Amore dall'oltretomba

di Shakechan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non temo la morte ***
Capitolo 2: *** Quando arriva la pioggia ***



Capitolo 1
*** Non temo la morte ***


Ahahahha invece di continuare le altre mie storie, ne aggiungo altre! … Questa cosa mi suona familiare! Comunque sia, buona lettura!

 

 

CAP1

 

-Non temo la morte

 

 

Una volta ho dimenticato com’era fatto il cielo.

Ho passato così tanto tempo a guardare in basso verso i miei piedi, che mi ero totalmente dimenticato di cosa ci fosse sopra la mia testa.

 

***

 

 

Le giornate trascorrevano veloci e malinconiche.

Il tempo scorreva su di me come l’acqua quando mi sto facendo una doccia.

I fatti, le persone, i luoghi, gli eventi, tutto scorreva velocemente davanti a me.

Non mi importa nulla di niente. Non mi importa nulla di nessuno. Perché a nessuno importa di me.

 

“Sena, sei sicuro che vada bene per te rimanere da solo a casa?” chiese mia madre caricando l’ultima valigia in macchina e chiudendo con forza il porta bagagli.

“Si, non ti preoccupare” dissi sorridendo “voi godetevi la vacanza”

“Cara, non ti preoccupare” intervenne mio padre posando una mano sulla spalla di lei “ormai è abbastanza grande per cavarsela da solo” disse facendomi un occhiolino.

“E’ solo che questi ragazzi crescono così in fretta…” commentò mia madre poggiando a sua volta la sua mano su quella di mio padre.

Dopo gli ultimi abbracci e raccomandazioni, assistetti alla macchina dei miei allontanarsi lungo la via.

Il sole stava tramontando e il vento gelido della sera iniziava a farsi sentire, con un brivido lungo la schiena rientrai in casa.

Richiusi la porta alle mie spalle e mi appoggiai su di essa.

Trattenni il fiato e chiusi gli occhi.

Il silenzio dentro la mia casa mi rilassò completamente il corpo.

Rilasciai uscire l’aria dai miei polmoni con un sospiro lento e silenzioso mentre riaprivo lentamente gli occhi.

“Finalmente…” sussurrai dirigendomi verso la cucina.

Mi piace la quiete e il silenzio, mi rilassano, mi fanno sentire bene.

Mi diressi in cucina e aprii il frigorifero e trovai il riso al curry preparato da mia madre. Accesi il forno e lo lasciai riscaldare.

Non sapendo cosa fare, mi sedetti a tavola e accesi la tv.

Apparve un giornalista intento a intervistare un ragazzo con alle spalle un enorme costruzione recintata e piena di guardie armate.

Sia sulla struttura che sulle guardie c’era un logo con uno scudo e delle spade incrociate bianche e azzurre.

“Come potete vedere, la struttura è assolutamente sicura” disse il ragazzo intervistato alzando una mano per indicare la struttura.

Il ragazzo era vestito di tutto punto e indossava degli occhiali.

“Signor Takami, lei è ancora molto giovane, per di più la sua famiglia è una delle più ricche nel Giappone, cosa l’ha spinta ad aprire un penitenziario in un area così deserta di Tokyo?” chiese l’intervistatore.

“Sono cosciente del fatto che la mia famiglia è benestante ma ciò non influenza le mie scelte. Voglio che la mia città si senta al sicuro ed è per questo che ho creato questo speciale penitenziario per rinchiudere tutte le persone che tentano di rovinare la mia affezionata e cara città.” Affermò il ragazzo sistemandosi gli occhiali sul naso.

“Cosa intende dire con penitenziario speciale?” chiese l’intervistatore.

“Intendo dire che ogni cella è costruita secondo le peculiarità di ogni mio carcerato.” Affermò il ragazzo.

“Cosa intende dire?” chiese insistente l’intervistatore.

“Ciò non la deve interessare, l’importante è che sappia che una volta che un criminale viene catturato da noi, è praticamente impossibile che ne esca.”

“Capisco” disse sorridente l’intervistatore “e con questo è tutto da…”

Cambiai canale, cercando qualcosa di più interessante. Optai per dei ballerini di danza moderna mentre preparavano coreografie difficili per uno show.

Consumai il mio pasto fino alla fine del programma, poi spensi tutto e andai a dormire.

Mentre  le coperte mi avvolgevano con un caldo abbraccio, il rumore del vento fuori casa mia, mi cullò fino ad addormentarmi.

 

La sveglia risuonò violentemente nella mia stanza, destandomi dal mio sonno.

Pigramente alzai un braccio per spengerla, facendola solo cadere a terra.

Irritato dal suono insistente della sveglia, mi alzai bruscamente dal letto, afferrando la sveglia e spengendola.

Sospirai e mi diressi in bagno.

Un altro terribile giorno di scuola mi aspettava.

Mi feci una doccia al volo e indossai pigramente la mia divisa scolastica.

Il campanello di casa suonò esattamente nel momento in cui finii di prepararmi.

Afferrai la cartella e scesi le scale, aprii la porta di casa ritrovandomi davanti Mamori.

“Buon giorno, Sena!” disse sorridendo sotto la sua sciarpa di lana bianca.

“Buon giorno” mormorai abbozzando un sorriso.

Chiusi a chiave casa e mi incamminai con lei verso la scuola.

“Dormito bene?” mi chiese.

“Normale…” risposi.

“Capito…” disse.

Mamori è la mia unica amica, l’unica persona che c’è sempre stata per me e di questo le sono grato.. soltanto che ormai mi ritrovo al liceo e venire ancora protetto da lei, diciamo che è un duro colpo alla mia dignità.

“Come va in classe?” provò a chiedermi.

 Sono perseguitato da tre bulli della mia classe, mi trattano come il loro schiavetto personale, maltrattandomi ogni volta che possono o vogliono e godono ogni volta che riescono a infliggermi umiliazione. Ovvero sempre.

“Bene.” Mentii.

Ne sei sicuro?”

“Si, perché non dovrebbe andare tutto bene?” chiesi abbozzando un sorriso.

“Sena, con me puoi parlare!” disse Mamori alzando la voce e rivolgendomi uno dei suo sguardi preoccupati.

Sotto quello sguardo mi sento impotente. Mi strinsi nelle spalle e abbassai lo sguardo.

“S-Scusa ti precedo!” dissi iniziando a correre via.

“Sena, aspetta!” mi gridò Mamori protraendo un braccio verso di me, quasi come se sperasse di riuscire a prendermi.

Mentre corsi verso scuola, pensai al fatto che mi dispiaceva mentirle, ma cosa avrebbe potuto fare, lei, per me?

Arrivai dopo poco a scuola e mi precipitai dentro la classe con già degli studenti al suo interno e senza guardare nessuno in faccia mi sedetti al mio posto.

Un violento calcio sul retro della mia sedia mi fece sbattere contro il banco.

“Hey nanerottolo, che fai? Non ci saluti?”

Mi voltai lentamente, quel poco per scorgere le facce beffarde e irritate di Jumonji, Togano e Kuroki.

“B-buongiorno.” Sussurrai per voltarmi velocemente subito dopo.

“Qualcosa non va, Tappo?” chiese Togano calciandomi nuovamente la sedia.

“A-Assolutamente nulla” borbottai  stringendo i pugni e gli occhi, sperando con tutto il cuore che il professore entrasse dalla porta della nostra classe e augurasse il buon giorno a tutti prima dell’inizio della lezione.

