Fight for all you know

di Winry977
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuga ***
Capitolo 2: *** Un'altro pensiero di suicidio annientato dalla curiosità ***
Capitolo 3: *** Vigliaccheria. ***
Capitolo 4: *** Crani. ***
Capitolo 5: *** Bruciore ***
Capitolo 6: *** Corridoi desolati. ***
Capitolo 7: *** Ematoma. ***
Capitolo 8: *** Tranquillità temporanea ***
Capitolo 9: *** In preda alla foga. ***
Capitolo 10: *** Aggressività. ***
Capitolo 11: *** Imboscata ***
Capitolo 12: *** Che programmi hai? ***
Capitolo 13: *** Ogni allenamento da i suoi frutti ***
Capitolo 14: *** Non cantar mai troppo presto vittoria ***
Capitolo 15: *** Hug ***
Capitolo 16: *** Night time. ***
Capitolo 17: *** Istinti famelici incompresi ***
Capitolo 18: *** Qualcuno ti protegge da lassù ***
Capitolo 19: *** Dread-lock ***
Capitolo 20: *** Mah, uomini! ***
Capitolo 21: *** Il buongiorno si vede dal mattino ***
Capitolo 22: *** Scoperte sconcertanti ***
Capitolo 23: *** Sapore di sangue ***
Capitolo 24: *** When I hear your cries, praying for life, I will be there... ***
Capitolo 25: *** Lividi ***
Capitolo 26: *** Crisi di stanchezza ***
Capitolo 27: *** Postumi della sbornia ***
Capitolo 28: *** Rain ***
Capitolo 29: *** "Cosa?" ***
Capitolo 30: *** Abituarsi all'idea ***
Capitolo 31: *** Un sentimento di gioia sfumato. ***
Capitolo 32: *** Mi sarei mai ripresa? ***
Capitolo 33: *** Adrenalina. ***
Capitolo 34: *** Famiglia. ***



Capitolo 1
*** Fuga ***


Correvo. Correvo a più non posso. Volevo fuggire da quella realtà così crudele. Non riuscivo a credere che chi mi aveva adottata era la stessa persona che aveva ucciso i miei genitori.

Scappai da quella realtà, sbattendo la porta di casa e correndo lungo il viale con le lacrime agli occhi. Era una mistero svelato troppo crudele. Non riuscivo a crederci. Lui. Jack li aveva uccisi e poi aveva deciso di adottarmi. Mi sembrava la storia di Harry Potter con un finale diverso.

Con le lacrime agli occhi mi fermai sotto un lampione. In giro non si sentiva nemmeno un passo e l'aria per fortuna non era nemmeno troppo fredda. Avevo il timore che Jack mi avesse seguita, quindi continuai a correre. Ad un certo punto mi imbattei in un ragazzo. Beh, più che imbattermici, diciamo che ci andai a sbattere. Credo che con lui ci fossero altri ragazzi. Non appena ci andai a sbattere, caddi a terra.

-Hey tutto ok? - mi disse porgendomi una mano per rialzarmi.

Scrollai la testa a destra e a sinistra. Poi lasciai la sua mano e continuai a correre, senza mai smettere di piangere. Era una realtà troppo crudele.

-Hey! Aspetta!- mi fermò lo stesso ragazzo con cui ero andata a sbattere.

-So che non mi conosci, ma visto che piangi e che sei andata a sbattere contro di me, vorrei fare qualcosa per te per scusarmi!

-Ridammeli...- dissi piano -Ridammi i miei genitori! Aiutami a uccidere colui che li ha ammazzati! Colui che tutt'ora continua a considerarmi come una figlia e che non sa che ho appena scoperto quello che ha fatto sedici anni fa! Colui che non conosce ancora il rancore che sto provando nei suoi confronti!- urlai. “Ma perché sto urlando tutto quello che ho appena scoperto ad uno sconosciuto? Come se potesse riportare in vita i miei genitori!”

-Hey! Calma!- disse un ragazzo che era nel gruppo con quello con cui ero andata a sbattere, mettendomi una mano sulla spalla.

-Tu che vuoi?!- gli urlai contro. -Lasciami in pace!

-Andy andiamo, lasciala stare!

-No! Ho detto che voglio scusarmi in qualche modo!- poi si interruppe, guardandomi sottecchi. -Però...

-Oh, al diavolo! - E ricominciai a correre. Stavolta non ero mossa dalle lacrime, ma dalla rabbia. Decisi di tornare a casa e che ci avrei pensato dopo. Tanto, anche facendo tardi non avrei trovato nessuno a casa: Jack era fuori per “lavoro”, se lavorava davvero. Ma neanche il tempo di muovere quattro passi che venni colta da un giramento di testa. E svenni. Mentre ero svenuta dentro di me pensavo “Ecco. Se restassi per sempre svenuta su questa strada prima o poi morirei. Beh, per lo meno abbandonerei questo schifo di mondo, e farei un piacere alla gente.” Poi non riuscii neanche più a formulare un pensiero.

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Capitolo 2
*** Un'altro pensiero di suicidio annientato dalla curiosità ***


Mi risvegliai in una camera da letto. “Bene, un altro pensiero di suicidio annientato da qualcun altro. Vediamo chi è il fortunato.” pensai seccata. Mi alzai, e cominciai a vagare un po' in giro per l'appartamento in cui ero stata portata. La stanza in cui mi ero risvegliata aveva le pareti nere, alle quali erano appese foto e poster di tutti i tipi. In giro invece c'era il disordine più totale. Quando mi aggirai per la casa notai che non era poi così diversa da quella stanza, con la differenza che il colore delle pareti variava dal rosso acceso a quello scuro ad un arancio chiaro. “Di questo passo, il bagno sarà nero o di qualche altro colore lugubre. … Però mi piace.” pensai.

Quando giunsi in cucina mi accorsi che era anche quella arancione, e che al suo interno vi erano seduti cinque ragazzi seduti su un enorme divano in pelle nera. “Un divano in cucina? Ma che roba è?” mi accigliai.

-Hey ben svegliata!- esclamò uno di loro, dai capelli tutti buttati a sinistra, in modo da lasciare il lato destro scoperto.

-Certo che ti muovi parecchio nel letto mentre dormi! Mi sarò beccato almeno quattro calci stanotte!- esclamò il ragazzo contro cui avevo sbattuto la sera prima e che gli altri chiamavano “Andy”. Rimasi sbalordita.

-Stanotte?? Ho dormito qui? E con te? Oddio, scusa il disturbo!

-Ma figurati. Per lo meno mi sono riscattato. Così imparo a guardare dove metto i piedi.- disse lui ridendo. Non sapevo come assorbire quella frase: se prenderla bene o male. Decisi di non pensarci.

-Beh, dato che non ci siamo ancora presentati e che hai dormito a casa di un quasi sconosciuto, direi che dovremmo presentarci. Ciao, io sono Andrew, ma tutti mi chiamano Andy.- disse lui avvicinandosi a me e stringendomi la mano. Ne rimasi un po' interdetta, ma poi ricambiai la stretta.

-Ehm... Ciao, io sono Marina.- dissi sempre più perplessa. “Ma come? Fino a ieri sera avrei avuto la tentazione di picchiare chiunque ed ora mi ritrovo a fare la faccia dolce con un tizio a cui di notte ho mollato si e no quattro calci?” Mah.

Dal divano gli altri si presentarono.

-Heilà! Io sono Jinxx, piacere di conoscerti.

-Io sono Ashley, Ashley Purdy. Piacere! Puoi chiamarmi Ash se ti va.- esclamò il ragazzo che mi aveva parlato quando ero entrata in cucina.

Poi si alzò un ragazzo dai lunghi capelli e con una fascia che gli copriva tutta la fronte. -Ciao, io sono Christian Coma, e tutti mi chiamano CC.

-Infine, io sono Jake.- disse un altro ragazzo dall'estremità destra del divano.

-Hey, ho notato che il tuo nome non è di queste parti. Da dove vieni?- chiese Ashley, che ormai identificavo come “quello-dai-capelli-buttati-a-sinistra”.

-Veramente non lo so. Ma il nome è di origine italiana.- risposi un po' sulle mie, guardandomi i quanti di pelle che indossavo dalla sera prima. In pratica avevo dormito con tutte le scarpe. La mia perplessità continuava ad aumentare.

Mi guardai attorno, sapendo di essere osservata dagli altri. Ad una parete trovai attaccato uno strano orologio a forma di chitarra elettrica. Erano le 9 passate.

-Occavolo!- esclamai.

-Ehm.. Andy? Dov'è la mia roba? Tipo giacca e quello che c'era dentro.

-Sulla sedia accanto il tavolo, perché?

-Devo andare. Jack arriverà tra meno di un'ora, ed io devo farmi trovare a casa prima di allora. Dove siamo qui?

-In qualche isolato prima della strada in cui ci siamo scontrati.

-Perfetto. Allora ciao a tutti.- dissi avviandomi verso l'ingresso di corsa. Mi accorsi di essere in un condominio senza ascensore. “Perfetto!” pensai sempre più ansiosa. Cominciai a percorrere le scale. Scesi per sette piani di fila. Quando arrivai al piano terra mi fiondai verso l'uscita, e quando la trapassai mi sentii travolta da un'ondata di luce, che mi costrinse a chiudere gli occhi.

Quando li riaprii mi trovai davanti la casa di uno dei miei vicini di casa. “Non è possibile.” spalancai gli occhi. Mi guardai attorno. -No che non è possibile!- esclamai tra me e me. “Ora che ci penso, anche il mio condominio ha sette piani e non ha l'ascensore!” mi voltai verso il condominio dal quale ero uscita. “No. Non ci credo.” Quei cinque ragazzi vivevano sopra casa mia, e io neanche lo sapevo. Rimasi incantata, a fissare la palazzina. Poi sentii una mano adulta sulla mia spalla. “Ecco ci siamo” fu l'unico pensiero che mi trapassò le tempie.

-Marina! Che ci fai qua fuori? Va' subito dentro!

“Bentornato!” pensai mentre ci avviavamo verso l'entrata del condominio.

Quando rientrammo a casa mi accorsi che la porta era aperta, ma Jack neanche ci aveva fatto caso. Inoltre guardandomi attorno notai che era tutto come lo avevo lasciato la sera prima. Tutto in ordine, non un piatto fuori posto. Giusto per evitarmi la solita razione di rimproveri urlati.

-Bene. E' tutto in ordine.- notò Jack avviandosi verso i ripiani dove si trovavano le cose della colazione. Io non avevo fame, quindi mi sedetti solamente su una sedia, restando lì a fissare il vuoto, in stato confusionale.

Dopo un po' mi riscossi. -Hey Jack... chi ci abita al piano di sopra?- chiesi, cercando di fare sembrare quella domanda una di quelle che escono dal nulla.

-Mmm? Non lo so. Perché ci sta qualcuno?

-Non so. È che non ho mai visto scendere nessuno da lassù. Quindi mi chiedevo....

-Senti, non ci sta nessuno, che io sappia, lassù. Quindi piantala di fare domande inutili.- mi interruppe lui. “Il solito. Ma come ha fatto a volermi adottare se ora mi tratta così? Per non parlare del fatto che ha persino ucciso i miei genitori!” questo pensiero rabbioso fu l'unico che mi trapassò la mente in quel momento. Non risposi, come al solito. E mi avviai verso la mia stanza.

Lì c'erano ancora i miei “oggetti di ricerca” che nascosi subito sotto il letto, e che sostituii con i libri di scuola. Cominciai a studiare. Ormai forse mi era concesso solo quello in quella lurida casa, a parte pulire tutto “doverosamente”.

Sospirai, continuando a pensare a quei cinque ragazzi dell'appartamento di sopra. Ci sarei tornata. Sicuramente.

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Capitolo 3
*** Vigliaccheria. ***


Quel lunedì andai a scuola, con addosso una noia mortale. Non avevo voglia di nulla. Mi avviai verso la scuola lentamente. Non prendevo né l'autobus né mi facevo accompagnare in macchina. Un qualsiasi percorso dovessi fare, lo affrontavo a piedi e con le cuffie nelle orecchie.

Non appena misi piede fuori dal mio condominio avviai la riproduzione casuale dell'iPod: partì con “Living in a dream” dei Finger Eleven. “Magari vivessi davvero in un sogno...” pensai di sfuggita riflettendo sul titolo della canzone.

Camminando, rivolsi il mio sguardo sul mio vestiario, che avevo scelto senza pensarci troppo: jeans neri strappati (odiavo le gonne), maglietta a strisce nere e viola, giacca di pelle nera con svariate catene, soliti guanti di pelle nera, converse nere. Per fortuna Jack mi aveva sempre concesso di vestirmi come preferivo. Mi aveva sempre detto che il modo in cui ci si veste rappresenta l'umore o l'animo di una persona. Questa era una delle poche cose che mi diceva senza essere scontroso o urlando o altro.

Arrivata a scuola mi diressi verso il mio armadietto. Non guardavo mai in faccia chi aveva l'armadietto accanto al mio. Non guardavo in faccia nessuno. Al massimo mi guardavo intorno per identificare la mia classe o l'arrivo di qualche professore. Come al solito, mentre mi guardavo in giro, notai alcune delle mie compagne di classe guardarmi con il solito disprezzo negli occhi, che poi si girarono in un'altra direzione con aria snob quando mi accorgevo dei loro stupidi sguardi.

Preferii evitare un “fatale” scontro con loro. A parte il fatto che contro di me non avrebbero avuto alcuna speranza di sopravvivere anche ad un semplice pugno.

Mi avviai verso la mia classe, e fu proprio mentre mi ci recavo a forza di spintoni che intravidi dei visi familiari in lontananza. “Si, vabbé. Non crederò mai che vengono al mio stesso liceo.” pensai con un'ombra di dubbio.

Presi posto al mio solito banco in fondo alla classe, e cominciai a seguire le lezioni, cercando di interessarmici invano. Rimasi seduta al mio banco fino allo scadere di tutte le lezioni, tamburellando le dita sul banco, pensando a Jack e facendo disegnini a cavolo sul quaderno degli appunti. Pensavo al mio patrigno, che aveva deciso di adottarmi dopo il suo atto insano (così da me considerato) di uccidere i miei genitori. A pensarci bene, tutto combaciava: il suo atteggiamento acido e violento nei miei confronti, provocato dall'odio per i miei genitori, nato da chissà dove; il fatto che non era quasi mai a casa... mentre ero concentrata su questi pensieri, suonò l'ultima campana, che dava il permesso a noi studenti di tornarcene a casa o di partecipare ai corsi di recupero. Io mi avviai verso il mio armadietto, per recuperare le mie cose.

Mentre lo richiudevo sentii delle risate dalle mie spalle. Il solito scherno.

Cominciai a camminare lungo la strada che conduceva a casa mia, ma le risatine e i discorsetti fatti a bassa voce per non giungere alle mie orecchie continuavano. Mi ero persino tolta le cuffie. Poi mi chiamarono: -Hey Marina!

Non mi girai. Continuai a ignorarle e a camminare. Mi chiamarono più volte, con stupidi soprannomi. Poi, quando giunsi sotto casa mia decisi di continuare a camminare. E per seminarle, allungai il passo. Non volevo che scoprissero dove abitavo. Ci mancava solo che mi venissero a cercare pure a casa. Ad un certo punto mi rifugiai in un negozio di dischi. Le vidi dall'altro capo della strada. Cercai il proprietario del negozietto, Al, e gli chiesi se potevo usare l'uscita di servizio, come al solito. Ormai mi conosceva da diversi anni. Ero una cliente abituale, sia per comprare i CD e le cose che riguardavano le mie band preferite, sia per sfuggire ai bulli che mi seguivano.

-Hey, Marina! Uso la solita scusa “non ho visto entrare nessuno”?

-Ovvio! E grazie Al!

Mentre correvo verso la tendina posta su un lungo corridoio, mi scontrai contro un ragazzo. “E' diventata una cosa troppo frequente sbattere contro la gente che non guarda dove mette i piedi!” imprecai tra me e me. Alzai lo sguardo verso il ragazzo contro cui avevo sbattuto. “Non ci posso credere! E' Christian! Uno di quei ragazzi!” Rimasi un paio di secondi impalata a fissarlo, come un'imbecille. Poi sentii il campanello dell'entrata suonare, e ricaddi coi piedi per terra, rimettendomi a correre verso la porta di servizio. Per fortuna non mi avevano potuta scorgere, grazie ai tanti scaffali di CD e DVD (e tutto il resto) sparsi per il negozio.

Corsi più forte che potei, per seminare definitivamente di quelle stupide rompiscatole, e quando finalmente arrivai a casa col fiatone mi richiusi le porte del condominio alle spalle. Rimasi per qualche minuto seduta sulle scale, a riprendere fiato e a compassionarmi.

“Ma di che cosa ho paura? Le posso picchiare, minacciare, posso fare una qualsiasi cosa a quelle stupide galline insulse! E invece cosa faccio? Scappo, come una vigliacca. A cosa mi sono serviti gli anni di allenamenti con Jack allora? Per quale motivo sono cintura nera di diverse arti marziali?!” Affondai la testa tra le mani. Mi facevo schifo. Se non avevo il fegato di rispondere a loro, come avrei fatto poi con chi ci sarebbe andato più pesante? Continuai a compassionarmi e a vergognarmi di me. Poi mi venne un dubbio. “Come mai Jack si era impegnato tanto ad allenarmi nelle varie arti marziali?”. Poi mi alzai, sbuffando e rinviando quel pensiero a quando avrei avuto più informazioni sul suo conto, e cominciando a salire la lunga rampa di scale che portava alla mia porta di casa.

“La mia non è semplice vigliaccheria. E' paura. Paura di scontrarmi con gli altri. Beh. Mi farò passare questa paura, non appena mi torceranno un solo capello.” realizzai richiudendo la porta di casa, dopo aver sfilato le chiavi dalla serratura.

-Sono a casa!- urlai, aspettandomi una risposta da Jack. Niente. Il silenzio. Beh, meglio così. Appena entrata in camera mia, notai sul tavolo un biglietto. “Sei pregata di riordinare la casa e di non fare scemenze.” Grazie Jack. Vado ad occuparmene subito Jack. Però il tuo stupido bigliettino del cavolo lo butto, Jack.

 

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Capitolo 4
*** Crani. ***


Uno di quei pomeriggi, dopo aver passato la solita mattina a scuola, mi diressi verso lo studio di tatuaggi e piercing, un altro di quei pochi negozietti che frequentavo, oltre il solito supermercato. Mi ero già fatta un piercing al labbro inferiore ed un tatuaggio a forma di teschio sul braccio. Sapevo che bisognava avere un'autorizzazione di un maggiorenne per fare piercing e tatuaggi, e in qualche modo Jack, che acconsentiva a farmi fare questa roba, aveva convinto il ragazzo dei tatuaggi, Gordon, a farmeli fare senza la sua assistenza. Questa volta decisi di tatuarmi un cranio spaccato e senza mandibola, proprio accanto il teschio. Avevo questa profonda attrazione per i crani, e, non a caso, nella mia stanza, sopra il mio letto, c'era appeso proprio un cranio senza mandibola. In qualche modo mi portava fortuna.

Per concludere il mio acquisto, mi comprai anche un nuovo piercing: dal metallo più fine, rispetto quello nero che indossavo sempre, e argentato.

Uscii dallo studio di tatuaggi soddisfatta, coprendo il nuovo tatuaggio bruciante sotto la maglietta a maniche lunghe e la giacca di pelle. Indossai i guanti e le cuffie, per fare partire una nuova canzone in riproduzione casuale: “Voodoo” dei Get Scared.

Mi aggiravo tra le stradine della mia città, dirigendomi verso la mia palazzina. Erano le sette di sera, ma tutto intorno era già buio e non c'era nessuno in giro. Meglio così: più spazio per me sui marciapiedi. Mentre camminavo, vidi in lontananza i ragazzi del piano sopra il mio. Diciamo che ci incontrammo proprio davanti l'entrata del palazzo.

-Hey, ciao! Che ci fai qui?- chiese sorpreso uno dei ragazzi di cui non ricordavo il nome. Forse.. forse era Jake... o Jinxx? Mi tolsi le cuffie, riponendole, insieme l'iPod, in tasca.

Rimasi un po' sovrappensiero, cercando di ricordarmi meglio. Ah già! Lui era Jake!

Poi mi riscossi. -Eh? Oh. Io vivo qui.- risposi senza pensarci troppo.

-Tu vivi qui? E a che piano?- chiese curioso Andy, passandosi una mano tra i capelli lunghi che gli ricoprivano metà viso. La luce del lampione sopra di noi, gli schiarì gli occhi, in modo da farmi notare il loro azzurro cielo. “Wow! Che occhi!” fu l'unica esclamazione che mi passò per le tempie.

-Al sesto...- risposi io un po' sulle mie, come al solito.

-Che ne dici di mangiarti una pizza con noi? Ne abbiamo prese tre famiglia, ma da soli non sappiamo se ce la faremo a mangiarle.- propose Ashley.

-Mmm....- pensai che non sapevo se Jack sarebbe tornato quella sera, o se era già a casa. -Dipende... Facciamo una cosa. Saliamo un attimo a casa mia, anche perché devo andare a posare un mio nuovo acquisto.- dissi mostrando la bustina contenente il nuovo piercing.

-Fico! Cos'è?- Chiese incuriosito Christian.

-Un piercing per il labbro.- Risposi, tirandolo fuori dalla busta e tenendolo delicatamente sul palmo della mano.

-Fico! E' uguale a quello di Andy!- esclamò Jinxx. Mi girai a guardare Andy, cercando nell'oscurità del suo viso il suo piercing. Intravidi uno scintillio, proveniente proprio dal suo labbro inferiore: stava smuovendo il piercing dall'interno della bocca, probabilmente ci stava giocherellando con la lingua. -Beh, dai.- cambiai argomento -Saliamo?

Ci avviammo verso l'entrata, e dopo aver percorso la lunga rampa di scale, arrivammo fino alla mia porta. -Aspettate fuori... in caso, vi dico io di entrare...- dissi, socchiudendo la porta.

-Jaaack?- chiamai urlando, ma non ricevetti alcuna risposta. Feci un giro completo della casa. Non c'era. Provai a chiamarlo sul cellulare.

-Jack?

-Che c'è?

“Che bell'inizio per una conversazione al telefono!”

-Senti, ma tu torni per stasera?

-No. Ho da fare col lavoro. Tornerò tra tre giorni. Perché? Ci sono problemi a casa? E' entrato qualcuno?

-No, no. Tranquillo. Era solo che non ti avevo trovato a casa e mi chiedevo dove fossi, dato che stamattina c'eri.

-Si, si. D'accordo. Devo staccare. Se ci sono problemi chiama. E cerca di non combinare guai in casa! Ciao!- e mi chiuse in faccia. “Ma cosa sono? Una bambina?!” pensai irritata.

-Ragazzi! Potete entrare!- li chiamai urlando.

-Sicuro? E' permesso?- chiesero Ashley ed Andy entrando.

-Si, si. Tranquilli. Prego, entrate.

-Uh! Che bella casa!- esclamò Jake entrando.

Beh, non che fosse tutta questa gran cosa. Tutte le pareti erano bianche, i mobili erano per la maggior parte neri e moderni. Il soggiorno era attaccato alla cucina, ed erano divisi tra loro solo da un lungo tavolo bianco, come quello di Andy, anche se ne cambiavano alcuni particolari e le postazioni dei mobili. Poi le varie camere erano tutte divise da un piccolo corridoio. Ogni porta era di un colore bianco panna, che odiavo. E non a caso, avevo deciso di ridipingere la mia con un nero corvino.

Feci fare un giro veloce della casa ai temporanei ospiti, fermandoci un po' di più nella mia stanza.

-Questa è una gran figata! Esclamò Christian entrando, e notando subito il piccolo cranio appeso al muro.

-Certo che la tua camera si contraddistingue notevolmente rispetto tutta la casa. Le pareti sono tutte viola scuro e dappertutto ci sono appesi oggettini dark o che potrebbero ricordare l'occulto!- notò con traboccante curiosità Ashley osservando un acchiappa sogni nero sopra il mio letto. Jinxx si appoggiò all'armadio nero dall'altro capo della stanza, osservando il lampadario dal quale pendevano diversi gingilli macabri.

Sentendomi in imbarazzo di avere dei ragazzi nella mia stanza, posai rapidamente il nuovo piercing sul comò accanto il letto e li invitai ad uscire di casa per salire sopra.

Mi richiusi la porta alle spalle, dandole un giro di chiave, e facendomi scappare un sospiro di sollievo. Non so perché ma in qualche modo mi agitava avere gente in casa, per non parlare del fatto che erano entrati in camera mia, per troppo tempo. Era come se qualcosa di estraneo entrasse dentro di me e mi esaminasse con attenzione.

Notai lo sguardo accigliato di Ashley. Scossi leggermente la testa come per dire “Non è nulla”.

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Capitolo 5
*** Bruciore ***


Entrai in casa loro. Stavolta mi fece un effetto diverso, anche se non so descriverlo bene, ma mi diede un senso di conforto. Mi fecero fare il giro della casa, anche se ormai riconoscevo le varie stanze.

-Vedi, abbiamo deciso di venire qui a vivere tutti insieme, dato che non abbiamo nessun altro posto dove andare.- spiegò Ashley poco prima di entrare nella prima stanza.

Quella che mi mostrò era tutta in disordine da cima a fondo, con vestiti buttati ovunque e poster attaccati alle pareti nere. -Oddio! Jinxx! Che casino che hai lasciato!- esclamò sgranando gli occhi.

-Hey! Non si usa più chiedere “posso entrare nella tua stanza?”- lo rimproverò Jinxx sbattendo la porta, e dirigendosi verso un'altra. -E poi la tua non è tanto diversa!

Mi avvicinai a lui e trovai una situazione simile, se non peggiore. Trattenni una risata, cosa che fece pure Christian.

-E tu cosa ridi?- chiese Jinxx rivolto a Christian -Vediamo la tua, CC!- Si girò su se stesso, rivolto verso la porta di fronte quella di Ashley. La aprì e anche quella stanza si rivelò disastrosamente fuori ordine. Nel frattempo Jake ed Andy osservavano con me la scena divertiti.

Mi voltai verso di loro. -E le vostre stanze?

-Oh, le nostre hanno un particolare in più rispetto le loro.- accennò divertito Jake.

-E quale, di grazia?- chiese Jinxx curiosamente indispettito.

-Sono chiuse a chiave!- esclamarono all'unisono.

Li guardai. Guardai Jinxx, Christian ed Ashley. Poi rivolsi di nuovo il mio sguardo verso Andy e Jake. Non riuscii a trattenermi, e scoppiai a ridere. Nel giro di pochi secondi ci ritrovammo tutti stramazzati dalle risate per quella buffa situazione.

 

Tornati in salotto, presero le tre scatole di pizza e le poggiarono sul tavolino tra le poltrone. Mi accomodai sul divano nero in pelle e nello spazio di poco tempo cominciammo a mangiare. Nel mentre della cena parlammo e scherzammo, come se ci conoscessimo da una vita. Era come se fossimo tutti una famiglia, più che degli amici di vecchia data.

Quando terminammo la cena, ci lasciammo ricadere sugli schienali, completamente satolli. Rimasi a fissare il vuoto, pensando che non avevo mai fatto amicizia così in fretta in tutta la mia vita. Ero soddisfatta, ma c'era qualcosa di crudele e oscuro che frenava la mia felicità. Un dolore al braccio mi fece riscendere nel mondo terrestre: Christian mi aveva toccato nel punto in cui c'era il nuovo tatuaggio, che ovviamente bruciava ancora. Praticamente feci un salto.

-Occristo!- urlai dal dolore.

-Oh scusa! Non volevo!- si scusò Christian.

Scrutai il tatuaggio, alzando la maglietta e la canottiera nera che indossavo, una sopra l'altra. Non riuscivo a vederlo. Cavolo!

-Cos'hai sul braccio?- chiese Andy curioso.

-Un tatuaggio. Anzi due. Solo che il secondo l'ho fatto questo pomeriggio, e mi fa ancora male.- dissi io rilasciando le due magliette.

-Fico! Ce li fai vedere?- domandò Jinxx.

Ci pensai un po'. La canottiera che indossavo non era strana ed in estate la utilizzavo pure per uscire. Non avrei fatto una figura strana togliendo la maglietta.

La sfilai delicatamente, lasciando libero il braccio arrossato. Lo osservai, poi sul mio viso si disegnò una smorfia di dolore. Aveva ripreso a bruciare.

-Che figata!- esclamarono tutti insieme avvicinandosi ad osservarlo meglio.

-Però è troppo rosso!- esclamò Christian -Sicura di non volerci mettere qualcosa di fresco sopra?

-Si, solo a sfiorarlo o a soffiarci mi fa male. Quindi, preferisco non metterci nulla.

-Non ricordo che mi avessero mai fatto così male i tatuaggi.- rifletté Ashley.

-E' vero! Sarà che abbiamo la pellaccia dura!- rise Jake, scoprendo un braccio con diversi tatuaggi, azione che ripeterono gli altri.

-Ash, quello sulla pancia non ti ha fatto male?

-Si, ma non tanto.- rispose scoprendosi la pancia.

-”Outlaw”.- lessi io. -”Ricercato”? Saresti un ricercato?

Scoppiarono a ridere. -Ma no!- rispose, contagiandomi nella risata.

 

Mi guardai attorno, alla ricerca del famoso orologio a forma di chitarra. Quando lo trovai, sgranai gli occhi solo vedendo l'orario.

-Occavolo! E' mezza notte meno dieci! Domani c'è la scuola! Ragazzi, devo andare!

-Sicura? Vuoi che ti accompagno?- si offrì Andy.

-Ma no, tanto abito qua sotto!- risposi prendendo la maglietta, che avevo appoggiato sul tavolino. -Ci si vede in giro!- salutai.

-A presto, Cenerentola!- mi salutarono. Risi. Poi mi chiusi la porta alle spalle.

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Capitolo 6
*** Corridoi desolati. ***


Recandomi a scuola, il mattino dopo, incappai di nuovo nelle mie compagne di classe, ritrovandomele davanti. “Oh no! E ora come le evito? Se ci passo davanti cominceranno a tormentarmi, ma se le sto dietro faccio tardi! Devo trovare un modo per evitarle!” mi preoccupai, aumentando il volume della canzone che stavo ascoltando nell'iPod. Alla fine mi decisi ad abbassare lo sguardo e a passarci oltre.

Niente di che. Credo che avessero sparlato un po' di me, per poi scoppiare in una sprezzante risata. “Poi voglio proprio capire cosa o chi aspetto per rispondergli una buona volta!” pensai irritandomi con me stessa.

Ovviamente, nello stesso momento in cui aprii l'armadietto e mi caddero tutti i libri addosso, loro passarono, e una di loro calciò pure un mio libro dall'altra parte del corridoio. “Questo è troppo!”

