Can I love you more than this?

di KayS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caso e Destino viaggiano sulla stessa strada? ***
Capitolo 2: *** Sei non sei tu ad andare versi di lei, sarà la vita a venire a te. ***
Capitolo 3: *** Tutto và avanti troppo velocemente. ***
Capitolo 4: *** Perdere la propria strada. ***
Capitolo 5: *** Abbiamo viaggiato su questo suolo roccioso. ***



Capitolo 1
*** Caso e Destino viaggiano sulla stessa strada? ***


Chiuse i pugni e li appoggiò a terra, tutto si distendeva con una calma surreale, tutto bloccato nel tempo, chiuso fra due dimensioni troppo simili per definirsi opposte. Alzò lo sguardo dal pavimento e si rese conto che una Londra ghiacciata la aspettava con le fauci spalancate, pronta ad inghiottirla in un muto fracasso interno. Si alzò da terra, senza perdere di vista la neve che si accumulava sul suo album da disegno, colorando di bianco il bianco. "Artista", "Pazza", "Genio".. L'avevano chiamata in così tanti modi che ormai non li contava nemmeno più. Ed era davvero così? Era da pazzi inseguire un sogno? Per lei era da pazzi dimenticare di aver mai avuto un sogno e procedere per la razionalità, per la maschera fasulla che il mondo si porta sulle spalle. Sotto quello strato non era nemmeno più degno di essere chiamato mondo: un turbinio assillante di emozioni e grida, chiazze di colore su muri sporchi, macchie di sangue e odore di polvere da sparo. Non era una realtà triste la sua, era semplicemente una realtà vera, perchè di false ne aveva sentite e viste anche troppe.
Un rumore di passi nella neve e un respiro caldo contro il suo collo.

- Non è un brutto disegno, ma secondo me i colori sono troppo freddi. - Il ragazzo dietro di lei si passò una mano fra i capelli.

- È inverno, sarebbe surreale dipingere la neve di arancione, non credi? - April segnò con la matita qualche riga confusa sul foglio, poi la sfumò con la punta delle dita.

- Secondo me è triste. - Disse il ragazzo scavalcando la borsa di lei e sedendosi sui gradini del campanile. - Nessuno vorrebbe vedere un qualcosa di triste reso ancor più malinconico.

April alzò lo sguardo e osservò il suo interlocutore scrollarsi la neve dagli stivali color carbone.
- Mi stai dando della gotica? - Sorrise pronunciando quelle parole, chiedendosi che impressione di lei potessero dare.

- No - Le rispose lui, alzando lo sguardo alla notte - Ti vedrei più come una pessimista repressa. - Sorrise.

- Non puoi giudicarmi - Obbiettò - Non mi conosci, ne tantomeno mi hai dato modo di presentarmi.

- Credo che dagli occhi di una persona si capisca molto di più che dalle sue parole. È una comunicazione più limpida.. - Alzò i suo occhi nocciola e li puntò nei suoi.


Fu uno sguardo senza tempo, uno di quelli che a parole non si possono descrivere. Notò le pagliuzze gialle che si dilatavano man mano che la luce della luna lo illuminava. Assurdo.


- Sono Liam - Disse alzandosi e stirandosi una piega invisibile sul suo cappotto.

- April.

- Voglio farti una proposta, April - Disse mettendo le mani in tasca.

Lei sospirò - E allora falla.

- Dipingimi.

- Mi sembra più una richiesta venuta male che una proposta.. - Gli fece notare.

Lui continuava a guardarla impassibile, come se in fin dei conti gli avesse solo chiesto di farle un favore. Per lei dipingere era trasmettere e emozionare, una cosa da prendere con filosofia e leggerezza. Andava contro i suoi principi dipingere su richiesta.

- Capisco, non ne sei all'altezza.. - Disse girandosi e fingendo di andarsene.

April lo guardò mentre ormai era ad un passo dal raggiungere la propria macchina e inserire le chiavi nella toppa.

- Aspetta! - Gli gridò dietro - Siediti.

Le venne incontro e divertito e si sedette difronte a lei, praticamente disteso nella neve.

- Poi dovrai pagarmi, non lavoro gratis. - Disse di rimando lei, seria.

- Te lo pagherò per ciò che vale. - Rispose lanciandole un'ultima occhiata diffidente.

- Sei strano, Liam.

- Già.

* Angolo dell'autrice *
È la mia seconda FF e quindi vi prego di essere tolleranti,
spero vi sia piaciuta e di essere riuscita a farvi provare almeno qualche emozione:)
Baci, Kay xx

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Capitolo 2
*** Sei non sei tu ad andare versi di lei, sarà la vita a venire a te. ***


Lo dipingeva come se fosse stato un immagine sbiadita su di un poster, un vecchio ricordo lasciato dal tempo. Ogni capello, ogni riflesso chiaro che si rifletteva nell'iride era qualcosa di nuovo per lei, qualcosa da ricordare, in qualche modo.

- Ti piace dipingere? - Le chiese lui spezzando il silenzio.

- Ti piacerebbe essere immortale? - April lo guardò di sfuggita da sopra il foglio, prese fiato, cauta. - È come congelare qualcosa nel tempo: resterà lì, anche quando tutti gli altri se ne andranno.

Liam non potè fare a meno di guardarla accigliato, come se solo ora avesse capito che c'era qualcosa dietro di lei, qualcuno nel suo passato.

- È davvero un bel disegno, April - Lei guardò lo schizzo a matita: Lo era davvero?

- Quanto bello? - Disse sperando di ricavarci un po' più di tre sterline.

- Come l'immortalità. - Rispose Liam. I loro sguardi si incontrarono, lui distolse il suo quasi immediatamente, socchiuse la bocca e tornò a guardarsi alle spalle. - Ti offro un passaggio in macchina se me lo regali.

April aggrottò le sopracciglia - Mi dovevi pagare.. In soldi. - Mormorò.

- Non sono nemmeno sicuro di avere dei soldi per una bottiglia d'acqua. Prendere o lasciare. - Liam iniziò a giocare con le chiavi dell'auto.


Rumori metallici, come scacciapensieri.


April si alzò pesantemente dai gradini, mandò dentro una boccata d'ossigeno e la rilasciò con un leggero sbuffo - Guida piano.

Il ragazzo sorrise.