“Mi sembri turbato, piccoletto” continuò a dire Togano iniziando a dare calci sempre più forti sulla mia sedia.

“P-Per favore…” sussurrai “smett…smettila” provai a dire stringendo i denti.

“Eh? Non ti ho sentito! Cosa hai detto?” chiese Togano scoppiando in una fragorosa risata insieme a Jumonji e Kuroki.

“Credo che voglia che tu smetti!” disse Jumonji scoppiando a ridere.

“Smettere? Smettere di fare cosa?” chiese con finto dubbio Togano, aumentando la forza dei calci.

Sentii la schiena iniziare a bruciarmi per il dolore ma non mossi un muscolo per impedire che Togano la smettesse.

Aprii leggermente gli occhi e mi guardai intorno.
Tutti guardavano da un’altra parte, tutti si facevano i fatti loro, a tutti non importava nulla di me.

Il dolore che provavo sulla schiena, era nullo paragonato al dolore che provavo nel mio cuore.

Mi sentii inutile, impotente, solo.

“Tutti ai propri posti, iniziamo subito con la lezione!”  disse il professore con tono imperioso.

“Che palle…” sussurrò Togano smettendo di prendermi a calci.

Sospirai per il sollievo ma sapevo che avrebbero ricominciato una volta che ci fosse stata la pausa pranzo.

Inevitabilmente, quando speri che il tempo non passi mai, cose se a fartelo a posta passa più velocemente.

Alla pausa pranzo mi ritrovavo già a correre lungo i corridoi della scuola con in braccio panini e lattine di bibite gassate.

“E-Eccomi…” borbottai con un accenno di fiatone mentre porgevo a Kuroki, Togano e Jumonji in un angolo dietro al cortile della scuola.

“Ci hai messo troppo.” Disse minaccioso Kuroki lanciandomi il mozzicone della sua sigaretta sui pantaloni.

Gridai per lo spavento e  indietreggiai impaurito.

“Imbranato vieni qui” mi intimò Jumonji mentre aspirava la sua sigaretta.

Mi avvicinai temendo il peggio.

“Dammi il panino.” Mi ordinò allungando la mano libera.

Glielo passai e rimasi fermo.

“Bhé?” chiese sprezzante.

“N-Nulla!” mi sbrigai a dire.

Sentivo che l’atmosfera era tesa. Era successo qualcosa.

Tutti e tre guardavano in direzioni differenti.

“Bene, allora vattene.” Disse Jumonji lanciando via la sigaretta e iniziando a scartare il panino.

“E questi?” chiesi riferendomi ai panini e alle bibite

“Lasciali pure qui, basta che te ne vai.” Disse Jumonji.

Senza replicare posai tutto a terra e me ne andai via.

Nessuno mi disse nulla, nessuno mi fermò.

Non provai neanche a farmi delle domande, era inutile. Alle volte gli girava bene e alle volte gli girava male.

Mi diressi in classe e rimasi seduto al mio posto, gustandomi la libertà concessami.

Il resto delle lezioni scorse abbastanza velocemente e in nessun caso Jumonji, Togano o Kuroki provarono a tormentarmi in qualche modo.

All’uscita della scuola c’era Mamori ad aspettarmi al cancello.

Non appena mi vede mi sorrise e mi salutò con la mano.

Accellerai il passo per raggiungerla e ci incamminammo verso casa.

“Andato tutto bene a scuola?” chiese Mamori.

“Si, a te?”

“Tutto a posto…”

Ci fu una pausa di silenzio.

“Senti Sena… questa mattina io…” iniziò a dire Mamori per poi fermarsi improvvisamente quando una goccia d’acqua le cadde sul naso.

“Eh?” disse sorpresa fermandosi davanti una casa e alzando la mano per controllare se stesse piovendo.

Mi fermai anche io e la guardai.

Più gocce caddero insieme sopra di noi e in pochi attimi il cielo iniziò a scurirsi con enormi nuvole nere cariche di pioggia.

“Forse è meglio se ci sbrighiamo ad andare” dissi a Mamori quando la pioggia aumentò di intensità.

“Tranquillo, ho gli ombrelli” mi rassicurò lei iniziando a frugare nella borsa “un attimo solo” disse smucinando con forza dentro la cartella.

Intanto la pioggia aumentava sempre di più a ogni secondo.

“M-Mamori!” la chiamai per affrettarla.

“Un attimo, non riesco a trovarli!” si lamentò iniziando a tirare fuori kit di pronto soccorso insieme a penne e matite.

Un tuono spaccò in due il cielo e un cagnolino spuntò fuori dall’abitazione dove ci eravamo fermati e iniziò ad abbaiare spaventato contro di noi.

Spaventato più del cane, indietreggiai con un balzo e scivolai a terra, proprio in mezzo alla strada.

Gemetti per la botta data alla schiena e rimasi immobilizzato a terra.

“Sena!” gridò Mamori con gli occhi sgranati.

Due fari di un camion mi accecarono la vista e non riuscii a fare altro che a fissarli terrorizzato come un cervo in mezzo alla strada. Cosa non tanto differente dalla realtà.

Cavolo. Sto per morire…

Tutti i miei muscoli si rilassarono e chiusi gli occhi.

Stranamente, non ho poi così tanta paura.

Dei passi veloci e pesanti risuonarono come un tamburo nei miei timpani.

Aprii di scatto gli occhi e vidi Mamori porsi davanti a me e spalancare le braccia verso il camion in corsa.

Il suono del clacson, i freni che stridevano sull’asfalto bagnato e scivoloso mentre inevitabilmente il camion si ribaltava nel tentativo di evitare di investire noi.

Fu una sequenza di attimi. Tragici attimi che vedemmo accadere davanti ai nostri occhi.

Il camion strisciò a terra per una trentina di metri prima di fermarsi del tutto.

Mamori svenne subito dopo che tutto si fermò.

Spaventato e con il cuore martellante tentai di alzarmi per ricadere a terra.

Le gambe mi tremavano come foglie al vento.

Mi misi in piedi sulle ginocchia e presi tra le braccia Mamori.

“M-Mamori!” gridai spaventato.

L’acqua scorreva sul suo viso e sui suoi capelli ma lei non si mosse.

Provai a prendere il mio telefono per chiamare aiuto ma quando provai ad accenderlo, non diede segni di vita.

Iniziai a piangere non sapendo cosa diamine fare.

Feci forza sulle mie gambe e dopo qualche tentativo, riuscii finalmente ad alzarmi in piedi.

Trascinai Mamori fino al muro dell’abitazione e la lasciai appoggiata con la schiena li.

Provai a citofonare ma non rispose nessuno.

Improvvisamente mi resi conto di star singhiozzando e che a stento riuscivo a trattenere l’ossigeno nei miei polmoni.

Guardai il camion sdraiato sulla strada.

Forse dovrei controllare se l’autista sta bene…

Lentamente mi avvicinai al camion capovolto.

Notai che sul fianco c’era disegnato un scudo con due spade incrociate e mi ricordai subito il programma che avevo visto la sera prima, della nuova prigione a Tokyo.

Un altro tuono rombò nel cielo e trasalii spaventato.

Non sapevo più se ciò che mi gocciolava dal mento erano le mie lacrime o semplicemente la pioggia.

Optai per un miscuglio dei due.

Mi avvicinai al posto del guidatore, ma essendo il camion, capovolto di lato, non potei entare.

Il vetro del parabrezza era completamente rotto e ciò mi impediva di vedere.

