Il Potere

di UnGattoNelCappello
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stanza n° 390 ***
Capitolo 2: *** Lei! ***



Capitolo 1
*** Stanza n° 390 ***


1

 

Stanza n°390

 

Clank, clank. “Odio queste luci”. Pensò il presidente Snow guardando con disprezzo le piccole e luminosissime luci al neon poste l'una a poca distanza dall'altra, lungo tutto il corridoio. Clank, clank. Davano a tutto una luce irreale, senza ombre, come in un sogno. Clank, clank. I passi sul pavimento di metallo rimbombavano come esplosioni nel silenzio assoluto dei sotterranei. Clank, clank. Finalmente arrivò davanti ad una porta bianca, senza serratura né maniglia. Solo una targa: sezione interrogatori. “Sezione torture, caso mai”. Pensò cupo Snow, prima di passare il suo tesserino d'accesso nel sottile spazio tra il muro e la porta. Quella si aprì con un sonoro clunk, facendo sobbalzare il soldato in divisa bianca che sorvegliava la porta dall'altro lato. - Ma che... Oh! - Il giovane pacificatore si riprese all'istante, irrigidendosi in posizione di saluto.

- Signor presidente, cosa posso fare per lei? -

- Sono venuto a fare due chiacchiere con il detenuto numero 390 - Rispose lui beffardo, godendosi tutta l'agitazione e il nervosismo del ragazzo, che era impallidito e apriva chiudeva la bocca come un pesce.

- Io... ecco signore, io credo che serva un permesso... ma, signore, e la sua scorta? -

Il presidente fece una smorfia infastidita con la bocca, ripensando a quei cagnolini che lo seguivano ovunque andasse.

Lui, l'uomo più potente di Panem, che doveva sottostare a degli ottusi soldati! Non sopportava di dover dipendere da qualcuno, sia anche per salvaguardare la sua vita. - Loro... beh, diciamo che si sono presi... una vacanza. - Disse il presidente sottolineando l'ultima parola con un sorriso serpentino. Il soldato deglutì rumorosamente, la fronte sudata che si corrugava leggermente. - Quanto al permesso... penso proprio che la mia posizione mi permetta alcuni privilegi, lei non crede? - Domandò Snow senza smettere di sorridere.

- Io... si, ecco, certo, certamente... io... venga, mi segua la porto... la porto dal detenuto 390. - Balbettò il pacificatore, che sembrava voler essere da qualsiasi altra parte al mondo piuttosto, che lì, sottoterra, da solo in compagnia di quell'uomo terrificante...

Si avviarono lungo quel nuovo corridoio, la parete alla sua destra inframmezzata ogni tanto da piccole porte nere. Clank, clank. Ancora quelle luci. “Devo approvare qualche nuova legge al proposito... sono insopportabili. Clank, clank. Passarono davanti all'ennesima porta, quando il presidente si bloccò all'improvviso. Aveva sentito qualcosa. Un lamento, flebile, quasi impercettibile. Lesse curioso il numero riportato sulla targa della porta. 389. Eccolo, di nuovo. Stavolta più forte, era un lamento orribile, di qualcuno in agonia. - Chi è il numero 389? - Chiese il presidente, il volto impassibile, continuando a studiare la targa. -

- Il... il 389? beh, ecco, mi lasci controllare... - Il ragazzo aprì quasi con violenza un blocco che portava appeso alla cintura, sfogliando febbrilmente le pagine, finché non trovò quello che cercava.

- Ecco... numero 389, Johanna Mason, distretto 7. Ribelle. - Snow, che non aveva staccato gli occhi dalla porta, annuì impercettibilmente, come se quelle poche parole lo avessero aiutato a risolvere chissà quale enigma.

Clank, clank. In un attimo fu davanti alla porta successiva, la numero 390. il pacificatore lo raggiunse quasi correndo, passando il suo tesserino nello spiraglio della porta. Clunk.

- Beh... credo che abbiano appena finito, signor presidente. - Aprì lentamente la porta, illuminando la stanza di un buio profondissimo con uno spicchio di luce proveniente da quelle orribile lampade. Snow arricciò immediatamente il naso dall'odore pungente di sporcizia e sangue che riempiva la stanza. Tutto ciò che riusciva a intravedere era un uomo, un pacificatore, chinato su una sedia, intento a slacciare delle cinghie. Non riusciva a vedere il ragazzo sulla sedia, ma sapeva esattamente chi era. Sentendo il rumore della porta che si apriva, il soldato si girò di scatto, irrigidendosi appena vide chi era il suo ospite.

