Alphas

di DeiDeiDei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Parte Terza ***
Capitolo 4: *** Parte Quarta ***
Capitolo 5: *** Parte Quinta ***
Capitolo 6: *** Parte Sesta ***
Capitolo 7: *** Parte Settima ***
Capitolo 8: *** Parte Ottava ***
Capitolo 9: *** Parte Nona ***
Capitolo 10: *** Parte Decima ***
Capitolo 11: *** Parte Undicesima ***
Capitolo 12: *** Parte Dodicesima ***
Capitolo 13: *** Parte Tredicesima ***
Capitolo 14: *** Parte Quattordicesima ***
Capitolo 15: *** Parte Quindicesima ***
Capitolo 16: *** Parte Sedicesima ***
Capitolo 17: *** Parte Diciassettesima ***
Capitolo 18: *** Parte Diciottesima ***
Capitolo 19: *** Parte Diciannovesima ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***




Avevano passato di nuovo tutta la giornata a fare ricerche e a discutere piani d’azione. Stiles aveva dato il suo contributo con qualche dato raccolto su internet ed un paio di considerazioni ed aveva aspettato buono buono la fine della riunione, sapendo che il suo nome non sarebbe stato proposto tra quelli di chi si sarebbe occupato delle ronde notturne.  Il fatto che ci fosse forse un Licantropo estraneo al branco che gironzolava per la città aveva messo tutti sugli attenti e, visti i precedenti, gli altri avevano deciso di comune accordo che Stiles non sarebbe dovuto in alcun modo scendere in prima linea. La decisione lo aveva un po’ ferito. Certo, sapeva di non avere le stesse capacità e la stessa invulnerabilità dei membri del branco, ma gli sembrava anche di aver dato dimostrazione della validità delle sue azioni con piani ben architettati, ricerche e, negli ultimi due mesi, con notevoli miglioramenti nell’arte alchemica. Non era colpa sua se il corpo disubbidiva alla testa e si buttava a capofitto in situazioni pericolose e potenzialmente mortali. Era tutta colpa di Scott, continuava a ripetersi ancora dopo quasi un anno, e del suo essersi fatto mordere.

Al termine del meeting Stiles era salito in macchina con Derek e Scott e si era lasciato accompagnare a casa blaterando il meno possibile. Oramai andava avanti così da circa una decina di giorni. Da quando, cioè, la sua jeep era stata presa di mira da un branco di piccoli teppisti ed era quindi finita dal carrozzaio per essere rimessa in sesto. Scendendo dall’auto aveva salutato i due licantropi facendo finta di non notare il fatto che rimanessero li a controllare che entrasse illeso. Quindi era passato in cucina, aveva trangugiato un panino e si era diretto al piano di sopra, ringraziando il cielo che suo padre fosse ancora via in vacanza coi colleghi. Una volta in camera aveva poi tirato fuori dalla tracolla i due libri di alchimia e li aveva poggiati nella libreria assieme agli altri che il Dottor Deacon gli aveva dato da studiare. Ne aveva raccolto un altro aperto da terra e, tenendo il segno con un medaglione ottagonale celtico,  lo aveva accatastato distrattamente sulla scrivania, strisciando a terra il piede per cancellare con la calza i tre piccoli cerchi alchemici che aveva tracciato quella mattina. Effettivamente era molto migliorato in quella disciplina e lo dimostravano ampiamente anche i numerosi oggetti dall’aspetto mistico sparsi per la sua stanza, oltre ai libri e ai barattoli piani di polveri colorate.

 Riportata, comunque, al suo ordine la camera, si era infilato un paio di pantaloni del pigiama e se ne era andato a letto. Ovviamente non stava dormendo seriamente. Non stava proprio dormendo, a dire il vero. Non lo faceva da settimane. Semplicemente si sdraiava e se ne stava ad occhi chiusi o a fissare il buio, rimuginando sulla sua situazione dal punto di vista umano. Anche quella sera stava facendo lo stesso. Solo per questo si accorse del fruscio di qualcuno che scivolava attraverso la finestra aperta e del piccolo tonfo che i suoi piedi produssero toccando la pavimentazione di legno di camera sua. Non c’erano molte persone che si azzardassero ad entrare da lui in quel modo. Ancora meno erano quelle che lo facevano abitualmente, ma dopotutto collaborare con dei lupi mannari comportava anche simili intrusioni indesiderate.

-Hei, Scott, sono sveglio, vedi?- Sbuffò non degnandolo di uno sguardo –So che sei appena entrato in camera mia. Anche se non ho il super udito sovrannaturale di voi imbattibili lupi mannari riesco comunque a sentire quando una persona entra in camera mia dalla finestra. DALLA FINESTRA! Ti rendi conto di cosa fai, vero? Ti introduci nelle case altrui come un malintenzionato. So che volete soltanto controllare che io sia tutto intero o che non me ne sia uscito di nascosto per andare alla ricerca del misterioso lupo che avete sniffato (posso dire “sniffato”?). più probabilmente la seconda. Credo. Ma penso che possiate stare tranquilli. Cioè, vorrei farlo, ma so che è pericoloso. Lo so, non sono completamente idiota! Quella è una tua prerogativa. Quindi potete stare tranquilli e smetterla di entrare di soppiatto in camera mia. Anche smettere di entrare in generale. Sapete, esistono cose come la privacy! A noi comuni mortali non dispiacciono per nulla. E se ero con una ragazza? Eh? Bhè, ovvio che non ero con una ragazza, sono appena tornato dalla riunione con voi… ma sarei potuto essere con qualcuna, sai? Sarei potuto essere nudo! So che sono assolutamente meraviglioso e probabilmente vuoi vedermi nudo, ma per queste cose basta chiedere. Cioè, siamo amici. Anche se non condivido la tua passione, mica è la prima volta che mi vedi nudo. Dopotutto facciamo lacrosse assieme e…- Stiles si bloccò di colpo. Non aveva ricevuto risposta ed era piuttosto anomalo da parte di Scott non interromperlo o non scoppiare a ridere al suo divagare senza fine.

-Oh- Ossignore. Quello nella sua stanza non era Scott! Si morse mentalmente la lingua al pensiero di aver appena parlato davanti a Derek  di se stesso nudo, delle “passioni” del proprio migliore amico e di possibili ragazze intrufolate in camera sua –Derek?- Tentò quindi sperando che il Licantropo non si fosse irritato al punto di ucciderlo seduta stante –Ehm… Bhè, ok! OK! Sto zitto e dormo! Va bene? Lo so che nemmeno tu vorresti stare qui, ma la cosa delle privacy funziona con te allo stesso modo. Anzi, forse con tè dovrebbe essere ancora più obbligatoria. Cioè, noi due non siamo amici, non ci sopportiamo quasi. Tu, di sicuro, non mi sopporti. Non puoi entrare e…- Stiles si fermò una seconda volta. E si morse seriamente la lingua. Irritare un Derek già irritato era la sua specialità, ma non portava mai a niente di buono. Ed era quello che aveva appena fatto, perciò chiuse gli occhi e sperò nella meno peggiore delle ipotetiche punizioni. Ma non arrivò nulla. Nemmeno un ringhio. Stiles riaprì gli occhi, nel buio, e guardò fisso davanti a se. Se non c’era stata nessuna reazione voleva dire che non c’era nessun Derek in camera sua. Aveva già appurato che quello alle sue spalle non fosse Scott. Il suo cuore saltò un battito.

-Boyd?- Domandò esitante, fermo e teso come una corda di violino –Isaac?- Non erano mai entrati in camera sua prima, ma chi lo sa, magari il loro Alpha li aveva spediti a tenerlo sotto controllo –Erica?- Anche l’ultimo richiamo cadde nel vuoto. Nel silenzio più assoluto. Nella stanza dove regnavano soltanto il suono del suo respiro e di quello del visitatore. Sembrava persino più vicino. Il cuore di Stiles iniziò a battere più forte, quando un fruscio tutt’altro che rassicurante si mosse verso di lui. Perché quello dietro di se non gli rispondeva? Non era un bello scherzo. Assolutamente no. Avrebbe dovuto parlare col branco riguardo ai loro scherzi. Se l’obbiettivo era spaventarlo, ci stavano riuscendo benissimo. Non sapeva se essere più irritato o terrorizzato, perché una piccola parte di lui, pressante ed accanita contro la sua calotta cranica, gli stava ripetutamente suggerendo che la persona entrata dalla finestra non era Scott, non era Derek, ne Isaac, Boyd o tantomeno Erica. Stiles sentì distintamente lo sbuffo di un ghigno aprirsi da qualche parte nella stanza scura e, col cuore in gola, fece appena in tempo a voltarsi di novanta gradi, prima che una massa nera gli saltasse addosso, riatterrandolo sul letto.

Il colpo gli mozzò il respiro, ma non gli impedì comunque di sputare qualche colorita imprecazione. Si rese conto anche da solo che la sua voce usciva dalle labbra terrorizzata. Ma visto che era spaventato a morte, non c’era nulla di strano. Tentò di muoversi, ma una mano gli teneva pigiato in basso il petto all’altezza dello sterno e un’altra gli torceva il busto, stretta attorno alla sua anca sinistra. Il resto del peso era esercitato sulle sue gambe, immobilizzate come se l’intruso ci si fosse seduto sopra e le stesse comprimendo con le proprie. Le braccia erano libere, grazie al cielo, e provò quindi ad usarle per liberarsi, spingendole a caso nel buio per cercare di colpire l’assalitore. Come unico risultato ottenne un ringhio cupo. Quell’essere esercitava sul suo corpo una forza mostruosa. Il ringhio si ripeté e, questa volta, Stiles vide chiaramente qualcosa nel buio più completo: due rossi occhi da animale che lo fissavano. Ci mise un attimo a capire cosa stesse succedendo. Giusto l’attimo che ci volle al licantropo per abbassare il viso sul suo fianco e mordere. Stiles rimase pietrificato col fiato morto in gola mentre i denti del Lupo gli perforavano la pelle ed affondavano decisi nella carne. Inarcò la schiena. Poi urlò. Urlò come, seriamente, non aveva mai urlato. Un grido di dolore e paura, mentre un calore innaturale si irradiava dal punto dove l’uomo continuava a stringere. E piano piano l’urlo si spense, trasformandosi in un mugolio sofferente e ansante. Il Licantropo staccò troppo lentamente la bocca dal fianco di Stiles, provocandogli soltanto un’altra serie di ondate di calore e dolore. Si voltò verso di lui, con le labbra ancora insanguinate, e gli sorrise. Stiles, nel panico all’idea che lo potesse mordere ancora, allungò più svelto che poté la mano sulla testata del letto e ne prese uno a caso degli oggetti esposti, piantandolo con tutta la forza che aveva in corpo addosso al Licantropo. Non sapeva nemmeno dove l’aveva colpito, ma sicuramente c’era riuscito, perché questo ringhiò rabbioso con un lampo di dolore negli occhi.

In un attimo era sparito. Le mani di Stiles si spostarono tremanti verso il ventre e si strinsero sul fianco dolorante. Il sangue gli passava tra le dita, caldo e scivoloso, e già stava iniziando a macchiare le lenzuola azzurre tutto attorno a lui. Non riusciva a respirare bene, ne a smettere di gemere ad ogni scossa di dolore che investiva le sue ossa. Ma una cosa riusciva a capirla.

Era stato morso.






ANGOLO dell'autrice
Salve a tutti/e! Questo capitolo è un po' più corto degli altri essendo praticamente un'introduzione, perciò non spaventatevi. in quanto al POV... in ogni "parte" sarà differente (varierà tra Stiles, Derek e Scott). OVVIAENTE se notate errori, imprecisioni, uscite di carattere o qualsiasi altra cosa ditemelo pure, sia per recensione sia per messaggio. Detto ciò, spero vi piaccia ^^

 

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***



Derek era già sulla strada che portava alla casa di Scott. Non gli piaceva doverlo riaccompagnare a casa ogni volta, ma era sempre meglio che lasciarlo scorrazzare in giro a quattro zampe, considerando quanto era portato per il farsi scoprire, rintracciare e attaccare dai cacciatori. Dopotutto, però, quello era uno dei suoi Beta. Beta minorenni. Avrebbe dovuto ragionarci prima. Ora gli toccava, in quanto Alpha e unico maggiorenne, occuparsi di loro anche secondo le leggi umane e non solo quelle del meraviglioso mondo sovrannaturale nel quale aveva sempre vissuto. Sbuffò ed osservò con la coda dell’occhio il ragazzino, il quale stava smanettando sul cellulare con indifferenza quasi non sua. Sospirò e decise che forse era il momento giusto per parlargli nuovamente di quanto pericolosa potesse essere la sua relazione con la figlia degli Argent. Per provare a convincerlo. Dopotutto le sue argomentazioni erano piuttosto valide, no? La sua ragazza, in fin dei conti, aveva dato fuoco a casa sua con dentro tutta la famiglia soltanto perché alcuni di loro erano lupi mannari. Per quanto il nuovo lupo arrivato in città fosse la loro principale preoccupazione in quel momento, anche le loro relazioni coi cacciatori dovevano essere messe in chiaro. Derek aprì la bocca pronto a parlare, ma un urlo squarciò il silenzio prima che potesse emettere un suono.

I due lupi saltarono sul’attenti, ascoltando il verso straziante fino all’ultimo eco. Quindi si osservarono sgomenti. Quello era stato un grido a dir poco agghiacciante. Un onda sonora ricolma di dolore che era andata ad intaccare persino le loro ossa di immortali. Era stato l’urlo di qualcuno che stava soffrendo. Ma, soprattutto, era stato un urlo dalle caratteristiche inquietantemente familiari.

-Stiles!- Esalò Scott nell’esatto momento nel quale Derek costrinse la Camaro a fare una scorretta inversione ad U e pigiò sull’acceleratore con tutta la forza che aveva –Quello era Stiles, vero?- Domandò Scott sbiancando. Derek preferì non rispondergli –Cosa diavolo era quell’urlo?- L’Alpha rimase ancora in silenzio, concentrandosi sulla guida e portando l’auto ad una velocità quasi inimmaginabile –Lo avranno sentito in tutto il quartiere!- In tutta BH, pensò lui, digrignando i denti. Arrivarono sotto casa del teenager il più in fretta possibile e anche senza udito superumano seppero che Stiles non stava assolutamente bene. Gemiti di dolore provenivano senza sosta dalla sua finestra aperta. Aperta. Perché diavolo era aperta con un Lupo sconosciuto in circolazione? Derek guardò con odio l’apertura a vetri prima di saltarci dentro agilmente con un unico salto e precipitarsi al letto del ragazzo, seguito come un’ombra da Scott. Appena l’altro vide l’amico contorcersi sulle lenzuola gli si lanciò accanto chiedendogli spiegazioni. Derek, dal canto suo, iniziò a guardarsi attorno cercando spiegazioni. La stanza era impregnata dell’odore ferroso del sangue del ragazzo ed osservando bene il letto si rese conto che le coperte dovevano esserne oramai completamente impregnate. C’era anche un odore animale a lui estraneo. L’odore di un altro Lupo mannaro. Avevano lasciato senza sorveglianza per dieci minuti Stiles e il loro misterioso ospite era riuscito a fargli del male. L’Alpha digrignò i denti, frustrato, maledicendosi per non aver lasciato qualcuno a fare la guardia o per non aver rinchiuso quel ragazzino idiota in cantina o qualcosa di simile. Poi, improvvisamente, i gemiti di Stiles lo riportarono alla realtà e i suoi occhi si posarono sulle mani che non volevano staccarsi dal fianco, arpionandolo tra rivoli di sangue. E sgomento collegò le cose.

Si lanciò sul letto e scostò a forza le mani di Stiles da dove Scott non aveva avuto il coraggio di spostarle ed ad occhi sbarrati si ritrovò a fissare un morso irregolare e profondo inciso nella carne del ragazzo. Dopo un attimo di silenzio, Scott si espresse con una colorita imprecazione. Lui optò per un ringhio basso e sordo. Qualcuno aveva morso Stiles. Un altro Alpha aveva morso Stiles. Aveva morso un ragazzo che avrebbe dovuto fare parte del suo branco. Stiles non era più loro. Questo, come capobranco, fu il suo primo pensiero. Il suo secondo pensiero, come persona, fu che doveva fare qualcosa. Stiles continuava a gemere e divincolarsi anche ora che i suoi polsi erano intrappolati tra le mani di Derek. Gli occhi erano sbarrati e fissavano il vuoto, mentre le labbra erano aperte in un continuo lamento incoerente. Derek poteva perfettamente sentire il suo cuore battere in modo tutt’altro che normale e il suo respiro diventare sempre più affaticato. Il sangue gli si gelò nelle vene al pensiero di cosa stava succedendo. Ringhiò ancora e senza lasciare le mani del ragazzo si avvicinò al suo viso.

-Tranquillo, Stiles! Stai tranquillo! Andrà tutto bene! Ci penserò io, ok? Andrà tutto a posto!- Spiegò con calma a dir poco soltanto apparente a voce abbastanza alta perché il giovane potesse sentirlo anche attraverso la barriera dei suoi stessi gemiti. Probabilmente Scott lo stava guardando scandalizzato per la sua improvvisa disponibilità nei confronti di un ragazzo che fino a quel momento non aveva praticamente fatto altro che maltrattare. Non gli importava. L’unica cosa che gli interessava in quel momento era prendere quei due idioti e portarli fuori da lì prima che la polizia, chiamata dalla vicina di casa circa tre minuti prima, li sorprendesse nella casa –E’ tutto ok, Stiles. Lascia solo che ti porti via da questa stanza…- E mentre ancora stava parlando, gli lasciò le braccia e passò le proprie una sotto il suo collo e una sotto le ginocchia, alzandolo dal letto ora vistosamente impregnato di sangue e dirigendosi subito alla finestra, buttandosi giù dal primo piano tenendo il più delicatamente possibile il corpo già scosso da tremiti dell’alchimista e portandolo in fretta alla Camaro. Scott lo aiutò a caricare Stiles sul sedile posteriore, mentre lui si sprecava nuovamente in altre frasi di incoraggiamento e si spostava al volante, subito raggiunto dal Beta al suo fianco. Fece partire l’auto ancora prima di aver chiuso del tutto le portiere.

-Non capisco- Scott non la smetteva di girarsi ad osservare il suo migliore amico che era passato dai mugolii a gemiti ansanti senza sosta e che tremava in modo tutt’altro che normale –A me non è successo così..- Derek ignorò il parlare del giovane Licantropo e si concentrò sul respiro affannoso e stentato del sofferente dietro di se. Poi sul suo battito cardiaco. Sentì saltare un battito. Due regolari, poi saltarne un altro. Un altro ancora. Ringhiò rabbioso rabbuiandosi ed accelerando ancora di più. –Derek! Che diavolo gli sta succedendo? Io non tremavo così!- Nessuno aveva mai tremato così, a memoria dell’Alpha –sembra che non riesca a respirare!- Nessuno che lui avesse mai morso era mai stato così male. Il cuore di Stiles saltò tre battiti.

-Maledizione! Cazzo! Siamo già a questo punto!- Probabilmente avrebbe perso per sempre la sua immagine di insensibile ed indifferente grande lupo dal cuore di ghiaccio, dopo quella sera. Ma con quello che c’era in gioco, poteva forse fare altrimenti?

-DEREK, che sta succedendo a Stiles?-

-Non lo capisci?- Domandò rabbioso, fulminandolo con gli occhi rossi rubino.

-Se lo capissi non te lo chiederei!- Gli ringhiò contro il ragazzino. No, non lo capiva e, in quanto suo Alpha, toccava a lui dargli la brutta notizia. Derek sospirò, ma non riuscì lo stesso ad apparire controllato.

–Non sta funzionando.-








Angolo dell'autorice
ATTENZIONE: ho deciso di pubblicare diversamente da come mi ero prefissata all'inizio e cioè, invece di postare ogni capitolo formato da due parti in differente POV, mettere una sola parte per capitolo. in questo modo , mi spiace, i capitoli saranno di più e ne risentiranno in lunghezza, ma almeno avrà senso il metodo con il quale ho scritto questa storia.

SE PREFERITE però avere capitoli più lunghi, ditemelo e aggiusterò subito le cose aggiungendo l'altra parte.
La decisione è vostra ragazzi/e ^^
Detto ciò, spero vi piaccia anche questo secondo capitolo e spero di non aver sbagliato qualcosa nel POV Derek. Se notate errori, per favore, segnalatemeli!

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Capitolo 3
*** Parte Terza ***



-Come sarebbe a dire “Non sta funzionando”?- Il silenzio era aleggiato nell’auto per qualche secondo, rotto solo dai lamenti di Stiles, prima che Scott riuscisse a porre la domanda al proprio capo branco. Ed il silenzio era aleggiato nuovamente qualche secondo prima che, anche senza alcuna risposta da parte di Derek, il suo cervello metabolizzasse le poche informazione che aveva raccolto e le mettesse insieme, portandolo inevitabilmente alla risposta giusta. Il suo viso sbiancò di nuovo quando comprese con assoluta certezza che, si, il morso non stava funzionando. La trasformazione non stava avvenendo e non sarebbe avvenuta –Oh, no. No, no, NO!- Piagnucolò piano osservando prima la mascella contratta dell’uomo alla guida e poi il corpo del migliore amico che si stava contorcendo nel seggiolino posteriore dell’auto. –Dio! Derek, ti prego, no!- La trasformazione non sarebbe avvenuta. Stiles sarebbe morto –Derek, devi fare qualcosa!-  Gemette guardando Stiles annaspare ancora una volta stringendosi il fianco –Non puoi lasciarlo…- Sapeva che non era per niente colpa di Derek. Lui aveva fatto il suo lavoro di Alpha come si deve, aveva anche proposto di tenere Stiles nella vecchia casa degli Hale in ristrutturazione, ma Stiles  si era opposto, dicendo che poteva cavarsela da solo e non era il loro animaletto domestico. Dicendo che era già abbastanza che li aiutasse e che non avrebbe loro permesso di rapirlo, o tenerlo rinchiuso da qualche parte o qualsiasi cosa riguardasse il non lasciargli completa libertà di movimento. Se solo avesse accettato. Ma sapeva che non era neppure colpa di Stiles. Sapeva come era fatto il suo migliore amico, non avrebbe accettato nemmeno se a tenerlo sotto chiave  fossero state un manipolo di modelle vogliose e loro sicuramente non lo erano.

-Maledizione!-  L’imprecazione di Derek  lo mise ulteriormente nel panico. Non era solito sentirlo imprecare e tantomeno preoccuparsi così tanto per una persona che non facesse parte della sua famiglia, del suo branco. Ma dopotutto Stiles collaborava con loro fin dal primo momento. Forse un po’ membro del branco lo era. Ma non era proprio l’avere a che fare con loro ad averlo sempre messo in pericolo? Non era stata quella la ragione per il morso che aveva ricevuto? Sarebbe morto per colpa della lealtà e della dedizione che aveva dimostrato nei confronti di un branco di lupi mannari. Nei confronti di un mondo al quale, in fin dei conti, non apparteneva e probabilmente non avrebbe voluto appartenere. Ed era colpa sua. Era soltanto colpa sua se il suo migliore amico stava soffrendo sul sedile posteriore di un’auto senza potersi nemmeno ribellare al proprio destino. Scott si sarebbe maledetto per tutto il resto della vita, sempre se dopo questo avrebbe avuto ancora voglia di averne una. Stava portando alla morte una delle persone che gli avesse mai voluto più bene al mondo. Una delle persone che gli era stata accanto più di chiunque altro nell’ultimo, difficile, anno. Ringhiò tra i denti e si rese conto improvvisamente che la macchina si stava fermando in un parcheggio.

Scott osservò per un attimo confuso ed ancora frustrato la clinica veterinaria. Perché era lì che si trovavano in quel momento. Si decise quindi a scendere dalla macchina, rischiando di inciampare due volte per la distrazione, e a richiudere con forza la portiera. Derek lo avrebbe ucciso per il botto che aveva prodotto con lo sportello della sua amata auto. O perlomeno lo avrebbe fatto in un qualsiasi altro momento durante la loro collaborazione. Ma, evidentemente, non ora. Era troppo distratto per accorgersi di qualcosa che potesse succedere alla sua macchina. O forse sarebbe meglio dire che era troppo concentrato sul far scivolare Stiles  giù dal sedile posteriore e prenderlo nuovamente in braccio. Scott si affrettò a seguirlo, sentendosi un idiota terribilmente inutile nel vedere qualcun altro portare in braccio una delle persone a lui più care in fin di vita. Ringhiò a se stesso e si affrettò a superare di corsa Derek ed accostarsi alla porta, tirando subito fuori dalla tasca un mazzo di chiavi ed armeggiando con queste per aprirla. La prima chiave lo deluse, ma grazie al cielo ne dovette provare soltanto un’altra per riuscire a spalancare l’uscio. Derek lo raggiunse appena dopo un secondo e lui si spostò per lasciarlo passare e richiudere la porta dietro di loro. Perlomeno aveva fatto in modo che il proprio capobranco non dovesse sfondarla facendo risuonare l’allarme per tutto il circondario. Si sentì un po’ meno inutile.

In quell’esatto momento uscì esitante dalla stanza accanto il Dottor Deacon, il quale si accigliò non poco a vedere Derek di nuovo nella sua clinica. Scott osservò senza poter proferire parole la sua espressione mutare e divenire allarmata quando riconobbe il ragazzo insanguinato e sofferente tra la braccia di Derek come Stiles.

-Genim?- Domandò ad occhi sbarrati affrettandosi ad aprire il cancelletto di legno di faggio e lasciando passare l’Alpha, il quale si diresse senza ulteriori indugi alla saletta che il veterinario utilizzava per le visite ai suoi piccoli pazienti. Scott notò a malapena il fatto che l’uomo avesse chiamato Stiles col suo vero nome, dopotutto lo faceva da oramai qualche settimana considerandolo un nome più consono ad un apprendista alchimista. Si concentrò piuttosto sul suo piccolo ruolo e richiuse il cancelletto, muovendosi a sua volta verso l’ambulatorio. Non fece in tempo se non a fare un qualche passo, prima che una mano gli si posasse fermamente sulla spalla, bloccandolo.  Scott sobbalzò e si voltò di scatto, ritrovandosi davanti la faccia del superiore –Che gli è successo?- Il ragazzo esitò, non volendo essere lui quello a dare all’uomo la brutta notizia e in realtà non sapendo nemmeno che parole poter usare in un caso come questo –E’… è stato morso, dottore.- Spiegò sbrigativo, lanciandosi poi nella porta di fronte a se e cercando di capire come andavano le cose. Incontrò quasi subito gli occhi di Derek, che ancora lampeggiavano ad intervalli di un rosso rubino intenso e minaccioso. Adirati e preoccupati allo stesso tempo. Lasciò che il medico lo superasse e si avvicinasse al tavolo metallico sul quale Derek aveva disteso Stiles con cura quasi non sua e ora stava cercando di rianimarlo, richiedendo la sua attenzione scuotendogli piano il viso e chiamando il suo nome.

Il veterinario osservò il fianco ferito del ragazzo, che oramai gemeva in un filo di voce, contorcendosi al centro della stanza freddamente illuminata dai neon. Scott non osò avvicinarsi, nemmeno quando, confuso, vide Deaton spintonare Derek malamente e fissarlo con astio. Anche l’Alpha gli parve un po’ confuso, ma giusto un secondo. Poi aggrottò le sopracciglia, quasi offeso.

-Non l’ho morso io-

-Non ce la farà, lo sai, vero? Il morso sta facendo reazione!-

-Non l’ho morso io!- Ripeté con più decisione Derek con quella che sembrava un’espressione adirata per le accuse infondate del medico (non tanto infondate, poi, considerando che teoricamente lui sarebbe dovuto essere l’unico Alpha in città), ma i suoi occhi continuavano a distrarsi ed a spostarsi sul giovane disteso sul tavolo –Oh mio dio, NON SONO STATO IO! Glielo ho proposto, ha detto di no! Io rispetto le scelte degli altri!- Ringhiò il Licantropo, facendo tremare le ossa di Scott. Il medico non sembrava credergli e continuava a guardarlo accusatore. Improvvisamente Scott ebbe la terribile visione di un Derek offeso ed agitato che sbrana il suo datore di lavoro sul pavimento della sua clinica veterinaria. Solitamente non era una persona che lavorasse molto di fantasia. Ma dopotutto quell’idea non sarebbe potuta essere più lontana dalla fantasia e più vicina alla realtà. Prima che tutto ciò potesse accadere, decise di tentare un disperato salvataggio d’emergenza, anche nella speranza di riportare l’attenzione dei presenti sul suo agonizzante migliore amico e, prima che uno dei due potesse aprire di nuovo bocca, si posizionò tra di loro e li spinse piano di lato, tanto per dare l’idea.

-Non è stato lui, Doc! Era con me quando è successo. È stato il nuovo lupo. È un Alpha a quanto pare!- Sproloquiò senza mai fermarsi o prendere aria. Ottenendo come risultato il silenzio, rotto soltanto dai lamenti angoscianti del giovane alchimista disteso accanto a loro. Aspettò un attimo, prima di chiedere se si potesse fare qualcosa per aiutarlo. Non poteva certo lasciare che morisse agonizzando per ore. Il medico ci pensò un po’ prima di decidersi a dargli una risposta.

-Posso provare a rendergli il tutto meno doloroso…-

-SALVARLO!- Ringhiò Derek in risposta, tornando vicino al tavolo metallico ed osservando il ragazzino – Puoi provare a salvarlo- Scott probabilmente non lo aveva mai visto con un aria talmente colpevole –DEVI salvarlo…- Avrebbe potuto definirlo afflitto. Sembrava quasi lui stesso un sofferente. Spostò lo sguardo dal veterinario accigliato all’Alpha concentrato sul suo migliore amico umano da anni. Derek si affrettò a spiegarsi, per non iniziare nuovamente a litigare per la sua scortesia, con sollievo di Scott. – Devi salvarlo… perché io non posso farlo mentre so che tu potresti farcela.- Scott gli si accostò, cercando di trasmettergli in silenzio un po’ di sostegno morale e, in egual modo, di assorbirne dal proprio capobranco. Deacon osservò Stiles per un attimo, poi sbuffò.

-Ho un’idea… Ma dovremo avere fortuna- Non stavano chiedendo di meglio.







Angolo Autrice
Salve a tutti! Questo è il minuscolo terzo capitolo e primo tentativo di POV Scott. Non sono una grandissima fan di Scott, spieghiamoci, ma volevo rendere più scorrevole l'alternarsi tra i POV. Comunque, se non gradite o vi pare OOC, ditemelo!

