occhi aperti… Sì. Sono sveglio >>.
Colta con le mani nel sacco.
Arrossii violentemente spostando lo sguardo su alcuni cereali che Jacob aveva lasciato ricadere sul tavolo della vicina cucina.
<< Nessie? >>.
<< Sì? >>, chiesi fingendomi spensierata.
<< Che cosa stavi facendo? Perché mi fissavi? >>.
<< Non ti stavo fissando >>.
<< Sei sempre stata una pessima bugiarda >>.
Incurvò un angolo della bocca in un sorrisetto malizioso e poi allungò una mano verso di me.
Il cuore mi balzò in gola alla velocità della luce e milioni di domande si scatenarono nella mia testa già stanca, nonostante mi fossi appena svegliata.
<< Vieni qui >>, sussurrò tenendo il braccio teso.
Era come la mano di un angelo che mi accoglieva in paradiso… non potevo rifiutare. Neppure se mi avesse riservato un comportamento ostile.
Prendi tutto ciò che puoi… non sempre è possibile fare quello che si desidera.
Mi avvicinai a passo incerto, sentendo le gambe mollicce e ricordai che la sera prima mi aveva detto: sei così uguale e così diversa…
In quel momento anche a me saltavano alla mente quelle parole, ma non in riferimento a lui, bensì alla nostra situazione. Era tutto così uguale e così diverso. Ciò che provavo io, era diverso.
Allungai una mano fino a sfiorare la punta delle sue dita calde.
<< Di che cosa hai paura? >>.
<< Di niente >>, soffocai un gemito. Stavo morendo di paura. Una piacevole paura!
Jacob intrecciò le dita alle mie e delicatamente mi avvicinò di più.
<< Vuoi sdraiarti con me? >>.
<< Sì, no… sì. Cioè… >>.
<< È un sì o un no? >>.
Sospirai. << Sì >>.
Cercò di farmi spazio, ma davvero non capivo dove avrei dovuto mettermi, non c’era posto per me, a malapena ci stava lui.
Si girò di lato e mi lasciò pochi centimetri tra il suo corpo e lo schienale del divano.
Sbattendo le ginocchia contro le sue, riuscii a sdraiarmi e a poggiare la testa sul bracciolo morbido. Jake era così vicino che neppure riuscivo a guardarlo se non soffermandomi su alcuni suoi particolari, come gli occhi soltanto, o la bocca.
Lui mi accarezzò la testa, facendo scorrere le dita fra i miei capelli, fino a spostarli completamente dietro alle spalle.
Percepivo il suo respiro sul mio viso, ed era inebriante e dolce e aveva un leggero sentore di dentifricio.
Mentre i suoi occhi neri e seriosi, scrutavano i miei, non riuscivo a capacitarmi della violenza con cui mi aveva colpito la consapevolezza dell’amore che provavo per lui.
Lo volevo così tanto, così disperatamente, che avrei fatto ogni cosa pur di averlo mio.
Avrei aspettato anni, se fosse stato necessario.
Si incollò ulteriormente a me e infilò una gamba fra le mie, in modo che neppure l’aria riuscisse a dividerci.
Immersi nel silenzio della mattina, nel calore dei nostri corpi uniti, in quell’intimità tanto forte da spezzare il fiato, mi accorsi che proprio in quel momento ci eravamo ritrovati. Non la sera prima alla stazione ferroviaria… ma lì, sul piccolo divano che a malapena ci accoglieva.
Sentii la mano di Jacob sul fianco, poi ricadde dietro la mia schiena con leggerezza, accarezzandomi.
Se avessi dovuto trovare un posto sicuro e accogliente durante la mia vita, non avrei scelto altro che le braccia forti di Jacob. Non esisteva altro per me, se non lui e i suoi occhi espressivi che mi stavano lanciando messaggi silenziosi.
Quando riflettei proprio sui possibili messaggi che avrebbe voluto che capissi senza parole, il mio cuore cominciò ad accelerare all’impazzata e il suo eco forte, rimbombò prima nel mio stomaco, poi nella gola e persino nelle tempie.
Jacob si accorse prima di me di ciò che stava accadendo e il suo sguardo si accese di fuoco. Mi guardò il petto per un istante, proprio nel punto in cui batte il cuore e poi sollevò due dita poggiandocele sopra.
Espirai forte, cercando di lasciarmi andare, tanto non potevo mentire… era chiaro.
Chiuse gli occhi e affondò con viso fra i miei capelli.
<< Nessie >>, sussurrò.
Lo circondai con le braccia, accarezzandogli le spalle.
Sentii la sua bocca scendere sul mio collo e scorrere lentamente fino alla mia spalla, dove lasciò un bacio.
<< Mi sei mancata, piccola >>.
Per poco non svenni dalla felicità. Mi aggrappai a lui con tutta la mia forza.
<< Anche tu >>.
Jake continuava ad annusarmi la pelle, era chino sul mio collo e mi stava assaporando con l’olfatto… potevo sentirlo.
<< Non dovevi tornare… >>, sussurrò ancora baciandomi sotto l’orecchio. Avvertivo la tensione dei muscoli della sua schiena e la pressione delle scapole contro le mie dita, mentre muoveva le mani sul mio corpo. Il suo braccio sinistro era piegato dietro la mia testa e la mano scorreva fra i miei capelli e il destro scivolava lungo il mio fianco sinistro, verso il basso, fino alla coscia.
<< Non… non dovevo? >>, riuscii a dire nonostante il corpo in fiamme.
Ero imbarazzata da morire per quei contatti tanto intimi che fino ad allora non avevamo mai avuto, ma talmente li desideravo, che non m’importava di niente né tantomeno dalla vergogna che mi assaliva a ondate impetuose.
Jacob tracciò con le dita, il contorno inferiore delle mie mutandine, dal fianco fino al sedere dove la sua mano si aprì... << No, non dovevi >>, disse con voce roca, << perché andrai via di nuovo ed io mi ritroverò punto e a capo >>.
Alzai una gamba sul suo fianco e mi tirai quasi su di lui, poggiando la fronte contro la sua. Mi accorsi che anche il suo cuore batteva più veloce e il suo respiro era quasi affannoso. Gli salii cavalcioni, abbracciandolo stretto e niente di quella posizione, poteva sembrare erotica o fatta di proposito per provocarlo. In quel momento era l’unico modo che avevo per sentirmi più fusa a lui, più in contatto.
Le sue braccia mi strinsero quasi a farmi male ed io gli baciai la guancia ripetutamente.
<< Io non ho nessuna intenzione… >>, iniziai a dire, ma Jake si sollevò appena con la testa.
<< Sta arrivando qualcuno >>, asserì con tono seccato.
Io non me andrò via. Voglio rimanere qui con te. Per sempre.
Mi girò, poggiandomi sul divano delicatamente e poi si alzò afferrando un paio di pantaloncini infilandoseli al volo.
Toc toc.
Jacob sbuffò e poi aprì la porta solo di qualche centimetro.
<< Che vuoi Rachel? >>.
<< C’è Kate? >>.
C’è Kate?
È il nome della ragazza della foto? Perché Rachel la sta cercando qui?
<< No, non c’è >>.
<< E allora lasciami entrare, no? >>.
Mio Dio… frequenta questa casa con abitudine… ed è già capitato che Jacob non facesse entrare sua sorella perché Kate era con lui… magari mezza nuda come me, sdraiata sul divano, o sul pavimento o in qualche angolo a fare sesso o a fare …l’amore.
Mi alzai velocemente dal divano e corsi in camera da letto a indossare i miei vestiti. Quando ebbi finito, mi guardai in giro freneticamente col respiro affannato e con le lacrime che mi pungevano gli occhi. Mi chinai sulle ginocchia, poggiando le mani sul viso e mordendomi la bocca, reprimendo quel pianto a dirotto che cercava di sconfiggermi, finché impotente non gli lasciai libero sfogo.
Ero arrivata tardi…
Non riuscivo a crederci, non volevo crederci, faceva troppo male. Lo sconforto era così tanto che infilai di nuovo tutti i vestiti nel mio borsone pronta a ogni eventualità.
Mi presi il tempo necessario affinché il rosso dei miei occhi si attenuasse e poi mi rinfrescai il viso con delle selviette prima di tornare in salotto con il borsone in spalla.
Non ne ero convinta, ma volevo mettere Jake alla prova.
<< Nessie? >>, sbottò Rachel dando un’occhiata veloce a suo fratello per poi tornare su di me. << E tu che cosa ci fai qui? >>.
Mi avvicinai ad abbracciarla, mentre suo fratello mi osservava con attenzione e anche con un punto interrogativo stampato sul viso. Sicuramente si era accorto che c’era qualcosa che non andava in me.
<< Ho un bel po’ di giorni liberi e ho pensato di venire a fare visita a Jake e a tutti voi >>.
<< È una bellissima sorpresa! >>.
Le sfregai la schiena. A dispetto di tutta la sofferenza e il senso d’impotenza che stavo provando, ero felice di vederla. Rachel era stata una sorella maggiore, si era occupata così tante volte di me, insieme a Billy, che era come se facessero parte della mia famiglia.
<< Sono felice di vederti, Rachel >>.
<< Quando sei arrivata? Perché non sei venuta subito a farmi visita? >>.
<< Ieri sera, era tardissimo >>, mentii. << Infatti, per non disturbare te e Billy sono rimasta qui da Jake. Però ora porterò la mia roba da voi, so che c’è la stanza del tuo fratellone libera >>.
<< Oh, sì. E tra un po’ ci sarà anche la mia >>, ammiccò.
<< Ti trasferisci? >>.
<< Io e Paul convoliamo a nozze. Finalmente! Rischiavamo la pensione! >>.
<< Ma è meraviglioso! >>, esclamai felice. << Congratulazioni! >>.
<< Grazie. Vogliamo andare? Mio fratello sembra nervoso e assonnato e non voglio disturbare ulteriormente >>, chiese guardandolo di sottecchi con espressione divertita.
<< Certo >>, bofonchiai afflitta accorgendomi che Jacob non aveva fatto una piega, quando avevo detto a Rachel che sarei andata da loro. Il mio piano era fallito e ciò significava che il mio amico non mi voleva in mezzo ai piedi.
Avrei potuto farmi forza per l’ennesima volta. Non avrei voluto lasciare la sua casa, facendo in modo che Kate la frequentasse liberamente e che insieme si lasciassero andare a effusioni non gradite. Rimanere lì con lui, significava ostacolare tutti i suoi rapporti e agevolare il mio. Però in quel momento la mia testa non elaborava nulla di differente.
Jake afferrò il mio borsone e lo lanciò in un angolo. << Tu rimani qui per tutto il tempo che ti fermerai a La Push >>, affermò con tono imperioso. << Puoi andare a salutare gli altri se vuoi, nel frattempo io mi riposo. Ci vediamo dopo >>.
Rimasi basita e interiormente al settimo cielo. << Ma… >>.
<< Nessun ma, Nessie. Rimani qui e non si discute >>.
Il mio stomaco si attorcigliò e sentii le mie guance andare a fuoco. Mi voleva lì. Mi voleva lì ed era ora che la smettessi con le mie dannate insicurezze.
<< Tu e Paul siete fatti della stessa pasta >>, grugnì Rachel, incrociando le braccia sul petto. << Nessie non è di tua proprietà, è solo il tuo imprinting >>.
<< Che mi sembra abbastanza >>, rispose Jake. << Ora fuori strega, sono stanco. A proposito che sei venuta a fare? >>.
Si guardò intorno e poi dal tavolino vicino all’entrata afferrò le chiavi della Jeep di suo fratello. << Mi serve la tua macchina >>.
Rachel, mi prese per mano e mi trascinò fuori da casa di Jake, sbattendo la porta.
Prima di cominciare a respirare regolarmente, ci impiegai un po’. Il gesto di Jacob, mi aveva lasciato di stucco proprio quando avevo già pensato al peggio e stavolta neppure mi sprecai a fare la finta replica. Stare lì con lui era ciò che volevo.
Ero disposta ad abbandonare tutto per lui.
Mi accorsi della notevole differenza tra me e le mie amiche del college. Loro erano indipendenti, forti e sicure e non avrebbero mai permesso a un ragazzo di prendere decisioni al posto loro. Invece io avevo un punto di vista completamente diverso.
Almeno per quanto riguardava il mio amico, perché con Benjamin il mio comportamento era quasi identico alle mie amiche.
Mi fidavo così tanto di Jacob e lo sentivo così affine a me, che avrei potuto affidargli la mia vita senza neppure pensarci un attimo. Sapevo che avrebbe pensato solo al mio bene. E poi contare su qualcuno come io contavo su Jacob era una cosa meravigliosa, un legame stupendo e raro.
Una volta in auto, Rachel cominciò a parlarmi a raffica di un sacco di cose, a cominciare dal suo imminente matrimonio, alla storia tra Leah ed Embry, alle mille ragazze di Seth e al fidanzamento di nonno Charlie e Sue Clearwater che adesso si trovavano a trascorrere una settimana da piccioncini in Mexico.
Mentre i suoi riccioli ondeggiavano con la strada dissestata e i suoi racconti continuavano a più non posso, io non riuscivo a non pensare a Jake e a Kate.
Dovevo sapere assolutamente di più riguardo a quello che c’era fra di loro e visto che chiederlo al diretto interessato mi spaventava da morire, decisi di fare qualche domanda a sua sorella Rachel.
<< Jacob e quella Kate, stanno insieme? >>, chiesi interrompendo il flusso delle sue parole.
Rachel si fermò a un semaforo proprio al centro di Forks e mi buttò un’occhiata indecifrabile tamburellando con le dita sul volante.
<< Che io sappia no. Sono soltanto amici >>.
Stava mentendo. << La casa di tuo fratello è tappezzata di loro fotografie e quando sei arrivata stamattina, hai chiesto se c’era lei. E le otto del mattino non è un orario di visita >>.
Mi mangiucchiai un’unghia, guardando metà del mio viso riflesso sul finestrino. Non era giusto esasperare Rachel, non era giusto in generale impicciarmi dei fatti degli altri, ma lui era il mio Jacob e io lo amavo più della mia stessa vita.
Anche l’episodio di poco prima sul divano, mi aveva dato la certezza che fra di noi ci fosse qualcosa e non era soltanto da parte mia.
Le sue carezze non erano semplici carezze. E potevo gridarlo al mondo intero perché io conoscevo le semplici carezze di Jake, quelle che regalava alla me bambina o alla me ragazzina. Quelli erano tocchi sentiti e frementi che preannunciavano qualcosa di più intenso. Era come il ritrarsi del mare prima dell’arrivo di un’onda travolgente.
<< Nessie, dovresti parlarne con Jacob e poi io so davvero poco. Sai quanto mio fratello ci tiene alla privacy >>.
<< Dimmi soltanto se stanno insieme >>, chiesi in una supplica.
<< Non credo che sia questa la domanda che dovresti pormi, sai? >>.
Mi grattai il collo, tenendo lo sguardo fisso davanti al me, sul giallo brillante di un taxi. << E che domanda dovrei porti? >>.
<< Se lui prova dei sentimenti per lei >>, sputò con un po’ troppo di serietà << Che stiano insieme o no, non è rilevante. Sai quanta gente c’è al mondo che sta insieme senza amore e viceversa quanta gente si ama e neppure riesce a dirselo? >>.
<< Non credo di volerlo sapere… >>, dissi con voce rotta.
<< Invece io è la prima domanda che farei. Se davvero m’interessasse qualcuno >>.
Sprofondai nel sedile e ammutolii del tutto. Il tono di Rachel era vagamente rimproveratorio e ciò mi faceva capire che, anche se non lo dava a vedere, non le era andato giù il fatto che mi fossi trasferita lasciando che Jake soffrisse l’assenza del suo imprinting. D’altronde era suo fratello.
<< Perché sei tornata? Non si tratta di una semplice visita, vero? >>.
<< Beh… >>, iniziai.
<< Ricordati che sono anche io l’imprinting di Paul e so cosa si prova, quindi non mentire >>.
Mugolai… era proprio quello che avevo intenzione di fare, ma mi aveva scoperto con troppa facilità.  << Non ce la facevo più a stare senza di lui, ogni giorno era una tortura >>.
Rachel fece un sorriso dolce. << Sono contenta che tu ci abbia ripensato. Jacob non ha passato un periodo facile… ma ora basta! Non ne parliamo più, sono fatti vostri >>, rise aprendo un po’ il finestrino. << Stasera andiamo in città tutti insieme. È il compleanno di Paul e vogliamo fare qualcosa di diverso, giusto per divertirci. Vieni anche tu? >>.
<< Certo >>, mi affrettai a dire.
Dopo aver ordinato una torta con le fragole e la panna, tornammo a casa. Rachel mi diede le chiavi dell’auto di Jake e lei proseguì a piedi lungo il sentiero.
Aprii la porta di casa, poggiando le chiavi sul tavolinetto rotondo all’entrata e poi diedi un’occhiata in giro, ma Jacob non c’era  e al suo posto c’era parecchio disordine.
<< Jake? >>.
La porta del bagno si aprì e ne uscì il mio amico. << Sei tornata? >>.
Era appena uscito dalla doccia ed era avvolto da una nuvola di vapore. Era ancora bagnato e le goccioline dell’acqua continuavano a scorrere sul suo corpo. Era semi nudo, a parte una minuscola asciugamano legata in vita.
<< Emh, sì. Sono tornata >>.
Jacob stette un attimo fermo a guardarmi e poi camminò verso di me. Mi accennò un sorriso che mi sciolse completamente, più di quanto non fossi già ed io rimasi imbambolata a cercare di capire che cosa avrei dovuto fare per non apparire impacciata.
<< Avete ricordato i vecchi tempi con Rachel? >>.
Non risposi. E non perché non volessi, ma solo perché aveva allungato un braccio e mi aveva afferrato il fianco stringendomi a lui.
Si era appena svegliato, perché i suoi occhi erano ancora un po’ gonfi, proprio come la sua bocca.
<< Perché mi guardi così, Nessie? >>.
Che domande…
Mi cinse anche con l’altro braccio e in quel momento avvertii anche l’unica parte del suo corpo che fino a quel momento non avevo mai sentito. Sarà stato perché sapevo che sotto quel misero telo non indossava niente, o era soltanto suggestione, ma io lo sentivo.
<< Vuoi parlare? >>, mi chiese serio forse ripensando al discorso che avevamo interrotto mentre eravamo sul divano.
<< No >>, sussurrai in risposta. Avevo un mucchio di cose da chiarire con lui, ma non in quel momento. Non quando era quasi nudo incollato a me.
<< Hmm… >>, mugolò Jacob. << E che cosa vuoi fare? >>.
Nel suo sguardo penetrante si accese la fiammella della passione. La sua domanda ambigua aveva dovuto far pensare anche a lui a qualcosa di piccante.
Con l’indice asciugai alcune goccioline d’acqua che stavano riscendendo sul suo braccio.
Il mio cuore ebbe un sussulto quando capii cosa stessi per fare, però non mi fermai.
Mi avvicinai con la bocca a lui e chiusi le labbra sul suo petto, succhiando appena altre gocce calde e profumate della sua pelle.
Jacob s’irrigidì per un istante solo, prima di tornare a distendere i tratti del viso.
E allora… succhiai un’altra goccia e un’altra ancora.
Jacob deglutì prima di stringermi i capelli. << Vuoi farmi impazzire, Nessie? >>.
<< No… >>, risposi guardandolo da vicino e toccandogli le labbra con le dita. << Voglio solo capire che cosa rappresenta quella Kate per te… >>.
<< T’importa così tanto? >>.
<< Più di quanto tu creda >>. Feci un passo indietro. << E visto che pur essendo incollati, sembravi essere distante anni luce, ho capito tutto… >>.
<< Tu invece non hai capito un bel niente >>, replicò subito.
Ma io ero già diretta in bagno, pronta a sigillarmi all’interno e a riempire la vasca con un milione di lacrime.
 
 
Angolino Autrice

Mi dispiace, ma il capitolo è un po' lunghetto me ne rendo conto, ma non sono riuscita a tagliare di più. Ci sono dei momenti in cui scrivo questa storia che sento davvero una sensazione allo stomaco. E quando sento le emozioni dei personaggi la storia mi prende come non mai e scrivo e scrivo a più non posso.
Cmq, pian piano Jacob e Nessie, fra abbracci e litigi, vanno avanti. Il loro rapporto si sta approfondendo e nel prossimo capitolo vedremo cosa succederà al compleanno di Paul.
Ringrazio tutti voi che seguite la storia e che mi lasciate un pensiero.
Al 50% posterò un capitolo infrasettimanale di giovedì oltre a quello solito di Domenica.
A presto <3

 

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Capitolo 4
*** Alti e Bassi ***


Ogni qual volta mi sfiorava,
una miriade di scintille mi invadeva il corpo.
Ogni suo sguardo era un attacco al mio debole cuore.
Ogni sua parola sussurrata contro il mio orecchio,
era un attentato alla mia vita.
Sarei potuta morire per il troppo amore?




Renesmee

 
 
 
 
Le ore successive al mio bagno di lacrime, decisi che ne avevo abbastanza di piangere. Sembrava che da quando fossi arrivata a La Push fosse l'unica cosa concreta che avessi fatto.
Bene... il mio viso non avrebbe più assaggiato il sale delle lacrime per parecchio tempo a venire. Quell'azione, seppur di semplice sfogo, mi gettava nello sconforto e non me lo potevo permettere, non potevo rischiare di perdere l'obiettivo per cui ero tornata alla mia vecchia vita: Jacob.
Ero partita dall'Alaska con la consapevolezza che le cose alla riserva fossero cambiate e avevo già sancito un solido patto con me stessa, giurando che non mi sarei abbattuta alle prime difficoltà. Certo… avevo vacillato, ma scoprire di Kate era più difficile di quanto immaginassi.
Jacob mi aveva lasciato un messaggio attaccato al frigo sotto una calamita a forma di dentiera da vampiro, dicendomi che usciva a fare delle commissioni e sarebbe tornato nel tardo pomeriggio.
Così, avevo aperto la credenza della cucina e avevo ingurgitato una quantità inverosimile di nachos inzuppati nella crema al cioccolato. Era un ottimo abbinamento, non pensavo che una mezza vampira come me avesse potuto sperimentare con così tanto gusto, i cibi umani.
Quando fu ora, tornai in camera da letto a prepararmi per andare alla festa di compleanno di Paul che si sarebbe tenuta in un locale al centro di Forks, una sorta di discobar.  Al contrario di ciò che dicevano mia madre e nonno Charlie, quella cittadina non era poi così contraria all’urbanizzazione.
Scelsi i miei abiti e pensai ancora all’accaduto con Jacob… alle sue braccia che mi avvolgevano, alla sua mano fra i miei capelli e poi la sua indifferenza ai miei tocchi.
Ero ancora indecisa se far finta di nulla, prendere il fatto come una dimostrazione decisiva che fra lui e quella Kate c’era di più, archiviare il tutto come un semplice momento no e infine pensare di aver interpretato male il suo comportamento. Indubbiamente troppe opzioni su cui indirizzare la scelta.
Sospirai, ignorando le fotografie al lato dello specchio che sembrava si prendessero gioco di me e osservai i vestiti che avevo indossato.
«Nessie, posso entrare?».
Sussultai toccandomi la gola e m’imposi di lasciarmi alle spalle quel nostro piccolo episodio. Era meglio per tutti, soprattutto per me, perché mi avrebbe senz’altro creato non poche difficoltà nell’interagire di nuovo con lui, mi avrebbe reso insicura. E io dovevo essere decisa, dovevo fargli capire che ciò che volevo era lui.
Guardai la gonna di jeans che mi copriva appena le cosce e la camicetta verde che lasciava intravedere un po' di decolté; gli stivali senza tacco che arrivavano sotto le ginocchia e i mille braccialetti che avevo al polso.
Beh, quella era senza dubbio un abbigliamento da modalità rimorchio e al contrario della modalità gatta morta - a detta di zia Alice - mi si addiceva parecchio.
«Sì, vieni pure».
La porta cigolò e il mio amico entrò. Talmente ero assorta nei miei pensieri che non l’avevo sentito rientrare in casa.
«Devo cambiarmi per la festa».
«Fai pure», dissi con finta spensieratezza ravvivandomi i capelli allo specchio. Poi piegai il viso verso di lui.
Jacob mi osservava con la testa leggermente inclinata a destra. Si leccò le labbra passandosi una mano fra i capelli ed era lì per lì per dire qualcosa, però lo anticipai. Il mio cuore aveva cominciato a battere veloce e aspettare anche un solo secondo in più, avrebbe significato farmi scoprire.
«Carino il bacio stampato sullo specchio», asserii indicandolo.
«Carina la tua gonna quasi inesistente», sollevò le sopracciglia.
«Bella eh? Un regalo di zia Alice».
«Non avevo alcun dubbio».
Il mio amico aprì l'armadio e mi diede le spalle. Era a dorso nudo e la sua schiena era così definita che avrei potuto contare ogni suo singolo muscolo.
Mi grattai il mento. Chissà che cosa mi tratteneva dall'andare lì da lui e trascinarlo sul letto con me. Ah... forse il buon senso o il pudore o la paura di un rifiuto? Boh...
«Carina quelle fotografie sulla parete», dissi più accigliata ancora.
«Carina la tua scollatura», disse arrivando alle mie spalle.
Mi girai appena e adesso entrambi i nostri volti erano riflessi sullo specchio. Jacob aveva l'angolo destro della bocca sollevato in un ghigno divertito che perse quando mi avvolse il ventre in uno strano abbraccio a metà.
Il suo braccio sinistro premeva sulle mie costole, proprio al di sotto del seno e il suo calore mi stava già bruciando.
Si chinò appena, senza distogliere gli occhi dai miei occhi riflessi e sentii il suo respiro solleticarmi l'orecchio. «Hmm... Per quanto sia bello guardarti, non mi piacerebbe ascoltare dei commentini poco casti sul tuo conto, per cui…».
Sollevò una mano e allacciò uno dei bottoni della camicetta, lasciandomi esterrefatta.
Avevo perso la parola e le mie guance si erano colorate di rosso fuoco, proprio come il bacio stampato sullo specchio; anzi, il mio rosso era più bello…
Quando si spostò da me, finendo di vestirsi, riuscii a stento a ritrovare le parole. Dio mio... ma perché mi faceva quell'effetto? Mi intontiva. E poi quel gesto che cosa significava? Era geloso?
«A me invece, piacerebbe sentire degli apprezzamenti sul mio conto».
Jake scoccò la lingua sul palato e si infilò le scarpe. «Meglio andare, prima che la nostra discussione degeneri».
Non riuscii a trattenere un sorriso mentre uscivo fuori dalla sua camera e attraversavo il piccolo corridoio. «Non mi sembrava che stessimo discutendo».
«Stai scherzando col fuoco, Nessie. Un fuoco che ti ustionerà irrimediabilmente».
«Se è una promessa, ci sto».
«A dire il vero è una minaccia».
«Wow... allora è pericoloso. Mi piacciono le cose pericolose».
Jacob sgranò gli occhi e mi pizzicò il fianco. «Che ne hai fatto della mia dolce Nessie?».
Gli pizzicai il fianco anche io. «Che cosa ne hai fatto del mio Jake?».
Gli occhi del mio amico si addolcirono in un modo strano, poi mi accarezzò il mento. «Io sono sempre stato qui».
Punto e a capo, ecco l’ennesima frecciatina.
Misi il broncio quando la sua mano mi sospinse verso l'uscio di casa. «Non mi hai ancora perdonato, vero?», chiesi in uno sbuffo di rammarico.
«Ovvio che no».
«E che cosa devo fare per far sì che tu lo faccia?».
Mi guardò dalla testa ai piedi con l'espressione furba e maliziosa. «Immagina...».
Oh immagino… Sono anni che immagino.
Gonfiai le guance, ma dentro di me saltellavo come una bambina alle giostre. Era bastato davvero poco per farmi dimenticare l’episodio di poco prima e ormai l’avevo catalogato come un mio errore d’interpretazione visto che anche il mio amico non accennava a tirarlo fuori.
Comunque, mi sbagliavo o... io e Jake stavamo flirtando? No che non mi sbagliavo, e da quando ci eravamo incontrati non avevamo smesso un attimo.
Non pretendevo che mi perdonasse così facilmente, sapevo bene il danno che avevo arrecato a entrambi e quindi ancora prima di arrivare a La Push avevo già immaginato ciò che mi attendeva.
Nonostante tutto, Jacob non stava mostrando molto il suo malumore e il suo risentimento e se da una parte ne ero contenta, dall'altra rimanevo un po' perplessa. Non volevo che se ne infischiasse di me a tal punto da non importargli di ciò che avevo fatto in passato.
Tuttavia i nostri contatti e le nostre battutine erano più che palesi, mentre i nostri scontri rimanevano ambigui e con qualcosa di fondo di non detto... tipo i miei sentimenti.
Oh, le ragazze rimuginano davvero troppo in certe circostanze.
Pensai a mio padre e risi interiormente mentre salivo sull’auto e allacciavo la cintura di sicurezza. Una volta tornata a casa, lui avrebbe scoperto ciò che mi stava accadendo e sicuramente ne sarebbe stato nauseato e irritato.
Era ormai buio quando ci immettemmo sulla strada verso Forks. L'abitacolo era intriso dei nostri profumi e un piccolo peluche a forma di lupo, penzolava allo specchietto retrovisore.
«Kate, sa del branco?», chiesi in un impeto di curiosità.
Jacob scosse la testa, abbassando il volume dello stereo.
«E il tuo ragazzo lo sa?».
«Non è più il mio ragazzo, te l'ho già detto. Comunque, non ne sa niente. Però è un appassionato del soprannaturale, la sua tesi di laurea sarà qualcosa riguardo al paranormale».
«Te li scegli col radar, eh?», asserì con tono quasi infastidito.
«E' lui che ha scelto me».
«Che cosa romantica», cantilenò.
«Quindi anche fra di noi è stato romantico. Sei tu che mi hai scelto avendo l'imprinting».
«Romantico», borbottò. «Eri appena nata, non c'è stato nulla di romantico. E poi ti ha scelto il lupo che è in me, non io».
Mi venne un crampo allo stomaco. Certo che ci stava andando giù pesante con me. Ebbi quasi l'impressione che disprezzasse la particolarità dell'imprinting, un qualcosa che fino ad allora non aveva mai fatto.
Ammutolii spostando lo sguardo verso la fitta boscaglia che ci circondava. Chissà per quanto tempo saremmo andati avanti con quegli alti e bassi che si susseguivano durante la giornata.
«Anche se mi ha scelto il lupo... sono comunque il tuo imprinting», soffiai a voce talmente bassa che io stessa stentai a capirmi.
«Sì, l'imprinting che mi ha abbandonato. Sono unico nel mio genere», disse beffardo. «Ognuno dei miei amici, persino quell'irascibile di Paul, è riuscito ad andare d'amore e d'accordo con Rachel... si sposeranno. Ed io che cosa ho ottenuto? Non solo la presa in giro di una neonata, mezza vampira, ma anche...».
«Lo so!», sbottai stringendomi le ginocchia. «Non dovevo abbandonarti, ma ho già pagato abbastanza. Ho passato l'inferno senza di te!».
«E ora sei tornata per andare via di nuovo. Che bella contraddizione!», mi urlò contro.
Il suo telefono prese a squillare e dopo aver guardato il display, mi sembrò che volesse schiacciarlo tra le mani.
" Un paio di minuti e sono lì ",disse secco e poi riattaccò.
Per tutto il restante tragitto nessuno dei due aprì bocca e anche se lo sconforto mi stava portando verso le solite lacrime, mi feci forza. Mi ero ripromessa di non piangere e non l'avrei fatto.
Avrei potuto risolvere quell’ennesimo bisticcio dicendogli che non avevo più intenzione di partire, ma non se lo meritava, non in quel momento.
In più avevo deciso che avrei cominciato ad andarci pesante anch’io con lui... Lo amavo e sarebbe stato difficile, ma se non ci riuscivo con le buone dovevo provare con le cattive. Chissà avrebbe capito una buona volta.
Quando arrivammo in centro, il discobar era parecchio affollato e attraverso le grandi vetrate avevo già intravisto qualche amico di Jake. Sarebbe stato bello riabbracciarli tutti dopo due interi lunghi anni.
Quando scendemmo dall’auto, mi avvicinai impettita a lui e sbattei con un gomito contro il suo, ostentando il muso lungo. «Comunque», iniziai con aria seria. «Non ho intenzione di scusarmi a vita con te, è meglio che tu lo sappia. Per cui se vuoi che me ne vada basta che tu lo dica subito».
Jacob fece una smorfia buttando gli occhi al cielo. «Sei tu che continui a farmi le tue scuse, nessuno te le ha chieste».
«Bene».
«Bene», grugnì tirandomi una ciocca di capelli prima di aprirmi la porta del locale e farmi una specie d’inchino invitandomi a entrare.
Gli era già passata… beh, a me no.
Col muso lungo m’inoltrai fra le persone che sostavano con un bicchiere o una birra davanti all'entrata. Quel locale era così affollato perché probabilmente era l'unico che rimaneva aperto dopo le dieci di sera.
Non avevo ancora chiesto al mio amico, se l'attività del branco durante le ore notturne portasse i suoi frutti. Evidentemente se continuavano a perlustrare il territorio, avevano necessità di proteggere la loro gente dai vampiri.
Pensare che il mio Jacob desse la caccia e uccidesse quelli della mia razza, mi scatenava dei fremiti che mi scuotevano. La mia famiglia era composta da vampiri, io stessa ero una mezza vampira... e non era bello immaginare che il branco uccidesse quelli come noi.
Che strano il destino però... aveva unito due persone così diverse.
«Ciao Nessie!», Leah mi corse incontro gettandomi le braccia al collo. Sorrisi e ricambiai il suo abbraccio, mi era mancata terribilmente. Le sue battutine taglienti, il suo sarcasmo e la sua sincerità erano come un toccasana per me. Tra alti e bassi eravamo riuscite a istaurare un rapporto unico e la consideravo una delle mie migliori amiche. Avremmo avuto un sacco di cose su cui discutere e spettegolare.
«Guarda chi si rivede!», mi sbeffeggiò Paul seguito da Seth. Rachel sventolava una mano nella mia direzione e sembrava felice che fossi lì. C'era anche Emily con Sam ed Embry.
Salutai tutti molto calorosamente col cuore che mi scoppiava di gioia. Erano una vera famiglia per me. Ognuno di loro mi dava qualcosa. Erano amici veri, amici d'infanzia. Non come quei ragazzi che avevo incontrato in Alaska e con cui facevo fatica a legare. Certo li chiamavo amici, ci trascorrevo del tempo insieme, ma in fin dei conti erano soltanto dei conoscenti che non appena avevano l'occasione, spettegolavano sul tuo conto o ti tradivano.
Mi sedetti in mezzo a loro a ridere, a scherzare e a sorseggiare un aperitivo al sapore di arancio. Era come tornare nel passato, quando la mia vita era molto più facile e spensierata. Quando gli occhi di Jake erano puri e non velati a tratti di risentimento.
Mi chiesi se il suo atteggiamento fosse dovuto alla paura di perdermi di nuovo… e forse la risposta la conoscevo già.
Sfiorai la spalla di Leah con la mia e mi chinai vicino al suo viso. «Che cos'è questa storia tra te ed Embry?», sussurrai con un sorriso malizioso.
«Qui corrono le voci eh! Comunque, non preoccuparti di dire ciò che pensi, Nessie. Fin’ora nessuno approva il fatto che esca con Embry», sospirò. «Neppure Sam, pensa un po’».
Aggrottai le sopracciglia, capivo il punto di vista di chi non approvava. Avevano partecipato tutti al dolore e alla rabbia di Leah, dopo aver perso Sam a causa del suo imprinting con Emily e ora si stava cacciando nello stesso guaio con Embry.
«Se lui avesse l’imprinting? Te lo sei mai chiesta?».
Come se Embry avesse sentito la nostra conversazione, si girò di scatto verso di noi e guardò Leah negli occhi, facendole una domanda silenziosa.
«Certo che ci ho pensato», disse imboccando una patatina. «Però tra noi è solo…».
«Non dirlo», la bloccai.
I suoi capelli neri lucidi mi sfiorarono la guancia. Ormai potevo dire di conoscere bene Leah, non come conoscevo Jacob, ma abbastanza da poter interpretare qualche suo sguardo. Il suo discorso non mi piaceva, cioè non reggeva. Era stata sempre una ragazza forte, solitaria, il bastion contrario dei suoi amici, ma non era senza morale.
«Vuoi farmi credere che sia solo sesso», sussurrai con tono serio. «Ma io e te sappiamo che non è così. E visto il modo profondo in cui vi leggete la mente, anche tutti gli altri lo sanno. Embry incluso».
Leah si studiò le unghie in modo assorto, forse pensando alla risposta da darmi. «Gli piaccio. Tanto».
«Non è un buon motivo per cacciarsi in una simile situazione. Embry è un bravo ragazzo, lo adoro e tu lo sai. Ma dopo quanto hai sofferto con Sam, mi sembra strano che tu voglia ripetere l’esperienza».
La mia amica rise. Una risatina triste e consapevole. Un ciuffo di capelli le ricadde sugli occhi e si strinse nelle spalle.
«Sono una sfigata, lo so».
Le misi un braccio intorno alle spalle e lei mi sorrise, poi Embry la richiamò dal vicino bancone.
«Scusami un attimo, Nessie».
Leah si alzò ed io rimasi lì a fissarla mentre si avvicinava al migliore amico di Jake che la cingeva per i fianchi. Non avevano bisogno di nascondersi, tanto indipendentemente da tutto, ogni singolo membro del branco conosceva i loro più intimi segreti.
Mi vennero i brividi. Non doveva essere facile sopportare di non poter aver nessun desiderio nascosto, nessun pensiero che poteva rimanere proprio. Chissà come se la cavava Jake, se gli era capitato di vergognarsi o di sentirsi violato.
Nel momento in cui lo guardai, i suoi occhi si posarono su di me in una vellutata carezza. Ora era in pace col mondo. Con le labbra arricciate sembrava stesse contemplando un meraviglioso panorama e invece stava guardando soltanto me.
Avrei voluto essergli vicino. Dopo due anni di lontananza, ogni singolo secondo era importante per recuperare il nostro rapporto. Per tornare a essere il Jake e la Nessie di una volta, e anche molto altro di più. Avrei voluto che mi stringesse come Paul stava facendo con Rachel e che mi baciasse con l'amore che Sam sbandierava per Emily.
Avrei voluto lui, tutto e per sempre. Come parte essenziale di me, una parte indispensabile e indissolubile.
E lui invece era distante. Non troppo distante, era solo a qualche passo più in là e ogni tanto mi accorgevo che i suoi occhi correvano nella mia direzione per accertarsi che fossi lì o solo per guardami… come facevo io.
Strapazzai un altro po’ la torta nel mio piattino, anche se amavo la panna e le fragole, avevo lo stomaco chiuso in una morsa… io e Jake non avevamo scambiato neppure una parola.
Mi alzai appiattendo la gonna contro le mie gambe e mi diressi in bagno per darmi una rinfrescata, mi sentivo troppo accaldata.
Una volta uscita di lì, se Jacob non mi avesse dato retta, lo avrei preso per il colletto e l’avrei baciato davanti a tutti… tanto lui era mio, il mio imprinting. Nessuno si sarebbe fatto meraviglia.
Al diavolo le sue paure, non l’avrei più lasciato…
E proprio quando uscii dal bagno, rimuginando sulla maniera migliore per dare il mio primo bacio a Jake, c’era una ragazza dai lunghi capelli biondi che si era avvinghiata al suo collo e lo stava baciando. Sulla bocca.


Angolino Autrice

Ciao a tutti, posto con un giorno in anticipo perchè domani avrò pochissimo tempo.
Nel prossimo capitolo ne succederanno un po'... come reagirà Nessie, con questa bionda che sta baciando il suo Jake?
Spero che anche questo capitolo vi piaccia! A domenica prossima! :D

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Capitolo 5
*** A Piccoli Passi ***


La gelosia è qualcosa di terribile,
ti divora l’anima.
Ma è allo stesso modo una compagna di viaggio
che ti ricorda costantemente di cosa non puoi fare a meno.
Di che cosa non puoi privarti.

...Se non vuoi che il tuo cuore appassisca come un fiore in inverno.



Renesmee

 
 
 
Il cuore mi batteva talmente forte, che sentivo il suo eco pulsare nella gola e nelle tempie. Neppure la musica che fuoriusciva dalle vicine casse riusciva ad attenuare quel tamburellare furioso.
La ragazza bionda stava baciando Jacob. Il mio Jacob. E lui non si ritraeva, no. Era Kate, non avevo alcun dubbio a riguardo, era la persona il cui volto appariva nelle tante fotografie sparpagliate per casa.
Maledizione!
La visione di loro due insieme era mille volte peggiore di come avevo immaginato nei miei più terrificanti incubi.
Mi toccai la gola, mi bruciava e mi sorressi allo stipite della porta quando sentii le gambe mollicce.
La sensazione che l’uomo che amavo, mi scivolasse tra le dita proprio quando stavo finalmente per afferrarlo, si fece sempre più incombente. E per una motivazione che non capii, invece di annegare nello sconforto, mi pervase un senso di rabbia quasi disumana.
Nonostante ciò ero a pezzi. Mi ero frantumata in milioni di pezzettini.
Per fortuna avevo assistito a uno stupido bacio a stampo… vedere qualcos’altro mi avrebbe ucciso.
In un momento di lucidità, quando la rabbia mi concesse un attimo di tregua, riflettei sul da farsi: se avvicinarmi e rischiare di strozzare Kate con le mie stesse mani oppure rimanere in disparte per evitare di fare la figura di… non sapevo nemmeno io cosa. Forse povera illusa, ecco.
Mi sentivo impotente. Sarei stata brava a combattere a tu per tu col mio Jacob, facendogli capire quanto lo amassi, giorno dopo giorno e lasciarmi andare a delle effusioni con lui, a delle manifestazioni d'affetto, a dei baci. Ma se dovevo mettermi a confronto con un'altra ragazza che sembrava anche che fosse più avanti nel raggiungimento dell'obiettivo, non ce l'avrei fatta.
Non amavo le competizioni, non facevano per me. Temevo di mettere anima e cuore in qualcosa di cui fine non dipendeva dalla mia volontà e quindi non poteva fare altro che portarmi sofferenza, ancora di più di un semplice rifiuto.
Guardai per l'ultima volta nella direzione di Jacob, mi sentivo le labbra secche. Kate adesso si era allontanata da lui, e saltellava leggiadra verso Seth col suo impeccabile rossetto rosso e la chioma biondissima che attirava l’attenzione della maggior parte dei ragazzi presenti.
Indossava una t-shirt striminzita, un jeans aderentissimo e degli stivaletti alla caviglia. Si spostò i lunghi capelli dietro le spalle sorridendo e in quel momento, mi sembrò un volto conosciuto. Sì, l’avevo già vista da qualche parte. Assottigliai lo sguardo cercando il ricordo nella mia memoria e pensai che quando avevo visto le fotografie a casa di Jacob, mi sembrava perfettamente bella e sconosciuta. Adesso vedendola dal vivo e osservando i suoi movimenti femminili e aggraziati, mi sembrava di conoscerla.
Mi diressi al bancone con la stupida voglia di bere del sangue. Quando mi arrabbiavo o mi sentivo frustrata, quello era un buon metodo per alleviare le mie tristezze. Era come l'alcol. Nonostante la brutta situazione, quel pensiero mi strappò un leggero sorriso. Se avessi detto a Jacob come consideravo il sangue, avrebbe assunto un'espressione d'orrore.
Mi sedetti su uno sgabello girevole, osservando le file di liquori esposte dietro al bar. Un barman alto dal fisico atletico, andava avanti e indietro senza tregua servendo cocktail e birre e non distante da me, dal lato opposto, c'erano Embry e Leah che continuavano a parlare indisturbati.
Avrei voluto avere il coraggio della mia amica. Lei sì che era una donna con la D maiuscola. Non aveva paura di soffrire, se voleva qualcosa, indipendentemente dalle conseguenze, la otteneva.
Mio padre avrebbe considerato il suo comportamento irresponsabile, ma non io. Per me era un esempio da seguire. Se solo fossi stata dotata di più coraggio e faccia tosta...
«Che cosa credi di fare qui?».
Jacob spuntò alle mie spalle e non riuscii a reprimere un'occhiataccia tagliente che avrei voluto accoppiare a una bella gomitata sulle costole.
«Prendo qualcosa di fresco», grugnii con indifferenza. Beh, se avessi evitato di grugnire forse il mio tono sarebbe apparso davvero indifferente e non irritato.
Il mio amico, o quello che era, si sedette allo sgabello a fianco al mio e ruotò fino a girarsi completamente verso di me, mentre io mi ostinavo a leggere le etichette dei tanti liquori. Chissà se mi aveva visto mentre quella stupida bionda gli saltava al collo.
Ops... forse quest’affermazione non sarebbe piaciuta a zia Rosalie.
A ogni modo, cercavo di reprimere la rabbia, pensando a come poter girare quella faccenda a mio favore. Potevo rinfacciargli di averli visti mentre si baciavano, ma che senso aveva? Io e lui non stavamo insieme, quindi non aveva alcun senso. Potevo fargli capire che mi dava fastidio in modo da scatenargli delle domande, oppure potevo uccidere direttamente Kate. L'ultima ipotesi mi faceva esaltare come non mai.
«Allora ti faccio compagnia», asserì Jacob con un sorriso. «Che cosa beviamo?».
Strinsi i pugni. Il suo fare finta di niente mi mandava in bestia.
«Hai uno sbaffo di rossetto sulle labbra!», esclamai fissando della vodka che il barman stava versando in due bicchieri. «È disgustoso. Davvero disgustoso».
«Cose che capitano», soffiò noncurante. Ovviamente sapeva di non averne alcuna traccia.
Avevo voglia di fare una bella scazzottata con lui, vampira contro lupo. Sperai che andasse di ronda per poterlo raggiungere nel cuore della notte.
«Pensavo non ti piacessero le bionde», sibilai fra i denti facendo poi scoccare la lingua sul palato.
Mi voltai col viso verso di lui e vidi i suoi occhi scuri accendersi. Aveva le maniche della camicia ripiegate fin sotto i gomiti e il colletto aperto, lasciava intravedeva la linea delle clavicole. Aveva i capelli un po’ più lunghi del solito e gli ricoprivano appena la nuca.
Nonostante il pensiero disgustoso che le sue labbra avessero appena toccato un'altra ragazza, la voglia di baciarlo tornò alla ribalta.
«Nella vita si cambia idea. Chi non lo fa, è solo uno sciocco».
Mi mordicchiai le labbra portandomi i capelli dietro le orecchie. «Il cambio d'idea non è da sciocchi solo se va a proprio vantaggio», dissi dispettosa.
Jacob ridacchiò, un suono gutturale basso e sommesso. Il suo polo d'Adamo andò su e giù. Continuava ad avere un comportamento del tutto indifferente alla faccenda, tanto da farmi sentire un’idiota.
«Non ti sembra che vada a mio vantaggio il passaggio dalle more alle bionde?».
«Non è divertente Jacob», ringhiai. «E poi io non sono mora».
«Infatti tu, col tuo colore ramato, non fai parte delle mie possibili conquiste».
Si toccò il mento pensoso, guardando all'insù. «Può essere che questo sia un riflesso per l'odio che ho provato per Edward».
«Vattene al diavolo!», esclamai scendendo dallo sgabello. Ma come volevo e come speravo, lui mi afferrò il polso e mi portò all'indietro, fra le sue braccia.
«Che problemi hai, piccola?».
«Piccola ci chiami quella bionda svampita».
Jacob mugolò e mi fece rizzare i capelli sulla nuca. Era incredibile l'effetto che aveva su di me qualsiasi cosa facesse, persino quando si dilettava nelle sue solite smorfie.
«Ok, che problemi hai Nessie».
Incrociai le braccia sul petto, toccando anche il suo. «Quindi preferisci chiamare quella piccola e non me?».
... Mi stavo incartando.
«Le donne...», borbottò Jake. «Sono un rebus».
«Comunque non ho nessun problema, dovrei averne?», chiesi indispettita.
Jacob si avvicinò al mio viso ed io di riflesso gli tappai la bocca con una mano poggiando la fronte sulla sua come per minaccia. «Non mi toccare mai più».
Jacob sbatté velocemente gli occhi ridenti.
«Hai capito?».
Annuì e tornai a incrociare le braccia sul petto guardando dappertutto tranne che lui. Quel bacio gliel'avrei patto pagare a vita. Forse. Beh, forse no, tutto dipendeva dal comportamento che mi avrebbe riservato.
«Nessie, divertiti... siamo a una festa, basta con questo muso lungo».
Lo guardai di sottecchi, osservando il suo sorriso luminoso e sincero e altrettanto beffardo. Si stava prendendo gioco di me, perché stavo facendo storie su quell’insulsa bionda che si era permessa di baciarlo.
Scossi la testa facendo ondeggiare i capelli di qua e di là, poi slacciai il bottone della camicetta che lui si era preoccupato di abbottonare quando eravamo ancora in casa: diceva che non gli sarebbe piaciuto sentire degli apprezzamenti sul mio conto. Davvero?
«Grazie per il suggerimento, amico mio», dissi eguagliando il suo tono. «Mi divertirò senz'altro».
Con quelle ultime parole, mi buttai nella mischia di persone che ballavano al centro del locale al ritmo di una musica pop davvero trascinante.
Oh... se mi avesse visto mia madre sarebbe rimasta a bocca aperta. Lei diceva che sotto quell'aspetto avevo preso da lei, cioè ero impacciata e forse anche un po' imbranata.
Non mi voltai a vedere che faccia avesse fatto Jacob, o se fosse ancora lì a cercare di capire che cosa avessi in mente. Mi limitai a muovere le anche e le braccia cercando di apparire una ballerina provetta.
Non ci volle molto affinché qualche ragazzo si avvicinasse a ballarmi intorno, qualcuno molto più vicino del previsto. Con nonchalance, quando sentivo le loro mani troppo addosso, mi allontanavo cercando un altro angolino con meno aspettative e poi mi accorsi che i loro tocchi non mi inibivano per niente. Non era la stessa cosa che con Jake, eppure erano perfetti sconosciuti, con loro sarebbe dovuto essere più difficile.
Un tipo muscoloso mi si avvinghiò. Odorava di muschio, alcol e anche sudore, un abbinamento a dir poco nauseante. Mi ballava davanti, facendo ondeggiare il bacino davanti al mio e mi faceva un sorriso smagliante. Mi girai per andare altrove e mi ritrovai le sue mani sui fianchi che mi stringevano a sé.
Quasi quasi, mi venne l'istinto di dargli uno spintone... ma come avrei giustificato il fatto che una ragazza minuta come me, lo avesse scaraventato contro il muro?
La musica divenne poco più lenta, mentre il Dj dalla sua minuscola postazione salutava qualcuno d'importante seduto nei tavoli che circondavano l'area da ballo.
«Perché non andiamo a bere qualcosa insieme?», mi chiese il muscoloso con convinzione.
«Perché non ti levi dai piedi?», disse Jacob sbucando al nostro fianco.
«E tu chi diavolo sei?», sbottò lo sconosciuto.
Jacob non rispose, ma mi mise un braccio intorno alle spalle e si spostò di qualche passo, prima di voltarmi con veemenza contro di lui, tanto che mi ritrovai a sbattere con la fronte sul suo petto.
«Hey! Ma che modi sono?».
«Vuoi farmi litigare con qualcuno, Nessie?».
Alzai il mento assottigliando le labbra. «Nessuno ti ha chiesto di litigare per me».
«E credi che rimanga a guardare gli altri che ti mettono le mani addosso?».
«Tanto che te ne importa? Vai a sbaciucchiarti con la tua Kate».
«Se non ti conoscessi sembreresti gelosa».
«Perché, tu no, vero?».
«La mia non è gelosia...».
Sbattei il piede per terra. «Certo che no... e che cosa sarebbe?».
«Senso di protezione».
«Bravo Jake, hai fatto bene i compiti».
La musica era tornata a pompare nelle case e solo io e lui rimanevamo fermi al centro della sala a scrutarci negli occhi. «Allora vuoi lasciarmi divertire? Mi stai intralciando».
«Che cosa ti starei intralciando?», chiese Jake accigliato.
Mi alzai sulle punte e poggiai i gomiti sulle sue spalle. «I miei rapporti interpersonali. Non voglio rimanere single a vita aspettando qualcuno che...». Gli sfiorai l'orecchio con la bocca e lo sentii rabbrividire e chinarsi un po' di più su di me. «Qualcuno che non mi vuole».
«E chi sarebbe questo idiota?», sussurrò contro il mio orecchio.
Le sue braccia mi avevano stretto e mi sentivo minuscola rispetto a lui. Si era dovuto chinare per arrivare alla mia altezza e io avrei voluto baciarlo come non mai.
Sospirai. In effetti l'idiota era proprio lui, ma come facevo a dirglielo?
«Non hai intenzione di lasciarmi qui da sola a ballare?».
«No».
«Allora balliamo», dissi attirandolo a me dal colletto della camicia.
Jacob mi afferrò una mano e mi fece fare un giro su me stessa, poi mi trascinò fuori dalla mischia. «Hey!», protestai.
«Torniamo al tavolo o Rachel me lo rinfaccerà a vita».
Abbassai le spalle e lo seguii, anche perché avevo intenzione di parlare seriamente con lui, ma quando mi accorsi che Kate era tornata nella mischia dei suoi amici, fui colta da un impeto di gelosia acuta.
Mi ero già rovinata con le mie stesse mani, andando a vivere in un altro Stato e ora che finalmente ero tornata con una certa determinazione, non avrei permesso che Kate mi portasse via i miei amici, ma soprattutto il mio Jake.
«Torno al tavolo solo a una condizione», asserii puntando i piedi in terra.
«Cioè?», chiese sospettoso.
Sbattei le palpebre come una di quelle bambine che sta per compiere una marachella e intrecciai le dita delle mie mani alle sue. «Tienimi la mano».
A limite mi beccavo un rifiuto, ma ero pronta a rischiare. Non volevo più sentirmi angosciata come poco prima alla vista del loro bacio e se Jake non aveva nulla da obiettare, io avrei fatto tutto il possibile.
Trattenni il fiato col cuore in gola, per quella risposta che non arrivava e la mia mente pazza elaborava dieci risponde al secondo: che scusa inventerà per non tenermi la mano o che verità mi dirà?
… Sai è la mia ragazza, non posso farle questo. Kate si arrabbierebbe…
Non posso rischiare che mi lasci, solo per tenerti la mano.