- Il signor presidente desidera consultare il detenuto. È in condizione di parlare? - Chiese in fretta il soldato. L'uomo non sembrava granché intelligente, ma fu abbastanza furbo da rispondere immediatamente: - Certo, in questo momento è del tutto innocuo. Potrebbe avere delle difficoltà a capire le domande, però. Abbiamo appena finito una sessione abbastanza pesante. - Disse lanciando uno sguardo allo schermo appeso proprio di fronte alla sedia. Il presidente, che sapeva a quale tortura fosse sottoposto il prigioniero, sorrise leggermente. - Oh, sono certo che sia più che in grado di rispondere a qualche domanda. Devo solo essere certo che sia pronto per la sua intervista. - Il pacificatore, senza altre domande, fece un breve inchino e fece per uscire dalla stanza, assieme al soldato che l'aveva accompagnato fin lì. Poi un espressione si fece strada sul suo volto, come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa. Premette un piccolo pulsante, e la camera si illuminò di una tenue luce arancione. - La aspettiamo qui fuori, presidente. - Detto questo, i due uscirono definitivamente, chiudendosi la porta alle spalle. Clunk.

 

 

 

 

 

--- Bacheca autrice ---

 

Salve a tutti! Questa è la prima fan fiction che scrivo, e spero che piaccia a qualcuno! In realtà, avevo già postato il primo capitolo, ma data la mia completa incapacità al computer l'ho eliminato per sbaglio -.-”

Beh, se volete farmi sapere cosa ne pensate, o se anche solo volete riempirmi di insulti, non esitate a lasciare un commentino :P

A presto,

 

Sara

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Capitolo 2
*** Lei! ***


2

 

Lei!

 

Appena gli occhi del presidente si furono abituati a quella flebile luce, rivolse tutta la sua attenzione al ragazzo, che si era abbandonato sulla sedia come se non avesse più la forza di restare dritto, il petto che si alzava e abbassava velocemente, gli occhi chiusi. Esausto. La sua non era una tortura fisica, eppure presentava numerosi tagli sugli avambracci e sul petto, diversi lividi sugli zigomi e parte del collo. Le cinghie che fino a poco tempo prima lo tenevano legato, e che ora penzolavano inerti, erano incrostate di sangue. Ma ciò che faceva più impressione in lui, era il suo viso, scavato, le sue occhiaie profonde e nerissime, la fronte aggrottata. E quando aprì gli occhi, il suo sguardo, folle. Poteva leggere la paura e il panico che riempivano l'azzurro, che prendevano il posto della sicurezza che tante volte aveva visto apparire attraverso gli schermi.

Ricordava il loro ultimo incontro, faccia a faccia, davanti l'intera nazione. Lui che si congratulava per un matrimonio che non si sarebbe mai celebrato, perché avevano osato troppo. Perché era troppo tardi. Perché ogni loro, ogni suo tentativo di arginare la situazione non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. E lui lo sapeva da tempo, ma gli aveva dato comunque quella falsa speranza, la speranza che forse potevano rimediare, che non era tutto perduto. Che forse, forse potevano tornare ad essere felici. O perlomeno, al sicuro.

Perché lo aveva fatto? Per distrarla, ovviamente. Ma c'era anche qualcos'altro, qualcosa che non riusciva a spiegarsi fino in fondo. Forse anche lui, in qualche modo, aveva sperato (e qui fece una smorfia) di finirla ancora prima di iniziare. Lui odiava la guerra. Era un tale spreco...

A questo pensava, mentre lasciava al ragazzo il tempo di riprendersi. Per verificare se il procedimento aveva avuto successo, doveva essere come minimo cosciente.

Per qualche tempo il suo sguardo pieno di pazzia aveva vagato instancabile per la stanza, come se cercasse qualcosa a cui aggrapparsi, per non ripiombare in quel buio assoluto che doveva essere la sua mente. Finalmente il suo respiro si calmò un po', e si raddrizzò sulla sedia con smorfie di dolore.

Doveva ricordarsi di dire ai pacificatori di andarci un po' più piano, con i manganelli. Il trucco non faceva miracoli.

All'improvviso quegli occhi azzurri, spalancati, si posarono su di lui, come se lo notassero adesso per la prima volta. Snow gli rivolse un sorriso da rettile, e lui emise un verso strano dalla gola, come un gemito. Ci riprovò, e stavolta riuscì a pronunciare, con voce roca: - Che cosa vuole? - Doveva aver urlato molto.