Credo che il prossimo capitolo verrà pubblicato più in fretta, perchè mi rendo conto che sono talmente corti da sembrare una presa in giro...

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Capitolo 4
*** Parte Quarta ***



-Non sono sicuro che possa funzionare, ma dopotutto non abbiamo molta scelta, se vogliamo provare a salvarlo- Spiegò serio in volto il veterinario. Derek era ancora un po’ irritato per le accuse che gli erano state appena imputate ingiustamente. Certo, non aveva mai adorato Stiles. Lo aveva sopportato a mala pena da quando lo aveva conosciuto. Ma aveva comunque iniziato ad accettarlo come effettivo membro umano del branco e, forse, un po’ ad ammirarlo per l’impegno che metteva nella loro missione pur essendo mortale e molto vulnerabile. Ma questo ovviamente nessuno lo sarebbe dovuto venire a sapere. Nemmeno Scott. –Sappiamo che il morso non sta funzionando- Derek venne richiamato alla realtà dal medico che, una volta sicuro di avere la sua attenzione, gli lanciò delle cinghie ed indicò quasi distrattamente il tavolo metallico sul quale Stiles si stava contorcendo. Lui annuì per far capire di aver afferrato e, sotto lo sguardo sconvolto di Scott, ancora immobile, iniziò a far girare la prima cinghia attorno al tavolo all’altezza del petto del ragazzino sofferente. –Sappiamo anche che è il sangue a fare reazione con il morso ed ad impedire la trasformazione- Derek fermò la cinghia stando attento a non stringerla troppo stretta, viste le già pesanti difficoltà a respirare dell’altro, ed intrappolandogli anche la parte superiore delle braccia –Quindi, ne deduco, che se avesse in corpo un sangue che non repelle il morso, sarebbe capace di sopravvivere- L’Alpha non poté fare a meno di fermarsi fulminato comprendendo l’idea. Prese un grande respiro e chiuse anche la cinghia attorno ai polsi ed alla parte alta delle cosce –Ci serve sangue di un licantropo di gruppo sanguigno compatibile con quello di Genim- Dichiarò infine l’uomo osservando prima lui e poi il suo Beta –E questo dovete procurarlo voi. E in fretta.-

-Stiles è A negativo. Io non vado bene- Piagnucolò Scott osservando il compagno agonizzante sul tavolo. Derek venne percorso da un brivido ed osservò a sua volta l’umano. I testi avevano sempre detto che sarebbe stata una morte lenta e terribilmente dolorosa. Non sembrava stesse succedendo qualcosa di molto diverso. Un teenager stava morendo tra atroci sofferenze solo perché lui non era stato abbastanza efficiente nel tenerlo sotto controllo. Avrebbe dovuto legarlo e chiuderlo nella sua cantina. Avrebbe dovuto assegnare rigidi turni di guardia agli altri membri del branco. Forse lo avrebbe dovuto affidare ai cacciatori, dai quali il nuovo lupo non si sarebbe di certo mai presentato. Ma non aveva fatto nulla di tutto questo. Si era accontentato di accompagnarlo in casa ad osservarlo entrare. Se ne era andato e lo aveva lasciato da solo. Aveva fallito un’altra volta. Sospirò e chiuse gli occhi, sperando che non fosse troppo tardi per rimediare al suo errore.

-Io sono A negativo- Dichiarò togliendosi il giacchetto di pelle e sentendosi un po’ più tranquillo nel vedere il viso di Scott accendersi di gioia. Se fosse riuscito a salvare quel ragazzo, forse lo avrebbero perdonato per non aver avuto le capacità di prevenire quell’incidente. Forse si sarebbe riuscito a perdonare.  Il veterinario sorrise soddisfatto e mandò Scott a prendere qualcosa nella stanza accanto. Non capì bene il senso delle loro parole. Probabilmente perché era troppo concentrato  nell’assicurare una terza cinghia attorno alle caviglie di Stiles. Alzò lo sguardo e percorse la figura del giovane alchimista dai piedi alla testa, sospirando angosciato al suono continuo dei suoi lamenti. Aveva degnato solo di un’occhiata veloce e sfuggente i due altri individui che tornarono carichi di  materiale nell’ambulatorio. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per riscattarsi.  Il rumore di oggetti di vetro, plastica e metallo poggiati su un ripiano e degli stessi che sbatacchiano tra di loro, catturò un poco la sua attenzione. A cosa serviva così tanta roba? Si sarebbe tagliato qualche vena e l’avrebbe pressata sulla bocca di Stiles fino a fargli bere abbastanza sangue, no? Alzò lo sguardo curioso e rimase ancora più confuso nel vedere ammassati una miriade di tubicini, aghi e strutture metalliche tutt’altro che rassicuranti. Ok, no, a quanto pare non sarebbe bastato tagliarsi i polsi. Osservò interrogativo il medico distendere uno dei tubicini, poi Scott, che stava trascinando una sedia fino a poggiarla con lo schienale addossato al tavolo metallico. Quindi tornò a domandare col solo ausilio degli occhi a Deacon cosa stesse succedendo. Non usò le parole per un semplice e valido motivo: aveva troppa paura di sembrare un ragazzino ignorante. L’uomo dovette capirlo.

-Non basterà dargli del sangue da bere. Non servirebbe a nulla. Ha bisogno di una trasfusione.- Ovvio. Derek avrebbe voluto eclissarsi e diventare piccolo piccolo. Anche senza aver parlato, si sentiva un ignorante. Anche un’idiota a dirla tutta. Ma soprattutto un ignorante. Ci sarebbe dovuto poter arrivare anche da solo. Probabilmente SCOTT ci era arrivato da solo. ed era un gran colpo basso al suo povero orgoglio, capire qualcosa più lentamente di Scott. –E, se vogliamo avere qualche possibilità di salvarlo, dobbiamo attuare una trasfusione su vasta scala. Preferibilmente sostituirgli perlomeno l’ottanta per cento del sangue…- Derek rabbrividì. Volevano ucciderlo? Per salvare Stiles avrebbe dovuto dare la vita lui? Dopotutto era stato tutto un suo errore. Quindi la vera domanda era “aveva il coraggio di dare la sua vita di capobranco per salvare un singolo membro del gruppo per di più umano?” -O perlomeno miscelarlo al tuo- La risposta era molto semplice ed era affermativa, scritta a caratteri cubitali sulla sua stessa faccia. –Dovrai toglierti quella.- Deacon indicò la sua maglietta e Derek la osservò per un attimo stupito, poi allibito ed infine contrariato. Sbuffò e scosse la testa, prima di sfilarsi la maglia e lasciare che Scott lo spingesse a sedere sulla sedia. Tentò di ricordarsi mentalmente che era per una buona causa.

Il veterinario ed il suo aspirante vice gli si accostarono. Scott teneva tra le mani tutti quei tubicini inquietanti e Deacon aveva provveduto personalmente a strappare i vestiti di Stiles in alcuni punti che, a chi non avesse potuto sentire che lì il sangue aveva un odore più forte, sarebbero sembrati completamente casuali. Il Beta ascoltò concentrato le direttive del medico ed iniziò a selezionare i tubicini ed appuntarli con delle sottospecie di cerotti a forma di farfalla sulle braccia di Derek. Uno venne situato anche sul suo collo, perforandogli dolorosamente la pelle e, sospettò, andando ad infilarsi nell’arteria sottostante. era come se decine di grossi insetti lo stessero pungendo contemporaneamente. Faceva male. Non molto, ma comunque da tenere attenta la sua mente a dove glieli stavano piantando. E prudeva. Gli fu intimato di non muoversi e così fece, ma probabilmente si sarebbe ricordato di quel prurito per tutto il resto della sua vita. L’alchimista gli spiegò che stavano utilizzando aghi in argento in modo che il suo corpo non li rigettasse facilmente e la pelle non guarisse richiudendosi attorno a loro. Derek decise di ignorare il disagio di essere perforato da molteplici piccole spade argentate ed osservò con la coda dell’occhio lo stesso processo avere atto addosso al ragazzo dietro di se.

-Ora Scott aprirà gli aspiratori e lascerà scorrere il sangue. Se tutto andrà bene ve ne scambierete una buona quantità.- I due Licantropi annuirono quasi all’unisono al medico. Derek osservò circospetto il Beta girare la parte superiore delle farfalline in senso orario, attivando quelle che erano minuscole pompette. In tutto e per tutto –Se andrà male ci toccherà inventare l’ennesima scusa per la morte di un bravo ragazzo- Tutti nella stanza si incupirono e Derek decise di mascherare la cosa fissando serio il tubicino che partiva dal suo polso destro, il quale oramai tirava avidamente sangue dalle sue vene. Spostò quindi l’attenzione all’interno del suo gomito sinistro, nel quale un secondo tubicino immetteva invece il liquido nel suo corpo. Si stupì nel constatare ancora una volta quanto Stiles fosse effettivamente umano. Non aveva mai visto due cose così  diverse. Il liquido che partiva da lui era quasi nero, viscido. Quello che gli stava arrivando dal ragazzo, al contrario, era denso, di un rosso luccicante. Non aveva niente a che fare con quella specie di inchiostro che correva nelle vene dei Licantropi. Ancora una volta si ritrovò a pensare che stava rovinando la vita di un ragazzo.

Stiles non aveva chiesto di essere trasformato. Non era come Erica, Boyd o Isaac. Loro volevano cambiare vita. L’umanità non offriva loro niente. La licantropia li rendeva forti, li faceva sentire superiori e, di conseguenza, sicuri di se stessi. Stiles voleva essere umano. Gli piaceva esserlo. Essere se stesso. Aveva rifiutato il morso tre volte da Peter e quattro da Derek in un solo anno, se non meno. L’Alpha si maledisse al pensiero che, per quanto il giovane si fosse opposto in tutti i modi, alla fine il loro stupido mondo non aveva ascoltato le sue parole. Se lo era preso.

-Potrebbe durare ore. Scott rimarrà qui a controllare che non si stacchi nulla- Derek annuì in direzione del veterinario, poi osservò il viso contratto del proprio Beta.

Sospirò.






Angolo dell'autrice
Rieccoci. Scusatemi per l'ennesimo capitolo che lascia l'amaro in bocca (troppo corto, insensato, non conduce a nulla). Se avete osservazioni fatelo pure, come al solito. Sono sempre gradite le critiche!
E, prima che me lo chiediate, no, non è una svista l'aver usato il POV Derek. Lo so, non è un'alternarsi regolare dei POV, ma, seriamente, come avrei potuto usare quello di Stiles mentre lui è incoscente e moribondo???

Detto ciò vorrei ringrazire le 15 persone che seguono questa storia e chi l'ha messa tra le preferite o le ricordate. Grazie anche a chi semplicemente mi recensisce. Mi date la voglia di scrivere!

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Capitolo 5
*** Parte Quinta ***



Stiles era stato cosciente. O perlomeno lo era stato nella stragrande maggior parte del tempo. Durante il viaggio e durante i discorsi nell’ambulatorio. Ma a quanto pare non era riuscito a dimostrarlo.

Si era reso conto di aver pugnalato con successo il Licantropo che lo aveva morso  anche se non aveva fatto in tempo ad accertarsi di quale oggetto aveva utilizzato precisamente, un po’ perché aveva già iniziato ad appannarglisi la vista, un poco perché qualsiasi cosa avesse usato, sembrava essere scomparsa assieme all’aggressore. Aveva sperato di avergliela piantata talmente in profondità da avergli reciso qualcosa. Ma dopotutto, avendo a che fare con dei Lupi mannari, aveva lasciato che la speranza si dimostrasse una pazzia persino nella sua testolina incoerente per colpa del dolore. Non aveva sentito niente quando Scott era entrato nella sua stanza. Si era perciò spaventato, e non poco, quando il suo migliore amico aveva iniziato ad urlare chiedendogli cosa fosse successo. Aveva pensato di potergli rispondere, ma apparentemente le sue labbra non avevano intenzione di lasciarsi scappare nient’altro se non urla strazianti. Le aveva sentite, dalla prima all’ultima, ed aveva stentato a credere che potessero essere sue. Lo avevano spaventato quasi fino a coprire la sensazione di dolore che si stava lentamente espandendo dal morso in tutto il suo corpo. Ma la cosa che lo aveva spaventato maggiormente era stata la comparsa della voce di Derek, apparentemente dal nulla. Lo aveva sentito distintamente cercare di calmarlo, tenergli i polsi. Aveva provato inutilmente a rivolgersi a lui. Come con Scott si era dovuto accontentare di ascoltarlo mentre tentava di rassicurarlo. Si era sentito sollevare. Prendere in braccio probabilmente. E l’aria fredda gli aveva comunicato che si erano spostati all’esterno in un secondo. Non era stato sicuro di chi lo stesse trasportando fino a quando le rassicurazioni non erano iniziate nuovamente, troppo vicine al suo orecchio perché non appartenessero a chi lo teneva. Era in braccio a Derek. Si era maledetto mentalmente e aveva deciso che sarebbe morto dalla vergogna se fosse sopravvissuto.

Aveva lasciato che lo sdraiassero su quella che, una volta partita, considerò dovesse essere la Camaro di Derek. Ossignore, la sua macchina. Era sicuro di stare sanguinando. E stava sanguinando nella macchina di Derek Hale. Era sicuro, a questo punto, che non sarebbe sicuramente morto dalla vergogna. Lo avrebbe ucciso prima il padrone dell’auto. Aveva avuto un momento di sofferenza acuta nel quale aveva afferrato soltanto il silenzio ed il rombo dell’auto. Aveva mandato mentalmente a Scott tutte le maledizioni del mondo. Non gliela aveva descritta così la prima trasformazione dopo il morso. Non aveva parlato di fitte lunghe minuti di dolore all’addome e  della testa che sembra scoppiarti. Poi era stato capace di afferrare qualche parola del discorso tra i due. A quel punto nuova paura si era aggiunta a quella provata precedentemente. Un terrore distillato che aveva soggiogato per un attimo la sofferenza. Non ce l’avrebbe fatta.

Sapeva di aver sempre fatto bene a dire di no al morso in tutto quell’anno. Derek glielo aveva proposto. Quattro volte. Aveva supposto fosse stato per via delle preoccupazioni che gli dava avere un semplice umano in prima linea. Peter si era fatto avanti almeno una decina di volte. Forse voleva un proprio branco, visto che apparentemente chi era stato una volta Alpha poteva comunque mordere e trasformare in licantropi poveri innocenti. Ma Stiles aveva sospettato che quel maledetto maniaco psicopatico avesse qualcosa in mente per lui. Dieci volte dopotutto erano un numero considerevole. Probabilmente gli altri nemmeno lo sapevano. Lui aveva comunque sempre detto di no. Aveva insistito. Si era impuntato. Aveva persino litigato con Scott e una volta con Erica. Troppi rischi, aveva continuato a ripetersi. Gli sarebbe piaciuto essere forte quanto gli altri e sapersela cavare senza la protezione di un intero branco. Ma c’erano troppi rischi. C’erano sempre stati. Il fatto che tutti fossero sopravvissuti senza problemi al morso non era un buon segno, anzi. Le statistiche avevano sempre parlato chiaro nella sua vita e quella volta non era stato diverso, ai fini della sua scelta. Prima o poi a qualcuno sarebbe toccato reagire al morso. Quel qualcuno non voleva essere lui. Ma, si sa, il destino è sadico, bastardo ed ama prenderti per il culo. Aveva persino fatto arrivare in città un nuovo Alpha, giusto giusto per l’occasione.

Lo avevano riportato al doloroso presente delle voci. Se ne era aggiunta una nuova. Il clangore che produceva ogni suo spasmo agonizzante gli aveva fatto capire che era su qualcosa di metallico e non più sul comodo seggiolino di un’auto. La terza voce stava sgridando qualcuno. Probabilmente era in atto un litigio. Aveva tentato di concentrarsi per capire cosa stesse succedendo. Ci era riuscito. Aveva riconosciuto la terza voce come quella del suo mentore, il Dottor Deacon. Aveva impiegato un po’ più tempo a comprenderne le parole. Stava rimproverando Derek per averlo morso. Ma non era stato lui! Derek glielo aveva detto, ma l’alchimista non gli aveva creduto, allora Stiles lo aveva urlato. O perlomeno gli era sembrato di urlarlo. Ma vista l’inesistente reazione dei presenti, le sue labbra dovevano essere ancora in sciopero. Non per quel che riguardava le urla. Quelle a quanto pare, potevano uscire come e quando preferivano. Grazie al cielo Scott aveva messo fine alla discussione. Stiles avrebbe voluto baciarlo. Dopo essere stato preso in braccio da Derek Hale avrebbe potuto fare qualsiasi cosa senza sentirsi in imbarazzo. Aveva fatto invece in tempo a sentire vagamente qualcosa perforargli la pelle all’altezza del polso destro, prima che tutto venisse investito per la terza volta dal dolore più semplice e puro.

Era così silenzioso che Stiles sentiva disperatamente il bisogno di dire qualcosa, ma non gli usciva nulla. Si ricordò delle labbra in sciopero. Delle urla che le tenevano occupate. Poi si rese conto della completa assenza anche delle urla. Con sgomento si chiese se non fosse morto. Provò ad individuare il proprio corpo. O perlomeno a ricordarsi come fosse fatto. Fu probabilmente una delle imprese più ardue della sua vita, ma una fitta dolorosa a quello che gli sembrò di ricordare corrispondesse al suo collo gli segnalò la sua esistenza. Se aveva un collo, aveva un corpo. Tentò di convincersene e sospirò consolato. Il movimento gli provocò un’altra fitta, questa volta al petto. Se aveva un corpo doveva per forza essere vivo, no? Non era troppo sicuro, dopotutto passava le sue serate coi lupi mannari, non disdegnava l’esistenza degli zombie. Al pensiero dei licantropi si sentì quasi fulminato. Era un diventato un lupo mannaro? Era per questo che si sentiva così? Provò a muoversi ancora, ma si rese conto di essere immobilizzato. Strizzò gli occhi alla terza fitta. Gli occhi! Perché non ci aveva pensato prima?

Stiles aprì gli occhi. Gli ci volle un po’ perché il mondo sembrava terribilmente luminoso. Dolorosamente luminoso, replicarono le sue pupille, facendo richiudere le palpebre una cosa come quattro volte prima di lasciarle aprire sull’esterno. La maledetta luce veniva da una finestra. E la maledetta finestra era parte di un muro a lui familiare. Era nell’ambulatorio del Dottor Deacon ed era giorno. Bene, non era morto. Perché era sicuro che da morto un fottutissimo raggio di sole non gli avrebbe potuto dare tanto fastidio. Tentò di alzare una mano per coprirsi il viso, ma sentì il braccio venire strattonato immediatamente verso il basso. Provò allora ad alzarsi a sedere. Stesso risultato. Alzò leggermente e lentamente la testa, ignorando la protesta del collo. Individuò chiaramente delle cinghie, quattro, che lo tenevano legato al tavolo metallico della clinica. Non era morto, era solo incatenato ad un tavolo. Meraviglioso! Si guardò attorno e lo guardo gli cadde immediatamente su di una zazzera di capelli scuri come la notte poggiati sulla sua gamba. Riconobbe Derek nello stesso istante nel quale si rese conto che era seduto su una seggiola di legno, senza maglietta, e che dal suo corpo partivano decine di piccoli tubi rossi. No, tubi trasparenti pieni di sangue! Stiles si accorse con orrore che erano collegati al proprio corpo e che il sangue scorreva ancora al loro interno, incurante di quanto inquietante potesse essere lo spettacolo per uno che si sveglia come lui. Dopo un morso di lupo mannaro. Una notte di agonia. Col corpo dolorante. Legato ad un tavolo. Con tubini sanguinolenti attaccati ovunque. Come aveva fatto a non accorgersene? Gemette e tentò di divincolarsi.

-STILES!- Un urlo lo fece sobbalzare, per quanto tavolo, cinghie e tubicini glielo permettessero. Reclinò all’indietro la testa fino ad individuare, sulla porta, uno Scott evidentemente insonne con le mani sulla bocca e gli occhi sgranati.

-Hei, Scott…-








Angolo dell'autrice: salve a tutti!
Questo, personalmente, è uno dei miei mini capitoli preferiti, ma la decisione spetta a voi. Vi avverto che da ora in poi probabilmente i capitoli faranno un po' cagare (quelli di Scott) xD O potrebbero apparentemente sembrarvi senza sanso. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che li scrivo durante Filosofia ed il che mi confonde >___>
Ovviamente mandatemi le vostre critiche!


Ringrazio ancora le venti e passa persone che seguono, recensiscono, preferiscono (ecc) questa fic.

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Capitolo 6
*** Parte Sesta ***


NOTE: in questo capitolo è importante leggere l'avviso alla fine. Grazie in anticipo.

 

Scott aveva passato tutta la notte crogiolandosi nell’amarezza più pura. In un primo momento era rimasto a controllare che tutto andasse bene nella stanza. Si era accertato che i tubicini di gomma rimanessero attaccati agli aghi. Che reggessero la pressione sia del sangue del suo migliore amico sia di quello del licantropo. Aveva passato un’altra ora buona a girare attorno al tavolo metallico e alla sedia, seguito dallo sguardo dell’Alpha. Quando aveva  iniziato a sentirsi stanco si era accostato al muro, accanto alla porta, e vi era rimasto per quasi un’ora. Poi era venuta meno l’adrenalina. Non era una cosa che gli succedeva spesso, visto il suo stile di vita, ma era successo. Si era sentito vuoto. La fatica gli era ricaduta addosso come un macigno. La preoccupazione lo aveva assalito. L’emozione più difficile da reggere, però, era stata la paura. Aveva alzato di colpo lo sguardo esausto su Stiles e lo aveva finalmente osservato con realismo da quando erano entrati nella clinica. Cupo e distruttivo realismo. Gli erano subito balzati agli occhi i rivoli di sangue. Poi si era ovviamente concentrato sul morso sul fianco. Aveva esaminato la pelle del suo migliore amico, ancora più pallida del solito, come se potesse essere l’ultima volta che la vedesse alzarsi in corrispondenza del petto nell’atto del respirare. Seppur tra i lamenti e il dolore, Stiles stava respirando.

Era stato a quel punto che si era reso conto che il ragazzo stava respirando più regolarmente. Era un cambiamento minimale, ma ovviamente un Lupo Mannaro non aveva avuto difficoltà a notarlo. Non voleva dire nulla, lo sapeva, ma lo rincuorava comunque. Aveva spostato gli occhi su Derek ed aveva esultato a vederlo annuire. Aveva persino un leggero sorriso sulle labbra. Aveva trascorso circa un’altra mezzoretta a confabulare col capo branco, prima di decidere che quegli occhi stanchi avevano a loro volta bisogno di riposo. Si era quindi spostato fuori dalla stanza e si era poggiato al muro, scivolando lentamente a sedere. Aveva sospirato e si era lasciato andare alle lacrime. Le aveva sentite scorrergli lungo le guance calde di disperazione fino a quando non si era addormentato.

Al suo risveglio era tutto silenzioso. O perlomeno lo era nelle due stanze principali della clinica veterinaria. Si era riscosso dalle braccia di Morfeo scollandosi a forza e rialzandosi da terra. Dalle finestre entrava della luce. I primi raggi di sole della giornata. Era l’alba. Si era fiondato disordinatamente nella stanza accanto, solo per vedere sia Stiles che Derek avvolti nell’immobilità più totale. La scena lo avrebbe terrorizzato per la sua staticità, se non fosse stato che tutti e due sembravano respirare senza troppi problemi. Derek era profondamente addormentato con la testa reclinata da un lato, poggiata al tavolo metallico. Stiles non muoveva un muscolo e non dava altro segno di vita se non quello di respirare. Non aveva fatto in tempo ne a svegliare il primo, ne a mettere alla prova le reazioni del secondo prima che il Dottor Deacon facesse la sua entrata nell’ambulatorio, portandosi dietro due tazze di caffè. Quell’uomo continuava a stupirlo con quella sua dannata onniscienza. Come diavolo aveva fatto a sapere che lui si era appena svegliato? Era più che sicuro di non aver fatto nessun rumore! Aveva sbuffato e accettato il caffè senza fare troppe domande. Si era quindi lasciato portare fuori dalla stanza delle visite e condurre dietro il banco dell’accettazione nella piccola saletta d’ingresso. Quindi toccava a lui accogliere i clienti? Effettivamente il suo lavoro alla clinica veterinaria consisteva anche in quello. Diciamo anche che forse Deacon avrebbe avuto un poco da fare a non far vedere ai padroni delle bestiole in cura il raccapricciante trasferimento di sangue sovrannaturale nel bel mezzo  dell’ambulatorio. Sarebbe stato abbastanza traumatico. Tanto per i clienti, quanto per le sue povere orecchie. Non era pronto a sentire urla terrorizzate di donne dopo una nottata come quella che aveva passato.

Si era limitato a lavorare. E malgrado ci fossero stati per grazia divina meno clienti del solito, gli era sembrato di passare la mattinata lavorativa più pesante di tutta la sua vita. Alle undici era passata un’ultima ragazza a ritirare il suo gatto con la zampina ingessata. Dopodiché si era dato alle pulizie generali in attesa della pausa pranzo. Aveva dato da mangiare ai cani. Aveva dato da mangiare ai gatti, i quali immancabilmente lo avevano ricoperto di versi di disapprovazione. Aveva pulito le cassettine. Ed infine aveva raccolto tutti i sacchetti del rusco nella clinica. Fu in quel momento, mentre stava portando all’ingresso gli scarti delle pattumiere, che vide Stiles muoversi sul tavolo metallico. Fece un passo all’interno della stanza e, al sentire la voce del suo migliore amico, non riuscì seriamente a trattenersi e lasciò cadere i sacchetti che aveva tra le mani.

-Stiles!- Quello di Scott fu quasi un urlo. Si stupì seriamente che Derek non si fosse svegliato sentendolo. Ma dopotutto l’Alpha doveva essere molto stanco e piuttosto debole per via della trasfusione. Inoltre il fatto che l’altro ragazzino fosse vivo lo distrasse dal resto del mondo. Si perse un attimo a contemplare la sua figura che lo osservava con la testa reclinata all’indietro. Gli stava sorridendo! Gli sorrise a sua volta e aggirò di corsa il tavolo metallico, si accostò ed iniziò a strappare via le cinghie con quella che una persona qualsiasi avrebbe chiamato brutalità. Lui preferì definirla “urgenza”. –Oh, Dio! Sei vivo!- Esalò estasiato strappando la seconda cinghia dal basso e liberando così una volta per tutte le gambe di Stiles. La risata che ottenne in cambio gli fece illuminare ancora di più il viso –Ti rendi conto? Pensavo che saresti morto. Ho pensato SERIAMENTE che saresti morto! Mioddio…- Strappò l’ultima cinghia ed aiutò Stiles ad alzarsi a sedere sulla superficie fredda e grigia.

-Hei, bello, sono vivo. Tranquillo!-

-Lo vedo. Ossignore, lo vedo!- Rise di rimando non potendo resistere all’abbracciare l’amico d’infanzia. Aveva davvero pensato di averlo perso. Lo aveva pensato per una notte intera. Stiles continuò a parlare con voce gracchiante ed aspirata, ma lui era troppo concentrato a stringerlo tra le braccia e sentire il suo cuore battere vivo e pressoché regolare per occuparsi delle sue chiacchiere. In quel momento, perlomeno. Lo strinse ancora una volta, per compensare la poca forza che metteva l’altro nell’abbraccio, e poi lo lasciò andare –Grazie al cielo sei vivo.- Ripete prima di concentrarsi nello staccare uno ad uno i tubicini dalla pelle del compagno. Stiles si dibatte un poco. Mugolò persino di disapprovazione quando gli staccò i due all’altezza dei polsi. Ma lo lasciò fare, osservandolo immobile e poi spostando lo sguardo su Derek, ancora pesantemente addormentato.

-Ehm… Scott, amico, posso chiederti cos’era quella roba? Perché, sai, qualsiasi metodo abbiate usato per tenermi vivo mi va bene. Ovvio! Mi ha salvato, no? Però, ecco, quei cosi erano ATTACCATI a me e sono ancora ATTACCATI a Derek. Cioè io ero attaccato a Derek? La cosa ha un che di inquietante. E sembrano anche pieni di sangue. Sono rossi e umidicci. È SANGUE quello? Cioè, vero sangue? Io ero attaccato a Derek tramite tubicini pieni di sangue? Non so se essere curioso o solo terrorizzato. Quello è sangue, per dio, è raccapricciante!- Ok, Stiles stava strippando. Scott sospirò è sperò in un’imminente pausa che gli permettesse di spiegare –Non voglio nemmeno sapere se quello è sangue mio o di Derek. Anzi, no, scherzavo, voglio saperlo! ASPETTA! Oddio… quello è sangue di tutti e due, vero? È sangue mio e sangue di Derek! Ommioddio! È una trasfusione? Una TRASFUSIONE? Seriamente? Mi avete fatto una trasfusione con DEREK HALE?- Scott si morse la lingua quando al quarto tentativo non riuscì ad inserirsi nel monologo e parlare, ma grazie al cielo qualcuno lo fece al posto suo. Il Dottor Deacon entrò nella stanza portando un terzo caffè e sorridendo a Stiles.

-Tranquillo, Genim, non abbiamo fatto nulla di strano. Una semplice trasfusione nella speranza che il tuo sangue, miscelandosi a quello di un Licantropo potesse smettere di fare reazione con il morso e tu potessi sopravvivere- Spiegò passandogli la tazzina –E inaspettatamente ce l’abbiamo fatta, anche se credo che sia tutto merito del fatto di aver avuto così in fretta a disposizione un licantropo col tuo stesso gruppo sanguigno- Ed accennò a Derek

-Io ho il suo stesso gruppo sanguigno?- Chiese il teenager preso dalla foga –Perché proprio lui, maledizione? Cioè, ho il SUO sangue in corpo?- Indicò se stesso e poi l’Alpha. Scott sorrise. Perché quello era il suo Stiles. Era vivo e vegeto. Ed era pure ronzante e fastidioso come sempre. Deacon, dal canto suo, li ignorò.

-E’ ora di svegliarlo, non credete?- Domandò guardando Scott negli occhi con un’ordine esplicito, prima di lasciare la stanza e dirigersi al bancone, dove un qualche cliente aveva appena suonato la campanella per richiamare la sua attenzione. Scott osservò Stiles, poi il capobranco. Sbuffò.

Perchè quelle cose dovevano succedere sempre a lui?