“Hey! Mi sentite? Va tutto bene?” provai a gridare ma non rispose nessuno.

L’unico modo era arrampicarmi sopra il camion e tentare di aprire la portiera scoperta, sperando che non fosse bloccata.

Mi arrampicai con qualche difficoltà sul camion, l’acqua rendeva tutto scivoloso, in più ero in preda ai tremori.

Quando riuscii a salire sopra il camion, provai a vedere se dal finestrino.

Un uomo in divisa era svenuto all’interno, mentre un airbag chiazzato di sangue gli premeva sulla faccia.

Lanciai un urlo per lo spavento, per poi riprendermi subito e tentare di aprire la portiera.

Bloccata.

“Merda!” esclamai.

Presi a pugni il finestrino tentando di romperlo ma senza successo.

Scesi dal camion e iniziai a cercare una pietra o qualcosa per spaccare il finestrino.

Dopo cinque minuti di ricerca e nessun oggetto trovato, tornai al camion e provai a rompere ancora una volta il finestrino a mani nude, senza successo.

Furioso per la mia impotenza mi ritrovai a scagliare pugni all’aria mentre a passo veloce percorrevo avanti e indietro il camion.

“Ma di che cazzo è fatto quel finestrino?!” gridai isterico cadendo in ginocchio sopra la vettura.

Iniziai a prenderla a pugni il furgone, fino a sdraiarmi completamente su di esso, piangendo disperato.

“Qualcuno mi aiuti…” sussurrai singhiozzando mentre la pioggia mi tamburellava sul viso scoperto.

Un botto sotto la mia schiena mi fece sobbalzare.

Rimasi immobile.

Un altro botto, seguito da un altro più forte mi fecero rialzare in piedi per la sorpresa.

“C-C’è qualcuno?” chiesi allarmato.

Nessuna risposta.

Pestai con forza il piede sopra il camion, creando un forte rumore.

Per risposta ci fu un altro botto.

Quello mi bastò per farmi riprendere tutto il coraggio.

All’interno di quel camion c’era qualcuno. Qualcuno di vivo! E mi stava chiedendo aiuto!

Scesi dal camion e controllai se potevo aprirlo da dietro.

Le maniglie erano bloccate, mentre in mezzo appariva un enorme serratura metallica.

La chiave doveva averla il conducente.

Mi diressi verso la casa dove avevo lasciato Mamori.

Il cagnolino iniziò ad abbaiarmi.

“Stai zitto!” gridai isterico battendo un piede a terra.

Il cagnolino si spaventò e andò filato dentro la sua cuccia.

Scavalcai senza fatica il cancello dell’abitazione, ritrovandomi dentro un giardinetto ben curato.

Vidi subito il capanno degli attrezzi e mi precipitai ad aprirlo.

All’interno c’erano tutti gli attrezzi da giardino, compresa una pala.

La afferrai e la lanciai oltre il cancello, scavalcando esso subito dopo.

Iniziai a correre con la pala in mano vero il camion, mi ci arrampicai nuovamente e iniziai a scagliare la pala sopra il finestrino, riuscendo finalmente a inclinarlo e a romperlo.

Lanciai via la pala e mi infilai dentro al camion, lasciando fuori le gambe.

Un insopportabile puzzo di sudore e sangue mi penetrò dentro alle narici, nauseandomi.

Afferrai il guidatore e iniziai a scuoterlo.

“Signore mi sente?!” gridai.

Il suo naso perdeva tantissimo sangue, probabilmente si era rotto per colpa dell’airbag ma meglio il naso che la testa.

Gli circondai il busto con le braccia e lo issai fuori con molta difficoltà, dato che non era proprio un peso piuma.

Dopo un tempo che a me parve infinito, riuscii a tirarlo fuori dal bus e a sdraiarlo sopra il furgone.

Iniziai disperatamente a cercare nella sua giacca la chiave che aprisse il portello del furgone ma non la trovai.

Mi sedetti e presi la testa fra le mani.

Dove le può aver messe?

Mi venne un illuminazione.

“Le chiavi della macchina!” esclamai dirigendomi per recuperarle.

Le presi senza problemi, affrontando nuovamente quella puzza di sudore e sangue che aleggiava all’interno.

Scesi dal camion e mi diressi sul retro.

C’erano solo due chiavi nel mazzetto che avevo recuperato.

Le provai entrambe.

La prima volta non si infilò la chiave, la seconda riuscii persino a sbloccare la serratura.

“Ce l’ho fatta!” sussurrai pieno di felicità e spalancando gli sportelli.

Mi paralizzai per la paura.

Degli scintillanti e gelidi occhi neri mi fissavano osservando ogni centimetro del mio corpo.

Volevo scappare ma le gambe non si muovevano.

Un movimento all’interno del camion attirò il mio sguardo.

Un ragazzo dai lunghi capelli biondi tirati all’insù con  orecchie appuntite spuntò fuori dall’oscurità del furgone.

Le mie gambe cedettero e prima ancora che potessi cadere, il ragazzo mi circondò i fianchi con il braccio, stringendomi a lui.

Il mio sguardo si incrociò con il suo.

I suoi occhi erano affilati e profondi mentre il suo sguardo crudele mi aveva totalmente rapito, oltre che terrorizzato.

Mi sentivo risucchiato da quel nero così profondo.

Mi sentivo come se inevitabilmente precipitassi in un pozzo senza fine, cadendo sempre più in profondità, sempre più distante dalla luce, sempre più lontano e sempre più vicino alla solitudine.

Chiuse gli occhi e fu come se spezzò un incantesimo, mi ripresi all’istante.

Mi accorsi che la sua pelle era di un bianco perlaceo, apparentemente perfetta.

L’acqua scorreva su di lui nello stesso modo in cui una goccia d’acqua accarezza il petalo di rosa più delicato.

Vidi le sue sottili labbra schiudersi in un flebile sorriso, mostrando un accenno di denti bianchi.

Avvicinò il suo volto al mio, accostando la sua bocca al mio orecchio.

“Grazie”  sussurrò.

Subito dopo sentii come se due sottili lame penetrassero dentro il mio collo.

Provai a gridare ma il ragazzo mi abbracciò con entrambe le braccia e mi sentii come in trappola.

Mi accorsi che ribellarmi o gridare sarebbe stato del tutto inutile.

Sentivo la mia vita scorrere lentamente fuori dal mio corpo, ma non provavo stanchezza o dispiacere. Provavo piacere.

Infinito piacere di quell’atto magico che stava accadendo.

Il ragazzo mi strinse a se ancora di più e io ricambiai l’abbraccio, avvolgendolo con le mie esili braccia.

Ci accasciammo a terra, io reclinai la testa da un lato, mentre lui con una mano afferrò il mio volto e infilò le sue affusolate dita tra i miei capelli.

Si stava risucchiando la mia vita e io mi sentivo amato. Tremendamente amato. Un amore travolgente, quell’amore che rende pazzi, quell’amore che ti sottomette completamente.

Che splendida sensazione essere amati.

 “Ti amo…” sussurrai nel mio delirio di piacere.

Improvvisamente il piacere finì e lui portò il suo volto a pochi centimetri dal mio.

Mi sorrise e in quel momento vidi i suoi scintillanti canini bianchi, sporchi del mio sangue scarlatto.

 “Squisito” sussurrò per poi baciarmi.

Fui felice, tremendamente felice.

Felice di essere amato, felice che il mio amore fosse ricambiato.

