Son nom était Valerie.

di squirmingdog
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Esistono i temperini. ***
Capitolo 2: *** La frittata ribaltata. ***



Capitolo 1
*** Esistono i temperini. ***


Ciao, mi chiamo Renee, ho un figlio ed un marito, e sto per compiere trent'anni. Ve lo dico fin da subito, non sono qui per parlare di me, a dirvi la mia storia sin dalla mia più lontana memoria d'infanzia, ma a raccontarvi della mia migliore amica, Valerie. Lei avrebbe detto, 'Salve, il mio nome è Valerie', per introdursi, a lei piaceva dire cose differenti dal normale, non perché voleva fare quella diversa, ma perché le suscitavano un certo fascino quei modi di dire, di fare, di pensare che si sono lentamente dispersi nel modo più naturale che ci possa essere: con il tempo. Il tempo era una delle tante ossessioni di Valerie, non il tempo in sé inteso come kronos,  ma del tempo come kairos. "Carpe diem", usava spesso dire. 

La incontrai a scuola; al mio primo giorno al Lycéè Denis-Diredot mi ritrovai in classe con questa ragazza dai i capelli rossicci, lo stesso rosso di cui si tingono le chiome degli alberi in tardo ottobre, aveva preso posto al banco alle mie spalle. La mia nuova professoressa stava presentando ogni cosa, la scuola e lei, lo svolgimento delle giornate scolastiche e la loro struttura nel modo meno coinvolgente che potesse esistere. Io ero lì seduta con la schiena dritta dritta, annuendo giusto quel poco da fingere un interessamento verso le parole dall'andamento monotono che sgorgavano dalla bocca di una quarantenne occhialuta, mostrava vent'anni di più, probabilmente per colpa di quanto fosse sola e trascurata, ma mi sarei dovuta abituare, visto che l'avrei vista sei volte a settimana per i seguenti cinque anni. Mentre quella zitella dalle tette cadenti proseguiva con le sue noie, percepii due colpetti su di una spalla, mi voltai titubante, con il lieve timore che l'insegnante potesse scovarmi nella mia distrazione, prima alle mie spalle e poi davanti ai miei occhi c'era una ragazzina che mi sorrideva a labbra serrate, un sorriso largo, le appuntiva gli zigomi, su cui sopra stavano i suoi occhi bui, sicuri e ingannevoli, mi diede l'aria di un tipo birichino sin dal primo sguardo —la darebbe a chiunque—, in mano aveva una matita che ticchettava sul banco, dedussi che fu con essa che richiamò la mia attenzione con quei due colpetti. «Sì?», mugolai in esitazione a bassa voce, non diceva nulla, rimaneva lì immobile a fissarmi, l'unica cosa che sembrava mostrare vita in lei erano l'indice e il medio che tenevano nel loro mezzo la matita. «Tu!», sentii urlare dall'altro lato della stanza, dalla stessa voce che aveva parlato per i precedenti venti minuti, una vampata di calore mi scaldò gettandomi nel mio silenzioso e trattenuto panico, tornai dritta, con lo sguardo verso la lavagna, sperando che la professoressa continuasse a blaterare le stesse cose di prima, ma invece si avvicinò, il tonfo dei suoi tacchi grassi e bassi sul linoleum della classe rimbombava in ogni punto, fino a perforarmi le tempie, sbatté un pugno sul legno del mio banco, ruggendomi contro: «Non ti è chiaro il concetto scolastico, signorina?! Quello che sto dicendo ad ognuno di voi da quando avete messo piede in questa classe, l'hai ascoltato?! Perché sai, è questo quello che si fa a scuola, ascoltare e imparare! Con le altre ci fai amicizia a fine giornata, quando non sei più qua dentro, chiaro, signorina?!», fu così disgustosa, aveva un alito che scommetto neanche un barbone la batterebbe, faticai a fare attenzione a quello che strillava quella vecchia bisbetica, fui addirittura accecata e assordita da quello spiacevole fetore che emanavano le sue fauci a me spalancate. «Mi perdoni professoressa, è che..» fui spaventata, sì, ma non me la feci addosso, solo che non ebbi la minima idea di che scusa plausibile inventarmi, udii un rumore di mina che si spezza da dietro, ed una voce da Venere irruppe nell'imbarazzo della mia frase, «Con permesso, prof Mureau, è colpa mia, stavo chiedendo alla mia compagna qua di fronte se potesse prestarmi la sua matita, visto che la mia..non ha la punta». Intervento divino. Così lo chiamerei, forse esagero, ma miracolosamente notai una matita dalla mina talmente appuntita da poter essere pericolosa al bordo del mio banco, e l'insegnante si zittì, assumendo un'espressione meno alterata di quella di prima, più amareggiata, e con rimprovero riprese la mia salvatrice: «Esistono i temperini, Valerie, domani cerca di presentarti con tutto il materiale necessario».
Riprese il suo discorso, immaginai che impiegò giornate e forse anche notti per scriverlo ed impararlo a memoria, "una di quelle cose che sono così studiate che ti risultano noiose al primo impatto", fu come lo definì in seguito la ragazza che mi stava dietro, dopo avermi accompagnato per il corridoio fino all'uscita della scuola, la ringraziai ovviamente, una volta davanti fuori dall'edificio mi strinse le mano, in un gesto di saluto e presentazione «In ogni caso, io sono Valerie», e sfrecciò via, zampettando verso la via opposta a quella che avrei dovuto prendere io per tornare a casa. La accompagnai con lo sguardo andare via, il suo vestito fino alle ginocchia dalla fantasia a fiori sventolava nell'aria, e mi voltai, per poi prendere la mia strada di ritorno.

