Paura di piangere.

di Ariacqua
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


       




































Guardo il soffitto in cerca di ispirazione. Le parole non possono esprimere neanche la metà delle cose che sento e che provo quando ricordo di Rue e Prim, ma voglio assolutamente portare a termine ciò che ho iniziato. “Il Libro della memoria”, così abbiamo deciso di chiamarlo io e Peeta. Un libro con la raccolta di tutte le persone morte durante gli Hunger Games e durante le rivolte. Non sempre abbiamo una foto della persona di cui vogliamo scrivere, ma a che serve quando abbiamo la mano ingegnosa di Peeta a disegnare i loro volti?

 
E’ così che passiamo la maggior parte del nostro tempo. A riempire di disegni, scritte, ricordi e,a volte, anche lacrime questo libro. Anche ora, che è mezzanotte inoltrata, ricordo quando alla fine dei miei primi Hunger Games, Peeta mi chiese:
-Ed ora? …Cosa faremo?-

-Cercheremo di dimenticare.- dissi.

-Non voglio dimenticare.- rispose lui, con decisione.

Quelle parole mi rimbombano nella testa. “Bhe,” penso, “è proprio quello che stiamo facendo…non stiamo dimenticando” … Solo ora capisco appieno le sue parole. Ed ha ragione. Certe cose non si dimenticano.
 
-Ecco. Che te ne pare?- dice sottovoce Peeta, riportandomi bruscamente alla realtà.
La vista del corpo di Rue metà cosparso di fiori, e di me che cospargo l’altra metà del corpo con degli altri mi fa salire uno strano senso di nausea. Sento la mia mente che combatte contro la fuoriuscita di lacrime, ma invano:
 
 
 -E’…a dir poco meraviglioso…-

dico con voce strozzata. Credo che non si sia capita una sola parola di quello che ho detto, ma nonostante questo Peeta mi sorride e mi guarda intensamente.
 
-Non tenerle dentro, Katniss. Le hai tenute sempre lì, sepolte da una forza che so essere tua, ma a volte è meglio cacciarle. Tu che puoi liberamente…-

si interrompe improvvisamente, come col timore che se fosse andato avanti se ne sarebbe pentito. Non capisco proprio quel “tu che puoi liberamente…” ma per il resto ha ragione. Appoggio le braccia e la testa sul tavolo, mentre una lacrima scende dal mio occhio sinistro. Penso a Rue, a mia sorella...
Piango silenziosamente tra le mie stesse braccia, mentre Peeta cerca di darmi un po’ di coraggio accarezzandomi i capelli. Ad un certo punto però, i miei pensieri si estendono ben oltre Rue e Prim. Comincio a pensare a Finnick sbranato dagli Ibridi, a Gale frustato, mi figuro Peeta torturato.

Mi sforzo di restare calma, ma proprio non ci riesco. Singhiozzi si uniscono alle mie lacrime. Non mi do neanche la pena di asciugarmele, perché so che tanto ce ne saranno delle altre.
Molte altre.
La situazione mi sta letteralmente sfuggendo di mano. Così mi alzo e faccio dei passi verso la porta, diretta nella mia camera. Scossa dai singhiozzi, dai tremiti e dalle lacrime, sento Peeta alzarsi dietro di me. So che vorrebbe venire a dormire con me, come facevamo una volta per chiudere gli incubi fuori da tutto il resto, ma è molto tempo che non lo facciamo. Non so neanche esattamente il perché.

 
-Katniss… sicura…che…insomma…-

dice lui timidamente e sottovoce. Mi giro verso di lui e annuisco. Mi impongo ancora una volta di smettere di piangere ma, ancora una volta, invano. Corro verso la mia camera e mi chiudo la porta alle spalle. Non dormo da giorni, sono maledettamente stanca, ma nonostante questo non riesco proprio a dormire, né tantomeno a calmarmi. Non so esattamente per quanto tempo ancora piango. Sta di fatto che, finalmente, mi assopisco un po’, con tutto il cuscino bagnato di lacrime sotto la mia testa.
 
Un bosco. Un bosco fittissimo. Cammino velocemente tra gli alberi, mi faccio strada tra le piante. Prendo a correre, disperata. Sento una voce chiamarmi. “Katniss! Katniss!”. E’ Rue. Ma non è sola. C’è anche Prim accanto a lei, che viene frustata da un Pacificatore. “Katniss! Katniss!”. Rue urla con tutta la forza che ha. Mi giro a guardarla, mentre un altro Pacificatore la trafigge con una lancia.
 
Mi sveglia un urlo. Lacerante, straziante. Ma non è il mio.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


           























Mi alzo dal letto così velocemente che quasi inciampo nelle coperte.

Sono inzuppata di sudore, e tremo ancora per l’incubo che ho fatto. Mi precipito fuori la porta e scruto il corridoio. Neanche il tempo di pensare cosa stia facendo, di ragionare, che sto correndo verso la stanza dove dorme Peeta.
Apro la porta e corro all’interno della camera.
E’ vuota.
Vuota.
Il panico mi percorre tutto il corpo. Mi rimbomba nella testa l’urlo straziante. Mi rimbomba ancora, e ancora. Quasi non riesco a respirare. Non riesco neppure a muovermi, a ragionare. Quasi comandandomi, impongo alle mie gambe di camminare. Cammino a scatti. Scendo le scale. Perlustro la cucina. Nessuno. E’ vuota. Cerco nel salone, e l’unica cosa che riesco a vedere è Ranuncolo che mi soffia. Mi gira la testa. Mi siedo sullo schinale del divano, e mi impongo di calmarmi, di ragionare, come ho sempre fatto.
Perché ora non mi riesce proprio?
Apro la porta d’ingresso, corro fuori ed urlo con tutto il fiato che ho:

- PEEEEEETA!-

Il panico continua ad assalirmi. Mi giro per tornare in casa imponendomi di restare in piedi, quando lo trovo lì, nel campo delle Primule da lui piantate qualche settimana prima. Appoggiato con le spalle vicino ad un grande albero, le ginocchia fra le braccia. Quasi perdo il senso delle gambe per il sollievo. E’ lì. Lì. Solo ora che corro verso di lui, mi accorgo di quanto faccia freddo. Ci saranno almeno due gradi sotto lo zero, e lui è lì, in mezzo alla neve ed a quello che resta delle primule.

-Peeta!- dico, mentre mi avvicino sempre di più. –Peeta…cosa fai qui? Si gela!-

Lui si alza di scatto. Ha gli occhi rossi e lotta per tenere dentro le lacrime. Sbianco. Perché sta così? Suppongo per un incubo particolarmente brutale. Gli corro incontro e lo abbraccio forte. Gli poso la testa sul petto e cerco di consolarlo. Non posso fare a meno di sentirmi in colpa.

- Scusami Katniss. Scusami.- mi sussurra.

-No. No. E’ colpa mia! Perché hai urlato in quel modo?-

- Tu già sai la risposta. Incubi. Incubi orribili. E non è affatto colpa tua.-

La conferma di ciò che avevo pensato mi fa sentire pi in colpa di prima. Lui si calma un po’ mentre ci teniamo abbracciati. Lo trascino dentro, e riacquisto lentamente l’uso dei miei arti congelati.

-      Mi dispiace..- sussurro mentre gli porgo una tazza di camomilla bollente. – Sono una stupida.-

Lui mi prende la mano e me la stringe forte. Mi guarda negli occhi, come per accertare che io fossi lì, viva e vegeta davanti a lui. Mi siedo al suo fianco, e gli poso la testa su una spalla.

-Sai…piangere farebbe bene anche a te. Io mi sono liberata un po’. Il tuo consiglio è utile, ma devi ascoltarlo anche tu stesso…E poi ora ci sono anch’io qui con te, non me ne vado.-

Lui rimane in silenzio. Un silenzio che pesa molto di più delle parole. Guarda fisso davanti a sé. Prendo la sua testa fra le mie mani, e lo costringo a guardarmi.

-Cos’hai sognato, Peeta? Quell’urlo mi ha raggelato il sangue.-

I suoi occhi si fanno lucidi, ma non vuole cacciare le lacrime…O non ci riesce?

- Ho ricordato tutta la tortura e… di perderti. – mi dice. – Di perderti proprio davanti ai miei occhi.-

Gli stringo la mano, e lo abbraccio.

- Beh, sono qui, Peeta. – gli sussurro. – Sono qui.-

- Katniss, tu non sai cosa succedeva lì dentro, in quelle camere di tortura…- spiega.- E’ stato orribile.

-Lo so. Nessuno può immaginarlo.- gli dico.-Ma sappi che se ti va di parlarne con me… io sono qui. Non me ne vado.-
 
- Vorrei parlarne. Ma non ora, non adesso. Ho davvero bisogno di riposare…Non dormo da tempo.-

Mi da un bacio sulla fronte e fa per alzarsi, diretto in camera sua, quando io gli dico:
- Non pensarci nemmeno per un momento. Io vengo con te.- dico, convinta.

Peeta mi guarda e mi sorride debolmente. Mi prende la mano e saliamo le scale.
Le sue braccia forti mi circondano ed io, dopo molto tempo, mi sento sicura che per il resto della notte non ci saranno incubi. Mi addormento nel giro di pochi minuti, un po’ impaurita per il discorso che l’indomani mi avrebbe fatto riguardo la sua tortura.

 



SPAZIO ALL'AUTRICE. [leggete, perfavore :)]
Ok, so bene che non è granchè, posso fare veramente di meglio.
Sapete, per farmi andare avanti con una storia ho bisogno delle vostre recensioni. 
Più recensioni ho, più mi verrà voglia di continuare.