Piansi per la felicità e chiusi gli occhi, sfinito per tutto quell’amore mi lasciai totalmente trasportare da quel bacio che sapeva di sangue e mi abbandonai subito dopo alla mia improvvisa stanchezza, cadendo in un lungo sonno.

 

****

Gentaglia! Siete appena riusciti a leggere undici pagine! Complimenti!
Fatemi sapere che ne pensate del primo capitolo!

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Capitolo 2
*** Quando arriva la pioggia ***


Quando sono andata al Romics, ho trovato un gruppo di ragazzi che facevano i cosplay dei personaggi di Eyeshield 21! Sono stata così emozionata che mi sono fatta mille foto con loro (non perché ne volessi tante, ma perché le foto non venivano bene) Spero di non averli stressati o spaventati (dato che ero al settimo cielo nel vedere altri appassionati come medi eyeshield 21) peccato che poi la macchinetta dove stavano le foto è stata rubata ._. ci sono rimasta così male… ero più dispiaciuta per le foto che per la macchinetta fotografica! (sono un mostro, lo so.)

Adesso mi è rimasta solo una foto venuta anche un pochino male con Hayato Akaba, Juri Sawai e Kotaro Sasaki dei Rando Spiders.

Sigh… in confronto alla foto dove c’erano praticamente tutti…

P.s. ho anche visto gironzolare per il romics Sena e Hiruma fianco a finaco… sono stata felice…

 

 

CAP 2

 

-Quando arriva la pioggia

 

Il buio, il freddo, il silenzio ma soprattutto la mancanza di qualcosa… mi fecero spalancare gli occhi.

Un bip continuo e regolare risuonava intorno a me.

La stanza era buia, ma un qualche tipo di fioca luce riusciva a farmi vedere.

Sdraiato su un letto fissavo il soffitto bianco di qualche camera, mentre un odore di disinfettante mi penetrava nel naso.

“Dove sono?” sussurrai senza forze.

La mia voce rauca mi grattò la gola.

Dovevo bere, avevo bisogno di acqua.

Mi alzai a sedere e una forte vertigine mi fece cadere nuovamente sul letto.

“Non credo che ti faccia bene sforzarti troppo” disse una voce spettrale alla mia sinistra.

La mia schiena fu attraversata da brividi di terrore.

Mi lentamente verso colui che mi aveva parlato.

Un ragazzo con all’incirca la mia stessa età, dai lunghi capelli bianchi tirati su e un camice da ospedale, fluttuava a testa in giù in mezzo alla stanza emettendo una fioca luce biancastra mentre il suo corpo semitrasparente sbucava dalla parete.

“Ah! Un fantasma.” Dissi iniziando a tremare.

“Oh, riesci a vedermi?” chiese con fare sorpreso.

I bip nella stanza iniziarono a risuonare con più velocità-

“Un.. Un fantasma!” Dissi per poi svenire.

 

Aprii gli occhi per poi richiuderli subito dopo a causa del sole accecante che entrava dalla finestra della mia stanza.

“La luce…” sussurrai.

“Sena!” gridò qualcuno per poi afferrarmi le spalle “Sena finalmente ti sei svegliato! Sono così felice!”

“Cosa…?!” tentai di dire mentre venivo agitato come una maracas.

“Sena! Ci hai fatto stare così in pensiero!”

“Cara! Così lo farai svenire di nuovo!” la voce era cambiata.

“E’ solo… che sono così felice!”

Aprii gli occhi a fatica, ritrovandomi davanti mia madre seduta vicino a me mentre si asciugava le lacrime e papà che mi sorrideva da dietro di lei.

“Mamma, papà…”

“Sena!” gridò mia madre saltandomi addosso per abbracciarmi.

“Ahi!” gridai sentendo un dolore atroce al collo.

“Oh! Scusa, scusa!” disse mia madre senza staccarsi da me e iniziando a baciarmi tutta la faccia.

“Cara!” provò a chiamarla mio padre afferrandole le spalle e tentando di staccarmela di dosso.

“Scusami Sena! E’ solo che hai dormito per tre giorni di seguito, io e tuo padre iniziavamo a preoccuparci! Hai perso una gran quantità di sangue a causa di una ferita alla gola, è un miracolo che tu sia ancora vivo!” gridò mia madre staccandosi da me e scoppiando in lacrime mentre mio padre le porgeva un fazzoletto.

“Ciò che vuole dire tua madre è che siamo felici che ora tu ti sia svegliato.” Disse papà sorridendomi.

Mi irrigidii.

“Di cosa state parlando…?” dissi con voce rauca.

“Non ti ricordi, Sena? Hai avuto un incidente mentre tornavi da casa, insieme a…”

“Mihae!” gridò mio padre interrompendo mia madre.

“S-Scusa…” disse mamma abbassando lo sguardo.

L’aria si trasformò in pura tensione.

“Comunque, devi avere una gran fame!” disse mio padre spaccando il silenzio.

“Sete…” dissi sorridendo.

“Immagino, vado subito a chiedere a un inserviente di portarti qualcosa” disse per poi uscire.

“Hai freddo, tesoro? Questa stanza è gelida!” disse mamma per poi stringersi ancora di più nel suo maglioncino marrone fatto all’uncinetto.

“No, sto bene…” sussurrai.

“Credo sia colpa mia” disse una voce spettrale, mentre una faccia semitrasparente mi si parava a pochi centimetri dal mio volto.

“Ah…Ah…” balbettai scioccato.

“Così mi vedi anche…” disse sorridendo.

“AAAAAAAAH!” gridai terrorizzato, alzandomi a sedere e trapassandolo.

“C-Che succede, Sena?!” gridò mia madre alzandosi in piedi.

“N-Non lo hai visto?!” gridai impaurito guardandomi intorno senza vederlo “Era qui un attimo fa!”

“Cosa? Cosa era qui?” chiese mia madre allarmata.

“I-Io… non lo so!” gridai nel panico più totale.

“Questa è la stanchezza! Ora calmati e sdraiati!” disse mamma afferrandomi per le spalle e aiutandomi a rimettermi giù.

Un’ allucinazione…?

“Ti ho preso una gelatina e una bottiglia d’acqua, in più ho anche chiamato il medico per farti visitare” disse papà entrando nella stanza, mentre un secondo e alto individuo dietro di lui entrava.

“Salve dottore!” disse mamma alzandosi in piedi e coprendomi la visuale  “Sena, questo è il dottore che in questi tre giorni si è occupato con grande impegno di te, nonostante tutti gli altri pazienti che ha già! Ringrazialo anche tu!”

Finalmente mamma si spostò e un ragazzo alto,magro, dai capelli castani lunghi quasi fino alle spalle. Occhi tristi e neri, sottolineati ancora di più dal piccolo e falso accenno di sorriso, circondato da corta barba, frutto, probabilmente, del poco tempo a disposizione per se stesso.

“Lui è il dottor Shien Mushanokoji” lo presentò mio padre “siamo molto grati a questo ragazzo”

“Ho fatto solo il mio lavoro” disse con modestia “Sena, puoi chiamarmi semplicemente Kid.”

“Allora… grazie…” sussurrai.

Ero colpito.

Non solo era di bell’aspetto, ma come fa un ragazzo così giovane a essere già un dottore?

“So quello che ti stai chiedendo:  come fa un ragazzo così giovane a essere già un dottore? Bhè, ho più anni di quanti ne dimostro” disse sorridendomi.

Rimasi colpito.

“Non preoccuparti, ci sono abituato.”

