Ny början

di Silvar tales
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Peggior Condanna ***
Capitolo 2: *** Specchi Onirici e Illusioni ***
Capitolo 3: *** Nodi Sciolti ***
Capitolo 4: *** Nubi su Högar ***
Capitolo 5: *** I Fiori Notturni ***
Capitolo 6: *** La Volubilità del Fato ***
Capitolo 7: *** Cicatrici di ghiaccio ***
Capitolo 8: *** Riverbero ***
Capitolo 9: *** Le Porte di Niflheimr ***



Capitolo 1
*** La Peggior Condanna ***


Ny början

.¤.





La Peggior Condanna


Le mani legate dietro la schiena, la bocca bloccata da un laccio fin troppo stretto, le braccia e le gambe prive di sensibilità.
Ecco il potente Loki, lo stolto che voleva essere il re, divenuto d'un tratto impotente, meno offensivo di un bambino. Eccolo umiliato e gettato senza alcun riguardo sul fondo di una cella sterile e nera, che nulla aveva da spartire con l'oro e l'azzurro di Asgard. Non c'erano finestre dalle quali potesse cibarsi della luce del sole, ma non gliene importava. Loki si ambientava bene tra le tenebre, la sua pelle pallida e i suoi occhi chiari ne erano come testimoni.
L'accusa che pendeva sulla sua testa era pesante: tradimento. Risuonava come il più efferato dei crimini, tra le mura di Asgard. Tradimento da parte del casato reale, che si era arrischiato ad accogliere al suo interno un subdolo ibrido, uno straniero, un figlio del demonio.
Dunque la colpa ricadeva anche su Odino, e le accuse verso l'anziano padre riempivano di rabbia il vero erede al trono. Per guadagnarsi la stima dei suoi futuri sudditi, Thor avrebbe dovuto uccidere nel peggiore dei modi il fratellastro, e ne era consapevole. La gente voleva il suo sangue, Thor voleva divenire un capo amato.
Loki sarebbe morto, dato in pasto alla folla.
Doveva solo pazientare, e attendere la sua condanna. Perché non sarebbe arrivata presto.
Intanto, chiuso nella sua tomba, Loki non spiccicava parola. Sapeva di essere osservato attraverso qualche specchio nero, qualche dannato angolo cieco che lui, immobilizzato com'era, non poteva scorgere. Sapeva, immaginava il suo destino. Ma non gli importava.
Aveva fallito, aveva fatto il fatidico passo più lungo della gamba, stavolta. Nessun rancore, nessun rammarico. Era nell'ordine delle cose. Era sempre andata così, fin dall'inizio. A lui spettava l'umiliazione, la sconfitta, a Thor la gloria e il trono. Non c'era modo di cambiare le cose. D'altronde, se ci fosse stato un modo, Loki avrebbe smesso di lottare già da quel tempo.
Invece continuava a tramare, ad inventare, a usare il cervello. Proprio perché in cuor suo non vedeva margini di vittoria.

«Tu manchi di convinzione».

La sua era la natura di un titano. Avrebbe perso, qualunque cosa tentasse di fare, ma vincere non era il suo obiettivo reale. Quello che veramente voleva Loki, arrivato a questo punto e sbolliti gli spiriti caldi dell'adolescenza, era finire la sua storia a testa alta.
Ma prima aveva un altro compito da svolgere.
Passò tre giorni, avvolto nella calma e nel silenzio. Tre giorni in cui mangiò normalmente, liberato per quel breve lasso di tempo che gli occorreva dal bavaglio d'acciaio.
Passò tre giorni a studiare la fuga. Una fuga temporanea, breve. Non pretendeva certo di fuggire da Asgard. Qualche diavoleria lo aveva privato dell'uso dei suoi poteri, non poteva smaterializzarsi, né varcare i confini dello spazio aperto. La pressione l'avrebbe schiacciato.
Quella modifica appurata al suo dna era sicuramente un'invenzione terrestre, ideata per tenerlo confinato per sempre ad Asgard, vivo o morto.
Perché Odino e Thor non avevano dovuto prendere accordi di pace solo con i loro abitanti, ma in primis con il popolo leso: i terrestri.
Ma benché fosse cosciente del suo confinamento forzato, Loki necessitava di uscire, per un'ora o due. E l'avrebbe fatto a qualunque costo.



*


«Padre».
Thor si avvicinò cauto al letto di Odino, che assomigliava maggiormente a una nicchia di morte.
Il vecchio era schiacciato dal dolore, dalla terribile situazione che, con la stanchezza dei suoi anni, doveva affrontare. Uccidere colui che aveva sempre considerato un figlio, e che aveva amato.
Vedere i due fratelli combattersi, odiarsi, senza apparente via d'uscita.
«Thor, affido a te la situazione. Hai amato Loki, forse più di quanto l'abbia mai fatto io, perciò a te spetta la responsabilità maggiore dello sbaglio».
Il principe, a quelle parole, deformò il suo viso in una smorfia incredula, e si portò una mano sul petto possente.
«A me? Sarebbe mio lo sbaglio maggiore? Padre, se tu non l'avessi...»
«Non rinfacciare a me ciò che feci», disse minaccioso il monarca, alzando un dito tremante verso il figlio. «Al contrario di te, io so quali sono le mie responsabilità, e le mie colpe. Ho accolto Loki come un figlio. Gli ho dato eguale amore ed eguale fiducia. Credevo di poterlo crescere come un asgardiano, ma mi sbagliavo». La mano ammiccante cadde sulle lenzuola, provata dallo sforzo. Odino respirava lentamente, emetteva profondi rantoli, come le esalazioni di un morente. Terminò così il suo terribile e cieco discorso: «Loki è sempre stato diverso. La mostruosità e la perversione dei giganti di ghiaccio non poteva essere cancellata. Avrei dovuto ucciderlo con le mie mani, subito, appena lo raccolsi nel tempio. Vedi invece ora, figlio mio, che barbarie ho causato, che carneficina? Ho immesso un traditore nella mia casa, ho scatenato l'ira dei miei sudditi, e il tuo odio. Ho messo in pericolo la mia, la tua, la vita di tutti noi».
Thor trattenne il fiato, ascoltando le flebili parole del padre, che stavano assumendo contorni deliranti.
«Sono stato uno stolto a crederlo, per un po'», concluse infine il vecchio re con un filo di voce, per poi abbandonarsi al sonno.
Il ragazzo stette immobile per alcuni istanti, recuperando fiato come se avesse corso. Si accorgeva del tremendo dolore che attanagliava Odino, e questo non faceva che aumentare il suo odio per Loki, annientando quasi ogni briciola di amore e di compassione che gli era rimasta.
«Fratello, se tu fossi stato riconoscente come avresti dovuto essere, ora non causeresti un tale dolore a nostro padre» sussurrò Thor all'indirizzo del re dormiente, ma in verità rivolgendosi a se stesso.
Poi, lo colse un presentimento. Come una minaccia, penetrata all'improvviso entro le difese del palazzo. Una minaccia che da poco aveva imparato a conoscere come tale.
Non sapeva esattamente cosa glielo suggerisse, ma era sicuro che Loki fosse riuscito ad eludere la sorveglianza della propria prigionia.
Abbandonò in fretta il capezzale del padre ed uscì dalla stanza, cercando di essere il più silenzioso possibile. Attraversò in fretta e furia il palazzo, scendendo fino ai piani inferiori che davano sui balconi delle Cascate spioventi. Istintivamente prese con sé Mjöllnir, facendolo rabbiosamente vibrare di campi magnetici. Loki conosceva meglio la reggia, l'aveva esplorata più a fondo e con più circospezione. Strinse i denti, dilaniato dalla rabbia crescente e dal dispiacere.
Era sicuro che non avrebbe trovato il fratellastro dove l'aveva lasciato.
Giunse in un batter d'occhio alle vicine stanze di prigionia, appena incassate sotto lo scalino di roccia. Irato chiese alle guardie che vigilavano la cella di Loki se avessero notato qualche strano movimento. Queste gli fecero immediatamente di no con la testa, irrigidendosi sotto lo sguardo tempestoso del dio.
Per nulla convinto, Thor aprì la porta di sicurezza antecedente alla guardiola della prigione, e ne guardò precipitosamente l'interno.
Ad una prima occhiata, Loki era lì, seduto per terra, con la schiena dritta e lo sguardo volto verso il basso. Ma poi, la sua figura svanì, smaterializzandosi sotto lo sguardo di Thor. Quest'ultimo, per nulla sorpreso di fronte ai trucchetti del ragazzo, si lasciò sfuggire un ringhio.
Ordinò in fretta e furia una punizione esemplare per le due guardie, sbigottite da quell'inaspettato rimprovero, e si diresse verso gli scantinati della servitù.
Sapeva dove trovarlo. Lo sapeva in base a un semplice e futile motivo: Loki aveva sempre amato nascondersi in quei luoghi, quando giocavano insieme da bambini. Quei meandri fatti di soffitti bassi e muri umidicci erano dei nascondigli labirintici perfetti ed efficaci.
Dopo aver velocemente setacciato le prime tre sezioni, s'intrufolò nel magazzino dell'armeria, seguendo le indicazioni di qualche testimone. Dovunque fosse diretto, Loki aveva certamente fretta di raggiungere quel luogo. Non si era curato di far smarrire le sue tracce, gli serviva solo tempo.
Thor spalancò la porta dell'ultimo deposito di armi e finalmente vide, in fondo all'esigua camerata, la figura esile di Loki girato di spalle. Appena entrò il dio sussultò visibilmente, stranamente spaventato. Non azzardò a girarsi, nemmeno per controllare l'identità dell'intruso - anche se non ne avrebbe avuto bisogno. Stava nascondendo qualcosa.
Un'arma, pensò d'istinto Thor, stringendo più ferocemente il martello nel pugno, pronto allo scontro. Era sicuro che Loki aspettasse il momento giusto per voltarsi e per attaccarlo, con minor prevedibilità possibile.
«Secondo te un condannato al patibolo può andarsene in giro quando e dove più gli aggrada?»
Le spalle di Loki s'irrigidirono a quelle parole fredde. Tremarono un poco, sussultarono impercettibilmente, come se si sforzasse di mantenere il controllo.
Thor invece, perse definitivamente quel poco che gli era rimasto. Avanzò come una furia verso il fratello, ringhiando come una belva affamata.
«Disgraziato! Lo sai che dolore rechi a
mio padre? Lo sai che inferno stai rendendo i suoi ultimi giorni di vita? Sei un ingrato!»
Afferrò Loki per le spalle, lo costrinse a guardarlo in faccia. Il suo volto era più pallido e remissivo del solito, il verde dei suoi occhi era spento e velato. Nessun sorriso di sfida, nessun sguardo ingannatore. Solo un muto viso, stanco e vagamente spaventato.
Il dio degli inganni affrontò a viso pieno l'ira del fratello, ma rimase immobile. Immobile nella sua posizione, vulnerabile a qualsiasi attacco; rimase così, con i palmi appoggiati ai bordi dell'enorme cassa dietro di sé, rimase così pur di non abbandonare quella che pareva una postazione di guardia.
Thor aggredì senza pietà il fratello, sovrastandolo e minacciandolo con l'arma che recava. Non si curò di trattenere uno schiaffo, bruciante su quel viso bianco e su quell'espressione arrendevole, che non mutò.
Poi, nel ritirare la mano, il dio scorse qualcosa.
Un movimento, oltre la schiena del fratello.
Dentro la cassa.
Tra le lenzuola che servivano ad avvolgere le armi.
Loki abbassò lo sguardo verso il pavimento, e fu incapace di trattenere un sommesso gemito di dolore. Sentiva gli occhi inumidirglisi e bruciargli vedendo che l'attenzione di Thor era ormai stata catturata. Ormai aveva visto.
Il dio del tuono scavalcò l'ormai inutile sorveglianza del fratello, e scostò le lenzuola con cautela. Rivelò la testa ricoperta di capelli neri di un bambino, poco più che neonato. E un paio di occhi verdi, vispi e attenti, vogliosi di accogliere il mondo dentro di loro.
Non appena fu scoperto dal lenzuolo, il bimbo singhiozzò piano, allargando ulteriormente le pupille alla luce. La sua incredibile somiglianza con Loki era inequivocabile.
Un dolore lancinante colse l'erede al trono di Asgard. Si portò la mano destra alla bocca, come se avesse appena compiuto un delitto atroce.
«L-Loki, tu non sai cosa...»
Senza neanche avere il tempo di formulare una frase sensata, Thor si ritrovò scaraventato contro la parete, immobilizzato dallo sguardo del fratellastro, colmo d'odio, di disperazione e di umiltà allo stesso tempo. E in quel preciso istante, realizzò che il ragazzo sarebbe stato disposto a far qualsiasi cosa pur di salvare quel bambino.
«Non lo toccherai, non gli farai del male, hai capito, Thor?»
Suonava più come una supplica che come una minaccia. Loki che supplicava, e stavolta non per finta. Non poteva accadere niente di più assurdo.
Ma il dio degli inganni lesse dissenso e freddezza negli occhi glaciali del fratello. Sapeva che quella sarebbe stata la sua prima e ultima sentenza.
«THOR!» Si lasciò andare ad un urlo furioso e cadde in ginocchio, scuotendo le regali vesti del fratello.
Era finita. Era veramente finita.
A nulla sarebbero valse le più intime suppliche. La decisione era stata presa. Anzi, era il metodo ideale per Thor. Uccidere il bambino, punire in modo esemplare il traditore, non ripetere l'errore del padre, e al contempo risparmiare Loki.
Risparmiare il fratellastro, a lungo odiato, ma anche profondamente amato.

Loki sapeva che Thor si sarebbe macchiato di un sangue innocente, piuttosto che rendere esecutiva la sua condanna a morte. Non aveva mai avuto intenzione di ucciderlo, ma se prima non aveva scelta, ora che gli si presentava un'occasione alternativa non poteva farsela fuggire.
«Loki, sai alla perfezione come funziona la nostra legge».
«TACI!» gridò il dio degli inganni, a pezzi, fissando stravolto e incredulo la fredda impassibilità del fratello. «Taci. Io le leggi le conosco, e molto più a fondo di te e credimi, sarebbe stata la prima cosa che avrei cambiato una volta re, fermare questa barbara regola di troncare la vita dei traditori uccidendo i loro figli! Asgard è un reame assetato di sangue e maledetto!»
Il suo volto, stremato dallo sforzo, dal tentativo di proteggere il bimbo dal volere del fratello, era rigato di lacrime. Lacrime di rabbia.
Il dio del tuono, colpito dolorosamente da quelle ingiurie, tentò di strappare il neonato dalle braccia di Loki. Quest'ultimo raccolse le ultime briciole di sangue freddo che gli erano rimaste e respinse Thor con un calcio ben assestato, tentando poi di avvelenarlo con la forza innata della sua stirpe. Velocemente avvolse di ghiaccio la lancia che brandiva nella mano destra, afferrata tra la confusione dell'armamentario. Ma Thor schivò prontamente la colonna ghiacciata, e senza sforzo fece rovinare Loki per terra, ormai privo di alcun potere e di alcuna forza.
Gli prese il neonato dalle braccia, confondendo un momento il fratello tramite una leggera scossa trasmessagli nel corpo.
Non appena se ne rese conto, Loki tentò nuovamente di assalire Thor, invano. Ormai, privato dei suoi poteri più letali, era del tutto innocuo, inoltre nel frattempo erano arrivati i rinforzi.
Un manipolo di guardie asgardiane fece irruzione nello scantinato e circondò il traditore, impedendogli in tutti i modi la fuga.
«Vigliacco! Sei un vile e un codardo, Thor!» gli urlò avvelenato Loki, arrancando in ginocchio verso di lui. Ma una delle guardie lo immobilizzò con un forte colpo alla nuca e altre due si affrettarono a legargli le mani e ad imporgli il bavaglio.
Thor rivolse un ultimo sguardo al fratello, carico di falsa pietà.
«Asgard non è un regno di traditori. Non è il regno che hai descritto tu poc'anzi. È proprio perché non gli hai mai portato rispetto, fedeltà e riconoscenza che ora devi scontare questa pena. Se non fosse stato per mio padre, se non fosse stato per Asgard, tu a quest'ora saresti morto, e non ci sarebbe nessun bambino».
Dette queste poche ultime parole uscì dal deposito con il bambino in braccio, cercando di calmarne il pianto. Ordinò in fretta al corpo di guardia speciale di condurre Loki in cella, e di triplicare le misure di sicurezza.
Il dio degli inganni si lasciò condurre nella stanza sudicia di prima, senza più un filo di vigore in corpo. I carcerieri lo gettarono sul pavimento, e lì restò, immobile, con gli occhi spalancati e rossi. Incapace di piangere.






continua...


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Note di Silvar: se vi state chiedendo dove sia il pairing, beh, abbiate fede. Arriverà. 
Grazie per essere arrivati fin qui!

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Capitolo 2
*** Specchi Onirici e Illusioni ***


Specchi Onirici e Illusioni


«Thor...» un visetto curioso spuntò da dietro l'elegante teca di vetro. «Thor, vieni qui. Secondo te che cos'è?»
Il bimbo si alzò curioso sulla punta dei piedi, appendendosi al sostegno in ebano.
«Loki non mi seccare proprio ora, sto cercando di battere il simulatore».
Un mostro di ferraglia brandiva una mazza ferrata e si muoveva in automatico verso il bambino biondo che aveva innanzi, cercando di colpirlo con stoccate poco decise. Thor le schivava agilmente per poi attaccare di rimando, con più forza.
Loki gonfiò le guance, rimirando affascinato quello strano martello antico. Pareva logorato dal tempo, come se avesse combattuto mille e più battaglie, come se avesse attraversato ere millenarie.
«Che razza di arma poco pratica e inusuale», disse fra sé e sé.
Sotto la teca era inchiodata una targa:
Mjöllnir.
«Mjöl-lnir», scandì a fatica Loki, strizzando gli occhi per mettere a fuoco le parole scritte in piccolo.
Ad udire quel nome, Thor interruppe miracolosamente il suo allenamento.
«Hai detto Mjöllnir?» Si volse verso il fratello, che gli annuì di rimando, con pochi cenni della testa.

Il bambino biondo si avvicinò a quell'imponente martello, osservandolo ora con un certo ardore negli occhi. «Dunque è questo!» Fece eccitato, non riuscendo a trattenere un piccolo salto di gioia e un sorriso largo da orecchio a orecchio.
«Questo cosa?» Domandò Loki annoiato.
«L'arma che mi spetta, la più potente di tutta Asgard! Anzi no, di tutti quanti i Nove Mondi!»
Loki lo assecondò con un sorrisetto accennato, non troppo entusiasta.
«E... come fai a sapere che spetterà proprio a te?»
«Me l'ha detto papà, mi ha raccontato tutto riguardo Mjöllnir, sapevo anche che era da qualche parte, nella reggia. Ha detto che chi ha il potere di brandire quest'arma diventerà Re di Asgard, e io lo diventerò!»
Loki non se la sentiva di smontare l'entusiasmo del fratello, per cui si limitò ad annuire ed a sorridere, nel modo più sincero che potesse fare.
«Papà non mi ha mai raccontato questa storia...» iniziò a bassa voce, ma Thor gli aveva già voltato le spalle ed era tornato alla sua attività con il simulatore.
Portò allora la sua attenzione sul martello, rimirandolo con un pungente desiderio nascosto, sebbene prima l'avesse trovato brutto ed ingombrante.
Chi ha il potere di brandire quest'arma diventerà Re di Asgard, e io lo diventerò!
Se era vero che entrambi erano nati per salire sul trono, come mai suo padre non gli aveva raccontato la leggenda di Mjöllnir?
«Thor, Loki!» la musicale voce di Frigga invase l'atrio, richiamando all'attenzione i due fratelli. Loki corse ad abbracciare la madre, la quale lo accolse benevolmente al proprio seno, sollevandolo in braccio. Thor invece rimase concentrato sul simulatore, non degnando nemmeno la nuova arrivata di un saluto. «Thor», iniziò lei offesa, «ora basta giocare con questo aggeggio, è ora di cenare!»
Stavolta toccò al maggiore esibirsi in uno vistoso sbuffo.
«E va beeene», si arrese, gettando sul pavimento la spada e scrollando le spalle. Frigga sorrise benevola, posò a terra Loki e diede un buffetto sulla guancia a Thor.
«Sei sempre così leggero Loki, dovresti mangiare un po' di più. Ora andate!»
I due bambini si scambiarono un sorriso complice, pronti a scalpitare per il loro giocoso rituale.
«Facciamo... a chi arriva prima!»
Come al solito Thor scattò prima del tempo, e come al solito Loki prese ad inseguirlo lungo i corridoi del palazzo, tra le sottane delle serve, tra le colonne dorate. A nulla serviva cercare scorciatoie, percorsi alternativi, tentare di allungare il passo di quelle esili gambe che si ritrovava: Thor sarebbe sempre arrivato primo.



*



In uno strano stato di semi coscienza, sospeso tra il sonno e la veglia, Loki udì le voci del sogno appena trascorso mescolarsi con i rumori appartenenti alla propria realtà.
Altre voci, grezze e chiassose, che rimbombavano oltre la guardiola. Il prigioniero aprì faticosamente gli occhi. Aveva dormito per un tempo imprecisato sdraiato su quel pavimento d'acciaio, aveva il viso e le guance freddi e umidi, gran parte del corpo immerso nel torpore.
Mise a fuoco l'ambiente, strizzando dolorosamente gli occhi. Era notte, probabilmente notte avanzata. I guardiani ingannavano il tempo e il sonno conversando in compagnia di buon vino.
«Hanno già terminato l'esecuzione?»
Dei passi, e giunse una terza voce: «sì».
«È ciò che si merita, il figlio di questo lurido traditore Jotun». Scoppiò un coro di risate volgari, squillanti di ubriachezza.
Loki, che nel frattempo si era alzato in piedi per cogliere meglio le parole, si dovette appoggiare alla parete con una mano, perché le ginocchia non lo ressero più.
La realtà gli cadde addosso con tutta quanta la sua insopportabile atrocità; era talmente dolorosa che l'aveva rimossa, sperando inconsciamente di affogarla nel sonno.
Tremava di rabbia, d'incredulità, di spavento, di panico improvviso.
Quand'era successo? Com'era successo?! Per quanto aveva dormito, uno, due, tre giorni?
Dov'era il suo piccolo Liar? Possibile che fosse già morto, senza che lui se ne fosse accorto? Possibile che il suo cervello si fosse spento di propria volontà, incapace di sostenere il dolore?

«Tu credi di sapere cos'è il dolore...»

Assurdo che in una situazione simile ricordasse quelle parole, pronunciate da esseri che tanto disprezzava. Eppure, dovette ammettere che furono profetici. Loki non sapeva cos'era il dolore, non l'aveva mai sperimentato veramente, fino a quel giorno.
Non aveva mai desiderato di morire, fino a quel giorno. Tentò più e più volte di dar voce ai suoi muti singhiozzi, di dare un senso alla sua sofferenza, una manifestazione visibile. Niente.
Le lacrime erano invero un bene consolatorio, quello in cui era caduto era un baratro dal quale non sarebbe riuscito a risalire. Non esisteva consolazione a un male simile.
Si accasciò nuovamente sul pavimento, in preda ai brividi febbrili. Boccheggiò come un pesce fuor d'acqua, incapace di incassare aria a sufficienza a causa della costrizione che gli premeva sulla bocca. Allora chiuse gli occhi, accogliendo deliranti immagini dietro le palpebre. Un bambino rideva nella sua testa, ma non era Liar. O forse sì?
Forse è come sarebbe dovuto essere una volta cresciuto, forse era solo la proiezione di se stesso. Forse attendeva il suo carnefice, forse l'aveva appena sconfitto.
Una cantilena di sottofondo gli coprì le orecchie, la magica voce di Frigga che era solita allettare entrambi i leggendari fratelli, la sera. Ella cantava come una sirena, sembrava tessere le lodi e i fasti di un antico passato, definitivamente perduto.
«Se dovete star qua a festeggiare, è meglio che andiate altrove, subito». Una voce altisonante richiamò all'ordine i carcerieri molesti. Loki, seppur avvinghiato e alienato com'era nel suo pianto invisibile, drizzò le orecchie, riconoscendo una voce familiare. D'un tratto sentì la vita scorrergli di nuovo nelle vene.
Thor.
Una sensazione dolce e confortante, come se improvvisamente avesse trovato la soluzione.
Un sentimento di vendetta.
Udì la porta scattare, la serratura aprirsi. La sagoma del futuro re di Asgard si stagliava imperiosa, ma allo stesso tempo timida, sulla soglia della prigione. Loki lo squadrò dall'alto al basso, con saettanti occhi verdi. Si sentiva come se centinaia di cavalli gli scalpitassero nel petto. Sentiva ogni vena pulsare, ogni nervo emergere e soffrire, la pelle tirata, il respiro corto. Ogni centimetro del suo corpo era pronto ad esplodere, pronto ad esaurire ogni briciola di forza per distruggere, per annientare l'uomo che aveva di fronte.
Ancora un passo, ancora un altro. Le distanze tra loro si accorciavano progressivamente.
«Fratello, non...» In un attimo il dio degli inganni si avventò sul fratellastro, raggiungendolo con un debole pugno che venne prontamente deviato. Benché avesse impiegato tutte le sue forze, non aveva fatto i conti con la sua inevitabile debolezza. Non mangiava da quattro giorni, era stato privato dei suoi poteri innati, aveva il cuore e l'animo a pezzi.
D'un tratto si rese conto che nulla poteva contro Thor. E che, anche se l'avesse distrutto, non avrebbe cambiato le cose.
Infine piangeva. Il suo viso, rosso tremante e rigato di lacrime si specchiò negli occhi azzurri di Thor, che lo fissavano con pietà e dispiacere. Stavolta pareva sincero.
Il dio del tuono gli mise con cautela due mani dietro al collo, liberandolo delicatamente dal bavaglio.
«Ti odio», sussurrò Loki, continuando a riversare fuori dagli occhi lacrime salate.
«Io invece ti amo fratello, ti ho sempre...» una mano frenò la lingua oltraggiosa del semidio. Loki lo guardava con odio profondo e scellerato, non c'era più traccia di lucidità nel suo sguardo.
«Taci... TACI!» Urlò con tutto il fiato rimastogli, anche se con voce spezzata dal pianto.
Thor lo guardò invece con severità ed impazienza, mentre gli slegava anche il laccio che gli costringeva la caviglia destra. Adagiò la schiena del fratellastro alla parete, lasciò che scivolasse per terra e lo sovrastò delicatamente. Loki scosse la testa più e più volte, disgustato e confuso. Non voleva delicatezza e premure da Thor, voleva odio, un odio che ricambiasse adeguatamente il suo.

