A series of unfortunate events di Alkimia (/viewuser.php?uid=47113)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventunesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventiduesimo ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
(Contro)indicazioni
per l'uso:
Premetto
che dell'universo Marvel conosco solo i film e la fanfiction si basa
su quelli (anzi, a partire da quelli), quindi se tra il pubblico
dovesse esserci qualche esperto dei fumetti mi perdoni le eventuali
boiate.
Nelle indicazioni sul genere non ho voluto inserire "comico",
però credo sia impossibile scrivere una fanfiction sui film
targati Marvel senza sparare allegre caz... ehm, senza concedersi un
po' di "beneducate frivolezze" (citazione colta U_U) mirate a strappare
un sorrisetto a chi legge.
Solitamente,
con film come The Avengers regredisco all'età mentale di
undici
anni, per di più ho malsane ed enfatiche tendenze da fangirl
a
oltranza per cui se la cosa si facesse troppo evidente nella storia
ogni critica (e ogni tentativo di fermare lo scempio che potrebbe
venirne fuori) è ben accetta, soprattutto perché
questa è la mia
prima fanfiction “mainstream” che scrivo, di solito
sono abituata
a fandom meno frequentanti e a personaggi meno
“inflazionati”.
Il
titolo della fanfiction è trafugato dal ciclo di romanzi di
Lemony Snicket.
***
Prologo
Odino è stanco. Sente la fatica pesargli sul petto,
serpeggiargli sotto la pelle fino alle ossa, come una febbre venefica.
Ha combattuto molte battaglie il Padre degli dei, ha avuto tanti
momenti di gloria, ma ora ha davanti agli occhi la sua più
grande sconfitta, quel figlio che non è riuscito a salvare
da se stesso, dall'ossessione che lo ha corrotto.
Si avvicina alla porta della stanza cercando di fare piano, ma il suo
passo è pesante – il passo di un vecchio, pensa.
Le guardie, armate di lance e spade, sono immobili come statue nelle
loro armature scintillanti, pronte a ogni evenienza, ma lui non vuole
pensare a ogni
evenienza.
Schiude appena l'uscio; i battenti sono bloccati e possono essere
aperti solo dall'esterno. Guarda dentro la camera e sente qualcosa di
amaro e pungente agitarsi in fondo al suo cuore.
La stanza dai tendaggi dorati è in penombra e sembra troppo
grande per una sola persona. O forse è il suo occupante a
sembrare per un attimo troppo piccolo sotto lo sguardo velato del dio.
Nel silenzio che regna in quell'ala del palazzo di Asgard, per un
istante Odino sente affiorare dai recessi della mente una strana
sensazione di pace, quella di un padre che osserva un figlio dormire e
si permette di immaginare per lui il futuro migliore che si possa
sperare. Poi un'immagine arriva a coprire come un sudario quel
sentimento sereno: l'immagine di quello stesso figlio in ceppi, con la
bocca imbavagliata e lo sguardo furente. L'immagine di un uomo umiliato
e senza alcun futuro in cui sperare.
Che Thor abbia agito a torto o a ragione andando a riprendere Loki e
riportandolo a casa da prigioniero, non fa alcuna differenza. Odino sa
che ora lui li odierà per sempre, adesso non sono
più la sua famiglia, sono diventati i suoi giudici e i suoi
carcerieri.
L'odio di un figlio: quale sconfitta peggiore per un padre...
Perché quel ragazzo è suo figlio, qualsiasi cosa
creda, qualsiasi follia si sia insinuata nella sua fragile mente.
Ma adesso non ha importanza, adesso Loki sta dormendo, al sicuro
– prigioniero – nella casa in cui è
cresciuto e Odino è molto molto stanco.
“Cosa farai, ora?”. La voce di Frigga arriva
ovattata alle sue spalle.
Il Padre degli dei si volta richiudendo piano la porta. Sua moglie ha
occhi che sanno già tutto.
“Non posso permettere che lasci Asgard, che lasci queste
stanze” le risponde con una certa amarezza. “Lo
priverò dei suoi poteri e lo terrò qui”.
Frigga aggrotta le sopracciglia e c'è qualcosa di
profondamente addolorato nel solco che si disegna sulla sua fronte.
“Non puoi tenerlo
qui per sempre” osserva cupa.
“Lo so. Ma stavolta non ho un disegno da seguire”.
Odino sospira, un sospiro carico di rimpianto, proprio come quello di
un vecchio.
*
Nel sogno stava cadendo. Il pavimento di pietra si avvicinava a una
velocità vorticosa e lui non poteva fare niente, in mezzo a
quel buio non c'era alcun appiglio.
Si sveglia, apre gli occhi per un momento. Non era solo un sogno,
è caduto davvero.
Si chiede come diamine sia riuscito ad addormentarsi; ora che
è sveglio la rabbia gli fa accelerare il battito, gli pulsa
nelle tempie e Loki ha quasi l'impressione di sentire in testa il rombo
dei tuoni scatenati dal martello di Thor. Eppure resta immobile
perché sa che deve raccogliere le forze e le idee.
Sente i passi di qualcuno avvicinarsi alla porta di quella che una
volta era la sua stanza e che ora è la sua prigione, finge
di essere ancora addormentato.
Attraverso le palpebre socchiuse vede la porta aprirsi appena e
rivelare il profilo di Odino premuto contro il battente a spiare
dentro. Non ha alcuna intenzione di far sapere al Padre che
è sveglio, non ha alcuna intenzione di parlare con lui, per
questo resta abbandonato tra le lenzuola, il volto affondato nel
guanciale. Non ha alcuna intenzione di vedere di nuovo la pena nello
sguardo del potente re di Asgard.
Da lontano arriva flebile, quasi un soffio, la voce di Frigga. Il
pensiero di sua madre gli fa ancora sanguinare il cuore alle volte...
un attimo prima di ricordarsi che lui non ha un cuore e che quella
donna non è sua madre.
“Cosa farai, ora?” domanda lei.
Sente le loro parole anche attraverso la porta che il Padre ha richiuso
piano dietro di sé e per quanto si sforzi di non fare alcun
movimento, le labbra di Loki si increspano in un ghigno. Vuole proprio
sentirla questa risposta.
“... lo priverò dei suoi poteri e lo
terrò qui” conclude Odino.
Certamente.
E perché non murarlo vivo in uno dei pilastri del palazzo,
già che ci siamo.
“Non puoi tenerlo qui per sempre” replica Frigga.
Loki sente il dolore pungere attraverso la sua voce.
“Lo so. Ma stavolta non ho un disegno da seguire”.
Io invece sì.
Loki stringe istintivamente i pugni attorno alle lenzuola. Lui ha molti
disegni, in effetti. Fin da quando ha lasciato Asgard la prima volta,
dopo lo scontro in cui Thor aveva distrutto il Bifrost, quando tutti lo
avevano creduto morto, non ha fatto altro che cercare strade da
seguire.
Ha calcolato ogni cosa, a questo gli è servito quel suo
lungo esilio. Per ogni percorso possibile ha trovato almeno due o tre
vie di fuga. Aveva messo in conto anche l'eventualità di
venire catturato nel caso in cui il suo piano con i Chitauri fosse
fallito.
Mentre nella sua mente si dipana una mappa da seguire, Loki sa che non
è più un prigioniero. È solo qualcuno
in attesa di un'occasione, come lo è stato per il resto
della sua vita.
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Capitolo 2 *** Capitolo Primo ***
Capitolo Primo
Nell'androne del palazzo c'è un grosso portaombrelli di rame
a forma di anfora, sembra molto vecchio e Nadia ha una gran voglia di
prenderlo a calci.
Si ferma sull'ultimo scalino, fa grandi respiri. L'aria sa di pietra
vecchia e gerani.
Nadia detesta l'odore dei gerani. E detesta quei grandi palazzi antichi
e i tizi panciuti in giacca e cravatta che ci vivono dentro, con il
loro olezzo di gel per capelli e dopobarba costoso, con quel loro
mettere in mostra oggetti di antiquariato e argenteria cesellata. E
detesta se stessa per essersi messa in ghingheri con trucco, tacchi
alti e tutto il resto e aver indossato i suoi vestiti migliori, e il
girocollo di sua madre, e il bracciale che le aveva dato sua sorella
come portafortuna. In un moto di stizza afferra il bracciale e cerca di
tirarlo via, ma quel maledetto affare se ne resta incollato al polso.
«Vaffanculo!».
Al diavolo il bracciale, al diavolo i vestiti, al diavolo tutto.
Si toglie le scarpe, il pavimento di marmo levigato dal tempo
è gelido contro le piante dei piedi e il sottile tessuto dei
collant non è un granché come protezione.
Apre il pesante portone, una lama di luce e pulviscolo fende la
penombra e le ferisce gli occhi. Lei esce e attraversa a grandi passi i
portici di Piazza San Marco.
Le vetrine delle gioiellerie riflettono l'immagine di una giovane donna
dall'aria furiosa, con i capelli corti e biondi, che cammina scalza in
uno dei luoghi più belli e famosi del mondo.
Nessuno tra gli sciami di turisti e venditori di souvenir fa caso a lei.
Nadia continua a camminare, rimuginando sul giorno in cui una sua foto
varrà migliaia di euro e quell'idiota del gallerista
piangerà per essersi rifiutato di esporre i suoi lavori.
Sotto la pianta dei piedi i collant devono essersi strappati, ma la
ragazza non ci presta attenzione. Quello a cui fa caso invece
è il vento insolitamente gelido che ora sta spazzando la
piazza e che fischia forte nelle sue orecchie, spingendole i capelli
sugli occhi.
Nadia si guarda attorno, non ci sono uccelli in cielo, il vento
è davvero troppo forte e non soffiava in quel modo quando
era entrata nel palazzo, né faceva così freddo
fino a mezz'ora prima.
L'ombra del campanile di San Marco sbiadisce man mano che le nuvole si
spostano e coprono il sole che rimane solo un pallido cerchio
luminescente oltre una coltre di grigio, una sfera che somiglia alla
pietra sul bracciale che Nadia ha al polso. Sul molo davanti alla
Loggia delle Signorie i traghetti oscillano sollevando schizzi di acqua
salmastra, emettendo cigolii lamentosi. Sotto quel cielo plumbeo la
Laguna è un foglio di carta stagnola sgualcita.
La ragazza deglutisce, sente una strana tensione in fondo allo stomaco,
come di un brutto presentimento. Scuote la testa, solleva il colletto
del soprabito e continua a camminare.
Venezia sarà pure una delle città più
belle del mondo, ma in quel posto non succede mai niente. Arrivano i
turisti, se ne vanno, al loro posto ne arrivano altri. La marea sia
abbassa, poi sale, poi scende – tanto per dare agli
osservatori ambientali qualcosa con cui riempire gli ultimi minuti del
Tg regionale... e non succede mai niente. E il gallerista l'ha invitata
a prendere un caffè solo per dirle che non era interessato a
esporre le sue foto.
Man mano che Nadia si addentra nell'intricato labirinto di stradine e
di ponti, il fischio del vento si fa meno acuto. Man mano che la rabbia
inizia a sbollire cresce il dolore ai piedi e la consapevolezza che
quella di togliersi le scarpe è stata un'idea davvero
stupida. A conti fatti, sembra che ultimamente ogni sua idea sia
stupida.
«D'accordo...». La ragazza sbuffa, si siede sui
gradini di un ponte e si rimette le scarpe chiedendosi se sia
più folle camminare per Venezia a piedi nudi o girarci in
tacchi alti.