Sentiva le palpebre pesanti e la sua testa sprofondare lentamente fra i sedili di pelle nera della Mustang.
  L'aria della notte che le accarezzava il viso.
Si fidava di Liam? Probabilmente no, ma era anche vero che non avrebbe osato salire sulla sua auto se non fosse stato così.
Sentiva i suoi respiri profondi, sbirciò la sua testa appoggiata sul volante di pelle e sorrise. Si erano addormentati nel viale davanti alla stazione di servizio.
Richiuse gli occhi.


Quando risollevò le palbebre si trovò da sola, circondata da un quartiere alberato, case asimmetriche e uguali fra di loro. Estrasse le chiavi dall'auto e richiuse la portiera dopo esser scesa.
Entrò in un bar dalle insegne neon mal funzionanti, lettere arrugginite pendevano da un cartello sbiadito, ordinò un caffè e frugò nella borsa alla ricerca di alcune monete, trovò l'album da disegno e vide la pagina mancante del disegno di Liam, sorrise. Consegnò alla ragazza al bancone qualche moneta.
- Non bastano, mi dispiace. - Disse lei scrollando della cenere dal mozzicone di sigaretta.

- Non credo di avere molto altro.. - Rispose April gettando un paio di penny sul bancone.

- Se non puoi pagare non posso servirti, mi dispiace. - Le disse girandosi di spalle.

- Glielo offro io. - tutte e due si girarono  in direzione della voce. Un ragazzo dai capelli neri e gli occhi scuri allungò dei soldi alla cameriera, lei gli sorrise, sistemandosi i capelli color caramello.

- Grazie, ma non ce n'era bisogno. - Farfugliò freddamente April.

- Io penso che tu ne avessi bisogno, invece. - Poi le allungò la mano, che April prontamente strinse. - Zayn Malik.

- Sono April Vickers. - Si scambiarono un sorriso distaccato.

- Non ti ho mai vista quì. - Disse Zayn porgendole il caffè.

- È la prima volta, infatti. - Mandò giù un sorso e poi lo guardò giocherellare con una bustina di zucchero. - Tu invece ci vieni spesso?

- Si può dire che io ci viva! - Disse allargando le braccia. - Suono la sera in questo locale, sono il cantante di un gruppo chiamato Dead Stones.

- Sembra divertente. - April sorrise.

- Dovresti venire a vederci qualche sera.. - Tirò fuori una striscia di carta dalla sua tasca. - Questo è il mio numero, chiamami se mai ti venisse voglia di ascoltarci. - Le rivolse un sorriso tranquillo e impacciato.

- Lo farò. - Disse spingendo la porta di vetro del bar. - Ci si vede in giro, Zayn Malik.

Guardò l'auto parcheggiata davanti a lei con un attimo di titubanza, cercò di ignorare le voci nella sua testa e si convinse che stesse facendo la cosa giusta, anche se ci era lontana a chilometri dal "Fare la cosa giusta", in quel momento. Aprì la portiera e si infilò al posto del conducente, poi girò le chiavi e ingranò la prima marcia.

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Capitolo 3
*** Tutto và avanti troppo velocemente. ***


Sotto di sè la Mustang ingoiava enormi fasci d'asfalto, April cercò nei vari cartelloni segnaletici, ormai coperti di brina, la strada più veloce per giungere a casa, la neve, ai lati della strada principale si accumulava in grossi mucchi.
Lo sguardo di April scivolò sulla patente che svolazzava attaccata allo specchietto appeso sopra la sua testa. Un Liam sedicenne, senza accenno di ombra da barba appena fatta la guardava, deluso. L'aveva accompagnata a casa, si era fidato di lei talmente tanto da lasciarla nella sua macchina, con le chiavi ancora attaccate. Forse sarebbe tornato dopo poco, forse non l'aveva mai lasciata sola ed era proprio alla finestra che dava sul viale in ghiaia, pronto a spiegarle dove si trovava  e perchè.
Eppure April non era sorpresa: nè dalla sua reazione, nè da quello che era successo. Si conosceva, anche se in modo abbastanza vago e disordinato e associava le sue emozioni alle sfumature d'arcobaleno che cadono sul terreno incolto dopo la pioggia: poco nitide e confuse.
Smise di pensare quando uno schiocco sordo arrivò da sotto il cofano dell'auto e l'odore di benzina si fece più denso e pesante.
 La macchina proseguì per alcuni metri solo per le spinte di gas che la marmitta sbuffava.


Nuvolette nere si alzarono verso il cielo: come penne di corvo bagnate dalla pioggia.


Le sfuggì un piccolo colpo addosso al clacson che protestò, fischiando. Si lasciò ingoiare dal sedile di pelle nera, che portava uno strano odore di fiori d'arancio e vaniglia, l'odore di Liam, probabilmente. Guardò il sedile del passeggero, vuoto e si domandò per l'ennesima volta che le era saltato in mente.
Era sola, dinuovo.
Prese il cellulare dalla tasca e controllò il segnale: doveva essersi interrotto a causa della nevicata delle notti scorse.
Con lo sguardò controllò il sentiero candido, i suoi respiri stanchi e nervosi cominciavano a sentirsi costretti dalle quattro pareti della vettura.
April spalancò lo sportello e fece qualche passo nella neve. Il freddo le penetrava nel giubbotto, congelandole le ossa.
Si sentì un ammasso di pelle morta sopra un'anima vuota, piena di fogli sporchi di colore.  Provò a ricordare la sera passata, e tutto ciò che era venuto prima.


- April, fermati, chiudi  quel cavolo di album da disegno e ascoltami! - Niall le gridava contro, infuriato.

- Non ho niente da dirti, Horan, lasciami sola. - Poi il suo sguardo tornò sul tubetto aperto di acrilico rosso, con cui stava colorando i capelli di una ragazza, rivolta di schiena al quadro, con le spalle scoperte e ferite, colpite da ciò che stava davanti ai suoi occhi.

- Tu hai da dire più di quanto pensi, invece. Devi tirare fuori tutto quello che ti stai facendo marcire dentro, tutte le emozioni che tieni chiuse chissà dove, dentro di te. - Fece una pausa, le prime lacrime si staccarono dalle sue ciglia per la frustrazione. I suoi occhi erano di un colore incredibilmente chiaro. - Nemmeno tu sai cosa ti porti sulle spalle.

In quel momento spostò il viso e si ritrovò il suo a distanza di un respiro, poteva sentire il suo naso sfiorare il suo.
- Non voglio nemmeno saperlo, se è per questo. - Lo vide sbuffare e sopprimere una risata nervosa, che si stava sforzando di trattenere.