“Tieni Sena, avevi sete, giusto?” disse mio padre passandomi la bottiglietta d’acqua.

Mi misi a sedere e allungai la mano, scoprendo orribilmente che un tubicino erra attaccato al mio polso.

Un liquido rosso scuro attraversava il tubicino per poi infilarsi dentro le mie vene.

Sangue.

Un terribile dolore mi fece fischiare le orecchie e gridare dal dolore.

Afferrai la mia testa e iniziai a stringerla con quanta forza avevo in corpo.

Qualcosa. Avevo rimosso qualcosa di importante dalla mia testa. Qualcosa di importante.

Sangue. Acqua. Un bacio.

Il dolore aumentò.

Sentii che qualcuno provò ad afferrarmi e io iniziai a scalciare e a tirare pugni.

“Non toccarmi! Non avvicinarti!” iniziai a gridare.

Poi iniziai a calmarmi, un incredibile senso di pace attraversò velocemente il mio corpo.

Smisi di agitarmi e mi fermai.

“Gli ho somministrato della morphina, con questo dovrebbe stare calmo per un bel po’!” disse il dottore.

Mi sentivo stanco, impotente e come in una specie di trance.

Vidi le facce impaurite dei miei genitori, mente Kid li accompagnava fuori dalla mia stanza e richiudeva la porta.

“Wow, sembri tanto calmo, ma guarda che riesci a fare!” disse la voce spettrale sbucando con la testa dal soffitto.

“Ancora tu…” sussurrai sbattendo più volte le palpebre.

“Si, scusa per il modo in cui appaio all’improvviso, ma sai.. sono morto e l’abitudine di passare per le porte l’ho perso da tempo ormai.”

“Mh, capisco” dissi mentendo.

In realtà avevo a malapena colto un quarto di quello che mi aveva detto. Ovvero:  scusa, improvviso le porte ho perso.”

“Il fatto è che… mi devi aiutare!” disse avvicinandosi a me e fluttuando sopra il mio letto.

“A trovare le porte?” chiesi aggrottando le sopracciglia.

“Co-? No!” disse agitando la testa.

“Ascoltami bene! Mi chiamo Riku, Riku Kaitani e ho bisogno che tu mi presti il tuo corpo!” disse tentando di afferrarmi ma finendo solo per trapassarmi.

“Ora ho sonno…” dissi girandomi di lato.

“Per favore, ho bisogno del tuo aiuto!” continuò a ripetermi.

“Va bene, basta che mi fai dormire…” biascicai.

“Allora… quando ti svegli mi aiuterai? Mi lascerai usare il tuo corpo?” chiese in tono disperato.

“Si, promes..so…” dissi prima di cadere in un lungo sonno.

 

Una sensazione di freddo lungo tutto il corpo mi fece svegliare.

Un  bip ripetitivo rompeva il silenzio nella stanza in cui mi trovavo.

Aprii gli occhi, ritrovandomi davanti un volto semitrasparente che emanava una fioca luce.

“Ben svegliato! Sono le due di notte!” disse sorridendo il fantasma sdraiato accanto a me.

“Argh!” gridai sobbalzando e cadendo giù dal letto.

Sdraiato di lato sulle mattonelle della stanza, sentii il freddo penetrarmi ancora di più nelle ossa, mentre il dolore della caduta iniziava piano piano a crescere.

“Pronto per cedermi il tuo corpo?” Chiese il ragazzo con un sorriso mentre con la testa che sbucava da sotto il letto mi fissavo.

“Eh?” domandai spalancando gli occhi e strisciando sul pavimento per allontanarmi da lui “C-Cosa sei?! Cosa vuoi da me?!”

“Eh? Ma non ti ricordi quello che ci siamo detti?”  disse sconsolato, uscendo da fuori il lettino e iniziando a fluttuare in mezzo alla stanza, illuminandola di poco.

“C-Cosa…?”

Improvvisamente ricordai che poco prima di addormentarmi… gli avevo promesso che…

“O mio dio! Tu sei un fantasma! Cioè, sei morto!” gridai impaurito

“Shhh! Potresti attirare gli inservienti!” disse Riku apparendo improvvisamente davanti a me e facendomi il cenno di stare zitto.

“O mio dio… sto parlando con un fantasma! E cosa vuoi da me? No, aspetta! Me lo ricordo! Vuoi che ti aiuto a cercare una porta che hai perso!” dissi con la massima serietà.

“Ma quale porta?! Voglio che tu mi presti il tuo corpo!”

“Ehhhh?!” gridai scioccato “No! Non se ne parla!”

“Perché?! Me lo avevi promesso!” protestò.

“Non voglio essere posseduto!”

“Ma…!”

“Cercati qualcun altro!” dissi.

Mi alzai in piedi e un improvviso giramento di testa mi fece cadere.

“Attento!” Vidi Riku provare ad afferrarmi ed inevitabilmente passarmi attraverso.

Fortunatamente, riuscii ad aggrapparmi al letto, evitando così di cadere completamente.

“C’è… C’è mancato poco…” dissi con il cuore che batteva a mille.

Mi girai e vidi Riku mentre osservava tristemente le sue mani.

Mi si strinse il cuore.

Si accorse che lo stavo guardando e mi sorrise.

“Non fa niente, ci sono abituato… abitando in un’ ospedale tutti i giorni qualcuno mi attraversa.”

Mi misi a sedere sul letto “Come puoi abituarti a questo?” chiesi abbassando lo sguardo “è triste… so cosa vuol dire essere ignorati e so che non è bello.”

Lo vidi sorpreso, poi sorrise.

“Sai, in verità sono felice che tu possa vedermi e sentirmi” disse sedendosi al mio fianco.

Avvertii nuovamente quel freddo che mi aveva fatto svegliare.

“Sono morto da tanto tempo, non ho nessun legame di sangue, quindi quando morii pensavo che non sarei mancato a nessuno, che nessuno mi avrebbe pianto ma mi sbagliavo…”

Si zittì.

Volsi il mio sguardo verso di lui, incrociando il suo sguardo.

Triste e forte allo stesso tempo.

“Per possedere qualcuno senza fargli del male, quell’altra persona deve essere d’accordo” disse “Una persona. Una sola persona ha pianto per me. Questa persona si trova nell’ospedale e io… vorrei tanto ringraziarla. Ti prego, prestami il tuo corpo! Ho aspettato tanto una persona che come te potesse aiutarmi! In cambio ti aiuterò a ricordare ciò che hai rimosso!”

Disse con una voce ancora più spettrale e lugubre.

“Io… cosa ho dimenticato?” dissi sorpreso dalle sue stesse parole.

D’istinto porta una mano al collo, accarezzando una garza sul lato sinistro, mentre il mio sguardo si posava sul braccio dove un cerotto copriva il polso.

Le orecchie iniziarono a fischiarmi.

Spalancai gli occhi fissando il vuoto, mentre le mie dita in automatico strappavano la garza che avevo sul collo.

“Cosa… ho dimenticato?” dissi quasi in un sussurro mentre strappavo definitivamente la garza dal collo.

Iniziai ad accarezzarmi il collo, sentendo crescere sempre di più la tensione.

Un enorme cicatrice chiusa con dei punti prendeva metà del mio collo.

“Cosa diamine è questo?” domandai sentendomi la testa esplodere.

“AAHH!” gridai per il dolore cadendo nuovamente a terra e raggomitolandomi su me stesso.

