Rewrite

di Mao_chan91
(/viewuser.php?uid=507)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Erase

Rewrite

Capitolo primo

Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.

Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto (Esclusa la citazione, ehm.).

Per favore, non biasimarti.

Anche se il mondo non perdona, io ti perdonerò.

Per favore, non biasimarti.

Anche se non perdoni il mondo, io ti perdonerò.

Quindi ti prego dimmi.

Cosa ti costerà, perdonarmi?

-Frederica Bernkastel (Higurashi no naku koro ni, Onikakushi-hen)

-

Quando ne sente la necessità, il meglio che Riza Hawkeye possa fare per scaldarsi è sfregare le mani tra di loro, fissando senza concentrazione la finestra e la neve che cade, morbidamente celando ogni cosa, soffocando rumori e, molte volte si ritrova a sperarlo, persone.

Tutto perde colore confondendosi nell’oceano tumultuoso ed oblioso della neve che le riposa gli occhi, che nasconde il blu della rabbia, il verde della gioia negata e delle speranze infrante, il rosso delle passioni spente.

Lei è il sostegno confortevole di chi ha bisogno di lei per ritornare a vivere; lei è la buona predicatrice che per insegnare agli altri ha bisogno prima d’imparare da sé.

E’ una lastra di vetro che rifletterà bene solo se levigata e ripulita con cura ed a lungo; e fino ad allora non avrà giusta cognizione di quanto la circonda, sostando a compatire a lungo ogni persona.

-

Un’occhiata poco gentile accoglie subito Roy Mustang, primario dell’ospedale cittadino, imbarazzandolo ed intimorendolo.

Ride scioccamente, mentre la donna in tallieur scuro stringe gli occhi un poco, serrando le labbra sinuose senza gioia, levandosi nella sua discreta altezza dalla sedia girevole dal sedile morbidamente blu; lui si raddrizza gli occhiali sul naso, tentando di darsi un minimo di contegno, e si batte una pacca leggera sul camice bianco.

"Oh, non guardarmi male, via, Riza! Non ricordo di aver fatto nulla di male, ultimamente."

"Signorina Riza."

"Er... "

"Signorina Riza, donna esperta e capace."

"Va bene, va bene, mia regina. Cosa ho fatto di male questa volta?"

"Oh, nulla. Insomma, visto che non ho alcun significato per te non hai fatto nulla. Non ho certo diritti, vattene pure in giro con ogni sgualdrina ti piaccia."

"Riza... "

"Se ti interessa ti ho visto con Vanessa."

"Ehm... "

"...e con Janet, e Kate, e qualcun altra di cui non conosco il nome."

"Sono solo colleghe, colleghe...oh, accidenti, potrei giustificarmi, ma in effetti sono venuto qui d’urgenza."

"...e com’è che le colleghe che incontri fuori dal lavoro non sono mai quelle care signore sui cinquanta dai fianchi ampi, ma sempre ragazzine formose? Idiota. Idiota."

"Va bene, ma... "

"Essere inutile ed indegno di fiducia."

"Ti prego, litighiamo dopo. C’è un paziente di cui dovresti occuparti per un po’. E’ un caso particolare, ma so che lo tratterai con cura."

"Mollalo qui e vattene."

Lui tira su un angolo della bocca ansimando leggermente per lo sfinimento arrecatogli dalla discussione, e le si avvicina con circospezione, come animale in territorio nemico, mentr’ella tira un leggero calcio ad una sedia.

Oh, come, come vorrebbe possedere una pistola di cui scaricare ogni singolo colpo sul muro, come lo vorrebbe.

"Riza, per favore. So di lui perché la sua famiglia è stata portata d’urgenza in ospedale, ed il padre era un mio vecchio conoscente. Non c’è stato granché da fare per i genitori, ed il fratello minore è in coma. Lui ha subito un fortissimo shock. Vorrei affidartelo, perché di te mi fido."

"Non c’è problema."

"Non so. E’ giovane, e tu sei delusa. Potresti tradirmi per dispetto."

Lui le ammicca, e lei sente un qualcosa di nervoso vibrarle dal petto risalendole furioso alla gola, ma lo strangola con la fermezza di un serial killer con le mani fasciate nel bianco di guanti di plastica.

"Vattene, Roy. Lascialo qui e vattene."

Lui sospira, e ritiene di non essere stato molto spiritoso, ma quando è in bilico su fili sottili sdrammatizzare è quanto meglio gli riesca.

O così era stato convinto fino ad ora, quantomeno.

Scrolla le spalle a caso chino, mortificato, e lei si morde un dito fingendo di scostare una ciocca di capelli biondi dal viso tondeggiante ed affusolato.

In pochi minuti i suoi passi si allontanano, e lo studio modesto è percosso da quelli di un ragazzo biondo, di gesti freddi ed arroganti.

Riza inarca leggermente un sopracciglio, cercando di lasciarsi distrarre dall’eclettico ondeggiare della treccia bionda sulle spalle del ragazzo per non osservare le mani di Mustang tormentarsi con gesto casuale mentre esce dalla stanza.

Ha sempre amato quelle mani così grandi e confortevoli.

-

La prima cosa che nota del ragazzo, invitandolo a sedersi, è la sua statura affatto eccelsa per l’età che può

stimargli dal viso: diciotto, forse diciannove anni.

E non è osservazione fatta a caso, perché capita che le persone basse chinino lo sguardo, non lo levino a lungo, ritenendosi facilitati e necessitanti di celarsi; quantomeno quelli con trascorsi dolorosi.

Eppure lui ha uno sguardo chiaro e perforante che pare giudicarla e trapassarla; si morde le labbra, ma sembra sfidarla ad ogni respiro.

"Riza Hawkeye." ricompone i suoi modi gentili tendendogli la mano, gli occhi nocciola fissi per non dargliela affatto vinta.

Lui le sfiora appena la mano, ed ha la voce seccata di un bambino isterico, per quanto profonda "Edward Elric."

"Bene, piccolo. Suppongo che per i primi incontri potresti parlarmi un po’ di te, anche di cose sciocche. Ogni cosa è importante. Devo conoscerti."

"E’ un sottile tentativo di seduzione, questo? Per carità, signora, ho diciott’anni da pochi mesi, mi ritengo ancora minorenne..." tende un sorriso di sfida, pungente ed aspro.

L’aria attorno a lei comincia a caricarla di litigiosità come una tempesta colma d’ansia; mantiene il suo celeberrimo contegno come maschera di creta ed a stento.

"Signorina Hawkeye, ragazzo. Ho ventinove anni e qualche mese, non oltre, te lo assicuro. Ma questo non ha alcuna rilevanza ai fini della seduta, quindi ti prego di venirmi incontro, non di cercare di farmi venire voglia di strangolarti." sibila dolcemente, ostentando un ampio sorriso.

"Se ha intenzione di mantenere le distanza non mi parli come ad un ragazzino e mi dia del lei. E non ho alcuna cazzo di voglia di parlare di me. Non so, parliamo di lei. E’ sposata? E’ particolarmente isterica perché nel pieno del suo ciclo mestruale?"

Ella si preme fortemente le dita sulla fronte, tremando leggermente, ma d’un’agitazione ben poco esternata; sorride nervosamente, ripetendosi a lungo che l’omicidio è un delitto perseguibile a norma di legge, non importa quanto snervante sia la vittima.

"Signor Elric, non ho alcuna intenzione di assecondare la stupidità di un ragazzino immaturo e viziato. Il mondo non cadrà ai suoi piedi per il suo bel faccino –nemmeno tanto grazioso una volta che glielo avrò sfigurato, prometto-, glielo assicuro, e nulla le dà il diritto di provocarmi sperando di ottenere un po’ di attenzione. Se fosse stato un pazzo ora sarebbe da uno psichiatra, non da questa miserabile psicologa che pare non tollerare; mi dica, è pazzo, dunque,non il solito ragazzino traumatizzato?" ringhia gentilmente, per poi mordersi la lingua e maledirsi a lungo.

Lui stringe gli occhi di scatto, balzando in piedi con scatto felino "Non me n’è mai fregato niente di questa cazzo di psicanalisi, non si permetta di giudicarmi, non ne ha il diritto, cazzo, alcun diritto! Lei non sa nulla, dunque non parli, non parli!” ulula, gli occhi così ardenti da intimorirla, come pronto ad aggredirla furiosamente.

Si volta invece ed esce sbattendo la porta, correndo via da un qualcosa che è scattato nella sua testa e lui, lui soltanto ha potuto scorgere.

Lei s’inquieta e lo segue di corsa, con un’agilità e rapidità impensabili per una donna in equilibrio su tacchi delle dimensioni dei suoi, ma accidenti, avendo l’adrenalina di una vita flebile e quasi in bilico iniziato a contorcerlesi nelle vene convulsamente, essendosi tesi i suoi muscoli, allungati i suoi passi.

-

Edward è senza fiato e fermo davanti all’autostrada colma di automobili, ruote roventi pronte a mangiarselo sino alle interiora con un solo scatto; correre è quanto desidera fare; sopravvivere è quanto di cui non colga appieno l’importanza.

Un passo.

Un passo e via, sarà giusto così.

E’ tutto così snervante, snervante.

Ogni cosa mi dà il voltastomaco.

Non lo farò, ma potrei.

Al non si risveglierà.

Neanche io.

Lei è stravolta ed agitata come un cagnolino al primo distacco dal padrone, un bambino al divorzio dei genitori; non sa cosa accadrà, e non osa supporlo.

Lui è il ragazzino, il classico ragazzino che si getta tra le auto per raccogliere il suo pallone colorato, guidato appena dall’ingenuità, e lei ha responsabilità della sua vita, come adulta.

Ha responsabilità della sua vita perché quando qualcosa la colpisce vuole provare a capirla, non importa quanto tempo debba impiegarci.

E la vita di Riza prende la sua prima forma e valore mentre gli si slancia alle spalle, lo vede schivare appena gli autoveicoli, ed a occhio nemmeno tentandoci davvero.

Allunga la mano affondando le unghie nel cappuccio della sua felpa, traendolo giù e crollando con lui sul marciapiede, stanca della corsa ma fieramente incapace di darglielo a vedere.

"Perché? Perché? Sei seccante, sei una donna seccantissima. Non hai diritto d’interessarti della mia vita. Nessun diritto."

La donna gli lacera la pelle trapassandola forte con lo sguardo affilato e bruciante, denudandolo a tal punto che si senta un ragazzino debole ed indifeso, violentando a lungo i suoi sentimenti incrinati come sadica torturatrice, per ammansirlo, per soggiogarlo alla ragione che deve avere su di lui.

Per lei è tutto cambiato da quando ha temuto per la sua vita e si è sentita colpevole, qualcosa che tante volte avrebbe avuto motivo di provare ma non ha mai provato affluisce al suo interno incantandola nel curioso vorticare di dubbi, turbamento ch’ora li incatena indissolubilmente; li ha incatenati dal momento in cui lei ha sentito qualcosa dentro, e lui la di lei presa garbata e sconvolta all’indumento ch’aveva indosso.

"Da oggi sei mia responsabilità, Edward, e non provare a dire di no. Sei incapace di badare a te stesso, hai l’età perché tu possa compiere scelte tue – non quella di seguirmi o no, ovvio-, e dubito tu abbia parenti con la possibilità di gestirti. Da chi diavolo vivi, al momento?"