-Scusa! Puoi porgermi il libro che hai calciato?- fermai con una mano la mia compagna, Rosie. Mi scostò bruscamente la mano con aria schifata. -Prenditelo da sola il tuo stupido e sudicio libro, schifo di emo!

-Emo a chi?!- cominciavo a scaldarmi.

-A te, idiota! Toglimi le mani di dosso!- disse spintonandomi. Dov'erano finiti tutti? Com'è che ora in quel corridoio c'eravamo solo io, lei e le sue stupide amichette?

-Cerchi rogna?- chiesi io scocciata, facendo un passo verso di lei. Ci guardammo dritte negli occhi, poi sul viso di lei spuntò un sorrisetto.

-Hai detto che rivuoi il tuo libro?

-Esatto- risposi con fermezza.

Lei si avvicinò al libro, lo prese e cominciò a strapparne le prime pagine. Le altre si avvicinarono e cominciarono a passarselo. Io le strappai quello che restava del libro dalle mani con un'imprecazione. Loro se lo rispresero.

-Vuoi il libro? Vieni a prendertelo, depressa del cavolo!- disse una delle più robuste spingendomi. O almeno ci provò. Io parai le sue mani grassocce, per poi farla girare su se stessa e rispedirla addosso una sua commare. Si girò, ad occhi sgranati. -Hai fegato a sfidarci. Siamo cinque contro una e persisti pure.- intervenne una delle più impiastricciate di trucco rosa. Lei si chiamava Cassie.

“Che nome odioso” pensai. Mi si avvicinarono tutte insieme. Stavolta non riuscii a parare le mani della ragazza più robusta, e mi spinse di forza contro l'armadietto di metallo, che mi provocò un dolore alla schiena tale da farmi finire a terra.

-Oh, poverina! Non riesce più a muoversi il nostro verme depresso!- scoppiarono a ridere in una risata sprezzante di nuovo. Suonò la seconda campana.

-Stavolta ti è andata bene, verme! Attenta a quello che fai!- risero allontanandosi.

Io rimasi lì, seduta con lo sguardo offuscato. Non piangevo. Ma non riuscivo a vedere nulla. Era tutto nero. Quello spintone doveva avermi proprio messa fuori uso.

Sentii dei passi avvicinarsi.

-Marina? Che ci fai lì per terra?

-Jinxx?

-Ehm, si. Non mi riconosci?

-Ho la vista offuscata. Cioè, non vedo nulla.

-Ma che ti è successo?- domandò un'altra voce preoccupata seguita da altri passi. La vista cominciò a schiarirsi, e finalmente riuscii a distinguere le facce di chi mi stava attorno. C'erano tutti e cinque: Jinxx, Jake, Christian, Ashley ed Andy. Vidi una mano accanto al mio viso. La afferrai e mi rimisi in piedi. Ma non appena mi misi in piedi avverti una fitta alla schiena, che mi fece ricurvare su me stessa. -Merd...- imprecai.

-Ma che ti prende? Che è successo?- chiese Christian in tono preoccupato.

-Nulla nulla.- Volsi lo sguardo verso il libro strappato. Mi riaddrizzai con incertezza, poi raccolsi i brandelli del libro, e li buttai nella pattumiera insieme ad esso.

-Ma che fai? Perché lo butti??- chiese incredulo Ashley.

-Non vedi? E' tutto distrutto. Non posso più studiarci. Comprerò un'altra edizione.

-Spiegami una cosa...- intervenne Andy -Spiegami perché fino a poco fa eri lì per terra che non vedevi nulla, spiegami perché ti fa male la schiena, e spiegami perché il tuo libro è così conciato.- era serissimo. I suoi splendidi occhi mi fissavano con aria quasi severa. Non so come mi intimidii, al punto che delle lacrime cominciarono a rigarmi il viso. Non risposi. Piansi e basta. Mi voltai e cominciai a correre attraverso i corridoi fino a sorpassare l'entrata della scuola. E non mi fermai un neanche un secondo, nonostante gli altri mi chiamassero ripetutamente.

Corsi a perdifiato fino casa mia. Ma non ebbi il coraggio neanche di entrarci, così mi sedetti sulle scale. La schiena mi doleva come non mai. E non riuscivo a calmarmi.

Poi, gli altri mi raggiunsero.

-Sei piccolina, ma corri come un fulmine!- commentò Jake col fiatone. Mi scappò un sorriso, ma subito venne rimpiazzato dalle lacrime.

-Mi spieghi cos'è successo?- disse Andy porgendomi un fazzoletto. -Tanto ormai non possiamo più rientrare a scuola.

Mi sfiorò la schiena con la mano, ma io emisi un “guaito” che lo fece riscuotere.

-Sei proprio messa male. Senti, saliamo sopra, così vedo cos'hai e magari ti medico o qualcosa del genere.

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Capitolo 7
*** Ematoma. ***


Con difficoltà salii le scale fino al settimo piano. Ad ogni gradino avvertivo delle fitte alla schiena.

Arrivati a casa loro, Andy mi condusse sul suo letto, e mi disse di scoprirmi la schiena. Lì per lì rimasi perplessa. Erano cinque ragazzi dopotutto! Insistette.

Accettai, ma scoprii solo la schiena, dove si scorgeva il reggiseno nero. Mantenni la maglietta sul seno, nonostante fossi sdraiata a pancia in giù.

-Quindi? Che cos'ho?

Nessuna risposta. Voltai il mio viso verso quello di Andy, e ne scorsi gli occhi sgranati e la bocca semi aperta. Gli altri non avevano un espressione migliore. Erano tutti sbalorditi.

-Si può sapere cos'ho?

-Come ti sei fatta questo enorme livido?- chiese Andy ancora sotto shock.

-O meglio, CHI te lo ha fatto?- incalzò Christian.

-Le ricopre tutta la schiena praticamente...- mormorò Jake. -Tutta. Neanche la metà. Tutta.

Ero stata sbattuta contro un armadietto di ferro, e mi era successo altre volte, ma non mi era mai capitato che mi apparisse un livido del genere. Delicatamente delle dita fredde percorsero i contorni dell'enorme “catastrofe” sulla mia schiena, per farmi rendere conto di quanto fosse esteso l'ematoma. Rimasi sopraffatta. Principalmente ricopriva la spina dorsale, poi sfumava nella gabbia toracica. Rabbrividii.

-Dobbiamo metterci una pomata, poi dovrai fasciarlo con l'aiuto di uno di noi... non credo che da sola tu possa farcela.- mormorò Jinxx. -Vado a prendere una pomata e le fasce.

-Aspetta- mormorai io dal letto. -Niente fasce. Devo riprendermi al più presto e sarebbero un impedimento per me.

-Ma...

-Dammi retta. Ho bisogno di muovermi. Piuttosto preferisco restare sdraiata fino a domani.-

“Tanto Jack non torna prima di domani sera.” pensai un po' sollevata. “almeno non mi raddoppierà la dose con un altro 'allenamento'”.

Jinxx sospirò e andò a prendere la pomata.

-Non ci hai ancora detto chi te lo ha procurato.- mi fece notare Christian. Mi rattristii.

-Ecco... Come ve lo spiego... Saranno mesi, forse anni, da quando sono entrata al liceo, se non di più che sono vista come... strana, diversa. E questo evidentemente non va a genio alla gente. Solo che all'inizio tutto si limita a parlare male alle spalle, a isolare l'interessato (cioè io in questo caso) e cose simili. Poi... Quando la suddetta vittima si stanca di sopportare e cerca di contrattaccare ottiene pessimi risultati... Come questo.- mi interruppi ripensando a tutto quello che avevo vissuto quelle prime ore della mattina.

-Oh, insomma. Sono state delle mie compagne. Ecco!- mi salì un groppo alla gola.

-Perché non hai chiesto aiuto?- domandò Jake, che doveva essersi ripreso dallo shock, nonostante fissasse ancora la mia schiena.

-Non c'era nessuno.

-Marina. Per una qualsiasi evenienza. Non esitare a chiamarci. Chiaro?- Andy mi guardava dritto negli occhi, con un'espressione concentrata. Nello stesso momento tornò Jinxx, cupo in viso.

-Ecco qui. Andy, lo fai tu, che hai la mano meno incallita e più leggera?

Annuì. Intinse le dita nella pomata, e poi le poggiò delicatamente sulla mia pelle. Tremai al suo tocco. Dopo pochi secondi, non resistetti all'impatto dei suoi polpastrelli su di me, e le lacrime ricominciarono a sgorgare dai miei occhi.

Ashley se ne accorse, e salì sul letto, accanto a me. Si mise a gambe incrociate e mi accarezzò i capelli, per calmarmi. Anche gli altri si sedettero sul letto, ma non spifferarono una parola. Loro non udivano nulla. Io mi risentivo rimbombare nelle orecchie gli insulti di un'adolescenza intera.

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Capitolo 8
*** Tranquillità temporanea ***


Rimasi a casa loro per tutto il giorno, distesa sul loro letto. A intervalli di tre ore, Andy veniva a spargermi la crema sulla schiena. Avevo bisogno di riprendermi al più presto, non volevo che se fosse successo di nuovo qualcosa io non mi sarei potuta muovere.

Verso il pomeriggio riuscii ad alzarmi. Ero sola nella stanza di Andy, quindi mi rivestii, indossando la maglietta di stoffa leggera pian piano. Uscii dalla stanza da letto e mi avviai verso il salotto, dove tutti erano seduti da qualche parte: chi sulle sedie della cucina, chi sul divano, addirittura Jake era seduto sul tappeto. Li osservai, senza che loro si accorgessero della mia presenza.

Erano cupi in volto e quasi tutti fissavano in silenzio un punto vuoto. “Che esagerazione.” pensai sorridendo.

-Mamma mia! Neanche vi fosse morto un parente! Cos'è tutta questa depressione?- esclamai io, facendoli sobbalzare.

-Marina! Che ci fai qui? Non dovresti alzarti!- si preoccupò Jinxx.

-Non mi hanno mica spaccato la schiena, è solo un livido. Riesco a stare in piedi!- poi guardai i loro visi cupi. -Si può sapere che vi prende? Neanche fosse successo a voi! Sto bene!

Andy si girò verso di me, dalla sua posizione sul divano. Mi osservò con aria preoccupata e subito si alzò, avanzando verso di me. Si fermò ad un soffio da me, e mi abbracciò, avvolgendo le sue braccia attorno le mie spalle, che non erano lesionate. Rimasi interdetta, poi ricambiai l'abbraccio un po' accigliata.

-Non hai idea di quanto siamo preoccupati per te. Vederti in piedi, che cammini, è un enorme sollievo per noi.

 

Quel pomeriggio decisi che sarei tornata a casa, ma gli altri non si decidevano a lasciarmi andare. Li Convinsi che me la sarei cavata restando tutta la serata a letto, fino il giorno dopo. E così feci: passai ore ad ascoltare la riproduzione casuale dal mio iPod e a leggere libri. Nulla di che in pratica. Decisi che il giorno dopo sarei andata a scuola con la schiena fasciata, per evitare di patire troppo il dolore. Trascorsi i giorni seguenti senza troppe problematiche: mi guardavo bene dall'incontrare di nuovo le mie compagne di classe, almeno finché l'ematoma sulla mia schiena non sarebbe scomparso totalmente; quindi, se mi capitava di trovarmele davanti mi affrettavo a scomparire. Credo che lo avessero notato, perché una volta, incrociandoci per i corridoi Rosie mi sussurrò in un orecchio -Fai bene a non intralciarci. Brava, continua così, depressa.- Non risposi solo perché l'ematoma non era svanito ancora e perché non era sola. Avevo imparato parecchio dall'ultima volta: se girano tutte insieme e tu sei da sola, limitati a startene quieta.

Jack aveva ritardato di un giorno il suo arrivo, ed io mi affrettai a fargli trovare la casa perfetta, per non farlo innervosire. Ormai sapevo come si “sfogava” quando si arrabbiava.

Nonostante fosse tornato da diversi giorni, continuava a non darmi attenzioni e a ignorare ogni parola che gli rivolgessi. Era come se non fosse mai tornato.

 

Una domenica in cui ci trovavamo entrambi a casa, dopo aver constatato che l'ematoma era quasi svanito, decisi di uscire per schiarirmi un po' le idee. E avvertii Jack della mia uscita.

-Dove vai?- era la prima frase che mi rivolgeva da quando era tornato.

-In giro, vado a sgranchirmi le gambe.

-No.

-Perché?

-Ti ho detto di no!- urlò alzandosi

-Ma...

-Ti ho detto che non vai da nessuna parte!- si avvicinò a me. Io stavo per riaprire la bocca per parlare, ma lui mi bloccò subito con uno schiaffo. -Non voglio sentire obiezioni, chiaro?!- mi fissò negli occhi. Io sentii un forte dolore al labbro inferiore. Io ricambiai il suo sguardo, con la differenza che il mio era leggermente più intimorito. Girò su se stesso e si diresse nel suo studio, sbattendo la porta.

Corsi in bagno. Aprii la bocca e ne uscì una grande quantità di sangue. Provai a fare degli sciacqui per bloccare quella piccola emorragia e riuscii a fermarla dopo un quarto d'ora. Il labbro mi doleva, e io non riuscivo a farci nulla. Dovetti restare con le labbra mezze socchiuse per non patire troppo il dolore. Qualche ora dopo Jack entrò in camera mia con una tale energia che la porta sbattè contro il muro.

-Parto. Vado all'estero per qualche tempo. Tornerò tra due settimane. Sai cosa fare e cosa non, durante la mia assenza. Non mi guardare con quella faccia da stupida!- mi fissava con irritazione, io mi limitai ad annuire, cercando di assumere un'altra espressione (che poi, chissà che faccia avevo in quel momento). -Bene. Me ne vado.- disse dopo un po'. Era la sua forma di saluto, dire un semplice “Me ne vado”. Non appena chiuse la porta, corsi ad affacciarmi alla finestra del salotto, per osservarlo. Aspettava un taxi e si guardava intorno con fare nervoso. Un bruciore mi colse al labbro nello stesso momento in cui un taxi si fermò davanti a lui. Vi entrò e si diresse verso l'aeroporto.

Richiusi la finestra e mi guardai attorno. La casa era tutta “linda e pinta” grazie al mio intervento giornaliero. Dalla mia stanza si udiva il CD di Marilyn Manson che ricominciava da capo.

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Capitolo 9
*** In preda alla foga. ***


La mattina dopo la partenza di Jack, prima di andare a scuola controllai l'ematoma sulla schiena. Finalmente era sparito completamente. “Era ora! Oggi riprendo gli allenamenti!” pensai aprendo le ante del mio armadio e osservando il mio kimono da karate, con la cintura nera sopra di esso.

“Ridicolo no?” pensai con un sorrisetto stampato in faccia “Sono cintura nera di karate e non riesco a difendermi da una tipa grassoccia. Devo riabilitarmi. Oggi mi informerò sulle gare organizzate da queste parti e mi allenerò sulla terrazza della palazzina.” Richiusi l'armadio e, indossando cuffie e guanti di pelle mi avviai verso la scuola.

Al mio arrivo mi accorsi di qualcosa di negativo nell'aria. Era come se l'odio delle studenti che settimane prima mi avevano sbattuto contro l'armadietto si fosse diffuso tra gli altri studenti. Fino a quel momento tutti mi avevano ignorata.

Arrivai al mio armadietto, ma anziché aprirlo rimasi a fissarlo ad occhi sgranati. Sulla superficie della sua anta erano attaccati fogli con insulti di vario genere. Li lessi tutti, per poi affrettarmi a strapparli e buttarli. Mi guardai attorno, ma tutti percorrevano la loro strada come se niente fosse, e non si vedevano neanche le mie compagne.

Alla fine mi decisi a recuperare i miei libri e a dirigermi in classe.

Durante la terza ora di scienze, Rosie mi passò un fogliettino. “EMO”. Lo fissai per un po'. Poi le scrissi una risposta. “MUORI”. Glielo riporsi, e quando lo lesse restò così scioccata che lo accartocciò con una sola mano. Sapevo che quella era stata una sorta di condanna, e quando suonò la campana dell'ultima ora, raccolsi freneticamente le mie cose e scomparsi dalla scuola.

Correndo arrivai fino la mia palazzina, corsi su per i sei piani di scale e mi chiusi la porta alle spalle. Poi mi piegai su me stessa per riprendere fiato. Mi venne un dubbio. Corsi alla finestra del salotto, e mi ci affacciai pian piano per scorgere se tra i passanti c'era Rosie o qualcuna delle sue amichette. Nessuno. “ Beh, pericolo scampato... per ora...”. Mi avviai verso la mia stanza, per lasciarmi andare distrutta sul letto. Avviai l'iPod: “Cut off your hands” dei Fit For Rivals.

Quella canzone mi fece ricordare che dovevo informarmi per le gare di arti marziali nei dintorni della mia città, e che dovevo allenarmi al più presto.

Accesi il PC portatile e mi accinsi a ricercare ciò che mi interessava.

-Bingo!- esclamai dopo mezzora. Trovai una gara che si sarebbe svolta quella stessa domenica in una palestra nelle vicinanze del negozio di CD. -Perfetto! Ora mi devo solo allenare.- conclusi compilando l'iscrizione alla gara da Internet. Non appena finii, indossai subito il mio karateji (kimono per fare karate) e mi diressi verso la rampa di scale che portava al terrazzo, lasciando il pc acceso. Appena aprii la porta mi trovai ad osservare tutta la città illuminata. Era ormai buio, ma per me era meglio, almeno non mi avrebbe vista nessuno.

Cominciai a riscaldarmi per poi cominciare a mettere in pratica le varie tecniche di difesa e di attacco. Ricordai di aver lasciato un sacco da boxe accanto la porta, quindi lo spostai più a lato del muro e indossai i guantoni e cominciai a combatterci contro. Poi, con una leggera noia decisi di togliermi i guanti e di procedere senza di essi. Avrei dato sfogo a me stessa e a tutto quello di cui non riuscivo a liberarmi interiormente.

Dopo un po' il sacco cadde a terra, ma io, in preda alla foga, lo ignorai e continuai a picchiare il muro. Ero arrabbiata con me stessa. E non poco. Ero arrabbiata con me, con le mie compagne, con coloro che mi odiavano senza motivo, con Jack per il suo modo di trattarmi e per quello che aveva fatto... Pensieri su pensieri mi si riversavano addosso come una cascata; ed ero così presa che non mi ero accorta neanche della presenza di altre persone giunte lassù.

-Ehi Marina! Che ci fai qui a quest'ora?- Mi fermai al suono della voce di Jake. Mi voltai, tutta sudata ad osservare lui e gli altri ragazzi che mi fissavano al buio. Avevo il fiatone e non riuscivo a vedere bene a causa della luce che avevano appena acceso.

-Oh. Ciao ragazzi.- dissi col fiato corto.

-Guarda che Carnevale non è ancora arrivato!- scherzò Christian.

Risi. -Non è un travestimento. E' un'uniforme. Mi stavo allenando.

-Quindi ti sei ripresa completamente? E' da parecchio che non ti si vede in giro. Neanche a scuola ti abbiamo intravista.- commentò Ashley un po' deluso.

-Scusate. Di recente sono stata abbastanza occupata.- poi mi fermai a pensare, asciugandomi il sudore con la manica del karateji. -Facciamo così. Quando notate che non mi faccio vedere in giro, ipotizzate che: o sono occupata con Jack (il mio patrigno) o sono nei guai o cerco di evitare chi può causarmeli. E di recente sono stata abbastanza occupata in quest'ultima cosa. Anche se... ora mi sto impegnando a TOGLIERMI dai guai.- spiegai.

-E come ti toglieresti dai guai?- domandò incuriosito Jinxx.

-Mi alleno.- risposi semplicemente.

-Ehm... spiegati meglio. Che tipo di allenamento?

-Pratico il karate, la boxe e altre arti marziali simili. E in tutte sono cintura nera. Solo che... Non riesco a metterle in pratica con chi mi infastidisce.- “Jack mi darebbe un pugno allo stomaco se lo scoprisse. Mi direbbe che non ho uno schifo di onore. Oppure si limiterebbe a riempirmi di botte per farmelo capire” pensai tristemente.

Cambiai argomento: -Ma come mai siete qui?

-Beh, Andy voleva fumarsi una sigaretta, e io ho sentito un tonfo provenire da quassù. Quindi siamo saliti tutti qui.- rispose Ashley. -Comunque. Hai detto che sei cintura nera? E' fantastico! Certo, bisogna fare attenzione a non farti arrabbiare sul serio, se no chissà chi ammazzi!-

Sorrisi, ma sapevo che non avevo mai “ammazzato” nessuno neanche in preda a una crisi di nervi, a parte prima di entrare al liceo, quando alle medie mi “temevano” abbastanza studenti. “Bei tempi quelli” sospirai.

-Beh scusate il casino. Ora... Credo che andrò a cambiarmi.- dissi in imbarazzo per essermi fatta trovare in divisa.

-Aspetta! Possiamo scendere con te? Non abbiamo nulla da fare!

Ci pensai un po'. Acconsentii.

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Capitolo 10
*** Aggressività. ***


Entrammo a casa mia, e senza troppe problematiche li feci entrare in camera mia. In quel momento non mi era nemmeno passata per la testa la “vergogna” dell'ultima volta. Dissi di aspettare e mi feci una rapida doccia di cinque minuti. Tornai subito indossando una semplice canottiera viola con delle spalline finissime, sorretta al petto da un elastico che poi rilasciava il tessuto svolazzante, e con dei jeans lunghi e neri.

Rientrai in camera mia con un asciugamano tra i capelli bagnati, e li trovai ancora intenti ad osservare i particolari della mia stanza. Sorrisi. Sembrava di vedere cinque ragazzini in un museo, tutti attenti a cosa li circondava. Mi tolsi l'asciugamano dai capelli e la poggiai sulla sedia accostata alla scrivania, lasciando ricadere i lunghi capelli bagnati sulle spalle umide.

-Mi sono sempre piaciuti i tuoi capelli neri.- commentò Jinxx passandoci le dita come se fossero un arpa. -Ma li lasci asciugare così? Senza phon?

Annuii. Se mi fossi messa con l'asciugacapelli non avrei mai finito di sistemarli. Preferivo lasciarli arricciare col calore della casa. Mi lasciai cadere sul letto, spargendo i capelli sul cuscino, che nello spazio di pochi secondi cominciò ad inumidirsi.

Ashley mi si avvicinò e si sedette accanto al mio fianco. Lo guardai, e, non so come, mi venne da ridere.

-Che c'è?- rise anche lui.

-Non lo so! Hai una faccia mezza incantata!- scoppiai a ridere, insieme agli altri.

-Oddio, sono distrutta! Non mi ero mai sfogata così tanto con il sacco da boxe!- sospirai poco dopo essermi calmata, ed esserci sistemati meglio in cucina, dove avevo cominciato a cucinare qualcosa per tutti.

-Ehm... veramente non avevi il sacco da boxe... sai com'è... era per terra.- mi fece notare Christian.-Ma non ti facevi male alle mani?

Mi girai nella sua direzione, osservandomi le nocche. Diamine. Avevano sanguinato e non me ne ero nemmeno accorta. Mi sbattei una mano sulla fronte.

-Appunto!- esclamò Jake, avvicinandosi e prendendomi una mano. -Ma te ne eri resa conto almeno? Dai! Guarda come sono combinate!-

-Diciamo pure che non ero in me...- sospirai girandomi verso i fornelli.

 

Dopo mangiato decisi di indossare il nuovo piercing, che avevo comprato settimane prima, e che non avevo ancora toccato. Indugiai nell'indossarlo, dato che il labbro inferiore mi doleva ancora dal sanguinamento precedente.

Nel frattempo gli altri si erano stabiliti in soggiorno, ed io li raggiunsi. Mi lasciai ricadere sul divano, ascoltando ciò di cui stavano parlando.

-Vedi, io penso che dovremmo creare un brano. Qualcosa che sproni noi adolescenti in crisi a non arrenderci davanti i bugiardi o chi ci ferisce!- propose Jinxx.

-Ma è una cosa troppo tenera! Se deve spronare gli adolescenti in crisi deve essere aggressiva anche!- commentò Andy.

-E chi ha detto che non deve essere aggressiva? Marina, tu ti sentiresti spronata nell'udire una canzone aggressiva il cui testo, però, è anticonformista e di ribellione?- si voltò Jinxx nella mia direzione.

-Perché no? Considerato che il brano è aggressivo e che a me piace quel genere di musica, potrebbe spronarmi eccome! Ma... fatemi capire una cosa. Voi componete musica?

Ashley annuì.

-Questa è una gran figata! Quando comporrete questo brano lo voglio sentire a tutti i costi!- esclamai entusiasta e fulminata allo stesso tempo.

Christian mi sorrise.

 

Dopo un po' che parlavamo, Andy cambiò letteralmente faccia. Quasi quasi sbiancava. Mi si avvicinò freneticamente, e si sedette accanto a me.

-Marina. Perché hai il labbro gonfio?

“Ma che cazz...? Come se n'è accorto?” abbassai lo sguardo. Mi vergognavo solo all'idea di parlare di una violenza subita da quell'idiota del mio patrigno. Non era un argomento facile da esporre.

Jake era seduto al lato opposto di Andy, e si girò ad osservarmi.

Ashley mi si parò davanti, osservandomi in tutti i particolari. Mi sentii avvampare le guance. “Ma che situazione!” pensai girando il viso. Ashley lo rigirò verso il suo, e con un dito mi abbassò il labbro inferiore verso il basso, scoprendo la ferita provocata dal ceffone di Jack.

-Non solo è gonfio. All'interno c'è pure una ferita...- mormorò Christian da sopra Ashley, che scostò il dito dal labbro.

Andy girò il mio viso verso di lui, ed allo stesso tempo, io abbassai gli occhi.

“Ho sempre sperato che chi mi stesse attorno non si accorgesse della sua violenza. E guarda un po'? Giusto loro se ne sono accorti.” pensai sentendo un groppo salirmi in gola.

-Marina. Dì qualcosa.- Ecco. Al top del top, mi scese una lacrima, che andò a finire sulla mano calda di Andy.

-E'.... stata... un'idiozia.- balbettai, cercando di calmarmi, mentre le lacrime scendevano da sole. “Ma come, non ho pianto quando mi ha mollato il ceffone, ed ora si? Sarà che ora brucia più di prima” il bruciore aumentò quando una lacrima vi cadde sopra, ed una goccia di sangue mi cadde su una mano.

-Si è riaperta la ferita...- mormorai, ma non mi mossi per metterci sopra del ghiaccio.

-Marina...- mi chiamò Ashley. -Ti prego, spiegaci cos'è successo. Forse potremmo aiutarti.- disse tamponando delicatamente il labbro, dal quale sgorgava pian pian il sangue.

-E' pazzesco.- dissi io senza pensarci troppo, in un momento in cui mi ero calmata. -Un solo schiaffo mi ha procurato questo... uno solo.

Christian sgranò gli occhi insieme a Jake, ed insieme domandarono: -Chi ti ha dato uno schiaffo?

Le lacrime ripresero a rigarmi il viso, e con esse il sangue. -Jack...- mormorai con un filo di voce.

-Stai scherzando, vero?- disse Andy. -Mi stai dicendo che il tuo patrigno ti ha mollato un ceffone??

Annuii.

-Ma perché?!- esclamò Jake. -Perché? A che scopo?

-E io che ne so!- esclamai scoppiando in una crisi di pianto. -Non lo so! Avevo solo detto che stavo uscendo e dopo avermelo negato mi ha mollato un ceffone, che mi ha causato questo!- Indicai il labbro gonfio e rosso.

-E' assurdo.- disse Jinxx. -Assurdo.

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Capitolo 11
*** Imboscata ***


Nei giorni seguenti pregai Andy e gli altri di non fare nulla riguardo il mio stupido labbro gonfio. Andy mi fece quasi un interrogatorio, chiedendomi se cose del genere erano già successe in precedenza, ma la cosa non fece altro che mettermi a disagio, così mi promise che anche in presenza del mio patrigno -se lo avesse mai incontrato- non avrebbe detto nulla, limitandosi al silenzio; tale promessa fu poi confermata anche dagli altri ragazzi, anche se a disagio.

Tutta quella storia mi aveva alterata emotivamente, al punto che i miei allenamenti sul terrazzo divennero sempre più frequenti. Da una parte erano positivi, perché qualora qualche bullo avesse provato ad alzarmi le mani, io sarei stata in grado di metterlo a tappeto. Dall'altra parte però mi innervosivo sempre di più, all'idea di quanto Jack approfittasse di me. Era un pensiero che aveva ripreso a perseguitarmi dalla sera in cui era stata scoperta la mia ferita.

 

Qualche giorno dopo quella fatidica sera, a scuola riscontrai qualcuno di peggiore delle mie compagne/galline. Jeff, un bullo noto in tutta la scuola, che però aveva la sua cerchia di compari che lo seguivano ovunque. Contro di lui non avrei avuto alcuno speranza di combattimento. O almeno, l'avrei avuta se mi fossi ritrovata da sola con lui. Non a caso si era portato con sé non solo due dei suoi compagni, ma anche altre due delle mie compagne, ovviamente tra queste c'era la ragazza grassoccia che mi aveva rovinato la schiena per non so quanto tempo e Rosie, che era rimasta troppo sconcertata dal mio augurio di morte per non vendicarsi.

Ovviamente ogni volta che questi fatti succedevano in giro non c'era mai nessuno. “Chissà come mai, eh?” pensai io preoccupandomi quando li vidi di sbieco avvicinarsi verso di me.

Jeff mi fece girare verso la sua direzione, visto che gli davo le spalle. “Bene ci siamo. Vediamo che succederà questa volta” pensai ricordando uno degli insegnamenti di base di Jack. Mi aveva sempre detto che se i miei avversari fossero stati più di due la mia unica speranza sarebbe stata quella di fuggire. Logicamente mi avevano attorniata contro il mio armadietto, impedendomi la fuga tanto desiderata.

-Mi hanno detto che hai augurato la morte alla mia amica, dopo che lei ti avesse raccomandato di non starle tra i piedi. E' così?-

-Non devo spiegazioni a nessuno, chiaro?- dissi io tranquillamente. -E di certo non a te. Non sei mica suo padre o un prof che viene a rimproverarmi.

Jeff si appoggiò col gomito alla superficie fredda di un anta, con un sorrisetto malefico stampato su quella faccia da idiota che si ritrovava. -Vedi, è questo il bello. Non sono né suo padre né un prof, ma lei mi è venuta a chiedere aiuto, ed io sono accorso da lei.- tornò serio. -Mi sorprende che tu sia così tranquilla alla mia presenza. Dovresti aver timore di me, considerato che non mi ferma niente dal farti male.- indietreggiai, ma la mia schiena entrò a contatto con due corpi, che mi spinsero avanti, facendomi finire addosso a Jeff. Mi scostai all'instante da lui, ma lui mi tirò per un braccio verso di lui, e sbattendomi contro i vari armadietti, tenendomi per i capelli.

