Il volo della sterna

di Neko no Yume
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, calma piatta ***
Capitolo 2: *** Compromesso ***
Capitolo 3: *** Acquazzone ***
Capitolo 4: *** Mare ***
Capitolo 5: *** Sterne ***



Capitolo 1
*** Prologo, calma piatta ***


Pioveva.
Anzi no, diluviava da non vederci a un palmo dal proprio naso.
Kyoya storse le labbra in una smorfia disgustata davanti all'enormità di un simile cliché.
Era il funerale del vecchio Jim e diluviava.
Si strinse il cappucci nero dell'impermeabile contro il collo e rabbrividì, fradicio fino all'osso, mentre attorno a lui la gente gettava l'ultimo sguardo alla tomba del vecchio guardiano del faro mentre veniva calata nella sua fossa.
Scorse volti tristi, rigati dalle lacrime e dalla pioggia, volti impassibili, ma soprattutto volti che si chiedevano preoccupati chi avrebbe osato prendere il posto di Jim come guardiano del faro.
Nessuno al paese sprizzava dalla voglia di andare ad abitare sul promontorio inospitale e perennemente assediato dalla mareggiata e passare il resto della propria vita in una torretta inospitale così lontana da tutto.
Forse avrebbero tirato a sorte, chissà.
Nel frattempo, occhiate nervose serpeggiavano tra la folla mentre chi aveva partecipato al funerale si affrettava a tornare verso casa propria, al riparo dall'acquazzone.
Nella piazza principale si era creato un capannello di curiosi che, appena videro tornare il resto del villaggio, fecero cenno di avvicinarsi.
Assiepato dagli abitanti e curvo sotto il peso di una giacca zuppa e uno zaino enorme, c'era un uomo che Kyoya non ricordava di aver mai visto.
Qualcuno gli doveva aver indicato il sindaco, perché si precipitò da lui e sfoderò un sorriso raggiante mentre gli stringeva con forza la mano scivolosa di pioggia.
-Salve, mi chiamo Dino Cavallone!-, esordì con uno strano accento che Hibari non riuscì a riconoscere -Avevo sentito nel paese vicino che vi serve un nuovo guardiano del faro e vorrei offrirmi, se non ci sono problemi-.
La piccola folla si limitò a fissare a occhi spalancati da ogni direzione il nuovo arrivato per qualche secondo, incapace di credere a una tale dimostrazione di fortuna (e spirito di sacrificio), poi esplose in un boato di benvenuto, travolgendo il volontario con poderose pacche sulla schiena.
Gli furono immediatamente consegnate le chiavi della sua nuova "casa" e fu scortato lungo il lungo sentiero sassoso e dissestato che vi conduceva da quasi tutta la popolazione di Skjiord, l'agglomerato di casupole dipinte con colori che facevano a pungi gli uni con gli altri (come molti abitanti, del resto) a ridosso del mare che loro chiamavano villaggio.
Lo straniero si fermò davanti alla porta di vecchio legno marcio e grattò via qualche scaglia di vernice rossa dal muro con aria pensierosa, ma sempre sorridente.
Armeggiò un po' con le chiavi (arrugginite quanto la serratura), per poi ringraziare i cittadini della fiducia che avevano riposto in lui e sparire nelle sue nuove stanze.
Kyoya pensò che, se la cosa fosse dipesa da lui, non avrebbe mai accolto tanto a braccia aperte una persona del genere, ma del resto la sua gente si distingueva per essere una manica di erbivori, quindi sarebbe toccato al ragazzo tenere d'occhio l'intruso.
Non che questo comportasse un significativo cambio di abitudini da parte sua, dato che ogni pomeriggio si recava al faro e, passando dalla pericolante scaletta esterna, passava qualche oretta di meritato riposo disteso sul tetto.
Gli piaceva quel posto, nessuno veniva mai a disturbarlo, la brezza salata puliva l'aria tutt'attorno e il rumore della risacca gli conciliava il sonno.
Il pomeriggio del giorno dopo il funerale del vecchio Jim si specchiava in un cielo senza l'ombra di nuvole, quindi Hibari si arrischiò a lasciare la giacca a casa e recarsi al promontorio, intenzionato a perpetrare la sua routine.
Salì lungo la solita scaletta in ferro battuto (ormai quasi completamente arrugginito e incrostato di salsedine) senza preoccuparsi di essere visto dalle sottili finestre del faro, sino ad arrivare sul tetto piatto e asfaltato.
Se non fosse stato munito di un parapetto, anch'esso in ferro e nelle stesse condizioni della scala, forse avrebbe fatto venire le vertigini persino a lui.
Forse.
Si avvicinò alla ringhiera e gli sfuggì un raro sorriso privo di intenti omicidi, di quelli che riservava agli animaletti e alla mareggiata che infuriava contro la ripida e scura scogliera che si stagliava sotto di lui.
Una voce fastidiosamente squillante squarciò lo sciabordare delle onde e lo fece sobbalzare, mentre si voltava d’istinto verso la sorgente di quel suono orribile, il sorriso ormai svanito.
Il nuovo arrivato era a qualche passo da lui, con una mano dietro la nuca e un’aria per niente intimorita.
-Ti ho spaventato?-, chiese conciliante –Sai, non dovresti stare qui, è pericoloso-.
Un qualunque altro abitante di Skjiord a quel punto se la sarebbe a data a gambe, anzi, non ci si sarebbe neanche lontanamente avvicinato a quel punto.
Ma il guardiano non era ancora un abitante di Skjiord.
Per cui si ritrovò senza sapere bene come a un soffio dal ragazzino, che lo stava trafiggendo con lo sguardo e aveva l’aria di chi avrebbe potuto tirargli un pugno da un momento all’altro.
-Io vengo sempre qui e continuerò a farlo, erbivoro-.
Dino si prese qualche istante per assimilare quel nuovo epiteto che gli era appena stato sibilato contro, poi scoppiò a ridere e Hibari si risparmiò il bisogno di tirargli un colpo ai reni nel vederlo accasciarsi al suolo con le lacrime agli occhi.
Aspettò che si rialzasse in piedi cercando di mantenere un’espressione intimidatoria, che però venne accolta con l’ennesimo sorriso e una mano tesa.
-Credo che tu già lo sappia, ma mi chiamo Dino Cavallone-, esordì il disturbatore –Tu sei?-.
L’altro soppesò l’idea di rispondere gettandolo giù di peso dal parapetto, ma questo avrebbe significato ritrovarsi di nuovo senza qualcuno che si occupasse del faro e, di conseguenza, problemi che gli avrebbero impedito di dormire sonni tranquilli sul suo tetto per un po’.
-Hibari Kyoya-, sentenziò lapidario senza prendersi la briga di stringere la mano tesa verso di lui.
-Piacere di conoscerti, Kyoya!-.
-Non chiamarmi col mio nome-.
-Uh? Ti dovrei dare un soprannome?-, il guardiano inclinò la testa di lato con aria stupita, senza riuscire del tutto a dissimulare un sorrisetto divertito che gli costò un calcio nello stinco.
-Qui le persone si chiamano per cognome se non si conoscono-, ribatté Hibari.
-Ma io non sono di qui, sono italiano-, ridacchiò lo straniero senza scomporsi.
-Oh, ecco perché parli strano-.
-È il mio accento misto alle parlate dei paesi che ho attraversato-, spiegò –Ho girato un po’ ovunque e se non riempissi quaderni su quaderni di appunti probabilmente mi esploderebbe la testa!-.
Sorrise per l’ennesima volta, per poi allargare le braccia in quello che doveva essere un segno di resa pacifica.
-Questo posto mi piace, vorrei poterci venire anch’io-, azzardò pensieroso –Posso farti compagnia?-.
-Razza di erbivoro, questa è casa tua in teoria-, sbottò Kyoya con una vena di velata sorpresa nella voce.
-Lo prendo per un sì!-.
-Fai un po’ come ti pare-.
E così Hibari poteva anche dire addio ai cari pomeriggi avvolti da quiete, salsedine e solitudine sul tetto del faro.