"Ma che... "

"Frena la volgarità, ragazzo. No, non ho intenzione di avere una relazione con te, e , m’i importa di te perché per cinque minuti sei stato mio paziente, perché sei un ragazzino, e mi hai scossa. E , m’interesserebbe mettere le corna a quel bastardo di Mustang, anche." esordisce trionfante e velenosa, affatto pentita.

E la rassegnazione cede posto ad un leggero e bieco sorriso sul volto di lui.

"Oh. Se si tratta di questo sì, posso aiutarti. Non ce l’ho in gran simpatia. A pelle."

Si guardano per pochi istanti, seduti in terra e graffiati l’uno delle prese e spintoni dell’altro, frenando appena l’impulso di ridere chinando il capo "Oh, ma siamo ridicoli. Alziamoci, eh, signora Hawkeye! "

"Signorina. Oh, al diavolo, chiamami Riza, lo memorizzerai più facilmente."

Lentamente, lui pare sollevare un angolo della bocca; ma è solo un’impressione d’ella, mentre si rialzano, mentre manda al diavolo ogni principio del decalogo del buon psicologo lasciando entrare nella sua vita un paziente, più all’interno di essa di quanto possa immaginare.

-

Note: Questa storia è venuta su assai più complessa (dal punto di vista umano, non sono capace di fare altro) di quanto mi aspettassi, ed anche più corposa. Posso realmente dirmene soddisfatta.

La scelta del pairing non è stata casuale, perché se presi in una certa maniera questi due bimbi possono essere collegati.

Ora, da questo capitolo non parrà molto, ma più avanti spero di sì.

Non ho catalogato la fan-fiction come OOC, perché ritengo che lo sia un poco ma plausibilmente.

Senza che nessuno dei due abbia passato le esatte esperienze vissute nella storia originale, supponevo che sarebbero potuti essere circa così, ma ancora plausibili, o almeno spero.

E’ stato tutto un lavoro complesso, e spero nemmeno giudicherete la storia dal pairing inusuale (Io stessa in verità apprezzo molto come pairing il Royai e l’EdWin), ma per contenuti ed il modo in cui ho cercato di dare un senso a tutto.

Davvero, c’è dietro molto impegno.

Un mio piccolo invito è poi di notare come fondamentalmente vicende e vicende siano presenti ma finiscano per ridursi d’importanza una volta che si procede con l’evolversi dei personaggi, perché il fulcro sono soprattutto loro, logicamente.

Non sono mai stata davvero per il raccontare storie, ma persone e sentimenti.

Se pian piano riuscirò a comunicarvi qualcosa, ed inizialmente almeno a farvi interessare alla storia, spero me lo renderete noto commentando.

Da parte mia farò del mio meglio anche per postare regolarmente, ma incoraggiamenti (E recensioni, ribadisco), sono apprezzatissimi.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Nuova pagina 1

Rewrite

 

  Capitolo secondo

 

Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.

 

Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto.

 

 

La casa di Riza non è ampia, e non avendo in programma di incontrare altri pazienti, può mostrarla ad Edward con una certa calma.

 

Apre la porta e gli mostra il salotto arredato col gusto moderno ed affabile di una donna single, la cucina ordinata di chi non pranza spesso a casa, il bagno modesto, la camera scomposta di chi non ha ospiti da molto, ed un letto particolarmente morbido all’occhio.

 

Edward tasta la coperta turchina in cui le sue dita affondano piacevolmente, con una certa curiosità; può pensare che una persona abituata ad un letto così soffice e caldo trovi particolarmente seccante evadere dal proprio angolo di conforto in un mondo rigido e freddo.

 

"Non farti strane idee; dormirai sul divano in salotto, ed io mi chiuderò a chiave qui."

 

"Per chi mi hai preso?"

 

"Non so, hai quell’età particolarmente soggetta a tempeste ormonali ed al non ascoltare il cervello quanto un punto più infimo della propria fisiologia, dunque... "

 

Lui la guarda aggrottando la fronte, umiliato ed innervosito, d’un nervoso patetico agl’occhi di lei, poiché impotente e misto alla riconoscenza d’una persona orgogliosa.

 

"Oh, non fare quella faccia, Edward. Non ci saranno problemi."

 

Non ci saranno problemi, Ed . Nii-san, ti preoccupi troppo. Troppo.

 

Egli leva un poco il capo, amareggiato nel profondo, gl’occhi unti di qualcosa che li fa spegnere e brillare d’un tempo.

 

"Puoi... " gli costa sangue e sudore esser gentile, ma si sente intollerabilmente affranto "...per favore, puoi chiamarmi Ed?"

 

Lei l’osserva un poco, osserva i suoi occhi rammansirsi, ed è dolce anche lei in solidale e protettiva affettuosità.

 

"Va bene, Ed."

 

Lui sospira lentamente, e si sente più leggero e meno formale "Scusami per prima. Non sono affatto una persona garbata. Non intendo ferire nessuno, ma non sono mai gentile."

 

Riza tende maggiormente il sorriso dolce di chi ha compassione di un bambino, di chi cerca di fare qualcosa per un sofferente.

 

"Senti, la mia famiglia è...era ricca, e mi hanno lasciato un buon ammontare di denaro, che non dividerò affatto con quelle serpi di parenti che si limitano a dolersi del fatto che non sia morto anch’io per ottenerlo tutto. Ti ripagherò per il disturbo."

 

"Non essere sciocco, non ha affatto importanza. Vorrei solo che la tua vita non cadesse in pezzi. Mantieni le tue solite abitudini, continua ad andare a scuola e... "

 

"No. Non rivoglio il passato. Non lo rivoglio; se ne ho perso un pezzo così importante, è giusto perderlo tutto."

 

"Lo rimpiangerai."

 

"Come puoi capirlo?"

 

Lei tende inconsapevolmente in viso un’espressione mesta, china le sopracciglia bionde e sottili, vela il timbro vocale d’una malinconia soffusa e dura da esternare.

 

"Posso sentirne le conseguenze sulla mia pelle, ad ogni respiro. E’ doloroso, e non è giusto soffrire così. Non è giusto."

 

Ed non sa perché, ma la scorge stringersi nelle spalle, ed è come se scorgesse lacrime trasparenti in corsa sui suoi zigomi, sottili e dolorose anche per lui; china il capo, e lei non sta affatto piangendo, ma ne ha rispetto.

-


Al nuovo mattino si osserva allo specchio mentre si lega i capelli, le occhiaie che gli scavano il viso paiono immensi buchi neri.

 

No, non ha affatto dormito, per quanto confortevole sia la stanza; la mente è ancora sconvolta dalle recenti tempeste, e non si concede riposo.

 

"Un attimo; un attimo e scendo, Wìn."

 

Alla sera posa la cornetta del telefono, e scorge un mozzicone di sigaretta paterno sporgente dal posacenere, vicino ad un giornale, ardere forte.

 

Ma è solo un istante, perché va di fretta, e l’appuntamento lo emoziona e gli fa perdere cognizione di tante, troppe cose; la timidezza gli concentra la mente in tentativi di rilassamento che comprendono il guardare diritto, aprendo la porta.

 

I genitori riposano morbidamente cinti in stretta amorevole nella stanza in fondo alla casa, Alphonse studia con cura leziosa nella stanza a loro accanto.

 

Presto tutto arderà, e mentre lui respirerà aria, cenere sarà l’ultima cosa che, dormendo, i suoi genitori potranno percepire a causa del suo egocentrismo; chiudere gli occhi addormentandosi a lungo, sarà quanto la mente sconvolta ma cosciente riuscirà a fare.

 

Non ha mai pensato di contattare Winry, in questi giorni; è stato follemente innamorato di lei, e suppone di esserlo, nel profondo, ancora.

 

Eppure lei è ora l’effige vivente della sua stoltezza, voce a confondergli la testa, occhi cerulei a dargli vita e consistenza mentre i suoi genitori ardono, distraendolo, sciogliendolo impotente come neve sporca, ed imperfetto.

 

"Idiota. Idiota. Ti voglio bene. Ti amo. Ti voglio bene. Ti donerei la mia vita."

 

E gliel’aveva invece tolta, inconsapevolmente, con la sua voce di giovane donna, che confonde ed incanta i sensi indeboliti dal lungo sostare al suo fianco, dallo scorgerne respiri fuggevoli, dal fuggevole apprezzarne di ella, più che tollerarne, ogni singolo difetto.

 

Le aveva scostato i capelli biondi dal viso, soffici e piacenti, con abbondante incertezza nel tocco infantile, sentendo la tensione d’ella sulle tempie farsi umide, sentendo il suo sguardo su di lui, la sua sincera attrazione cingerlo in maniera fortemente piacevole, il voltare la testa intrecciando forte le dita alle sue, incastrando il viso al suo, entrando delicatamente nella sua bocca in un bacio intenso e dell’odore del fumo.

 

Non aveva voltato il capo alla finestra rossa sul buio notturno a lungo.

 

 

Lei si rigira scostante e tremula tra le coperte morbide, levando appena il capo scarmigliato a scorgere le luci soffuse del primo mattino.

 

Black Hayate, il piccolo cane dalle orecchie puntute, ha dormito a lungo accanto al suo letto, e le porge il suo più sincero buongiorno posando le zampe anteriori sul letto per inumidirle con baci la gota bollente d’un goduto riposo.

 

"Giù, Black Hayate, giù! Va bene, maledizione, mi alzo, mi alzo!"

 

Seccata si separa dall’affettuoso giaciglio colmo di ricordi e da lungo tempo concavo della sagoma del suo corpo, ed oltrepassa foto felici che costellano la stanza grigia; trema impercettibilmente nel notare una cravatta nera con una emme ricamata nascosta sotto un mucchio di vestiti.

 

L’afferra, la stringe tra le mani, e cerca senza esito di strapparla, dapprima convulsa, convulsamente arrendendosi poi all’evidenza che quelle sue mani esili non lacereranno mai e poi mai alcun ricordo; da quando ha preso abitudine a conservarli, non può più farne a meno.

 

Stringe forte le lacrime tra le palpebre, augurandosi di non ricordare ancora, e di riuscire a ricomporsi in tempo per non concedersi momenti di pubblica debolezza, che indebolirebbero fortemente la sua fiducia di potercela fare da sola: e questa è la sua ultima forza.

 

-

 

Note: Grazie mille per i commenti, sono lieta che si senta il mio impegno e vi piaccia lo stile. Mi rammarico solo dell’impressione OOC che il capitolo precedente ha fatto a Setsuka, perché, specie come primo capitolo, è anche quello in cui mi è servito all’atmosfera snaturarli un poco, ma identici alla storia di base non potranno mai esserlo, perché le basi sono differenti. Ed non ha dovuto piangere da bambino la morte della mamma, accaduta solo ora, né la perdita del corpo fraterno, né fare un viaggio difficoltoso. Riza non ha nel suo passato la guerra. Ha altro. Le esperienze cambiano le persone, ed Ed non sarebbe così forte e tutto se non fosse stato fortificato dalle esperienze; anzi, lo vedo tranquillamente un poco sprezzante e certo non maturo come è nella storia originale. Riza stessa ha dovuto chiudere un poco il suo cuore dovendo uccidere persone, ma cui non ha dovuto affrontare quello, ma dire altro è spoiler, ehm.