 




Angolo dell'autrice: Salve a tutti!
So perfettamente che questo capitolo è orribile, ma abbiate pietà, sto traslocando ancora e la scuola è appena iniziata. Riuscirò a tornare a scrivere bene a breve!

ATTENZIONE: La storia che state leggendo si comporrà di 19 capitoli in tutto ed avrà un finale abbastanza aperto da permettermi un possibile proseguo apertamente Sterek. MA, se i capitoli vi sembrano troppi, ditemelo pure e vedrò di adattarmi alle vostre volontà.
Inoltre ci saranno capitoli POV ERICA, ISAAC e LYDIA. MA, se alla fine della storia (lascerò per circa una settimana non concluso il tutto) vorrete sapere cosa ne pensano altri personaggi della situazione, potrete dirmi voi chi vorreste sentire e riguardo quale punto della storia. Di conseguenza potrebbero esserci anche più di un capitolo "promo" alla fine.

Spero di non avervi annoiati.
Eva 

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Capitolo 7
*** Parte Settima ***


Quando Derek aprì gli occhi, lo fece lentamente. Con una lentezza estenuante. Strano. Davvero strano. Era un lupo e, come tale, non aveva mai avuto bisogno di sveglie di alcun tipo. Si era sempre alzato spontaneamente al sorgere del sole, o poche ore dopo, grazie all’istinto animale che gli aveva donato Madre Natura. E allora perché diavolo gli occhi gli sembravano così pesanti? E perché il sole era così dannatamente luminoso di prima mattina? Ovviamente perché non era poi così presto, gli suggerì acidamente il cervello, riscuotendolo dai suoi ragionamenti esistenziali. Questo lo realizzò quasi subito anche da solo. Appena  prima che la confusione nella sua testa venisse spazzata via e sostituita dal fastidio. Il fastidio di sentire voci squillanti di adolescenti appena sveglio.

-Fallo tu, maledizione!- Due voci. Due adolescenti. Appena sveglio. Troppo acute. Troppo vicine. La sua testa sarebbe potuta esplodere dal dolore da un momento all’altro, per quel che ne sapeva. Come se non bastasse stavano pure discutendo animatamente, apparentemente tentando di decidere a chi tra i due spettasse il compito di svegliarlo, utilizzando le più demenziali delle argomentazioni in loro possesso. Era irritante. Terribilmente irritante. Derek ringhiò, già stanco del bisticcio in atto, infastidito dal risveglio tutt’altro che piacevole. Un ringhio breve ma deciso che gli rotolò dentro il petto, crescendo e rimbombandogli nella gola. Probabilmente gli uscì più basso di quanto avrebbe voluto, ma, avendo comunque ottenuto alla grande l’effetto desiderato, decise fosse meglio non ripetersi. I due giovani litiganti, infatti, si erano zittiti di colpo e l’Alpha poteva percepire perfettamente i loro sguardi addosso mentre, cautamente (per via di quei tubicini che si era accorto solo in quel momento di avere attaccati ovunque), si alzò dalla sedia e si tirò in piedi. Di colpo si rese conto che, Dio, Quella sedia era stata la cosa più scomoda sulla quale si fosse mai addormentato! Come aveva fatto a non accorgersi fino a quel momento che tutte le ossa gli facevano male? Qualche magia di quello psicopatico di un veterinario per creature sovrannaturali? Se lo stava giusto giusto chiedendo quando le ginocchia gli cedettero. Senza alcun preavviso. Di colpo. Si preparò psicologicamente a cadere in malo modo sul pavimento granitico, come un perfetto idiota, ma subito quattro mani gli si fiondarono addosso, arrestando la caduta. Si lasciò sostenere e, poi, raddrizzare e fare risedere sulla sedia che aveva appena finito di lasciare vuota. Si maledisse mentalmente. Avrebbe mai smesso di cadere a terra (svenire, sanguinare copiosamente, vomitare l’anima, barcollare col colorito di un lebbroso) di fronte ai membri più giovani del suo misero branco? Insomma, lui era L’Alpha! Avrebbe dovuto dare l’esempio. Essere forte. E invece non faceva altro che mostrarsi vulnerabile, in particolare davanti a Scott e Stiles. Un pensiero gli folgorò il cervello da parte a parte.

-Tu.- Stiles era cosciente. Aveva parlato. Stava bene. O, perlomeno, relativamente bene. Lo aveva afferrato e sorretto assieme al suo Beta. Era vivo. –Sei vivo.- Soffiò spostando confuso lo sguardo dalle mani fermamente poste sul suo braccio sinistro al viso del loro proprietario. La sua non era una domanda. Era una semplice constatazione, detta solo per tranquillizzarsi e per coprire il sospiro sollevato che avrebbe tanto voluto lasciarsi scappare tra le labbra. Stiles era vivo. Erano riusciti a salvarlo. Lo AVEVA salvato.

-Uhmm, sì, Grande capo, mi hai salvato- gli disse il ragazzo, allontanando le mani dal suo braccio lentamente e ridacchiando tra se e se divertito. Ok, forse aveva pensato ad alta voce le ultime sue due considerazioni senza volerlo. Forse. No! “Ok” un corno! Era riuscito a fare due figure di merda senza essersi nemmeno ancora del tutto svegliato! Un’altra maledizione gli scivolò tra le labbra, mentre, irritato ed imbarazzato allo stesso tempo, si copriva il volto con le mani. –E mi sa… Ecco…- Balbettò l’adolescente spostando lo sguardo altrove e parlando col tono di chi tutto vorrebbe tranne che pronunciare quelle parole, ma che qualcosa dentro di se lo obbliga a parlare –Mi sa di doverti ringraziare. Sai, per essere venuto subito a controllare cosa mi fosse successo, quando ho urlato ieri sera e, bhè, per avermi portato qui. E mi sa che ho sanguinato sul sedile posteriore della Camaro e lo so che è l’unico grande amore della tua vita (se non si conta la cacciatrice psicopatica che ha dato fuoco alla tua casa e ucciso tutta la tua famiglia senza un attimo di esitazione) perciò credo di dovermi scusare. Poi, ecco, grazie per… per il sangue? Mi fa abbastanza schifo pensarci, ma dopotutto è quello che mi ha salvato, no? E non posso ignorare la cosa, considerando che hai ancora un’inquietante dozzina di tubicini sanguinolenti attaccati al corpo e la cosa mi sta un po’ facendo rivoltare lo stomaco e ScoOot*, non pensi sia il momento di staccarli?? Perché, sai…- Derek lo interruppe con un secondo ringhio, osservandolo, suo malgrado, divertito. Per quanto l’abitudine del ragazzo di parlare a raffica gli facesse scoppiare il cervello, quello era Stiles. Vivo come al solito. Insopportabilmente rumoroso come al solito. Proprio come una mosca: più è viva, più è fastidiosa. O il contrario se preferite.

-Si- Rispose semplicemente, riacquistando il suo tono distaccato –Se ti avessi lasciato morire, Scott non mi avrebbe mai più perdonato e Peter avrebbe passato mesi a rimproverarmi di non averti morso alla prima occasione- ironizzò lasciando che Scott gli staccasse i tubicini di plastica dal corpo con cura quasi a lui estranea e li riponesse sul tavolo dell’ambulatorio. Ma dopotutto non stava seriamente mentendo: Scott non gli avrebbe più rivolto la parola, se avesse fatto morire Stiles, e Peter, che a quanto pare aveva un debole per l’idea di avere il ragazzino come membro del branco a tutti gli effetti, lo avrebbe disconosciuto. Non che la seconda cosa gli dispiacesse troppo. Ma avere nuovi conflitti all’interno del proprio branco non rientrava propriamente nelle sue migliori aspettative per il futuro, tantomeno nei progetti per passare il tempo libero durante la ricerca del nuovo stramaledetto Lupo. Ne aveva già avuti abbastanza –E sarei tornato al primo posto nella lista dei ricercati di tuo padre. Sinceramente, non ne ho nessuna voglia…- Fulminò Scott con uno sguardo truce al ricordo di tutti i casini che gli aveva causato, cioè più o meno al ricordo degli ultimi due anni della sua disastrosa vita. A partire dall’essersi fatto mordere da un’Alpha apparentemente sconosciuto.

Ci stava pensando, già con l’irritazione a fior di pelle, quando si rese conto dell’attuale situazione in modo più completo. Un fulmine a ciel sereno. –Stiles…- Soffiò alzando nuovamente lo sguardo sul ragazzo.

-Sì, “Capo”-

-Cosa sei, ora?- La domanda gli uscì istintivamente dalla bocca. Troppo secca. Troppo diretta. Scott e Stiles sobbalzarono a disagio e si guardarono per un attimo a vicenda. Si vedeva che erano preoccupati. Ed era chiaro che il secondo nascondeva il panico a stento dietro la sua parlantina esasperante. Era comprensibile. Non sapeva cosa fosse diventato. Nessuno di loro lo sapeva.  Visto il precedente “Jackson” nulla era così scontato. Scott si avvicinò al compagno, scrutandolo con attenzione e, pian piano, si mise a girargli intorno, accostandoglisi sempre di più ad ogni orbita. Gli si fermò dietro, accigliato, e rimase così per un attimo. Derek quasi scattò dalla sedia,  quando di colpo il suo beta abbassò il capo, tuffando il viso nel collo dell’altro adolescente. Stiles si irrigidì, ma grazie al cielo non ci fu bisogno dell’intervento dell’Alpha. Scott sembrava avere buone intenzioni. Ci fu un momento di stasi totale nel quale il Licantropo non si mosse. Stiles era confuso, ma per Dere era abbastanza ovvio cosa il sottoposto stesse facendo. Lo stava annusando. E lo stava facendo con l’espressione più contrita che il Capobranco gli avesse mai visto. Che diavolo aveva da fare quella faccia? Di colpo si rese conto anche di non aver nemmeno provato a controllare che odore avesse Stiles. Facendolo sarebbe potuto essere abbastanza sicuro di “cosa” fosse diventato il ragazzo, giusto?

Sbagliato! Sbagliatissimo! Errore! Ricalcolo!

A Derek girò la testa non appena tentò di captare la scia di Stiles col proprio olfatto da Licantropo. Il suo odore era strano, anomalo e terribilmente familiare allo stesso tempo. Non era umano, ma non era il normale odore di un Lupo Mannaro. Sperò vivamente che non fosse quello di un nuovo Kanima. Ma allora, che diamine era? Gli ricordava terribilmente… E gli ci volle lo sguardo confuso di Scott posato su di sè con insistenza. Gli ci volle il Beta che annusava l’aria in sua direzione, per capire quale era il problema. Cosa c’era che non andava in quel miscuglio che era la scia dell’adolescente.

-Perché ha il tuo odore?- Gli domandò il moro indicando l’amico, ora accanto a sé. Derek deglutì e si prese un attimo per pensarci bene.

-Cosa? COSA! Ho il suo odore? Il  SUO? ODORE?-

-Suppongo sia per la trasfusione.- Abbastanza ovvio, a dire il vero. Il suo sangue era stato iniettato a forza nel corpo di un umano. Sangue di una creatura mitologica; sangue sovrannaturale in un corpo fin  troppo naturale. Probabilmente si sarebbe dovuto aspettare che il proprio fluido vitale avrebbe avuto completamente la meglio su quello di Stiles e, con lui, il suo odore. Era un ragionamento che, a mente fredda, risultava comprensibile anche a chi non brillasse per intelligenza. Ma evidentemente non per Scott che, comprendendo l’ingenuità della propria domanda, abbassò la testa, strusciando il piede a terra con fare imbarazzato. Derek  ghignò, sentendosi per un fugace attimo di nuovo in pace con l’ordine cosmico. Lui capiva, Scott no. Tutto al proprio posto.Tornò ad osservare stiles cercando di ignorare l’odore (era quello il SUO odore?) e sospirò. La vera domanda che si dovevano porre in quel momento.

-Ora, Stiles, dovremmo chiederci un’altra cosa- Una piuttosto urgente, anche –Di chi sei?-

No, non gli piaceva affatto











Angolo dell'autrice:
Salve a tutti!
So che questi ultimi capitoli sembrano scritti da un cammello con il morbo di Parkinson, ma sto cercando di metterci tutta me stessa per i prossimi. Davvero.
Comunque sia, sono distratta anche dallo scrivere un'altra fiction, una Sterek piuttosto particolare che spero poi di riuscire a pubblicare (Shivers).
Vi saluto dicendovi che il POV Isaac è in lavorazione e che quello Erica è ormai ultimato. 
Se trovate errori, per favore, ditemelo!


Ringrazio i ventidue che hanno questa storia tra le seguite e chi le ha tra le preferite o le ricordate... grazie a tutti!

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Capitolo 8
*** Parte Ottava ***


Per Erica era stato un duro colpo.  Se ne era appena tornata a casa, confusa e sfinita dopo la riunione col resto del branco, e le era sembrato improvvisamente di sentire un urlo. Un vero e proprio grido di dolore che, per un attimo, aveva riecheggiato in modo piuttosto macabro nei padiglioni delle sue orecchie forse un po’ troppo allenate. Ovviamente aveva riconosciuto subito la voce di quell’idiota di Stiles, anche se non lo aveva mai sentito urlare in quel modo. Si era immediatamente messa sugli attenti, pronta a captare il segnale ed ad uscire di corsa dall’appartamento che aveva in affitto ormai da sette settimane. Ma non era arrivato nulla. Nessun ululato, nemmeno un uggiolio, si Radio Lupo!  Si era accigliata, incuriosita e nuovamente confusa, ma alla fine aveva fatto spallucce ed aveva deciso di darsi una calmata, siccome non era stata richiamata all’ordine dal Grande Capo, e cercare di sfruttare il meglio il resto della serata, prima di andare a dormire. Il giorno dopo avrebbe di nuovo dovuto incontrare il branco per allenarsi e cercare quel nuovo fottuto Lupo che aveva avuto la geniale idea di intrufolarsi proprio nel loro territorio. Avrebbe dovuto anche studiare, prima o poi. Dopotutto Derek non aveva dato loro, studenti teenager, la “serata libera” per niente. Meglio approfittarne.


Si era messa a studiare, alla fine, ma non aveva potuto fare comunque nulla per quella strana morsa che le continuava a stritolare lo stomaco. Costantemente. Tenacemente. Come un brutto presentimento.

Perciò, quando arrivando a scuola il giorno dopo non trovò né Scott né Stiles in classe, non poté fare a meno di lasciare stringere la fottutissima morsa sempre più ed impegnarsi con tutta se stessa per non fuggire dall’aula con la sua velocità sovrannaturale e precipitarsi a cercare i due ragazzi. Perché, si, per quanto si impegnasse con tutta se stessa ed insistesse nel dire che di quei due idioti non gliene fregava nulla, alla fin fine ci teneva a loro e non poteva non preoccuparsi per le loro testoline vuote. Specie se dopo un urlo come quello della sera precedente non si presentavano a scuola. Stiles, non lo avrebbe mai ammesso davanti agli altri, era intelligente ed amichevole. La faceva sentire bene con se stessa perché la accettava per come era e la spronava. In quanto a Scott, ormai era come un fratello. Un fratello maggiore un po’ stupido, forse, che però cercava sempre di aiutarla con tutto se stesso e tirarle su il morale. Erano il suo branco. In un certo senso, la sua famiglia. E si sa che le femmine sono sempre state dannatamente possessive per quanto riguarda i propri cuccioli.

Uscita da scuola si fece quasi prendere dal panico in pubblico, non vedendo la macchina di Derek da nessuna parte. Ma riuscì a tenersi sotto controllo e riorganizzare pazientemente le idee. Scott, Stiles e Derek erano apparentemente scomparsi; Isaac, Jackson e Boyd erano agli allenamenti di Lacrosse; Lydia ed Allison erano occupate in un consiglio di classe, a difendere con frecce e tacchi Prada i diritti della loro classe per quanto riguardava l’argomento Gita. Era sola! Imprecò tra se e, sospirando, si portò abbastanza distante dal cortile, prima di assicurarsi lo zaino turchese sulla spalla e scattare in quadrupedia in modo molto poco elegante, per i suoi canoni. Si diresse nell’unico luogo che il suo istinto di Beta le faceva chiamare casa: la villa degli Hale.

Si fermò di colpo, notando la Camaro appena all’ingresso della radura. Spostò lo sguardo sulla casa che, lentamente, stava tornando ad avere giorno dopo giorno un aspetto sempre più civile ed abitabile. La porta era chiusa, ma quella in cucina era decisamente una luce accesa. E se ci sono luci accese al pomeriggio vuole per forza dire che uno dei due Hale sopravvissuti è a casa. Considerando che Peter, teoricamente, sarebbe dovuto essere via per ancora una settimana abbondante (e sperando con tutta se stessa che non fosse tornato prima per qualche arcano motivo a loro comuni Licantropi sconosciuto) si convinse che all’interno ci dovesse essere il proprietario dell’auto nera parcheggiata. Mentre si avvicinava alla porta, una zaffata di spezie le raggiunse il naso, facendoglielo arricciare. A quanto pareva con Derek doveva esserci anche Scott: era l’unico che, pur essendo diventato un essere dall’olfatto finissimo, continuava ad insaporire ogni piatto in modo a dir poco esagerato. Perché, si, Scott sapeva cucinare. Alla grande.

-Sono a casa, tesoro- Si annunciò scherzosamente dirigendosi in cucina, non appena chiuse la porta d’ingresso dietro di se. Mettendo piede nell’altra stanza, però, perse il sorriso all’istante, davanti all’espressione grave di Derek. Si immobilizzò e spostò lo sguardo sull’adolescente che, davanti al fornello, saltava qualcosa nella padella, osservando quest’ultima con lo sguardo di chi stinge tra le mani il collo dell’assassino di sua madre. La ragazza prese coraggio, si accostò al coetaneo e gli sfilò l’utensile da cucina dalle mani, facendone girare il contenuto due volte prima di spegnere il fornello. Poggiò la padella sul piano metallico. Sospirò e si voltò in direzione del proprio Alpha. –Cosa è successo?-

-Stiles è stato morso- Gli rispose dopo quasi mezzo minuto di silenzio l’altro. Erica pensò la stesse prendendo in giro  –E il suo sangue ha fatto reazione col morso- Stava quasi per rimproverarlo per le continue cagate, quando qualcosa nel sussulto del Beta accanto a sé la fece ricredere. Scott fuggì il suo sguardo, facendole nuovamente attanagliare lo stomaco dalla cara vecchia morsa presente dalla sera prima. Incatenò a forza gli occhi di Derek ai suoi per cercare conferma. Sbiancò.

-No! No, no, no… non è possibile!- Biascicò guardando alternativamente i due Licantropi presenti nell’ampia cucina  –Stiles? Stiles MORSO? E… e avrebbe fatto reazione?-  Gli occhi le divennero lucidi  -Non il nostro Stiles…- Piagnucolò appoggiandosi al bancone di legno, con le lacrime che già minacciavano di uscirle da un momento all’altro dagli occhi truccati. Ma grazie al cielo qualcuno ebbe pietà di lei.

-Hei, hei, tranquilla. È vivo! VIVO, capito? Tranquilla, quel sadico di Derek si è semplicemente dimenticato di dirti che Stiles è sopravvissuto…- La abbracciò stretta a sé Scott, parlandole pazientemente nell’orecchio ma a voce abbastanza alta da guadagnarsi un ringhio irritato dall’Alpha. I due lupetti lo ignorarono ed Erica si lasciò cullare per qualche secondo nell’abbraccio. Recuperato il proprio granitico solito contegno, si staccò dalle braccia del compagno, ringraziandolo in un sussurro e puntò lo sguardo sul capo Branco. Lo sguardo più accusatore del quale era capace (dopotutto non era Lydia e, di conseguenza, non era dotata degli occhi fulminanti di una qualche famiglia reale. Faceva il possibile).

-E’ al piano di sopra, nella stanza di Scott- Derek intuì la sua minacciosa domanda. Le rispose e distolse subito lo sguardo con un comportamento quasi non suo, rimanendosene serio più del solito, seduto sulla sedia della cucina. Aveva le braccia incrociate al petto e la mascella contratta. Era inutile che provasse a nasconderglielo: davvero pensava che una ragazza (dotata in quanto tale di innato istinto femminile) non avrebbe capito quanto era preoccupato dalla situazione? Una ragazza con istinti animali, tra l’altro. Erica sorrise osservandolo, divertita dal suo muoversi a disagio, e fece cenno a Scott di rimanere fermo dov’era. Mise su un vassoio la caffettiera (abbandonata malamente sul piano cucina ed oramai fredda), lo zucchero, una tazza a caso ed un cucchiaino. Senza nemmeno chiedere come lo avessero salvato o come fosse stato possibile che qualcuno lo attaccasse, si fiondò in direttissima al piano di sopra. Come un tornado biondo percorse il corridoio di legno appena rimesso a nuovo ed entrò nella colorata stanza di Scott. Stiles era sul letto, coricato di pancia, con il viso lentigginoso affondato nel cuscino bianco. Silenziosa come solo coi suoi poteri poteva essere, aggirò lentamente il materasso, avvicinandosi al giovane. Allungò una mano e lo scosse dolcemente, come una mamma col suo bambino troppo cresciuto. Come aveva previsto, lui, già nel dormiveglia, sobbalzò preso di sorpresa.

-‘Giorno bella Addormentata!- Lo salutò gioendo ad ogni suo movimento: era vivo e il suo sorriso, assieme al corpo che si muoveva assonnato, ne era una perfetta conferma. Aspettò che si mettesse a sedere, quindi gli versò una tazza abbondante di caffè non più proprio fumante e gli aggiunse un cucchiaino di zucchero prima di dargliela in mano.

-Erica? Che ci fai tu qui di pomeriggio?-

-Non eravate a scuola e mi sono preoccupata- Spiegò mettendosi a sedere sulla sponda del letto –Mi sa che sono arrivata per prima, eh?- Ironizzò poi sorridendogli ed iniziò già a scansionarlo alla ricerca di lesioni particolari. Le uniche anomalie sembravano essere una dozzina di cerotti sulle braccia e sulla parte alta del petto, visibile grazie allo scollo della maglietta troppo larga (prestatagli da Derek per ovviare al macabro spettacolo che i suoi indumenti mostravano dopo la trasfusione), e la bugna di una medicazione che pressava sotto il tessuto all’altezza del fianco.

-Quindi te lo hanno detto?- Domandò il ragazzo abbassando lo sguardo sulla parte lesa per poi rialzarlo su di lei con un sorriso mesto.

-Sì. Diciamo di sì.- Rispose Erica annuendo –Ma sai quanto il nostro Grande capo sia incapace di dilungarsi in dettagli “superflui”- Aggiunse ghignando –Si era anche dimenticato di dirmi che eri vivo!- Rise. Stiles sospirò esasperato, aspettandosi qualcosa di simile. Alzò gli occhi al cielo in modo piuttosto comico. La ragazza decise di controllarlo anche per quanto riguardava la specie. Non perse tempo e saggiò l’aria nella stanza. Si accigliò e ripeté l’azione una seconda volta. Era confusa. Sempre più confusa. –Hai l’odore di…-

-Derek! Ho l’odore di Derek. Lo so, lo so.- Sibilò Stiles interrompendola bruscamente e guardando altrove quasi irritato.

-E come sarebbe successo questo?- Domandò lei curiosa e, sotto sotto, divertita dalla cosa. Stiles la fulminò con lo sguardo, indignato dal suo ridacchiare.

-Non pensare che mi netta a spiegartelo, cara la mia bionda, e NO! Non ti avvicinare! Ferma! Non riuscirai a farmi parlare!-

Oh, avrebbe parlato, eccome.







Angolo dell'autrice:

Salve a tutti!
So bene che questo capitolo potrebbe essere OOC, considerando che non avevo idea di come fare un POV Erica, ma spero sia sopportabile.
Inizio subito col dire che il suo quasi piangere quando viene a sapere di Stiles è voluto. So che alcuni lo vedranno come comportamento fuori dal personaggio, ma come dice Erica stessa lei si st affezionando a Stiles e Scott.

Detto ciò, scusate per la giornata di ritardo nella pubblicazione, ma traslocare si sta dimostrando più impegntivo di quanto mi fossi immaginata.

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Capitolo 9
*** Parte Nona ***


Alla fine aveva parlato. Bhè, non che avesse in qualche modo potuto evitare la cosa. Soprattutto vista la Licantropa assatanata che aveva minacciato di svestirlo completamente e buttarlo senza remora alcuna al piano di sotto. Sarebbe stato mortalmente imbarazzante finire per ritrovarsi pure nudo davanti a Scott e Derek. Neanche tanto per quella testa vuota di Scott. Dopotutto erano da sempre migliori amici, se anche l’avesse visto senza veli, avrebbe potuto sopportare. Ma Derek, si disse, non avrebbe mai dovuto (per nessun motivo al mondo) vederlo nudo! Per nulla al mondo. Troppo imbarazzante.

Comunque, a suo discapito, va detto che era resistito per ben dieci lunghi minuti di tortura. Solletico. Solo Scott sapeva  quanto soffrisse il solletico. Quel vile traditore gliel’avrebbe pagata cara. Per quello e anche semplicemente per essere se stesso. Quello stupido Lupo scansafatiche. Due validissimi motivi, per quello che era l’umilissimo punto di vista di Stiles. Ma avrebbe dovuto aspettare. Perlomeno fino a quando Erica non avrebbe smesso di sommergerlo con vagonate apparentemente interminabili di domande. Prima era stato il turno del suo personale racconto della vicenda: tutto ciò che si ricordava antecedente a perdere i sensi e cosa gli era successo una volta svegliatosi nella clinica veterinaria del Dottor Deaton, ricoperto di tubicini e collegato in modo inquietante ad un Derek svenuto. Ovviamente, il tutto era stato intervallato ed interrotto una cosa come duemilasettecentosettantaquattro volte dagli strilletti e dalle esclamzioni della ragazza. Dopo aveva dovuto riferire i vaneggiamenti isterici di Scott, le molteplici diagnosi teoriche dell’alchimista e le considerazioni dell’Alpha. Considerazioni piuttosto spicce e distaccate. A questo suo ultimo commento, la bionda scoppiò a ridere, lasciandolo un po’ interdetto.

-Che hai da ridere?- Borbottò alzando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto nel disperato tentativo di rendere la propria figura intimidatoria. Erica rise ancora.

-Ti è sembrato disinteressato?- Si coprì la bocca per un attimo con le mani affusolate. Gli occhi che le sorridevano divertiti. –A me, invece, è sembrato piuttosto teso. Penso sia ancora di sotto, seduto in cucina a rodersi.- Stiles rimase accigliato e, probabilmente, fu la sua espressione a convincere l’altra a continuare, cercando di spiegarsi meglio. –Il genietto umano ed alchimista del suo Branco è stato morso da un altro Alpha ed ora teoricamente è parte integrante di un altro Branco sconosciuto che, probabilmente, lo porterà lontano dalla sua abituale vita di tutti i giorni.- Chiarì facendo poi spallucce –Fossi al suo posto, ora, mi starei probabilmente colpevolizzando per non essere riuscita ad impedirlo. E forse anche per non averti morso per prima.-

-Ma sono stato IO a dirgli che non volevo il morso!- Protestò Stiles, per un attimo quasi offeso, osservando poi la Lupa scuotere la testa, nuovamente divertita. Ma perché, qualsiasi cosa dicesse, quella rideva? Non gli sembrava di avere detto qualcosa di divertente. Per niente. Stavano parlando di lui e del suo essere quasi morto per via del Morso di un tizio sconosciuto affetto da Licantropia. MORSO, accidenti! Non si può di certo dire una cosa normale, no? Dovette però smettere di strippare nella propria testa, perché gli sembrò che la Beta avesse intenzione di parlare ancora. Ed effettivamente lo fece.

-Bhè, dal mio punto di vista, tesoro, Derek è troppo permissivo nei tuoi confronti. Se fossi stata io l’Alpha ti avrei morso e basta. È una questione di istinto: se una persona che ti è vicina (che è importante o utile) rischia continuamente la vita, è istintivo volerla trasformare. La metti in salvo e la proteggi e la rendi più forte in una volta sola. Tutto è più semplice e la si smette di preoccuparsi.- Rise tra se – Quella del nostro Grande Capo, è stata una gentilezza, un segno di rispetto. E lo stesso vale per le continue proposte di Peter- Chiarì con l’espressione di chi parla dell’ovvio ad un’oca. –Se fossero solo un po’ meno educati ed un po’ più pratici, ti avrebbero già morso da tempo!- Concluse poi sorridendogli. A Stiles si gelò il sangue nelle vene. Quello strano miscuglio di sangue che da oramai mezza giornata aveva in corpo, un po’ di Derek ed un po’ suo. In realtà non sapeva precisamente se gli si stesse gelando o se stesse ribollendo. Morso. I due Hale avrebbero potuto morderlo in un qualsiasi momento del passato. Avrebbero dovuto morderlo! Ma non lo avevano fatto. Perché? Erica diceva fosse stata una forma di rispetto. La cosa, in un certo qual modo, lo lusingava e lo inquietava allo stesso tempo. Derek, il freddo Alpha complessato che maltrattava il mondo intero, gli aveva dato abbastanza importanza da lasciare a lui la scelta. Peter, lo stesso potente, psicopatico, genio sovrannaturale che non si era fatto scrupoli a mordere ed uccidere a proprio piacimento, non gli aveva imposto il Morso. Sì, forse lo rispettavano, in fin dei conti. Almeno un poco. Di certo lo consideravano più dei quattro idioti che, con la delicatezza di una mandria di bufali inferociti (quando sarebbero dovuti essere un branco di Lupi Mannari), fecero irruzione nella stanza, puntando subito gli occhi su di lui.

Ci fu un lungo attimo di stasi nel quale Stiles ebbe tutto il tempo di tirarsi di nuovo dritto a sedere compostamente e rivolgere uno sguardo accigliato al gruppetto. Erica, di fianco a lui, tossì irritata e l’adolescente non poté fare a meno di pensare alla bionda nei panni di una severissima professoressa. Probabilmente nessun alunno le avrebbe mai potuto disubbidire. La prova era il silenzio che era di colpo diventato un brusio di scuse balbettate in loro direzione dagli altri per aver interrotto qualcosa. Un discorso, maledizione, solamente uno stramaledetto discorso! L’unica che non sembrava impressionata era Allison che, dopo aver sbuffato e spostato da una parte il proprio ragazzo, si avvicinò al letto a due piazze e si sedette accanto alla Licantropa, salutandola con un sorriso radioso, prima di concentrarsi su di lui. Stiles deglutì preoccupato sotto il suo sguardo di colpo mortalmente concentrato. Poi potè solo lasciare che la ragazza lo soffocasse in un abbraccio stritolante.

