Operazione compleanno - Il regalo più adatto (Raccolta di One shot)

di Rebychan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 05 maggio = Tonfate day ***
Capitolo 2: *** 4 febbraio = Il regalo più bello ***
Capitolo 3: *** 13 marzo = rituale ***
Capitolo 4: *** 24 aprile = dillo alla stella ***
Capitolo 5: *** 05 maggio = Intollerabile ***
Capitolo 6: *** 28 maggio = Lambo ***
Capitolo 7: *** 09 giugno - Lacrime ***
Capitolo 8: *** 07 luglio = Nel centro del mirino ***
Capitolo 9: *** 26 agosto = neve d'agosto ***
Capitolo 10: *** 09 settembre = attesa ***



Capitolo 1
*** 05 maggio = Tonfate day ***


05 maggio = Tonfate day Questa è la fic che ho scritto appositamente per il compleanno di Hibari.
E visto che mi è venuta voglia di mettermi alla prova, sarà la prima di una serie di storie brevi che hanno come tema comune la ricerca del regalo più adatto per alcuni personaggi che amo del manga “Reborn”.
Per me questo significa mettermi alla prova, uno perché non sono molto portata per le one shot, due perché io e le fic a tema non andiamo molto d’accordo.
Sinceramente ho scritto questa fic ieri un po’ di fretta, per cui non so come sia uscita fuori.
Di sicuro il genere delle varie storie cambierà in base al compleanno che prenderò in esame, è per quello che nella presentazione c’è scritto generale. Questa storia dovrebbe essere comunque del genere ‘schifezza’, ah no, scusate nemmeno quello c’è, ed allora definiamola come comica. Di sicuro infatti non si prende molto sul serio.
Ovviamente scrivendola io la fic è una D18, ma appariranno anche il Decimo e tutti i suoi guardiani.
Non so come ho reso Hibari, ma ho fatto del mio meglio per descriverlo come merita.
Incrocio le dita nella speranza che qualcuno nel leggere questa storiella senza grosse pretese possa divertirsi.
Come al solito i personaggi non sono miei e scusate se ci saranno degli errori.
Ringrazio chi leggerà la fic e soprattutto chi commenterà per farmi sapere cosa ne pensa, dicendomi pure se avranno quell’impressione se è meglio che mi dia all’ippica oppure che insista ancora un po’ nei miei esperimenti.
Do un bacione speciale a Willow che ha letto la storia in anteprima, dicendomi che le è piaciuta e mi ha dato quindi il coraggio di postarla, cosa che fino a quel momento dubitavo di fare.
Buon compleanno Hibari, e se vuoi mordi a morte anche me, anche se sinceramente dovessi scegliere preferirei essere la vittima del nuovo tipo di caccia all’erbivoro. Sbav!  
Vi lascio alla lettura.
Rebychan


TITOLO: 05 maggio = Tonfate day

"Ciao Kyoya, stasera purtroppo non potrò allenarmi con te come al solito. Alcuni impegni urgenti mi costringono a tornare in Italia. Spero di fare ritorno quanto prima. Mi raccomando non dimenticarti di me."

Il ragazzo dai capelli neri guardò con il suo solito cipiglio il telefono, sulla cui segreteria telefonica era stato lasciato quel messaggio.

E quelle poche parole che sulla carta avrebbero dovuto renderlo felice perché implicavano che si sarebbe tolto dalle scatole quell'erbivoro appiccicoso che da un po' non faceva che perseguitarlo con la sua presenza, invece stranamente ebbero il potere di irritarlo.

Subito però scrollò le spalle, e si convinse che quell'irritazione era dovuta solamente al fatto che l'altro l'aveva sorpreso. Si sarebbe infatti aspettato che quell'odioso tipo biondo che da un po' iniziava ogni seduta di allenamento sfidandolo con un inopportuno e schifoso bacio sulle labbra, e le chiudeva sia che perdesse e quindi fosse malconcio, o che vincesse e quindi fosse trionfo, con una dichiarazione non richiesta d'amore quel giorno avrebbe fatto di tutto per passare del tempo con lui.

Quel giorno infatti era il cinque maggio, ed era il suo compleanno. Ovviamente non che lui ci tenesse a festeggiarlo con quell'odioso erbivoro. Le profferte d'affetto probabilmente erano, infatti, solo dei colpi di testa dell'imbecille contro cui combatteva quasi ogni notte, atte a farlo incavolare. Ed anche se fossero state reali, erano comunque unilaterali. Lui non provava niente per quell'irritante individuo.

Quello era certo. E quindi che se ne fosse andato era meglio. Concluse.

Sbuffando uscì di casa, dopo aver mollato un'altra occhiataccia al telefono reo di avergli fatto ascoltare quel messaggio. Nonostante avesse capito il motivo dell'irritazione infatti quel senso di fastidio non voleva abbandonarlo.

Si sentiva furioso per il fatto che l'altro l'avesse sorpreso. Insomma quell'erbivoro per tutti i giorni dell'anno gli stava appiccicato come se fosse della colla, e nel giorno che tutti, a parte, lui consideravano speciale invece lo piantava in asso. C'era qualcosa di davvero strano.

Accarezzò i tonfa che teneva sempre con sé legati in vita per rassicurarsi.

E poi si obbligò a pensare ad altro. Per quel giorno aveva già sprecato troppo del suo tempo a pensare all'imbecille. Che facesse quello che voleva, tanto per lui che ci fosse o non ci fosse era lo stesso.

E se proprio l'irritazione che provava non voleva sapersene di andarsene, avrebbe di sicuro trovato il modo di sfogarla in qualche maniera.

Dopotutto quello che per tutti sarebbe stato un giorno speciale, ovvero il compleanno, per lui, Kyoya Hibari, era soltanto un giorno come ogni altro. In tutta la sua vita non aveva mai festeggiato quella giornata, l'aveva sempre trascorsa nella solita routine. Anzi forse qualcosa di diverso in quella giornata c'era, ovvero che certe situazioni erano ancora più sgradevoli del solito.

Qualche stupido infatti dopo aver scoperto la sua data di nascita aveva l'ardire di provare a fargli gli auguri e lui ovviamente per ringraziarlo lo prendeva a tonfate.

A quel pensiero, sentì il suo stomaco rodere.

Ecco un'altra stranezza di quel messaggio, si ritrovò a pensare anche se aveva deciso di non pensarci più. Quell'idiota non gli aveva fatto nemmeno gli auguri. E sì che era convintissimo che avesse scoperto quando era il suo compleanno, visto quanto fissato era con lui. E perché allora l'aveva snobbato?

Forse finalmente aveva messo la testa apposto ed aveva capito che le smancerie non facevano per lui.

Se fosse stato così, sarebbe stato tutto di guadagnato. Lui odiava le moine, e per quello non poteva che odiare gli auguri e i festeggiamenti. Cosa c'era poi da festeggiare nel giorno in cui si compiva gli anni? Il fatto che si fosse diventati un anno più grandi, e che si avvicinava sempre di più il momento della morte? Che baggianate.

Per lui il compleanno era una giornata come tutte le altre. Solo più irritante. Ribadì.

Ed era perché qualche stupido... stava per ripetere dentro la sua testa la faccenda degli auguri, quando arrivato davanti al cancello d'ingresso della scuola, avvistò subito uno di quegli stupidi.

Ma quello non era uno stupido qualunque, era proprio un idiota senza più nessun tipo di speranze.

Come aveva osato infatti imbrattare il muro d'entrata di Namimori con quella scritta? Quel tizio con i capelli bianchi, con un cerotto perennemente appoggiato sul naso e le braccia fasciate che sorrideva felice tenendo in mano un pennello tutto soddisfatto per il lavoro che aveva fatto doveva proprio desiderare di morire.

Quando poi lo scorse, il tipo in questione lo guardò sogghignando felice ed anche a voce gli disse quanto aveva scritto ovvero: "Buon Compleanno Kyoya Hibari." Poi ridacchiando aggiunse: "Tutto questo è abbastanza estremo per te?"

Ovviamente dopo quelle parole Kyoya non ci vide più, prese i suoi tonfa e si gettò sul mal capitato per picchiarlo selvaggiamente.

L'altro incredibilmente non provò minimamente a schivare la sua furia, probabilmente si era accorto che sarebbe stato tempo sprecato.

Si prese tutta quella raffica di tonfate proteggendosi solo la testa.

Hibari lo ridusse ad un colabrodo ma non lo uccise, farlo avrebbe significato dover pulire lui stesso il muro e non ci pensava minimamente.

Quell'idiota l'aveva sporcato, e quell'idiota l'avrebbe pulito e nel farlo avrebbe usato la sua lingua.

Due ore dopo, infatti, il muro fu di nuovo pulito, anche se l'erbivoro sopracitato non aveva usato la lingua, ma bensì uno spazzolino.

Kyoya gli aveva gentilmente concesso quel piccolo cambiamento sul piano iniziale, perché intanto la pena sarebbe stata lo stesso pesante, e nel giorno del suo compleanno voleva essere più magnanimo del solito.

Ovvero la verità era, anche se non avrebbe voluto ammetterlo, che grazie all'altro per diverso tempo si era dimenticato l'erbivoro biondo, per cui aveva voluto ringraziarlo in qualche modo.

Anche se poi se ne pentì, in quanto il tizio in questione non avendo la lingua occupata finì mentre lavorava con il cominciare a cantare un assurda e snervante canzone che non faceva che ripetere: "Ryohei extreme." Uno schifo che gli fece guadagnare un'altra dose di tonfate extra ovviamente.

Ma perché la gente non riusciva a capire che l’unica canzone degna di essere cantata ed ascoltata era l’inno della scuola media Namimori? Si chiese Kyoya, per poi rispondersi che era perché erano proprio tutti degli erbivori senza possibilità di dubbio.

Hibari poteva tentare di essere più magnanimo a volte, ma di sicuro non perdonava le cose che gli davano fastidio.

A causa di quell'incidente, il ragazzo dai capelli neri riuscì ad entrare a scuola com’era facile prevedere solo a mattinata inoltrata. Non che per lui fosse un problema, visto che di solito non frequentava mai le lezioni.

Andò infatti nel suo ufficio alias la sede del comitato disciplinare e passò qualche ora in tranquillità.
Durante la pausa pranzo, però, fu costretto a punire altri erbivori.

Due o tre ragazzi avendo letto la scritta sul muro, ebbero l'ardire di fargli gli auguri ma bastò un po' di tonfate per far capire agli altri che era meglio se evitavano.

Quello però non riuscì a fermare ovviamente il ragazzetto castano dalla strana pettinatura e le sue due appendici, di cui con il tempo aveva imparato a ricordare il nome, ma che dentro di sé non riusciva a non chiamare "Destro" e "Sinistro" perché molto spesso facevano la loro comparsa a fianco del piccoletto, in quella posizione.

Il moccioso che ultimamente aveva finito con l'immischiarlo nei problemi della sua famiglia da una parte indispettendolo ma dall'altra facendolo scontrare con persone sempre più forti che gli permettevano di mettersi alla prova, gli fece gli auguri, seguito dai suoi compari.  I tre si dimostrarono sprezzanti del pericolo, e lui quindi non si tirò indietro e li ricompensò mordendoli a morte, alias prendendoli a tonfate.

Già, perché nessuno lo sapeva ma lui ai suoi tonfa aveva dato un nome ovvero "Molari" e "Incisivi". Sì, proprio al plurale, perché erano da sempre gli unici amici che avesse mai avuto, e non parlava solo di due amici, un tonfa ed un tonfa, ma di molti di più, erano, infatti, tutti gli amici di cui avesse mai avuto bisogno.

Perché cercarsi qualcun altro con cui stare in compagnia, infatti, quando loro gli davano tutto quello che desiderava? Erano dei compagni fidati che non lo tradivano mai, e che lo aiutavano nel mantenere l’ordine a Namimori pestando a raffica chi si rendeva reo di qualche infrazione. Erano insostituibili.

Certo qualcuno poteva dire che anche Hibird era suo amico, ma non era così. Hibird che in quel momento svolazzava nel cielo in attesa che lui uscisse per posarsi sulla sua testa, era un membro della sua famiglia, non un amico. La cosa era diversa.

Scacciò quei pensieri troppo filosofici e tornò a prestare la sua attenzione alle persone che doveva picchiare.  

Così come l'idiota del graffito, i tre non si opposero alle sue botte. E la cosa lo sorprese, ma non ci fece poi più di tanto caso, perché ancora una volta mentre li picchiava si dimenticò della sensazione di fastidio che provava da quella mattinata dopo aver sentito il messaggio.

Quando pensò di aver morso a morte abbastanza quei poveri disgraziati che dovevano aver capito che il prossimo anno era meglio evitassero di fargli gli auguri, si rintanò nel terrazzo della scuola.

E lì come se lo attendessero trovò il bambino mucca e la mocciosa con il codino ad odango. Un po' scostato c'era anche il bambinetto con il capello da gangster per il quale lui provava un certo rispetto, anche se non l'avrebbe mai ammesso, visto che era maledettamente forte.

Anche loro erano lì a fargli gli auguri, ed anche loro ovviamente si presero la loro buona dose di morsi.
Incredibilmente, Hibari riuscì a colpire come fino a quel momento non era mai stato in grado di fare, con una tonfata anche Reborn.

Poi ovviamente si ritrovò sbattuto contro un muro con violenza, dato che l’altro era ancora più forte di lui, ma l'aveva colpito almeno una volta. Poteva ritenersi soddisfatto.

Fu per quello che alla sera, mentre usciva dalla scuola dopo aver fatto l'ultimo giro di ronda ed aver trovato Namimori apposto, era nei limiti in cui una faccia inespressiva come la sua poteva permettersi, tutto gongolante.

Le sue labbra erano incurvate verso l’alto di un millimetro, anzi se ci fosse stata un unità di misura minore del millimetro, quella sarebbe stata la lunghezza giusta.

Quella sensazione di miglioramento, aveva quasi superato l'irritazione per cui anche da quel punto di vista era soddisfatto, ma ben presto tuttavia si ritrovò a capire qual era la vera verità.

Fuori dal cancello della scuola, trovò infatti la tipa dai capelli viola "posseduta" dall'individuo che detestava di più al mondo, quello che più di ogni altro avrebbe voluto mordere a morte e nel vero senso della parola.
La ragazzina appena lo vide gli s'inchinò davanti porgendogli un pacchetto. E disse timida: "Mukuro-sama mi ha detto di farle gli auguri e di consegnarle questo."

Lui prese il “dono” resistendo all'impulso di picchiare immediatamente la tipa.

Poco importava se era una donna, lui non si tirava indietro quando doveva mordere qualcuno nemmeno di fronte ai bambini come aveva dimostrato, perché quindi per una ragazza doveva fare una eccezione?
Se facevano qualcosa di sbagliato ,era giusto che anche loro venissero punite.

Prima però di prenderla a tonfate, voleva essere sicuro che quel pacchetto contenesse quanto pensava.
Non fu infatti sorpreso quando lo aprì di trovarvi quello.

Buttò il pacco inviperito. Perché quello stronzo amava sempre prendersi gioco del suo punto debole?

Non osava nemmeno nominare quella cosa, ma la sola vista riusciva a farlo mancare.

Per fortuna che ce n’era solo uno, e quindi l'effetto era stato pressoché nulla.

Se il tipo, voleva che lui picchiasse a sangue la sua protetta a causa di quell'onta allora aveva raggiunto il suo scopo.

Sollevò il braccio per colpire con i tonfa la ragazzina che aveva chiuso l'occhio non protetto della benda per prepararsi all’impatto, e non facendo nulla per difendersi, quando i due erbivori che giravano sempre con lei, e che erano stati scagnozzi dell'essere innominabile, si misero in mezzo.

Colpì loro al posto di lei.

Ed Hibari non si tirò indietro. Se ci tenevano così tanto ad essere cavalieri, allora chi era lui per impedirgli di esserlo?

Li pestò a lungo, fino a quando la rabbia gli sbollì.

E poi senza un saluto, lasciandoli agonizzanti, mentre la tipa gli si era inginocchiata accanto pronta a dare loro le prime cure, se ne andò pronto a tornare a casa.

E fu mentre percorreva la strada per andare al suo appartamento che si rese conto di una cosa.

Tutti i suoi pseudo conoscenti quel giorno si erano ritenuti in dovere di fargli gli auguri, ma nessuno di loro, a parte la tipa, aveva provato a fargli un regalo.

Poi all’improvviso si ricordò che tutti loro sembrava avessero fatto a gara per farsi prendere a tonfate. Nessuno di loro infatti aveva reagito di fronte alla sua furia.  

E fu così che allora intuì la verità.

Erano le tonfate il suo regalo. Quel giorno gli avevano concesso di picchiarli senza fare niente per difendersi, perché essendo il suo compleanno, volevano che si divertisse con una delle sue abitudini che più gli piacevano, ovvero la caccia all’erbivoro.

A quel pensiero, il ragazzo si ritrovò a sogghignare.

In fin dei conti a loro modo avevano dimostrato di conoscerlo bene, e forse in quel momento erano tutti riuniti per fare a gara su chi le aveva prese di più.

A rigor di logica avrebbero dovuto essere i due lacchè dell’essere innominabile ed il graffitaro. Ma visto che i primi erano due, il primato spettava quindi di sicuro all’idiota estremo.

Una menzione speciale andava ovviamente al bambino gangster che si era fatto colpire per la prima volta apposta per dargli il suo regalo.

Quello però implicava che non era migliorato, la botta era stato solo un regalo.

Beh poco importava, nonostante quello, tutto sommato la giornata era stata divertente.

Sì, anche il prossimo anno si poteva ripeterla.

Non sarebbe stato male far diventare il cinque maggio, il tonfate day. Se non altro, finalmente avrebbe festeggiato il suo compleanno come tutti ma in un modo che gli piacesse, ovvero senza smancerie, ma con tanta azione e soprattutto con tanta caccia all’erbivoro.

Per quel giorno concluse poteva ritenersi soddisfatto della caccia fatta, forse era meglio che l'imbecille biondo non fosse stato disponibile per l'allenamento.

Tuttavia nel pensare a quello, ancora una volta quella sensazione irritante lo invase.

Scrollò nuovamente le spalle, digrignando i denti e s’impose  di non pensare più a niente fino a quando non fosse tornato a casa.

Quando ancora nervoso fece per aprire la porta, però si accorse che era aperta.

