Akai Ito

di Nana Kudo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scherzo del destino ***
Capitolo 2: *** Porshe 356A ***
Capitolo 3: *** L'invito ***
Capitolo 4: *** La cena perfetta... o quasi ***
Capitolo 5: *** Quando il pericolo si concretizza ***
Capitolo 6: *** Quiete? ***
Capitolo 7: *** Il buio ***
Capitolo 8: *** La seconda condizione (Prima parte) ***
Capitolo 9: *** La seconda condizione (Seconda parte) ***
Capitolo 10: *** La seconda condizione (Terza parte) ***
Capitolo 11: *** Rotten Apple ***
Capitolo 12: *** Impressioni sotto la pioggia ***
Capitolo 13: *** A secret makes a woman, woman ***
Capitolo 14: *** Calamite ***
Capitolo 15: *** Sherlockians ***
Capitolo 16: *** Non è così... Kogoro il dormiente? ***
Capitolo 17: *** Rivali? ***
Capitolo 18: *** Silver Bullet (Seconda Parte) ***
Capitolo 19: *** Silver Bullet (Prima Parte) ***
Capitolo 20: *** I primi dubbi ***
Capitolo 21: *** Verità ***
Capitolo 22: *** Elementare, Watson! ***
Capitolo 23: *** Schegge ***
Capitolo 24: *** Passi ***
Capitolo 25: *** La Busta ***
Capitolo 26: *** Il Mago ***
Capitolo 27: *** James Moriarty ***



Capitolo 1
*** Scherzo del destino ***


--—Akai Ito—--


Capitolo uno
Scherzo del destino
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Guardava dalla finestra i petali di ciliegio che lievemente libravano e danzavano nel cielo, per poi adagiarsi delicatamente sul terreno e creare un’infinita distesa rosa confetto che in quel periodo dell’anno caratterizzava l’intera isola giapponese.
Erano passati dieci anni dall’episodio che cambiò la sua vita, dieci anni da quando aveva detto addio a Shinichi Kudo e alla fama di detective, diventando un bambino di appena sette anni, andando a vivere a casa della sua Ran, risolvendo casi sotto identità di Kogoro, dovendo frequentare nuovamente le elementari… dovendo vivere sotto le mentite spoglie di Conan Edogawa.
Ma mai avrebbe creduto che tutto sarebbe rimasto così.
Che quello che pensava fosse un sogno, si rivelasse invece come la crudele e triste realtà.
Che lentamente, avrebbe dovuto rinunciare a tutto.
Che non ci sarebbe stato più alcun antidoto che lo riportasse normale, neanche per qualche ora.
Che non sarebbe mai riuscito a vendicarsi di quei criminali che gli avevano rovinato la vita..
Ma soprattutto, che avrebbe dovuto rinunciare a Ran.
Ran, la stessa che ancora l’aspettava inconscia del fatto che lui non sarebbe più tornato.
Ran...

 
Aprì lentamente la porta della libreria di casa sua, e ritrovandosi dinanzi la figura della ragazza che per tutto il pomeriggio aveva cercato, incurvò le labbra in un sorriso.
“Ran” sussurrò, posando la propria mano sull’interruttore della luce.
“Non accendere le luci” disse lei, senza voltarsi e lasciando stupito il ragazzo. “Non voglio che tu veda le mie lacrime, Conan-kun” aggiunse poi, voltando leggermente il volto, tanto da far notare solo una lacrima solitaria che le rigava il viso.
A quella vista, il liceale non poté che spostare la mano da quel muro e riportarla lungo il corpo.
Ran si asciugò le lacrime, per poi girarsi e mostrare il proprio volto al fratellino
“Questo posto è pieno di ricordi fra me e Shinichi.” abbozzò un sorriso malinconico dicendolo, mentre gocce cristalline ancora le correvano sul viso.
“Stai per sposarti..” le chiese abbassando il capo. “Con Araide-sensei?”.
Rimase un attimo fermo, immobile davanti alla porta da cui poco prima aveva fatto irruzione nella stanza, per poi avvicinarsi a lei.
“Non farlo!” le urlò una volta sotto la luce lunare, l’unica che in quel momento illuminava la stanza e le regalava quell’atmosfera semplicemente speciale. “Non sposarti!”
“Perché no?” gli chiese la –ormai- ventisettenne, guardandolo negli occhi.
“Perché io…” abbassò lo sguardo mentre lo diceva, guardarla negli occhi sapendo che tutta quella sofferenza era causata dal medesimo sarebbe stato impossibile. “Ci rimarrei davvero male”.
“Eh?” 
“Perché..” Tremante e inondato d’emozioni, raggiunse gli occhiali che portava sul volto con la mano destra.
Ci pensò qualche istante per poi tirarli via, liberandosi di quella menzogna che regnava si di lui e che colorava la sua vita.
“Io sono Kudo Shinichi!” le urlò deciso. “Quindi ti prego, non sposarti!” 
La notizia sorprese la giovane donna, che poco dopo gli si avvicinò con un’aria dolce e malinconica dipinta sul volto.
“Adesso che vai al liceo, gli somigli davvero molto”
“Non è che gli somiglio, io sono Shinichi!” cercò di convincerla il detective, ma invano.
“Grazie.. per aver provato a fermare le mie lacrime” rispose, prendendo gli occhiali dalle mani del ragazzo.
“Io ne sono certa…” continuò lei, mentre glieli posava delicatamente sui suoi intensi occhi blu. “Ho aspettato dieci anni,sono certa che posso aspettarne ancora altri dieci”. 
*
 
Peccato però, che per quanto felice potesse essere del fatto che lei ancora l’aspettava, neanche questa volta sarebbe riuscito a soddisfare il suo desiderio.
Che per l’ennesima volta l’avrebbe vista piangere aspettando una sua telefonata.
E che per l’ennesima volta l’avrebbe sentita urlare che l’odiava, con la consapevolezza che ne aveva tutto il diritto però.
Che scherzo del destino.

Pensò, abbozzando un sorriso amaro e abbassando lo sguardo, per poi tornare a pensare mentre tutto intorno a lui continuava normalmente.
 
Liceo Teitan, secondo anno, sezione B.
La classe era la stessa che frequentava dieci anni prima, con l’unica differenza che gli alunni non erano gli stessi.
Di fronte a lui, tre ragazzi che ormai conosceva da una vita.
La prima, aveva gli occhi azzurri, carnagione chiara, capelli castani e corti: Ayumi Yoshida.
Il secondo era un ragazzo alto, con lentiggini sotto gli occhi e dall’aria intelligente: Mitsuhiko Tsuburaya.
L’ultimo, un ragazzo dalla carnagione olivastra, capelli corvini e rasi, corporatura robusta e che continuava a ripetere che amava le anguille: Genta Kojima.
Quant’erano cambiati dal giorno che li aveva conosciuti.
Quant’erano cresciuti e maturati, dimenticando la passione per Kamen Yaiba ma continuando a crescere quella dei detective, tanto da crearne un club.
Si, era passato tanto tempo d’allora.
“Edogawa-kun” lo destò dai suoi pensieri una ragazza dai capelli ramati e le iridi chiare. “Non vieni a pranzare con noi?”
A differenza di Shinichi, a lei non dispiaceva affatto dover vivere come Ai.
Anzi, sembrava quasi felice quando gli ha dato la notizia che non ci sarebbe stato alcun antidoto che li avrebbe riportati alle loro vere vite, che sarebbero rimasti per sempre Ai Haibara e Conan Edogawa.
Forse perché aveva finalmente trovato un modo per dimenticare il passato, o forse per altro..
“No grazie, Haibara” rispose l’altro alzandosi, e mettendo i libri dell’ultima ora nella cartella. “Non mi sento molto bene, preferisco andare a casa” detto ciò, senza neanche salutare, si avviò verso la porta, per poi sparire tra i corridoi del liceo.
“Dove va?” chiese Ayumi vedendolo uscire. La piccola scienziata si limitò a fare spallucce.
“Antipatico” sbuffò Mitsuhiko, cingendo le braccia al petto. “Mai una volta che pranza con noi”
“Mm, guardiamola nel lato positivo, potremo mangiare pure la sua porzione!” esclamò Genta, felice come una pasqua all’idea di una porzione più abbondante.
“Genta! Pensi sempre al mangiare!” gli urlarono contro gli amici, stufi di quell’atteggiamento. Cambiarono espressione notando anche la loro compagna avvicinarsi alla porta con passo spedito.
“Allora? Io ho fame, muovetevi.” disse la ragazza, con un espressione più che fredda disegnata sul volto
“D-D’accordo…” risposero all’unisono gli altri membri dei Detective Boys, per poi andare tutti insieme nel loro club a pranzare

*** 


Passeggiava per il centro di Beika.
Non aveva voglia di tornare a casa.
Né tantomeno di vedere Oji-san intento a bere birre, piangere per la sua Yoko Okino, ormai ritirata e sposata, e per il fatto che la sua agenzia era tornata ad avere una quantità scarsa di clienti.
Purtroppo dopo aver ricompiuto i quattordici anni, si era accorto che risolvere un caso come Kogoro e nascondersi da qualche parte era diventato più che impossibile, ormai il suo corpo non era più quello piccolo e facile da infilarsi dappertutto come una volta, e così decise di diventare un detective a sé, il detective Conan Edogawa.
Nel camminare si fermò a guardare una piccola famiglia seduta in un parchetto lì vicino.
Lei con capelli lunghi fino alle spalle e gli occhi azzurri.
Lui con capelli castani e ribelli, occhi blu che faceva apparire un peluche dal nulla e lo dava al piccolo di fronte a sé.
Molto probabilmente, se non fosse stato per quella dannata Aptox4869, ora sarebbe stato lo stesso anche per lui.
Avrebbe passato le sue giornate con Ran e loro figlio, avrebbe vissuto come una persona normale, avrebbe provato il piacere di vivere…
Ma nuovamente si ritrovò a pensare che il destino aveva deciso di divertirsi con loro, facendoli sperare ed illudere, per poi fargli capire che tutte quelle occasioni come Londra, l’America o la sera al Central Building, erano solo scherzi, scherzi del destino.
Capendo che la vista di quella famiglia era troppo dolorosa per lui, voltò lo sguardo verso un piccolo vicolo che sboccava a pochi metri da dov’era lui.
Quando vide una macchina parcheggiare davanti ad esso però, spalancò gli occhi, spiazzato ed incredulo.
Quella macchina, era la sua macchina, l’avrebbe riconosciuta in qualunque situazione, non avrebbe mai potuto scordare quella sua vernice nera, quel suo stile antico né tantomeno il volto dell’uomo al volante di quell’ultima.
Spostò lo sguardo per avere la certezza che la macchina fosse quella, e il risultato, non poté che far incurvare le sue labbra in un sorriso, un sorriso pieno di speranze e che sapeva di rinascita e sfida.
Porshe 356A.





*OAV 9, "The Stranger of Ten Years After"

Blacky's Corner:
Konnichiwa!!^^
eccomi con questa mia nuova Long!
com'è?? con questo chap introduttivo vi ho incuriositi almeno un pochino??
cmq, a dire la verità era già pronto giovedì, ma poi ieri sono stata fuori tutto il giorno e quando sono tornata a casa mi sono accorda che era un po' tardi per postare, così oggi (dopo aver finalmente trovato un po' di tempo) ho deciso di postarla ^^
spero non sia banale, che i personaggi non siano OOC, che la trama faccia schifo e... e? 
va beh, a voi la parola!
ah! in quanto agli aggiornamenti, non so se posterò ogni giorno o uno si e uno no, dipende se mi viene l'ispirazione o meno :P
beh, spero davvero vi sia piaciuto il chap ^^
alla prossima!!!

XXX,
Blacky

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Capitolo 2
*** Porshe 356A ***


Capitolo due
Porshe 356A
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...Porshe 356A…
 
Vide l’uomo dai capelli color platino e gli occhi di ghiaccio prendere il cellulare in mano, e comporre un numero a lui sconosciuto.
Decise di spiarlo e senza fare alcun minimo rumore si nascose dietro una parete lì vicino, sporgendo lievemente il capo all’infuori in modo da poter ascoltare la conversazione del tanto odiato nemico.
Che sta succedendo? Che ci fa Gin qui?
Continuava a chiedersi mentalmente, impaziente di ricevere almeno una risposta a tutte quelle domande che iniziavano a mandargli in tilt il cervello.
Lo intravide mentre accostava l’apparecchio elettronico all’orecchio e accendersi una sigaretta.
Uno squillo…
Due squilli…
Il criminale sembrava a dir poco calmo dinanzi all’attesa, tanto da avvicinare l’orecchio alla spalla e mantenere il cellulare su di essa, mentre controllava e inseriva dei proiettili all’interno della sua Beretta.
Il detective invece, era tutto meno che calmo.
Continuava ad imprecare contro colui che Gin cercava di chiamare da parecchi minuti ormai, e quando stava per raggiungere il limite di sopportazione, improvvisamente sentì l’uomo dallo sguardo freddo e agghiacciante proferire parola.
“Pronto. Sono Gin” cominciò il criminale.
Purtroppo il liceale era troppo lontano, quindi non poteva sentire ciò che la persona dall’altra parte diceva.
“Sì, siamo arrivati davanti al vicolo. Lo stiamo aspettando” continuò, mentre buttava la sigaretta –ormai finita- dal finestrino e ne accendeva un’altra, per poi incastrarla nuovamente fra i denti. “Una valigetta ha detto? D’accordo, prenderemo anche quella già che ci siamo” rispose per poi chiudere la chiamata.
“Allora? Che ha detto?” gli chiese Vodka, che per tutto questo tempo era rimasto seduto senza fiatare.
C’è anche Vodka?! Ma certo, dove c’è Gin c’è sempre anche lui…
Si sbalordì Conan, nel notare solo ora l’uomo robusto e col viso coperto da un paio di occhiali neri, anche lui all’interno della vettura.
“Dovrebbe essere qui a minuti” disse di rimando il biondo, mentre preparava la fidata Beretta nella tasca dell’impermeabile. “Oltre a quello che deve darci, dobbiamo prendere una valigetta. Non ho idea di ciò che si trova al suo interno, ma dopo averla presa dobbiamo ucciderlo” finì con tono atono, senza trapelare ansia né qualsiasi altro tipo d’emozione.
U-ucciderlo..?!
Dannazione, devo fare qualcosa!
Pensò sbattendo piano un pugno sulla parete di mattoni che lo proteggeva da quegli assassini spietati che gli avevano rovinato la vita.
Ma cosa poi? Non posso andare così come Conan, e poi loro sono armati! Pensa Shinichi, pensa…
Fu il rumore delle gomme di un’auto a contatto con l’asfalto che però lo destarono dai suoi pensieri.
Un taxi dai vetri stranamente oscurati.
Da esso ne uscì un uomo sulla quarantina, con una ventiquattrore di pelle tra le mani e l’aria preoccupata, ansiosa e che trapelava una briciola di terrore.
Si avvicinò alla Porshe parcheggiata lì dapprima, e fece cenno col capo alla persona al volante di seguirlo, per poi entrare nel vicolo.
“Vengo anch’io?” chiese Vodka al fratello.
“Se proprio vuoi” rispose l’altro, aprendo la portiera ed inoltrandosi anche lui in quel vicolo disabitato e privo di luce.
“Gin?” domandò titubante l’uomo, vedendo una figura coperta da un impermeabile nero e i capelli lunghi platinati avvicinarsi a sé.
“Sì. Lei deve essere il signor Satoru Ooba” rispose l’altro, seguito dal compagno di crimini.
Intanto Conan, aspettò che entrambi i tre uomini fossero abbastanza concentrati nei loro affari, e cogliendo quel loro attimo di distrazione, si accostò alla parete vicina alla vettura di Gin.
Almeno così potrò sentire ciò che dicono.
Prima però controllò che vicino a lui non ci fosse nessuno, non voleva che l’episodio del Tropical Land si ripetesse, né tantomeno ritrovarsi vent’anni più giovane del dovuto.
Constatò che nei paraggi non vi era anima viva, e lentamente tese la testa in modo da poter captare ogni singola parola o rumore proveniente da quel posto buio e lugubre.
“Esatto” rispose l’uomo, per poi notar qualcosa spuntare dall’inizio del vicolo, dalla parte desta della parete.
“Allora, dove sono le informazioni?” andò dritto al punto l’uomo in nero.
L’altro rivolse uno sguardo al suo interlocutore, poi a quella piccola ciocca trapelante dal muro di mattoni, per poi far spazio ad un ghigno divertito sul suo volto.
“D’accordo” rispose assumendo un’espressione spavalda, per poi riferire ciò che aveva scoperto ai criminali. “Ho fatto alcune ricerche come mi avete chiesto… e sì, Shiho Miyano è morta. Non ci sono più sue notizie da più di dieci anni, ho controllato ovunque ma nessuno l’ha più vista. Come mai v’interessa?”
“Non sono affari tuoi” si limitò a dire il biondo. “Piuttosto, dammi la valigetta” aggiunse allungando il braccio.
L’altro lo scrutò per qualche attimo, per poi passargliela e abbozzare un sorriso spavaldo.
“Ora mi ucciderete, giusto?” chiese, incrociando le braccia al petto.
“Ma come sei perspicace” ironizzò Gin, passando la valigetta a Vodka per controllarne il contenuto.
“Beh, forse cambierete idea se vi dico che ho scoperto anche qualcos’altro” riferì, attirando l’attenzione degli altri due e del detective che stava ancora dietro alla parete di mattoni.
“Parla!” sbottò l’uomo dagli occhi di ghiaccio, mentre gli puntava una pistola alla tempia.
“No, così non va” rispose con tutta calma Ooba. “Prima abbassiamo le armi” finì lui.
L’altro si limitò a sbuffare seccato, per poi riporre la pistola nella tasca da cui poco prima era spuntata.
“Così va meglio?” ironizzò poi.
“Si, così va meglio”
“Ora parla” lo incitò Gin. “Cos’hai scoperto?”
“Che la luce sorge ancora ad est”
“Che significa?!”
“È un codice, sta a voi decifrarlo. Ma vi do un inizio: domani sera al Beika Centre Building, alle 19:40. Troverete la soluzione” rispose per poi allontanarsi, e tornare all’entrata del vicolo.
“Aspetta un attimo” lo seguì lentamente l’altro. “Dove credi di andare?” disse con fare spavaldo, tirando fuori la sua Beretta per la seconda volta in pochi minuti.
“Mm.. io so cose che potrebbero interessarti Gin. Se mi uccidi non potrai mai saperle” replicò l’uomo.
Stettero un paio di secondi a guardarsi, quando il più pericoloso dei due chiamò con un cenno della mano il compagno con la valigetta.
“D’accordo, ma se domani non scopro niente dì pure addio alla tua vita” ghignò, per poi superarlo e avvicinarsi alla macchina.
Oh cavolo..
Pensò il liceale, allontanandosi di fretta da quel posto per non essere scoperto.
“Mi raccomando, non dimenticatelo” gli ricordò il quarantenne, prima di chiamare un taxi per tornare a casa.
“Quello a preoccuparsi dovrebbe essere lei, non se lo dimentichi” rispose con un ghigno divertito Gin, per poi entrare nella fidata Porshe e allontanarsi da quella zona allegra, dove le famiglie passavano i pomeriggi in compagnia, per tornare alla base dove l’unico a regnare era il nero.
 
                                                                                       ***
Corse fino ad arrivare nei pressi di un centro commerciale, dove sicuramente Gin e Vodka non l’avrebbero visto, e si sedette a riflettere sul accaduto su di una panchina lì vicino.
Quell’uomo lo già visto da qualche parte, ne sono certo, ma non ricordò dove…
Rifletté, appoggiando i gomiti alle ginocchia e strofinandosi il mento con le dita.
E poi quel codice “Che la luce sorge ancora ad est”… che vorrà significare?
E Shiho… perché quei criminali la cercano ancora?  E cosa conteneva quella valigetta?
Continuava a chiedersi mentalmente, mentre la gente intorno a lui girava sorridente con parecchie buste fra le mani.
Rimase lì a pensare per qualche minuto, per poi alzarsi ed estrarre il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
Sarà meglio avvisare Haibara. Credo che domani al Beika Centre Building ci saremo anche noi.
 
“COSA?!” sbottò la ragazza, gettando la rivista di moda che stava leggendo sopra il tavolino del salotto di casa di Agasa.
“Beh, si… ho visto Gin e…” cercò di spiegarle il liceale, mentre si riaggiustava in viso gli occhiali.
E COSA?! Ti rendi contro di ciò che hai appena detto?!” gli urlò contro Haibara, avvicinandosi pericolosamente a lui.
In quel momento avrebbe preferito essere nell’agenzia Mouri a vedere Oji-san intento a bere birre, piuttosto che assistere ad una Haibara incavolata.
Per tutto il tragitto dal centro di Beika a casa del dottore aveva pensato alla reazione della ragazza nel sentire i nomi Gin e Vodka. Pensava si sarebbe incupita di colpo, avrebbe iniziato a tremare terrorizzata… la sua reazione invece?
“Ma si può sapere dove avevi la testa?! Quegli uomini sono pericolosi! Devi scappare quando li vedi! Non fare il grande detective e metterti a spiarli! Baka!” imprecò la scienziata, per poi lasciarsi ad un sospiro di rassegnazione e sedersi sul divano.
“Comunque” proferì parola dopo tanto tempo il giovane occhialuto. “Non vuoi sapere che ho scoperto?” le chiese con fare spavaldo.
“Sentiamo” rispose lei, mentre ritornava a sfogliare le pagine della rivista che poco prima aveva gettato sul tavolino.
“Continuano a darti la caccia, Sherry” disse Conan, intraprendendo un espressione e un tono serio. L’altra sgranò gli occhi, incredula ma allo stesso tempo terrorizzata alla notizia, per poi ritrovare un po’ di calma e rispondere.
“Sono pur sempre un loro ex membro, è normale che continuino a cercarmi anche dopo dieci anni dalla mia fuga”
“Infatti, però rimane il fatto che dobbiamo stare attenti. Anche se loro ti credono morta, sappiamo benissimo entrambi che Gin non smetterà di cercarti fino a quando non vedrà la tua lapide in un cimitero”
Aggiunse il detective, mentre la ragazza si limitò ad annuire col capo.
“L’uomo che ha fatto ricerche su di te gli ha dato anche una valigetta, non so cosa contenga ma credo qualcosa d’importante”
“Potrebbero essere soldi come polvere da sparo” riflette ad alta voce Haibara.
“Già. E non è tutto” continuò il ragazzo. “Ha detto di aver scoperto anche qualcos’altro. È una specie di frase in codice”
“E che dice?” chiese curiosa la liceale.
“Che la luce sorge ancora ad est” riferì il ragazzo.
“Che significa?”
“Non lo so” rispose facendo spallucce. “Però ha detto che la soluzione la troveremo domani al Beika Centre Building alle 19:40”
“Scommetto che qualcuno qui non vuole mancare all’appuntamento, non è così Kudo-kun?”
“Esatto, non posso proprio mancare”
“Lo sai vero che è pericoloso?” gli chiese Haibara, con uno sguardo che nonostante fosse freddo, trapelava la paura che in quel momento stava provando.
“Si lo so. Ma come ti ho già detto, non posso mancare” ripeté l’altro.
“D’accordo. Ma se fai solo un passo falso, l’organizzazione potrebbe-"
“Rintracciarmi e uccidermi. Lo so, non hai fatto altro che ripetermelo per cinque anni” la precedette Conan. Sì, anche se non erano il massimo, negli ultimi cinque anni quei discorsi gli erano davvero mancati, e non poteva che sorridere al pensiero che forse tutto sarebbe ritornato come una volta.
“Non c’è da scherzare Kudo, lo sai bene anche tu. Ma se sei così deciso nel seguirli, non mi posso fare altro che augurarti buona fortuna” disse la scienziata, dirigendosi verso le scale che conducevano al suo laboratorio.
“Tranquilla Shiho, gliela farò pagare” rispose Shinichi. “Per me, per te e… per Ran” aggiunse arrossendo leggermente all’ultimo nome.
L’altra si lasciò sfuggire un risolino, per poi sparire dal salotto di Agasa.
Ora non resta che prepararsi a domani.
Pensò l’ospite, uscendo dalla porta della villa e tornare all’agenzia.
 
 
 



Blacky's Corner:
Minna konnichiwa! ^^
Ed eccomi con il secondo chap di questa long! :D
Quindi, Gin e Vodka s'incontrano con questo Satoru Ooba (Più avanti si scoprirà perché il nostro Shinichi sospetta di averlo già visto da qualche parte), i MIB continuano a cercare Haibara nonostante sono passati dieci anni.... che conterrà la famosa ventiquattr'ore?? Che signifia "Che la luce sorge ancora ad est"?? Che succederà al Beika Centre Building??
Su detective! aspetto le vostre teorie! ^^
Poooi, dopo quest'altro chap più o meno introduttivo, faranno la loro apparsa anche Ran (Nd tutti: finalmente!) e Kogoro! 
Cmq, spero che il chap vi sia piaciuto ^^
Ma ora passiamo ai ringraziamenti:
Grazie di cuore a Hoshi Kudo, aoko_90, 88roxina94, Kaori13, Kaori_ e Shana17 per aver recensito lo scorso chap.
Grazie ad aoko_90, 88roxina94 e Kaori_ per averla inserita nelle seguite.
Grazie anche a sharry per averla inserita fra le preferite e Shana17 per averla inserita tra le ricordate.
Grazie 100000000000000000 ragazze!! *^*
Beh, non mi rimane che salutarvi e sperare che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto!!!

XXX,
Blacky


 
       
 
 

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Capitolo 3
*** L'invito ***


Capitolo tre
L'invito
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…Ora non resta che prepararsi a domani…
 
“Sono a casa!” esclamò Conan, aprendo la porta di casa Mouri.
Ormai il cielo era buio, il sole era uscito di scena e aveva dato spazio ad una luna bianca e lucente, e ad un vento fresco primaverile. Essendosi accorto di aver perso la cognizione del tempo dal momento esatto in cui vide i due membri degli Uomini in Nero in quel vicolo, si catapultò a casa.
Non sentì alcuna risposta, e così si limitò ad appoggiare la cartella alla porta d’ingresso e ad avvicinarsi alla cucina.
Nel farlo sentì le sue narici inondate da un odore particolare, un odore di spezie, o meglio, curry.
Varcò la soglia di quella stanza e si ritrovò davanti una Ran di spalle, intenta a tagliare gli ingredienti per la cena.
Sorrise, e senza far rumore si avvicinò di più a lei, per farle una sorpresa.
Ma nell’atto urtò contro un mobile, provocando un tonfo sordo, e facendo voltare di scatto la giovane donna dinanzi a lui.
“Conan-kun!” urlò lei notando la figura del liceale mentre si massaggiava il piede. Abbandonò qualsiasi oggetto che in quel momento era tra le sue mani e con passo spedito gli si parò davanti, con le mani ai fianchi e assunse uno sguardo a dir poco terrificante. “Si può sapere dove sei stato per tutto questo tempo?! Potevi almeno avvisare che avresti fatto tardi!” cominciò con la sua ramanzina la ventisettenne.
“Sono andato a trovare il professor Agasa, e mentre ero lì mi sono fermato a fare i compiti con Haibara” riuscì ad inventarsi al momento.
L’altra gli rivolse uno sguardo incerto, per poi sospirare rassegnata e tornare a lavare il riso per la cena.
“Almeno la prossima volta avvisa, ero così in pensiero per te non vedendoti tornare dopo tutte queste ore” aggiunse lei, con un tono molto dolce che addolcì perfino l’animo del ragazzo.
Socchiuse lievemente gli occhi, accennando un sorriso malinconico. Nonostante gli anni non era cambiata di una virgola, era rimasta la stessa ragazza dolce e premurosa di un tempo, e a lui quello non poteva far altro che piacere.
“Scusa” le rispose, per poi avvicinarsi al lavello e osservarla all’opera.
Passò qualche minuto a guardarla; non ci aveva mai fatto caso –o forse così credeva-, ma anno dopo anno diveniva sempre più bella.
Soprattutto i suoi occhi azzurro-lilla, nonostante le sofferenze che aveva dovuto patire –e che pativa ancora- in tutti quegli anni, non avevano mai smesso di brillare, che forse la speranza regnava ancora in lei?
Assottigliò gli occhi, mentre l’odio dentro di sé continuava a crescere.
Era un bel ragazzo, un detective famoso, con un’amica che per di più amava e che dopo ha scoperto di esserne ricambiato, una vita perfetta ecco.
Ma poi tutto cambiò. Tutto nel giro di poche ore.
Ripensò al caso, alla ragazza a cui aveva preso la mano solo per dare un esempio a Ran di come certi tagli sulle proprie mani possono portarti al mestiere che una persona fa abitualmente.
Alla prima volta in cui, durante il caso, aveva incontrato Gin e Vodka e li aveva trovati sospetti. Fino a quando li aveva seguiti.
 
“Ti prego, smettila di piangere!”
“Ma come puoi essere così insensibile?” gli chiese lei, ancora con le lacrime agli occhi.
“Quando vedi spesso scene così, ci fai l’abitudine purtroppo!” rispose Shinichi, allungando un braccio dietro la testa, com’era solito a fare.
Lei piangeva, non riusciva a smettere, ma la vista degli uomini vestiti di nero che prima l’insospettirono mentre correvano, non poté che attirare la tua attenzione. Fu la sua curiosità da detective ad indurlo a seguirli, senza pensare alle conseguenze.
“Scusa Ran, vai avanti tu intanto!” le urlò, correndo nella stessa direzione che l’uomo poco prima aveva seguito.
“Aspetta!”
 
“Aspetta”…
Forse Ran l’aveva capito che ciò che sarebbe successo da lì a poco gli avrebbe letteralmente rovinato la vita.
Forse aveva intuito che la scelta d’inseguire quell’uomo era estremamente pericolosa.
Chiuse gli occhi, assaporandosi quegli istanti in cui la sua amata canticchiava felice.
Almeno uno di noi riesce a pensare ad altro…
I suoi pensieri furono però interrotti dallo sbattere della porta, e da un odore tremendo di alcool inondare la casa.
“Ran! Dov’è la cena? Ho fame!” iniziò a lagnarsi l’uomo ancora vittima della sbronza ormai senza fine.
“Otousan! Guarda come ti sei conciato!” gli urlò la figlia, raggiungendolo in salotto e lasciando per la seconda volta la cena.
“Come sono mi conciato?” rispose Kogoro, ormai non riuscendo più nemmeno a connettere le parole.
“Smettila di bere! Non riesci neanche più a formulare una frase correttamente, te ne rendi conto?!”
“Ma io bere devo! Senza Yoko-Yoko, Yoko-chan non posso vivere!” continuò a lagnarsi il detective, estraendo una lattina di birra dalla borsa e ricominciare a bere.
“Otousan!”
Mentre i due litigavano, Conan non riuscì a trattenere le risate. Quella scenetta era a dir poco divertente, soprattutto il modo i cui l’uomo continuava ad urlare il nome della sua amata Yoko Okino.
Molto probabilmente se Eri fosse stata lì in quel momento non ne sarebbe stata molto felice, e a quanto pare non era l’unico a pensarlo.
“Se la mamma fosse qui e ti vedesse disperarti per un’attrice non ne rimarrebbe molto contenta, lo sai vero? Se proprio vuoi disperarti, disperati per lei che è tua moglie!”
“Mm…” mugugnò l’altro sbuffando.
 
                                                                                            ***
 
La serata passò in fretta.
Finirono presto di cenare e a Kogoro lo stato di ubriacatura era calato leggermente, almeno da potergli permettere di formulare una frase sensata.
“Ah, ora che ci penso” proferì parola Ran, tirando fuori dalle tasche del golfino una busta da lettera bianca, porgendola al ragazzo affianco a sé. “Conan-kun, ti hanno mandato questa lettera”
“Ah, grazie” rispose lui, girandosela tra le mani.
Busta bianca e semplice.
Davanti aveva il nome del destinatario, ovvero Conan Edogawa.
E dietro invece era completamente vuota, né un nome né una sigla. Il liceale, stupito, inarcò un sopracciglio per poi guardare l’amica d’infanzia come a chiederle una spiegazione.
“Oh… per il nome, è arrivata così. So solo che quando sono tornata dal supermercato c’era un uomo completamente coperto da una sciarpa che l’imbucava nella nostra cassetta delle lettere” cercò di spiegarsi la donna, mentre Conan sibilava un flebile “ah”.
“Neh, marmocchio, non sarà mica la tua ragazza?” lo stuzzicò l’uomo dall’altra parte del tavolo, facendo arrossire il diretto interessato fino alla punta dei capelli.
“O-Oji-san! Che ti salta in mente?!” sbottò pieno di rabbia, ma soprattutto, di vergogna.
“Oh insomma, hai diciassette anni!” continuò il padrone di casa, fino a quando l’urlo esasperato della figlia non rimbombò nelle sue orecchie.
“Otousan! Ma che discorsi sono questi?! Che Conan sia fidanzato o meno non deve interessarti!”
“Perché no? In fondo l’ho cresciuto io come fosse stato mio figlio!”
“Sì ma è giusto dargli la sua privacy. Non è così Conan-kun?” rivolse l’attenzione al piccolo di casa, facendogli l’occhiolino.
“S-Sì..”sussurrò più che imbarazzato il finto liceale. “Comunque io-”
“Ran-neechan lo sa che non hai la ragazza, tranquillo” lo rassicurò lei, facendogli nuovamente l’occhiolino. “Su, apri quella lettera adesso”
“Ok” rispose Conan, per poi estrarre una carta molto raffinata dalla strana busta.
La prima cosa che notò era che la lettera era stata scritta al computer e non a mano. La seconda invece, che il destinatario della busta e quello della lettera non coincidevano, e nel notarlo nascose subito la lettera in tasca, senza badare a stropicciarla o meno, per poi correre in camera sua.
“Conan-kun, dove vai?” gli chiese Ran, vedendolo inoltrarsi nel corridoio senza dare alcun minima spiegazione. L’altro non si degnò nemmeno di risponderle, si limitò ad entrare in camera sua e chiudersi dietro la porta.
“Mi piacerebbe sapere che gli è preso”
“Nah! È l’età figliola, sta tranquilla!” la rassicurò il detective in trans non più in trans, prendendo di nascosto una lattina di birra dal frigo.
“Sì, può darsi” sospirò rassegnata, prima di accorgersi di ciò che l’uomo stava facendo e raggiungerlo a passo spedito. “Otousan! Ti ho detto di smetterla con la birra!” gli urlò lei, tirandogli la lattina in testa.
“Ahio!”
 
Entrò in camera sua, e con modo brusco sbatté la porta, per poi chiuderla a chiave. Si sedé sul letto di Kogoro e tirò la lettera di poco prima dalla tasca del pantalone.
Rilesse la prima strofa e quasi gli tremavano le mani a quelle poche lettere.
Com’è possibile?!
Passò oltre e iniziò a leggere la lettera mandata da chissà chi.
 
“Caro Kudo Shinichi.
 Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, eh?
 Se ti ho mandato questa lettera è per invitare te e la tua amica Ran ad una cena al Beika Centre Building, alle 19:35.
È per un caso molto importante.
Mi raccomando non mancate!”
 
Cercò di percepire in quelle poche righe qualcosa di più, ma niente.
Sapeva solo che la lettera era indirizzata esternamente a Conan Edogawa, mentre al interno a Shinichi Kudo.
L’orario quasi combaciava con quello dell’appuntamento dei MIB, ed il posto era lo stesso.
Forse non era una coincidenza, forse era tutto programmato e quello centrava in qualche modo con il codice sentito dallo strano uomo qualche ora prima.
Mille teorie iniziarono ad impossessarsi della sua mente. Dalle più assurde alle più pericolose, per poi arrivare, come sempre, all’organizzazione.
Shinichi ma che vai a pensare! C’è scritto che è per un caso, perché farsi tanti problemi e non lasciar perdere per una volta?! 
... No, qui c'è qualcosa che puzza.
Si batté una mano sulla fronte, cercando di scacciare quella confusione dalla sua mente, per poi alzarsi e nascondere il biglietto in un libro scolastico di qualche anno prima.
Non so bene che scopo ha questa persona e questa lettera, ma potrebbe essere una scusa per spiare Gin e Vodka e passare inosservato. Basterà trovare una scusa con Ran.
Pensò per poi tornare in salotto, e spiegare la situazione alla donna.
Sono sempre più convinto che domani avrò le risposte a tutte le mie domande.
 
                                                                                           ***
 
 Intanto una figura nera li guardava dalla finestra di un palazzo di fronte.
Nell’oscurità di quella stanza, il suo sorriso vittorioso si poté notare, come le sue parole e le risate che rimbombavano nella stanza come echi in una grotta.
“Il piano prosegue come dovrebbe, non mi resta che prepararmi alla fase due”






Blacky's Corner:
Konbanwa popolo di EFP! ^^
Ok, so benissimo che questo capitolo è più di passaggio che altro, ma in realtà è essenziale per la storia, ma tranquille, più avanti capirete il perchè ;)
Comunque, hanno fatto la loro apparsa anche Ran e Oji-san! :D Visto visto? ho mantenuto la promessa U___U
E poi c'è la lettera... che non è una normalissima lettera.
Ed infine abbiamo questo "Uomo Misterioso" che spia "l'allegra famigliola" e la sua frase finale... ok, vi sto confondendo?? Quante teorie avete adesso???
Ah, dal prossimo capitolo, non seguirò più lo stesso ritmo d'aggiornamento. Perchè (come mezza EFP già saprà xD) domani comincio la scuola e con compiti, studio e robe varie non credo di farcela. Quindi aggiornerò appena posso, promesso ^^
Ora vorrei ringraziare aoko_90, Hoshi Kudo, Kaori13, Shana17, 88roxina94, Kaori_ e Sherry Adler per aver recensito lo scorso chap.
Kaori13 per aver inserito la storia tra le seguite e Sherry Adler per averla inserita tra le preferite.
Grazie ragazze <3
E grazie anche a chi legge solamente ovviamente ^^
Che dire, spero che vi sia piaciuto il capitolo e vi do appuntamento col prossimo.
A presto!!!

XXX,
Blacky

 

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Capitolo 4
*** La cena perfetta... o quasi ***


Si, oggi purtroppo mi ritrovate pure sopra :P
Comunque,per il capitolo di oggi ho deciso  di fare qualcosa di nuovo, cioè di narrarlo in prima persona da Shinichi/Conan. Nel caso ve lo stiate chiedendo (dato che ho fatto lo stesso anche nell’OS dell’altro giorno), no, non ho scoperto adesso che si può narrare in prima persona, solo che mi sembrava più adatto al chap, tutto qui. Poi, i discorsi in corsivo sono tutti flash back (nd tutti: no dai! Non lo sapevamo! -.-  nd io: lo so, ma era tanto per avvisarvi, già che c’ero ^^) e saranno narrati in terza persona, in un paragrafo scritto “normalmente” invece sono pensieri dei personaggi. Invece quelli in corsivo grassetto sono i pensieri dei personaggi nei flash back. Spero che il chap non sia confusionale.
Have a nice reading^^

 
 

Capitolo quattro
La cena perfetta... o quasi
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Ho lo sguardo fisso verso i grattacieli illuminati solo dai flebili raggi della luna.
Riguardo il nostro tavolo e non posso che sentire un nodo alla gola. È lo stesso. Provo a distogliere lo sguardo da esso e spostarlo un po’ in giro per quei pochi metri quadrati. Stesso tavolo, stesso vaso, stessa atmosfera –o almeno per me-, stesso ristorante e stessa coppia. Sì, forse non proprio visto che il sottoscritto è intrappolato nel corpo di un’altra persona, però mentalmente sono qui.
Cerco un particolare o un oggetto che dieci anni fa non c’era, e l’unica cosa che riesco a trovare è la candela posta davanti all’enorme vetrata che ricopre l’intero lato esterno del piano, o meglio, dell’edificio.
Ma un solo oggetto non è nulla in confronto alle migliaia di cose che già c’erano qui in quel giorno così speciale che, come da copione, finì proprio nel momento clou, lasciando nuovamente sola la donna di fronte a me, la donna che amo da una vita.
A questo pensiero, guardare in faccia la mia accompagnatrice mi viene spontaneo, come il rossore che copioso si impadronisce del mio viso mentre la fisso.
Nel notare i miei occhi finalmente sui suoi, mi dona un sorriso. Un sorriso forzato, che nonostante cerca di celarlo, esprime tutta la malinconia che prova in questo momento. Molto probabilmente anche lei sta pensando a quella sera, molto probabilmente questo posto le ha riportato alla mente ricordi che fino ad ora aveva tenuto nascosti, per non dover soffrire nuovamente quello che abbiamo sofferto in passato e che –purtroppo- ancora soffriamo.
Sospiro, tornando a guardare la tenue fiamma che la candela posta tra di noi emana.
Se chiudo gli occhi, riesco quasi a rivedere i suoi occhi carichi di gioia, la carta di credito rubata a mio padre, la cena, i nostri sguardi…
 
“Allora? Di cosa mi volevi parlare?” gli chiese Ran, avvicinando il suo viso a quello dell’investigatore.
“Ecco, io, non so proprio come dirtelo” le rispose Shinichi, iniziando a sudare per il nervosismo, e senza riuscire a guardarla negli occhi.”Vedi, il fatto è”
“Si ho capito” lo precedé la karateka, sospirando e tornando con la schiena appoggiata allo schienale della sedia. “Non deve essere semplice per te. Ma se sei un uomo abbi il coraggio delle tue azioni, parla”
“Sì, io..”
“Vuoi che ti presti tutti gli appunti dei mesi scorsi, vero?”domandò la ragazza, assottigliando gli occhi quasi seccata dall’atteggiamento dell’amico d’infanzia.
“Cosa?” l’unica cosa che riuscì a rispondere il detective, mentre i suoi occhi si riducevano a due puntini.
“Che strano, mi sono sbagliata” disse lei, cambiando tono di voce e assumendo un’espressione quasi delusa della sua deduzione mancata. “Ero certa che volessi gli appunti, così ti ho portato le fotocopie”
Appunti? Secondo lei l’avrei invitata fin qui solo per chiederle degli appunti?!
“Eh… ecco.. si, hai colpito nel segno” s’inventò il ragazzo, spostando un braccio dietro la testa – com’era solito a fare- e fingere una mezza risata. “Ma non sapevo come chiedertelo”
“Eh sì, ne ero sicura”
“E invece hai sbagliato” le rispose, avvicinando il viso a pochi centimetri da quello dell’amica.
“Come?”
 
Ora che ci penso, la fiamma della candela quel giorno era più ampia e accesa…
Penso, continuando a guardare la candela di fronte a me, socchiudendo gli occhi e lasciandomi trasportare dai miei stessi pensieri. L’idea che il volume di quest’ultima fosse coordinato all’intensità e all’emozione che entrambi proviamo in tale momento mi sfiora. Forse se quel giorno era più accesa il motivo era la mia presenza come Shinichi e l’emozione che Ran provava nell’avermi accanto a sé; mentre ora,ritrovandosi di fronte solo il suo fratellino, molto probabilmente non prova lo stesso, anzi, sicuramente. Perché in fondo, io sono solo Conan, il suo fratellino.
Inizio a scuotere la testa in modo da liberarmi da quei pensieri a dir poco malinconici, e concentrarmi di più sullo scopo principale della serata: il caso. Ad aiutarmi c’è Ran, che senza farlo apposta, mi riporta alla realtà.
“Conan-kun” mi volto per guardarla. La prima cosa che noto, è che il suo vestito però è lo stesso di quella sera, e guarda caso, pure il mio. Coincidenza? O forse sono io che sto esagerando?
“Si?” mi limito a risponderle, guardandola curioso ma al contempo ammaliato da quel vestito verde che la rende ancora più bella di quello che già è.
“Come mai il tuo cliente non si è ancora presentato?” butta lì il discorso, facendomi tornare serio e liberare la mia mente da pensieri momentaneamente dolorosi.
“Non lo so” mi limito a rispondere, cominciando a strofinarmi il meno con le dita. “Doveva essere qui già da un po’”
Effettivamente è vero, doveva essere qui già da un pezzo. Quando siamo entrati una cameriera ci ha portati al tavolo a cui siamo seduti adesso ma del mio cliente neanche l’ombra…
Guardo l’orologio, 19:45.
A quanto pare quel tizio non è l’unico ad essere in ritardo. Sposto lo sguardo un po’ in giro per vedere se Gin e Vodka sono arrivati, o anche solo due cappotti neri e fuori stagione da qualche parte. Niente. O sono io in anticipo, o sono loro in ritardo.
“Ran, che ore sono?” le chiedo. Magari è il mio orologio ad essere avanti.
La vedo alzare il braccio e scrutare il suo orologio da polso, per poi tornare a guardarmi.
“Le diciannove e quarantacinque, perché?”
“No… così” rispondo, per poi abbassare lo sguardo e pensare a ciò che stesse succedendo.
Il tavolo.. il tavolo è per due. Perché prenotarne uno per due quando sapeva perfettamente che saremmo stati in tre a cena? Non credo fosse l’unico disponibile, nemmeno che si sia dimenticato di Ran dato che l’ha invitata lui; e poi quelli dell’organizzazione non sono nemmeno arrivati..
C’è sotto qualcosa, ne sono sicuro.
Così, mi alzo sotto lo sguardo indagatore di Ran, che molto probabilmente è ancora più confusa del sottoscritto.
“Ran-neechan, vado un attimo in bagno” m’invento, in modo da non farla preoccupare e per tenerla il più possibile all’oscuro di tutto ciò che stava succedendo a sua insaputa.
“Ah, d’accordo”
Le rivolgo un semplice sorriso, per poi voltarle le spalle ed avvicinarmi alla reception, cercando di non farmi vedere da lei.
“Scusi”
“Mi dica” si volta a guardarmi e a servirmi l’addetta alla reception.
“Posso sapere a che nome è stato prenotato quel tavolo?” le domando, indicando – sempre cercando di non farmi notare da Ran- il tavolo a cui ero seduto fino a qualche istante prima.
“Ah quello… è a nome di Kudo Shinichi” mi risponde sorridente, facendomi spalancare gli occhi incredulo delle parole da lei pronunciate.
“Come scusa? H-Ha detto, K-Kudo Shinichi?” balbetto, sapendo già la risposta della ragazza.
“Sì, perché? C’è qualche problema?”
“N-No, niente…”
Qualcosa non va, ne sono certo. Perché dovrebbe prenotare un tavolo a nome mio e per due? Giusto, perché? “Mi sa dire perché ha ordinato per due?”
“Lo sa, non gliel’ho chiesto ma l’ho sentito dire qualcosa tipo: dovrà essere tutto come quella sera, sarà la cena perfetta… o quasi.”
La guardo, cercando di mantenere un’espressione calma, anche se forse il mio terrore trapela oltre la mia pelle, rendendomi poco credibile. “Scusi, sta diventando pallido. Sicuro si senta bene?”
“S-Sì, sarà l’aria condizionata. Mi scusi” rispondo, voltandomi in direzione dei bagni sta volta. “Oh, ehm.. grazie”
“Si figuri” mi risponde sorridente.
Non l’ho neanche notata, da quanto ero risucchiato da quel vortice di pensieri, ansia, terrore e preoccupazione che si era impadronita del mio corpo.
 
Liquidatomi in bagno, inizio a sciacquarmi la faccia. Magari così ragiono meglio e il pallore sparisce. Non voglio che Ran si preoccupi.
Lascio che l’acqua fredda, anzi, ghiacciata scivoli sul mio volto sperando si porti via con sé tutta l’ansia e la preoccupazione che da dentro mi sta a poco a poco divorando.
Inutile.
Alzo il capo e mi guardo allo specchio. No, quell’espressione terrorizzata ancora stenta ad andarsene. Mi volto in direzione opposta agli specchi, appoggiandomi al piano di marmo e posando una mano ancora bagnata sulla fronte.
Kudo Shinichi.
Ora ne ho la certezza. Quell’uomo sa tutto, tutto.
E il suo ritardo ha una spiegazione:  può essere solo Ooba.
Sì, perché l’orario coincide. Il giorno coincide, il posto pure.  Al ritardo di Gin e Vodka non so dare spiegazione, ma al resto sì.
Il tavolo per due è prenotato apposta. La frase “dovrà essere tutto come quella sera, sarà la cena perfetta… o quasi” ne è la prova. Quello a cui non riesco a dare spiegazione è l’invito indirizzato sia a me che a Conan, perché voglia pure Ran, perché ha chiamato e prenotato a nome mio e il significato di quella frase…
Forse in tutto questo centra il codice dell’altra volta.
 
“Che la luce sorge ancora ad est”
“Che significa?!”
“È un codice, sta a voi decifrarlo. Ma vi do un indizio: domani sera al Beika Centre Building, alle 19:40. Troverete la soluzione”
 
La luce sorge ancora ad est… est… l’est è dove sorge il sole.
La luce potrebbe essere il sole e quindi la frase potrebbe significare che c’è ancora una speranza.
Una speranza per quel tizio e per gli Uomini in Nero…  ma che speranze può avere un uomo di cui mi ricordo ma non perfettamente come e quando l’ho conosciuto? 
E poi che speranza dovrebbero trovare qui, sta sera?
È solo un normalissimo ristorante in cui le coppie sposate o meno vengono a passare la serata… serata.
Guardo il mio orologio, 19:57.
Ran si starà iniziando a preoccupare non vedendomi, è meglio tornare da lei.
Al pensiero mi avvicino alla porta di quel posto che mi ha visto tornare bambino dieci anni fa. Sì, sempre dieci anni fa. Abbasso il capo e sospiro, Haibara mi ha ripetuto più volte di dimenticare tutto il passato e di ricominciare una nuova vita proprio come ha fatto perfettamente lei. Ma non posso, perché per me non è lo stesso. A differenza sua, io non posso lasciarmi un passato alle spalle se quello ancora mi sta di fronte, faccia a faccia. O se ancora sta aspettando che ritorni…
No, non posso proprio.
Chiudo la porta dietro di me e comincio ad inoltrarmi tra i corridoi, senza nemmeno dare importanza alla strada che imboccavo, che fosse giusta o meno. Cammino semplicemente.
Immerso nei miei pensieri e ricordi.
 
“Ascolta, il vero motivo per cui ti ho invitata fuori a cena è che vorrei..” iniziò a spiegarle il detective guardandola negli occhi e cercando di mascherare il più possibile il rossore che premeva per sovrastarli l’intero viso; mentre Ran invece lo guardava spaesata, stava succedendo quello che credeva lei? “Ecco, c’è una cosa molto importante che vorrei dirti” continuava, cercando di distruggere quel blocco che gli impediva di dichiararle tutto già da prima che diventasse Conan. Spostò lo sguardo verso la finestra, non riusciva proprio a guardarla. “Vedi, il fatto è che… V-Voglio che tu sappia che..” e poi un urlo, un urlo proveniente dalla direzione dei bagni, ma che bastò per interrompere quel attimo e rovinare – come da copione- tutti gli sforzi fatti quella sera.
 
La cena perfetta… o quasi.
La frase di quell’uomo è perfetta per descrivere quella cena.
Mi ritrovo a pensare, di nuovo. Sbuffo, possibile che la mia vita sia diventata una pellicola che riprende i pezzi a lei preferiti e li proietta nella mia mente dove, quando e come vuole lei? La vita di una persona può ridursi a tanto?
Forse, o forse solo la mia.
Finalmente rialzo lo sguardo, ponendolo di fronte a me. Un ascensore. Alla sua vista inizio a sentire come un dejavù. Rimango a guardarlo, che centri qualcosa con tutto quanto?
Potrebbe, anche se l’unica cosa che ricordo di quest’ascensore è…
Sbianco. Si, perché il ricordo allegato a quest’ultimo non è dei migliori.
L’unica cosa che ricordo di quest’ ascensore è che era morta una persona al suo interno, e il colpevole… il colpevole quella volta era…
No, non riesco a non deglutire. L’uomo che mi sta pedinando e che mi ha invitato qui sta sera a cena è lo stesso che il sottoscritto ha fatto arrestare dieci anni fa. È un assassino, o meglio…
Satoru Ooba.
Dovrei essere contento di aver ricordato l’identità di quell’uomo, ma non lo sono.
E ho i miei motivi.
Primo, lui non sapeva neanche chi fossi quella sera, mi ero spacciato per un neo-agente e Megure e Takagi mi avevano assecondato.
Secondo, se sa che ero ancora vivo a quei tempi potrebbe –o forse l’ha già fatto- rivelarlo agli uomini in nero.
Terzo, ho due prove che dimostrano perfettamente che sono in pericolo.
 
La luce sorge ancora ad est…
La luce e l’est sono metafore.
Se tutto è come credo io, la luce significa vita ed est…
L’est sono io, il detective dell’est.
Forse mi ha visto da qualche parte, o peggio… si è accorto di me durante il suo appuntamento con Gin in quel vicolo, quel pomeriggio.
 
Dovrà essere tutto come quella sera, sarà la cena perfetta… o quasi.
Quella sera… quella sera era tutto perfetto… ma lui come lo sa?
Mentre il quasi…
Sento lo stesso nodo alla gola che avevo al tavolo, con Ran, ma sta volta non riesco neanche a deglutire.
“Se il quasi dell’altra volta è stato un omicidio vuol dire che anche sta volta accadrà lo stesso… e se i miei calcoli sono giusti, il vero motivo per cui ha invitato Gin e Vodka è che così mi vedano e….” prendo aria. Questa volta non me la caverò tanto facilmente, ne sono sicuro al cento per cento. “Mi uccidino”
 
 
 



Blacky's Corner:
Konnichiwa!!!!!!!!!!!!!
Sono in ritardissimo, lo so, ma vi avevo avvisate/i che con la scuola non avrei avuto molto tempo per scrivere.
Cmq, quanto mi è mancato postare!!! xD
Ok, parliamo di cose serie. 
Sinceramente, mi aspettavo di più da questo chap, non mi convince molto. Ma poi lascio "decidere" a voi.
E non lanciatemi i pomodori per come l'ho fatto finire, pleaseeee!!!!!!!!
Cmq, allora allora allora... Ora vi pongo qualche domanda.
1- (Pad, tu puoi anche non rispondere a questa visto che avevi già indovinato lo scorso chap ;)) chi di voi si era ricordato di Satoru Ooba?? Eh già, è propio l'assassino degli episodi "Il ritorno di Shinichi" e "Omicidio guatsafeste"! Forse vi sembrerà assurdo, ma c'è un motivo perchè è contro Kudo-kun, e più avanti lo scoprirete.
2- I codici. Chi di voi aveva dedotto entrambi i codici?? Che poi, attenti perchè hanno più significati, non solo quello che ha dedotto Shinichi u.u
3- Che ha in mente il nostro caaaro Ooba?? E che farà ora il nostro metantei??
Beh, tutto questo solo nel prossimo chap u.u
Ah! Anche se i codici sono stati decifrati, sappiate che la storia è ancora nella fase introduttiva, il peggio deve ancora accadere ;)
Cmq, in anzi tutto voglio ringraziare Hoshi Kudo, aoko_90, Shana17, Kaori_, shinichi e ran amore, Kaori13 e sherry adler per aver recensito lo scorso chap. Arigato!!!
Grazie anche a ChibiRoby e MildeAmasoj (spero si scriva così D:) per aver inserito la storia fra le seguite.
Grazie a sherry adler, shinichi e ran amore e Kaori13 per averla inserita tra le preferite e MildeAmasoj per averla inserita tra le ricordate.
Grazie anche a chi legge solamente!
Grazie a tutti <3
Ora vado.
Spero davvero che il chap non faccia così pena, ma in tal caso... Gommen T.T
Beh, alla prossima e grazie per aver letto!!!!

XXX,
Blacky


 

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Capitolo 5
*** Quando il pericolo si concretizza ***


Capitolo cinque
Quando il pericolo si concretizza
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… “Mi uccidino”….
 
“Dannazione!” continuo ad urlare, calciando violentemente qualsiasi oggetto mi ritrovo davanti. La rabbia e il terrore hanno ormai preso il sopravvento nella mia mente, nei miei organi e nel sangue che scorre ancora più velocemente di prima nelle mie vene. In poche parole, mi comanda. Mi comanda come fossi un burattino e m’impossibilita da qualsiasi pensiero o ragionamento che abbia un filo di logica.
Come sono arrivato a questo punto? Come ha fatto quel uomo a smascherarmi?
Se solo sapessi cosa ho sbagliato, fin dal primo giorno che ho cominciato questa vita falsa e dove una bugia è all'ordine del giorno, potrei essere in pace con me stesso e con la mia coscienza. Ma, tanto per cambiare, una risposta alla mia domanda non c’è, e nessuno potrà mai neanche darmela purtroppo.
Sembro vittima di una maledizione, e delle peggiori per giunta.
Prima perdo il mio corpo, tornando un bambino delle elementari e dovendo pure frequentarmele un’altra volta. Ho passato –e passo ancora- dieci anni a vedere o anche solo sentire Ran piangermi ogni notte, nel silenzio della sua stanza, quando pensa che nessuno possa sentirla. Anche se in realtà, che la veda o meno, ad ogni lacrima che varca la soglia delle sue palpebre, mi sento il cuore andare in frantumi, sento come cento lame affilate trapassarmelo; in quel momento, mi sento una nullità, un fallimento… uno schifo.
Poi, per finire in bellezza, perdo completamente le tracce dell’organizzazione e nello stesso periodo Haibara mi confessa che non potrò mai più tornare Shinichi Kudo. Che il mio corpo ha creato gli anticorpi contro qualsiasi tipo di antidoto e che quindi devo rinunciare per sempre a tutto, dimenticare tutto ed essere solo e unicamente Conan Edogawa.
Ma niente di tutto questo è ciò che veramente mi fa soffrire, che mi fa svegliare la mattina e mi fa sentire ancora più uno schifo del giorno prima, che mi sta divorando a poco a poco dal interno e come un assetato nel deserto si porta via lentamente anche quell’intuizione che mi ha sempre caratterizzato.
No.
La causa della mia sofferenza, non è nessuna di quelle che ho appena elencato, ma la consapevolezza che non potrò fare mai niente per poterlo impedire. Impotente, mi toccherà restare fermo e immobile e aspettare che il destino si compi, che decida le mie sorti una volta per tutte, che decida se spezzare quel filo che mi tiene ancora su questa terra, che mi tiene ancora vivo e che m’infonde ancora un briciolo di speranza.
Ovvero, Ran.
Sì, perché noi due siamo legati da un filo rosso sin dal momento in cui siamo nati, dal momento in cui i nostri occhi si sono intercettati per la prima volta, dal momento in cui abbiamo finalmente cominciato a chiamarci per nome e, soprattutto…. Dal momento in cui ho capito di esserne innamorato e di averglielo confessato. Ma poi ora, a distanza di dieci anni, mi rendo conto che tutto questo era solo una stupida illusione. Che ho creduto in qualcosa che il destino aveva già deciso non ci sarebbe mai stata, e che lentamente, mi sta portando via, tagliando quel filo con calma e facendomi soffrire ancora di più, per poi, uccidermi dal dolore.
Poggio i palmi delle mani sulla parete color ocra accanto all’ascensore.
No, è inutile piangere sul latte versato. Nonostante tutto quello che sta accadendo, tutti gli ostacoli e le difficoltà con cui mi sto scontrando, forse una via d’uscita, o meglio, un raggio di luce nell’oscurità, c’è. Nascosta, coperta da una grossa nube nera, intrugliata in un muro di spine o in un fitto bosco, ma c’è.
Sposto una mano dalla parete alla mia fronte, per poi farla scendere lentamente e con poca delicatezza per tutto il mio viso, sperando di riuscire a liberarmi un po’ da quel velo di ansia e depressione che in questo momento la ricopre. Il mio tentativo sembra risultare riuscito, dato che un po’ di lucidità mi è finalmente tornata. Sorrido soddisfatto e compiaciuto del mio passo avanti, per poi voltare le spalle al muro e appoggiarle ad esso, iniziando finalmente a ragionare e ad escogitare un piano.
“Allora, cerchiamo di ricapitolare tutto ciò che è successo da ieri pomeriggio” inizio a pensare ad alta voce, andandomi a strofinare il mento con le dita come sono solito a fare, per poi iniziare a rovistare tra ricordi e pensieri, tutti racchiusi nella mia mente.
“Prima di tutto, non mi sento dell’umore giusto per rimanere a scuola e torno a casa. Non me la sento nemmeno di tornare a casa Mouri, così vado in giro per le vie del centro e dopo qualche ora vedo una Porshe356A nera accostarsi lateralmente all’entrata di un vicolo” inizio ad elencare, aiutandomi con le dita e liberando solo il pollice in modo da segnare un “uno”. 
“Al volante della macchina c’era Gin e accanto a lui Vodka. Aspetta che il suo cliente arrivi e intanto parla con il suo capo al telefono; oltre a quello che doveva già fare, gli ordina di farsi dare da lui anche una ventiquattrore e poi di ucciderlo” allungo l’indice, per poi continuare con il mio a dir poco insolito –per la gente normale, non per me- riassunto.
“Gin scende accompagnato da Vodka e iniziano a parlare con Ooba, che si rivela essere, sta sera, il colpevole di un caso che ho risolto dieci anni fa sotto le mie vere sembianze. Ooba riferisce ai due che grazie alle sue ricerche, ha scoperto che Shiho Miyano è, anche se non ufficialmente, morta; dato che nessuno aveva avuto più sue notizie da tempo ormai, era giunto a questa conclusione. Poi gli dà la ventiquattrore che aveva con sé quand’è sceso dal taxi e gliela dà senza opporsi, lasciando che i due uomini vestiti completamente in nero la controllassero”
A pensarci bene, cosa contenesse realmente quella valigetta, ancora non l’ho scoperto; anzi, non mi sono neanche interessato a farlo. Ero talmente intento a decifrare il codice che l’ho esclusa.
E se invece conteneva qualcosa d’importante? Qualcosa che avrebbe svelato il codice o qualcosa che l’organizzazione sta cercando e che potrebbe riguardarmi? E se magari conteneva un piano o qualcosa di simile? Che idiota che sono! Avessi calcolato anche queste eventualità magari ora saprei qualcosa in più su ciò che sta accadendo realmente. Magari ora avrei anche un piano da mettere in atto e non sarei qui in un corridoio a pensare e deprimermi...
Sospiro. Per la seconda volta in pochi minuti mi maledico mentalmente per le continue lamentele su ciò che avrei dovuto fare o meno, quando invece dovrei concentrarmi di più sul presente e finire di elencare tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni, per poi ragionarci sopra ed escogitare un piano. Libero nuovamente la mia mente da pensieri al momento inutili e ingombranti per poi tornare a ragionare.
“Dopo quella valigetta arriva il momento del codice: La luce sorge ancora ad est, decifrata: Il detective dell’est, o meglio, Shinichi Kudo, è ancora vivo.  Non so come mi abbia scoperto né quando, ma non credo che gli uomini in nero lo sappiano, sennò l’avrebbero capito subito e non gli avrebbero chiesto il significato di quella frase.” Deduco. Perché effettivamente, la reazione di Gin nel sentire quel codice –a meno che non stava fingendo- mi porta solo a pensare che lui non sa che sono vivo e vegeto ma sotto le mentite spoglie di Conan Edogawa. Quindi, posso sfruttare questo vantaggio a mio piacere.
“Quarto, la sera stessa torno a casa e dopo cena Ran mi dà una lettera senza il nome del mittente o anche solo una firma che possa riportarmi a qualcuno in particolare. Esternamente è indirizzata a Conan Edogawa, mentre internamente a Shinichi Kudo. Vado nella camera che io e kogoro condividiamo e inizio a leggerla…”
 
“Caro Kudo Shinichi.
 Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, eh?
 Se ti ho mandato questa lettera è per invitare te e la tua amica Ran ad una cena al Beika Centre Building, alle 19:35.
È per un caso molto importante.
Mi raccomando non mancate!”
 
“Decido di assecondare il mittente –a me sconosciuto- e vengo qui con Ran al Beika Center Building, con la scusa che la lettera era da parte di un cliente di Shinichi e che saremmo andati per farne le veci, perché comunque non avrei potuto presentarmi con il mio vero corpo. Quando arriviamo qui, veniamo a sapere che il mio cliente ancora non si era presentato, e veniamo accompagnati al nostro tavolo da una cameriera. Poi il resto, non c’è bisogno di elencarlo, dato che è successo tutto meno di quindici minuti fa”
Sospiro, guardando le piccole gocce di cristallo del lampadario posto sopra di me. Più le guardo intensamente, e più mi rendo conto che c’è ancora un mistero da svelare prima di poter cominciare ad escogitare un piano: perché Ooba non si è ancora presentato? E poi perché ha prenotato il tavolo a nome mio, ovvero, Shinichi? D’accordo, sa chi sono, ma non capisco perché abbia prenotato a nome mio e non suo…  
Però per il suo ritardo ho una spiegazione. Non si è presentato perché sapeva che –nonostante gli anni- avrei potuto riconoscerlo, e di conseguenza il suo piano sarebbe saltato. Invece lui ha deciso di venire ma di non farsi vedere dal sottoscritto, di starsene nascosto da qualche parte nell’edificio e di aspettare l’arrivo di Gin e Vodka, per poi agire nell’ombra; ma soprattutto, per non doversi sporcare le mani per eliminarmi.
Senza farlo apposta, un sorriso nuovo, più di sfida che spavaldo, si disegna sul mio viso fino a poco fa pallido e terrorizzato, per poi inoltrarsi anche internamente, infondendomi quella sensazione vecchia dentro di me.
Dopo cinque anni di depressione, l’anima di Shinichi Kudo, è finalmente tornata tra noi, o meglio, è finalmente tornata al suo vero corpo. E tutto ciò, non può che rendermi nuovamente felice, farmi sentire vivo.
 
                                                                                          ***
 
“Ran-neechan!” urlo, correndo verso il tavolo a cui stava seduta la giovane donna dai capelli lunghi e castani, e gli occhi color azzurro-lilla.
Non risponde. Si limita a guardarmi, mentre sudato e con il respiro affannato piego il busto, poggiando entrambe le mani sulle mie ginocchia e cercando d’immagazzinare il più ossigeno possibile dopo la corsa appena fatta dai bagni a quella tavola di legno coperta da due semplici tovaglie, una bianca e l’altra, sovrapposta su di essa, rossa.
“Conan-kun… dove sei stato per tutto questo tempo?” mi chiede, finalmente, con un tono più sul curioso ma preoccupato al tempo stesso che indagatorio o arrabbiato. Alzai leggermente il capo per poterla guardare negli occhi, per poi farmi scappare un risolino e lasciarla sempre più sbalordita dal mio comportamento.
“Ero andato in bagno. Te l’avevo detto, no?” le rispondo, scortando un’espressione nostalgica espandersi sul suo di viso, sta volta. “Ran-neechan… qualcosa non va?” chiedo ingenuamente, tornando in posizione eretta e sedendomi tranquillamente al mio posto, mentre lei si abbandona ad un sospiro.
“Sai, mi ricordi tanto Shinichi” risponde, spostando il suo sguardo alla candela tra di noi, e permettendo alla malinconia di tornare a regnare dentro di me. “Anche lui spariva sempre per un po’ di tempo, già da prima che s-” la vedo bloccarsi tutto d’un colpo, senza capirne però il motivo. Torna a guardarmi negli occhi sorridendomi amaramente, appoggiando il capo ad una mano. “Fa finta che non ti abbia detto niente, ok?”
“Ok…” mi limito a rispondere, incapace di dire qualcosa di sensato e serio, ma al contempo curioso di sapere il finale della sua frase.
Sospiro anch’io, per poi puntare lo sguardo sullo stesso punto che mi aveva interessato prima della mia sparizione per i bagni e della confessione della mia amica: la candela.
Quasi mi viene da ridere, e urlare a tutti che per una volta sono tornato con lo stesso corpo con cui poco prima mi ero assentato. Che sta volta l’ho lasciata con il corpo di un diciassettenne e che sono tornato sempre con lo stesso, e non quello di un bambino delle elementari con tanto di carta di credito e…. occhiali. Anche se gli occhiali ce li ho addosso pure in questo momento.
Mi fermo a guardare il mio riflesso sui lucidissimi vetri dell’edificio.
Quant’è passato in fretta il tempo…
Sembra solo ieri che, seduto su questo stesso tavolo e dopo il mio ritorno nel corpo del piccolo Conan, mangiavo una fetta di torta con Ran per tirarle su il morale dopo il mio abbandono.
Effettivamente, non ho fatto altro che farla soffrire, da quella sera sino a questa. Forse tutto sommato, tutta la sofferenza che sto patendo me la merito, forse è solo un modo per farmi capire ciò che non ho fatto soffrire a lei… forse…
Distolgo lo sguardo dalla candela per puntarlo verso la protagonista di ogni mio pensiero, sogno, desiderio…  E nel farlo, non posso che rendermi conto del tempo che sto perdendo per colpa di tutti i ricordi degli ultimi anni, di nuovo.
Di scatto, mi alzo –sotto lo sguardo sempre più spaesato di Ran- e mi avvicino a lei, prendendola per un braccio.
“Conan-kun, che ti prende?”chiede, shockata dalla mia azione, e cercando di dimenarsi dalla mia presa.
“Dobbiamo andarcene immediatamente” mi limito a dirle di tutta risposta, con tono che non accetta disapprovazioni o “ma”. Non ero io quello a dover scappare, ma lei. L’avrei portata fino all’ascensore pubblico e poi, qualche secondo prima che le porte di esso si chiudessero, avrei usato la scusa del portafoglio dimenticato al tavolo e sarei andato via, mentre lei non avrebbe fatto in tempo a seguirmi e, di conseguenza, sarebbe stata al sicuro da quei loschi criminali che a momenti mi avrebbero raggiunto.
Più proseguo la mia corsa e mi avvicino all’entrata adiacente del piano, e più le lamentele e gli sforzi per liberarsi dalla mia presa di Ran, aumentano, obbligandomi ad abbassare il ritmo del passo di tanto in tanto.
“Conan! Fermati!” continua ad urlare, inutilmente; mentre siamo a pochi metri dall’entrata. “Conan!”
Mi blocco. Ogni mio singolo arto, muscolo, le urla della mia compagna o il rumore dei suoi tacchi, ci abbandonano, facendo spazio ad un silenzio sovraumano.
Spalanco gli occhi, incredulo e quasi terrorizzato al tempo stesso dalla visuale che mi si para dinanzi.
Di nuovo, vedo i miei piani andare in frantumi. Quello che non avrei mai voluto vedere, ora era di fronte a me, che mi guardava quasi a bocca aperta e shockato.
Sembriamo telepatici, la stessa reazione la sto avendo anch’io, nel vedere l’uomo dai capelli platinati ed il lungo cappotto nero a pochi centimetri di distanza da me e Ran.
Lo vedo tirar fuori la sua amata e fidata Beretta dalla tasca di quell’indumento fuori stagione.
Deglutisco. Così come la donna coperta dalle mie spalle, che inizia a tremare.
Evidentemente, il destino ha già deciso cosa farne della mia vita, della mia anima… di me.
Lentamente mi punta l’arma alla nuca, sfiorandola. L’ultima cosa che vedo è il suo sorriso, quello sadico, che migliaia di persone hanno visto prima di chiudere gli occhi per sempre, e che anch’io ho visto prima di cominciare questa seconda vita.
E in un attimo, non vedo più niente, non sento più niente. Né un rumore, né il dolore.
Solo…. Il buio.
 
 




Blacky's Corner:
Finalmente ho aggiornato! Olèè!!! xD
Ma purtroppo tra verifiche (che io dico, neanche ho cominciato e già devo studiare?? D:), deduzioni del secolo e quant'altro, non ho più tanto tempo per scrivere T.T (si, come no, invece di studiare sono sempre su word a cercare di scrivere qualcosa di sensato xD)
No, ok, torniamo serie Blacky! 
Quindi, questo è UFFICIALMENTE l'ultimo chap introduttivo, da domani ha inizio la storia vera e propria.
Allora allora allora... detective! Su, chi di voi ha capito qual'è il piano di Kudo? E non la parte che lui stesso ci ha dichiarato, il seguito. (sarebbe troppo facile sennò u.u)
Pooooi.... ok, cos'è successo alla fine??? NO!!!!!!!!!!! Non tiratemi i pomodori, pleaseeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Tanto nel prossimo lo scoprirete U___U
Cmq, ora vorrei ringraziare Hoshi Kudo, aoko_90, Shana17, 88roxina94, _Vero_chan_, Kaori13, Kaori_, sherry adler e shinichi e ran amore per aver recensito lo scorso chap..... ARIGATO'!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! :D
Grazie a Hoshi Kudo per aver inserito la storia tra le preferite.... grazie *^*
E sono molto yeah per averla inserita tra le ricordate ^^
Grazie anche a chi legge solamente! Grazie a tutti!!!!
Ora vi lascio, ma spero che il chap vi sia piaciuto e che conterrete l'istinto di uccidermi almeno fino al prossimo chap ^^"
Sayonara e grazie per aver letto!!!!!

XXX,
Blacky

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Capitolo 6
*** Quiete? ***


                                                Capitolo sette
                                                                  Quiete?
                  ---------------------------------------------------------------------------

 
 
 


“CHE COSA?!” mi sento urlare contro, per l’ennesima volta, e sempre e immancabilmente dalla medesima persona: Haibara Ai. E meno male che lei dovrebbe essere quella seria e fredda!
Respira e inspira, cercando di calmarsi, socchiudendo gli occhi e voltando il capo dall’altro lato della stanza in modo da non guardarmi in faccia. Che esagerata. “D’accordo, cercherò di calmarmi” sussurra appena, tornando a sedere sul divano di casa Agasa e sorreggendo la testa con una mano. Per poi sospirare quasi in rassegna, quando in realtà io non ho fatto ancora niente, se non dirle che ieri sera abbiamo avuto un incontro con Gin; poi per il resto, ha fatto tutto da sola. “Spiegami almeno cos’è successo, così se m’incavolo lo faccio per bene e per un motivo valido”
La guardo per qualche minuto, senza proferir parola ma allo stesso tempo pensando a un modo per dirle ciò che non è successo ieri sera senza che dopo mi ritrovi qualcosa di duro e pesante in faccia. Non ho voglia di ritrovarmi un bernoccolo ancora più grande di quello che già mi ha recato Kogoro ieri sera. Già, ieri sera…
 
                                                                            ***
 
Mezza notte inoltrata.
Dopo l’uscita di scena di Kuroba, ho preso Ran e sono tornato a casa per riposare corpo e mente, in modo da essere abbastanza lucido per cominciare a progettare un piano già da domani.
Con Ran ancora in braccio, dato che non si è ancora svegliata dall’effetto dell’anestetico, incastro le chiavi di casa nostra nell’apposita serratura, cercando di fare il meno rumore possibile in modo da non svegliarla. Destare i suoi sogni è l’ultima cosa che vorrei fare. Soprattutto sapendo che la causa del suo dolore sono sempre e solo io, e che forse in essi può ritrovare in po’ di quella felicità che io ormai non provo più neanche ad occhi chiusi. Già, non provo più.
Sospiro. Maledicendomi mentalmente per aver pensato di nuovo a quanto monotona e insensata sia ormai diventata la mia vita –nonostante sia la verità- per poi tornare a dare tutta la mia attenzione all’oggetto metallico tra le mie mani.
La faccio girare per due o tre volte, fino a quando non sento il meccanismo della serratura scattare e il cigolio della porta che lentamente si apre, mostrandomi una stanza buia e spenta, illuminata solo dai raggi della luna e sovrastata da un insopportabile odore d’alcool misto a fumo. A quanto pare qualcuno si è dato alla pazza gioia con le birre, sapendo che la figlia –ovvero, il suo unico ostacolo dal bere- non sarebbe stata a casa per l’intera serata.
Provando a non far cadere Ran, allungo un braccio verso la mia destra, in cerca dell’interruttore della luce; scuoto la mia mano in più direzioni, fino a sfiorarlo, per poi toccarlo, con le mie stesse dita. Lo premo con l’indice e in pochi secondi la stanza che fino a poco fa era buia ora si presenta accesa e brillante ai miei occhi. Sì, brillante e pulita se non fosse per un piccolo particolare: l’infinita distesa di bottiglie di birra vuote sparse qua e là,che insieme creano una specie di tappeto sopra il parquet appena cerato sta mattina dalla povera donna inerme tra le mie braccia. Chissà perché ma ho paura che domani il nostro risveglio non sarà dei migliori.
Repentinamente, sposto lo sguardo un po’ in giro per la sala e il corridoio, assicurandomi che Kogoro non sia ancora sveglio. Noto con mio piacere che non c’è, così mi sfilo i fastidiosissimi occhiali dalla fronte e li poso su un mobiletto del salotto, cercando di non far rumore e di non svegliare nessuno, per poi inoltrarmi nel buio corridoio che porta alla camera della mia migliore amica.
Mi avvicino alla porta, e nel farlo sento il tremendo russare del signor Mouri penetrare come un martello pneumatico nei miei poveri timpani. Il bello? È che io ci devo dormire nella sua stessa stanza!
Appoggio appena la mia mano sulla lastra di legno che separa le due stanze, per poi oltrepassarla ed entrare in quella appartenente alla mia Ran. Nel farlo sento una sensazione di ansia, di malinconia e tristezza impregnarmi la pelle, come fosse una colonia, una colonia creata dai suoi pianti, una colonia creata solo per causa mia, solo per me. Chissà quante volte avrà pianto in questa camera per colpa mia. Chissà quante volte avrà sofferto, sempre per colpa mia e della mia assenza.
Cerco di non badare a questi pensieri, per quanto difficile possa essere, e mi avvicino al suo letto per poi adagiarcela sopra, sempre con modi più delicati possibile, sempre cercando di non svegliarla.
Torno in posizione eretta e sposto lo sguardo un po’ in giro per la stanza, fino a quando non scorgo un oggetto particolare posto sulla sua scrivania. Nonostante il buio che regna in questa stanza, riesco comunque a riconoscerlo, quell’oggetto. Come potrei non riconoscerlo, in fondo?
Mi rigiro –dopo essermi avvicinato alla scrivania- quel piccolo portafoto tra le mani, scrutandone attentamente i particolari, per poi smetterla e mettermi a guardare la foto dietro al suo sottilissimo vetro trasparente.
È la stessa. È quella.
Quella che ci raffigura insieme, felici, come lo eravamo una volta.
Quella che raffigura la mia ultima sera da Kudo Shinichi. Quella che raffigura quel nostro primo passo verso una vita piena di menzogne, odio, illusioni e basata su ricordi e promesse che ormai, credo non riuscirò a mantenere, se devo fare affidamento al tempo che ormai sta passando da quando abbiamo, o meglio, ho dato inizio a tutto ciò.
Ma sapere che Ran ancora la conserva gelosamente sulla sua scrivania, non puó che farmi sorridere. Un sorriso sincero, che non è né di gioia né malinconico. Un sorriso. Una semplice curvatura delle labbra verso l’insù, niente di più.
E a questo punto, guardare la causa di questa mia sottospecie di smorfia, mi viene spontaneo, come posare repentinamente la piccola cornice sulla sua scrivania, di nuovo, cercando di non fare rumore.
Dal mio posto, la guardo in tutta la sua bellezza. Potrei sembrare ripetitivo, ma… è bellissima. E quando dorme, lo è ancora di più. Tanto che l’impulso di sedermi accanto a lei e poterle anche solo sfiorare una guancia con la mia mano è troppo forte, ma talmente da non riuscire nemmeno a reprimerlo o anche solo fermarlo.
Tanto che senza rendermene conto, sento le mie gambe avanzare verso il piccolo letto a una piazza e mezzo su cui giace addormentata.
Tanto che senza rendermene conto, mi ci siedo sopra e allungando una mano verso il suo viso, comincio ad accarezzarle la candida e morbida guancia.
Tanto che senza rendermene conto, quello ad agire non è più Conan. Non è più quella macchina chiamata cervello a mandare i comandi ad ogni mio singolo arto o cellula; ma quel muscolo indipendente chiamato cuore. Quel muscolo indipendente che di fronte a Ran ha sempre la meglio, privandomi di quella mia razionalità che mi ha sempre caratterizzato, manomettendo ogni piccolo meccanismo del mio cervello per poi impossibilitarmi da qualsiasi ragionamento sensato, da qualsiasi azione o frase che abbia un filo di logica.
Semplicemente, è uno Shinichi che dopo cinque anni non riesce più a contenersi. Che non ne può più di tutto e di tutti, e che vuole almeno potersi concedere qualche piccolo minuto in paradiso mentre intorno a sé le fiamme dell’infermo sono sempre più ardenti.
Forse tutto questo è sbagliato, forse voler anche solo provare a toccare il cielo con un dito sapendo che è impossibile, è sbagliato. Ma non posso farci niente se in un certo senso voglio poter almeno realizzare una piccola parte dei miei sogni. Se in un certo senso voglio riprovare la gioia di essere vivo.
Assottiglio gli occhi, mentre con le dita comincio ad accarezzare i suoi morbidi e lunghi capelli castani.
È buffo, a ventisette anni mi ritrovo a doverle regalare carezze segrete, a dover sfruttare il momento in cui lei è avvolta e cullata tra le braccia di Morfeo solo per poterla sfiorare o osservare.
Già, è proprio buffo sapere di essere ricambiati, essersi dichiarati ma non poter comunque stare affianco alla ragazza che ami. Buffo…
 
“Per caso si tratta di quel ragazzo che stavi cercando prima? Si chiama Shinchi, non è così?” le chiedo ghignando, ma allo stesso tempo consapevole del fatto che sicuramente quel ragazzo di cui parla non sono io.
Mi osserva perplessa, mentre mano nella mano continuiamo ad avanzare verso l’agenzia di suo padre.
“Indovinato!” risponde dopo poco, abbozzando un sorriso. “Fin da quando era piccolo era così sfrontato, sicuro di sé e fanatico di casi misteriosi! Ma se avevo bisogno lui c’era sempre. È così coraggioso, così bello… eh sì, sono proprio cotta di lui!” finì, mentre il rossore TOTALE inondò il mio viso, accompagnato allo stesso tempo da una gioia immensa. In fondo, la ragazza che amo si è più o meno dichiarata!
 
“Ehi, calmati!” provo a dirle, notando le lacrime scorrere lungo il suo viso perfetto e che non accennano a scemare.
“Calmarmi? Ma non lo capisci? Tu sei un detective, no?” mi risponde, sorprendendomi, e non poco. Improvvisamente la vedo alzare il capo e guardarmi negli occhi, riflettendomi tutta la delusione e sofferenza che per colpa mia, di nuovo, sta provando. “Se ti definisci tale, allora perché non provi a capire cosa c’è nel mio cuore?! Baka!”
 
“No! Lasciami andare!” continua ad urlarmi contro, cercando in tutti i modi di liberare il braccio dalla mia presa, inutilmente.
“Sei veramente impulsiva!” le urlo contro, facendola quasi calmare e attirando l’attenzione di alcuni passanti. “Un caso difficile e disperato, lo sai?Con tutte queste appannate emozioni, anche se io fossi Holmes mi sarebbe possibile da capire! Il cuore della ragazza che amo. Come si può dedurre accuratamente qualcosa di simile?” le confesso, finalmente, sentendo anche il mio animo in un qualche modo alleggerito. E vedo che finalmente anche quel sottile fiume di lacrime si è bloccato sulla soglia delle sue palpebre.
“Per quanto riguarda l’amore è uguale a zero..” torno a parlare, lasciandole andare il braccio. “Non farmi ridere! Dì questo alla regina del tennis: zero è dove tutto ha inizio!” comincio, puntandole l’indice e con lieve rossore sul viso, ma comunque convinto e deciso delle mie parole. “Se non si parte da esso, nulla può mai essere esistito, e nulla può mai essere raggiunto! Dille questo!”
 
Già, buffo.
Ora, quello che ho detto dieci anni fa a te, vorrei sentirtelo dire al sottoscritto. Magari chissà, potrebbe avere lo stesso effetto con me, potrebbe farmi illudere che c’è una via d’uscita a tutto questo quando invece sono fermo sempre allo stesso punto.
Com’ero a zero una volta, lo sono anche ora.
Com’ero incasinato una volta… beh, lo sono ancora, ma con la differenza che più i giorni passano e più mi sembra di attorcigliarmi in un filo, in una corda o di perdermi in un vasto labirinto senza fine.
Forse in alcuni casi lo zero è perenne. Forse non sempre uno zero può crescere.
Perché, matematicamente parlando, se aggiungi solo numeri negativi allo zero, esso scende, non salirà mai ne rimarrà uguale. Scende.
E forse è proprio quello che sta succedendo a me. Molto probabilmente.
Questo momento di quiete però, viene interrotto dalla luce accecante emanata dalla lampada appesa al soffitto, impedendomi una visuale perfetta, e costringendomi a serrare le palpebre, disturbato.
Lascio passare qualche secondo, per poi riaprire lentamente gli occhi e accorgermi della figura parata dinanzi a me, o meglio, Kogoro.
“Oji-san!” fingo di essere contento di vederlo, togliendo di scatto la mano dal viso della sua bambina. “Come mai sei sveglio a quest’ora?”
“Moccioso, bastardo, approfittatore” sento imprecare da un Kogoro post-sbronza. Deduco quelle parole siano riferite al sottoscritto, ma allo stesso tempo non riesco a capirne il perché.
“Come scusa? Oji-san, sicuro di sentirti bene?” provo a chiedergli, inarcando un sopracciglio.
“Ah se mi sento bene? Ma non lo so, era quello che volevo chiedere a te. Non ti fai più vivo per cinque anni e poi ti becco qui ad amoreggiare con mia figlia!”
“Cosa?” rispondo, incapace di dire altro se non questo. La sua affermazione mi ha spiazzato, letteralmente, tanto da farmi rimanere a bocca aperta, senza neanche capire di che sta parlando.
“Cosa?” ripete le mie stesse parole, con una punta d’ironia in esse. “Fammi indovinare, la vostra è tutta una farsa. Tu in realtà non te ne sei mai andato, è solo una farsa per non far scoprire la vostra relazione al sottoscritto, non è così… come che ti chiami... ah sì, non è così, Shinichi?” sbotta, venendomi incontro. Se prima ero spiazzato, ora non so se ridere o piangere. Non so se preoccuparmi di più perché ha capito –o forse è solo l’ubriacatura- che sono Shinichi, o perché le sue deduzioni stanno divenendo giorno dopo giorno sempre più assurde e insensate.
Lo vedo avvicinarsi sempre più a me, con una bottiglia di birra tra le mani, vuota, e con espressione terrificante.
Deglutisco. Quando fa così, fa paura.
“Ma quale Shinichi! Sono io, Oji-san! Sono Conan, Conan! Il marmocchio con gli occhiali!” cerco di spiegargli, provando a calmarlo. Ma nell’indicare gli occhiali, mi rendo conto di una cosa: non ce li ho addosso! Ecco perché mi ha riconosciuto subito.
“Ma non ti vergogni? Secondo te sono così scemo da cascarci? In fondo Conan vive qui da dieci anni ormai, so benissimo che non si sarebbe comportato così. Non avrebbe mai toccato la mia bambina, brutta razza d’approfittatore!” risponde, ancora più incavolato di prima, tanto che quasi posso notare un alone nero sopra la sua testa.
In un certo senso però, mi viene da ridere: oh sì, Oji-san, ci sei cascato invece, perché non hai ancora capito che Conan sono io!
“E-E invece sono proprio Conan! Oji-san, guardami! Guardami!” cerco di convincerlo, invano, perché dopo nemmeno due secondi mi ritrovo una bottiglia sulla fronte, pugni e quant’altro, senza riuscire neanche a difendermi dall’ira dell’uomo.
 