«No, ora sei tu quello che deve tacere».
Thor gli posò le labbra sul collo umido e lo coinvolse in un abbraccio titubante, ma forte. L'altro accolse inerme quel contatto improvviso, un contatto che erano abituati a scambiarsi.
«Non sei tu il Re di Asgard».
«Credi che possa importarmene qualcosa, ora?»
Loki costrinse il fratello a guardarlo negli occhi, lasciandogli leggere la sincerità e l'arrendevolezza che aleggiavano in essi.
«Sei cambiato fratello».
«Anche tu. Non avrei mai creduto che il tuo cuore debole, così facilmente corruttibile, fosse capace di cose simili». Il dio degli inganni stava rovinando ancora una volta nella pazzia. D'altro canto, come biasimarlo? Le lacrime avevano ripreso ad allagare i suoi occhi verdi, le labbra avevano ripreso a tremargli, il volto a diventare più livido del solito. Pareva in preda a una crisi terribile e affannosa, a un collasso, a una morte apparente. Mai Thor avrebbe creduto il fratellastro capace di tenere a una persona in modo così tenace.
«Ascolta, Loki...» Thor tentò di allungare una mano ad accarezzargli i capelli, ma l'altro gliela respinse con un sonoro schiaffo.
«Tutto quello che ti chiedo è di uccidermi. Sì, prenditi la mia vita, ma non farmi passare per il traditore che è tornato sui propri passi. Non concedermi pietà solo dopo la morte, giacché sembra che questa sia diventata la nobile usanza di Asgard, in questi ultimi tempi. Odiami fino alla fine, come io farò con te. Io non cederò mai, Asgard è maledetta».
«Stai delirando fratello...»
«Io non sono tuo fratello, Thor! Devi chiamare le cose con il loro nome, altrimenti finisci per confonderle». Il dio del tuono si lasciò sfuggire un ringhio, colmo d'irritazione e di esasperazione.
Inaspettatamente, Loki si alzò in piedi, sferrando un potente calcio all'uomo ancora inginocchiato per terra. Approfittò poi di quei suoi pochi secondi di spaesamento per tentare di infilzare un'affilata lama di ghiaccio nella sua gola, ma anche quest'ennesimo tentativo fu platealmente stroncato. Thor schivò prontamente il colpo e si alzò in piedi a sua volta, sovrastando il fratellastro.
«Basta!» Loki incassò due pugni allo stomaco, e trattenne a stento un conato di vomito. Più psicologico che altro, dato che non avrebbe potuto avere niente nello stomaco.
«Loki, voglio che tu mi ascolti...»
«NO!» Urlò lui, ormai fuori di sé. «Non scambierò una parola di più con te!»
«Tu devi ascoltarmi...»
«Perché, tu mi hai ascoltato quando mi hai portato via Liar? Hai ascoltato il suo pianto quando l'hai stroncato?»
«Basta Loki, non dire una parola di più! Tuo figlio vive ancora».
Ridicolo, quasi scherzoso, osservare l'espressione sul volto del fratello mutare con rapidità indicibile. È come se un focolaio di nuova speranza accendesse i suoi occhi, rinnovando la loro luce verde e asciugando le lacrime incastratevi.
Ma fu solo per un attimo, perché poi Loki scosse la testa, sorridendo maligno.
«No, tu mi stai prendendo in giro».
Thor assunse l'espressione più seria potesse assumere, e tentò di riavvicinarsi al fratello, ponendogli una mano sulla spalla.
«Io... ti stai solo divertendo ad illudermi!» Loki si ritrasse d'istinto, esitante nel dargli corda. Tuttavia gli risultava parecchio difficile, in quel momento, mascherare l'immensa gioia e speranza che l'avevano invaso; se era soltanto una bugia per alimentare ulteriormente il suo dolore, allora era stata pianificata alla perfezione. Ma in fondo non credeva Thor capace di una tale freddezza.
Quest'ultimo sembrava provato da un grande sforzo, e da un grande dolore. Come se fosse attanagliato nel profondo da un terribile senso di colpa. Tuttavia si limitò a scuotere la testa, ed a sorridere al fratello.
«Loki, io vorrei che tu... ritornassi nella tua vecchia stanza. Ricordi? La nostra stanza».
Il dio degli inganni gli restituì uno sguardo incuriosito, poi ridiede voce alle sue priorità. «Voglio vedere Liar».
Thor scosse energicamente la testa. «Mi dispiace ma non è possibile. Ho dovuto mandare tuo figlio fuori dai confini di Asgard, in un altro mondo. Sta' tranquillo, ti posso assicurare che è in mani premurose».
«Come puoi pretendere che io mi fidi di te?»
«Piuttosto, come faccio io a fidarmi di te, fratello, visto che sei un traditore e ti sto dando l'offerta di dormire nelle stanze reali, in un letto comodo, in una stanza arieggiata, soleggiata al mattino e ventosa la sera...» la sua voce andava sfumando. Con gli occhi cercava di catturare l'attenzione di quelli lucidi di Loki, di nuovo colmi d'acqua.
Con estrema cautela gli prese una mano, senza sentire la sua stretta in risposta.
«Ti prego», disse in un sussurro.


*


L'alba saliente sul regno di Asgard era forse uno degli spettacoli più incantevoli dei Nove Mondi. Manifestava tutta quanta la dolcezza della natura mescolata all'artificiosità divina, risaltava ulteriormente lo splendore della loggia d'oro, della mitica roccaforte che si ergeva sopra il pelo dell'acqua. Era un paesaggio imponente, imperioso e molle e delicato allo stesso tempo.
Loki aprì gli occhi, lentamente, e vide sontuosi tappeti rossi, pareti gialle e lucide, un elegante comodino, un recipiente colmo d'acqua cristallina. La sua camera.
Riconosceva anche alcuni giocattoli che aveva avuto da bambino, lasciati intatti e al loro posto. E soprattutto i suoi innumerevoli libri, racconti, favole, leggende, impilati ordinatamente in un piccolo scaffale di legno pregiato.
Dopo un primo sguardo dato alla stanza, si rese conto dell'effettiva situazione in cui si trovava.
La testa gli pesava, le orecchie gli fischiavano e la fronte era gelata.
Il suo corpo nudo era adagiato tra candide e morbide coperte, e un braccio muscoloso gli cingeva fastidiosamente la vita. Tentò di alzare leggermente il busto, ma le fitte lancinanti che gli pervasero le tempie e una silenziosa protesta di Thor lo fece desistere.
Il fratello mugolò piano nel sonno, trattenendo Loki al suo fianco, cingendolo ulteriormente con le braccia forti.
Loki sospirò dolorante, allungò una mano verso il mobile vicino e bagnò un fazzoletto di stoffa nella bacinella d'acqua profumata; premette l'impacco sulla fronte, cercando di dare un temporaneo sollievo all'emicrania.
Doveva ricostruire gli avvenimenti, com'era arrivato dalla sua cella a quel sontuoso appartamento?
Con suo rammarico, non riusciva a ricordare. Aveva cancellato un nesso importante.
Intanto, il dio del tuono che giaceva al suo fianco si mosse tra le lenzuola bianche, smorzando uno sbadiglio.
«Ti sei svegliato?»
Loki rivolse un'occhiata disprezzante al fratello, che intanto aveva preso a toccargli i capelli.
«Lasciami». Rispose freddamente il dio, cercando di divincolarsi dalla sua stretta, tuttavia senza provarci davvero. «Mi disgusti, Thor. Evidentemente sono tuo fratello solo quando ti fa comodo. Non mi sembra che da bambini usassimo questo letto per simili attività».
«Non la pensavi allo stesso modo, ieri sera».
Loki sussultò visibilmente, colto nel vivo. Si maledisse; non ricordava nulla della sera appena trascorsa, ma non poteva aver desiderato carnalmente Thor.
«Smettila di dire scioc...» si fermò nel suo tentativo di alzarsi in piedi, e ritornò seduto sul letto con una smorfia dolorante in viso.
«Che ti succede?» Fece Thor divertito.
«Niente», ringhiò Loki a denti stretti, facendo un secondo tentativo. «Con il tuo permesso, ho bisogno urgentemente di una bagno caldo, poi mi dirai in quale regno vive ora mio figlio».




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Capitolo 3
*** Nodi Sciolti ***


Nodi Sciolti


Schegge di vetro e un baratro ricolmo di stelle, ecco quello che rimaneva dell'arcobaleno bifrost.
Se Loki avrebbe voluto fare di quel ponte il suo trofeo di vittoria sugli Jotunheim, Thor ne aveva fatto il santuario della propria eroicità, e del proprio spirito di sacrificio. Due qualità convenienti a un Re.
«Thor, Loki come sta?» A fianco del proprio vero figlio Frigga fissava il cielo nero, fingendo di essere interessata alle nebulose che vi vorticavano placide. Ma Thor la vedeva chiaramente preoccupata per il figlio adottivo, che aveva sì scampato la morte, ma era stato condannato a un destino ben peggiore; lei, come madre, poteva bene intuirlo. Il dio del tuono, in risposta, scosse le spalle, simulando un'espressione dispiaciuta.
«Non vuole parlarmi, mi maledice per la morte di suo figlio ma non sembra intenzionato a lasciarsi morire. Secondo me sta progettando la fuga, e la vendetta su Asgard». Cercò di formulare una scusa che risultasse il più convincente possibile, cercando di immedesimarsi nel fratellastro. Se suo padre avesse scoperto che Loki non era rinchiuso nella sua cella, ma bensì nelle più sontuose stanza reali, e che il piccolo Jotun era ancora vivo, stavolta Thor avrebbe davvero rischiato la condanna a morte. Pregò dentro di sé che Loki fosse abbastanza acuto e riconoscente da non uscire dalla sua camera e da non farsi scoprire fuori dalla cella dove avrebbe dovuto essere. Frigga in compenso credette ciecamente alla bugia, e si asciugò gli occhi diventati improvvisamente umidi.
«Madre...»
«Come siete arrivati a questo, Thor?» La sua voce stanca era tremolante di pianto. Il principe scosse la testa in segno di dissenso.
«Non devi incolparti. Loki... è fatto così. Voi gli avete donato tutto l'affetto che potevate dargli».
«Ti sbagli Thor», Frigga serrò ulteriormente le labbra fino a farle diventare bianche, e così continuò la sua confessione, incatenando gli occhi a quelli del figlio. «Abbiamo cercato, ma non siamo mai riusciti ad amarlo come amiamo te». A quelle parole, Thor sentì un intruglio di emozioni invaderlo. Non sapeva se essere felice e orgoglioso per quella speciale dose d'affetto, oppure irato per l'incapacità dei genitori di amare Loki come un figlio. D'un tratto si rese conto di molte cose, molti frammenti di passato gli ritornarono alla mente, pezzi di una collana che gradualmente ricompose: i suoi genitori non avevano mai avuto particolare attenzione nei sentimenti di Loki. Lo amavano, lo accettavano, lo accoglievano come un figlio, ma dietro le loro moine e i loro sguardi gentili nascondevano inconsciamente l'antico rancore verso gli Jotunheim, verso un popolo straniero, verso una razza mostruosa.
«Vorrei vederlo». Le parole ferme della madre distrassero Thor dai suoi pensieri, e dalla sua momentanea contemplazione dello spazio aperto.
«Cosa?»
«Vorrei vedere Loki. Dove si trova?» Ripeté la regina, con più decisione.
Il ragazzo sentì la paura invaderlo, e un attimo di panico improvviso gli offuscò la mente.
«Ne-nelle prigioni ovest, ai limiti della distesa boschiva di Azüle» pensò in fretta al primo luogo che gli veniva in mente, che fosse il più distante possibile dalle Cascate Spioventi e dalla reggia. Doveva guadagnare tempo.
«Purtroppo non posso accompagnarti madre, devo raccogliere il rapporto delle guardie sensitive per una questione importante. Pare che sia stato individuato un collegamento spazio-temporale simile al bifrost, in uno dei Nove Mondi. Questo potrebbe eventualmente costituire una minaccia per Asgard».
Frigga alzò una mano in un gesto sbrigativo, e si lasciò andare in un dolce sorriso fiero e materno.
«Va' figlio, non mancare ai tuoi doveri».
Detto questo chiamò le sue serve che la scortassero sino al promontorio di Azüle, dov'era situato il vecchio carcere.
Nel frattempo, immerso nell'eleganza degli ambienti reali, il dio degli inganni cercava di alleviare un poco i suoi tormenti.

Loki inspirò i soavi vapori che aleggiavano nella stanza da bagno, rievocando involontariamente nel profumo dei balsami e degli oli alcuni sprazzi di passato, nemmeno troppo distante. Lui e Thor avevano giocato innumerevoli volte immersi in quella vasca, che all'epoca pareva gigantesca. Thor, irruente e vivace come al solito, si divertiva a spruzzare l'acqua fuori dai bordi o addosso a Loki, mentre quest'ultimo preferiva inventare storie, collage delle innumerevoli leggende che divorava ogni sera, sempre ambientate sulle rive di quell'ampio lago col fondo di piastrelle.
Il ragazzo immerse i capelli mossi nell'acqua calda, passò le dita in mezzo alle ciocche per districare i nodi. Con la bocca immersa appena sotto il livello dell'acqua, soffiò, facendo gorgogliare la superficie di bolle.
Ma, nonostante cercasse in tutti i modi di distrarsi e di rilassarsi un momento, non riusciva a non pensare ai mille dubbi che l'attanagliavano. Primo fra tutti, doveva scoprire cos'era successo a Liar. Thor non gli aveva detto tutto quello che avrebbe dovuto dirgli, ora a mente fredda se ne rendeva conto. Come mai i carcerieri avevano affermato senza nessuna esitazione che l'esecuzione era avvenuta? Il fratellastro gli stava quindi mentendo sulla sorte del bimbo, allo scopo di tenerlo sotto ricatto e approfittare della sua sottomissione?
Al solo pensiero, Loki serrò rabbioso i pugni sul bordo della vasca, digrignando i denti come una belva spaventata. Ma poi rifletté più lentamente, e con più lucidità. Thor non avrebbe avuto motivo di portarlo con sé negli appartamenti reali, se gli avesse raccontato una tale bugia. Anzi, si sarebbe approfittato di lui all'interno delle sbarre e poi l'avrebbe lasciato al suo destino. No, Thor non era così falso. Non sarebbe mai stato capace di una menzogna di una simile gravità, era troppo ottuso e smaliziato.
Ma allora, qual era l'esecuzione effettivamente avvenuta?
Senza che ebbe occasione di pensarci oltre, sentì la serratura della camera scattare, e la porta del bagno aprirsi precipitosamente. Un Thor affannato e ansante si stagliò sulla porta, liberando all'esterno la densa nuvola di vapore che aleggiava nella stanza.
«Devi immediatamente tornare nella tua cella».
«Cosa? E perché?», fece il dio degli inganni con grande rammarico; aveva appena iniziato a rilassarsi, e inoltre aveva tantissime domande da porre al fratellastro.
«Non c'è tempo fratello. Se ti scoprono qua io sono morto».
Onde evitare ulteriori repliche, Thor sollevò il ragazzo di peso, sottraendolo a quelle acque calde e profumate. Lo avvolse in fretta e furia in un telo sontuoso, il primo che aveva trovato sottomano, e gli frizionò al volo i capelli scuri. Odoravano ancora della pungente fragranza dei balsami.
«Come osi trattarmi come un infante!» Protestò Loki cercando di scostarlo, ma l'altro lo ignorò spudoratamente. Gli aggiustò meglio il telo sulle spalle bagnate e lo portò con sé fuori dalla camera.
«Aspetta Thor... non cacciarmi via così. Ci sono tante cose che dobbiamo chiarire», disse in un soffio Loki al fratellastro, mentre percorreva a passo spedito i corridoi guardandosi intorno ad ogni angolo. «Ho come l'impressione che tu stia evitando l'argomento. Ho sentito le guardie parlare dell'esecuzione di mio figlio e... insomma a chi devo credere, dato che non ho ancora visto Liar vivo?»
«Loki, ma ti pare il momento?» Thor era infatti impegnato a scovare una via alternativa che aggirasse i due blocchi di sorveglianza, ma sembrava piuttosto incline a sviare la domanda.
«Sì, mi pare il momento. Voglio sapere cos...»
«Tuo figlio sta bene, ti basti sapere questo».
Infine riuscirono ad infiltrarsi nella zona di detenzione senza essere visti, anche se evitarono per un soffio due pattuglie. Thor rinchiuse nuovamente Loki dentro la sua cella; d'altronde, la carcerazione a vita era la pena che per legge spettava ai traditori, aggiunta alla condanna a morte dei loro figli.
Loki si raccolse contro le proprie ginocchia, tremando visibilmente per il freddo di quella prigione d'acciaio. Un soffio gelido sferzava sulla sua pelle bagnata, protetta solo da un sottile strato di seta.
«Credo che la nostra nobile madre verrà a farti visita. Più tardi ti porterò dei vestiti».
Loki sbuffò e distolse lo sguardo dagli occhi fieri di Thor.
«Come faccio ad essere sicuro che Liar sia ancora vivo?» chiese in tono quasi implorante.
Il dio del tuono allora, in tutta risposta, gli diede un veloce bacio sulla fronte, non dandogli nemmeno il tempo di rendersene conto.
«Fidati di me fratello».
«Non sono tuo fratello, Thor, smettila!»
Ma lui gli aveva già voltato le spalle, e lesto s'era chiuso la porta blindata dietro i suoi passi.
Loki perse anche l'ultimo spiraglio di luce proveniente dall'esterno e rimase chiuso nell'oscurità e nel freddo della sua cella, tremante, bagnato e infreddolito.
Con orrendi fantasmi che gli infestavano la mente.



*



Frigga era troppo invaghita del suo primogenito per sospettare anche minimamente di lui. Così, quando arrivò al distretto di Azüle e i carcerieri la indirizzarono verso la zona detentiva delle Cascate Spioventi, cadde ciecamente nell'inganno e tornò sui suoi passi.
Dopotutto Thor, a causa dell'indisposizione di Odino, era parecchio impegnato in quei giorni; era possibile che gli sfuggisse qualche cosa.
Arrivata nei pressi delle prigioni, congedò le serve che la scortavano ed entrò sola nel loculo dov'era rinchiuso il proprio figlio adottivo, Loki di Jotunheim.
Lo trovò raggomitolato su se stesso nel tentativo di proteggersi dal freddo, avvolto maldestramente in quel lenzuolo troppo elegante in un contesto simile, con le spalle, i capelli, le gambe bagnati.
Patetico per essere un Gigante di ghiaccio.
Non appena il prigioniero sentì la serratura scattare, cercò di assumere una posizione più decorosa drizzando la schiena e aggiustandosi meglio il telo addosso. Strizzò gli occhi assonnati e riconobbe l'esile profilo della madre, che con la sua camminata gentile veniva verso di lui.
«Loki!» D'istinto ella aprì le braccia verso di lui, ma poi ritirò l'abbraccio, rammentando in che posizione si trovava ora il figliastro, e in che posizione si trovava lei.
Agli occhi di Loki Frigga faceva parte di coloro che avevano mandato al patibolo il suo bambino, era certa che non l'avrebbe accolta benevolmente.
Eppure, con grande sorpresa della donna, Loki accettò quel contatto intimo. Anzi, in verità era l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento, oltre a sciogliere i nodi dei fatti avvenuti recentemente. Ma la madre avrebbe potuto venire incontro anche a quest'ultimo suo bisogno.
«Madre, ti prego dà una risposta agli orrendi sospetti che mi corrodono, voglio sapere dov'è mio figlio, ora! Non posso più sopportare il dubbio!»
Frigga guardò con compassione il ragazzo riconoscendo per un attimo, in quegli occhi verdi e lucidi, il bambino che era, con il pallore della debolezza sulle guance, con gli occhi vivaci affamati di storie e leggende.
La donna scosse la testa, cacciando quei nostalgici pensieri.
«Oh Loki, perché a me affidi una tale responsabilità, perché il destino ha voluto gettare sulla mia vecchiaia un peso così gravoso? È forse questo il compito di una madre, annunciare al proprio figlio la morte del suo?»
Loki impallidì, se possibile, ancora di più.
Frigga si sentì morire. Serrò le labbra e le palpebre, cercando di cacciare indietro le lacrime. Non ricordava di aver mai provato un simile dolore, forse nemmeno quando Thor era stato bandito da Asgard, o quando Loki era svanito nello spazio profondo.
«Dunque... morto?» Il tono di voce del dio degli inganni era calmo, arrendevole. Sebbene non ne desse segno, dentro al suo petto montava una furia inaudita e una disperazione abissale.
«Thor lo ha affogato nelle acque del puro Fridsam, e ora giace in una tomba degna all'esterno delle mura. Ti prego, non nutrire ulteriore rancore per tuo fratello, egli ha a stento sopportato il dolore di dover essere l'artefice di un tale delitto».
«Eppure mi pare l'abbia sopportato. Madre, come puoi chiedermi una cosa simile!» Loki affondò le mani nei capelli, ancora grondanti d'acqua.
Dunque Liar era morto. E Thor, l'infame, gli aveva mentito, l'aveva portato nel suo letto con l'inganno! Uno sporco, meschino, crudele inganno. Non poteva che dare più credito alla versione di Frigga che a quella del fratellastro, dato che la madre gli aveva fornito dettagli più esaustivi.
«Come puoi chiedermi di non odiare Thor...» bisbigliò velenoso il ragazzo.
«Ti sto chiedendo di non attribuire la colpa alla persona sbagliata».
Loki alzò incredulo lo sguardo verso quello della madre, diventato d'un tratto freddo.
«E a chi dovrei dare forse la colpa, a te, madre, che non hai fatto nulla per impedire questo scempio? Ad Odino, mio nobile padre, che ha reso esecutivo l'ordine? Alle barbare leggi di Asgard, ai venerabili legislatori?»
Frigga allora bloccò le parole impetuose del figliastro, ponendogli una mano sulla spalla e guardandolo severamente.
«A te stesso».
Loki spalancò gli occhi per la sorpresa, e si sentì invadere di rabbia mista a delusione e tristezza.
Scosse la testa, come se non accettasse le parole che aveva appena sentito forti e chiare.
«Loki, io continuo ad amarti come un figlio...»
«Bugiarda», sibilò il dio con gli occhi ridotti a una fessura.
Frigga assunse uno sguardo ferito da quell'ingiuria, che mutò poi in apprensione e dispiacere.
«Eppure conoscevi le rigide regole di Asgard! Perché hai deciso di voltare le spalle al nostro mondo, figlio mio... Soffro a vederti così, soffro davanti al vostro odio».
«Io non ho mai voltato le spalle ad Asgard, io amo Asgard più di quanto l'amiate voi, ero pronto a prendere lo scettro per essa! Ma Thor...» caricò disprezzo su quel nome, «Thor è sempre stato il più valoroso, il più adatto, il più forte ai vostri occhi. Non avete mai nemmeno pensato a me come erede al trono, e questo solo a causa della mia natura! Solo perché appartenevo al popolo degli Jotun...» Frigga era arrivata al limite del dolore, a sentire quei rimproveri. Soprattutto perché si rendeva conto che quelle che le venivano rivolte non erano calunnie infondate.
«Loki, ti prego... Sai bene che non avrei potuto impedire il volere di tuo padre! Il tuo odio abbia almeno pietà di me».
Loki la guardò con risentimento, tuttavia non riuscendo ad odiarla veramente. Frigga era sempre stata per lui una figura protettiva, dolce, che sapeva valorizzarlo anche al confronto con Thor. Nutriva ancora un affetto infantile per lei, perché l'aveva aiutato a crescere, e tuttavia aveva provato con tutta se stessa a donargli amore al pari del suo vero figlio.
«Va', ora rivolgo a te la mia preghiera. Lasciami solo».
Frigga allora acconsentì mutamente, donando un'ultima carezza sulla guancia umida del figlio adottivo, venendo prontamente respinta.
«Come preferisci». Detto questo, la regina voltò le esili spalle al ragazzo, ed uscì dalla prigione. Loki, che aveva trattenuto le lacrime fino a quel momento, nascose il viso tra le braccia e pianse, silenziosamente.
Passarono ore interminabili, in cui il prigioniero ebbe modo di sfogarsi nel sonno e nelle lacrime. Ma poi Thor mantenne la sua promessa. Sul fare del tramonto le doppie porte di sicurezza vennero nuovamente sbloccate e l'aitante erede al trono di Asgard comparve nell'esiguo loculo dov'era rinchiuso il fratellastro. Recava con sé un cambio di vestiti accuratamente ripiegati.
«Mi hai mentito». Loki lo accolse con queste parole colme di disprezzo e risentimento.
«E su cosa ti avrei mentito?»
«Raccontami con quale soddisfazione annegasti Liar nel Fridsam, e dimmi anche dove lo seppellisti, così che io possa morire ammazzandoti sulla sua tomba!» A stento pronunciò queste parole tenendo salda la voce, anche se i suoi occhi lucidi lo tradivano.
«Cosa ti ha detto nostra madre?»
«Ooh, non hai avuto il tempo di accordarti con lei per raccontarmi la stessa storiella senza contraddirvi?»
«Basta Loki, non una parola di più! Possibile che tu sia tanto cieco da non capire?»
Thor portò una mano a nascondersi il viso, e si permise pochi attimi di riflessione. Era arrivato il momento di dirgli la verità. Loki era tutto fuorché stupido, non avrebbe creduto oltre alla debole versione presentatagli per mascherare quel particolare.
«Ebbene, ti dirò la verità. O meglio, una parte di verità che non ti ho detto, fratello».
A questa premessa Loki decise di dare ascolto, seppur con poca convinzione, alle parole di Thor. In verità non aveva ancora abbandonato quel fievole barlume di speranza, non aveva ancora gettato via la possibilità che Liar fosse vivo.
Thor quindi, assicuratosi di essere ascoltato, l'aiutò ad alzarsi in piedi per poterlo guardare meglio negli occhi, e prese a vestirlo lasciando scivolare a terra il lenzuolo che lo copriva.
«È vero, un bambino è morto nelle acque del puro Fridsam, e sì, ora giace sotto una lapide che reca il nome di Liar, figlio di Loki dei Giganti di ghiaccio. Ma egli non è tuo figlio».
Per la seconda volta, Thor vide l'espressione del fratellastro colorarsi di sorpresa.
«Non avrai...»
«Ti assicuro, fratello, che sto rischiando la tua medesima sorte per quello che ho fatto».
Loki si portò una mano alla bocca, e diede le spalle all'asgardiano. I conti tornavano.
D'improvviso si voltò con impeto rabbioso verso Thor, e lo aggredì verbalmente.
«Stolto! Tu eri l'unico a sapere dell'esistenza di Liar, se non l'avessi detto a nostro padre a quest'ora non sarebbe morto nessun bambino!»
«Ma avrei perso te».
Thor allungò una mano verso il viso esausto e umido del fratello, gli toccò i capelli e la guancia, e lo guardò con profondo affetto. Il suo tono calmo e deciso riuscì a zittire la parlata affannosa del dio degli inganni. I suoi occhi azzurri erano colorati di una luce tenue, seriosa, piena di rammarico ma anche di profondo rispetto.
«E non mi stava bene».

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Capitolo 4
*** Nubi su Högar ***


Nubi su Högar


Passarono giorni di prigionia, paradossalmente felici. Loki aveva deciso di credere alle parole di Thor, anche perché egli sembrava sempre portare un peso immane dentro di sé. Un senso di colpa mostruoso che tuttavia era disposto a sostenere, pur di salvare la vita e l'amore del fratello.
Loki inizialmente era stato condannato a morte, poi, alla scoperta di suo figlio, la sua pena era stata trasferita sul bambino, una punizione che avrebbe ucciso psicologicamente il traditore. Thor aveva deciso di sfruttare la seconda pena prevista dalle leggi di Asgard per salvare la vita di Loki, ma in tal modo egli l'avrebbe odiato per sempre e non avrebbe mai avuto modo di recuperare l'antico affetto che li univa. Allora il principe decise che avrebbe salvato la vita di entrambi.
Loki era consapevole che la sua temporanea felicità si reggeva su un delitto orribile, e questo a volte lo gettava nello sconcerto e nel malumore. Ma nulla riusciva a scalfire la sua gioia di sapere Liar vivo. Nemmeno la lunga ed agonizzante prigionia che credeva lo aspettasse sarebbe riuscita a scalfirla.