-Se ti pesco ad infastidire di nuovo la mia amica, saranno cavoli per te. Tutto chiaro?

Sulla mia faccia si disegnò un espressione di disprezzo, nonostante le lacrime mi rigavano il viso a causa del dolore provocato dalla cute (Jeff tirava i capelli ancora con forza). Notai dietro di lui che i suoi compari si erano leggermente allontanati, ed io ne approfittai per mettere in atto la mia fuga.

Mollai una ginocchiata nello stomaco a Jeff, il quale si piegò in due, lasciando andare i miei capelli. Non persi tempo, feci cadere con uno spintone le due ragazze che mi erano venute incontro vedendomi all'attacco, e corsi verso l'uscita della scuola. Sentivo che i due bulli che erano con Jeff si misero a corrermi dietro, ma io, più veloce di loro, percorsi in tutta fretta la strada che portava al negozio di CD, fiondandomici dentro e senza dire una sillaba ad Al, che mi capiva al volo in queste situazioni, mi diressi verso la porta di servizio. Sempre correndo ritornai sulla mia strada, arrivando alla mia palazzina; ed entrandoci giurai che per quella giornata non avrei più messo piede fuori.

 

Nei giorni che seguirono incontrai di nuovo Jeff e gli altri quattro, e nuovamente quella scena si ripeté finché una volta lui non mi tese un'imboscata diversa. Come sempre mi bloccò in un momento in cui in giro non c'era nessuno, e stavolta mi tenne ferma tramite i suoi due compari, i quali mi si misero dietro e mi bloccarono le braccia. Non ci fu il solito gioco di parole. Fu una cosa molto più veloce di quanto pensassi. Non ebbi il tempo di nulla perché nel giro di qualche secondo si susseguirono tre ginocchiate sul mio stomaco. Tre. Da parte di Rosie, la sua stupida amica in sovrappeso e di Jeff, che non si fece alcuno scrupolo nei miei confronti. Mi lasciarono cadere sul pavimento, piegata in due, senza respiro e a sputare sangue. Prima di andarsene Rosie mi sussurrò nell'orecchio una frase carica di sdegno e divertimento insieme. -Ti avevo avvertita. Ce la puoi fare solo un paio di volte, ma poi non hai alcuna speranza di vincere contro di noi. Ti porgo un altro avvertimento, cara stracciona depressa. Sta' attenta a non intralciarmi nuovamente, o questi tre calci diventeranno il loro doppio.- e mi mollò un ultimo calcio, per poi allontanarsi, avvinghiandosi al braccio di Jeff.

Avrei voluto rimettermi in piedi, ma era impossibile. Tre ginocchiate nello stomaco non erano una cosa da niente, quindi rimasi lì, per terra, in ginocchio con la schiena piegata e la testa sporta in avanti, con il mento gocciolante di sangue, che sporcava il pavimento ininterrottamente.

Udii dei passi.

-Ma cos'è successo qui?

-Chr... Chris... Christian...- mormorai io. -Aiutam...i...- la pancia mi doleva, e a ogni parola rigurgitavo sangue. L'ultimo calcio era stato il mio colpo di grazia.

-Cristo! Marina! Che ti hanno fatto?! Presto chiama un ambulanza, Jake!

Allungai una mano su di lui e lo avvicinai a me. -N... No. Niente ambul...anza. Portami a cas...a.- Non riuscivo a credere di essere riuscita a formare una frase completa.

-Come diavolo ti portiamo a casa in condizioni del genere?!- Ashley mi si era accucciato accanto, e aveva preso a tamponarmi il mento sporco di sangue.

Ansimante e tremante allo stesso tempo riuscii a mettermi in piedi, ma neanche il tempo di appoggiarmi agli armadietti a schiera che ricominciai a sputare sangue e mi dovetti ripiegare in due.

“Che la sventura ti perseguiti, Rosie!” imprecai tra me e me.

Senza troppe parole Jinxx mi sollevò da terra tenendomi sulla schiena e mi portò a casa loro a piedi, senza spifferare una parola. Giunti a casa loro, mi fecero sedere sul loro divano in pelle nera, porgendomi fazzoletti ogni volta che mi veniva da tossire sangue.

-Sarà un'emorragia interna secondo voi?- chiese preoccupato Ashley.

-Potrebbe essere. Ma consideriamo che sta perdendo molto meno sangue rispetto a quando l'abbiamo trovata. Quindi penso che tra poco passerà.- commentò Andy, seduto accanto a me, massaggiandomi la schiena ancora piegata verso le ginocchia.

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Capitolo 12
*** Che programmi hai? ***


La fuoriuscita di sangue si bloccò un'ora dopo. Quando riuscii a riprendermi Ashley mi chiese da cosa fosse scaturita quella perdita di sangue. Non ci volle molto perché gli spiegassi cos'era successo.

-Marina...-cominciò Andy -Perché non ci hai chiesto aiuto?

-...

-Marina...

-Perché non voglio che ci entrate a fare parte anche voi. Non ne avreste alcun motivo.- detto questo mi alzai in piedi. Un'ondata di odio nei miei stessi confronti mi si riversò addosso, e mi spinse fino al piano di sotto, a casa mia, nonostante gli altri mi perseguitassero implorandomi di stare ferma e di non fare sforzi. Tutto invano. Ero mossa dalla foga di allenarmi. Mi diressi in bagno col mio karateji e ne uscii indossandolo.

-Stai scherzando spero!- esclamò Christian. -Vuoi andare ad allenarti?! Dopo lo shock fisico che hai subito?!

-Esatto!

-Ma non se ne parla minimamente!- ribatté Jinxx. -Fino un'ora fa sputavi sangue ed ora vorresti salire sopra ad allenarti?!

-Precisamente! Non lo faccio mica per masochismo! E' una questione a cui voglio porre fine!

-Ma non ce la farai mai a combattere contro cinque persone! Che speranze hai?- esclamò Andy. Le sue parole mi bloccarono. “Diamine, ha ragione.”

-Come puoi combattere da sola contro cinque bulli? Come? Posso capire uno, due se ci sei già riuscita, ma cinque sono troppi per te!

Abbassai lo sguardo. “Sono un'idiota. Da dove mi spunta l'idea di mettermi contro cinque persone? Tanto vale affrontarle tutte separatamente”. Tornai in bagno per sfilarmi di dosso la divisa e riuscii con addosso gli abiti di prima.

Jake sospirò. -Le è tornato il buonsenso.

Mi portai una mano alla bocca e, tossendo, me la ritrovai coperta di sangue.

 

Nei giorni seguenti non feci altro che ignorare costantemente Jeff, Rosie e tutto il resto della banda, mi prendevano in giro in tutti i modi. Qualche volta si fermarono pure a insultarmi a squarciagola per i corridoi. Umiliazioni su umiliazioni. E io passavo i miei pomeriggi in terrazzo a riempire di pugni il muro e a scorticarmi le nocche. Uno di quei pomeriggi salì Andy in terrazzo, senza che però me ne accorgessi. Era quasi sera, quindi eravamo in pieno crepuscolo. Io ero intenta a legarmi i capelli per poi ricominciare la mia guerra contro il muro. Continuai senza interruzioni, finché non sentii un colpo di tosse. Mi girai di scatto.

-Andy? Che ci fai qui?

-Diciamo che sono giorni che sento questa porta aprirsi e chiudersi, e mi chiedevo chi ci venisse quassù per più di quattro ore filate.- sorrise, accendendosi una sigaretta. -Non ti dai per vinta, eh? Che programmi hai?

-In che senso?

-Cosa vorresti fare con quei bulli?

-Progettavo di sottoporli alle torture cinesi, seguite dalla castrazione e da una morte lenta, ma preferisco buttarmi su qualcosa che non mi porterebbe alla prigionia.

-Tipo?

-Non lo so. Per ora mi sfogo soltanto. E per oggi direi che ho finito. Mi passi quelle fasce, per favore?

Andy mi porse delle fasce che utilizzavo per coprire le ferite sulle mani causate dal muro ruvido; e le avvolsi attorno le nocche.

-Capisco la rabbia, ma perché rovinarsi la pelle?- osservò premuroso.

-Non so. Mi sembra di picchiare i bulli che mi tormentano. Che dici scendiamo sotto?

Annuì.

-Senti... stasera usciamo a farci un giro, ti va di unirti a noi?

Ci pensai un po'. -Per che ora?

-Tra un'ora e mezza.

-Andata.

-Perfetto!- gli spuntò un enorme sorriso sulla faccia. -Allora ti passiamo a chiamare noi. A tra poco! Ed entrò in casa sua.

 

Per la serata scelsi un abbigliamento dark che comprendeva dei pantacollant neri, con sopra dei pantaloncini in jeans strappati con delle catene pendenti dalla vita, una maglietta nera mono-spalla e degli scalda muscoli per le braccia pieni di fibbie. Giusto per metterci qualcosa in più, indossai anche una collana col ciondolo a forma di croce (nera) dagli angoli biforcuti. Piastrai persino i capelli. Nello stesso momento in cui spensi la piastra e mi guardavo allo specchio per sistemarmi meglio il trucco, suonarono alla porta.

-Wow! Stile darkettone stasera, eh? Sei strafiga!- esclamò Christian quando aprii la porta.

Risi, richiudendomi la porta alle spalle.

-Beh? Dove andiamo?- notai lo sguardo di Andy, che era come incantato a guardarmi. -Ehi? Andy? Ci sei? Sei ancora su questo pianeta?- scherzai io sventolandogli una mano davanti gli occhi e facendolo riscendere nel mondo di noi comuni terrestri.

-Che ne dite di andare da Al?

-Al? Il negoziante di CD? E a fare che?

-Non lo sai? Prima della porta di servizio c'è un piccolo locale che lui ha trasformato in un bar, anche se fa pure panini e cose simili. E di sera mette pure un sottofondo musicale, nella maggior parte di genere metal.

-Strafico! Non lo sapevo! Beh allora andiamoci!- esclamai io entusiasta.

Arrivati lì ci accorgemmo di quanta poca gente ci fosse, o meglio, me ne accorsi solo io, dato che gli altri non ci facevano neanche caso. Al era dietro il tavolino del bar e ci offrì dei cocktail.

-Ehi, Al. Come mai c'è così poca gente?-chiesi curiosa

-Beh, è un posto esclusivo. E' per i clienti che vengono spesso da me e che apprezzano il metal, come voi. Agli altri non concedo di entrare qui dentro. E poi, chi sta qua è gente pacifica e che non procura danni. Per esempio, quel ragazzo vicino il juke-box è uno studente di un liceo artistico qui vicino. Lui non solo apprezza il metal, ma anche lo screamo, che, per carità, è un genere che spacca, ma io non riesco ad apprezzarlo come si deve.

-Che figata!- immaginai di tornare qualche altra sera da Al, anche da sola, e di poter conoscere gente dai miei stessi gusti musicali.

-Ehi ragazzi! Che ne dite di qualcosa di Punk? O magari di un Marilyn Manson?- propose Al spostandosi verso lo stereo.

-Marilyn! Metti Marilyn Manson!- esclamai io avvicinandomi verso di lui. -“Born Villain”!-

-Ehi, non sapevo che ti piacesse!- esclamò Ashley da dietro le mie spalle.

-Si! Adoro la sua voce. E per quanto possa sembrare aggressiva mi ispira davvero!- spiegai entusiasta.

 

Passammo la serata a scherzare e a parlare di musica tra noi. Quando tornai a casa ero distrutta, e solo quando mi chiusi la porta alle spalle realizzai che il giorno dopo Jack sarebbe tornato a casa.

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Capitolo 13
*** Ogni allenamento da i suoi frutti ***


Il giorno dopo, Jack tornò a casa verso la metà del pomeriggio. Mi accorsi della sua presenza grazie alla sua “delicatezza” nello sbattere la porta di casa.

-Marina!- urlò il mio nome, ed io accorsi a lui immediatamente.

-Dimmi.

-Ho bisogno di allenarmi. Indossa il tuo karateji e saliamo sopra. Ti voglio pronta sopra tra tre minuti.

Corsi a prepararmi. Da una parte ero perplessa, dall'altra felice di potermi scontrare contro di lui: mi sarei migliorata, nonostante lui avrebbe avuto la meglio su di me. Mi infilai la divisa e corsi in terrazzo, dove lui mi attendeva. Con le spalle rivolte verso la porta, osservava la città che si stava accendendo di luci. Mi sfilai le scarpe, che mi sarebbero state di ingombro, e lo attesi. Lui si girò lentamente per poi restare a fissarmi. Attesi che dicesse qualcosa. Mi si avvicinò lentamente e senza troppe cerimonie mi mollò un pugno allo stomaco. O almeno ci provò. Era sempre così, quando si voleva allenare metteva sempre in atto una sceneggiata simile a quella precedente: guardava da qualche parte, si girava verso di me, mi si avvicinava e mi mollava un pugno o un calcio, che io dovevo essere pronta a parare, per evitare di finire a terra.

Parai il colpo, con agilità, anche se temendo per l'incolumità del mio apparato digerente. Nonostante fosse passato un giorno da quando avevo subito quei traumi allo stomaco, non ero riuscita a mangiare, e se anche ci provavo, lo rigurgitavo. Insomma, ero a digiuno da ventiquattro ore.

Gli scontri con Jack erano da me considerati epici. Era tutto un botta e risposta di calci, pugni e posizioni di difesa. Eravamo serissimi, e se anche si fosse messo a piovere, non ce ne sarebbe importato più di tanto. Erano gli unici momenti in cui potevamo considerarci in sintonia, ed erano quelle poche volte in cui ci comunicavamo i nostri stati d'animo.

Passarono ore forse, da quando eravamo saliti lassù ed io non ero neanche stanca. Aspettavo un suo segnale di stanchezza per porre fine a tutto. Mentre paravo un suo calcio diretto al viso, udii una porta chiudersi. Girai attorno il mio avversario, in modo da poter vedere chi era salito lassù. Andy. Non disse nulla. Si accese una sigaretta e rimase a guardare. Aveva capito al volo con chi combattevo e che non doveva dire nulla.

La sua presenza non mi distrasse più di tanto, lo scontro continuò per altre due ore. Quando ormai intorno c'era un buio pesto, Jack mi bloccò, fermando un calcio che gli sarebbe dovuto arrivare allo stomaco.

-Basta così per oggi. Vai giù a cambiarti. Stasera cucino io, quindi muoviti a recuperare la tua roba e a scendere sotto, prima che ti chiuda fuori.- dichiarò Jack senza troppe cerimonie. Passò davanti a Andy ignorando del tutto la sua presenza, mentre quest'ultimo era intento a fissare sia me che lui.

-Forte.- commentò quando Jack era sulle scale. -Come va lo stomaco?-

-Diciamo che non riesco a mangiare da ieri, e che stasera dovrò tenere a freno i miei rigurgiti.- sospirai io. -Ma niente di preoccupante, passerà.- cercai di tranquillizzarlo, vedendolo accigliarsi.

-Posso stare tranquillo?

Annuii. -Non preoccuparti.- sorrisi.

Scendemmo insieme le scale, e io lo salutai davanti casa sua. Poco dopo entrai a casa e mi andai immediatamente a cambiare per la cena, mentre Jack si accingeva a cucinare.

Nel giro di quindici minuti tornai in cucina con dei vestiti abbastanza comodi, e mi sedetti a tavola, restando in silenzio. Jack portò i piatti fumanti a tavola e cominciammo a mangiare, ognuno perso nei suoi pensieri. Dopo un po' parlò.

-Ti sei allenata di recente?

-Si.

-Ho notato, eri molto più svelta e decisa. Ciò significa che quando sarò a casa, ci alleneremo minimo una volta a settimana. Tutto chiaro?

Annuii.

 

Nei giorni dopo mi sentii più carica del solito. Ogni volta che per i corridoi della scuola mi capitava di incrociare Jeff o qualcuno della solita banda, non abbassavo lo sguardo, come avevo sempre fatto fino a quel momento, anzi, sostenevo i loro sguardi di puro disprezzo, ricambiandoli. L'allenamento con Jack mi aveva rafforzata, e ogni volta che salivamo in terrazzo per allenarci, la mia prontezza nel parare i colpi e nel contrattaccare miglioravano a vista d'occhio. Avrei desiderato battermi anche contro più di una persona, ed esposi la cosa a Jack. Lui non disse nulla, limitandosi ad annuire.

Un giorno in cui ero rimasta sola per i corridoi della scuola, mi ritrovai davanti Jeff e Rosie. Solo loro due, tutti intenti a flirtare e a sbaciucchiarsi. Meno male che erano amici. “Bleah. Che scena disgustosa” pensai, mentre sulla mia faccia si disegnava una smorfia di sdegno. Gli passai accanto, e neanche il tempo di trenta secondi che mi chiamarono.

-Ehi, verme!

Li ignorai.

Mi chiamarono più volte con diversi appellativi, finché non udii dei passi correre nella mia direzione. Una mano mi afferrò la spalla, e mi fece girare su me stessa. Peccato che nello spazio di pochi secondi, quella mano si era ritrovata dietro la schiena del suo “proprietario”.

-Dimmi pure, Jeff.

Rosie cercò di mollarmi un pugno, ma io lo parai con l'altra mano, buttandola a terra.

-Avete qualcosa da dirmi?

Jeff si rigirò su se stesso, liberandosi dalla mia stretta. Mi rivolse uno sguardo quasi diabolico, e cercò di mollarmi una ginocchiata, in nome dei vecchi tempi. Troppo lento: gli bloccai il ginocchio, buttandolo al suo opposto e mollandogli un pugno nel costato. Lui si piegò su se stesso, ed io mi rivolsi verso Rosie, che era ancora a terra.

-Qualcosa da fare o da dire?

Per tutta risposta lei si aggrappò a Jeff e, alzandosi, mi sputò addosso. Mi pulii dalla sua stupida saliva e con un tocco da nulla, la feci ricadere a terra. Dopodiché mi girai e me ne andai come se non fosse mai successo niente.

-Non finisce qui!- urlò Jeff, allontanandosi come un cane bastonato.

 

Quel pomeriggio mi diressi al mini bar di Al, dove trovai Andy e gli altri.

-Marina! Che ci fai qui? Di solito non vieni mai a quest'ora.- fu Al il primo ad accorgersi della mia presenza e Jinxx, Jake, Christian, Ashley ed Andy si girarono nella mia direzione non appena udirono il mio nome.

-Oddio, devo raccontarvi cosa mi è successo!- ero troppo entusiasta.

Andy si accigliò. -Devo preoccuparmi?

-Macché! Rasserenati piuttosto!- mi sedetti su uno sgabello appostato al bancone ed Al si avvicinò, incuriosito. -Ricordate i famosi Jeff e Rosie?

Ashley si accigliò, ma annuì insieme agli altri.

-Ok, a farla breve, li ho messi al tappeto.

Jake sgranò gli occhi. E io decisi di accontentare la loro curiosità, raccontandogli cosa mi era successo qualche quarto d'ora prima.

-Wow! Sei stata superba!- esclamò felice Christian.

-A pensarci bene, questo potrebbe essere il frutto dei tuoi allenamenti con il tuo patrigno.- commentò Ashley.

Stavolta fui io ad accigliarmi. -Ehm.. come sai che mi sono allenata con lui?

Ashley puntò un dito contro Andy, che stava sogghignando.

-Ridi, ridi! Intanto, per me è la prima volta che posso ritenermi riconoscente a quell'uomo! Oddio! Oddio! Sono euforica!

-Effettivamente, sei abbastanza gasata. Non capita tutti i giorni di vederti così allegra.- sorrise Jinxx. -Che ne dite di brindare?

-Sono pienamente d'accordo! Stasera offro io!- si offrì Al.

 

Credo di essermi lasciata trasportare troppo dall'entusiasmo...

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Capitolo 14
*** Non cantar mai troppo presto vittoria ***


Non passò molto tempo perché la vendetta di Jeff si realizzasse.

In uno di quegli amabili momenti in cui non c'era nessuno né a casa mia -si, perché Jack era partito, ovviamente- né in giro nei corridoi della scuola, a parte me, mi venne a cercare con appresso altre sei persone.

“Cacchio, stavolta sono messa male. Questa non me la risolvo così facilmente come l'ultima volta.” pensai agitandomi.

-Oh, ciao.- mi salutò maliziosamente Jeff. Non mi girai. -Sai, è maleducazione non guardare in faccia chi ti parla. Ed io ti avrei appena salutata.- mi prese dalla spalla e mi fece girare nella sua direzione.

-Sai, devi sapere che apprezzo il tuo interesse, ma non i tuoi secondi fini.- commentai io acida.

-Tu invece dovresti sapere che il mio interesse per te ha un solo fine.- ribatté lui spostando lo sguardo da me ai suoi compagni e da loro di nuovo a me. -Sai com'è. Mi hai solo provocato una lesione alle costole. Niente di che, ma io sono uno che se non ribatte, non si mette il cuore in pace.

-A me più che altro sembri un codardo.- notai io tranquillamente, nonostante le mani mi formicolassero.

Lui si fece serio.

-Si, perché vedi, portarti un esercito dietro per fare solo il bulletto con me, ti fa sembrare un vigliacco, uno che non sa affrontare una ragazza da solo. Diciamo che ti freghi da solo.- sputai quello che pensavo dal profondo del cuore con un bel sorriso stampato in faccia. Ma del resto, quello che dicevo era vero.

Dal suddetto esercito emerse Rosie, che mi si avvicinò, mi squadrò dalla testa ai piedi, e, arricciando il naso, tentò di mollarmi uno schiaffo, ma io -più veloce- lo parai con un semplice gesto della mano. Lei rimase sbalordita. Ancora non aveva capito che colpi del genere non mi scalfivano più. Non aveva capito proprio nulla.

Sentii un dolore alla cuta: Jeff mi stava tirando i capelli. -Così io sarei un vigliacco? Un codardo? Bene. - sibilò come una biscia. -Ragazzi, la voglio sistemare da solo. Per una qualsiasi cosa non osate intervenire. Chiaro?

Gli altri annuirono. -Perfetto.- mormorò senza lasciare la presa dai miei capelli. -Si comincia!- Mi cacciò una ginocchiata nello stomaco, costringendomi a piegarmi su me stessa. Intanto aveva lasciato la presa dei capelli.

-Visto? E' solo una ragazza, non ci vuole poi così tanto a metterla al tappeto.- mi ripresi subito dopo che ebbe articolato quelle stupide parole, riaddrizzandomi.

-Prego? Non ho capito bene.- e gli mollai un pugno sulla guancia sinistra.

-Visto? E' solo un ragazzo, non ci vuole niente a metterlo al tappeto- ripetei io, tenendomi pronta al prossimo attacco.

Fu uno scontro simile a quelli che avevo con Jack, solo più violento e con colpi persino inaspettati. E fu proprio uno di questi che lo mise completamente KO, buttandolo per terra. Più precisamente un pugno allo stomaco, giusto per vendicarmi di quello suo precedente.

Da per terra Jeff sibilò -Prendetela, e fate quello che vi avevo detto prima.

Una mano si allungò su di me, ma io la scostai con un movimento veloce, ma non feci in tempo ad accorgermi delle altre mani che mi tenevano ferma contro i loro toraci. Scalciai, mi mossi con grande violenza, ma fu tutto inutile, non riuscivo a liberarmi.

Mi si mise davanti un ragazzo alto e muscoloso. Anche troppo, per la sua età. Capii al volo le sue intenzioni, e, alzando le gambe al livello del mio petto, gli mollai un calcio alla gabbia toracica. “Meno uno.” pensai con soddisfazione.

-Non cantar troppo presto vittoria.- esclamò brutalmente Jeff che si era ripreso. -Ti ricordo che siamo sette. E tu sei una sola, bloccata per giunta. I tuoi piedi non mi saranno di intralcio, dato che ho capito il tuo gioco.- “Pezzente” lo insultai tra me e me.

Gli lanciai un calcio, ma lui bloccò il mio piede, e mentre lo sorreggeva con una mano mi mollò una ginocchiata nell'apparato digerente. Mi mancò il respiro. Lui lasciò andare il mio piede, e mi arrivò un'altra ginocchiata, ma non da lui: era stato il ragazzo che prima avevo percosso con un calcio ad aver colpito stavolta. Altri tre calci si susseguirono. E come colpo di grazia mi lasciarono cadere a terra, senza respiro.

Rosie ripeté la scenetta dell'ultima volta: -Te lo avevo detto.- cantilenò con vocina odiosa, e concludendo con un altro calcio nel fianco.

Se ne andarono. Stavolta credetti che stessi per morire dissanguata. Il respiro mi era mancato per tutto il tempo degli attacchi ed era tornato solo quando Rosie mi si era avvicinata. Rimasi per terra, a vomitare sangue per più di mezzora. Non riuscivo a muovermi, ero distrutta e tutta indolenzita. Stavolta non era un trauma fisico che si sarebbe risolto con quattro colpi di tosse. Questo sarebbe durato per molto più tempo. Non si sarebbe risolto nel giro di due ore, no di certo.

Passò più di mezzora, ed io non ero ancora riuscita ad alzarmi dal quel sudicio pavimento. Credetti davvero di morire dissanguata, finché non udii dei passi dietro di me.

-Oh, guarda, sei ancora qui?- Jeff mi sorpassò, mollandomi un altro calcio nello stomaco, che implicò un altro rigurgito di sangue. Se ne andò ridendo. Ed io rimasi lì, in mezzo ad una pozzanghera di sangue, a meditare su una possibile morte.

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Capitolo 15
*** Hug ***


I miei pensieri di morte vennero interrotti da una voce.

-Ma che cazz... Marina!

Due ginocchia mi si pararono davanti. Io perdevo ancora sangue, il mio sguardo era perso nel vuoto, e l'unica cosa che mi risvegliò da quel coma sanguinario apparente fu una voce a me familiare.

-Oh, ma perché ogni volta che ti incontriamo a scuola sei sempre in pessime condizioni?- mi venne da sorridere a ciò che Ashley aveva detto, ma ciò implicò un'altra fuoriuscita di sangue.

-Non può restare qui. E non c'è nemmeno nessuno a scuola. Che facciamo? Chiamo un'ambulanza?

Allungai una mano tremante, e feci cenno di non chiamare nessuno.

-Dobbiamo portarla a casa.- mormorò Jake tamponandomi il viso sporco di sangue. Pian piano due braccia mi sollevarono e mi poggiarono su una schiena. Chiusi gli occhi.

 

Quando riaprii le palpebre mi ritrovai stesa su un divano nero, in pelle. Mi guardai attorno, immobile. Ero nel loro soggiorno, e un fazzoletto mi stava tamponando il mento.

-Che ci fac...- cercai di parlare, ma fu tutto inutile: la mia frase si strozzò in un accesso di tosse sanguinolento.

-Non parlare. Non credo che in condizioni del genere tu possa permettertelo.- disse Christian.

-Il tuo patrigno non è in casa, vero?

Feci cenno di no con la testa. Con le dita simulai il numero cinque.

-E tornerà tra... cinque giorni, giusto?

Annuii lentamente.

-Perfetto. Passerai la notte qui.

Mi accigliai.

-E domani, essendo sabato, non ti muoverai di qui. Solo se ti riprenderai ti sarà concesso girare per la casa.- “Mi sembra di sentire una madre che impartisce ordini a sua figlia.” pensai. Cercai mettermi a sedere, ma crollai sulle gambe di Christian, in preda ad un giramento.

-Te l'ho detto, non puoi andare da nessuna parte.-

“No” pregai tra me e me “Non voglio”. Rivolsi il mio sguardo a Christian, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime, e un groppo mi saliva alla gola, facendo fuoriuscire sangue dalle mie labbra.

Intervenne la voce di Jinxx -Non devi né piangere né nulla.- disse asciugandomi sia le lacrime che il sangue con due fazzoletti differenti. -Hai subito uno shock fisico troppo grande per poter ricominciare a muoverti. E dato che non ne vuoi sapere di andare in ospedale...- mi rivolse uno sguardo speranzoso, invano -... dovrai restare qui con noi.

“Io... voglio andare a casa. Non voglio essere di impiccio a nessuno” Riprovai ad alzarmi, ma fu tutti inutile, e ricaddi addosso Christian. Le lacrime mi scesero dagli occhi solo al pensiero di dare loro preoccupazioni e di procurargli tempo da perdere.

Jinxx mi asciugò le lacrime con una carezza sul viso.

 

Fui in grado di parlare e di non sputare sangue ad ogni parola solo verso la sera tarda. Con diversi intervalli, riuscii a spiegare a tutti cosa mi era successo. Rimasero sbalorditi. Io invece mi incupivo sempre ad ogni parola che dicevo.

-Questo significa che gli allenamenti di Jack non sono molto utili. Jeff tornerà con altre persone, se non di più. Quando uno ci prende gusto a fare qualcosa, non è facile fermarlo.

Osservai il tetto. Desiderai rimanere lì a fissarlo finché non mi fossi estinta. Nulla. Era passato un altro misero secondo ed io ero ancora lì a desiderare cose assurde e irrealizzabili.

-Come possiamo aiutarti?- chiese Ashley dopo un po'.

-In nessun modo. E' una cosa che voglia che si estingua, e che deve restare tra me e quel codardo. Non voglio che ci andiate di mezzo pure voi, avete già fatto molto e ve ne sono grata.- Debolmente mi misi a sedere, facendo sgranare gli occhi di Jake. -Tengo troppo a voi, non voglio che vi facciate male.- mormorai in un soffio.

Andy si alzò, si sedette accanto a me, e mi abbracciò.

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Capitolo 16
*** Night time. ***


La sera non riuscii a mangiare nulla: avrei rischiato di rigurgitare sangue misto cibo, e non sarebbe stato proprio un bello spettacolo. Aspettai che gli altri finissero di mangiare, seduta sul divano con loro; dopodiché cominciarono a discutere su con cosa e dove farmi dormire.

-Ragazzi, senza troppe problematiche, io posso dormire direttamente così e sul divano.

-Ma stai scherzando? Non se ne parla! Come fai a dormire con i vestiti??- esclamò Jinxx.

-In che senso, scusa? Perché, tu come dormi? Nudo?

Christian soffocò una risata, ma non ci riuscì e scoppiò a ridere.

Lo guardai. Lui si fermò, e mi guardò. Ci girammo verso gli altri. E scoppiammo tutti in una sonora risata. Ci fermammo e Jinxx decise di rispondermi.

-Non dormo nudo! ... Di solito.... Almeno quando non sono ubriaco.- e giù a ridere di nuovo.

-Comunque...- ricominciò Jake quando riuscimmo a calmarci -Davvero, non puoi dormire con quei vestiti, ti devi cambiare! Se vuoi ti andiamo a prendere sotto un pigiama, o qualcosa...