Chi era stato così scemo da provare ad introdursi in casa sua? Fu il suo primo pensiero. Afferrò di nuovo i tonfa. Anche se era appagato per tutta la caccia all'erbivoro fatta quel giorno, un onta era un onta ed andava punita.

Aprì la porta pronto ad ammazzare chiunque vi avesse trovato dentro, se ancora fosse stato lì, ed i suoi occhi strabuzzarono sorpresi, quando si accorse di chi si trattava.

"Non dovevi trovarti in Italia?", chiese incredulo qualche istante dopo essersi ripreso dallo shock, mentre sentiva che la sensazione irritante svaniva, lasciando quello spazio ad un'altra, altrettanto fastidiosa, per uno come lui, in quanto era un'emozione positiva.

Sì, non avrebbe dovuto esserlo visto che dell’altro non gliene fregava niente, ma era felice di vederlo lì, si rese conto immediatamente.

Allontanò quel pensiero e si avvicinò all'altro sempre tenendo i tonfa alzati.

L'erbivoro biondo nel frattempo stava dicendo: "Figurati se mi sarei mai perso il tuo compleanno, Kyoya. Ho finto di andarmene perché volevo farti una sorpresa. Ti ho preparato la cena. Auguri."

Dopo aver detto quelle parole, l’idiota gli sorrise con un sorriso a trentadue denti. Si vedeva che era felice per quell’improvvisata. Pensava di aver avuto un’idea geniale. Era un imbecille.

Quelli furono i pensieri di Hibari nell’udire quel discorso. E dopo averlo ascoltato avrebbe dovuto inoltre provare il forte impulso di mordere a morte l'altro ed invece si ritrovò ad abbassare i tonfa.

Istintivamente poi seguendo un impulso improvviso, invece, di pestarlo, afferrò per la maglietta quell'idiota biondo per portargli il viso all’altezza del suo e lo baciò sulle labbra senza esitazione.

Quel gesto era talmente assurdo, che dovette giustificarsi con se stesso, dicendosi che era così soddisfatto da tutte le tonfate date quel giorno, che con l'erbivoro biondo aveva semplicemente desiderato di provare un nuovo tipo di morso.

Uno in cui si usavano le labbra, la lingua come capì, ed anche com'era giusto essendo un morso, i denti.

Un altro morso che tutto sommato poteva essere piacevole, se gestito nel modo giusto, così come erano le tonfate.

Fu per quello che quando si staccarono per riprendere aria, e l'altro lo strinse forte a sé sussurrandogli: "Vedo che vuoi partire dal dolce, Kyoya. Ci sto.", per poi ribaciarlo e sollevarlo di peso per trascinarlo in camera non vi si oppose.

Quel giorno non era pago solo di morsi e tonfate, ma anche della solita caccia all'erbivoro, per cui per una volta avrebbe anche potuto sperimentare pure un nuovo tipo di caccia.

Ed a dirla tutta, anche se visto la posizione che fu costretto a tenere, non l’avrebbe mai ammesso di fronte ad anima viva,  quel nuovo tipo di caccia  si rivelò estremamente appagante tanto che tutto sommato capì che non gli sarebbe dispiaciuto sperimentarla ancora, di tanto in tanto.

FINE 05 maggio – Tonfate day

L’ANGOLO DI REBYCHAN
Allora come avete trovato questo esperimento? Io sinceramente questa storia non la so valutare, per cui lascio a voi la parola.
Lo so di aver sparato tante cavolate all’interno della fic, ma erano carine come idee per cui non mi sono tirata indietro.
Per quanto riguarda Mukuro penso sia facile capire cosa ha regalato ad Hibari, vero? Per cui non lo specificherò.
Ringrazio chiunque sia riuscito a leggere la fic fino alla fine ed abbia sprecato un po’ del suo tempo per commentare. Di sicuro leggere le vostre considerazioni mi farà molto ma molto felice.
Grazie di tutto.
Ancora tanti auguri Hibari-sama.
E se qualcuno vuole consigliarmi qualche compleanno da esplorare, sarò ben felice di considerare le richieste.
Con questo, anche sta volta mi sembra di aver detto tutto.
Chi vuole contattarmi può farlo qui sui commenti EFP, sul mio forum o per Email.
Un bacione
Rebychan

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Capitolo 2
*** 4 febbraio = Il regalo più bello ***


Questa è la fic di compleanno di Dino. Oggi infatti questo personaggio compie gli anni.
E’ una storiella leggera, senza grosse pretese. Non è nulla di che, ma ci tenevo lo stesso a scrivergli qualcosa.
La fic è una D18 ovviamente, ma appariranno anche Tsuna & co.
Come al solito i personaggi non sono miei e scusate se ci saranno degli errori.
Ringrazio chi leggerà la fic e soprattutto chi lascerà anche solo due righe per farmi sapere cosa ne pensa, ci tengo molto infatti alle vostre recensioni.
Buon compleanno Dino!
Vi lascio alla lettura.
Rebychan

IL REGALO PIU' BELLO

Quel giorno era il compleanno del giovane boss della famiglia Cavallone e Dino, era quello il suo nome, aveva deciso di festeggiarlo in Giappone insieme ai suoi amici e alleati della famiglia Vongola.

Alla sera nella hall dell’hotel in cui alloggiava ci sarebbe stata una grande festa e Reborn come suo solito aveva deciso di renderla più interessante organizzando un “gioco”.

Il membro della famiglia Vongola che avrebbe consegnato a Dino il regalo più gradito avrebbe ricevuto un premio, quello che invece gli avesse dato il dono più brutto sarebbe stato punito.
Inutile dire che nessuno voleva incorrere nella punizione stabilita dal famoso killer arcobaleno della mafia. A dirla tutta nessuno avrebbe anche solo voluto sapere di cosa si trattasse. Di sicuro infatti era qualcosa di molto sadico che li avrebbe fatti pentire di essere nati. Tutti così chi in gruppo, chi da soli s’ingegnarono a soddisfare i gusti del festeggiato con un regalo all’altezza.

Non fu facile sceglierlo ed alla fine anche se non si erano minimamente messi d’accordo tutti optarono per un dono a “quel” tema.

Tutti infatti sapevano quanto a Dino piacesse una certa persona e nell’impossibilità di portarla alla festa, perché provarci dopo che aveva detto tassativamente ‘no’ significava perdere alcuni denti o rompersi qualche osso contro i suoi tonfa, l’unica soluzione alternativa apparsa davanti ai loro occhi fu quella.

La festa fu molto movimentata e piacevole all’inizio.

E’ però inutile dire che al momento dell’apertura dei regali tutti  trattennero il fiato tesi.

Chi avrebbe indossato la corona d’alloro della vittoria? Chi invece sarebbe stato costretto ad ingoiare gli aghi che Reborn teneva in mano mentre sul suo volto era stampato un sorrisetto poco rassicurante, simbolo che il bambino arcobaleno già si pregustava le sofferenze del malcapitato?

Nessuno ancora lo sapeva e quindi tutti tremavano.

No, non proprio tutti, Dino infatti  sorrideva giulivo.

Essendo il festeggiato spettava a lui decretare il vincitore e lo sconfitto. Per quella volta avrebbe saltato ogni tipo di punizione.

Quando aprì il primo regalo consegnatogli da Ryohei i suoi occhi strabuzzarono sorpresi verso l’alto. Sul suo viso l’attimo dopo  però si stampò un sorriso ebete mentre tirava fuori dalla scatola un pupazzo. Era una versione deformata di un ragazzo dai capelli neri e lo sguardo burbero. Indossava la divisa della scuola media Namimori. La giacca però era solamente appoggiata sulle spalle. Una fascia gli circondava un avambraccio e dalle mani cicciottelle partivano due bastoncini, che dovevano essere le sue armi, mentre sopra la sua testa decisamente troppo grossa in confronto al corpo era adagiato un uccellino giallo.

Dino si ritrovò a dire tutto euforico: “E’ fantastico! Un pupazzo di Kyoya in miniatura.”

Ryohei ridacchiò gasato. “Sì, ho pensato a cosa poteva farti piacere ed ho chiesto a mia sorella se poteva farmelo. Lei è bravissima con i lavori manuali di questo tipo. E visto che c’ero, le ho chiesto di farne uno anche con le mie sembianze. Ad un tipo estremo come te, non poteva di sicuro mancare.”

Solo allora guardando bene nella scatola, Dino  si accorse che poco più in là, vicino a dove aveva preso il baby Hibari c’era anche un baby Ryohei. Era decisamente fatto bene, con quella zazzera bianca, il cerotto sul naso e le mani fasciate.

Dino gentilmente ringraziò anche per quel dono ma si vedeva  lontano un miglio che in verità gliene importava fin là.

La sua attenzione era tutta concentrata sul pupazzo di Hibari. Ryohei aveva fatto colpo con il suo dono e tutti gli altri guardiani Vongola stavano tremando.

Il secondo dono d’aprire fu quello di Tsuna e Lambo.

Sì, visto che il bambino era sempre a casa Sawada, il primo aveva deciso di consegnare il dono a nome di tutti e due, anche se a pensarlo era stato solo lui.

Ancora una volta gli occhi di Dino strabuzzarono sorpresi, quando tolse dalla carta regalo un paio di asciugamani ricamati.

Il ricamo rappresentava lo stesso soggetto del pupazzo. Quello che lo guardava accigliato senza ombra di dubbio era Kyoya. Su uno si vedeva solo il viso ed era insieme ad Hibird, sull’altro era a figura intera e teneva i tonfa davanti a sé in assetto di combattimento.

Dino sorrise compiaciuto. “Sono bellissimi. E’ quasi un peccato usarli per lavarsi le mani ed il viso.”

Tsuna arrossì. “Li ha fatti mia madre. Sono contento che ti siano piaciuti.”

Toccò al terzo dono di essere aperto.

Chrome si avvicinò a Dino e piegò la schiena imbarazzata mentre porgeva il suo pacchetto. Insieme a lei c’erano anche Kyoko che nonostante avesse fatto il regalo del fratello, aveva aderito anche a quello del guardiano della nebbia, Haru, Bianchi e I-pin. “Da parte anche di Mukuro-sama, anche se poi ci sarà pure un extra organizzato da lui.”, dichiarò arrossendo la ragazza.

Dino scoperchiò la scatola e vi trovò un servizio da the molto bello e raffinato. Fu però quando scorse il viso disegnato sopra le tazzine che il suo volto divenne radioso.

Inutile dire che anche lì era disegnato un piccolo Kyoya in miniatura.

Dino mostrò i denti e gongolò.

“E’ bellissimo. Credo che d’ora in poi userò questo servizio ogni giorno. Lo adoro!”

Le ragazze sorrisero felici, e fu allora che arrivò il surplus extra dono di Mukuro che ovviamente non si era degnato di presentarsi alla festa, preferendo continuare a scorrazzare con la sua banda.

Dino fu avvolto da una strana luce e l’immagine di un Kyoya scorbutico che si sforzava di sorridere e mangiare una fetta di dolce si materializzò davanti a lui.

Per qualche minuto fu come se Hibari fosse lì con tutti loro ed il sorriso di Dino divenne ancora più gigantesco.

“Mukuro è stato carino.”, esclamò il festeggiato quando l’illusione cessò. “Sì, anche questo regalo è stato decisamente bello.”

E poi arrivò il turno dell’ultimo dono.

Incredibilmente Gokudera e Yamamoto avevano deciso di farlo insieme. Ovviamente quell’incredibilmente lo pensavano solo i due ragazzi, perché ormai tutti  i loro amici sapevano che avevano una relazione e quindi non li stupiva per niente vederli insieme. Gokudera però fingeva che nessuno lo sapesse, e davanti a tutti continuava  a trattare male Yamamoto per cui che collaborassero doveva essere incredibile per forza secondo lui.

Yamamoto mentre consegnava il piccolo regalo aveva un sorriso a trentadue denti stampato sul volto come se l’avesse saputa più lunga di tutti, mentre Gokudera tentava di apparire scontroso, ma si vedeva lontano un miglio che era soddisfatto da ciò che avevano escogitato.

Se si guardava bene si notava che i due ragazzi avevano dei cerotti sospetti sulle guance e sulla fronte ma fino a quel momento nessuno ci aveva fatto caso.

Fu quando Dino aprì la piccola scatolina che capirono cosa potesse essere successo ai due per procurarsi quelle ferite.

Dentro c’erano infatti tre foto di Hibari, ma non dell’Hibari solito, ma di quando era bambino.

Su una era un fagottino adorabile di tre anni, sull’altra doveva aver appena iniziato la scuola elementare, e su una era molto simile all’Hibari attuale ma un po’ più giovane. Doveva essere stato in prima media.

Aveva sempre la solita espressione scontrosa, ma i lineamenti bambineschi gli donavano un innocenza magnetica.  

Dino si gustò quelle immagini come se fossero un dono prezioso.

Chiese: “Come ve le siete procurate?”

“Abbiamo seguito Hibari fino a casa sua, e per fortuna non ci ha scoperto. Poi abbiamo aspettato che uscisse e siamo entrati.”, disse Yamamoto.

“Introdursi nella sua abitazione è stato più difficile di qualsiasi battaglia  abbia mai affrontato. Quel tipo ha tre bulldog a casa. Ci hanno aggredito.”, intervenne Gokudera.

“In qualche modo però ce l’abbiamo fatta. Abbiamo trovato dei vecchi album, e abbiamo preso quelle foto.”, finì Yamamoto.

“Le avete rubate?”, chiese incredulo Tsuna.

“Sì. E’ stata un’idea di Gokudera.”, spiegò Yamamoto.

Hayato arrossì lievemente ricordandosi come gli era venuta. Quando alcuni mesi prima aveva visto delle foto di Takeshi da bambino era rimasto a guardarle estasiato per diversi minuti, trovando l’altro ragazzo carinissimo. Non avrebbe mai ammesso quel suo momento di debolezza di fronte ad anima viva, ma sapendo che Cavallone era un tipo romantico, a lui delle foto di Hibari da piccolo avrebbero dovuto fare un effetto molto più devastante, e quindi perché non donargliele?

“Ma…”, provò ad obiettare Tsuna di fronte alla loro uscita per spiegare che tutto ciò era illegale e non avrebbero dovuto farlo, anche perché se Hibari lo avesse saputo sarebbero di sicuro stati uccisi, ma fu fermato da Dino che ridacchiando esclamò: “Ben fatto ragazzi. Non ero ancora riuscito a vedere una foto di Hibari bambino e devo dire che morivo dalla curiosità.”

Gokudera sorrise soddisfatto, mentre Yamamoto continuava  a sorridere come aveva sorriso per tutto il tempo in cui era rimasto alla festa.

Reborn a quel punto intervenne nella discussione.

“Bene. Tutti i regali sono stati consegnati. Quale ti è piaciuto di più e quale di meno Dino?”

L’arcobaleno non vedeva l’ora infatti di concludere il gioco per poi continuare con i sopravvissuti la festa. Aveva però già inteso che la risoluzione non sarebbe stata quella desiderata da lui, in quanto aveva già messo via gli aghi.

Dino infatti guardò tutti i suoi amici con un sorriso  e li ringraziò di nuovo.

Poi scosse il capo.

“Mi è difficile dire quale dono mi è piaciuto di più, perché sono tutti meravigliosi. Non posso scegliere. Sarebbe come scegliere tra un Kyoya ed un altro Kyoya.”, ridacchiò.

In effetti, non aveva tutti i torti, concordarono gli altri. Quei doni erano Hibari centrici e quindi la scelta sarebbe stata ardua per tutti.

Reborn per una volta decise di essere più buono ed invece di punire tutti perché non essendoci stato un regalo più bello, tutti potevano essere considerati i più brutti, decise di rispettare la scelta di Dino e di accettarli come i regali di mezzo. Non ci sarebbe stato così nessun vincitore e nessun perdente e tutti avrebbero potuto continuare a divertirsi senza ripercussioni.

Tra una risata ed un festeggiamento, arrivarono le undici e mezza di sera ed essendo tardi i ragazzi  dovettero andarsene.

Dino rimase da solo e lasciando la hall nelle mani dei camerieri dell’albergo perché la ripulissero, tornò nella sua camera con i suoi doni.

Li nascose dentro un mobiletto nell’anticamera.

Non voleva infatti che l’indomani quando l’avrebbe lasciato libero, “lui” scoprisse cosa avevano fatto gli altri guardiani con le sue effigi.

Li avrebbe ammazzati tutti.

Dino sorrise al pensiero, mentre da una stanza interna usciva Romario.

Guardò il suo capo e chinò il capo.

Dino gli disse: “Mi dispiace che tu non sia potuto venire alla festa.

“Non si preoccupi. Mi aveva dato un incarico.”

“C’è ancora?”

“Sì,  è ancora legato ed imbavagliato come quando l’ha catturato.”

“Bene.”

“Solo che qualche minuto fa si è svegliato ed ora sta tentando di rompere le corde a morsi.”

“Capisco. Puoi andare Romario.”

“E’ sicuro? Potrebbe essere pericoloso.”

Tutti sapevano infatti quanto Dino fosse imbranato senza i suoi uomini intorno e Romario non voleva che corresse dei rischi.

“Sono sicuro. Non mi farà niente.”

Romario a quelle parole cedette e uscì dalla stanza.

A quel punto, Dino sorrise per l’ennesima volta guardando la porta  interna da dove era uscito Romario pochi istanti prima  e vi si diresse.

Ad ogni passo il suo sorriso diventava sempre più largo e malizioso.

I doni dei guardiani Vongola erano stati bellissimi, ma quello che si accingeva a scartare ora sarebbe stato quello più bello della giornata.

Mancavano ancora dieci minuti alla fine del suo compleanno e li avrebbe resi proficui. Poi per tutta la notte ci sarebbero stati i festeggiamenti.

Si leccò le labbra pregustandosi la serata, mentre varcava la porta della camera da letto.

Disteso sul letto c’era il ragazzo preso a campione per il pupazzo, il ricamo ed il disegno delle tazzine. Era proprio il ragazzo delle foto, solo più grande.

Quando quest’ultimo vide Dino i suoi occhi s’infiammarono di rabbia, tuttavia anche se ci provò non riuscì proprio ad alzarsi.

Era legato come un salame con una frusta ed aveva la bocca attraversata da una corda, per impedirgli di parlare e urlare bene.

“Dannato erbivoro.”, riuscì a biascicare lo stesso, mangiandosi le parole.

Dino sorrise ancora di più.