Dopo alcuni giorni di solitudine nel buio profondo della sua cella, Loki vide comparire sulla porta la sagoma del fratellastro; egli avanzò a grandi passi nel loculo ed afferrò con forza il prigioniero per un braccio, issandolo in piedi.
«Svelto, Loki. Andiamo!»
«Ma...»
Thor non gli diede il tempo di ribattere. Lo portò fuori dalla zona detentiva, approfittando della temporanea assenza di sorveglianza durante il cambio della guardia. Ben presto si trovarono nei lunghi e dorati corridoi della reggia, colorati della luce rossastra del tramonto.
«Scusami se arrivo solo ora, ma avevo una faccenda importante da sbrigare a Vanaheimr».
«Si può sapere perché rischi tanto per me?» Ma il dio non ricevette risposta. Thor si limitò ad aprire furtivo la porta della loro vecchia camera, quando vi furono di fronte.
«Ricordi? Io sono il maggiore. Devo badare a te».
«Tu non sei mio fratello», borbottò Loki volgendo lo sguardo a terra. Le sue guance riprendevano colorito alla luce del sole morente, lo smeraldo dei suoi occhi risaltava sulla pelle chiara. La sua bellezza e il suo chiarore non si erano affievoliti, era più bello e giovane che mai, e lo sarebbe stato per centinaia d'anni ancora.
«Smettila di dire sciocchezze, tu lo sarai sempre», ribatté Thor mentre si toglieva la scomoda armatura. «Stanotte dormi qui».
Loki trattenne a stento una risata di scherno. «E vuoi farmi anche credere che non pretendi nulla in cambio?»
Inaspettatamente, il dio del tuono scosse la testa. «Sì, vorrei qualcosa in cambio. Vorrei che placassi il tuo odio, vorrei che tutto tornasse come prima».
«Tsk», Loki digrignò appena i denti, colto nel vivo del suo orgoglio. «Chiedi davvero troppe cose, Thor». Tuttavia, sebbene il dio degli inganni si ostinasse a fare lo schizzinoso, quella notte non volle per nessun motivo tornare nel freddo e nella solitudine della sua cella. Prese posto con una certa raffinatezza tra le coperte dell'ampio letto, al fianco di Thor, e non sembrava affatto dispiaciuto di trovarsi dov'era.
«Forse mi sono sempre sentito estraneo a questa casa».
Loki parlò senza preavviso, con voce soffusa, mentre era apparentemente impegnato a contemplare il soffitto. Thor, spiazzato, fissò la sua figura nella luce viola del crepuscolo, ma non colse nessuna espressione particolare nel suo viso. Si stava sforzando di apparire insensibile e indifferente.
«Loki...» l'asgardiano prese ad accarezzargli i capelli, cauto, atteggiandosi in modo da non venir respinto. Riuscì nel suo intento iniziale: Loki, seppur tenne ferma la testa come in una morsa di ghiaccio e non sciolse il collo dalla sua rigidità, non fece neanche nulla per impedire quel contatto. Dunque Thor, incoraggiato dall'apparente accondiscendenza del ragazzo, tentò di baciarlo sulle labbra, ma Loki, con un gesto calmo della mano, gli scostò il viso, freddandolo con uno sguardo.
«Ascoltami fratello», il respiro del dio del tuono s'era fatto più pesante, ansioso per un momento di possedere quel corpo così debole da essere completamente sottomesso al suo volere. Loki intuiva con largo anticipo le sue intenzioni, e ne era disgustato, per cui non riservò nessun tono di riguardo nei confronti del fratellastro. Non aveva ancora ottenuto il suo rispetto.
«Io ho compreso i miei errori, ho veduto ciò che per anni era stato oscuro ai miei occhi», accarezzò languidamente il viso del giovane Jotun, «non ho mai fatto caso all'amore che i miei genitori ti negavano, e me ne dispiaccio!»
«Eri troppo impegnato a pavoneggiarti!» Esclamò velenoso l'altro ragazzo, alzandosi col busto e avvicinando di molto i loro visi. «Eri troppo impegnato degli elogi che ti venivano rivolti, per chiederti il perché io rimanessi costantemente al tuo fianco, eppure costantemente nascosto dalla tua ombra». Loki abbassò lo sguardo, divenuto riflessivo e nostalgico. Ma fu solo per un attimo, perché subito dopo si preparò ad aggredire nuovamente Thor. Si protese in avanti, deformò per un secondo il suo bel viso in una smorfia rabbiosa. Solo per un secondo, perché Thor lo bloccò toccandolo nuovamente sul viso, sulle guance.
«Voglio che mi racconti di lei».
Anche al buio, poté giurare di aver visto Loki arrossire. E Loki poté giurare di aver colto una spiccata nota di gelosia nella voce del fratellastro.
«Lei chi?»
«La donna che ami».
«Io non amo nessuna donna» concluse sbrigativo il dio degli inganni, abbassando torvo lo sguardo.
Thor sorrise dolcemente di fronte all'infantile imbarazzo del fratello. Poi decise che avrebbe rimandato il discorso; una piccola parte di lui non si sarebbe persa per nulla al mondo le espressioni impacciate e i rossori di Loki alla luce del sole, sollevare un simile argomento nella semioscurità del crepuscolo sarebbe stato uno spreco.
«E che mi dici di te? Perché mai non ritorni a spassartela con quell'umana e mi lasci in pace?» La voce del dio si faceva sempre più sarcastica e velenosa, ma Thor non sembrò particolarmente offeso dal tono con cui Loki parlava di Jane. Anzi, si limitò ad alzare le spalle.
«Evidentemente il mio ardore per lei si è affievolito. Come accadde con Sif, ricordi?» Si curò bene di caricare di rimprovero quelle ultime parole riguardanti la nobile guerriera asgardiana, tanto che Loki arretrò di qualche centimetro, rimembrando i sensi di colpa e la bruciante punizione subita.
«Sì, ricordo vivamente. Come fosse oggi».
«In ogni modo fratello, io non voglio più portarti rancore. Per quanto mi riguarda, hai pagato a sufficienza i tuoi debiti».
«Dì pure hai reclamato a sufficienza i tuoi diritti», borbottò sarcastico Loki.
Seguirono alcuni minuti di silenzio, disturbati dai canti dei grilli e dai versi dei rapaci notturni. Il vento fresco si infilava con prepotenza nella stanza, gonfiando le tende di lino e scuotendo di brividi la chiara pelle del giovane Jotun. Thor gli portò il lenzuolo fin sopra le spalle, e in quell'atto s'incantò - come spesso faceva - a rimirare i suoi occhi verdi, ingannevoli, eppure così sinceri.
«Lo sai, a volte vorrei baciarti...»
Loki restò un attimo in silenzio, deglutendo. Il suo sguardo era diventato fuggitivo, quasi timido.
Poi riacquistò la suo lucidità e scosse la testa, sorridendo di scherno.
«Sei impazzito forse?»
Ma Thor ignorò le sue parole, e rimase come ipnotizzato sul suo sguardo. Accarezzò debolmente il fratello sotto il collo, e man mano che si avvicinava al suo viso lo accarezzava dietro le orecchie, toccandogli di nuovo i capelli sottili. Sfiorò la sua guancia con il naso, come volesse annusarlo, prima di baciarlo delicatamente, catturandogli poco alla volta piccoli lembi di labbra, toccandole lievi, quasi con timore.
Le labbra di Loki erano fredde, sottili, remissive. Il giovane abbassò un poco le palpebre sugli occhi, ma rimase passivo a quel gesto. Solo, quando Thor pose fine a quel casto bacio, si limitò ad inspirare profondamente, e quando parlò lo fece con voce tremante.
«Non ti vergogni? E poi pretendi di chiamarmi fratello?» Detto questo si passò una mano sulla bocca, come avesse appena detto un'orribile atrocità.
«Di cosa dovrei vergognarmi? Tu ti sei già concesso a me!»
L'espressione inorridita di Loki sarebbe stata quasi comica, in un contesto diverso.
«Come hai osato violarmi in modo così meschino?» La sua voce si era quasi ridotta a un piagnisteo. «Mi hai... mi hai praticamente ricattato!»
«E intendo farlo ancora».
Il dio degli inganni fissò l'altro per alcuni lunghi secondi, di sottecchi. Il suo sguardo era incomprensibile, misto tra il furioso, lo spaventato, l'eccitato e il divertito.
«Se... se credi di sottomettermi in tal modo ti sbagli di grosso...!» Sibilò in un ringhio, stringendo i pugni all'inverosimile. E Thor non riuscì a trattenere una risata.
«Sapevo che avresti detto così!» E continuò a ridere. Cos'era, aveva forse intenzione di prendersi gioco di lui?
Loki inarcò un sopracciglio, irritato dal fare scherzoso del principe. Detestava non essere preso sul serio. Detestava essere prevedibile. Detestava quella risata irritante.
D'improvviso scese da letto, scostando i veli che lo avvolgevano, e s'alzò in piedi.
Il riso di Thor sfumò all'istante, e un'espressione sbigottita gli si dipinse in faccia.
«Che... che fai?»
Tentò di afferrarlo per un polso, ma Loki, sfuggevole e sinuoso come un gatto, evitò con facilità la sua presa. Tuttavia non fuggì, una volta prese le distanze, si volse verso il fratellastro con calma estenuante e lo fulminò con fieri occhi liquidi.
«Ora, con il tuo permesso, vorrei fare un bagno. E poi mi concederò a te, se tu lo desideri».
Thor registrò quelle parole come non fossero reali. Loki poteva per davvero aver detto una cosa del genere? Mi concederò a te, se tu lo desideri?
No, certamente qualcosa stonava in quelle parole. E non sarebbe stata la prima volta che cadeva nei subdoli intrighi del dio degli inganni. D'altronde, quel nome non gli era stato affibbiato a caso.
Eppure, Loki sembrò onesto. Passò poco tempo immerso nei vapori della vasca, giusto per godersi fino in fondo il bagno che gli era stato così brutalmente negato la volta precedente. Poi, silenzioso e avvolto pudicamente in un elegante telo, era tornato nella camera.
Thor lo guardava con affetto, sdraiato sui cuscini. Sorrideva come avrebbe potuto sorridere a un vecchio amico, tornato dopo un'eternità. Loki manteneva, nonostante tutto, il suo cipiglio regale ed il suo orgoglio, camminava leggero e disteso, il suo viso era rilassato e riflessivo anche se non c'era traccia della sua caratteristica aria beffarda. Solo in quel momento, incrociando il suo sguardo apparentemente distaccato, Thor capì lo stato d'animo del fratello.
Loki si sentiva incastrato, si sentiva in debito, si sentiva ricattato. Se le cose stavano così, Thor avrebbe fatto di tutto pur di fargli comprendere che si sbagliava.
Con inebriante sensualità mischiata ad un velo di timidezza, il dio degli inganni avanzò con cautela verso il fratellastro e si piegò a cavalcioni sul suo corpo, raggiungendo la sua bocca con un bacio, se possibile ancor più casto del precedente. Chiuse gli occhi mentre a tratti toccava quelle labbra ruvide con le proprie, mentre Thor gli accarezzava il collo e la testa e gli sfilava il telo bagnato, scoprendo le sue cosce di un rosa dorato, risaltate dal chiarore dei lumi.
«Cerca di non farmi male», esalò in un soffio Loki, sussultando appena sotto i suoi tocchi. Poi, sussurrò qualcosa d'incomprensibile, qualcosa come non mi merito questo da te.
Thor capovolse le posizioni e allargò appena le lunghe gambe del ragazzo, ancora restio a concedersi senza pudore. Gli sorrise dolcemente, toccandogli un poco il viso come se avesse a che fare con una bambola di porcellana. Loki, puntualmente, si curò di recuperare il suo orgoglio, sottraendosi a quel tocco e inarcando le sottili sopracciglia in verso di rimprovero.
Thor decise di ignorare i modi scorbutici del fratello, non poteva pretendere oltre dalla fierezza e dall'orgoglio di Loki, per cui si accontentò.
E quella notte lo fece suo, per la seconda volta. Lo prese in estenuanti abbracci, senza fine. Fu una notte dolce, piena di carezze e languori. Entrambi sapevano trattarsi con riguardo, entrambi si conoscevano profondamente.
La parte complicata era definire il sentimento che li univa.



*



Il giorno successivo l'alba sorse con troppo anticipo. Il sole, ancora debole, ferì gli occhi chiari di Thor, che si destò da un lungo sonno. Subito prese coscienza del ragazzo accanto a sé, girato di spalle, infagottato in un mare di lenzuola. Ancora addormentato.
Separò le gambe dalle sue, bollenti. Al contrario, le spalle e le braccia così come la schiena nuda, accarezzate dal vento mattutino, erano gelide. Thor si curò di coprire meglio il corpo del fratello, tirando più che poteva quel groviglio di coperte fin sopra la sua testa. Non perse l'occasione per baciargli il collo, e la guancia. Dormiva ancora. Gli occhi verdi erano ancora ben celati dietro le palpebre, la bocca era leggermente aperta, e catturava ogni più fievole filo d'aria.
Pareva un bambino, alle prese con i propri sogni. Sembrava impossibile che Loki avesse già un figlio, con il simile splendore giovanile che recava.
Alla dolcezza del risveglio si sostituì ben presto lo sconforto; il sole era appena sorto, ma i tempi erano già corti. Loki avrebbe dovuto far ritorno nella sua cella al più presto, non poteva rischiare di venire scoperto fuori dalla sua stanza di prigionia.
A malincuore, Thor dovette interrompere il sereno riposo del fratello. Lo scosse leggermente, donandogli un altro furtivo bacio sulla bocca. Lo chiamò cercando di essere il meno brutale possibile. «Loki, Loki! Devi alzarti».
Il dio rispose al suo nome ed aprì lentamente gli occhi, stiracchiando la schiena ed esibendosi in un rispettoso sbadiglio. I suoi occhi lucidi incontrarono quelli vispi di Thor, chino su di lui. Alla vista del suo viso, in un baleno tutti i ricordi della notte precedente gli passarono davanti agli occhi, facendolo arrossire lievemente. In fondo ne serbava un bel ricordo, il retrogusto non era amaro; certo, era stato ancora una volta sottomesso, ma era anche convinto del fatto che fosse impossibile e innaturale per lui dominare Thor in un rapporto di quel genere. Tralasciato quel piccolo particolare, ciò che rimaneva di quella notte era un affetto di cui, doveva ammettere, necessitava da sempre.
Uno stupido bisogno infantile soddisfatto.
«Thor, ma che ore sono...?» Chiese sfregandosi gli occhi. Il dio del tuono rivolse lo sguardo altrove, maledicendosi per quello che stava per dire, e per fare. «Non ha importanza, è già sorto il sole ed è fin troppo tardi. Devo riportarti nella tua cella».
Un velo di rancore offuscò per un attimo gli occhi chiari di Loki, ma poi egli si distese in un'espressione cedevole, e decise di assecondare subito il volere del fratello. Si liberò dalle lenzuola e si alzò su gambe ancora affaticate, coprendosi con un lembo di coperta.
«I miei vestiti», disse con una certa severità voltando appena la testa verso l'altro dio, che nel frattempo aveva già iniziato a rivestirsi. Thor gli diede un completo nuovo, appena lavato, di tinta scura ovviamente. Loki lo indossò in silenzio, rimanendo girato di spalle.
Con la stessa destrezza cui avevano raggiunto la camera, ritornarono nella zona di detenzione. Thor abbandonò il fratellastro nel buio e nell'umido di quell'orrenda cella, non mancando di fargli avere del buon cibo e dei guanciali. Dopo la notte appena trascorsa si sentiva un traditore a lasciarlo lì in quella tomba scura, a chiudere le doppie porte di sicurezza e a voltargli le spalle, mentre andava ad occupare il trono con ancora il suo calore intrappolato tra le gambe.
Mai come in quel momento comprendeva i sentimenti del fratello, e si malediva di averli compresi così tardi.



*



Loki che rideva. Gli pareva un miraggio.
Erano adagiati sul pendio di una collina, seduti uno accanto all'altro, su un tappeto di foglie secche. Il cielo era bianco e nebuloso, ma non sembrava intenzionato a liberare pioggia. Il bosco li riparava dagli sguardi altrui, inoltre quel luogo non era frequentato, si raccontavano storie su di esso per nulla rassicuranti.
In realtà, la sua brutta fama era dovuta al fatto che, in gioventù, Odino aveva nascosto in quella zona una bestia proveniente da Niflheimr, uno strano ibrido squamato munito di corna e pinne che necessitava di vivere in un luogo umido di nebbie, a causa del suo paese di provenienza; e quella zona recintata da basse colline era spesso offuscata da una coltre di nebbia, a causa delle vicine paludi. La creatura, battezzata Fenan Fin, strillava le notti in cui nel cielo appariva Niflheimr, nulla più che un punto luminoso che faceva capolino dalla nuvolaglia, talvolta. Corrosa dalla nostalgia e dalla solitudine, gridava mostruosamente all'indirizzo di quella stella lontana, e attorno alle colline Högar s'erano snodate le leggende popolari più fantasiose.
Le grida s'erano quietate da due secoli ormai, Fenan Fin non viveva più da allora.
Quella mattina Thor aveva portato Loki a vedere la grotta dove Odino la rinchiudeva, ricordandosi che era sempre stato suo desiderio da bambino, ma il padre aveva sempre proibito loro di andare a cercare l'antica dimora della bestia.
«Ecco, è qui». Thor aveva indicato al fratello un'ampia voragine sotto la roccia, a forma di cupola. All'interno della grotta c'erano ancora i lacci di ferro e le catene arrugginite, sporche del sangue del povero animale. Chissà quanto aveva lottato per liberarsi. Chissà quanto aveva guardato l'immenso blu del cielo soprastante, sognando che fosse un mare per poter navigare con le sue pinne fino a casa. Loki aveva guardato malinconico quella tetra gabbia di roccia, e il suo sguardo s'era riempito di rancore represso. Non si sentiva poi molto diverso da Fenan Fin, anche lui non era stato nient'altro che un trofeo di guerra, rubato a una stella lontana, confinato per anni ad Ásaheimr.
«Andiamo via, per piacere», aveva detto Loki a denti stretti, fattosi serioso tutto d'un tratto.
S'erano poi seduti sul pendio, così da spaziare con lo sguardo; davanti a loro si distendevano lunghe pianure brillanti d'acqua, e in lontananza si ergeva la città di Asgard, in tutto il suo splendore.
Avevano parlato serenamente, come non facevano da tanto tempo. Thor poteva giurare che le silenziose risate del fratello erano autentiche; gli sembrava davvero di riaverlo con sé, gli sembrava davvero che nulla fosse cambiato. Forse gli era semplicemente grato, Thor stava rischiando la vita per lui, o come minimo il trono e l'esilio. Forse Loki aveva un particolare potere di simbiosi con la natura, tanto che era come se, a contatto con essa, ritrovasse la sua felicità originaria.
O forse era solamente quella libertà illusoria, contrastante a tal punto con lo squallore della prigionia, che bastava di per se stessa a rasserenarlo.
Ora parlavano da fratelli, seduti l'uno a fianco dell'altro. Il giovane Jotun giocherellava con le foglie ingiallite che ricoprivano il terreno, sbriciolandole tra le dita. Un vago sorriso gli colorava le labbra sottili. Allorché Thor decise di risollevare l'argomento.
«Loki, ti va di parlarmi... chi è la madre di Liar? Se non sono troppo indiscreto».
A quella domanda, il dio degli inganni non mutò espressione, abbassò solamente lo sguardo per poi rialzarlo e tornare a fissarlo con serietà davanti a sé. Ora s'era accigliato.
Mosse più volte le labbra, come volesse dire qualcosa, ma rimase zitto, turbato.
«Va bene, fa niente», si arrese il dio del tuono, non volendo insistere oltre.
«Si chiamava Sygin». Thor poté giurare di non aver mai visto Loki così scoraggiato e malinconico; il suo viso era inespressivo ma contratto, segnato da un ferita indelebile, seppur invisibile.
«Perché si chiamava
Loki annuì con un impercettibile cenno della testa, e si decise finalmente ad incontrare gli occhi azzurri del fratellastro.
«Lei era un'Aesir, di provenienza pura e perciò fragile, non ha potuto sostenere nel suo ventre il bambino di uno Jotun».
Thor pendeva dalle sue labbra, avvertiva una tensione sempre crescente, e un brivido che gli tormentava la spina dorsale; gli occhi del fratello si riempivano di lacrime, che tuttavia cercava di trattenere. Le labbra gli tremavano.
«Io non sapevo di esserlo».
Il vento freddo e il mugolio del cielo temporalesco ruppero il silenzio, e alcune gocce cominciarono a bagnare il terreno.


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Capitolo 5
*** I Fiori Notturni ***


I Fiori Notturni



«Il tempo si sta rabbuiando, è meglio se torniamo a palazzo».
Thor fece per alzarsi ma Loki lo trattenne per un braccio; si alzò in piedi con fare risoluto togliendosi dal riparo degli alberi, incurante delle gocce che cadevano copiose.
«Io questa notte non ci torno in quell'orrenda buca».
Il dio del tuono non poté fare a meno che sorridere a un Loki che s'impuntava, neanche fosse un bambino. Ma il suo sorriso era malinconico, intristito da quegli occhi lucidi traboccanti d'acqua. Il fratello gli stava mutamente urlando aiuto.
Forse per convincerlo, forse per rubargli un briciolo d'affetto, il ragazzo prese l'iniziativa e baciò Thor sulle labbra, cogliendolo totalmente alla sprovvista. Si lasciò prendere dalle sue braccia forti, intenerendo ancor di più il bacio: le loro labbra si sfioravano più che toccarsi.
«Ti prego, non lasciarmi solo questa notte». Non si curò di simulare con false pose la sua fragilità, ancor più viva in quel momento; non si curò di ostentare indifferenza. D'altra parte con Thor ogni posizione e maschera d'orgoglio sarebbe stata ridicola, dato che nessuno lo conosceva meglio di lui.
«Andiamo». L'asgardiano lo cinse per la vita, trasportandolo con sé fino alla dimora reale. Era ben conscio del pericolo che stava correndo, ma l'affetto per Loki aveva la precedenza su ogni cosa.
Il dramma che il fratello sopportava dietro quei suoi occhi verdi era immane, la responsabilità che gravava sul Padre degli dèi lo era ancora di più.
Ora capiva i suoi sentimenti. Li capiva come se gli appartenessero. Sentiva il suo dramma.
Lo condusse nuovamente attraverso i corridoi della cittadella, ora resi freddi dalla nuvolaglia e dalla notte incalzante. Il cielo brontolava, il vento scuoteva le tende bianche degli ampi balconi. Presto quella pioggia innocua si sarebbe tramutata in un impervio temporale. In un contesto simile l'accogliente camera dei principi assumeva ancor più le confortevoli sembianze di un dolce rifugio.
Le luci erano spente, il grigio di un crepuscolo precoce predominava su ogni colore.
Thor lasciò che Loki si accomodasse sul letto, meticolosamente rimboccato dalla servitù, e chiuse le porte finestre sigillando gli eleganti vetri decorati.
«Asgard sembra sovrastata da una minaccia, è come se una scure impietosa pendesse sulla nostra terra».
Loki s'era rannicchiato tra le coperte, tremante. Parlò a scatti, tra i brividi febbrili: «Asgard è sempre stata cieca di fronte ai suoi nemici. Ecco quel che vi manca, un briciolo d'intuito».
Thor si chinò sul fratello, aiutandolo a spogliarsi degli scomodi indumenti regali che indossava.
«Dici così solo perché voi siete per natura più maliziosi».
«Per favore, Thor, non parlare di me come se fossi un estraneo. Giusto o ingiusto che fosse, io sono cresciuto tra gli asgardiani, e sono vissuto con le vostre leggende. Tutte quante di parte, ovviamente». Entrambi si lasciarono sfuggire un magro sorriso sulle labbra, colmo di malinconia.
«Sai...» Thor prese posizione al suo fianco, iniziando ad accarezzargli i capelli e i lineamenti spigolosi. «Forse per molto tempo sono stato accecato dall'oro di Asgard. Forse non vedevo ciò che c'era dietro la sua bellezza e la sua sfarzosa tradizione».
Loki si lasciò spogliare. Era avvezzo ad essere servito, questo pareva ovvio. Ma non era nemmeno nella condizione di imporsi contro le eccessive premure di Thor.
L'asgardiano tuttavia non s'impose oltre qualche carezza e qualche bacio soffiato a fior di pelle. Fu Loki a cercarlo, con il suo corpo sinuoso e bollente di febbre. Aveva bisogno di distrarre la mente, aveva bisogno di rifugiarsi nel corpo e nel cuore dell'altro, oltre che nella sua stanza.
Quella notte fecero l'amore.
Dolcemente, delicatamente, quasi per gioco.
Ma l'estasi terminò ben presto, e sopraggiunse il vuoto, un dolore vivido e tenace.
Loki non si curò di mostrarsi debole davanti al fratello e si sfogò in un sommesso pianto, fatto di singulti mal trattenuti, occhi rossi e lacrime secche.
Non ce l'avrebbe fatta, nella solitudine della sua prigione, a riaffrontare un simile dolore. Il sostegno di Thor era fondamentale; anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, dentro di sé gli aveva dedicato un muto grazie, mentre veniva accolto dal suo abbraccio. Rozzo e semplice, eppure rassicurante quel tanto che bastava. Le sue mani percorrevano la sua schiena nuda, percossa dai brividi e dai singhiozzi soffocati. Ogni centimetro del suo corpo scottava quasi come fosse esposto alla canicola, eppure l'ambiente era freddo. La febbre doveva essere alta.
Non passò molto prima che Loki si lasciasse andare al sonno, ancora sorretto dalle braccia del fratellastro, instancabili di accudirlo. Il suo viso pallido era ancora umido di lacrime.
Thor lo guardò con dolcezza e con immenso dolore, cogliendo una tormentata sofferenza nel suo viso dormiente. Si rimproverò per non essere stato in grado di scacciare i fantasmi dalla sua testa, per quella notte. Allora, quasi come fosse un risarcimento, gli accarezzò piano la guancia, per poi baciarla lieve.
«Spero che Sygin entri nei tuoi sogni, così che tu possa almeno darle l'addio che non hai potuto dedicarle».
Sussurrò queste poche parole, prima di accoccolarsi al suo fianco. Loki istintivamente nascose il viso nel suo petto, chiudendosi nel proprio mondo onirico.



*


Un calice s'infranse a terra, scaraventato contro il pavimento in un iroso gesto.
Odino tremava; fulminò con occhi imperiosi le guardie che, timorose, gli stavano innanzi. Inutilmente s'imponeva la calma, inutilmente cercava di ripetersi che quei ragazzi eseguivano soltanto gli ordini, e non meritavano di subire la sua rabbia.
«Come sarebbe a dire sparito?» Tuonò, mentre percorreva inquieto la stanza, avanti e indietro, senza riuscire a darsi pace.
«È così mio re, ma abbiamo sorvegliato la prigione ininterrottamente, fino a quando...» la giovane guardia tentennò, rimembrando l'ordine del figlio di Odino: vi proibisco di dire a chicchessia di avermi visto.
«Fino a quando? Ti ordino di parlare e di dirmi la verità, subito!»
Ma d'altronde una richiesta da parte del Padre degli dèi aveva la precedenza su un ordine impartitogli dal nobile principe.
«Fino a quando vostro figlio non ci ha congedati!» Affermò a gran voce la seconda guardia, con un tono talmente deciso da risultare quasi irrispettoso.
«Sì, proprio così».
Thor.
Un lampo doloroso attraversò la mente del vecchio re. Non era possibile che Thor avesse aiutato Loki a fuggire, non poteva arrivare a rischiare tanto per lui, soprattutto alla luce dei nuovi avvenimenti. Inoltre conosceva le leggi, il codice d'onore di Asgard. Loki aveva deliberatamente violato tutto questo, era giusto che pagasse il suo debito, com'era stato giusto un anno prima l'esilio forzato di Thor su Midgard.
«Dov'è mio figlio ora?»
«Quale dei due, signore?» Azzardò una guardia.
«Il mio erede, Thor!»
Proprio in quell'attimo i grandi portoni della sala si spalancarono. Un uomo rovinò ai piedi dell'anziano monarca, incalzato da quattro militi asgardiani che lo circondarono all'istante. Era vestito poveramente, e sebbene non dimostrasse più di trent'anni il suo corpo era visibilmente segnato dalle fatiche dei lavori manuali.
«Padre degli dèi, ti scongiuro... Non intendevo offendere la tua casa!» Alzò una mano tremante all'indirizzo di Odino, chiedendo la sua pietà; ma le guardie che l'avevano condotto fin lì lo minacciarono con le loro lance dorate, ringhiando come mastini.
«Le tue sono ingiurie belle e buone, villico!»
«Basta!» Odino, con un sol gesto della mano, fermò all'istante le angherie delle guardie e le guardò con severità. «Ora voglio che mi spieghiate cosa vi autorizza a trattare in tal modo un libero cittadino di Asgard, e spero per voi che abbiate un giusto motivo!»
Le guardie s'irrigidirono all'istante, freddate da quel minaccioso rimprovero. Dopo alcuni istanti di tensione, il milite più anziano s'azzardò a parlare: «ma signore, quest'uomo ha espresso gravi calunnie sulla vostra nobile casa».
«Posso parlare?» Supplicò quasi in lacrime il paesano. Odino lo guardò con apprensione e l'invitò ad alzarsi, cercando di metterlo a suo agio.
«Parla dunque».
Un barlume di sollievo guizzò negli occhi dell'uomo, che fu finalmente libero di esporre le sue ragioni. «Mio re, nobile Padre degli dèi», principiò con profonda reverenza, facendo omaggio di un inchino al vecchio monarca, «mi scuso se ciò che sto per dire può sembrare calunnia, ma siete veramente sicuro che il figlio del traditore Jotun sia stato giustiziato?»
Odino si accigliò, una preoccupazione atroce gli attraversò la mente, come se fino a quel momento avesse tralasciato un particolare importante.
«Queste sono accuse molto gravi. Stai oltraggiando l'onore di mio figlio, Thor, e di conseguenza il mio. Cosa ti spinge ad avanzarmi un dubbio di tale peso?»
Le guardie si scambiarono un'occhiata trionfante, sollevate di aver evitato una probabile punizione.
Gli occhi dell'uomo erano diventati freddi e duri, pazzi di un dolore celato. Ma le parole che pronunciò a denti stretti furono ferme e decise, prive di timore e colme di rancore: «perché ho ragione di pensare che ci sia mio figlio sepolto sotto quella tomba».
«Cosa vi avevo detto signore! Ingiurie, ingiurie e calunnie sul figlio di Odino! Meriteresti la forca, villano!»
Ma il vecchio re non sembrava dare segni d'ira; piuttosto, pareva fosse pervaso da un orrendo conflitto interiore, come se un'onda l'avesse travolto.
Il povero paesano, intanto, s'era lasciato andare in un pianto cupo e sommesso, in preda alla disperazione. «Come puoi dire questo?» Domandò infine Odino, cercando di dosare il tono della voce. E l'uomo gli raccontò di come, nella notte, un manipolo di uomini avesse approfittato della sua assenza per rapire suo figlio, ancora in fasce, dalle braccia della madre. Ella era morta pochi giorni dopo, per il troppo dolore, ma tra i balbettii deliranti era riuscita a fare un nome. Thor.
«È il volere del dio del tuono, è il volere di Odino, e io l'accetterò, ma ora muoio. Furono le ultime sue parole. Io non capivo, è tutto avvenuto troppo velocemente. Ma poi compresi... compresi lo scopo del rapimento di mio figlio! Egli aveva le vaghe fattezze del principe Loki... Occhi verdi, capelli scuri, un viso fine e magro. Non può essere un caso! Il giorno seguente è stato giustiziato un bambino, la cui esecuzione ho potuto solamente osservare dalle basse finestre degli appartamenti della servitù. E posso giurare di aver sentito il pianto di mio figlio, e di averlo riconosciuto».



