Hear me roar

di Alexiels
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hear me roar ***
Capitolo 2: *** Where is my fault in loving you? ***



Capitolo 1
*** Hear me roar ***


Attraverso le fauci di un leone ringhiante, gli imperscrutabili occhi di Jaime Lannister, l’unica parte del suo volto che non fosse coperta dall’elmo, si guardavano piano attorno, orgogliosi, irruenti, fissando le persone con insistenza, senza mai abbassare lo sguardo.
Di fronte a lui, il fiore della nobiltà sedeva sugli spalti più vicini a quello reale, discutendo ed intrattenendosi cordialmente nell’attesa dell’inizio dello scontro. Nelle ale più laterali, lord minori e, più in oltre ancora, popolani, si scambiavano battute pene d’eccitazione.
Tra tutte le voci, risuonò la risata tonante e sguaiata di Robert.
In quella assolata mattina, il vessillo dei Baratheon era stato innalzato in ogni angolo dei Sette Regni, in onore del venticinquesimo compleanno del re, e il cervo incoronato, nero in campo giallo, sembrava correre un veloce galoppo, tanto forte il vento faceva tremare le bandiere su cui era stato ricamato, poste anche agli angoli del campo dove si sarebbe disputata la gara.
Posando nuovamente lo sguardo sul palco reale, ebbe modo di vedere che anche svariati nobili lì presenti, legati in qualche modo alla casa dei Baratheon, avevano scelto il cervo e i suoi colori per adornare le proprie vesti.
E in mezzo a tutti, spiccavano l’oro e la porpora del leone dei Lannister.
A quella vista, Jaime non poté trattenere un sorriso, a cui rispose una semplice occhiata, silenziosa ed altera, identica alla sua, ma al tempo stesso tanto dissimile.
I loro sguardi rimasero intrecciati per degli attimi che gli parvero infiniti, ma anche dopo che furono trascorsi, né lui né Cersei diedero segno di stare per interrompere il contatto, anzi, continuarono a rimirarsi lentamente, aspettando entrambi che fosse l’altro ad abbassare il proprio.
Quei volti tanto simili, della stessa, abbagliante bellezza, non erano bastati per mantenere legati i loro destini.
A lui era spettato il cavalierato, l’essere stato nominato membro della Guardia reale, ma soprattutto la libertà.
Perché per quante volte Jaime si fosse ritrovato a maledire la propria posizione, imprecare contro quel porco del re, suo padre, i suoi doveri, sapeva che Cersei sarebbe stata disposta a perdere tutto, pur di smetterla di dover trascorrere la sua vita a corte, in una gabbia dorata tanto stretta da farla quasi impazzire, come la moglie devota e passiva che sarebbe dovuta essere.
E in questo, lei era addirittura più forte di lui: mai aveva pensato di accettare l’inevitabilità del suo destino, ed ogni occasione le era buona per rimarcare la sua indipendenza, il suo disappunto, la sua rabbia.
Ne era segno il livido violaceo che, pur coperto dall’ampia manica purpurea della sua veste, Jaime ricordava bene.
Al pensiero di lui che osava alzare le mani su di lei, sentì una collera, impetuosa e inestinguibile propagarsi nelle sue membra.
Forse percependo i sentimenti del suo cavaliere, il purosangue grigio che montava nitrì nervosamente, e, con un movimento quasi istintivo, le sue mani corsero a tirare le briglie, impedendogli di dimenarsi.
Quando si voltò nuovamente alla ricerca della serica chioma bionda di Cersei, seppe che il loro momento era passato.
Non se ne era accorto, ma erano rimasti per vari minuti a fissarsi, e non dubitò che sua sorella avesse potuto leggere come su un libro aperto i pensieri che avevano attraversato la sua mente, il suo odio verso Robert, verso il quale lei era legata da un vuoto giuramento, pronunciato al cospetto di dei incostanti e insofferenti, e al tempo stesso la sua invidia verso l’uomo che più di tutti aveva il privilegio d’amarla e che invece, perso nei tormentati ricordi del suo passato, continuava a struggersi al pensiero di Lyanna, la sorella del giovane lord Stark che, alla sinistra del suo migliore amico, gli stava rivolgendo uno dei suoi rari sorrisi, che pure non riuscivano a sminuire l’aria greve che adombrava i suoi lineamenti.
Sotto le sopracciglia aggrottate, lanciò loro uno sguardo sfacciatamente sprezzante.
Non vedeva nulla di rispettabile nei cavalieri che, appesantiti dalle loro armature, si muovevano sgraziati ai bordi del campo, nulla di nobile in quei giovani lord.
Nulla, non vedeva nulla di giusto o imparziale, nelle sentenze saccenti dei loro sacerdoti, né nelle loro leggi, pesanti catene che a lungo aveva permesso si stringessero attorno a lui.
