Durmsgard

di Northern Isa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di cattivo umore? ***
Capitolo 2: *** Un'ombra. ***
Capitolo 3: *** Mjolnir. ***
Capitolo 4: *** Immagine divina. ***
Capitolo 5: *** Rivincita ***
Capitolo 6: *** Il muro ***



Capitolo 1
*** Di cattivo umore? ***


Capitolo1:

La risata di Thor riecheggiava nel corridoio del palazzo.
Loki strinse gli occhi e premette le dita sottili sulle tempie, tentando di rimanere concentrato. Riprese a inspirare profondamente, provando a riprendere da dove si era interrotto. Il minore dei figli di Odino sollevò nuovamente le palpebre, e i suoi occhi misero a fuoco il bacile che un servitore gli aveva portato nella sua stanza. Non era un recipiente speciale, non era forgiato in oro o in qualche altro metallo prezioso, né aveva pietre pregiate incastonate nella sua superficie: era di semplice terracotta. Non conteneva idromele, solo acqua. Eppure, Loki scrutava il bacile come se sperasse di trovarvi inimmaginabili ricchezze.
Da qualche parte, poco lontano dalle stanze di Loki, Thor rise di nuovo. La sua voce risuonava nel palazzo come se non ci fossero pareti o mobilia ad attutirla. Prima che potesse impedirselo, Loki colpì la superficie del tavolo con un pugno ossuto, facendo tremare il bacile, che rovesciò un po’ dell’acqua che conteneva.
Ecco, rifletté, asciugandosi il palmo su un lembo della veste, ecco cosa mi fa fare Thor.
Cosa aveva da ridere? Loki poteva immaginarlo mentre camminava tronfio attraverso i saloni del palazzo, con Sif, Hogunn, Fandral e Volstagg che pendevano dalle sue labbra e ridevano a ogni sua battuta. Nessuno rideva quando a parlare era lui, Loki. O almeno, nessuno aveva riso durante il banchetto offerto da Aegir. Ma la cosa non aveva importanza, si disse Loki, sentendosi improvvisamente gonfiare d’orgoglio: quel che contava era che si era divertito lui, e su quello non c’erano dubbi. La mente del dio gli proiettò per un attimo le espressioni delle divinità, investite dalle sue parole taglienti. Non aveva mai immaginato che gli angoli di una bocca potessero tendere così tanto verso il basso, né aveva mai visto nessuno con gli occhi sgranati come quelli dei commensali. Soffocando un ghigno, Loki tornò a concentrarsi sul bacile.

Era successo qualche mese prima. Si trovava nella sala dei banchetti insieme a suo fratello Thor, sua madre Frigga e suo padre Odino. C’erano anche diversi nobili seduti al lungo tavolo di lucida quercia, e il vociare collettivo era piuttosto fastidioso. Loki stava piluccando la sua colazione senza alcun interesse particolare, impegnato in ben più proficui pensieri, e Thor aveva appena gettato per terra il terzo boccale di chissà che cosa, chiedendone con soddisfazione dell’altro. Loki ricordava perfettamente di aver ruotato gli occhi nelle orbite di fronte a quella scena. Nel compiere quel gesto, però non gli era sfuggito un piccolo movimento tra le sue mani, strette intorno al suo, di boccale. Era stato un lampo, un soffio, un battito d'ali, un niente. Loki aveva osservato la superficie d’acqua riflettere i bagliori dorati del boccale. Questa aveva continuato a ondeggiare pigramente, per poi fermarsi del tutto e diventare un piccolo disco trasparente. Si era probabilmente ingannato, aveva concluso il dio.
La colazione era proseguita uguale a se stessa per qualche tempo ancora, finché Thor non aveva annunciato di avere desiderio di allenarsi con la spada e aveva chiesto se qualcuno avesse voluto seguirlo. Loki aveva stretto nuovamente il boccale.
Non era passato troppo tempo dall’ultima volta che si era allenato con Thor. L’aveva fatto per assecondare sua madre Frigga, anche se sapeva bene come sarebbe andata a finire. Infatti le cose erano andate esattamente come previsto: era durato circa cinque minuti contro suo fratello. Thor aveva sorriso mettendogli una mano sulla spalla, dicendo di essersi divertito e di essere disposto a concedergli la rivincita. Loki aveva scostato la sua mano come se fosse stato scottato. Aveva avuto solo voglia di allontanarsi il prima possibile da lì, di tornare nelle sue stanze, senza essere costretto a notare le iridi degli altri guerrieri presenti che saettavano da un figlio di Odino all’altro, senza dover sentire i loro commenti politicamente corretti. Alcuni guerrieri si erano complimentati con Thor, e avevano sostenuto che anche Loki si era battuto bene. Il dio però sapeva che mentivano, glielo leggeva in faccia. La maggior parte dei guerrieri, infatti, consci dell’enormità della bugia, erano rimasti in silenzio e si erano limitati a chinare reverenzialmente la testa.
Loki si era sentito ribollire, come se nelle sue vene scorresse lava incandescente.  Si era così ripromesso che mai più si sarebbe battuto con Thor, neanche se sua madre l’avesse implorato.
Ecco perché, quella mattina, Loki aveva stentato ad alzarsi dal suo seggio nella sala dei banchetti quando Thor aveva lanciato la sua sfida.
Che quel biondo pallone gonfiato si pavoneggi a spese di qualcun altro, aveva pensato.
Ecco perché Loki aveva afferrato con più forza il boccale colmo d’acqua: gli era tornata in mente la bruciante sensazione che la sconfitta gli aveva messo addosso.
Nel momento stesso in cui le sue dita si erano chiuse intorno alla superficie d’oro del calice, però, l’acqua al suo interno aveva tremato di nuovo. Ma non si trattava di lievi ondine provocate dal movimento sussultorio causato dalla sua stretta. La superficie d’acqua si era mossa in increspature circolari, come se al suo centro fosse gocciolato qualcosa. Eppure non era successo niente del genere. In quel momento Loki aveva avuto la consapevolezza di non essersi ingannato neanche la prima volta.
Nei mesi successivi, aveva scrutato con attenzione ogni liquido che aveva maneggiato nella speranza di riconoscere nuovamente strane increspature. Era convinto di quello che aveva visto, sapeva di non essersi illuso, però voleva capire cosa producesse quel fenomeno. Per diverso tempo non ci era riuscito. Aveva deciso quindi di smetterla di cercare fenomeni casuali e di impegnarsi, invece, per ricreare ciò che aveva fatto la prima volta nella sala dei banchetti. Cosa aveva contribuito a produrre le increspature, quella volta? Era stata la sala affollata? Il vociare che nelle sue orecchie produceva un ronzio indistinto e fastidioso? La presenza dei suoi familiari? L’oro del boccale? Loki aveva effettuato diversi esperimenti, nessuno dei quali aveva confermato le sue intuizioni. Finché a un tratto il dio aveva pensato seriamente di essersi ingannato, di aver visto qualcosa che non c’era. Nonostante questo, però, non riusciva a smettere di provare. Forse perché nel suo intimo, da qualche parte all’altezza dello stomaco, sapeva di possedere qualcosa di grandioso, di unico, di diverso, che Thor non aveva. O forse semplicemente lo sperava.

Loki tornò a fissare la superficie del bacile di terracotta che aveva davanti. Doveva succedere qualcosa, quella volta ne era sicuro. Il giorno prima, infatti, era andato a caccia con Thor, Sif e i tre Guerrieri. Si trattava di una di quelle sfide a chi cattura più cervi, roba da esibizionisti come suo fratello. Loki aveva deciso di partecipare solo perché, in quell’occasione, sapeva di poterlo battere. Era inutile gonfiare i muscoli e inseguire bestiacce quando si aveva un cervello pronto a elaborare una soluzione. Loki aveva sorriso nel vedere le espressioni sorprese di Sif, Hogun, Volstagg e Fandral quando aveva accettato di unirsi a loro. Thor invece gli aveva schiaffato una mano su una spalla con tale forza da mandarlo quasi a terra.
All’ora stabilita, si erano tutti incontrati ai confini della foresta scelta per la battuta di caccia. Ognuno impugnava un’arma, palesando sicurezza, e sparando previsioni sull’esito come proiettili. Si erano poi infilati nel folto degli alberi e divisi. Quando erano riemersi, sul calar della sera, Loki non aveva smesso di sorridere, nonostante la fatica di trascinare ben otto cervi. Le espressioni di Sif e dei tre Guerrieri erano state veramente impagabili: nessuno riusciva a capire come avesse fatto Loki a raggiungere quel risultato, eppure tutti cercavano di contenere la loro sorpresa – seppur con scarsi risultati – per non mancargli di rispetto. Loki gongolava senza nessuno sforzo di nascondere il sorriso. Lo sapeva che pagare qualcuno per la selvaggina cacciata in precedenza sarebbe stata una buona idea. Nessuno di quei tonti sembrava essersi accorto che i cervi erano stati stecchiti almeno ventiquattro ore prima. C’era un’altra cosa che metteva il dio di buon umore: trasportare i cervi non era stato semplice, ma era stato sicuramente meno difficoltoso di quel che si era aspettato. In una balzana associazione di idee, Loki aveva ripensato alle increspature sulla superficie del calice nella sala dei banchetti. Poi, a un certo punto, anche Thor era uscito dal bosco. Aveva ucciso otto cervi e un cinghiale. Aveva vinto la sfida di caccia.
Erano ritornati a palazzo piuttosto in fretta, e per tutta la strada di ritorno i complimenti e gli apprezzamenti per Thor da parte degli altri quattro avevano rimbombato nelle orecchie di Loki. Aveva salutato fugacemente Frigga ed era tornato nella sua stanza abbastanza rapidamente da far capire a Thor e compagnia che non aveva più voglia di stare con loro, ma non troppo da dare l’impressione che si stesse nascondendo per la vergogna. Non aveva nessun motivo per vergognarsi, si era detto, passandosi rapidamente una mano sul volto appuntito. Non era neanche arrabbiato perché Thor, il dio perfetto, era riuscito a batterlo, aveva pensato, stringendo tra le dita il bordo della veste. Aveva solamente bisogno di riflettere sul senso di leggerezza che aveva avvertito trasportando i suoi cervi, e sull’associazione di idee che ne era conseguita.
Ecco perché, senza perdere altro tempo, Loki aveva deciso di riprendere i suoi esperimenti con i calici pieni d’acqua. Ecco perché, quel pomeriggio, Loki sedeva nella sua stanza, osservando quel bacile di terracotta come se si aspettasse che iniziasse a parlare. Se solo Thor fosse stato in silenzio.
Ma Thor continuava a ridere. Loki scattò in piedi, schiaffando i palmi contro la superficie del tavolo. Prima che potesse fermarsi, aveva spalancato la porta. Suo fratello era lì, con il volto aperto e sorridente, circondato da una criniera di lunghi capelli biondi. Alle sue spalle, i tre guerrieri si erano bloccati.
«Loki!» lo salutò senza smettere di sorridere.
«Fratello…» gli concesse l’altro, senza preoccuparsi troppo di contenere l’irritazione della sua voce. «Sto cercando di sbrigare alcune cose e, sai, non è così facile con la tua voce che mi risuona nelle orecchie».
Per tutta risposta, Thor gli tirò una pacca sulla spalla e rise, gettando la testa all’indietro.
Ma allora è scemo, rifletté Loki, sentendo tremare la sua palpebra sinistra. O forse lo faceva apposta.
«Posso darti una mano?» domandò Thor candidamente.
La palpebra sinistra di Loki vibrò ancora.
«No. Faccio da solo, ti ringrazio».
Quando si richiuse la porta alle spalle, sentì distintamente la voce di Hogun dire:
«Di cattivo umore, eh?»
Seguì un attimo di silenzio, poi ci fu di nuovo la risata di Thor, la cui eco si spense man mano che i quattro si allontanavano. Loki tornò a concentrarsi sul suo bacile, ma non riusciva a non pensare che suo fratello stava ridendo di lui.
Era successo. La superficie d’acqua del bacile aveva tremato fino a fuoriuscire senza che Loki muovesse un dito. Il sedile intagliato sotto la finestra si era ribaltato da solo. Non c’era modo di equivocare quei segni: si trattava di magia.
Nel momento stesso in cui si era reso conto di essere stato in grado di produrre della magia, Loki aveva sentito una sensazione calda percorrergli il corpo e gonfiargli il petto. Una sottile morsa gli aveva afferrato la bocca dello stomaco e gli era venuta un’irresistibile voglia di esultare. Ci era riuscito, ce l’aveva fatta! E doveva farlo ancora, doveva fare di più. Ma come?
Loki rise tra sé e sé: non doveva avere fretta di capire, già l’avere scoperto di saper fare qualcosa di più rispetto a Thor era una buona conquista per quel giorno. Improvvisamente gli venne voglia di andare da sua madre Frigga: doveva farle vedere di cosa era capace. Sarebbe dovuto andare anche da Odino, così forse l’avrebbe piantata di osannare Thor come se fosse già sul trono.
Con passo leggero, Loki uscì dalla sua stanza e i suoi piedi seguirono, come svincolati dalla sua mente, un percorso che conoscevano bene. La sensazione di calore lo gonfiava, lo inebriava, lo infervorava. Gliel’avrebbe fatta vedere lui, a tutti quanti, rifletté mentre faceva il suo ingresso nella sala del trono. Come si aspettava, suo padre era lì, seduto sul suo Hliðskjálf, accanto a lui c’era Frigga. La sala riluceva di bagliori dorati. Loki vide il suo riflesso sugli elmi delle guardie schierate in due ali parallele mentre calcava il pavimento con decisione, diretto verso suo padre. Prima che Odino potesse aprire bocca, però, Loki rizzò la testa e tese una mano dietro di sé. Le porte della sala del trono, che erano state aperte per consentire il suo ingresso, si chiusero con fragore alle sue spalle. Loki ruotò cautamente su se stesso, pronto a pregustare l’effetto che quella piccola magia aveva avuto sui presenti. I nobili lì riuniti avevano gli occhi fissi sul portone, come se cercassero ancora di capire cos’era accaduto. Sollevando un angolo della bocca in un’espressione di cauto trionfo, Loki tornò a rivolgersi al padre. Odino era rimasto seduto, con la schiena dritta e una mano sul bracciolo intarsiato del trono, l’unico occhio fisso sul figlio, senza che la sua pupilla potesse tradire alcuna emozione. Solo dopo qualche istante, Loki si accorse di stare trattenendo il respiro. Espirò lungamente, domandandosi perché suo padre non si pronunciasse. Forse chiudere le porte in quel modo non era stato abbastanza, forse avrebbe dovuto impressionarlo con dell’altro. Ma come? Nelle sue stanze si era cimentato con piccole cose, a parte rovesciare calici, ribaltare scranni e aprire e chiudere porte non aveva fatto molto.
Loki setacciò con lo sguardo la sala del trono, cercando di farsi venire in mente qualcosa, quando a un tratto Odino sollevò una mano. Tutti i nobili presenti nella sala capirono il comando del Padre degli dei, e uscirono ordinatamente. Solo Frigga era rimasta a fianco al marito.
«Loki»iniziò con voce pacata Odino.
«Padre!»chiamò l’altro, strabuzzando gli occhi.
«Dunque era questo ciò che volevi mostrarmi»constatò il Padre di tutto, accennando con la testa alle porte della sala, riaperte per permettere ai nobili di uscire. Per tutta risposta, Loki tese di nuovo la mano e le richiuse.
«Magia…»mormorò Frigga. Nella sua voce non era risuonato l’entusiasmo che Loki si era aspettato.
«Sì, magia»rispose. «Riesco a fare delle cose… e credo di poter fare molto altro, se solo mi applicassi».
Odino e Frigga continuavano a restare impassibili. C’era qualcosa di sbagliato nelle loro espressioni gelide. Avrebbero dovuto stupirsi, Loki era convinto che non tutti riuscivano a fare quello che poteva lui. Avrebbero dovuto essere orgogliosi. Invece lo osservavano con cauta disapprovazione.
Frigga sollevò la testa per osservare meglio il marito, poi si rivolse al figlio.
«Loki, tu lo sai che magia di questo genere non è certo una delle pietre su cui si fonda Asgard».
Gli angoli della bocca di Loki puntarono verso il basso.
«Cosa? Mi state dicendo che sarebbe meglio se la smettessi, madre?»
«Non è che non apprezziamo le tue doti, figlio»rispose Frigga dopo che un’ombra di allarmismo le ebbe percorso il viso per un secondo. «Ma qui, a palazzo non tutti potrebbero vedere di buon occhio la cosa».
«Non è bene che un principe di Asgard si cimenti in certe cose»sentenziò Odino con voce seria.
Loki scosse il capo per osservare prima un genitore, poi l’altro. Una rabbia sorda aveva iniziato a ribollirgli nelle vene.
«Sarà Thor a salire al trono, è lui che deve piacere agli altri!»
«Questo non puoi saperlo. E soprattutto non cambia le cose»tuonò con severità Odino.
Loki distolse lo sguardo, deciso ad evitare il suo volto. Decisamente non stava andando come previsto. Avrebbe dovuto ribattere, convincere suo padre dell’errore di valutazione che stava commettendo, ma non era quello il momento. Occorreva pensare a una strategia, perché di una cosa Loki era convinto: non voleva rinunciare a quella qualità che aveva appena scoperto, a quel potere. Abbassò allora la testa, in modo da camuffare il gesto evasivo di prima e trasformarlo in una mossa condiscendente, dopodiché uscì dalla sala del trono.
Sarebbe tornato nelle sue stanze, avrebbe ripreso i suoi esperimenti, avrebbe capito come fare a sviluppare i suoi poteri. Solo allora li avrebbe nuovamente mostrati al padre. Gli avrebbe fatto capire che non si trattava di vili giochi di prestigio, ma di qualcosa di grandioso, che si sarebbe potuto rivelare utile se messo a disposizione di una causa.
Quando si chiuse la porta alle spalle, Loki ansimava come se avesse corso. Per alcuni istanti rivide solo le porte della sala del trono che sbattevano e gli occhi sgranati dei nobili. Segretamente lo stavano disprezzando? Gliel’avrebbe fatta vedere lui. Loki si lasciò cadere sul morbido materasso del suo letto, con la testa che pulsava.
Quando riaprì gli occhi, non sapeva quanto tempo fosse passato, ma il suo dolore alla testa era peggiorato. Qualcuno bussò nuovamente alla porta, e Loki immaginò che si trattasse di Thor. L’ultima persona che voleva vedere al momento era suo fratello, eppure si alzò dal letto e andò ad aprire. Quando si trovò faccia a faccia con Lord Reidar. Il mal di testa era così forte che Loki non riuscì a pensare a una ragione per la quale questi dovesse essersi recato da lui.
Lord Reidar chinò reverenzialmente il capo, permettendo alle lunghe ciocche scure di schermargli gli occhi, e domandò perdono per il disturbo.
«Vedete, principe, ero presente nella sala del trono quando vi siete recato al cospetto dei vostri genitori. Sono rimasto estremamente colpito dal modo in cui avete chiuso le porte. Deduco sia stata opera di magia».
Loki sollevò un angolo delle labbra in un gesto di rivalsa. Madre sosteneva che il suo potere non sarebbe stato ben visto a palazzo, e Lord Reidar era la prova vivente che si sbagliava.
«Mi chiedevo se aveste imparato tutto da solo»domandò il nobile.
Loki annuì, senza che il suo sorriso si incrinasse.
«Stupefacente»concesse Lord Reidar. «Di certo vorrete aumentare il vostro potere. Considerando i progressi che avete fatto da autodidatta, non dubito che ci riuscirete. Qualche anno basterà per rendervi uno stregone con i fiocchi».
L’espressione compiaciuta di Loki gli si congelò sul volto. Qualche anno? Lui bramava di dare una lezione ai genitori e al fratello molto prima! Però Lord Reidar non aveva tutti i torti: ci aveva messo dei mesi per imparare ciò che sapeva al momento, che era comunque molto poco. L’espressione del dio non dovette sfuggire a Lord Reidar, che rise sommessamente. Non era una risata di scherno, ma di comprensione.
«Conosco un luogo che potrebbe insegnarvi tutto ciò che vi interessa, e anche di più, in molto meno tempo. Si tratta dell’Istituto per gli studi magici di Durmstrang».