“Mi dispiace Kyoya per come ti ho trattato, ma non volevi venire alla mia festa di compleanno ed io invece volevo vederti.”

Hibari ringhiò.

Dino si avvicinò al letto e gli appoggiò una mano sulla guancia. Con un rapido movimento gli abbassò la corda per lasciargli libera la bocca.

“Liberami. Voglio morderti a morte.”, dichiarò Hibari subito dopo.

Dino lo guardò languido come se quelle parole invece che smontarlo, lo avessero eccitato.

“Sì, ti libererò non preoccuparti. I regali dopotutto vanno scartati.”

“Io non sono un regalo.”, disse Kyoya intuendo cosa l’altro volesse insinuare.

“Ah no?”, esclamò divertito Dino mentre cominciava ad accarezzargli i capelli.

Kyoya provò a morderlo spostando la testa ma lui allontanò la mano in tempo.

“Su, dai Kyoya. Non fare così. So che quello che facciamo insieme quando siamo da soli, piace anche a te.”

“Combattere?”, dichiarò il ragazzo.

“No, quello che viene dopo.”, alluse l’altro.

Hibari arrossì lievemente mentre scostava lo sguardo.

“Solo che per una volta, visto che è il mio compleanno, vorrei che lo facessimo senza prima esserci stremati a causa della lotta. Non ti va?”, aggiunse Dino.

“Non dovevi prendermi prigioniero.”, fu il commento secco dell’altro. Sembrava intenzionato a non rispondergli.  

“Se non l’avessi fatto saresti venuto da me stanotte?”

“No.”, rispose sincero Hibari tornando a guardarlo.

“Credo quindi di aver fatto bene questo pomeriggio a cercarti e a catturarti. Sul serio, ci tenevo a passare con te almeno qualche minuto del mio compleanno senza combattere. Per te tutto questo non sarà  importante ma per me lo è.”

Dino aveva smesso di sorridere, ora guardava Kyoya intensamente con uno sguardo molto dolce.

Kyoya distolse gli occhi di nuovo, sembrava visibilmente imbarazzato anche se non voleva darlo a vedere.

Per un po’ ci fu silenzio.

Hibari stava riflettendo su qualcosa ed alla fine  sospirando esclamò: “E va bene, ma solo per oggi. Da domani ricominceremo a combattere, erbivoro.”

“Okay. Da domani combatteremo, prima!”, sussurrò Cavallone sulle labbra di Hibari.

Poi lo baciò.

E Kyoya incredibilmente si lasciò andare.

Nessuno lo seppe mai ma in fin dei conti anche Kyoya quel giorno aveva fatto un regalo a Dino, e fu il secondo regalo più bello.

Si lasciò amare dal boss dei Cavallone senza ogni dieci secondi minacciarlo di morte perché gli faceva quello o quell’altro di troppo imbarazzante.

Di solito infatti alla lunga lasciava a Dino libero accesso al suo corpo, ma era così contorto che non riusciva a stare zitto e doveva fargli sapere a parole che non gradiva l’atto, anche se in verità dentro di sé ed il suo corpo lo voleva, perché se non fosse stato così  lo avrebbe ammazzato già l’anno scorso, la prima volta in cui loro due avevano fatto l’amore, o meglio la prima volta in cui l’altro l’aveva indotto a fare l’amore.

Se qualcuno si chiede quale fu il regalo più bello per Dino, ovviamente la risposta non può che essere quella già annunciata prima. Fu quello che si fece lui stesso da solo andando a catturare Hibari.

Se il ragazzo non fosse stato lì, di sicuro non si sarebbe lasciato andare, ed in quel giorno di festa, a Dino sarebbe mancato qualcosa ovvero il suo Hibari.

I doni con la  sua effige infatti erano stati molto graditi, ma di sicuro avere con sé Kyoya in carne e ossa era diecimila volte meglio.

FINE IL REGALO PIU’ BELLO

L’ANGOLO DI REBYCHAN
Oggi è il compleanno di Dino per cui ho deciso di aggiornare questa raccolta (era ora!) per fargli un piccolo regalino.
La sua fic di compleanno è una storiella molto leggera, senza grosse pretese, ma spero che un pochino vi sia piaciuta.
Chi volesse aderire all’iniziativa “Buon compleanno Dino Cavallone 2012”, anche solo facendo gli auguri a questo splendido personaggio, lo può fare in questo topic sul mio forum: http://otakurclub.forumfree.it/?t=59901129
E’ senza obbligo alcuno. Non si deve nemmeno presentarsi, basta solo scrivere.
Facendo ancora gli auguri a Dino, vi saluto. Alla prossima.
Chi vuole contattarmi può farlo qui sui commenti EFP, per Email o sul mio forum.
Alla prossima.
Rebychan

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Capitolo 3
*** 13 marzo = rituale ***


Ecco qui la nuova one shot di questa raccolta.
E’ una XS. I personaggi sono decisamente OOC e non è granché.
Non vengono presi in considerazioni molti fatti della storia originale, e sebbene ci siano degli spunti interessanti non sono stati analizzati nel modo giusto. In futuro mi riprometto di scrivere qualcosa di più soddisfacente. Ora come ora però non ne sarei capace. Non sto attraversando un periodo facile e questa settimana per me è orribile.
Ci tenevo però a postare qualcosa per il compleanno di Squalo.
Auguri Superbi! Buon compleanno!
Mi eclisso, tentando di schivare la furia omicida dello spadaccino dei Viaria.
Ringrazio chi ha messo la raccolta tra le preferite e le seguite, chi leggerà la fic e soprattutto chi commenterà. Grazie!
Ancora auguri Squalo.
Un bacione
Reby

RITUALE

La vita di Squalo era regolata da alcuni riti che avevano come alfa e omega la promessa fatto al suo boss.

Aveva donato a Xanxus la sua vita e la sua assoluta fedeltà.

Non importava quanto l’altro lo insultasse, lo picchiasse o chissà cos’altro gli facesse. Lui sarebbe morto per Xanxus se questi gli avesse chiesto un tale sacrificio.

Uno spadaccino ha un’unica parola. La sua vita è nella propria spada e nel signore cui dona la sua fedeltà.

In quello si riconosceva a menadito nei nobili samurai di cui aveva sentito parlare durante i suoi viaggi in Giappone. Quelli erano uomini “veri” che mettevano la loro arma ed il loro cuore a disposizione di un daimiyo. La parola tradimento non era presente nel loro vocabolario. E continuavano a servire il proprio signore sempre, anche se quest’ultimo moriva. Sarebbero vissuti per vendicarlo se fosse deceduto per morte violenta e poi sarebbero periti a loro volta dopo aver raggiunto il loro scopo.

Era quello il suo ideale.

Vivere per il suo signore.

Morire per salvare la vita al suo signore.

Morire nel caso in cui avesse tradito le sue aspettative.

Morire se lui non avesse avuto più bisogno dei suoi servigi.

Morire per vendicarlo.

Per sempre fedele.

Avrebbe potuto tatuarsi benissimo quello slogan su qualche parte del suo corpo, visto quanto era sicuro che mai l’avrebbe tradito. Farlo sarebbe stato come perdere se stesso e tutto quello per cui aveva lavorato fino ad allora.

Un tatuaggio però sarebbe stato inutile, perché una parte del suo aspetto già trasmetteva la sua determinazione a mantenere per sempre la promessa fatta al suo boss, di stare sempre con lui ed aiutarlo ad ottenere il potere che bramava.

Da quando aveva conosciuto Xanxus ed era stato conquistato dalla sua forza tanto da iniziare ad odiarla ed amarla nello stesso momento, più nessuna forbice o rasoio aveva toccato i suoi capelli.

Li aveva lasciati crescere come un nazireo. Solo che il dio che serviva era un uomo, e quindi la sua volontà così biblica era blasfema.

I suoi capelli come quegli uomini che servivano l’unico Dio, erano la sua vera forza, perché quando li guardava e li toccava ritrovava la sua determinazione a voler essere per sempre e solo di Xanxus.

Anche lui poteva insultarlo, gridargli contro, provare a picchiarlo ma mai per un attimo la sua volontà sarebbe cambiata.

Lui era tutto di Xanxus e quest’ultimo poteva disporre di lui come voleva.

La sua ossessione per il suo boss era così forte, che quel sentimento poteva benissimo essere preso per amore.

Il loro legame era però così turbolento che in molti avrebbero invece pensato che ad unirli fosse l’odio.

Squalo però non sapeva se era davvero così.

Non si era mai posto il problema se odiava od amava il suo boss.

O meglio a volte diceva di odiarlo e forse lo pensava pure, ma se avesse indagato  sul suo animo dubitava che quella si sarebbe rivelata la verità.

Altrimenti per quale motivo gli avrebbe giurato fedeltà?

Non lo sapeva, e quella era una domanda scomoda che per quanto lo riguardava poteva rimanere per sempre senza risposta.

L’unica cosa chiara era che lui era affascinato dalla forza e l’ira che trasmetteva Xanxus.

L’unica cosa che doveva continuare a fare era limitarsi  a seguirlo per combattere le sue battaglie quando gli chiedeva di farlo.

Tutto il resto non contava.

Detto questo, viene da sé che per Squalo il giorno del suo compleanno non era importante. L’unico giorno che riteneva degno di ricordare, era quello in cui aveva conosciuto Xanxus.

Ed in quel giorno, ogni anno, esattamente nell’ora giusta in cui i suoi occhi si erano posati sull’altro, misurava i suoi capelli per constatare quanto erano cresciuti.

Quello era uno dei suoi rituali cui non avrebbe mai rinunciato.

Più lunghi erano i suoi capelli, significava che più tempo gli era stato concesso di restare con il suo boss.

Aveva rischiato la vita spesso, ma era ancora vivo per misurarli. Era ancora vivo per stare al suo fianco come suo vice comandante.

Non amava definirsi suo braccio destro, anche se tecnicamente avrebbe potuto considerarsi tale, perché con quel termine gli sembrava quasi di diventare una parte dell’altro.

E lui non si riteneva una parte di Xanxus. Lui era una persona a se stante, che deliberatamente aveva deciso di stare al suo fianco.

Erano quelli i pensieri di Squalo mentre seduto su un divano guardava davanti a sé cupo in volto.

Sì, perché anche se non riteneva importante il suo compleanno, anche in quel giorno l’uomo aveva un rituale.

Mai, da quando aveva conosciuto Xanxus, infatti, quella giornata era passata senza che lo vedesse, anche solo per pochi minuti.

Poteva tirargli i capelli, sparargli addosso, tentare di ucciderlo, dargli l’ordine per una nuova missione, ma sempre ogni volta si erano visti.

Stavolta sembrava però che ciò  non sarebbe accaduto.

Ed  a causa di quello Squalo era nervoso.

Lui odiava perdere la ritualità di certi momenti.

Per lui erano importanti.

Non compierli infatti gli creava dentro un’opprimente presagio di sventura.

Lui però stavolta non poteva farci niente.

Xanxus era sparito da due giorni per una nuova missione, aveva bisogno di sgranchire le gambe, aveva detto, e non era ancora tornato.

Non aveva voluto portarsi dietro nessuno.

Ne aveva due scatole piene della feccia che si trastullava in quella casa, perdendo il proprio tempo prezioso in stupidate.

Se non si fosse liberato di loro per qualche tempo, li avrebbe ammazzati tutti.

Erano state quelle le sue parole, prima di estrarre le sue pistole e sparare a casaccio.

Una delle pallottole era finita a pochi centimetri dal viso di Lussuria che era svenuto. Le altre si erano perse in giardino.

Squalo si era beccato invece un bicchiere in testa. E solo perché aveva avuto da che obiettare sulla decisione dell’altro.

Niente e nessuno era riuscito a far cambiare idea a Xanxus che era partito da solo.

Quel giorno era l’undici marzo, ed ora era il tredici.

Mancavano pochi minuti alla fine anche di quella giornata, che avrebbe portato via con sé il compleanno di Squalo.

E quest’ultimo continuava imperterrito ad aspettare il suo boss nel suo ufficio.

Se ne sarebbe andato a mezzanotte non prima.

Se c’era anche solo una possibilità di mantenere intatto il suo rituale, l’avrebbe sfruttata.

Poco importava che se trovandolo lì, Xanxus lo avesse usato come un sacco da pugilato. Poco importava che gli avesse tirato i capelli quasi a strapparglieli. Poco importava tutto.

Poteva fargli quello che voleva, come sempre, lui voleva solo vederlo per qualche minuto.

E cancellare la brutta sensazione che provava.

Se l’avesse visto era sicuro che ancora per un altro anno le cose per i Viaria sarebbero state se non positive, almeno non del tutto negative.

Forse non avrebbero raggiunto i risultati sperati, ma almeno alla fine sarebbero stati ancora tutti insieme.

La loro strana “famiglia” non si sarebbe spezzata e nessuno di loro sarebbe morto.

Non che gli importasse poi molto della fine degli altri Viaria, ma se lui e Xanxus perdevano degli uomini, il loro obiettivo di conquista poteva subire dei ritardi.

Squalo continuava a guardare le lancette dell’orologio.

Ancora due minuti e se ne sarebbe andato.

E probabilmente per tutto quell’anno una parte di lui avrebbe temuto chissà cosa.

Era una stupidata essere superstizioso, ma gli spadaccini lo erano e quindi non poteva tradire la sua natura.

Ormai poteva fare il conto alla rovescia.

Sarebbe partito da sessanta.

Pensò, cinquantanove, cinquantotto… e proprio allora la porta dell’ufficio si aprì.

Xanxus con i suoi occhi spietati e gelidi in cui ardevano le rosse fiamme dell’inferno si guardò intorno per controllare chi avesse osato durante la sua assenza impossessarsi del suo ufficio e lasciare le luci aperte.

 Notò Squalo seduto sul divano.

Lo vide alzarsi.

Gli disse: “Sei tu feccia. Che ci fai qui?”

Squalo rispose urlando: “Vooooooooi! Era ora che tornaste.”

Xanxus ironico gli disse: “Non mi dire che eri preoccupato per me. Sei proprio un’inutilità.”

“Figurarsi! Per quanto mi riguarda può anche crepare.”

Quelle parole erano tipiche di loro e del loro rapporto.

Ma Squalo in verità nel vedere apparire il suo boss, aveva tirato un profondo respiro di sollievo. Una parte di lui, infatti, anche se non avrebbe voluto ammetterlo era stata davvero preoccupata.

L’altro però non doveva saperlo.

Anche per quell’anno il rituale era stato compiuto.

Poteva andarsene.

Mancavano ormai dieci secondi alla mezzanotte.

Si incamminò verso la porta.

Nel farlo si ritrovò all’altezza di Xanxus.

Solo allora notò che il suo boss aveva il fiatone.

Aveva corso per arrivare lì. Perché?

Possibile che anche lui…

Non riuscì a finire la frase nella sua mente.

Xanxus fece una cosa che mai in tutta la sua vita Squalo si sarebbe aspettato.

Lo afferrò per un braccio.

Lo spadaccino si chiese se avesse avuto intenzione di picchiarlo perché l’aveva trovato nel suo ufficio a quell’ora.

Urlò :”Voooi” e si preparò a parare il colpo dell’altro che però non arrivò.

Si ritrovò schiacciato contro il muro dell’ufficio, mentre la bocca di Xanxus copriva la sua.

Proprio in quel momento, suonò la mezzanotte.

Xanxus si staccò da lui e con un gesto perentorio della mano gli fece capire di sparire, se non voleva finire male.

Squalo non se lo fece ripetere due volte.

Per una volta non trovò il coraggio nemmeno di urlare. Era troppo sconvolto da quello che era accaduto.

Xanxus l’aveva baciato e non capiva perché.

Xanxus aveva anche corso per raggiungere l’ufficio prima dello scadere della mezzanotte. Si ricordò.

Né lui, né il suo boss erano stupidi per cui Xanxus doveva sapere chi c’era lì ad attenderlo.

Squalo forse si illuse ma si ritrovò a pensare che anche per Xanxus il rituale del suo giorno del compleanno fosse in fin dei conti importante.

Forse anche per l’altro vederlo anche solo per pochi minuti era segno di buona fortuna.

Sì, sa! Non solo gli spadaccini ma anche i mafiosi sono superstiziosi.

Squalo però non capiva il significato del bacio.

Era un gesto d’amanti e loro non erano amanti. Non ancora almeno.

Dopo aver pensato a quelle parole, Squalo scosse il capo.

Era ridicolo che riflettesse su certe cose.

Come aveva pensato prima, non gli era mai interessato sapere i sentimenti che lo legavano a Xanxus. Gli bastava seguirlo.

E poi già lo sapeva che Xanxus faceva sempre quello che gli passava per la testa, e molto spesso senza un perché.

Forse semplicemente aveva pensato di introdurre un nuovo rituale nei loro rapporti.

Forse aveva per una volta visto che l’aveva fatto aspettare per tutta la giornata senza avvisarlo del ritardo, semplicemente deciso di essere un po’ più buono, facendogli un piccolo regalo di compleanno.

E quel bacio era un dono?

Squalo ghignò.

Sì, lo era! Ed era stato anche piacevole.

Si passò la lingua sulle labbra per assaporare il sapore del suo boss.

Xanxus ci sapeva fare anche in quello, dopotutto aveva avuto tante donne.

Squalo sospirò.

Aveva detto di non sapere se amava Xanxus e di non volerlo scoprire, ma sapeva che il suo corpo e la sua anima gli appartenevano.

E non gli avrebbe mai negato niente, neanche se avesse voluto portaselo a letto.

Quel bacio era un gesto di tenerezza, ed anche un cane fedele come lui al suo signore, a volte aveva bisogno di sentirsi apprezzato.

Rendeva il suo lavoro più piacevole.

Si ritrovò a sperare in cuor suo che quel bacio si ripetesse ancora, gli bastava anche una sola volta all’anno nel giorno in cui era nato.

Forse così quel giorno sarebbe diventato davvero speciale, quanto quello in cui aveva conosciuto il suo boss.

Forse quel giorno poteva essere la nascita di un nuovo inizio tra lui e Xanxus.

Un inizio tortuoso che non sapeva dove li avrebbe condotti.

Era però pur sempre un inizio e lui non si sarebbe tirato indietro!

Amava le sfide, soprattutto se erano interessanti.

E quella lo era.

Tutto ciò che riguardava l’altro uomo lo era.

Come aveva sempre detto, Xansus era il suo inizio e la sua fine. Era tutto per lui!