E nessuno di loro l’avrebbe mai potuto capire come lei, l’unica per cui avrebbe immolato la sua vita senza esitazioni o rimpianti.
Sua sorella, la sua regina, la sua amante.
Tutte le figure femminili più importanti della sua vita erano impersonificate in un’unica persona, quella ragazza appena ventenne dai capelli come oro, gli occhi come smeraldi pieni di una impiegabile fierezza,  che ogni volta che si posavano su lui sembravano come illuminarsi, ora intenta a parlare con lady Selyse, la sgradevole moglie di lord Stannis, le labbra arricciate in una espressione infastidita, una mano posata a sfiorare il ventre appena prominente, che lui sapeva gravido per la prima volta.
A questo pensiero, gli angoli delle sue labbra accennarono un sorriso.
Nessuno avrebbe mai scoperto il loro segreto, questo loro amore, sbagliato agli occhi di tutti, ma in grado di legarlo alla vita molto più dei vuoti giuramenti che aveva pronunciato.
Sarebbe stata una grande madre, Cersei: protettiva, e disposta a giocarsi tutto pur di proteggere ciò che amava. Lo sarebbe stata anche senza un esempio da seguire se non lo sbiadito ricordo che ancora preservavano della loro madre, morta costringendoli ad aggrapparsi furiosamente, disperatamente l’uno all’altra per non essere travolti dal corso delle loro stesse vite.
Ascoltò solo distrattamente l’annuncio che era arrivato il suo momento di battersi contro ser Yohn Royce, che sarebbe riuscito a riconoscere in ogni caso grazie agli abbaglianti riflessi bronzei della sua armatura.
Mise il cavallo in posizione, accettò lo scudo portogli dal suo scudiero, si accertò che la lunga, pesante cappa nivea posata sulle sue spalle cadesse bene sulla sua armatura dorata.
Poi, impugnata la lancia, si lanciò a un veloce galoppo.
Quando pochi metri li separarono, puntò la sua lancia contro il lato sinistro dell’uomo che fu immediatamente sbalzato dalla sella, senza che Jaime quasi percepisse il contraccolpo dovuto all’urto.
A lui ne seguirono molti altri, lord o cavalieri, non aveva importanza. Li disarcionò uno ad uno, compreso l’avvenente fratello minore del re, che, forte dei suoi diciassette anni, aveva insistito per partecipare alla competizione.
A questo pensiero, si ritrovò a sorridere amaramente: quando lui aveva la sua stessa età, la guerra non aveva bisogno d’essere emulata nei giochi, non era un ricordo, un’epoca di forti cavalieri e belle dame, racchiusa nei versi di una poesia; allora era ancora una cruda realtà, la guerra che lui aveva concluso tranciando la gola di Aegon con la sua affilata spada a due mani.
Che gli altri parlassero, si ricoprissero di onori e titoli: la verità è che era stato lui, sgozzando quel vecchio come se fosse stato un maiale da macello, a concludere tutto.
Che lo sussurrassero pure quel nome alle sue spalle, Sterminatore di re.
Con forza, colpì la spalla destra un anonimo lord, munito di un ampio scudo su cui era stato intagliato lo stemma degli Hightower, sbalzandolo forse più violentemente di quanto non avrebbe dovuto.
La folla esplose in un’ovazione improvvisa, lui alzò una mano in segno di saluto, poi si girò senza nemmeno curarsi di vedere se il suo avversario si fosse alzato o meno dalla dura terra sabbiosa contro cui l’aveva scagliato.
Passando vicino al palco reale, molte lady lo guardarono in visibilio, forse aspettando che lui consegnasse loro un fiore o le intrattenesse con una battuta gentile.
Ancora una volta, passò avanti, altero ed indifferente: quel giorno era troppo nervoso, come divorato da una inspiegabile foga, per mantenere la facciata di cortesia che solitamente riusciva a mantenere senza troppi sforzi.
Si riavvicinò al palco reale solo dopo essere stato proclamato campione del torneo e, sceso da cavallo e posizionatosi alla destra del re, proprio davanti alla sua regina, si inchinò rispettosamente e tese verso di lei un giglio bianco, dal profumo delicato e i petali come seta.
E allora Cersei, divertita, forse compiaciuta dall’impertinenza del suo gesto, si protese verso di lui, afferrando il fiore con un’espressione divertita e incantata.
Da quanto non vedeva quello sguardo?
Fu come ritornare bambini, nei pomeriggi in cui, scappando dai loro impegni, si incontravano di nascosto tra gli alberi in fiore nella foresta di Castel Granito.
E rispondendole con lo stesso sguardo complice che le aveva rivolto allora, si ritrovò a pensare una volta di più che quel sorriso, raggiante, ma allo stesso tempo fiero e orgoglioso, riservato solo a lui, era quanto di più bello i suoi occhi avessero mai visto, e non c’erano giuramenti o dogmi che non sarebbe stato pronto a rinnegare pur di preservarlo.