NdA: mia prima Crossover in assoluto. L'idea mi ronzava in testa da un po', ma non mi sono mai sentita a mio agio nel trattare il pov di Loki. Alla fine mi sono decisa: spero di non aver fatto un disastro ç_ç
Naturalmente in questa storia i nostri fratellini asgardiani sono ancora adolescenti. Loki non sa un bel niente sulla sua vera identità, Thor non ha ancora Mjolnir, con gli Jotunn c'è una bellissima tregua. Già da giovincello, Loki è geloso di Thor, sebbene ancora non abbia realizzato le tante idee cattivelle che avrà da grande e si scateneranno in particolare quando il fratello verrà nominato erede del trono di Asgard. A proposito, durante la discussione con Odino - che personalmente adoro -, quando Loki afferma che è già deciso che sarà Thor a succedergli, il padre risponde che non può saperlo. In realtà tutti si aspettavano in fondo che sarebbe stato Thor a impugnare Mjolnir, ma ancora il fattaccio non era ufficiale. Il banchetto offerto da Aegir, citato in questo capitolo, è quello in cui, secondo la mitologia nordica, Loki parlò male di tutto e di tutti, mettendo in luce per la prima volta la sua vera essenza. 
Grazie a chiunque abbia avuto la pazienza di arrivare fin qui!

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Capitolo 2
*** Un'ombra. ***


Capitolo 2:

Loki osservava Lord Reidar con sospetto.
«Istituto per gli studi magici di Durmstrang?» ripeté.
Lord Reidar distolse lo sguardo e scosse la testa con condiscendenza.
«Proprio così, principe. Si tratta di una scuola».
Loki sussultò, irritato. L’aveva capito che si trattava di una scuola, non c’era bisogno che la cosa venisse puntualizzata, non era uno sciocco. In qualche modo però, Lord Reidar sembrava aver intuito la confusione della mente di Loki, e tentava di darvi una risposta.
«Dimmi di più» lo esortò il minore dei figli di Odino.
Lord Reidar scoprì in un sorriso la sua dentatura regolare e intrecciò le dita dietro la schiena.
«Si tratta di un istituto fondato in epoca non troppo risalente da sette altissime personalità, riconosciute in tutti i nove mondi. Queste menti brillanti sentirono il bisogno di tramandare le loro conoscenze alle generazioni future per preservare il loro sapere magico, ed è per questa ragione che hanno costruito un castello di pietra alle pendici di un monte così alto da toccare il cielo. Palesato il loro intento, molte famiglie inviarono i loro rampolli al castello di Durmstrang per istruirsi. Sono previsti tre anni di studio, in cui alcuni insegnati di riconosciuta competenza impartiscono le nozioni di diverse branche della magia. Vedo che la cosa inizia a interessarvi, principe».
A quelle parole, Loki sbatté le palpebre e si riscosse bruscamente. Con gli occhi della mente aveva già iniziato a figurarsi i contorni granitici del castello descritto da Lord Reidar, le schiere di studenti indossanti lunghi mantelli che ne percorrevano i corridoi, gli insegnanti dall’aria veneranda, per niente simili al precettore che lui e Thor vedevano ogni mattina, ma con la stessa espressione vigile di Heimdall.
«Non so ancora dove si trova questa scuola» disse il principe, cercando di darsi un tono.
«Tra alcuni monti della Svezia. La zona è piuttosto fredda e inospitale, ma è adattissima allo scopo».
«Svezia?»
«Su Midgard» puntualizzò Lord Reidar con aria sorniona.
Loki boccheggiò e le liete immagini proiettate dalla sua mente scomparvero con fragore di vetri infranti.
Midgard. Che schifo.

Loki era rimasto solo nelle sue stanze, impegnato a fissare il bacile di terracotta sul quale si era esercitato tanto a lungo. Dalla descrizione di Lord Reidar, Durmstrang gli era sembrato un posto davvero promettente, che avrebbe potuto aiutarlo sulla via della grandezza, ma lui non poteva andare su Midgard! Era un Asgardiano, per Yggdrasill. E soprattutto, come avrebbe fatto il mondo degli uomini a promettergli gloria e conoscenza?
Le riflessioni del principe vennero interrotte da un colpetto alla porta, che ruotò sui cardini prima di aspettare il suo permesso, lasciando entrare la sagoma di Thor, già imponente per un adolescente. Il biondo calcò con decisione il pavimento lucido e andò a sedersi accanto al fratello. Loki, intento a osservare le maniche della sua veste, sollevò appena gli occhi su Thor. Conosceva il suo sguardo chiaro e limpido, che sembrava invitarlo a confessare qualsiasi cosa.
Loki sbuffò appena, quello non era proprio il momento opportuno per una chiacchierata tra fratelli.
«Madre mi ha detto che cosa è successo».
Loki provò l’irresistibile impulso di alzarsi e allontanarsi da Thor. La reazione dei suoi genitori era stata già di per sé frustrante e, come se non bastasse, ora anche suo fratello era al corrente di tutto. Ora Thor avrebbe detto la sua, avrebbe cercato di dargli un consiglio, come quando erano bambini, gli avrebbe suggerito di lasciar perdere la magia. Quell’episodio sarebbe stato un ulteriore motivo di confronto tra di loro.
«Non sprecare il tuo fiato, fratello» rispose Loki, accompagnando le sue parole con un gesto stizzito della mano. «È già bastata madre a dirmi che un potere come il mio non è esattamente popolare ad Asgard».
«Lo sapevi prima che Madre te lo dicesse,» osservò Thor, pacato, «perché te la prendi con lei, adesso?»
Le dita di Loki si serrarono intorno al bordo scuro della sua veste, e il principe avvertì una vena pulsargli su una tempia.
«Questo non vuol dire niente! Solo perché un potere simile non è contemplato, non significa che non sia importante o utile» ribatté rabbiosamente. «Non capisci. Non tutti sanno roteare una spada come fai tu».
Thor si irrigidì, e per un istante Loki ebbe la folle impressione di averlo pietrificato con qualche incantesimo che ancora non sapeva di padroneggiare. Quando il fratello maggiore si portò le dita al sopracciglio destro, però, fu consapevole dell’assurdità di quel pensiero.
Thor tornò a fissare i suoi occhi in quelli del fratello.
«Ti stai riferendo all’ultima volta che ci siamo allenati insieme?»  Il suo tono calmo e quasi rassegnato ricordò a Loki quello che il loro precettore spesso usava per commentare i compiti che doveva correggere. «Non è andata tanto bene, è vero, ma…»
«È stato un disastro» lo interruppe Loki, incrociando le braccia in un gesto di ermetica ostilità.
Thor, inaspettatamente, sorrise.
«Sì, è stato un disastro. Madre ci teneva tanto a che tu ti esercitassi con me, e guarda come è andata a finire! Le espressioni contratte di chi era in dubbio se complimentarsi con te o meno sono state impagabili».
Loki corrugò la fronte e schiuse la bocca, arricciando le labbra, oltraggiato. Quello era troppo, non avrebbe ascoltato suo fratello prendersi apertamente gioco di lui. Prima che potesse alzarsi, però, Thor aveva ripreso a parlare con il suo tono pacato e sereno.
«Ma io so che tu hai delle grandi capacità, Loki. Sarei felice di tornare ad addestrarmi con te, potrei consigliarti, darti una mano a migliorare! Io e te abbiamo sempre lavorato bene insieme… pensa alle lezioni che seguiamo».
Loki fece schioccare la lingua.
«Se la memoria non mi inganna, di solito io prendo appunti, mentre tu fingi solamente di ascoltare. E noi non collaboriamo, in realtà sei tu che copi i miei esercizi prima che possiamo farli controllare al precettore!»
Di fronte all’indignazione di Loki, la risata franca di Thor fu come un’esplosione per le sue orecchie.
«Te lo concedo, fratello, questo non è il mio campo: non ho la pazienza necessaria per stare su quei tomi. Ma questo non significa che non possiamo collaborare. Aiutandoti nell’addestramento fisico, potrei ricambiare l’aiuto che tu mi dai nello studio».
Loki osservò il fratello per qualche istante, in silenzio. In fondo, la proposta di Thor era interessante. Immediatamente gli tornarono alla mente tutti gli anni che aveva trascorso in sua compagnia, tutti i loro giochi, le loro marachelle, i loro discorsi. Era passato tanto tempo da quegli episodi, perché lui e Thor si erano allontanati? Loki aveva sempre pensato che fosse stato perché, crescendo, i loro percorsi avevano iniziato a divergere in quanto attratti da destini diversi. Thor era diventato un ragazzo forte e amato, e lui era solo un’ombra.
«Andrà bene, ne sono sicuro» continuò Thor. «Diventeresti un buon combattente, sicuramente metteresti qualche muscolo su quelle quattro ossa e riuscirai a durare più di cinque minuti contro di me. Te ne concedo sette».
Loki scattò in piedi, la sua mente già lontana dai ricordi d’infanzia, il respiro ansante.
«Non offenderti… stavo scherzando!» spiegò Thor, distendendo la fronte. Non gli era sfuggito lo scatto del fratello, Loki stesso non era ancora perfettamente conscio del motivo per cui aveva sentito qualcosa esplodergli nel petto.
«È così, non è vero? Tu non vuoi aiutarmi, tu vuoi farmi diventare uguale a te. Ho una notizia per te: non tutti su Asgard ti ammirano tanto da vivere per somigliarti».
Detto ciò, si voltò bruscamente e uscì dalla sua stanza, sperando che il fratello non lo seguisse.

Thor infatti non lo aveva seguito, pensò Loki, incrociando le braccia sulla balaustra di marmo della terrazza. L’aria luminosa del pomeriggio era smossa da una piacevole brezza che si insinuava tra le ciocche di capelli scuri che ricadevano sulla fronte del principe. Ai suoi piedi, i tetti lucenti degli edifici si susseguivano come una colata d’oro. Un insetto svolazzava pigramente tra le fronde di una pianta che cresceva lì vicino, ignorante, come tutti gli altri abitanti del palazzo, dei pensieri che si agitavano nella mente di Loki.
Il principe si riscoprì a sorridere amaramente nel rendersi conto che il suo stato d’animo tempestoso contrastava in maniera stridente con l’ambiente che lo circondava.
Loki serrò i pugni nel ricordare le parole che gli aveva rivolto suo fratello. Era sempre così: ogni volta che si ficcava in un guaio, Thor arrivava da lui, tronfio e sicuro di sé, fingendo di volergli dare un consiglio, e sottolineando invece che ci fosse un abisso a separarli. Ogni momento di debolezza di Loki era per tutti un’occasione per piegarlo. Quante volte aveva sentito bocche più o meno conosciute ripetere quanto fosse straordinario suo fratello? Thor è così forte – lui non era che uno scricciolo –, Thor è così fiero e sicuro di sé – lui non faceva che dubitare delle sue capacità–, Thor è così carismatico e determinato – e lui quali obiettivi aveva? In una parola, Thor era l’erede al trono che ogni re avrebbe voluto avere. E lui, Loki, che cosa sarebbe diventato una volta che Thor, brandendo il mitico Mijolnir, si sarebbe dimostrato degno di suo padre? Tutti si sarebbero dimenticati di lui. Perché, Odino aveva un altro figlio?
Loki colpì il marmo della balaustra con un pugno. No, lui poteva essere importante quanto Thor. Non avrebbe affrontato di nuovo il fratello in allenamento, altrimenti avrebbe dimostrato tutto il contrario.
Su una cosa Thor aveva ragione: loro due erano bravi in cose completamente diverse. Quella volta Loki non si sarebbe piegato, ma avrebbe scelto una strada che lo avrebbe portato ad assomigliare un po’ meno a Thor e un po’ più a se stesso.
Improvvisamente, Midgard non sembrava più un posto così schifoso.