Per favore, se avete critiche da fare (positive, ma anche negative, ovviamente) non esitate.
Mi piacerebbe veramente sapere cosa ne pensate, anche perchè questa è una delle mie prime FanFiction e non sono molto esperta. 
A presto,
Rosie_posy.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


        














Un raggio di sole mi colpisce in pieno viso.


Non ho la più pallida idea di che ore siano.
Sento le braccia di Peeta circondare il mio ventre e non ho nessuna voglia, nessuna ragione di aprire gli occhi.
Vorrei davvero congelare il tempo e rimanere così per tutto il tempo che mi rimane, come disse Peeta qualche giorno prima dei miei secondi Giochi della fame.
Il ricordo di quel giorno mi fa salire un calore in petto di quelli che non sentivo da tempo, ormai.
Stringo ancora di più il suo braccio attorno a me, come per sentirmi protetta da forze invisibile che tentano di penetrare nel mio corpo, nella mia mente, nel mio cuore rimpiazzando quel poco calore formatosi dentro me e rimpiazzandolo solo con freddo e vuoto.
Rimaniamo così ancora per un po’, poi mi costringo ad aprire gli occhi. Sono le otto e nove del mattino.
La cosa che più mi ha reso felice in queste ultime ore è che ho finalmente fatto una dormita come si deve, senza nessuna traccia di incubi.
Senza nessun preavviso sento una ciocca dei miei capelli sostarsi dal viso.

-Buongiorno, Katniss.- mi sorride in modo impercettibile e debole, ma almeno mi sorride.

-‘Giorno.- gli dico.

Un po’ stizzita perché ha messo fine a quegli attimi di pace con il mondo intero, tra le sue braccia, un po’ addolcita da quel mezzo sorriso e da quegli occhi blu intenso.
Ovviamente so che nessuno dei due si è dimenticato della ‘promessa’ (se così può chiamarsi) che Peeta mi aveva fatto, dicendo che mi avrebbe parlato della sua tortura da parte di Snow.  
Io davvero voglio ascoltarlo.
Quando tornò da Capitol City nel Distretto 13 e guarì, nessuno osò chiedergli cosa succedeva in quelle camere di tortura, oltre quello che già sapevamo gli avessero inculcato su di me attraverso Aghi Inseguitori e video del tutto falsi. Nessuno, perché sapevamo che se gli avessimo chiesto il resoconto della sua tortura, sarebbero affiorati ricordi malefici su tutti (ed in particolare su di me), e magari sarebbe di nuovo ricaduto in quel vuoto, in quella pazzia.
Ovvio anche che, seppure io sia del tutto disponibile ad ascoltarlo, non posso chiedergli improvvisamente:

“Ehi Peeta, senti, ricordi quello che mi hai detto ieri sera? Sì, beh, ora dimmi tutto, perché sono curiosa.”

Sarebbe del tutto inappropriato. No, devo lasciare che lui si senta pronto nel parlarmene, sia oggi, sia pure domani che dopodomani.
Ritorno alla realtà e mi accorgo che lui mi sta guardando. Mi giro tanto quanto basta a ricambiare lo sguardo.

- A cosa pensavi? – mi chiede.

- Pensavo che in queste poche ore di sonno, non ho visto l’ombra neanche di un incubo.- mi giro ed abbasso la voce – Grazie. –

Peeta mi gira di nuovo e io mi ritrovo a guardare i suoi occhi. Mi abbraccia calorosamente, ed io mi ritrovo circondata dalle sue braccia forti e calde.
Appoggio la testa sul suo petto e inspiro il profumo che ancora insedia nella sua maglia:  farina, lievito e , quello lo sento solo io, protezione. Il senso di protezione che solo lui mi sa dare.
La protezione ha un profumo proprio? Neanche il tempo di pensarci ancora un po’ che lui scioglie l’abbraccio.

- Anche io. Non ho visto neanche l’ombra di un incubo. E l’unica che qui deve essere ringraziata sei tu. –

Mi lancia un occhiata piena di desiderio, ma con rigidità si dirige in bagno. Dopo pochi minuti, sento lo scrosciare dell’acqua della doccia.
Mi siedo di fronte alla finestra, ad osservare gli spazzi di sole che giungono sulla terra, e che illuminano la neve posata sui tetti delle altre case del Distretto 12. Non penso a nulla, mi concedo un po’ di pace con me stessa e con il mondo, anche sapendo che non sarebbe durata a lungo dentro me.
Rimango lì per un bel po’. Non so esattamente quanto, ma so che improvvisamente sento una porta aprirsi. Mi giro di scatto e vedo un Peeta coperto solo da un’asciugamano. Mi faccio rossa come un pomodoro.

- Ehm.. scusa Katniss, pensavo fossi già giù.-

Io annuisco nervosamente e spasmodicamente, senza il coraggio di dire una sola parola. “Controllati, porca miseria!” penso tra me, e poi corro via dalla stanza.
Preparo la colazione, cercando di non pensare a cos’è appena accaduto. Non so proprio il perché io abbia reagito in quel modo, sul serio.
Come ho potuto rendermi così ridicola davanti al ragazzo del pane, che mai sognerebbe di mettermi in soggezione?
Che figura. Insomma, io sono Katniss Everdeen, la ragazza in fiamme, ma subito dopo mi ritrovo a pensare che in quel momento solo il mio viso poteva definirsi così.

Vedo Peeta scendere le scale, diretto verso di me in cucina, e mi costringo (letteralmente) a non abbassare lo sguardo verso il pavimento. Devo riuscire a far vedere che non mi importa. Lui mi guarda e mi sorride innocentemente.

- Mi dispiace per prima. Ma, sai, io non ho cambiato opinione. Sei e rimarrai la ragazza pura che conoscevo tempo fa, e che ora mi sta davanti. -

Il mio sguardo diventa stizzito ancora più di prima. Sa bene che non è così. Non può essere così.

- E tu sai la mia risposta! – gli dico, innervosita.

 Lui fa spallucce e si limita a sedersi.  
  Mangiamo le brioche preparate da lui qualche giorno prima, ed intanto parliamo un po’ di Haymitch ed Effie, e di quanto facciano ridere quando sono insieme.

- Katniss, è da tempo che non mi sentivo libero così. So che…beh, ecco… i ricordi della guerra – e qui si irrigidì un attimo - e degli Hunger Games rimarranno sempre impressi nella nostra mente ma, ecco…a volte è meglio un po’ staccare. –

- Anch’io non mi sento così da tantissimo. – gli sorrido. – E vorrei per sempre sentirmi così. – Ma purtroppo ogni volta che sento che la pace sta per riempire un po’ la mia mente, ritornano i ricordi più brutti che posseggo, e- mi salgono inevitabilmente le lacrime agli occhi – e non riesco a controllarli. Proprio come sta succedendo adesso. –

Mi alzo e mi dirigo fuori la porta d’entrata, nel cortile (che ormai vanta solo un manto bianco e freddo a terra, e non più erba fresca e verde).
Mi siedo sul gradino e lascio che i ricordi scivolino via dalla mia mente proprio come sono venuti.
Mi manca tanto 
Prim.
Tanto. 
Finnick.
Non ne parliamo.
Perché mi lascio andare così tante volte ultimamente?! Prima non era così. Prima Katniss Everdeen era forte, ora? Solo una valle di lacrime al primo ricordo brutto.
Mi porto le ginocchia al petto e le circondo con le mie braccia, lasciandomi cullare dal freddo vento invernale. Non passano neppure cinque minuti, che Peeta apre la porta dietro di me.

- Lo so, - gli dico. – Lo so. Non sono più forte come prima, Peeta. Non riesco ad affrontare più i ricordi che ancora si insediano nella mia mente.-

- Potremmo farlo insieme. Affrontarli, insieme, intendo.-

- Insieme? - gli chiedo. Lui mi stringe la mano. 
 
- Sì, insieme. Come abbiamo sempre fatto. - e mi accorgo che mi sta guardando. Mi sta guardando intensamente. 


Sorridendo impercettibilmente, con gli occhi velati di lacrime. 

- Katniss, è ora di spiegarti tutto, tutto ciò che mi hanno fatto.-

Io sciolgo le mani dalle mie ginocchia, solo per stringerle attorno a lui. Il suo calore mi fa rendere conto di quanto in realtà qui fuori faccia freddo, ma ora non importa. Finchè rimaniamo abbracciati, tutto diventa più caldo. 




SPAZIO ALL'AUTRICE [leggete, perfavore :)]
Ecco un altro capirolo. Spero vivamente che vi sia piaciuto.
Nonostante sia più lungo degli altri due, credo abbiate capito che è solo un capitolo 'passeggero', per così dire. 
Vorrei solo ricordarvi che più recensite, più mi viene voglia di continuare la storia e, di conseguenza, meno mi ci vorrà per postrane un altro. (Ovviamente accetto sia critiche 
positive che negative). Fatemi sapere cosa ne pensate! Spero di continuare al più presto. 
Vorrei precisare che cerco sempre di attenermi al carattere dato dalla Collins ai personaggi della saga nelle mie FF. Spero che almeno questo mi sia riuscito. :)
Baci,

Rosie_posy.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


    














Sediamo entrambi sul mio letto, con una tazza fumante di cioccolata calda tra le mani.
C’è silenzio.
Un silenzio quasi palpabile. Pesante.

- Peeta, sei  proprio sicuro di volerne parlare? – mi viene da chiedergli.