- Suvvia, Peeta, credo che possiamo darci del tu. - Cominciò con voce amichevole e disponibile. Allargò ancora di più il suo sorriso, mentre prendeva uno sgabello appoggiato lì a fianco e si sedeva di fronte al prigioniero. Lui continuava a scrutarlo, imperturbabile.

- Sono solo venuto a fare due chiacchiere, e ad avvisarti che domani registreremo un'altra intervista. Nelle ultime sei stato molto bravo, hai esposto magnificamente la nostra idea del cessate il fuoco. Ora, vorrei che continuassi... -

- No. - Lo interruppe bruscamente Peeta, con un nuovo vigore nella voce.

- Prego? - Chiese Snow, sempre nello stesso tono.

- No, - Ripeté lui, - Non è “la nostra idea”. Lei mi ha obbligato a dirlo, questo me lo ricordo. La mia mente potrà anche essere la cosa di cui mi fidi di meno, in questo momento, ma credo di andare sul sicuro dicendo che non condividiamo le stesse idee. - Concluse Peeta con un sorrisetto beffardo.

Snow gli rivolse uno sguardo senza emozioni. - Eppure, come dici tu, ti ho obbligato a supplicare un cessate il fuoco di fronte a l'intera Panem. - Senza perdere il suo tono amichevole, il presidente decise che era giunto il momento di verificare se il veleno degli aghi inseguitori aveva fatto il suo effetto.

- Ma perché avresti dovuto farlo? Non hai forse già sopportato torture terribili? Non ricordi cosa ti ha spinto a dire quelle cose? - Gli occhi di ghiaccio scrutarono attentamente il volto del ragazzo, che ora appariva confuso.

- Io non... ricordo di una lettera... una sua lettera, mi avevo promesso qualcosa in cambio... ma non ricordo... io... sono piuttosto confuso riguardo a questa parte. - La sua voce ora era esitante, come se avesse paura di dire qualcosa che potesse risvegliare gli orrori della sua mente.

- È del tutto comprensibile, dopotutto ora dev'essere terribile per te... avere quel buio nella mente... non riuscire a capire chi è amico e chi no... ma le cose più importanti, le persone, non si dimenticano facilmente. Dico bene? - Il presidente gli rivolse l'ennesimo sorriso falso, che non faceva che accentuare quella luce pericolosa che aveva negli occhi color ghiaccio.

Il ragazzo, con lo sguardo perso a fissare un punto sul pavimento, la fronte corrugata, distante centinaia di miglia da quella stanza, annuì senza neanche pensarci, più a se stesso che a l'uomo che aveva di fronte. Ma, improvvisamente, alzò lo sguardo verso Snow, mentre lentamente comprendeva le parole che gli erano appena state rivolte. Una rabbia omicida si fece strada nel suo volto, deformando la sua espressione in una smorfia grottesca.

- La smetta! La smetta immediatamente di parlarmi come se fosse dalla mia parte! La smetta con quella voce da padre preoccupato, come se non fosse stato lei a ordinare la mia tortura! Come se tutto questo dolore non fosse colpa sua! Perché è solo sua la colpa se ora non riesco a ricordare chi è la persona che amo! -

Si era alzato di scatto, e le gambe gli avevano ceduto, facendolo ripiombare sulla sedia, il respiro affannoso e gli occhi pieni di un'ira incontrollabile. Era esploso, esattamente come Snow aveva programmato.

Lasciando perdere il tono amichevole che non gli apparteneva, il presidente calcò ancora di più la mano.

- No, Peeta! Tu ricordi benissimo chi è! Credo che tu ormai abbia capito che quelle iniezioni sono veleno! Veleno degli aghi inseguitori, Peeta! Non fa dimenticare... sconvolge la mente, Peeta! Quella persona, che tu credi di amare, è un'assassina! Un ibrido! Delle poche cose buone che ho fatto nella mia vita, una è stata quella di salvarti da lei! - Aveva urlato, ora, recitando il copione che aveva preparato insieme ai suoi strateghi.

- Non è vero! Se fosse un ibrido, perché voi avreste voluto usare il veleno per farmi cambiare idea su di lei? Non ha senso! Perché avreste voluto farmi credere di amarla? - Peeta era sconvolto, mentre si asciugava con rabbia le lacrime di frustrazione che gli erano scese dagli occhi. Il presidente stava demolendo le poche, pochissime certezze che aveva, una dopo l'altra.

Snow ora assunse un aria diversa, che si poteva definire... imbarazzata?

