Rewrite di Mao_chan91 (/viewuser.php?uid=507)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 1 *** Capitolo primo ***
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Capitolo primo
Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata
in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno.
Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono
le stesse,o almeno inizialmente.
Disclaimer:
I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa,
autrice di FMA.
Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto
(Esclusa la citazione, ehm.).
Per favore, non biasimarti.
Anche se il mondo non perdona, io ti
perdonerò.
Per favore, non biasimarti.
Anche se non perdoni il mondo, io ti
perdonerò.
Quindi ti prego dimmi.
Cosa ti costerà, perdonarmi?
-Frederica Bernkastel (Higurashi no
naku koro ni, Onikakushi-hen)
-
Quando ne sente la necessità, il meglio che Riza
Hawkeye possa fare per scaldarsi è sfregare le mani tra di loro, fissando senza
concentrazione la finestra e la neve che cade, morbidamente celando ogni cosa,
soffocando rumori e, molte volte si ritrova a sperarlo, persone.
Tutto perde colore confondendosi nell’oceano
tumultuoso ed oblioso della neve che le riposa gli occhi, che nasconde il blu
della rabbia, il verde della gioia negata e delle speranze infrante, il rosso
delle passioni spente.
Lei è il sostegno confortevole di chi ha bisogno
di lei per ritornare a vivere; lei è la buona predicatrice che per insegnare
agli altri ha bisogno prima d’imparare da sé.
E’ una lastra di vetro che rifletterà bene solo
se levigata e ripulita con cura ed a lungo; e fino ad allora non avrà giusta
cognizione di quanto la circonda, sostando a compatire a lungo ogni persona.
-
Un’occhiata poco gentile accoglie subito Roy
Mustang, primario dell’ospedale cittadino, imbarazzandolo ed intimorendolo.
Ride scioccamente, mentre la donna in tallieur
scuro stringe gli occhi un poco, serrando le labbra sinuose senza gioia,
levandosi nella sua discreta altezza dalla sedia girevole dal sedile
morbidamente blu; lui si raddrizza gli occhiali sul naso, tentando di darsi un
minimo di contegno, e si batte una pacca leggera sul camice bianco.
"Oh, non guardarmi male, via, Riza! Non ricordo
di aver fatto nulla di male, ultimamente."
"Signorina Riza."
"Er... "
"Signorina Riza, donna esperta e capace."
"Va bene, va bene, mia regina. Cosa ho fatto di
male questa volta?"
"Oh, nulla. Insomma, visto che non ho alcun
significato per te non hai fatto nulla. Non ho certo diritti, vattene pure in
giro con ogni sgualdrina ti piaccia."
"Riza... "
"Se ti interessa ti ho visto con Vanessa."
"Ehm... "
"...e con Janet, e Kate, e qualcun altra di cui
non conosco il nome."
"Sono solo colleghe, colleghe...oh, accidenti,
potrei giustificarmi, ma in effetti sono venuto qui d’urgenza."
"...e com’è che le colleghe che incontri fuori
dal lavoro non sono mai quelle care signore sui cinquanta dai fianchi ampi, ma
sempre ragazzine formose? Idiota. Idiota."
"Va bene, ma... "
"Essere inutile ed indegno di fiducia."
"Ti prego, litighiamo dopo. C’è un paziente di
cui dovresti occuparti per un po’. E’ un caso particolare, ma so che lo
tratterai con cura."
"Mollalo qui e vattene."
Lui tira su un angolo della bocca ansimando
leggermente per lo sfinimento arrecatogli dalla discussione, e le si avvicina
con circospezione, come animale in territorio nemico, mentr’ella tira un leggero
calcio ad una sedia.
Oh, come, come vorrebbe possedere una
pistola di cui scaricare ogni singolo colpo sul muro, come lo vorrebbe.
"Riza, per favore. So di lui perché la sua
famiglia è stata portata d’urgenza in ospedale, ed il padre era un mio vecchio
conoscente. Non c’è stato granché da fare per i genitori, ed il fratello minore
è in coma. Lui ha subito un fortissimo shock. Vorrei affidartelo, perché di te
mi fido."
"Non c’è problema."
"Non so. E’ giovane, e tu sei delusa. Potresti
tradirmi per dispetto."
Lui le ammicca, e lei sente un qualcosa di
nervoso vibrarle dal petto risalendole furioso alla gola, ma lo strangola con la
fermezza di un serial killer con le mani fasciate nel bianco di guanti di
plastica.
"Vattene, Roy. Lascialo qui e vattene."
Lui sospira, e ritiene di non essere stato molto
spiritoso, ma quando è in bilico su fili sottili sdrammatizzare è quanto meglio
gli riesca.
O così era stato convinto fino ad ora,
quantomeno.
Scrolla le spalle a caso chino, mortificato, e
lei si morde un dito fingendo di scostare una ciocca di capelli biondi dal viso
tondeggiante ed affusolato.
In pochi minuti i suoi passi si allontanano, e
lo studio modesto è percosso da quelli di un ragazzo biondo, di gesti freddi ed
arroganti.
Riza inarca leggermente un sopracciglio,
cercando di lasciarsi distrarre dall’eclettico ondeggiare della treccia bionda
sulle spalle del ragazzo per non osservare le mani di Mustang tormentarsi con
gesto casuale mentre esce dalla stanza.
Ha sempre amato quelle mani così grandi e
confortevoli.
-
La prima cosa che nota del ragazzo, invitandolo
a sedersi, è la sua statura affatto eccelsa per l’età che può
stimargli dal viso: diciotto, forse diciannove
anni.
E non è osservazione fatta a caso, perché capita
che le persone basse chinino lo sguardo, non lo levino a lungo, ritenendosi
facilitati e necessitanti di celarsi; quantomeno quelli con trascorsi dolorosi.
Eppure lui ha uno sguardo chiaro e perforante
che pare giudicarla e trapassarla; si morde le labbra, ma sembra sfidarla ad
ogni respiro.
"Riza Hawkeye." ricompone i suoi modi gentili
tendendogli la mano, gli occhi nocciola fissi per non dargliela affatto vinta.
Lui le sfiora appena la mano, ed ha la voce
seccata di un bambino isterico, per quanto profonda "Edward Elric."
"Bene, piccolo. Suppongo che per i primi
incontri potresti parlarmi un po’ di te, anche di cose sciocche. Ogni cosa è
importante. Devo conoscerti."
"E’ un sottile tentativo di seduzione, questo?
Per carità, signora, ho diciott’anni da pochi mesi, mi ritengo ancora
minorenne..." tende un sorriso di sfida, pungente ed aspro.
L’aria attorno a lei comincia a caricarla di
litigiosità come una tempesta colma d’ansia; mantiene il suo celeberrimo
contegno come maschera di creta ed a stento.
"Signorina Hawkeye, ragazzo. Ho ventinove
anni e qualche mese, non oltre, te lo assicuro. Ma questo non ha alcuna
rilevanza ai fini della seduta, quindi ti prego di venirmi incontro, non di
cercare di farmi venire voglia di strangolarti." sibila dolcemente, ostentando
un ampio sorriso.
"Se ha intenzione di mantenere le distanza non
mi parli come ad un ragazzino e mi dia del lei. E non ho alcuna cazzo di voglia
di parlare di me. Non so, parliamo di lei. E’ sposata? E’ particolarmente
isterica perché nel pieno del suo ciclo mestruale?"
Ella si preme fortemente le dita sulla fronte,
tremando leggermente, ma d’un’agitazione ben poco esternata; sorride
nervosamente, ripetendosi a lungo che l’omicidio è un delitto perseguibile a
norma di legge, non importa quanto snervante sia la vittima.
"Signor Elric, non ho alcuna intenzione di
assecondare la stupidità di un ragazzino immaturo e viziato. Il mondo non cadrà
ai suoi piedi per il suo bel faccino –nemmeno tanto grazioso una volta che
glielo avrò sfigurato, prometto-, glielo assicuro, e nulla le dà il diritto
di provocarmi sperando di ottenere un po’ di attenzione. Se fosse stato un pazzo
ora sarebbe da uno psichiatra, non da questa miserabile psicologa che pare non
tollerare; mi dica, è pazzo, dunque,non il solito ragazzino traumatizzato?"
ringhia gentilmente, per poi mordersi la lingua e maledirsi a lungo.
Lui stringe gli occhi di scatto, balzando in
piedi con scatto felino "Non me n’è mai fregato niente di questa cazzo di
psicanalisi, non si permetta di giudicarmi, non ne ha il diritto, cazzo,
alcun diritto! Lei non sa nulla, dunque non parli, non parli!” ulula, gli
occhi così ardenti da intimorirla, come pronto ad aggredirla furiosamente.
Si volta invece ed esce sbattendo la porta,
correndo via da un qualcosa che è scattato nella sua testa e lui, lui soltanto
ha potuto scorgere.
Lei s’inquieta e lo segue di corsa, con
un’agilità e rapidità impensabili per una donna in equilibrio su tacchi delle
dimensioni dei suoi, ma accidenti, avendo l’adrenalina di una vita flebile e
quasi in bilico iniziato a contorcerlesi nelle vene convulsamente, essendosi
tesi i suoi muscoli, allungati i suoi passi.
-
Edward è senza fiato e fermo davanti
all’autostrada colma di automobili, ruote roventi pronte a mangiarselo sino alle
interiora con un solo scatto; correre è quanto desidera fare; sopravvivere è
quanto di cui non colga appieno l’importanza.
Un passo.
Un passo e via, sarà giusto così.
E’ tutto così snervante, snervante.
Ogni cosa mi dà il voltastomaco.
Non lo farò, ma potrei.
Al non si risveglierà.
Neanche io.
Lei è stravolta ed agitata come un cagnolino al
primo distacco dal padrone, un bambino al divorzio dei genitori; non sa cosa
accadrà, e non osa supporlo.
Lui è il ragazzino, il classico ragazzino che si
getta tra le auto per raccogliere il suo pallone colorato, guidato appena
dall’ingenuità, e lei ha responsabilità della sua vita, come adulta.
Ha responsabilità della sua vita perché quando
qualcosa la colpisce vuole provare a capirla, non importa quanto tempo debba
impiegarci.
E la vita di Riza prende la sua prima forma e
valore mentre gli si slancia alle spalle, lo vede schivare appena gli
autoveicoli, ed a occhio nemmeno tentandoci davvero.
Allunga la mano affondando le unghie nel
cappuccio della sua felpa, traendolo giù e crollando con lui sul marciapiede,
stanca della corsa ma fieramente incapace di darglielo a vedere.
"Perché? Perché? Sei seccante, sei una
donna seccantissima. Non hai diritto d’interessarti della mia vita. Nessun
diritto."
La donna gli lacera la pelle trapassandola forte
con lo sguardo affilato e bruciante, denudandolo a tal punto che si senta un
ragazzino debole ed indifeso, violentando a lungo i suoi sentimenti incrinati
come sadica torturatrice, per ammansirlo, per soggiogarlo alla ragione che deve
avere su di lui.
Per lei è tutto cambiato da quando ha temuto per
la sua vita e si è sentita colpevole, qualcosa che tante volte avrebbe avuto
motivo di provare ma non ha mai provato affluisce al suo interno incantandola
nel curioso vorticare di dubbi, turbamento ch’ora li incatena indissolubilmente;
li ha incatenati dal momento in cui lei ha sentito qualcosa dentro, e lui la di
lei presa garbata e sconvolta all’indumento ch’aveva indosso.
"Da oggi sei mia responsabilità, Edward, e non
provare a dire di no. Sei incapace di badare a te stesso, hai l’età perché tu
possa compiere scelte tue – non quella di seguirmi o no, ovvio-, e dubito
tu abbia parenti con la possibilità di gestirti. Da chi diavolo vivi, al
momento?"