Yu’s corner.
Buondì, cari pasticcini stregati! (Sì, ho appena visto The Brave, perdono)
Cos’è questa cosa?
Ho appena iniziato una long a pochi giorni dall’inizio della scuola?
Non c’è davvero limite alla stupidità umana, Einstein aveva ragione.
Anyway, se qualcuno di voi fosse rimasto interdetto dal fatto che in un paesino dallaria nordica come Skjiord ci sia gente di nome Hibari Kyoya (e altri, eheh), pensi solo che nella Sicilia della Amano ci sono persone chiamate Dino, Squalo e Xanxus.
Mio paesino, miei nomi random.
Se per il resto questo primo, breve capitolo vi è piaciuto, vi ringrazio e attento paziente qualche recensione.
Bye bye, Yu.

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Capitolo 2
*** Compromesso ***


Gli abitanti di Skjiord si svegliavano tutti meno uno alla stessa ora.
Ovvero quando quell'uno squarciava l'aria fresca e immobile dell'alba con un urlo a pieni polmoni che poteva variare dal "VOOOOOOOI" al "Yamamoto, razza di sacco di immondizia puzzolente, scendi giù da quel maledetto letto e vieni ad aiutarmi!" e riusciva a rimbombare in ogni singola camera da letto del villaggio.
Nessuno riusciva ancora a capire per quale motivo Squalo, il pescatore più scontroso dell'intera provincia, avesse più o meno costretto un ragazzino del paese ad aiutarlo nel lavoro, né perché il suddetto ragazzino non riuscisse mai a svegliarsi in tempo e risparmiare un infarto mattutino all'intera collettività.
Probabilmente ormai lo faceva di proposito, dato che sembrava essere l'unica persona a trovare divertenti la compagnia e le urla del suo "maestro".
Essendo Hibari il vicino di Yamamoto, di solito era anche uno di quelli che si svegliava più di soprassalto, tuttavia quella mattina a svegliarlo fu il fastidioso pensiero dell'intruso che avrebbe dovuto affrontare nel pomeriggio.
Qualche secondo dopo il grido gli trapassò il cervello da timpano a timpano, facendolo sentire incredibilmente mattiniero.
Si liberò dal groviglio di coperte in cui era avvolto, per poi infilarsi il prima possibile in un paio di pantaloni pesanti e un caldo maglione di lana dai colori un po' troppo sgargianti per i suoi gusti, che coprì con l'impermeabile.
Nonostante la piccola e sgangherata scuola di Skjiord (che fungeva da materna, elementari e qualsiasi altro tipo di istruzione la gente di un paesino di mare necessitasse) aprisse molto più tardi, Kyoya preferiva avviarsi appena alzato piuttosto che vagare per casa fino a un orario decente.
Anche perché, ma questo non l'avrebbe ammesso facilmente, questo gli dava il tempo di tagliare per i boschi che circondavano il paese.
Gli piaceva perdersi tra i sentieri più o meno battuti, dove il rumore dei suoi passi veniva attutito da un manto di muschio umido e foglie secche, mentre tra betulle e abeti vedeva rincorrersi scoiattoli e uccelli di ogni tipo.
A volte, se era riuscito a essere abbastanza silenzioso, un riccio gli attraversava la strada e allora la merenda che sua madre aveva preparato per lui con tanto affetto finiva sbriciolata per terra davanti al musetto dell'animale.
Non aveva idea del perché, ma i ricci erano capaci di provocargli qualcosa di simile alla tenerezza con un solo sguardo.
Forse era colpa dei nasini umidi e gli occhi scuri, o forse erano gli aculei a piacergli.
Del resto anche lui si difendeva dal resto del mondo con minacce più o meno velate e dispensando lividi a chiunque osasse avvicinarsi troppo, era un meccanismo che gli aveva sempre permesso di vivere in pace.
Almeno finché qualcuno non aveva invaso il suo rifugio.
Hibari sbuffò all'idea di ciò che avrebbe dovuto affrontare nel pomeriggio, mentre la voce irritante del guardiano tornava a tormentarlo mentalmente col suo timbro esotico e squillante.
Scosse la testa come per scacciarla via e si avviò a passa rapido verso la scuola con l'intenzione di sfogare il nervosismo sul primo malcapitato che avesse visto correre in corridoio o parlare a voce troppo alta.


Dopo le solite ore di lezione e qualche occhio nero, Kyoya poteva definirsi di pessimo umore.
Non solo non era riuscito a distrarsi in nessun modo, ma si era anche reso conto di aver indossato per sbaglio il maglione che gli aveva regalato sua madre il Natale prima, con la solita trama di linee spezzate tipica delle loro parti e un orribile, grosso, vermiglio cuore nel centro.
Raccapricciante.
L'unico motivo per cui un capo del genere si trovasse ancora nel suo armadio e non in un inceneritore era che la signora Hibari l'aveva cucito di persona e l'ultima volta che a qualcosa fatto da lei non erano stati tributati i dovuti onori era ricordata come una giornata buia per tutta Skjiord.
Ovviamente nessuno si era permesso di ridacchiare (o anche solo sorridere) davanti al maglione, ma la situazione restava comunque piuttosto ridicola, senza contare che quel cuore rovinava completamente l'aura intimidatoria di cui aveva bisogno per tenere lontano l'intruso e non poteva passare da casa a cambiarsi (cosa che sua madre non gli avrebbe lasciato fare ad ogni modo).
Esasperato, si infagottò nella giacca e si avviò verso il faro a passo rapido, impaziente di arrivare prima che il sole iniziasse a tramontare e allo stesso tempo senza nessuna voglia di vedere di nuovo il nuovo arrivato.
Si inerpicò come al solito sulla scala, ma prima di salire l'ultimo gradino si concesse di dare un'occhiata al tetto, nella vana speranza di trovarlo deserto.
Seduto con la schiena appoggiata al parapetto e un quadernetto sulle ginocchia c'era lo straniero.
Hibari lo fulminò con lo sguardo, per poi andare a sedersi il più lontano possibile da lui e raggomitolare le gambe al petto, gli occhi chiari fissi sull'altro.
Come se la sua sola presenza da sola non fosse abbastanza irritante, il suddetto altro si ostinava a ignorarlo, rimanendo concentrato sul quaderno e ciò che ci stava scarabocchiando sopra.
Kyoya attese ancora qualche minuto e stava quasi per considerare l'idea di una convivenza pacifica all'insegna del silenzio, quando il graffiare del pennino sulla carta si interruppe, rimpiazzato da uno squillante "Finito!".
Poteva scordarsi il silenzio.
Dino alzò lo sguardo e si ritrovò davanti due iridi grigie dalle quali la maggior parte del paese aveva ormai imparato a fuggire il più rapidamente possibile, ma si limitò a sorridere con entusiasmo.
-Sapevo che saresti venuto!-, proclamò, per poi alzarsi in piedi,  coprire la distanza che li separava in pochi passi e accovacciarsi accanto a lui.
E addio anche agli spazi personali, decisamente la convivenza pacifica non era un'opzione contemplabile.
-Venivo qui da molto prima che arrivassi tu, erbivoro-, si limitò a sentenziare Hibari con l'ennesima occhiataccia, che non sortì alcun effetto.
-E che fai, esattamente?-.
-Mi rilasso lontano dal chiasso del villaggio. O almeno mi rilassavo-.
L'altro non parve cogliere l'allusione e lasciò vagare lo sguardo lungo il panorama fatto di picchi di rocce scure ricoperte di verde, mare in tempesta e cielo che ormai iniziava a indorarsi di tramonto.
-Direi che hai scelto un bel posto-, sospirò, la voce venata solo per un attimo di una strana tristezza.
Solitamente Hibari avrebbe ribattuto con un secco "Era un bel posto prima che arrivassi tu a disturbare" con tanto di calcio nello stinco, ma qualcosa in quel tono di voce improvvisamente lontano chilometri lo fece desistere.
Quasi spaventare, ma di questo si sarebbe reso conto molto più avanti.
Si limitò a concentrare la sua attenzione sul quadernetto, notando che la copertina era ricoperta di brandelli di stoffa colorata e strani ritagli di carta che sembravano francobolli.
Il guardiano se ne accorse e ritornò a sorridergli con allegria.
-Ti piace?-, chiese mentre glielo porgeva -Mi fa da diario di viaggio, ma preferisco disegnarci sopra quello che vedo, invece di scriverlo-.
Kyoya sfogliò alcune pagine in silenzio, godendosi la sensazione delle dita che sfregavano contro la carta rigida e giallastra delle pagine, fino ad arrivare al disegno che l'uomo aveva poco prima.
Rappresentava una semplice veduta del faro e il suo promontorio, ma era disegnata piuttosto bene, con tratto sicuro nonostante non ci fosse nessuno schizzo a matita da seguire.
-Sai, mi piacerebbe disegnare altri scorci di questo posto, qui tutto è così pittoresco-, rimuginò Dino ad alta voce -Ti andrebbe di farmi da guida?-.
Avrebbe potuto chiedergli di gettarsi dal parapetto con un macigno legato ai piedi e avrebbe ottenuto una reazione meno brusca.
Il ragazzo si voltò di scatto verso di lui e lo inchiodò con l'espressione più minacciosa che avesse a disposizione, affrettandosi a restituirgli il diario come se fosse diventato improvvisamente bollente.
Lo straniero non sembrò scoraggiarsi e si limitò a osservarlo sornione, il capo appena inclinato.
-Se accetti-, quasi cantilenò -Rimarrò qui abbastanza perché tu possa prendere il mio posto qui al faro-.
-... E cosa ti pensare che io abbia voglia di lavorare qui?-.
-Venivo qui da molto prima che arrivassi tu, erbivor... ouch!-.
-Fammi il verso di nuovo e la gomitata te la rifilo in pancia-.
Il Cavallone ridacchiò massaggiandosi il petto, ma non sembrava intenzionato a demordere.
-Allora, ti va?-, insisté, pronto a schivare qualsiasi altro colpo.
Hibari provò a immaginarsi la sua vita nella tranquillità delle mura incrostate di vecchia vernice e salsedine del suo faro, le mattine dall'odore di mareggiata e toast imburrati, la tranquillità che tanto cercava.
Tossicchiò qualcosa che avrebbe dovuto essere un sospiro, poi tornò a scrutare Dino.
-Domani non ho scuola, verrò qui all'alba-, borbottò con l'aria di chi sta facendo uno sforzo sovrumano per non prendersi a pugni da solo e mantenere un certo contegno -Fatti trovare sveglio, erbivoro-.
-Agli ordini!-.


