Ricorda. Sei tu la mia luce

di AstridxAndros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il primo giorno di scuola... ***
Capitolo 2: *** tutto grazie ad un panino. ***
Capitolo 3: *** Edoardo cosa nascondi? ***
Capitolo 4: *** la festa. brutte sorprese... ***
Capitolo 5: *** non posso permetterlo... ***
Capitolo 6: *** Paura. il signor Elia ***
Capitolo 7: *** non più il deserto della vita, ma il bosco rigoglioso. e lo affronteremo insieme. ***



Capitolo 1
*** il primo giorno di scuola... ***


-oggi  niente scuola, facciamo prima a tornarcene a casa- dissi sbadigliando alla mia migliore amica. Eravamo appena scese dall’auto accompagnate dai nostri genitori per il primo giorno di liceo.
-si come no! credi che il preside chiuda la scuola dato che tu hai sonno?- chiese sarcastica, io iniziai a pulirmi gli occhiali che con quella leggera pioggerella si erano bagnati.
-no, la chiuderà perché qualcuno l’ha allagata…- fece per ribattere quando vedemmo una grande massa di ragazzi davanti ai cancelli,
-scusa, che è successo?- chiesi ad una ragazzina che mi stava davanti,
-la scuola è allagata,  il preside sta’ parlando con i professori, credo che rimanderanno l’apertura…- disse fintamente felice.
-io vi aspetto in macchina!- esclamai, poi girai su me stessa e tornai all’automobile.
-mi dici come hai fatto?!- mi sussurrò Eleonora, io la guardai perplessa,
-cosa?- chiesi,
-a sapere della scuola!- esclamò alterata,
-ho visto delle persone che tornavano indietro e quindi l’ho dedotto…- mentii, ma non potevo dirle la verità.
****
Due giorni dopo la scuola riaprì.
il preside aveva fatto un discorso interminabile sull’onestà e sul rispetto per le cose pubbliche che io reputavo inutile. Nessuno degli studenti appena arrivati avrebbe fatto una cosa del genere senza un motivo. Certo, lo stesso non si poteva dire per quelli bocciati…
Dopo averci smistato nelle classi i professori si presentarono e ci divisero nei banchi.
La professoressa di italiano era abbastanza severa, ci smistò tra maschi e femmine, diceva che dovevamo abituarci a fare amicizia con tutti.
-Fabiani all’ultimo banco sulla destra con…- guardò negli occhi tutti i ragazzi, alcuni di loro rabbrividivano al suo sguardo, altri rimanevano immobili.
-elia…- c’era una punta di disprezzo nella voce. Mi voltai verso il ragazzo, era lui. Affacciato alla finestra si voltò svogliatamente e prese il posto accanto al mio.
****
-Edoardo Elia!-  il preside aveva spalancato la porta e si dirigeva a grandi passi verso il mio banco,
-è tuo questo portacolori?!- chiese arrabbiato, il giovane lo rigirò tra le mani,
-si, è quello dell’anno scorso… ma perché lo ha lei? Io credevo di averlo…- l’uomo lo bloccò,
-il signor Paolo lo ha trovato Lunedì!- esclamò furioso,
-dì la verità, sei stato tu ad allagare la scuola?!-  il giovane rimase impassibile,
-mi scusi… io ho trovato quel portacolori in mezzo al corridoio Lunedì, io l’ho portato da Paolo, e come io l’ho trovato chiunque può avercelo messo… oppure come tanti e come me può essere venuto a chiedere se il giorno dell’apertura era oggi, e può averlo perso- constatai calma.
L’uomo parve calmarsi.
-si… forse hai ragione… quel giorno è venuta tanta gente comunque… scusate… è da martedì che cerchiamo quel vandalo…- poi si congedò. Ero sempre più convinta che il preside fosse un tipo strano.
****
-ma che ti è saltato in mente?!?!- Eleonora era arrabbiata,
-perché che ho fatto?- chiesi fintamente perplessa,
-come che hai fatto?! Ora il preside pensa che lo hai messo tu il borsellino in corridoio!- esclamò quasi spaventata,
-e che motivo avrei avuto? Sarei dovuta entrare a scuola, posare il borsellino uscire, rientrare, salutare Paolo tornare in corridoio prendere il borsellino e darlo a lui? Sarebbe troppo complicato!- scherzai, lei era seria,
-senti, appena sono entrata non avevo nulla né in mano né in tasca, ho abbracciato Paolo, prima andavo sempre a giocare con suo figlio, quindi lui può confermare che io non c’entro. Poi, abito in un altro paese e non ci sono autobus di notte lì! Quindi non sarei potuta venire ad allagare la scuola! e ora smettila di preoccuparti!- le scompigliai i capelli e cominciammo a scherzare.
****