Ci pensai un po'. “Ma sì!”. Mi sfilai le chiavi dalla tasca dei jeans larghi e le misi in mano ad Andy. -Anche se il mio patrigno non è a casa, accertati che non ci sia: di solito lascia le sue chiavi sul mobiletto accanto la porta. Se delle chiavi sono lì, significa che lui è in casa e che devi tornartene subito sopra.- spiegai. -Ma di solito non succede. Il mio pigiama è in camera mia, sotto le coperte del mio letto.- finii di dargli istruzioni, e lui si avviò verso il piano di sotto con un sorriso stampato in faccia -che tra l'altro non riuscivo nemmeno a spiegarmi-.

Tornò dieci minuti dopo con aria cupa, mentre gli altri erano andati nelle loro stanze a svestirsi e mettersi i vestiti da notte.

Lo osservai accigliandomi -E' tutto ok?

-Ehm... Ho incontrato il tuo patrigno, dice che devi tornare a casa.-

Sgranai gli occhi. -Ma sei serio?-

Abbassò gli occhi, poi gli spuntò un sorriso. -Scherzavo!!-

-Oddio! Che paura che ho avuto! Vieni qui, che ti ammazzo!- rise, e avvicinandosi cercai di solleticarlo, ma invano, perché ad ogni mano che gli si avvicinava, lui si allontanava ridendo come un ragazzino. Poi, quando mi arresi all'idea che non si faceva acchiappare, lui si decise a sedersi accanto a me.

-Fregato!- esclamai io, buttandogli le mani sui fianchi e facendolo ridere più di prima.

-Ma guardatevi!- esclamò Ashley dall'inizio del corridoio. -Sembrate due bambini!- rise.

Ci fermammo. Lo fissai. Indossava una canottiera bianca e un paio di pantaloni bianchi a strisce blu, ed erano più grandi delle sue gambe, dato che gli coprivano pure i piedi. “Fico” pensai. Poi dietro di lui, vidi un'altra figura, e dietro di Ashley spuntò Christian con un pigiama in stile scozzese, a quadri blu, verdi e rossi. Sulla mia faccia si stampò un mezzo sorriso.

-Beh, che mi sono perso?- arrivò Jake con un pigiama tutto bianco addosso, di cui la parte di sopra era una camicia, che lui usava tenere sbottonata. “Sembra un infermiere” soffocai una mezza risata. Comparve anche Jinxx. Lui fu il top del top: maglietta di una serie televisiva rossa con scritto sopra “Bazinga!” e pantaloni, anche loro più grandi delle sue gambe, gialli. Non ce la feci più. Scoppiai a ridere. -Oddio, sembrate una graduatoria di pigiami!

Si osservarono.

-In che graduatoria rientriamo, scusa?

Spiegai le idee che mi ero fatta.

-Uh, sono fico, allora!- esclamò tutto contento Ashley.

-Modesto il ragazzo, eh.

-Aspetta, come faccio a sembrare un infermiere??- Jake stava arrossendo, facendo risaltare di più il bianco del pigiama.

-Io sono uno scozzese! Yo ho ho!- cantilenò Christian saltellando verso il divano.

-Aspetta. Cos'ha di strano il mio pigiama? E' carino!- sopraggiunse Jinxx. -Mai visto “Big Bang Theory”?- Ashley gli mise una mano sulla spalla.

-Dai su.- poi si girò verso me ed Andy.- ora mancate solo voi due! Andy, hai preso il suo pigiama?

-Si.- lo aveva poggiato accanto a me, mentre cercava di sfuggire alle mie mani.

-Perfetto. Ma... Marina come farai a cambiarti? ... Cioè... Dovrai pur alzarti... Ce la fai?- si preoccupò Ashley.

-Non ne ho idea. Sperimentiamo.-Dissi io alzando le spalle.

-Aspetta, ti aiuto io.- si offrì Jake, porgendomi una mano.

-Oh, grazie.- afferrai la sua mano, e in qualche modo, riuscii a mettermi in piedi, anche se sbilanciandomi addosso Jake.

-Oh, scusa!

-Tranquilla. Tutto ok?

Annuii, poi gli sorrisi, vedendo che il suo rossore era aumentato.

-Andy mi passi il pigiama?

Me lo porse.

-Grazie. Vado a cambiarmi, allora. Uso il bagno!- feci quattro passi, ma rischiai di cadere, e Jinxx mi prese al volo.

-Meglio che ti accompagno.- disse lui, mettendomi un braccio attorno le spalle.

-Uh, forse è meglio.

Giunta in bagno, mi sciacquai e mi cambiai. Quando uscii dal bagno, ripercorsi il corridoio tenendo una mano appoggiata al muro, mentre con l'altra reggevo i vestiti e le scarpe.

Quando giunsi in soggiorno mi guardai attorno.

-Ehi, dov'è Andy?

Si girarono tutti, sgranando gli occhi e socchiudendo la bocca.

Mi preoccupai. -Che c'è? L'ho messo al contrario? Eh no, la tigre va di dietro, perciò è giusto.

Si, il mio pigiama era a dir poco strano. La parte di sopra era una canottiera bianca abbastanza stretta, con davanti stampato il graffio rosso di quattro artigli, e dietro c'era il viso di una tigre, e mi stava giusta giusta, scoprendomi le spalle e le clavicole. I pantaloni erano invece larghissimi e bianchi -anche quelli- con delle strisce nere sparse. Niente di chè.

-Insomma! Cos'ho?

-E'... E' strafico!- commentò Christian balbettando.

-Oh, dovreste vedere le vostre facce.- commentò Andy da dietro di me.

-Appunto- confermai io -Sembra che non avete mai visto una ragazza in pigiama!- Poi mi voltai verso Andy, che alzò le sopracciglia. -O sbaglio?- risi io. Poi lo osservai meglio. Indossava solo un paio di pantaloni neri, larghi, ma non eccessivamente, e gli ricoprivano metà dei piedi. Non indossava alcuna maglietta, lasciando così il suo fisico scoperto. Il mio viso avvampò. “Cristo che figo” fu l'unico pensiero che mi trapassò le tempie.

-Ehi, sei tutta rossa. Va tutto bene?- mi osservò Andy, avvicinando il suo viso al mio.

-Chi io? Si! Certo!- “Ma che diamine mi piglia?!”

Stavolta furono gli altri a ridere.

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Capitolo 17
*** Istinti famelici incompresi ***


Quella sera mi addormentai sul divano scherzando con gli altri. Mentre ascoltavamo dei CD i miei occhi si fecero pesanti, e pian piano si chiusero; e pure io mi lasciai andare. La notte passò tranquilla, e la mattina dopo mi svegliai nel letto di Andy. Solo che c'era un piccolo particolare. Andy non c'era. Ma la cosa non mi stupì più di tanto, dato che erano le nove e mezza passate.

Ringraziando il cielo e tutti i santi -ammesso che esistano- era sabato, e il sabato non si andava a scuola.

Mi alzai, ma neanche il tempo di stiracchiarmi che persi l'equilibrio e ricaddi sul letto. “Ok Marina, puoi farcela.” Riprovai a mettermi in piedi e stavolta mi appoggiai al muro. In pratica, se volevo evitare di cadere dovevo per forza tenermi al muro. E fu così che giunsi in cucina, dove trovai tutti che facevano colazione. Annusai l'aria: tra cucina e soggiorno si era diffuso un buon odore di pancakes e cioccolato fuso, e il mio stomaco cominciò a brontolare, al punto che mi dovetti mettere una mano al suo livello per limitare il rumore.

“Beh, almeno ho riacquistato il senso della fame” pensai con soddisfazione. Del resto non mangiavo dalla mattina precedente, e non avevo nemmeno mangiato a pranzo, dato che l'imboscata era avvenuta nelle ultime ore della mattina.

-Bu.. Buongiorno...- mormorai stropicciandomi gli occhi, quando entrai nella stanza tutta illuminata.

-Ehi! Buongiorno! Come ti senti?- Jinxx riusciva ad essere di buon umore pure di prima mattina.

-Affamata. Ma quando cammino, traballo un po'.

-Oh, perfetto! Quindi puoi mangiare? Vedi, abbiamo preparato...

-IO ho preparato!- precisò Christian.

-Ok, CC ha preparato i pancakes, il cioccolato fuso, il latte alle mandorle, il pane, il burro d'arachidi e...

-Jinxx...- lo interruppi, sedendomi a tavola.

-Dimmi!

-Quanto parli?

Scoppiarono a ridere.

-Che c'è? Per me è impossibile parlare così tanto appena sveglia. Sono ancora stanca da ieri.

-E si è visto. In pratica mi sei crollata addosso!- mi fece notare Ashley.

-Oddio. E come ci sono arrivata al letto di Andy? Eravamo rimasti che avrei dormito sul divano!

-Macché! Comunque ti ha sollevata Jake e ti ha portata nella camera da letto. Sembravi un cucciolo, da come eri rannicchiata.- mi spiegò Jinxx.

Mi immaginai tra le braccia di Jake mentre dormivo. Mi schiaffai una mano sulla fronte e pensai “Oddio, no. Che imbarazzo.”.

-Comunque, sei sicura di poter mangiare?

-Beh ci voglio provare. Ho troppa fame, e non mangio da ieri. Non posso buttarmi sui pancakes, anche perché sarebbe da irresponsabile, ma del pane col burro d'arachidi e un po' di latte di mandorla li voglio mangiare. Provo, e vedo che succede. Male che va, resto a digiuno fino stasera.- conclusi io, afferrando il pane e il barattolino del burro.

Inghiottii il primo boccone, ma non accadde nulla. Non ebbi l'impulso di vomitare o roba del genere. Continuai a mangiare tranquillamente, e non accadde nulla per tutta la durata della colazione.

-Beh, mi basta non mangiare schifezze o roba pesante in pratica.- conclusi, quando ebbi finito di mangiare. -Meglio così.

-Non mi convince.- intervenne Andy -Hai riversato troppo sangue, e hai delle lesioni interne. Non posso credere che in ventiquattro ore tu sia guarita del tutto.

Rimasi un po' disorientata. Era vero. Ed era impossibile che io mi fossi ripresa con tutta quella rapidità. E allora cosa c'era che non andava? Se non erano lo stomaco e/o l'intestino, allora cosa non funzionava? Un senso di nausea mi pervase.

Mi alzai di scatto, e mi diressi di fretta al bagno, per poi rigurgitare tutto. “Troppo bello per essere vero” quando tutto terminò, ero tutta tremante. “E' stato terribile” pensai alzandomi.

Pian piano tornai in cucina.

-Decisamente, mi sono fidata troppo del mio istinto famelico.

-Tutto bene?- domandò Ashley.

-Insomma.- mi girò la testa, costringendomi ad appoggiarmi ad una sedia.

-Non direi proprio.- commentò Christian. -Devi stenderti.-

-No. Non ce la faccio a stare sempre sdraiata.- tremavo.

-Marina.- Andy fece il giro del tavolo attaccato al muro e che separava la cucina dal soggiorno. -Non sei in condizioni di stare alzata, tanto meno qui.- mi mise una mano sulla fronte, spalancando gli occhi. -Ma tu... scotti.-

Feci capolino. Mi portai una mano alla testa. Ero calda, ma non pensavo da febbre. Tremai nuovamente, ebbi un capogiro, persi l'equilibrio e caddi addosso Andy. -Che ti dicevo?- mi rimise in piedi, e mi accompagnò nel suo letto. Ci dovetti restare per molto tempo, finché Andy non mi portò un termometro per misurare la febbre.

-Niente di ché. 36,5. Stai bene, ma non mi spiego il tuo calore e il fatto che tremi come una foglia...

Mentre Andy parlava io mi lasciai trascinare dal suono della sua voce, gli occhi mi si appesantirono, e mi addormentai. Nel mio ultimo secondo di lucidità sentii del calore avvolgermi tutto il corpo.

 

Qualche ora dopo mi svegliai, con accanto Ashley. Aveva in mano una chitarra. A guardarla meglio era un basso. Mi incuriosii, ma decisi di non dire nulla e di restare a osservare quello che faceva. Lo stava accordando, e poco dopo cominciò a intonare qualche nota. Sembrava una melodia molto dolce, ed io rimasi in suo ascolto, abbassando le palpebre, ma senza ripiombare nel sonno. Tentativo inutile. Neanche trenta secondi, che la musica si dissolse nei miei timpani, e un nuovo sogno cominciò.

Sognai di ritrovarmi in terrazzo con Jeff, Jack e vari spettatori, che però non dicevano nulla. Stavano in silenzio, e con loro, Jack. Jeff invece mi urlava contro che non ci voleva niente a stendere una ragazza, e subito mi mollò un pugno nel costato, per poi spostarsi sul viso, poi sulla pancia e sui fianchi. In tutto questo io non riuscivo a parare gli attacchi, o meglio, ci provavo ma sbagliavo sempre direzione. Poi Jeff scomparve, ed io restavo stesa per terra in mezzo ad una pozzanghera di sangue. Fu allora che Jack mi si avvicinò, mi alzò prendendomi dal colletto del karateji, che indossavo, e cominciò a percuotermi, urlandomi che non avevo uno straccio di onore, di forza e che tutto quello che mi aveva insegnato era stato inutile. Che dovevo cominciare da zero. Nello stesso momento in cui finì di picchiarmi, la folla cominciò a lanciarmi oggetti addosso, e non leggeri. Poi, una luce illuminò un viso: Rosie. Cominciò a urlarmi contro che ero una perdente, una stracciona, una depressa del cavolo, un verme e insulti che facevano figurare quelli precedenti cose da niente. Ed io restavo per terra, sanguinante, in fin di vita e con degli insulti come ultime frasi da portarmi nella tomba.

Mi svegliai di soprassalto, in preda a un senso di nausea fortissimo, ma che riuscii a rispedire nello stomaco. Ero ansimante e tremavo come non mai. Attorno a me c'erano i visi di Jake, Jinxx, Andy, Ashley e Christian.

-Sei sveglia, finalmente. Ti abbiamo vista agitarti nel letto, e ci eravamo preoccupati.- spiegò Christian.

Ansimavo.

-Era un incubo?- chiese Jake.

Annuii.

-Dai è tutto finito.- cercò di tranquillizzarmi Ashley, accarezzandomi una guancia. Le sue dita si bagnarono di una lacrima. Poi un'altra. E un'altra.

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Capitolo 18
*** Qualcuno ti protegge da lassù ***


Il mio apparato digerente migliorò dopo altre ventiquattro ore, ovvero la mattina dopo il mio incubo. Andy aveva fatto una ricerca su Internet, e, come aveva pensato, si era trattato di un'emorragia interna. Considerò semplicemente che fosse un miracolo che io non fossi morta dissanguata e che l'emorragia si fosse fermata da sola.

-Un miracolo! E' pazzesco! Non si è mai vista un'emorragia fermarsi da sola! Mai!- esordì spegnendo il PC e avvicinandosi a me, che ero distesa sul letto.

-Evidentemente...- intervenne Christian, che era seduto sul letto insieme gli altri -...qualcuno ti protegge da lassù.- sorrise evocando un mio sorriso come risposta.

-Beh, come ti senti? Vuoi provare ad alzarti?- propose Jake.

-Veramente... vorrei mangiare. Non ce la faccio più a stare a digiuno. Non mi interessa se vomiterò, ma devo mettere qualcosa sotto i denti, prima che io svenga dalla fame!

-Beh, devi mangiare qualcosa di leggero, e che non metta troppo in moto lo stomaco.- spiegò Andy -Trattandosi di un vero e proprio “miracolo”, non puoi sforzalo troppo.-

-Sono disposta a mangiare pure un solo pezzo di pane, ma DEVO mangiare qualcosa.- un brontolio risuonò nella stanza. -Ecco, appunto- indicai il mio stomaco.

-Proviamo con del latte di mandorla e dei biscotti semplici. Vediamo che succede.- propose Ashley.

E così mi accinsi a mangiare quella poco che potevo permettermi. Ci sorprendemmo non poco, quando notammo che non succedeva niente, nemmeno dopo un quarto d'ora da quando avevo finito di ingoiare l'ultimo sorso di latte.

-Christian...

-CC, prego.- rise lui.

-CC... Confermo la tua teoria. Qualcuno ha deciso di farmi guarire. Qualcuno che sta lassù e che ho perso.- sorrisi, ma al tempo stesso mi incupii. Pensai a Jack, che aveva ucciso i miei genitori, che non si faceva scrupoli a trattarmi male, ma allo stesso tempo a educarmi. “Che schifo di esistenza.” pensai tra me e me.

 

Mangiai solo quello per il resto della giornata. Ma meglio di niente.

Nel pomeriggio non sapendo cosa fare rimasimo in panciolle finché Jinxx non avanzò una proposta allettante: -Ehi, che ne dite di fare sentire a Marina il nostro nuovo abbozzo?

-Scherzi? Come hai detto tu, è solo un abbozzo!- contrastò Jake.

-Si, ma è ben riuscito!- ribatté Jinxx.

-In effetti è vero.- concordò Ashley.

-Però, c'è un problema.- fece notare Christian. -Non possiamo mica portare qui la batteria!- eravamo ancora in camera da letto di Andy.

-Batteria?- chiesi io accigliata.

-Si, quella che c'è in soggiorno. E' coperta da un telo bianco. Hai presente?

Sgranai gli occhi. -Tu suoni la batteria e non mi hai detto niente?! CC, stai per morire.

Scoppiarono a ridere.

-Comunque, se il problema sono io, allora si risolve all'istante, dovete solo aiutarmi ad alzarmi.-dissi come se niente fosse.

-Sei sicura?

Annuii. Jinxx si alzò, si mise davanti a me, e mi porse una mano. La afferrai, e mi misi in piedi. Come al solito, e come mi aspettavo, mi sbilanciai, e gli caddi addosso.

-Ehm... Non sarà facile.- commentò aiutandomi a mettermi in piedi. “Quante complicazioni questo apparato digerente del cavolo!” imprecai tra me e me. Provai a fare quattro passi, senza l'aiuto di nessuno, e, in qualche modo, riuscii a non cadere. Continuai così fino al soggiorno, sorprendendomi di me stessa.

 

Gli altri intanto avevano recuperato i loro strumenti, tranne Andy, che si scoprì essere il cantante della loro piccola band.

-Una chitarra ritmica! Un basso! Una chitarra elettrica! Ma è maxi-super-cool!!- esclamai appena vidi i loro strumenti. -Morirò di invidia, ragazzi!- Jake ridacchiò.

Sistemarono gli amplificatori, e fu così che riuscii a spiegarmi il casino che proveniva da lì ogni domenica mattina.

Andy si sistemò al centro degli amplificatori, impugnando un microfono che era spuntato dal nulla.

-Ma guarda. Stasera abbiamo solo una spettatrice. Che tristezza. Ma meglio di nulla...- mi rivolse un sorriso. -Spero che ti piaccia.-

CC cominciò a muoversi tra i tamburi e i piatti della batteria. Dopo un po' anche Andy cominciò a cantare, articolando parole che mi rimasero scolpite nella mente. Aveva una voce calda e roca, leggermente diversa da quella che aveva di solito. Quella canzone sembrava un'incitazione alla ribellione. Meravigliosa.

-Fight for all you know, when your back's against the wall, stand against the liars. Stronger than before, when your life becomes a war, set the world on fire!-

Quando finì di cantare, rimasi a bocca aperta.

-Ehm... che te ne pare?- chiese quasi intimidito Jake.

-Siete... Siete fantastici, ragazzi!- riuscii ad articolare io.

-Davvero? Ti piace??

-Si!!- esclamai io, felice. -Le vostre chitarre sembrano una sola quando suonate!- esclamai rivolgendomi a Jake e Jinxx. -Ash, il tuo basso è fenomenale, e il fatto che accosti la tua voce a quella di Andy, è pazzesco!- mi girai verso CC -Tu mi devi insegnare a suonare la batteria! Per lo meno, per sdebitarti del fatto che non me lo avevi detto prima!- Scoppiò a ridere, ma acconsentì. -E tu, Andy... Beh, che dire? La tua voce è unica. Ho notato che cambia un po' quando canti, ma ci sta.... Wow ragazzi, è stata fenomenale! Il brano è davvero bello, e le parole sono fatte apposta per chi soffre, o per chi si sente represso. Questo testo ha spaccato! Che titolo gli avete dato?

-Veramente avevamo diverse idee.- rispose Jake.

-Ma quella che prevale di più...- continuò Jinxx.

-E' “Set The World On Fire”.- concluse Ashley.

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Capitolo 19
*** Dread-lock ***


Non riuscivo a credere che quella specie di emorragia si fosse fermata da sola, ma sapevo che la prossima sarebbe stata fatale. Quello era stato un miracolo vero e proprio, e non credo che fosse il caso di sprecarlo. Quindi, a partire dal lunedì seguente evitai di incrociare Jeff e compagnia. In compenso, Jack tornò quel martedì, e mi portò una bella sorpresa: un nuovo compagno con cui combattere. Aveva interpretato bene ciò che gli avevo chiesto, e la cosa che mi stupì di più fu che quel ragazzo era lo stesso che al mini bar di Al stava sempre attaccato al juke-box. Quello che andava in un liceo artistico e al quale piaceva lo screamo! “Pazzesco” pensai tra me e me, felice di averlo potuto conoscere.

Quando Jack me lo mise davanti non lo presentò neanche, disse solo che era un nuovo compagno con cui allenarmi. Lui ci sarebbe stato sia quando c'era Jack che quando era assente, e ci saremmo visti due volte a settimana, che poi avremmo stabilito insieme. Poi ci lasciò soli, dicendo che di lì a poco saremmo saliti in terrazzo per cominciare l'allenamento, e che quindi dovevamo sbrigarci a cambiarci i vestiti. Gli rivolsi un sorriso di benvenuto, e lui lo ricambiò, poi gli indicai il bagno, mentre io mi dirigevo in camera mia in fretta e furia per indossare la mia divisa. Volevo vedere cosa sapeva fare. Anche perché di lì a pochi giorni sarei rimasta da sola con lui ad allenarmi.

Pochi minuti dopo lo trovai in soggiorno, in piedi, intento a guardare fuori dalla finestra. Lo osservai in silenzio. Non era robusto, e il viso sfilato, nel quale spiccava un naso a dir poco “perfetto”. Nonostante il karateji fosse largo si riuscivano a scorgere i suoi muscoli. I suoi capelli erano lunghi e biondo chiaro, ed essendo particolarmente lunghi, lui li aveva aggrovigliati formando tanti dread-lock che gli arrivavano oltre le spalle. I suoi occhi, concentrati sulla strada sotto di noi, si illuminavano della luce che penetrava dalla finestra, mostrando un verde intenso. Quando Jack me lo aveva presentato indossava un piercing al labbro, che doveva essersi tolto, sapendo che avrebbe potuto farsi male.

“Bene, sa che non si devono indossare piercing e cose del genere quando si combatte.” apprezzai io. Poi si voltò nella mia direzione, quando udì un fruscio provenire dalla mia divisa.

-Ehm... piacere. Io sono Marina.

Mi si avvicinò, in modo da lasciarmi osservare meglio i suoi occhi. Sgranai i miei, verdi anche quelli, ma più scuri rispetto ai suoi.

-Ciao, io sono Nédim. Come puoi vedere anche io sono cintura nera, e ho praticato la boxe e il karate come te. Credo di averti vista al bar di Al. Credo qualche sabato fa. Sbaglio?

-Non sbagli, ero lì con degli amici.- risposi pensando all'entusiasmo che era svanito quando ero tornata a scuola. Mi portai una mano allo stomaco, senza darlo troppo a vedere.

Sorrise. -Comunque, Jack mi ha detto di aspettarti, e che quando fossi stata pronta di salire immediatamente.- mi informò togliendosi un elastico dal polso sinistro e cominciando a muoversi verso l'uscita. Quando richiusi la porta lui era già in cima alla settima scalinata, con i capelli raccolti in una coda. “Ok... è fico. C'è poco da fare e da dire” pensai tra me e me salendo gli scalini “E sicuramente una di quelle galline della mia scuola gli salterebbe addosso solo vedendolo. Io... Io non penso proprio.”

 

Ci riscaldammo un po', e subito Jack cominciò a darci direttive. Voleva vederci combattere. Inaugurammo il nostro primo combattimento con il Saluto, e lo scontro cominciò. Fu un batti e ribatti, e lui non si fece scrupoli sapendo che ero una ragazza. Questo mi avrebbe giovato con Jeff, qualora me lo ritrovassi davanti. Quando passò una buona mezzora dal nostro combattimento ininterrotto, Jack ci fermò con un segno della mano.

-Bene. Vedo che te la cavi, Nédim. Ora prova con me.

Sgranai gli occhi, ma lui invece non si scompose minimamente. Non sembrava neanche che avesse combattuto contro di me. Si notava che era sudato, ma lui, più che asciugarsi il sudore dalla fronte non fece.

Allo stesso modo in cui era cominciato il nostro combattimento, cominciò il loro, e durò per un'altra buona mezzora. Jack, non ci andò leggero, ma del resto, doveva constatare cosa sapeva fare e cosa non. “Ma dove lo ha trovato?” Mi chiesi mentre Jack gli sferrava un calcio, che Nédim parò con l'avambraccio.

Quando tutto terminò, Jack mi fece segno di avvicinarmi.

-I vostri allenamenti si terranno qui ogni martedì e giovedì. E se vi pare li farete pure negli altri giorni. Quando ci sarò io faremo dei combattimenti a tre. A te sta bene?- chiese rivolgendosi a Nédim. Lui annuì. -Bene. Ora, invece, proveremo un combattimento a tre, per dieci minuti, e dato che per voi è la prima volta, lo faremo pian piano.

“Finalmente!” pensai impaziente.

Jack ci spiegò le manovre da attuare, e ci disse che non dovevamo mai distrarci per cose inutili. Una distrazione poteva essere fatale. Ma quello lo sapevamo già.

Fu faticoso. E finimmo più volte a terra. Quel genere di allenamento andò avanti per una settimana filata. L'accordo dei due giorni a settimana sarebbe stato valido dal martedì successivo.

 

Anche il sabato ci allenammo. Fu proprio durante una di quelle serate che mi venne a cercare Jake. Credo che mi avessero cercata anche a casa, ma era solo una mia supposizione. Comunque, Jake aprì la porta nello stesso momento in cui Nédim cadde a terra.

Da quando Andy era venuto a vedermi avevo dato istruzioni agli altri di non interrompere un qualsiasi allenamento per nessun motivo. Infatti rimase in attesa finché l'allenamento non si concluse. Peccato che la sua presenza determinò una piccola distrazione da parte di Nédim, che si deconcentrò e si beccò un pugno nello stomaco da parte mia. Jack non gli diede alcuna importanza, e quando si rimise in piedi gli cacciò un calcio, che parò col polso al posto dell'avambraccio, e da questo ne scaturì un livido a fine combattimento.

Quando tutto fu finito, Jack si rivolse ad entrambi, facendoci mettere in Seizan (ovvero in ginocchio), mentre si asciugava il sudore dalla testa. -Domani non ci sarà alcun allenamento, ed io partirò per un mese. Voi continuate gli allenamenti, pure nei giorni non stabiliti. Nédim, ti ricordo che non ti devi distrarre. Tu, Marina, stai migliorando, ma devi fare attenzione a entrambi gli avversari.- detto questo si girò, e scese per le scale, ignorando, come sempre la presenza dello spettatore, ovvero Jake, che aveva osservato tutto dall'altra parte del terrazzo.

-Certo che siete proprio forti.- commentò avvicinandosi. -Tu devi essere un amico di Marina, giusto? Piacere, io sono Jake.- porse la mano a Nédim, che si era rialzato. Lui gliela strinse e si presentò.

-Veramente sono solo il suo compagno di combattenti, ma comunque, sono Nédim, piacere mio.- sorrise, sciogliendosi i dread-lock raccolti in una coda.

Jake si rivolse a me: -Come stai?

-Considerato che ho combattuto ininterrottamente per una settimana e che mangio normalmente, direi che posso ringraziare il “fatidico miracolo” e che sto bene.- sorrisi io. “Che giro di sorrisi” pensai alzandomi anch'io. Nédim assunse un'espressione accigliata, ma non disse nulla.

-Oh, bene. Beh, ti andrebbe di venire da Al, stasera?

-Non so. Non dipende da me.- rivolsi uno sguardo alle scale.

-Io ci vado.- sopraggiunse Nédim. -Male che va ci vediamo lì. Sono con un gruppo di amici.-

-Ecco dove ti ho già visto!- esclamò Jake. -Sei il ragazzo del juke-box!-

Nédim rise e annuì. -Beh, allora ci vedremo lì.- disse prendendo il suo borsone e avviandosi verso le scale.

-Aspetta, ti accompagniamo!- esclamai io, prendendo ciò che mi ero portata lassù e trascinando Jake per un polso.

 

Quando Nédim ci salutò Jake mi bisbigliò: -Ti piace? Ha dei capelli fichi.

Mi girai a guardarlo. -Ma stai scherzando? Posso dire che sia un bel ragazzo, ma non è per me. E poi non posso mica basarmi sui suoi capelli! Naah, non fa per me.- Non riuscivo a immaginarmi con Nédim, d'accordo che gli opposti si attraggono, ma io e lui eravamo troppo opposti. O almeno credevo così.

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Capitolo 20
*** Mah, uomini! ***


Jack mi concesse di uscire, e quella sera ritrovai Nédim nel mini bar di Al. Ormai ero diventata una sua cliente abituale. Trovai Nédim seduto al tavolo accanto il juke-box. “Tanto per cambiare” pensai tra me e me, quando lo vidi. Nonostante la sua presenza al bar, decisi di non andare al suo tavolo a cercarlo. A dire il vero mi vergognavo. Noi ci sedemmo al bancone a chiacchierare di musica e dei nuovi CD che sarebbero usciti di lì a pochi giorni.

Restammo lì fino a tardi, e solo verso la mezzanotte Nédim si avvicinò a noi -proprio nel momento in cui i suoi amici se n'erano andati-.

-Ehi- mi salutò.

Ruotai lo sgabello girevole nella sua direzione. -Oh, ciao. Come va il polso?

Lui alzò una manica della sua maglietta nera, scoprendo una fasciatura.

-Oh, mamma! Come te lo sei fatto?- chiese Jinxx osservando la fascia.

-Allenamenti.- Nédim mi volse uno sguardo di sbieco.

Decisi che era meglio presentarlo, anche perché lo conosceva solo Jake.

-Ragazzi, lui è Nédim, il mio compagno di allenamenti. Jake, tu e lui vi siete già conosciuti, no? Comunque, Nédim, lui è Andy, lui Ashley, Jinxx e Christian.- Li indicai a uno a uno.

-Oh, piacere.- sorrise lui, facendo brillare il suo piercing.

-Piacere nostro.- soggiunse Ashley.

Guardai un po' il mio compagno, poi feci una proposta. -Ti va di unirti a noi? O devi andare?

Guardò l'orologio che portava al polso. -Direi che posso restare. Sempre che non disturbo.

-Ma figurati! Sentite, prendiamo posto ad un tavolino, ora che ce ne sono alcuni liberi.- propose Christian indicando un tavolino libero attaccato al muro.