«Gelosa», tuonò. Poi sorrise e strinse le dita intorno alle mie.
«No, no», affermai scuotendo la testa con l’umore che saliva alle stelle. «Voglio solo farle capire che tu sei il mio imprinting».
«A dire il vero, sei tu a essere il mio imprinting e non il contrario. E poi ti ricordo che lei è all'oscuro del nostro mondo».
«Fa niente. Meglio farle capire subito che IO verrò sempre per prima», azzardai strafottente.
Jacob alzò un sopracciglio e una frase o una parola, di chissà quale tipo, gli morì sulle labbra. Sperai che si trattasse di qualche altra sua battutina e non di un rimprovero.
E se mi avesse detto: saresti venuta sempre per prima, se non mi avessi abbandonato. Ora le cose sono diverse.
No! Non volevo pensare a cose così brutte! Per fortuna il fatto che mi tenesse la mano anche davanti a lei, era una cosa positiva. Evidentemente non era la sua ragazza. Facevano solo sesso, Dio mio che nervoso!
Oppure stavo travisando tutto come al solito. La sera in cui arrivai e vidi la sua fotografia sul tavolino dell’entrata, Jacob l’aveva definita come una cara amica. Però, i cari amici non si baciano… anche se al college avevo visto amici che si salutavano scambiandosi un bacio sulle labbra.
Strizzai gli occhi scuotendo la testa, dovevo smetterla di pensare. Mi sarebbe bastato un altro minuto con quel flusso di dubbi e mi sarebbe andato in fumo il cervello.
Rachel mi aveva detto di non preoccuparmi se stessero insieme o no, ma se Jacob provava dei sentimenti. Ed era evidente che se mi teneva la mano davanti a lei, i suoi sentimenti non erano poi così forti. Non sentiva di non doverle dare dispiaceri o arrabbiature.
Kate sembrava essere parte integrante di quel gruppo. I ragazzi come anche Rachel o Emily, ridevano e scherzavano con lei, che all'apparenza era affabile e sempre sorridente. Vista da vicino, era ancora più bella e la cosa mi indispettiva come non mai. Aveva la pelle di porcellana e gli occhi di un celeste intenso, i capelli erano folti e lucidi ed era anche formosa. Immaginai i commentini di Jake e dei suoi amici e per poco non soffocai.
Senza aspettare che qualcuno ci presentasse, sfoggiai il mio miglior sorriso falso e allungai una mano verso di lei, stringendo con l’altra le dita di Jake.
«Ciao!».
Kate alzò lo sguardo su di me e fu come... sorpresa. Sgranò leggermente gli occhi e la sua pupilla si allargò impercettibilmente.
«Ciao», rispose a sua volta.
La sensazione di averla già vista da qualche parte, tornò.
«Io sono Nessie, piacere di conoscerti».
«Kate, piacere tutto mio».
Jake scivolò sulla sedia e mi affrettai a seguirlo, sedendomi a fianco a lui per non lasciare nessun posto libero.
Avevo immaginato quel lasso di tempo, fino alla fine della festicciola di Paul, come la terza guerra mondiale. Io che arrivavo a baciare Jacob, perché Kate continuava a fargli battutine sconce, io che la disintegravo con lo sguardo, io e lei che litigavamo di brutto. E invece niente di tutto ciò accadde.
Kate a volte rivolgeva lo sguardo a Jake, gli parlava e lui era spensierato, non era impacciato o imbarazzato. Mi teneva la mano, davanti alla ragazza che lo aveva appena baciato, e per lui era normalissimo.
Mentre guardavo di sottecchi il profilo perfetto di Kate, con la coda dell’occhio vidi Jacob chinare il capo sulle nostre mani unite e sentii le sue dita calde accarezzare le mie.
Ispirai stringendo i denti. Resistergli stava diventando sempre più difficile.
Poi mi guardò negli occhi e mi fece un segno del capo come per dirmi: vieni con me e senza esitare annuii.
Il mio amico si alzò e attese che gli fossi accanto, prima di dirigersi verso la porta di emergenza socchiusa. Qualcuno dei suoi amici e anche Kate, ci diede un’occhiata fugace, ma nessuno sembrò meravigliarsi.
Una volta fuori l’aria fredda mi fece rabbrividire. Il vicolo che sfociava sulla strada era illuminato da un lampione giallognolo e da una canaletta gocciolava dell’acqua. L’asfalto era umido e pieno di cartacce.
«Davvero…non pensavo che fossi così gelosa», sussurrò stringendomi a se dal fianco e poggiandosi con il mento sulla mia spalla. Sentivo l’odore del suo dopobarba e il profumo della torta alle fragole e panna che aveva appena mangiato.
«Ti sbagli, io non lo sono», mentii.
«Mi piace», sussurrò contro il mio orecchio.
Il cuore mi sprofondò nello stomaco. «Non c'è bisogno che tu me lo dica. L'ho capito sai? Altrimenti non avresti le sue foto sparse per casa».
Jacob mi lasciò dirigendosi verso un muretto grezzo inciso di firme e disegni, lasciandomi al centro del vicolo a metà fra lui e la porta d’emergenza. Mi stava lasciando una via d’uscita che non volevo. Non mi serviva.
«Intendevo... mi piace la tua gelosia».
«Ah...».
«Mi dispiace per la discussione di prima, in macchina Ho esagerato», si affrettò a dire.
Feci qualche passo in avanti e lui mi strinse a sé, portandomi fra le sue gambe aperte.
«A volte mi chiedo come abbia fatto a resistere due anni senza di te», rivelò d’un tratto, senza lasciarmi il tempo di assimilare ciò che aveva detto poco prima.
Alzai le braccia fino ad allacciarle dietro la sua nuca mentre la sua mano sinistra scorreva impetuosa sulla mia schiena e in quei gesti c'erano mille parole e mille desideri non espressi.
Avrei voluto spogliarlo. Avevo bisogno di sentire la sua pelle contro la mia, senza restrizioni, senza quegli scomodi tessuti.
«Non dovrei chiedertelo, non è da me, ma tu non sei una ragazza qualsiasi. Tu sei mia da prima ancora che venissi al mondo. Voglio capire il perché sei ritornata. Il motivo reale».
Guardai i puntini della sua barba che intorno alla bocca e sulle guance erano più scuri. Era terribilmente sexy.
Avevo già tentato di dirgli che non volevo più andare via da La Push, avrei lasciato anche il college se fosse stato necessario, ma le parole mi morirono in gola.
Dirle in quell’istante, appariva come una cosa eccessiva, con troppa pretesa.
«Allora?», mi chiese accarezzandomi il naso con il suo.
Sospirai col cuore a mille. Jake lo sentiva, il suo sguardo era cambiato.
Ma non dovevo essere io a spronarlo? E allora perché sembrava che fosse lui a spingermi a fare determinati passi.
«Voglio rimanere a La Push, Jake. O se non fosse possibile a Forks».
«Perché?», chiese con un filo di voce.
«Per te», sussurrai.
«Perché?», chiese ancora.
«Non voglio più soffrire. E non voglio far soffrire te».
Lui fece un segno di assenso con la testa, ma la delusione gli aveva sformato il viso. Era così palese quando qualcosa lo turbava che mi turbavo io stessa per la facilità con cui me ne accorgevo.
«Che cos’hai?»
Lui scosse la testa allontanandosi appena, ma io gli afferrai il viso. L’iride di Jake era straordinario. Non era nero e basta. Era completamente screziato di diverse sfumature di marrone e nero, ecco perché a volte sembravano illuminarsi; facevano lo stesso effetto di un luce puntata su un vassoio d’ottone che girava vorticosamente.
«Jake!», esclamò all’improvviso una voce affannata appena fuori dal vicolo.
Il mio amico serrò subito la mascella irrigidendosi. Seguii il suo sguardo e vidi Collin con i suoi capelli castano scuro che gli sfioravano appena le spalle e la camicia abbottonata evidentemente di fretta.
«Abbiamo un problema», sbottò con l’affanno.  «Molto serio».
 


Angolino Autrice

Ciao a tutti, posto un capitolo infrasettimanale. Avevo detto di farlo la settimana scorsa ma non l'ho fatto quindi rimedio.
Grazie a chi ha inserito la storia nelle preferite, seguite e ricordate e a tutti i recensori e i lettori. 
La storia va avanti e ora vedremo un po di ''action''. Volevo chiedere che cosa ne pensate degli spoiler, se ne aggiungessi qualcuno ogni fine capitolo?
A domenica! :D

 

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Capitolo 6
*** Brividi ***


Alcuni ricordi erano come mine nascoste
all’interno della mia memoria.
Non pensavo che sarebbe bastato un semplice odore, per farli esplodere.
La mia testa era il teatro di una guerra d’amore,
combattuta a colpi di occhi e carezze fugaci.

 
 
 

Renesmee

 
 
 
Collin si era dileguato nel buio velocemente così com’era apparso, lasciandomi un senso d’inquietudine tale da farmi tremare lo stomaco.
Non smettevo di ripetermi: Dio fa che non sia nulla di grave.
Jacob, per un istante fissò il vuoto con espressione indecifrabile e poi mi guardò distendendo le sopracciglia.
«Dobbiamo andare», disse a voce bassa ma decisa.
Ridiscese dal muretto e mi prese la mano guidandomi di nuovo all’interno del discobar.
Erano le undici di sera e il locale continuava a essere affollato e rumoroso.
I drink andavano a più non posso e la gente ballava e si divertiva incurante di tutto ciò che li circondava.
Mi chiesi in che modo avrebbero appreso la notizia di non essere l’unica razza presente nel mondo e che la loro vita era in perenne pericolo e non dalle solite cose come gli incidenti stradali o le malattie.
Da un certo punto di vista li invidiavano… anche io avrei voluto la loro spensieratezza senza dovermi preoccupare in continuazione che qualcosa potesse andare storto. Che un vampiro facesse del male al mio Jake o alla mia famiglia come tanti anni addietro avevano tentato di fare i Volturi.
«Sarà qualcosa di grave?», chiesi titubante.
«No», rispose di getto.
Apprezzai il tentativo di Jacob di non farmi impensierire, ma non c’era bisogno che mi mentisse, mi accorgevo quando c’era qualcosa che non andava. Anche se, a parte la mascella serrata, non mostrava segni palesi di nervosismo, il fatto che Collin fosse venuto fino a Forks per avvisarli che avevano un problema, non era normale. Se fosse stata una cosa di poco conto l’avrebbe risolta direttamente il gruppo di ronda.
E la sensazione che ci fosse qualcosa di più preoccupante di quanto voleva farmi credere Jake, lo capii quando fummo a vista dei suoi amici perché i loro volti s’incupirono uno dietro l’altro, come se la spensieratezza della serata fosse stata cancellata con un veloce colpo di spugna.
Una volta Leah, mi aveva spiegato che riuscivano a percepire le vibrazioni che emanava il corpo umano, oppure fiutavano la paura. Quindi, immaginai che per far sì che i suoi amici assumessero quelle espressioni dure, avessero avvertito le vibrazioni negative del loro Alfa.
«Vuoi dirmi che cosa succede?», chiesi afferrandogli una mano costringendolo a voltarsi.
«Non preoccuparti, piccola», disse dolcemente. «Ora andiamo a controllare, saranno le solite cose».
«Collin, non aveva proprio la faccia di uno che non deve preoccuparsi».
«E' solo un bamboccio. Non ha perso il vizio di allarmarsi non appena sente una scia nuova».
Sospirai cercando di non farmi prendere dal panico. Avevo dimenticato quell'aspetto della vita di La Push. Quella paura sempre viva come una fiammella tremolante pronta a divampare al primo alito di vento.
Facendo lo slalom fra la folla, Jacob si avvicinò a sua sorella e gesticolò dicendole qualcosa contro l'orecchio che per via della musica alta non riuscii a comprendere.
Poi diede un buffetto sulla testa di Kate dicendo qualcosa anche a lei e infine venne di nuovo da me. Non aveva rivolto neppure una parola o uno sguardo ai suoi amici, eppure loro si erano già alzati avviandosi verso l’uscita.
«Stasera rimani a casa di mio padre, l’ho già detto a Rachel».
«Non torni?».
Jacob esitò. «Può essere, non lo so».
«Ok», bofonchiai osservando Embry, Leah e Seth che ci sorpassarono fingendo spensieratezza. Erano diventati degli ottimi attori. Del resto dovevano fare in modo di non attirare l’attenzione su di sé e lì c’era troppa gente – tra cui Kate – che avrebbero potuto notare il loro strano comportamento.
«Allora a domani…».
Annuii guardandolo negli occhi e lui fece orbitare i suoi. «Nessie non cominciare… è la solita ronda. Per favore...».
«Ok», bofonchiai ancora.
Mi diede un bacio fra i capelli e poi raggiunse i suoi amici sul marciapiede esterno e insieme si dileguarono nella notte.
Quando Rachel mi vide fissare la vetrata che dava sulla strada, mi richiamò. «Nessie, vieni qui!».
Mi mordicchiai le labbra e anche se non morivo dalla voglia di guardare Kate in faccia, la raggiunsi.
Emily con un sorriso dolce mi passò un bicchiere. «E' davvero noioso lavorare per la Riserva», asserì chinando leggermente il capo e sollevando le sopracciglia in segno d'intesa.
«Già», sbottò Rachel. «Il mio fidanzato, quasi marito, non può stare tranquillo neppure il giorno del suo compleanno».
Annuii per reggere il gioco e fare in modo che Kate non si insospettisse di nulla, ma lei non sembrava che ci stesse ascoltando, era tutta presa ad armeggiare col suo cellulare.
Poi mi domandai il perché Emily e Rachel fossero così tranquille. Il loro uomo era lì fuori a rischiare la vita e loro non sembravano nemmeno un po’ in pensiero. Forse riuscivano a mascherare la paura oppure ci avevano fatto ormai l’abitudine dopo svariati anni. Eppure anche io c’ero dentro sin dalla mia nascita e quell’aspetto non lo avevo mai digerito, la paura di poter perdere Jake era sempre presente e nel periodo trascorso in Alaska necessitavo di sentirlo mattino e sera. Sempre.
Ancora non avevo capito in che modo ero riuscita a sopportare la sua lontananza per due lunghi anni. Mi sentivo così dannatamente colpevole…
«Beh credo che sia ora di andare», disse Emily afferrando la sua borsa. «Ho lasciato la piccola Moeh da Sue e ormai è già passata da un pezzo l'ora della nanna».
«Mi dareste un passaggio?», chiese Kate spostandosi la chioma brillante dietro le orecchie.
«Certo!», esclamò Rachel.
La bionda si mise la borsa a tracolla e ancora una volta ebbi l’impressione di conoscerla. Ero certa di averla vista da qualche parte, ma non ricordavo dove.
Perché quando avevo bisogno della mia metà vampira questa mi abbandonava?
Rachel pagò il conto alla cassa e poi tutte insieme ci dirigemmo verso l'auto nel vicino parcheggio.
L’aria era fredda e odorava d’inverno. Mi piaceva. Mi sarebbe piaciuto di più con Jake al mio fianco e non chissà dove a combattere per proteggere degli ignari umani.
Mentre camminavo sull’asfalto bagnato, avvertii degli strani rumori provenienti dagli alberi vicini. Era il classico scricchiolio di rami secchi che si spezzano sotto un peso massiccio. Jacob doveva aver mandato qualcuno dei suoi amici a tenerci d’occhio, solo che per via del vento contrario non riuscivo a capire di chi si trattasse.
Com’era normale che fosse, le ragazze non si erano accorte di nulla. Ma Kate parve intercettare il mio sguardo così mi affrettai a entrare in auto.
Mi chiesi come facessi a cacciarmi sempre nelle situazioni più improbabili. Mi trovavo sul sedile posteriore a fianco a una persona che aveva appena baciato il ragazzo di cui ero follemente innamorata.
Non che lui si fosse scansato… però il mio disappunto era un riflesso incondizionato.
Rachel mise in moto e ci avviammo nella direzione opposta a quella per la Push, quindi la strada per riaccompagnare Kate.
In un primo momento nell'abitacolo regnò il silenzio, poi fu proprio la mia rivale a parlare. «Che cosa dovevano fare i ragazzi di tanto urgente?».
«Non ho idea», rispose Emily. «Qualcuno che si sarà smarrito».
Kate rise. «In sei per una sola persona smarrita?».
«Sì», s'intromise Rachel. «Così faranno più in fretta».
«Io non mi aggirerei fra i boschi con così tanta incoscienza, i notiziari dicono che ci sono dei lupi».
«Figuriamoci. Sono anni che riempiono i giornali con queste notizie fasulle. E' solo per i turisti e per gli appassionati».
«Non è vero», replicò Kate. «Io li ho sentiti».
Storsi le labbra. Non volevo comportarmi come una ragazzina, ma l'antipatia cresceva a dismisura, secondo dopo secondo.
«Capita che qualche lupo passi. Ma noi che viviamo alla Riserva da anni non ne abbiamo mai visto neppure uno», asserii scocciata.
Kate girò di scatto la testa verso di me come se si fosse accorta della mia presenza proprio nel momento in cui avevo aperto bocca.
«Non mi sembra di averti mai visto alla riserva».
«Ci ho vissuto una vita e di lupi non ce ne sono mai stati», risposi acida colta sul vivo.
Kate fece spallucce con noncuranza e tornò a guardare al di fuori del suo finestrino.
Mi chiesi che cosa le passasse per la testa. Se si chiedeva chi fossi e il motivo per cui Jacob mi teneva per mano. Le aveva forse raccontato di me? Possibile che fosse così indifferente? Perché non mostrava insofferenza nei miei confronti come io facevo con lei?
In ogni caso, avevo una strana sensazione nei suoi confronti. Ero certa che stesse mostrando un'altra sé e che non fosse così tranquilla e disinteressata come dava a vedere. Avrei messo la mano sul fuoco che in futuro mi avrebbe dato delle grane e che avrebbe fatto di tutto per tenersi stretto Jake.
Kate, abitava in centro e dopo averla lasciata a casa, tornammo al La Push. Non avevo alcuna voglia di dormire da Billy, desideravo trovarmi a casa quando Jake sarebbe tornato, ma non volevo dargli pensieri specie quando era di ronda. Se mi aveva detto di andare lì aveva i suoi buoni motivi e non volevo andargli contro.
Accompagnammo Emily a prendere Moeh e poi andammo alla piccola e familiare casetta rossa. Le luci erano spente e in lontananza si sentiva solo il rumore delle onde che si infrangevano a riva.
Entrammo in silenzio, Billy stava già dormendo anche la tv era spenta. Rachel mi accompagnò verso la vecchia stanza di Jake e mi diede la buonanotte.
Una volta chiusa la porta della camera, nella mia mente ci fu come un’esplosione di immagini. C’era odore di Jacob dappertutto, una sua maglietta ripiegata sul cuscino, delle sue vecchie scarpe a fianco a letto. E ogni dove c’erano nostre fotografie.
Mi strinsi le mani al petto, stentavo a crederci. Allora non aveva voluto cancellarmi dalla sua vita, mi aveva lasciato lì… nella sua camera, in attesa. Forse quando si sarebbe reso conto che non l’avrei più lasciato, avrebbe portato tutte quelle foto nella sua nuova casa.
Mi lasciai ricadere sul letto, fissando il soffitto scuro. Avrei voluto averlo lì con me… stringerlo, baciarlo. E invece era lì fuori a rischiare la vita.
Mi addormentai con un po’ di difficoltà senza neppure togliermi i vestiti e mi risvegliai soltanto quando sentii il freddo pungente dell’alba.
Mi stropicciai gli occhi e poi andai in bagno a darmi una rinfrescata. Avevo passato così tanto tempo in quella casa che Rachel aveva liberato un posticino in bagno per tenere le mie cose sempre a portata di mano e dopo due anni erano ancora lì.
Quando tornai in camera, non resistetti all’impulso di telefonare a Jake. Erano le sei e mezza del mattino, doveva essere tornato. Doveva.
Con un po’ di titubanza composi il numero del suo cellulare e gli telefonai, lui rispose al terzo squillo.
«Hmm»
«Sei a casa per fortuna…».
Jacob emise un risolino rauco. Me lo immaginai sdraiato a pancia in giù con la faccia affondata nel cuscino e le lenzuola attorcigliate alle gambe. Quella visione mi fece calmare, spingendomi a pensare alla nostra strana relazione… ancora neppure un bacio, ma un fuoco sembrava divorarci entrambi non appena ci sfioravamo.
«Stavi riposando?», chiesi dolce.
«Sì»,
«…Vorrei essere lì con te adesso», mi lasciai andare a quella confessione.
«Allora torna…».
«Torno…».
«Sì, torna».
Mi si serrò lo stomaco. Mi mordicchiai le labbra alla ricerca di una risposta. Era difficile collegare bocca e cervello quando pensavo a cosa sarebbe potuto succedere una volta a casa sua.
«Sì…», sussurrai e riattaccai subito per evitare di dire qualche sciocchezza.
Mossi qualche passo in avanti non capendo neppure cosa stessi facendo, o se stessi camminando nella giusta direzione, poi uscii di casa correndo.
Avevo il fiatone e non era per quella piccola corsa. Ero una mezza vampira io, ero forte.
Jacob mi stava aspettando... L’avevo sentito il tono della sua voce al telefono, lo avevo interpretato e probabilmente lui aveva interpretato il mio.
Chissà se esisteva una sfumatura di voce differente per le persone innamorate, tipo me… Avrei dovuto farci caso prima o poi.
A ogni modo l’inflessione nella voce di Jake era differente dal solito, era come una speranza nascosta, ma con note di certezza.
Forse mi stavo facendo solo un grosso film, però non volevo andare avanti a quel modo… sempre desiderando qualcosa che non avevo mai il coraggio di prendere.
A chi somigliavo in quella circostanza? A mio padre o a mia madre. Di sicuro ero un mix letale persino per me stessa.
La piccola casa di Jacob, era davanti ai miei occhi. Mi grattai una guancia prima di salire i tre gradini della veranda e poi entrai in casa.
Il mio amico non si vedeva, per cui doveva essere rimasto a letto.
Deglutii guardandomi di sfuggita allo specchio, certo che ero davvero una sciocca a inibirmi a quella maniera, per delle semplici parole sussurrate al telefono.
La porta della camera da letto era aperta e le persiane abbassate quasi tutte.
Jake era sdraiato con le braccia dietro la nuca a fissare il soffitto bianco.
«Non pensavo che venissi», disse cauto.
«E perché non avrei dovuto?».
«Non lo so…».
Mi sedetti dall’altro lato del letto e mi sfilai le scarpe per poi mettermi in ginocchio a fissarlo. «Comunque devo dirti che quella Kate mi piace sempre meno».
Forse non era il momento giusto per parlare di lei, ma avevo il disperato bisogno di sapere di più, qualsiasi cosa di più.
Jacob sorrise lievemente poggiandosi una mano sulla pancia. «Come mai?».
Inspirai forte. «Ho l’impressione che farebbe qualsiasi cosa pur di averti solo per sé».
Ed era vero. Dopo tutte le storie a cui avevo assistito all’università, su possessività, gelosia, intrighi di ogni genere pur di tenersi stretto un ragazzo, se anche Kate lo avesse fatto, non mi avrebbe sorpreso. Solo mi chiedevo che metodi avrebbe usato per tenersi stretto Jake… beh ce n’erano molti, ma in quel momento me ne vennero in mente davvero pochi e plausibili. Tipo avrebbe potuto inventare storie sul mio conto, avrebbe potuto organizzarmi qualche trappola, oppure… Un pensiero mi trafisse la mente. E non fu per niente piacevole. Se Jacob e Kate facevano sesso e lei avesse fatto in modo di rimanere incinta…
Sussultai avvinghiandomi a Jacob come se un uragano potesse portarmelo via da un momento all’altro.
«Che cosa ti prende Nessie? Va tutto bene?».
«No», ammisi.
Eravamo entrambi poggiati sul fianco e mentre premevo una guancia sul suo petto per cercare di scacciare quelle stupide immagini di loro due insieme, Jacob mi accarezzava i capelli con premura.
«Nessie… parliamone».
Scossi la testa sollevandomi appena per poterlo guardare negli occhi. Basta parlare… basta gesti ambigui e discussioni a metà. Basta tutto.
Mi chinai sul suo viso e con due dita gli accarezzai il sopracciglio e poi la guancia. Le punte dei nostri nasi si sfiorarono e i nostri occhi s’immersero gli uni negli altri. Ebbi di nuovo una strana sensazione, come se una catena mi stesse soffocando il cuore.
Anche Jacob allungò una mano sul mio viso e con l’indice tracciò il contorno delle mie labbra.
Se prima ero stata io a sollevarmi per poterlo guardare meglio, adesso era lui che mi sovrastava.
Ero affondata con la testa fra i morbidi cuscini del letto e le braccia di Jake mi stringevano forte. Ispirò sulla mia bocca e poggiò la fronte sulla mia… Sentii le nostre ciglia sfiorarsi e i nostri occhi arrivare al culmine della nostra profondità.
Jacob mi sfiorò le labbra con le sue, poi fece un piccolo movimento rotatorio prima di imprimerle per bene e darmi un primo bacio.
Dei forti brividi mi scossero.
In quello stesso istante nella mia testa, nel mio cuore e in tutto il mio corpo scoppiò una tempesta.
Lo baciai anch’io con più foga di quella che mi aspettavo, ma talmente avevo atteso quel momento che non riuscii a trattenermi.
La sua bocca sapeva di dolce ed era morbida e decisa sulla mia, a tratti delicata e incerta… e a volte quell’incertezza mi faceva così tanta tenerezza che avrei voluto gridare a tutto il mondo quanto lo amavo.
Infilai le dita nei suoi capelli e mi inebriai del suo buon sapore. Ogni suo bacio, ogni suo tocco, ogni qual volta sfiorava la mia lingua con la sua, mi sembrava di precipitare in un burrone.
Aprii gli occhi per un solo istante, per imprimere nella mia mente che espressione aveva mentre mi faceva provare le emozioni più belle della mia vita e lui… mi stava guardando.
Avvertii il suo peso più deciso su di me e lo strinsi ancora più forte lasciandomi sfuggire un gemito mentre accarezzavo con forza le sue spalle.
Le nostre bocche s’incastravano alla perfezione, erano perfette l’una sull’altra. Qualsiasi direzione o piega prendessero. Come se non fosse il nostro primo bacio.
«Jake…».
«Nessie…».
Finalmente… Era una vera e propria liberazione.
La tensione che mi aveva irrigidito i muscoli per tutto il tempo da quando ero arrivata a La Push sembrava essersi sciolta come zucchero sul fuoco.
«Adesso non smetterò più», sussurrò Jake con voce roca.
E mi venne da piangere dalla felicità. «No, non devi…».
Mi mordicchiai le labbra e tornai a baciarlo ancora e lui ricambiò. Questo bacio fu più calmo, più consapevole.
Avevo ancora il cuore a mille però e chissà per quanto tempo avrebbe avuto quella reazione quando Jake mi era vicino.
Poggiai la testa nell’incavo del suo collo e lo abbracciai sorridendo. Ero troppo emozionata.
Anche Jake sorrise, potevo intuirlo anche se non riuscivo a vedere il suo viso. Mi baciò una spalla e poi una guancia. E rimanemmo così per molto tempo, immersi nel silenzio, nel caldo dei nostri corpi e col sapore dei nostri baci sulla bocca.



Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica! Finalmente si sono lasciati andare...
Spero che il capitolo vi piaccia e ringrazio tutti voi che a ogni pubblicazione mi lasciate un pensiero...
A domenica prossima <3

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Capitolo 7
*** Consapevolezza ***


Anche la più piccola particella del mio corpo
stava urlando il suo nome... Nessie.

Se non fossi stato mezzo lupo, ci sarei rimasto secco.

 
 

Jacob

 
 
 
 
L'orgoglio a volte non serve.
Anzi, diciamolo pure che non serve quasi mai. Non in amore almeno.
Nei pochi momenti in cui mi era capitato di riflettere prima di agire, me lo ero sempre ripetuto fino a convincermene del tutto. Fino a quando non diventò una specie di raccomandazione, proprio come quella che fanno i genitori: mi raccomando non tardare, mi raccomando non fare cavolate o nel caso di Billy, stronzate.
Jacob mi raccomando non essere troppo orgoglioso, alla fine ci rimetterai tu stesso.
Infatti… era stato così finché non avevo deciso di smetterla.
«Jacob...».
Nessie era ancora sdraiata sotto di me e il mio autocontrollo chissà dov'era andato a finire. Era da un pezzo che non capivo cosa stessi facendo, se stessi esagerando o se per caso la stessi schiacciando.
«Jacob», sussurrò ancora.
I miei occhi adesso erano chiusi e non avevo nessuna intenzione di aprirli. Sentivo le mani di Nessie che dalle spalle riscendevano lungo la mia schiena o mi stringevano le braccia.
Mi toccava con desiderio. Ed essere toccati in quel modo dalla ragazza che ami e per cui reprimi i tuoi peggiori istinti fisici, sprigionava sensazioni positive ma completamente opposte. Da un lato mi sarei lasciato andare a delle tenerezze... perché era il nostro primo e vero contatto, il nostro primo bacio. Ma dall'altra avrei voluto strapparle i vestiti di dosso, avrei voluto sentire la sua carne bruciare contro la mia, morderla, succhiarla.
Calma Jacob, calma.
Cominciavo a muovermi su di lei, volevo di più. La volevo tutta.
Forse per lei sarebbe stato prematuro, ma non per me. Erano anni che ero innamorato pazzo…
I miei sentimenti erano sbocciati nello stesso momento in cui intorno ai sette anni, era sbocciata lei. Mi ero ritrovato innamorato da un giorno all’altro senza nemmeno sapere come.
Non era stato un cambiamento graduale. Il mio imprinting o il mio corpo non mi aveva avvertito che stava per accadere qualcosa d'importante.  Avevo sempre immaginato che durante la sua crescita, il bene che provavo per lei sarebbe aumentato finché quando sarebbe stata nell’età giusta per potersi innamorare, anche io avrei subito il culmine insieme a lei. E invece no.
Una delle tante mattine in cui ero andato a casa sua, mi aveva aperto la porta e come al solito mi era venuta incontro per darmi il consueto abbraccio… e quando la vidi qualcosa cambiò. Il mio cuore inspiegabilmente perse qualche battito. E quando ricambiai l'abbraccio poggiandole le mani sui fianchi, fui investito da un desiderio fisico mai provato prima.
Pensandoci bene però, la parola innamorato non rendeva affatto ciò che provavo. E visto che stavo andando completamente a fuoco, abbandonai la ricerca di un vocabolo adatto.
Nessie mi prese il viso fra le mani e strofinò la bocca contro la mia. «Jacob».
«Hmm... continui a ripetere il mio nome...».
«Amo il tuo nome», disse in un sospiro abbracciandomi forte.
Mi sdraiai a fianco a lei guardandola negli occhi, poi le accarezzai una guancia percependo sulla lingua il suo sapore.
Era così bella... con gli occhi lucidi, le guance arrossate, la bocca definita. Era come una visione per me. La cosa più bella al mondo. Il diamante più prezioso. La donna di cui ero innamorato perso.
Ora che mi era vicina nel modo in cui non mi era mai stata, capivo che ero stato soltanto uno stupido. Non avrei dovuto trattarla male, non avrei dovuto farle pesare così tanto il fatto di essere andata via. Alla fine era tornata, questo era l'importante. Era tornata da me...
L'avevo condannata e la mia sofferenza non mi aveva permesso di proteggerla dalla mia ira, almeno non inizialmente. Gli errori erano stati commessi, ma non è che io fossi del tutto innocente...
Le diedi un bacio accarezzandole i capelli e sentendomi lo stomaco un po' sotto sopra.
Quando Nessie si era trasferita in Alaska, aveva promesso di venire a trovarmi più spesso che potesse. Anch’io avrei potuto dirle una cosa del genere, ma ero troppo ferito per lasciarmi andare a delle promesse, per cui mi limitai ad annuire.
Passarono i primi mesi e Nessie non si fece viva... allora presi la decisione di andare io. E quante volte andai fin lassù a osservarla? Avevo perso il conto...
Non potevo vivere senza di lei senza almeno accertarmi che stesse bene. Perciò, due o tre volte a settimana, quando la mia missione nel branco mi lasciava un po' di respiro, mutavo e correvo fino a quella terra di ghiaccio. Mi nascondevo tra gli alberi e mi bastava guardarla solo qualche secondo per rinvigorirmi.
Per fortuna non se ne accorse mai; il fatto che avesse cambiato la sua dieta non la spingeva fin nei boschi, perciò non poteva avvertire la mia scia. Cosa che però non potevo evitare con i suoi genitori e i suoi parenti. Una notte ebbi una lite furiosa con Bella, perché diceva di non poter tenere nascosto a Nessie il fatto di sentire costantemente le mie scie o di avermi visto e parlato.
«Dovresti imparare a farti i fattacci tuoi, Bells», le avevo risposto.
Poi era successo qualcosa che non mi sarei mai aspettato e che mi spiazzò positivamente; Edward si era intromesso nella nostra discussione placando l’ira di sua moglie. Forse aveva letto qualcosa nella mia mente, qualche giusta motivazione, non lo sapevo. A ogni modo affermò che non avrebbero detto nulla a Nessie e poi mi lanciò una specie di maledizione.
«Ogni scelta ha una conseguenza, Jacob»,aveva detto. «E anche tu subirai le conseguenze di questa tua scelta».
Inizialmente lo avevo liquidato con una smorfia, però adesso che stringevo Nessie tra le mie braccia e la baciavo con amore, quelle parole mi pungevano nella memoria.
Edward aveva ragione da vendere. Del resto con più di cento anni d’esperienza, dovevo aspettarmelo. Se Nessie fosse venuta a sapere che andavo regolarmente in Alaska senza farmi vedere – sapendo quanto stesse male per il nostro distacco – l'avrebbe presa davvero male.
Avevo esagerato sia allora, sia da quando era tornata a La Push e non ne avevo alcun diritto. Ma avevo necessità di farle pesare il più possibile quella situazione in modo che non ci riprovasse più a lasciarmi.
Non doveva lasciarmi più...
Volevo stare con lei più di qualsiasi altra cosa al mondo. Volevo che fosse la mia donna e tutto ciò che uomo può desiderare. Mi sarei completato stando insieme a lei e la mia vita avrebbe cambiato tono… mi sarei rilassato di più e la paura che stesse con qualcun altro mi avrebbe lasciato respirare. Non che non avessi già assaggiato quel terribile dolore…
Sapevo della sua storia con quello stupido biondo, quella specie di damerino dinoccolato che la riaccompagnava a casa ogni sera. Ogni volta che li avevo visti scambiarsi dei baci, avrei voluto fargli la pelle, brutto bastardo.
Solo il mio orgoglio mi impediva di saltare fuori dai cespugli e di staccargli la testa a morsi.
Mi mossi irrequieto. «Il pensiero che lui ti abbia toccato…», sussurrai mordendole la bocca, «come ti sto toccando io, come ti toccherò io…».
Nessie chiuse gli occhi, mi strinse il polso della mano con cui le tenevo il viso e gemette piano. E non era per dolore.
«E cosa dovrei dire io di Kate?».
La presi dalla vita e la girai sopra di me, proprio come aveva fatto lei qualche giorno prima sul divano in salotto.
Le accarezzai le cosce morbide e lisce facendole risalire quella gonna che a malapena la copriva, fin sui fianchi.
Poi le diedi un bacio sotto la gola risalendo di nuovo a impossessarmi della sua bocca.
Kate… un argomento che era meglio non trattare in quel momento. Ora che finalmente ci eravamo lasciati andare, era pericoloso addentrarci in certi discorsi, l’equivoco era sempre dietro l’angolo. Figuriamoci…
A ogni modo non era come pensava Nessie, io e Kate non stavamo insieme. Non ero pazzo. Ovviamente era una bellissima ragazza, socievole e a volte anche divertente, ma io avevo già subito l’imprinting e sapevo che non avrebbe mai potuto darmi quello che cercavo. Quello che cercavo poteva darmelo solo la mia Nessie.
«Che cosa c’è fra di voi?», mi chiese accarezzandomi il petto.
«Non è il momento di parlarne», asserii risoluto fissandola negli occhi. «Ti preoccupa?».
Avevo usato volutamente un tono di voce leggero perché non volevo ingarbugliarmi in discorsi troppo seri. Del resto, non per essere superficiale, ma di serio non c’era proprio un bel niente.
«Lo sai che mi preoccupa».
«Perché?».
«Perché sì, Jake».
«Perché sì, non esiste Nessie. Voglio una spiegazione».
«Ci tengo molto a te».
Bla bla bla. Speravo che Bella non avesse contagiato sua figlia con la sua dannata insicurezza, ma avevo sperato male.
Tuttavia, da quando Nessie era tornata avevo subito percepito qualcosa di diverso in lei, e quel qualcosa era determinazione allo stato puro. Era tornata per me, perché voleva me e basta. Niente inganni, sotterfugi o dubbi, aveva scelto il suo futuro e la mia più grande soddisfazione era che l’aveva scelto da sola e in completa libertà.
Non avrei mai e poi mai avuto il dubbio di aver usato dei comportamenti oppressivi che l’avessero indotta ad amarmi, no…
Sorrisi e le diedi un morso sul collo. «Ci tieni molto a me? Amo questi discorsi a metà», la schernii.
«Perché discorso a metà?», chiese nascondendosi nell’incavo del mio collo.
Feci una risatina rauca mentre le accarezzavo la schiena. «Perché lasci tanto di non detto».
«Invece ho detto tanto…».
«Oh, punti di vista differenti, piccola. Molto differenti. Io penso da adulto e ho le idee molto chiare a riguardo».
«Mi stai dando della bambina, Jacob?».
Nessie sollevò il viso inarcando un sopracciglio con aria stizzita. Mi avvicinai a darle un altro bacio e lei si allontanò appena rimanendo con gli occhi nei miei.
«E hai detto anche che non ho le idee chiare?».
«Sì, ma so che non è colpa tua. Purtroppo hai i geni di tua madre».
Nessie scoppiò a ridere e mi baciò a schiocco. E quel rumore insieme alla familiarità del suo volto, del suo odore, aveva creato qualcosa di intimo e di bellissimo che mi aveva fatto tremare il cuore.
All'improvviso bussarono alla porta di casa ed entrambi sussultammo.
«Dovrebbero essere i miei amici», mi affrettai a dire e non ci volle molto ad accertarmene visti i borbottii.
Fu come svegliarsi da un sogno, come precipitare di nuovo nella realtà.
Nessie si mise seduta e si guardò intorno toccandosi i capelli e io respirai a fondo cercando di recuperare un po’ di contegno fisico mentre i miei amici continuavano a bussare imperterriti alla porta.
«Arrivo!», urlai mettendomi qualcosa addosso. Tanto era inutile temporeggiare avrebbero percepito subito che fra me e Nessie era successo qualcosa, l’odore dell’eccitazione era nell’aria.
Aprii la porta ritrovandomi Leah davanti che storse subito il naso incrociando le braccia e tamburellandosi i gomiti. «Era ora», borbottò e poi mi sorpassò andandosi a sedere sul divano del salotto.
«Nessie vieni fuori!», urlò. «Tanto lo so che ci sei!».
Feci orbitare gli occhi e lasciai entrare anche Seth, Embry e Collin che tentavano in tutti i modi di non sorridere ma proprio non ci riuscivano, infatti Seth e Collin scoppiarono a ridere come due idioti.
«Piantatela», gli intimai. «Non è divertente».
«Ciao», disse timidamente Nessie sbucando dalla camera da letto. «Io mi cambio un attimo…», disse sparendo quasi subito.
«Se ti serve una mano sono disponibile», ridacchiò Seth aprendo il frigorifero.
Mi misi le mani sui fianchi e arricciai le labbra. «Dunque», iniziai. «Appurato che qualcuno di voi, vuole fare una morte violenta in giovane età, dovremmo parlare di qualcosa. Giusto?».
«Jake, sembra tutto a posto. Non so che cosa sia potuto succedere».
Nessie ci raggiunse sedendosi vicino a Leah che le sorrise mettendole un braccio intorno alle spalle. Embry si era poggiato alla parete vicina con aria pensierosa e Collin e Seth stavano mangiando qualcosa.
«Dov’è adesso Quil?».
«A casa».
Il nostro amico durante la ronda nella notte precedente era come… scomparso per un po’. A quanto aveva raccontato Jared, stava correndo parallelo a lui sul confine nord e a un tratto non aveva più sentito i suoi pensieri. Per una decina di minuti aveva pensato che fosse mutato per qualche ragione però non vedendolo tornare si era precipitato sul versante opposto per capirci qualcosa. E semplicemente non c’erano sue tracce. La sua scia spariva vicino al fiume dopo di che il nulla e non era tornato neppure al villaggio. Lo avevamo ritrovato dopo qualche ora addormentato nel vecchio territorio dei Cullen.
«E Quil non ha aggiunto altro?».
Leah fece una smorfia con le labbra e sapevo già che corrispondeva a un appellativo poco carino verso uno dei nostri fratelli, del tipo: imbecille o rincoglionito. «No. Dice di aver corso per il perimetro, come sempre e poi di essersi riposato qualche istante. Secondo me voleva soltanto giocare a nascondino».
«Lee, smettila di essere superficiale. Quil non scherza su certe cose», s’intromise Embry. «E poi non può essere scomparso nel nulla senza lasciare traccia. Com’è arrivato al territorio dei Cullen? Volando?».
Leah si voltò per guardare Embry e prima di rispondere ci pensò. Un’azione che non le si addiceva visto che sapevamo tutti quanto fosse irascibile e impulsiva…ma l’amore fa questo e altro. Ed era inutile che cercava di mascherare a tutti i costi i suoi sentimenti per Embry. Adesso che la storia tra lei e uno dei miei due migliori amici, stava andando per le lunghe, i pensieri le sfuggivano dalla mente senza che nemmeno se ne rendesse conto. La ronda cominciava a essere difficile quando erano presenti entrambi, erano il primo pensiero l’uno dell’altro.
Mi chiesi che cosa avrei provato se Nessie fosse stata una mutaforma come me. Chissà come sarebbe stato leggere i suoi pensieri puri, senza alcun filtro, senza alcuna logica. Presi non appena creati.
Sarebbe stata una sensazione unica… persino se quella condizione mi avesse portato a capire che non mi amava o mi considerava in modo diverso da come desideravo. Anche se avessi scoperto cose che mi avrebbero tormentato il sonno.
La mente di una persona è la cosa più bella che ci sia e forse è per questo motivo che sono presenti dei limiti tra le persone comuni. Nessuno ha accesso alla mente dell’altro… nessuno tranne Edward Cullen e i membri del branco.
«Pioveva Embry, le sue tracce possono essersi cancellate».
«Quando siamo arrivati noi pioveva, non quando Collin e Jared lo cercavano».
Seth si avvicinò addentando un toast. «Non dimenticate che le tracce spariscono vicino al fiume. Ha proseguito nell’acqua, è sicuro. Forse voleva davvero fare uno scherzo».
«Scherzo davvero poco divertente», bofonchiò Collin.
Leah si alzò dal divano portandosi i capelli dietro le orecchie. «Sono esausta. Per tutta la notte sono andata in cerca di indizi che sapevo già che non avrei trovato. Quil era tranquillissimo, lo avete visto anche voi. Non aveva ferite, nessun odore strano addosso… Quindi togliamo pure l’ipotesi dello scherzo e diciamo che nella stanchezza avrà perso la bussola ritrovandosi fuori confine e si sarà addormentato».
«Sì, lo credo anche io», concordò Seth scrollando le spalle.
«Tutto questo casino per niente», sbuffò Collin sedendosi su una sedia e allungando le gambe davanti a sé.
Lo guardai e poi diedi un’occhiata fugace a Nessie che assorta nei suoi pensieri spostava i suoi occhi da una persona all’altra.
«Non è un casino per niente, Collin», mi accigliai. «Nel mondo di cui facciamo parte, è sempre meglio non prendere sottogamba nulla. Potrebbe sembrare sempre ciò che non è. Per fortuna adesso è stata solo una specie di disattenzione».
Embry si massaggiò le tempie. «Sì, forse è così. Devo andare a letto in queste condizioni non riesco a ragionare».
«Appunto… anche io dovrei dormire».
«Davvero?», chiese Seth sollevando un angolo della bocca. «Perché invece a me sembrava che tu stessi…».
«Fuori di qui!», esclamai prima che potesse finire la frase in chissà quale modo.
I miei amici andarono a riposarsi nelle loro rispettive case e anch’io sentivo il peso della stanchezza, le palpebre erano diventate due macigni.
Mi accasciai di fianco a Nessie che era rimasta silenziosa per tutto il tempo e l’attirai fra le mie braccia sprofondando sul divano.
«Sono stanchissimo», sussurrai baciandole una guancia.
«Posso immaginare. Solo la paura che avete avuto non capendo dove fosse andato a finire Quil…».
Annuii poggiandomi sul suo petto.
«Vedrai che non appena leggerete i suoi pensieri, vi rassicurerete ancora di più. O stanchezza o uno scherzo».
Nessie mi accarezzava la testa tenendo poggiata la bocca sulla mia fronte.
Ero in pace con il mondo…
«Vorrei rimanere sveglio per stare con te».
«Non ti preoccupare».
«Sì invece».
«No amore, dormi».
Amore… forse stavo già sognando.
 