-VOOOOOOI! Maledetto ragazzino, muoviti!-.
La sveglia quel giorno non era stata particolarmente originale, ma a Hibari sembrava che avesse rimbombato il doppio.
Forse perché quella notte aveva dormito poco e male, rigirandosi di continuo, incapace di credere di aver accettato un simile compromesso.
Già la sola presenza di un estraneo nel suo rifugio lo faceva rabbrividire, figurarsi doverlo portare in giro per Skjiord e dintorni mentre lui si divertiva a disegnare.
Riusciva a immaginarlo mentre osservava qualsiasi cosa, persino una processione di formiche, con gli occhi scuri sgranati come quelli di un bambino e il solito sorriso da orecchio a orecchio.
Sarebbe stato peggio di fare da babysitter.
Si costrinse a scendere dal letto, il pensiero che accarezzava la possibilità di diventare a sua volta il guardiano del faro che l'aveva sempre protetto e si vestì, stando attento a evitare eventuali regali di sua madre in agguato sulle loro stampelle.
Appena uscito, l'aria gelida dell'alba gli pizzicò il viso e Kyoya sprofondò fino alle guance nella sciarpa di lana con un brivido, per poi avviarsi di nuovo verso il promontorio.
L'erba umida gli bagnava l'orlo dei pantaloni e la nebbiolina che ancora non era stata spazzata via dal sole gli impediva di vederci bene, ma per Hibari il silenzio surreale e ricoperto di rugiada che aleggiava nelle mattine del suo paese era un suono capace di tranquillizzarlo persino in una situazione del genere.
Dino non sembrava altrettanto immerso in quell'atmosfera fuori dal tempo e, sebbene avesse ancora le palpebre pesanti e la voce impastata dal sonno, sembrava sprizzare forza di volontà da ogni poro.
-Buongiorno, Kyoya!-, lo salutò, sventolando la mano nella sua direzione e andandogli incontro.
-Non chiamarmi per nome-, ricambiò lui in un tono che avrebbe potuto essere più gelido del mare che si agitava sotto di loro, ma che non riuscì comunque a scalfire l'entusiasmo del Cavallone.
-Allora, dove mi porti?-, si informò come se niente fosse.
Hibari ci rifletté per qualche istante, l'irritazione per aver accettato il suo accordo gli aveva impedito di pensarci il giorno prima.
-Direi di iniziare col villaggio vero e proprio-, borbottò laconico, per poi voltarsi e iniziare a camminare senza preoccuparsi di essere seguito.
Lo straniero rimase stranamente in silenzio per il resto tragitto, forse troppo impegnato a fotografare con lo sguardo il paesaggio attorno a sé per poterlo disegnare più tardi.
Del paese volle vedere la piazza principale, se piazza poteva chiamarsi una rotonda con al centro uno spicchio di prato e la statua di bronzo di un cigno dalle ali spiegate, e qualche scorcio delle vie tappezzate di casette a schiera.
Sorrise divertito davanti all'accozzaglia di colori sgargianti con cui gli abitanti le avevano dipinte, come per voler contrastare il freddo penetrante del posto, ma arrivati al porto storse le labbra in una smorfia.
Kyoya annusò l'aria col sospetto che dal mercato lì vicino fosse arrivata puzza di pesce, ma riuscì a sentire solo la brezza salata che aleggiava sulla spiaggia di ciottoli grigi e le barche malandate che ancora non avevano preso il largo e cozzavano contro il legno marcio del pontile.
Nel complesso gli sembrava un bel posto, di quelli che avrebbero ispirato con facilità un disegnatore, ma Dino più che ispirato sembrava sull'orlo di vomitare la colazione.
Lo scrutò con aria scettica, alla quale lui rispose col sorriso tirato di chi sta ingaggiando una battaglia interiore per ricacciare indietro qualcosa a cui non ha voglia di pensare.
-Oh, scusa-, farfugliò, la voce che ancora incespicava -È che soffro molto di mal di mare e anche stare troppo vicino a riva mi fa venire la nausea-.
Hibari soppesò per un attimo la fragilità di una scusa del genere, poi decise che non era affar suo e scosse le spalle.
-Che cosa da erbivori-.
Eppure il guardiano fu in grado di tornare allegro solo quando si furono allontanati da lì e nel pomeriggio l'unico scenario che tralasciò di riportare su carta fu la spiaggia.








Yu's corner.
Sssssalveh, miei cari!
Spero che stiate bene e che l'inizio della scuola non vi abbia troppo traumatizzato (sigh, che tristezza).
Che dire, eccoci qui col secondo capitolo di questa cosa.
Nel caso qualcuno di voi se lo stesse chiedendo (non credo), la sottoscritta shippa S80. E TANTO JDFSKGAH- coff.
Comunque me è tanto contenta che l'inizio di questa storia sia piaciuto e spera che continui a piacere! <3
Un grande grazie a chi mi sta seguendo, carih.
Bye bye,

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Capitolo 3
*** Acquazzone ***