                                                                             ***

Con una mano, massaggio il punto esatto in cui la bottiglia di vetro si è infranta sul mio capo. A volte penso che la gente ce l’abbia proprio con lei. Cioè, Gin vuole mettermi al tappeto e mi colpisce alla testa, Kogoro vuole che lo lasci indagare in pace e mi colpisce alla testa, sta volta mi becca con la figlia e mi colpisce alla testa, la mia povera testa… che gli ha fatto?
“Ehm Ehm” mi riporta alla realtà la scienziata seduta davanti a me. “Kudo, hai intenzione di dirmi ciò che è successo ieri sera o aspetti che prenda una sfera di vetro e provi a buttare due teorie azzardate e farle passare per reali?” ironizza Haibara, scocciata. Che simpatica.
Prendo un bel respiro, per poi accomodarmi sulla poltrona di fronte alla sua e tornare a guardarla con espressione seria disegnata sul volto.
“Vedi, questo Ooba è un assassino che ho fatto arrestare più o meno dieci anni fa, quella sera al Beika Center Building. Per questo che avevo come l’impressione di averlo già visto da qualche parte” comincio, mentre anche la mia ascoltatrice assume un’espressione seria e col capo, mi fa cenno di continuare con il mio racconto. “Alla cena non si è presentato, così inizio a cercarlo e quando mi sono ricordato chi era, sono tornato immediatamente da Ran per portarla via. Quando arrivo all’ascensore, però, vedo Gin che, riconoscendomi, mi punta una pistola alla tempia; poi Kid ha fatto saltare la corrente in modo che Ooba non mi vedesse e non riescisse a sparare. Io colgo così l’occasione e con Ran in braccio mi dirigo verso l’osservatorio, per poi tornare a casa dopo una mezz’ora buona” sbotto, in una volta sola, senza darmi neanche il tempo di un respiro. E senza neanche pensare che molto probabilmente, ciò che ho appena detto, possa risultare incomprensibile ad altri.
La ragazza di fronte a me tace. Per la prima volta in dieci anni d’amicizia, non dice una parola. Ma non mi faccio alcun sogno di gloria, perché so che in questo momento sta riflettendo su ciò che le ho appena detto.
“CHE COSA?!” mi sento urlare contro dopo meno di venti secondi. Infatti, l’avevo detto che fra poco sarebbe scoppiata come una bomba ad orologeria. “TI RENDI CONTO DI CIO’ CHE HAI APPENA DETTO?! Non ho capito cosa centri Kid in tutta questa storia, ma Gin ti ha visto! Ti ha puntato una pistola! Ti ha riconosciuto!” comincia ad urlare, con le mani tra i capelli. “Ora può rintracciarci ed ucciderci facilmente, te ne rendi conto?!”
“Sì, lo so” rispondo sicuro e naturale. “È proprio per questo che sono venuto da te” le confido, per poi sorriderle.
La vedo fermarsi un momento, per poi lasciarsi ad un sospiro. Di nuovo.
“D’accordo Kudo” mi risponde, ricambiando il mio sorriso poco dopo. “Sai, proprio sta mattina ho fatto una scoperta che forse potrebbe aiutarti” mi confida, facendomi l’occhiolino e oltrepassarmi, dirigendosi in cucina.
“Dai, parla!”
“Solo a due condizioni” continua, facendomi segno di un due con l’indice e il medio della mano destra. “Primo, non deve sapere niente nessuno. Secondo….” Si ferma, abbozzando un sorriso soddisfatto ma al contempo spavaldo.








Nana's Corner:
Konnichiwa!!!
Su su, appendiamo i palloncini, festoni e stappiamo una bella bottiglia di Sherry xD
Perchè? Ho aggiornato prima di giovedì! :D
Cmq, cretinate a parte xD
Com'è il chap? Sinceramente c'è qualcosa che non mi convince. Sarà che non è estremamente malinconico come al solito? Boh.
Anzi, visto che ci siamo, com'è la parte Kudo/Kogoro? xD
Sono riuscita a divertirvi almeno un pò? Eh eh?? :)
E Haibara... ma quant'è antipatica? Secondo voi è peggiorata o migliorata? xD
E Kudo nella stanza di Ran? *--*

Ok ok, bando alle ciance, ecco a voi l'angolo deduzioni! xD
Primo: Secondo voi che ha scoperto Haibara? Che cos'è la seconda condizione?
Secondo: Nuove ipotesi su chi ha manomesso la Beretta di Gin? Quindi, dalle vostre recensioni ho capito che i personaggi di cui dubitate sono:
Haibara, Vermouth, Vodka, Ooba, Heiji, il dottor Agasa e i genitori di Kudo.
Bene, sappiate che già dai prossimi chap alcuni di loro verranno esclusi, ma forse altri aggiunti, boh. *me perfida u.u*
Terzo: Che faranno i nostri Kudo e Haibara, ora?

Bene, l'angolino metantei è finito :)
Ora possiamo passare ai ringraziamenti:
Grazie a Shana17, Hoshi Kudo, Kaori_, aoko_90, Lucy Mouri, shinichi e ran amore, Pan17, Kaori13 e _Vero_chan_ per aver recensito lo scorso chap, arigatò! :D
Grazie anche a Pan17 per aver inserito la storia tra le seguite *^*
Ed infine grazie anche a chi legge solamente! ^^
Grazie grazie grazie!!!

Beh, non mi rimane che sperare che il chap non faccia poi così pena (abbituatevi, non dirò MAI che un chap che ho scritto io mi sia piaciuto xD), e che nessuno mi odi o mi voglia morta per come l'ho fatto finire xD
Alla prossima e grazie per aver letto!!

XXX,
Nana


Ps. Vorrei anche ringraziare tutti coloro che hanno recensito la mia OS "Loneliness", grazie ^^
E se non si fosse capito, la "colonia" che Kudo sente entrando in camera di Ran è proprio un tributo a quella^^

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Capitolo 7
*** Il buio ***


                                                 Capitolo sei
                                                                     Il buio
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Vita e morte.
Luce e buio.
Fin da piccoli crediamo che la vita sia migliore, sinonimo di possibilità, gioia, luce, speranza e tutto ciò che infonde un senso di chiarità e felicità in noi. Mentre la morte, la prendiamo sempre come un torto, un dolore immenso, il buio profondo… La fine; e il solo nome può , a volte, infonderci il terrore, l’ansia, la preoccupazione, un senso d’ingiustizia e di orrore, tanto da farci tremare, tanto da farsi odiare.
E se invece non fosse così? E se invece tutto quello in cui crediamo si rivelasse l’esatto opposto?
Allora avrei finalmente trovato e scoperto il motivo ed il vero senso della frase ci sono cose peggiori della morte. Finalmente, avrei capito che se tutto fosse finito quella sera, sarebbe stato tutto più semplice.
Non avrei sofferto, la mia anima non sarebbe morta a poco a poco lasciandomi un corpo vuoto, privo di senso, di vita e non sarei arrivato al punto di odiare tutto, di vedere il mondo come un vasto e unico sfondo nero e di dimenticare il significato della parola “felicità”. Un mio sorriso non sarebbe mai diventato un evento più unico che raro e la gioia disegnata sui volti delle persone che mi circondano non mi avrebbe mai portato al rancore che per anni ho provato.
Sì, rancore. Perché nessun’altra parola oltre “rancore” e “odio” può definire al meglio ciò che provo per causa del nero, di un uomo amante di corvi, di una maledetta capsula… o meglio, degli uomini in nero e l’Aptox4869.
Per colpa loro ho perso una vita, la mia vita. Finita in entrambe le occasioni con la vista di due occhi glaciali e capelli lunghi e platinati; finita in entrambe le occasioni per mano di Gin, un uomo sadico, crudele e senza un briciolo di sensibilità o anche semplicemente, umanità.
Ma ora, dopo dieci anni, posso finalmente dimenticare.
Finalmente, non sento più quel dolore che, i ricordi, i luoghi visitati in passato, un oggetto, un sorriso che non fosse rivolto a me, Shinichi, da parte di Ran o anche solo la vista delle sue lacrime, mi causavano, mi divoravano e mi rendevano vuoto, instabile, come fosse un equilibrista che cerca di rimanere in equilibrio su un sottilissimo e lunghissimo filo nel bel mezzo del vuoto: la vita.
Finalmente, non sento più quell’odio che la risata della gente o un qualsiasi oggetto nero o scuro m’infondeva.
Finalmente, non sento più alcun rumore, quel rumore: non sento più il mio cuore urlare e sanguinare di fronte alla donna che amo, che come me, sta crollando, lentamente.
Finalmente, non sento più nulla.
Finalmente posso estraniarmi e liberarmi da tutte queste sensazioni, ignorando ciò che intorno a me, in quel mondo che ormai non è più mio, sta accadendo.
Molto probabilmente, in questo momento, sono a terra, con un proiettile conficcato nella nuca, circondato ed impregnato da una pozza scarlatta che, a contatto col pavimento rosso, creano un gioco di ombre e sfumature.
Ora sono diventato anch’io uno di quei cadaveri che tanto mi appassionano, che mi hanno accompagnato per ventisette anni di vita e, non per vantarmi, riuscivo sempre a fargli giustizia in un modo o nell’altro grazie alle mie prontissime e sempre esatte deduzioni.
Molto probabilmente, ora Ran è qui accanto a me, inginocchiata e piegata sul pavimento piangendo, piangendo quelle poche lacrime che ormai, dopo dieci anni, le sono rimaste. Starà soffrendo dinanzi al cadavere del suo amato fratellino, del suo “Conan-kun”, senza nemmeno sapere il vero motivo per cui degli estranei mi abbiano eliminato appena mi hanno avuto davanti ai loro occhi, lasciandola nel dubbio... per sempre.
Stranamente, questo pensiero però, non mi fa provare niente. Né rabbia, né felicità, né dolore.
Semplicemente, niente. Se non un lieve senso di sollievo.
Forse perché ora so che finalmente Ran non dovrà soffrire.
Che finalmente,non rispecchiandosi più nei miei occhi blu, non veda Shinichi, ovvero, me.
Che finalmente, potrà dimenticarci, sia me, sia Conan, sia la nostra assurda passione per i gialli e le investigazioni.
Che finalmente potrà vivere una vita felice. Ricominciando da zero,dove tutto ha inizio, accanto a qualcuno che riesca ad amarla come l’ho amata io per tutti questi anni; come l’ho amata io per ogni singolo giorno, ora, minuto e secondo della mia vita, e dopo.
Che pensi sempre a lei, in ogni minimo istante; come il sottoscritto che, anche dopo aver chiuso i suoi occhi per sempre, non potrà mai dimenticarla o anche solo evitarla. Perché comunque, non ne sarei mai capace, non ne avrei mai neanche il coraggio.
Che non la faccia soffrire.  Che non le faccia versare nemmeno una lacrima, a differenza del sottoscritto. Che non le faccia mai sentire la sua mancanza e non la faccia aspettare per dieci lunghi anni, invano.
Semplicemente, che la rendi felice e che la faccia ridere e divertire come io non sono riuscito, e che non la faccia soffrire di nuovo, perché in fondo, non se lo merita. E non se l’è mai meritato.
Però almeno un compito sono riuscito a portarlo a termine: l’ho protetta, fino alla fine; le sono stato accanto, fino alla fine; l’ho consolata, fino alla fine; l’ho salvata, fino alla fine, fino alla fine del tempo, del mio tempo.
Finalmente so che ora è salva. Ora che quelli dell’organizzazione si sono liberati del loro peso più grande, Kudo Shinichi, lei non dovrà più temere niente, niente. Anzi, sono sicuro che dopo avermi eliminato se ne sono andati via, proprio come hanno fatto con Akemi Miyano, quel pomeriggio, in quel magazzino; lasciandola da sola, in una pace nuova, al sicuro.
Rallegrato da questo pensiero, sento come se la mano di Ran stesse stringendo forte la mia, come se fossi ancora accanto a lei, con la mia anima. Posso sentire le sue dita calde a contatto con il mio, ormai gelato, corpo. Posso sentirla tremare, posso sentire il suo respiro sulla mia pelle e mi sembra quasi come se i miei polmoni si caricassero da essi. Niente più ossigeno, solo il respiro di Ran, la mia Ran.
Ed è proprio per questo che cerco di godermi quest’istante appieno, perché in fondo, so che non ne potrò avere più il lusso già da domani. Perché in fondo, il buio, questo buio, non ha e non avrà mai nessuna luce; ed io stesso ne sono più che consapevole.
Rimaniamo nella stessa posizione per minuti, minuti a parer mio intensi e che vorrei non finissero mai.
Lo stesso deve provarlo anche lei, che secondo dopo secondo va sempre più a stringere la mia mano, ma talmente forte che quasi mi scappa un gemito di…. Dolore?
Strano, eppure credevo che dopo la morte, il dolore non si sarebbe più sentito…
Poi, finalmente, mi accorgo che in sottofondo a quest’atmosfera invece, ci sono i mormorii della gente, che continuano a chiedersi che sia successo… heh, cos’è successo… questo non dovrebbe essere difficile da capire, una persona è morta proprio davanti ai loro occhi.
E poi, nuovamente, i miei pensieri vengono interrotti dalla mano stritolante di Ran, che sta volta si lascia anche a qualcosa di più.
“Conan-kun..” mi sussurra all’orecchio, tremante e terrorizzata al tempo stesso. Che l’abbia capito solo adesso? “Hey… Conan-kun?” mi chiede nuovamente, con tono più deciso di prima, ma sempre basso, quasi come se non volesse farsi sentire da qualcun altro.
L’istinto di risponderle è forte, troppo forte, ma so che non mi sentirebbe comunque, quindi che senso ha provarci?
Quindi la ignoro, la ignoro come il mormorio quasi inudibile di qualcuno accanto a me, che lentamente, si fa sempre più forte, diventando urla.
“Merda!” lo sento urlare. Però, che finezza e... aspetta, ma io questa voce la conosco! “Questa merda di pistola è senza proiettili!” continua a lamentarsi, mentre un pensiero, o meglio, una domanda, inizia ad impossessarsi del mio cervello ormai non più in funzione, sentendo quel suo odore misto tra fumo e alcool così fortemente. Che strano, credevo non avrei più sentito gli odori dopo la morte…
“Gin… che sta succedendo?” gli chiede una voce, proveniente sempre dallo stesso lato della sua.
“Questa merda di pistola è senza proiettili, dannazione! Eppure ero sicuro di averla controllata prima di scendere dalla macchina!” gli risponde ancora più acido di prima… Gin.
Ed ora, dopo questa frase, si che quella famosa domanda inizia ad ossessionarmi: sono vivo o morto?
In cerca di risposta, provo a muovere le dita della mano libera, libera dalla stretta di Ran. Si muovono.
Provo a muovere anche il braccio,in cerca di conferma. Ci riesco.
Sposto la mano e lentamente l’adagio sul viso, andandolo a sfiorare e poi toccare delicatamente, quasi impaurito che il risultato non sia quello sperato in questi pochi secondi. Lo sento.
Nell’atto, inoltre, riesco anche a sentire come un’aria calda scontrarsi sul palmo della mia mano, riscaldandola, facendomi rendere conto di un’altra cosa: respiro.
Infine, come prova definitiva, sposto la stessa mano che ha fatto da cavia per questi ultimi minuti, sul mio petto, in alto a sinistra, per poi vibrare a causa di quei battiti regolari che da quell’aria si espandono in tutto il mio corpo. Il mio cuore, batte ancora.
Ed ora, a questa domanda, trovo finalmente risposta. Perché se quello che ha detto Holmes è vero, allora la mia deduzione è esatta. Se è vero che una volta eliminato l’impossibile, quello che resta, per quanto improbabile che sia, deve essere la verità, allora significa che la risposta è solo una.
Non so come sia possibile. Non so che sia veramente successo. Ma una cosa è certa: qualcosa è sicuramente successo. E, anche questa volta, mi ritrovo a dar ragione a Holmes, il mio amato detective, Sherlock Holmes, nonché il mio esempio.
E, finalmente, adesso posso fare ciò che da qualche minuto desidero ardentemente fare, ovvero…
“Sì, Ran-neechan?” le rispondo dopo tempi immemori, con lo stesso volume di voce che aveva usato lei in precedenza, ma al contempo scosso da una strana scarica, da una strana sensazione che mi rende… felice, dopo tanto tempo.
“S-Sei vivo? Stai bene?” mi chiede con flebile voce, quasi sull’orlo di un pianto, che se non erro, è sicuramente di gioia; gioia nell’aver risentito la mia voce.
“Secondo te se fossi morto ti avrei risposto?” rispondo alla sua domanda con un'altra, assumendo un tono scocciato, quando in realtà cerco di trattenermi le risate per quell’assurda domanda.
“Scusa se mi stavo preoccupando per te, Conan-kun” mi bisbiglia, con tono altrettanto scocciato, ma solo perché offesa dalla mia risposta. In realtà so benissimo che è contenta di risentire la mia voce, ma forse per orgoglio, o per altro, si finge anche lei seccata. Tutto sommato, la nostra recita, non è niente male. Forse perché i protagonisti siamo noi?
Dopo questo piccolo attimo di gioia, finalmente mi accorgo che intorno a me è tutto buio. Tanto da non riuscire a vedere niente, se non i lineamenti dell’uomo –se così si può definire- di fronte a me, illuminato solo dai flebili raggi della luna. La mia prima ipotesi? Che sia saltata la corrente. Ma è un grave errore avanzare ipotesi prima di avere tutti gli indizi, soprattutto se fino a cinque minuti fa credevo di essere all’altro mondo.  Così chiedo conferma a Ran, che sicuramente, era molto più lucida di me in quel momento.
“Ran-neechan, cos’è successo? Perché è tutto nero?” le sussurro, avvicinandomi al suo orecchio in modo da non farmi sentire da Gin e Vodka, e sentendola sussultare una volta che il mio respiro si abbatte sulla sua candida pelle.
“È saltata la corrente” mi risponde dopo qualche secondo, ritornando seria e andando a dare conferma alla mia teoria.
“Ah, capisco” mi limito a dirle, sospirando. Beh, prima o poi la corrente tornerà, e se rimaniamo qui, di fronte agli uomini in nero, potremo veramente fare una brutta fine. Entrambi.
Così mi ritrovo per la seconda volta in poche ore ad escogitare un piano, poiché l’altro ormai è da escludere.
L’opzione migliore, sicuramente, è quella di nascondermi con Ran da qualche parte in cui Gin non dovrebbe trovarci, ma allo stesso tempo, che sia dentro quest’edificio: devo ancora trovare Ooba, ho un conto in sospeso con lui. Penso ad un piano di quest’edificio che possa fungere da nascondiglio,e l’unico che mi viene in mente è solo uno: l’osservatorio.
Sì, il piano è perfetto. È anche munito d’ascensore e quindi mentre io vado da Ooba, Ran può tranquillamente prenderlo e tornare a casa senza problemi. Non fa una piega. Se non un problema, quello che non manca mai in nessun’operazione. E sta volta sono… i suoi tacchi. Farebbero troppo rumore e Gin potrebbe tranquillamente seguirci o capire dove siamo in questo modo. Ma forse ho una soluzione anche per quello.
“Ran-neechan” la chiamo, avvicinandomi al suo orecchio: è di vitale importanza che Gin confonda le nostre voci con i mormorii della gente bloccata su questo piano. “Dobbiamo andare” le riferisco, con tono che non accetta opposizioni.
“Come scusa?” mi chiede, a bassa voce, spaesata dal mio insolito ordine.
“Limitati a fare quello che dico io, non parlare” le ripeto, per poi passare le braccia sotto le sue gambe e a metà schiena, sollevandola e tenendola stretta tra le mie braccia.
“C-Conan-kun… che stai facendo?” insiste a domandare, con una punta d’imbarazzo e nonostante le abbia appena detto di non parlare. Tsè, quanto sono insistenti le donne… chi le capisce è bravo!
Quindi decido di non risponderle. Tanto farlo porterebbe soltanto ad un’altra sua domanda, e un’altra ancora, fino a formare un’interrogazione.
E lentamente, come due fantasmi, ci allontaniamo da quella sala senza che nessuno se ne accorga, estraniandoci per qualche attimo da quel posto ormai inquinato. Andando a cercare un raggio di luce nel buio. Perché in questo buio invece, la luce c’è, sempre.
 
                                                                                          ***
 
Lascio che il mio corpo strisci lungo la parete bianca del piano, stanco, per poi adagiarsi con poca delicatezza sul freddo pavimento in marmo blu, ma talmente blu che sembra quasi uno specchio che riflette il cielo stellato sopra le nostre teste.
Dopo essermi fatto quasi cinque piani di scale con Ran in braccio, finalmente sono, o meglio, siamo arrivati all’osservatorio; dove l’ho lasciata andare per poi avvicinarmi alle pareti affianco all’ascensore… sfinito.
Dalla mia postazione, rimango a guardare la sua sagoma, illuminata unicamente dai candidi raggi lunari, che non fanno altro che renderla ancora più bella di quello che già è. Anche se a guardarla meglio, scorgo nel suo viso della preoccupazione, del terrore. Che sia successo qualcosa e lei non vuole dirmelo?
Così, da buon detective che sono, inizio a scrutare i suoi movimenti, le sue mosse, le sue espressioni… ma niente. Come se fosse coperta da una maschera, e il che è strano dato che stiamo parlando di Ran.
“Ran-neechan, qualcosa n-”
“Come fai a conoscerli?” mi batte sul tempo, con sguardo serio e deciso. Beh, era ovvio che questa domanda prima o poi me l’avrebbe fatta. Cioè, mi hanno puntato una pistola addosso, un motivo dovrà pur esserci, e lei non è così stupida da non capirlo. Ma cerco di fingere lo stesso, finche posso, per non metterla in pericolo di nuovo.
“Come scusa?” inizio con questa nuova farsa, assumendo un tono più che naturale. Solo uno sbaglio o un accento mancato o troppo marcato e lei potrebbe capire che mento, quindi devo cercare di sembrare il più normale e preciso possibile.
Lascia che qualche secondo passi, prima d’incominciare a tremare e prima che alcune gocce cristalline inizino a formarsi agli angoli dei suoi bellissimi occhi, shockandomi.
“Ti prego…” mi sussurra, tra un singhiozzo e l’altro. “Quelli sono gli stessi di quella volta” aggiunge, ormai sull’orlo del pianto. “Non voglio che succeda lo stesso anche a te. Quindi sii sincero, dimmi come fai a conoscerli” finisce, con quelle piccole strisce trasparenti ma amare che iniziano lentamente a rigarle il volto, spezzandomi il cuore. Di nuovo.
“Ran… di chi stai parlando? Di quale volta parli?”
“Shi-Shinichi… la sera in cui è scomparso aveva seguito quegli uomini, poi…” un attimo d’esitazione. In cui abbassa lo sguardo, per poi voltarsi in direzione della luna e continuare, come se non volesse guardarmi negli occhi. “Poi non l’ho più rivisto. Cioè, ogni tanto tornava, ma ora… non so neanche dov’è”
“Come fai a sapere che sono proprio loro?” le chiedo alzandomi. Sta volta sono io ad assumere un tono serio e deciso, tanto che stupita, si volta a guardarmi, a fissarmi. Gli occhi suoi fissi nei miei, mentre le sue lacrime iniziano a scemare.
Sospira. Per poi avvicinarsi a me.
“Li riconoscerei tra mille. Non potrei mai dimenticare quei due” mi risponde, mettendo a posto il colletto della mia camicia e facendomi leggermente arrossire. “Sai, Shinichi aveva dubitato di loro già mentre stava indagando al caso delle montagne russe, e se lui li sospettava un motivo dovrà pur esserci, no?” sussurra piano, andando col dorso della mano ad asciugare le lacrime che fino a qualche istante fa le segnavano il viso.  E poi, sorride. Malinconicamente, ma sorride. Contagiando anche me.
“No Ran, non li conosco” mento. Ma se così posso tranquillizzarla, allora perché dirle la verità e rovinare tutto?
“Sicuro?” domanda, in cerca di conferma, che non tardò ad arrivare.
“Sì, sicuro” le rispondo, per poi ritrovarmi circondato dalle sue esili braccia, e con la sua testa poggiata al petto. Il che non può che farmi arrossire. Nonostante gli anni, ancora mi avvampa il pensiero di averla così vicina a me, così dannatamente vicina a me.
Ringrazio il buio che copre il mio rossore. A dir la verità, oggi sono grato al buio per molte cose, molte. Ma poi, dopo qualche attimo d’orientamento, e dopo che il mio rossore fosse quasi del tutto sparito, inizio ad accarezzare la testa della mia migliore amica, poggiandoci sopra il mio mento, e stringendola forte a me con l’altra, compiaciuto di aver avuto un contatto con lei dopo tanto tempo.
 
Rimaniamo così per un po’, mentre avvolto tra le sue braccia e i miei pensieri, continuo a guardare il cielo stellato sopra di noi. Tutto sommato, ho fatto bene a scegliere proprio questo posto per nasconderci, ha davvero una vista stupenda.
Dal suo blu colorato ed illuminato da tanti piccoli puntini chiari: le stelle; alla magnifica luna che la domina. Che gli dona lucentezza e vitalità, o semplicemente, bellezza.
Assottiglio gli occhi, respirando a pieno l’intensa fragranza di Ran, e continuando a guardare quello splendido spettacolo che la natura sta inscenando intorno a noi.
Questo splendido momento di quiete però, viene interrotto alla vista di qualcosa d’insolito,fuori posto: un pezzo di stoffa bianca. Che ci dovrebbe fare un pezzo di stoffa in mezzo al cielo?
Curioso, riapro del tutto gli occhi, quasi a spalancarli, per ispezionare meglio quel piccolo particolare piuttosto insolito.
Non si sposta, solo il vento serale lo muove facendolo ondeggiare e mostrando la sua vera misura, a poco a poco. Beh, dopo una visuale del genere non posso non sorridere, soprattutto dopo aver capito che come io spio quel pezzo di stoffa, anche quello spia me.
A malincuore, inizio a sciogliere l’abbraccio di Ran, che inizia a fissarmi confusa; ma purtroppo se capisce che sta succedendo davvero allora si che sarebbe in pericolo, soprattutto perché dopo mi toccherebbe spiegarle tutto, TUTTO. Così, limitandomi a sorriderle, tiro fuori il mio orologio spara- anestetico e lo nascondo in una mano, senza farmi vedere da lei.
“Ran-neechan” cerco di attirare la sua attenzione, in modo da distrarla. Dopo neanche mezzo secondo si volta per guardarmi, per poi cadere nuovamente tra le mie braccia appena il sottilissimo ago è entrato in contatto con la sua pelle.
Con lei ancora tra le mie braccia, mi accascio ad una parete vicina a noi, per poi chiamarlo.
“Lo so che sei lì” urlo, sapendo che il diretto interessato mi sente benissimo, senza problemi. “Vieni fuori, Kid”
Lentamente, vedo la finestra aprirsi, lasciando che la figura completamente vestita di bianco entri nella sala, col suo solito sorriso beffardo.
“Però, bravo moccioso, mi hai scoperto quasi subito!” ironizza, facendomi sbuffare. Sempre il solito simpatico, a quanto pare neanche a ventisette anni ha deciso di diventare più… adulto, ecco.
“Che ci fai qui?” cambio discorso, cercando di tralasciare quei suoi arroganti sorrisi che non accennano a scemare.
“La parola furto ti dice qualcosa?” mi risponde, avvicinandomi a me e a Ran, ancora esanime tra le mie braccia. “E poi quando ho visto il piccolo Conan a cena fuori con la sua fidanzatina…”
“Finiscila! Non era un appuntamento, e tu lo sai benissimo!” sbotto, completamente rosso in viso, e facendolo soltanto divertire. Quel ladro da quattro soldi…
“D’accordo, cercherò di essere serio” dice, incrociando le braccia al petto e provando ad assumere un’espressione seria. Cosa alquanto strana dato che stiamo sempre parlando di Kaitou Kid. “Vedi, stavo tornando da un furto quando passando davanti a quest’edificio ho visto te e la tua ragazza cenare come una felice coppietta” comincia, mentre cerco di trattenermi dall’ucciderlo con le mie stesse mani. “Ho pensato le avessi detto tutto, così facevo per tornarmene a casa quando qualcosa da quell’edificio mi ha insospettito” mi confessa, indicando con l’indice una finestra parallela a questo piano, e facendomi tornare serio e calmo.
“Eh, cos’era?” gli chiedo curioso.
“Un uomo, sulla quarantina, con un fucile in mano” risponde, facendomi assumere un’espressione preoccupata e terrorizzata al tempo stesso: se Ooba non era venuto allora era per questo motivo. Ha preferito rimanere a spiarci in un posto tranquillo per poi attaccarci quando meno ce l’aspettavamo. Che bastardo.
“Hai un’idea di chi fosse?” mi desta dai miei pensieri la voce del ladro di fronte a me, che mi guarda con sguardo indecifrabile: Poker Face. Mi limito ad annuire con un lieve movimento del capo, per poi fargli segno di continuare pure. “Comunque, sono entrato nel piano e mi sono nascosto dietro di lui, in modo da riuscire a vedere il suo bersaglio, che non eravate altro che te e la ragazza dell’agenzia”
“Così hai fatto saltare la corrente in tutto l’edificio” lo precedo. L’avevo già capito da quel piccolo pezzo di stoffa che era stata tutta opera sua, ma dovevo pur chiedergli spiegazioni, e conferma.
“Esatto. Poi avevo visto anche Gin che ti puntava una pistola alla testa e ho dedotto tu fossi proprio nei guai, moccioso. Così ho pensato di lasciarvi al buio, in modo da impossibilitare la vista ad entrambi ed impedirgli di spararti. Infatti dopo che è saltata la corrente Ooba ha preso tutto e ha levato le tende. Ovviamente non era molto contento, non ha fatto altro che urlare fino all’ascensore” mi risponde, per poi scoppiare a ridere. Molto probabilmente al ricordo della scena.
“Fammi indovinare, sei stato sempre tu a togliere i proiettili dalla pistola di Gin, non è così?”
“No ti sbagli” risponde, stupito dalla mia affermazione, e stupendo anche me stesso.
“Come? E allora chi è stato?”
“Non lo so. Ma se vuoi un consiglio, sta attento. Non sempre ti capiterà di avere fortuna come questa sera”
“Sì, lo so”
E detto questo, si avvicina alla finestra, aprendola e preparandosi ad andarsene via. Dal mio canto, rimango immobile a guardarlo, per poi notare una piccola scatolina blu fuori uscire dalla tasca dei suoi pantaloni rigorosamente bianchi. Sorrido, in fondo ho diritto anch’io ad una rivincita, o no?
“Ah Kuroba!” lo richiamo, giusto in tempo, prima che spicchi il volo per Shibuya. Lo vedo girarsi per guardarmi, ed io, come degno figlio di Yukiko Fumijine, parto con la mia piccola rivincita. “Passa una bella serata con tua moglie, mi raccomando!”
“C-COSA?!” replica, rosso come un pomodoro, facendomi soltanto divertire. Ora capisco perché mia madre si diverte tanto a mettere in imbarazzo la gente.
“Su! Non sono nato ieri. Allora? Compleanno o anniversario?” gli chiedo, indicando con lo sguardo la scatolina nascosta nelle sue tasche.
“Ah, questa…” sussurra, tirandola fuori e metterla in contro luce. “Anniversario, perché?”
“No così. Però mi sembra strano che un ladro compri gioielli, di solito li ruba” continuo a stuzzicarlo, con tono più che naturale.
“B-Baro! Sai benissimo che non sono propriamente un ladro!”
“E va bene, va bene” rispondo tra le risate, mentre lui sbuffa e torna a guardare fuori dalla vetrata del piano.
“Comunque non scherzo, stai attento d’ora in poi. E torna a casa. Fallo almeno per Ran” mi dice, per poi scomparire come per magia nel buio della, ormai, notte.
Sì, forse ha ragione. Per oggi può bastare così, ho visto già abbastanza.
E poi ad un piano posso sempre pensarci domani con calma. Tanto, il tempo e le idee non mi mancano.





Blacky's Corner:
Minna konnichiwa!!!!!
Si lo so, sono VERGOGNOSAMENTE in ritardo -.-"
Ma vi giuro che non è colpa mia! Ma della scuola! E poi ho passato una settimana da SCHIFO, letteralmente -.-"
Tra i "che orrore, e questo lo chiami progetto?" di due mie compagne di "gruppo di laboratorio" e i "Nana (sarebbe il mio soprannome giapponese che mi ha dato la mia amica), calmati, lasciale perdere, parlano solo perchè non hanno fatto nnt e vogliono "scaricare" la colpa a qualcuno" della mia amica.... sono depressa xD
Cmq, prima di dire qualsiasi cosa: KUDO! PROVA ANCHE SOLO A PENSARE CHE LA SOTTOSCRITTA TI ODIA E NON FARAI UNA BELLA FINE! xD
No sul serio, a quanto pare in tutte le recensioni, il nostro Kudo-kun pensava sempre alla stessa cosa ^^
Ora, parlando del chap invece... in anzitutto, è moooooolto più lungo del solito, e spero che per questo avrete perdonato il mio ritardo :)
Secondo: chi di voi aveva capito che per buio intendevo un black out? A proposito, è banale quest'idea?? D:
Terzo: Ci di voi aveva seriamente pensato che Kudo fosse morto leggendosi l'inizio? Chi di voi ha pianto? xD
Quarto: Per la felicità di tutte le sue fan, ecco a voi Kiddo!!! :D Ma sappiate che non tornerà più, gommen ^^"
Ma in teoria non doveva neanche esserci in tutta la fic, quindi...
Ora invece, l'angolo deduzioni xD (si, chiamamolo così va! ^^)
Allora allora allora...
Primo: sappiamo che non è stato Kaito a tirar via i proiettili dalla Beretta di Gin, quindi secondo voi, chi è stato a toglierle??
Secondo: che farà ora Ooba?
Ultimo ma non meno importante: che deciderà di fare adesso Kudo-kun???

Bene, ora passiamo ai ringraziamenti.
Grazie in anzitutto ad Hoshi Kudo, Shana17, shinichi e ran amore (a proposito, complimenti per aver dedotto cos'era davvero "il buio" ;)), Lucy Mouri, aoko_90, _Vero_chan_ e Kaori13 per aver recensito lo scorso chap. Arigato gozaimazu!!!!!!!!!!!!!!!!!
Poi ad Hermione Claire Grenger e _Vero_chan_ per aver inserito la storia tra le seguite.
Ed infine a tutti coloro che leggono solamente.
G-R-A-Z-I-E!!!!!! :D

Ora vi lascio, ma spero vivamente che il chap vi sia piaciuto ^^
Alla prossima!!!!

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Capitolo 8
*** La seconda condizione (Prima parte) ***


Ok, molto probabilmente mi vorrete uccidere dopo aver letto quello che vi dirò adesso, beh dettagli xD
Cmq, il capitolo di oggi (e solo quello di oggi) verrà narrato sotto prospettiva di Ran. Tra poco capirete perchè, tranquille/i ;)
Beh, have a nice reading! ^^                               



                                            Capitolo otto
                                                     La seconda condizione (Prima parte)
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Inizio a sentire il mio respiro mancare.
Gli occhi sbarrati, lucidi e che, indecisi, non sanno se asciugarsi o inumidirsi ancora di più. Il cuore che salta qualche battito per poi recuperarlo poco dopo, e il sangue nelle mie vene che si ferma per qualche millisecondo, anch’esso spiazzato.
No… Non è possibile..                                             
                                                                                    
                                                               
                                                                                   Otto ore prima
 
 
Soffio la tisana contenuta nella tazza color arancio tenuta stretta tra le mie mani, nell’intento di raffreddarne il liquido contenuto, almeno in modo da riuscire a berlo senza bruciarmi la lingua, com’è accaduto con quello di tre ore fa.
Guardo fuori dalla finestra, sperando di vederlo correre dentro casa, tutto sudato e ansimante, mentre mi urla qualcosa tipo: “Scusa, Ran-neechan, avrei dovuto avvisarti”, e poi sgridarlo come ormai sto facendo da dieci anni.
Ma purtroppo, non è così.
Purtroppo sono già passate trentasei ore dall’ultima volta che l’ho visto, dall’ultima volta che gli ho parlato o ho anche solo scorso un diciassettenne con tanto di occhiali gironzolare in giro per casa o l’agenzia di mio padre. Sono passate già trentaquattro ore da quando, chiamando il dottor Agasa, ho scoperto che né lui né Ai erano a casa, che entrambi erano spariti ed entrambi avevano –e hanno ancora- il telefono spento, come se non volessero essere disturbati.
In breve, sono dispersi nel nulla, in un nulla enorme ma da cui non sappiamo neanche da dove cominciare, data la sua immensità.
Sospiro rassegnata. In fondo, l’ho sempre pensato che quei due sono identici. Che entrambi siano identici per la loro mania per i misteri e Sherlock Holmes, quanto per il fatto che spariscono sempre senza mai avvisare.
Mai.
Quindi, tutto sommato, non dovrei neanche preoccuparmi o arrabbiarmi, perché sarebbe inutile, stupido, e perché la tisana tra le mie mani comincia a raffreddarsi troppo, simbolo che devo berla subito.
Così, dimenticando per un attimo ciò che intorno a me sta accadendo, avvicino lentamente il bordo di porcellana alle mie labbra, che a contatto con essa, s’irrigidiscono, tanta la freddezza dell’oggetto in questione. Per poi riscaldarsi nel momento esatto in cui il fluido caldo le passa, le bagna e ci s’impregna, riscaldandomi anche internamente, ma non del tutto. In fondo, c’è solo una cosa, o meglio, una persona che può farlo. O due, volendo.
Finito di bere la tisana, riappoggio la tazza sul tavolino dell’agenzia, per poi provare nuovamente a chiamare quell’idiota di un ragazzo e cercare almeno di capire se sta bene o gli è successo qualcosa.
Mi avvio verso la scrivania di mio padre, dove lui è intento ad ascoltare una corsa di cavalli con la vecchia radiolina, e, prima di avvicinare all’orecchio il cellulare rosa poggiato lì qualche decina di minuti fa, inizio a digitare il numero di Conan, sperando sta volta rispondi e non mi lasci nel dubbio ancora per molto.
Digitato il numero, accosto l’apparecchio al mio orecchio e, sospirando, schiaccio il pulsante verde per avviare la chiamata.
Passo qualche secondo –che a me paiono minuti- ad aspettare uno squillo o anche direttamente una voce maschile rispondermi. E tutto sommato, una voce la sento, se non femminile e diventata ormai famigliare dopo le migliaia di volte che l’ho sentita in queste ultime trentaquattro ore.
“Il numero da lei chiamato è momentaneamente irraggiungibile”
Ecco, di nuovo. Non aspetto neanche di sentire il continuo della frase o di lasciargli un messaggio in segreteria, chiudo direttamente la chiamata ancora più acida di prima, anche se in realtà, dentro di me, sono tutto meno che acida. In realtà, sono agitata all’idea che lui non risponda. Sono terrorizzata all’idea che gli possa essere successo qualcosa, tant'è che le mani mi tremano al solo pensiero.
"Hey, Ran" mi richiama mio padre, molto probabilmente avendo sentito la scrivania vibrare quando ci ho appoggiato il cellulare sopra. Stringendo le mani in pugni, cercando di reprimere la voglia di uccidere qualcuno, mi volto a guardarlo, con sguardo torvo, mentre lui deglutisce, impaurito. "Ehm.. ancora a chiamare quel moccioso?”
“Si” rispondo secca, e con espressione scocciata. “Problemi?”
“No, solo che non dovresti preoccuparti tanto. Sai com’è, è l’età” aggiunge, tra qualche risatina.
“L’età?” gli chiedo confusa. Che intende dire?
“Oh sì, l’età. Lui e la ragazza saranno sicuramente scappati insieme, proprio come avete fatto tu e quella sottospecie di detective quando siete andati in America senza dirmi niente” risponde, per poi mormorare qualcosa che, pur non giungendo alle mie orecchie, capto come insulti nei confronti di quella sottospecie di detective.
“Quante volte devo dirtelo che non siamo scappati insieme!”
“Sì sì, con me la scusa del siamo andati solo a trovare i suoi genitori non attacca. Non oso nemmeno immaginare che avete fatto tu e quella sottospecie di detective di là, in America” quasi sussurra scocciato mio padre, per poi esultare tutto d'un colpo facendomi quasi balzare dallo spavento. Beh, dall’improvviso cambiamento d’umore deduco abbia vinto la sua scommessa.
Lo guardo scocciata, per poi ripensare alla frase appena uscita dalla sua bocca poco fa.
Non oso nemmeno immaginare che avete fatto tu e quella sottospecie di detective di là, in America.
Sorrido, amaramente. Tutto sommato, in America, qualcosa di speciale è successo. Dal primo caso di Shinichi fino a quando non ho capito che ciò che provavo per lui non era semplice affetto, ma qualcosa di più: amore, o almeno così lo chiamano. Anche se forse, ho cominciato a capire quanto lo amavo solo da quando se n’è andato… o a Londra.
Al pensiero di quest’ultima, sento le gote arrossarsi, diventando ancora più rosse di una rosa. Qualcuno deve averlo notato –mio padre-, e infatti, lo vedo sbuffare seccato voltando il volto dal lato opposto al mio.
“E adesso perché sei diventata peggio di un pomodoro? Che c’è, ti ho ricordato qualcosa di quel viaggio?”
“Otou-san! Ti ho detto che-” le mie urla vengono interrotte da un suono proveniente dalla porta dell’agenzia. Qualcuno ha bussato, un cliente.
Entrambi ci guardiamo, sorpresi, fino a quando non comincio a riordinare in modo sbrigativo la sua scrivania e lui non si alza per raggiungere la fonte del rumore sentito poco prima. Se lo guardo meglio, posso scorgere della felicità nei suoi occhi. Beh, come non capirlo? Infondo, è da più di tre anni che non risolve più alcun caso.
Nel momento esatto in cui lo vedo sistemare la cravatta, il colletto della camicia e la giacca, mi scappa un sorriso. in fondo, sono contenta che qualcuno di noi due abbia ritrovato il buon umore, dopo tanto tempo… già, tanto tempo…
Abbasso lo sguardo, assottigliando gli occhi. Già.. quanto mi farebbe piacere che quella sottospecie di detective venisse a bussare alla mia porta, dicendomi che finalmente è tornato e che non se n’è andrà più.. tanto. Se non di più.
Ma mi rendo conto che non è il momento adatto per certi pensieri, e così, dopo aver scosso lievemente il capo in modo da liberarmene, vado a raggiungere mio padre di fronte all’entrata, abbozzando un sorriso. Ovviamente, falso.
Lui si limita a ricambiarmelo con uno più sincero, per poi voltarsi e fare pressione sulla maniglia.
“Agenzia Mouri co-”
“Oji-san!” esclama felice una voce che mi pare di aver già sentito da qualche parte.
Vedo mio padre sbuffare, letteralmente. Così provo ad aprire leggermente la porta in modo da poter scorgere anch’io il viso di questo nostro cliente.
Come lo vedo, rido.
Carnagione olivastra, occhi smeraldini, capelli corvini…
“Hattori-kun!”
“Mouri!” urla felice, con il suo solito accento del Kansai. “Come stai?”
“H-Heiji! Fammi spazio che voglio salutare anch’io!” mi precede una voce: altro accento di quelle parti, la cui fonte è una giovane donna alle spalle del detective dell’ovest, che riconosco facilmente come Kazuha Toyama.
“Se non rompi le scatole non sei contenta, eh?”
“Chi è che rompe le scatole?!”
“Tu, baka!”
“Io? Ma sentilo!” gli urla contro, dando vita all’ennesimo litigio tra loro.
Nei miei dieci metri quadrati, comincio a ridere, cercando però di trattenermi un pochino. Mi hanno sempre fatta divertire con i loro battibecchi. Ma nonostante tutto, so che devo fare qualcosa per fermarli, o qui non finiscono più.
“Kazuha-chan!” la saluto, dando così fine al loro litigio.
“Ran-chan!” urla, accorgendosi finalmente della sottoscritta, per poi ritrovarmi catturata in un caloroso abbraccio. “Quanto mi sei mancata”
“Anche tu a me” rispondo, per poi sciogliere il nostro abbraccio e farli accomodare sul divano dell’agenzia. Effettivamente, è da più di cinque mesi che non la vedo. Quante cose che abbiamo da raccontarci.
Aspetto che si siedano tutti quanti, per poi chiedergli se vogliono bere o mangiare qualcosa, dato il viaggio che hanno fatto per venire fin qui.
“Dell’acqua può bastare” mi rispondono Heiji e Kazuha all’unisono, sorridendo.
“Io una bottiglia di birra!” risponde invece mio padre, tutto contento pensando di aver finalmente trovato una scusa per bere. Tsè, povero illuso… dopo quello che ha fatto a Conan l’altra sera, credo se la dovrà scordare, almeno fino a quando non esce da questo stato di rimbambimento in cui, ultimamente, si ritrova. “Anzi no, acqua anch’io” si corregge, dopo che io gli abbia rivolto uno sguardo torvo, e forse anche un tantino terrorizzante, date le espressioni spaventate dei nostri due ospiti appena arrivati da Osaka.
“D’accordo” rispondo normalmente.
Sorridendogli, mi liquido nella piccola cucina dell’agenzia per poter prendere ciò che mi hanno appena chiesto.
Apro il piccolo e vecchio –come tutto il resto del mobilio di quest’agenzia d’altronde- frigo e, mentre cerco una bottiglia d’acqua e magari anche qualche stuzzichino da portargli, i miei timpani vengono sovrastati dalle risate delle persone nell’altra stanza.
A quanto pare, a parte me, sono tutti felici e allegri qui. Beati loro. Non so cosa farei per poter vedere la mia felicità almeno per qualche secondo. Non dico sempre, non dico giorni o ore, ma semplicemente qualche secondo, il tempo che basta per farmi capire che sta bene, che è ancora vivo e che si ricorda ancora di me.
Mi fa sentire eternamente nel dubbio, nel buio profondo, la cui luce può ed è soltantolui, lui è i suoi stupidi casi.
Socchiudo gli occhi, senza accorgermi della calda e amara lacrima che va lentamente a rigarmi il volto.
Dove sei adesso, Shinichi?
Lascio che altre gocce salate scendano dai miei occhi, fino a quando qualcosa di freddo, o meglio, gelato non si scontra sulla mia guancia.
Spaventata, mi volto a guardare la fonte di questo gelo, e nel farlo, mi ritrovo dinanzi la mia migliore amica con una bottiglietta d’acqua in mano.
Per un attimo, mi è sembrato di vedere lui con una lattina rossa tra le mani e un sorriso smagliante.
 
“Hey! Vieni a vedere, ci sono i dinosauri!” lo richiamo, aiutandomi anche con la mano sinistra, con gli occhi puntati nelle lenti del cannocchiale tra le mie mani. Non sento alcuna risposta, così mi sposto un attimo per cercarlo con lo sguardo. Non c’è. “Ha il brutto vizio di sparire sempre” sbuffo, per poi tornare a guardare il panorama attraverso il cannocchiale, senza accorgermi minimamente della figura che avanzava sempre di più verso di me.
Dopo nemmeno mezzo minuto, infatti, sento qualcosa di freddo, o meglio, gelato scontrarsi sulla mia guancia.
Mi lascio sfuggire un flebile “ah!”, spaventata, per poi voltarmi a guardare la fonte di questo gelo. Nel farlo, scorgo solo il suo viso, illuminato da un bellissimo sorriso, e una lattina di Can Cola tra le sue mani.
“Sorpresa! Scommetto che hai sete” *
 
Si, sto impazzendo, lo vedo ovunque ormai, anche negli oggetti più stupidi o tra le file alla cassa del supermercato.
“Hey Ran.. perché piangi?” mi chiede dolcemente Kazuha, molto probabilmente, dopo essersi accorta delle lacrime che copiose rigano il mio viso. Con la manica della felpa, vado velocemente ad asciugarle; non voglio che si preoccupi per colpa mia, di nuovo.
“Non sto piangendo, mi è semplicemente entrato qualcosa negli occhi.” mento, per poi prendere velocemente dei bicchieri e un vassoio sui cui poggiarceli sopra, assieme alla bottiglia d’acqua tra le mani di Kazuha. “Allora? Vogliamo andare?”
“D-D’accordo” mi risponde, ancora un po’ spaesata, molto probabilmente, per avermi vista piangere poco fa.
Sfoggiando un sorriso finto, e con il vassoio tra le mani, torno al divano, affiancata dalla mia migliore amica, ancora un po’ incredula della risposta che le ho dato.
Appoggio il tutto sul tavolino, sempre sorridente, per poi sedermi sul sofà accanto a Kazuha.
“A proposito, Ku-” comincia –come sempre- Heiji, per poi fermarsi di colpo. “Conan dov’è?” chiede, rivolgendosi a me, azzardando una risata nervosa. Ecco, l’ennesima volta in cui ha sbagliato a pronunciare il nome del mio fratellino.
Non faccio in tempo a rispondere che, di nuovo, la sua futura moglie mi precede. “Baro! Dopo più di dieci anni ancora sbagli a pronunciare il nome di quel ragazzo?!”
“Baro! Non è colpa mia!” gli sbotta contro lui, dando vita ad un nuovo battibecco. A volte mi chiedo come fanno a non esserne stanchi di quest’ultimi, dopo ben ventisette anni.
“È sparito” do fine, di nuovo, al loro litigio, rispondendo alla domanda del mio amico.
“Cosa vuol dire è sparito?!” mi urlano contro i miei due ospiti all’unisono, facendomi abbassare lo sguardo verso il pavimento.
“Due giorni fa era andato a trovare Ai-chan per farsi dare degli appunti sulla lezione che ha perso qualche giorno fa” comincio a spiegare sotto i loro sguardi curiosi ma allo stesso tempo preoccupati, mentre allungando un braccio, vado a prendere uno dei quattro bicchieri posti sul tavolino di fronte a me.  “Dopo quattro ore che non tornava a casa, ho iniziato a preoccuparmi, così ho chiamato Agasa. Quando ha risposto ha detto che a casa non c’erano. Né lui né Ai.” finisco, con un velo di amarezza che mi copre il viso.
“E.. non avete provato a cercarli o chiamarli?” mi chiede preoccupato Heiji, seguito a ruota da Kazuha.
“Sì, all’inizio abbiamo chiamato Ayumi, Genta e Mitsuhiko per vedere se erano con loro, ma hanno negato entrambi. Così tutti e cinque abbiamo incominciato a cercarli in giro per Beika e dintorni, senza alcun risultato però. Mentre per le chiamate, ci ho appena provato, per l’ennesima volta, ma hanno entrambi il telefono spento da più di trentacinque ore ormai”
“Capisco” sospirano all’unisono la coppia, facendomi abbozzare un sorriso.
“A proposito” cerco di cambiare discorso, intraprendendone uno un po’ più sereno, spero. “Come mai siete venuti qui?”
“Ah ecco..” mi risponde, tirando intanto un foglio di carta bianca dalle tasche dei suoi jeans. “Sono stato invitato a una festa per i più famosi poliziotti del Giappone qui all’Hotel Beika Sun Plaza. E già che c’ero avevo pensato di venire a farvi visita” mi risponde, porgendomi l’invito in questione.
“Ma è sta sera” affermo, dopo averlo letto.
“Sì, infatti volevamo invitare anche voi” mi confessa Kazuha, sorridente come sempre.
“Per me non c’è problema” accetto, ricambiando il suo sorriso. “Te, otou-san?”
“S-Si, basta che ci siano birre a quella festa”
“Oh non si preoccupi signor Mouri, di birre ne troverà a valanghe!” gli annuncia il nostro amico, dandogli una pacca sulla spalla.
“Grande! Allora? Quando si va?” chiede mio padre, tutto eccitato all’idea di poter bere tutte le birre che può.
All’inizio io e i miei amici lo guardiamo seccati, ma poi ci lasciamo a una fragorosa risata.
Beh, forse uscire di casa quando lui non c’è non è poi così saggio, ma se può essere d’aiuto a calmarmi, allora perché non accettare?
 
                                                                                           ***
 
Volto lo sguardo in più direzioni.
La sala è piena di poliziotti a quanto pare. Beh, è una festa per loro, in fondo.
Quest’atmosfera, il posto e la gente mi ricordano in qualche modo l’episodio di dieci anni fa, quando nei bagni di quest’edificio, dopo uno sparo nei confronti dell’agente Sato, ho perso momentaneamente la memoria.
Avanzo lentamente tra la folla, cercando qualcuno che conosco tra loro, magari l’ispettore Megure o gli agenti Sato e Takagi.
“Hey, Ran!” sento qualcuno chiamarmi. Mi giro a guardarlo, e non posso far altro che sbattermi una mano in viso, rossa dalla vergogna. “Sicura non vuoi mangiare niente? Qui è pieno di prelibatezze varie!” mi urla mio padre, con la voce impastata per via della coscia di non so cosa che ha conficcata nella bocca. In teoria, come abbiamo messo piede in questa sala, quell’ingordo ha cominciato ad abbuffarsi con i piatti sistemati all’angolo buffet. Vedo molti degli invitati donargli l’attenzione, per poi ridere all’unisono alla sua figura che si strozza per via dei panini e della carne che ha inghiottito assieme, in una volta sola.
Dalla vergogna, il viso mi si colora di una tonalità rossa acceso, mentre repentinamente, prendo le mani di Heiji e Kazuha e me ne vado lontana da quella zona. A volte mi chiedo come fa quell’uomo a non accorgersi che in sintesi, ovunque si trova, passa sempre per il pagliaccio di turno.
“Tuo padre dà spettacolo, eh?” ironizza Heiji una volta avvicinatoci alla finestra, lontani da mio padre.
Alla sua battuta, sbuffo, incrociando le braccia al petto ed assumendo un’espressione scocciata. Quando la gente non capisce che le proprie battute fanno pena..
“Lascialo perdere, Ran” m’intima Kazuha, guardando torva il suo futuro sposo. “Quel cretino non ha un briciolo di umorismo. Crede di essere simpatico quando le sue battute fanno letteralmente schifo” prova a consolarmi, provocando uno sbuffo da parte del cretino, che non può fare altro che provocarci una risata a entrambe.
 
La serata va avanti normalmente, per così dire.
Mio padre, dopo aver letteralmente svuotato il tavolo allestito per il buffet, si è dato alla pazza gioia con le birre; facendo, nuovamente, divertire chiunque gli stava intorno.
Mentre io, Kazuha ed Heiji, abbiamo passato la serata davanti alle vetrate, a parlare del più e del meno, di ciò che è successo negli ultimi cinque mesi in cui non ci siamo visti, fino alla proposta di matrimonio del nostro caro detective dell’ovest, che, mentre Kazuha me la raccontava, lui è diventato rosso come un pomodoro, per poi dare il via –tanto per cambiare- al loro ennesimo litigio.
In breve, procede tutto normalmente, fino a quando l’urlo di una ragazza non giunge alle nostre orecchie.
“Cos’è stato?” chiede preoccupata Kazuha, anche se sicuramente, sa già la risposta.
“Non lo so, ma è meglio andare a controllare” le risponde Heiji, per poi correre tutti e tre verso la fonte di quell’urlo.
C’inoltriamo nel corridoio, e sento come una sensazione strana impossessarsi del mio corpo. Non riesco a capire che genere di sensazione sia. Non riesco a capire se è ansia o altro.
Fino a quando, finalmente, non giungiamo al luogo del delitto. Ne ero certa che era morto qualcuno.
Sento Kazuha urlare ed abbracciarsi a un arto del suo compagno, mentre io mi limito a spostare lo sguardo dal cadavere verso qualcos’altro.
Ma nel farlo, rimango spiazzata dalla visione che mi si para dinanzi.
Inizio a sentire il mio respiro mancare.
Gli occhi sbarrati, lucidi e che, indecisi, non sanno se asciugarsi o inumidirsi ancora di più. Il cuore che salta qualche battito per poi recuperarlo poco dopo, e il sangue nelle mie vene che si ferma per qualche millisecondo, anch’esso spiazzato.
No… Non è possibile..                                
 




* Quarto film "Solo nei suoi occhi". è quel pezzo in cui Ran e Shinichi sono al Tropical Land e lui le appoggia la Can Cola (ehi, loro le hanno modificato il nome, non io! xD) e poi vanno alla fontana per il "regalo" di Shinichi nei confronti di Ran, visto che ha vinto l'incontro di karate.

Nana's Corner:
Olà! xD
Contro ogni aspettativa (credo sia mia che vostra xD) eccomi qui con l'ottavo chap! :D
Allora, prima di dire qualsiasi cosa, c'è un motivo per cui ho aggiornato due volte questa settimana: da lunedì a giovedì verrò inondata da verifiche ed interrogazioni, quindi non credo che il prossimo arriverà prima del mercoledì o giovedì dopo (praticamente, tra più di dieci giorni), gommen ^^"
Ma ora passiamo al chap.
Allora, ad essere sincera, mi viene meglio narrare sotto prospettiva di Shinichi, non so perchè ^^"
Però in questo sono stata più o meno obbligata a narrare come Ran, infatti, il chap non è che sia uscito un granchè -.-
Poi, i nostri Conan e Haibara sono "scappati" insieme xD e Ran e compagnia bella non riescono a rintracciarli, mentre, per la felicità dei loro fan, fanno la loro entrata in scena anche il tonno dell'ovest xD e Kazuha. Una curiosità, lo credavate possibile che quel tonno avrebbe fatto una proposta a quella poveretta di Kazuha? xD
E Ran? Quant'è dolce quando pensa a Shinichi? *w*
E Kogoro "aspirapolvere" al party?? xD
Ah e... vi è piaciuto questo salto temporale che ho fatto all'inizio del chap?? :')

Ok, ho parlato anche troppo quindi ora passiamo al vostro angolo preferito: Metantei Corner! xD
Primo: secondo voi, perchè Conan e Haibara sono spariti  e sono entrambi inritracciabili? (sarà italiano? xD) 
Secondo: nuove idee sulla seconda condizione, su ciò che ha scoperto Haibara e su chi ha manomesso la Beretta di Gin? Ah, a questo proposito, vedo che solo una di voi l'ha capito (pensavo fosse ovvio, cmq...), ma dalla nostra lista, Haibara è da escludere. Perchè se rileggete la sua reazione nello scorso chap, capirete che lei non ne sapeva niente di ciò che non è successo quella sera ;)
Terzo: cos'è che ha provocato questa reazione a Ran, a fine capitolo??

Special: vi direte: perchè special?? Beh, perchè è qualcosa che non ho mai accennato ma che succederà più avanti ;) Dunque, se avete letto il chap attentamente, troverete qualche particolare che verrà specificato tra molti capitoli. Secondo voi, quali sono questi particolari?? ;) Ah, sappiate che io non vi dirò nè si nè no xD (che novità! ^^")

Ed ora invece, passiamo ai ringraziamenti:
Grazie di cuore ad Hoshi Kudo, _Vero_chan_, Lucy Mouri, kaori_, Shana17, aoko_90, Kaori13, shinichi e ran amore e Pan17 per aver recensito lo scorso chap. ARIGATO'!! ^^
Grazie a Pan17 per aver inserito la storia tra le preferite. Arigatò *^*
Ed infine grazie anche a tutti quei lettori silenziosi ^^
ARIGATO' a tutti!!!!!!!! (si, sono poco ripetitiva xD)

Beh, ora vi lascio (Nd tutti: finalmente!)
Ma spero che il chap vi sia piaciuto e che continuerete a seguirmi ^^ (e perdonerete anche il ritardo che farò per postare il prossimo)
Alla prossima!!!

XXX,
Nana

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Capitolo 9
*** La seconda condizione (Seconda parte) ***


Carissimi detective/lettori xD, oggi non vi anticipo chi è il narratore di questo chap o rischio di rovinarvi la sorpresa, quindi, leggete, dopo due parole capirete chi sta narrando, e se non ci riuscite, ve lo dico io nel mio corner ;)
ok, vi lascio al chap va.
Have a nice readind! ^^

                                                     
                                       Capitolo nove

                                                  La seconda condizione (Seconda parte)
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…“Solo a due condizioni” continua, facendomi segno di un due con l’indice e il medio della mano destra. “Primo, non deve sapere niente nessuno. Secondo….” …
 
È quella che ho appena infranto. Anzi, a dire la verità, non ho rispettato nemmeno la prima, di condizione.
Ma in fondo, quando mai ho fatto quello che mi ha chiesto quella ragazza? La risposta, come la verità, è una sola: mai. Mai e non credo un giorno comincerò a seguire i suoi ordini, comunque.
Sposto lo sguardo altrove dall’atroce vista che mi si para dinanzi, o meglio, ai miei piedi, fino a giungere al suo bellissimo viso.
Provo ad incrociare il suo sguardo, invano. Ha gli occhi spalancati, quasi sull’orlo di un pianto e, se le mie deduzioni non m’ingannano, in questo momento non riesce neanche a respirare, tanto lo shock.
Provo a sorriderle ma, vedendo il suo sguardo misto di terrore e sorpresa, non ci riesco; così mi limito ad osservarla, mentre le sue dolci iridi chiare percorrono lentamente il mio corpo.
Lo guarda, e deglutisce.
Lo scruta nei minimi particolari per cercare di convincersi che ciò che ha di fronte non è un’illusione, e sussulta.
Sembra toccarlo, o meglio toccarmi solo con esse, o con il suo pensiero, e lascia che una lacrima le righi il volto; mentre io, mi sento quasi in colpa, uno schifo, perché non so che fare, se fermare quello scorrere di gocce salate e amare o rimanere qui, fermo e immobile di fronte a lei.
Se provare a rassicurarla e a consolarla in qualche modo, andando così ad infrangere ancora di più la promessa fatta ad Haibara, o fare l’indifferente, lo sfrontato e fingere di non aver mai visto qualcosa trapelare dai suoi occhi.
Semplicemente, non so che fare; fino a quando, con un flebile sussurro–che riesce comunque a superare le urla di alcuni curiosi in sottofondo-, nomina il mio nome, quello con cui la gente non mi ci appella più da tempo, ormai. Ma quello vero. Sì, il mio vero nome.
“Sh-Shinichi”
 
                                                                                                 ***
 
“Allora? Secondo che?” le chiedo, confuso e incredulo dell’espressione vittoriosa che regna sul suo viso. Non risponde, si limita ad entrare nel piccolo angolo cucina del salotto di Agasa e iniziare a curiosare tra i cassetti e ad aprire tutte le ante di legno di cui essa è fornita, sempre senza proferire parola.
Rimanendo sulle mie, la osservo fare tutto ciò, curioso e sopraffatto dalla voglia di sapere ciò che ha scoperto e quale dovrebbe essere questa sua speciale e seconda condizione. Perché, data la sua espressione, credo sia qualcosa di davvero importante e piacevole, per me… forse.
Mentre io la guardo, lei continua tranquilla e indisturbata questa sua ispezione, fino a quando, rimettendosi in posizione eretta, non tira fuori una bottiglia d’Assenzio da una piccola e rettangolare scatola di cartone e la appoggia sul ripiano in marmo posto tra di noi, vicino ad una di Baijiu*; per poi prendere un bicchiere di vetro lungo e stretto da uno degli scaffali vicini al frigorifero della cucina, e poggiarlo accanto ai due distillati.
“Cos’è, la seconda condizione consiste nel farmi ubriacare?” ironizzo, con un’espressione più che annoiata, stufa e scocciata; mentre vado anch’io ad appoggiare i gomiti sul freddo e bianco piano in marmo.
“Più o meno” risponde, per poi dirigersi verso la porta d’entrata.
Se prima ero confuso, ora lo sono tre volte di più. Non sono semplicemente confuso, ma qualcosa di più, qualcosa che non so neanche spiegare.
Non so nemmeno se tutti quei buoni propositi che fino a poco fa albergavano nella mia mente, possano ancora ora avere una piccola percentuale di possibilità. In pratica, inizio a sentire come se il mio cervello fosse oscurato da una nuvola grande e grigia, o meglio conosciuta come il dubbio.
Ma forse, per una volta, sarebbe meglio mettere da parte la logica e le deduzioni e vedere ciò che quella ragazza sta combinando, prima di cominciare con le mie teorie. Perché in fondo, non ho nemmeno delle prove che possano aiutarmi ad ipotizzare qualcosa. Perché in fondo, è un grave errore avanzare ipotesi prima di avere tutti gli indizi. O almeno, così diceva sempre Sherlock Holmes.
Mi passo una mano sul viso, cercando di allietare la tensione, e torno a guardare la scienziata a pochi metri da me.
Arriva alla porta ma non la apre, anzi, non le dà nemmeno importanza. La sua attenzione ricade tutta sull’appendi abiti di legno, posta di fronte ad essa, e al bianco camice da laboratorio appesoci sopra.
Infila una mano in una delle due tasche laterali, sicuramente, in cerca di qualcosa.
Nonostante l’abbia nascosta nella sua mano destra, deduco abbia trovato subito ciò che cercava dentro la tasca di quell’indumento, ovvero, un piccolo cofanetto bianco, e, vedendola tornare alla postazione di prima, la seguo.
Liquori, sorriso, cofanetto…
Tutto questo mi porta a pensare solo ad una cosa.
Ma a malincuore, devo ammettere che è più che impossibile; che la mia ipotesi è completamente errata. Cioè, lei stessa, cinque anni fa, mi ha confessato che non ci sarebbe stato più nulla che mi avrebbe riportato Shinichi, il mio vero corpo; quindi, come avrebbe fatto a trovarne uno, ora, che ha pure smesso le sue ricerche?
“Kudo-kun” mi richiama lei, da dietro il bancone di marmo, destandomi dai miei pensieri. Annuisco con un leggero movimento del capo, mentre lei sospira, rassegnata, e comincia a stappare il tappo dalla bottiglia di Baijiun. “Ti ricordi quanti gradi di alcool contiene il Baijiun?”
“Sì, più o meno sui quaranta” mi limito a risponderle, confuso. La vedo versare il liquore in questione nel bicchiere di vetro, riempiendone solo un quarto, per poi tornare a parlarmi ed appoggiare la bottiglia dal fondo rettangolare al suo posto.
“Che effetto ha quando lo bevi?”
“Di solito mi faceva tornare normale, una volta. Ma ora-”
“Nessuno” mi precede. “Anzi, uno c’è: ti fa ubriacare” risponde, per poi stappare anche quella di Assenzio, e quando lo fa, le mie narici vengono inondate dal suo fortissimo odore di alcool. Fortissimo e intenso. Tanto che mi sembra di essere già ubriaco senza neanche averne bevuto un goccio.
“Quest’Assenzio ha molti anni. Quindi dovrebbe avere tra i sessantanove ed i settantatré gradi” riferisce, versando il distillato fino a quasi tre quarti del bicchiere.
Dal canto mio, continuo ad ascoltarla senza proferire parola. Preferisco rimanere in silenzio ad ascoltare, prima di esporle il mio parere. Ma a quanto pare, lei ha tutt’altri piani.
“Non è assurda” mi confessa, riappoggiando la bottiglia di Assenzio accanto all’altra e al cofanetto quadrato.
“Cosa?” le chiedo, mentre l’odore di alcool sta divenendo sempre più forte, tanto da farmi girare la testa, ma permettermi ancora di formulare una frase o un pensiero sensato, per così dire. A che si riferisce?
“La tua teoria, non è assurda” risponde, illuminando una piccola frazione di quella zona oscurata dal dubbio, ma non del tutto; e prendendo tra le sue mani il bianco cofanetto accanto al bicchiere contenente una specie di cocktail dall’altissimo tasso alcolico.
Provo a deglutire ma non ci riesco, ho come un nodo alla gola.
Inoltre, ho anche una strana sensazione nello stomaco, che non so come interpretare. Mi sento… strano, ecco.
“Vedi” continua, rigirandosi l’oggetto tra le dita. “Ieri, mentre leggevo una rivista, c’era un articolo che trattava proprio dell’Assenzio e del suo alto tasso alcolico. Così, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata il Baijiu, e l’effetto che i suoi quaranta gradi, insieme ai suoi enzimi, hanno su un corpo vittima di apoptosi e allo stesso tempo anche di telomerasi. Allora ho pensato che, se un tasso inferiore ai cinquanta gradi può riportarti al tuo corpo originale, allora se gli aggiungessi una parte di Assenzio al contenuto di un normale antidoto-”
“Potrebbe avere efficacia” la precedo io, sta volta. La vedo sbuffare, sicuramente scocciata per il fatto di essere stata interrotta. Così torno in silenzio e la lascio finire in pace.
“Esatto. Ho pensato che aggiungendo l’Assenzio al Baijiun e la base dell’antidoto contro l’APTX, il composto potesse avere efficacia, durare di più e magari riuscire anche a moderare la riproduzione delle cellule nel tuo corpo ed accorciare di poco il tuo DNA impiegando meno tempo degli scorsi e rendendo il processo di mutazione più lento ma allo stesso tempo più doloroso. Nonostante tutto, però, sappi che la percentuale di mortalità è molto più elevata di prima,dato che il composto è molte volte più forte e potente per via dell’Assenzio. Potresti non farcela e morire nel momento esatto in cui l’inghiottisci. O addirittura iniziare a sentirti male durante la trasformazione o dopo. In pratica, è pericolosissima. Ma tanto so che lo prenderesti comunque, quindi”conclude, facendomi spallucce e passandomi poi il cofanetto che fino a poco fa stava tra le sue dita, ed intimandomi con un gesto del capo di aprirlo. “Ah e, questa non è la seconda condizione, ma la scoperta” aggiunge, mentre afferro l’oggetto e torna alla sua posizione iniziale: il divano.
Sento il mio corpo ricevere una strana scarica, la sensazione di prima crescere, i miei occhi cominciano a brillare davanti a tutto ciò; ma nonostante tutto, ho paura.
Ho paura che tutto ciò possa rivelarsi un sogno.
Ho paura che tutto ciò che sta succedendo me lo sia solo immaginato, che lei mi abbia detto tutt’altro e che io stia facendo tutto da solo.
Ho paura che sia un’illusione, punto.
Sembrerò patetico, melodrammatico, banale, codardo, ma… è così, ho paura, e non posso farci niente.
“Non è un sogno” prova a convincermi Haibara, sicuramente, dopo avermi visto indeciso sull’aprire il cofanetto o meno. Sta seduta sul divano, con il viso verso il mio, e gli occhi riversi sulle mie mani, o meglio, ciò che sta tra loro.
La guardo e sbuffa, seccata dalla mia indecisione.
“Che c’è? Di solito eri tu a rubarmelo e ora che sono io a dartelo e addirittura incoraggiarti a prenderlo sei pure indeciso?” aggiunge, insieme ad una smorfia annoiata, per poi voltarsi e tornare a leggere la sua amata rivista di moda.
Istintivamente, penso anche al suo avviso sull’alto tasso di mortalità e mi rendo conto che, fosse stato un sogno, me l’avrebbe dato senza fare tutte queste storie.
Che se fosse stato un sogno, magari me l’avrebbe dato senza tutti questi giri di parole e spiegazioni su come l’ha creato, o anche solo attesa. E ciò mi porta alla conclusione che non sto sognando, è tutto vero. C’è davvero la possibilità che io possa tornare Shinichi, il detective dell’est.
Di poter stare affianco alla donna che amo da due vite, ormai.
Che forse tutto tornerà come prima…  
Che per quanto io sappia che è solo un prototipo, la speranza, come la possibilità, c’è.
Sì, c’è. C’è e ce l’ho proprio tra le mie mani; come la mia intera vita, che ora si ritrova nel piccolo e candido cofanetto tra di esse, in un piccolo e apparentemente stupido ed insignificante oggetto: l’antidoto.
Sorrido, e, finalmente, decido di aprirlo ed inghiottire la piccola pillola contenuta in essa, per poi prepararmi alle fitte che tra poco cominceranno a lacerarmi il cuore, ma solo in modo superficiale, perché in fondo, quello che si prova per poter raggiungerà la propria felicità, in un certo senso, non è dolore, ma solo una piccola cicatrice che col tempo guarirà. Che di fronte ai suoi occhi, sparirà, lasciando di sé solo un ricordo, vago e lontano.
 
                                                                                             ***
 
 
“Sh-Shinichi”
Sì, in fondo, ne è valsa la pena.
Soffrire per questo è stato come scalare una montagna ma poi riuscire finalmente a raggiungere la vetta, la cima.
Soffrire per questo è stato come tirare via un dente, o come quando una madre dà alla luce suo figlio; soffri al momento, è vero, ma poi il dolore passa, rimanendo solo un ricordo, un semplice e insulso ricordo.
Soffrire per poter poi scorgere la felicità illuminare a poco a poco i suoi occhi divenuti spenti per colpa mia, mi fa sentire appagato, mi fa dimenticare tutte le pene provate qualche ora fa.
Mi fa sentire felice. Come da tempo non lo sono più stato.
Mi fa sentire vivo, come da dieci anni non mi sono più sentito.
E senza neanche accorgermene, le punte delle mie labbra s’incurvano verso l’insù, sollevando con sé anche il mio animo, alleggerendo il mio cuore.
Sì, sorrido, un sorriso sincero però, non malinconico o falso come quelli che ho dovuto inscenare negli ultimi cinque anni, di fronte a coloro che mi stavano accanto.
No.
Questo è davvero un sorriso, è davvero una manifestazione di gioia… non è una semplice incurvatura delle labbra, ma un segnale che la mia anima vuole mandare al mondo esterno, a me.
La vedo assumere un’aria stupita quanto felice, per poi mutarla in altro dopo la mia risposta.
“Ciao… Ran”









* Il Baijiun è quel liquore cinese che Hattori dà a Conan nell'episodio 048- Il diplomatico/ File 92 del manga. Nella versione italiana viene chiamato Baigan o qualcosa di simile, non ricordo bene ^^" Ma in realtà si chiama Baijiun, e ne ho le prove! xD

Nana's Corner:
Minna Konnichiwa!!!!!!! :D
(Il chap è narrato in prima persona da Kudo ;) )
Ok, in anzitutto, ringraziate Paddy-chan se ho pubblicato oggi xD
Secondo, ho una spiegazione al mio anticipo: sei delle otto verifiche che dovevo fare sono state cancellate o rimandate a settimana prossima u.u 
Cmq, ora parliamo del chap.
Sì, secondo me manca qualcosa anche qui, non so cosa però ^^"
Ah, e ora, la vostra cara Nana cercherà di spiegarvi un pò la storia dell'antidoto u.u (sappiate che se ne uscirete ancora più confusi di prima, beh... sì, NON è colpa mia xD)
Allora, partiamo dall'Assenzio: l'Assenzio è un distillato che è stato reso illegale (ora, se lo è ancora non lo so, wikipedia non me l'ha scritto, o forse sì e io non sono andata a vedere, boh ^^") proprio perchè il suo tasso alcolico è ALTISSIMO, ed è proprio per questo che a Shinichi girava la testa soltanto sentendone l'odore. Ha un colore sul verde o qualsiasi sfumatura la clorofilla gli da, di cosa è fatto non ricordo bene ma dall'anice sicuramente, e può variare dai quaranta fino ai settantacinque gradi, dipende quanto tempo è stato lasciato chiuso a... come si dice? Ah si, fermentare e distillare (?).
L'apoptosi invece è un processo di morte cellulare programmata. Infatti, l'abbreviativo APTX deriva dalla parola apoptoxin. In teoria, è una specie di tossina che impedisce alle cellule di moltiplicarsi e le uccide lentamente senza lasciare tracce. (se non avete capito, questo è il link:
 http://it.wikipedia.org/wiki/Apoptosi )
Poi abbiamo la telomerasi. La telomerasi fa sì che le cellule non muoiano mai e così previene l'invecchiamento. Allunga anche le estremità del DNA (mentre invecchiando, le estremità s'accorciano) e moltiplica a dismisura e più velocemente le cellule nel corpo di un umano o essere vivente ecco. (il link per questo invece è: http://it.wikipedia.org/wiki/Telomerasi)
.... Neh, si vede che ho passato gli ultimi quattro giorni a studiare ste due malattie, vero? u.u .... xD
Bene, ora passiamo veramente al chap.
Com'é??? è orrendo come lo trovo io??? Fa schifo??? L'antidoto è più che assurdo??? Kudo è sdolcinato??? Vi prego, ditemelo perchè io sono veramente in ansia!!!!!!!!!!!!! >.<
Ah, e... il composto dell'antidoto?? :')
La reazione di Kudo??
Io credo sia tutto banale... cioè, non mi riesco a spiegare perché ho fatto tornare ventisettenne Kudo -.-" Ed io che volevo fare qualcosa di non banale T.T (si, se oggi sembro depressa è colpa di mio padre xD Quando mi sveglia lui succede sempre così ^^")

Ma ora, ecco a voi l'angolo preferito della mia neechan xD Metantei's Corner!:
Primo: Cos'è la seconda condizione, a questo punto?
Secondo: che succederà nel prossimo chap?
Terzo: Che succederà tra Shinichi E Ran nel prossimo chap??
Quarto: E volevo anche dirvi che dalla lista dei "sospettati" per aver manomesso la Beretta di Gin dobbiamo togliere Hattori, ma aggiungere Shuichi Akai. (questa non è una domanda ma caso mai vorreste ipotizzare qualcosa di nuovo ^^)
Ah, in  quanto lo special.. dai, vi aiuto: Hattori e Kazuha non centrano niente, il particolare è un altro ;) Sto diventando brava, dai! Ora rispondo! :D

Ed ora passiamo ai ringraziamenti:
Grazie di cuore a Pan17, Hoshi Kudo, aoko_90, _Vero_chan_, Shana17, Kaori_, shinichi e ran amore e KeynBlack per aver recensito lo scorso chap. A R I G A T O !!!!!!!!!!!!! <3<3<3<3<3
Grazie ad arilu97, KeynBlack e robyroby_chan per aver inserito la storia tra le seguite. Sempre più lettori *^* Voglio piangere per la felicità ç___ç
E grazie anche a chi legge solamente e che, oggi, voglio incoraggiare a lasciarmi una recensione ^^ Anche critiche, ma mi piacerebbe sapere ciò che pensate di questa fic ^^

Dato che questo corner comincia a sembrare una OS xD
Vi lascio, con la speranza che il chap non abbia fatto poi così schifo come credo io. Grazie per aver letto!!!!!!!

XXX,
Nana


Ps. So che il chap è corto rispetto agli scorsi, ma è perchè l'ho diviso in due parti e perché così non vi ho confusi (spero D:) 
Cmq la seconda condizione verrà svelata nel prossimo ^^

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Capitolo 10
*** La seconda condizione (Terza parte) ***


                                             Capitolo dieci
                                         La seconda condizione (Terza parte)
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…“Ciao… Ran”….
 
La saluto, dolcemente, come in vita mia non ho mai fatto. Mentre lei, ancora a bocca aperta, dilata le sue dolci e chiare pupille, shockata, lasciando che una piccola e amara lacrima solitaria le righi il perfetto e pallido viso; per poi, sorridermi, dolcemente, privando i lampadari appesi nel corridoio della loro luce, e rubando anche al sottoscritto un sorriso.
Il tempo intorno a noi sembra essersi fermato, dandoci la possibilità di vivere questi piccoli istanti al meglio; dandoci la possibilità di stare insieme più tempo possibile, estraniandoci dal mondo intero e pensare solo a noi. A Ran e a Shinichi.
Ma il tempo non può fermarsi, è in movimento costante. Non lo si può fermare, cambiare o modificare a nostro piacimento, né lo si può riavvolgere come il nastro nero di una pellicola, né lo si può mandare avanti e saltare quegli attimi che, del film che stiamo guardando, non ci piacciono. O almeno, così dicono.
Sì, dicono, perché ormai ho imparato –a mie spese- che a questo mondo nulla è impossibile. Nulla.
C’è chi crede che non si possa regredire, ma io, sono la prova del contrario.
C’è chi dice che non esistono farmaci o tossine miracolose che possono modificare a proprio piacimento il tuo aspetto, la tua età, la tua vita… ma io, posso provarne il contrario.
C’è chi ascoltando la mia storia, potrebbe ridere e rispondermi che tutto questo è irreale, che cose del genere succedono solo nei film, nelle serie tv, in televisione, in sintesi; quando in realtà, è tutto vero; io ho davvero rinunciato a tutto, alla mia vita, mutandola in odio e dolore, fino a renderla monotona, fino a capire che la vera felicità è il suo sorriso, la sua risata, la sua felicità… sapere che la donna che amo sta bene.
 Ma poi, c’è anche chi crede che la vita sia ingiusta, che il destino molto spesso sa essere infame, che nulla nella vita è mai come la vogliamo ma che comunque dobbiamo cercare di combattere, di ottenere ciò che vogliamo, di realizzare i nostri sogni, e di non soccombere di fronte alle difficoltà. Ed io, sono tra questi, in parte.
Io, credo che anche il grigio può colorarsi d’arcobaleno; come il buio può illuminarsi con la luce; come il nero può schiarirsi con il bianco… come io posso addolcirmi di fronte ai suoi occhi.
E come il mio cervello può andare in tilt soltanto guardandola. Come il mio cuore può pompare il sangue nelle mie vene più velocemente facendomi automaticamente surriscaldare ad un suo contatto.
Contatto…
Senza nemmeno rendermene conto, le mie gambe si avviano da sole verso di lei, verso la mia Ran, verso un contatto, verso la vita.
Sì, so che tutto ciò che sto facendo è sbagliato, ma se ormai mi ha visto, che senso ha nascondersi ancora?
Che senso ha continuare a farsi trasportare da questo vortice di menzogne, dolore e tristezza quando ho la possibilità di uscita?
Che senso ha torturarsi e farsi trasportare dai sensi di colpa e il dovere quando di fronte a te c’è tutto ciò che hai sempre desiderato, sognato e bramato? Nessuno, appunto.
Sono a poco più di due metri distante da lei, dalla mia felicità, quando l’atmosfera viene spezzata dal loro arrivo, il momento viene rovinato dalle loro urla e nell’aria, quel silenzio riempito dai nostri soli pensieri, si dilata.  Mi volto, e nel farlo, non posso che sbuffare: arriverà mai il nostro momento senza avere interruzioni?
“KUDOOO!” l’urlo di un uomo robusto, dai folti baffi, giubbotto e cappello di tonalità tra arancione e giallo, che dal corridoio alle mie spalle mi viene incontro con una mano alzata e due agenti dietro.
Sbuffo. Di nuovo.
Avrei preferito non essere interrotto. Ma mi volto lo stesso e vado a salutare l’individuo che si avvicina sempre di più a me con un leggero movimento della mano, è un finto sorriso stampato sul volto.
“Megure!” urlo, fingendomi felice di averlo rivisto dopo tempi immemori, quando in realtà, l’ho visto appena settimana scorsa nei panni di Conan durante un caso.
Ma lui non sembra nemmeno captare il mio quasi tono scocciato e, in pochi secondi, mi ritrovo vittima di un abbraccio collettivo, di un ispettore che mi scompiglia i capelli e di un sopracciglio inarcato a coronare la mia fronte.
Semplicemente perfetta, come situazione. Imbarazzante e straziante al tempo stesso.
“Quanto tempo! Sono passati cinque anni dall’ultima volta che ti sei fatto vedere! Che fine avevi fatto?!” Continua a ripetermi l’ispettore, senza mai togliere la mano dalla mia testa, dai miei capelli; mentre gli altri poliziotti sciolgono l’abbraccio.
Mi guardo un po’ attorno intontito e spaesato dalle molteplici domande ed esclamazioni di tutti gli agenti che riempiono questi pochi metri quadrati del corridoio mi pongono. Alcuni li riconosco pure. Ci sono Sato e Takagi di fronte a me, mano nella mano, felicemente sposati, mentre lui continua ad arrossire ogni volta che la moglie lo sfiora soltanto. Chiba qui alla mia destra, con la pancia grande quanto sette giorni fa e un sorriso a trentasei carati stampato sulle labbra. Poi alla mia sinistra agenti che non ho mai visto in vita mia, e più in fondo, posso riconoscere Shiratori, Yamato, Uehara e Yamamura che corre verso di noi e perde l’equilibrio, cadendo miserabilmente a terra, tanto per cambiare.
Tutti intorno a me scoppiano in una fragorosa risata, per poi tornare ad assalirmi di domande, di cui molte non le ho nemmeno capite, visto che parlano uno sopra l’altro e sembra stiano facendo a gara per chi urla più forte.
È una tortura. Sul serio. Soprattutto perché a me, sinceramente, i loro pensieri non interessano, gli unici ad avere questo privilegio sono i suoi, sono i nostri.
Repentinamente, volto il capo per guardare negli occhi la donna che poco fa stavo andando a raggiungere e che è sempre presente in ogni mio sogno, in ogni mia fantasia, e le sorrido amaramente, dispiaciuto, come se stessi andando a chiederle scusa per l’interruzione degli agenti; e lei il motivo della mia espressione l’ha captato subito, a quanto pare, perché con leggero movimento del capo mi fa intendere un “non fa niente”, e poi sorride, contagiando anche me.
Sì, quando sorride, è bellissima. Quando le sue labbra prendono ad incurvare gli angoli all’insù, ha la capacità di mutare una pessima giornata in quella più bella della mia vita.
Ha la capacità di farmi sciogliere come un gelato al sole.
“Continuiamo dopo” le dico, muovendo semplicemente le labbra senza emanare alcun suono.
“Ok” mi risponde, nel mio stesso modo, senza mai smettere di sorridere e permettere, a turno, che una lacrima le solchi il viso, mentre con il dorso della mano, cerca continuamente di asciugarle.
La guardo per qualche secondo ancora, per poi tornare a donare tutta la mia attenzione agli agenti, detective e poliziotti attorno a me. Uno in particolare però, se la prende tutta per sé.
Pelle olivastra, occhi color smeraldo che, come una furia, si avvicina sempre di più al sottoscritto, con uno sguardo che non promette niente di buono e le mani serrate in pugni: Hattori.
Mi osserva un po’ spaesato, sicuramente non si sarebbe mai immaginato che sta sera avrebbe visto Kudo Shinichi e non il piccolo Conan; per poi guardarmi in faccia e sbuffare.
“Potevi dirmelo, no?” mormora, con sguardo scocciato e con il suo tipico accento del Kansai. Sì, forse almeno a lui avrei potuto dirlo; in fondo, è il mio migliore amico.
Per tutta risposta, mi limito a ridere nervosamente, allungando un braccio dietro la testa, come sono solito a fare.
Lo vedo sospirare, rassegnato, ma lo stesso con un’espressione scocciata dipinta sul suo volto; per poi avvicinarsi al mio orecchio e coprirlo con una mano.
“Dopo, quando loro non ci sono” mi bisbiglia, andando poi ad indicare con il capo tutti gli agenti intorno a noi, Ran e Kazuha. “voglio delle spiegazioni, chiaro?”
Con uno sguardo ormai più serio che seccato, si scansa un po’ dal mio orecchio in modo da guardarmi in faccia mentre gli rispondo, ed io, mi limito ad annuire, assumendo la sua stessa espressione, per poi tornare entrambi a far parte della specie di ritrovo o bentornato che la polizia mi sta dedicando.
E alla vista tutto ciò, nonostante esteticamente ho incurvato le labbra in una smorfia annoiata, non posso che sentirmi felice. Ho di nuovo tutto; anzi, forse tutto sta ritornando come prima, a prescindere dai dieci anni che sono passati; a prescindere dai cinque anni in cui non mi sono più fatto sentire né vedere; loro mi ricordano ancora.
Sorrido.
Sì, bentornato a casa, Shinichi.
 