Ci sedemmo, ed io divenni impaziente di conoscere le reazioni degli altri al nuovo arrivato.

-Ho notato che sei molto attaccato a quel juke-box, però non avvii mai nessun brano. Come mai?- domandò Jake.

-Oh, mi piacciono i juke-box. Sin da piccolo sono stati una mia passione. Anche stare solo a guardarli mi rischiarano i pensieri. E' come un senso di pace.... diamine, a dirlo così sembra una cosa ridicola.- disse imbarazzato, portandosi una mano alla nuca.

-Tutt'altro!- esclamò Christian. -Quando osservo la mia batteria anche io mi metto in pace l'anima. Non c'è nulla di male.

-Sottoscrivo in pieno!- confermò Jinxx.

-Che genere di musica ti piace?

-Oh, ci sono tanti generi. Lo screamo prima di tutto. Poi sfocio nel metal, punk, rock, rock classico... Ci sarebbero anche i Gorillaz, ma non sono riuscito a capire che genere sono. Fatto sta che li ammiro molto.

-Oh, piacciono anche a me!- esclamai appena udii il loro nome.

-Davvero?

-Si! Io adoro 2D! E' troppo carino.

-Io preferisco Murdoc. Anche se sembra abbastanza sadico nei confronti di 2D.

 

Dopo un po' che avevamo avviato una conversazione completamente musicale, Andy decise di cambiare argomento.

-Hai detto che prendi parte agli allenamenti di Marina. Posso chiederti che cintura sei?

-Nera, come lei.

-Fico! A furia di sentir parlare di arti marziali mi avete fatto venire voglia di cominciare a praticarle!

Spalancai gli occhi. -Davvero?

-Ma, stai scherzando?- prese parola Ashley.

-Ehm... Sai che non lo so?

Scoppiammo a ridere.

Verso le tre di notte ci decidemmo a lasciar chiudere il mini bar ad Al, e ci avviammo verso casa, separandoci da Nédim.

Neanche il tempo di quattro passi, che Ashley attaccò discorso.

-Ti piace, eh? I suoi capelli sono molto fichi.

Spalancai gli occhi dall'esasperazione. -Ma no! E poi perché ti fissi anche tu con i suoi capelli??

-In che senso scusa?

Indicai Jake.

-Oh capisco. Quindi non è solo una mia idea.

Sospirai esasperata.

-Dai, che c'è di male?- intervenne Andy. -Siete molto affiatati. E vi ci vedo insieme.

Questo non me lo aspettavo da lui.

-Ehm... questo per me non è sensato.- lo contraddissi. -Perché se è per l'essere affiatati, allora lo saremmo pure io, tu, Ash, CC, Jinxx e Jake.

Non dissero più nulla. Mi preoccupai, e mi accinsi ad osservarli.

-Ho detto qualcosa di male?

-No...- Jake si trattenne un po'. Poi cominciò a ridere.

-Oh, insomma!- esclamai esasperata. Poi notai, sotto la luce di un lampione, che tutti erano rossi in viso.

-E' che... Hai detto una cosa che non ci aspettavamo! E ci siamo... non so se è il termine giusto... Ci siamo imbarazzati!- continuò a ridere Jake.

-Non capisco! Che male c'è?

-Ma nessuno!- esclamò Andy, dando sfogo ad una risata liberatoria anche lui. -Non ce lo aspettavamo e basta!- li osservai ridere. Pian piano a loro si unirono anche Christian, Jinxx e Ashley. Continuai a guardarli ridere come dei ragazzini. Poi, non so come, la loro risata mi contagiò. Sarà che era buffo vederli tutti piegati dalle risate per una scemenza del genere.

“Mah.” pensai tra me e me “Uomini!”.

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Capitolo 21
*** Il buongiorno si vede dal mattino ***


Quando mi coricai, quella sera, non riuscii a prendere sonno. Pensavo a come era cambiata la mia vita nel giro di un mese. Fino a quello precedente non avevo il coraggio di combattere contro chi mi maltrattava, avevo subito il bullismo, ma in forma ridotta: ora che avevo avuto il coraggio di contrattaccare avevo ricevuto il doppio della violenza; eppure, in fondo, da una parte ero soddisfatta, dall'altra ero depressa, perché non quella violenza non aveva mai fine. Pensai a Andy, Jake, Jinxx, Ashley, Christian, che mi avevano aiutata tutte le volte in cui ero in difficoltà, senza farsi troppi scrupoli, ed erano diventati come dei fratelli maggiori per me.

Mentre ero persa nei ricordi e osservavo il soffitto, sempre nella speranza di prendere sonno, mi balenò in testa il ricordo di come avevo incontrato quei cinque ragazzi. Ricordai come correvo a perdifiato per la strada, e come andai a sbattere contro Andy, il quale aveva deciso di farmi dormire con lui quella stessa notte in cui gli avevo urlato piangendo lacrime di rabbia. Pensai che da una parte era assurdo il modo in cui avevamo fatto amicizia. Era stata un'amicizia molto “velocizzata”, considerato che neanche il tempo di qualche settimana, mi avevano già aiutata a riprendermi dai miei rigurgiti di sangue, e mi avevano fatta dormire con loro. Erano davvero una sorta di fratelli maggiori, pensai sorridendo al soffitto.

Poi il mio sorriso scomparve, quando ripensai al motivo per cui ero scesa in strada quella notte. Da quando li avevo conosciuti, avevo interrotto le mie ricerche per scoprire qualcosa di più dei miei genitori, uccisi da Jack. Ovviamente, quando avevo scoperto il motivo della loro morte mi ero convinta che Jack fosse una sorta di mercenario, visto che viaggiava in continuazione e che era a conoscenza di tutte quelle arti marziali. Ma erano solo due soli indizi sul suo reale lavoro, sul quale lui mentiva dicendo che era un manager.

Riflettei sul fatto di riprendere le mie ricerche su di lui, e ricordai che settimane prima avevo nascosto gli appunti sul suo conto sotto il mio materasso. Non mi mossi per prenderli e studiarli per l'ennesima volta. Ormai li conoscevo a memoria. Mi dissi che avrei pensato a cosa fare quando Jack sarebbe partito, e finalmente mi decisi a prendere sonno.

 

La mattina dopo mi svegliò Jack in persona. Non fu proprio un bel risveglio: aveva acceso le luci nel bel mezzo di un mio sogno e aveva attaccato i Bullet nello stereo a tutta forza in modo da farmi sobbalzare sul letto. Il suo intento nel svegliarmi era riuscito alla perfezione: ero letteralmente saltata sul materasso, facendo ricadere le coperte sulle mie gambe e sgranando gli occhi, così tanto che rischiarono di iniettarsi di sangue.

Alla mia reazione spense l'iPod collegato allo stereo e mi guardò con un sorrisetto sarcastico stampato in faccia. “Il primo che gli vedo dopo anni e anni. Ma si può sapere che gli prende?!” imprecai tra me e me.

-Sto partendo.

-E c'era bisogno di svegliarmi così?

-Era da un pezzo che volevo farlo.- rise lui. “No, davvero. Che gli è preso?”

-Beh, allora ci vediamo tra un mese.- risposi io lasciandomi ricadere sul cuscino, richiudendo le palpebre, che si erano rifatte pesanti sui globi oculari.

Finì di ridere. -Bene. Sappi che hai delle visite in soggiorno. Ci sentiamo a metà mese.- detto questo, si girò, spense la luce, e se ne andò. “Ecco Jack. Vattene, spegni la luce, e non rompere.” Diciamo che non avevo considerato minimamente l'ultima frase che mi aveva detto, a parte il “ci sentiamo a metà mese”. Ricrollai nel mondo dei sogni non appena lui sbatté la porta andandosene.

“Pace, gioia e serenità.” pensai con un reale senso di pace.

Poco dopo mi sentii scuotere pian piano, mentre una voce chiamava il mio nome.

-Maaarinaaa...

-Mmmh...

-Eeehi...

-Jack... Lasciami stare!- mi rigirai su me stessa, portandomi le coperte sulla faccia. Udii delle risate.

-Dormigliona?- mi sentii la faccia scoperta.

-Oh, insomma!- esclamai io, riprendendomi le coperte e ricoprendomi tutto il viso.

Altre risate. Ad un tratto mi sentii tutto il corpo scoperto. Tastai con la mano la superficie delle lenzuola che ricoprivano il materasso, ma delle coperte non si trovava niente. Mi raggomitolai su me stessa, nella speranza che le risate finissero, e che la mia coperta tornasse magicamente su di me. -Certo che non c'è modo di farla svegliare!- esclamò la voce di Jinxx.

-Jinxx... sta' zitto!- poi un fulmine mi balenò nella testa. Che ci faceva Jinxx nella mia stanza?

Aprii gli occhi di soprassalto, e con essi, la mia schiena si rizzò nello spazio di un secondo.

-Jinxx! Che diamine ci fai qui?!- poi mi guardai attorno, e vidi che con lui c'erano anche gli altri. -E voi che ci fate qui?!?!

-Ehm, Jack non ti ha detto che eravamo qui?

Ripensai a quello che mi aveva detto Jack prima di andarsene. Le sue parole mi rimbombarono nelle orecchie: Sappi che hai delle visite in soggiorno. “Cacchio!”

Li osservai mentre erano tutti piegati in due dalle risate. Presi il mio cuscino, e senza pensarci due volte lo tirai addosso a Christian, che era seduto ai piedi del letto, con le mie coperte ammassate dietro la schiena. Ripresi le coperte e me le rimisi addosso, coprendomi la faccia.

Non passò neanche un secondo che il cuscino ritornò al mittente, con però un piccolo omaggio: il corpo di chi lo aveva ricevuto sopra il mio.

-CC! Così mi soffochi!- risi, sentendo il suo peso su di me e le sue risate. Due mani si mossero sopra le coperte, attraversando i miei fianchi, e cominciando a muoversi in modo da farmi ridere più di quanto già ridessi.

-No! No! Non puoi farmi il solletico! No! Non ci provare!- ma era tutto inutile: ormai le coperte erano finite tutte al lato del letto e io mi dimenavo ridendo sotto le mani di Christian.

Quando finalmente si decise a farmi respirare ero completamente sveglia.

Mi stropicciai gli occhi e li osservai. Non erano vestiti per uscire, anzi, avevano un abbigliamento molto semplice, tipico di chi ha intenzione di passare la domenica a non fare niente. Andy si era seduto alla sedia della mia scrivania, puntando il suo sguardo dritto su di me. Mi incantai a fissare i suoi occhi, finché lui non si decise a dire qualcosa.

-Ehi, ti sei incantata?

-Dovrei chiedertelo io.- ribattei soffocando una mezza risata. -Piuttosto, che ci fate qui?

-Dobbiamo essere sinceri? Ci annoiavamo.- rispose senza troppi problematiche Jinxx.

-Ragazzi, ma la domenica non dormite?- Poi rivolsi il mio sguardo alla mia sveglia: le 11.45. Il mio viso avvampò. -Ossantissimoiddio! Ma è tardissimo! Devo cucinare! Non posso fare colazione! Occristo! Occristo!- mi alzai di scatto, buttando uno sguardo allo specchio, nel quale intravidi i miei capelli che sparavano in tutte le direzioni, benché fossero ricci di loro. Aprii il cassetto con forza e ne tirai fuori una maglietta a caso. Lo stesso trattamento venne riservato ai jeans prelevati dall'armadio. Senza fare troppo caso ad Ashley che stava appoggiato alle assi della porta, gli passai davanti con in mano i vestiti e mi diressi nel bagno per vestirmi. Uscii in tutta fretta, ritornando in camera mia e gettando il pigiama sul letto senza degnarmi di metterlo a posto. Soltanto allora riuscii a tirare un respiro e a riguardare l'orologio. Le 11.59. Tempo record.

-Beh? Che si fa ora?- domandò Jake.

-Intanto direi di sistemare la sveglia di Marina.- propose Andy.

-Come sarebbe a dire “Sistemare”??

-Vedi, in realtà sono ancora le 11.15.- Andy mi porse il suo cellulare, nel quale schermo si illuminarono a grandi caratteri le cifre “11.15”. Lentamente girai il mio viso verso il suo. Lo fissai.

-Ehi, dai. Non mi guardare così. Marina, ti prego. No, non ti azzardare a farmi il solletico! No! Non ci provare!

-Too late, dear.

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Capitolo 22
*** Scoperte sconcertanti ***


Passammo quella domenica a casa mia a non fare niente. Scherzammo, mangiammo... Ad un certo punto ci eravamo pure messi a cantare.

-Party like a rock star! Party like a rock star!- cantava Ashley a squarciagola. Considerata la sua indole tranquilla, quando cantava non sembrava nemmeno lui. -Qualche venerdì sera ci dobbiamo ubriacare!- esclamò poco dopo, gettandosi sul divano ridendo a crepa pelle.

Per quanto mi potessi divertire, la mia mente era sempre rivolta alle ricerche su Jack che tenevo sotto il materasso. Mi incuriosivano in modo inquietante, e mi ripromisi che il giorno dopo mi sarei cimentata nel rivederle tutte.

 

Come prestabilito, quel lunedì pomeriggio tirai fuori le mie ricerche. Avevo scoperto che Jack aveva ucciso i miei genitori, ma non mi era chiaro il motivo. Avevo frugato tra le sue cose nel suo studio tempo prima, e vi avevo trovato dei documenti che parlavano della mia adozione e dei miei genitori. Dei miei documenti, non mi importava tanto; ovviamente la mia attenzione era puntata su quelli di chi era stato ucciso. Leggendo quella calligrafia schiacciata mi accorsi che era la stessa di Jack. Non aveva scritto molto su di loro; e non a caso ciò che avevo trovato su di loro era solo una foto allegata a un foglio.

Nella foto erano ritratti una donna e un uomo. Lei era molto bella, slanciata e magra, con dei capelli ricci e di un nero corvino uguale al mio, solo che sul suo c'erano anche dei riflessi blu, cosa che mi ispirò non poco. Indossava un abbigliamento poco comune nel quale prevaleva il nero, ma molto ordinato, un piercing al naso, e aveva un trucco molto pesante; eppure, in tutto questo lei aveva una sua armonia. L'uomo accanto a lei era alto e ben palestrato. Il classico uomo che gioca a basket. Indossava un cappellino degli Yankees, aveva una capigliatura corta e bionda. La sua pelle era meno pallida rispetto la carnagione della donna accanto a lui, e nel suo viso erano impressi due occhi verdi in cui ci si poteva perdere. Il suo abbigliamento era meno simile a quello della donna: indossava una felpa nera col cappuccio posto sopra il cappellino e le maniche tirate sopra gli avambracci, in modo da scorgerne un tatuaggio attorno l'avambraccio destro. C'era scritto “LOD” a grandi caratteri neri. Non seppi interpretarlo bene, ma in mente mia, dopo essermi scervellata parecchio, intuii che dovesse significare qualcosa tipo “Live or Die”. Sotto la felpa, indossava una maglietta bianca con sopra stampate due pistole bianche all'interno ma dai perimetri rispettivamente blu e azzurro. Quei due erano uno accanto all'altro, e fissavano l'obiettivo della macchina fotografica ridendo e tenendosi per meno. Lei aveva uno splendido sorriso, mentre lui era fichissimo, e allungava verso l'obiettivo una mano a forma di corna, per simboleggiare il Rock.

Quando avevo trovato quella foto ero rimasta a fissarla così a lungo che ero riuscita a scorgere i miei occhi in quelli dell'uomo e la mia capigliatura in quella della donna, insieme a tantissime altre somiglianze. Più guardavo quella foto, lì accucciata vicino la scrivania nera di Jack, più le lacrime mi scendevano dagli zigomi, per poi percorrere le guance, appendersi alla mandibola e gocciolare sui jeans che indossavo.

 

Insomma quel pomeriggio mi ero decisa a tornare nello studio di Jack, non appena avessi ricontrollato i miei appunti, che non erano neanche tanti. Ricordavo perfettamente cosa fosse scritto sul foglio allegato alla fotografia. Poche semplici frasi erano state impresse sulla carta con fare frettoloso. “Li ho uccisi. E' finita. Voglio dimenticare al più presto il motivo per cui l'ho dovuto fare. Presto andrò a prendere la piccola Marina, che è stata portata in orfanotrofio, e le cambierò il loro cognome con il mio.”

Ripensai a quelle frasi, cercando di trarne un significato, ma niente, soltanto l'odio mi invadeva l'anima.

Entrai nello studio di Jack, che era accanto la sua camera da letto. Ricordai le pareti rosso sangue e quei quadri di arte astratta incorniciati da assurde cornici dorate. Il pavimento in marmo nero, la scrivania nera e lucida posta al centro della stanza, con sotto i cassetti nei quali settimane prima avevo freneticamente frugato, le immense librerie piene di volumi dalle copertine grigie. Riguardai al loro interno, ma non vi trovai nulla di nuovo rispetto all'ultima volta che ci avevo sbirciato dentro. Mi guardai attorno con sguardo cupo e perso. Da dove potevo cominciare? Non sapevo dove mettere mani. Mi avvicinai all'immensa libreria che stava alla sinistra della scrivania e passai in rassegna tutti i volumi che il mio sguardo coglieva. Nulla di fuori dal normale. I libri erano ordinati meglio di quanto possa fare una bibliotecaria. Mi girai, e mi diressi nella libreria opposta. Anche lì osservai tutti i volumi posti ordinatamente su tutti gli scaffali. A un certo punto sbirciai un libro che aveva una piccola differenza rispetto gli altri. Sulla copertina grigio topo non vi era alcun titolo. Sfilai il libro, e mi sedetti sul marmo freddo a gambe incrociate, poggiando su di essere il libro. In realtà quello che avevo tra le mani non era proprio un libro, ma una “scatola” a forma di libro, poiché al suo interno, tra le suddette pagine, vi era scavato una piccola fossa rettangolare che a sua volta conteneva dentro una chiave. Mi alzai di scatto, lasciando il libro per terra e impugnando la chiave con energia. Perlustrai ogni centimetro dello studio, e quando stavo per arrendermi, mi balenò in testa un'idea che ritenni stupida, ma che si rivelò subito azzeccatissima. Spostai la sedia da sotto la scrivania e abbassai la testa per sbirciarci sotto. Il mio dubbio era fondato: al lato opposto dei cassetti c'era un cassettino con un lucchetto, il quale si apriva proprio con la stessa chiave che stavo stringendo tra le dita. Aprii quel cassetto, e vi trovai dentro un quaderno e diversi fogli. Analizzando i fogli non vi scorsi nulla che in quel momento mi potesse interessare; mentre, riguardo il quadernetto, decisi che lo avrei esaminato con calma. Mi sedetti sulla sedia imbottita di Jack e cominciai a leggere la prima pagina.

Non riesco a credere che il Boss mi abbia affidato un lavoro del genere. Tengo troppo a loro per fare una cosa del genere.” In seguito notai che per ogni pagina, chi aveva scritto, vi aveva annotato solo pochi pensieri, che, evidentemente, gli torturavano la mente.

E meno male che siamo tutti una 'famiglia' qui! Il Boss è ossessionato dall'idea che io li debba fare fuori.”

Ricordo ancora il giorno in cui li ho incontrati per la prima volta. Il modo in cui hanno dato un po' di colore a quella misera vita che avevo. Ricordo gli abbracci di Shay ogni volta che mi incontrava e le serate passate con Oliver a cantare musica che solo noi conoscevamo.”

Il Boss ha deciso che devo farlo entro questo fine settimana. O la loro sorte toccherà a me.”

Domani.”

Il piano è il seguente. Li inviterò a cena nell'appartamento che il Boss mi ha reso disponibile (tanto sta per essere raso al suolo). Impregnerò i loro bicchieri di sonnifero, in modo tale che si addormentino nel giro di pochi minuti. Per far si che non si accorgono di nulla proporrò di vedere un film a luci spente. Poi... succederà l'inevitabile.”

L'ho fatto. Avevo l'ordine di accoltellarli, ma non ce l'ho fatta. Ho preferito tagliare le vene a entrambi.”

Non trovai nient'altro nelle pagine seguenti. Fissavo con orrore quel quadernetto, tenendolo tra le mani tremanti. Quello che avevo letto mi ossessionava la mente. Rimisi tutto a posto, in modo da far sembrare che nessuno fosse mai entrato in quella stanza. Uscii, sbattendomi la porta alle spalle. Indossai le scarpe, percorsi le scale della palazzina in tutta fretta. Quando aprii la porta un'ondata di aria gelida mi invase il viso.

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Capitolo 23
*** Sapore di sangue ***


Quella folata di vento gelido, che mi aveva colpito così violentemente in viso, costrinse i miei occhi a chiudersi e aprirsi poco dopo carichi di lacrime. Mi sembrava di rivivere la sera in cui mi ero scontrata con Andy, ma solo con il triplo del dolore. Non riuscivo ad accettare che Jack avesse ucciso due persone con le quali era amico da praticamente una vita. I miei genitori. Poco prima che partisse non mi fidavo molto di lui, ma in qualche modo stava riacquistando “punti” di fiducia. Dopo aver letto quella specie di diario, lo odiavo con tutto il cuore. E continuavo a chiedermi perché avesse deciso di adottarmi, dato che sarei stata solo una fonte di sofferenza per lui, se non di odio. Non riuscivo a capacitarmi di niente.

Cominciai a correre, nello stesso viale in cui settimane prima mi ero scontrata con Andy. Non sapevo bene il perché, ma la storia dello scontro parve ripetersi. Solo con una persona totalmente diversa da Andy.

Andai a sbattere contro un ragazzo poco più alto di me, e molto magro. Caddi per terra, mentre lui indietreggiò semplicemente. Alzai gli occhi.

-Guarda dove corri, idiota!

“Oh. No.” pensai, nel vago tentativo di fermare le lacrime, che ovviamente non si fermavano. Jeff.

-Ma guarda un po' chi sta piangendo come una checca!- commentò una vocina acida. “Bene, pure Rosie. Chi altro c'è?” Il mio sguardo vagò tra i visi di chi mi circondava: Jaff, Rosie, l'amica obesa, quello a cui avevo mollato un calcio nel costato tempo prima e i soliti due compari.

Mi rialzai di scatto. Non credo che Jeff mi avrebbe offerto la mano, come Andy. Mi voltai per andarmene, ma una mano mi afferrò per la spalla.

-Dove credi di andare? Esigo delle scuse.- biascicò Jeff.

-E per che cosa, di grazia?- imposi ai miei occhi di fermare quelle dannate lacrime, e finalmente ci riuscii.

Jeff rivolse uno sguardo malefico al ragazzo accanto a lui, che lo afferrò al volo, e fece un passo avanti. -Oh, ti sei scontrata contro di me. Non è che tu non mi abbia fatto male.

-Oh, poverino. Beh, sopravviverai, mio “caro”. Bye, bye.- mi girai, irritata da quelle stupide pretese, e anche stavolta venni fermata. Solo con uno strattone più forte. Stavolta però mi lasciai andare. Chiunque mi fossi trovata davanti lo avrei colpito. E così feci. Mollai un gancio destro a chi mi aveva fatta girare nello stesso momento in cui ruotai su me stessa. Il mio bersaglio era stata Rosie, e l'avevo colpita in pieno viso e facendola cadere a terra stordita.

-Ah, che soddisfazione. Erano mesi che volevo farlo.- brontolai, mentre la ragazza obesa soccorreva la Rosie ferita.

-Questo non dovevi farlo.

-Prego?- mi girai verso Jeff.

-Tu. Non la devi. Toccare!- esclamò puntando un pugno verso la mia faccia, che però schivai e mandai altrove. Jeff tirò diversi colpi, e tutti finirono a vuoto. Così fu anche per quelli che cercò di indirizzarmi il ragazzo che aveva ricevuto il mio calcio nel costato, che poi scoprii chiamarsi Phil. “Che nome patetico per uno che si da tante arie mollando pugni a destra e a manca.” pensai parando l'ennesimo calcio e ignorando il centesimo insulto.

In tutto quel tempo i due compari di Jeff erano rimasti immobili, con le mani in tasca. Sembravano Pinco-Panco e Panco-Pinco di “Alice nel paese delle meraviglie”: due idioti.

Quando Phil e Jeff di stancarono di mollare pugni all'aria, fecero segno ai due idioti di avvicinarsi. Compresi alla svelta le loro intenzioni, e, man mano che si avvicinavano, io indietreggiavo. Continuai così, finché non incontrai un corpo estraneo. “Ti prego, fa che sia qualcuno che può aiutarmi, ti prego!” mi girai verso colui contro cui ero andata a sbattere. “No.”

Era un ragazzo che ronzava sempre attorno a Jeff, ma che fino a quel momento non mi aveva mai toccata. Lo guardai con un po' di speranza, ma lui mi prese i polsi bloccandomeli dietro la schiena.

-Hey, Jeff! Che ci faccio con questa? Ti stava dando problemi?

-Oh, Joe. Giusto in tempo. Si, tienila ferma per favore.- si avvicinò, attorniato dagli altri ragazzi.

Il così chiamato Joe, mi puntò un ginocchio contro la schiena, in modo da tenermi più ferma, anche se io cercavo di liberarmi dalla sua stretta in tutti i modi che Jack mi aveva insegnato. Niente da fare. Lui era troppo forte.

Un pugno segnò la mia faccia nel giro di pochi secondi, provocando il riempimento della mia bocca del mio stesso sangue, dal sapore ferreo.

-Spero che ti sia mancato il sapore del sangue, specie di emo, perché non sai quanto ne stai per riversare.- disse Jeff con tono acido. Non passò molto perché tutti i colpi che fino a qualche istante prima arrivassero a destinazione. Stavolta, al posto di essere catalizzati solo nello stomaco, arrivarono in più parti del corpo, ma in modo particolare al viso.

Quando finalmente Jeff si poté ritenere orgoglioso della sua violenza e Joe mi lasciò cadere a terra, Rosie mi si avvicinò, tenendosi una mano sulla guancia che avevo colpito. -Scuse accettate.- cantilenò acida mollandomi il solito calcio al fianco, che mi costrinse a sputare sangue. Stavolta, avevo avuto la fortuna di non ricevere troppi calci all'apparato digerente, e il sangue che sputavo era dovuto per lo più ai pugni ricevuti in faccia. “Emorragia scampata” pensai tra me e me, ansimando un po'.

Joe mi passò accanto e si allontanò insieme al resto del gruppo. Rimasi per una manciata di secondi piegata a terra, con le labbra gocciolanti di sangue. Poi mi decisi a parlare. -Lo sai...- Jeff si voltò furente. -Continuo a pensare che tu sia un lurido codardo.- mi si avvicinò. -Non hai il coraggio di scontrarti da solo, e se anche lo fai, ti devi fare per forza aiutare da qualcuno dei tuoi compari, nello stesso momento in cui la tua sconfitta si avvicina. E, per di più, non ti fai scrupoli ad attaccare una ragazza, che in confronto a un ragazzo ha sicuramente meno forza. Mi fai schifo.- Lui si accovacciò, mi prese il viso con una mano, strizzando le guance in modo da fare uscire più sangue. -Tu. Non sai cosa ti aspetterà se continuerai a ronzare da queste parti. Verrai schiacciata come una zanzara. Ti potrei anche picchiare finché non implori pietà. E se non lo dovessi fare, ti pesterei fino alla tua morte. Non so ancora come faccio a trattenermi...- serpeggiò guardandomi con disprezzo. Poi lasciò andare la mia faccia, si alzò, e con un piede mi spinse in modo da farmi ritrovare stesa sul cemento. Lo osservai allontanarsi, mentre chiedeva un fazzoletto a qualcuno per “pulirsi del mio sporco sangue”. Rimasi stesa lì per terra finché non si allontanarono completamente, in modo da scomparire dal mio campo visivo.

Quelle parole, che mi aveva sputato in faccia con così tanto odio, mi avevano spaventata a morte. Dopo tutto quel tempo passato ad allenarmi in tutti i modi possibili con Jack e Nédim, mi auto-convinsi che non avevano fruttato nulla. Che era stato tutto inutile. Non riuscivo a capacitarmi di un fallimento come quello.

Pian piano, anche se tremante a causa della paura, mi alzai, e mi avviai pian piano verso la mia palazzina. Quando arrivai davanti casa mia, non aprii la porta, non entrai. Proseguii la salita. Oltrepassata anche la casa di Jake e degli altri ragazzi, arrivai al terrazzo. Non c'era nessuno.

Arrivai fino al muretto che doveva fungere da ringhiera. Ero sola. Osservai la città sotto di me, tutta in movimento. Mi sedetti sopra il muretto, lasciando penzolare le gambe nel vuoto.

Pensieri su pensieri si affollarono nella mia mente.

Senza dubbio, quella era stata la giornata più brutta della mia vita. Non vi era stato uno straccio di positività. Avevo scoperto come e perché i miei genitori erano stati uccisi da Jack, avevo combattuto invano contro una massa di bulli, di cui il capo di tutti mi aveva massacrata. A pensarci bene, l'unica cosa buona di quello scontro era che mi ero presa una rivincita su Rosie. Ma solo quello. Un mezzo sorriso comparve sulla mia faccia, ma scomparve subito, quando le ferite si riaprirono, garantendo la fuoriuscita di altro sangue. Così successe: socchiusi il labbro inferiore e il sangue cominciò a gocciolare sui miei vestiti.

Chiusi gli occhi. Le parole di Jeff mi si riversarono addosso come una caduta di sassi.

La paura modellò la mia faccia in una smorfia di pianto, e fu così che le lacrime ripresero a rigarmi il viso.

Fu in quello stesso momento che la porta alle mie spalle si aprì.

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Capitolo 24
*** When I hear your cries, praying for life, I will be there... ***


La porta alle mie spalle si spalancò, e dietro di me udii delle voci parlare.

-Vedi, io credo che dobbiamo fare qualche arrangiamento agli spartiti.- Jake.

-Senti, siamo saliti qui per prendere aria, non per continuare a scervellarci.- ribatté Andy.

-Ehi. Ma... è Marina?- Christian si era accorto della mia presenza.

-Marina?- La voce di Ashley tremò.

Girai lentamente la testa, ma poi la riportai sul grattacielo davanti a me. Chiusi gli occhi. Ormai avevo un solo pensiero in testa, ed era troppo macabro per essere estinto.

-Marina! Che stai facendo lì?- la voce di Jinxx si avvicinò a me, ma io lo bloccai, ponendo una mano tesa nella sua direzione. Tossii, il che provocò un'altra uscita di sangue.

“Tanto vale farla finita. Faccio schifo in tutto. Avrei solo preferito che non ci fossero loro ad assistere ad un fatto del genere.” Le lacrime cominciarono a scendermi in volto, cercai di non darlo a vedere, ma mi sfuggirono una serie di gemiti. Sporsi il viso per rendermi conto dell'altezza a cui mi trovavo. Una folata di vento gelido mi colpì in pieno viso.

-Marina. Ti prego. Girati da questa parte.- mormorò Ashley.