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Capitolo 2
*** tutto grazie ad un panino. ***


I giorni passavano ed io e il mio compagno di banco non ci rivolgevamo la parola.
-posso parlarti un secondo?- chiesi dopo una settimana, lui mi guardò annoiato, era strano, ma sapevo cosa stava pensando, i suoi occhi mi dicevano tutto.
-non voglio fare né una dichiarazione d’amore, né cose del genere sta’ tranquillo- lo vidi incuriosirsi, anche se leggermente, poi seguirmi.
lo portai sul terrazzo, avevo scoperto quel posto un paio di giorni prima, nessuno ci andava mai, neanche i professori, era perfetto.
-coprirti non mi costa niente, ma posso sapere per quale assurdo motivo l’hai fatto?- chiesi diretta, lui tentò di nascondere la sua sorpresa,
-di che parli? L’hai detto tu stessa che il borsellino lì lo potrebbe aver lasciato chiunque- era la prima volta che sentivo la sua voce, era come me la immaginavo.
Edoardo aveva i capelli corvini che perennemente gli ricadevano sugli occhi. Occhi smeraldo, e fisico a dir poco perfetto.
-ripeto. Posso continuare a coprirti, ma almeno dimmi il motivo… ti ho visto quel giorno mentre uscivi dalla finestra dietro gli armadietti…- ora era palesemente sorpreso,
-perché non hai detto niente?- sussurrò abbassando il capo, io mi avvicinai alla ringhiera,
-perché mi hai fatto un favore! Mi hai risparmiato due interi giorni di scuola!- sorrisi.
****
Aprii la porta di casa stanca e annoiata.
-oh Lidia… non pensavo tornassi a casa così presto!- mia madre si era alzata scansando malamente un uomo,
-io… pensavo che non ci fosse nessuno…- ammisi,
-oh cara… tieni, ci dovrebbe essere ancora qualcosa… ecco… vai a mangiare qualcosa fuori va bene?- mi spinse fuori di casa  con un piccolo portamonete tra le mani senza che io potessi replicare.
-e dove vado a quest’ora con solo sette euro?- sospirai, poi iniziai a camminare.
Non era una cosa nuova che i miei genitori portassero “amici” dentro casa, quando succedeva io ero costretta a mangiare fuori. Ma erano già le tre, con meno di dieci euro non potevo andare al ristorante. Tutti i bar e i panifici erano chiusi a quell’ora.
Presi un autobus ed andai in città. Potevo usare solo un euro, gli  altri mi dovevano rimanere per il viaggio di ritorno. Comprai un panino con le patatine in una bancarella, distesa sull’erba di un parco iniziai a mangiare.
****
-dovrebbe essere quello il tuo pranzo?- chiese sarcasticamente un ragazzo. Solo dalla voce lo riconobbi, mi alzai. Lucas.
-mi piacerebbe poter dire di no- sorrisi, lui ghignò,
-poveraccia!- esclamò spingendomi di nuovo a terra, poi andò via.
Il panino era ormai finito per terra dando da mangiare a delle formiche, io sospirai. Perché doveva essere tutto così difficile? Perché non potevo avere una famiglia come quella di Eleonora? Che ti fa’ trovare il cibo caldo a pranzo e a cena, che ti aiuta con i compiti… dei genitori che stanno insieme veramente…
Iniziai a fare i compiti.
Dopo qualche ora qualcosa mi colpii in testa.
-scusa, ma non ho potuto fare prima…- un sacchetto con del pane e dei salumi, alzai lo sguardo,
-io non ho mangiato, e neanche tu! Posa quei libri e inizia a fare i panini!- vidi il mio compagno di banco sorridere per la prima volta.
-tu come lo sai?- chiesi stupita,
-ho visto quel ragazzo che ti ha fatto cadere il panino, ma ero occupato in quel momento- poi prese posto accanto a me.
****
-posso sapere cosa ci fai qui?- chiese, aveva deciso di studiare insieme a me. Era un tipo abbastanza strano. Prima è taciturno e non da’ confidenza a nessuno. Poi, d’un tratto, diventa intraprendente inizia discorsi e continua a scherzare… forese era questo ciò che nascondeva, ma ero sicura, c’era dell’altro.
-dovrebbero essere le sei…- finsi di non aver sentito la domanda, ma sapevo che non sarebbe servito a molto,
-una volta ho mangiato una rana- mi sfuggì un sorriso,
-poveretta…- sussurrai.
-allora mi ascolti!- ghignai colpevole,
-beccata- .
-hai almeno i soldi per tornare a casa?- chiese questa volta serio,
-non farti un idea sbagliata di me, ho pochi soldi solo perché sono uscita in fretta da casa, ma mi rimangono i soldi per l’autobus…- misi le mani in tasca, niente, i soldi erano spariti.
Mi guardai intorno mi dovevano essere caduti quando Lucas mi aveva buttato a terra.
-ehm… ritiro tutto…- dissi imbarazzata, lui mi guardò torvo,
-se non ci fossi stato io cosa avresti fatto?!- mi canzonò,
-non so cosa fare eppure tu sei qui!- replicai, dove avrei potuto guadagnare quei pochi spiccioli?
-tieni…- Edoardo mi lanciò i soldi, poi mise i suoi libri nello zaino,
-no, non voglio debiti, troverò un modo!- esclamai, lui sospirò,
-io ho un debito con te grande trenta volte il biglietto dell’autobus… prendi quei soldi e torna a casa…- era tornato il ragazzo freddo. Erano forse per ripagare il suo debito quelle attenzioni? Mi ero forse illusa che ci fosse qualcosa dietro a quel ragazzo?
****