*


Frammenti di passato, ricordi confusi, brandelli di memoria affollavano la mente tormentata di Loki. Gli si ripresentavano immagini che credeva di aver dimenticato, rivedeva momenti lontani, sfocati nella dimensione onirica del sogno.
Quello era uno dei rari momenti in cui Odino non occupava il proprio trono, il veggente seggio di Hlindhskyalf.
Quasi stesse in appostamento giorno e notte, il piccolo Loki si accorgeva subito di quando la sala reale rimaneva vuota. Allorché chiamava concitato Thor e insieme si divertivano ad emulare il ruolo del nobile padre, sotto gli occhi divertiti della guardia prediletta del re. I bambini la chiamavano Ulf, storpiando il nome - troppo complicato - della sua fratellanza. Ulf era loro complice, non aveva mai fatto la spia e anzi, assisteva piacevolmente ai loro giochi.
Loki si arrampicava fin sul trono, si metteva un elmo in testa - troppo grande per lui - e usava una spada di legno come scettro.
«Inchinati suddito, al Re di Asgard!» Faceva con voce imperiosa, non riuscendo a trattenere le risa. Thor s'inchinava, ridendo anch'egli, subendo ogni volta assurde condanne o svariate nomine.
«Ti nomino guardiano di Ydalir, ti nomino re delle formiche, ti condanno a macellare Sohrminir!» Sohrminir era il leggendario cinghiale del Valhalla, che resuscitava ogni volta che lo si uccideva per cibarsene.
Il gioco si ripeteva, fino a quando cominciava a diventare noioso. Allora Loki ignorava del tutto il fratello, faceva l'imbronciato e si divertiva a pavoneggiarsi, provava diverse posture, capricciose o altere, cercava in tutti i modi di immaginarsi su quel trono, adulto, re. Sembrava una damigella alle prese con il proprio guardaroba di vestiti e gioielli.
Ma quando Thor gli chiedeva di fare cambio, ossia di prendere lui le parti del re e Loki quelle del suddito, il fratello voleva sempre cambiare gioco.
«Non mi va più», anche stavolta sbuffò corrucciato, scendendo dal trono e abbandonando Thor nella sala. Il fratello maggiore, noncurante come al solito, non diede troppo peso ai capricci dell'altro e prese posizione sul seggio dorato, imitando senza sforzo le espressioni e i gesti del padre.
«Tu sì che sembri il Re di Asgard!»
Quelle parole pronunciate da Ulf nell'orecchio del primogenito, quando Loki aveva già voltato loro le spalle, rimasero impresse nella sua mente di bambino.
Facevano male, perché gli rivelavano ciò che la gente pensava di lui: non era rispettato quanto suo fratello, quasi era trattato come se non fosse un asgardiano, e soprattutto a tutti era molto chiaro che, per qualche motivo che invece a lui era oscuro, non avrebbe mai potuto salire al trono.
Sì, è vero, preferiva un libro a una battaglia, era più ingannevole che coraggioso, mangiava poco. Aveva un corredo di caratteristiche singolari per gli abitanti di quel pianeta, era diverso. Ma il suo cuore era rivolto alla devozione per la Città Eterna, apparteneva alla stirpe reale! Aveva tutte le carte in regola per divenire erede di Asgard. Perché la gente sentiva a pelle ciò che lui non si rendeva conto di essere?
Il bambino varcò le porte dell'ampia sala reale, passandosi una mano sul viso bagnato.
Il sogno cambiò.
Il suo corpo s'era allungato, il suo viso sfilato, la voce era diventata più profonda. Era un ragazzo, il ragazzo che in quel momento, tra le braccia di Thor e tra le lenzuola calde del suo letto, stava rievocando in sogno quelle immagini.
Era felice, rideva, provava una strana sensazione, l'eccitazione che si prova quando si fa qualcosa di proibito, quando - ad esempio - ci si aggira per i corridoi nel bel mezzo della notte, con una dolce fanciulla per mano. Quando si è innamorati per la prima volta.
«Possibile che tu sia così timorosa, Sygin?» Loki le rivolse un sorriso, ma lei gli rispose con uno sguardo di rimprovero, scuotendo la testa. I capelli lunghi e dorati le ondeggiarono attorno al capo, come la criniera di una fiera cavalla. Era ancora titubante a seguire ciecamente il principe negli appartamenti privati del Padre degli dèi.
«Devi comprendere la mia soggezione! Io non dovrei essere qui...» Si guardò timorosa attorno, come se il soffitto dovesse crollare da un momento all'altro.
Varcarono porte, passaggi segreti, scorciatoie incassate nel muro. Un paio di volte Loki dovette distrarre gruppi di guardie in pattuglia notturna, confondendole con uno dei suoi incantesimi. Questo era uno dei casi in cui essere uno stregone risultava molto più utile che essere un ariete senza cervello.
«E poi...» Il tono di voce di Sygin stava diventando quasi isterico. La ragazza era sempre più inquieta, ad ogni minimo rumore sospetto si guardava freneticamente attorno. Era evidente che temeva di incorrere nell'ira di Odino dato che, fino a prova contraria, non avrebbe dovuto mettere piede negli appartamenti dei re. «E poi si può sapere perché proprio qua? Nelle stanze di tuo padre? Con tutti i luoghi che ti potevano venire in mente...!»
Nel frattempo erano arrivati sul retro della rocca dorata, sotto un lungo porticato in pietra chiuso da enormi drappi, bianchi e rossi.
«Perché solo qua ci sono i giardini di Salh». Il ragazzo scostò la tenda di un'arcata, rivelando oltre questa un incantevole paesaggio, un giardino di fattezze talmente sublimi da risultare quasi surreale.
Sygin, a quella visione, spalancò gli occhi e la bocca, estasiata. Nemmeno il Valhalla avrebbe potuto competere con una tale bellezza.
Un intreccio di rose e rampicanti, siepi curate in maniera maniacale, fiori di mille tipi e di mille colori che s'aprivano col chiarore lunare, e profumavano l'aria. Cascate verdi e magri ruscelli serpeggiavano tra i solchi del terreno, tra l'erba; le falene svolazzavano attorno alle tenui luci delle torce, tutto quanto era immerso nel torpore e allo stesso tempo in una vitalità silenziosa.
Era una visione talmente spiazzante da sembrare un artificio dello stesso dio degli inganni, o un parco coltivato da una creatura demoniaca... ma in quel momento nulla importava a Sygin, ad eccezione del suo principe e dell'ennesimo tesoro di cui, quella notte, egli le aveva fatto dono: una serata da trascorrere nel giardino degli dèi. E non sarebbe stato l'ultimo dono da parte del dio degli inganni, quella notte.
La ragazza camminava silenziosa al suo fianco con il rossore che le imporporava le guance, nascosto dalla luce bluastra della notte. Loki camminava silenzioso anch'egli, con passo regale, le labbra piegate in un sorriso raffinato.
Giunsero a un piccolo promontorio, circondato da una balconata color avorio assalita da rampicanti fioriti. Le stelle erano nelle loro mani.
Gli aromi, l'atmosfera notturna, i canti dei grilli... l'ambiente stesso profumava a tal punto di afrodisiaco che ai due giovani sembrò naturale sciogliersi in un bacio privo d'ogni timidezza, privo d'ogni pudore.
Dopo alcuni minuti di dolci effusioni, gli amanti si appoggiarono fronte contro fronte; i capelli scuri di Loki s'intrecciavano ai fili biondi di Sygin. Anche lei aveva le fattezze di una nobile asgardiana, capelli d'oro, occhi blu... Eppure era diversa. Non era volgare come Sif, né casta e sottomessa come la maggior parte delle donne di Ásaheimr. Era brillante, aveva la dignità di una regina e la naturale dolcezza di un'umile paesana, e soprattutto condivideva la più grande passione di Loki: l'amore per i libri.
«Mi spiace Sygin, io non potrò mai donarti un seggio regale. Eppure lo meriteresti più di ogni altra donna in questa città».
L'espressione del ragazzo, da dolce e serena che era, s'era indurita. Solo con Sygin parlava apertamente dei suoi desideri, solo con lei si sentiva libero di sfogarsi. Ma possibile che non riuscisse mai ad abbandonare la sua ossessione per il trono?
La giovane gli accarezzò il viso, scostandogli i capelli scuri e alzandosi in punta di piedi per donargli un bacio sulla guancia. Loki la guardò di traverso, osservandola con un enigmatico sguardo di un profondo smeraldo.
«Io non lo voglio il tuo trono. Possibile che tu non possa fare a meno di invidiare ogni cosa che tuo fratello ha e che a te manca?»
Loki si voltò verso di lei, così da guardarla meglio negli occhi. «Ma, mia dolce Sygin...» principiò sorridendo, «pensavo fossi dalla mia parte!»
«Lo sono infatti, e per il tuo bene ti dico: smettila di confrontarti con Thor. Tu sei quello che sei».
Le si allargò in volto un sorriso semplice e confortante, infinitamente sincero. L'esatto contrario di quelli di Loki. Il dio degli inganni la toccò sulla guancia, cingendole la vita e donandole un altro bacio.
«Amo la tua saggezza».
Trascorsero quasi tutta la nottata nell'incanto dei giardini di Sahl; cacciarono le ranocchie che gracidavano liete nei fontanazzi, cavalcarono i pendii erbosi in groppa a dei nobili purosangue rubati dalle vicine scuderie reali, s'inseguirono tra i ghirigori scuri dei labirinti di siepe.
Intimamente pregarono che quella notte magica non avesse fine. Eppure, l'alba sorse puntuale e raggiante; i fiori si richiusero, feriti dall'arsura del giorno nascente, e i due amanti dovettero abbandonare quell'angolo di mondo idilliaco.
Loki allora condusse Sygin nelle proprie stanze, dove la prese dolcemente, per la prima volta. Entrambi erano pieni di insicurezze, ma ogni cosa accadde in modo istintivo.
Come fu istintivo per il giovane lasciarsi andare, riversare il proprio seme nel ventre della ragazza, poiché era sicuro di amarla e non temeva nessuna conseguenza.
Sygin lo accolse con un profondo respiro, per poi adagiarsi su un fianco, esausta.
Loki rimase sveglio, indossò una leggera veste di seta verde smeraldo e uscì sul balcone, lasciando che il vento mattutino gli scompigliasse i capelli. In volto aveva ancora stampata l'espressione euforica dell'orgasmo, ma nel cuore pensava alla fanciulla addormentata nel suo letto, al suo candore e alla sua bellezza degni di una dea. L'immagine del suo viso, addormentato e sereno, fu l'ultima che serbò di lei.


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Capitolo 6
*** La Volubilità del Fato ***


La Volubilità del Fato


Ogni bel sogno ha il suo risvolto negativo, come il momento in cui svanisce e soccombe alla realtà.
Loki si destò piegando le sottili labbra in una smorfia dolorosa. Sentiva le lacrime incalzare dietro le palpebre chiuse, avvertiva la fronte e le tempie bagnate, rivoli ghiacciati gli colavano tra i capelli e lungo il collo. Tentò di aprire gli occhi, ma la luce era troppo forte, gli provocava immani fitte alla testa, lo accecava. D'istinto, portò un braccio sopra al viso, cercando di riparare gli occhi chiari da quella prepotente luce solare.
«Ti prego... accosta quella tenda!» Chiese alla cieca, non sapendo nemmeno se ci fosse qualcuno ad ascoltarlo. Ma la richiesta venne prontamente esaudita, e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo che sfumò troppo facilmente in un singhiozzo. La febbre non gli si era ancora abbassata.
«Ora cerca di stare calmo fratello, non stai per niente bene».
Un fazzoletto imbevuto d'acqua fredda gli venne applicato sulla fronte, mentre una mano grande e calda gli accarezzava appena il viso. Dunque Loki aprì gli occhi, incontrando quelli azzurri di Thor. Era ancora nella sua stanza, e il sole era già alto. Il suo primo impulso fu quello di alzarsi e tentare di scendere dal letto, ma il dio del tuono lo bloccò immediatamente, costringendolo a rimanere sdraiato. «Lasciami! Devo tornare alle prigioni... non vorrai farmi ammazzare vero?»
«Sei troppo debole! Non posso lasciarti tornare nel freddo e nell'umido di quella cella, moriresti comunque se la malattia degenerasse».
Loki tentò comunque di divincolarsi dalla stretta del fratello, finendo solo per aumentare esponenzialmente il dolore alla fronte e alle tempie. Le ossa gli dolevano, faticava a respirare e, come se non bastasse, un fastidioso martellante fischio gli inquinava i timpani. Thor aveva ragione, era debole, più debole che mai, anche se ancora non si capacitava del motivo di tale peggioramento.
Si abbandonò esausto sul letto, sconfitto, in preda ai tremori e ai brividi.
«E poi...» continuò Thor, distogliendo lo sguardo dal fratello e dandogli le spalle, «non dovresti fare brutti pensieri. Non fai altro che aggravare la tua condizione. Dovresti cercare di essere più sereno».
Loki spalancò gli occhi, incredulo.
«E questi brutti pensieri di cui parli, sarebbero forse i miei sogni su Sygin?»
«Hai fatto il suo nome», si difese Thor, alzando appena le spalle, cercando di scusarsi per la sua impudenza.
«La tua palese gelosia mi disgusta! I tuoi sono i sentimenti di un infante!» Lo accusò velenoso Loki, ma fu costretto a calmarsi immediatamente, poiché una fitta al petto gli troncò il respiro in gola. Allora si lasciò andare sui morbidi cuscini, sotto gli occhi compassionevoli del fratellastro. Quella situazione snervante lo stava uccidendo.
Una volta sdraiato, riprese fiato e parlò con più calma, resosi conto di aver ingiustamente aggredito Thor.
«Tu... non hai il diritto di intrometterti nei miei sogni».
Thor alle volte era davvero incomprensibile, benché sembrasse un ragazzo dalla gamma di emotività piuttosto semplice. Prima augurava a Loki di sognare Sygin, poi ad augurio avverato si rimangiava tutto perché tormentato da un assurdo senso di gelosia?
«Cos'è stato?» Dei passi, fuori dalla stanza, in rapido avvicinamento.
«Loki, l'illusione è ancora attiva, vero?»
Il ragazzo si esibì di nuovo in una delle sue classiche smorfie. Perché Thor non allenava anche il cervello di tanto in tanto, oltre ai muscoli?
«È possibile che con la febbre alta non sia più riuscito a controllarla... Inoltre ti ricordo che il mio potenziale magico è parecchio indebolito. Sono già stato bravo a mantenerla mentre mi...»
«Va bene, va bene», tagliò corto Thor mentre si alzava per controllare la situazione all'esterno, ma non fece nemmeno in tempo a raggiungere la porta che questa si aprì con irruenza, andando a sbattere contro la parete come se un'improvvisa folata di vento fosse entrata nella stanza.
Purtroppo però, l'inaspettato visitatore che si stagliò sulla soglia era ben più temibile di un innocuo uragano.
Il ragazzo trattenne a stento un'imprecazione quando si trovò davanti il venerabile padre, alto e minaccioso come non lo era mai stato. I suoi occhi cerulei scintillavano d'ira, incutevano un terrore acerbo e profondo, esigevano rispetto ed obbedienza assoluti.
Thor avvertì distintamente la spiacevole sensazione adrenalinica percuotergli la spina dorsale. Loki, nasconditi sotto al letto, smaterializzati, fa' qualcosa!
Come se il dio degli inganni ne fosse stato in grado nelle sue condizioni attuali.
«Padre...»
«Padre!» Gli fece eco Loki, alzandosi allarmato per poi ricadere malamente tra le coperte, ansante e in preda alle convulsioni e agli spasimi datigli dalla saliente temperatura corporea. Rivedere l'anziano re gli aveva suscitato uno strano surrogato di sensazioni, come se per tutto il tempo si fosse convinto di non essere suo figlio, ma poi, dinnanzi alla sua figura, non riuscisse a convincersene davvero.
«Thor, mi hai disubbidito». Odino era stato un padre di buon cuore, sapeva dedicare le attenzioni necessarie ai propri figli, o quantomeno a Thor, poche volte aveva perso le staffe e, quando le perdeva, era sempre per un buon motivo. Ora la sua pericolosità era tale che il dio del tuono ritenne opportuno arretrare di qualche passo al suo cospetto.
«No padre, ascoltami... Mio fratello è gravemente malato, per questo l'ho portato qua, sarebbe morto in quella cella...!»
«Taci! La tua disobbedienza va molto oltre». Odino pareva stremato dal peso di un dolore troppo grande. Sapeva che, come re, c'era solo un compito al quale avrebbe dovuto adempiere, ma prenderne consapevolezza gli straziava il cuore. Preferiva mantenere il distacco con il proprio figlio adottivo, non voleva neppure guardarlo in faccia, sebbene quella fosse la prima volta che lo vedeva dopo un anno di lutto. Temeva che, al primo sguardo, tutti gli antichi sentimenti fossero tornati vividi e dinamici, e gli avrebbero inevitabilmente impedito di agire. No, non poteva perdere la ragione e soccombere al sentimento, aveva ben chiaro ciò che era giusto fare e ciò che invece era ingiusto, e in quanto sovrano esemplare di saggezza avrebbe dovuto perseguire la giustizia ad ogni costo.
«Thor, non avrei mai creduto che dopo la tua cacciata da Asgard mi avresti deluso ancora, in modo ancor più oltraggioso! Le antiche leggi di Asgard ti vogliono morto, è questo il destino che spetta ai traditori. E tu ti sei macchiato di alto tradimento, hai compiuto un delitto orribile e imperdonabile, soprattutto nella tua posizione».
Le parole del Padre degli dèi vibrarono nell'aria come coltellate, inflitte senza pietà alcuna.
Dunque era stato scoperto.
Thor sentì come se il peso di tutte le azioni compiute gli ricadesse addosso con più violenza. Aveva perso per sempre la fiducia del padre, e peggio dei suoi futuri cittadini. Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi con prepotenza. Doveva dunque aspettarsi una condanna, oltre all'eterno rimorso psicologico che già recava appresso?
Incapace di sostenere oltre lo sguardo del dio, il ragazzo abbassò la testa, lasciando sfuggire una goccia solitaria dalle ciglia. Fu allora che Odino riprese il suo rimprovero.
«Vergogna, e tu saresti il futuro re di questa città? Ma a te penserò più tardi, ora è bene che qualcun altro paghi, finalmente».
In meno di un secondo, sotto lo sguardo incredulo e attonito di Thor, il padre avanzò verso il letto e direzionò il potente scettro che ancora brandiva verso Loki, indifeso, ormai completamente stremato dalla malattia. Thor realizzò con orrore ciò che stava accadendo, ma se ne rese conto troppo tardi.
«No, NO!» estrasse il pugnale dalla cintola e si frappose tra il padre, ormai fuori di sé e intenzionato ad uccidere Loki, e il fratello. Nel trambusto che ne seguì, nella confusione di quei pochi attimi che si susseguirono troppo velocemente, il pugnale affondò nel corpo di Odino, penetrando con fin troppa facilità nella carne del petto stanco. Thor se ne accorse soltanto quando vide le sue vesti dorate macchiarsi di rosso. Sentì la stretta del padre allentarsi, le sue gambe cedettero, il colore glaciale degli occhi si imbrunì.
«Thor, che cosa hai fatto...» sussurrò Loki, ancora in uno stato di semi coscienza, assordato dal pulsare del proprio cuore e del proprio respiro affannoso.
Il dio del tuono, terrorizzato, fissò il padre che cadeva ai suoi piedi, quasi domandasse pietà.
Ma ormai il suo destino si era compiuto.
«P-padre... No... Io...»
No. Non volevo questo. Non doveva andare così.
Pareva che una coltre di nebbia si addensasse attorno alla mente del semidio, il suo autocontrollo andava svanendo, così come la sua lucidità. Pian piano, o incredibilmente veloce, Thor veniva investito dagli eventi. Odino, Padre di tutti gli dei, signore indiscusso di Asgard, suo nobile genitore, riversava a terra con gli occhi sbarrati e il respiro troncato. L'arma del delitto, un pugnale freddo, nero di sangue, era ancora stretto nella mano tremante del semidio. Presto, l'oggetto scivolò a terra con un sordo clangore, attutito un poco dai morbidi tappeti. Le dita tremanti non riuscivano più a trattenerlo.
Thor allungò quelle mani incerte verso il corpo del padre, cercando disperatamente dei segni di vita, chiamandolo con gemiti strazianti, incapace di sfogarsi nelle lacrime per il troppo dolore, per l'assurdità dell'orribile accaduto.
In un attimo, egli aveva perso tutto. Il padre, la dignità, il trono, la vita, l'onore.
Aveva sacrificato tutto questo per la vita di Loki.
Non lo accettava, la sua mente non voleva accettarlo. Aveva reagito d'impulso, perché sapeva di amare Loki più di tutto ciò che aveva appena perso. Ma ci sarebbe dovuto essere un altro modo, se solo avesse ragionato a mente fredda, senza agire d'istinto, avrebbe trovato un altro modo!
Fuori di sé, il semidio si lasciò andare in un urlo straziato, che finalmente lasciò spazio anche alle lacrime.
Loki cercò a fatica di alzarsi dal suo giaciglio, ma il dolore che provava era lancinante, bastava ad ostacolargli il più futile movimento. Anch'egli aveva poca lucidità per rendersi pienamente conto di quel ch'era successo. Sapeva con certezza che per un attimo aveva rischiato di morire, ma che Thor aveva deciso di salvarlo.
«Thor... Smettila di urlare, ti prego...» Ogni suo grido era una tortura per Loki, i suoni gli si infilavano a forza nei timpani, gli penetravano con prepotenza nella testa e lì rimanevano, ronzanti e amplificati. Contrasse il viso in una smorfia di dolore, e si portò due mani alle orecchie.
Nel frattempo, nella stanza fece irruzione un gruppo di guardie asgardiane, allarmate dai lamenti di Thor. Alla loro vista il ragazzo, ancora riverso sul corpo esanime del padre, perse del tutto ogni lume rimastogli. Si alzò deciso in piedi e gettò addosso a Loki, ancora frastornato, sofferente, e soprattutto inconsapevole di ciò che stava accadendo, il pugnale incriminato.
Il ragazzo rivolse uno sguardo smarrito al fratellastro, non capendo il perché di quel gesto. Le guardie intanto, alla vista del corpo dell'anziano padre chiaramente privo di vita, si erano arrestate sulla soglia della camera, atterrite. Seguirono pochi attimi di smarrimento, una sensazione che si dileguò ben presto quando esse videro Loki accasciato tra le coperte del letto e, soprattutto, libero dalla sua prigionia. Credettero quindi di aver compreso all'istante ogni cosa, e il loro sospetto trovò credito nelle deliranti parole del nobile asgardiano.
Thor si alzò deciso in piedi, i pugni serrati e i denti digrignati. Una rabbia e una frustrazione cieche lo invadevano. Puntò un dito contro il fratellastro, ancora seminudo e tremante tra le pesanti coperte, quasi incosciente a causa della febbre molto alta.
«Arrestate immediatamente questo infido traditore!»
«C-cosa?» Tentò di dire il dio degli inganni, ma solo un impercettibile filo di voce riuscì ad uscire dalla sua bocca. All'istante venne bloccato da un paio di militanti, che senza alcun riguardo gli legarono le mani dietro la schiena. Loki si guardò intorno smarrito, cercò di divincolarsi, senza alcun risultato. Poi, la realtà dei fatti lo sommerse come un cruento maremoto. In quell'istante si rese conto di essere stato incolpato dell'assassinio del padre.
Ecco la soluzione per Thor, era ovvio che nessuno avrebbe avuto dubbi su chi addossare la colpa di un tale gesto.
Loki, lo Jotun adottato che si è vendicato della morte del figlio, e della menzogna in cui è vissuto. Non faceva una piega.
Così Thor avrebbe avuto salva la vita, il trono, l'onore. Del resto, una coscienza non gli occorreva per governare.
«Fratello, fratello!» Un grido di pietà. Era tanto che Thor non sentiva quella parola uscire dalla bocca del ragazzo. Aveva deciso di giocare la sua ultima carta?
Anche se non siamo fratelli di sangue, siamo stati allevati insieme, abbiamo giocato insieme, abbiamo combattuto insieme.
Come puoi farmi questo?

Ma il dio del tuono si rifiutò di incrociare gli occhi imploranti di Loki, mentre gli addossava quest'orribile colpa che non aveva commesso, e che mai sarebbe stato in grado di commettere.
Ecco in un attimo di follia frantumato il legame di una vita. Ma era l'unica via di salvezza per Thor, e in quella pazzia momentanea in cui si era visto scivolare ogni cosa dalle dita aveva deciso di percorrerla.
«Portatelo via, egli ha assassinato mio padre».