Mi svegliai nel primo pomeriggio sentendo un buon odore di cibo. Il mio stomaco brontolò.
Aprii gli occhi e vidi qualcosa bollire in pentola e Nessie ferma di spalle a ridosso del lavandino.
Mi alzai arrivando dietro di lei e la osservai mentre teneva una carota sotto l’acqua corrente.
Sorrisi dandole un bacio dietro alla nuca. «Perché vuoi affogare quella povera carota?».
Nessie sussultò e poi ridacchiò. «Immaginavo fosse Kate, sai com’è…».
«So com’è…», dissi andando verso il bagno. «Fra quanto è pronto? Ho un certo languorino».
Nessie mi sorrise. Aveva il sorriso più caldo e bello del mondo. Ero davvero fortunato ad averla. «Appena torni».
Andai a fare una doccia e pensai che quella che stavo vivendo era una vita perfetta. Che cosa mi mancava?
Avevo la mia famiglia, i miei amici e adesso anche la ragazza che amavo. Avrei potuto chiederle di trasferirsi definitivamente da me, di smetterla di rincorrerci in momenti diversi e di perdere tempo prezioso invece di viverci il più possibile, ma non volevo partire in quarta. C’era la possibilità che Nessie si spaventasse e ritornasse sui suoi passi e assolutamente era l’ultima cosa che volevo. Dovevo agire senza fretta.
Dopo aver pranzato in un orario insolito, dovetti lasciare Nessie da sola per qualche ora, giusto il tempo di fare un’ulteriore ispezione nel bosco. Ma la notte l’avrei passata a casa, era sicuro.
Promettendola che l’avrei raggiunta presto, raggiunsi i miei amici tra gli alberi che fiancheggiavano la scogliera.
«Ciao», li salutai.
«Ciao Jake».
Lì c’erano Quil, Jared e Paul che chiacchieravano spensierati.
«Tutto a posto amico?», chiesi rivolgendomi a Quil.
«Perfetto, mai stato meglio».
Ci spogliammo lasciando i vestiti nascosti tra i cespugli e poi mutammo.
“ Andiamo verso il territorio dei Cullen ”.
Aspettai la conferma tramite i pensieri dei miei amici e quando sentii solo Jared e Paul, mi voltai per vedere se Quil fosse mutato e in effetti era lì impalato che ci fissava un po’ spaurito.
Sbuffai nella sua direzione, seguito dai miei due amici.
«Non so cosa stia succedendo», disse passandosi una mano fra i capelli, «ma non riesco a trasformarmi».
 
 

Angolino Autrice

Ciao a tutti! :) Spero che anche questo capitolo vi piaccia e ringrazio tutte le persone che mi hanno lasciato un loro pensiero riguardo alla storia, sono davvero fondamentali.
Come si è già capito qualcosa bolle in pentola, ma è qualcosa di strano perchè in quache modo non riguarderà soltanto il branco...
Buona domenica a tutti e alla prossima! :)

 
 
 

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Capitolo 8
*** Paure ***


Dopo il picco c’è sempre la discesa.
È la regola a cui non si sfugge.
Pensavo che la mia felicità sarebbe durata più a lungo
e che le paure fossero rimaste nascoste per un altro po’.
Invece ci stavo già navigando dentro.




Renesmee

 
 
 
 
 
La mano di Jacob era bollente e nervosa. La stringevo mentre uno per volta alcuni dei suoi amici ci raggiungevano nel piccolo garage di Billy.
Erano le prime ore della sera, l'aria autunnale mi faceva rabbrividire e vedevo le lanterne delle casette di La Push accendersi una dopo l'altra.
Quella non era la solita rimpatriata o l'inizio di una festicciola, ma era una riunione seria, importante. Un qualcosa a cui Jacob aveva insistito che partecipassi nonostante gli avessi ripetuto più di una volta di non sentirmi all'altezza, di non essere una Quileutes e per di più ero pure una mezza vampira.
Dopo il disagio iniziale, cominciai a sentirmi un po' meglio quando vidi arrivare anche Rachel e Kim. Per fortuna non ero l'unica donna estranea al branco a presenziare a quell'incontro e ne fui sollevata.
Il piccolo garage dove avevo passato gran parte della mia infanzia, era disseminato di attrezzi e motori, scheletri sventrati di moto, gomme d'auto, pinze e cacciaviti. C'era odore di carburante e di olio bruciato e la lampadina sul soffitto che oscillava avanti e indietro cullata da un venticello tagliente, faceva sembrare tutto come la macabra scena di un film horror. Come se dovesse accadere qualcosa di brutto da un momento all'altro.
Scossi la testa per allontanare quegli stupidi pensieri dalla mia mente e guardai i ragazzi intorno a me. C'erano Sam e Paul che parlavano a bassa voce tra di loro, c'erano Embry e Leah invece che si guardavano in uno strano modo... Rachel, Kim, Jared e Seth erano a ridosso della parete e poi c'era il povero Quil poggiato contro la sella di una vecchia moto col volto afflitto e lo sguardo rivolto verso il basso.
Eravamo lì proprio a causa sua, in attesa che Billy ci raggiungesse.
Quando Jacob mi aveva detto che non riusciva più a mutare pensai quindi che il suo smarrimento della notte precedente non era stato solo un caso. O forse sì.
Conoscevo bene la determinazione dei ragazzi del branco, la dedizione alla propria missione e anche se ognuno di loro appena scoperto di possedere il dono di mutare in lupo, era stato un po’ riluttante, adesso a distanza di anni sarebbe stato un trauma accertarsi di non averlo più.
Il lupo, era talmente radicato in ognuno di loro, nei suoi pregi e difetti, che a volte non si capiva dove finiva l’uomo e dove iniziava l’animale.
«Ho fatto più in fretta che potevo», esordì Billy facendo la sua entrata. Indossava un pesante giaccone e portava il suo immancabile cappello nero. I suoi tratti spigolosi – a chi non lo conosceva – potevano incutere un po' di timore, ma nessuno era più buono e gentile di lui... anzi forse solo nonno Charlie.
Si fermò vicino a Quil e dopo aver gettato un'occhiata furtiva a tutti i presenti, gli parlò. «Figliolo... che cosa ti succede?».
Quil si strinse nelle spalle e piegò le labbra all'ingiù. «Non lo so, Billy. Non lo so, davvero».
«Ma almeno, ti senti bene? Hai particolari dolori o sensazioni?».
Quil scosse la testa. «Sono al cento per cento. Sul serio. Non sono mai stato meglio».
«Se non riesci a mutare, non è che tu stia tanto bene», controbatté Paul.
«Non c'entra un bel niente», rispose Leah.
«Calma voi due», intervenne Jacob quasi ringhiando, poi sbuffò forse per allentare la tensione o forse perché era impaziente di sapere. A ogni modo il suo umore condizionava il mio in una maniera fuori dal comune. Nel mio stomaco c’era il terremoto.
Poggiai la testa sulla sua spalla, gli strinsi la mano ancora di più e poi... per evitare che tutti sentissero le rassicurazioni che volevo dargli, gli trasmisi i miei pensieri.
Gli inviai le immagini di Quil che riusciva a mutare di nuovo e correva col branco e di noi due ancora insieme a passeggiare sulla spiaggia.
Jacob si voltò a fissarmi negli occhi e mi accennò un debole sorriso. Avrei voluto stringerlo forte, baciarlo… sentirlo mio, ma c’erano troppi occhi pronti a osservarci e io mi vergognavo.
«Conosco il tipo di stato d'animo in cui devo entrare per mutare. Sono più di dieci anni che mi trasformo ormai. Ma è come se... non sentissi più il lupo che è in me. E' scomparso».
Billy serrò la mascella e sollevò le sopracciglia in un'espressione di pura perplessità.
Stringendo le ruote della sua carrozzella stette per diversi minuti in silenzio a fissare il vuoto. Stava cercando di ricordare qualcosa, ne ero più che certa. Poi Quil intervenne di nuovo.
«Non vi ho detto un'altra cosa. Fondamentale».
Tutti ci girammo all'unisono verso di lui che adesso sembrava più turbato ancora, cupo.
«Mi è svanito anche l'imprinting».
Per un istante la terra sotto i miei piedi vacillò e vidi sfocato. Era come se quell’informazione mi avesse trafitto la mente come una spada. Era la cosa più orribile che mi fossi mai aspettata di sentire.
Lo svanimento dell’imprinting.
Ebbi l’impressione che tutti stessero trattenendo il respiro e non mi sfuggì lo sguardo profondo che Sam fece a Leah, tuttavia non lo capii.
Mi misi la mano sulla bocca e i miei pensieri corsero irrimediabilmente alla piccola Claire. Era poco più che una ragazzina, ma il suo sguardo verso Quil era di pura ammirazione. Lo adorava. Anzi, più precisamente, si adoravano. Quel ragazzo era stato più presente degli stessi genitori di Claire, era come se fossero un tutt'uno. Adesso, senza l'imprinting, quali erano le sue sensazioni verso la ragazzina? Come la considerava? Le voleva bene lo stesso o era tutto svanito?
«Non è mai successo nulla del genere», borbottò Billy dopo un lungo ed estenuante silenzio.
«Papà cerca di ricordare meglio. Sei l'unico anziano rimasto, non possiamo rivolgerci ad altri».
Billy sospirò. «Se anche in passato fosse mai accaduta una cosa del genere, non è stata trascritta da nessuna parte. Non ho mai letto niente del genere».
«Potrebbe essere un virus...», pensò Paul.
«Quando mai siamo stati affetti da virus?», sputò Quil con gli occhi spiritati.
«Mai dire mai, fratello. Anche Jacob ha avuto l'imprinting con una mezza vampira...».
Dopo un'occhiataccia tagliente di Jake, Paul sbatté le palpebre forse accorgendosi solo in quell'istante che io ero lì. «Senza offesa Nessie, ma non è normale».
«Nessuna offesa», borbottai stringendomi nelle spalle. Io non mi sentivo per niente anormale, al contrario mi ritenevo privilegiata a essere l’oggetto dell’imprinting del mio Jacob.
«E se succedesse a tutti noi?», chiese Jacob piano. «Se da un giorno all'altro non riuscissimo più a trasformarci?».
Ecco ciò che non volevo assolutamente sentire. Se anche a Jacob fosse capitata la stessa sorte di Quil con il conseguente svanimento dell’imprinting… No, non ci volevo pensare, assolutamente no!
«E se invece fosse il percorso inverso alla mutazione?», intervenne Seth attirando tutti gli sguardi su di lui. «Voglio dire... Abbiamo il gene sin dalla nascita e questo lo sappiamo. Si attiva quando ci sono vampiri nei paraggi permettendoci di mutare... ma se vampiri non ce fossero più?».
«Ma i vampiri ci sono! Ce n'è proprio una a fianco a te», sbottò Paul.
«Fammi finire!», lo interruppe Seth. «Più vampiri ci sono, più Quileutes mutano... ma con la partenza dei Cullen e la presenza solo di nomadi, non c'è bisogno di tutta questa protezione e quindi il gene semplicemente si sta... spegnendo?».
Billy si toccò il cappello e serrò le labbra in modo accigliato. «Non posso credere che tu sia il figlio di Henry. Seth, che cosa stai blaterando?».
«Perché?».
«Una volta attivato, il gene non si spegne più. Sei tu a decidere di non mutare, ma avrai sempre quella facoltà, vampiri o no».
«Non ho fatto bene i compiti», sussurrò piano grattandosi una tempia.
Sam face orbitare gli occhi. «Billy, che cosa potremmo fare?».
«Aspettare. Non c'è altro. Intanto proverò a fare qualche altra ricerca per trovare dei fatti analoghi…».
Avanzò con la sua carrozzella per qualche metro e si voltò verso Quil.
«Ragazzo non fare quella faccia. Mi rendo conto che la situazione è un po’ strana e anomala, ma troveremo una risposta. A tutti i costi», disse serio, poi si voltò verso gli altri membri del branco. «Voi continuate con il vostro lavoro come sempre e non preoccupatevi più del dovuto…».
Quando Billy uscì dal garage, regnò il silenzio. Per un istante pensai di chiamare nonno Carlisle e raccontargli l’accaduto. Anche se era improbabile che Quil avesse contratto qualche malattia e quest’ultima bloccasse il suo gene di lupo, una visita completa non sarebbe stata proprio una cattiva idea… giusto per dissipare anche quel dubbio, non per altro. Però prima di fare quella telefonata, era meglio parlarne con Jake, non volevo che prendesse male il mio spirito d’iniziativa.
Jacob e i suoi amici continuavano a lanciarsi degli sguardi per me indecifrabili, ma ero certa che loro si capivano benissimo.
A volte avevo desiderato essere come loro, come Leah… una lupa.
Avrei voluto tanto entrare in contatto con la mente di Jacob per fondermi ancora di più a lui e alla sua anima.
Poi a un tratto le mie fantasie furono spazzate dall’apparizione di una chioma bionda che avanzava verso di noi con leggiadria e spensieratezza. Era Kate.
Diventai subito irrequieta e mi strinsi a Jacob più di prima. Non mi piaceva la sua presenza, non mi piaceva lei, e per di più avevo una paura matta del suo rapporto con Jacob.
E adesso, con tutto ciò che stava succedendo a Quil, le mie paure erano triplicate. Se anche a Jacob fosse toccata la stessa sorte dell’amico che fine avrei fatto?
Senza l’imprinting che cosa rappresentavo per Jacob?
«Come mai non sono stata invitata anch’io a questa festicciola?».
Kate sorrise mentre il suo sguardo si fermava per un istante nei miei occhi; diede una pacca sul gomito a Paul e sorrise a Jacob.
«Nessuna festa», rispose Quil avanzando verso l’uscita seguito dagli altri. «A quanto pare sto poco bene e i miei amici devono sgobbare alla Riserva anche al posto mio».
«Eppure mi sembri in gran forma».
«A volte l’apparenza inganna».
«Non sai quanto hai ragione», concordò Kate perforandomi con quei suoi occhi di ghiaccio e guardando la mia mano intrecciata a quella di Jake. «Jacob, dovresti tenere conto delle parole del tuo amico», terminò donandogli una pacca sul petto.
Perché sembrava che Kate mi stesse lanciando delle frecciatine?
Jacob era intento a guardare Quil andare via, non sembrava interessato a ciò che aveva appena detto Kate. E sbagliava di grosso. Ma d’altronde era un uomo e come tutti gli uomini non riusciva a carpire il veleno delle parole della sua cara amica.
«Jacob?», lo richiamai.
«Sì?».
«Vogliamo andare?».
Kate sorrise portandosi i capelli dietro le orecchie. «Come mai hai tutta questa fretta, Nessie? Ti chiami così non è vero?».
«Sì, mi chiamo così», dissi senza guardarla. «E comunque ho solo un po’ di fame».
«Ah, allora puoi venire con noi», disse prendendo sotto braccio Jacob. «Oggi è giovedì e ceniamo da Billy».
Ok… Nessie stai calma. Stai calma.
«Kate, ti dispiace se ti raggiungiamo fra cinque minuti? Devo scambiare quattro chiacchiere con Nessie. Da solo».
«Figurati! A fra poco!», esclamò dileguandosi senza mostrare un minimo di delusione.
Richiusa la porta scricchiolante del garage, mi ritrovai a mordermi la lingua. Avevo voglia di fare qualcosa, ma non capivo che cosa e non ero del tutto sicura che fosse qualcosa di legale per il mondo degli umani.
«Si comporta come la tua fidanzata», asserii guardando Jacob negli occhi.
«Sai che non lo è».
«Io non so nulla in questo momento».
«Non sai nulla?», mi chiese accigliato.
«No».
Jacob serrò la mascella poggiandosi le mani sui fianchi. Era nervoso, come del resto lo ero io. La faccenda di Quil aveva spiazzato tutti e sapevo anche che quello non era il momento buono per una scenata di gelosia, ma io avevo bisogno di qualche sicurezza.
«Avete anche un giorno stabilito in cui andate a cena da tuo padre…».
«Kate è una mia cara amica, te l’ho già detto», disse aspro.
«Lei sa di essere soltanto un’amica?».
«…Certo».
«Menti. Non mentirmi, capisco quando lo fai».
«Nessie per favore, non voglio litigare».
Respirai a fondo e mi allontanai da lui dirigendomi verso un piccolo sgabello dove sedevo quando ero bambina. Era così brutta quella sensazione d’impotenza che mi sentivo addosso…
«Siete andati a letto insieme?».
Jacob alzò gli occhi al cielo e imprecò. «Maledizione Nessie. Lasciamoci il passato alle spalle, ok?».
«Devo sapere! Perché non lo capisci?».
«Non serve a niente…».
«Serve a me…».
Sì, mi serviva. Dovevo sapere fino a che punto erano stati in contatto, quel’era la loro intimità, il loro coinvolgimento. Quanto rischiavo di perderlo se mai gli fosse successa la stessa cosa di Quil.
Mi stropicciai il viso e i capelli e quando sollevai di nuovo gli occhi in attesa di una risposta, mi ritrovai Jake poggiato su un ginocchio di fronte a me.
«In questo momento, la cosa più importante è che tu sia qui. Che tu sia tornata da me».
Mi accarezzò una guancia e poi cercò la mia bocca con la sua quasi con impazienza. Lo baciai stringendolo forte come se volessi suggellare per sempre quel momento, come se fosse una promessa.
«Non devi avere paura», mi sussurrò a fior di labbra. «Non devi».
Poi all’improvviso un urlo di terrore squarciò l’aria.
Jacob scattò in piedi correndo verso l’uscita del garage. «Kate!», esclamò riconoscendo la voce.
Lo seguii col cuore a mille e non ci fu bisogno di fare molta strada perché la ragazza bionda era proprio a pochi passi da noi, distesa a terra in una pozza di sangue.
 
 
 
Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica <3 Ecco un altro capitolo che mette qualche altro dubbio in più. Che cosa starà succedendo a Quil? E chi ha aggredito Kate? Perchè Jake non parla chiaro?
Ringrazio tutti per la vostra partecipazione e volevo lasciarvi un avviso... per il prossimo mese sarò a Londra per un corso e non so se riuscirò ad aggiornare con regolarità, cmq SE non dovessi riuscirci, una volta tornata a casa recupererò con i capitoli arretrati postando anche più volte a settimana.
Ciao a tutti e a presto <3
 

 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Insicurezze ***


 

Mi toccava con la mente e mi parlava con gli occhi.
Non esiste al mondo tocco più forte.
Non esiste al mondo linguaggio più chiaro.
Le nostre anime erano legate…
ora ci toccava legare anche i nostri corpi.
 




Renesmee

 
 
 
L’odore del sangue di Kate riempiva l’aria.
Non appena mi entrò nelle radici assieme alla brezza gelida che soffiava l’oceano, fu come se la mia gola si infiammasse.
Chiusi gli occhi all’istante reprimendo il vampiro che era in me, reprimendo la voglia di bere sangue, di gustare il fluido denso e caldo che mi avrebbe rinvigorito. Mi bastarono pochi secondi per prendere nuovamente il pieno controllo, scampando il pericolo – seppure lontano – di saltarle alla gola.  Anni e anni di esercizi dovevano pur servire a qualcosa.
Riaprii gli occhi e per un brevissimo istante intercettai lo sguardo di Kate su di me. All’istante strinsi i denti e mi si tesero i nervi, ma ciò non m’impedì di avanzare verso quella macabra scena degna da film horror.
La ragazza era in terra, piegata su un lato e il sangue che la ricopriva era così tanto che non riuscivo a individuare il punto dal quale sgorgasse. Per il momento non aveva perso i sensi e se ne stava lì tra le braccia di Jacob a tremare e a dire parole sconnesse.
«Kate, che cosa è successo?», le chiese Jacob con fare concitato. «Kate, rispondi!».
Mi strinsi le braccia al petto con un senso d’inquietudine crescente che non mi dava pace. E la cosa peggiore era che non mi stavo preoccupando di Kate e di quello che sarebbe potuto accaderle… ma di ciò che stava provando Jacob, delle sensazioni che lo attraversavano non sapendo quanto grave fossero le condizioni della sua amica.
Scossi la testa allontanando quel pensiero e anche le accuse spietate che muovevo contro di me ogni qual volta li vedevo vicino. Se Jacob e Kate avevano stretto un simile rapporto era soltanto colpa mia, io che l’avevo abbandonato per la mia nuova vita.
Mentre un lampo squarciava il cielo illuminando degli enormi nuvoloni neri, mi ritrovai gli occhi di Jacob addosso. Trasalii riuscendo a interpretare il suo sguardo con una facilità fuori dal comune e quella consapevolezza mi fece quasi male.
Il ragazzo che amavo più della mia stessa vita, si preoccupava che l’odore del sangue potesse causarmi qualche problema e guardandomi si accertava che stessi bene. «Sto bene», mimai le parole con la bocca.
Mi guardai intorno chiedendomi che cosa era accaduto a quella ragazza. Chi poteva essere stato a farle nel male in pieno territorio Quileutes e con i lupi di ronda?
Paul si affacciò dalla piccola veranda di Billy e lo vidi storcere il naso. Saltò la staccionata con fare disinvolto come se riscendesse un semplice gradino e camminò verso di noi a passo veloce e l’espressione indecifrabile.
«Kate?», la richiamò ancora Jacob con tono apprensivo.
«Un lupo. Mi ha attaccato un lupo», confessò con voce tremante.
Nel momento in cui ricominciai a respirare col naso e annullai il profumo del sangue, l’odore di un lupo risaltò nitido e marcato. Quil.
Il ragazzo, uno dei migliori amici di Jacob, solo pochi minuti prima aveva dichiarato di non riuscire più a mutare e di aver perso persino l’imprinting.
Allora, che cosa stava succedendo lì? Qualcuno mentiva…
Jacob prese Kate in braccio con delicatezza portandola verso casa di Billy.
«Kate ha bisogno di cure», disse riferendosi a Paul che guardava la scena con un certo sconcerto. «Sue non c’è, se ne dovrà occupare Rachel».
Paul rientrò in casa in un batter d’occhio avvisando la sua fidanzata e io rimasi lì a fissare Jake che si prendeva cura di un’altra ragazza. Ovviamente non avrei avuto nessun tipo di tumulto interiore se si fosse trattato di una semplice persona dell’altro sesso, una che aveva bisogno di aiuto immediato per non morire dissanguata.
Mi meravigliai di me stessa e delle mie stupide considerazioni inopportune. Kate forse rischiava la vita ed io non riuscivo a tenere a bada la mia dannata gelosia e la mia folle insicurezza.
«Nessie, vieni in casa!», urlò Jacob prima di oltrepassare l’uscio. «Nessie!».
Indecisa sul da farsi mi guardai un attimo intorno. Un temporale era ormai vicino, il terreno dove giaceva Kate stava assorbendo velocemente il suo sangue e la porta del garage di Billy continuava a oscillare emettendo un suono stridulo.
«Arrivo subito!», urlai a Jacob prima di mettermi a correre lontano da lui. Anche se la sua voce non era più a portata d’orecchio, era come se riuscissi a sentire ugualmente le sue imprecazioni. Quando sarei tornata indietro, avrei dovuto subire una delle sue ramanzine e stavolta sarebbe stata bella pesante. Lo avrei trovato con i nervi a fior di pelle e terribilmente arrabbiato perché invece di mettermi al sicuro me ne andavo in giro come un’irresponsabile ragazzina.
Avrei pensato dopo a come risolvere la situazione con lui, adesso dovevo trovare Quil. Avrei aiutato i ragazzi e in più avrei unito l’utile al dilettevole, anche se era fuori luogo.
Da quando la riunione dei Quileutes era terminata, era come se mi fosse calato un velo nero addosso, mi sentivo quasi stordita. E la questione dell’imprinting che svaniva mi stava terrorizzando, tutto il mio malumore nasceva proprio da quello, era inutile negarlo. Perché se avevo qualche chance di poter stare con Jake grazie all’imprinting che lo teneva legato a me, non ne avrei avuta neppure una se fosse svanito, perché contro ogni mia previsione teneva a Kate più di quanto potessi aspettarmi.
Mi inoltrai nel bosco che circondava La Push rendendomi conto che stavo cercando il lupo che presumibilmente aveva attaccato Kate, un’umana indifesa e… non avevo riflettuto neppure per un attimo alle conseguenze che avrei potuto subire. E se avesse attaccato anche me?
Il fatto era che nonostante la vicenda appena accaduta, non credevo che Quil potesse mai fare del male a qualcuno. Ero cresciuta col branco, li conoscevo come le mie tasche e Quil era uno dei più docili e gentili, non avrebbe schiacciato nemmeno una mosca. Figuriamoci pure se avrebbe mentito dicendo di non riuscire più a mutare e di aver perso l’imprinting. Per quale scopo poi? Non volevo esagerare con le mie paranoie, ma in quell’attacco c’era qualcosa che non andava.
Poi un lupo mi fu improvvisamente davanti con le zanne bene in vista e un ringhio sommesso che gli vibrava in gola. Certo… dovevo aspettarmelo.
Mi fermai di colpo rischiando di travolgerlo nella corsa.
«Jacob, lasciami andare».
Il vento agitava i rami degli alberi facendo cadere foglie e aghi di pino come pioggia. Si vedevano ancora le luci delle lanterne di La Push.
«Non mi accadrà nulla, voglio solo scambiare qualche parola con Quil», continuai vedendo che non accennava a farmi passare.
Un altro ringhio riempì l’aria. Jacob era più determinato che mai ed ero certa che non mi avrebbe fatto passare tanto facilmente a meno che non avessi provato a sfuggirgli e ciò era davvero poco probabile.
Mi lanciò un’altra breve intimidazione tra zanne e ringhi, poi sparì dietro un albero e ne tornò dopo qualche secondo abbottonando quasi ferocemente i bottoni del suo jeans.
«Tu devi essere fuori di testa! Maledizione Nessie!».
«Jacob, calmati. Non corro nessun rischio».
«Mi dispiace dirlo, perché Quil è uno dei miei migliori amici, ma questo non puoi saperlo», disse abbassando il tono della voce.
Sul suo volto si dipinse un’aria quasi afflitta che gettò anche me in uno strano stato di tristezza. Era terribile considerare pericolosa una persona a noi cara, una persona che si conosce da una vita e con cui si condividono persino i pensieri, i dolori e i desideri.
«Leah e suo fratello lo stanno cercando mentre gli altri continuano la ronda. So che vorresti essere d’aiuto, ma non ce n’è bisogno».
«Andiamo Jake, stiamo parlando di Quil!», asserii insistendo. Dovevo sapere che cosa provava nei confronti di Claire adesso che non c’era più l’imprinting, lo dovevo sapere a tutti i costi… ammesso che fosse stato disposto a parlarne e che ciò che avrebbe detto corrispondesse davvero alla realtà.
Ero brava a incasinarmi la vita nei momenti meno opportuni.
«Nessie, torniamo a casa», disse avvicinandosi a me e accarezzandomi una guancia. Jacob era caldo, ma le sue mani tremavano appena. Il suo sguardo era implorante e profondo tuttavia sapevo che era una calma ostentata, perché se avessi rifiutato di nuovo di seguirlo, avrebbe cominciato a sbraitare. E io non volevo dargli ulteriori problemi, non c’era fretta.
Avrei potuto parlare con Quil il giorno dopo o in qualsiasi altro momento, tanto non cambiava la situazione. In nessun modo.
Anzi a volte è meglio evitare di conoscere certe verità, si vive meglio nell’apparenza o nella menzogna.
«Torniamo a casa», sussurrò di nuovo.
Abbassi gli occhi sulla sua mano che aveva preso la mia. Uno strano formicolio mi attraversò ogni singolo dito intorpidendomi la pelle. Stranita girai la testa per capire che cosa stesse accadendo, ma Jacob mi distrasse.
«Non voglio rischiare che ti succeda qualcosa, Nessie. Riesci a capirlo?».
Deglutii annuendo e pensai che se fossi stata al suo posto avrei agito allo stesso modo impedendogli ogni tipo di rischio che poteva essere evitato.
«Scusa, a volte sono un po’ istintiva e non penso alle conseguenze».
«Lo so. È per questo che ci sono io».
Sorrisi appena e lo seguii verso la sua vecchia casa. In quel momento mi sentii terribilmente egoista. A La Push avevano dei seri problemi ed io non facevo altro che peggiorarli aggravando anche il peso sulle spalle del mio Jake. Lui era l’Alfa aveva la responsabilità del branco, sicuramente si sentiva anche colpevole per ciò che era successo a Kate e ora ci mancavo solo io che con la mia leggerezza me ne andavo in giro per accertarmi di non perderlo da un momento all’altro.
Dalla piccola finestra della cucina si intravedevano diverse sagome che si muovevano sotto la luce del lampadario. Quando entrammo nella piccola abitazione familiare, Rachel si stava sedendo intorno al tavolo dove sedevano anche Sam e Billy mentre Paul era sul divano.
«Come sta Kate?», chiese Jacob a bassa voce.
«Piuttosto bene», rispose Rachel incrociando le dita delle mani. «Ha una leggera ferita sul braccio e un’altra di poco conto sulla coscia. Ora si è addormentata, ma credo che sia per lo shock più che per la stanchezza».
Jacob tirò un sospiro di sollievo e l’aria cupa che aveva fino a qualche secondo prima scemò. Rilassò le spalle poggiando i palmi delle mani al bordo del lavandino, poi si scrollò i capelli.
«E tutto quel sangue da dove è uscito?», chiesi pensierosa. Forse per loro era una cosa di poco conto, ma non per la sottoscritta. Se quell’odore per i lupi era insignificante per me era tutto il contrario. Mi era impossibile non notarlo e non quantificarlo, era un meccanismo spontaneo del mio cervello a cui non mi potevo sottrarre.
Non potevo negare che sangue corrispondeva a cibo, anche se da tempo avevo ormai optato per alimenti umani.
«Nessie, com’è possibile che ti sia accorta del sangue?», ridacchiò Paul.
Feci orbitare gli occhi e ripresi la parola. «Voglio dire… se ha solo due ferite superficiali, quel lago di sangue non è giustificato».
Jacob mi guardò con le mani sui fianchi e gli occhi ridotti a due fessure, la stessa cosa fecero Sam e Billy.
«Forse non era solo suo quel sangue», pensò Rachel.
«Lasciate perdere», ci interruppe Billy. «Avremo tempo di scoprirlo. La cosa di importanza vitale adesso è il perché Quil ha attaccato Kate».
Sam strinse i pugni delle mani. «Ha detto di non riuscire più a mutare, non capisco perché mentirci, perché aggredire quella povera ragazza».
«Qui c’è puzza di bruciato», borbottò Paul. «In ogni caso solo lui può darci delle spiegazioni, è inutile che ci scervelliamo. E se avesse contratto la rabbia? Se fosse impazzito come succede ai cani?».
Tutti quanti ci girammo all’unisono verso di lui. Non poteva essere che Paul facesse l’idiota anche nei momenti meno opportuni – proprio come me – oppure, riteneva ciò che aveva appena detto una cosa plausibile… e questo mi dava molto da pensare.
Billy sbuffò guardando sua figlia con commiserazione. La compativa per avere un fidanzato del genere poi parlò. «Andate tutti a casa, qualsiasi cosa sia successa non la scopriremo di certo senza Quil. Riposate più che potete dovete essere pronti a dare il cambio di ronda ai vostri fratelli».
«Kate rimane qui per stanotte», asserì Rachel alzandosi dalla sua sedia. «Sta già dormendo ed è meglio che quando si sveglia ci sia qualcuno che le dica cosa sia successo».
«Che cosa le dirai?», chiese Jacob.
«Ciò che lei sa già, Jacob», rispose Rachel con tono un po’ aspro. «Sa di essere stata attaccata da un lupo e glielo confermerò dicendole che è stato avvistato anche da altre persone e ora gli date la caccia per fare in modo che non faccia del male più a nessuno».
Jacob annuì e poi andò verso la sua camera, cioè dov’era Kate e si chiuse la porta alle spalle.
In quel momento rientrai nuovamente nel panico più assoluto. Quando lui era con Kate mi veniva l’angoscia indipendentemente dal motivo per cui stavano insieme. Mi girai a guardare oltre i vetri della finestra, sicura di avere lo sguardo dei ragazzi addosso. Ero certa che si stessero facendo milioni di domande su ciò che mi passava per la testa e se non ci fosse stata Rachel lì presente, Paul non avrebbe evitato di farmi qualche battutaccia tagliente e del tutto veritiera.
Jacob tornò in una manciata di minuti e guardò Sam. «Spero che Quil non sia lì fuori ad aggredire qualcun’altro».
«A quest’ora di sera c’è pochissima gente in giro fortunatamente. E poi i ragazzi sono sulle sue tracce. Non accadrà nulla a nessuno».
Jacob annuì e mi chiamò a sé con un gesto del capo. «Per qualsiasi cosa non esitate a chiamarmi».
«Buonanotte», salutai i nostri amici e poi a fianco a Jake m’incamminai verso la sua casa.
Mi chiesi che parole aveva sussurrato a Kate quando l’aveva raggiunta nella piccola cameretta. Forse l’aveva accarezzata premurosamente o le aveva dato un bacio promettendole che non avrebbe più permesso che le accadesse nulla di male.
Per tutto il tragitto, entrambi restammo in silenzio. Io, sinceramente avevo tante cose da dire e chiarire, ma non avrei fatto altro che peggiorare la situazione e non mi sembrava il caso. Con la strana faccenda di Quil, l’attacco a Kate e molti punti ancora oscuri, Jacob era sfinito e io non potevo dargli il colpo di grazia. Forse per la prima volta dovevo tacere e pensandoci bene non andava del tutto a mio discapito. Mi sarei evitata di apparire come una sciocca insicura e anche superficiale ed era una buona cosa.
Quando Jake aprì la porta di casa lasciandomi entrare per prima, lo sentii sospirare. Aprì la luce e gettò le chiavi sul piccolo tavolino rotondo all’entrata rischiando di fare cadere le cornici con le fotografie.
«Non riuscirò a dormire stanotte. Tanto vale che me ne vada di ronda», sbottò esasperato.
Mi girai appena mettendomi i capelli dietro l’orecchio e lo osservai bene pensando che forse potevo fare qualcosa per lui. Ero consapevole che ci trovavamo comunque in una situazione di allerta e non sarebbe stato facile, ma dovevo ameno provarci. D’altronde, a me bastava un suo tocco per rassicurarmi, la sua semplice vicinanza o il rumore del suo respiro.
La stessa cosa sarebbe potuta verificarsi a lui proprio com’era già successo in garage.
Nonostante i nervi tesi cercai di non pensare più a Kate e al loro rapporto ambiguo, giusto per evitare di cadere ulteriormente in un buco nero senza ritorno.
«Jacob, hai bisogno di riposare», dissi con tono calmo. «Sarai più utile a tutti gli altri dopo aver dormito qualche ora».
Il mio amico sbuffò e si guardò intorno come indeciso su qualcosa da farsi, così colsi l’occasione per avvicinarmi a lui poggiandogli le mani sui fianchi. «Non preoccuparti, tutto si risolverà per il meglio».
Notai che aveva gli occhi un po’ segnati dalla stanchezza e una piccola ruga s’increspava al centro della sua fronte.
«Lo credi davvero?», mi chiese dopo un po’ avvolgendomi la vita con un braccio.
«Certo. Vedrai che domani Billy avrà scoperto qualcosa di utile e Quil sarà a casa a sonnecchiare».
Lui chiuse gli occhi poggiando la fronte contro la mia. I nostri nasi si sfioravano e il suo respiro caldo moriva sulla mia bocca. Percepivo il suo cuore battere un po’ più in alto rispetto al mio; quel suono era così tranquillizzante per me.
«Sono contento che tu sia qui, Nessie».
Chiusi gli occhi e per un istante cercai di ricordare se mi avesse già detto quelle parole da quando ero tornata, ma non riuscii a ricordare. Non era importante. La cosa importante adesso era come mi sentivo, come si agitava il mio stomaco, il calore che sentivo propagarsi dal cuore a tutto il resto del corpo.
«Ho bisogno di te», rivelò quasi senza fiato.
«Anche io», dissi stringendo il suo collo sollevandomi sulle punte.
Gli diedi un bacio che lui ricambiò subito mentre mi stringeva il viso fra le mani. E come succedeva sempre quando mi baciava, il mio cervello si spense. Non sentivo altro che non era lui, la sua bocca morbida che s’incastrava a perfezione con la mia, il suo sapore delizioso…
Mi accorsi che mi scatenava delle emozioni davvero contrastanti seppur tutte positive. Unirmi a lui con un semplice bacio aumentava la consapevolezza dell’amore che nutrivo nei suoi confronti. Non avrei mai potuto fare a meno di lui, sarebbe stato come morire. Poi oltre al lato romantico si scatenava anche il lato più carnale di me, quello che desiderava il suo corpo e quelle attenzioni più intime e intense.
Chissà se anche per lui era lo stesso…
Jacob mi sollevò cavalcioni su di lui senza che le nostre bocche si staccassero neppure per un millesimo di secondo. Le mie mani erano all’interno della sua camicia sulle spalle calde e possenti.
Ci ritrovammo sul suo letto morbido e ancora disfatto che profumava di lui. Sentivo le sue mani dappertutto ed era un tocco così accorto e forte allo stesso tempo che quasi mi faceva mancare il respiro.
Non avevo mai provato nulla di simile e così coinvolgente in vita mia.
Sentivo un legame speciale con lui, un qualcosa di assoluto. Un legame mentale che sorpassava ogni parola, ogni discorso che poteva essere pronunciato. Per rendere tutto perfetto non ci rimaneva che lasciarci andare a un rapporto fisico completo. Era l’unica cosa che ci mancava…
Gli avvolsi la vita con le gambe mentre lui lasciava scie incandescenti di saliva sul mio collo.
Forse… forse anche senza l’imprinting avevo qualche chance di farmi amare da lui, di essere importante come una vera e propria fidanzata. Come lo era mia madre per mio padre. O desideravo troppo?
«Che c’è?», mi chiese Jacob contro l’orecchio. Quasi sussultai quando mi resi conto che ero immobile sotto le sue carezze e avevo smesso persino di abbracciarlo.
«Niente…», mentii.
Jacob aveva gli occhi lucidi e le guance un po’ arrossate. Mi sollevai un po’ sulla schiena per dargli un bacio, ma lui si allontanò.
«Non credere di prendermi in giro, Nessie. Dimmi che cosa ti passa per quella testa».
Mi mordicchiai le labbra e poi contrariamente a ciò che avevo pensato durante le ore precedenti, gli confidai la mia peggior paura.
«Stavo pensando a come sarebbero i nostri rapporti se l’imprinting svanisse anche a te. Io…».
«Ma sta zitta!», esclamò Jake tirandomi a sé. «Non essere pessimista».
Mi prese una mano e intrecciò le nostre dita proprio come aveva fatto poco prima nel bosco e sentii di nuovo quello strano formicolio.
«Saremo sempre Jacob e Nessie», continuò.
Guardai le nostre mani intrecciate e il formicolio divenne quasi dolore. Strinsi le labbra cercando di capire che cosa stesse accadendo e prima di ritrarmi bruscamente, un flusso di immagini m’inondò la vista.
C’eravamo io e Jacob insieme abbracciati sul divano di casa sua, a volte ci scambiavamo dei dolci baci. Poi la visione si spostava su una spiaggia bianca dove camminavamo mano nella mano. Lui mi diceva qualcosa, erano sempre le stesse parole che riecheggiavano in continuazione ed io non riuscivo a credere alle mie orecchie… mi stava dicendo ti amo.
«Nessie che diavolo ti prende? Nessie!».
Jacob mi lasciò la mano scuotendomi per le braccia e nello stesso istante quelle immagini svanirono lasciando il posto al viso di Jacob preoccupato e teso.
 «Jacob…», sussurrai stordita.
«Cosa?».
«Ti ho appena letto nella mente».
 
 
 
 Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica. Finalmente sono tornata dal mio viaggio per cui tornerò ad aggiornare regolarmente ogni domenica. Spero che anche questo capitolo vi piaccia :) Nei capitolo a seguire ci saranno delle belle newsss. 
Sono stata contentissima di aver trovato delle vostre mail nella casella di posta che mi chiedavate come andava a Londra e che mi aspettavate con ansia. E ancora più sopresa di essermi trovata tra le autrici preferite di ben 63 persone *-*
Alla prossima, baci <3 <3 <3 
 
 
 

 

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Capitolo 10
*** Un Inizio Perfetto ***


 

Come il fuoco che brucia tutto ciò che incontra.
Come il mare che inonda il mondo.
Come l'aria che dà vita.
Così Jacob reclamava il mio corpo.
 