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Capitolo 3
*** Edoardo cosa nascondi? ***


Entrai, la porta di casa si richiuse rumorosamente alle mie spalle.
-Lidia! Sei tornata finalmente! Ma dove sei stata?!- era chiaro il tono di rimprovero nella voce di mio padre,
-non si può fare un pranzo decente alle tre del pomeriggio in questo paese con sette euro in tasca…- constatai, poi mi chiusi in camera.
Mi ripetevo quelle parole da non so’ quante ore,
“ho un debito con te grande trenta volte il biglietto dell’autobus… prendi quei soldi e torna a casa”. La sua freddezza mi aveva colpito al cuore. Sembrava che fosse arrabbiato con me. Non era colpa mia se lo avevo visto quel giorno, ma di sicuro era merito mio se non l’avevano beccato. Cosa potevo avergli fatto?
Era stato carino con me per l’intera giornata solo per ripagare almeno un po’ il suo debito? Mi ero veramente illusa che dietro quel ragazzo ci fosse qualcosa di buono? Tante domande nessuna risposta…
****
-Ehi… cosa succede?- Eleonora era stata in silenzio per l’intera giornata,
-niente…- rispose triste,
-non ti prendi nemmeno la briga di fingere e poi credi di convincermi? Hai delle belle pretese!- sorrise,
-è che… credo che Simone mi voglia lasciare…- sospirò, io ci pensai,
-che giorno è oggi?- chiesi,
-il ventisette settembre ma che c’entra?-  sorrisi.
-dimmi una cosa, tu ti sei sempre fidata di me, vero?-  lei annuì perplessa,
-e non c’è stata mai una volta che ti ho deluso, vero?- scosse la testa,
-allora fidati di me. Non preoccuparti, sei una ragazza fantastica, e lui lo sa. Se volesse realmente lasciarti non aspetterebbe nemmeno un secondo, ti parlerebbe dei suoi dubbi, e ti direbbe le cose come stanno. Io scommetterei casa mia sul fatto che entro una settimana tutti i tuoi dubbi diventeranno stupide bollicine!- rise per  metafora poi mi sorrise felice.
Ogni anno si ripeteva la stessa storia, Simone le organizzava sempre qualcosa per il suo compleanno, metteva sempre tutto se’ stesso in ogni sorpresa, e così faceva lei. Ma ogni volta un paio di giorni prima uno di loro iniziava ad avere dei dubbi, e io ero costretta ad usare delle stupide metafore per convincerli.
****
Come al solito i giorni passavano e io ed Edoardo non ci rivolgevamo la parola.
Le ore passavano tranquille.
-ragazzi per domani voglio che facciate una ricerca con il vostro compagno di banco! A chi farà la ricerca migliore darò dieci sul registro!- cominciò il solito brusio, io gettai la testa sui palmi delle mani, la professoressa mi guardò comprensiva, credeva che fosse per il mio compagno di banco, ma lui non c’entrava affatto.
-oh, che entusiasmo- disse distaccato Edoardo, anche lui la pensava come la professoressa,
-non è per te, non preoccuparti, credo tu non sia tanto male come compagno di studio. E che non possiamo a casa mia… tu hai il computer vero?- chiesi speranzosa,
-certo per chi mi hai preso? Ma perché a casa tua non si può fare?-  guardai uno dei tanti disegni che avevo fatto nel banco, non potevo di certo dirgli che andando a casa mia avremmo potuto incontrare uno dei miei genitori con qualche “amico”.
-va bene, a casa mia…- si voltò verso la finestra e si morse il labbro, cosa aveva da nascondere?
****
-andiamo con la mia moto…- sospirò,
-ti da’ così fastidio che venga a casa tua?- chiesi non capendo il suo comportamento,
-no, certo che no… ma… c’è una cosa che solo… ecco…- si guardò intorno,
-Sali, te lo dico in un posto più sicuro…- cosa c’era di più sicuro dell’entrata di una scuola? cosa nascondeva quel ragazzo? Cosa nascondeva Edoardo Elia?
Ci eravamo spostati davanti al parco, lui prese un gran respiro chiudendo gli occhi, stava tentando di autoconvincersi, ne ero certa!
-il nome Giacomo, Robin Elia ti dice qualcosa?- io feci mente locale,
-dovrebbe essere il proprietario dell’impresa “Elia corporation” è famoso in quasi tutto il mondo, produce di tutto, dal vestiario alle automobili- avevo letto di lui su una rivista.
-e il nome… Alan Elia?- un lampo attraversò la mia mente e allora collegai,
-wow tu si che da grande avrai qualcosa da fare!- scherzai, lui era serio e perplesso allo stesso tempo,
-era questa la cosa che ti spaventavi a dirmi?- chiesi, piegando da un lato la testa,
-si ma… ecco… quando di solito lo dico a qualcuno questo inizia a trattarmi con i guanti quasi fossi un principe… mio padre mi ha fatto entrare in questa scuola segretamente… solo un professore sa’ chi sono…- abbassò gli occhi. Quella era una delle cose che teneva sempre dentro. Non riuscivo a capire, quando scoprivo qualcosa di nuovo su di lui, qualcosa che lo faceva in qualche modo stare male, compariva qualcos’altro, è difficile da spiegare… era come se scavassi una buca nella sabbia, più sabbia toglievo più ricadeva dentro.