Allora, che dire?
Ho scritto questa ff cercando di chiarire prima di tutto a me stessa cosa ne pensassi di Jaime e Cersei.. perché anche se è vero che i Lannister sono un casato in cui sono presenti personaggi profondamente differenti gli uni dagli altri, e dove eclatanti sfoggi di vizi e virtù sembrano essere all’ordine del giorno, sono sempre riuscita a inquadrarli abbastanza chiaramente, fin dalla loro prima apparizione nel cortile di Grande Inverno: Tyrion, astuto e sardonico, quel deficiente di suo nipote il re Joffrey, i suoi fratelli – verso i quali provo una naturale simpatia.. ammetto che mi piacerebbe molto leggere ciò che sta succedendo a Dorne dal punto di vista di Myrcella – e poi lord Tywin, protettore dell’Est e personaggio che la visione della serie televisiva mi ha indotto a rivalutare non di poco, e quel marasma di personaggi secondari, su cui non mi dilungo a parlare.
Erano piuttosto Jaime e sua sorella la regina a lasciarmi perplessa: la loro relazione incestuosa, l’aver buttato Bran giù da quella torre..
Ammetto che all’inizio, schierandomi decisamente dalla parte degli Stark, li avevo condannati sotto ogni punto di vista, ma andando avanti con la lettura dei libri (anche se alla fine sono ancora al quarto v.v) e la visione della serie (in cui –tra parentesi– il fatto che Cersei fosse interpretata da quel mito di Lena Heady ha influito molto positivamente xD) mi sono ritrovata a rivedere la mia posizione, e ammettere che in fondo non tutto era così semplice come mi sarebbe piaciuto pensare: trovo che i due gemelli Lannister siano dei personaggi sorprendentemente complessi, i quali si sono ritrovati bloccati fin da bambini in situazioni e circostanze in grado di giustificare le loro scelte.. ma alla fine immagino che con questa ff io abbia spiegato abbastanza chiaramente cosa penso di loro.. (o almeno spero ^^”)

Ok, complimenti a chi è riuscito ad arrivare alla fine di questo mio soliloquio xD e grazie a tutti quelli che hanno letto questa storia ( mi farebbe davvero piacere ricevere delle recensioni, anche per capire cosa potrei migliorare ;)