FINE RITUALE

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Capitolo 4
*** 24 aprile = dillo alla stella ***


Ecco qui la nuova one shot di questa raccolta.
E’ una Yamagoku ed è stata scritta per il compleanno di Yamamoto Takeshi, che è oggi.
Auguri idiota del baseball! Buon compleanno!
Ringrazio chi ha messo la raccolta tra le preferite e le seguite, chi leggerà la fic e soprattutto chi commenterà. Grazie!
Ancora auguri Takeshi.
I personaggi come al solito non sono miei. Scusate se ci saranno degli errori, forse anche più del solito, ma ultimamente la mia testa va dove vuole, senza che io riesca  a tenerla sotto controllo. Sigh. Sigh. Sob.  
Un bacione.
Rebychan

DILLO ALLA STELLA

Quella era un’abitudine radicata in lui da molto tempo. Era stata sua madre per rendergli la  sua morte avvenuta per malattia più dolce ad insegnargli quel piccolo rituale magico.

Ogni sera prima di andare letto, gli aveva detto, guarda la stella più luminosa del cielo e rivolgile una preghiera, raccontandogli i tuoi problemi. La tua mamma presto sarebbe stata lì in ascolto per aiutarti.

All’inizio lui aveva creduto davvero che ciò fosse la verità e dopo la sua morte passava ore a guardare quell’astro luminoso per raccontargli tutto sulla sua vita, in modo da continuare a sentire accanto a sé la presenza di sua madre.

Ed anche ora che erano passati dieci anni e sapeva il vero significato della vita e della morte una parte di lui continuava imperterrita a confidare in quelle preghiere silenziose.

Certo non raccontava più alla madre ogni cosa di lui rivolgendosi alla stella.

Preferiva parlarle direttamente davanti alla tomba di famiglia una volta all’anno.

Le sue preghiere e richieste però continuavano ancora adesso a venire proferite ogni sera, forse per abitudine, o forse perché nonostante il tempo trascorso ancora sentiva la sua mancanza.

Era solo un adolescente ed anche se suo padre non gli aveva mai fatto mancare nulla, era naturale dentro di sé provare  un senso di vuoto effettivo, causato dalla perdita in tenera età di un genitore.

Pregare la stella era come pregare lei e così la sentiva più vicina.

Ed inoltre a suo avviso quel rituale funzionava, o meglio funzionava nelle cose davvero importanti.

Lui infatti si diceva che era grazie a esso se era diventato un campione di baseball, se aveva trovato degli amici veri, e se era sopravvissuto a tutte le battaglie della famiglia Vongola.

Certo in certe occasioni le sue preghiere non venivano accolte, ma d’altra parte non poteva sperare che sua madre si scomodasse ad esaudire ogni suo più piccolo desiderio. Lo avrebbe viziato.

Nulla toglieva però che lui continuava  a chiedere lo stesso.

E le sue richieste erano cicliche.

Ormai ogni giorno chiedeva la protezione per sé, per suo padre, i suoi amici, i compagni della famiglia Vongola e di aiutare la sua squadra di baseball a diventare sempre più forte.

Negli ultimi tre mesi a quelle preghiere fisse se n’era aggiunta un’altra ma visto che lo stesso ragazzo dubitava che mai quel sogno sarebbe diventato realtà si limitava a farlo volare in cielo, senza grande convinzione.

Poi c’erano le preghiere di stagione, in primavera supplicava la madre di dargli la sua solita fortuna per superare gli esami in modo da non rimanere bocciato. E lei lo aiutava.

In estate chiedeva di dargli una mano per la squadra di baseball in modo da vincere partita su partita e arrivare in finale del torneo per prefettura delle medie.

Fino a quel momento, non era mai riuscito a vincerlo, ma se non altro era riuscito a dimostrare il suo talento.

In autunno pregava affinché il festival della cultura scolastico fosse un successone.

In inverno sperava semplicemente che l’anno finisse in modo positivo, così che ne iniziasse un altro che sarebbe andato ancora meglio.

Poi ovviamente c’erano le preghiere per quelle date.

Quando si avvicinava San Valentino da quando era diventato famoso grazie alle sue doti atletiche chiedeva che per quell’anno le ragazze lo lasciassero stare. A lui non piaceva rifiutarle e se si fossero dichiarate sarebbe stato costretto a farlo.

Ovviamente questa era una delle preghiere che non veniva accolta. Le ragazze continuavano imperterrite a consegnargli la loro cioccolata, e lui era costretto ad accettarla o rifiutarla in base alla serietà delle loro intenzioni.
E lo stesso accadeva nel giorno del suo compleanno.

Lui era felice di compiere gli anni, ma dover ascoltare “milioni” di dichiarazioni diverse e doversi negare perché non sarebbe mai potuto stare con nessuna di quelle ragazze oscurava la luminosità di quel giorno di festa.
Ed anche quel giorno quella tiritera si era ripetuta già quindici volte.

Per fortuna che quella forse sarebbe stata l’ultima volta.

La scuola era finita, e quella ragazzina dai capelli corti castani aveva aspettato che concludesse gli allenamenti per tendergli un agguato.

Yamamoto Takeshi sospirò.

Ieri sera aveva pregato la stella perché non voleva dichiarazioni, almeno che non provenissero da quella persona per cui aveva un debole da diverso tempo, e come volevasi dimostrare non era stato esaudito.

Sua madre era sorda  a quella richiesta. Forse si divertiva a vedere quanto era ammirato il figlio.

Sì, forse era per quello che lasciava che quello scempio si ripetesse ogni volta.

Se gli voleva bene, però, avrebbe potuto far sì che anche “quella persona” gli si dichiarasse.

Era impossibile!, se ne rendeva conto. Stava diventando troppo esigente. Doveva accettare quello che gli veniva dato.

La ragazzina aveva afferrato tutto il suo coraggio ed aveva chinato il capo porgendogli con braccia tremanti un maglione fatto a mano dicendogli: “Mi piaci molto senpai Yamamoto. Vorrei che accettassi questo dono e ti mettessi con me.”

Yamamoto non ebbe nessun attimo di esitazione. La guardò con un sorriso tirato, si portò la mano dietro la testa ed esclamò: “Sono onorato dei tuoi sentimenti, ma non posso accettarli. Mi dispiace, ma mi piace già un’altra persona.”

Come le quattordici ragazze prima di lei, a quelle sue parole, gli occhi della ragazza strabuzzarono prima sorpresi, e poi si fecero tristi facendo cadere delle lacrime.

La giovane successivamente strinse il maglione al petto e scappò lontana, probabilmente per raggiungere le sue amiche e farsi consolare da loro.

A Yamamoto spiaceva sempre far soffrire gli altri e per quello si ritrovò a sospirare di nuovo.

Si riscosse e fece qualche passo per raggiungere il cancello.

La ragazza l’aveva intercettato proprio un attimo prima che uscisse dalla scuola.

Quando lo superò, una voce ironica e nota gli arrivò alle orecchie: “Ancora mi chiedo come un idiota come te possa essere così popolare. Ne hai fatta soffrire un’altra eh rubacuori?”

Sul volto di Yamamoto si dipinse un sorriso felice nello scorgere la persona che aveva parlato, rannicchiata dietro al muro.

“Gokudera!”, lo chiamò. “Che ci fai qui?”

“Ti aspettavo.”, disse l’altro tentando di apparire noncurante.

Lo sguardo di Takeshi si fece più luminoso, anche se poi a causa delle parole successive dell’altro si oscurò lievemente. “Il Decimo vuole che alle otto tu vada a casa sua per festeggiare, e volevo impedire che te ne dimenticassi.”

“Non me n’ero dimenticato. E’ impossibile. E’ la prima volta che festeggio un compleanno con così tanti amici, sono emozionato.”

Gokudera si alzò in piedi e scrollò le spalle. “Festeggiare i compleanni è solo una seccatura.”

Gettò a terra la sigaretta che aveva appena finito di fumare, per poi accenderne un’altra.

Affiancò Yamamoto e stringendo le labbra disse: “A proposito, non te li ho ancora fatti, auguri.”

“Grazie.”, fu la pronta risposta dell’altro ragazzo.

Poi fra i due calò il silenzio.

Gokudera camminava a fianco di Yamamoto senza dare segno di volersi allontanare da lui.

Forse il suo intento era tallonarlo fino alle otto in modo da impedirgli di arrivare in ritardo alla festa organizzata per lui da Tsuna.

Era davvero felice di quel pensiero del suo migliore amico. Essendo un tipo di compagnia, stare in mezzo agli altri gli riusciva benissimo.

E festeggiare il suo compleanno in tanti sarebbe stato interessante, visto che di solito lo passava  solo con suo padre. Quest’ultimo però era sempre impegnato con il ristorante di sushi per cui riuscivano a ritagliarsi solo pochi istanti per stare insieme da soli.

Amava suo padre, ma ormai sentiva il bisogno di spiccare il volo e conoscere gente nuova.

Aveva conosciuto una nuova famiglia cui volere bene, i Vongola, ed era felice.

Per Yamamoto la presenza di Gokudera era molto rassicurante.

Anche se l’altro era sempre scontroso con lui, gli piaceva averlo al suo fianco per cui si godette ogni attimo del tempo in cui stettero insieme.

Non avrebbe nemmeno parlato, si sarebbe accontentato di quel silenzio per una volta.

Incredibilmente fu però Hayato ad aprire la bocca.

“Hai cambiato la formula con cui le rifiuti?”

“Eh?” Yamamoto guardò l’altro confuso chiedendogli con gli occhi spiegazioni su quella domanda.

Le gote di Gokudera divennero lievemente rosse a causa dell’imbarazzo, anche se non voleva darlo a vedere.

“L’anno scorso dicevi alle ragazze che ti dispiaceva, ma non eri intenzionato a trovarti una ragazza fino a quando non fossi diventato un campione di baseball. Ora invece dici loro che ti piace un’altra persona.”

“Sì.”, fu l’unico commento di Takeshi che non riusciva a capire perché Gokudera avesse tirato in ballo quel discorso. “Allora stavi proprio spiando.”

Hayato divenne ancora più rosso. “No, non spiavo. Mi sono ritrovato per caso ad ascoltare la dichiarazione di oggi e tempo fa è successo lo stesso con un’altra. Stavo dormendo in terrazza quando hai parlato con una tizia.”

Yamamoto asserì con il capo. “Sì, è probabile che sia andata così. So che non t’interessa poi molto quello che faccio e non faccio.”

Quella considerazione era velata da un po’ di amarezza, ma l’attimo dopo Takeshi tornò allegro mentre diceva: “Anche tu però sei popolare e ricevi delle dichiarazioni dalle ragazze, no? Tu come le rifiuti le ragazze che ti chiedono di metterti con loro? Dici loro che la tua vita è consacrata a Tsuna e non hai tempo per queste cose?”

Hayato arrossì.

“Ma che cavolo dici? Non direi mai una cosa del genere. Sì, è vero il Decimo è la mia vita, ma non lo userei mai come modo per svicolarmi da una situazione del genere. Mi limito a guardarle male e far loro capire che non sono interessato.”

“Sì, agire così, è molto da te.”

Yamamoto ridacchiò immaginandosi la scena di quelle povere ragazze che si prendevano uno spauracchio e scappavano con la coda tra le gambe sotto gli occhi infuocati di Gokudera.

Dovevano essere proprio delle temerarie, anche solo per aver tentato di parlargli visto il caratteraccio dell’altro.

Cadde di nuovo il silenzio e fu sempre Gokudera a romperlo. “E per te la faccenda della tipa che ti piace è solo un nuovo modo per toglierti dagli impicci?”

Yamamoto riguardò Gokudera stupito. Perché gli interessava così tanto saperlo?

Hayato guardava da un’altra parte, come se non volesse fargli scorgere gli occhi.

Probabilmente non voleva mostrarsi così interessato  a lui.

“Perché lo vuoi sapere?”, chiese Yamamoto.

“Così per curiosità. Anche se sei tu, sei pur sempre un guardiano dei Vongola ed è mio dovere di braccio destro conoscerti un po’ meglio.”

Yamamoto sapeva che avrebbe risposto così. Giustificava tutti i suoi interessamenti dietro alla famiglia Vongola, per non far trapelare i suoi reali sentimenti.

Per Gokudera era sempre stato difficile mostrarsi agli altri per quello che era.

Ma d’altra parte non aveva avuto per nulla una vita facile, era quindi naturale che diventasse così.

Yamamoto sorrise dolcemente e spinto da una forza misteriosa si decise a rispondere sinceramente: “Non è una bugia. M’interessa sul serio un’altra persona.”

Gokudera tornò ad osservarlo attentamente. “Chi…”, stava per dire, ma poi si rese conto che non poteva dimostrarsi così curioso. Si fece pensieroso e disse solo: “Non conosci bene molte ragazze mi sembra a parte quelle del giro. Spero che tu non voglia metterti in competizione con il Decimo.”

“Non mi interessa Sasagawa e nemmeno Haru se è quello che intendi. Anzi posso dire che non sono minimamente interessato alle…” Yamamoto si fermò. Stava per rivelargli la verità sulle sue inclinazioni sessuali, ma poi si era reso conto che non poteva farlo.

Non in quel modo almeno.

Gokuduera continuava a guardarlo chiedendogli di spiegarsi meglio.

All’improvviso a Yamamoto venne un’idea, un po’ malsana, ma non riuscì a tenerla a bada.

Il suo sguardo si fece furbo. “Sai, potrei anche dirti chi è la persona che mi piace, ma ad una condizione.”

Gokudera lo guardò scettico.

Yamamoto lo afferrò per un braccio e lo trascinò in un posto isolato.

“Cosa stai facendo?”, gli urlò l’altro contro ma lo seguì senza obiettare.

Quando furono da soli, Yamamoto guardando intensamente l’altro ragazzo gli disse: “Solo a te dirò chi è la persona che mi piace, ma vorrei che prima facessi finta di dichiararti a me.”

“Eh?”, gli occhi di Gokudera strabuzzarono sorpresi. “Tu sei pazzo. Io non sono una ragazza.”

“Lo so. E’ solo un gioco, così giusto per scherzare. ”

Non era vero! Yamamoto aveva solo afferrato la palla al balzo, ed approfittando di quell’interessamento inatteso da parte di Gokudera sui suoi metodi di rifiuto, voleva anche solo per una bugia farsi dire dall’altro che gli piaceva, perché…

Gokudera scosse il capo. “Non ci penso nemmeno a fare una cosa così idiota. Le tue idee sono davvero stupide.”

Yamamoto ridacchiò teso. “Già, sono proprio stupido.”

Fece per girarsi. La sua idea era stata un fallimento. Doveva immaginarsi che Gokudera non ci sarebbe stato. Lui stesso se un maschio gli avesse detto di fare una cosa del genere, si sarebbe rifiutato.

Era meglio tornare a camminare per andare a casa.

“Non mi dici il nome della persona che ti piace?”, chiese Gokudera ancora fermo sul posto dove l’aveva trascinato.

Yamamoto scosse il capo. “No, non hai voluto rispettare la condizione.”

Ci fu un attimo di esitazione, poi Gokudera fece un’altra volta una cosa inaspettata.

Yamamoto infatti pensava che avrebbe scrollato le spalle ed avrebbe ripreso a camminare al suo fianco, fingendo che sapere chi era la “tipa” non gli interessasse poi più di tanto.

Ed invece non lo fece.

“Yamamoto Takeshi.”, disse.

L’interpellato si girò sorpreso nell’udire il suo nome completo chiamato dall’altro. Di solito infatti lo chiamava con altri appellativi. Era raro che lo usasse.

Non appena Takeshi fu di nuovo dritto davanti a lui, Gokudera chinò lievemente il capo, porse un piccolo pacchetto regalo all’altro, imitando il gesto compiuto dalla ragazza di prima e disse: “Anche se sei un idiota, mi piaci. Mettiti con me.”

Gokudera tremava.

Yamamoto si ritrovò a chiedersi, è solo una finzione vero?

Con mani altrettanti tremanti afferrò il dono. Non era proprio un pacchetto, era una busta per cui fu facile aprirla per rivelare il contenuto. Era una fascia antisudore.

Yamamoto sorrise. Gokudera aveva alzato il capo. “Non è niente di che. Tutti stasera ti avrebbero fatto un regalo e non volevo apparire come il solito asociale. A questo punto, ho pensato di dartelo subito.”

I suoi occhi vagavano dappertutto fuorché sul viso di Yamamoto.

Era vistosamente imbarazzato.

“Grazie.”, sussurrò Takeshi.

Gli aveva preso qualcosa da sportivo, nonostante lo criticasse sempre per la sua passione per il baseball. Aveva riflettuto prima di comprarla optando per qualcosa che gli sarebbe stata utile e gli piacesse, quindi significava che nello sceglierla aveva pensato a lui.

Yamamoto era felice, e finalmente trovò il coraggio di dare voce ai suoi sentimenti.

Mai avrebbe creduto che Gokudera avrebbe accettato la sua richiesta di finta dichiarazione, ed anche se l’avesse fatto aveva deciso di buttarla sul ridere, dicendogli che aveva scherzato e non gli piaceva nessuno.

L’altro si sarebbe infuriato, ma sempre meglio che perdere del tutto la sua amicizia rivelandogli i suoi reali sentimenti.

Cosa che sarebbe successa visto che di sicuro non lo corrispondeva.

L’altro con lui era sempre molto freddo ed aveva occhi solo per Tsuna.

Sì, perché la persona per cui aveva pregato la stella affinché si dichiarasse l’aveva appena fatto, anche se era per burla.

Quella persona era…

Non riuscì più a trattenersi. Nonostante l’imbarazzo infatti Gokudera stava aspettando che lui rispettasse la sua parte del patto.

Lui si era reso ridicolo dichiarandosi, ora doveva dirgli chi era la persona che gli interessava.

E Yamamoto lo fece.

“Anche tu mi piaci, Gokudera, tantissimo.”

Gli occhi di Gokudera si posarono sul volto di Yamamoto sorpresi.

“Cosa?”, disse. “Non prendermi in giro. Dimmi invece chi è la persona che ti piace sul serio. Non ho tempo per questi stupidi scherzi.”

Yamamoto scosse il capo. “Non è uno scherzo. Sei tu quella persona. Non pensavo di dirtelo, ma forse invece è meglio che tu lo sappia. So che non provi i miei stessi sentimenti, ma non preoccuparti non ti chiederò mai niente in cambio. Io…”

Takeshi non riuscì a finire la frase, due mani sottili ma fortissime lo afferrarono per la collottola della maglietta che indossava.