                                                                                              ***
 
“Fujio Yamamoto, ventotto anni” annuncia l’agente Takagi, davanti al cadavere in mezzo al corridoio, con un piccolo taccuino tra le mani.
“Causa della morte?” gli chiede Megure, mentre intorno a sé alcuni poliziotti della scientifica scattano delle foto al cadavere, e cercano più indizi possibili che ci possano portare magari alla soluzione del caso.
“Sparo” rispondo io al posto dell’agente; piegato accanto al corpo esanime della vittima, con dei guanti in lattice aderenti alle mie mani e lo sguardo rivolto verso la piccola cavità nella parte alta e sinistra del suo petto; ed Hattori di fronte che annuisce alla mia affermazione. “Deve essere morto da poco, poiché il sangue fuoriuscente dal suo petto e ancora liquido e caldo, deduco”
“Mm” si limita a sibilare l’ispettore, per poi voltare lo sguardo verso i tre sospettati: Chita Yamada, ventinove anni, amica della vittima ed aspirante scrittrice; Haruki Ayashi, ventotto anni, il suo migliore amico nonché collega di lavoro; infine Maki Maeda, ventisette anni, ex fidanzata e truccatrice esperta. Tutti e tre, compresa la vittima, sono di Tottori, venuti a Tokyo per una gita tra amici e alberganti in questo stesso hotel per una settimana ancora. “Chi di voi l’ha trovato per primo e ha urlato?” domanda poi, con sguardo serio, rivolgendosi ai tre. Si scambiano sguardi preoccupati e terrorizzati, come se avessero paura di rispondere e di dire la verità; ma poi, una di loro, Yamada, si volta finalmente verso di noi e alza l’indice mormorando un quasi incomprensibile “io”.
Il più anziano –Megure-, mi rivolge uno sguardo come per cercare conferma dal sottoscritto, il primo tra di noi ad aver raggiunto il luogo del delitto; ed io, annuisco.
“Sì e vero” aggiungo, alzandomi e avvicinandomi a loro. “Quando sono arrivato qui c’era lei di fronte al cadavere che urlava, gli altri sono appena arrivati” rispondo, ripescando intanto gli eventi dalla cronologia della mia mente.
Ricordo che stavo controllando i corridoi e avendo sentito un urlo provenire da uno parallelo al mio mi sono precipitato sul posto per vedere cosa fosse successo. Arrivato, la prima cosa o persona che ho visto è stato il cadavere steso al pavimento di Yamamoto; accanto a lui invece, in piedi e con un’aria terrorizzata dipinta sul suo volto, c’era Yamada, solo Yamada. Gli altri sono arrivati durante i festeggiamenti della polizia per il mio ritorno e, una volta ricordatoci del cadavere, ci siamo ricomposti tutti quanti e abbiamo cominciato ad indagare.
Sposto il mio sguardo da un viso all’altro. Sono sicuro che il colpevole sia uno di loro tre, ma chi di preciso non ci sono ancora arrivato.
Entrambi avrebbero un motivo valido per uccidere Yamamoto: Maeda, essendo la sua ex, potrebbe averlo ucciso per vendetta, visto che da quel che ho capito, è stato lui a lasciarla; Ayashi invece, essendo colleghi di lavoro, potrebbe essere che uno dei due è stato declassato e l’altro ha preso il suo posto, andando così a crearsi dell’astio tra loro; oppure Yamada, potrebbe averlo ucciso lei magari perché rifiutata o magari per altro.
Con le dita vado a strofinarmi il mento, mentre comincio a far lavorare i meccanismi del mio cervello continuando ad ipotizzare teorie sulla morte della vittima.
Non abbiamo molti indizi purtroppo, ed è proprio per questo che il caso m’intriga, mi emoziona, mi appassiona. Perché in fondo, si sa, il bello delle investigazioni e dei casi è proprio questo.
Perché si sa, i fili scarlatti del delitto si aggrovigliano nella matassa incolore della vita, ed è nostro dovere dipanarli, isolarli e scoprirli ad uno ad uno.
A questo pensiero, decido così di allontanarmi un attimo e tornare al mio posto: vicino al cadavere.
Vedo Hattori ancora intento a cercare qualcosa tra gli abiti o le tasche della vittima, e mi piego accanto a lui per poter vedere se ha scoperto qualcosa, magari.
“Allora? Scoperto qualcosa di nuovo?” gli chiedo, mentre lui, con le mani coperte da guanti in lattice bianchi, va a curiosare tra le tasche della giacca indossate dal cadavere.
“No, niente purtroppo” mi risponde dopo qualche secondo, con tono amareggiato e deluso, andando poi a scrutare per l’ennesima volta il corpo della vittima centimetro per centimetro, e a ricontrollare il piccolo foro con un proiettile conficcatoci dentro.
Fortuna che Ran e Kazuha hanno ascoltato il nostro consiglio e sono tornate alla festa, non credo ce l’avrebbero fatta a rimanere lucide o non perdere i sensi di fronte ad una visione del genere.
Già, Ran…
Sorrido al solo pensiero che dopo potrò essere finalmente con lei, da soli, come Shinichi, e potrò finalmente parlarle, consolarla o anche solo sfiorarla come Shinichi.
Ma poi mi ricordo delle circostanze in cui mi trovo e che non è il momento più idoneo a certi pensieri, e così torno ad investigare insieme al mio amico e a cercare qualche indizio sulla vittima stessa.
Sembra normale, se togliamo il proiettile nel petto. Non ha segni di aggressione, il suo corpo ha cominciato ad irrigidirsi da poco, dato che quando l’avevo visto all’inizio –più o meno mezz’ora o quarantacinque minuti fa- era ancora caldo, o almeno, tiepido, per così dire.
Provo a spostare la mano in più posti, magari per trovare qualche anomalia bisogna ricorrere al semplice tatto; e nel farlo, noto un piccolissimo e quasi invisibile foro sul dorso della mano sinistra. Lo guardo meglio: sembra esser stato fatto ore fa.
“Kudo, trovato qualcosa?” mi chiede Hattori, con il suo solito accento marcato, notando il mio sguardo serio mentre alzo di più il braccio del cadavere per poterlo osservare più accuratamente, e notarne anche l’insolito odore di menta proprio in quella zona.
“C’è un foro”
“Che?”
“Un foro, un foro! Sul polso, qui” rispondo, facendo ruotare di poco il punto interessato in modo da fargli comprendere il concetto, per poi sbuffare e tornare ad osservarlo da me.
“Che centra un foro adesso? Potrebbe esserselo fatto per sbaglio, magari con una spilla o-”
“Un ago…” sussurro, sotto lo sguardo ancora più spaesato di prima di Hattori.
Automaticamente, provo a ricordare la posizione iniziale del cadavere, prima che gli agenti e il detective accanto a me lo toccassero, e sì, le braccia non erano dritte e parallele, attaccate al corpo, ma intorno alla gola.
Il foro sul braccio e l’appena notabile odore di menta mi fanno pensare che gli sia stata somministrata una dose di tetrodotossina, minima, però. 
Provo a toccare quella piccola imperfezione sulla sua pelle e sembra già sul procinto di ricongiungersi e richiudersi; simbolo che è stato applicato un paio di ore fa.
Ed ecco che una nuova ipotesi, più credibile delle altre, inizia ad espandersi nei miei neuroni, impossessandosi del mio cervello e dominando sugli altri pensieri.
Mi alzo di scatto, avvicinandomi di nuovo agli agenti, Megure e i tre sospettati, di cui uno o meglio, una, sta litigando proprio con loro.
“Vi ho detto che non sono io la colpevole!” sbraita, con gli occhi colmi di lacrime.
“E allora che ci facevi accanto al cadavere a quell’ora e in quel corridoio?” insiste l’ispettore, mentre l’altra continua a piangere e a cercare di far cessare qualsiasi sospetto da se stessa.
“Avevamo un appuntamento per quell’ora.. ero semplicemente andata da lui come prestabilito..”
“Quindi non era con voi?” m’intrometto, comprandomi l’attenzione di chiunque si trovasse in quei pochi metri quadrati.
“No. L’ultima volta che l’abbiamo visto era questo pomeriggio, a pranzo” mi risponde, mentre l’amica si avvicina a lei e cerca di calmarla in qualche modo, rassicurandola con parole dolci e passandole un fazzoletto con cui potersi asciugare le lacrime.
Li guardo un po’ spaesato, in cerca di spiegazioni, e così mi risponde Maeda, lasciando un attimo l’amica e cercando di elencare gli eventi delle ore precedenti nell’ordine di cronologia esatta.
“Sì, stavamo pranzando quando ad un certo punto una donna sulla trentina non si è avvicinata a noi e se ne sono andati”
“Una donna sulla trentina?” domando, incerto e confuso. La donna si limita ad annuire.
“Dovevano discutere su qualcosa d’importante, credo. Ma prima di andare via ha detto di ritrovarci tutti qui durante la festa per i poliziotti, ecco perché avete trovato qui Chita-chan, appena arrivati” mi risponde, con tutta calma, per poi tornare a consolare l’amica.
Una trentenne.. che si sarebbero dovuti dire quei due? Perché tutte queste ore?
“Ehm.. sa per caso che dovevano dirsi o il nome di quella donna?” le chiedo, di nuovo, mentre la vedo alzare lo sguardo, cercando di ripescare qualcosa dalla sua mente, per poi battere un pugno sulla mano soddisfatta dopo qualche secondo.
“Di cosa dovevano parlare non lo so, però la chiamata con il nome di un liquore italiano, non ricordo bene il nome del liquore stesso ma credo fosse italiano” mi confida, sorridendo ingenuamente.
Spalanco gli occhi, permettendo anche alle mie pupille di dilatarsi e al terrore d’infondersi nuovamente nel mio corpo, colorandolo di grigio, di nero.
È lei, ne sono certo.
Tutto intorno a me cambia, inizia a girare, inizia a sfumarsi, rendendomi la vista assai debole, impossibilitandomi da qualsiasi pensiero o emozione che non sia il terrore.
Aveva ragione, c’era davvero qualcosa di strano a questa festa, ed ora i tasselli del puzzle stanno infatti cominciando a ricongiungersi ad uno ad uno, come fossero calamite, andando ad oscurare pian piano il sole che sovrano veglia e risplende su di noi, andando ad irrigidire e privare di vita tutti quei piccoli particolari che colorano il mondo. Andando a spegnere quella flebile e debole fiamma che teneva ancora acceso il mio animo.*
 
                                                                                           ***
 
Dannato. Maledetto. Incosciente. Sfortunato. Illuso.
Solo a me possono succedere cose del genere.
Solo io so essere tanto sciocco da farmi illudere dal destino, da lasciargli tutta la mia vita tra le mani con un sorriso da ebete stampato in faccia e lasciarmi abbindolare dai miei stupidi pensieri come un emerite cretino.
Io, io solo.
Appoggio i miei gomiti alla parete color arancione pallido, andandomi intanto ad auto maledirmi mentalmente.  Di nuovo.
“Stupido..” impreco verso me stesso, a bassa voce.
Se lei è qui, vuol dire che assieme ci sono anche tutti gli altri, tutti i corvi.
No, non è lei a farmi paura, io sono silver bullet, Ran è la sua Angel, non ci farebbe mai niente; ma gli altri invece, loro sì che sono pericolosi, loro sì che possono riconoscere me e Ran, soprattutto dopo l’episodio del Beika Center Building **. Anche se, che mi vedano come Shinichi o come Conan, il sottoscritto è lo stesso ricercato da quei criminali; uno perché è il sopravvissuto alla loro tossina, l’altro perché, seppur per errore, stava per essere ucciso proprio da Gin, e si sa, pur di tapparti la bocca, i criminali ricorrono a questo: omicidio.
Perché in fondo, loro sono esseri immuni a qualsiasi tipo di sentimento, sono sadici, amanti del dolore, egoisti, senza nemmeno un briciolo di buon senso o di compassione verso le loro vittime.
Esseri privi di anima, si potrebbero definire; o dal cuore di ghiaccio, volendo.
Sbatto un pugno sulla parete, di nuovo.
Avrei dovuto ascoltarla, sin dall’inizio. Ora sono in pericolo tutti, se solo uno di loro mi ha sorpreso con qualcuno, quel qualcuno potrebbe essere la loro prossima preda, potrebbe essere la prossima formica da schiacciare facilmente con una scarpa, potrebbe essere la povera gazzella preda del maestoso leone… e così via con metafore e contrari naturali e normalissimi del nostro mondo.
Continuo a maledirmi mentalmente, fino a quando qualcosa di caldo e familiare non si appoggia sulla mia spalla.
Al tocco, sussulto, per poi voltarmi di scatto in modo da poter scorgere la provenienza di quel calore, di quel piccolo raggio di luce che riesce comunque a penetrare nel solido e gelido cubetto di ghiaccio.
“Ah, sei tu..” sospiro, intravedendo la figura di Hattori con un sorriso dolce ed insolito da parte sua, a colorargli il viso.
“Sì, sono io. Perché, chi ti aspettavi? Ran per caso?” ironizza, provando ad allietare la tensione che io stesso ho creato. Sbuffo. Hattori e le sue battute cretine. Ma decido lo stesso di voltarmi verso di lui, appena azzarda un’espressione preoccupata e ansiosa, accasciandomi con la schiena alla stessa parete che poco fa si è sorbita il mio sfogo. Beh, a quanto pare un po’ tutte le pareti, ultimamente, se lo subiscono, comunque.
“Sempre meglio di te” improvviso, cercando di mutare la nostra ansia in ironia, vera.
“Kudo… che sta succedendo?” mi chiede, senza nemmeno abbozzare un sorriso alla mia quasi battuta, in cerca di risposta dal sottoscritto.
Sospiro. Per poi incrociare le braccia al petto e spiegargli almeno perché me ne sono andato via, così, da quel corridoio sotto gli sguardi stupiti di tutti.
“Non possiamo svelare il nome del colpevole” mi limito a rispondergli, rimanendo sul vago. Perché in fondo, so che lui l’ha capito che dietro tutta questa storia ci sono loro, si capisce dalla sua espressione. “Heh.. aveva ragione Haibara, a quanto pare” aggiungo dopo, con una punta di amarezza nelle mie parole.
“Haibara? Che centra lei con tutto questo? Perché aveva ragione? Kudo, mi spieghi che sta succedendo per una buona volta?” mi domanda a raffica, dandomi il tempo di rispondergli solo dopo aver finito le sue molteplici domande.
Gli rivolgo uno sguardo che sa un po’ di tutto, di tristezza, rassegnazione, speranza, vuoto, e chi più ne ha più ne metta. Sì, ha ragione, me ne rendo conto, anzi, lo so e l'ho sempre saputo: dovrei parlargli di più, confidargli di più, perché in fondo, è il mio migliore amico, e gli amici servono a questo, no?
“Il dottor Agasa ha ritirato due giorni fa l’invito a questa festa e Haibara, venendo a sapere di una festa per i poliziotti, così, senza un motivo ben preciso, ha iniziato ad insospettirsi” inizio a spiegargli, mentre intorno a noi regna il silenzio totale, rotto di tanto in tanto solo da qualche risata proveniente dalla festa che si svolge in vicinanza. “Mi ha chiesto così di accompagnarla e di controllare che non ci fosseroloro dietro tutta questa storia, almeno per tranquillizzarsi; ma a quanto pare, loro centrano qualcosa purtroppo” termino, lasciandomi sfuggire un sorriso amaro.
Siamo tutti in pericolo, per colpa mia, di nuovo.
Se avessi ascoltato le parole di Haibara forse almeno Ran non lo sarebbe. Forse non sarei dovuto andare al Beika Center Building con lei, non avrei dovuto assecondare le condizioni di un pazzo, e poi non rispettare quelle della mia migliore amica.
Mi aveva semplicemente chiesto di non espormi troppo almeno fino a quando non avessimo avuto prove concrete che l’organizzazione centrava qualcosa con questa festa, ed io, invece, grazie ad un caso, mi sono fatto vedere da mezza Tokyo, fingendo di dover andare un attimo a vedere una cosa e lasciarla da sola in un edificio pieno di uomini che la vogliono morta.
Che idiota che sono.
Ma tutto sommato,a pensarci bene, se non avessi fatto tutto ciò non sarei io.
Se avessi rispettato la seconda condizione datami da quella ragazza –ormai donna-, non sarei stato io.
Se non fossi andato al Beika Center Building, con Ran o meno, non sarei stato io.
E infondo, non avrei vissuto tutto questo, non avrei ritrovato un piccolo raggio di luce a risplendere nell’oscurità che si era iniziata ad infittire all’interno del mio cuore, del mio cervello, dei miei organi e di ogni mia piccola e singola cellula.
No, non sarebbe stato da me, punto.
I miei pensieri però, vengono nuovamente destati dalla stessa persona di prima, Hattori, che mi obbliga così ad abbandonare questo mio momento di riflessione e tornare a seguire lui.
“Kudo, non ho capito bene, se loro sono qui, tu allora perché sei venuto alla festa come Kudo Shinichi?”
“Haibara aveva trovato un antidoto contro l’APTOX e così, ha voluto darmelo lo stesso, a patto che io non mi sporgessi troppo durante le nostre ricerche sta sera, ma per colpa di un caso a cui non so neanche che chiusura possiamo dargli, ho rovinato tutti i suoi piani”
“Giusto, a proposito del caso” prende parola, cambiando leggermente il tono di voce mutandolo in uno più calmo e sicuro di prima. “Il liquore italiano sarebbe il Vermouth, non è così?” mi chiede, azzardando un sorriso soddisfatto.
Sono sul procinto di rispondergli, quando qualcosa, o meglio, qualcuno, m’impossibilita dal farlo.
“Shinichi” mi chiama, con quella voce che riconoscerei tra mille, con quel suo solito sorriso disegnato divinamente sul suo viso. “Posso parlarti?” mi chiede, ricordandomi così ciò che le avevo detto poco prima.
La guardo, acconsentendo, ma poi guardo anche Hattori, il mio migliore amico, e gli rivolgo un sorriso dispiaciuto ma che sa al contempo di “Lasciaci soli”.
Lui ci guarda torvo, sì, purtroppo detesta essere interrotto e poi cacciato pure via; per poi accasciare pure lui la schiena a un muro lì vicino e guardarci con un ghigno divertito –o meglio definito come “sguardo da deficiente”- e buttare giù le prime cavolate che gli sono passate per la mente nel lasso di pochi secondi, ovvero, quelli da lui impiegati per fare questo semplice movimento.
“Andarmene? No, non ci penso proprio. Se avete qualcosa da dirvi, ditevelo davanti al sottoscritto, o avete qualcosa da nascondere per caso?” azzarda, mentre entrambi –io e Ran- lo guardiamo prima con stupore dalla cavolata appena detta, poi dopo, di sottecchi. Tsè, se qualcuno facesse una cosa del genere quando lui è con Toyama, apriti cielo, io con Ran.. avete qualcosa da nascondere per caso?... a volte mi chiedo se lui è davvero il mio migliore amico, o se la notte non dorme proprio perché la passa a pensare alle cavolate che il giorno dopo andrà a dire alla gente.
“Niente da dirvi? Bene, allora Ran grazie ma io e Kudo stavamo facendo un discorso in privato, a dopo” aggiunge dopo qualche minuto di silenzio, per poi beccarsi occhiataccie truci, torve.. sì, è proprio un cretino, e ora ne ho la conferma.
Ma poi, l’atmosfera viene magicamente spezzata da una donna dai capelli lunghi e corvini, che come una furia si scaraventa contro il povero –si fa per dire- Hattori.
“BAKA! Che vuoi che vogliano fare due persone che non si vedono da cinque anni? Giocare a sudoku?! BAKA!” gli urla contro, senza lasciargli nemmeno il tempo di replicare che prendendolo da un orecchio se lo trascina via, ignorando completamente le lamentele del suo futuro sposo, per poi bloccarsi accanto a Ran e mormorarle qualcosa all’orecchio, facendola arrossire visibilmente, e lasciare infine il corridoio affiancata dal detective dell’ovest.
Io e Ran, tornata di un colore più sul rosa che rosso, ci scambiamo uno sguardo scioccato e spaesato allo stesso tempo, per poi scoppiare entrambi a ridere.
Sì, quei due sembrano proprio una coppia di comici, neppure a ventisette anni sono cambiati, e non credo cambieranno mai, comunque.
Passiamo ancora qualche secondo tra le risate, per poi zittirci di colpo una volta incrociati i nostri sguardi, una volta che i nostri occhi si rivedano riflessi in quelli dell’altro, una volta che –senza nemmeno accorgermene- mi sono ritrovato ad una minima distanza da lei.
Entrambi, lasciamo che i nostri visi prendano inizialmente una sfumatura paonazza, rossa, per poi abbandonarci ad un sorriso dolce e reciproco. E poi, il silenzio.
Un silenzio che può apparire assoluto quando in realtà ci stiamo dicendo tutto. Perché noi due, in fondo, non abbiamo bisogno di parole per capirci. Non abbiamo bisogno di parlare per parlarci. Non abbiamo bisogno di fiatare per sentirci. Non abbiamo bisogno di niente, se non di noi due. E se qualcuno mi chiedesse come una cosa del genere possa essere possibile, io non riuscirei neanche a rispondere. Perché in fondo, non è facile esprimere l’inesprimibile. Lo dice sempre anche lui, te lo dico sempre anch’io.
Ma questo silenzio, però, potrebbe benissimo esser risparmiato per questa volta, e farsi riciclare quando davvero ne abbiamo bisogno. Non ora, non oggi, ma magari domani potrebbe servirci.
Continuo a guardarla, dritto nei suoi bellissimi occhi azzuro-lilla, per poi mormorarle quelle tre semplici parole che sicuramente vorrebbe sentire da me, in questo momento, dopo più di cinque anni d’assenza e tre in cui non mi sono fatto nemmeno sentire.
“Mi sei mancata”
Mi guarda prima perplessa, come se non riuscisse a trovare le parole adatte per rispondermi, ma dopo questo piccolo attimo di smarrimento, inizio ad intravedere una certa lucidità ricoprire le sue dolci iridi chiare, ed una piccola goccia cristallina andare a rigarle il volto, seguita poi da altre, che man mano formano un pianto dove però ad ogni lacrima l’amarezza cala, e la gioia cresce.
Ed io, colpito da questa visione, decido di dare vita a quel contatto tanto bramato, andando a cingerla in un abbraccio con cui coprirla dal male e proteggerla dal dolore… uno scudo, in pratica.
Si lascia andare a qualche lacrima ancora, per poi cominciare a contribuire al mio abbraccio e circondarmi con le sue esili braccia, affondando il capo nel mio petto, ed inebriandomi del suo profumo.
Fa passare ancora qualche minuto, per poi cessare del tutto il suo pianto o i singhiozzi, e rispondere a ciò che poco fa le ho confidato, nonostante la mia non fosse una domanda ma un’affermazione.
“Mi sei mancato anche tu” sussurra piano, chiudendo gli occhi nel momento in cui io comincio ad accarezzarle i capelli, per poi aggiungere altro: “Mi hai fatto preoccupare non chiamandomi più, lo sai sì?”
Assottiglio gli occhi, appoggiando il mento sul suo capo. A questa domanda potrei rispondere anche appena uscito da un coma; nessuno meglio di me può sapere che ha patito in questi ultimi anni per via delle mie chiamate che ormai non arrivavano più, per via di un ragazzo che l’ha lasciata per andare a risolvere casi in giro per il Giappone, per via di ogni cadavere che ultimamente inaugurava ogni sua giornata.
Sì, la risposta a questa domanda la so, e non posso che rivelargliela; perché almeno in questo, voglio che lei sappia la verità.
“Sì lo so, e non sai quanto mi fa male ricordarlo”
 
Rimaniamo così per qualche minuto.
Io inebriato dal suo profumo; e lei, con gli occhi ancora chiusi, che si lascia coccolare dalle mie carezze come fosse un cucciolo smarrito in cerca di un po’ d’affetto.
Solo grazie a lei, sono riuscito a dimenticare tutto ciò che ho combinato in queste ultime quarantasei ore; solo grazie a lei, sono riuscito finalmente a rivivere e potermi permettere di toccarla come Shinichi, senza il bisogno di dovermi nascondere o di preoccuparmi che una bottiglia di vetro vuota mi si spacchi in testa… o almeno, la seconda potrebbe andare nella categoria dei forse, nel caso esistesse, perché con oji-san, non si sa mai.
La sento stringersi sempre più a me minuto per minuto, come se avesse paura che io la lasciassi di nuovo sola, come se stesse cercando una prova che le dimostrasse che tutto ciò non è un sogno, che è tra le mie braccia adesso, è tra le braccia di Shinichi, del suo maniaco di misteri. Ed è proprio vero. Sono un maniaco dei misteri, li amo, m’intrigano e mi prendono sempre di più quando l’incontro, e una prova sei proprio tu Ran. Sì, tu. Il mistero più grande ma al contempo dolce che io abbia mai scontrato… il giallo più interessante ma al contempo pieno d’indizi nascosti e sparsi qua e la che io abbia mai letto… semplicemente, la mia Ran.
E a questo pensiero, il fabbisogno di un contatto diverso del semplice abbraccio, comincia ad espandersi pian piano nella mia mente, mentre con lo stesso ritmo comincio a scostare un po’ il capo dal suo mento, solo per poterla adulare in tutta la sua bellezza.
Mi soffermo sulle labbra rosee e sottili, deglutisco. Ed ecco che il pensiero di prima torna, torna ma ancora più potente di prima.
Dopo una manciata di secondi, decido finalmente di assecondarlo, cominciando ad alzarle il mento con le dita.
Ma ancora prima di fare qualsiasi cosa, ecco che una piccola complicazione bussa alla porta ed entra senza nemmeno aspettare di avere il mio permesso: una fitta.
È forte, violenta, e passa velocemente il mio cuore, facendomi quasi soffocare.
Poi un’altra, più violenta ancora e che mi obbliga a serrare le labbra con i miei stessi denti pur di non farmi sfuggire alcun gemito o urlo, almeno non di fronte a Ran.
Un’altra.
Ed ecco che qui la mia stretta su di lei si stringe, con il solo problema che la poveretta, non capendo il motivo nella mia improvvisa e ulteriore stretta, ne risponde con un’altra.
Ran..
Ecco, un’altra lama trapassa il mio cuore come un lampo, facendomi però sfuggire un gemito, purtroppo.
“Shinichi… qualcosa non va?” inizia a preoccuparsi la mia amica, sentendo anche il mio respiro affannarsi. Scioglie di poco la presa, mentre io, colpito da un’altra fitta, inizio a tenermi il cuore, ansimando rumorosamente, e con l’altra mano, a stringermi sempre di più a lei.
Lei che, vedendomi cadere a terra e lasciarsi andare insieme a me, continua ad urlare il mio nome.
Che vedendo il dolore rispecchiarsi nei miei occhi, comincia a preoccuparsi.
Ma io, ormai, non capisco quasi più niente, non sento quasi più niente, se non quel dolore lancinante che ad intermittenza mi taglia il cuore.
Sfrutto questi ultimi attimi di lucidità, la guardo e sorrido, seppur con fatica. Sarei voluto rimanere di più, avrei voluto dirle di più… non avrei voluto che lei vedesse questo.
E nuovamente, i miei pensieri vengono interrotti da un’altra fitta, sempre più potente di prima.
Mi stringo il cuore, e con quel poco ossigeno che mi rimane, le sussurro ciò che da anni voglio dirle ormai: “Scusami… Ran”






*Nel capitolo 4 (la cena perfetta... o quasi), Shinichi paragona lui e Ran alla fiamma della candela del loro tavolo, ricordate? Ok, molto probabilmente no.
** Ran è anche lei in pericolo perchè nei capitoli 5 (quando il pericolo si concretizza) e 6 (il buio) Gin e Vodka l'hanno vista, insieme a Conan, e quindi rivedendola potrebbero ucciderla per assicurarsi che non vada a dire in giro che stava per sparare a Conan.

Nana's Corner:
Minna konnichiwa!!! :D
Muahahahahahaha! (?) Credavate che i due piccioncini sarebbero riusciti a stare insieme, a baciarsi, a vivere per sempre felici e contenti? Sbagliato! u.u
*vedo i pomodori arrivarmi addosso*
Gommen gommen! >.<
Ma purtroppo lo sapete come sono fatta, metto complicazioni ovunque xD
Ma prima di dire altro, vi spiegherò perchè sono in ritardo: il chap è davvero lungo, il più lungo che io abbia mai scritto in quasi quattro mesi da scrittrice xD 5694 parole e otto pagine piene di Word... e poi se calcoliamo anche alcuni problemi con: com'è morto quello? E le verifiche di biologia...
Va beh, ma ho aggiornato oggi, almeno ^^
Allooooooooora, com'è il chap? Piaciuto?? Noioso??? Il caso è banale???
Cmq, parlando del caso, so che non avete sicuramente capito perchè sparare ed avvelenare una persona allo stesso tempo, ma tranquilli, vi verrà spiegato, prima o poi xD
Ah e, per l'odore della tetrodotossina (il veleno dei pesci palla)... non so se è veramente la menta ^^" Ho chiesto un po' in giro e addirittura su yahoo answer xD Ma l'unica risposta che ho avuto è stata menta quindi che sia giusta o sbagliata chiudiamo un occhio per questa volta, ok? ^^"
Cmq, ora sappiamo che dietro questa festa c'è qualcuno, che Vermouth è l'omicida di Yamamoto e Hattori... com'è la parte in cui Hattori non vuole lasciare soli i due piccioncini??? xD
E la parte ShinxRan??? è sdolcinata??? L'ho scritta male??? Fa schifo???
PLEASEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!! Ditemelo!!! Non sapete come sono in ansia >.<
Ah, la seconda condizione.... avete capito qual'è, sì?

Ok, passiamo al Metantei Corner che è meglio xD
Primo: Che ci fa lì Vermouth?
Secondo: come farà il nostro Kudo adesso?
Terzo: Ran scoprirà la sua vera identità??

Bene! Ora passiamo ai ringraziamenti invece:
Grazie di cuore ad Hoshi Kudo, Shana17, Kaori_, _Vevi, Pan17, KeynBlack, aoko_90, shinichi e ran amore e 88roxina94 per aver recensito lo scorso chap; Arigatou per dedicare alla mia long sempre un po' del vostro tempo ç___ç
Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia nelle seguite, preferite e ricordate, arigatou!
Ed infine grazie anche a coloro che leggono solamente.
Grazie a tutti! Se non fosse per voi mi sarei già fermata al secondo chap :')

Beh, ora vi lascio. So benissimo che da sto corner non si capisce un cavolo, ma purtroppo sono di fretta ^^"
Cmq, grazie lo stesso per aver letto! Grazie grazie! :D
Alla prossima!!


XXX,
Nana Kudo.

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Capitolo 11
*** Rotten Apple ***


                                                     Capitolo undici
                                                                    Rotten Apple
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….. Mi stringo il cuore, e con quel poco ossigeno che mi rimane, le sussurro ciò che da anni voglio dirle ormai “Scusami… Ran”…..
 
Felicità..
Che significato ha questa parola nel nostro mondo? Che significato ha di albergare tranquillamente nelle nostre vite, nei nostri pensieri, nei nostri sogni e desideri quando in realtà non è altro che un’illusione? Un’emozione che rimane elusiva, che, come un pesce fuor d’acqua e appena pescato, non si può afferrare e tenere salda e stretta tra le tue mani, impedendole di scappare e lasciarti di nuovo povero, lasciandoti per un periodo di tempo –che a volte può diventare eternità- privo di autostima, della voglia di combattere, di rialzarti e di riprovare a raggiungere di nuovo la vetta di quella montagna conosciuta a noi con il nome di desiderio, di sogno?
Che senso ha? Che senso ha davvero la felicità? Perché ci tiene così tanto ad illuderci? Perché per una volta non si fa afferrare da qualcuno? Perché si diverte ad affiancarsi al dolore e all’odio facendoci soffrire così tanto quanto soffro io ora, in questo preciso istante? Perché si diverte tanto? Perché? Perché è così ostinata sul restare un’emozione elusiva?
Penso, ancora in ginocchio, in mezzo a quel corridoio spettatore del mio sfogo, della mia scoperta e della mia riconciliazione –se così si può definire- con Ran; fino a quando l’ennesima fitta non sorpassa veloce come un fulmine il mio cuore lasciando in esso un’altra cicatrice ancora più profonda delle precedenti, facendomi sentire come se stesse cominciando a sanguinare e ad impregnare tutto il mio corpo e la mia anima di sangue, quando in realtà so benissimo che questo dolore è fisico, sì, ma non del tutto.
Dolore. Spasmi. Fitte.
Le uniche sensazioni che sovrane regnano nel mio corpo che minuto per minuto sta divenendo sempre più debole. Che ormai ha perso qualsiasi suo senso.
Che ormai non sente più nulla se non i miei gemiti, un mio urlo strozzato o bloccato ancor prima di poter solcare la soglia della cavità orale, morendomi così in gola ma infondendomi lo stesso quella sofferenza contenuta in esso per tutto il mio corpo.
Che ormai non riesce nemmeno più a vedere, se non i pavimenti ed i muri che intorno a me continuano a girare ad una velocità allucinante, se non delle larghe chiazze nere in contrasto con delle sfumature colorate in sottofondo.
Che ormai non riesce nemmeno più a muoversi, impedendomi così di alzarmi e, con una scusa, lasciare qui Ran per andarmi a rifugiare in un posto lontano da tutti e da tutto, dove le mie urla non possano arrivare ai timpani di nessuno se non ai miei, o anche semplicemente un qualsiasi posto che possa impedirle di scoprire la verità nel peggiore dei modi, di vedere Shinichi –l’uomo che ama- trasformarsi e regredire in Conan –il suo fratellino-.
Ma a quanto pare è inutile esasperarsi. A quanto pare il dolore si sta divertendo talmente tanto da non riuscire nemmeno a provare un lieve senso di pietà, di compassione dinanzi alla mia immagine inginocchiata e dolorante sul freddo e duro pavimento di questo hotel.
Provo a non pensarci e vado ad asciugarmi con il dorso della mano sinistra quelle infinite gocce di sudore che mi ricoprono la fronte, che me la bagnano così come bagnano quei pochi ciuffi corvini che mi ricadono ribelli su di essa; per poi riportarla alla vita di Ran nel momento esatto in cui è lei, con un morbido e profumato fazzoletto di stoffa, ad asciugarmela.
Chiudo gli occhi.
Non so perché ancora non sia tornato Conan, perché il dolore è così insistente e caparbio da non capire che in un certo senso i suoi metodi di farmi soffrire sono quasi inutili. Ma so che comunque, per il momento, e per ancora un periodo di tempo a me non specificato, sono e sarò Shinichi, solo Shinichi. E a me sta bene così, in un certo senso.
Il fazzoletto, che ricopre la sua calda ma al contempo delicata mano scende fino alla mia guancia, asciugandola via un movimento che a me pare più una carezza.
Sorrido, per quanto mi possa essere possibile con tutto questo dolore a lacerarmi anima e cuore; per poi lasciarmi sfuggire un urlo strozzato all’arrivo di un’altra fitta.
Stringo forte il tessuto della mia camicia proprio sul petto, in alto a sinistra, sul cuore, con la mano destra, stropicciandola ulteriormente ma non ci do molto a caso.
Per qualche istante cala copioso il silenzio in questa piccola area, per poi voltarci momentaneamente le spalle appena un’altra fitta mi colpisce il muscolo cardiaco; portandomi a far forza con i denti sulle mie stesse labbra, inducendole a sanguinare, pur di non farmi scappare un altro urlo e farla preoccupare.
Mi accascio di più a terra,fino a quando una dolce e melodiosa voce non sorpassa il suono o rumore che il mio dolore emana.
“Scusa per cosa, Shinichi?” mi chiede Ran, con un sorriso estremamente dolce ad illuminarle il viso, spezzando finalmente il silenzio di poco fa.
Con gran fatica, provo ad aprire –anche se di poco- un occhio, facendo cadere una goccia di sudore che stava accovacciata sulle mie ciglia, facendola involontariamente frantumare al contatto con il gelido pavimento.
Ricambio il suo sorriso, sempre con non poca fatica, per poi ricogliere un po’ d’ossigeno e rispondere alla sua domanda.
“Scusa… per tutto”
Lei mi guarda dapprima un po’ confusa, per poi scuotere il capo facendomi intendere che non c’è bisogno di scusarsi, abbozzando un sorriso dal sapore dolce quanto malinconico al tempo stesso, e continuando ad asciugarmi il sudore dal viso con il suo –ormai completamente bagnato- fazzoletto bianco.
“Si invece che c’è n’è bisogno” replico, prima che un’altra fitta possa di nuovo colpirmi. Una fitta che riporta a galla tutti quei ricordi che io stesso mi ero impegnato a sopprimere e a nascondere in quei piccoli spazzi vuoti nel mio cervello, pur di non soffrire ulteriormente…
 
“Scusa Ran, va avanti tu intanto!”
“Aspetta!”*

 
“Mi ha di nuovo lasciata sola…” inizio a vedere delle gocce cristalline crearsi agli angoli dei suoi occhi socchiusi, mentre con amarezza, abbassa lentamente lo sguardo. Mi sento in colpa.
“Ran… Ran-neechan... c’è un’altra cosa…”  provo a dirle, in modo da tirarle su il morale in qualche modo, utilizzando quel mio ormai solito quanto odioso tono infantile.“Shinichi mi ha pregato di dirti che-”
“No! Non voglio sentirlo! Tanto è un bugiardo” mi precede alzando la voce, coprendosi entrambe le orecchie con le mani in modo da non sentirmi, mentre lacrime salate iniziano a rigarle il viso. “Giuro che ormai non ne posso più di tutte le sue scuse”**
 
 “Calmarmi? Ma non lo capisci? Tu sei un detective, no? Se ti definisci tale, allora perché non provi a capire cosa c’è nel mio cuore?! Baka!”***
 
“Non accendere le luci. Non voglio che tu veda le mie lacrime, Conan-kun”****
 
“Shinichi mi ha pregato di dirti… che un giorno, lui starà al tuo fianco per sempre, al costo della vita. Per questo motivo, devi aspettarlo. Vuole che tu l’aspetti con fiducia Ran, lui ritornerà, l’ha giurato”**
 
“Io ne sono certa… ho aspettato dieci anni. Sono certa che posso aspettarne ancora altri dieci”****
 
Continuo ad ansimare, sotto le dolci carezze di Ran. Sì, di motivi per scusarmi ce ne ho, e anche tanti.
Provo a muovere le gambe ma mi rendo conto che ormai è inutile, muscoli volontari o meno, ormai non rispondono più ai miei comandi. Quindi tanto vale cominciare a spiegarle tutto d’adesso, o almeno ci provo fino a quando non inizio a regredire veramente.
Sposto una mano dalla sua vita fino a raggiungere la sua mano appoggiata ancora sulla mia guancia. Trema. La stringo e le porto entrambe così, sulla mia gamba, mentre posso iniziare ad intravedere un lieve rossore andarle a sfumare le gote.
“Shinichi che sta-” prova a chiedermi, ma io non la lascio nemmeno finire che spedito e ancora dolorante per l’ennesima fitta che mi ha colpito, inizio a prepararmi una base prima di dirle tutta la verità, aiutandomi con tutti quei ricordi che giusto un momento fa sono riaffiorati nella mia mente.
“Ran, scusa se quella sera al Tropical Land ti ho lasciata da sola. Scusa se me ne sono improvvisamente andato. Scusa se non mi sono fatto più vedere e sentire, o se quando accadeva era solo per qualche minuto o raramente. Scusa per averti fatto promesse su promesse senza mai mantenerle, però. Scusa per averti fatta soffrire, per averti fatta piangere per tutti questi anni durante la mia assenza e scusa p-per….” Sotto il suo sguardo confuso ma al contempo preoccupato per il mio imminente dolore, abbasso il capo, lasciando che i miei occhi divenuti di una tonalità blu spento, vengano coperti dalla mia frangia bagnata; non posso dirglielo guardandola negli occhi, non ci riesco. Lascio che un’altra fitta mi colpisca, facendomi soffrire come ho fatto soffrire lei per tutti questi anni; per poi stringere di più la sua mano e completare la frase di prima.
“Scusa per… per averti mentito. Ma era per il tuo bene, non volevo che ti accadesse qualcosa Ran. Scusa”
Cade il silenzio.
Niente, anche le mie fitte sembrano essersi bloccate per un attimo. La sua mano calda, che prima stava poggiata delicatamente sulla mia gamba, incrociata con la mia, inizia pian piano ad allontanarsi da essa, infondendole così un improvviso senso di gelo, provocandomi così una nuova fitta.
“Mentito…?” sussurra, con un filo di confusione e insicurezza nella sua voce. “Mentito, hai detto?” mi chiede conferma, sorreggendo il mio viso grazie alle sue dita e avvicinando pericolosamente il suo, che scontrandosi quasi con il mio inizia a prendere una colorazione sul rosso acceso. Nonostante tutto, però, lei rimane nella stessa posizione, senza muoversi di un centimetro, con sguardo serio ed interrogatorio che si rispecchia come un tramonto sul mare nei miei occhi blu, facendo diventare paonazzo anche il sottoscritto.
La guardo, è così determinata… era da tempo che non la vedevo così, che non la vedevo sicura e naturale. Sorrido. In parte è grazie a me se lei è tornata la Ran di una volta. O forse è la situazione?
Mi lascio sfuggire un gemito all’ennesima lama che mi trapassa il petto, per poi raccogliere un po’ di coraggio e risponderle, annuendo semplicemente e fissando quei suoi occhi, così profondi che riescono a comunicare tutte le sue emozione come fossero un libro aperto al mio cospetto.
Un momento d’esitazione. Molto probabilmente di confusione totale, glielo si può leggere guardandola.
Stringo di più la mia camicia, quasi incarnando le mie unghie dentro di essa e di conseguenza della mia stessa pelle: le fitte iniziano a divenire più forti, mi recano più dolore di prima. Sta succedendo.
Le sfumature e le chiazze che prima intravedevo, ora iniziano ad ingrandirsi e ad essere più indiscrete, provocandomi al contempo un mal di testa tremendo.
Il cuore inizia a stringersi e a rigonfiarsi in modo sovrannaturale, mozzandomi il respiro e provocandomi più sudorazione di poco fa.
 Mi fa male… tutto.
No… non proprio adesso…
E a completare l’opera, una voce che mi ricorda che i miei problemi, ed il mio dolore più grande, devono ancora arrivare: Ran.
La sento come se fosse lontana. La vedo con svariate sfumature dal color seppia e nero. E non riesco più nemmeno a sentire la sua mano, così calda e delicata…
“Shinichi… Shinichi!” è lontana… ma così penetrante che i miei timpani la scandiscono perfettamente, in tutta la sua preoccupazione. Preoccupazione, già… non sarà il massimo vedermi svenire e tra poco urlare, mentre il mio corpo comincerà a regredire in uno più piccolo, in quello di un liceale.
“Shinichi! Shinichi che intendi con mentito? Quando mi hai mentito? Shinichi rispondi! Che ti succede?! Shinichi!”
Shinichi
L’ultima cosa che sento, prima che una figura poco chiara alla mia vista appaia alle sue spalle. Prima che lei svenga cadendo così tra le mie braccia. Prima che un urlo esca finalmente dalla mia gola riempiendo quel silenzio creatosi in questo come negli altri corridoi. Prima che anch’io perdessi conoscenza e tutto intorno a me sparisse nel momento in cui le mie palpebre si serrano, facendomi precipitare nel buio totale, di nuovo.
 
                                                                                        ***
 
Alcool.
Storco un po’ il naso, infastidito.
Alcool.
È fortissimo. Mi chiedo da dove possa arrivare tutto quest’odore di alcool, così penetrante e intenso che s’inonda con una facilità incredibile nelle mie narici, e che a momenti mi manda in tilt il cervello. È fortissimo, sì.
Ma non è l’unica cosa che sento. Ce n'è una che pian piano comincia ad affiancarlo, all’alcool: il fumo.
Anch’esso, è fortissimo, tanto da alimentare uno stimolo di tosse in me, che però non viene mai concretizzato. Chi l’ha causato non era da solo, deduco, almeno che non si sia fumato una decina –o anche di più, volendo- di sigarette.
Storco di più il naso, disgustato, sta volta. Questo posto è letteralmente uno schifo. L’alcool e il fumo lo rendono tale.
Continuo ad imprecare contro il fumatore e il bevitore che ha portato i miei neuroni alla confusione totale, fino a quando delle voci non iniziano a sfiorarmi i timpani.
“Ba-ba-ba-baka! Io non ho mai detto questo!”
“Se se, come no! A momenti ti dispiacevi e deprimevi solo perché quel cretino se n’è andato all’improvviso!”
Le sento lontane, ma comunque abbastanza alte da poter giungere ai miei timpani delicati, al momento protetti da una specie di barriera sottile ma resistente che impedisce a qualsiasi suono o rumore di oltrepassarla. Sembra stiano urlando, i due appartenenti delle voci, o meglio, forse stanno proprio litigando.
 “Ma sei cretino?! È ovvio che mi dispiaccia! La mia migliore amica ne è innamorata da anni! Secondo te come avrei dovuto reagire?!”
“Cretino a chi?!”
In un certo senso, mi suonano famigliari… molto, famigliari… mi sembra di averle già sentite, e anche spesso..
“A te, a te! E a chi sennò?”
“Ah ma sentila! Qui l’unica cretina sei tu che sbavi dietro ad ogni ragazzo che vedi! E poi sarei io il cretino, tsè!”
Silenzio.
Per un attimo non sento più niente, se non uno strano suono che sembrano essere singhiozzi, da parte di lei. Forse inizio a capire che sta succedendo.
“Scusa, ho esagerato” una voce che, sicuramente, appartiene a lui. Sembra amareggiata, e il tono è molto più basso rispetto a prima.
“La sai una cosa, Heiji? Fottiti!” risponde, o meglio, sbotta l’altra, con la voce impastata dai singhiozzi e che, dopo nemmeno un minuto, esce dalla stanza in modo abbastanza brusco, sbattendo la porta alle sue spalle e provocando un tonfo incredibile.
Ora capisco chi sono: Hattori e Toyama; e a giudicare dall’odore nauseante di alcool e fumo che alberga in questa stanza, deduco siamo all’agenzia Mouri o a casa, nella camera che condivido assieme a Kogoro; e che i due di cui stanno parlando e di cui quel tonno è geloso siamo proprio io e Ran.
Ran…
Già, chissà dov’è adesso, e cosa ne sarà di noi ora che mi ha visto trasformare. Se mi odierà, se mi perdonerà, se non vorrà più vedermi..
In un certo senso, ho paura. Ho paura di aprire gli occhi, ora, e scontrarmi con la realtà. D’assistere alla materializzazione di un altro mio incubo senza poter farci niente, e alla mia vita e felicità che vanno a pezzi, frantumandosi come uno specchio in mille e più schegge.
Chiudo le mani in pugni, mentre stringo forte tra di esse le lenzuola che mi ricoprono fino a metà petto, cercando di allietare un po’ la tensione, l’ansia e la paura che lentamente mi hanno scalfito l’anima.
Già.. ho paura… ho paura che tutto diventi solo un vago e lontano ricordo, e che lei non mi voglia più vedere. Ecco di cosa ho paura, di perdere tutto e rimanere povero, senza nemmeno più quel sentimento che spinge ogni essere umano a cercare di afferrare quella felicità che altro non è che un’illusione, un piccolo trucco ben costruito e progettato che solo alla fine si rivela essere tale.
Ma so che in fondo, non posso rimanere così per sempre, lo so benissimo; prima o poi dovrò uscire da questa piccola barriera che al momento mi protegge, smontandola mattone per mattone come fosse una costruzione, e scontrarmi con il mondo reale, scontrarmi in modo a me ancora ignoto con la realtà, lottare e rialzarmi ogni qualvolta mi capiterà di cadere.
In fondo, se ci sono riuscito per dieci anni, perché non dovrei riuscirci anche adesso?
E infondo, se ci riesce quel cretino di Hattori a farsi perdonare ogni volta da Toyama, allora perché non dovrei riuscirci anch’io?
A questo proposito, pensare all’umore del mio migliore amico mi viene spontaneo, naturale. Così, lentamente, provo a dischiudere gli occhi, con non poca fatica.
Ci tento più volte, ma ad ogni una sento le palpebre appesantirsi, oppure, vedo semplicemente una luce bianca e accecante colpirmi in pieno. Certo, non sono più abituato a tenerli aperti.
Inizio a sentire la voce di Hattori che, dopo aver probabilmente visto i miei vari tentativi di riaprire gli occhi, comincia a ripetere il mio nome, con una vena di gioia nella sua voce.
Sorrido lievemente, e con fatica, ma posso lo stesso sentire una risata fuoriuscire dalla sua cavità orale. Che sia stato privo di sensi per molto?
Incoraggiato dal mio migliore amico, strizzo un po’ le palpebre, per poi aprirle piano piano, socchiudendole appena quando un forte raggio di sole mi accarezzava. Sole… è vero, ormai siamo a metà aprile, manca poco al caldo, manca poco all’estate.
Poco dopo, sono finalmente riuscito ad aprire per bene gli occhi, e, prima di fare qualsiasi cosa, pongo una mano dinanzi ai miei occhi… già, è proprio quella di Conan…
Sospiro, rassegnato. In fondo i sintomi erano quelli; che mi aspettavo? Che ciò che è successo ieri fosse semplicemente un sogno? Che al mio risveglio mi ritrovassi nel mio vero corpo, come Shinichi?
Che illuso che sono.
Ormai dovrei averlo capito che il destino sembra non essere dalla mia parte, che si sta divertendo con me, non è una novità, infatti, le cose vanno avanti così da dieci anni.
Sospiro, rassegnato, di nuovo. Meglio non pensarci, tanto farlo non cambierà niente comunque.
Abbasso il braccio, liberando la mia vista da quell’ostacolo. Sposto lo sguardo un po’ in giro: avevo ragione, sono in camera mia, ecco perché l’odore di alcool. Posso anche notare che non sono nel mio futon ma nel letto di Oji-san, alto e dal materasso comodissimo –anche se comunque qualsiasi cosa è meglio che dormire per terra, su una sottospecie di materasso-, e accanto ad esso scorgo la figura di Hattori, seduto su una sedia al lato sinistro del letto, con braccia conserte e labbra incurvate in un sorriso raggiante.
“Buongiorno” azzarda, una volta che mi sia seduto sul letto. Lo guardo un po’ confuso, per poi accennare un sorriso.
“Come ci sono arrivato qui?” gli chiedo, mentre accompagnato da uno sbadiglio, mi strofino un po’ la manica della camicia sugli occhi ancora mezzi addormentati.
“Ieri sera, ad un certo punto Haibara è venuta a chiamarci e con una scusa, cercando di non farci vedere, abbiamo preso un taxi e vi abbiamo riportati a casa. Eravate entrambi svenuti, per questo non ricordi” mi risponde, mentre alzandosi si avvicina un po’ alla finestra per osservare un’insolita Beika silenziosa di mattina. E i mille petali di ciliegio che, come una cornice e delle decorazioni su un albero di Natale, la addobbano e la rendono ancora più bella di quello che già è.
Dalla mia postazione, osservo il suo cambiamento d’umore ogni qualvolta un piccolo petalo color confetto cade leggiadro dinanzi ai suoi occhi, che a quella vista, si assottigliano donando al suo viso un’espressione triste, malinconica e, se non erro, anche un po’ dispiaciuta; e la ragione, non può che essere quella.
“Le passerà” provo a rassicurarlo, mentre sudato e accaldato, mi sfilo la cravatta dal collo e sbottono con poca delicatezza alcuni bottoni della camicia, lasciandola un po’ aperta in modo da poter prendere più aria, e non sentirmi soffocare.
“Lo so” mi risponde, voltandosi nella mia direzione con un candido petalo tra le dita. Lo guarda con sguardo dolce, tanto da colpirmi ed intenerirmi; ma allo stesso tempo incuriosirmi.
“Allora perché hai questa faccia, soprattutto quando vedi un petalo di ciliegio?”
“Sai, a volte penso che non dovrei trattarla sempre così male. Forse ogni tanto un complimento o qualcosa di carino potrei dirglielo” sussurra appena, ma con un tono che arriva facilmente alle mie orecchie.
Lo guardo e non posso che sorridere.
“Hattori” lo richiamo, mentre lui si volta a guardarmi appena sente nominare il suo nome. “Parlagli di Kyoto, della bambina e che è lei il tuo primo amore, vedrai che cambierà idea” gli suggerisco, mentre un sorriso sincero torna ad albergare sul suo viso.
“Kudo, in realtà io-”
“A proposito, Ran dov’è?” lo batto sul tempo, alzandomi dal letto ed indossando le mie comode quanto calde pantofole ai piedi.
Lo vedo sbuffare, com’è solito a fare, mentre quella sua caratteristica espressione scocciata torna sul suo viso, mandando così via quella dolce e gentile di poco fa.
“È nella sua stanza, fino a poco fa dormiva ancora”
“Grazie Hattori” gli intimo, avvicinandomi alla porta. “Ah, magari va a riconciliarti con Kazuha, già che siete soli…” gli suggerisco, mentre il suo viso viene istantaneamente colorato di un rosso acceso.
“T-Torna a farti gli affari tuoi, moccioso!” sbotta, con una faccia che lo rende solamente ridicolo e un tono di voce che dovrebbe essere incavolato, quando in realtà, alle mie orecchie, suona in tutt’altro modo.
“E va bene, e va bene” provo a calmarlo, mentre le risate escono da sé dalla mia bocca, senza neanche darmi possibilità d fermarle. Mi spinge fino a fuori a stanza, per poi sbattermi la porta in faccia proprio come la sua fidanzata ha fatto poco fa con lui.
Tsè, tanto con o senza il suo aiuto da lì già ci stavo uscendo, quindi.
 
                                                                                             ***
 
Lentamente, faccio pressione sulla maniglia della porta, emanando quel tipico scricchiolio che le porte producono aprendosi. Quando è ancora socchiusa, butto un po’ lo sguardo in giro, per assicurarmi che non ci sia nessuno, e soprattutto, che ci sia lei; e con mia grande felicità, noto fin da subito che la stanza è completamente vuota, non c’è anima viva, e che Ran, giace addormentata sul suo letto.
“Ran…” sussurro, mentre un sorriso colmo di gioia illumina di poco il mio viso ormai sopraffatto dal dolore e dalla tristezza.
Senza far rumore, o almeno, provandoci, entro in questo piccolo spazio di paradiso, alimentato solo dal suo respiro e dal suo profumo dall’aroma così dolce e delicato, chiudendomi la porta alle mie spalle, sempre cercando di non destarla dai suoi sogni.
Sposto ancora un po’ lo sguardo in giro. Per qualche strano motivo, la sua camera mi trasmette sempre delle sensazioni strane: sembra un misto di dolcezza e malinconia, ma non so perché mi capita sempre e solo chiudendomi tra queste mura. Forse sono solo le emozioni che prova più spesso nella vita… per colpa mia.
Scuoto la testa al solo pensiero, cercando di allontanarlo da essa, riuscendoci.
Lentamente, avanzo verso il suo letto, fino a raggiungerlo e riuscire finalmente ad osservarla da vicino, in tutta la sua bellezza.
Mi siedo accanto a lei, sul bordo del letto, in modo da poterle stare vicino, e da poter constatare che sta bene. Sospiro, sollevato, tornando poi a donarle tutta la mia attenzione, sfruttando quest’occasione dato che non so quale sarà la sua reazione una volta aperti gli occhi, se mi vorrà ancora accanto o meno.
Già, chissà..
La sento russare e rido, distraendomi così dai miei pensieri; mentre con una mano vado a scostarle i capelli dal viso, liberandole la fronte e scoprendole gran parte di esso da quei piccoli fili color castano scuro che la scurivano, mostrandola perfetta ai miei occhi, senza niente a nasconderla.
È così bella quando dorme, m’infonde tenerezza con quel suo viso coronato da un’aria indifesa e ai miei occhi, da bambina. Forse è proprio per questo che Oji-san la reputa ancora tale, nonostante abbia ventisette anni, ormai.
Le accarezzo dolcemente la guancia, come lei ha fatto qualche ora fa con me, quando dolorante e in mezzo al corridoio di un albergo, lei è rimasta al mio fianco per tranquillizzarmi senza mai lasciarmi solo, nemmeno per un attimo.
Socchiudo gli occhi.
Sono fortunato ad avere un’amica come lei, è vero.
“E te ne sono grato, Ran. Grazie per non lasciarmi mai, qualsiasi cosa accada… grazie” le sussurro all’orecchio, per poi scoccarle un semplice bacio sulla guancia, in segno di gratitudine, dando così occasione alle mie, invece, di arrossarsi al solo sfioro, per poi contagiare tutto il resto del viso al contatto con la sua delicata e soffice pelle.
“Oh ma che scena sdolcinata, Romeo. Mi fai venire la nausea soltanto guardandoti” una voce femminile proveniente da dietro le mie spalle, e che nel giro di pochi secondi, mi fa colorare il viso di una tonalità porpora tanta la vergogna.
“H-Haibara?” chiedo con voce tremante, sperando con tutto me stesso non sia Toyama, Eri o mia madre.
“Sì. Sei fortunato Kudo, pensa se fosse stato tuo suocero a beccarti” ironizza, sedendosi sul lato del letto opposto al mio, in modo da potermi vedere in faccia.
Se mi avesse beccato mio suocero? Di certo a quest’ora l’ambulanza sarebbe già vicina ed io già all’altro mondo, questo è poco ma sicuro. Aspetta…
“SUOCERO?!” sbotto, sempre più rosso di prima. La scienziata di fronte a me si limita ad annuire, facendomi leggermente innervosire ricordandomi quell’oca di Sonoko, per poi rivolgermi uno sguardo talmente serio da riuscire a mutare anche il mio.
“Quarantotto ore” comincia, solo dopo essersi assicurata che Ran stesse ancora dormendo. “L’antidoto è durato solo quarantotto ore, significa che la dose dell’Assenzio affiancata dal resto degli ingredienti era o troppa o troppo poca”
“Dovremmo provare un po’ tutte le dosi, giusto?” le chiedo, sapendo già la risposta, e, ovviamente, sapendo già che acconsentirò.
“Esatto” mi risponde, tirando fuori un piccolo pezzo di carta un po’ rovinato per via dell’acqua e di alcuni buchi qua e là. “Sappiamo che una dose di settantacinque ml circa, aggiunta al vecchio antidoto, ti fa restare nel tuo corpo per quarantotto ore, quindi dovremmo provare ad aggiungere e diminuire di poco la dose ad ogni antidoto, e vedere ciò che ne uscirà fuori. Ovviamente sarai tu stesso a provarli, te la senti?”
“Sì” rispondo sicuro, per poi spostare nuovamente il mio sguardo su Ran, rimanendo così in silenzio per qualche istante. “Sei stata tu a portarci qui, non è così?” le chiedo, mentre nella mia mente riaffiora quel vago ricordo di una figura alle spalle di Ran, mentre lei mi cadeva addosso senza sensi. Allora lei non mi ha visto…
Annuisce semplicemente, mentre con occhi socchiusi osserva la mia mano mentre accarezza i morbidi capelli della mia amica d’infanzia.
“Come hai fatto a trovarci?”
“Dopo più di mezz’ora che non tornavi più dal bagno ho cominciato a preoccuparmi e così sono venuta a cercarti un po’ per tutti i piani ed i corridoi dell’albergo; poi da un invitato avevo sentito parlare di un detective famosissimo di cui non faccio il nome, che stava risolvendo un caso al piano dove si svolgeva la festa allestita appositamente per i poliziotti”risponde seccata, fulminandomi con il solo sguardo, facendomi rabbrividire.
“Ah ecco… riguardo quello…” provo a scusarmi, azzardando una risata nervosa e cominciando a sudare freddo al pensiero di aver infranto la promessa fatta a lei giusto poche ore prima. Che m’invento ora? Continuo a ridere come il cretino, spostando pure un braccio dietro la testa grattandola, come sono solito fare in certe situazioni; e –per mia fortuna- lei deve aver captato il senso di tutto ciò e lascia correre, limitandosi ad un sospiro di rassegnazione.
“Comunque” riprende parola, alzandosi e avvicinandosi alla scrivania alle mie spalle, e prendendo tra le mani un piccolo oggetto che, data la lontananza, non riesco bene a riconoscere. “Non sono stata io la prima a trovarvi, qualcun altro è stato più veloce di me” riferisce, con voce stranamente naturale e lo sguardo attratto da quel piccolo oggetto che gira tra le sue dita.
“Non sei stata te?” domando, un po’ spaesato e con voce che lo trasmette a lei benissimo, in modo più che chiaro.
“No, non sono stata io” ribadisce, spostandosi una ciocca ramata dietro un orecchio e voltandosi in mia direzione, poggiandosi di poco alla scrivania di Ran, ma solo dopo aver rimesso al proprio posto l’oggetto che poco prima aveva attirato talmente tanto la sua attenzione.
“E.. e chi allora?” le chiedo nuovamente, confuso e curioso allo stesso tempo. Anche se la risposta alla mia domanda, sicuramente, non è delle migliori, non è proprio ciò che mi aspettavo.
“Vermouth”
“Cosa?!” urlo, shockato, scordandomi della donna che al mio fianco dorme ancora.
“Sì, quando sono arrivata nel corridoio l’ho vista colpire Ran in modo da farle perdere i sensi e, quando si è voltata, mi ha vista anche lei e ho potuto notare che era travestita”
“Cosa?! E allora come fai ad essere sicura che fosse lei se non hai visto il suo vero volto?!” le chiedo, sempre più confuso di prima.
“Semplice, prima di andare via…”
 
“Gin, Vodka e Bourbon saranno qui a momenti, porta a casa Angel e Silver Bullet in fretta se non vuoi che li trovino loro, e che tu faccia una brutta fine… Sherry”
 
“Non ci voleva una laurea a capire che era Vermouth” conclude con tono ed espressione scocciata, mentre le sue labbra s’incurvano in una smorfia annoiata.
“Bourbon… saranno andati lì per sistemare Yamamoto…” penso a bassa voce, ricordandomi del caso di cui mi stavo occupando fino a quando non ho scoperto che il vero colpevole era proprio lei.
“Perché? Che doveva fare Bourbon?” mi domanda curiosa, alimentando di più questo gioco di domande e risposte a cui io stesso ho dato inizio. La guardo serio, mentre con le dita vado a strofinarmi il mento in modo da ragionare meglio, per poi darle risposta qualche secondo più tardi, spiegandole ciò che ho scoperto investigando con Hattori.
“Quel caso a cui stavo indagando ieri sera” incomincio, spostando lo sguardo fuori dalla finestra ed osservare anch’io quel caldo sole che risplende su di noi, decorato da tanti piccoli puntini rosa che rendono questo cielo uno dei dipinti più belli che la natura ci può donare. “Ho scoperto che alla fine è stata proprio Vermouth ad uccidere la vittima”
“Ah..” si limita a rispondermi, spostando anche lei lo sguardo nella mia stessa direzione.
“A proposito, come si è concluso? Il caso intendo”
“Quando stavamo andando via, ho visto Jodie e Sera avvicinarsi agli agenti. Credo ci abbiano pensato loro”
“Jodie?! Intendi Jodie Starling?”
Annuisce.
“Quindi..” la incito a spiegarmi meglio il tutto. Sono sicuro che lei ha scoperto qualcos’altro, ed infatti, la conferma alla mia impressione la ricevo dopo nemmeno un minuto.
“C’era anche l’FBI ieri alla festa, oltre Sera e Hondou”
“Allora avevi ragione” rifletto ad alta voce. “Sotto quella festa c’era davvero qualcosa di strano, oppure non si spiegherebbe la presenza degli Uomini in Nero, dell’FBI, di Sera e di Hondou”
“Infatti” sussurra, per poi avvicinarsi di più all’unica finestra che illumina questa stanza.
“Dovremmo incontrarla”
“Chi?” mi chiede, confusa, ma senza darlo molto a notare.
“Vermouth” rispondo come se niente fosse, tornando ad accarezzare il viso di Ran, la mia Ran,che a quanto pare non mi ha visto trasformare. Beh, meglio così. Semmai dovesse scoprire la verità voglio che lo faccia in modo diverso,voglio essere io stesso a dirglielo, e non delle fitte.
“MA SEI IMPAZZITO?!”
“No, perché?”
“Ti sembra una cosa normale volersi incontrare con una criminale? E poi come pensi di trovarla?!” sbotta, cercando di nascondere la paura che il solo nome di quel liquore italiano le infonde.
“Non lo so” le dico a bassa voce, per poi zittirla quando le palpebre della donna che amo iniziano ad aprirsi, segno che si sta svegliando.
Sposto la mia mano dal suo candido viso, in fondo sono Conan, in questo momento, risulterebbe strano trovare un liceale in certi atteggiamenti con una donna più grande di lui di dieci anni.
Con un po’ di fatica, e dopo qualche minuto, riesce finalmente ad aprire completamente gli occhi, facendo nascere così in me un sorriso, sincero, ma che si trasforma in terrore dopo che lei mi cinge in un abbraccio e sussurra qualcosa che alle mie orecchie –come quelle di Haibara- arriva come il suono che un disco rotto provoca, come il rumore che un vetro infranto crea alla rottura, facendomi sbarrare gli occhi.
“Shinichi… allora stai bene”




* Ep. 001, file 001
** Ep. 193 (in italia 208), file 260
*** Ep. 621, file 752
**** OAV 9

Nana's Corner:
M-Minna Konnichiwa... *si nasconde*
Lo so, lo so, dire che sono in ritardo è dir poco. Mi dispiace >.<
Solo che venerdì scorso ho avuto l'influenza, mi è passata e proprio dalla serie "sei sfigata", giovedì mattina (questo) mi è ritornata -.-"
E nonostante abbia provato a scriverlo con tutto di febbre, l'avrò riscritto minimo quindici volte ^^"
Quindi... Gommen nasai per il ritardo °>.<° *inchino giapponese*
Cmq, com'è il chap? Lo so che molti di voi mi odieranno per ciò che ho fatto a Kudo nello scorso, ma vi posso spiegare xD 
In teoria il momento ShinxRan, quello vero e proprio, l'ho già pronto e accadrà tra molti chap, solo che se li facevo anche solo baciare nello scorso, avrei così dovuto riscrivere QUEL chap, quindi sono dovuta rimanere un po' in linea con quello, mi dispiace ^^"
Però dai, in questo una sottospecie di bacio c'è stato, no? ;)
Cmq, a quanto pare è stata Vermouth a "salvare" il nostro metantei, ve l'aspettavate? E il fatto che alla festa ci sono anche FBI, Hondou e Sera? E Bourbon, Gin e Vodka? Ah, a questo proposito, credo che più avanti ci saranno spoiler su cose che sono accadute nel manga come la vera identità di Bourbon, chi è Subaru Okiya e poi boh, in teoria io le manga scan non le leggo neanche causa: non ne ho il tempo ^^" Se ho scoperto queste cose e perchè mi sono girata tutta DetectiveConanWorldWiki e senza farlo apposta mi sono spoilerata xD Me baka ^^"
Hattori geloso di Kudo? xD E il finale??? Spero il chap vi sia piaciuto :S
Ok, la smetto con quest'interrogatorio e passo al metantei corner, va xD

Metantei Corner:
Primo: Che ci facevano MIB, FBI, Sera e Hondou a quell'albergo?
Secondo: Come farà Shinichi a contattare Vermouth?
Terzo: Secondo voi, Ran ha scoperto la verità?

Ed ora passiamo ai ringraziamenti.
Grazie di cuore a Shana17, _Vevi, Hoshi Kudo, KeynBlack, shinichi e ran amore, Pan17 ed aoko_90 per aver recensito lo scorso chap. Arigatou gozaimasu!! *^*
Grazie mille anche a ciccio fino e Mocciosa Malfoy per aver inserito la storia nelle seguite.
E grazie mille anche a chi legge solamente. 
A R I G A T O U!!!!!!!!!! 
Chiedo ancora scusa per il mio ritardo e spero mi perdonerete :')
Ora vi lascio (Nd tutti: finalmente!), ci vediamo al prossimo chap!
Grazie ancora per aver letto!!

XXX,
Nana Kudo

Ps. ah, una curiosità. Ma voi il mio nick come lo leggete?? No, perchè siccome una mia amica l'ha letto sbagliato volevo dirvi che in Nana, l'ultima "a" è accentata, solo che non si scrive. ^^


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Capitolo 12
*** Impressioni sotto la pioggia ***


                                               Capitolo dodici
                                                       Impressioni sotto la pioggia
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Un incubo ad occhi aperti… ora sa cosa significa. Non che già non lo sapessi, ma ora è diverso, le circostanze sono diverse, l’artefice di tutto ciò è …diverso.
E se so che non è un sogno, un brutto sogno, è perché in tal caso ora aprirei gli occhi di scatto, spalancandoli, ritrovandomi con la fronte tutta sudata e i capelli appiccicati ad essa; avvolto nelle soffici e calde coperte del mio futon posto ai piedi di un letto più grande e più comodo, mentre ansimi ed echi si dissolvono come ghiaccio al sole per tutta l’area della piccola camera.
Se fosse semplicemente un incubo, riderei, e abbandonerei successivamente il piccolo spazio creato dalle quattro mura della spoglia e povera stanza spettatrice di quest’ultimo, per poi sciacquarmi la faccia con dell’acqua fredda e facendo così scivolare via il ricordo della mia piccola giornata in un mondo parallelo e continuare quella appena cominciata con le labbra incurvate in un sorriso, come se nulla fosse successo.
Ma la verità, ovviamente, è diversa. La verità, non è così rosea come i nostri sogni molto spesso si prospettano e, di conseguenza, presentano; perché la verità non è un sogno.
Nella verità si vive e ci si sveglia proprio come nei propri sogni, ma al risveglio, sarà tutto come prima: niente di diverso, niente di cancellato o dimenticato, e niente di migliorato. Tutto uguale.
E questo è il mio caso. Perché sta volta, nonostante io abbia provato a chiudere e riaprire gli occhi, le parole sono rimaste, continuano ad appesantire l’aria, continuano a rimbombare nelle mie orecchie senza mai fermarsi, mentre il mio corpo è sempre rinchiuso in quella dolce e debole gabbia che le sue braccia, cinte al mio busto, creano.
“Shinichi… allora stai bene”
Strabuzzo gli occhi al solo ricordo di quelle quattro, semplici e normalissime parole che al momento, al sottoscritto, suonano tutto meno che tali. Parole che in sé non hanno niente di strano, d’insolito o di sospetto; ma bensì sono la persona a pronunciarle, quella a riceverle e la situazione ad esserlo.
Già, la persona a pronunciarle
Sposto lo sguardo su di lei, ancora dolcemente stretta a me, e nel farlo, posso notare lo sguardo freddo ma che sotto ne nasconde uno terrorizzato di Haibara. È ovvio; lei, l’artefice della tossina che mi ha fatto tornare bambino dieci anni fa, vede la ragazza dell’agenzia che in un modo o nell’altro mi sta spingendo ad infrangere quella regola che lei stessa mi riponeva sempre ogni qualvolta il pensiero di raccontarle tutta la verità mi sfiorava, e non può fare altro che questo, ormai, probabilmente: terrorizzarsi.
Elementare, Watson!
Esclamerebbe lui, Sherlock Holmes, in questo caso, se potesse sentire i miei pensieri, se fosse reale.
Quasi mi viene da ridere se penso ad Holmes e al suo creatore, Conan Doyle, da cui ho tratto il titolo per questa mia nuova vita costruita su menzogne, crimini e sofferenze. Il nome di colui che mi ha fatto amare gialli ed investigazioni tanto da indurmi a farne parte, risolvendoli, come investigatore privato. Ed il nome di colui che forse mi ha portato ad intraprendere questa vita, se così si può realmente chiamare.
Continuo a torturarmi con i miei stessi pensieri, quando, improvvisamente, sento un rumore provenire dall’esterno, e allo stesso tempo qualcosa battere sul vetro delle finestre. Alzo di poco il capo, e captare al volo la situazione non mi viene per nulla difficile: sta piovendo; le gocce che copiose si aggrappano ai lisci e trasparenti vetri della finestra alle spalle di Haibara, e che dopo pochi secondi iniziano a rigarlo rendendolo eterogeneo lo dimostrano, ne sono la prova. E, sempre quelle piccole lacrime che le nuvole si lasciano sfuggire, non possono far altro che riaffiorarmi alla mente un ricordo a cui forse non ho mai dato molta importanza, ma che ora può dare spiegazione a ciò che sta accadendo, divenendo anch’esso tale, divenendo anch’esso importante.
 
“Che cosa ti è successo, Ran?”
“Hanno cercato di eliminarmi tenendomi la testa sott’acqua. Ma sono così felice, Shinichi, sei venuto a salvarmi” *
 
Ora che ci penso, più volte è capitato che nel dormi-veglia Ran mi abbia scambiato per Shinichi, comportandosi esattamente come ora ha fatto, felicitandosi nell’avermi accanto a sé, non da qualche parte del Giappone a risolvere casi, come le faccio credere da anni.
Sorrido.
Già, deve essere così. È così. Lei mi ha semplicemente scambiato per via del sonno e dello stordimento, niente di più. Non ha capito veramente chi sono. È semplicemente ancora mezza addormentata.
Rifletto, continuando ad allungare il mio sorriso fino a che mi è concesso, fino a farlo penetrare come un piccolo raggio di sole in me.
Ricambio così l’abbraccio, con dolcezza, come un fratello farebbe con la propria sorella, per poi scostarla lentamente e nel modo più delicato possibile dal mio petto, sorridendole dolcemente, mentre lei mi guarda un po’ confusa.
“Ran-neechan” comincio, guardandola dritto negli occhi, utilizzando un tono calmo e dolce, per non ferirla. “Ti sei sbagliata, io non sono Shinichi-niichan, ma Conan. Mi hai scambiato per lui solo perché non indosso gli occhiali, vedi?” cerco di convincerla, indicandomi il viso libero dagli occhiali, dai grandi e fastidiosi occhiali che da dieci anni mi tocca portare, pur di non mettere nessuno in pericolo.
Gli occhi suoi fissi nei miei, le sue labbra dritte e prive di curvature, prive di emozioni; ed il suo volto colorato unicamente dalla confusione, confusione totale, che in pochi istanti lei stessa va a nascondere, abbassando il capo e lasciando che sia oscurato dalla frangia castana, facendola cadere su di essi, per far sì che i suoi occhi non incontrino quelli di nessun altro che possa facilmente leggerli, in modo che il sottoscritto non veda e capisca ciò che sta provando.
“Finiscila con questa farsa, Shinichi” sussurra, con flebile voce, che però arriva dritta alle mie orecchie come spine pungenti che con la forza riescono ad inoltrarsi in esse, lasciando che quella frase rimbombi come un eco nella mia testa. “Lo so benissimo che sei tu. Quindi finiscila, Shinichi” afferma, marcando il tono di voce nel pronunciare il mio nome.
Ecco, la sensazione di prima è tornata, mentre la pioggia al di fuori di questa stanza non accenna a scemare. Anzi, minuto per minuto diventa sempre più forte e le poche gocce che prima rigavano le finestre delle abitazioni, ora sono notevolmente aumentate di quantità e volume che a momenti quei vetri verrebbero nascosti da loro, mostrando a noi spettatori di questo scenario solo uno spesso quanto fragile velo d’acqua che con maestria ci impossibilita dal vedere ciò che dietro di essi sta accadendo, ciò che tra me e Ran sta succedendo, per esempio, a coloro che passeggiano normalmente nelle strade trafficate di Beika.
Provo a dire qualcosa ma non ci riesco. Dovrei mentirle, smentendo ciò che ha appena affermato, dovrei. Devo.
Ma non ci riesco.
Non ci riesco a mentirle se ho di fronte i suoi occhi azzurri, che guardandomi, non fanno altro che illuminarsi come delle piccole stelle nel cielo, accompagnando quella sua espressione convinta e decisa, decisa sulle parole appena dette.
Sta volta sono io ad abbassare il capo, pur di non trasmetterle il rammarico che, le parole che a momenti usciranno dalla mia bocca, mi spegneranno le iridi color oceano. Com’è difficile e doloroso doverle mentire sempre, sempre, senza poterci far niente, senza poterlo evitare. Ma in fondo mentirle è la cosa più giusta, in questo caso. E quindi non posso fare altro se non riempire i miei polmoni di ossigeno e cominciare a muovere le labbra, emettendo parole che per dieci anni ho ripetuto, che per dieci anni mi stavano sempre sulla punta della lingua, pronte ad essere pronunciate.
“Ran-neechan… vedi, io non…” provo a spiegarle, ma i miei tentativi vengono bloccati all’arrivo delle sue risate, risate che fanno cambiare espressione sia a me che alla scienziata dietro di lei.
“Dovresti vedere la tua faccia!” mi schernisce Ran, la mia amica d’infanzia, inducendomi a rivolgerle uno sguardo spaesato, confuso, segno che non ci capisco più un accidenti, e chiedendole spiegazioni tramite i miei occhi. “Stavo scherzando, baka! Non c’era bisogno di agitarsi tanto” risponde, continuando a ridere.
Inarco un sopracciglio, mentre le mie le mie labbra si storcano in una smorfia seccata. Uno scherzo? Ma le sembra uno scherzo da fare questo?!  Stavo sudando freddo per colpa di quella sua affermazione, e poi?
Stavo scherzando, baka!
Impreco contro di lei, nella mia mente, per poi fermarmi nel sentire le risate della donna che amo diminuire, e nel vedere una goccia cristallina che, lentamente, comincia a crearsi agli angoli dei suoi occhi, diventando improvvisamente triste e malinconica come sempre, ormai. “Tanto lo so che Shinichi mi ha piantato in asso di nuovo per andare a risolvere uno dei suoi stupidi casi.. lo so, ormai…” niente più risate, solo il rumore che la pioggia ed i nostri respiri creano. “Ormai lo so che tutto è più importante di me, per lui”
Una fitta.
Non di quelle che solitamente preannunciano e, di conseguenza, terminano una mia trasformazione, ma una che nasce dal mio cuore stesso, privandomi di alcuni battiti e di ossigeno, facendomi morire dall’interno.
Perché, quella che sento, è diversa: sento una fitta colpirmi il cuore, nel vedere i suoi occhi che –come le nuvole stanno tuttora facendo- si lasciano sfuggire una e più lacrime.
E ne sento un’altra, nel sentire quelle sue parole, così colme di odio, di risentimento, di dolore… e non posso che sentirmi uno schifo, ferito; perché per me nulla è più importante di lei, nulla ha la priorità su Ran.
Stringo una mano in pugno, stropicciando così il tessuto del mio pantalone, quando una calda e amara sua lacrima si frantuma sulla mia pelle, impregnandola di dolore, impregnandola di rancore… impregnandomi di disprezzo.
Perché? Perché deve andare sempre così? Perché per una volta quel maledetto antidoto non scade al termine del tempo stabilito? Perché non mi fa la grazia, per una volta, di farmi rimanere per sempre Shinichi e di restare accanto a Ran, non facendola più soffrire, non facendoci più soffrire? Perché?
Mi chiedo, tra una fitta e una lacrima.
Ma poi, è un attimo, è tutto finisce. È un attimo, e sento un braccio sfiorare il mio, per poi rialzare il capo e vederla intenta ad asciugarsi quelle numerose gocce dal viso con la manica che ricopre quest’ultimo. È un attimo, ed il peso che prima stava seduto accanto a me sul materasso, si dilegua, avvicinandosi alla porta della stanza, dietro di esso, dietro di me. Ed è sempre un attimo, che un filo di voce decide di fuoriuscire dalla sua cavità orale.
“Vado da Kazu-chan, sono sicura che sarà in pensiero per me” riferisce, aprendo la porta. “Ah, Ai-chan” si volta poi, richiamando l’attenzione dell’interpellata, che in silenzio, accanto alla finestra, ha assistito a tutta la scena. “Tra poco arriverà mio padre, sarà affamato, vuoi aiutarmi a preparare il pranzo?”
Volto il capo nella direzione di Haibara, che ricambia il suo sorriso con una smorfia, per poi annuire –scocciata- e lasciare insieme a lei la stanza, lasciandomi solo.
Solo con i miei soli pensieri. Come se già non lo fossi abbastanza. Come se già non mi basta doverli sopportare in compagnia di altri. Come se già non fosse troppo dovermi corrodere dall’interno alla nascita di ogni uno di quelli.
Sospiro. È meglio non calcolarli e continuare a sorridere, come ho sempre fatto, come si fa sempre quando ci si sveglia dopo un incubo. Perché tanto farlo non cambierebbe le cose lo stesso, quindi.
Rivolgo uno sguardo fuori dalla finestra: piove ancora. Preferivo lo sfondo di prima, ad essere sincero. Preferivo i petali color confetto piuttosto che questi trasparenti, e che guardandoli, mi danno come l’impressione che io abbia dimenticato qualcosa, qualcosa d’importante, come fosse un dejavù, che mi porterebbe alla verità.
Strofino il mento con le dita come faccio sempre quando penso, ma niente, non mi viene in mente niente.
Sospiro, e mi alzo di peso dal letto, in modo da raggiungere gli altri e lasciare questa stanza che ogni volta mi riveste di malinconia. Faccio pressione sulla maniglia e il presentimento di prima torna, per poi essere cacciato nuovamente. In fondo, che può mai centrare con la pioggia e con questo cielo grigio?
 
                                                                                             ***
 
“RAN-CHAAAAAANNNNNN!!!!!!!!! Come sono contenta di vederti! Stai bene, stai bene!”
“M-Masumi-c-chan… t-ti ho detto che non è successo nulla di-” continua a ripetergli Ran, nel tentativo di far calmare l’amica, Sera, ma inutilmente a quanto pare, perché le sta ancora addosso come una piovra, come se l’idea di staccarsi da lei non le avesse mai neanche sfiorato l’anticamera del cervello, ed impedendole anche solo di finire una frase prima di essere interrotta.
“Tu non puoi capire!” le urla contro, stringendola sempre di più a sé, tanto che a momenti potrebbe soffocarla. “Ero così preoccupata per voi, non sai quanto!”
La osservo e non posso far altro che pensare a quanto sia rimasta identica a dieci anni fa. Comportandosi ancora da bambina, sempre con quel suo carattere solare e le sue reazioni spropositate ad ogni cosa… Tsè, non è cambiata di una virgola.
Scosto un po’ la schiena dallo schienale del sofà su cui sono seduto, allungando il braccio, e prendo un giornale appoggiato sul tavolino di fronte a me, cominciando a sfogliarlo, sperando di riuscire in qualche modo a non far caso a tutto il baccano che quella donna, da più di mezz’ora, ormai, sta causando.
Sbuffo, seccato, mi piacerebbe sapere chi l’ha invitata a quella lì.
 
Sono passate tre ore dall’accaduto in camera di Ran. Dopo essere usciti tutti quanti di lì, abbiamo pranzato nel salotto di casa nostra, in compagnia di un Oji-san –ancora sotto effetto dell’alcool che, ieri sera, si è bevuto-, gli Hattori –che non hanno ancora fatto pace- e Haibara; per poi scendere giù in agenzia dove Sera, Sonoko, Eisuke, Detective Boys, Jodie e Okiya sono venuti a trovarci, me e Ran, per assicurarsi che c’eravamo ripresi dopo la perdita di sensi che abbiamo avuto in mezzo al corridoio durante il caso.
E in questo momento, ci troviamo tutti qui, nell’agenzia investigativa Mouri, ad occupare il piccolo salotto posto al centro di essa, ad assistere alla reazione spropositata di Sera e Amuro che di tanto in tanto viene a chiedere se qualcuno degli ospiti vuole da bere o da mangiare, o a volte a sedersi per qualche minuto anche lui sul sofà e ridere assieme ai ragazzi.
“Edogawa-kun” sento improvvisamente una voce da dietro che, accostandosi al mio orecchio, mi richiama, facendomi sussultare per lo spavento. Mi volto di scatto, e nel farlo posso notare lo sguardo seccato di Haibara. “Spaventato, Holmes?” mi beffeggia, portandomi a contrarre il mio viso nello stesso modo in cui si presenta solitamente il suo: scocciato.
“Io? Figuriamoci” rispondo, tornando a leggere l’articolo a cui ero rimasto, prima che la scienziata alle mie spalle mi disturbasse. Kaito Kid e il suo ennesimo furto ai Suzuki. E, ovviamente, ennesima gemma restituita, con successivo scoppio dello zio di quell’oca di Sonoko, e di conseguenza, ecco l’articolo. Heh, nemmeno questa era Pandora, a quanto pare. Ritenta, Kuroba, la prossima volta magari sarai più fortunato. Ironizzo mentalmente, voltando pagina, e cominciando a leggere un altro foglio pieno di lettere in inchiostro nero.
“Kudo… non mi fido” sussurra poi, al mio orecchio, la stessa ragazza che proprio un attimo fa mia aveva distolto dalla lettura.
“Perché?” mi limito a chiederle, mantenendo lo stesso tono di voce, per non farci sentire dagli altri che intorno a noi continuano a ridere e scherzare tranquillamente, come fanno sempre.
“Sento come se loro sono qui… Subaru-kun…” ammette, nascondendo il viso nel vedere il diretto interessato voltare lo sguardo verso di noi, guardandoci con curiosità, come se avesse capito che stiamo parlando di lui.
Sorrido. Era da un po’ che non reagiva in questo modo nel vedere quell’uomo. Ma quello a farmi sorridere non è questo, ma il fatto che quell’uomo, è quello di cui meno dobbiamo avere paura, e di chi più ci possiamo fidare. E questo concetto, in un modo o nell’altro, voglio che sia trasmesso anche ad Haibara, così da poter trarre vantaggio da questa relazione, così da poter formare una squadra, insieme.
Mi volto verso di lei, guardandola, e sorridendole per tranquillizzarla, nonostante la paura e la finta scocciatura che mi rivolge, per poi ripeterle quella stessa e identica frase che le ripeto sempre ogni qualvolta mi si pone l’argomento: “Sta tranquilla, è un fan di Holmes, non potrà mai farci niente”
Affermo, sempre sorridente, andando a neutralizzare –anche se solo esteticamente- quell’inquietudine che negli ultimi minuti albergava sul suo viso.
Tutto normale, diciamo, fino a quando non sentiamo qualcuno battere le mani e fischiare, tanto da comprarsi, totalmente, l’attenzione di tutti coloro presenti in questa sala.
“Ma bravo, bravo moccioso!” eccola, Sonoko. Chi altro poteva essere, altrimenti? “Alla fine la ragazza te la sei trovata, eh? E bravo!” ripete, tra le risate ed i fischi, senza mai smettere di battere le mani. Vorrei ucciderla in momenti come questi, mettendo così da parte la mia razionalità e quel buon senso che mi ha sempre caratterizzato; ma, come sempre, mi limito a sbuffare scocciato e voltare il capo dal lato opposto a quell’oca, in modo da ignorarla.
Voltato il capo, quello che vedo è la figura di Ran, che cerca qualcosa nell’armadio posto a lato della scrivania del padre. Provo a dedurre l’oggetto che cerca, ma purtroppo non mi viene nient’altro se non un documento o qualcosa di simile; così mi alzo e mi avvicino a lei, postandomi dietro le sue spalle, con l’intento di aiutarla nella ricerca di quest’oggetto a me ignoto.
“Vuoi una mano?” le chiedo sorridendo, facendola spaventare e di conseguenza sussultare, per poi voltarsi di scatto con un pugno alzato, che si scioglie subito alla vista del mio volto terrorizzato.
“Ah, Conan-kun…” sospira, una volta calma. “Non serve, tanto ho finito” mi risponde, con tono incolore, distaccato, per poi richiudere l’anta e tornare ad occupare un posto sul sofà, rimanendo sempre taciturna, sorridendo soltanto a qualche battuta, ma niente di più. Solo ora me ne rendo davvero conto: quella donna si comporta in modo strano; è sempre silenziosa, distaccata… non so, è strana.
Sposto l’attenzione sull’oggetto dei miei pensieri, ma stranamente la vedo ridere, normalmente, e comportarsi, normalmente; tutto l’opposto di com’era prima con il sottoscritto. Sembra come se stesse cercando di evitarmi…
La riguardo, mentre allarga le sue labbra in un sorriso, uno splendido sorriso, il più bel sorriso che io abbia mai visto, il suo, per poi rivolgerlo anche a me, facendomi dimenticare l’idea che fino ad un secondo fa albergava nella mia testa. Forse mi faccio troppi pensieri su cose da niente.
Ricambio il sorriso, e faccio per avvicinarmi al divano, se non fosse per la persona appena alzatasi da quest’ultimo, e che con un sorriso comincia a salutare.
“Vai già via?” gli chiede Ran, vedendolo prendere la giacca dall’appendiabiti.
“Sì, ho delle pratiche da sbrigare a casa, devono essere pronte per domani, perciò non posso rimanere di più” le risponde, sorridendo e salutando tutti gli altri con un gesto della mano, che ricambiano, per poi avvicinarsi alla porta dell’agenzia e uscirne.
 
“Dovremmo incontrarla”
“Chi?” mi chiede, confusa, ma senza darlo molto a notare.
“Vermouth” rispondo come se niente fosse, tornando ad accarezzare il viso di Ran, la mia Ran,che a quanto pare non mi ha visto trasformare. Beh, meglio così. Semmai dovesse scoprire la verità voglio che lo faccia in modo diverso,voglio essere io stesso a dirglielo, e non delle fitte.
“MA SEI IMPAZZITO?!”
“No, perché?”
“Ti sembra una cosa normale volersi incontrare con una criminale? E poi come pensi di trovarla?!” sbotta, cercando di nascondere la paura che il solo nome di quel liquore italiano le infonde.
“Non lo so”
 
Non lo so..
Non lo so…
Non lo so!
Sento come un fulmine colpirmi, illuminandomi, facendomi ricordare una cosa d’importante e fondamentale che forse potrebbe esserci d’aiuto per incontrare quella donna.
Corro così incontro a questo raggio di luce nell’oscurità, Akai, e prendo il mio cappotto, l’indosso in malo modo per via della fretta e prima di aprire la porta ed andarmene avviso che sto per uscire.
“Ran-neechan, vado con Subaru-kun che devo prendere una cosa a casa di Shinichi-niichan. Non aspettarmi per la cena”le urlo, prima di chiudermi la porta alle spalle, senza neanche aspettare la sua risposta.
Scendo velocemente le scale che portano in strada, tanto velocemente che potrei inciampare e rompermi l’osso del collo, ma non ci faccio caso e aumento sempre di più il ritmo, anche dopo aver raggiunto l’esterno del condominio, nonostante la pioggia che continua a cadermi addosso, fino a raggiungere l’uomo che forse potrà aiutarci in questa faccenda.
“Conan-kun, che sta succedendo?” mi chiede, notandomi tutto bagnato e ansate di fronte a sé. Esausto e affannato per via della corsa appena fatta, non rispondo, mi limito ad appoggiare le mani sulle ginocchia, in modo da poter riappropriare di ossigeno i miei polmoni.
“C’è una cosa di cui devo parlarti…” gli confesso, provando ad asciugarmi la fronte, per quanto possa essere possibile, e poi riuscire finalmente a guardarlo in faccia, e chiamandolo con il suo vero nome, sorridendo spavaldo. “..Akai
Mi guarda spaesato, sorpreso, per poi allungare l’ombrello e proteggere anche il sottoscritto dalla pioggia.
“Questo non è il posto adatto…” risponde, sorridendo e aprendo gli occhi, mostrandosi a me con il suo vero aspetto, e ricambiano il mio sorriso con lo stesso atteggiamento. “Conosco un posto più sicuro… Kudo
 
                                                                                        ***
 
Rivolgo uno sguardo al cielo. È grigio. Piove ancora.
Guardo le piccole ma numerose lacrime che si lascia sfuggire e che, scontrandosi contro il sottoscritto, mi bagnano i vestiti facendoli aderire al mio corpo, facendo intravedere –anche se di poco- la mia corporatura sotto questi ultimi.
Ho freddo, a dir la verità.
L’essere bagnato e il vento che si scaglia continuamente su di me mi fanno tremare, infreddolito, nonostante la stagione che in teoria dovrebbe essere calda, o almeno tiepida.
Dovevo proprio dimenticare l’ombrello a casa?!
Mi maledico mentalmente, per poi sospirare rassegnato.
Provo a non pensarci, poiché farlo non cambierà lo stesso nulla, e alzo la manica della felpa verde e gocciolante per controllare l’ora sull’orologio.
Sbuffo. Dovrebbe essere qui già da un pezzo.
Lancio l’ennesima occhiata verso l’inizio di questo vicolo, verso quella piccola ed unica apertura che permette alla scarsa luce di oggi di penetrare in questo stretto e lugubre spazio dove di chiaro e allegro non c’è più niente, se non il riflesso che le lenti dei miei occhiali producono.
Alzo il cappuccio della mia felpa, sperando che in questo modo la pioggia non arrivi alla mia testa e, nell’atto, improvvisamente sento una moto avvicinarsi ed entrare nel vicolo, per poi bloccarsi di colpo.
Sorrido, nel sentire la voce della proprietaria della vettura. Il nostro piano ha funzionato.
“Che ci fai qui… Silver Bullet?”