La strada fino a San Simeon le sembra incredibilmente lunga.
L'acqua mossa dal vento scroscia nei canali come un fiume color piombo,
urta contro gli argini con tonfi sordi e solleva schizzi gelidi.
Nadia non vede l'ora di poter dimenticare quella giornataccia. Ma sono
solo le undici del mattino.
Si ricorda di sfuggita di sua sorella che le ha chiesto di comprarle il
suo mensile di cinema, quindi si ferma a un'edicola. Sulla copertina
c'è Christian Bale con il costume di Batman, il titolo
annuncia anteprime sul nuovo film di Christopher Nolan; la ragazza
guarda la foto e pensa che più che un supereroe le farebbe
comodo qualcuno che facesse piazza pulita di tutta quella gente odiosa
e inutile.
Si sente uno schifo. La notte prima ha sognato che il mare sommergeva
l'albergo dei suoi genitori e lei ne rideva. «Così
non ci resterò intrappolata per sempre» diceva, e
non era la solita Nadia, era una ragazza crudele e priva di sentimenti.
E adesso quel pensiero le si agita nella testa, perché da
bambina, alle volte aveva desiderato sul serio che l'albergo sparisse,
che le circostanze fossero diverse. Forse è davvero crudele
e priva di sentimenti, pensa stringendo sottobraccio la rivista per sua
sorella, perché tutto quello a cui ha pensato negli ultimi
anni è non rimanere incastrata a gestire
l'attività di famiglia – e non le è
nemmeno riuscito troppo bene.
Da lontano, le persone sulle scale della stazione sembrano formiche
attorno a una meringa.
Nadia costeggia la chiesa di San Simeon con il naso
all'insù, scrutando quel cielo spettrale. Sembra che sia in
arrivo un temporale, ma non si sentono tuoni, ci sono solo nuvole e
freddo. Un freddo pungente, praticamente una vera e propria cappa di
gelo.
Almeno gli osservatori dell'ARPA potranno discutere di qualcosa di
diverso dall'alta marea per un paio di
giorni.
L'albergo San Simeon, in un vicolo alle spalle della chiesa, non
è di certo il posto più chic di Venezia, ma la
famiglia Berton se ne occupa da decenni e lo fa anche con un certo
stile, con quella buona lena e quella naturalezza propria di chi ama il
mestiere che svolge.
Nadia fissa l'insegna ciondolare sopra il portone principale e pensa
che questo vale per i suoi genitori, ma non per lei. Lei non vuole fare
l'albergatrice, quel posto è un'eredità che non
desidera ricevere. Ma per adesso, che alternative ha?
Fa il giro dell'edificio ed entra da una porta sul retro, nella vana
speranza che nessuno la noti. Sta già pensando di sgusciare
verso le scale che portano al piano più basso, dove
c'è l'appartamento della sua famiglia, separato dalle stanze
riservate agli ospiti del piccolo hotel. I collant sono
irrimediabilmente strappati all'estremità ma si toglie
comunque le scarpe, per non fare rumore; la sensazione della moquette
contro le piante dei piedi è piacevole.
È Casanova a tradirla, il suo gatto. Lancia un acuto
miagolio di benvenuto che attira l'attenzione di sua madre e di sua
sorella Sara.
Casanova ha un setoso pelo grigio, morbido e lucido, e due occhi color
ambra. Quando Nadia lo trovò nel negozio abbandonato, l'anno
prima, con una zampa rotta e gli occhioni spaventati, le
sembrò la cosa più adorabile del mondo, ora
vorrebbe immergerlo in un catino di acqua gelata, ma si china comunque
a prenderlo in braccio e lo accarezza sotto il mento. È un
peso caldo e confortante, non abbastanza per riappacificarsi con il
mondo, ma di sicuro un buon punto di partenza, almeno fino a quando non
solleva lo sguardo su sua madre e su Sara che le bloccano il passaggio
verso le scale, immobili l'una accanto all'altra, così
somiglianti tra loro da sembrare due matrioske, con un sorriso da un
orecchio all'altro.
«Allora?».
Nadia affonda un po' di più le mani nel pelo di Casanova.
«Allora niente» dice, cercando di non apparire
troppo amareggiata – non che serva a molto, probabilmente ha
la faccia verde in questo momento.
«Come niente?» esclama sua madre, facendo una passo
verso di lei.
Nadia le sguscia di fianco, guadagnando le scale. Si volta, con un
piede già sul primo gradino.
«Niente foto da esporre, secondo il gallerista. Quindi niente
di cui discutere» conclude, cercando di mettere su un sorriso
che alleggerisca il tono delle sue parole.
«Nadia, asp...», la voce di Sara le arriva
lontanissima, come se venisse da un'altra dimensione.
La ragazza chiude la porta della propria camera alle sue spalle, si
dirige verso il letto e ci si butta di schiena, a peso morto.
Casanova incespica sul copriletto di raso azzurro, ma riesce a
raggiungere la sua padrona e si acciambella accanto a lei. È
quasi miracoloso come la curva della schiena del gatto si incastri in
quella del fianco della ragazza.
***
Le dieci pietre di Borr, il padre di Odino. Loki ne rammenta
perfettamente la storia, una delle tante che il re di Asgard raccontava
a lui e a Thor quando erano piccoli.
In molti, tra la sua gente, sono convinti che si tratti solo di una
leggenda, ma lui ha avuto tempo per apprendere la verità
dietro ogni favola che i padri di Asgard racconta ai propri figli. Ha
letto molti libri e conosce la vera storia dietro ogni mito. Sa che le
pietre furono donate da Borr ai dieci cavalieri più valorosi
del mondo eterno, sa che uno di loro, durante una spedizione su
Midgard, si innamorò di una mortale umana e rimase nel suo
mondo tenendo con sé la pietra. Sa che quella pietra si
trova ancora sulla Terra, perché era una cifra dei suoi
calcoli prima di contattare il pianeta dei Chitauri, e che è
un forte concentrato di potere magico, quello di cui ha bisogno per
riprendersi dalla battaglia – dalla sconfitta, pensa
amaramente, e dalla rocambolesca fuga da Asgard dove volevano tenerlo
rinchiuso in attesa che
il Padre degli dei formulasse un qualche disegno per decidere della sua
sorte...
Sa anche che la pietra può funzionare solo nelle mani di un
asgardiano, per questo gli umani, in tutti quei secoli non si sono
accorti del suo straordinario potere. E sa che l'energia che ha usato
per manifestarsi in quel luogo e attivare la pietra, così da
poterla rintracciare seguendo le emanazioni del suo potere,
è l'ultima che gli è rimasta. Trovare
quell'oggetto ora è una necessità.
Non avrebbe mai immaginato di potersi sentire così distrutto
e privo di forze. E il luogo in cui si trova è assolutamente
assurdo: una città sull'acqua, giusto gli umani potevano
inventarsi una cosa simile. Giusto quei patetici esseri che amano le
cose fragili perché adorano crogiolarsi nel timore di
perderle e provano piacere a struggersi quando ciò accade.
Una città sull'acqua. Che cosa stupida! E non vuole nemmeno
immaginare come abbia fatto la pietra a finire lì, gli
sembra già abbastanza miracoloso che non sia andata persa in
tutto quel tempo.
Ma ormai non importa, ormai sa che l'oggetto è vicino, lo
sente, è da qualche parte, alle spalle di quel tempio con la
croce.
Loki si ferma al centro del ponte, appoggiandosi al parapetto di marmo.
Il vento e il freddo che hanno preannunciato il suo arrivo tengono
ancora in ostaggio quella città... Venezia, il nome gli
sembra antico e gli suona meglio di quelli delle altre città
di Midgard in cui è stato, e guardando il sole tramontare
riconosce che forse quel posto può davvero apparire molto
bello agli occhi dei mortali. Lui di tutta quella bellezza decisamente
non sa che farsene.
Attraversa il ponte, dio in mezzo agli uomini, gruppetti di persone che
gli passano accanto ignare parlando tante lingue diverse.
La pietra è vicinissima. Negli ultimi metri che separano
Loki dalla sua meta, lui pensa a come fare per prenderla... un furto,
qualche omicidio, sì, ma con molta molta discrezione. Non ha
armi ed è stremato, non può affrontare le forze
dell'ordine della Terra – anche se dubita che in un luogo
senza mezzi di locomozione su ruote, le forze dell'ordine siano
particolarmente tempestive.
Ora sa che la pietra è dietro quella porta. Sopra la porta
c'è un'insegna che cigola, la scritta dice: Hotel San
Simeon.
***
«Abbiamo dormito per tutto il pomeriggio?». Nadia
sposta lo sguardo tra la finestra della sua camera e gli occhi gialli
di Casanova che la fissano con una malizia tutta felina.
Sì, ha dormito fino a sera e probabilmente i suoi non ne
faranno un dramma, tendono a essere sempre molto protettivi con lei
quando rimedia un qualche fallimento: il concorso per quel posto di
lavoro a Mestre; la rottura del fidanzamento con Fabio; la non
ammissione a quella scuola di fotografia di Padova... « Non ti preoccupare, Nadia, hai
noi e hai questo posto. Certe cose non cambieranno mai».
Già. La sua vita sarebbe molto più semplice se
riuscisse a convincersene, invece di continuare ad agitarsi per un
cambiamento che non avverrà mai. Ventisei anni di onesta
esistenza a inanellare insuccessi come perle in una collana potrebbero
anche bastare.
La ragazza fa un sospiro rassegnato, si ripete di smetterla di fare la
derelitta e si alza. Cerca dei vestiti puliti – ordinati ma
anonimi, come raccomanda sempre sua madre – e va verso il
bagno. Apre il rubinetto della doccia e mentre aspetta che l'acqua
diventi abbastanza calda si toglie quella roba assurda che ha addosso.
Via la giacca, via la gonna, via la camicetta color crema; lancia tutto
nel cesto dei panni sporchi, si sfila gli orecchini e il girocollo,
tira via il bracciale che le ha regalato Sara. Il bracciale non vuole
saperne di togliersi dal suo polso.
Nadia fissa perplessa il ninnolo, è uno di quei bracciali
rigidi d'argento, molto vecchio, con dei simboli simili a delle rune e
con al centro una pietra bianca dai riflessi colorati simile a
un'opale. Sara glielo ha regalato alcuni mesi prima dicendole che
è un portafortuna, lo ha comprato in un negozio a Porto
Marghera e Nadia non lo aveva mai messo prima di quella mattina.
Il vapore sta facendo appannare lo specchio. La ragazza guarda il suo
riflesso che è solo una macchia contro lo sfondo bianco
delle mattonelle.
«Nadia, sei viva?». Sara bussa rumorosamente alla
porta.
«No, c'è il mio fantasma qui dentro».
D'accordo, penserà poi a sfilarsi il bracciale. Si butta
sotto il getto caldo della doccia, pensa che può continuare
a tenere duro ancora per un po'... forse.
Sua madre ha indossato un pullover di filo color grigio fumo, si sta
strofinando le braccia. Nadia sente un calore appiccicoso nell'aria e
si arrotola fino al gomito le maniche della camicia.
«Brrr, ho acceso i riscaldamenti!» esclama la
signora Angela Berton, appena vede arrivare le sue due figlie. Finge di
non vedere la maglia di Sara con sopra stampato un disegno di Victoria
Frances, perché evidentemente non ha voglia di discutere. E
finge di non sapere che l'altra figlia è di pessimo umore,
perché in quella casa è così che vanno
le cose: non c'è tempo per il cattivo umore, altrimenti come
si fa a essere gentili e sorridenti con gli ospiti dell'hotel?