"Ma che... "
"Frena la volgarità, ragazzo. No, non ho
intenzione di avere una relazione con te, e sì, m’i importa di te perché
per cinque minuti sei stato mio paziente, perché sei un ragazzino, e mi hai
scossa. E sì, m’interesserebbe mettere le corna a quel bastardo di
Mustang, anche." esordisce trionfante e velenosa, affatto pentita.
E la rassegnazione cede posto ad un leggero e
bieco sorriso sul volto di lui.
"Oh. Se si tratta di questo sì, posso aiutarti.
Non ce l’ho in gran simpatia. A pelle."
Si guardano per pochi istanti, seduti in terra e
graffiati l’uno delle prese e spintoni dell’altro, frenando appena l’impulso di
ridere chinando il capo "Oh, ma siamo ridicoli. Alziamoci, eh, signora Hawkeye!
"
"Signorina. Oh, al diavolo, chiamami
Riza, lo memorizzerai più facilmente."
Lentamente, lui pare sollevare un angolo della
bocca; ma è solo un’impressione d’ella, mentre si rialzano, mentre manda al
diavolo ogni principio del decalogo del buon psicologo lasciando entrare nella
sua vita un paziente, più all’interno di essa di quanto possa immaginare.
-
Note:
Questa storia è venuta su assai più complessa (dal punto di vista umano, non
sono capace di fare altro) di quanto mi aspettassi, ed anche più corposa. Posso
realmente dirmene soddisfatta.
La scelta del pairing non è
stata casuale, perché se presi in una certa maniera questi due bimbi possono
essere collegati.
Ora, da questo capitolo non
parrà molto, ma più avanti spero di sì.
Non ho catalogato la
fan-fiction come OOC, perché ritengo che lo sia un poco ma plausibilmente.
Senza che nessuno dei due
abbia passato le esatte esperienze vissute nella storia originale, supponevo che
sarebbero potuti essere circa così, ma ancora plausibili, o almeno spero.
E’ stato tutto un lavoro
complesso, e spero nemmeno giudicherete la storia dal pairing inusuale (Io
stessa in verità apprezzo molto come pairing il Royai e l’EdWin), ma per
contenuti ed il modo in cui ho cercato di dare un senso a tutto.
Davvero, c’è dietro molto
impegno.
Un mio piccolo invito è poi
di notare come fondamentalmente vicende e vicende siano presenti ma finiscano
per ridursi d’importanza una volta che si procede con l’evolversi dei
personaggi, perché il fulcro sono soprattutto loro, logicamente.
Non sono mai stata davvero
per il raccontare storie, ma persone e sentimenti.
Se pian piano riuscirò a
comunicarvi qualcosa, ed inizialmente almeno a farvi interessare alla storia,
spero me lo renderete noto commentando.
Da parte mia farò del mio
meglio anche per postare regolarmente, ma incoraggiamenti (E recensioni, ribadisco), sono apprezzatissimi.
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo ***
Nuova pagina 1
Rewrite
Capitolo
secondo
Questa fan-fiction è un’AU, dunque
ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo
moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni
interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.
Disclaimer:
I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa,
autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase,
idea o concetto.
La casa di Riza non è ampia, e non avendo in
programma di incontrare altri pazienti, può mostrarla ad Edward con una certa
calma.
Apre la porta e gli mostra il salotto arredato
col gusto moderno ed affabile di una donna single, la cucina ordinata di chi non
pranza spesso a casa, il bagno modesto, la camera scomposta di chi non ha ospiti
da molto, ed un letto particolarmente morbido all’occhio.
Edward tasta la coperta turchina in cui le sue
dita affondano piacevolmente, con una certa curiosità; può pensare che una
persona abituata ad un letto così soffice e caldo trovi particolarmente seccante
evadere dal proprio angolo di conforto in un mondo rigido e freddo.
"Non farti strane idee; dormirai sul divano in
salotto, ed io mi chiuderò a chiave qui."
"Per chi mi hai preso?"
"Non so, hai quell’età particolarmente soggetta a
tempeste ormonali ed al non ascoltare il cervello quanto un punto più infimo
della propria fisiologia, dunque... "
Lui la guarda aggrottando la fronte, umiliato ed
innervosito, d’un nervoso patetico agl’occhi di lei, poiché impotente e misto
alla riconoscenza d’una persona orgogliosa.
"Oh, non fare quella faccia, Edward. Non ci
saranno problemi."
Non ci saranno problemi, Ed . Nii-san, ti
preoccupi troppo. Troppo.
Egli leva un poco il capo, amareggiato nel
profondo, gl’occhi unti di qualcosa che li fa spegnere e brillare d’un tempo.
"Puoi... " gli costa sangue e sudore esser
gentile, ma si sente intollerabilmente affranto "...per favore, puoi chiamarmi
Ed?"
Lei l’osserva un poco, osserva i suoi occhi
rammansirsi, ed è dolce anche lei in solidale e protettiva affettuosità.
"Va bene, Ed."
Lui sospira lentamente, e si sente più leggero e
meno formale "Scusami per prima. Non sono affatto una persona garbata. Non
intendo ferire nessuno, ma non sono mai gentile."
Riza tende maggiormente il sorriso dolce di chi
ha compassione di un bambino, di chi cerca di fare qualcosa per un sofferente.
"Senti, la mia famiglia è...era ricca, e
mi hanno lasciato un buon ammontare di denaro, che non dividerò affatto con
quelle serpi di parenti che si limitano a dolersi del fatto che non sia morto
anch’io per ottenerlo tutto. Ti ripagherò per il disturbo."
"Non essere sciocco, non ha affatto importanza.
Vorrei solo che la tua vita non cadesse in pezzi. Mantieni le tue solite
abitudini, continua ad andare a scuola e... "
"No. Non rivoglio il passato. Non lo rivoglio; se
ne ho perso un pezzo così importante, è giusto perderlo tutto."
"Lo rimpiangerai."
"Come puoi capirlo?"
Lei tende inconsapevolmente in viso
un’espressione mesta, china le sopracciglia bionde e sottili, vela il timbro
vocale d’una malinconia soffusa e dura da esternare.
"Posso sentirne le conseguenze sulla mia pelle,
ad ogni respiro. E’ doloroso, e non è giusto soffrire così. Non è giusto."
Ed non sa perché, ma la scorge stringersi nelle
spalle, ed è come se scorgesse lacrime trasparenti in corsa sui suoi zigomi,
sottili e dolorose anche per lui; china il capo, e lei non sta affatto
piangendo, ma ne ha rispetto.
-
Al nuovo mattino si osserva allo specchio mentre si lega i capelli, le occhiaie
che gli scavano il viso paiono immensi buchi neri.
No, non ha affatto dormito, per quanto
confortevole sia la stanza; la mente è ancora sconvolta dalle recenti tempeste,
e non si concede riposo.
"Un attimo; un attimo e scendo, Wìn."
Alla sera posa la cornetta del telefono, e scorge
un mozzicone di sigaretta paterno sporgente dal posacenere, vicino ad un
giornale, ardere forte.
Ma è solo un istante, perché va di fretta, e
l’appuntamento lo emoziona e gli fa perdere cognizione di tante, troppe cose; la
timidezza gli concentra la mente in tentativi di rilassamento che comprendono il
guardare diritto, aprendo la porta.
I genitori riposano morbidamente cinti in stretta
amorevole nella stanza in fondo alla casa, Alphonse studia con cura leziosa
nella stanza a loro accanto.
Presto tutto arderà, e mentre lui respirerà aria,
cenere sarà l’ultima cosa che, dormendo, i suoi genitori potranno percepire a
causa del suo egocentrismo; chiudere gli occhi addormentandosi a lungo, sarà
quanto la mente sconvolta ma cosciente riuscirà a fare.
Non ha mai pensato di contattare Winry, in questi
giorni; è stato follemente innamorato di lei, e suppone di esserlo, nel
profondo, ancora.
Eppure lei è ora l’effige vivente della sua
stoltezza, voce a confondergli la testa, occhi cerulei a dargli vita e
consistenza mentre i suoi genitori ardono, distraendolo, sciogliendolo impotente
come neve sporca, ed imperfetto.
"Idiota. Idiota. Ti voglio bene. Ti amo.
Ti voglio bene. Ti donerei la mia vita."
E gliel’aveva invece tolta, inconsapevolmente,
con la sua voce di giovane donna, che confonde ed incanta i sensi indeboliti dal
lungo sostare al suo fianco, dallo scorgerne respiri fuggevoli, dal fuggevole
apprezzarne di ella, più che tollerarne, ogni singolo difetto.
Le aveva scostato i capelli biondi dal viso,
soffici e piacenti, con abbondante incertezza nel tocco infantile, sentendo la
tensione d’ella sulle tempie farsi umide, sentendo il suo sguardo su di lui, la
sua sincera attrazione cingerlo in maniera fortemente piacevole, il voltare la
testa intrecciando forte le dita alle sue, incastrando il viso al suo, entrando
delicatamente nella sua bocca in un bacio intenso e dell’odore del fumo.
Non aveva voltato il capo alla finestra rossa sul
buio notturno a lungo.
Lei si rigira scostante e tremula tra le coperte
morbide, levando appena il capo scarmigliato a scorgere le luci soffuse del
primo mattino.
Black Hayate, il piccolo cane dalle orecchie
puntute, ha dormito a lungo accanto al suo letto, e le porge il suo più sincero
buongiorno posando le zampe anteriori sul letto per inumidirle con baci la gota
bollente d’un goduto riposo.
"Giù, Black Hayate, giù! Va bene, maledizione, mi
alzo, mi alzo!"
Seccata si separa dall’affettuoso giaciglio colmo
di ricordi e da lungo tempo concavo della sagoma del suo corpo, ed oltrepassa
foto felici che costellano la stanza grigia; trema impercettibilmente nel notare
una cravatta nera con una emme ricamata nascosta sotto un mucchio di vestiti.
L’afferra, la stringe tra le mani, e cerca senza
esito di strapparla, dapprima convulsa, convulsamente arrendendosi poi
all’evidenza che quelle sue mani esili non lacereranno mai e poi mai alcun
ricordo; da quando ha preso abitudine a conservarli, non può più farne a meno.
Stringe forte le lacrime tra le palpebre,
augurandosi di non ricordare ancora, e di riuscire a ricomporsi in tempo per non
concedersi momenti di pubblica debolezza, che indebolirebbero fortemente la sua
fiducia di potercela fare da sola: e questa è la sua ultima forza.
-
Note:
Grazie mille per i commenti, sono lieta che si senta il mio impegno
e vi piaccia lo stile. Mi rammarico solo dell’impressione OOC che il capitolo
precedente ha fatto a Setsuka, perché, specie come primo capitolo, è anche
quello in cui mi è servito all’atmosfera snaturarli un poco, ma identici alla
storia di base non potranno mai esserlo, perché le basi sono differenti. Ed non
ha dovuto piangere da bambino la morte della mamma, accaduta solo ora, né la
perdita del corpo fraterno, né fare un viaggio difficoltoso. Riza non ha nel suo
passato la guerra. Ha altro. Le esperienze cambiano le persone, ed Ed non
sarebbe così forte e tutto se non fosse stato fortificato dalle esperienze;
anzi, lo vedo tranquillamente un poco sprezzante e certo non maturo come è nella
storia originale. Riza stessa ha dovuto chiudere un poco il suo cuore dovendo
uccidere persone, ma cui non ha dovuto affrontare quello, ma dire altro è
spoiler, ehm.
Sono fiduciosa
che continuerete a seguire la storia, anche solo per vedere se sono davvero OOC
pur considerando basi diverse, che verranno alla luce pian piano. Grazie in
anticipo, e al prossimo capitolo, che spero di riuscire a postare sabato
prossimo.
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Capitolo 3 *** Capitolo terzo ***
Rewrite
Rewrite
Capitolo terzo
Questa fan-fiction è un’AU, dunque
ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo
moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni
interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.
Disclaimer: I
personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa,
autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase,
idea o concetto.
La notte li ha tormentati
entrambi, rendendoli simili, stringendoli in sé stessi all’unisono, facendoli
respirare piano, rendendo le loro schiene possenti corazze, i morbidi giacigli
ferro chiodato.