Sono fiduciosa che continuerete a seguire la storia, anche solo per vedere se sono davvero OOC pur considerando basi diverse, che verranno alla luce pian piano. Grazie in anticipo, e al prossimo capitolo, che spero di riuscire a postare sabato prossimo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Rewrite

Rewrite

Capitolo terzo

Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.

Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto.

La notte li ha tormentati entrambi, rendendoli simili, stringendoli in sé stessi all’unisono, facendoli respirare piano, rendendo le loro schiene possenti corazze, i morbidi giacigli ferro chiodato.

Il crepuscolo ha aggrovigliato i loro pensieri, fatto convergere le loro preghiere su uno svuotamento totale, ha fatto loro mandare al diavolo tutto e tutti, ribadire e ribadire di odiare ogni cosa, di non averne ragione, ma di farlo incessantemente.

Il mattino li ha sorpresi, tristo mietitore di risvegli inconsistenti e poi dolorosi, dolorosissimi.

Esso ha percosso le loro ossa rendendole gelide ed in frantumi, privandoli della facoltà di muoversi con piena cognizione di sé, rendendo piatto e vuoto l’avvenire.

Chinandosi in terra ella riempie una scodella profonda di croccantini per il cane, lo osserva mangiare di gusto, appunta su un biglietto che sarà di ritorno nel pomeriggio, di provvedere presto a ricomprare o fotocopiare i testi scolastici distrutti, e lo posa sul tavolino di vetro vicino a lui, schiacciato dalle chiavi ed una manciata di banconote perché provveda al suo nutrimento, ed eventualmente vestiario.

Lo guarda, di spalle, profondamente affondato nel divano, i pochi oggetti personali riversati scomposti in terra, e si chiede se non abbia freddo, senza un pigiama caldo, una confortevole certezza.

Incerta, gli accosta una coperta alla schiena, domandandosi premurosamente perché non gliel’abbia offerta la sera prima, ma è tardi, e deve andare.

Lui si scuote fiaccamente, volta gli occhi aperti da un pezzo ad osservare il profilo del volto ovale e tondeggiante, affusolato e contratto in un impeto d’impazienza, mentre gira la maniglia e la porta li separa, prima che ella si allontani a passo veloce.

Black Hayate uggiola piano, raschiando alla porta chiusa con la zampina bianca, per poi zampettare gioviale verso di Ed, accostandogli il musetto alla pancia e sventolando la coda con forza.

Si guardano per alcuni istanti, e lui si rialza, esalando una speranza, aprendo del tutto gli occhi senza una ragione, guardandosi i palmi delle mani mestamente.

Le mie non sono in grado di confortare.

Le mie non sono nemmeno in grado di toccare.

Voglio sentirmi vivo, ancora e ancora.

Voglio sentire qualcosa o non sentire niente, perché qualunque alternativa è troppo dolorosa per essere tollerabile.

Voglio stringere con queste mani quel che è importante prima di perderlo del tutto.

E non ha mai amato come ora suo fratello e la sua vita perché poteva perdere entrambi, ma la speranza è il nuovo fuoco e dunque luce che può seguire.

Riza nella sua mente appare incredibilmente bianca, rendendolo fiducioso ed ansante come un cucciolo goffo che necessita di qualcosa da seguire.

Winry è invece come sabbia setacciata tra le sue dita, consistente ed utopica, troppo utopica da afferrare se non nei ricordi, e troppo fastidiosa alla presenza reale.

Segue ciecamente Black Hayate nella cucina, ove una colazione calda lo attende, e si prepara ad incontrare l’aria che gli schiaffeggerà violenta il viso.

-

Ha piovuto, ed i suoi capelli biondi sono bagnati, il suo viso umido.

Ha disperatamente corso, insensatamente, ma correre gli fa percepire la terra sotto i piedi, vasi sanguigni, cuore pulsante, ogni cosa, accendendo ogni funzione vitale, tendendo nervosamente ogni suo muscolo.

L’antenna tra i capelli è china e mista agli altri, perfetto self-control in frantumi, ed Edward Elric è un uomo libero pronto ad incatenarsi ad un letto d’ospedale, a fissare a lungo un viso martoriato e perennemente dormiente.

"Ah, il fratello! Ci chiedevamo quando sarebbe venuto, ma avrà avuto i suoi problemi... "

Annuisce mollemente, lasciandosi condurre alla stanza del grande ospedale in cui riposa suo fratello.

"Solo una ragazza bionda con i capelli lunghi ed un’anziana signora sono venute a trovarlo, fino ad ora...ha in mente chi siano?"

I capelli biondi mischiati ai suoi, il turbamento infantile, la stretta morbida della piccola mano.

"Non le conosco. Forse sono lontane parenti."

Parla.

Edward parla, spesso.

Non sente quello che sta dicendo, eppure parla.

Ed anche ora non sente altro che i propri passi rimbombare nel vuoto, nel vuoto.

Come sempre.

Alzati, alzati ancora. Voglio osservarti, voglio che ti allontani da me e non torni, perché io so solo danneggiare tutti. Ma non torni lo stesso. Non torni mai.

Il suo viso ed il suo corpo sono grandi campi devastati, ed Edward pensa agli occhi verdi di Alphonse celati dalle palpebre, il guizzo felice d’una lieta scoperta, gli abbracci teneramente manifestati.

Era diverso da lui in diversi particolari, che avrebbe potuto riassumere in un particolarmente accentuato, per quanto fosse portato a pensarla allo stesso modo- a seconda dello sbalzo d’umore, in verità- sul mondo intero, se rapportato a lui: ma Alphonse era buono; lui no.

Flebo, respiratori artificiali lo circondano opprimenti, e non è più suo fratello.

Non è più Al.

Al che mostrava i suoi sentimenti con la voce ed i gesti, Al che non lo odiava mai; Al che era innocente come un bambino e saggio come un anziano, Al che era sempre nel giusto.

Al che lo chiamava nii-san, e forse non potrà più farlo.

-

Facendo ritorno sosta ad acquistare jeans nuovi, felpe, biancheria, e pensa che Riza non se la passi malissimo in quanto a condizioni finanziare, ma Riza non sembra felice.

Nemmeno lui sembra felice, ha lo sguardo alto, ma è infelice; eppure lui ha qualcosa da nascondere.

Da lei non sa se aspettarselo o meno.

Ha parlato del trapianto di pelle che intende pagare con l’eredità di famiglia per Al con i medici, se si risveglierà.

Le guance di Al erano morbide e tenere.

Prega, visto che Al respira ancora, in qualche modo, di poter sentire quella consistenza di nuovo.

"Ciao." mansueto accoglie la salvatrice bianca, che lo guarda fiacca e senza speranze.

Depone la borsa su una sedia, appende il cappotto e si stringe timidamente tra le spalle.

Lui non pensava ne fosse capace, ma non parla, né lo fa lui.

Non parlano spesso, e sono simili, ma questo lo strazia, perché il proprio tragico palcoscenico è troppo luminoso e stretto perché lei voglia oscurarlo, e deve risolvere ogni cosa.

Oh, che cosa angosciosa. Che tragedia. Che tragedia.

Lui è superiore a tutto e tutti, ed il mondo ha un grosso debito da saldare con lui.

A seconda del momento, il colpevole è lui, il mondo, od entrambi.

E non è sicuro di preferire sinceramente la seconda scelta.

Con Riza però, per quanto poco la conosca, è diverso.

Sono simili.

Sono angosciosamente simili.

Non sa perché, ma si sente più disposto ad un senso di fraternizzazione, con lei: un reciproco, discreto leccarsi ferite da riaprire perché sanguinino sino a non avere più sangue da versare.

"E’ successo qualcosa? "

"Non sono gli eventi a determinare i pensieri, non sempre, sai? Molto più spesso è la testa che rielabora e ricorda in posti diversi, ed è propria colpa e proprio dolore. "

Ella sosta, affranta, accasciandosi inerme al divano, e lui siede, incerto ma coinvolto, all’estremità opposta di esso.

"Vuoi raccontarmi una storia? "

Lei si guarda attorno, un pochino sperduta, incontrandone la solidale determinazione.

"E’ presto. E’ molto presto. "

"Puoi procedere lentamente, con calma. Ti ascolterò. Non è corretto che tu sappia della mia vita ed io no, dopotutto."

E la ascolterà davvero.

-

Note: Ah, un accenno a Winry. Che comparirà presto, tra l’altro, e sono piuttosto soddisfatta del pezzo in cui appare. E accidenti, non credevo di esser suonata così vittimista, il tuo ragionamento fila benissimo, Setsuka, ma non ingigantire una mia piccola insoddisfazione personale, non mi hai certo offesa ^^;. Sono poi lieta che ti sia parsa più naturale la caratterizzazione dello scorso capitolo, e del fatto che continui a seguirmi.

Ultima nota, i capitoli sono nove in totale, escluso un epilogo che sto ancora valutando, a livello di idea, se scrivere o meno. A presto è_é.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Rewrite

Capitolo quarto

Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.
Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto.

-
Era una bambina deliziosamente bionda e paffuta di guance –ora non si riterrebbe possibile, in verità-, e faceva il solito e comune miliardo di futilità che fanno le bambine.

Giocava, andava a scuola, trascorreva il tempo con gli amici, si stringeva alle gonne materne se era triste, alle ginocchia paterne se ruffiana.

La mamma era gentile, come ogni brava mamma del mondo: leggeva, lavorava strenuamente, alla sera le rimboccava le coperte sfiorandole le guance.

Il papà era un punto di vista contorto del mondo.

Il papà aveva molti anni più della mamma, forse quindici, forse venti.

La famiglia della mamma non esisteva più da tanto, e lei, che ancora neanche sapeva bene perché, sapeva che quello non era il suo papà.

Con un rapido conto, lei era nata un anno prima del matrimonio stentato e sofferto dei suoi: pur non comprendendo come potesse essere nata al di fuori di un matrimonio, prima anche che i genitori si conoscessero, lei era sbagliata per la data di nascita, sbagliata se rapportata agli altri bambini che camminavano con le mani strette a quelle di entrambi i genitori.

Pur salvando le apparenze ad ogni costo –con giocattoli nuovi e costosi, viaggi lontani, soldi e soldi che stavano consumando da allora le finanze di famiglia-, il papà non si stringeva a lei né alla mamma con tenerezza.

Alle volte sentiva la madre gemere dentro sé stessa, deglutire e soffocarsi, con una sensibilità strana maturata dall’osservazione accanita dell’amore senza parole che la cingeva ogni giorno, promettendole qualcosa di meglio, ogni volta che le guance d’ella sanguinavano per schermire quelle della bambina, raccogliendola al suo grembo accogliente, proteggendola a costo di logorare il proprio cuore.

La mamma stava impazzendo.

Il papà stava impazzendo.

Era tutto turbolento, ed il papà a volte guardava con disprezzo la bambina non sua e la moglie sposata per il corpo piacente e per difendere l’immagine di uomo facoltoso con una famiglia perfetta, bionda e perfetta.

Due bambole perfette erano il sorriso smorzato che si mostrava con lui come sua famiglia, perché si vantasse con i conoscenti per pura ambizione e gioco; la mamma aveva sopportato in silenzio.

Riza era cresciuta, diventata ragazza, ed a sedici anni aveva visto suo padre stringere il collo liscio della mamma, che piangeva e non riusciva ad urlare.