«Ah, c'è qualcosa che non va con la rete
internet» dice la donna guardando Nadia.
«Ora do un'occhiata, mamma».
La ragazza si sistema dietro al bancone della hall e comincia ad
armeggiare con il mouse; di sicuro sua madre ha fatto confusione con il
pc, da quando hanno sostituito il computer, con il sistema operativo
nuovo la signora Berton non riesce a raccapezzarcisi. La ragazza sente
distrattamente sua madre impartire ordini a Sara, qualcosa che ha a che
fare con il controllo di vecchie fatture. Poi solleva lo sguardo sulla
saletta davanti a sé, un paio di signori se ne stanno seduti
a leggere il giornale, i coniugi Monteverdi hanno monopolizzato la
televisione sintonizzandola su una soap-opera – quei due
anziani signori sono lì da un paio di giorni, per il loro
quarantacinquesimo anniversario di matrimonio, stanno facendo una
specie di remake del loro viaggio di nozze e hanno ancora l'abitudine
di lasciare le mance. A Nadia stanno simpatici.
La ragazza sta fissando con un mezzo sorriso i due anziani che
complottano su quali potrebbero essere i futuri sviluppi della soap,
approfittando dell'intervallo pubblicitario, quando vede con la coda
dell'occhio la porta di ingresso che si apre di schianto.
Una folata di vento gelido attraversa la stanza e Nadia si ritrova a
fissare a metà tra il perplesso e l'interdetto il tizio che
ora sta attraversando la hall. Un uomo giovane dall'aria torva, vestito
in modo eccessivamente elegante, che cammina come se da un momento
all'altro potesse estrarre una granata dalla tasca del soprabito di
alta sartoria.
Naturalmente quel tipo non estrarrà nessuna granata, e di
certo è stato il vento a far aprire la porta in quel modo
tanto brusco. Nadia ne è sicura. Più o meno...
«Buona sera» trilla sua madre in direzione dello
sconosciuto. «Possiamo fare qualcosa per lei?».
È uno sguardo assassino quello con cui l'uomo –
più un ragazzo che un uomo – sta guardando sua
madre? Nadia non sa perché le sta venendo la pelle d'oca, ma
vorrebbe tanto che il tizio dicesse di essersi sbagliato, salutasse e
uscisse per tornarsene da dove è venuto. Ma lui non dice
niente, nemmeno in risposta alla domanda di Angela. Forse è
straniero, forse non capisce l'italiano, ma perché accidenti
non parla?
Come se fosse l'unico essere vivente lì dentro, lo
sconosciuto si prende un lungo momento per guardarsi intorno, come se
stesse cercando di riconoscere un posto o una persona. A Nadia sembra
più un segugio che fiuta una preda.
«Sta... ehm... cercando qualcuno?», Nadia prova a
parlare, ma sente uno strano senso di disagio. Forse è solo
quell'insolita tinta di azzurro molto chiaro che fa sembrare gli occhi
del ragazzo così gelidi. Però quegli occhi si
puntano su di lei all'improvviso e in mezzo a quell'azzurro ghiaccio si
accende come una scintilla di qualcosa che sembra rabbia. Poi
nient'altro, lo sconosciuto abbassa le palpebre, fa un leggero sospiro,
come di qualcuno che tenta di ristabilire un certo contegno e quando
riapre gli occhi sembra più... normale. Cioè, non
sembra che voglia far saltare tutto in aria, ma agli occhi di Nadia
continua a non avere un aspetto particolarmente rassicurante.
«Sì» dice di colpo. «Mi
servirebbe una stanza, qui».
Parla in italiano, con una marcata inflessione straniera che la ragazza
non riesce a identificare. Ad ogni modo, contro ogni regola della buona
educazione, lei rimane impalata a fissarlo. Non ha bagagli, tra poco
è sera, ha intenzione di dormire in giacca e cravatta?
«Nadia!» sua madre la richiama a denti stretti, lei
si fa da parte e lascia che l'uomo si avvicini al bancone della
reception.
Angela prende i documenti che lo sconosciuto ha estratto dalla tasca e
compila il modulo elettronico.
«Quanto tempo intende fermarsi?» domanda.
«Il tempo che occorre».
La madre di Nadia non si scompone, ne è passata di gente
strana sotto quel tetto e il tizio non è nemmeno
lontanamente vicino a sfiorare la vetta della hit-parade degli svitati
che il San Simeon ha avuto l'onore di ospitare. Ma di solito
gli svitati hanno la loro buona dose di simpatia e di attrattiva,
questo più che altro sembra la scena di perfetto silenzio in
un film dell'orrore, quando la guardi e sai che da un momento all'altro
ci sarà il rumore improvviso che ti farà
sobbalzare. Lo sai, eppure quando arriva ti prende comunque un colpo.
«Nadia» la voce di sua madre la strappa a quelle
riflessioni idiote. «Accompagna di sopra il
signore».
Nadia vorrebbe obiettare che c'è del personale appositamente
assunto per accompagnare la gente alle proprie camere, portare bagagli
e altre cose del genere, e lei quello lì non lo
accompagnerebbe nemmeno alla poltrona vicino ai coniugi Monteverdi. Ma
la professionalità le impone di non mettersi a discutere con
sua madre in quel momento e in quel posto, quindi si sforza di
sorridere allo sconosciuto – promettendosi che più
tardi andrà nel database a controllare chi è e da
dove viene, e gli fa cenno di seguirlo.
La camera assegnata al nuovo ospite è la numero 7, al
secondo piano. Nadia sale le scale tappezzate di moquette blu
imponendosi di mantenere un'andatura lenta e tranquilla, ma dietro di
sé sente lo sguardo dello sconosciuto trapassarle la schiena.
Finalmente arrivano sul pianerottolo, davanti alla porta lucida di
ciliegio.
Nadia è costretta a voltarsi e a guardare il ragazzo.
È più alto di lei e adesso le sembra quasi un
pesce fuor d'acqua.
«La sua camera è questa» gli dice,
aprendo la porta per mostrargli la stanza. Ma lui non guarda la stanza,
guarda lei con fin troppa insistenza.
«Tutto bene, signor... ehm, potrebbe ripetermi il suo
nome?».
Lui sembra non averla sentita, la sorpassa ed entra nella stanza. Solo
in quel momento la ragazza si accorge di quanto sia pallido e di quanto
siano marcate le occhiaie sotto le palpebre. Sara ne impazzirebbe con
la sua mania per i vampiri.
«Il mio nome, perché? Hai intenzione di chiamarmi
spesso?». Lo dice senza particolare ironia e Nadia non riesce
a capire se ci stia provando, in modo piuttosto maldestro e sgradevole
tra l'altro, o se faccia tutto parte della sua bizzarria.
«No di certo» risponde gelida. «Buona
serata».
Si volta e si avvia verso le scale. Lo sa che dall'uscio della stanza
numero 7 quel tizio la sta ancora guardando, se lo sente, ma mentre
imbocca i gradini le arriva il rumore ovattato della porta della camera
che si chiude.
***
La voce sembra essere fatta di buio e pietra, sembra spegnere le
stelle. È una voce crudele che soffia come il vento in mezzo
al deserto e fa quasi eco nella desolazione rocciosa di quell'universo
lontano.
«Una promessa mantenuta merita una ricompensa. Una promessa
tradita esige un castigo» sentenzia la voce.
Il capo dei Chitauri freme e quasi non osa guardare l'imponente figura
di Thanos stagliarsi contro il nero del cielo. Un frammento di
oscurità contro l'oscurità.
«Ebbene?» chiede, temendo che la domanda giunga
troppo irritante e superflua.
La figura incappucciata china appena il capo a indicare un grosso
oggetto cilindrico, tra le pareti di vetro opaco si agitano come
minuscoli serpenti dei fili di fumo argenteo.
Il capo dei Chitauri afferra l'oggetto, sembra pesante a vedersi, e
invece il suo peso è quasi inconsistente. Guardando
più da vicino il contenuto del cilindro, sente un
superstizioso terrore fargli eco nella mente.
«Possono viaggiare in qualsiasi universo. Possono viaggiare ovunque»
afferma Thanos con un crudele compiacimento nella voce.
«Voglio Loki, lo voglio vivo».
__________________________________________________________
Venezia. Loki. The Avengers. Venezia...
Sì, Venezia, tanto per essere... ehm... originali.
La
storia delle dieci pietre magiche è stata inventata dalla
sottoscritta. Però Borr è davvero il nome del
padre di Odino - Wikipedia docet.
In
quanto alle questioni linguistiche, ho supposto che gli dei di Asgard
potessero parlare “automaticamente” la lingua del
luogo in cui si
manifestano (dato che Thor piove dal cielo nel New Mexico e parla la
stessa lingua delle persone che incontra... e Loki spunta dal varco
aperto dal Tesseract e non ci sono problemi di comprensione... e
così
via...), quindi ho pensato che potesse essere plausibile che Loki in
Italia riesca a parlare perfettamente l'italiano anche se con
un'inflessione particolare (poi, per il futuro, va da sé che
gli albergatori di un'importante meta turistica sappiano parlare bene
l'inglese).
|
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Capitolo 3 *** Capitolo secondo ***
Capitolo secondo
Stendere il braccio.
Richiamare il Martello. Distruggere qualcosa.
È tutto ciò a cui Thor riesce a pensare in questo
momento, mentre sposta nervosamente lo sguardo tra la porta della
stanza aperta e le guardie stese sul pavimento lucido. Un urlo di
furore si agita in fondo alla sua gola, tanto da spezzargli il respiro.
A guardarlo potrebbe sembrare un leone pronto ad attaccare, peccato che
ora la gazzella sia molto al di là della sua portata.
«La buona notizia è che sono vive» dice
Fandral, dopo aver controllato uno ad uno i corpi riversi sul
pavimento. «Thor, mi stai ascoltando?».
Stendere il braccio.
Richiamare il Martello. Distruggere qualcosa.
«Sì. Le guardie sono vive, splendido, vuol dire
che mio fratello fa progressi» mormora il dio del tuono con
aria poco convinta.
Sif gli si avvicina, cercando le parole per rincuorarlo. Parole che non
riesce a trovare, evidentemente perché non ce ne sono.
Stavolta nemmeno lei sa da che parte il suo cuore sta sanguinando.
Dal fondo del corridoio arriva il rumore di passi pesanti e affrettati.
Thor incrocia le braccia sul petto.
«Volstagg, confido che tu giunga con una buona
notizia» borbotta, senza voltarsi a guardare il corpulento
cavaliere di Asgard appena arrivato. China il capo il dio del tuono,
non vuole che i suoi amici vedano la sua espressione amareggiata, non
vuole che si accorgano di come la rabbia gli fa tremare le mani.
«In realtà, no» ammette Volstagg. Nella
sua voce non c'è traccia della solita baldanza.
«Heimdall non riesce ancora a vederlo».
Certo che no. Un tempo Loki era riuscito a far penetrare dei Giganti di
Ghiaccio nelle segrete del palazzo, senza che il Guardiano del regno si
accorgesse di nulla, lui sa come nascondersi alla sua vista
onnisciente, sa come entrare e uscire da quella casa, conosce molti
modi per lasciare Asgard.