*



Le guardie lo scaraventarono con violenza sul pavimento della sua cella.
Ormai il dio degli inganni era finito. Stremato da una sconosciuta malattia, privato dei suoi poteri, distrutto psicologicamente. Sconfitto sotto ogni punto di vista.
Riverso sul freddo piastrellato di metallo, incapace di muoversi, il ragazzo incassò le prime angherie da parte dei suoi carcerieri.
«Sappi che quella faccenda del bambino verrà affossata, e tu avrai finalmente la punizione che meritavi fin dall'inizio». Detto questo, l'uomo sferrò un paio di calci al corpo indebolito del dio, imitato subito dopo dal suo compagno.
«Oh, ma non una semplice condanna a morte, se è questo che speravi».
Loki fremette dietro le palpebre chiuse, stando ben attento a non lasciar traboccare nemmeno una lacrima dagli occhi. La paura cominciava ad invaderlo. Immaginava a quale destino stesse andando incontro, giorni e giorni di torture ideate dai peggiori sadici di Asgard.
Sempre se non fosse morto prima, dato che la febbre non accennava ad abbassarsi, e l'umidità e il freddo di quella prigione non erano condizioni favorevoli per una possibile guarigione.
«Attendici prima di domani mattina, sporco Jotun».
Le due guardie si chiusero alle spalle le doppie porte di sicurezza, sghignazzando grettamente.
Prima di domani mattina... poteva immaginare le loro intenzioni.
Loki cercò di non sprofondare totalmente nello sconforto. Si arrampicò con immensa fatica fino a raggiungere un recipiente colmo d'acqua poggiato su una sedia. Era imbarazzante ed indegno bere a quel modo senza ricorrere all'aiuto delle mani, come fosse un animale, ma dell'orgoglio se ne faceva ben poco, arrivato a quel punto. Dopo che ebbe soddisfatto la sua prima necessità, i dolorosi eventi appena trascorsi reclamarono all'istante la sua attenzione.
Thor, non avrebbe mai dovuto fidarsi di lui, non avrebbe mai dovuto addolcirsi e cedere ai vecchi sentimenti solo perché il fratellastro aveva salvato la vita di Liar.
Si sforzò di pensare al figlio, e pregò che la furia di Asgard non arrivasse fino a lui.
Poi gli si affacciò alla mente il dolce volto di Sygin, ricordò le immagini del sogno, e non fu in grado di trattenere oltre le lacrime. Era un debole.
Si impose di cessare immediatamente il suo vergognoso pianto e si rannicchiò contro la parete.
Il laccio che gli costringeva le mani era stato annodato in fretta e furia, non era ben stretto, poteva liberarsene. Dopo vari tentativi riuscì a sfilare le mani dalla morsa, e su entrambi i polsi si delinearono due pulsanti solchi rossi, causati dalla frizione. L'acqua gli aveva attenuato il bruciore alla gola e in qualche modo l'aveva rinvigorito; tuttavia, avvertiva una strana sensazione all'altezza dello stomaco. Erano giorni che ci pensava, e ogni momento che passava i suoi dubbi si rafforzavano sempre più.
Si toccò cauto il ventre, sentendolo freddo ma gonfio.
Per trovare un'ulteriore conferma ai suoi sospetti, portò una mano sopra la pancia, ma senza toccarla. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi e raccogliere quanta più energia possibile. Il suo potenziale magico era flebile, tuttavia ne aveva a sufficienza perché potesse tentare una piccola maledizione su di sé, a quella distanza e senza trovarsi nella foga di un combattimento.
Sussurrò poche parole, formule antiche imparate a memoria e apprese durante la prima gioventù, una frase apparentemente priva di senso, in lingua arcaica, che evocava una leggera fattura.
Un'aura nera e fumosa scaturì dalle sue dita aperte e s'imprimette sulla pelle scoperta del suo ventre. Per un attimo parve che le rune della formula si disegnassero sulla cute pallida, rendendo così attivo il sortilegio. Ma poi, il fumo scuro di dissolse, venne inspiegabilmente respinto e si dileguò nell'aria.
Loki sussultò, i suoi occhi verdi si dilatarono per la sorpresa, e per il momento di panico che lo invase. Una protezione. Il suo corpo l'aveva eretta automaticamente, e il mago ben sapeva in che occasioni accadeva una cosa del genere.
Senza che se ne rendesse conto, il suo corpo prese per un momento le sembianze femminili. I pantaloni, se prima gli erano stretti, ora diventarono leggermente larghi e non fasciavano più a dovere le sue gambe snelle. I capelli gli ricaddero lunghi e setosi sulle spalle e oltre, gli coprirono i morbidi seni che ora facevano parte di un torace non più dritto e secco, ma morbido e rientrante.
Loki gemette, avvertendo un dolore travolgente avvolgerlo. Non doveva restare in quella forma, se avesse ricevuto la visita dei suoi aguzzini, per lui sarebbe stata la fine.
Ma la trasmutazione durò solo qualche istante per via del bassissimo potenziale magico che il ragazzo possedeva, e Loki si ritrovò ben presto nelle sue consuete sembianze maschili.
Stremato e frastornato dalla furia degli eventi, si raccolse contro il muro e tentò di riflettere a mente lucida. Stava assistendo alla manifestazione dei suoi peggiori incubi.


*


«...E così, il valoroso esercito dell'antica loggia di Ásaheimr rigettò nell'abisso i malvagi e mostruosi demoni delle lande ghiacciate, riportando il cosmo intero a una lunga e serena pace».
Loki terminò così le pagine del libro che, dopo lunghe notti insonni, aveva interamente narrato al fratello maggiore. Il bambino osservò per un attimo l'illustrazione finale, un corpulento combattente rivestito dell'oro di Asgard che massacrava un essere dalle parvenze demoniache: occhi rossi come il sangue, pelle bluastra solcata da strane incisioni, l'esatta antitesi di un asgardiano giusto e saggio. Non era particolarmente difficoltoso distinguere il buono dal cattivo, in quel disegno.
«Cosa c'è fratello?»
Loki chiuse allora il piccolo volume rilegato in pelle, lo appoggiò sul comodino e si rigirò tra le pesanti coperte, sistemandosi meglio al fianco di Thor. Entrambi si misero, capo contro capo, ad ammirare il cielo notturno che li sovrastava, attraverso un'ampia vetrata che squarciava il soffitto.
«Niente, questa era una delle mie storie preferite. Ma mi domando, questi Giganti di ghiaccio paiono davvero i fautori di ogni male che affligge l'universo».
«Perché lo sono!» Intervenne Thor con entusiasmo. «Sono dei veri mostri, sono meschini e pericolosi, e andrebbero sconfitti una volta per tutte. Ma puoi dormire tranquillo fratellino, qui non arriveranno mai. E nel caso arrivassero, ci penserò io a proteggerti!»
Loki non riuscì a trattenere un sorrisetto di fronte all'eccessivo spirito protettivo del fratello. D'altronde non poteva nemmeno negare che egli lo rassicurava, anche se avrebbe potuto ben poco contro uno Jotun. Rabbrividì al solo pensiero che uno di essi potesse eludere la sorveglianza di Heimdall, entrare nella loro camera e vendicarsi di tutte le angherie subite dalla loro stirpe.
«Spegni la luce, Loki. Lo sai che nostra madre non vuole che dormiamo insieme».
«Già», rispose con un sospirone il bimbo, gonfiando le guance e soffiando sul lume che baluginava sul comodino. «Mi chiedo perché. A volte sembra quasi che vogliano tenermi lontano da te».
Thor si corrucciò a quelle parole, si alzò confuso a mezzo busto per guardare meglio in viso il fratello, anche se nel buio faticava a distinguerne l'espressione.
«Non dire così Loki, perché mai dovrebbero volere una cosa simile?» Chiese turbato.
«Non lo so il perché, è questo il punto».
«Stai pensando male, come al tuo solito. Come sei malizioso, fratello!» Lo accusò Thor, scuotendo la testa e adagiandosi nuovamente tra i soffici guanciali di seta. Trascorsero alcuni imbarazzanti attimi di vibrante silenzio. Loki si dispiacque all'istante delle sue parole vedendo Thor così irato, quasi offeso. Perché tutte le volte che provava a comunicare il suo disagio, finiva sempre così? Sentì le guance avvampare, quando sussurrò un sommesso «scusa», guardandolo timido.
A questo punto, Thor avrebbe dovuto cambiare espressione, mutare il broncio in un sorriso raggiante, abbracciarlo e rassicurarlo che no, non importa, come faceva di solito.
Invece stavolta andò diversamente.
Il principino biondo si voltò di spalle, sbuffando e coprendosi meglio col lenzuolo. «No, non ti perdono Loki. Tutte le volte è sempre la stessa storia, non cambi mai».
A quelle dure parole, Loki sentì un fastidioso nodo bloccargli la gola, e un pizzicore amaro pungergli il cuore.
Forse è sempre la stessa storia perché non mi hai mai ascoltato...
«No fratello non fare così, mi dispiace per quello che ho detto...»
Gli toccò la spalla nel tentativo di farlo voltare, ma venne respinto con sgarbo.
«Questa non è camera tua, o sbaglio?» Disse solo Thor, con un chiaro invito ad andarsene.
Già, quella non era la sua camera. Lui non aveva quell'immensa finestra sul soffitto che permetteva la vista di una buona porzione di cielo, anche se l'avrebbe sempre desiderata. Un balcone su un mondo sterminato, un'apparente via d'uscita da quella gabbia d'oro che era Asgard. A volte si sentiva talmente diverso e deriso che voleva scappare, evadere, come se fosse estraneo al mondo cui apparteneva, al mondo in cui era cresciuto.
Loki abbassò la testa, triste. Era riuscito a rovinare quella serata iniziata così serenamente.
Cercando di essere il più silenzioso possibile sgusciò fuori dalle coperte del letto, recuperò il libro dal comodino e lo strinse gelosamente al petto, come fosse un'ancora di salvataggio in quell'improvviso mare di malinconia che l'aveva investito.
Thor non gli rivolse una parola di più e lo lasciò andare. Era ovvio che non avrebbe voluto scacciarlo a quel modo.
Il bambino chiuse cauto la porta, cercando di non far rumore. Silenzioso come un fantasma, salì lesto fin sul terrazzo, sotto il porticato in pietra antecedente al loro pittoresco giardino privato. Si sedette a ridosso di una colonna e aprì il libro sulle ginocchia. Un po' leggeva, un po' guardava la sterminata volta celeste, brillante di stelle e pianeti. Le costellazioni erano tutte quante visibili, non una nuvola annebbiava il cielo. Le nebulose, rosse e verdi, vorticavano placide, le stelle pulsavano come se stessero singhiozzando.
Aprì a caso una pagina del libro Le Imprese di Firij, e si soffermò su una curiosa illustrazione: una figura femminile dal doppio aspetto, una metà del viso presentava il candore e la fierezza tipici delle leggendarie fate di Ásaheimr, l'altra metà invece era orrenda e deforme, la pelle era bluastra, gli occhi colorati di un inquietante rosso, le dita affusolate avvolte da crisalidi di ghiaccio.
Incuriosito, il bambino iniziò a leggere un paragrafo a caso del capitolo a fianco:

I barbari Giganti di ghiaccio rapirono la leggiadra principessa Vår, un tempo nobile e raffinata dama di Asgard. La traviarono con le loro leggende e i loro costumi rozzi e animali, e quand'ella fece ritorno alle mura della Città Eterna, nessuno la riconobbe. Il suo sposo la rinnegò, accusandola di essersi unita con un mostro Jotun, il padre e la madre la rinnegarono, non ritrovando più in ella i sacri valori che le avevano impartito, Asgard la rinnegò, vedendo nella sua deviazione un'alleanza con il nemico. Vår, disperata, optò per il suicidio, ma la sua morte non scosse più di tanto gli animi dei suoi cari, giacché essi la piangevano già dal tempo del suo ritorno...

Loki non riuscì a terminare il capoverso che le lacrime gli sopraggiunsero agli occhi, e via via si accavallarono sempre più numerose, così che non riuscì a trattenerle e sfogò tutte quante le batoste prese quel giorno in un colpo solo, in un pianto fatto di singhiozzi silenziosi. Lasciò cadere il volume tra l'erba molle e nascose il viso tra le braccia, raccogliendosi più stretto attorno alle ginocchia.
Non sapeva perché, ma quelle storie avevano il potere di gettarlo nello sconforto e nella malinconia. Forse perché non riusciva a sentirsi del tutto dalla parte degli asgardiani, forse perché una parte di lui si identificava con il diverso.
Il vento era freddo e ostile, e lui si sentiva più solo che mai, in quella roccaforte regale che pareva tanto calda ed accogliente, ma che in realtà sapeva diventare gelida e minacciosa. Si sentiva solo, più solo che mai...
«Loki...»
Allarmato, il bimbo alzò la testa dalle braccia, ma non fece in tempo a guardarsi intorno che un pesante mantello rosso gli cadde sulle spalle e sulla testa. Thor si accovacciò al suo fianco, volgendo anch'egli lo sguardo all'immensità del cielo notturno. Loki lo guardò confuso, non curandosi di nascondere le lacrime che ancora gli rigavano le guance.
«Sei proprio un piagnucolone».
Thor sorrideva ma non lo guardava in faccia, conscio del fatto che il fratello non volesse esser visto con il viso sporco di lacrime. Loki sorrise rincuorato, come se d'improvviso un'ala fosse calata a proteggerlo. E si rese conto che, finché avesse avuto il perdono di Thor, non sarebbe mai stato solo. E Thor l'avrebbe sempre perdonato, in questo stava la sua più grande dimostrazione di affetto.
Gli si sedette più vicino, donandogli un lembo dell'ampio mantello, offerta che venne accettata di buon grado. Insieme tornarono a rimirare la vastità del cielo, immaginandosi storie, leggende su lontani mondi, ridendo e scherzando, inventando le più strampalate avventure che forse, un giorno, avrebbero vissuto davvero. 
Ma per ora, rimanevano solo fantasie relegate ad un passato remoto.


*


Senza alcun riguardo, i due uomini lasciarono cadere Loki sul pavimento. Era talmente stremato da non avere nemmeno la forza di reggersi in piedi. Gli gettarono addosso una misera coperta e un cambio di vestiti. I pantaloni che indossava prima erano ormai inservibili, stracciati e gettati in un angolo, testimoni della violenza appena consumata.
Ecco che fine faceva la giustizia di Asgard, si ritrovò a pensare amaramente il ragazzo, mentre con estrema fatica raggiungeva il recipiente dell'acqua. L'umiliazione subita quella notte era talmente bruciante da restargli impressa a fuoco sulla pelle, come un marchio. Immaginava di come Thor si stesse dannando in quel momento, seduto finalmente sul suo trono, e questo riusciva a provocargli un leggero sollievo. Tuttavia del tutto insufficiente.
Pianse lacrime amare mentre, con la poca acqua che aveva a disposizione, cercava di pulire le ferite, di lavare il suo corpo dall'odore del vergognoso amplesso. Si passò le mani sulla pelle con violenza, quasi volesse punirsi per la sua stupidità, per il suo fallimento, per la sua impotenza.
E intanto si chiedeva se avrebbe resistito psicologicamente per altre due settimane, prima della sua condanna a morte.


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Capitolo 7
*** Cicatrici di ghiaccio ***


Cicatrici di ghiaccio


Giunse l'alba del decimo giorno di reclusione.
I segni dello scempio erano presenti ovunque in quella buia cella di prigionia, era sufficiente entrarvi ad occhi chiusi e odorare l'aria, era sufficiente ascoltare le grida e gli ansiti che si consumavano e venivano soffocati in laceranti spire di pianto.
Alcuni strumenti di tortura erano appesi alle pareti della cella e oscillavano come spettri in attesa di essere adoperati. Altri invece, usati di recente, giacevano sparpagliati sul pavimento.
Due dei più ricercati esecutori di Asgard lavoravano attorno al corpo inerte di Loki.
Le punte acuminate d'acciaio scavavano nella pelle come sanguisughe affamate, bucavano brutalmente la cute che rispondeva a quelle insostenibili violenze ricoprendo di uno strato ghiacciato la parte lesa. Un estremo sforzo autodifensivo che il corpo Jotun del giovane Loki metteva in atto, ma a che prezzo...
Il Signore degli Inganni trattenne a malapena un grido mentre avvertiva l'ennesimo sperone acuminato scavargli la carne sottile del ginocchio, rompere le fragili cartilagini e i legamenti. Le braccia, ridotte a due rami nodosi, erano appese alla parete retrostante, strette nella morsa di polsini irti di sottili aghi. Del suo corpo, nudo e devastato dalle emorragie, sembrava rimanesse solo lo scheletro. La tecnica di autodifesa peculiare della sua razza aveva il difetto di essere estremamente inefficace e autodistruttiva sul suo esile fisico, non certo possente come quello di un Gigante di ghiaccio. Il suo corpo richiedeva immani quantità di nutrimento ed energie, e non trovandole nei normali pasti quotidiani, le strappava dalla carne dei muscoli superflui.
Loki infatti non riusciva più a mangiare, qualsiasi cosa ingerisse la rigettava immediatamente. Forse perché faticava a mantenere la consueta sembianza divina conferitagli da Odino e il suo metabolismo Jotun assimilava malvolentieri il cibo di Ásaheimr, o forse per il disgusto causatogli dalle terribili torture cui, ormai da parecchi giorni, era sottomesso.
Uno dei due asgardiani, quello che pareva più giovane e più crudele, gli liberò i polsi dalla morsa, sanguinanti e pieni di minuscoli fori. Loki si accasciò a terra, privo di forze, e un'improvvisa fitta all'addome gli stroncò il già debole respiro.
Qualcos'altro reclamava a gran voce la sua porzione di nutrimento.
Portò una mano a toccarsi il ventre, cercando di zittire l'impellente bisogno di quel bolo famelico.
Ormai non c'era più dubbio.
Dentro di sé cresceva il figlio illegittimo della stirpe reale di Asgard.
«Portami la mistura acida che ti avevo fatto preparare...»
I suoi due aguzzini si atteggiavano da freddi professionisti, badavano bene a non sporcarsi le mani del suo sangue, si dedicavano con perfezione maniacale alle procedure ideate da chissà quale sadico, trattando la loro preda come fosse un comunissimo oggetto inanimato, privo di coscienza alcuna. Non l'avevano certo malmenato o violentato, quello era il compito che, la sera, spettava alle guardie notturne. Ai miseri che volevano abbattere la loro inettitudine su chi era più debole e miserabile di loro.
Un intruglio simile ad olio bollente gli venne cosparso su tutto il corpo: era freddo, e non gli provocava alcun male, apparentemente.
Loki alzò lo sguardo smarrito verso l'asgardiano che gli stava riservando quel trattamento, che lo toccava con riluttanza e gli cospargeva quell'insolita mistura sulle braccia, sulle gambe, sull'addome... Ma il dolore giunse pochi attimi dopo.
L'unguento, se a primo impatto pareva freddo, ora era divenuto insostenibilmente caldo. Ardeva e sfrigolava come le fiamme di Múspellsheimr, s'insinuava nelle cavità sanguinanti delle ferite senza alcun attrito e scavava più a fondo, bruciando la carne e sciogliendo all'istante le deboli foglie ghiacciate che avevano tentato di rimarginare le gravi lesioni.
Loki venne tramortito da quell'inaspettata violenza e si premette con forza una mano sulla bocca, cercando di non urlare. Non era un acido che corrodeva e sfigurava, come si sarebbe aspettato, ma era un intruglio che bruciava, senza tuttavia lasciare segni di abrasioni sulla pelle.
Era evidente che Thor non volesse vedere il corpo del suo bel fratellino irrimediabilmente rovinato.
Le lacrime gli si fermavano sugli occhi, non riusciva a piangere. Il suo corpo cercava di trattenere dentro di sé anche la più piccola goccia di liquido, in reazione alla terribile arsura cutanea.
E mentre veniva consumato da quell'orribile punizione, assisteva alla preparazione della sua prossima tortura.
L'inferno durò fino a sera tarda.
Improvvisamente e senza preavviso venne il silenzio: i due esecutori lasciarono la cella e tutto finì, o almeno per quel giorno. Loki si rannicchiò contro la parete, coprendosi con la solita coperta sporca. Quando i carcerieri entrarono a reclamare la loro parte, il dio non ci fece nemmeno caso. La tortura aveva avuto fine, e non era lontanamente paragonabile al trattamento che gli avrebbero riservato le due guardie. Solo, non appena esse entrarono, rivolse loro uno sguardo deciso e regale, di sufficienza, e si stupì di parlare come parlava un tempo ai servitori.
«Quanto manca?»
«A cosa?»
«Alla mia condanna a morte».
I due asgardiani si guardarono un momento per poi scoppiare a ridere malignamente, credendo che quella richiesta fosse dettata dalla paura.
«Quattro giorni. Non tanto in verità».
E Loki trovò la forza di sorridere. Non tanto.



*


L'atmosfera a palazzo era tutt'altro che serena.
Thor sedeva sul trono, ma non riusciva certo a rallegrarsene. La madre era ancora immersa in un lutto silenzioso, non aveva mai manifestato apertamente il suo dolore, ma proprio per questo le pene che l'affliggevano diventavano più evidenti e pesanti. Nonostante ciò, il fatto che Thor fosse sul trono e che Loki stesse pagando per le sue nefandezze riusciva a rassicurarla sul domani.
Un sentimento impervio e oscuro stava prendendo vita nel cuore della nobile asgardiana, un sentimento d'odio forse, nei confronti del figlio adottivo.
Ma poi, non appena questo timore prendeva forma, ella s'impegnava di scacciarlo dalla mente.
«Madre, non darti pensiero», le sussurrò Thor prendendo una sua esile mano e baciandola, tuttavia con labbra tremanti. Lei scosse la testa, rifiutando quel contatto e indietreggiando per guardare meglio la figura tormentata del figlio.
«Io sono fiera di te Thor, e sono felice di vederti a capo di Asgard, di Ásaheimr, e di tutti i Nove Mondi. So che sarai all'altezza di tuo padre, e noi riponiamo in te tutte le nostre speranze».
Thor le restituì uno sguardo incredulo, come non credesse alle proprie orecchie. Dopo tutto quello che era successo, era innaturale sentire simili parole uscire dalla bocca di sua madre. Thor non era portato per la menzogna, la copertura gli stava stretta, e l'enorme senso di colpa presto sarebbe accresciuto fino a diventare insostenibile per la sua coscienza.
Dette queste poche ma incisive parole, Frigga abbandonò la grande sala regale, non lasciando al figlio nemmeno il tempo di ribattere di fronte a quell'eccesso di fiducia. Egli, per la frustrazione, digrignò i denti e si lasciò andare in una manifestazione rabbiosa, sferrando due possenti pugni ai braccioli dorati del seggio.
Quattro giorni.
Tra quattro albe suo fratello sarebbe morto, e Thor non aveva alcun modo di impedirlo senza danneggiare se stesso. Avrebbe dovuto scegliere tra la sua vita e quella di Loki, e anche se questa era una scelta che aveva già fatto, non era stato capace di rispettarla. Non era coerente con sé stesso, si chiedeva in che modo avrebbe potuto esserlo nei confronti dei suoi cittadini.
In quell'attimo, quasi in concomitanza con l'uscita della regina, fecero irruzione nella sala Sif, Volstagg, Hogun e Fandral interrompendo gli intricati pensieri del re.
«Thor!» Contenti di rivedere un caro amico, sfoggiarono un sorriso sincero, che però non poté essere ricambiato adeguatamente dal semidio.
«Amici miei, mi fa piacere rivedervi!» Li accolse aprendo loro le braccia, lasciando il trono per venirgli incontro. «Quali notizie da Vanaheimr?»
I quattro guerrieri erano infatti tornati da poco dal regno degli dèi Vani, in qualità di ambasciata pacifica di Ásaheimr. Un'ambasciata pacifica pronta tuttavia a combattere in caso di fallimento dei negoziati.
Parlò Fandral: «a detta loro, sono in lutto per il grande Odino, e pongono gli omaggi alla tua nomina ma...»
Lo spadaccino si bloccò, guardando confuso gli altri, come se non si volesse addossare la responsabilità delle sue parole. Continuò allora Hogun: «...ma noi abbiamo il sospetto che vogliano approfittare di questo periodo di vuoti di potere per imporre la loro supremazia sui Nove Mondi, per minare l'egemonia di Asgard. Il tuo nome, Thor, non fa ancora paura quanto il nome di Odino».
«Allora lo farò diventare temibile tanto quanto quello di mio padre», asserì il semidio, mosso da un improvviso moto d'ira all'idea di non essere rispettato. Lo stavano sottovalutando, Vanaheimr si faceva beffe di lui, e assieme a Vanaheimr chissà quanti altri mondi a partire da Jötunheimr tramavano di rovesciarlo.
Immerso in pensieri molteplici, uno più tormentato dell'altro, Thor si diresse verso l'uscita della sala, deciso a liberarsi della presenza di coloro che aveva sempre considerato degli ottimi compagni e confidenti, nonché amici. Ma stavolta non avevano fatto altro che aumentare le sue preoccupazioni.
«Dove vai?» Chiesero all'unisono, confusi davanti alla reazione del dio del tuono.
«Lady Sif, vieni con me», disse soltanto Thor, lasciandosi alle spalle l'indesiderata compagnia e uscendo dalla stanza dei ricevimenti.
La giovane seguì il re senza alcuna esitazione, raggiungendolo lungo i corridoi illuminati dalle torce. Poteva intuire - sebbene in modo del tutto distorto - i suoi sentimenti: odio e rancore verso Loki, dolore e tristezza per la morte di Odino, timore di sostenere il nuovo incarico affidatogli. Era del tutto normale che si comportasse in modo strano e diverso dal solito, in un modo che non gli si addiceva.
«Senti Thor, io posso capire come ti senti, ma ora dovresti cercare di riordinare le idee e iniziare a governare. I tuoi sudditi nutrono una grande fiducia in te, e anch'io sono sicura che saprai eguagliare, se non addirittura superare tuo padre».
Thor tentennò un momento a quelle parole e si bloccò, tuttavia continuando a dare le spalle a Sif.
Fiducia, fiducia... possibile che tutti gli asgardiani nutrissero questo smisurato sentimento di amore e fiducia in lui? Forse aveva ragione Loki, Asgard era un popolo di stolti che non sapeva riconoscere i suoi nemici.
«No, tu non puoi capire come mi sento», disse prima di continuare a percorrere i lunghi corridoi dorati, lasciando che il viso di Sif si colorasse di delusione.
Una delusione tuttavia che sarebbe svanita di lì a poco. Thor la portò nei suoi alloggi, nel giardino dove, da bambini, lui e suo fratello passavano gran parte del tempo. Un esiguo stagno verde d'alghe gracidava sommesso, e le libellule ronzavano contente della frescura notturna. Il semidio si fermò tra la ghiaia, guardando pensoso la luna e i pendii boscosi di Azüle che si scorgevano in lontananza, tra le nuvole. E finalmente si decise a voltarsi verso la ragazza.
Le mise due forti mani sulle spalle e le rivolse uno sguardo indecifrabile. Non vi era più né rancore, né tristezza né paura nei suoi occhi chiari, vi era solo caos, confusione, indecisione.
La bella combattente provò allora ad aprir bocca, ma Thor si affrettò a bloccare le sue parole con un bacio profondo e violento. Un bacio che nulla aveva a vedere con quelli casti e soffusi che si scambiava con Loki.
Gli occhi castani di Sif si dilatarono per la sorpresa, poi, resasi conto di quel che stava accadendo, li chiuse appagata e trionfante. Thor non aveva smesso di pensare a lei.
Dopo alcuni turbinosi attimi, il semidio lasciò le labbra gonfie e bagnate della ragazza, e la guardò deciso.
«Io ti voglio come mia regina».
I suoi occhi si accesero di stelle.
Le lune assistettero silenziose e distanti a quelle parole, la natura circostante continuò nel suo moto perpetuo, i profumi, i suoni, i colori, ogni cosa era come prima.
Eppure nel cuore di Lady Sif era scoppiata una tempesta.
Chi l'avrebbe detto che sarebbero bastati dei vecchi sentimenti e dei buoni propositi per domare un'amazzone.