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Capitolo 2
*** Where is my fault in loving you? ***


Gli occhi di Cersei brillavano vitrei, riflettendo opacamente le stelle che si stagliavano nel cielo, su cui venature dorate e azzurrastre avevano iniziato a dipanarsi dal nero più assoluto.
Poteva sentire un respiro pesante alle sue spalle.
Avrebbe voluto voltarsi, ma una strana ritrosia l’aveva come bloccata: dopo averlo fatto, dopo aver posato il suo sguardo su quel corpo addormentato dai capelli color del grano e gli occhi adombrati da folte ciglia scure, la luce dell’alba avrebbe dissolto le illusioni in cui si era cullata quella notte, lasciandola sola davanti ai suoi impegni.
Perché gli occhi verdastri che si sarebbero socchiusi al suono della sua voce mancavano di quella luce strafottente e maliziosa che amava tanto, i capelli del ragazzo, disposti disordinatamente sul guanciale, le sarebbero sembrati stopposi al confronto dei serici riccioli dorati che incorniciavano il viso dell’uomo che tante notti l’aveva stretta tra le sue braccia, viso di cui questo non era che una pallida imitazione.
Ma infondo aveva sempre saputo ser Lancel non sarebbe mai potuto divenire nemmeno l’ombra del lord comandante della guardia reale, suo fratello Jaime.
E come sarebbe potuto essere altrimenti?
Spostando lo sguardo dalla città ancora addormentata che scorgeva attraverso le tende in seta bianca del suo terrazzo, si girò.
Silenziosamente, si avvicinò al letto che per tante lune aveva condiviso con Robert.
“Lancel..” lo chiamò piano e subito lui si risvegliò dal sonno leggero in cui era caduto: “Sì, mia signora?”
Sorridendo maliziosamente, Cersei si stese di fronte al ragazzo, e puntò su di lui il suo sguardo di giada, come le pietre della collana che portava, l’unica cosa che si fosse presa la briga di indossare per quella notte.
Come ammaliato, Lancel le sfiorò lievemente i capelli, accarezzando quelle onde dorate.
Sfiorò le labbra del ragazzo con le sue, respirando l'aroma d'arancia che emanavano.
Sentì le mani fredde di Lancel scivolare sul suo corpo, soffermandosi sulla curva del suo seno, stringendola sempre di più a lui.
Serrò gli occhi.
Sussultò piano sentendolo entrare dentro di lei, le sue unghie affondarono nella schiena del ragazzo mentre lo baciava con foga, mordendo le sue labbra carnose.
Quando lo sentì venire sul suo ventre, ebbe come la sensazione d’esserne stata sporcata.
Aprì gli occhi, l’osservò sorridere stanco, appagato mentre si posava sul materasso di piume.
Non riuscì a impedirsi d’essere assalita da una sensazione di disgusto.
“Ora va’” gli ordinò in tono perentorio, sfuggendo alla stretta delle sue braccia e mettendosi a sedere in modo da dargli le spalle.
Il ragazzo non replicò: Cersei poteva sentirlo mentre si affrettava a rivestirsi per poi lasciare le sue stanze dopo averle lanciato una sola, timorosa occhiata.
Non sapendo bene come gestire l’improvviso cambiamento del suo umore, Lancel aveva preferito andarsene, incapace di reggere quello sguardo famelico.
Jaime..
Le sue mani si serrarono attorno alle candide lenzuola di velluto.
Lui non l’avrebbe lasciata, e indifferente alla frustrazione scolpita nei lineamenti del suo viso l’avrebbe stretta con forza, fino a farle mancare il respiro, avrebbe riso sfacciatamente alle sue preoccupazioni, le avrebbe fatte dissolvere come neve al sole.
Persa nei suoi pensieri, non riuscì a fermare l'immagine che attraversò la sua mente.
Jaime prigioniero, incatenato, torturato per il suo essere un Lannister, per i suoi peccati.
Crimini di cui anche lei si era identicamente, insolubilmente macchiata.
Eppure in quella cella, lontano dalla luce del sole, lontano dalla sua casa, dai suoi figli, lontano da lei, Jaime era solo.
Le bastava chiudere gli occhi per rivederlo, le bastava posare lo sguardo sui luoghi in cui avevano vissuto assieme per sentire assieme al calore dell’estate e al respiro del vento il suo odore.
A stento riusciva a sostenere il suo sguardo allo specchio: con troppa facilità il riflesso della sua persona le rimandava l’immagine di suo fratello, il suo corpo asciutto, le spalle ampie, la morbidezza dei suoi capelli, la piega strafottente del suo sorriso.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma Cersei Lannister aveva paura.
Paura che non avrebbe mai più avuto la possibilità di toccare quel viso che conosceva meglio del proprio, quel corpo inciso tanto vividamente nella sua memoria.
Che lui fosse morto.
Nonostante l’aria di quella alba fosse ancora permeata del calore dell’estate, venne scossa da un improvviso brivido di freddo, un sussulto.
Delle lacrime, lente e bollenti, scivolarono attraverso le sue palpebre serrate, percorrendo la linea dei suoi zigomi, perdendosi nelle sue labbra.
Immediatamente le sue mani scattarono a coprirle il viso.
Asciugò con un movimento stizzito, feroce quei segni di debolezza.
Era la regina dei Sette Regni, una Lannister di Castel Granito.
Nella sua vita non c’era spazio per i rimpianti, i rimorsi, le paure.
Si sarebbe spezzata pur di non piegarsi e non avrebbe esitato, mai.
Ed era consapevole del fatto che Jaime avrebbe fatto lo stesso.