Stendere il braccio.
Richiamare il Martello. Distruggere qualcosa.
Thor ordina che le guardie vengano portate nella camera della
guarigione e mentre i suoi compagni si occupano di eseguire questo
compito, misura a grandi passi l'ampia anticamera, fino a fermarsi
sull'uscio di quella che una volta era la camera da letto di suo
fratello. C'è qualcosa che lo trattiene dall'oltrepassare la
soglia, lo stesso senso del pudore che lo tratterrebbe dal violare la
dimora di uno sconosciuto.
Lui e Loki hanno almeno una cosa in comune: a nessuno dei due piace
perdere. Anzi, le cose in comune sono due. In un modo o nell'altro,
entrambi hanno già perso.
Stendere il braccio.
Richiamare il Martello. Distruggere qualc...
«Troveremo il modo».
Thor sbatte le palpebre perplesso, non si era accorto che sua madre
fosse lì. Non ha il coraggio di voltarsi verso di lei e
mostrarle con la sua espressione che non crede affatto a quelle parole.
«Troveremo il modo» ripete Frigga, dolcemente ma
con determinazione, avvicinandosi a suo figlio.
Lui non è mai stato bravo a mentire e a celare i proprio
sentimenti. Meno che mai con lei.
«Non c'è un modo, madre» si sente
costretto ad ammettere. Gli fa male pronunciare quelle parole, gli fa
male vedere gli occhi della regina di Asgard ombrarsi di
preoccupazione.
Thor distoglie lo sguardo dal volto della dea, osserva la stanza oltre
la soglia. Non ricordava che ci fossero così tanti libri
lì dentro, si chiede come sia possibile che una persona
abbia il tempo di leggere tutti
quei volumi dall'aria noiosa e impegnativa. Si chiede
quanta solitudine sia stata spesa tra quelle pagine.
«Hai davvero perso la speranza, figlio mio?».
«Non lo so. Questa sua fuga mi fa pensare che il risentimento
verso di me abbia davvero spazzato via ogni cosa»
«Anche tu sembri risentito»
«Lo sono. Mi manca. Mi manca il fratello che ho amato quando
ero bambino, mi manca il ragazzo con il quale sono cresciuto».
Frigga sorride con tutta la complicità di cui può
essere capace una madre. Thor si rende conto che forse anche lei, che
sicuramente anche il Padre condividono quel sentimento.
«Allora riportalo da noi» conclude la regina di
Asgard, posando una mano sulla spalla del figlio.
Il dio del tuono cerca di abbozzare un sorriso, ma la verità
è che si sente del tutto impotente e, per adesso, non sa da
dove cominciare.
***
Questo decisamente non l'aveva messo in conto.
L'alba filtra dalle tende bianche e azzurre, inondando lentamente la
stanza di una luce rosata.
Loki guarda la sua ombra disegnarsi sempre più nitida contro
il muro e realizza di aver passato tutta la notte seduto sul bordo del
letto a pensare a come risolvere quel maledetto problema.
Più che un problema gli sembra un labirinto, da qualche
parte deve esserci una via di uscita ma lui non sa dov'è.
Molto bene. Si tratta
solo di cercare...
È stanco, affamato, e trova insopportabile l'odore del mare
e dell'acqua stagnante che c'è in quella città.
Ma si impone di fare un ultimo sforzo per riassumere – per
l'ennesima volta – la situazione e provare a capire se
c'è qualche strada da tentare alla quale ancora non ha
pensato.
Ha attivato la pietra per poterne captare le emanazioni di energia. Non
poteva immaginare che qualcuno stesse indossando uno stupido bracciale
con una delle dieci pietre di Borr incastonata sopra.
Quello che sa è che adesso quel bracciale non si
staccherà dal polso della dannata ragazza per nessuna
ragione al mondo, perché gli oggetti magici hanno un modo
tutto loro di funzionare, come il martello Mjolnir che riconosce solo
le mani del dio a cui è stato affidato.
Se potesse semplicemente ucciderla e prendersi il monile d'argento il
problema non sussisterebbe, ma ha studiato molte cose sulle pietre di
Borr e sa che una volta attivate non possono essere sottratte con la
forza, anche se sono indossate da qualcuno che non può
usufruire del loro potere. Però sa anche che se ha potuto
attivare la pietra da lontano può comunque usare una parte
della sua energia... se è abbastanza vicino da riuscirci e
questo vorrebbe dire avere tra i piedi la ragazza. Preferirebbe
staccarle il braccio a mani nude, tra l'altro ha come la sensazione di
aver detto o fatto qualcosa che l'ha irritata la sera prima;
perché queste femmine umane si agitano con poco, tanto da
essere quasi divertenti – in questo momento, Loki ha in mente
un dialogo con l'algida agente Romanoff che gli ha procurato non poche
soddisfazioni, prima di rendersi conto che lei gli aveva teso una
trappola. Certo, la razza umana deve pur avere un barlume di arguzia,
altrimenti come avrebbe fatto a sopravvivere tutto quel tempo?
Ad ogni modo, ormai è su Midgard e non ha molte risorse per
fare grosse manovre. Tanto vale restare lì, assorbire quanto
più può da quella pietra e chissà che
alla fine non nasca anche l'occasione propizia per dare alla ragazza la
lezione che meriterebbe per quei suoi modi arroganti.
Afferra il pezzo di carta ripiegato sul piano del comodino con tutte le
informazioni sull'albergo, scopre che dalle sette alle undici del
mattino servono la colazione nella sala da pranzo al pian terreno. La
cosa riesce quasi a sembrargli una buona notizia.
Si toglie il soprabito e la sciarpa di seta, va in bagno e si sciacqua
la faccia. Fissando per qualche istante il suo riflesso nello specchio
si rende conto di avere un aspetto pessimo. Eppure si ricorda di
essersela cavata in situazioni ben peggiori; si ripete che ce la
farà anche questa volta. Cerca di ricordare il nome della
mortale, qualcosa con la N.
Mentre scende al piano di sotto, Loki si chiede se è normale
che a un dio venga mal di testa.
***
Sullo schermo del computer c'è la piantina con i piani
dell'albergo, cliccando sui numeri delle camere si può
vedere se sono occupate e recuperare il documento di ingresso di chi le
ha affittate.
Nadia fissa con aria astiosa il numero 7 al centro della piantina del
secondo piano. Per un attimo pensa di non cliccarci sopra, che in fin
dei conti non gli importa chi sia quel tizio, però ha la
strana sensazione che si sentirebbe molto più tranquilla se
conoscesse il suo nome e sapesse da dove viene.
Clicca sul numero 7. La clessidra comincia a girare accanto al
puntatore del mouse mentre si carica il documento collegato.
«Oh, andiamo, quanto ci metti ad aprir...». Nadia
ha un sussulto. Il documento si è aperto ed è bianco, come se
non fosse mai stato compilato, la camera numero 7 risulta occupata, ma
non ci sono i dati relativi al suo ospite. La ragazza sgrana gli occhi;
di certo è stata sua madre a fare casino con il nuovo
programma, di certo non può essere stato lui a far sparire
il suo modulo dal database.
Nadia fissa il proprio riflesso in un soprammobile a specchio.
«Ricordami perché siamo diventate paranoiche sul
figlio di Lord Voldemort, ragazza» borbotta a se stessa.
«Stiamo entrando in modalità Smeagol?»,
Sara appoggia un grosso registro sul bancone della reception.
«E chi è il figlio di Lord Voldemort?».
Nadia si stropiccia il viso con le mani. La sera prima, a cena, sua
sorella e sua madre hanno avuto una brutta discussione sul fatto che
Sara non dovrebbe mettersi magliette con disegni di vampiri mentre
lavora. Sua madre dimentica sempre che Sara ha vent'anni all'anagrafe e
dodici al cervello e che ormai è tardi per porre rimedio
alla cosa.
«Ti sei persa l'inquietante tizio della numero 7?»
«No, l'ho visto arrivare ieri sera»
«E non ti mette i brividi?».
Sara scrolla le spalle.
«Direi che abbiamo visto di peggio» asserisce con
un energico cenno del capo. Le due sorelle ridacchiano, ma Nadia sta
pensando che il fatto che siano spariti i dati dal computer
è un problema burocratico che sarebbe meglio risolvere.
«La belva se ne va ancora in giro di sopra la notte. Trova un
modo per tenerlo buono o lo affogo nel Canale» suo padre,
Vincenzo, attraversa la hall e si ferma davanti alla reception. Nel
gergo di suo padre, la
belva sarebbe Casanova, a lui non è mai
piaciuta l'idea di un gatto in giro per l'albergo.
«È un gatto, non un canarino. Non posso metterlo
in gabbia»
«Allora mettilo sul terrazzo»
«Fa freddo di notte»
«Sono certo che sul fondo del Canale faccia ancora
più freddo».
Nadia alza gli occhi al cielo, chiede a sua sorella di restare alla
reception al suo posto per dieci minuti e parte spedita a cercare il
suo gatto.
Casanova si è andato a intrufolare nella lavanderia, sta
inseguendo un batuffolo di fuliggine che oscilla sul pavimento. La
ragazza lo prende in braccio sbuffando e lo porta in camera sua.
La camera di Nadia è una stanzetta quadrata dalle pareti
tinteggiate di un verde carico, sul muro di fondo c'è un
filo di spago dal quale pendono alcune delle sue foto alle quali
è più affezionata. Alle volte, il pensiero che
siano foto di posti e non di persone le fa sentire freddo, un freddo
che viene da dentro.
Dalle mensole ad angolo, i titoli di libri e cd sembrano occhi amici
che la guardano con benevolenza. Romanzi e musical, ecco di cosa si
è nutrita la sua fantasia in tutti quegli anni; ama le
storie, e a volte pensa che sia un peccato il fatto che non le sappia
raccontare.
Casanova si struscia pigramente contro le sue caviglie.
«Non credo che mio padre ti affogherebbe davvero»
mormora la ragazza, passando le dita tra il pelo argentato
dell'animale. «Ma per favore, cerca di startene qui buono una
mezza mattinata, ok?».
Il gatto solleva la testa, la guarda in viso e fa tremolare i baffi,
poi le sue orecchie scattano in quello che sembra proprio un cenno di
assenso. Nadia alle volte ha la sensazione che lui la capisca sul serio.
Torna nella hall. Sara sta scarabocchiando il margine della pagina di
un block-notes.
«Qualcosa degno di nota?» chiede la sorella
maggiore.
«Ha chiamato un tizio per prenotare una quadrupla per il week
end e il figlio di Lord Voldemort è sceso a fare
colazione» risponde Sara, cominciando a mangiucchiare il
tappo della penna. Nadia la guarda male, non sopporta i tappi delle
penne mangiucchiati, è poco igienico ed è brutto
usare con i clienti delle biro che sembrano aver avuto la peggio in uno
scontro con un castoro, ma non ha voglia di mettersi a discutere, sta
pensando di andare a parlare con il ragazzo della numero 7, anche se
trova più allettante la prospettiva di mettersi a sedere
alla reception e finire di leggere il romanzo di Stephen King che ha
iniziato.
«Non è male» dice Sara.
«Chi?»
«Il figlio di Lord Voldemort. Sembra che lo abbiano appena
dissotterrato eh, ma ha un non so che di intrigante».
Santi numi. Forse è meglio che dica a Sara di andare a
parlarci lei per la questione dei dati scomparsi, può darsi
che trovi la prospettiva più allettante. No, d'accordo,
vuole farlo di persona, così vediamo se le dice il suo nome
senza fare troppo l'esuberante, il coglione!