Il crepuscolo ha aggrovigliato i loro pensieri,
fatto convergere le loro preghiere su uno svuotamento totale, ha fatto loro
mandare al diavolo tutto e tutti, ribadire e ribadire di odiare ogni cosa, di
non averne ragione, ma di farlo incessantemente.
Il mattino li ha sorpresi, tristo mietitore di
risvegli inconsistenti e poi dolorosi, dolorosissimi.
Esso ha percosso le loro ossa rendendole gelide
ed in frantumi, privandoli della facoltà di muoversi con piena cognizione di sé,
rendendo piatto e vuoto l’avvenire.
Chinandosi in terra ella riempie una scodella
profonda di croccantini per il cane, lo osserva mangiare di gusto, appunta su un
biglietto che sarà di ritorno nel pomeriggio, di provvedere presto a ricomprare
o fotocopiare i testi scolastici distrutti, e lo posa sul tavolino di vetro
vicino a lui, schiacciato dalle chiavi ed una manciata di banconote perché
provveda al suo nutrimento, ed eventualmente vestiario.
Lo guarda, di spalle, profondamente affondato
nel divano, i pochi oggetti personali riversati scomposti in terra, e si chiede
se non abbia freddo, senza un pigiama caldo, una confortevole certezza.
Incerta, gli accosta una coperta alla schiena,
domandandosi premurosamente perché non gliel’abbia offerta la sera prima, ma è
tardi, e deve andare.
Lui si scuote fiaccamente, volta gli occhi
aperti da un pezzo ad osservare il profilo del volto ovale e tondeggiante,
affusolato e contratto in un impeto d’impazienza, mentre gira la maniglia e la
porta li separa, prima che ella si allontani a passo veloce.
Black Hayate uggiola piano, raschiando alla
porta chiusa con la zampina bianca, per poi zampettare gioviale verso di Ed,
accostandogli il musetto alla pancia e sventolando la coda con forza.
Si guardano per alcuni istanti, e lui si rialza,
esalando una speranza, aprendo del tutto gli occhi senza una ragione,
guardandosi i palmi delle mani mestamente.
Le mie non sono in grado di confortare.
Le mie non sono nemmeno in grado di toccare.
Voglio sentirmi vivo, ancora e ancora.
Voglio sentire qualcosa o non sentire niente,
perché qualunque alternativa è troppo dolorosa per essere tollerabile.
Voglio stringere con queste mani quel che è
importante prima di perderlo del tutto.
E non ha mai amato come ora suo fratello e la
sua vita perché poteva perdere entrambi, ma la speranza è il nuovo fuoco e
dunque luce che può seguire.
Riza nella sua mente appare incredibilmente
bianca, rendendolo fiducioso ed ansante come un cucciolo goffo che necessita di
qualcosa da seguire.
Winry è invece come sabbia setacciata tra le sue
dita, consistente ed utopica, troppo utopica da afferrare se non nei ricordi, e
troppo fastidiosa alla presenza reale.
Segue ciecamente Black Hayate nella cucina, ove
una colazione calda lo attende, e si prepara ad incontrare l’aria che gli
schiaffeggerà violenta il viso.
-
Ha piovuto, ed i suoi capelli biondi sono
bagnati, il suo viso umido.
Ha disperatamente corso, insensatamente, ma
correre gli fa percepire la terra sotto i piedi, vasi sanguigni, cuore pulsante,
ogni cosa, accendendo ogni funzione vitale, tendendo nervosamente ogni suo
muscolo.
L’antenna tra i capelli è china e mista agli
altri, perfetto self-control in frantumi, ed Edward Elric è un uomo libero
pronto ad incatenarsi ad un letto d’ospedale, a fissare a lungo un viso
martoriato e perennemente dormiente.
"Ah, il fratello! Ci chiedevamo quando sarebbe
venuto, ma avrà avuto i suoi problemi... "
Annuisce mollemente, lasciandosi condurre alla
stanza del grande ospedale in cui riposa suo fratello.
"Solo una ragazza bionda con i capelli lunghi ed
un’anziana signora sono venute a trovarlo, fino ad ora...ha in mente chi siano?"
I capelli biondi mischiati ai suoi, il
turbamento infantile, la stretta morbida della piccola mano.
"Non le conosco. Forse sono lontane parenti."
Parla.
Edward parla, spesso.
Non sente quello che sta dicendo, eppure parla.
Ed anche ora non sente altro che i propri passi
rimbombare nel vuoto, nel vuoto.
Come sempre.
Alzati, alzati ancora. Voglio osservarti, voglio
che ti allontani da me e non torni, perché io so solo danneggiare tutti. Ma non
torni lo stesso. Non torni mai.
Il suo viso ed il suo corpo sono grandi campi
devastati, ed Edward pensa agli occhi verdi di Alphonse celati dalle palpebre,
il guizzo felice d’una lieta scoperta, gli abbracci teneramente manifestati.
Era diverso da lui in diversi particolari, che
avrebbe potuto riassumere in un particolarmente accentuato, per quanto fosse
portato a pensarla allo stesso modo- a seconda dello sbalzo d’umore, in verità-
sul mondo intero, se rapportato a lui: ma Alphonse era buono; lui no.
Flebo, respiratori artificiali lo circondano
opprimenti, e non è più suo fratello.
Non è più Al.
Al che mostrava i suoi sentimenti con la voce ed
i gesti, Al che non lo odiava mai; Al che era innocente come un bambino e saggio
come un anziano, Al che era sempre nel giusto.
Al che lo chiamava nii-san, e forse non potrà
più farlo.
-
Facendo ritorno sosta ad acquistare jeans nuovi,
felpe, biancheria, e pensa che Riza non se la passi malissimo in quanto a
condizioni finanziare, ma Riza non sembra felice.
Nemmeno lui sembra felice, ha lo sguardo alto,
ma è infelice; eppure lui ha qualcosa da nascondere.
Da lei non sa se aspettarselo o meno.
Ha parlato del trapianto di pelle che intende
pagare con l’eredità di famiglia per Al con i medici, se si risveglierà.
Le guance di Al erano morbide e tenere.
Prega, visto che Al respira ancora, in qualche
modo, di poter sentire quella consistenza di nuovo.
"Ciao." mansueto accoglie la salvatrice bianca,
che lo guarda fiacca e senza speranze.
Depone la borsa su una sedia, appende il
cappotto e si stringe timidamente tra le spalle.
Lui non pensava ne fosse capace, ma non parla,
né lo fa lui.
Non parlano spesso, e sono simili, ma questo lo
strazia, perché il proprio tragico palcoscenico è troppo luminoso e stretto
perché lei voglia oscurarlo, e deve risolvere ogni cosa.
Oh, che cosa angosciosa. Che tragedia. Che
tragedia.
Lui è superiore a tutto e tutti, ed il mondo ha
un grosso debito da saldare con lui.
A seconda del momento, il colpevole è lui, il
mondo, od entrambi.
E non è sicuro di preferire sinceramente la
seconda scelta.
Con Riza però, per quanto poco la conosca, è
diverso.
Sono simili.
Sono angosciosamente simili.
Non sa perché, ma si sente più disposto ad un
senso di fraternizzazione, con lei: un reciproco, discreto leccarsi ferite da
riaprire perché sanguinino sino a non avere più sangue da versare.
"E’ successo qualcosa? "
"Non sono gli eventi a determinare i pensieri,
non sempre, sai? Molto più spesso è la testa che rielabora e ricorda in posti
diversi, ed è propria colpa e proprio dolore. "
Ella sosta, affranta, accasciandosi inerme al
divano, e lui siede, incerto ma coinvolto, all’estremità opposta di esso.
"Vuoi raccontarmi una storia? "
Lei si guarda attorno, un pochino sperduta,
incontrandone la solidale determinazione.
"E’ presto. E’ molto presto. "
"Puoi procedere lentamente, con calma. Ti
ascolterò. Non è corretto che tu sappia della mia vita ed io no, dopotutto."
E la ascolterà davvero.
-
Note:
Ah, un accenno a Winry. Che comparirà presto, tra l’altro, e sono piuttosto
soddisfatta del pezzo in cui appare. E accidenti, non credevo di esser suonata
così vittimista, il tuo ragionamento fila benissimo, Setsuka, ma non ingigantire
una mia piccola insoddisfazione personale, non mi hai certo offesa ^^;. Sono poi
lieta che ti sia parsa più naturale la caratterizzazione dello scorso capitolo,
e del fatto che continui a seguirmi.
Ultima nota,
i capitoli sono nove in totale, escluso un epilogo che sto ancora valutando, a
livello di idea, se scrivere o meno. A presto è_é.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo quarto ***
Rewrite
Capitolo
quarto
Questa fan-fiction
è un’AU, dunque ambientata in un universo
alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente
alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali
sono le stesse,o almeno inizialmente.
Disclaimer:
I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu
Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni
singola frase, idea o concetto.
-
Era
una bambina deliziosamente bionda e paffuta di guance –ora
non si riterrebbe possibile, in verità-, e faceva il solito
e comune miliardo di futilità che fanno le bambine.
Giocava,
andava a scuola, trascorreva il tempo con gli amici, si stringeva alle
gonne materne se era triste, alle ginocchia paterne se ruffiana.
La mamma era
gentile, come ogni brava mamma del mondo: leggeva, lavorava
strenuamente, alla sera le rimboccava le coperte sfiorandole le guance.
Il
papà era un punto di vista contorto del mondo.
Il
papà aveva molti anni più della mamma, forse
quindici, forse venti.
La famiglia
della mamma non esisteva più da tanto, e lei, che ancora
neanche sapeva bene perché, sapeva che quello non era il suo
papà.
Con un rapido
conto, lei era nata un anno prima del matrimonio stentato e sofferto
dei suoi: pur non comprendendo come potesse essere nata al di fuori di
un matrimonio, prima anche che i genitori si conoscessero, lei era
sbagliata per la data di nascita, sbagliata se rapportata agli altri
bambini che camminavano con le mani strette a quelle di entrambi i
genitori.
Pur salvando
le apparenze ad ogni costo –con giocattoli nuovi e costosi,
viaggi lontani, soldi e soldi che stavano consumando da allora le
finanze di famiglia-, il papà non si stringeva a lei
né alla mamma con tenerezza.
Alle volte
sentiva la madre gemere dentro sé stessa, deglutire e
soffocarsi, con una sensibilità strana maturata
dall’osservazione accanita dell’amore senza parole
che la cingeva ogni giorno, promettendole qualcosa di meglio, ogni
volta che le guance d’ella sanguinavano per schermire quelle
della bambina, raccogliendola al suo grembo accogliente, proteggendola
a costo di logorare il proprio cuore.
La mamma stava
impazzendo.
Il
papà stava impazzendo.
Era tutto
turbolento, ed il papà a volte guardava con disprezzo la
bambina non sua e la moglie sposata per il corpo piacente e per
difendere l’immagine di uomo facoltoso con una famiglia
perfetta, bionda e perfetta.
Due bambole
perfette erano il sorriso smorzato che si mostrava con lui come sua
famiglia, perché si vantasse con i conoscenti per pura
ambizione e gioco; la mamma aveva sopportato in silenzio.
Riza era
cresciuta, diventata ragazza, ed a sedici anni aveva visto suo padre
stringere il collo liscio della mamma, che piangeva e non riusciva ad
urlare.
Era accorsa,
l’aveva colpito con forza, ma la mamma non respirava
più ed aveva gli occhi vuoti sul vuoto del soffitto.
Lui era
sconvolto, incredulo, ed urlava di averle voluto davvero bene, davvero
bene.
Riza non
l’aveva pensata così chiudendolo in una stanza e
chiamando la polizia.
Si era parlato
di un raptus di follia, ed era stato ricoverato in un ospedale
psichiatrico per dirla cordialmente, e lei lo aveva lasciato marcire
lì per tutto il resto di quella lorda vita di spasimi e
colpe, traendo un sospiro leggero alla sua morte.