Alla lunga, ci si poteva anche abituare.
Era questo ciò di cui Hibari stava cercando di convincersi, pomeriggio dopo pomeriggio.
Dino non gli aveva più chiesto di portarlo da qualche parte, ma ogni tanto gli capitava di vederlo passeggiare per le vie del villaggio con il solito quaderno sotto braccio e l'aria allegra.
Sembrava aver fatto amicizia con la maggior parte degli abitanti, specialmente coi proprietari dell'unica, sgangherata pensione della zona, i Sawada.
Non che la cosa lo sorprendesse, del resto quella pensione era sempre mezza vuota e alcune stanze erano occupate da anni da abitanti di Skjiord a cui piaceva la cucina della signora Sawada.
In quel paesino le cose non andavano decisamente come avrebbero dovuto, ma data la sua popolazione di erbivori senza speranza era un miracolo il solo fatto che, in qualche modo, queste cose continuassero ad andare da qualche parte che non fosse lo sfacelo.
Ad ogni modo, gli unici momenti in cui doveva realmente sorbirsi la compagnia dell'altro erano quelli che trascorreva sul tetto del faro.
Ai quali, si ripeté per l'ennesima volta con flebile convinzione, avrebbe anche potuto abituarsi.
Il guardiano era seduto a pochi metri da lui, il quaderno aperto sulle gambe e la penna in mano.
Kyoya aveva imparato suo malgrado a riconoscere le sfumature della sua perenne espressione spensierata e sapeva che nei momenti in cui disegnava arricciava le labbra o le mordicchiava nervosamente, mentre gli occhi si riducevano a due fessure cariche di concentrazione.
Quando lo vedeva così, il ragazzo sapeva di potersi permettere di abbassare la guardia e lasciarsi cullare dal suono del mare e lo scrivere della penna sulla carta ruvida.
Tutto sommato era rilassante, almeno finché continuava a sentire Dino disegnare, cosa che aveva appena smesso di fare.
-Mmh, non sono molto convinto-, lo sentì borbottare tra sé e sé -Hey, Kyoya! Che ne pensi?-.
Gli occhi avevano ripreso la loro invadente lucentezza, purtroppo.
A Hibari sfuggì un sospiro rassegnato mentre si preparava a rivestire come al solito il ruolo di giudice degli schizzi dello straniero e afferrava di malavoglia il quaderno.
Sulla pagina, disegnato di traverso, c'era un uccello dall'aria familiare vergato con pochi tratti nervosi, forse per dare l'idea che stesse volando.
Kyoya inclinò la testa, vagamente perplesso e allo stesso tempo seccato dal non riuscire a capire cosa gli ricordasse il volatile.
-È una sterna artica-, spiegò il guardiano con un sorriso -O anche sterna paradisea. Da queste parti si dovrebbero vedere tra poco-.
-Periodo di migrazione?-, nel tono di Hibari c'era un'impercettibile nota di curiosità sotto i vari strati di scetticismo e freddezza.
-Oh, sì! Tra gli uccelli sono quelle che compiono la migrazione più lunga, da un polo all'altro-.
La voce di Dino si perse nel vento carico di salsedine, mentre lo sguardo si perdeva tra ricordi irraggiungibili.
A volte capitava che si perdesse in quel modo, sommerso dalla marea di tutto ciò che aveva visto e i chilometri che aveva percorso chissà per quale motivo, e Kyoya si sentiva attanagliato dall'istinto di toccarlo per assicurarsi che fosse ancora lì.
Durava solo un attimo, per fortuna, altrimenti si sarebbe probabilmente picchiato da solo per aver pensato una cosa del genere.
-Ormai credo di aver viaggiato quanto una di loro-, ridacchiò il Cavallone, questa volta quasi con orgoglio.
-Perché?-, si limitò a chiedere l'altro, un sopracciglio inarcato nel tentativo di capire e gli occhi penetranti fissi su di lui.
-Oh, non pensavo ti interessasse del mio passato-.
Hibari gli rifilò un pugno sulla spalla, senza smettere di scrutarlo.
-Non voglio lasciare il mio faro nelle mani di un criminale in fuga, stupido erbivoro-.
-Non sono un criminale in fuga! Avevo solo bisogno di allontanarmi un po' da... Beh, da casa-.
Se c'era qualcosa in cui Kyoya era esperto che non fosse riempire di ecchimosi la gente, era fiutare la paura negli altri, forse perché ne instillava lui stesso.
In quel momento avrebbe giurato di aver avvertito una punta di paura nella voce di Dino, la stessa che l'aveva fatto impallidire al porto.
-E quei tatuaggi li hai fatti in viaggio?-, decise di cambiare argomento nel tentativo di non collezionare spunti per gettarlo giù dalla scogliera.
-No, li ho fatti quando ero un ragazzino in fase di ribellione-, ammise con aria per niente contrita lo straniero -Mio padre mi inseguì per tutto il paese sventolando la scopa, non fu affatto carino-.
A Hibari sfuggì un ghigno divertito, che venne immediatamente soffocato con un colpo di tosse.
Per un po' rimasero in silenzio, cullati dalla marea e persi ognuno nei propri pensieri, poi il Cavallone tornò a ubbidire al suo istinto primario di presenza invadente e gli si accovacciò vicino.
-Ti va di mostrarmi il bosco, eh?-.
Kyoya si concesse un istante per trapassarlo da parte a parte con lo sguardo, le labbra storte in una smorfia irritata mentre cercava di capire cosa ci fosse che non andava nelle capacità cognitive del suo interlocutore.
-Cosa ti fa pensare che mi vada di portarti a passeggio per la foresta?-, sibilò, scandendo le sillabe dopo essere giunto alla conclusione di trovarsi alle prese con un cretino.
-Che ti vada o meno non importa, me l'hai promesso!-.
-La promessa si limitava al paese, erbivoro imbroglione-.
-Ma il bosco fa parte dell'anima di Skjiord, vi rifornisce di cibo e ossigeno, quindi la promessa si può estendere-.
-... Anche se venissi con me, non riusciresti a vedere niente-, provò a obiettare Hibari spazientito -Sei troppo rumoroso e faresti scappare gli animali-.
Dino unì le mani davanti al viso e gli scoccò un'occhiata implorante, che gli fece guadagnare un tentato calcio in pieno viso schivato per un soffio.
-Prometto che non aprirò bocca-, dichiarò portandosi una mano al petto -Tsuna mi ha detto che sono abbastanza fortunato potrei incontrare qualche riccio-.
Kyoya si ripromise mentalmente di farla pagare al Sawada per aver dato all'altro quella pessima idea.
Sapeva che, per quanto si fosse rifiutato di accontentarlo, lui avrebbe continuato ad assillarlo finché non si fosse arresto e questo significava perdere anche l'esiguo ritaglio di calma che riusciva a trovare al faro.
-Non puoi andarci da solo?-, fece un ultimo tentativo, la voce già venata di rassegnazione.
-Mi perderei, ho un pessimo senso dell'orientamento-.
-Ma se sei una specie di vagabondo-.
-Appunto! Vago a caso, non presto attenzione alle strade-.
Il ragazzo si concesse uno sbuffo esasperato mentre si chiedeva quante altre scuse avrebbe dovuto sentire prima di capirci qualcosa, poi si alzò in piedi e si strinse nella felpa, tirandosi il cappuccio sul capo.
-Bene, facciamo in fretta-, bofonchiò come se ogni parola gli costasse uno sforzo immane.
Il Cavallone si concesse una risata entusiasta e rimase seduto ancora un istante, gli occhi scuri che seguivano il profilo di Hibari con un'espressione che non gli aveva mai visto.