Di norma non andrebbe a disturbare un ospite dell'albergo durante la
colazione, ma ha paura che il tizio le scappi via.
Metà dei clienti dell'albergo stanno ancora dormendo,
l'altra metà è tutta nella sala da pranzo, dove
è apparecchiato un grande tavolo con un'infinità
di cose che Nadia trova impensabili da mangiare di prima mattina
– la chiamano colazione
internazionale. Mah, come dice il detto: il mondo
è bello perché è vario.
Dietro al tavolo ci sono due cameriere in un'impeccabile divisa blu e
nera che riempiono i vassoi che si svuotano, aiutano gli ospiti
dell'hotel a servirsi le portate e gli mostrano come far funzionare la
macchina a cialde per il caffè e il dispenser dei cereali.
Ma tanto ci sarà sempre qualcuno che farà
schizzare ovunque chicchi di riso soffiato, è matematico.
I coniugi Monteverdi stanno avendo un battibecco che Nadia capisce
essere dovuto al fatto che lui ha messo troppo zucchero nel
caffè e non va bene per la sua glicemia alta.
Il ragazzo della numero 7 è seduto a un tavolo nell'angolo,
in disparte. Ha gli stessi vestiti che indossava la sera prima e, anche
se non sono sgualciti, Nadia è certa che abbia dormito con
quelli addosso. O che non abbia dormito affatto, a giudicare dalla
brutta cera che ha.
Sul tavolino, davanti a sé, il ragazzo ha una lunga fila di
fette di pane sulle quali sta spalmando con calma del miele. Nadia lo
guarda un po' perplessa, chiedendosi quanto pane e miele ci possa stare
tutto nel corpo di una sola persona. Se il ragazzo è molto
affamato, comunque non lo da a vedere, allinea le fette di pane quasi
con cura nel piatto dopo averle spalmate, eppure per un attimo lei ha
la sensazione che quel tizio ne abbia passate tante. Quasi rinuncia
alla sua idea di parlargli – aggredirlo – in quel
momento, ma proprio mentre sta per girare sui tacchi e andarsene, lui
alza lo sguardo e la saluta.
«Buongiorno» le dice in tono composto, puntandole
in viso quegli occhi azzurrissimi.
«Buongiorno. Io la stavo cercando».
Lui inclina appena la testa, Nadia cerca di reprimere la sensazione di
disagio e prova a ricordarsi che ha a che fare con il tizio dall'aria
inquietante e dalle uscite infelici con il quale ha avuto a che fare la
sera prima.
«Mi cercavi per cosa?» domanda lui con una punta di
impazienza.
«I suoi dati sono spariti dal computer. Un nostro errore, mi
dispiace, ma quando ha finito qui dovrebbe tornare alla reception e
ripetere la procedura di accettazione»
«Nessun problema».
Bene. Niente di troppo drammatico. Ora Nadia vuole solo voltarsi e
andarsene il più lontano possibile da quel tizio, anche se
non ha ancora capito come si chiama, ma lui aggiunge qualcosa.
«Sono stato poco cortese, ieri sera. Devi scusarmi, ero
stanco per il viaggio», mormora. Ha una voce bassa e
carezzevole, c'è qualcosa di ruffiano e studiato
nell'accenno di sorriso che ora le sta rivolgendo. «Ad ogni
modo, visto che me lo avevi chiesto, mi chiamo Low Key
Laufeyson».
«D'accordo, signor Laufeyson...» Ad ogni modo, visto che me lo
avevi chiesto, non ho intenzione di chiamarti spesso.
«Loki»
«Come, prego?»
«No, non Laufeyson. Ecco, non amo essere chiamato in quel
modo. Quelli che mi conoscono mi chiamano Loki».
Lok... cosa? Loky come
il cane della mia compagna delle medie, o Loki come la
divinità norrena?
Non ha importanza e di certo lei non si metterà a fare
domande su quell'astruso nomignolo.
«Va bene. Questo non occorre metterlo nel database. Comunque
sia, ha dormito bene Loki?»
«Non ho dormito».
Nadia si sta pentendo di aver fatto quella domanda. Lei non
è portata per la professione di albergatrice e tutti i
salamelecchi sulla comodità dell'hotel e i vari
“possiamo fare qualcosa per...” non sono cose che
le riescono troppo bene.
«Oh. Mi dispiace... ehm, qualcosa non va?» domanda,
cercando di mostrarsi umilmente interessata.
«Molte cose, in realtà»
«Poteva chiamarci e avremmo trovato una soluzione. Mi dica
cosa possiamo fare per...».
Ora Loki sembra
perplesso, scuote appena la testa con aria gentile.
«Non è colpa del vostro albergo, no di
certo» afferma. «Ho avuto cose a cui pensare,
diciamo così».
«Capisco». No, non capisce, e nemmeno vuole capire.
I pensieri che tengono sveglio di notte Low Key Laufeyson proprio non
la riguardano. «Spero che lei riesca a riposarsi, fin tanto
che è qui».
Loki fa un sorriso strano, quasi sarcastico. Evidentemente non
è lì per riposarsi o per prendersi una vacanza,
ma nemmeno questo sembra importante agli occhi di Nadia.
«Intanto, le auguro una buona giornata».
E spero che la mia sia
meglio di quella di ieri!
***
Ha certamente sopportato cose peggiori – ha creduto di essere
il fratello di Thor per tantissimo tempo, ad esempio – ma
mentre osserva la ragazza allontanarsi tra i tavolini della sala da
pranzo pensa che quando non avrà più bisogno
della sua vicinanza troverà senz'altro il modo di lasciarle
un ricordo poco gradevole. O di non lasciarle alcuna testa nella quale
conservare ricordi.
Stringe nel pungo un lembo della tovaglia di tessuto damascato.
Come osa un misero essere di carne, con la mente tanto piccola da
contenere un mondo soltanto, essergli di impedimento? A lui, al dio che
ha visto molti universi, che è stato allevato dai re del
cielo!
Loki odia quel mondo, odia le creature che lo popolano, odia quegli
stupidi abiti da terrestre. E la giornata gli sembra infinitamente
lunga.
Addenta la prima fetta di pane.
Anche il cibo è pessimo in quel luogo che i suoi stessi
abitanti hanno avvelenato con... come lo chiamano? Ah, già,
progresso.
Non importa, ha fame. E ha davvero
sopportato cose peggiori. Ha sopportato la caduta, la forza
incontrastabile dell'aria che lo artigliava e lo trascinava verso il
basso, ha sopportato il buio di cieli senza stelle, il freddo di mondi
senza soli. La solitudine di luoghi senza volti amici. Ma ha sopportato,
appunto, è sopravvissuto, la caduta non lo ha ucciso,
è ancora in piedi e tra lui e la prima fetta del potere a
cui aspira c'è solo una fragile umana la cui mente non
può essere tanto più forte delle altre molte
menti che ha plagiato in passato. Non c'è niente di
impossibile, nulla che sia inarrivabile, Loki lo sa bene. Lo sa da
quando ancora ragazzo aveva iniziato a scoprire i tanti modi di violare
le entrate e le uscite di Asgard, i varchi tra gli universi che non
necessitano per forza di ponti protetti da tediosi giganti.
Addenta la seconda fetta di pane. Non ne sente nemmeno più
il sapore, è troppo concentrato a pensare ad altro,
perché ci sono molte cose ancora alle quali pensare.
Il beneamato fratello, tanto per cominciare. Thor ormai
saprà della sua fuga, si starà affannando nella
sua ricerca, riesce quasi a vederlo davanti ai suoi occhi, intento a
tuonare ordini a destra e a manca e a camminare su e giù per
uno dei corridoi del palazzo, con il mantello scarlatto che svolazza
alle sue spalle e i suoi compagni d'armi che arrancano nella sua ombra.
Lo vede socchiudere le palpebre nello sforzo di pensare – uno
sforzo enorme per lui, in effetti, tentando di elaborare un piano.
Oh, quanto vorrebbe essere lì a chiedergli come si sente il
dio del tuono ora che non può risolvere tutto agitando il
martello. E vorrebbe dirgli di non affannarsi, che non può
riavere suo fratello, che il fratello che ha amato in realtà
non è mai esistito.
Questa è una
menzogna...
No, non lo è. E se anche fosse, non è importante.
Loki solleva tra due dita l'ultima fetta di pane. C'è
un'altra cosa con la quale ancora non ha fatto i conti: la vendetta di
Thanos. Il capo dei Chitauri lo aveva messo in guardia, gli aveva detto
che se avesse fallito nella sua impresa, che se non avesse consegnato
loro il Tesseract non ci sarebbe stato luogo in cui nascondersi dalla
furia del suo signore.
È davvero un problema? Loki si guarda attorno e pensa che il
nascondiglio gli sembra piuttosto efficace. E ad ogni modo non ha di
che preoccuparsi, il Tesseract è nelle mani degli
asgardiani, Thanos non ha alcun mezzo per raggiungere Midgard ora, per
raggiungere lui.
E poi ci sono i... i Vendicatori. Ma loro, quei molesti fenomeni da
baraccone, sono molto lontani, lo credono prigioniero di guerra nella
casa di Odino e, dopotutto, questa volta lui non sta cercando di minare
la sicurezza della loro amata Terra, quindi non sprecherebbero il loro
preziosissimo tempo da eroi di fama per venire a cercarlo.
Loki si pulisce le mani sul tovagliolo di cotone. Sorride.
Ora che il cibo lo ha rifocillato la situazione non gli sembra
più tanto drammatica. C'è solo la ragazza a cui
pensare, e lei, in fin dei conti, è un ostacolo non
più grande di un sassolino sul suo sentiero.
________________________________________________
Noticine:
L'idea
dell'assonanza tra Low Key e Loki non è mia, è di
quel genio di
Neil Gaiman, nel suo libro “American Gods” il
personaggio di
Loki, quando vuole confondersi tra gli umani si fa chiamare Low Key
Leysmith (anche il cognome è geniale, ma ho preferito non
approfittarne).
È
una questione di interpretazione personale e la cosa è del
tutto
opinabile, ma io sono convinta che ci sia stato un tempo, magari un
passato molto molto remoto, in cui Loki ha davvero voluto bene a Thor
come fratello.
Ci
leggiamo la prossima settimana, con il nuovo capitolo (salvo
complicazioni sismiche). Intanto grazie a tutti quello che stanno
leggendo, commentando, preferendo, ricordando e seguendo.
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Capitolo 4 *** Capitolo terzo ***
Capitolo terzo
C'è un bel sole che entra dai finestrini dell'auto, la luce
disegna strane forme geometriche sulla plastica scura del cruscotto, e
c'è odore di bosco, quell'aroma penetrante di erba,
terriccio e resina.
Le ruote del suv macinano chilometri di strada sterrata e Steve si
sente meravigliosamente rilassato mentre guida quella grossa auto che
gli hanno messo a disposizione alla centrale dello S.H.I.E.L.D. e che
ha impiegato qualche giorno a imparare a usare. Si sente rilassato
anche se accanto a lui c'è Bruce Banner, quello capace di
trasformarsi in un enorme mostro verde poco incline alle buone maniere.