Con gli anni
aveva provato rimorso, perché dopotutto quello era
papà; papà che aveva ucciso la mamma, ma era
stato il suo papà per anni.
Sostenuta da
lontani parenti che l’avevano adottata sino alla maggiore
età, negli studi di un qualcosa per difendere e proteggere
la propria testa per non impazzire anche lei, durante il funerale senza
patimento ma noia, aveva sentito alcune infermiere, spesso, dichiarare
di avere sentito l’uomo pregarli di mandare a chiamare la
figlia entro la sua morte per poterla vedere, chiedere perdono, ma
erano voci soffuse e stanche, a lungo ignorate perché egli
non avesse pace nemmeno nella morte.
Riza aveva
chiuso il suo cuore, sé stessa, stringendosi nelle spalle
per non crollare, non ricordare.
Affondando nel
petto confortevole di Roy che ingoiava poi tra le labbra ogni suo
singhiozzo mutandolo nella pallida ed inconsistente
stabilità che mutava ancora in gioia e serenità.
Non aveva
potuto essere sempre e sempre suo, disperato dell’accanimento
con cui ella non si dava pace ma si sentiva felice, tormentandosi delle
proprie contraddizioni che lui non riusciva più a sanare.
E fino a
quando ella non avesse mosso un passo definitivo- dopotutto lo sapevano
entrambi -, lui non avrebbe che tentato, aspramente, di
spronarla a darsi una scrollata, liberarsi del passato per
gelosia, per i suoi gesti stupidi, perché lui fosse solo
suo, ma lei era troppo infelice, più tentava di rimuovere
ogni cosa, e più si sentiva affranta anche quando dormivano
assieme, le sfiorava la schiena con conforto.
Anche in quei
momenti tremava, e per non affrontarlo oltre lo stava perdendo.
-
Anche
fissandola con occhio critico, ella gli pare inconfutabilmente forte,
rapportata alle amarezze trascorse, a tutto.
Edward
percepisce, pateticamente, il proprio patimento sgretolarsi, e si sente
innocente e vulnerabile, ma soprattutto sciocco.
Un sentimento
strano gli fa tendere la mano alla di lei spalla; si frena a
mezz’aria, stringendo il vuoto, e la lascia ricadere
mollemente.
Lei si
abbandona al morbido giaciglio, lo sguardo alla finestra fissa su
alberi su sfondo blu, e macchioline bianche lentamente scendono,
tingendo tante cose di chiaro.
Anche lui le
fissa, rapito come un bambino ingenuo, e non parlano.
Dopotutto, non
parlano molto.
Ma
finché uno di loro ascolta, si sentono entrambi compresi,
caldi e vicini.
Si supportano
silenziosamente, coesistono senza gesti sconvolgenti, senza azioni che
confondano per non ferirsi, per reciproco rispetto.
"Vorrei
toccarti." Biascica lentamente lui, rosso e tremante, impacciato ed
incomprensibile "Ma non ci riesco."
"Posso sentire
la tua mano sulla mia spalla, dolcemente. Batte una pacca e si
allontana, ed ora mi stai fissando la schiena." sussurra lei, ancora
rapita dalla danza della neve al vento, ancora di spalle.
Lui la osserva
incerto, e sì, le sta fissando la schiena.
Una cosa
l’ha azzeccata, e probabilmente anche l’altra.
Restano
così a lungo, silenti con la neve attorno che pare
raffreddarli perché la reciproca presenza li riempia di
serenità scaldandoli.
-
"Sì,
ferie natalizie!" esclama lei contenta, di ritorno dopo aver chiuso lo
studio.
Lui per dei
giorni è andato a scuola, per altri a trovare Alphonse.
L’ultima
volta lo ha sentito premergli un dito sulla mano, e di questo
è stato confortato.
O forse
l’ho solo immaginato.
Non ha inoltre
cambiato scuola, ma si cela spesso dietro gente più alta di
lui, quantomeno ad ogni tempesta bionda che lo sorpassi o scorga, pur
desiderando, vagamente, parlarle.
Vederla
sarebbe doloroso.
E lei lo
cerca, senza esito, senza mai trovarlo, affliggendosi.
"Edward?"
mormora lei gentile, di ritorno anche dalla passeggiata con Black
Hayate "Qualcosa non va?"
"N-no. Va
tutto. Insomma, bene."
"Ed... "
"Ho detto
bene! Bene, per la miseria, bene!"
Ella sospira,
sfiorandogli il capo con la mano, dolcemente, e chinando il suo vicino
a lui.
"Senti,
qualche volta possiamo parlare. Mi fa piacere parlare con te."
"No, insomma,
non... "
"Dici che non
capisco, Ed?"
"No, io
non...voglio... "
"Oh, bene. Io
invece voglio preoccuparmi per te, Ed. Insomma, accendi il mio istinto
materno."
"Non mi fa
piacere, sai?" brontola lui dopo una sosta, incrociando le braccia e
sentendosi colorito d’un rosso violento, come spesso gli
accade.
Lei ride,
gioviale e morbida come una bambina.
E’
buffo sentirla ridere senza contegno, così soffusa e dolce,
veramente buffo.
"Forse
scherzavo, suvvia. Forse."
Lui china il
capo scurendosi un po’ irato.
"Suvvia,
preferiresti essere considerato un uomo? Con i bambini sono gentile, ma
gli uomini a volte mi trovano spaventosa."
"Non sei
così brutta."
"Troppo
gentile, davvero. Non intendevo in quel senso."
"Sì.
Sarà per certe tue occhiate. A volte sei spaventosa,
sì."
"E mi trovi
brutta?"
Lui pare
pensarci un poco, innervosendola alquanto, e scrolla le spalle,
mormorando appena tra i denti.
"Sei gentile.
E se sei gentile io vedo questo, non altro."
Non avrebbe
saputo immaginare risposta più accettabile, lei, e si sente
timidamente realizzata.
-
Note:
Sì, la tempesta bionda nominata è ancora Winry.
Che giungerà nel prossimo capitolo. Non essendo andata a
scuola (Grazie, assemblea d’istituto! XD), posto prima del
previsto.
Ringrazio la
fedelissima Setsuka, lieta che abbia apprezzato quella frase in
particolare. Era una considerata da una mia purissima esperienza
personale, e rendere bene il concetto era molto importante.
E’,
in teoria, l’unica lettrice all’attivo, ma confido
che prima o poi possa farsi avanti anche qualche lettore rimasto
nell’anonimato, non so. Al prossimo capitolo
è_é
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Capitolo 5 *** Capitolo quinto ***
Documento senza titolo
Rewrite
Capitolo quinto
Questa fan-fiction è un’AU, dunque
ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il
mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate
situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.
Disclaimer:
I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu
Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni
singola frase, idea o concetto.
-
Bruciato ed intossicato dal fumo, Alphonse è riuscito a
venir via dal mare rosso, annaspando e crollando senza respiro.
Se fossi stato lì.
Se fossi stato lì.
Ma non c’era, non
c’era.
Fissa Riza, stretta nel capotto
imbottito, borsa alla spalla, mortificata di essere con lui ove lei non
dovrebbe stare.
"Grazie per avermi accompagnato."
sussurra lui.
Mancano pochi giorni a Natale, ed
Alphonse inizia a riprendersi.
Non è certo di poter
tollerare la visione del suo viso distrutto ma vivo, eppure con una
spalla cui reggersi sente di potervi riuscire.
Varca la soglia della stanza
d’ospedale, ed una chioma bionda si scuote in un voltar di
capo, iridi cerulee tese in inattesa gioia e turbamento.
Riza aggrotta appena un
sopracciglio, ed osserva Ed arretrare piano.
"Abbiamo sbagliato stanza."
"Ed... "
Entrambe le donne sussultano,
avendo parlato ugualmente, ma con toni diversi: l’una di
rimprovero, l’altra affranta.
Si fissano un poco, squadrandosi.
Riza è più
alta dell’altra ragazza, meno sottile, e quella è
seduta e probabilmente appena diciottenne.
Gli occhi sono scavati
d’un pianto feroce, ed entrambe sanno a chi è
stato rivolto.
Anche Edward lo sa, ma non
vorrebbe saperlo.
"E’ una tua amica,
vero?" s’irrigidisce leggermente Riza, volandosi al di lui
scostante sguardo, un poco chino in terra, un poco alle pareti.
"Ero impegnato con la sua bocca
quando è...successo tutto. Sono uscito frettolosamente
quando lei mi ha chiamato." sbotta, sottile e crudele, lui.
Lei, Winry, stringe gli occhi in
un pianto represso.
"Stai dicendo che è
colpa mia?"
"Io non sto dicendo niente, lo hai
detto tu."
Lo sguardo placido e supplichevole
d’ella è stuprato da ogni parola, mutato in
ghiaccio violentemente.
"Tu mi detesti, Ed?"
"Io non voglio vederti. Solo
questo."
Fissano entrambi il suolo,
affranti, ed ella si riscuote vanamente.
"Se fosse questione di accettare
questo, potrei aspettarti. Posso aspettare tutto il tempo necessario,
perché io ti..."
"Non è questione di
tempo. Io ti sto odiando, Winry. Ora ti odio davvero, e se non provassi
questo distruggerei me stesso. E distruggerei anche te. Non voglio
più vederti. Lascia che ti odi. Permettimi di vivere."
Lui la sta supplicando: Edward
Elric è sull’orlo di una crisi di pianto,
d’isterismo, e vorrebbe cadere ora, vicino al letto di Al.
Vorrebbe contorcersi e soffrire
gridando, sfogando ogni sensazione ma non può, Dio, non
può.
La ama.
La ama e la odia tantissimo,
tantissimo.
Potrebbe strangolarla con le sue
mani e con le stesse cingerla in abbraccio incredibilmente dolce.
Potrebbe morderle le labbra e
rubarle il fiato, vederla morire tra le proprie braccia, ma
può solo allontanarla.
Se fosse colpevole lui stesso, ed
acquisisse questa consapevolezza senza scampo, più di quanto
faccia ora, non sopravviverebbe.
Winry lo sa, ed anche lei lo ama.
Cammina sfiorandolo con la chioma
bionda che più e più volte l’ha
incantato, ma questa volta nessuno ha reazioni.
Lei sta piangendo, ma un flebile
"Ti odio." che riesce a sussurrare è quanto lui riesca ad
accettare come espiazione, ed è felice, come se fosse stato
perdonato perché sta subendo, e tutto diventa concreto.
Ti voglio bene.
Ti amo tanto.
Ci sono tante di quelle cose che
non può più permettersi di pensare...
Riza questo lo capisce, lo capisce
bene.
Gli stringe il capo in seno
sentendolo tremare, e si accasciano piano al suolo, mente gli accarezza
la testa.
"Va tutto bene, va tutto bene. Sei
stato perdonato."
Winry aveva tentato di sorridere,
chiudendo la porta, squartando l’abrasione del suo cuore.
-
Quel che principalmente non era mai funzionato, nella
mentalità fieramente vittimista di Edward Elric, era
probabilmente il pesante dettaglio che così come si riteneva
un povero essere che troppo aveva patito, riteneva anche di aver tolto
al mondo quanto gli era stato sottratto a forza.
E lo aveva tolto a lei.
Le aveva tolto la speranza che la
faceva aggrappare a quelle spalle robuste ma non salde, gli occhi
assurdamente grandi sbarrati mentre si stringeva al suo collo e premeva
le labbra tra di loro per non dovergli chiedere di non andarsene.
E lei ora è via,
infelicemente via.
Probabilmente ha pianto,
probabilmente piange, e di stupidaggini ne ha fatte tante nella vita,
ma mai di questo peso, ed è tutto così salmastro
e vuoto che non può davvero crederci, e vorrebbe piangere
anche lui, ancora di più, ancora di più.
Sono una di quelle persone per cui
esiste solo il proprio ego.
Io, io, schifosamente io.