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Capitolo 4
*** la festa. brutte sorprese... ***


Guardavo da cinque minuti buoni quella enorme villa,
-non iniziare ti prego, non iniziare…- Edoardo sussurrava queste parole, io riuscivo a sentirle appena,
-ma se la riempissimo di patatine fritte?- chiesi, mi immaginavo quella enorme villa senza tetto e stracolma di patatine, mi veniva l’acquolina al solo pensarci, lui invece scoppiò a ridere, era un po’ meno teso ora.
-posso tenermi alla tua maglietta?- chiesi con la faccia da cucciolo, lui mi lanciò un occhiata torva,
-scommetto che mi perdo qui dentro! E poi ti rimarrò sulla coscienza per sempre!- lui fece la finta faccia rassegnata, e mi porse un lembo della sua maglietta, sorrisi. Dopo un paio di scale e un po’ più corridoi arrivammo davanti ad una porta.
-ora puoi lasciarmi la maglietta siamo arrivati!- disse infastidito, faceva il distaccato, ma sapevo che era contento.
Entrati nella stanza faticai a tenere la bocca chiusa, era tutto fantastico!
-quale scegliamo come soggetto per la ricerca?- chiesi invece sedendomi sull’enorme letto.
-avevo pensato al Colosseo… ehi! Non ti hanno mai insegnato le buone maniere?!- mi ero sdraiata su quel morbidissimo letto, superava mille volte il mio, era spazioso e accanto aveva una finestra con una fantastica vista sul giardino, di notte doveva essere uno spettacolo.
-si che me le hanno insegnate!- mi lamentai.
-perché non mi hai mai invitata prima?- chiesi questa volta seria,
-non ti ho invitata, non c’era altra scelta!- mi corresse lui,
-e allora perché non mi hai mai invitata a casa tua?- continuai, lui si era seduto sul bordo opposto del letto.
-non lo so…- ammise,
-ci conosciamo da più o meno due settimane e tre giorni, è abbastanza da invitarmi a casa tua!- mi lamentai
****
-tu perché non hai voluto fare la ricerca a casa tua?- era serio, sapevo che la risposta a quella domanda doveva seguire quelle di tutte le altre. Sospirai.
-avevo paura di trovare mia madre o mio padre con qualcun altro. Capitava spesso anche quando ero piccola… fino a un anno fa’ quando tornavo da scuola e uno di loro stava… era con qualcuno  mi buttavano fuori di casa e io andavo a mangiare fuori… ma ora che torno tardi… ho imparato a tenere con me sempre i miei risparmi, loro mi buttano fuori di casa, non gli importa cosa farò poi… quel giorno del parco, mia madre mi aveva dato frettolosamente sette euro… in paese alle tre a parte i ristoranti, non c’è niente aperto… sono andata in città per questo…-  si era sdraiato accanto a me.
-d’ora in poi sii mia ospite…- l’aveva sussurrato, ma lo sentii comunque,
-ti senti solo in questa casa enorme?- chiesi,
-sempre… anche quando le cameriere stanno con me… sono tutti falsi…- sospirai.
-d’ora in poi… staremo l’uno affianco all’altro… non ci sentiremo più soli e abbandonati…- ci stringemmo la mano,
-lo prometto…- dicemmo.
****
-mi complimento con voi, avete fatto un ottimo lavoro!- la prof di artistica era al settimo cielo, avevamo trovato molte notizie sui gladiatori e con le ricostruzioni virtuali del monumento avevamo allestito un piccolo filmato dove si vedevano gli interni e alcuni cartelli dove ne venivano spiegati gli usi.
-dieci! Bravi, ve lo siete meritati!- era entusiasta, sapeva che in un solo giorno non avrei potuto fare tutto quindi era chiaro che ci eravamo divisi i lavori,
-Brava! Edoardo l’anno scorso non aveva mai lavorato in coppia con qualcuno!- mi sussurrò la prof prima di mandarmi a posto, io sorrisi.
Quel giorno era il compleanno della mia migliore amica. Aveva invitato tutta la classe i vecchi compagni e molti altri in una sala per i ricevimenti. Tutti i suoi compleanni erano in grande stile, era una ragazza abbastanza facoltosa, suo padre aveva un posto importante nelle industrie automobilistiche dell’ Elia corporation.
Ci eravamo riuniti tutti fuori aspettando la festeggiata. Edoardo non lo dava a vedere, ma era agitato, potevo leggerlo nei suoi occhi.
-suo padre ti conosce?- chiesi intuendolo dal suo comportamento, lui annuì continuando a guardare la strada,
-rimani indietro, parlerò io con lui prima che ti veda…- sussurrai notando la macchina, era sorpreso, non aveva ancora capito che l’avrei protetto a qualunque costo?
-Eleonora! auguri!- esclamai appena scese dalla macchina, così fecero tutti gli altri, mi liberai dalla folla ed intercettai il padre della mia amica.
-e importante che lei non faccia scenate, Alan Elia è nostro compagno di classe in incognito. Sta’ studiando i ragazzi che frequentano le superiori, nessuno di loro sa’ chi è e lei non deve farglielo scoprire!- l’uomo annuì deciso, sapeva come chiunque che essendo gentile con il figlio del capo, lui avrebbe avuto un posto di riguardo.
Sorrisi al mio nuovo amico, lui parve rilassarsi.
****
La festa era iniziata da qualche ora, e le “oche” della classe continuavano ad additarmi. Dopo il taglio della torta e l’apertura dei regali una di loro attirò l’attenzione di tutti.
-sapete cosa mi da’ fastidio? Che ci siano persone che pensano di essere migliori di tutti pur essendo le peggiori.-
-e sapete una cosa? Una persona così si trova proprio nella nostra classe!- mormorii si alzarono dalla sala,
-Lidia, sai che parliamo di te!- mi feci avanti,
-toglietemi una curiosità, che ne sapete voi di quello che penso io?- chiesi noncurante,
-sappiamo chi sei!-.
-Lidia vive in una famiglia a dir poco bizzarra, i suoi genitori stanno insieme per finta e lei è costretta a mangiare sempre fuori casa!- esclamò una,
-per lasciare loro la casa libera!- disse allusiva un'altra. Non abbassai lo sguardo, ma non replicai, in fondo era la verità.
-beh, quelli sono i miei genitori, che c’entro io?- chiesi sicura,
-tale madre, tale figlia! Ci ha raccontato tutto il tuo compagno di banco! Edoardo Elia! Non potavamo non farlo sapere a tutti- per un attimo il mio sguardo andò su di lui, nei suoi occhi puro terrore. Nello stesso istante il padre di Eleonora tirò via dal palco le ragazze, non poteva permettere che venisse messo in ridicolo il giovane.
Sospirai ed uscii dalla sala.

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Capitolo 5
*** non posso permetterlo... ***