In previdenza del voto di silenzio che avrebbe dovuto mantenere nel bosco, Dino non smise un attimo di canticchiare canzoncine nella sua lingua madre o sfornare storielle sui suoi viaggi, finché non si ritrovò a dover bloccare col palmo della mano una gomitata poco amichevole diretta alle sue costole.
-Ah, siamo arrivati!-, glissò con una risatina nervosa -Mi cucio la bocca-.
Kyoya si limitò ad alzare gli occhi al cielo e scansare con malagrazia la mano, per poi inoltrarsi tra gli alberi.
Forse era l'avere finalmente la mente sgombra dalla parlantina dell'altro, ma il silenzio della foresta gli sembrava più avvolgente del solito.
I passi di entrambi sprofondavano nei cespugli di muschio verde e una nebbiolina fresca offuscava i contorni dei tronchi chiari delle betulle incrostate di licheni azzurrini.
Il ragazzino sfiorò distrattamente un ramo, voltandosi per controllare che l'altro lo stesse ancora seguendo e si ritrovò a strusciare la punta del naso contro la sua giacca.
Trasalì impercettibilmente, con l'intenzione di pestargli un piede a dovere, quando un movimento improvviso attirò la sua attenzione, un lieve frusciare che non avrebbe dovuto esserci.
A pochi centimetri dalle sue scarpe c'era il nasino umido di un riccio che, appena si accorse di loro si chiuse immediatamente in se stesso.
Hibari si portò un dito alle labbra in un gesto eloquente, poi si frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un pugno di briciole di pane che lasciò cadere davanti all'animale.
Attese, accovacciato sul muschio umido, che lui fiutasse il cibo e nel frattempo si concesse di soffermarsi sul respiro di Dino.
O meglio, sul fatto che in quel momento non riuscisse a sentirlo, evidentemente lo stava trattenendo per paura di spaventare il riccio semplicemente con un respiro più brusco del normale.
Dopo qualche istante, il muso allungato tornò a fare capolino dagli aculei e l'animaletto si gettò sulle briciole con gli occhi che brillavano.
Il Cavallone si azzardò ad avvicinarsi e nel farlo notò che a Kyoya era sfuggito un lieve sorriso, impalpabile come la foschia che li circondava e rendeva la sua pelle di un pallore quasi preoccupante.
Nelle iridi grigie, oscurate in parte dal cappuccio della felpa, si specchiava la stessa soddisfazione di quelle del riccio, che scomparve in un guizzo di irritazione nel rendersi conto del suo sguardo fisso su di lui.
-Beh, non volevi incontrare un animale selvatico?-, gli chiese a bruciapelo, mentre la bestiola finiva di mangiucchiare le ultime briciole e tornava a sparire nel folto del bosco.
-Ne ho visti due, direi che posso ritenermi soddisfatto-, rispose con una scrollata di spalle, per poi sbrigarsi ad aggiungere -Torniamo? Sto iniziando ad avere freddo-.
-In effetti sta per piovere-, rifletté ad alta voce Hibari, troppo preso dal seguire lo sguardo gli ultimi aculei che sparivano tra il fogliame per fare caso all'allusione.
L'altro parve irrigidirsi improvvisamente e osservare la nebbia con occhi improvvisamente sospettosi.
-Questo vuol dire che il mare sarà più agitato del solito?-, azzardò, ricevendo in risposta un cipiglio scettico.
-È probabile, perché? Non dirmi che hai paura, erbivoro-.
Di nuovo il sorriso tirato e una scrollata del capo.
E forse era di nuovo colpa della foschia, ma la mano di Kyoya si mosse da sola per aggrapparsi alla manica della giacca di Dino e trascinarlo verso casa.
-Non ho intenzione di fradiciarmi solo perché tu non vuoi tornare al faro, quindi niente storie-, sibilò tutto d'un fiato, il viso ostinatamente voltato e nascosto dalla felpa.
Avvertì il suono attutito di una risata stanca dietro di sé e accelerò il passo, cercando di scacciare dalla mente l'espressione che, lo sapeva con certezza quasi spiazzante, il guardiano aveva sul viso in quel momento.
Probabilmente gli avrebbe fatto venire voglia di pestarlo fino a ridurlo a un cumulo di ecchimosi e ossa rotte, bistrattato come la manica che stava torturando tra le dita.


La mareggiata aveva preso d'assedio la scura parete a strapiombo del promontorio e alcune ondate si stagliavano in spruzzi grigi e azzurri contro il cielo carico di nubi, facendo sembrare il faro tutt'altro che sicuro.
Dino deglutì, paralizzato davanti all'ingresso, finché Hibari non lo spinse dentro a forza.
-Darti dell'erbivoro sarebbe un'offesa agli erbivori-, borbottò il ragazzo, per poi chiudersi la porta alle spalle.
Si aspettava una risata divertita, ma si ritrovò a dover fronteggiare uno sguardo improvvisamente serio, lo stesso che vedeva negli occhi dei bambini quando si improvvisavano adulti durante i loro giochi in piazza, e un sorrisetto colpevole.
-Se esci adesso ti inzupperai dalla testa ai piedi-, asserì lo straniero -Perché non rimani qui ad aspettare che spiova?-.
Kyoya storse le labbra in una smorfia contrariata, l'acquazzone che batteva furioso contro le finestrelle del faro non sembrava decisamente qualcosa che potesse smettere in fretta, ma l'altro aveva ragione e lui non voleva bagnarsi.
Sbuffò, ma si andò ad accovacciare sul divanetto incassato nella parete di una finestra, le gambe ripiegate e una guancia posata contro il vetro fresco, mentre le gocce di pioggia scorrevano via.
Dino gli si sedette accanto e raccolse il solito quaderno dal tavolo, immergendosi quasi subito nel suo lavoro.
A volte il cipiglio che gli solcava la fronte si distendeva con un ghigno allegro, rasserenato, che a un certo punto gli rimase stampato in faccia fino a quando non finì di disegnare.
Hibari gli lanciò un'occhiata interrogativa e lui gli passò il blocco aperto su quella pagina.
Accanto alla sterna che aveva disegnato la volta prima c'era il suo profilo illuminato da un sorriso fugace mentre si chinava a dar da mangiare al riccio nel bosco.
Per alcuni secondi rimase in silenzio a osservare il suo stesso viso, così somigliante e completamente diverso allo stesso tempo, senza gli aculei a proteggerlo, poi, forse per riflesso, si sentì terribilmente allo scoperto.
E arrossì contro il freddo della pioggia che gli rimbombava nelle orecchie al sospetto ritmo del suo stesso cuore.






Yu's corner.
Sonoinritardosonoinritardosonoinritardo!
Colpa della scuola, chiedo venia a tutti voih.
Bene, finalmente ho finito anche questo capitolo, ma devo dire che SCRIVERE DAL POV DI HIBARI STRESSA.
Eniuei, ormai abbiamo capito che Dino ha qualche problema col mare e presto ne sapremo qualcosa.
Molto presto, in realtà, dato che questa fanfiction è stata pensata di pochi capitoli e credo che stia volgendo verso una risoluzione.
Le long non sono il mio forte, purtroppo. -si prostra-
Beh, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e gradirò conoscere le vostre opinioni.
Bye bye,
Yu.

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Capitolo 4
*** Mare ***


Per Hibari era sempre stato facile addormentarsi, lasciarsi scivolare in un torpore piacevole e sentire la stanchezza accumulata durante il giorno scorrere lungo i suoi muscoli, fino a dissolversi.
Sua madre si vantava sempre di come non l'avesse mai svegliata nel pieno della notte, neanche quando era appena nato.
La cosa poteva sembrare vagamente preoccupante e innaturale, ma lui la considerava una sorta di vanto.
Per questo il suo cervello si rifiutava di elaborare ciò che stava succedendo in quel momento, ovvero il fatto che fosse passata la mezzanotte da parecchio tempo e i suoi occhi aperti stessero ancora fissando il soffitto con espressione corrucciata.
Il problema, rifletté con una punta di disappunto che gli fece stritolare le lenzuola tra le dita, era che non riusciva a smettere di rivivere mentalmente il pomeriggio passato nel faro.
Sentiva ancora il picchiettare della pioggia nelle orecchie, che si mischiava alla risata di Dino, di nuovo allegra davanti al suo viso congestionato.
Si girò bruscamente su un fianco, cercando di distrarsi col pensiero di come l'avrebbe riempito di lividi il giorno dopo per avergli fatto passare una nottata del genere.
E per ripagarlo della fitta improvvisa che gli aveva trapassato lo stomaco nel vederlo di nuovo sereno, nonostante il rombare delle onde.