Ritirai il mio viso e rimasi per un po' immobile. Poi mi decisi a voltarmi. Il mio corpo entrò nel campo di luce che illuminava a stento il muretto, e tutte le mie ferite divennero visibili.

Non alzai lo sguardo, lo tenni fisso sulle mie ginocchia, che ora, al posto di essere penzolanti, erano incrociate tra loro. Osservai i jeans tingersi di sangue.

-Ma che cosa ti hanno fatto?- Jake fece un passo avanti, ma si fermò quando mi vide avvicinarmi all'estremità del muretto. Avevo settanta centimetri di spazio a disposizione, e ne occupavo già cinquanta o poco di meno.

-Ok, ok. Stai ferma.- indietreggiò.

-Ti va di parlarne? Non è il caso di fare una cosa del genere.- cominciò Ashley.

Lo bloccai prima che continuasse a parlare. Ero spaventata a morte, dolorante, avevo scoperto cose che mi avevano causato un dolore immenso, avevo subito un duro fallimento, e provavo così tanti altri sentimenti che erano impossibili da elencare. Scossi leggermente la testa.

-Marina. Ragiona. Per una qualsiasi cosa c'è sempre una soluzione.- tossii nuovamente, e sputai altro sangue. “No, Andy, non c'è alcuna soluzione. Sono uno schifo di persona. Un fallimento totale. Con un passato irreparabile e affidata a un uomo che ha commesso un omicidio imperdonabile. No.” pensai sentendomi un groppo salire in gola.

-Marina. Ti prego.- chiamò Christian.

-Sai...- parlò Andy -Mi ricordo ancora il giorno in cui ti ho incontrata. Beh, più che incontrati, ci siamo scontrati, letteralmente.- Non capivo. Perché stava parlando di quello? -Eri furente di rabbia, al punto che avresti potuto lanciarmi un sasso se ne avessi avuto uno a portata di mano- ridacchiò -Mi urlasti contro che rivolevi indietro i tuoi genitori. E io avevo intuito ben poco da quella frase. Eppure non ti abbiamo mai chiesto una spiegazione riguardo quel tuo stato d'animo, nel timore di scatenare un tuo crollo emotivo. Abbiamo sempre preferito divertirci insieme. Abbiamo vissuto tanti bei momenti, e persino Ash ha nuovi programmi per questi giorni. Vero Ash?

Lui annuì.

Andy riprese a parlare, mentre gli altri lo fissavano come se pendessero dalle sue labbra. Io invece avanzai di altri cinque centimetri circa verso la fine della superficie cementata.

-Non credo che sia il caso di farlo. Non sarebbe giusto arrendersi così facilmente, non trovi? Non so cosa ti abbia spronata a fare una cosa del genere, ma sarebbe meglio prima combattere per quello che sai. Non dico di attuare una vendetta, ma quasi. Anche se hai affrontato dei fallimenti, vale la pena ritentare, anche con altre armi. Ascolta “Set The World On Fire”, per esempio. Te la ricordi no? Ti era piaciuta molto. Per me è sempre stata una fonte di ispirazione.- concluse Andy.

Questo mi colpì molto. Quella canzone mi aveva colpito molto, il suo significato soprattutto. L'avevo completamente dimenticata. Per quanto il dolore fisico ed emotivo mi si riversavano addosso, le parole di Andy prevalsero. Non so bene il perché, mi aveva dato uno straccio di speranza, anche se non sapevo di cosa e non me lo riuscivo a spiegare. Poche frasi mi avevano convinta a cambiare idea. A non commettere quel... suicidio.

Alzai il mio volto. Stavolta avanzai verso l'interno del terrazzo. Poggiai i piedi a terra, mi alzai e corsi verso Andy, scoppiando a piangere e abbracciandolo, nonostante perdessi ancora sangue.

Lui mi strinse a sé, e per quanto fosse poco più alto di me, affondai il mio viso tra i suoi vestiti. Piangendo. Soltanto allora mi decisi a dire le prime parole da quando ero salita lassù.

-Ho paura, Andy. Tantissima.

Lui non disse nulla. Mi strinse a sé e basta. Poco dopo, a quell'abbraccio si unirono pure gli altri.

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Capitolo 25
*** Lividi ***


Andy e i ragazzi mi scortarono nel loro appartamento. Io camminavo lentamente, a testa bassa e tramante. Per tutto il tragitto, Ashley mi aveva tenuto un braccio attorno le spalle, come se avesse paura che gli sfuggissi di mano.

Quando entrai in casa loro mi venne da piangere. Non sapevo il perché, ma le lacrime cominciarono a scendermi dagli occhi come se niente fosse. Ashley stesso fu il primo ad accorgersene. Mi fissò un po' e poi mi avvolse in un abbraccio. Pensai che era molto dolce da parte sua, ma questo non fece migliorare il mio umore.

Ci accomodammo sul divano e mentre Christian recuperava il disinfettante, Andy mi portò del ghiaccio da mettere sui lividi che si erano formati sugli zigomi, per poi sedersi accanto a me.

-Ti va di parlarne?

Indugiai parecchio. Anche perché loro non sapevano neanche il motivo della mia corsa sfrenata per la strada. Dopo un po' mi decisi a dare spiegazioni, anche se a tratti la mia voce vibrava a causa di diversi groppi che salivano e scendevano per la gola. Tentavo in tutti i modi di trattenere le lacrime, e fu uno sforzo quasi smisurato, ma alla fine ben riuscito. Non dissi troppi particolari del motivo per cui ero uscita di casa, non me la sentivo ancora. Per me non era una cosa da prendere sotto gamba, o da spiattellare così facilmente a chiunque.

Concluso il racconto, il mio labbro inferiore tremò in un modo che io considerai quasi pericoloso. Ricordai le parole che pochi minuti prima Andy mi aveva detto per farmi cambiare idea su quell'idea di suicidio. Non gli avevo mai detto perché la sera che li avevo incontrati gli avevo urlato contro che rivolevo i miei genitori. E nemmeno in quel momento ero stata del tutto sincera.

Tirai su col naso. -Non vi ho mai dato una motivazione per quello che ho urlato la sera in cui vi ho incontrati. Vi avevo detto che rivolevo indietro i miei genitori, giusto?- guardai Andy, il cui sguardo era concentrato su di me. Annuì. -Beh, la storia è la seguente. Quella sera, avevo scoperto che il mio patrigno, Jack, aveva ucciso i miei genitori...- Jake spalancò la bocca, mentre gli altri sgranarono gli occhi. Erano come pietrificati. -Sembra assurdo. Soprattutto il fatto che lui, assassino, abbia deciso di adottare me, la loro figlia...

-Ma come hai fatto a scoprire che erano i tuoi genitori?- domandò Jinxx, che era sbiancato in viso pochi secondi prima.

Gli raccontai della foto e del foglio che vi era allegato. -Erano identici a me. Avevano un sacco di tratti del viso che richiamano i miei. Per non parlare della capigliatura, degli occhi, dello stile... insomma. Quella sera ero scappata di casa con l'intenzione di non tornarci più, ma, come sapete, quel desiderio non si avverò. Qualche ore fa avevo fatto una scoperta che mi aveva portata ad uscire di casa. Stavolta solo per schiarirmi le idee, per calmarmi, ma non era mia intenzione ricorrere al suicidio.- mi sorprese la facilità con cui nominai quell'azione. Poco prima non avrei neanche avuto il coraggio di nominare la parola “morte”. Continuai a parlare, raccontando di come avevo trovato il quaderno nero, quello che vi era scritto all'interno, e il modo in cui mi sconcertò.

Quando conclusi il racconto non riuscii più a trattenermi scoppiando in una crisi di pianto. Quello era ancora più doloroso delle minacce di Jeff. Piangendo le lacrime si poggiarono sulle ferite del labbro, e lo fecero bruciare al punto che mi sembrava che si infiammasse. Abbassai il capo, portandomi i palmi delle mani agli occhi per cercare di fermare le lacrima, ma fu tutto inutile. Il mio tentativo di non dare troppe pene a quei ragazzi era stato invano.

Loro non dissero nulla. Sapevo solo che erano rimasti pietrificati a quelle parole. Christian si inginocchiò davanti a me, sollevò il mio viso verso di lui e mi disse: -La tua storia è davvero triste e dolorosa. Non potevamo sapere che grande fardello portassi sulle tue spalle. Ne siamo addolorati. Vogliamo starti il più possibile vicini in un momento come questo.- lo fissai, sentendomi le ciglia imperlate di lacrime, e incantandomi nei suoi occhi profondi, di quel castano scuro che non aveva mai toccato i miei occhi. Tentai un sorriso, e gli accarezzai una guancia.

 

Poco più tardi, quando ormai il ghiaccio per i miei lividi si era sciolto, Jake prese parola. -Credo che sia il caso che tu dorma con noi. E se ti và, dato che sarai sola per un mese, potresti stare da noi per tutto quel tempo. Che ne dici?

Lo fissai per un po'. Credo che ne avesse già parlato con gli altri, perché loro non si sbalordirono minimamente di quella proposta. Si, era proprio evidente, ne avevano già parlato. Poi annuii, dicendo che però avevo bisogno di cambiarmi e di farmi una doccia. -Sai com'è, sono piena di sangue ovunque.- indicai i miei vestiti e la mia faccia con un mezzo sorriso, che contagiò gli altri, risollevandoli un po'. Dato che ero viva, non potevo mica diffondere un'aurea lugubre.

-Beh, allora andiamo a prendere le tue cose?

-Ehm, ok... Ma dove dormirò? Non posso mica stabilirmi in una delle vostre stanze!-osservai il divano.

-Oh, invece si che puoi.- intervenne Andy. -Il mio letto è il più spazioso di tutti, quindi potrai dormire con me. Sempre che la cosa non ti disturbi.- mi osservò con aria innocente, che non seppi come interpretare, ma che mi piacque molto, al punto di insinuare sul mio viso un sorriso.

-Tranquillo, non mi disturba affatto. Ma non vorrei essere un peso. Dato che dovrei restare da voi per un mese, non penso che tu sia disposto a sopportarmi sempre nel tuo letto. Non è meglio che io dorma sul divano?- tornai a fissare il divano nero in pelle al muro.

-Oh, che tu dorma sul divano non te lo concederemo mai. E' troppo scomodo. Però... a pensarci bene... ehi, CC! Quello non è un divano-letto?

Christian lo osservò per un po'. -Beh, si. Ma stasera non ce la faremo mai a montarlo. Per stasera credo che potrai dormire con Andy, Marina. Ok?

Annuii.

 

Poco dopo scendemmo al piano di sotto, a casa mia, per prendere la mia roba. Era tutto come lo avevo lasciato. Dato che mi avevano proposto di stabilirmi da loro per un mese, decisi di mettere in un borsone tutti gli indumenti di cui avevo bisogno, scelta che gli altri concordarono. Per lavare i vestiti sarei scesa a casa mia ogni tre o quattro giorni. Mi aiutarono a sistemare tutti i vestiti nella borsa. Quando terminammo, Jinxx mi avanzò una proposta che non mi spiazzò minimamente rispetto quanto lo fece agli altri.

-Ehm, possiamo vedere lo studio del tuo patrigno?

Acconsentii. Li guidai fino il suo studio, ma non gli concessi di entrarci ed aggirarcisi. Lo osservarono dalla soglia della porta.

-E'... esattamente come lo avevo immaginato.- commentò Ashley.

-Macabro.- era l'unico aggettivo adatto a descriverlo. Richiusi la porta e ci avviammo verso il piano di sopra.

 

Mi lasciarono usare il bagno per una doccia. Timidamente mi chiusi lì, e sotto il getto d'acqua rimasi sovrappensiero, riguardo la terribile giornata che avevo affrontato e il modo così veloce in cui si stava concludendo. Quando aprii le ante della doccia mi accorsi di aver dimenticato il pigiama all'ingresso, dentro il borsone, e di avere a disposizione solo un'enorme asciugamano che mi aveva offerto Jake. La avvolsi attorno al mio corpo, indossai le mie infradito, e gocciolante mi avviai verso il soggiorno. Meno male che il pavimento era in moquette. Quando giunsi in salotto gli altri si voltarono a guardarmi ed io mi sentii arrossire violentemente.

-Ehm... mi serve il borsone...- abbassai lo sguardo, e poco dopo Jinxx me lo porse gentilmente. Lo presi con una sola mano, dato che con l'altra reggevo l'asciugamano. Lo sguardo di Jinxx si posò sui miei due tatuaggi, per poi posare il suo sguardo sul mio viso ancora bagnato. Mi intimidii. Sapevo che alternativamente fissava i miei lividi e i miei occhi, ma io mi sentii avvampare le guance, tanto da auto-costringermi ad abbassare lo sguardo.

-Jinxx! Così la imbarazzi!

Lui si riscosse. -Oh, scusa. Non volevo metterti a disagio. E' che... così sei molto... carina...- arrossì anche lui.

Mi strappò un sorriso, che però durò ben poco. -Oh, grazie.- poggiai la borsa un attimo a terra, e gli diedi una carezza sul braccio. Ormai, era chiaro che, nonostante il mio umore fosse sotto terra, i gesti di affettuosità erano impossibili da annientare. Facevano parte della mia indole, ed era una mia abitudine essere affettuosa con la gente a cui tenevo.

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Capitolo 26
*** Crisi di stanchezza ***


Quella notte dormii, come prestabilito, con Andy. Mi addormentai in preda ai dolori dovuti ai lividi sulle braccia e sul bacino -che avevo scoperto di avere sotto la doccia-. La notte non passò tranquilla come avrei desiderato. Feci una serie di incubi, che però il mattino dopo non riuscii a ricordare. Solo uno mi rimase impresso nella mente. Vedevo me stessa cadere dalla mia palazzina, e, mentre precipitavo, udivo una voce urlare il mio nome. L'impatto col terreno era stato micidiale: osservai le mie ossa rotte e fuori posto e il sangue che si diffondeva tutto attorno a me, formando una pozzanghera vera e propria. Quest'incubo aveva solo queste poche immagini di riferimento, ed io osservavo tutto come se fosse la scena di un film, che però si ripeteva periodicamente.

Tutto si ripeté per svariate volte, finché non sentii una mano scuotermi leggermente. Era Andy. Dovevo averlo svegliato, a causa dei miei movimenti bruschi nel letto.

-Ehi, tutto ok?

-Non direi.- mi portai una mano sugli occhi, massaggiandoli.

-Incubo?

-Più di uno.

-Me ne racconteresti uno?

Gli raccontai l'unico che ricordavo, spostando la mano sulla fronte e osservando il tetto sopra di noi.

-Di chi pensi che fosse quella voce?

-Quella che urlava il mio nome mentre precipitavo? Penso che fosse di Nédim, anche se assomigliava di più a quella di voi ragazzi.

Sospirò. -Marina...- si mise a sedere sul letto, osservandomi un po', mentre ero sdraiata. Poi si avvicinò a me, prendendomi il viso tra le mani, azione che alterò il mio battito cardiaco. -Tu non devi assolutamente pensare al suicidio. Non voglio, come non lo vogliono neanche gli altri, che tu scompaia dalle nostre vite. Noi teniamo molto a te. Chiaro?- Il mio battito tornò normale. “Naaah, giuro che non ho pensato che volesse fare 'qualcos'altro'. Naaah.” pensai dandomi dell'idiota. Lasciò andare il mio viso delicatamente, restando però seduto accanto a me. Stavolta fui io a sedermi sul materasso, davanti a lui, a gambe incrociate, e a prendergli il viso tra le mani. -Sappi, che quello che avete fatto ieri sera... fermarmi... è stata un'azione molto significativa per me. Credo... Che ora potrebbe essere più difficile che io tenti il suicidio. Ti devo ringraziare, Andy. Credo che senza di te e dei ragazzi, non sarei qui a quest'ora.- lentamente faccio scivolare le dita dal suo viso, sul quale, nonostante il buio, scorgo un sorriso. -Dai, dormiamo.

 

La mattina dopo mi svegliai abbastanza tardi. Me ne accorsi dall'assenza di Andy nel letto. “Ma perché mi sveglio sempre così tardi?” mi fermai un attimo a pensare. “Aspetta un attimo. Ma oggi... è martedì. Oggi... C'è la scuola!” mi alzai di scatto, percorsi il corridoio in tutta fretta e giunsi in salotto, dove trovai tutti i ragazzi intenti a mangiare, con addosso i loro pigiami. E per giunta erano pure tutti acciaccati dal sonno! Jake stava stramazzando sul tavolo dal sonno, mentre Jinxx dormiva sulla scodella di cereali.

-Ma... Ma... Non c'è scuola oggi???- esordii io osservandoli mezzi dormienti.

Ashley si voltò a guardarmi, stropicciandosi un occhio. -Guarda che oggi cominciano le vacanze di Natale.- restai folgorata. “Giusto. Ieri ci hanno detto che oggi cominciano le vacanze di Natale. Sono un'idiota.” mi sbattei una mano sulla fronte.

Tornai in camera da letto, presi una coperta trasportabile fino alla cucina e tornai dove gli altri stavano morendo dal sonno. Quell'atmosfera così pacata era così soporifera, che quando mi sedetti a tavola, mi travolse, nello stesso momento in cui Andy, che era ai fornelli, si girò nella mia direzione dicendo:- Ehi! Quella è la mia coperta!

Troppo tardi. Ero già crollata sul tavolo con la coperta addosso, come Jinxx. Solo che la differenza tra me e lui era che io non avevo i capelli quasi immersi nella ciotola di cereali.

-Ma tu guarda...- nel mio stato mezzo dormiente udii Andy avvicinarsi a me e scostare una ciocca di capelli, probabilmente finita dentro la ciotola. Dopodiché crollai nel sonno vero e proprio, anche se non so quanto poco tempo dopo venne interrotto da Christian, che era seduto accanto a me. Nello stesso momento in cui mi scosse un po', mi ricordai che era uno dei pochi superstiti dall'ondata di sonno. -Ehi, ma è crollata davvero! E' più addormentata di Jinxx!

Al sentire la sua voce alzai pian piano la testa dal tavolo.

-Che buffo, hai ancora i capelli scarmigliati dal letto!- rise Ashley scompigliandoli più di quanto non lo fossero già.

-Mmm... Ash... e piantala!- cercai di scansare inutilmente la sua mano, che si divertiva a navigare tra i miei capelli. Alla fine mi arresi all'idea di avere una mano estranea immersa tra i capelli. Poco dopo la mano si staccò dal suo obiettivo e tornò al cucchiaio pieno di cereali.

Mi coprii le spalle con la coperta, che mentre dormivo era scesa sullo schienale della sedia.

-Ragazzi, sono stanchissima. Se oggi stramazzo sul pavimento non vi allarmate. Sicuramente starò dormendo...

-Beh, nel caso succedesse ti riporteremmo a letto.- rispose Jake.

-E lo fareste pure con me?- chiese Jinxx, che si teneva la testa come se stesse per cadere dentro la ciotola sotto la sua faccia.

-Oh, no. Tu resteresti lì per terra!- rispose Christian.

-Come sei cattivo, CC!- si intromise Ashley. -Jinxx, al massimo ti buttiamo un secchio d'acqua sopra!- piombò il silenzio. Ci guardammo tutti, immaginando la scena. Poi scoppiammo a ridere all'unisono, Jinxx compreso.

-Oddio... credevo che avessi smesso completamente di ridere. E' bello sentire ancora la tua risata!- esclamò Ashley, quando riuscimmo a calmarci da quello che era stato un forte attacco di risate ininterrotte.

Lo fissai un po'. -Beh, non crederai che io abbia perso la capacità di ridere.- mi feci seria -Per quanto io possa soffrire, di cose brutte ne capitano e se ne scoprono ogni giorno. Non ha tanto senso stare lì a deprimersi e a fare niente. Quindi, tanto vale accantonare un po' di quelle emozioni negative, e dare più spazio alle risate e ad altri sentimenti. Certo, non è facile, ma col tempo ci si riesce.- conclusi io.

-Sono pienamente d'accordo con te.- confermò Andy.

-Ecco! E' così che ti voglio sentire!- esclamò Jake.

-Very good, dear.- sorrise Christian.

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Capitolo 27
*** Postumi della sbornia ***


Erano passati tre giorni da quando avevamo deciso che io fossi restata a dormire a casa di Andy e dei ragazzi per un mese intero. I miei lividi stavano cominciando a dissolversi, almeno dal mio viso, e anche le ferite all'interno della bocca si stavano rimarginando, nonostante ogni tanto le mordevo accidentalmente mentre mangiavo, ed ero costretta a ingoiare il cibo accompagnato dal sapore ferreo del sangue. Avevamo montato pure il divano-letto in soggiorno, e per fortuna non ingombrava minimamente, visto che gli altri ci si sdraiavano come se niente fosse.

Ogni tanto mi capitava di fare le ore piccole. Capitava che rimanessi sveglia a leggere un libro fino a tardi, e a volte ero così stanca che mi addormentavo a metà di una pagina, e a causa della stanchezza il libro mi cadeva sulla faccia, restandoci fino al mattino seguente. Altre volte invece restavo semplicemente sveglia a non fare niente e a riflettere su diversi pensieri. Una volta rimasi a letto tutto il giorno. Anche da sveglia mi seccava alzarmi dal letto, quindi mi mettevo a sedere sul materasso con una coperta sulle spalle e parlavo con chiunque ne avesse voglia e si venisse a sedere vicino a me; oppure continuavo la lettura interrotta la sera prima.

Le vacanze sarebbero terminate a metà gennaio, e dopo un po' esaurii le varie risorse di lettura. Quindi mi decisi a scendere al piano di sotto a recuperare alcuni libri di scuola e a mettermi a studiare, in modo da non ritrovarmi gli ultimi giorni sommersa di compiti. Passai diversi pomeriggi seguendo una routine a base di solo studio.

L'ultima sera di studi ero così stanca che mi addormentai sui libri, e la mattina dopo mi ero ritrovata “magicamente” nel divano-letto. Mi ero svegliata sentendo gli altri arrivare in cucina. Rimasi alquanto sorpresa di non essere ancora seduta allo stesso tavolo in cui tutti stavano prendendo posto. Mi misi a sedere, stropicciando gli occhi e guardandomi intorno.

-Ben svegliata.- sorrise Ashley dall'altra parte della cucina. -Spero che la tua routine di studi sia finita, dato che oggi è la vigilia di Natale.

“Natale?” non ero ancora in grado di emettere alcuna parola, quindi mi limitai ad alzarmi, trascinarmi fino al tavolo, e sedermi. Non passò molto che crollassi addosso chi mi stava vicino, ovvero Jake, il quale mi passò una mano tra i capelli, svegliandomi di soprassalto.

-Oddio, mi sono addormentata addosso a te. Scusa.- prime parole del giorno. Jake ridacchiò. -Ash, credo proprio che la mia carriera da ragazza-che-studia-durante-le-vacanze-di-Natale sia finita.

-Oh, meno male. Non riuscivo a vederti sempre china su quei libri. A proposito, ieri sera ti sei addormentata sul tavolo.

Ricordai il mio risveglio sul divano-letto. -E come ci sono arrivata lì?- lo indicai.

-Ti ho presa in braccio e ti ci ho messa io.- rispose Christian. -Appena ti ho sollevata ti sei rannicchiata tutta. Sembravi un cucciolo.- rise.

Mi venne da ridere, ma al posto di una risata, sul mio viso comparve un rossore così forte,che venne subito evidenziato da Jinxx.

 

Il giorno di Natale ci ubriacammo tutti. Nessuno escluso. Ma non uscimmo di casa. Jinxx, già maggiorenne, era uscito con Ashley a comprare delle birre, mentre io, Andy, Christian e Jake restammo a casa ad aspettarli seduti sul divano-letto a giocare a carte. Era uno dei nostri passatempi preferiti, e capitava che scommettessimo pure cose di poco valore o importanza, tipo l'ultimo pacchetto di sigarette rimasto -avevo provato a fumare ma non mi era piaciuto molto-, lavare i piatti -lavoro particolarmente scocciante per tutti, tranne che per me, che ci ero abituata-...

Quando tornarono Ashley aprì la porta urlando: -Gente! Stasera ci si diverte!

Bevemmo, ridemmo e scherzammo alla grande. Quando eravamo totalmente sbronzi Jake propose il gioco della bottiglia, ma io mi rifiutai fermamente, dato che ero l'unica ragazza. Quindi ci buttammo sul gioco “Obbligo-Verità” e su qualche gioco di carte, scommettendo che chi avesse perso ogni partita si sarebbe dovuto “scolare” una lattina di birra intera. Non a caso, dopo tutto quel bere, ad uno ad uno cominciammo tutti a sentirci male, e sia il bagno che i vari lavandini erano spesso infestati da noi. -Ma sorvoliamo su questi dettagli-

Il mattino dopo ci svegliammo tutti con i postumi della sbronza: mal di testa, nausea, stordimento totale. Niente di sorprendente.

Io mi svegliai nel letto di Christian. Non mi chiesi nemmeno il perché; mi alzai, lo fissai un po' mentre russava alla grande e mi diressi in salotto, per vedere se c'era qualcuno sveglio. Nessuno. Tutti dormivano. Arrivai fino alla cucina, e appostandomi ad uno scaffale, cercai qualcosa contro il mal di testa. Quando trovai la pillola che cercavo, udii qualcuno che russava dal salotto. Mi affrettai a inghiottire la medicina, e mi avvicinai al divano-letto. Su di esso trovai Jinxx e Ashley che dormivano letteralmente abbracciati l'uno all'altro. “Oddio, questa è indimenticabile! Mi serve qualcosa per fargli una foto!” mi guardai attorno, e l'unica cosa che trovai sotto i miei occhi, fu l'iPhone di Andy. “Perfetto!” Lo accesi, andai sulla macchina fotografica, e gli scattai una foto.

Fatto questo, riposai il telefono dove lo avevo trovato, e mi avviai verso i fornelli, per preparare la colazione per tutti. Era la prima volta che lo facevo lì, e fu davvero un piacere. Mi mancava stare ai fornelli. Preparai dei pancakes, sciolsi dello cioccolato, feci il caffè, riscaldai del latte, e infine apparecchiai la tavola. Nel mentre che preparavo tutto questo, sentii dei passi avvicinarsi.

-...'Giorno.- Jake si era appena svegliato, ma neanche il tempo di sedersi a tavola che era già crollato in una crisi di sonno. Era una caratteristica tipica di quei ragazzi: alzarsi dal letto, sedersi a tavola e riaddormentarsi. In parte mi avevano pure contagiata.

-Marina... mi passi qualcosa per il mal di testa?- “Ah, ma allora non sta dormendo.” gli misi davanti la scatoletta contenente le pillole che avevo preso anche io, ma lui non si mosse. “No, sta dormendo.” mi girai verso i fornelli per spegnere il caffè ormai pronto.

Altri passi giunsero in cucina.

-Jake! Voglio una spiegazione!- Andy -Perché eri nel mio letto??

Trattenni a stento una risata.

-Andy... non urlare.- dietro di lui arrivò Christian con i capelli che sparavano in tutte le direzioni e con delle scritte in faccia. Trattenersi dal ridere stava diventando sempre più difficile. Cercai di non guardarli, facendo finta di prendere un bicchiere d'acqua e bevendo.

-Che diamine ci faccio io abbracciato a questo qua?!- esclamò Ashley dal salotto. Non resistetti, sputai elegantemente tutta l'acqua ridendo. Mi avvicinai al bancone che separava il soggiorno dalla cucina e osservai la scena. Ashley era seduto sul letto che osservava sconcertato Jinxx, che continuava ad abbracciargli il torace. -Ti vuoi staccare?!- cercò di scostarlo, e dopo alcuni vani tentativi ci riuscì, svegliandolo.

-Mmm... che c'è?

-”Che c'è?” Come sarebbe a dire “che c'è”?? Chissà da quanto tempo te ne stavi lì ad abbracciarmi come se fossi il tuo orsacchiotto!- Jinxx si riscosse.

-Veramente da parecchio, dato che sarà passata un'ora da quando vi ho trovati abbracciati. Ah già. Ash, anche tu ricambiavi!

-Non è possibile!- esclamò.

-Oh, si che lo è. Andy, prendi il tuo telefono, e guarda l'ultima foto scattata.- Andy si avvicinò al ripiano su cui era poggiato il suo telefono, e dopo un po' scoppiò a ridere.

-Ash, è vero! Questa foto risale a un'ora e mezza fa!- porse il telefono a Jake. -Ma come siete carini!- li prese in giro, passando il telefono a Christian, che scoppiò a ridere. Ashley si alzò, e prese il telefono dalle mani di Christian. -Occristo.

-Marina... ma... hai cucinato tutto questo tu?- cambiò discorso Andy.

Il mio sguardo vagò sul mio “operato culinario”. -Beh, si. Dormivate tutti, quindi ho pensato di preparare io la colazione...

-Dai, non dovevi!- esclamò Christian. Mi voltai a guardarlo, e non riuscii a trattenermi dal ridere per l'ennesima volta. Tutto il suo viso era pieno di scritte.

-Perché ridi?

-Oh...- cercai di calmarmi io -Dovresti vedere la tua faccia!

Gli altri lo guardarono, e anche per loro fu difficile trattenersi. Poco dopo che Christian si era avviato verso il bagno e che noi ci eravamo accomodati a tavola, si sentì un'esclamazione provenire dal bagno. -Ma che caz...- Christian si affacciò dal corridoio, indicandosi il viso. -Ok, chi mi ha conciato così??

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Capitolo 28
*** Rain ***


Nei giorni che passarono le mie ferite si rimarginarono molto più velocemente di quanto pensassi, e a metà delle vacanze natalizie potevo già smettere di usare cerotti e fasciature. Passato il capodanno, anche i ragazzi cominciarono a studiare, e capitava che di tanto in tanto io li aiutassi. Quando invece non avevano bisogno del mio aiuto, io scendevo nel mio appartamento e gli davo una sistemata. Fu in una di quelle occasioni che mi decisi a ritornare nello studio di Jack. Stavolta ripromisi a me stessa di non avere troppe crisi emotive, ma già, in cuor mio, sapevo che non sarebbe stato così.

Quando entrai nella sua stanza venni pervasa da un odore di chiuso, che mi fece arricciare il naso. “Beh, almeno non avrà dubbi che io sia entrata qui dentro.”

Mi avviai verso la libreria, presi il libro dalla copertina senza titolo, estrassi la chiave, aprii il cassettino sotto la scrivania e riguardai le pagine del quadernetto nero. Stavolta mi colpirono meno di prima, ma solo perché ne conoscevo il contenuto. Continuai a sfogliarlo anche quando le pagine divennero totalmente bianche, con il dubbio che ci fosse scritto qualcosa che avevo trascurato la volta precedente. E così fu. Alle ultimissime pagine, trovai pagine intere scritte dalla mano tremante di Jack, con quella sua pessima scrittura.