Sentivo qualcuno correre dietro di me, mi fermai.
-Lidia, ti giuro che non c’entro niente! Non ho mai parlato con loro! Ti prego credimi!- Edoardo parlava velocemente, e gesticolava, feci fatica ad andargli dietro all’inizio.
-smettila di fare come un gabbiano ferito!- lo canzonai,
-so che non sei stato tu! Quando mi sono voltata verso di te l’ho capito subito!- si fermò.
-sei un ragazzo molto strano sai Alan?- era la prima volta che lo chiamavo con quel nome, non mi sorprese vederlo boccheggiare,
-perché sarei strano?- chiese facendo finta di nulla, sorrisi.
-all’inizio eri scostante e freddo, poi quel giorno al parco ti sei mostrato abbastanza intraprendente, e dal giorno dopo sei tornato il ragazzo freddo, da quando ci siamo fatti quella promessa ti mostri come sei veramente e ora stavi per affogare in un bicchiere d’acqua…- guardavo la luna dal muretto che dava sulla spiaggia.
-qual’ è stato il tuo ultimo vero amico?- chiese serio, come al solito riusciva a fare le domande giuste nel momento giusto,
-direi…- riflettei a lungo su quella domanda, in verità non avevo mai avuto un vero amico. Certo avevo molti amici, loro si confidavano con me e io gli davo consigli, ma nessuno si era fermato a farmi qualche domanda seria, nessuno mi aveva mai realmente chiesto nulla, e chi lo aveva fatto, non aveva aspettato la risposta.
D’un tratto la musica ricominciò dentro la sala. Era un lento.
-posso avere l’onore di questo ballo signorina?- chiese galante, io annuì.
Ballammo sulla sabbia umida per molto, anche quando la musica finì.
****
-ehm… scusate…- entrambi ci voltammo, il padre di Eleonora ci stava davanti imbarazzato,
-mia figlia vorrebbe vederti Lidia…- io guardai Edoardo, ci lasciammo lentamente le mani, senza neanche accorgercene avevamo intrecciato le mani l’una nell’altra.
-ti aspetto qui…- sussurrò.
Entrai nella sala ed in un angolo Eleonora piangeva, alla sua destra Simone,  alla sua sinistra le oche, gli altri se ne erano già andati.
-ci lasci soli… - sussurrai all’uomo, questo andò via.
-è cattivo… non dovresti neanche parlarci- singhiozzò Eleonora, io mi avvicinai a Simone,
-preferirei che tu non vedessi questa scena, puoi lasciarci sole per favore?- chiesi garbatamente. Io Simone ed Eleonora eravamo amici da sempre, sapevo che avrebbe capito.
quando anche lui uscì iniziai a guardarmi intorno, sentivo le occhiate indispettite delle mie compagne, da quando ero entrata non le avevo neanche guardate.
-Lucas avanti! Non mi piace giocare a nascondino!- esclamai, da dietro una colonna sbucò il ragazzo.
-ora che siamo tutti possiamo cominciare!- esclamai, poi presi una sedia e mi accomodai davanti a loro.
-perché fai così?- chiese tirando su col naso Eleonora che piangeva ancora.
-perché tu hai detto che Edoardo è cattivo. Comunque, ammiro che dopo tanti anni hai avuto il coraggio di venirmi contro… so’ che tu e il tipetto dietro la colonna, avete organizzato tutto questo. E… ora, non credo che possiamo continuare a fingere- usavo un tono calmo, ma volevo piangere, perché tutti quelli che si avvicinavano a me si allontanavano con la stessa velocità?