- Certo che non lo vuoi sapere, fà troppo male accettare la realtà, vero? Dirsi che sono l'unico amico che hai non perchè sei egoista, egocentrica, solitaria, ma perchè gli altri non ti vogliono capire, perchè loro sono sbagliati e tu sei perfetta. - Lo disse con freddezza tale che sentì lacrime di ghiaccio premerle contro le palpebre che aveva serrato.

- Sono stufo, April. - La sua voce si abbassò ad un sussurro. - Sono stufo di doverti ricordare che siamo nel mondo reale.
Si sentì trafitta da mille lame, colpita, offesa, smarrita.
Ma sapeva che Niall aveva ragione, e che aveva fatto bene ad andarsene. Le aveva ricordato che nulla era per sempre, e che ora toccava a lei, non poteva mandare qualcuno a vivere al posto suo.


Si ritrovò accovacciata al ciglio della strada, con gli occhi gonfi e tristi, il cellulare tenuto saldo in mano. L'ultimo segnale di batteria sparì assieme al fascio di luce elettrica, che si >spense dietro ad uno schermo grigio.
Continuò a camminare in direzione di una piccola casa dalle luci accese, le mani in tasca, le spalle strette intorno al collo. Una cabina rossa le si parava davanti.
Sorrise, come se al momento vedere il telefono rosso a pagamento attaccato ad un filo potesse essere la gioia più grande. Si infilò dentro alla cabina di plastica e passò qualche istante a guardare l'elenco telefonico, poi tirò fuori il numero di Zayn dalla tasca e lo compose, ascoltando il ronzio ipnotico dall'altra parte del cavo.

- Chi è? - April sospirò dopo aver sentito la voce, ritenendosi salva.
- Sono April Vickers, ci siamo incontrati stamattina. - Lo disse sperando vivamente che il ragazzo si ricordasse di lei.

- April, non pensavo avresti chiamato così presto. Hai deciso di fare un salto al concerto di stasera? - La sua voce era piena di enfasi e aspettativa, ad April dispiacque doverla placare.

- Non proprio. Ho bisogno di una mano. - Si mise a giocherellare con le pagine dell'elenco aperte a metà.

- Che tipo di aiuto ti serve? - Domandò lui.

- Sono rimasta bloccata per strada, ho finito la benzina..

- Aspetta dieci minuti e ti raggiungo.


Ne passarono quindici di minuti ed April rimase accartocciata nel sedile di guida a guardare dal finestrino, poi il fascio di due fari la raggiunse tagliente. Scese per andare a ringraziare il ragazzo.
- Non sapevo guidassi. - Mormorò sorridendole.

Mentre April si avvicinava alla macchina di Zayn notò qualcun altro all'interno, la testa coperta da un ammasso di ricci scuri.
- Non è la mia macchina, è l'auto di un mio amico. - Disse portando lo sguardo dal ricco a Zayn.

- Deve tenere davvero tanto a te per prestarti un' auto del genere. - Rimase a fissare la verniciatura fine e liscia della Mustang, sbalordito.

- Sì, siamo molto uniti. - Mentì April.

Zayn sorrise. - Mi farebbe piacere conoscerlo.

- Già, anche a me. - Bisbigliò lei, senza farsi sentire.

Il ragazzo riccio si decise a scendere dalla BMW, mantenendosi a qualche passo di distanza dai due ragazzi, fissando Zayn scocciato.
- Datti una mossa, non ho intenzione di rimanere quì dentro ancora per molto. - Detto questo si portò il ciuffo che gli cadeva sopra agli occhi attorno agli zigomi.

April lo guardò in silenzio negli occhi, scambiando con lui nulla di più che un impenetrabile sguardo freddo.
- È questione di pochi minuti, è stata solo colpa di un bullone, niente di più. -April sorrise, per la prima volta si sentì protetta e tranquilla.

- Grazie Zayn, apprezzo che tu sia venuto fin qui solo per aiutarmi. - Le parole le uscirono da sole, ma fu contenta di averle pronunciate con tale scioltezza.

Lui si girò a sorriderle - Non ringraziarmi per così poco, Vickers.

Il ragazzo riccio si avvicinò di qualche passo, sbirciando da dietro la spalla di April l'auto. - Bella macchina. - Disse gettandosi in bocca una manciata di patatine da un sacchetto che aveva estratto al momento.

- Già, proprio per questo non vorrei che tu ci mangiassi sopra. - April non si degnò di girarsi.

- Turbata la tua amichetta, Malik. - Disse stizzito.

- Datti una calmata, Harry. - Per la prima volta April sentì il tono di Zayn in una versione diversa da quella rilassata, di chi possiede la situazione in mano. Alzò la testa dal cofano e lo chiuse pesantemente.
- Forza, ritorniamo al locale. - Disse Harry scrollandosi le mani, impaziente di ritornare nel posto che aveva lasciato con tanta fretta.

- È il posto dove ci siamo incontrati questa mattina. - Specificò Zayn, guardando April.

Lei annuì, impaziente di riparcheggiare la macchina nel vialetto davanti casa di Liam.
- Harry, penso che dovresti guidare tu. - Disse Zayn avvicinandosi alla macchina grigia.

- Non ho nulla in contrario. - Rispose lui, seguendo l'amico. April rimase immobile a guardarli, aspettando una reazione.

- Parlavo della macchina di April. - Lei fece per aprir bocca, per ripetere che non si trattava della sua macchina, ma la risposta di Harry arrivò prima che lei potesse parlare.

- La Mustang? - Domandò entusiasta. - Volentieri.

- Posso benissimo guidare da sola. - Fece presente April, intimorita da un riccio entusiasta che si avvicinava convinto di avere per le mani una macchina da FormulaUno.

- Credo che per oggi tu ne abbia passate abbastanza, lasciati aiutare. - Ribattè Zayn, mentre apriva lo sportello e si sedeva a bordo.

- È in buone mani. - Fece presente il riccio mettendosi al volante.

April controllò la cintura di sicurezza, che mai le era sembrata più utile.
- Me lo auguro. - Rispose infine.

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Capitolo 4
*** Perdere la propria strada. ***


Una foglia piroettò davanti al cruscotto per poi stendersi sul vetro, mentre percorrevano le ormai affollate strade del centro. Harry azionò il parabrezza per scacciarla.

 - Sarei curioso di sapere come sei finita in mezzo alla statale. - Harry lanciò uno sguardo alla sua immagine riflessa nello specchietto retrovisore.