“Hey! Calmati! Così attirerai gli inservienti!” gridò Riku agitandosi vicino a me.

Mi fermai di colpo, tremante e ricoperto di sudore.

“Prendi il mio corpo e fammi ricordare.” Dissi con voce tremante.

“Sei sicuro?” domandò Riku preoccupato.

“Fallo!” gridai.

“Va bene.” Disse scacciando ogni barlume di preoccupazione che aveva prima nel suo sguardo e diventando improvvisamente serio.

“Grazie, Sena.”

Era la prima volta che mi chiamava per nome.

Poi sentii il suo corpo gelido avvolgermi in un abbraccio, un abbraccio pieno di tristezza, solitudine e gratitudine, gratitudine per me.

A parte quest’ultimo sentimento, gli altri due li comprendevo a pieno.

In un istante la luce scomparve e mi ritrovai da solo nella stanza.

“Mi sento.. pesante…” dissi prima di cadere in un profondo sonno.

“Kobayakawa Sena, giusto?” una voce mi svegliò

Aprii gli occhi ritrovandomi davanti Kid.

“Buongiorno” disse sorridendomi per poi tornare a osservare la cartella clinica.

Stranamente lo trovai più bello e maturo del giorno prima e come se Kid avesse ascoltato i miei pensieri, mi guardò sorpreso e poi soffocò una risata.

“Perché ride?” chiesi.

“Nulla, nulla.” Disse agitando la testa in segno di no.

Guardai le mie mani, la mia pelle sembrava più bianca del solito.

Poi ricordai cosa mi era successo questa notte e mi sorpresi di essere ancora cosciente.

Che sia stato tutto un sogno…?

“Che ne dici di una passeggiata, Sena? Un po’ di aria fresca ti farà bene” disse Kid passandomi delle stampelle.

“Non vedevo l’ora di passare del  tempo con te, Kid!” dissi con il cuore che mi batteva a mille mentre un sorriso pieno di felicità si stampava sul mio volto.

Mi resi conto di quello che avevo appena detto e mi tappai velocemente la bocca.

M-Ma… cosa mi era saltato per la mente?!

Vidi Kid arrossire e abbozzare un sorriso.

“S-Scusa! I-Io non…” provai a dire.

“Sai, per un attimo mi hai ricordato un mio vecchio amico…” disse Kid sorridendo tristemente.

“Ce la fai a camminare o preferisci delle stampelle?” chiese Kid afferrando delle stampelle appoggiate al muro.

Deve averle portate lui mentre dormivo.

“Preferirei utilizzare solo le mie gambe.” Dissi abbozzando un sorriso e provando ad alzarmi dal letto.

“No, aspe-“

Appena provai a scendere dal letto, sentii subito le mie gambe cedere ma Kid mi afferrò in tempo, stringendomi a lui.

“Non così di fretta, ragazzo” disse sorridendomi.

Il cuore mi batteva all’impazzata. Il suo profumo era quello del suo bagnoschiuma mischiato al disinfettante dell’ospedale, dolce ma allo stesso tempo amaro.

Ci guardammo negli occhi e in quel momento avrei potuto piangere.

Cinsi i suoi fianchi in un abbraccio e affondai il mio viso sulla sua pancia.

“S-Sena! Cosa stai facendo?” chiese sorpreso Kid.

“Ti prego… Ti prego fammi rimanere così solo per qualche secondo…” dissi tentando di inalare il maggior profumo possibile da lui.

Come se volessi memorizzarlo per sempre nella mia testa e non scordarlo mai.

Sentii le braccia di Kid appoggiarsi sulla mia schiena. Le sue mani erano grandi e calde.

Non ce la feci più. Scoppiai in lacrime.

“S-Scusa!” singhiozzai “non so cosa mi sta succedendo… è solo che… è solo che… sono così felice ora!” dissi piangendo come non avevo mai pianto in tutta la mia vita “Kid non lasciarmi andare! Non lo fare! Resta con me! Io non volevo andarmene!” gridai stringendolo ancora di più a me.

“No, non ti lascio andare. Stai tranquillo.” Disse appoggiando una delle sue grandi mani sulla mia testa e iniziando ad accarezzarmi.

Alzai lo sguardo verso il suo.

Mi guardava con tenerezza mentre mi riempiva di affetto con quelle carezze.

Poi Kid aggrottò le sopracciglia e si staccò dal mio abbraccio, ritrovandomi con il suo volto a pochi centimetri dal mio “Sena tu hai sempre avuto gli occhi verdi?”

Avevo smesso di piangere ma il cuore continuava a battermi nel petto come se volesse bucarlo.

Troppo vicino.

“Eh?” disse Kid.

“Troppo vicino” ripetei afferrando il suo viso con le mie mani. Chiusi gli occhi e lo baciai sulle labbra.

Avevo sognato e aspettato questo momento da tanto tempo, ritenendolo un desiderio impossibile e sciocco.

Ma era stato lui stesso a insegnarmi che i sogni impossibili sono quelli più belli da avere.

Ma ora… ora so che non era impossibile! Ora ho potuto veramente rivelare i miei sentimenti per la persona che più di tutte amavo, per l’unica persona che ha pianto per me quando sono morto.

Assaporai ancora per un attimo le sue labbra secche, umide come la pioggia ma calde come lo stesso sole che arde dietro le nuvole.

Mi staccai lentamente dalle sue labbra, e aprii gli occhi, gustandomi la sua espressione di meraviglia.

“Kid, grazie. Sei stato l’unico ad aver pianto per me.” Dissi con un sorriso.

“Co-? Riku?” domandò confuso.

Poi le mie energie se ne andarono e io svenni. Tanto per cambiare.

 

Feci uno strano sogno.

Sognai di essere un ragazzo solo, pieno di odio per il mondo che mi aveva abbandonato.

Senza una casa, senza una famiglia, senza sogni, senza speranza, vivevo la giornata facendo a pugni con i ragazzi più grandi di me.

Dormivo in mezzo alla strada e rubavo per sopravvivere.

Un giorno dei ragazzi molto più grandi di me mi fecero un agguato per darmi una lezione.

Sei contro uno.

Armati di mazze e voglia di uccidermi.

Mi trascinarono sotto un ponte, dove la gente non avesse potuto vederli mentre mi facevano sputare sangue.

La pioggia cadeva leggera quel giorno, mentre il mio corpo ricoperto di fango e sangue si congelava nel putridume sotto quel ponte.

Quando stavo accettando il mio destino, quando mi sentii felice che finalmente la mia vita era arrivata alla fine, due grandi mani mi afferrarono per le spalle e mi sollevarono.

Mi svegliai in un letto caldo, in una stanza lussuosa, con addosso abiti che non erano miei e ricoperto di fasciature.

L’odore di minestrone che respiravo mi fece brontolare lo stomaco.

Se questo era il paradiso, avrei preferito una bistecca al minestrone.

Mi misi a sedere e un ragazzo magro apparentemente più grande di me entrò nella stanza.

“Spero che ti piacciano le verdure, ho preparato una minestra!” disse tutto felice.

Lo fissai “Dove mi trovo?” chiesi minaccioso.

“A casa mia.” Rispose sorridendomi.

“Perché sono vivo?”

“Perché ti ho salvato io.”

“Perché?” domandai

“Cosa?” chiese confuso.

“Perché non mi hai lasciato morire?!” gridai pieno di rabbia.

“Co-?”