Indossava una maglia che stava parecchie volte, non riusciva quasi a tenere gli occhi aperti e aveva perso il conto delle volte in cui aveva sbadigliato nel tragitto verso il promontorio.
Alla fine aveva optato per iniziare con una ginocchiata alla bocca dello stomaco, seguita da qualsiasi cosa gli venisse in mente per sfogarsi, ma i suoi propositi svanirono come nebbia al sole quando raggiunse il tetto.
Ormai erano già passati un paio di mesi dall'arrivo del Cavallone e Kyoya si era rassegnato a trovarlo rannicchiato a disegnare ogni volta che si rifugiava al faro, che invece l'accolse con lo stesso silenzio in cui era sempre stato immerso prima dell'arrivo dell'altro.
Niente saluti irruenti, solo lo sciabordare della marea sotto di sé e la brezza salata che gli frustava il volto, improvvisamente meno assonnato.
Mosse qualche passo incerto sul pavimento del tetto, mentre cercava di pensare a dove potesse essere andato il bersaglio della sua furia omicida.
Per un attimo lo sfiorò il pensiero che avesse rotto la loro promessa e abbandonato quel posto a se stesso, ma salendo aveva visto le sue cose da una delle finestrelle, quindi scartò l'ipotesi con uno sbuffo.
Avrebbe volentieri sfruttato quell'improvvisa solitudine per accasciarsi a terra e recuperare ore di sonno, ma si era ripromesso di pestarlo e così avrebbe fatto, a costo di girarsi tutta Skjiord.
E poi il silenzio gli martellava le orecchie, ma questo era assolutamente secondario.
Scese le scalette arrugginite con un cipiglio contrariato che si acuiva ogni volta che le sue scarpe colpivano con un secco tonfo metallico un gradino dopo l'altro.
Arrivò al villaggio quasi a passo di marcia, facendo scappare un paio di ragazzini seduti in piazza con una sola occhiata.
Si aspettava di trovare Dino in piazza, magari a fare uno schizzo della statua al centro o attaccare bottone con chiunque gli passasse a tiro, ma le uniche persone che trovò erano un gruppetto di anziani seduti a giocare a carte e impegnati in un'accesa discussione sulla validità o meno di un poker di cinque assi.
Sentì l'irritazione crescergli nel petto sino a livelli pericolosi e imboccò il primo vicoletto che si trovò davanti, uno stretto ritaglio di strada tra le facciate delle case nel quale aleggiavano gli odori del mercato, creando una cappa soffocante.
Si coprì il viso con la manica della maglia e affrettò il passo cercando di ignorare l'aumentare dell'intensità degli odori man mano che si avvicinava alla fine della via.
Sapeva per esperienza che, una volta uscito all'aria aperta, la puzza sarebbe stata dispersa dal vento e il sale provenienti dal porto, quindi inspirò a pieni polmoni non appena ebbe messo piede fuori dalla stradina.
Il mercato del suo paese sembrava tutto tranne un luogo dove fare acquisti, come al solito.
I banchi erano disposte senza uno schema preciso, o meglio, nel modo più congegnale ai venditori per darsi fastidio a vicenda, e nell'aria tra le tende bianche che li riparavano dal sole volavano mercanzia e insulti di ogni tipo.
In realtà la maggior parte dei mercanti era tranquilla e avrebbe voluto solamente racimolare pacificamente qualche soldo, ma la cosa risultava assolutamente impossibile a causa di alcuni membri.
Il peggiore di tutti era una montagna di cicatrici e pessimo carattere, coronata da un quanto meno improbabile pendente di pelo e piume tra i capelli, nota come Xanxus.
Aveva un comunissimo banco del pesce, solo che aveva scelto come fornitore ufficiale di merce fresca Squalo ed era perennemente assillato da un biondino con la frangia sugli occhi, un'altro ragazzino con un cappello di lana a forma di ranocchia e la sua sorellina, anche lei con un cappello tirato sin sotto il naso.
I tre si divertivano a rincorrersi tra le bancarelle e provocare il loro "Boss del mercato", che puntualmente, se non era impegnato a maltrattare il suo pescatore di fiducia per qualche questione di poco conto, iniziava a lanciare pesce in direzioni imprecisate.
Hibari era capitato in uno dei momenti in cui Xanxus era impegnato a discutere con Squalo, quindi gli unici oggetti volanti in aria erano i coltellini che il biondino lanciava all'altro ragazzo, che rispondeva a frecciatine e ogni tanto qualcosa preso da un banco.
Accanto al pescatore, notò Kyoya senza riuscire a impedirsi di sgranare appena le pupille, c'era Dino.
Osservava la litigata in corso con aria sorniona, limitandosi a qualche commento sporadico ogni tanto, quando i loro sguardi di incrociarono e le labbra gli si incurvarono in un sorriso da orecchio a orecchio.
-Kyoya!-, lo salutò a voce sin troppo alta per farsi sentire sopra il frastuono.
Il ragazzo lo ignorò, dirigendosi verso il banco di Xanxus e afferrando con entrambe le mani il pesce più vicino, per poi avvicinarsi con espressione imperturbabile al guardiano e, con espressione ancora più imperturbabile, tirarglielo sul naso.
Per un attimo sul mercato calò un silenzio quasi religioso.
Poi il Cavallone scoppiò a ridere come la prima volta che Hibari l'aveva chiamato "erbivoro" e cadde per terra con le lacrime agli occhi, incurante di avere gli sguardi di tutti puntati addosso.
Riuscì a calmarsi solo quando Squalo, al limite della sopportazione, gli sferrò un calcio sul fianco, che si affrettò a evitare mettendosi a sedere a gambe incrociate.
-Di solito la gente non viene presa da attacchi di ridarella per una pesciata-, gli fece notare Kyoya in tono quasi rassegnato.
-Di solito la gente non si prende proprio a pesciate, credo-, rispose lui con l'ultimo strascico di risata.
-Sì, se questa gente se ne va in giro, invece di fare il proprio lavoro-.
Dino aprì la bocca per replicare, ma fu preceduto dal pescatore.
-Ragazzino, quello stupido del mio aiutante è a letto con una caviglia slogata-, esordì, inchiodandolo con uno sguardo improvvisamente professionale -Ma non posso permettermi di perdere una giornata di pesca così-.
Il Boss del mercato emise un grugnito di approvazione.
-Tu mi sembri il meno incompetente qui attorno...-.
-Aspetta un secondo!-, lo interruppe il Cavallone, improvvisamente in piedi -Gli stai chiedendo di darti una mano in barca?-.
Squalo represse l'istinto di farlo cadere nuovamente a terra con una pedata, mantenendo lo sguardo fisso su Hibari, che lo sosteneva senza battere ciglio.
-Per me va bene-, decretò -Basta che qui torni tutto tranquillo-.
-Non va bene per niente!-, esclamò Dino, il volto che virava a un certo pallore.
-Fatti gli affari tuoi, erbivoro-.
-Sono affari miei! Non ti reggi in piedi, sarebbe pericoloso mandarti in mare-.
Kyoya si strofinò gli occhi di riflesso, era convinto di aver perso almeno in parte l'aria da notte in bianco e andare in giro come se si fosse appena scollato dal cuscino avrebbe decisamente minato la sua reputazione.
-Sono sveglissimo-, borbottò contrariato -E poi tu non ci puoi andare, vomiteresti tutto il tempo nel migliore dei casi-.
Nello sguardo dello straniero balenò un lampo di panico, ma sparì in fretta.
-Non è affatto vero-, affermò, scuotendo la testa più volte per sembrare più convincente -Andrò io-.
Squalo emise uno sbuffo spazientito e Hibari si limitò a osservarlo mentre si trascinava dietro un Cavallone sempre meno spavaldo a ogni passo verso la riva del porto.
Fissò l'imbarcazione caracollante del pescatore finché non scomparve oltre i frangiflutti, poi si lasciò cadere su una vecchia cassa di vimini e appoggiò la schiena alla parete di una casa.
-Che hai intenzione di fare lì?-, si informò Xanxus, impegnato a riportare l'ordine nei banchi attorno al suo con occhiate poco rassicuranti.
-Lo aspetto-, rispose lui, le palpebre chiuse contro il sole -Qualcuno dovrà pure riportarlo al faro e assicurarsi che faccia il suo lavoro-.
La risposta del mercante si perse nel mormorare delle barche a pelo dell'acqua, mentre Kyoya si lasciava scivolare in un sonno leggero.