-beh, hai ragione, smettiamola di fingere, ho deciso di allearmi con Lucas, solo ora ho capito che tipo di persona sei… volevo umiliarti in modo pubblico tutto qui…- io sospirai,
-che bisogno c’era di immischiare Edoardo in questa storia?- chiesi, loro ghignarono,
-chiunque si avvicinerà a te sarà nostro nemico…-.
****
Rimasi sveglia tutta la notte. Mi avevano stretto alle corde. Scacco matto. Game over.
Da quel giorno decisi di essere scostante con chiunque. Non volevo mettere in pericolo nessuno. Avevo già assaggiato la vendetta di Lucas e la sua banda, non potevo permettere che succedesse a qualcun altro.
Rimasi in silenzio per le prime tre ore.
-che è successo alla festa?- chiese serio Edoardo dopo avermi trascinato sul terrazzo, alle sue spalle si poteva benissimo vedere il cortile della scuola.
-ehm… niente, alla fine era stata Eleonora a dire tutto, ho chiuso con lei…- sospirò,
-hai chiuso anche con me non è vero? Qualunque cosa ti abbiano detto quelle è falsa! Ti giuro io non farei niente che possa ferirti! Lo giuro!- sorrisi amara, lo sapevo, ero io quella che lo avrebbe fatto soffrire. Lo guardai negli occhi. Perché avevo l’istinto di baciarlo? Avere  il ricordo di un primo ed ultimo bacio insieme, ma sarebbe stato crudele da parte mia.
-se ti dicessi che lo faccio per il tuo bene?- chiesi,
-non ti crederei, l’unica cosa che mi ha fatto bene in tutti i miei quindici anni sei tu…- arrossì subito dopo averlo detto e abbassò gli occhi. Il mio cervello andò in panne, aveva detto realmente quelle cose o me le ero sognate? Beh, se era un sogno sperai che nessuno mi svegliasse.
Cosa avrei potuto dire?
-ho paura che ti facciano del male… chiunque si avvicinerà a me sarà loro nemico…e te lo assicuro, non è affatto una cosa da prendere alla leggera…- lo vidi stringere i pugni e avviarsi alle scale arrabbiato.
Sapevo cosa sarebbe successo, non potevo permetterlo. Mi buttai su di lui abbracciandolo con tutte le mie forze. Piansi.
-non posso permettere che ti facciano questo- sussurrò,
-fallo per me… non parlarmi, non chiamarmi, non guardarmi più…- singhiozzavo,
-non posso… non riuscirei mai… sei l’unica luce della mia misera vita, come potrei allontanarmi da te così?- quelle parole mi rendevano immensamente felice e terribilmente triste.
****
-sono contento che tu lo abbia lasciato perdere, stessa cosa però non vale per lui!- Lucas mi aveva aspettato dietro la fermata del bus.
-non deve importarti di lui, sono io quella che odi no?-  
-troppo tardi…- ghignò.
Ero letteralmente terrorizzata, cosa avevano fatto ad Edoardo? corsi al parcheggio vicino la scuola, parcheggiava sempre la sua moto là.
Avevo il respiro corto, il cuore mi batteva all’impazzata. Vidi un gruppo di persone ammassate in un angolo del parcheggio, mi avvicinai.
La scena che vidi mi fece impallidire, sentivo le gambe molli e le lacrime premevano per uscire, Edoardo con le spalle al muro, volto e corpo ricoperti di sangue respirava a fatica. corsi verso di lui.
-sapevo che non dovevi farlo! Sei uno stupido!- esclamai singhiozzando, sentii la sua mano che mi carezzava la testa.
-ricorda, sei tu la mia luce…-disse con un filo di voce, poi perse i sensi. In lontananza sentii il rumore dell’ambulanza.