*


Loki non riusciva a prendere sonno, sebbene sul suo corpo gravasse una stanchezza immane. Una guardia giaceva al suo fianco, addormentata, provata dall'amplesso. Guardò il suo viso con disgusto e altezzosità, con un cipiglio regale che, nonostante tutto, gli era rimasto. Gli venne naturale chiedersi a che limiti potesse arrivare la meschinità di Asgard.
In quell'inferno l'unica luce incorrotta pareva essere quella creatura che lottava disperatamente tra la vita e la morte, nel suo ventre, ignara che il luogo in cui cresceva, apparentemente sicuro, sarebbe stato annientato di lì a poco.
Avrebbe dovuto odiare quel bambino? No. Non ci sarebbe riuscito nemmeno se avesse voluto. Era parte di sé, e dopotutto era stato concepito in una notte d'amore. Inoltre per uno Jotun ermafrodita era impossibile riuscire ad odiare il proprio figlio, la condizione ambigua di Loki rafforzava il proprio affetto materno. Era una sensazione che da un lato lo spiazzava, non aveva mai sperimentato nulla di simile, anche se sapeva di essere dotato di tali capacità; dall'altro, trovava la cosa del tutto naturale, conforme alla sua indole.
Mentre era così immerso nei suoi pensieri, giunse l'alba. Un pallido raggio s'insinuò attraverso uno spiraglio della guardiola: incominciava un altro giorno di torture.
Il dio degli inganni acuì i suoi sensi e si mise sulla difensiva, come una gatta minacciata protegge i propri piccoli. La notte era stata più breve del previsto.
Le porte di sicurezza si aprirono con uno scatto, e gli venne portato il primo pasto. Stavolta il ragazzo si sforzò di ingurgitare qualsiasi cosa gli dessero di commestibile, cercando di non vomitare. Deglutire gli provocava un dolore immenso, come se avesse l'esofago lacerato da mille ferite pulsanti, ma doveva cercare di mangiare.
Forse fu il leggero recupero di forze a farlo tornare, per la seconda volta, nella sua forma femminile.
Cauto e spaesato, toccò quell'insolito corpo di donna, i fianchi più larghi adatti per dare alla luce un bambino, il seno più gonfio del previsto, i capelli lunghi e mossi. L'unica parte del corpo che riconosceva come propria erano le gambe, lunghe, snelle, glabre.
Spaventato che gli esecutori tornassero da un momento all'altro e lo scoprissero in quello stato, Loki si rannicchiò ancor di più contro la parete per nascondere le sue fattezze. Forse era solo un'impressione, ma gli pareva che il feto vivesse meglio in quel corpo. Per portare avanti la gravidanza nei migliori dei modi, probabilmente avrebbe dovuto cercare di rimanere il più possibile in quella forma.
Ma per il momento, tutti questi pensieri erano vani. Tre giorni più tardi sarebbe morto, e con lui il bambino che portava in grembo.
Accecato dall'ira, non si accorse nemmeno di essere tornato nella sua consueta forma maschile. Era una cosa che sfuggiva dal suo controllo, che non poteva decidere razionalmente, e questo lo allarmava non poco.
Pochi minuti più tardi, la porta di sicurezza si aprì nuovamente.
Ansante e spaventato, Loki fissò negli occhi i suoi due aguzzini che entravano nel loculo.
«Sei già sveglio, tanto meglio».
Alle parole tonanti dell'asgardiano, si ridestò anche il carceriere addormentato. Scattò goffamente in piedi e rivolse uno sguardo di scusa ai due nuovi arrivati, prima di dedicare un ultimo sprezzante calcio al condannato. Quest'ultimo strinse i denti e sopportò, deciso a non mostrare segni di debolezza davanti a simili vigliaccherie.
«Scusate, questa feccia Jotun mi avrà incantato con qualche stregoneria». Detto questo, la guardia lasciò in fretta e furia la stanza, seguito dallo sguardo pieno di risentimento di Loki.
I due carnefici iniziarono a preparare con impensabile freddezza la prossima tortura: un cilindro di vetro con un ago all'estremità, riempito di un liquido color elettrico per nulla rassicurante. Loki cercò di esaminare la sostanza osservandone il colore e la consistenza: probabilmente era un debole veleno che gli avrebbe potuto provocare contrazioni, spasmi, bruciori intensissimi. O forse era una droga, una sostanza stordente.
Dopotutto lui era condannato a morte, era possibile che gli somministrassero una mistura che l'avrebbe ucciso a lungo termine, o comunque qualcosa di altamente pericoloso.
«Ora cerca di calmarti», disse in tono autoritario uno dei due asgardiani mentre, con braccia forti, gli bloccava i movimenti. L'altro avvicinò la siringa alla sua pancia magra e scoperta, per iniettargli la sostanza nel corpo nel modo più efficace possibile.
Fu in quel momento che, per la prima volta, il panico investì Loki tutto d'un tratto, come un turbine che gli annebbiava la ragione, e l'istinto gli ordinò di ribellarsi.
«NO!»
Scosse forte la testa e tentò inutilmente di divincolarsi, di fare resistenza alla morsa ferrea della guardia, ma a nulla valevano i suoi sforzi. Non era mai stato dotato di particolare forza fisica, nemmeno in condizioni normali. L'unica via d'uscita che gli restava era la supplica, o l'astuzia.
«No, ti prego, fermati...»
Loki chiuse gli occhi e strinse le labbra; tremava, i brividi lo avvolgevano. Se quell'ago fosse penetrato all'interno del suo ventre e avesse rilasciato quella sostanza proprio a contatto con il bambino, l'avrebbe sicuramente ucciso. Infine comprese che l'unica speranza alla quale poteva aggrapparsi era dire la verità.
«Dite al vostro signore Thor che...»
Si bloccò, non riconoscendo la propria voce. L'esecutore si era fermato, ed ora lo guardava attonito, mentre l'altro aveva allentato d'istinto la presa.
«E... e tu chi sei?» Balbettò spaesato uno dei suoi carnefici.
Il dio degli inganni allora si rese conto con terrore che aveva nuovamente acquistato fattezze femminili. Ecco spiegato lo smarrimento dei due aguzzini e il cambiamento di voce. Il fisico gli si era affusolato, ristretto in alcune parti e dilatato in altre, secondo un criterio che, nelle sue condizioni, non riusciva a controllare. Quel corpo era fastidioso, e se possibile ancor più vulnerabile. Loki cercò di raccogliere le gambe per nascondere la propria intimità, ma ottenne il solo risultato di scivolare maldestramente sul pavimento bagnato; i piedi e le caviglie si costellarono di schegge di vetro.
Tuttavia tentò di non perdere il controllo, e ripeté deciso ciò che aveva cercato di dire pochi attimi prima.
«Dite al vostro signore Thor che suo figlio cresce dentro di me, almeno che sia consapevole di aver stroncato non una ma due vite».
I due esecutori si alzarono in piedi, prendendo le distanze da quel fragile corpo di donna ch'era comparso sotto le loro mani. Uno di loro s'azzardò a parlare, puntando un dito tremante contro Loki in verso accusatorio.
«Tu... che storia è questa? Credi forse di salvarti dalla morte raccontando simili menzogne?»
«E credi forse d'incantarci con quel grazioso aspetto? Infido serpente!»
Il ragazzo ricevette un calcio ben assestato sull'addome, e urlò d'istinto, circondando con le braccia la parte dolorante. Pregò che quel debole cuore che batteva nel caldo del suo ventre non si spegnesse.
«Ebbene sia, racconteremo al figlio di Odino quest'interessante storiella, e provvederà egli stesso ad allungarti i giorni di tortura per le tue sporche bugie!»
Loki alzò appena il capo per scorgere i suoi aguzzini che lasciavano la cella, irati, intimoriti e confusi.
Una volta che la porta fu chiusa, il ragazzo raggiunse a carponi il recipiente d'acqua e vi lavò il viso sporco di lacrime. Alcune ciocche si bagnarono, galleggiando come fili di seta sulla superficie dell'acqua assieme ai granelli di polvere e ad alcuni insetti. Cercando di non farci caso, raccolse i lunghi nastri castani dietro il capo; era disabituato a gestire capelli così lunghi.
Si toccò timoroso la pancia, cercando inutilmente dei segni di vita. Non aveva modo di capire se il bambino stesse bene o meno, ma qualcosa gli diceva che, se fosse morto, l'avrebbe saputo.
Se invece esisteva ancora una speranza di salvarlo dalla crudeltà di Asgard, allora avrebbe dovuto pensare ad un nome appropriato.



*


Le pareti della stanza di Thor brillavano alla luce del sole mattutino, così come l'intera rocca di Asgard. I drappi rossi e bianchi ondeggiavano come murene, sospinti dal vento leggero; il profumo dei fiori e delle piante grasse si insinuava nella camera, fondendosi con l'odore delle candele spente; un allegro rumore d'acqua si alternava al canto degli uccelli e al fastidioso squillo delle trombe in lontananza.
Gli ambienti sfarzosi del palazzo di Odino meritavano a pieno il nome di dimora degli dèi.
Lady Sif giaceva addormentata, con la testa adagiata sul forte petto di Thor. Le coperte aggrovigliate, i vestiti sparsi, piccole tracce di sangue sulle lenzuola, molti particolari in quella camera erano testimoni della notte passionale consumatasi da poche ore.
Forse per la stanchezza, forse per la serenità in cui era immersa, la guerriera asgardiana era ben lontana dal risvegliarsi. Anzi, il suo inconscio era impegnato a rievocare momenti passati, sepolti ormai da molto tempo. Forse erano stati i rumori, i profumi a richiamare nel presente quel ritaglio dimenticato.
Il mondo onirico prendeva forma, rielaborava immagini reali e sbiadite, raccontava i tormenti della psiche
come solo un libro aperto poteva fare.

Erano sedute su un ponte lucente, un'arcata che sovrastava uno stagno zeppo di pesci e ranocchie.
Lady Sygin rimirava l'acqua verde e di tanto in tanto gonfiava le guance, osservando indispettita il proprio riflesso. Lady Sif pettinava i suoi lunghi capelli biondi, di cui andava tanto fiera, ma allo stesso tempo puliva le armi sotto una gorgogliante cascatella. Al contrario dell'altra, ella aveva un'indomabile spirito guerriero, perciò non si limitava certo alle indegne mansioni di una comune fanciulla. Quale, a dire di Sif, era Sygin.
«Io vi ammiro Lady Sif, per il vostro coraggio intendo. Nessuna donna di Asgard è valente come voi».
Sif sorrise, sinceramente grata alla ragazza.
«Grazie». Inavvertitamente, urtò col ginocchio una daga, che cadde nell'acqua. Senza commentare, si alzò la veste fino alle cosce e entrò nello stagno per recuperare l'arma. L'imprevisto diede a Sygin l'occasione di cambiare argomento.
«Ma anche voi desidererete qualche attimo di riposo, talvolta».
Sif guardò turbata l'altra fanciulla, issandosi nuovamente sul ponte. «Che intendi dire? Oh, guarda...»
Non molto distante, tra le siepi fiorite e i vialetti di ghiaia, passeggiava Loki, inconfondibile per il portamento regale e distaccato e soprattutto per la chioma scura, rara tra gli asgardiani. Era diretto alla grande serra di vetro, probabilmente in cerca di ingredienti mistici.
Lady Sygin percepì distintamente il cuore accelerare e le guance acquistare un poco di colore in più.
«Mi mette i brividi. Nessun asgardiano sarebbe capace degli intrighi e delle bugie di cui è capace lui, inoltre quando combattiamo in gruppo egli è l'unico a non eccellere nell'arte della guerra, non capisco perché Thor si ostini a volerlo portare con sé. È falso, ha l'animo nero di un traditore».
Le parole di Sif erano colme di astio e disprezzo, così com'era colmo di disprezzo e sufficienza il suo sguardo. Sygin sentì come poche volte un'immensa rabbia montarle nel petto, un desiderio di difendere la dignità e l'onore di Loki, anche se egli non aveva certo bisogno di difensori, tutt'al più deboli come lei.
«...inoltre non ha rispetto, né per i suoi compagni né tantomeno per suo fratello. È un codardo, preferirebbe scappare piuttosto che affrontare una battaglia dalle sorti incerte. Come può sperate di poter scavalcare Thor nella linea di successione? È un folle anche solo a pensarlo».
Sygin non fu più in grado di tenere a freno la lingua, e fissò gli irati occhi azzurri in quelli scuri dell'altra ragazza, cercando di comunicarle in un solo sguardo tutta la sua disapprovazione.
«Sei tu quella che manca di rispetto! Come ti permetti di parlare così del tuo principe? Egli è degno del trono tanto quanto Thor!»
Sif impallidì, confusa e stupefatta dinnanzi all'inaspettata reazione di Lady Sygin.
Trascorsero alcuni attimi d'imbarazzante silenzio, in cui si udirono solo il cinguettare dei pennuti e il gorgogliare dell'acqua, fin quando Sif ritrovò la voce per controbattere.
«Ma che dici? Chiunque preferirebbe Thor». In segno di scusa per la sua impudenza, la guerriera afferrò una mano esile e pallida dell'altra giovane, cercando di farla ragionare, ma ella rifiutò quel contatto e si fece pensosa. Si alzò in piedi e fece pochi passi sul ponte, dando le spalle a Sif. Si scostò i capelli biondi dal viso e diede un fugace sguardo al vicino Arcobaleno Bifrost.
L'aria mattutina era fresca e piacevole sulla pelle, s'insinuava giocosa tra le ciocche, le accarezzava il viso, la confortava e la rattristava contemporaneamente.
«Evidentemente conosciamo due persone diverse. Loki con me è sincero, gentile, dolce. E mi ha sempre portato rispetto».
Sif fu evidentemente sorpresa a quelle parole, non pensava certo che Sygin conoscesse intimamente il principe, ecco il perché di quella reazione, insolita da parte sua. Amareggiata, si morse la lingua, pentita di aver espresso in tutta libertà ciò che pensava.
«Io, ecco, non pensavo che Loki...»
«Sygin!»
Le due giovani si voltarono entrambe, e videro in piedi davanti a loro il ragazzo di cui avevano parlato fino a quel momento. Sul volto di Sygin si allargò un sorriso colmo di gioia, era come se una luce calda e rassicurante l'avesse investita. Ecco come le appariva Loki, luminoso e confortante, esattamente il contrario di come egli appariva di fronte agli altri asgardiani.
La fanciulla non si vergognò di palesare il tipo di relazione che la legava al dio degli inganni, e noncurante si lasciò circondare dalle sue braccia. Stettero interminabili secondi semplicemente stretti, abbracciati l'uno all'altra, comunicandosi in un sol gesto ogni sentimento o paura si potesse dire a parole.
«Loki...» Mormorò Sygin a fior di labbra, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa contro il suo torace.
La vista di Sif s'infranse, gli occhi le si annebbiarono.
Razionalmente non comprendeva il motivo della sua tristezza, ma l'istinto le suggeriva una sola cosa: l'invidia.
Nonostante tutto, Loki amava Sygin, mentre lei, Sif, non avrebbe mai ottenuto il cuore di Thor.
Rassegnata, li guardò mentre se ne andavano legati e furtivi.
Due sagome nere controluce.



*


«Sif...» Una voce ruvida e calda la ridestò dai propri sogni. Una mano le toccò i capelli, dolcemente, andando poi ad accarezzarle la guancia.
Sif aprì gli occhi ancora pesanti di sonno, e incontrò quelli azzurri di Thor, colmi di un'amore simulato. Colmi di falsità.
O forse erano solo le innumerevoli preoccupazioni che lo affliggevano ad annebbiare il suo sguardo?
«Mia amata Sif, buongiorno».
Ma la giovane si sottrasse dal suo abbraccio e si alzò in piedi, incurante di mostrarsi in tutta la sua avvenente nudità. Thor seguì i suoi movimenti con uno sguardo perplesso e interrogativo, che Sif si fosse ricreduta? Impossibile, anche nel caso assurdo che non l'amasse, non poteva rinunciare al richiamo del trono.
Ma i suoi dubbi vennero smentiti all'istante dal sorriso che si aprì sul volto della ragazza, che si piegò fino a raggiungere le labbra dell'altro per baciarle.
«Ho bisogno soltanto di riflettere Thor, pazienta un momento e asseconda i tempi di una donna innamorata».
Egli le sorrise di rimando, simulando un'espressione serena e felice finché la giovane non uscì nel giardino retrostante alla loro stanza.
Solo allora poté sfogare tutta la sua rabbia e il suo rancore represso sferrando due pugni al cuscino.
Solo uno stolto come lui poteva continuare in modo così palese a fare la cosa sbagliata, pur sapendo che fosse sbagliata.

La bella guerriera si lasciò andare nella contemplazione del paesaggio, anche se la limpidezza del cielo era minacciata da una coltre di foschia. Le ritornarono alla mente i momenti della notte scorsa, come epifanie sbiadite: gli abbracci carnali ed estenuanti, il corpo forte di Thor, il suo calore. Tuttavia, l'ombra del senso di colpa minava i suoi rosei pensieri.
Loki era rinchiuso in una cella, e tra poco sarebbe stato condannato a morte. Sygin era morta da molto tempo ormai, mentre Sif giaceva indegnamente tra le grazie di Thor.
Ma infine era lei a vincere, lei che sarebbe diventata regina, a fianco di un vero asgardiano. A fianco di Thor Odinson.
La forte luce solare di mezzogiorno le diede sicurezza, e le venne naturale sorridere trionfante, e scacciare tutti i fantasmi che le oscuravano la mente.










.¤.

Note di Silvar: commento su questo capitolo? Lo so, è terribile, lo odio. Mi piace zero, e non lo dico per dire (ad esempio, ammetto che il 4 e il 5 mi piacevano, ma ultimamente non so più scrivere!). La mia speranza è sempre la stessa, che non vi disgusti troppo. Giusto un piccolo appunto, poi corro a scrivere la mia prima oneshot su Star trek (quando l'ispirazione colpisce bisogna assecondarla). 
Il Loki di questa bellissima fan art segnalatami da Destroya è piuttosto fedele al Loki che mi sono immaginata per questa fanfiction, ancora meno "maschile" di com'è in Avengers (d'altronde il fatto che Loki sia effeminato - caratteristica tra le altre cose che adoro - è presente sia nel mito che nel fumetto, suppongo). Effettivamente, un mio errore di coerenza in questa storia è stato averla ambientata in un contesto post-Avengers, ma con un Loki che ha tutte la caratteristiche pre-Avengers. In ogni modo, mi impegnerò ancora per migliorare la caratterizzazione dei personaggi, ancora Loki non mi convince...
E grazie Shania, per il tuo disegno! 
♥ Loki può andare fiero dei suoi figlioletti leggendari, anche se ora ha da pensare ad altri due nuovi marmocchi.
E no, non mi sono dimenticata di Liar, non temete. 

Grazie di cuore a tutti coloro che mi seguono, Ny Början è ancora ben lontana dall'essere terminata.

 


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Capitolo 8
*** Riverbero ***


Riverbero

L'imponente porta di ebano vibrò sotto rintocchi affrettati e calcati, l'apparente quiete della camera venne spezzata come un ramoscello secco. Thor si alzò circospetto e posò l'orecchio sul legno, invaso tutto d'un tratto dai timori. La sua inquietudine era giustificabile: aveva la coscienza tutt'altro che pulita.
«Chi è?» Per un attimo pensò persino di richiamare Mjöllnir, tutte quelle storie di complotti a Vanaheimr l'avevano messo in allerta; per quanto ne sapeva, un sicario avrebbe potuto bussare alla sua porta da un momento all'altro.
«Si tratta di vostro fratello, Sire!»
Si diede dello stupido, erano solamente le due guardie cui aveva affidato Loki. Lo stress psicologico di quei giorni lo stava facendo impazzire.
«Entrate! Spero non sia nulla di grave».
Si affrettò ad aprire la porta per poi richiuderla con un certo nervosismo.
Sif udì il tonfo dal giardino e acuì l'udito, come una cerbiatta alza le orecchie allarmata dell'arrivo dei cacciatori. Thor aveva ricevuto visite.
Era preoccupata per lui, temeva che potesse fare qualcosa di azzardato se consigliato dalla voce sbagliata. Ma dopotutto egli era forse il guerriero più temibile dei Nove Mondi, non aveva nulla da temere per la sua incolumità, piuttosto, per quella di Asgard.

«Cosa avete detto?»
Pallido e spaventato, una condizione che non si addiceva al dio del tuono.
Non poteva dar credito alle parole dei due esecutori, non poteva dar credito alle parole di Loki, che per tirarsi fuori dai guai avrebbe escogitato qualsivoglia menzogna. Eppure, il timore che avvertiva, come un formicolio fastidioso all'altezza del petto, significava che quello che aveva appena sentito poteva essere vero.
«Sono ovviamente delle bugie, mio Signore».
Nel frattempo, Sif s'era affacciata sulla porta della camera, e alla vista delle due guardie si era affrettata ad aggiustarsi la veste.
«Cosa succede?»
«Taci Sif», si affrettò a zittirla Thor, «questa non è una faccenda che ti riguardi».
Ignorando completamente la guerriera, il re uscì dalla stanza seguito dalle due guardie, deciso a voler chiarire la faccenda di persona.
«Le bugie di Loki non vi tormenteranno ancora a lungo mio re».
«È vero, il giorno della sua condanna non si farà attendere molto!»
«Silenzio, silenzio!» Intimò Thor alle due guardie moleste. Capiva che i loro tentativi di tranquillizzarlo rientrassero nei loro doveri, ma vi leggeva dietro anche un odio insito verso Loki che mal tollerava. «Siete fin troppo loquaci. Spetta a me il compito di giudicare se quel che dice mio fratello è o no menzogna, e se non è di mio diritto decidere le sorti di Loki, posso quantomeno deciderne i tempi».
Si lasciò condurre fino alla cella in cui Loki abitava ormai da un mese, nascosta tra gli umidi cunicoli scavati sotto il balcone delle Cascate Spioventi, un precipizio immenso di oltre ottocento metri dal quale la grossa mole d'acqua del Fridsam saltava nel Grande Lago Imut. I corridoi erano illuminati da una tetra luce verde, l'aria era stagnante e pregna d'umidità. Era un luogo in cui persino i topi e i pipistrelli disdegnavano di vivere.
Trovarono Loki ben sveglio, rannicchiato come al solito contro la parete, con una sola coperta strappata a coprirlo. I suoi occhi erano stanchi ma vigili.
«Eccolo qui, il menzognero più talentuoso dei Nove Mondi», iniziò spavaldo Thor, deciso a recitare la propria parte fino in fondo.
Loki non seppe da quale angolo del suo cuore trovò la forza di un simile gesto, ma piegò le labbra in un sorriso beffardo; nonostante riversasse in una palese condizione di debolezza, riacquistò la sua abituale posizione di superiorità e parlò in tono ironico e beffeggiatorio.
«È curioso che sia proprio tu a conferirmi questo titolo, mio re», disse, caricando di disprezzo le ultime due parole.
Lo sguardo di Thor si fece sfuggente, riluttante ad incontrare quello del fratellastro, anche se il pericolo che egli riuscisse a far valere le proprie ragioni era pressoché inesistente.
Ora c'era invece un altra cosa da verificare.
«Che fantasiosa storiella hai raccontato alle guardie! Come potevi anche solo sperare di essere creduto?»
Il prigioniero inarcò le sopracciglia e il suo sguardo si fece freddo, freddo e adirato nello stesso tempo.
«La tua ottusità ha raggiunto livelli inimmaginabili, è evidente che avresti dovuto studiare anche sui libri oltre che sul campo di battaglia. Casomai non te ne fossi ancora accorto, io non sono un asgardiano, sono uno Jotun! Sai che significa?»
Dannazione, quello sarebbe stato il momento adatto per acquistare sembianze femminili. Loki digrignò i denti, proteggendo istintivamente la pancia con una mano. La paura di non essere creduto cominciò ad invaderlo. Un dolore lancinante lo investì all'improvviso, diramandosi dall'addome in tutto il corpo, obbligandolo a piegarsi a terra.
«Thor, non sto mentendo!»
Il dio del tuono, impietosito, si rivolse allora alle guardie che fino a quel momento erano rimaste in religioso silenzio.
«Non c'è modo di verificare s'egli stia o no dicendo la verità?»
«L'unico modo è aspettare».
«No, è impossibile», Thor si affrettò a declinare l'idea e si avvicinò cauto al fratellastro, ancora dilaniato da forti dolori. Loki si lasciò sfuggire una lacrima, tramortito dall'eccessiva violenza di quel male che l'aveva sorpreso senza preavviso.
Senza che se ne accorse, Thor gli posò una mano sul ventre credendo di cogliere un segno, un rigonfiamento, un fremito, qualcosa che gli provasse l'esistenza effettiva di quella creatura. Il giovane Jotun colse l'occasione di quella vicinanza per catturare lo sguardo dell'altro, svelando il suo privo di ombre menzognere, e per parlargli a mezza voce senza essere udito dalle guardie. «Thor, ti sto dicendo il vero. Ricordi la seconda notte che mi portasti in camera? Il bambino è tuo, è nostro. Non è una bugia per evitare la condanna, come potrei sostenere a lungo una menzogna del genere? Permettigli di nascere e uccidimi dopo, se ciò ti soddisfa!»
Lo sguardo di Thor mutò, da adirato e autoritario a spaventato e freddo. Ritrasse d'improvviso la mano, come se si fosse scottato: aveva sentito qualcosa, forse nulla più che un sussulto, uno spasmo, ma unito a ciò che Loki gli aveva appena detto lo convinse della veridicità delle sue parole. Si alzò in piedi e arretrò di alcuni passi, puntandogli un dito contro. La pazzia sembrava essersi impadronita nuovamente di lui, come era accaduto pochi giorni addietro.
«T-tu... era un tuo piano fin dall'inizio, non è così? Mi hai sedotto per... contaminare con la tua sporca origine la pura e incorrotta linea di discendenza di Asgard! Ma sappi che io non riconoscerò questo figlio bastardo! Io non lo voglio, e anzi, mi hai presentato un motivo in più per giustiziarti a breve!»
La sua voce vibrò insicura e rabbiosa nell'aria stagnante. Loki accolse quella sentenza delirante abbassando la testa, sconfitto. Le insinuazioni di Thor erano così assurde che persino i carcerieri lo guardarono turbati, non c'era un briciolo di lucidità in quelle parole.
«Andiamo, vi ordino di cessare le torture. Tra due giorni egli morrà».
Con le lacrime che gli imperlavano gli angoli degli occhi, Thor voltò le spalle al fratellastro, incapace di sostenerne oltre lo sguardo affranto; il suo ampio mantello dorato ondeggiò imperioso, piegandosi in morbide curve. Le guardie lo seguirono, evidentemente deluse da come il loro re aveva deciso di risolvere la questione. Due giorni in meno di tortura significavano due giorni in meno di divertimento.
Loki rimase nel buio della sua cella. Un orribile sentimento prese velocemente forma dentro di lui, la paura, la frustrazione, la rabbia. Le mani e le gambe gli tremavano, anche se le fitte l'avevano abbandonato. Era tramortito di fronte a una tale mancanza di pietà. Ormai non c'era più speranza di salvezza, né per sé né per il suo secondo figlio, a meno che Thor non ritornasse a fare appello alla sua umanità.
Con un immane peso nel cuore, Loki si drizzò nuovamente a sedere e respirò affannosamente. Era madido di sudore, e perpetui brividi freddi lo tormentavano.
Stavolta nemmeno il dio degli inganni avrebbe potuto trovare una via d'uscita.