Renesmee

 
 

«Che cosa hai detto?».
Jacob ritrasse la mano come se avesse preso una scossa elettrica. Il suo volto era diventato qualcosa di indecifrabile, quasi cupo. Si era messo seduto sul letto e mi fissava attentamente negli occhi ma la sua testa era altrove… chissà dove.
«Credo di aver letto nella tua mente», sussurrai guardandomi le dita sulle quali sentivo ancora un leggero formicolio. Il dolore era arrivato con l’inizio delle immagini dei pensieri di Jacob ed era scomparso quando il nostro contatto fisico era terminato.
«Credi?».
Jacob non sembrava affatto contento di ciò che era successo. Era come se fosse avvilito, forse spaventato.
«Ho visto delle cose…», rivelai deglutendo.
Lui arricciò le labbra con fare superficiale, però il suo cuore stava battendo più velocemente. «Ok… e che cosa hai visto?».
Ripensai a quelle immagini tanto belle e dolci, alla sua voce calda che riecheggiava come in un sogno dicendomi ti amo. Era stata un’emozione forte e improvvisa ed ero rimasta incredula, non tanto per essermi resa conto di avergli letto nella mente, ma soprattutto per il contenuto dei suoi pensieri. Jacob mi amava?
«C’eravamo io e te insieme, qui in casa e sulla spiaggia».
«E basta?».
«Ci scambiavamo dei baci o ci tenevamo per mano».
Jacob annuì e spostò lo sguardo dal mio riscendendo dal letto e dirigendosi verso l’armadio.
«Era ciò a cui stavi pensando?», chiesi per cercare di capire se ciò che avevo visto corrispondeva alla realtà oppure era la mia fantasia che giocava brutti scherzi.
«Sì, era ciò a cui stavo pensando».
Mi guardai le mani e mi venne l’istinto di telefonare alla mia famiglia per raccontargli ciò che mi era successo. Forse mio nonno avrebbe avuto qualche risposta per me. La mia crescita si era completata ormai da diversi anni e con lei ogni mio cambiamento fisico mentre il potere che possedevo si era manifestato sin dalla mia nascita e non aveva mai subito incrementi né tantomeno era successo qualcosa che mi potesse far credere che ci sarebbe stato un cambiamento in futuro.
«Jake, posso provare di nuovo?».
Per qualche motivo, il solo chiederglielo mi creò una sorta di disagio… e stava capitando perché anche Jacob provava quella sensazione. Era palese che non fosse contento che gli avessi letto nella mente e ne capivo anche il motivo. Quando c’era mio padre nei paraggi, non riuscivo a fare a meno di sentirmi violata e senza privacy. Leggeva ogni mia più piccola considerazione o dubbio, le mie paure, le mie debolezze ed era davvero frustrante, anche se ero consapevole che non lo faceva di proposito e se avesse potuto, avrebbe annullato quella sua capacità. Però una cosa è che la propria mente venga sondata dal proprio padre… un’altra cosa è se ciò accade con la persona che ami più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Mi alzai sistemandomi i vestiti sgualciti e a passo incerto raggiunsi Jacob. Quando fui davanti a lui non potei fare a meno di toccargli i capelli scostandoglieli dalla fronte. Nonostante la sua possenza fisica, la sua altezza, i muscoli ben delineati ogni dove, aveva qualcosa di vulnerabile.
Sollevò una mano e io sfiorai le punta delle sue dita con le mie. Il formicolio arrivò leggero e improvviso. Era come se fosse corrente elettrica trattenuta che non aspettava altro che traboccare.
«Se non sei d’accordo, non lo faccio».
«Non ti preoccupare», rispose a bassa voce accarezzandomi una spalla.
«Jake… di cosa hai paura?».
Quella domanda mi fece correre un brivido per tutto il corpo. Kate…
Presi una grossa boccata d’aria e feci un passo indietro perdendo il contatto fisico con lui. Come avevo fatto a non pensarci prima? Era ovvio che il problema di Jacob fosse Kate, anzi fosse che io scoprissi qualcosa su loro due.
«Ness che cosa ti prende, stai bene?».
«Non sono sicura di volerlo fare», sussurrai perdendomi con lo sguardo lontano, immaginando quali dolorose visioni di loro due insieme avrei potuto vedere.
«Perché?», chiese confuso. «Voglio dire… non che sia entusiasta di quella che sembra una tua nuova capacità. Ho già affrontato il problema con Edward, lo affronto tutti i giorni col branco ed è davvero snervante non potere avere privacy. Con te sarebbe ancora peggio», ammise con sincerità.
Non riuscii a fare a meno che prendere in modo negativo le sue parole. Tentai di giustificarle, di trovare una stupida scusa come avevo fatto poco prima, ma la differenza di pensiero fra di noi era così abissale in quel caso che non potei fare a meno di darmi della stupida.
Anche se eravamo già legati in uno strano modo, molto intenso, tanto da evitare anche di parlare agendo in base a uno scambio di sguardi, leggerci nella mente sarebbe stato il massimo dell’unione. Era anche per questo che avevo sempre desiderato di essere come Leah e di far parte del branco.
Col potere che mi ritrovavo sin da bambina avrei potuto trasmettergli ciò che provavo, ma sarebbe rimasto un qualcosa a senso unico visto che non c’era modo di poter avere accesso ai suoi pensieri.
Solo nel caso mio e di Jacob non trovavo invadente leggerci nella mente. Perché in qualsiasi caso avrei voluto che ogni mio pensiero gli appartenesse, che ogni più piccola emozione o sentimento fosse anche un po’ suo.
«Certo, perché hai qualcosa da nascondere…».
«Io non ho nulla da nascondere, Nessie».
«Come no».
«Ero disposto a farlo. Ho accettato di riprovare, sei tu che ti sei tirata indietro».
«Sì, però hai detto palesemente che non ti piaceva la faccenda. E io non voglio forzarti a fare qualcosa che non vuoi».
«Non mi hai forzato! Secondo me sei tu che non vuoi leggermi più nella mente… forse per ciò che hai già visto», terminò con tono di voce calante e quasi deluso. «Quindi, non dare la colpa a me».
Avevo visto delle cose meravigliose, avevo sentito che mi amava… come poteva pensare che non apprezzassi?
Scossi la testa in senso negativo e andai verso la mia borsa per prendere della roba e andarmene finalmente a letto, a momenti la testa mi sarebbe scoppiata.
«Come puoi pensare che non mi piaccia ciò che ho visto nella tua testa?», chiesi senza possibilità di trattenermi. «Sembra quasi… che tu non voglia capire».
«Io capirò soltanto quando tu sarai realmente chiara con me».
«Ti ho detto persino che non voglio più tornare in Alaska!».
«Sì e la motivazione è perché non vuoi più soffrire né vuoi che soffra io». Jacob digrignò i denti e si diresse verso la porta della camera. «Troppo vaga come risposta, mi dispiace».
Il mio amico si dileguò andando ad accendere la tv in salotto. Lo sentii sospirare sonoramente e notai che il nostro rapporto seppure forte aveva delle piccole e invisibile crepe che rendevano tutto instabile.
Dovevo essere chiara una volta per tutte, dovevo dirgli che l’amavo. Ero tornata a La Push con l’intento di poterlo avere finalmente mio per l’eternità, avevo immaginato milioni di volte di dire quelle due paroline magiche e ora mi rendevo conto di stare attendendo troppo. Tuttavia non mi aspettavo che fra di noi si frapponesse un’altra persona e forse era proprio Kate e la loro ambigua amicizia che mi tratteneva…
Mi lavai e indossai un pigiama per poi infilarmi sotto le coperte. Mentre prendevo sonno, ripassai mentalmente le cose da fare il giorno dopo: telefonare ai miei genitori per dirgli di quella mia nuova capacità sempre dopo essermi assicurata che funzionasse davvero, magari chiedendo a Leah di darmi una mano. Poi parlare con Quil a proposito di Claire e di quali erano le sue sensazioni verso di lei adesso che l’imprinting era svanito. Infine stare più tempo possibile con Jacob…
Quando finalmente stavo per addormentarmi, le lenzuola frusciarono debolmente alle mie spalle.
Ebbi un tuffo al cuore, per qualche arcano motivo. Ero davvero stupida in certe occasioni, ero incomprensibile persino per me stessa.
«Piccola dormi?», mi chiese Jacob contro l’orecchio. Tenni gli occhi chiusi mentre le sue braccia mi avvolgevano e le sue labbra si poggiavano sulla mia nuca. Cercai di tenere il battito sotto controllo perché sapevo che si sarebbe accorto che in realtà ero sveglia, e non volevo.
Sentii le sue gambe avvicinarsi alle mie, la sua peluria che mi solleticava e poi la sua mano si intrecciò alla mia.
All’improvviso il formicolio tornò e mi intorpidì dal polso avvolgendo tutto la mano e poi il dolore pungente mi pervase. Strizzai gli occhi provando ad avvisarlo che stavo per leggergli nella mente, ma lui parlò: «Voglio che vedi», sussurrò ancora al mio orecchio stringendo la presa… e la visione ebbe inizio…
 
Quando mi svegliai il giorno dopo fu come uscire dall’oceano dopo una lunga immersione senza ossigeno. Ero inzuppata di sudore, i capelli mi si erano incollati sulla nuca e in bocca avevo un sapore ferroso simile al sangue. Scattai in ginocchio temendo di aver fatto del male a Jacob durante il sonno e per fortuna niente di tutto ciò era accaduto perché ero da sola e le lenzuola erano immacolate.
Ascoltai il silenzio e sentii provenire dei rumori dalla vicina cucina, quindi Jacob era lì, forse preparava la colazione. Ripensando a ciò che mi aveva lasciato vedere nella sua testa la notte precedente, mi veniva un crampo allo stomaco tanto forte da farmi chinare in due.
Mi infilai di corsa in bagno e feci una doccia veloce indossando una camicia a quadri rosa e blu e uno short di jeans. Legai in una coda i capelli ancora bagnati e poi lo raggiunsi… ero stranamente agitata.
«Buongiorno», dissi evitando il suo sguardo.
«Buongiorno a te, fai colazione?».
Annuii sedendomi a fianco a lui. Profumava di bagnoschiuma ed emanava la sua solita aura calorosa. I suoi capelli erano scombinati e ancora un po’ umidi.
«Dormito bene?».
«Be-benissimo». Maledizione!
Jacob ridacchiò e mi afferrò il polso tirandomi letteralmente su di lui e scoccandomi un bacio dolce sulle labbra al sapore di cioccolata.
La nostra piccola discussione della sera precedente sembrava lontana anni luce, e la stessa cosa valeva per l’aggressione di Kate e il disagio di Quil.
«Sembri inquieta», mi punzecchiò ancora.
Alzai gli occhi al cielo e gli pizzicai un fianco. Quando era consapevole di avere qualche tipo di vantaggio non la smetteva di mettermi in difficoltà.
Gli avevo detto che non ero certa di voler leggere nella sua mente perché temevo ciò che avrei potuto scoprire, ma lui come al suo solito aveva fatto di testa sua. E in effetti la cosa non mi dispiaceva perché buona parte di me voleva scoprire cosa c’era nella sua testolina. Però a dispetto di ciò che ci eravamo detti e anche della motivazione di quella piccola discussione, Jacob mi aveva fatto vedere tutt’altro.
«Non sono inquieta».
«Oh, sì che lo sei», ammiccò accarezzandomi una coscia. «Dimentichi che sono un lupo? Posso sentirlo. Annusarlo».
Zia Alice, quando voleva nascondere qualcosa a mio padre, contava in tedesco, diceva l’alfabeto greco o ripassava il nome degli animali in latino, roba del genere insomma. Aveva trovato un modo seppur difficile e non duraturo di sviare il potere della lettura della mente incanalando i suoi pensieri altrove. La stessa cosa aveva fatto il mio Jacob. Furbo e astuto.
Ma d’altronde con tutti quegli anni di esperienza all’interno del branco non potevo aspettarmi altro.
Gli salii cavalcioni allacciando le braccia sulle sue spalle sentendo le sue mani stringermi i fianchi. «Diciamo che mi hai lasciato un po’ sorpresa».
Jacob gemette mordendomi il labbro inferiore. «Non era di tuo gradimento?».
«Mi piace il fatto che mi identifichi col colore rosso».
«E basta? Tutta quella fatica per niente?».
La camicia che indossavo mi calò sulle spalle mentre Jacob stava baciando ogni centimetro della mia pelle dalla gola fin sul petto.
«Ciò che mi facevi, era interessante».
«Era?», borbottò contrariato alzando lo sguardo sul mio.
«È», mi corressi.
Mi afferrò i capelli e mi baciò così intensamente da farmi perdere il respiro. Ogni punto in cui mi sfiorava pulsava di piacere, ogni punto dove mi baciava bruciava di eccitazione. Proprio come pensava lui.
La notte precedente, quando aveva intrecciato la mano alla mia, mi aveva mostrato quanto mi desiderava. Mi aveva mostrato tutta la sua voglia fisica e ciò che si scatenava nel suo corpo ogni qual volta gli ero vicino.
Non pensavo che potesse provare delle emozioni tanto forti e passionali. Travolgenti. Nonostante fossero solo delle immagini che mi scorrevano davanti come un film, le sentivo roventi e palpitanti. Erano vive.
Inizialmente avevo sperato che mi mostrasse quanto tenesse a me o che addirittura sentissi di nuovo un bel ti amo, ma quando mi ritrovai davanti a quei pensieri carnali, dopo qualche secondo di stupore più completo, ne fui davvero estasiata e… imbarazzata. Lui al contrario, era l’uomo più tranquillo del mondo. Poi ricordai che gli uomini hanno pudore solo a mostrare i loro sentimenti non le loro voglie.
Mi ero accorta di essere sdraiata su una superficie dura e qualcosa era ricaduto sul pavimento andando in frantumi.
Tenevo il viso di Jacob attaccato al mio, le nostre lingue erano impegnate ad assaporarsi il più possibile. Ormai ciò che ci circondava non c’era più, sentivo solo piacere. «Ti voglio Nessie», disse Jacob con voce rotta.
Mi venne quasi il panico ma riuscii a non rovinare quel momento, continuando a fare ciò che mi stava portando sulle stelle. Tuttavia quelle parole mi scossero qualcosa sin dentro le viscere.
Le sue mani erano sempre state delicate su di me, in quei pochi momenti intimi che avevamo trascorso insieme, mi aveva sempre toccato con dolcezza e accortezza. Anche i suoi baci a volte erano quasi controllati. Invece adesso era cambiato qualcosa, o semplicemente si era lasciato andare.
Se non fossi stata una mezza vampira e quindi più resistente, quei tocchi, quei baci e quelle strette mi avrebbero sicuramente fatto del male o provocato dei lividi.
«Nessie…».
Mi ritrovai ad ansimare quando la sua lingua bollente riscese fino al mio ventre sfiorando quasi il bordo delle mie mutandine.
«Jacob». Gli afferrai i capelli e lo riportai sulla mia bocca. «Dobbiamo andare», dissi in difficoltà.
«Sì», sospirò lui continuando a baciarmi.
«Jake», gemetti. «Dobbiamo andare a casa di tuo padre, Kate è ancora lì».
Lui corrugò la fronte e mi guardò negli occhi. Il suo cuore era un tamburo e le sue belle labbra erano un po’ gonfie e arrossate.
Mi avvicinai dandogli un bacio sulla guancia e poi mi misi seduta, ero sdraiata sul tavolo.
«Che disastro», sussurrai guardandomi intorno e sbattendomi una mano in fronte.
Lui sorrise mentre il suo cuore si placava lentamente e raccolse dei biscotti che erano caduti sul pavimento. «Emh… è stata colpa tua», mi prese in giro.
«Non lo farò più, scusa», sorrisi a mia volta.
«No, ma figurati. Non mi dispiace spazzare i cocci in frantumi sul pavimento», rise facendomi l’occhiolino.
Raccolsi da terra una tazza rotta, dei tovaglioli e anche dei cucchiaini, sentendo ancora il sapore di Jacob nella mia bocca. Se non ci fossimo fermati, dove saremmo andati a finire? Ci saremmo spinti oltre?
Finii di prepararmi tenendomi ben alla larga da Jacob altrimenti saremo finiti nuovamente a baciarci sdraiati da qualche parte. Non che mi dispiacesse, ma avevamo delle questioni urgenti da sbrigare.
Mentre mi pettinavo i capelli davanti allo specchio, la mia mente andò irrimediabilmente verso Kate e a ciò che avrebbe raccontato una volta sveglia. Aveva visto un lupo e ciò non era un problema, i ragazzi avevano già la scusa pronta. Mi chiesi anche se fossero riusciti a trovare Quil e sperai che non fosse stata una giornata difficile.
«Andiamo Ness?».
«Arrivo».
Quando uscimmo di casa erano soltanto le otto del mattino. Nonostante fossimo ancora in pieno autunno c’era odore di neve lì fuori. I vicini rilievi erano tutti imbiancati e se avesse continuato così, il manto bianco avrebbe attecchito presto anche a La Push.
Jacob mi prese la mano e insieme ci recammo a casa di Billy. Non seppi se il fatto che le nostre dita non fossero intrecciate mi impediva di non leggergli la mente, ma in quel caso non m’importava. Visto dove eravamo diretti non morivo dalla voglia di sapere cosa gli passasse per la testa e le domande che si faceva sulla sua amica Kate.
«Buongiorno ragazzi», ci disse Rachel a bassa voce. «Entrate pure».
Jacob mi sospinse in casa e mi seguì chiudendo piano la porta, Billy forse non si era ancora svegliato o molto probabilmente era chiuso nella sua camera a fare delle ricerche per cercare qualche indizio che potesse aiutare Quil.
Rachel tornò a sedersi intorno al tavolo a fianco a Kate, stavano facendo colazione con una profumata torta di mele.
«Come stai, Kate?», le chiese Jacob con fare premuroso sedendosi vicino a lei.
La ragazza era senza un filo di trucco ed era di una bellezza… sovrannaturale, sì. Il suo viso era una porcellana e quegli occhi celesti erano due fari; i capelli erano come se fosse appena stata dal parrucchiere.
«Sto bene, Jacob. Ho preso solo un grosso spavento».
«Per fortuna hai solo due graffi».
La bionda si guardò le dita e poi infilò le mani nelle maniche della felpa incrociando le braccia sul petto. «Io ve l’ho detto che c’erano dei lupi nei paraggi. Voi non mi avete creduto».
Mi sedetti sul divano, lontano da loro, ma in modo da non perdere ogni loro piccolo spostamento.
«I ragazzi stanno perlustrando i nostri territori».
«E lo uccideranno?».
Jacob sembrò un po’ stupito. «No che non lo uccideranno, Kate. Lo affideranno a persone che lo riporteranno nel suo habitat».
«E’ difficile che i lupi girino da soli. Molto probabilmente c’è un branco».
«Sì, ma non devi preoccuparti. Non ti succederà più niente», le rispose un po’ spazientito. «Non succederà niente a nessuno, faremo in modo che nessun animale pericoloso si possa più avvicinare al villaggio».
Kate annuì e mi gettò un’occhiata fugace. Per un attimo il suo sguardo mi ricordò quello della serata precedente, quando giaceva in terra insanguinata e mi fece venire la pelle d’oca. Ancora una volta avrei voluto leggerle nella mente per capire quali erano i suoi pensieri.
Sostenni il suo sguardo finché non si alzò dalla sedia e poggiò le mani sulle spalle di Jacob. «Mi dai uno strappo a casa? Potrei andare anche da sola, attraverso il sentiero, ma adesso non…».
Rachel si alzò posando le tazze del caffè vuote nel vicino lavandino. «Sto andando in città a fare della spesa, posso portarti io a casa. Credo che Jacob abbia da fare».
Mi ritrovai a fare un sospiro di sollievo e ringraziai mentalmente Rachel per il suo pronto intervento. A limite avrei potuto intromettermi anche io, chiedendo a Jacob di poter andare insieme a loro, ma non volevo essere troppo pesante. Tuttavia ero più che certa che Jake non si sarebbe rifiutato, e il suo assenso implicava una nostra futura discussione.
Ora togli quelle manacce da lui, pensai con un nervosismo sempre più crescente. Odiavo quando lo toccava in modo così disinvolto, come se fosse suo. Ma lui era mio. Soltanto mio.
«Grazie, Rachel», disse infine con tono deluso.
Quando Kate si dileguò per prendere la sua roba, Jake si avvicinò a sua sorella e iniziò a farle domande sottovoce controllando sempre che Kate non arrivasse da un momento all’altro.
«Ti ha chiesto qualcosa di strano?».
Rachel scosse la testa. «Voleva solo sapere dove fossi tu e se fossi con Nessie».
«E non ha dato nessun particolare utile riguardo all’aggressione?».
«Dice che ha sentito dei passi dietro di lei e quando si è voltata per vedere di chi si trattasse, un lupo le è saltato addosso». Rachel diede una gomitata nelle costole al fratello. «Ora vai Jake! Non vorrei che riuscisse ad ascoltare ciò che ci stiamo dicendo!».
Il mio amico si avviò alla porta facendomi segno di seguirlo, ma Kate arrivò prima del previsto. «Jacob, vai via?».
«Sì, ho un sacco di cose da fare stamattina».
«Stasera puoi passare da casa mia? Devo parlarti. Da sola».
Il mio stomaco si attorcigliò dalla rabbia, in quel momento avrei voluto il potere di Jane, per sbatterla a terra facendola contorcere dal dolore. Come dovevo spiegarglielo che Jacob era impegnato?
«Controllo i miei turni e ti faccio sapere più tardi. Ora scappo che sono in ritardo. Ciao Kate, ciao sorella».
«Ciao», dissi educatamente uscendo sulla veranda.
Bene, ero nervosa e non sapevo dove dovessimo andare altrimenti avrei iniziato a camminare lasciandomi Jacob alle spalle. Le avrebbe fatto sapere più tardi? Ma davvero?
Risi interiormente e mi conficcai le unghie nei palmi delle mani.
Nessie, non devi essere gelosa. Nessie non devi essere gelosa.
«Dove stai andando?», chiese Jacob alle mie spalle.
Ah… mi ero messa a camminare senza rendermene conto.
«Paul mi ha appena mandato un messaggio dicendomi che è a casa di Quil. Lo hanno ritrovato, vieni andiamo per di qui».
«Hai intenzione di andare da lei stasera? No, dimmelo, perché mi organizzo diversamente. Non ho intenzione di aspettarti a casa o da qualsiasi altra parte mentre tu fai ciò che ti pare».
Jacob mi tappò la bocca con un bacio premendomi le mani sulle guance.
«Non iniziare».
«Vorrei vedere te», ringhiai.
«Ne riparliamo dopo».
«La odio».
«Tu sei soltanto gelosa, Nessie».
«E tu fai in modo che io non lo sia più».
Jacob fece orbitare gli occhi. «Perfetto. Allora inizio col dire che da ora in poi sei la mia ragazza. Ok?».
Non riuscii a reprimere un sorriso di felicità. Mai vista una cosa cominciata così bene. Decisamente un inizio perfetto.



Angolino Autrice

Buona domenica a tutti! <3 Volevo dirvi che questa storia ha superato le mie aspettative. Ha persino superato una mia Edward/Bella parlando di recensioni e non era mai successo; si sà che quella coppia rimane la preferita per la maggiorparte dei lettori, ma io ho sempre questo debole folle per il mio Jake!
Spero che anche questo capy vi piaccia. Ringrazio tutti voi che leggete e recensite!
A giovedì per un capitolo infrasettimanale! ;)

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Capitolo 11
*** Il Giusto Posto Nel Mondo ***


 

Come tante piccole stelle perfette nel loro scorcio di cielo,
io ero perfetta nelle sue braccia.
E all’unisono batteva il nostro cuore.
Identico il ritmo del nostro respiro.
C’era un solo scopo nella mia esistenza…
Stare insieme a lui




Renesmee

 
 
 
 
 
«Queste sono questioni da lupi, che cosa ci fai lei qui?».
Jacob diede una spallata a Paul facendolo scansare dalla porta e lo guardò con aria minacciosa. Quei due non erano mai andati troppo d’accordo.
Da qualche minuto la pioggia aveva cominciato a scendere leggera e silenziosa e le pozze nel terreno stavano riempiendosi nuovamente rispecchiando il cielo grigio.
«Sei il solito idiota».
«Potevi lasciarla a casa con Rachel».
Non potei fare a meno di stizzirmi nell’ascoltare la sua affermazione, così nel passare anche io gli diedi una spallata. Ogni tanto mi faceva bene sgranchirmi le ossa.
«Hey lupo, bada a come parli. Io non sono un pacco che prendi e lasci a piacimento».
Paul non si trattenne e rise divertito mandandomi un bacio con la mano.
Arricciai le labbra e poi gli sorrisi di rimando perché non riuscii a fare altro, quello era un giorno da festeggiare. La mia felicità era salita alle stelle in un battito di ciglia.
Forse la situazione a La Push richiedeva un altro tipo di stato d’animo, differente dal mio, ma proprio non riuscivo a smetterla di sentirmi euforica: Jacob mi aveva appena detto che ero la sua ragazza!
Ok, era davvero giunta l’ora di telefonare mia madre e raccontarle ciò che era successo. Zia Rosalie non ne sarebbe stata entusiasta, ma anche lei voleva bene a Jacob, lo sapevo.
«Il tuo imprinting mi piace, Jake. Anche se è una mezza vampira».
«Con questa frase, tu mi piaci sempre meno invece, caro Paul».
Il ragazzo ondeggiò una mano in aria. «Basta così, sei noioso…Mi bastano le tue paranoie quando siamo di ronda, perciò sopportarti anche da umano è troppo per me. Vai da Quil, ti sta aspettando».
«Prima o poi convincerò Rachel a lasciarti», ringhiò Jake entrando in casa e lasciando Paul a ridersela poggiato contro la staccionata di legno che delimitava la veranda.
Una volta dentro, notai uno strano silenzio tanto che camminai a passo felpato per evitare che i miei stivali facessero troppo rumore. L’aria era intrisa dal dolce odore di frittelle al miele e come ogni singola abitazione di La Push era molto accogliente: ritratti di lupi e di fitte foreste ornavano i muri, oggetti caratteristici dei Quileutes, come gli acchiappasogni o animali intagliati nel legno, erano sistemati sul bordo del camino e sulle mensole.
Nel piccolo salotto Ateara, la luce grigia del giorno rendeva l’atmosfera più triste di quanto non fosse già. C’erano Leah e Seth seduti su due differenti poltrone e il povero Quil era sdraiato su un divano a fissare assorto il soffitto.
«Hey», li salutò Jacob avvicinandosi al suo amico Quil. «Come ti senti? Va tutto bene?».
Mi sedetti sul bracciolo della poltrona dov’era Leah e la vidi scuotere la testa in senso negativo. Aveva i tratti del viso tirati, si vedeva lontano un miglio che aveva bisogno di riposo.
«No, niente va più bene».
«Quil, risolveremo il problema. Te lo prometto».
«Mi hanno ritrovato di nuovo nel vecchio territorio dei Cullen», rivelò Quil sconcertato. «Non so come ci sia arrivato, ti rendi conto?».
Jacob sospirò e guardò i suoi amici. «Scopriremo cosa ti sta succedendo, non ti lasceremo da solo».
«Agisco come… come un sonnambulo!», esclamò Quil.
«Prova a ricordare, dacci solo qualche piccolo particolare».
Il malcapitato scosse la testa sollevandosi e mettendosi seduto. «Eravamo in garage e dopo aver detto a Kate che la nostra riunione non era una festicciola, sono tornato qui e mi sono appisolato sulla poltrona».
«Quil… non ti ricordi di aver aggredito Kate?».
L’amico di Jake scattò in piedi con gli occhi pieni di orrore. «Che diavolo stai dicendo? Perché mai avrei dovuto aggredirla?».
«Non lo so, a ogni modo non eri in forma umana».
«Non è possibile Jacob! Io non riesco più a mutare, ci dev’essere un equivoco!».
«C’era il tuo odore su di lei. So che sembra tutto strano, ma qualcosa sta succedendo e non riusciamo a capire che cosa sia. Se sia pericoloso per te e per coloro che ti stanno accanto».
Quil si stropicciò l’orlo della maglia come se volesse strapparsela di dosso.
«E Kate come sta?».
«Per fortuna bene, ha solo qualche graffio».
Quil iniziò a camminare avanti e indietro irrequieto con i nostri occhi tutti puntati addosso tranne quelli di Seth che si era addormentato in una strana posizione col viso schiacciato contro lo schienale della poltrona dove sedeva.
«Che diavolo mi sta succedendo? Io non ho mai fatto del male a nessuno… E perché non riesco a ricordare ciò che faccio?».
Povero Quil, doveva sentirsi davvero male. Essere consapevole di potere fare del male alle persone a cui voleva bene da un momento all’altro, senza che potesse gestire le sue azioni, doveva essere una sensazione davvero orribile.
«E se chiedessimo a mio nonno?», m’intromisi dopo aver preso un po’ di coraggio. «Forse lui potrebbe conoscere qualche risposta».
Gli occhi di Jacob, Quil e Leah mi furono subito addosso. Forse non avevano pensato a quella possibile evenienza, ma io sì. Sin da quando c’era stata la riunione in garage avevo creduto che non era una cattiva idea sprecare una parola con mio nonno.
«Non credo che si tratti di una malattia», disse Quil incerto.
«Non abbiamo mai avuto a che fare con nulla del genere, Quil. Non sappiamo di che cosa si tratta e se Billy non riesce a scoprire nulla, non ci costa niente avere il parere del dottor Cullen», asserì Leah risoluta.
«Infatti», continuai cercando l’assenso di Jacob. «Giusto per non lasciare nulla di intentato. Mio nonno non avrà nulla in contrario, anzi sarà felice di rendersi utile, sapete quanto sia legato a voi».
Quil sembrava inquieto, ma Jake gli poggiò una mano sulla spalla. «Sì, è meglio non lasciare nulla di intentato, ha ragione Nessie».
«Avrei potuto fare del male alla piccola Claire… non me lo sarei mai perdonato».
Sentii la pelle d’oca corrermi lungo le braccia. L’amico di Jacob aveva detto di non percepire più il legame dell’imprinting, ma era evidente che tenesse a quella ragazzina. Le voleva ancora bene.
«Avete finito col confessionale? Io dovrei andare a letto», disse all’improvviso Paul sbucando con la testa attraverso la porta di casa.
Jake annuì e poi si rivolse a Leah. «Vai a riposare, rimaniamo io e Nessie con Quil finché qualcun altro non prenderà il nostro posto».
«Perfetto», rispose lei alzandosi.
Leah e Paul andarono via lasciando Seth a dormire beato sulla poltrona. Presi una coperta e gliela misi addosso, poi mi avvicinai alla finestra dov’erano poggiati sia Quil che il mio Jacob.
Deglutii sentendo un po’ d’ansia nello stomaco. Avevo già pensato di chiedergli quali erano i suoi sentimenti verso Claire, ora che l’imprinting era svanito, ma adesso che ero a un passo dal fargli delle domande, quasi mi sentivo male pensando alle risposte che avrei potuto ricevere.
«Io devo mettere qualcosa sotto i denti altrimenti svengo», asserì Jacob volatilizzandosi in cucina.
Sospirai, forse era meglio che lui non assistesse alla conversazione che avrei avuto con Quil, di sicuro mi avrebbe dato dell’insicura e della paranoica. Poi pensai che anche se non assisteva, avrebbe ascoltato ugualmente tutto, visto il suo udito.
«Quil, posso chiederti una cosa?».
Lui annuì col suo volto afflitto e le occhiaie evidenti che gli adombravano lo sguardo. Anche la sua pelle sembrava di uno strano colore, era verdognola, malaticcia.
«Che cosa provi nei confronti di Claire adesso che l’imprinting è svanito?».
Quil si strinse nelle spalle. «Le voglio comunque bene, ovviamente. Solo che quando immagino che possa accaderle qualcosa di brutto, non sento che la mia vita possa finire in quello stesso istante», sospirò. «Non la sento più come una parte vitale e indispensabile di me».
Mi toccai i capelli nervosamente e mi accorsi che muovevo convulsamente una gamba mordendomi a sangue le labbra.
«I miei orizzonti si sono allargati e i suoi bisogni non sono più i miei. Il mio mondo non gira più intorno a lei».
«E ti dispiace questo?».
Quil sembrò tentennare e non ne capii il motivo. «Scusa, sono troppo invadente».
«No, stavo solo riflettendo sulla risposta. Il fatto è… strano. Mi dispiace di non avvertire più quelle forti sensazioni verso di lei, era un legame così profondo e intenso. Riuscivo persino a percepire il suo umore, capivo quando era triste ma fingeva di essere felice. Quando gli mancavo ed ero lontano. Quando la notte non riusciva a dormire se non mi stringeva il dito tra le mani», sorrise indicandomi l’indice della mano destra. «Alcune persone, indifferentemente dal ruolo, che sia genitore, amico, amante, pagherebbero oro per avere questo tipo di fusione…».
Il tono di Quil dolce e afflitto allo stesso tempo, mi fece intristire e non potei fare a meno di chiedermi se anche l’imprinting di Jacob fosse così forte. Se era riuscito ad avvertire la tristezza per la sua mancanza quando mi trovavo a miglia e miglia di distanza. Se aveva sofferto quanto me e con me. A ogni modo avevo la sensazione che in quel discorso ci fosse di mezzo un ma.
 «Ma… è sfiancante. È davvero faticoso e molte volte doloroso essere così uniti. Non hai il controllo delle tue emozioni perché vengono irrimediabilmente influenzate dalle sue. Sei felice e tutt’un tratto ti ritrovi a fare il broncio e a preoccuparti. O sei triste e ti ritrovi a sorridere per la sua felicità. Perciò non posso essere del tutto scontento che l’imprinting sia svanito».
Mi persi con lo sguardo nel vuoto cercando di controllare quel panico crescente. Non era possibile che ogni cosa che succedeva dovevo paragonarla a me e a Jacob. Quella dannata paura non voleva abbandonarmi. Quella paura che lui potesse stare meglio senza di me.
Perché io senza di lui sarei stata il nulla.
«Volete delle frittelle?».
Sussultai sentendo la voce di Jacob. Era sbucato dalla cucina con uno straccio legato ai passanti del suo jeans e un piatto colmo di frittelle.
«Grazie fratello, accetto volentieri. Affoghiamo i dispiaceri nel cibo».
Quil raggiunse Jacob e io rimasi lì a fissare la pioggia che continuava a cadere imperterrita. Dal comignolo di alcune casette rosse lì intorno fuoriusciva una riga di fumo, segno che avevano acceso un caldo fuoco nel caminetto e riuscivo a vedere anche un angolo di scogliera, quella dalla quale si lanciavano i ragazzi per gioco.
Visto da un altro punto di vista ciò che mi aveva detto Quil, non era poi così grave… aveva comunque detto di volere ancora bene a Claire, solo in un modo più umano. Niente di estremo e vincolato.
«Hmm… è già ora di andare di ronda?».
Mi voltai verso Seth che si stropicciava gli occhi e si stiracchiava facendo scricchiolare le ossa. «Nessie? Oh, che bel risveglio il mio».
«Seth!», urlò Jacob dalla cucina. «Ti faccio riaddormentare di nuovo. Per tutta la vita però».
Seth storse la bocca in una smorfia e poi si accoccolò meglio fra le coperte. Anche il suo viso era dai lineamenti bellissimi e inusuali. Ogni Quileutes aveva un particolare che ti faceva rimanere basito nell’osservarli. Non era vero che solo i vampiri erano esseri bellissimi… anche i lupi lo erano.
Seth aveva i cappelli arruffati e le guance leggermente arrossate, il sorriso gioioso e amichevole. La sua particolarità erano gli occhi, sembravano quasi dal taglio orientale e creavano un effetto davvero strabiliante sul suo volto caramellato. Poi c’era Leah, snella e forte col volto spigoloso e la bocca carnosa e definita, lei sarebbe potuta essere una Dea. E ancora Embry, con i capelli lisci e le fossette deliziose quando rideva e Paul col fisico scolpito come un guerriero.
Probabilmente per esseri soprannaturali come noi, la bruttezza non era un’opzione contemplabile. 
Rimanemmo in casa per tutto il giorno finché non cominciò a calare la sera. Per tutto il tempo non aveva smesso un attimo di piovere e Seth aveva anche accesso un piccolo fuoco nel camino. Lui e Jacob non avevano smesso un attimo di punzecchiarsi e pensai che se si comportassero in quel modo anche quando erano sottoforma di lupi, la ronda non doveva essere così facile. Quil li osservava a tratti divertivo, ad altri un po’ annoiato proprio come me.
Quando le acque sembrarono calmarsi Jake mi raggiunse sul divano. Mi circondò con un braccio e mi baciò una tempia.
«È colpa sua, mi sussurrò all’orecchio con un mezzo sorriso.
Annuii poggiandomi sul suo petto. «A volte sembri un bambinone».
«Concordo con la mia dolce Ness», sbiascicò Seth mentre sdraiato sul tappeto mangiava qualcosa di non identificabile.
Quil aveva acceso il televisore sintonizzandolo su una partita di football. In quel tempo che avevamo trascorso insieme, non aveva fatto altro che comportarsi con il suo solito atteggiamento. Non aveva dato alcun segno di non stare bene o di nervosismo, nulla. Era il solito Quil.
«Vieni con me», disse Jake alzandosi dal divano e andando sull’uscio di casa. Lo seguii socchiudendo la porta e sfregandomi le braccia a causa dell’aria gelida. Lui si poggiò alla staccionata della veranda e mi avvolse in un abbraccio… Eccolo il mio posto nel mondo.
I polpastrelli bollenti di Jacob mi accarezzarono il collo fino a scostarmi la camicia che indossavo e lasciandomi un bacio sulla spalla.
Sorrisi col viso nascosto sul suo collo. Conoscere giorno dopo giorno quel lato dolce e intenso di lui era così bello, così appagante. Era come se il mio essere si completasse poco a poco.
«Peccato che stasera devo andare di ronda», sussurrò poggiando la fronte contro la mia.
Mi alzai sulle punte sfiorando le sue labbra. La differenza di calore dei nostri corpi era abissale. «Perché? Avevi intenzione di farmi leggere di nuovo quei pensieri nella tua testa?».
Jake mi accarezzò la testa come se fossi di cristallo e chiuse gli occhi. Per un istante mi diede l’impressione che si stesse trattenendo dal fare o dal dire qualcosa.
«A dire il vero, avevo intenzione di farle quelle cose».
Tenni sotto controllo l’ansia che ancora mi colpiva, ma non potei fare a meno che sentirmi piacevolmente emozionata e accaldata.
La visione della notte precedente mi tornò di nuovo in mente viva e pulsante. Era tutto rosso e caldo. I nostri corpi si incastravano alla perfezione qualsiasi piega prendessero. Eravamo nati per stare insieme.
Gli infilai le mani nei capelli e gli diedi un bacio. Sentii il suo cuore battere contro il mio alla stessa velocità. E la cosa bella era che non lo potevamo nascondere. Entrambi lo sentivamo.
«Non c’è fretta», sussurrai con una strana voce irriconoscibile anche per me stessa. «Adesso sono qui».
Jacob ricambiò il mio bacio lentamente. Le sue ciglia sfioravano le mie e le sue mani accarezzavano il mio profilo con vigore.
«Sì, sei qui».
E sarei rimasta per sempre. Non avrei più abbandonato quei luoghi e lui. Quella era la vita che sognavo da tanto e dovevo provare il tutto e per tutto per averla. E non volli nemmeno pensare alle cose brutte che sarebbero potute accaderci, al discorso di Quil, a Kate… quel momento doveva rimanere bello.
«Nessie, credo che dovresti chiamare tuo nonno e dirgli di quella nuova capacità che ti sei accorta di avere, prima che di Quil».
Annuii con decisione. «Prendo il cellulare e arrivo subito».
«Fai con calma, io devo andare un attimo da Kate…».
Corrucciai la fronte. «Che cosa?».
«Deve solo parlarmi», disse cauto. «Non posso fare finta che non mi abbia detto niente o che di punto in bianco non esista più».
Il suo discorso non era sbagliato, ma chissà perché a me non importava un bel niente. Quella stupida bionda lo voleva tutto per sé, ne ero più che certa e avrebbe fatto qualsiasi cosa per farci allontanare.
«Assolutamente non ci andrai», dissi con voce spezzata ritrovandomi poi con lo sguardo sulla punta delle mie scarpe. Non era mia intenzione dargli ordini, ma non riuscivo a trovare alcun modo per dissuaderlo da quello stupido intento. Se si fossero baciati? No… non avrei potuto sopportarlo.
Jacob mi strinse a sé baciandomi la fronte. «Non succederà nulla Nessie, dobbiamo soltanto parlare».
«A proposito di cosa?».
«Non lo so».
«Sì che lo sai! Vuole parlare della vostra storia!».
Mi scansai da lui a malo modo e riscesi i gradini della veranda affondando con i piedi nella fanghiglia. Mi diressi verso la boscaglia limitrofa, volevo tornare a casa, anche se era quella di Jacob, ma volevo allontanarmi da tutti per sfogare al meglio la mia frustrazione. Continuava a mentirmi per tenermi buona!
«Dove stai andando? Vieni qui!», urlò Jacob alle mie spalle.
«Voglio stare da sola, vai pure dalla tua Kate!».
«Nessie, aspetta!».
«No, aspetta un corno!».
«Aspetta ho detto!».
Jacob mi afferrò il polso costringendomi a voltarmi verso di lui. Il suo volto era cupo e segnato e l’ombra delle ciglia gli sfiorava gli zigomi morbidi.
«Perché non capisci che ho soltanto…».
«Paura», finì lui la frase per me. «Hai paura Nessie»,
All’improvviso dall’oscurità della foresta si allungò un’ombra scura dai contorni netti. Non appena capii di chi si trattava, istintivamente mi portai una mano alla bocca e Jacob mi strinse a se con fare protettivo, ma con un ringhio basso e deciso che gli si agitava in gola.
No… non ci potevo credere. Non poteva essere lì. Che cosa diavolo ci faceva lì?
 

Angolino Autrice

Ciao a tutti! Avevo detto di postare domani, ma sono costretta ad anticipare di un giorno perchè domani sono fuori tutta la giornata e mi ritroverei a postare alle dieci di sera. Devo assolutamente ringraziare tutti voi che avete recensito, per ogni capitolo trovo delle persone nuove e sono davvero strafelice, spero che continui così.
Ora scappo, sto scrivendo un capitolo cruciale ^-^ e poi devo cercare di togliermi dalla testa la strana fissazione che da qlke giorno ho su Zayn Malik (oltretutto quasi una generazione + piccolo di me) e su Demon ed Elena, altrimenti impazzisco del tutto e inizio a scrivere anche su di loro!!!
A domenica, baci!
-Carmen

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Capitolo 12
*** Poche Parole ***


 
È vero…a volte le parole non servono.
Ma ce ne sono alcune rare e difficili da pronunciare
che racchiudono in sé una speciale magia.
Basta pensarle per sentirsi leggeri.
E basta solo ascoltarle affinché un nuovo mondo
si apra davanti ai nostri occhi..




Renesmee

 
 
 
 
 
 
 «Renesmee, tesoro!», esclamò con voce stridula. «Tu! Maniaco lasciala immediatamente!».
Jacob continuò a stringermi tra le braccia, ma non c’era nulla dal quale proteggermi. Ero perfettamente al sicuro.
«Jake, va tutto bene», asserii poggiandogli le mani sul petto.
«A me non sembra. Che cosa ci fa lui qui?», chiese fra i denti.
«Perché lo conosci?».
«Non credo che esistano molti umani che ti chiamino tesoro. E con quello stupido accento poi», sibilò fra i denti.
Un colpo di vento fece ondeggiare i rami degli alberi trasportando il suo odore dolce fino a me. Non riuscivo a capire come avesse fatto a trovarmi fin laggiù, ero davvero sconcertata. A meno che zia Rosalie non aveva fatto la spia volendo giocare qualche brutto scherzo al mio lupo.
«Renesmee, piccola mia, stai bene?».
«Sì, Benjamin…»,
Il mio ex ragazzo corse verso di me con gli occhi pieni di orrore e mi strappò dalle braccia di un Jake perplesso e a dir poco furioso. Indossava una tenuta da trekking e aveva uno zaino voluminoso in spalla. I suoi capelli biondi erano perfettamente pettinati e gli occhi azzurri, limpidi come sempre.
«Ben, ho detto che sto bene», ripetei inquieta intanto che lui e il mio amico si lanciavano delle occhiaie assassine.
«Che cosa credevi di farle, maniaco!», urlò ancora contro Jake, poi mi guardò con occhi languidi. «Tesoro, dovresti smetterla di cacciarti in situazioni pericolose. Che cosa ci fai nel bosco nel bel mezzo della notte?».
Jacob si tamburellò il mento con lo sguardo da psicopatico forse pensando a quale morte cruenta far fare a Ben. Mi venne quasi da ridere, ma non c’era nulla di divertente; perciò, prima che la situazione precipitasse, dovevo muovermi a risolvere quella faccenda.
«Scemo, lo sai che questo territorio è proprietà della tribù dei Quileutes e ci vuole un permesso per entrarci?», mi anticipò Jacob. «Ti consiglio di sparire più in fretta che puoi… e toglile quelle manacce di dosso», ringhiò alzando il mento nella mia direzione.
Un briciolo di piacere mi corse lungo la schiena non appena sentii le sue parole. Adoravo la sua parte possessiva, tuttavia non riuscivo a gioirne a dovere per la tensione che aleggiava intorno a noi. E poi come l’aveva chiamato? Scemo?
Benjamin di tutta risposta mi strinse ancora di più e poi dalla tasca dei suoi pantaloni color cachi estrasse un foglio.  «Ecco il permesso».
Jacob digrignò i denti. Ero certa che non avrebbe tollerato a lungo la strafottenza di Benjamin prima di andare fuori di testa. In lui c’erano dei nervi scoperti che non appena venivano sfiorati, lo rendevano aggressivo. Uno di quei nervi ero io.
Ero fiera di ciò. Amavo il modo in cui voleva proteggermi a tutti i costi da quello che riteneva pericoloso per me, ma anche per lui, però dovevamo stare attenti. Se avesse perso il controllo rischiava di mutare e nel tentativo di fermarlo era probabile che avrei sfoderato la mia forza vampirica, e dopo come avremmo fatto a dare spiegazioni a Benjamin?
Dovevamo mantenere i nostri segreti a tutti i costi, se qualcuno avesse scoperto la sua natura sarebbe scoppiato un putiferio. E guaio ancora più grosso sarebbe successo se avessero scoperto di me. I Volturi non aspettavano altro che ucciderci tutti, uno dopo l’altro.
«Ben, come mai sei qui?»
Feci un passo avanti posizionandomi tra lui e Jacob formando così un triangolo di cui io era la punta. Loro due avevano quasi la stessa altezza, Jake lo superava di qualche centimetro.
«Oh, tesoro, io…».
«Piantala di usare questi nomignoli, babbeo!», sbottò Jake isterico.
Ben e Jacob erano totalmente differenti: il cielo e la terra, un angelo e un demone. Il mio ex ragazzo era biondissimo con gli occhi di un celestino tenue simile a vetro mentre Jake… era Jake.
«E chi sei tu per darmi gli ordini? A ogni modo, sono qui perché secondo le ultime ricerche, questa è una zona ad alta concentrazione di fenomeni paranormali».
Sbiancai mentre la mia mente ritornava a molti anni prima, alla scampata battaglia contro i Volturi. Aro aveva detto che la specie era a rischio per via dell’evoluzione umana che aveva creato armi e strumenti potenti in grado di individuarci e sconfiggerci… ma Jacob quasi rise.
«Non ci sono fantasmi qui. Anzi, tra poco può essere che ci sia il tuo di fantasma», asserì pensoso e strafottente.
«Ragazzo, tu vuoi una bella denuncia?».
Ragazzo… che nominativo ridicolo. Jacob aveva compiuto i ventotto anni ed era ben due anni più grande di Benjamin, ma il suo aspetto era di un ventenne troppo muscoloso; solo quando si lasciava crescere la barba arrivava a dimostrare i ventitre anni.
«Se vuoi, ti do il numero di telefono del capo della polizia», disse Jacob beffardo. «Si chiama Charlie Swan», concluse facendo intendere che lo conosceva personalmente.
«Si è fatto tardi, è meglio tornare a casa», affermai per bloccare qualsiasi altra battutina o peggio ancora litigio.
«Piccola ti riaccompagno volentieri, dovunque sia la tua casa».
«Coso, lei è la mia ragazza», rimarcò Jacob sbattendo quasi contro di lui col petto. «Mi occupo io di lei».
Benjamin sembrò turbato, anzi spaventato, infatti sbarrò gli occhi come se gli avessero appena preannunciato la fine del mondo. «Tu sei un individuo pericoloso! Non puoi avvicinarti alla mia…».
«Mia», ringhiò Jacob. «E ora vattene via di qui, se non vuoi che esca il brutto lato dell’individuo pericoloso».
Ben mi guardò cercando la mia conferma che gli diedi subito. «Va tutto bene, non preoccuparti».
«Come vuoi. Però almeno inviami un sms quando sarai a casa. Al sicuro».
«Lo farò».
«Anche io lo farò. Ti manderò il bacio della buona notte Bennett».
«Mi chiamo Benjamin…. Brutto facocero», disse schifato il biondo. «Che gentaglia che c’è qui. Portare una ragazza indifesa nel bel mezzo del bosco, di notte, per parlare. Dovrei ritornarmene in Alaska il prima possibile», borbottò girandosi di spalle e proseguendo per la sua strada.
«Ti faccio io il biglietto», sibilò Jake.
«Ragazzo insolente, mi sembra di conoscerti».
Jacob incrociò le braccia sul petto. «Effettivamente è possibile che tu mi abbia incontrato in uno dei tuoi viaggi extrasensoriali. Sono un sogno erotico abbastanza comune».
Benjamin prima di girare le spalle e continuare per la sua strada fece una smorfia schifata, evidentemente il solo pensiero lo disturbava. Beh… a me no. Facevo spesso sogni erotici su di lui, il problema era che li facevo a occhi aperti, senza dormire.
Jacob scoccò la lingua sul palato e mi prese per mano imboccando il sentiero verso la sua piccola abitazione.  «Che cos’è un facocero?».
Mi trattenni dal ridere perché non volevo sembrare troppo sollevata. Ce l’avevo ancora con lui perché voleva andare a trovare Kate. Questa volta non l’avrebbe passata liscia.
Il cielo era diventato sempre più buio e senza stelle, in alcuni momenti più silenziosi riuscivo a sentire dei rami che si spezzavano calpestati dai lupi o da Benjamin che andava alla ricerca di fenomeni paranormali a La Push. Quel ragazzo era sempre stato fissato col soprannaturale, non sarebbe mai cambiato.
All’improvviso lasciai la mano di Jacob infilandole nelle mie tasche. «Non avevi un impegno tu? Stai tardando, dovresti andare».
«Non ho nessun impegno», disse secco.
«Pensavo che tutt’un tratto non potessi fare finta che Kate non esistesse più».
Jacob fece una smorfia mentre piegava un ramo frondoso spianandomi la strada. «Posso risolvere la faccenda con lei un’altra volta».
«Perché? Qual è il problema di stasera Jake?».
«Bernard è il mio problema».
«Ma si chiama Benjamin, Jacob! Smettila di prenderlo in giro!».
«Perché, ti da forse fastidio?».
«No, soltanto non è educato. Io non prendo in giro Kate», dissi uscendo dal bosco e ritrovandomi proprio davanti a casa sua.
«Che cosa c’entra adesso Kate? Perché devi metterla sempre in mezzo?».
«Oh, scusa! Non mi permetterò più di nominare la tua bambolina!».
«Tu vuoi solo litigare, Nessie!».
«Sempre colpa mia!».
Entrai in casa sfilandomi gli stivali e lasciandoli in un angolo. Jacob era alle mie spalle e armeggiava con qualcosa, ma non mi voltai a vedere cosa stesse facendo. In un modo o nell’altro doveva sempre affibbiarmi la colpa di tutto.
Era un portento quel ragazzo, ma questa volta non l’avrebbe vinta.
Anche le sue scarpe volarono in un punto indefinito insieme alla sua giacca. Un bicchiere cadde in terra e si ruppe, una sedia strisciò sul pavimento.
«Che cosa ci fai qui in casa?», sbraitai contro di lui. «Avevi la ronda stasera!».
Jacob sollevò lo sguardo su di me e per un attimo vidi i suoi occhi perdersi come in un ricordo o in una fantasia, oppure nel consapevolizzarsi di qualche sensazione. Aveva la bocca appena schiusa ed entrambe le mani sul tavolo.
«Nessie…», sussurrò spaventato. «Mi è successo qualcosa di…».
Mi venne un formicolio alla gola e tornò la scioccante paura che gli toccasse la stessa sorte di Quil. «Che cos’è?», chiesi in un sussurro avvicinandomi a lui.
«Mio Dio… che cosa…».
«Jacob, che cosa sta succedendo?».
Si alzò e mi venne vicino prendendomi una mano. La sollevò poggiandola sulla sua fronte. «Che… che cosa c’è di strano? Sei caldo, sei bollente. Hai la febbre?».
«Sì».
«Come hai la febbre Jake? Non sei mai stato malato».
«Ho avuto una visione…».
«Jacob, che cosa stai dicendo? Stai bene?».
«Ho visto il futuro! Alice mi avrà contagiato!».
Abbassai le spalle sbuffando fuori l’aria che avevo trattenuto e mi misi una mano sul cuore. Avevo scampato un infarto, ne ero sicura.
Il simpaticone del mio amico, mi aveva appena preso in giro nel modo più spregevole che potesse usare!
Lo sentii ridere e abbracciarmi forte sollevandomi quasi da terra.
«Sei uno scemo», bofonchiai con la voce soffocata dalla sua maglia. «Sono morta di paura».
«Era l’unico modo per farti placare», sussurrò baciandomi una guancia. «Però ho avuto davvero una specie di visione…».
«Non prendermi in giro», dissi guardandolo negli occhi.
Lui poggiò il naso contro il mio accarezzandomi lentamente le labbra con le sue. La mia arrabbiatura passò subito in secondo piano. Era sempre la stessa cosa con lui… non appena mi toccava scompariva tutto, sia intorno a me sia nella mia mente.
«Sembravi una moglie isterica e nervosa di avere un marito fannullone in mezzo ai piedi», mi leccò il labbro inferiore facendomi chiudere gli occhi e poi mi fece il verso. «Che cosa ci fai qui in casa? Avevi la ronda stasera!».
Sorrisi aggrappandomi a lui. «Sei insopportabile quando ti metti d’impegno».
«Quindi devo andare davvero via? Non mi vuoi con te tutta la notte?», disse languido e tentatore.
«Stai barando», asserii allontanandomi da lui. «Mi vuoi solo tenere buona, non sono stupida».
«Amore…».
«Stai barando ancora!», esclami puntandogli un dito contro. «Lupo traditore!».
Jacob alzò le mani e si avvicinò di nuovo alla porta d’uscita fingendosi arrabbiato. «Vado da Sam a dirgli che ritardo con la ronda, poi torno qui e…», sospirò diventando improvvisamente serio. «Ti dirò tutto ciò che devo… su Kate e quant’altro».
«Io… va bene. Ma non c’è tutta questa fretta, possiamo farlo anche domani».
«Io voglio farlo adesso».
Jacob rimarcò la parola scrutandomi con attenzione. Il suo sguardo era cambiato ancora, adesso era pieno di desiderio. Nello stesso istante in cui capii il doppio senso della sua frase, il battito del mio cuore divenne talmente forte che rimbombò persino nelle mie orecchie.
«E rimarrò con te finché non ti addormenterai. Visto che Belzebù è nei dintorni a fare l’acchiappafantasmi, non vorrei che passasse di qui a farti una visita».
«Benjamin. Si chiama Benjamin».
Jacob fece spallucce e aprì la porta. «Arrivo fra poco».
Nel momento in cui scomparve, caddi nel panico più totale. Giravo in tondo al piccolo tavolo della cucina tenendomi il mento fra le dita cercando di capire che intenzione avesse Jacob.
Voglio farlo adesso.
Scossi la testa, forse avevo capito male, sì. Jacob non era il tipo da fare certi giochetti.  «Ma che diavolo sto dicendo? Lui lo farebbe, eccome!».
Ok, mi dovevo calmare, non era da me essere così agitata. Io amavo Jacob e qualsiasi cosa avessimo fatto, l’avrei voluta con tutta me stessa. Aspettavo quel momento da tantissimo tempo e adesso che era arrivato non potevo rovinare tutto con i miei soliti e stupidi timori. Anche perché c’era la seria possibilità che avessi interpretato male le sue parole e quindi quelle a venire sarebbero state ore tragiche per me. Conoscere i particolari dell’amicizia che legava Jacob a Kate, mi avrebbe fatto sprofondare nel tormento più assoluto.
Sarei dovuta andare a lavarmi e cambiarmi… sì. Credevo di sì. Mi precipitai in camera con l’espressione di uno spauracchio, poi sentii la porta di casa aprirsi e richiudersi. Era già arrivato?
«Sei ancora lì impalata?», chiese Jacob comparendo all’ombra del piccolo corridoio.
«Io stavo per…».
Mi venne incontro a passo lento lasciandomi ammirare il suo petto nudo. Evidentemente per andare ad avvisare Sam era mutato per fare più in fretta.
Che diamine, non l’avevo calcolato.
«Non hai voglia di venire a letto con me?», chiese ancora.
La sfumatura della sua voce mi fece rizzare i peli su tutto il corpo. Se voleva farmi imbarazzare ci stava riuscendo alla grande. Non era mai stato così palese, ma ero sicura che se glielo avessi fatto notare, lui sarebbe riuscito a trovare un modo per dimostrare che avevo travisato.
«Stavo per cambiarmi», dissi ritrovando le parole. «E poi pensavo che dovessimo parlare».
«Sei da un bel po’ con le mani ferme su quei bottoni. Forse ti serve una mano Nessie? Non riesci a toglierti i vestiti da sola?», disse ignorando la mia osservazione.
Arrivò di fronte a me sfiorandomi l’addome con le dita. Avvertii il suo calore sebbene mi stesse toccando da sopra la camicia.
«Forse voglio rimanere ve…vestita».
«Non mi piace sentire molto il contatto con i tessuti, specie quando sono a letto. Meglio pelle contro pelle».
Avevo immaginato me e lui, pelle contro pelle, un milione di volte. Sentire il suo calore che bruciava ogni più piccola parte del mio corpo, sentire le scie della sua saliva sul mio collo, sul mio seno.
Deglutii quando i bottoni della mia camicia si slacciarono uno a uno…
Sia io sia lui, vedevamo perfettamente nonostante il buio. I colori non erano vividi come di giorno, erano sfumati, attenuati e ciò non faceva altro che creare un'atmosfera più intima. Neppure mi chiese se ero d'accordo. Agiva con la sua solita strafottenza. E lo amavo per questo.
Il viso di Jacob era vicinissimo al mio e il mio sguardo passava dai suoi occhi alla sua bocca. Si spostò appena all'indietro e con l'indice aprì il lato destro della mia camicia, scoprendomi il ventre e un lato del seno.
Ringraziai Dio per aver indossato della biancheria intima nera con un po’di pizzo.
A quel punto le mie mani si mossero da sole come se dotate di volontà propria. Infilai gli indici nei passanti dei suoi jeans avvicinandolo di nuovo a me. Una sua mano scivolò fra i miei capelli e la sua bocca raggiunse il mio collo. Jake mi stringeva a se in modo possessivo e la sua bocca umida vagava sul mio collo, sulla mia gola, fin sulle mie spalle.
«Nessie», mormorò con voce rotta.
«Sì…».
«Ti desidero. Da morire».
Emisi un mugolio di piacere. «Anche... io».
Sospirò. «…Lo sento».
Certo che lo sentiva. Come potevo avvertire io ogni suo desiderio e ogni altro stato d'animo. Eravamo legati da qualcosa di potente.
Mi ritrovai sdraiata sul letto, col peso di Jake che mi bloccava piacevolmente contro il materasso.
La sua mano indugiò sul gancetto del reggiseno per un attimo, poi si fermò. Il suo viso risalì fino al mio, il suo respiro caldo sulla mia bocca.
Baciami.Pensai. Non fermarti.
«Tu sei molto importante per me, Nessie. Molto più di quanto riesci a immaginare».
Annuii impaziente e presi ad accarezzargli i capelli sulla nuca e a strofinare la bocca contro la sua. Percepivo i suoi addominali contro il mio ventre… e anche la sua erezione un po’ più in basso. Un brivido intenso e gelato mi corse per tutta la schiena facendomi inarcare.
A quanto pare a Jake quel movimento piacque perché con la mano mi strinse la coscia con vigore e la sua bocca mi divorò con uno di quei baci da lasciare senza fiato.
Sentii qualcosa strapparsi… erano i miei pantaloncini di jeans. Jacob era già in boxer e non capii come avesse fatto a togliersi i pantaloni senza che me ne accorgessi.
«Nessie fermami…», disse con voce affannata.
Perché mai dovevo fermarlo? «No…»
«Io non ho mai…».
A quel punto dovetti fermarmi per forza. Lo guardai in quei suoi grandi occhi neri pieni di eccitazione. «Non l’hai mai fatto?», sussurrai stupita.
Jacob sbatté le palpebre più volte. «Non era questo che volevo dirti».
«Ah…», bisbigliai con un po’ di delusione. Sarebbe stato bello se per entrambi fosse stata la prima volta. Sarebbe stato proprio come in una favola. Ma le favole non esistono, era ora che me lo mettessi in testa.
Io avevo deciso di preservarmi a lui sin da quando avevo iniziato a fare qualche pensiero concreto e corretto sul sesso. Avevo deciso che la mia prima volta doveva essere con un ragazzo che amavo più della mia stessa vita e di cui mi fidavo ciecamente. E il suo nome era Jacob. Non mi ero mai pentita di aver fatto penare Benjamin per tutto quel tempo, rimandando sempre quel momento cruciale.
«Che hai Nessie? Sembri pensierosa».
«Che cosa volevi dirmi?».
Jacob trasalì e sembrò titubante e irrequieto. Cercò la mia mano e la afferrò incrociando le nostre dita.
Pensai che volesse trasferirmi i suoi pensieri, perciò mi stavo affrettando a dirgli che non avvertivo il solito formicolio che preannunciava la lettura della mente… invece lui parlò.
«Beh, in poche parole… davvero poche parole…», sussurrò baciandomi lievemente la guancia, il mento e la bocca.
«Sì?», dissi appena prendendomi le sue tenerezze.
«Ti amo».
 