Fu un "Voi" leggermente più moderato del solito a svegliarlo, intorpidito e dolorante per le ore passate in quella posizione.
Squalo lo scrutava dall'alto in basso, con Dino appoggiato a una spalla e l'aria di chi ha passato la giornata più snervante della sua snervantissima vita.
Raccolse tutta la forza di volontà che riuscì a racimolare dai meandri del sonno e si alzò in piedi, limitandosi a scrutare il pescatore per un attimo e poi caricarsi addosso il guardiano.
-...Visto che c'è l'ho fatta?-, lo sentì biascicare a un soffio dal suo orecchio.
-Zitto e cammina, razza di idiota-.
Lo straniero gli diede retta per una volta e si limitò a qualche lamento isolato durante il tragitto, finché, arrivati al faro, non guidò Hibari verso la sua camera e si gettò sul letto a faccia in giù.
-E poi ero io quello che non si reggeva in piedi-, commentò il ragazzo, sedendosi sul bordo del materasso.
Dal cuscino arrivò una risposta soffocata dal tono indignato.
Nell'aria risuonò il suono strascicato di uno sbadiglio di Kyoya, seguito da una risatina stanca e il tonfo di un colpo tirato di malavoglia.
-Non ero poi così stanco, prima-.
Altro mugugno, leggermente sarcastico.
-Ti sei ridotto in questo stato per nulla-.
Questa volta solo silenzio, spezzato dopo un lasso di tempo che sembrava interminabile dal fruscio delle braccia di Dino che avvolgevano i fianchi dell'altro, mentre il volto sbattuto si sollevava appena per osservare la sua reazione.
Hibari stava cercando di reprimere contemporaneamente l'istinto che gli urlava di frantumargli le ossa seduta stante e quello che gli impediva di farlo, con l'unico risultato di sembrare una statua di sale dagli occhi sgranati e il respiro leggermente irregolare.
Il Cavallone di solito avrebbe riso fino alle lacrime davanti a uno spettacolo del genere, ma in quel momento aveva la mente immersa negli anni e solo il mare intorno a sé.
Le onde lo sballottavano da ogni parte, facendogli pizzicare la pelle e il naso, accecandolo con il riverbero della luce del sole che danzava leggera sull'acqua, ma accanto a lui c'era la sua ancora, il suo Leo.
Leo l'aspirante zoologo, Leo che ogni mattina si svegliava all'alba per dare da mangiare ai gatti randagi del paese e osservarli con quello sguardo che ti faceva una radiografia completa ogni volta, Leo che era cresciuto assieme a lui in un vicolo polveroso di una cittadina polverosa.
Leo che lo teneva per mano mentre si gettavano ridendo nel turbinio del mare agitato perché, del resto, era il suo ragazzo.
Si erano messi insieme due estati prima, davanti a un falò di fortuna e con la sabbia sotto i vestiti.
Dino si divertiva a osservarlo mentre prendeva appunti meticolosi e fitti di schizzi sugli animaletti della zona (era lui che gli aveva insegnato a disegnare così bene), gli piaceva il sorriso sereno e allo stesso tempo concentrato che gli incurvava le labbra, un attimo prima che lui le baciasse a tradimento e venisse scherzosamente spinto via.
Poi, all'improvviso, Leo non c'era più.
Aveva sentito dire al porto che sulla scogliera vicina aveva nidificato un cormorano e ci si era spinto a nuoto senza neanche controllare le previsioni.
Si era scatenata una tempesta e probabilmente era finito contro gli scogli, questo il Cavallone non l'avrebbe mai saputo con certezza.
L'unica cosa che sapeva era che da quel momento non era più riuscito a restare nello stesso posto.
Credeva di doversi allontanare dal suo paese perché gli ricordava troppe cose, ma la smania disperata di scappare via non si era fermata, continuava a tormentarlo ovunque andasse.
Tornava nel volto di Leo, nella sua voce che gli bisbigliava frasi di una tenerezza imbarazzante tra una risatina e l'altra, nei suoi sogni che diventavano incubi.
E tornava a Skjiord, dove si era appena reso conto di aver raccontato tutto a un ragazzino che stava stringendo a sé come se stesse per affogare.
Kyoya aveva l'espressione di chi è costretto a osservare qualcosa cadere e lentamente infrangersi al suolo senza poter fare nulla, l'espressione di chi sta perdendo terreno e non riesce a capire perché, e gli stava stritolando una mano.
Ricambiò debolmente la stretta di quelle dita così sottili, mentre il fragore della mareggiata si attenuava, sino a perdersi del tutto e lasciarlo respirare.
Hibari avvertì il suo petto alzarsi e abbassarsi con lentezza contro un fianco e  riuscì ad allentare la presa sul suo palmo, lasciandosi trascinare verso il basso dall'abbraccio di Dino e ritrovandosi disteso accanto a lui.
Per una volta non sentiva il bisogno di distanziarsi, di trincerarsi dietro una barriera di aculei minacciosi; aveva solo voglia di godersi il tepore del corpo del guardiano e abbassare la guardia, navigare in acque calme.
Alzò lo sguardo verso di lui e non si ritrasse quando gli sfiorò le labbra con le proprie.
Non si soffermò a pensare se fosse giusto o sbagliato, chiuse le palpebre e si lasciò baciare dall'uomo che aveva distrutto la sua routine di apatia.
Fu un bacio leggero, umido e fugace come la spuma delle onde sulla battigia dopo la mareggiata, quasi impacciato, poi lo straniero poggiò la fronte contro la sua e sprofondò in un sonno stremato, senza smettere di tenerlo stretto a sé.




Yu's corner.
Buondì, miei piumosi Hibird!
I più coraggiosi e stoici di voi che sono arrivati fino a questo punto si staranno chiedendo "COS'È QUESTA COSA?" e non posso darvi torto. OTL
Questo capitolo è stato abbastanza difficile da scrivere e, anche se interessante (ma comunque terribile, ho maltrattato Dino gratuitamente ;w;), avevo costantemente la sensazione di stare sforando nell'ooc più nero.
Comunque! Spero che queste siano solo mie paranoie e che in realtà questo capitolo possa esservi piaciuto quanto o più dei precedenti. In caso contrario non disperate, il prossimo sarà l'ultimoh.
Un grazie infinite a chiunque mi abbia seguita, verrete santificati.
Bye bye,
Yu.

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Capitolo 5
*** Sterne ***


La prima cosa di cui si rese conto nello svegliarsi fu un sommesso raschiare non troppo distante da sé, che gli carezzava le orecchie mentre gli occhi restavano ostinatamente chiusi.
La seconda cosa fu che non si trovava a casa sua.
Non era la prima volta che trascorreva la notte fuori, quindi forse sua madre non aveva ancora avvertito tutta la popolazione femminile di Skjiord dell'accaduto, ma era un imprevisto.
E a Kyoya non piacevano gli imprevisti, neanche un po'.
Solitamente chiunque si fosse macchiato della colpa di deviare anche solo minimamente i suoi piani sarebbe stato pestato seduta stante, mentre, constatò Hibari aprendo gli occhi, l'uomo che lo stava assillando da tempo immemore era ancora tutto intero.
Rannicchiato accanto a lui e con la schiena appoggiata alla parete, aveva appena alzato lo sguardo dal suo quaderno, posandolo sul suo.
-Kyoya, buong...-, la voce di Dino venne soffocata da una cuscinata piuttosto violenta.
-Che ci faccio qui-, sibilò l'altro, improvvisamente seduto a gambe incrociate davanti al padrone di casa.
-Beh, ieri ci siamo addormentati entrambi dopo...-, al Cavallone bastò un'occhiata furente del ragazzo per lasciar cadere l'argomento -Emh, guarda qui!-.
Rivolse il quaderno verso di lui, tenendo il pollice tra le due pagine e rivolgendogli un sorriso soddisfatto.
Sulla carta era tracciato il volto addormentato di Hibari, immobile in un'espressione stranamente pacifica e ombreggiato da una frangia disordinata.
Il guardiano scrutava in suo modello inconsapevole da sopra il quaderno, in attesa di un commento.
Kyoya si limitò a pigiargli il blocchetto sul naso e voltargli le spalle bruscamente.
-Dovresti smetterla di disegnarmi senza permesso-.
-Eh? Ma fai delle facce così carine quando sei tranquillo!-.
Forse gli ricordava Leo, si ritrovò a pensare distrattamente il più giovane con una sospetta fitta alla bocca dello stomaco.
-Non si usa fare colazione qui?-, glissò, per poi scendere dal materasso con un salto e avviarsi verso il tavolinetto nel vano cucina.
Udì i passi di Dino dietro di lui, seguiti dal rumore dal cigolio dello sportello della credenza.
-Oggi avrai l'onore di gustare il caffé espresso all'italiana, altro che quella brodaglia imbevibile che bevete qui-, ridacchiò lo straniero, intento a sciacquare una caffettiera di metallo insolitamente lucido e riempirla di polvere scura.
Le iridi grigie di Hibari osservavano vigili ogni suo movimento, come quelle di un gatto, finché non gli venne servita una tazzina sbeccata ma fumante davanti.
Arricciò il naso, colpito dall'odore insolitamente forte della bevanda, e rivolse all'altro un'occhiata indagatrice mentre mescolava lo zucchero in entrambe le tazze.
Il Cavallone ricambiò lo sguardo con aria sorniona, per poi iniziare a sorbire il suo espresso in silenzio, aspettando che lui si decidesse a fare altrettanto.
Dopo qualche altro istante di contemplazione silenziosa, Kyoya si portò il bordo della tazzina alle labbra e mandò giù una sorsata bollente, pentendosene l'attimo dopo.
Il liquido caldo gli bruciò la lingua e il sapore amaro sembrò aggredirgli tutto il palato.
Dino per poco non si strozzò nel vederlo storcere il viso, improvvisamente congestionato, e tossicchiare indignato.
-È un bevanda troppo da erbivori?-, chiese, la voce incrinata dal vano tentativo di trattenere la ridarella.
Per tutta risposta ricevette un calcio ben assestato da sotto il tavolo.
-Okay, okay-, mugolò conciliante, per poi andare a prendere qualcosa dal frigo e tornare verso di lui.
-Forse con questo ti piacerà di più-, rimuginò, versando del latte fresco nella tazzina e stando attento a non farla straripare.
Hibari si concentrò sulle volute biancastre che il liquido disegnava nel caffé nel tentativo di ignorare il volto carico di aspettativa chino su di lui e, dopo aver deglutito a vuoto un paio di volte, si decise a bere di nuovo.
Niente sorprese sgradite, solo un tepore dal retrogusto pungente, ma piacevole.
Un po' come le labbra del guardiano, ma questo sarebbe rimasto confinato nella sua mente ancora per molto.
Vuotò la tazza in pochi sorsi, lo sguardo perso nel cielo terso che faceva capolino oltre le piccole finestre del faro.
-Ho sentito che oggi tornano le sterne-.
Le parole si persero nel tepore della timida estate di quei luoghi, appena accennate in tono casuale, fino a depositarsi come polvere sulla pelle di Dino, facendolo trasalire appena.
-Dal promontorio si dovrebbero vedere bene, no?-, provò a dissimulare, mentre nella testa tornava a rimbombargli il frastuono delle onde.
Kyoya annuì in silenzio, per poi spostare lo sguardo su quello del Cavallone che, avrebbe giurato, in quel momento sembrava in balia delle onde, come quello dei pescatori di Skjiord quando non potevano uscire in barca.
-Saranno molto stanche-, commentò senza scomporsi -meglio portarsi dietro del pane-.
L'altro impiegò qualche istante a registrare ciò che aveva appena sentito, poi sgranò gli occhi, di nuovo calmi, e spalancò la bocca in un incredulo sorriso da orecchio a orecchio.
-Dovrei averne un po'!-.