Loki misurava il pavimento della sua stanza a passi rapidi e nervosi. Perché era in ritardo? Senza di lui non sarebbe riuscito ad attuare quello che aveva in mente. Doveva arrivare di lì a pochissimo, altrimenti Padre sarebbe stato impegnato.
«Principe, eccomi» annunciò una voce, risuonata dopo un discreto bussare sulla porta.
«Finalmente, Lord Reidar. Sei in ritardo».
Loki si meravigliò per il modo in cui il suo tono era rimasto saldo, nonostante l’impazienza. Il nobile posò una mano sul petto e chinò reverenzialmente il capo in direzione del principe. I suoi lunghi capelli scuri ricaddero sul viso a nascondere l’accenno di sorriso che aveva piegato le sue labbra.
«Chiedo perdono. Vogliamo andare?»
Loki uscì dalle sue stanze, facendo strada a Lord Reidar. Era passato qualche giorno da quando aveva discusso con Thor. Da allora, suo fratello non l’aveva più cercato, e Loki era piuttosto soddisfatto per quella ragione. Le idee che quella discussione gli avevano portato alla mente avevano vorticato inizialmente come fiocchi di neve, gelidi e delicati, per poi diventare una vera e propria valanga. Prima di rendersene conto, Loki aveva già pianificato cosa occorresse fare e chi avrebbe dovuto aiutarlo. Non ci sarebbe stato alcun potere, alcuna istruzione, alcuna crescita se Padre non avesse acconsentito a mandarlo su Midgard e, dopo il piccolo spettacolo nella sala del trono, Loki non era sicuro di riuscire a convincerlo tanto facilmente. Non da solo, almeno. Ecco che in quella fase sarebbe dovuto intervenire Lord Reidar, un nobile influente, ma soprattutto la prova vivente che non tutti ad Asgard avversavano le arti magiche. Naturalmente Loki non gli aveva raccontato della discussione con Thor, anzi aveva fatto di tutto per dissimulare il suo turbamento. Lord Reidar, dal canto suo, non aveva fatto domande quando il principe gli aveva chiesto di presenziare quando avrebbe parlato con il Padre degli dei. Certo, aveva un modo di guardarlo che sembrava che sapesse più di quanto dava a vedere, ma Loki non si sarebbe preoccupato della cosa finché non avesse costituito un problema.
Giunti alla sala del trono, Loki spinse i legni lucidi che costituivano la porta ed entrò. Odino sedeva sullo Hliðskjálf e, fatta eccezione per due guardie, la sala era vuota. Il principe sorrise tra sé e sé compiaciuto del verificarsi della sua previsione: sapeva che, in vista dell’importante riunione che di lì a poco avrebbe visto come protagonista il Padre degli dei, nessuno l’avrebbe impegnato in faccende diverse.
Lord Reidar affiancò Loki, inchinandosi al cospetto di Odino. Quando questi si drizzò, Loki fece per aprire bocca, ma il padre l’anticipò.
«Sono lieto di vederti, figlio mio. So che tu e Thor avete discusso, ero in pensiero per te».
Loki arricciò il naso: le notizie volavano. Dal diverbio, aveva visto il padre brevemente solo durante i pasti, e mai nessuno aveva fatto cenno ad alcuna faida tra fratelli. Se Odino fosse stato davvero in pensiero, avrebbe potuto benissimo mandarlo a chiamare, invece non l’aveva cercato in alcun modo. Loki leggeva in quella condotta la conferma del fatto che quello che importava davvero a suo padre era il prevedibile malumore che doveva aver colpito Thor dopo che Loki se n’era andato, lasciandolo con un palmo di naso.
«Padre,» disse Loki, forzando un sorriso, «non è nulla di importante. Sai come funziona… normali beghe tra fratelli».
Il volto di Odino parve corrugarsi, e Padre Tutto sembrò diventare più vecchio di qualche secolo, ma durò meno di un battito di ciglia. Loki tornò a scrutarlo, chiedendosi se si fosse ingannato, ma il volto di Odino era impassibile come sempre.
«D’accordo» disse Odino, esitante. «Eri venuto a parlarmi di qualcosa?»
Loki dimenticò l’espressione stranamente preoccupata del padre e sorrise.
«Non io, padre, ma Lord Reidar».
Il nobile chinò il capo di fronte all’espressione sorpresa di Odino.
«Mio signore. Ho assistito alla manifestazioni delle strabilianti abilità del principe Loki, ha delle capacità che non sono da tutti e che potrebbero rivelarsi molto utili se messe al servizio di Asgard». L’espressione di Odino si fece più grave, ma il Padre degli dei non interruppe Lord Reidar, che continuò: «Come ho già avuto modo di spiegare a vostro figlio, è necessario sviluppare una simile attitudine magica perché questa possa essere controllata e piegata dalla sua volontà, in modo da essere indirizzata verso fini utili per tutti. Si dà il caso che io conosca un posto che potrebbe offrire al principe Loki tutto ciò che gli occorre: è l’Istituto per gli studi magici di Durmstrang. Sicuramente lo conoscete».
Loki lanciò un’occhiata fugace a Lord Reidar. Era partito con il piede giusto, ma non poteva pretendere che il re di Asgard conoscesse ogni luogo su Midgard. Con sua sorpresa, però, Odino annuì brevemente.
Il nobile continuò:
«Ero sicuro che aveste conosciuto i Valorosi, i sette fondatori di Durmstrang. Sono certo che la scuola sarà più che idonea a insegnare al principe tutto ciò di cui avrà bisogno».
Odino aveva ascoltato ogni parola con attenzione e aveva iniziato a lisciarsi la folta barba sovrappensiero.  Loki non si era aspettato da lui una reazione diversa: tutto stava andando come programmato, ma non erano che alla prima fase del piano. La seconda sarebbe dovuta iniziare di lì a poco.
«Padre,» disse il principe, chinando appena il capo, «sono lieto di avere la tua attenzione, ma non ti chiedo di decidere adesso. Ti sarei grato se valutassi la proposta di Lord Reidar».
Con quelle parole, il principe si accomiatò e il nobile esitò un istante prima di imitarlo con studiata lentezza. Quando Loki giunse al portone della sala del trono, Lord Reidar era ancora indietro, ma non lo aspettò. Aveva programmato tutto: se suo padre si fosse trovato da solo con il nobile, forse avrebbe parlato liberamente. Quando Lord Reidar non attraversò i battenti di quercia della porta, Loki capì che era andata come previsto.

«Un momento, aspetta».
La voce di Odino risuonò nella sala del trono e rimbalzo sulla superficie lucente del pavimento decorato.
«Come desiderate, mio signore» rispose Lord Reidar, inchinandosi.
Padre Tutto sospirò e appoggiò la fronte al pugno chiuso, mentre l’altro braccio era mollemente poggiato sul bracciolo dello Hliðskjálf.
Il nobile forzò un colpetto di tosse nel tentativo di non dare a vedere che quel gesto di stanchezza del Padre degli dei non gli era sfuggito. Allora era come pensava, si disse tra sé. Avrebbe sorriso, se solo quel gesto non fosse stato traditore.
«Ritieni davvero che Durmstrang possa essere una buona opportunità per Loki?»
Lord Reidar si sforzò di mantenere il tono piatto quando rispose:
«Sì, mio signore, ne sono convinto. Il principe sembra entusiasta all’idea di cimentarsi in qualcosa di nuovo, e l’Istituto è davvero una straordinaria fonte di sapere che arricchirebbe chiunque».
«Questo lo immagino» convenne Odino. «Ma credi che possa essere una buona idea allontanare Loki da Asgard? Per mandarlo su Midgard, poi?»
Lord Reidar stese i palmi davanti a sé. Voleva risuonare franco, ma di certo non era sua intenzione mancare di rispetto al sovrano di Asgard.
«A differenza di suo fratello, il principe Loki sembra considerare Midgard il meno rilevante tra i nove mondi, e sappiamo invece quale importanza abbia per voi. Trascorrere qualche tempo nel mondo degli uomini potrebbe essere molto istruttivo per lui».
Odino sospirò nuovamente. Lord Reidar sapeva di avere un’altra carta da giocare, ma, a giudicare dall’espressione di Padre Tutto, forse non ce ne sarebbe neanche stato bisogno. La notizia dell’ennesima discussione tra Thor e Loki si era diffusa in lungo e in largo, e a nessuno era sfuggito che Odino e Frigga erano piuttosto preoccupati. Separare i due fratelli sarebbe stato come buttare acqua sul fuoco, e il Padre degli dei lo sapeva. Cosa meglio di qualche tempo trascorso lontani avrebbe potuto appianare le divergente tra Thor e Loki? Potenzialmente, i principi avrebbero anche potuto sentire l’uno la mancanza dell’altro.
«Sembra che non ci siano ostacoli a che Loki vada a Durmstrang…» osservò Odino, esitante.
Sembrava. Lord Reidar sapeva che un ostacolo in realtà c’era, ma, se fosse riuscito a tranquillizzare Padre Tutto, il vantaggio costituito dalla possibile riconciliazione tra i suoi figli avrebbe potuto appianarlo.
Il nobile tossì ancora.
«Mio signore, permettetemi di dire che posso capire il vostro turbamento e la vostra esitazione».
Odino sollevò le sopracciglia in segno di sorpresa, ma poi tornò alla sua consueta espressione. Del resto, non era un mistero per Padre Tutto che lui sapesse, si rincuorò Lord Reidar.  Odino sporse il busto verso il nobile e lo guardò fisso, come sperando di trasmettergli la serietà della sua preoccupazione.
«Sai che Durmstrang è legata a lui… I Valorosi sono le sue creature e, se sono stati loro a fondare l’Istituto, l’avranno fatto sicuramente su suo ordine».
Lord Reidar mosse un passo verso Odino e parlò con tono conciliante.
«Mio signore, è probabile. Ma oggi dei Valorosi non sono rimaste che le pietre della scuola che hanno fondato su Midgard. E poi, cosa ancora più importante, non c’è più traccia di lui. Se si fosse mosso dalla Fossa delle Marianne, voi l’avreste avvertito».
Le iridi di Odino baluginarono, Lord Reidar sapeva che non fosse felice di trovarsi in una situazione così scomoda. Era chiaro inoltre che il passato feriva Padre Tutto, e lui non l’avrebbe rivangato se non fosse stato necessario per chiarire tutti i punti.
Odino intrecciò le dita davanti a sé.
«È vero, non sento nulla. Chiederò comunque a Heimdall di controllare che sia tutto a posto. Solo a questa condizione, Loki potrà andare a Durmstrang».




NdA: anche se piuttosto in ritardo, dedico questo capitolo a 9Pepe4 per il suo compleanno!
Chi segue Studenti di Durmstrang (ciao, Charme <3) sa del mio dissidio interiore riguardo alla localizzazione dell'Istituto. Qui ho detto esplicitamente che si trova in Svezia, dato che mi serviva il collegamento con le divinità adorate da vichinghi e compagnia bella.
Ho sempre il sacro terrore di finire OOC trattando questi personaggi! Quando Loki discute con Thor, ho dovuto fare riferimento alla frase che pronuncia in The Avengers u.u
Finale di capitolo un po' misterioso, ma fondamentale ai fini della trama. Grazie a chinque legga questa storia ^^

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Capitolo 3
*** Mjolnir. ***


Dopo un vergognoso ritardo, eccomi qui. Chiedo venia e ne approfitto per una comunicazione di servizio: dato che questa dovrebbe essere una mini-long, vedrò di darmi una mossa a concluderla e di non far più passare un secolo tra un aggiornamento e l'altro!
Detto ciò, ripercorriamo brevemente ciò che è accaduto nelle puntate precedenti: Lokino ha scoperto di avere dei poteri magici ed è tutto contento perché, per una volta, ha la possibilità di differenziarsi da Thor, beniamino delle folle, e di risultare altrettanto degno di attenzione. Ma Odino e Frigga non la pensano esattamente così. Lord Reidar, un tipo ambiguo, riferisce al nostro principe dell'esistenza su Midgard di Durmstrang, un istituto fondato dai sette Valorosi in cui i giovani rampolli apprendono la magia. Inizialmente Loki schifa l'idea di andare su Midgard, poi però, in seguito a una lite con il fratello, si rende conto che è l'unica strada che può sperare di condurlo a quella grandezza che lo porterà finalmente ad essere un pari di Thor. Il nostro dio del caos in erba organizza un colloquio tra Odino e Lord Reidar affiché quest'ultimo convinca Padre tutto a mandare Lokino a Durmstrang. Odino è perplesso, soprattutto a causa di un misterioso personaggio legato alla fodazione dell'Istituto, ma Lord Reidar sembra averlo convinto a superare i suoi dubbi. Cosa starà facendo Loki nel frattempo? Lo scoprirete con questo capitolo ^^



Capitolo 3:

Subito dopo il colloquio con il padre, Loki era tornato nelle sue stanze e si era gettato a peso morto sul letto. Dalla coltre soffice delle coperte, riusciva a vedere i tendaggi blu notte del suo baldacchino che sembravano formare un cielo trapuntato di stelle. Tante volte da bambini lui e Thor si erano sdraiati su quello stesso materasso per osservare quelle medesime cortine che tanto stimolavano la loro fantasia. In quelle occasioni immaginavano spesso di essere grandi eroi che percorrevano il Bifrost per andare da un’avventura all’altra.
Loki schiaffò con stizza un palmo della mano contro il cuscino. Non avrebbe dovuto perdersi in quei ricordi, né pensare in alcun modo a suo fratello. Tutto ciò che contava al momento era capire se Lord Reidar fosse riuscito a convincere padre a mandarlo a Durmstrang. Ottenuto questo, la via della grandezza si sarebbe aperta davanti ai suoi piedi, ne era sicuro. La conoscenza appresa all’Istituto midgardiano sarebbe stata il Bifrost che l’avrebbe condotto da un’impresa gloriosa all’altra, e allora nessuno avrebbe più pensato che Thor era migliore di lui.
Loki si drizzò a sedere e prese a massaggiarsi il mento mentre rifletteva in questo modo. Ogni ora che passava da quando Lord Reidar gli aveva parlato per la prima volta di quell’Istituto, il principe realizzava sempre di più le potenzialità di quella scelta di vita. Era sicuro che fosse l’ideale per lui, ma c’era ancora un piccolo tarlo che gli rodeva il cervello. Una volta giunto a Durmstrang, avrebbe appreso tutti i segreti delle arti magiche, dei quali avrebbe potuto fare bella mostra tornato ad Asgard. Ma cosa ne sarebbe stato di Thor?
Roteando gli occhi, Loki si rispose che anche il fratello sarebbe andato avanti lungo la sua strada, una strada che l’avrebbe portato sul trono del regno. Tutti lo consideravano cosa certa, anche se nessuno lo diceva ad alta voce.
E se…, iniziò a riflettere il principe. No, sarebbe stato troppo sperarlo. O forse no?
Loki avvertì una curiosa sensazione stringergli la bocca dello stomaco e si rese conto che non poteva più restare seduto. Saltò giù dal letto e si avviò verso la porta di legno lucido della sua stanza. Quando le sue dita raggiunsero la maniglia dorata, il principe avvertì un formicolio percorrergli il braccio.
Una volta nel corridoio di marmo, Loki iniziò a camminare con cautela, tendendo l’orecchio. L’ultima cosa che desiderava era imbattersi in qualche servitore o, peggio, proprio in suo fratello, e assistere impotente all’interruzione del filo dei suoi pensieri. Dopo qualche tempo trascorso a inoltrarsi nel palazzo però, gettò al vento ogni accortezza, animato com’era dalle sue riflessioni.
Più ci pensava, e più l’idea gli sembrava meno balzana. Del resto, perché non poteva accadere ciò che stava immaginando? La sua scelta di andare a Durmstrang avrebbe potuto cambiare più di una vita.
Sul viso affilato di Loki apparve un sorriso e lui continuò a camminare con frenesia crescente. Inizialmente seguì un percorso vago: la sua mente era impegnata in riflessioni molto lontane dai suoi piedi. Poi però il suo inconscio l’aveva condotto in un posto che aveva visitato molte volte in segreto.
Loki si arrestò davanti alla porta della Sala dei Tesori e avvertì un brivido corrergli lungo la colonna dorsale. Piegò un po’ il capo di lato e socchiuse gli occhi di fronte alle liste di metallo brunito che si intersecavano a formare una griglia massiccia, poi inspirò e spinse via la porta, che si aprì senza un cigolio.
L’interno della Sala dei Tesori sarebbe stato totalmente buio se non fosse stato per le torce appese alle pareti che gettavano bagliori dorati sugli oggetti esposti in quel luogo. Loki fece scorrere lo sguardo sulle diverse armature che suo padre Odino aveva indossato nelle più cruente battaglie consacrate alla storia, per poi passare alle lame lucenti delle spade e delle alabarde posizionate sugli appositi sostegni. Erano così ben tenute, nonostante non venissero adoperate da tempo, che bastava posare lo sguardo sul filo delle loro lame per avvertire la sensazione di essersi tagliati.
Per qualche istante ancora, Loki lasciò vagare il suo sguardo nella stanza, assaporando il silenzio e la penombra accogliente del luogo, poi si concentrò sull’unico oggetto che gli interessava veramente e che si trovava su un alto sostegno al centro della sala. I suoi occhi seguirono con attenzione il corto manico ricoperto di pelle intrecciata e i profili della sua superficie granitica. Mjolnir irradiava intorno a sé un bagliore che nulla aveva a che vedere con il riflesso delle torce appese alle pareti.
Come ogni volta che si recava di nascosto in quella sala per studiarlo, Loki trattenne il fiato. Fin da bambino aveva voluto prenderlo in mano almeno una volta, poi, crescendo, era passato a desiderare di possederlo e usarlo. Mjolnir era stato benedetto dalla magia di suo padre, essere in grado di adoperarlo avrebbe significato essere alla sua altezza. Ma con il passare degli anni era stato sempre più chiaro che Mjolnir non sarebbe stato suo, e Loki si era quasi rassegnato a quell’idea. Poi il giovane aveva scoperto di possedere dei poteri magici, forse ciò l’avrebbe reso degno del potere del martello. Magari al momento non era pronto, ma Durmstrang l’avrebbe preparato e fortificato. Sarebbe stata una forza ben diversa da quella di Thor, ma forse altrettanto utile. Loki aveva capito quasi subito che l’Istituto per gli studi magici l’avrebbe aiutato tanto da fargli acquistare maggiore valore agli occhi di suo padre, di Asgard tutta, ma forse avrebbe potuto fare di più, renderlo degno di Mjolnir. Nel formulare quel pensiero, il principe quasi soffocò per l’emozione.
Quando Loki si riscosse dalla contemplazione del martello, si rese conto che la luce che filtrava dallo spiraglio della porta accostata era diventata sempre più fioca: doveva aver passato molto tempo nella Sala dei Tesori. Avrebbe fatto bene ad affrettarsi fuori da lì, sarebbe stato punito se fosse stato ritrovato in quella stanza proibita. Loki si gettò un’ulteriore occhiata alle spalle, ma non riusciva a muoversi. Si voltò nuovamente verso Mjolnir e trattenne il fiato, tendendo le dita verso la sua impugnatura.
Potenzialmente, passarono settimane, mesi, anni finché la sua mano, muovendosi nello spazio come se fluttuasse, raggiunse il martello, poi Loki esitò ancora. Non ci aveva mai provato prima, cosa sarebbe accaduto se l’avesse toccato?
Il principe avvertì un rumore fuori dalla sala, sufficientemente lontano da non destare preoccupazioni, ma si rese comunque conto che non poteva indugiare ulteriormente. Ora o mai più.
Di tutto ciò che Loki si sarebbe aspettato, quando le sue dita si strinsero intorno all’impugnatura del martello non accadde un bel nulla. Un filino deluso, provò a sollevarlo, ma l’arma non si mosse di un millimetro. Anche un secondo, un terzo, finanche un quarto tentativo si rivelarono totalmente inutili, e allora Loki desistette. Il suo fallimento però non voleva dire nulla, si consolò; una volta tornato da Durmstrang sarebbe stato probabilmente in grado di sollevare il martello, magari con un incantesimo.
Quel pensiero aveva appena iniziato a rinfrancarlo, quando una voce riecheggiò nella Sala dei Tesori, e il sangue nelle vene del principe ghiacciò istantaneamente. La voce parlò ancora:
«Che ci fai qui?»
Non c’era rimprovero nel tono usato per pronunciare quelle parole, ma ilarità. Nonostante ciò, quella non era una bella notizia, pensò Loki socchiudendo gli occhi. Si era trattato infatti della voce di suo fratello.
«Allora? Non lo sai che ci è proibito entrare qui?» domandò ancora Thor, avanzando verso l’altro.
«Anche tu hai trasgredito questo ordine» ribatté Loki, tentando inutilmente di incrociare le braccia sul petto. Non voleva darlo a vedere, ma era nervoso, ed era anche convinto che il fratello maggiore l’avesse percepito. Loki era quasi sicuro che Thor l’avesse visto con le dita sul manico di Mjolnir.
«Questo è vero» rispose il biondo con lo stesso tono ironico. Aveva puntato le braccia sui fianchi, e non la smetteva di scrutare l’altro. Loki attese che continuasse, ma rimase deluso. Quando non ne poté più, sbuffò:
«Andiamocene prima che qualcuno ci veda».
Per tutta risposta, Thor si avvicinò a una delle armature di Odino e percorse le protezioni metalliche delle spalle con i polpastrelli.
«E allora?» domandò con tono casuale. «Ciò non costituiva un problema per te, fintantoché giocherellavi con Mjolnir».
Loki strinse le labbra, sentendosi avvampare. Superato quel primo istante di bruciante vergogna, si avviò con decisione verso la porta.
«Andiamocene, dai» ripeté, ma, prima che potesse guadagnare l’uscita, Thor gli fu davanti, sbarrandogli la strada.
«Non così in fretta, fratellino».
Il biondo gli rivolgeva un sorriso aperto e canzonatorio e Loki si sentì ribollire. Thor era stato così rapido che non l’aveva fatto allontanare dal sostegno del martello che di pochi passi.
«Lasciami passare» sibilò, abbassando il capo e rivolgendo all’altro uno sguardo truce. Il fratello non sembrò minimamente scomporsi a quella vista.
«Dimmi che cosa avevi in mente di fare con questo martello» insistette Thor, accennando con la testa all’arma. Era evidente che per lui fosse tutto un gioco; forse ignorava il disagio di Loki o, con molta più probabilità, si divertiva a provocarlo.
«Voglio andarmene da qui, fatti da parte!»
Thor rise e gli mise una mano sulla spalla con fare cameratesco.
«Fratello, sei il massimo. Ogni volta che proponevo qualche scampagnata fuori dal palazzo insieme a Sif, Hogun, Fandral e Volstagg, tu eri sempre quello che poneva maggiori resistenze. E poi dici che non ti coinvolgiamo mai… Sei tu invece che hai paura che padre ci scopra!»
Livido in viso, Loki scostò la mano del fratello e sgusciò via, aggirandolo. Ora lui volgeva le spalle all’uscita, mentre Thor le volgeva al sostegno di Mjolnir. Il minore dei figli di Odino non aveva dimenticato l’ultima lite con il fratello, non aveva fatto nulla per riconciliarsi con lui, ma certo avrebbe evitato di ritrovarsi in una situazione del genere. Thor si prendeva gioco di lui, lo aveva sempre fatto, e nelle orecchie di Loki risuonavano le risate degli Asgardiani come se questi avessero potuto assistere alla scena che si stava consumando nella Sala dei Tesori.
«Mi hai stancato» soffiò con astio Loki.
Thor lo osservava con occhi ironici.
«Sì? Che cosa vuoi fare?»
Loki lo sapeva bene: zittirlo una volta per tutte. Prima che potesse accorgersene, una delle spade si era sollevata dal sostegno e, fluttuando a mezz’aria, lo aveva raggiunto. Resosene conto, Loki ne fu molto sorpreso: era frutto di magia? L’espressione esterrefatta di Thor era qualcosa di a dir poco esilarante. Questa volta fu il minore dei principi a sorridere quando impugnò la spada. Non aveva intenzioni serie, voleva solo divertirsi un po’ alle spese di suo fratello, ripagandolo con la sua stessa moneta.
Thor aveva cambiato espressione: il suo volto era corrugato in un’espressione seria e attenta.
«Visto cosa so fare?» cinguettò il bruno.
Sollevò la spada sulla sua testa e la calò contro il fratello, con l’intenzione di bloccarla a pochi centimetri dalla sua spalla, come aveva imparato nei suoi numerosi, seppur poco proficui, allenamenti. In effetti la lama si fermò, ma a una distanza maggiore di quella prevista, e soprattutto indipendentemente dalla volontà di Loki. Fu la volta del giovane di sgranare gli occhi e spalancare la bocca. Una sensazione di sbigottimento mista a terrore si era impadronita di lui, paralizzando ogni suo muscolo.
Tutto era avvenuto con una rapidità tale da dissolvere i vari movimenti in sequenza in un unico vortice di luce sfavillante. Ma non c’erano dubbi: Thor aveva impugnato Mjolnir, l’aveva sollevato senza alcuna difficoltà e l’aveva usato per contrastare la lama tra le mani di Loki, che era andata in pezzi. Quest’ultimo si era schermato gli occhi per proteggerli dalla fulgida luce emanata dal martello, e osservava la spada che stringeva come aspettandosi di vederla ricomporsi da un momento all’altro.
Un rumore di passi affrettati echeggiò nel corridoio fuori dalla Sala dei Tesori, contemporaneamente Mjolnir smise di brillare, come una stella che moriva, e precipitò a terra, colpendo il marmo del pavimento con fragore terribile e trascinando Thor dietro di sé. I due principi si voltarono contemporaneamente verso la porta della sala, ora spalancata. Sulla soglia si trovava la figura ritta e accigliata del Padre degli dei. Accanto a lui, preceduta da un altro scalpiccio di piedi sul freddo pavimento, era comparsa Frigga.
«Padre! Madre!» esclamarono i due fratelli, all’unisono. Subito dopo, Thor sembrava essersi accorto di essere ancora appeso a Mjolnir, così ne aveva lasciato andare l’impugnatura.
«Che è successo?» domandò Frigga, sollevando le sopracciglia e protendendo una mano verso i figli. Per tutta risposta, questi incassarono le teste tra le spalle.
Odino li osservava con un cipiglio che avrebbe fatto impallidire Borr stesso e Loki si ritrasse ulteriormente, scottato dal suo sguardo incandescente. Il suo volto era così adirato che si sarebbe aspettato di vederlo esplodere. Al contrario, Padre tutto sollevò un braccio, indicando un punto imprecisato lungo il corridoio, e i suoi figli capirono che era il caso di darsela a gambe e alla svelta. Rapidamente uscirono dalla Sala dei Tesori, accompagnati da uno sguardo addolorato di Frigga.
 
Erano trascorsi tre giorni dall’accaduto, e Loki non aveva praticamente messo piede fuori dalle sue stanze. I servitori gli avevano portato il cibo all’ora dei pasti e ogni mattina gli avevano fatto trovare abiti puliti e spazzolati, inoltre lui e Thor erano stati dispensati dalle lezioni del precettore, ma non dai compiti che gli erano stati comunque assegnati.
Loki si trovava seduto alla sua scrivania con gli occhi su un testo in runico, senza riuscire a vederne davvero le parole. Non riusciva a smettere di pensare all’espressione con cui suo padre l’aveva fulminato. Si sentì ribollire d’ira: era stato tante volte nella Sala dei Tesori, nonostante l’ingresso fosse loro precluso, ed era stato scoperto solo quando quell’impiccione di suo fratello aveva deciso di immischiarsi. C’era qualcos’altro che agitava le interiora di Loki: Thor era riuscito ad impugnare Mjolnir. Appena Odino se ne era accorto, aveva bloccato il potere del martello, questo era vero, ma non era bastato a cancellare la realtà dei fatti che lui stesso aveva visto con i suoi occhi pochi istanti prima. I pensieri che Loki aveva formulato mentre si dirigeva nella Sala dei Tesori erano stati così dolci e rinvigorenti, invece erano stati smentiti dall’intervento – ancora una volta inopportuno – di Thor. Ma gliel’avrebbe fatta vedere, si disse il principe. Tutto dipendeva da quanto padre fosse arrabbiato con lui e se gli avrebbe accordato il permesso di andare su Midgard.
 
Un bussare lieve alla porta costrinse Loki ad allontanarsi dalla finestra alla quale era affacciato. Senza aspettare la sua risposta, Frigga entrò nella stanza, l’attraversò, ritta come un fuso, e andò a sedersi sul divano di legno con la seduta e lo schienale imbottiti. A un cenno della madre, Loki andò a prendere posto accanto a lei e chinò il capo. Di là dai sentimenti che nutriva per il fratello, era mortificato perché la Signora degli dei l’aveva colto nell’atto di disobbedire a un chiaro ordine del padre.
«Tuo padre ti aspetta nella Sala del Trono» gli riferì laconicamente Frigga.
Loki chinò ulteriormente la testa, dicendosi che il momento che tanto aveva temuto era effettivamente giunto. Avrebbe voluto chiedere alla madre se Padre tutto fosse davvero così arrabbiato, che cosa gli avrebbe detto, se l’avesse chiamato per sgridarlo, ma si rendeva perfettamente conto dell’inutilità di quelle domande. Non solo conosceva già la risposta, ma non sarebbero servite nemmeno a confortarlo e a calmare i suoi nervi.
Loki scrutò il profilo della madre, tentando di leggervi i suoi pensieri, ma non vi riuscì: l’espressione di Frigga non lo permetteva. Non era severa, né indulgente: era semplicemente impenetrabile. Né il principe si sentì abbastanza ardimentoso da chiederle se fosse rimasta delusa dal suo comportamento, probabilmente non avrebbe sopportato la risposta. Così si limitò ad allontanarsi dal divano e a uscire nel corridoio.
Man mano che si incamminava verso la Sala del Trono, cercava di figurarsi le parole che Odino gli avrebbe rivolto, nel tentativo di prepararsi. Quando la sua mano fu sulla maniglia però si rese conto che nessuna previsione lo avrebbe salvato.
Odino sedeva sullo Hliðskjálf, la schiena dritta, l’occhio vigile.
«Padre, mi avete fatto chiamare?» domandò Loki con voce flebile. Odino annuì.
«Esatto. In questi giorni ho pensato a molte cose».
«A che cosa, padre?» balbettò il giovane bruno.
Odino gli rivolse un’occhiata intensa, poi continuò:
«Al tuo modo di comportarti, alle conseguenze ascrivibili alle tue azioni, al rapporto tra te e Thor e al grande bisogno che hai di imparare una lezione».
Man mano che il Padre degli dei scandiva le parole, Loki si faceva sempre più piccolo. Non osò aprire bocca, convinto che, qualsiasi cosa avesse voluto dire, la voce gli sarebbe uscita ridicolmente flebile.
«Ho ripensato anche alle tue parole e a quelle di Lord Reidar. Ti ho fatto convocare qui per riferirti la mia decisione ultima: andrai su Midgard, ti istruirai nell’Istituto per gli Studi Magici di Durmstrang. Tornerai ad Asgard solo una volta terminato il tuo percorso di studi».
Loki sbatté più volte le palpebre per contrastare l’impulso di scavarsi nelle orecchie per accertarsi di aver sentito bene. Non solo il padre non lo puniva, ma accettava anche la sua richiesta di andare a Durmstrang. Non aveva più ostacoli davanti a sé, il Bifrost che l’avrebbe portato verso nuovi mondi, materiali o metaforici, era pronto ad accogliere il suo passaggio. Loki aveva finalmente ottenuto ciò che desiderava, anche se ciò era avvenuto in un modo che aveva esulato totalmente dal suo controllo. Cos’era allora quella sensazione di magone che gli chiudeva la bocca dello stomaco?