Ricordo ancora il primo giorno in cui entrai a far parte della cerchia del Boss. Lui mi aveva conosciuto in una palestra negli antri di un paesello non lontano da quello in cui vivo ora. Mi disse che gli sembravo l'uomo perfetto per 'combattere', ma allora non avevo capito bene cosa intendesse con quel verbo. Quando mi ingaggiò nella sua cerchia, mi rivelò che la loro era una 'famiglia di combattenti', ma non mi spiegò per che cosa combattessero. Mi disse che sponsorizzavano molte pubblicità, fabbriche e giornali. Soprattutto fabbriche, ora che ci penso.”

Quando il capo mi spiegò meglio il mio ruolo lì, mi fece intendere che facevo parte di una squadra di mercenari...” leggendo questa singola frase rimasi sconcertata, ma cercai di mantenere la calma, e di continuare a leggere. “... Il mio lavoro consisteva nell'eliminare chi si opponesse o intralciasse il nostro lavoro. Fui molto dubbioso, ma alla fine accettai quella 'proposta' di lavoro. Il mio primo incarico arrivò quasi subito: dovevo togliere di mezzo un uomo che stava per superare la carriera del Boss, e che lui stesso odiava. All'inizio fui riluttante, ma lo feci e basta. Dopo la prima volta, il mio lavoro divenne molto più semplice, e per di più dovevo viaggiare molto. Dietro ogni uccisione c'era dietro una strategia, in modo da far sembrare ogni omicidio un incidente. Ammetto che ci avevo preso gusto...”

Prima di continuare a leggere dovetti ricacciare dietro uno sfogo di rabbia, che sicuramente mi avrebbe portato a stracciare in mille pezzi quel quaderno. Respirai profondamente e girai pagina.

A distanza di tempo, comincio a pentirmi di ogni azione da me commessa. E' tutto sbagliato. E me ne rendo conto solo ora, che mi è stato imposto di uccidere i miei due migliori amici. Oh, non posso farlo. Hanno persino una bambina. Non so come ho potuto trarre piacere da ogni volta che le mie mani si macchiavano di sangue. Solo ora mi vengono i sensi di colpa. Sono un essere spregevole. Vorrei licenziarmi, ma se lo facessi, il Boss mi verrebbe a cercare e non credo che mi lascerebbe vivere tranquillamente. Significo troppo per lui.”

Oh, da una parte vorrei rivelare a Shay e Oliver ciò che devo fare, ma non posso. Ho deciso di invitarli a cena e a vedere un film in una casetta fuori città, che il Boss mi ha concesso. Hanno affidato la piccola Marina ad una ragazza loro amica. Non voglio immaginare cosa farò dopo aver svolto il lavoro.”

L'ho fatto e ne sto soffrendo come non mai. Non posso immaginare una vita senza di loro, e ora mi trovo ad affrontarla. Non durerò a lungo. Eppure ho deciso di adottare la piccola. La crescerò, e cercherò di tenerla lontana dal Boss, in modo da non farlo mai interessare a lei. Voglio che cresca con uno stile tutto suo, come quello dei suoi genitori, e la addestrerò, in modo da potersi difendere da chi la infastidisce, e soprattutto da me. Se mi dovessero imporre di farla lavorare con me, non me lo perdonerei mai.”

Chiusi il quadernetto con le mani che mi tremavano e col cuore che mi batteva all'impazzata. Ero in stato confusionale. Sistemai ogni cosa al suo posto, ma invece di salire sopra, a casa di Christian e dei ragazzi, mi avviai in camera mia. Spalancai la finestra, per far cambiare l'aria viziata, mi sedetti per terra a gambe incrociate, e rimasi a fissare il tappeto. Un impeto di depressione mi travolse, e mi alzai poco dopo, dirigendomi verso la mia scrivania. Presi il primo oggetto tagliente che mi trovai sotto le mani e lo premetti contro il mio braccio sinistro. Una goccia di sangue mi scivolò dalla pelle, andando a macchiare i jeans chiari strappati che indossavo in quel momento. Impressi sulla mia pelle una serie di tagli, mentre le lacrime mi rigavano il viso. Soffrivo. Soffrivo come non mai, e quello che stavo facendo mi fece sentire persino in colpa. Quando il sangue aveva ormai sporcato buona parte dei miei jeans, mi fermai, e con me le lacrime. Ripromisi a me stessa che non avrei più fatto una cosa del genere. Mi cambiai i jeans, ormai mal ridotti, li misi a bagno nel detersivo, e tornai in camera mia. Ma neanche il tempo di soffiarmi il naso, che suonò il telefono di casa.

-Pronto?

-Marina. Sono Jack. Tutto bene a casa? E gli allenamenti come procedono?

-Tutto a posto. Gli allenamenti sono stati sospesi perché Nédim è partito per l'Europa e torna a fine Gennaio.- Mi ero praticamente dimenticata di Nédim. Non lo sentivo da quando era partito, e ora che Jack lo aveva nominato, provai un senso di nostalgia nei suoi confronti.

-Capisco. Bene, io tornerò pure per la fine di Gennaio- il suo tono si fece più cupo -il mio lavoro è stato prolungato. Quindi, ci vediamo a fine mese. Ciao.- e mi chiuse il telefono in faccia. “Sbrigativo.” pensai appoggiando la cornetta sul ricevitore.

Restai a guardare la casa. Sarei rimasta lì da sola per un altro mese. Sola. Di certo non potevi stabilirmi per un altro mese a casa dei ragazzi, quindi per gli inizi della scuola sarei tornata nel mio appartamento, anche se la cosa in parte mi rattristava.

Tornai in camera mia. Chiusi le ante delle finestre, accorgendomi che aveva cominciato a piovere. Ispirata dal rumore della pioggia, indossai una felpa abbastanza larga -sollevando però la manica del braccio in cui erano impressi i tagli, che bruciavano come non mai- e salii nel terrazzo della palazzina. Non ci salivo dalla sera in cui avevo tentato il suicidio, e in parte provai una profonda nostalgia per tutti gli allenamenti mancati in quel mese. Mi misi sotto la pioggia, con tutte le infradito e il braccio bruciante. Volsi il mio viso al cielo, e mi feci invadere dalla frescura delle gocce d'acqua, che scendevano lievemente dalle nuvole, picchiettando sui tetti delle case. Restai in ascolto di quel suono rilassante, e cercai di lavare la mia testa dagli atti “impuri” che avevo commesso mentre i miei jeans si macchiavano del mio sangue. Abbassai la manica sinistra, nonostante il bruciore, sperando che i ragazzi non se ne accorgessero mai. Non volevo destare preoccupazione in loro, dato che già precedentemente avevo pure tentato il suicidio.

Mentre me ne stavo con il viso rivolto verso il cielo, con la pioggia che mi bagnava il viso, la porta accanto a me si aprì.

-Oh, Marina! Ti abbiamo cercata dappertutto! Sarai scomparsa ormai da tre ore. Ma dov'eri??- Christian parlava quasi con l'affanno, come se avesse percorso più volte tutto il condominio correndo. Forse era davvero così.

-Oh, scusa. Non credevo che fossero passate tre ore.

Sospirò. -Piuttosto, perché te ne stai lì a bagnarti? Ti verrà un accidente!

Starnutii due volte di seguito.

-Ecco appunto. Dai entra.

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Capitolo 29
*** "Cosa?" ***


Quando rientrai, Jinxx mi venne incontro, e mi abbracciò. Rimasi un po' sorpresa da quel suo abbraccio spuntato fuori dal nulla. Lentamente le mie mani si posarono sulla sua schiena, per ricambiare l'abbraccio, e fu allora che compresi il motivo per cui lo aveva fatto.

-Credevo che fossi scomparsa...

-Oh, ma io non vado da nessuna parte.- lo rassicurai io, sorridendogli quando si staccò da me, guadandolo negli occhi.

 

Non mi tolsi neanche la felpa. Dichiarai a tutti che avevo bisogno di una doccia, e mi precipitai in bagno con in mano il pigiama a maniche lunghe che avevo portato dalla mia stanza. Era diverso da quello con la tigre. Su uno sfondo nero si attorcigliavano tra loro diversi serpenti, e sulla schiena se ne vedeva uno con le fauci spalancate; i pantaloni invece erano larghissimi, come tutti i miei pigiami del resto, però non vi era stampato nulla sopra: erano neri e basta.

Sotto la doccia, le ferite mi bruciavano poco meno di prima, e il sangue solidificato si staccava dalla pelle sotto il getto della doccia, facendone uscire dell'altro. “Diamine.”

Uscii dal bagno con addosso il pigiama, e i capelli raccolti in due trecce che mi arrivavano a metà seno. Arrivata in cucina, venni pervasa da un odore di lasagne che mi fece brontolare lo stomaco.

Quando mi sedetti a tavola mi accorsi che stavolta non era stato Andy a cucinare, ma Jake, il che mi sorprese, perché Jake odiava cucinare.

-Che fico il tuo pigiama! Però il serpente sulla schiena con i denti in bella vista mi intimorisce un po'.- notò Christian. Mi strappò un sorriso. Ashley invece notò la lunghezza dei miei capelli. Non si era accorto di quanto si fossero allungati in tutto quel mese. Ma dopotutto, quando mi aveva conosciuta i capelli mi arrivavano poco più sotto delle spalle.

Mangiammo di gusto, e quella sera ci coricammo tutti presto. Solo che io ebbi abbastanza difficoltà nell'addormentarmi. Avevo “semplicemente” scoperto che colui che mi aveva adottata era un mercenario. “Niente di particolare, eh. Rischio solo di finire in mezzo a una banda di serial killer tra un mese spaccato. Cose che capitano a tutti almeno una volta nella vita.” pensai con sarcasmo, e rabbrividendo solo all'idea.

 

Arrivò il primo giorno di scuola, e stranamente non mi sentii a disagio quando misi piede nell'atrio. Anche se gli altri studenti continuavano a guardarmi come se venissi da un altro pianeta, la cosa mi importava ben poco. Ammisi, però, che quando vidi Phil camminare per i corridoi, un brivido mi passò per la schiena.

Le lezioni trascorsero con molta tranquillità, ed io ero preparata in molti più argomenti di Rosie, che finalmente aveva spostato la sua postazione in un angolo estremo alla classe. La mia preparazione dovette irritarla abbastanza perché mi tenne gli occhi fissi addosso finché non finì l'ultima lezione. Eppure non fece nulla per ferirmi. Non mi toccò né rivolse la parola. E non andò a chiamare neanche Jeff, cosa che mi sorprese non poco. “In fin dei conti, è meglio così” pensai “Forse ha imparato la lezione” ricordai il mio pugno stampato sulla sua faccia da barbabietola.

Il secondo giorno di scuola fu leggermente diverso da quello precedente. Sul mio armadietto trovai attaccati fogli con scritte frasi come “Muori”, “Non fare l'esperta”, “Tagliati le vene”, “Emo di m*rda”. Li strappai con rabbia, e li lasciai cadere per terra, come se fossero carte di caramelle. Era stato troppo bello per essere vero, ma era sempre meglio che subire un'emorragia o essere pestata a sangue. Presi i miei libri e mi avviai verso l'aula di chimica.

Dopo qualche giorno di scuola convinsi i ragazzi che sarei tornata nel mio appartamento. Non volevo risultare come un peso, specialmente in quel periodo, in cui tutti saremmo stati impegnati in interrogazioni e verifiche. Loro accettarono di malavoglia, e non passarono molti giorni perché mi venissero a fare visita, giustificandosi dicendo che erano troppo abituati alla mia presenza, per stare senza di me nella loro casa.

Ogni volta che dovevo uscire o che dovevo stare con loro, mi preoccupavo di coprirmi le braccia in diversi modi, utilizzando scaldamuscoli, felpe, magliette a maniche lunghe e cose di quel genere, in modo da non dare troppo nell'occhio. Le ferite sul braccio non accennavano a rimarginarsi minimamente, e io cominciavo a preoccuparmi.

 

In un pomeriggio di pioggia accadde qualcosa che mi sconvolse.

Mentre ero fuori a fare una passeggiata qualunque, mi accorsi che il cielo si stava rannuvolando, ed essendo parecchio distante da casa, decisi di tornare a casa, anche perché il cielo si stava oscurando parecchio, e non solo a causa delle nuvole.

Quando non ero neanche a metà strada, delle gocce cominciarono a bagnarmi i capelli. Volsi lo sguardo al cielo, e una goccia mi bagnò la guancia destra. Sospirai, provocando una piccola nuvoletta di vapore nell'aria. Persino la temperatura si stava abbassando.

Cercai di sbrigarmi, ma ormai la pioggia era diventata abbastanza forte, da appannarmi la vista. A un certo punto mi squillò il cellulare. Ci misi un po' per prenderlo a causa delle mani bagnate. Sullo schermo, che man mano si bagnava, individuai il nome di Jack. Che lui mi chiamasse sul cellulare, mi diede una brutta sensazione, ma cercai di ignorare quel brutto presentimento.

-Pronto?

-Marina?

-Si, Jack. Dimmi.

-Ascolta. Sarò breve. Non ti allarmare, ok?

-Dimmi, Jack. Che succede?- mi fermai davanti ad un semaforo rosso, che mi avrebbe poi concesso di arrivare alla strada sotto casa mia.

-Beh, ecco. Io... Potrei non tornare più a casa.

Mi pietrificai sul marciapiedi. -Cosa?- mormorai con aria dispersa.

-Non tornerò più Marina. Non aver paura. Ti ho affidata a Nédim, proprio perché sapevo che “questo” sarebbe successo.

-“Questo” cosa?- mi agitai un po'; intanto era scattato il verde sul semaforo e io avanzai a passi pesanti sulle strisce pedonali.

Sospirò. Poi riprese a parlare, dicendomi di trovare il quaderno nero che teneva sotto la scrivania, descrivendomi come trovarlo, anche se già lo sapevo. Poi mi disse qualcosa di nuovo. -Inoltre devi leggere i fogli contenuti in quel cassetto. Sono di fondamentale importanza per te. E capirai tutto.- si interruppe e il mio passo rallentava ad ogni parola che diceva, rallentando anche il mio arrivo al marciapiede opposto. -Ascolta, mi... mi dispiace se sono stato cattivo con te, e se ti ho picchiata a volte. Avrei voluto essere migliore e più buono. ... Ora... devo andare...- la sua voce tremò. -Addio, piccola Marina. Addio...- e chiuse la telefonata. Io mi fermai in mezzo alla strada. La mano che reggeva il telefono scese per il fianco, mentre io restavo incredula in mezzo alla strada. Il mio sguardo era perso nel vuoto. Non riuscivo a capacitarmi di quella telefonata, e di quello che Jack mi aveva detto. “Cosa?” pensai “Sono... sola?”.

La pioggia aumentò, il mio respiro provocava nuvolette periodiche di vapore, e io mi ero completamente dimenticata di essere in mezzo alla strada, almeno finché non udii uno stridere di ruote e un botto contro il mio corpo. Poi il buio.

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Capitolo 30
*** Abituarsi all'idea ***


Non avevo ancora riaperto gli occhi, ma sentivo delle voci attorno a me.

-Si riprenderà?

-Si, stia tranquillo. In meno di un mese sarà fuori di qui. Forse qualche settimana le basterà.

-“Forse”?? Insomma! La guardi! Il fatto che non si sia rotta niente è un miracolo!

-Proprio per questo sono convinto che in qualche settimana si potrà riprendere. Ha subito, però, parecchie contusioni... e... lei... era a conoscenza di quelli?

-“Quelli” cosa? ... No... Non lo sapevo... Non...- la voce si interruppe, io mi mossi nelle lenzuola che mi avvolgevano. Stavo riprendendo conoscenza.

Sbattei un paio di volte le palpebre, dato che al primo impatto con la luce, tutto mi appariva appannato. Sopra di me trovai un soffitto bianco quanto un foglio, mentre le pareti attorno a me erano color ghiaccio. La mia stanza era singola, e quindi non la condividevo con nessun altro paziente, il che mi confortò in parte: avevo bisogno di stare da sola.

Sentii un leggero fastidio al braccio sinistro, e poggiato lo sguardo su di esso, rimasi sorpresa: una flebo era collegata ad un sacchetto pieno d'acqua tramite un tubicino trasparente. Alla vista dell'ago trafitto nella pelle mi spaventai, agitandomi sul materasso. La situazione peggiorò quando nella direzione opposta alla flebo, individuai un monitor che segnava i miei battiti cardiaci.

-Ehi, ehi. Calma.- si avvicinò un medico. -Non ti preoccupare, questa la toglieremo in questi giorni- indicò la flebo, ma io non ebbi il coraggio di guardarla. Avevo il terrore degli aghi, specialmente quando erano conficcati nella carne di qualcuno, come me. -Mentre questo monitor lo possiamo anche spegnere ora che ti sei svegliata. Sei entrata in un piccolo coma temporaneo. E' durato più o meno un giorno e mezzo, e i tuoi amici qui si sono presi un bello spavento.- spense il monitor, e io mi girai alla ricerca dei miei amici.

Me li ritrovai tutti davanti non appena il medico accennò alla loro presenza. Li osservai a uno a uno, ma le loro facce erano tutte della stessa espressione: preoccupata come non mai e quasi in pena. Volevo evitare di dare loro preoccupazioni e non ci ero riuscita, e per questo mi sentivo tremendamente in colpa.

-Marina! Come ti senti??- domandò preoccupato Ashley gettandomi le braccia al collo.

-B-Bene.- balbettai io.

Quando si staccò notai gli occhi lucidi di Jake. Staccai la schiena dallo schienale rialzato del materasso, e mi avvicinai a lui. -Ehi, va tutto bene.- gli sussurrai, accarezzandogli una guancia. Nel giro di pochi secondi mi trovai la testa tra le braccia di Jake, che mi sussurrava la sua preoccupazione e il suo sconvolgimento. -Jake, calmati. Sono qui.- cercai di calmarlo. Lui si staccò, e mi sentii lo sguardo di Jinxx addosso. Gli sorrisi, cercando di rassicurarlo del fatto che stavo bene.

Per un pezzo rimanemmo tutti in silenzio. Poi volsi il mio sguardo a Andy. Era cupo in volto, e teneva gli occhi fissi sul mio braccio sinistro. Lo stesso braccio in cui era conficcato l'ago della flebo. Lo stesso braccio in cui erano impressi i gesti che avevo cercato di nascondere loro per giorni e giorni. Non so perché, ma mi sentii in colpa, come se quello che mi ero inflitta lo avessi fatto a ognuno di loro. Ma non dissi nulla. Lasciai che Andy fosse il primo a parlarne, nonostante mi sentivo già un nodo alla gola.

-Marina... quelli...

Non fece in tempo a finire la frase, perché vide che delle lacrime stavano lentamente picchiettando sulle lenzuola che mi coprivano le gambe. Tenevo la sguardo fisso sulle lenzuola, nonostante non vedessi nulla per via degli occhi inondati di lacrime, e piangevo in silenzio. Pochi secondi dopo, nel mio campo visivo ondeggiante notai che una mano che teneva un fazzoletto mi stava asciugando le lacrime, tamponando le guance. Un dito poggiato sotto il mento mi alzò il viso, e mi trovai faccia a faccia con Christian, che mi sorrideva timidamente. -Ne usciremo insieme.

 

Quando qualche ora più tardi i ragazzi lasciarono a malincuore la mia stanza mi rivolsi al medico che qualche ora prima aveva cercato invano di tranquillizzarmi.

-Ascolti, le vorrei parlare di un fatto che mi è accaduto circa un mese fa.- e gli raccontai dell'emorragia che si era fermata miracolosamente da sola. Lui dapprima non mi credette, poi affermò che solo un miracolo poteva aver fermato quella perdita di sangue, e decise di visitarmi.

-E' ufficiale,- affermò -o la lesione era interna e non arrivava solo allo stomaco, o è stato proprio un miracolo. In effetti hai lo stomaco un po' acciaccato, ma niente di preoccupante, non ti sovraccaricare di schifezze per un po'. - detto questo, fece per allontanarsi, ma io lo fermai di nuovo.

-Quando ha detto che mi potrò togliere questo coso?- indicai, senza guardarlo, l'ago della flebo.

-Oh, presto, presto.- accennò lui.

“E' facile dire 'presto, presto'.” pensai io. “Peccato che io abbia il terrore degli aghi e peccato che non resisterò ancora molto a lungo con questo 'coso' ficcato nella carne!” pensai con una punta di rabbia misto ad angoscia.

 

Una di quelle sere passarono a trovarmi Jake, Jinxx, Ashley, CC ed Andy. C'erano tutti, e mi risollevò l'idea di avere un po' di compagnia. Avevo passato la giornata in solitudine, immersa nei miei pensieri e ricordando quell'assurda telefonata che mi aveva fatto Jack e che mi aveva fatta finire in quel posto così agghiacciante e pieno di aghi da puntura.

Quando i ragazzi entrarono nella stanza, si soffermarono sull'uscio, perché videro che il medico si era finalmente deciso a togliermi quello schifo di ago dal braccio. Ovviamente io guardavo dal lato opposto della flebo, tale era l'impressione che essa mi provocava, e purtroppo sentii la sensazione dell'ago che usciva dalla carne. Rabbrividii, e cercai di non tendere troppo i muscoli, perché sapevo che più li avessi tesi più mi avrebbe fatto male. A operazione finita tirai un sospiro di sollievo, ma non mi azzardavo ancora a volgere lo sguardo al mio braccio, ora incerottato dal medico.

-Quanta fifa per un aghetto da niente!- scherzò il medico.

Gli rivolsi un sorriso forzato. “Ma quale 'aghetto' e 'aghetto'!” imprecai tra me e me.

Finalmente lasciò la stanza e i ragazzi si avvicinarono.

-Ti fa davvero impressione?- chiese Jinxx.

-Impressione è dire poco.- risposi io, sentendomi un brivido salire per la schiena. -Io ho il terrore delle siringhe e degli aghi!

-Beh, dai ormai te l'ha tolto. Direi che lo puoi guardare ora che non ce l'hai più infilato nel braccio.- commentò Ashley.

-Oh, no. Mi sento ancora la sensazione dell'ago nella carne! Non lo guarderò finché quella specie di sensazione malevola non sarà svanita del tutto!- esclamai io, cercando di cancellare dalla mia mente l'immagine di un ago immaginario che fuoriesce dalla carne.

-Piuttosto...- cambiò discorso Andy, facendosi serio, facendomi intendere cosa stesse per chiedermi. -Potremmo sapere... come...

-...Come sono finita qui?- lo incalzai io.

Annuì e io tirai un sospiro di tristezza, ricordando quella brutta serata. Abbassai lo sguardo sulle lenzuola, ma non mi venne l'istinto di piangere, almeno per quel momento. Gli raccontai per filo e per segno quello che era successo, a partire dalla mia passeggiata fino alla telefonata di Jack e alla macchina che mi aveva travolta. Mentre parlavo mi colse un brivido di freddo, che paragonai ad una percezione di solitudine. Tanto era quello che sarei stata da quel momento in poi, con il particolare che con me ci sarebbe stato Nédim, ammesso che io lo avessi accolto in casa mia. Eravamo solo due compagni di combattimento, e ci eravamo frequentati solo una volta all'esterno del mio terrazzo. Non sapevo nulla di lui, e ritenni di doverlo informare dell'accaduto non appena sarei uscita dall'ospedale.

Quando finii di raccontare, alzai lo sguardo dalle lenzuola spiegazzate, e lo rivolsi ai visi dei ragazzi. Gli aggettivi “tristi e sconcertati” non sarebbero bastati per descrivere le loro espressioni.

-E... ora che farai?- domando Christian.

-Vivrò da sola. Jack mi ha affidata a Nédim, ma io non ho voglia di vivere con qualcuno di cui conosco troppe poche cose.

-Ma... da sola...- obbiettò Ashley. -Come farai?

Restai un po' in silenzio, per riflettere su come avrei fatto a vivere da sola. Realizzai che non sarebbe stato poi così difficile. -Non penso sarà così brutto... credo...- all'improvviso immaginai una vita senza Jack, senza i suoi allenamenti, i suoi consigli. Non era stato un grande patrigno, considerata la sua violenza anche nei miei confronti. Ma da quando avevo scoperto la verità su di lui, in parte mi ero affezionata a lui. Entrare a conoscenza della sua scomparsa mi aveva sconvolta non poco, ed era stata quella la causa del mio incidente. Il combattimento era il modo per entrare a contatto tra noi, era quello il nostro modo di comunicare, e con Nédim non sarebbe stata la stessa cosa. Sentii un groppo salirmi alla gola. Tentai di ricacciarlo indietro, ma fu tutto invano. Mi dovevo abituare all'idea che avrei vissuto da sola.

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Capitolo 31
*** Un sentimento di gioia sfumato. ***


Continuavo a pensare a come sarebbe stato vivere senza Jack e sotto la tutela di Nédim. L'unica cosa che pensavo era che c'era qualcosa che non quadrava. Jack aveva detto di avermi affidato a Nédim, ma per avermi affidata a lui voleva dire che avesse più di diciotto anni. Ma lui non dava quell'impressione: sembrava che avesse sedici anni, o diciassette al massimo!

Dovevo tornare a casa al più presto, e per questo un pomeriggio in cui passeggiavo per i corridoi dell'ospedale, andai a cercare il mio medico per discutere del mio ritorno a casa.

Lo trovai in uno studio che discuteva con gli altri medici di turni di lavoro e reperibilità; ed erano tutti chini sul tavolo, con le schiene incrinate. Dovetti bussare alla porta per far notare la mia presenza, nonostante questa fosse spalancata.

Tutti si girarono nella mia direzione, ma l'unico a riaddrizzarsi sulla sua posizione fu il mio medico, che si avvicinò a me, congedandosi temporaneamente dai colleghi.

-Dimmi pure.

-Ascolti, io ho bisogno di tornare a casa. Per quanto ancora devo stare qui?

-Veramente avevo intenzione di lasciarti andare domani mattina. Non ci sono problemi, vero?

Rimasi sorpresa, ma me ne compiacqui. -No, nessun problema. Domani mattina per che ora?

-Dalle otto sarai libera, mia cara.

-Oh, perfetto. Allora la lascio al suo lavoro. A presto.- lo salutai, e dopo che lui ebbe ricambiato, mi allontanai, recandomi nella mia stanza per mandare un messaggio a Andy.

Domani mattina alle 8 sarò fuori dall'ospedale. A presto :)”

Non rispose, ma non era una risposta quella che mi aspettavo. A dire il vero, non mi aspettavo nulla.

 

Quando finalmente fui scagionata da quell'ospedale color ghiaccio, vedere il mondo esterno mi confortò parecchio. Mi sembrò di tornare alla vita vera e propria non appena un raggio di sole sfiorò il mio viso. Quella luce mi aveva leggermente accecata, oscurandomi la vista per qualche secondo e costringendomi a fermarmi sui gradini. Quando riuscii a riprendermi davanti a me trovai Andy e i ragazzi. Sorrisi di felicità nel vederli, e correndo gli saltai letteralmente addosso. Per poco non cadevamo a terra. Ero davvero felice di essere uscita da quel posto, e nonostante avessi vissuto periodi abbastanza cupi, mi rasserenava sempre stare con quei cinque inseparabili ragazzi.

Mentre ci avviavamo verso casa, parlavamo di tutto e di più tranne di argomenti che ci potessero rattristare. Quando arrivammo davanti la mia palazzina mi fermai qualche passo prima degli altri. Davanti all'entrata del condominio si trovava Nédim, che suonava, sicuramente, il mio campanello.

-Nédim!- lo chiamai io, facendolo voltare verso di noi.

-Oh, ecco dov'eri! Ti ho cercata per diversi giorni sul telefono di casa, ma non rispondevi! Devo parlarti.- disse con aria in parte agitata.

La felicità che mi aveva invasa prima, in quel momento era tutta sfumata, perché i ricordi di tutto quello che mi era successo mi pervasero la mente.

-Oh, ok...- mi rabbuiai io -Ma loro resteranno con noi, d'accordo?- e indicai i miei amici. Loro mi fissarono annuendo, e poi volsero lo sguardo verso Nédim, che non ebbe nulla da ridire.

 

Arrivati a casa mia venni invasa da un forte odore di chiuso. L'aria viziata era diffusa in tutta la casa, quindi mi accinsi a spalancare tutte le finestre presenti nell'appartamento.

Quando ebbi finito, tornai in salotto, dove si erano accomodati i ragazzi.

-Bene...- cominciò Nédim, aggrovigliandosi le mani con fare nervoso. -Hai letto il diario di Jack?

-Si...

-Tutto tutto?

Annuii.

-E le carte?

-Quelle non ancora.

-Allora ti consiglio di andarle a leggere. Altrimenti il mio discorso sarebbe fatto a vuoto.

Guardai Ashley, che era seduto accanto a me. Mi sorrise, rassicurandomi. -Non sappiamo molto, e credo che, con il tuo permesso, Nédim ci possa informare. Nel frattempo, tu potrai leggere le carte di cui parla. Sei d'accordo?

Ci pensai su, guardando tutti in faccia, compreso il mio compagno di combattimento.

-D'accordo...- risposi con tono poco convinto. Ma non perché loro stavano per essere informati di una situazione come quella, ma perché avevo il presentimento che avrei scoperto qualcosa che mi avrebbe scioccata più di quanto non lo fossi già.

Mi avviai a passi pesanti verso lo studio di Jack, e mi richiusi la porta alle spalle. Presi la solita chiave dal solito libro color grigio topo, e aprii il cassettino sotto la scrivania.

Tirai fuori le fatidiche carte, le quali si rivelarono testi scritti da Jack stesso tramite computer e documenti.

Nei testi Jack parlava direttamente a me, come se fossi il suo diario.

Ciao Marina, se stai leggendo questa lettera probabilmente hai scoperto il tuo passato oppure è successo qualcosa a me...” -Direi entrambe le cose....- mormorai io sarcasticamente. “... Prima di tutto, mi vorrei scusare con te. Ho passato molto tempo a trattarti male, soprattutto fisicamente. Mi dispiace. Non sono stato il patrigno che avrei desiderato essere. Mi scuso con te, dal profondo del cuore. Ora, perdonami se cambierò bruscamente discorso, ma non ho molto tempo, quindi leggi attentamente. Se ti ho chiamato per cellulare e ti ho avvertita del fatto che non sarei più tornato a casa, beh, rassegnati all'idea. E' così. Sicuramente avrai già letto il mio diario nero, ed avrai capito che ero in buoni rapporti con i tuoi genitori, almeno finché non sono stato costretto ad ucciderli. Ricordi che ho scritto di far parte di una specie di società? O per meglio dire, famiglia. Ecco, questa stessa famiglia mi sta imponendo l'ordine di adempire a un grosso omicidio. Avrai capito, spero, che non voglio più uccidere nessuno da quando l'ho fatto con i tuoi genitori. Troppo dolore. Insomma, credo di aver accennato al fatto che se mi rifiutassi di fare un lavoro il mio Boss mi può minacciare di morte dopo avermi perseguitato. E' quello che mi è successo. E, sicuramente, quando leggerai questi scritti, io sarò già all'altro mondo. Non voglio che tu ne soffra. Era meglio una morte come questa che lavorare in quel modo. Ovviamente, nessuno della famiglia è a conoscenza della tua esistenza, sono tutti convinti che tu sia morta insieme ai tuoi genitori, quindi non ti verranno mai a cercare. Puoi starne certa. Vivrai un'esistenza tranquilla. E per esserlo di più, e anche più sicura, ho deciso di affidarti al tuo futuro compagno di combattimenti. Nédim. Ti darà l'impressione di avere diciassette anni al massimo, ma realmente ne ha diciannove se non venti. La storia del liceo linguistico è una specie di balla, ma niente di preoccupante. Lui coprirà tutte le tue spese, e, a tuo piacimento, potrà vivere con te o meno. Preferirei che ci fosse, a dir la verità. Per fare in modo che tu sia sotto le sue veci devi firmare i fogli allegati a questo. Fallo, Marina. Assumi questo verbo come un mio ultimo ordine, non mi perdonerei mai che tu finissi nelle mani sbagliate. Non ho idea di dove io possa essere ora, sarò sepolto da qualche parte nel mondo. Non ti rattristare, Marina. Ti proteggerò dall'alto. Vivi la tua esistenza nel modo che più ti piace, e sta attenta. Addio, piccola Marina.”