- Il tuo problema è questo, sei troppo curioso. - Mormorò April disegnandosi sulla coscia piccoli cerchi con le dita.

- Sono venuto quì per darti una mano, il minimo che tu possa fare é rispondermi. - Poi tornò a guardare la strada con attenzione.

- Non sembra che tu abbia preso la patente da molto. - Osservò la ragazza.

Le labbra di lui si serrarono in una riga sottile.

- Non cambiare discorso, ora. Ho lasciato le prove del gruppo per venire a soccorrerti. - I suoi occhi la puntarono per una frazione di secondo, poi tornarono all'asfalto.

- Io ho chiesto l'aiuto di Zayn. Del tuo potevo fare volentieri a meno. -

April si sistemò più comoda sul sedile, guardando di tanto in tanto la foto di Liam appesa ad un lato dello specchietto.

- È il tuo amico? - Chiese Harry cogliendo il suo sguardo colpevole.

- Sì. - La risposta fù poco più di un bisbiglio.

Gli occhi del ragazzo si levarono un attimo dalla strada per viaggiare rapidamente su di lei, poi sulla foto e infine nuovamente su di lei. Poi scrollò le spalle.

- Se è tuo amico perchè gli hai fregato l'auto? 

April si girò a guardare Harry, incredula. Lui continuava a tenere lo sguardo impassibile sull'orizzonte. Avrebbe potuto giurare che per un secondo avesse sorriso davanti al suo imbarazzo.

- È una presa in prestito, dovevo pur tornare a casa in qualche modo. - Al ragazzo sfuggì una risata.

Era da tanto che April non ne sentiva una.

- Certo. E dimmi, lui sà che hai preso in prestito la sua auto?- Si girò a guardarla più a lungo del solito, con i lembi della bocca curvati all'insù. Poi tornò a guardare la strada.

April avrebbe tanto voluto congelare quello sguardo, renderlo immortale.

- Non guardarmi così, ho una ragazza io. - Harry fece finta di schermirsi con una mano.

April scoppiò a ridere.

Sorpassarono l'ennesimo cartellone segnaletico carico di neve.

- Harry? - April appoggiò la mano al vetro, lasciando i segni dei polpastrelli dopo averla ritirata.

- Presente.

- Ci siamo persi, non è vero? - Chiese mentre con gli occhi sentiva sempre più lontana la risata precedente, il cui eco stava andando a sbiadirsi.

- Non ci siamo persi. Questa è solo una scorciatoia. - Capì che mentiva da come strinse nervosamente il volante, alzando e riabbassando le dita su di esso.

- Oh per favore, tu non hai idea di dove ci troviamo. Potremmo essere in Irlanda e non te ne saresti accorto.. -  April fece un cenno verso il finestrino con la mano, indicando il terreno già inghiottito.

- Tecnicamente me ne sarei accorto eccome, dato che avremmo dovuto attraversare il mare in auto. - Harry iniziò a tamburellare con le dita sopra al clacson.

- Accosta e facciamo il punto della situazione. - April riportò lo sguardo al finestrino.

- Non ce n'è bisogno, sò benissimo dove andare. - Harry non rallentò nemmeno. Teneva la mascella serrata, chiaramente teso.

- Accosta, Harry.

- Giuro che metto la radio a tutto volume se non la pianti.

- Harry ti ho detto di accostare, diamine! - La voce di April si alzò più del dovuto questa volta.

Il ragazzo inchiodò in mezzo alla strada, facendo sobbalzare Zayn che li seguiva da dietro e catapultando April in avanti, trattenuta dalla cintura di sicurezza. Sbattè forte la schiena contro il sedile una volta che il veicolo si fù fermato. Per un attimo sbiancò e tacque immediatamente vedendo le nocche bianche del ragazzo per la forza con cui stringeva il volante.


- Sei proprio una... - Delle sirene lo zittirono.

Si passò le mani fra i capelli mentre April vedeva il suo corpo irrigidirsi. Anche lei non pronunciò più una parola.

L'agente si avvicinò al posto del conducente e fece cenno di abbassare il finestrino. Poi si sfilò gli occhiali da sole.

- Ho capito, non guido bene e ho fatto una frenata assurda, ma questa ragazza mi stava mandando fuori. - Harry indicò April  con il pollice.

- Questo solo perchè tu.. -  Poi venne bruscamente interrotta.

- Devo chiedervi di scendere dalla vettura.- L'uomo si sistemò gli occhiali all'interno del taschino, vicino al distintivo.



La luce del sole lo illuminò e sembrò fatto d'avorio.



- Vorremmo, ma, vede, questa non è la nostra auto. - April prese fra le dita il lembo della patente, mostrando la foto e i dati personali correlati.

Un sorriso beffardo illuminó il viso del poliziotto.

- Sono quì per questo. È partita una denuncia per furto questa mattina. E indovinate un po'?

- Non credo di voler indovinare.. - Harry si passò nervosamente il dorso della mano contro la guancia.

- Non credo ce ne sia bisogno. - Il nome 'Dowson' scintillò sulla targhetta appesa alla sua camicia.

- Furto? Ero con un ragazzo ieri sera, è stato lui a farmi entrare in macchina. - April gesticolò nervosamente.

- E dov'è lui ora?

April titubò un attimo, poi si zittì.

- Che succede? - Zayn aprì la portiera di April allungandole una mano.

- È un vostro amico? - Chiese Dowson abbassando lo sguardo sui due.

- Ho aiutato la ragazza, il motore aveva un problema. - April afferrò la mano di Zayn, avvertendo la tensione che il suo muscolo andava trattenendo, mentre un'espressione di impenetrabile freddezza lo ricopriva.

- Devo considerarla un complice, quindi. - I loro occhi si incrociarono e ci mancò poco che le emozioni non balzassero fuori di loro. - Lui?

Il poliziotto indicò Harry.

- Un mio amico. - Rispose scrollando la testa, chiaramente confuso.

- Lasciate l'auto.

- Non ci speri. - Harry sorrise nervoso, mentre corrugava la fronte.

- Ora.

Quello bastò a farlo cedere. Restituì le chiavi all'agente imprecando a bassa voce.


April sentì il forte bisogno di ringraziare Zayn semplicemente perchè le era rimasto accanto, senza dire una parola, senza fare una domanda.
Sapeva che però prima o poi avrebbe iniziata farle e che lei non avrebbe potuto evitarlo. Lo sentì deglutire.
April studiò il suo profilo all'ombra finchè lui non  si girò verso di lei.