Al giace ancora, la maschera di
carne confusa riversa di lato, ancora affatto Al.
Affatto Al.
E Riza siede ora, composta e lo
guarda, lo guarda fissare la porta come se vi fosse qualcosa di
particolarmente stimolante nel legno a tinta unita.
Ogni base vuota è il
mare bianco in cui può affogare sino ad inghiottire troppa
acqua per tornare su, troppa.
Troppa acqua per tornare indietro,
frenando le proprie mani e la propria voce.
"Vuoi che torniamo a casa?"
Lei è gentile e
paziente, accavallando le gambe lo ha atteso placando le proprie ansie
sulla sua schiena fasciata di rosso, giurandosi che sta bene e
saprà confortarlo.
Ha placato un sentimento strano
sorto alla vista della ragazza giovane e morbida che ha sconvolto lui,
perplessità ed irrigidimento simili ad un pizzico
d’ira, poi scioltasi in compassione per quella figura
tormentata che scorge l’affetto della sua giovinezza
scansarla a scuola, dimenticarla per proteggersi.
E’ tutto così
equivalente che non possono comprendersi né sostenersi
l’un l’altro.
Ma lei può essere forte
per proteggere chi ha ferite più fresche e schiuse delle sue.
Lo fissa, lo fissa ancora e lui si
volta, facendo ondeggiare la coda alta e sottile.
Non vede bene i suoi occhi, in
verità.
Solo un paio di macchie auree e
flagellate, che la fissano senza intensità, e si rialza
fissando vagamente il minore degli Elric che ha fatto progressi ma
ancora non parla e non vive.
Vorrebbe che almeno il maggiore
riuscisse a farlo.
"Sì. Torniamo. "
-
Note: Ora che me lo fai
notare hai ragione, soprattutto alcuni passaggi del quarto capitolo
sono zeppi di “ella”; tenterò di perdere
il vizio. Posso dirti da ora che non vi saranno scontri diretti tra Ed
e Roy, per il semplice motivo che Riza stessa cercherà di
evitarlo. E lei e Roy avranno un dialogo in cui lei lo
spiazzerà a sufficienza da non lasciare altro da dire, ma
certo, comparirà presto anche lui. Tempo uno o due capitoli,
promesso è_é;. E spero sopporterai Winry, a me
piace molto come personaggio, ma dopotutto in questa storia ha una
parte un po’ misera ^^;, non credo la si possa odiare. In
particolar modo, non so se segui anche il manga, ma dal mio punto di
vista lì è un personaggio migliore che
nell’anime. Frigna di meno e solo per il necessario,
è realistica e ben realizzata. Poi sono gusti, suppongo.
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Capitolo 6 *** Capitolo sesto ***
capitolosesto
Rewrite
Capitolo sesto
Questa fan-fiction è un’AU, dunque
ambientata in un universo alternativo,
in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od
altro,
dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o
almeno
inizialmente.
Disclaimer: I personaggi qui presenti non
appartengono a me, ma alla
somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa
fan-fiction ed
ogni singola frase, idea o concetto.
-
Lo ha osservato ancora,
crollare sul divano affondandovi, Black Hayate a trottare per la stanza
gioioso, leccandole le mani, reclamando la sua cena.
Guidata da un istinto strano
e piacevole gli si è seduta accanto, più accanto
di quanto non abbia mai fatto,
avvicinando insicura il viso a guardarlo negli occhi, intrecciando le
dita alle
sue, premendo forte, torcendogliele per scatenargli una qualche sorta
di mite
reazione, turbato sgomento, ma l’ha solo guardata un poco,
trattenendo il
fiato.
Lei si è sentita
stupida, ed
ha sciolto la presa dalle sue dita, levandosi in piedi e fissandolo
ancora a
lungo.
Non so cosa fare.
Non c’è niente
di giusto
da fare.
Gli passa una mano sulla
tempia, gentile, e gli scosta i capelli sudati con tenerezza.
Sente che se
c’è qualcosa di
giusto da fare, ora, è essere più gentile.
Tenera e gentile.
E lei stessa interpreta
questo come tenerezza più che materna, ma è
seccata e confusa, e non vuole
sentirlo distruggersi, raggomitolandosi stretto su sé stesso.
Lui tende la mano, come in
preda ad una qualche strana visione, e la fissa vuoto, stringendole
piano il
viso.
"Posso ascoltarti se
vuoi. Posso sempre ascoltarti."
Riza si sente agitata e
tremare, mentre lui non è lui e cerca conforto nel mite
chinarle il capo
all’altezza del suo, stringerla ad una pressione gentile di
labbra cui lei non
si sottrae, avanzando nella sua bocca col tastare rozzo e confuso della
lingua
in cerca di contatto e vita.
Lui si sente caldo e la
lascia dopo un poco, fissando il suolo piattamente in muta
giustificazione e
ricerca di perdono, rosso scuro e più turbato che mai.
Lei smette di fissarlo ed
indietreggia piano.
Non avrebbero entrambi
voluto, ma nonostante questo è stata un’unione
carica di calore e reciproco
incoraggiamento.
E’ stato dare e ricevere,
d’un appagamento così equo da parer surreale, e giusto.
E’ qualcosa di cui si ha
sempre bisogno.
E ne abbiamo entrambi
bisogno.
"Non rifarlo."
mormora spezzata lei, sperduta nel sapore amaro ma estatico delle
labbra
giovani e fresche di lui.
Non sente nemmeno la
necessità di ferirlo, perché per un istante, per
un misterioso e miracoloso
istante, si è sentita felice con lui.
E lui è così
immaturo e
piccolo da parere lì lì per urlarle che
è solo un moccioso in preda ad un
capriccio, e che questo è sbagliato.
Cristo, lo sa, lo sa
benissimo.
Ma sa anche che finché
questo
può essere chiamato reciproco abbraccio, reciproca presenza
e tangibilità lei
vuole essere lì.
Negarlo,
ma essere lì.
Gli occhi aurei e velati
d’umido incrostato d’egli la interrogano al lungo
sul significato di quel suo
sostare stringendosi una ciocca di capelli tra le dita mordendosi le
labbra,
insicura e paralizzata come una ragazzina, la catturano ed
inteneriscono
sommamente.
Rilassa le sopracciglia
strette agli occhi e la fronte muta in liscia mentre lo fissa
così, scomposto,
muto e concentrato.
Supplichevole.
"Ti prego." pare
dirle senza nemmeno sbattere le palpebre, sperduto e penosamente
contratto in
orrido patire "Fammi dimenticare. Aiutami a dimenticare ogni cosa
tranne
la mia esistenza. Nutri il mio ego di fiducia e rendimi vivo."
Può vedere i suoi occhi
brucianti di supplica e determinazione, lacrimare senza smettere di
guardarla.
Non possono perdere di
vista chi sono, ma possono rammentarselo con forza.
"Io sono Riza. Riza.
Non Winry. Lo ricorderai, Edward Elric?" domanda ella, tremula e
avvinta
dai suoi occhi affilati e taglienti su di lei.
Dolorosi.
Non può più
farne a meno, e
non sa nemmeno lei cosa prova, se ossessione o appassionata
necessità di
stringersi ad un corpo, ma lui l’ha tastata gentilmente con
le labbra e con la
lingua, e, soprattutto, con la mano l’ha toccata.
Non l’aveva mai fatto, e
sa
che l’agitazione ha sconvolto i suoi nervi e rovesciato la
sua emotività.
Sa che sarebbe tutto
terribilmente simile ad approfittarsi di lui, ma a
diciott’anni potrà ben
sapere quanto lei cosa vuole.
"Riza. Riza. Ti
prego, sta’ con me."
E lei cala su di lui
perdendo anche l’ultimo scrupolo morale, lenta e calda, ma
con mani così
fredde, così fredde.
Le scalderò.
Sono troppo fredde
perché non ne soffra.
Troppo fredde.
E le mani di Riza sono
tanto fredde quanto dolci mentre sfilano leggere la felpa rossa dal
petto di
lui, attento lavoratore chino sulla zip della gonna di lei.
Sul divano morbido si
stringono, e lei sprofonda teneramente il capo sul suo petto biondo,
fronte
carezzata dal mento puntuto di barba ignorata per giorni ma ancora
fine, pronta
a sussultarvi senza far rumore aprendo le gambe.
Abbiamo entrambi bisogno
di qualcosa da proteggere, per sentirci forti.
Lui la stringe, nuda e
saporita tra le sue labbra curiose ed infantili, sul corpo
d’altezza un poco
inferiore, sullo stesso bisogno di sentire qualcosa.
Abbiamo entrambi bisogno
di un petto ampio su cui sussultare.
Si guardano negli occhi per
tutto il tempo, nudi ed ignoranti come due bambini, scaldandosi di
strette
salde e tenere.
Per lui tutto sta
iniziando; per lei tutto sta ricominciando.
Sono perfettamente uguali
mentre si sfiorano, si baciano e si tastano sentendosi vivi, entrando
l’uno
nell’altra e contorcendosi, perlacei e dagli occhi stanchi.
Riza ed Ed.
Ed e Riza.
E non esiste altro.
-
Quando Edward riapre gli
occhi ha la schiena a pezzi, ed un braccio di lei pende mollemente al
lato del
divano, leggera come una morbida coperta su di lui, che si sente come
ubriaco;
e non ricorda niente, ma ricorda lei.
Non vuole fare un singolo
scatto, perché la vede serena come una bambina, su di lui,
con i capelli ancora
raccolti ma terribilmente in disordine.
Glieli scioglie piano, e se
l’accomoda meglio in cuore, raggomitolata ed insicura come
non l’ha mai potuta
vedere.
Vuole che lo veda con lei
ed intento a fissarla, al risveglio.
Le mani di entrambi sono
ora bollenti.
-
I giorni si urtano,
infrangono e raccolgono i propri pezzi confusamente, sicché
loro due non ne
hanno un ricordo preciso.
Si parlano meno
dell’usuale, leggono molto ed i loro sguardi
s’incontrano solo se per caso.
Se si urtano si scusano e
tentano di non sfiorarsi oltre, ebbri di confusione, gioiosi e timidi
non come
amanti usuali ma ragazzini al primo e casto bacio.
Se i corpi li guidano si
stringono e baciano teneramente, morbidi ma quasi meccanici, privi di
volontà
razionali.
Ecco il disastro
dell’uomo cinico: se riesce ad essere felice gli pare tutto
irreale.
Assapora frettolosamente
ogni cosa volgendo già lo sguardo al giorno in cui la pura
bramosia si
scioglierà e con esso la felicità di una
piacevole convivenza.
Sono un idiota, un
idiota.
E sono gelidi e caldi
d’un
tempo, intorpiditi dal disagio infantile che li avvicina ed allontana.
E’ come se fossero
rimasti
bambini.
"Ed?"
"Mh?"
"Senti, io penso
proprio che dovresti finire gli studi ed andare
all’università. Pagherò ogni
cosa. E...e poi... " inizia lei tentennante, per poi stupirsi della
propria regressione a tenera ragazzina, pur senza darsene eccessiva
pena.
Insomma, non è che ci
sarà
un poi.
E’ questa la cosa
sciocca,
fondamentalmente.
"...nulla."
"Nulla?"
"Non è che basti una
notte a rotolarci sul divano e qualche bacio istintivo a far esistere
un
noi...ed io...sono...io sono... "
Impegnata?
Oh, no, sciocca donna,
non lo sei.
Roy non c’è,
non torna,
non torna.
Cancelli i messaggi in
segreteria perché Ed non li senta, e non sai nemmeno tu cosa
ci sarebbe di male
in questo.
Roy è persino un
possibile partito, che ti prometterebbe una vita ricca e serena.
Stabile.
Edward è un ragazzino
immaturo bisognoso di affetto ed un muro che lo isoli dal mondo esterno
ed i
suoi traumi.
Lui è tenerezza, non
è
altro.
Lui è la fiamma giovane
e
viva che ha acceso una notte d’amore con il suo tocco rozzo
ed impacciato.