Era accorsa, l’aveva colpito con forza, ma la mamma non respirava più ed aveva gli occhi vuoti sul vuoto del soffitto.

Lui era sconvolto, incredulo, ed urlava di averle voluto davvero bene, davvero bene.

Riza non l’aveva pensata così chiudendolo in una stanza e chiamando la polizia.


Si era parlato di un raptus di follia, ed era stato ricoverato in un ospedale psichiatrico per dirla cordialmente, e lei lo aveva lasciato marcire lì per tutto il resto di quella lorda vita di spasimi e colpe, traendo un sospiro leggero alla sua morte.

Con gli anni aveva provato rimorso, perché dopotutto quello era papà; papà che aveva ucciso la mamma, ma era stato il suo papà per anni.

Sostenuta da lontani parenti che l’avevano adottata sino alla maggiore età, negli studi di un qualcosa per difendere e proteggere la propria testa per non impazzire anche lei, durante il funerale senza patimento ma noia, aveva sentito alcune infermiere, spesso, dichiarare di avere sentito l’uomo pregarli di mandare a chiamare la figlia entro la sua morte per poterla vedere, chiedere perdono, ma erano voci soffuse e stanche, a lungo ignorate perché egli non avesse pace nemmeno nella morte.

Riza aveva chiuso il suo cuore, sé stessa, stringendosi nelle spalle per non crollare, non ricordare.

Affondando nel petto confortevole di Roy che ingoiava poi tra le labbra ogni suo singhiozzo mutandolo nella pallida ed inconsistente stabilità che mutava ancora in gioia e serenità.

Non aveva potuto essere sempre e sempre suo, disperato dell’accanimento con cui ella non si dava pace ma si sentiva felice, tormentandosi delle proprie contraddizioni che lui non riusciva più a sanare.

E fino a quando ella non avesse mosso un passo definitivo- dopotutto lo sapevano entrambi -, lui non avrebbe che tentato, aspramente, di spronarla a darsi una scrollata, liberarsi del passato per gelosia, per i suoi gesti stupidi, perché lui fosse solo suo, ma lei era troppo infelice, più tentava di rimuovere ogni cosa, e più si sentiva affranta anche quando dormivano assieme, le sfiorava la schiena con conforto.

Anche in quei momenti tremava, e per non affrontarlo oltre lo stava perdendo.

-

Anche fissandola con occhio critico, ella gli pare inconfutabilmente forte, rapportata alle amarezze trascorse, a tutto.

Edward percepisce, pateticamente, il proprio patimento sgretolarsi, e si sente innocente e vulnerabile, ma soprattutto sciocco.

Un sentimento strano gli fa tendere la mano alla di lei spalla; si frena a mezz’aria, stringendo il vuoto, e la lascia ricadere mollemente.

Lei si abbandona al morbido giaciglio, lo sguardo alla finestra fissa su alberi su sfondo blu, e macchioline bianche lentamente scendono, tingendo tante cose di chiaro.

Anche lui le fissa, rapito come un bambino ingenuo, e non parlano.

Dopotutto, non parlano molto.

Ma finché uno di loro ascolta, si sentono entrambi compresi, caldi e vicini.

Si supportano silenziosamente, coesistono senza gesti sconvolgenti, senza azioni che confondano per non ferirsi, per reciproco rispetto.

"Vorrei toccarti." Biascica lentamente lui, rosso e tremante, impacciato ed incomprensibile "Ma non ci riesco."

"Posso sentire la tua mano sulla mia spalla, dolcemente. Batte una pacca e si allontana, ed ora mi stai fissando la schiena." sussurra lei, ancora rapita dalla danza della neve al vento, ancora di spalle.

Lui la osserva incerto, e sì, le sta fissando la schiena.

Una cosa l’ha azzeccata, e probabilmente anche l’altra.

Restano così a lungo, silenti con la neve attorno che pare raffreddarli perché la reciproca presenza li riempia di serenità scaldandoli.

-

"Sì, ferie natalizie!" esclama lei contenta, di ritorno dopo aver chiuso lo studio.

Lui per dei giorni è andato a scuola, per altri a trovare Alphonse.

L’ultima volta lo ha sentito premergli un dito sulla mano, e di questo è stato confortato.

O forse l’ho solo immaginato.

Non ha inoltre cambiato scuola, ma si cela spesso dietro gente più alta di lui, quantomeno ad ogni tempesta bionda che lo sorpassi o scorga, pur desiderando, vagamente, parlarle.

Vederla sarebbe doloroso.

E lei lo cerca, senza esito, senza mai trovarlo, affliggendosi.

"Edward?" mormora lei gentile, di ritorno anche dalla passeggiata con Black Hayate "Qualcosa non va?"

"N-no. Va tutto. Insomma, bene."

"Ed... "

"Ho detto bene! Bene, per la miseria, bene!"

Ella sospira, sfiorandogli il capo con la mano, dolcemente, e chinando il suo vicino a lui.

"Senti, qualche volta possiamo parlare. Mi fa piacere parlare con te."

"No, insomma, non... "

"Dici che non capisco, Ed?"

"No, io non...voglio... "

"Oh, bene. Io invece voglio preoccuparmi per te, Ed. Insomma, accendi il mio istinto materno."

"Non mi fa piacere, sai?" brontola lui dopo una sosta, incrociando le braccia e sentendosi colorito d’un rosso violento, come spesso gli accade.

Lei ride, gioviale e morbida come una bambina.

E’ buffo sentirla ridere senza contegno, così soffusa e dolce, veramente buffo.

"Forse scherzavo, suvvia. Forse."

Lui china il capo scurendosi un po’ irato.

"Suvvia, preferiresti essere considerato un uomo? Con i bambini sono gentile, ma gli uomini a volte mi trovano spaventosa."

"Non sei così brutta."

"Troppo gentile, davvero. Non intendevo in quel senso."

"Sì. Sarà per certe tue occhiate. A volte sei spaventosa, sì."

"E mi trovi brutta?"

Lui pare pensarci un poco, innervosendola alquanto, e scrolla le spalle, mormorando appena tra i denti.

"Sei gentile. E se sei gentile io vedo questo, non altro."

Non avrebbe saputo immaginare risposta più accettabile, lei, e si sente timidamente realizzata.

-

Note: Sì, la tempesta bionda nominata è ancora Winry. Che giungerà nel prossimo capitolo. Non essendo andata a scuola (Grazie, assemblea d’istituto! XD), posto prima del previsto.
Ringrazio la fedelissima Setsuka, lieta che abbia apprezzato quella frase in particolare. Era una considerata da una mia purissima esperienza personale, e rendere bene il concetto era molto importante.
E’, in teoria, l’unica lettrice all’attivo, ma confido che prima o poi possa farsi avanti anche qualche lettore rimasto nell’anonimato, non so. Al prossimo capitolo è_é

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Documento senza titolo

Rewrite


Capitolo quinto


Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.


Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto.

-


Bruciato ed intossicato dal fumo, Alphonse è riuscito a venir via dal mare rosso, annaspando e crollando senza respiro.

Se fossi stato lì.

Se fossi stato lì.

Ma non c’era, non c’era.

Fissa Riza, stretta nel capotto imbottito, borsa alla spalla, mortificata di essere con lui ove lei non dovrebbe stare.

"Grazie per avermi accompagnato." sussurra lui.

Mancano pochi giorni a Natale, ed Alphonse inizia a riprendersi.

Non è certo di poter tollerare la visione del suo viso distrutto ma vivo, eppure con una spalla cui reggersi sente di potervi riuscire.

Varca la soglia della stanza d’ospedale, ed una chioma bionda si scuote in un voltar di capo, iridi cerulee tese in inattesa gioia e turbamento.

Riza aggrotta appena un sopracciglio, ed osserva Ed arretrare piano.

"Abbiamo sbagliato stanza."

"Ed... "

Entrambe le donne sussultano, avendo parlato ugualmente, ma con toni diversi: l’una di rimprovero, l’altra affranta.

Si fissano un poco, squadrandosi.

Riza è più alta dell’altra ragazza, meno sottile, e quella è seduta e probabilmente appena diciottenne.

Gli occhi sono scavati d’un pianto feroce, ed entrambe sanno a chi è stato rivolto.

Anche Edward lo sa, ma non vorrebbe saperlo.

"E’ una tua amica, vero?" s’irrigidisce leggermente Riza, volandosi al di lui scostante sguardo, un poco chino in terra, un poco alle pareti.

"Ero impegnato con la sua bocca quando è...successo tutto. Sono uscito frettolosamente quando lei mi ha chiamato." sbotta, sottile e crudele, lui.

Lei, Winry, stringe gli occhi in un pianto represso.

"Stai dicendo che è colpa mia?"

"Io non sto dicendo niente, lo hai detto tu."

Lo sguardo placido e supplichevole d’ella è stuprato da ogni parola, mutato in ghiaccio violentemente.

"Tu mi detesti, Ed?"

"Io non voglio vederti. Solo questo."

Fissano entrambi il suolo, affranti, ed ella si riscuote vanamente.

"Se fosse questione di accettare questo, potrei aspettarti. Posso aspettare tutto il tempo necessario, perché io ti..."

"Non è questione di tempo. Io ti sto odiando, Winry. Ora ti odio davvero, e se non provassi questo distruggerei me stesso. E distruggerei anche te. Non voglio più vederti. Lascia che ti odi. Permettimi di vivere."

Lui la sta supplicando: Edward Elric è sull’orlo di una crisi di pianto, d’isterismo, e vorrebbe cadere ora, vicino al letto di Al.

Vorrebbe contorcersi e soffrire gridando, sfogando ogni sensazione ma non può, Dio, non può.

La ama.

La ama e la odia tantissimo, tantissimo.

Potrebbe strangolarla con le sue mani e con le stesse cingerla in abbraccio incredibilmente dolce.

Potrebbe morderle le labbra e rubarle il fiato, vederla morire tra le proprie braccia, ma può solo allontanarla.

Se fosse colpevole lui stesso, ed acquisisse questa consapevolezza senza scampo, più di quanto faccia ora, non sopravviverebbe.

Winry lo sa, ed anche lei lo ama.

Cammina sfiorandolo con la chioma bionda che più e più volte l’ha incantato, ma questa volta nessuno ha reazioni.

Lei sta piangendo, ma un flebile "Ti odio." che riesce a sussurrare è quanto lui riesca ad accettare come espiazione, ed è felice, come se fosse stato perdonato perché sta subendo, e tutto diventa concreto.

Ti voglio bene.

Ti amo tanto.

Ci sono tante di quelle cose che non può più permettersi di pensare...

Riza questo lo capisce, lo capisce bene.

Gli stringe il capo in seno sentendolo tremare, e si accasciano piano al suolo, mente gli accarezza la testa.

"Va tutto bene, va tutto bene. Sei stato perdonato."

Winry aveva tentato di sorridere, chiudendo la porta, squartando l’abrasione del suo cuore.

-
Quel che principalmente non era mai funzionato, nella mentalità fieramente vittimista di Edward Elric, era probabilmente il pesante dettaglio che così come si riteneva un povero essere che troppo aveva patito, riteneva anche di aver tolto al mondo quanto gli era stato sottratto a forza.

E lo aveva tolto a lei.

Le aveva tolto la speranza che la faceva aggrappare a quelle spalle robuste ma non salde, gli occhi assurdamente grandi sbarrati mentre si stringeva al suo collo e premeva le labbra tra di loro per non dovergli chiedere di non andarsene.