“Dovevi lasciarmi morire sotto a quel ponte! Tanto nessuno se ne sarebbe accorto! Nessuno avrebbe sofferto la mia mancanza! Sarebbe stato meglio che io mi fossi unito alla spazzatura che c’era sotto quel ponte!”

Un pugno in piena faccia mi fece sdraiare nuovamente sul letto.

“Non dirlo! Non dirlo mai più! La tua vita è preziosa!” gridò per poi uscire dalla stanza.

Fissai il soffitto.

Certo, come no. La mia vita è preziosa.

Iniziai a piangere senza neanche rendermene conto.

“Scusa, non volevo…” disse Kid rientrando nella stanza con un piatto di minestra in mano.

Subito mi nascosi sotto le coperte.

Che cavolo di figura ci facevo se mi avesse visto piangere?

“Ah! Stai piangendo?” chiese preoccupato iniziando a strattonare le coperte.

“No! Non sto piangendo!” gridai tentando di non farmi togliere le coperte.

“Non è vero! Quelle erano lacrime!” gridò strappandomi via le coperte dalle mani.

Con ancora le lacrime agli occhi, i nostri sguardi si incrociarono e lui subito si buttò addosso a me abbracciandomi.

“Scusa, non volevo farti male!” disse stringendomi.

Quelle mani… quel tocco…

Non ricordai quand’era stata l’ultima volta che qualcuno mi aveva abbracciato. Poi realizzai che l’unico contatto che avevo sempre avuto con le persone da sedici anni era stato quello dei calci e pugni.

Imbarazzato spinsi via Kid e guardai da un’altra parte.

“Ho fame.” Dissi cambiando argomento.

“Si!” disse lui tutto contento.

Quella minestra aveva il sapore più buono che avessi mai assaggiato.

Passai un mese intero a casa sua, senza vedere neanche una volta i suoi genitori.

Disse che loro viaggiavano sempre e che non avevano mai tempo libero, quindi potevo rimanere quanto volevo a casa sua.

Ma per me era troppo.

“Sei sicuro di volertene andare?” mi chiese Kid preoccupato.

“Si, sei stato fin troppo gentile con me ma io non posso rimanere fermo nello stesso posto per troppo tempo.” dissi aprendo la porta.

“Mi ha fatto solo piacere passare del tempo con te” disse Kid.

“Addio, Kid.” Dissi sentendo il mio cure scongiurarmi di non aprire quella porta.

“Addio, Riku.”

Uscii fuori da quella casa, sentendo le gambe tremare, quasi come se mi stessero minacciando di cedere se non fossi tornato indietro.

Sentii la porta chiudersi dietro di me e mi ritrovai nuovamente solo.

Iniziai a camminare per le solite strade di città che conoscevo, dove droga, alcol e prostituzione erano all’ordine del giorno.

Vuoto e insensibile mi sedetti su un marciapiede, aspettando di morire.

Kid era stato solo un contrattempo, il mio obiettivo era sempre lo stesso.

Passarono tre giorni.

Tre giorni seduto su uno squallido marciapiede ad aspettare di morire.

Nessuno mi guardava, ogni tanto mi lanciavano delle monetine, altri mi camminavano sopra le mani.

Il terzo giorno non avevo quasi più coscienza, mentre quell’adorata pioggerellina cadeva sul mio corpo, accarezzandomi e cullandomi quasi come se volesse rassicurarmi.

Sdraiato sul bordo della strada, qualcuno si fermò davanti a me.

“Riku, torniamo a casa.”

“Mi chiedo come fai…” sussurrai.

“A fare cosa?”

“Ad apparire ogni volta che c’è la pioggia, Kid. Spiegami come fai.”

Mi riportò a casa sua, spiegandomi che era da tre giorni che mi cercava, che incessantemente aveva girato tutti i peggiori posti che conosceva e ogni volta chiedeva di me ai passanti.

Questa era la seconda volta che mi salvava la vita dopo che io avevo deciso di morire.

Sdraiato nel suo letto osservavo il soffitto.

“E’ pronta la minestra” disse Kid entrando nella stanza.

“Io devo andarmene, Kid.” Dissi girando il capo verso di lui.

Abbassò lo sguardo e posò la minestra sul comodino.

Come al solito aveva un odore orribile ma che mi metteva comunque fame.

“Posso farti cambiare idea in qualche modo?” mi chiese.

“No.”

“Perché vuoi morire?”

Silenzio.

“Rispondimi.”

“La mia vita non ha valore, Kid. Non voglio vivere.” Dissi sapendo perfettamente che l’ultima volta che avevo pronunciato frasi del genere mi ero beccato un pugno in faccia.

“La tua vita è preziosa, Riku!” gridò Kid.

“Per chi?!” gridai furioso alzandomi a sedere “Prima di arrivare qui io vivevo in mezzo alla strada! Mia madre non l’ho mai conosciuta perché mi ha abbandonato in un cassonetto vicino a un bar! E ci sono voluti due giorni prima che qualcuno si accorgesse di me! Io sopravvivo spaccando nasi e rubando! Questa vita mi fa schifo, Kid! Questo mondo è malato! Io non voglio vivere!”

Ecco. Ora mi odierà. Ora capirà che razza di rifiuto sono.

“La tua vita è importante per me.” Disse lasciandomi sbalordito.

“Eh?”

“La tua vita è importante per me, Riku.” Disse guardandomi negli occhi “Vieni a vivere con me, mi prenderò cura io di te…”

I suoi occhi erano sinceri ma non potevo accettare una cosa del genere.

Strinsi i pugni e mi alzai in piedi, scappando da quella casa, scappando da lui, scappando da tutto ciò che non sarebbe mai e poi mai potuto essere mio.

Lo sentii gridare il mio nome mentre correvo via.

Tornai sotto lo stesso ponte dove un secolo prima mi aveva salvato la vita.

Mi inginocchiai a terra mentre la pioggia aumentava di intensità.

Presi a pugni il terreno e strappai l’erba per rabbia.

“Kid! Kid! Kid!” gridai pieno di dolore “è un sogno impossibile il tuo!” gridai con le lacrime che scendevano veloci sulle mie guance.

“Kid? E’ per caso quel ragazzo ricco che ti cercava?” una voce alle mie spalle mi fece trasalire e ancora prima di poter capire cosa stava succedendo, mi ritrovai un calcio sulle costole.

Rimasi senza fiato per qualche secondo.

“Piccolo sorcio, dov’è che vive quel ragazzino? Sappiamo che è figlio di una ricca famiglia, magari se lo picchiamo ci darà un sacco di soldi.” Disse un'altra voce.

Tentai di vedere i loro volti.

Erano i ragazzi che mi avevano ridotto in fin di vita l’ultima volta.

“Allora? Dicci dove abita quel ragazzino!” disse uno dei sei abbassandosi vicino a me e puntandomi un coltello alla gola.

“Fottiti!” dissi per poi sputargli in faccia.

Un cazzotto in pieno viso mi spaccò un labbro.

“Risposta sbagliata, Riku. Riprova.”

“Crepa!” dissi per poi tossire sangue.

“Ragazzi, Riku ha bisogno di un incoraggiamento!” disse il ragazzo che si era inginocchiato vicino a me alzandosi poi in piedi.

“Agli ordini!” ridacchiarono gli altri per poi iniziare a riempirmi di calci.

Sentii alcune costole rompersi mentre altre volte il fiato mi mancò così tanto a lungo da star quasi soffocando.

“Allora, Riku. Questa è l’ultima volta che te lo chiedo, dove abita quel fottuto figlio di papà?”