– Se non te la senti, io non voglio che ti senta obbligato. Insomma, ho paura che possano riaffiorarti ricordi sepolti dal tempo.

Sa esattamente a cosa alludo. Ai filmati che gli facevano guardare. A quei filmati che lo misero contro di me mortalmente. Mi sta guardando. E capisco che ancora non se la sente. Lo capisco dal suo sguardo. Non ci vogliono parole, non necessariamente.

- Katniss, io… -
 
inizia a dire, con una fare tristissimo, e la delusione che ricopre il suo volto.
Ma io non lo lascio continuare.
Mi alzo, gli vado vicino e lo abbraccio. So che non è molto, mi odio per non poter fare qualcosa di più per  il ragazzo del pane, come lui ha sempre fatto così tanto per me.
Mi odio per questo.
Restiamo abbracciati sdraiati sul letto per dieci, quindici, venti minuti. Senza dire una parola.
I nostri pensieri ed i nostri brutti ricordi appartati lì, in un angolino della stanza, e mi accorgo, senza sapere come, che è lì che resteranno finchè resterò lì con il ragazzo del pane. Il MIO ragazzo del pane.
Sciolgo l’abbraccio e lo guardo negli occhi.
Ha delle occhiaie violacee sotto gli occhi. Evidentemente quelle poche ore di riposo non sono bastate per colmare tutte le ore di insonnia a causa degli incubi.

- Da quanto tempo non dormi, lasciando perdere ieri notte? – gli chiedo preoccupata.

Lui storce la bocca in una smorfia di disapprovazione, ma non m’importa.

- Quante Peeta? – gli chiedo un po’ più insistentemente.

- Non saprei... quattro, al massimo cinque giorni. –

Oh, so che non è così. Lo dice solo per non farmi preoccupare. Ma il risultato non cambia. Non m’importa se mente, tanto con me non attacca e lui dovrebbe saperlo bene, ormai.

Lo guardo, ed alzo un sopracciglio, con fare minaccioso. Lui si abbandona sul letto, arreso.

- Devi riposare.  – dico, con un timbro di voce così sicuro e fermo che non ricordavo di possedere ancora.

- Lo sai che senza di te non ci riesco. Arrivano gli incubi e, fidati, non vorrei davvero che ricomparisse quello di ieri notte. – dice con voce sicura quasi quanto la mia.

- Bene, allora io sarò qui con te. Non me ne andrò. – gli rispondo.

Io a dir la verità ho davvero poco sonno, ma lui ne ha bisogno, e quindi rimango.
Ci accoccoliamo sul letto abbracciati e lui dopo neanche dieci minuti si addormenta.
Gli accarezzo i capelli, le guance,  gli passo un dito sulle labbra quando improvvisamente sento suonare il campanello.
Maledico mentalmente chiunque sia dietro quella porta, in attesa di venire aperto.
Per fortuna almeno Peeta non si è svegliato.
Scivolo fuori dalla stretta delle sue braccia, più piano possibile. Vorrei davvero che non si svegliasse.
Mi precipito fuori dalla camera e scendo precipitosamente le scale.
Di fronte mi ritrovo l’ultima, l’ultimissima persona che avevo in mente di vedere.


SPAZIO ALL'AUTRICE [leggete, perfavore :)]
Allora, questo è un altro capitolo di passaggio, da come avrete capito.
Non preoccupatevi, arriverà il momento in cui Peeta dirà tutto a Katniss, e sarà un dei momenti più belli della FF, a mio avviso.
Ora, so bene chi sia stata la prima persona che avete pensato abbia suonato il campanello ma, fidatevi, non è quella persona. E non dico altro. (:
Prevedo almeno sei o sette capitoli in totale, ma potrei anche travolgere la trama della storia, quindi non prometto nulla.
Per il resto ci tengo a ricordarvi che la mia insulsa mente da autrice non possiede la minima traccia di autostima, per cui, se vi è piaciuta questa storia e vi incuriosisce il seguito, recensite! Perchè più recensite (sia recensioni positive che negative, ovviamente) più mi viene voglia di scrivere il seguito e, di conseguenza, meno tempo mi ci vorrà per pubblicarlo :)
A presto,
Rosie_posy.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


   
























La figura di una ragazza incappucciata ed infreddolita mi si staglia davanti.
E’ molto magra, i capelli neri e gli occhi di un verde brillante.
Ma sono diversi da come se li potrebbe aspettare, vedendoli. I suoi occhi, intendo.
Quegli occhi di quel colore intenso e meraviglioso dovrebbero trasmettere alla persona che li guarda gioia, vita e non so quant’altro. La forma è stupenda, il colore anche. Ma dentro? Dentro sono vuoti. Nessun segno di emozione, niente.
Sono vuoti.
Lei scosta i cappuccio dal viso. E’ bianco da far paura. Forse è per il freddo.
In un momento, mi rendo conto.

Annie Cresta è davanti a me, non capisco proprio per quale ragione. Rimango a guardare lo stato pietoso in cui si trova, senza parole. Anche essendo molto magra, la sua pancia è molto più tonda di come potrebbe aspettarsi. E’ incinta. Di quattro, cinque mesi, credo.

- Ehm…-

Il suo sussurro mi riporta bruscamente alla realtà.

- Annie! Ma cosa.. cosa ti è successo? ..Entra. - 

Lei entra, spostandomi dal ciglio della porta senza fare troppi complimenti. Si siede sulla poltrona ed io accendo subito un fuoco alla bell’è meglio.
“Dopotutto”, penso, “le ore di addestramento a Capitol City sono servite a qualcosa.”
Il suo viso riacquista un po’ di colore, ma è pur sempre pallidissimo.
Ad un tratto mi chiedo cosa ne sia stata della Povera, Pazza ragazza del Distretto 4, alla morte di Finnick.
Non ho mai saputo molto sulla loro storia, ma una cosa è certa: si amavano veramente tanto.

Al pensiero di Finnick, mi si forma un nodo in gola dalle proporzioni spropositate, ma cerco di controllarlo. Non ho assolutamente intenzione di mostrarmi debole. Io non lo sono.

Annie si posiziona avanti al camino, tremante, ed io mi precipito in cucina a prepararle una cioccolata calda, un rimedio naturale, a mio parere.
Le porto una grande tazza con dei biscotti di Peeta. Lei accetta ben volentieri e, di fatto, ripulisce tutto in meno di dieci minuti.

- Mi dispiace…- mormora. - Mi dispiace per essere venuta qui così, improvvisamente, ma ho veramente bisogno…- inspira lentamente, come per darsi forza. - … di aiuto.-

Al suono di quelle parole rimango un po’ imbambolata, ma le dico di continuare. Io vorrei davvero poterla aiutare, di qualunque cosa si tratti. Ne ha passate tante e, inoltre, mi dico che aiutandola, aiuterei in parte anche Finnick.

- Non è una cosa facile da spiegare, non lo è per niente…- comincia, quasi sussurrando.

Mi siedo accanto a lei, un po’ perché voglio darle coraggio, un po’ perché altrimenti diventerei sorda a forza di capire quel che dice. Le stringo la mano, ma lei subito la sfila via dalla mia, ed incrocia le sue braccia in grembo. Forse, mi dico, quel gesto le ricorda tanto… lui.
“Sono un idiota.” Mi maledico mentalmente.

- Annie, io cercherò di aiutarti. Lo voglio davvero.- Le dico, fermamente.

Lei comincia ad abbozzare un piccolo sorriso, debolmente, ma subito torna a farsi strada l’espressione di tristezza sul volto.
Guarda attentamente davanti a sé, come se ci fosse qualcosa di estremamente interessante in un mucchio di legna che brucia. Parla molto a bassa voce, con gli occhi spalancati e il corpo in posizione fetale, con il capo appoggiato sulle ginocchia. La sua voce è abbastanza convinta, però:

- Vedi, Katniss, io … sono molto malata.- Un altro respiro lento, per darsi coraggio. - E i medici mi hanno detto che non potrò mantenere mio figlio. Non in… queste mie condizioni.-

Un centinaio (pff, ma che dico centinaio)... Un migliaio di pensieri affollano improvvisamente la mia testa, ronzando e pulsando nelle tempie, tanto che devo afferarla tra le mani. Tutto mi sarei aspettata, tranne che questo. Cosa vorrà mai chiedermi, a questo punto? Beh, non ci vuole certo un genio per capirlo e, anche se sono anch’io un po’ mentalmente instabile, capisco subito cosa vuole.

 - Io… davvero… non vorrei mandarlo nell’orfanotrofio. E’ un posto così orribile. Io… lo conosco bene.-

Non aggiunge altro. Parla a voce un po’ sconnessa, con un tono… apatico. Non capisco come faccia a conoscerlo bene. Non credevo che avesse passato la sua infanzia lì dentro, ma non mi va di chiederle cose di questo genere. Potrebbe farle affiorare ricordi brutti.

“I ricordi” mi ritrovo a pensare. “Le cose più orribili che possano esserci, per noi sopravvissuti all’Arena. Ci perseguitano fin quando non ottengono ciò che vogliono: la perdita della ragione. E l’esempio umano è proprio qui, affianco a me.”

- Io non conosco nessuno, a parte voi due, Katniss.- Sussurra.

Improvvisamente volta la testa, guardandomi.