NdA: Niente note particolari a questo giro. Un grazie grande quanto Yggdrasill a tutte le anime pie che, nonostante il profondo ritardo, sono arrivate a leggere anche questo capitolo (e spero che leggeranno anche i prossimi)!

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Capitolo 4
*** Immagine divina. ***


Capitolo 4:

«Principe Loki, è ora».
Il minore dei figli di Odino sollevò la testa e riconobbe Fulla, una delle ancelle di sua madre, nella donna che, comparsa sulla soglia della sua stanza, aveva appena parlato. Senza attendere una risposta, questa abbassò il capo con aria compassata e svanì nuovamente nel corridoio.
Loki espirò: il momento tanto atteso era giunto. Prima di raggiungere i genitori, il principe si dedicò a contemplare ancora una volta la sua stanza. Il suo sguardo percorse la superficie lucida di un grande tavolo intagliato, sul quale erano spiegate odorose pergamene recanti la grafia del suo precettore, il marmo pregiato del pavimento, gli scranni e il divanetto imbottito. Alzatosi in piedi, Loki continuò la sua esplorazione visiva, attraversando la cornice dorata di un’altra porta e recandosi nella sua stanza da letto. Lì osservò le colonne tortili del baldacchino del letto, le cortine blu che tanto avevano solleticato la sua fantasia, gli arazzi raffiguranti scene di caccia appesi alle parenti. L’apertura a sesto acuto di una finestra si allungava quasi fino al soffitto per aprirsi sul glorioso regno di Asgard, baciato dal sole del mattino.
Loki strinse le labbra, domandandosi quando avrebbe potuto godere nuovamente di quella vista. Padre aveva detto che sarebbe rimasto su Midgard per tutta la durata del periodo d’istruzione a Durmstrang, valeva a dire per tre anni. Loki non era mai stato tanto a lungo via dal palazzo reale. D’altra parte però non l’aveva mai trovato insopportabilmente soffocante come allora, e quella su Midgard era diventata una prospettiva di fuga sempre più allettante.
Il principe lanciò un’ultima occhiata fuori dalla finestra, dopodiché afferrò il mantello verde bottiglia che, una volta spazzolato e ripiegato, una serva gli aveva depositato sul letto, e lo indossò, fermandolo sotto la gola con due alamari argentati. Così abbigliato, Loki uscì dalle sue stanze e raggiunse quelle della madre.
Lì regnavano sempre il dolce odore degli unguenti usati da Frigga, misto a quello pungente dei mazzi di caglio zolfino infilati accuratamente in alcuni vasi. Loki aveva visitato quelle stanze sempre con piacere dal momento che in esse erano racchiusi alcuni dei ricordi della sua infanzia a cui era più legato.
«Figlio mio, eccoti qui» lo accolse Frigga, allargando le braccia e andandogli incontro.
«Sono pronto ad andare, madre» disse il giovane, abbassando un poco la testa.
Frigga rimase in piedi a pochi passi da lui, l’unico cambiamento nella sua figura fu l’aver premuto le mani contro il petto, apparentemente incapace di decidere cosa fare. Quando Loki fece per avviarsi verso la Sala del Trono, dove sapeva che suo padre lo stava aspettando, la dea lo trattenne delicatamente per un braccio e lo strinse a sé. Nell’attimo in cui i suoi capelli morbidi e profumati gli sfiorarono le guance, il principe sentì venire parzialmente meno la sua determinazione a lasciare gli Asi e Asgard.
«Andiamo, mio caro» gli disse Frigga. «Tuo padre ci aspetta».
Madre e figlio si avviarono così lungo il corridoio, camminando silenziosamente, finché non raggiunsero la Sala del Trono. Odino non occupava il seggio di Hliðskjálf, ma camminava senza meta ai suoi piedi. Accortosi dell’ingresso di Frigga e Loki, andò loro incontro. Fece un cenno in direzione della moglie, dopodiché la dea posò la mano sulla spalla del figlio, per poi voltargli le spalle e uscire dalla sala.
Quando Loki tornò a concentrarsi su suo padre, ebbe la sensazione che l’iride luminosa e implacabile del dio lo stesse esaminando fin nei suoi più reconditi pensieri.
«Bene, è giunto il momento che tu vada» sentenziò Odino. Sbatté la palpebra e Loki si riscoprì a sospirare di sollievo. «Sarà Lord Reidar, che tanto ha preso a cuore la tua istruzione, ad accompagnarti a Durmstrang».
Loki annuì: non avrebbe potuto desiderare compagno di viaggio migliore.
«Devo farti una raccomandazione» proseguì Odino, guardandolo con intensità. «Qualunque cosa accada su Midgard, nessuno deve conoscere le tue origini. Dovrai far credere di essere un midgardiano come tutti gli altri, mi sono spiegato?»
Il principe assentì ancora una volta, anche se un po’ indispettito. Nel fantasticare su ciò che l’avrebbe atteso a Durmstrang, aveva spesso immaginato l’adorazione che i suoi compagni avrebbero avuto per lui nel sapere che faceva parte di quel pantheon di divinità che adoravano e a beneficio delle quali facevano sacrifici. D’altra parte però, Loki si era aspettato che il padre lo precettasse in quel modo, perciò non si oppose.
«Sì, padre, obbedirò» rispose così il principe.
Odino lo scrutò attentamente ancora una volta, dopodiché parve convincersi della sua buona fede.
«Quand’è così, puoi andare. Cerca di fare tesoro di questa esperienza».
Loki e Odino si salutarono, poi Padre Tutto domandò se avesse avuto modo di accomiatarsi dalla madre e Loki rispose positivamente.
«Hai salutato anche tuo fratello Thor?»
Loki strinse le labbra e tentò in tutti i modi di dominarsi per evitare di far affiorare sul suo volto il senso di vergogna, rabbia, invidia e odio che lo assaliva ogni volta che pensava all’episodio con Mijolnir nella Sala dei Tesori.
«Sì, padre» mentì infine.
L’alto e imponente Heimdall stava ritto sul Ponte del Bifrost, le mani giunte intorno all’impugnatura della sua spada, il lungo mantello che, scosso dalla brezza del mattino, si arricciava intorno alle sue gambe, lo sguardo concentrato su qualcosa di talmente lontano che Loki non riusciva neanche a immaginare cosa fosse.
«Buon viaggio, principe Loki» disse il dio quando il giovane e Lord Reidar gli furono accanto. Detto ciò, sollevò la spada e, quando la riabbassò, da essa si sprigionarono lampi di luce accecanti. Loki si schermò gli occhi con una mano e intravide l’enorme cupola dorata che li racchiudeva muoversi sempre più vorticosamente. Contemporaneamente, anche il ritmo delle pulsazioni del principe si intensificava.
«Veglierò su di voi durante il vostro soggiorno su Midgard» disse ancora il Guardiano.
Nonostante la voce fosse risuonata profonda e piatta come al solito, Loki lesse nelle sue parole una volontà di confortarlo in qualche modo.
Ora la cupola dorata ruotava così in fretta che il principe non riusciva a distinguere nulla di ciò che aveva davanti a sé. Quando anche il rumore giunse all’apice, Loki avvertì una pressione enorme sul suo corpo e capì che il suo viaggio era finalmente iniziato.
Una volta atterrato, Loki ebbe qualche difficoltà a mettere a fuoco ciò che aveva davanti, e soprattutto a rendersi conto che si trattava di un mondo lontano e diverso da quello che era abituato a conoscere. Accanto a lui, Lord Reidar scosse il mantello e si strinse nel collo di pelliccia. Loki lo imitò, nel tentativo di contrastare il vento tagliente che stava spazzando il promontorio su cui si trovavano. Inspirò profondamente e l’odore di pino delle foreste resinose e di acqua salmastra gli si insinuò piacevolmente nelle narici. Davanti a lui si stagliava un prato sconfinato di erba quasi totalmente bruciata dal freddo, alle sue spalle si trovava il muro di conifere che sprigionava quell’odore intenso.
«Benvenuto su Midgard» esclamò allegramente Lord Reidar, dopodiché si mise in cammino. «L’Istituto non è così vicino, ci toccherà camminare un po’».
Loki lo imitò, tutto sommato non gli dispiaceva percorrere quello scenario dall’aspetto freddo e inospitale, nel quale tuttavia lui si trovava piuttosto a suo agio. Odiò ammetterlo – e fortunatamente non dovette farlo ad alta voce –, ma Midgard non era così orribile come aveva sempre pensato.
«Dimmi qualcosa in più su questo Istituto» lo esortò Loki.
Lord Reidar sorrise, come se al mondo niente lo divertisse di più di una bella scarpinata, poi iniziò a parlare.
«È stato fondato, non troppo tempo fa, dai Valorosi. I loro nomi sono Kuurth, Nul, Skim, Nerkodd, Mokk, Angrir e Greithoth. Si tratta di guerrieri benedetti da una magia molto potente. Simile alla vostra, in effetti».
Il nobile lanciò al principe un’occhiata sbilenca per controllare l’effetto che le sue parole avevano avuto su di lui, e non si meravigliò di vedere il volto di Loki illuminarsi improvvisamente.
«Sono divinità?» domandò il giovane, la cui curiosità era stata ormai stuzzicata.
«Non esattamente» rispose Lord Reidar, ridendo sommessamente. «Ma hanno avuto dei contatti con gli Asi, questo sì».
Loki sgranò ancora di più gli occhi, il nobile continuò:
«I Valorosi erano consapevoli della grandiosità dei loro poteri, così decisero di costruire un Istituto per trasmetterli ai midgardiani che avrebbero potuto accoglierli e apprenderli. Vedete, principe, non tutti su Midgard sono banali come si può pensare. Alcune persone sono speciali, nascono con un potere che scorre loro nelle vene e che si manifesta sin dalla più tenera età. È un potere a volte grande, a volte piccolo, ma che, se incontrollato, è inutile, se non addirittura pericoloso. I midgadiani hanno già di per sé la tendenza ad ammazzarsi tra di loro per liti futili, immaginate cosa sarebbero in grado di fare con la magia». Lord Reidar rise ancora, Loki non si unì a lui solo perché era troppo concentrato su ciò che gli stava raccontando. «Come vi dicevo, la magia che scorre in qualche Midgardiano gli dà un potere che lo eleva sugli altri, anche se non lo rende neanche lontanamente simile a un dio».
Loki strinse le labbra, fremente. Immaginava cosa avrebbe potuto fare lui che aveva i poteri magici ed era una divinità.
«Hai detto che gli studi durano tre anni… Cosa insegnano a Durmstrang?»
«Gli insegnanti e i precettori guidano gli allievi attraverso i segreti della magia, aiutandoli a comprenderli e a padroneggiare i loro poteri. Ognuno è esperto di una particolare branca della magia o disciplina, ma per i dettagli sull’organizzazione di Durmstrang, apprenderete tutto una volta che saremo arrivati lì».
«Saranno i Valorosi a farmi lezione?» domandò ancora Loki, che non riusciva a tenere a freno la lingua tanta era la voglia di scoprire il più possibile prima di giungere a destinazione. L’idea che fossero quei guerrieri straordinari a insegnargli tutto lo elettrizzava.
«No, principe. I Valorosi hanno lasciato la scuola dopo averla fondata e predisposto tutto ciò che era necessario. Vedete, la magia è in perenne evoluzione e non si smette mai di imparare; questo vale anche per maghi dagli straordinari poteri come i fondatori di Durmstrang. Probabilmente hanno deciso di esplorare nuovi mondi e accrescere ancora di più la loro conoscenza».
A Loki quella spiegazione sembrò ragionevole, anche se non riusciva a non provare una punta di delusione all’idea che sarebbero stati altri, sicuramente meno importanti dei Valorosi, a insegnargli ciò che avrebbe dovuto apprendere. Lord Reidar dovette aver interpretato correttamente la sua espressione, perché gli assicurò che i precettori di Durmstrang erano maghi e streghe estremamente dotati, scelti dai fondatori in persona. Animato un poco da quella notizia, Loki macinò alacremente il resto del percorso che li attendeva.
Oltre un varco tra due montagne così alte che le loro cime bianche e grigie per il ghiaccio perenne sembravano sfidare il cielo, Lord Reidar condusse il principe verso una distesa d’erba più verde di quella che aveva visto fino a quel momento. Sulla loro destra riluceva sotto i raggi del pallido sole la superficie quasi nera di un lago, sulla sinistra si trovava una foresta intricata e impenetrabile. Davanti a loro sorgeva un castello di pietra bigia che, a giudicare dalle fila delle finestre, doveva avere quattro piani. Avanzando verso di esso, Loki poté osservarne meglio i dettagli. A ogni angolo all’altezza delle finestre si trovava una scultura in pietra raffigurante un drago dalle fauci spalancate, le aperture erano circondate da una cornice di pietre più levigate e l’enorme portone di legno era frammentato dalla presenza di fila di borchie in ferro battuto. Queste erano le uniche decorazioni del castello di Durmstrang.
«Bene, giovane principe» disse Lord Reidar, fermandosi improvvisamente. «Eccoci arrivati. Il portone si aprirà al vostro passaggio senza che dobbiate chiamare nessuno, troverete ad accogliervi qualche insegnante e probabilmente diversi dei vostri compagni di studi. Godetevi questa esperienza e dichiarate il vostro nome quando tornerete ad Asgard: sono sicuro che tre anni di studio qui vi trasformeranno tanto da rendervi irriconoscibile».
Le pupille di Lord Reidar baluginarono per un attimo e Loki dedusse che si stava riferendo alle nuove abilità che avrebbe appreso nell’Istituto. Si accomiatò dal nobile, dopodiché avanzò con decisione verso il portone del castello. Come anticipato da Lord Reidar, questo si aprì al suo passaggio senza un cigolio.
La Sala Principale di Durmstrang era un ambiente molto vasto, dal pavimento costituito da larghe lastre di pietra e dotato di tre gradini in fondo che conducevano a una zona rialzata sulla quale era stato posto un lungo tavolo di legno, circondato da scranni. Il resto dell’ambiente era totalmente spoglio e piuttosto desolato, specialmente se confrontato alle sale splendenti del palazzo asgardiano.
Loki aveva appena varcato il portone del castello, quando un uomo e due donne di mezz’età gli andarono incontro. Tutti e tre indossavano lunghe vesti ricamate, quelle delle donne erano anche bordate di pelliccia.
«Ecco il nostro ultimo allievo»lo accolse il mago, con un ampio gesto delle braccia. Aveva il volto parzialmente coperto da una lunga barba fulva, striata in alcuni punti di grigio, dietro alla quale rilucevano due piccoli occhi azzurri. «Eravamo stati avvisati del tuo ritardo a causa del lungo viaggio. Bene, quel che conta è che adesso tu sia qui. Come ti chiami, giovanotto?»
Loki impiegò qualche istante per riprendersi dall’inusuale esperienza di essere apostrofato in modo tanto informale. Superato quell’attimo di fastidiosa sorpresa, il suo cervello iniziò immediatamente a lavorare sulla risposta da fornire. Aveva promesso a padre che non avrebbe rivelato la sua vera identità, ma non avevano concordato il nome che avrebbe dovuto fornire.
Una delle donne che accompagnava il mago, dai folti capelli biondi pettinati in due trecce arrotolate sulle tempie, si chinò per suggerire all’uomo la risposta.
«Oh, certo! Leif Gòdanson, vieni pure avanti».
Man mano che il mago parlava, il lungo tavolo all’estremità della Sala Principale si era riempito di maghi e streghe pieni di sussiego e ben vestiti.
L’uomo che per primo aveva accolto Loki, lo spinse delicatamente verso il tavolo. Il principe avrebbe ritenuto quel trattamento a dir poco sacrilego, se non fosse stato così impegnato a cercare di mandare a memoria il nome che avrebbe dovuto usare da quel momento in poi.
«Vieni con me, Leif»disse il mago dalla barba fulva. «Io sono Dag Dyrkason e sarò il tuo insegnante di Religione. Questi qui»continuò, indicando i suoi colleghi seduti al tavolo, «ti guideranno nello studio delle Rune, della Storia della Magia, degli Incantesimi, della Trasfigurazione, dell’Erbologia, delle Pozioni, dell’Astronomia, dell’Aritmanzia, della Divinazione, della Cura delle Creature Magiche e delle Arti Oscure».
Uno dopo l’altro, i maghi e le streghe rivolsero a Loki un educato cenno della testa. Al termine delle presentazioni, i piatti argentati davanti a loro si riempirono all’istante di ogni tipo di leccornia: c’erano arrosti, pesce, patate e dolci preparati nel modo più prelibato. Alla vista di tutto quel cibo, lo stomaco di Loki brontolò sonoramente.
«Vedo che sei affamano, Leif! Gli altri tuoi compagni saranno già a tavola, raggiungili». Loki ruotò il capo, chiedendosi dove fossero i ragazzi. I soli presenti nella Sala Principale erano gli insegnanti. «Oh, sono in cucina»rise Dyrkason, tenendosi la pancia. «Va’ da loro, su».
Loki ascoltò le indicazioni per raggiungere la meta designata, dopodiché uscì dalla Sala Principale fremendo di indignazione. Lui, un dio figlio di Odino, avrebbe dovuto mangiare in cucina? Che razza di abitudine folle era mai quella? Intanto aveva promesso a suo padre di non rivelare nulla di inopportuno, così si morse la lingua e continuò a camminare. Attraversò lunghi corridoi di pietra, freddi come la Sala Principale, e gallerie sormontate da volte a crociera, quando giunse a una porta di legno dalla quale proveniva un animato chiacchiericcio. Loki fece in suo ingresso in uno stanzone dall’aspetto decisamente meno austero e compassato degli altri ambienti che aveva visitato fino a quel momento, con un grande tavolo di legno alle spalle del quale scoppiettava un fuoco vivace che lambiva la superficie di un paiolo sospeso su di esso. Al tavolo erano seduti una trentina di studenti, tutti pressoché della stessa età. Un lato in particolare ospitava tutte le ragazze, di fronte alle quali sedevano i ragazzi. Tutti erano impegnati ad addentare cosciotti di qualcosa di arrostito che galleggiava su una brodaglia nel piatto davanti a loro.
Loki osservò la scena per qualche istante, sollevando appena il labbro superiore, quando i ragazzi si accorsero di lui e gli fecero cenno di sedersi.
«Allora? Sei sordo?»domandò un giovane particolarmente corpulento, seduto all’estremità di una panca, dopo che a Loki fu rinnovato l’invito una seconda volta.
Il principe si riscosse e si sedette accanto al ragazzo corpulento.
«Come ti chiami?»gli domandò quello.
«Lo… ehm, Leif Gòdanson»rispose l’altro, incespicando nelle parole.
«Io mi chiamo Fabian Fett»declamò il ragazzo robusto, porgendogli la mano. Loki avanzò la sua con qualche remora e Fabian gliela strinse. O meglio la tirò a sé, cingendola con particolare forza. «Diamo il benvenuto a Leif Gòdanson»declamò questi, per poi tornare a concentrarsi sul suo piatto.
Gli studenti salutarono brevemente, ma era evidente che il cibo fosse il loro interesse primario. Loki si approcciò alla brodaglia che gli era stata servita tentando di non ispirare: l’odore che emanava era nauseabondo. Ma cosa mangiavano in quella landa sperduta? E soprattutto, cosa bevevano? Loki non avrebbe mai immaginato che la cosa di cui avrebbe per prima sentito nostalgia sarebbe stato il cibo di Asgard. Sbocconcellò in silenzio qualcosa, per rendersi conto, dopo un po’, che c’era un’altra cosa in quella cucina che non gradiva: tutti lo ignoravano.
Stupidi piccoli Midgardiani, pensò il principe, soffiando tra i denti.
Una ragazza bionda e dall’aspetto piuttosto gradevole gli chiese di passargli le patate, subito dopo ricominciò a parlare con Fabian.
«Allora dicono che sia vero? C’è un dio tra gli allievi di Durmstrang, non è così?»
Loki per poco non si strozzò con la brodaglia che aveva appena ingollato e iniziò a tossire convulsamente finché non gli vennero le lacrime agli occhi. Dannazione, come potevano aver già saputo? Non era arrivato che da mezz’ora!
«È così»rispose Fabian tra un boccone e l’altro. «Ma non si sa chi sia, pare che la sua identità sia un segreto».
Il suono del sollievo che usciva dai polmoni di Loki in forma di sospiro venne coperto da una fragorosa risata. Il principe pensò immediatamente a suo fratello, ma Thor non poteva essere lì. Chi stava ridendo era un ragazzo vestito in modo curato e dai lunghi capelli lisci e castani.
«Mi avete scoperto»disse questi, continuando a sorridere e sollevando le mani in segno di resa, facendo così cadere il tovagliolo con un gesto calcolato. «Sono io, Bergimus».