 




* Episodio 39 "La giovane ereditiera" (40 nella numerazione italiana)

Nana's Corner:
Minna konnichiwa! :D
Ce l'ho fatta, finalmente xD Nonostante però il chap non mi piaccia nemmeno un po' -.- 
Cmq, quello di Ran era solo uno scherzo, a quanto pare, ma si comporta in modo strano. E il nostro Shinichi ha come l'impressione di aver dimenticato qualcosa.. idee?
Poi si incontra con Akai, e in fine... capito con chi s'incontra, si? ;)
Ah, trovate Sera OOC??? Sonoko?? Akai??? 
Sappiate che abbiamo appena finito un' "arc", dal prossimo entriamo in quello di "Anokata", finalmente ;)
Va beh, spero il chap non sia confusionale e che almeno un po' vi sia piaciuto :')
Ah, quasi dimenticavo. Prima di passare al metantei corner e i ringraziamenti, volevo dirvi che fino al 25 novembre o i primi di dicembre non aggiornerò, per via di studio e perchè il prossimo sarà un chap un po' complicato e delicato, quindi devo avere più tempo del solito per organizzarlo e scriverlo, gommen >.<

Ok, passiamo al metantei corner ora:
1- Di cosa hanno parlato Akai e Shinichi? Qual'è il loro piano?
2- Come faceva Shinichi a sapere che il personaggio che incontra nel finale, sarebbe andato lì quel giorno?
3- Che succederà ora?

Ed ora i ringraziamenti:
Grazie 10000000000000000000000000000 ad Hoshi Kudo, aoko_90, Kaori_, Pan17, KeynBlack, Love_Ade (che ha recensito tutti i chap in tre giorni, grazie :D), Lucy Mouri, shinichi e ran amore e _Vevi. MINNA ARIGATOU!!! <3<3<3
Grazie anche ad EnglandLove98 e Love_Ade per aver inserito la storia tra le preferite; e ciachan, Love_Ade e LunaRebirth per averla inserita tra le seguite. MINNA ARIGATOU anche a voi!! <3<3
Ed infine grazie anche a chi legge solamente. Arigatou! :)
Grazie di cuore a tutti quanti! Spero perdonerete l'attesa che ci sarà prima del prossimo chap :')
Ci vediamo al prossimo allora, spero tanto questo vi sia piaciuto almeno un pochino, a differenza della sottoscritta ^^"
Grazie ancora per aver letto!!

XXX,
Nana Kudo

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Capitolo 13
*** A secret makes a woman, woman ***


Premessa:
Questo capito è un po' speciale, come preannunciato nello scorso. La prima parte è una "sorpresa" che vi ho voluto fare, e sarà narrata in terza persona e al passato in quanto flash-back dove Shinichi non è prensente. Il testo tra i due asterischi è il continuo dello scorso chap e quello dopo questa "parte centrale" è il continuo del flash-back.
Spero che il capitolo non sia confusionale.
Have a nice reading ^^                             

Capitolo tredici
A secret makes a woman, woman 
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Buio.
Una strada deserta, isolata e buia. Inquietante, l’aggettivo più adatto per descriverla.
Appoggiata alla sua macchina, completamente vestita di nero e con il viso coperto dal berretto indossato, Rena aspettava la persona che l’organizzazione più temeva, e che a momenti sarebbe divenuta la prova della sua fedeltà nei loro confronti.
Alzò il capo, e aprì gli occhi, nel sentire il solito rumore che la gomma delle ruote di una macchina emana a contatto con l’asfalto, per poi voltarsi e socchiuderli per via dell’improvvisa luce accecante che la colpì in pieno viso.
Un SUV nero… no, non è lui.
Aspettò che il veicolo si allontanasse, e controllò il suo orologio da polso… doveva essere lì a momenti.
Riportò lo sguardo in avanti, e si perse nei suoi pensieri.
Forse quello che avrebbe fatto non era poi quello che realmente voleva, anzi, lo sapeva. Ma in fondo la sua missione nella CIA per il momento era la sua priorità, niente l’avrebbe fermata dal suo intento, niente le avrebbe sbarrato la strada che suo padre le aveva fatto intraprendere. No, non si sarebbe fermata.
Furono le sgommate di una macchina a destarla dai suoi pensieri.
Spostò lo sguardo nella direzione della vettura dai fari accesi, e che con una velocità impressionante si avvicinava sempre di più a lei e la sua macchina.
Lo osservò attentamente, senza mai mutare nemmeno di una virgola la sua espressione. Una Chevrolet C1500. Sì, era lui.
Aspettò che la persona al volante fermasse il pick-up scuro sul ciglio della strada, quello opposto al suo, e che i fari si spegnessero prima di scostarsi dalla propria di qualche centimetro.
Lentamente la portiera della macchina appena arrivata si aprì, mostrandone il proprietario completamente vestito di nero, con solo il verde degli occhi a dargli un po’ di colore.
“Finalmente” spezzò il silenzio Hidemi, mentre lentamente si avvicinava alla persona da lei tanto attesa: Akai. “Che cosa ti è successo… come mai arrivi dalla direzione opposta?” chiese, mentre nel buio della notte il rumore dei suoi tacchi riecheggiava come un eco in uno spazio infinito, tutto il contrario di quella strada, così stretta e buia, il Passo di Raiha.
“Mi sono mosso in anticipo per poter dare un’occhiata in giro” rispose l’altro, dopo qualche secondo, con tono più naturale possibile, mantenendo lo sguardo rivolto verso il basso, senza incrociare gli occhi della donna di fronte a sé.
“Davvero?” domandò sarcastica l’infiltrata, ormai ferma, a poco più di un metro da lui. “Allora?” continuò, mentre l’agente dell’FBI spostò finalmente lo sguardo su di lei. “Sei riuscito a trovare quello che cercavi? Immagino che volessi cercare una conferma del fatto che sono venuta qui da sola”
Muoveva le iridi smeraldine da un lato all’altro, ancora in cerca di conferma che nessuno degli uomini in nero avesse seguito Hidemi.
“Sì, sembra tutto apposto” disse di rimando, ignaro del fatto che proprio quei criminali, Gin e Vodka, stavano assistendo alla scena dalla loro macchina, grazie a delle piccole microcamere addosso al loro membro, Kir. “Coraggio, veniamo subito al punto: quali informazioni puoi darmi in cambio del mio aiuto per riuscire a squagliartela?”
“Semplice” rispose la donna, sorridendo con fare spavaldo e abbassando il capo. “È questo quello che sono disposta a darti” si sentì solo il fruscio del vento, fino a quando uno sparo non riempì l’intera area.
Rimasero entrambi nella stessa posizione, nel silenzio assoluto, e la persona il cui petto è stato colpito dal proiettile, non accennava nessuna smorfia di dolore, o anche solo un’espressione che non fosse quella neutra che dal suo arrivo adoperava.
All’improvviso riecheggiò il suono di un metallo scontrato con l’asfalto della strada, e la proprietaria della pistola da cui il piccolo ma micidiale proiettile fu sparato puntò lo sguardo sul bersaglio.
L’altro ricambiò, fino a quando una fitta non lo colpì in pieno petto, facendogli fuoriuscire del liquido scarlatto dalla bocca, sangue.
Cominciò a mugugnare dal dolore, mentre i due spettatori della vicenda sussultarono nel vedere l’uomo dolorante.
Akai si appoggiò –con non poca fatica- alla propria auto, per poi spostare lo sguardo dietro di lui, alle sue spalle, verso una macchina parcheggiata poco più distante e in alto a loro.
Una Porshe 356A..
Pensò, sorridendo sarcasticamente, con ancora la mano sulla ferita lancinante.
Ora mi è tutto chiaro.
“Che succede, Kir?” la voce di Gin richiamò la compagna tramite l’auricolare, mentre l’altra continuò ad osservare la scena senza proferire parola. “Cosa aspetti a finirlo?”
“No è inutile” rispose, dinanzi all’oggetto del loro discorso che si piegava dal dolore. “L’ho colpito in pieno petto; non ha più alcuna possibilità di cavarsela”
“Dagli il colpo di grazia” replicò l’uomo al volante della Porshe nera. “Non ha senso aspettare ulteriormente. Su avanti coraggio, sbriga questa formalità e sparisci” le ordinò, con un sorriso sadico a colorargli il volto.
“Ricevuto” si limitò a rispondere la donna, avvicinandosi ancora di più all’ex membro Rye.
Estrasse la pistola dalla tuta rigorosamente nera da lei indossata, e la puntò alla tempia dell’uomo dolorante, ancora piegato alla macchina.
Rise, l’uomo.
“Non pensavo di finire così i miei giorni” la intimò, con gli occhi verso l’arma puntata alla sua fronte.
“Ti confesso che anch’io sono sorpresa” disse l’infiltrata della CIA sorridendo spavaldamente. “Non mi aspettavo proprio che sarebbe stato così facile” ammise, per poi dare fine alla vita dell’uomo.
Lo sparo riecheggiò per secondi interminabili, mentre Gin e Vodka non poterono far altro che felicitarsi della fine del primo proiettile d’argento*  che avrebbe potuto sterminare la loro organizzazione.
L’attimo intenso fu però interrotto dal suono delle sirene della polizia, che catturarono non solo l’attenzione dei due nella macchina, ma anche dell’omicida di Shuichi Akai.
“Arriva la polizia” annunciò il criminale dai lunghi capelli platinati, guardando fuori dal finestrino della vettura.
“Già. Deve esserci stato un incidente da queste parti” affermò il compagno, più robusto e con gli occhi perennemente coperti da degli occhiali neri.
“Kir” la richiamò Gin, mentre lei si limitò a mugugnare un sì. “Sbarazzati del corpo e vattene”
“Sì va bene, d’accordo” rispose, azionando una bomba e posizionandola nel pick-up dell’ormai cadavere, mentre l’altro si allontanava con la sua Porshe.
Mi dispiace, ma non avevo scelta.
Si scusò, prima di chiuderlo all’interno del veicolo e lasciarlo, allontanandosi anche lei con la sua macchina chiara.
Ventisette secondi, ed essa, come il corpo ormai senza vita al suo interno, andò a fuoco. **
 

***

 
“Che ci fai qui… Silver Bullet?”
La sua voce, sorpresa, riecheggia nell’aria, rendendo questo piccolo e buio vicolo ancora più inquietante di prima.
Sposto lo sguardo su di lei, che scende lentamente dalla propria moto levandosi intanto il casco, mostrando la sua carnagione chiara e gli occhi color ghiaccio che raffreddano ancora di più l’ambiente.
Sorrido, tra me e me. È uguale. In dieci anni il suo viso non ha creato né rughe, né qualsiasi altro segno del tempo. Come il resto del suo corpo, d’altronde.
Metto le mani nelle tasche dei miei jeans, ormai zuppi, sperando lo stesso di trarne calore in esse, mentre il mio sguardo rimane fisso sulla donna di fronte a me, che mi ricambia allo stesso modo.
Rimaniamo così per attimi che a me paiono ore, con le gocce che dal cielo cadono copiose su di noi, demolendosi a contatto con i nostri corpi o sull’asfalto sotto i nostri piedi; fino a quando non sono io a spezzare questo silenzio neutrale, ricordandomi il vero motivo per cui mi trovo qui in questo momento.
“Hai ucciso tu quell’uomo l’altro giorno al Sun Plaza, non è così… Vermouth?” domando, con un sorriso spavaldo dipinto sul mio volto, poiché sono già sicuro della risposta che mi darà.
Sembra riprendere tutta la sa naturalezza, in pochi attimi, appoggiandosi alla sua moto e mutando espressione in quella sicura e superiore che ha solitamente, incrociando le braccia al petto.
“Però, come sei perspicace ragazzo” risponde, con una punta marcata di sarcasmo nelle sue parole.
“Perché l’hai fatto?” chiedo ancora, con tono deciso.
“Vai dritto al punto, te, eh?” ironizza, cercando di evitare l’argomento, o comunque di guadagnare tempo.
“Parla” la incito, ignorando la battuta di poco fa.
Sospira, intuendo che cercare di evitare il discorso sarebbe inutile.
“Ooba” si limita a rispondere, facendo spallucce, e con tono più che consueto.
Strabuzzo gli occhi.
“Ooba?! Che centra quell’uomo con Yamamoto?” sbotto, quando lei invece tira fuori un contenitore lilla metallizzato dalla tasca del completo da motociclista e ne estrae una sigaretta bianca e affusolata.
“È una storia lunga” ribatte, portando la sigaretta alla bocca e trattenercela mentre rimette a posto il suo contenitore e inizia a cercare un accendino.
“Sono qui solo per sentirla, se è per questo” dico di rimando, sorridendo con fare sfrontato, ottenendo come risposta un suo sospiro, poco prima di trovare finalmente un accendino e di accendere il tabacco trattenuto fino a quel momento tra le labbra.
“I don’t have another choise, eh?” schernisce ancora, ispirando fumo grigio e inalando nuovamente la sigaretta tra le labbra. Mi limito ad annuire con il capo, ricevendo di tutta risposta un altro suo sospiro. “E va bene” risponde, sedendosi di lato sul sedile della sua moto e accavallando le gambe, ed io mi appoggio alla rete d’acciaio alle mie spalle.
“Vedi, quando Ooba era in galera, c’era un amico che andava a trovarlo regolarmente una volta a settimana; e lui, intenzionato a ritrovare the new police agent che l’aveva fatto rinchiudere lì dentro, gli ha fornito alcune informazioni sul tuo aspetto, in modo da poterti rintracciare e scoprire qualcosa su di te” comincia, spostando una ciocca bionda di capelli all’indietro, insieme agli altri ormai completamente bagnati dalla pioggia che non accenna a scemare. “Il nome Fujio Yamamoto ti dice qualcosa?”
“Yamamoto era un amico di Ooba?” penso ad alta voce, domandando più a me stesso per lo stupore che a lei, ma in qualsiasi caso ricevo risposta al suo movimento del capo, che mi trasmette chiaramente un sì. Probabilmente l’hanno ucciso perché sapeva troppo, o perché volevano spaventare Ooba uccidendo quelli che gli stanno attorno, deduco, ma rimango lo stesso in silenzio e aspetto che la donna dinanzi a me continui con il suo alquanto strano racconto.
“By a few month è riuscito a scoprire il tuo nome e che da qualche tempo eri sparito nel nulla, così Ooba, dato che non poteva svolgerle lui queste commissioni, ha mandato Yamamoto a villa Kudo per controllare” si ferma un attimo, ispirando di nuovo del fumo grigiastro dalla bocca, che si dissolve velocemente nell’aria con l’aiuto della pioggia. “È andato a casa tua, e non trovandoci nessuno e the door locked, è andato a bussare a quella in parte a te, quella dove vivono un uomo anziano e Sherry. È entrato con la scusa di chiedere delle informazioni stradali e ha piazzato una cimice dietro un vaso nel salotto. Dopo averla messa se n’è tornato in macchina e per qualche minuto non ha scoperto né sentito niente, se non il vecchio che confabulava qualcosa mentre creava qualche marchingegno o qualcosa di simile nel suo laboratorio. In pratica non succedeva niente, fino a quando un ragazzino non è andato a bussare alla porta della villa e Agasa, aprendo, l’ha salutato chiamandolo Shinichi
La guardo un po’ spaesato, per poi sbuffare. Come abbiamo fatto a non accorgerci che in casa c’era una cimice e che un uomo ci stava pure spiando dalla macchina? Nonostante negli ultimi anni ormai non era successo più niente, in quel senso,  avremmo dovuto essere più attenti, cavolo!
Impreco contro Agasa e me ancora per qualche secondo, dopo di ché faccio cenno a Vermouth di continuare a descrivermi la vicenda nei dettagli.
“Quando ti ha visto ti ha scattato una foto, you were something like fifteen at that time, if I’m not wrong. Dopo averti fotografato è tornato a casa sua ma ha comunque continuato ad ascoltare le vostre conversazioni fino a scoprire che eri stato rimpicciolito per via di una sostanza particolare di nome APTOX4869, e dell’organizzazione criminale che l’aveva creata, ovvero noi. Deve aver raccontato il tutto all’amico, che ha deciso di non agire fino a quando, tre mesi fa, non è uscito dal carcere. Quando è uscito, in un modo o nell’altro, è riuscito a rintracciare il numero del capo, intenzionato ad entrare anche lui a far parte dell’organizzazione. Il boss gli ha conferito un incarico semplice da svolgere, ma comunque importante per tutti noi, ovvero-”
“Fare ricerche su Shiho Miyano e assicurarsi che fosse davvero morta” la precedo, ricordando dell’appuntamento tra quell’uomo e Gin, qualche settimana prima, in un vicolo buio e lugubre accanto ad un parco in città. ***
“All right” conferma la criminale, gettando a terra la sigaretta e schiacciandola con il tacco degli stivali neri di pelle, rigorosamente neri. Neri e cupi come qualsiasi altra cosa o persona che abbia a che fare con quella cerchia di criminali. Per incrociare successivamente le braccia e inclinare la testa all’insù, con fare superiore. “Non è riuscito a scoprire lo stesso niente, tanto da arrivare a dedurre che fosse morta. But he decided to go anyway  all’appuntamento con Gin e di raccontargli almeno ciò che aveva scoperto su di te. Anything wrong till now?” mi chiede, accavallando nuovamente le gambe.
“No, tranne un particolare: come fai a sapere tutte queste cose? E perché Ooba non ha detto chiaramente a Gin che ero ancora vivo, invece di inventarsi un codice?” domando, spostandomi alcuni ciuffi dal viso con la mano.
Non risponde, anzi, scoppia a ridere, mentre tira fuori un’altra sigaretta e ripete i passaggi di prima per accenderla. Le lancio uno sguardo seccato. Non vedo cosa c’è di divertente in tutto questo, sinceramente.
“Vedi” torna normale tutto d’un colpo, a differenza del vicolo che ormai, nonostante l’acqua che scende continuamente dal cielo e l’odore caratteristico che porta, è inondato da un effluvio insopportabile di fumo. Ovvio, dopo tutte le sigarette che si sta fumando non poteva essere altrimenti. “La mattina del giorno in cui doveva incontrarsi con Gin, l’ha chiamato una donna, fissandogli appuntamento nel parcheggio sotterraneo di un centro commerciale”
“Te, scommetto” sostengo, con fare deciso.
“Indovinato, bravo detective!” mi schernisce la criminale. “Comunque, lui ha accettato ed è venuto all’incontro. Abbiamo parlato un po’, mi ha raccontato che sei stato tu a farlo arrestare dieci anni fa, al Beika Central Building e che cercava vendetta, he was searching for someone that would kill you, e così l’ho minacciato con la pistola, niente di grave. Non è un reato, vero Holmes?”
“In teoria..”
“Any way, anche quel tipo mi ha fatto la stessa domanda dopo aver notato che sapevo praticamente tutti i particolari e che mentre me li confidava molto spesso lo precedevo, so, I’ll answer you by the same way that I answered him: so la verità perché io e Bourbon avevamo installato una cimice un po’ di tempo fa nel salotto di Sherry, e il giorno che le abbiamo installate l’avevamo notato l’amico lì con la macchina, ma il mio compagno non ci ha dato molto a peso. Però quando è andato a tirarla via, per sbaglio ha staccato la sua e non la nostra, poiché erano praticamente identiche. Ce ne siamo accorti quando me l’ha portata, e così, facendola analizzare, abbiamo scoperto a chi apparteneva grazie alle impronte digitali. At the beginning he wasn’t intended to give up, fino a quando non stavo per sparargli. Mi ha giurato che non ti avrebbe fatto niente, ma allo stesso tempo che avrei dovuto chiedere al boss di farmi dare tramite Gin la ventiquattrore che avrebbe portato all’incontro. Non mi ha voluto dire cosa conteneva, sennonché la polvere da sparo era solo una trappola per non far capire agli altri cosa conteneva veramente la valigetta” conclude, mentre alcuni fulmini iniziano ad illuminare a tratti il cielo, facendoci sussultare ai primi tuoni da loro emessi.
Se la ventiquattrore era per lei, e la polvere da sparo era una trappola per sviare i sospetti degli altri membri, allora ciò che conteneva veramente era altro. Qualcosa che centra con loro due, probabilmente, qualcosa che avrebbe magari dovuto intimorire la donna. Mi volto a guardarla, con quella sua solita portatura sensuale e una sigaretta tra le dita affusolate della mano destra, mentre attorno a lei una nube di fumo si espande sempre di più. Ho come l’impressione che sia andata anche lei all’appuntamento, non so perché. Ma per il momento ho troppe poche informazioni, quindi non posso far alto che chiedere ancora.
“All’appuntamento-”
“Yes, I was there too” mi precede, sorridendo con quel suo solito atteggiamento tra lo sfrontato e il sicuro. E allora sì che sento come una lampadina illuminarsi sulla mia testa.
“Allora lui ha visto te, non me. Il codice l’ha tirato fuori per sfidarti, non è così?” deduco.
“Esatto” risponde, alzando lo sguardo al cielo. “Non mi fidavo, e non mi fido tuttora di quell’uomo, infatti per tutta la durata del loro appuntamento nel vicolo sono rimasta appostata su una palazzina lì vicino. Ti avevo visto ma lui a quanto pare no, e nel vedere una ciocca dei miei capelli ha deciso di sfidarmi riferendo a Gin il codice che io ho dedotto prontamente” serra le palpebre ogni qualvolta una piccola goccia trasparente e calda le si scaglia su di esse, ma non demorde dallo spostare lo sguardo dalle nuvole e dai fulmini che non fanno altro che rendere questo momento e, soprattutto, questo posto ancora più lugubre e spaventoso di quello che già è, per via degli echi che anche il solo movimento di un topo crea, o dei corvi appostati sui cavi della corrente sopra i nostri capi.
“Cosa conteneva la valigetta?” le chiedo, attirando così finalmente la sua attenzione, siccome abbassa velocemente il capo in modo da potermi guardare negli occhi.
Aspetta qualche secondo, per poi tirar fuori la sua pistola dalla tasca ed estrarne un proiettile, mostrandomelo.
“A Silver Bullet sporcato con del sangue, e accanto una lettera indirizzata a te”
È chiaro: mi vuole morto.
Abbasso lo sguardo e chiudo gli occhi, ripensando a ciò che era successo dopo l’appuntamento nel vicolo. E il primo ricordo che mi torna alla mente è quello di me e Ran che usciamo dal Beika Central Building e Gin che mi punta una pistola alla tempia, con accanto….
“Vodka!” esclamo, guardandola stupito, mentre lei ricambia sorridendo compiaciuta. “Hai preso i panni di Vodka, quella sera!”
“A-ha” conferma, mostrandomi un’altra pistola assomigliante in tutto per tutto alla Beretta di Gin, tanto che potrei scambiarla per quella. “Non potevo lasciare che quel proiettile si sporcasse di sangue vero, così ho messo fuori gioco Vodka e sono venuta anch’io a vedere che combinavate te e Angel insieme” ironizza, tirando fuori anche una maschera che rappresenta il volto dell’uomo tozzo e con gli occhiali da sole sempre a coprirgli gli occhi. “Devo essermi mascherata bene, perché nemmeno Gin si è accorto che in realtà non era il suo caro fratellino quello con lui in macchina ma la sottoscritta. Mi ha pure passato la sua Beretta dopo averla controllata e non ha nemmeno fatto caso al fatto che mentre lui si assicurava che non ci fosse nessuno io l’avevo scambiata con un’altra priva di proiettili. La prossima volta allora non esagererò con l’imbottitura nei vestiti” ride ancora, soddisfatta della riuscita del proprio piano e del fatto che nessuno l’aveva riconosciuta, fino a questo momento.
Lo ammetto, è stato davvero geniale l’idea di vestire i panni di Vodka per accompagnare Gin all’appuntamento e far sì che nessuno se ne accorgesse; in questo modo nessuno l’avrebbe vista o si sarebbe accorto di niente, e allo stesso tempo è riuscita ad ottenere la Beretta di Gin e far sì che non mi accadesse niente.
“Complimenti, davvero astuta e geniale la tua scelta, non c’è che dire” mi congratulo, mantenendo però espressione e modi sicuri e arroganti allo stesso tempo; come d’altronde, anche lei, che dalla sua moto non accenna né insicurezza né timore. Sembra essere perfettamente a suo agio. Come se il temporale, i corvi e il fatto che mi sta raccontando praticamente tutti gli avvenimenti e piani degli ultimi mesi riguardanti la sua pericolosissima organizzazione non le dia minimamente fastidio o dispiacere, come se il tutto fosse… normale.
“Comunque” riprende le redini del discorso la bionda criminale seduta sulla moto nero lucido di fronte a me. “After his plane had failed grazie alla sottoscritta e qualcuno che ha fatto sì che avvenisse un black-out nell’edificio, sia io che il resto dell’organizzazione abbiamo cominciato a escogitare un piano per eliminare Ooba. È così-”
“Siete partiti da Yamamoto” la anticipo, mentre annuisce ispirando altro fumo dalla cavità orale. “Se le mie ipotesi non sono errate, scommetto che il vostro piano era, ed è, quello di liberarvi in anzitutto di tutti i suoi amici e conoscenti in modo da fargli paura e al contempo di eliminare chiunque sappia qualcosa di troppo su di voi, e poi arrivare a lui, il pesce più grosso del lago” esprimo la mia ipotesi, quando i fulmini sopra le nostre teste cominciano pian piano a svanire nel nulla, lasciando il cielo scuro e brillante solo per mano della pioggia, non più delle sue scariche. Sposta lo sguardo altrove, verso un piccolo corvo che aggrappato a un cavo elettrico non fa altro che fissarci. È inquietante la cosa, sembra come se stesse ascoltando le nostre discussioni e aspettasse di raccoglierle tutte quante per poterle poi riferire a qualcuno. Sembra come se loro sono qui.
La mia attenzione si concentra tutta sull’attrice statunitense, Sharon Vineyard, e non posso far altro che ridere dei miei stessi pensieri notando i colori –sempre se si possano definire tali- degli indumenti e oggetti che le appartengono. Sì, perché loro sono qui.
Riporto di nuovo gli occhi al volatile appostato più in alto, fino a quando per via del rumore provocato dalle mie converse contro la rete dietro di me non vola via, lasciando che qualcosa di nero abbandoni quest’ambiente che forse ne è sovrabbondato.
“No, non sbagli” risponde, dopo qualche secondo, tornando a guardarmi con quei suoi occhi di ghiaccio ma al contempo penetranti. “Ho incontrato per caso l’amico di quell’uomo e, senza nemmeno poi tanta fatica, sono riuscita a dargli appuntamento per qualche giorno dopo al Sun Plaza” aggiunge, con tono divertito. “When we met, lui era con un gruppetto di amici, li ha lasciati ed è venuto con me in una camera dell’albergo”
“Dove gli hai somministrato della tetrodotossina nel polso della mano sinistra” ricordo gli indizi del caso, e come se fosse una collana di perle il cui filo è appena stato spezzato, le deduzioni e i passi successivi per risolvere questo caso, per dipanare quella matassa scarlatta che altri non è che il più semplice ma ben studiato dei delitti, vengono da sé, gli uni dietro gli altri. “Prima che le sei ore passassero e che il veleno facesse il suo effetto hai notato l’amica passare tra i corridoi e l’FBI che ispezionava il piano. Così, per prevenzione, e per non rischiare di essere scoperta, hai indossato dei guanti in lattice, immesso un silenziatore nella tua pistola, e sparato a Yamamoto. Hai aspettato che non ci fosse più nessuno in corridoio e hai sparso sacche di sangue finto nel punto in cui volevi lasciare il cadavere, in modo da far pensare che fosse stato ucciso lì; l’hai spostato fuori, ripulito il sangue che lo sparo aveva fatto sboccare dal petto della vittima e lasciato le chiavi della camera su un comodino, per poi lasciare la stanza dalle finestre grazie all’elicottero dei tuoi compagni”
“Bella teoria, Holmes, ma mancano le prove. Allora? Dove sono?” domanda, rendendo il tutto simile a uno dei casi che sono abituato a risolvere normalmente assieme a Kogoro, Megure o Hattori. Sorrido. Non aspettavo altro che questo momento, a dire il vero.
“Ce le ho, don’t warry” rispondo, mimando la sua consuetudine di inserire parole anglosassoni o americane nei suoi discorsi. “Prima di tutto, il fatto che gli amici della vittima hanno riferito alla polizia che l’ultima volta che avevano visto Yamamoto era a pranzo, prima che una donna sulla trentina e con il nome di un liquore italiano arrivasse. Secondo…” mi fermo un attimo, portando lo sguardo alle sue mani pallide e chiare come porcellana. “Secondo, scommetto che i guanti non li avete ancora buttati via”
“Perché dovrei tenermeli, scusa?”
“Perché quella di Yamamoto era una copertura, non aveva veramente solo ventotto anni; e perché grazie al suo sangue che sicuramente sarà rimasto in parte ancora su quei guanti, volete provare a rintracciare il suo passato, il suo vero nome, la sua identità… quel uomo sapeva troppo su di voi, è un pericolo, potrebbe aver fatto una soffiata a qualcuno e rivelato di conseguenza tutti i vostri segreti” alzo il capo in segno di superiorità. “Come prove ti bastano?”
“A quanto pare mi hai scoperta Silver Bullet, che farai ora? Andrai a riferire il tutto alla polizia?”
“No. Non avrebbe senso andare a dire alla polizia che la figlia di un’attrice famosissima in tutto il mondo e la madre sono la stessa persona, che fai parte di un’organizzazione criminale e tutto il resto. No. Mi prenderebbero per pazzo, e comunque anche in caso contrario non glielo direi lo stesso. La vostra fine sarà diversa”
“Mm” si limita a ribattere. Mentre la pioggia intorno a noi comincia ad abbassare il ritmo, divenendo più calma e meno scontrosa.
“Ho ancora un’ultima domanda da farti”
“Dimmi”
“Come fai a non invecchiare mai?”
Ride, gettando l’ennesima sigaretta a terra ed avvicinandosi a me.
“I can’t tell you. You know how it is..” porta il dito indice davanti alle labbra tinte di rosso probabilmente da un rossetto. “A secret makes a woman, woman”
Sbuffo. Lo sapevo che non me l’avrebbe mai detto. Vorrà dire che lo scoprirò da solo, a questo punto.
“Ora comunque tocca a me porgerti qualche domanda, my dear” azzarda parola nuovamente, distanziandosi dal sottoscritto di qualche passo. Annuisco, acconsentendo. “Come fai a sapere che sarei venuta qua, oggi?”
“Come facevo a saperlo?” sussurro, ripescando nella mia mente ciò che giusto ieri pomeriggio è accaduto.
 
Apriamo la porta di casa mia, la mia vera casa: villa Kudo; e ci accomodiamo nell’ingresso levandoci in anzitutto le scarpe.
Non faccio nemmeno in tempo a slacciare il primo nodo delle mie converse che vedo l’ex agente dell'FBI già con un paio di pantofole ai piedi che si addentra nell’abitazione e comincia a cercare qualcosa dietro vasi, quadri o mobili, e che ogni tanto lancia uno sguardo fuori le finestre.
“Stai cercando qualcosa?” gli chiedo, notando l’interesse che ci mette nella sua ricerca. Alza busto e testa da sotto il tavolo del salotto, e mi lancia uno sguardo più che tranquillo.
“No, volevo semplicemente assicurarmi che non ci fossero cimici o qualcuno dell’organizzazione prima di fare questo” rispose, levandosi dapprima gli occhiali semplici ma eleganti, mostrando i suoi occhi color smeraldo e i loro lineamenti a dir poco unici, identici a quelli della sorella; per poi disfarsi anche della parrucca ramata e liberare quella sua ormai corta chioma corvina. Lo guardo e sorrido, da tanto che non ti vedevo, Akai, con quel tuo sorriso sempre dipinto sul tuo viso anche quando la situazione non era delle migliori. Mi torna alla mente il nostro incontro di poco fa, sotto l’agenzia investigativa di Oji-san.
“Questo non è il posto adatto… conosco un posto più sicuro… Kudo”
Chino il capo, lasciando che qualche raggio emanato dalle lampadine del lampadario sul soffitto si rifletti contro di essi; levandomeli poco dopo, mostrando anch’io la mia vera faccia di fronte a un amico, a un alleato.
“Da quanto sai chi sono veramente?” gli chiedo, puntando i miei occhi color dell’oceano sui suoi smeraldini, che incutono un senso di mistero, di vendetta e di astuzia allo stesso tempo.
“Da dieci anni, ad esser sinceri” confessa, appoggiandosi allo stipite della porta che porta alla cucina. “Ti ho sorpreso uscire dal bagno con le sembianze del piccolo Conan, con il telefono in una mano che rispondevi a Ran che stava in cucina, e con la voce di Shinichi che proveniva dal farfallino che indossi solitamente con il tuo completo blu ****,e poi siete identici e avete entrambi sia le stesse passioni, sia le stesse doti intuitive come Sherlock Holmes, quindi…” spiega, facendo spallucce, mentre mi lascio sfuggire una piccola risata. “Comunque, che dovevi dirmi di così importante?”
“Ah giusto” mi riprendo, sedendomi su una sedia, accompagnato poco dopo da lui, che intanto tira fuori un pacco di sigarette e un accendino. “Vedi, ho bisogno di incontrarmi con Vermouth. Devo chiederle alcune informazioni su cose che stanno accadendo recentemente. Tu sai darmi una mano?”
Porta la sigaretta alla bocca e la accende con l’accendino, ispirando una piccola dose di fumo. Si volta e mi guarda, sorridendo con fare spavaldo ma al tempo stesso deciso.
“Kir”
 
Penso a ciò che è accaduto dopo.
Finalmente, passati dieci anni, tutti noi creatori di quel piano che avrebbe sicuramente portato soddisfazione e vittoria a ogni una delle nostre missioni, ci siamo incontrati di nuovo.
Un detective, un agente dell’FBI e una della CIA. Hidemi ci ha subito riferito senza fare opposizioni che oggi la sua cosiddetta compagna di crimini si doveva incontrare con un uomo per ottenere delle bombe per far saltare un edificio a Kyoto, e non mi c’è voluto molto a mettere fuori gioco quell’individuo e aspettare che la donna arrivasse, a dir la verità.
“Allora?” mi desta dai miei pensieri la donna dal nome di un distillato italiano, Vermouth, mentre intorno a noi la pioggia sembra fermarsi all’improvviso, liberando lentamente anche il cielo da quelle vaste nubi nero-grigie che fino a poco fa lo ricoprivano, dando il posto ad un arcobaleno chiaro e quasi invisibile, ma comunque armonioso.
La guardo per qualche secondo appena, che già so che risponderle.
“Anch’io ho i miei segreti, Sharon”
“Mi ripaghi con la stessa moneta, eh?” ironizza, capendo che tanto non le avrei detto comunque nulla. “Almeno voglio sapere una cosa: centra Kir con tutta questa storia?”
“No” rispondo secco, senza trasparire alcuna emozione. Un no dritto e chiaro.
“Ho capito” sospira, avvicinandosi alla sua moto e indossando il casco nero. Monta in sella con un a dir poco agilità da poter far invidia a chiunque, per poi allacciare la protezione sul suo viso e lasciarsi ad una risatina. “Devo andare purtroppo” urla, per via del motore che rende inudibile qualsiasi altro suono o rumore. “Buona fortuna, Silver Bullet” l’ultima frase che sento uscire oltre le sue labbra, prima di abbandonare il vicolo inquietante e lasciarmi solo alla fine di esso, con un sorriso vittorioso a colorare il mio viso spento, come l’arcobaleno che sta ora brillando nel cielo che fino a poco fa era grigio.
Ora sì che posso cominciare la vera battaglia contro gli uomini in nero.
 

***

 
“Sì va bene, d’accordo” rispose, azionando una bomba e posizionandola nel pick-up dell’ormai cadavere, mentre l’altro si allontanava con la sua Porshe.
Mi dispiace, ma non avevo scelta.
Si scusò, prima di chiuderlo all’interno del veicolo e lasciarlo, allontanandosi anche lei con la sua macchina chiara.
La persona dentro il pick-up aprì lentamente gli occhi, controllando il timer della bomba al suo fianco.
Trentasei secondi…
Come da piano, ricontrollò il corpo del padre della sua presunta assassina lasciato sui sedili posteriori della macchina, si levò –di conseguenza- in fretta le sacche di sangue finto ormai vuote e le lasciò all’interno della vettura; lo stesso lo fece con maschera e giubbotto antiproiettile, e in fine, il berretto di lana con all’interno una banda protettiva, in cui un piccolo proiettile ci si è ancora incastrato.
Avevano programmato tutto, Kir gli aveva dato in anticipo le informazioni sui punti precisi in cui l’avrebbe sparato, e lui aveva preparato sacchi di sangue finto e giubbotto antiproiettile per rimanerne illeso.
Venti secondi…
Osservò ancora la bomba, per poi aprire velocemente la portiera della macchina nera e chiuderla di fretta, allontanandosi di qualche passo.
Vide un bambino e una donna sui trentasette anni chiamarlo da dietro una roccia. Li raggiunse.
“Tutto secondo i piani?” gli chiese il piccolo bambino con occhiali forse un po’ troppo grandi a coprirgli il volto.
“Tutto secondo i piani” rispose l’uomo, prima di accorgersi della donna di fronte a sé, dai lunghi capelli biondo scuro e con boccoli alle punte. Yukiko Kudo.
“Ha dato il telefono a Jodie? Quello con le impronte di Ethan Hondou, intendo” gli chiese la donna, mentre l’altro annuì.
“Sì, ieri l’abbiamo messo a contatto con le dita di Ethan, dovrebbe avere le sue impronte, e poi grazie al piccolo qui abbiamo trovato una scusa per farglielo ottenere” disse di rimando, sorridendo al piccolo Conan che ricambiò allo stesso modo. Le sirene della polizia erano sempre più insistenti, risuonavano sempre più vicine a loro, tanto da dargli in un certo senso sollievo, almeno avrebbero scoperto la macchina in poco tempo.
Non ci volle molto, che all’improvviso sentirono, infatti, dietro di loro un tonfo tremendo, e un calore allucinante sfiorargli le spalle.
Si voltarono tutti e tre verso la macchina che aveva preso fuoco, e sorrisero.
“Benvenuto fra noi… Subaru Okiya”




* Vermouth, oltre a Shinichi, chiama anche Akai "Silver Bullet".
**Episodio 504 (Jap.)/ 552 (ita). Una morte inattesa.
***Capitolo due (Porshe 356A), l'appuntamento tra Gin e Ooba nel vicolo.
****File 813 del manga.

Nana's Corner:
Minna konnichiwa! :D
Oddio, quanto tempo, neh? Siate sinceri, vi sono mancata almeno un pochino?? Ok, credo proprio di no, ma faccio finta lo stesso come se fosse il contrario.... xD
Comunque, prima di cominciare volevo scusarmi per il ritardo. So che nella shot della settimana scorsa ho detto qualcosa tipo "il 25 aggiorno", ma purtroppo alcuni fattori me l'hanno impedito: mi sono scappati i cani, era il giorno della commemorazione di mia nonna -ok, diciamo che mi sono ricordata alle otto di sera che un anno fa mi è morta pure l'altra nonna, ma va beh, mettiamola nella lista già che ci siamo ^^"- e ieri come ho preso il notebook in mano l'ho dovuto chiudere per andare a prendere mio padre all'areoporto... una vera guerra scrivere sto chap xD
E, visto che l'ho nominato, parliamo di quest'ultimo. Ho deciso di dare risposta a tutte, ma proprio tutte le vostre domande. Con Ooba, la pistola e tutto il resto. Mentre la morte di Akai è stata una cosa che mi è venuta l'altro giorno, e per le informazioni vorrei ringraziare Pad, e mio fratello che nemmeno ha messo piede dentro casa e si è ritrovato un pc in faccia e la sottoscritta con "episodio 552, scaricamenlo subito che mi serve u.u"... povera gente ^^"
Tornando al capitolo, complimenti a tutti coloro che avevano capito chi aveva manomesso la Beretta di Gin, ma purtroppo, nessuno aveva dedotto il come, a quanto pare.
Per il contenuto della ventiquattrore... avevate indovinato per metà xD
E per il piano di Akai e Kudo solo uno di voi aveva capito più o meno il tutto, ma al momento non mi ricordo chi, gommen nasai .-.
Beh, che dire, spero vi siano piaciuti tutti i ragionamenti che la mia testa bakata ha fatto in questi ultimi tre mesi ^^


Ed ora, passiamo al vostro corner: Metantei's corner (ah, non siete tenuti a rispondere se non avete tempo o voglio, tranquilli ^^):
Primo: che farà ora Shinichi con queste informazioni?
Secondo: che faranno ora i MIB?
Ah, un particolare, a sapere che Akai è vivo sono: Conan, Yukiko e Kir; chiaro? ;)

Beh, per i ringraziamenti oggi non farò nomi, purtroppo ho ancora dei compiti da finire e quindi vado di fretta ^^"
Any way, un grazie di cuore a tutti coloro che hanno recensito lo scorso chap; Arigatou gozaimasu! <3<3
Grazie mille a chi ha aggiunto la storia tra le preferite o seguite <3<3
Ed infine grazie anche a chi legge solamente.

Che dire, grazie per esser arrivati fin qui e per sostenermi sempre.
Alla prossima!!

XXX,
Nana Kudo.

Ps. Volevo ringraziare anche tutti coloro che hanno recensito la mia shot "Never want to see her cry anymore", grazie 1000000000000 <3<3<3<3


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Capitolo 14
*** Calamite ***


Capitolo quattordici
Calamite
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Silenzio.
Non avrei mai creduto che un giorno avrei trovato quest’attimo forse di quiete, o almeno di riposo per i nostri timpani, la loro stessa tortura. La tortura che avrebbe forse provocato qualche malfunzionamento al mio cuore o qualche problema di pressione, data l’intensità che lo costruisce così come un muro di mattoni costituiscono parte di una casa; date le emozioni che lo circondano, sia il silenzio che la sua intensità, come fosse l’intonaco o il cemento che ricopre tutte quelle piccole mattonelle color ruggine di cui questo muro, alto ed apparentemente indistruttibile, è formato; o dati gli sguardi che la donna di fronte a me non fa altro che lanciarmi, facendomi rabbrividire, così come sicuramente un tornado farebbe tremare tutto quel muro cui qualcuno aveva messo tanto impegno e premura nel costruirlo e tirarlo su, così come una bugia si distrugge nel momento in cui qualcuno riesce a far propria la verità e potertela finalmente sbattere in faccia, costringendoti ad ammettere la realtà dei fatti.
All’inizio ho provato a pensarla diversamente: non mi sta guardando per quel motivo, ma ho semplicemente qualcosa in faccia. Ma poi mi sono reso conto da solo che quest’idea è più che assurda, molto probabilmente tra le più assurde che abbia mai fatto in vita mia.
Sospiro, spero di sbagliarmi, anche se forse è più che ovvio che non sarà –e non è- così; e sotto lo sguardo che i suoi occhi azzurro-lilla non accennano a distogliere dal sottoscritto, sposto le mie iridi cobalto verso la vetrata alle spalle di suo padre, la stessa che riflette all’interno della stanza quella tenue luce che i fiochi raggi di sole producono, dopo tempi forse immemori, dopo quella pioggia che per giorni ha rigato gli stessi vetri facendoli piangere, rendendoli eterogenei, concedendo alle lacrime del cielo che li circonda di giocare e rincorrersi su di essi.
Rincorrersi… già, sembra quello che facciamo sempre noi due. Sembra quello che oramai è divenuto uno dei tanti pilastri che costruiscono la nostra relazione: rincorrerci.
Perché più siamo vicini, più noi ci cerchiamo. Come fossimo calamite: finché entrambi ci rivolgiamo la stessa estremità, vicini o meno, non potremo comunque stare insieme ed essere una cosa sola. Mai.
Sorrido, sarcastico. Forse dovrei ricredermi anche su quest’aspetto: la fisica in un certo senso con la mia vita centra, e forse anche troppo.
Faccio per riportare lo sguardo su di lei, quando un oggetto nero e di media grandezza passa svelto davanti ai vetri, per poi riprendere normalmente il volo dirigendosi dal lato opposto della strada al nostro, diventando più nitido ai miei occhi.
Piume nere, lunghe, corvine e tetre; e degli occhi chiari che vanno in contrasto con il colore uniforme del piumaggio.
Un corvo.
Sbuffo.
A pensarci bene ora non dovrei trovarmi qui su un divano mentre qualcuno mi lancia sguardi assassini, ma bensì da qualche parte o qualcuno ad escogitare un piano da adoperare contro gli uomini in nero. Contro i Corvi.
Sbuffo, di nuovo.
Il destino in questo modo si sta realmente beffando del sottoscritto. Prima mi fa ottenere tutte queste informazioni per poi farmi trovare bloccato su un divano come ho messo piede in casa.
Tsk. Roba da matti.
 
Alzo gli occhi al cielo. È grigio. Ancora, purtroppo.
Dietro l’immensa distesa tra il nero e il grigio, però, posso facilmente scorgere la luce solare lottare contro quella barriera scura pur di poter passare quel soffice quanto insormontabile ostacolo che la divide da noi, dal mondo sotto di essa, e poter affiancare tutti questi piccoli e candidi petali color confetto che da qualche minuto hanno ricominciato a librare e danzare nel cielo come fossero delle vere e proprie danzatrici. Ed è proprio uno di questi piccoli artisti che cadendo si poggia leggiadro sul palmo aperto della mia mano, e rimanerci per un po’, quel tanto che basta per rubarmi un sorriso, per poi tornare alla sua danza accompagnata dal fruscio del vento ancora freddo che l’inverno non è riuscito a portare via con sé.
Curvo le labbra in un sorriso, mentre lentamente mi avvicino all’entrata della palazzina cui si trovano Agenzia Investigativa e abitazione Mouri, cominciando già da adesso a estrarre le chiavi di casa dalle tasche dei miei, ormai zuppi, jeans.
Chiudo la porta che divide il condominio dalla strada trafficata di Beika e comincio a salire le scale che portano all’ufficio di Kogoro, estraendo intanto il cellulare dalla tasca e cominciare a comporre un messaggio da mandare poi ad Akai.
Dopo pochi attimi l’ho già spedito è così ripongo l’apparecchio elettronico nella tasca da cui precedentemente l’avevo tirato fuori, e mi ritrovo in pochi passi dinanzi alla porta che porta all’agenzia di quel famosissimo detective che da dieci anni famoso più non è, se non per le numerose birre che anche solo in un minuto potrebbe bere.
Sento delle voci provenire da dietro di essa. Le riconosco fin da subito come quelle di Ran e suo padre, e così decido di entrare lì invece che stare su nell’appartamento da solo, o al massimo in compagnia degli Hattori e le loro più che ovvie litigate.
Poso la mano sulla gelida maniglia di acciaio e lentamente faccio leva su di essa ruotandola in senso orario, fermandomi solo nel sentire un piccolo scatto provenire dalla serratura allegata a essa, e spingendo così la lastra di legno in modo da potermi inoltrare nel piccolo studio di Oji-san.
Aperta la porta, però, nonostante all’inizio ciò che mi si para dinanzi agli occhi sono la figura di Ran che leva una birra dalla mano dell’altro e quello che, per tutta risposta comincia a sbattere i piedi per terra come farebbe un bambino, poco dopo il tutto si annebbia con la vista dell’espressione cupa dell’ormai donna fino a poco fa energica, permettendole di avvolgerla come fosse un alone nero o come una sottile quanto impenetrabile coperta.
Deduco sia così per me. Deduco che allora da quando ieri mi evitava non è ancora cambiato nulla, e che si comporta così solo e unicamente con il sottoscritto.
Deglutisco, per poi sorridere amaramente e chiudermi la porta alle spalle.
“’Giorno” fingo un tono normale, sorridendo come il piccolo –ormai liceale- Conan è solito a fare con gli altri, sedendomi come se niente fosse –o almeno, cercando di convincere anche me stesso che in realtà non c’è nulla di cui preoccuparsi- sul divano nel centro del piccolo salottino di fronte alla scrivania del detective dormiente.
Sento i deboli passi di qualcuno dietro le mie spalle farsi sempre più vicini, più insistenti, fino a bloccarsi del tutto.
In cuor mio vorrei che fosse lei, speranze al vento, perché il respiro che si scontra sul mio collo non è il suo. Perché il ritmo dei passi non è nemmeno simile al suo. Perché il rumore che le suole delle scarpe producono a ogni tocco con il pavimento non è nemmeno vagamente paragonabile al suo.
Infatti, prova della mia teoria, è la stessa voce dell’individuo alle mie spalle che, grazie alla sua allegra risposta al mio saluto, fuoriesce dalla sua bocca.
“Conan-kun! Eccoti finalmente” esclama allegramente l’apprendista del cosiddetto detective giacente sulla scrivania a pochi passi da noi, Bourbon. “Dove sei stato per tutto questo tempo?” mi chiede, appoggiandosi con i gomiti allo schienale del divano bianco su cui sono seduto.
Il suo tono, la sua espressione, i suoi modi di fare, la naturalezza con cui parla… alle volte non riesco a capire se siano tutta una copertura o sia davvero così: diverso dagli altri, diverso dai Corvi.
E questo non lo penso solo per il fatto che a differenza loro lui veste anche capi che non siano neri, ma anche perché dopo tutti questi anni che è con noi ancora non ha fatto niente né a me, né a Ran, né ad Oji-san, che di motivi per essere attaccato da loro ne ha tanti, per quanto involontariamente, lui gli Uomini in Nero in un certo senso se li è messi contro, e quindi anche solo il fatto che lui non fa niente contro quell’uomo è già di per sé strano.
Provo comunque a rimanere normale, facendo per rispondergli normalmente, ma venendo battuto sul tempo dalla voce di un’altra persona. Una donna. La sua voce.
“Ti conviene andare a cambiarti se non vuoi beccarti un’influenza, Conan-kun” mi dice Ran con tono incolore, freddo e distaccato, marcato e ironico solo nel pronunciare il mio nome, o almeno, ciò che mi appella da quando ho cambiato vita.
La guardo un po’ insicuro, mentre il detective criminale alle mie spalle assiste alla scena con attenzione anche alle minime righe che si formano sui nostri visi, e che ha dipinto sul proprio viso un’espressione seria ma al contempo curiosa. Tipica di un detective.
Trattengo lo sguardo di Ran con il mio, per poi sospirare e andare di sopra a cambiarmi, cercando di mantenere un atteggiamento più che naturale, quando in realtà dentro non faccio altro che scoppiare ogni tanto come fossi un chicco di mais a contatto con l’olio caldo, o sentire improvvise sensazioni di vuoto pervadermi lo stomaco al solo pensiero di ciò che in quella stanza, nel suo viso, ho potuto captare.
 
Abbasso lo sguardo, sorridendo amaramente.
Forse mentre io sono qui a lamentarmi lei non fa altro che cercare un motivo –l’ennesimo- per giustificare il fatto che Shinichi, o meglio io, l’ho di nuovo lasciata sola.
Forse è tutta colpa mia che mi sono mostrato a lei, con il mio vero corpo, dopo cinque anni che non mi vedeva più e che molto probabilmente, sono stati i migliori per lei, non dovendosi più preoccupare per un egoista che l’ha messa all’ultimo posto della lista, sotto casi e quant’altro.
Forse non avrei mai dovuto dirle che io ero Shinichi, quella sera, in biblioteca*.
Forse non avrei nemmeno dovuto impedirle di sposarsi con Araide. Almeno in questo modo si sarebbe dimenticata di me, sarebbe riuscita finalmente a vivere felice.*
Ed ecco che invece ho cercato di evitarla quest’opzione; che ho cercato lo stesso di tenermela al mio fianco, di non perderla.
Andando in contrasto con ciò che io stesso avevo detto dieci anni fa ad Haibara e Agaza, gettando chissà dove tutta quella razionalità che mi ha sempre caratterizzato, distinto dagli altri.
Non voglio più vederla piangere.
Anche se volesse significare che per me non ci sarebbe più posto nel suo cuore.
Già.. che senso aveva questa frase, se poi dopo meno di un anno mi sono dichiarato a lei?** Che senso ha avuto cercare di nasconderle i miei sentimenti, fingendo addirittura di non capire che quel cioccolato preparato da lei per San Valentino non era a forma di pesca ma bensì di cuore,*** quando alla fine le ho mandato addirittura dei piccoli e dolci cioccolatini bianchi per il White Day?**** Che senso ha avuto allora smettere di chiamarla dopo aver capito che sarebbe stato meglio farmi dimenticare, se poi sono io a spuntarle dinanzi agli occhi dopo cinque anni? Che senso ha? Che senso aveva?
Nessuno, appunto.
Ma purtroppo non posso più farci nulla.
Nonostante io cerchi in tutti i modi di farmi dimenticare da lei, di farmi apparire come un egoista a cui non importa niente di lei ai suoi occhi, di allontanarla da me per quanto possa farmi male, io… non ci riesco.
Non riesco a vederla piangere per colpa mia, vederla soffrire per colpa mia, anzi, non lo sopporto proprio. Ed è qui che non è più il mio cervello ad agire, ma il mio cuore.
Già, il mio cuore…
Alzo lo sguardo, spostando gli occhi su di lei, che da quando sono tornato in agenzia non fa altro che guardarmi, incavolata per qualche minuto, con un sorriso per altri e altri ancora con gli occhi lucidi e il capo chinato.
Ora, invece, mi sembra non trasparire più alcuna emozione, nemmeno una smorfia o un sorriso, nulla; nel vedere il suo viso riflesso nei miei occhi, nelle lenti degli occhiali di Conan.
Guardando i suoi occhi, in questo momento, mi è tutto più chiaro: lei sospetta di Conan, non è uno scherzo, né un gioco. No. Fa sul serio questa volta.
E forse è di nuovo colpa mia. Forse ieri non scherzava, lei ha davvero sentito o visto la mia trasformazione.
“Io..” provo a dire, mentre nella mia mente più trucchi per far cessare ogni suo dubbio, per ingannarla di nuovo, cominciano ad alimentare ogni minimo ingranaggio nel mio cervello.
Mi guarda sempre con gli occhi vuoti, privi di emozioni, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Io..” ancora niente, non mi viene in mente nessuna scusa che possa essere plausibile, e così cerco di prendere tempo. Tempo, fino a quando la porta dell’agenzia non si apre e da dietro di essa appare un ormai uomo dalla carnagione scura, precisamente olivastra, occhi brillanti e smeraldini e un sorriso sempre a incurvare le sue labbra.
“Kudo!” esclama tutto contento, non avendo assolutamente notato –o forse l’ha fatto ma finge il contrario- che nella stanza non ci sono solo io, ma anche Ran e Kogoro, per quanto inerme possa essere.
Ecco, forse alla lista dei motivi per cui Ran dovrebbe sospettare che Conan e Shinichi sono la stessa persona possiamo aggiungere anche il fatto che il mio cosiddetto migliore amico non fa altro che chiamarmi di fronte a lei con il mio vero cognome ogni volta che mi vede, normalmente e con una naturalezza impressionante.
Lo guardo truce, ed è proprio grazie a questo mio sguardo che di affettuoso o amichevole non ha proprio niente, si rende finalmente conto di Ran.
“Oh, ciao Mouri…” ancora, quel suo solito tono naturale accompagnato da una risata nervosa che lo fanno sembrare davvero un idiota. “Come stai?”
“Bene ma.. perché me lo chiedi? Eravamo tutti insieme fino a un’ora fa” gli chiede lei, con un sopracciglio alzato ma comunque sorridente.
Forse non centra niente, forse dovrei sbattermi una mano in viso per l’immensa stupidità del mio amico, ma vedendo Ran sorridere, non posso che imitarla, incurvando le mie labbra in un sorriso, felice. Se me l’avessero detto anni fa, credo sarei scoppiato a ridere, ma ora invece so che non sono sciocchezze: il sorriso di una persona a te cara, quella che ami, può davvero renderti così. Può davvero valere più di ogni altra cosa al mondo.
“Che sbadato” continua a ridere come l’idiota, portandosi un braccio dietro la testa, per poi bloccarsi tutto di un colpo e rivolgermi nuovamente l’attenzione. “Kud- Conan” comincia, sbagliando all’inizio ma poi correggersi subito dopo. “Vieni con me un attimo?” domanda, serio in volto, stupendomi.
Guardo un attimo Ran di fronte a me che ora è tornata a guardarmi torva, facendomi tremare; e poi lui, che serio continua a fissarmi da dietro il divano opposto al mio.
Sospiro.
“D’accordo” dico ad Hattori, mentre mi alzo di peso dal sofà candido. Lui sorride, e poco dopo, insieme, ci avviciniamo così all’uscita dell’ufficio, sotto gli sguardi con sfumature diverse che la mia amica d’infanzia ci lancia.
Forse è meglio così, dopo il grande ingresso del detective di Osaka ora mi toccherà studiarmela bene una strategia per far cadere qualsiasi suo sospetto. Quindi meglio prendere altro tempo.
Cammino guardando la punta delle mie converse, senza badare minimamente a dove vado, perdendomi nei miei pensieri, in un mondo di possibilità e modi che possono allontanare qualsiasi dubbio dalla testa di Ran, in un mondo dove non la faccio soffrire così.
Ma questi pensieri, (s)fortunatamente, vengono bloccati sul nascere dal contatto che il mio braccio ha con la mano del mio amico, che socchiusa la porta, mi avvicina a sé e chiede spiegazioni bisbigliando.
“Si può sapere che succede tra te e la Mouri?!” mi chiede, facendomi cenno con il capo alla donna che non si è mossa di un millimetro dalla postazione di prima, mentre tira fuori il suo cellulare e inizia a usarlo per qualcosa che il mio intelletto non è riuscito a dedurre. “Allora?” riporta il mio sguardo sul suo, sbigottito per il mio poco interesse nei suoi confronti, e molto probabilmente anche per la mia espressione scocciata.
“Sospetta che Shinichi e Conan sono la stessa persona da quella sera” rispondo, liberando bruscamente il mio braccio dalla sua stretta. “E comunque sappi che la tua entrata spettacolare ha peggiorato solo le cose”
“Che avrei fatto?” domanda ingenuamente, facendo pulsare una vena sulla mia fronte per il nervosismo.
“Che… hai… fatto?” cerco di trattenere la rabbia, mentre lo vedo sudare freddo.
“Oh… ah… per il Kudo di prima..” afferra il concetto, grattandosi con l’indice una guancia. “N-Non è n-niente, ormai ci ha fatto l’abitudine, magari non ci ha fatto nemmeno caso e stai facendo tutto da solo” prova a rassicurarmi, peggiorando solamente le cose.
“Non è niente, eh?” chiedo ironico, mentre l’ira dentro di me continua a crescere. “Dopo dieci anni ancora ti ostini a chiamarmi Kudo davanti a lei, e ora sono io a farmi tutti i filmini mentali?”
“O-Ok… forse io..” prova a sistemare il danno, quando sospiro rassegnato sbattendomi una mano in viso.
“L-Lascia perdere” sussurro, appoggiandomi al muro. “Comunque, di che mi volevi parlare?” domando, piegando le braccia al petto e assumendo un’espressione più seria, ricambiata dalla sua che lo è altrettanto.
“Che sta succedendo, Kudo?” mi chiede, mettendo le mani in tasca, fissandomi sempre più preoccupato con i suoi occhi color smeraldo. “E non parlo della situazione con Ran, ma di quella con loro. Abbiamo un discorso in sospeso, ricordi?”*****
Lo fisso confuso per qualche secondo, per poi percepire il senso della sua frase e scostarmi leggermente dalla parete fredda e liscia dietro di me. Lancio un’ultima occhiata a Ran che ancora se ne sta beatamente sul divano con il cellulare in mano, chiudendo subito dopo la porta che divide corridoio da agenzia in modo da creare più privacy tra me e il detective di Osaka, impedendole di ascoltare o anche solo sentire di sfuggita qualcosa dei nostri discorsi.
“Certo che me lo ricordo” rispondo, mantenendo un tono di voce abbastanza basso, non si sa mai che Amuro passi proprio adesso. “Sì, ci sono degli sviluppi in quanto l’organizzazione, sappiamo anche parte dei loro piani” gli confido, mentre lui dilata le pupille sorpreso.
“Sappiamo? Non sei da solo? E poi come hai fatto a..?”
“Shuichi Akai mi ha-”
“E chi è?” domanda confuso, ricordandomi solo dopo che lui non sa nulla della storia di Akai.
“Era un ex membro dell’FBI, è stato anche infiltrato nell’organizzazione e grazie a lui e un’altra persona sono riuscito a incontrarmi con Vermouth ieri e ottenere alcune informazioni” spiego, ricevendo per tutta risposta un quasi inudibile verso uscire dalla sua bocca, mentre annuisce con il capo.
“E che hai scoperto?” chiede ancora, interessato all’argomento.
“Vedi, Vermouth mi ha detto che-” faccio per dettargli ogni particolare quando un’idea mi colpisce come un fulmine alla testa nel vedere un oggetto ondeggiare di fronte alla piccola entrata del condominio, illuminandomi e suggerendomi un piano che forse potrebbe aiutarmi a risolvere la situazione con Ran.
“K-Kudo! Dove vai?” ennesima domanda che Hattori mi pone, sta volta nel vedermi correre frettolosamente giù per le scale così all’improvviso. Quel piccolo oggetto inizia lentamente ad allontanarsi da davanti alla porta, nel sentire le sirene delle auto della polizia suonare in lontananza; portandomi ad accelerare ulteriormente la corsa pur di non perderlo di vista.
“Scusa Hattori; i dettagli te li spiego dopo!” gli urlo, poco prima di sbattere la porta del palazzo e correre per strada, rincorrendo ciò che da qualche secondo è diventato stranamente importante.
“Tsk. Che amico, mi pianti sempre in asso!” sento urlare alle mie spalle. Accento del Kansai.. rido divertito dalla situazione. “Ora capisco come si sente Ran ogni volta che te ne vai di corsa e la lasci sola!” ecco, se prima ero divertito, ora non posso far altro che assottigliare gli occhi scocciato. Non avrei mai potuto pensare che al mondo esistessero persone tanto idiote come lui, se non l’avessi visto con i miei stessi occhi.
 
***
 
È sera, ormai.
Il cielo è diventato un’immensa distesa blu scura, con solo qualche stella che da lassù brilla incorniciando una luna crescente, regina del cielo, che risplende nell’angolo più alto di esso, divenendo quasi intravedibile ai nostri occhi.
Lentamente apro la porta dell’agenzia, con la speranza che dentro non ci sia nessun altro oltre lei. E a quanto pare, per una volta la fortuna è dalla mia parte: non c’è nessuno, solo Ran affacciata alla finestra che osserva la luna quasi nascosta dagli immensi grattaceli di Beika.
Mi avvicino cautamente a lei, cercando di fare il meno rumore possibile, ma a quanto pare essere furtivo al sottoscritto non riesce proprio, e per colpa di una lattina di birra dimenticata –o meglio, buttata da una certa persona- per terra, vengo scoperto da lei.
“Scusa” mi viene spontaneo, dopo aver creato tutto quel trambusto con quell’ultima.
“Ah, sei tu…” sussurra amaramente, dopo un piccolo sussulto per lo spavento. Rimane con lo sguardo rivolto verso la regina del palcoscenico, la notte, senza mai voltarsi, come se mi stesse ignorando.
Fa male, essere ignorato così da lei.
Fa male, sapere che lo stesso l’ho fatto anch’io non chiamandola per cinque anni.
Ma forse ciò che fa male di più è che non ha capito che sono veramente io per colpa della nostre voci identiche.
“Perché ti comporti così… ti.. ti ho fatto qualcosa?” le chiedo, abbassando lo sguardo puntandolo su un punto indefinito del pavimento, mentre lei si volta nella mia direzione, con gli occhi velati di lacrime, prima di dolore, poi di gioia.
“No…” sussurra, nel vedermi. “… N-Non è possibile”
“Perché no?” rispondo, sorridendole dolcemente, ricevendo di tutta risposta solo la sua espressione spiazzata. Mi avvicino di qualche passo a lei, arrossendo visibilmente, entrambi.
“Perché così proveresti ogni mio sospetto nei tuoi confronti come vero, ed io non voglio” si limita a rispondere, incapace di dire altro, chinando il capo mentre una lacrima le solca le guance.
“Nemmeno io”rispondo, mentre strabuzza gli occhi sorpresa.
“Che signifi-” prova a ribattere, venendo però battuta sul tempo dalla melodia del suo cellulare che ha cominciato a vibrarle in tasca.
Mi guarda un po’ incerta, non sa se rispondere o meno, ed io annuisco, sorridendole.
“Pronto?” domanda, avvicinando l’apparecchio elettronico all’orecchio, senza nemmeno aver prima controllato chi fosse a chiamarla.
“Ran-neechan!” sento la voce, seppur metallica di Conan dalla mia postazione. Si è bloccata. Mi lancia uno sguardo, mi scruta, m’ispeziona nei minimi dettagli e deglutisce, fino ad avere conferma nel risentire la voce dell’altro capo della chiamata.
“C-Conan-kun?” la sua voce è impaurita, come se stesse tremando, come se fosse confusa dalla situazione.
“Sì, perché?” deglutisce, per poi guardarmi e sorridere. Finalmente, un sorriso sincero.
“No niente” risponde, arrossendo per la mia vicinanza, ma comunque contenta di avermi qui accanto a lei.
Continuano a discutere, mentre io non posso far altro che esser contento che il nostro piano abbia funzionato, o forse anche leggermente divertito nel pensare a chi veramente sta dall’altro capo del telefono fingendosi Conan.
 
Busso alla porta dell’abitazione in modo brusco e continuo. Prima tramite il campanello e poi, nel non vedere nessuno aprirmi la porta, addirittura sbattendo i pugni su di essa.
Mi abbasso un attimo, piegando il busto e appoggiando entrambe le mani sulle ginocchia. La corsa appena fatta fin qui dall’agenzia mi ha privato d’ossigeno, i miei polmoni sono stanchi così come le mie gambe, e il mio respiro non è da meno, poiché è affannato e mi ritrovo l’intero viso ricoperto da tante piccole goccioline di sudore.
Aspetto ancora un altro po’, il tempo di riposare il mio corpo per qualche attimo, per poi ritornare in posizione eretta e riavvicinarmi per l’ennesima volta alla porta d’ingresso.
Quando sono sul procinto di risuonare il campanello, lo scatto della serratura mi blocca, spingendomi a riabbassare l’arto con cui stavo per compiere la mano e aspettare che la porta sia completamente aperta.
“Shinichi!” mi saluta il professor Agaza, sorpreso di ritrovarmi dinanzi casa sua con il fiatone e completamente sudato da capo a piedi. “Che ci fai qui?” domanda, facendomi accomodare in casa.
“Dov’è Haibara?” ignoro la sua domanda, addentrandomi nel soggiorno e ricevere per tutta risposta una finta risata da parte sua, e poco dopo, anche uno sbuffo da parte dell’interpellata.
“Sono qui” risponde la scienziata appena giunta al nostro piano dalle scale che portano al suo laboratorio.
“Voglio un antidoto!” quasi le urlo avvicinandomi a lei, che sempre con la sua espressione scocciata mi fissa senza mai fermarsi.
“Non ti hanno mai insegnato che si saluta quando entri in casa di qualcuno?” ironizza, levandosi il camice da laboratorio, voltando il capo dall’altra parte.
“Non sto scherzando! Ho bisogno di un antidoto” ripeto, prendendola per le spalle spingendola così a guardarmi e donarmi la tutta la sua attenzione. “Non m’importa quanto duri, l’importante è che me ne dai uno”
“No” risponde secca. Senza aggiungere altro.
“Ma mi serve! È per-”
“La ragazza dell’agenzia, non è così?” mi chiede, mentre io mi limito ad annuire. “Ma non eri stato tu a dire che era meglio non farti più vedere da lei, che in questo modo si sarebbe dimenticata di te e che avrebbe smesso di soffrire?”
“Sì ma.. lei sospetta di Conan, se non lo prendo sarò obbligato a dirle la verità e metterla così in pericolo” rispondo, abbassando il capo.
Per quanto preferirei che lei sapesse tutto, io non voglio che faccia la stessa fine di Yamamoto, non voglio che l’organizzazione la uccida solo perché sapeva troppo. No, non voglio.
E questo deve averlo capito anche Haibara, che dopo avermi osservato in silenzio per qualche minuto, sospira rassegnata.
“D’accordo” acconsente, facendo incurvare le mie labbra in un sorriso. “Ho un prototipo con una dose minore di Assenzio, puoi prendere quello. Ma sappi che c’è un’altra probabilità di morte, potresti riscontrare qualche malfunzionamento nell’aria celebrale o che duri poco o meno dello scorso antidoto” riparte con i soliti discorsi che ogni qualvolta ci sia un antidoto di mezzo, lei tira fuori, forse per spaventarmi e impedirmi di prenderlo o forse solo perché ha paura lei.
“Lo so” replicò, mentre, sbuffando, estrae una piccola pillola dalla tasca del camice bianco che fino a poco fa aveva addosso e me la porge, per poi sparire nuovamente nel buio del suo laboratorio. “Grazie”
“Tsk” mugugna, provocando la risata mia e del professore.
“Ah, a proposito” mi volto verso il proprietario dell’abitazione, che mi sorride avvicinandosi lentamente al divano di casa. “Ce l’ha ancora il farfallino modulatore di voce?”
“Sì, dovrebbe essere in camera mia, ti serve per caso?”
“No ma… potrebbe farmi un favore?” gli chiedo, sorridendo spavaldamente, mentre lui annuisce.
 
Già, mi viene da ridere se penso che la persona con cui Ran sta parlando in questo momento, non è Conan ma Agaza. Ma cerco comunque di trattenermi, con poi il termine della chiamata e l’attenzione della donna tutta su di me a contribuire al tutto.
“E-Era Conan” prova ad aprire un discorso, mentre entrambi siamo bloccati dalla vergogna e dal rossore padrone delle nostre gote.
“Lo so” mi limito a dire. Sta volta sono io a non sapere che altro aggiungere.
“Shinichi…” sussurra, abbassando il capo, permettendo a un velo lucido di ricoprirle gli occhi.
“Sì?”
“S-Sei davvero tu?” chiede conferma, stringendo il cellulare tra le sue mani.
“Chi altro dovrei essere secondo te?” ironizzo, scoppiando poi entrambi in una risata e lei, poco dopo, in un pianto di gioia. “Ran, non piangere” la rassicuro, asciugandole le lacrime dagli occhi, con non poco imbarazzo.
“Perché sei qui?” domanda, guardandomi negli occhi.
“Conan ha detto che ci sei rimasta davvero male quando sono andato via senza salutarti” sorrido dolcemente, venendo ricambiato poco dopo. “E così ho pensato di lasciare un attimo tutti i casi in cui sono coinvolto e venire a salutarti, prima di riprendere le indagini”
“Hai lasciato i tuoi casi per venire a salutare… me?” annuisco con il capo. “Non dovevi”
“Forse…” rispondo, poco prima di sentire una fitta lacerarmi il cuore. Com’è possibile? Non sono passate nemmeno due ore da quando ho preso l’antidoto. Perché deve sempre finire così?
Penso, nel vedere quel bellissimo sorriso espandersi sul viso di Ran.
Un’altra fitta, che mi fa capire che è arrivato il momento di andare via.
“Ran, devo andare” sussurro, cercando di non trasparire alcun sintomo di dolore esternamente, di trattenermi il tutto dentro, per quanto insopportabile possa essere.
Sorride amaramente, per poi annuire rassegnata.
“Tornerò” la rassicuro, con sguardo serio. “Te lo giuro”
“Lo so ma… fai presto” mi chiede, riflettendo i suoi occhi nei miei. L’abbraccio, colpito dall’istinto. Vorrei fare di più, vorrei farle capire quanto la amo, ma so che non è il momento giusto. Che un bacio, adesso, significherebbe solo farla soffrire più di quanto già non lo faccia.
Mi stacco lentamente da lei, sorridendole, per poi avviarmi alla porta dell’agenzia.
“Shinichi” mi richiama, prima che io possa chiudere la porta. Mi volto a guardarla, mentre il suo viso diventa improvvisamente paonazzo. “M-M-Mi… mi m-mancherai” sussurra, divenendo rossa come un peperone.
Sorrido, e prima di chiudere la porta e rifugiarmi altrove a soffrire per tornare nel corpo di un ragazzo del liceo, le rispondo allo stesso modo, arrossendo come lei, che mi sorride dolcemente.
“Anche tu”
 
***
 
 
“CHE COSA?!”
“H-Hattori, potresti abbassare la voce per favore?” gli chiedo arrossendo fino alla punta dei capelli, sperando che né Toyama né Ran si siano incuriosite grazie alla voce poco bassa del mio cosiddetto migliore amico.
“Non ho capito, tu, quattro ore fa hai visto Kaitou Kid davanti l’agenzia e, vedendo il suo mantello ti è tornato in mente l’incontro con lui al Beika Central Building, il tuo risveglio dopo la festa dei poliziotti, l’antidoto contro l’APTX, e così sei corso a casa della scienziata lasciandomi in mezzo ad un corridoio come il cretino?” domanda, chiedendo conferma a ciò che gli ho appena confidato.
“Esatto” mi limito a rispondere, seccato, lanciando intanto uno sguardo a Ran che dalla cucina continua a canticchiare felice, mentre prepara la cena per tutti.
“E-E… e non potevi chiedere a me scusa di chiamare Ran con la voce di Conan invece che a quello lì?” mi chiede con gli occhi assottigliati, seccato, perché per l’ennesima volta non è stato incluso in qualcuno dei miei piani.
Sbuffo.
“Baro! Se l’avresti chiamata tu, avrebbe capito subito che non era Conan al telefono!” sta volta sono io quello scocciato.
“E perché scusa?”
“Non sarà un detective, ma il tuo accento marcato lo riconoscerebbe chiunque!” rispondo, appoggiano il gomito sul tavolino in salotto e il capo sulla mano, tornando a guardare Ran che ride allegramente con Kazuha.
“Potevo anche travestirmi da te, non c’era per forza bisogno di prendere un antidoto” ribatte, per poi spostare anche lui lo sguardo nella mia stessa direzione e capire poco dopo perché ho preferito questo piano ad altri. “Sorride” afferma poco dopo, contento nel vedere sia me che la ragazza che amo più sollevati e allegri di prima.
“Già” sussurro, per poi arrossire al suo sorriso idiota. “C-Comunque” provo a cambiare discorso, mentre lui si lascia sfuggire una piccola risata. “Riguardo ai Corvi…” torniamo entrambi seri, abbassando il più possibile la voce in modo da non farci sentire da nessuno. “Domani ti spiego tutto, ma è meglio se lo facciamo in un posto più adatto”
“E dove?” domanda, curioso.
Sorrido spavaldo, mentre gli ingranaggi del mio cervello cominciano ad elaborare un piano da adoperare contro di loro. Un piano per segnare finalmente la parola fine sui loro crimini.
“A villa Kudo, insieme ad Akai
 
 
 

 *OAV 9, "The stranger of ten years after"
**Episodio 621
***Episodio 268 (jap), 290 (ita)
****Episodio 608/609 
*****Capitolo 10, La seconda condizione -terza parte-

Nana's Corner:
Ohayo, popolo di EFP! :D
Cosa centra questo capitolo con lo scorso? Non lo so! xD
Diciamo che ho pensato di dare un piccolo momento a Shinichi e Ran, dato che nei prossimi non credo proprio ne avranno, un nuovo tentativo riguardante l'antidoto, e un capitolo leggero e con Hattori prima del prossimo, dove, come avrete capito, qualcuno comincierà a fare il primo passo contro l'organizzazione.
Any way, com'è uscito sto sclero? Il paragone di Shinichi e Ran con le calamite? -no, non mi è venuto studiando fisica ma.. geografia .-. -
Il momento ShinxRan? E' sdolcinato? OOC? Orrendo?? Ditemelo!!! >-<
E... Hattori? Io lo detto e lo ripeto, quel ragazzo è un cretino u.u Mah, almeno l'ha ammesso nella parte finale del chap...
Kiddo? Chi di voi aveva pensato che Shinichi stava rincorrendo Kiddo invece di andare da Haibara?
Ah! Haibara com'è? Mi è uscita bene o proprio non ce la farò mai a descriverla IC? 
Ok, ho capito, non solo le mie recensioni sono insensate, ma pure i miei corner .-.
Passo al Metantei corner allora, che è meglio -.-"

Metantei's Corner: -come sempre, chi non ha tempo o non ha voglia, non è tenuto a rispondere alle domande, tranquilli ;)-
Primo: Che decideranno di fare ora Akai, Shinichi e Hattori?
Secondo: Che faranno ora in quanto gli antidoti?
Ah, una precisazione: Conan ha capito che Amuro è Bourbon dall'episodio del mistery train, infatti, nel file 826, lo dice anche. Nel file 828, invece, alla fine Vermouth lo chiama e gli chiede perché sta ancora lì come apprendista, e lui risponde che vuole scoprire di più sul detective Mouri o dormiente, non ricordo bene .-. Comunque mentre lo dice pensa a Conan, e quindi sì, lui in qualche modo ha capito che dietro Kogoro c'è Conan, ma non chi c'è dietro Conan, per il momento.

Ed ora passiamo ai ringraziamenti.
Grazie di cuore a Love_Ade, Hoshi Kudo. _Vevi, KeynBlack, Shana17, Pan17 e shinichi e ran amore per aver recensito lo scorso chap. ARIGATOU! ^^
Grazie a Kirito per aver inserito la storia nelle ricordate, arigatou anche a te ^^ 
Grazie a chi aveva invece già inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate. Arigatou ^^
Ed infine grazie anche a chi legge solamente.
Prometto che il prossimo cercherò di pubblicarlo presto, I promise it! xD
Ma prima spero questo vi sia piaciuto :')
Grazie per aver letto! Al prossimo!!

XXX,
Nana Kudo

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Capitolo 15
*** Sherlockians ***


Premessa: l'ultimo punto del capitolo, dopo i tre asterischi, verrà narrato in terza persona per motivi di "infondiamo mistero".. (?)
Va beh, c'ho provato ad essere seria per tre secondi.. ^^"
Vi lascio al capitolo che è meglio.. -.-"
Have a nice reading! ^^


 
Capitolo quindici
Sherlockians
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Il fumo fuoriuscente dalla longilinea e sottile sigaretta continua a espandersi ovunque per la stanza, inoltrandosi in ogni piccolo e inimmaginabile angolo di essa, nascondendosi tutt’intorno ai numerosi libri qui presenti, e rifugiandosi nei nostri respiri, nella stoffa dei vestiti e moquette sul pavimento, infondendo in essi –come nel resto della stanza- il suo inconfondibile quanto insopportabile odore.
La distoglie per qualche attimo dal tocco delle sue labbra, avvicinandola e dotandola invece di quello freddo e marmoreo del portacenere posto sulla scrivania, facendone cadere qualche cenere ormai quasi consumata così come la carta che fino a pochi istanti fa la ricopriva.
“Ricapitolando” azzarda il mio alleato, permettendo alla propria voce di riecheggiare nell’immensità della biblioteca cui ci troviamo, riavvicinando il tabacco alla bocca e tornare così ad assorbirne la nicotina contenuta in quest’ultimo. “Ooba è uno che tu hai fatto arrestare dieci anni fa sotto copertura, spacciandoti per un neo-poliziotto, e che tre mesi fa, dopo essere uscito dal carcere, ha rintracciato l’organizzazione e cominciato a pianificare una vendetta nei tuoi confronti. Vermouth ha cercato in più modi di evitarlo e, dopo l’episodio al Beika Center Building anche il resto dei membri hanno cominciato a nutrire rancore nei suoi confronti, tanto da uccidere l’amico e cominciare a prepararsi per poi far lo stesso anche con lui. Giusto, Holmes?” domanda in fine sarcastico, guardandomi dritto negli occhi con i suoi color smeraldo, penetranti e misteriosi.
Mi limito ad annuire, facendo intanto aderire il mio corpo comodamente e perfettamente allo schienale della sedia a rotelle presente nella stanza, mantenendo i palmi all’altezza del petto e le dita incrociate le une tra le altre.
“Però… quante me ne sono perso allora dall’episodio del Mystery Train, l’ultima volta che il buio ha deciso di uscire allo scoperto, come ombre sotto la luce del sole” ironizza, schiacciando la sigaretta ormai consumata nel portacenere dinanzi a lui.
Sorrido, forse divertito da quella metafora da lui fatta, o forse solo per sfogo, per allietare la tensione che ci occupa.
“Evidentemente i corvi non si erano davvero presi una pausa negli ultimi dieci anni come speravamo, ma solo un assieme di azioni e piani nell’ombra, agendo ma non trasmettendo niente agli altri, come fossero invisibili” rispondo, facendo sorgere anche in lui un sorriso, ucciso poco dopo dalle sue stesse parole.
“Sei riuscito a scoprire altro da quella donna?” domanda, tornando di colpo serio e incrociando le braccia al petto.
“No purtroppo. Tutto quello che so, te l’ho appena detto; non ho la minima idea di che, o se, al momento stanno pianificando qualcosa per sbarazzarsi di Ooba o anche solo per intimorirlo” rispondo normalmente, mentre lui annuisce strofinandosi il mento con le dita, molto probabilmente in cerca di un piano per noi da escogitare e utilizzare contro i Corvi, poiché quasi certamente, la prima e inaspettata mossa toccherà a noi.
Lo imito, provando anch’io a pianificare qualcosa da fare ora per riuscire a distruggerli, qualcosa che loro non possano vincere, qualcosa che li porterebbe finalmente tutti quanti in quella tomba chiamata galera, dove potranno finalmente pagare per tutti i mali da loro fatti.
Avvicino le dita al mento, ma nel procinto dell’azione, grazie alle mie iridi cobalto costantemente allerta e attente ai minimi particolari che mi circondano, mi fermo, abbassando il braccio verso il manico della sedia.
Volto il capo alla mia destra, in direzione di Hattori, che continua a osservare me e Akai dalla sua postazione con sguardo serio dipinto sul suo viso ma al contempo visibilmente confuso.
“Hattori, qualcosa non va?” gli chiedo sottovoce, senza ricevere alcuna risposta però. “Hattori?!”
“Sì?” si volta di scatto, facendomi sbuffare sonoramente.
“Qualcosa non va? Perché hai quest’espressione da quando hai visto Akai?” provo a richiedergli, cercando di essere anche più chiaro sta volta.
“Ah..” sibila, tornando apparentemente più calmo, ma mantenendo comunque l’atteggiamento sospettoso di prima. “Non so.. com’è che quest’uomo sa così tante cose sull’organizzazione e su di te?” ribatte, facendomi ricordare che, dopo tutto questo tempo, ancora non gli ho spiegato completamente che sta succedendo.
Provo mentalmente a formulare una frase di senso compiuto che possa spiegargli in modo abbastanza chiaro tutto, ma proprio tutto ciò che negli ultimi anni si è perso; e nel farlo, non posso fare a meno di ripescare eventi e momenti appartenenti al passato ormai, ma che molto probabilmente ci hanno portati sino a qui.
 
“Stai piangendo di nuovo…” la voce di un uomo, dalla pelle non molto chiara ma nemmeno troppo scura o olivastra, appena uscito da una cabina telefonica e che, contemporaneamente, si chiude dietro la porta di quest’ultima.
“Eh?” mormora Ran, mentre la candida e violenta nevicata non accenna minimamente a scemare.
…Di nuovo? 
“Piangi sempre quando ci vediamo” le spiega, alzando il capo e guardandola negli occhi, mentre la sigaretta tra le sue labbra continua a rilasciare fumo grigiastro, che va a dissolversi nell’aria e nei piccoli fiocchi di neve che ci circondano.
…Sempre?
Mi pongo davanti a lei, parzialmente, coprendo le sue gambe con un mio braccio come a farle scudo. Quell’uomo è uno di loro, non mi fido. È pericoloso.
“Perché? È sbagliato?”gli chiede la mia amica, quasi ironica, asciugandosi una lacrima con il dorso della mano libera dalla nostra stretta.
La guardo confuso ma al contempo incredulo delle sue parole. Ma allora… si conoscono? Com’è possibile?! “No” si limita a rispondere.“Stavo solo pensando… che mi ricordi molto una donna” la sua voce è naturale, roca, nel pronunciare queste poche parole; ma con una vena di amarezza, per quanto nascosta o camuffata da una ironica, nei suoi occhi e nella sua voce.“Una stupida donna che piangeva sempre nell’ombra cercando di apparire invece disinvolta agli occhi altrui”*
 
 “Benvenuto fra noi… Subaru Okiya”**
 
“No” risponde alla domanda dell’ispettore sul suo colore preferito, negando così il verde, Okiya. “Se potessi scegliere, direi il nero” aggiunge serio.“Perché è un colore che ricoprirebbe cose dentro di me che non voglio si scoprono” si volta verso il suo interlocutore, abbassando le braccia e mantenendole dritte lungo il corpo. “Ma odio il nero per le stesse ragioni, quindi..”***
 
“Perché non vai a casa di Shinichi-niichan?” gli domando normalmente, sorridendo e mantenendo il mio solito atteggiamento da bambino. Tipico di Conan.
“Shinichi-niichan?” domanda incerto il nostro ospite, mentre posso chiaramente notare il terrore impossessarsi del viso di Haibara, che si nasconde per via di quest’ultimo dietro il professor Agasa, stringendo il tessuto dei suoi pantaloni tra le mani. Nonostante questa visione, però, io continuo lo stesso a camminare in quel percorso ormai intrapreso, pianificato e studiato nei minimi dettagli prima di essere adottato. Ignorando completamente quegli occhi che non fanno altro che trasmettere agli altri tutta la paura, insicurezza e sensazioni di piccolezza che quell’uomo le incute.
“Sì esatto, è sparito ultimamente così…” affermo, indicandogli poco dopo la casa accanto a quella dove ci troviamo, casa mia. “Vedi, è la casa qui in parte! Le chiavi ce le ho io” 
“Ho..” mormora, molto probabilmente estasiato dall’immagine della villa. “È davvero una bella casa in stile western.. sicuro che posso viverci?”
“Certo!” rispondo tutto sorridente, sentendo poco dopo il peso di Haibara poggiarsi sulle mie spalle.
“Hey..” mi richiama, in un sussurro che viene comunque catturato all’istante dai miei timpani. “Che hai intenzione di fare? Tu sei Shinichi Kudo, quello che in teoria dovrebbe esser stato ucciso dall’organizzazione… che faresti se dovrebbero scoprire che sei ancora vivo per colpa sua, per via delle lettere e delle telefonate verso casa tua?” domanda, intimorita e terrorizzata.
“È tutto apposto” la rassicuro, voltando il capo in sua direzione. “Un fan di Sherlock Holmes non può essere un criminale!” rispondo, ricevendo per tutta risposta i suoi occhi ridotti a due semplici puntini, accompagnati da un’espressione sbalordita. ***
 
“Prenditi cura della casa finché lui non c’è” gli dico, alludendo ad un sorriso spavaldo. Perché, in realtà, la mia frase nasconde un altro significato, un significato che lui sa benissimo: evitare che loro possano entrarci o scoprire qualcosa tramite di essa.
“Contaci” risponde, ricambiandomi con la stessa moneta. ***
 
“Allora?” mi richiama Hattori, volenteroso di sapere ciò che alle sue spalle è accaduto.
Sorrido, alzando poi di qualche grado la mia voce, quanto basta in modo da far sentire anche al diretto interessato ciò che stiamo dicendo, e soprattutto, facendogli intendere che siamo una squadra, e che dobbiamo fidarci l’uno dell’altro.
“Akai era un agente dell’FBI, infiltrato nell’organizzazione” comincio, mentre lui risponde annuendo. In fondo su questo particolare l’avevo già informato ieri pomeriggio, prima che lo lasciassi in agenzia per andare da Haibara a chiederle un antidoto; quindi non c’è motivo di stupore né per lui, né per il sottoscritto.“Durante il suo periodo da infiltrato ha conosciuto la sorella di Haibara, Akemi Miyano; si sono conosciuti per via di un incidente, e da quel momento hanno cominciato a frequentarsi, e, col passare del tempo, ad amarsi” questa volta però, il mio tono di voce è più basso; so che lui soffre tuttora per ciò che è successo, quindi non credo che parlarne normalmente in sua presenza sia davvero la cosa più saggia da fare, potrei soltanto aprire ferite che magari con il tempo avevano cominciato a chiudersi in questo modo.
“Stava insieme alla sorella di Lady Macbeth?!” domanda quasi urlando, spalancando sempre di più gli occhi, permettendo alle sue pupille di dilatarsi. Con un gesto della mano gli intimo di abbassare il tono di voce e mantenerlo più o meno al mio stesso livello, per poi avvicinarmi e rispondergli.
“Non so bene i particolari della loro storia, ma sì, stavano insieme” confermo, voltando il capo in direzione di Akai, sperando non abbia sentito o che le parole non l’abbiano infastidito. Sospiro sollevato nel notare che la sua attenzione in questo momento è catturata dal display acceso del suo cellulare, e che alla nostra discussione molto probabilmente, a questo punto, non ha dato nemmeno molta importanza. “Comunque” torno a parlare, portando nuovamente lo sguardo al mio amico. “Dopo qualche tempo che era nell’organizzazione, la sua copertura è saltata, e così è stato costretto a uscire allo scoperto. Dopo un anno circa, per via di una rapina in banca e alcuni fattori al seguito, l’organizzazione ha deciso di liberarsi di Akemi e così, dopo averle dato appuntamento in un magazzino abbandonato, l’hanno uccisa. **** Dopo aver ricevuto la notizia della morte della fidanzata, ha deciso di vendicarla, finendo quell’organizzazione criminale che gliel’ha portata via. Per il momento ancora non ha ancora raggiunto il suo obiettivo, ma non credo cambierà idea però”
“Che storia..” mormora, incurvando le labbra in una smorfia rattristata. “Però quello che ancora non ho capito è perché era travestito quando ci ha aperto la porta… la sua vendetta consiste in questo? Ha un piano o qualcosa di simile?”
“Più o meno” rispondo, assumendo un tono più naturale ora. “Vedi, la sorella di Hondou, Hidemi, detta anche Kir o Rena Mitsunashi, un’infiltrata della CIA, è stata costretta da Gin a uccidere Akai in segno di fedeltà nei confronti dell’organizzazione. In realtà è stata tutta una messa in scena, ma siccome per gli uomini in nero lui è ormai morto, ha dovuto prendere l’identità di Subaru Okiya, con l’aiuto mio e di mia madre. Per quanto riguarda me…” prendo un attimo di pausa, lasciandomi sfuggire un risolino. “Diciamo che ha scoperto la mia doppia identità da solo, grazie ad un trucco che mi ha aiutato a risolvere un caso a cui stavo lavorando, ma allo stesso tempo ingannandomi” gli confido. “Ah, dimenticavo, è il fratello di Sera, l’amica di Ran con i capelli corti e neri che era a casa nostra qualche giorno fa. Quella con il carattere… solare, ecco” aggiungo, ricevendo un flebile “ah..” da parte del detective dell’ovest che, alle mie parole, rivolge uno sguardo all’uomo poco distante da noi. “Mi pareva che assomigliava in modo impressionante a qualcuno… soprattutto per gli occhi” osserva, sorridendo soddisfatto che tutti i suoi dubbi sono stati chiariti.
Rimango per qualche secondo ancora con il corpo inclinato verso il suo, per poi allontanarlo, alzandomi e avvicinandomi alla libreria che ricopre l’intera circonferenza della biblioteca.
Siamo chiusi qui dentro da circa un’ora ormai. Come prestabilito ieri pomeriggio con Akai tramite un messaggio, e Hattori nel salotto di casa Mouri mentre aspettavamo che la cena fosse pronta, ci siamo riuniti qui a villa Kudo per escogitare un piano, anche se, per il momento, non siamo giunti ancora a nessuna conclusione.
Sospiro, trasportando in tanto un dito su tutti i libri che mi ritrovo dinanzi, per poi bloccarmi nel toccare la copertina impolverata di uno in particolare.
Lo escludo dal gruppo, estraendolo con delicatezza da quella fila composta e ordinata di suoi simili da cui era circondato. 
Apro una pagina a caso, sperando di ritrovare magari l’ispirazione tra l’inchiostro nero delle pagine; ma non riesco nemmeno a completare l’azione che qualcosa, o meglio, qualcuno, me lo impedisce.
“Com’è finita ieri con Ran?”
Mi volto, quasi sorpreso per una domanda del genere, soprattutto per il fatto che a farmela è proprio Akai; ma poi abbasso il capo sorridente e rispondo lo stesso, ricordando gli eventi di ieri.
 