-Oh mio Dio, Stiles!- Gli strillò nell’orecchio destro, probabilmente nel tentativo di renderlo sordo a vita. E, oddio, era una lacrima quella appena caduta sulla sua maglietta? –Ero così preoccupata! Quando sono uscita dalla riunione, gli altri mi hanno detto che Scott non aveva contattato neppure loro e mi è preso un tale colpo. Allora l’ho chiamato al cellulare, ma non voleva dirmi cosa fosse successo…- Meraviglioso! Stava facendo piangere la ragazza del suo migliore amico. E senza aver detto nemmeno una parola, oltretutto. Assurdo. –E poi ha preso il telefono Derek. E ho capito che erano assieme e ho chiesto a lui cosa stava succedendo e lui mi ha detto che eri stato morso e che ora eri a casa sua!- La rinomata delicatezza dell’Alpha aveva colpito ancora, eh? –Ero così in pensiero! Non volevano lasciarci salire!-

-È che non volevo che gli scoppiassi in lacrime addosso.-

-Scott. Taci.- Gli ringhiò contro la mora, ancora piangendo sulla spalla di Stiles, con Erica che le dava teneri buffetti comprensivi sulla schiena. Lo sguardo combinato del suo ordine e degli sguardi apparentemente fin troppo truci del suo migliore amico e della compagna bionda ebbe talmente tanto effetto da fare indietreggiare vistosamente il ragazzo. E con lui Isaac che, come negli ultimi mesi era oramai diventato solito fare, gli stava terribilmente vicino. Un po’ troppo vicino, per quello che era il concetto di “spazi personali” di Stiles.

-Mi sa che  diventerai come Erica- Rise quindi Boyd, interrompendo la loro attività di far sentire in colpo Scott. Lasciandoli, anche, tutti abbastanza basiti. –Nel senso che, guardatevi, avete lo stesso sguardo di rimprovero feroce! Tutti e due sfidate tranquillamente Derek dalla mattina alla sera e non ubbidite agli ordini neanche morti. E poi siete due Nerd…- Con l’ultima affermazione si guadagnò un’occhiataccia dalla propria pseudo ragazza, ma perlomeno era riuscito a distrarre gli altri dal tema “Morso quasi mortale” –Mi sto immaginando un’Erica maschio che chiacchiera a non finire… Sì, Stiles, saresti perfetto per la parte!- Risero tutti alla faccia quasi offesa di Stiles. E, sì, dopo un attimo rise anche lui. Dopotutto era felice che lo fossero venuti a trovare. Aveva passato fin troppo tempo a dannarsi, prima che arrivassero. Da solo, sdraiato sul letto, aveva pianto e si era posto le stesse medesime domande che, lo sapeva, in quel momento ognuno di loro si stava ponendo. Di che Branco avrebbe fatto parte ora? Avrebbero dovuto combattere l’uno contro l’altro? Quando lo sarebbero venuto a prendere? Lo avrebbero lasciato vivere a BH almeno fino agli esami? Lo avrebbero portato via a forza? Lo avrebbero mai potuto rivedere? Sarebbe diventato un lupo normale?

L’ultima, in fin dei conti, era quella che lo preoccupava quasi più di tutte le altre. Beta? Omega? Kanima? Umano immune? O qualche altro strano essere che qualcuno avrebbe dovuto cacciare per tenere al sicuro la propria città. Era una variabile. Una variabile terribilmente angosciante.

Fu Isaac a distrarlo dai suoi macabri pensieri, riportandolo alla realtà annunciando a tutti che stavano arrivando gli altri. In quel caso “altri” si rivelò essere riferito a Lydia e Jackson, i quali entrarono nella stanza con movenze a dir poco molto più eleganti e controllate rispetto al gruppo precedente. Passato lo stupore per la presenza di Jackson in quella casa (il che aveva pressoché dell’incredibile, visto che si rifiutava cocciutamente di prendere parte alle riunioni del Branco), Stiles si accorse di Lydia. La ragazza era in piedi in fondo al letto, lo sguardo fermo e deciso appena bagnato da quelle che, se fosse stata solo un poco meno forte ed orgogliosa, sarebbero state lacrime. Ma lei era Lydia Martin e nessuno l’avrebbe mai vista piangere in pubblico. Per quanto il pubblico potesse essere esiguo. O per quanto potesse considerarla parte di una stessa sua famiglia. Non avrebbe pianto.

-Grazie al cielo sei vivo.- Dichiarò semplicemente. Poi si arrampicò sul letto e gli si inginocchiò accanto, stringendoselo quasi gelosamente al petto per un attimo, come una mamma col proprio bambino dopo averlo ritrovato. –Allison ha rischiato di farmi venire un infarto strillando al telefono che ti avevano morso.- Spiegò quindi sospirando sollevata, ma senza allontanarsi da lui, con Jackson che sbirciava in loro direzione col malcelato duplice intento di tenere d’occhio la sua ragazza e controllare se l’altro adolescente stesse bene.

Un brivido viscido salì lungo la schiena di Stiles all’osservare nuovamente l scena. C’erano tutti. Mancavano solo Derek e Peter e il branco sarebbe stato al completo. Gli avevano portato la colazione, lo avevano abbracciato, avevano pianto ed avevano sospirato sollevati. Erano tutti riuniti in quella stanza attorno a lui.

Anzi, erano al suo capezzale.


 




Angolo dell'autrice:
Salve a tutti!
Torna il POV Stiles e mi dispiace se è poco curato, ma oggi è il mio stramaledetto compleanno e non ho assolutamente la forza di risistemerlo (non oggi, ma se mi segnalate gli errori domani).
Per ovviare ai numerosi errori dei capitoli precedenti (che grazie a voi ho potuto notare in fretta), presto una mia cara amica ribeterà il tutto e impaginerà la storia in modo che non sia così di cattivo gusto alla vista.

Spero possiate aspettare un poco per avere tutto "perfetto"

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Capitolo 10
*** Parte Decima ***


Derek era rimasto di sotto, in cucina, con Scott. Aveva guardato Erica salire e aveva ascoltato i suoi passi, ben udibili grazie al suo indossare perennemente tacchi, percorrere il corridoio ed entrare nella stanza dell’altro Beta. Sospirò sollevato e lasciò che almeno una parte dei muscoli contratti della sua schiena si rilassasse. Lui, ovviamente, non sapeva nemmeno lontanamente come avrebbe dovuto comportarsi con una persona nella stessa situazione nella quale si trovava Stiles. Non aveva idea di cosa dire, di cosa fare. Sapeva perfettamente che avrebbe dovuto dire qualcosa a quel povero ragazzo, almeno per tranquillizzarlo. Peccato non avesse nessuna esperienza nel campo: quando tutta la sua famiglia era stata bruciata viva per colpa del suo essersi divertito con una cacciatrice, era stato lui quello disperato. Era stata sua sorella, pur infuriata per il suo madornale ed ingenuo errore di valutazione, consolarlo. Lo aveva abbracciato ed erano rimasti così per minuti interi a cullarsi a vicenda. L’uno nelle braccia dell’altra. Laura gli aveva sussurrato parole dolci e forti, rotte solo dal suo pianto costante. Niente che potesse tornargli utile in quel momento. Perché, di sicuro, non si sarebbe messo ad abbracciare nessuno, tantomeno un ragazzo. Sospirò ancora, alzandosi dalla sedia di legno,  e si diresse in soggiorno accostandosi alla porta d’ingresso. Cose come l’arrivo di ospiti, grazie al cielo, non gli sfuggivano. La aprì appena in tempo per lasciare passare i suoi due Beta e quell'odiosa figlia degli Argent che si era ritrovato, contro ogni sua volontà, ad essere parte integrante del Branco (maledetto Scott ed i suoi gusti terribili in fatto di donne). Indicò loro il piano superiore, intuendo il motivo dell’arrivo anticipato dagli occhi lucidi della giovane cacciatrice.

-Hei, no! Allison, tesoro, che hai?- Ed ecco Scott che, alla vista profetica della sua personale Dea, iniziò a dare di matto. Le sue solite domande idiote, si intende. Lo faceva ogni volta. Era irritante: perdeva la concezione di quelli che erano lo spazio ed il tempo, ignorava chiunque non fosse Allison Argent e dimenticava un po’ troppo facilmente in che razza di situazione si trovasse. In quel momento, per esempio, sembrava essersi dimenticato che il proprio migliore amico aveva appena sfiorato la morte e si era salvato per puro miracolo. Era troppo impegnato ad impedire alla “consorte” di lasciare la stanza e salire le scale. Derek fece una smorfia, irritato dal comportamento maniacale dell’altro Licantropo. Spostò Scott da parte (forse persino un po’ troppo bruscamente) invitando nuovamente gli altri ad entrare nella casa ed allungando il braccio una seconda volta per indicare loro le scale. Allison fulminò il proprio ragazzo con uno sguardo indignato e si avviò immediatamente di sopra, subito seguita da Boyd ed Isaac. Quell'idiota del suo innamorato si affrettò all'istante a raggiungerla, caracollando su per la rampa di scale e mormorando scuse supplicanti alla sua chioma di lunghi capelli neri.

L’Alpha alzò gli occhi al cielo esasperato. Adolescenti. Perché diavolo si era dovuto creare un Branco di Lupi Mannari trasformando un manipolo di adolescenti? Come se non bastasse se li era trovati tutti complessati. Avrebbe continuato a porsi questa domanda a vita. Oppure avrebbe dato le dimissioni dal ruolo di Capobranco. Peter avrebbe fatto i salti di gioia. Poco ma sicuro. E probabilmente avrebbe subito ingaggiato battaglia contro l’Alpha che aveva morso Stiles, lo avrebbe ucciso con un qualche subdolo ingegno sovrannaturale, e si sarebbe ripreso il ragazzo nel Branco. Certo, Derek non soffriva della stessa maniacale preferenza per Stiles nei confronti del resto del gruppetto di Beta. Ma comunque, anche se non lo avrebbe mai ammesso davanti a nessuno nemmeno sotto tortura, lo considerava un buon alleato. Per essere un giovane umano logorroico, si intende. O perlomeno questo era ciò che si ripeteva mentre la sua testa combatteva una vera e propria battaglia epica. Una parte, per capirci, continuava a ripetergli come in un mantra che non poteva oramai farci nulla, che il ragazzino faceva parte di un altro Branco ed era sotto il controllo di un altro Lupo; non rimaneva loro altro da fare se non aspettare l’inevitabile separazione. Ma era soltanto una farsa, uno scudo per nascondere al resto del mondo l’altra parte, quella che pulsava ritmicamente contro le sue tempie facendole pulsare di rabbia e che gli strillava che, no, non era ancora detta l’ultima parola: avrebbe potuto ancora trovare quel bastardo che aveva morso il suo umano come se tutto fosse un fottutissimo gioco. Lo avrebbe colpito. Ripetutamente. Lo avrebbe ucciso nel modo più atroce e doloroso possibile. E, infine, si sarebbe riportato alla base ciò che era suo.

La porta che si aprì violentemente a pochi passi da lui lo distolse dai suoi poco sani intenti vendicativi. Spostò l’attenzione sulle due nuove persone che avevano fatto il loro ingresso nel salotto. Lydia e Jackson si guardarono attorno fino a quando il Licantropo non indicò anche a loro le scale che portavano al piano di sopra, quello della zona notte. Li osservò accigliato salire di gran carriera la rampa di legno da qualche settimana rimessa del tutto a nuovo. Jackson. Jackson era appena entrato in casa sua di propria spontanea volontà. Scosse la testa, suo malgrado un poco divertito dalla cosa. Stiles stava davvero facendo miracoli nell'unire il suo malandato branco.

Derek rimase per circa una decina di minuti a girovagare nel salone. Quando, poi, iniziò a sentirsi a disagio per via del non sapere cosa stesse succedendo al primo piano, decise di iniziare a sfruttare le proprie capacità innate da Licantropo in modo da non risultare del tutto escluso dal discorso degli altri. Per dirla in modo di gran lunga più comprensibile, ma non altrettanto elegante, decise di origliare. Era una cosa che, essendosi trovato costretto ad indagare totalmente solo per lungo tempo, gli veniva piuttosto semplice. Inoltre, con la pratica, aveva anche imparato ad ignorare il senso di colpa od a sentirsi indiscreto. Sapeva che non era propriamente una bella cosa da fare. Ma a mali estremi, estremi rimedi. Se lo ripeté più volte e nel mentre cominciò a concentrarsi sulle voci dei ragazzi nella stanza al piano superiore. Nulla di strano: le femmine che si accertavano Stiles stesse bene, i maschietti che cercavano in qualche modo di risollevare il morale generale con battute da quattro soldi (anche se si dovette mentalmente dichiarare d’accordo con Boyd, per quanto riguardava la somiglianza tra il Lupo di Erica e il futuro Lupo di Stiles). Quello che ci si sarebbe aspettati di vedere in una situazione simile. Non che di accadimenti di quel genere se ne vivessero molti, grazie al cielo. Quando si sentì per l’ennesima volta chiamato in causa dalla voce del Beta di colore, ripetendosi per l’ennesima volta che ululargli di stare zitto non era un’idea grandiosa, sbuffò ed imboccò le scale con calma. Non smise di ascoltare il chiacchiericcio del branco nemmeno per un attimo. Scalino dopo scalino iniziò a risultargli sempre più chiaro anche senza bisogno di utilizzare i propri poteri. Quando si ritrovò, infine, davanti alla porta della camera che Scott aveva fin dall’inizio del restauro reclamato come propria, tutti all’interno si zittirono all’istante. Tranne gli umani che, ovviamente, ci misero un attimo a rendersi conto del silenzio calato tra i lupi e, di conseguenza, a capire che era cambiato qualcosa. Cosa fu loro chiaro soltanto quando Derek aprì la porta ed entrò nella stanza. L’Alpha  si guardò attorno, chiuse l’uscio e si portò nei pressi della scrivania, lasciandosi di nuovo cadere seduto sulla sedia più vicina. Fu Lydia, con un colpo di tosse palesemente finto, a mettere fine al momento di stasi e portare avanti il discorso. Derek li lasciò divagare ed ignorò le loro argomentazioni fino a quando Isaac non si rivolse direttamente a lui, ponendogli un domanda, oltretutto.

-E ora cosa facciamo? Non possiamo rimanere qui ed aspettare che Stiles si trasformi in qualcosa. Avete presente cose è successo col Kanima? Il metodo non mi è sembrato funzionare molto bene…- Ok, forse più di una semplice domanda.

Questa volta il silenzio venne prontamente accompagnato dagli sguardi curiosi e, mal celatamente, angosciati dei Beta e delle loro compagne. Ovviamente Isaac aveva ragione. Non potevano aspettare semplicemente che l’altro Alpha venisse a prendersi il suo bottino. E nemmeno che Stiles si trasformasse alla prima luna piena. Per inciso, mancavano soltanto due giorni, ma sarebbe stato comunque un’azzardo da parte loro. La cosa più importante in quel momento per loro era assicurarsi che il ragazzo fosse qualcosa senza squame, veleno paralizzante o roba similare e che non se ne andasse a zonzo per BH trucidando il primo povero diavolo di passaggio. Derek sospirò e si guardò attorno, concentrando lo sguardo soprattutto su qualsiasi cosa nelle vicinanze potesse essere troppo dura o resistente per essere distrutta teoricamente a mani nude.  Troppo per un umano, naturalmente, non per Lupi come loro.  La sua scelta ricadde su un portapenne piuttosto bruttino in metallo spesso almeno due centimetri per lato. Allungò il braccio afferrandolo e svuotandone brutalmente il contenuto sul piano da lavoro di legno. Scott uggiolò, ma non osò protestare. L’oggetto era abbastanza pesante. Se lo rigirò più volte tra le mani e, poi, lo lanciò verso il letto. Di colpo. Senza una parola d’avvertimento. Si premurò, comunque, di non eccedere con la forza nel lancio. E fece bene, considerando che Stiles, per poco, non rischiò di mancare la presa e fare di conseguenza cadere il piccolo mattone metallico in testa a Lydia. Non era stata per nulla un’azione sovrannaturale. Piuttosto umana, effettivamente.

-Ma che diavolo? Vuoi uccidermi? Se volevi uccidermi potevi evitare di tornare indietro a salvarmi ieri sera! Anzi, potevi non dare il tuo sangue per la trasfusione, sarebbe stato molto più sadico! Preferivo morire avvelenato dalla bava di uno di voi Licantropi che con la testa sfracellata da un portamatite di Scott. Che poi, cosa te ne fai di un porta matite, tu? Non le usi nemmeno le matite! Da quel che so stai ancora usando la stessa penna che ti ho regalato al primo anno. E questa cosa comunque NON è un portamatite! Sai quanto diavolo pesa? Te ne rendi conto? È un’arma!- Derek, che era rimasto in silenzioso rimuginare per tutto il tempo nel quale il ragazzo aveva strippato istericamente, ringhiò di colpo, pretendendo il silenzio e ristabilendo l’ordine nella sua classe di lupacchiotti. Osservò l’adolescente per un attimo.

-Rompilo.- Ordinò inespressivo, accennando col mento all’oggetto metallico. Stiles lo ricambiò con un semplice sguardo confuso, come se avesse appena parlato in cirillico (che poi è un alfabeto) o in enochiano. –Rompi quell’affare, Stiles. Devo sapere al più presto se anche la forza, come i riflessi, per ora è quella di un semplice umano.- Precisò quasi irritato dal dover dire più di tre parole in fila. Per misericordia divina il ragazzino ubbidì senza sollevare polemiche di alcun tipo. Strinse il portapenne in una mano, poi, rabbiosamente, in due, in un successione disperata di tentativi di sformarlo perfettamente fallimentari. Derek lo osservò, sempre più divertito ad ogni esito puramente negativo. Sbuffò per nascondere una risata –Bene, cuccioli, tutti nel bosco. Allenamento extra. Due serate libere a chi fra voi scopre per primo che capacità inumane ha il vostro nuovo fratellino. E, no, la parlantina non è contemplata, Scott. Abbassa la mano.-

Ci sarebbe stato da divertirsi.

 







Angolo dell'Autrice: 
Salve a tutti!
eccomi con il decimo capitolo. E' stato betato piuttosto in fretta, quindi, anche questa volta, vi chiedo di segnalarmi qualsiasi eventuale errore o imprecisione.

Mi sento inoltre in dovere di ringraziarvi: ho postato nove capitoli, fino ad ora, ed ho quarantotto recensioni, ventisei persone che mi seguono. la storia è tra i preferiti di cinque persone e tra i ricordati di altre cinque.

Sono orgogliosa dei miei lettori.

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Capitolo 11
*** Parte Undicesima ***


Finirono per passare il pomeriggio a rincorrersi nel bosco di BH. O, meglio, a rincorrere Stiles. A braccarlo. In una specie di guardia e ladri leggermente sleale , considerando che il loro schieramento, quello delle guardie, aveva usato senza remore forza e velocità sovrannaturali per accalappiare il ladro che, invece, se anche avesse avuto qualche potere, non avrebbe saputo come utilizzarlo al meglio. Lo cacciarono, seriamente: gli davano qualche minuto di vantaggio, lasciandolo scappare e, al segnale di Derek, partivano all’inseguimento, fiutando la preda e seguendone la scia per poi, una volta scovato, attaccarlo ed atterrarlo in un alquanto superfluo intento di renderlo inoffensivo.  La parte della ricerca con l’olfatto, inizialmente, si dimostrò più ardua del previsto per via dell’odore dell’Alpha addosso all’adolescente. Ma Isaac tenne il conto comunque di almeno una dozzina di vittorie consecutive per il Branco. Inoltre, due volte fu proprio lui a saltare addosso al compagno, dopo l’inseguimento, sbattendolo a terra e schiacciandolo col proprio peso fino a fargli dichiarare la sconfitta. Nemmeno una volta la preda aveva fatto qualcosa di diverso dal correre ad una velocità perfettamente umana in qualche direzione confusa del terreno semibuio del bosco  ed urlare quando qualche Lupo, acchiappandolo, gli portava le zanne alla gola. Per gioco, ovviamente. E principalmente per spaventarlo a morte. Era divertente spaventare a morte Stiles Stilinski. Inoltre, per Isaac, l’allenamento col branco era sempre e comunque un momento unico. Uno spasso.

Fu più o meno alla diciottesima “partita” che Isaac iniziò a rendersi conto che qualcosa non andava. Certo, Jackson catturò comunque senza alcun problema il figlio dello sceriffo ed il ragazzo dichiarò come le diciassette volte precedenti che non ne poteva più e che tanto non avrebbero scoperto nulla di interessante a continuare in quel modo. Ma qualcosa non gli tornava. Non capiva assolutamente cosa, ma tutto stava lentamente iniziando a non funzionare. Per quanto la caccia potesse sembrare identica a quelle precedenti, da qualche parte lo schema stava cambiando. E questo non gli piaceva per niente. Perché il suo inconscio gli ricordava in continuazione che non era normale succedesse e perché, razionalmente, lo sapeva che non sarebbe dovuto cambiare nulla.  Pur essendo loro stessi scherzi della natura, avevano comunque a loro volta delle regole naturali alle quali rimanere legati. E cambiarle non era normale.

E, al ventesimo round del loro gioco, persero la preda. Non tanto perché si concentrarono. Non si concentrarono affatto. No, semplicemente la persero. Quando Derek diede il via alle guardie e, come ormai era loro abitudine quel pomeriggio, partirono all’inseguimento della foresta. Isaac si era ritrovato ad essere il più vicino, aveva sorriso (ghignato, per essere più precisi) ed aveva aumentato il passo. Aveva corso, sentendo l’odore sempre più vicino. Sempre più vicino. Sempre più vicino. E poi, entrando in una piccola radura erbosa, già pronto a spiccare il balzo finale per atterrare la preda, l’aveva trovata vuota. Si era guardato attorno, confuso, annusando l’aria più e più volte, irritato. L’odore di Stiles (Derek? Sterek?) era ovunque. Almeno quindici scie diversamente direzionate che, al contempo, si stavano disperdendo. Aveva riconosciuto anche le scie dei propri compagni, la sua, quella di qualche animale. Ma dell’ultimo passaggio di Stiles nemmeno una piccola traccia. Due passi nella radura e, Puff, semplicemente svaniva. Aveva aspettato che altri, in questo caso Boyd e Scott, lo raggiungessero. Si erano consultati per un attimo, sempre più confusi. Alla fine, poi, decisero di fare i bravi cuccioli e se ne tornarono da Derek.

L’Alpha li accolse  con un cipiglio accigliato, allungando il collo e guardando lo spazio dietro di loro col chiaro intento di scorgere il ragazzino che teoricamente avrebbero dovuto riportargli. Quando spostò nuovamente lo sguardo iridescente su di loro, una domanda implicita vi era ben impressa a fuoco. Non sarebbe stato difficile per nessuno comprendere cosa volesse sapere. Dove diavolo è quell’idiota? Perché siete tornati qui in tre senza pietra? E, forse, è successo qualcosa?

-E’ scomparso.- Rispose Isaac con una scrollata di spalle. Perché, davvero, non poteva mostrare al proprio Capo Branco quanto fosse teso per via di quell’imprevisto. Derek lo squadrò sospettoso più che mai. –Hei, sono serio, è scomparso nel nulla. L’ho seguito fino ad una radura cinquecento metri circa ad Ovest da qui e, di colpo, è svanito nel nulla. Lui, il suo odore. Tutto.- Insistette per non rischiare di essere linciato od etichettato come scansafatiche del Branco. –Ho provato a rintracciarlo attraverso l’odore, ma ci sono troppe sue scie e nessuna abbastanza chiara da essere appena stata lasciata…- Spiegò rimanendo, suo malgrado, pensoso. Quella cosa ancora non gli tornava. E a quanto pareva sembrava non tornare neppure agli altri. Tutti gli altri: ogni singolo membro del branco aveva dopo poco fatto il suo ingresso nello spiazzo erboso. Tutti ugualmente confusi. E persino Allison e Lydia, che erano rimaste fino a quel momento come al solito a chiacchierare e messaggiare su di un masso poco distante, smisero di fare le pettegole e si degnarono di accostarsi al gruppo con espressioni più preoccupate che interrogative. Lo sguardo del Branco si spostò all’unisono su Derek, chiedendo silenziosamente una risposta. Una spiegazione. Un’idea.

-Non muovetevi da qui.- intimò infine muovendosi verso la foresta e poggiando al contempo fermamente una mano sulla spalla destra di Isaac che, ovviamente, fu di conseguenza costretto a voltarsi e seguirlo passo passo. Perché prendeva sempre lui per fargli da assistente? Non avrebbe saputo dirlo, ma dopotutto non era che gli dispiacesse. La cosa lo rendeva abbastanza orgoglioso di se stesso, perciò non osò lamentarsi. Il Capobranco marciò fino a quella benedetta radura nella quale poco prima avevano perso la loro preda. Mosse un paio di passi nell’erba ricoperta di foglie secche del sottobosco e si mise a saggiare l’aria. Isaac incrociò le braccia al petto, quasi infastidito dal comportamento dell’altro. Insomma, cosa credeva, anche loro avevano annusato l’aria e seguito le tracce a terra. Forse erano inesperti, ma non di certo idioti! Non era che il titolo di Alpha potesse aiutarlo in questi casi.

-Andiamo.- E invece Derek parlò e partì in quarta verso Sud. Apparentemente, al contrario di ciò che aveva pensato Isaac, qualche capacità in più forse l’aveva. L’adolescente tentò disperatamente di capire quale scia stesse seguendo il proprio superiore. Niente. Stava seguendo il niente più totale? Rassicurante. Le sopracciglia di Isaac minacciarono di andare a nascondersi sotto l’attaccatura dei capelli. Il suo Alpha stava inseguendo con tutta la serietà del mondo il nulla. Perfetto!

Derek si fermò di colpo, annusando l’aria con fare concentrato. Isaac si fermò dietro di lui, facendo lo stesso. Ma anche quella volta nemmeno la parvenza di una scia seguibile. Poteva quasi sentire le proprie vene gonfiarsi e scoppiare. Era esasperante! Per quanto si impegnasse non riusciva a captare nulla. Avrebbe voluto che Scott fosse stato lì con lui: avrebbe saputo tirargli su il morale e, magari, lo avrebbe aiutato a capirci qualcosa. Ne aveva bisogno. Perché di tracce della preda non ce ne erano. Nemmeno un rumore di passi distanti. O di foglie rotte nelle vicinanze. O forse si? Si guardò attorno con tanto d’occhi quando si rese conto che il fogliame rumoroso era un effetto di uno spostamento ulteriore del Capobranco. Che diavolo voleva fare? Il lupo fece appena in tempo a chiedersi come avesse fatto a trovare degli indizi (sempre che ne avesse seriamente trovati), che l’altro sparì dietro un agglomerato confuso di sterpaglie e rovi. Ne seguì un inquietante silenzio, rotto dopo qualche secondo da un urlo terrorizzato e da un’esclamazione. Ci fu uno spostamento di rami e Isaac poté giurare di aver riconosciuto il rumore di qualcuno che viene trascinato a forza nelle foglie secche. Un’altra imprecazione. Qualche secondo e l’Alpha riapparve, tirando per il braccio la preda. La loro stramaledetta preda.

-Ahiahiahiahi!- Quella stessa fottuta preda che era loro sfuggita svanendo nel nulla –Lasciami, che bisogno hai di stritolarmi il braccio? Non ho fatto nulla di male, mi pare. Mi hai detto TU di correre e nascondermi ed è quello che ho fatto… cos’è questa? La ventesima volta? Ventunesima? Ahia! Ma che? Sono solo corso via e mi sono nascosto in un posto a caso. Quelle erbacce schifose non erano neppure comode e credo che un qualche strano insetto mi sia entrato nella schiena. Perchè diavolo mi guardi così? Sei arrabbiato? Ho sbagliato qualcosa? Ti prego non mi sbranare, non mi mordere! Cioè, non penso che a questo punto possa cambiare qualcosa se mi pianti i denti da qualche parte, ma preferirei che le tue adorabili zanne se ne rimanessero ad una buona distanza dalla mia pelle. E non ringhiare. Ti prego, mi fa venire il mal di testa a sentirvi ringhiare.- Isaac rimase a bocca aperta a fissare la scena. Derek che teneva Stiles per il braccio, come una guardia che scorta un vandalo in cella, ringhiandogli contro, a tratti, e scrutandolo negli occhi il più vicino possibile. Se non avesse conosciuto bene l’Alpha, avrebbe detto un po’ troppo vicino. L’altro adolescente, in compenso, aveva smesso relativamente presto di divincolarsi e si stava limitando a ricambiare lo sguardo truce del Licantropo. Ovviamente senza tacere nemmeno per un attimo.

Derek avvicinò, più serioso che mai, il viso al giovane, fermandosi un attimo a capo chino prima di passare la punta del naso sul collo di Stiles. Come se fosse stata una cosa normale. Finalmente il ragazzo si zittì. Un effetto positivo da contrapporre all’imbarazzo generale doveva pure esserci, no?  Isaac distolse lo sguardo, alzando gli occhi al cielo. Erano esasperanti quei contatti tra Licantropi un po’ troppo ravvicinati. Derek, poi, a quanto pareva non aveva idea di cosa fossero gli spazi personali. Non ci si struscia contro il collo di un’altra persona come se niente fosse. Nemmeno se il motivo è innocente come controllarne l’identità biologica. Che si prendessero una stanza, accidenti!  Riabbassando lo sguardo, si rese conto che l’Alpha si era staccato. Sospirò sollevato, prima di spostare lo sguardo attentamente sul Capobranco.

-Allora, che è successo?- Chiese accennando con un movimento del mento al castano.

-Ha, in un qualche modo, annullato la propria scia.- Rispose dopo un attimo di ragionamento, facendo venir voglia ad Isaac di  sbuffare una volta per tutte. O urlare al cielo un sarcastico ringraziamento per avergli mandato l’incarnazione di Capitan Ovvio sulla terra. –Potrebbe essere stato avvantaggiato dal suo attuale odore misto. Ma questo non toglie che è comunque riuscito a schermarsi. Ha fatto in modo che nessun Lupo potesse trovarlo. Io ci sono riuscito solo grazie ad una vita di allenamento.-

-E come diavolo ha fatto?-

-Non ne ho idea.- Questa volta toccò all’Alpha fare spallucce –Il suo odore ha preso una sfumatura quasi irrintracciabile. Non saprei farlo nemmeno io, credo. Non so se è stato un caso o se è una sua qualche capacità. Credo di aver letto qualcosa nell’archivio di famiglia. Dovrò controllare. È una cosa che, se ricordo bene, possono fare davvero in pochi. Potrebbe essere la prima manifestazione dei suoi poteri.- Continuò come se non avesse davanti a se il soggetto del suo discorso, che lo osservava accigliato. –Domani torna Peter. Lo so, è in anticipo. Ma a fare ricerche è molto più bravo lui, perciò l’ho richiamato. Dovrete continuare a testarlo fino a quando non arriva.- Stiles, miracolosamente, li aveva graziati e non aveva detto una sola parola per tutto il discorso del Capobranco. Derek lo fissò negli occhi con lo sguardo di chi sta cercando di sondarti l’anima. Stiles ricambiò, come a sfidarlo. Isaac, per la seconda volta in un quarto d’ora, alzò gli occhi al cielo.