- Ti prego. Tenetelo voi, altrimenti l’unica cosa che mi rimarrà da fare è… abortire a Capitol City. Io non sopporto di doverlo dare all’orfanotrofio. Non sopporto dover… morire, con la consapevolezza che il mio unico figlio cresca lì dentro.-

Torna a guardare avanti a sé con gli occhi spalancati, e si comincia a dondolare, con le gambe aggrappate al petto. Sentire la sua richiesta, sebbene l’avessi prevista, mi provoca un dolore lancinante nei pressi dello stomaco in su. E’ come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Io, da quando avevo quindici anni, sono sempre stata dell’idea di non avere bambini e, anche se ormai non ci sono più gli Hunger Games, rimango con la mia convinzione.
Un giorno dovremo spiegargli perché una notte sì ed una no io e Peeta ci svegliamo di soprassalto a causa degli incubi, un giorno dovremo spiegargli le ingiustizie degli anni passati… E a me questo non scende proprio.
Come fare davanti ad una richiesta simile? Certo dovrei parlarne con Peeta, prima di tutto.
La consapevolezza però mi inizia a dare forti fitte di… panico.
Io e lui non siamo neppure esattamente fidanzati.

- Ascolta.- Mi dice. - So che voi siete ancora un po’ piccoli. Potrà passare anche i primi suoi anni lì, all’orfanotrofio, ma basta che io sia nella certezza che dopo lo adotterete voi.-

Mi guarda, e sa bene a cosa sto pensando.
Improvvisamente si alza, facendo cadere la tazza vuota e quel che rimane dei biscotti sul tappeto.
Io mi volto verso di lei.

- Io… davvero…- comincio, senza sapere esattamente cosa dire. Ma lei mi interrompe.

- Ti chiedo solo… ehm… pensaci. Io tornerò.-

Si dirige verso la porta e se la chiude alle spalle.
E’ assolutamente incredibile come, nel lasso di mezz’ora, le cose possano cambiare in una maniera sconcertante. Pensieri si susseguono nella mia testa, e già inizio a programmare la mia prossima mossa, come mio solito. Solo che questa volta non mi riesce per niente facilmente.
Come farò ad affrontare questa situazione? Come farò a parlarne con Peeta?
Domande che non ottengono nessuna risposta.
Salgo le scale lentamente, apro la porta della camera e mi rimetto a letto con il ragazzo del pane. Come se nulla fosse accaduto. Come se nulla mi desse preoccupazione.

 Come se nulla, nella mia mente, stesse minacciando di farmi perdere la ragione.



Angolo autrice. [Leggete, perfavore (:]

Perdonate quest'obbrobbio. E' orribile, lo so, ma siete clementi... E' la mia prima FanFiction... Non sono per niente esperta. Comunque sia, se vi è piaciuta almeno un po', me la fate una recensione? 
Ci tengo a ricordarvi che più recensite (si recensioni 
positive che negative, ovviamente), più mi viene voglia di continuare e, di conseguenza, meno tempo mi ci vorrà per postare il prossimo capitolo. :)
Ad ogni modo, grazie per aver letto!
A prestissimo,

Rosie_posy *-*

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


        
























Un profumo delizioso mi inonda le narici.
 Apro gli occhi per lo stupore.
Mai avevo sentito un profumo così bello.
Un misto di vaniglia, limone… Non so esattamente dire che altro, ma so che, almeno per me, è meraviglioso.
Mi giro cercando il viso di Peeta, ma non trovo nessuno vicino a me.
Sussulto.

“Maledizione, deve finirla di sparire così!” penso, stizzita.

Mi rigiro dall’altra parte per vedere l’orario.
Sussulto di nuovo.
Le 16,39 del pomeriggio.
Menomale che non avevo molto sonno.
Solo ora mi accorgo del mio stomaco che brontola e si lamenta per la fame.
Nella mia gola però, il nodo persiste. I ricordi dei fatti accaduti qualche ora prima mi assalgono senza alcun preavviso,  costringendo il mio corpo e stendersi nuovamente
sul letto.
Uno strano senso di nausea aleggia nei pressi del mio stomaco. Ora brontola ancora di più.
Faccio dei respiri profondi.

“Insipira, espira. Insipira, espira.” Mi dico.

Devo trovare un modo per risolvere questa situazione. Ma ancor di più, devo trovare il modo di parlarne con Peeta, quindi, mi dico, trovare Peeta è il primo passo da dover
fare, ora come ora.
Costringo il mio cervello a ragionare, come ha sempre fatto.
Mi alzo dal letto, con il nodo che sembra essersi doppiamente appesantito, e con ancora quel vago senso di nausea. Ma non importa. Devo farcela.
Apro la porta della camera e, senza nessun preavviso, i profumo meraviglioso di prima investe tutto il mio corpo.
Chiudo gli occhi ed inspiro, quasi assaporando quel dolce profumo. Ha un effetto calmante su di me.
Mi precipito al piano di sotto, per trovare l’origine di quell’odore.
Trovo Peeta alle prese con un impasto, il forno acceso ed il tavolo ricoperto di biscotti caldi e fumanti.

“Ma certo.” penso tra me e me.

Sorrido impercettibilmente  alla vista di quelle mani forti e sicure che mischiano gli ingredienti.
Corro da lui e lo abbraccio da dietro. Il ragazzo del pane in un primo momento sussulta, inevitabile se si è partecipati per ben due volte agli Hunger Games, ma poi si tranquillizza, si gira e ricambia l’abbraccio calorosamente, come solo lui sa fare.
Affondo la testa nel suo petto e mi rendo conto che è intriso di quel profumo meraviglioso. Dio, quanto mi piace.
 Mi concedo, anche questa volta, un po’ di pace con il mondo intero, di dimenticare per un po’ ciò che mi tormenta e ciò che dovrò affrontare, prima o poi.
Avvicino le labbra al suo orecchio:

- Devi finirla di sparire così, chiaro? -  gli sussurro.

- Scusa. Volevo farti una sorpresa…- comincia, ma io lo interrompo.

- Beh, ti sei fatto perdonare, senza dubbio! - gli dico, con fare un po’ scherzoso.

Sciogliamo l’abbraccio.

- Peeta, questo profumo è qualcosa di… indescrivibile. E sono convinta che anche i biscotti lo saranno.-

Lui ne prende uno e me lo porge.

- Provare per credere! -  mi dice, sorridendo.

Lo addento velocemente e lo assaporo. E’ squisito. Mai assaggiato qualcosa di così buono.

Cerco la sua mano e gliela stringo.

- E’ buonissimo..- gli dico. - Anzi, buonissimo è poco.-

Ci sediamo e ne mangiamo altri, insieme. 
Finalmente trascorro un altro po’ di tempo in tranquillità. Mangiamo in silenzio, anche perché tra un biscotto e l’altro è quasi impossibile tenere una conversazione: la mia fame non lo permetterebbe.
Ripenso a come affrontare la difficile situazione in cui mi trovo. Non è affatto facile.
Una fitta di panico mi assale, improvvisamente.
Come farò a parlarne con Peeta? … E’ tutto così… confuso, tra noi.

Finisco di mangiare e vado un po’ fuori, a prendere un po’ d’aria. Ho bisogno di chiarirmi le idee e di cercare la ragione, quella che da un po’ tempo manca in me.
Mi siedo sul gradino davanti casa, come mio solito. Ma tutto trovo, tranne la ragione.
Anche guardando il bianco candido della neve mi ritornano in mente quelli che io chiamo i ‘Ricordi bui’. Sì, quelli che di solito mi fanno piangere.
E’ inevitabile. Comincio di nuovo a ricordare il corpo sbranato dagli ibridi di Cato, la sua voce che implorava aiuto, i gemiti, i lamenti. Comincio a ricordare di Rue.
Ecco. Il nodo in gola di prima si è triplicato. Mi manca il respiro.
Il mio cervello inizia a lavorare febbrilmente e, nonostante io continuavo a ripetermi ‘basta pensare, basta ricordare’, continuava ad espandere i miei ricordi ben oltre gli urli strazianti di Cato e la piccola Rue.

Un’ altra figura sbranata dagli ibridi si figura davanti ai miei occhi.
Occhi come il colore del mare, i suoi. Finnick. Colui che mi aiutò a trovare la ragione quando essa mancava. Quando Peeta non c’era ad accogliermi tra le sue braccia, c’era lui con i suoi nodi.
Nulla da fare.
Il senso di colpa investe il mio corpo, e lacrime calde cominciano a graffiare il mio viso. Strano pensare che prima mi ero concessa un po’ di pace.
Ora ho un oceano di ricordi da mettere da parte ancora una volta e sensi di colpa che, invece, non se ne andranno mai.
Quanto vorrei Finnick qui, vicino a me. Vorrei un suo consiglio, vorrei che mi aiutasse a recuperare quel po’ di ragione che mi era rimasta.

Mi alzo di scatto.
Non riesco più a stare seduta. Vado avanti e indietro, senza una meta.
Prendo mucchietti di neve in entrambi le mani, le stringo forte, finchè non diventano solo acqua.
Solo acqua che scorre via.
Quanto vorrei che i miei ricordi fossero come l’acqua. Che scorresserero via dal mio corpo e che non lasciassero tracce.

Dopo un po’ di tempo sento il rumore della porta di casa che si apre.

- Hey Katniss, ascolta, io…- si interrompe bruscamente – ma che… che succede?- si avvicina a me e mi guarda negli occhi.

Mi prende tra le sue braccia, mi stringe forte.

- Va tutto bene…- mi sussurra, e mi stringe ancora di più a sé.

Solo lui è capace di tranquillizzarmi così.
In quei pochi secondi di abbraccio, i ricordi sono fuggiti via, come respinti da una forza inversa.
Inspiro fortemente, e lascio che le ultima lacrime sgorghino e gli bagnino un po’ la maglia.
Solo lui è capace di darmi questo tipo di conforto.