 

Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica! Lo dico... amo questo capitolo dall'inizio alla fine! L'avro riletto 300 volte *-* Questa volta non potete dirmi che sono stata crudele perchè il capitolo è finito bene <3 
Abbiamo visto l'ingresso di un nuovo personaggio Benjamin e a quanto pare lui e Jake faranno scintille.
Ci sono ancora tante cose che devono accadere! Quindi devo andare a scrivere, a domenica prossima!
Adoro le vostre recensioni!!! <3 <3 <3

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Capitolo 13
*** Doccia Ghiacciata ***


Non c'è cosa migliore che bruciare di passione.
Sentire ogni più piccola particella del corpo accendersi.
E non c'è cosa migliore che abbandonare il corpo all'uomo che ti ama.
Nessuno saprà prendersi cura delle tue voglie meglio di lui...

 





Renesmee






Ti amo.
Le parole di Jacob erano state improvvise e inaspettate.
In un momento passionale e intenso come quello in cui ci trovavamo, non mi sarei mai aspettata una simile dichiarazione. E chissà perché pensavo che non sarei riuscita a ottenerla tanto facilmente sapendo quanto fosse orgoglioso… e invece mi ero dovuta ricredere.
Pensai che la presenza di Benjamin a La Push lo avesse fatto sentire minacciato in qualche modo e quindi aveva affrettato i tempi.
Mi aveva spiazzato di nuovo scombussolandomi la mente e lo stomaco. Era quello il motivo per cui non mi sarei mai potuta stancare di lui.
Jacob mi baciò piano sulle labbra e poi spostò la bocca vicino all’orecchio. Ripetilo di nuovo. Dillo di nuovo.
«Ti amo Ness».
Il suo cuore batteva impazzito contro il mio petto, quasi riuscivo a percepire il sangue che scorreva più velocemente nelle vene.
Mi sentii pervadere da un senso di felicità mai provata prima. Ogni mia più piccola fibra sembrava giovare per quelle due semplici paroline sussurrate.
Quello che ormai era diventato il mio ragazzo, ma che in molte occasioni continuavo a chiamare amico, si poggiò nell’incavo del mio collo.
Quel gesto così tenero e intimo allo stesso tempo, mi fece tenerezza. Per me era strano vedere Jacob così calmo, quasi sommesso, e mi chiesi perché la rivelazione dei suoi sentimenti gli facesse quell’effetto. Forse si sentiva più debole oppure era finalmente in pace col mondo…
L’idea che fossi così importante per lui mi fece dolere il petto.
Lo abbracciai forte facendogli scorrere le dita fra i capelli. Ero così felice, mi sentivo leggera.
Jacob si mosse poggiandosi su un fianco e attirandomi a sé. Cercò il mio sguardo nel buio mentre una sua mano mi accarezzava una gamba lentamente.
«Hai perso la parola?».
«No… è solo che non me lo aspettavo».
«Non te lo aspettavi?», chiese Jake a bassa voce.
«No…».
«Le cose inaspettate sono sempre le più belle, no?».
Annuii stringendomi a lui. I suoi occhi brillavano. Jacob era felice e quella felicità stava pervadendo velocemente anche me.
Forse dovevo dirgli anche io che lo amavo. Quello era un momento perfetto in tutte le sue sfaccettature. Eravamo abbracciati, in quella piccola e perfetta casa, sul letto che sapeva di noi.
«E…», iniziò Jacob di nuovo. «È da tanto tempo che volevo dirtelo…».
«E invece di farlo pensavi a trattarmi male».
Jake mi accarezzò il viso scostandomi alcune ciocche di capelli. «Lo so bene, ma non mi pento di ciò. Dovevo capire fino a che punto fosse motivato il tuo ritorno a La Push, il vero perché del tuo viaggio visto che in due anni sei letteralmente sparita. Tu non puoi capire cosa si prova con l’imprinting, Nessie».
«Io invece lo so, Jake».
«Non è la stessa cosa, tu puoi solo immaginarlo».
«No Jacob», ripetei sollevandomi su un gomito. «Io… io ti sento».
Lo vidi piegare appena la testa di lato. «Che intendi?».
«Che anche io ho avuto l’imprinting con te».
Jacob rise dandomi un bacio. «Sei la solita scema».
«Non sto scherzando!».
Il mio cellulare iniziò a squillare da qualche parte. Jacob alzò gli occhi al cielo per quell’interruzione e poi mi aiutò a cercarlo fra le lenzuola. Ridemmo un po’ spingendomi a vicenda prima di ritrovarlo.
“Ciao mamma, sei tu!”.
“Ciao tesoro, come mai non ci telefoni? Ci fai preoccupare così”.
“Scusatemi, davvero. Ma sono stata davvero molto impegnata”.
“A fare che cosa?”.
“Emh… tante cose”.
“Almeno, il nonno Charlie sei andata a trovarlo”.
“Mi sono dimenticata di lui! Dovrebbe essere tornato ieri dalla sua vacanza”.
“Reneesme che cosa stai combinando laggiù?”.
“Niente!”, esclamai.
“Jacob è lì con te?”.
Mi girai verso il mio lupo che era ancora sdraiato sul letto e mi fissava con uno sguardo diverso. Uno sguardo che mi faceva tremare il cuore irradiando quell’energia per tutto il corpo.
«Sì Bells, sono qui!».
“Ah siete insieme… Beh… non devi dirmi niente?”, chiese mia madre con un po’ di titubanza. Vidi Jacob sorridere, così mi affrettai a cambiare discorso, lui riusciva a sentirla!
“Sì mamma, ho tante cose da dirti. Però dovrei parlare col nonno per iniziare”.
“Come mai?”, chiese un po’ preoccupata.
“A Quil sta succedendo qualcosa di strano e volevo chiedergli se potesse fargli una visita”.
«Dille del tuo nuovo potere!», sibilò Jacob contrariato.
“E poi… mamma, ho letto nella mente di Jacob”.
“Che cosa?”, sbottò d’un tratto. “E com’è successo?”.
“Mentre mi teneva la mano, però è meglio che ne parli col nonno”.
“Reneesme, devi tornare subito qui”.
“Non c’è bisogno”.
“Devi essere visitata”.
“Ma non corro alcun rischio, sono una mezza vampira! È solo un nuovo potere, niente di che. Papà legge nella mente, non è poi così difficile da pensare che riesca a farlo anche io”.
“A ogni modo dovrai venire lo stesso, altrimenti chi accompagna Quil?”.
“Pensavo che il nonno potesse venire un paio di giorni qui e fare tutti i suoi accertamenti…”.
“Non ha i suoi macchinari lì e forse ne avrà bisogno”.
Guardai Jacob che si era alzato dal letto e stava indossando velocemente una camicia e si affrettava ad abbottonarla… sembrava nervoso.
“Mamma, ne parleremo con Quil e poi ti farò sapere. Ora devo proprio andare e salutami papà e tutti gli altri, ciao”.
“Buonanotte tesoro e non farmi preoccupare”.
Quando riattaccai la telefonata poggiando il cellulare sul vicino comodino, tornai a guardare Jacob.
«Hey… va tutto bene?».         
«Devo tornare di ronda, si è fatto tardi».
«Jake…», lo richiamai di nuovo. Ormai lo conoscevo troppo bene per non accorgermi che avesse qualcosa che non andava. E oltre al suo corpo che mi lanciava conferme silenziose, come la schiena dritta, la mascella serrata e gli occhi rivolti verso il basso, sentivo il suo malumore scorrere per le vene. Pian piano stava contagiando anche me.
«Tua madre vuole che torni in Alaska».
«Sì, ma… sarebbe solo per qualche settimana».
«Già qualche settimana…».
Jacob aveva paura, era così palese! Pensava che tornando in Alaska non sarei più ritornata, proprio come avevo fatto quando ero andata via la prima volta. Ma adesso non avrei mai potuto compiere nuovamente quell’errore madornale. Non l’avrei lasciato mai più. Mai più.
«Ci vediamo domattina. Buonanotte».
Jacob uscì alla velocità della luce e io rimasi lì, impalata come una sciocca mezza nuda, a fissare il corridoio vuoto.
Abbassai le spalle e sospirai sonoramente mentre gli ululati dei lupi riempivano l’aria. Come dovevo fare con quel ragazzo? A quanto pare aveva ancora delle riserve verso di me e non potevo biasimarlo.
Indossai qualcosa di comodo e poi andai in cucina a sgranocchiare qualche patatina. Quella notte sarebbe stata davvero lunga e non avevo neppure voglia di dormire, ero avvolta da una strana agitazione.
Quando il mio Jake sarebbe ritornato dalla ronda, gli avrei dato tutte le rassicurazioni del caso. Gli avrei detto che lo amavo e che volevo passare tutta la vita insieme a lui.
Mi resi conto che ogni qual volta mi ritrovavo in una situazione cruciale e dovevo parlare rivelando i miei sentimenti, rimandavo sempre… Ero un’insicura cronica.
Toc toc.
Qualcuno bussò alla porta inaspettatamente. Corrugai le sopracciglia leccandomi le dita unte e poi aprii.
«Devo parlare con Jacob».
Kate era di fronte a me con la sua cascata di capelli setosi che le contornavano perfettamente il viso.
Girai la testa di lato e assimilai la sua frase chiara e decisa come un ordine.
Mi venne l’impeto di azzannarla e lasciarla morire dissanguata, ma mi limitai a prenderla dal colletto e trascinarla dentro casa per poi sbatterla contro la porta chiusa. Ora basta. Ne avevo abbastanza di lei, della sua presenza e del suo bell’aspetto.
«Jacob è il mio ragazzo», ringhiai.
Mi accorsi di tremare e che la calma si stava dissolvendo velocemente perciò iniziai col smettere di respirare col naso.
Kate non reagì ma affilò lo sguardo su di me per poi fissare le mie mani su di lei. Forse avevo usato troppa forza, ma più che altro sembrava colpita dal mio gesto.
«Toglimi le mani di dosso. Immediatamente», sibilò.
Un brivido mi fece rizzare i capelli sulla nuca. Il suo tono di voce era basso e sicuro, come se realmente credeva che avesse potuto farmi del male, o soltanto ferirmi se non l’avessi ascoltata.
Non le obbedii ovviamente e tornai a minacciarla consapevole di potere ancora gestire bene le mie azioni.
«Lo devi lasciare in pace, hai capito?».
«E chi sei tu per darmi degli ordini?».
«Questo non è un ordine, è soltanto un consiglio, Kate».
«Un consiglio velato da minaccia. A Jacob non farà piacere sapere che mi hai riservato questo trattamento».
«In questo momento non mi importa nulla».
Sentivo la mia rabbia crescere a dismisura. Non riuscivo ad accettare che lo conoscesse così bene, era una spina nel fianco. Eppure sapevo che aveva ragione da vendere, Jacob si sarebbe arrabbiato a morte se fosse venuto a sapere che le avevo messo le mani addosso. Me lo ricordavo lo sguardo di paura e la preoccupazione che aveva quando era stata ferita.
«Sì, perché tu sei egoista. T’importa solo del tuo benessere altrimenti non lo avresti abbandonato rimanendo qui a La Push».
Kate finì la frase con un’inclinazione della voce e poi mi spinse lontano da lei. Una spinta del tutto umana e femminile, non c’erano dubbi.
Dunque, Jacob le aveva raccontato i fatti nostri?
«Non immischiarti in cose che non ti riguardano».
«E chi lo dice che non mi riguardano? Tu?».
«Tutti commettiamo errori. Come il tuo grande errore è stato venire qui stasera».
Kate sorrise. Ma non era un sorriso di scherno e infatti il suo cambio repentino d’umore mi fece nuovamente rizzare i peli sulla nuca.
«Sei fortunata cara Renesmee», bisbigliò dolce. «Sei fortunata perché nessuna può nulla contro di te. Ma ti consiglio di andartene finché puoi. Jacob è più debole se ci sei tu e questi non sono tempi facili per loro».
Fece un passo indietro abbozzando un altro dolce sorriso e spostandosi i biondi capelli dietro la schiena.
«Che… che cosa stai dicendo?».
«Ora che ci penso, forse è meglio che non dici a Jacob che sono stata qui».
«Kate!», esclami nel momento in cui aprì la porta.
Lei si girò e mi perforò con i suoi occhi di ghiaccio. Si portò l’indice vicino al naso intimandomi di fare silenzio e poi se ne andò.
Rimasi a fissare il legno della porta chiusa con la bocca aperta e gli occhi sgranati. Kate mi aveva completamente scombussolata.
La sua visita era stata inaspettata e ciò che mi aveva detto era stato come fare una doccia gelata. Che cosa diavolo voleva dire?
Per qualche minuto alternai momenti di panico a momenti di pura paranoia. Chi era quella Kate?
Le sue parole mi avevano lasciato completamente sbigottita e con un disordine mentale non indifferente. Ebbi l’impressione che sapesse qualcosa a riguardo del branco… ma potevo anche aver travisato. D’altronde non aveva mai detto o fatto niente che avesse lasciato intendere che sapesse qualcosa, non fino a quel momento, a meno che Jacob non me l’avesse detto.
Jacob è più debole se ci sei tu. Così aveva detto… e la ritenevo un’enorme fandonia! Io mi sentivo più forte quando Jacob mi era accanto e per lui doveva essere la stessa cosa. Insieme ci completavamo. Ero il suo imprinting non potevo essergli d’impiccio. Ma poi, debole di che cosa e per cosa?
Non ero al corrente di qualche azione particolare che i ragazzi o il branco dovessero compiere, sempre se non avessero ritenuto opportuno tenermi all’oscuro di tutto.
Non sono tempi facili per loro. Che cosa intendeva?
Per un tempo indefinito camminai avanti e indietro senza sosta. Vagliai tutte le possibili risposte e mi scervellai per trovare un filo conduttore che naturalmente non c’era.
Non avevo avuto molto a che fare con Kate, le nostre brevi chiacchierate potevano contarsi sulla punta delle dita e non mi saltavano alla mente degli strani particolari che mi avevano fatto dubitare di lei. A parte quelli con Jacob ovviamente.
Mi rotolai tra le coperte per un po’, ma potevano benissimo essere trascorse delle ore per quello che importava.
Riflettevo sul fatto di dirlo a Jacob o no. Alla fine cosa ne sapevo di che cosa c’era sotto? E se lo avessi messo in pericolo?
Va bene, forse stavo correndo troppo e mi sarei data della stupida quando avrei capito che quella bionda stava facendo soltanto un teatrino per tenersi Jacob tutto per sé. Però adesso, proprio non me la sentivo di essere così superficiale. Nella sua voce c’era qualcosa di profondo e autoritario, come un’intimidazione velata.
Mi stropicciai i capelli e andai in bagno. Avevo bisogno di un bagno caldo per rilassarmi i nervi, anzi forse era meglio una doccia ghiacciata per spegnere la mia mente.
Aprii il rubinetto e m’infilai sotto il getto freddo.
Mi chiesi con chi avrei potuto confidarmi per cercare di ricevere qualche buon consiglio. Pensai a Leah, l’unica che mi era molto vicina, ma dovetti escluderla subito per via della lettura della mente col branco. Forse Rachel avrebbe fatto a caso mio, l’importante era che non lo avesse spifferato a Paul.
«Tu devi essere impazzita».
Sussultai dallo spavento e mi schiacciai con la schiena contro le mattonelle fredde della doccia.
«Jacob!», esclamai coprendomi il seno con un braccio e il resto… come potevo. «Ma che stai fac…».
Le parole mi morirono in gola quando lo vidi infilarsi nella doccia e chiudere la porta di vetro dietro di sé. Era nudo…
Ci separava un soffio forse, anche meno. E io ero sbigottita, impietrita e stavo morendo di vergogna. Era la prima volta che qualcuno mi vedeva in quel modo.
«Non mi hai sentito arrivare?».
Scossi la testa mentre lui prese il braccio con cui mi coprivo e lo scostò guardandomi con ardore, come se riuscisse a nutrirsi di me con i soli occhi.
«Lasciami vedere ciò che è mio», sussurrò con un tono di voce sconosciuto.
Mi sentii quasi male per quell’emozione improvvisa che mi aveva colpito. Ero sua, sì. Ero soltanto sua.
L’acqua fredda cadeva su di noi e i suoi capelli neri iniziarono lentamente a bagnarsi. Il suo corpo scolpito si bagnò di mille goccioline che strisciavano avide sulla sua pelle baciata dal sole.
«Doccia ghiacciata», sussurrò al mio orecchio chinandosi sul mio corpo, senza toccarmi. «Devi spegnere i tuoi bollenti spiriti oppure sapevi che ti avrei scaldato io?».
Non riuscii a replicare e Jacob si chinò fino alla mia bocca. Il suo respiro caldo mi fece socchiudere gli occhi e mi fece venire la voglia spropositata di poggiare le labbra sulle sue. Avevo la pelle d’oca per il freddo e per la sua vicinanza.
Sentii le sue mani poggiarsi sui miei fianchi diffondendo calore all’interno del mio corpo. Risalirono con intensità fino ad arrivare ai lati del mio seno.
Con un dito gli accarezzai il centro del petto, proprio dove c’era il piccolo solco che separava i suoi pettorali e riscesi verso il basso seguendo con lo sguardo la scia bagnata che lasciavo… Quando arrivai all’altezza dell’ombelico e iniziai avvertire la sua morbida peluria mi fermai.
Poi mi sollevai sulle punte sfiorandogli la bocca e portai le braccia sulle sue spalle forti. Jacob mi diede una leggera spinta sulla schiena e i nostri corpi si incollarono.
Trattenni per un attimo il respiro e lui fece lo stesso.
Era bollente…
Quel corpo scolpito e perfetto era fatto su misura per me. Stavo perdendo il controllo, la mia mente si stava eclissando poco a poco e sentivo solo quelle voglie che covavo dentro da anni. E il suo membro che continuava a sfregare contro il mio basso ventre non era d’aiuto.
Una sua mano mi strinse la vita e l’altra affondò nei miei capelli. Mi sussurrò qualcosa sulla bocca prima di baciarmi… come sembrava che non avesse mai fatto fino a quel momento.
 
 
 
Angolino Autrice

Ciao ragazze! <3 Mea culpa per aver finito il capitolo così :/ 
Vi ringrazio per darmi così tante soddisfazioni con questa storia, ogni capitolo ci sono dei nuovi recensori e io sono sempre più felice! 
In questo capitolo succedono un pò di cosette e sembra che la situazione sia destinata a complicarsi sempre di più.
Buona domenica e alla prossima! <3

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Capitolo 14
*** Mia ***


Ormai non c'era più nulla che potesse separarci.
Eravamo uniti nell'anima, nel cuore e nel corpo.
Eravamo una sola essenza.

 


Jacob





Ormai avevo perso il conto degli anni che avevo trascorso a immaginarmi quel momento.
Ero completamente partito.
L’acqua gelida continuava a cadere su di noi e a rendere i nostri corpi scivolosi. L’aria profumava di noi, e mi sta facendo impazzire.
Nessie era tra le mie braccia e mi stringeva forte, ormai arrendevole a ogni mio tocco, a ogni più piccolo contatto che cercavo.
Le presi il viso fra le mani. Le sue labbra erano fredde sulle mie, le sentivo impazienti e vogliose, come mai le avevo sentite prime di allora.
Dio quanto la volevo.
Rallentai quel bacio che mi stava divorando lo stomaco e le succhiai il labbro inferiore forse con troppa forza perché la sentii gemere.
Strofinai la mia bocca sulla sua avvertendo il suo seno schiacciato contro il mio petto e la mia eccitazione sempre più impaziente.
Quando ero entrato nella doccia, vista la sua espressione un po’ spaurita, credevo di essere stato sin troppo audace… ma mi era bastato un solo istante per cambiare idea.
Nel momento in cui i nostri corpi si erano sfiorati, avevo avuto la conferma che quella mia decisione affrettata, dettata dalle mie voglie represse da un tempo indefinito, fosse la migliore presa in tutta la mia vita.
Tanto era mia. Lei era mia.
La inchiodai contro le mattonelle fredde e riscesi a succhiarle il collo. Un centimetro dopo l’altro.
Lei è mia.
Le sue dita affondarono fra i miei capelli e i suoi fianchi sfregarono contro i miei. Dovetti reprimere un ringhio di piacere. Mi voleva. Era eccitata.
Riscesi ancora assaporando il suo seno e stringendolo fra i denti mentre stuzzicavo l’altro con le dita.
La sentii ansimare di piacere e continuai il mio lavoro minuziosamente imprimendo bene nella mente quegli attimi indimenticabili.
Avevo voglia di stringerla fino a farle male finché non ci fossimo fusi in un’unica persona, finché il suo sapore non fosse andato più via dalla mia bocca.
Chiusi quella dannata acqua e affondai le dita nei suoi capelli impossessandomi di nuovo della sua bocca. La sua lingua era impaziente di un contatto profondo che le diedi subito perdendo nuovamente il controllo della ragione e strusciandomi a lei per cercare di placare quella voglia che mi stava distruggendo.
La sua lingua era calda e i nostri baci erano intensi e coinvolgenti.
La presi cavalcioni su di me e uscii dal bagno diretto in camera da letto.
Le sue mani fredde smisero di accarezzarmi e anche la sua bocca si irrigidì.
Paura.
Aprii gli occhi incontrando i suoi, ma era troppo tardi ormai per pensare.
La adagiai fra le lenzuola di fianco a me e le accarezzai un fianco.
Nessie aveva giunto le mani al petto e m’impediva il contatto con lei. Si era irrigidita e non ne capivo il motivo.
Proprio ora no. Deglutii addolcendo i miei baci e le mie carezze.
«Sciogliti Ness», mormorai lamentoso sulla sua bocca e lei fremette impercettibilmente.
Afferrai un suo braccio portandomelo intorno al collo e feci scorrere la mano sulla sua guancia rovente donandole piccoli baci a fior di labbra.
Non poteva essere che non volesse diventare finalmente mia. Che non volesse fare l’amore con me.
Era una cosa orribile solo da pensare. Quello era il nostro momento.
Cercai di nuovo i suoi occhi e mi scostai da lei quel poco che bastava per riuscire a capirci qualcosa.
«Che succede, piccola?», sussurrai sulla sua bocca con un’ansia che cresceva a dismisura.
«Io…».
Cercò qualcosa con cui coprirsi ai miei occhi e lo fece con un lembo di lenzuolo.
«Tu non vuoi», finii secco la sua frase facendo ricadere la testa all’indietro e chiudendo le palpebre. «Tu non vuoi».
Bene. E io che ingenuamente pensavo che la mattinata fosse iniziata nel migliore dei modi e ora mi ritrovavo nudo sul mio letto a fianco alla ragazza di cui ero innamorato perso e che mi stava rifiutando.
Era tornata per me, lasciando la sua famiglia, mi faceva scenate di gelosia, e ora mi stava rifiutando!
Che destino crudele il mio. Maledetto imprinting che non mi permetteva di vivere la mia vita con il giusto stimolo verso chiunque altro che non fosse legato a me con quella maledetta catena. Cioè tutti all’infuori di Nessie.
Stavo già trattenendo il malumore. Volevo alzarmi, urlare e andare via sbattendo la porta di casa. Era frustrante desiderare una persona così tanto e non essere corrisposto. Nessun’altra avrebbe potuto darmi ciò che avrebbe potuto darmi lei, ero comunque in un vicolo cieco.
Non mi rimaneva che prendermela con me stesso.
Prepotente.Una vocina urlava nella mia testa. Sì, ero consapevole di esserlo, giusto o sbagliato che fosse.
La stavo aspettando da anni ed era un qualcosa che andava oltre al desiderio fisico, alla voglia di unirmi a lei.
Poi, mentre già immaginavo la mia orribile espressione di fronte allo specchio, Nessie si avvicinò a me adagiandosi sul mio corpo.
La sua pelle era ancora umida e il suo respiro caldo era sulla mia bocca.
Bene per la seconda volta. Mi mancava soltanto essere consolato come uno stupido cucciolo, magari donandomi anche un biscottino.
Ah, come non detto, eccolo.
Nessie mi baciò accarezzandomi il viso. «Sono vergine».
Vergine.
Aprii nuovamente gli occhi trattenendo un attimo il respiro. Ero solo uno stupido dalla conclusione facile, ecco che cos’ero.
La mia ragazza era vergine. La mia Nessie era vergine.
Quindi con quello stupido Benedict  non era successo niente…
«Com’è poss…», cercai di chiedere sconvolto da quella rivelazione e trepidante per conoscere la motivazione che la avesse fatta attendere fino ad allora. Sì, ero terribilmente esigente su certe cose e non vedevo l’ora di sentirmi importante come solo lei poteva farmi sentire.
«Io ti amo», sussurrò con ovvietà.
Mi sentii leggero come una piuma nonostante i miei ottanta chili. Da un momento all’altro avrei cominciato a volare, ne ero sicuro. Un asino che vola.
«E non volevo legarmi a nessuno in questo modo. A nessuno che non fossi tu».
Ancora. Il mio cuore fece qualche capriola, imbizzarrito da quelle forti sensazioni. Forse non avrebbe retto ascoltando altre rivelazioni. E invece dovetti ricredermi perché ce la fece.
«Perché per me tu sei l’unico, lo sei sempre stato».
Il cuore di Nessie batteva come un tamburo mentre i suoi occhi sondavano i miei. Quelle iridi così familiari che mi confortavano il sonno quando non era con me.
Continuò a baciarmi ed io ricambiai avvolgendole la vita, sentendo il suo corpo adattarsi al mio e sciogliersi contro di me.
«E ora ti voglio», sussurrò ancora.
E così sia.
Il mio corpo si risvegliò all’istante con più forza di come aveva fatto in precedenza. Mi sentivo bruciare. Era come un fuoco che divampava dal centro del mio stomaco e allungava le sue fiamme in ogni più piccolo angolo del mio essere.
Nessie forse non se ne accorgeva, ma ondeggiava su di me facendomi letteralmente impazzire. La sentivo calda e bagnata e sapere di farle quell’effetto era afrodisiaco.
La mia eccitazione pulsava, cominciava a fare male. E sentivo l’odore della sua che mi faceva annebbiare la vista.
Le sue ginocchia mi stringevano i fianchi e le mie mani frementi stringevano i suoi glutei. Le sue mani mi accarezzavano il petto dove sfregavano anche i suoi piccoli e perfetti seni.
Con il fiato corto la presi dalla vita spostandola di fianco a me e con lentezza esagerata, mi portai su di lei. Misi una mano fra le sue gambe accarezzandole la parte più sensibile e sentendola abbandonarsi ancora di più a quel piacere.
Nessie era eccitata e voleva me. Ero io a farle quell’effetto.
Le baciai la gola, il mento e di nuovo la bocca mentre mi adagiavo su di lei e sfregavo la mia eccitazione contro il suo calore.
Era come se in me ci fosse rilegato un diavolo che scalpitava per uscire e fare danni, abbandonandosi al piacere più sfrenato. Ma lei era la mia Nessie ed era vergine. Avrei trattenuto l’animale che era in me e sarebbe stato lo stesso la cosa più meravigliosa che avessi mai fatto in tutta la mia vita.
Scivolai in lei lentamente affondando le dita nei cuscini e stringendo la presa. I suoi muscoli erano contratti, ma ben presto tutto il suo corpo si adattò al mio e i nostri movimenti diventarono più fluidi e in perfetta sintonia.
Le nostre bocche si sfioravano, le nostre lingue pure, i nostri respiri fusi.
Cercavo di non pensare al piacere travolgente che provavo, altrimenti sarei esploso dentro di lei nel giro di pochi secondi. E invece volevo gustarmi quella nostra prima volta più a lungo possibile.
Mi muovevo con lentezza assaporando ogni istante e poi veloce quando non riuscivo a reprimere la foga.
I suoi abbracci erano dolci e anche le sue carezze. Stavo vivendo un’altra Nessie in un modo diverso e profondo che ci avrebbe unito ancora di più.
Amavo il profumo della sua pelle, era delicato e dolce, per questo non smettevo di succhiarla e di morderla.
Quando sentii il suo respiro accelerato contro il mio orecchio, non potei fare a meno che accelerare anche i miei movimenti.
La sentii gemere piano sulla mia bocca in preda al piacere dell’orgasmo mentre io finalmente raggiungevo il mio con un mugolio di estasi.
… Mi poggiai con la testa sul petto di Nessie e lasciai che i nostri cuori tornassero alla loro andatura normale.
Lei mi accarezzava i capelli lentamente come se stesse per addormentarsi e mi ritrovai a chiudere gli occhi istintivamente.
 
Mi risvegliai quando il mio stomaco iniziò a brontolare di brutto. Mi stropicciai gli occhi e li aprii. Ero sempre in camera da letto, sotto le lenzuola, incastrato a Nessie in uno strano modo.
Non avevamo mai dormito appiccicati a quella maniera e al solo pensiero mi venne un tuffo al cuore.
Andiamo Jacob vedi di piantarla, che diamine!
Le nostre gambe erano intrecciate, avevo un braccio sotto di lei e lei sopra di me. Il suo viso era schiacciato contro il mio petto e il mio mento era poggiato sulla sua testa.
Dormiva candidamente con i capelli sparsi sulle lenzuola e quella pelle chiara che la faceva sembrare un sogno.
Pensai a ciò che avevamo fatto qualche ora prima e una vampata di calore mi colse impreparato. Ora non avrei smesso più, sarebbe andata via da casa mia per la disperazione.
Ridacchiai da solo come un imbecille guardando la piccola sveglia sul comodino. Erano le due del pomeriggio.
«Perché ridi?».
Nessie sbadigliò stiracchiandosi e poi forse rendendosi conto che era nuda, si coprì fin sotto la gola. Sollevai un sopracciglio storcendo appena le labbra.
«Ho già visto tutto ciò che stai coprendo».
«Ma Jake!».
«Sì?», ridacchiai.
Lei in risposta grugnì. «Non hai un minimo di pudore».
La strinsi forte a me portando il suo viso sul mio, lei si trascinò dietro tutte quelle dannate lenzuola. Le avrei bandite dalla mia camera da letto.
Strofinai il naso sulla sua guancia e poi le diedi un bacio.
«Sono oltre dieci anni che mi denudo davanti ai fratelli del mio branco. Perciò concordo con te, non ho un minimo di pudore».
Ed era veramente la verità, non provavo nessuna vergogna a mostrarmi nudo. Primo perché ci avevo fatto il callo e poi perché sapevo di avere un corpo da urlo… i pensieri di Leah erano chiari e poi avevo uno specchio.
Se i miei amici avessero ascoltato simili pensieri mi avrebbero bandito da La Push, anche se alcuni di loro non erano da meno. C’erano Seth, Collin ed Embry che non la smettevano di elogiare i loro punti forti.
Nessie si poggiò nell’incavo del mio collo, passando le dita sul muscolo del mio braccio. Le accarezzai i capelli baciandole la fronte.
Ero in pace col mondo in quel momento.
«Jake…».
«Sì?».
«Abbiamo fatto…».
Mormorai fra i denti incontrando il suo sguardo cercando di capire che cosa volesse dirmi e non ci impiegai molto.
Sorrisi furbastro. «Sì mia dolce Ness, non è stato un sogno».
«Stupido», brontolò arrossendo.
«Non eri in Paradiso, erano solo le mie braccia».
«Che spaccone», gracchiò nascondendo un sorriso.
Strofinai la bocca sul suo collo chiudendo gli occhi quando il suo piacevole odore mi pervase le narici.  «È stata la cosa più bella della mia vita», le confidai all’orecchio. «Rimpiangerai di non essere ritornata in Alaska», la presi in giro.
Lei ridacchiò stringendomi forte e mi baciò prendendomi il viso fra le mani. «Credo che mi divertirò più qui con te».
Incontrai i suoi occhi dolci e innamorati. Ora sembrava che l’amore che provava per me si riversasse fuori da ogni suo più piccolo poro. Riuscivo ad avvertirlo anche solo al tocco accorto che mi riservava o agli sguardi languidi.
Nessie mi amava allo stesso modo in cui la amavo io, completo e del tutto irrazionale. E finalmente me l’aveva confessato.
Ora ero più forte che mai.
La girai affondandola tra i cuscini e accarezzandole una gamba la liberai dalle lenzuola, riempiendomi la vista con il suo bel corpo.
«Che cosa stai facendo?», protestò.
«Ti farò provare l’estasi senza assumere droghe».



Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica, in anticipo :)
Allora questo è un capitolo decisivo, spero che sia riuscita nell'intento di non renderlo troppo volgare. 
Vi ringrazio sempre per le splendide recensioni che mi lasciate, mi fate felice <3
Vi avviso che questo è l'ultimo capitolo prima delle vacanze, quindi BUON NATALE A TUTTI,  ci rivediamo giovedì 10 gennaio per i nuovi capitoli.
A presto <3 <3 <3

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Capitolo 15
*** Una Visita Inattesa ***


Amore.
Com'è possibile che in una sola parola
ci sia racchiuso il significato della vita stessa?
E com'era possibile pensare
che il mio cuore non potesse trattenere dentro
tutta quella grande emozione?

 

Renesmee

 

 

 