Seriamente, non avrebbe mai imparato a capirli, quei due.

 





Angolo dell'autrice:
Salve a tutti!
Possibile che mi fossi dimenticata di dover postare oggi? Possibilissimo. Ma capitemi, ero intenta a pulire l'acquario del mio futuro tritone ** E indovinate come si chiamerà il mio piccolo lucertolo? xD

Comunque sia, questo è un tentativo di POV Isaac, anche se è meno introspettivo degli altri. Tranquilli, se non mi verrà chiesto non mi ripeterò!

Ringrazio ancora chi segue e chi recensisce!

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Capitolo 12
*** Parte Dodicesima ***


Se Stiles aveva pensato che essere braccato senza sosta per ore nel fitto di un bosco da un branco di Lupi Mannari fosse una cosa sfiancante e, in un certo senso, terrificante, aveva dovuto ricredersi. Lo aveva fatto giusto la mattina seguente, stanco morto per un intero pomeriggio passato a nascondersi tra rami e cespugli e scappare di corsa da Licantropi dotati di velocità e forza sovrannaturale, una riunione serale tutt’altro che rilassante e una nottata di studio intensivo di Chimica. Perché, sì, la scuola per lui era importante ed erano passate più di ventiquattro ore dall’ultima volta che aveva preso in mano anche solo un libro o che ne aveva adocchiato uno. Era stato leggermente impegnato a tentare di non morire tra atroci sofferenze. Perciò si poteva ben capire quanto fosse sfinito, alle otto di mattina, nell’entrare a scuola. Era già stato un miracolo che non si fosse schiantato con la propria Jeep da qualche parte nella strada casa-scuola. Anche se, probabilmente, avrebbe preferito mettere subito fine  tutti i suoi problemi in quel modo brusco, se avesse potuto prevedere cosa gli sarebbe toccato sopportare durante la mattinata.

-Ciao, Dolcezza.- Il primo sentore dell’imminente disastro fu l’insolito saluto di Erica. Non tanto per il tono innaturalmente dolce che la ragazza utilizzò, ma più per la carezza che, passandogli accanto, passò il suo indice affusolato a lasciargli lungo l’intera mandibola. Un’unghia laccata che gli solleticò la pelle.  Stiles si immobilizzò, con un lungo brivido ghiacciato che gli scese lungo la schiena lento come solo il terrore sa essere. Quando si rese finalmente conto di cosa gli fosse appena successo, girò di scatto su se stesso. Appena in tempo per notare, con la coda dell’occhio, le iridi di Erica brillare di un oro acceso e luminoso e, ci avrebbe scommesso persino il portatile nuovo e tutti i suoi libri di alchimia, riconoscere quello sulle sue labbra truccate di rosso come un ghigno. La bionda gli aveva appena ghignato contro. E lo aveva carezzato. Se possibile, la seconda cosa gli risultava sproporzionatamente più inquietante: non lo aveva mai nemmeno lontanamente sfiorato in pubblico o a scuola, se non per sbatterlo rabbiosamente al muro (cosa che sembrava piacere davvero un sacco, sia a quei gran geni dei Cacciatori, sia ai Lupi psicopatici, vista la frequenza esagerata con la quale qualche parte del suo povero corpo umano si ritrovava spiaccicata contro superfici troppo rigide, per i suoi gusti). Stiles deglutì e decise di affrettarsi e dirigersi al più presto in classe dove, perlomeno, sarebbe stato al sicuro da possibili assalti della Lupa.

Probabilmente quello fu il più grande errore della sua vita. Dopo aver deciso di rimanere amico di Scott McCall anche una volta che era stato morso da un Lupo Mannaro, ovviamente. Niente avrebbe superato quell’errore. Come la sua testa iperattiva aveva tentato di fargli capire più e più volte mentre lui era intento a percorrere il corridoio piastrellato, Erica era stata solo il proemio della catastrofe. Nulla di più. Ovviamente aveva ignorato il benevolo consiglio del cervello di girare sui tacchi e uscire di corsa dall’edificio, salire in macchina e abbandonare BH. Anzi, meglio, l’intero stato. Perciò, naturalmente, quando iniziò l’apocalisse, la sua testa decise di punirlo, non avvertendolo più di nulla. I suoi neuroni ammutinarono in massa. Maledetto cervello vendicativo! Non gli fece nemmeno notare che quell’astuccio cilindrico volante color pesca stava mirando alla sua testa. Non, perlomeno, fino a quando gli si schiantò brutalmente sulla fronte, come un gigantesco proiettile smussato. Stiles ebbe a mala pena la lucidità di non urlare in classe e di soffrire in silenzio, con le mani alla testa, prima che Lydia, seduta accanto a lui come era solita fare durante Matematica da circa tre mesi, raccogliesse da terra l’astuccio con un sonoro sbuffo di delusione. Lo allungò ad Allison, seduta nel banco davanti al loro assieme al suo ragazzo. Anche con le mani ancora strette sulla fronte nel disperato tentativo di diminuire il pulsare della testa, Stiles non poté fare a meno di fissare con tanto d’occhi la scena.

-Che hai da guardare?- Domandò la rossa in modo talmente innocente da fargli accapponare la pelle dall’inquietudine. –su, sciocchino, risolvi quel teorema. Io l’ho finito dieci minuti fa.- Completò poi muovendo distrattamente una mano in direzione del quaderno di lui dove, effettivamente, capeggiava ancora soltanto la consegna e non c’era traccia della risoluzione. Ma chi diavolo sarebbe riuscito ad interessarsi alla Trigonometria, dopo aver appena scoperto che due delle sue compagne di classe a lui più vicine (e probabilmente anche il suo migliore amico, attualmente seduto accanto ad una delle due) stavano complottando per ucciderlo lentamente ad astucciate in testa? Nessuno, ecco. Siles osservò male per qualche attimo ancora Lydia, prima di concentrarsi sul suo teorema, scuotendo la testa, incredulo. Astucci, portamatite… di questo passo non sarebbe mai più riuscito a mettere piede in un negozio di cancelleria senza aver paura che qualcuno potesse spingerli addosso uno scaffale.

Successivamente, anche se tentò di rimanere attento e concentrato, gli attacchi si susseguirono per tutta la mattina. Uno più terrificante dell’ altro. E la cosa più inquietante era che, a quanto pareva, al Branco di Lupi Mannari non interessava minimamente se il resto della classe notava i loro malefici intenti.

Allison e Lydia non smisero un attimo di torturarlo, lanciandogli qualsiasi cosa capitasse loro sotto mano (e considerando la mira da cecchino della cacciatrice, fu una cosa molto dolorosa) e colpendolo ogni qualvolta fosse a portata di tacco. Stiles iniziò a preoccuparsi quando le vide soppesare  un dizionario di Latino e decise quindi di allontanarsi il più possibile. Proprio la distanza che aveva messo tra se stesso e le due assassine gli permise di spostarsi in tempo per schivare l’ agenda da settecento chili della rossa e salvarsi la vita. Ma purtroppo non fu altrettanto veloce da riuscire a spostarsi quando, aprendo il suo armadietto in corridoio, gli cadde addosso una cascata di libri. Appena riuscì a riemergere, si guardò intorno per capire chi tra i membri della lupesca combriccola dovesse maledire per quel meraviglioso, e potenzialmente letale, dono. Con sua somma sorpresa, tra tutti gli sguardi allibiti degli studenti della zona, individuò Scott con l’ espressione colpevole peggio mascherata che avesse mai visto. Sospirò ed iniziò a raccogliere i libri. Anche il suo migliore amico voleva ucciderlo.

Jackson si limitò a spingerlo giù dalle scale con apparente noncuranza. L’ unico motivo per il quale il castano rimase vivo fu che qualcuno lo afferrò al volo al terzo scalino, arrestando la sua caduta con un braccio all’altezza della vita ed una mano che lo afferrò per la collottola. Quando alzò gli occhi, ancora sconvolto per essere stato nuovamente sull’orlo della morte, ed incontrò quelli di Danny che cercava di capire se stesse bene, avrebbe voluto seriamente baciarlo. E in questo caso, almeno, l’ altro non sarebbe rimasto neppure traumatizzato. Si raddrizzò e cercò di campare qualche scusa plausibile perché non poteva permettere che il compagno lo portasse pure in infermeria. E sembrava convintissimo di doverlo fare. Che qualcuno benedicesse Danny!

Isaac rese ovvi i suoi intenti quando gli si sedette accanto ne laboratorio di Chimica. L’ ultima volta che lo aveva fatto aveva cercato di uccidere Lydia. Perciò Stiles non si stupì troppo quando fu l’ altro ad impostare l’ esperimento, posizionando le fialette e iniziando a riempirle. Cercò di prendere le distanze senza farsi notare. Ma, ovviamente, come era prevedibile, non solo Isaac assecondò il suo movimento con uno ancora più ampio, ma anche Erica fece la sua parte. Per dirla sbrigativamente, sedusse il professore e lo convinse a lasciarle aggiungere una sedia al loro banco. Stiles si fece piccolo piccolo. E fu la volta buona in cui si salvò soltanto grazie alla sua fortuna, quando Isaac fece cadere la fialetta dell’ acido in sua direzione. Furono i Jeans larghi a pagarne le conseguenze, e la manica della felpa. Quasi urlò terrorizzato. E quasi gli venne voglia di rimpiangere Boyd ed i suoi semplici sgambetti per i corridoi.

Finalmente, all’ora di pranzo, intravide una possibilità di pace, andando a sedersi in un tavolo differente da quello del Branco. Purtroppo loro se ne accorsero dopo nemmeno cinque minuti e, presi i propri vassoi, lo raggiunsero dall’altra parte della sala. Siles imprecò sottovoce e rispose con falso entusiasmo al saluto. Così si ritrovò seduto tra Lydia ed Allison, con una certa dose di inquietudine. Per primo, tutti si misero a mangiucchiare qualcosa chiacchierando allegramente. Come se non avessero passato la mattinata a cercare di rendere quella scuola la sua tomba. Li osservò per un attimo cercando di capirne le intenzioni  dal comportamento. Quando si sentì sufficientemente soddisfatto dell’ investigazione, si mise a mangiare a sua volta. Mancavano solo i due idioti che, per ovvie colpe, erano dovuti rimanere indietro a ripulire il banco del laboratorio di Chimica. Gli altri sembravano piuttosto tranquilli. Poi, dal nulla, le mani affusolate di Erica gli si poggiarono sulle spalle, stringendole a mo’ di saluto.

-Allora, che ne dici? Sta sera. Io, te, Derek. Cosa a tre?-  Stiles sputò di colpo l’ acqua che aveva appena portato alla bocca, stringendo con le dita la bottiglietta tanto da accartocciarla. Boyd, davanti a lui iniziò a tossire, come del resto anche Allison, seppure lei in modo nettamente più trattenuto. Isaac, che si stava giusto sedendo in quel momento, si immobilizzò e sbiancò di colpo. –Si, insomma, sono sicura che se ci fossi anche tu di mezzo, la smetterebbe di respingermi, una volta per tutte.- perché diavolo Jackson e Lydia erano così tranquilli? Glielo avrebbe chiesto con un urlo, se non fosse stato in pieno soffocamento. –E non fare quella faccia assurda, Stiles. Non dirmi che la mia proposta ti ha sorpreso.- Scott lo guardava confuso, probabilmente ancora intento a collegare i nomi detti dalla ragazza al concetto di “cosa a tre”.

-COOOOOSA?- Le strillò addosso voltandosi di scatto, non appena riuscì a respirare nuovamente. Lui? Erica? Derek? Insieme? Cioè, lui e Derek? Tentò di controllarsi ed abbassare un poco la voce, senza però troppi risultati. –Ma che ti salta in mente di dire? Vacci poi da sola da Derek!- Ringhiò ignorando totalmente la faccia sconvolta che aveva assunto Boyd, probabilmente al pensare alla sua ragazza assieme a loro due in un contesto non propriamente casto. –E poi cosa ti passa per la testa?  Cose a tre? Perché dovrei fare cose a tre con due Licantropi?- Fermò Lydia con una mano prima che potesse specificare che oramai era anche lui un Licantropo, in teoria. E zittì Jackson con un’occhiataccia, vedendolo ghignante all’idea che lui non avesse negato la possibilità di una cosa a tre con un altro maschio. –E poi, scusa, Derek? Seriamente? Tu vorresti andare con Derek?- Domandò scettico, ignorando le considerazioni sull’aspetto fisico dell’uomo da parte sia della bionda, sia di Isaac. Suvvia, ragazzi! Ok, poteva ammettere  che l’Alpha aveva il suo personale fascino. Quello da misterioso palestrato sovrannaturale. Ma arrivare a proporgli una cosa a tre con lui? Macho quanto vuoi, ma col Capobranco di sicuro nessuno ci avrebbe mai provato alla leggera. Sicuramente non lui, comunque. –E, NO, Scott. Si è inventata tutto, maledizione, non lo chiedere neppure!- Sibilò esasperato, quando finalmente sul viso dell’amico si dipinse una pericolosa scintilla di comprensione. Erica rise ed andò a sedersi accanto ad un ancora abbastanza preoccupato Boyd.

-Eddai, tranquillo, stavi scherzando.- Assicurò sia al proprio ragazzo che a Stiles. –Volevo solo vedere quale sarebbe stata la tua reazione e, magari, scoprire se potevi morire annegato- Scherzò fin troppo allegra. Stiles la osservò di sottecchi, borbottando tra se irritato.

Quegli scherzi non gli piacevano affatto.











Angolo dell'autrice:
Salve a tutti!
Eccomi col dodicesimo capitolo. La storia si avvicina lentamente alla fine ç___ç
Purtroppo i prossimi capitoli potrebbero giungere lento i risultare imprecisi. Avete presente quel momento all'inizio dell'anno scolastico nel quale tutti i professori contemporaneamente pensano che sarebbe assolutamente carino fissarvi una verifica?
Ecco. E' quel momento... >___>
Perciò vi chiedo di avere pazienza.

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Capitolo 13
*** Parte Tredicesima ***


 IMPORTANTE: Per chi sta seguendo questa storia, leggere sul fondo. (nessuna brutta notizia)

 


Stiles aveva passato gli ultimi due giorni a lamentarsi. A crogiolarsi nelle lamentele più totali. Si era presentato a pranzo, il giorno prima. Era arrivato a casa Hale. Aveva riaccompagnato a casa in macchina gli altri Beta, visto che Derek era dovuto rimanere a discutere con Peter. E aveva fatto tanti di quei problemi da far venire il mal di testa. Prima li aveva sgridati per le loro abitudini alimentari e i loro alquanto scarni rapporti sociali durante le ore dei pasti: chi aveva fame se ne andava semplicemente in cucina e prendeva qualcosa di surgelato o precotto dal frigo, il più delle volte. Una ramanzina che aveva terribilmente ricordato a Derek di sua madre e di quando, da piccolo, lo riprendeva per qualche suo comportamento sgarbato. Non nello stesso modo triste col quale di solito ricordava la propria famiglia, ma con una strana tranquillità perché, in un qualche modo, gli era risultato rilassante ascoltare i ragazzi del Branco  che pregavano Stiles di non strippare ed Erica che gli faceva la corte per farsi cucinare qualcosa di decente. Alla fine, ovviamente, aveva ceduto alle suppliche e lo aveva fatto. Derek era persino stato sgridato per non essersi presentato subito in cucina.

Il Capobranco ci ripensò e non poté fare a meno che tendere le labbra in un sorriso silenzioso tra se e se. Per quanto quella specie di calma prima della tempesta fosse inquietante, lo rincuorava la normalità del comportamento del resto del suo malandato clan di BH. Era così tanto di buon umore che decise persino di ignorare il bisticcio in corso fra gli adolescenti, concentrandosi solo sul rombo soffuso del motore della sua adorata auto in corsa. Stiles si lamentò ancora una volta (l’ennesima di tante. Ma davvero tante) degli allenamenti di Lacrosse appena terminati. Apparentemente Boyd, Isaac, Jackson e Scott avevano utilizzato anche quell’occasione per metterlo alla prova e, a quanto aveva potuto capire dai loro blandi vaneggiamenti, avevano calamitato l’attenzione di tutti i componenti della squadra su di lui bersagliandolo ripetutamente di palle (Nel caso di Scott, probabilmente, era stata più una vendetta che altro) e, successivamente, persino di racchette. Derek scosse la testa, ghignando nel vedere l’espressione depressa di Isaac nello specchietto retrovisore. Sembrava un cucciolo. Un povero piccolo cucciolo indifeso appena bastonato dal proprio padrone. Non che non avesse mai assunto prima quella particolare espressione, ma gli risultò comunque divertente vederlo sottomesso a quel modo al castano, il quale gli stava seduto accanto, nel seggiolino davanti. All’assurda giustificazione che presentarono come scusa i Beta, dovette aver riso seriamente, perché tutti si voltarono verso di lui. Erica ghignò e Boyd parve quasi offeso. Tornò subito serio e pigiò all’istante il piede sull’acceleratore, continuando a ridere, anche se soltanto dentro di se.  Gli altri tornarono presto a discutere, questa volta del fatto che il Professor Harris avesse messo Stiles in punizione fino a sera. Teoricamente lo aveva fatto.  Ma appena l’Alpha era venuto a sapere che il ragazzo era finito in castigo con un professore proprio per la sera nella quale ci sarebbe stata Luna Piena, era andato personalmente a sistemare le cose. Aveva fatto salire in macchina gli altri tre Licantropi non appena era giunto nel cortile della loro scuola. Era andato direttamente nella classe incriminata, quella di Chimica, ed aveva detto qualcosa di simile ad un “di questo idiota sta notte ho bisogno io”. O qualche altra frase col medesimo significato, comunque. L’insegnante doveva aver riconosciuto Derek come uno dei sopravvissuti della famigli che lui stesso aveva involontariamente aiutato ad uccidere, perché gli aveva subito lascito lo studente.

Derek parcheggiò la sua adorata Camaro nera con estrema cura davanti alla propria casa. Non dovette nemmeno chiedere ai ragazzi di smetterla di bisticciare e scendere dal mezzo. Lo avevano già fatto. Straordinariamente diligenti. Forse qualcosina la stavano imparando dopo praticamente un anno di convivenza col loro Alpha. Ovviamente, prima che capissero che quella era casa SUA, ci avrebbero messo due o tre vite supplementari. Perlomeno. O, comunque, quella fu l’impressione che gli diedero quando, entrando, si catapultarono confusamente in tutte le direzioni, ignorando il suo ringhio irritato. Erica si diresse al piano di sopra, Isaac si lasciò cadere con noncuranza sul divano al centro del salone. Stiles e Boyd, dal canto loro, si diressero come il giorno precedente in cucina, abbandonando gli zaini sotto l’attaccapanni. Derek prese il suo tempo. Lasciò la giacca di pelle attaccata, accanto a quella di suo zio. Dopodiché li seguì nella stanza accanto. Peter era seduto al tavolo della cucina, un enorme libro in grembo. Altri libri ovunque. Ma davvero ovunque: persino sui fornelli. Derek ringhiò sommessamente e spostò un tomo verde muschio pieno di macchie dalla dubbia provenienza dal bancone di legno. Lo passò a Boyd e questi si sedette accanto al più anziano degli Hale, impilando il libraccio sulla colonna di suoi simili più vicina. Stiles stava già discorrendo con l’ex Alpha di BH. Tutti e due puntavano alternativamente le dita su le vecchie illustrazioni sbiadite o su una qualche riga del testo. Lo avevano fatto anche il pomeriggio precedente. Ovviamente solo dopo che Peter aveva smesso di rimproverare lui per averlo lasciato mordere (e, prevedibilmente, per non averlo morso prima) e di manovrare Stiles come una marionetta per “capirlo”. La seconda cosa lo aveva infastidito alquanto. Grazie al cielo l’altro Hale si era calmato ed aveva obbligato il ragazzo morso e il suo Beta più sveglio a lavorare con lui sugli archivi ed i bestiari raccolti da lui nell’ultimo anno.

-Questo lavoro non avrà mai fine!- Stiles aprì di colpo un libro enorme, facendo ricadere con un tonfo sordo i due lati della copertina sul tavolo.

-Abbiamo controllato solo la metà dei libri, Stiles. Vedi di resistere ancora un po’.- Ribadì suo zio sorridendo al giovane, divertito dalla sua espressione esasperata. Derek avrebbe voluto ringhiare. Un adolescente. Era uno stramaledetto adolescente. Possibile che suo zio non sapesse quando era in momento di tenere giù le mani?

-Libri o non libri, avrà comunque fine sta sera.- Derek si rese conto di averlo detto soltanto quando Boyd annuì in sua direzione. Era la pura verità, dopotutto. Ed era nettamente meglio interrompere subito il flirting di Peter con il ragazzino con una constatazione, piuttosto che ringhiargli contro. –Questa sera è la Luna Piena. Qualsiasi cosa tu sia, lo scopriremo oggi.- Continuò iniziando a togliere altri libri dal fornello e dal lavabo, caricandoseli sotto braccio –E forse avremo anche l’onore di incontrare il tuo Alpha.- Decretò alla fine, sganciando tutti i tomi impolverati sull’unica sedia libera di tutta la cucina. Si voltò dall’altra parte, scrutando con sguardo torvo fuori dalla finestra senza tende. Il discorso del Capobranco sconosciuto gli ronzava in testa da quando era riuscito ad essere sicuro che Stiles sarebbe sopravvissuto. Avevano cercato il lupo ovunque. Nei boschi. Nelle vie del paese. Nulla. Non avevano trovato nessuna traccia di quel bastardo. Soltanto qualche goccia di sangue davanti a casa dello sceriffo, ma Stiles aveva già detto loro di averlo pugnalato con qualcosa preso durante l’aggressione. Sembrava che l’Alpha, dopo aver morso praticamente a morte e trasformato l’umano di un altro branco, se ne fosse semplicemente andato dalla città. Ma non aveva senso. Quale pazzo, dopo essersi appena procurato un nuovo, intelligente, Beta, lo lascerebbe a se stesso e se la sarebbe data a gambe?

-Bhè- Prese parola suo zio, chiudendo l’ennesimo libro e, questa volta, distendendosi sulla sedia di legno fino a farla dondolare in bilico sulle due gambe lignee posteriori –Sarà una nottata divertente. Forse persino più divertente della Tua prima Luna piena, Derek. E ti assicuro che vederti i…- Si bloccò con il sorriso sulle labbra al ringhio del nipote. Che osasse anche solo parlare della sua prima Luna Piena. Lui avrebbe parlato del suo venticinquesimo compleanno. Sarebbe stata una vendetta più che equa.

Stiles e Boyd chiusero a loro volta i libri, una volta controllati fino all’ultima pagina. Ne presero dei nuovi. Lo presero per le braccia e lo obbligarono ad aiutarli. Ma lo sapevano che sarebbe stato inutile, perché non avevano nulla da cercare. Stiles non aveva dimostrato nessuna caratteristica particolare, oltre a quella del mimetizzare la propria scia. E Peter aveva detto che, per quanto insolita, era una caratteristica da Lupo. Questo li aveva aiutati tutti ad arrivare più tranquilli alla serata del Plenilunio.

Quella, in compenso, arrivò terribilmente presto. Quelle che in realtà furono ore, a lui non parvero altro che miseri secondi. Gli sembrò a mala pena di fare in tempo a dare le direttive necessarie. Mandò Scott ed Isaac a fare la ronda per continuare la ricerca dell’Alpha. Sarebbe stato meglio se lo avessero trovato loro per primi,  piuttosto che attendere fosse lui a fare loro visita. Jackson e Lydia, come loro solito, decisero di passare la nottata da soli, nel piccolo appartamento che lui si era appena fatto comprare dai suoi. Era quasi una tradizione che la ragazza se ne rimanesse l’intera  notte a controllare il suo sempre più obbediente fidanzato Lupo. Peter, dal canto suo, si prese il compito di controllare il bosco attorno a casa. Così, Derek, Erica e Boyd rimasero nella villa degli Hale ad assistere Stiles nella sua prima Luna Piena. In quanto al ragazzo, era teso come una corda di violino e non ne voleva sapere di starsene zitto neppure per un secondo. Quando Derek tirò fuori dalla sua solita vecchia cassa di legno tarlato le catene, si mise persino a balbettare, col fiato corto, indietreggiando nel disperato tentativo di allontanarsi. Di mettersi alla maggior distanza possibile da lui.  L’Alpha lo soppesò un attimo con lo sguardo. Non si sarebbe mai aspettato di vederlo spaventato da un paio di catene. Non dopo quello che aveva già passato. Si avvicinò di un passo. Stiles indietreggiò ancora, lo sguardo sospettoso puntato sulle manette metalliche destinate, ovviamente, alle sue mani. Derek assecondò ancora una volta il movimento dell’altro, lentamente, spingendolo inesorabilmente al muro. Ci fu un attimo nel quale poté intuire dalla scintilla negli occhi dell’adolescente il suo desiderio di fuggire. Ma fu solo un attimo. Un battito di ciglia. Dopodiché Stiles sospirò sconsolato ed allungò arrendevolmente tutte e due le braccia avanti a se. Il Capobranco decise di non dire nulla. Poteva capire come doveva sentirsi un ragazzino all’idea di passare un’intera notte incatenato in una casa non sua, magari trasformandosi in qualcosa di mistico e mortale e perdendo il raziocinio.  Ma si rallegrò del fatto che, perlomeno, sembrava essere riuscito a capire quanto importante si sarebbe potuta dimostrare quella costrizione. Tanto per lui, quanto per gli altri.

Lo fece sedere sul divano della sala. Gli prese i polsi e glieli assicurò assieme, davanti l corpo, con le spesse manette che aveva usato precedentemente coi Beta. Quindi passò alle gambe, obbligando il giovane ad incrociarle e incatenando insieme le sue caviglie. Poi toccò alla testa. Furono tutti istantaneamente d’accordo sul fatto che non potessero per nulla al mondo usare la stessa “tiara” delle prime Lune Piene di Erica. Dopotutto non erano propriamente sicuri che Stiles avesse poteri di rigenerazione simili ai loro e, di certo, non sarebbe stato molto piacevole scoprire ne fosse privo in un modo così brutale. Non ci tenevano a fracassargli la testa con chiodi giganti e poi dover trovare una scusa per l’accaduto con lo sceriffo. Si limitarono quindi a mettergli un grosso collare metallico attorno al collo. Derek decise di ignorare i quesiti di Stiles riguardo la provenienza di tutti quegli oggetti “eticamente discutibili” (testuali parole del ragazzino).

Quando guardarono poi per quella che forse fu la trentesima volta fuori dalla finestra, il cielo buio della notte non presentava alcuna stella. Ma, dietro una nuvola particolarmente grossa, la luminescenza della luna risultò loco comunque ben visibile. La osservarono fare capolino con lentezza estenuante. Stiles deglutì, chiuse gli occhi e costrinse le labbra tremanti a stringersi in una linea sottile. Derek, invece, non poté fare nulla per la propria mandibola: la sentì contrarsi involontariamente, in modo quasi doloroso. Non rimase loro altro da fare se non aspettare. E lo fecero. Aspettarono. Ma aspettarono invano, poiché Stiles non fece altro che continuare a torturarsi il labbro inferiore con i denti. Teso oltre ogni misura, ma innegabilmente umano. Non un pelo di troppo. Nemmeno una piccola modifica dell’arco sopraccigliare, degli zigomi, della mandibola.  A Derek caddero le braccia. Passò più e più volte lo sguardo sull’intero corpo dell’adolescente, ma non vide altro se non Stiles. Solo Stiles. Spostò gli occhi e controllò la luna fuori dalla finestra. Piena. Tonda. Chiara nel bel mezzo del cielo. La sua luce pallida ricadeva totalmente immutata nella stanza nella quale si trovavano. Eppure il figlio dello sceriffo non accennava nemmeno lontanamente a mutare. L’agitazione iniziò a crescergli sempre più prepotentemente nel petto, come una specie di brivido viscido. Cosa diamine stava succedendo? Si avvicinò al ragazzo, senza nemmeno starci a pensare più di qualche secondo, e gli prese il viso tra le mani. Forse un po’ troppo bruscamente, effettivamente.

-Ma che?- Ignorò la protesta del giovane e il suo inutile tentativo di liberarsi dalla sua presa. Sollevò, invece, col dorso dell’indice destro il labbro superiore dell’altro, snudando i denti bianchi e piatti. Niente a che vedere con  quelli che, anche in quel momento, occupavano la sua bocca. Appuntiti e letali. Vere e proprie zanne. Perché Stiles non le aveva? Tolse il dito dalla sua bocca, preoccupato –Hei! Cosa stai facendo?- Prese la spessa catena delle manette tra le dita e la sollevò fino a poter vedere bene le mani del ragazzo. Niente unghie. Se non quelle leggermente smangiucchiate per via dell’ansia che il ragazzo aveva sempre avuto. Inarcò le sopracciglia alla palese completa assenza di artigli. –Derek? Che cosa sta succedendo? Potresti, per favore, smetterla di fare quella faccia preoccupata? Ti prego. Derek, mi stai facendo paura. Non paura paura, però, nel senso, preoccupante, ecco. Smettila! No, davvero, smettila di ringhiare tra te e te e dimmi qualcosa. E smettila anche di toccarmi. Giù le mani, maledizione! Ahi! Lascia stare i miei occhi. Nessuno ti ha mai insegnato cosa voglia dire essere delicato? Eh? Mi hai praticamente cavato un occhio. Hei! Cosa? HEI! E va bene, va bene. Certo, ficcami pure la faccia nel collo. Tanto sembra non facciate altro che violare i miei spazi personali ed annusarmi. Perché ovviamente è molto normale per voi, no? Bhè, per me non lo è per nulla e…- Derek ringhiò, stringendo di più la presa delle mani sui bicipiti dell’altro. Per una volta, però, non lo fece per farlo stare zitto. Lo fece perché, dietro di lui, altri due Lupi stavano facendo lo stesso. E, lo seppe ancora prima di girarsi, quei versi ostili erano rivolti a lui.