“Conan ha detto che ci sei rimasta davvero male quando sono andato via senza salutarti… E così ho pensato di lasciare un attimo tutti i casi in cui sono coinvolto e venire a salutarti, prima di riprendere le indagini.”
“Hai lasciato i tuoi casi per venire a salutare… me? Non dovevi”
 
“È andata bene…” rispondo, continuando a sorridere nonostante un lieve rossore che comincia a colorarmi le gote, e le risate di quel cretino di Hattori. “Sono riuscito a farla smettere di piangere” aggiungo, contento che per una volta ce l’abbia fatta ad impedire che il dolore continuasse a rigarle il viso rovinandolo, che dai suoi occhi abbia finalmente smesso di piangere, per il momento, poiché, volente o nolente, so che la farò piangere di nuovo in futuro.
Anche se il mio viso è ancora basso, puntato sulle pagine color panna e le lettere stampate con l’inchiostro, riesco comunque a scorgere un sorriso formarsi sul volto del mio alleato, seguito da un’affermazione che per quanto sussurrata, arriva nitida e perfetta ai miei timpani, incuriosendomi.
“Finalmente la causa dei suoi pianti continui è riuscita a far qualcosa per fermare quelle lacrime”
Continuo a fissarlo perplesso, mentre lui non demorde dall’allontanare la sigaretta dalla sua bocca, come se ormai il cervello non riuscisse più a fare a meno della nicotina da lei contenuta.
“Cosa?” provo a chiedergli, cercando conferma alle parole appena pronunciate da lui. Conferma che però mi viene negata, purtroppo.
“No, niente” si limita a rispondere, allontanando per qualche attimo il tabacco dalla bocca per buttarne le ceneri consumate nel piccolo e ormai quasi completamente pieno portacenere sulla scrivania.
Lo osservo per tutta la durata dell’azione, per poi, senza rendermene conto, ritrovarmi a pensare anche a come si sente lui in questo momento, come si sente quell’ultima persona a cui lui è legato in questo momento. Quanto sicuramente starà soffrendo nel non avere più il suo supporto; come sicuramente deve esser stato difficile per lei intraprendere questa nuova vita creatale dall’FBI.
“Che hai intenzione di fare con Sera?” domando, tentando un atteggiamento più calmo. “Hai intenzione di dirle che sei vivo o vuoi continuare a mentirle?”
Sorride, un sorriso dolce ma allo stesso tempo amaro, chiudendo gli occhi mentre ispira del fumo scuro dalla bocca.
“Sai Kudo… anch’io ho qualcuno da proteggere come te.. capisci che intendo?”
Sorrido, capendo al volo ciò che intendeva dire con quella frase; ovvero, che se lei sapesse la sua vera identità, automaticamente sarebbe in pericolo, l’organizzazione la prenderebbe sotto tiro e lui non vuole che tutto questo accada.
Sorrido, ancora, nel pensare a quanto la sua situazione sia simile alla mia. Lui è costretto a vedere la sorella soffrire senza però poterle dire che in realtà c’è, è vivo, e che non l’ha mai lasciata; ed io a vedere soffrire Ran per via della mia assenza, che ancora aspetta il mio ritorno nonostante gli anni che passano, senza però poterle dire tutta la verità, limitandomi a riempire la sua testa di continue e ormai insopportabili bugie.
Scuoto il capo.
No, è inutile lasciarsi andare a pensieri tanto malinconici e dolorosi, in un certo senso, in momenti come questo. Devo essere concentrato, devo cercare di pensare a un piano, e in questo modo, non ci riuscirò mai.
Chiudo gli occhi per qualche secondo, lasciando che tutto il dolore mi passi nel corpo e, poco dopo, avendo ormai svolto il suo compito, se ne vada lasciandomi lucido.
Li riapro, e torno per l’ennesima volta a cercare di escogitare un piano, così come gli altri due uomini presenti nella stanza, che, dato il loro silenzio, deduco stiano facendo lo stesso.
Elenco le informazioni a me fornite da Vermouth e Kuroba, nella speranza che qualcosa m’illumini; ma a quanto pare, il silenzio non dura per poi molto tempo.
All’improvviso sentiamo un eco provocato da dei tacchi farsi sempre più forte, segno che qualcuno si sta avvicinando e che, a momenti, irromperà nella biblioteca.
Dei tacchi… deduco sia una donna allora.
Provo a pensare all’identità della donna che lentamente si fa sempre più vicina, e, nel sentire ancora per qualche secondo il rumore da lei provocato, farlo non mi risulta difficile.
Noto che anche l’ex agente dell’FBI, sorride spavaldamente. Deduco l’abbia capito anche lui di chi si tratta. Mentre Hattori purtroppo, che di lei ha solo sentito il nome, si limita a lanciarci sguardi preoccupati e confusi, ogni volta che l’eco torna a rimbombare nei nostri timpani.
Poi basta.
Per qualche attimo non sentiamo più niente, solo i nostri respiri.
Istintivamente, portiamo tutti e tre lo sguardo alla porta che conduce qui, e che, poco dopo, emana un lieve cigolio che accompagna l’entrata di una donna completamente vestita di nero, e, come anticipato dai rumori di prima, dai tacchi altissimi.
“Potevate dirmelo che facevate una riunione tutti insieme, mi sarei unita anch’io al gruppo” dice, con quel suo solito tono sarcastico, mentre con fare lento continua ad avvicinarsi sempre di più a noi, che ad esser sincero, non sappiamo che rispondere. “Fortuna che per caso passavo di qui per sbrigare una commissione per conto dell’organizzazione” continua la sua ironia, per poi fermarsi una volta raggiunta la scrivania.
“Scusa, sai com’è… la foga del momento ci ha fatto dimenticare di te… Kir” risponde Akai, alludendo a un sorriso sfrontato e con tono estremamente naturale, tanto da far nascere un sorriso divertito sul volto dell’agente della CIA di fronte a lui.
Si lanciano sguardi per qualche momento, per poi voltarsi in mia direzione.
“Mi è capitato di sentire un discorso tra Vermouth e Bourbon ieri…” torna a proferir parola Hidemi, avvicinandosi a me. “Hai scoperto ciò che volevi, Silver Bullet?” domanda, guardando poi confusa Hattori.
“Sì” ribatto, assumendo un tono spavaldo, capendo il motivo del suo abbastanza marcato nel pronunciare le ultime due parole: deve aver sentito qualcosa dal fratello, o forse dalla stessa Vermouth senza che lei se ne accorgesse. Oppure, semplicemente, ha capito tutto perché non indosso gli occhiali. “Comunque, lui è Heiji Hattori. Un detective di Osaka, e sa tutto” aggiungo, presentando in qualche modo i due che non si sono mai apparentemente conosciuti.
“Ah, tu sei Kir, l’omicida di Akai..” ironizza, aggiungendosi al gruppo anche Hattori. “Complimenti”
“Grazie” si limita a rispondere, poggiandosi poco dopo alla scrivania, incrociando le braccia al petto, mutando la sua espressione in una seria. “Tornando seri… deduco vi siate radunati qui per escogitare un piano contro l’organizzazione, o sbaglio?”
“No, hai ragione” rispondo, imitandola cambiando atteggiamento, così come i miei compagni. “Stavamo pensando a qualcosa..”
“Ma purtroppo non siamo riusciti ancora a giungere ad una conclusione” conclude il mio migliore amico, permettendo alla nostra ospite di annuire, e poco dopo, sorridere.
“Beh, se non vi dispiace, io un piano ce l’avrei…” ci confida la donna, inducendoci a donarle tutta la nostra attenzione. “Ma a patto che anch’io possa far parte del gruppo”
La guardo per qualche secondo, per poi sentire la voce di Akai che risponde per tutti noi.
“Sai, non ci dispiacerebbe un alleato in più…” lei sorride soddisfatta. Ora siamo una squadra.
“Bene” si scosta dalla scrivania. “Dicevo..” si allontana di qualche passo, posizionandosi al centro della stanza, continuando a sorridere. “Il piano è…”
  

***                   

 
Il mare quella sera sembrava calmo, con solo qualche onda a muoverlo ogni tanto, illuminate al dorso dai flebili raggi della luna, che risplendeva alta nel cielo.
Vide un’ombra in lontananza farsi sempre più nitida e chiara.
Sorrise. Una curvatura delle labbra che sapeva di vendetta, di crudeltà, un sorriso sadico, tipico di un criminale… tipico di un predatore alla vista della sua preda; tipico di un predatore che ormai sa, che il suo gioco avrà solo un vincitore, vincitore che non potrà essere nessun altro che lui stesso.
L’ombra si avvicinava sempre di più. Tanto che il fisico poteva essere già visibile. Slanciato e alto, da un passo svelto ma non troppo… un uomo.
Tirò fuori la sua pistola dalla tasca. La caricò immettendo in essa dei proiettili d’argento: non voleva sbagliare, non questa volta.. voleva assolutamente evitare che lui sopravvivesse.
Aspettò solo qualche secondo ancora, prima di ritrovarsi ciò che cercava a pochi metri da sé.
Sorrisero, entrambi. Ignari però che nessuno dei loro piani quella sera si sarebbe avverato. O forse sì…
Alzò lo sguardo alla sua destra, verso la fine dei gradini posti al suo fianco. La sua alleata c’era, avrebbe potuto contare sul suo aiuto, casomai ne avesse avuto bisogno.
Fissò la persona davanti a lui ancora per qualche attimo, prima che quella cominciò a puntargli la pistola alla nuca, per quanto distanti potessero essere.
Sorrise ancora, il predatore, pensando di aver ormai vinto. Ma ovviamente, qualcosa nei suoi piani fu stravolta. Qualcosa che non si sarebbe mai aspettato…






* File 380 - episodio 308 jap 333 ita
** Capitolo 13, A secret makes a woman, woman
***File 624 - episodio 509/10 jap, 557/558 ita
**** Episodio 135

Nana's Corner:
Minna konnichiwa! :D
Visto? Visto che brava? Ho aggiornato subito! Mi merito un premio! xD
Anche se non ho mai sentito di un premio perché una ha aggiornato in fretta.. ok, sto sparando cavolate una dietro l'altra, la smetto ^^"
Parliamo del capitolo, va..
Ecco il primo incontro per Hattori con Akai e Rena! Che, a proposito di quest'ultima.. è OOC? D: (si lo so, sono fissata ma.. ditemelo, è OOC???)
Poi ecco che abbiamo Kir che, arrivata, da un piano ai ragazzi... muahahahahaha (?) u.u
Per scoprire di che si tratta dovrete aspettare il prossimo capitolo purtroppo ^^"
Infine abbiamo il finale... già, non si capisce chi è la preda né chi è il predatore... non si capisce nemmeno che sta succedendo, a dir la verità xD
Ma l'unica cosa che vi posso dire è che qui abbiamo un salto temporale di qualche ora.
Poi nel prossimo capirete meglio ;)
Beh, che dire... spero il capitolo non sia noioso ç__ç
Ah! Quasi dimenticavo: nel caso non si fosse capito, Hidemi ha capito che Conan e Shinichi sono la stessa persona ;)

Metantei's Corner:
1- qual'era il piano di Kir?
2- Come faceva Kir a sapere che Conan è Shinichi?
3- Chi è la preda e chi è il predatore nell'ultima parte del capitolo?
4- Perché i piani di entrambi verranno rovinati?

Bene, dopo queste strane domande passiamo ai ringraziamenti:
Grazie di cuore ad Hoshi Kudo, KeynBlack, Shana17, Love_Ade e shinichi e ran amore per aver recensito lo scorso capitolo. Minna arigatou! <3
Grazie a tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite, ricordate o seguite.
Ed infine grazie anche a chi legge solamente. 
Minna arigatou a tutti!
Beh, anche sta volta siamo giunti alla fine..
Spero davvero il capitolo vi sia piaciuto e... preparatevi, perché dal prossimo accadrà l'immaginabile ;)

XXX,
Nana Kudo

 

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Capitolo 16
*** Non è così... Kogoro il dormiente? ***


Capitolo sedici
“Non è così… Kogoro il dormiente?”
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…Sorrise ancora, il predatore, pensando di aver ormai vinto. Ma ovviamente, qualcosa nei suoi piani fu stravolta. Qualcosa che non si sarebbe mai aspettato…
 
Poggiò delicatamente il dito sul grilletto dell’arma, continuando a sorridere vittorioso, nel vedere l’espressione indecifrabile dipinta sul volto dell’uomo di fronte a sé, che molto probabilmente, secondo i calcoli del predatore, ne nascondeva in realtà una spaventata, terrorizzata dalla scena che gli si parava dinanzi agli occhi.
Fece pressione su di esso, lievemente, assaporandosi ogni brivido, ogni goccia di sudore, la paura che negli occhi dell’altro cominciava a essere notevolmente visibile, a poco a poco.
Sapeva che non sarebbe potuto scappare. Era praticamente circondato. Lo sapevano entrambi.
Aveva scelto apposta quel posto, quel piccolo ponte abbandonato posto al fianco di una spiaggia, il cui mare, in quel periodo, oltre che essere gelido, era molto movimentato.
Ringraziò quella sua idea mentalmente, continuando lentamente ad aumentare la pressione sul grilletto della pistola.
Arrivò quasi al punto di sparare, guardò dritto negli occhi la vittima e sussurrò una semplice parola.
“Addio”
Era pronto. Stava per sparare, tra pochi attimi non avrebbe avuto più quella sensazione di fastidio, non avrebbe più dovuto sopportare quel peso insopportabile; ma qualcosa le oscurò la vista.
Qualcosa le oscurò il bersaglio, parandosi davanti ad esso, come a fargli da scudo.
Rimase shockato da quella vista. Da dov’era arrivato quello?
Esitò un attimo, cercando di pensare a come potersi liberare di quel terzo incomodo, per poi giungere alla conclusione di eliminare anche lui.
-In fondo ho un’infinità di vite sulla coscienza.. non sarà certo una in più a fare differenza-
Pensò, sorridendo sadicamente, pensando alla strage che da lì a poco, con le sue stesse mani, avrebbe causato.
Di nuovo, fece per premere il grilletto in modo da liberarsi di uno dei due pesi, quello più insistente e che, a quanto pare, di spostarsi di lì non ne aveva proprio idea; ma si fermò nel preciso istante in cui una flebile luce gli illuminò il volto, di poco, quel tanto che le fu bastato per riconoscere la sua identità.
Capelli castano scuro, lisci, con qualche ciuffo ribelle così come la frangetta che gli ricadeva sul volto; occhiali da vista che riflettevano a specchio quel piccolo raggio di luce verso un’altra direzione, occhi profondi e blu..
“Levati, Silver Bullet!” gli urlò la donna, senza spostare corpo e traiettoria nemmeno di un millimetro, guardando il ragazzo di fronte a sé. Nemmeno a lui però, l’idea di spostarsi o anche solo scansarsi di poco gli aveva sfiorato il cervello; anzi, se ne stava tranquillamente a far scudo all’uomo che si era ritrovato a essere la vittima della criminale, sorridendo spavaldamente.
“Spostati o sarò costretta a spararti!” ripeté ancora, e ancora, lasciando che quelle urla riecheggiassero per tutta l’aria, scontrandosi contro le orecchie del ragazzo a cui esse erano riferite, spegnendosi, sparendo.
Rimasero così per qualche secondo, fino a quando non sentirono lo scatto del caricatore di un fucile.
Il ragazzo, sicuro, non si voltò nella direzione cui rumore proveniva, ma anzi, rimase fermo e immobile come se nulla fosse. Mentre Vermouth lo fece sin da subito. Si voltò come quel rumore la raggiunse, notando poco dopo l’alleata sorridere sadicamente e puntare la canna dell’arma tra le sue mani verso il bersaglio, verso Shinichi.
“Chianti, non sparare!” le ordinò, guardandola seria in volto, ricevendo per tutta risposta una risatina da parte del cecchino.
Non fece in tempo a dire altro, che all’improvviso dalla nebbia, dietro il detective che al momento agiva da scudo, una figura si fece sempre più avanti, puntando un’arma contro Chianti, che subito dopo lo imitò, puntadogliela anche lei contro, nonostante gran parte del suo corpo non fosse visibile per via di quella foschia che lo avvolgeva.
“Korn finiscila di scherzare!” rise divertita la donna dal tatuaggio a farfalla, riferendosi al proprio partner.. come credeva lei. “Non è il momento questo, pensa a puntare quell’arma su Ooba invece che sulla sottoscritta… o devo pensare che la tua vista e traiettoria al seguito stanno perdendo colpi?” schernì ancora, suscitando alcuna reazione nel criminale.
Il detective, ancora, sorrideva spavaldo, senza dire niente, mentre Vermouth lo osservava quasi stupefatta. Non riusciva proprio a spiegarsi perché quel ragazzo non mostrasse alcun segno di terrore, di paura, e fosse capace di restare così tranquillo nonostante tutto sembrava mettersi a suo sfavore.
Al ché, s’insospettì e decise di voltare il capo in direzione di quella figura misteriosa. Per poi lasciarsi sfuggire un sussulto e poco dopo un’espressione irritata e nervosa al tempo stesso, riconoscendo gli occhi del nemico.
“Non è Korn, il tuo amichetto” esordì la bionda, riferendosi alla compagna.
“Cosa?” si sorprese l’altra, nel sentire quelle parole.
Non aggiunse altro. Non ce n’era bisogno, in fondo.
Il cecchino senza bisogno né di ordini né di sapere l’identità di quell’ultimo, mirò velocemente al petto di quest’ultimo, che si avvicinava sempre di più, preparandosi a sparargli.
“Fossi in te non lo farei” le suggerì il suo bersaglio, facendola sussultare, così come l’altra criminale, riconoscendolo entrambe soltanto grazie alla sua voce. E nel vedere dopo pochi secondi, anche il suo viso ormai visibile grazie alla fioca luce della luna, le due non poterono far altro che sbiancare, avendo così conferma alle supposizioni di qualche istante prima.
 

Otto ore prima

 
“Il piano è…”
Lentamente tirò fuori dalle tasche della sua tuta da motociclista un piccolo foglietto, passandolo ai compagni che subito cominciarono a leggere le parole scritte su di esso.
“Sono rimasto soddisfatto dal lavoro dell’ultima volta, signor Ooba, tanto che mi farebbe piacere averlo con noi per ancora un ultimo incarico” cominciò a leggere ad alta voce Shinichi, mentre Akai e Heiji lo osservavano sull’attenti, in silenzio. “C’è una persona di cui vogliamo sbarazzarci, e avevo pensato che per un professionista come lei non sarebbe stato difficile. La aspetto sta sera per metterci d’accordo sul da farsi. Il posto e l’ora le verranno detti tutti tramite cellulare da Vermouth” finì il detective, guardando poi la donna.
“E’ l’estratto di una lettera del tuo capo, non è così?” chiese subito dopo, ripiegando il pezzo di carta e ridandoglielo.
“Esatto” rispose l’altra, riponendolo al suo posto.
“E deduco anche che il tutto sia una trappola per uccidere Ooba” continuò, suscitando una lieve risata all’infiltrata.
“Chi ti dice che quello che vogliono uccidere sia Ooba e non te, detective?” domandò lei, con una punta di sarcasmo nelle sue parole.
“Non ci vuole tanto a capirlo. Se non l’ha chiamato con il suo cellulare e gliel’ha mandato per mezzo di una lettera, significa che non voleva che la polizia o chiunque altro sarebbe riuscito a trovare il suo numero tra le chiamate del cellulare di Ooba dopo che quello fosse morto, e magari venir rintracciato; o peggio, la chiamata sarebbe potuta essere ascoltata tramite qualche intercettazione telefonica” spiegò la sua teoria il ragazzo, incrociando le braccia al petto e guardandola serio, con un leggero sorriso dipinto sul viso.
“E che mi dici di Vermouth? Perché il capo non l’avrebbe potuto chiamare mentre Vermouth sì?” lo mise alla prova, sorridendo spavaldamente e alzando il capo con fare superiore.
“Fujio Yamamoto”
“Cosa?” si stupì la donna, così come il detective dell’Ovest che lanciò uno sguardo confuso all’amico. Solo l’ex agente dell’FBI era incredibilmente calmo, seduto, continuando tranquillamente a fumare la sua sigaretta.
“Fujio Yamamoto, la vittima durante la festa dei poliziotti al Beika Sun Plaza, un telefono l’avrà pur avuto, no? Quindi, ho dedotto che Ooba l’avrebbe dovuta chiamare su quel numero, così, quando sarebbe morto, la chiamata sarebbe risultata fatta a un numero appartenente a un defunto, ormai. E poi da quel che ho capito sono in pochi a poter avere il numero del vostro capo, quindi..”
“La polizia potrebbe pensare che il cellulare fosse con qualcuno, lo sai vero?” continuò la donna, cercando in qualche modo di mettere in difficoltà l’investigatore; ma inutilmente, perché la risposta a quella domanda non tardò ad arrivare.
“La chiamata l’ha fatta Ooba, non Yamamoto. Potrebbero pensare l’abbia fatta per sbaglio e che non sapesse che fosse morto” concluse, lasciando alla donna di fronte a sé soltanto un sorriso.
“Però” ironizzò Hidemi, poggiandosi a uno scaffale lì vicino. “Allora è vero che sei un investigatore in gamba”
“Dubitavi?” chiese ironico il ragazzo, ricevendo per tutta risposta un leggero mugolio.
“Comunque, c’è ancora una cosa, Silver Bullet” continuò la donna, incrociando anch’ella le braccia al petto. “Chi ti dice che Ooba non abbia capito che sia tutta una trappola?”
“Perché anche se l’avesse fatto” esordì Akai, lasciando di stucco gli altri. “L’organizzazione avrebbe potuto rivelare alla stampa, tramite Chris Vineyard o qualche altro travestimento, che quell’uomo ha un porto di armi illegale, e potrebbero incolparlo di aver ucciso l’amico”
“Perché dovrebbero incolpare lui?” chiese ancora la donna, sorpresa che quelli che sarebbero stati i suoi alleati contro l’organizzazione, fossero così perspicaci da capire addirittura ogni motivo e ogni mossa di quei corvi.
“Perché era suo amico. Tramite alcuni dati dal carcere in cui era stato per dieci anni, potevano trovare il nome di Yamamoto tra le visite, e calcolando che quel giorno lui era lì in hotel, dopo aver capito che volevano uccidere l’amico, la polizia potrebbe pensare che sia stato lui a ucciderlo e con delle ricerche riguardo l’arma del delitto, risulterebbe che il calibro è lo stesso della pistola di Ooba, e quindi potrebbero accusarlo di omicidio; e calcolando che è già stato in galera una volta, non sarà difficile per la polizia dubitare subito di lui” rispose normalmente, scrollando le spalle.
“Come fai a sapere che il calibro della pistola è lo stesso?” domandarono Shinichi e Hattori all’unisono, mentre gli altri due si lasciarono sfuggire un lieve risolino.
“C’eri anche tu, non è così?” dedusse Kir, ricevendo un leggero movimento del capo da parte dell’uomo, che annuiva.
“Ho visto tuo fratello, Sera e Jodie all’entrata dell’hotel, molti altri agenti dell’FBI e quelli dell’organizzazione; ho pensato ci fosse qualcosa lì dentro e così sono entrato…” spiegò, mentre i due detective continuarono ad osservarlo stupiti.
“Ora però, senza tanti giri di parole, potresti dirci che hai in mente Hondou?” chiese infine l’uomo, spegnendo la sigaretta nel portacenere di marmo sulla scrivania, guardandola poi con sguardo serio.
“Loro saranno in quattro sta sera, oltre Ooba: Vermouth, Chianti, Korn e una recluta. E pensavo, che non sarebbe stato difficile per noi circondarli, impedirgli di fare un morto e allo stesso tempo incominciare a fare il primo passo contro l’organizzazione” disse, avvicinandosi ai tre. “Sempre se siete pronti”
“Lo sono sempre stato, se è per questo” rispose senza esitazione Shinichi, seguito poco dopo da Heiji, che era più che deciso ad aiutare il suo migliore amico a distruggere quell’organizzazione che gli aveva rovinato la vita, e chi lo sa, a fargli anche riavere il suo vero corpo, se fosse stato possibile.
Si voltarono verso Akai, che rise, ricambiando poco dopo i loro sguardi.
“Prima cominciamo meglio è. Voglio vederli tutti quanti in gabbia, a quei piccoli corvi” ironizzò l’uomo, prima dell’ultima affermazione di Kir, che forse, diede realmente inizio al conto alla rovescia per la fine di quell’organizzazione criminale.
“E allora preparati Shuichi Akai, perché per questo bisognerà farti resuscitare”

 
***

 
La donna dai lunghi capelli biondi, strinse i denti nervosamente, aumentando la stretta sulla sua pistola, e guardando con quegli occhi glaciali la figura dell’uomo che fino a poco fa credeva morto.
L’avevano ingannata. Questo significava solo che tutte quelle volte in cui aveva provato ad accertarsi che Akai fosse veramente morto, tutti quei travestimenti, tutti quei risultati positivi, tutte quelle certezze, tutta la sua morte in quel passo*, erano solo una finzione, un inganno.
L’avevano ingannata, e insieme tutta l’organizzazione, ecco cos’avevano fatto.
Ma lei non doveva mostrarsi inferiore, non doveva mostrarsi impaurita di fronte alla sua preda, e lentamente, riprese quel suo colorito normale e lasciò che le sue labbra, per quanto forzate, inscenassero l’ennesimo sorriso spavaldo, così come il carattere, che senza nemmeno molta fatica riuscì a tornare quello di sempre, quello da femme fatale, arrogante e sicuro di sé.
In fondo era un’attrice, cose del genere erano soltanto uno scherzo per lei.
“Shuichi Akai! This world had really missed you, lo sai?” ironizzò Vermouth, guardando l’uomo dritto in quegli occhi color smeraldo, sorridendo falsamente.
“Anche a me è mancato.. soprattutto te, mela marcia**”  imitò lo stesso tono l’uomo, suscitando un gran fastidio alla donna, nascosto però da quella sottile maschera che con maestria era riuscita ad indossare.
“Deduco vi abbia aiutato Kir, a fare tutto questo, non è così?” domandò lei, mentre la sua alleata guardava la scena quasi terrorizzata. Se quell’uomo era vivo, significava che lei era in pericolo, che tutti gli altri lo erano, e che coloro che erano lì con loro due per quella missione…
“Esatto” rispose la stessa Hidemi, alle spalle della donna, caricando alcuni proiettili nella pistola e poi puntargliela alla testa, solo per spaventarla e non per ucciderla veramente. “Devo ammettere che potevate sceglierne di membri migliori a questa missione. Non è stato poi così difficile per noi mettere al tappeto quel vecchio di Korn e la vostra recluta, dico bene Hattori?”
“Sì, hai ragione, è stato un gioco da ragazzi” rispose l’uomo, raggiungendoli poco dopo impugnando saldamente tra le mani la sua fidata katana***.
Vermouth strinse ancora di più i denti, capendo finalmente che sì, era stata circondata.
Ritrovandosi quella stessa trappola da lei creata intrappolare non la sua preda, ma il predatore.
Ritrovandosi nel ruolo che invece doveva esser recitato dal suo nemico, e non da lei.
Guardò l’arma tra le sue mani, e poco dopo il viso di quel ragazzo a cui tanto teneva.
“Why?” disse, guardandolo seria, venendo ricambiata poco dopo dal detective. “Why are you trying to save him? Lui ti voleva morto, dovresti essere dalla nostra parte invece, you should help us!”
“Possono esserci tanti motivi per voler uccidere una persona, ma non ce ne deve essere per forza uno per salvarla” si limitò a rispondere il giovane, facendo strabuzzare gli occhi alla criminale, ricordandole il loro primo incontro****.
Intanto l’uomo dietro di lui, Ooba, se ne stava fermo e immobile. Non poteva scappare, dietro di lui c’era pur sempre un uomo armato e che, in base alle reazioni di Vermouth e Chianti, decretò fosse pericoloso; e poi sapeva che, per quanto rancore potesse provare nei confronti di quel detective che per dieci lunghi anni l’aveva fatto rinchiudere in galera, ora, doveva almeno ringraziarlo per avergli salvato la vita da morte certa.
Rimasero in silenzio per qualche attimo, fino a quando Vermouth non abbassò l’arma, alludendo ad un mezzo sorriso di rassegnazione.
“D’accordo” sussurrò, suscitando lo stupore dell’alleata. “Per sta volta avete vinto voi, Silver Bullets*****, but I swear, next time won’t be the same”
Tutti la guardarono sorridendo soddisfatti: erano riusciti ad evitare una tragedia; mentre Chianti, dalla sua postazione, non poté far altro che stringere i denti nervosamente, abbassando l’arma e guardando delusa colei che doveva essere la preferita del capo.
Abbassarono tutti le armi all’unisono. Sia le due criminali che Akai e Kir; Heji si limitò a fissare al terreno la punta della sua katana e Shinichi invece, non si spostò di un millimetro, rimanendo dinanzi a Ooba, che poté finalmente sospirare sollevato.
Sembrava andare tutto liscio, tutto per il meglio, quando uno sparo riecheggiò nell’aria, facendo sussultare i presenti.
Si voltarono tutti in direzione del detective, per poi abbassare lo sguardo fino all’asfalto sotto di lui: una pozza di liquido scarlatto si stava velocemente ingrandendo.
Shinichi si voltò, e quello che vide non fu niente di gradevole.
Un cadavere a terra, circondato di sangue; ed un uomo quasi sulla quarantina distante pochi metri da lui, con una pistola tra le mani e ancora alta, dove una volta stava la testa di Ooba.
“La prossima volta non riusciranno a batterti Vermouth perché una prossima volta non ci sarà. Non è così… Kogoro il dormiente?
 
 
 
 
 
*Episodio 504 (Jap.)/ 552 (ita). Manga 605-609
**Akai chiama Vermouth “mela marcia” anche nell’episodio 345 (jap.), manga 429-434
*** La katana è quella specie di bastone che usano quelli che praticano il kendo, casomai qualcuno non lo sapesse.
****Quando Shinichi e Ran salvano Vermouth travestita da serial killer a New York, episodio 288 (Jap.), Shinichi risponde ad una sua domanda con questa frase.
*****Episodio 504 (Jap.)/ 552 (Ita), manga 605-609. Dopo aver avuto i documenti che accertavano la morte di Akai, Jodie stava piangendo in macchina e intanto Vermouth, passando di fianco a loro con la sua moto, pensa “In fondo di Silver Bullet ce ne basta uno solo”. E poi ha sempre considerato Akai come un pericolo per l’organizzazione, tanto quanto Shinichi.
 
Nana’s Corner:
Minna konnichiwa! :D
Quanto tempo, neh? Lo so che ci ho messo molto, troppo tempo per aggiornare ma.. ok, non so perché non ho scritto il capitolo per tutto questo tempo .-.
Comunque, anche se in ritardo.. Buon 2013 a tutti!
Allora allora, come sono andate le feste? Mangiato tanto? Divertiti? xD
Spero di sì ^^
Ora però passiamo al capitolo.
Allooooora.. muahuahua! u.u
Nessuno a quanto pare aveva dedotto chi fossero preda e predatore dello scorso capitolo! Dovrei esserne contenta o significa che erano troppo banali? .-.
Anche il piano… com’è?
Ci sono più motivi per cui ho messo tutta sta spiegazione allegata al foglietto, e uno di questi è che sapevo, che se non l’avessi fatto, mi avreste chiesto tutti: e se l’avesse capito che era una trappola? In fondo non è così cretino Ooba; perché il capo no, ma a Vermouth la può chiamare? Hanno una relazione segreta per caso? (?); o perché dovrebbe andarci per forza nel caso abbia capito fosse tutta una trappola?
Bene, spero di non aver lasciato qualche dubbio, con quella spiegazione, e di non aver scritto qualche cavolata xD
Akai invece è finalmente uscito allo scoperto e bue-bye Okiya.. OLE’! xD
Poi… beh, sembrava andare tutto liscio, ma… Ooba è morto! D:
Ve lo aspettavate? O era scontato?
E il suo assassino è lì ad un palmo dal naso di tutti i nostri protagonisti… chi sarà? Mah, chi lo sa u.u  (io! xD)
Va beh.. spero i personaggi non siano OOC ^^
 
Ed ora passiamo al Metantei’s Corner:
1-      Chi ha ucciso Ooba?
2-      Che succederà adesso? (com’è che sta domanda la faccio sempre? .-.)
 
Ed invece i ringraziamenti:
Grazie di cuore a Pan17, KeynBlack, Hoshi Kudo, Shana17, shinichi e ran amore e Love_Ade per aver recensito lo scorso capitolo. Thank you so much guys! If it wasn’t for you I probably would stop at the second chapter of this crazy story. So, thank you! <3<3
Grazie a tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra seguite, preferite e ricordate. A big thank you for you too! <3<3
E infine anche a chi legge solamente. Thank you to you too! <3<3
 
Beh, spero vi sia piaciuto il capitolo e vi avviso: il prossimo non arriverà presto, causa: esame ^^”
I’m sorry -.-”
Va beh, grazie per aver letto e per seguirmi sempre. Al prossimo capitolo!
 
XXX,
Nana

Ps. so che il capitolo è più corto rispetto agli altri, ma sinceramente non mi sembrava il caso di aggiungere altro.

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Capitolo 17
*** Rivali? ***


Capitolo diciassette
Rivali?
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Il cielo grigio ricopriva Beika in quel pomeriggio di aprile, rendendola spenta, quasi più del solito; rendendola fredda, come se la primavera non fosse già arrivata; e dando quasi l’impressione di una visuale provvisoria, di una visuale che annuncia qualcosa di peggiore a chi lo guardava attentamente. Una tempesta.
Per le strade la gente camminava tranquillamente, o meglio, con qualche piccola complicazione per via della folla che si aggirava sui marciapiedi, lasciando a ciascuno di loro poco spazio dove muoversi. Così come le macchine, che bloccate per via del traffico continuavano a lamentarsi per tramite dei clacson presenti al loro interno. Suoni che arrivavano benissimo fino ai piani più alti dei palazzi, oltrepassando gli spessi vetri che dividevano interno da esterno, unendosi ai continui squilli dei telefoni degli uffici.
Poteva essere definita come una normalissima giornata per ogni cittadino della metropoli, quella. Come la giornata cui essi erano ormai abituati.
Ma c’era comunque l’eccezione alla regola, per qualcuno di loro.
Solo da una di quelle innumerevoli stanze, il baccano non era creato da alcuno squillo, né tantomeno dai clacson suonati dalla gente sottostante. No, quei rumori in fondo non avrebbero retto il confronto con il volume altissimo del televisore, dove l’unica cosa a essere trasmessa era un vecchio concerto di Yoko Okiyno, ormai ritirata, registrato anni prima dal proprietario della stessa agenzia; e sicuramente, anche se ci avessero provato, le continue lamentele dello stesso detective quasi cinquantenne, vittima di una sbronza ormai senza fine, avrebbero facilmente coperto quell’insieme di rumori fastidiosi e a dir poco insopportabili, rendendoli quasi o del tutto inudibili, facendoli dissolvere ancor prima di giungere all’interno del piccolo ufficio.
“Perché? Perché Yoko anche te lasciato?!” continuava a lagnarsi l’uomo, seduto sulla solita sedia nera a rotelle, sorseggiando l’ennesima birra quasi come fosse una cura per ogni suo lamento, una piccola speranza dopo una grande perdita, senza nemmeno far caso al fatto che proprio per vie di quelle addirittura le sue frasi non avevano più senso. Come la sua vita, d’altronde, che si ritrovava a girare sempre intorno agli stessi quattro gesti: fumare, bere, lamentarsi e, infine, dormire.
Kogoro continuò a lamentarsi e a piangere ogni suo fallimento come da abitudine, mentre una porta all’interno dell’agenzia si aprì, mostrando un uomo parecchio più giovane di quello al centro della stanza, con una carnagione più scura, occhi azzurri, capelli color grano e un vassoio guarnito da bicchieri di tè e spuntini tra le mani, mentre avanzava verso il proprio maestro a passo spedito.
 “Mouri-sensei, le ho portato qualcosa per pranzo, casomai avesse fame” lo avvisò Amuro, poggiando con delicatezza il tutto sulla scrivania e curvando le labbra in un sorriso.
“Io non volere ti.. tie… tei… the!” provo a rispondere il detective, senza riuscirci perfettamente per via dell’alcool che ormai gli controllava ogni singolo neurone del cervello, inceppando nelle parole. “The! Io non volere the, ecco” ribadì il concetto, suscitando una lieve risata nell’apprendista dinanzi a lui; risata che svolgeva da maschera a quei goccioloni misti di stupore e seccatura che la situazione non poteva far altro che darti.
Si spostò leggermente dal tavolo, portandosi una mano dietro il capo continuando a lasciarsi a qualche risatina, rivolgendosi poco dopo al detective, di nuovo.
“Io le consiglierei di bere qualcos’altro che non sia birra, sensei. Altrimenti le verrà una cirrosi epatica* o un cancro ai polmoni se va avanti in questo modo!” provò di nuovo a convincerlo il detective, senza ottenere grandi risultati, dato che quello dopo averlo scrutato attentamente per qualche secondo, tornò tranquillamente a bere e fumare come se niente fosse.
Sospirò rassegnato, Amuro, capendo che ormai era più che impossibile far smettere a Kogoro di fumare e ubriacarsi.
Poco dopo, si sentì un’altra porta aprirsi e chiudersi, e l’eco di tacchi al contatto con le piastrelle bianche del pavimento espandersi per la stanza.
“Otousan, Amuro-san ha ragione” intervenne la ragazza appena giunta nell’agenzia, avvicinandosi ai presenti con espressione seccata, e levando la lattina di bevanda alcolica dalle mani del padre. “Se continui a bere e a fumare così prima o poi ti ammalerai! Devi finirla!” urlò, ancora più scocciata di prima, buttando la lattina nel cestino dei rifiuti sotto la scrivania, e mettendosi il pacchetto di sigarette nella tasca del blazer scuro da lei indossato, dove, presumibilmente, il padre non avrebbe potuto prenderlo.
“Ma non è giusto!” si lamentò ancora l’uomo, non ottenendo lo stesso nulla. “Io rivoglio le mie cose!”
“Scordatelo papà, almeno fin quando non tornerai a ragionare come una persona normale, non dovrai più bere nemmeno un goccio di birra” finì sicura la figlia, fulminandolo con lo sguardo quando quello provò a ribattere di nuovo.
“Ran-san, vuoi un the o qualcosa da mangiare?” cambiò discorso dopo qualche minuto Amuro, cercando di allietare quell’atmosfera che si era creata, sorridendo alla giovane che rispose allo stesso modo.
“No, scusa Amuro-san, ma devo incontrarmi tra cinque minuti con una persona e se non esco subito rischio di fare tardi” declinò gentilmente la donna, rimettendosi apposto il tailleur nero di cui era fasciata, e avvicinandosi al divano per prendere la borsa del medesimo colore.
“Oh.. ehm.. se vuoi, posso accompagnarti con la mia macchina fino al luogo del vostro incontro”
“No no!” rispose di nuovo, quasi di scatto, come se fosse stata scottata da una fiamma, e con una nota di nervosismo. “Tanto è qui vicino, posso andarci tranquillamente a piedi, tranquillo. Comunque grazie per esserti offerto di portarmici”
“Sicura?” provò a smuoverla l’uomo, ricevendo soltanto un lieve movimento del capo da quell’ultima.
“Sì, sicurissima” affermò, avviandosi verso la porta di entrata. “Torno in tardo pomeriggio. Se Conan torna prima, digli di chiamarmi”
“D’accordo” mormorò, prima che la figura della donna sparisse oltre la porta.
Rimase immobile dinanzi la porta d’ingresso per qualche secondo, inclinando il capo e strofinandosi il mento, provando a dedurre il motivo dello strano comportamento di Ran, e di dove dovesse andare e con chi, da non voler nemmeno farsi accompagnare da lui.
-Forse ha deciso di trovarsi un lavoro e non voleva che il padre lo sapesse.. o fosse doveva incontrarsi con sua madre…- si ritrovò a pensare il detective, mantenendo la postazione senza muoversi di un millimetro, scrutando la lastra di ferro di fronte a sé come se da lì a poco la risposta a quella bizzarra domanda sarebbe giunta proprio da essa.
“Non è giusto!” urlò improvvisamente Kogoro, distogliendo l’altro dai suoi pensieri, e facendolo sussultare per lo spavento. “Non stanno mai a casa! Lei da una parte, il moccioso dall’altra, Eri chissà dove.. ed io mi ritrovo qui rinchiuso in questa specie di agenzia con un incapace senza poter nemmeno bere o fumare!” continuò, convinto di ciò che diceva.
Amuro lo guardò per qualche minuto, indeciso su cosa dire, per poi pensare di avviare un discorso in modo da distoglierlo da pensieri come alcol e fumo, magari riuscendo così ad aiutarlo.
“A proposito, dov’è andato Conan-kun? L’ho visto uscire sta mattina ma non mi ha voluto dire dove andava…”
“Mah, che vuoi che ne so!” rispose il più grande seccato, per poi mutare espressione nel vedere la figura di Yoko Okino nel piccolo televisore accanto a lui, sbavando quasi e sorridendo con le guance notevolmente arrossate per via delle birre bevute. “Qui escono e non dicono mai dove vanno! Da quando non ci sono più clienti qui non ci resta nessuno, prima invece, dieci anni fa, stavano sempre dietro ovunque andavo! Quel moccioso in anzitutto!”
Il biondo cambiò improvvisamente espressione, assottigliando gli occhi celesti e assumendone una molto più seria della precedente.
“Se non le sembro indiscreto, posso farle una domanda?” gli chiese, mentre Kogoro si limitò a sbuffare, e annuire svogliatamente con il capo. “Da quanto tempo è che Conan vive qui con voi?”
“Più o meno dieci anni… in pratica come quel detective da strapazzo se n’è andato è apparso lui, ecco. E da allora è rimasto qui con noi”
“Detective da strapazzo?”
Il detective in trans sbuffò, infastidito dal solo ricordo del viso del ragazzo che, come diceva lui, non faceva altro che tentare di sedurre la figlia da anni.
“Shinichi Kudo, un amico di mia figlia” si limitò a rispondere.
Impassibile. Il criminale rimase impassibile nel sentire quel nome, come se se lo aspettasse. Come se la cosa gli facesse solo piacere. Si avvicinò di più alla scrivania e fece semplicemente un’altra domanda, come fosse un’interrogazione, e l’uomo di fronte a lui non fosse il suo maestro, bensì l’alunno.
“Solo un’ultima domanda. Avete mai rivisto questo Shinichi Kudo dopo l’arrivo di Conan?”
“Sì, molte volte” rispose ancora l’uomo, sempre più seccato di prima, per via della piega che la discussione aveva preso; ovvero, domande su Shinichi. “Ma ogni volta se ne andava via dopo poco. Tsé, lui e i suoi stupidi casi…”
Bourbon sorrise soddisfatto, mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni.
Era riuscito in un modo o nell’altro a venire a conoscenza di ciò che da tempo sperava di scoprire, grazie a quell’uomo, avendo certezze e prove a tutte le ricerche che in quegli anni aveva fatto, senza dover faticare oltre, ormai.
-Ora l’unica cosa che manca è pensare a un piano o qualcosa da fare con queste informazioni.. anche se tutto sommato non è la cosa più semplice..- pensò, ed effettivamente, ora che aveva quelle informazioni, non era facile decidere cosa farne. Scoprirlo, ricattarlo o altro? Non lo sapeva, e non ci aveva mai nemmeno pensato, a dir la verità.
Talmente preso dai suoi pensieri, non si accorse neanche che il detective si era alzato dalla sedia per avvicinarsi alla porta che pochi minuti prima lui stava scrutando, e quando lo fece, chiese subito a quest’ultimo dove stava andando.
“A compare delle birre e delle sigarette, visto che Ran me le ha buttate tutte” rispose, per poi sbattere la porta senza nemmeno aspettare la risposta dell’altro.
Guardò la stessa lastra di ferro per secondi interminabili, rimuginando su cosa fare, ancora indeciso; per poi uscire da quella specie di trans nel sentire una vibrazione tra le sue mani, nelle tasche di quei jeans blu scuri: il suo cellulare.
“Nuovo Messaggio” lesse sullo schermo dell’apparecchio elettronico, una volta averlo estratto dalle tasche e averlo sbloccato.
Aprì il messaggio appena ricevuto, e nel leggere il mittente lo poggiò un attimo al suo petto, coprendolo, per controllare in giro che non ci fosse assolutamente nessuno nei dintorni. E, constatato che era davvero solo in quella stanza, decise di spostarlo e di leggere ciò che Vermouth gli aveva scritto.
 
“Bourbon, sta sera non posso venire con te per la storia di Kichida, il capo ha deciso di mandare me a occuparmi di Ooba alla fine. Comunque se scopri qualcosa, domani ci vediamo al solito posto.. magari in quel caso potrei anche farmi perdonare..
Vermouth. XXX”
 
Non ci mise molto a realizzare il contenuto di quel messaggio, e quando lo fece, sorrise spavaldamente, capendo finalmente cosa stava succedendo.
Ripose immediatamente il cellulare da dove l’aveva tirato fuori poco prima, si avvicinò all’appendiabiti all’ingresso, indossò la sua giacca, e senza indugiare oltre aprì la porta come le due persone prima di lui per poi chiudersela dietro, scendendo di corsa le scale e mettere in moto la sua macchina.
-Kichida lo vedrò domani.. ora devo occuparmi di Kogoro il dormiente invece.-
 

***
 

 Shinichi si voltò, e quello che vide non fu niente di gradevole.
Un cadavere a terra, circondato di sangue; e un uomo quasi sulla quarantina distante pochi metri da lui, con una pistola tra le mani e ancora alta, dove una volta stava la testa di Ooba.
“La prossima volta non riusciranno a batterti Vermouth perché una prossima volta non ci sarà. Non è così… Kogoro il dormiente?”

 
 -Uno in meno-  Abbassò l’arma, l’uomo, sorridendo spavaldamente alla vista del sangue fuoriuscente dal cadavere a pochi metri da lui che si espandeva in una pozza sempre più grande secondo dopo secondo, e degli sguardi spaesati o shockati dei presenti.
Capelli color grano, carnagione scura, occhi color ghiaccio, e sorriso spavaldo quanto pericoloso.
“Bourbon..” sussurrò Vermouth, con espressione al quanto sorpresa, per poi riprendere il colorito di prima e riuscire a intraprendere il suo solito tono, per quanto inquieto. “Che ci fai qui?”
L’altro non rispose, si limitò ad avvicinarsi al detective di fronte a sé, che ricambiava quel sorriso assassino con uno sguardo serio e voltandosi in sua direzione, senza il minimo timore di ciò che quell’uomo gli avrebbe potuto fare.
Conan-kun… cosa ci fai in un posto del genere?” finse un tono preoccupato, Bourbon, ormai dinanzi al ragazzo.
Shinichi fissò i suoi occhi blu, coperti dalle spesse e trasparenti lenti degli occhiali, in quelli così freddi e falsi dell’omicida del suo nemico, senza rispondere, mentre intorno a loro, in quel piccolo ponte dimenticato, una strana atmosfera, più tesa ancora della precedente, iniziava a crearsi e ad avvolgerli.
“Potrei chiederti lo stesso, Amuro-san” decise di continuare quella specie di gioco, quelle note di sarcasmo, con un sorriso sfrontato disegnato su quel finto volto da diciassettenne.
“Tu hai i tuoi motivi…” disse riferendosi agli agenti infiltrati dietro di lui. “Ed io ho i miei… Kudo” finì, guardando la donna dai lunghi e mossi capelli biondi poco distante da loro e poi riportare lo sguardo sul ragazzo, e marcando il tono di voce nel pronunciare il nome del detective.
Niente più battute sarcastiche, niente più sorrisi spavaldi.
Solo serietà era dipinta sui volti dei due, in quel momento, così come su quelli degli altri.
Il silenzio, per l’ennesima volta, li avvolse, diventando il sovrano della situazione, accompagnato dalla tensione che lentamente aumentava e diventava sempre più insopportabile; accompagnato ogni tanto soltanto dal rumore che le onde creavano scontrandosi sugli scogli sotto di loro.
“Da quando lo sai?” spezzò quella quiete il detective più piccolo.
“Ti cambia qualcosa saperlo?” chiese il biondo, alludendo a un sorriso.
“No. Ma sapere perché non hai mai fatto niente nonostante tutto, m’interessa, invece”
“Diciamo che mi servivano delle prove concrete prima di agire. E poi, grazie a questa mia calma ho preso due piccioni con una fava” rispose alla domanda del ragazzo, spostando poi tutta la sua attenzione sull’ex agente dell’FBI, che dalla sua postazione, lo scrutava attentamente con i suoi occhi color smeraldo.
“Shuichi Akai.. chi non muore si rivede!” ironizzò.
“A quanto pare..” disse di rimando l’uomo, con tono apparentemente indifferente.
Bourbon fece qualche passo verso il centro di quel cerchio che il gruppo aveva creato prima che lui arrivasse, guardando lo sguardo di ogni uno di loro con attenzione, e poi fermarsi su Vermouth.
“Il capo lo sa?”
“Cosa?” finse di non capire a cosa si riferiva il suo compagno di crimini, Vermouth, piegando le braccia al petto con fare sensuale, come sempre.
“Sai benissimo cosa”
“E invece no” continuò la donna, sperando di far innervosire il criminale, ma inutilmente.
“Visto che oggi ti vuoi fingere idiota…” rispose quasi divertito Amuro. “Il capo lo sa che effetti ha l’aptoxin 4869, che Shinichi Kudo e Shiho Miyano sono ancora vivi, soltanto in un corpo più piccolo, e che tu sai benissimo dov’è?” ripeté la domanda, cercando di essere il più chiaro possibile, mentre l’altra a fatica riuscì a soffocare un sussulto.
Shinichi guardò quasi preoccupato la donna. Preoccupato per la sua amica, e per quello che le sarebbe potuto accadere, non per sé stesso, lui se la sarebbe cavata. Sharon rispose a quel suo sguardo con uno indecifrabile, cui alcun sentimento fu trasmesso, per poi riportarlo all’uomo davanti a sé e rispondere con una calma e naturalezza quasi disumana.
“No”
“CHE COSA?!” sbottò Chianti, prendendo parte a quella conversazione, quasi irrompendoci, e lanciando uno sguardo pieno di odio alla cosiddetta preferita del capo.  Quella che aveva praticamente nascosto a tutti una cosa di vitale importanza all’organizzazione, tanto da coinvolgerli tutti. Quella che stava facendo il doppiogioco, in pratica. La traditrice. “Tu sai dov’è Sherry e non ce l’hai voluto dire per tutto questo tempo?!”
Vermouth ricambiò il suo sguardo,e poco dopo sorrise spavaldamente, puntandogli la pistola alla tempia.
“Mi dispiace, ma ora che sai troppo, non posso rischiare che tu lo vada a spifferare in giro” pronunciò quelle parole con tono superiore e spavaldo, con finto dispiacere, mentre l’altra, capendo le vere intenzioni della collega, non poté far altro che ricambiarla con la stessa moneta, puntando anche lei la sua arma al capo della bionda.
Stavano entrambe per premere il grilletto delle rispettive armi, quando uno sparo riecheggiò nell’aria, prima che una delle due finisse l’azione, svuotando di un’anima il secondo corpo in quella serata, sporcandosi le mani per la seconda volta.. in quella serata.
Dopo pochi secondi dallo sparo, infatti, il rumore che si sentì fu il tonfo sordo di un corpo caduto a terra che si espanse per l’intera area, e insieme, quello della pesante arma che poco prima teneva saldamente tra le mani.
Bourbon ripose l’arma nelle tasche dei jeans, guardando soddisfatto l’angolo vuoto dove prima stava in piedi il corpo della criminale, che ormai aveva fatto la stessa fine che le sue vittime avevano fatto per mano sua.
“Non mi era mai andata a genio quella lì” rispose agli sguardi di chi lo circondava, mentre l’unica criminale oltre lui, quella ancora viva, scoppiò in una fragorosa risata.
“Voglia di uccidere, oggi, Bourbon?”
“Ho imparato dal maestro, Vermouth” sussurrò con tono malizioso, avvicinandosi alla donna che con un semplice gesto della mano riuscì ad impedirglielo.
“ehm ehm” finse una tosse il detective del Kansai, facendo voltare i due in sua direzione e comprandosi così la loro attenzione.
“Comunque” tornò a parlare Amuro. “Vedo che qui un po’ tutti stanno contro l’organizzazione, chi con doppi giochi e chi no; addirittura te, Kir, a quanto pare”
“Non le sono mai stata fedele, se è per questo. Né all’organizzazione né al suo creatore” rispose con fare spavaldo la donna, poggiandosi alla ringhiera di quel ponte piuttosto malandato.
“A questo punto…” puntò lo sguardo a terra, sulle punte delle sue scarpe, mentre si allontanava da Vermouth. “Allora credo potremmo unire tranquillamente le forze per farla fuori una volta per tutte”
“Chi ti dice che possiamo fidarci di te?” gli domandarono all’unisono Shinichi e Akai, suscitandogli un lieve risolino.
“Il fatto che so di voi, e invece di farvi fuori ho fatto fuori Chianti, che poteva andare tranquillamente a dire tutto al capo e agli altri, non è già una prova che anch’io ho i miei motivi per schierarmi contro l’organizzazione?” rispose sicuro il detective, alzando leggermente il capo con fare ovvio e superiore.
“Può darsi” risposero, dopo un averci riflettuto per qualche secondo, i due con l’aggiunta di Hidemi e Hattori.
“Anche se tra noi c’è ancora un conto in sospeso, Rye” gli ricordò il biondo, mentre l’altro annuì, senza aggiungere altro.
“Allora siamo tutti d’accordo?” domandò Shinichi, rivolgendosi a tutti, che annuirono convinti, e pronti per finire finalmente quell’organizzazione che dalla sua creazione, non faceva altro che spargere dolore a chiunque avesse la sfortuna di imbattersi.
“Prima però” si fece avanti Vermouth, raggiungendo gli altri. “Devi avvisare il tuo amico, Silver Bullet”
“Il mio amico?” chiese confuso il detective.
“Kaitou Kid”
“E perché?” domandò ancora, continuando a non capire che centrava Kid in quella faccenda.
“Perché credo sia il momento che anche lui sappia che in realtà..” si fermò un attimo, sorridendo e creando tensione tra i presenti. “Pandora non esiste”



 


Nana's Corner:
Minna konnichiwa!
Allora... prima di dire qualsiasi cosa, volevo scusarmi per il ritardo di quasi... un mese O.O
Ma purtroppo non avevo ispirazione ^^"
Comunque, ieri mi è tornata ed ecco che ho scritto subito u.u
By the way.. che ne pensate del capitolo? Soprattutto, del finale?
E bene sì, forse ve lo siete chiesti in alcuni capitoli, quando appariva Kiddo "dal vivo" o semplicemente sul giornale, e il motivo, era proprio questo: doveva apparire, e non volevo farlo così, da un momento all'altro, ecco u.u
In quanto alla storia di "Kogoro il dormiente", visto che è praticamente spoiler, vi rispiego dov'è, casomai qualcuno non lo sapesse :) Allora.. alla fine del file 827, Vermouth lo chiama e gli chiede perché sta ancora lì come apprendista, e lui risponde che vuole scoprire di più su Kogoro il dormiente e pensa a Conan. Questo è il link: http://www.mangareader.net/detective-conan/827/16 Va beh, non ho molto da dire sul capitolo, se non: com'è? E' orrendo? Scontato? O.O; e quindi, meglio passare al Metantei's Corner u.u

Metantei's Corner:
1- Cosa centra Kaito con tutto questo?
2- Soprattutto, cosa centra Pandora in questo momento? E teorie sul perché non esiste?
3- (La vostra domanda preferità che vi accompagna da diciassette capitoli xD) Che succederà ora?

Comunque, grazie di cuore a tutti quelli che recensiscono, che hanno inserito la storia in una delle tre categorie o che leggono solamente. Grazie, senza di voi non sarei arrivata fin qui :')
Spero vivamente che il capitolo vi piaccia, e tranquilli, il prossimo arriverà presto ^.-
Alla prossima!!

XXX, 
Nana Kudo.

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Capitolo 18
*** Silver Bullet (Seconda Parte) ***


Capitolo diciannove
Silver Bullet (Seconda Parte)
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Il tocco supremo dell'artista –sapere quando fermarsi.*
Quante volte avevano sentito quella frase? Quante volte si erano ripetuti di fare lo stesso, casomai le cose sarebbero andate avanti così? Quante volte si erano ripromessi che avrebbero sempre mantenuto un certo autocontrollo, avrebbero sempre ricordato che non si sarebbero dovuti spingere troppo oltre? Quante volte si ricordavano a vicenda che non potevano andare oltre, almeno per loro due?
Quante? Quante volte l’avevano fatto?
Beh, la verità è che se l’erano detto, ridetto, promesso e giurato più e più volte, talmente tante che contarle sarebbe stato quasi impossibile, ma nonostante tutto, farlo non era servito a nulla.
Promettere a se stessi di fermarsi, anche se i risultati sarebbero stati più che positivi, anzi, straordinari, si rivelò un’azione del tutto inutile, inutile come la speranza che l’avrebbero fatto ora…
Inutile come la speranza che se ne rendessero conto prima di creare qualcosa di pericoloso.
Oramai quel progetto, quel piccolo progetto che inizialmente non si pensava nemmeno sarebbe andato a buon fine, era andato troppo, troppo avanti.
Quelle assurde formule scritte su fogli e computer, tutti quei progetti e tutti quei sogni, avevano pian piano cominciato a prendere forma, a diventare reali, accecandoli, accecandoli dal desiderio e dalla voglia di continuare, di non mollare e di andare avanti, senza mai fermarsi un attimo, guardarsi indietro e riconquistare la ragione.
Senza mai fermarsi un attimo e chiedere a se stessi se quella che stavano facendo era davvero la cosa giusta.
Senza mai fermarsi a pensare che forse, un giorno, quella che loro definivano droga dei sogni, avrebbe rovinato proprio la vita di coloro a cui tenevano di più, di coloro cui si erano ripromessi di proteggere sempre.
Il silenzio che avvolgeva da qualche secondo quel laboratorio nel centro di Shibuya, fu improvvisamente spezzato dal rumore che un oggetto metallico causò, scontrandosi con un atro.
L’odore di alcool, farmaci e lattice, divenne quasi insopportabile. E il freddo che si tratteneva tra quelle poche pareti piastrellate continuava a crescere, raggiungendo temperature assai basse.
Nonostante tutto, però, i due individui che da mesi ormai, albergavano in quel piccolo spazio, abbastanza grande per solo due persone, non accennavano alcun fastidio, alcuna lamentela, non pensavano nemmeno a prendersi una pausa o lasciare perdere quel posto e tornare alle loro normali vite, dalla loro famiglia.
Le loro voci ogni tanto uscivano, riecheggiando poi per minuti interminabili, fino a dissolversi facendo così cadere nuovamente il silenzio fra di loro.
“Atsushi” la voce della donna dai capelli lunghi e scuri ruppe, per l’ennesima volta in pochi secondi, il silenzio che li circondava, mentre si voltava chiamando il marito a pochi passi da lei. “Te lo immagini? Se andrà tutto bene, forse tra qualche giorno potremo rivedere Akemi e Shiho, non è fantastico?” disse euforica, con il corpo che quasi tremava per le moltitudini di emozioni che si espandevano al suo interno, e un’espressione quasi angelica dipinta sul volto che nessuno avrebbe mai pensato potesse appartenere al membro di un’organizzazione di quel calibro.
Il marito, ancora di spalle, non poté non farsi sfuggire un sorriso, nel rivedere la figlia più grande in quell’attitudine, in quelle parole e quei gesti fatti dall’amata.
“Forse..” sussurrò, sfilandosi gli aderenti e bianchi guanti che fino a quel momento avevano coperto le sue mani, e poggiandoli affianco al lavoro appena terminato. “Dipende tutto dagli esiti e da cosa succederà, per il momento, di certo e concreto, non c’è ancora nulla” aggiunse, voltandosi verso la moglie che si lasciò a uno sbuffo e un’espressione seccata dall’atteggiamento del marito.
Non durò molto quell’atmosfera calma e piacevole per i due, che, a distanza di pochi minuti, fu rovinata dal cigolio emanato dalla porta di quel laboratorio, aprendosi poco dopo, mostrando la figura di una donna sulla trentina che la richiudeva dietro di sé una volta dentro.
Occhi chiari e freddi come il ghiaccio, capelli biondo chiaro e lungi fino alla vita lasciati sciolti lungo la schiena, abiti neri come la pece, che lentamente, con fare sensuale ma allo stesso tempo con una vena di superiorità, si avvicinava ai due coniugi.
“A che punto siamo?” domandò, dopo essersi fermata innanzi a loro e aver cinto le braccia al petto, continuando a scrutarli con quegli occhi freddi e agghiaccianti.
“Noi siamo pronti” le rispose prontamente l’uomo, avvicinandosi al ripiano di lavoro e prendendo un piccolo cofanetto bianco appoggiato lì tra le mani. “L’abbiamo ricontrollata e studiata più e più volte, e ormai siamo sicuri al cento per cento che funzionerà” disse, porgendole il piccolo oggetto e tornando accanto ad Elena poco dopo.
La bionda annuì, anche se non molto convinta.
“Deve funzionare, lo sai benissimo Miyano, o le cose non finiranno nei migliori dei modi per voi” le ricordò, infondendo una sensazione di ansia e paura negli altri due, soprattutto nella donna, poiché Atsushi mantenne un comportamento più naturale e sicuro.
“E’ assurdo pensare che non dovrebbe funzionare” intervenne, infatti, l’uomo. “Sai benissimo che funzionerà, e comunque l’abbiamo anche già testata su delle cavie in tua presenza, o te lo sei dimenticata, Vermouth?”
Vermouth lo scrutò per qualche secondo ancora, insicura sulle sue parole, per poi abbandonarsi a un sospiro e annuire.
A quel punto Elena le si avvicinò, e dopo averle spiegato per l’ennesima volta cosa doveva fare esattamente, le indicò un’altra porta di ferro con un leggero movimento del capo.
“Sarebbe meglio che tu la ingerissi lì.. almeno saresti da sola”
Nessuna risposta. La giovane si limitò a levarsi la giacca scura e in pelle appoggiandola su uno sgabello di legno lì vicino, avviandosi subito dopo verso la porta indicatale dalla scienziata, per poi chiudercisi dentro.
Urla, spasmi e dolore.
Si espansero anche fuori da quella piccola stanza, riecheggiando nell’aria e appesantendola, incrementando ancora di più l’ansia che urlo dopo urlo, s’impossessava dei due scienziati.
Ansia che, scomparve giusto una decina di minuti dopo, quando da quella stanza, la stessa trentenne che vi entrò poco prima, ne uscì con dieci anni in meno.
 

***

 
“La prova di tutto ciò… ce l’hai davanti agli occhi”
 
“Che… che intendi dire?” chiese Shinichi, con gli occhi spalancati, le pupille dilatate al massimo e la bocca aperta, tanto era spiazzato da tale affermazione.
-Non dirmi che anche lei ha… - pensò, deglutendo alle immagini della criminale che ingeriva quella piccola pillola bicolore e regrediva, e nel sentire l’eco delle parole dell’amica crescere nella sua mente. Se quello che aveva appena detto Ai era vero, significava che lei…
“Intendo dire che il motivo per cui non invecchio mai, è perché ho ingerito la stessa pillola che avete ingerito te e Sherry, with the only difference that mine had the effect of keeping me at this age for ever, and your to shrink your body but allowing it to grow again” destò il detective dai suoi pensieri, Vermouth, pronunciando all’improvviso quelle parole con tanta naturalezza, mentre si accendeva l’ennesima sigaretta nel giro di un’ora. “Allora, soddisfatto, Holmes? Finalmente hai avuto la risposta a quell’ultima domanda a cui da qualche tempo cerchi risposta**” lo schernì la criminale, poggiando il tabacco sulle labbra color rosso fuoco.
Shinichi, d’altro canto, ci mise qualche attimo a interpretare la frase della bionda e capirne appieno il significato; e quando lo fece, sorrise, in un certo senso soddisfatto per aver finalmente scoperto il vero motivo per cui quella donna, in dieci anni che la conosceva, non era mai invecchiata.
“Non ho capito, te avresti preso l’aptoxin?” chiese conferma Hattori, svegliatosi appena da quello stato di shock cui si era ritrovato in quegli ultimi minuti, facendo sospirare quella.
“Esatto” rispose, buttando fuori fumo grigiastro dalla bocca. “Diciamo che ero coinvolta nel progetto e, quando il Silver Bullet era ormai pronto, i Miyano mi avevano chiesto di provarlo per testare che funzionava. Il tutto è successo in questo laboratorio, sapete?”
“E com’è possibile che l’organizzazione non l’abbia incendiato come hanno fatto con gli altri?” chiese Shinichi, ricordando quando dieci anni fa, alla fuga di Shiho, avevano incendiato tutti i laboratori in modo tale che ella non sarebbe più riuscita ad andare avanti nelle sue ricerche.
“Semplicemente, non abbiamo detto nulla all’organizzazione. One way or another, we did hide it from them” si limitò a rispondere, facendo spallucce. “Comunque, alla fine non è servito a niente, visto che prima di riuscire a crearne altre di quelle capsule, hanno perso la vita in un incidente” disse infine, riavvicinando la sigaretta alla bocca; mentre Ai, a quelle parole, strinse ancora di più il tessuto tra le sue mani.
“Che tipo d’incidente?” le domandò Shinichi, riservandole uno sguardo serio, imitato poi dai due amici, che si limitarono a fare lo stesso.
“Un incidente” rispose la donna con fare superiore, dopo qualche secondo, e alludendo a un sorriso.
Il detective, la scrutò per qualche secondo ancora, ripetendo quelle parole e quegli attimi migliaia e migliaia di volte nella sua mente, cercando qualche indizio tra quelle lettere pronunciate con tanta superiorità ma allo stesso tempo naturalezza, cercando in esse qualche prova; per poi mutare espressione in una identica alla sua.
Distolse lo sguardo poco dopo, Vermouth, dal detective però, puntandolo invece sulla scienziata seduta poco distante da lei.
“Qui dentro ci sono tutte le formule e documenti riguardanti il Silver Bullet” disse, facendo sì che, la ragazza alzasse finalmente lo sguardo dalle punte delle sue scarpe per guardarla in quegli occhi di ghiaccio. “Ti ho lasciato da qualche parte anche le tue di formule, già che c’ero. If you want, I can leave you the keys of this place so that you can come to work on an antidote”le riferì, provocando una strana sensazione di sicurezza in Shiho, che si limitò ad annuire cacciando via quella paura di prima, per poi voltarsi in direzione dell’amico che le sorrise.
Rimasero qualche attimo avvolti in un silenzio un po’ meno ansioso e pesante di prima, silenzio in cui ogni uno di loro si era perso nei propri pensieri o che semplicemente rivedeva le immagini di poco prima, quelle in cui venivano a conoscenza di una verità così pericolosa ma al contempo utile per loro, utile per poter pianificare una prima mossa contro i corvi.
“Quindi, la vera Pandora è l’aptoxin, giusto.. Vermouth?” chiese conferma, per l’ultima volta, Kaito, guardando la donna che diede conferma alla domanda del ragazzo con un semplice movimento del capo.
Sorrise, il mago, tra sé.
“Beh.. a questo punto credo che avrete una persona in più ad aiutarvi con l’organizzazione” disse, facendo sorridere i due detective. Sorriso che mutò in uno sbuffò annoiato alle parole pronunciate poco dopo dallo stesso ladro. “E che persona poi! Con il mago più bravo del mondo non vi sarà per niente difficile sconfiggere quelli lì, anzi, finirà che io farò tutto da solo e voi, come da bravi detective, resterete a guardare senza fare niente come siete soliti a fare***” disse, con fare spavaldo e superiore, dando vita subito dopo a una risata.
“Idiota” si lasciarono sfuggire gli altri due, con tono annoiato.
 
“Si è fatto tardi, devo proprio andare adesso” disse Vermouth, dopo aver lanciato un’occhiata furtiva all’orologio attaccato alla parete di fronte a sé, facendo così arrestare la risata di Kaito e le imprecazioni verso di lui dei due detective. Senza aggiungere altro, si alzò dalla sedia su cui era seduta, e cominciò ad avviarsi verso la porta.
Prima però, si fermò dinanzi alla scienziata, porgendole un mazzo di chiavi che quella prese quasi immediatamente.
“Queste le lascio a te, Sherry. Fanne buon uso” sussurrò alla ragazza, che si limitò ad annuire, per poi tornare a camminare verso l’uscita di quel laboratorio che, seppur rimasto chiuso e inutilizzato per più di vent’anni, aveva ancora quel fortissimo odore di lattice e alcool di una volta.
“Alla prossima, Silver Bullet” disse, salutando il detective con un semplice cenno della mano, lasciando subito dopo quel posto.
Fissarono la porta da cui era uscita la donna per un po’, prima che la voce di uno di loro li riportasse alla realtà.
“Cavolo!” urlò il ladro, guadagnandosi l’attenzione degli altri tre. “Sono le cinque del mattino, chi la sente adesso a quella lì?!” disse, maledicendo mentalmente l’orologio di quel laboratorio, per poi alzarsi di scatto e mettersi velocemente la giacca poggiata qualche ora prima sullo schienale della sedia. “Scusate ragazzi ma devo proprio andare. Ci vediamo presto per escogitare un piano, d’accordo?” Shinichi e Heiji annuirono, mentre lui apriva la porta e faceva per uscire da lì. “Ah, dimenticavo.. salutami la tua fidanzatina, Conan-kun
“Kuroba, io…” disse il detective, arrossendo di colpo facendo scoppiare a ridere l’amico rivale che, nel vederlo alzarsi, si affrettò a lasciare la stanza e chiudere la porta dietro di sé.
“Idiota” sospirò il finto liceale, ancora completamente rosso in viso.
“Che ne dici se torniamo anche noi a casa, adesso?” disse Heiji, cercando di smetterla di ridere, guadagnandosi un’occhiata truce dal migliore amico, che sospirò di nuovo, prima di annuire.
“Tu che fai?” chiese poi, rivolgendosi alla scienziata ancora seduta sulla sedia mentre osservava le chiavi lasciatole dalla criminale. “Se vuoi ti accompagniamo a casa noi.. allora?”
“Grazie, ma preferisco rimanere qui, almeno così posso già cominciare a lavorare a un antidoto per l’aptoxin” rispose Shiho, voltandosi verso l’amico, con sguardo freddo e distaccato; come sempre, d’altronde.
“D’accordo” sorrise Shinichi, mentre si avvicinava alla porta che già due persone avevano passato.
“Beh.. buon lavoro” disse, prima di andarsene assieme all’amico.
Appena sentì la porta chiudersi, Shiho si alzò dalla sedia su cui era rimasta seduta per tutta la serata, avvicinandosi con cautela al ripiano bianco e piastrellato di quel laboratorio, aprendo poi tutti i cassetti e le ante sotto di esso, rivedendo in ogni oggetto toccato dai suoi genitori il loro volto.
In quel momento, le sembrava come se fossero lì accanto a lei, toccando ogni piccolo oggetto che, era sicura avevano toccato anche loro almeno una volta, le sembrò come toccare le loro mani; e annusando quel lieve profumo nell’aria, quel profumo nascosto dall’odore di alcool, farmaci e lattice, il loro profumo, le sembrava come se loro fossero ancora lì a lavorare a quella droga dei sogni, proprio come vent’anni prima.
Una lacrima trattenuta troppo a lungo, scese solitaria dai suoi occhi, a quei pensieri; lacrima che si preoccupò di asciugare subito con la manica del maglione di lana che aveva addosso. Non poteva piangere, non doveva, quante volte se l’era ripetuto?
Scosse il capo, allontanando lentamente l’arto dal viso pallido. Allungò poi quello stesso braccio verso un altro cassetto, aprendolo.
Sorrise, nel trovare una lettera col nome della madre scritto sopra con inchiostro nero.
La tirò fuori di lì, prendendola tra le mani, e aprendola con ancora un sorriso quasi insolito da lei disegnato sul volto.
Sorriso che si spense subito dopo aver aperto la busta e letto il contenuto di quell’ultima. Contenuto che la lasciò a bocca aperta, che la lasciò letteralmente spiazzata.




*Citazione di Sherlock Holmes.
**Nel capitolo 13, "A secret makes a woman, woman", Shinichi chiede a Vermouth come fa ad essere sempre giovane, e lei però quella volta non risponde.
***
Ehi, lo sai, piccolo? Un ladro è un artista che solo con la fantasia e l'abilità agguanta la sua preda... I detective non fanno che guardare e criticare... Sono inutili! (Ho preso spunto da questa frase detta da Kaito nel Volume 16 File 7)

Nana's Corner:
Minna konnichiwa!! :D
Alloooora.... apparte che a me il capitolo proprio non piace -.-, eccomi! ^^
Ci ho messo un po' ma purtroppo, vi avviso che d'ora in poi, fino a giugno, ci metterò sempre un po' ad aggiornare ^^"
Gommen nasai -.-"
Ma con "fino a giugno" non intendo dire che la fic durerà così tanto, neh! xD
Cioè, o almeno credo .-.
Va beh, ora parliamo del capitolo.
La prima parte spiega il perché, secondo me, Vermouth non invecchia mai. Non ho idea se Atsushi e Elena sono OOC, e il perché è.. boh, ma non li ho mai visti nell'anime né nel manga, quindi ^^"
Comunque spero vi piaccia come li ho descritti :)
Ma nel caso non si fosse capito, ora lo rispiego: Vermouth ha testato il Silver Bullet, e siccome quello, a differenza dell'APTX, dona gioventù eterna, è ritornata ad avere vent'anni e non è più invecchiata da lì in poi.
Poi, Vermouth ha lasciato la formula dell'APTX ad Haibara, e quindi, lei ora può finalmente trovare un antidoto definitivo per niichan u.u
Il finale credo non ci sia bisogno di spiegarlo, quindi mi fermo qui ^^
Mi scuso per il capitolo corto e orrendo, ma purtroppo non sapevo proprio che scrivere -.-"
Comunque il prossimo dovrebbe arrivare prima di questo, spero ^^" 


Metante's Corner:
1- Che decideranno di fare Shinichi, Kaito, Hattori e compagnia bella?
2- che c'era scritto nella lettera che Haibara ha trovato?

Ora passiamo ai ringraziamenti ^^
Grazie di cuore a Hoshi Kudo, KeynBlack e shinichi e ran amore per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie di cuore per continuare a seguirmi <3
Grazie mille a chi ha recentemente aggiunto la storia alle seguite e ricordate (non mi ricordo chi siete, gommen nasai .-.) e anche a chi l'aveva già fatto. Arigatou <3
Ed infine grazie anche a chi legge solamente, che incoraggio a lasciarmi una recensione, anche una critica, neh, semplicemente mi piacerebbe sapere che ne pensate della storia ^^

Spero che, nonostante tutto, il capitolo non faccia poi così schifo -.-"
Grazie comunque per aver letto fin qui, spero di aggiornare presto e... basta u.u
Alla prossima! :D

XXX,
Nana Kudo.


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Capitolo 19
*** Silver Bullet (Prima Parte) ***


Capitolo diciotto
Silver Bullet (Prima Parte)
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Fece scorrere le iridi cobalto oltre quello spesso e trasparente vetro che lo divideva dall’esterno, da quella strada illuminata, colma di luci, con un gomito appoggiato al finestrino di quella macchina e la mente da tutt’altra parte, facendo sorgere ricordi riguardo pochi minuti prima; mentre intorno a lui, un silenzio carico di tensione, di sfiducia, di sospetti, si creava pian piano.
 
“Cosa?” chiese Shinichi, sorpreso dalle parole della donna, strabuzzando gli occhi. “Che significa che Pandora non esiste?!” 
Vermouth lo squadrò, alludendo a un sorriso, senza degnare il detective di alcuna risposta. Semplicemente, scostò una ciocca di capelli biondi dal viso e si voltò, dando di spalle al ragazzo, e avvicinandosi lentamente alla sua moto, noncurante delle continue richieste di spiegazioni da parte di quest’ultimo.
“Vermouth?!” provò a richiamare la sua attenzione, per l’ennesima volta, il ragazzo dalla chioma corvina, cominciando a spazientirsi. “Vuoi dirmi che significa?” 
Nessuna risposta, di nuovo.
La criminale continuò a camminare senza voltarsi, senza dare importanza a colui in cui lei riponeva tanta fiducia, come non aveva mai fatto con nessun altro; fino a giungere alla sua moto scura, scura come il cielo sopra di loro. Prese il casco –del medesimo colore- poggiato con cura sopra il sellino in pelle da lei in precedenza, e se lo rigirò tra le mani, incurvando le labbra color rosso fuoco, e lasciandosi sfuggire un risolino.
“Vermou-”
“Domani sera, davanti alla Torre di Tokyo. Non dimenticarti di portare anche Kuroba, mi raccomando” spiccicò finalmente parola Vermouth, voltandosi in direzione del detective che si limitò ad annuire, quasi sorpreso di aver sentito finalmente qualche parola fuoriuscire da quella bocca, mentre lei saliva in sella alla sua vettura e con fare svelto inseriva le chiavi con una mano, e con l’altra sistemava il casco sul capo. “Ah, già che ci sei” aggiunse, alzando il piccolo spessore scuro del caso e mostrando per qualche attimo quegli occhi freddi come il ghiaccio. “Porta anche Sherry con te, deve sapere alcune cose su i suoi genitori che credo potrebbero interessarle” terminò, prima di partire e lasciare quel ponte  dimenticato da tutti, e i presenti ancora più confusi di prima.
 
Sospirò, con lo sguardo ancora concentrato a quelle miriadi di luci che rapidamente gli passavano davanti agli occhi per poi sparire dalla sua vista con la stessa velocità con cui erano arrivati.
Quella donna, a volte, sapeva essere davvero strana, costatò. Uscire con una frase del genere in un momento simile l’aveva spiazzato, non riusciva a capire cosa centrasse quella pietra con tutto quello, con loro, e soprattutto, cosa centrava Kaito in quel momento. Per non parlare poi della richiesta di portare anche Ai all’incontro per metterla a conoscenza su alcune cose dei genitori.
Scosse il capo. Sì, la sua mente era completamente smarrita, disorientata, confusa, come l’era lui d’altronde, e come, per il momento, i fatti si presentavano.
Passò qualche minuto ancora immerso nei suoi ragionamenti e teorie, fino a quando non diede un’occhiata al suo orologio da polso e decise finalmente di spezzare quel silenzio che albergava da troppo tempo, ormai, all’interno di quell’auto.
“Sono passati più di quarantacinque minuti da quando ce ne siamo andati via. Gin sarà già arrivato sul ponte?” domandò Shinichi ai due che lo accompagnavano per il tragitto, alludendo alla discussione fatta prima di lasciare tutti quanti quel ponte.
“Probabile” rispose Amuro, mentre Heiji continuava a lanciargli sguardi incerti, incerti sul comportamento dell’uomo.
“Aveva detto che Gin sarebbe venuto subito appena Vermouth avrebbe chiamato il capo, no?” aggiunse il detective dell’ovest, col suo solito accento marcato e con le braccia conserte, continuando a studiare il detective alla guida di quell’auto dai sedili posteriori. “L’unica cosa che mi chiedo è che faranno adesso quando scoprirà che oltre a quello di Ooba, dovrà liberarsi anche del cadavere di Chianti..”
“Basterà che Vermouth s’inventi qualcosa, sicuramente non è il tipo che ha difficoltà a mentire” rispose Shinichi alla domanda dell’amico, incrociando anche lui le braccia al petto e guardando di fronte a sé, sospettoso anch’egli di quell’uomo che per anni aveva cercato di farsi passare per un detective apprendista che lavorava part-time in un caffè.
“Quello che non mi spiego io, invece, è perché Gin abbia insistito tanto a liberarsi lui del corpo e il capo abbia acconsentito nonostante il tutto è inutile. Cioè, in base ai loro piani, dovevano esserci lì Vermouth, Chianti, Korn e una recluta, credo che di problemi per gettare un corpo di ottanta chili circa in mare non ne avrebbero avuti” disse Bourbon, con naturalezza, come se fosse una cosa normale per lui parlare con quei due come compagni di squadra, e non nemici o apprendista di un loro amico.
I due non accennarono parola, si limitarono a tenere i loro occhi indagatori fissi su di lui per tutto il tempo, osservandolo, scrutandolo e studiando ogni minima ruga del suo viso, cercando conferma sulle parole dette da lui quando erano ancora lì, su quel ponte, con le onde che si scontravano continuamente sugli scogli sottostanti.
“Il fatto che so di voi, e invece di farvi fuori ho fatto fuori Chianti, che poteva andare tranquillamente a dire tutto al capo e agli altri, non è già una prova che anch’io ho i miei motivi per schierarmi contro l’organizzazione?”
Già, quelle parole in quel momento suonavano false quanto vere alle menti dei due detective, di parti totalmente diverse di quell’isola nel Pacifico, e di molti altri particolari, ma tanto uguali quando si parlava d’investigazioni. C’era solo una verità, l’avevano imparato entrambi, ormai; ed era proprio quella verità, che in quel momento, cercavano di scoprire.
“Che ci guadagni a metterti contro di loro?” dissolse per la seconda volta nel giro di un’ora, Shinichi, quel silenzio e quell’atmosfera che li circondava da tanto, troppo tempo, rivolgendosi al criminale dinanzi a sé.
Chinò il capo, leggermente, rendendo più salda la presa al volante della vettura e incurvando le labbra in un sorriso amaro, pieno di odio e rancore.
“E’ colpa loro se l’ho persa” sussurrò appena, ma con un volume di voce che, per quanto quasi inudibile, arrivò alle orecchie dei detective seduti dietro di lui. “E ora voglio fargliela pagare”
Silenzio.
Non aggiunse altro, si limitò a tenere lo sguardo fisso sulla strada, e quell’espressione dipinta in volta, senza mutarla di una virgola.
Shinichi e Heiji lo scrutarono, studiando quegli occhi colmi di rabbia e rancore intrisi a tristezza e dolore, e quelle labbra che trasmettevano le stesse e identiche emozioni, per poi spostare quelle iridi accese e attente a loro, scambiandosi un’occhiata complice e un’espressione più tranquilla di prima.
Faceva sul serio, lo si poteva notare da come ogni minima cellula del suo corpo aveva reagito a quella domanda, e quale tono aveva adoperato per rispondere. Anche se ancora dovevano vedere come si sarebbe comportato quando sarebbero stati tutti insieme come squadra, per quel momento, gli bastò quella visione per cominciare a fidarsi.
“Hattori, come vanno i casi di là a Osaka?” cambiò improvvisamente atteggiamento e discorso Bourbon, sorridendo all’uomo attraverso lo specchietto retrovisore sopra di lui.
“Bene” rispose sorpreso quello, lanciando un’occhiata all’amico che si limitò a fare spallucce.
“Sai, qui ultimamente non sono poi così interessanti i casi. Sempre le stesse cose, gli stessi motivi.. non è così, Kudo?” continuò, comprandosi anche l’attenzione del detective più piccolo, che rispose con un semplice movimento del capo.
“No, da noi a Osaka ci sono casi molto più interessanti” cominciò a pavoneggiarsi il detective dell’Ovest, cambiando improvvisamente anche lui atteggiamento come ogni altra volta in cui gli si veniva chiesto qualcosa riguardante il suo lavoro o aveva anche solo l’opportunità di vantarsi per i tanti casi da lui risolti.
“Ah sì? Tipo?” s’interessò il biondo, mentre Shinichi sbuffò, quasi annoiato dal comportamento dell’amico, e pronto a sorbirselo mentre si vantava per il resto del tragitto fino a casa.
 