- Quello... quello è stato un errore, Peeta. È vero, ti stiamo torturando, il veleno sta cercando di corromperti, di portarti dalla nostra parte. Probabilmente tra qualche giorno ti ricorderai di questo momento come una tranquilla chiacchierata tra amici. - Qui il ragazzo sbuffò sonoramente, - Purtroppo, abbiamo intaccato per sbaglio anche un altro ricordo, quello della ragazza, l'ibrido. Senza volerlo, ti abbiamo fatto credere di amarla. - Il presidente si interruppe un attimo per prendere fiato, mentre Peeta continuava a borbottare: - Non è vero... non è vero... tutta colpa sua... -

- Peeta... guardami. Tu sai che ho ragione. Sai che ti sto dicendo la verità. E ora voglio che tu mi dica il suo nome. Il nome della ragazza. -

- Io non mi ricordo! Non mi ricordo il nome della ragazza di cui sono innamorato, lo capisce?! - Ma la sua voce tremava, dubbiosa, non era sicuro di ciò che stava dicendo.

- No Peeta, l'ibrido! È un ibrido! E tu sai il suo nome! Sai che c'era scritto in quella lettera? Che se avresti chiesto il cessate il fuoco, quando tutto sarebbe finito, quando avremmo vinto, ti avremmo lasciato ucciderla! Perché è la cosa che desideri di più, ucciderla! -

Ora il ragazzo stava tremando in modo incontrollato, si era ritirato più in fondo nella sedia, rannicchiato su se stesso, come se cercasse si proteggersi da quelle parole.

Il volto nascosto dalle mani premute sugli occhi, mormorava parole sconnesse.

- No... no! Lei... lei vuole uccidermi! Basta, basta! - Non parlava più con Snow, ma con qualcuno che era solo dentro la sua testa. Si agitava sulla sedia, scosso da convulsioni così forti che la testa sbatteva violentemente contro lo schienale. In quel momento, Peeta era più fragile di quanto non fosse mai stato, e Snow aveva l'assoluta intenzione di approfittarne. Gli prese con forza i polsi, bloccandolo di fronte a lui.

- Lei chi, Peeta? Chi c'è nella tua vita che odi così tanto da costringerti a dire quelle cose, pur di ucciderla, da costringerti a tradire i tuoi amici, la tua gente? E la tortura non centra niente, Peeta. Sappiamo benissimo entrambi che eri abbastanza forte da sopportarla. Perciò, chi! Chi ti ha costretto a dire quelle cose? -

Il ragazzo sembrava completamente impazzito, continuava a divincolarsi dalla presa ferrea di Snow, con una forza tale che nessuno si sarebbe aspettato, dopo settimane di prigionia.

- Lei! Lei... la odio! No, la amo.... no! -

- Chi, Peeta, chi! Chi odi! Chi è lei! Il suo nome, Peeta, dimmi il suo nome! - Il presidente urlava, sputando ogni parola come veleno, il viso a pochi centimetri da quello di Peeta.

- CHI! -

- KATNISS! - Urlò finalmente Peeta, immobilizzandosi improvvisamente, gli occhi fuori dalle orbite, folli.

- Katniss...- Tornò a mormorare, come fosse una preghiera. Ma c'era qualcosa di malsano nel modo in cui lo pronunciava, come se fosse un bisogno incontrollabile.

- Katniss. - Sta volta, quella parola era intrisa d'odio. Odio, rabbia e paura. E mentre il ragazzo che una volta era stato Peeta continuava a ripetere il suo nome, in un sussurro, come un mantra, fiutando l'aria come un animale, come uno dei tanti ibridi creati dai suoi strateghi, Snow avvertì un brivido freddo scendergli lungo la schiena. Mollò improvvisamente i polsi della creatura, come se scottassero, ritirandosi più indietro sullo sgabello.

- Katnissss.... Katniss! -

Che cosa ho fatto?

 

 

 

 

 

---- Bacheca autrice -----

 

Salve! Finalmente il secondo capitolo! Scusate ma questo capitolo è stato veramente più duro di un parto, l'ho riscritto qualcosa come 4 volte, e non sono ancora sicura che non sia una schifezza XD

Comunque, neanche una recensione piccina picciò? *fa gli occhi da cucciolo*

Vabbè, non importa, continuerò a scrivere per i lettori silenziosi (sempre che ce ne siano) che seguono la mia storia! A presto!

Sara

 

P.S. D'ora in poi probabilmente ci metterò sempre molto ad aggiornare, a causa dell'inizio della scuola -.-” ma prometto di fare il prima possibile!

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