Durante i primi minuti di macchina hanno provato ad accendere
l'autoradio, ma hanno scoperto che nessuno dei due è troppo
aggiornato sulle nuove tendenze musicali e, soprattutto che nessuno dei
due le gradisce troppo. Poi per un po' hanno semplicemente continuato
ad andare, godendosi il cambio di paesaggio, la città che
stemperava in vie sempre più piccole, le case sempre meno
ammucchiate, fino alla campagna. E oltre la campagna, il bosco.
«Sei proprio sicuro di quello che stai facendo?»
domanda all'improvviso Steve, desideroso di interrompere il silenzio.
«Pensi che dovrei tornarmene a Calcutta o in un qualche altro
posto sperduto ai confini del mondo, a fare il medico...»
«Bruce...»
«... no, perché sarebbe plausibile,
cioè lo capirei se è questo che pensi, sarebbe
molto più sicuro, ma...»
«Bruce, volevo solo dire che potresti provare a restare in
città. Dopotutto, l'ultima volta Hulk non mi è
sembrato così fuori controllo» osserva Steve.
Banner dondola il capo con quell'espressione perennemente a
metà tra un sorriso e un sospiro afflitto,
«Davvero? Vorrei ricordarmelo. E più di ogni altra
cosa vorrei ricordare di quando l'Altro ha messo al tappeto
Loki».
I due uomini ridacchiano. Steve se lo ricorda bene, quando sono saliti
in cima alla Stark Tower e hanno trovato Loki infossato nel pavimento, suonato come una nacchera
è stata la prima cosa che ha pensato riuscendo a mettere su
il primo e ultimo sorriso di quella tremenda giornata. Una giornata
memorabile, ad ogni modo.
Nei giorni a venire poi, mentre sociologi e criminologi e alte cariche
delle forze dell'ordine discutevano in tv della potenziale minaccia che
potevano essere questi fantomatici supereroi,
la gente continuava a tappezzare le strade e le case con le loro foto,
inneggiando il loro nome.
La gente è dalla loro parte, non c'è conduttore o
sponsor che tenga.
«Comunque, sei sicuro che confinarti in una casa in mezzo al
bosco, da solo, sia una buona idea?» aggiunge Steve, spiando
di sottecchi il dottore.
«Diciamo che al momento mi sembra la migliore opzione tra
quelle disponibili» afferma Banner, scrollando le spalle.
«Lo S.H.I.E.L.D. è stato gentile a fornirmi le
apparecchiature per continuare i miei studi lì e Tony Stark
mi ha messo a disposizione la casa sul lago di sua madre... a
proposito, dov'è?»
«Stark? Beh, credo che tutto questo affetto da parte della
gente alla fine lo abbia terrorizzato. C'è un limite a
tutto, anche al suo narcisismo»
«Si è preso una vacanza?».
Steve sorride, un sorriso sornione pieno di un certo compiacimento.
«Io direi che se l'è data a gambe»
conclude, trattenendo una risata. Tony Stark non è lo
spaccone egoista che il Capitano credeva, era disposto a sacrificarsi
per deviare il missile nucleare lanciato sulla città, ma
questo non lo rende immune al sarcasmo altrui – come nessuno
è immune al suo, di sarcasmo. Sono giorni buoni per ridere
questi, pensa Steve, nonostante nel mondo ci siano parecchie cose che
vanno a rotoli; ci sono anche minacce peggiori, minacce che loro hanno
sventato e che sventeranno ancora, se ce ne sarà bisogno. E
nonostante tutto, fuori dai finestrini del suv il bosco manda avanti la
sua sinfonia di suoni che sembrano un perfetto inno alla pace.
La casa compare in fondo al sentiero. È piuttosto grande,
con i muri di mattoni e gli infissi di legno, il tetto spiovente
perfettamente rosso sfiorato dai rami delle conifere, è
un'immagine da cartolina.
«Il piano quindi è quello di restartene
qui?» domanda ancora Steve.
Bruce annuisce,
«Beh, mi sembra un posto tranquillo. E ho idea che Fury
verrà spesso a prendere il té e che l'agente
Barton e l'agente Romanoff verranno a portarmi il pancake per la
colazione».
«E io potrei portarti la birra i cheeseburger. E quando torna
Stark potrete farvi lunghe chiacchierate nella vostra lingua da
scienziati pazzi».
Il dottore sorride, un sorriso un po' più largo del solito.
Anche a Steve viene da sorridere, forse è sciocco e
sentimentale ma al momento ha in mente l'immagine di una specie di
grande famiglia.
«Me la caverò benissimo» sentenzia
Banner dando un'amichevole pacca sulla spalla del proprio
interlocutore.
Sì, lui se la caverà. Se la caveranno tutti.
È decisamente l'ora di ridere per un po'.
***
È quasi sera. Il tramonto fa diventare la Laguna una stola
di velluto.
Dalla finestra della sua camera, Nadia osserva un tratto del Canal
Grande attraversato dai traghetti che si fermano davanti alla stazione
di Santa Lucia. Non ha cenato quella sera, non ha fame, vuole solo
uscire a fare un sopralluogo per delle foto, con Casanova che la segue
per un tratto di strada, fino a quando non scivola in un vicoletto dove
c'è di sicuro qualche gattina miagolante ad attenderlo.
Chissà quanti figli ha sparsi per la città dei
Dogi, pensa Nadia ridendo, forse quei gattini in quella casa di
Dorsoduro erano suoi, in effetti avevano tutti gli stessi occhi color
dell'ambra.
La giornata è stata piatta, una di quelle giornate senza
infamia né lode. Peccato solo che non abbia trovato nessuna
occasione per uscire, di solito le piace occuparsi delle commissioni da
sbrigare fuori: andare al mercato di Rialto, fare la spesa, comprare le
sigarette a suo padre. Quel giorno invece è rimasta
inchiodata dietro il bancone della reception a fare la sua parte,
insieme a Sara. Sara che ha finito le superiori e non ne ha
più voluto sapere di libri e insegnati, perché
per Sara restare o non restare inchiodata lì non fa nessuna
differenza. Sara non ha grandi ambizioni, Nadia forse ne ha ma non ha
ancora capito quali sono... la fotografia, certo, ma poi? Dove vuole
andare? Cosa vuole fare davvero? Chi vuole essere?
«Sei un po' fuori tempo massimo per le crisi adolescenziali,
ragazza» borbotta al suo riflesso sullo schermo del computer
portatile spento.
Sente qualcosa di umido e ruvido strusciare contro il dorso della sua
mano destra abbandonata a penzoloni oltre il bracciolo della sedia da
scrivania. Casanova le sta leccando la mano e il bracciale, quello che
ancora non è riuscita a sfilarsi, non ci ha nemmeno
riprovato in realtà, ha scoperto che le piace e ha paura di
usare pinze o qualcosa di simile, non vuole rovinarlo. Semmai dovesse
toglierlo per forza, allora troverà il sistema per farlo,
adesso non ha voglia né motivo di starci a pensare.
Si alza, infila il soprabito leggero. È aprile, la cappa di
gelo del giorno prima sembra solo un ricordo. C'è un vento
tiepido che soffia gentile su Venezia, che non increspa nemmeno l'acqua
del Canale.
Nadia esce, passando dalla porta sul retro. La macchina fotografica
è un peso piacevole a tracolla della spalla, anche se di
sera è improbabile che riesca a usarla a dovere senza usare
dei faretti. Casanova cammina elegante nella scia dei suoi passi, senza
fare rumore.
La chiesa è un blocco bianco che emerge dalla penombra,
all'uscita del vicolo. Non c'è molta gente in strada, non ce
n'è mai troppa in quella zona della città a
quell'ora.
Venezia è bella. Nadia deve riconoscerlo, l'abitudine non
toglie niente allo splendore di quella città, anche se lei
crede che il mondo sia pieno di tante altre cose belle da vedere.
Casanova balza agile e aggraziato su un muretto, la coda diritta, con
la punta che dondola, i suoi occhi brillano leggendo le ombre degli
edifici. Ad un tratto il gatto si arresta emettendo un sibilo, si volta
di scatto e salta giù dal muretto alle spalle di Nadia. La
ragazza ha un sussulto, anche lei si gira, guarda il suo micio rizzare
il pelo, la coda dritta come un palo e gli occhi scintillanti puntati
davanti a sé, le zampe ben piantate sul selciato, le
orecchie tese, quasi come a volerla difendere da qualcuno che sta
tentando di prenderla alle spalle.
Nel silenzio della sera, per qualche secondo si sente solo il soffio di
minaccia del felino argentato.
«Accidenti...». Il qualcuno alle spalle di Nadia fa
un sobbalzo all'indietro, come preso alla sprovvista, spaventato dal
movimento improvviso del gatto.
La ragazza richiama debolmente Casanova che dopo qualche secondo, dopo
aver soffiato e sputato in direzione del nuovo arrivato, abbassa la
coda e scatta di lato, infilandosi in un vicolo e sparendo tra le
ombre.
Ora Nadia fissa il ragazzo, ancora un po' boccheggiante per lo
spavento. E non è il solo ad aver rischiato un infarto.
«Lei? Ma che cosa... che diavolo?» non riesce ad
articolare le parole. Low Key Laufeyson, Loki, o come accidenti si
chiama, prima o poi si beccherà un ceffone o un calcio in
mezzo alle gambe. Sì, le piacerebbe davvero assestargli un
bel colpo, tanto per lasciargli un ricordo di Venezia.
«Scusa», come se le avesse letto nel pensiero, lui
alza le mani in una specie di segno di resa. «E prima che tu
me lo chieda, non ti stavo pedinando».
Nadia non è sicura di aver pensato una cosa del genere, ma
ora che lui l'ha detto quasi quasi comincia a farci un pensierino.
«Buono a sapersi» borbotta, quasi soffiando come il
suo gatto. «E allora stavi pedinando Casanova?».
Smette automaticamente di dargli del
lei, a un certo punto le sembra ridicolo, quanti anni
avrà quel tizio? Ventotto, ventinove? E il suo gatto stava
per sbranarlo. Sì, le formalità possono essere
anche messe da parte.
«Chi?... no, ero uscito per fare una passeggiata. Nemmeno mi
ero accorto che eri tu qualche metro più avanti».
Nadia non sa se crederci. Il modo di parlare di quel ragazzo sembra
così... non sa come descriverlo, ma in quel momento le viene
da pensare che il serpente che era andato da Eva per convincerla a
mangiare la mela dovesse aver avuto più o meno quel tono. Il
tono di un mentitore molto abile. Però, volendo essere
razionali, non avrebbe alcun motivo per mentirle e non le farebbe del
male visto che il suo nome è registrato tra gli ospiti
dell'albergo della sua famiglia, giusto?
«Mi dispiace se il mio gatto ti ha spaventato» dice
Nadia. Se lui non vuole farle del male, lei non ha nessun motivo di non
essere civile e cortese.
Loki si stringe nelle spalle e fa qualche passo verso di lei,
avvicinandosi al cono di luce proiettato da un lampione.
Ora che lo vede meglio, si accorge che si è cambiato i
vestiti, ma il suo abbigliamento non è meno austero. Indossa
una camicia grigio chiaro senza cravatta, il soprabito e i pantaloni
sono di uno strano colore scuro che dovrebbe essere grigio, ma sembra
più una tonalità molto cupa di verde. La sciarpa
di seta invece non l'ha tolta, dev'essere proprio un suo vezzo
personale. E ha anche un colorito molto più sano e un viso
decisamente più riposato.