A lui e a Stiles, si corresse, quando si voltò e gli fu chiaro l’indirizzo lampeggiante dello sguardo animale di Erica e Boyd. Una parte di se si fece prendere dal panico: quei due  avevano imparato a controllarsi da mesi durante il periodo della Luna Piena. Non avrebbero dovuto avere nessun motivo di rivoltarsi contro il ragazzo. A Derek era sembrato avesse un odore particolare, certo, ma arrivare a minacciarlo? Non capiva. Ma pur non capendo, non poteva per alcun motivo lasciare che gli facessero del male. Si mise subito in posizione di difesa, davanti al ragazzo, in modo che per i suoi due Beta fosse impossibile attaccarlo. I muscoli gli si tesero istintivamente, mentre si preparava a sostenere l’ennesimo scontro con i suoi stramaledetti sottoposti indisciplinati (non avrebbe mai smesso di pentirsene: adolescenti).

Fu in quel momento che, dietro di se, sorse un ringhio. Prolungato, scuro e rabbioso. Un avvertimento. Erica e Boyd si immobilizzarono all’istante ad occhi spalancati, indietreggiando. Un avvertimento potente, si ritrovò a pensare. Lui stesso sentì la schiena drizzarsi e un brivido percorrergli da capo a piedi le membra.

Fu in quel momento che Stiles ringhiò.

 







Angolo dell'Autrice: 
Inanzitutto... Salve a tutti! (le abitudini non si perdono così facilmente)
Prima cosa importante che devo fare e SCUSARMI. Sì, perchè ci ho messo ben una settimana a tornare in campo con questo capitolo e questo non era nei patti. ne sono cosciente e prometto che cercherò di non fare mai più una cosa simile.
La seconda cosa consiste nel mettere in rilievo una caratteristica positiva di questa attesa: i capitoli sono più lunghi dei precedenti praticamente di una buona paginetta Word!
Terza cosa...

Bhè, cari miei, ci siamo. Come ho continuato a dire, dopo questo e il prossimo capitolo, probabilmente resterete delusi e mi cercherete per impiccarmi. Sono pronta a recensioni negative, quindi non trattenetevi.
Saluti, Eva.

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Capitolo 14
*** Parte Quattordicesima ***


Non aveva mai provato così tanta agitazione in tutta la sua vita. Una quantità di sensazioni discostanti gli si erano ammassate nel cervello e avevano pigiato sempre più insistentemente contro la sua calotta cranica.  Probabilmente avevano combattuto una lotta sanguinosa per ottenere la sua attenzione. Questo, ovviamente, non poteva saperlo. Però si era reso immediatamente conto che la vincitrice era stata l’agitazione, l’apprensione. Si era ritrovato addosso più preoccupazioni di quante ne aveva avute la sera nella quale era stato morso. Il primo segno dell’imminente cedimento dei suoi nervi lo aveva avuto quando Derek aveva portato nella stanza un vecchio baule di legno e metallo, lo aveva aperto e ne aveva tirato fuori delle catene. Catene persino più grosse di quella che lui aveva comprato un tempo per Scott. Piene di ganci e manette e collari. Aveva avuto voglia di scappare. E in un certo senso lo aveva fatto. Non era andato molto lontano, prima che la parte razionale del suo cervello gli facesse notare l’ombra colpevole e dispiaciuta negli occhi dell’Alpha. A quel punto si era fermato. Sapeva che l’altro non lo stava certo facendo per divertimento e si era sentito un po’ egoista ed idiota, persino, nell’essersi opposto. Come lui aveva ammanettato il proprio migliore amico al termosifone, Derek avrebbe incatenato lui. Era stata una cosa necessaria. Per il bene tanto degli umani quanto dei Lupi Mannari di BH.

Dopo averlo legato per bene (gli avevano pure messo un collare! Una sola parola: feticismo!) lo avevano fatto sedere fermo immobile. Era stato pure relativamente comodo, tralasciando le braccia e le gambe appesantite dalle catene di metallo. Avevano atteso che la luna illuminasse la stanza. Il cuore di Stiles aveva iniziato a battere sempre più veloce . stava per trasformarsi. Non sapeva se avrebbe sofferto o cosa sarebbe potuto diventare. Nessuno gli aveva detto nulla. Sapeva solo che si sarebbe dovuto trasformare.

Eppure, quando dopo qualche minuto aveva deciso di aprire gli occhi e controllarsi, si era ritrovato del tutto identico a prima. Mani umane e gambe umane. Per un attimo aveva sospirato seriamente sollevato. Si era sentito debole come prima, naturalmente equilibrato come prima. Normale. Poi era sopraggiunto il panico. Perché quella cosa, lo sapeva, non andava affatto bene. Era ovvio che non andasse bene. Si sarebbe dovuto trasformare in qualcosa di peloso, zannuto, magari squamoso. Ma nulla sembrava volergli comunicare che qualcosa fosse successo. Persino Derek si era allarmato e lo aveva controllato, avvicinandosi e prendendogli le mani, scostando le labbra per osservare i denti, spalancandogli a forza le palpebre ed adocchiando sospettoso il colore delle iridi. Apparentemente non aveva trovato nulla. Stiles gli aveva detto di smetterla. Gli aveva persino urlato contro, per quanto si fosse poi ricordato. Ma, no, non avrebbe in alcun modo voluto morderlo. Nessun istinto animale. E il che non andava assolutamente bene. Perché, teoricamente, con la Luna Piena, per i neo Lupi, sarebbe dovuto sopraggiungere, quel benedetto istinto sanguinario. Allora perché diavolo lui non sentiva proprio nulla di diverso dal solito, umano, fastidio? Perché non sentiva nessuna forza sovrannaturale scorrergli nelle vene? Nessuna voglia di azzannare il Licantropo che lo stava importunando? Di liberarsi, di fuggire correndo a quattro zampe? La risposta gliela aveva data poco dopo, in un certo senso, un rugliare rabbioso all’uscio. Lui aveva alzato lo sguardo ed aveva facilmente identificato Erica e Boyd sulla porta, denti snudati, corpi tesi ed accucciati, artigli appuntiti sulle dita contratte. E, bhè, sì, stavano guardando con odio (?) proprio lui. Il suo cuore aveva mancato un battito, nello stesso momento nel quale anche l’Alpha aveva compreso cosa volessero fare gli altri due e si era voltato a fronteggiarli. Non era riuscito a sentirsi al sicuro: era legato, immobilizzato, umano; Derek era forte, ma non avrebbe mai fatto del male ai suoi Beta (non sul serio, comunque) e poi, oramai, tutti e due gli altri Licantropi non erano più dei cucciolotti alle prime armi. Non ce l’avrebbe fatta a fermarli da solo. Non senza uscirne ferito. O farne uscire feriti loro. O lasciare che sbranassero Stiles.

Quanto diavolo odiava i Lupi Mannari! Perché era finito in quella situazione? Avrebbe dovuto appoggiare i cacciatori. Meglio, avrebbe dovuto disconoscere Scott non appena fosse venuto a sapere del morso e tirarsene fuori. Invece, era rimasto con lui. E poi col Branco. Con Peter e con Derek, con Isaac, con Erica, con Boyd, con Lydia e Jackson. Aveva provato ad urlare, ma la voce non gli era uscita. Il panico, probabilmente, aveva avuto la meglio. Aveva aperto la bocca per urlare, perché non poteva vederli combattere allora o farsi del male tra di loro. Un tentativo dopo l’altro, in rapida successione. Ancora ed ancora.

E fu solo quando ormai la gola iniziava a bruciargli per tutte le parole morte dentro di essa, che qualcosa ne uscì. Più forte e tonante di quanto avesse voluto. Più cupo di qualsiasi rimprovero. Più affilato di qualsiasi minaccia. Più diretto di qualsiasi richiesta e più chiaro di qualsiasi supplica, al tempo stesso. Un comando, perentorio. Non un grido, ma un ringhio.

Subito si chiese chi lo avesse emesso, osservando la stanza alle sue spalle. Tornò poi subito ai tre Licantropi, perché dietro di se non c’era nessuno. Erica e Boyd sembravano in tutto e per tutto cuccioli bastonati. Li osservò indietreggiare fino a trovarsi contro il muro dalla parte opposta della stanza, uggiolare e tenersi in posizione difensiva. Non staccavano gli occhi da lui. Si sentì improvvisamente a disagio. Perché lo stavano fissando? Spostò lo sguardo su Derek. L’Alpha lo stava osservando a sua volta, immobile, più teso di quanto non lo avesse mai visto. I suoi occhi erano due piccoli tizzoni di brace ardente e sembravano volerlo trapassare da parte a parte. Stiles si agitò nelle catene, nell’inconscio disperato tentativo di liberarsene. Avrebbe voluto poter davvero scappare, ma qualcosa lo teneva lì. E la stessa cosa, piano piano, iniziò a fargli capire. Nessuno era comparso nella stanza, ragionò, ed aveva ringhiato. Non lo avevano fatto di certo i due Beta apparentemente terrorizzati. Tantomeno Derek, con la mascella contratta ed i muscoli di tutto il corpo pronti per un qualsivoglia scatto. Lentamente, la verità si fece strada dentro di lui. Con calma estenuante. Esasperante. Come era solita fare in situazioni di quell’importanza. Fino a far scoccare la scintilla della comprensione. Ed improvvisamente capì: era stato lui. Il ringhio era suo. Aveva voluto farli smettere a tutti i costi e ci era riuscito, con un ringhio vero e proprio. Qualcosa di davvero poco umano che aveva fatto saltare sull’attenti persino il Capobranco. Per un attimo fu indeciso se esserne preoccupato, orgoglioso o semplicemente curioso. La cosa che gli tornava meno di tutte era L’Alpha. Ok, aveva ringhiato, e allora? Ne aveva sentiti di ringhi, il Licantropo, quindi perché era così teso? E lo fissava. Lo stava ancora fissando, come sulla difensiva, come se fosse pronto ad intervenire in un qualche modo. Stiles distolse lo sguardo in soggezione. Quel silenzio non gli piaceva. Quegli sguardi non gli piacevano. E quella stramaledetta reazione esagerata gli piaceva ancora meno.

-Derek, cosa sta succedendo? Che avete tutti? Perché Erica e Boyd volevano attaccarmi? E perché diavolo ora te ne stai lì, fermo, e mi fulmini con il tuo oltremodo inquietante sguardo lampeggiante da Grande Lupo Cattivo? Che ho fatto di male? Tra parentesi, mi pare di avere appena ringhiato, eppure le mie unghie non mi paiono per nulla simile alle vostre. Non posso vedermi la faccia, ma non mi sembra di sentire nessun cambiamento e… no, non ho le zanne. Sempre che le mie non siano misteriosamente piatte e senza punte. O a meno che la mia lingua non sia improvvisamente diventata insensibile. Avete la lingua insensibile, voi Licantropi? Perché, seriamente, io preferirei avere il senso del gusto funzionante. Dimmi che non smetterò anche di riconoscere i sapori! E, ti prego, dimmi perché diavolo continui a fissarmi e stare zitto. Per favore! Eddai, mi stai facendo paura. Perché non mi hai ancora zittito? Non sopporti quando parlo a vanvera, quando divago, perché non mi ringhi contro e…- Derek, alla fine, ringhiò davvero. E, in un primo lento secondo, Stiles pensò lo avesse fatto appositamente per accontentarlo e farlo tacere. Ma poi l’Alpha ringhiò di nuovo e gli si avvicinò di un passo. Il ragazzo maledì le catene. Perché, seriamente, per una volta che aveva davvero bisogno di scappare, era legato come un salame? Imprecò sotto voce, dimenandosi disperato e facendo cigolare manette e collare in un clangore metallico assurdo. Era in quel modo che sarebbe morto?

E poi una benedizione dal cielo piombò nella casa con l’accortezza di un elefante ed il tatto di una mandria di struzzi. Una benedizione di capelli scuri ed il quoziente intellettivo di un’ameba.

-Hei, ragazzi, non crederete mai a quello che è successo.- Qualcuno benedicesse Scott! Qualcuno lo facesse santo! Stiles lo ascoltò chiudere la porta d’ingresso e quasi si mise a ringraziare un dio qualsiasi, vedendo Erica e Boyd visibilmente distratti dall’intrusione e leggermente più rilassati. –Ero a casa di Allison ad aspettare che si preparasse per la ronda. Con me in salotto c’era suo padre ed indovinate che mi ha detto di riferirvi?- I rumori di tre persone che si pulivano i piedi e che appendevano la giacca all’attaccapanni. Derek, suo malgrado, perse la posizione di attacco/difesa e si voltò verso la stanza accanto. Il castano trattenne il fiato, sollevato al movimento del capobranco. Sospirò. –Ha detto che questo pomeriggio hanno trovato delle minuscole tracce di sangue andando a caccia. Ovviamente le hanno seguite e chi pensate che abbiano trovato nel capanno al quale sono arrivati? Esatto! Proprio il nostro Alpha misterioso!- Nessuno gli aveva risposto, ma erano tutti in un tale silenzio mortale che probabilmente aveva deciso lo stessero incitando a continuare. –Chris ha detto che ha provato a scappare, ma che sono riusciti a colpirlo con un paio di pallottole. È caduto e, quando lo hanno raggiunto, era finita. Non hanno neppure avuto bisogno di dargli il colpo di grazia. Pare che una ferita precedente avesse dentro qualcosa che non gli permetteva di utilizzare i suoi poteri di guarigione. Penso che sia stata la pugnalata di Stiles. Chissà che diavoleria hai usato, eh, amico?- Scott ed Isaac risero, voltando l’angolo nel salone. Derek, nel silenzio più completo, tornò a voltarsi un attimo verso di lui. –Quindi l’Alpha è morto. Figo, no? Non dobbiamo più…- Poi guardò il figlio dello sceriffo e la voce parve morirgli in gola. Isaac sgranò gli occhi ed indietreggiò di un passo, prendendo la mano ad Allison in un riflesso incondizionato. L ragazza, dal canto suo, portò l’altra mano, quella libera, alla bocca per soffocare un’esclamazione. Ma che diavolo? Stiles si accigliò. In cosa si era trasformato perché tutti avessero delle simile assurde reazioni?

-Oh, Dio…- Bisbigliò Allison, scoprendo la bocca ed utilizzando la mano in modo assai più produttivo. E cioè artigliando la maglietta del proprio fidanzato. Quello strano trio, rimase ancora immobilizzato sulla porta. L’Alchimista tentò di immaginarsi cosa di lui potesse spaventarli così tanto. Forse aveva la faccia di un qualche mostro mitologico o fantascientifico (Minotauro? Ciclope? Un umano-pesce? Una mosca gigante?). oppure aveva la testa di Gerard Argent al posto della propria. Quello sì che sarebbe stato agghiacciante. Gli vennero i brividi al solo pensiero. Se fosse stato vero, probabilmente, avrebbe fatto Harakiri molto volentieri.

-Ma come è possibile?- Domandò Boyd, appena riuscì a recuperare un po’ del suo granitico contegno, cercando di apparire nuovamente l’imperscrutabile genio silenzioso di tutti i giorni. Ma, Stiles lo notò, non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, pur rivolgendosi al proprio Capobranco.

-Sì, esatto. Come… come può essere successo?- Ribadì Scott, visto che il compagno non aveva ricevuto alcuna risposta. Il giovane iniziò a sentirsi sempre più a disagio. C’era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello che stava accadendo.

-Cosa?- Quasi strillò esasperato. –Qualcuno potrebbe essere così gentile da smetterla di scambiare con gli altri domande misteriose come in uno stupido Shounen e dirmi COSA sta succedendo?- Alla sua domanda cadde di nuovo il silenzio nell’intera stanza. Nessuno si mosse per un paio di secondi. O forse furono minuti. Ciò non cambiò il fatto che per l’adolescente sembrò passare davvero troppo tempo prima che Derek sospirasse arrendevole e si muovesse verso di lui. Gli chiese, per favore, di non urlare. E questo accrebbe soltanto il livello di panico del ragazzo. Poteva persino sentire il proprio cuore martellare ridicolmente veloce nel petto. Anche l’Alpha, probabilmente, lo percepì, perché si fermò un attimo, prima di avvicinarsi al suo viso e scrutarlo con un cipiglio accigliato che non aveva precedenti. Stiles si costrinse a non tremare e lasciò che l’altro gli prendesse il viso tra le mani e glielo spostasse in avanti. Fu costretto a chinarsi verso il basso con la faccia parallela al tavolino di metallo posto davanti al divano.

-Penso, Scott, che il “come” ce lo abbia appena spiegato tu col racconto di Chris Argent e della sua caccia.- Rispose Derek cercando vistosamente di rimanere calmo. Gli tenne la testa giù, perciò il ragazzo non ebbe nessuna possibilità di alzarsi dalla scomoda posizione nella quale era stato costretto. Puntò quindi lo sguardo sull’unica cosa nel suo campo visivo: il piano del tavolino. E sul freddo laminato lucido scorse il suo viso. Era perfettamente umano. Le sue solite labbra, i suoi soliti nei. Tutto un po’ deformato da quello che per ovvi motivi non era stato comprato come specchio. Non gli sembrava di avere nulla di strano. Niente dentoni sporgenti, corna, squame…  -La vera domanda è come possiamo non essercene accorti prima?- Concluse Derek lasciandogli la testa di colpo.

E fu seriamente un attimo. Meno di un secondo. Ma Stiles se ne accorse lo stesso. Se ne rese conto nello stesso momento nel quale la scintilla nel riflesso scomparve. L’apprensione degli altri gli fu subito chiara. I suoi occhi.

I suoi occhi erano rossi.

 










Angolo dell'autice:
Bene. Ora potete uccidermi. Come ho ripetuto miglioni di volte, questo è il momento nel quale estrarrete le picche e scoverete la mia abitazione per mutilarmi lentamente e dolorosamente. Ne sono consapevole e sono consapevole nche di meritarmelo: dopo tutto il tempo che vi ho fatto aspettare me ne esco così. Mi ucciderete, ma sarò in pace con me stessa perchè ho già scritto gli ultimi capitoli e mia sorella potrà pubblicarli al posto mio.

Non ve ne farò una colpa xD

Eva

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Capitolo 15
*** Parte Quindicesima ***


Otto ore. Otto dannatissime ore di domande ripetute all’infinito, disquisizioni filosofiche e urla di adolescenti nel pieno di una crisi di nervi. Ecco cosa aveva dovuto sopportare l’ex Alpha di BH, quando aveva risposto alla secca chiamata animale di quell’amore di suo nipote. Era tornato direttamente alla villa ristrutturata degli Hale, lasciando la sua perlustrazione a metà. Entrando nella casa aveva finalmente iniziato a distinguere tra di loro le voci confuse dei diversi membri del Branco. Gli erano sembrati piuttosto preoccupati. Allarmati, persino, avrebbe osato dire. Era passato direttamente in salotto e, incredibile ma vero, in un qualche modo la sua attenzione era subito caduta su quegli occhi vermigli che tanto stonavano con la persona che li possedeva. Stiles aveva spostato le iridi, con espressione angosciata, da Derek alla sua figura trafelata. Stiles. L’umano. Il giovane genio, l’alchimista, il ragazzino che pur essendo indifeso si era sempre messo in prima fila per aiutare i suoi ben più forti compagni Licantropi e che, alla fine, aveva finito per essere morso da un perfetto sconosciuto. Lo stesso adolescente che aveva rifiutato più e più volte il Morso da ben due persone diverse, era diventato un’Alpha.

-Oh, bhè, congratulazioni. Suppongo.- Ci aveva messo quasi un minuto a parlare. Ma alla fine lo aveva fatto. Si era persino guadagnato un’occhiataccia dal nipote. Quante storie per un mero tentativo di sdrammatizzare! Perché, sì, quello era stato un vero e proprio dramma, per tutto il Branco. Ma lui aveva deciso che fosse più utile concentrarsi sul ragazzino figlio dello sceriffo. Perciò aveva ignorato Derek e si era avvicinato a Stiles. Lo avevano lasciato incatenato? Si era guardato le spalle ed aveva alzato un sopracciglio all’indirizzo del Capobranco. L’altro gli aveva restituito l’alzata di sopracciglio in una ovvia richiesta di chiarimento. Peter si era dovuto trattenere dallo sbuffargli in faccia. Si era accontentato di fare cenno alle catene che ancora stavano stringendo polsi e caviglie (per non parlare del collo. Che bisogno c’era di mettergli un collare?)  addosso al ragazzo e poi alle chiavi che il moro  aveva agganciate alla cintura.

-Non possiamo liberarlo.- Aveva dichiarato subito sulla difensiva il nipote, facendogli alzare gli occhi al cielo ma non dandogli abbastanza tempo di rispondergli in un qualche modo. –Occhi rossi o meno.-  Peter aveva notato il fatto che non avesse utilizzato la parola “Alpha”. –E’ pur sempre un’adolescente alla sua prima Luna Piena.- Aveva poi argomentato sicuro di se. Effettivamente di ragazzini appena trasformati ne aveva visti fin troppi. Ma lo zio non aveva potuto fare a meno di scoppiare a ridere, lasciandoli tutti sconcertati. Dal primo all’ultimo.

-Sei serio, Derek? Davvero?- Aveva chiesto senza smettere di ridere un secondo.  –Ti rendi conto della minchiata che stai dicendo? Forse il tuo semplice ragionamento avrebbe senso con uno a caso dei lupacchiotti che ti piacciono tanto. Ma, seriamente, guardalo.- E tutti lo guardarono.  –Ti sembra forse un normale Licantropo alla sua prima Luna Piena? Guardalo bene, nipote. È la sua prima “notte” e riesce a starsene fermo e tranquillo seduto sul divano di casa tua. Vi ha attaccati? Ha forse cercato di liberarsi dalle catene? Di scappare?- Tutti avevano potuto vedere il dubbio sorgere sul viso l’uno dell’altro.  –Parla normalmente. Si preoccupa. Non sembra volerci sbranare. E, se non ti bastasse, guarda il suo corpo: è perfettamente identico a come lo abbiamo visto per mesi. L’unica differenza sono gli occhi. Io non vedo pelo lupesco o mutamenti scheletrici da nessuna parte.- Dicendo ciò si era limitato a staccare il moschettone delle chiavi dalla cintura di Derek. –E non è di certo per il fatto che apparentemente sia un’Alpha (e credimi, la cosa è tra i pensieri più assurdi che mi abbiano mai affollato la mente). Pensandoci, ha sempre avuto la capacità di controllare la Licantropia, almeno in parte. È stato lui, senza avere mai avuto nulla a che fare con qualcosa di simile, a spiegare a Scott come mantenere il controllo. Evidentemente la stessa capacità di autocontrollo la riesce ad utilizzare su se stesso. Guardalo! Quanto ci hanno messo i tuoi Beta (e quante ossa hai dovuto loro rompere) ad ottenere un equilibrio tale da riuscire a mantenere la forma umana durante la Luna Piena?  E questa è solo la sua PRIMA! Probabilmente è grazie a ciò che è riuscito a mascherare la propria scia durante l’allenamento nel bosco. Riesce a controllare la propria natura, i poteri e gli istinti. E non solo: chi altro conosci che riesce anche a controllare involontariamente l’emissione del proprio odore?- Nella stanza era caduto il silenzio più totale e lui, nel mentre, si era sporto sul divano ed aveva liberato prima le caviglie e poi le braccia del ragazzo. Dal canto suo, Stiles, aveva subito allungato le gambe e si era strofinato i polsi, intorpiditi e, probabilmente, doloranti. –Non so come tu abbia fatto a trovarlo, Derek, ma devi capire che ciò che ha fatto l’altro giorno e che sta facendo ora ha dello straordinario.-

Quando Stiles fu del tutto liberato, anche dal collare, Peter si sedette sul tavolino metallico e lo osservò dalla testa ai piedi. Era solo un bambino. Uno geniale e particolarmente coraggioso, ma soltanto un bambino.  Non che Laura, sua nipote, o sua sorella fossero state di molto più avanti con gli anni, quando erano diventate della Cpobranco. Ma quell’adolescente era qualcosa di diverso: non era nato Lupo e, per quanto in quel momento sembrasse naturalmente portato per la cosa, non aveva mai voluto fisicamente diventare uno di loro. Capiva anche lui quanto sbagliata fosse la cosa. Non solo era diventato un Licantropo in modo traumatico, ma aveva anche subito ottenuto la carica di Alpha. Peter sospirò sconsolato, perdendosi in quegli occhi rossi che sarebbero dovuti essere dorati sotto il suo comando.

E poi iniziarono con le domande e, seriamente, andarono avanti per otto intere ore. Rimasero seduti nel salotto, coi Beta che ogni tanto passavano loro qualcosa da bere, dando pacche sulle spalle al compagno sotto interrogatorio o fermarsi ad ascoltare ciò che gli chiedevano. Fu una situazione, in un certo senso, agghiacciante, per la sua placida calma. Non erano domande che si erano preparati a fare in precedenza, ma erano dettate dall’urgenza e dalla preoccupazione sua e (soprattutto) di Derek. Perché, per quanto cercassero di non andare completamente fuori di testa, il fatto che il giovane fosse un Maschio Dominante era preoccupante. Molto preoccupante. Dopotutto non potevano esserci due Alpha in una cittadina come BH. Non stabilmente, perlomeno. Cercarono di spiegarlo al ragazzo nel modo più semplice possibile e senza farlo di nuovo ricadere nella morsa del suo panico silenzioso. Dovettero andare lenti e cauti con le parole. Due Capobranco, gli dissero, significavano necessariamente due Branchi. Perché ogni Alpha ha bisogno di un Branco per sopravvivere e, in un modo o nell’altro, avrebbe finito per volersene procurare uno anche lui. Avrebbe potuto trasformare qualcuno, mordendolo, per diventare più forte. Avrebbe potuto mordere qualcuno che non ce l’avrebbe fatta. Che non avrebbe avuto nessuno pronto a donargli sangue Mannaro. Con due Branchi, poi, troppe persone sarebbero finite a fare parte del loro piccolo mondo sovrannaturale. BH non avrebbe di sicuro retto una cosa del genere e tantomeno sarebbe riuscita ad ospitare due territori. Inoltre ci sarebbero state lotte. Per lo spazio. Per i Beta. E nessuno ne voleva altre. Davvero nessuno.

Stiles ascoltò tutto quello che gli dissero in  un silenzio impressionante. Quasi inquietante, considerando la sua solita parlantina esagerata. Ebbe un’espressione tesa per tutto il tempo e non fece altro che spostare lo sguardo tra i due Hale. A Peter non sfuggì il modo nel quale si fermava  fissare suo nipote, ancora ed ancora, come a voler capire quale fosse la sua reazione riguardo ad ogni dichiarazione che veniva fatta. Derek non sarebbe mai stato capace di capire quanto fosse fortunato. Perché lo era, eccome, ad aver trovato qualcuno come quel ragazzino. Come poteva non rendersene conto? Se fosse stato lui, al suo posto, se ne sarebbe accorto subito. Avrebbe preso la palla al balzo. Avrebbe morso Stiles nel primo momento nel quale si fossero ritrovati a collaborare  (convincendolo in un qualche modo, ovviamente. Era sempre stato una persona piuttosto brava a convincere la gente). Quell’adolescente non sarebbe stato un compagno qualsiasi. Il contegno della sua parte animale ne era dimostrazione.

-Io non voglio un Branco.- Si lamentò il figlio dello Sceriffo non appena le parole degli altri due smisero di volteggiare nella stanza.

-Lo vorrai. Credimi, lo vorrai. Un Alpha non può vivere da solo.-  Sospirò Peter con un sorriso mesto in volto.

-No che non lo vorrò!- Ribadì il ragazzo.  –Non me ne serve uno. Non un altro perlomeno.- Era mortalmente serio  -Io ho già questo di branco, perché mai dovrei crearne un secondo?-  Peter poté sentire con precisione ogni muscolo di suo nipote contrarsi. Era panico? Bhè, probabilmente si sarebbe impanichito anche lui se un nuovo Alpha avesse dichiarato di punto in bianco il suo Branco una propria proprietà. Stiles dovette intuire il malinteso. Forse dalla postura improvvisamente insicura di Derek. Perché si affrettò a continuare.  –Hei, no, Sourwolf! Come membro del branco. MEMBRO. Non come Capo… oddio, no, non ce la potrei fare a reggere Jackson. E poi, suvvia, dovresti saperlo che diventare Licantropo era l’ultima delle mie volontà. Pensa se posso volere il comando. Non saprei cosa fare. Ti rendi conto che sono Lupo da due soli giorni e che non mi sono ancora trasformato neppure una volta, vero?-  L’Hale minore spostò il peso da una gamba all’altra, senza staccare gli occhi grigi da quelli quasi imploranti dell’adolescente. Peter decise di rimanere in silenzio e tenersi magari soltanto pronto a fermarli nel caso la discussione degenerasse in scontro fisico.  –Siamo seri, Derek, ho sempre fatto parte di questo Branco. Un Branco di miei amici, di miei compagni di scuola. Pensi davvero che riuscirei a trovarmene un altro? A stare bene in un altro? E questo non vuole dire che voglio comandare il tuo. Sei tu il Grande Capo, nessuno mette in dubbio la tua autorità di Alpha. Sei il nostro Capobranco (il mio Capobranco), deve per forza cambiare tutto solo perché ho gli occhi di un altro colore?-

Per un attimo nella stanza cadde il silenzio più completo. Carico di tensione. Stiles osservava l’altro Alpha, quello ufficiale del Branco di BH, con evidente aspettativa. Voleva rimanere nel branco, era ovvio. Non voleva andarsene da lì. Non voleva uscire dal gruppo, essere diverso, dover stare lontano da loro. Voleva solo che tutto fosse come prima, rimanere coi suoi compagni. Non voleva comandare proprio nessuno.  Derek rimase per qualche secondo a fissarlo dall’alto in basso con la faccia di chi sta affrontando una millenaria ed epica battaglia interiore, la sorte della quale è ancora prettamente incerta. Poi sospirò, lasciando ricadere le spalle, girando su se stesso ed abbandonandosi sul divano di pelle del salotto con le mani sul viso contratto.

-Questa cosa mi porterà alla pazzia.-  Sibilò più rassegnato che rabbioso. Pian piano, intuendo la fine della discussione, i Beta tonarono nella stanza uno ad uno. –Non sarà affatto semplice, ti avverto, Stiles.-  Peter rise di gusto e qualcuno dei Lupi, avendo ascoltato tutto dalla stanza accanto, sorrise incoraggiante al compagno.