*


Thor non poté tenere a bada ancora per molto la curiosità di Sif. Non appena mise piede nella Sala del trono, ella era già lì ad aspettarlo, esigente di spiegazioni.
«Se devo essere la tua regina, allora non puoi tenermi all'oscuro di tutto!»
Il dio del tuono raggiunse con immenso sforzo il seggio, e una volta sedutovi fece un profondo respiro, solo allora poté dare orecchio alla calda voce della ragazza. Poggiò la fronte su una mano, come un vecchio stanco della vita.
«Hai ragione Sif, ma non puoi aspettare che riordini le idee? Non credo neanch'io a ciò che sto per dirti!»
La guerriera lo guardò confusa, poche volte aveva visto Thor così sconvolto e insicuro.
«Riordinare le idee? Ma certo. Con la sua lingua biforcuta Loki riuscirebbe a confonderle anche al più erudito dei saggi».
A quelle parole, Thor scattò in piedi e si erse in tutta la sua altezza. I suoi occhi fiammeggiavano, il suo sguardo ricordava quello di suo padre. Era temibile, incuteva soggezione e rispetto.
«Ora basta Sif! Tieni a freno la lingua!» Sbraitò adirato, tanto che la ragazza indietreggiò al suo cospetto. «Non voglio più udire maldicenze gratuite su mio fratello».
Sif trattenne il respiro, intimorita, poi abbassò la testa in segno di scusa e deglutì, mortificata.
«M-mi spiace di averti offeso, mio signore».
«Non è me che hai offeso, ma Loki. Loki è condannato a morte. Credo che sia sufficiente».
Thor si sedette nuovamente, fece un lungo respiro e cercò di riacquistare la calma. Era inutile arrabbiarsi con Sif, se ella ora gli stava appresso e lo assillava più del solito la colpa era unicamente sua. Sua e delle sue promesse di carta.
«Se posso, mio signore, volevo dirvi che è stato profondamente ingiusto scegliere di uccidere quel bambino. Dopotutto, egli era anche figlio di lady Sygin, e lei ha dato la vita per metterlo al mondo».
Thor ascoltò le parole di Sif come fossero un'eco distante, e si perse a fissare un punto imprecisato oltre le sue spalle.
«So che era ingiusto. Per questo ho deciso di salvarlo».
«Cosa?»
«È così. Non ti dirò nulla più».
«E non mi dici nemmeno il motivo del tuo turbamento?»
Sif lo guardò speranzosa e implorante, cercando un segno, un indizio, qualcosa che l'assicurasse di godere della sua fiducia. Ma in quell'attimo, le grandi porte della Sala reale si aprirono, e sulla soglia comparve Frigga, la vecchia regina. Come il proprio figlio, sembrava mossa da inquietudine e tormento, come se un'ombra oscurasse la luminosità del suo viso.
«Madre, non dovresti essere a pranzo?»
«E tu, dove dovresti essere? Quando inizi a saltare i pasti, Thor, allora sì che devo preoccuparmi». La donna si avvicinò al trono a grandi passi, volendo guardare in viso il figlio.
«Suppongo sia normale, madre», fece Thor scostante. Suo padre era morto e suo fratello avrebbe fatto la stessa fine tra due giorni, come poteva pensare allo stomaco!
«Thor, è stata presa una decisione. Il compito di giustiziare Loki spetta a te».
A quella notizia, il ragazzo sentì il cuore saltargli in gola e la testa girargli, come se improvvisamente venisse pervaso dalle vertigini e rischiasse di cadere a terra. Sif, indignata, non riuscì a non esprimere il proprio disappunto. «Ma è crudele, crudele e insensato! Regina, perché avete
approvato una decisione del genere?»
«Perché è stata una mia decisione», rispose Frigga con severità. Sif si zittì all'istante e guardò preoccupata Thor, ch'era diventato pallido e tremante.
«Come puoi chiedermi questo, madre?»
La donna lo guardò dispiaciuta, cercando di fargli capire il suo profondo rammarico. Gli prese le mani con forza, stringendole nel tentativo di rassicurarlo.
«Ti sei già sporcato le mani del sangue di suo figlio, credo che così sia meglio per tutti. Anche per Loki».
«Ma...» Sif tentò nuovamente di controbattere, ma venne zittita all'istante dalle sommesse parole di Thor.
«E sia, lo farò io. Ma ora voglio che mi lasciate solo, tutti quanti».
Le due donne non osarono proferir parola, preoccupate e nervose guardarono Thor alzarsi dal seggio e dirigersi verso i propri appartamenti, in cerca di solitudine.
Il peso che portava e che avrebbe dovuto portare sulle spalle era immane, e non era nemmeno la minima parte di quello che loro immaginavano.


Una volta immerso nella semioscurità della sua stanza, chiuse la porta a chiave e si lasciò andare alle lacrime. Un pianto amaro, una gola nera senza uscita, un tunnel, un enigma senza soluzioni. Non era da lui, stava sperimentando una debolezza che non gli era concessa, che non aveva mai provato in modo tanto devastante. Si trovava a un bivio, ora più che mai era costretto a scegliere una strada.
Strinse il lenzuolo nei pugni fino a lacerarlo, e soffocò i gemiti premendo il viso contro il materasso. In quel momento più di ogni altro avrebbe avuto bisogno di una guida, di un consiglio valido.
Tra gli occhi lucidi e lo sconforto, scorse la vecchia libreria di Loki, dov'erano riposte con cura favole da bambini, leggende, ma anche formulari e vecchi libri di magia, zeppi di appunti e scritte a matita, nonché intere monografie dedicate alla geografia dell'universo, alla fauna e flora di Asgard, ai sapienti di Midgard, al popolo Jotun...
D'un tratto gli tornarono alla mente le parole di Loki: avresti dovuto studiare anche sui libri oltre che sul campo di battaglia.
Spinto dalla curiosità, si asciugò le lacrime indegne con il dorso della mano e afferrò la monografia dedicata ai Giganti di ghiaccio. Era un volume grosso e consumato, costellato di appunti, con le orecchie sulle pagine e la copertina spellata. Era stato sfogliato tante volte.
Con il cuore in gola iniziò a leggere, conoscendo per la prima volta le usanze, la struttura fisica, le caratteristiche di quel popolo che aveva sempre disprezzato.
L'idea che nel grembo di Loki stesse davvero crescendo un bambino, il suo primo bambino, cominciava a prendere forma nella sua mente, e lo sconvolgeva. Dunque era possibile; pagina dopo pagina, in quel libro ne trovava la conferma.
Avrebbe dovuto essere più prudente, ma perché mai Loki non gli aveva detto una cosa così importante? Forse per vincolarlo in futuro, per ricattarlo, per avere una controffensiva. Eppure, qualcosa gli diceva che le cose non erano andate così. Il fratellastro sembrava avere un debole per i bambini, per la loro innocenza e ingenuità. L'aveva dimostrato con Liar, e anche ora sembrava disposto a qualunque cosa pur di salvare la vita di quella nuova creatura, persino a costo di compromettere se stesso. Forse era a causa del (lesse dal libro pilotando la riga con il dito) famoso istinto di sopravvivenza Jotun e del loro innato spirito materno. Era scritto nel loro corredo genetico, anche involontariamente Loki aveva il primordiale scopo di prolungare la propria specie, per cui inconsciamente, durante un atto sessuale di qualsivoglia natura, ricercava con ingordigia ogni più piccola goccia di vita, impiantandola subdolo nel proprio ventre per dare così inizio a una gravidanza. Era un istinto che sarebbe stato opportuno saper controllare, e Thor poteva giurare (a giudicare dagli imbarazzanti appunti presi a bordo pagina) che Loki aveva cercato il modo di tenerlo a bada.
Come fosse stato colpito da una folgore, l'asgardiano richiuse velocemente il volume alzando uno sbuffo di polvere dalle sue pagine ingiallite. La realtà lo investì come un fiume in piena.
Due giorni ancora, e Loki sarebbe morto.
Due giorni, e avrebbe commesso la più grande vigliaccheria, il più grande errore della sua vita.



*


Dunque tra due giorni avrebbe conosciuto la morte. Cosa misteriosa era l'oltrevita, anche per gli stregoni più potenti. Alcuni avevano sperimentato misticamente il viaggio nell'aldilà, ritornandone poi con ricordi confusi, non veritieri ed estremamente scivolosi.
Erano ore che Loki cercava di trovare una via d'uscita, senza tuttavia farsi prendere dal panico quando le strade gli si presentavano tutte impercorribili.
Forse, utilizzando in un sol colpo tutte le energie di cui disponeva, che su punto di morte aumentavano esponenzialmente, sarebbe riuscito ad aprire un varco spaziale e a fuggire attraverso di esso. Ma innanzitutto non aveva modo di eliminare la costrizione che gli impediva di mettere piede nello spazio aperto, inoltre non avrebbe mai disposto di sufficiente potenziale magico.
Loki strinse i pugni e digrignò i denti, cercando con tutte le sue forze di ignorare quella povera creatura che reclamava disperatamente altro nutrimento. Erano cessate le torture, ma anche le razioni di cibo giornaliere. Il pasto della sera non era ancora arrivato e ormai il cielo, nelle parti lasciate scoperte dalle nuvole, si macchiava di stelle e polveri. Loki sbirciò la volta scura dell'universo che s'intravedeva attraverso uno squarcio nel soffitto, danneggiato dalle infiltrazioni d'acqua e prontamente riparato da uno scudo trasparente d'energia.
Non c'era niente di meglio che osservare il cielo prima di morire, tenendo una mano ben premuta sull'addome in ascolto del più piccolo singhiozzo. Come fosse uno scherzo della sorte, gli capitò sotto gli occhi il baluginio di un pianeta che ben conosceva: Jötunheimr, la sua amata e odiata patria.
Fu inevitabile per Loki paragonarsi a Fenan Fin, l'infelice bestia di Niflheimr esiliata ad Asgard. Eppure la sua di permanenza ad Ásaheimr non sarebbe stata infelice, se gli Asi e tutti gli abitanti della Città Eterna l'avessero accolto come uno di loro. Da adulto tali discriminazioni grezze e ignoranti lo facevano solamente sorridere, ma la sua infanzia così come la sua adolescenza erano state difficili e sofferte.
«Anche le creature della notte hanno un nome, ma il tuo rievocherà la luce di Asgard, giacché morirai sotto le sue leggi. Si ricorderanno di aver ucciso non solo uno Jotun, ma un Asi. Uno di loro».
Era prorompente a tal punto la rabbia che sentiva in corpo che avrebbe potuto sfondare le pareti della cella con la sola forza di volontà. Era un mago, uno dei più potenti dei Nove Mondi, e non poteva fare niente. Non aveva la forza di salvare un bambino in fasce né il feto che nuotava nel suo ventre.

D'improvviso, sentì la serratura della porta blindata scattare, e il suo filo di pensieri s'interruppe bruscamente. Immaginava che sulla soglia comparisse una guardia con del cibo o con degli strumenti di tortura, immaginava di vedere sua madre con le solite lacrime finte, avrebbe potuto immaginare di veder comparire persino Odino redivivo, ma mai avrebbe detto che a fargli visita fosse il suo fratellastro, Thor.
Era sicuro che egli temesse di parlare direttamente con lui, data la sua indecorosa vigliaccheria e irresponsabilità.
«Cosa ci fai qui?» Sibilò velenoso il dio degli inganni, alzandosi con uno sforzo immane a mezzo busto. Nell'atto improvviso fu pervaso da un forte dolore all'addome, e dovette sfruttare nuovamente il sostegno della parete retrostante.
Thor ignorò il tono ostile del fratello ed avanzò imperterrito verso di lui con aria severa e minacciosa.
«Non parlare Loki».
S'inginocchiò al suo fianco ed estrasse un coltello affilato dalla cintola. Loki si ritrasse d'istinto, spaventato e convinto che il fratellastro volesse ucciderlo quella notte, lontano da occhi indiscreti e testimoni.
«C-cosa vuoi fare?»
Thor cercò con tutto il cuore di ignorare quell'acuta nota di terrore che aveva colto nelle parole dell'altro, e diresse la lama verso la sua spalla, cercando di non spaventarlo ulteriormente.
«Cerca di stare fermo», disse soltanto, mentre apriva un taglio sulla cute pallida del fratellastro fendendo con precisione i tessuti, spingendo il coltello in profondità finché, a un certo punto, non toccò una placca in metallo. Dunque si fermò.
Loki non emise un gemito, si limitò a guardare sospettoso la ferita che gli si apriva sulla spalla sinistra e il sangue che gli colava lungo il braccio, raccogliendosi sul gomito per poi gocciolare a terra. La macchia scura che andava formandosi sul pavimento si amalgamava indistintamente alle altre.
Thor prese dall'armamentario lasciato a terra uno strumento che rassomigliava a una piccola tenaglia, che Loki aveva sperimentato a lungo sulla sua stessa pelle. Si avvicinò con gli occhi alla lesione e allargò con le dita i due lembi di pelle lacerata, per vedere meglio in profondità. Una volta scorto, afferrò con le tenaglie quel dischetto di metallo incassato tra le due masse muscolari e tirò.
Loki strinse i denti, tuttavia continuando ad osservare con attenzione i movimenti del fratello.
«Che cos'è?» chiese, una volta che Thor riuscì ad estrarre quella piccola placca metallica, sporca del suo sangue.
«Ricordi la costrizione che ti venne applicata? Non fu una modifica al tuo dna, tutto consisteva in questo dischetto che ti venne impiantato nel corpo mentre non eri cosciente. Non ti abbiamo detto la verità perché non volevamo che tu cercassi di estrarlo, conoscendo la tua testardaggine ti saresti dissanguato pur di ottenere la libertà».
Loki lo guardò storto, cercando nel frattempo di tamponare l'emorragia con una mano. Se era vero che la placca era la costrizione spaziale che l'aveva impedito fino a quel momento, perché quello stolto gliene aveva privato? Forse non tutto era perduto.
«Perché hai fatto questo?»
Thor tenne basso lo sguardo e s'impegnò con tutte le sue forze di non guardarlo negli occhi. La bugia che stava per dire era grossa, ed era sicuro che Loki non sarebbe stato così stupido da cascarci.
«Il compito di ucciderti è stato destinato a me. Lo farò colpendoti con un fulmine richiamato da Mjöllnir, e temo che il campo magnetico emanato da quest'affare possa interferire con la mia scarica elettrica».
Loki cercò le iridi del fratello, chiare come stelle nell'oscurità. Gli alzò il viso con una mano e fece una cosa che mai e poi mai si sarebbe aspettato di fare. Lo baciò, toccandogli delicatamente le labbra con le proprie, a tentoni, cercando di risvegliare in lui l'attrazione che li univa. Lo scopo era uno solo: inganno e compassione.
Lo faccio per te, Vald. Per la tua salvezza, per la tua vita.
Si toccò il ventre caldo e si fece coraggio, ma proprio in quell'attimo Thor lo respinse, non cedette alla morbosità di quel gesto.
«Tu non riusciresti ad uccidermi fratello! Hai intenzione di liberarmi, non è forse così?»
Thor si alzò in piedi e gli diede le spalle, tremava. Era un debole, ed era corroso dall'indecisione, lo si capiva solo guardandolo negli occhi.
«Continua a sperarlo Loki».
Sulle labbra sentiva ancora il sapore salato e ferroso di quel bacio, un sapore elegante e focoso allo stesso tempo, una fusione di raffinatezza ed eros di cui solo il dio degli inganni in persona poteva essere capace. Il suo cuore era spaccato a metà, fremeva e sanguinava, e presto una delle due parti avrebbe prevalso sull'altra, se non con la riflessione, con il tempo. L'amore per Loki, o l'amore per la propria vita?
«Si chiama Vald».
Le parole ferme e impassibili del giovane Jotun sferzarono l'aria come un giavellotto scagliato, e congelarono Thor sulla soglia della prigione. Il bambino.
Quasi se n'era dimenticato, tanto la cosa gli sembrava assurda e costruita per doppi fini.
Il dio del tuono chiuse le dita in una morsa, stringendo i pugni all'inverosimile. Maledetto.
Come avrebbe potuto prendere una decisione usando la ragione, ora?
«Volevo che tu lo sapessi, Thor, prima di dirci addio. Sarebbe diventato un asgardiano migliore di quello che sei tu...»
Non voleva suscitare compassione stavolta, non aveva dimenticato il suo obiettivo: finire la sua storia a testa alta.
Gemette, cercando di tamponare con un lembo di stoffa il sangue che continuava a sgorgare dalla ferita aperta sulla spalla. Nei suoi occhi verdi e stanchi guizzò un'ultima ombra canzonatoria.
«...perché avrebbe avuto il mio cervello».
Ma Thor se n'era già andato.


*

L'ultima notte.
Quella notte nessun componente della famiglia reale avrebbe chiuso occhio.
Frigga si aggirava inquieta tra le sue stanze, cercando di affogare le innumerevoli lacrime in un fazzoletto di seta premuto contro la bocca, ormai inzuppato all'inverosimile.
Il dio del tuono continuava a rigirarsi tra le dita quella placca metallica nera di sangue, come se in essa vi fosse la soluzione di quell'orrendo enigma. Era sdraiato sull'ampio letto della loro camera e guardava le stelle, attraverso l'enorme squarcio nel soffitto.
Sif non aveva nemmeno provato a cercarlo, probabilmente intimorita dalla severità del suo ultimo ordine. Inoltre doveva aver preso coscienza del fatto che non gli sarebbe potuta essere d'aiuto.
Ancora non capiva perché la madre gli avesse affidato un compito così gravoso. Che sospettasse di lui?
Cercando di ignorare quei pressanti timori, si affrettò a scacciare dalla mente questi pensieri inopportuni, soprattutto a quell'ora di notte. Scosse forte la testa come per risvegliarsi da un incubo.
L'indomani avrebbe compiuto il suo dovere. Avrebbe fatto ciò che gli asgardiani si aspettavano dal loro re, null'altro.


Loki invece, chiuso nel poco spazio che gli era concesso, dormiva. Forse per la prima volta dopo settimane era caduto in un sonno profondo e sereno, libero da lontane rimembranze o da inquietudini e tormenti, limpido come l'acqua di torrente. Era insolito, la notte prima della sua condanna a morte.
Ma l'alba sorse puntuale la mattina seguente, sorse gialla e radiosa. Non vi erano nuvole in cielo e le bestie uscivano dalle tane, affamate di luce. Era, per così dire, una bella giornata.
Loki era stato svegliato da un paio di guardie corpulente che non aveva mai visto prima d'ora ad Asgard, forse erano appartenute al corpo di guardia speciale di Odino.
L'avevano messo in piedi senza troppi complimenti, scuotendogli di dosso le ultime briciole di sonno. Lui non le aveva neppure degnate di un'occhiata sprezzante, tale era ormai il suo disgusto per qualsiasi asgardiano - eccetto Sygin ovviamente, ma ella era appartenuta ad un'altra epoca.
Un ultimo, folle pensiero gli attraversò la mente come un lampo mentre veniva trascinato fuori da quei corridoi ammuffiti: la fuga. Se non per sé, almeno per riuscire a donare la vita a quella povera creatura che portava in grembo.
Ma benché le sue ginocchia fossero già pronte a scattare e le braccia a dimenarsi, l'ipotesi sfumò immediatamente, rimanendo ad aleggiare nella sua testa come un velo di nebbia. Impossibile.
Non vi era possibilità di fuga, non vi era possibilità di salvezza all'infuori della clemenza di Thor.
Con lo sconforto nel cuore, Loki si lasciò condurre fin sul patibolo, sulle distese verdeggianti della riva del fiume Fridsam, lì dov'era stato sepolto quel povero bambino al posto di Liar.
All'interno di una conca gommosa di muschio ed erbe era stata posta una scarna piattaforma di ferro, ottimale per condurre al meglio l'elettricità. Thor stava ritto in piedi di fronte ad essa, vestito di nuovo e congelato come una statua di sale.
Alle sue spalle, una folla astante di asgardiani si accalcava per assistere all'esecuzione.
Frigga si ergeva livida al fianco di lady Sif e delle sue ancelle, timorosa di incontrare anche solo per un momento lo sguardo del figlio adottivo. Loki, che odiava questo genere di vigliaccherie, cercò in tutti i modi di catturare gli occhi della madre, ma ella continuava imperterrita a guardare terra, piangendo fiumi di lacrime finte.
Non gli aveva nemmeno detto addio, non era venuta a porgergli un saluto.
L'amarezza e la tristezza pesarono come macigni insostenibili nel suo cuore, pesarono più che mai di fronte all'indifferenza della regina.
Fandral, Volstagg e Hogun stavano ritti in piedi uno a fianco dell'altro, con un'espressione neutra in volto. Loki avrebbe potuto giurare che, nel silenzio e nel profondo dei loro cuori, gioivano, così come gran parte degli spettatori. Era sempre stato malvisto nel gruppo, la sua era sempre stata una figura nefasta e inaffidabile agli occhi degli Asi. Le sue scarse abilità militari e il suo modo di combattere ingannando e sfuggendo l'avversario, invece di affrontarlo a viso aperto, suscitavano diffidenza e antipatia nei suoi compagni. I rapporti si erano poi definitivamente deteriorati quando essi vennero a conoscenza delle sue vere origini. Il leggendario odio degli Asgardiani verso gli Jotun riemergeva sempre, soprattutto nelle menti più grossolane, quelle più facili da soggiogare.
Ma ormai questi pensieri perdevano di importanza, sfumavano ad ogni passo, si assottigliavano sempre di più.
Le guardie che lo scortavano strinsero con forza la sua veste di pelle nera, posizionandolo con sgarbo sul suo punto d'arrivo.
In un baleno Loki si trovò con i piedi che poggiavano sulla piattaforma, il forte sole del mattino gli pungeva gli occhi chiari. Dalla bolgia si alzavano male parole, insulti, sporadiche acclamazioni, e il bisbiglio cresceva come una brezza si tramuta in uragano.
Thor era solo di fronte a Loki, nella mano destra stringeva Mjöllnir, ma la sua presa non era salda, tremava ancora.
Così non va
, sorrise il dio degli inganni, inclinando la testa. Hai ucciso tanti Jotun senza nemmeno pensarci un attimo, Thor. Perché questa volta dovrebbe essere diverso?
Chiuse gli occhi, cancellò la folla, Frigga, Thor dalla sua visuale, e cercò di immaginare per un momento Liar e Vald assieme, grandi, cresciuti. L'ultimo suo desiderio era che almeno Liar, figlio di Sygin, venisse salvato.
Era consapevole che da quell'attimo in poi ogni suo respiro poteva essere l'ultimo.
Il chiacchiericcio e l'aspettativa si fecero più incalzanti; Loki riaprì gli occhi e li rivolse al cielo, colto all'improvviso da una punta di panico.
Thor gli aveva rivolto Mjöllnir contro, il pubblico scalpitava.
«Loki, tu sarai sempre mio fratello», disse semplicemente il neo re di Asgard, con voce rotta da un pianto silenzioso.
Loki gli restituì uno sguardo irritato e terrorizzato allo stesso tempo. Aveva pochi secondi di vita, e lui si dava ai sentimentalismi? Ormai le parole erano vane, erano polvere nel vento, erano foschia nel cielo. Ora il poco spazio rimasto era destinato ad altre cose, a cose più importanti.
«Thor, salva l'altro». Le parole gli uscirono involontarie, sfuggirono dal suo controllo.
Salva Liar, ti prego, risparmialo
.
Se solo avesse avuto abbastanza forza per attuare un contatto psichico...

Thor esitò un momento, poi capì, e fece un breve cenno.
Non scorsero più lacrime sul suo viso, quando arrivò il momento. Le trombe di morte squillarono, fenderono l'aria limpida come un fulmine nero, il vento cessò, l'aria si fece stagnante.
Loki era pronto a chiudere gli occhi sul mondo, ora che si era assicurato che Liar sarebbe rimasto in vita.
Gli parve di sentire Vald singhiozzare. Che storia triste sarebbe stata la sua, ucciso dal suo stesso padre, senza il piacere di assaggiare la vita.
Liar invece sarebbe sopravvissuto, avrebbe conservato la tenacia di Sygin, la freddezza e la bellezza di Loki, il loro amore per le storie, i racconti, i libri. Chissà in quale terra cresceva ora, ignaro di essere di sangue reale, di sangue Jotun.
Questi ultimi pensieri invasero la sua testa come un'ultima bellissima ed impetuosa esplosione, il poco tempo che gli rimaneva non gli bastava neppure per rimembrare a dovere la dolcezza del viso di Sygin.
Passarono uno, due, tre secondi interminabili.
Il tempo era impossibile da giudicare, fuggiva via o restava immobile?
Loki aprì gli occhi con immane sforzo, abbassò la testa e guardò nuovamente davanti a sé.
Non appena il riverbero accecante gli lasciò tregua, riuscì a focalizzare la figura imponente di Thor.
Si era fermato.
Sussultava, corroso dai brividi, ed era più pallido che mai, come se si trovasse di fronte ad una spaventosa fiera che non riusciva a fronteggiare.

Mjöllnir giaceva ai suoi piedi, abbandonato tra l'erba.


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Capitolo 9
*** Le Porte di Niflheimr ***