Vomitai sangue.

Non avevo neanche più la forza di mandarli a fanculo.

Almeno ero riuscito a proteggere Kid.

“Riku!” una voce familiare, una voce che non avrei voluto sentire, chiamò il mio nome.

Sentii le lacrime uscirmi dagli occhi.

Deficiente! Scappa!

Lo avrei tanto voluto gridare.

“Oh! Ecco il ragazzino!” disse il bestione del gruppo, quello che ci era andato più pesante con i calci allo stomaco.

“Che cosa gli avete fatto?!” gridò furioso Kid.

Sentii i suoi passi risuonare sulle pozzanghere nel terreno, mentre la pioggia continuava imperterrita a cadere ovunque.

Kid… per favore, vattene.

“Lo sai che non ti lascerei mai da solo, Riku!” protestò Kid, quasi come se avesse sentito i miei pensieri ma come era possibile?

“Tu non sai tante cose su di me, RIku…” disse Kid accasciandosi vicino a me e afferrando le mie spalle con le sue grandi mani.

“Hey, figlio di papà! Se ci darai da oggi in poi almeno 100.000 mila yen* eviteremo di rovinarti quel bel faccino che hai” disse uno degli uomini ridacchiando.

“Ora ti porto via, Riku” disse Kid mettendo un braccio intorno alla mia vita e aiutandomi a sollevare.

“Hey! Stiamo parlando con te!” gridò il bestione provando a dare un pugno a Kid.

Kid abilmente lo evitò, facendogli subito dopo uno sgambetto, facendolo cadere fragorosamente a terra.

“Levatevi di mezzo.” Disse quasi in un ringhio, Kid.

“M-Maledetto! Chi ti credi di essere?!” gridò uno dei ragazzi, partendo alla carica e seguito da tutti gli altri.

Nonostante Kid fosse impegnato a sorreggermi, evitò abilmente tutti i colpi diretti a noi.

Io ormai ero esausto, non avevo neanche la forza di ingoiare quella poca saliva mista a sangue che avevo.

“Ora ti porto via, resisti.” Disse Kid iniziando ad allontanarsi dal ponte.

La pioggia era aumentata, ogni goccia cadeva su di noi con violenza e rabbia.

“Resisti ancora un po’, Riku.” Disse Kid “Ti salverò”

Forse fu la pioggia a non far sentire i passi che goffi e pesanti si avvicinavano a noi, fatto sta che ebbi l’impulso di girarmi e vidi uno dei sei ragazzi che aveva appena sconfitto Kid, alzare il pugnale contro la schiena di Kid.

Non potevo gridare, non potevo spingerlo  ma potevo coprirlo.

Abbracciai Kid e fu in quell’attimo che Kid si accorse dell’altro ragazzo.

Fu un attimo, avvertii il freddo metallo della lama infilzarsi all’altezza della spalla.

La carne iniziò a bruciarmi e io caddi a terra buttando fuori dalla bocca altro sangue.

“T-Te la sei cercata! E’ colpa tua!” gridò il teppista prima di scappare via con la coda tra le gambe.

Kid si inginocchiò vicino a me e mi sollevò, facendomi appoggiare sulle sue gambe e sorreggendo la mia testa sulle sue braccia.

“Ora ti porto all’ospedale, Riku” disse Kid con la voce spezzata.

Alzai un braccio e gli toccai la guancia con la mano.

Kid?

“Dimmi, Riku”

Ti prego, dimmelo.

“Cosa, Riku?”

Come fai ad arrivare sempre quando c’è la pioggia?

“Non lo so, Riku. Io provo solo a cercarti”

Kid?

“Dimmi, Riku”

Mi hai sempre trovato quando c’era la pioggia, Kid.

“Ti troverò sempre in ogni situazione, Riku” disse Kid iniziando a piangere.

Ora ho capito perché avevo tanta fretta di morire. Avevo paura che un giorno una persona come te avrebbe pianto per uno come me. Ora capisco quanto sono stato sciocco e quanto erano ridicoli i miei pensieri.

“Riku non mi lasciare! Riku ti prego!”

La pioggia iniziò a diminuire. Chiusi gli occhi sentendo il freddo avvolgermi.

“Kid… questa volta sono stato io a salvarti la vita…” dissi con un filo di voce e lasciando cadere la mano a terra.

“Riku!”  gridò Kid “Riku non lasciarmi solo! RIKU!” gridò più forte Kid stringendomi a lui.

Morii venti minuti dopo. Kid riuscì a trasportarmi in ospedale ma avevo già perso troppo sangue e le ferite erano troppe.

Però ora non pioveva più, il sole, anche se fioco, splendeva oltre le nuvole.

Morii col rimpianto di non aver potuto passare altro tempo con Kid.

Così rimasi intrappolato in un mondo che odiavo ma che ringraziavo per avermi potuto dare la possibilità di vegliare su Kid.

 

Aprii gli occhi mentre le lacrime scendevano a fiumi sulle mie guance.

“Sena? Tutto bene?”

Kid mi guardava preoccupato dall’alto.

“Oh?” dissi toccando le mie guancie piene di lacrime “Si, va tutto bene… ho solo fatto uno strano sogno…” dissi mettendomi a sedere sul letto.

“Sena, quello che mi hai detto prima…” disse Kid diventando improvvisamente serio.

“Non ero io a dirtelo.” Risposi tranquillamente appoggiando una mano sul cuore “era Riku che desiderava da tempo dirtelo”

“Se questo è uno scherzo, Sena…” disse Kid folgorandomi con lo sguardo.

Lo guardai dritto negli occhi e lui capì che non stavo mentendo.

“Scusami un attimo…” disse correndo fuori dalla stanza.

Rimasi solo nella mia stanza.

“Grazie Sena” disse Riku apparendo sulla mia destra.

“Riku tu…”

“Lascia perdere… Dimentica.”

Lo guardai negli occhi e gli sorrisi.

“Tu hai aiutato me, ora è arrivato il momento che io ricambi. Preparati a ricordare.” Disse Riku serio in volto.

“Aspet-!” non feci in tempo a dirlo che una sua mano mi entrò dentro al cranio.

Improvvisamente ricordai tutto.

La pioggia, l’incidente, Mamori, il tizio dai capelli biondi, il bacio…

Riku tolse il braccio dalla mia testa guardandomi spaventato.

“ Che c’è?” chiesi allarmato.

“Sena… tu…” balbettò Riku incredulo.

“Cosa?” chiesi innervosito.

“Tu non sei un semplice umano… tu sei…”

“Hey bamboccio!” una voce malvagia e piena di cattiveria mi fece scattare.

Davanti alla porta un ragazzo alto e palestra con lunghi rasta e un paio di occhiali da sole con indosso un t-shirt alla moda e dei jeans, mi squadrava dall’alto in basso.

“Tu sei quello dell’incidente, giusto?” chiese con un ghigno malvagio sulle labbra.

“Io…”

La sua mano mi afferrò per la gola, iniziando a stringerla sempre più forte.

Non riuscivo più a respirare.

“Sena!” gridò Riku incapace di fare qualsiasi cosa

Proprio come era successo a Riku, questa volta toccava a me. La vita mi stava lentamente abbandonando.

Possibile che questa era già la seconda volta in una settimana che rischiavo la vita?

 

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Sono curiosa di sapere cosa ne pensate, lasciate un commento se volete! 

P.s. Stavolta non mi sono regolata XD credo di aver scritto un po' troppo.

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