E solo ora mi rendo conto di una cosa: ogni volta che uno di noi due verrà investito dai ‘ricordi bui’, ci sarà sempre l’altro a tranquillizzarlo, e a riportarlo qui, nella realtà, fra le sue braccia.
I nostri ruoli si alternano e capiscono esattamente di cosa ha bisogno l’altro. E, almeno per me, solo lui è capace di farlo.
Sciolgo l’abbraccio e lui mi sorride debolmente.

No, non so più resistergli.
Lentamente, avvicino le mie labbra alle sue.
Si toccano delicatamente, e posso finalmente assaporare quella sensazione di brivido che mi percorre la schiena. Le sue labbra sanno di… buono, di gentilezza.

Sanno del MIO ragazzo del pane.

Mi mancavano da morire.
Lui rabbrividisce tutto, ma io so che non è per il freddo.



Angolo Autrice. [leggete, perfavore (:]
Spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto.
Ci terrei a ricordarvi che più recensite, più mi verrà voglia di continuare e scrivere nuovi capitoli e, di conseguenza, meno mi ci vorrà per pubblicarne un altro.

Ad ogni modo, ci terrei davvero tanto a ringraziare coloro che mi seguono e che recensiscono. Insomma: grazie, grazie, grazie! *-* (Siamo arrivati a ventidue recensioni totali, fino ad ora! Non sapete quanto questo mi renda felice! :D )

(Ovviamente anche recensioni negative, nel caso la storia non vi sia piaciuta).
Beh, cos'altro dire... A me questo capitolo piace, perchè finalmente i nostri due protagonisti si sono ritrovati. (:
A prestissimo,
Rosie_posy.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


    
































La consapevolezza del fatto che io e Peeta siamo di nuovo insieme, del fatto che le mie labbra abbiano toccato le sue per pochi secondi, provocandomi brividi di piacere, mi rende più felice di quanto io non sia mai stata.
Ciò vuol dire che, anche nei momenti più difficili, più tenebrosi, ci sarà l’altro su cui potremo contare. Non che prima fosse diverso, no. Lui, solo lui, c’è sempre stato per me.
Ed io, io non sarò da meno. Ci sarò sempre per lui. E queste non sono solo parole, questa è una promessa. Una sfida contro tutte le forze negative che minacceranno le nostre menti di perdere la ragione, contro tutti i ricordi che, se non respinti, finiranno per lasciare solo vuoto negli occhi, nelle membra.
Ed è proprio questo che noi faremo.

Li respingeremo.
 

Cammino senza una meta precisa, andando avanti e indietro, tra gli alberi e tra le rocce dei Boschi del Distretto 12.
Peeta, questo pomeriggio, mi ha confessato di voler andare giù alla panetteria, o almeno a quel che ne rimane.
Avevo previsto che una cosa del genere potesse accadere, dopotutto lì c’era cresciuto.
Aveva vissuto ben sedici anni della sua vita con la famiglia, infornando e sfornando pagnotte e decorando minuziosamente centinaia di torte che io e la mia famiglia potevamo solo sognare.
Sono troppo nervosa per sedermi e ragionare, o almeno per scoccare qualche freccia e uccidere uno scoiattolo o un coniglio.
Non riesco neppure vagamente a concentrarmi, pensando a quel che Peeta stia provando guardando quelle rovine.
Ovviamente, appena lui mi ha confessato di voler andare lì, mi sono subito offerta di accompagnarlo.
Volevo davvero. Avrei voluto sostenerlo, abbracciarlo, alla vista di quel mucchio di ciottoli, cenere e altri pezzi di quel che una volta doveva essere proprio il forno, o cose simili. Lui ha rifiutato, dicendomi che, almeno per questa volta, doveva fare dei conti con il suo passato.
Io so cosa si prova. L’ho vissuto in prima persona, quando, alla fine dei nostri secondi Hunger Games, ho visitato tutto il Distretto 12 o, anche in quel caso, di ciò che ne era vagamente rimasto.
Vedere poi le Ville dei Vincitori, poi, per me fu un colpo secco.
Erano lì, intatte, lustre e pulite, come per ricordarti cose come

“Voi avete ucciso, avete vinto i Giochi della Fame, siete potenti, ricchi, siete degni di avere ancora una casa, di essere ancora in vita, ma solo per vedere che gli altri non meritano né l’una né l’altra, che gli altri semplici abitanti valgono meno di niente per noi”

e, pensare che per loro uccidere significa essere degno di una vita felice e di una casa lussuosa, mi fa venire il voltastomaco, provocandomi grandi fitte al cuore, facendomi sentire ancora più in colpa.
Noi non abbiamo mai voluto nulla di tutto questo, e pensare che delle persone del tutto innocenti ed indifese ci abbiano rimesso la vita, mi fa sentire ancor più male.

Un rumore di fogliame dietro di me mi risveglia dai miei ricordi, dai miei pensieri. Mi giro di scatto, con occhi vigili. Intravedo uno coniglio bianco passare da una roccia e l’altra, con fare impaurito.
Controllando i miei movimenti rendendoli meccanici ma efficaci, riesco a recuperare arco e faretra molto silenziosamente.
Incocco la freccia, tendo al massimo l’arco. Prendo bene la mira, e le mie dita si staccano velocemente dall’estremità superiore della freccia.
Un forte rumore rimbomba nell’aria. La freccia ha colpito una roccia, spezzandosi letteralmente in due.
L’ho mancato.
Mancato.
Delusione si dipinge sul mio volto, insieme ad un senso di rabbia.
Non ho mai mancato una preda tanto facile quanto vicina a me.
Il mio viso produce una smorfia, non so neanche esattamente indicata a chi.
So solo che non ne posso più di stare qui con le mani in mano, mentre Peeta starà combattendo contro ricordi, contro le lacrime che pian piano cominceranno a rigargli il volto.
Devrò esserci io, a stringerlo fra le mie braccia e consolarlo, come lui ha sempre fatto con me. Lui non sa che sono venuta qui nei boschi, per sfogare un po’ delle mie preoccupazioni, soprattutto riguardo lui.
Racimolo le poche cose che ho portato con me, ed esco dal confine dei boschi, pensierosa.
Fa freddo. Anzi, dire che fa freddo è poco. Ad ogni mio respiro si formano nuvolette di vapore condensato.
Mi avvicino sempre di più alle rovine de
lla panetteria ma, appena arrivata, non vedo nessuno.

“Maledizione” penso.

Dove può essersi cacciato? Dopotutto non può essere passata più di mezz’ora da quando è arrivato.
La mia mente lavora febbrilmente su dove potrebbe essere, e perché.
Visioni di lui, triste, malinconico e solo mi si presenta davanti.
Non dovrei permetterlo, penso, a denti stretti.
Mi avvio verso casa, con la convinzione che è solo quello il luogo dove potrebbe trovarsi, quando scorgo la sua figura in lontananza, camminare verso i boschi, a testa bassa.
Rimango pochi secondi a guardarlo, sorpresa. Dopotutto lui non sa che io sono stata lì, e non avrebbe nessun motivo per andarci, suppongo. E poi, inoltre, non ha la minima idea delle strade del bosco, potrebbe perdersi nel giro di dieci minuti.
Finisco di elaborare questi pochi pensieri, ed infine cerco di seguire i suoi passi nella neve.
Riesco ad entrare silenziosamente nei boschi, e dopo pochi minuti di cammino, vedo Peeta seduto su una roccia, le gambe strette al petto, lo sguardo vuoto avanti a sé.  Mi ricorda vagamente Annie, ma scaccio via subito quel pensiero.
Lui non finirà come lei, perché ci sono io.
Esco allo scoperto, ma lui non ci neppure vagamente caso. Continua a tenere lo sguardo su una pianta avanti a lui, finche non mi accovaccio esattamente dinanzi alui, prendendogli il viso fra le mani e scostandogli un ciuffo dal viso.
Lui mi guarda sorpreso.

- Che fai, mi segui, dolcezza? –

Imita la voce di Haymitch.
Fa di tutto per non sembrare in qualunque modo triste, in colpa, o malinconico.
Lo ammiro per questo, cerca di nascondere i suoi sentimenti negativi, e questo talvolta può essere molto utile. Io ne so qualcosa. Ma con me non funziona, dovrebbe saperlo bene.
Non serve a nulla indossare una ‘maschera’ anche nella presenza di chi ami.
Lo guardo negli occhi, io accenno un piccolo sorriso, ma poi ritorno subito seria, come per fargli capire ciò che ho appena pensato, come per fargli capire che non serve fingere.
Lui abbassa lo sguardo verso il terreno. Ha capito ciò che volevo comunicargli, come sempre.
Mi piace quest’intesa fra noi. Come riusciamo a comunicare solo con gesti, sorrisi, sguardi. Non servono parole.
I suoi occhi diventano lucidi, ma continua a trattenere le lacrime. Ancora e ancora.
Gli prendo ancora una volta il volto tra le mani, costringendolo a guardarmi.
Vorrei spiegargli che io ci sono, e ci sarò sempre. Che lui voglia parlarmi della sua famiglia, voglia sfogarsi di quello che ha provato andando nelle rovine del Forno, o che voglia confessarmi cosa è stato costretto a subire a causa delle torture in Capitol City.
Come spiegargli tutto questo? Io non sono mai stata brava con le parole, una frana a dirla tutta.
Così decido semplicemente di abbracciarlo, e di metterci tutta la dolcezza possibile.
Stringo le braccia al suo ventre, poggiando la testa sulla spalla.
Lui ricambia subito l’abbraccio, ed entrambi chiudiamo gli occhi al contatto.
Calore irradiano i nostri corpi, facendoci sentire molto meglio, sciogliendo quel gelo che un po’ si era formato dentro di noi.
Rimaniamo così non so per quanto tempo. Non abbiamo fretta di fare nulla, se non aspettare che il gelo e la  tristezza vengano respinti da una forza inversa che solo noi possiamo procurare all’altro.
Improvvisamente, si gira a guardarmi.