NdA: Qualche noticina prima di ringraziarvi tutte. Fulla era, nella mitologia norrena, un'ancella di Frigga, il caglio zolfino era chiamato dagli Scandinavi erba di Frigg. I Valorosi, come qualcuno ha già capito, sono tratti dal Comic!verse, similmente alla donzella bionda che siede davanti a Loki? Chi è costei? Lo scoprirete nel prossimo capitolo u.u
La descrizione di Durmstrang è mutuata pari pari dalla mia long Studenti di Durmstrang, gli insegnanti sono bellamente inventati. Ognuno di loro ha un nome che richiama la materia che insegnano, per ora abbiamo incontrato Dag Dyrkason (dyrka in svedese vuol dire culto, questo almeno secondo il Google traduttore). Dag non vuol dire niente in particolare, ma mi piaceva l'idea delle iniziali uguali :)
Parlando del nuovo nome attribuito a Loki, Gòdan è il nome longobardo di Odino, perciò non ci discostiamo troppo dalla realtà dei fatti, e Leif mi sembra molto simile a Laufey, perciò anche qui non andiamo troppo lontano dal reale. Anche se, posta così, la cosa può sembrare un po' crudele, eh già.
Fett in svedese significa grasso, e Fabian lo scelto per l'iniziale. Bergimus è il dio celtico nelle montagne, per altro il suo culto era locale. Ci sarebbe qualcosa in più da dire su questo studente, ma spiegerò ulteriori dettagli nel prossimo capitolo. Per ora, volevo solo mettere in evidenza quant'è sfigatello Loki XD
Grazie a tutte voi che leggete e recensite questa storia ^^

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Capitolo 5
*** Rivincita ***


Capitolo 5:

Thor stava attraversando il lungo corridoio di marmi pregiati che l’avrebbe condotto nella Sala del Trono cercando di impiegare più tempo che poteva. Poco prima era stato avvisato da uno dei servitori a palazzo che suo padre desiderava vederlo. Immediatamente un corno d’allarme aveva iniziato a risuonare nel cranio del principe. Il servitore aveva riferito il messaggio di Odino senza lasciar trasparire alcuna emozione, né l’umore di Padre Tutto. Poteva trattarsi di qualsiasi cosa, ma un istinto primordiale suggeriva al giovane che ci fossero guai in vista. Thor aveva sempre amato gettarsi a capofitto in duelli, sfide e avventure, ma se Odino era arrabbiato con lui, quella sarebbe stata una battaglia che non avrebbe potuto vincere.
Così riflettendo, il principe era giunto fino alle porte della Sala del Trono, quando d’un tratto queste si aprirono, lasciando passare il servitore che poco prima gli aveva comunicato di recarsi in quella parte del palazzo.
- Principe, - esordì questi, chinando il capo, - il Padre degli dei vi sta aspettando nella Sala dei Tesori.
Thor trattenne il respiro, improvvisamente attraversato dalla consapevolezza di ciò che lo attendeva. Lo aveva sospettato fin dall’inizio, ma adesso ne aveva la certezza.
Il servitore continuava a guardarlo come se stesse aspettando una risposta. Thor gli rivolse un’occhiataccia, lo ringraziò e gli voltò le spalle, per poi dirigersi verso il luogo che gli era stato indicato.
Non riusciva a togliersi dalla testa il ricordo dell’espressione che Padre Tutto gli aveva rivolto quando l’aveva scoperto nella Sala dei Tesori insieme a Loki. Il principe non si era aspettato certo di passarla liscia, ma aveva iniziato a sperarci quando i giorni erano trascorsi senza alcuna reazione da parte di Odino. Lo stesso essere confinato nelle sue stanze probabilmente era stato più un suggerimento di sua madre Frigga che non una punizione impartita dal Padre degli dei.
Era trascorsa appena mezza giornata dalla partenza di Loki, e ora Odino desiderava vedere il suo primogenito. Thor era sicuro del fatto che sarebbe arrivata una bella strigliata di testa – tanto per usare un eufemismo -, e ora capiva anche perché il dio aveva scelto quel momento: non voleva fargliela con Loki in giro per il palazzo. Thor sospirò, riscoprendosi a invidiare il fratello minore, che a quell’ora era ben lontano dall’ira paterna.
- Eccomi, padre. – esordì il principe, facendo il suo ingresso nella Sala dei Tesori.
Odino gli mostrava la schiena e aveva intrecciato le dita sul suo mantello color porpora. Quando cambiò posizione per voltarsi verso il figlio, Thor seppe con fatale certezza che aveva impiegato l’attesa fissando Mjolnir.
- Ti ho mandato a chiamare – esordì Odino con voce salda, - perché tu ti renda conto del modo stupido e infantile con cui mi hai disobbedito.
Bastarono quelle prime parole del padre perché il sangue nelle vene di Thor iniziasse a ribollire. Il principe digrignò i denti, continuando a guardare il genitore fisso nell’unico occhio.
- Padre, lascia che ti spieghi… - esordì il giovane, tentando di mantenere a freno il senso di ingiustizia che l’aveva travolto e aveva iniziato a far montare la rabbia dentro di lui.
- No! – lo interruppe severamente Odino, - Per una volta, ascolterai. Vi avevo o non vi avevo proibito di entrare nella Sala dei Tesori senza il mio permesso?
- Sì, - rispose Thor, distogliendo per un attimo lo sguardo, - ma io vi sono entrato solo perché mi sono accorto che Loki era già lì dentro!
- Lascia tuo fratello fuori da questa discussione. – lo ammonì il genitore.
- Come hai fatto tu, chiamandomi dopo la sua partenza, vero? – ribatté con stizza l’altro.
Odino gli rivolse un’occhiata penetrante.
- L’unica colpa di Loki è stata quella di entrare nella Sala dei Tesori.
In quel momento, Thor capì che il padre gli stava rimproverando dell’altro, ma non riusciva a immaginare cosa. Si sforzò allora di essere conciliante.
- Hai ragione, - convenne il giovane, mettendo le mani avanti, - non avremmo dovuto disobbedirti. Ma tu ci hai sempre vietato di venire qui per via degli oggetti pericolosi che vi sono conservati. Non capisci, padre? Ora il problema è risolto.
Odino sollevò il sopracciglio sovrastante l’occhio buono e serrò le labbra.
- Che cosa vuoi dire con “è risolto”?
Thor svelò un sorriso confidenziale.
- Non si tratta più di oggetti troppo pericolosi… per me almeno. Ho impugnato Mjolnir, non hai visto? Questo vuol dire che sono degno di quell’arma.
- Sono io che stabilisco se sei o non sei degno! – tuonò Odino, facendo tintinnare alcune delle lame appese alle pareti.
Thor sgranò tanto d’occhi, incapace di credere alle parole del padre.
- Ma… padre! È uno degli incantesimi scagliati su Mjolnir… Ci hai sempre detto che sarebbe stato impugnato solo da chi ne fosse stato degno! – ribatté con un tono che era un misto tra l’incredulo e l’arrabbiato.
- Chi credi che abbia scagliato quegli incantesimi sul martello? Sono io che ne ho ordinato la creazione, io che l’ho benedetto! Sono io che decido quando potrà essere impugnato. E il tuo momento non è ancora giunto, per questo non avresti dovuto toccarlo.
Thor scosse le spalle in un impeto di rabbia.
- Mjolnir ha scelto me! – gridò, tentando di sovrastare la voce del padre, - Sono io che lo impugnerò, io sono stato designato come futuro re di Asgard.
Odino dilatò le narici, digrignò i denti e sgranò la palpebra.
- Sei solo un arrogante! Credi che sia tutto deciso, ma non è così! Non dimenticarti che io sono il tuo re prima che tuo padre, e io ho l’ultima parola. Non ti consegnerò un’arma così potente finché non avrai la maturità necessaria per brandirla!
Thor si riscoprì ad ansimare per la collera, ma sapeva che ormai erano arrivati a un punto morto. Suo padre non avrebbe cambiato idea, eppure era così ingiusto.
- Puoi dire quello che vuoi, ma non puoi cancellare il fatto che sono riuscito a impugnare Mjolnir qualche giorno fa. – concluse il principe, volgendo le spalle a Padre Tutto e raggiungendo a grandi passi la porta della Sala dei Tesori.
- Ma, che ti piaccia o no, posso impedire che tu lo brandisca di nuovo. – lo ammonì infine Odino.
 