Quel tocco rassicurante che
l’ha rilassata tastandole le clavicole in una maniera un
po’ strana e giocosa,
parlandole gentile e spaventoso all’orecchio e spingendola a
morderglielo
teneramente per non rabbrividirne ancora.
Lui è qualcuno che
l’ha
stretta ed è entrato in lei senza più uscirne,
scaldandola e sostando a lungo
in pace, in un Paradiso troppo rassicurante e bianco per desiderare
uscirne.
Ha ripensato a lungo a
quella notte bramandolo ancora e ancora, e ribadendosi più
volte che un singolo
anno d’età la scampa dall’essere una
bieca e stolta pedofila.
Ed un giorno lui troverà
una ragazza giovane e sottile, una nuova Winry che non
odierà mai, dimenticando
tutto il resto.
La toccherà, la
amerà sotto
fresche coperte e la sposerà, e vivrà felice con
tanti figli, mentre lei sarà
incatenata ad una vita ancora non scissa dalle sue debolezze con Roy
Mustang,
che l’amerà tantissimo pur senza completarla come
un ragazzino è riuscito a
fare in poche ore.
E farà male per sempre.
"Riza? Riza, io...credo
di voler restare qui."
Lui è in piedi e lei non
se
n’è accorta, titubante nell’accostare le
dita alle labbra, mordendole
ferocemente.
Si sente tremare e senza
forze, odiando profondamente questa sua mancanza di forze ed il proprio
sentirsi orribilmente sola e sperduta.
"Resto."
ripete lui paziente, raggiungendola e stringendola con braccia leggere,
senza
possenza ma con un briciolo d’animo che gl’impone
di non far piangere un’altra
donna.
Riza deve vivere.
E lui vuole provare a
vivere con lei, così sciocca e facilmente frantumabile che
è ora lì lì per
crollare in un vasto oceano scuro, e non c’è
terra, non c’è aria.
Il fiato gentile di lui
sillaba ancora e ancora promesse gentili alle sue clavicole, che lei
non può
sentire ma la sua carne ricorderà.
-
La vigilia di Natale li ha
sorpresi e lasciati senza fiato.
Lei abbassa la testa, al
mattino, sapendo che la tradizione si ripeterà, come ogni
anno, ma vuole
fermarla.
I messaggi in segreteria si
sono limitati a rammentarglielo più volte, con annesse scuse
perché il lavoro
soffocante aveva impedito all’adorabile Roy Mustang di
irromperle in casa con
la copia delle chiavi in suo possesso da un cinque annetti buoni per le
emergenze.
Edward dorme ancora sul
divano, rilassato e con la bocca spalancata ronfando come un bambino
beato.
E con la pancia scoperta
dalla canottiera, che si affretta a coprirgli.
Possiede ancora quella
sorta di tenerezza che le mani intuitive di Riza, che dal primo tocco
hanno
abilmente individuato ogni zona sensibile in lui e quali tasti toccare,
del suo
petto come delle fibre più intime del suo animo, per farlo
sentire gioioso e
rilassato, caldo ed appagato.
Per non causargli problemi.
Solerte e ridente gli
ricopre il ventre che si gratta un poco nel sonno, sfiorando
leggermente con le
labbra il lobo del suo orecchio mentre si gira, cautelandosi per non
svegliarlo
prima del tempo, ed osserva la contraddizione che è e
sarà sempre quel bambino
timido tra le sue braccia, allergico al tocco per difesa personale e
caratteraccio
invidiabile, ma così indifeso.
Tutti sono indifesi e
liberi nel sonno.
Svegliarlo sarebbe un
tradimento.
Sorride appena, vestendosi
per portare a spasso Back Hayate, ma Roy è qui prima del
tempo, sorprendendola
mentre rialza la zip dei pantaloni di velluto vicino al letto di Ed,
ancora
guardandolo, mentre il cagnolino bianco
e nero corre ad accogliere l’ospite.
E Riza aveva previsto
tutto, tranne una buona risposta da dare se colta senza il tempo di
rifletterci.
Edward è diventato
l’alcool
estasiante ed oblioso dei suoi nuovi giorni, e si è sentita
girare la testa e
ridere forte più e più volte come non aveva mai
fatto, in improvvisi impeti di
incredula letizia.
Roy Mustang posa un
panettone sul tavolino vicino ad Ed, stringe gli occhi sottili e si
passa una
mano dalla tempia ai capelli con forza, incredulo ed avvilito.
Ha perso importanza, e Riza
esce fuori con lui, guinzaglio alla mano, solo per non svegliare il
ragazzo
dormiente e maledettamente grazioso.
Eternamente egoista, eh?
Non andrà tutto bene, ma
non cambierà nulla.
Si limiterà solo ad
assumere maggiore concretezza.
-
Note:
Sì, qui siamo ancora a
Natale. Sì, ho scritto tutto ciò circa
l’anno scorso, è stata a lungo in
lavorazione, la storia. E ben lieta di aver ritrovato una commentatrice
in più,
che ringrazio vivamente, senza scordare Setsuka, per quanto sia rimasta
un
pochino sgomenta di tutta quella disapprovazione verso Winry;
ovviamente può
tranquillamente essere che si tratti di antipatia a pelle, o forse
segui solo
l’anime, che, ribadisco, la svaluta molto.
Tendenzialmente, è un
personaggio abbastanza detestato da chi segue solo quello, e se
è così anche
per te posso capirti perfettamente, per quanto tenda a consigliare la
lettura
del manga a destra e a manca, e fino in fondo, anche, perché
oltre a meritare,
sviluppa al meglio un po’ ogni personaggio; finisce che non
ce n’è davvero uno
detestabile, per l’approfondimento accurato e profondo,
dunque potrebbe piacere
anche a te.
Ribadisco inoltre che
l’unico punto debole di Winry possa essere il pianto, ma lo
vedo come semplice
sfogo; lei è una delle poche persone normali, là
in mezzo, e dev’esserci anche
una certa frustrazione, in mezzo al tutto, poiché
è anche l’unica che non può
fare molto, ma per questo stesso motivo è realistica.
Non piange per farsi
compatire, né si trastulla nella sua condizione di orfana
(Anzi, nell’anime
viene mostrato solo il suo pianto rabbioso da bambina, ben
giustificabile, e
rabbia verso Mustang; nel manga se soffre lo fa quando è da
sola, senza
condividerlo con altri, tendenzialmente, sfogandosi solo in una certa
situazione abbastanza spoilerosa, per il punto in cui è il
manga in Italia
ora.)
E’ un personaggio
spontaneo
e se sembra troppo felice non è detto che lo sia sul serio,
ma che lo faccia
per non preoccupare gli altri, quando la situazione di essi
è più grave (ad
essere sinceri, un tempo lo facevo anch’io. E fidati, non
è piacevole.); le
parole più dure che può rivolgere ad Ed o Al sono
volte a scuoterli e peraltro
più brusche nell’anime, quasi assenti nel manga.
Questo non è volto
né al
fartelo adorare, né semplicemente piacere, davvero;
più che altro, spero, a
fartela tollerare un poco di più, non altro, anche
perché farà anche un’altra
comparsa, devo dirtelo, ma solo un’altra, ed il pairing della
storia ormai
è…ehm, evidente, dunque non preoccuparti.
Ma questo non è
assolutamente lo spazio “difendiamo le nostre opinioni e
personaggi”, per
quanto un confronto di opinioni sia sempre piacevole, dopotutto, dunque
scusami
^^;.
Ecco, ora ho quasi finito;
al prossimo capitolo XD;.
[Ringrazio tanto
Sìl perché
mi ha dato basi sulla risposta, da sola avrei meditato di
più ed avrei postato
tardi il capitolo, che già è in ritardo. Ma
posterò comunque il prossimo questo
sabato ^^]
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Capitolo 7 *** Capitolo settimo ***
Rewrite
Capitolo settimo
Questa fan-fiction è un’AU, dunque
ambientata in un universo alternativo,
in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od
altro,
dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o
almeno
inizialmente.
Disclaimer: I personaggi qui presenti non
appartengono a me, ma alla
somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa
fan-fiction ed
ogni singola frase, idea o concetto.
-
Lui stringe un poco i
pugni, letalmente ferito da ogni parola che gli si scioglie mollemente
all’orecchio senza un minimo di riguardo o tatto.
Non è mai stata il tipo
particolarmente dotato di tatto, fuori dalla vita professionale, ma
particolarmente schietta.
Se non fossi schietta
mentirei, e questo sarebbe un grosso peso per me.
Ed è anch’ella
abbattuta,
mentre stringe un poco le labbra frenandosi a fatica dal morderle pur
di
conservare austero contegno, e fa del suo meglio per parlare,
sventrandosi come
ad un parto, nel duplice intento di non fare un altro torto
all’uomo che ama e
non soffrire oltre.
E’ tutto schifosamente
difficile.
"...e mi sono sentita
trascurata. E priva delle tue attenzioni."
"Cristo, Riza, non
fingere di non sapere quanti anni abbia. E che, anche se ho agito
stupidamente,
l’ho fatto per te. Per favore, non fingerlo."
Oh, lei è
così brava e
fredda e ricca di destrezza nel vomitare dolorosamente parole che non
pensa pur
di proteggersi.
E fingere di avere
un’interpretazione delle cose, così diversa dal mi
servono più coccole e
certezze, come ad una mocciosetta, ed era più facile e
piacevole così, e lui è
dolce e sgarbato, ma maledettamente gentile e lo amo, lo amo
diversamente da
come amo tutt’ora te che è reale in un
posto remoto tra le sue scapole,
sotto la sua pelle, qualcosa d’intima intesa tra
sé e quel celato compiacimento
che la rende terrificantemente gioiosa, d’una gioia al
proprio occhio malata.
E’ visibile a tutti, ma
lei, solo lei non lo sa.
Black Hayate abbaia un poco
irato ed ansioso, tirando il guinzaglio.
Lei stringe gli occhi,
definendo mentalmente quei cinque minuti il tempo
dell’indolore congedo.
Vuole andare via, sfogando
istinti complessi e contentando Roy con parole sentite ma confuse, e
sosta un
poco, pensando ed elaborando un poco solido sorriso gentile.
"Inizialmente l’ho
accolto in casa mia per pena e tenerezza. Non sono una pervertita. Non
sono una
persona così." mormora piano, stirando
ogni parola con cura per
struggerlo nel passato.
E’ spesso così
crudele, con
quella gioia vibrante che è verità che urta e
scuote.
Così crudele.
Lui, schiena contro la
porta, scosta nervosamente il carico del proprio peso da un piede
all’altro.
Non vuole sentire.
Non vuole davvero che
parli, anche se la incoraggia a continuare a farlo con un cenno del
capo.
"Tu puoi essere buono
e gentile con me, Roy. Davvero, lo sei tanto. Ma questo è il
tuo dare, ed io
non ti ricambio con nulla."
"Non... "
"Conta. Conta
tantissimo, invece.
E’ come essere una casalinga frustrata con un marito in
carriera.
Qualcosa che ti urla sei un miserabile straccio, sei inutile
e ti ergi fiera
su tutti ma non fai niente. Non puoi fare niente.
Ed è una cosa davvero, davvero penosa, tirarsi su
appoggiandosi totalmente a
qualcuno; Edward è diverso in questo senso.
E’ qualcuno a cui posso
dare qualcosa. E’ un ragazzo così distrutto che
anch’io posso fare qualcosa per
lui. Con impegno lo seguo, comunico con lui, e lui è una
presenza calda che fa
qualcosa per me conoscendo le parole che mi servono perché
abbiamo passato
tante cose terribili, e sa come ci si sente a perdere tutto e sbagliare
tantissime volte.
E’ qualcuno cui posso insegnare come non sbagliare ancora
come io ho sempre
fatto.
Siamo tutti così egoisti, ma lui ne ha coscienza.