E lei ora è via, infelicemente via.

Probabilmente ha pianto, probabilmente piange, e di stupidaggini ne ha fatte tante nella vita, ma mai di questo peso, ed è tutto così salmastro e vuoto che non può davvero crederci, e vorrebbe piangere anche lui, ancora di più, ancora di più.

Sono una di quelle persone per cui esiste solo il proprio ego.

Io, io, schifosamente io.

Al giace ancora, la maschera di carne confusa riversa di lato, ancora affatto Al.

Affatto Al.

E Riza siede ora, composta e lo guarda, lo guarda fissare la porta come se vi fosse qualcosa di particolarmente stimolante nel legno a tinta unita.

Ogni base vuota è il mare bianco in cui può affogare sino ad inghiottire troppa acqua per tornare su, troppa.

Troppa acqua per tornare indietro, frenando le proprie mani e la propria voce.

"Vuoi che torniamo a casa?"

Lei è gentile e paziente, accavallando le gambe lo ha atteso placando le proprie ansie sulla sua schiena fasciata di rosso, giurandosi che sta bene e saprà confortarlo.

Ha placato un sentimento strano sorto alla vista della ragazza giovane e morbida che ha sconvolto lui, perplessità ed irrigidimento simili ad un pizzico d’ira, poi scioltasi in compassione per quella figura tormentata che scorge l’affetto della sua giovinezza scansarla a scuola, dimenticarla per proteggersi.

E’ tutto così equivalente che non possono comprendersi né sostenersi l’un l’altro.

Ma lei può essere forte per proteggere chi ha ferite più fresche e schiuse delle sue.

Lo fissa, lo fissa ancora e lui si volta, facendo ondeggiare la coda alta e sottile.

Non vede bene i suoi occhi, in verità.

Solo un paio di macchie auree e flagellate, che la fissano senza intensità, e si rialza fissando vagamente il minore degli Elric che ha fatto progressi ma ancora non parla e non vive.

Vorrebbe che almeno il maggiore riuscisse a farlo.

"Sì. Torniamo. "

-

Note: Ora che me lo fai notare hai ragione, soprattutto alcuni passaggi del quarto capitolo sono zeppi di “ella”; tenterò di perdere il vizio. Posso dirti da ora che non vi saranno scontri diretti tra Ed e Roy, per il semplice motivo che Riza stessa cercherà di evitarlo. E lei e Roy avranno un dialogo in cui lei lo spiazzerà a sufficienza da non lasciare altro da dire, ma certo, comparirà presto anche lui. Tempo uno o due capitoli, promesso è_é;. E spero sopporterai Winry, a me piace molto come personaggio, ma dopotutto in questa storia ha una parte un po’ misera ^^;, non credo la si possa odiare. In particolar modo, non so se segui anche il manga, ma dal mio punto di vista lì è un personaggio migliore che nell’anime. Frigna di meno e solo per il necessario, è realistica e ben realizzata. Poi sono gusti, suppongo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


capitolosesto

Rewrite


Capitolo sesto


Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.


Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto.

-

Lo ha osservato ancora, crollare sul divano affondandovi, Black Hayate a trottare per la stanza gioioso, leccandole le mani, reclamando la sua cena.

Guidata da un istinto strano e piacevole gli si è seduta accanto, più accanto di quanto non abbia mai fatto, avvicinando insicura il viso a guardarlo negli occhi, intrecciando le dita alle sue, premendo forte, torcendogliele per scatenargli una qualche sorta di mite reazione, turbato sgomento, ma l’ha solo guardata un poco, trattenendo il fiato.

Lei si è sentita stupida, ed ha sciolto la presa dalle sue dita, levandosi in piedi e fissandolo ancora a lungo.

Non so cosa fare.

Non c’è niente di giusto da fare.

Gli passa una mano sulla tempia, gentile, e gli scosta i capelli sudati con tenerezza.

Sente che se c’è qualcosa di giusto da fare, ora, è essere più gentile.

Tenera e gentile.

E lei stessa interpreta questo come tenerezza più che materna, ma è seccata e confusa, e non vuole sentirlo distruggersi, raggomitolandosi stretto su sé stesso.

Lui tende la mano, come in preda ad una qualche strana visione, e la fissa vuoto, stringendole piano il viso.

"Posso ascoltarti se vuoi. Posso sempre ascoltarti."

Riza si sente agitata e tremare, mentre lui non è lui e cerca conforto nel mite chinarle il capo all’altezza del suo, stringerla ad una pressione gentile di labbra cui lei non si sottrae, avanzando nella sua bocca col tastare rozzo e confuso della lingua in cerca di contatto e vita.

Lui si sente caldo e la lascia dopo un poco, fissando il suolo piattamente in muta giustificazione e ricerca di perdono, rosso scuro e più turbato che mai.

Lei smette di fissarlo ed indietreggia piano.

Non avrebbero entrambi voluto, ma nonostante questo è stata un’unione carica di calore e reciproco incoraggiamento.

E’ stato dare e ricevere, d’un appagamento così equo da parer surreale, e giusto.

E’ qualcosa di cui si ha sempre bisogno.

E ne abbiamo entrambi bisogno.

"Non rifarlo." mormora spezzata lei, sperduta nel sapore amaro ma estatico delle labbra giovani e fresche di lui.

Non sente nemmeno la necessità di ferirlo, perché per un istante, per un misterioso e miracoloso istante, si è sentita felice con lui.

E lui è così immaturo e piccolo da parere lì lì per urlarle che è solo un moccioso in preda ad un capriccio, e che questo è sbagliato.

Cristo, lo sa, lo sa benissimo.

Ma sa anche che finché questo può essere chiamato reciproco abbraccio, reciproca presenza e tangibilità lei vuole essere lì.

Negarlo, ma essere lì.

Gli occhi aurei e velati d’umido incrostato d’egli la interrogano al lungo sul significato di quel suo sostare stringendosi una ciocca di capelli tra le dita mordendosi le labbra, insicura e paralizzata come una ragazzina, la catturano ed inteneriscono sommamente.

Rilassa le sopracciglia strette agli occhi e la fronte muta in liscia mentre lo fissa così, scomposto, muto e concentrato.

Supplichevole.

"Ti prego." pare dirle senza nemmeno sbattere le palpebre, sperduto e penosamente contratto in orrido patire "Fammi dimenticare. Aiutami a dimenticare ogni cosa tranne la mia esistenza. Nutri il mio ego di fiducia e rendimi vivo."

Può vedere i suoi occhi brucianti di supplica e determinazione, lacrimare senza smettere di guardarla.

Non possono perdere di vista chi sono, ma possono rammentarselo con forza.

"Io sono Riza. Riza. Non Winry. Lo ricorderai, Edward Elric?" domanda ella, tremula e avvinta dai suoi occhi affilati e taglienti su di lei.

Dolorosi.

Non può più farne a meno, e non sa nemmeno lei cosa prova, se ossessione o appassionata necessità di stringersi ad un corpo, ma lui l’ha tastata gentilmente con le labbra e con la lingua, e, soprattutto, con la mano l’ha toccata.

Non l’aveva mai fatto, e sa che l’agitazione ha sconvolto i suoi nervi e rovesciato la sua emotività.

Sa che sarebbe tutto terribilmente simile ad approfittarsi di lui, ma a diciott’anni potrà ben sapere quanto lei cosa vuole.

"Riza. Riza. Ti prego, sta’ con me."

E lei cala su di lui perdendo anche l’ultimo scrupolo morale, lenta e calda, ma con mani così fredde, così fredde.

Le scalderò.

Sono troppo fredde perché non ne soffra.

Troppo fredde.

E le mani di Riza sono tanto fredde quanto dolci mentre sfilano leggere la felpa rossa dal petto di lui, attento lavoratore chino sulla zip della gonna di lei.

Sul divano morbido si stringono, e lei sprofonda teneramente il capo sul suo petto biondo, fronte carezzata dal mento puntuto di barba ignorata per giorni ma ancora fine, pronta a sussultarvi senza far rumore aprendo le gambe.

Abbiamo entrambi bisogno di qualcosa da proteggere, per sentirci forti.

Lui la stringe, nuda e saporita tra le sue labbra curiose ed infantili, sul corpo d’altezza un poco inferiore, sullo stesso bisogno di sentire qualcosa.

Abbiamo entrambi bisogno di un petto ampio su cui sussultare.

Si guardano negli occhi per tutto il tempo, nudi ed ignoranti come due bambini, scaldandosi di strette salde e tenere.

Per lui tutto sta iniziando; per lei tutto sta ricominciando.

Sono perfettamente uguali mentre si sfiorano, si baciano e si tastano sentendosi vivi, entrando l’uno nell’altra e contorcendosi, perlacei e dagli occhi stanchi.

Riza ed Ed.

Ed e Riza.

E non esiste altro.

-

Quando Edward riapre gli occhi ha la schiena a pezzi, ed un braccio di lei pende mollemente al lato del divano, leggera come una morbida coperta su di lui, che si sente come ubriaco; e non ricorda niente, ma ricorda lei.

Non vuole fare un singolo scatto, perché la vede serena come una bambina, su di lui, con i capelli ancora raccolti ma terribilmente in disordine.

Glieli scioglie piano, e se l’accomoda meglio in cuore, raggomitolata ed insicura come non l’ha mai potuta vedere.

Vuole che lo veda con lei ed intento a fissarla, al risveglio.

Le mani di entrambi sono ora bollenti.

-

I giorni si urtano, infrangono e raccolgono i propri pezzi confusamente, sicché loro due non ne hanno un ricordo preciso.

Si parlano meno dell’usuale, leggono molto ed i loro sguardi s’incontrano solo se per caso.

Se si urtano si scusano e tentano di non sfiorarsi oltre, ebbri di confusione, gioiosi e timidi non come amanti usuali ma ragazzini al primo e casto bacio.

Se i corpi li guidano si stringono e baciano teneramente, morbidi ma quasi meccanici, privi di volontà razionali.

Ecco il disastro dell’uomo cinico: se riesce ad essere felice gli pare tutto irreale.

Assapora frettolosamente ogni cosa volgendo già lo sguardo al giorno in cui la pura bramosia si scioglierà e con esso la felicità di una piacevole convivenza.

Sono un idiota, un idiota.

E sono gelidi e caldi d’un tempo, intorpiditi dal disagio infantile che li avvicina ed allontana.

E’ come se fossero rimasti bambini.

"Ed?"

"Mh?"

"Senti, io penso proprio che dovresti finire gli studi ed andare all’università. Pagherò ogni cosa. E...e poi... " inizia lei tentennante, per poi stupirsi della propria regressione a tenera ragazzina, pur senza darsene eccessiva pena.

Insomma, non è che ci sarà un poi.

E’ questa la cosa sciocca, fondamentalmente.

"...nulla."

"Nulla?"

"Non è che basti una notte a rotolarci sul divano e qualche bacio istintivo a far esistere un noi...ed io...sono...io sono... "

Impegnata?

Oh, no, sciocca donna, non lo sei.

Roy non c’è, non torna, non torna.

Cancelli i messaggi in segreteria perché Ed non li senta, e non sai nemmeno tu cosa ci sarebbe di male in questo.

Roy è persino un possibile partito, che ti prometterebbe una vita ricca e serena.