- Vieni. Devo farti vedere una cosa. Ti piacerà… credo. –

Non capisco minimamente ciò a cui si riferisce, ma non mi oppongo, e mi lascio trascinare da lui.
Zigzaghiamo tra alberi e cespugli incolti, dirigendoci verso il Prato.
A questo punto non so proprio dove voglia portarmi.
Aumenta la velocità del passo man mano che ci avviciniamo, ed io sono costretta ad imitarlo. Mi prende la mano ed intreccia le mie dita nelle sue.
Ad un certo punto si ferma di botto, ed io mi accorgo che siamo davanti a casa mia, anzi, nostra, ormai.
Lo guardo un po’ stranita ed un po’ irritata. Cosa deve farmi vedere a casa mia che io già non sappia?
Ha interrotto quel così bel momento, nei boschi.
Neanche il tempo di pensare o di chiedergli dove vuole arrivare, che mi ritrovo dentro casa a salire sulla terrazza, al piano più alto.
Non ci saliamo quasi mai, lassù. Ma non capisco comunque cosa vuole farmi vedere di tanto interessante che io già non sappia.
Ci ritroviamo avanti la porta a vetri della terrazza, e questo punto gli scocco uno sguardo tra l’innervosito ed il curioso. Lui mi rivolge uno sguardo divertito, in tutta risposta. Ciò non fa che aumentare la mia stizza.
D’un tratto, mi copre entrambi gli occhi con le mani. Io, del tutto impreparata, faccio per scostarle brutalmente, ma lui desiste.

- Dove vuoi arrivare? –

Gli chiedo, ormai spazientita.

- Fidati. –

Risposta più disarmante proprio non poteva darmela. Non posso oppormi a questa affermazione, perché di fatto io mi fido ciecamente di lui, e questo lo sappiamo entrambi.
Fatto sta che non ha lo stesso risposto alla mia domanda, ma che mi lascio andare, trasportata dal suo corpo dietro al mio.
Il fatto che io non possa vedere, mi fa sentire più vulnerabile, anche se concretamente non c’è nulla da cui proteggersi o da dover stare all’erta. Subito mi ricordo di ciò che ho provato nella mia prima Arena quando smisi di sentire da un’orecchio. Beh, la sensazione è quella, e non mi piace.
Sento le mie mani toccare la ringhiera che delimita la fine della terrazza.
Faccio per aprire bocca, ansiosa di sapere cosa diavola sta succedendo, quando lui toglie le mani dagli occhi.
In un primo momento vedo tutto un po’ più sfocato del dovuto, ma poi i miei occhi si abituano alla luce, e riesco subito a capire ogni cosa.
Avanti a me si presenta uno dei tramonti più mozzafiato che abbia mai visto.
Indescrivibile.

- Ti piace? …Io lo trovo… - sospira – meraviglioso. –  mi dice.

- Un po' meno carico. Più come... il tramonto. - sussurro io, guardando ancora quelle sfumature create dal sole. Non le ho pronunciate a nessuno, in
particolare. Solo in ricordo della nostra conversazione di circa un anno fa.


« Non è strano che io sappia che tu rischieresti la tua vita per salvare la mia, ma non... qual è il tuo colore preferito? »
Un lento sorriso mi compare sulle labbra. « Il verde. E il tuo? »
« Arancione » risponde.
« Arancione? Come i capelli di Effie? » mi sorprendo.
« Un po' meno carico » dice. « Più come... il 
tramonto. »
 

Il ricordo mi provoca un mezzo sorriso.
Peeta si gira a guardarmi, un po’ divertito.

- Cosa? – mi domanda, sorridendomi.

Punto il dito proprio verso il tramonto.

- E’ il tuo colore preferito. Arancione, come il tramonto. – gli rispondo.

- Te… te l’ho detto io? – mi domanda, un po’ sorpreso, ma serio.

- Sì… - gli sussurro. – Non…non lo ricordi? – gli prendo la mano.

- No. – dice, abbassando lo sguardo, gli occhi lucidi.

Mi accorgo subito di quel suo gesto, e stringo più a me.

- Ora lo sai. Non ti preoccupare – gli sorrido, maledicendomi per come ho rovinato tutto, come mio solito.

Spero di non avergli invocato ancora una volta gli orribili ricordi delle torture. Sono una stupida.
Lui mi accenna un sorriso di rimando.

- Il tuo, qual è? – mi chiede.

- Il verde. – sussurro.

- Verde come… -

- Come le foglie degli alberi – gli rispondo, ad una domanda ancora non formulata completamente.

Mi sorride.
Ora comincia a fare proprio freddo. Il sole cala sempre di più, e con lui la temperatura.

- Ho un’idea. – dice.

Prende due lettini che si trovano all’estremità della terrazza. Non li avevo neanche mai notati. Li avvicina, come per crearne uno solo, ma più grande. Prende un grande piumone dall’armadio della nostra camera al piano di sotto, ed entro due minuti ecco creato un piccolo “angolo relax”.

Mi ci tuffo dentro senza tanti complimenti.
Il mio corpo si riscalda pian piano, grazie al piumone, ma un brivido di gioia mi provoca ancora più calore, quando sento il corpo di Peeta vicino al mio.
Finalmente iniziamo a riscaldarci, vedendo gli ultimi bagliori irradiati dal sole, ammirando tutte quelle meravigliose sfumature. Mi rendo conto che è un po’ una pazzia, stare fuori con questo freddo, ma che importa.

L’intero mondo è pazzo.

Altri brividi invadono il mio corpo quando Peeta mi stringe di più a sé, ed inizia ad accarezzarmi delicatamente il capo.
Lentamente, alzo la testa in cerca del suo sguardo. Sprofondo nei suoi occhi, negli abissi marini che vi ci sono.
Lui avvicina le sue labbra alle mie, e mi sfiora delicatamente.
Non potrei essere più in pace con il mondo di così. Mi godo il momento il più che posso, perchè so che purtroppo non durerà all'infinito.

Intreccio le mie gambe nelle sue e, pian piano, cado addormentata in una valle che, almeno questa volta, spero non sia fatta solo di incubi.





Angolo Autrice [leggete, perfavore (:]
Kakzxsqakcnwdnhvcwvb, perdonate l'immeeeenso ritardo.
Ecco qui il settimo capitolo.
Non mi sarei neanche lontanamente immaginata che venisse così lungo alla fine, e spero con tutta me stessa di non avervi annoiato.
Questo capitolo, vede consolidarsi il rapporto fra Katniss e Peeta ancor di più. E' particolarmente Fluff, come forse avrete notato, ma non vi preoccupate, nel prossimo prevedo che accadranno alcune cose. (Non voglio spoilerarvi nulla! u.u)
Bhe, cos'altro dire... Ci tengo a ricordarvi, come sempre, che più recensite più mi verrà voglia di continuare a scrivere altri capitoli e, di conseguenza, meno tempo mi ci vorrà per pubblicarli.
Devo informarvi che, però, io domenica partirò (*w*, era ora), ma spero di avere il tempo di aggiornare il prima possibile.
Mi farebbe tanto piacere trovare tante recensioni al mio ritorno *w* (sia 
positive che negative, ovviamente, perchè si può sempre migliorare).
Per ora, ci arriviamo alle dieci recensioni? c:
Su, su, ghiendaie! (?)
Alla prossima e buone vacanze,

Rosie_posy (con l'impressione di avervi ormai annoiato a morte :3)

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***






















...
-  Dove vai, ora?! – panico ormai evidente è celato nella mia voce.


Un Peeta estremamente arrabbiato cammina a passo svelto verso la porta di casa. Per andare via.
Andare via per sempre?
Questo non lo so, ma il solo pensiero provoca fitte dolorose nei pressi del petto.

- All’inferno. – mi urla di rimando mentre esce del tutto.

Senso di nausea ormai si è aggiunto alla mia sgradevole sensazione di panico ed alle mie fitte al petto, quando, improvvisamente, la porta si riapre violentemente, sbattendo contro il muro e provocando un gran tonfo.
Alzo velocemente lo sguardo per trovarmi davanti …
Finnick.
No, qualcosa non quadra.
Sono pazza, ecco ciò che sono ormai diventata. Una stupida pazza.

- Stai mettendo da parte una questione importante, Katniss. - mi sussurra minacciosamente.

- Cosa…? -

- Tu stai mettendo da parte la questione delicata del MIO bambino, per paura di affrontare la situazione, per paura di parlarne con Peeta. - mi sussurra ancor più minacciosamente, avvicinandosi a me.

- Io…io… - io non capisco nulla di quel che sta succedendo. Non può essere una cosa normale. Faccio per parlare ma lui mi interrompe.

- Ti credevo più coraggiosa, Katniss. Ti credevo più sincera. - sussurra ormai al mio orecchio.