Il suo viso si ritrovò all’altezza di quello di Gokudera.

“Sta zitto e ripetimi quello che hai detto prima.”

“Cosa? Che non pensavo di dirtelo…”

“Non quello, ancora prima.”

“Che sei tu…

“Prima!”

Yamamoto allora capì.

“Anche tu mi piaci.”, ripeté Yamamoto guardando l’altro direttamente in viso.

Gokudera arrossì mentre sussurrava: “Anche.”

Poi abbassò lo sguardo.

Yamamoto non era un genio, ma aveva il dono di capire Gokudera meglio di chiunque altro. E gli bastò quella semplice parola per capire la verità.

“Hai accettato di dichiararti perché volevi sapere chi mi piaceva, perché t’interessava davvero?”, chiese Yamamoto.

“Sì, e poi avrei fatto saltare la tipa in questione, indipendentemente da chi fosse. Nessuno può permettersi di farti soffrire ed era palese che con lei non ci uscivi, visto che non ti ci ho mai visto insieme. Doveva essere un amore non corrisposto.”, fu il commento successivo di Gokudera.

Yamamoto ridacchiò. “Non puoi però far saltare te stesso, vero?”

“No.”

“La tua dichiarazione era vera?”

“Hn.”

“Non vuoi farmi soffrire?”

“TSK.”

“Vuoi rendermi felice, Gokudera?”

“Hn.”

Hayato non avrebbe mai ammesso direttamente la verità, Yamamoto però era soddisfatto lo stesso.

Allentò la presa di Gokudera ancora serrata sul suo colletto e poi lo abbracciò.

“Se avessi saputo che anche per te era lo stesso, te lo avrei detto da tempo. Mi piaci, Gokudera.”

Hayato non gli diede la soddisfazione di dichiararsi una seconda volta. Doveva tenersi per buona la prima.

Si limitò ad abbracciarlo a sua volta, anche se era impacciato.

Yamamoto a quel punto perse ogni freno.

Si chinò su Gokudera e lo baciò.

Fu un bacio a fior di labbra, a cui il ragazzo dai capelli argentati non si negò.

Alla fine entrambi imbarazzati si guardarono negli occhi.

Yamamoto sorrise apertamente. Anche Gokudera si sforzò di farlo, ma il suo sorriso appariva stentato.

“Oggi è il più bel compleanno della mia vita.”, dichiarò l’attimo dopo Yamamoto. “Ho ottenuto il regalo più bello.”

Gokudera arrossì sapendo di cosa parlava.

Yamamoto lo ribaciò di nuovo, poi però si staccò.

Era tardi e dovevano andare dagli altri.

Hayato era d’accordo.

La loro storia era agli inizi e non erano pronti a fare molto di più di quello che avevano appena fatto.

Avrebbero scoperto il significato dello “stare insieme” in modo diverso giorno dopo giorno.

Ora potevano accontentarsi di sapere che era l’altro la persona che piaceva al compagno.

L’idea della dichiarazione di Yamamoto aveva portato i suoi frutti.

E per la prima volta Takeshi visse una dichiarazione d’amore nel giorno del suo compleanno come qualcosa di piacevole.

Avrebbe dovuto cambiare di nuovo la sua formula per rifiutare le ragazze, si disse. Ora poteva dire non più mi piace un’altra persona, ma sto insieme ad un’altra persona.

Era sereno.

Sarebbe passato da casa velocemente per salutare il padre e poi sarebbe andato alla festa dei suoi amici.

Quel giorno non avrebbe mollato un attimo Gokudera, che sembrava intenzionato a sua volta e non lasciarlo nemmeno un secondo.

Era tutto così perfetto.

Yamamoto guardò in cielo per trovare la stella di sua madre.

“Grazie.”, sussurrò. Sì, era convinto infatti che tutto quello che era successo era dovuto a lei ed alla preghiera che le aveva rivolto ieri sera e nei tre mesi precedenti.  

Gokudera nel vederlo  agire così gli chiese spiegazioni.

Lui gli disse che gliele avrebbe date un’altra volta.

Il discorso “madre” con Gokudera non era facile d’affrontare.

L’altro sbuffò, dicendogli che dei suoi comportamenti idioti non gliene fregava niente.

Il suo tono ironico era sempre il solito.

Tra loro niente era cambiato nonostante la reciproca dichiarazione, notò Yamamoto, ma sotto, sotto invece era cambiato tutto.

Sì, perché Gokudera si comportava come sempre, ma il suo sguardo mentre si rivolgeva a lui era più luminoso e meno macchiato d’ombre come invece era solo qualche minuti prima.

Takeshi era felice.

Si era ritagliato un posto speciale nel cuore dell’altro ragazzo e non l’avrebbe lasciato mai più.

Quel compleanno l’avrebbe ricordato per tutta la vita perché oltre che il giorno in cui era nato, sarebbe stato il Natale del suo unico vero e grande amore.

Takeshi infatti era sì giovane, ma sapeva sempre quello che voleva.

E sentiva  a pelle che era Hayato il compagno giusto per lui.

Fino a quando aveva pensato di non essere corrisposto, non aveva potuto provare speranze.

Ora  però che sapevano di volersi bene, non si sarebbero lasciati mai più.

Takeshi lo sapeva.

E quella sera fu quella la nuova preghiera che rivolse a sua madre.

Chiese di farlo rimanere sempre insieme ad Hayato. E sapeva che lei lo avrebbe esaudito, perché come per tutte le cose importanti, lei lo aiutava sempre.

FINE DILLO ALLA STELLA

CONSIDERAZIONI + AVVISI:
Questa è la tipica fic che non doveva essere scritta.
Avevo altre idee per il compleanno di Yamamoto, mi sono seduta al PC per scriverle, ed il foglio bianco si è riempito di tutt’altro.
E’ una storia leggera, piena d’ingenuità e anche bruttina, ma spero che apprezzerete il pensiero.
Rinnovo i miei auguri a questo splendido personaggio.
E ci vediamo a maggio con una nuova one shot, sempre se sopravvivo e non mi passi la voglia, cosa che potrebbe anche accadere visto come sono messa ultimamente.  

Per il fandom di Reborn  non so cosa posterò a breve qui su EFP. Era mia intenzione postare in settimana il primo capitolo di You are my pet, ma forse i miei programmi cambieranno. Probabilmente almeno che non usi questo sito come un ulteriore archivio salva dati, infatti, d’ora in poi le mie fic su questo fandom diventeranno esclusive del mio forum. Non ho ancora deciso definitivamente, ma ora come ora protendo per questa scelta. Deciderò per fine settimana, se vedrete la nuova fic postata allora significherà che ho deciso di continuare come ora, altrimenti per il momento saluto il fandom di questa serie su questo sito. E ci vedremo quando ci vedremo, se ci vedremo.
Chi volesse leggere un pezzettino in anteprima delle mie nuove storie per vedere se possono loro interessare, può andare in questo link: http://otakurclub.forumfree.it/?t=61245065#lastpost
Questo è tutto per quanto riguarda il fandom di Reborn.
.
Per quanto riguarda gli altri fandom di cui scrivo, in aggiornamento al più presto ci saranno i nuovi capitoli di L’altra minaccia di D.Gray man e Ayako’s Angels di Slam Dunk.

Altre notizie su di me non mi sembra ci siano.

Chi vuole contattarmi può farlo qui sui commenti EFP, per Email o sul mio forum.

Alla prossima.

Rebychan

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Capitolo 5
*** 05 maggio = Intollerabile ***


Ecco qui la nuova one shot di questa raccolta.
E’ una D18 ed è stata scritta per il compleanno di Hibari, che è oggi.
Auguri presidente!
Ringrazio chi ha messo la raccolta tra le preferite e le seguite, chi leggerà la fic e soprattutto chi commenterà. Grazie!
Ancora auguri Kyoya-sama.
I personaggi come al solito non sono miei. Scusate se ci saranno degli errori, forse anche più del solito, ma ultimamente la mia testa va dove vuole, senza che io riesca  a tenerla sotto controllo. Sigh. Sigh. Sob.  
Un bacione.
Rebychan

INTOLLERABILE

Per la prima volta da quando era stata costruita la porta che portava dal centro di ricerca del Consiglio disciplinare della scuola media Namimori alla base dei Vongola venne aperta dal presidente per motivi personali.

Era un uscio che era stato spalancato solo in pochissime occasioni visto la ritrosia di Kyoya Hibari di fare gruppo. In otto anni, le si poteva contare sulle dita delle mani e la maggior parte era dalla parte opposta.

Per far aprire l’uscio dal lato del centro di ricerca doveva essere in corso una crisi senza precedenti nella famiglia Vongola.

Oppure doveva essere capitato l’intollerabile per il presidente. Come in quest’occasione.

Era il giorno del suo compleanno e non essendo tipo da festeggiamenti aveva passato quasi tutto il suo tempo in meditazione.

Solo i suoi uomini più fidati gli avevano fatto gli auguri di persona con il rispetto riservato al suo rango.

Il Decimo boss della Famiglia Vongola ed il resto dei suoi guardiani gli avevano fatto recapitare un biglietto con i loro ossequi in modo da rispettare il suo essere schivo.

E fin qui era andato tutto bene.

Il problema era sorto dopo, ed era dovuto a quello.

Come ogni anno, quel giorno, quell’idiota che si riteneva il suo mentore, quando lui avrebbe solo voluto avere l’occasione di morderlo a morte e appenderlo sul primo palo che trovava, era andato a trovarlo con la scusa di dovergli parlare di qualche nuova missione.

Ogni volta, gli si presentava davanti con un sorriso a trentadue denti, e gli faceva dei calorosi auguri.

Ogni volta, finita la discussione, quando erano da soli, gli si avvicinava e….

Kyoya scrollò il capo mentre ripensava che quell’anno non era accaduto niente di tutto ciò.

Quell’imbecille di Cavallone era arrivato, l’aveva salutato normalmente, gli aveva parlato di quell’incontro di assassini in Italia che non prometteva nulla di buono, e se n’era andato dicendogli che si fermava a trovare Tsunayoshi Sawada ed avrebbe passato la notte nella base dei Vongola.

Lui ovviamente era rimasto spiazzato da quel comportamento, e ciò era intollerabile.

Nessuno poteva sovvertire certe regole non scritte che regolavano la vita di Kyoya Hibari.

Tutti dovevano agire come lui voleva, e se non lo facevano, allora meritavano di essere puniti.

Far rispettare le leggi dopotutto era il suo incarico, essendo il presidente del comitato disciplinare.

Cavallone quindi gli doveva delle spiegazioni, e che fossero soddisfacenti perché se no, stavolta l’avrebbe ammazzato sul serio.

Kyoya Hibari aveva smesso di domandarsi da qualche ora il perché gli desse tanto fastidio il fatto che Cavallone non avesse fatto una cosa, che lui dentro di sé sosteneva  da sempre fosse sbagliata.

Sì, perché quando l’altro lo toccava, lui si lasciava andare d’istinto, ma non aveva mai collaborato in quello strano gioco.

Era sempre Cavallone a fare tutto, lui si limitava a esserci con il corpo.

Ed essendo quello un comportamento da Erbivoro lui l’aveva sempre considerato intollerabile.

Solo giustificandosi dicendosi che i leoni sono pigri, e fanno tutto le leonesse, dal procurare cibo ad allevare i figli, era sceso a patti con se stesso.

Come i leoni si svegliavano per combattere e difendere il loro ruolo di leader, anche per lui era lo stesso.

L’importante per un Carnivoro era dimostrarsi sempre il più forte quando il pericolo incombeva su di lui. Ed inoltre non doveva legarsi più del necessario.

Un conto era soddisfare la proprio libido come faceva con Cavallone, un altro era farsi piegare dall’emotività diventando un fallito.

E poi quando una cosa gli dava fastidio, beh allora il Carnivoro mostrava le unghie e andava a sistemare la faccenda.

Era per quello che verso le undici di sera, dopo essersi accertato che tutti gli abitanti della base fossero già a letto, vi si era introdotto.  

Doveva raddrizzare un mal torto.

Doveva chiedere spiegazioni al babbeo.

Sapeva perfettamente dov’era la camera da letto in cui dormiva Cavallone quando si trovava in visita lì.

E vi si diresse con passo spedito.

Conosceva anche il codice per entrarvi, sebbene non l’avesse mai usato.

Gliel’aveva dato Cavallone ormai cinque anni prima, tutto sorridente.

Se mai un giorno sentissi il bisogno di venire da me, sai dove trovarmi. Gli aveva detto.

Lui anche se sapeva che non sarebbe mai  andato da lui, perché non era il tipo da cercare qualcuno, lo aveva memorizzato lo stesso perché non si sapeva mai. Era sempre meglio essere previdenti.

Ed aveva fatto bene, perché quel ‘non si sa mai’ si era appena materializzato.

Digitò la combinazione e la porta si spalancò su una stanza ancora illuminata.

Era una camera arredata in modo molto spartano. C’erano solo un armadio, un settimanale, un comodino e il letto matrimoniale.  

Kyoya guardò al centro, in direzione del letto.

Cavallone era lì seduto con le gambe coperte da un lenzuolo bianco. Davanti a sé aveva un libro.

Probabilmente lo aveva disturbato mentre stava leggendo.

Non appena aveva sentito aprirsi la porta, l’uomo dai capelli biondi aveva puntato i suoi espressivi occhi verso chi era entrato.

Sulle labbra per un millesimo di secondo gli era apparso un sorriso divertito nel constatare chi era il “disturbatore”.

Era però ritornato serio quando corrugando la fronte aveva esclamato: “Kyoya, che ci fai qui? E’ successo qualcosa di…”

Non riuscì a finire la frase.

Hibari con due rapide falcate gli fu davanti e portando il suo volto corrucciato vicino al suo chiese brusco: “Perché?”

Le sopraciglia di Dino Cavallone schizzarono verso l’alto sorprese.

“Perché cosa?”, chiese incerto.

Hibari lo trafisse con uno dei suoi sguardi più raggelanti. Quello che avrebbe spaventato qualsiasi vittima e l’avrebbe fatta tremare dalla paura per quello che le poteva capitare.

Dino però non era una vittima qualsiasi, perché continuò ad osservarlo imperturbabile come se l’altro non lo stesse minacciando con gli occhi.

“Dovresti capire da solo il motivo della mia domanda, non sei stupido fino a questo punto.”, esclamò secco Hibari, che odiava dare più spiegazioni del dovuto, soprattutto su quell’argomento che era a dir poco imbarazzante per i suo standard.

Il volto di Cavallone  allora si addolcì.

Poi però abbassò lo sguardo.

“E’ per via di questo pomeriggio, vero?”

Kyoya asserì con il capo.

Poco importava che visto che l’altro teneva il capo chino non l’avrebbe visto.

L’attimo dopo Dino risollevò gli occhi per puntarli verso l’altro ragazzo.

Sul suo volto si dipinse il sorriso con cui di solito salutava Hibari e disse: “Buon compleanno Kyoya.”

Poi però ritornò serio, ed aggiunse: “Avresti voluto che ti salutassi così, come ho sempre fatto, vero? E poi che avessi continuato a comportarmi com’eri abituato facessi. Hai sentito la mancanza delle mie mani sul tuo corpo? Della mia bocca sulla tua pelle?”

Kyoya lo guardò furente. Si era reso conto che Cavallone stava tentando di stuzzicarlo.

Possibile che quel giorno non l’avesse toccato, proprio per spingerlo ad andare da lui?

Se era così lo aveva fregato, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di cadere di nuovo in un suo qualche tranello.

Burbero esclamò: “No, non mi ha dato fastidio che tu non mi abbia toccato, mi ha dato fastidio semplicemente il non sapere il perché visto che di solito agisci in modo diverso. Una volta che lo saprò potrò voltare pagina. Io non ho bisogno di te.”

Era stato crudele, ma era nel suo carattere esserlo.

Lui non necessitava di nessuno.

Gli occhi di Dino a quelle parole si rattristarono.

Sospirò.

“Ho capito, dunque le cose stanno così. Avevo giocato tutte le mie carte negandomi oggi, ed ho capito che ho perso. Volevo una scusa per rinunciare a te, e me l’hai data. Avevo fatto una scommessa con me stesso, se tu prima della fine del tuo compleanno fossi venuto da me perché ti mancavo, allora avrei continuato a volerti bene, altrimenti avrei fatto di tutto per dimenticarti. Ora ho la mia risposta. Devo dimenticarti.”

Kyoya lo guardò pensieroso mentre assorbiva quelle  informazioni. Poi chiese: “Perché sei arrivato a questa decisione?”

Dino lo guardò sorridendo triste. “Giusto, vuoi le tue spiegazioni. E’ semplice ero stufo delle nostre sveltine. Incontrarci, saltarti addosso, baciarti, concludere in dieci minuti per timore che se mi fossi soffermato in romanticherie a te avrebbe dato fastidio. Tutto questo è snervante. Io volevo di più. Vorrei poter passare tanto tempo con te, anche tutta una notte. Vorrei poterti dire liberamente che ti amo, perdermi in preliminari, e saziarmi del tuo corpo in tutta calma. Le nostre esigenze sono sempre state diverse. Tutto qui. Ora me ne sono finalmente reso conto,  ed a questo punto, dopo anni e anni, è giunto il momento che ognuno vada per la sua strada.”

Dopo quelle parole, Kyoya guardò Cavallone ancora più arrabbiato.

“Cosa intendi con ognuno vada per la sua strada?”

“Quello che ho detto. Visto che tu non hai bisogno di me, che per te non è un problema se io ti tocco o meno, e ti bastava solo sapere il perché avevo smesso, ora puoi metterti il cuore in pace. Non lo farò mai più. E quanto a me ricomincerò a guardarmi intorno. Vorrà dire che mi troverò una brava ragazza in modo da continuare la dinastia dei…”
Dino non riuscì a finire la frase.

Kyoya lo afferrò per la collottola del pigiama. Lo strinse così forte, quasi da soffocarlo.

“Cosa stai facendo?”, chiese sorpreso.

“Stai dicendo solo cazzate.”, disse Hibari.  “Nell’attimo esatto in cui tu mi hai messo le mani addosso la prima volta, non hai avuto più nessun diritto di far finire questa storia. Solo io posso, e non ne ho nessuna voglia.”