Stabile.

Edward è un ragazzino immaturo bisognoso di affetto ed un muro che lo isoli dal mondo esterno ed i suoi traumi.

Lui è tenerezza, non è altro.

Lui è la fiamma giovane e viva che ha acceso una notte d’amore con il suo tocco rozzo ed impacciato.

Quel tocco rassicurante che l’ha rilassata tastandole le clavicole in una maniera un po’ strana e giocosa, parlandole gentile e spaventoso all’orecchio e spingendola a morderglielo teneramente per non rabbrividirne ancora.

Lui è qualcuno che l’ha stretta ed è entrato in lei senza più uscirne, scaldandola e sostando a lungo in pace, in un Paradiso troppo rassicurante e bianco per desiderare uscirne.

Ha ripensato a lungo a quella notte bramandolo ancora e ancora, e ribadendosi più volte che un singolo anno d’età la scampa dall’essere una bieca e stolta pedofila.

Ed un giorno lui troverà una ragazza giovane e sottile, una nuova Winry che non odierà mai, dimenticando tutto il resto.

La toccherà, la amerà sotto fresche coperte e la sposerà, e vivrà felice con tanti figli, mentre lei sarà incatenata ad una vita ancora non scissa dalle sue debolezze con Roy Mustang, che l’amerà tantissimo pur senza completarla come un ragazzino è riuscito a fare in poche ore.

E farà male per sempre.

"Riza? Riza, io...credo di voler restare qui."

Lui è in piedi e lei non se n’è accorta, titubante nell’accostare le dita alle labbra, mordendole ferocemente.

Si sente tremare e senza forze, odiando profondamente questa sua mancanza di forze ed il proprio sentirsi orribilmente sola e sperduta.

"Resto." ripete lui paziente, raggiungendola e stringendola con braccia leggere, senza possenza ma con un briciolo d’animo che gl’impone di non far piangere un’altra donna.

Riza deve vivere.

E lui vuole provare a vivere con lei, così sciocca e facilmente frantumabile che è ora lì lì per crollare in un vasto oceano scuro, e non c’è terra, non c’è aria.

Il fiato gentile di lui sillaba ancora e ancora promesse gentili alle sue clavicole, che lei non può sentire ma la sua carne ricorderà.

-

La vigilia di Natale li ha sorpresi e lasciati senza fiato.

Lei abbassa la testa, al mattino, sapendo che la tradizione si ripeterà, come ogni anno, ma vuole fermarla.

I messaggi in segreteria si sono limitati a rammentarglielo più volte, con annesse scuse perché il lavoro soffocante aveva impedito all’adorabile Roy Mustang di irromperle in casa con la copia delle chiavi in suo possesso da un cinque annetti buoni per le emergenze.

Edward dorme ancora sul divano, rilassato e con la bocca spalancata ronfando come un bambino beato.

E con la pancia scoperta dalla canottiera, che si affretta a coprirgli.

Possiede ancora quella sorta di tenerezza che le mani intuitive di Riza, che dal primo tocco hanno abilmente individuato ogni zona sensibile in lui e quali tasti toccare, del suo petto come delle fibre più intime del suo animo, per farlo sentire gioioso e rilassato, caldo ed appagato.

Per non causargli problemi.

Solerte e ridente gli ricopre il ventre che si gratta un poco nel sonno, sfiorando leggermente con le labbra il lobo del suo orecchio mentre si gira, cautelandosi per non svegliarlo prima del tempo, ed osserva la contraddizione che è e sarà sempre quel bambino timido tra le sue braccia, allergico al tocco per difesa personale e caratteraccio invidiabile, ma così indifeso.

Tutti sono indifesi e liberi nel sonno.

Svegliarlo sarebbe un tradimento.

Sorride appena, vestendosi per portare a spasso Back Hayate, ma Roy è qui prima del tempo, sorprendendola mentre rialza la zip dei pantaloni di velluto vicino al letto di Ed, ancora guardandolo, mentre il cagnolino bianco e nero corre ad accogliere l’ospite.

E Riza aveva previsto tutto, tranne una buona risposta da dare se colta senza il tempo di rifletterci.

Edward è diventato l’alcool estasiante ed oblioso dei suoi nuovi giorni, e si è sentita girare la testa e ridere forte più e più volte come non aveva mai fatto, in improvvisi impeti di incredula letizia.

Roy Mustang posa un panettone sul tavolino vicino ad Ed, stringe gli occhi sottili e si passa una mano dalla tempia ai capelli con forza, incredulo ed avvilito.

Ha perso importanza, e Riza esce fuori con lui, guinzaglio alla mano, solo per non svegliare il ragazzo dormiente e maledettamente grazioso.

Eternamente egoista, eh?

Non andrà tutto bene, ma non cambierà nulla.

Si limiterà solo ad assumere maggiore concretezza.

-

Note: Sì, qui siamo ancora a Natale. Sì, ho scritto tutto ciò circa l’anno scorso, è stata a lungo in lavorazione, la storia. E ben lieta di aver ritrovato una commentatrice in più, che ringrazio vivamente, senza scordare Setsuka, per quanto sia rimasta un pochino sgomenta di tutta quella disapprovazione verso Winry; ovviamente può tranquillamente essere che si tratti di antipatia a pelle, o forse segui solo l’anime, che, ribadisco, la svaluta molto.

Tendenzialmente, è un personaggio abbastanza detestato da chi segue solo quello, e se è così anche per te posso capirti perfettamente, per quanto tenda a consigliare la lettura del manga a destra e a manca, e fino in fondo, anche, perché oltre a meritare, sviluppa al meglio un po’ ogni personaggio; finisce che non ce n’è davvero uno detestabile, per l’approfondimento accurato e profondo, dunque potrebbe piacere anche a te.

Ribadisco inoltre che l’unico punto debole di Winry possa essere il pianto, ma lo vedo come semplice sfogo; lei è una delle poche persone normali, là in mezzo, e dev’esserci anche una certa frustrazione, in mezzo al tutto, poiché è anche l’unica che non può fare molto, ma per questo stesso motivo è realistica.

Non piange per farsi compatire, né si trastulla nella sua condizione di orfana (Anzi, nell’anime viene mostrato solo il suo pianto rabbioso da bambina, ben giustificabile, e rabbia verso Mustang; nel manga se soffre lo fa quando è da sola, senza condividerlo con altri, tendenzialmente, sfogandosi solo in una certa situazione abbastanza spoilerosa, per il punto in cui è il manga in Italia ora.)

E’ un personaggio spontaneo e se sembra troppo felice non è detto che lo sia sul serio, ma che lo faccia per non preoccupare gli altri, quando la situazione di essi è più grave (ad essere sinceri, un tempo lo facevo anch’io. E fidati, non è piacevole.); le parole più dure che può rivolgere ad Ed o Al sono volte a scuoterli e peraltro più brusche nell’anime, quasi assenti nel manga.

Questo non è volto né al fartelo adorare, né semplicemente piacere, davvero; più che altro, spero, a fartela tollerare un poco di più, non altro, anche perché farà anche un’altra comparsa, devo dirtelo, ma solo un’altra, ed il pairing della storia ormai è…ehm, evidente, dunque non preoccuparti.

Ma questo non è assolutamente lo spazio “difendiamo le nostre opinioni e personaggi”, per quanto un confronto di opinioni sia sempre piacevole, dopotutto, dunque scusami ^^;.

Ecco, ora ho quasi finito; al prossimo capitolo XD;.

[Ringrazio tanto Sìl perché mi ha dato basi sulla risposta, da sola avrei meditato di più ed avrei postato tardi il capitolo, che già è in ritardo. Ma posterò comunque il prossimo questo sabato ^^]

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Rewrite


Capitolo settimo


Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.


Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto.

-

Lui stringe un poco i pugni, letalmente ferito da ogni parola che gli si scioglie mollemente all’orecchio senza un minimo di riguardo o tatto.

Non è mai stata il tipo particolarmente dotato di tatto, fuori dalla vita professionale, ma particolarmente schietta.

Se non fossi schietta mentirei, e questo sarebbe un grosso peso per me.

Ed è anch’ella abbattuta, mentre stringe un poco le labbra frenandosi a fatica dal morderle pur di conservare austero contegno, e fa del suo meglio per parlare, sventrandosi come ad un parto, nel duplice intento di non fare un altro torto all’uomo che ama e non soffrire oltre.

E’ tutto schifosamente difficile.

"...e mi sono sentita trascurata. E priva delle tue attenzioni."

"Cristo, Riza, non fingere di non sapere quanti anni abbia. E che, anche se ho agito stupidamente, l’ho fatto per te. Per favore, non fingerlo."

Oh, lei è così brava e fredda e ricca di destrezza nel vomitare dolorosamente parole che non pensa pur di proteggersi.

E fingere di avere un’interpretazione delle cose, così diversa dal mi servono più coccole e certezze, come ad una mocciosetta, ed era più facile e piacevole così, e lui è dolce e sgarbato, ma maledettamente gentile e lo amo, lo amo diversamente da come amo tutt’ora te che è reale in un posto remoto tra le sue scapole, sotto la sua pelle, qualcosa d’intima intesa tra sé e quel celato compiacimento che la rende terrificantemente gioiosa, d’una gioia al proprio occhio malata.

E’ visibile a tutti, ma lei, solo lei non lo sa.

Black Hayate abbaia un poco irato ed ansioso, tirando il guinzaglio.

Lei stringe gli occhi, definendo mentalmente quei cinque minuti il tempo dell’indolore congedo.

Vuole andare via, sfogando istinti complessi e contentando Roy con parole sentite ma confuse, e sosta un poco, pensando ed elaborando un poco solido sorriso gentile.

"Inizialmente l’ho accolto in casa mia per pena e tenerezza. Non sono una pervertita. Non sono una persona così." mormora piano, stirando ogni parola con cura per struggerlo nel passato.

E’ spesso così crudele, con quella gioia vibrante che è verità che urta e scuote.

Così crudele.

Lui, schiena contro la porta, scosta nervosamente il carico del proprio peso da un piede all’altro.

Non vuole sentire.

Non vuole davvero che parli, anche se la incoraggia a continuare a farlo con un cenno del capo.

"Tu puoi essere buono e gentile con me, Roy. Davvero, lo sei tanto. Ma questo è il tuo dare, ed io non ti ricambio con nulla."

"Non... "

"Conta. Conta tantissimo, invece.
E’ come essere una casalinga frustrata con un marito in carriera.
Qualcosa che ti urla sei un miserabile straccio, sei inutile e ti ergi fiera su tutti ma non fai niente. Non puoi fare niente.
Ed è una cosa davvero, davvero penosa, tirarsi su appoggiandosi totalmente a qualcuno; Edward è diverso in questo senso.

E’ qualcuno a cui posso dare qualcosa. E’ un ragazzo così distrutto che anch’io posso fare qualcosa per lui. Con impegno lo seguo, comunico con lui, e lui è una presenza calda che fa qualcosa per me conoscendo le parole che mi servono perché abbiamo passato tante cose terribili, e sa come ci si sente a perdere tutto e sbagliare tantissime volte.
E’ qualcuno cui posso insegnare come non sbagliare ancora come io ho sempre fatto.
Siamo tutti così egoisti, ma lui ne ha coscienza.
Così pieno di complessi ed egoista, egoista come ogni sacrosanta persona può essere, ma riconoscendolo entrambi siamo onesti come nessuno. E crediamo questa la nostra felicità.
Forse è compassione. Forse è il rapporto più puro che si possa avere, come tra bambini.
Non lo so. E non voglio saperlo, se devo essere sincera. Va bene così.
Questa sarebbe una richiesta, un…un…"

"…un ‘lasciami perdere’, eh?"