***

 
Fu ormai mezza notte, quando i due giunsero finalmente sotto l’agenzia Mouri.
Scesero della macchina di Amuro e lo salutarono, sapendo che poche ore dopo l’avrebbero rivisto ancora; e dopo averlo ringraziato di nuovo per il passaggio datogli, si avviarono per le scale che conducevano alla casa del detective in trance e la figlia.
Giunti dinanzi la porta, si lanciarono uno sguardo complice, e cercando di fare il meno rumore possibile, Shinichi inserì le chiavi nella serratura e cominciò a girarla al suo interno, pregando che Ran non si svegliasse proprio in quel momento o che, una volta entrati, se la sarebbero ritrovata davanti a loro con mentre gli faceva una ramanzina per l’orario.
Tanto erano persi nei loro pensieri, non si resero nemmeno conto che la serratura fosse già scattata, fino a quando il ragazzo dagli occhi color dell’oceano, non realizzò che la chiave non girava più da un pezzo, e, dopo essersi lasciati scappare una lieve risata entrambi, decisero finalmente di aprire quella lastra che li divideva da chissà quale tragedia si sarebbe scatenata una volta aperta.
Un lieve cigolio si espanse per tutto il condominio, facendo imprecare i due giovani che, poco dopo, quando la porta fu completamente aperta, si stupirono di ciò che invece, li stava aspettando.
Un odore buonissimo gli inondava le narici, e le luci ancora tutte accese li costringevano a tenere ben aperti gli occhi, spalancandoli, tanta la sorpresa.
“Ah, eccovi finalmente!” sentirono la voce di Ran proveniente dalla cucina, allegra, che, subito dopo, li raggiunse all’entrata con un grembiule da cucina ancora addosso e un sorriso stampatole in viso.
“C-Ciao…” risposero più che confusi i ragazzi, realizzando solo dopo lo sguardo assassino nascosto sotto quel sorriso angelico dalla donna, e le mani ai fianchi che spiegavano meglio quanto felice fosse in quel momento.
“Conan-kun” esordì la donna, cercando di tenere un tono più che calmo quando in realtà le sue labbra tremavano tanta la difficoltà di non urlargli contro. “DOVE SEI STATO PER TUTTO QUESTO TEMPO?!”
“Beh… ecco… io…” deglutì, il detective, nel ritrovarsela a pochi centimetri da lui con uno sguardo che di rassicurante e dolce non aveva proprio niente.
“Allora? Hai intenzione di dirmi dove sei stato o vuoi continuare a balbettare fino a inventarti una scusa?”
“Io e Heiji-niichan siamo andati ad Asakusa sempre per lo stesso caso di ieri, non è così, niichan?” s’inventò il detective, lanciando uno sguardo all’amico, che solo dopo qualche secondo captò il significato delle parole di quello.
“Ah sì sì, un caso difficile quello, sapessi”
“Mah..” sospirò la donna, rilasciando le braccia lungo il petto e riallacciandosi bene il grembiule rosso, tornando in cucina.
“A proposito… ma Kazuha-neechan?” chiese all’improvviso Conan, non notando la ragazza e la calma che c’era in quella casa, cosa insolita quando lei e il futuro marito erano insieme.
“E’ tornata sta mattina a Osaka per prendere dei cambi” rispose Heiji, facendo sibilare un semplice “ah” all’amico. “Scusa eh, ma tu dov’eri quando ne stavamo parlando l’altro giorno a cena?” aggiunse quasi seccato, mentre l’altro, guardandolo e ricordandosi di quella sera, arrossì di colpo.
 
“Ran, devo andare” sussurro, cercando di non trasparire alcun sintomo di dolore esternamente, di trattenermi il tutto dentro, per quanto insopportabile possa essere.
Sorride amaramente, per poi annuire rassegnata.
“Tornerò” la rassicuro, con sguardo serio. “Te lo giuro”
“Lo so ma… fai presto” mi chiede, riflettendo i suoi occhi nei miei.*
 
“Oh beh… io.. stavo pensando a un caso” rispose ancora più rosso il detective, sperando l’amico non andasse avanti dopo aver capito il significato di caso, e lo lasciasse stare.. speranze al vento.
“Di che caso si tratta?” chiese schernendolo, e con una faccia che il liceale avrebbe tanto preferito non vedere, o prendere a schiaffi, se non fosse che anche Ran li guardava interessata, leggermente interessata.
“U-Un caso, Hattori. Un caso” rimase sul vago, mentre il suo volto s’imporporava sempre più, e i suoi timpani venivano colmati dalle mezze di risate di quell’uomo che in teoria, era il suo migliore amico. Lo odiava, lo odiava tanto, molto, in quel momento, che avrebbe voluto tanto ripagarlo con la stessa moneta, prendendolo in giro per la sua relazione con Kazuha, se non fosse che c’era anche Ran, ancora.
“Perché non vi andate a cambiare?” sviò il discorso la padrona di casa, facendo cessare le risate del loro ospite. “Manca poco ed è pronto qui, se volete cambiarvi prima di mangiare..”
“D’accordo” rispose il ragazzo dalle iridi cobalto, ricevendo un sorriso dall’amica.
Si avviarono per le loro stanze, e mentre il ragazzo dalla pelle olivastra continuava a ridere come un idiota, l’altro gli lanciò sguardi truci.
-Questa me la paghi, Hattori-
 

***

 
“E poi siamo tornati a casa con Bourbon” terminò Shinichi, flettendo la schiena in avanti e poggiando i gomiti sulle cosce, con espressione seria dipinta sul suo volto.
Mentre alla sua destra, poté percepire dalla profondità dello schienale del divano che Heiji era ormai sprofondato con la schiena in essa, Ai, innanzi a lui, lo squadrava con un sopracciglio alzato e quegli occhi color ghiaccio che la rendevano ancora più fredda e indifferente. Viso ed occhi, che poco dopo, cambiarono luce e colore, assottigliandosi e riservando ai due unicamente sguardi truci.
“Fammi capire” pronunciò le prime parole dopo più di mezz’ora, cercando di mantenere quella freddezza e quel distacco che l’avevano sempre caratterizzata, per quanto la situazione glielo potesse permettere. “Te ne vai in giro a fare patti con criminali e gente resuscitata e vuoi pure che io venga con te?”
Il detective si limitò ad annuire convinto, seguito a ruota dall’amico, come se tutto ciò che le aveva appena raccontato si potesse definire normale e per niente insolito.
Se uccidere con lo sguardo fosse stato possibile, la scienziata, in quel momento, sarebbe già stata macchiata di quel crimine. Continuò a guardare quel detective con uno sguardo assassino e un’aura che, la parola calma, non sapeva nemmeno cosa significasse; tanto che quello, dopo qualche minuto che quella situazione andava avanti, deglutì, intuendo e temendo la reazione della ragazza; che invece, per quanto avesse lo sguardo fisso su di lui, la mente vagava da tutt’altra parte.
 
Guardò terrorizzata dietro di sé, e poco dopo la macchina davanti alla loro, sempre più preoccupata e in ansia per l’amico che per l’ennesima volta era riuscito a mettersi nei guai provando a risolvere un caso.
“Non fare questa faccia” Subaru, con un tono rassicurante, e con quella frase, quella che utilizzava lui con Akemi, quando qualcosa non andava, era riuscito a guadagnarsi l’attenzione della bambina, che l’osservò confusa. “Non gli permetterò di scappare” **
 
“Sembra che il caso sia stato risolto” sussurrò la piccola scienziata, voltando il volto in direzione dell’uomo che era stato con lei per tutto quel tempo, e che aveva accompagnato lei e gli altri fin lì.
Ma una volta puntati gli occhi su Okiya, si stupì nel vederlo a braccia conserte con gli occhi sigillati. Si era addormentato.
Lo osservò, ma non rimase immobile ad osservarlo né tantomeno a cercare di svegliarlo.
Lentamente, facendo poco rumore, aprì la portiera di quell’auto e ci si infilò dentro, sul sedile su cui stava seduto lo studente universitario, facendo cautela a non creare rumore o fare qualsiasi movimento brusco che avrebbero potuto svegliarlo.
Quella curiosità fu più forte di lei. Voleva sapere perché quell’uomo, in un modo o nell’altro, aveva sempre il collo coperto. Non se lo spiegava, e in quel momento, lo voleva tanto sapere. Talmente tanto da non pensare a nulla e, presa da quell’impulso, poggiò delicatamente i piedi a terra e avvicinò lentamente una mano verso la sciarpa che gli copriva il collo, con l’intento di toglierla e rivelare ciò che quell’uomo nascondeva; sempre se nascondeva davvero qualcosa.
Aumentò la presa sul morbido tessuto e, fece per sfilarlo, quando una mano molto più grande della sua, le afferrò il polso bloccandola e facendola sussultare.
“Al di là di questa, c’è la mia zona” pronunciò quelle parole con tono sicuro e basso, che fece rimanere ancora più confusa la piccola Ai. “E non il tuo territorio”***
 
Strinse ancora di più la pillola bicolore tra le mani, ripensando a quel nastro e lasciandosi scappare qualche lacrima. La madre aveva forse cercato di farglielo capire che era sbagliata. Che era pericolosa. Avrebbe dovuto capirlo, avrebbe dovuto farlo prima che tutto quello accadesse, prima che tutta quella gente venisse coinvolta per colpa sua.
Si appoggiò con la schiena al muro, continuando a rimpiangere quel suo errore, di non aver capito fin da subito le parole della madre, e nel farlo, sussultò, vedendo la porta innanzi a sé aprirsi lentamente, rivelando il copro di Okiya.
“Proprio come previsto da due sorelle… posso leggere ogni vostra mossa” disse, spalancando la porta e con un sorriso spavaldo dipinto in volto, mentre Ai sbiancava e perdeva colore secondo dopo secondo. “Ora dovrei farti venire in questa strada…” continuò, osservando il messaggio appena inviatole sopra il proprio smartphone, mantenendo quel suo comportamento distaccato e indifferente, tutto il contrario dell’ex membro dell’organizzazione. “Dentro la nostra zona?”****
 
Abbassò il capo leggermente, lanciando uno sguardo forse più calmo e meno pericoloso al detective di fronte a sé.
Aveva sempre sospettato che Subaru era Dai Moroboshi o, per meglio dire, Shuichi Akai, per via di quel loro comportamento così simile; quelle frasi sentite dire così tante volte a sua sorella venir ripetute a lei con quello stesso tono calmo e dolce, in un certo senso; quell’aura che lo circondava, l’intelligenza e, soprattutto, quell’ultima frase detta su quel treno, quella frase che le aveva dato ormai la certezza che quei due erano la stessa persona, la stessa che riusciva sempre a rendere felice Akemi, la stessa che anche dopo esser stata scoperta e nonostante tutto le era rimasta sempre affianco fino alla fine, fino a quando non è stata proprio lei a lasciarlo… per sempre.
 “Allora è vivo?” chiese con voce quasi tremante e insicura, facendo sussultare i presenti per lo spavento, mantenendo ancora quell’atteggiamento insolito, non così freddo come d’abitudine.
Shinichi, dopo qualche secondo, sospirò.
Sapeva questa domanda sarebbe arrivata, e per tutto quel tempo non aveva fatto altro che aspettarla. In fondo, quell’uomo, era parte del suo passato. Era forse l’unica persona oltre a lei che riusciva a farla sorridere e a mantenere quel suo solito atteggiamento allegro e solare, quel suo sorriso davanti alla gente sempre pronto per essere sfoggiato. E forse, sapere che lui era davvero vivo, in un certo senso, gliel’avrebbe fatta sentire ancora accanto.
“Sì”
“E perché non me l’hai detto prima?” domandò ancora, Shiho.
“Non doveva saperlo nessuno oltre me, mia madre e Kir. Se qualcun altro lo fosse venuto a sapere prima del tempo, sarebbe stato in pericolo, e quindi, calcolando che tu già lo sei, anche ora che sono passati dieci anni da quando sei scappata, ho preferito tenerti all’oscuro di tutto”
La scienziata lo scrutò ancora qualche istante, fissando i suoi occhi chiari in quelli cobalto e intensi del ragazzo, per poi riacquistare il suo solito comportamento dopo qualche secondo, sbuffando quasi annoiata, quando in realtà non lo era.
“Da come parli mi sembra di essere diventata improvvisamente la signorina dell’agenzia!” sbuffò, di nuovo, con un tono misto di sarcasmo e noia.
I due detective di fronte a lei la guardarono spiazzati, con un sopracciglio alzato e un gocciolone sulla fronte, mentre quella prendeva il suo candido grembiule da laboratorio e si avvicinava alle scale.
“Comunque” urlò, sul primo scalino che conduceva al piano più basso di quella villa, riconquistandosi l’attenzione di tutti. “Casomai dovessi venire sta sera, sappi che non lo faccio per te, Holmes; ma perché si tratta dei miei genitori e la cosa potrebbe vagamente interessarmi” disse, con un tono di superiorità ancora più accentuato del solito, cominciando a scendere le scale, e suscitando nel ragazzo di Kensai e il liceale affianco a lui una fragorosa risata.
 

***
 

Palloncini e festoni colorati tutt’intorno, allestivano quel piccolo teatro nel centro di Shibuya. L’eco degli applausi si espanse per l’intera area, mentre i mormorii di due amici più che annoiati da quello spettacolo si udivano appena, ricevendo lamentele da chi li circondava per avergli svelato il trucco dell’artista e avergli rovinato il tutto.
Sopra il palco di parquet chiaro, invece, stava un uomo abbastanza giovane, sui ventisette anni circa, dalle iridi color cielo e i capelli bruni e sbarazzini, le labbra curvate in un sorriso beffardo e divertito allo stesso tempo, e con indosso un semplice smoking nero.
“Ladies and gentlemen” continuò ad intrattenere gli spettatori, riconquistandosi la loro attenzione ancora una volta. “A quanto pare anche questa serata è giunta al suo termine” annunciò, indicando con gli occhi l’orologio appeso alla parete poco distante da lui che segnava le undici in punto di sera, e levandosi il cilindro scuro dalla testa, facendo abbozzare un’espressione triste ai bambini presenti. “E a questo punto, non mi rimane altro da fare che augurarvi la buona notte e sperare di rivedervi qui ancora settimana prossima. Ah, dimenticavo: state attenti a non far uscire le colombe” aggiunse, e senza dare nemmeno il tempo di far capire l’ultima frase ai suoi spettatori, gettò a terra il cilindro che aveva tra le mani e, in meno di qualche secondo, da esso ne uscirono miriadi di colombe bianche che si espansero per quella sala, facendo sorridere e ridere tutti quanti. E quando il sipario si chiuse, la gente, prima di lasciare quel teatro, lo riempì ancora con i loro applausi più che entusiasti.
Ormai il teatro era completamente vuoto, nonostante fossero passati solo cinque minuti da quando lo spettacolo era finito; e gli ultimi due rimasti, decisero finalmente di alzarsi dalle loro poltrone –seppur più annoiati che mai- e andare a fare quello per cui erano arrivati fin lì.
“Non riesco a capire che c’era di bello in quello spettacolo, era tutto più che intuibile” si lamentò ancora Heiji, sbuffando, con le mani nelle tasche dei propri jeans.
“Un trucco come quello lo potrebbe fare benissimo anche un bambino, non ci vuole una laurea!” continuò l’opera il finto liceale, con le braccia conserte mentre con passo veloce si avvicinavano sempre di più alle quinte.
Arrivati lì, trovarono un uomo alto e robusto che li fermò prima ancora di dire qualcosa. Sicurezza. Era una guardia della sicurezza, costatarono i detective, data la corporatura e l’atteggiamento.
Non rimasero lì ancora a lungo però, né ebbero bisogno di spiegare o inventarsi spiegazioni a l’uomo per poter entrare dietro le quinte; si limitarono a mostrargli il distintivo del ragazzo del Kansai, e quello li fece passare senza spiccicare parola.
“Che ci fai con un distintivo te?” chiese Shinichi all’amico, dopo aver passato il loro ostacolo.
L’altro si voltò a guardarlo, per poi sorridere con fare superiore.
“Sapessi” si vantò l’uomo dalla pelle olivastra, facendo sbuffare l’altro, seccato.
“Sul serio Hattori”
“Mio padre me ne ha fatto avere uno visto che ogni tanto accompagno lui e la polizia a risolvere dei casi” rispose finalmente l’investigatore, cessando di ridere, e cessando anche di camminare nel vedere la persona che cercavano a pochi metri da loro che rideva e scherzava con una donna più o meno della loro stessa età e un bambino sui cinque anni all’incirca.
Si fermarono e stettero in quella posizione per qualche minuto, osservando la scenetta di fronte a loro sorridendo.
“Papà, papà! Insegni anche a me questo trucco?” chiese il bambino saltellando di fronte al padre, che, sorridendo, fece apparire un’altra colomba dalla manica del blazer da lui indossato.
“Intendi questo trucco?” gli domandò l’uomo sorridendo spavaldamente, dando poi l’uccello al piccolo e prendendolo in braccio, mentre quello annuiva e rideva, contento. “Tu non dici niente?” chiese poi voltandosi verso la moglie, che sbuffò e portò lo sguardo altrove, pur di non incontrare i suoi occhi.
Capelli castani, lunghi fino alle spalle e occhi azzurri come quelli del compagno e del figlio; apparentemente innocua e dolce, ma in realtà molto pericolosa se si arrabbiava.
“Aoko non ha nulla da dirti” rispose, continuando a guardare un punto indefinito, qualsiasi punto che non fosse lui.
“Sicura?” richiese, con fare superiore, facendo innervosire soltanto la donna.
“Bakaito! Se Aoko ti dice che non c’è nulla vuol dire che non c’è nulla” ribadì il concetto la brunetta, incrociando le braccia al petto e incurvando le labbra in una smorfia, non convincendo però Kaito, che sapeva benissimo cosa avesse la moglie in quel momento e perché si comportasse in quel modo; anche se lasciò cadere lì il discorso, preferendo non aprirlo o continuarlo davanti a suo figlio.
“Ma che bella famigliola” decisero finalmente di farsi vedere Shinichi e Heiji, schernendo l’amico, che in quel momento li guardava di sottecchi. “Chi l’avrebbe mai detto saresti stato così dolce coi bambini” continuarono i due, ridendo come due perfetti idioti, facendo semplicemente sbuffare e infastidire il ladro innanzi a loro.
“Ma guarda un po’, Conan-kun! Come vanno le cose tra te e la tua fidanzatina?” decise di prendere il coltello dal manico l’uomo, schernendo il detective che arrestò immediatamente la sua fragorosa risata, diventando completamente paonazzo. “L’ultima volta che ci siamo visti ricordo che eravate andati a cena fuori insieme in quel ristorante costoso al centro. Ricordi?” continuò, aprendo le labbra in un sorriso sfrontato, mentre Shinichi, diventato quasi porpora date anche le risate del detective di Osaka, finse una lieve tosse.
“Possiamo cambiare discorso?” chiese, e gli altri annuirono, seppur con ancora un lieve sorriso stampato in viso.
“Come mai siete qui?” domandò il mago ai due, mentre la moglie guardava interrogativa i detective domandandosi chi fossero.
“Dobbiamo parlarti di una cosa” rispose il detective dell’est. “Si tratta di Pandora”
Kaito mutò improvvisamente espressione, sostituendo quella allegra di poco prima con una estremamente seria, e mettendo giù a terra il figlio.
“Aoko” richiamò l’attenzione della moglie. “Tu e Toichi cominciate ad andare a casa, io vi raggiungo più tardi”
Aoko, senza replicare, annuì, intuendo il motivo del comportamento del marito, e dopo aver salutato tutti con un sorriso, prese per mano il bambino e cominciò ad avviarsi verso casa loro.
“Che avete scoperto?”
“Beh, ecco…” balbettò il detective, cercando le parole giuste per raccontargli il tutto.
 

***

 
“HAHAHAHAHA” la risata del ladro del cielo d’argento si espanse per tutta l’area di quel piccolo laboratorio sotterraneo nel centro di Akihabara, dove, da quasi un’ora ormai, si era trovato assieme ai due detective, Ai, e Vermouth. “Fammi capire” provò a smettere di ridere Kaito, senza però riuscirci. “Tu mi vieni a dire che Pandora non esiste e che mio padre è praticamente morto per nulla, e ti aspetti pure che ci creda? Ma mi hai preso per cretino?”
La criminale non rispose. Si limitò semplicemente ad avvicinare la sigaretta bianca con le dita affusolate alle labbra, per poi scostarla dopo qualche secondo e aspirare una certa quantità di fumo grigio.
“Perché no?” rispose ironica, dopo qualche minuto, Vermouth, facendo soltanto perdere la pazienza all’uomo seduto di fronte a sé con quel suo comportamento.
Sbuffò, il mago, e senza indugiare oltre si alzò quasi bruscamente dalla sedia, stufo ormai di quella situazione che lui non riusciva proprio ad accettare; e prendendo la giacca poggiata sullo schienale, si voltò in direzione dell’uscita di quel posto vecchio e pieno di flaconi e provette.
“Hey, Kuroba..!” provò a richiamarlo Heiji, senza molti risultati, dato che quello continuò a camminare senza degnarlo di alcuna attenzione. La scienziata sbuffò, annoiata anche lei da quella situazione, mentre Shinichi lanciò un’occhiata alla donna dinanzi a lui, che captandola, sospirò rassegnata.
“Tuo padre non è morto per niente” azzardò la bionda, facendo arrestare di colpo la camminata di Kaito. “Anche se Pandora non esiste..” riprese a parlare Vermouth. “..Non significa che tuo padre sia morto per nulla. Se mi lasci spiegare, magari, potresti anche sapere cos’è successo veramente”
Si voltò, guardandola in quegli occhi color ghiaccio con un po’ d’insicurezza.
Crederla o no? In fondo lui non la conosceva neanche.. magari tutta quella storia che Pandora non esisteva se l’era inventata.. o magari no.
Era letteralmente indeciso, ma alla fine, decise di tornare a sedersi lo stesso e ascoltare ciò che quella donna voleva dirgli, per poi decidere se crederle o meno solo dopo che ella avesse finito.
Gli altri quattro lo guardarono per qualche secondo, e notandolo, il ladro voltò il capo dalla parte opposta e assunse quel suo solito atteggiamento sfrontato.
“Se resto è solo per mio padre e perché forse, e ripeto, forse, questa donna potrebbe dire la verità. Non fatevi strane idee” disse, incrociando al petto le braccia con fare spavaldo e superiore, che però, agli occhi dei presenti, parve così goffo che si lasciarono sfuggire ad un lieve risolino.
La criminale finì di fumare quell’ultima sigaretta per poi gettarla a terra e spegnerla col tacco a spillo degli stivali neri, e, di conseguenza, accavallare le gambe con fare sensuale.
“Vedi” disse, guardando Kaito seria. “Il tutto è stato un malinteso. Una mal interpretazione di ciò che è successo veramente”
Gli altri la guardarono con fare interrogativo, ma prima ancora di poter porgere qualsiasi domanda alla donna, quella già aveva ricominciato a parlare.
“Credo che per capire il tutto sarebbe meglio cominciare a raccontare cos’è successo di preciso dal principio”
“Sì, forse sarebbe meglio” risposero all’unisono i due detective e il mago, mentre la scienziata si limitò ad annuire, continuando a scrutare la bionda quasi con sfiducia.
“Silver Bullet” Ai, nel sentire quel nome uscire dalle labbra di Vermouth, strabuzzò gli occhi, quasi terrorizzata al ricordo; facendo sorridere soddisfatta della sua reazione la donna.
“Cosa?” chiesero invece gli altri tre, ingenuamente, poiché ignari dell’intera questione, a differenza delle due donne.
“Sherry, perché non glielo spieghi te?” chiese la criminale inclinando il capo con fare superiore e un sorriso spavaldo disegnato in volto, e, mentre i ragazzi guardavano Shiho, curiosi della risposta della ragazza, ella aveva lo sguardo basso e fisso sulle punte delle proprie scarpe, con gli occhi leggermente lucidi al ricordo.
 
“Ai-chan?” la richiamò Ran appena uscita dalla cabina da loro occupata su quel treno, guardandosi in torno preoccupata, mentre una donna passava di fronte a lei assieme ad un bambino. “Dove sei?”
La bambina, ansimante e sudata, stava nascosta dietro una parete e, con la coda dell’occhio, fissava la ragazza dai capelli lunghi che continuava a chiamarla, fino a quando, non trovandola da nessuna parte, quella non tornò all’interno della cabina alle sue spalle.
Sospirò, sollevata del fatto che, forse, era riuscita a mettere in salvo i suoi amici in quel modo; e mentre tutto intorno a lei procedeva tranquillamente, mise la piccola manina nella tasca del vestito scuro e ne tirò fuori poco dopo una candida scatolina bianca e lucida.
La scrutò per qualche attimo, per poi aprirla e rivelare al suo interno alcune pillole bicolore messe in ordine una accanto all’altra.
“Hmm, bene.. quindi la prossima volta dovrebbe essere il tuo diciannovesimo compleanno..bye bye, ci vediamo presto allora!” 
La voce allegra della madre registrata su quel nastro le rimbombò nella testa, appena i suoi occhi si posarono sui piccoli medicinali di sua creazione. E, nel tirarne fuori uno rovinando così quella fila perfetta, un ricordo non troppo lontano le ritornò in mente: lei, nel laboratorio di casa Agasa, che con delle cuffie alle orecchie ascoltava uno dei quattro nastri lasciatole dalla madre.*****
“Sì.. forse è arrivato il momento che io te ne parla”
Lo ricorda ancora, in quel momento, era talmente curiosa ed interessata che non avrebbe nemmeno immaginato che quello che avrebbe sentito qualche momento dopo non sarebbe stato qualche raccomandazione o normalissima domanda.
“La verità è che tua madre sta creando una droga davvero terrificante” ignara degli effetti che un giorno quelladroga terrificante avrebbe causato agli altri, la voce di Elena era eccitata, contenta, e quasi orgogliosa di rivelarlo alla figlia, che invece, non aveva ancora capito di che si trattava quel medicinale. “I miei compagni di laboratorio sono così eccitati all’idea, tanto che la chiamano come una droga dei sogni. Non sai quanto impegno ci stiamo mettendo io e tuo padre per crearla, e abbiamo deciso di chiamarla..” chiuse la scatoletta lucida e la ripose al suo posto, per poi osservare la pillola bianca e rossa tra le sue dita. “Silver Bullet. Ma per poterla creare, io e tuo padre siamo costretti a lasciare te e tua sorella da sole. Ti prego, cerca di capirmi, Shiho”
Gli occhi cominciarono a pizzicarle, e due piccole gocce cristalline cominciarono a crearsi agli angoli di essi.
Avrebbe dovuto capirlo prima. Avrebbe dovuto ascoltare prima quel nastro.
Forse se l’avrebbe fatto avrebbe saputo in precedenza a cosa stava andando incontro, in che guaio si stava andando a cacciare, ma per qualche strano motivo non l’aveva fatto, ed ecco in che situazione si era ritrovata.
-Scusa mamma… io.. io non avevo capito che questa droga…-  la strinse forte tra le dita, chiudendo gli occhi, e rimpiangendo quella sua creazione tanto sbagliata, di non aver capito prima che quella specie di messaggio lasciatole dalla madre voleva essere solo un avviso, un modo per salvarla da quella vita in cui lei invece si era ritrovata. -Era qualcosa che non doveva essere creata-****
 
“Allora?” la riportò alla realtà Vermouth, facendola sussultare e balzare sulla sedia dallo spavento. “Che hai Sherry, il gatto ti ha mangiato la lingua?” la schernì, ricevendo di tutta risposta una smorfia annoiata da parte della scienziata, mutata subito dopo in uno sguardo triste e spento nel sentire gli occhi curiosi e impazienti di Shinichi sui suoi.
“Silver Bullet” spiccicò finalmente parola, dopo tanto tempo, Shiho. “E’ il nome originale dell’APTX4869” disse, facendo strabuzzare gli occhi ai tre ragazzi; mentre una sensazione di paura cominciava a espandersi nel suo corpo, paura di metterlo ancora più in pericolo di quanto già non fosse, paura di condannarlo a qualcosa che lui non merita.
“Ma non è…” chiese, senza trovare le parole adatte, Kaito, osservando il corpo rimpicciolito dell’amico rivale accanto a lui, che deglutì.
“Esatto” rispose la scienziata. “In pratica è tutto un progetto dei miei genitori, sono loro che l’hanno inventata, io ho solamente trovato dei file in un laboratorio e ho voluto creare quella droga di cui parlava per portare avanti un loro sogno, anche se non ci sono ancora riuscita”
“E cosa centra l’aptoxin con Pandora?” le domandò Shinichi, ancora più curioso di prima, ma mantenendo comunque un atteggiamento abbastanza serio, per quanto gli fosse possibile.
“I colleghi di mia madre la chiamavano droga dei sogni, perché doveva donare la vita eterna e mantenere giovane chi la ingerisse. Mentre lavoravano a questo progetto, però, si sono create delle voci in giro, e molti mal interpretarono la cosa, arrivando a dire addirittura che era un elisir contenuta in un gioiello e robe varie, e dopo qualche anno, si è arrivati a Pandora e un’organizzazione che la cerca, ma che comunque non centra niente con noi” spiegò, con tono atono ma comunque abbastanza chiaro.
“Tuo padre..” riprese a parlare Vermouth, guardando il mago che ormai aveva capito tutto, e che irrigidendo la mascella stringeva il tessuto dei pantaloni bianchi con le mani serrate in pugni.
“Voglio delle prove” disse con tono deciso Kaito, fissando dritto negli occhi la donna, così come i compagni, che annuirono alle parole dell’uomo. Tutti tranne Ai, che ormai aveva lo sguardo perso e la mente da tutt’altra parte.
La bionda sorrise spavaldamente, sciogliendo poco dopo le braccia e indicandosi con un dito, tanto da far rimanere spiazzati i tre.
“La prova di tutto ciò… ce l’hai davanti agli occhi”

 
 
 
 
 
*Capitolo 14-Calamite. Shinichi prende un antidoto provvisorio e, tornando nel suo corpo, va a trovare Ran in modo da convincerla che lui e Conan non sono la stessa persona.
**Manga: 798-800; Anime: 672-674.
***Manga: 809-811; Anime: 684-685.
****Manga: 820-824.

*****Manga: 427 (non ho trovato il numero dell’episodio .-.). La madre di Shiho, Elena, prima di morire le ha lasciato 4 nastri, e in base al numero scritto sopra, doveva ascoltarlo quando avrebbe avuto gli stessi anni.

Nana’s Corner:
Hii!!! :D
Ok, lo so lo so, vi dico “aggiorno subito” e poi lascio passare quasi 20 giorni… sono un caso perso -.-
Ma a mia discolpa, posso dire di non aver avuto tempo di scrivere per via di compiti, interrogazioni e pure il matrimonio di mio cugino u.u
Visto? Non è colpa mia se ho fatto tardi xD
Coooomunque… il capitolo più lungo che abbia mai scritto, wow O.O
In questo capitolo succedono molte cose: primo, per chi se lo chiedesse, Chianti l’hanno lasciata lì. Gin sarebbe dovuto andare subito dopo per liberarsi di Ooba, ma per quanto riguarda Chianti vedremo che faranno ;)
Ran sempre più strana LOL
Sveglia a mezzanotte che prepara da mangiare… .-.
Hattori e Shinichi due perfetti idioti LOL
E.. Kaito! :D
Fan di Kuroba, siete soddisfatte di come ve l’ho descritto? Felicemente sposato, con una moglie che ce l’ha ancora con lui perché non vuole che continua a rubare (-“Bakaito! Se Aoko ti dice che non c’è nulla vuol dire che non c’è nulla” ribadì il concetto la brunetta, incrociando le braccia al petto e incurvando le labbra in una smorfia, non convincendo però Kaito, che sapeva benissimo cosa avesse la moglie in quel momento e perché si comportasse in quel modo; anche se lasciò cadere lì il discorso, preferendo non aprirlo o continuarlo davanti a suo figlio.- Casomai non si fosse capito a che alludeva Kiddo ^^) e con un bimbo: Toichi *--*
Immaginatevelo Kaito versione baby, se volete sapere com’è ^^
Haibara scopre la verità.
E finalmente si scopre perché Pandora non esiste. In pratica, la vera Pandora dovrebbe essere l’APTX, però alcune persone che non volevano farsi un paio di affarucci loro, sono andati a spettegolare in giro fino ad arrivare alla storia di Pandora. Comunque la storia di Silver Bullet si spiegherà meglio nel prossimo capitolo, tranquilli ;)
Per quanto riguarda il finale…. No comment, voglio sentire le vostre idee!!! >.< (LOL)
Beh, spero vi sia piaciuto il capitolo tanto quanto è piaciuto a me scriverlo ^^
 
Ora passiamo al Metantei’s Corner:
1-      Perché Vermouth dovrebbe essere la prova che il discorso di Haibara è vero? (che domanda idiota -.-)
2-      Che decideranno di fare adesso Shinichi, Kaito, Heiji e gli altri? (oh, almeno non è “Che succederà ora”! xD)
 
Ed ora i ringraziamenti:
Grazie di cuore a Hoshi Kudo, KeynBlack, Pan17, shinichi e ran amore, Shana17 e Love_Ade per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie mille, se non fosse per voi e le vostre splendide recensioni non andrei avanti a scrivere, grazie <3
Grazie mille a Merlins per aver aggiunto la storia tra le preferite e anche a chi l’ha già fatto, preferite, seguite o ricordate ^^
E grazie anche a chi legge solamente.
 
Spero il prossimo capitolo verrà prima xD
Comunque, se c’è qualcosa che non è chiara o che non avete capito bene ecc chiedete pure, tranquilli ^^
Grazie mille per aver letto, spero il capitolo vi sia piaciuto e, se è così, che ne dite di farmelo sapere tramite una recensione? :D
 
XXX,
Nana.

Ps. Il capitolo è quasi tutto spoiler, quindi, per qualsiasi cosa, se non avete voglia di andare a leggere il manga, chiedete pure a me ^^

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Capitolo 20
*** I primi dubbi ***


Capitolo venti
I primi dubbi
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“Dieci anni, dieci anni! Ti rendi conto?!” urlò la ventisettenne, rivolgendosi all’amica che con fare svogliato girava da parecchi minuti il cucchiaino all’interno della tazza color pastello tra le sue mani.
“Ora va, ora viene.. ti dice di aspettarlo e dopo dieci anni di lui manco l’ombra… ma che ha sto qua al posto del cervello?! Non è tutto normale, sul serio!” continuò, alzando le mani al cielo disperata.
“Sonoko” la richiamò Ran, ridendo e poggiando il cucchiaino sul piattino sotto la tazza. L’altra si voltò, stupita per il comportamento di quella. In fondo, cosa c’era di divertente in quello che stava dicendo?
“Shinichi sta risolvendo un caso importante, non è mica colpa sua se non può venire spesso” provò a spiegarle la karateka, ricevendo di tutta risposta uno sbuffo da parte della bionda.
“Ran, siamo sincere, quale caso può durare dieci anni?!”
“Quello a cui sta lavorando?”
Sonoko non rispose nemmeno, sospirò rassegnata e cominciò ad assaggiare la fetta di torta alla panna davanti a sé.
“Convinta te..” sussurrò, prima di cominciare a masticare il primo boccone del dolce.
L’altra sorrise, passando qualche attimo a osservare l’amica; poi abbassò lo sguardo verso il contenuto della sua tazza, socchiudendo gli occhi e perdendosi così nei suoi pensieri.
Effettivamente Sonoko aveva ragione, in un certo senso.
Erano anni che le diceva sempre di aspettarlo, che le mandava addirittura un bambino per giurarle che sarebbe tornato, un giorno*, o che semplicemente continuava a ferirla con quell’atteggiamento ottenuto negli ultimi tempi. Niente chiamate, niente visite… niente Shinichi.
E doveva ammettere a se stessa il fatto che Sonoko aveva ragione anche per quanto riguardava questo difficilissimo caso a cui l’amico lavorava da più di dieci anni, ormai.
Cioè, Shinichi Kudo, quello che sapeva scovare il colpevole grazie a tutti quei consigli e insegnamenti datigli da Holmes nei suoi libri, e che gli facevano sprecare massimo qualche giorno, ora com’è che non funzionavano più solo per questo caso?
Sì, la cosa a volte le pareva strana, e anche fin troppo, a dir la verità.
Lo sguardo sul cappuccino si fece sempre più intenso, così come il silenzio nella piccola caffetteria Poirot e così come i suoi pensieri, che la portarono ad assumere un’espressione che di allegro e felice non aveva proprio nulla.
-Sonoko ha ragione, il fatto che lui dopo tutto questo tempo non sia ancora tornato e che stia ancora risolvendo un caso di cui a quanto pare nessuno ne è al corrente è alquanto strano, e non posso affatto negarlo, né trovare scuse per giustificarlo.- bevve un piccolo sorso del suo cappuccino, con lo sguardo fisso oltre a quel vetro che la divideva dal mondo esterno, oltre quello spazio accogliente e calmo in cui si trovava.
O almeno, calmo fino a quando il rumore di una sedia strisciata violentemente sul pavimento e i palmi di due mani sbattute con poca delicatezza sul tavolo di legno scuro non rimbombarono all’interno del locale attirando l’attenzione di quei pochi clienti presenti al suo interno.
“Senti, tu potrai essere anche tanto cretina da credere a quel bastardo, ma io no” urlò Sonoko alla karateka, con un’espressione piuttosto seria disegnatale in viso. “Quindi, sappi che se non verrà lui qui entro fine giornata io-”
“E’ venuto a trovarmi” la interruppe Ran, con tono calmo e basso, ritornando a giocare col cucchiaino e a girarlo all’interno della tazza.
“COSA?!” urlò ancora l’ereditiera, alzando il tono di voce e attirando di nuovo l’attenzione di quei pochi clienti presenti.
“Abbassa la voce per favore” le sussurrò l’amica guardandosi in giro rossa in viso, e facendole intanto segno con la mano di sedersi. “Ricordi il giorno in cui sono svenuta?”
“La festa dei poliziotti?”
“Esatto. Vedi, quando è morto Yamamoto io, Kazuha e Hattori siamo corsi subito nel posto in cui abbiamo sentito arrivare un urlo, e una volta lì l’ho.. visto..” sussurrò, con le guance ancora più rosse di prima al solo pensiero di ciò che era successo dopo.
Sonoko, senza nemmeno aspettare altre spiegazioni, tirò un urlo congiungendo le mani a mo’ di preghiera.
“E..e.. che avete fatto tu e Holmes? Eh eh?” le chiese con gli occhi sognanti, saltellando sulla sedia su cui stava seduta.
“In realtà n-” provò a parlare la karateka, prima di essere interrotta dalla bionda che con uno sguardo malizioso le si avvicinò ancora di più.
“Dì la verità” cominciò sorridendo spavaldamente. “Un bacio alla mogliettina l’ha dato? O anche altro, già che eravate in un albergo?”
“SONOKO!” sbottò la donna, rossa fino alla punta dei capelli e facendo cadere il cucchiaino per terra, provocando semplicemente una risata all’amica.
“Allora?” insisté, ritornando con la schiena adagiata allo schienale della sua sedia.
“Diciamo che c’è stato solo un abbraccio e poi..” si fermò un attimo, sorridendo amaramente. “Se n’è andato”
“Come se n’è andato? Ti ha lasciata lì?” le chiese sconcertata, quasi cadendo dalle nuvole. L’altra si limitò ad annuire.
“E poi? Non l’hai più sentito né visto?” le chiese ancora, mutando completamente l’espressione di prima in una shockata e curiosa allo stesso tempo.
“Sì” rispose, riprendendo l’utensile da terra. “E’ venuto a trovarmi all’agenzia per chiedermi scusa e poi dopo nemmeno dieci minuti se n’è andato di nuovo via”
“Fammi indovinare, prima di andarsene ti ha detto di aspettarlo ancora?” le domandò.
Ran non rispose, si limitò semplicemente a ricambiare il suo sguardo con uno spento e triste, per poi distoglierlo subito dopo facendo così intuire la risposta a quella.
Sbuffò, Sonoko, poggiando il capo su una mano e spostando lo sguardo verso il bancone della caffetteria.
“E’ incorreggibile” disse, sbuffando ancora. “Tu sei qui a piangere sul latte versato e quello magari è in mezzo a miriadi di fan e a fare non m’interessa cosa ma certamente non investigare”
“Sonoko!” sbottò Ran, col viso paonazzo.
“Che c’è? Vogliamo scommettere?” disse di rimando, incrociando le mani al petto. “Tanto qualsiasi cosa tu dirai sappi che per me quello lì è in mezzo a ragazze, punto”.
 

***

 
“Passa!”
“Su Edogawa!”
Conan continuava a correre verso la porta avversaria col pallone come fosse incollato ai suoi piedi, riuscendo a deviare i difensori che cercavano di rubarglielo e avvicinarsi sempre di più a quella, fino a segnare finalmente un goal.
Due ragazzi, uno magro e uno piuttosto robusto, della stessa età del liceale, gli saltarono addosso ridendo insieme a lui.
“Grande Conan, hai segnato ancora!” urlò Mitsuiko, mentre Genta scompigliava i capelli al ragazzo occhialuto che a momenti non soffocava per via delle braccia di quest’ultimo aggrappate al suo collo.
“Hehe” provò a inscenare una risata, fino a quando l’amico non capì che di questo passo l’avrebbe ammazzato e liberò la presa.
“Abbiamo ancora dieci minuti alla fine dell’intervallo, muoviamoci che possiamo fare un altro goal” disse il più magro dei due dando un’occhiata veloce al suo orologio da polso.
“Muoviamoci allora!” urlò tutto allegro Genta, mentre Conan rimase fermo a massaggiarsi il collo.
“Che fai, non vieni?” gli chiesero i due, notando che non li aveva seguiti.
“Mi sono ricordato di una cosa che devo chiedere al proff.. voi continuate pure a giocare, appena finisco arrivo” rispose il detective, per poi incominciare a incamminarsi lasciando i due ragazzi da soli.
Si scambiarono un’occhiata veloce, prima di fare spallucce e tornare a giocare insieme ai loro compagni di classe.
 
Salì velocemente le scale, arrivando così in pochissimo tempo alla sua classe, seconda B.
Aprì la porta scorrevole rivelando la figura di una ragazza dai capelli corti e ramati seduta a un banco vicino alla finestra, lasciandosi sfuggire così un sorriso.
Si avvicinò a lei cercando di fare il meno rumore possibile, osservando interessato quei fogli pieni di formule che quella ancora non aveva finito di studiare e modificare, sperando di avere qualche buona notizia.
Prima ancora che potesse aprire bocca, però, la scienziata posò la matita accanto al foglio e con fare scocciato si voltò verso di lui, facendolo deglutire.
“No” disse, incrociando le mani al petto. “Non ho ancora creato un antidoto, non ho ancora finito le ricerche, non ho ancora finito di leggere tutti i documenti dei miei, non ho ancora cominciato a pensare a qualcosa e non ho ancora cambiato idea sul fatto che averti qui ogni tre due come la cozza a chiedermi se abbia finito o ancora no sia straziante” sbuffò, voltandosi subito dopo in direzione del foglio.
Shinichi ci mise un attimo per formulare ciò che le aveva appena detto l’amica. Niente antidoto, niente ricerche, niente di niente. Sbuffò, con espressione scocciata mente poggiava i gomiti sul banco e il capo su una mano.
“Un semplice no poteva bastare” mormorò seccato, mentre la ragazza accanto a lui si lasciò sfuggire l’ennesimo sbuffo.
“Te l’hanno mai detto che mettere fretta alle persone non fa altro che rallentarle?” domandò Ai, senza però spostare lo sguardo dalle formule tra le sue mani.
“Te sta mattina” rispose semplicemente il detective.
“E non ti sei chiesto perché te lo ripeto minimo dieci volte al giorno da quando Vermouth mi ha lasciato le chiavi del laboratorio due settimane fa?”
Shinichi sembrò pensarci su un momento, per poi risponderle tranquillamente come sempre.
“Perché ogni volta che te lo chiedo tu non hai ancora fatto niente?”
“No, baka” sbuffò la scienziata, voltandosi nuovamente verso di lui. “Perché mi vieni a rompere continuamente senza pensare che forse un antidoto non può nascere nel giro di un’ora!”
“Ma sono passate due settimane!” ribatté il finto liceale. “Quanto ti ci vuole a creare un antidoto, scusa?”
La scienziata non si sprecò nemmeno a rispondergli, e, sempre più alterata di prima, si rivoltò cercando di concentrarsi su quel blocco di fogli e ricerche che si era portata a scuola.
Sospirò rassegnato, il ragazzo, fissando lo sguardo dinanzi a sé e perdendosi nei suoi pensieri.
Non vedeva l’ora di poter tornare nel suo vero corpo, stare con Ran e combattere l’organizzazione, ma a quanto pare dopo due settimane da quando tutto sembrava per migliorare, non era cambiato ancora nulla.
Lui era ancora costretto in quel corpo da liceale che odiava con tutto se stesso.
Ai ancora non aveva creato un antidoto.
Ran piangeva ancora e usciva sempre più spesso senza dire dove andava.
Kaito ancora rubava in modo da non passare sospetto all’organizzazione che, secondo loro, si sarebbe potuta insospettire se tutto d’un colpo Kid fosse sparito dalla circolazione.
Vermouth, Bourbon e Kir ancora che facevano il doppio gioco.
E Hattori ancora in casa sua a rompere con battute idiote su di lui e l’amica d’infanzia.
L’unico che ha visto la sua vita cambiare poteva essere solo Akai, che finalmente aveva deciso di contattare la sorella e raccontarle tutta la verità, o almeno, così aveva detto loro qualche giorno prima.
Voltò lo sguardo verso l’amica che continuava a lavorare concentrata, lasciandosi sfuggire un sospiro. Sospiro che non passò inosservato agli occhi di quest’ultima.
“Sei stanco? Poverino” lo schernì quella, continuando a guardarlo con gli occhi ridotti a fessure.
“Simpatica” rispose, sospirando di nuovo e tornando a fissare lo sguardo dinanzi a lui. “Se tu non fossi così lenta io non mi stuferei di aspettare”
Fece per rispondere, Ai, quando la campanella suonò e dietro ad essa i loro compagni di classe e la professoressa rientrarono in aula.
Lo fulminò con lo sguardo, mentre quello si limitò a sorridere alzandosi e andandosi a sedere al proprio posto.
 

***

 
“Finalmente è finita” disse Ayumi stiracchiando le braccia, mentre gli altri quattro ragazzi le camminavano accanto chi con facce allegre, chi meno e chi l’esatto opposto.
Dopo la scuola, quel giorno, avevano deciso di ritrovarsi tutti dal professor Agasa, insieme a Heiji, per provare il nuovo videogioco da lui inventato, e in quel momento si stavano avviando tutti assieme con le cartelle tra le mani.
“E’ da tanto che non vediamo il professore, chissà come starà” pensò Genta ad alta voce, cercando di ricordare l’aspetto dell’anziano l’ultima volta che si erano visti.
“Grasso come sempre” rispose seccata Ai, facendo inarcare un sopracciglio a Conan che cercò comunque d’inscenare un sorriso.
“Viva la sincerità” ironizzò il detective, facendo ridere gli altri tre.
Andarono avanti ancora un po’ ridendo e scherzando come sempre, quando la figura di una donna dai capelli lunghi e scuri, vestita interamente di nero non passò davanti a loro.
“Ma quella non è Ran-oneesan?” chiese Ayumi, notando gli stessi lineamenti e caratteristiche.
Shinichi rimase un attimo ad osservarla affiancata a un muro mentre controllava il suo cellulare, fino ad avere la conferma ai suoi sospetti.
Sì, era Ran.
E la cosa che lo insospettiva di più era il perché di quel suo atteggiamento così preoccupato e soprattutto, che stava facendo lì a quell’ora quando il mattino stesso gli aveva detto che sarebbe stata da Sonoko.
Intorno a lui i ragazzi continuavano a chiedersi tra di loro che ci faceva Ran lì, cercando di parlargli ogni tanto ma senza molti risultati: era talmente concentrato sulla figura dell’amica d’infanzia che tutto il mondo pareva non esistere più per lui.
La vide correre in un vicolo, e senza pensarci due volte, prese la stessa strada.
“Conan-kun aspetta!” provò a fermarlo la ragazza dai capelli castani, senza ottenere molti risultati. “Che fa?!”
“Magari voleva chiedere qualcosa a Ran-san” ipotizzò Mitsuiko, facendo spallucce.
“Noi cominciamo ad andare dal professore, sicuramente ci raggiungerà tra poco” propose il più robusto tra di loro.
“Ma” provò a replicare Ayumi, ma Ai la prese per mano sorridendole e la trascinò con sé.
“Ha ragione Mitsuiko, vedrai che tra poco sarà di ritorno” le disse inscenando un sorriso, per poi lanciare un ultimo sguardo preoccupato a quel vicolo dove l’amico e l’amata erano spariti poco prima.
 
-Che sta succedendo, Ran?-
Pensò Shinichi continuando a correre dietro alla figura di Ran, mantenendo però una certa distanza in modo da non farsi scoprire.
Erano arrivati ad una stradina abitata parecchio distante da casa loro e di Agasa, vicino al lago, che si divideva poi in quattro piccoli vicoli bui.
La brunetta rallentò improvvisamente il passo, costringendo così anche il detective a fare lo stesso e recuperare entrambi l’ossigeno perso per via della corsa appena fatta.
Conan la vide poggiarsi ad un muretto lì vicino e pensò bene di nascondersi dietro uno lontano dalla donna, ancora ignara del fatto che lui l’aveva vista e seguita.
Tirò fuori dalla borsa nera il cellulare e lo scrutò per qualche secondo, per poi guardarsi in torno e incrociare le braccia al petto.
-Sta aspettando qualcuno.. ma chi?-
Si strofinò il mento con le dita com’era solito a fare, provando a pensare a chi poteva essere la persona che Ran tanto aspettava e che non voleva nessuno lo sapesse.
L’idea che si stesse incontrando con Araide non evitò di arrivare, ma dopo un incredibile senso di fastidio, si rese conto che non avrebbe mai nascosto in questo modo il fatto che doveva incontrarsi con lui, ma che anzi, l’avrebbe detto anche visto che, data la situazione, non stava facendo nulla di male.
-Se non è Araide, allora chi deve incontrarsi con Ran?-
Passò all’incirca un quarto d’ora in cui entrambi aspettavano con ansia l’arrivo di questa persona misteriosa che la donna nascondeva a tutti quanti, minuti in cui Shinichi non faceva altro che torturarsi le dita nervosamente e Ran a controllare di continuo il cellulare e l’orologio che aveva al polso.
Tutta quest’ansia però, si dissolse come neve al sole appena il rumore di ruote che strisciano sull’asfalto si fece sempre più vicino e intenso.
Ran mutò improvvisamente espressione e si scostò dal muretto di mattoni voltandosi verso la fonte di quel rumore, mentre Shinichi, all’erta come sempre, si sporse leggermente dal muretto per scoprire l’identità dell’individuo che doveva incontrarsi con lei.
Pochi secondi dopo, una moto scura si fermò vicino a Ran, che sorrise alla persona in sella ad essa.
Shinichi la scrutò col presentimento di aver visto quella moto e il proprietario da qualche parte. Fisico snello e formoso, tuta completamente nera, stivali con tacco a spillo e casco del medesimo colore e capelli lunghi fino alla vita e di un color biondo chiarissimo.
Deglutì, intuendo finalmente con chi doveva incontrarsi Ran.
La donna scese dalla moto e dopo averla spenta, rivelò il proprio volto e quegli occhi di ghiaccio che fecero gelare il sangue nelle vene al detective.
“Scusa per il ritardo ma ho avuto un imprevisto.. Angel
 

 
 
 
*Episodio 193 (in Italia 208), file 260.


Nana's Corner:
Minna konnichiwa!! 
Lo so, lo so, l'ho visto anche dalle visite e dalle seguite/preferite e ricordate che tanti si sono già stufati della storia, e che probabilmente il fatto è che la sto tirando troppo per le lunghe e sono troppo lenta con gli aggiornamenti, ma purtroppo in quest'ultimo periodo le cose non mi vanno molto bene e con l'aggiunta degli esami e scuola diciamo che non avevo nè il tempo nè l'umore adatto a scrivere.
Gommen nasai, mi dispiace tanto per avervi detto che avrei aggiornato presto e poi vi ho fatti aspettare più di un mese, gommen! ç__ç
Comunque, ecco qui una giornata cominciata normalmente per i nostri protagonisti.
A quanto pare sono passate già due settimane e Haibara ancora non ha concluso nulla.. ha ragione niichan quando si lamenta a questo punto u.u
Sonoko boccuccia bella ha sparlato di Shinichi nonostante Ran continua a non farlo e allo stesso tempo le fa capire che forse è un po' strano il fatto che in dieci anni il caso di Shinichi sia ancora irrisolto e nessuno ne sia al corrente.
Poi ecco, vanno a casa di Agasa e trovano Ran sospetta, Shinichi la segue e scopre che si doveva incontrare con una certa persona.. non so perché ma credo abbiate già capito che è LOL
Comunque lo saprete già nel prossimo che sta succedendo, a differenza della lettera dei Miyano di cui scopriremo il contenuto tra un po' ^^
Ah, per quanto riguardo Akai e Sera tranquilli, non li lascio a loro, ve lo dirò più tardi come si sono incontrati.. non tralascio nulla io u.u

Ed ora il vostro angolo preferito: Il metante's Corner:
1- Con chi si incontra Ran e perché?
2- Perché Haibara ci mette così tanto a creare un antidoto? (sì, può esserci un motivo come no.. era tanto per mettere una domanda .-.)
3- Come ha fatto secondo voi Akai a contattare/dire a Sera che è vivo?
4- Che farà ora Shinichi dopo aver sorpreso Ran?

Grazie di cuore a tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, chi ha aggiunto la storia tra le preferie/seguite/ricordate o chi legge semplicemente, che incoraggio a lasciarmi un commento, anche piccolo, ma mi farebbe piacere anche un vostro parere sulla storia ^^
Chiedo scusa a chi non ho ancora risposto alle recensioni ma non ne ho avuto tempo, appena posso lo faccio :)
E chiedo di nuovo scusa per il ritardo. Sul serio, mi dispiace molto.
Spero di rivedervi presto col prossimo, 
Grazie per essere arrivati fin qui!

XXX.
Nana Kudo.

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Capitolo 21
*** Verità ***


Capitolo ventuno
Verità
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…“Scusa per il ritardo ma ho avuto un imprevisto.. Angel”…
 
-Vermouth-
Gli si formò un nodo alla gola, nel momento esatto in cui la donna si levò il casco.
Ran s’incontrava con Vermouth.
Ran nascondeva a tutti quanti degli appuntamenti tra lei e la criminale.
E nella mente di Shinichi, mentre queste due frasi rimbombavano in essa, un pensiero, una paura, cominciò a crescere.
E se Ran avesse capito?
Rabbrividì al solo pensiero.
-In fondo lei aveva smesso di dubitare di me quando sono andato a trovarla nell’agenzia e Conan l’ha chiamata*… perché dovrebbe continuare a farlo?-
Tornò un attimo con la testa dietro il muretto di mattoni, poggiando poi la schiena ad esso.
Mille e più pensieri e ipotesi cominciarono ad occupare la sua mente, facendola quasi scoppiare.
Se aveva capito, voleva dire che lui aveva sbagliato a calcolare tutto, aveva sbagliato a non insospettirsi quando aveva notato quel comportamento strano nell’amica; in caso contrario, invece, significava semplicemente che lavorava troppo d’immaginazione, e che in un certo senso, erano salvi.
-È un errore enorme teorizzare a vuoto. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il viceversa- gli tornò a mente così, all’improvviso, una delle quote del suo idolo, Holmes, facendolo rendere conto che in fondo non aveva ancora né visto, né sentito o tantomeno scoperto di che dovevano parlare quelle due, facendolo capire che forse sarebbe stato meglio avere prima qualche prova o fatto, per poi poter cominciare a teorizzare.
Tornò a portare lo sguardo verso le due donne che a quanto pare non avevano proferito parola fino a quel momento, ma che si limitavano una a cercare qualcosa in una valigetta, e l’altra ad osservare il tutto in silenzio. Ansiosamente ma in silenzio.
L’attesa durò poco più di un minuto, minuto in cui gli unici rumori che si sentivano erano quelli dei cinguettii degli uccelli lì attorno e quello dell’acqua del fiume affianco. Minuto che Ran e Shinichi passarono a torturasi le dita.
“Ecco” spezzò finalmente quella strana atmosfera la bionda, tirando fuori una busta rettangolare, abbastanza grande e color marroncino chiaro, passandola alla figlia del detective in trans che indugiò un attimo prima di prenderla, come se all’improvviso fosse diventata insicura e preoccupata, deglutendo e mutando espressione abbassando lentamente lo sguardo al pavimento.
-E se stessi sbagliando?- quel pensiero, quello che aveva cercato di reprimere il più possibile, sicura del fatto che se l'avesse ascoltato e assecondato avrebbe rovinato tutto, s’impossessò completamente della karateka.
Ci ripensò su per qualche secondo, per poi rialzare il capo e guardare negli occhi Vermouth, prima di afferrare finalmente la busta.
“Quindi…” Shinichi assisté alla scena in silenzio, intravedendo una Ran piuttosto scossa e preoccupata e che con mani tremanti teneva saldamente la busta, nonostante cercasse di sembrare il più calma e sicura possibile.
“Leggi e vedrai” si limitò a rispondere la criminale, accendendosi una sigaretta e intimandole con un gesto del capo di aprire la grossa busta.
Ran deglutì, osservando prima l’oggetto e poi lanciando uno sguardo veloce alla donna di fronte a lei, che si limitò ad ispirare fumo grigio dalle labbra senza proferire parola; mentre Shinichi assisteva ansioso alla scena, sperando con tutto se stesso che il contenuto della busta non riguardava lui, nonostante in quegli ultimi istanti la paura che l’amica l’avesse scoperto lo divorava dall’interno.
La ventisettenne lasciò un ultimo sospiro, prima di cominciare ad aprire la busta di carta sotto gli sguardi degli altri due.
Con le dita, estrasse da quella alcuni fogli pieni di foto e descrizioni che Shinichi non riuscì a capire, e dopo alcuni minuti passati a scrutarli attentamente, la brunetta si lasciò ad un sorriso amaro, abbassando il capo e incupendosi di colpo.
“Lo sapevo” sussurrò con voce tremante facendo cadere a terra due foto; foto che una volta viste, fecero incupire di colpo anche il detective poco distante da lei.
 

***

 
Fuori era completamente buio.
Le uniche luci che illuminavano la strada erano quelle di due lampioni lì nella via e i raggi della luna piena che in quella notte brillava maestosamente nel cielo, senza alcuna nuvola a coprirla.
Ran si chiuse lentamente dietro la porta di casa Kudo, finendo di mettersi per bene le scarpe ai piedi, e sorridendo tornando con la mente a qualche minuto prima.

“Ran” un sussurrò riecheggiò in quella stanza vuota, dove l’unico rumore fino a quel momento che l’avevano animata erano i singhiozzi della ventisettenne. 
Ci mise qualche minuto a capire chi fosse, ma quando lo senti muovere un braccio verso –in base ai suoi calcoli, l’interruttore della luce, non ebbe più alcun dubbio.
“Non accendere le luci” disse lei, senza voltarsi, lasciando così stupito il ragazzo. “Non voglio che tu veda le mie lacrime, Conan-kun” aggiunse poi, voltando leggermente il volto, tanto da far notare solo una lacrima solitaria che le rigava il viso.
A quella vista, il liceale non poté che spostare la mano da quel muro e riportarla lungo il corpo.
Ran si asciugò le lacrime, per poi girarsi e mostrare il proprio volto al fratellino
“Questo posto è pieno di ricordi fra me e Shinichi.” abbozzò un sorriso malinconico dicendolo, mentre gocce cristalline ancora le correvano sul viso.
“Stai per sposarti..” le chiese abbassando il capo. “Con Araide-sensei?”.
Rimase un attimo fermo, immobile davanti alla porta da cui poco prima aveva fatto irruzione nella stanza, per poi avvicinarsi a lei.
“Non farlo!” le urlò una volta sotto la luce lunare, l’unica che in quel momento illuminava la stanza e le regalava quell’atmosfera semplicemente speciale. “Non sposarti!”
“Perché no?” domandò, guardandolo negli occhi.
“Perché io…” abbassò lo sguardo mentre lo diceva, guardarla negli occhi sapendo che tutta quella sofferenza era causata dal medesimo sarebbe stato impossibile. “Ci rimarrei davvero male”.
“Eh?” 
“Perché..” Tremante e inondato d’emozioni, raggiunse gli occhiali che portava sul volto con la mano destra.
Ci pensò qualche istante per poi tirarli via, liberandosi di quella menzogna che regnava su di lui e che colorava la sua vita.
“Io sono Kudo Shinichi!” le urlò deciso. “Quindi ti prego, non sposarti!” 
La notizia sorprese la giovane donna, che poco dopo gli si avvicinò con un’aria dolce e malinconica dipinta sul volto.
“Adesso che vai al liceo, gli somigli davvero molto”
“Non è che gli somiglio, io sono Shinichi!” cercò di convincerla il detective, ma invano.
“Grazie.. per aver provato a fermare le mie lacrime” rispose, prendendo gli occhiali dalle mani del ragazzo.
“Io ne sono certa…” continuò lei, mentre glieli posava delicatamente sui suoi intensi occhi blu. “Ho aspettato dieci anni, sono certa che posso aspettarne ancora altri dieci”.
**
 
Sorrise, nel pensare fino a cosa era arrivato a fare quel ragazzino pur di vederla felice.
“Conan e Shinichi la stessa persona…” sussurrò, mentre un’ultima lacrima le rigava il viso. “Impossibile” rise, qualche secondo dopo, asciugando quello sfogo con una mano.
Fece qualche passo, canticchiando una canzone sentita appena quella mattina alla radio, fino a quando non vide un’ombra poco più avanti che, a quanto pareva, stava guardando nella sua direzione.
Rimase immobile a fissarla, provando a pensare chi fosse.
-Forse è qualcuno che si è perso- pensò, decidendo di avvicinarsi ad ella.
“Cerchi qualcuno?” urlò, sperando l’ombra rispondesse o, perlomeno, le venisse in contro, ma nulla.
Rimase ferma sul posto senza spostarsi di un millimetro, costringendo così Ran ad avvicinarsi a lei, seppur con una certa paura, dato il buio che l’avvolgeva.
“Hey” richiamò, sperando di riuscire ad attirare l’attenzione della persona di cui, qualche passo dopo, riuscì a scorgerne la lunga chioma dorata. “Sta cercando qualcosa o qualcuno?” domandò ancora, poggiando una mano sulla sua spalla.
La bionda voltò il capo, rivelando i suoi occhi di ghiaccio, e incurvando le labbra in un sorriso.
“No no” rispose, agitando le mani. “E’ solo che ti ho vista uscire da quella casa e mi è sembrato un po’… strano, ecco”
“Strano?” Ran inclinò la testa da un lato, guardando la donna innanzi a sé un po’ confusa.
“Sì, strano” ripeté, per poi passarle davanti e incrociare le braccia al petto. “Mi hanno detto che in quella casa ci viveva un detective che da parecchio tempo è sparito” spiegò, facendo voltare la brunetta in sua direzione. “Ma poi ho visto uscire te, e la cosa mi è sembrata strana”
“Ah no, è vero, quella è la casa di Shinichi Kudo, io ero solo andata lì per…” provò a giustificare la sua presenza lì, ma non sapendo cosa dire –dato che la vera ragione della sua presenza lì non voleva rivelargliela, si bloccò, pensandoci sopra.
“Shinichi Kudo! Ecco come si chiamava!” esclamò la sconosciuta, facendo annuire la karateka. “Ma non è sparito da dieci anni?” domandò.
“Sì”
“E’ tornato?” domandò di nuovo, facendo mutare improvvisamente espressione alla donna dinanzi a sé, che nel sentire quella frase incurvò le labbra in un sorriso amaro.
“No”
“E allora che ci facevi in casa sua?” insisté, facendo qualche passo verso di lei.
“Ero.. ero andata a pulire” s’inventò Ran, con ancora lo sguardo a terra.
“A pulire? Perché, lo conosci?”
“Siamo… amici d’infanzia”
“Ah”
Si ammutolirono entrambe di colpo, continuando però a lanciarsi sguardi di tanto in tanto.
“Tu..” proferì finalmente parola la bionda. “Tu sai il motivo per cui è sparito?”
Ran deglutì, spostando lo sguardo altrove, osservando un oggetto indefinito sul marciapiedi.
“Un caso”
“Tutti questi anni? E che caso è, scusa?” domandò ancora, inclinando il capo da un lato.
“Non lo so, ma mi piacerebbe tanto saperlo” rispose all’ennesima domanda, cominciando a torturasi le dita senza sapere che dire.
-Aspetta un attimo..-pensò, insospettendosi di colpo.
“Posso sapere chi sei?” domandò Ran, lanciando uno sguardo serio e insospettito alla donna dinanzi a sé.
“Cosa?”
“Vieni qui, fai domande su Shinichi, se è tornato, del suo caso… chi sei?” ribadì il concetto la karateka, fissandola dritta in quegli occhi di ghiaccio coi suoi.
Ricambiò il suo sguardo sicuro con uno un po’ confuso, per poi sorridere spavaldamente, avvicinandosi ancora di più a lei.
“A quanto pare siete uguali” disse, facendo nascere un’espressione confusa nel volto della ventisettenne. “E’ impossibile ingannare te e Silver Bullet, o sbaglio?”
“Cosa?”
“Ti basta sapere che sono qualcuno che può aiutarti a scoprire il vero motivo per cui il tuo amico è scomparso, Angel
 

***

 
 
…“Lo sapevo”…
 
Una lacrima solitaria le rigò il volto, mentre la presa sulla busta di carta si fece sempre più forte.
Shinichi assisté alla scena senza saper cosa dire, o cosa fare in quel momento.
Ran aveva sempre dubitato di lui, fin dall’inizio. Ed ora, senza che lui se ne accorgesse, lei era arrivata da sola alla verità, lei aveva dato fine a tutta quella farsa che da anni andava avanti, e lui si ritrovava ormai con le spalle al muro.
“Devo… devo andare a casa” sussurrò Ran, abbassandosi e terra per prendere le foto raffiguranti l’amico d’infanzia e il fratellino, per poi inserirle all’interno della busta marroncino chiaro e chiuderla.
La criminale non proferì parola, si limitò a sorriderle e, dopo aver indossato il proprio casco, lasciò il posto in sella alla sua moto, passando davanti al detective.
Gli sorrise spavaldamente, sotto il casco, quando gli passò di lato, per poi tornare a guardare dinanzi a sé. Sguardo che Shinichi ricambiò con uno pieno di odio, odio per averle raccontato tutto pur sapendo quanto lui ci teneva che l’amica rimanesse all’oscuro di quella faccenda.
Aspettò che si allontanasse, per poi riportare lo sguardo oltre il muretto, deglutendo nel vedere Ran cominciare ad incamminarsi.
L’aveva ripagato con la stessa moneta.
Lui le aveva mentito per anni, a sua insaputa –o forse lo sapeva ma non diceva nulla.
Lei gli mentiva ora, senza che lui lo sapesse, scoprendo però che tutto quello che le era stato detto in quegli anni erano solo bugie.
Chinò il capo, incupendosi di colpo e serrando i pugni, nel sentire la donna passargli a fianco.
“Da quanto lo sapevi?” le domandò, facendola sussultare.
“Che..” strabuzzò gli occhi, nel voltarsi e trovarsi dinanzi Conan. “Conan-kun, che ci fai qui?” provò a recitare un sorriso, sorriso che si spense quando Shinichi parlò di nuovo.
“Finiscila, Ran” disse il detective, voltandosi a fissarla. “Perché non ne hai parlato con me, invece di andare da Vermouth?”
Fu il turno di Ran ad abbassare il capo e incupirsi di colpo.
“Tu mi avresti mentito come fai sempre” rispose con un filo di voce, che però arrivò comunque facilmente all’udito del liceale.
“E non ti sei mai chiesta il perché?” strinse ancora di più i pugni, Shinichi, voltandosi completamente verso di lei.
“Perché non ti fidi di me” disse dopo un attimo di esitazione, guardandolo finalmente negli occhi.
“Non mi fido di te?!”
“Se ti fidassi della sottoscritta me ne avresti parlato, ma no! Tu mi hai nascosto tutto per dieci anni! Mi hai presa in giro per ben dieci anni e io come un’idiota ti ho sempre creduto!” cominciò ad alzare la voce Ran, mentre lacrime salate cominciarono a rigarle il viso.
“Tu credi davvero che io non mi fidi di te?” le chiese incredulo Shinichi, indicandosi con un dito, sconcertato.
“Se ti fidassi non mi racconteresti tutte queste bugie, non credi? O forse devo pensare che prendermi in giro ti diverta?” gli sbottò contro, facendo innervosire il detective.
“Secondo te io mi diverto a mentirti? Mi diverto a vederti soffrire da più di dieci anni senza poter fare niente? Mi diverto quando tutti mi prendono come quello che ti ha lasciata per risolvere i suoi stupidi casi? Eh?!” cominciò ad alzare la voce anche lui, mantenendola però più bassa della karateka, che ormai era scoppiata in lacrime.
“Non lo so, non lo so!”
“E allora perché-” provò ribattere, quando la voce rotta dai singhiozzi dell’amica non lo bloccò.
“Tu non sai cosa significa star male per una persona, stare sempre in pensiero per lei e sperare in un suo ritorno, quando in realtà era sempre accanto a te ma ti stava mentendo per tutto questo tempo” gli sbottò contro, facendo ammutolire di colpo l’amico d’infanzia. “Tu non sai cosa significa sentirsi presi in giro dalla persona più importante della tua vita, e non sai nemmeno come ci si senta quando tutto, ma proprio tutto quello che quella persona ti ha detto in questi anni erano solo menzogne! Tu non sai come mi sento Shinichi, non puoi saperlo!” continuò ad urlare, mentre il ragazzo di fronte a lei continuava a rimanere con la testa chinata e in silenzio.
Avrebbe tanto voluto dirle qualcosa, ma non ci riusciva.
Avrebbe tanto voluto dirle che lo faceva per il suo bene, ma aveva come l’impressione che in quel momento, dirglielo o meno, non avrebbe sicuramente cambiato la situazione.
E avrebbe tanto voluto dirle che ogni volta che le mentiva si sentiva male, uno schifo.. ma sapeva che avrebbe soltanto peggiorato le cose facendolo.
Si ritrovava con le spalle al muro, in pratica.
Non poteva fare nulla, e questo lo faceva soffrire ancora di più, così come i singhiozzi di Ran, che accanto a lui, continuava a piangere.
“V-Vattene” sussurrò, asciugandosi le lacrime con la mano.  “Non voglio più vederti”
Shinichi sentì come una fitta passargli il cuore, ma rimase fermo dov’era. Nessun movimento, nessuna parola.
Rimasero così per qualche secondo, nonostante a loro parvero ore, fino a quando Ran, ormai stanca della situazione che si era creata, di essere lì con Shinichi e stanca del ragazzo stesso, non cominciò a correre in un piccolo vicolo che sboccava lì dietro.
“Ran, aspetta!” urlò il detective, provando a fermarla, ma inutilmente. “Ran!” la richiamò, ma non vedendola più nei paraggi, decise di prendere la stessa strada che aveva preso lei poco prima, sperando di trovarla il più presto possibile e allo stesso tempo pensando a qualcosa che sarebbe riuscita a sistemare le cose.
“Ran!”

 
 
 
 
 
*Capitolo quattordici, "Calamite".
** OAV 9, “The Stranger of Ten Years After”.


Nana's Corner:
Konbanwa, popolo di EFP! :D
Avevo promesso un capitolo ieri o oggi, e nonostante l'orario (come sono uscita da scuola sono andata da mia zia, non è colpa mia se non sono riuscita a pubblicare -.-"), eccolo qui! :D
Ok, come sempre non mi piace nemmeno un po' perché ho come l'impressione che manchi qualcosa, ecco, ma al massimo mi verrà in mente domani o dopo e l'aggiungerò u.u
Comunque, Ran e Vermouth, per chi non l'avesse capito, si sono incontrate per la "prima" volta subito dopo la storia della biblioteca e che Shinichi aveva detto a Ran che era lui ecc; e dopo tutto sto tempo, a quanto pare la bionda le ha lasciato una busta di cui, per il momento, si sa solo contiene file che confermano la doppia identità di Shinichi. Sì, c'è altro lì dentro, ma per quello aspetteremò, eh? xD
Poi Shinichi e Ran litigano (Pad, questa l'avevi azzeccata u.u) e Ran, in stile Londra (me ne sono accorta adesso che sembra la scena di Londra il finale .-.) scappa, mentre Shinichi la rincorre.
Riuscirà a trovarla? Se sì, che succederà? Se no.. ok, non credo qualcuno di voi penserà a qualcosa del genere .-.
Btw, per il prossimo ho come l'impressione che un dieci giorni di tempo MASSIMO, me li dovete dare: ho il bisogno di fare quel capitolo perfetto, altrimenti cado in depressione u.u
Quindi tra massimo dieci giorni avrete il 22, non di più, promesso ^^
Per sta volta, e anche il prossimo capitolo, credo, non ci sarà Metantei Corner, per questioni di "non credo ci sia qualcosa da dedurre", se non che succederà tra Shinichi e Ran ora.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, chi ha aggiunto la storia tra le preferite/seguite e ricordate e anche a chi legge solamente. Arigatou gozaimasu! <3 
Chiudo ringraziandovi per aver letto, sperando i personaggi non siano OOC (sì, sono molto positiva sta sera -.-) e che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima!!! :DDD

XXX,
Nana Kudo.

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Capitolo 22
*** Elementare, Watson! ***


Konbanwa! :D
Sì, dopo ben due settimane, eccomi finalmente qui. 
A mia discolpa posso dire che non ero io a non scrivere, ma il capitolo a non voler finire mai .-.
Quindi, tanto per avvisarvi, vi dico già che il capitolo sarà un tantino, ma proprio poco, neh xD lungo. Gommen, volevo dividerlo in due ma avevo come l'impressione che in questo modo l'avrei reso ancora più orrendo di quello chi già è ç__ç
Già, orrendo perché, secondo me, è uscito male nonostante tutta la fatica e l'impegno che c'ho messo a scriverlo...
Comunque so cosa state pensando: perché oggi rompi qui e non ci lasci al capitolo?
Beh, diciamo che per sta volta preferirei stare su... giù non avrebbe senso... dopo capirete il perché ;)
Va beh, grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo, a chi ha aggiunto la storia in una delle tre sezioni e chi legge solamente. 
Arigatou Gozaimasu!!! <3<3
Come già detto nello scorso, nemmeno qui avrete il Metantei's Corner, mi dispiace ^^" 
Comunque nel prossimo ci sarà, tranquilli ;)
Beh, spero il capitolo non farà così schifo come credo, che non sia noioso e che i personaggi non siano OOC :)
Che altro dire.. me ne vado, va :P
Have a nice reading! :D

Ps. Avete notato, per caso, in che data ho pubblicato questo capitolo? ;)



Capitolo ventidue
Elementare, Watson!
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“Ran!”
Continuava a correre senza sosta, Shinichi, prendendo ogni volta vicoli diversi e perdendosi come fosse in un labirinto, dove però non c’era alcuna traccia dell’amica d’infanzia.
Erano parecchi minuti che correva ormai, il respiro si faceva sempre più affannato, il corpo più stanco e il cuore quasi gli usciva dal petto quanto batteva forte; ma non si fermò comunque, continuò a correre provando allo stesso tempo a pensare che direzione avrebbe potuto prendere Ran a ogni nascere di una nuova stradina.
Aveva combinato un disastro, lo sapeva benissimo. Era riuscito a rovinare tutto come sempre, e questa volta il prezzo da pagare era Ran. Avrebbe potuto dirle la verità fin dall’inizio, forse le cose sarebbero andate meglio, o almeno avrebbe potuto non mentirle per tutto quel tempo, mollare almeno a una di tutte quelle volte che lei aveva cominciato a dubitare di lui.. ma non l’aveva mai fatto. Ed ecco che per quella sua idea, per aver pensato che così l’avrebbe tenuta al sicuro, ora la stava perdendo.
Sì, sapeva benissimo che quando le avrebbe detto la verità lei non gli sarebbe sicuramente saltata addosso, non lo avrebbe perdonato così, su due piedi, come se nulla fosse; lo aveva sempre saputo, in fondo. Ma in quel momento non gli importava, in quel momento tutto ciò che voleva era semplicemente andare da lei e dirle tutto, raccontarle tutto e spiegarle il vero motivo di tutta quella farsa, anche se molto probabilmente a quello ci aveva già pensato Vermouth.
Voleva solamente che Ran sapesse tutta la verità, tutto ciò che lui le aveva nascosto per tutti quegli anni riempiendola di bugie, voleva essere sincero con lei per una volta; e se poi avesse deciso comunque di non parlargli, in quel caso, avrebbe cercato di farle cambiare idea, di lottare per riaverla come aveva sempre fatto con qualsiasi altra cosa nella sua vita, o l’avrebbe lasciata in pace e protetta allo stesso tempo, ma almeno con la consapevolezza che lei era al corrente di tutta la verità, che per una volta lui le aveva detto la verità.
Continuò a correre, fino a quando il vicolo che aveva intrapreso non lo portò al centro di Beika.
“Cosa…” era pieno di gente. Gente con buste in mano, famiglie che passeggiavano felici per i negozi, ragazzi che ridevano e scherzavano… “Ah già, oggi è sabato” costatò, sospirando.
Si piegò, poggiando i palmi alle ginocchia e cercando di recuperare più ossigeno possibile, asciugandosi intanto il sudore dal viso con una mano.
-Che fine avrà fatto..-
Tornò in posizione retta, lanciando sguardi intorno a lui con la speranza di scorgere la figura di Ran tra le miriadi di persone che in quel momento abitavano la strada, ma senza alcun risultato, purtroppo.
“Dannazione!” imprecò, con ancora il respiro affannato.
Asciugò l’ennesima goccia di sudore, per poi decidere di cominciare a cercare la donna in giro per la metropoli, partendo proprio da casa Mouri, dove, sperava, si fosse rifugiata per poter stare da sola e tranquilla a pensare.
                                                               

***

 
“Ah, che forza!” esclamò Mitsuiko, agitandosi con il joystick della console tra le mani, mentre evitava gli ostacoli e i nemici che gli si paravano davanti nel suo percorso.
“Uffa Mitsuiko! Non puoi rallentare un po’? Così finisce che vinci ancora tu!” si lamentò Genta, notevolmente più indietro dell’amico, cercando di superare uno degli ostacoli ma, a differenza dell’altro, senza molti risultati.
“Scordatelo” rispose il più magro, lasciandosi a una fragorosa risata, mentre l’altro continuava a lamentarsi agitando il telecomando.
“Non è giusto!”
 
“Secondo te prima o poi la smetteranno di urlare?” chiese Ayumi, continuando a girare il curry nella grossa pentola d’acciaio.
“Chi?” le domandò Agasa, prendendo una bottiglia d’acqua dal frigo e richiudendolo poco dopo.
“Genta e Mitsuiko… non fanno altro che urlare!” ripeté, con le mani ai fianchi lanciando uno sguardo scocciato ai due ragazzi nel salotto, che ignari delle lamentele dell’amica d’infanzia, continuavano a esultare dinanzi a quel gigantesco televisore in salotto.
“Ah loro due!” esclamò il più anziano sorridendo, aprendo intanto l’anta di un mobiletto poco più in alto, cercando di afferrare qualcosa al suo interno. “Sai come sono fatti, no?” provò a spiegarle, cercando di allungarsi in modo da raggiungere uno dei bicchieri di vetro e poterlo afferrare, seppur con scarsi risultati.
“Mi piacerebbe sapere che fine ha fatto Ai-chan…” sospirò la liceale, tornando a girare il contenuto della pentola. “Lei li avrebbe fatti smettere, o almeno mi avrebbe fatto un po’ di compagnia” disse, inscenando un broncio, mentre Agasa esultò, riuscendo finalmente a prendere un bicchiere di vetro dal mobiletto. “E’ di sotto da più di due ore ormai… che sta facendo di così importante?”
“Te l’ha detto no?” disse il vecchietto, appoggiando un bicchiere d’acqua e una fetta di torta sopra a un vassoio color pastello. “Deve finire una cosa importante e poi viene a farci compagnia”
La ragazza sbuffò, spostandosi delle ciocche di capelli dietro le orecchie, così da evitare che le offuscassero la vista.
“Comunque ora vado a portarle giù un attimo questo vassoio, tu continua a girare il curry, ok?” le sorrise com’era solito a fare, avviandosi verso le scale che portavano al laboratorio sottostante.
“D’accordo” rispose annoiata la brunetta, continuando a girare con cura il cibo in pentola come richiestole dal padrone di casa. “Tanto non ho nient’altro da fare…”
 
Il buio della stanza veniva leggermente schiarito dalla soffusa luce della lampada accanto a lei e dallo schermo del computer accesso poco distante dal tavolo da lavoro, quella poca luce che bastava a illuminare la piccola area intorno ad ella, che, con le mani ricoperte da guanti in lattice e gli occhi nascosti da degli occhiali da vista, leggeva alcuni documenti poggiati affianco alle soluzioni chimiche su cui lavorava, e le molteplici pinze di varie dimensioni che usava a intermittenza, tra una riga di quelle ricerche e un’altra.
Non era il massimo come situazione, dovette ammetterlo.
Di sopra le urla allegre degli amici che, ne era sicura, si stavano sicuramente divertendo al videogioco inventato dal professore, non giovavano sicuramente al suo lavoro; anzi, le davano semplicemente fastidio.
Così come il rumore causato dalle pentole che avevano tirato fuori per poter preparare la cena.
Ma nonostante tutto, come entrata in quel laboratorio, non aveva lasciato il suo lavoro nemmeno per un attimo di pausa, mettendo tutta la sua concentrazione in quel piccolo quanto grande esperimento che al momento stava tra le sue mani.
Lasciò un attimo i fogli pieni di formule accanto a sé per tornare a lavorare, quando un fastidioso cigolio attirò la sua attenzione, costringendola a spostare l’attenzione sulla porta all’inizio di quella stanza.
“Scusa, ti ho disturbata?” sentì la voce di Agasa, mentre si richiudeva la porta alle sue spalle e lentamente, si avvicinava nell’ombra fino a diventare visibile sotto la luce dell’unica lampada accesa.
“Sinceramente è da due ore che non faccio che sentire rumori, risate e robe varie” rispose acida Ai, mentre quello poggiava delicatamente il vassoio di fronte alla ragazza. “Se magari la finiste, io riuscirei anche a lavorare meglio” continuò, lasciando poi gli attrezzi di lato al suo esperimento e allungando un braccio verso il bicchiere portatole dall’uomo.
Lo scienziato inscenò una risata portandosi un braccio dietro la nuca, privo d’idee e scusanti da dare alla ragazza per tutto il baccano che i Detective Boys avevano fatto da quando erano arrivati sino a quel momento. In fondo aveva ragione, gli aveva esplicitamente chiesto di non fargli fare troppo rumore e lui? Se l’era dimenticato così come dimenticava parecchie altre cose negli ultimi tempi.
“Cambiando discorso..” disse, tornando improvvisamente serio. “Perché Shinichi non è con voi? E soprattutto, come mai stai lavorando all’antidoto proprio adesso?”
La scienziata dapprima non rispose.
Avvicinò lentamente il bicchiere di vetro alle labbra bevendone tutta l’acqua in piccoli sorsi, per poi riappoggiarlo sul vassoio e avvicinarsi alla scrivania, aprendo un file sul vecchio computer sopra di essa.
“Mentre tornavamo da scuola ha visto Ran e si è insospettito, visto che doveva essere con Sonoko fino a tarda sera. Così ha deciso di seguirla” si limitò a rispondere, con gli occhi fissi sul display. “Per quanto riguarda la sottoscritta, invece, mi sono venute in mente delle cose importanti mentre tornavamo a casa e così ho deciso di controllarle subito appena tornata, tutto qui”
“Ah” sussurrò Agasa annuendo.
“Comunque mi sa che dovrai inventarti qualche altra scusa con i ragazzi” disse Shiho, tornando al piano di lavoro.
“D’accordo” rispose l’altro, per poi cambiare subito espressione dopo aver realizzato il senso delle parole della giovane. “CHE COSA?! E perché?”
Quella sbuffò, riprendendo in mano le pinze e un foglio pieno di formule e reazioni chimiche.
“Perché non ho la minima intenzione di lasciare questa stanza fino a quando non avrò finito, e siccome mi manca ancora molto e non voglio ritrovarmi uno di quei rompiscatole qui, trova una scusa e cerca di fargli fare il meno rumore possibile” spiegò con lo sguardo concentrato sul suo esperimento. “Grazie” ironizzò, facendo sospirare il povero scienziato innanzi a lei.
 

***

 
Ansante e completamente sudato dalla testa ai piedi, aprì con poca delicatezza la porta di casa sbattendola, irrompendo in salotto e cominciando a urlare il nome dell’amica con la poca aria che gli era rimasta nei polmoni.
“RAN!” la richiamò, chiudendosi la porta dietro di sé e accendendo le luci, in modo da poter avere una vista più ottimale data la fioca luce che giungeva dall’esterno.
Lanciò uno sguardo veloce ma al contempo attento per tutto il salotto, accorgendosi quasi subito che l’amica lì non c’era.
Lentamente, e col respiro affannato, entrò in cucina cercandola anche lì.
-Magari sta cucinando-
Ma una volta raggiunta la stanza, rimase deluso dal fatto che non fosse nemmeno in cucina.
La cercò anche in camera sua, sperando si fosse chiusa lì dentro e che, in quel caso, non avesse chiuso a chiave. Ma nonostante una prima soddisfazione nel trovare la porta aperta, cambiò espressione appena notò che anche la camera della donna era vuota.
Provò a cercarla in bagno, in camera del padre, in giro nel piccolo appartamento senza tralasciare nemmeno un millimetro, con scarsi risultati, però.
Sospirò affranto, asciugandosi l’ennesima goccia di sudore che gli rigava il viso pallido.
-Dove può essersi cacciata quella lì?-
Che Ran fosse sempre stata brava a nascondersi, non era una novità.
Anzi, più volte, semplicemente giocando a nascondino, ne aveva avuto la dimostrazione. Ma mai avrebbe pensato che potesse arrivare fino a certi punti.
Avvicinò una mano al mento, strofinandolo con le dita, provando a pensare il posto più vicino in cui si fosse potuta nascondere, oltre casa sua.
Un posto a cui magari lui non avrebbe mai pensato, dove, era sicura, lui non l’avrebbe mai cercata tanto stupido come rifugio.
Un posto dove non era da sola..
Un posto che fosse tutto fuorché tranquillo e silenzioso..
“L’agenzia!”
Nemmeno pensò a quel posto ormai fallito, che si precipitò fuori dalla porta e cominciò a correre verso il piano di sotto, dove l’ufficio del detective in trans risiedeva, senza preoccuparsi minimamente del fatto che con quella velocità, se fosse scivolato, si sarebbe potuto tranquillamente rompere l’osso del collo.
Una volta giunto di fronte alla porta dell’agenzia investigativa, prese qualche respiro, piuttosto stanco per la corsa che, da ore ormai, continuava ad andare avanti; per poi aprirla e irrompere nella stanza.
Cominciò a far scorrere lo sguardo cercando la figura della donna per tutta l’area del luogo, partendo dai due candidi sofà al centro di esso, controllando gli angoli quasi nascosti, la cucina dove vi trovò un Amuro indaffarato e impegnato a cucinare, e, per finire, la scrivania posta dinanzi alle finestre.
Sospirò, avvicinandosi ad essa.
“Yoko, vuoi dire qualcosa prima di andare in pubblicità?” la televisione, posta al massimo volume sulla scrivania, era l’unico oggetto che creava rumore oltre alle lattine che ogni tanto si sentivano cadere a terra o venivano aperte.
“Parla Yoko! Yoko-ko… Yoko!” giunto di fronte alla tavola di legno chiaro, non poté fare altro che osservare la scena che gli si parava davanti con un’espressione spiazzata e una risata che, nonostante stesse lottando per uscire, riuscì a mantenere per sé.
Un Kogoro più che ubriaco, con una scarpa al piede e l’altro privo di calzatura, con una cravatta legata in testa a mo’ di fascia, le guance di un colore rosso acceso e alcune birre sulla scrivania e a terra intorno a lui, guardava interessato lo schermo del piccolo e vecchio televisore poco distante che, in quel momento, trasmetteva la replica di un vecchio programma cui ospite era proprio l’ex attrice e cantante Yoko Okino.
Era in momenti come quelli che il detective dell’Est non poteva fare a meno di chiedersi come avesse fatto a vivere con lui per più di dieci anni e non essere ancora impazzito. E la risposta? Semplicemente, non aveva altra scelta, quindi…
Si lasciò sfuggire un lieve risolino, per poi ricomporsi e conferire parola.
“Oji-san” lo richiamò, dopo essersi schiarito la voce con una finta tosse. L’uomo si voltò verso di lui con sguardo assassino, facendolo deglutire.
“Che vuoi?” domandò con poca eleganza, scocciato, incrociando le braccia al petto.
Shinichi deglutì, cominciando a pensare che a minuti si sarebbe potuto alzare e prenderlo a botte per averlo disturbato in un momento tanto sacro come quello. In fondo, se non scoppiava a piangere, era quello ciò che faceva se interrotto da qualcuno.
“Non è che, per caso, hai visto Ran-neechan?” chiese, inscenando un sorriso che non convinse per niente il più grande dei due.
“E tu hai tutto sto fiatone, hai sbattuto la porta in questo modo e mi hai disturbato per questo?!” gli sbottò contro, facendo indietreggiare il liceale che, in sua difesa, si mise le mani davanti sperando di calmarlo, o forse proteggersi da un'eventuale mossa di karate.
“E’ che non la vedo da un po’ e ho fame” s’inventò, facendo stranamente calmare l’uomo. “Sai dov’è?”
“Se non lo sai tu” sbuffò Kogoro, tornando a sedersi e a guardare lo schermo della televisione.
Shinichi sospirò, continuando a osservare il padre dell’amica d’infanzia guardare il programma con tanto interesse.
“Aspetta!” urlò all’improvviso, facendo sussultare il ragazzo dalle iridi cobalto. “Era uscita con Sonoko o qualcuno… dovevano passare la giornata insieme!”
Il detective assottigliò gli occhi. Possibile che fino a qualche anno prima fosse sempre interessato a dove stesse andando la figlia e ora a malapena sapeva che era uscita?
Sospirò, spostando alcuni ciuffi ribelli dalla fronte che in quel momento gli ricadevano sugli occhi.
“Grazie” finse un sorriso, prima di dare le spalle all’uomo e avvicinarsi alla cucina per vedere se almeno Amuro sapeva che fine avesse fatto Ran o se almeno fosse passata di lì.
“Conan-kun!” lo salutò il biondo con una risata vedendo entrare il ragazzo in cucina. “Come mai qui?”
Conan lo fulminò con lo sguardo per il nome con cui l’aveva salutato e le risate dell’apprendista nel farlo, per poi tornare serio.
“Hai visto Ran?”
“Ran?” chiese il criminale, ricevendo per tutta risposta un annoiato movimento del capo da parte del più giovane. “L’ultima volta che l’ho vista era sta mattina” rispose, avvicinando le dita al mento cercando di ricordare il più possibile. “Sonoko era passata a prenderla per andare a fare un giro al centro, ma non è ancora tornata a quanto pare” disse, per poi sorridere al detective.
“Ah” sussurrò quasi deluso da quella risposta, Shinichi, mentre l’altro tornava a dedicare la sua attenzione alla cena che stava preparando. “Grazie comunque” gli urlò il ragazzo, correndo fuori dalla stanza.
“Ma è successo qualcosa?” provò a chiedergli uscendo dalla cucina. Ma non ricevendo alcuna risposta, intuì che quello aveva già lasciato l’agenzia. Sbuffò, per poi tornare di nuovo al suo lavoro.
 