Ma prima di capire il senso delle sue frasi, una cosa mi fa sentire letteralmente male, provocandomi vomito e nausea. Il mio viso sbianca, perché ho appena recepito il suo alito. Il suo alito che sa di sangue.
Indietreggio febbrilmente verso le scale. Sento l’odore del sangue ormai dappertutto, sgradevole e minaccioso. E’ come se il mio stesso corpo ne fosse impregnato. Abbasso lo sguardo per controllare che non ci sia davvero del sangue quando, improvvisamente e nel giro di un attimo, sento di nuovo il suo sussurro.

- Vuoi sapere cosa si prova, Katniss? -

Anche questa volta non mi lascia neppure il tempo di assorbire le sue parole, che una fitta si estende lungo tutto il mio braccio. Sangue scorre lento e minaccioso, e lacrime cominciano a graffiare il mio viso, come fossero fatte con lame d’acciaio.
Finnick comincia a staccarmi a morsi, nel vero senso della parola. Sangue denso scorre e sporca tutto e, quando ormai sono in fin di vita, riesco a sussurrargli impercettibilmente

- C-cosa s-si prova a fa-ar c-cosa? -

- Ad essere sbranati. -

E poi?
Poi tutto buio, mentre un’ultima lacrima riga il mio viso.
 
 
- Katniss! Katniss! Svegliati! -

Mani forti mi stringono le spalle, scuotendo il mio corpo.
Riapro gli occhi lentamente.
Era tutto uno stramaledetto incubo. I miei occhi incrociano quelli di Peeta, ansioso e preoccupato.

- Peeta…-  sussurro.
La mia gola è secchissima,mi sento uno straccio e non solo fuori, ma anche dentro. Sensi di colpa colpiscono l’interno delle mie membra a destra e manca, ed io non so più cosa fare.
Sembrava tutto così reale… Finnick che mi parlava del suo bambino… Peeta che se ne andava infuriato, e non ne so neppure la ragione.
Le braccia di Peeta mi circondano improvvisamente.

- Va tutto bene. - mi sussurra - Va tutto bene, ora. Ci sono io qui con te, capito? -

“No, non va tutto bene! Non lo capisci?...” penso disperatamente quando invece annuisco appena, il viso affondato nel suo petto.
Rimaniamo così per un po’, ma mai come ora, le sue braccia che mi cingono a sé, i suoi occhi celesti, il suo intero corpo vicino al mio, non mi sortisce alcun effetto consolatorio. Anzi, più lo tengo vicino più mi sento terribilmente in colpa, sia nei suoi confronti che in quelli di Finnick. Sta diventando una situazione più difficile di quanto già non lo sia di per sé e capisco, solo ora, che il mio incubo di poco fa è servito per mettermi in guardia in quanto, più lo continuo a trascurare, più diventerà difficile e grande, sopraffacendomi ed inghiottendomi nella sua oscurità.
Non so come, non so quando, ma oggi devo riuscire a parlare a Peeta.
Un bicchiere colmo d’acqua si para avanti ai miei occhi, ed io, senza pensare a nient’altro, comincio a bere con foga, mentre osservo Peeta che mi sorride tra il metà preoccupato, tra il metà divertito dal mio fare da “maschiaccio”.

-… Vuoi parlarne? -

Mi chiede poco dopo, ed io so bene a cosa si riferisce. Al mio incubo.
Agito febbrilmente il capo, da destra verso sinistra.
Per un attimo mi pare di scorgere un’espressione un po’ delusa dipinta sul suo volto, ed infatti aggiungo

- Io… mi dispiace ma ora.. non me la sento proprio…-

- Oh, no, non preoccuparti Katniss. Lo capisco perfettamente.- e mi sorride di nuovo, mentre una nuova ondata di ansia e senso di colpa mi investe.

E’ straordinario (quanto crudele, in un certo senso) come un incubo possa sconvolgere completamente tutto ciò che provi, tutto il tuo autocontrollo in pochi minuti. E’ decisamente crudele anche il fatto che ogni sogno, come incubo ovviamente, non duri più di cinque minuti ma, nella tua testa, sembra durare, ore, ore ed ore, rendendo i fatti più concreti e brutali possibile e protaendoli nel tempo così subdolamente.

- Ehm… vieni giù con me a fare colazione?-

Le sue parole fanno sì che la mia mente ritorni alla realtà.

- Uhm… sì, ma preferisco prima farmi una doccia.-

Evito accuratamente di guardarlo negli occhi, perché ogni volta che incrociamo i nostri sguardi mi vengono fitte di sensi di colpa, aggiunti ad un senso di ribrezzo che provo per me stessa. E poi, fra l’altro, ogni volta che Peeta cerca il mio sguardo, trovandolo, è come se mi leggesse nel pensiero ed è inevitabile che scopra
che in realtà c’è qualcosa che non và.
Si accorge del mio strano atteggiamento e, guardandolo in tralice, scopro che mi guarda stranito prima di dirmi

- Bene, così avrò il tempo di riscaldare alcune pagnotte e di prepararne qualche altra. -

Mi precipito in bagno senza ulteriori indugi e apro il rubinetto della doccia. Lo scosciare dell’acqua sortisce su di me un effetto calmante, per quanto possibile. Mi ci
tuffo dentro e non faccio altro che pensare, pianificare, programmare, mio malgrado.
Esco dalla doccia, con la convinzione che in un modo e nell’altro, oggi dovrò parlare a Peeta di tutto. Tutto. E liberarmi di questo peso che mi opprime così tanto.
Scendo a fare colazione, quando mi trovo avanti un cestino di vimini particolarmente grande, con dentro le pietanze più buone che siano mai state viste. Biscotti, pagnotte, fette di torte alla frutta ed al cioccolato, succo di frutta e latte. Sospetto che i biscotti siano alla vaniglia ed al limone; i miei preferiti.
Guardo Peeta interrogativa, con una mezzo sorriso stampato sul volto.

- Beh, ho avuto un’idea. Oggi è una giornata particolarmente bella, non c’è neve, e non fa molto freddo. Se andassimo a fare colazione nei boschi? …Insomma, magari per distrarci un po’…-

Sembrava stranamente impacciato. Mai visto così, anche perché quando parlava era sempre molto sicuro, riuscendo a convincere anche il più pazzo dei pazzi a non buttarsi da un ponte, anche quando egli è a un secondo dal farlo. Di sicuro non sono l’unica a nascondere qualcosa, qui dentro.

- Sì! Bella idea. -

E mi piace veramente, quest’idea. Certo, stravolge un po’ i miei piani, ma dopotutto da cosa nasce cosa, e può darsi che lì riuscirò a parlargli. Devo ammettere che il solo pensarci mi mette ansia, tristezza. Ma dove s’è mai visto che io reagisco così?!
Ora anche rabbia mista ad un senso di delusione si aggiunge a tutti gli altri sentimenti che sto provando, mentre io e Peeta ci avviamo nei boschi.
Poco dopo, troviamo una posto per accamparci, sotto alcuni alberi sempreverdi. C’è aria fresca che mi accarezza il viso, ma non è insistente.
Dopo aver mangiato quelle squisitezze, Peeta appare più impacciato nei movimenti, cosa che non sfugge ai miei occhi vigili.

- Insomma, Peeta… C’è qualcosa che non va?- gli chiedo con un sospiro.

Lui sospira a sua volta.

- Beh, ecco… E’ da un po’ che ci penso Katniss… Ma non volevo mai parlartene, perché in reltà non ero sicuro neppure io.-

Gli rivolgo uno sguardo interrogativo, come per incitarlo ad andare avanti.

- Ecco… Io stavo ripensando di riaprire la panetteria. Devo iniziare a lavorare, per il mio… il nostro futuro. Ora che il Distretto 12 si sta ricostruendo, credo che ne valga la pena.-

Si guarda i piedi, trovando le sue scarpe particolarmente interessanti. Mi stupisco di tanto imbarazzo; insomma, a me sembra un’ottima idea. Con i soldi della vincita potremmo, pian piano, lavorarci su.
Gli prendo il volto fra le mani, e gli sorrido, mentre l’ennesima ondata di senso di colpa mi travolge ma, questa volta, non ci bado minimamente.

- Credo sia un’ottima idea, sai? Insomma, è un segno di ripresa in tutto e per tutto, no?-

Lui mi sorride gentile di rimando.

- Bene! Sai… per il nostro futuro può essere molto utile riaprirla. E poi - e qui arrossisce appena- non mi dispiacerebbe mica vedere dei marmocchi che
scorrazzano qui e lì durante la ripresa, no? -

Mi sorride un po’ imbarazzato ed un po’ sollevato.
Ora capisco perfettamente a cosa voleva arrivare, e cosa nascondeva, ma le mie reazioni, purtroppo, sono evidenti anche al più cieco.
Sbianco, mi irrigidisco e cambio totalmente espressione. Neppure il tempo di pensare a nasconderli, come ho sempre fatto, che eccoli lì. In bella vista.

- C-cosa c’è? … Io scherzavo! Cioè, sì, insomma mi piacerebbe sul serio.. però… Cioè, so bene che è presto.-

- M-ma io non capisco…-  sospiro lievemente.

- Non capisci? … Cosa?- mi risponde.

- Io non vorrò mai dei bambini! T-tu non puoi dire sul serio! Pensavo lo sapessi! -

 Parlo molto più furiosamente di come avevo intenzione di fare, ma la mia mente ed il mio tono di voce sono effetto della grande pressione a cui sono sottoposta, soprattutto riguardo questo cruciale argomento. E’ come se quella innocente frase pronunciata da Peeta mi avesse tratto in inganno, del tutto di sorpresa.
La sua espressione cambia a distanza di un secondo, ed io mi mordo la lingua talmente forte da sentire il sapore più da me odiato; quello del sangue.