Se si escludeva la spiaggetta del porto, Skjiord aveva accesso al mare solo da una scoscesa scogliera di pietra scura, perennemente intaccata dalle onde e coperta di spuma.
Ed era da un punto relativamente basso della scogliera che in quel momento ciondolavano le gambe di Hibari e Dino, già ricoperte di schizzi salati.
-Tutto questo-, esordì l'italiano -Non mi piace-.
Stringeva convulsamente tra le dita un sacchetto pieno di pane e trasaliva ogni volta che un'ondata più forte delle altre si infrangeva sugli scogli sotto di loro.
Faceva quasi tenerezza.
Un improvviso stridio coprì lo sbuffo esasperato di Kyoya, seguito dal frullio leggero di ali che sbattevano nel cielo.
Uno stormo di uccelli bianchi sorvolò le loro teste, planando sull'erba accanto a loro o sugli scogli più in basso in un'incessante cacofonia di richiami, battiti d'ali e onde.
Il Cavallone, improvvisamente calmo, aprì frettolosamente il quaderno a una pagina bianca e iniziò a tracciare quanti più schizzi possibili, seppure approssimativi, delle sterne che gli svolazzavano attorno, le labbra schiuse in un sorriso infantile e gli occhi sgranati.
-Guarda che becchi rossi!-, esclamava ridacchiando ogni tanto -E le piume nere sul capo sono così carine, me le ricordavo bene!-.
Per un attimo Hibari si chiese dove altro le avesse mai viste, dove l'avessero portato le mareggiate in cui annegava ogni giorno, poi scosse la testa e scacciò il pensiero.
-Perché pensi che viaggino così tanto?-, chiese invece, lanciando qualche briciola nella loro direzione.
-Beh, è ovvio-, l'altro si grattò il mento con aria pensierosa -Lo fanno per trovare un posto migliore dove fare il nido-.
-Ma alla fine tornano sempre qui, no?-.
Ora aveva due iridi scure e perplesse fisse su di sé, probabilmente in attesa di capire dove volesse andare a parare (cosa che non sapeva neanche lui).
-Per quanto si affannino a cercare condizioni migliori- tentò di spiegare -Sentono il bisogno di tornare a casa, non possono continuare a viaggiare ininterrottamente-.
Si schiarì la gola e tossicchiò; non era abituato a parlare così a lungo, di solito per farsi capire gli bastavano violenza e occhiatacce.
Eppure, si rese confusamente conto mentre il grido di una sterna gli perforava le orecchie, in quel momento Dino lo stava abbracciando, o meglio stritolando tra le braccia tremanti e già incrostate di salsedine, il volto premuto contro il suo collo.
Altra cosa a cui non era abituato.
Si lasciò sfuggire un sospiro strozzato, per poi mordersi immediatamente le labbra nell'avvertire il viso dell'altro scendere impercettibilmente verso una spalla.
-Tu pensi che io possa trovare una casa dove riposare?-.
La sua voce gli arrivava attutita, soffocata dalla sua stessa pelle.
-Per forza, razza di stupido-, borbottò contrariato -E poi qui hai preso un impegno, non puoi andartene-.
Il Cavallone ridacchiò sommessamente e Kyoya fu percosso da un brivido non del tutto spiacevole nel punto in cui il suo fiato l'aveva carezzato, cosa che fece alzare lo sguardo del guardiano su di lui.
Si limitò a restare immobile e osservarlo diventare più calmo mentre si avvicinava alle sue labbra, fino a sfiorarle con le proprie.
Nell'attimo quasi inesistente prima del bacio, si chiese se non fosse stato il caso di scostarsi, lasciarlo continuare a fuggire e riempire pagine su pagine di ricordi che non voleva, poi gli gettò le braccia al collo.
Fu un bacio di quelli che ti accolgono sulla porta di casa dopo una lunga assenza, dal sapore dolce ma allo stesso tempo quasi spaesato, fatto di labbra che premono le une contro le altre a un soffio dal mordersi, di mani che stringono e spalle che tremano.


È un bacio che ancora ricorda, riflette Hibari accovacciato davanti alla finestra, trasalendo come se si fosse appena svegliato.
Ricorda che poi una sterna gli si è posata sulla testa, Dino ha riso a crepapelle e lui l'ha picchiato.
Si lascia sfuggire un sorrisetto divertito, che l'altra persona nella stanza non manca di notare.
-A che stai pensando?-.
La voce del Cavallone è allegra, forse addirittura velata di malizia, come è sempre stata da quando ha deciso di stabilirsi a Skjiord.
A volte ha ancora momenti in cui le ondate del suo mare personale lo assalgono, ma Kyoya non lascia mai che anneghi.
-A quanto fossi uno stupido erbivoro-.
Una risata divertita pervade il faro, coprendo per un istante il mormorio del mare e il fruscio del guardiano che si alza e gli va vicino.
-Perché, adesso non lo sono?-, mantiene un sorrisetto che l'altro ha sempre trovato piuttosto irritante e che gli fa guadagnare un pizzico sul naso.
-Prima eri molto peggio-, sentenzia Hibari, senza riuscire a nascondere una punta di ironia malinconica.
Dino gli si siede accanto e lancia uno sguardo dal vetro prima di appoggiare il capo sulla sua spalla.
-Oggi arrivano le sterne, vero?-, chiede, gli occhi che adesso vagano per la stanza fino a posarsi su uno scrittoio vicino al tavolo pieno di suoi vecchi quaderni.
-Così sembra-.
-Gli portiamo il pane?-.
Kyoya sbuffa.
-Tanto mi assillerai finché non ti dico di sì-.
-Come sempre-.
Questa volta sorridono entrambi, le dita intrecciate davanti alle pagine su cui sono disegnati ricordi che non fanno più male.





Yu's corner.
Chiedo umilmente perdono per il ritardo, miei erbivori!
La scuola e gli impegni stanno facendo i bulli, non è colpa mia. ;A;
Comunque, siamo giunti all'ultimo capitolo di questa storia.
Spero che vi sia piaciuta e che abbiate trovato questa conclusione degna del resto, dal canto mio sento che Skjiord mi mancherà tanterrimo.
Ciancio alle bande e alle lacrimette commosse, ringrazio di cuore chiunque abbia seguito la mia fanfiction e alla prossima!
Bye bye,
Yu.

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