Avevo perso il conto delle ore che eravamo chiusi nella sua camera da letto.
Era tutto un po’ surreale, ma ero comunque al settimo cielo e se ne esisteva qualcuno più in alto, ero proprio lì.
La luce del giorno cominciava ad affievolirsi e il ticchettio della pioggia sui vetri delle finestre si faceva più insistente.
L’aria era calda, oppure era solo l’effetto di Jacob accanto a me.
Guardavo il soffitto mentre tenevo le mani in grembo stringendo le lenzuola tra le dita. Mi ero persa nei ricordi di quella giornata inaspettata e tanto attesa, che mai e poi mai avrei potuto dimenticare.
Mi girai verso il mio lupo, di cui il respiro era diventato più pesante e regolare.
Era disteso a pancia in giù con le braccia ripiegate sotto il viso, le labbra appena schiuse e i capelli scombinati.
Alla debole luce che filtrava dalle finestre vedevo il profilo perfetto del suo corpo… le spalle larghe in evidenza, il pendio della sua schiena, la curva del suo sedere.
Essere consapevole che ciò che stavo guardando, la creatura più bella di tutta la terra, fosse mia, mi faceva provare una sensazione di estasi mista a orgoglio e a felicità.
Jacob era mio.
Mi misi a sedere e gli occhi mi caddero su una piccola macchiolina rossa che spiccava sulle lenzuola stropicciate.
Il sigillo del mio corpo era stato aperto. Ed era stato fatto nel modo più bello, dolce e passionale che potessi mai aspettarmi.
Non avevo sentito dolore, solo un piccolo fastidio iniziale e forse ciò era dovuto alla mia natura di mezza vampira; per il resto il mio corpo aveva reagito come una normale umana.
Rotolai fino al mio Jake sdraiandomi su di lui e strofinando la guancia sulla sua schiena.
Era piacevole vederlo abbandonato al sonno e fantasticare ripensando a ciò che era successo tra di noi, però era impossibile resistere troppo a lungo e non toccarlo.
Gli baciai una spalla e poi la nuca, stringendo le braccia intorno al suo corpo bollente.
Lo sentii mugugnare e insieme sentii anche il suo stomaco. Aveva detto di avere fame qualche ora prima, poi non c’era stato più il tempo di mettere qualcosa sotto i denti.
«Jake?».
«Hmm?».
«Ho l’impressione che da un momento all’altro qualcuno verrà qui».
«Hmm».
«Non siamo mai stati soli così a lungo».
«Hmm».
Sorrisi strofinando la bocca sulla sua nuca inalando quel suo odore così buono e caldo. Ogni volta che lo facevo, mi ritrovavo a chiudere gli occhi estasiata. Non era affatto vero che Jacob puzzava di licantropo, guai se avessi sentito qualcuno dei miei parenti dire una simile idiozia.
Si girò sotto si me e mi strinse forte respirando fra i miei capelli. Quel gesto mi fece ricordare quando lo faceva durante le nostre intimità... intensamente.
Sembrava essere molto esperto, ma evitavo di pensarci perché quel pensiero mi faceva intristire. Preferivo credere che anche per Jacob fossi io la sua prima volta e che proprio come me, non aveva avuto l’esigenza di sentire così profondamente nessun’altra ragazza.
«Dobbiamo proprio alzarci?», mormorò con voce roca.
«Sì», sorrisi baciandolo. «Stai anche per morire di fame».
Si lasciò andare sul materasso e mi fece un sorriso che mi sciolse.
In quel momento sperai che quella diventasse la mia normalità per tutta la mia esistenza, proprio come avevo fatto la prima sera che ero ritornata a La Push e lavavo i piatti nella sua piccola cucina.
Sentii un tuffo al cuore e un piacevole brivido che mi inebriava.
Mi alzai e m’infilai in bagno, anche se non avevo per niente voglia di togliermi l’odore e il sapore di Jacob di dosso. Però mi lavai, indossai dei jeans e un maglioncino verde dalla lana sottile, regalo di mio padre, e lasciai i capelli sciolti.
Guardandomi allo specchio ero uguale a prima e allo stesso tempo ero diversa, anzi nuova.
Quando ritornai in camera, mi accorsi che la bolla delle felicità in cui mi ero rinchiusa per un po’, cominciava a dissolversi pian piano.
Per tutte le ore trascorse tra le lenzuola con il ragazzo di cui ero innamorata, non ero riuscita a pensare ad altro che a noi e al nostro amore. Niente era più importante.
Adesso, una alla volta, ecco che riaffioravano le preoccupazioni.
Quil, Kate, il mio nuovo dono che al momento era scomparso, i miei genitori a cui avevo chiesto aiuto, Benjamin nei dintorni.
Tuttavia ero ben consapevole che non affrontando i problemi, questi tendevano ad ingigantirsi come non mai. Per alcuni purtroppo non potevo fare nulla affinché si risolvessero, per altri invece...
«Jake?», lo richiamai mentre sceglieva qualcosa dal guardaroba senza prestarci troppa attenzione.
«Sì?».
«Ora puoi dirmi che cosa c'è tra te e Kate per favore?».
Ogni qual volta c'era di mezzo quella bionda, io e Jacob rischiavamo di litigare, e ora come mai volevo evitarlo. Però non mi sembrava più il caso di aggirare sempre l'argomento non venendo mai al nocciolo della questione.
«Ora posso dirti che c'è fra me e Kate?», ripeté la domanda buttando sul letto un paio di jeans e una felpa col cappuccio.
Annuii con fermezza portandomi i capelli dietro l'orecchio. Non era mia intenzione essere assillante, ma lo sarei diventata se avesse continuato ad eludere l'argomento con le sue solite mezze frasi.
«Allora...», iniziò girandosi verso di me.
Indossava solo dei boxer neri e si teneva le mani sui fianchi. Era una distrazione. Sul serio. E per un attimo mi chiesi che cosa avrebbe potuto fermarmi d'ora in poi, dal mettergli le mani addosso in continuazione per il mio piacere personale.
«Perché specifichi ora?», chiese con un sorrisetto malizioso. «Credi di avere più diritto adesso che sei diventata indiscutibilmente e per sempre mia?».
In quel momento capii che cosa significava sentirsi su un piedistallo, o avere la testa tra le nuvole o le farfalle nello stomaco. Le persone hanno modi diversi di descrivere le forti emozioni che si provano ed io dovevo ancora trovare il mio.
Sentii un formicolio alla gola e un dolce calore che m'invadeva.
Jacob si era avvicinato e mi stringeva forte a sé.
«Io...».
«Non sai che cosa rispondere, Ness?», ridacchiò al mio orecchio.
«So che cosa rispondere», mi ripresi abbracciandolo. «Non è che ora abbia più diritto, solo che vorrei tanto sapere perché quella...quella Kate si presenta di notte a casa del mio ragazzo».
Gli occhi dolci e caldi di Jacob tradirono un fremito, poi la sua bocca accarezzò la mia. «È stata qui?», chiese piano.
«Ieri sera, poco dopo che sei andato via».
«Non avete litigato, vero?», chiese con un velo di preoccupazione nella voce.
«No, non proprio».
«Non proprio? Andiamo Nessie...».
«L'ho sbattuta contro la porta», dissi tutt'un fiato rendendomi conto solo allora di quanto fossi stata stupida e avventata.
I miei genitori non mi avevano educato a usare la violenza o la forza, se non in caso strettamente necessario. Beh quello era un caso necessario allora.
«Che cosa hai fatto?», sbottò Jake incredulo.
«Non le ho fatto niente, tranquillo. Ho solo marcato il territorio, voi lupi non lo fate?».
Jacob si sedette sul letto abbassando le spalle con sollievo. Si passò una mano sul viso e mi guardò in un modo che non seppi decifrare. «Noi marchiamo il territorio per motivi differenti e poi tu non sei una Quileutes», abbozzò un sorriso. «Che cosa ti sei messa in testa, piccola? Prima la questione dell'imprinting, ora questa di marcare il territorio».
Mi sedetti su una sua gamba guardandolo diritto negli occhi. «Semplicemente voglio vivermi al meglio la nostra storia, senza che qualcuno cerchi di metterci contro, è così strano?».
«Affatto», mormorò strofinando le labbra contro le mie e respirando forte prima di darmi un piccolo bacio. «Sono d'accordo con te...».
Ricambiai il suo bacio accarezzandogli la nuca. «Ora parla però, o speri che con due bacetti, io mi dimentichi di ciò di cui stavamo parlando?».
«Hmm...», mugolò stringendomi una gamba. «Ho voglia...».
Lo sapevo e lo sentivo. La sua erezione era schiacciata contro la mia gamba e il suo corpo aveva reagito quasi all'istante alla mia vicinanza, proprio come aveva fatto il mio.
«Io no».
«Bugiarda...», sibilò accarezzandomi il contorno del seno.
«Parla Jake», dissi con un po' di difficoltà.
«E tu dopo mi darai ciò di cui ho bisogno?».
Il mio stomaco gorgogliò. Estremizzava ogni cosa e quel suo modo di fare mi piaceva da morire. Mi faceva impazzire.
«Forse...».
«Mi lasceresti morire?».
«Non moriresti», mi scappò un ansito che lui apprezzò.
«Sì invece».
«No», gli strinsi i capelli fra le dita avvicinandolo al mio viso. «Parla», gli intimai ancora baciandolo.
«Se queste sono le torture... potrei anche tacere per sempre», disse accarezzandomi la schiena.
«Ti prego», mi lamentai salendogli a cavalcioni.
La lingua di Jake si fece largo nella mia bocca e il suo sapore e la sua foga mi fecero dimenticare all'istante tutto quanto.
Avvolta da una spirale di sensazioni troppo forti per poterle contrastare, mi abbandonai di nuovo al piacere.
«Non c'è niente fra me e lei», ansimò contro il mio orecchio, mentre i miei vestiti venivano irrimediabilmente strappati con un gesto secco e veloce.
«Proprio niente?», chiesi guidandogli la testa fino al mio seno che bramava quella sua bocca piena e la sua lingua calda.
Jacob mi succhiò i capezzoli con forza tanto che mi fece gemere. Poi la sua lingua si spostò giù per il mio ventre girando intorno all'ombelico e proseguendo la sua discesa...
«C'è stato qualcosa prima che arrivassi tu», disse con l'affanno. «Qualche bacio e nient'altro».
Inarcai la schiena quando la sua bocca raggiunse il centro del mio piacere e iniziò a stuzzicarlo con la lingua.
Una discussione importante di quel genere, poteva mai essere affrontata facendo preliminari? Avevo perso le speranze...
Non riuscivo più a collegare il cervello per fare delle domande sensate, sentivo solo voglia di lui, voglia di appagamento. A momenti sarei svenuta.
E come se Jacob avesse letto i miei pensieri si sollevò tornando a prendersi cura del mio seno mentre io impaziente mi ritrovai a ondeggiare con le anche verso di lui.
«Dimmi che mi vuoi», disse con voce roca.
«Sì... ti voglio».
Nello stesso istante in cui pronunciai l'ultima parola, affondò in me arrivando più in fondo che potesse.
Arpionai le mani sulla sua schiena mentre ogni singola spinta mi trasportava verso il picco di piacere.
Sapeva usare bene il suo corpo, Dio lo aveva ben proporzionato in tutti i suoi aspetti, anche quelli intimi.
Non mi dava un attimo di tregua a volte stentavo a respirare. Era così focoso... proprio come me lo immaginavo.
Arrivammo insieme all'orgasmo che stavolta sembrò infinito. In quel momento decisi che non c'era niente di più bello che fare del sesso. Si dimentica ogni cosa, persino ciò che si è. È una specie di cura per qualsiasi cosa non vada bene.
Jacob mi baciò l'orecchio mordicchiandomi il lobo e io lo abbracciai forte stringendomi a lui. Aveva la bocca un po' gonfia e le guance rosse.
«Ci sei solo tu per me e ci sei stata sempre e solo tu», mi disse contro l'orecchio. «Il fatto che io e Kate ci siamo baciati non significa nulla».
Gli accarezzai una guancia e strofinai il naso contro il suo. I suoi occhi neri erano lucidi e calmi. «Ci saresti andato a letto?».
Lui scosse la testa in modo deciso. «No».
«Perché no e come fai a esserne così sicuro?».
Il mio ragazzo mi guardò sbattendo le palpebre più volte. «Per lo stesso motivo per cui tu non hai fatto sesso con Baster, Nessie. Anzi, forse visto che l'imprinting è mio e sono io il lupo, per qualche altra motivazione in più».
Ah, avevo quasi dimenticato che Jake amava manifestare il fastidio per Benjamin chiamandolo in tutti i modi tranne che col suo nome.
«Pensavo che fossi arrabbiato con me».
«E lo ero. Moltissimo. Ma l'essere arrabbiato non cambiava lo stato delle cose. Io ti amavo. E quando si ama non si desiderano altre persone. E nonostante avessi la voglia matta di stare con qualche ragazza come tu stavi con Buddy, non ci riuscivo».
Deglutii... e io che pensavo che il mio Jacob fosse andando a divertirsi a destra e a manca per farmi i dispetti. E ora scoprivo che era tutto il contrario.
«Poi però è arrivata Kate...».
«Già, l'ho incontrata per caso in un locale a Forks e abbiamo iniziato a parlare, poi abbiamo legato sempre di più e la frequentazione è diventata fissa. Ma è una frequentazione di amicizia, altrimenti in due anni non ci saremmo scambiati solo qualche bacio. Le voglio bene e basta».
Non riuscivo proprio a farci niente, la odiavo. Aveva baciato il mio Jake e c'era stata quando io ero troppo stupida per esserci. Immaginare che la baciasse con la stessa dolcezza o foga con cui baciava me, mi faceva venire voglia di piangere, maledizione.
«Lei però prova qualcosa per te».
Jacob mi baciò portandomi i capelli dietro le spalle.
«Kate sa che per me non c'è rimedio a te».
«Parli come se fossi una brutta cosa».
Jacob sorrise poggiando la fronte contro la mia. «Nemmeno immagini cosa sei per me...».
Mi accarezzò le dita e all'improvviso il mio corpo sembrò avvertire uno strano stimolo provenire dal centro esatto della testa.
La mano di Jacob si strinse alla mia e il formicolio che preannunciava la lettura della mente iniziò ad avvolgermi le dita, poi la mano fino al polso. Il dolore che avevo avvertito le prime volte non c'era più, ora era solo fastidio, come se stessi perdendo la sensibilità... e la visione partì.
La voce di Jacob riecheggiava nella mia mente forte e chiara. Ti amo. C'era un grande sole al centro del cielo limpido. Sei tu il sole per me. C'era un cuore che batteva, un respiro regolare, tranquillità. Adesso è quello che sono, perché tu sei qui. Poi il sole si sgretolò come se fosse un specchio, la luce venne adombrata, il cuore era diventato nero. Così sarà se tu mi lascerai ancora...
«No, ti prego», mi lamentai riuscendo a sfilare la mano dalla sua. I suoi pensieri erano così vividi e strani... e la bella visione si era trasformata in un orribile incubo. «Non ti lascerò mai più».
Jacob pensava in termini di paragoni, non con i visi delle persone dalle quali scaturivano i pensieri. Era bello e forte e anche angosciante se mi trasmetteva immagini negative.
Lo abbracciai stretto sentendolo mugolare contro il mio orecchio.
«Ora credo che dovremmo proprio alzarci».
«Sì», concordai.
«Vorrei andare da mio padre a vedere se ha trovato qualcosa su Quil, vieni con me, vero?».
«Ovvio che sì, non ti lascio andare da solo».
Mi alzai dal letto e indossai una camicia nel frattempo che pescavo dalla valigia qualcos'altro da indossare, visto che i miei vestiti erano ormai inutilizzabili.
«Certo che hai una delicatezza...», borbottai recuperando il maglioncino verde. «Era un regalo di papà»
Jake ridacchiò. «Sono felice di averlo strappato allora».
Mi ritrovai a sorridere nonostante tutto e poi qualcuno suonò il campanello. Mi precipitai fuori dalla stanza lanciando al volo i jeans rotti nel cestino dell'immondizia e tenendo invece il maglioncino per vedere di ripararlo, e quando aprii la porta mi ritrovai a sgranare gli occhi.
«Mamma, papà...».
Mio padre si sporse appena all'interno della casa guardandosi intorno. Poi sorrise prima di urlare. «Maledetto Black! Come hai osato strappare il maglioncino della mia bambina!».



Angolino Autrice

Ciao a tutti, finalmente sono tornata! EFP e tutte le mie storie mi sono mancate. Stasera non mi dilungo tanto, ma volevo dirvi che durante qsta vacanze i numeri delle mie storie sono aumentate moltissimo e volevo condividere qsta mia grande gioia anche con VOI ! In più ringrazio tutti i nomi presenti nell'elenco. Un GRAZIE GIGANTE e a domenica! <3 <3

 



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Capitolo 16
*** Qualche Preoccupazione Di Troppo ***


 

 La morte mi spaventava.
 Ma l'orrore di trascorrere la mia eternità senza di lui,
era peggiore della morte stessa.



Renesmee

 

 

 

Non riuscivo a crederci.
Sentivo ancora addosso il calore di Jacob, avevo in bocca il suo sapore e davanti ai miei occhi c'erano i miei genitori.
Non mi sarei mai aspettata una situazione così imbarazzante. Mi sentii avvampare e mi mangiucchiai un'unghia.
«Che cosa ci fate qui?», chiesi quasi con voce stridula. Non che non fossi felice di vederli, ma la circostanza era quella che era. Sembrava quasi che fossi stata colta a commettere un furto di gioielli proprio di fronte a una telecamera che aveva osservato ogni singolo movimento.
La cosa mi sembrava gravissima e non ne capivo nemmeno il motivo. Oppure era normale, mi trovavo davanti ai miei genitori e avevo appena fatto sesso col mio ragazzo. E non avevo la minima possibilità di nasconderlo perché con i poteri sovrannaturali che si ritrovavano, probabilmente l'avevano capito già a decine di metri di distanza.
Per fortuna mia madre non ostentava nessun senso di fastidio, mi sorrideva dolce, mentre mio padre... papà aveva la faccia inacidita come qualcuno che ha appena mangiato un limone.
«Non sei felice di vederci, tesoro?», chiese mia madre stringendomi in un abbraccio.
«Ma certo, solo che non me l'aspettavo», cercai di sorridere con disinvoltura e ricambiai il suo abbraccio, poi mi voltai verso papà: teneva le mani in tasca, si stringeva nelle spalle e puntellava con i piedi sul pavimento, sembrava infreddolito o sul punto di scappar via a gambe levate, non lo capii. «E tu non mi vuoi abbracciare? Sono la tua unica figlia, te lo ricordo», lo presi in giro con un po' di titubanza.
«Togliti quella sgradevole puzza che hai addosso», borbottò guardando lontano.
Nonostante l'imbarazzo e il ricordo di aver pensato che nessuno doveva osare dire a Jacob che puzzava, la sua espressione abbattuta, insieme al suo tono di voce, mi fece venire quasi da ridere. Il mio papà era geloso.
Cercai di rendergli le cose più facili, per cui, anche se era un’ardua impresa, evitai di pensare a come io e Jacob avevamo trascorso il tempo nelle ultime ore.
«Io non vedo nessuna bambina qui», asserì il mio lupo facendo la sua entrata trionfale. «Edward, dovresti andare avanti e digerire il fatto che tua figlia è ormai una donna», disse serio cercando di non ridere... e toppando inesorabilmente di brutto.
«Pervertito, finalmente ci sei riuscito», ringhiò mio padre fra i denti. «Me l'hai portata via».
Mi grattai una guancia e mi diedi un'occhiata fugace con mia madre che aveva abbassato le palpebre in un'espressione buffa che stava a dire: patetico.
«A dire il vero nel momento in cui l'ho guardata negli occhi, te l'avevo già portata via, solo che tu con la tua testardaggine, hai voluto credere il contrario. E per tutto questo tempo non hai fatto altro che scommettere con quei balordi dei tuoi fratelli».
Diedi una gomitata nelle costole a Jacob minacciandolo con gli occhi e poi nascosi il maglioncino strappato, dietro le spalle.
Povero papà, era così debole in quel momento e lui non perdeva occasione per infierire.
«Oh, ma che cosa fate lì sulla porta? Perché non entrate? Dobbiamo fare una bella chiacchierata, è un bel po' che non ci vediamo», disse Jacob con gentilezza.
«Vatti a rivestire», ringhiò mio padre verso di lui. «Tanto ormai non fa più impressione a nessuno vederti mezzo nudo come un verme».
Non ero d'accordo con mio padre, vedere Jacob mezzo nudo aveva i suoi vantaggi. Era così scolpito, con i muscoli guizzanti ogni dove...
Non appena mi accorsi che mio padre mi guardava scandalizzato, mi diedi della scema da sola e cambiai l'indirizzo dei miei pensieri.
«Datti una calmata, papà!», esclamò Jacob portando le mani in avanti. «Questo non è il giusto trattamento da riservare al fidanzato di tuo figlia. Tuo genero», ammiccò.
«Meglio morire subito!».
«Allora vai a farti un giro in Italia».
«E non osare mai più chiamarmi papà!».
Jacob rise di brutto. «Papà, papà!», esclamò divertito. «Ok, la smetto».
«Grazie per l'invito Jacob», rispose mia madre calmando l'animo di suo marito. «Ma dobbiamo raggiungere subito Carlisle nella nostra vecchia casa, sta sistemando alcune apparecchiature».
«Per Quil?», chiesi spontaneamente.
Annuì. «Quindi ci vediamo lì, non appena sarete pronti».
Mio padre lanciò un'occhiataccia velenosa a Jacob e scomparve quasi subito, senza neppure salutare; mia madre scrollando le spalle, lo seguì.
Quando la porta si richiuse, mi ci poggiai contro piegandomi sulle ginocchia e strofinandomi forte il viso.
«Che figuraccia», dissi tra i denti.
Jacob invece, incurante come al solito, ridacchiava. Lo guardai di traverso e lui rise ancora più forte. «Andiamo Nessie, sapevano anche loro che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. Fidati, non si sono scandalizzati, loro fanno anche peggio».
«Jacob, sono i miei genitori!».
Il mio ragazzo mi venne di fronte e si chinò sulle ginocchia prendendomi il mento fra le dita. Mi accarezzò le labbra con le sue prima di scoccarmi un bacio.
«Dopotutto Edward non si è arrabbiato molto, anzi non si è arrabbiato per niente».
«Secondo me era furioso, solo che mia madre l'ha minacciato in qualche modo e quindi lui si è contenuto».
Mi baciò ancora. Sentii un lieve cambiamento nella pressione delle sue labbra o forse erano state le mie. «Brava Bells», mormorò. «Negli anni è migliorata».
«Forse è meglio muoverci... dobbiamo raggiungerli», dissi senza convinzione.
Non era possibile che non appena mi era vicino, la mia mente non ragionava più. Un fuoco divampava dal nulla e m'investiva. Il sangue diventava lava. Tutto scompariva. No... non credo che fosse normale.
Roba da creature sovrannaturali forse.
«Sì, hai proprio ragione». Fu lui il primo a staccarsi, contro ogni aspettativa. Mi prese le mani dolcemente e mi tirò su stringendomi forte a sé.
«Ti prego non farlo arrabbiare troppo», sussurrai al suo orecchio.
«Ma Nessie, uffa però. Lui mi ha fatto le torture in questi anni».
«Ti prego», provai ancora accarezzandogli la nuca.
«Ok, ci proverò», disse infine. «Ora muoviamoci, chiamo Quil e gli dico di aspettarci lì».
Mentre a debita distanza ci preparavamo, sentii l'ansia salire a dismisura.
Mio nonno avrebbe scoperto se in Quil c'era qualcosa che non andava e se era una patologia che poteva espandersi anche a tutto il branco. Oppure non avrebbe cavato un ragno da un buco e in quel caso sperai che le ricerche di Billy andassero a buon fine.
Anche se avevamo trascorso un giorno indimenticabile, rendendo il nostro rapporto indissolubile, la paura che l’imprinting svanisse, mi attanagliava.
Ero una codarda e lo sapevo bene, in più mi piacevano le cose facili. Senza imprinting, non sarei stata in grado di tenere Jacob stretto a me. Quel pensiero era così umiliante...
«Auto o corsa nei boschi?», mi chiese avvolgendomi la vita in un abbraccio a metà.
«Corsetta», dissi subito, «è da un pezzo che non vedo il mio lupo».
Mi fece un sorriso così solare e spontaneo che mi scaldò il cuore facendolo andare più veloce. Quando Jacob rideva, diventava speciale. Era difficile da spiegare la sensazione che mi faceva provare, ma corrispondeva a un cieco che vede per la prima volta il sole, volendolo dire con parole banali.
Mentre, se avessi voluto spiegarlo a parole mie non avrei potuto, perché ancora una volta, le parole adatte a quello che mi faceva provare, non esistevano sul nostro pianeta.
Quando uscimmo di casa e raggiungemmo gli alberi limitrofi, scrollai appena le spalle per liberarmi di un po' di tensione. La mano di Jacob che stringeva la mia, mi lasciò e mi ritrovai da sola a calpestare il terriccio morbido di quei boschi.
Il mio olfatto non era in allenamento, ma non sarebbe stato difficile riprendere le vecchie abitudini.
Una volta imparato mai più dimenticato.
Era così che mi diceva sempre Jacob, dopo avermi insegnato qualcosa, oppure dopo aver studiato un paragrafo di storia o una formula di chimica.
La foresta era debolmente illuminata dalla luce di una luna che giocava a nascondino dietro le nuvole. Odori primordiali di terra e radici si mescolavano alla fragranza dei fiori notturni, allo sbattere delle ali dei pipistrelli, al verso dei gufi e al tonfo delle zampe di lupo che artigliavano il terreno.
Lì c’era vita… un angolo incontaminato del globo dove passato, presente e futuro, s’incontravano; un angolo in bilico tra normale e sovrannaturale.
In ogni persona esistente ci dovrebbe essere un po’ di La Push, sarebbe un mondo migliore.
Mossi qualche passo in avanti, sentendo l’aria fresca della notte sul mio viso. I ricordi sopiti si risvegliarono proprio come i miei sensi. Quello era il luogo dove avevo trascorso la mia bellissima infanzia, insieme a Jake e a tutti i suoi amici. Il posto magico dove per la prima volta mi ero accorta che il mio migliore amico era diventato qualcosa di più.
Corsi verso Ovest, verso la mia vecchia casa, schivando rami e cespugli che intralciavano il mio percorso. Saltai giù da qualche roccia, dirigendomi verso il cuore del territorio Quileutes e contai i secondi rimanenti prima che Jacob mi raggiungesse.
Mi fermai di scatto, in bilico su uno spuntone di roccia sospeso sul fiume che una volta delimitava il territorio di noi Cullen. Sorrisi con i capelli che svolazzavano al vento, quando sentii una presenza alle mie spalle. Feci un balzo all’indietro, tornando al sicuro e mi fermai a pochi centimetri dal muso di Jake.
Lui in risposta sbuffò contrariato, guardandomi di traverso.
Lo osservai in tutta la sua maestosa bellezza e quasi rimasi senza fiato. Il mio lupo…
Il suo pelo rossiccio e lucido, danzava col vento e i suoi occhi erano talmente umani, da sconcertare. Il lupo era radicato in Jacob, ormai erano un tutt’uno.
Allungai una mano e gli accarezzai la testa mentre lui continuava a fissarmi negli occhi, senza mai spostare lo sguardo.
Avrei voluto dirgli ti amo in quel momento, ma una strana sensazione me lo impedì.
C'era qualcosa che non andava. E anche Jacob se n'era accorto. Neppure il verso dei gufi si sentiva più. Vidi il mio lupo annusare l'aria guardingo, la stessa cosa che feci io, senza ottenere alcun risultato. Lì, di odori sospetti, non ce n'erano.
Jacob mi spinse col muso in avanti, così mi affrettai a riprendere la corsa che avevo interrotto.
In quel momento mi venne in mente Kate e le sue parole: Jacob è più debole se ci sei tu e questi non sono tempi facili per loro. Mi chiesi che cosa volesse dire e se fossi stata troppo stupida decidendo di non parlargliene quando avevo avuto l'occasione.
Se gli fosse accaduto qualcosa, non me lo sarei mai perdonato. Meglio morire all'istante.
Corsi in parallelo a lui, senza perderlo mai di vista. I nostri ruoli si erano invertiti e lui neppure lo immaginava.
Nel giro di qualche minuto arrivammo alla mia vecchia casa e quando mi fermai affondando con i piedi nella ghiaia, mi guardai alle spalle perché avevo la netta sensazione che qualcuno potesse afferrarmi da un momento all'altro, sbucando dai cespugli. Un brivido intenso mi fece accapponare la pelle.
Jacob uscì dagli alberi sotto forma di lupo e venne con me fin sotto al portico. Anche lui si guardò alle spalle.
Non appena girai il pomello della porta, lui era a fianco a me e mi poggiava la mano sulla schiena sospingendomi all'interno.
«Jake c'era qualcosa che non andava».
«Lo so», disse fra i denti. «Ma non c’è niente. Anche i ragazzi ne sono convinti, non c’è nessuna traccia. Comunque qualcuno di loro è nei paraggi». Mi baciò i capelli. «Non preoccuparti».
Sospirai e scacciai quelle cattive sensazioni. A volte la mente è capace di tirare brutti scherzi, basta una preoccupazione.
Mossi qualche passo in avanti sul parquet liscio e immacolato.
Le luci erano tutte accese e l’odore era quello di sempre, anche se non vivevamo più lì da due anni ormai. Era come se tutto fosse rimasto intatto, congelato: il pianoforte a coda posizionato vicino alla vetrata, il televisore appeso alla parete che trasmetteva quasi sempre partite di baseball, i divani dove Jake dormiva.
Mi era mancato quel luogo e solo adesso me ne rendevo conto. Migliaia di ricordi mi danzarono davanti agli occhi insistentemente.
Ad accoglierci trovammo i miei genitori, insieme a Paul che sghignazzava.
«Dov'è il nonno?», chiesi impaziente.
«Non voleva perdere tempo, per cui sta già visitando Quil».
«Da quanto tempo sono di sopra?».
«Poco più di un’ora».
Mi mordicchiai le labbra. La questione dell'amico di Jacob mi innervosiva come non mai. La paura che potesse succedere anche agli altri membri del branco mi faceva tremare il cuore.
Raggiunsi i miei genitori sedendomi in mezzo a loro, mentre Jacob aveva iniziato a parlare in disparte con Paul.
«Non c’era bisogno di venire fin qui, sapete? Saremmo venuti io, Jacob e Quil», dissi sfregandomi le mani sui jeans.
«Tuo padre era preoccupato per ciò che mi hai detto al telefono. Il fatto de tuo nuovo potere... e anche la strana vicenda di Quil, che sembra abbastanza seria. Abbiamo deciso di farci una piccola vacanza, nessun disturbo per noi. Ma ora dicci di questa nuova capacità...».
«Te l'ho detto mamma, sono riuscita a leggere i pensieri di Jake», asserii minimizzando la questione.
Anche se il mio potere si era manifestato ormai da adulta, non c'era niente di strano, forse era un tratto ereditato da mio padre e poi quella al momento era l'ultima delle mie preoccupazioni.
Si doveva risolvere prima la questione di Quil, il branco doveva essere al sicuro da ogni rischio. Se il gene si fosse addormentato in ognuno di loro, sarebbero tornati ad essere degli umani. Fragili umani. E il pensiero che il mio Jacob non potesse più difendersi dai vampiri e che il suo corpo sarebbe diventato un facile bersaglio per la morte, mi gettava in uno stato di panico.
Per un istante pensai se i miei genitori avessero acconsentito a trasformarlo in vampiro per fargli vivere l'eternità insieme a noi.
Poi non appena vidi mio padre sbattersi una mano sulla fronte, feci marcia indietro e pensai che sarebbe stato Jacob a non acconsentire mai, sempre che la mia idea fosse stata fattibile, ovviamente.
«Emh... a volte, quando mi stringe la mano avverto uno strano formicolio che mi avvolge fin sul polso e poi parte la visione».
«E hai provato solo con Jacob?».
«Non ho provato, è venuto da solo come un impulso. Inizialmente era doloroso, ora è solo fastidioso. Non riesco a controllare questa facoltà, si manifesta senza volere».
«Prova con me», mia madre allungò una mano.
Gliel'afferrai stringendola, provai anche a concentrarmi. Era fredda... e calda allo stesso tempo. Sorrisi per quei pensieri. Calda d'amore pur essendo fredda al tatto.
Scossi la testa in senso negativo. «Niente».
«Tuo nonno ti farà una visita».
«C’è tempo mamma», dissi poggiandomi con la testa alla sua spalla. «E gli zii come stanno? Gli manco? Ah, papà devo dirti l’ultima di zia Rose!», esclamai riferendomi al fatto che avesse spifferato quasi sicuramente al mio ex ragazzo Benjamin, dove mi trovavo.
Proprio dopo aver pronunciato la mia ultima frase, mio nonno ci raggiunse dal piano superiore. Erano anni che non gli vedevo formarsi quella piccola ruga d’espressione sulla fronte. Teneva gli occhi fissi sul palmo della sua mano, mi chiesi che cosa stesse guardando di così importante oppure era solo sovrappensiero. «Io... sono sconcertato», iniziò più pallido del solito. «Prepariamoci al peggio, perché ciò che ho trovato non è per niente positivo».

 

Angolino Autrice

Buona Domenica a tutti voi. Questo capitolo mi sa tanto di quiete prima della tempesta, boh.
Ringrazio in anticipo tutti voi che passarete a dare un'occhiata a questo capitolo e a voi che mi lascerete un pensiero.
Oggi voglio segnalarvi una mia nuova long su Paul e Rachel La Bussola dell'Amore
E una OS rating verdissimo che fa un pò ridere, non si può vivere solo di drammi  L'amore a nove anni non è uno scherzo
A domenica prossima <3

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Capitolo 17
*** Un Pugno Nello Stomaco ***


Dopo aver visto il Paradiso
come credi di riuscire a lasciartelo alle spalle?
Non è possibile.
Anzi… forse lo è, ma le pene dell’Inferno
sono assicurate.

 

Renesmee

 
 
 
 
Mio nonno era sceso silenziosamente dal piano superiore con il volto che non preannunciava nulla di buono.
«Prepariamoci al peggio, perché ciò che ho trovato non è per niente positivo», disse all’improvviso.
Una delle finestre dell’ampio salone era aperta e lasciava entrare un venticello tagliente che sferzava le fronde pesanti degli alberi intorno alla proprietà.
Soffocai un gemito e mi strinsi nelle braccia. La paura che fosse qualcosa di più grave rispetto a ciò che avevo realmente ipotizzato,  mi faceva tremare.
Cercai di calmare il mio cuore per evitare che Jacob lo sentisse e si preoccupasse troppo per me, volevo evitare di dargli ulteriori preoccupazioni.
Cercai subito il suo sguardo che a primo acchito non mi diede l’impressione di essere turbato, solo impaziente di conoscere più particolari.
Paul al suo fianco era guardingo, con le braccia incrociate sul petto e sbatteva il piede in terra a intervalli lenti e regolari.
Forse erano abituati a bel altro che a ricevere un brutta notizia.
«Quil sta bene?», chiese Jacob a mezza voce.
«Sì, per adesso sì».
Sentii il braccio di mia madre cingermi le spalle mentre papà si era alzato e contemplava il panorama notturno dalla finestra. Evidentemente, lui sapeva già tutto.
«Per adesso?», chiede Paul. «Che significa? Potrebbe succedergli qualcosa?».
«Sì», rispose nonno Carlisle risoluto. «Solo che non è ho la certezza».
«L’hai visitato?», chiese Jacob.
Lui annuì. I suoi occhi dorati erano seri e celavano qualcosa che in quel momento mi fece davvero temere per la vita di Quil.
«Il tuo amico scoppia di salute. Ho fatto una normale visita medica e tutti i suoi valori sono perfetti, non ha nemmeno l’ombra di una piccola infezione, così per vederci meglio, ho deciso di eseguire una tac».
«E allora?», sbottò Jacob sempre più irrequieto.
«E allora… il tuo amico ha un congegno conficcato sottopelle alla base della nuca. A dire il vero è molto più che sottopelle, è impossibile da vedere a occhio nudo ed era anche impossibile che lui si accorgesse di averlo».
Mi si serrò la gola e deglutii a fatica. Nonostante non conoscessi ancora nessun particolare a riguardo, entrai in confusione insieme a tutti i presenti. Solo mio nonno e mio padre sembravano riuscire a tenere a bada la sorpresa e la preoccupazione di quella scoperta, per noi altri era un fulmine a cielo sereno, lo potevo leggere nella bocca serrata di Jacob, nelle spalle contratte di Paul e nell’espressione spiritata di mia madre.
«Che congegno?», chiese Jacob dopo qualche instante.
«È un microchip. Una componente elettronica. Nella maggior parte dei casi non sono nocivi e non arrecano danni. Si usano sugli animali domestici per la loro individuazione in caso di smarrimento e ultimamente si sta decidendo anche di usarlo sulla popolazione mondiale, come se fosse un GPS, ma quello di Quil ha un altro scopo».
«Quale?».
«Il microchip è posizionato precisamente sul cervelletto, Jacob… che è un organo coinvolto nel controllo motorio. Ecco perché Quil non riesce più a mutare, quel marchingegno ha bloccato in qualche modo il suo gene di licantropo».
«E allora toglilo», disse con ovvietà. Avevo visto un leggero tremolio delle sue mani che lui aveva subito nascosto infilandosele nelle tasche.
«Assolutamente non posso, lo ucciderei o lo ridurrei su una sedia a rotelle».
Sbarrai gli occhi e Jacob prese un grosso respiro prima di venirsi a sedere sul tavolino basso di fronte ai divani dov’ero io. Si poggiò i gomiti sulle ginocchia e aveva lo sguardo fisso sul pavimento. Gli accarezzai il braccio per confortarlo un po’, ma lui non sembrò accorgersi del mio tocco.
«Chi può aver fatto una cosa del genere?», chiese sollevando gli occhi verso mio nonno.
«E proprio questo che volevo chiederti, Jacob. Hai qualche idea? Ricordi di aver visto qualcosa di strano ultimamente?».
Lui scosse lentamente il capo. «No, niente e ci metto le mani sul fuoco. Da quando Nessie è tornata, i miei controlli sono stati più accurati e nel nostro territorio è tutto più che tranquillo».
«Quil è stato trovato svenuto nelle loro terre, Jacob», asserì Paul.
«Lo so bene e sai anche tu che chi l’ha ritrovato, non ha visto né sentito niente di sospetto».
«L’istallazione del microchip è recente, una decina di giorni al massimo, la pelle è ancora leggermente escoriata ed essendo bloccato il suo gene di lupo, anche la guarigione è tornata agli standard umani».
«Già», sussurrò Jacob. «Niente lupo, niente imprinting, niente guarigione miracolosa, mi sembra ovvio».
«È assurdo», sibilò Paul, passandosi una mano fra i capelli. «Quindi, potrebbe succedere qualcosa di grave al nostro amico?».
«Voglio essere sincero con voi ragazzi, in modo che sappiate a che cosa potreste trovarvi davanti», iniziò mio nonno camminando verso le finestre. «Potrebbe essere che quel microchip abbia una scadenza e finito il tempo di utilizzo, si spenga da solo, si annulli in pratica e i suoi effetti svaniscano. Ma c’è anche la possibilità che una volta terminato il suo lavoro, si autodistrugga».
«Mi stai dicendo che la testa di Quil potrebbe saltare in aria da un momento all’altro?», sbottò Jacob con gli occhi sgranati.
Mio nonno non rispose, ma non c’era bisogno che lo facesse, la risposta era stampata sul suo volto pallido e cupo.
«Che cosa possiamo fare?», chiese Paul mentre Jacob aveva iniziato a camminare avanti e indietro come un forsennato. «Ci deve essere un modo».
«Innanzitutto evitate che qualcuno metta il microchip anche a voi», s’intromise mio padre. «Senza il vostro potere, siete dei semplici umani e non sarete d’aiuto né a voi né a nessun altro».
«Qualcuno ci ha scoperto…», sussurrò Jacob digrignando i denti. «Altrimenti tutto questo non avrebbe senso. Sanno della nostra esistenza e ci vogliono annullare, spegnendo il nostro gene. E forse dopo averci reso innocui, ci uccideranno uno dopo l’altro».
Mia madre si irrigidì e cercò lo sguardo di mio padre che scosse all’istante la testa.
«Che cosa?», sbottai. «Che cosa stai pensando mamma? Parla».
Mi asciugai i palmi delle mani sui jeans e anch’io mi alzai dal divano, non riuscendo più a rimanere ferma. Era escluso che l’ipotesi di Jacob potesse essere vera, escluso! Nessuno li aveva scoperti, nessuno voleva ucciderli!
«Ho pensato ai Volturi», rivelò mia madre con qualche titubanza. «Loro sanno dell’esistenza dei lupi e sappiamo anche che li temono. Forse stanno organizzando la loro vendetta nei nostri confronti per l’affronto subito anni fa e iniziano con l’eliminare quella che potrebbe essere una nostra grande forza».
«Alice avrebbe visto qualcosa», disse mio padre.
«Non è vero Edward», sbottò Jacob. «Sappiamo bene che quando siamo coinvolti noi lupi, non riesce a vedere nulla».
«Non è detto. Ha visto te e Renesmee per esempio. E poi tiene d’occhio i Volturi, se avesse visto qualcosa di strano, ce ne avrebbe parlato».
A ogni modo, mio padre tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e si precipitò in un’altra camera a telefonare.
«Comunque sia, non ci sono loro tracce nei dintorni», disse Paul con fermezza. «Non credo che possano rendersi invisibili».
Jacob lo guardò con sguardo truce. «Lo sai anche tu di che poteri sono dotati. Che cosa ne sai? Magari, all’allegra compagnia, si è aggiunto qualcuno con questa capacità, non possiamo escludere niente nella condizione in cui ci troviamo».
Poi lo sguardo di Jacob trovò il mio e i suoi occhi non mi piacquero. Si mise le mani sui fianchi e strinse i denti… oh, non mi sarebbe piaciuto affatto quello che mi avrebbe detto.
«Nessie, devi tornare a casa. Lontano da qui».
Mi si raggelò il sangue nelle vene. Fu come ricevere un pugno nello stomaco. «Non dire idiozie Jake, io non ti lascio da solo».
«Tu invece fai le valigie e parti con tua madre. E non fai discussioni»,
«Non esiste!», puntai i piedi a terra.
Come poteva chiedermi di lasciarlo sapendo che c’era il rischio di non vederlo mai più? Ora che la situazione cominciava a essere più chiara, sentivo il terrore che mi scorreva nelle vene insieme al sangue. Non l’avrei lasciato mai, a costo di rimetterci la vita.
 «C’è la possibilità che Quil conoscesse chi gli ha impiantato il microchip, Jacob», disse ancora mio nonno.
Volevo scoppiare a piangere e distruggere qualsiasi cosa che mi venisse a tiro, non stava succedendo a me, a noi. Non volevo crederci. Era meglio distrarsi e non continuare il discorso, magari Jacob se ne sarebbe dimenticato avendo cose più importanti a cui pensare.
«Che cosa vuol dire?», chiese lui con un sopracciglio alzato.
«Che era sottoforma umana quando gli è stato impiantato».
«La notte in cui presuppongo che gli abbiamo messo quella cosa in testa, Quil era di ronda, quindi non poteva essere umano. Chiederei direttamente a lui, ma non ricorda un bel niente della notte in cui è svenuto».
«Può essere che abbia avuto un motivo valido per mutare e che qualcuno lo tenesse già d’occhio e abbia approfittato per impiantargli il microchip. E… vista la precisione e la profondità a cui si trova, credo che l’abbiano fatto con un’arma, una pistola per esempio».
Jacob si strofinò gli occhi e poi guardò il soffitto con esasperazione. Il suo polo d’Adamo andò su e giù e poi tornò a guardarmi ed io girai velocemente la testa.
«Nessie, è inutile che fai così», continuò. «Se è necessario ti ci porto di peso in Alaska».
«Non mi muovo di qui!».
«Tesoro, sii ragionevole», s’intromise mia madre. «Jacob potrà tenere meglio la situazione sottocontrollo se non deve preoccuparsi anche per te».
Ed ecco che le parole di Kate, mi scoppiarono nuovamente in testa come una bomba atomica: Jacob è più debole se ci sei tu e questi non sono tempi facili per loro.
Il mio cuore si fermò per poi ripartire velocemente. La mia mente lavorò solitaria per qualche istante, prima di capire il da farsi.
«Vuoi che me ne vada?», chiesi a denti stretti a Jacob che annuì con fermezza. «Vuoi che me ne vada, anche se ti dicessi che a quel punto non tornerei più indietro?».
Vidi mia madre poggiarsi una mano sulla fronte, segno che non approvava ciò che stavo facendo, ma a me non importava per niente.
Jacob mi si avvicinò, la sua faccia non era amichevole, anzi era ostile come solo poche volte era stato con me.
«Sì, voglio che te ne vai. Preferisco non vederti più e non saperti morta».
«Mi stai…».
«Ti sto cacciando, sì. O lasciando. O ti sto solo dicendo ciao, a presto. La scelta spetta a te».
Credetti che il mondo potesse sgretolarsi intorno a me da un momento all’altro. Non poteva essere così crudele, non mi poteva ricattare a questo modo, mettendomi davanti a un bivio così doloroso.
Dovevo andare via e basta, non avevo altra scelta. E qualunque decisione avessi preso, vinceva lui. Se fossi rimasta contro la sua volontà, mi avrebbe lasciato, cosicché fossi stata costretta a tornarmene comunque a casa. Se avessi deciso di andare via, il nostro rapporto non avrebbe subito cambiamenti… ma sarei tornata in Alaska, lontano miglia e miglia da lui.
«Lo sai che cosa ho provato in questi due anni che siamo stati lontani. Anche tu sei stato male…».
«Ho mentito in parte», disse con sguardo vitreo. «Non sono stato poi così male, visto che ero quasi sempre nei dintorni di casa tua».
«Menti», sussurrai con un magone alla gola.
«Tu lo sai quando mento», affermò secco. «Però puoi leggermi nella mente per accertarti».
Mi porse la mano che io non afferrai e feci un passo indietro, poi un altro ancora. Jacob ostentava fermezza, ma i suoi occhi cominciavano a tradire emozioni, come tristezza, dispiacere e paura.
«Perché mi stai facendo questo?», chiesi con voce incrinata scoppiando a piangere. «Perché proprio adesso che tutto è così perfetto fra di noi?».
Mi girai, allontanandomi a grandi passi e andai a sfogare il mio dispiacere fuori di casa, lontano da tutto e da tutti.
Mi sedetti suoi gradini del porticato, poggiando le fronte sulle mie ginocchia e sfogando un po’ della mia frustrazione. Erano giorni che non piangevo ed ero carica come non mai, non ero abituata a sopportare così tante cose, senza sfogare tutto in lacrime. Purtroppo era quello il mio metodo per risollevarmi d’umore.
Poi mi venne in menta un’idea che camuffai velocemente con altre centinaia di preoccupazioni, per evitare che mio padre mi bloccasse prima ancora che riuscissi a muovere un piede.
Mi alzai, con l’immagine fissa di Jacob davanti agli occhi che ammetteva di avermi mentito. E di avermi deliberatamente lasciato soffrire per due lunghi anni, rimanendo nascosto ai miei occhi, quando invece saremmo potuti stare insieme… e m’incamminai lungo il sentiero.
Io soffrivo e lui mi guardava soffrire, senza fare niente, facendomi pagare il doppio per i miei sbagli. Non credevo di meritare una punizione così crudele, proprio da lui poi. Ma si sa che sono sempre le persone che ami di più a farti del male.
Iniziai a correre addentrandomi nella foresta e quando fui abbastanza lontana, scacciai il risentimento per Jacob e misi a fuoco il mio obiettivo: Kate. Proprio a casa sua stavo andando e se non mi avrebbe detto ciò che sapeva, stavolta l’avrei uccisa sul serio.
 
 
Angolino Autrice

Ciao a tuttissimi, vi giuro che mentre scrivevo questo capitolo avevo un peso sullo stomaco uh. Era come se Jacob stesse lasciando me :'( che brutta sensazione.
Spero che questo capitolo vi piaccia e visto che ho terminato l'ennesima storia, mi sn impegnata a scriverne un'altra, stavolta però originale romantica *-* spero che ci facciate un salto, si tratta di cinque storie differenti ma intrecciate tra di loro tramite l'amicizia di cinque ragazzi, questo è il link de primo ragazzo e da questo troverete anche gli altri:DARK SHADOWS
A domenica prossima! <3 <3 <3

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Io Sono La Tua Forza ***


L’amore ti infonde forza. La debolezza è solo paura.
A volte si capisce quando è troppo tardi.
A volte… si fa in tempo.
E non c’è cuore più coraggioso di quello che sente il palpito vibrante
del suo cuore gemello.