- Và tutto bene. - Sorrise come in quel momento avrebbe  fatto un genitore. Per lei, che aveva comprato casa da poco significò tanti ricordi in un unico gesto.

- Non ho rubato quell'auto. - Lo disse consapevole che non era così. Ci si era semplicemente trovata abbandonata dentro.
Zayn non disse una parola, sospirò.

- Non mi credi. - Disse abbassando lo sguardo.

- No, nemmeno un po'. Ma ti supporto. - Lo disse calmo, mentre i loro respiri e il battere sulla macchina da scrivere degli impiegati rimanevano l'unico altro suono.

April si guardò attorno.
Su quelle vecchie sedie scrostate c'erano solo loro due.
Avevano lasciato andare Harry prima, lui non c'entrava. Avrebbero lasciato andare anche Zayn, ma lui aveva insistito per rimanere.

- È lei la ragazza di cui parlava? - Dowson rientrò seguito da Liam.
April si alzò in piedi non appena vide il ragazzo sulla porta.
Rimase così, semplicemente pronta.
Voleva andargli incontro, a chiedergli scusa, ma non potè far altro che ricacciare indietro le lacrime e fissarlo.
Lui fece un leggero cenno in direzione dell'agente, poi si incamminò verso di lei.
Ad April quei quattro passi sembrarono mille.
Rivide la scena lentamente mentre Zayn alzava lo sguardo su di loro e il poliziotto sospirava.
Quando se lo trovò a distanza di un respiro si bloccarono entrambi.
Lo sguardo dolce e amareggiato di Liam spiazzò April.

- Sei una stupida. Credevo ti avessero rapita. - La voce uscì più dura di quanto si aspettasse. Il viso rimase piegato in in un espressione dolce.

April chinò la testa.
- Volevo solo tornare a casa, Liam. L'ultima cosa che volevo era rubarti l'auto. - Infilò le mani in tasca.

- Non mi importa, avresti dovuto aspettare. - Le appoggiò una mano sulla spalla e avvicinò il suo viso a quello della ragazza, per guardarla negli occhi.

In quel momento Zayn si alzò, la mano tesa verso Liam.

- Zayn Malik, un amico. - Gli occhi neri erano fermi su di lui.

- Liam Payne. - Gli strinse la mano mentre gli rivolgeva un sorriso tirato. - Può lasciarla andare, non mi ha rubato l'auto. La conosco. - Liam si girò verso il poliziotto.

Lui fece un cenno prima di lasciare la stanza.
Le chiavi tintinnarono appese alla sua tasca.
April ascoltò l'eco dei passi lungo il corridoio, la mente che viaggiava lontana.

- Ora che non c'è più nessun problema penso che andrò a casa. April...  - Zayn si girò verso di lei.- Vuoi un passaggio?

- Non ora, grazie comunque. - Ciuffi di capelli le colpirono le orecchie mentre scuoteva la testa.

Zayn alzò la mano aperta e si incamminò verso l'uscita.
Liam infilò due monete in una macchinetta delle merendine.
Il loro suono le ricordò il silenzio prima di una canzone scelta al Jou Box.
Si risedette.

- Ci credi nel destino? - Liam le porse una bottiglia di birra.

- Il destino stà nelle scelte. Le scelte le faccio io. - April rimase seria, mentre mandava giù il primo sorso. - Poi dipende..

- Da cosa? - Chiese il ragazzo stappando la propria bottiglia.

- Dal tipo di destino. Se quello che ti porta alla carriera o.. - Si fermò a guardare l'etichetta. - All'amore.

- Ipotizziamo: due persone sedute su una panchina, che parlano mentre bevono qualcosa. - Liam picchiettò sulla bottiglia.

April rise.

- Non succederà nulla. - Poi riappoggiò le labbra alla birra. - Lei si farà mille film mentali, ma lui è più grande di due anni, e si farà una vita. Senza di lei.

- Sei pessimista. - Liam sbattè una mano sulla sua coscia, girandosi a guardarla negli occhi.

- Vedila come vuoi. Ma poi finisce sempre che ho ragione.

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Capitolo 5
*** Abbiamo viaggiato su questo suolo roccioso. ***


L'ultima goccia corse lungo  il vetro verde della bottiglia per arrivare calda e amare alla sua gola, ancora intrisa dei suoi ultimi respiri.
  April si sciolse i capelli sulle spalle, annodandosi l'elastico al polso.
  Guardò le proprie mani aperte sulle ginocchia graffiate dal freddo, bianche e screpolate.
  Notò piccole macchie di vernice arancione incastrata sotto le unghie.
  Le chiuse a pugno, poi le nascose dentro alle maniche del giubotto.

  I suoi occhi vagarono lungo le porte a vetro della centrale, perlustrando ogni centimetro usurato dal tempo. I segni delle scritte sulla condesa dei vetri trasparenti erano ancora leggibili per lo più.
  Le impronte lasciate dalle mani e dai polpastrelli pigiati stretti contro il vetro sotto respiri e sospiri si potevano scorgere dalla penombra.
  April avrebbe voluto vedere i volti di chi li aveva tracciati.
  Ne immaginò di giovani e scarni e di rotondi e pieni.
  Immaginò le voci che avevano riempito quei corridoi prima della sua, le espressioni di chi si guardava attorno timoroso e quelle di chi, spavaldo negava i propri errori.
  Esattamente come aveva fatto lei.
  Fuori, i lampioni stendevano la loro luce opaca sull'asfalto grezzo e sull'erba che sbucava dal cemento.
  Mosche e zanzare giravano attorno alle luci, ingannate dal tepore delle lampadine.
  Un camioncino passó sullo sterrato, sollevando una nuvola di polvere e ghiaia.



  In quel momento, la terra alzata ebbe l'aspetto di milioni di lucciole.


  Poi, la magia svanì, quando le lampadine elettriche appese alle finestre rivelarono i puntini scomposti che si riabbassavano.
  April chiuse gli occhi, solo per un secondo.
  Immaginò la rugiada bagnare già il prato.

  - Dovresti venire a farti prendere da qualcuno. - Liam si girò verso di lei.

  - Cosa ti fà pensare che io abbia qualcuno disposto a venirmi a recuperare dalla dogana? - La voce di April fù dura, quanto sincera.

  Fuori, gli alberi si scossero come finte divinità al controllo della sera: Le foglie gracchiarono e stormirono.