Scese l’ultimo scalino, continuando a correre fino a fuori dal piccolo condominio, ritrovandosi in una Beika illuminata soltanto dalle miriadi di luci dei negozi, palazzi, ristoranti e lampioni tutt’intorno a lui, e un’altrettanta infinità di gente che, proprio come qualche ora prima, passeggiava allegramente sui marciapiedi ai lati della strada.
Squadrò l’area circostante con aria ormai stanca e a pezzi.
Stanca per via della corsa senza fine che da ore aveva intrapreso.
A pezzi per tutti quegli avvenimenti che in pochi attimi gli avevano letteralmente sconvolto tutti i suoi piani, la sua incolumità e la loro vita.
Stanco di tutta quella situazione che si era andata a creare.
Per l’ennesima volta in quella giornata, si ritrovò a pensare che forse sarebbe stato meglio non mentire spudoratamente per tutti quegli anni a Ran.
Che forse avrebbe potuto trovare un’altra soluzione per tenerla all’oscuro di tutto…
Che forse, per una volta, aveva sbagliato. Che per quanto continuasse a ripetere a se stesso che lo aveva fatto per il suo bene, che quella era la cosa giusta, che mentirle era servito a proteggerla, una parte di lui gli diceva invece di aver sbagliato.
Lui, quello che stava sempre dalla parte della verità, che ripeteva sempre che l’unica a vincere fosse sempre quella*, in quella situazione aveva preso tutt’altra strada, andando contro le sue stesse idee e convinzioni.
-In fondo prima o poi la verità viene sempre a galla-
Senza il suo volere, le labbra gli si curvarono in un sorriso amaro, sorriso che rispecchiava tutto ciò che in quel momento provava… sorriso che avrebbe davvero preferito risparmiarsi.
Sorriso che si vaporizzò quasi subito per poter prendere fiato un’ultima volta, prima di ricominciare a correre per le vie di quella metropoli noncurante delle continue spallate che riceveva o la gente contro di cui andava a sbattere e che, in seguito, gli imprecava contro.
-Dove sei, Ran?-
Passò la strada senza neanche aspettare che il semaforo diventasse rosso, rischiando di venir quasi investito, per poi bloccarsi tutto d’un colpo nel sentire una strana vibrazione sulla gamba destra.
Ci mise qualche secondo prima di capire che la vibrazione veniva dal suo cellulare.
Osservò la tasca in cui lo aveva riposto poco prima un po’ indeciso sul rispondere o meno, finendo per decidere poi la prima opzione e tornare a correre senza una meta ben precisa per le strade di Beika.
Provò a cercarla in un parco lì vicino, in un giardino visto per caso e perfino nelle vie più impensabili di quella città.. ma di nuovo, senza alcun risultato.
Poggiò i gomiti a un muretto, stanco, lasciando che alcuni ciuffi ribelli gli ricoprissero la fronte.
Un’altra vibrazione.
Sospirò, scostando le braccia dai mattoni di fronte a sé e allungandone una verso la tasca dei pantaloni della divisa scolastica, tirandone fuori il cellulare.
-Un messaggio-
Lo aprì senza farsi molte storie o pensieri, rimanendo poi sorpreso nel notare che a inviarglielo fosse stata Ai.
 
Ho bisogno di parlarti. E’ urgente.
 
Gli occhi puntati sul display luminoso dell’apparecchio elettronico, la mente che rileggeva quelle sei, semplici e normalissime parole continuamente, come fosse un disco rotto.
Disco rotto che, al passare di qualche attimo, fu finalmente fermato da qualcuno in modo da poter ripartire senza altri problemi.
Spense il telefono, Shinichi, rimettendolo in tasca senza nemmeno rispondere al messaggio della scienziata.
In altre occasioni l’avrebbe assecondata, sarebbe corso a casa del professore per poterle parlare e scoprire ciò che voleva dirgli con tanta urgenza… ma quella volta non lo fece.
Ignorò direttamente il messaggio, tenendolo da parte con l’intenzione di ritirarlo fuori in un'altra occasione.
In quel momento tutto ciò che voleva sapere, che voleva dire, che voleva vedere e che voleva scoprire era collegato solo è unicamente a una persona, persona che in quel momento non era sicuramente Ai, bensì Ran.
Si voltò, notando due vicoli: uno alla sua sinistra e uno poco più indietro.
Li scrutò un po’ indeciso su quale intraprendere, fino a quando i suoi occhi non si spalancarono all’arrivo di un pensiero che da quella mattina aspettava.
Diede le spalle a entrambi i due vicoli, prendendone un altro, e cominciando a correre sicuro verso l’ultima sua meta di quella giornata.. cominciando ad andare finalmente da Ran.
 

***

 
Era notte fonda, ormai.
Il cielo mutò in un’uniforme distesa infinita color blu scuro, tanto scuro che lo si poteva scambiare per nero; tanto scuro da poter incutere un senso di terrore, di paura. La luna, al centro di esso, brillava rilasciando tanti flebili fasci di luce chiari e candidi come la neve, che contrastavano col buio della notte come fuoco e ghiaccio.. come mente e cuore; che, pur essendo l’uno l’esatto opposto dell’altro, si completano come si completano due pezzi di un puzzle, o come il cielo e il mare, creando quasi un’opera d’arte.
Opera d’arte che veniva incorniciata da una miriade di piccole e lontane stelle che brillavano come chiarissimi diamanti al sole, come una goccia cristallina prima di cadere a terra e frantumarsi, dissolversi… come gli occhi di un bambino la mattina di Natale, dopo aver scoperto regali di ogni forma, misura e colore aspettarlo sotto l’albero che poco prima aveva addobbato.
Opera d’arte che Shinichi, però, ignorò, troppo occupato a pensare ad altro piuttosto che al panorama che gli si parava dinanzi.
Voleva solo trovare Ran, tutto il resto, in quel momento, non aveva importanza.
Cominciò a rallentare il passo appena l’immagine di una maestosa villa in stile europeo si face sempre meno distante.
Si lasciò sfuggire un sorriso, un sorriso sincero, dimenticando tutta la stanchezza e le energie che si facevano sempre meno, come se tutta quella corsa che aveva fatto nelle ultime ore non contasse più nulla, non ci fosse mai stata.
Fece ancora qualche passo, fino a quando la vista di un’ombra poco distante da lui, davanti al cancello di casa sua, non lo costrinse ad arrestare la sua camminata, lanciando uno sguardo confuso a quella sagoma scura e misteriosa che lo osservava.. o almeno così credeva.
La scrutò, aspettando da quella qualche mossa, qualche parola, che però non arrivò.
Esitò un attimo, indeciso se andarle in contro o meno; ma quando quella finalmente parlò, non poté che calmarsi.
“Ti senti troppo importante per rispondere al cellulare, Holmes?” gli chiese con tono sarcastico l’ombra, facendo sorridere il detective che si decise finalmente a fare qualche passo avanti, quelli che bastarono per rendere nitida la figura della persona che qualche istante prima aveva proferito parola.
Capelli corti, mossi e ramati.
Occhi chiari come il cielo e verdi come smeraldi.
Braccia incrociate e un’espressione più che seccata dipinta sul volto.. un lungo camice bianco a ricoprirle il corpo fino al ginocchio.
“Ti ho chiamato e mandato un messaggio” disse con fare acido Ai, tamburellando scocciata un piede a terra.
“Lo so” si limitò a rispondere Shinichi mentre con un braccio si andava ad asciugare una goccia di sudore che solitaria gli ricadeva dalla fronte, irritando ancora di più la scienziata, che a stento riuscì a trattenersi dal rispondergli per le rime, decidendo invece di avvicinarsi a lui.
“Non ho molto tempo, quindi dimmi velocemente quello che dovevi dirmi” aggiunse il liceale con tono distaccato, lanciando un’occhiata veloce verso la villa alle spalle della scienziata con la speranza che Ran fosse ancora lì.
Deglutì, Shiho, cercando di trattenersi nonostante la voglia di uccidere quel ragazzo si faceva sempre più grande, dato il tempo che aveva sprecato per lui e il modo in cui, alla fine, l’aveva trattata.
Strinse un attimo i pugni, per poi rilassarli, portandoseli alle tasche del lungo camice da lei indossato.
“Sai..” disse una volta tornata fredda e ironica com’era solitamente, tirando fuori un piccolo cofanetto bianco di forma quadrata e rigirarselo tra le dita, facendo strabuzzare gli occhi al detective che, tutto d’un colpo, spostò la sua attenzione dal cancello di casa sua alla scienziata, deglutendo. “E’ pronto da un po’” confessò, sorridendo spavaldamente, mentre l’altro continuava a guardare il candido oggetto tra le sue dita con occhi che brillavano come quelli di un bambino alla vista di una caramella. “Solo che non ero molto sicura, avevo il timore che potesse farti tutt’altro effetto o che l’organizzazione ti avesse potuto trovare più facilmente e ucciderti. Perciò ho preferito non dirti niente perché sapevo mi avresti rotto le scatole per prenderlo lo stesso nonostante tutti i rischi che ti avrebbe potuto portare.. non che tu non l’abbia fatto per le ultime due settimane, comunque”
“E-E.. e perché oggi..?” provò a formulare una frase di senso compiuto, Shinichi, nonostante gli risultò più che impossibile farlo in quel momento. Il suo cervello, i suoi occhi, ogni minimo suo senso era completamente catturato dalla scatola contenente ciò che da più di dieci anni aspettava, e riuscire a concentrarsi su altro, nonostante la sua indole razionale e metodica, gli veniva davvero difficile.
“Ran” gli rispose, mutando improvvisamente espressione in una più seria e cupa. “Questo pomeriggio, quando l’ho vista, le ho sentito un profumo particolare addosso… il loro profumo, si comportava in modo strano e si vestiva esattamente come loro; da lì ho capito che c’era qualcosa che non andava, che forse il nostro segreto non era più al sicuro. Ma poi dopo poco più di un’ora l’ho vista correre dentro casa tua mentre piangeva, e a quel punto ho avuto la certezza che sì, avevi bisogno di aiuto. Così ho pensato di andare in laboratorio a ricontrollare l’antidoto e, casomai gli fosse mancato qualcosa o ci fosse qualcosa di sbagliato, correggerlo, così che tu lo avresti preso e saresti andato da lei a sistemare le cose e dirle che si sbagliava, cercando di farle cambiare idea come abbiamo sempre fatto” finì, guardando poi il finto liceale negli occhi e sorridere spavaldamente, prima di parlare di nuovo. “Ma tu sei occupato, non hai tempo adesso per queste cose, quindi” disse con fare ovvio, rimettendo in tasca il cofanetto contenente l’antidoto e sorpassando il detective in modo da poter tornare a casa del professore.
“Cosa? NO! Aspetta!” le urlò Shinichi, afferrandola per un braccio costringendola così a fermarsi.
Sorrise, Ai, al tocco caldo della mano del ragazzo sul suo braccio, aspettandosi che avrebbe reagito in quel modo; per poi voltarsi e lanciargli uno sguardo scocciato, lo stesso sguardo che il detective riceveva sempre da lei.
“Non eri occupato?” lo schernì, liberando con un movimento brusco l’arto dalla presa dell’amico.
“Beh sì ma.. cioè, NO! Io…”
Sospirò rassegnata, la scienziata, tirando fuori il cofanetto bianco per la seconda volta in pochi minuti, ricominciando a girarselo tra le dita; meritandosi uno sguardo impaziente ma al contempo con una nota di felicità dal detective.
“Possiamo far chiamare Ran da Conan o potremmo far travestire qualcuno da lu-” cominciò a ipotizzare un piano la più giovane dei Miyano, prima di essere interrotta dal liceale stesso.
“E’ troppo tardi ormai” divenne serio il ragazzo, mentre con gli occhi continuava a seguire ogni piccolo movimento che il cofanetto faceva tra le dita dell’amica.
Haibara lo guardò in un misto tra confusione e incomprensione che si affrettò subito a nascondere con un’espressione indifferente, rimanendo però in silenzio in attesa che Shinichi continuasse a parlare e le spiegasse tutto quanto. Spiegazione che, infatti, non tardò ad arrivare. “L’ha scoperto grazie a Vermouth ed io le ho già ammesso tutto, in un certo senso.. è troppo tardi per farle cambiare idea ormai, e comunque non ho la minima intenzione di farlo e..” prese una piccola pausa, mentre un leggero rossore cominciò a colorarli le gote. “E sono stanco di mentirle. Voglio che lei sappia la verità, non ci riesco a mentirle di nuovo” abbassò il capo, sentendosi un perfetto idiota dato lo sguardo che la ragazza gli lanciava a pochi passi da lui, ma non poteva fare altro, d’altronde.
Stava perdendo Ran per una, o meglio, parecchie bugie, per non essere stato sincero con lei per tutti quegli anni e lui avrebbe dovuto continuare a mentirle lo stesso?
No, non aveva più senso farlo, ora mai.
Rialzò il capo, con le guance ancora scarlatte, andando a incontrare fin da subito lo sguardo seccato di Ai.
“A quanto pare quel detective aveva ragione” sussurrò, incrociando le braccia al petto.
“Di chi parli?” le chiese confuso Shinichi.
“Holmes una volta aveva detto che l’amore era solo una distrazione, no?” ribadì il concetto, lasciandosi sfuggire uno sbuffo. “E aveva ragione. Guardati! Vuoi fare sempre il detective, quello razionale e che fa sempre la cosa giusta, o almeno per il bene delle persone.. ma poi arriva lei ed ecco che tutta quella razionalità se ne va, che quel sentimento che provi nei confronti della ragazza dell’agenzia s’impossessa di te..” continuò, facendo arrossire ancora di più il diretto interessato che puntò lo sguardo altrove per il troppo imbarazzo. “E alla fine finisce che vai a raccontarle tutto come un perfetto idiota dopo anni e anni di piani per ingannarla” finì, fulminandolo con lo sguardo.
“T-ti ho detto che è stata Vermouth a dirle tutto!” provò a difendersi, peggiorando solo le cose.
“Ed io ti avevo detto di non fidarti di quella donna!” ribatté la scienziata.
“Lo so ma..” deglutì, nel notare che ore si erano fatte, dopo aver dato una veloce occhiata al suo orologio da polso. “Non possiamo rimandare a domani? Vengo da te, di prima mattina, e ti spiego tutto” propose, sorridendole.
La liceale trattenne il suo sguardo per alcuni secondi, per poi sbuffare qualche minuto dopo riabbassandolo.
“Tieni” disse, lanciando la scatola bianca contenente l’antidoto per l’APTX4869 al detective, che dopo essere scontrata contro il suo petto, la prese subito tra le mani, incurvando le labbra in un sorriso che lentamente si fece spazio sul suo viso.
Perfino Ai sorrise, nel vedere la felicità sul volto del ragazzo.
Non riusciva a capire cosa l’avesse spinta a farlo ma.. no, non riusciva proprio a fare a meno di essere felice anche lei.
“C-Comunque, anche se lo prendi, non è detto che debba andare tutto bene” voltò il capo dal lato opposto al detective, cercando di riassumere un atteggiamento freddo e orgoglioso, sperando quello non l’avesse beccata a sorridere per lui. “Sappi che è pericoloso, potrebbe non funzionare, potresti morire, potrebbe..” cominciò a elencare tutti gli effetti collaterali di quella pillola come aveva sempre fatto con ogni prototipo, con l’unica differenza che quella sarebbe stata l’ultima volta; ma, non appena voltò lo sguardo verso Shinichi, si accorse che quello l’aveva già ingerita senza nemmeno aspettare che finisse il suo discorso.
“Ma.. MA SEI CRETINO?!” gli sbottò contro, facendolo soltanto scoppiare a ridere. “Che ti salta in testa?! Prendere addirittura un antidoto in mezzo ad una strada… è da pazzi! Soprattutto calcolando che non hai nemmeno sentito tutti gli effetti collaterali di quel farmaco!” continuò a urlargli, fino a quando, dolorante e a terra, il diretto interessato non si lasciò sfuggire una lieve risata tra quelle fitte che gli stavano letteralmente lacerando il cuore.
Erano molto più forti delle altre volte, doveva ammetterlo.
Si sentiva soffocare, la terra sotto i suoi piedi pareva girare, e il cuore sembrava scheggiarsi sempre di più, lentamente, all’arrivo di ogni fitta, come fosse un vetro che al contatto con un sassolino, gradualmente si scheggiava fino a rompersi del tutto.
Avvicinò una mano alla camicia bianca che aveva addosso, stringendone con forza il tessuto, cercando di contenere quel dolore insopportabile.
“Siamo sinceri” provò a dire con quel poco fiato che gli rimaneva. “Quando mai ho fatto qualcosa di sensato e razionale nella mia vita?” ironizzò, prima che un’altra fitta lo costrinse a lasciarsi sfuggire un gemito di dolore.
Sospirò rassegnata l’altra, assistendo alla scena senza mutare di nemmeno una sfumatura la propria espressione.
“Tu sei pazzo”
“E te ne sei accorta solo ora?” rise il detective, provando ad alzarsi nonostante il dolore lo costrinse a perdere immediatamente l’equilibrio, facendolo cadere nuovamente a terra dove si lasciò sfuggire l’ennesimo gemito di dolore. “No-non è che per caso mi aiuteresti a entrare?” chiese poi all’amica, cercando di sorriderle nonostante tutto il sudore che, pian piano, gli ricopriva il volto e gli occhi che a malapena riusciva a tenere aperti. “Sai com’è… preferirei poter stare da solo, in un posto tranquillo, invece che in mezzo ad una strada”
La scienziata sbuffò per l’ennesima volta da quando aveva visto il detective, per poi avvicinarsi a lui e aiutarlo ad alzarsi.
“Se ti sto aiutando è solo perché, casomai ti dovesse succedere qualcosa, la responsabilità sarebbe mia, non farti strane idee” gli disse acidamente, facendo sorridere il ragazzo che, per colpa di un’altra fitta, dovette stringere ancora più forte la camicia ormai completamente impregnata di sudore, mentre, lentamente, si avvicinavano al portico di casa Agasa.
 

***

 
Avvolto da un buio dove l’unica fonte di luce erano le sue iridi cobalto che brillavano come mai prima d’ora, si avvicinò con cautela alla porta di legno scuro, cercando di fare il meno rumore possibile in modo che l’amica, chiusa tra le mura dietro di essa da parecchio tempo, non si accorgesse di nulla.
Poggiò delicatamente il palmo della mano sulla maniglia argentata, facendo appena pressione su di essa per aprirla.
Fin da subito intravide la stanza leggermente illuminata dai raggi lunari che, grazie alla cupola di vetro sul soffitto, riuscivano a penetrare seppur fiochi e tenui nella stanza. Più al centro, invece, la figura di una donna dai lunghi capelli castani che stava di spalle alla porta d’entrata si fece sempre più nitida e chiara man mano che il detective apriva sempre di più quell’alta lastra di legno.
Si lasciò sfuggire un sorriso. Finalmente l’aveva trovata.
Fece il primo passo all’interno della libreria, mettendo delicatamente i piedi a terra cercando di non far rumore, per poi chiudersi la porta dietro una volta dentro, senza più badare a farsi notare o meno.
Sussultò al rumore che la porta provocò chiudendosi, la brunetta, intuendo sin dal principio chi fosse entrato.
Esitò qualche attimo, ma non sentendolo parlare o fare qualsiasi cosa, decise di spezzare lei quel silenzio intorno a loro.
“Sta volta le luci non le accendi?” lo schernì Ran, mentre una lacrima solitaria sboccò nuovamente da quegli occhi color lilla, andandole a rigare il viso come tante altre avevano fatto prima di lei.
Shinichi chinò il capo, mettendosi le mani in tasca e sorridendo.
“Non ho bisogno di accendere le luci” rispose, facendo perdere un battito alla ventisettenne. “So già che stai piangendo per colpa mia, non ho bisogno di luci per capirlo” aggiunse, arrossendo di colpo. “E comunque ti vedo anche così”
Deglutì, l’altra, maledicendo mentalmente quel detective stacanovista che ogni volta le faceva sempre lo stesso effetto, nonostante in quel momento fosse nel corpo di quello che lei credeva il suo fratellino, non lo sfrontato investigatore privato che in un modo o nell’altro riusciva sempre a trovare la chiave a ogni mistero, che riusciva sempre a far fermare il tempo intorno a loro semplicemente parlandole, guardandola o sorridendole.
Strinse un pugno, cercando di liberarsi di quella strana sensazione che, nel sentire la voce dell’amico, l’aveva letteralmente assalita.
-Possibile debba sentirmi così ogni volta che sono con lui?- pensò, assottigliando gli occhi.
Prese un lungo respiro, per poi girarsi facendo per rispondergli per le rime, facendo per cacciarlo via come aveva fatto quel pomeriggio stesso nonostante sarebbe stato comico che l’ospite cacciasse di casa il padrone, facendo per urlargli contro… ma appena si voltò, tutte quelle parole che avrebbe voluto dirgli, tutte quelle cose che avrebbe voluto urlargli contro, le morirono in gola, si vaporizzarono come neve al sole.
Le rivolse un sorriso dolce, sorriso che non vedeva da tempo ormai.
Sorriso che le fece bloccare il cuore per la seconda volta in quei pochi istanti.
Davanti alla porta, a pochi passi da lei, credeva di ritrovarci un liceale con dei grandi occhiali a ricoprirgli gli occhi color oceano, con la divisa scolastica del suo liceo, un diciassettenne che si atteggiava da uomo, da un’età che non era sua… credeva di trovarci il piccolo Conan.
Ma non fu così.
La persona che vide era un’altra.
Era un uomo.
Un uomo che sì, aveva gli stessi identici capelli corvini e ribelli del fratellino; aveva gli stessi identici occhi di quel blu così profondo e surreale in cui ci si poteva facilmente perdere.. ma per tutto il resto era diverso, era più.. maturo, adulto.
Era lui.
Shinichi…” sussurrò, spiazzata ma al contempo vittima di una strana sensazione che non riusciva a spiegare. Sapeva semplicemente che in un certo senso si sentiva felice.
Rimase ad adularlo per minuti che le parvero ore.
Era bellissimo, doveva ammetterlo.
Ma, nonostante quell’ondata di sensazioni s’impossessarono di lei, dovette metterle da parte, seppur con una certa difficoltà.
Le aveva mentito per più di dieci anni, e sicuramente non è che, solo perché si era presentato col suo vero corpo, doveva perdonarlo così come se nulla fosse.
Asciugò l’ultima lacrima che lentamente percorreva la sua liscia e candida guancia, sorridendo ironicamente.
“Che hai intenzione d’inventarti sta volta, sentiamo” disse, tirando fuori tutta la rabbia e il rancore che in quel momento provava per colpa del detective, che la osservò in silenzio. “Hai intenzione di dirmi che quel file era falso e che Vermouth voleva incastrarti?” continuò, mentre l’altro continuò a rimanere in silenzio, cosa che fece innervosire ancora di più la karateka. “Oppure fammi indovinare, ora fai sbucare Conan dal nulla, ti avvicini e poi, come per magia, Conan mi chiama o ti limiterai a un classico ‘Devo andare adesso, tu aspettami’ come sempre?”
Shinichi si lasciò sfuggire una risata, mentre sulle sue gote un tono scarlatto cominciò a espandersi sempre di più.
“Nessuna di queste” rispose con voce roca e bassa. “Credo sia arrivato il momento di finirla con questa farsa, non credi anche tu?”
Sussultò nel sentire quelle parole uscire dalla bocca dell’investigatore, Ran.
Credeva avrebbe provato a smentire il tutto, avrebbe davvero optato per una delle opzioni che gli aveva elencato lei, che avrebbe continuato a mentirle nonostante tutto.. ma sicuramente non che le avrebbe risposto in tal modo.
Si ammutolì di colpo, la ragazza dalle iridi violacee, dando la possibilità all’ormai ventisettenne di avvicinarsi a lei e poterle finalmente parlare.
“Da quando lo sai?” provò a porle la stessa domanda di qualche ora prima, sta volta però con tono calmo e guardandola negli occhi, sebbene quella distolse lo sguardo subito dopo portandolo alla punta delle sue scarpe, incapace di sostenerlo.
“Quando siamo stati qui l’ultima volta” rispose con una notevole nota d’insicurezza nella sua voce, facendo dilatare le pupille dell’amico d’infanzia.
 
“Perché no?” gli chiese la –ormai- ventisettenne, guardandolo negli occhi.
“Perché io…” abbassò lo sguardo mentre lo diceva, guardarla dritto in quelle spente iridi color indaco sapendo che tutta quella sofferenza era causata dal medesimo sarebbe stato impossibile. “Ci rimarrei davvero male”.
“Eh?” 
“Perché..” Tremante e inondato d’emozioni, raggiunse gli occhiali che portava sul volto con la mano destra.
Ci pensò qualche istante per poi tirarli via, liberandosi di quella menzogna che regnava si di lui e che colorava la sua vita.
“Io sono Kudo Shinichi!” le urlò deciso. “Quindi ti prego, non sposarti!” 
 
..Io sono Kudo Shinichi!..
Gli tornò in mente quell’episodio, l’ultima occasione in cui lui e Ran si erano ritrovati in quella biblioteca insieme dopo che lui l’aveva cercata per una giornata intera… la prima volta che, spinto da una sensazione che mai prima di quel momento aveva provato, con la paura di perderla per sempre, le confessò tutta la verità.
“Tu..”
“No” si affrettò a dire la figlia del detective in trans, agitando le mani con foga. “N-non l’ho capito subito quando me l’hai detto tu, ma dopo” gli spiegò, lasciandolo ancora più confuso di prima.
“Dopo?” domandò il detective, inclinando il capo da un lato. “In che senso?”
“Beh..” cominciò a torturarsi le dita, un po’ indecisa su cosa dirgli.
Alzò il capo incrociando lo sguardo con gli occhi blu brillante dell’uomo, e dopo essersi persa in essi, sospirò rassegnata.
“Quando sono uscita da qui ho incontrato Vermouth” iniziò, guadagnandosi sin da subito tutta l’attenzione dell’amico. “Lei mi aveva detto che tu e Conan eravate la stessa persona, che non potevi dirmelo per un motivo e che mi avrebbe aiutata.. ma non le ho voluto credere; anzi, le sono scoppiata a ridere in faccia” ricordò, sorridendo amaramente al solo pensiero che nonostante glielo avessero detto in due che l’amato e il fratello erano la stessa persona, lei si era ostinata a credere il contrario, incapace di immaginarsi Shinichi che le mentiva. “Poi però, qualche giorno dopo, Conan è scomparso, non rispondeva più alle chiamate e all’improvviso appari tu, nel tuo vero corpo, all’hotel Sun Plaza. All’inizio non ho dato molto peso a tutta questa storia, in fondo era quello che succedeva sempre, no? Ma poi hai cominciato a sentirti male, tutte quelle scuse di cui non capivo il motivo, lo svenimento in quel corridoio.. e la mattina non c’eri più, al tuo posto, c’era Conan” prese una piccola pausa, pausa che Shinichi sfruttò per avvicinarsi di qualche passo a lei.
“Per questo motivo, quando ti sei svegliata, mi hai chiamato Shinichi. Tu non stavi scherzando, eri seria.. non è così?” le domandò, ormai a pochi passi da lei, sotto la fioca e candida luce provocata dai raggi lunari.
Ran si limitò ad annuire, provocando un sospiro all’altro.
“Perché?”
“Perché quando ti ho chiamato col tuo vero nome tu hai cercato mille e più scuse, cose del tipo ‘Mi hai scambiato per Shinichi-niichan perché non ho addosso gli occhiali’** , ti sei incupito di colpo e ho notato ci sei rimasto male quando mi sono messa a piangere; così mi sono resa conto che Vermouth aveva ragione, tu e Conan eravate la stessa persona ma per qualche motivo non volevi dirmelo”
-Ecco perché quel comportamento e perché non mi ha nemmeno chiesto o sgridato per essere sparito così, all’improvviso-
“Così hai contattato Vermouth per tirarti via quel dubbio una volta per tutte”
“Volevo provare che in realtà voi due eravate due persone diverse. Non riuscivo a credere che tu mi avevi mentito per tutti questi anni” chinò il capo, stringendosi nelle spalle, leggermente imbarazzata. “E poi mi sembrava improbabile, impossibile, che una persona potesse crescere e decrescere di dieci anni. Cioè.. come si fa?”
Shinichi osservò in silenzio l’amata parlare, incurvando le labbra in un sorriso ogni volta che quella faceva uscire una lettera dalle sue labbra, come fosse vittima di un incantesimo.
“Eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per improbabile che sia, deve essere la verità” disse con voce calma e bassa, citando una delle sue frasi preferite tra quelle di Sherlock Holmes.
Ran alzò di scatto il capo, come scottata, arrossendo ancora di più nel notare la vicinanza dell’amico e quel sorriso mozzafiato che le rivolgeva. Sorriso che la costrinse a distogliere lo sguardo per non rischiare di prendere un infarto.
“Sono proprio le soluzioni più semplici quelle che in genere vengono trascurate” rispose, lasciandosi sfuggire una risata nel rendersi conto che, come anni prima, si erano ritrovati a citare quel detective Londinese in un discorso dove, secondo lei, non centrava minimamente. Risata che contagiò anche Shinichi.
“Ma tu non l’hai trascurata, ti sei rifiutata proprio di crederci!”
“Non è mica colpa mia se speravo che quel detective stacanovista maniaco di gialli del mio amico d’infanzia non mi avesse mentito per più di dieci anni!” replicò la brunetta, cingendo le braccia al petto e inscenando un broncio che fece solamente divertire di più il diretto interessato.
Si lasciò a un’ultima risata, prima di tornare nuovamente serio.
“Sai” cominciò, guardando la luna piena sopra le loro teste sperando che in quel modo l’amica non notasse il suo viso divenuto paonazzo. “In realtà avrei tanto voluto dirtelo fin dall’inizio che ero io” le confesso, facendola rimanere a bocca aperta.
“Eh?”
“Se non te l’ho mai detto in tutti questi anni era perché non volevo metterti in pericolo, non volevo ti succedesse qualcosa, Ran”
“Perché mi avresti dovuto mettere in pericolo dicendomi la verità?”
Il detective riportò lo sguardo sulla figura della ventisettenne, sorridendole mentre il ricordo di quella sera cominciò lentamente a farsi spazio nella sua mente.
 
Le luci delle attrazioni e delle piccole bancarelle allestite tutt’intorno illuminavano le vie del parco in quella fredda serata autunnale, dove, come ogni week end dell’anno, si ritrovava pieno di gente e allegria.
Allegria che a qualcuno però sembrava mancare dopo aver assistito a un omicidio.
Allegria che a Ran mancava dopo aver assistito alla tragedia sopra quelle montagne russe.
Camminava accanto all’amico d’infanzia, continuando a piangere senza fermarsi.
“Ti prego, smettila di piangere!” provò a calmarla Shinichi, sperando di fermare quelle lacrime preferendo un tono allegro.
“Ma come puoi essere così insensibile?” disse di rimando la karateka, fulminandolo con ancora le lacrime agli occhi e le mani chiuse in pugni.
Si lasciò a una risata, il detective, portando un braccio dietro la testa.
“Quando vedi spesso scene così, ci fai l’abitudine purtroppo!”
“Non è possibile” rispose quasi delusa da quella risposta la brunetta, ritornando a piangere come poco prima.
“E’ meglio dimenticare tutto quanto” smise di ridere il ragazzo, sperando di riuscire a calmare quella che riteneva la sua amica d’infanzia. “Avanti, provaci anche tu, Ran!”
“Non ci riesco, è impossibile!” gli sbottò contro l’altra, ancora vittima dei singhiozzi.
Si fermarono entrambi, una con le mani a coprirsi il viso, e l’altro con la speranza l’amica si calmasse presto.
Era concentrato sulla figura di quella, fino a quando un uomo dalla corporatura robusta e completamente vestito di nero non gli passò di fronte.
Spostò immediatamente l’attenzione da Ran, portandola su quell’individuo che intraprese, correndo, un vicolo buio poco più avanti.
-Ma quello è uno degli uomini che si trovava sul treno dei misteri..-
Gli tornarono in mente gli attimi del caso, dell’altro tizio che era con lui, delle loro arie sospette, di quegli strani cappotti fuori stagione, di come aveva sospettato di loro…
E la curiosità, quell’indole tipica del detective, quella voglia di sapere, lo assalì, offuscando la mente da qualsiasi altro pensiero che non riguardasse quei due.
“Ehm scusa Ran, vai avanti tu intanto!” le urlò, correndo nella stessa direzione per cui aveva corso prima l’uomo completamente vestito di nero.
“A-Aspetta!” provò a fermarlo, cominciando a seguirlo.. ma qualcosa la costrinse a non continuare. Le si era slacciata la scarpa.
“Ci vediamo dopo!” le disse prima di sparire nel buio di quel vicolo, Shinichi. “Aspettami eh!”***
 
Si lasciò sfuggire un sorriso amaro, al ricordo di quegli ultimi istanti di vita normale vissuta.
Non poté fare a meno che pensare, come ormai faceva spesso ultimamente, che forse avrebbe dovuto ascoltare Ran, avrebbe dovuto fermarsi.
Forse così tutto quello che stavano vivendo ora, tutto il dolore che avevano provato negli ultimi dieci lunghi anni, tutto quel rancore e quella nostalgia, non l’avrebbero mai sentita, non gli avrebbe mai attanagliato in quel modo l’anima.
Scosse il capo, rendendosi conto che forse, o meglio, sicuramente, quello non era il momento adatto a certi pensieri.
“Chi mi ha ridotto così.. è una pericolosissima organizzazione criminale” le disse, senza mai distogliere lo sguardo dalla luna sopra le loro teste.
Ran rimase in silenzio, segno che fece capire a Shinichi di continuare.
“Ricordi quei due uomini vestiti completamente di nero che abbiamo visto al Tropical Land?”
“Quelli che hai seguito?”
“Quelli che ho seguito” confermò il detective. “E quelli che abbiamo visto qualche tempo fa al Beika Central Building? Sono gli stessi, l’hai notato anche tu, ricordi?”****
La ventisettenne si limitò ad annuire, scrutando ogni minimo centimetro del corpo perfetto dell’uomo di fronte a sé.
“Sono stati loro” disse con tono diretto e deciso, tornando a guardare la karateka che arrossì, distogliendo lo sguardo dal suo corpo portandolo al suo viso. “Mi hanno fatto regredire grazie ad una droga chiamata aptoxin4869, quella stessa sera” aggiunse, facendo rimanere a bocca aperta l’altra. “Quando sono tornato bambino all’inizio non me ne sono nemmeno accorto, sono stato addirittura portato in una centrale di polizia ***** perché pensavano mi fossi perso” sorrise divertito al ricordo. “Solo dopo essermi guardato allo specchio ho capito che ero davvero nel corpo di un bambino e così sono scappato, sono corso a casa di Agasa”
Ogni parola che il detective dell’est diceva, bastava a ipnotizzare ancora di più Ran. Forse perché finalmente le stava raccontando tutta la verità, quella verità che aveva cercato ovunque per anni senza mai riuscire a trovarla.. o forse perché sentire tutto ciò che Shinichi aveva passato, quella razionalità che non lo abbandonava mai, quel modo che aveva di raccontarle le cose e quegli occhi che, si rese conto, stavano illuminando, non erano cupi come quel pomeriggio, come negli ultimi dieci anni, erano serviti a incantarla, a farla sentire come vittima di un uragano, tornado, da cui non aveva intenzione di uscire.
“Ti avrebbero ammazzata” la distolse dai suoi pensieri, l’ormai ventisettenne, riportandola alla realtà. “E non potevo permetterlo” aggiunse, rialzando lo sguardo al cielo nel sentire il viso riscaldarsi, scottare.
“Non hai mai pensato che anche senza che io lo sapessi, casomai quei criminali ti avessero visto con me e ti avessero scoperto, alla fine sarei stata in pericolo comunque?” gli chiese, sorridendo all’ingenuità dell’amico d’infanzia.
Quello sembrò come cadere dalle nuvole, prima di ricomporsi e risponderle con sicurezza come aveva fatto con le ultime domande.
“Sì, ma.. se l’avessi saputo, ti saresti comportata in modo diverso con me, non mi avresti trattato da bambino delle elementari, ma da liceale. Capisci che intendo?”
Ran gli lanciò uno sguardo seccato. Sì, poteva anche essere il detective più bravo del Giappone, l’Holmes del nuovo millennio.. ma in quel momento, l’ostilità nel tenerla al sicuro, la faceva sentire come se fosse un’incapace, un’incapace che non sapeva difendersi da sola.
-In fondo, è fatto così..- sospirò rassegnata, portando anche lei lo sguardo in alto, verso quella luna piena che brillava in mezzo al cielo buio.
Per un attimo, quella sfera brillante, per qualche strano motivo, le ricordava Shinichi.
Intorno a lui c’era un’organizzazione criminale, una pericolosissima organizzazione criminale, da quel che aveva capito, e lui continuava ad andare avanti come se niente fosse, continuava a lottare come la luna lottava per brillare in mezzo al buio...
Ma che alla fine, con o senza il suo volere, veniva aiutata da tutte le stelle che, come piccoli puntini, come piccoli fiori in mezzo a un prato, brillavano insieme ad essa.
Sorrise, non riuscendo a fare a meno che pensare a quanto stupido fosse stato a pensare di riuscire a fare tutto da solo.
 
Passarono alcuni minuti di puro silenzio.
La luna continuava a brillare come consuetudine, e Ran continuava ad adularla in tutta la sua bellezza dimentica di ciò che stava succedendo, che era successo in così pochi istanti.. o forse, semplicemente, la guardava per trovare un rifugio da quella verità che aveva dell’incredibile, per riuscire a non impazzire per via di ciò che aveva appena sentito uscire dalle labbra di Shinichi.
Shinichi, che aveva spostato la sua attenzione dalla luna a qualcos’altro che in quel momento gli fece formare un nodo alla gola.
Osservava la figura di Ran innanzi a lui, con solo i raggi della luna a illuminarla, senza riuscire a fare a meno di pensare che fosse bellissima.
Arrossì al suo stesso pensiero, maledicendosi mentalmente.
Già, in un modo o nell’altro, era riuscito a non farsi odiare dall’unica persona che davvero contava nella sua vita –o almeno così sperava.. certi pensieri forse, per il momento, se li sarebbe anche potuti tranquillamente risparmiare.
“Secondo te ho sbagliato a non capire la verità per tutti questi anni, a ignorare tutti quei segni e quelle prove che mi lasciavi, continuando a credere alle tue bugie?” domandò all’improvviso Ran, facendo distogliere il detective dai suoi pensieri.
“Beh” rise, una volta risvegliatosi da quello stato di trans in cui pareva essere caduto, avvicinandosi lentamente a lei mentre del rossore cominciava a espandersi sulle sue gote, così come su quelle della brunetta che aveva appena abbassato il capo per poterlo guardare negli occhi. “Probabile, cioè, avevi tutti gli indizi tra le mani e non sei riuscita a combinare niente per dieci anni.. sei un pessimo detective” ironizzò, ormai a pochi centimetri da lei.
“Beh, in confronto a te chiunque lo sarebbe.. Holmes” rispose Ran, ripagandolo con la stessa moneta, limitando ancora di più la distanza che c’era tra loro due.
“Elementare, Watson!” continuò il gioco Shinichi, per poi scoppiare a ridere entrambi, senza rendersi minimamente conto dell’improvvisa vicinanza tra i loro visi.
Le fronti quasi aderivano l’una all’altra.
I corpi già si sfioravano, si toccavano.
Le loro labbra erano quasi vicine, si sarebbero potute sfiorare, volendo, ma non toccare.
Bastò un tocco non voluto delle loro dita, un piccolo tocco, a fermare la loro risata.
Si guardarono negli occhi per attimi che sembravano infiniti.
Non sapevano com’erano finiti in quella posizione, com’erano arrivati a essere così vicini senza nemmeno accorgersene, e nemmeno riuscivano a dare una spiegazione a quel piacere, a quella voglia che entrambi provavano, che entrambi bramavano.
Abbassò le sue iridi cobalto, Shinichi, incontrando le labbra dell’amica con essi.
Deglutì, chiudendo lentamente gli occhi e colorando il viso di un lieve rossore.
Ran, dal canto suo, notò le mosse dell’altro e non poté che arrossire anche lei. Si avvicinava sempre di più, le loro fronti ormai aderivano l’una all’altra, i loro respiri potevano fondersi, tanto erano vicini...
Deglutì, chiudendo anche lei gli occhi con flemma, inclinando il capo leggermente a destra e avvicinandosi ancora di più al detective, aiutandolo a neutralizzare quella distanza tra di loro.
Non fece nemmeno in tempo a fare tutto ciò, però, che sentì qualcosa di caldo e morbido adagiarsi sulle sue labbra.
Sorrise a quel tocco così dolce quanto deciso, così timoroso quanto sicuro.. così unico quanto bramato da entrambi. Sorridendo come fece anche Shinichi, che senza più alcuna esitazione strinse la donna sui fianchi, facendola aderire ancora di più al suo corpo, approfondendo ancora di più quella dolce e passionale unione e voglia di cui, entrambi, erano ormai vittime.
Niente più organizzazione, niente più verità, niente più Conan e bugie..
In quel momento sembrava essere sparito tutto, essere volato via tutto come petali di rose al vento, come se non ci fossero mai stati tutti quegli ostacoli a sbarrargli la strada.
In quel momento, solo quel tocco, quel tocco tanto bramato, importava a entrambi.. tutto il resto non aveva più importanza.





*"Shinjitsu wa itsumo hitotsu", in italiano "la verità viene sempre a galla". E' la frase che Shinichi dice sempre nella sigla di ogni film.
**Capitolo 12: Impressioni sotto la pioggia.
***Episodio 1, Anime; File 1, Manga. 
****Capitolo 5: Quando il pericolo si concretizza.
*****E' tratto dal manga quel pezzo, in quanto Shinichi, nell'anime, non va alla centrale di polizia ma scappa fin da subito.

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Capitolo 23
*** Schegge ***


Capitolo ventitré
Schegge
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…Sorrise a quel tocco così dolce quanto deciso, così timoroso quanto sicuro.. così unico quanto bramato da entrambi. Sorridendo come fece anche Shinichi, che senza più alcuna esitazione strinse la donna sui fianchi, facendola aderire ancora di più al suo corpo, approfondendo ancora di più quella dolce e passionale unione e voglia di cui, entrambi, erano ormai vittime.
Niente più organizzazione, niente più verità, niente più Conan e bugie..
In quel momento sembrava essere sparito tutto, essere volato via tutto come petali di rose al vento, come se non ci fossero mai stati tutti quegli ostacoli a sbarrargli la strada.
In quel momento, solo quel tocco, quel tocco tanto bramato, importava a entrambi.. tutto il resto non aveva più importanza…
 
Ombre.
Sagome nere alle loro spalle riproducevano le loro stesse mosse come fossero il loro riflesso in uno specchio, specchio che, da tante piccole schegge quale si era ridotto, in quel momento si stava rimettendo apposto da solo.
Ogni minima scheggia, ogni minima parte di quel puzzle trasparente e riflettente tornava d incastrarsi con le altre senza più alcuna fatica, come fossero calamite attratte le une dalle altre senza poter farci niente, poter ribattere e dire la loro a riguardo, diventando una cosa sola.
Solida, resistente, ormai immune a qualsiasi altro tentativo di essere rotto.
Immune a qualsiasi altro tentativo di essere anche solo scheggiato.
Specchio come lo erano Ran e Shinichi, che in tutti quegli anni passati lontani, tutto quello che avevano passato e provato erano ormai solo schegge. Schegge che nonostante provassero a stare lontane l’una dall’altra, nonostante i momenti in cui, di ritornare un’unica cosa, una delle due non ne aveva la minima intenzione, alla fine si ritrovavano assieme come calamite.
Più cercavano di stare lontani l’uno dall’altra, più cercavano di mostrare il lato opposto a quello dell’altro, e più si ritrovarono vittime di quella strana forza chiamata gravità.
In fondo, due calamite alla fine s’incontrano sempre, no?
Le loro labbra continuavano a scontrarsi con un misto tra dolcezza e desiderio, le loro lingue erano ormai vittime di una danza passionale che, nessuno dei due, voleva fermare.
Non si sentiva alcun rumore in quella notte di luna piena, nessun suono, nulla.
Solo l’eco delle loro risate fermate qualche minuto prima dopo essersi accorti della loro vicinanza, solo i loro respiri affannati e il battito accelerato dei loro cuori, che tanto batteva forte, sarebbe potuto tranquillamente uscire dallo sterno di entrambi.
Ran portò le braccia dietro il collo del detective, incrociandole, e portandolo ad avvicinarsi sempre di più a lei, ad aumentare sempre di più la presa sui suoi fianchi, il ritmo di quella danza passionale in cui le loro bocche erano intrappolate.
Quanto avevano dovuto aspettare per poter finalmente avere quel momento, quanto?
Ben dieci anni.
Se al momento tutto quel lasso di tempo perso contava? Neanche un po’.
Non contava più il tempo perso come non contava più qualsiasi altra cosa che in quell’istante stava accadendo.
Non importava nulla, semplice.
Shinichi, spinto da una sensazione che non sapeva spiegare col cervello, non riusciva a classificare né capirne il motivo, fece distendere con delicatezza la ventisettenne sulla fredda scrivania scura al centro di quella stanza, mettendosi lentamente sopra di lei, poggiando i gomiti ai lati del corpo della giovane per poter reggersi e non rischiare di schiacciarla col peso del suo.
I loro corpi aderivano perfettamente l’uno all’altro, come fossero stati creati apposta per stare insieme; i loro respiri si fecero sempre più affannati, il cuore che batteva sempre più veloce, la mente di entrambi che lentamente si appannava, si offuscava, togliendoli quasi del tutto la ragione, lasciandoli sotto il completo controllo di quella passione, dolce esternamente ma piccante nel profondo, innocente e inesperta quanto bramosa.
Il detective distolse le labbra da quelle della brunetta, portandole lentamente al collo dove vi lasciò piccoli e continui baci.
Ran cominciò a portare le mani ai capelli dell’amico d’infanzia, giocandoci e rigirandoseli tra le dita.
Sorrise, Shinichi, scendendo sempre più giù fino al primo bottone della camicia nera di Ran. Deglutì, spostando poi il suo sguardo dal tessuto dell’indumento al viso dell’amica d’infanzia, guardandola negli occhi coi suoi blu oceano, come a chiederle il permesso di continuare.
Quella ricambiò lo sguardo lasciandosi sfuggire un sorriso, prima di annuire.
Rispose al suo sorriso con un altro dolce, prima di tornare al corpo della donna.
Slacciò lentamente un bottone dietro l’altro, con una lentezza che fece venire l’ansia alla karateka, con una lentezza che in realtà fungeva da maschera a tutta quella voglia che serbava, custodiva.
Rimase incantato dalla vista che gli si parò dinanzi, una volta aperta completamente la camicia.
Tanto incantato che, dopo essersene accorto, abbassò immediatamente il capo al petto di quella per non farle notare il rossore sulle sue gote.
Fece per lasciare l’ennesimo bacio, quando un tonfo sordo, proprio dietro di loro, non li costrinse a fermare tutto quanto.
Niente più cuore che batteva all’impazzata, niente più mente offuscata dal desiderio, niente più tutta quella sicurezza che avevano avuto fino a qualche attimo prima.
Si lanciarono uno sguardo veloce, i due, accorgendosi sin da subito dei visi di entrambi che, nel giro di pochi secondi, si fecero scarlatti.
Lentamente, Shinichi voltò il capo per poter scorgere la fonte di quel rumore che li aveva fermati in un momento così.. speciale, ecco, sperando fosse semplicemente caduto un libro da uno degli scaffali della gigantesca libreria.
Speranza che morì non appena realizzò cosa, o meglio, chi, era la causa di quel tonfo.
Una valigia di pelle, un’enorme valigia di pelle, stava a terra completamente ribaltata, poco distante dall’immagine di un paio di scarpe azzurre col tacco.
Alzò lentamente lo sguardo da terra, scrutando ogni minimo dettaglio del corpo della persona che stava a pochi metri da loro, maledicendosi sempre di più nel riconoscere ogni lineamento del corpo di quella donna.
Lunghi capelli color miele, sciolti, con morbidi boccoli alle punte e lisci man mano si saliva su verso la radice di quella chioma.
Viso pallido, labbra colorate da un velo leggero di rossetto chiaro, due enormi occhi blu  che più passavano i secondi, più focalizzava l’immagine che le si parava dinanzi tra quel buio in cui difficilmente si poteva vedere, più si spalancavano.
Deglutì, Shinichi, seguito a ruota da Ran quando, per curiosità, allungò il capo per avere anche lei una vista di ciò che stava succedendo.
“Ma.. ma” non riusciva a parlare, il detective. Le parole gli morivano in gola, la voce non usciva nemmeno.
L’unica cosa che quel momento abitava nella sua mente era il fatto che, la sua vita, a partire da quel preciso istante, non sarebbe più stata serena e felice come sperava, ma una tortura fino alla sua morte.
“SHIN-CHAN!” urlò Yukiko, ormai per la cinquantina, congiungendo le mani a mo’ di preghiera, e mutando improvvisamente espressione.. come sperava non facesse il figlio. “Ma ma.. io me ne vado lasciandoti bambino e torno trovandoti uomo e con la tua ragazza?! DOVEVI DIRMELO!” sbottò tutta allegra, facendo arrossire ancora di più i due ventisettenni.
“M-Mamma!” voleva essere serio, voleva risultarlo e far cambiare così atteggiamento all’ex idol.. ma il rossore sul suo viso lo resero tutto meno che tale, suscitando la reazione opposta alla donna.
“Non dirmi che vi siete sposati e vivete qui a mia insaputa!” disse preoccupata, facendo adirare ancora di più il figlio.
Ran osservava la scena rossa come un peperone, ancora sotto il corpo di Shinichi sulla scrivania.
“NON SIAMO SPOSATI E NON STIAMO FACENDO CIO’ CHE PENSI!” sbottò adirato il detective.
“Assì? E sentiamo, che stavate facendo voi due quindi?” gli chiese, incrociando le braccia al petto e sorridendogli con fare spavaldo.
“Beh noi” provò a pensare ad una scusa, l’uomo, per poi stendersi sul corpo della donna dalle iridi  violacee –facendola diventare porpora per la vergogna, e allungando il braccio verso il cassetto della scrivania, tirandone poi fuori un libro e alzandosi da quella posizione, mettendosi in piedi. “E-era venuta a c-chiedermi questo libro” disse, tentando di risultare convincente agli occhi della madre che per tutta risposta lo guardò seccata.
“Ah, e quindi da adesso, per prestare il libro a qualcuno, ti ci devi stendere sopra e slacciarle la camicia? Però, che fine ha fatto il semplice ‘andare a prenderlo dallo scaffale mentre lei mi aspetta vicina alla porta’?” domandò, facendo notare a Ran il fatto che aveva la camicia ancora aperta e che forse, forse, le sarebbe convenuto abbottonarla.
Shinichi sembrò quasi cadere dalle nuvole, con le spalle al muro.. era Yukiko Kudo quella, in fondo, doveva trovarsi scuse migliori, no?
“D-Diciamo che siamo inciampati, ecco..” provò a dire, cingendo le braccia con fare sicuro.
“E la camicia si è sbottonata da sola perché è difettosa, non è così?” lo schernì la madre.
Il detective la guardò per qualche secondo, secondo in cui si lanciarono sguardi spavaldi e sfrontati che Ran, messa da parte da madre e figlio, non capiva proprio.
Chinò il capo sospirando, alla fine, il più giovane dei due, facendo sorridere vincitrice la madre.
“Hai indovinato mamma, brava”
Strabuzzò gli occhi spiazzata, la quarantottenne, per poi scoppiare a ridere.
“Va bene, va bene” disse, senza riuscire a smettere di ridere. “Fingo di crederti”
“E’ LA VERITA’!” le urlò contro l’investigatore, mentre quella, ancora tra le risate, lasciava la stanza per andare al piano di sopra.
“Ah Ran” disse, prima di chiudersi dietro la porta, attirando così l’attenzione della ventisettenne.“E’ tardi ormai, perché non resti qui?” le propose, per poi sorridere spavaldamente nel vedere l’espressione seccata dipinta sul viso dell’amico. “Posso lasciarvi la mia camera così che tu e Shin-chan potete finire ciò che avevate cominciato” ammiccò, facendole l’occhiolino.
La ragazza, appena tornata di un colorito normale, divenne nuovamente rossa, così come Shinichi.
“MAMMA!”
“E va bene, e va bene.. scusa” rise la bionda, facendo soltanto sbuffare annoiato e offeso il figlio.
 

***

 
Le tende bianche e fini della stanza sventolavano per via della finestra dimenticata aperta e il lieve e fresco venticello che in quell’ora del mattino fluttuava nell’aria, donando una piacevole sensazione a chiunque si trovasse fuori in quel momento; assieme a dei fiochi e rossi fasci di luce che donavano un aspetto calmo e accogliente alla camera da letto così come a quel vialetto isolato della chiassosa metropoli.
Gli ultimi petali color confetto si accasciavano delicatamente a terra colorando di rosa pallido le strade di Beika così come quelle dell’intera isola Giapponese, abbandonando gli alberi su cui erano cresciuti venendo invece rimpiazzati da delle piccole bacche scarlatte, che nel giro di un mese sarebbero diventate ciliegie.
Gli uccelli, rimpatriati tutti quanti proprio su quei rami che lasciavano cadere e morire i loro petali dai colori pastello, canticchiavano melodie rilassanti inaugurando la giornata proprio come fecero il giorno prima e quello prima ancora, per poi cominciare a gruppi ad abbandonarli per cominciare la solita routine.
“Hmm” mugugnò il ventisettenne, infastidito dai raggi solari che, poggiandosi sul suo viso, gli pizzicavano gli occhi, destandolo dal suo sonno tranquillo, e il cinguettare degli uccelli, che rompevano quella quiete presente nella stanza.
Shinichi si rigirò nel letto portando le lenzuola fino a coprire completamente il viso, sperando così di riuscire a continuare a dormire. Invano, però.
Sbuffò, scocciato, aprendo lentamente gli occhi sbadigliando ancora piuttosto stanco, mentre le immagini e i ricordi di qualche ora prima si proiettavano lentamente nella sua mente come fossero il nastro della videocassetta di un vecchio film, riprendendo solo quelli più importanti di momenti, quelli più significativi.
Vermouth che dava una strana busta a Ran.
Lui e Ran che litigano, lei che comincia a correre per una via e lui che la segue per una giornata intera.
Haibara e l’antidoto.
Ran e…
“L’antidoto” sussurrò, sbarrando gli occhi di scatto, come scottato da qualcosa, come se una cascata d’acqua gelida gli fosse stata buttata addosso, svegliandolo completamente.
Colpito da uno strano impulso, alzò immediatamente la mano destra portandola dinanzi al viso, esponendola alla debole e calda luce che proveniva dalla finestra, girandola e rigirandola su se stessa, scrutandola come fosse la prova, quel piccolo ma introvabile tassello che con cura aveva cercato per così tanto tempo sperando di riuscire finalmente a completare quel puzzle difficile ed intricato che lo tormentava da tanto tempo.
Era più grande, notò.
Come d’istinto, le sue mani andarono lentamente a toccare ogni minimo angolo del suo viso, del suo corpo, fino ad arrivare alle coperte bianche che scostò bruscamente, permettendosi in questo modo di abbandonare il letto e dirigersi nel bagno accanto alla sua camera.
La sua camera… da quanto tempo non dormiva più lì?
Da un bel po’.. da dieci anni, costatò. Talmente tanto tempo che chiamarla con quell’aggettivo pareva strano, inappropriato.
Si avvicinò lentamente al piccolo specchio sopra il lavandino, come se avesse paura che il risultato, ciò che sarebbe stato riflesso da quell’oggetto, non gli avrebbe fatto piacere, che tutto ciò che aveva toccato con le sue mani e visto con le sue grosse iridi blu oceano fossero solo illusioni, frutto della sua immaginazione.
Ma una volta raggiunto, nessun timore, nessuna paura.. solo un sorriso, un sorriso a trentadue denti, un sorriso sincero, si disegnò sul suo volto.
Il giorno prima non aveva avuto proprio il tempo di godersi il suo corpo, il suo vero corpo. Non ricordava nemmeno com’era, nonostante l’avesse assunto poche settimane prima, all’arrivo del primo antidoto con l’aggiunto dell’Assenzio*; e la voglia, l’idea di scoprirlo, di ricordare, che proprio il giorno precedente non gli aveva sfiorato minimamente il cervello, tanto era occupato a pensare a Ran, in quel momento l’assaliva in pieno come una calda folata di vento a metà agosto, facendolo isolare per qualche attimo, secondo, dal mondo intorno a lui.
Poggiò una mano sul viso, quasi a voler andare a confermare per l’ennesima volta che sì, quello riflesso in quello specchio, quell’uomo dai profondi occhi cobalto e quello stesso volto da diciassettenne con solo qualche lineamento da adulto in più, era lui, Shinichi Kudo. Non poté che ridere al pensiero, ridere felice.
-Bentornato, Shinichi-
Tornò velocemente nella sua stanza, quella stessa stanza che era rimasta vuota per ben dieci anni aspettando il suo ritorno, controllando subito che ore fossero sulla sveglia posta sul comodino.
Le sette precise.
-E’ ancora presto- appurò.
Diede una veloce occhiata alla camera e aprì con la stessa fretta gli armadi, sperando di trovarci un cambio dentro. Trovatolo, sorrise per l’ennesima volta in quei pochi minuti, e dopo averlo afferrato assieme a una grossa asciugamano blu, si avviò in bagno.
Poggiò il tutto su un mobiletto, e senza indugiare un secondo di più, aprì l’acqua della doccia infilandosi subito dentro, rilassandosi al tocco tiepido di quel getto.
 

***

 
Erano ormai le nove quando, dopo una piuttosto lunga doccia rinfrescante e qualche minuto passato a controllare che tutto fosse allo stesso posto in cui l’aveva lasciato anni addietro, Shinichi decise finalmente di scendere al piano di sotto.
Con una semplice camicia bianca dai primi bottoni lasciati aperti e un jeans chiaro, cominciò a scendere le scale gradino per gradino allacciando i bottoni alle maniche, quando uno strano e piacevole odore non gli inondò le narici, facendolo incuriosire, e non poco.
Scese gli ultimi gradini con passo più veloce di prima, avviandosi verso la fonte di quell’aroma che si era lentamente dissolto in tutta la gigantesca villa: la cucina. Si appoggiò allo stipite della porta, e lanciò un’occhiata in giro, cercando Ran.
Ran..
Solo dopo aver posato lo sguardo su dei lunghi boccoli dorati e una cucina molto diversa da quella della casa cui aveva abitato negli ultimi anni, gli tornò in mente il fatto che era a casa sua, non più in quella dei Mouri, e che sicuramente non sarebbe stata la stessa Ran a preparargli la colazione, a partire da quel momento.
Si avvicinò al tavolo, spostando una delle sedie in modo da potersi sedere, attirando così l’attenzione della madre che, nel sentire l’oggetto strisciare sul pavimento, lasciò immediatamente ciò che aveva tra le mani sussultando spaventata.
Yukiko si voltò di scatto, facendo sbuffare il figlio che, facendo finta di niente, si sedé poggiando poi svogliatamente i gomiti al freddo ripiano e la testa su una mano.
“Buon giorno” sorrise poi la bionda, nel costatare che la causa di quel rumore fosse proprio il figlio. Figlio che per tutta risposta mugugnò qualcosa d’incomprensibile.
Doveva ammetterlo: più passavano gli anni, più le cose cambiavano, e più quel maniaco di gialli di suo figlio rimaneva uguale, il solito che pur di non lasciarsi sfuggire un complimento, o scomporsi, si limitava semplicemente a qualche parola scocciata o uno sbuffo. Sorrise, tornando poi a cucinare canticchiando una canzone sentita qualche giorno prima di lasciare gli Stati Uniti.
“Si può sapere che stai facendo?” domandò all’improvviso Shinichi, con espressione seccata.
La madre sbuffò dinanzi alla gentilezza del figlio, per poi ricomporsi e comportarsi come sempre.
“Secondo te?”
L’altro sembrò rimuginarci un attimo su, per poi rispondere con una naturalezza quasi incredibile.
“Secondo me stai cucinando qualcosa di appena passabile e mangiabile pensando sia chissà che, come sempre d’altronde”
A quelle parole, le dita dell’ormai quasi cinquantenne andarono a stringere il mestolo di legno con cui stava impiattando il riso**, quasi rompendolo, mentre l’ira dentro di lei lentamente cresceva.
D’accordo che il figlio non si era mai abbandonato a un complimento in vita sua per quanto riguardava la cucina della madre, ma fino a quel punto! Cominciava a pensare che forse non gliel’avrebbe dovuta dare la sua colazione, visto ciò che aveva detto; ma poi le venne in mente un’idea migliore per fargliela pagare al ventisettenne, un modo che, sapeva, lo infastidiva vagamente.
“Oh beh” sospirò, una volta poggiata la scodella di riso davanti a Shinichi. “E’ ovvio che per te qualsiasi cosa che non sia stata cucinata dalle dolci mani della tua Ran sia orrenda e appena passabile, no?” a quelle parole il volto del detective si tinteggiò di una tonalità di rosso acceso e intenso tanto quanto quello di un peperone, facendo scoppiare a ridere l’ex idol, che alla vista della reazione del figlio, rimase divertita.
“Poverino, chissà anche come ti mancheranno d’ora in poi tutte quelle cure e attenzioni che ti dava!” continuò a schernirlo, ridendo di gusto mentre quello imprecava, cercando di ingoiare qualche chicco di riso con la speranza che, sentendosi ignorata, la donna avesse smesso, nonostante quello stesso riso non facesse altro che rimanergli in gola facendolo quasi soffocare.
“Sicuramente ci starai male a sapere che Ran non potrà più prendersi cura di te… come ieri sera, per esempio” si lasciò andare a una fragorosa risata, nel notare il viso del figlio andare a fuoco per la vergogna.
In quel momento, tutto ciò che desiderava, era che quella donna se ne ritornasse da dove era venuta e lo lasciasse in pace. Detestava quel suo modo di metterlo in imbarazzo solamente per divertimento. Gli riportava alla mente quell’oca di Sonoko, quando lo faceva.
Rimase in silenzio, sapendo che se avrebbe urlato qualcosa tipo “smettila mamma!” il risultato sarebbe stato soltanto l’opposto di quello da lui sperato, pensando invece a qualche argomento da intavolare in modo da poter sviare il discorso ‘Ran’ mentre la madre gli passava anche il resto della colazione.
“Papà?” gli venne improvvisamente in mente il padre, e nel non notarlo da nessuna parte, decise di usare quella come scusa per cambiare discorso.
Yukiko sbuffò, sedendosi di fronte al figlio mentre avvicinava la sua ciotola di riso alla bocca.
Shinichi le lanciò uno sguardo scocciato, ingoiando l’ultimo boccone.
“Non dirmi che avete litigato”
“Tsè, figuriamoci!” si affrettò a rispondere la bionda, leggermente alterata. “Semplicemente, sono stufa del fatto che torna a casa tardi tutte le sere per via di alcune feste e robe varie. Lui e i suoi stupidi libri” sbuffò, senza però mai distogliere lo sguardo dalla propria colazione.
Il detective osservò la madre all’inizio con gli occhi ridotti a due puntini, per poi lasciare che le sue labbra si curvassero in un sorriso.
Possibile che dopo tutti quegli anni quei due litigassero ancora per gli stessi stupidi motivi?
 
Passò qualche minuto di silenzio nella gigantesca villa, spezzato ogni tanto dal rumore delle bacchette di legno dei due inquilini.
Poggiò il bicchiere d’acqua sul tavolo, spostando le iridi blu verso l’orologio poco più distante.
“Cavolo sono già le dieci!” sbottò Shinichi, alzandosi di scatto e sbattendo con poca eleganza la sedia.
“Che ti prende?” gli chiese confusa la madre, nel vedere il figlio correre verso la porta di casa.
“Se chiama o viene Haibara dille che vado da lei nel pomeriggio, che adesso devo andare da Ran” le urlò, allacciandosi velocemente le scarpe e afferrando la prima copia di chiavi che vide.
Si erano messi d’accordo la sera prima che sarebbe andato a trovarla in agenzia verso le nove e mezza, come aveva fatto a dimenticarselo?
Sentì i passi della madre farsi sempre più vicini, mentre con un’alquanta fretta apriva la porta di legno scuro.
“Shin-chan” lo richiamò l’americana, prima che quello potesse mettere piede fuori in giardino.
“Hmm?”
“Mi raccomando, controllate che non ci sia Kogoro prima” gli disse con un sorriso malizioso disegnato in volto, lasciandolo inizialmente spaesato.
“Perché dovrei controllare che non ci sia..” improvvisamente il vero senso delle parole della madre gli arrivarono nitide e chiare, facendolo diventare paonazzo, quasi viola. “MAMMA!”
“Va bene! Va bene, scusa!” rise quella, mentre l’altro uscì adirato sbattendosi la porta dietro.

-Doveva tornare proprio adesso quella lì?!-




*Capitolo 9, "La seconda condizione- seconda parte".
**In Giappone la mattina, per colazione, è tipico mangiare del riso.


Nana's Corner:
Sono in ritardo, lo so. Ma a mia discolpa posso dire che il capitolo era pronto tre settimane fa ma che mi ero dimenticata di pubblicarlo u.u
... dalla serie "vi do un motivo in più per detestarmi" .-.
No, comunque, konnichiwa! :D
Apparte il ritardo di un mese che no, non ho passato a girarmi i pollici LOL ma a scrivere il prologo di una fic e a rielaborare tutti i capitoli da qui in poi -sì, dopo aver deciso come far finire la fic, mi è venuta un'altra idea e quindi è stato un casino ^^", eccoci finalmente qui con questo capitolo che è il penultimo prima dello scontro con l'organizzazione! :D
La prima parte è.. ok, siate sinceri, sono OOC Ran e Shinichi?! D:
Ho come l'impressione che lo siano.. S:
Ma parlando di cose più allegre.. voi sapete no che io NON posso dare un momento come si deve a 'sti due, sì? Bene, chi di voi sapeva l'avrei fatto anche sta volta facendo entrare in scena Yukiko? LOL
Hahaha spero vi sia piaciuta la sopresa almeno quanto a me è piaciuto scrivere quella parte xD
Beh.. che dire.. *cerca di dire qualcosa.. non sa che dire .-.*
Spero che i personaggi siano IC ^^" *prima cosa che le viene in mente*
Cmq, grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo, a chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate e a chi legge solamente. ARIGATOU!!!! <3<3<3
E, per la felicità di qualcuno...

Metantei's Corner! :D
1- Che faranno Shinichi e Ran nel prossimo capitolo? *niente pensieri come quelli di Yukiko.. arigatou xD*
2- Per chi se lo ricorda, questo e il prossimo sono gli ultimi "momenti" in cui potrete dedurlo quindi.. cosa c'era scritto nella lettera trovata da Haibara nel laboratorio, secondo voi?

3- Special: questo particolare non l'avrete quasi sicuramente notato ma.. non vi sembra che c'è qualcosa nel chap che non va o manca? 
Su su, detective, voglio sapere le vostre teorie!! :D

E per oggi abbiamo finito.
Grazie ancora per aver letto i capitoli fino a questo. Ormai non manca più molto alla fine e...
No, siamo positivi u.u
Beh, niente.
Spero il capitolo vi sia piaciuto ^^
Alla prossima!

XXX,
Nana.

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Capitolo 24
*** Passi ***


Capitolo ventiquattro
Passi
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Il rumore causato dai suoi tacchi riecheggiava lungo il buio e tetro corridoio, situato in un piano della struttura dove difficilmente vi arrivava luce.
Quel semplice suono regnò da solo in mezzo ad esso senza altri ad accompagnarlo per un periodo di tempo indefinito, per poi cessare di colpo, lasciando il posto ad un tombale silenzio. Silenzio che non durò a lungo, però.
Dopo solo qualche secondo, lo scricchiolio causato da una porta occupò il suo posto, e una nube di fumo grigia fuoriuscì da quella andandosi ad espandere per il corridoio.
Battè un pugno sulla porta come ad indicare che stesse per entrare, per poi mettere piede nella stanza e richiuderla dietro di sé.
"Hai fatto come ti ho ordinato?" chiese una voce, nascosta dietro ad una sedia girevole in pelle color nera in fondo alla stanza.
Era un posto buio, come il resto dell'edificio d'altronde.
Un'unica abat-jour, poggiata sulla scrivania di legno pregiato al centro di quell'ultima, regalava qualche fioco fascio di luce che a malapena andava a schiarire quei pochi centimetri attorno a sé, dandole un aspetto ancora più freddo di quello che già mostrava.
Dal lato opposto, invece, una bottiglia di liquore semivuota, con accanto un bicchiere di cristallo contenente qualche goccia di quel liquido color scarlatto.
"Non si preoccupi" rispose, con quel suo solito tono spavaldo e sicuro di sé. "Gli uccelli sono tutti in gabbia ormai"
L'altro, con ancora lo sguardo fisso sulla parete di fronte a lui, si limitò ad aspirare l'ennesima boccata di fumo, prima di curvare gli angoli della bocca con fare soddisfatto.
"Ottimo"
 
***
 
“Come ‘se n’è andato via’?”
Non sapeva come rispondere a quella domanda, Ran, e dal nervosismo cominciò a giocare con le sue stesse dita, intrecciandole tra di loro e sciogliendole di conseguenza, lasciandosi sfuggire una leggera risata che lasciò il padre ancora più confuso di prima.
“Ehm.. ecco..”
“Ieri è venuta la madre a prenderlo per tornare insieme in America” nel costatare la difficoltà dell’amica d’infanzia nel trovare una risposta, una scusa, da dare al padre, Shinichi decise di farlo lui, guadagnandosi semplicemente l’ennesimo sguardo truce dall’uomo che –inconsciamente, lo aveva ospitato in casa sua per dieci anni.
“Hmm” si limitò poi a dire il detective in trans, riportando per qualche istante lo sguardo verso il piccolo televisore lì accanto seppur ancora piuttosto adirato e infastidito dalla presenza dell’amico della figlia.
Come prestabilito la sera prima, Shinichi e Ran si erano incontrati nuovamente quel mattino per decidere cosa dire a Kogoro riguardo alla scomparsa di Conan, e, seppur nessuno dei due l’avesse fatto intendere all’altro ma lo sperasse immensamente, per parlare di ciò che era successo tra loro.
Fortunatamente, il padre della donna era già in agenzia quando Shinichi arrivò, e nonostante un’iniziale ira del più vecchio nel rivederlo lì, con sua figlia, dopo dieci anni, come se niente fosse, e un battibecco con la stessa Ran, riuscirono comunque nel loro intento.
Si voltò verso l’amico, sorridendogli senza un apparente motivo.
Il padre che urla nel rivedere il suo viso, lui che acquista quell’espressione visibilmente scocciata, i loro scambi di battute e occhiatacce.. tutto ciò le faceva fare un tuffo al passato, quel passato che tanto le metteva un senso di nostalgia in ogni singola cellula del suo corpo.
Quanto dovette aspettare per poter riavere e riabbracciare quei momenti? Quante lacrime dovettero essere versate prima che finalmente quella parete piena di ricordi spenti che le aveva lasciato la partenza di Shinichi potesse finalmente tornare in vita, tornare ad essere più di un semplice ricordo? Dieci anni? In quel momento non le sembravano nemmeno settimane.
Se l’avesse detto a Shinichi, lui le avrebbe dato della smielata o avrebbe semplicemente assunto un'espressione annoiata, lo sapeva benissimo, eppure non poteva fare a meno di ammettere a se stessa che le era mancato, che riaverlo lì con lei era la cosa che in quel momento le faceva dimenticare tutto il resto, o che rivedere quella sua solita espressione seccata riusciva a sciogliere ogni minima particella di ghiaccio che aveva faticato così tanto a costruire intorno al suo cuore pur di non dover soffrire più per colpa sua…
Che ogni minimo suono uscito dalle sue labbra riusciva a fornirle l’energia necessaria al suo cuore per battere.
Era la sua rovina, in pratica. Ma nonostante tutto non riusciva a staccarsi da lui.
Non riusciva a non perdonarlo seppur fosse arrabbiata con lui per averla tenuta all’oscuro, o meglio, letteralmente al di fuori della sua vita per tutto quel tempo, per tutti quegli anni.
Non riusciva a spegnere quella strana sensazione che lui le provocava; poiché, anche se ci avesse provato, ogni volta la sua mente non faceva altro che accendere tutte le emozioni provate qualche ora prima, tutte le sensazioni, quegli scambi e giochi di parole tra di loro, la luna piena e.. semplicemente lui, portandola inevitabilmente ad arrossire.
Quel lui che, in quel momento, le era ancora accanto, con le iridi di quel blu oceano quasi surreale stranamente distratte, assorte come sicuramente la sua mente; e i ciuffi corvini che con fare delicato e ribelle al tempo stesso ricadevano sulla sua fronte.
Incantata, rimase a fissare il suo viso privo d’imperfezioni dimentica di tutto il resto, fino a quando la voce scocciata di suo padre non la riportò alla realtà.
"Ran?! Ma mi ascolti?" le urlò il cinquantenne. "Puoi spostare la tua attenzione da quel moccioso a me per un attimo?"
Se già prima le sue gote avevano intrapreso un colorito piuttosto acceso, in quel momento sentì il suo intero volto andare letteralmente a fuoco.
Lo stesso per Shinichi, che cercò di mascherare l'imbarazzo che la situazione stava cominciando a creare fingendo un attacco di tosse.
Kogoro sbuffò, prima di tornare a parlare.
"Dicevo, si può sapere dove sei stata ieri? Ti ho sentita tornare in piena notte!" sbottò, facendo involontariamente arrossire ancora di più Ran che, in quel momento, non aveva più la ben che minima idea su cosa inventarsi.
Aspettò qualche attimo in speranza di una risposta, quando, nel rendersi conto del rossore sul viso della figlia, un pensiero lo sfiorò, aumentando ancora di più quel fastidio che la presenza del giovane Kudo gli recava. “Non dirmi che eri a casa sua!”
“PAPA’!” urlò la donna dalle iridi violacee, con il viso che in quel momento pregava per un getto d’acqua che avesse potuto spegnere quell’incendio che lo aveva divorato; mentre il giovane accanto a lei si stava quasi soffocando con la sua stessa saliva. “Ma che ti salta in mente?! Ero… ero…”
“Eravamo andati a salutare il piccolo Conan in aeroporto” si affrettò a tenere il gioco Shinichi, salvando per l’ennesima volta l’amica d’infanzia.
Il cinquantenne gli rivolse uno sguardo che di rassicurante aveva ben poco, per poi incrociare le braccia al petto con fare indagatore e leggermente seccato.
Eravamo? Com’è che stai sempre dappertutto come il prezzemolo te? Me lo spieghi Holmes?” domandò, marcando il nome del detective londinese di un accento sarcastico.
Ran si voltò in sua direzione, decisamente allarmata. Che si sarebbe inventato adesso?
Ci rimuginò su qualche secondo, il moro, per poi rispondere con una naturalezza da fare invidia al più bravo degli attori.
“Semplice” cominciò, con l’attenzione di entrambi i Mouri concentrata su di sé. “E’ un mio parente, e siccome ero qui mi sembrava giusto andare a salutarlo anch’io”
Inutile dire che la karateka si lasciò ad un sospiro di sollievo, non appena il padre annuì rassegnato dal fatto che quel moccioso, come usava chiamarlo lui, era riuscito –per l’ennesima volta, a rispondere ad una sua domanda senza scomporsi di un millimetro.
Era quasi surreale il modo in cui ogni volta aveva sempre una dannatissima risposta pronta. Che se le preparava la notte prima con la speranza qualcuno gliel’avrebbe chieste poi il giorno seguente?
Gli lanciò un ultimo sguardo truce, il detective in trans, come ad indicare che, seppur per quella volta se la fosse scampata, non sarebbe andata allo stesso modo anche la prossima; per poi voltarsi e tornare a impegnare i suoi occhi sulla giovane figura di Yoko Okino in tv.
Incredibile come una persona riuscisse a guardare sempre le stesse cose ogni singolo giorno per tutto il tempo senza mai stufarsi.
Shinichi aspettò un attimo, prima di spostare la sua attenzione dalla figura del padre della karateka verso più punti della stanza, come a cercare qualcosa, o qualcuno.
“Ran” proferì parola all’improvviso, facendo quasi sussultare la stessa, colta alla sprovvista.
“Si?”
“Dov’è Hattori?” le chiese, cominciando ad inoltrarsi verso il divano poco distante dalla loro postazione.
“Hattori?” domandò quasi con un sussurro. Domanda che più che altro era rivolta a se stessa e non al detective. “Ah sì, ora ricordo! Sta mattina presto è uscito per andare a prendere Kazuha-chan alla stazione” si affrettò a rispondere, senza riuscire ad evitare il sorriso che le si stava disegnando in viso quando un certo pensiero le sfiorò la mente. “Non vedo l’ora di vedere il suo vestito! Sarà sicuramente bellissimo, ne sono certa!” cominciò a confabulare frasi sotto voce e a ridere allegra, con le mani unite a mo’ di preghiera appena sopra al petto.
Shinichi la osservò un pochino spaesato e al contempo curioso, mentre quella si sedeva tranquillamente di fronte a lui, sull’altro divanetto oltre al tavolino pieno di riviste e fogli vari.
Saranno fantastici!” continuò, suscitando alquanto interesse all’amico che, ignaro del senso delle frasi di quell’ultima, cominciò a rimuginarci su.
-Vestito.. Saranno.. non è che..?-
Le labbra cominciarono a curvarsi in un sorriso.
-Ah.. è così allora..-
Ora sì che poteva vendicarsi per tutte le volte che se n’era uscito con una delle sue stupide battutine su lui e Ran.
-La vita è come una ruota Hattori, gira per tutti- pensò, con un sorriso divertito in volto.
Ran osservò la scena allibita e con gli occhi ridotti a due semplici puntini neri. Che aveva da ridere ora? Che avesse detto, senza accorgersene, qualcosa di sbagliato?
Fece per conferire parola, quando lo notò alzarsi di scatto dal comodo cuscino del sofà dopo aver controllato il suo cellulare che giusto in quel momento aveva suonato, avvisandolo di un messaggio appena ricevuto.
“Cavolo me n’ero dimenticato” imprecò, affrettandosi verso la porta dimentico degli altri due che lo osservavano aprire la lastra di ferro in fondo alla stanza senza riuscire a dire nulla.
“Sh-Shinichi.. dove vai?!” saltò immediatamente dal suo posto la più giovane, raggiungendolo fuori la porta dell’agenzia.
“Scusa Ran, ma ho delle commissioni urgenti da sbrigare” si affrettò a rispondere il detective, avvicinandosi ai primi gradini. “Ci sentiamo dopo, ok? Ah, e dì a Hattori di venire da me appena torna” non fece in tempo a voltarsi che sentì la manica della sua maglia venir tirata dal lato opposto, costringendolo così ad arrestare la sua corsa verso l’uscita di quel condominio.
“Comunque..” disse la karateka, con un leggero rossore sulle guance, mentre l’altro la guardava curioso. “La madre è tornata ieri.. è dovuto tornare a casa.. Non avevi detto niente più bigie’, Holmes?”
Ci rimuginò su un attimo, prima di capire a cosa alludeva la donna.
“Ma le mie non erano bugie” sorrise, quel sorriso sfrontato che in un modo o nell’altro riusciva sempre a farle perdere un battito.. se non di più.
Provò a chiedergli spiegazioni, ma invano, poiché Shinichi riuscì con facilità a sottrarsi dalla sua presa e a sparire in un battito di ciglia da quell’edificio.
“Non cambierà mai..” sospirò, con un sorriso che però tradiva quell’atteggiamento seccato.
 
***
 
 
“Shinichi-kun, quanto tempo!” aprì la porta il Professor Agasa, felice di rivedere il suo vicino di casa finalmente nel suo vero corpo.
Shinichi non fece in tempo a dire nulla che l’anziano tornò a parlare, sempre con una certa gioia nella sua voce.
“Entra, entra!” quasi lo spinse all’interno dell’abitazione, portandolo fino al divano nonostante la risata che, seppur finta, il detective si lasciò sfuggire. Tutta quella gioia, però, mutò in un’espressione curiosa non appena i due si accomodarono nel salotto. “Scusa la domanda, ma.. quand’è che sei tornato adulto?”
“Ieri” rispose il ventisettenne, tornato normale nell’accorgersi dell’espressione dell’altro.
“Strano, Ai-kun sembrava contraria a dartelo all’inizio”
“Ah beh, per quello… diciamo che non c’era altra scelta” provò a spiegare il giovane, grattandosi la nuca con una mano.
Non c’era altra scelta?”
“Quell’idiota si è fatto scoprire dalla signorina dell’agenzia” una voce femminile, da vicino le scale, pensò a rispondere alla domanda del padrone di casa.
“Che simpatica” ironizzò Shinichi, con fare scocciato.
Agasa finse una risata, cercando di evitare una rissa tra gli altri due, che continuavano a lanciarsi sguardi assassini dai loro posti.
 
“E dalle foto è riuscita a dare una risposta a tutte le sue domande” finì di spiegare tutto ciò che era successo il giorno prima dopo aver lasciato i Detective Boys sulla strada verso casa, Shinichi, stando attento a non tralasciare alcun dettaglio.
I due scienziati lo ascoltarono attenti entrambi sul sofà di fronte a lui, senza proferire parola per tutta la durata del discorso.
“Mi piacerebbe sapere che ci guadagna Vermouth raccontando tutto a Ran” disse Agasa, strofinandosi il mento con le dita com’era solito a fare il suo vicino di casa.
“E’ quello che sto cercando di capire anch’io” rispose il detective, poggiando i gomiti sulle ginocchia con espressione alquanto seria dipinta in viso.
Ai rimase in silenzio, pensando come gli altri due a un movente per l’azione della bionda criminale, fino a toccare, trovare quel ricordo nascosto in un angolo del suo cervello che avrebbe tanto preferito non resuscitare.
 
Sorrise, nel trovare una lettera col nome della madre scritto sopra con inchiostro nero.
La tirò fuori di lì, prendendola tra le mani, e aprendola con ancora un sorriso quasi insolito da lei disegnato sul volto.
Sorriso che si spense subito dopo aver aperto la busta e letto il contenuto di quell’ultima. Contenuto che la lasciò a bocca aperta, che la lasciò letteralmente spiazzata.
“Ciao Shiho.
Se stai leggendo questa lettera, significa che ormai i nostri progetti…”*
 
Vermouth.
Ne era sicura: è stata Vermouth a lasciarle quella lettera nel laboratorio. L’aveva fatto di proposito, così come svelare a Ran tutta la verità. Quella donna, in fondo, non faceva mai nulla senza un motivo, o un secondo fine.
“Haibara?” la destò dai suoi pensieri la voce di Shinichi, che assieme ad Agasa la osservava incuriosito.
“Qualcosa non va?” le domandò il professore, ricevendo come risposta un movimento del capo da parte della ragazza.
“No niente”
“Comunque” proferì parola il ventisettenne. “Che intendevi ieri sera con‘ha il loro stesso odore’?”
Sembrò esitare un attimo, come dimentica del giorno prima, tanto da indurre il detective a rinfrescarle la memoria. “Era vestita di nero, è vero, ma non le ho sentito alcun profumo o odore particolare addosso”
Le ci volle qualche secondo, prima d’intuire a cosa si riferiva l’amico.
“Ho detto di aver sentito il loro odore, è vero” cominciò, voltando pagina alla rivista poggiata sulle sue gambe. “Ma non ho mai detto di averlo sentito addosso a Ran”
Strabuzzò gli occhi, Shinichi, così come Agasa accanto a lui che provò a dire qualcosa, ma fu fermato dal più giovane, che con un’espressione seria dipinta in volto tornò a parlare.
“Ci sono tre possibilità” cominciò, facendo il numero tre con le dita. “La prima, è che Vermouth l’abbia seguita per accertarsi che i suoi pani andassero come desiderato. La seconda è che, invece, un altro membro dell’organizzazione degli uomini in nero si trovasse da queste parti. Oppure..”
“Oppure?” chiese l’anziano con una certa preoccupazione.
“Oppure Ran si è messa in mezzo a qualche affare dell’organizzazione senza rendersene conto” deglutì, al solo pensiero di Ran in pericolo.
“Lo trovo più che improbabile” proferì parola la giovane Miyano, senza mai distogliere la sua attenzione dalla rivista di moda. “Vermouth farebbe di tutto pur di non mettere in pericolo la sua Angel. Quindi è più che improbabile che la mettesse in mezzo a qualche affare dell’organizzazione.”
Shinichi si limitò ad annuire.
“E quindi? Hai parlato di un piano prima..” chiese lo scienziato, cercando di capire un po’ di più da quella situazione.
“Se Vermouth è andata a dire tutto a Ran sicuramente non l’ha fatto senza un motivo, in fondo quella donna non fa mai nulla senza avere un secondo fine”
-Quella donna non fa mai nulla senza avere un secondo fine- le parole di Shinichi le rimbombavano in testa, richiamando per l’ennesima volta il pensiero di quella lettera.
Lanciò uno sguardo al detective intento a svelare il piano della criminale, per poi riportarlo sulla pagina raffigurante una borsa che solo a distanza di qualche settimana sarebbe stata in vendita anche in Giappone.
A volte aveva come l’impressione di sbagliare a nasconderglielo, che forse avrebbe dovuto parlargli di quella lettera trovata nello scaffale del laboratorio; ma altre si rendeva conto che invece farlo sarebbe stato un errore, che doveva stare all’oscuro di quelle parole.
In fondo, per il momento, non gli serviva ancora saperlo.
“La busta!” esclamò Shinichi, attirando l’attenzione di entrambi gli scienziati.
“Intendi la busta che Vermouth ha dato a Ran?” domandò Ai, inarcando un sopracciglio sorpresa. “Non hai detto che aveva delle foto di Conan e Shinichi dentro?”
“C’era altro.. era questo il piano” sorrise spavaldo il detective. “La busta contiene altre informazioni che ci serviranno per sterminare l’organizzazione”
 

*Capitolo 19, "Silver Bullet (Seconda Parte)"
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Nana's Corner:
.........
K-Konnichiwa ^^"
Ok, lo so, sono passati più di sei mesi dall'ultimo aggiornamento -.-"
Avevo detto che avrei aggiornato subito e invece...  comunque no, non sono sparita dalla circolazione senza motivo, anzi!
Diciamo che da quando avevo pubblicato il prologo di "Zero", stavo cercando di scrivere questo capitolo, se non fosse che non riuscivo a mettere insieme due frasi che avessero una logica ^^", e dopo aver passato tre settimane a sforzarmi di scrivere qualcosa, ho cominciato a innervosirmi tanto che alla fine, per evitare qualche strage (aka: il "funerale" del mio notebook lol) ho deciso di prendermi una pausa fino a quando non mi fosse tornata l'ispirazione. Ecco, fin qui non ci sono problemi.. se non fosse che dopo nemmeno qualche giorno, ho ricevuto i voti del SAT e ho cominciato a deprimermi per il 7/12 che mi hanno dato al tema. Quando sono andata a leggere che significava questo voto, ne è uscito fuori che in pratica hanno reputato il mio tema come "non diretto, mi dilungo droppo sui particolari, passabile per uno dei lettori e orrendo per l'altro".. il resto l'ho dimenticato ma va beh, dettagli ^^"
E, calcolando che già non mi piacevano molto gli scorsi capitoli come li avevo scritti, ho cominciato a rifiutarmi di scrivere e leggere. 
Sì, ne ho fanno una tragedia... che devo farci se sono melodrammatica? ^^"
MA! Il mese scorso, dopo aver guardato un episodio di Detective Conan su Italia 2 (uno degli episodi con Akai, l'FBI e Kir all'ospedale), mi è venuto l'inizio di questo capitolo, e pian piano, l'ispirazione. Poi il finale dell'episodio dell'altro ieri, quello degli aeroplanini, mi ha fatto ricordare perché adoro Shinichi tanto da farmi venire la voglia di scrivere dopo non so quanti mesi ^^
Ci ho messo un po' a scrivere il capitolo, molto probabilmente non è il massimo perché ho perso un po' la mano, ma devo dire che ne sono soddisfatta. Perchè? Perché in qualche modo, scriverlo, non l'ho trovato "pesante" o noioso, ma piuttosto un piacere :)
Anyway, dopo questo papiro che ho come l'impressione non abbia senso, tanto per cambiare, possiamo passare a parlare di questo chap ^^
Shincihi e Ran finalmente tornano ad essere come una volta, Kogoro ormai crede Conan sia tornato in America, Heiji deve cominciare a pregare xD, Ai comincia a svelarci una piccola parte della lettera (credavate vi avrei svelato così, in una volta sola tutto il contenuto? u.u) e niichan sembra quasi aver capito il piano di Vermouth.
Si accettano teorie: che contiene la busta che potrebbe aiutare il nostro Holmes contro l'organizzazione, secondo voi? 
Accontentatevi (?) di questa sola domanda perché non ho idee per il Metantei's Corner. Gommen ^^"
Comunque, per quanto riguarda il prossimo capitolo invece, l'altra volta vi avevo detto sarebbe cominciato lo scontro con i MIB. Bene, non posso assicurarvi che sarà così ^^" Il fatto è che ho cambiato un po' idee per il finale di questa ff e quindi è probabile che il prossimo sarà ancora un capitolo "normale". Ma non è ancora
detto eh! ;)
Ah! Prima che me ne dimentico, avevo detto anche che la storia sarebbe stata a spoiler fino al Mystery Train, sì? Ecco, diciamo che adesso sarà fino a dove siamo arrivati col manga in Giappone. Perchè? Il fatto è che non posso trascurare i nuovi avvenimenti, soprattutto quello che si sta scoprendo riguardo Sera e la famiglia, e quindi.. 