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Capitolo 2
*** La frittata ribaltata. ***


Il giorno seguente mi svegliai con l'aspettativa di chiedere a Valerie di uscire, usando come scusa il fatto che sia stata la prima ad avermi parlato, e che è stato molto gentile da parte sua il suo gesto di ieri, per cui dopo una leggera e soddisfacente colazione a base di pane, burro e marmellata, andai a scuola con il sorriso stampato in viso, non so cosa mi fosse successo, fui come stregata da quella ragazza, avete presente quando incontri qualcuno, che quando se ne va ti lascia un segno che ti fa impazzire dalla voglia di conoscerlo e diventare suo amico a qualsiasi costo? Ecco, mi sentivo esattamente in quel modo. Entrai in classe, erano già quasi tutti ai loro posti, io allungai il collo, sporgendolo verso l'alto in cerca di Valerie, mentre a passo lento mi avvicinavo verso lo stesso banco su cui ieri la professoressa aveva sbattuto le sue mani pallide e verdognole per le vene sporgenti, mi sedetti, aspettando con l'ansia in gola il suono della campanella, e quindi l'arrivo di chi stavo aspettando. Drin. Trillò a lungo, erano tutti seduti, mi girai velocemente per vedere se c'erano tutti o se era normale che mancasse qualcuno anche dopo la campana, ma erano tutti fermi e composti con lo sguardo puntato alla porta, aspettavano l'insegnante, erano tutti, ma il banco dietro di me era vuoto, e la la frittata si ribaltò. La mia aspettativa di giornata passò da ottima a mortalmente noiosa e asciutta, e infatti così fu. Però, scorsi un ombra di preoccupazione nello sguardo della prof quando entrò e vide il banco di Valerie, senza Valerie. Anzi che ascoltare la sua lezione, rimasi a fissarla, per farle sembrare che stessi ascoltando, che la osservassi con attenzione, ma in realtà ero da un'altra parte, i miei occhi erano persi, mi bombati di domande su questa rossa che era emersa nella mia vita solitaria, chi potesse essere, la sua infanzia, che lavoro potessero fare i suoi genitori, per quale motivo non venne a scuola, fino a che qualcosa non mi quadrò affatto. Passai dalla mente viaggiatrice a quella riflettrice, non mi tornò un accaduto del giorno precedente, com'era possibile che la prof Mureau sapesse già il nome di Valerie? Perché lei fu così disinvolta in quella scuola, quando mi accompagnò lungo il labirintico corridoio? Era come se la conoscesse già, come se ci fosse già stata ben più di una volta. Me ne tornai a casa stringendo la mia cartelletta contro al petto, con un'espressione delusa e confusa che mi corrugava il volto, rimasi tormentata da quella ragazza misteriosa per tutto il pomeriggio e l'intera sera, ebbi il timore di sognarla quando mi infilai sotto alle coperte, ma fortunatamente non successe, e chiudendo gli occhi caddi pochissimo dopo in un profondo sonno, visti gli sforzi mentali di quella giornata. 

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