Era dura per Hibari accettarlo, ma rendersi conto che Cavallone voleva lasciarlo e mettersi con qualcun altro gli aveva dato più fastidio del fatto che quel giorno fosse stato freddo con lui.

Lui era sempre stato una persona più semplice di quello che sembrava, guidata solamente da impulsi primari.

Ed il suo impulso primario del sesso era stato sempre soddisfatto solo da Cavallone.

Lo aveva irto a suo compagno senza accorgersene. E gli era rimasto fedele fin dalla prima volta.

Non aveva mai permesso a nessun altro di toccarlo in quel modo. Solo a lui.

Ed ora non poteva accettare che l’altro volesse mollarlo.

Era intollerabile.

Sì, ancora una volta quella parola gli affiorò alla mente.

Quel giorno aveva vissuto troppe cose intollerabili secondo la sua logica, ed era giunto il momento di sistemarle.

Per la prima volta da quando era iniziata la loro storia, fu Hibari a prendere l’iniziativa di baciare Dino sulla bocca.

Gl’infilò la lingua nella cavità orale e lo baciò con passione.

Dino dopo il primo attimo di sbigottimento lo corrispose, agganciando le mani dietro la sua schiena.

Quando si separarono, il boss dei Cavallone con gli occhi offuscati dal piacere, guardò Hibari che si era seduto a cavalcioni su di lui, con uno sguardo confuso.

Stavolta toccò a lui chiedere spiegazioni. “Perché?”

Hibari non gli rispose direttamente.

Si limitò a togliersi la camicia che indossava per rimanere a petto nudo.

“Hai detto che vuoi delle notti insieme e non delle sveltine, no? Allora datti da fare, pervertito.”

Dino sorrise e capì quello che era successo.

Dopo che gli aveva dato le sue spiegazioni, la possessività insita di Hibari si era fatta strada in lui, facendogli capire che non voleva perdere l’uomo che aveva davanti.

Pur di tenerlo legato a sé sarebbe stato disposto a sottostare per un po’ ai suoi capricci.

Solo Hibari poteva mettere parola fine a quella storia, non l’altro.

E ora come ora non voleva che si concludesse.

Non gli importava sapere quale sentimento lo spingesse ad agire così.

Era un sentimento che lui ricacciava da sempre.

Purtroppo però c’era, e non poteva farci niente.

Rinunciare a Cavallone gli era impossibile.

Saperlo tra le braccia di qualcun altro era intollerabile.

A quel punto, tanto valeva “sacrificare” qualche sua notte per tenerlo buono.

Dino afferrò la palla al balzo, e portò Kyoya sotto di lui, cominciando a baciarlo ed a toccarlo.

“Ti amo.”, gli sussurrò in un orecchio.

L’altro emise un verso gutturale, prima di dargli di nuovo del pervertito.

Dino rise.

Ogni volta si trovavano in quelle situazioni intime, Hibari lo chiamava così, ma non si tirava mai indietro e ciò significava che tutto sommato non gli dispiaceva quel suo lato pervertito.  

Dino si soffermò a leccare a lungo il collo del compagno e quest’ultimo cominciò ad ansimare.

Si vedeva lontano un miglio che era pronto per qualcosa di più.

Ed infatti disse tentando di darsi un tono. “Capisco che tu voglia farlo durare l’intera notte, ma non esagerare con la lentezza. E’ il mio compleanno, dammi un regalo degno.”

Se Hibari si giocava la carta del compleanno significava che quei baci sul collo avevano iniziato ad essere davvero frustranti per lui.

Per il ragazzo il compleanno era quasi infatti un giorno come un altro, solo che riceveva gli auguri.

Mai nessuno gli aveva fatto dei doni, e lui non li aveva mai pretesi.

Stavolta però ne esigeva uno, perché  dall’eccitazione presente tra le sue gambe  si sarebbe detto che era al limite.

E quindi voleva vederla soddisfatta al più presto.

Dino decise di accontentarlo.

E prese il suo sesso in bocca.

Avevano tutta la notte per giocare, e non aveva specificato quante volte l’avrebbe fatto venire.

Furono tante.

E a Hibari dovette piacere particolarmente quel suo regalo perché le sveltine che fino a quel momento avevano caratterizzato il suo legame con Cavallone, furono sostituite da quegli amplessi notturni in pianta stabile.

E non si accontentò di ricevere sempre e solo piacere, imparò a donarlo a sua volta.

Ogni volta l’altro andava a trovarlo o viceversa, si soffermavano delle ore a scoprire i loro corpi, e trovò così un’altra cosa che ad un carnivoro come lui piaceva fare.

Quei baci e carezze erano una sfida continua alla supremazia, e dovette ammettere che erano quasi meglio di un combattimento vero e proprio.

FINE INTOLLERABILE

CONSIDERAZIONI + AVVISI:
C’è mancato poco che oggi saltassi l’aggiornamento. Non so perché ma mi ero autoconvinta che il compleanno di Hibari fosse l’otto maggio. Per fortuna che ieri nel mio forum ho aperto il topic di festeggiamenti e così mi sono accorta dell’errore, riuscendo a postare la fic in tempo. Tiro un profondo respiro di sollievo.
Non ho molto da dire sulla fic, non sarei obiettiva. Spero solo che un pochino vi sia piaciuta.
Devo dire però che ho il brutto vizio di finire le D18 tutte nello stesso modo, dovrò prima o poi provare a scrivere una long per vedere se riesco a diversificare. Voi cosa ne pensate?
Approfitto di questo spazio per fare gli auguri a quel splendido personaggio che risponde al nome di Hibari Kyoya. Auguri presidente del comitato disciplinare! ^^

Per il fandom di Reborn  presto, a giorni, dovrebbe arrivare il secondo capitolo di You are my pet.
Questa raccolta invece se va tutto bene dovrebbe essere aggiornata per il compleanno di Lambo a fine mese.
Questo è tutto per questo fandom.
.
Per quanto riguarda gli altri fandom di cui scrivo, in aggiornamento al più presto c’è il nuovo capitolo di Ayako’s Angels di Slam Dunk.

Altre notizie su di me non mi sembra ci siano.

Chi vuole contattarmi può farlo qui sui commenti EFP, per Email o sul mio forum.

Alla prossima.

Rebychan

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Capitolo 6
*** 28 maggio = Lambo ***


Ecco qui la fic di compleanno per Lambo. E’ una piccola sciocchezzuola.
Ringrazio le persone che hanno inserito la raccolta tra le preferite, seguite, ricordate e soprattutto chi ha commentato lo scorso capitolo, mamie, Queen of dragons, Willow e Hibari Kyoite.
Come al solito i personaggi non sono miei. Scusate se ci sono degli errori, io leggo e rileggo ma qualcosa mi sfugge sempre.
Alla prossima.
Rebychan

LAMBO

Era il ventotto maggio, e l’uomo dai capelli mossi neri guardava davanti a sé senza veramente vedere l’ambiente circostante.

Stava riflettendo sulle vicende che l’avevano condotto a quel luogo.

Nella sua vita fino a quel momento poteva dire di aver attraversato tre fasi.

Nella prima, lui era il grande Lambo, un bambino così chiuso nel suo egocentrismo da rasentare il comico.

Vedeva gli altri solo come dei possibili servitori, e come unico scopo sembrava avere l’uccidere Reborn.

In verità sotto, sotto, però, l’unica cosa che desiderava era farsi coccolare da Maman, riempirsi la pancia di tutte le caramelle all’uva che potevano riempirgliela (erano davvero tante) e giocare con il fratellone Tsuna e tutti i ragazzi della sua cricca, ma soprattutto con lei.

All’epoca i suoi compleanni erano l’occasione per essere finalmente il vero re della festa.
 

Li passava in compagnia degli amici, nella più sfrenata allegria.

Poi però era arrivata l’adolescenza e qualcosa era cambiato. A causa di una delusione d’amore, si era trasformato in Lambo, il dandy. Quello pieno di stile che tutti “invidiavano”. Quel “no” gli era bruciato così tanto d’averlo spinto a rivalutare tutta la sua vita. Era diventato una persona incapace di rifiutare un invito, soprattutto se erano di ragazze.

Piuttosto di dire “no” parola a cui era diventato allergico, sarebbe morto.

In quel modo, tentava di cancellare la sofferenza provata nel sapere di non essere corrisposto perché lei voleva un altro.

In quel modo, tentava di annullare il dolore che provava nel vederla inseguire un’ombra. Lui era infatti convintissimo che lei avesse scambiato la devozione che provava per quell’altra persona per amore.

Ed il ragazzo trovava che non ci fosse niente di più sbagliato. Era così giovane che però, anche se erano amici, non riusciva a farglielo capire.

L’unico risultato era stato allontanarsi un po’.

All’epoca i compleanni erano l’occasione di ricordare quel rifiuto visto che era accaduto in quella data.

Erano trascorsi tra innumerevoli appuntamenti e qualche rissa. A causa infatti del suo successo e del suo stile inconfondibile e ricercato era molto odiato dagli uomini e ovviamente qualcuno non riusciva a resistere al desiderio di dargli una ripassata. Stolti! Era pur sempre un guardiano dei Vongola, la gente comune gli faceva un baffo.

Una volta era riuscito ad uscire con dieci ragazze una dietro l’altra, dando vita nel mezzo a cinque risse. Un vero record!

A vent’anni poi era accaduta quella nuova svolta.

E come uno strano scherzo del destino era successo ancora una volta il giorno in cui era nato.

Mentre andava ad un appuntamento, aveva incontrato lei.

Il suo sguardo triste l’aveva spinto a fermarsi. Avevano parlato ed improvvisamente lei gli aveva detto che si era pentito di averlo rifiutato, che gli mancava la loro amicizia.

I vecchi sentimenti mai morti solo sopiti erano di nuovo emersi in lui e si erano messi insieme.

Per la prima volta aveva imparato a dire di “no” a degli appuntamenti. Aveva telefonato a tutte le sue ragazze per dire loro che aveva qualcosa di più importante da fare quel giorno ovvero stare con lei.

Erano diventati una coppia.

Ed era nato il Lambo tenace, quello ancora in grado di morire per il proprio onore, ma che aveva mutato ancora una volta priorità.

Se si escludeva la famiglia Vongola, da sempre il caposaldo della sua esistenza, era diventata lei tutto il suo mondo.

In lui era nata la volontà di diventare più forte per proteggerla. Sì, perché era imbarazzante dirlo, ma nonostante il talento naturale, a causa degli appuntamenti a volte aveva saltato gli allenamenti, con il risultato che lei era ancora più in gamba di lui nella lotta.

Non ci aveva impiegato molto però ad uguagliarla, e poi superarla. E così avevano costruito un rapporto alla pari.

Lei era più sensibile e intelligente, lui più giocherellone e potente.

Avevano creato un noi.

Il giorno del compleanno era diventato di nuovo un momento da trascorrere in famiglia con le persone che amava. E le serate finivano in una camera da letto in cui lui e lei si perdevano nel loro amore.

Fu naturale per loro due così prendere quella decisione.

E per lui fu altrettanto giusto chiederle di fissare quel giorno come data. Lei fu d’accordo.

Era da lì che era nato tutto e da lì voleva partire per una nuova fase della sua vita.

Quella data rappresentava tutto se stesso, l’egocentrismo del piccolo Lambo, lo stile dell’adolescente Lambo, la tenacia del giovane Lambo.

E ben presto molto altro si sarebbe aggiunto.

Quando sentì partire la musica, i pensieri dell’uomo si arrestarono, tornò al presente e si voltò a guardare verso la navata della chiesa in cui si trovava.

Una ragazza cinese in abito da sposa gli si stava avvicinando.

I loro occhi s’incatenarono e tutto il resto divenne superfluo.

Durante quel suo  compleanno, lui e I-pin si sarebbero sposati e, così d’ora in poi avrebbero festeggiato anche l’anniversario di nozze in quella data.

E Lambo avrebbe conosciuto ben presto le responsabilità del marito passando in un’altra fase della vita.

Alla quale poi sarebbe succeduta quella della felicità del giovane padre, della preoccupazione del padre maturo, della tenerezza del nonno.

Su tutto quello però avrebbe sempre vegliato il regalo più bello che avesse mai ottenuto dall’esistenza: la sua I-pin.

Erano quelli i pensieri dell’uomo Lambo mentre quel “no” che l’aveva fatto tanto soffrire, veniva annientato da quei due “sì” che lo legavano per sempre all’unica donna della sua vita che avesse mai amato sul serio.

E fu così che un mondo pieno di felicità si aprì per lui.

FINE LAMBO

Questa è la fic per il compleanno di Lambo. E’ molto semplice, e ho preso in considerazione gli eventi del futuro modificato per cui non è per nulla angst.

PROMEMORIA FAN FIC FANDOM REBORN
Capitoli scritti di Le dure conseguenze di un tradimento: 2 prologhi + 1 capitolo  (I due prologhi sarebbero pronti per essere postati ma non so quando accadrà).
Capitoli scritti You are my pet: 4  (il prossimo capitolo spero possa arrivare presto).
Per Operazione compleanno – Il regalo più adatto, è già pronta anche la minific per il compleanno di Mokuru che verrà postata ai primi di giugno.

PROSSIMA FIC IN AGGIORNAMENTO
Campo di recupero “Konoha”, capitolo 41 per il fandom di Naruto.

Chi vuole contattarmi può farlo qui sui commenti EFP, per Email o sul mio forum.
Alla prossima.
Rebychan

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Capitolo 7
*** 09 giugno - Lacrime ***


09 giugno = lacrime Ecco qui la fic di compleanno per Mukuro. E’ brevissima, e un po’ scema.
Ringrazio le persone che hanno inserito la raccolta tra le preferite, seguite, ricordate e soprattutto chi ha commentato lo scorso capitolo, ovvero Yuki Kushinada, mamie e Hibari Kyoite.
Come al solito i personaggi non sono miei. Scusate se ci sono degli errori, io leggo e rileggo ma qualcosa mi sfugge sempre.
Alla prossima.
Rebychan

LACRIME

Dal ventre squartato usciva ininterrotto il sangue.

L’incarnato era esangue, gli occhi chiusi.

Le labbra aperte non si muovevano.  

Il battito del suo cuore era cessato.

Il ragazzo finì in ginocchio e mentre con le mani portava a sé quel corpo straziato un urlo disperato gli arrivò in gola.



Il ragazzo sbarrò le palpebre, respirando affannosamente.

Aveva spalancato la bocca, ma non ne era uscito nessun suono.

Era stato tutto un sogno.  Si disse mentre tornava alla realtà e si districava dalle coperte del suo letto.

No, era stato tutto troppo realistico perché si trattasse solo di un incubo. Si rese immediatamente conto.

Con gli occhi appannati osservò  attentamente la stanza mentre una certa consapevolezza si faceva largo in lui.

Il suo giovane allievo era steso a qualche metro da lui su un divano, tutto raggomitolato. Il suo cappello assurdo lo faceva apparire ancora più piccolo di quello che era.

Sospirò.

Era inutile che fingesse di dormire, sapeva perfettamente che era sveglio.

E così aveva approfittato di quella che riteneva essere una sua debolezza, per trasmettergli quell’illusione. Intuì.

Stava diventando sempre più bravo. Avrebbe dovuto fargli i complimenti, ma prima gli avrebbe tirato le orecchie così tanto da fargliele diventare grandi il doppio visto lo scherzetto che gli aveva combinato.

Sorrise amaro, mentre si portava la mano sugli occhi, iniziando a massaggiarseli.

Con la mente ricercò la persona del suo incubo per sincerarsi che stesse bene.

La trovò, e tirò un profondo respiro di sollievo.

Era viva! E quello era tutto quello che contava.

Era al sicuro, ed il suo battito cardiaco per un attimo accelerò per la gioia.

Gli  bastò però una frazione di secondo per recuperare il suo equilibrio usuale, quello estroso, quasi folle nelle sue esternazioni, che però nascondeva un’assoluta freddezza.
Quando ritirò la mano dal suo viso, si accorse che i suoi occhi erano meno offuscati.

Le dita erano bagnate.

Il dolore dovuto alla perdita di quella persona era riuscito addirittura a farlo piangere.

Era incredibile!

Lui non piangeva mai!

Guardò in direzione della finestra.

Il sole stava rischiarando. Era l’alba del nove giugno, il giorno del suo compleanno.

Decise che non avrebbe né punito, né fatto i complimenti al suo allievo.

Non l’avrebbe però nemmeno ringraziato, sebbene avesse iniziato a considerare quell’illusione come un dono.

Sì, quelle lacrime anche se nessuno doveva scoprire che le aveva versate, perché avrebbero distrutto la sua reputazione, anche se erano nate in un momento di disperazione, anche se l’avevano fatto soffrire e provare timore, gli avevano anche fatto un grande bene.

Per qualche minuto si lasciò  andare.

Fra qualche ora quando i suoi compagni si fossero risvegliati avrebbe recuperato il suo solito “io” ricominciando a perseguire i suoi obiettivi, tra i quali c’era il far suo il corpo di un certo boss.

Ora però poteva per un attimo rasserenarsi per la scoperta appena fatta.

Fino a quando riusciva infatti a versare lacrime per quella persona, significava che nonostante tutto quello che gli altri e lui stesso pensavano di se stesso era ancora umano.

FINE LACRIME

Ecco qui la fic per il compleanno di Mukuro.
Scusate l’OOC del personaggio, ma mi è uscita così.
Ho voluto lasciare sul vago chi è l’altra persona perché tutti possono pensare chi vogliono, per quanto mi riguarda però non può che essere “lei”.
Spero che un pochino vi sia piaciuta. Alla prossima.

PROMEMORIA FAN FIC FANDOM REBORN
Capitoli scritti di Le dure conseguenze di un tradimento: 2 prologhi + 1 capitolo  (I due prologhi sarebbero pronti per essere postati ma non so quando accadrà).
Capitoli scritti You are my pet: 5  (il prossimo capitolo spero possa arrivare presto).
Per Operazione compleanno – Il regalo più adatto, è già pronta la one shot per il compleanno di Colonnello che verrà postata ai primi di luglio.

PROSSIMA FIC IN AGGIORNAMENTO
Campo di recupero “Konoha”, capitolo 42 per il fandom di Naruto.