No, non sarebbe stato affatto semplice.

 










Angolo dell'Autrice:
Salve a tutti! Siamo arrivati al quintultimo capitolo (sempre che si scriva così). 
Mi viene una tristezza a pensare che sta per finire... Ma perlomeno dopo avrò da scrivere SHIVERS e se riuscirà bene, per quanto differente, sarà qualcosa di ben più innovativo di questa storia.

In questo capitolo il narratore è Peter. Perchè? Perchè è un personaggio che personalmente adoro e perchè è il più adulto ed il più maturo del gruppo, perciò penso sia importante sentire anche la sua voce.
nel prossimo capitolo ci sarà un/a narratore/rice d'eccezione... Non anticiperò, ma sarà un capitolo di semistallo, perciò non stupitevi.

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Capitolo 16
*** Parte Sedicesima ***


Questo capitolo è dedicato a Emma D, la mia sorellina, la quale legge ogni mio capitolo prima che lo ricopi a computer e mi fa da beta, quando può. 


 

Pazzi. I maschi erano tutti pazzi. Dal primo all’ultimo. Ne era certa. Lo era sempre stata, ma ogni secondo dell’allenamento che stava guardando le dava ulteriore conferma. Lydia alzò gli occhi al cielo, quando il proprio ragazzo si avventò su McCall con tutta la propria forza. O quella che a lei sembrò tale, comunque. I due caddero uno addosso all’altro e rotolarono malamente a terra nelle foglie secche ed umidicce del sottobosco. Allison, accanto a lei, smise di allenarsi con l’arco da caccia e si sporse verso il piccolo combattimento tra Lupi Mannari.

-Forza Scott!-  Prese una freccia e tese l’arco, portando la mano fin dietro l’orecchio ad una velocità impressionante  -Isaac, salvalo!-  Gridò poi, ridendo e scoccando la freccia con noncuranza. La piccola arma dalla punta acuminata sibilò nell’aria ed andò a conficcarsi con precisione terrificante prima nella manica della felpa di Erica e poi nel tronco dietro di lei, inchiodandola sul posto. La bionda ringhiò rabbiosa, strappando a forza la maglia turchese, ma oramai era troppo tardi perché potesse intervenire a beneficio del proprio compagno di squadra (in quel caso, Jackson). Isaac, subdolo come solo lui speva essere, si aggrappò alla schiena dell’altro e lo distrasse mentre Scott si liberava dalle sue mani artigliate e lo assaltava sul davanti. Peter soffiò distrattamente nel fischietto che i ragazzi avevano rubato la settimana prima al Coach, tra le risate cristalline di Allison, le grida di giubilo di Isaac e Scott e le imprecazioni velenose della coppia sconfitta.

-Non è stato molto leale.-  Lydia rimproverò l’amica, scuotendo la testa  -Non saresti dovuta intervenire.-  L’atra rise ancora, mormorando a mezza voce qualche scusa campata in aria che la convinse davvero poco. La rossa sospirò, spostando poi l’attenzione sul suo ragazzo, intento nel perpetrare l’ennesimo bisticcio infantile con McCall. Erica e Lahey stavano scherzando tra di loro e il ragazzo della bionda si era unito alla conversazione. L’unico adulto serio del gruppo (per quanto psicopatico e potenzialmente portato per il mestiere di killer professionista)  se ne stava accostato ad una grossa conifera, fischietto ancora in mano ed occhi svegli che seguivano ogni mossa degli adolescenti nella radura. Alla ragazza tornava ancora strano assistere agli allenamenti di un Branco di Licantropi. Era un po’ come guardare gli amici del suo gruppetto del pranzo giocare a Lacrosse assieme, ma con molte più botte, ringhi e lotte corpo a corpo. Era insolito, ma la divertiva. Aveva anche imparato a sopportare la presenza dell’uomo che le aveva fatto il lavaggio del cervello e le aveva fatto fare cose orribili. Non aveva nessun arco per allenarsi come Allison, eppure trovava sempre qualcosa da fare in quei momenti di stasi. O quasi sempre, comunque. Ma, dopotutto, lei era sempre stata un genio, no? Ovvio.

Peter cambiò direzione dello sguardo di colpo, distogliendolo dai dove i due giovani Lupi Mannari stavano di nuovo iniziando a prendersi a morsi. Letteralmente. Lydia seguì subito gli occhi azzurro cangiante dell’uomo (le faceva ancora impressione non vedere la scintilla rossa percorrerli) e trovò senza problemi le figure di Derek e Stiles. I due uscirono dalla boscaglia parlando a bassa voce, vicini. O, meglio, quel logorroico del suo compagno di classe parlava, il Capobranco ascoltava soltanto. Però, per una volta, sembrava farlo seriamente.  Che si fosse reso conto delle cose straordinariamente intelligenti che a volte il ragazzino si lasciava scappare nel bel mezzo dei suoi sproloqui?  No, sarebbe stata la fine del mondo. Stiles incompreso era sempre stato un dogma. E, si sa, un dogma non può essere infranto così facilmente.  La rossa non perse d’occhio nemmeno un attimo la coppia mentre si avvicinava all’altro Hale che, nel frattempo, aveva fatto una smorfia infastidita, aveva teso l’orecchio (probabilmente) per ascoltare cosa i due si stessero dicendo ed aveva alzato gli occhi al cielo. Quando lo raggiunsero, l’adolescente gli sorrise e il nipote quasi sembrò grugnire. I tre lanciarono uno sguardo a Jackson e McCall. Peter propose qualcosa e gli occhi dell’Alpha parvero illuminarsi. Lydia si accigliò, vedendo il coetaneo improvvisamente insicuro. I due Hale dissero qualche altra parola a testa, poi il più giovane prese il ragazzo per i fianchi e lo costrinse a girarsi verso l’interno della radura, sussurrandogli qualcosa nell’orecchio prima di dargli una pacca d’incoraggiamento sul braccio. La rossa potè  vedere con precisione il petto e le spalle di Stiles alzarsi in un sospiro. Poi un ringhio profondo rimbombò tra gli alberi, gelandole le ossa di tutto il corpo. Allison, lì accanto, smise di nuovo di scoccare freccie e si affacciò oltre di lei, osservando quello che da una settimana aveva iniziato a chiamare amorevolmente “trio Alpha”. Nella radura scese il silenzio e i Beta si voltarono, immediata mente, sull’attenti.

A rompere il silenzio fu Peter,  fischiando ammirato ed abbandonandosi contro il tronco del grosso albero. Derek sorrise ed allacciò un braccio attorno alle spalle di Stiles, stringendole amichevolmente. I Licantropi scoppiarono quindi a ridere, in uno scroscio uniforme, ed Erica si precipitò a passare con affetto la mano tra i cortissimi capelli del ragazzo. Anche Allison rise e Lydia si ritrovò a scuotere la testa a destra e a sinistra, più e più volte. L’adolescente protagonista del momento, dal canto suo, sorrise visibilmente in imbarazzo alla bionda, forse per via di tutte quelle attenzioni, per poi voltarsi verso il moro e sgridarlo, suo malgrado divertito. Un altro scroscio di risa scoppiò e, questa volta, coinvolse anche il secondo Hale.

Andava avanti così da sette giorni. Dalla mattina successiva alla Luna Piena, quando avevano tutti scoperto che Stiles era diventato un’Alpha. Inizialmente c’era stato poco dialogo e in continuazione i due maggiori erano finiti a litigare con lui su questioni di territorio e di Branco. Poi, pian piano, la tensione aveva finito con l’affievolirsi.  Era successo in un delle visite della rossa alla stanza dove il compagno passava ore e ore da solo. Lo aveva trovato pancia in giù nel letto, la faccia sprofondata nel cuscino. Avevano parlato per circa un’oretta, lei e quel fantasma depresso che rimaneva l’unico ricordo del suo amico. Poi era arrivato Derek. Se ne era rimasto sull’uscio per una cosa come cinque minuti, prima di avvicinarsi al letto. L’adolescente non si era nemmeno mosso, limitandosi a ripetere la pappardella “ti assicuro che non voglio nessun Branco. Non ho mire di potere. Voglio solo stare coi miei amici.” che era la sua versione. Ma, al contrario delle altre volte, Derek aveva detto di credergli e di non essere lì per quello. Lo stupore era stato evidente sia sul viso del ragazzo, sia su quello di Lydia. Perché, insomma, chi se lo sarebbe mai aspettato? L’Alpha si era seduto sul letto senza chiedere il permesso a chi già lo stava occupando e l’aveva invitata con un secco gesto della mano a rimanere e partecipare alla discussione.  In definitiva, aveva loro spiegato di non essere di certo il migliore Alpha che potessero trovare, ma che, dopotutto, era anche colpa del fatto che fosse stata sua sorella ad essere addestrata dalla famiglia per diventare Capobranco. Certo, aveva assiatito alle lezioni di suo padre e sua madre, ma non come futuro leader. Grazie al cielo, aveva detto, in quel momento avevano Peter, il quale era sempre, fastidiosamente, preparato su qualsiasi argomento. In definitiva si era decretto che, per non essere pericoloso, Stiles sarebbe stato allenato dai due Hale, in quanto Alpha. Lydia avrebbe dovuto pensare agli alibi: il giovane avrebbe avuto bisogno di una copertura per passare i pomeriggi (e anche qualche nottata) nel loro maniero in mezzo al bosco, soprattutto in quel momento nel quale suo padre sarebbe a breve tornato a casa. E così erano iniziati gli allenamenti del nuovo Alpha.

-L’alibi di oggi sono ripetizioni tue e di Scott di Matematica a casa mia.- Soffiò la rossa sedendoglisi accanto, al limitare della radura, e mettendosi in grembo la borsa a bauletto.  –Vedi di non dare versioni diverse.- Aggiunse aprendo la cinghia dorata e scostando lo strato di ecopelle rosa marchiato Prada.

-io che prendo lezioni di Matematica?- Domandò Stiles orripilato alla sola idea di averne bisogno, togliendosi la maglia sudaticcia. –Ci manca solo questo e mio padre inizierà definitivamente a pensare che io mi droghi…-  Arricciò il naso e si infilò una t-shirt grigia un po’ troppo larga di spalle. Era appena una taglia di differenza, ma Lydia la notò immediatamente. Non era sua. Era sicuramente di Derek. Non aveva bisogno di captarne la scia olfattiva sul tessuto come avrebbe fatto il proprio ragazzo. Era ormai un’abitudine giornaliera che, dopo una caccia (una corsa, un inseguimento, una sfida), l’adolescente buttasse da parte la propria maglietta e ne prendesse in prestito una dal padrone di casa. Perché ovviamente a suo padre non sarebbe tornato ancora più strano che suo figlio arrivasse a casa la sera o persino la mattina dopo con addosso un capo di vestiario altrui, mentre invece avrebbe trovato sospetto il fatto che si portasse un cambio nello zaino ogni mattina, no? Sarcasmo puro le trasudava da tutti i pori ogni volta che ci pensava. Perché, sì, il Signor Stilinski aveva di certo notato qualcosa, di questo ne era certa. Non era sicuramente diventato Sceriffo facendosi scappare cose così ovvie.

-Ma no, cretino! Noi due diamo ripetizioni di Matematica a Scott a casa mia.-  Spiegò gesticolando -Nessuno potrebbe mai dubitare che McCall abbia bisogno di ripetizioni di matematica da almeno due tutor contemporaneamente.-  Concluse facendo spallucce e prendendo un sandwich dalla borsa. Stiles sorrise ed annuì soddisfatto, accettando lo spuntino post allenamento. Immediatamente tutti gli adolescenti lupeschi si materializzarono davanti a lei, pieni di aspettativa. Lydia alzò gli occhi al cielo, per l’ennesima volta. Mosse di scatto la testa, frustando i ricci ramati dietro la schien. –E va bene! Su, qui, cuccioli! Qui!- Annunciò sbattendo un paio di volte le mani nell’aria ed iniziando a svuotare la borsa dai panini. Li aveva fatti appositamente per loro, questo lo sapevano tutti, ma non glieli avrebbe mai dati senza che fossero prima venuti a chiederglieli.  Li distribuì distrattamente ad ogni lupacchiotto. Diede a Boyd i due destinati agli Hale, in modo che glieli portasse lui, ed ad Allison quello vegetariano che le faceva tenere da parte ogni volta. L’ultimo rimasto lo prese per sé. Tonno, uova e maionese. Le era andata abbastanza bene.

Il Branco si sedette in cerchio. Un cerchio piuttosto approssimativo, a dirla tutta. Mangiare assieme era un’altra abitudine che avevano preso in quella benedetta settimana. La ragazza si rese conto di dover dare ragione a Peter: come le aveva detto tre giorni prima sotto il portico della loro base, l’incidente accaduto a Stiles aveva fatto un gran bene al Branco. L’aveva unito. Li aveva messi uno accanto all’altro, per una volta non per lottare. L’uomo le aveva fatto notare che, fino a quel momento, non era mai successo che tutte le camere dei Beta al piano superiore della magione Hale fossero state occupate. Eppure Lydia si sentiva così a suo agio nella stanza matrimoniale sua e di Jackson. Non riusciva a credere che avessero iniziato ad usarla soltanto da una qualche sera. E poi sembrava che Stiles avesse sempre abitato in quella casa, ma dopotutto dava spesso quell’impressione. Non solo per il fatto che passasse più tempo lì che da suo padre, ma anche perché si muoveva tra i piani come se ci fosse cresciuto e cucinava, a volte, cambiando la posizione degli utensili a suo piacimento. Erica aveva iniziato a riempire seriamente l’armadio di camera sua e Boyd aveva chiesto di poter aprire una porta in modo da renderla comunicante con la propria (i lavori erano in corso). Isaac aveva poggiato in salotto la collezione di film che un tempo era stata della sua ormai inesistente famiglia, cosa che per le serate si era dimostrata fondamentale. Peter aveva smesso di sparire nel nulla per giorni e si limitava a volatilizzarsi qualche ora. E poi c’era Derek.  Lydia lo considerava il cambiamento maggiore. Non che avesse smesso di ringhiare loro addosso ed essere un’incagabile figlio di buona donna, non chiedevano miracoli.  Ma sorrideva. Non quei soliti ghigni soddisfatti, veri e propri sorrisi. E risate e battute e discorsi civili senza nessun secondo fine bellico. Era, in un certo senso, radioso. Come Peter, ma senza il novantasettevirgolatrèpercento di malvagità intrinseca.

A Lydia piaceva. La calma, la compagnia, l’amicizia incondizionata. Le piaceva alzarsi a casa propria, quando i suoi genitori litigavano, e sapere di non dovere tornare lì per forza, di avere un altro posto dove andare. Svegliarsi nella sua stanzetta a casa Hale, abbracciata a Jackson, ugualmente circondata dalle sue cose.  Amava persino litigare con Erica ed Allison per il bagno più vicino, sgridare i ragazzi sudati di ritorno dagli allenamenti di Lacrosse e discutere di persone dotate di un cervello senziente come Boyd, Stiles e Peter. E non doveva neppure preoccuparsi di come poteva apparire agli altri. A nessuno di loro, sporchi di terra e muschio dopo aver lottato nel bosco, importava. Era come essere sempre in famiglia. Una famiglia chiassosa, onnipresente e sovrannaturale.

Era essere membro di un branco.











Angolo dell'Autrice: 
Salve a tutti!
Siamo arrivati al sedicesimo capitolo. Altri tre e la storia giungerà alla sua ipotetica fine.
Come avevo preannunciato, il capitolo ha una narratrice speciale, Lydia. Perchè speciale? Bhè, per prima cosa non è un Lupo, perciò il suo punto di vista è differente. E poi è una ragazza straordinariamnete intelligente che ha passato le pene dell'inferno per vi di quel pazzo di Peter, perciò meritava un capitolo. Lo so, lo so, è di stallo, ma è pur sempre un capitolo!

Vorrei ringraziare davvero tanto le trentotto persone che seguono questa storia, le otto che la tengono tra le preferite e le sei che l'hanno messa tra le ricordate. Inoltre, voglio ringraziare chi mi recensisce e chi anche solamente mi legge.

Ma un grazie speciale è dovuto sopratutto a quelle persone, maschi e femmine di ogni età, che leggono la bozza dei miei capitoli a scuola o a casa.

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Capitolo 17
*** Parte Diciassettesima ***


Il ragazzo sospirò e si lasciò cadere sul divano. Lo stesso sul quale aveva passato la sua prima Luna Piena. Era passata più di una settimana, ma a Derek sembrava di essere ancora fermo a quella notte. Eppure erano successe così tante cose, in quei giorni. Il Capobranco osservo il giovane per qualche minuto. Stiles se ne accorse ed alzò lo sguardo. Le sue iridi lampeggiarono di rosso per un secondo. Succedeva tutte le volte che incrociavano inaspettatamente lo sguardo. A quanto pare (e cioè a dire degli altri), lo faceva anche lui senza rendersene conto. Suo zio spiegava la cosa come l’istinto naturale di due presunti Maschi Dominanti. A lui, in compenso, non piaceva lo stesso: lo metteva a disagio. Però, allo stesso tempo, c’era qualcosa di intrigante nel vedere quella scintilla su di un viso amico e sorridente, piuttosto che su quello di un nemico mentre cerca di ucciderti. Il ragazzo alzò un sopracciglio in suo indirizzo, poi sorrise. Derek scrollò le spalle e si avviò in cucina, nello stesso momento nel quale dalla porta d’ingresso entrò qualcuno, dall’odore Erica e Boyd.

-La doccia è mia!- Reclamò a gran voce il figlio dello Sceriffo non appena li vide avanzare nel salotto di casa Hale, alzandosi al divano e correndo alle scale. I due espressero il loro disappunto in un piccolo coro di voci lamentose. L’Alpha ascoltò i passi del ragazzo su per la rampa di legno. Poi un’altra porta si aprì al piano di sopra.

-Ah! No, sparisci, Stiles!-  E Lydya percorse a passi svelti il corridoio, parandosi davanti alla porta blu. –Non ci provare. Il bagno grande è mio.-  La sentì dichiarare sicura di sè. Stiles sbuffò sonoramente e si avviò verso il fondo del corridoio. I due ragazzi entrarono nel medesimo momento nei due bagni, chiudendoli a chiave dietro di se. I due Beta appena tornati raggiunsero il loro Capobranco nella stanza accanto e si sedettero al tavolo, mettendosi a chiacchierare riguardo l’allenamento fatto quel pomeriggio. Quando arrivarono a parlare del loro nuovo, giovane secondo Alpha, Derek sospirò, andando a poggiarsi contro il bancone della cucina. Con Stiles, per quel giorno, aveva appena finito. Non era stato affatto facile: il ragazzo non sembrava voler combattere in alcun modo contro di lui. Era sfuggente. Gli scivolava tra le mani, schivava, correva via chissà dove e mascherava la sua scia. Si lasciava dietro tracce vaghe e f false piste. In soli nove giorni era diventato praticamente inafferrabile. Come un saponetta nella vasca da bagno. Si era dimostrato particolarmente portato per la fuga, per i nascondigli, per imbrogliare i sensi degli altri Lupi. Ad una prima occhiata poteva sembrare semplicemente codardo, eppure mai una volta Scott era più riuscito a batterlo da quando si era trasformato. Stiles svicolava e spariva nel nulla, lo confondeva, fino a portarlo esattamente dove voleva, poi usciva dl suo nascondiglio e gli si avventava contro. Era veloce, dannatamente veloce. E agile. Boyd aveva avuto ragione: in un certo senso l’adolescente si era dimostrato simile ad Erica. Derek aveva faticato allo stesso modo ad allenare tutti e due (anche se, per il momento, tra i trucchi del ragazzo per distrarlo non c’era stato nessun bacio).  Né la bionda né il nuovo Lupo lo ascoltavano, gli ubbidivano, stavano alle regole. Erano una rottura continua, eppure si stavano affermando pian piano come i Licantropi indipendentemente più forti del Branco. Non tanto per forza fisica, ma per il loro istinto di sopravvivenza. Se fossero stati tutti divisi ed inseguiti da soli da un nemico, Jackson, Isaac e Boyd sarebbero finiti piuttosto male. Dopotutto si affidavano soltanto alla forza bruta ed allo scontro corpo a corpo. Scott, con la sua ampia esperienza da braccato, ne sarebbe uscito vivo in un qualche modo. Ma, si sa, vivo non sempre significa anche intero. In definitiva, solo quei due viscidi pezzi di sapone di Erica  e Stiles sarebbero riusciti ad avere la situazione in pugno. Se non per sconfiggere l’avversario, perlomeno per salvarsi la pelle. Al piano di sopra, l’acqua della doccia smise di scorrere. Derek seguì con l’udito i movimenti dell’altro fuori dalla porta di vetro, a prendere l’asciugamano, davanti allo specchio mentre se lo legava in vita. Ad un risolino di Erica si costrinse a spostare la propria attenzione uditiva nella cucina.  La osservò alzando un sopracciglio.  Il suo ghigno non gli piaceva affatto: significava sempre guai in arrivo.

-Ti vedo distratto, Grande Capo.-  Trillò fin troppo allegra. Derek sbuffò.  –Cos’è che attira così tanto la tua attenzione?-  Chiese accavallando le gambe fasciate da stretti jeans scuri.  –Chi stai origliando sta volta?-  Si mise comoda sulla sedia.  –Lydia o Stiles?-  E, prima che lui potesse dire qualcosa  -Suppongo Stiles. Sei così coinvolto! Non avrei mai immaginato che potesse succedere così in fretta.-  Derek grugnì, costringendosi a non saltarle alla gola.  –Cioè, ti rendi conto che sono passati undici giorni da quando è stato morso? Solo undici giorni. E voi sembrate già due sposini novelli.-  Questa volta fu un vero e proprio ringhio.  –Insomma, chi ce lo dice che durante i vostri luuuunghi allenamenti voi vi alleniate soltanto e…-

-Che sta succedendo qui?- Domandò Scott facendo il suo ingresso in cucina, seguito da Allison ed Isaac. Aveva sul viso un’espressione corrucciata: probabilmente aveva sentito il proprio Capobranco ringhiare e si stava chiedendo il motivo. Loro, in compenso, non si erano minimamente accorti del suo arrivo. Troppo distratti.

-Erica stava sfogando i suoi primitivi istinti di rompiballe.- Sospirò Boyd.

-Stavamo parlando di quanto Derek muoia dietro a Stiles. In particolare da quando è stato morso.- Rispose invece la ragazza, ottenendo un secondo ringhio dal Capobranco. Scott sembrò confuso, ma Allison annuì con convinzione e si sedette al tavolo, di fronte alla bionda.

-Intendi dire la relazione platonica che va avanti da circa un anno?-

-Da più di un anno.-

-Giusto, più di un anno. Ed effettivamente nemmeno troppo platonica, se continuiamo così.-  Scott sembrò confondersi ulteriormente, ma si sedette comunque accanto alla propria ragazza. Ad ascoltarla, Derek rimase a bocca aperta, tanto quanto Boyd. Fissarono la mora. Anche lei? Nel senso, davvero? Erica aveva anche dei sostenitori? Era la fine del suo sogno di relativa tranquillità. Avrebbe voluto spararsi un proiettile dritto in gola. Uno in argento e Strozzalupo, tanto per essere sicuro avesse un qualche effetto. Cercò di lamentarsi, ma l’unica cosa che ottenne fu il coinvolgere anche Isaac nella discussione.

-Già. Come la cosa delle magliette.-  Decretò il riccio facendo spallucce.  –A noi non le hai nemmeno mai lasciate toccare, le tue magliette, e a lui, invece, ne presti praticamente una ogni giorno.-  Derek avrebbe voluto ribattere, ma non avrebbe saputo come: non poteva negare la verità.  –In questo modo ha sempre addosso un po’ del tuo odore, anche dopo la doccia. Ormai ci sto pure facendo l’abitudine.-  Però era sicuro di non farlo per l’odore. Ne era abbastanza sicuro.  Ad intromettersi nei suoi pensieri fu proprio Stiles, il quale scese le scale e si precipitò in cucina. Addosso aveva pantaloni grigi della tuta ed una t-shirt bianca del Capobranco.  –Appunto!-  Esclamò Isaac, indicandolo con una mano nell’aria. Tutti e due gli Alpha alzarono gli occhi al cielo. Erica ed Allison annuirono in direzione del compagno.

-Non siate ridicoli.-  Fu l’unica cosa che Stiles si fermò a dire prima di avventarsi sul frigo ed estrarne una bottiglia di CocaCola. Boyd sospirò rilassato, quando anche Isaac chiuse la bocca. Il figlio dello Sceriffo andò a sedersi sul bancone della cucina, a qualche spanna dall’Hale. Derek poté sentire distintamente, unito alla scia del giovane, anche il proprio odore. Effettivamente non ci aveva fatto caso, ma era stranamente piacevole avere qualcuno con il proprio odore addosso. In un certo senso lo faceva sentire a casa, in famiglia. Prima dell’incendio, infatti, il suo Branco era stato numeroso ed unito. Praticamente ogni membro aveva addosso l’odore degli altri. Era una cosa naturale, che li univa e li rendeva come un’unica persona. Aveva dimenticato come ci si sentisse, ma forse inconsciamente si era imposto di ricreare la cosa su Stiles. Probabilmente era stata la trasfusione a dare il via al tutto. Sospirò tra sé e sé. Era ovvio che ai propri Beta sembrasse strano. Dopotutto nessuno di loro aveva mai condiviso seriamente la propria scia olfattiva con quella del resto del branco, se non solo sommariamente. Gli unici che l’avevano fatto erano stati i componenti delle diverse coppie. Perciò veniva loro probabilmente naturale abbinare la cosa con una relazione di tipo amoroso. Derek, dal canto suo, era abbastanza sicuro di non avere instaurato nessuna relazione di tipo amoroso con Stiles. Se ne sarebbe accorto, se lo avesse fatto, no? Certo, la compagnia del ragazzo era diventata piuttosto gradevole negli ultimi tempi e, forse, avrebbe dovuto accorgersene prima. Magari ascoltandolo. Ma il tempo che passavano assieme era dedicato semplicemente agli allenamenti, giusto? Mica si appartavano, o cose simili. Non contavano di certo le loro mezz’orette di discussioni mentre rientravano da una caccia o il tempo che passavano a chiacchiera mentre preparavano la cena o aspettavano i rispettivi turni per la doccia. E non era colpa sua se i Beta lasciavano sempre un posto libero accanto al suo quando guardavano un qualche film e poi quel posto se lo prendeva Stiles. Non era colpa sua nemmeno se ogni tanto dovevano allenarsi di notte e quindi toccasse a lui portarlo a scuola all’ultimo momento, mentre gli altri si erano già dileguati sulla sua Jeep. O che l’unica camera che avevano lasciato a Stiles libera al primo piano fosse quella accanto alla sua. Erano tutte stramaledette coincidenze. Non potevano certo pensare altrimenti. O perlomeno se lo augurava vivamente.

Il Branco, intanto, era passato a parlare della nuova “missione” di Peter. Il maledetto psicopatico, infatti, era da quella mattina impegnato a casa Argent, dove era andato inizialmente ad accompagnare Allison ed era poi rimasto in vece della popolazione Mannara di BH per spiegare ai Cacciatori la situazione. La ragazzina aveva assicurato che non c’era da preoccuparsi: il Lupo e suo padre sembravano andare abbastanza d’accordo. Derek sperò con tutto il suo cuore che non stessero organizzando qualche nuovo trucco per rimuoverlo dal ruolo di Capobranco e sostituirlo con Peter. Suo zio avrebbe adorato un Branco unito come quello che il suo era appena diventato, giovane e attivo. Inoltre avrebbe pagato oro per avere menti come Lydia e Stiles. Per non parlare delle abilità di quei due per quanto riguardava il sovrannaturale.

-I Cacciatori sembrano aver preso inaspettatamente bene la cosa del doppio Alpha.-  ragionò Stiles, scolandosi un buon quinto della bottiglia che teneva in mano. Allison annuì con veemenza e con un ampio sorriso soddisfatto sulle labbra.  –Meglio così.- Continuò quindi il ragazzo, passando la CocaCola ad Erica, la quale la prese e ne bevve a sua volta prima di passarla a Boyd.  –Quindi, se con gli Argent la situazione è a posto e Deaton ha smesso di piangersi addosso ogni volte che vede uno di noi per aver quasi perso il suo allievo, direi che possiamo considerarci fuori pericolo almeno per qualche giorno.- Concluse sorridendo ed abbandonandosi contro il muro piastrellato. La bottiglia continuò a fare il giro del tavolo.  –Stavo pensando che  non ci farebbe male mantenere stabile il rapporto tra Cacciatori e Branco, grazie ad Allison e a Peter. Anche se mi preoccupa un po’ l’attenzione del vecchio. Spero non stia escogitando nulla…-  Tutti scoppiarono a ridere, perché, insomma, chi seriamente non aveva pensato alla possibilità che il maggiore dei due Hale volesse nuovamente combinarne una delle sue? Stiles riprese in mano la bibita che Scott gli stava tendendo e la porse con noncuranza al Capobranco.  –Lydia, domani dovrei andare alla clinica veterinaria, potresti trovare un qualche alibi anche per quell’oretta? Sembra che mio padre creda a tutto ciò che esce dalle labbra tue o dei tuoi genitori.-  chiese poi facendo spallucce. Lydia, che non aveva neppure fatto in tempo ad entrare nella stanza, si accigliò, ma annuì comunque ed andò a sedersi accanto ad Erica. Derek, dal canto suo, bevve un sorso e le passò la bottiglia, ottenendo un sorriso ed un ringraziamento eleganti come solo Lydia avrebbe saputo farli.

-Non dimentichiamoci che domani abbiamo la partita.-  Rimproverò Isaac, scrocchiandosi il collo. Scott sembrò accendersi.

-Dov’è Jackson? Domani siamo tutti e cinque titolari.-

-Di sopra. Sta dormendo. Poverino, gli è toccato studiare per ben un’ora e mezza.- Rispose con tagliente sarcasmo, alzando gli occhi al cielo e lasciando ondeggiare i capelli da bambola sulle spalle. Derek non avrebbe mai smesso di chiedersi se davvero non si fosse trasformata. Magari anche lei, come Stiles, sapeva mascherare il proprio odore e mantenere il controllo sulla parte lupesca di sé.  Eppure sembrava proprio fosse una semplice umana immune al loro Morso.