- C-cosa?! Non capisco,sul serio. Perché non vorresti averli? E poi come, di grazia, avrei fatto a saperlo se tu non me ne hai neppure lontanamente parlato?! -

- Beh, è così che stanno le cose. Io non ho mai voluti, non vorrò, e non voglio tutt’ora avere dei bambini. Cosa gli diremo quando sentiranno la madre urlare nel sonno, la fronte imperlata di sudore, o quando il padre avrà uno dei suoi attacchi e rimarrà per ore aggrappato ad una sedia, guardando il vuoto avanti a sé?! -

Come fa a non capirmi?! Rabbia ora occupa la maggior parte di me.
Ma appena i nostri guardi si incrociano, non vedo il suo volto segnato da rabbia, ma da vuoto, che è peggio.

- Glielo spiegheremo a tempo debito, Katniss. Loro non potranno vivere nell’ignoranza per sempre, dovranno sapere, dovranno essere a conoscenza di tutte le crudeltà avvenute proprio dove loro vivranno poi. Ne dovranno essere a conoscenza proprio per evitare che tutto ciò ricapiti, in un modo o nell’altro. Non capisci? -

La sua voce suona quasi calma alle mie orecchie.
Scuoto la testa a destra e sinistra, lentamente.

- Quella che non capisce qui non sono affatto io. E se gli Hunger Games venissero ri-istituiti, Peeta?! Cosa gli succederebbe?! -

- Beh ma queste sono paure ed incertezze infondate, Katniss! Non vedi?! E’ come dire “Che senso ha continuare a vivere? E se fra poco venissero dei
Pacificatori nuovi ad ucciderci?” nella vita tutto è imprevedibile, ed io pensavi che l’avessi capito. E poi, insieme possiamo farcela! - guarda un attimo a terra, pensieroso, mentre io lo gurado, spazientita, arrabbiata e stanca. - o, forse… forse… tu non vuoi farli con me. Probabilmente tu non mi ami con io ti amo. -

La sua espressione appare improvvisamente pervasa da un senso di tristezza disumano.

- Cosa?! Sei impazzito? Ascolta. Ti sbagli. Io ho sempre rifiutato di avere figli, e tu non c’entri niente. Niente e nessuno mi farà cambiare idea, ma ciò non vuol dire che io non ti ami.-

Ma l’espressione di Peeta era divenuta, se possibile, ancora più delusa, arrabbiata e triste.
Com’è possibile che fraintenda in questo modo?!

- Mi dispiace per te, sai?! Ti neghi una delle cose più meravigliose che la vita ci offre, solo per un’incertezza.-

Neppure il tempo di assorbire le sue parole, che già arranca dei passi, verso l’uscita dei boschi.

- Peeta!- gli urlo. - Peeta! Non è possibile che tu la pensi così!-

Silenzio. Vuoto, ed interminabile silenzio.

- Dove vai, ora?! -  panico ormai evidente è celato nella mia voce.

- All’inferno.- mi urla di rimando, uscendo del tutto dalla zona dove abbiamo mangiato.

Un senso di tristezza m’invade.

-No… no…- sussurro a me stessa.

Stringo i pugni, tanto da lasciare che le unghie mi graffino a sangue i palmi delle mani.
Poi, una strana certezza si fa strada dentro me. Le stesse, identiche parole, ce le siamo scambiate anche nel mio incubo. Com’è possibile?! La stranezza di questa cosa mi lascia l’amaro in bocca. Davvero non riesco a capire. Ma, in questo momento, non posso proprio occuparmene.
Racimolo le poche cose rimaste e mi avvio verso casa.
Il ragazzo del pane, l’unico che mi sia stata vicina, l’unico con cui condividevo tutto, è andato via.
Ma lui davvero non capisce. Io lo amo con tutta me stessa, ma è inevitabile; se c’è una cosa di certo in questa vita è che nessun bambino sarà mai ospite nel mio grembo.
E, con questa convinzione, torno a casa trovandola irrimediabilmente vuota. Non che mi aspettassi altro. Trascorro il resto della giornata cercando di non pensare a quanto accaduto, per quanto questo mi sia impossibile. Ceno con poche cose avanzate e, con assoluta certezza di passare una notte insonne, mi dirigo in camera.
 
Le 3:25.
Non ho chiuso occhio neppure per la miserabilità di cinque minuti. I sensi di colpa continuano a sopraffarmi. Tristezza, rabbia e delusione impregnano ogni parte di me e, in tutto questo, una sola frase mi aleggia continuamente nei pressi del cervello:
Perché è tutto così difficile?
 
Inaspettatamente, però, riesco improvvisamente ad abbandonarmi alla bellezza del sonno. Sì.
Bellezza. Se solo non fosse che anche se per due miseri minuti, gli incubi non fanno che assalirmi.
 
 


-  Dove vai, ora?! – panico ormai evidente è celato nella mia voce.
Un Peeta estremamente arrabbiato cammina a passo svelto verso la porta di casa. Per andare via. 
Andare via per sempre?
Questo non lo so, ma il solo pensiero provoca fitte dolorose nei pressi del petto.
- All’inferno. – mi urla di rimando mentre esce del tutto.
Senso di nausea ormai si è aggiunto alla mia sgradevole sensazione di panico ed alle mie fitte al petto, quando, improvvisamente, la porta si riapre violentemente, sbattendo contro il muro e provocando un gran tonfo.
Alzo velocemente lo sguardo per trovarmi davanti …
Finnick.
No, qualcosa non quadra.
Sono pazza, ecco ciò che sono ormai diventata. Una stupida pazza.
- Stai mettendo da parte una questione importante, Katniss. - mi sussurra minacciosamente.
- Cosa…? - 
- Tu stai mettendo da parte la questione delicata del MIO bambino, per paura di affrontare la situazione, per paura di parlarne con Peeta. - mi sussurra ancor più minacciosamente, avvicinandosi a me.
- Io…io… - io non capisco nulla di quel che sta succedendo. Non può essere una cosa normale. Faccio per parlare ma lui mi interrompe.
- Ti credevo più coraggiosa, Katniss. Ti credevo più sincera. - sussurra ormai al mio orecchio.
Ma prima di capire il senso delle sue frasi, una cosa mi fa sentire letteralmente male, provocandomi vomito e nausea. Il mio viso sbianca, perché ho appena recepito il suo alito. Il suo alito che sa di sangue.
Indietreggio febbrilmente verso le scale. Sento l’odore del sangue ormai dappertutto, sgradevole e minaccioso. E’ come se il mio stesso corpo ne fosse impregnato. Abbasso lo sguardo per controllare che non ci sia davvero del sangue quando, improvvisamente e nel giro di un attimo, sento di nuovo il suo sussurro.
- Vuoi sapere cosa si prova, Katniss? - 
Anche questa volta non mi lascia neppure il tempo di assorbire le sue parole, che una fitta si estende lungo tutto il mio braccio. Sangue scorre lento e minaccioso, e lacrime cominciano a graffiare il mio viso, come fossero fatte con lame d’acciaio.
Finnick comincia a staccarmi a morsi, nel vero senso della parola. Sangue denso scorre e sporca tutto e, quando ormai sono in fin di vita, riesco a sussurrargli impercettibilmente 
- C-cosa s-si prova a fa-ar c-cosa? - 
- Ad essere sbranati. - 
E poi vedo solo rosso. Rosso sangue.
 



Spalanco gli occhi nella fredda notte.
Le orribili visioni del mio incubo sono ancora impresse nella mia mente. Ingoio a fatica.
Ora, mai come ora, necessito di quel mio rifugio.
Le braccia di Peeta. Anzi, no,non solo le braccia, calcolato il livello del mio terrore, ma lui. Peeta.
Tutto se stesso, i suoi occhi celesti, i suoi capelli biondi, la sua voce calmante, le sue braccia forti.
Senza neanche pensare a ciò che faccio mi dirigo verso il comodino.
Apro l’ultimo cassetto.
Una piccola cosa sferica scintilla dall’aria quasi sinistra al bagliore della luna.
La perla.
La prendo fra le mie mani.
Dove sei? Dove sei, ragazzo del pane?
La stringo più forte che posso al mio petto, mentre una minuscola lacrime fugge dal mio controllo.

Ho bisogno di te. Ora più che mai.





Angolino fatto per metà d'aria, per metà d'acqua.
L'ANGOLO DI ARIACQUA.

 

Tadàààààààà, capitolo otto servito, dopo tanto, ma tanto tempo di pausa. Non preoccupatevi, ora gli aggiornamenti saranno più frequenti ovviamente.
Che dire, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Ringrazio infinitamente le 50 persone che SEGUONO questa storia, le 21 persone che la PREFERISCONO, le 8 che la RICORDANO e, specialmente, un grazie immenso va alle 39 persone che la RECENSISCONO. 
Grazie, davvero, ad ognuno di voi.
Ma mi sento in dovere di ringraziare particolarmente le mie recensitrici veterane, come:

Jack Burton - Karen Adnimel - arimo - missZoeBrown - amicafelice.
Un grazie davvero speciale va a voi, che sopportate da un po' più di tempo di altri questi piccoli scritti.
Spero vivamente che questo capitolo arrivi almeno alle dieci recensioni, così almeno la mia autostima potrebbe raggiungere un livello che si avvicina alla decenza. :')
Alla prossima, 
La vostra Ariacqua. (EX Rosie_posy). 

Ah, se vi va, venite a leggere la mia nuova shot. Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate!

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1254582&i=1 

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