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Alla prossima.
Rebychan

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Capitolo 8
*** 07 luglio = Nel centro del mirino ***


Ecco qui la fic di compleanno per Colonnello.  
Ringrazio le persone che hanno inserito la raccolta tra le preferite, seguite, ricordate e soprattutto chi ha commentato lo scorso capitolo, ovvero mamie e Kyoite.
Come al solito i personaggi non sono miei. Scusate se ci sono degli errori, io leggo e rileggo ma qualcosa mi sfugge sempre.
Alla prossima.
Rebychan

NEL CENTRO DEL MIRINO

Quella mattina Colonnello aveva immediatamente capito che gli sarebbe successo qualcosa di bello.

Se lo sentiva nelle viscere.

Era il suo compleanno e l’avevano chiamato per sostenere quell’importante esame che gli avrebbe permesso di entrare a far parte del COMSUBIN, un gruppo militare di "uomini" veri, la cui fama era così elevata che bastava esserne membri per rimorchiare chiunque si volesse.

Colonnello era sicuro di sé e convinto di superare il test. Lui dopotutto si era sempre considerato il miglior cecchino sulla piazza.

La dea bendata non poteva non sorridergli.

Non avrebbe però mai immaginato che quella sensazione di gioiosa aspettativa si sarebbe riferita a quello.

Fu quando se la trovò nel centro del mirino del suo amato fucile che lo capì.

Nell’esatto momento in cui i suoi occhi si posarono su di lei per lui non ci fu più scampo.

Il suo fu un vero e proprio colpo di fulmine.

Poco importò quello che gli capitò dopo.

L’attimo di esitazione che ebbe nel premere il grilletto alla sua vista infatti gli fu fatale.

Non riuscì mai a sparare le pallottole a vernice rossa che avrebbero decretato la sua vittoria in quel test.

Come se sapesse esattamente dove si trovasse, e cosa avesse intenzione di fare, lei all’interno della lente gli sorrise in modo poco rassicurante e due secondi dopo averla inquadrata Colonnello si ritrovò a terra, tutto ammaccato e dolorante.

La donna aveva capito perfettamente le sue intenzioni e aveva mandato due uomini della sua squadra a fermarlo.

Aveva fallito il test.

Normalmente non sarebbe mai stato assunto, ma il COMSUBIN aveva bisogno di un cecchino.

E lui era il migliore che si era presentato all’incontro.

Tuttavia prima di diventare un membro attivo della squadra sarebbe passato sotto un ferreo e severo addestramento.

Con sua grande sorpresa e gioia, la sua addestratrice si rivelò essere lei.

Quello non poteva che essere il destino.

Finalmente Colonnello poté osservarla da vicino, e non attraverso la lente di un mirino.

Ed il suo cuore perse ancora una volta un battito.

Il suo sguardo di triglia indispettì però la donna che si presentò come Lal Mirch.

Con lui fu dura fin dal primo momento.

Era un’abile combattente, e Colonnello cadde ripetute volte sotto i suoi colpi già dal primo giorno.

Alla fine lei decretò che era un’incapace, e che lo sarebbe stato per sempre.

Era un caso senza speranza, e non capiva perché i piani alti avessero deciso di inserirlo in squadra.

Lui non si lasciò intimorire da quelle parole anzi lo spinsero a reagire, per dimostrarle in futuro, che lui poteva diventare forte e sorprenderla.

Gli era bastato guardarla negli occhi una volta per comprendere quanto lei sotto la sua scorza da dura potesse essere anche dolce.

Gli era bastato osservare attentamente i suoi metodi sprezzanti per capire quanto impegno ci mettesse nel suo lavoro. Essendo una donna in molti la sottovalutavano, e quindi doveva sempre farsi valere.

Gli era bastato stare con lei poco tempo per comprendere che sì, la sua prima impressione era quella giusta, era proprio lei la donna della sua vita.

Non poteva sbagliarsi.

Nei giorni successivi Colonnello si dedicò all’allenamento con impegno, anche se lei non lo prese minimamente sul serio, visto che ebbe anche la brutta idea di iniziare a provarci.

Le chiedeva di uscire ogni cinque minuti, e lei rispondeva sempre con una mossa di karate che lo mandava a testa in giù.

Per fargli passare i bollenti spiriti Lal divenne sempre più “violenta”.

E Colonnello finiva ogni sua giornata nella tenda del pronto soccorso del campo.

L’atteggiamento di lei così “crudele” avrebbe scoraggiato chiunque ma non lui.

Ogni giorno che passava si sentiva sempre più attratto da lei.

Colonnello non era mai stato un tipo sensibile ma nell’osservare lei lo divenne.

Preavvertiva provenire da lei racchiuso nella sua anima, tutto un mondo sconosciuto e nascosto, che gli sarebbe piaciuto conoscere.

Lal era una donna che combatteva con le unghie e con i denti per non soccombere in quel mondo prettamente maschile.

Era più abile di tutti i suoi colleghi uomini, eppure era sempre costretta a dimostrarlo. Non poteva mai lasciarsi andare un attimo, perché se no qualcuno subito avrebbe sostenuto che una donna non era adatta a fare quel lavoro.

Era per quello che nascondeva dietro quell’atteggiamento scostante la sua sensibilità.

Eppure gli occhi della donna non mentivano mai. E rivelavano un animo travagliato.

Qualunque cosa l’avesse spinta a diventare un soldato doveva essere stata un’esperienza dolorosa che aveva lasciato un segno indelebile nel suo cuore.

E Colonnello avrebbe fatto qualunque cosa per poter sanare le sue ferite tramite la sua presenza.

Forse se si fosse dimostrato sempre allegro, un giorno la sua euforia avrebbe contagiato anche lei.

Forse sarebbe riuscito a conquistarla.

La sua però era una battaglia che in molti avrebbero considerata persa in partenza.

Lal non era una persona facile con cui avere a che fare.

Tentava sempre di nascondere molti lati di sé, anche a se stessa.

Lal era forte, ma in lei Colonnello preavvertiva anche della fragilità che tentava di negare con tutta la forza che aveva in corpo.

Quella fragilità era tipica di ogni essere umano, perché fa parte di noi, ma lei voleva far credere a tutti di non possederla.

A nessuno se non si è dei mostri piace uccidere, ma a volte è necessario farlo.

Tutti i soldati dopo una missione di quel tipo si ritrovavano a bere qualcosa, per tentare di cancellare dalla mente gli atti compiuti, stordendosi con l’alcol, ma Lal non si univa al gruppo.

Andava nella sua tenda, come se non fosse accaduto nulla.

Tutti le davano dell’insensibile, ma Colonnello sospettava che quando era da sola, lei facesse cadere la maschera con cui si celava al mondo, e piangesse il suo stato che la obbligava a certe scelte.

Colonnello avrebbe voluto vedere quelle lacrime per consolarla.

E in quei momenti l'uomo, infatti, provava l’impulso di correre da lei e dirle che non era sola.

Sapeva però di non poterlo fare.

Lal l’avrebbe ucciso.

La donna non permetteva a nessuno di “vedere” quella parte così intima di sé.

Avrebbe considerato la sua bravata come un’ingerenza alla sua privacy e l’avrebbe allontanato.

Lei non era pronta a aprirsi a qualcuno, a mostrarsi per quello che era.

Il suo carattere le imponeva di dimostrarsi sempre inavvicinabile e impenetrabile.

Colonnello era però sicuro che lei soffrisse per quello stato di cose, in quanto nessuno sta bene da solo e fu così che l'uomo si rese conto che avrebbe voluto  proteggerla da tutto e tutti, anche da se stessa se fosse stato necessario.

E per farlo sarebbe stato disposto anche a sacrificare la sua vita.

Quella sensazione gli era nata dentro insieme all’attrazione nello stesso momento in cui si era invaghito di lei.

Tutto era sempre riconducibile a quel momento.

A quando l’aveva avuta nel mirino.

Non c’erano più state occasioni per lui di averla sotto tiro come in quel momento.

Tuttavia le pallottole non sparate in quell’istante con il tempo portarono i loro frutti.

Il suo amore riuscì comunque a centrare il bersaglio grazie alla sua tenacia.

Lal con il tempo si addolcì. Ed anche se lei non l’avrebbe mai ammesso, Colonnello si rese conto che a lei stare con lui piaceva.

Non avrebbe mai creduto però che per farla cedere ad ammettere ciò che provava sarebbe stato costretto a “sacrificare” sul serio la sua “vita”.

Per lui fu un piccolo sacrificio quello di sostituirsi a lei nel momento in cui venne scelta come Arcobaleno.

Non ci pensò nemmeno un attimo a seguirla ed a spingerla lontano nell’attimo dell’incantesimo.

Voleva proteggerla!

Ovviamente però combinò un casino, come il suo solito.

Era sì un abile cecchino, ma per il resto lei aveva sempre avuto ragione.

Era un rammollito senza speranza, che agiva prima di riflettere.

Era un burlone goffo e impacciato, diventato sì forte, ma che tendenzialmente non riusciva mai a dimostrare del tutto le sue capacità se non quando ce n’era davvero bisogno.

Anche se le capacità le aveva, probabilmente era troppo sensibile per poter essere davvero scelto come un Arcobaleno.

Lo dimostrò in quel futuro  che poi divenne alternativo quando si sacrificò per Viper.

Eppure Colonnello mai e poi mai rimpianse la scelta compiuta.

Quando lei dopo la “trasformazione” lo rimproverò lui sorrise.

E di fronte a quel suo sorriso, lei pianse.

Le lacrime da sempre sono considerate qualcosa di negativo, ma per Colonnello non fu così.

Per la prima volta lei gli permise di vedere la sua anima.

E Colonnello non fu mai così felice.

Intuì che finalmente lei era sua!

La sensazione preavvertita in quello che ormai lui riteneva un lontano compleanno aveva visto giusto.

Quel giorno gli era capitato qualcosa di meraviglioso.

Aveva conosciuto lei e tutto il resto, il dolore, la paura, l’ansia, la maledizione che li aveva colpiti passavano in secondo piano.

L’importante erano lei e la volontà di lui di proteggerla e di vederla felice.

L’amava e quel sentimento non sarebbe  mai cessato.

FINE NEL CENTRO DEL MIRINO

Ecco qui la fic per il compleanno di Colonnello.
La si potrebbe definire una breve analisi del suo rapporto con Lal.
Ci sarebbe molto altro probabilmente da dire, ma per il momento mi fermo qui.
Spero che un pochino vi sia piaciuta.

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Capitoli scritti di Le dure conseguenze di un tradimento: 2 prologhi + 3 capitoli  (I due prologhi sarebbero pronti per essere postati ma non so quando accadrà).
Capitoli scritti You are my pet: 5  (il prossimo capitolo spero possa arrivare presto).

PROSSIMA FIC IN AGGIORNAMENTO
Il nuovo capitolo di Oujsama per il fandom di D.Gray man.

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Alla prossima.
Rebychan

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Capitolo 9
*** 26 agosto = neve d'agosto ***


Ecco qui la fic di compleanno per Ryohei.  
Ringrazio le persone che hanno inserito la raccolta tra le preferite, seguite, ricordate e soprattutto chi ha commentato lo scorso capitolo, ovvero mamie, Yuki Kushinada e Kyoite.
Come al solito i personaggi non sono miei. Scusate se ci sono degli errori, io leggo e rileggo ma qualcosa mi sfugge sempre.
Alla prossima.
Rebychan

NEVE D’AGOSTO

Hana non  riusciva proprio a capire come si fosse arrivati a quello.

Lei non aveva mai dimostrato un particolare interesse per lui, eppure ormai erano mesi che quando lo incontrava la guardava con quegli occhi ardenti, arrossiva vistosamente, ed anche per salutarla balbettava.

Non ci voleva un genio per capire che tutto quello rivelava un certo tipo di trasporto emotivo nei suoi confronti.

Il fratello della sua migliore amica si era invaghito di lei, aveva dovuto ammettere e la cosa non le era gradita.

Gli dispiaceva per Ryohei ma non era il suo tipo. Lei amava gli uomini raffinati, dai capelli scuri. Quelli che sembravano più maturi della loro età, e che trattavano le donne con dolcezza.

Ryohei era un buzzurro con i capelli chiari. La sua fissazione per la boxe lo rendeva irritante e immaturo. E con le donne non sapeva nemmeno da che parte iniziare per conquistarle.

Quest’ultimo particolare le fu chiaro come mai prima d’allora quel giorno.

Era la fine d’agosto e sapeva che era il compleanno del ragazzo. Kyoko gliel’aveva detto.

Dimostrando un forte egocentrismo Ryohei vestito con un pantalone nero e una maglietta azzurra si era presentato a casa sua con in mano un bel mazzo di fiori. Aveva suonato alla porta e quando lei era andata ad aprire chinando il busto aveva biascicato quelle parole: “Og-gi è il m-mio c-complean-no. T-ti an-ndrebbe di p-passarlo con m-me?”

Hana l’aveva guardato sbigottita.

Quando mai gli aveva lanciato dei segnali per fargli intendere che era interessata alle sue avance? Mai!

Gli spiaceva per lui perché era il suo compleanno, gli dispiaceva per Kyoko perché era la sua migliore amica, e l’altro era suo fratello, ma non poteva fingere che gl’interessasse e uscire con lui.

Doveva rifiutarlo una volta per tutte, facendogli capire che non gli piaceva, non in quel senso almeno.

Sì, lo considerava un bravo ragazzo, ma nulla di più.

Per non dare addito a dubbi doveva essere chiara.

Disse: “Mi dispiace, ma non mi piaci in quel modo per cui non mi sembra il caso di uscire con te.”

Gli occhi di Ryohei fino a quel momento fiduciosi si oscurarono, diventando tristi.

Poi però scosse il capo e invece di demoralizzarsi, sembrò prendere fiducia in se stesso perché esclamò: “Forse ora non t’interesso, ma sono sicuro che se uscissi con me non te ne pentiresti, ti renderesti conto che siamo fatti l’uno per l’altra.”

Hana rimase interdetta di fronte a quella sicurezza.

Lei però aveva un carattere difficile e pungente. Quando qualcuno la spingeva in una direzione, si trovava ad andare verso il lato opposto.

Era inoltre tagliente a parole.

Non avrebbe voluto essere crudele, ma quel modo di comportarsi di Ryohei non le era piaciuto.

Si ritrovò a pensare a quelle parole. Erano un modo chiaro e netto per scaricarlo.

Presto presa dall’impulso del momento le avrebbe anche dette, ma non ci riuscì.

Quella frase non uscì mai dalle sue labbra.

Fu proprio un quel momento , infatti, che accadde quello che si potrebbe definire un miracolo.

Come mai il detestato bambino dai capelli afro che si trovava in casa di Sawada fosse lì vicino all’abitazione della ragazza rimase un mistero.

Come mai con lui ci fossero I-pin, Gokudera e Yamamoto fu incomprensibile.

Come mai fosse eccitato, arrabbiato e per “difendersi” tirasse fuori un bazooka invece è facile da comprendere, così come è logico capire che ormai conoscendolo Gokudera si schivasse dal colpo che l’altro aveva sparato.

Come spesso gli capitava infatti il bambino invece di rivolgere il bazooka verso se stesso, aveva indirizzato il colpo in tutt’altra direzione.  

Ryohei era proprio sulla giusta linea di fuoco e venne colpito in pieno.

Ci fu una nuvola di fumo, e all’improvviso davanti agli occhi di Hana, apparve un uomo sui venticinque anni.

Era più alto di Ryohei, ma aveva i suoi stessi capelli bianchi e i suoi stessi occhi, solo più profondi e intensi.

Portava un doppio petto che gli dava un’aria affascinante.

L’uomo si guardò in giro per un momento spaesato, quando però i suoi occhi si posarono su di lei, un sorriso accattivante e dolce gli apparve sulle labbra.

Hana non era mai stata così debole di fronte ad uno sguardo. Di solito era aggressiva.  Stavolta invece si ritrovò ad arrossire, ed ogni pensiero molesto avuto fino all’attimo prima scomparve.

Trascorsero così alcuni minuti con l’uomo che continuava a guardarla dolcemente, e lei che trovava difficoltà a sostenere quello sguardo.

Il suo cuore aveva cominciato a battere in modo pericoloso.

Quel tipo non era propriamente il suo tipo, ma le piaceva.

Come mai però si era materializzato lì? Perché assomigliava a Ryohei? E dov’era finito quest’ultimo?

Quando finalmente ebbe trovato la forza di chiedere spiegazioni, una nuova nuvola di fumo coprì lo “sconosciuto”.

E quando si disperse Ryohei era di nuovo lì.

Hana si guardò intorno incredula.

Dov’era finito l’altro?

Per un attimo pensò di aver fatto un sogno ad occhi aperti, dovette però ricredersi quando accadde quello.

Per i mesi successivi quell’episodio rimase inspiegabile ai suoi occhi, fu però decisivo nella sua vita.

Fu infatti in quel preciso istante che decise di dare una possibilità a Ryohei. E come il ragazzo gli aveva detto non se ne pentì mai.

Solo quando lo conobbe meglio e seppe della mafia, del bazooka dei dieci anni comprese appieno l’accaduto, e così fu lei stessa a fare di tutto per preparare l’occorrente giusto per quel giorno, in modo che fosse perfetto.

Quando Ryohei si materializzò di nuovo davanti a lei, infatti, non aveva più il mazzo di fiori in mano, ma bensì un foglietto di carta.

Imbarazzato glielo porse insistendo perché lo leggesse.

Lei curiosa lo fece e quelle parole e quella calligrafia le fecero sbattere forte le ciglia sorpresa.

Fu quello che la spinse ad accettare l’invito di Ryohei.

Fu però immediatamente chiara con lui che quello non era un appuntamento, che sarebbero andati solo a bere qualcosa insieme.

Quel pomeriggio trascorso in quella sala da the fu a suo modo divertente.

Ryohei era un tipo impacciato con le ragazze, però, il fatto che si sforzasse di non parlare di boxe per tutto il tempo, come avrebbe fatto con chiunque altro, le fece capire che ci teneva davvero a lei.

I suoi occhi brillavano mentre la guardavano, e si rese conto che possedevano la stessa intensità di quelli del giovane uomo che le aveva fatto battere forte il cuore. Erano solo più immaturi.

Si divertì con lui. Ed a quell’uscita ne succedettero altre, fino a quando quasi senza accorgersene si rese conto che gli uomini che fino a quel momento erano stati il suo tipo non gli interessavano più. Erano i bravi ragazzi passionali e un po’ estremi a farla sorridere.