Lui sospira, mentre lei non ha altre parole e si sfiora una tempia confusa, prendendo secondi con l’arricciarsi una ciocca bionda attorno al dito, sfuggendo al suo sguardo e poi ripuntandolo, perché lui è lì a vanificare ogni suo tentativo di fuga con somma decisione, alto su di lei che è bassa stringendosi colpevolmente nelle spalle, sperando di averlo spiazzato ma l’ha solo ampiamente deluso, svuotato di ogni energia.

Anche se questo adempirà ugualmente allo scopo di perderlo.

"Riza. Ri-za."

Lo sguardo d’inchiostro di lui è pesante ed opprimente, è come se le fosse addosso senza esserlo, schiacciato sul suo corpo con sguardo di abile seduttore a confonderle pesantemente la testa, ma sono distanti, d’una distanza immateriale ed inesistente, che potrebbe colmare allungando appena un braccio, ma non lo fa.

Si separano col suo passo ampio e falciante ed il suo capo che annuisce con scatto forte e doloroso per il collo, sicché lui possa scorgerlo anche senza desiderarlo davvero.

E non lo desidera, ma è visione ineluttabile ai suoi occhi sconcertati ed affranti.

E’ un perenne errore.

In ogni passo, in ogni mutamento.

Un latrato leggero, e Riza è per sempre una macchia chiara e scura indistinta.

-

"Merda. La mia testa…" brontola Ed, rigirandosi nel letto mentre si preme una mano sulla fronte, magenta come solo certe sfumature degli occhi nocciola strani di Riza sanno essere, come solo le mani ferme ed affusolate di Riza sanno colorarlo e lo colorano anche ora, strofinando la fronte contro la sua con un sorriso malevolo, stringendo il lobo del suo orecchio sinistro tra i denti con presa appena accennata, rovesciandosi su di lui.

"Ho appena detto che mi fa male la testa." ribadisce lui contrariato, pur senza sottrarsi al contatto morbido e sensuale.

"Non è colpa mia se hai bevuto troppo, ieri sera."

"Era lo stress. A giorni ho un test importante, lo sai."

"Ah. Ma ho fiducia che andrai bene."

Riza si rivolta, delicata e macchiata d’un contegno che pare non aver perso per un solo istante, al suo fianco sul solito divano, accoccolandosi discreta con la testa posata a forza sulla sua spalla, e chiudendo gli occhi.

"Riza…"

"Ti do fastidio?"

"Non tu…n-no, insomma…è…"

Lei abbassa lo sguardo seguendo il calare del suo, quasi atterrito dalla pressione dei suoi floridi seni sul proprio braccio, mentr’ella lo compatisce con un sorrisetto tirato.

"Buffo che questo piccoletto precoce si spaventi così dopo aver avuto a che fare con roba peggiore. Buffo, davvero."

"NON SONO PICCOLO. E NON HO AVUTO...a che fare con...oh...er...va’ al diavolo, eh."

"Sei sempre così tenero..."

"NON SONO...oh...er...oh..."

Lei ride un poco vedendo il suo colorito peggiorare, sollevandogli il viso con un dito e sfiorando le sue labbra con lo stesso, il pollice a sfregarvisi percorrendone l’intera curva, sino a sfumare il contatto, sottraendovisi quando lui le stringe la nuca per accostarsela maggiormente, rapitone come da intento e dunque non comprendendo il rifiuto.

"...c’è qualcosa che non va, Ri?"

"No...ti spiace se...stiamo così e basta?"

"...davvero, è successo qualcosa?"

"No, stamane, beh...no, insomma...no. "

"...beh?"

"...io... "

"Dai."

"...ho pensato che quando dormi sei davvero più carino del solito."

"...eh? Umph. Non si dice così ad un uomo."

"Non posso farci niente. Sei carino."

"Non bello? Affascinante? Attraente?"

"Carino, Ed."

"…è davvero tutto qui?"

"No, sei anche apprensivo, molto."

"Riza..."

Lui si sfrega una mano sulla fronte, sconsolato ed incalzandola approfondendo una carezza alla schiena, che gli sfugge poi alla presa col di lei levarsi, contratta in viso, abbandonando malamente la testa in petto e sferzandosi il viso in solchi delle sue stesse unghie.

"Tutto bene. Tutto bene."

Edward la perde di vista quando in muta scrollata scuote le spalle e lo rifiuta ancora, ma d’un rifiuto plastico e mentale, che non tollera sentirsi intrisa di colpevolezza quando lo tocca.

Non lo tollera più, ma nessun gran gesto da osare la libera da quest’inibizione, dunque si allontana nella sua stanza e lui è perplesso e scombussolato, ancora dolorante, ed è un pessimo momento, ma qualcosa vuole uscire da lui ed i suoi piedi scattano verso il bagno, rendendolo nervoso a lungo.

Merda. Merda. Merda. Mer—ha.

-

Note: Okay, Ed è un mostro di finezza. Okay, questo bisogno di attenzioni per distrarsi di Riza può lasciare perplessi. Più che perplessi. Ma era, seriamente, una delle poche volte in cui mi tornava funzionale adattarla così, perdonatemi.

La battuta sul fatto che Ed sia così pudico nonostante quanto ha passato, è riferita a quanto è avvenuto nel capitolo precedente, spero fosse comprensibile.

Mi spiace di aver shockato Setsuka ^^;, e sono contenta che dopotutto trovi i personaggi giustificabili. Continua a dispiacermi che tu abbia questo terribile rapporto con Winry, avendo io in lavorazione diverse one-shot EdWin per il theme set Violator del forum, suppongo non sarà facile che, conclusa questa ff, tu legga altro di mio.

In proposito, ero piuttosto dilaniata circa il prossimo capitolo; il seguente ad esso, dunque il nono, sarebbe l’ultimo, e pur avendoli suddivisi con un senso logico, l’ultimo è piuttosto breve (due paginette), e mi spiacerebbe lasciare insoddisfatto qualcuno. Anche perché sto ancora ponderando sul se aggiungervi un epilogo o meno, ma suppongo mi baserò sulle recensioni; se sarà ritenuto un finale incompleto, provvederò, se no lo lascerò così.
Grazie per le recensioni anche a Shatzy e Babus, lieta di aver trovato nuovi recensori ^^.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Rewrite


Capitolo ottavo


Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.


Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto.

-

Ogni cosa è routine e tutto smette di girare attorno a loro, con il freddo che si affievolisce lento nella temperatura esterna e si rafforza nelle loro ossa, insormontabile barricata di frammenti acuminati di quello che avevano usato essere. Schegge di vetro che assieme sono compatte ed innocue e divise si coprono del sangue di chi le tocca.

E’ più semplice così. Recupero tempo.

Lei è inavvicinabile e lui turbato, sconvolto dal sorriso plastico ed inanimato che lei gli rivolge sempre più spesso, levando gli angoli della bocca e non mutando nello sguardo, un sorriso che, cazzo, potrebbe evitarsi, potrebbe evitarsi. Lo fa per sentirsi santa? O per seccarmi di più?.

Lui le sorride sempre di rimando, ma d’un sorriso ch’è contrito e rumoroso come ossa che scricchiolano.

Fragile.

Spigoloso.

Mentono e sostano a guardarsi, distanti e vicini.

Muti nella stessa aria, tremando d’un freddo che non c’è.

Si sfiorano, finanche, se casualmente si urtano, e così al momento le dita meccaniche di lui si flettono, meccaniche, agganciandosi alla vita femminea e sentendola respirare molto piano.

Desideravo.

Si guardano senza vedersi, senza vita.

"Io..."

Non...

Lo sguardo di lei si scongela, davanti alla sua bocca che si schiude, sciogliendosi dal contatto sottile, un poco in ansia e terrorizzata dalla propria freddezza.

Non desideravo.

"Riza. Perché...noi...?"

... che finisse così.

"Per...do..."

Non desideravo che finisse. Così. No.

Dimmi, dimmi che non è finita.

Il cellulare di Ed vibra forte nella tasca dei suoi jeans cascanti, dalla cerniera calata senza minima cura ed ansietà, senza il pudore che lo ha sempre caratterizzato, e lui senza mutare campo visivo guarda le sue labbra tremule ed arrossate sillabare ancora, ma nel contempo leva ai propri occhi l’oggetto scalpitante.

Dio, se ci sei non...

"...no....donami..."

Ma non può più sentirla, perché accostandosi l’oggetto all’orecchio schiude le labbra come in risposta, ma solo un verso scomposto fugge dalla sua gola schiacciata ora dalle proprie dita, con forza, gli occhi sbarrati.

Essa gli brucia, e le sue mani non hanno forze.

Non può parlare.

Come il telefono gli cade dalle dita, urtando il pulsante dell’altoparlante, Riza sente, con lui, che è tutto finito.

-

I giorni corrono ancora, ed ogni giorno lui si allontana dalla di lei figura, scivolando via, barricato dietro le proprie spalle, che sempre stringe e sempre le volge.

Perché Al è più fermo di prima ed il suo viso distante, mutevole nelle sue memorie già deteriorate e confuse, ma che tentano di riafferrarlo e ricondurlo pazienti alla casa ove può trovare ricovero, sotto la sua mano che gli accarezzerà la testa a fatica, il suo sguardo che lo biasimerà a volte ma sempre sarà fiero, ed Al fugge, fugge ancora ed ora sa, sa benissimo cosa ha lui stesso ucciso in Winry.

Quella parte di sé che è ora morta con Al.

Una parte consistente tra i reni ed il cuore, un pezzo di carne intangibile ma senza del quale non può più respirare.

Non so perché.

Sa questo, e non sa più niente, perché questa era la cosa più importante che potesse definire con certezza, e così come Riza lo ha scostato confusa ora lui l’allontana, quando è vestita di nero e vuole che la guardi negli occhi per confonderlo ancora, distrarlo da un dolore che non sa nemmeno come esprimere.

Questo era importante. Questo, questo era importantissimo.

Cosa c’è ancora, cosa? Non lo ricordo. Non lo ricordo.

La figura di Winry è fievole e seppellita dalla seppur scarsa folla assieme alla nonna; Winry si nasconde tra le proprie spalle e si scherma il viso con le mani, come una bambina che gioca a nascondino, ma lui l’ha già trovata, l’ha già trovata; rossa, incredula e quasi ridente, ella lacrima per tante ragioni davanti alla pietra bianca che cela il caro amico d’infanzia, ma non si avvicina ad Edward o ad altri.

Come condoglianze al defunto.

E Riza è ferma, sbiadita nel contrasto col grigiore di dolori sentiti o meno di pochi parenti ed amici, perché lei, semplicemente, non può sentire nulla, solo somma mortificazione.

E sbaglio. Sbaglio sempre.

Edward è svuotato una volta di più, è tutto è grigio e bianco attorno a quei protagonisti che sono lui e Winry, vicini ma immateriali.

Lui abbraccia vecchi amici dimenticati, si ferma a lei che lo scruta e china ancora il capo, senza nemmeno sfiorarlo.