Distolse lo sguardo quando Stiles gli si avvicinò ridendo ad una qualche battuta e  mettendogli un braccio attorno alle spalle. Si voltò a guardarlo confuso. Il ragazzo stava ancora ridendo, ma era una risata spenta, quasi finta. Niente a che fare con le sue solite risate scroscianti. Rimse a fissarlo ancora per un qualche attimo, prima che anche lui lo degnasse di uno sguardo. E di colpo l’espressione del suo viso non aveva più importanza, perché erano i suoi occhi a dire cosa provava. Ed erano seri, fissi e lampeggiavano di un rosso acceso. Strinse la mano sulla sua spalla per una volta, prima di ritirare a se il proprio braccio. Tornò a girarsi e a ridere con gli altri. Ma che diavolo? Era un rimprovero, un piccolo moto di quella che sembrava gelosia, ne era certo. Sembrava volesse distrarlo e sembrava quasi irritato.

E quello per cosa diavolo era?

 







Angolo dell'Autrice:
Salve a tutti!
Eccoci arrivati al terzultimo capitolo di questa storia. La fine è sempre più vicin e per me è sempre più difficile dare una forma decente ai capitoli. Spero di riuscire a non deludervi fino all'ultimo momento... in caso contrario vi fornirò la picca sulla quale impalare la mia testa xD
Pultroppo, per i tre ultimi capitoli, il POV rimane Derek-Stiles-Derek. Non potevo fare altrimenti. 

Ma come ho già detto molte volte, basta che voi me li chiediate e pubblicherò capitoli di un POV a vostra scelta ambientati in un punto a vostra scelta della storia.
Detto ciò, vi saluto.

Eva influenzata.

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Capitolo 18
*** Parte Diciottesima ***



Uscendo dalla clinica lo percorse un brivido. Poteri da Licantropo o meno, l’aria della sera era comunque fredda e sempre lo sarebbe stata. Si tirò più su la cerniera della felpa e affondò le mani nelle tasche fino a tenderne il tessuto rosso con le dita chiuse a pugno. La lezione si era prolungata fino a sera. Quella volta fu sicuro, guardando l’orologio da polso, che a suo padre non sarebbe scappata la sua assenza da casa. Le nove e venti. Lydia aveva pianificato un alibi solo fino alle sette. Imprecò sotto voce e si diresse a passo più svelto verso l’altro lato del parcheggio. Raggiunse la sua Jeep in un paio di falcate e guadagnò il sedile pressoché immediatamente. La mano destra scattò ad accendere il motore. Prima che se ne accorgesse aveva già messo in moto. Guidò verso casa superando il limite di velocità più volte. Fretta. Aveva fretta, ovviamente. Sarebbe dovuto essere a casa da più di due ore. Cosa diavolo avrebbe raccontato a suo padre? Non solo tornava in ritardo. Aveva anche un paio di meravigliose macchie di dubbia provenienza sulla maglietta. Non era sicuro nemmeno lui con quale delle sostanze usate quel pomeriggio se le fosse fatte. Di una cosa era certo: suo padre non doveva vederle. Sarebbe stato obbligato a tenersi addosso la felpa. Svoltò a destra mugugnando in cerca di una scusa. Compiti? No, impossibile, troppo usata ultimamente. Uscita con Lydia o una delle ragazze? Ci avrebbe fatto sempre più la figura dell’idiota a continuare a raccontare cagate simili. Poteva dire di aver incontrato qualcuno per strada. Non che fosse la più credibile delle scuse, ma perlomeno suo padre non avrebbe avuto modo di obiettare o dimostrare che stesse mentendo.  Mica sarebbe andato a controllare le telecamere stradali per seguire il percorso della sua auto, no? Stiles lo sperò con tutto se stesso e pregò che il suo vecchio non avesse improvvisamente sviluppato istinti da stalker. O da genitore iperprotettivo. Stessa cosa.

Imboccò il minuscolo vialetto di casa sua e rallentò fino a parcheggiare la Jeep davanti al garage aperto. All’interno era ben riconoscibile la volante della Polizia di suo padre. Imprecò nuovamente, questa volta non proprio sottovoce. Se almeno lo Sceriffo avesse avuto da fare più a lungo del solito in centrale, il suo ritardo sarebbe passato inosservato. Si diresse alla porta assicurando a Dio che prima o poi sarebbe salito fin su nel cielo e lo avrebbe schiantato a calci fino alla terra, tanto per ringraziarlo della sua perpetua fortuna. Non ebbe bisogno di usare le chiavi. Prese un gran sospiro e mosse due passi nell’ingresso, richiudendosi alle spalle l’uscio e pulendosi le scarpe sulla pedana apposita a lato della porta. Si rammentò silenziosamente di non togliere la felpa e girò su se stesso. Giusto giusto in tempo per incontrare gli occhi di John Stilinski alzarsi dal giornale che stava tenendo in grembo e incatenare i suoi da dietro gli occhiali. Se ci fosse stato Derek, al posto dell’uomo, le sue iridi sarebbero diventate rosso fuoco in un attimo. Questo lo sapeva e ringraziò per l’ennesima volta l’istinto animale per non  fare accadere la stessa cosa con chiunque. Si costrinse a tornare con la mente a suo padre. Lo stava fissando spudoratamente in viso. Quasi con espressione accusatoria. L’Alpha deglutì. Lo sguardo del suo unico genitore rimasto si mise a vagare su di lui, dalla testa ai piedi. Lo stava controllando. Anzi, stava indagando. Maledetto lui e il suo istinto da poliziotto.

Stiles si dileguò non appena suo padre abbassò lo sguardo nuovamente sul giornale. Si era accorto di qualcosa che non andava? Forse quella sera in particolare no, ma sicuramente se ne era reso conto negli ultimi tempi. Magliette di troppo, orari assurdi, assenze ingiustificate. Il ragazzo sapeva di aver iniziato ad essere abbastanza ovvio nel suo cambiamento, ma, dopotutto, aveva cercato di pensarla come un’azione propedeutica alla vera e propria rivelazione. Perché, sì, aveva intenzione di parlarne con lo Sceriffo. Voleva dirgli tutto. Non un’altra delle sue solite menzogne a catena. Non ne poteva più di raccontare bugie come pane quotidiano. Voleva dirgli tutto. Degli assassinii, dell’incendio della magione degli Hale, del comportamento strano che da più di un anno tenevano lui e la sua compagnia, delle false accuse, delle lotte tra Argent e Branco. Voleva parlargli dei Lupi. Una volta per tutte. Senza più segreti, senza più menzogne.

Salì le scale con finta nonchalance e si diresse subito in camera, lasciando cadere a terra la tracolla blu nella quale da qualche giorno aveva iniziato nuovamente a trasportare i libri di Alchimia del Dottor Deaton. Il veterinario gli aveva dato un paio di guanti, di pelle nera talmente sottile da non sentirsela nemmeno addosso, con i quali poteva teoricamente tornare a maneggiare le care vecchie polverine colorate e le sostanze repellenti al sovrannaturale. Non voleva per nulla al mondo sapere di CHE pelle fossero fatti. Non ci teneva affatto: la risposta avrebbe potuto convincerlo a non indossarli mai più e, quindi, a rinunciare una volta per tutte allo studio dell’Alchimia. Gli sarebbe dispiaciuto davvero molto. Lasciò a terra anche quelli, i guanti. E si voltò chiudendo la porta. Nell’angolo più buio della stanza, accanto alla sua scrivania, baluginò per un secondo un vivido paio di lampi rossi. Occhi. Occhi da Alpha. Derek era nella sua stanza. Ma, per una volta, lui non sobbalzò, non dovette soffocare un urlo. Non si sorprese nemmeno. Lo sapeva che lo avrebbe trovato lì ad attendere il suo rientro. Se ne era accorto non appena era sceso dalla macchina. Ancora prima di entrare in casa. L’odore dell’altro gli era subito arrivato addosso. Si chiese come avesse fatto a non accorgersi di una cosa così dannatamente evidente ed invadente nei mesi precedenti.

-Devo dirglielo.- Dichiarò dopo qualche attimo di silenzio, voltandosi verso l’armadio. Non si dilungò in spiegazioni. Sapeva che il Licantropo aveva capito a cosa si riferisse. Ne avevano parlato più di una volta, durante la settimana. Derek non glielo aveva espressamente proibito, ma non era neppure sembrato entusiasta della sua idea. Stiles sospirò. Niente risposta, ovvio. Anche questo se l’era aspettato. Aprì l’anta del guardaroba e si tolse la felpa, lanciandola sul materasso, accanto a se. Poteva sentire quasi il Capobranco in attesa che continuasse il discorso. Anzi, togliamo il quasi. Sapeva di avere i suoi occhi addosso. Poteva sentire anche quelli.  Lo seguivano in ogni suo movimento. E, anche senza guardarli, sapeva che erano rossi. Si sfilò la maglietta macchiata e la mandò a raggiungere la felpa. Frugò nell’armadio e ne tirò fuori una t-shirt a caso. Se la infilò tornando a dare il viso alla stanza. I due piccoli astri purpurei contro il muro si spensero di colpo. –Se il Branco ci sarà tutto, sta sera, vorrei chiedervi un favore. So che sarei io a dovervene. E anche tanti, ma, ecco, ne avrei bisogno.- Sospirò, dondolando da un piede all’altro e guardando fisso a terra. –Mio padre non mi crederebbe mai se ora scendessi e mi mettessi a dirgli cose tipo “ehi, ciao, papà. Sai, ho intenzione di dirti tutta la verità. Ecco, in realtà i casini degli ultimi anni hanno anche fin troppo a che fare con me. E, ah, già, sono spiegabili facilmente perché Scott è diventato un Licantropo. E Derek Hale lo è sempre stato, ora è il suo Alpha, il suo Capobranco. Pure Erica, Boyd e Isaac sono Lupi Mannari. E Jackson prima è stato un lucertolone gigante ed ora è un Lupo a sua volta. Lydia invece è un umano immune e Allison una cacciatrice. Sì, cacciatrice di Licantropi. Tutta la sua famiglia lo è. Persino Peter e il Dottor Deaton sono collegati con il branco. E, bhè, da qualche settimana sono diventato un Lupo Mannaro anche io. Ma, tranquillo, ho superato il pericolo mortale con una trasfusione sovrannaturale fatta con mezzi di fortuna ed ora sono improvvisamente  diventato un Maschio Dominante.” Mi crederebbe un pazzo.-  Rialzò lo sguardo su Derek, il quale nel frattempo si era spostato a sedere sulla sedia della scrivania, girandola in modo da fronteggiarlo.  –Vorrei chiedervi di, bhè, venire giù con me alla porta ed… ed aiutarmi a dirgli la verità.-  Gli occhi del Capobranco  si chiusero.  –Avrei un’idea…-  Il Lupo sospirò. Per un attimo Stiles ebbe paura di doversela cavare da solo. Dopotutto era ragionevole che gli altri non volessero rischiare di beccarsi una pallottola della pistola di suo padre (guarivano, ma mica erano insensibili al dolore). Poi, inaspettatamente, sentì le labbra di Derek aprirsi in un sorriso.

-Affare fatto, ma mi dovrai un altro favore.- La sua voce sembrava quasi divertita. Anzi, era proprio divertita. Stiles aggrottò un sopracciglio, ma non ebbe il tempo materiale per chiedere cosa ci fosse di così divertente o cosa intendesse per favore. Perché fuori dalla finestra, giù, nel suo giardino, strisciarono veloci cinque scie olfattive. Nessun rumore, soltanto i suoi sensi potevano percepirle. E non erano scie qualsiasi. Quelli erano gli odori del Branco, del suo Branco. Ed erano lì, dove lui voleva che fossero. Che Derek sapesse già tutto? Che in un qualche modo a lui sconosciuto fosse venuto a conoscenza dei suoi piani per la serata? Avrebbe voluto saltargli al collo. Non con i denti, ovvio. Di uccidere Alpha ne aveva avuto già abbastanza. Con le braccia, magari, eh. Ma non avrebbe mai osato abbracciare il ragazzo senza che gli venisse dato il permesso. Non si stava mica parlando di Scott. Derek lo avrebbe ucciso. Torturato e poi ucciso.

Stiles fece appena in tempo a vedere il Licantropo calarsi dalla finestra della camera, prima di rendersi conto che, di sotto, suo padre stava lavando i piatti. Era abitudine del suo vecchio farlo appena prima di ritirarsi al piano di sopra, nella sua stanza. Non poteva lasciare che accadesse. Non proprio nel giorno in cui si era deciso a dirgli tutta la verità.

Sfrecciò fuori dalla stanza e si catapultò giù per le scale. Se non fosse diventato un Lupo due settimane prima, sarebbe sicuramente inciampato, caduto e, probabilmente, morto. Ne era certo. Grazie al cielo era stato morso. Se lo ripetè mentalmente anche quando arrivò in soggiorno. Si fermò un attimo, in ascolto. Le voci sommesse dei membri del branco risuonavano chiare alle sue orecchie, appena dietro la porta. Camminò silenziosamente, in punta di piedi, verso quest’ultima. Una volta raggiunta la aprì, maledicendo i cardini antiquati che cigolarono. Probabilmente suo padre non aveva neppure sentito, ma a lui parve comunque un rumore assordante. Ma, dopotutto, quando si fa qualcosa di nascosto, tutto sembra troppo forte o notabile. Sospirò sollevato alla vista dei visi sorridenti di Isaac ed Erica. Fece loro segno di entrare e chiuse dietro di loro l’uscio non appena ebbero preso posto nell’ingresso tutti e sei. Lo Sceriffo ebbe un tempismo a dir poco provvidenziale, avanzando dalla cucina esattamente mentre Stiles li superava per fare loro strada.

-Che diavolo state combinando?- Domandò inarcando pericolosamente un sopracciglio, prima ancora di perdere qualche secondo a contarli e a rendersi conto di CHI ci fosse nel gruppo appena entrato in casa sua.  –Aspetta, aspetta… Stiles, che diavolo ci fa Derek Hale nel mio ingresso?- Domandò spostando lo sguardo sul figlio, per poi farlo vagare nuovamente.  –E Lahey? Da quando diavolo Lahey è qui?- Continuò a guardarsi attorno. Individuò Scott, che gli sorrise.

-Ehm, papà, posso spiegarti. Ecco, dovrei spiegarti molte cose e, bhè, vorrei farlo ora, se non ti dispiace… perché, insomma, in questo ultimo anno ne sono successe di tutti i colori: hai presente le persone assalite da quei presunti leoni di montagna? E tutta quella gente sgozzata appartenente allo stesso anno, quella uccisa da Matt? Bhè, alla fine qual cosina avevo a che fare anche io con tutte queste storie. E anche loro.- Jon Stilinski mandò le sopracciglia a nascondersi sotto l’attaccatura dei capelli. –Perciò, ecco…. Scott, ti dispiace?-  domandò il ragazzo, sorridendo a sua volta al compagno ed indicandolo con un cenno della mano. Poteva fidarsi del suo migliore amico, si erano messi d’accordo per una cosa simile da quasi una settimana. Il moro si fece avanti e si piazzò di fronte a suo padre. Sospirò ed alzò il viso al soffitto. Bastava uno di loro. Forse suo padre avrebbe pensato che le sue parole fossero menzogne. Ma non poteva negare l’evidenza. Un lupo mannaro è un lupo mannaro. Una persona conosciuta come il migliore amico di suo figlio che perdeva le sue sembianze umane gli avrebbe fatto capire che non era uno scherzo. Se solo avesse visto…

-Con piacere.-  bisbigliò il ragazzo, sorridendo un’altra volta. E in un attimo non era più Scott.

 








Angolo dell'Autrice:
Salve a tutti!
Primo: scusate immensamente il ritardo. Sono rimasta letteralmente senza internet e detesto postare da computer che non siano i miei.
Secondo: Bhè, cari miei, siamo arrivati al penultimo capitolo e, effettivamente, la storia di base è già finita da un pezzo. 
Vi scrivo comunque la solita proposta.
SE volete capitoli supplementari con POV a vostra scelta ambientati in un punto qualsiasi della storia, ditemelo pure xD

Comunque sia, grazie a tutti.

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Capitolo 19
*** Parte Diciannovesima ***


Alla fine era andato tutto abbastanza bene. Relativamente parlando. Scott si era trasformato: unghie deformi, denti appuntiti, pelo un po’ ovunque e brillanti occhi dorati. E Stiles aveva pensato fosse opportuno dire a suo padre che era un Lupo Mannaro. Che erano TUTTI Lupi Mannari. L’uomo, per un attimo, dal canto suo era rimasto perfettamente immobile. Lo sguardo basito puntato sul moro che tante volte aveva ospitato a casa sua e che in quel momento non sembrava nemmeno più la stessa persona. Aveva quindi abbassato la mano sulla fondina della pistola, estraendola con un gesto rapido ed esperto e puntandola davanti a se, ad appena due misere spanne di distanza dal naso di Scott. Stiles aveva subito provveduto ad attirare la sua attenzione, spiegando allarmato che loro, però, non avevano fatto niente di male e che erano innocenti per ogni delitto commesso. O, perlomeno, la maggior parte. Jon Stilinski era rimasto ad osservarlo per qualche secondo, poi, come in un sogno, il suo braccio si era spostato, seguito solo dopo dal viso serio, e Derek si era ritrovato la canna di una pistola puntata in fronte. Aveva fatto una smorfia. L’avevano fatta tutti e due, a dire il vero. Quindi, aveva parlato, col sarcasmo che trasudava assieme alla rabbia da sotto la facciata composta. Lo aveva accusato. A suo dire, non solo lo aveva fatto dannare per un anno rovinandogli la carriera, ma, dopo tutte le maledizioni che gli aveva mandato, si era pure preso la cosa per lui più importante al mondo. Si era preso suo figlio.

Derek era rimasto semplicemente senza parole. Lui non si era preso proprio niente, giusto? Non era che avesse perpetrato volontariamente un qualche furto o rapimento. Perciò di cosa lo incolpava il vecchio? Tutto si sarebbe aspettato tranne l’essere accusato di una cosa simile. Lo Sceriffo gli aveva chiesto se, perlomeno, si sentisse soddisfatto. Non aveva saputo come rispondere. Perché, ovviamente,  non voleva che gli sparasse un proiettile in testa. Quindi, di certo, non poteva ammettere davanti a lui di sentirsi effettivamente soddisfatto di come fosse mutata la sua situazione di quei tempi. Poi il poliziotto era passato ad elencare dal suo punto di vista tutte le stranezze che erano accadute sotto la sua giurisdizione apparentemente per colpa loro. Il Branco se ne stava nel silenzio più completo. E forse era stato per quello che Derek aveva capito quanto l’uomo avesse avuto ragione fin dal principio della sua tirata. Suo figlio era stato sempre coinvolto in tutti quei delitti assurdi e sovrannaturali ed aveva continuato a dire il falso alla propria restante famiglia per coprire le spalle ad un lurido Branco di Licantropi. Da qualche settimana, inoltre, aveva iniziato a mancare sistematicamente di casa per interi pomeriggi (a volte, persino intere nottate), a non tornare dopo scuola andando invece sempre più spesso alla villa degli Hale. Suo padre lo aveva evidentemente fatto seguire ed aveva raccolto testimonianze del ragazzo che saliva e scendeva dalla macchina del Capobranco, che faceva compere senza mai poi portare nulla a casa, che accompagnava in auto numerosi suoi compagni di classe alla vecchia magione in ristrutturazione nel bel mezzo del bosco. Lo avevano visto uscire dal bosco insieme a Derek e tornarsene a dormire nella sua casa. Ovviamente aveva parlato anche del fattaccio delle magliette: nell’armadio di suo figlio c’erano sempre meno vestiti suoi e con frequenza a dir poco allarmante se ne tornava indossando capi d’ abbigliamento appartenenti a qualcun’ altro (l’Alpha), troppo larghi per essere di Scott e indubbiamente non appena comprati. Derek aveva continuato a fissare la pistola, irrequieto, lasciando che fosse Stiles stesso a ribattere. Eppure l’uomo aveva ragione. Dannatamente ragione. Il ragazzo era praticamente sparito da casa, tornava a casa con il suo branco, faceva compere per la SUA casa, dove viveva, passava i pomeriggi, mangiava, si faceva la doccia, dormiva, aveva una stanza con un suo letto ed un suo armadio, dove, pian piano, stava portando tutti i suoi effetti personali. Persino nelle serate libere andava a caccia o guardava un film insieme agli altri. Ma, in fondo, a riassumere il tutto, il succo era che, invece di passare il tempo con la propria famiglia, preferiva starsene con lui. Preferiva starsene con Derek Hale. Il Lupo se ne era reso conto solo in quel momento, giusto giusto mentre si rendeva conto anche di quanto la cosa gli piacesse.  Di quanto la situazione lo mantenesse tranquillo e, in un certo senso, felice. Il solo pensiero gli aveva fatto salire su per la schiena un brivido. Avere Stiles con se in macchina, nel bosco, a caccia, durante la luna piena. Vederlo tornare da scuola, abbandonare i libri sul divano e sedersi in cucina a pranzare, uscire dal bagno la sera ridicolmente coperto di asciugamani e dalla camera la mattina, sbadigliando ed indossando delle sue magliette sfatte. Gli piaceva. Dio se gli piaceva. Era come riavere una famiglia, una vita normale. Aveva, perlomeno, qualcuno con cui condividerla, quella stramaledetta vita.

Era stato quello il momento in cui Stiles stesso aveva fatto irruzione nei suoi pensieri. Lo aveva preso per un braccio, stringendolo con forza ben poco umana (grazie al cielo non era un Licantropo particolarmente portato per l’utilizzo della forza bruta). Derek si era lasciato spostare di lato e trasportare fin fuori della porta. Il ragazzo l’ aveva richiusa subito, sbattendola brutalmente. Derek si era guardato attorno e si era reso conto solo in quel momento che gli altri erano scomparsi. Stiles lo stava trascinando verso la Jeep, l’unica macchina nel vialetto. Dove diavolo erano finiti tutti? Possibile che se ne fossero già andati da un po’? minuti? Il ragazzo lo aveva fatto entrare in auto e si era seduto alla guida della sua amata auto. Si era finalmente preso un attimo per guardarlo bene. Le mani che stringevano il volante mostravano unghie lunghe e affilate e gli occhi stavano lampeggiando di un rosso a dir poco preoccupante. Era fuori controllo. Pensando che nemmeno durante la sua prima Luna Piena aveva perso il controllo rendeva il tutto vagamente inquietante. Avrebbe voluto allungare una mano, confortarlo. Ma alla fine non l’aveva fatto. Non, perlomeno, fino a quando erano arrivati a casa. A quel punto, sì, aveva lasciato che si sfogasse  e lo aveva consolato. Se così vogliamo dire.

E fu così che, il mattino dopo, aprì gli occhi sul divano. Era l’alba, lo sapeva ancora prima di lanciare uno sguardo grigio assonnato fuori dalla finestra aperta del salotto. Una mattina grigia, ma fresca quanto bastava per non risultare opprimente. Niente pioggia, grazie al cielo. Sapeva anche fin da subito che il peso costante che gli pigiava sul fianco sinistro non era altro che Stiles. Abbassò lo sguardo sulla propria spalla ed osservò il viso del ragazzo, assopito ed innocente come non mai. La bocca era aperta e gli occhi si spostavano a tratti sotto le palpebre chiuse. Stava dormendo un sonno tranquillo, ragionò Derek, a dispetto del litigio avuto la sera prima col padre, di seguito si era lasciato andare attentando alla solidità di villa Hale. All’inizio si era sfogato dando pugni al muro di divisione tra ingresso e salotto. Tanti pugni alla parete. Tanti da non farla più sembrare neppure una parete. Forse un pannello di cartongesso diroccato, ma non di certo un muro quale sarebbe dovuto apparire. Poi aveva pianto. Non per il muro, purtroppo. Aveva pianto per aver trattato male suo padre e per la situazione in generale. Per l’Hale era stata una cosa angosciante ascoltarlo. O, perlomeno,  lo era stata fino a quando non aveva acquistato abbastanza coraggio da avvicinarsi a lui di qualche passo. Stiles, a quel punto, gli era saltato letteralmente al collo. Aveva seriamente cercato di strangolarlo in un abbraccio per i successiva dieci minuti, senza mai allentare la presa. Nemmeno quando l’Alpha aveva restituito la stretta, lasciando scivolare la mani sulla sua schiena. O quando lo aveva sollevato di peso e lo aveva portato fino al divano, facendolo sedere assieme a lui. Derek aveva persino pensato per un po’ di tempo che il giovane non stesse neppure ascoltando le sue parole di conforto, o che non le volesse. Sarebbe stato imbarazzante: lui che sussurrava parole sensibili all’orecchio di un’ adolescente in lacrime che poi gli chiedeva “cosa?” o gli diceva di piantarla, che era fastidioso. Fortunatamente, non lo aveva fatto. Era invece rimasto a singhiozzare silenziosamente per quasi un’ ora, attaccato al suo collo e seduto sulle sue gambe, tenendoselo immobile ed usandolo in tutto e per tutto come un cuscino. Passata quell’ora, aveva finalmente alzato la testa. Aveva il viso bagnato e rigato dalle lacrime e gli occhi gonfi di pianto, quando lo aveva ringraziato. Derek aveva annuito, cercando di riprendere il suo consueto contegno. Poi Stiles si era chinato su di lui e tutto era successo in un attimo. Lo aveva baciato. Labbra su labbra. Un bacio delicato, dolce, grato e bisognoso allo stesso tempo. Si era staccato, rimanendo ad osservarlo a una decina di centimetri di distanza. Il moro aveva potuto vedere il suo sorriso sorgere pian piano, nel tempo che lui ci metteva a riprendersi dallo shock, e i suoi occhi lampeggiare rosso fuoco e a fanculo l’orgoglio! L’aveva preso per le spalle e aveva catturato la sua bocca per un lungo momento. E poi uno ancora. Stiles era rimasto sorpreso, all’inizio, ma si era limitato infine a stringergli le braccia attorno al collo e smetterla di piangere una volta per tutte.

Derek valutò la possibilità di spostarlo leggermente di lato sul divano ed iniziare la propria routine quotidiana. Ma qualcosa (forse il lamentarsi del ragazzo nel sonno oppure la sua mano stretta sul braccio dell’ Alpha) gli fece decidere il contrario. Sospirò. Osservò il viso dell’altro, assorto, per qualche secondo. Poi alzò lo sguardo al soffitto. Cosa avrebbe fatto? Aveva baciato quel ragazzo. Aveva baciato un membro del suo branco sul divano della loro tana, probabilmente approfittando della sua confusione e del suo stato emotivamente drastico. E decise di sorvolare sul fatto che fosse un maschio. Aveva appena abusato di un adolescente. Si maledì sottovoce e fissò con tutta la rabbia e la frustrazione l piccola crepa nell’intonaco del soffitto. Era abbastanza sicuro che al giovane non fosse dispiaciuto, dopotutto era stato lui a baciarlo per primo e, anche dopo, i suoi occhi non sembravano per nulla offesi o oltraggiati. Eppure in uno stato d’animo come quello che il ragazzo aveva la sera precedente, probabilmente lo aveva fatto solo per sfogarsi. Ma non gli sembrò per nulla cosa da Stiles. La testa del ragazzo scivolò di lato qualche centimetro e, subito, la mano del capobranco scattò quasi automaticamente a rimetterla a posto, mentre un sorriso gli sorse naturale sulla labbra. Era da così tanto tempo che non faceva una cosa del genere e che si svegliava con accanto qualcuno del quale gli importasse qualcosa.

-Shhh! Taci!- Nella casa risuonò il suono di uno scappellotto.- Mamma e papà si stanno riposando, non vorrai mica disturbarli.- Derek si irrigidì, congelandosi. C’ erano Isaac e Boyd in casa? Non li aveva nemmeno sentiti arrivare. Come aveva potuto non accorgersene? Quella cosa stava iniziando a succedere un po’ troppo spesso, per i suoi gusti. Era irritante. Dannatamente irritante. Un fruscio gli fece abbassare lo sguardo, che ancora era rimasto freddato sul soffitto sopra la sua testa. Le iridi non indugiarono nemmeno un attimo e caddero subito su Erica che, raggiante ai primi raggi di sole entrati dalla finestra, se ne stava poggiata allo stipite della porta. Aveva le braccia incrociate ed un ghigno complice sulle labbra. Derek sentì gli alti due salire al piano di sopra. E, così, già tre dei suoi Beta lo avevano visto abbracciato a Stiles? Bhè, prima o poi lo sarebbero dovuti venire a sapere tutti. Meglio prima che poi.

Pensando al come dire agli altri cosa fosse successo, non poté fare a meno di agitarsi sul posto, a disagio. Ed anche un po’ preoccupato. Lo sceriffo lo avrebbe ucciso. Gli avrebbe sparato in ogni centimetro di carne disponibile e POI lo avrebbe ucciso. Scott sarebbe stato furioso, sempre se fosse riuscito a capire cosa gli stessero dicendo. Jackson lo avrebbe deriso per il resto dei suoi giorni. Lydia ed Allison avrebbero fatto in modo che lo venisse a sapere il mondo intero nel giro di mezza giornata. Il Veterinario, probabilmente, lo avrebbe fatto incriminare per pedofilia. Stiles si mosse contro il suo fianco, facendolo sorridere ancora. Decise che, come capobranco, avrebbe ignorato le malelingue. Si costrinse a vedere il lato positivo della faccenda.

Peter sarebbe rimasto meravigliosamente, memorabilmente indignato.




 

ALPHAS-FINE







Angolo Dell'autrice:
Salve a tutti, sono Eva e sono quì per piangere per il mio ritardo  e per la fine di questa storia.
Come già detto e ridetto in precedenza, chi vorrà leggere ulteriori capitoli di questa Fic, inseriti in un punto a vostra scelta della trama, basta che me lo chieda!

Questa è la mia prima long pubblicata dopo tre anni nei quali ho ignorato EFP ed è la prima FanFiction completa (long) che pubblico in assoluto. Perciò è molto importante per me. E' inoltre la mia prima Sterek e la storia che mia sorella Emma e le mie amiche (Serena e Alice, soprattutto) mi hanno spronata tanto a scrivere (Emma è arrivata alle minacce fisiche).
Spero quindi che possa essere piaciuta anche a voi e che vi abbia fatto un po' ridere ed un po' stare sulle spine a tratti come è successo a me.

Detto ciò vi abbandono. Ho un testo da scrivere per un E-Book del corso che sto seguendo (C.Randall ci parla di Romanzi Fantasy) e ben trentasette storie tra Long e Oneshot da completare.

Alla prossima e grazie di tutto.

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