 
 

Renesmee

 
 
 
 
Mi sedetti su un ramo in cima a un albero e osservai la casa di Kate dall’altro lato della strada.
Avevo ancora l’affanno e stavo aspettando che la rabbia si attenuasse un po’ prima di bussare alla sua porta, altrimenti avrei commesso il primo grosso guaio della mia vita.
Jacob mi aveva messo davanti a una scelta, che scelta non era, perché qualsiasi decisione avessi preso, mi avrebbe portato lontano da lui.
E io non volevo stargli lontana.
Tutto era a causa del microchip impiantato nella testa di Quil e il non sapere come toglierlo, se fosse pericoloso e se anche gli altri membri del branco potessero andare incontro alla stessa sorte.
Non avevo la più pallida idea di che cosa stesse accadendo, ma Kate ne sapeva qualcosa. Le parole che mi aveva detto a casa di Jacob e che in un primo momento avevo ritenuto soltanto chiacchiere, adesso ero certa che significassero qualcosa.
Saltai giù dall’albero e mi sistemai i vestiti e i capelli per evitare di sembrare una pazza invasata e poi feci qualche passo in avanti.
La casa di Kate si trovava nella zona residenziale di Forks, dove le villette si susseguivano a schiera le une dopo le altre, con le loro belle staccionate bianche e il prato curato e verdeggiante.
Fu proprio prima di muovere un altro passo che sentii dei rumori alle mie spalle; rumori troppo forti e goffi per essere provocati da un vampiro o da un lupo.
«Renesmee, piccola mia, che cosa ci fai qui?».
Davanti ai miei occhi c’era Benjamin, il mio ex ragazzo. Evitai di lasciarmi andare a un sospiro di frustrazione, la sua presenza era l’ultima cosa che mi ci voleva.
«Dovresti sapere che è pericoloso andare in giro di notte in questi boschi», continuò avvicinandosi a me. Indossava la sua classica divisa da lavoro color cachi e i capelli erano pettinati all’indietro.
«Beh, anche tu dovresti saperlo».
«Io sono un uomo».
Alzai gli occhi al cielo. «E io sono una donna, Benjamin. La discriminazione fra i sessi, è roba vecchia ormai».
«Che cosa stai facendo?», mi chiese puntandomi una torcia in viso.
Feci una smorfia e pensai che se quel ragazzo avesse conosciuto un minimo della realtà che stesse cercando o degli esseri che popolavano la foresta che lui si ostinava a perlustrare, sarebbe scappato via a gambe levate e probabilmente avrebbe cambiato lavoro e rifatto persino il college, scegliendo un’altra tesi di laurea.
«Mi sono improvvisamente interessata al paranormale, proprio come te», dissi con tono troppo arcigno.
«E perché lo dici con quella voce? Come se mi stessi prendendo in giro?».
«Figurati… è solo la tua impressione», mentii guardando di nuovo verso la casa di Kate. «Sei qui da solo?».
«Siamo in cinque», asserì fiero. «Ci tentiamo in contatto con queste», concluse mostrandomi un ricetrasmittente.
«Quando tornerete a casa?».
«Non credo tanto presto. Questa è una terra piena di segreti».
«Certo, certo», imitai il tono sarcastico di Jacob. «Beh, buon lavoro, io vado a trovare un’amica».
«Kate?», mi chiese con fare disinvolto.
Gli scrutai i suoi occhi azzurri dai quali non traspariva nessuna espressione per cui dovessi insospettirmi o sorprendermi.
«Sì, proprio Kate. La conosci?».
«Certo, tesoro. Non ricordi che ha trascorso qualche settimana al nostro stesso college? Una sorta di scambio culturale, diciamo».
Corrucciai la fronte e ritornai indietro nel tempo e a quella sensazione che mi donava il viso di Kate ogni qual volta la guardavo. Sin da subito avevo avuto l’impressione di conoscerla, di averla già vista. E ora che Benjamin mi aveva ricordato quel particolare, ecco che…
«Sì ricordo».
In effetti aveva ragione. Kate era apparsa dal nulla e nel nulla era scomparsa dopo un paio di settimane. L’avevo intravista a qualche corso e poi da nessun’altra parte. Non c’era a mensa, non in biblioteca né mai in giro.
Mi si rizzarono i peli della nuca e un’ondata di panico mi investì facendomi tremare le ginocchia.
«Sai, non mi sembra una buona compagnia», continuò Ben, senza distogliere gli occhi dai miei.
«Perché?».
«Fidati di un vecchio amico».
Sbattei le palpebre con un po’ di confusione in testa. Sinceramente ero spaesata e non facevo altro che pensare che Kate stesse organizzando qualcosa di molto grave, qualcosa di orribile alle spalle di tutti. Sperai con tutto il mio cuore che la sua breve visita in Alaska fosse del tutto irrilevante rispetto a quello che stava succedendo ora a La Push. Lo sperai davvero, altrimenti non erano solo i Quileutes a essere in pericolo.
Benjamin si girò di spalle. «Io continuo il mio lavoro. A presto e chiamami quando vuoi, io sono nei dintorni. Magari domani beviamo qualcosa insieme».
Annuii senza rispondere e guardai la finestra illuminata della casa di Kate, sentendo i passi di Benjamin allontanarsi.
La bionda era umana, non avevo dubbi. Che male avrebbe mai potuto farmi? Io ero una mezza vampira, ero forte, veloce e con poteri come la lettura della mente… quando funzionava.
Uscii dalla boscaglia, oltrepassai il vialetto e poi bussai alla sua porta. Sarebbe stato meglio per lei che non mi avesse fatto arrabbiare, perché ero già al limite della sopportazione.
Jacob mi stava cacciando via, lontano da lui ed io stavo male. Malissimo. E il pensiero che mentre io gli ero distante, Kate gli era più vicino che mai, mi faceva impazzire.
La porta si aprì e una lama di luce intensa si riversò sul pianerottolo. Gli occhi di ghiaccio di Kate fecero capolino, poi il suo intero viso di porcellana e la sua figura snella.
«Ci hai impiegato più del previsto», esordì spostandosi per lasciarmi andare.
Aguzzai l’udito per capire se in casa fosse da sola o se volesse tirarmi qualche brutto scherzo, ma insieme a lei non c’era anima viva.
Avanzai senza guardarla ritrovandomi in una specie di ampia entrata arredata con gusto, dal quale si diramavano poi tre corridoi, più la scala che portava al piano superiore.
«Mi stavi aspettando?».
«Evidentemente», sussurrò ovvia.
Kate mi proseguì in un piccolo salottino accogliente, col divano di pelle di fronte alla tv e un vaso di fiori poggiato su un tavolinetto rotondo. Vidi diverse fotografie di Jacob e mi venne un crampo allo stomaco quando mi chiesi quante volte fosse stato in quella casa e se quel divano avesse fatto da cornice ai loro baci.
«Ti ha lasciato?», mi chiese a bruciapelo con un sorriso dolce.
Assottigliai le labbra e sentii che le mie dita avevano una voglia pazza di stringere qualcosa, come la sua gola per esempio.
«E tu come lo sai?».
«Jacob ha buon senso. Molto più di te».
«Perché non la smetti di fare la saputella dei miei stivali e mi dici che cosa sai?».
«Io non devo dirti proprio nulla», continuò con sfrontata tranquillità.
«Quando sei venuta a casa di Jacob, hai detto che dovevo andare via perché non erano tempi facili per loro».
Lei annuì lentamente, ma non accennava ad aprire bocca. Non sembrava volermi dire qualcosa che mi fosse d’aiuto. E purtroppo io non potevo fare passi falsi. Non potevo rivelarle dei Quileutes.
«Ho detto quello che ho detto. Ho fatto ciò che ho fatto… », sospirò. «Torna da dove sei venuta».
«A che gioco stai giocando? E dimmi… come mai sei apparsa nel mio stesso college per qualche settimana e poi sei scomparsa nel nulla? O meglio, sei venuta qui».
«Pensavo che non mi ricordassi».
«In effetti. Non è che la tua faccia abbia qualcosa di bello da ricordare», dissi acida.
Ok, non era vero, ma piuttosto mi sarei tagliata la lingua con la forbice, che farle un complimento.
«Jacob non la pensa così».
«Smettila di voler farmi credere che fra di voi ci sia qualcosa che non c’è. O che a limite è solo nei tuoi sogni».
«Senti, io ho da fare, perché non te ne vai?».
Digrignai i denti ormai al limite. Odiavo lei, la sua sfacciataggine, odiavo tutto in quel momento.
Le afferrai un polso e la strattonai. «Tu sai qualcosa e non negare. Parla o va a finire male».
«Mi vuoi uccidere?», chiese.
«O forse qualcosa di peggio». La strattonai ancora. «Se succede qualcosa a Jacob considerati morta. Morta!».
Avvertii un formicolio alla mano che stringeva il braccio di Kate, che ben presto m’intorpidì fino al polso.
Stavo per avere una visione… Proprio quando meno me l’aspettavo e in una circostanza che mi sarebbe stata d’aiuto. Almeno, lo speravo.
Ed ecco che la mia vista si annebbiò, il volto di Kate diventò sfocato e ben presto fu sostituito dalle immagini dei suoi pensieri.
Silenzio e lupi… lupi dappertutto. Fuochi e lupi. Gabbie e lupi. Un uomo con dei lunghi capelli neri e il viso caramellato. Dolore.
La visione si concluse quando sentii un tonfo cupo provenire dall’entrata. Era come se la porta fosse stata aperta con una spallata o con un calcio.
Sia io che la bionda ci girammo all’unisono verso un’ombra che si allungava sul pavimento, seguita poi dal corpo di… Jacob.
Era appena mutato, sentivo l’odore della foresta su di lui e da com’erano storti i suoi vestiti, si vedeva un miglio che erano stati indossati di fretta. Aveva l’aria di essere un tantino arrabbiato.
«Che cosa diavolo sta succedendo qui?», urlò.
«Chiedilo a lei», rispose Kate. «Mi sta mettendo le mani addosso».
Jake mi fulminò guardando la mia mano che stringeva il braccio della bionda. Colta con le mani nel sacco.
«Che diavolo stai facendo, Nessie? Perché sei qui?».
Incrociai le braccia sul petto e anche io lo fulminai con gli occhi. «Ho scambiato quattro chiacchiere con la tua amica», dissi a denti stretti. Poi camminai verso l’uscita e quando lo sorpassai, mi trattenni dal tiragli una spallata.
Stupido lupo!
Sbattei la porta di casa e camminai con così tanta forza lungo la strada, che credetti di poter affossare l’asfalto.
Cominciai a contare i secondi che Jake avrebbe impiegato a raggiungermi e più aumentavano più mi arrabbiavo e più il mio odio per Kate cresceva.
Mi fermai dopo quasi un miglio e m’inoltrai nella boscaglia, sedendomi su un ceppo di albero. Tremavo dal nervosismo.
Il mio ragazzo non mi voleva con sé, Kate nascondeva un segreto e…
«Oh mio Dio!», sbottai spalancando la bocca. Dopo ciò che avevo visto nei pensieri di quella traditrice, come avevo potuto lasciare Jacob da solo con lei?
Scattai in avanti come una saetta, ma Jacob sbucò dalle ombre afferrandomi un gomito.
Sussultai dalla paura e subito dopo mi poggiai una mano sul cuore.
«Grazie a Dio…».
«Grazie a Dio, un corno. Ora mi dici perché sei andata a casa di Kate».
«Le ho letto nella mente, Jake. Lei sa qualcosa, ho visto dei lupi in delle gabbie, delle fiamme…».
Jacob aggrottò le sopracciglia, poi scosse la testa. «Lupi?».
«Sì, lupi Jake. Mutaforma. Te l’ho detto che quella ragazza non mi convince!».
«A ogni modo, ciò che hai visto potrebbe essere frutto della sua immaginazione, non per forza corrispondono a un suo vero ricordo».
«Dannazione!», sbattei un piede in terra. «La vuoi smettere di difenderla? Non le ho parlato di lupi! Non ti sembra una cosa troppo strana che dopo averle chiesto se sapeva qualcosa, lei pensasse a delle gabbie con dei lupi dentro?».
Mi sentii un magone alla gola. Sembrava che avessi preso lo stesso andazzo che avevo al mio arrivo, piangevo per niente.
Ma l’atteggiamento di Jacob mi faceva troppo male.
Non mi credeva…
E continuava a dare delle possibilità a quella ragazza di cui lui evidentemente non sapeva proprio niente! Perché non aveva nemmeno una piccola riserva su di lei? Perché?
«Nessie, io capisco che tu…».
«Tu non capisci invece!», lo interruppi. «Non mi capisci Jake».
Evitò il mio sguardo, passando a setaccio ogni scorcio di foresta dove i suoi occhi arrivavano.
«Altrimenti non mi avresti mai messo davanti a una scelta crudele come quella di andare via o perderti».
Abbassai la testa e mi ispezionai le unghie, aspettando una sua risposta. A momenti il cuore mi sarebbe balzato in gola.
Sapevo che Jacob era irremovibile su alcune cose e per quanto avessi anche potuto buttarmi in un precipizio senza fine, lui non avrebbe voluto ascoltare ragioni.
«Non sai nemmeno ciò che dici».
«Voglio rimanere».
Jacob si voltò e mi afferrò il viso con forza. Sebbene si stesse trattenendo, avvertivo ugualmente il tremolio delle sue mani. «Non sappiamo nulla e brancoliamo nel buio. Ci sparano un aggeggio nel cervello e il nostro potere svanisce. Potrebbero volerci uccidere tutti dal primo all’ultimo. Come puoi solo pensare che ti faccia rimanere qui a rischiare con me?», quasi ringhiò.
«Il mio posto è dove sei tu».
«Il tuo posto è al sicuro, in Alaska».
Le sue iridi erano così nere che sembrava che potessero risucchiarmi da un momento all’altro. Il suo tocco freddo seppur bollente…
«Lo sai anche tu che non puoi mettermi in salvo Jake», sussurrai prendendogli l’altra mano fra le mie. «Perché se tu non sei al sicuro con me, io cammino su una lama di rasoio». Poggiai la fronte sulla sua. «Credi che io vivrei se ti accadesse qualcosa?».
«Non mi accadrà niente».
«E io sarò qui per assicurarmene. Insieme alla mia famiglia».
Jacob sbuffò piano e mi lasciò il mento avvolgendomi la vita con un braccio. «Tu sei una debolezza per me Nessie».
«No. Io sono la tua forza. Come tu sei la mia».
Jacob sbuffò ancora. «Certo, certo». Poi mi baciò tracciando con il pollice dei cerchi invisibili sulla mia guancia e anche sulla gola.
«Facciamo che ci penso…».
«Facciamo che ci penso anche io, se acconsentire o no che tu ci pensi».
Mi fece un sorriso tirato e si guardò di nuovo intorno annusando l’aria. «Devo mutare e avvertire qualcuno che vada a tenere d’occhio Kate, nel frattempo ti accompagno a casa».
Allora mi credeva… almeno un po’.
Gli saltai al collo e gli diedi un bacio a schiocco sulle labbra. «Ti adoro».
«Io di più», rispose.
Poi l’ululato di più lupi riempì l’aria e Jacob si irrigidì.
«Guai in vista», mormorò e subito dopo il suo corpo fu sostituito dalla pelliccia rossastra del lupo che era in lui.
Sperai che non fossero guai più gravi di quelli che avevamo già.
 

Angolino Autrice

Ciao a tutti e buonissima domenica! Sbrodolo da sola, è un periodo che mangio troppa cioccolata e sono dolce -.-'' che vergogna.
Spero che anche questo capy vi piaccia... Che cosa saprà Kate? E quali guai ci sono in vista? 
Se via piace Paul passate di qui, è una mia long La Bussola dell'Amore
Alla prossima <3 <3 <3

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Capitolo 19
*** Una Folle Paura ***


 
E se ti svegliassi e tutto ciò che per te è
importante fosse svanito?
Oh, vorresti svanire anche tu.
In che modo non importa, neanche se fosse il più doloroso.
Credetemi…
 


Reneesme

 
 
 
 
 
Jacob era di fronte a me col pelo sferzato dal vento. Teneva una zampa sollevata, pronto a scattare nella corsa e lo sguardo vitreo era fisso nel mio.
Sapevo che non mi stava guardando in realtà, ma stava solo ascoltando la voce dei suoi amici e probabilmente discuteva con loro su qualcosa da farsi.
Avevo la pelle d’oca e non era a causa del freddo.
Non smettevo di chiedermi se i guai che Jacob aveva detto che ci fossero in vista, sarebbero stati più gravi di quelli che avevamo già.
Davvero non riuscivo a crederci.
Da quando ero tornata a La Push tra me e Jacob ne erano successe di tutte i colori e l’ultima cosa che mi aspettavo era che ci saremmo trovati in quella brutta storia.
Io c’ero capitata per caso, perché ero tornata all’improvviso, senza premeditarlo. Ma per Jacob e i suoi amici sembrava che fosse un percorso già scritto, che non aspettava altro che compiersi.
Il mio lupo mi ringhiò contro, facendomi capire che dovevo darmi una mossa e che non c’era tempo da perdere.
Avevo l’affanno ancora prima di iniziare a correre, era impossibile.
Gli passai di fianco e iniziai a correre verso la vecchia casa dei miei nonni, a quanto pare era lì che ci aspettavano i suoi amici.
Jacob non mi affiancava, ma rimaneva rigorosamente dietro di me a guardarmi le spalle.
La foresta era buia e silenziosa, solo l’ululato dei lupi riecheggiava senza sosta facendo vibrare persino il terreno sotto i miei piedi.
Uno spicchio di luna rossa, macchiava il cielo nero, ogni tanto lo intravedevo attraverso alcuni rami spogli.
Non mi piaceva l’idea di non avere Jacob al mio fianco, di non vederlo correre. Era così dannatamente cocciuto, come se potesse capitarmi qualcosa… Era lui insieme ai suoi amici a essere in pericolo, non io. A ogni modo, oltre ad assicurarmi di sentire costantemente il tonfo delle sue zanne che artigliavano il terreno, mi giravo a controllare che fosse sempre dietro di me.
E poi quella strana sensazione che qualcuno potesse afferrarmi da un momento all’altro, tornò. Mi si rizzarono i peli sulla nuca e avrei voluto urlare per ascoltare la mia voce e per fare in modo che anche altri mi sentissero, che Jacob mi sentisse.
Era come quando si vede un film horror da soli, ma sappiamo che in casa c’è qualcuno dei nostri familiari. Il bisogno di accertarsi che qualcuno ci senta in caso avessimo bisogno di aiuto è quasi impellente.
A un tratto vidi Jared e Leah che correvano verso di noi, ma non accennarono a diminuire la velocità, si limitarono a guardare me e Jake e a proseguire nella direzione opposta. Pensai che andassero a tenere d’occhio Kate.
Dopo qualche altro minuto, rallentai quando in lontananza apparve Sam, al centro della vegetazione, in forma umana.
Mi venne un crampo allo stomaco. Che avessero fatto qualcosa anche a lui?
Jacob mutò all’istante, a una velocità che non credevo possibile.
«Che cosa succede, Sam?», gli chiese abbottonandosi i jeans.
Sam avanzò col volto cupo, ma non era spaventato. Teneva qualcosa fra le mani, un oggetto sferico.
«Seth ha trovato questo, qui vicino», rispose mostrando l’oggetto in questione.
Per qualche istante fui sollevata, per lo meno non gli era toccata la stessa sorte del povero Quil. Poi però…
«Che cosa diavolo è?», ringhiò Jacob fra i denti.
Il suo amico scosse la testa sconcertato, mentre Collin ed Embry sbucarono dai cespugli e iniziarono a girare in torno a noi con la testa bassa e la coda dritta. Fiutavano pericolo.
«Non può essere…», continuò Jacob a mezza voce.
Anche i miei genitori apparvero all’improvviso dalle ombre con Seth al seguito, che evidentemente era andato a chiamarli.
Mia madre mi circondò in un mezzo abbraccio e mio padre invece si avvicinò a Jacob col volto indecifrabile.
«Non ci posso credere, è una telecamera Sam!», sbottò infine col volto pallido. «Una telecamera, maledizione! Ed io come un idiota per ogni stranezza andavo in cerca di un odore! E che odore potevo mai trovare? Sono umani!».
Mio padre gli tolse l’oggetto dalle mani e lo esaminò con cura: era grande quanto una pallina da baseball ed era di plastica nera.
Perché stava succedendo tutto questo? Non bastava vivere in una realtà completamente alterata, c’era anche bisogno di qualcuno che spiasse le nostre vite, attentando alla nostra piccola apparente tranquillità?
«Chiunque sia stato, sa tutto di noi», disse Sam. «E anche di voi», continuò rivolgendosi a mio nonno. «Non si può escludere più niente».
«Siamo davvero nella merda», s’intromise Seth d’un tratto. «Quella telecamera è caduta da un ramo, sicuramente ce ne sarà pieno qui intorno e non possiamo sperare il contrario visto ciò che è successo a Quil».
«Abbiamo bisogno di un piano e alla svelta», asserì Jacob stringendo i pugni. «Questo potrebbe essere l’inizio di una catastrofe. Persino quei maledetti dei Volturi sapendo di questa faccenda potrebbero tornare qui».
Vidi mio nonno scuotere appena le spalle, ma non si scompose più di tanto. Lui sapeva mascherare bene le emozioni e in quel momento fu una caratteristica che apprezzai. Se anche lui avesse donato segni di nervosismo, avremmo dato tutti di matto.
«Non c’è bisogno di scaldarsi. Iniziamo a uscire fuori dai boschi», disse cauto mio nonno. «Troveremo una soluzione al più presto, ma questi luoghi non sono più sicuri per noi».
«Dobbiamo farlo per forza», disse Jake rivolto a Sam. «Questa foresta che fin’ora ci ha protetto da occhi indiscreti è diventata il nostro punto debole. Se quelle cose ci filmano e ci hanno filmato chissà per quanto tempo…», non finì la fase, ma non ce ne fu bisogno. Qualcuno sapeva della nostra esistenza. E che fosse innocuo o meno era a conoscenza di un segreto mortale. Nessuno di noi era più al sicuro, per una serie di motivi svariati, alcuni insignificanti, altri troppo gravi per essere anche pensati.
Uscimmo dalla foresta e Collin ed Embry mutarono seguendoci in casa. Anche se nessuno di noi parlava, non riuscivo a fare un pensiero concreto, avevo la testa sottosopra.
Mi avvicinai a Jacob e intrecciai le dita alle sue, lui strinse la presa. Avrei voluto confortarlo in qualche modo, anche se c’ero dentro pure io con tutte le scarpe! Ma non avevo parole, anzi non ce n’erano. Si doveva solo cercare di risolvere la situazione.
«E adesso che cosa si fa?», parlai per la prima volta.
«Per prima cosa dobbiamo andare subito al villaggio a parlare con mio padre», disse Jacob frettoloso. «Devo raccontargli tutto, anche di Quil e forse è meglio che convochi il Consiglio».
Mio padre gli lanciò le chiavi della sua auto. «Niente foresta», ribadì. «Limitiamo i danni. Se è possibile».
E così facemmo. Jacob mi permise di accompagnarlo e con noi vennero anche Sam e Collin. Per via della decisione presa, Leah e Jared avevano abbandonato la sorveglianza di Kate.
Quando entrammo nella piccola casetta di Billy, lui ci stava già attendendo con impazienza. Insieme a lui c’erano solo Paul e Rachel.
«Allora, che cosa è successo, Jake?».
«Siamo nei guai, in guai seri», mormorò lui chiudendo la porta di casa.
Vidi Rachel stringersi al braccio di Paul che non mostrava segni di cedimento, ma la sua fronte era ricoperta da un leggero velo di sudore proprio come quella di Jacob, di Sam e di Collin.
«Quil potrebbe morire, papà».
«Che cosa?», sbottò Billy spalancando la bocca.
«Ha un congegno ficcato nella testa e il dottore non può toglierlo perché rischia di farlo rimanere paralizzato. E potrebbe essere che quel congegno si autodistrugga e gli salti il cervello in aria. Non capisco com’è possibile che siamo finiti in questa situazione, ma c’è dell’altro».
«Dell’altro?», sbottò Rachel incredula. Oh come la capivo…
«Seth ha trovato… una telecamera nella foresta».
«Co… come?», chiese Billy a mezza voce diventando più bianco di una carta. Pover’uomo come poteva immaginare di ritrovarsi in un simile pasticcio? Aveva le nocche sbiancate talmente stringeva le ruote della sua carrozzella.
Jacob sembrava esasperato e non smetteva di muoversi. Camminava avanti e indietro, scricchiolava le ossa delle dita o si passava le mani fra i capelli. Non l’avevo mai visto in quel modo.
«Ci stanno spiando…», mormorò Paul. «Ci vogliono fare fuori».
Billy continuò a mantenere il silenzio e fissava un punto indefinito nel muro. Sembrava che stesse ricordando qualcosa, eppure non ne ero del tutto sicura.
«Papà è meglio se riunisci il Consiglio, è una situazione ad alto rischio per tutti. Potrebbero volerci uccidere o chissà cosa».
«O forse è solo qualche curioso», disse Rachel speranzosa. «Magari quelle telecamere non sono collegate al congegno di Quil».
Billy scosse la testa più volte, ma aveva una strana luce negli occhi, come una certezza. «Sarebbe una coincidenza troppo grossa. E comunque anche solo un curioso potrebbe vendere i video a delle televisioni e… e non ci voglio pensare», sussurrò.
«Allora siamo intesi», proseguì Jacob. «Io riporto Nessie a casa e torno subito qui con Quil, tu vedi che cosa riesci a fare».
Billy annuì, dirigendosi verso il telefono ed io e Jacob uscimmo di fretta, ritornando verso casa.
Le ombre scorrevano dietro i finestrini dell’auto di mio padre, mentre nell’abitacolo regnava il silenzio.
Non riuscivo ancora a capacitarmi di come fosse possibile che nessuno di noi si fosse mai accorto di nulla. Forse eravamo stati sin troppo ingenui e non avevamo mai creduto che qualcuno potesse arrivare a sistemare delle telecamere nella foresta.
I lupi si sentivano al sicuro nel loro territorio, battevano il perimetro giorno e notte e ciò che poteva fare del male a loro o alla gente del villaggio era facilmente identificabile. I pochi umani che facevano trekking nella zona, o si avventuravano alla ricerca di panorama mozzafiato da immortalare, venivano ignorati perché considerati del tutto innocui e di passaggio.
E invece proprio degli inoffensivi umani, ci avevano teso quell’orribile trappola.
Registrare ogni rumore, ogni movimento… e chissà da quanto tempo lo stavano facendo. Probabilmente c’erano anche dei filmati che riguardavano me e la mia famiglia.
E la domanda che continuavo a pormi era: a che cosa servivano quei filmati? E chi ne era in possesso?
Billy era sbigottito… Tuttavia c’era qualcosa nella sua espressione e persino nella sua voce che mi diceva che…
Il telefono di Jacob squillò e lui si affrettò a rispondere. «Sì? E quindi? Io non credo sia al caso nelle condizioni in cui ci troviamo».
Lo guardai, il suo sguardo era serio e nei momenti di silenzio teneva la mascella contratta.
«Seth, non farmi incazzare e rimani lì», continuò parlando al cellulare. «Da solo? Ma che cazzo hai in testa?».
Poi successe tutto all’improvviso e sin troppo velocemente. Jacob inchiodò sul freno e portò un braccio contro il mio petto per impedirmi di sfondare il vetro con la testa, ma l’auto si ribaltò e rotolò, rotolò… il frastuono mi perforò i timpani e il finestrino in frantumi mi ferì il viso e le mani. Poi il vuoto m’inghiottì.
 
«Renesmee!».
Sentii un bruciore alla guancia e strinsi gli occhi. Avevo un mal di testa lancinante e mi sentivo come se fossi appena stata frullata.
«Renesmee!».
«Hmm…».
«Tesoro svegliati, stai bene, hai solo qualche graffio».
«Ma che…», aprii gli occhi. «Ma che cosa…».
Ero sdraiata sul divano di casa dei nonni e mia madre era al mio fianco a guardarmi con apprensione. Mio padre era poco più distante e poi c’erano Seth, Quil e Leah.
Mi misi a sedere di scatto. «Jacob, dov’è? Dov’è Jacob!», chiesi con una paura folle che m’intorpidiva i sensi. Ricordavo l’incidente.
E se pensavo che avessero esitato nel rispondere, perché riflettevano alle parole giuste da usare, per farmi preoccupare il meno possibile, stavolta mio padre fu breve e conciso.
«Jacob non si trova. È stato rapito».
 
 
Angolino Autrice

Buona domenica! Non so perchè ma questo capitolo mi ha fatto dannare, non ero mai soddisfatta. Spero che sia riuscita a scrivere qualcosa che sia comprensibile anche a voi oltre che a me. Cmq che cosa succede a La Push? Nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle. 
Se vi piace scrivere, ho indetto un Contest sul forum, passate se vi va Contest Il Mio Compagno Di Classe 

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Capitolo 20
*** Una Realtà Agghiacciante ***


 
 

La nostra vita non dipende mai solo dalle nostre azioni.
E purtroppo della gente malata può
cambiare per sempre e irrimediabilmente il tuo futuro.

 

Renesmee
 

 
 
 
 
I miei occhi avevano passato a rassegna la stanza un numero infinito di volte. I miei genitori, Quil, Leah, Seth e mio nonno. E il silenzio.
«Rapito? Jacob rapito!?».
Inizialmente credetti di non aver capito bene. Mio padre doveva essersi sbagliato…
Jacob non poteva essere stato rapito e da chi poi? Lui era un licantropo, era forte e sapeva combattere, nessuno avrebbe potuto metterlo fuori gioco così su due piedi.
«Papà che cosa stai dicendo?», chiesi stropicciandomi gli occhi e alzandomi dal divano dov’ero sdraiata. Mi massaggiai le tempie che mi sbattevano forte e mi accorsi di avere un livido enorme e violaceo sull’avambraccio destro.
«Renesmee, ti senti bene?», sussurrò mia madre guardandomi con apprensione e le mani strette al petto.
«Sì, sto bene. Ditemi soltanto dov’è Jacob…».
«Non hai sentito tuo padre?».
Scossi la testa. «Questo è un incubo. Per favore… dov’è Jacob?».
«Per fortuna Seth era al telefono con lui quando è successo l’incidente», asserì mio padre con aria seria e cupa. «Altrimenti saremmo andati incontro ad altri grossi guai, perché avremmo saputo dell’accaduto soltanto quando sarebbero arrivati i soccorsi. A ogni modo Renesmee, abbiamo trovato soltanto te sul posto. C’era del sangue di Jacob sui vetri infranti e sul sedile, ma di lui non c’era traccia».
«Sangue?».
«Sì, ma niente di grave o che faccia pensare a delle ferite profonde. E poi ricordati che lui guarisce in fretta».
«Forse… forse è…», cercai di fare un ragionamento giusto, ma non ci riuscii. Respiravo anche a tratti e cioè quando le orribili immagini di ciò che era potuto accadere durante l’incidente, venivano interrotte da qualcuno che richiamava il mio nome.
«Nella foresta… forse è nella foresta», balbettai confusa.
«Embry…», sussurrò Leah. «Embry, non appena ha capito che avevate avuto in un incidente si è inoltrato nei boschi. Ma non doveva farlo, Edward aveva detto che era meglio di no!».
Si mise i capelli dietro le orecchie e notai i suoi occhi lucidi, le mani che le tremavano… e a me mi si fermò letteralmente il cuore. Tenendosi un palmo della mano schiacciato contro la bocca, andò a sedersi alle scale che portavano al piano superiore.
Deglutii e guardai mia madre per cercare un qualche tipo di rassicurazione che non arrivò.
«Anche Embry è sparito».
«Che cosa sta succedendo papà?!», sbottai in lacrime. «Dove sono andati a finire! Com’è possibile che siano svaniti nel nulla e perché non li stiamo cercando?».
«Calmati Renesmee».
«Calmarmi? Jacob è sparito! Embry pure! E Quil ha un congegno in testa che potrebbe scoppiare da un momento all’altro!».
Vidi Quil trasalire alle mie parole, ma rimase immobile con la mascella contratta e lo sguardo vacuo.
«So che sembra terribile, ma dobbiamo organizzare un piano o è possibile che anche altri lupi incappino nella stessa sorte. O anche qualcuno di noi».
«E organizziamolo questo piano! Dove sono Sam e gli altri?».
«Erano ancora a casa di Billy, aspettavano che Jacob, Seth e gli altri li raggiungessero. Il tempo di mettere il villaggio al sicuro e ci raggiungono».
Avanzai di qualche passo, volevo andare a parlare con Leah, sembrava sull’orlo di una crisi di nervi. Era innamorata di Embry, era così palese. Lei poteva capire il mio dolore meglio di chiunque altro.
Poi a un tratto la porta di casa si aprì e vidi la carrozzella di Billy che avanzava trascinata da Sam.
«Scusate l’intrusione», disse il padre di Jacob mesto. «Ma credo di sapere che cosa sta accadendo e spero davvero di sbagliarmi… perché altrimenti è la fine».
 
 
 
 
 

 Jacob

 

 
 
 
 
Un dolore lancinante contro il petto mi fece sobbalzare. Aprii le palpebre per poi chiuderle immediatamente, dopo essere stato accecato da una luce abbagliante.
La mia testa sembrava trafitta da mille aghi e il dolore era così insopportabile che svenni di nuovo.
Sognai Nessie, una spiaggia con della sabbia bianchissima, sognai sangue e urla, Quil, mio padre.
Mi risvegliai dopo non so quanto tempo, ma lo feci nel modo più brutto che avessi mai costatato in vita mia: con l’orribile sensazione di affogare. E in realtà stavo affogando nel mio stesso sangue che mi ostruiva la gola.
Tossii freneticamente vedendo dei macabri schizzi rossi macchiare delle lenzuola immacolate.
«Si sta svegliando, Joseph».
«Bene».
«Credo che abbia un’emorragia interna».
Mi sentivo davvero male. Peggio di come mi ero sentito quando Carlisle mi spezzava di continuo le ossa per farle risaldare nella posizione giusta. Era come se la cassa toracica si stringesse intorno ai polmoni impedendomi di respirare.
«Ora lasciamo che il suo corpo guarisca, poi blocca di nuovo le funzioni del lupo».
«Non sarà pericoloso?».
«So fin dove  posso spingermi. E ora obbedisci».
Strizzai gli occhi e cercai di respirare regolarmente, ma a ogni respiro corrispondeva un colpo di sega elettrica nel petto. Invece di parlare mi lamentavo e di pensare non se ne parlava proprio, il mio cervello era scollegato.
«Jacob! Jake! Che cosa gli state facendo! Jacob! Lasciatelo! Jake!».
Embry? Embry sei tu?
Svenni di nuovo e ne fui felice perché il dolore che stavo provando era davvero troppo da poter sopportare.
Quello fu un sonno senza sogni, tranquillo e spensierato. Il dolore mi stava abbandonato lentamente e sentivo il mio corpo guarire, rinforzarsi e tornare al massimo della forma.
Quando aprii gli occhi per la seconda o terza volta, il dolore era scomparso del tutto e in sottofondo sentivo un bip continuo e fastidioso. La luce forte e bianchissima c’era sempre e ogni cosa sulla quale si posava il mio sguardo era d’acciaio lucida.
Dove diavolo mi trovavo?
Scattai in avanti con un impeto, ma non riuscii che a sollevare appena il collo, il resto del mio corpo era legato con delle spesse cinghie nere di pelle.
«Che sta succedendo qui!», ringhiai guardando i miei pugni stretti e sporchi di sangue.
Mentre mi dimenavo mi accorsi che poco distante da me c’era una specie di ripiano d’acciaio, uguale a quello dove ero sdraiato io, e sopra a essa c’era… «Embry!», urlai. «Embry!».
Lui non mi sentì, era immobile, forse addormentato. Sì per forza, dormiva, non poteva essere…
«Embry?», dissi in un sussurro. «Perché… non sento più il suo cuore?».
Mi accasciai di nuovo e strizzai gli occhi. Dovevo concentrarmi, dovevo sentire il cuore di Embry battere, dovevo capire se stava bene.
Non sentivo un bel niente, niente! Urlai dalla frustrazione e con tutta la forza che avevo in corpo, cercai di rompere le fibbie che mi tenevano imprigionato, ma senza risultato. Riuscii solo a ferirmi ancora, dove i bordi delle cinghie affondavano nelle mie carni. E… le ferite non guarivano.
«Non ti affaticare Jacob, è tutto inutile».
Girai convulsamente la testa per capire a chi apparteneva quella voce sconosciuta, poi vicino a una parete, in mezzo a delle apparecchiature luminose, scorsi un uomo.
«Chi diavolo sei? Che cosa mi stai facendo?».
L’uomo era alto e ben piazzato. A occhio e croce era sulla quarantina e aveva dei capelli neri e lucidissimi, la pelle bronzea… i tratti di noi Quileutes.
«Ricordi qualcosa di quello che ti è accaduto?», disse lentamente mentre dosava del liquido rosa in delle ampolle.
«Non ricordo un cazzo, che cosa ci stai facendo!».
L’uomo che non conoscevo, mi guardò dritto negli occhi, poi si avvicinò a Embry e con una siringa aggiunse qualcosa alla sua flebo.
Cercai ancora di liberarmi, sembrava che la mia forza non ci fosse più… ma il mio lupo c’era, lo sentivo.
«Sei troppo debole per liberarti, ragazzo. Stai tranquillo dove sei».
«Che cosa ci stai facendo!».
«Ciò che avrei dovuto fare tempo fa. Molto tempo fa».
«Chi sei?».                            
«Non ti ricordi di me?».
«No!», sbraitai, cercando ancora una volta di forzare quelle maledette fibbie, ottenendo solo altro bruciore.
«Dovresti smetterla di ferirti, sai? Il tuo corpo ti guarirà con la stessa lentezza con cui guarisce un semplice essere umano».
L’uomo mi si avvicinò e si chinò su di me. No, ero certo di non averlo mai visto, però a quanto pareva lui mi conosceva.
Tuttavia c’era qualcosa nei suoi occhi che aveva un non so che di familiare…
«Ti ucciderò nel peggior modo che conosco», ringhiai fra i denti.
«Saprei tenerti testa, ragazzo», sorrise appena, afferrando il tubicino della mia flebo e iniettandoci il liquido rosa che preparava poco prima.
«Embry!», lo richiamai ancora una volta. Era vivo, il suo petto si alzava e abbassava regolarmente e forse non riuscivo a sentire il suo cuore perché ero troppo debole e i miei poteri ne risentivano.
«Quando uscirete di qui, starete bene».
«Tu invece starai molto male, brutto pazzoide fottuto».
«Il gene ti rende rabbioso, Jacob», mi sussurrò all’orecchio, donandomi delle pacche leggere sul petto. «Quando il gene non ci sarà più, tornerai a ragionare con razionalità».
«Sei stato tu a mettere quell’aggeggio nella testa di Quil, non è vero?».
«Non direttamente, ma sì… l’ho ideato io».
«Che cazzo sei, una specie di scienziato pazzo?».
«Chiamami Joseph».
Le luci si spensero di nuovo. Oppure ero io che mi stavo addormentando di nuovo.
 
 
 
Angolino Autrice

Lo so che questo capitolo vi lascerà conn l'amaro in bocca, ma è solo di passaggio. Nel prossimo mi farò perdonare.
Ci avviciniamo alla fine della storia ç_ç e io non me n'ero nemmeno accorta! Credo che scriverò un'altra nessie\jacob.
Spero che il capitolo vi piaccia lo stesso e a domenica prossima! <3 <3 <3 

 

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Capitolo 21
*** Un Uomo Dal Passato ***


Si dice che ogni cosa accade per un perché.
Io però, ancora non l’avevo capito
per quale motivo ero diventato oggetto di esperimenti
di un pazzoide.
Prima o poi lo avrei scoperto.
Sperai prima che lo facessi fuori o che fosse lui a fare fuori me.
 

 

Jacob

 
 
 

Mi brontolò lo stomaco e fu quella la prima ragione per cui aprii gli occhi.
La seconda fu un lamento.
Mi facevano male i muscoli ed ero tutto indolenzito, ero sporco di sangue e le ferite sul mio torace erano scure e ancora aperte.
«Maledizione», imprecai fra i denti.
Non ne ero certo, ma dovevo trovarmi nella stessa stanza in cui mi ero risvegliato la prima volta.
Un altro lamento mi fece rizzare i peli sulle braccia e d’istinto mi guardai intorno.
Vidi Embry poco più in là, che scuoteva lentamente la testa e mugolava.
«Ehi fratello», lo richiamai. Parlare ad alta voce mi fece bruciare la gola. «Embry?».
Nessuna risposta, il mio amico doveva trovarsi in un sonno agitato. Vederlo muoversi mi confortò, almeno era vivo.
Ma dove cazzo mi trovavo? Chi era il pazzoide che ci aveva rapito e ci costringeva su due ripiani d’acciaio, bloccandoci con delle cinghie? Qual’era lo scopo di una tale azione?
Pensai a Nessie e ricordai il momento dell’incidente: un furgone anomalo, simile ai portavalori, era spuntato dal nulla e ci era venuto addosso. Avevo provato a proteggerla, a tirarla fuori dall’auto, ma avevo perso i sensi e ciò non era successo per l’urto o per qualche tipo di ferita, avevo sentito una scossa elettrica all’interno della schiena e i sensi mi avevano abbandonato.
Sicuramente c’entrava ciò che stavo vivendo. Lo scontro col furgone non era stato un caso e la stessa cosa valeva per la scossa elettrica alla schiena. Chissà da quanto tempo lo stavano premeditando e noi sciocchi ci eravamo lasciati incastrare come dei novellini.
«Embry?», lo richiamai ancora. «Svegliati dannazione!».
Provai a muovermi un po’ e i movimenti che riuscii a fare erano limitati a qualche centimetro, però in compenso riuscivo a ruotare il collo.
Sul soffitto correva una fila di lampade a neon e c’erano delle grate per il condotto dell’aria in cui non sarei mai riuscito a passare, sempre se fossi stato libero da quell’involucro di cinghie.
Alla mia destra c’erano delle gabbie grandi abbastanza per contenere un orso, o anche un licantropo. Quel particolare mi fece ricordare le parole di Nessie. Diceva di aver visto dei ingabbiati nei pensieri di Kate.
La mia mente rifiutava che la mia amica potesse c’entrare con quell’orrore. Non poteva aver tradito me e i ragazzi così, dopo la buona accoglienza che le avevamo riservato al suo arrivo. Possibile che si fosse avvicinata a me solo per tendermi una trappola? A me sembrava che ci tenesse al nostro rapporto e che fosse andata ben oltre l’amicizia. Però i fatti erano quelli, ero un ingenuo del cavolo.
«Bene ragazzo, ti sei svegliato».
L’uomo di nome Joseph entrò nel mio campo visivo e l’occupò tutto. Aveva il taglio degli occhi spigolosi e la bocca era leggermente piegata all’ingiù.
Quello era uno di noi. Il dubbio mi pungeva la mente e non riuscivo a scacciarlo, anzi più lo guardavo e più me ne convincevo… conosceva persino i nostri nomi. Non era solo una questione di tratti somatici, somigliava a qualcuno, ma a chi?
«Fai svegliare il mio amico», gli dissi mentre appuntava qualcosa su una cartelletta, proprio come fanno i dottori.
«Si sveglierà da solo».
«Ti senti forte eh? Perché non mi liberi?».
«Jacob ti sto facendo un favore, credimi. Quando riuscirò ad annullare il gene, mi ringrazierai».
Feci una risata di scherno, ma credo che mi uscì più da panico. «Non puoi annullare qualcosa che è nel nostro sangue, fa parte del DNA».
«Questo lo dici tu. Eppure Quil ha perso la capacità di mutare», disse soddisfatto gettandomi un’occhiata di superiorità. «Come te lo spieghi?».
Si avvicinò a Embry controllando l’orologio che aveva al polso.
«Gli avete fissato un congegno in testa, lo so bene».
«Non pensavo che sareste riusciti a scoprirlo. Vi avevo sottovalutato».
«Non sei così intelligente come credi», gli risposi a tono.
«A ogni modo, non importa. Voi siete qui e non ci impiegherò molto a catturare gli altri».
«L’importante è crederci».
Joseph rise e mi venne l’impeto di prenderlo a cazzotti, maledetto pazzoide fottuto!
Ero sicuro che gli altri si sarebbero messi sulle nostre tracce e ci avrebbero ritrovati e portato in salvo. Era orribile dover contare su qualcun altro, sentirsi così impotente e in balia degli avvenimenti… ma non avevo altro, dovevo solo sperare.
I ragazzi avevano scoperto le telecamere, sapevano che qualcuno tramava alle nostre spalle ed erano a conoscenza anche della sparizione mia e di Embry, sicuramente stavano organizzando un buon piano per venirci a cercare.
Sperai che a mio padre non gli venisse un infarto e sperai pure che Nessie non desse di matto. Odiavo farla preoccupare.  
«Chi cazzo sei!». Embry si svegliò all’improvviso con un urlo che fu presto sostituito da un tossire frenetico.
«Un’altra testa calda», borbottò Joseph arricciando il naso. «Non mi meraviglio che siate amici».
«Jake che succede, dove siamo?», chiese con gli occhi spiritati. Lui al contrario di me, non aveva ferite.
«Vuole bloccare il nostro gene».
«Per sempre», aggiunse Joseph. «Vi sto facendo un piacere e dovreste ringraziarmi. Siete dei mostri».
«Mostro sarai tu», ringhiò Embry.
«Figliolo, nessuno ti ha insegnato la buona educazione».
Prima che Embry potesse risponderlo a malo modo, sentimmo un bip e poi qualcosa che scorreva come le porte di un ascensore.
«Benjamin, spero tu abbia delle buone notizie per me».
Benjamin? No, per favore. Non può essere quel Benjamin.
«Mi spiace Joseph, non oltrepassano più la foresta».
«Andate a prenderli in casa», rispose con tono ovvio.
«Sono presenti anche quattro vampiri e non giochiamo più sull’effetto sorpresa, rischieremo soltanto».
Joseph scosse le spalle, i capelli neri gli ondeggiarono come tendine al lato del viso. «Ci accontenteremo di loro due allora. Per adesso».
«Troverò un modo, non preoccuparti», lo confortò Benjamin sporgendosi verso di me. Come temevo… era l’ex ragazzo della mia Nessie.
I suoi occhi azzurri mi scrutarono le ferite con soddisfazione. «Guarisce a velocità umana», costatò.
«Bastardo!», gli urlai contro. «Lo sapevo che eri un coglione, ma non credevo che ti spingessi fino a questo punto! Come hai potuto!».
A quel punto era a conoscenza anche della natura di Nessie e forse l’aveva corteggiata solo per sapere di più sul suo conto, per approfittarsi della situazione. Erano stati insieme per parecchio tempo e immaginare che avrebbe potuto farle qualcosa di brutto, mi fece andare nel panico.
«Rilassati», ghignò.
«Ti ucciderò nel peggior modo che conosco, bastardo!».
«Basta con queste minacce di morte, Jacob. Non appena apri gli occhi non fai altro che sbraitare», m’interruppe Joseph.
«E fa bene! Perché è quello che faremo!», s’intromise Embry.
Fra sbuffi generali, chi di noia, chi di rabbia, ripiombammo nel silenzio assoluto. C’era solo il sibilo dei macchinari di sottofondo e poi nient’altro.
Era strano non possedere più l’udito sviluppato, era come se mancasse qualcosa alla vita stessa. Niente più eco di cuori che battono, di sospiri strozzati in gola, di stomachi che brontolano. Niente scricchiolii di ossa o fruscio di capelli.
«Potrei telefonare a Nessie», asserì pensoso Benjamin.
«Non ti azzardare! Devi starle lontano!».
«Non credo proprio, mi è venuta una bella idea».
«Non ti permettere!», urlai dimenandomi. Lo guardai con occhi rabbiosi e lui mi sorrise. Quel damerino svampito che sembrava avesse qualche rotella fuori posto, si era rivelato uno dei miei peggiori nemici. Lo avevo trovato nella foresta un paio di volte, sicuramente era stato lui a piazzare le telecamere e chissà quali altre cose aveva fatto senza attirare la nostra attenzione. D’altronde era totalmente umano… eppure adesso era lui e Joseph e chissà quante altre persone ad avere il sopravvento.
«Joseph, può essere che i vampiri pur di salvare loro figlia, accettino di consegnarci tutti i lupi. Pensi che sia fattibile?».
Joseph scosse la testa. «Credo che sia più probabile che tu ci rimetta la pelle prima di riuscire nell’intento», disse conciso prima di iniettare nuovamente del liquido nella mia flebo.
«Mi stai addormentando un’altra volta?», chiesi digrignando i denti.
«Voi due parlate troppo ed io odio le chiacchiere».
Embry lanciò una serie di imprecazioni e prima che potessi minacciare di nuovo il bastardo di Benjamin, i sensi mi abbandonarono.
 
 
 

Renesmee

 
 
 
Era la prima volta che vedevo Billy così preoccupato. Mi faceva una strana sensazione… brutta sensazione.
Sam portò la carrozzella fino al centro del salone e tutti ci avvicinammo a lui, Leah era alle mie spalle.
Il mio sguardo corse subito verso mio padre per accertarmi della sua espressione. Più lui era serio, più mi sarei dovuta preoccupare. Intercettò i miei pensieri e mi gettò un’occhiata eloquente che non seppi decifrare.
«Non ho la certezza di ciò che sto per dire», iniziò Billy scuotendo la testa. «Però dobbiamo provare anche questa strada. I miei ragazzi sono spariti e…», s’interruppe per l’emozione e non riuscii a trattenere le lacrime.
Jake dove sei!
Non poteva essergli successo nulla di grave, no. Magari era imprigionato da qualche parte, lo tenevano rinchiuso, ma lui era vivo. Era vivo! Lo avrei sentito se gli fosse successo qualcosa di grave… visto il forte legame che avevamo, avrei avvertito una cattiva sensazione, una qualunque cosa che mi avrebbe fatto capire.
«C’era un uomo, tanti anni fa, che viveva alla Riserva. È un Quileutes. Se non fosse andato via, sarebbe uno dei membri ai vertici, un anziano, come lo sono io o Ateara».
Sam lasciò le impugnature della carrozzella di Billy e si avvicinò a Leah avvolgendola in un mezzo abbraccio di conforto. Lei non si scompose più di tanto, ma ero certa che avrebbe voluto urlargli contro e spingerlo lontano da lei. Non le piaceva fare pena agli altri, se poi era Sam, aveva una motivazione in più.
«Perché questo tizio è andato via?», chiese Quil interessato.
«Ha iniziato ad avere delle strane idee. Anche lui era un licantropo, lo è ancora credo, e da un giorno all’altro ha smesso di mutare. Diceva che era una maledizione che lo diversificava dagli altri e lui non voleva essere un diverso».
Seth ascoltava con lo sguardo vacuo e le braccia incrociate sul petto. Sembrava che l’ultima frase lo avesse toccato in qualche modo, la sua bocca tremò.
«Io, come anche Henry e lo stesso padre di Sam, abbiamo cercato di farlo ragionare, la nostra è una missione di vita e ci rende diversi in meglio. Noi aiutiamo le persone, le proteggiamo… ma lui non ci ha ascoltato e prima che andasse via definitivamente, lasciando anche la sua famiglia, abbiamo avuto una forte discussione. Promise che sarebbe tornato e ci avrebbe salvato tutti. Quando Jake mi ha detto che a Quil era stato conficcato un aggeggio in testa che gli impediva di mutare e ora la questione delle telecamere… io non riesco a fare altro che pensare a lui».
«Come facciamo a rintracciarlo, a sapere se c’entra realmente?», chiesi impaziente. Il mio cuore non ne voleva sapere di rallentare l’andatura e fremevo per fare qualcosa di utile, non ne potevo più di stare ferma in attesa che gli eventi mi travolgessero.
Billy deglutì. «Credo che ci sia un’unica persona che in questo momento ci può aiutare, sempre che non si stia già dando da fare da sola».
«Aspetta Billy», lo interruppe Sam. «Andiamo per gradi. A parte te e gli altri anziani, c’è qualcuno di noi che può riconoscere questo tizio che viveva alla Riserva?».
«No, tu eri solo un bambino di pochi anni, gli altri erano ancora in fasce o non erano neppure nati. Non potete ricordarlo. Ma solo adesso mi rendo conto che avremmo dovuto raccontarvi di lui, non fare finta che non fosse mai esistito. Se aveste saputo forse… forse sarebbe andata in modo diverso».
«Chi è quest’uomo?», chiese ancora Sam.
Billy sospirò. «Sì chiama Joseph», deglutì ancora. «Joseph Call, è il padre di Embry».
 
 
 
Angolino Autrice

Buona sera a tutti e scusate il ritardo, ma come vi ho spiegato nell'avviso sono un po' incasinata col trasloco. Quindi vi ricordo che ho annullato il giorno di normale postaggio cioè la Domenica, cmq non passerà tanto tempo fra un capitolo e l'altro, è possibile che ci siano anche più capitoli  a settimana.
E niente, spero vi piaccia :D e siamo quasi alla fineee ç_ç 
Vi lascio il link di una mia OS su Sam/Emily/Leah Scorcio Di Paradiso
Una piccola raccolta di drabble Nel Cuore Dei Lupi 

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Capitolo 22
*** Fino All'Ultimo Respiro ***


 
Per lui farei qualsiasi cosa.
Tutto, purché sia sano e salvo sempre.
Dalla sua felicità dipende la mia.
Dalla sua vita dipende la mia.
E morire sarebbe niente se servisse a farlo stare bene ancora.
 

Renesmee

 
 
 
 
 
Non riuscivo a credere a ciò che aveva appena detto Billy. Ero incredula più che mai.
Il padre di Embry era un tizio deviato che forse aveva rapito suo figlio insieme al mio Jacob?
Mi sembrava che la situazione stesse andando di male in peggio.
Jacob mi aveva raccontato quella vicenda e sin da subito mi ero accorta che lo toccava profondamente a causa delle sofferenze a cui era sottoposto di continuo Embry e anche per la paternità di quest’ultimo che si diceva fosse attribuibile a Billy, al padre di Sam o a quello di Quil.
Anni e anni a scervellarsi, ad arrabbiarsi e poi… spuntava il padre di Embry come se niente fosse.
«Avreste dovuto parlarcene prima, Billy», asserì Sam con tono duro. «Ci avreste risparmiato un sacco di problemi di ronda e forse… forse anche questo».
Billy sospirò con esasperazione. «Abbiamo fatto una votazione dopo la partenza di Joseph e all’unisono abbiamo deciso che il suo nome doveva scomparire. Sai bene come siamo devoti alle tradizioni, alle leggende, alla nostra missione di vita… Joseph ci ha traditi, ha rinnegato le sue origini, appellandoci malati. Ha perso letteralmente il senno e visto come sono fragili le menti umane, abbiamo deciso che seppellire l’accaduto nelle menti dei pochi membri che ne erano a conoscenza, fosse la cosa migliore da fare. Non volevamo altri casi come quello, non volevamo perdere altri fratelli. E soprattutto non volevamo che Embry ne pagasse le conseguenze».
Mi strofinai il viso, reprimendo quel maledetto magone che rischiava di travolgermi e farmi crollare. Riuscivo a capire bene il punto di vista di Billy; avevano agito per il bene di tutti e anche se sembra un’atrocità nascondere a un ragazzo l’identità del padre, lo avevano fatto anche per il bene di Embry.
Se al villaggio si fosse venuta a sapere la storia di Joseph Call, quando ormai era andato via, in che modo avrebbe vissuto Embry? Sin da bambino le cattiverie nei suoi confronti sarebbero state tante.
«Io, Quil e Jacob, abbiamo trascorso anni a chiederci chi dei nostri padri fosse il traditore, chi era stato il bastardo a tradire nostra madre».
«Lo so», asserì Billy. «Ma continuo a pensare che sia stata la decisione migliore per tutti, sia per noi sia per Embry. Se solo avessimo ipotizzato che Joseph sarebbe tornato in questo modo, vi avremmo raccontato la storia. Sono passati più di venticinque anni da quando è scomparso, non pensavamo tornasse più».
Sam si passò una mano fra capelli. «Tuttavia, non possiamo essere certi che ci sia lui dietro al rapimento e le stranezze della foresta».
«Non c’è un altro minuto da perdere Sam, dovete andare a scovare Kate».
«Kate?».
Il suo nome venne pronunciato da ogni singola persona presente, tranne che da me e da mio padre. Sapevo che c’entrava qualcosa, sin dalla prima volta che l’avevo vista, mi aveva dato una cattiva sensazione e la visione che avevo avuto a casa sua mi aveva dato la conferma. Non era l’angelo che voleva fare credere a tutti e stava tramando alle nostre spalle da sempre, sin dal suo maledetto arrivo.
Perché ero stata così stupida da non accorgermene subito? Maledizione!
Ero troppo occupata da Jacob e dalla mia gelosia per vedere realmente i suoi intenti. Ma era stata brava a mascherare la sua vera natura cattiva, Jacob fino alla fine era stato restio a dubitare di lei.
«Che cosa c’entra Kate?», ringhiò Sam fra i denti.
«Sono certo che sappia qualcosa, ho visto il suo tatuaggio».
«Che tatuaggio?».
Billy scosse la testa. «L’ho visto per caso, sulla sua nuca. Ma adesso non c’è più tempo di parlare, vi dirà lei ciò che sa, trovatela!».
«Ma è umana?», chiese nonno Carlisle.
«Sì».
«Bene, tu e Quil rimanete qui, noi altri andremo a casa di Kate, sperando di trovarla».
«Se lei sa qualcosa, ve la dirà», disse ancora Billy mentre ci accingevamo a uscire di casa.
«Lo spero per lei», ringhiai sbattendo la porta.
 