Così distinti.

Il giorno si allontana anch’esso, assieme alla notte, alla veglia di Ed.

Si allontana tutto, ogni cosa.

Rendendolo ancora colpevole.

La figura più ferma di tutte lo guarda, ed è simile a Winry, perché lui non la vede più.

Non sa se oserà guardarla ancora e sceglierla ancora rispetto ad una vita- ora la sua.

-

E’ tutto dannatamente arduo e tutto serra il suo stomaco in forte oppressione, la tensione forte ed ossessiva che ha fissato all’atmosfera con la sua ostinazione, rovinando ogni cosa, rovinando Ed con le sue stesse mani che hanno ora unghie spezzate e sciatte, mentre crolla al suolo stringendosi forte.

Non può farci nulla, ma non ha controllo pieno degli arti, che cedono fiacchi sul pavimento, capelli scarmigliati tra le sue pupille dilatate, apprensione ed è come se avesse corso a lungo sotto la pioggia, che l’ha affogata con il suo canto cadenzato e resa vicina alla disperazione - a questo modo ella è bagnata, stremata ed ogni muscolo e vena pulsa e freme sotto la sua pelle, sopra la sua pelle, e potrebbe esplodere ma non capisce, non capisce.

Si tocca faticosamente il viso ritrovandolo freddo, solcato da rughe che non ricordava di avere su una pelle ruvida che non è affatto quella morbida che aveva quando sorrideva stancamente ma gioiosamente con Ed, cenando con Ed, respirando sempre, sempre.

Cose così semplici hanno da lungi smesso di piacerle; e non mangia molto, non respira più del necessario e resta fuori casa anche se senza scopo sino a sentirsi mancar forza alle ginocchia, cadendo e strisciando senza dignità.

Non sa perché sia arrivata a questo, ma senza motivo qualcosa la distrugge e la terrorizza, spaventandola perché Ed è vacuo e simile ad un fantasma, ignorandola senza sforzo, e soprattutto sente il proprio ventre strano.

D’una stranezza che teme e le è invisa, e Ed la abbandona ogni istante di più vagando muto per la casa senza guardarla affatto, senza scopo di vita, e Riza non può credere di poter essere lei questo.

Né la creatura che teme di portare in grembo.

Una fitta le colpisce lo stomaco, e non vuole, non vuole crederci.

-



Note: No, non finisce qui. Per amor della suspence, manca un capitolo, anche breve e costituito in gran parte di dialogo. Due paginette e finisce UU;. Non so ancora se ci sarà quello stramaledetto epilogo su cui mi sto arrovellando da secoli, ma se a qualcuno interessasse particolarmente, potrei scriverlo senza problemi, ma si potrà parlare con cognizione di causa solo una volta letto anche l’ultimo capitolo, suppongo.
Non ti preoccupare assolutamente, poi, Setsuka ^^. Da parte mia, poi, non è che odi a morte le RoyEd, mi capita anche di leggerle, casualmente, anche se rare volte; ma tendenzialmente snaturano troppo, per i miei gusti, i personaggi principali, imbastardendo Roy in maniera assurda (almeno rispetto al manga, secondo l’anime può anche starci) e rendendo Ed un bambino con momenti da ragazzina, e “violentabile” da chicchessia, anche se è soprattutto prerogativa dei doujinshi yaoi in generale. Se poi sono scritte bene e tutto ed IC è un altro conto, sì.
Voglio poi precisare che non tutte le ff che scriverò con Ed e Winry li vedranno come coppia ^^, ad esempio quando posso devo postare Halo, in cui Winry compare solo in qualche visione di Ed, come morbosa ossessione, i protagonisti saranno Ed e Al. O in Personal Jesus, saranno solo bambini, quindi certamente non si può parlare davvero di una coppia, non in maniera ricambiata. Ma questa è pubblicità occulta XD;, scusami, è che il tuo parere mi fa sempre piacere, ma logicamente, i gusti son gusti, e non scriverò solo EdWin per tutta la vita, ho quantomeno in cantiere dei drabble Royai, che sono già diversi XD;.
Ah, e ti ringrazio anche per il commento a Cold dust, mi fa tanto piacere ^^, ed è proprio curioso che ti capitino cose così.
Le mie fan-fictions su Inuyasha non hanno avuto particolare seguito, (specialmente Vital touch, che è la mia adorata creatura, ma probabilmente troppo forte come argomento per essere particolarmente apprezzata ^^’), quindi un parere su quelle dopo tempo mi rende ancora più felice ^^.
Ecco, ed ora al prossimo, ultimo (a meno che non mi decida per l’epilogo) capitolo! è_é;

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


Rewrite

Capitolo nono

Questa fan-fiction è un’AU, dunque ambientata in un universo alternativo, in questo caso semplicemente il mondo moderno. Niente alchimia od altro, dunque, ma determinate situazioni interpersonali sono le stesse,o almeno inizialmente.

Disclaimer: I personaggi qui presenti non appartengono a me, ma alla somma Hiromu Arakawa, autrice di FMA. Mi appartiene solo questa fan-fiction ed ogni singola frase, idea o concetto (Esclusa la citazione, ehm.).

-

"Penso che dovrei andare via. Sì. Dovrei proprio."

Questo doveva arrivare.

Lo sapeva.

Lo sapeva.

Ma accettarlo è un altro discorso.

"Io...per te...con te ho...trascurato anche le visite ad Al, mi assorbivi completamente. Solo poche volte alla settimana andavo da lui. Ultimamente ancor meno. E’... "

Lo sa, Riza, lo sa benissimo come andrà a finire e dove andare a parare.

E vuole essere dura, lo sente giusto.

"E’ questo il tuo ragionamento. Come con Winry."

"No. E’ colpa mia. Ma per non sbagliare dovrei stare lontano da..."

"Sii realista. Cos’altro hai da perdere?"

"...te."

"Ora. Ora mi stai perdendo. Se lo vuoi davvero sì. Ti resterà te stesso. Quello sarà il tuo bene più prezioso."

"No. Io non sono un bene prezioso per nessuno. Io...faccio morire la gente, o la uccido dentro. Sempre. Sempre. Anche ora. Così io...voglio questo."

"Punire te stesso per alleggerirti? E’...facile, sai? Così è troppo facile. E faresti star male anche me. Sarebbe controproducente, se non vuoi sensi di colpa. Cristo, peccato più peccato meno, ormai, Ed. Io...non ti tratterrò. No. Insomma, se vuoi...vai, sì. Vai."

"Riza...io non...oh... "

Se glielo dicessi ora sarebbe un tentativo di legarmelo per sempre. Ed ingiusto. Però...anche questo lo sarebbe.

"No...merda, merda, scusami, scusami. Sono un cretino. Nulla cambierà il passato. Al non c’è e tu sì, io ti vedo ma fingo di non farlo. Sei così sciupata, pallida ed in disordine...non sei quello che eri. Perché aggrappandoti a me hai commesso un errore. Non sono mica degno di fiducia."

"Non mi sono aggrappata a te. E’ che...questo mi rende triste e non so...cosa fare, davvero. Nemmeno per te. Nemmeno per te. Non ti servo a niente, e tu sei straziato dal dolore e non vedi via d’uscita, ma se ti sforzassi lo troveresti. Con me. E...io...io dovrò dirti una cosa, ora. Ascoltami. Potrà piacerti e non piacerti. Io ne...ho paura, ma non me la sento di rinunciare."

"...dimmi."

Ella lo prende per mano, curva e smunta, accompagnandolo in basso, accompagnando le sue mani ed invitando la sua tempia ad adagiarsi assieme all’orecchio al suo ventre.

Lui sgrana gli occhi, sconvolto, e premendosi una mano sulla fronte con ampia forza, realizzando piano che non si sente pronto, affatto pronto, ma che questo è il suo cammino, il suo nuovo cammino, il suo presente ed il suo futuro in cui potrà cercare salvezza, implorare per un animo leggero.

Non sbagliare più, crescere, dando sé stesso alla causa.

Dando la sua vita ad una causa.

Egli piange, copiosamente, gli occhi avidi sul ventre ancora piatto ma che sarà presto pieno, e non sa cosa dire, ma vede Al, morbido, bianco e gentile, gli occhi grandi e le guance un po’ paffute del bambino che non ha del tutto evitato di rimanere.

Mi è stata data una possibilità.

Al. Perdonami. Grazie. Grazie. Ti voglio bene. Grazie. Ti voglio bene, fratellino.

"Mi ha...perdonato. Ha detto ‘Ricomincia’. Sorridendo."

Perdono, perdono, perdono, perdono, perdono.

Voglio solo espiare.

Per poco non ride, incredulo, e lei è commossa e lieta che l’abbia presa senza turbamenti, e che resterà con lei.

Sa questo perché la stringe forte, in ginocchio, accarezzandole le mani voluttuoso ed estatico, grato, sconcertato, sicuro, sentendola crollare con le dita ancora intrecciate alle sue.

Come cuccioli feriti, lappano via le lacrime e sono liberi, bianchi e felici.

"Grazie per avermelo detto. Per non avermi mandato al diavolo. Grazie. Grazie. Scusami. Scusami. "

"Grazie per essere mancato di risolutezza. Per amarci. Per non essertene andato. Scusami. Scusami. Grazie. Grazie. Ti amo. Tantissimo. "

"Sì."

"Resta qui. Sempre. Sempre."

"Sì. Sì."

Si accarezzano piano, afferrando con le unghie ed i denti all’avvenire, aggrappandovisi con certezza e forza rinsaldate, rinnovate, disperate.

Anche se il loro passo sarà lento.

Anche se sarà tutto inutile.

In questo presente, loro hanno un futuro.

In quel futuro il passato sarà più lontano.

Ogni ieri è più lontano del domani.

-

Note:Spero non sia giunta come una conclusoone affrettata. Non troppo, almeno, e che sia stata soddisfacente, per quanto molto composta di dialogo.

No, ovviamente in quella pancia nemmeno accennata Ed non sente niente; è il suo cuore che elabora.

Chiamerei quella creatura “la redenzione di Ed”. Il suo processo di redenzione, suggeritomi senza tanto pensarci da quella donna adorabile che è Silvia.
“Il peccato più peccato meno”, è una sottile presa in giro ad un principio di alcuni seguaci dell’Elricest, nulla di riferito a qualcuno in particolare, mi ha fatto ridere e mi ha divertita ripeterlo.

Anche se apporrò la scritta “conclusa”, prometto di lavorare all’epilogo, breve o di decente lunghezza che sia.

Frattanto, mi butterò sulla pubblicazione delle mie one-shot.
Grazie a tutti quelli che hanno, anche solo saltuariamente, seguito la storia. Anche Ed e Riza ringraziano di aver assistito a questi loro patimenti mentali e meno.
Sperano seguirete anche l’epilogo.

Grazie, riguardo a questo capitolo, a Shatzy per i complimenti, e Setsuka per i suoi adorabili e lunghi commenti; per le coppie particolari, dipende dalla mia ispirazione. Potrei scrivere qualunque cosa mi porti a fare essa, ora non so proprio che dirti, anche se alla fine le mie simpatie maggiori vanno alle coppie canoniche.
Lieta anche che cercherai di leggere le mie altre ff, mi fa molto piacere ^^. Grazie a tutti, dunque, e all’epilogo!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=115748