  - Potresti richiamare quel ragazzo, Zayn. Sembrava... - Si fermò un attimo per scegliere le parole giuste. - Disponibile, verso di te.

  April scosse la testa. - Non ne ho voglia.

  - È il tuo ragazzo? - Sorrise nel chiederlo.

  Era tremendamente a suo agio nel parlare di relazioni.
  April poteva quasi vederlo in un ufficio, fra l'odore di caffè e pulito a spiegare l'amore a qualcuno.
  La camicia abbottonata fino al colletto e un paio di scarpe italiane.
  Poteva immaginarlo senza problemi anche sull'orlo della tristezza, in cerca di un paio di occhi ai quali aggrapparsi.

  Schioccò le labbra. - Lo conosco da quanto conosco te.

  - Non l'avrei mai detto. - Liam si strofinò il mento con il dorso della mano.

  - Ed il che è strano per te, che mi hai già inquadrata e catalogata. - C'era un che di sarcastico nel tono di April.

  Nella mente le riapparve l'istantanea di Liam in un ufficio.
  Questa volta, a parlare d'amore con lui, c'era lei.

  - Chiama qualcuno. - Le disse poi appoggiandole il cellulare sulle ginocchia.

  L'apparecchio emise il suono d'accensione mentre sullo schermo grigio lettera per lettera, appariva il nome dell'operatore.
  April lo strinse fra le dita e si alzò, pronta a ripetere che non c'era nessuno che lei potesse chiamare, al quale chiedere aiuto.
  Sorpassando il terreno a grandi falcate, Liam era già a metà strada.
  Lo sentì rabbrividire e lo vide stringere il colletto della giacca tanto che le unghie divennero bianche.
  Apparve come un'ombra lontana e confusa finchè non fù investito dalla luce dei lampioni.
  April notò chiaramente le mani ruvide e forti allacciarsi allo sportello.
  Si girò a guardarla convinto che si sarebbe avvicinata e gli avrebbe restituto il telefono.
  Che gli avrebbe chiesto un passaggio e dopo si sarebbero dimenticati l'uno dell'altra.
  Invece lei abbassò lo sguardo sul cellulare ed iniziò a comporre.

  Rimasero a guardarsi per un pò, finchè il segnale della segreteria non giunse, meccanico e flebile dall'altra parte.

  - Niall, sono April. Ieri sera ho combinato un disastro ed ora ho bisogno che tu mi venga a prendere al commissariato. Dovevi immaginarlo che sarebbe successo, non sono abituata a gestire situazioni in modo.. - Inspirò lentamente.  - Corretto. Ho sbagliato e questo lo sappiamo entrambi, ma.. - Un rumore dall'altra parte troncò il messaggio. 

  April rimase per un pò con il cellulare appoggiato all'orecchio, ad ascoltare lo stridio delle interferenze.
  Poi guardò lo schermo lucido e bianco e riavviò la chiamata.
  Attese il segnale. 

  - Ho bisogno di aiuto, cerca di venire il prima possibile. Dobbiamo parlare di tante cose e non è stato bello vederti così. Mi sono spaventata. Mi hai spaventata. Credevo che fossero ormai anni da che non cadevamo in una situazione simile, eppure.. - Un'altra volta il messaggio si autoconcluse.

  April lasciò cadere il cellulare da una mano all'altra mentre si avvicinava alla porta anti panico.
  Non uscì subito.
  Prima continuò a ripetersi che si stava comportando nel modo giusto, un po' per calmare se stessa, un po' per calmare le voci che la assilavano da ore.
  Poi premette con il polso sulla sbarra e la porta si aprì a scatto.
  Mentre raggiungeva la macchina si sentì irradiata della luce dei fari accesi.
  Le pupille si restrinsero e si chiese se appariva esattamente come si sentiva: un animale spaurito.
  Quando raggiunse il finestrino di Liam guardò il suo riflesso nel vetro nero e lucido e si accorse delle due occhiaie profonde, all'altezza del setto nasale.
  Si passò orizzontalmente una mano sul viso, cercando di svegliarsi le membra stanche.
  Ciò che ottenne non fù altro che matita nere sbavata sugli zigomi.
  Passò il cellulare fra le mani di Liam, con delicatezza.

  - A presto April. - Le fece un cenno con il capo.

  Girò la chiave ed il motore ronzò.
  Uno scoppiettio ritmico provenne da sotto il cofano mentre gli pneumatici stridevano contro il ghiaccio.

  - A presto. - Solo dopo averlo pronunciato si rese conto che, effettivamente, era rimasta sola.
  E che aveva paura.

  Si sedette sul marciapiede e attese.
  Una parte di lei credeva che Niall sarebbe venuto a prenderla, l'altra semplicemente ci sperava.
  Aveva bisogno di esorcizzare tutti i pensieri ed i fantasmi che le urlavano contro le tempie.
  Aveva bisogno di far rallentare il suo battito che correva, di dimenticarsi di tutto ciò che in quel momento la stava consumando internamente.
  Il freddo le attraversò le ossa e un brivido le risalì la spina dorsale.
  Guardò dietro di sè le luci della centrale e le due bottiglie di birra abbandonate sulle sedie rosse e vecchie.
  Per distrarsi decise di ripensare a Liam e nel farlo si ricordò del loro primo incontro, di come dipingendolo si era ripetuta di dover ricordare il suo viso, le fossette chiare ai lati degli occhi e la bocca piena e carnosa.
  Si chiese se il disegno lo avesse conservato o se fosse scivolato sotto un sedile, in attesa di essere ricontrollato.
  April sperava vivamente che lo avesse conservato bene. Per lei era importante.
  Lo immaginò la mattina, appena sveglio e si domandò come dovesse essere alzarsi e venir avvolti dal rumore del caffè sul bollitore e dalla sua voce.
  Provò ad immaginare la sua ragazza e la pensò alta, un po' secca e con boccoli castani oltre le spalle.
  Provò a ricordarsi cosa significasse portare il sapore delle labbra di qualcuno sulle proprie e come fosse portarle contro le sue, con dolcezza.
  Si domandò se fosse il tipo di persona che la sera ti augura la buonanotte o se si limitasse ad infilarsi sotto le coperte, con strategica freddezza.
  Ripensò a quando ai piedi del campanile lei si stava raccontando, e di come lui avesse corrugato fragilmente la fronte.
  Improvvisamente sentì il bisogno di distendere le pieghe sulla sua pelle con le proprie mani, ma si trattenne, prima che le sue riflessioni potessero perdere del tutto il senno.