In un primo momento Nadia si chiede quando è successo che
sia arrivato il suo bagaglio con i vestiti, poi pensa a Sara, al fatto
che aveva ragione, quel tizio ha qualcosa di intrigante e non
è affatto male. Però non ce lo vuole tra i
piedi...
«Quella è una macchina fotografica?»
domanda all'improvviso Loki, indicando la tracolla che le pende sotto
il braccio.
Nadia annuisce sbrigativa. «Io dovrei andare a...
sì, insomma...»
«Posso accompagnarti?».
No, mille volte no.
«Penso che ti annoieresti, Loki. Io sono un po' musona quando
mi occupo di questa roba»
«Non dobbiamo conversare per forza, ma ho lasciato la cartina
in albergo e ho paura di perdermi».
Scuse, ovvio, scuse piuttosto scontate tra l'altro. Ma Nadia non
conosce un modo educato per dire a una persona di non passeggiare in
sua compagnia, oltretutto Venezia è suolo pubblico e se Loki
vuole andare dove va lei non c'è modo di impedirglielo. Tra
l'altro, appurato che il tizio non dovrebbe essere pericoloso
– sulla base di un ragionamento molto approssimativo, che
Nadia non sa fino a che punto sia esatto – potrebbe essere
anche un'occasione per spezzare la routine delle sue passeggiate serali
da sola.
«Per questa volta faccio finta di cascarci, Loki»
conclude la ragazza, con un mezzo sorriso, voltandosi e cominciando a
camminare.
***
La curiosità è la madre di ogni conoscenza. Loki
ne è profondamente convinto, per questo si ritiene un
curioso, perché la conoscenza gli è sempre
interessata, è un potere maggiore della forza bruta e a
differenza di quest'ultima, può essere acquisita da
chiunque. Ed è stata la curiosità a spingerlo a
trascorrere quella giornata a guardarsi intorno, tra gli umani che
vivono in quell'albergo nella città sull'acqua. Per quanto
li ritenga insulsi, Loki non può non essere curioso riguardo
a creature così diverse dalla sua natura, per questo le ha
osservate durante il giorno, mentre la ragazza – che ha
appurato, si chiama Nadia – era impegnata a fare altro e lui
non poteva starle vicino e assorbire energia dalla pietra.
Ha osservato la sua famiglia e alla fine ha concluso che la casa in cui
è cresciuto non è affatto la gabbia di matti
peggiore dell'universo, come talvolta gli era capitato di pensare.
La vita di quegli umani è piena di piccole cose che si
ammucchiano davanti alle cose veramente importanti, fino a seppellirle.
Non ha scoperto granché su Nadia, su come avvicinarla e come
suscitare il suo interesse, ma ha deciso comunque che appena avrebbe
messo piede fuori dall'hotel l'avrebbe seguita.
È stato umiliante fingersi spaventato per quello stupido
gatto e sforzarsi di non apparire seccato quando lei lo ha scoperto.
Per non parlare di quel: «e prima che tu me lo chieda, non ti
stavo pedinando», per i corvi di Odino! Ha detto menzogne
migliori, in circostanze in cui era assai più divertente e
necessario farlo. Però lei se l'è bevuta...
quella del fatto che aveva dimenticato la cartina in albergo e temeva
di perdersi invece no.
Oh, quando tutto questo sarà finito si divertirà
moltissimo a farle pagare tutte queste umiliazioni, e quelle che
verranno. Perché Loki lo sa che ce ne saranno altre.
Ma una cosa alla volta. La pazienza è sempre stata una delle
sue migliori virtù. Ora deve pensare ad arrivare in fondo a
questa serata.
Nadia cammina pochi passi avanti a lui, senza dire niente –
ovviamente non ha nulla da dirgli. La macchina fotografica penzola al
suo fianco. Le piace fare fotografie, quindi. Sì, su Midgard
dovrebbe essere una specie di forma d'arte o qualcosa del genere,
abbastanza simile alla pittura probabilmente. Ah, gli animi artistici,
così pomposi e inutilmente complicati!
Loki cerca di concentrarsi su altro, prima che il suo istinto di
torcerle il collo abbia la meglio. Cerca di concentrarsi sull'enorme
energia che sprigiona dalla pietra e che lui sente aleggiare nell'aria
come un profumo. Gli basta aprire i palmi delle mani, concentrarsi su
quelle onde che attraversano impercettibilmente l'aria, per incanalare
quel potere. È naturale che quell'energia magica scorra
verso di lui e che si lasci assorbire dalla sua pelle, lui è
un asgardiano, lui conosce i misteri di quella forza, e quando ne
avrà raccolta abbastanza...
Quando ne avrai
abbastanza, cosa farai?
Non lo sa, non ci ha ancora pensato. Ma di certo sarà forte
tanto da poter contrastare ogni minaccia, da non dover più
temere che Thor o Thanos lo scovino.
Loki ha totalmente perso la cognizione del tempo, ma le stelle in cielo
ora sono nitide e la luna è una virgola d'argento
perfettamente delineata. E Nadia continua a camminare. È una
buona cosa, vuol dire che avrà ancora più energia
da raccogliere.
«Hai cenato?» domanda all'improvviso la ragazza,
fermandosi di colpo al margine di una piccola piazza. Nell'aria
c'è un odore zuccheroso e gradevole, ma lui non ha tempo per
queste cose. Lui è un dio, non ha bisogno di nutrirsi
così spesso come gli umani.
«No, non sono particolarmente affamato» risponde.
Nadia ridacchia sommessamente. Cosa diamine ci troverà da
ridere?
«Ma qui non si sta parlando di fame. Si sta parlando di
tentazione calorica».
Loki non ha idea di cosa lei stia dicendo, non vuole nemmeno saperlo,
vuole continuare a camminare in silenzio ed essere lasciato in pace a
fare ciò per cui è venuto.
«Crema o cioccolato?» insiste lei e gli sorride.
Maledizione, potesse stringere una mano intorno a quel collo e
cancellarle quel sorriso dalla faccia!
«Come dici?» si ritrova invece a mormorare con un
mezzo sorrisetto spaesato che lo fa sentire un perfetto idiota.
«Uhm, sei più tipo da crema tu». Detto
questo Nadia si allontana in direzione di un negozietto davanti al
quale se ne sta raccolto un crocchio di ragazzi, con in mano del cibo
avvolto in tovaglioli di carta. Sul manifesto accanto alla porta del
negozio c'è scritto: aperto fino a mezzanotte –
bomboloni caldi.
Bomboloni.
A Loki la parola fa venire in mente qualcosa di molto grande e
minaccioso. Qualcosa di... qualcosa di enorme, verde e arrabbiato. Il
solo ricordo basta a fargli venire male in tutte le ossa, quel
maledetto mostro dissennato!
Nadia riemerge dal crocchio di ragazzi con in mano due cartocci.
«Tieni» gli dice allungandogliene uno. Loki lo
afferra, senza provare nemmeno a opporsi o a fare domande, non
servirebbe, la ragazzina è esuberante e sicuramente cocciuta
e insistente. Andrebbe d'accordo con Thor, senz'altro. Pensa spesso a
lui, ci pensa più spesso di quanto vorrebbe, ci pensa ogni
volta che è irritato per qualcosa.
«Grazie» dice poco convinto, guardando il cibo
avvolto nella carta. È qualcosa di tondo e soffice, coperto
di zucchero e odora di buono, e lui davvero non ha tempo per queste
cose. Ma visto che in quei giorni il suo tempo sarà quello
della ragazza umana, tanto vale abituarcisi.
Si siedono su una panchina di pietra fredda. Freddo come il vento che
soffiava nella desolazione di Jotunheim, come il suo stesso sangue.
Loki si rende conto di quanto la sua mente sia fragile alle volte, di
come certi ricordi dolorosi e molesti riescano a riaffiorare in
superficie con troppa facilità, senza che lui possa fare
niente. Stringe le mani che sente gelide attorno al cartoccio caldo.
Assaggia.
Beh, non tutto il cibo in quel posto fa schifo.
«È buono» si trova costretto ad
ammettere. Un po' perché gli viene spontaneo, un po'
perché ora che è distratto e non riesce ad
assorbire l'energia della pietra il silenzio gli da quasi fastidio e i
ricordi di cui è popolato gli fanno paura.
«Sembri stupito. Non hai mai mangiato un bombolone in vita
tua?» chiede Nadia.
«Sarebbe così strano?». Loki sente i
granelli di zucchero attaccarsi al bordo delle labbra.
Nadia sgrana gli occhi,
«Sei un vampiro?» le chiede, fingendo un'aria
spaventata.
«No, direi di no».
«Se lo fossi, diresti di no comunque».
«Allora immagino tu non abbia altra scelta che prestare fede
alla mia parola» conclude lui.
La ragazza inclina la testa,
«Mah, considerando che ti ho visto mangiare, posso anche
sincerarmi da sola che tu non sia un vampiro» asserisce,
arricciando le labbra.
«Molto logico. Perché la mia parola non ti
basterebbe, dico bene?».
Ora Nadia sta aggrottando le sopracciglia in un'espressione da
combattimento verbale.
«Mi hai mentito prima. La scusa della cartina dimenticata in
albergo era abbastanza triste e tu mi sembri un ragazzo
intelligente» borbotta. Non è risentita, ci tiene
solo a precisare che non è stupida.
«Quindi o soffri di solitudine o forse entro mezzanotte mi
avrai fatta a pezzi e gettata nel Canale».
Sarebbe allettante...
«Non voglio farti a pezzi e gettarti nel Canale».
Non entro la
mezzanotte di oggi, almeno...
Ora c'è qualcosa di dolce nel sorriso di Nadia, la guerriera
ha abbassato le armi. Come sono materne le donne su Midgard, si
inteneriscono per niente. Soffrire di solitudine, lui? Che sciocchezza!
«Sei una specie di trafficante, un terrorista in fuga, un
criminale che si sta nascondendo?».
Loki stavolta non riesce a capire fino a che punto la domanda della sua
interlocutrice sia seria e fino a che punto lei stia solo scherzando.
In realtà è un po' tutte quelle cose messe
assieme, secondo la logica umana, e Nadia forse davvero non
è stupida. Ma lui è il dio dell'inganno, lui
sorride nel modo più amabile e convincente che riesce a
trovare.
«Certo che no» dichiara, riuscendo a mantenere la
voce perfettamente ferma, il suo sguardo puntato in quello della
ragazza. «Ma visto che non ti fidi della mia parola, sei
libera di continuare a pensare che potrei esserlo».
Gli crede, evidentemente, perché fa una specie di cenno di
assenso e gli fa un altro sorriso.
Finiscono di mangiare il dolce in silenzio. Nadia ha l'aria di una che
avrebbe ancora molte domande da porre ma non lo fa, per educazione
forse, o magari perché anche lei è stanca di
parlare. Loki pensa che se vivesse in una casa come la sua sarebbe
stanco anche lui di avere a che fare con le altre persone.
Si alzano dalla panchina, si addentrano in vicoli deserti e stretti
dove sono i gatti randagi a farla da padrone. La luna getta un
riverbero argenteo sul ciottolato levigato e reso irregolare dalle
maree, nel silenzio si sente solo lo sciabordio leggero dell'acqua che
scorre sotto i ponti e contro gli argini.
Nadia si ferma di colpo alla fine di un vicolo cieco, dove
c'è una casa con le finestre prive di vetri. Si avvicina a
quell'edificio con aria sorridente e osserva la porta chiusa da una
trave inchiodata alla buona.
«Devi entrare lì dentro?» domanda Loki.