Va beh, vi lascio va.
Chiedo scusa ancora per l'immenso ritardo e per questo papiro che dovrebbe essere il mio Corner, ma purtroppo ci tenevo a spiegare la mia assenza :')
Volevo anche chiedere scusa agli autori delle ff che leggevo per non averle più lette e recensite, spero di rimediare ^^
E spero che il capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguirmi nonostante tutto.
Grazie mille per aver letto e... alla prossima! <3

XXX,
Nana

 

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Capitolo 25
*** La Busta ***


Capitolo Venticinque
La Busta
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Occhi glaciali, piume nere, versi inquietanti e agghiaccianti li sorvegliavano poggiati sui cavi telefonici in quella fredda notte di fine primavera.
Fresche folate di vento si scontravano con le loro figure di tanto in tanto, scombinandogli i capelli e causandogli scariche di adrenalina per tutto il corpo.
 
“La busta!” esclamò Shinichi, attirando l’attenzione di entrambi gli scienziati.
“Intendi la busta che Vermouth ha dato a Ran?” domandò Ai, inarcando un sopracciglio sorpresa. “Non hai detto che aveva delle foto di Conan e Shinichi dentro?”
“C’era altro.. era questo il piano” sorrise spavaldo il detective. “La busta contiene altre informazioni che ci serviranno per sterminare l’organizzazione”*

 
L’ultima sigaretta lasciata cadere su quel prato ormai morto, morto come quel posto stesso, lugubre e privo di qualsiasi forma di vita.
Occhi che furtivi scrutavano ogni singolo centimetro di quel vicolo…
Labbra che arroganti si curvavano al solo pensiero di ciò che da lì a poco avrebbero vissuto.
 
Respiri affannati, battiti cardiaci che come martelli pneumatici assillavano i loro cuori, e occhi che non riuscivano a staccarsi da quella semplicissima busta di carta tra le mani del ventisettenne.
Casa Kudo, in quel momento, aveva perso tutta l’ironia di qualche istante prima trasformandola in pura ansia; ansia che si rispecchiava negli occhi dei due detective, come in quelli dei due scienziati e l’ex idol.
Con le dita cominciò a schiudere la busta, estraendone parecchi fogli da essa, che divise con gli altri presenti così da riuscire a studiarli meglio.
I primi due, foto raffiguranti i volti di Conan Edogawa e Shinichi Kudo furono scartati fin da subito, così come tutti quei documenti collegati sempre alla doppia identità del detective.
La ricerca non durò a lungo, poiché dopo pochi minuti, tra le mani di Shinichi capitò una minima quantità di fogli uniti da una graffetta.
Non molto le pagine stesse, ma piuttosto la fotografia nascosta tra di quelle, attirò fin da subito la sua attenzione.
“Ora capisco perché Akai…”

 
Il suono di pistole appena caricate riecheggiò nel buio della notte, così come le voci sussurrate dei tre, che si scambiavano le ultime parole prima di dare il via ad una tempesta. Una quiete che nemmeno se cercata o voluta si trova facilmente.
In fondo com’è che si dice? C’è sempre un attimo di quiete prima di una tempesta.
 
La risata della donna lasciò interdetto il ragazzo del Kansai.
“Fidati”provò a dire, tra una risata e l’altra. “L’ultima cosa che farebbe Akai è chiamare il Federal Bureau”

 
“Kuroba?” domandò Akai, dando fine a quella catena di sussurri tra i tre.
“E’ già pronto” disse di rimando il ragazzo dalle iridi cobalto. “Aspetta solo che gli danno l’ok”
 
“Noi prepariamo tutto dall’interno, così potrete infiltrarvi senza alcun intralcio”
 
Le nuvole cominciarono a coprire quella luna a metà che brillava alta nel cielo, assieme a tutte le piccole stelle che come un quadro la incorniciavano, lasciando i tre con la sola compagnia di quegli uccelli dal piumaggio corvino.
Brr.. Brr..
Un telefono che vibrò.
Un sorriso che inevitabile si disegnò sui loro volti.
È giunto il momento.
 
***
 
Un tonfo sordo rimbombò tra le mura di quel corridoio.
L’infiltrata della CIA si piegò, continuando a svolgere quel compito che ormai aveva cominciato con una maestria tale da poter fare invidia al più bravo dei criminali.
“Però..” pronunciò, rompendo quel silenzio che si era creato. “Mai avrei detto che mettere fuori gioco i membri di un’organizzazione criminale sarebbe stata un’impresa tanto semplice” sorrise, legando gli arti dell’uomo appena colpito con della corda.
“Tre quarti di questi tizi non saprebbe difendersi nemmeno da un bambino” ribatté seccato il biondo, che da dietro di lei si avvicinava lentamente con una pistola tra le mani. Si fermò a un paio di passi dal corpo inerme di quell’individuo che la compagna di crimini stava legando. “In fondo sono solo reclute o persone ricattate di cui Ano Kata** si libererà non appena compiuta la missione”
Hidemi tornò in posizione eretta, pulendosi le mani dalla polvere e l’eccesso di corda rimasta sulla pelle.
“E anche questa è fatta” sospirò, per poi voltarsi in direzione di Amuro che si limitò ad annuire.
“Non ci rimane più nessuno su questo lato del piano, ormai” proferì l’uomo, controllando per l’ultima volta quel corridoio buio e piuttosto malandato. “Possiamo dare il via libera agli altri a questo punto”
“In fondo, al resto ci penserà lei” disse con fare spavaldo la donna, prima di inviare un messaggio dal suo cellulare.
 
***
 
“Forse è arrivata l’ora dell’ultimo furto per Kaitou Kid”
 
Da sopra la terrazza di quell’alta palazzina nella prefettura di Tottori, l’illusionista dava gli ultimi ritocchi e controlli a tutti i trucchi e accessori che quella sera l’avrebbero accompagnato nell’ennesimo dei suoi spettacoli.
 
“Hai familiarità col termine “poker face”, Kaito?” chiese l’uomo completamente vestito di bianco al bambino seduto sulle sue gambe.
“Poker face?” incuriosito dalle parole del padre, il piccolo dagli occhi color cielo si voltò verso di lui che, con un atteggiamento indecifrabile, teneva quattro carte tra le mani.
“Nel poker, non importa quanto bello o brutto sia il tuo mazzo” cominciò a spiegare. “Non puoi manifestarlo nella tua espressione”
“Eh?” 
“Lo stesso vale anche con la magia: a volte, un trucco può fallire”
-Poker face- il termine, così come il discorso del mago, affascinò Kaito, che con sguardo deciso osservava il mazzo di fronte a sé.
“Ma non dovresti mai portarlo all’attenzione dei tuoi spettatori” 
“Call” aggiunse dopo qualche secondo, mostrando finalmente le sue carte agli altri giocatori.**
 
Finito di abbottonare la camicia, prese la parrucca posta nel sacchetto a pochi centimetri da lui, girandola e rigirandola fra le sue dita, prima di voltarsi verso quella luna che, quella notte come le precedenti, vegliava su di lui –lo accompagnava in quella sua ennesima impresa, seppur nascosta da un fitto strato di nuvole color cenere.
 
“Tu…” si volto il finto Kid, sorpreso, quasi incredulo, verso quella figura bianca che aveva appena smascherato il suo trucco. “Non può essere… Master Toichi?”
“Eh..?” 
L’anziano corse verso di lui, che a bocca aperta e immobile, lo osservava ancora stupito per ciò che aveva appena detto.
“E’  ancora vivo!” s’inginocchiò, stringendo il candido mantello bianco del giovane tra i guanti. “Ho sentito molto la sua mancanza!”
-Perché ha appena detto il nome di mio padre?- si chiese Kaito, continuando a non capire a cosa alludeva l’uomo inchinato di fronte a lui. –E dove ho già visto quest’anziano signore?-
Ma non dovette aspettare molto prima di trovare finalmente una risposta alle sue domande, poiché, poco dopo, quell’uomo misterioso si levò il cilindro dal capo rivelando la sua identità, ponendolo poi dinanzi al petto. 
“Sono io, il suo fidato servitore, Jii, al suo servizio!” dichiarò, con le lacrime agli occhi dalla felicità di rivedere il suo maestro. “Sono passati solo otto anni, non mi riconosce più?”
-Jii-chan?!- rimase spiazzato, il liceale, non appena ebbe riconosciuto quell’uomo che con tanta foga e felicità gli si era precipitato addosso, convinto in realtà fosse il padre.
“Ho sempre creduto fosse stato ucciso otto anni fa durante quello spettacolo!” ammise al ragazzo che innanzi a lui, continuava a guardarlo incredulo. “Per otto anni, ho continuato a serbare rancore.. quando ho finalmente deciso d’indossare il costume del suo alter ego –Kaitou Kid, nel tentativo di attirare coloro che l’hanno uccisa, Master Toichi” 
“Che hai detto?” l’espressione sul volto del più giovane cambiò radicalmente. Quella curiosità che fino a qualche attimo prima era dipinta sul suo viso, nell’udire quelle ultime frasi, mutò in stizza, agitazione. “Papà fu assassinato?!” afferrò l’assistente di suo padre per le spalle, cominciando a scuoterlo e ad urlargli con la speranza di trovare risposta a tutte quelle domande che si fecero spazio nella sua testa. “Da chi? Chi l’ha ucciso?!”
“G-giovane Master Kuroba.. perché tu..?” rimase spiazzato Jii, nel scoprire che la persona che aveva di fronte a sé e che credeva essere il famosissimo illusionista Kuroba Toichi, non era altri che il figlio di quest’ultimo. 
Un silenzio breve ma intenso, regnò tra i due che lo sfruttarono per riordinare un po’ le idee e realizzare l’accaduto.
“Un’ultima domanda” spezzò quell’attimo di quiete, Kaito, calmandosi e abbassando il tono di voce. “Ti prego sii sincero, Jii-chan..” il sessantunenne gli rivolse uno sguardo spaesato, molto probabilmente ancora scosso della presenza del ragazzo lì, su quella terrazza, proprio quella sera. “Lui era.. un ladro?” chiese, chinando la testa come intimorito dalla risposta che, seppur conoscesse già, si aspettava dall’altro. “Papà era davvero.. Kaitou Kid?” **
 
Diede una veloce occhiata allo smoking ed al cilindro bianco poggiati sul muretto della terrazza, sorridendo al ricordo della prima occasione in cui, insieme, portarono a termine un furto sotto identità del famosissimo ladro Kid.
 
“È finita, non puoi più scappare, Kid!” urlò l’ispettore Nakamori, con quel solito modo arrogante che, ogni qualvolta una situazione del genere si presentava, aveva la meglio su di lui.
Il ladro, con le labbra leggermente curvate in un sorriso spavaldo, si voltò verso di lui, per poi stendere le braccia senza mai proferire parola.
“C-Che stai facendo?” sorpreso, l’uomo rimase immobile a guardarlo come se aspettasse una risposta da quello. Risposta che non arrivò mai.
Al suo posto, il ladro dal cielo d’argento si lasciò andare verso il basso, scivolando giù dinanzi agli occhi spiazzati della polizia.
Un tasto. 
Gli bastò premere un tasto senza farsi notare dalla sua audience, che appena scivolato dai bordi della terrazza di quell’edificio, il suo corpo librò nel cielo lasciando tutti a bocca aperta.
Fu un attimo, un battito di ciglia, che la figura bianca scomparse nella notte lasciando come ricordo una fiamma che si spense in un paio di secondi. **
 
Un brivido percorse la gamba del mago, distogliendolo dai suoi pensieri.
Istintivamente, mise una mano nella tasca dei pantaloni, estraendone un cellulare che senza sosta, continuava ad emanare vibrazioni.
Un sorriso dapprima malinconico si fece spazio su quel viso, per poi essere sostituito da uno scaltro e astuto.
“Sarà anche la mia ultima apparizione” disse, dando le spalle a quella luna che ormai sembrava essersi nascosta tra le nuvole, come fungessero da maschera. “Ma vi assicurò che difficilmente la scorderete”
“It’s show time”
 
***
 
Passi.
L’eco di passi era l’unico rumore che in quel momento regnava in quel corridoio; corridoio lungo e nero come la pece, privo di anche un unico e fioco raggio di luce.
Le pareti piuttosto malandate cominciarono ad impregnarsi di fumo, che ripetutamente usciva dalle sue labbra.
“Mi stupisce capo” l’individuo dai lunghi capelli color platino ruppe quell’atmosfera che si era creata. “Non avrei mai creduto che sarebbe venuto lo stesso, poiché era stato proprio lei a confermarmi che la sua presenza oggi le sembrava fuori luogo” ammise, rubando un mezzo sorriso all’uomo poco più avanti a sé.
Sorriso che svanì nel giro di pochi istanti, quando dalle sue labbra si liberò una nube di fumo grigiastro.
“Volevo solo accertarmi di alcune cose” si limitò a rispondere con voce bassa e roca, riportando il pregiato sigaro alla bocca.
L’uomo alle sue spalle curvò le labbra.
“E’ ancora scettico riguardo alla spiegazione ricevuta per la morte di Chianti?”
“Io non lo definirei scetticismo” rispose prontamente il più importante dei due, per poi abbandonarsi nuovamente entrambi al silenzio.
Non aggiunse più altro, e nessuno dei due proferì più parola per il resto del tragitto lungo quel corridoio, fino a raggiungere una vecchia porta di legno scuro.
Senza indugiare oltre, la aprirono, scortando sin da subito la figura di una donna dal corpo sensuale e la lunga chioma dorata poggiata ad  un pannello nella stanza, accompagnata da altri due criminali, Kir e Bourbon.
Un sorriso nacque spontaneo sul suo viso.
“Qui non sembra esserci più nessuno, capo” disse Vermouth, incrociando le braccia al petto. “A quanto pare hanno rispettato i patti”
“Meglio per loro” enunciò il diretto interessato, sorpassando colei che veniva definita come la sua preferita, con le mani congiunte dietro la schiena. “Questo significa che se continueranno a mantenerli fino all’ultimo potrei pensare di farlo anch’io e risparmiarli” quell’ultima frase fuoriuscì dalle sue labbra con un tono piuttosto sarcastico, consapevole che non avrebbe mai davvero mantenuto quell’affermazione.
“Peccato” ammise la bionda. “Mi aveva promesso che li avrei potuti freddare io.. it’s been a while since I last used this little gem” inscenò un broncio, giocando con  l’arma che tra quelle dita affusolate continuava a girare.
“Da tanto?” s’intromise Gin. “L’ultima volta se non sbaglio sei stata te a fare fuori.. come si chiamava quel tizio? Ah sì, Ooba” disse, con quel suo solito sorriso spavaldo e dalle note sadiche dipinto sul suo viso, rubando una risatina ai compagni di crimine, eccetto l’ex attrice statunitense che mantenne quel suo solito atteggiamento arrogante e freddo.
“Non sarà che sei geloso?” lo schernì. Nonostante fosse consapevole del fatto che il vero omicida di Ooba non era lei, ma Bourbon*** -che in silenzio assisteva alla scena assieme all’infiltrata della CIA, non poteva farsi scappare l’occasione di divertirsi un po’ con quell’uomo che tutto mostrava, meno che simpatia nei suoi confronti.
“Geloso? Non ne vedo il motivo” fece spallucce, allontanandosi da lei.
“Beh, if I’m not wrong, a differenza della sottoscritta, te lo sei fatto scappare” continuò la donna. “E poi non eri tu quello che ha insistito tanto per sbarazzarti del corpo yourself without a proper reason?” si avvicinò a lui, raggiungendolo in un battito di ciglia e avvicinandosi con fare seducente al suo orecchio “o forse hai bisogno che ti rinfreschi la memoria?”
“Tornando a questioni serie” spezzò quel momento la Hondou, conquistandosi fin da subito l’attenzione dei presenti, compreso il loro boss. “Quando dovrebbe presentarsi il nostro cliente?” domandò, marcando di proposito le ultime parole. “E in che modo vuole procedere?”
L’uomo gettò a terra il sigaro ormai consumato, schiacciandolo con le scarpe, ed estraendone una nuova dalla tasca della giacca.
“Se rispetterà i patti, dovrebbe essere qui a momenti” rispose con nonchalance, accendendo il tabacco con un accendino ornato di pietre costose. “Per il resto, procederemo come da piano”
I quattro si limitarono ad annuire, senza proferire parola.
 
Dalla sua bocca si liberò una grossa nube grigia, che, come le precedenti, si andò a cospargere per quella stanza.
“Voi, invece, avete fatto ciò che vi avevo chiesto?”
“Sì, non si preoccupi” disse di rimando Tooru.
Si voltò poi verso la sua preferita, verso quella donna che senza alcun bisogno di parole, captò il significato di quello sguardo, rispondendogli con un semplice sorriso spavaldo.
-Now, he’s the only one left-



*Capitolo 24, "Passi"
**Magic Kaito ep 1, file 1.
***Capitoli 16/17
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Nana's Corner:
Konbanwa! :D
Come va?
Come promesso, rieccomi qui dopo sei giorni dall'ultimo aggiornamento; ma quanto sono brava? u.u
Oggi abbiamo un capitolo piuttosto confuso, neh? Ma tranquilli, la cosa è voluta ;)
Sapremo -o meglio, saprete dei piani e tutto il resto nel prossimo ^^
Quindi... finalmente abbiamo la prima apparizione del Boss! :D
Perché non ho mai citato alcun nome per tutto il capitolo? Semplice: perché lo scoprirete tra un paio di chap; perché rovinarvi la sorpresa, a questo punto? u.u
Va beh, non credo ci sia molto da dire se non che spero i personaggi non siano OOC, che il chap vi sia piaciuto e.. che ora c'è il tanto atteso Metantei's Corner" :DD
1- qual'è il piano dei nostri protagonisti?
2- qual'è il contenuto della busta?

3- questa è di un colore diverso perché è una special ^^ Dunque, nel capitolo ho lasciato qualche indizio su qualcosa che accadrà più tardi.. vi sfido a trovarli e intuire a cosa alludono ^^

Bene, e il Metantei's Corner è finito.
Sperando che non tocchi ancora qualche tasto e chiudo la pagina per la seconda volta -.- , ringrazio chi ha recensito e letto lo scorso chap.
Arigatou Gozzaimasu! ^^
Spero il chap vi sia piaciuto e.. ci vediamo settimana prossima col ventiseiesimo! :')
Sì, settimana prossima, visto che d'ora in poi dovrei -se ci riesco- aggiornare ogni domenica o lunedì :)
Va beh, alla prossima e grazie per aver letto!! ^^

xxx,
Nana Kudo.

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Capitolo 26
*** Il Mago ***


Capitolo ventisei
Il Mago
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… Si voltò poi verso la sua preferita, verso quella donna che senza alcun bisogno di parole, captò il significato di quello sguardo, rispondendogli con un semplice sorriso spavaldo.
-Now, he’s the only one left-* …
 
Trentuno ore prima
 
“La busta!” esclamò Shinichi, attirando l’attenzione di entrambi gli scienziati.
“Intendi la busta che Vermouth ha dato a Ran?” domandò Ai, inarcando un sopracciglio sorpresa. “Non hai detto che aveva delle foto di Conan e Shinichi dentro?”
“C’era altro.. era questo il piano” sorrise spavaldo il detective. “La busta contiene altre informazioni che ci serviranno per sterminare l’organizzazione”
“Come ‘ci serviranno per sterminare l’organizzazione’?” chiese Agasa, ancora incredulo delle parole del vicino di casa.
Si lasciò sfuggire una risatina, il ventisettenne.
“Elementare” disse, sollevandosi dal divano. “Perché è l’unica tra noi che non ha alcun collegamento con l’organizzazione”
I due inquilini gli lanciarono sguardi interrogativi, non riuscendo ancora a capire a cosa si riferiva il ragazzo.
Shinichi si avviò in silenzio verso la finestra che dava sul giardino di casa sua, aumentando ancora di più la curiosità degli altri due.
-Se l’avesse data ad Amuro- pensò, -ci sarebbero stati troppi testimoni, come Kogoro, che già una volta è stato coinvolto in uno dei loro affari, qualcuno al Poirot o addirittura qualcuno nell’organizzazione. A Hidemi, che è sempre controllata dai corvi dall’episodio dell’ospedale, non avrebbe potuto sicuramente darla. Dandola direttamente a me avrebbe insospettito Gin che la mia faccia ce l’ha ben stampata in mente dopo il black out al Beika Central Building… l’unica era Ran-
“E se l’organizzazione avesse mandato qualcuno a seguirla?” distolse l’Holmes nel nuovo millennio dai suoi ragionamenti, la liceale, guardandolo con un certo scetticismo dipinto in viso.
Dare a Ran la busta, ai suoi occhi, appariva una mossa azzardata tanto quanto darla direttamente al ragazzo, che sospirò rassegnato alla domanda di Ai.
“Vermouth non è tanto stupida” rispose seccato il detective, per poi spostare lo sguardo da casa sua agli occhi chiari della scienziata, che non rimase per nulla sorpresa dalla risposta ricevuta, anzi, si aspettava iniziasse così. “Prima di andare avrà finto fosse per una missione che sicuramente richiedeva portasse una busta, e mettendone una dentro l’altra è passata  inosservata. O comunque, anche se non l’avrebbe richiesto, se mai qualcuno le avesse chiesto chi era la donna con cui si era incontrata, avrebbe potuto tranquillamente fingere fosse qualcuno collegato alla faccenda senza che loro sospettassero nulla”
“E se Gin si ricordasse di lei?” azzardò il più anziano, alludendo al loro primo incontro al Tropical Land dove la stessa Ran era presente e anche alla volta al Beika Central Building**, dove era accanto a Conan.
Shinichi fece per rispondere, quando Haibara lo precedette.
“Sono passati dieci anni da quella sera, e l’unico ad averla rivista è stato solo Gin, poiché Vodka non era altri che la stessa Vermouth” spiegò con fare disinteressato, mentre voltava l’ennesima pagina di quella rivista di moda. “Se Gin se la ricordasse davvero, l’avrebbe uccisa anni fa, quando ne aveva l’occasione. Se non l’ha fatto, evidentemente è perché non ha mai davvero avuto incomprensioni o affari con lei personalmente”
Agasa lanciò prima uno sguardo ad Haibara, e poi uno all’investigatore, che si limitò a fare un cenno di capo come a confermare la teoria dell’ex criminale.
“D’accordo” disse lo scienziato, strofinandosi il mento con le dita. “Ma non riesco ancora a capire perché abbia raccontato tutto a Ran” 
Il ventisettenne distolse lo sguardo dalle due figure sedute sul sofà riportandolo alla vista di quella villa in stile western, per poi incrociare le braccia al petto con espressione piuttosto seria.
-È quello che mi chiedo anch’io-
Osservò l'abitazione a lungo, finendo con assottigliare gli occhi alla vista di quell'ombra che da minuti ne percepiva la presenza ma che non riusciva a individuare.
Qualcuno li stava spiando.. Ma chi?
 
***
 
 
“Non ne sapevo niente, a dir la verità” ammise Tooru, voltandosi poi verso Hidemi che annuì, confermando che nemmeno lei sapeva di quella faccenda. “Anzi, m’insospettiva un po’ il comportamento di Ran, sai, non è solita ad uscire in orari diversi dal solito, vestita in quel modo, essere così vaga quando avvisava me o Mouri di una sua uscita..”
Shinichi si limitò a fare un cenno di capo, rimanendo in silenzio.
Appena Heiji era tornato a Beika, avevano deciso di radunarsi tutti a villa Kudo in modo da poter informarsi l’un l’altro degli ultimi svolgimenti, soprattutto di ciò che succedeva tra i membri dell’organizzazione criminale che progettavano di sgominare.
“Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere, quella donna?” domandò Kaito, seguito dal detective dell’ovest che aggiunse “credi ci sia ancora da fidarsi di lei?”
“L’ha fatto in modo che io potessi ottenere la busta che ha Ran ora” rivelò ai due l’investigatore. “Non ho ancora capito perché le abbia svelato la mia identità, ma non credo ci sia da dubitare di lei, in fondo sapeva che Conan e Shinichi sono la stessa persona da più di dieci anni, se avesse voluto dirlo a qualcuno dell’organizzazione, avrebbe potuto farlo sin dal principio” disse, strofinandosi il mento con le dita.
Sono proprio le soluzioni più semplici quelle che in genere vengono trascurate.
Quella frase, quelle semplici parole dette dal suo amato detective londinese, rimbombavano nella sua mente come un disco rotto.
Aveva come l’impressione che la risposta a quella domanda fosse talmente semplice e banale che l’avesse scartata senza neanche accorgersene.
Ci rimuginò su a lungo, quando una voce lo distolse da quei pensieri.
“Forse l’ha fatto perché sapeva che, se avessi visto Ran in atteggiamenti insoliti, ti saresti di conseguenza insospettito e l’avresti seguita, scoprendo così che esisteva una busta” ipotizzò Yukiko, appena entrata nella biblioteca con un vassoio tra le mani che poggiò con delicatezza sulla scrivania circondata dal gruppo.
Gruppo che, nel sentire quella frase detta con tanta naturalezza, si voltò guardandola incredulo, mentre lei prendeva la stessa posizione del figlio quando rifletteva su qualcosa.
“Poi c’è anche da dire che se Ran non aveva un motivo valido per incontrarla, come l’avrebbe convinta a contattarla?”
Il giovane Kudo si limitò ad annuire, ancora stupito dalle parole dell’attrice.
Stava ragionando da ore, cercando di dare un senso all’atto della criminale, e la madre, invece, senza sprecarsi più di tanto, aveva già la soluzione.
Che ironica, come situazione, pensò Shinichi con un sopracciglio che cominciava a pizzicargli, così come tutti i presenti.
Poco dopo ricominciarono a discutere, mentre la quasi cinquantenne disponeva le tazzine sulla scrivania, quando, nel notare come l’amico del figlio fosse accasciato sulla lastra di legno, non si lasciò sfuggire una mezza risata.
“Hattori-kun” lo richiamò, attirando fin da subito l’attenzione del ventisettenne, che si voltò a guardarla a dir poco incuriosito.
Con un sorriso divertito e una mano a coprirle la bocca si avvicinò ancora di più a lui.
“Fossi in te, non mi appoggerei così a questa scrivania..” senza rendersene conto, aveva anche gli occhi degli altri tutti su di lei, che la osservavano ridere senza capirne la ragione. “Sapessi cosa qualcuno ci ha fatto sopra ieri sera” inutile dire che la stessa Yukiko scoppiò a ridere, dinanzi agli occhi spiazzati di Heiji che a quanto pare non riusciva proprio a capire a cosa la donna si riferisse.
Al contrario del ragazzo dalla pelle olivastra, Shinichi captò subito il senso delle parole della madre, e con il volto paonazzo, la richiamò.
“Si Shin-chan?” chiese ingenuamente la baronessa della notte, con un sorriso sulle labbra che innervosì ancora di più il detective.
“Fuori” l’indice e il braccio puntati verso la porta di quella biblioteca, il viso che cercava di mascherare l’imbarazzo della situazione.
Erano alle solite.
Lui che veniva risucchiato da una di quelle scomode situazioni per via della madre e lei che se la rideva come se niente fosse.
Forse riaverla lì, in casa con lui, in quel momento, era decisamente la cosa più sgradevole e peggiore che gli potesse capitare.
Sbuffò, Yukiko, riprendendo il vassoio e avviandosi verso l’uscita.
“Antipatico”
Si abbandonò ad un sospiro rassegnato, non appena la porta si richiuse.
“Neh, Shin-chan” lo richiamò Kaito, con le labbra curvate in un sorriso malizioso e la voce piuttosto ironica nel pronunciare il nomignolo del diretto interessato. “Non ci hai ancora detto come ti sei fatto perdonare da Ran.. allora? Eh?”
Il suo viso, dapprima paonazzo, in quel momento andò letteralmente in fiamme.
Ecco, la combinazione perfetta: sua madre e Kaito.
Che si poteva chiedere di più nella vita di due che sembravano trovarci gusto nel metterlo in imbarazzo?
Finse un attacco di tosse, prima d’inventarsi una scusa, plausibile o meno, per sviare il discorso. In quel momento gli bastava avere un attimo di tregua, se appariva credibile agli occhi degli altri o meno il suo cervello, ormai in tilt, non dava molto peso.
“N-Non siamo qui per spettegolare della mia vita privata come delle ragazzine delle medie, ma per parlare dell’organizzazione ed escogitare un piano” disse Shinichi, con il viso color scarlatto e le braccia incrociate al petto cercando di sembrare il più serio possibile.
Nonostante quella maschera che aveva provato ad indossare, non riuscì comunque ad evitare la risata a cui tutti si lasciarono andare, mettendolo ancor più a disagio.
Era ufficiale: una volta finita quella storia, avrebbe fatto arrestare l’illusionista e la madre con qualche scusa, almeno non avrebbe più sentito le loro prese in giro.
“A proposito” interruppe quell’atmosfera serena l’agente della CIA, voltandosi con il capo in giro per la stanza come in cerca di qualcosa o qualcuno. “Che fine ha fatto Akai?”
Il detective dell’est, che cambiò subito espressione, sembrò rimuginarci su un po’, prima di ricordare ciò che gli aveva detto l’uomo.
“Ah già, mi ero dimenticato! È partito per qualche giorno, mi ha detto che doveva sbrigare alcune faccende” rispose, provocando un mugugno alla donna.
“Di che faccende si tratta?” chiese curioso il ragazzo dagli occhi smeraldini, voltandosi verso il miglior amico.
“Ha detto che riguardava sua sorella, ma ho come l’impressione la verità sia un’altra”
“Ha una sorella?” s’intromise Kaito, tornato ormai serio anche lui.
“Sì, l’hai anche conosciuta, è Sera Masumi” un sorriso a dir poco divertito si dipinse sul viso del ventisettenne, alla vista di quell’espressione spaesata e a dir poco confusa del mago. “Ma come, non te la ricordi? E’ la ragazza da cui ti sei travestito una volta, quella che hai scambiato per un ragazzo***” lo schernì, come a riprendersi una piccola vendetta per ciò che era successo prima. “Strano, dopo quel calcio credevo non l’avresti dimenticata facilmente..”
Un brivido percorse la schiena del fantomatico Kaitou Kid, che deglutì rumorosamente al ricordo.
Già.. forse non era davvero andato a parlare con la sorella, Akai.. dato il carattere a dir poco impulsivo, non ci avrebbe pensato due volte ad aggiungersi a loro nella lotta contro quei pericolosi criminali, incurante del pericolo che quell’atto le avrebbe portato.
“Comunque” proferì parola l’allievo del detective in trance. “Che avete intenzione di fare adesso?”
“Nulla fino a quando non sapremo cosa contiene la busta che ci ha lasciato Vermouth” disse di rimando Shinichi.
“Hai detto che quella busta contiene informazioni importanti, no?” si aggiunse alla discussione tra i due anche l’infiltrata, incrociando le braccia al petto con fare spavaldo, mentre l’altro si limitò ad annuire. “Allora credo non ci sia nulla di male se cominciamo ad escogitare un piano..”
Shinichi, dapprima incuriosito, intraprese il suo stesso atteggiamento sfrontato.
“Dì la verità.. ne hai già uno o sbaglio?”
“No, non sbagli affatto” rispose Hidemi, che come una star sul suo palcoscenico, aveva tutta l’attenzione dei suoi compagni di squadra puntata su di lei. “Vedi, domani, verso mezzanotte, dovremo incontrarci con un cliente in un edificio malandato di Tottori..” prese un attimo di pausa, come se volesse incrementare la curiosità di tutti tranne Amuro, che ovviamente aveva già intuito dove stava andando a parare. “Ci saremo tutti”
I due detective e l’illusionista sembrarono piuttosto intrigati dalle parole uscite dalle labbra della donna, facendole intuire, senza bisogno di alcuna parola, che erano già d’accordo con lei.
“Potremmo entrare da più punti, così da coglierli alla sprovvista e circondarli” proposero Shinichi e Heiji all’unisono.
“Tu, Hattori e Akai” aggiunse la sua anche Kuroba, voltandosi in direzione dell’amico nemico. “potreste irrompere da un’entrata” ipotizzò, per poi vagare con lo sguardo fino alla figura degli altri due, che dedussero le sue intenzioni con un solo sguardo.
“Noi prepariamo tutto dall’interno, così potrete infiltrarvi senza alcun intralcio” completò il pensiero dell’illusionista, Amuro, facendo nascere un sorriso sul viso di Kir.
“Ed infine” tornò a parlare Kaito. “Io potrei entrare dalla terrazza”
“Dalla terrazza?” chiese la Hondou.
Un sorriso spavaldo ma al contempo malinconico prese spazio sul suo viso.
“Forse è arrivata l’ora dell’ultimo furto per Kaitou Kid”
“Allora siamo d’accordo?” riprese parola l’unica donna in quella stanza, ricevendo risposte positive da tutti.
Quella era l’occasione migliore da sfruttare a loro favore, era più che chiaro a ognuno di loro, e farsela scappare, sarebbe stato da soli stupidi.
“Beh, a questo punto non ci rimane altro che aspettare Kudo prenda la busta” disse il biondo, cominciando ad avviarsi verso la porta seguito da Kaito, che prima si voltò verso Shinichi.
“In qualunque caso avvisami” urlò, con la fredda maniglia tra le mani. “Sai com’è, devo escogitare per bene i miei trucchi.. non voglio deludere nessuno con quest’ultimo show” strizzò un occhio, prima di lasciare la biblioteca.
Anche l’agente fece per andare, quando una frase fermò i suoi passi.
“E se Akai fosse andato ad avvisare l’FBI?”
La risata della donna lasciò interdetto il ragazzo del Kansai.
“Fidati”provò a dire, tra una risata e l’altra. “L’ultima cosa che farebbe Akai è chiamare il Federal Bureau”
I due detective, ormai gli ultimi rimasti in quella stanza, la fissarono spaesati, senza capire la risposta della compagna.

 
***
 
 
“COSA?!”
L’urlo delle due riecheggiò nel locale all’infinito, tanto da imbarazzare ancora di più la brunetta che avrebbe tanto preferito la discussione rimanesse tra loro; ignara del fatto che ormai, i clienti abituali e i dipendenti di quella caffetteria erano talmente abituati alle urla della giovane ereditiera che non le davano nemmeno più importanza.
“Shinichi è davvero tornato?” urlò nuovamente Sonoko, incredula delle parole dell’amica. “S-Sei sicura di non averlo sognato o qualcosa di simile?”
“Certo che non l’ho sognato” sbuffò Ran, con un acceso rossore a colorarle le gote.
“E quando sarebbe tornato?” proferì parola Masumi, che per tutto quel tempo era rimasta ad ascoltare le tre ragazze chiacchierare sui rispettivi amati senza dire nulla.
“Ieri sera” rispose la karateka, con un sorriso che avrebbe potuto tranquillamente sostituire il lampadario sopra le loro teste, tanto era luminoso.
Non aveva calcolato però, che con un sorriso del genere stampato in faccia, la bionda non si sarebbe fatta sicuramente scappare l’occasione di dire la sua; che, infatti, non tardò ad arrivare.
“Ieri sera eh?” disse la giovane Suzuki con un sorriso malizioso. “E che avete detto o fatto tu e il tuo Holmes, in una bellissima notte di luna piena come quella di ieri, eh?”
La figlia dell’ormai non più noto Kogoro il dormiente divenne rossa come un pomodoro alle parole di Sonoko.
“Sì, che è successo?” la seguì Kazuha con occhi sognanti e le mani unite a mo’ di preghiera che, ingenua com’era, non aveva capito a cosa alludeva l’altra ragazza con quella frase.
“E come mai è tornato?” senza saperlo, la ragazza dai capelli corvini aveva salvato, per l’ennesima volta, l’amica da una situazione imbarazzante, guadagnandosi però le occhiate truci della bionda che invece avrebbe tanto preferito continuare.
“Ehm.. perché..” l’altra fece per risponderle, quando si rese conto che non poteva certamente dirle la verità. In fondo che le avrebbe dovuto dire, ‘Sai, Shinichi ieri è ritornato adulto!’?
Sicuramente non era un’idea grandiosa.
E poi, lo stesso Shinichi, la sera prima, mentre la accompagnava alla porta, le aveva chiesto di non farne parola con nessuno, quindi..
“Allora?” la destò dai suoi pensieri, Sera, facendola sussultare.
“P-Perché h-ha finalmente finito di occuparsi di quel famoso caso..” inscenò una risata, cercando di apparire il più naturale possibile mentre avvicinava la forchetta alla bocca.
“Davvero?” domandò Kazuha, particolarmente allettata e felice per la notizia.
“E di che si trattava? Il caso, intendo” chiese nuovamente l’investigatrice, facendo cascare la ventisettenne dalle nuvole.
“Beh.. ecco..” non era per niente brava a mentire, e quella ne era la prova. Era riuscita a trovare qualcosa da dirle, prima, ma ora? Sera non la aiutava per niente in quell’impresa.
Lanciò uno sguardo all’amica che la scrutava con occhi attenti e inquisitori, per poi spostarlo sulla torta dinanzi a sé e abbandonarsi ad un sospiro. “Non lo so, non me l’ha ancora detto” mentì spudoratamente, ma lo fece per proteggerla, e per proteggere anche le altre due sue amiche.
In quel momento, per la prima volta, capì finalmente come si sentiva Shinichi a dover nascondere la verità a tutti per proteggerli. Non era il massimo, ma era la sola cosa che poteva fare.
Intanto, la sorella dell’agente del Federal Bureau fece per chiederle l’ennesima domanda, quando la ragazza del Kansai la batté sul tempo.
“Ora che ci penso.. ma Conan dov’è?” domandò Kazuha. “Quando sono tornata dalla stazione non l’ho visto.. di solito mi saluta sempre quando arrivo”
“Ah già, mi ero dimenticata di dirvelo” disse Ran, ricordandosi della faccenda ‘Conan’. “È venuta ieri la madre per riportarlo in America. Hanno deciso di rimanere a vivere di la e così..”
“Ah.. mi mancherà quel marmocchio” mutò espressione Sonoko, assieme a Kazuha che annuì, con quasi le lacrime agli occhi.
“Potevano almeno avvisarci” sussurrò la ragazza dalle iridi smeraldine. “Così avrei potuto salutarlo, e invece..”
Le due continuarono a rattristarsi per la partenza del liceale, mentre Ran, nel notare l’espressione riflessiva e silenziosa dell’ex compagna di classe, si preoccupò.
“Hey, Masumi-chan..” la richiamò, posandole una mano sulla spalla. “Tutto bene?”
“Cosa?” colta di sorpresa, la mora sembrò risvegliarsi da un sogno, suscitando un sorriso alla karateka.
“Qualcosa non va?” riformulò la domanda, lasciando l’altra per qualche secondo spaesata, prima di scoppiare a ridere.
“No, no!” si affrettò a rispondere, fermando quasi subito la sua risata. “Soltanto che mi mancherà risolvere casi con Conan” ammise, ripensando a tutti i casi risolti in sua compagnia, partendo da dieci anni prima. “Sai, era divertente”
Un sorriso amaro prese posto sul volto della karateka.
Già, ora sì che sapeva come si sentiva l’amico d’infanzia.
Si voltò nuovamente verso le altre due sedute di fronte a sé, tornando a parlare con la ragazza del Kansai sui nuovi dettagli riguardanti il suo matrimonio.
-A quanto pare è successo di nuovo..- pensò Masumi, mentre le tre scoppiarono in una fragorosa risata.
Una strana sensazione, qualcosa che non riuscì a spiegare, nacque in lei nel momento esatto in cui la donna accanto a lei tirò il cellulare dalla borsetta per rispondere ad un messaggio che rivelò, con non poco imbarazzo, essere di Shinichi.
Era come se, dopo tutto quel tempo, finalmente, avesse avuto una ricompensa per l’attesa, avesse trovato il tesoro tanto bramato e ricercato.. come se avesse finalmente scoperto che quel desiderio che ogni giorno sognava di avverare, stesse per realizzarsi dinanzi ai suoi occhi così, come per sorpresa.
Sorrise spavaldamente, leggendo le frasi che Ran non si era preoccupata di nascondere da occhi indiscreti.
-Il mago ha dato inizio al suo spettacolo-****
 
***
 
Le dita si sfiorarono appena, gli sguardi distanti gli uni dagli altri, i volti paonazzi e le parole che ogni volta che tentavano di uscire, li morivano in gola.
“G-Grazie” fu l’unico suono che riuscì ad emettere Shinichi, seppur volesse dirle di più, volesse dirle altro.
L’altra, col viso ormai in fiamme, si limitò ad annuire con lo sguardo basso, dritto alle punte delle sue scarpe.
Aspettavano un momento del genere da due giorni, e ora? Non riuscivano a dare giustizia a quell’attimo di quiete, decorato da piccoli petali color confetto che attorno a loro, nel cielo, danzavano con il leggero venticello serale.
Ma soprattutto, non riuscirono a dare giustizia a tutta quell’attesa per il momento in cui, finalmente, avrebbero potuto parlare di ciò che era successo tra di loro.
Il motivo?
“Ah ma non date troppo caso a me, fate pure” la voce di Yukiko, nascosta per metà dalla porta di villa Kudo, fece sussultare i due, che arrossirono ancora di più, diventando quasi porpora.
Inutile dire che il ragazzo, nell’udire la voce della madre che sapeva fosse lì a spiarli da parecchio tempo, s’innervosì ancora di più, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche delle mani pur di non urlarle contro.
La situazione si fece piuttosto imbarazzante, con i due ventisettenni a disagio e l’ormai ritirata attrice che con un sorriso malizioso stampato in faccia continuava ad osservare la scena.
Ran rimase lì a lungo aspettando che la madre dell’amico d’infanzia li lasciasse soli a parlare, ma nel costatare che l’idea di abbandonare la postazione non l’aveva nemmeno sfiorata, decise di tornare a casa sua.
“Scusa ma mio padre non ha ancora cenato, sai com’è fatto” mentì, incamminandosi intanto al cancello della maestosa abitazione. “Passo domani mattina, ok?”
Il detective la guardò andarsene spaesato, forse ancora un po’ intontito per via dell’imbarazzo, fino a quando non realizzò le parole dell’amata e la seguì, senza farselo chiedere due volte.
Yukiko, dalla porta di casa, osservò la scena quasi intenerita da quei due che, nonostante l’età, gli anni e tutto il resto, sembravano non essere cambiati di una virgola, di essere ancora quegli Shinichi e Ran della seconda B del liceo Teitan.. di essere ancora più innamorati di prima.
Lasciò che un ultimo petalo di ciliegio, ormai gli ultimi di quella stagione, si posasse sulla sua lunga chioma dorata, prima di sorridere e decidere di tornare in casa.
In fondo, un po’ d’intimità e pace a quei due, per una volta, avrebbe potuto dargliela; c’era tutta la serata per punzecchiare il figlio.
 
“Ran aspetta” disse Shinichi, raggiungendo Ran e prendendola per il polso, costringendola a voltarsi.
“Che c’è? Ti sei ricordato di avere altri impegni per domani?” chiese ingenuamente la donna dalle iridi violacee, sostenendo a fatica gli occhi del ragazzo riflessi nei suoi.
Sorrise tra sé e sé, il detective. Le era letteralmente corso dietro dopo che lei aveva lasciato casa sua, e con tutto ciò a cui poteva pensare, quella si preoccupava dell’appuntamento del giorno dopo.
Non era cambiata di una virgola, appurò. 
“Se vuoi, possiamo vederci anche in un altro momento non c’è pro-” fece per finire la frase, detta con tanta fretta che a momenti si faceva fatica a capirla, quando qualcosa di caldo e morbido si poggiò sulle sue labbra delicatamente, impedendoglielo.
Rimase un po’ scioccata, all’inizio, ma poi, a quel contatto così dolce e delicato, non poté far altro che serrare le palpebre, provando piacere e in un certo senso pace, mentre i petali intorno a loro continuavano ad accasciarsi a terra aggiungendosi a quella distesa color rosa che aveva ormai decorato le strade di tutta la capitale.
Fu un bacio casto e breve, ma talmente dolce e caldo che, dal momento in cui le loro labbra si staccarono, cominciarono a desiderarne altri, di contatti simili.
“Beh.. io dicevo..” provò a prendere parola Ran, con le guance leggermente più colorate di prima.
“Che ci vediamo domani per cena” disse prontamente l’altro, con tono quasi distaccato, con quel tono che era solito avere.
Ringraziò il buio di quella sera, Shinichi, che con grande maestria andava a nascondere quel rossore sul suo viso, celandolo agli occhi dell’amica d’infanzia l’imbarazzo che in realtà aveva cominciato e manifestarsi anche sulla sua pelle.
“Domani per cena?” domandò Ran, ancora piuttosto scossa per quel bacio così inaspettato. Senza accorgersi però della faccia quasi contrariata che fece alle sue parole.
“Beh, se non vuoi il tuo ragazzo per casa, basta dirlo..” inscenò un’espressione imbronciata, il ventisettenne, voltandosi dal lato opposto e incamminandosi verso casa sua.
-Ragazzo..- se prima era contenta per quel bacio repentino e non programmato, in quel momento le sembrava di avere un’utopia dinanzi agli occhi, di essere vittima di uno scherzo, in balia di un bellissimo sogno.
Shinichi, in pratica, le aveva fatto intendere stessero insieme.
Dire che il suo cuore dimenticò di battere per qualche istante, in quel momento così magico, addobbato dai mille puntini color confetto che coloravano quel cielo ormai completamente nero, era poco.
Ma si risvegliò immediatamente da quello stato, appena lui tornò a parlare.
“ A questo punto vado dal dottor Agasa” soffocò a malapena una risata. Dal dottor Agasa? Sì, era pessima come scusa, ma la reazione di Ran bastò a fargli cambiare in fretta idea.
“Cosa? No! Non intendevo..” provò a sistemare le cose, gesticolando con le mani e divertendo ancora di più il fidanzato che si lasciò ad una risata.
“Domani alle sette” le urlò, allontanandosi. “Non dimenticartelo”
Rimase ferma in mezzo a quel vialetto fino a quando la figura del moro non si mimetizzò nell’ombra, con gli occhi ancora sbarrati e il corpo preso da fremiti e scosse che non riusciva a placare.
“O-Okay..” osservò quella piccola stradina cui Shinichi era sparito senza un apparente motivo,  quando uno strano brivido le percorse la spina dorsale. 
Si voltò all'istante, rimanendo sorpresa del risultato: non c'era nessuno.
-Forse l'ho solo immaginato. .-
 
***
 
Respiri affannati, battiti cardiaci che come martelli pneumatici assillavano i loro cuori, e occhi che non riuscivano a staccarsi da quella semplicissima busta di carta tra le mani del ventisettenne.
Casa Kudo, in quel momento, aveva perso tutta l’ironia di qualche istante prima trasformandola in pura ansia; ansia che si rispecchiava negli occhi dei due detective, come in quelli dei due scienziati e l’ex idol.
Con le dita cominciò a schiudere la busta, estraendone parecchi fogli da essa, che divise con gli altri presenti così da riuscire a studiarli meglio.
I primi due, foto raffiguranti i volti di Conan Edogawa e Shinichi Kudo furono scartati fin da subito, così come tutti quei documenti collegati sempre alla doppia identità del detective.
La ricerca non durò a lungo, poiché dopo pochi minuti, tra le mani di Shinichi capitò una minima quantità di fogli uniti da una graffetta.
Non molto le pagine stesse, ma piuttosto la fotografia nascosta tra di quelle, attirò fin da subito la sua attenzione.
“Ora capisco perché Akai…” sussurrò il detective dell’est, prima di sorridere spavaldamente. “È arrivato il momento di richiudervi tutti quanti in gabbia, corvi"



*"Lui è l'unico che manca"
**Capitoli 4 "La cena perfetta.. o quasi", 5 "Quando il pericolo si concretizza", e 6 "Il Buio"
***Manga 828-830, Anime 724-725
****Manga 876-878
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Nana's Corner:
Ohayo!! :DD
Neh neh, visto che brava? Lunedì e aggiorno. Ormai è ufficiale: l'ispirazione mi è finalmente tornata^^
E nonostante ho scritto nelle pause tra biologia e chimica, sono riuscita a finire comunque il capitolo che, devo ammeterlo, è uno dei miei preferiti per ciò che succede u.u
Cioè, sono stata perfida con i nostri piccioncini per TROPPO tempo! Ci voleva un momento per loro senza nessun intralcio, no? ;)
E poi dai, Yukiko sarà anche.. non mi viene il termine, venitemi in contro ^^", ma sappiamo benissimo che alla fine leverebbe le tende lasciando soli Shinichi e Ran :)
Anyway, finalmente, si spiega ciò che succedeva nello scorso chap. 
Sì, prima vi faccio vedere il "risultato" e poi il piano... evidentemente quando mi hanno spiegato come si svolgono le cose, il messaggio dev'essermi arrivato male, visto che faccio sempre l'inverso nelle mie storie lol
Tornando seri, Akai è disperso (?), i nostri amici pianificano il loro attacco, Ran e company chiacchierano mentre Sera si comporta in modo piuttosto sospetto, i punti che vi avevo svelato lo scorso chap in forma di flash back.. e poi l'ombra.
Sembra piuttosto pieno come capitolo, sì? ^^
Ma adesso passiamo al Metantei's Corner:
1- Chi è in realtà l'ombra che segue i nostri protagonisti?
2- Che fine ha fatto Akai?
3- Per l'ennesima volta xD, che c'è nella famosa busta? (lo so che ormai la state odiando lol, ma tenete duro, tra poco lo scoprirete ;))

Ora invece vorrei ringraziare tutti coloro che continuano a seguire la long.
Grazie a shinichi e ran amore per aver commentato lo scorzo chap, e zanzadj per aver aggiunto la storia alle preferite e seguite. Arigatou Gozaimasu!!!! ^^
Grazie mille anche a tutti i lettori silenziosi che incoraggio a lasciarmi un commento, che sia positivo o meno. Mi farebbe piacere sentire anche il vostro parere, cosa secondo voi potrei migliorare, cosa vi aspettate, se la storia è ancora interessante come una volta.. tutto, in pratica ^^

Va beh, vi lascio va, che vado a studiare -.-"
Grazie mille per aver letto anche questo capitolo che spero vi sia piaciuto, e che i personaggi siano stati descritti al meglio.
Grazie ancora e alla prossima! ^^

xxx, 
Nana.

 

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Capitolo 27
*** James Moriarty ***


Capitolo ventisette
James Moriarty
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Adrenalina.
Quella strana sensazione che ti scorre tra le vene senza che te ne renda conto, senza capire come si sia formata, quando sia nata.
Una di quelle poche emozioni che non si possono evitare, che non si possono nascondere neanche volendolo, né si possono negare.
È come la realizzazione di qualcosa di bramata e aspettata per troppo, troppo tempo; come un fascio luminoso che si aspetta con ansia dopo quel lugubre tonfo che i lampi creano durante un temporale.
È come una scarica di energia che i tuoi nervi mandano per tutto il corpo senza alcuna esclusione, come uno di quegli inquietanti fulmini che nel giro di pochi secondi percorrono e illuminano tutto il cielo.. per poi sparire senza lasciare traccia, nessuna prova, solo un vago ricordo; come uno di quei sogni stravaganti o semplicemente insoliti che pensi di non dimenticare mai, ma che poi ti rendi conto di aver cancellato dalla tua memoria non appena aperti gli occhi.
Adrenalina.
Quella strana sensazione che, in quel momento, gli scorreva nel sangue.
Era in quell’edificio.
In un edificio assieme a loro, quegli stessi individui che dieci anni prima gli avevano cambiato, o meglio, rovinato la vita e che non sapevano nemmeno fosse lì, ancora vivo, per assicurargli il futuro che più si meritavano.
Camminava accompagnato dai due compagni in quell’impresa cercando di fare il meno rumore possibile, attenendosi ai piani prestabiliti.
Percorsero quel lungo e tetro corridoio senza alcun problema, avendo ormai la piantina di quell’edificio stampata in mente.
Dovevano inoltrarsi in quella palazzina abbandonata, salire sino al penultimo piano, e poi aspettare l’arrivo di Vermouth e gli altri, accompagnati dal boss.
Il resto, poi, sarebbe stato tutto veloce come un respiro, un battito di ciglia; non potevano sprecare o fermarsi nemmeno per un secondo.
Ormai quella tregua, quell’insolita quiete, stava per scemare.
In fondo, come tutti i grandi eventi, si partiva sempre con piccoli e rari episodi, avvenimenti, come semplici allarmi che prevedono una tempesta.
Camminarono ancora per un paio di minuti cercando la zona cui dovevano scontrarsi, quando l’eco di passi causato da un gruppo di persone non si sparse per tutto il piano.
Sorrisi spavaldi presero spazio sui loro visi.
Senza indugiare oltre, si nascosero dietro ad un pannello nei dintorni, aspettando soltanto che la preda si facesse avanti.
Adrenalina, ecco cosa percorreva ogni minima cellula dei loro corpi e che si moltiplicava assieme a loro in minime frazioni di secondo, in quegli istanti che cominciavano a divenire insopportabili.
Adrenalina, che si bloccò nel momento esatto in cui anche il loro sangue si gelò.
Adrenalina, sfrontatezza, e sorriso, che tramutarono in terrore non appena quegli individui che avevano sentito arrivare proferirono parola.
Sbarrò gli occhi, Shinichi, spiazzato, terrificato al pensiero del guaio in cui si erano cacciati tutti quanti.
-Ran…-
 
***
 
“Domani alle sette” le urlò, allontanandosi. “Non dimenticartelo”
Rimase ferma in mezzo a quel vialetto fino a quando la figura del moro non si mimetizzò nell’ombra, con gli occhi ancora sbarrati e il corpo preso da fremiti e scosse che non riusciva a placare.
“O-Okay..” osservò quella piccola stradina cui Shinichi era sparito senza un apparente motivo,  quando uno strano brivido le percorse la spina dorsale. 
Si voltò all'istante, rimanendo sorpresa del risultato: non c'era nessuno.
-Forse l'ho solo immaginato. .-
 
Poco dopo, era già in cammino verso casa, canticchiando una canzone sentita giusto quella mattina alla radio mentre metteva faceva ordine nell’agenzia ormai quasi sempre inattiva del padre.
Dire che era allegra era poco.
Teneva le mani unite dietro la schiena, osservando quel cielo blu ornato di miriadi di stelle, e quella luna che splendeva alta nel cielo.
Più la guardava, più arrossiva al pensiero della sera prima, e più sorrideva a quello delle parole dell’amico d’infanzia.
Quell’atmosfera poi, così calma e serena, priva di qualsiasi rumore eccetto il bubolio di un gufo nascosto tra i rami degli alberi, e colorata poi dal rosa confetto dei petali dei ciliegi, si sposava a quell’opera d’arte dipinta nel cielo a perfezione.
Camminò a lungo, accompagnata da quella piacevole quiete, fino a quando quell’incantevole attimo, come una bolla di sapone, non scoppiò, rompendosi per via del suono causato da delle ruote a contatto con l’asfalto.
Non fece in tempo a voltarsi, che il motociclista, dopo una sgommata seguita da una brusca frenata, le era già accanto.
“Ran-chan!” urlò allegra la ragazza in sella alla moto, levandosi il casco dalla testa rivelando i corti e ribelli capelli corvini, per poi poggiarlo sulle sue gambe.
“Masumi-chan..” disse Ran, sorpresa di ritrovarsi l’amica del liceo lì, nei pressi di villa Kudo.
“Che coincidenza, anche tu qui?”
La karateka annuì, prima di proferire parola.
“Ero passata per dare una cosa a Shinichi, e così..” spiegò, tornando a sorridere allegramente come prima dell’arrivo della ventisettenne. “Tu invece? Come mai qui?” chiese curiosa.
“Ah niente! Stavo solo facendo un giretto qui nei dintorni” rispose, dando poi un’occhiata a quella distesa tappezzata di luci sopra di loro. “Poi questo tempo ti fa venire una voglia di uscire di casa.. non trovi?”
Ci fu un veloce scambio di sorrisi, prima che l’investigatrice proferisse nuovamente parola.
“Ora che mi ci fai pensare..” disse, con il pollice e l’indice a sfiorarle il mento a mo’ di ‘v’. “Mi ero totalmente dimenticata che villa Kudo fosse proprio nei paraggi..” pensò ad alta voce, con sguardo assorto; per poi riportare le iridi smeraldine sulla figura della brunetta, e mutare lo sguardo in uno alquanto serio. “A proposito.. Kudo ti ha detto a cosa gli serviva quella busta?”
Ran la osservò spaesata.
Come faceva a sapere della busta?
Non ricordava di averne parlato, né di averle detto che si doveva incontrare con lui proprio per quella.
Quello sguardo confuso tramutò inevitabilmente in uno insospettito.
Qualcosa non tornava.
E doveva scoprirlo il più presto possibile.
“Come fai a sapere della busta?” le domandò, cercando di apparire il più naturale e allegra possibile, nonostante quel tono e quella luce diversa nei suoi occhi la tradissero.
“Beh perché..” sembrò pensarci su parecchio, Sera, insospettendo ancora di più l’amica. “Che domande, lo sai che sono un detective, no? L’ho dedotto, semplice”
Lo sai che sono un detective, no?
Quella frase la fece sussultare.
 Era la stessa che Shinichi le disse dieci anni prima durante il caso del diplomatico.
Deglutì, non sapendo che dire, o pensare.
Forse stava lavorando troppo di fantasia, forse era come aveva detto lei: l’aveva dedotto e basta.
Si morse il labbro, prima di abbandonarsi ad un sospiro.
Già, in fondo come poteva sapere la verità se né lei né Shinichi gliel’avevano rivelata?
“Comunque no, non me l’ha detto” confessò, non stupendo affatto l’altra che, al contrario, non si scompose di una virgola. “Perché vuoi saperlo?” domandò, alquanto incuriosita dall’atteggiamento della ragazza.
“Sai” abbassò il capo, sorridendo spavaldamente. “Questa faccenda m’incuriosisce molto. Tanto che ho deciso di scavarci più affondo e scoprirne di più” ammise, lasciando interdetta la figlia dell’investigatore Mouri.
“Faccenda? Di che-” non fece in tempo a finire la frase però, che la sorella dell’agente dell’FBI era già eclissata da quella piccola stradina, abbandonandola alla più pura confusione. “parli..”
 
***
 
 ..Questa faccenda m’incuriosisce molto… tanto che ho deciso di scavarci più affondo e scoprirne di più..
Quelle frasi, quelle poche e semplici parole, continuavano a riecheggiare nella sua mente.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma qualcosa le diceva che quella ragazza nascondeva qualcosa. Prima la busta, poi quello..
Cioè, la prima poteva anche passargliela, ma la seconda di affermazione..
Continuava a formare ipotesi una sopra l’altra mentre affettava le verdure per la cena di quella sera, affiancata da Kazuha che invece si stava occupando del dolce tra un discorso e l’altro riguardo al matrimonio che si faceva sempre più vicino, il vestito e quanto fosse contenta per il ritorno di Shinichi.
Discorsi che, ovviamente, Ran non seguiva più di tanto.
Tutti gli ingranaggi del suo cervello, in quel momento, erano concentrati solo e unicamente sull’incontro con Masumi, alla ricerca di qualche indizio che la potesse portare alla soluzione.
Provò a pensare a ciò che Shinichi le diceva sempre per aiutarsi nell’impresa, ma quel rompicapo le sembrava talmente complicato..
“Ran? Ci sei?” la risvegliò da quel suo stato la ragazza del Kansai, sorridendo maliziosa all’espressione dell’amica. “Dì la verità, stai pensando a Shinichi, non è così?”
“Cosa? NO!” sbottò la karateka, gesticolando con le mani mentre il viso le diveniva completamente paonazzo. “Che ti salta in mente?! Stavo solo pensando..”
“Se lo dici tu..” rise, Kazuha, mentre l’altra intraprendeva un’espressione imbronciata che la divertiva parecchio. “Comunque” cambiò discorso, piegandosi per controllare l’impasto della torta nel forno. “Hai per caso visto Heiji in giro? È da un’ora che lo cerco, ho provato anche a chiamarlo ma ha risposto la segreteria!” disse, poggiando le mani ai fianchi una volta tornata in posizione eretta. “Quello stupido di un detective non si smentisce mai”
“Posso provare a chiamare Shinichi, magari sono insieme” propose Ran, digitando il numero dell’amico d’infanzia mentre l’altra annuiva d’accordo.
Premé il tasto verde, per poi avvicinare il cellulare all’orecchio.
Non fece nemmeno in tempo a completare l’azione, però, che udì subito la segreteria del ragazzo.
“Strano..” sussurrò, portando il dispositivo lontano dal timpano per controllare bene se avesse chiamato proprio il numero del detective, rimanendo poi stranita nel confermare fosse il suo. “Anche il cellulare di Shinichi risulta irrintracciabile”
“Davvero?” disse più confusa ancora la ragazza dalle iridi smeraldine, avvicinandosi a lei. “E adesso? Non è che gli è successo qualcosa?” le domando cominciando a preoccuparsi. Non era normale che sia l’uno che l’altro sparissero così, all’improvviso e con i cellulari per giunta spenti. Forse gli era successo qualcosa.
Guardò l’amica aspettando una risposta uscire dalle sue labbra, mentre quella, invece, mutò radicalmente espressione, abbassando al contempo il capo.
..Bramano qualcosa..
Alzò nuovamente lo sguardo verso Kazuha, ormai priva di alcun dubbio su ciò che era accaduto qualche ora prima con l’ex compagna di classe.
“Conosco qualcuno che può aiutarci”
 
***
 
“Sicura si trovino qui?” la voce di Kazuha, seppur bassa e tremante, riecheggiò tra le pareti di quel corridoio, mentre le sue mani si stringevano alla felpa di Ran che, anch’ella preoccupata, si stringeva a lei con un braccio e teneva una torcia nell’altro.
La donna dinanzi a loro si limitò ad un mugugno e un semplice movimento di capo, continuando a camminare con lo sguardo che navigava da una parte all’altra di quella zona, sempre all’erta in caso di pericolo.
Si voltò per lanciare uno sguardo furtivo alle due dietro di sé, per poi ritornare a guardarsi di fronte.
Avrebbe preferito non venissero anche loro due, a dir la verità.
Aveva come l’impressione che, in quel modo, le stava mettendo in pericolo.
Non stavano andando ad un parco giochi pieno di bambini di sei anni che al massimo potevano lanciarsi sabbia negli occhi a vicenda, ma in un posto che lei stessa sapeva fosse rischioso.
Non era un gioco, ecco.
Ma a quell’atteggiamento così insistente non era proprio riuscita a declinare il tutto, purtroppo.
Continuarono a camminare nel buio cercando di fare il meno rumore possibile, fino a quando qualcosa, o meglio, degli urli soffocati non costrinsero Masumi a voltarsi.
I polmoni smisero di inalare ossigeno, quando, dinanzi a lei, non trovò nulla se non la torcia che l’amica del liceo teneva prima stretta tra le mani.
“Ran? Toyama?!” provò a chiamarle, preoccupandosi nel non trovare più alcuna traccia di loro.
Avanzò verso la torcia a terra per raccoglierla, ma quando si abbassò per prenderla percepì una presenza dietro di lei.
Si girò di scatto pronta per sferrare una delle sue potenti e pericolose mosse, quando quella stessa presenza nascosta dal buio di quel posto non le afferrò il polso, bloccandola.
Provò a dimenarsi, ma quando quella la attirò più a sé per coprirle la bocca, il mondo sembrò caderle addosso.
“Shu-nii…”
 
“Hmm! Hmm!” continuarono a dimenarsi Ran e Kazuha tra le braccia di quei due individui che, avendole prese di spalle, non erano riuscite a riconoscere.
Le avevano prese tenendogli le bocche chiuse con le mani per evitare potessero urlare e farsi scoprire dalla ragazza da cui erano accompagnate, e le mani tra quelle del rispettivo rapitore così da impossibilitargli qualche pugno o mossa.
Le portarono dietro a un muro, nonostante la loro disapprovazione e i tentativi di scappare dalle loro prese, per poi sussurrargli un semplice suono che bastò a far capire a entrambe le identità dei due.
“Shinichi” sussurrò Ran, mentre quello le intimava di non fare troppo rumore.
“Che ci fate qui?” chiese Heiji, piuttosto serio, lasciando Kazuha che appena scorsa la sua faccia non riuscì ad evitare di fulminarlo con lo sguardo.
“Che ci facciamo qui?! Se voi non foste spariti così all’improvviso spegnendo pure i cellulari magari non ci saremmo preoccupate, idiota!”
“Baro! Ti ho detto di non urlare!” rispose il detective dell’ovest, dando inizio all’ennesima litigata tra di loro.
Ran e Shinichi assisterono alla scena allibiti. Quello, senza alcuna ombra di dubbio, non era il momento più opportuno per bisticciare come sempre.
“Comunque Kazuha-chan ha ragione” proferì parola Ran, stupendo i due ragazzi. “Dovevamo cenare insieme, ma eravate entrambi irrintracciabili” disse, voltandosi verso Shinichi che provò a fingere una risata per nascondere che in realtà se lo fosse dimenticato per via dell’organizzazione e il piano.
“Ah certo! Come potrei dimenticarlo?” mentì, non convincendo però la fidanzata che con fare scocciato gli lanciò un’occhiata truce.
“Parlando di cose serie” cambiò discorso il detective dell’est, voltandosi verso l’amico che arrestò all’istante la litigata con la futura sposa. Inutile dire che le due li guardarono entrambe con un’espressione stizzita dipinta sul viso. “Forse è il momento di tornare da Akai”
“Sì, hai ragione” disse di rimando il giovane dalla pelle olivastra, portando Kazuha dietro di sé e avvicinandosi a Shinichi che fece lo stesso con Ran, mentre si recavano dal compagno di squadra che, in realtà, era solo a pochi metri di distanza da loro.
 
“Shu-nii…”
Quegli occhi verdi smeraldo pieni di odio e risentimento velati da uno strato di ghiaccio, coperti da uno scudo che li nascondeva dal resto del mondo.
Quelle borse nere sotto di essi che più volte la gente aveva creduto fossero portate dal poco sonno, quelle occhiaie che anche lei aveva, ereditate da uno dei genitori.
Quel sorriso che aveva sempre una certa nota di sfrontatezza mista a dolore e perspicacia che, oltre al mago, solo lui aveva.
E quel berretto di lana scuro che rigorosamente portava sempre.
Abbassò lo sguardo, mentre l’uomo mollava la  presa sul suo braccio, lasciandolo penzolare fino ai suoi fianchi.
“Lo sapevo” bisbigliò, rendendosi quasi inudibile all’udito di altri, permettendo alle sue labbra di curvarsi in un sorriso che, a dirla tutta, non mostrava un’emozione precisa.
L’altro rimase immobile dinanzi a lei, impassibile, continuando a rimanere in silenzio.
“Sapevo che seguendolo,” disse, accorgendosi dell’arrivo di Shinichi che rimase un po’ stupito da quelle parole dirette proprio a se stesso. “Ti avrei ritrovato, niichan” alzò lo sguardo verso il fratello maggiore, che non riuscì a trattenere un mezzo sorriso.
“Come seguendomi?” s’intromise l’investigatore, curioso così come gli altri tre accanto a lui che assistevano a quella scena a dir poco sconcertati. Anche se Heiji, come Shinichi, più o meno aveva capito che succedeva, a differenza delle due ragazze che erano completamente estranee alla faccenda.
“Ti ho già detto una volta che noi due ci siamo già incontrati, non ricordi?”
Il detective dell’est osservò la donna con sguardo serio e in silenzio, incitandola con un cenno del capo ad andare avanti.
“Diciamo che alla morte di Shu dieci anni fa, una donna di nome Jodie Starling mi chiamò per dirmelo e invitarmi a tornare in Giappone per ritirare i suoi effetti. E quando sono tornata, ho saputo che un bambino delle elementari aveva partecipato all’ultima missione cui era complice anche mio fratello e ho cominciato a chiedere di lui” cominciò a spiegare, fissando dritto negli occhi cobalto del ventisettenne. “Dopo qualche tempo passato ad investigare sono arrivata a un nome, ovvero Conan Edogawa, e così ho pensato di incontrarti e fingere che il tutto sia accaduto per pura casualità”
“Quindi quella volta..?” sussultò Ran al ricordo di quel loro primo incontro su un autobus, dove avevano scambiato Sera per un ragazzo e per giunta un pervertito, pensando fosse lei ad aver toccato Sonoko.
La mora rise, annuendo.
“Anche se dopo aver visto la tua perspicacia e velocità nel risolvere i casi ho cominciato a pensare che tu in realtà fossi Shinichi Kudo, il detective liceale sparito nel nulla dieci anni fa, e a quanto pare..” disse, squadrandolo dalla testa ai piedi con un sorriso spavaldo e soddisfatto al tempo stesso. “Avevo ragione”
“A-A-Aspetta un attimo…” ruppe quell’atmosfera Kazuha, strabuzzando gli occhi e tremando puntando il dito indice verso il fidanzato della migliore amica. “Conan e Shinichi sono l-la stessa p-persona?!”
“Sì” rispose Shinichi senza molti giri di parole, lasciando a bocca aperta la mora che guardò Heiji con sguardo interrogativo.
“Più tardi” mosse le labbra il detective dalla pelle olivastra.
La donna annuì, per poi arrossire di colpo mentre abbassava il capo.
-Significa che quando ho dormito con Conan io.. io in realtà- il viso le andò letteralmente a fuoco, al solo ricordo di cosa lei e Ran non avevano fatto con il bambino o detto di fronte a lui.
Mentre lei si perdeva tra i ricordi imbarazzanti, Sera tornò a proferire parola.
“Ho deciso però di non dirti nulla per tutto questo tempo perché volevo vedere se saresti riuscito a capire chi fossi veramente e dove ci eravamo già incontrati” disse, sorridendo nostalgica. “Ricordi? È stato a-”
“Come sei arrivata qui?” arresto la sorella, Akai, squadrandola con uno sguardo piuttosto serio.
Alzò lo sguardo un po’ confusa, all’inizio, per poi tornare a sorridere spavaldamente.
“Vi ho spiati” ammise con nonchalance. “E’ da u po’ che lo faccio; in pratica dall’episodio del Beika Sun Plaza” aggiunse, mentre l’agente dell’FBI era impassibile di fronte a lei, senza nessuna emozione trapelante dal suo viso, una freddezza quasi impossibile che lo avvolgeva. L’altra si aspettava le dicesse qualcosa, ma dato il silenzio dell’uomo, preferì andare avanti con la sua spiegazione. “Quando mi hanno detto della presenza di Kudo e come fosse sparito così, di punto in bianco, e i dettagli del caso, ho cominciato ad insospettirmi, fino ad arrivare a seguirlo per cercare di scoprirne di più” spiegò, senza mai abbandonare quel sorriso audace dipinto sul suo viso.
Strabuzzò gli occhi, Shinichi, alla frase della donna.
 
-È quello che mi chiedo anch’io-
Osservò l'abitazione a lungo, finendo con assottigliare gli occhi alla vista di quell'ombra che da minuti ne percepiva la presenza ma che non riusciva a individuare.
Qualcuno li stava spiando.. Ma chi?
*
 
-Era lei- dedusse, al ricordo di quella strana sensazione, o meglio, impressione che aveva avuto il pomeriggio prima.
Socchiuse le palpebre, scrutando l’investigatrice con alquanto interesse.
“Allora eri tu l’altra sera, l’ombra dietro ai cespugli” disse Ran distogliendo l’attenzione di tutti quanti dalla figura della corvina sulla sua.
L’amico d’infanzia le lanciò uno sguardo interrogativo, così come gli altri, a cui lei rispose immediatamente.
“L’altra sera, quando sono venuta a casa tua, Shinichi, avevo come l’impressione qualcuno ci stesse guardando; solo che quando mi sono girata verso i cespugli non ho trovato nessuno e ho pensato fosse stata solo la mia immaginazione..” ammise, voltandosi verso il ventisettenne che era rimasto piuttosto sorpreso dalla dichiarazione della donna, incapace di spiegare a se stesso come la fidanzata fosse riuscita a percepire la presenza di qualcun altro e lui no.
“Hai ragione, sai?” disse all’improvviso Sera, incrociando le braccia al petto con fare sicuro e sfrontato. “Ero io quell’ombra tra i cespugli l’altra sera, ed ero sempre io ad osservarti dal giardino di casa tua mentre eri dal dottor Agasa” confessò, andando ad accertare i sospetti di Shinichi. “E’ stato semplice scoprire dov’eri, visto che Ran quel pomerig-” provò a spiegare l’ennesimo ragionamento e deduzione, ma quel tono così spavaldo si dissolse nella fitta e pesante atmosfera attorno a loro non appena fu interrotta da una semplice frase.
“Non è un gioco per bambini, questo” proferì parola Akai, con quella perenne espressione enigmatica che altro non era che un misto di ironia, freddezza, sfrontatezza e distacco che non celava mai cosa in realtà ci fosse realmente dietro, cosa in realtà nascondeva quella maschera che una mano esperta aveva dipinto talmente bene da riuscire a nasconderne ogni minimo difetto e debolezza.
 “Non dovevi seguirci” continuò l’ex agente dell’FBI, mantenendo un tono piuttosto basso e controllato.
Deglutì, la donna, fissandolo dritto nelle iridi color smeraldo mentre le mani si serravano in pugni.
“Lo so benissimo che-”
“E allora torna a casa, questo posto non fa per te” disse, sorpassandola senza aggiungere nessun’altra parola.
I presenti rimasero in silenzio ad osservare la scena.
Ran diede uno sguardo preoccupato a Shinichi, che si affrettò a calmare con un leggero movimento di capo.
“È meglio torniate a casa anche voi” asserì, ricevendo l’approvazione di Heiji che incitò la futura sposa a lasciare quell’edificio assieme alle due amiche; amiche che, nonostante le inesistenti opposizioni, rimasero un po’ indecise alla vista dell’amica di vecchia data che, con le mani chiuse a pugni e le nocche ormai bianche dalla pressione, non demordeva.
Non avrebbe lasciato quel posto, non dopo ciò che aveva dovuto passare prima di trovare suo fratello, nonostante il suo atteggiamento nei suoi confronti.
“Masumi-chan?” poggiò una mano sulla spalla della ragazza, Ran, cercando di essere il più delicata possibile, sorridendole dolcemente.
Quella si limitò a spostare solo lo sguardo verso la figura di Shuichi poco distante da sé, uno sguardo veloce, fugace, che come un pesce fuor d’acqua scivolò nuovamente a dov’era inizialmente, riuscendo ad evitare di farsi afferrare dalle mani di quell’esperto pescatore.
Ricambiò all’affettuoso sorriso di Ran con un’occhiata indecifrabile, prima di avviarsi verso un lungo corridoio innanzi a sé, costringendo le altre due a seguirla.
“A-Aspettaci!” provò ad urlare Kazuha, affrettando il passo così da riuscire a starle dietro.
Prima di lasciare quel posto però, Ran si voltò un’ultima volta verso Shinichi preoccupata.
Lui le sorrideva, come la volesse rassicurare, come se volesse far sembrare tutto ciò uno scherzo, macchiandolo di sorrisi, ironia e serenità, quando sapeva benissimo che nulla di tutto ciò era vero.
Centravano loro.
Non era stupida, l’aveva capito subito.
Le era bastata la frase dell’amica investigatrice il giorno prima, per far scattare qualche scintilla dentro di lei e farle venire quel presentimento, quella sensazione di pericolo.
Qualcosa le diceva di restare lì con lui; lui che la incitava a lasciare quel posto, con quel sorriso finto dipinto in volto.
Qualcosa le diceva che non sarebbe più riuscita a dirgli tutto ciò che avrebbe voluto, che sarebbe fuggito da lei un’altra volta, ma che non sarebbero più riusciti a ritrovarsi di nuovo.
Qualcosa di indefinito, di misterioso, la attraeva a lui come fosse una calamita.
Arrestò il passo.
Aveva fatto quell’errore già una volta, era da sciocchi inciampare nuovamente nella stessa trappola.
Forse quello era il momento di restare.
Roteò il corpo in direzione del detective, sicura ormai della sua decisione.
Detective che, all’inizio confuso, strabuzzò gli occhi all’eco di tacchi proveniente dall’inizio di quel lugubre e lungo corridoio alle loro spalle.
“Ran, vattene!” le urlò, abbandonando quella calma e razionalità che fino a pochi istanti prima albergavano nel suo corpo.
“Shinichi io non-”
“Vai!” ripeté il ventisettenne sempre più agitato per via di quel rumore che velocemente si faceva sempre più forte.
Una sola lacrima solcò le sue gote, per poi sparire nell’ombra come la sua figura.
Abbassò il capo, Shinichi.
Avrebbe preferito che l’amica d’infanzia lasciasse quel posto senza opporre resistenza, ma dato che loro ormai erano vicini, non poteva rischiare di mettere in pericolo anche lei.
Ci fu uno svelto scambio di sguardi tra i tre, che senza indugiare oltre, tornarono a nascondersi dietro le pareti come prima dell’arrivo delle tre ragazze.
Ormai la frittata era fatta, non potevano più tirarsi in dietro.
 
***
 
I tacchi delle loro scarpe emanavano rumori che fastidiosi continuavano a riecheggiare per tutta l'area dell'edificio.
Il più autoritario del gruppo e l'uomo dai lunghi capelli color platino tenevano uno un tozzo e pregiato sigaro, e l'altro una semplice e sottile sigaretta stretta tra le labbra.
"Dove dovevamo incontrarci?" domandò il capo, scostando il tabacco dalla bocca.
"In quest'area del piano" rispose Vermouth, sostando i passi, seguita poi dai compagni.
Gin tirò fuori la pistola, preparandosi all'arrivo del loro cliente, copiato dagli altri che fecero lo stesso.
"Che ore sono?" domandò Amuro con un sorriso spavaldo a colorargli il viso.
Gin gli lanciò un'occhiata confusa. Che aveva da ridere adesso?
Fece per rispondere, quando un oggetto freddo e duro gli sfiorò la tempia.
"Lo so io” una voce, una tenue e roca voce, fu l'unico suono che sentì dietro le spalle. “L'ora di tornare in gabbia"
A quel punto anche il suo boss si voltò, ma la situazione si fece identica a quella del suo subordinato: il suono di un caricatore gli fece intuire che c'era una pistola puntata su di lui.
Sorrise, nel realizzare ciò che stava succedendo.
Vermouth e Amuro tenevano sotto tiro Gin, mentre Akai e Kir il Boss di quell'organizzazione criminale.
Il primo strinse i denti, innervosito da quella a dir poco spiacevole situazione, mentre l'altro sembrava piuttosto a suo agio.
"E così ce l'hai fatta alla fine” disse il capo, sorridendo soddisfatto alla vista delle figure dei due detective mancanti all’appello che lentamente si facevano sempre più nitide, avvicinandosi ai fiochi fasci di luce che penetravano dalle finestre lì intorno.
“Dubitavi?” rispose Shinichi con un sorriso sfrontato dipinto sul viso, accanto ad un Heiji armato di una katana che poggiò al pavimento non appena raggiunsero il gruppo.
L’uomo annuì, socchiudendo le palpebre.
“Sapevo avresti capito subito a cosa serviva la busta”
“Non agisci mai solo per il piacere di farlo, c’è sempre un motivo dietro ogni tua mossa
“E dimmi, Silver Bullet, how did you crack the code**?” chiese il boss, mentre le pistole poggiate alla sua testa si abbassarono lentamente sotto lo sguardo indecifrabile di Gin.
“James Moriarty” disse il detective, ponendo le mani nelle tasche dei pantaloni chiari con fare sicuro. “E la frase che hai lasciato sotto a quel nome” si fermò per qualche istante come volesse aumentare la suspense e la tensione di quel momento, prima di tornare a parlare.
“’Never trust to general impressions, but concentrate yourself upon details’***. Non è stato poi difficile fare due più due” ammise, tirando fuori le mani dall’indumento con un oggetto tra di esse; oggetto che si rivelò essere la stessa busta di cui stavano discutendo. “Come Moriarty, era qualcuno che agiva nell’ombra, senza mai sporcarsi le mani in prima persona; ma allo stesso tempo, era qualcuno di cui nessuno avrebbe mai dubitato per via della sua immagine, qualcuno che avrebbe potuto agire senza alcun intralcio perché, francamente, chi potrebbe mai dubitare di lui? E a quel punto mi sono tornate in mente le parole di Hidemi, ‘L’ultima cosa che farebbe Akai è chiamare il Federal Bureau’, ed il resto è venuto da sé” abbassò lo sguardo, sorridendo soddisfatto di quei ragionamenti rivelati poi essere esatti.
“Poi mancano i dettagli” disse, alludendo all’ultima parte del contenente della busa. “’James’, ovvero, il primo. ****‘Black’, nero… Il primo nero, o meglio, James Black”
“È piuttosto strano che dopo tutti questi anni l’FBI non sia ancora riuscita a sgominare quest’organizzazione, per quanto pericolosa e sfuggente che sia, e che anche quando è stata sul punto di riuscirci, saltava sempre tutto” si unì allo scambio di battute Heiji, lanciando uno sguardo sfrontato e sicuro al tempo stesso all’amico.
“E poi, a provare tutto ciò, è la decisione di Akai di dieci anni fa di tenere nascosto all’FBI la verità sull’accaduto al Passo di Raiha*****” riprese parola il detective dell’est, riportando l’attenzione di tutti su di sé. “Avrebbe potuto farsi aiutare da loro, era un’ottima occasione per agire poiché gli uomini in nero non sapevano fosse ancora vivo, ma ha invece preferito mantenerli all’oscuro di tutto”
Akai ruppe quella spessa e resistente maschera che aveva in viso per qualche istante, giusto il tempo di abbozzare un sorriso, stimolato dalla frase del detective.
Sapeva che quel ragazzino che con tanta astuzia li aveva aiutati contro i corvi anni addietro era molto più di un semplice bambino delle elementari, e che quella immagine fungeva come illusione, uno di quei trucchi che un solo mago esperto poteva inscenare; che dietro a tutto ciò si celava un individuo di cui si sarebbe potuto fidare.
Sorrise, James, avvicinando una mano alla fronte.
“Mi congratulo con lei, Holmes. Davvero perspicaci, you and your friend” disse, cominciando a levarsi maschera e parrucchino, rivelando alcune ciocche dorate che ribelli le sfioravano i fini ed eleganti lineamenti.
Sembrava tutto sotto controllo, ormai.
Sembrava.
Giacché bastò un piccolo dettaglio inaspettato, per far cambiare rotta a quella sfrontatezza e sicurezza che tutti mostravano, eccetto Gin.
Fossi in te non riderei, Vermouth
Una voce, una semplice voce, bastò a capovolgere completamente la situazione.
I sorrisi svanirono dai loro visi, dipingendosi invece su quello dell’uomo dai lunghi capelli biondi, che sembrava godere da quella situazione, a differenza degli altri.
Spalancarono gli occhi alla vista di un uomo sulla settantina che arrogantemente si avvicinava a loro.
Più che l’uomo stesso, fu la persona intrappolata tra le sue braccia, a far perdere il respiro ai detective e gli altri.
Capelli corti e a caschetto, chioma ramata, iridi color verde, corpo esile che con foga si dimenava tra gli arti del criminale provando a liberarsi dalla presa.
“Haibara…”
 
 
 
 
*Capitolo ventisei, “Il Mago”
** “Come hai fatto a decifrare il codice?”
*** “Non dare mai affidamento a delle impressioni, ma concentrati piuttosto sui dettagli.”
****Sì, sono andata in internet a cercare il significato del nome James, e dopo un sacco di tempo ho trovato anche questo significato, ovvero, “il primo”.
*****Episodio 504 (Jap)/552 (Ita). Una morte inattesa. (Ma è anche descritta nel tredicesimo capitolo della fiction ^^)

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Nana’s Corner:
Konbanwa!! :DDD
Come va?
In anzitutto, volevo chiedere scusa per il ritardo, ma purtroppo mi ero bloccata al punto di Sera e Akai e non riuscivo più ad andare avanti .-.
Ero letteralmente a corto di idee ^^”
Ma! Sì, come sempre c’è un ma lol, nel frattempo ho già preparato lo schemino per il prossimo capitolo (che vi avviso, avrà molta azione ;)) e anche per il primo di “Zero”, l’altra mia fiction. Meglio di niente, no? ^^
Cooomunque, siamo qua, parliamo di questo capitolo ora che ha bisogno (credo) di essere un po’ spiegato casomai ci sia qualcosa di confuso ecc.
Quindi, l’ombra che nello scorso capitolo seguiva i nostri protagonisti altri non era che Sera. Ve lo aspettavate?
E poi, proprio perché ci mancava, hanno addirittura raggiunto Shinichi e gli altri.
Ecco, per quanto riguarda la spiegazione di Sera, ho evitato di proposito di finire la frase sul primo incontro con Shinichi e Ran, proprio perché non ho intenzione di rivelarlo in questo momento per due motivi, uno lo scoprirete nell’ultimo capitolo, e l’altro… fidatevi, meglio non saperlo ^^”
Per l’ultima parte, invece, ci sono più particolari da precisare.
In anzitutto, se non l’avevate ancora capito, il capo era Vermouth travestita.
Il piano era quello di prendere in un primo momento Gin, che non sapeva del travestimento di quest’ultima, e poi gli altri, che in tutta onestà, non sono difficili da ingannare al contrario di Gin.
Poi abbiamo i ragionamenti del nostro Holmes e.. la busta!!!!!!! :DD
FINALMENTE, sappiamo cosa conteneva u.u
Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno, con il contenuto.
Comunque, il capo, secondo me, è James Black, e la spiegazione l’ho già data come Shinichi. Lo so, è un po’ azzardata come teoria, ma non per questo deve essere errata. Chi lo sa, magari ho ragione u.u
… Ok, forse sogno troppo ^^”
Il  finale lo lascio così, non voglio rovinare la suspense che spero di aver creato. Gommen :P
Ora  passiamo al Metantei’s Corner ^^
  1. Che succederà ora? (che domanda -.-“)
  2. Avete notato qualcosa che non torna nel chap? ;)
  3. Ricordate lo special del venticinquesimo capitolo? In parte, la risposta è in questo capitolo, ma il continuo è nel prossimo J
 
Bene, ora posso passare ai ringraziamenti.
Grazie mille a shinichi e ran amore e sakura kudo per aver recensito lo scorso capitolo. Arigatou gozaimasu!! <3<3
Grazie ai tre lettori che hanno aggiunto la storia tra le seguite e ricordate (gommen, non ricordo i vostri nomi al momento :’( ) <3
E grazie anche a tutti i lettori silenziosi che continuano a seguire questa storia che è ormai quasi giunta al termine. Mancano solo tre capitoli ormai…
Va beh, grazie ancora per seguirmi e per aver letto anche questo capitolo che spero vi sia piaciuto.
Ci vediamo presto! ^^
 
xxx,
Nana Kudo.

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