Così pieno di complessi ed egoista, egoista come ogni
sacrosanta persona può
essere, ma riconoscendolo entrambi siamo onesti come nessuno. E
crediamo questa
la nostra felicità.
Forse è compassione. Forse è il rapporto
più puro che si possa avere, come tra
bambini.
Non lo so. E non voglio saperlo, se devo essere sincera. Va bene
così.
Questa sarebbe una richiesta, un…un…"
"…un ‘lasciami
perdere’, eh?"
Lui sospira, mentre lei non
ha altre parole e si sfiora una tempia confusa, prendendo secondi con
l’arricciarsi una ciocca bionda attorno al dito, sfuggendo al
suo sguardo e poi
ripuntandolo, perché lui è lì a
vanificare ogni suo tentativo di fuga con somma
decisione, alto su di lei che è bassa stringendosi
colpevolmente nelle spalle,
sperando di averlo spiazzato ma l’ha solo ampiamente deluso,
svuotato di ogni
energia.
Anche se questo adempirà
ugualmente allo scopo di perderlo.
"Riza. Ri-za."
Lo sguardo d’inchiostro
di
lui è pesante ed opprimente, è come se le fosse
addosso senza esserlo,
schiacciato sul suo corpo con sguardo di abile seduttore a confonderle
pesantemente la testa, ma sono distanti, d’una distanza
immateriale ed
inesistente, che potrebbe colmare allungando appena un braccio, ma non
lo fa.
Si separano col suo passo
ampio e falciante ed il suo capo che annuisce con scatto forte e
doloroso per
il collo, sicché lui possa scorgerlo anche senza desiderarlo
davvero.
E non lo desidera, ma è
visione ineluttabile ai suoi occhi sconcertati ed affranti.
E’ un perenne errore.
In ogni passo, in ogni
mutamento.
Un latrato leggero, e Riza
è per sempre una macchia chiara e scura indistinta.
-
"Merda. La mia
testa…" brontola Ed, rigirandosi nel letto mentre si preme
una mano sulla
fronte, magenta come solo certe sfumature degli occhi nocciola strani
di Riza
sanno essere, come solo le mani ferme ed affusolate di Riza sanno
colorarlo e
lo colorano anche ora, strofinando la fronte contro la sua con un
sorriso
malevolo, stringendo il lobo del suo orecchio sinistro tra i denti con
presa
appena accennata, rovesciandosi su di lui.
"Ho appena detto che
mi fa male la testa." ribadisce lui contrariato, pur senza sottrarsi al
contatto morbido e sensuale.
"Non è colpa mia se
hai bevuto troppo, ieri sera."
"Era lo stress. A
giorni ho un test importante, lo sai."
"Ah. Ma ho fiducia che
andrai bene."
Riza si rivolta, delicata e
macchiata d’un contegno che pare non aver perso per un solo
istante, al suo
fianco sul solito divano, accoccolandosi discreta con la testa posata a
forza
sulla sua spalla, e chiudendo gli occhi.
"Riza…"
"Ti do fastidio?"
"Non tu…n-no,
insomma…è…"
Lei abbassa lo sguardo
seguendo il calare del suo, quasi atterrito dalla pressione dei suoi
floridi
seni sul proprio braccio, mentr’ella lo compatisce con un
sorrisetto tirato.
"Buffo che questo
piccoletto precoce si spaventi così dopo aver avuto a che
fare con roba
peggiore. Buffo, davvero."
"NON SONO PICCOLO. E
NON HO AVUTO...a che fare con...oh...er...va’ al diavolo, eh."
"Sei sempre così
tenero..."
"NON
SONO...oh...er...oh..."
Lei ride un poco vedendo il
suo colorito peggiorare, sollevandogli il viso con un dito e sfiorando
le sue
labbra con lo stesso, il pollice a sfregarvisi percorrendone
l’intera curva,
sino a sfumare il contatto, sottraendovisi quando lui le stringe la
nuca per
accostarsela maggiormente, rapitone come da intento e dunque non
comprendendo
il rifiuto.
"...c’è
qualcosa che
non va, Ri?"
"No...ti spiace
se...stiamo così e basta?"
"...davvero, è
successo qualcosa?"
"No, stamane,
beh...no, insomma...no. "
"...beh?"
"...io... "
"Dai."
"...ho pensato che
quando dormi sei davvero più carino del solito."
"...eh? Umph. Non si
dice così ad un uomo."
"Non posso farci
niente. Sei carino."
"Non bello?
Affascinante? Attraente?"
"Carino,
Ed."
"…è davvero
tutto
qui?"
"No, sei anche apprensivo,
molto."
"Riza..."
Lui si sfrega una mano
sulla fronte, sconsolato ed incalzandola approfondendo una carezza alla
schiena, che gli sfugge poi alla presa col di lei levarsi, contratta in
viso,
abbandonando malamente la testa in petto e sferzandosi il viso in
solchi delle
sue stesse unghie.
"Tutto bene. Tutto
bene."
Edward la perde di vista
quando in muta scrollata scuote le spalle e lo rifiuta ancora, ma
d’un rifiuto
plastico e mentale, che non tollera sentirsi intrisa di colpevolezza
quando lo
tocca.
Non lo tollera più, ma
nessun gran gesto da osare la libera da quest’inibizione,
dunque si allontana
nella sua stanza e lui è perplesso e scombussolato, ancora
dolorante, ed è un
pessimo momento, ma qualcosa vuole uscire da lui ed i suoi piedi
scattano verso
il bagno, rendendolo nervoso a lungo.
Merda. Merda. Merda.
Mer—ha.
-
Note: Okay, Ed è un mostro di
finezza. Okay, questo bisogno di attenzioni per distrarsi di Riza
può lasciare perplessi.
Più che perplessi. Ma era, seriamente, una delle poche volte
in cui mi tornava
funzionale adattarla così, perdonatemi.
La
battuta sul fatto che Ed sia così pudico nonostante quanto
ha passato, è
riferita a quanto è avvenuto nel capitolo precedente, spero
fosse
comprensibile.
Mi
spiace di aver shockato Setsuka ^^;, e sono contenta che dopotutto
trovi i personaggi
giustificabili. Continua a dispiacermi che tu abbia questo terribile
rapporto
con Winry, avendo io in lavorazione diverse one-shot EdWin per il theme
set
Violator del forum, suppongo non sarà facile che, conclusa
questa ff, tu legga
altro di mio.
In
proposito, ero piuttosto dilaniata circa il prossimo capitolo; il
seguente ad
esso, dunque il nono, sarebbe l’ultimo, e pur avendoli
suddivisi con un senso
logico, l’ultimo è piuttosto breve (due
paginette), e mi spiacerebbe lasciare insoddisfatto
qualcuno. Anche perché sto ancora ponderando sul se
aggiungervi un epilogo o
meno, ma suppongo mi baserò sulle recensioni; se
sarà ritenuto un finale
incompleto, provvederò, se no lo lascerò
così.
Grazie per le recensioni anche a Shatzy e Babus, lieta di aver trovato
nuovi
recensori ^^.
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Capitolo 8 *** Capitolo ottavo ***
Rewrite
Capitolo ottavo
Questa fan-fiction è un’AU, dunque
ambientata in un universo alternativo,
in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od
altro,
dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o
almeno
inizialmente.
Disclaimer: I personaggi qui presenti non
appartengono a me, ma alla
somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa
fan-fiction ed
ogni singola frase, idea o concetto.
-
Ogni cosa è routine e
tutto
smette di girare attorno a loro, con il freddo che si affievolisce
lento nella
temperatura esterna e si rafforza nelle loro ossa, insormontabile
barricata di
frammenti acuminati di quello che avevano usato essere. Schegge di
vetro che
assieme sono compatte ed innocue e divise si coprono del sangue di chi
le
tocca.
E’ più
semplice così.
Recupero tempo.
Lei è inavvicinabile e
lui
turbato, sconvolto dal sorriso plastico ed inanimato che lei gli
rivolge sempre
più spesso, levando gli angoli della bocca e non mutando
nello sguardo, un
sorriso che, cazzo, potrebbe evitarsi, potrebbe evitarsi. Lo
fa per sentirsi
santa? O per seccarmi di più?.
Lui le sorride sempre di
rimando, ma d’un sorriso ch’è contrito e
rumoroso come ossa che scricchiolano.
Fragile.
Spigoloso.
Mentono e sostano a
guardarsi, distanti e vicini.
Muti nella stessa aria,
tremando d’un freddo che non c’è.
Si sfiorano, finanche, se
casualmente si urtano, e così al momento le dita meccaniche
di lui si flettono,
meccaniche, agganciandosi alla vita femminea e sentendola respirare
molto
piano.
Desideravo.
Si guardano senza vedersi,
senza vita.
"Io..."
Non...
Lo sguardo di lei si
scongela, davanti alla sua bocca che si schiude, sciogliendosi dal
contatto
sottile, un poco in ansia e terrorizzata dalla propria freddezza.
Non desideravo.
"Riza.
Perché...noi...?"
... che finisse così.
"Per...do..."
Non desideravo che
finisse. Così. No.
Dimmi, dimmi che non è
finita.
Il cellulare di Ed vibra
forte nella tasca dei suoi jeans cascanti, dalla cerniera calata senza
minima
cura ed ansietà, senza il pudore che lo ha sempre
caratterizzato, e lui senza
mutare campo visivo guarda le sue labbra tremule ed arrossate sillabare
ancora,
ma nel contempo leva ai propri occhi l’oggetto scalpitante.
Dio, se ci sei non...
"...no....donami..."
Ma non può
più sentirla,
perché accostandosi l’oggetto
all’orecchio schiude le labbra come in risposta,
ma solo un verso scomposto fugge dalla sua gola schiacciata ora dalle
proprie
dita, con forza, gli occhi sbarrati.
Essa gli brucia, e le sue
mani non hanno forze.
Non può parlare.
Come il telefono gli cade
dalle dita, urtando il pulsante dell’altoparlante, Riza
sente, con lui, che è
tutto finito.
-
I giorni corrono ancora, ed
ogni giorno lui si allontana dalla di lei figura, scivolando via,
barricato
dietro le proprie spalle, che sempre stringe e sempre le volge.
Perché Al è
più fermo di
prima ed il suo viso distante, mutevole nelle sue memorie
già deteriorate e
confuse, ma che tentano di riafferrarlo e ricondurlo pazienti alla casa
ove può
trovare ricovero, sotto la sua mano che gli accarezzerà la
testa a fatica, il
suo sguardo che lo biasimerà a volte ma sempre
sarà fiero, ed Al fugge, fugge
ancora ed ora sa, sa benissimo cosa ha lui stesso ucciso in Winry.
Quella parte di sé che
è
ora morta con Al.
Una parte consistente tra i
reni ed il cuore, un pezzo di carne intangibile ma senza del quale non
può più
respirare.
Non so perché.
Sa questo, e non sa più
niente, perché questa era la cosa più importante
che potesse definire con
certezza, e così come Riza lo ha scostato confusa ora lui
l’allontana, quando è
vestita di nero e vuole che la guardi negli occhi per confonderlo
ancora,
distrarlo da un dolore che non sa nemmeno come esprimere.
Questo era importante.
Questo, questo era importantissimo.
Cosa c’è
ancora, cosa?
Non lo ricordo. Non lo ricordo.
La figura di Winry è
fievole e seppellita dalla seppur scarsa folla assieme alla nonna;
Winry si
nasconde tra le proprie spalle e si scherma il viso con le mani, come
una
bambina che gioca a nascondino, ma lui l’ha già
trovata, l’ha già trovata;
rossa, incredula e quasi ridente, ella lacrima per tante ragioni
davanti alla
pietra bianca che cela il caro amico d’infanzia, ma non si
avvicina ad Edward o
ad altri.
Come condoglianze al
defunto.
E Riza è ferma, sbiadita
nel contrasto col grigiore di dolori sentiti o meno di pochi parenti ed
amici,
perché lei, semplicemente, non può
sentire nulla, solo somma
mortificazione.
E sbaglio. Sbaglio
sempre.