I rintocchi della campana di Durmstrang riecheggiarono per tutto il castello, rimbalzando sui lastroni di pietra che ne rivestivano le mura e sui bassorilievi, le cui figure si muovevano seguendo il cammino degli studenti diretti a lezione. Udendoli, Loki accelerò il passo e scansò un paio di ragazzi che si affrettavano nella direzione contraria.
Il figlio di Odino aveva trascorso la notte nel dormitorio maschile che occupava quasi totalmente l’ultimo piano del castello. Quella soluzione non l’aveva troppo sorpreso, visto il genere di cena consumata la sera prima, tutti ammucchiati in cucina. All’inizio il russare di quel Fabian Fett era stato insopportabile, ma la stanchezza del principe era stata così tanta che si era addormentato, dimenticandosi di curarsene. Ora, dopo una magra colazione di pane e formaggio in cucina, si stava dirigendo verso l’aula di Religione, dove il maestro Dyrkason avrebbe tenuto la sua lezione.
Loki attraversò un uscio di legno e si ritrovò in un ambiente piuttosto spoglio, eccezion fatta per i piccoli scranni e sgabelli su cui gli studenti iniziarono a prendere posto.
L’insegnante fece il suo ingresso nell’aula quando tutti i ragazzi erano ormai seduti. Indossava una lunga veste viola ricamata con motivi dorati e la sua barba fulva era stata accuratamente pettinata.
- Buongiorno a tutti, giovani desiderosi di apprendere! – li salutò il mago, allargando le braccia in un gesto che era un misto tra una posa solenne e un tentativo ideale di abbracciarli tutti. – Come tutti voi sapete, i Valorosi sono sempre stati sostenitori di un’istruzione completa, l’illustre Mokk in particolare ha voluto che a Durmstrang si insegnasse, accanto alle diverse branche della magia, la Religione. Vedete, ragazzi, un mago senza il timore degli dei non è che un folle e uno stolto.
Seduto un paio di file più avanti, Bergimus accennava con la testa ai compagni intorno a lui, sorridendo soddisfatto. Loki volse gli occhi al cielo e sbuffò con sufficienza. Il professor Dyrkason non diede segno di essersi accorto di nulla e continuò:
- Quest’oggi vi racconterò qualcosa di estremamente importante nella nostra tradizione e nelle nostre credenze: la storia dei tre fratelli.
Loki si rizzò un po’ sul suo posto, percependo che di lì a poco sarebbe seguito qualcosa di molto familiare.
- I tre fratelli in questione sono Odino, Vili e Vé, figli ni Bor e Bestla, e la loro prima e memorabile impresa è stata la vittoria su Ymir. Dovete sapere che questi nacque dal caos in fermento e fu il progenitore delle prime imponenti forze del male, - qui l’insegnante fece una pausa in cui storse le labbra e socchiuse gli occhi, - gli Jotunn, i Giganti di Ghiaccio.
Un coro di esclamazioni critiche proruppe dalla schiera di studenti, poi Dyrkason proseguì la sua lezione, spiegando come Ymir avesse dato vita ai Giganti, raccontando della vacca Adhumula e di come questa avesse plasmato dai ghiacci di una montagna Buri, il generatore, il quale poi aveva creato un figlio a sua immagine e somiglianza: Bor. I tre figli di Bor, avidi di potere, avevano ingaggiato un’aspra lotta con Ymir, la cui astuzia non aveva potuto competere con quella dei fratelli.
- I tre fratelli sconfissero Ymir e lo uccisero. Il suo sangue inondò ogni cosa, uccidendo quasi tutti i Giganti, dai suoi resti nacquero germi di nuove vite. Il suo corpo venne utilizzato per plasmare il mondo come lo conosciamo oggi.
Gli studenti avevano ascoltato la lezione con attenzione. Molti di loro conoscevano già la storia – Loki la conosceva meglio di tutti -, ma il tono solenne e caldo di Dyrkason e la sua dovizia di particolari aveva fatto sì che tutti ascoltassero come se fosse la prima volta. Terminata l’ora di Religione, l’insegnante congedò gli studenti, assegnando loro un tema sull’argomento affrontato a lezione.
Successivamente fu la volta di una merenda più consistente, che Loki avrebbe consumato in silenzio come la colazione di prima, se la ragazza bionda che aveva avuto di fronte a cena non gli avesse rivolto la parola.
- La lezione di Dyrkason è stata interessante, non trovi? – gli domandò.
Loki la squadrò per un attimo. La ragazza aveva una criniera di capelli biondi che le ricadevano sulle spalle, trattenuti sulla fronte da un cerchio verde come la veste che indossava. I suoi occhi chiari conferivano al suo viso un’espressione perennemente ironica e canzonatoria.
Loki annuì e la ragazza abbassò leggermente il capo nella sua direzione.
- Io sono Amora. Tu sei Leif Gòdanson.
Non era una domanda, ma un’affermazione. Loki la guardò di sbieco, constatando tra sé e sé che quella ragazza fosse piuttosto bizzarra. Fu costretto a distogliere lo sguardo però a causa del rumoroso ingresso di Bergimus in cucina.
- È stato divertente sentir parlare di Odino, Vili e Vé, - disse rivolto alla schiera di compagni che lo stava seguendo e lo osservava avidamente, come se si aspettasse di sentire una perla di saggezza da un momento all’altro, - del resto, tra divinità ci intendiamo.
Bergimus gettò il capo all’indietro, facendo ondeggiare i capelli biondi, e proruppe in una risata panciuta che avrebbe fatto invidia anche a Thor. Loki serrò le mascelle, domandandosi se il suo destino fosse di essere circondato da babbei.
- Tutto bene? – gli domandò Amora. La ragazza fissava insistentemente le sue mani, e solo in quel momento Loki si rese conto di averle strette a pugno.
- Sì, non c’è niente che non vada. – rispose il principe, inviando un’altra occhiata velenosa a Bergimus. Non era lui il dio di cui si vociferava a Durmstrang, era solo uno stupido pallone gonfiato. Oh, ma sarebbe stato divertente fargliela pagare o smascherarlo in qualche modo, pensò Loki sorridendo tra sé e sé. La sua mente gli stava già proiettando una serie di scenari, in cui un Bergimus rosso di vergogna era il protagonista incontrastato, quando Amora richiamò nuovamente la sua attenzione.
- Dai, dobbiamo andare, abbiamo lezione col professor Stavason. Ma… tu non hai una bacchetta! – osservò lei.
- Una..? No, io… - rispose Loki, incerto, - Servirà a lezione?
- Direi di sì, - fece la ragazza, - si tratta di Incantesimi.
Gli studenti di Durmstrang lasciarono la cucina, dirigendosi verso l’aula del maestro Stavason, Loki in particolare con la mente ben lontana da Bergimus, mentre invece si affannava alla ricerca di una soluzione. Perché Lord Reidar non gli aveva detto che gli serviva una bacchetta? E dove avrebbe potuto procurarsene una?
Mentre si affrettava dietro Amora lungo i corridoi del castello, notò qualcosa su cui all’inizio non si era soffermato.
- Neanche tu hai una bacchetta!
La ragazza si fermò il tanto che bastava per inviargli un sorriso furbo.
- A me non serve.
Quando i ragazzi giunsero nell’aula di Incantesimi, Loki non si era affatto tranquillizzato. L’insegnante si trovava già al centro dell’ambiente, era alto e secco e aveva corti capelli neri e pizzetto. Man mano che i ragazzi entravano, Stavason li fece disporre in cerchio; dopodiché trasse la sua bacchetta da una delle maniche svasate, ben presto imitato da tutti gli altri. Per un folle momento, il principe si aspettò di sentire, stringendo le dita, la fisicità del bastoncino di legno.
- Bene, miei allievi, - esordì il mago, tirando su le maniche, - con i miei insegnamenti riuscirete a scagliare incantesimi spettacolari e potenti, ma, come è ovvio, bisogna partire dalle basi. Vi spiegherò man mano le caratteristiche delle fatture che tratteremo, il modo per eseguirle e utilizzarle e, se sono note, anche le origini. Iniziamo da qualcosa di molto semplice, eppure utilizzato con grande frequenza nella vita di tutti i giorni. Si tratta dell’Incantesimo di Appello, per scagliarlo dovete pronunciare la formula “Accio”. Ora, vedete queste pigne in fondo all’aula? Voglio che le Appelliate.
L’insegnante mostrò agli studenti il corretto movimento del polso per eseguire l’incantesimo e questi iniziarono ad imitarlo, senza tuttavia declamare la formula, giusto per esercitare la mano che stringeva la bacchetta. Loki li guardava, domandandosi cosa avrebbe dovuto fare visto che lui una bacchetta non ce l’aveva. Allungò il collo nel tentativo di osservare Amora, ma la ragazza guardava seraficamente la scena a braccia conserte.
- Allora, ragazzo?
La voce di Stavason riecheggiò nell’aula, cogliendo Loki alla sprovvista. Avrebbe dovuto spiegargli che nessuno gli aveva detto che avrebbe avuto bisogno di uno stupido pezzo di legno, ma non voleva sembrare in difetto agli occhi del maestro.
- Coraggio, - lo esortò questi con un eloquente gesto della mano, - il movimento del polso è lo stesso, anche se non utilizzi la bacchetta. Tieni solo presente che le dita di entrambe le mani devono rimanere arcuate, come zampe di un ragno.
Loki fu sorpreso dalle parole di Stavason, ma si affrettò ad annuire senza darglielo a vedere. Dall’altra parte del circolo, Amora gli sorrise, disponendo le mani esattamente come aveva insegnato il maestro. La parola “Accio” risuonò forte e chiara pronunciata con la sua voce, una pigna si sollevò stentatamente dal mucchietto in fondo all’aula, per poi ricadere a terra e rotolare verso la ragazza.
Dunque esistevano delle persone come lui e quella studentessa che non avevano bisogno di una bacchetta per praticare la magia, rifletté Loki. Non doveva trattarsi di un fenomeno chissà quanto frequente, ma neanche così unico. Inoltre Stavason era stato avvisato delle sue abilità, il problema era risolto.
Loki osservò per qualche istante ancora gli altri studenti. Nonostante questi inveissero contro le pigne e minacciassero di cacciarsi un occhio a vicenda sventolando le bacchette, i successi con l’Incantesimo di Appello non erano stati molti. Un paio di pigne erano rotolate verso chi le aveva richiamate, esattamente come era successo ad Amora. Tre studenti erano riusciti a farle levitare e queste erano gentilmente atterrate nelle loro mani. Bergimus era diventato rosso per lo sforzo e stava urlando il suo incantesimo, ma la sua pigna non si muoveva.
- No, non così. – intervenne il maestro, avvicinandosi a lui per correggergli il movimento del polso.
Il principe si disse che aveva visto abbastanza, e che adesso era pronto per fare un tentativo. Avvertì la stessa sensazione calda che lo aveva pervaso quando aveva ribaltato il sedile sotto la finestra della sua camera, dispose le mani come aveva imparato e declamò la formula.
Una pigna si sollevò dal mucchio, descrisse una parabola in aria e atterrò sul suo palmo steso.
- Per gli dei, compare! – esclamò Fabian.
Altre esclamazioni stupite fecero seguito a questa, Loki continuava a stringere la pigna in mano e a sorridere. Glissò addirittura sull’appellativo poco consono usato da Fabian, compensato grandemente dall’ammirazione generale che aveva suscitato.
Il dominio di quello sciocco di Bergimus non era durato che mezza giornata, ora era arrivato il tempo di Loki.





NdA: Questo capitolo si apre con un episodio a cui tenevo molto: il cazziatone intergalattico di Odino. Thor si era preso troppe libertà con Mjolnir e Padre Tutto non poteva ancora permetterlo, visto che il figlio non è ancora pronto. Ho fatto sì che la discussione avvenisse dopo la partenza di Loki perché Odino è un bravo paparino, e i bravi genitori non sgridano un figlio davanti all'altro. Ironia della sorte, non avendo saputo del cazziatone intergalattico, Loki continua a rodersi perché crede che Thor sia ormai di Mjolnir munito.
Dyrkason, il maestro di Religione, dice che l'insegnamento di questa materia è stato fortemente voluto da Mokk, uno dei Valorosi. Stando a Fear Itself, Mokk è il Distruttore di Fede. Sì, sono una burlona u.u
Il fatto che, nominati gli Jotunn, tutti storcano il naso, mi pare coerente col fatto che i Giganti di Ghiaccio hanno invaso Midgard senza ritegno.
Sì, la storia dei tre fratelli è una voluta rilettura di quella di Beda il Bardo in chiave mitologica. Nasconde inoltre un altro riferimento al Comic!verse, che verrà svelato più avanti. Anche l'Incantatrice, Amora, è un riferimento al Comic!verse.
Fin dall'inizio, avevo stabilito che Loki non avrebbe usato una bacchetta (del resto non ne ha bisogno). Ricordo di aver letto da qualche parte un nome specifico per chi è in grado di scagliare incantesimi anche senza la bacchetta, ma non l'ho più trovato ç_ç Accetto volentieri suggerimenti nel caso qualcuno di voi lo sappia.
Finalmente Loki ha il suo momento di gloria, se lo merita XD
Grazie a chi legge/recensisce/segue/preferisce questa storia <3
 

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Capitolo 6
*** Il muro ***


Capitolo 6:

Due anni di studi a Durmstrang erano trascorsi per Loki con la rapidità di un battito di ciglia. La prima volta che il principe asgardiano aveva messo piede in quella scuola non avrebbe mai immaginato che la monotonia delle giornate di studio non gli sarebbe pesata.
Il terzo anno a Durmstrang era iniziato e Loki ormai padroneggiava molto bene gli incantesimi, tanto i verbali quanto i non verbali, riusciva a Trasfigurare gli oggetti senza difficoltà, conosceva le pozioni, le piante, le Creature Magiche e le Arti Oscure. Non aveva mai avuto nessuna difficoltà con le Rune, la Religione, l’Astronomia o la Storia della Magia, aveva iniziato ad apprezzare l’Aritmanzia e la Divinazione, inoltre sapeva Smaterializzarsi con facilità. Grazie alla sua natura divina e alla sua propensione verso la magia, era più dotato rispetto ai suoi compagni di studi e ciò non era passato inosservato né ai maestri, né ai ragazzi stessi. Alcuni di essi lo ammiravano, altri, ingelositi, gli rivolgevano a stento la parola, ma Loki sapeva apprezzare i loro silenzi.
Durmstrang gli aveva dato tutto ciò che aveva desiderato, tutto ciò che aveva sperato di trovare quando aveva salutato l’ultima volta i genitori nel regno eterno. Nella previsione del giovane dio che poco più di due anni prima aveva attraversato i cancelli dorati di Asgard, ciò avrebbe dovuto rappresentare la felicità. Eppure a volte, nella solitudine del dormitorio, Loki si sentiva insoddisfatto. Ripercorreva il ricordo della sua ultima visita nella Sala dei Tesori, tornava ad accarezzare l’impugnatura di Mjolnir con lo sguardo, riformulava gli stessi pensieri che si erano fatti strada nella sua mente a quella vista, ricordava le domande che allora si era posto.
Magari al momento non era pronto, ma Durmstrang l’avrebbe preparato e fortificato. Durmstrang avrebbe cambiato più di una vita. L’avrebbe reso degno di Mjolnir.
I ricordi seguitavano a invadergli gli occhi e la mente, e Loki rivedeva suo fratello Thor impugnare e sollevare il martello di Uru per utilizzarlo contro di lui. Padre non gli aveva detto nulla, ormai i giochi erano fatti.
Ogni volta Loki si sollevava dal giaciglio che occupava nel dormitorio, si avvicinava alla finestra che dava sul parco che circondava il castello e scrutava il suo riflesso, accigliato.
Ogni volta si ripeteva la stessa domanda: a che pro faccio tutto questo?

Quella mattina, il principe asgardiano percorreva rapidamente i corridoi di fredda pietra del castello di Durmstrang, diretto alla lezione di Trasfigurazione. Accanto a lui, stringendo un paio di rotoli di pergamena al petto, camminava Amora. A pochi passi da loro avanzava Bergimus, adombrato e taciturno.
Loki gettò una rapida occhiata alle sue spalle a sollevò un angolo della bocca in un sorriso di scherno. Quel ragazzone biondo, che tanto gli ricordava suo fratello, gli piaceva molto di più ora che era chiaro a tutti che non era lui il dio venuto a studiare a Durmstrang. Dopo che si era rifiutato di tuffarsi nel lago con gli altri non c’erano stati più dubbi: diversamente da ciò che sosteneva, non poteva essere il dio dei fiumi.
Giunti in aula, gli allievi presero posto su alcuni sedili intagliati. Ad attenderli al centro dell’aula si trovava Frida Forvandler, una strega alta e dalla corporatura solida, coperta da una lunga veste color ocra. L’insegnante di Trasfigurazione rivolse un gesto autoritario ai ragazzi, intimando loro di prendere rapidamente posto.
- Bene, oggi riprendiamo con la Trasfigurazione umana. – esordì la strega, - L’ultima volta avete appreso come trasformarvi in oggetti inanimati come un tavolo o un sedile, da oggi imparerete a trasformarvi in animali. La difficoltà è massima, e non escludo che possano verificarsi incidenti, nel qual caso cercherò di mettervi a posto come posso.
Diversi studenti si scambiarono occhiate cariche di apprensione. Fin dalla prima lezione di Trasfigurazione umana, la maestra Forvandler aveva fatto presente che chi non se la sentiva avrebbe potuto tirarsi indietro. Ciò che la strega aveva accuratamente sottolineato era che una decisione simile avrebbe compromesso il voto finale, inoltre sarebbe stata interpretata come un segno di debolezza e sarebbe stata un’onta per l’intera famiglia dello studente. Dopo quella precisazione, anche chi aveva timidamente iniziato ad alzare la mano per sottrarsi a quel genere di lezioni l’aveva abbassata prontamente.
Loki osservò i ragazzi più titubanti intorno a lui: tra di loro non c’erano solo quelli che fin dall’inizio avevano avuto paura della Trasfigurazione umana, ma si trattava di quasi tutta la classe. Nessuno però aveva osato alzare la mano per obiettare neanche quella volta.
L’insegnante scrutò gli allievi con i suoi perforanti occhi chiari, dopodiché inarcò un sopracciglio e trasse la sua bacchetta dalle pieghe della veste.
- Vi dividerò in coppie: ognuno di voi dovrà trasformare il suo compagno in un coniglio.
A un cenno dell’insegnante, il corpulento Fabian Fett prese posto di fronte a Loki, con la bacchetta stretta nel pugno grassoccio e una gocciolina di sudore che si era materializzata sulla sua tempia, sfidando la temperatura rigida dell’aula. Poco distante da loro, Amora fronteggiava un ben poco spavaldo Bergimus.
Ah, se Thor fosse davvero qui, pensò Loki. Non gli sarebbe dispiaciuto affatto vederlo saltellare con un batuffolo attaccato al didietro.
- Bene, - riprese l’insegnante, sollevando le maniche della sua veste fino ai gomiti, - Dovete impugnare la bacchetta in questo modo e tracciare in aria un disegno simile alla runa Othila. Contemporaneamente dovete declamare la formula “Lapifors”.
Loki e Amora non ebbero bisogno di sentirsi dire che avrebbero dovuto seguire lo stesso movimento con i polsi per eseguire correttamente la fattura. Il principe serrò le labbra e corrugò la fronte.
L’ultima cosa che vide prima di pronunciare la formula fu l’espressione atterrita di Fabian.