 
Fu Leah a dare indicazioni a mio padre sulla strada da prendere per arrivare a casa di Kate. Io ero troppo agitata e dovevo tenere a bada le immagini di morte violenta che imperversavano nella mia mente.
Come aveva potuto nascondere un simile segreto sapendo a che tragiche conclusioni si andava incontro?
Se fosse successo qualcosa di brutto a Jacob o a Embry l’avrei torturata in modo atroce. La morte sarebbe stata una cosa bellissima rispetto al dolore che le avrei inflitto.
Mio nonno era nell’auto dietro alla nostra, insieme a Sam e Seth e ci seguivano da vicino, forse per evitare che qualcuno si mettesse in mezzo a noi.
Mi chiesi se l’avessimo trovata in casa e la risposta fu quasi automatica: no. Forse era già scappata in capo al mondo oppure stava aiutando quel pazzo di Joseph a fare chissà cosa.
«Renesmee», mio padre mi richiamò fissandomi dallo specchietto retrovisore, in un vano tentativo di calmarmi.
Lo ignorai guardando fuori dal finestrino e spensi anche il cellulare che continuava a squillare imperterrito: Benjamin aveva scelto il giorno sbagliato per telefonarmi.
Mio padre parcheggiò lungo il marciapiede della casa di Kate e prima ancora che spegnesse il motore, io ero già dentro alla sua villetta a urlare come una forsennata. «Vieni fuori maledetta!».
Le ribaltai un paio di sedie e aprii le porte che trovai lungo il mio cammino, ma lei non c’era. Tuttavia la casa non era stata abbandonata, era tutto in ordine e nessun segno che ci facesse capire che era scappata via in fretta e furia. Sarebbe tornata di sicuro, ma quando? In quelle condizioni ogni secondo poteva essere fatale.
«Qui non c’è», disse Sam.
Mio padre si guardò intorno poi i suoi occhi si ridussero a una piccola fessura. «Sta tornando in questo momento, sento i suoi pensieri».
Uscii fuori ad annusare l’aria e il suo odore proveniva da Sud, era nella foresta. Certo… a lei nessuno avrebbe fatto del male.
«La aspetteremo in casa», disse mio nonno afferrandomi un gomito. «Non oltrepasseremo la strada per andare nel bosco».
«Se vedrà le auto, scapperà via», obiettò Leah. «Dobbiamo rischiare».
«Non possiamo permetterci che succeda qualcos’altro. Meno siamo e meno possibilità avremo di salvare Jacob ed Embry. Non si discute, aspetteremo qui».
L’impazienza generale fu calmata dalle parole dure di mio nonno, così ci rassegnammo e aspettammo che rientrasse. Nel frattempo i miei genitori andarono a spostare le auto parcheggiandole in modo che non destassero alcun sospetto alla bionda.
Mi accorsi che mi tremavano le mani e le strinsi forte a pugno conficcandomi le unghie nei palmi. Ero impaziente fino all’inverosimile e pregavo in continuazione di poter riabbracciare Jacob, che non gli fosse accaduto nulla di male. Anche senza imprinting… l’importante era che fosse vivo, che avrei potuto riguardare i suoi occhi e il suo sorriso.
Quando finalmente Kate aprì la porta, si precipitò ad afferrare il telefono sulla parete, nemmeno si accorse della nostra presenza nell’ombra.  
Seth la richiamò. «Ehi!».
Lei sobbalzò girandosi di scatto. Aveva una sacca in spalla che doveva contenere per forza un’arma, pensai che ci fosse un arco.
«Che cosa… Che cosa ci fate in casa mia?».
«Kate», mio nonno fece un passo avanti allargando le braccia. «Siamo al corrente del fatto che tu sappia qualcosa sulla sorte che è capitata a Jacob ed Embry».
Gli occhi di Kate erano guardinghi e allo stesso tempo freddi, ma sul fondo riuscivo a scorgere il tremolio della paura che si faceva sempre più opprimente. Faceva bene ad averne.
«Io cosa? Che cosa state dicendo? Chi siete voi?».
«Non negare!», le urlai contro. «Tu sai qualcosa!».
Leah, Sam e Seth la guardavano straniti, non erano ancora certi della sua colpevolezza. La conoscevano da ben due anni e la vedevano come una brava ragazza, era surreale accusarla di qualcosa di così grave.
«Io non so proprio un bel niente, lasciatemi in pace».
A quel punto fu mio padre a parlare. Si fece largo fra di noi e si avvicinò a lei. «Riesco a leggerti nella mente. Se non parli tu, parlerò io al tuo posto e comunque non ti lasceremo andare».
Kate fece un passo indietro e poi buttò la sacca sul pavimento. Si morse il labbro inferiore e passò qualche istante prima che decidesse il da farsi. Vedevo com’era combattuta, era come se stesse facendo un enorme sforzo e non ne capivo il motivo. Possibile che il segreto di appartenere a qualche tipo di organizzazione che vuole bloccare il gene dei licantropi, abbia fatto in modo di educare i suoi adepti in un modo così rigido? Possibile che la loro mente fosse così alterata da credere giusto ciò che è totalmente sbagliato?
«Che cosa volte sapere?», si arrese infine.
«Stanno bene? Dove sono?».
«Non so come stanno, ma di sicuro sono vivi ed è questo l’importante. Non sono molto distanti da qui».
«Perché ci hai fatto questo Kate?», chiese Leah con sguardo truce. «Ti abbiamo accolto nel nostro gruppo, ti abbiamo voluto bene».
Kate si scostò i capelli dietro la schiena e riprese la sacca dal pavimento. «Queste sono chiacchiere inutili e non ho tempo da perdere. Sta calando il buio e devo tornare alla Sede. Alle nove c’è il cambio di guardia ed io devo entrare».
Non ci potevo credere… parlare con tanta sfacciataggine davanti a delle persone che avrebbero potuto ucciderla con uno schiaffo, non era normale. Ovviamente non ne era al corrente, ma era un’incosciente lo stesso. Eravamo in superiorità numerica e lei sapeva qualcosa riguardo a ciò che era accaduto a due persone che amavamo con tutto il cuore. Voleva morire!
«Cos’è la Sede?», chiese Seth.
«Diciamo che è una specie di laboratorio. È lì che sono Jacob ed Embry».
«E che cosa gli stanno facendo?», chiesi con voce spezzata.
Kate mi guardò e fece una smorfia. «Che cosa vuoi che ne sappia io! Sono qui con voi a perdere tempo!».
«Spiegami il tuo ruolo, Kate. Perché non riesco proprio a capirlo e ciò che penso va a tuo discapito», asserì Sam con tono cupo. «Sai cose che non dovresti sapere».
«So che cosa pensate di me», disse Kate guardando me. «Mi credete responsabile di tutto, non è vero? Siete qui perché credete che con una parolina magica Jake ed Embry saranno liberati? Beh mi piace deludervi, ma non è così».
«Non cercare di prenderci in giro con questo vittimismo!», le puntai un dito contro. «Ho visto delle gabbie con dei lupi nella tua testa, mi hai detto di andare via da Forks perché per i lupi sarebbero arrivati tempi duri!».
«Ho solo cercato di farti un favore! Che cosa volevi? Che ti raccontassi la mia vita, la mia missione? Dovevo essere sincera con te? Perché tu mi hai detto che sei una mezza vampira o voi altri mi avete detto che siete dei lupi?», sbottò adirata. «Ognuno ha i suoi segreti. Io ho il mio. Adesso volete salvare Jake ed Embry o volete rimanere qui a incolparmi?».
«Chi ci dice che non porterai in gabbia anche noi?», chiese diffidente Seth.
Kate lo guardò indurendo la mascella. «Visto che qualcuno riesce a leggermi nella testa e il mio segreto prima o poi verrà svelato, tanto vale che lo dica io».
Si girò portandosi i capelli di lato e ci mostrò un piccolo tatuaggio circolare alla base della nuca, proprio come aveva detto Billy. Sembrava simile al motivo dei Quileutes, ma non era lo stesso.
«Non sono la cattiva», sibilò sarcastica. «Io sono una Custode. Una Custode del segreto dei lupi. E non mi guardate così…», si lamentò rivolgendosi ai miei genitori. «Voi in Italia avete i Volturi a vigilare sui vostri segreti, e ogni branco di licantropi ha noi… anche se non lo sa», si diresse verso la porta. «Ora andiamo prima che sia troppo tardi».
 
 
Era una Custode. Sarei dovuta essere felice, ci avrebbe aiutato per lo meno. Eppure io fremevo per la rabbia di non poterle fare del male.
Mi aveva dato filo da torcere dal mio ritorno, l’avevo odiata e anche invidiata e ora… non era neppure la cattiva e ci stava aiutando a riportare a casa Jacob ed Embry. Avevo preso un abbaglio grosso quanto una casa e tutto perché non la sopportavo e quindi vedevo del marcio in lei, anche se non c’era. Comunque, c’erano tante cose che non mi tornavano sul suo comportamento, come per esempio quella volta che l’avevamo ritrovata riversa in una pozza di sangue… ovviamente non era stato Quil a ferirla. E poi perché visto il pericolo, non aveva svelato la sua identità al branco in modo che potessero proteggersi?
In venti minuti arrivammo alla periferia di Forks, nei pressi di quello che sembrava un cantiere. Era buio ormai, ma quella zona era ben illuminata e tutta recintata, tranne l’entrata che era sbarrata con un passaggio a livello.
 «Non abbiamo molta scelta, ci sono telecamere ovunque. Nel momento in cui ci avvicineremo, ci vedranno e scatteranno le misure di sicurezza».
«Che misure di sicurezza hanno?», chiese Seth con gli occhi rivolti a una specie di gigantesco capannone col tetto bianco.
«Sicuramente una sirena che allerterà tutti».
«E poi? Non sai altro?», chiese Leah sarcastica. «Ma dimmi una cosa Kate, il tuo compito non è vigilare? Proteggerci? Come puoi se sei umana e completamente da sola?».
«Per vigilare e indagare è meglio essere da soli, più persone attirerebbero l’attenzione. Invece quando si decide per un’azione di forza, siamo una squadra».
«Vuoi dire che sei addestrata?», chiese Leah non del tutto convinta.
«Sì, iniziamo dall’età di cinque anni».
«Voi avete a che fare con creature soprannaturali, neanche con un buon addestramento riuscireste a ucciderne qualcuno».
Kate sollevò un sopracciglio e aprì la cerniera della sacca che portava in spalla. Ne estrasse una balestra. «Punta avvelenata. Ovviamente non ti ucciderebbe, però in venti secondi saresti al tappeto e dopo finirei il lavoro con questa», concluse, prendendo una pistola dalla forma strana che nascondeva negli stivali. «Non sei immortale Leah».
La mia amica la guardò in cagnesco e poi rivolse lo sguardo al capannone, l’unico edificio nel quale potevano essere Jacob ed Embry, perché tutto ciò che c’era intorno erano solo fondamenta senza una struttura vera e propria.
«La mia squadra sarebbe arrivata domani, li avevo avvertiti. Purtroppo Joseph ha cambiato i suoi piani all’improvviso ed è accaduto tutto ciò. Ci ha spiazzato… forse si è accorto di noi».
Il vento agitò i rami degli alberi e sollevò un polverone nel cantiere. Eppure continuavo a non immaginarmi quella ragazza dalle sembianze di un angelo, a combattere e a uccidere.
«Forse possiamo negoziare con loro», esordì mio nonno sempre contrario allo scontro.
Kate scosse la testa. «La negoziazione è esclusa con Joseph. Tra l’altro è un licantropo e riconoscerebbe l’odore di vampiri. Credi che sia disposto a fare accordi? Io no».
Implorai mio nonno con gli occhi. Neppure io avevo così tanta voglia di uccidere qualcuno e avrei fatto tutto il possibile per evitarlo. Avrei provato a stordirli a non usare tutta la mia forza, ma dovevamo agire.
Tra di noi quella che rischiava più di tutti era Kate e se proprio lei aveva detto che la negoziazione era da escludere, le dovevamo credere. Ogni minuto era prezioso.
«Bene allora siamo d’accordo», disse Kate con sicurezza caricando la sua arma. «Andiamo a riprenderceli».
 
 
Presi un grosso respiro e scacciai dalla mia testa la rabbia per ciò che avevamo subito e la paura che ciò che poteva essere accaduto al mio Jacob. Niente doveva distrarmi, dovevo essere più lucida che mai.
Nel momento in cui oltrepassammo il passaggio a livello e la guardia all’interno della cabina si accorse delle nostre intenzioni ostili, lanciò l’allarme proprio come aveva detto Kate.
L’intero cantiere fu illuminato a giorno e degli spari riempirono l’aria, degli uomini ci raggiunsero e ben presto quel luogo che sembrava desolato pullulava di gente.
Gettai un’occhiata fugace ai miei familiari che intercettavamo i colpi di pistola difendendo noi altri e poi decisi di correre all’impazzata verso il capannone, alla ricerca di Jacob ed Embry. Combattere non era la mia priorità e poi era meglio dividerci, li avremmo trovati più in fretta.
Prima di entrare nel cantiere, mio nonno aveva detto di rimanere tutti uniti, in modo che potessimo difenderci al meglio l’uno con l’altro. All’inizio sembrava una buona idea, adesso, col capannone così vicino e l’idea di portare in salvo Jake e di rivederlo finalmente, sembrava una pessima idea.
Evitai una scarica di pugni di uno sconosciuto e poi saltai contro una finestra infrangendola. Ricaddi su un pavimento bianco insieme ai vetri che mi trafissero le mani e le ginocchia.
«Jacob!», urlai a squarciagola. «Jacob, dove sei!».
L’allarme era assordante e le luci andavano e venivano, probabilmente l’impianto era andato in corto circuito. Quello era un laboratorio vero e proprio con una sfilza di macchinari mai visti accatastati lungo le pareti. C’erano dei frigoriferi trasparenti, microscopi e gabbie, proprio come ciò che avevo visto nella testa di Kate.
«Jacob, rispondimi!».
«Renesmee tesoro!».
Quando sentii la voce di Benjamin poco distante, mi venne un colpo al cuore. Che cosa diavolo ci faceva lì?
Gli puntai un dito contro e urlai facendomi bruciare la gola. «Fermo dove sei o ti uccido!».
«Tesoro, devo portarti in salvo!».
Impugnava un’arma e metà del suo viso era insanguinato. Era chiaro come il sole… era coinvolto in quello schifo. E io non me n’ero mai accorta.
«Fermo dove sei!», gli intimai ancora.
«Non voglio farti del male, vieni qui!», urlò per farsi sentire sopra a quel baccano.
«Sei responsabile anche tu di questo schifo? Mi hai usato? Tutte quelle cose sul mondo soprannaturale riguardavano questo?», chiesi allargando le braccia per mostrare ciò che mi circondava.
«Eri troppo stupida per capire!», esclamò sollevando l’arma verso di me.
Istintivamente feci un passo indietro e poi qualcosa scattò nella mia testa. Era ora di usare i miei poteri di vampira e di addormentare l’umana che mi avevano insegnato ad essere. Scivolai sul pavimento e corsi lungo la parete a una velocità che non credevo di poter raggiungere. Una scarica di proiettili mi seguì e uno mi ferì di striscio il gomito, poi lo raggiungessi e gli tirai un colpo alla nuca che lo fece accasciare all’istante sul pavimento. Non avevo regolato la forza, ma di sicuro non era abbastanza per ucciderlo. E proprio quando alzai gli occhi dal suo corpo incosciente vidi Jacob steso su una piattaforma di acciaio e poco più in là c’era Embry. Entrambi avevano gli occhi chiusi.
Mi si bloccò il respiro il gola e li raggiunsi con le tempie che mi sbattevano.
«Jacob! Svegliati Jacob!», lo scossi dalle braccia e strappai quelle fibbie di pelle che lo imprigionavano, lo stesso feci con Embry. Con la paura che fossero morti avvicinai l’orecchio alle loro bocche per assicurarmi di sentire il respiro e per fortuna erano vivi, anche se non avevo idea delle loro condizioni.
Da sola non potevo portarli fuori, anche prendendoli uno alla volta, rischiavo che qualche proiettile li ferisse.
«Jacob, svegliati ti prego».
Poi una pallottola mi colpì alla spalla facendomi cadere all’indietro. Il dolore fu lancinante, il bruciore era atroce. Gettai un urlo tenendomi la parte dolorante mentre un uomo possente avanzava verso di me puntandomi una pistola contro.
«Non osare toccarli!», m’intimò.
Non ebbi alcun dubbio sulla sua identità, quello era Joseph Call, la somiglianza con Embry era impressionante.
«Loro devono poter vivere la loro vita al meglio, abbattendo per sempre l’animale che hanno in corpo».
«Loro amano la loro condizione! Lascia decidere loro!».
«Come possono amare un mostro?».
«La missione a cui si dedicano da anni è fondamentale per loro! Embry è tuo figlio, pensa a che cosa gli stai facendo!».
«Gli sto facendo un favore e anche ai suoi amici!».
Non appena si avvicinò a Jacob sollevando una mano verso la flebo che gli gocciolava nelle vene, mi scagliai a dosso a lui con un urlo.
Cercai di tirargli un pugno, ma lo bloccò scaraventandomi contro un muro. Caddi su un fianco e mi rialzai, lo colpii con un calcio e sentii la mia mascella scricchiolare sotto un suo pugno. Caddi in terra di nuovo tossendo e quando cercai di vedere dove fosse, me lo ritrovai davanti con la pistola puntata sul mio viso. Trattenni il respiro, il mio corpo era umano, le carni soffici, il mio cuore batteva… potevo morire. Mai ero stata più consapevole.
«Mi dispiace per te ma…».
Una sbarra di ferro colpì la testa di Joseph che cadde a terra dolorante.
«Scappa Nessie!», gridò Jacob a voce rauca mentre cercava di mantenere l’equilibrio. Vidi Embry rotolare su un fianco e cadere in ginocchio sul pavimento, teneva qualcosa fra le mani, sembrava un bisturi.
Ci fu un’altra esplosione assordante. Joseph si toccò la testa e Embry gli infilzò la gamba per poi tossire freneticamente.
«Embry è tuo padre!», urlai col sapore del sangue in bocca.
Odiavo quell’uomo per averli rapiti e per ciò che ci aveva costretto ad affrontare, ma non volevo che morisse. E non volevo che fosse proprio Embry a ucciderlo, il senso di colpa gli avrebbe impedito di vivere.
Invece al contrario di ciò che pensavo Embry lo infilzò un’altra volta. «Bene», ringhiò fra i denti. «Almeno ho un motivo in più per ucciderlo».
Strisciai verso Jacob che si era accasciato sul pavimento senza forze e poi la luce tremolò ancora fino a spegnersi del tutto.
Embry urlò e qualcosa si schiantò al suolo. «Sta fuggendo!».
Ero mezza vampira, eppure non vedevo niente in quel buio, niente. E anche le forze mi stavano abbandonando, forse nel proiettile che avevo in corpo c’era qualche sostanza velenosa, come per le frecce di Kate.
«Reneesme!».
Sentii la voce di mia madre e anche quella di mio padre, poi persi i sensi.
 
 
Quando riaprii gli occhi ero a casa dei nonni, sdraiata sul letto della vecchia camera di mio padre. Avevo la testa leggera e sentivo un dolore atroce alla spalla.
Quando ricordai tutto l’accaduto, sbarrai gli occhi e mi sollevai di scatto.
«Jacob?».
«Stai giù», mi disse a bassa voce prendendomi una mano.
Vederlo lì accanto a me, sano e salvo mi fece rinascere per la seconda volta. Scoppiai in lacrime e lo abbracciai forte sentendolo tossicchiare. Non me ne importava che a momenti sarei svenuta per il dolore che mi attanagliava.
Jacob mi baciò una guancia e mi accarezzò a lungo finché non mi calmai. «Stai bene, Jake?», chiesi in un sussurro.
«A quanto pare sì», mi baciò a metà bocca abbozzando un sorriso.
«Non… non vi ha fatto niente?».
«Credo che non abbia fatto in tempo».
«E allora perché sei così debole?».
«Ci ha debilitato l’organismo per impedirci di trasformarci, almeno, così ha detto Carlisle».
Deglutii e lo scrutai negli occhi per accertarmi che non mi stesse nascondendo qualcosa e lui sollevò le lenzuola per coprirmi meglio. Poi nei suoi occhi passò un’ombra. «Hai rischiato di morire. Non saresti dovuta entrare da sola lì dentro».
«Volevo solo ritrovarti… non m’importava di morire».
«Sempre la solita», borbottò aspro.
«Come sta Kate?», chiesi ricordandomi di lei.
Jake si strinse appena nelle spalle. «Kate… è stata ferita gravemente. Adesso le sue condizioni sono stabili, ma non si sa se ce la farà».
«Mi dispiace», sussurrai sinceramente e mi sentii tanto in colpa. «Mi dispiace sul serio. L’ho accusata ingiustamente e invece…».
Jacob annuì accarezzandomi i capelli. «Anche io avrei travisato le immagini della sua mente», mi confortò.
«Ho rischiato più volte di ucciderla».
«Rimedierai in futuro», mi fece un sorrisetto malizioso. «Magari diventate amiche».
Mi poggiai sul suo petto e non risposi. Mi dispiaceva che stesse rischiando la vita, ma non avrei mai potuto diventare sua amica, non sapendo che aveva baciato il mio Jacob. Sicuramente la tristezza che provavo adesso per lei, mi sarebbe passata nel momento in cui avrebbe aperto di nuovo i suoi grandi occhi blu.
«E Quil come sta?».         
«Tuo nonno ha trovato delle carte al capannone e alcune di essere riguardano la rimozione del microchip».
«Davvero?», chiesi sorpresa e felice. «Quindi tornerà a essere un lupo?».
«A quanto pare sì», sorrise felice anche lui.
Mi strinse fra le sue braccia e mi baciò la fronte.
«Embry invece e Benjamin e Joseph?».
«Benjamin e Joseph sono riusciti a fuggire, ma tuo padre si è messo in contatto con Emmett e Jasper, vuole scovarli e assicurarsi che non riescano a fare del male più a nessuno. Embry… si è chiuso nel silenzio, non vuole parlare e Leah è a pezzi».
Mugolai chiudendo gli occhi. Leah aveva già sofferto tanto nella sua vita e odiavo l’idea di vederla triste o peggio ancora scontrosa. Sperai che Embry tornasse a essere quello di prima, anche se quello che aveva vissuto era la più brutta esperienza della sua vita.
«Ehi, non ti preoccupare», mi confortò Jacob. «Tutto si risolverà presto».
Annuii beandomi della morbidezza delle sue labbra che cercavano le mie con dolcezza.  «Adesso non ci resta che riprendere la nostra vita in mano e viverla. Insieme».
«Sì, lo faremo», sussurrai ricambiando il suo bacio. «Insieme».


Angolino Autrice

Ci ho impiegato un po', ma alla fine ce l'ho fatta! Ecco il capitolo. So che è lunghissimo, ma visto che non aggiornavo da un po' mi sembrava d'obbligo. Spero tanto che vi sia piacuto e vi annuncio che è l'ultimo ç_ç la storia è finita, manca solo l'epilogo che posterò presto.
Grazie a tutti voi che leggerete e che mi lascerete due paroline. Grazie a Martina e Alessandra che mi hanno sostenuto e minacciato per tutto il tempo ahahah.
Alla prossima! <3 <3 <3

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Capitolo 23
*** Epilogo - Sabbia Bianca - ***


Io e Jacob.
Insieme finalmente.
Non posso fare a meno di guardarlo, è più forte di me. Cammina al mio fianco assorto nei suoi pensieri, tenendomi per mano.
Il mare cristallino e il sole che sta per tramontare fanno da sfondo al suo morbido profilo, facendolo sembrare una visione.
Sabbia bianca.
È una distesa interminabile che ci circonda morbida e tiepida. Ci affondiamo i piedi nudi mentre compiamo per l’ennesima volta il giro della piccola isola, dove stiamo trascorrendo qualche giorno di vacanza.
Il nonno ci ha dato il permesso di venire sull’isola Esme e al nostro ritorno dovrò assolutamente ringraziarlo, è un vero angolo di paradiso. È quasi come essere in un sogno, una realtà a parte.
Qui, tutto ciò che è successo a Forks sembra lontano anni luce e ho persino la speranza di poterlo dimenticare. Sono stati attimi orribili, in cui molte volte ho temuto il peggio per la vita del mio Jacob.
Mi dico sempre che non devo pensare a ciò che sarebbe potuto accadere, che è una cosa del tutto inutile e autodistruttiva, ma a volte è quasi impossibile non farlo. Avrei potuto perdere l’amore della mia vita, perderlo in modo definitivo e anche se ormai è una cosa appartenente al passato, mi ha lasciato una cicatrice. Basta un niente, persino un po’ di ritardo per farmi assalire dall’angoscia che possa essere accaduto qualcosa di grave.
Jacob sospira e poi cambia posizione al modo in cui mi stringe la mano, incrociando le nostre dita. Il formicolio che preannuncia la lettura della mente mi assale, alcuni brividi mi fanno venire la pelle d’oca.
Sono passati un paio di mesi da quando ho scoperto di avere questa capacità e ho imparato a usarla a mio piacimento. E se inizialmente riuscivo a farlo solo con Jacob, adesso riesco con chiunque.
Gli getto un’altra occhiata, lui è ancora silenzioso, con lo sguardo perso chissà dove. Sono molto curiosa di sapere a che cosa sta pensando, non so perché, ma ho l’impressione che sia qualcosa che lo preoccupa ed io vorrei tanto rassicurarlo.
Il formicolio si accentua e il mio potere aspetta soltanto che gli dia il permesso di azionarsi, che gli permetta di mettermi in contatto con Jacob… stavolta però mi rifiuto, ricaccio indietro quel desiderio e di conseguenza il formicolio svanisce.
Per quanto sia curiosa e per quanto possa leggere nella sua mente senza nemmeno farlo rendere conto, non lo faccio. È bene che abbia la sua privacy, qualsiasi sia la natura dei suoi pensieri.
Nel momento in cui volesse condividere qualcosa con me, io sono qui, altrimenti non mi prenderò delle libertà sulla sua mente, non è affatto giusto.
Gli tocco la spalla e gli sorrido. Lui ricambia avvicinandosi a scoccarmi un bacio a metà bocca.
Fino a poco fa siamo stati nel bosco a fare una passeggiata e si è trasformato. Riesco a sentire l’odore del lupo intrappolato nella sua pelle.
Quel lupo che ha rischiato di perdere, insieme ai suoi migliori amici Embry e Quil. Per fortuna non è accaduto, ci siamo presi solo un grosso spavento. Colui a cui è andata peggio a causa del microchip impiantato nella testa e cioè Quil, è stato operato da mio nonno che ha estratto l’aggeggio facendo in modo che riacquistasse tutte le sue capacità, anche l’imprinting è tornato.
Per fortuna Kate ci ha aiutato. È stata lei quella che ha rischiato veramente di morire e che ci ha impiegato più di tutti a riprendersi, ma alla fine ce l’ha fatta ed è andata via dicendo che Forks non è più il suo posto.
Non avrei mai pensato di dirlo, ma il giorno della sua partenza mi sono intristita. L’ho accusata ingiustamente, nella mia mente l’ho uccisa più volte e alla fine lei non è ciò che credevo. È dalla parte del branco.
Di Joseph e Benjamin invece non ci sono tracce, ma li stiamo ancora cercando; a ogni modo tutte le loro apparecchiature sono finite in Alaska nel laboratorio del nonno e quel capannone all’interno del cantiere è andato distrutto… Leah non c’è andata leggera.
«Nessie, devo dirti una cosa», dice Jake all’improvviso.
Si volta verso di me, afferrandomi entrambe le mani. Il dislivello della sabbia mi fa quasi arrivare alla sua altezza, perciò sorrido baciandogli la fossetta sul mento.
«Che cosa? ».
Jacob spalanca un po’ gli occhi e arriccia le labbra pensieroso. Sembra che a tratti sia turbato, oppure preoccupato.
«Io non sono bravo con le parole, tu lo sai».
«Per fortuna posso leggerti nella mente», lo prendo in giro.
«No, non voglio», dice serio.
«Che succede, Jake?».
Prende un grosso respiro e stringe gli occhi. Li riapre subito e le sue iridi sono calde, come la sua pelle. Deglutisce e finalmente parla.
«Vuoi sposarmi?».
A quelle due parole mi sento morire dalla sorpresa e poi dalla felicità. Il mio stomaco si capovolge più volte e il terreno sotto i piedi sembra mancarmi.
Sono poche le volte in cui ho pensato a questo momento, ci ho fantasticato a lungo sul luogo in cui me l’avrebbe chiesto, sulle parole che avrebbe usato e anche se mai avesse avuto il coraggio di farlo, di abbandonare la sua vita spensierata per trascorrerla insieme a me. Invece l’ha fatto. E l’ha fatto molto prima di quanto mi aspettassi e in un modo dolcissimo.
Mio padre non approverebbe, ma per me è perfetto. Perfettissimo.
«Io…», inizio a dire in difficoltà. Sono senza parole, mi viene solo da piangere, così gli salto al collo e lui mi avvolge la vita in un abbraccio.
«Certo che voglio sposarti».
Jacob ride e gira in tondo finché non ricadiamo sulla sabbia bianca. Mi scosta alcune ciocche di capelli dal viso e poggia la fronte sulla mia.
«Sei sicura di volermi sposare?».
«Ovvio Jake, tu?».
«Io no», ride dandomi un bacio, poi incatena lo sguardo al mio e quando lo fa in questo modo intenso sento il potere dell’imprinting che ci lega e mi crogiolo in questa magia. Mi sento fortunata. Mi sento la donna più fortunata del mondo.
«Non vedevo l’ora di chiedertelo», sussurra sulla mia bocca. «Voglio stare con te per sempre».
«E io non vedevo l’ora che tu me lo chiedessi».
Abbozza un sorriso. «Lo so che sei impaziente di cambiare la disposizione dei mobili in casa».
«Come hai fatto a capirlo!».
«Io capisco un sacco di cose di cui nemmeno tu ti rendi conto».
Scocco la lingua sul palato e strofino il naso sul suo collo. Non sono proprio d’accordo con lui, perché in effetti di una cosa non si è accorto. E visti i suoi poteri sovrannaturali non doveva accadere, quindi non è poi così attento come dice di essere.
Gli prendo la mano e me la porto in grembo lasciandola lì. «Questo però non l’hai sentito».
Jacob rimane pietrificato con la bocca appena schiusa e gli occhi nei miei. Conto i secondi che ci impiega a realizzare che sta toccando l’involucro che contiene qualcosa di suo. Il frutto del nostro amore.
Anche quello, come la sua proposta, è arrivato prima del previsto. Per una normale ragazza sarebbe un po’ presto, ma non per me, per noi. Abbiamo davanti l’eternità, avremo sempre lo stesso aspetto, lo stesso corpo… a meno che non ingrasso.
«Aspetti un bambino», mormora fra i denti.
«Ritenta…».
«Oh mio Dio! Sono due!».
«O una cosa si fa bene o non la si fa proprio. Non trovi amore?».
Jacob sbatte le palpebre convulsamente, sembra più impaurito lui all’idea di avere una coppia di gemelli che io, che devo portarli in grembo per nove mesi e devo anche farli nascere.
«Le mie sorelle sono gemelle, è normale che poteva capitare una cosa del genere».
Deglutisce e mi bacia la fronte con gli occhi spiritati. «Sono felicissimo. Dio… diventerò padre. Ok, sono felicissimo».
«Perché lo stai ripetendo? Te ne devi convincere?».
Jacob si rilassa e mi stringe forte a sé. «No. Dico sul serio, sono felice Nessie. Sono l’uomo più felice del mondo».
«Anche se queste piccole creaturine saranno due femmine?», lo prendo in giro. «Embry e Seth non hanno ancora avuto l’imprinting, magari…».
«Oh Santo cielo! Non dirlo nemmeno per scherzo!».
Rido aggrappandomi a lui, poi gli prendo il viso fra le mani. «Adesso è tempo di pensare solo a noi. Abbiamo ancora tantissimo da recuperare».
«E abbiamo tutto il tempo che vogliamo».
«Sì. Questo è il nostro per sempre».
Il sole viene inghiottito definitivamente dal mare, suggellando la nostra promessa e portandola con sé, dove nessuno può arrivare. Dove nessuno può distruggerla.
Il nostro per sempre è assicurato. Il nostro amore durerà per l’eternità.
 
 
Angolino Autrice

Mi viene da piangere!! Questa storia sembra che sia volata, non so perchè! Ed eccoci arrivati alla fine, un lieto fine. Li adoro questi due! E i loro bambini stanno già giocando nella mia mente <3
Ringrazio tutti, dal primo all'ultimo lettore, a tutti voi che mi avete riempito di complimenti con le recensioni, a voi che vi siete appassionati e avete sofferto e gioito con i personaggi. 
Sono fiera di questa storia, perchè è andata molto meglio delle mie aspettative, anzi è andata proprio fuori, ho raggiunto quasi 300 recensioni, cioè un botto! Ringrazio Barbara, senza di lei questa storia non esisterebbe e ringrazio Alessandra e Martina per il supporto e i consigli. 
PS ho qualche capitolo extra della storia, li inserirò di seguito anche se ho fleggato la casella della storia completa, quindi se volete, rimanete ancora per qualche altra settimana qui con me. :)
Un bacione e a presto <3 <3 <3

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Capitolo 24
*** Extra: L'annuncio ***


 

Jacob

 
 
 
I nostri giorni di vacanza erano appena terminati purtroppo.
Avevamo lasciato l’isola Esme e adesso su un aereo eravamo diretti a casa determinati a costruire il nostro futuro.
Diedi un bacio sulla fronte di Nessie che dormiva poggiata sulla mia spalla.
Ancora non riuscivo a credere che aspettava due bambini. Cioè non uno, due! Jacob Black doveva sempre esagerare.
Immaginai i commenti dei miei amici e alle zuffe che ne sarebbero conseguite, alle occhiatacce di mio padre troppo all’antica per capire la situazione e a Edward. Quale sarebbe stata la sua reazione?
Non potei fare a meno che ridacchiare fra me e me. Se mio padre era all’antica lui che cos’era? Una specie di reliquia.
Solo a pensare quello a cui aveva sottoposto la povera Bella: farla sposare a diciotto anni e regalarle un brillocco degno della Regina Elisabetta.
Nessie mi aveva detto che suo nonno l’aveva avvertita della gravidanza quando era tornato in Alaska e noi avevamo raggiunto l’isola da un paio di giorni.
Edward e Bella invece erano a Forks, prima di andare via avrebbero aspettato il nostro ritorno, quindi erano all’oscuro di tutto.
«Jacob?», Nessie mi richiamò a bassa voce non appena si risvegliò.
«Sì?».
«Stavo pensando ai nomi da dare ai nostri piccoli…».
Nessie si accarezzò il ventre ancora piatto, forse era un gesto involontario, quelle cose che le donne fanno senza pensare quando sanno che c’è una vita dentro di loro. Avevo visto molte volte Emily e Kim svolgere la stessa azione.
«Che cosa hai in mente?», chiesi ricordando i nomi dei piccoli della Riserva, che per adesso erano solo due Moeh e Thia, le piccole di Sam e Jared.
Magari i miei erano due maschi. Lo sperai profondamente. La pulce che mi aveva messo Nessie nell’orecchio riguardo a possibili imprinting mi aveva fatto accapponare la pelle.
Una figlia nelle mani di Embry o Seth? No, Dio aiutami per favore. Avevo già fatto uno sforzo immane ad accettare Paul come cognato, povera sorella mia che destino crudele.
«Beh sai, stavo giocando con i nomi dei nostri genitori..», continuò Nessie sovrappensiero.
La sua frase mi riportò a un passato lontano, nemmeno troppo, ma ancora vivido nella mia mente. Bella col pancione, in mezzo ad Alice e Rosalie che pronunciava per la prima volta il nome che avrebbe dato alla sua creatura se fosse stata una femmina: Reneesme.
«No, per favore», mi affrettai a dire. «Tua madre quando mi disse la prima volta il tuo nome, aveva pronunciato le tue stesse parole. Quando disse Reneesme per poco non ci rimasi secco».
Nessie corrugò le sopracciglia e cercò il mio sguardo. «Perché non ti piace?».
«Sì, no… voglio dire, non è che sia il massimo e poi è complicato, anche difficile da ricordare. Secondo te perché ti ho chiamato sin da subito Nessie?».
«Sei tu che mi hai dato questo nome?», chiese sorpresa.
«Sì e per poco tua madre non mi uccideva. Diceva che non potevo dare il nome del mostro di Lockness a sua figlia».
Risi a quel ricordo e Nessie mi seguì, poi si raddrizzò sul sedile e s’inclinò verso di me con interesse.
«Quante cose non mi avete detto!».
Mi strinsi nelle spalle. «Non sono poi così importanti».
«Questo lo dici tu! Comunque, forse ho trovato dei nomi, dimmi come ti suonano…».
Trattenni il respiro sperando che non mi dicesse qualche stranezza.
«Se è un bel maschietto, facciamo così…», continuò mentre io elaboravo probabili nomi della mia mente, del tipo Eddyly, Billyward.
«Mi piace William Anthony Black, che cosa ne pensi?».
Arricciai le labbra riflettendo per un attimo. Beh mi piaceva, suonava bene ed erano nomi che esistevano veramente, non come il suo che con molta probabilità sarebbe dovuto essere aggiunto nelle ristampe dei registri comunali.
«Il nome di mio padre, quello di tuo padre e il mio cognome. Fico, mi sembra».
Papà sarebbe andato in brodo di giuggiole e anche Edward, me lo immaginavo a ballare dalla felicità.
Nessie sbatté le mani felice e mi baciò. «Mentre se è una femmina…».
«Sì?».
«Sarah Marie Black».
Sorrisi stringendola. «Anche questo è bellissimo, piccola».
«Lo so! Sono un genio lo so!».
«Se invece sono due maschi o due femmine? Ci serve cercare altri due nomi».
«Li ho già trovati!».
«Ephraim Carlisle Black e Rose Esme Black».
Sbattei le palpebre quelle erano le combinazioni dei nomi dei nostri nonni, quindi un bimbo avrebbe avuto quello dei nostri genitori e l’altro quello dei nonni. Sì, decisamente mi piaceva.
Trascorremmo l’intero viaggio a fantasticare sul nostro futuro, sui nostri bambini e a chi dei due sarebbero somigliati. Discutemmo sulle modifiche da apportare alla casa e che noia, non riuscii a oppormi al fatto che volesse ridipingere le pareti verdi.
Ormai distavamo poco più di un miglio dalla casa dei suoi nonni dove ci attendevano Edward e Bella. Nessie non sembrava nervosa all’idea di dire ai suoi genitori che aspettavamo dei bambini né che le avevo chiesto di sposarmi.
Quando parcheggiammo davanti all’uscio e scendemmo dall’auto, Bella ci venne incontro e strinse Nessie in un abbraccio. Anche Edward apparve con un sorriso sulla soglia e ci raggiunse.
Dopo qualche istante io e Nessie ci guardammo perplessi. Era strano l’atteggiamento di Edward, perché non sbraitava o faceva quelle sue espressioni contrariate da sex symbol mancato?
«Papà, va tutto bene?», chiese Nessie interessata.
«Magnificamente», rispose allargando ancora di più il suo sorriso. «Visto che non riesco a leggere i vostri pensieri».
Nessie guardò sua madre che si strinse nelle spalle sporgendo le labbra all’infuori. «Mi ha chiesto di estendere il mio scudo fino a lui affinché non potesse sentire niente. È per la sua salute mentale, se non l’avessi fatto sarebbe impazzito», ridacchiò Bella guardando suo marito con occhi dolci.
A quel punto Nessie mi si avvicinò stringendomi una mano.
«Bella, togli il tuo scudo avanti. Edward deve sapere qualcosa e anche tu».
L’interessato s’incupì subito. «Jacob, credevo che ci tenessi alla tua vita».
Sorrisi amabilmente, come un vero e proprio genero provetto, che diamine! «Ci tengo infatti. Ricordi quando qualche anno fa mi rivelasti che eri felice che Nessie avesse me?».
«Purtroppo mi ricordo, la mia mente non è a breve scadenza».
«Quindi ricordi anche la mia risposta?».
Edward ridusse il suo sguardo a una piccola fessura. «No…», mentì spudoratamente.
Beh, glielo avrei ricordato io. «Devo cominciare a chiamarti papà?».
«No», rispose Edward, ripetendo ciò che anni addietro aveva detto.
«Mi spiace, ma adesso la tua risposta deve cambiare», sorrisi soddisfatto.
Nessie aveva accettato di sposarmi, quindi ero ufficialmente uno di famiglia, lui diventava mio suocero! Risi mentalmente!
In quanto suocero quindi, avrei iniziato a chiamarlo papà.
«Togli lo scudo Bella», sibilò Edward a denti stretti ed io mi preparai a pensare alla richiesta di matrimonio e nient’altro, giusto per facilitargli il lavoro.
Bella sospirò con esasperazione e prima che Edward reagisse passarono una decina di secondi.
Mi accorsi che sbiancava più di quanto non fosse già bianco, poi digrignava i denti, poi spalancava la bocca, poi faceva delle smorfie.
Quando finì di leggere nelle nostre menti lasciò che le sue braccia cadessero flosce lungo i fianchi.
«Ti sembra una proposta di matrimonio quella?». Il vampiro si affrettò ad abbracciare Nessie strappandomela dalle braccia e accarezzandole dolcemente la testa. «Povera la mia piccola, che cos’hai dovuto subire».
Nessie ridacchiò ricambiando l’abbraccio di suo padre. «Ma è stato bellissimo!».
«Sì come andare a un funerale», replicò Edward.
«Volete dirmi che cosa succede!», chiese Bella già col sorriso sulle labbra.
«Le ho chiesto di sposarmi e lei ha accettato».
«Congratulazioni!», disse felice stringendo prima me e poi completando il quadretto della famigliola felice unendosi a suo marito e sua figlia.
Nessie tornò da me e le avvolsi la vita in un abbraccio baciandole poi una guancia.
«Non è tutto», disse Edward guardando Nessie. «La nostra Reneesme aspetta dei gemelli».
Bella si gettò addosso a sua figlia riempiendola di frasi sdolcinate che la mia mente si rifiutava di ascoltare e mentre loro iniziavano a fantasticare, Edward mi fece una smorfia mimando alcune parole con la bocca. «Cane randagio».
Gli resi pan per focaccia. «Papà».
 
Dopo aver dato la notizia ai genitori di Nessie, ci recammo alla Riserva, in quella che ormai ritenevo la nostra casa.
Portai le valigie all’interno e poi andammo da mio padre sperando che non gli prendesse un infarto quando gli avrei detto che stava per diventare nonno e il suo unico figlio maschio avrebbe messo presto la testa a posto, sposandosi.
Era davvero così? Col matrimonio la mia vita sarebbe cambiata?
No, non credevo. Il branco ci sarebbe sempre stato come la mia passione per i motori, l’unica differenza era che io e Nessie avremmo condiviso tutta la vita senza più separarci, legati dal vincolo sacro del matrimonio.
Quando bussai alla porta, fu Paul a venire ad aprire. «Jacob! Come sei abbronzato!».
«Ma tu non ce l’hai una casa?».
«La mia casa è dov’è Rachel».
E io che speravo di trovare solo mio padre… Avevo deciso di raccontare tutto solo a lui, poi con i ragazzi me la sarei vista una volta di ronda. Comunicare sotto forma di lupo era più semplice e meno faticoso. Poi loro appena ritornati avrebbero spifferato tutto ai loro imprinting e la voce si sarebbe sparsa in un batter d’occhio, risparmiandomi un lavoraccio e congratulazioni a non finire.
«Bentornati», ci salutò Billy e Rachel mormorò qualcosa mentre piantava un cactus in un vasetto. Perché proprio un cactus?
Nessie andò ad abbracciare mio padre e baciò mia sorella, poi tornò a fianco a me.
«Vi dobbiamo dire una cosa», esordii come da copione, però al contrario di poco prima con i genitori di Nessie, feci più in fretta.
«Abbiamo deciso di sposarci e aspettiamo due bambini».
Notai lo sguardo di Paul che si fermava sulla mia pancia… No, non poteva averlo fatto sul serio. «Lei aspetta due gemelli», precisai.
«Ah ecco», soffiò Paul.
Rachel strillò saltellando e ci venne ad abbracciare trattenendo a stento l’entusiasmo. «Che bello, che bello!».
«La tua vita sta per finire, complimenti Jake», rise Paul, ma in un nanosecondo la sua risata si trasformò in un’espressione di orrore quando mia sorella si girò verso di lui.
«Scherzavo», asserì alzando le mani in aria.
Cercai lo sguardo di mio padre e lo trovai adirato a fissarmi. Ecco, ora cominciava la paternale: Jacob, questi sono i miei insegnamenti? Ti ho sempre detto di tenere la testa sulle spalle e ora torni da una vacanza con la tua ragazza incinta senza nemmeno essere sposati?
Per favore, no, davvero. Anche la paternale adesso? Non me l’ero cercata, ma non lo avevo nemmeno evitato, però la situazione era quella e basta.
Forse però potevo fare qualcosa per cambiare l’umore di mio padre e fargli digerire il boccone amaro. E mi chiesi quale sarebbe stata la sua reazione se al posto mio, fosse stata Rachel a dargli quell’annuncio. Sicuramente Paul sarebbe morto.
«Billy, sai che se saranno due maschi i loro primi nomi saranno William e Ephraim?».
Nessie mi anticipò andando a chinarsi vicino a lui e prendendogli una mano nelle sue. Pensai che mi avesse letto nella mente, altrimenti come si spiegava che aveva fatto ciò che volevo fare io?
Mio padre rimase a fissarla per qualche istante poi aprì la bocca incerto. «E… e se sono due femmine?».
«Sarah e Rose».
Oh mio Dio! Stava per mettersi a piangere! Se glielo avessi detto io si sarebbe alzato dalla carrozzella e mi avrebbe preso a calci!
«Bene», disse con un sorriso appena accennato tirando su col naso. «Dobbiamo organizzare una grande festa. Tutti devono sapere che i miei nipoti sono in arrivo!».
Poi mi guardò storto. «A te ti scuoio dopo».
 

Angolino Autrice

Ciao a tutti :) Sono felice di postare questo prima extra, spero che vi piaccia. Mi ero fatta questa domanda: ma come reagirebbero i genitori? Ed ecco che è venuto fuori questo. Il prossimo che è già pronto riguarda la sistemazione della casa per l'arrivo dei piccoli.
Colgo l'occasione per fare un po' di pubblicità a me stessa ahahah, si tratta di OS la prima è su Jacob e la seconda su Embry:  Attimi E Sulla Linea Di Confine  
Al prossimo extra! <3

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