Volevo precisare che, avendo appena terminato il sesto libro della saga, non ho ancora avuto modo di leggere nessun capitolo dal punto di vista di Cersei.. spero di non essere stata troppo OC >.< solo che (dopo aver ricevuto mentre giravo ignara e spensierata per il web lo spolier più catastroficamente inaspettato su Jaime – se ora come ora mi capitasse Martin tra le mani, non ho idea di cosa gli tirerei contro D: ) ho sentito come il bisogno di pubblicare questa one-shot.
So di averlo già detto nell'altra ff che ho pubblicato su di loro, ma trattandosi di un opinione così non “facilmente condivisibile” preferisco spiegare bene le mie opinioni a riguardo: personalmente trovo che i gemelli Lannister siano personaggi straordinariamente carismatici, conturbanti.
Mi ha sorpresa il modo in cui la mia opinione di loro sia cambiata nel corso della storia, facendomi arrivare a considerare l’amore che li unisce come uno dei sentimenti più puri, indissolubili dell’intera saga.
D’altronde uno degli elementi della storia che mi ha maggiormente colpita è il fatto che ogni persona, ogni avvenimento racchiuso in essa venga continuamente messo in discussione, osservato attraverso decine di occhi diversi a cui corrispondono spesso interessi e sentimenti totalmente contrastanti gli uni dagli altri.
Non esiste nessuna divisione netta tra bene e male, tra ciò che è condannabile e ciò che invece dovrebbe essere considerato corretto: all’inizio la relazione incestuosa dei due gemelli mi era parsa una depravazione, qualcosa di profondamente sbagliato. E invece, mano a mano che vado avanti con la lettura della storia, ai miei occhi Jaime e Cersei, alteri e gelidi come granito, orgogliosi e impulsivi come leoni, appaiono sempre più come personaggi che, difronte a determinate situazioni, hanno fatto scelte che a loro devono esser parse come naturali, non riuscendo semplicemente a comprendere come mai l’amore assoluto che li lega l’uno all’altra possa essere giudicato un atto peccaminoso.
Credo che l’evolversi dei loro sentimenti sia stato dovuto a un bisogno ancestrale di ritornare a sentirsi come un unico essere, di annullare tutte le differenze di quell’unica persona, divisa per un beffardo scherzo del destino in due corpi, due facce della stessa medaglia.

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