Le Porte di Niflheimr


La folla era astante, la tensione e l'aspettativa erano tali da elettrizzare l'aria. Decine di occhi seguivano minuziosamente ogni più piccolo movimento di Thor, decine di cuori palpitanti attendevano.
Non aspettavano altro che la devastante forza di Mjöllnir si abbattesse sul condannato.
Quell'arma letale e temuta da tutti i Nove Mondi era ora puntata contro il petto inerme di Loki; stavolta l'astuto dio degli inganni sarebbe morto per davvero. Non aveva alcuna via di scampo, non aveva alcuna possibilità di redimersi. Di lì a poco avrebbe ascoltato i terrificanti latrati di Garmr e avrebbe vagato tra le acque putride del Gjöll, per poi giungere ai piedi della sua nuova padrona: Hela.
Bastava l'eco del suo nome a far inchinare al suo cospetto bestie, uomini e dei, a far tremare di paura anche il più valoroso dei guerrieri come fosse un bambino alle sue prime armi.
La sua dimora era terribile e bellissima come la sua regnante.
«Ora Thor, fallo ora...» bisbigliò Frigga con labbra livide e occhi rossi, vedendo che il figlio prediletto tentennava. Ma la volontà di Thor era ormai compromessa.
Mjöllnir divenne d'un tratto pesante e scivolò senza alcuna fatica dalle sue dita, cadendo sull'erba sottostante.
Dal pubblico si levarono bisbigli di stupore e d'impazienza. Lady Sif strinse con forza la mano della regina; ormai le due donne avevano capito che Thor non avrebbe avuto il coraggio di uccidere il tanto amato fratellastro, ma non si aspettavano certo che gli eventi si capovolgessero come invece successe di lì a poco.
Il neo re di Asgard si voltò verso i suoi cittadini, prendendo definitivamente il coraggio a due mani e affrontando le proprie responsabilità a viso aperto. Proprio come tempo prima riacquistò la fiducia del padre, ora si riappropriava della sua identità. Gli pareva di risvegliarsi da un incubo.
«No madre, non lo farò. Non ho un cuore così crudele».
Le lacrime secche che gli rigavano il viso ripresero a scorrere, ma le sue intenzioni e le sue parole stavolta erano ferme e decise.
No, non l'avrebbe data vinta a Loki. Non era il vigliacco che lui pensava.
Frigga trattenne il respiro mentre Thor si denudava il capo dell'elmo e s'inginocchiava al suo cospetto, al cospetto di tutta quanta Asgard.
«Sono io che merito questa pena. Il padre degli dei è caduto per mano mia».
Fu come se per un momento i rumori della natura, lo scroscio dell'acqua, i respiri, i movimenti dei pianeti, l'eco cosmico si quietassero, creando un silenzio innaturale e pressante. Poi, come uno sciame di cavallette affamate, i brusii della folla accrebbero fino a diventare strepiti, e i pianeti ripresero a compiere le loro orbite.
Frigga si protese verso il proprio figlio chino sull'erba, come se volesse dire qualcosa, ma non ci riuscì e si ritrasse, in silenzio. Pareva che dovesse avere un mancamento da un attimo all'altro.
«Ma che cosa stai dicendo figlio mio?»
Loki riaprì cauto gli occhi e rincontrò la luce del sole. Era ancora vivo.
Sorrise malizioso: come pensava, Thor era stato vinto dai ripensamenti e dai sensi di colpa. Un'anima fragile e onesta come la sua non avrebbe potuto sostenere l'ombra della menzogna, era una cosa che solo il dio degli inganni in persona sarebbe riuscito a fare brillantemente.
«N-no Thor, io non posso crederci... perché l'avresti fatto? Cos'è accaduto?» balbettò la regina sollevando il viso del ragazzo e circondandolo con braccia febbrili. Ma Thor si costrinse con tutte le sue forze di guardare a terra.
«Cos'è accaduto?» ripeté Frigga lasciandosi sfuggire un acuto isterico nella voce. Afferrò con più veemenza le spalle del figlio, come volesse risvegliarlo da un oblio tenace.
Loki inclinò il collo all'indietro e osservò la scena con cipiglio altezzoso e trionfante; vedere il fratello nei guai gli donava un impagabile brivido di soddisfazione.
Thor, non potendo più evitare lo sguardo della madre, non potendo più tirarsi indietro dopo aver compiuto un passo simile, si alzò in piedi davanti a lei e davanti tutta quanta Asgard. Riusciva a malapena a scorgere il mare di teste che aveva di fronte, tanto era forte la luce solare che gli feriva le palpebre.
La folla, che prima nutriva benevolenza, si tramutò ora in un branco di lupi affamati.
Buffo, di come il carnefice si trasformasse con tale facilità nella vittima, da un momento all'altro, con la velocità di un lampo.
Thor, il più amato tra gli dei, il più amato tra i figli di Odino, venne condannato dalla stessa gente di cui aveva appena avuto il plauso.
Cercò di ignorare le suppliche di Frigga, gli sguardi attoniti e rancorosi delle persone che lo circondavano, quelli stupiti e confusi dei suoi amici, e si lasciò condurre dalle guardie in una cella che ben conosceva, senza opporre resistenza. Subito dopo anche Loki lo raggiunse, scortato da un manipolo di carcerieri armati fino ai denti. Frigga venne allontanata, così che in un primo momento non potesse parlare con i suoi due figli, intrappolati nuovamente in quella cella buia sotto le cascate.
Thor sedette in silenzio, riluttante ad incontrare anche solo per un momento lo sguardo trionfante del fratello che gli perforava la nuca.
Le porte vennero chiuse e la stanza sprofondò nella penombra. Dall'esterno si udivano provenire passi affrettati e schiamazzi, tra i quali spiccava un'acuta voce di donna.
Thor abbassò la testa e strinse i denti, cercando di sigillare la rabbia e la frustrazione dentro di sé, il dolore per aver deluso e sconvolto la propria madre, il proprio regno, per aver perduto in eterno la loro fiducia.
Una risata sommessa interruppe bruscamente il suo raccoglimento.
«Oh, immagino che madre non l'abbia presa bene, ti aspettavi diversamente?»
Loki circondò la figura china di Thor con larghi passi, come un avvoltoio vola intorno alla propria preda; il suo tono era cauto e suadente.
«Zitto fratello».
Ma il dio degli inganni non si lasciò zittire; si piegò elegantemente verso il fratellastro con il chiaro intento di provocarlo, avvicinandosi in modo che la sua voce bassa fosse alla portata del suo orecchio.
«Così hai ceduto», sibilò con la stessa maestria di un serpente, «per chi l'hai fatto? Per me, per Vald... o forse per te?»
Le sue parole ferivano più del veleno, i suoi occhi verdi e maliziosi scrutavano con perizia ogni più piccolo spasmo, ogni minima sfumatura nel viso dell'asgardiano.
E videro benissimo che da sofferente, il suo sguardo divenne furioso. Loki aveva il dannato talento di saper scrutare dentro l'anima altrui, di indovinare i sentimenti delle persone che aveva di fronte, di mettere a nudo le loro debolezze, i loro scheletri nell'armadio. Thor sapeva benissimo che il fratellastro aveva la chiara intenzione di stuzzicare la sua ira, ed era un gesto che non poteva più tollerare, non dopo quanto era successo.
«Ora basta!»
In un momento si voltò e afferrò con ben poca grazia il suo viso tra le mani, non curandosi di fargli male, di graffiargli le guance.
Benché la ragione gli ordinasse tutt'altro, lo baciò con irruenza, un bacio che non assomigliava in nessun modo ai precedenti. Le loro labbra si incontravano riluttanti e desiderose allo stesso tempo, si cercavano e si respingevano.
Loki subì, com'era abituato a fare. Non si stupì di quel gesto, Thor era un uomo così impulsivo e prevedibile che era uno scherzo intuire le sue reazioni. Sogghignò piuttosto, pensando dentro di sé a come sarebbero cambiate le cose, ora.
«Maledetto, mi porterai all'inferno! Mi guarderesti bruciare e agonizzare tra le tenebre di Hel con il sorriso sulla faccia!»
Le mani tremanti del dio del tuono scuotevano le vesti del fratello con forza, avanti e indietro, come fossero combattute tra il volerlo avvicinare o il volerlo allontanare.
Loki lo guardò attonito, spiazzato da quel comportamento in solito. Non l'aveva mai visto così fuori di sé.
«Thor... fermo! Che fai?»
Tramortito dalla sua forza, il dio degli inganni venne sbalzato all'indietro sul pavimento, un urto che in condizioni normali avrebbe benissimo ingoiato senza conseguenze, ma ora le piaghe e le ferite ancora aperte, reduci dalle tremende torture, pulsarono e tirarono più che mai.
Gemette, tramortito da quell'inaspettata quanto involontaria violenza, e si rannicchiò su se stesso portandosi le mani alla pancia, costringendosi con tutte le sue forze a non urlare dal dolore.
Ancora quella sensazione, pensò stringendo i denti e grondando sudore freddo, paia che lo stomaco mi venga preso a morsi!
Thor si rese immediatamente conto dell'azzardo commesso. Pentito, osservò le innumerevoli ferite che intravedeva sulle braccia e sul collo di Loki, nei lembi di pelle scoperta, e si lasciò mangiare dai sensi di colpa.
Immaginava come doveva essere dilaniato il bel corpo del fratello, sotto quella veste nera e lucida. Immaginava le cicatrici e i buchi lasciati da quegli stessi strumenti arrugginiti che ora ingombravano il pavimento. Tutto questo si sarebbe potuto evitare se solo lui avesse avuto un briciolo di coraggio in più, se solo avesse detto la verità fin dall'inizio.
Forse molte delle maldicenze che Loki era solito dire su Asgard e sugli asgardiani non erano infondate; Thor stesso era fermamente convinto che il fratello venisse odiato non per le sue bugie, ma per le sue verità.
La gente le percepiva, e lo detestava per questo. Perché non aveva problemi a mettere a nudo ciò che gli altri non dicevano e non volevano sentirsi dire.
Loki, il dio del chaos.
Loki e la sua lingua da donna.
«Loki, fratello...» con il chiaro intento di aiutarlo, il dio del tuono si protese verso la misera figura del giovane Jotun, ma un fatto alquanto strano lo bloccò e lo riempì di stupore.
Loki stesso, pervaso da sorpresa e allo stesso tempo dal panico, sentì i capelli crescergli tra le dita e piegarsi in morbide onde, il viso assottigliarsi - se possibile - ancor di più, le labbra divenire un poco più formose, il corpo snellirsi.
Con terrore realizzò ciò che era accaduto alzandosi a mezzo busto, puntellandosi con i palmi delle mani e avendo modo di notare che anche le dita e le braccia erano divenute più sottili e deboli. I lunghi capelli corvini gli caddero davanti al viso, impedendogli di incrociare lo sguardo attonito dell'asgardiano.
«Loki, ma cosa...»
Di nuovo, quest'inutile forma continua a manifestarsi nei momenti meno opportuni! ringhiò adirato lo Jotun, realizzando con orrore che i vestiti, ora divenuti larghi e scomodi, gli calzavano in modo a dir poco ridicolo.
Con un movimento del capo scostò i capelli dal viso e guardò Thor con decisione, sapendo che avrebbe provato disgusto quasi quanto lui udendo il suono della sua voce, ora più acuto e delicato.
«Occorre che te lo ripeta, asgardiano? Io non faccio parte del tuo mondo, sono uno Jotun!»
Il dio del tuono si ritrasse quasi intimorito di fronte all'ira che trasmettevano i suoi occhi verdi e penetranti.
Strano, normalmente non avrebbe mai dovuto provare paura davanti ad una qualsiasi intimidazione del fratello, ma questi erano occhi di donna. Di gran lungo più letali, e molto meno fascinosi.
«Io... non ero preparato a questo. Perché mai hai assunto questa forma?» chiese, osservando turbato quel nuovo grazioso aspetto.
Loki gemette nuovamente, nell'atto di rizzarsi a sedere e appoggiarsi con la schiena contro la parete.
«Non è una cosa che io possa controllare. Per quanto io sia un mutaforma, per quanto io ben conosca le arti magiche, questa è una cosa che non posso controllare». Chinò il capo, attendendo ad occhi serrati che il dolore scemasse.
Vald, so che ora stai meglio. Abbi pazienza. Tuo padre ti ha protetto, ha finalmente fatto la sua parte, ma la battaglia non è ancora vinta.
«Non credevo dimostrassi un tale coraggio. Tu sei tipo da affrontare senza paura una battaglia, ma non offriresti mai volontariamente la tua vita in sacrificio».
Gli occhi dei due fratelli si incontrarono, comunicandosi affetto e astio allo stesso tempo.
«Ebbene, non mi conosci abbastanza Loki», ribatté Thor risentito. Dopotutto, tempo fa, anche lui si era offerto al folle volere del fratello per salvare la vita di Jane e degli umani, anche se in quel caso sapeva che Loki non gli avrebbe fatto del male.
«Ora cosa accadrà? Cosa faranno al grande Thor?»
«Merito quello che fecero a te, immagino. Sarò condannato a morte e a torture».
«E invece io sono pronto a scommettere che la legge di Asgard non si rivelerà uguale per tutti».
Gli occhi di Loki e le sue lunghe ciglia erano così vicini e trasparenti da lasciar vedere tutti i pensieri che vi navigavano all'interno.
In cuor suo, Thor sapeva che il fratello aveva ragione.
«Lo vedremo, calunniatore».
Non doveva lasciarsi ingannare da quell'aspetto fragile, Loki era sempre Loki, e la sua lingua biforcuta sibilava sempre verità e maldicenze.
E raramente le une si distinguevano dalle altre.



*



Nella grande sala del trono non vi era mai stata più agitazione.
Frigga si trovava da sola a dover combattere a favore del figlio, a doverlo difendere quando non vi erano modi di difenderlo. Innanzitutto bisognava chiarire il perché di quell'azione, e soprattutto bisognava chiarire se Thor non avesse detto una menzogna per salvare il fratello, ipotesi improbabile ma non impossibile. Ma se Loki era stato accusato ingiustamente, perché mai non aveva detto niente in sua discolpa?
C'era qualcosa che sfuggiva agli occhi della regina e degli asgardiani, sfuggiva a tutti tranne ai pochi, a quelle poche guardie fidate che erano a conoscenza del vero agire di Thor.
«Prima di dar voce a qualsiasi sentenza intendo parlare con mio figlio e con Loki, e chiarire fino in fondo questa faccenda!»
Le parole imperiose della regina vennero accolte con rispetto. Dopotutto, lei ora era la più alta autorità ad Asgard, dato che i due principi eredi difficilmente avrebbero recuperato il diritto di salire al trono dopo quanto era successo.
Frigga si congedò dunque da quel tramestio, lasciandosi alle spalle voci per nulla fiduciose da parte dei suoi cittadini. Ormai era chiaro che la regina non parlava più per il bene di Ásaheimr, ma fremeva per l'incolumità del proprio figlio.
La situazione stava precipitando.
Asgard, senza una guida valida, era vulnerabile a nemici e a guerre interne. Se le cose non si fossero sistemate in fretta, si prospettava un periodo buio per gli Asi, destinato a durare a lungo.


La regina attraversò velocemente i corridoi che portavano alle prigioni sotto le cascate, tormentandosi nervosa i lunghi capelli ramati.
Thor le stava nascondendo qualcosa. Le sfuggiva il motivo per cui egli avrebbe dovuto assassinare il padre degli dei, ed era sicura che Loki avesse un ruolo chiave in quel misfatto.
Quando giunse davanti alla cella, rimase stupita dall'ingente corpo di guardia che era stato posto a sorveglianza dei due principi. Dopotutto i loro poteri non erano certo da sottovalutare e, anche se Mjöllnir era stato requisito a Thor e posto sotto stretta sorveglianza nella sala delle reliquie, non avrebbero potuto impedirgli di usarlo. Infatti, il potente martello rimaneva sotto il controllo del dio del tuono, ed egli avrebbe potuto richiamarlo in qualsiasi momento, in qualunque luogo si trovasse.
«Desidero parlare con i miei figli, e non potete impedirlo alla regina di Asgard».
Le guardie si scambiarono un'occhiata tentennante, poi ottennero il permesso dal loro maggiore e permisero a Frigga di passare.
Non appena vide la madre entrare, Thor scattò in piedi e si pose davanti al fratello, come si sentisse minacciato.
Frigga lo guardò con il cuore a pezzi, vedendo eroso il suo ruolo di madre, di fonte di conforto. Ora tutta quanta la responsabilità di Ásaheimr era riversa sulle sue spalle, non poteva più sacrificare tutto quanto per il bene del figlio.
«Non farete del male a Loki! Ha già scontato la sua condanna a sufficienza!»
La donna fece cenno a Thor di calmarsi. Il dio allora, rassegnatosi, si sedette al fianco del fratello e notò che egli aveva riacquistato le sue normali sembianze.
Tirò un sospiro di sollievo. Almeno il loro segreto era salvo. Non immaginava la reazione di Frigga se avesse saputo.
«Non sono qui per condannare Loki, ma per far luce su alcune cose. Non mi basta che tu, davanti a tutta Asgard, dica di essere l'assassino di tuo padre!» le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi stanchi, riversandosi sulle guance pallide. «Io, in quanto tua madre, e in quanto moglie di Odino, voglio sapere perché Thor, perché l'hai fatto!»
Il dio del tuono abbassò la testa, dilaniato dai sensi di colpa e dal dispiacere. Non seppe quale fu la forza che gli permise di trattenere le lacrime e di ragionare a mente fredda, eppure riuscì a mantenere il controllo di sé. Sapeva che Loki lo stava osservando con la coda dell'occhio; forse per la prima volta in vita sua, il dio degli inganni provava pena. Pena per il fratellastro, che doveva ancora imparare molto dalla vita. Doveva ancora imparare a crescere.
Odino custodiva un grande segreto, quindi erano svariati i motivi per cui Thor era stato inconsapevolmente spinto ad ucciderlo. Voleva proteggere Loki, è vero, ma forse prima di qualsiasi altra cosa voleva proteggere il suo onore. Se gli asgardiani fossero venuti a conoscenza del fatto che aveva immolato un Asi per salvare il figlio bastardo di Loki e Sygin, avrebbe rischiato il linciaggio. E comunque la sua credibilità sarebbe colata a picco, così come la sua aspirazione di diventare un buon re, saggio, leale, giusto, e soprattutto amato dai suoi sudditi.
Frigga attendeva ancora una risposta.
«Padre aveva perso la ragione. Sorprese Loki fuori dalle sue celle, e credendo che volesse architettare un nuovo complotto e una nuova vendetta contro Asgard, tentò di ucciderlo». Thor si fermò un momento, prendendo un profondo respiro. Non fu facile confessare una seconda volta il vergognoso fatto commesso.
«Cercai di proteggere Loki, ma nel farlo colpii mortalmente Odino. Egli cadde a terra prima che io potessi rendermi conto di ciò che avevo fatto. Così andarono questi tristi fatti».
Trascorsero alcuni secondi di silenzio. La versione di Thor non era del tutto credibile, mancava quell'anello fondamentale. Odino che perdeva la ragione? Frigga conosceva abbastanza bene il marito da trovare strano un fatto del genere. Perché il padre degli dei aveva preso l'avventata decisione di uccidere Loki?
«Le cose sono andate così, Loki?»
Il dio degli inganni deglutì, ritrovando per la prima volta dopo tanto gli occhi della madre, quegli occhi che l'avevano evitato per tanto tempo, quegli occhi che si rifiutavano di guardarlo in faccia mentre moriva. Provò dolore, ma non poté non provare anche affetto. Un'ombra di un amore passato, ma tenace, anche se privo di senso ormai.
«Sì madre, le cose sono andate così», disse annuendo, sentendosi stranamente in soggezione.
Sperarono con tutte le loro forze che Frigga si accontentasse di quella versione degli avvenimenti, e accettasse il fatto che il proprio figlio fosse un assassino non solo di Giganti di ghiaccio, ma anche di Aesir. Del più potente e venerabile tra gli Aesir, del padre degli dei in persona.
Dopo un lungo e amareggiato sospiro, la donna trovò finalmente la voce per rispondere.
«Figlio mio, farò il possibile per alleviare la tua pena, Asgard non si prenderà la tua vi...»
«CHE COS'HAI DETTO?»
Come se fosse stato travolto da un fiume in piena, Loki scattò in piedi e si scagliò contro la madre, ma venne bloccato dalle catene che gli rodevano le caviglie e i polsi. Frigga, che era già in procinto di andarsene, si voltò verso il figlio adottivo, turbata dal suo furibondo tono di voce.
«Maledetta asgardiana! Mi fai ribrezzo solo a sentirti parlare! Sei una bugiarda schifosa! Ogni tuo sguardo, ogni tua parola trabocca della falsità più meschina!»
«Loki smettila! Che ti prende?» disse Thor allarmato dall'inaspettata furia del fratello, cercando di calmarlo come fosse un cavallo selvaggio. Nei suoi occhi smeraldo era contenuto l'odio più puro, un odio che mai aveva rivolto verso la madre. Nessuno si sarebbe mai aspettato di udire simili parole uscire dalla sua bocca e additate verso la regina.
«Dunque per Thor diventa possibile commutare la pena, eh? Dunque la vita di Thor può essere salvata, mentre la mia, quella di mio figlio no! Eppure non sei sempre tu mia madre? Non dovresti amarmi allo stesso modo, a quanto dicono le tue belle parole?»
Ecco rivelati in pochi secondi tutti i dubbi, tutti i tormenti che Loki, l'ingannatore, aveva avuto nel corso della sua vita. La sua costante paura di non essere accettato, di non essere compreso, di non essere amato come i suoi fratelli.
«Sono curioso di sapere quanto ti sei prodigata per me con il padre degli dei! A quanto mi dicesti, avevi fatto il possibile. Dunque per Thor riesci a fare anche l'impossibile, non è vero, regina? » caricò di particolare disprezzo l'ultima parola, che già di per se stessa costituiva un insulto. Loki non aveva mai chiamato regina la propria madre.
Ma quello che più fece addolorare la donna, furono le lacrime che rigavano il viso del ragazzo, che le ricordavano ulteriormente tutte le sue mancanze, una per una, con più peso.
«Loki, ti prego, cerca di comprendermi! Su me ora non incombe più l'ombra dell'autorità di tuo padre...»
«Non è mio padre! Non osare chiamarlo in quel modo! E non cercare scuse, sappiamo benissimo entrambi che l'autorità più grande è quella di Asgard, sono le dicerie del popolo asgardiano!»
Frigga non seppe più come controbattere. D'altronde era stata una sciocca a sperare di poter competere a parole con Loki. Scosse la testa, affranta e rassegnata di fronte alle lacrime rancorose del figlio, di quel figlio che non aveva mai saputo accettare come tale.
«Mi dispiace», disse soltanto, prima di dedicargli un ultimo sguardo colmo di dolore e voltargli le spalle.
«Osi anche andartene in questo modo, dopo quel che è accaduto, tu...!»
«Fermo Loki smettila, basta!»
Thor intervenne per calmare il fratellastro, ma egli si era già accasciato per terra, ansante di rabbia.
Loki, il non amato. Loki, il maledetto.
Voci insidiose gli ronzavano in testa da molto tempo, ma in quel momento era come se fossero esplose tutte quante insieme, come se si fossero incarnate in un idolo di carne. I suoi timori trovavano finalmente conferma nelle parole di Frigga, era finita. Qualsiasi speranza di conquistare l'amore degli asgardiani era andata in frantumi.
«Loki...»
Thor gli mise una mano sulla spalla, facendo un cenno alla madre di lasciare la stanza. Frigga obbedì, ugualmente desiderosa di abbandonare quella scena pietosa. Cercando di tamponare le innumerevoli lacrime, si diresse verso la reggia, e mentre percorreva quegli ampi e sfarzosi corridoi ebbe modo di riflettere. Il destino non era certo stato generoso con lei, checché Loki la ritenesse una stupida privilegiata e manipolatrice. Non era facile, in quel frangente, ricoprire il suo ruolo. Come avrebbe dovuto agire, come madre o come regina?


«Lasciami fratello».
Loki rifiutò le premure di Thor, scacciandolo con un gesto irato della mano. Il dio allora si allontanò con il cuore in pezzi.
Guardandolo, gli ritornava alla mente il bambino che era, pieno di paure e di servilismo. Sembrava fosse sempre spaesato, anche quand'era seduto a banchetto con la sua famiglia e i suoi amici, anche quando gli organizzavano una festa a sorpresa, anche quando giocava con gli altri bambini. Ritrovava se stesso quando si immergeva nelle storie, nei libri, o quando ascoltava Frigga che gliele raccontava. Allorché gli occhi gli si accendevano di una luce nuova, e iniziavano a vagare in altri mondi.
Thor non se n'era mai accorto, era come se suo fratello fosse costantemente in esilio, anche quando sorrideva, anche quando pareva essere in pace con se stesso e con il mondo che lo circondava.
Non sapeva di aver assistito alla crescita e alla presa di consapevolezza del dio degli inganni, della sua vera natura. Perché altro non si trattava che la sua natura, era una cosa che Loki stesso non riusciva a controllare e a sottomettere, e tantomeno potevano riuscirci gli asgardiani.
«Non più lacrime per Loki, figlio di Laufey. Questa gente non le merita. Le lacrime di un dio sono preziose».
Basta mordere polvere, basta inginocchiarsi, basta subire umiliazioni e torture. Basta soffrire per Asgard e per le sue malignità.
Il ragazzo si alzò in piedi, riacquistando forza e lucidità. Mosse le dita e il collo, e sentì il sangue scorrergli nelle vene. Disegnò alcune rune a mezz'aria, liberando all'istante uno sbuffo di fumo verde che serpeggiò per un poco prima di scomparire.
Era vivo, era nel pieno delle forze, aveva il pieno controllo delle arti magiche. Ora doveva solo liberarsi di quelle catene.
«Thor, cerca di dimenticare questa parte di me».
Le sue emozioni, i suoi veri sentimenti li aveva esternati solo una volta nella sua vita, solo di fronte ad una persona.
Thor non avrebbe potuto prendere il suo posto.



*


Passò un mese.
Mani sorse e morì per trenta volte, il Naudhiz brillò incessantemente tra le altre costellazioni.
Il dio del tempo era all'opera, e la terza radice del frassino Yggdrasill continuava ad attingere alla fonte del destino.
Lì, ove non arrivava occhio di dio o di uomo, lì tra le tenebre più cupe, qualcuno si accontentava di dominare le ombre.




«Mia signora Hela...»
Ganglöt, ricurvo come uno storpio e tremante (ancora, dopo un'eternità passata a servire la dea), intraprese il discorso. La donna, se tale poteva definirsi, era intenta ad osservare i dolori e le fatiche dei prigionieri di Hel, coloro che non erano degni di vedere la luce del Valhalla. Un sorriso a dir poco malefico le attraversava la metà di faccia visibile, l'altra metà era avvolta da una costante penombra, pareva nera, carbonizzata da un'antica ustione.
«Sai benissimo che di te non mi fido. Ebbene Ganglati, che cosa c'è?»
Il povero Ganglöt deglutì, tormentandosi le mani piagate e ingiallite.
«Ganglati non è qui, mia signora. Sta obbedendo all'ultimo incarico che gli avete affidato».
La regina allora si voltò, lentamente, fissando il suo servitore con quei terrificanti occhi stretti e vuoti. I capelli le si arricciarono attorno alla testa come serpenti, il suo volto era sottile e bianco come la falce lunare, la sua sola figura sembrava personificare la morte, e tutti i mali che affliggevano il mondo.
«La... la costruzione di Naglfar è quasi ultimata, ma serviva qualcuno che supervisionasse i lavori, ricordate? E dato che di me non vi fidavate...»
Hela sciolse per un momento quella sua espressione tesa e terrificante, come se prima avesse dimenticato un particolare fondamentale. La sua risata sgraziata risuonò in tutte le sfarzose sale di Éljúðnir, smarrendo i corvi e facendo gemere le anime che subivano le sue torture.
«Certo, certo... abbiamo ricevuto traditori e assassini in abbondanza ultimamente, sarà una mia impressione o Ásaheimr e Vanaheimr hanno ricominciato a litigare?»
«Non so dirvi di Vanaheimr, però so per certo che Thor, figlio di Odino, e Loki, figlio di Laufey dei Giganti di ghiaccio sono stati esiliati qui, sulla nostra superficie! A Niflheimr!»
La dea, dalla sorpresa, lasciò cadere lo specchio che aveva in mano, il quale si frantumò ai suoi piedi. Noncurante di tagliarsi, calpestò i cocci pur di avanzare con fare stupito verso Ganglöt, come se volesse studiarlo da vicino per assicurarsi che non stesse mentendo. Le catene che le pendevano lungo le gambe nude emettevano un clangore agghiacciante, bastava da solo ad incutere timore ed ad alimentare gli strepiti dei dannati.
«Mio caro Ganglöt, ne sei proprio sicuro?» domandò, fissando con occhi perlacei il suo servitore, terrorizzato da quell'inaspettata vicinanza. «Thor e Loki a Niflheimr, Thor e Loki in esilio... ebbene, Loki non mi stupisce, dato che è mal tollerato ad Ásaheimr, questo è risaputo, ma Thor! Pensavo che dopo l'episodio su Midgard avesse imparato la lezione... a quanto pare così non è».
Le sue parole sfumarono in una risata raggelante.
Stolti dei, che si affaccendavano tanto a combattersi tra loro e ad assicurarsi una linea di discendenza incorrotta. Non avevano ancora compreso che, alla fine, lei sarebbe stata la vincitrice indiscussa di ogni battaglia.
«Dunque quel vecchio stupido di Odino si è fatto ammazzare, in un modo così deplorevole per giunta, tra le sue mura! I due principi di Asgard sono condannati, non c'è forse un collegamento tra i due fatti?» si rivolse Hela al suo servitore, mentr'ella continuava a volteggiare a mezz'aria per le lugubri sale del suo palazzo, avvolta in un'aura nera come la pece.
«E, se posso permettermi mia regina, nessuno ci ha informati della morte del grande Padre, abbiamo dovuto scoprirlo da noi...»
«Stupido!» lo rimproverò lei, alzando una mano come volesse punirlo. «I vivi non entrano con facilità ad Hel! Nessuno arriverebbe fin qui solo per recapitare un messaggio! E poi Garmr ha l'ordine di divorare i messaggeri, ricordi?»
«S-sì mia regina...»
La dea, divertita dai balbettii impauriti del suo servo, si calmò all'istante e ritirò la mano.
Amava inebriarsi del terrore che incuteva sugli altri, aveva tutte le loro vite nelle sue mani artigliate e poteva trattare a piacimento con coloro che arrivavano fin nelle profondità dell'universo per riportare alla luce i loro cari. Poteva ricattarli, proporre condizioni impossibili, alzare il prezzo ancora e ancora solo per vederli lottare e divorarsi tra loro per qualcosa che non potevano riavere indietro.
Era una sensazione di onnipotenza impagabile.
Per questo era subito stata grata ad Odino per averle conferito quel trono.
Sotto lo sguardo timoroso di
Ganglöt, si fermò presso un antica ara di marmo, nella quale crepitava un fuoco fatuo. Vi scrutò dunque all'interno come se vi leggesse antiche storie, versi di poesie arcaiche, come se attraverso quelle fiamme vi fosse una finestra sul mondo esterno.
«E poi, Loki...»
Era al corrente della sua recente impresa su Midgard finita miseramente, e si aspettava che il dio intendesse farle visita dato che era stata lei ad indirizzarlo dai Chitauri, quando era stato bandito da Ásaheimr. Eppure qualcosa sembrava frenare la sua volontà nefasta. Thor gli era accanto, Thor condivideva la sua stessa pena. Erano
vicini.
«Che cos'hai in mente, dio del chaos?»
Le fiamme rimasero silenti.



*



Sotto uno sperone di roccia e ghiaccio, al riparo dai venti e dal gelo tenace della pianura, vi era una misera costruzione di legno e ferro incassata a ridosso di una parete, sul fondo di un'ampia caverna. Una tana vulnerabile ed eretta alla meno peggio, una dimora alquanto insolita per due dei, due principi abituati all'oro e agli agi di Asgard.
Ma Loki, dei Giganti di ghiaccio, e Thor, figlio di Odino, erano avvezzi anche ad affrontare ambienti inospitali e selvaggi, non avevano ancora la tempra dei vecchi re, in loro non si era ancora estinto il fuoco della gioventù.
«Detesto Asgard».
Loki alzò la testa dal suo giaciglio, sorpreso da quell'inaspettata affermazione.
«La detesto per averti lasciato qui, a partorire tra i ghiacci».
Il dio degli inganni soffiò divertito, lasciandosi sfuggire una mezza risata.
Sfregò tra loro le mani nel tentativo di riscaldarle e gettò un'occhiata alla notte, oltre il vetro della finestra. Le stelle brillavano come pozze d'acqua, il limpido cielo artico era chiuso dal tetto nero della spelonca, e la neve continuava imperterrita a ricoprire ogni cosa.
«Thor, io ci sono nato tra i ghiacci».
La grigia terra di Niflheimr era silenziosa e bellissima, era un luogo perfetto dove morire, e sarebbe stato anche un luogo perfetto in cui nascere.


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