Edward è svuotato una
volta
di più, è tutto è grigio e bianco
attorno a quei protagonisti che sono lui e
Winry, vicini ma immateriali.
Lui abbraccia vecchi amici
dimenticati, si ferma a lei che lo scruta e china ancora il capo, senza
nemmeno
sfiorarlo.
Così distinti.
Il giorno si allontana
anch’esso, assieme alla notte, alla veglia di Ed.
Si allontana tutto, ogni
cosa.
Rendendolo ancora
colpevole.
La figura più ferma di
tutte lo guarda, ed è simile a Winry, perché lui
non la vede più.
Non sa se oserà
guardarla
ancora e sceglierla ancora rispetto ad una vita- ora la sua.
-
E’ tutto dannatamente
arduo
e tutto serra il suo stomaco in forte oppressione, la tensione forte ed
ossessiva che ha fissato all’atmosfera con la sua
ostinazione, rovinando ogni
cosa, rovinando Ed con le sue stesse mani che hanno ora unghie spezzate
e
sciatte, mentre crolla al suolo stringendosi forte.
Non può farci nulla, ma
non
ha controllo pieno degli arti, che cedono fiacchi sul pavimento,
capelli
scarmigliati tra le sue pupille dilatate, apprensione ed è
come se avesse corso
a lungo sotto la pioggia, che l’ha affogata con il suo canto
cadenzato e resa
vicina alla disperazione - a questo
modo
ella è bagnata, stremata ed ogni muscolo e vena pulsa e
freme sotto la sua
pelle, sopra la sua pelle, e potrebbe esplodere ma non capisce, non
capisce.
Si tocca faticosamente il
viso ritrovandolo freddo, solcato da rughe che non ricordava di avere
su una
pelle ruvida che non è affatto quella morbida che aveva
quando sorrideva
stancamente ma gioiosamente con Ed, cenando con Ed, respirando sempre,
sempre.
Cose così semplici hanno
da
lungi smesso di piacerle; e non mangia molto, non respira
più del necessario e
resta fuori casa anche se senza scopo sino a sentirsi mancar forza alle
ginocchia, cadendo e strisciando senza dignità.
Non sa perché sia
arrivata
a questo, ma senza motivo qualcosa la distrugge e la terrorizza,
spaventandola
perché Ed è vacuo e simile ad un fantasma,
ignorandola senza sforzo, e
soprattutto sente il proprio ventre strano.
D’una stranezza che teme
e
le è invisa, e Ed la abbandona ogni istante di
più vagando muto per la casa
senza guardarla affatto, senza scopo di vita, e Riza non può
credere di poter
essere lei questo.
Né la creatura che teme
di
portare in grembo.
Una fitta le colpisce lo
stomaco, e non vuole, non vuole crederci.
-
Note: No, non finisce qui. Per amor della suspence,
manca un capitolo,
anche breve e costituito in gran parte di dialogo. Due paginette e
finisce UU;.
Non so ancora se ci sarà quello stramaledetto epilogo su cui
mi sto
arrovellando da secoli, ma se a qualcuno interessasse particolarmente,
potrei
scriverlo senza problemi, ma si potrà parlare con cognizione
di causa solo una volta
letto anche l’ultimo capitolo, suppongo.
Non ti preoccupare assolutamente, poi, Setsuka ^^. Da parte mia, poi,
non è che
odi a morte le RoyEd, mi capita anche di leggerle, casualmente, anche
se rare
volte; ma tendenzialmente snaturano troppo, per i miei gusti, i
personaggi
principali, imbastardendo Roy in maniera assurda (almeno rispetto al
manga,
secondo l’anime può anche starci) e rendendo Ed un
bambino con momenti da ragazzina,
e “violentabile” da chicchessia, anche se
è soprattutto prerogativa dei doujinshi
yaoi in generale. Se poi sono scritte bene e tutto ed IC è
un altro conto, sì.
Voglio poi precisare che non tutte le ff che scriverò con Ed
e Winry li
vedranno come coppia ^^, ad esempio quando posso devo postare Halo, in
cui
Winry compare solo in qualche visione di Ed, come morbosa ossessione, i
protagonisti saranno Ed e Al. O in Personal Jesus, saranno solo
bambini, quindi
certamente non si può parlare davvero di una coppia, non in
maniera ricambiata.
Ma questa è pubblicità occulta XD;, scusami,
è che il tuo parere mi fa sempre
piacere, ma logicamente, i
gusti son
gusti, e non scriverò solo EdWin per tutta la vita, ho
quantomeno in cantiere
dei drabble Royai, che sono già diversi XD;.
Ah, e ti ringrazio anche per il commento a Cold dust, mi fa tanto
piacere ^^, ed
è proprio curioso che ti capitino cose così.
Le mie fan-fictions su Inuyasha non hanno avuto particolare seguito,
(specialmente
Vital touch, che è la mia adorata creatura, ma probabilmente
troppo forte come
argomento per essere particolarmente apprezzata ^^’), quindi
un parere su
quelle dopo tempo mi rende ancora più felice ^^.
Ecco, ed ora al prossimo, ultimo (a meno che non mi decida per
l’epilogo)
capitolo! è_é;
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Capitolo 9 *** Capitolo nono ***
Rewrite
Capitolo nono
Questa
fan-fiction è
un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in
questo caso
semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma
determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno
inizialmente.
Disclaimer: I personaggi qui presenti non
appartengono a me, ma alla somma Hiromu
Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni
singola
frase, idea o concetto (Esclusa la citazione, ehm.).
-
"Penso che dovrei
andare via. Sì. Dovrei proprio."
Questo doveva arrivare.
Lo sapeva.
Lo sapeva.
Ma accettarlo è un altro
discorso.
"Io...per te...con te
ho...trascurato anche le visite ad Al, mi assorbivi completamente. Solo
poche
volte alla settimana andavo da lui. Ultimamente ancor meno.
E’... "
Lo sa, Riza, lo sa
benissimo come andrà a finire e dove andare a parare.
E vuole essere dura, lo
sente giusto.
"E’ questo il tuo
ragionamento. Come con Winry."
"No. E’ colpa mia. Ma
per non sbagliare dovrei stare lontano da..."
"Sii realista.
Cos’altro hai da perdere?"
"...te."
"Ora. Ora mi stai
perdendo. Se lo vuoi davvero sì. Ti resterà te
stesso. Quello sarà il tuo bene
più prezioso."
"No. Io non sono un
bene prezioso per nessuno. Io...faccio morire la gente, o la uccido
dentro.
Sempre. Sempre. Anche ora. Così io...voglio questo."
"Punire te stesso per
alleggerirti? E’...facile, sai? Così è
troppo facile. E faresti star male anche
me. Sarebbe controproducente, se non vuoi sensi di colpa. Cristo,
peccato più
peccato meno, ormai, Ed. Io...non ti tratterrò. No. Insomma,
se vuoi...vai, sì.
Vai."
"Riza...io non...oh...
"
Se glielo dicessi ora
sarebbe un tentativo di legarmelo per sempre. Ed ingiusto.
Però...anche questo
lo sarebbe.
"No...merda, merda, scusami,
scusami. Sono un cretino. Nulla cambierà il passato. Al non
c’è e tu sì, io ti
vedo ma fingo di non farlo. Sei così sciupata, pallida ed in
disordine...non
sei quello che eri. Perché aggrappandoti a me hai commesso
un errore. Non sono
mica degno di fiducia."
"Non mi sono
aggrappata a te. E’ che...questo mi rende triste e non
so...cosa fare, davvero.
Nemmeno per te. Nemmeno per te. Non ti servo a niente, e tu sei
straziato dal
dolore e non vedi via d’uscita, ma se ti sforzassi lo
troveresti. Con me. E...io...io
dovrò dirti una cosa, ora. Ascoltami. Potrà
piacerti e non piacerti. Io ne...ho
paura, ma non me la sento di rinunciare."
"...dimmi."
Ella lo prende per mano,
curva e smunta, accompagnandolo in basso, accompagnando le sue mani ed
invitando la sua tempia ad adagiarsi assieme all’orecchio al
suo ventre.
Lui sgrana gli occhi,
sconvolto, e premendosi una mano sulla fronte con ampia forza,
realizzando
piano che non si sente pronto, affatto pronto, ma che questo
è il suo cammino,
il suo nuovo cammino, il suo presente ed il suo futuro in cui
potrà cercare
salvezza, implorare per un animo leggero.
Non sbagliare più,
crescere, dando sé stesso alla causa.
Dando la sua vita ad una
causa.
Egli piange, copiosamente,
gli occhi avidi sul ventre ancora piatto ma che sarà presto
pieno, e non sa
cosa dire, ma vede Al, morbido, bianco e gentile, gli occhi grandi e le
guance
un po’ paffute del bambino che non ha del tutto evitato di
rimanere.
Mi è stata data una
possibilità.
Al. Perdonami. Grazie.
Grazie. Ti voglio bene. Grazie. Ti voglio bene, fratellino.
"Mi ha...perdonato. Ha
detto ‘Ricomincia’. Sorridendo."
Perdono, perdono,
perdono, perdono, perdono.
Voglio solo espiare.
Per poco non ride,
incredulo, e lei è commossa e lieta che l’abbia
presa senza turbamenti, e che
resterà con lei.
Sa questo perché la
stringe
forte, in ginocchio, accarezzandole le mani voluttuoso ed estatico, grato,
sconcertato, sicuro, sentendola crollare con le dita ancora intrecciate
alle
sue.
Come cuccioli feriti,
lappano via le lacrime e sono liberi, bianchi e felici.
"Grazie per avermelo
detto. Per non avermi mandato al diavolo. Grazie. Grazie. Scusami.
Scusami. "
"Grazie per essere
mancato di risolutezza. Per amarci. Per non essertene andato. Scusami.
Scusami.
Grazie. Grazie. Ti amo. Tantissimo. "
"Sì."
"Resta qui. Sempre.
Sempre."
"Sì. Sì."
Si accarezzano piano,
afferrando con le unghie ed i denti all’avvenire,
aggrappandovisi con certezza
e forza rinsaldate, rinnovate, disperate.
Anche se il loro passo
sarà
lento.
Anche se sarà tutto
inutile.
In questo presente, loro
hanno un futuro.
In quel futuro il passato
sarà più lontano.
Ogni ieri è più lontano del
domani.
-
Note:Spero
non sia giunta come una conclusoone affrettata. Non troppo, almeno, e
che sia
stata soddisfacente, per quanto molto composta di dialogo.
No, ovviamente in quella pancia
nemmeno accennata Ed non sente niente; è il suo cuore che
elabora.
Chiamerei quella creatura
“la
redenzione di Ed”. Il suo processo di redenzione, suggeritomi
senza tanto pensarci
da quella donna adorabile che è Silvia.
“Il peccato più peccato meno”,
è una sottile presa in giro ad un principio di
alcuni seguaci dell’Elricest, nulla di riferito a qualcuno in
particolare, mi
ha fatto ridere e mi ha divertita ripeterlo.
Anche se apporrò la
scritta
“conclusa”, prometto di lavorare
all’epilogo, breve o di decente lunghezza che
sia.
Frattanto, mi butterò
sulla
pubblicazione delle mie one-shot.
Grazie a tutti quelli che hanno, anche solo saltuariamente, seguito la
storia. Anche
Ed e Riza ringraziano di aver assistito a questi loro patimenti mentali
e meno.
Sperano seguirete anche l’epilogo.
Grazie, riguardo a questo
capitolo, a Shatzy per i complimenti, e Setsuka per i suoi adorabili e
lunghi
commenti; per le coppie particolari, dipende dalla mia ispirazione.
Potrei
scrivere qualunque cosa mi porti a fare essa, ora non so proprio che
dirti,
anche se alla fine le mie simpatie maggiori vanno alle coppie canoniche.
Lieta anche che cercherai di leggere le mie altre ff, mi fa molto
piacere ^^. Grazie
a tutti, dunque, e all’epilogo!
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