- Non è stata un’esperienza così tragica, dopotutto. – osservò Amora mentre, continuando a stringere le sue pergamene al petto, varcava la soglia della biblioteca del castello.
Loki la imitò, dopodiché i due andarono a prendere posto al tavolo che occupavano solitamente. Si trovava nell’angolo più remoto di quell’ampio ambiente, sotto la finestra più grande, e per questo riceveva più luce rispetto agli altri.
- Non tutti saranno d’accordo con le tue parole, - le sorrise il giovane, lasciandosi cadere su uno degli scranni di legno che circondavano il tavolo, - alcune di quelle Trasfigurazioni parziali devono essere state… dolorose!
Amora rispose al suo sorriso e sussurrò:
- Vero, ma a sentire la maestra Forvandler sembrava che avremmo potuto lasciarci la pelle tutti.
Loki pensò che la ragazza avesse ragione. Lui, come tutti gli altri, era stato in ansia quando si era apprestato a scagliare la fattura per la prima volta. Il risultato tutto sommato non era stato così pessimo come aveva temuto, certo erano occorsi altri tre o quattro tentativi prima di ottenere una Trasfigurazione sulla quale la maestra Forvandler non aveva avuto nulla da ridire, ma c’erano stati degli studenti che non ci erano riusciti neanche lontanamente. Ad esempio Bergimus. Ah!
Amora si accostò al vetro della finestra e orientò il suo viso verso il fascio di raggi solari che penetravano nella biblioteca. Neanche avesse letto nella mente del compagno di studi disse:
- Hai visto come era carino Bergimus in versione coniglietto?
La ragazza distolse lo sguardo dal parco e tornò a concentrarsi su Loki con espressione maliziosa.
- Sì, - rispose seraficamente questi, - carino come uno che non è in grado di effettuare una Trasfigurazione umana.
Amora rise piano in modo da non farsi udire dalla bibliotecaria.
- Sei sempre stato troppo competitivo, Leif.
- Che competizione ci potrà mai essere con uno come Bergimus? Non è che un grosso pallone gonfiato. – rispose Loki, senza perdere la sua sicurezza.
- Un pallone gonfiato che si è creduto potesse essere un dio. – insistette Amora. Loki sbuffò attraverso le narici tutto il suo scetticismo e prese ad accarezzare distrattamente i bordi delle pergamene davanti a lui. La strega continuò, seguitando a guardarlo con insistenza: - È vero, molti non ci credono più per via dell’episodio del lago, ma pensaci! Forse Bergimus non si è immerso perché a contatto con l’acqua avrebbe potuto manifestare tutta la sua essenza divina oppure sarebbe potuta accadere qualche altra cosa in grado di tradirlo.
Lo scetticismo di Loki si era trasformato in stizza, che lui aveva manifestato accartocciando per un attimo le pergamene tra le sue dita. Quell’idiota biondo gli era venuto in antipatia dal primo momento in cui aveva messo piede a Durmstrang. Era troppo simile a suo fratello Thor, e già questo giocava a suo sfavore, inoltre era un bugiardo e Loki lo sapeva per certo: era lui il dio, non quel Bergimus. Era stato tentato tante volte di rivelarlo a chi, i primi tempi a scuola, aveva seguito quello sciocco vanaglorioso come se fosse stato Odino in persona, ma non l’aveva mai fatto. Heimdall avrebbe potuto accorgersene e riferirlo a suo padre.
Per oltre due anni Loki si era trattenuto, ma, giunto quasi al termine dei suoi studi, non sapeva se era in grado di tacere ancora quando le illazioni continuavano.
- Credevo che la questione su Bergimus fosse chiusa. – rispose con stizza.
Amora sbatté le ciglia in un modo che in quel momento contribuì solo ad alimentare il suo fastidio.
- Potremmo esserci sbagliati.
- No. Non ci siamo sbagliati.
Il tono di Loki era stato perentorio, ciononostante la ragazza non pareva esserne turbata. Anzi, sembrava soddisfatta per il raggiungimento di un obiettivo.
- Tu sai qualcosa che io non so? – domandò a bassa voce, protendendo il busto verso di lui.
- Bergimus non può essere il dio che frequenta Durmstrang. Sono io quel dio. – rispose il principe senza pensarci. La sensazione che ne seguì fu di una piacevole leggerezza.
Amora sollevò un angolo delle labbra disegnate e il suo sorriso raggiunse le sue iridi.
- Sapevo che c’era qualcosa di divino in te.
Non era neanche lontanamente sorpresa come Loki si sarebbe aspettato, e la naturalezza con cui si sollevò dallo scranno lo spiazzò. I raggi solari che filtravano attraverso la finestra pigmentavano la massa dei suoi capelli con una tinta dorata quasi innaturale, poi proiettarono delle lunghe ombre intorno alle sue dita sottili strette intorno alla pergamena che aveva appena afferrato.
- Dove vai? – domandò Loki, disorientato.
Amora inclinò la testa di lato e piegò le labbra in un sorriso.
- Non ho più voglia di studiare per oggi.
Senza fornire ulteriori spiegazioni, la ragazza si allontanò con passo felpato. Loki seguì con lo sguardo l’ondeggiare della sua criniera di capelli biondi finché questa non sparì attraverso la cornice della porta della biblioteca, dopodiché non gli rimase che fissare il libro aperto davanti a sé.
Aveva appena disobbedito a Odino rivelando a quella ragazza la sua natura, o forse no? Se anche Heimdall avesse visto qualcosa di troppo e fosse corso a riferirlo da suo padre, Loki avrebbe avuto la risposta pronta. Era stato attentissimo a non tradirsi per più di due anni, invece Amora sembrava sapere più cose di ciò che aveva rivelato. Era ovvio che aveva saputo cosa aspettarsi da lui, ma il principe era sicuro di non averle dato alcuna ragione per sospettare della sua natura. Padre non avrebbe potuto prendersela con lui: Amora sapeva già e senza il suo aiuto. Inoltre Loki le aveva rivelato di essere un dio, senza specificare che si trattava del principe di Asgard, figlio di Odino. Nessuno avrebbe potuto obiettare nulla a quel punto.
Sorridendo tra sé e sé, il giovane iniziò a sfogliare il tomo che aveva davanti. Amora poteva cedere alla voglia di non studiare, ma lui non era propenso a imitarla. Mezz’ora dopo era immerso in uno studio approfondito delle Arti Oscure: i risultati dell’ultima prova con il maestro Mørkson non erano stati all’altezza delle aspettative di Loki ed era intenzionato a sorprenderlo con una nuova ricerca.
L’indice ossuto del giovane percorse le righe scritte a mano sulla pagina di ruvida pergamena, aggrottando le sopracciglia. Trasse la penna dalla sua borsa e iniziò a prendere appunti sulla pergamena accanto a sé. D’un tratto si imbatté in quello che presumibilmente doveva essere un incantesimo e che era stato aggiunto dopo la rilegatura del tomo: l’inchiostro che era stato usato era più brillante, inoltre le due parole che erano state tracciate, prima in runico e poi in latino, non erano allineate con le altre.
Incuriosito, Loki ruotò appena il libro per tentare di leggere meglio. L’inchiostro in alcuni punti era sbavato, perciò poteva trattarsi tanto di un “angolo salminis”, quanto di un “aqueta sondinis”. Quelle due coppie di parole non avevano alcun significato, ma gli solleticarono il cervello, come se questo avesse percepito un nesso con qualcosa che lui non riusciva a ricordare. Poco lontano da quelle misteriose parole, la stessa mano aveva scritto dell’altro. Quando le pupille del giovane si fissarono su quelle volute d’inchiostro, fu tutto il suo corpo a reagire. Obscura recognitionem, ma certo, il manoscritto di Irnerius Insamoria. Loki lo conosceva perché si era già imbattuto in quella controversa fonte di sapere prima di allora. Se l’avesse ritrovato, probabilmente avrebbe scovato delle informazioni sull’aquerat saunis o quello che era.
Il giovane si allontanò dal tavolo che stava occupando e si diresse risolutamente verso lo scaffale sul quale ricordava di aver visto quel volume l’ultima volta. Percorse lo spazio antistante le scansie di legno più volte, scrutandole con attenzione, ma non lo identificò in nessuno dei dorsi di pelle o materiali meno facilmente identificabili che facevano bella mostra di loro stessi. Quando terminò di setacciare gli scaffali, Loki escluse che l’Obscura recognitionem fosse altrove in quella biblioteca. Dalle scansie che aveva esaminato, diversi spazi vuoti lo osservavano con la stessa curiosità che lui stava riservando a quella ricerca.
Il libro che stava cercando, così come diversi altri conservati a Durmstrang, avevano un contenuto che, a detta di alcuni maestri, non erano adatti alle giovani menti degli studenti. Altri insegnanti erano favorevoli a che venisse consentita la lettura di quei tomi solo ai ragazzi più grandi. Loki avrebbe dovuto chiedere il consenso del maestro Mørkson, ma non aveva voglia di cercarlo per tutto il castello, quando sapeva esattamente dove trovare il libro che aveva in mente. Con un sorriso furbo sul volto tornò al tavolo al quale stava studiando, conservò il volume che aveva consultato, strappò un angolo da una delle sue pergamene per infilarlo in una tasca e lasciò la biblioteca. Raggiunse le scale, animate da un gruppetto di ragazzi vocianti che stavano salendo rumorosamente i gradini, ma non li seguì. Prese invece la rampa che lo avrebbe condotto nei sotterranei, le viscere pietrose e umide del castello. Loki e pochi altri studenti sapevano che i libri contestati erano stati portati lì sotto, in attesa di essere riordinati, possibilmente dopo un’ulteriore cernita, e conservati in una vetrina a prova di studente, situata in biblioteca. Naturalmente ai ragazzi era vietato visitare i sotterranei; a sentire la maestra Lydia Las, insegnante di Rune, in quei luoghi erano rinchiuse delle creature oscure, ma era più probabile che quei corridoi celassero segreti ulteriori rispetto ai libri proibiti. Loki non ne era sicuro: anche in quel caso si trattava solo di voci. Lui vi era già stato una volta con il maestro Mørkson, era praticamente di casa, inoltre aveva bisogno di quel libro e non aveva intenzione di rinunciarvi.
Giunse dinanzi a una porta di legno, appoggiò il palmo della mano sulla superficie e gli bastò pensare all’incantesimo “Alohomora” perché la serratura scattasse. Quando la porta si richiuse alle sue spalle, l’Incantesimo della Luce gli accese un globo luminoso tra le dita che fu in grado di rischiarare alcuni gradini, scesi i quali Loki si trovò di fronte a una seconda porta. Aprire quella sarebbe stato più difficile, ma il principe aveva la soluzione a portata di mano. Scavò in una delle tasche dell’abito che indossava e ne trasse il frammento di pergamena che aveva strappato dal suo ultimo compito di Arti Oscure e che recava la firma del suo maestro, dopodiché lo appoggiò sulla superficie di legno. Per un attimo la sigla di Mørkson brillò come se fosse stata pura luce, poi anche la seconda serratura cedette.
Attraversato l’uscio, Loki si trovò in un ambiente enorme a causa della quasi totale assenza di muri divisori. Gli unici rumori che si udivano erano lo stillare di una goccia d’acqua che da qualche parte stava scavando la pietra, lo scalpiccio di qualche topo e il ronzare di alcuni Doxy. La sola luce in quei sotterranei proveniva dalla sfera tra le sue dita, e fu grazie a questa che il principe riuscì a intravedere a una certa distanza cumuli di oggetti non meglio identificati.
La temperatura lì sotto era particolarmente rigida e il giovane si sentì rinvigorito. Con un brivido che nulla aveva a che fare con quel freddo, avanzò verso il cumulo più vicino a lui. Man mano che si avvicinava, percepì un odore che non aveva dimora nei sotterranei, ma si mescolava con quello di muffa e umidità. Quando lo raggiunse, si rese conto di non essersi sbagliato: aveva effettivamente annusato l’odore della carta, ma si trattava di semplici rotoli di pergamena. Evidentemente i libri erano stati spostati dall’ultima volta che Loki era stato nei sotterranei, occorreva proseguire.
Oltrepassò calderoni fusi o spaccati accatastati gli uni sugli altri, recipienti impolverati, bauli dall’aspetto molto pesante impilati pericolosamente, cercando di tanto in tanto di Appellare il libro che stava cercando, ma nessun oggetto volò tra le sue mani. Contrariato, si rese conto che forse l’Obscura recognitionem non si trovava neanche nei sotterranei. Si era recato lì per nulla, anche perché iniziava a pensare che l’incantesimo che aveva scovato potesse consistere nell’Aquila Sanguinis. Ecco perché quelle due parole gli erano sembrate familiari appena le aveva lette: si trattava di una maledizione che aveva già sentito nominare.
Loki si stava rassegnando a trovare ulteriori informazioni in un testo che con fosse il Recognitionem, quando, aggirata l’ennesima pila di oggetti inutili, si bloccò.
Si trovava di fronte a un muro di pietre in alcuni punti scheggiate o percorse da crepe. Partiva dal pavimento, ma non raggiungeva il soffitto. Questo, più l’aspetto consunto delle pietre, dava l’idea che il muro preesistesse al castello, che anzi l’edificio gli fosse stato costruito intorno. La sua presenza era già di per sé inusuale data l’assenza di pareti divisorie nei sotterranei, ma non fu quella la ragione per la quale Loki avvertì il setto nasale percorso da un intenso pizzicore. Avvicinò il palmo al muro e, al bagliore chiaro della luce danzante sulla sua mano, riuscì a leggere le parole tracciate con un inchiostro scuro e raggrumato.
“Gli dei non vivono nei cieli. Vivono sulla terra. E voi esistete per nostro diletto.”





NdA: qualche indicazione tecnica: il cognome di Frida Forvandler deriva dal termine norvegese che vuol dire "trasformazione", Magne
Mørkson dal termine tradotto con "oscuro" e Lydia Las da quello tradotto con "leggere". Irnerius Insamoria deriva il suo nome da Irnerio, un giurista medievale che... boh, mi porto dietro dai miei studi, ma era un tipo simpatico, invece il cognome nasce dalla fusione di "folle" e "memoria".
L'aquila di sangue è una tortura realmente menzionata in saghe norrene. Ho immaginato che potesse esserci un incantesimo abbastanza oscuro da produrre gli stessi effetti, ma non li ho descritti altrimenti avrei dovuto mettere il rating rossissimissimo.
L'ultima frase, che spero farà rizzare i capelli in testa a Pepe, è una citazione di Fear itself. E da adesso entriamo nel vivo della faccenda.
Grazie a chi legge questa storia per essere giunto fin qui :)

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