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Capitolo 6
*** Paura. il signor Elia ***


Lo vidi entrare in sala operatoria, la vista offuscata dalle lacrime, mani e vestiti sporchi del suo sangue.
Rimasi seduta accanto al muro per un po’ di tempo.
un uomo mi si avvicinò con il fiatone,
-sei tu l’amica di Edoardo?- chiese, io annuì continuando a piangere,
-è colpa mia… se Alan è la dentro è solo colpa mia…- singhiozzai, l’uomo tratteneva le lacrime, si mise accanto a me con le spalle al muro.
-tu… sai chi è in realtà?- chiese con la voce spezzata, io annuì asciugando inutilmente alcune lacrime.
-lei è suo padre giusto? Giacomo Robin Elia- l’uomo annuì,
-cosa è successo?- chiese con un filo di voce, io scoppiai in un pianto più disperato.
-gli avevo detto che se stava con me gli sarebbero capitate cose brutte… gli avevo detto che l’avrebbero preso di mira, l’avrebbero ferito. Ma non mi ha ascoltato, l’ultima cosa che ha detto non è stata aiuto o fa’ male… è stata: sei tu la mia luce- singhiozzavo non riuscivo a smettere di piangere. Lui doveva resistere, era lui la mia luce. L’uomo si asciugò con la manica della camicia le lacrime che scendevano dal suo volto, poi mise la sua giacca sulle mie spalle e mi prese in braccio. Mi stupii di quel gesto.
****
Un’infermiera mi aveva portato dei tovaglioli umidificati per lavarmi le mani sporche ancora di sangue. L’uomo teneva ancora il volto basso e piangeva silenziosamente, Alan era lì dentro da ore.
-non sapevo che avesse un’amica speciale tra i suoi compagni… in realtà non so’ niente di lui…- la sua voce era stanca e spezzata dal pianto,
-lavora da quando aveva dieci anni… e prima ha sempre studiato con un professore privato… non credevo ai miei occhi quando è arrivata la pagella… solo ora ho capito… non aveva bisogno di professori costosi o cose costose…- io lo ascoltavo tenendo gli occhi bassi.
-sai… ieri, mi ha sorriso… mi ha sorriso veramente, non l’avevo mai visto sorridere…- scoppiò in un altro pianto. 
Dopo ore un medico uscii dalla sala operatoria,
-i parenti di Alan Elia?- chiese, noi ci alzammo,
-il ragazzo aveva perso molto sangue, ma ha reagito bene alla trasfusione, non ha subito forti traumi, ha solo il braccio destro rotto… lo terremo sotto osservazione per un po’-
-posso vederlo?- chiese l’uomo speranzoso,
-domani. in questo momento le sue difese immunitarie sono annullate, quindi è continuamente esposto ai germi e ai batteri…- sospirò stanco il dottore. Eravamo sollevati.
****
-oh Lidia! Lidia!- una voce familiare mi svegliò. Mia madre e mio padre mi vennero incontro.
-oh, piccola mia! Che è successo?!- guardai l’uomo che mi stava accanto, dormiva ancora, poi guardai l’orologio, erano le undici.
-che ci fate qui?- chiesi. Avevo bisogno di un caffè.
-come che ci facciamo qui?! Non ci hai neanche chiamati, ci siamo preoccupati da morire!- esclamò mio padre,
-sono entrata qui ieri verso le due. Sono le undici di mattina. Vi siete accorti solo ora della mia scomparsa, e scommetto che se non fosse stato per la colazione non ve ne sareste neanche accorti…- probabilmente erano usciti di fretta da casa e solo dopo qualche ora si erano accorti di non aver fatto colazione, io di solito la preparavo pure per loro.
il signor Elia si svegliò stropicciandosi gli occhi.
-sembra un bambino- scherzai sorridendo, lui mi rivolse un sorriso timido, poi si voltò verso i miei genitori. La notte precedente ci avevano rassicurato sulle condizioni di Alan. Io e l’uomo avevamo continuato a parlare per un bel po’ prima di addormentarci.