Piansi come non mai dopo quella lettera. Mi accinsi a firmare i documenti, come stabilivano le ultime volontà di Jack, e tornai in soggiorno, dove tutti mi aspettavano. Non riuscii a calmare le lacrime, e tutti si allarmarono un po' nel vedermi così. Ero commossa e allo stesso tempo mi sentivo invasa da una solitudine che mi apparve spietata. Immaginai che ormai tutti fossero al corrente di ciò che io avevo appena scoperto, e, anche piangendo, mi risedetti al mio posto originario, accanto Ashley, il quale prese a massaggiarmi la schiena, cercando di calmarmi. Ci riuscì pochi minuti dopo, e solo allora feci cenno a Nédim di parlare.

-Hai firmato i documenti?

Annuii.

-Verrò a stare qui?

-Non lo so... Ci devo pensare. Lui...- allusi a Jack -... lui ti ha detto qualcosa che non era scritto lì?

-No, credo che mi abbia fatto una telefonata molto simile a quella che ha fatto a te.

-Ascolta, ti richiamerò per farti sapere. Ora... ho bisogno di restare sola.

Andy mi volse uno sguardo preoccupato, che afferrai subito. -Vi farò visita stasera, se siete d'accordo...- mi asciugai le guance bagnate con una manica della felpa che indossavo. Lui annuì, e poi tutti uscirono di casa, lasciandomi sola.

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Capitolo 32
*** Mi sarei mai ripresa? ***


 

Quando tutti mi lasciarono sola, feci una cosa che non avevo mai fatto in tutto il tempo in cui avevo vissuto con Jack. Mi diressi verso la sua stanza da letto, nella quale non ero mai entrata, e vi entrai per la prima volta. Non sapevo neanche come fosse arredata all'interno, e quando la aprii un profumo di incenso mi invase. Non era molto forte, ma delicato. Le pareti erano completamente bianche, il che non mi stupì, dato che il bianco era il colore più utilizzato in quella casa. Subito davanti alla porta c'era un letto singolo molto spazioso e dal materasso rotondo, con una testiera in pelle rossa e imbottita, alla quale erano appoggiati dei cuscini con le federe che sfumavano dal colore magenta all'arancione scuro. Le coperte erano sistemate in modo da dare l'idea di un tema autunnale: rispettivamente si alternavano il marrone, il rosso, l'arancio e il bianco. Al muro opposto della testiera c'era un cassettone che conteneva qualche vestito di Jack lasciato prima della sua partenza senza ritorno; era in legno liscio e di un colore che ricordava il cioccolato, con i pomelli lavorati artigianalmente in ferro. Sopra il cassettone si stagnava uno specchio immenso senza alcuna cornice, ma al quale erano appiccicate delle foto in cui Jack si ritraeva con i miei genitori ridendo. Le osservai per un po', e quando avvertii un groppo in gola e gli occhi che cominciavano a bruciare, distolsi lo sguardo, continuando a squadrare quella stanza da cima a fondo, pensando che sembrava una stanza di albergo a giudicare dal balcone separato dal resto della stanza da un piccolo bagno con doccia all'interno. Entrai in quel mini bagno e l'odore del bagnoschiuma di Jack mi invase con una fragranza all'arancia. Provai una forte nostalgia per quell'uomo, al punto che mi fiondai sul suo letto per cercare di sentirmelo il più vicino possibile. Mi rifugiai sotto le sue coperte, e quando appoggiai la testa sul cuscino sentii un suono di carta schiacciata. Sotto il cuscino trovai una foto un po' stropicciata sicuramente da tutte le volte che Jack ci aveva appoggiato la testa senza ricordarsi della sua presenza. C'eravamo tutti: io appena nata, i miei genitori e Jack, che mi osservava con aria ammirata e che mi solleticava la pancia facendomi ridere insieme ai miei genitori.

Non resistetti più, e le lacrime ripresero a rigarmi il viso, facendomi sentire malissimo. Urlai il nome del mio patrigno in tutta la casa, urlandogli che mi mancava, che avevamo sbagliato entrambi. Poi in un accesso di nervi, mi arrabbiai con lui, per quello che aveva fatto, per avermi adottata, per non avermi curata come avrebbe dovuto, per aver ucciso i miei genitori, per essere morto nel momento meno adatto. Stavo per perdere la voce, quando, tra le lacrime, sentii suonare alla porta.

Non ebbi subito il coraggio di aprire, quindi con voce tremante, domandai chi fosse.

-Sono Ashley! Con me c'è CC! Aprici ti prego!

-Ragazzi, ho detto che salirò io tra poco.

-Marina! Ti prego!

-No! Ho bisogno di sfogarmi da sola!

-Apri, per favore! Non ce la facciamo a sentirti così dal piano di sopra!

Rimasi un po' sulle mie, nel dubbio. Alla fine mi decisi, e aprii pian piano la porta, asciugandomi le lacrime, e tirando su col naso. Due braccia mi circondarono, speranzose di calmare il mio pianto, ma fu tutto inutile, anzi, chi aveva compiuto quel gesto, aveva peggiorato tutto, facendo aumentare le lacrime. Quando mi lasciò andare, guardai chi aveva compiuto quel gesto inopportuno: Ashley.

Non riuscivo a calmarmi, e non sapendo cosa fare mi girai e corsi in camera mia, nascondendomi sotto le coperte, e piangendo come una bambina abbandonata dal padre.

Pian piano sentii dei passi avvicinarsi a me, e delle mani scoprirono leggermente il mio capo, lasciando trasparire il mio viso bagnato e afflitto. CC non disse nulla, mi si avvicinò, si sedette accanto a me, e prese ad accarezzarmi i capelli... proprio come un padre fa a sua figlia per farla addormentare. Dopo un po', decisi di alzarmi e di sciacquarmi il viso un po' anche per limitare il mio pianto irrefrenabile. L'acqua mi fece bruciare gli occhi, ma almeno le lacrime si erano fermate. Tornata in camera mia trovai Ashley che guardava per terra, e CC che mi fissava con aria preoccupata. Decisi di indossare una felpa che Jack mi aveva regalato parecchio tempo prima, e che io non usavo molto spesso. La taglia era la sua, ma lui aveva dichiarato che mi avrebbe dato un'aria da skater. Il mio labbro inferiore tremò mentre la indossavo, ma mi trattenni. Poi mi guardai un paio di secondi allo specchio, e potei confermare quello che Jack mi aveva detto qualche tempo prima. Poi mi voltai verso CC e Ashley che mi guardavano. Tirai su col naso, e loro proposero di salire sopra, dove tutti ci stavano aspettando. Io li guardai, e dissi che avrei preferito restare lì.

-Marina... permettici di portarti sopra. Qui... soffriresti troppo.- rispose CC alla mia negazione, guardandosi attorno con aria triste.

Accettai senza più obiettare. Appena si aprì la porta di sopra, mi trovai addosso Andy che mi stringeva a sé. Nella sua altezza, abbassò il viso, fino a farlo arrivare alla mia spalla, facendo entrare a contatto i suoi capelli con la mia guancia, in modo da solleticarla involontariamente. Non emise un solo suono, il suo abbraccio diceva mille parole, ma nessuna di quelle che mi trasmise riuscì a mettermi il cuore in pace.

Mi fecero accomodare sul divano e Jinxx mi chiese cosa avessi intenzione di fare con Nédim.

-Nulla. Non voglio avere un estraneo in casa. Non voglio che lui prenda il posto di... Jack. Se avrò bisogno di lui, so che ci sarà. Voglio vivere la mia esistenza autonomamente.- sospirai, mentre Jake si alzava dal divano avviandosi verso la cucina. Tornò qualche minuto dopo con in mano una tazza fumante di cioccolata calda. Lo guardai con aria interrogativa.

-Ti risolleverà. E' un grande potere quello del cioccolato. Con me ha sempre funzionato.- presi tra le mani la tazza bollente e per poco non mi ustionai: avevo le mani congelate fino alla punta delle dita, che si erano arrossate al contatto con la ceramica, mettendo in risalto lo smalto nero che ero solita a usare. Parlammo di cosa mi sarebbe successo nei giorni a venire, finché io non mi sentii appesantire gli occhi e non mi addormentai involontariamente.

 

Il mattino dopo mi ritrovai nel letto di Andy. Ero tutta rannicchiata su me stessa, con le ginocchia strette al petto. Avevo freddo, nonostante le coperte, e sentivo molto chiaramente il respiro di Andy. Socchiusi gli occhi, e mi accorsi di essere avvolta tra le sue braccia. Non sapevo bene come muovermi in quella strana situazione, quindi mi limitai ad alzare il viso. Ma non migliorai la mia posizione: mi trovai faccia a faccia con il suo viso addormentato. Il suo respiro pacato mi colpì il viso, e dopo un po' mi fece un effetto soporifero, facendomi riaddormentare. Sentii il calore delle braccia di Andy sovrapporsi a quello delle coperte e del felpone che indossavo, instaurando in me una sensazione di conforto. Mentre sognavo, una voce a me familiare mi bisbigliò che loro erano la mia seconda famiglia, e che non me ne sarei separata così facilmente. Riconobbi quella voce, e quando cercai di richiamarla le mie corde vocali non riuscirono a emettere alcun suono. Cercavo di invocare quella voce in tutti modi, ma non c'era nulla da fare. Nel mentre di tutto questo, sentii la superficie del mio cuscino bagnarsi di qualcosa di caldo proveniente dal mio stesso viso. Poi udii anche delle voci. Ma io non mi decidevo a svegliarmi, e più mi crucciavo nel mio sogno, più mi appallottolavo nella realtà, piangendo nel sonno. Mi sarei mai ripresa? 

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Capitolo 33
*** Adrenalina. ***


 

Passarono alcuni giorni da quando avevo affrontato l'ultima lettera di Jack. Il mio umore non accennava a miglioramenti, e persino Nédim non si faceva sentire. Un giorno, mentre mi trovavo nello studio di Jack ad osservare i suoi volumi grigi suonarono alla porta.

Un leggero senso di ansia mi pervase mentre camminavo verso l'entrata, nessuno mi era venuto più a trovare da quando ero tornata dall'appartamento di sopra, e nessuno mi aveva chiamata. Sbirciai dall'occhiello della porta, dove intravidi una chioma bionda divisa in tanti dread-lock. “Sapevo che sarebbe venuto prima o poi.” pensai sospirando e aprendo la porta. Mi trovai davanti gli occhioni verdi di Nédim, tesi in un'espressione rattristata.

Da una parte mi innervosiva vederlo con quella faccia. Sembrava che provasse compassione nei miei confronti.

-Che c'è?

-Sono venuto a sapere cosa hai deciso di fare con me.

Rimasi sulle mie, in silenzio. Poi mi venne un'idea. Lo squadrai da testa a piedi: indossava una felpa grigia con sopra delle scritte blu scuro e dei pantaloni da tuta intonati con la felpa. Non aveva neanche il suo solito piercing al labbro. “Perfetto.”

-Entra, e aspettami lì- gli indicai il divano.

Lui si accomodò sul divano, e credo che si aspettasse che io mi sedessi pure, ma dovetti deludere le sue aspettative, perché mi diressi nella mia stanza, per indossare una tuta comoda e per sfilarmi il piercing dal labbro. Quando tornai gli dissi che saremmo saliti nel terrazzo per combattere e che subito dopo gli avrei dato una risposta. Lui si accigliò, ma il mio sguardo non ammetteva repliche. Quel combattimento sarebbe stato fondamentale per me e il mio umore. Avrebbe inciso su di esso più di quanto pensassi.

Il nostro scontro durò molto a lungo. Quasi due ore e mezza, il che ci ridusse a poltiglia non appena io decisi di porvi fine. Mentre ci sferravamo calci e pugni e li paravamo notavo il suo sguardo su di me, con la stessa espressione di quando era arrivato, ma con una punta di serietà che prima non c'era. Mi infastidì lo stesso, il che implicò maggiore energia nei miei colpi. Quando tutto si concluse lui cadde a terra esausto. Mentre io restai in piedi, con il fiato affannato, ma con una nuova luce negli occhi. Quello mi era servito a risvegliare il mio istinto combattivo. Decisi che avrei affrontato la morte di Jack a testa alta, onorandolo affrontando una volta per tutte quei dannati bulli che mi ronzavano attorno a scuola. Eppure, per quello avevo bisogno di un aiuto, e Nédim era perfetto.

Lo guardai mentre si asciugava il sudore dalla fronte con una tovaglia che gli avevo prestato.

-Ho pensato a lungo su cosa fare riguardo la nostra convivenza.- cominciai, attirando subito la sua attenzione. -Non ti conosco abbastanza, e non ritengo opportuno che tu viva da me in pianta stabile. Però in questi giorni avrei bisogno di te.- lui continuava ad ansimare e parve perplesso a quella mia risposta. Cercai di spiegarmi: -Ho bisogno che tu venga a stare da me per un paio di giorni, ma solo un paio. Poi, preferirei restare da sola. Quindi, se vuoi puoi venire anche stasera, dormirai... nella stanza di Jack.

Rimase stupefatto a quelle parole, ma non oppose resistenza, e mi disse che nel giro di un'ora e mezza sarebbe tornato da me, portando pure qualcosa da mangiare per cena.

Quella sera non gli spiegai nulla sul motivo per cui gli avevo chiesto di stare da me, nonostante lui mi lanciasse occhiate speranzose; e alla fine mi decisi a stuzzicare ancora di più la sua curiosità, dicendogli che il giorno dopo, quando sarei tornata da scuola e ci fossimo allenati nelle prime ore del pomeriggio, gli avrei dato una spiegazione.

 

La mattina dopo, a scuola, presi ad aggirarmi nei corridoi durante le ore di lezione. Volevo provare a cercare Jeff o la sua stupida fidanzatina, e invece, mentre mi aggiravo in un corridoio costituito da classi che facevano il triennio sentii delle voci a me familiari provenire dalla scala antincendio. Mi ci avvicinai, e ci trovai Andy e i ragazzi che si fumavano una sigaretta. Alla mia vista, a Andy cadde della cenere sulle dita, ustionandosi e imprecando.

-Acc... Marina! Che ci fai qui?

-Svolgo... delle ricerche...- la mia testa si riempì dei ricordi di quando ero stata picchiata da Jeff. Li guardai tutti in faccia, dal primo all'ultimo, e la loro unica espressione era di sbalordimento. Poi mi rivolsi a Jake, che aveva in mano un pacchetto di sigarette. -Me ne dai una?

-Ma a te non piace fumare...- obiettò lui.

-Oggi mi va...- gli sorrisi, mentre gli sfilavo una sigaretta e me la accendevo. -Beh? Che si dice? Direi che è da un po' che non ci vediamo...

-Uh, questa domanda dovremmo fartela noi...- ribatté Jinxx.

-Mmh... hai ragione. Vediamo... ho deciso di liberarmi definitivamente di Jeff.- tutti sgranarono gli occhi, e nello stesso momento in cui Ashley stava per dire qualcosa, io ripresi a parlare -E per farlo, mi servirò di Nédim.

-Spero che tu stia scherzando!- esclamò Christian. -Non ti ricordi più come ti ha conciata l'ultima volta? Non sono minimamente d'accordo.

-Ripeto: con me ci sarà Nédim. Jake, tu hai visto come combatte, è bravo. In ogni caso, lo faccio non solo perché è un peso di cui voglio liberarmi -non mi attira proprio l'idea di finire il liceo con il tormento di quel bullo-, ma anche per onorare la memoria di Jack, che non è mai entrato a conoscenza di quello che ho sempre subito durante le sue assenze.

-Marina...- intervenne Ashley -posso capire i tuoi sentimenti nei confronti del tuo patrigno, ma Jeff... è sempre attorniato da più persone. Nemmeno in due potrete mai farcela!

-Oh, invece si.- sogghignai io. -Io e il mio amico, che ho relegato in terrazzo ad allenarsi, abbiamo trascorso molto tempo a combattere con Jack. I nostri erano scontri a tre, ma data la forza di Jack, lui valeva come due persone. Siamo più che pronti per affrontare pure quattro persone.

-Continuo a non essere d'accordo. E cos'hai intenzione di fare con Jeff? Sarà il più accanito di tutti.- notò CC.

-Oh, lui sarà il mio piatto. Lo sbranerò vivo. Tempo prima che io mi interessassi di morte...- volsi uno sguardo ad Andy -... ci eravamo già scontrati. Ho imparato le sue mosse e i suoi assurdi ragionamenti. So come metterlo KO.- tossicchiai quando la sigaretta era quasi arrivata a metà, facendo ricadere la cenere per terra.

Notai gli sguardi di disapprovazione di Jake e Jinxx, ma li ignorai. Quando si decidettero ad accettare la mia convinzione, mi chiesero che come minimo dovevo tenerli aggiornati su cosa fosse successo. Accettai, e nello stesso momento in cui lo feci, vidi passare Jeff accanto la porta in vetri. “Bingo.” in una manciata di secondi salutai i ragazzi, spensi la sigaretta, e camminai a grandi passi nella direzione del mio futuro avversario. Solo quando fui a pochi passi di distanza rallentai il passo, e lo superai senza pensarci troppo, attendendo una sua reazione, che non ritardò ad arrivare.

-Ehi, emo.

Mi fermai, per quanto volessi far notare la mia presenza, e cercassi un modo per poterlo mettere KO una volta per tutte, odiavo essere chiamata in quel modo. -Che vuoi?

-E' strano che tu ti faccia vedere in giro. Cosa stai architettando?

“Perspicace, stranamente.” -Uh, nulla di che.- mi girai nella sua direzione, per osservarne l'espressione da idiota che gli si era stampata in viso.

-Lo spero per te.- un sorrisetto feroce gli si disegnò in faccia, e mi sorpassò, sbattendo con la mia spalla. Feci un enorme sforzo per non girarmi e mollargli un calcio dritto nella schiena, ma alla fine lasciai perdere, pensando che il mio momento sarebbe giunto ben presto.

 

Il pomeriggio, durante gli allenamenti, Andy e i ragazzi salirono in terrazzo a guardare me e Nédim combattere. Eravamo entrambi in divisa, e al loro arrivo li ignorammo completamente, continuando a cercare di colpire un punto debole di ognuno di noi. Con la coda dell'occhio, notai che si sedettero sul muretto, qualcuno accendendosi una sigaretta, e qualcun altro incassando il viso tra le mani o incrociando le braccia. Nulla che potesse distrarmi, anzi il loro arrivo condizionò leggermente Nédim, che cercava di non darlo a vedere. A fine scontro, feci cenno ai ragazzi di restare dov'erano, e mi rivolsi a Nédim, spiegando quello che avevo in mente di fare con Jeff e la mia situazione con lui, della quale il mio compagno non era a conoscenza. Non mi stupii quando rimase sorpreso da quello che gli stavo chiedendo.

-Mi serve il tuo aiuto.- conclusi, fissandolo con aria decisa.

Lui si voltò verso il “pubblico”. -Scusate, ma voi cosa ne pensate?

-Noi non siamo d'accordo.- rispose Ashley. -Ma pensandoci, lei ha in parte ragione. Non sarebbe proprio bello vivere tormentati dall'ansia che qualcuno ti possa mollare un cazzotto da un momento all'altro. E' meglio mettere a tacere quel bullo. Vorremmo aiutarla, ma non credo che sia d'accordo...- mi lanciò un'occhiata speranzosa, prontamente respinta. Se c'era una cosa che non volevo era che loro entrassero a far parte dei miei problemi. -... quindi, fallo tu. Appoggiala e proteggila con tutto te stesso.

Nédim si rabbuiò. Io mi avvicinai a lui, gli tamburellai un dito sulla spalla in modo che si girasse e appena lo fece, feci partire un pugno in direzione del suo viso, ma che lui prontamente parò, rimanendo sorpreso del mio gesto.

-Ecco. Ti piacerebbe se una persona ti colpisse così, quando meno te lo aspetti. Io ho bisogno di te.

Divenne serio, poi parve capire, quindi annuì. Spiegai cosa avevo intenzione di fare.

Ero sicura che Jeff non avrebbe resistito alla tentazione di stuzzicarmi nei giorni seguenti, quindi, dopo il suo secondo tentativo invano di rompermi le scatole, io avrei chiamato Nédim, e lui mi sarebbe venuto a prendere a scuola, provocando ancora di più la voglia di infastidirmi a Jeff. Alla fin fine, sarebbe risultata come un'azione che sarebbe dovuta accadere a prescindere, senza alcun progetto pensato precedentemente. Dovetti tenere a freno la mia adrenalina, per parecchio tempo.  

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Capitolo 34
*** Famiglia. ***


Passarono tre giorni, e Jeff era già tornato all'attacco. Chi si aspettava che sarebbe stato così veloce? Da quando ci eravamo incontrati nel corridoio, lui, Rosie e tutto il resto dei suoi compari avevano ripreso a tormentarmi, umiliandomi in classe o per i corridoi della scuola e spintonandomi contro gli armadietti se si trovavano a passarmi accanto. Quando mi stancai di essere trattata in quel modo -anche perché io non facevo nulla per togliermeli di dosso-, finalmente decisi che era arrivato il momento di fare entrare in azione Nédim.

Uno dei pomeriggi in cui stavo per uscire da scuola, Nédim mi venne a prendere, attirando subito l'attenzione di chi mi prendeva di mira da giorni.

-Hai deciso di temerci, finalmente?- mi urlò dietro Rosie -Sei addirittura arrivata a farti venire a prendere a scuola? Poverina, chi è? Il tuo ragazzo?- dei passi cominciarono a seguirci. Nédim mi lanciò un'occhiata preoccupata di sbieco, ma io la ricambiai con una rassicurante, e gli feci cenno di svoltare in un vicolo deserto abbastanza lungo e spazioso per compiere quello che progettavo da qualche settimana.

Intanto, Rosie, Jeff e gli altri ragazzi, che erano quattro, continuavano a seguirci, urlandoci insulti e provocazioni. Quando giungemmo a metà vicolo, fermai con uno sguardo Nédim.

-Uh, ti sei fermata! Che vuoi fare ora?- domandò acido Joe.

Ci girammo, mentre gli altri si avvicinavano a grandi passi. Quando mi trovai a un passo da Phil, gli mollai un pugno in piena faccia, buttandolo a terra. Non ci volle molto perché Joe si facesse avanti preparandosi alla battaglia, ma Nédim gli afferrò il polso sinistro e lo fermò dietro la sua schiena, per poi farlo cadere a terra con uno spintone del ginocchio. Rosie gettò un urlo di paura, e io innervosita la spinsi contro un muro, per metterla a tacere. Fu la scintilla che fece scattare Jeff contro di me. Allungò un pugno verso la mia faccia nello stesso momento in cui uno dei ragazzi che non conoscevo ne sferrava uno al mio compagno, che lo parò prontamente. Fu così che cominciò il nostro fatidico scontro, tanto atteso. Nèdim si trovò a combattere contro tre avversari: i due ragazzi che non conoscevo e Phil, che fu il primo ad essere messo al tappeto. Io mi trovai a combattere contro Jeff, Joe e Rosie, che veniva scaraventata in continuazione per terra o contro il muro. Quando cominciai a stancarmi di Rosie, la spinsi così forte contro il muro che cadde per terra svenuta, nello stesso momento in cui il mio compagno scaraventò per terra uno dei suoi avversari. Restammo io, Joe e Jeff, con dall'altra parte della strada Nédim e il suo unico avversario. Mi decisi a dare il colpo di grazia a Joe, che aveva passato tutto il tempo del combattimento a cercare di bloccarmi per dare la meglio al suo “capo”. Gli diedi un calcio nelle parti basse e un pugno nello stomaco, tutti di seguito, in modo da piegarlo in due e da farlo cadere per terra dolorante. Qualche minuto dopo, la stessa sorte toccò all'avversario di Nédim, il quale, ansimante si avvicinò a me e Jeff asciugandosi il labbro inferiore spaccato.

-No!- gli urlai, in modo da fermarlo a metà strada da noi. Volevo metterlo fuori gioco una volta per tutte da sola. Non mi aveva ancora procurato lesioni gravi, e io ero ancora piena di energie, al contrario di chi avevo davanti, che ansimava e sudava, tenendosi una mano sul fianco destro. Assaporavo il suo dolore con rabbia, e non mi lasciai intenerire dalla sua faccia stanca, nonostante fosse ancora piena di disprezzo. Gli mollai un pugno in pieno viso, facendolo voltare. Cercò di riprendersi velocemente e di contrattaccare, ma gli arrivò una sonora ginocchiata nello stesso fianco che gli doleva, facendolo finire a terra. Si rimise in piedi tremante, con il labbro inferiore che sanguinava. Il momento del colpo di grazia era arrivato: un pugno allo stomaco lo costrinse a piegarsi in due e a sputare sangue. Una mia piccola vendetta, ben assaporata. Cadde in ginocchio.

-Basta...- ansimò. Gli alzai la testa con un dito, e lo presi per il colletto della giacca, sollevandolo di poco.

-Questo è quello che ti meriti, per tutto quello che mi hai fatto passare. Ti odio, Jeff, e non mi farò scrupoli a picchiarti di nuovo se oserai rompermi ancora le scatole. Sta alla larga da me, tu e la tua stupida fidanzata. Se questa storia si diffonderà in giro, saranno cavoli amari per te. Quindi giudica bene cosa fare. Le nostre questioni si chiudono qui. Ora, raggruppa i tuoi compari, e sparisci dalla mia vita, specie di insetto.- detto questo lo lasciai ricadere per terra, e feci cenno a Nédim di seguirmi. In silenzio, anche se con aria soddisfatta, ci avviammo verso casa.

 

Quando entrammo nel mio appartamento, proposi al mio compagno di farsi una doccia nel bagno di Jack, mentre io mi rilassavo nell'altro bagno. Concordammo che ci saremmo rivisti un'ora dopo in soggiorno, e io mi andai a rilassare sotto il getto d'acqua calda.

L'ora successiva ci trovammo in salotto, come previsto, e ci sedemmo sul divano.

-Ora? Che farai?

-Oh, mi rilasserò. Finalmente mi sono tolta un peso dalla coscienza.- sorrisi io, mentre mi passavo un asciugamani tra i capelli bagnati.

-E io? Che farò?

-Quello che preferisci. Nei giorni in cui sei stato qui, la tua compagnia mi ha fatto molto piacere, anche se passavamo molto tempo ad allenarci, ma il tuo aiuto oggi ti ha fatto guadagnare la mia totale fiducia. Puoi restare qui o tornare a casa tua, o magari venire qui ogni tanto. Fa come preferisci.- conclusi io.

-Beh, allora credo che prenderò in considerazione l'ultima opzione. Ho un po' di cose da fare a casa... non ti disturba se me ne vado questa sera stessa, vero?

-No, tranquillo.- sorrisi io. -Fa' pure.

Mi sfilai l'asciugamano dai capelli e lui si avviò nella camera di Jack per recuperare le sue cose. Mezzora dopo tornò in soggiorno con il suo borsone, mi salutò e si chiuse la porta alle spalle.

Nel silenzio della casa udii un tuono provenire da fuori. Ciò mi indusse a salire in terrazzo con tutte le infradito e i capelli bagnati a godermi la pioggia. Giunsi lassù nello stesso momento in cui un lampo attraversò il cielo, dal quale cominciò a scendere la pioggia.

Restai col volto alzato verso il cielo per diversi minuti, poi parlai alle nuvole. -Ce l'ho fatta Jack. Scusa se non ti ho mai detto nulla, ma ora sono riuscita a mettere in pratica quello che mi hai insegnato, e magari potrò davvero vivere un'esistenza più serena...

Nello stesso momento in cui terminai questa frase la porta alla mie spalle si aprì lentamente, e ne sbucarono cinque ragazzi incappucciati.

-Marina?- mi nominò Ashley.

-E chi altro?- risi io, correndo ad abbracciarlo.

-Ehi, ma che ti prende?- ricambiò il mio abbraccio.

-Oh, Ash. Sono così felice. Devo raccontarvi tutto.- mi staccai da lui, con un mega sorriso stampato sul viso.

-Beh, allora scendiamo sotto. Non mi sembra proprio il posto adatto per parlare, questo.- commentò Jake. -Però sei fradicia. Ti vuoi cambiare prima?

-Naaah... Andiamo dai.

 

Entrati nell'appartamento dei ragazzi cominciai a starnutire, e mi convinsero a togliermi la felpa bagnata e a metterne una di Christian, che mi stava grandissima. Poi, davanti una tazza fumante di thè al gelsomino -novità di Jake-, cominciai a raccontare per filo e per segno tutto l'accaduto. Quando ebbi finito gli altri avevano un'espressione tra il felice e lo stupito.

-Oddio, sei stata bravissima e fortissima!- esclamò Jinxx.

-Wow!- emise Andy.

-Complimenti! Vedrai che quello lì non ti scoccerà più!- mi sorrise Ashley.

-Già! Finalmente! Ormai posso vivere tranquillamente!- risposi io con entusiasmo. -Ormai mi sento in pace con me stessa, e pure nei confronti di Jack, che ringrazio vivamente di avermi allenata per tutti questi anni. Sono davvero felice.- sorrisi io, alzandomi dalla sedia, dato che non riuscivo a stare ferma e che le mani mi tremavano dalla felicità. -Oddio, non riesco a stare calma dall'entusiasmo.- risi. I ragazzi si alzarono tutti dalle loro sedie, mi si avvicinarono e man mano andammo a creare un abbraccio di gruppo, il più bello mai vissuto. Ora, la mia vita era completa. Con loro al mio fianco sarei potuta andare ovunque, e avrei potuto fare di tutto e di più. Jinxx, Jake, Andy, Ashley e Christian erano la mia famiglia.

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