  Girò la testa in direzione della strada e sorrise di un sorriso spezzato a metà, insicuro e debole.
  La Range Rover grigia brillava da dietro la sbarra a telepass.
  Il ragazzo che ne scese mosse qualche passo avanti, poi la vide e si bloccò.
  Quando April si alzò e mosse i primi passi verso di lui iniziò a contare i proprio respiri e le volte in cui si inumidiva le labbra passandosi sopra la lingue fredda.
  Ascoltò il rumore della saliva sul collo mentre deglutiva.
  Il sorriso si ritirò del tutto sottopelle, assorbito dalla carnagione diafana quando lo vide, serio, gli occhi vuoti e stanchi.
  Passando sotto la sbarra intravide un uomo, dentro la cabina.
  Un forte odore di salsa e bruciato invase l'aria.

  - Non hai chiamato con il tuo telefono. - I capelli di Niall sferzarono forte contro il suo viso. Erano tornati quasi completamente castani, ormai di biondo non aveva che le punte, secche e spente.

  - Tu non hai più chiamato e basta. - Si pentì quasi subito di averlo detto.

  Le Timberland marroni di Niall cigolarono nella neve, quasi come se stessero scandendo un  tempo immaginario.
  Un conto allo rovescia.
  Una volta arrivati alla macchina April si sedette sul retro.
  Cercò di scaldarsi le mani infilandosele fra le cosce mentre sbirciava dai vetri oscurati la televisione dentro alla cabina che mandava video musicali a palla, oscurati dai pixel.

  - Cosa volevi dirmi? - Le mani erano salde attorno al volante, la schiena dritta.

  - Hai una sigaretta? - April si sporse sotto i sedili a controllare.

  - Cerchi di cambiare argomento? - Incrociò il suo sguardo nello specchietto retrovisore - Sei infantile, se non mi sono più fatto sentire è proprio per questo. - Il tono fù fermo e deciso.

  Lei si sentì schiaffeggiata all'orgoglio, invece.
  Preferì perdersi nel mormorio della radio, che nel frattempo, passava grandi successi del passato.



  La porta rimase socchiusa, accogliendo a casa la schiera di odori serali.
  Le luci del vicinato erano ancora accese, nonostante fossero ormai le undici passate. April si rese conto che per lo più, erano quelle di televisori e apparecchi elettrici.
  Gettò il proprio cappotto sul divano e ci si sedette vicino.
  Per un secondo la sua testa ritornò indietro, fino ad arrivare alla lite.
  Anche la casa sembrava bloccata in quel frangente: i pennelli gocciolavano acqua a terra, sparpagliati sul mobile difronte alla TV.
  Segni di vernice ancora per metà umida si raccoglievano nello spazio stuccato fra una mattonella e l'altra.
  Niall si sistemò il colletto sbuffando ed alzò lo sguardo al soffitto, perlustrando le lampadine bruciate e quelle che ancora splendevano.
  April pensò che dovesse sentirsi davvero a disagio, perchè di quella casa conosceva ormai ogni angolo: dai cuscini bagnati dalla pioggia che entrava dalla zanzariera rotta la mattina presto, al boschetto sul  retro.
  Cercò di fermarlo lì, davanti al piano cucina grazie ai pensieri, e per un pò parve addirittura funzionare.
  Poi mosse un passo verso la porta, ed April sentì la stanchezza esploderle in fuochi d'artificio contro le tempie, si chiese se non fossero solo le prime lacrime che le pungevano le palpebre.

  - Mi sono dimenticata di dirti una cosa per messaggio. - Lo disse velocemente e ad alta voce, per paura che Niall non sentisse.

  Lui si bloccò a metà, come se infondo non aspettasse che un pretesto per restare. - Sarebbe? - Non avrebbe saputo dire se c'era aspettativa o noia nel suo tono.

  - Non ti ho chiesto scusa. - Mormoró April.

  - Non è questo il punto, April. Il problema quì è che avresti potuto restare e spiegare ciò che sentivi invece che scappare nel bel mezzo delle urla. - Spiegò Niall. La voce addolorata e rotta.

  - Non sono mai stata brava a dimostrare affetto, lo sai bene. Non sono il tipo di persona a cui qualcuno ha insegnato come si ama. Non sò nulla di questo genere di cose, nessuno me ne ha mai parlato. - La prima lacrima le rigò verticalmente la guancia mentre la vista iniziava a sfocarsi in modo dolce e pacato.

  - Non si tratta di essere il tipo, è totalmente sbagliato. Non è che non sei del genere che si dice 'ti voglio bene' o che si manda messaggi appena accade qualcosa di bello. Semplicemente tu non vuoi bene a nessuno. Ecco perchè non sei il tipo. - Il tono di voce di Niall si alzò un po' troppo.
  Ed April aveva sempre odiato le grida.

  - Non ce la faccio a vederti andare via.. Ti voglio bene, so che è così. - Le guance le bruciavano e le labbra le pizzicavano.

  - Forse è così che deve finire. Magari riesci a trovarti più amici se mi lasci perdere. - Niall si infilò entrambe le mani in tasca.

  - Non sarò felice se ti perdo, però.

  - Magari è il prezzo da pagare è questo.

Si girò in direzione della porta torturandosi le labbra con le dita.
Non girò la maniglia, non uscì fuori.
  Rimase a guardarla, in silenzio.

  - Mio padre è migliorato. - April spezzò il silenzio dopo un po'. - Ora stappa solo un paio di Jhonny Walker al giorno.

  - Bene.

  Sapeva che Niall era sempre stato a disagio quando si parlava di suo padre. Ricordava ancora di come lei fosse abituata a scappare i pomeriggi in cui alzava troppo il gomito e a passare fuori la notte.
  Quando l'aveva conosciuto aveva iniziato a passare più tempo a casa sua, ed i problemi erano dimezzati.
  La madre faceva lo stesso, uscendo la mattina tardi e rientrando quella seguente.
  A volte suo padre usciva e la veniva a cercare, altre era solamente April a crederlo.

  - Ho bisogno d'appoggio, almeno finchè non saprò se mio padre è autonomo. - Girò la testa in direzione dell'amico.

  - Marge è una donna in gamba, vedrai che finirà tutto bene. - Niall si slacciò i primi tre bottoni del cappotto. - I miei hanno optato per il divorzio. - Disse tutto d'un fiato.