-signor Elia, loro sono i miei genitori- li presentai velocemente, in quel momento non mi importava affatto di loro.
-ma… ma di chi è quel sangue?!- chiese mio padre indietreggiando inorridito. Io mi guardai la maglietta, tutti gli orribili ricordi del giorno prima mi caddero a dosso come acqua gelata. Abbassai lo sguardo, sentivo gli occhi pizzicare. Ma quando una delle lacrime stava per uscire, un braccio mi cinse le spalle, Giacomo Robin Elia mi guardava, in quello sguardo, la stanchezza, la paura, il dolore, ma anche la sicurezza e la voglia di non commettere più errori.
****
-signorina, avrebbe una magliettina da dare a questa ragazza per favore?- chiese cordialmente ad una dottoressa, lei mi guardò poi scosse la testa, l’uomo si fece pensieroso,
-allora può chiedere a qualcuno se ha una magliettina da prestare a me?- chiese sicuro, la donna ci pensò,
-posso chiedere al dottor Nunzio- sorrise e scomparì dietro una porta. I miei genitori erano ancora attoniti.
-che deve farci con una maglietta, la sua camicia è pulita no?- chiesi perplessa, lui annuì,
-pulitissima, ma tu non puoi stare con quella, metterai la mia camicia solo per poco, dirò ad un mio assistente di andarti a comprare qualcosa, non vorrai farti vedere da mio figlio così, non è vero?- sorrise complice.
-posso sapere lei chi è?!- mia madre si era arrabbiata,
- oh scusatemi… Giacomo Robin Elia, padre di Alan Elia e proprietario dell’ Elia corporation, piacere di conoscervi…- i due rimasero di sasso.
-l… lei è Quell’ Elia?- chiesero sbalorditi, l’uomo sorrise cordiale e annuì.
-suo figlio è ricoverato qui a causa di Lucas… e a causa mia…- sospirai,
-Lucas? Ma avete litigato un'altra volta?- chiese mio padre perplesso, sprofondai sulla sedia, quel ragazzo mi odiava dalla quarta elementare.

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Capitolo 7
*** non più il deserto della vita, ma il bosco rigoglioso. e lo affronteremo insieme. ***


Altre ore erano passate, il padre di Alan era già entrato nella stanza del figlio, e stavano parlando da tanto.
Anche se non lo avevo ancora visto ero felice per lui. Stava riallacciando i rapporti con suo padre. Ma continuavo a sentirmi terribilmente in colpa, dopo quelle parole che mi avevano intaccato il cuore, non riuscivo più neanche a pensare di separarmi da lui. Era strano come in così poco tempo qualcuno tanto speciale mi avesse sconvolto la vita, ora non vedevo la vita solo come una strada deserta in salita, dove non fai altro che camminare. Ora vedevo un grande bosco davanti a me, momenti felici e momenti tristi. Emozioni.
-vuole vederti…- il signor Elia era appena uscito dalla stanza sorridente. Io annuì e con non pochi tentennamenti entrai chiudendomi la porta alle spalle.
-ciao…- sussurrai, mi sorrise,
-scusami per averti fatto preoccupare…- esordì a testa bassa, io scossi la testa e mi avvicinai,
-se non fosse stato per me, tu ora non saresti qui…- dissi con un filo di voce,
-se non fosse stato per te io sarei ad una riunione di lavoro a firmare documenti- constatò sorridendo, poi mi prese la mano.
-non ti lascerò mai… a meno ché tu non voglia…- sussurrò queste parole con una dolcezza infinita, trattenevo a stento le lacrime, ma questa volta erano lacrime di gioia.
Con l’unico braccio libero mi tirò a sé e mi baciò. Il nostro primo bacio. Il primo di tanti altri da allora.

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