Fu tutto merito di quel biglietto!

E capì che doveva fare in modo che la se stessa del passato lo ricevesse perché le cose andassero al loro posto, come era destino fosse.

Fu per quello che dieci anni nel futuro attese con ansia quel momento. Sapeva che sarebbe accaduto.  

Lei e Ryohei convivevano da tre anni.

Il ragazzo era appena rientrato dal lavoro. Indossava ancora il doppio petto. I suoi occhi brillavano di una luce tenera.

Quel giorno avrebbero cenato a lume di candela e poi lei gli avrebbe dato il suo regalo.

Era il compleanno del suo uomo e le sembrava giusto festeggiare.

Voleva però fare un piccolo regalo anche al Ryohei ragazzo.

Sapeva che da un momento all’altro sarebbe arrivato.

Ed infatti la nuvola di fumo che precedette il suo arrivo non tardò a materializzarsi.

Il giovane Ryohei era lì spaesato con in mano un mazzo di fiori.

Lei lo abbracciò d’istinto.

I fiori caddero a terra.

Ryohei era imbarazzato.

Sapeva che quella donna era Hana adulta. L’aveva vista in foto nel futuro.

Lei con la sua voce dolce gli passò un foglietto che aveva già preparato.

Gli disse di darlo alla se stessa ragazza.

Poi il giovane Ryohei tornò a casa, e lì davanti all’Hana di venticinque anni c’era di nuovo quello adulto.

Per anni Ryohei non le aveva mai chiesto cosa ci fosse scritto in quel foglietto, ma stavolta lo fece.

Lei sorrise e gliene porse uno un po’ logoro, che teneva sempre con sé intorno al collo dentro il pendaglio con catenina che le aveva regalato il ragazzo per il suo diciottesimo compleanno.

Lo spinse ad aprirlo ed a leggerlo.

C’era riportata un’unica frase: “Fa nevicare in agosto.”

Ryohei la guardò chiedendole spiegazioni.

E lei gli disse che giusto dieci anni prima, lei aveva pensato di scaricarlo dicendogli che sarebbe uscita con lui solo se avesse nevicato in quel mese considerandola una cosa impossibile.  

Non era però mai riuscita a dirglielo perché poi era stato colpito dal bazooka dei dieci anni. E quando era tornato con quel foglietto che le diceva di far accadere il miracolo di cui lei non aveva mai parlato, e vedendo che era una persona con la sua stessa calligrafia a chiederle di farlo, aveva deciso di dargli una possibilità.

Era stato grazie a quello se ora erano felici.

A quel punto Ryohei aveva sorriso e l’aveva abbracciata.

Aveva appoggiato le proprie labbra sulle sue e l’aveva ringraziata.

Poi all’orecchio le aveva sussurrato che il giorno del suo compleanno dieci anni prima aveva ottenuto il regalo più bello, un dono che ancora ora aveva tra le braccia, e grazie ad esso era l’uomo più felice della Terra.

Era solo grazie a lei infatti se era riuscito a perseguire gli altri suoi sogni.

Lei era la dea della fortuna che non gli permetteva di scoraggiarsi.

Hana a quelle parole così romantiche si sentì sciogliere.

Ribaciò il compagno e decise che potevano iniziare i festeggiamenti dal dolce.

Andarono in camera e fecero l’amore.

Quello per i due fu un giorno indimenticabile.

Prima dello scoccare della mezzanotte Ryohei chiese alla ragazza di sposarlo e lei accettò.

Erano felici e lo sarebbero stati per sempre.

Forse sul serio non avrebbe mai nevicato in agosto, ma per loro emotivamente era accaduto.

E quella neve che scendeva nei loro spiriti aveva fatto spuntare germogli di fiori bianchi che sbocciarono in quel tempio di periferia alcuni mesi dopo.

Tutto era andato a suo posto od almeno lo erano andate le cose belle.

Del futuro “tragico” che Ryohei aveva scorto da ragazzo, Hana infatti era l’unica cosa che desiderasse tenere per sé.

Cambiarlo era stato positivo, ma di quella costante ne aveva bisogno.

L’aveva ottenuta ed ora la sua vita si prospettava meravigliosa.

FINE NEVE D’AGOSTO

Ecco qui una sciocchezzuola scritta per il compleanno di Ryohei.
Scusate se non è un granché ma il caldo mi sta uccidendo e non riesco più a partorire qualcosa di decente. Mi dispiace.
Alla prossima.
BUON COMPLEANNO RYOHEI.

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Capitoli scritti di Le dure conseguenze di un tradimento: 2 prologhi + 3 capitoli  (Spero di postare presto il secondo prologo).
Capitoli scritti You are my pet: 5  (il prossimo capitolo non so quando verrà postato).

PROSSIMA FIC IN AGGIORNAMENTO
Il nuovo capitolo di Chi è il demone? per il fandom di Blue Exorcist (solo nel mio forum).

Chi vuole contattarmi può farlo qui sui commenti EFP, per Email o sul mio forum.
Alla prossima.
Rebychan

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Capitolo 10
*** 09 settembre = attesa ***


Ecco qui la fic di compleanno per Gokudera.  
Ringrazio le persone che hanno inserito la raccolta tra le preferite, seguite, ricordate e soprattutto chi ha commentato lo scorso capitolo, ovvero mamie e Kyoite.
Come al solito i personaggi non sono miei. Scusate se ci saranno degli errori, io leggo e rileggo ma qualcosa mi sfugge sempre.
Alla prossima.
Rebychan

9 settembre = ATTESA

Da quando aveva capito che per lui era quello il regalo più bello?

Gokudera se lo chiedeva spesso, e soprattutto in quella data.

Per uno strano scherzo del destino infatti quel giorno, ogni anno, l’altro era sempre via per qualche missione, senza di lui.

Il Decimo non faceva apposta a separarli, era solo necessario. Faceva, inoltre, di tutto per organizzare quella “trasferta” in modo che l’altro potesse tornare per festeggiare il suo compleanno.

Mai una volta però era arrivato il giorno prima, tutte le volte faceva la sua comparsa nel corso della giornata, ed a Gokudera non rimaneva che attendere e mentre lo faceva pensava.

Ogni volta al suo ritorno il suo compagno gli consegnava un regalo, ma per Gokudera non era quell’oggetto il dono più atteso.

Ormai era da un po’ che era un altro il regalo che più attendeva, ma da quando?

Non era di sicuro da quando lui ed il suo uomo si conoscevano.

All’inizio il loro rapporto era stato burrascoso. Per lui l’altro era solo un ostacolo che lo separava dal raggiungimento del suo scopo ovvero diventare un buon braccio destro per il Decimo. Lo considerava il suo rivale ed anche se avrebbero dovuto fare parte della stessa squadra lo “detestava”.

Di sicuro non era nemmeno da quando nel futuro, ormai alternativo, l’altro lo aveva rimproverato per il suo pessimo carattere troppo chiuso.

Quando gli aveva sputato in faccia senza peli sulla lingua quella verità, Gokudera aveva dovuto ammettere a malincuore che aveva ragione. L’aveva così difeso a parole con Reborn, ma dentro di lui la rabbia per lo smacco subito e la frustrazione di non essere all’altezza di quello che era il suo sogno più grande l’aveva portato ad "odiarlo".

Non era nemmeno da quando l’altro era stato ferito gravemente da Kauru. anche se in quel momento, nel vederlo su un letto d’ospedale lottare tra la vita e la morte aveva finalmente capito che ciò che provava per lui non era propriamente odio. Ogni fibra del suo essere gli gridava: “Vivi! Fallo per me”, mentre una furia incredibile s’impossessava del  suo cuore, colmandolo di un forte desiderio di vendetta. Chiunque avesse ridotto in quel modo l’altro, doveva fare la sua stessa fine. Si diceva.

Tuttavia non era stato allora che aveva capito ciò che veramente provava per il compagno. Si era semplicemente detto che ormai l’aveva accettato come guardiano della pioggia e che quindi facendo parte della stessa famiglia, anche se era il suo rivale, non poteva non tenere un po’ a lui.

Non era stato nemmeno quando si erano ritrovati a combattere sempre più spesso spalla contro spalla, diventando un “team” imbattibile. Sembrava che “pioggia” e “tempesta” fossero nati per stare insieme e per collocarsi a destra e a sinistra del “cielo”.


Ovviamente il posto di Gokudera era a destra. Non avrebbe lasciato a nessuno quel ruolo, nemmeno all’altro, anche se lo amava.
Sì, l’amava anche se per anni non aveva voluto ammetterlo.

Non l’aveva accettato nemmeno quando si erano baciati la prima volta.

Quando frustrato aveva ammesso con se stesso che si sentiva come se il Decimo lo stesso lasciando indietro, non sapendo il perché  aveva finito con il confidarsi con l’altro. Forse istintivamente aveva capito che l’altro comprendeva il suo turbamento, condividendolo. Si trovavano infatti sulla stessa barca.

Era stato allora che il compagno lo aveva guardato con uno sguardo strano per poi avvicinarglisi ed appoggiare le proprie labbra sulle sue.

Era stato solo un lieve contatto e Gokudera non si era scostato, anzi il calore provato l’aveva spinto a darsi da fare per dimostrarsi all’altezza del Decimo.

E l’altro gli era stato accanto, pronto a spronarlo, pronto a sorreggerlo, pronto a non perdere un passo nei suoi confronti.

Gokudera non aveva mai capito  se l’altro avesse mai ambito sul serio al ruolo di braccio destro come diceva, o si atteggiasse semplicemente per spingerlo a migliorare. Sapeva solo che quando Gokudera lo era diventato, gli aveva sorriso dolcemente per poi congratularsi. Era contento quanto lui che ci fosse riuscito, come se la felicità della persona amata fosse la propria.
Non era stato  però allora che Gokudera si era accorto cosa fosse per lui il regalo più bello nel giorno del suo compleanno.

E non lo era stato nemmeno quando avevano fatto l’amore per la prima volta.

Era accaduto per rabbia, frustrazione e dolore.

L’altro aveva perso una persona cara, e Gokudera aveva provato l’impulso di consolarlo. L’aveva abbracciato d’istinto. Il loro secondo bacio era stato bagnato, e presto era stato sostituito dal terzo, dal quarto e via di seguito. Si erano ritrovati stesi sul letto nudi senza nemmeno accorgersene. Avevano fatto sesso come se ne dipendesse la loro vita.

Ed era così.

Una persona era morta, ma anche loro rischiavano la vita.

La guerra non era ancora finita e poteva non esserci un domani.

Forse era per quello che si erano lasciati andare in quel modo.

Lui però anche allora aveva negato l’amore che provava.

Se ci pensava con mente aperta, doveva ammettere che probabilmente già dalla prima volta che si erano incontrati “quello” in verità era stato il regalo più bello che avesse mai ottenuto dalla vita, solo che ancora non lo aveva capito.

I suoi sentimenti viziati e il suo carattere scostante non gli avevano permesso di comprenderlo.

In tutti i momenti importanti della sua esistenza da quando lo conosceva, l’altro era stata la persona che gli era stata più accanto e l’aveva aiutato.
 

Non era però stato un aiuto a senza unico.

Grazie all’altro anche Gokudera aveva imparato ad essere altruista ed era così diventato una persona migliore.

Se chiudeva gli occhi e si perdeva nei ricordi Gokudera si rendeva conto inoltre che in tutte quelle occasioni in cui erano stati insieme, anche in mezzo al dolore ed alle disperazioni, l’altro aveva trovato la forza per sorridergli.

Per anni aveva trovato irritante quella sua espressione da pesce lesso, così come aveva trovato irritante la sua passione per il baseball.

Ma ora non era più così.

Probabilmente la sua “irritazione” iniziale era dovuta semplicemente al fatto che l’altro riusciva a sorridere anche quando era triste, sforzandosi in quel modo di tirare su il morale agli altri, cosa che lui non riusciva a fare.

Forse la sua “irritazione” era dovuta all’invidia perché l’altro aveva qualcosa d’importante da proteggere che gli faceva bruciare il sangue nelle vene.

Lui aveva perso quella capacità di appassionarsi quando aveva scoperto la verità su sua madre. Era diventato arido!

Solo il desiderio di diventare “braccio destro” lo spingeva ad andare avanti, ma quello non era abbastanza. Ed era stato l’altro ad insegnarglielo.

Sono i legami sinceri che ti spingono a diventare forte, perché per chi ami faresti qualunque cosa, ed in quel modo molto spesso si riesce a superare anche l’impossibile.

Il Decimo era un esempio di questo. Quando aveva trovato una famiglia da proteggere, era diventato fortissimo.

Gokudera aveva dovuto accettarlo e grazie a quello era sceso a patti con i sentimenti che provava per il compagno. Chissà dopo quanti baci e sezioni di sesso era accaduto. Non lo sapeva. La facilità con cui si lasciava andare però avrebbe dovuto spingerlo prima alla comprensione.

A sua discolpa c'era il fatto che era sempre stato un tipo duro di comprendonio nei confronti dei sentimenti. C’era qualcosa che lo bloccava.

Erano state quelle attese nel giorno del suo compleanno a spingerlo a riflettere.

Sì, forse era stata la prima volta in cui si era ritrovato da solo in quella data ad aspettare l’altro, preoccupato per lui, a fargli aprire gli occhi.

Era stato allora infatti che quando il compagno era tornato l’aveva abbracciato d’impeto e per la prima volta gli aveva sussurrato alle orecchie quelle parole.

Gliele diceva una volta all’anno da quel giorno e l’altro nell’udirle diventava l’uomo più felice del mondo.

Forse avrebbe dovuto dirgliele più spesso per vedergli apparire sulle labbra quel sorriso unico e radioso che ora amava tanto e che l’altro riservava solo a lui, ma non ci riusciva.

Non era da lui.

Lui era quello burbero, l’altro quello affettuoso che lo riempiva di premure.

Quel giorno il suo compagno era più in ritardo del solito.

Ormai mancavano cinque minuti alla fine del suo compleanno e Gokudera era davvero preoccupato.

Mai una volta non avevano trascorso insieme qualche istante di quella giornata.

L’altro faceva di tutto per arrivare in tempo.

Cosa poteva essergli accaduto?

Il Decimo era con lui e tentava di rassicurarlo, essendo a conoscenza della loro relazione.

Non ci riusciva però perché anche lui dai suoi occhi si capiva che era in ansia.

Gli aveva affidato quella missione e non avrebbe dovuto essere pericolosa, ed inoltre avrebbe dovuto finirla in tempi brevi.

Ancora dieci secondi e la giornata sarebbe finita.

Gokudera era già in piedi pronto ad uscire dalla porta del suo ufficio.

Era lì che lo aspettava, perché sapeva che era lì che l’altro si sarebbe diretto non appena fosse tornato.

Dopo una missione era lì infatti dove s’incontravano sempre.

Gokudera era deciso a raggiungere il luogo della missione per controllare cosa fosse successo all’altro, sperando che non fosse qualcosa di terribile.

Il fatto che non rispondesse nemmeno al cellulare era di sicuro un brutto sogno e Gokudera quella notte non sarebbe mai riuscito a dormire. Doveva fare qualcosa.

Non fece nemmeno in tempo a dirigersi verso l’uscio che proprio in quel momento un uomo dai capelli neri e due espressivi occhi nocciola vi entrò.

Respirava affannosamente ma sembrava stare bene.

“Scusa Hayato.”, disse immediatamente mentre tentava di tranquillizzare il respiro. “Ma proprio oggi tutto sembrava essersi messo contro di me. I trasportatori hanno fatto sciopero ed il cellulare mi ha lasciato. Ho dovuto farmi non so quanti kilometri di corsa per arrivare a casa. Non potendo avvertirti sapevo che eri preoccupato e non voleva farti stare in ansia più del dovuto. Ho fatto tardissimo. Pensa che non sono nemmeno riuscito a passare dalla gioielleria a ritirare il regalo che avevo ordinato. Mi dispiace. Spero almeno di essere in tempo per farti gli au…”

Non riuscì a dire altro.

L’uomo si ritrovò le braccia di Gokudera intorno al collo e le sue labbra furono riempite dalla sua bocca.

Quando si separarono e si voltarono in direzione di dove doveva trovarsi il Decimo, quest’ultimo non c’era più, ma al suo posto sopra la scrivania di Gokudera c’era un orologio con le lancette spostate. Segnavano le dieci.

Il Decimo aveva regalato ancora due ore di compleanno a Gokudera.  Gliene era riconoscente. Sorrise.

Gokudera strinse ancora più forte a sé il compagno e gli sussurrò le parole che l’altro attendeva: “Ti amo.”

Il compagno sorrise contento.

E così finalmente Gokudera trovò anche la forza di aggiungere quello che desiderava dirgli da tempo: “Sei arrivato in tempo e non ho bisogno di nient’altro se tu sei con me, perché tu per me sei il regalo più bello che ho mai ricevuto, Yamamoto Takeshi.”

FINE ATTESA

Questa per il momento è l'ultima one shot di questa raccolta che posterò. La fic d'ora in poi verrà considerata conclusa.
Lo so mancano ancora dei compleanni, almeno due o tre d'importanti, ma se scriverò qualcosa per loro, posterò in separata sede. Nelle mie idee per loro il compleanno verrà affrontato solo di striscio e mal che vada se cambiassi idea riaprirò la raccolta, ma fino ad allora questo è un arrivederci!
Dieci in fin dei conti mi sembrano una bella somma di one shot legate ad un unico elemento. Grazie per l'attenzione.
Su questa fic ho poco da dire. E' un po' "confusionaria" ma l'effetto è voluto. I pensieri di Gokudera vagano a random. A dirla tutta, l'idea non doveva svilupparsi propriamente così, ma si è costruita da sola. Ne è nato qualcosa di dolce. Spero che a qualcuno piacerà. Fatemi sapere.
BUON COMPLEANNO GOKUDERA!

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Capitoli scritti di Le dure conseguenze di un tradimento: 2 prologhi + 3 capitoli  (Il primo capitolo verrà postato prestissimo).
Capitoli scritti You are my pet: 5  (il prossimo capitolo non so quando verrà postato).

PROSSIME FIC IN AGGIORNAMENTO
Il nuovo capitolo di Chi è il demone? per il fandom di Blue Exorcist (solo nel mio forum).
La one shot Tre racchette per il fandom  di Il principe del tennis (probabilmente solo nel mio forum).
Il primo capitolo di Le dure conseguenze di un tradimento per il fandom di Reborn.

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