  - Mi dispiace. - Forse non era così, sapeva che se anche i suoi avessero divorziato tutto sarebbe stato migliore.

  - Mi sembrava ovvio come passo successivo. - Rispose sorridendo.

  Appoggiò la giacca sull'attaccapanni d'ottone.
  La stoffa sussurrò contro il metallo.

  - Resti?

  - La mia era solo una mossa disperata. - Si sedette sul bracciolo del divano.

  April lasciò scivolare la sua testa fra i cuscini, mentre le clavicole ossute le scricchiolavano. Ascoltò i suoni ovattati provenire dal mondo fuori e si perse nei suoi: nell'atto di respirare e nel ritmico alzare ed abbassare il petto.
  Fece scivolare la sua testa sotto l'ascella di Niall e sentì la sua polo bruciare, il petto andare a fuoco mentre il battito rallentava, rilassato.

  - Forse dovremmo chiudere la porta. - Le passó una mano sui capelli e le mise una ciocca dietro all'orecchio, trasportandola con l'indice ed il pollice.

  April scacciò la sua mano da davanti gli occhi soffiandoci sopra. - Che entrino pure se devono rubare, mi basta che non facciano rumore.

  Le prime goccie di pioggia iniziarono a calare ritmiche.
  Battevano leggere contro i vetri portate dal vento e scendevano dalla grondaia, fischiando e lamentandosi.
  Le nuvole, che coprivano la luna si allargarono, portate dal vento.
  Niall iniziò a canticchiare, nel bel mezzo del concerto di suoni serali, mentre le grida delle nubi che si rincorrevano echeggiavano fra i vicoli londinesi.

 
Rise up shepherd, rise up.


Your flock has roamed far from the hills.


The stars have faded, the sky is still,.


the angels are shouting “Glory Hallelujah”.




Alzati pastore, alzati


Il tuo gregge ha pascolato lontano dalle colline,


Le stelle sono scomparse, il cielo è fermo


Gli angeli stanno urlando “Gloria Hallelujah”




Forty days and nights of rain have washed this land,

Jesus said the money changers in this temple will not stand.


Find your flock, get them to higher ground,


flood waters rising and we’re Canaan bound.


We’ve been traveling over Rocky Ground, Rocky Ground.



Quaranta giorni e quaranta notti di pioggia hanno lavato questa terra,


Gesù disse che i mercanti non possono stare in questo tempio.


Trova il tuo gregge, portali su un posto più alto,


Un’inondazione d’acqua si alza e noi siamo al confine di Canaan.



Abbiamo viaggiato su questo suolo roccioso, suolo roccioso

Bruce Springsteen- Rocky Ground.

  April si ricordò di come aveva sentito quella canzone la prima volta, sul cammino per una nuova vita, al trasloco.
  La natura sussultò di tuoni, più bassi e meno rumorosi quando abbassó le palpebre e s'addormentò.



  Quando si svegliò la luce opaca e debole filtrava dalle serrande calate, illuminando poco più che le prime quattro mattonelle e gli occhi di Niall.
  Uno spicchio d'azzurro spuntava da dietro le palpebre per metà abbassate, come una specie di sole al tramonto.
  April rise fra sè.
  "Dorme con gli occhi aperti." Pensò.
  Nessun rumore dall'altra parte della porta se non quello delle auto che sfrecciano sulle superstrade. Lanciò un'occhiata alla sveglia digitale.
  Le undici e quarantasette.
  Si chinò a recuperare un mazzo di carte da sotto il divano, dovette rimescolarle, dato che alcune erano girate dal lato sbagliato.
  La trama sul retro era a quadri blu e bianchi mentre le figure, assimmetriche e spigolose si alternavano da numeri a persone.
  Si posizionò un cuscino sulle ginocchia e iniziò a capovolgerle a testa in giù, con l'intenzione di iniziare un solitario. Una volta che ne ebbe stese quaranta, ricoprì i loro dorsi con altre quaranta carte, stavolta girate, in modo tale che lei potesse vederle.
  Lanciò uno sguardo a Niall mentre tentava di trovare una scala.
  Si agitava e risistemava di continuo, quando si fermò, socchiuse la bocca, scoprendo la dentatura candida, segnata dal filo dell'apparecchio trasparente.
  April aveva completato ben tre scale quando lui si svegliò.

  - Che desiderio hai espresso? - Domandò lui una volta che si fù seduto comodo.

  - Mi sono dimenticata di esprimerne uno.. - Si ricordò di quella volta in cui sua madre le aveva detto che se il solitario riusciva, dopo aver espresso un desiderio, quello si sarebbe avverato.

  Niall la guardò negli occhi. - È un peccato. - Si alzò lentamente dal divano. - Sembra che stia riuscendo.

  April sorrise.
  Quando lui si risedette reggeva in mano un accendino ed una Winston Blue.

  La ragazza scoppiò a ridere. - Sei proprio un principiante.

  Lui premette sulla rotella nera e fece scattare la fiamma. - Non sarà una Camel, ma è giusto per iniziare.

  Quando la fiamma si attaccò alla nicotina l'aria si riempì d'odore di carta bruciata. Ad April non andava che qualcuno fumasse a casa, ma trattandosi di Niall, la situazione era assai ironica.

  - Da quando hai ripreso a fumare? - Chiese lei. Le sembrava strano di non essersene accorta prima.

  In tutta risposta lui bloccò la sigaretta fra le labbra rosee mentre le prendeva il mazzo dalle mani.
  Erano così chiare che sembravano fatte di luna.

  - Non ho mai ripreso, fumo solo quando sono nervoso. - Esalò una lunga boccata prima di dare le carte.

  - A che vuoi giocare, Horan? - La ragazza si passò  una mano fra i capelli scuri, socchiudendo gli occhi.

  - Poker. - Poi tornò a guardarla. - Non mi hai detto che è successo ieri, però.

  - Ho conosciuto un ragazzo, ieri. - Disse mordicchiandosi l'interno della guancia. - E poi sono quasi finita in prigione.

  - Gli hai rubato il cellulare? - Niall sollevò un sopracciglio.

  - La macchina. - Rispose April pescando.

  Le sue guance si illuminarono di rosso quando tentò di soffocare una risata.

  - Che tipo di macchina?

  - Mustang nera. - Rispose calando il primo tris.

  - Te ne andasse mai male una.  - Niall alzò gli occhi al cielo.

  April scoppiò a ridere, e stavolta, rise con il cuore.

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