«Sì, credo proprio di sì». Lo
dice come se fosse un infante che sta scegliendo il giocattolo nuovo da
farsi regalare per il suo compleanno, sembra entusiasta.
«È un rudere». Loki si sente in dovere
di ribadire l'ovvio visto che lei non sembra molto conscia della cosa.
«Certo»
«Quindi tu fai fotografie alle case in rovina».
Nadia interrompe la sua ispezione dell'edificio fatiscente e si volta
verso di lui, facendo cenno di sì con la testa.
«E, dimmi, queste tue fotografie riscuotono molto
successo?»
«Intendi di recente?» borbotta lei mordendosi il
labbro.
«Come immaginavo».
La ragazza si volta di scatto, ha di nuovo quell'espressione
corrucciata e sta incrociando le braccia sul petto.
«Tutto il mondo fotografa la parte bella di Venezia, io
fotografo posti come questo. Mi... mi piacciono le cose
spezzate» dice, agguerrita come l'intero esercito di Asgard.
«Bene. Se la cosa ti aggrada, fai pure» borbotta
Loki, fingendo persino una certa arrendevole complicità. No,
decisamente non ha voglia di mettersi a questionare sui discutibili
gusti di quella stramba umana, ma quando la vede sollevare l'anta di
legno di una finestra e arrampicarsi per scavalcare il davanzale,
strabuzza gli occhi perplesso.
Sta pensando a una trave che si stacca e che le cade in testa. Sta
pensando a lei che muore con il cranio fracassato. Sta penando alla
pietra che si spegne per sempre e a se stesso che rimane inchiodato
lì senza risorse. Brutti, bruttissimi pensieri.
Loki si lancia verso il davanzale, pianta i palmi delle mani sul
parapetto di marmo e si da una spinta.
«Che stai facendo?» borbotta la ragazza a mezza
voce.
«Se ti dovesse capitare qualcosa, non saprei come ritrovare
la strada per tornare in albergo» replica lui, atterrando con
un balzo agile sul pavimento di pietra impolverata.
«Molto premuroso, grazie».
La ragazza armeggia con qualcosa che ha estratto dalla custodia della
macchina fotografica. Una specie di torcia con una manovella che Nadia
ora sta facendo girare energicamente, producendo uno strano ronzio.
La torcia si accende, una bolla di luce incerta illumina l'interno
della casa fatiscente. I muri sono spogli, corrosi dal tempo. Mattoni
rossi sono visibili sotto l'intonaco scrostato del soffitto.
A terra sono disposti alcuni materassi vecchi, coperte, vestiti
strappati ammucchiati negli angoli a prendere polvere. L'aria sa di
chiuso e di sporco.
Loki si chiede se non sia più semplice prendere in ostaggio
la famiglia della ragazza per obbligarla a starsene ferma e lasciargli
assorbire l'energia della pietra. Ma la famiglia di Nadia ha un
maledetto albergo, è circondata di persone, sarebbe troppo
complicato e richiederebbe troppa fatica.
«Se ne sono andati davvero» mormora all'improvviso
la ragazza, strappando il dio dell'inganno alle sue elucubrazioni.
«Sì, me ne andrei anche io da un posto come
questo» si ritrova a ribattere lui con un sospiro spazientito.
«Qui ci vivevano degli zingari che per non so quale ragione
erano stati cacciati via dal loro campo» spiega Nadia.
Loki si rende conto che sta per ascoltare una storia insulsa, noiosa e
inutile.
«Interessante» mormora distrattamente, guardando un
grosso ragno risalire lungo un pilastro scoperto.
«Per un po' sono stati qui, c'erano anche dei bambini. Gli ho
portato da mangiare e in cambio loro si sono lasciati scattare delle
foto».
La ragazza scatta foto di relitti umani dentro a relitti di edifici.
È parecchio perversa.
«Ne è venuto fuori un servizio fotografico
stupendo, una cosa che nessuno ha mai fatto» insiste Nadia
stringendo i pugni. La luce della torcia si sta affievolendo.
«Ne sono certo» annuisce Loki, reprimendo uno
sbadiglio.
«Ma quella testa di cazzo del gallerista ha detto che non lo
esporrà, perché non è idoneo. Idoneo,
così ha detto. Perché la gente quando pensa a
Venezia deve poter vedere i monumenti e le gondole e i piccioni... sai
che ti dico? Che si fottano i piccioni!».
Oh, e così la piccola Nadia ha anche un lato scurrile, basta
solo farla surriscaldare un po'.
«Che si fottano i piccioni» ripete Loki.
Lei scoppia a ridere, ride anche lui. Ridono entrambi, di gusto, ma per
motivi ben diversi.
____________________________________________
Note, varie ed eventuali:
Cinque
minuti di sentimentalismo, affidati al buon Cap., l'idea di fondo
sarebbe quella di far vedere un po' tutti i Vendicatori nei vari
capitoli, prima che vengano inseriti nella trama principale
(perché
loro saranno inseriti
nella trama principale) della storia, anche
perché di solito, quando scrivo una fanfiction su un film
è perché
io amo TUTTO del film e quindi, chi più chi meno anche tutti
i suoi
personaggi. E mi piaceva mostrare Steve e Bruce (per il quale ho
un'enorme tenerezza) in un momento di normalità, intenti a
fare
pensieri sereni.
E sì,
anche un momentino di sciocca normalità e non-prendiamoci-troppo-sul
serio tra Nadia e Loki volevo proprio scriverlo.
Perché in seguito
non ci saranno più molte occasioni.
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Capitolo 5 *** Capitolo quarto ***
Capitolo quarto
Il pub è affollato, l'aria è carica del
chiacchiericcio – nemmeno troppo sommesso – dei
presenti. Meglio: un po' di confusione aiuta a confondersi in modo
migliore, a sparire più facilmente se si vuole. Certe regole
valgono sempre, non importa se è un sabato sera di relax in
cui non è previsto che accada niente di
preoccupante.
Tump. La
prima freccetta va a segno, al centro esatto del bersaglio di sughero.
Tump. La
seconda si va a conficcare nel retro della prima.
Clint prende tra le mani la terza freccetta, sicuro di centrare il
colpo anche questa volta. Tiene tra l'indice e il pollice il cilindro
di plastica, prende la mira, tira indietro la mano e fa per lanciare...
«Non ti annoia mai?». La voce alle sue spalle lo
distrae. La terza freccia si conficca qualche centimetro più
in basso delle altre. Clint Barton, Occhio di Falco, agente speciale
dello S.H.I.E.L.D., super tiratore e – se le circostanze lo
richiedono – supereroe, odia mancare il bersaglio per questo
si impegna affinché non accada.
«No, Natasha. Se mi annoiassi non lo farei» dice
pacato alla donna seduta al tavolo alle sue spalle. A proposito di
bersagli mancati, per l'appunto.
Clint torna a sedersi vicino alla sua collega e beve un lungo sorso di
birra. Il direttore Fury deve aver pensato che fossero davvero provati
dalla loro ultima impresa se gli ha concesso un po' di tempo per...
bah, per fare cosa Clint ancora non l'ha ancora capito. Cosa si aspetta
che facciano due sicari di un'associazione segreta quando non sono in
missione, tornei di Cluedo?
Però, se ci pensa, l'ultima missione è stata
davvero un brutto colpo. Anche sorvolando sul fatto di essere finito a
fare la marionetta nelle mani di Loki, quella voragine aperta in mezzo
al cielo dalla quale piovevano alieni armati ed enormi creature
mostruose non è un ricordo piacevole. E ancora meno
piacevole è il ricordo di quando Loki ha fermato con una
sola mano la freccia che puntava al suo occhio. Spera che nel suo
pianeta... mondo... universo, lì fra le nuvole, dovunque
sia, gliela stiano facendo pagare a quel figlio di puttana!
«Ci stai di nuovo pensando» afferma Natasha, con la
sicurezza che la contraddistingue.
Clint finge di non capire, di non aver sentito; beve un altro sorso dal
bicchiere, ma Natasha non è una che molla.
Gli tiene gli occhi puntati in faccia, come i mirini di un bazooka.
Attende una risposta, la pretende.
«Vorresti farmi credere che tu non ci pensi mai?»
cede l'agente Barton, inclinando la testa di lato.
Le dita della donna si stringono nervosamente attorno allo stelo del
bicchiere da cocktail, tanto che per un attimo lui si aspetta di
sentire lo scricchiolio del vetro che si spezza.
«Se pensassi a quello che è stato, tutte le volte
che accade qualcosa... i pensieri sono un lusso che non possiamo
permetterci» sentenzia lei laconica.
Ha ragione, è innegabile, eppure Clint si sorprende a
pensare che per questa volta non sta dicendo ciò che lui
voleva sentirle dire.
«Evitare una catastrofe mondiale non capita tutti i
giorni»
«Hai intenzione di fare lo spaccone per questo? Forse
può funzionare con le ragazze».
Clint ridacchia sommessamente.
«Anche con i ragazzi. Sai, non tutti considerano una
dimostrazione d'affetto un colpo che procuri una commozione
cerebrale» replica scherzoso.
«Quella non era una dimostrazione d'affetto»
«Lo è stata il non uccidermi?».
Natasha distoglie lo sguardo, come se le ultime due dita di cocktail
sul fondo del bicchiere siano diventate all'improvviso la cosa
più interessante del mondo.
«Almeno adesso siamo pari» mormora poi continua a
bere tranquillamente il suo mojito.
***
Sara è sul terrazzino a fumare una sigaretta. Da
lì guarda l'interno della hall, con il via vai mattutino dei
clienti.
Soffia verso l'alto una stringa di fumo, mentre un gabbiano plana nel
rettangolo di cielo visibile tra i tetti delle case, una porzione di
azzurro terso e senza nuvole. C'è un bel silenzio riposante
e c'è una frescura piacevole, quella dell'ombra della pietra
vecchia che si respira nei vicoli meno affollati di Venezia.
Sara non capisce perché Nadia sia sempre così
inquieta, perché si affanni tanto per non restare
lì. Non ha mai detto davvero che vuole andarsene, ma lei lo
sa, altrimenti perché sua sorella avrebbe fatto tutti quegli
sforzi per fare altre
cose. Sara davvero non riesce a capire; quella
è la loro vita, la loro casa, la loro famiglia... ah, ma
Nadia è sempre stata diversa. Nadia ha sempre avuto i suoi
romanzi – fino a qualche anno fa ci si perdeva proprio, la si
poteva trovare assorta con un libro tra le mani e lo sguardo assente,
lontano – e ha avuto la sua musica, quella pesante, dei
cantautori italiani e i musical internazionali. A Sara i musical fanno
venire sonno, l'unico che sia riuscito a guardare una volta
è stato Moulin Rouge...
One day I'll fly away,
leave all this to
yesterday...
Sembrava l'avesse scritta Nadia quella canzone. Sara aveva osservato le
labbra della sorella ripetere a memoria le parole mentre Nicole Kidman
cantava sullo schermo, e allora aveva capito.
Anche se ha sei anni meno di lei, anche se non riesce a non essere la
bambinona della casa e ci sono poche cose che capisce davvero a fondo,
ma una di queste è proprio Nadia, per l'appunto. Capisce
lei, capisce il suo sguardo che si spegne mentre la mamma parla di
fatture e computer nuovi e costi del personale. Ma non capisce la sua
voglia di qualcosa di diverso, non capisce la ragione di lottare tanto
per avere qualcosa quando quello che ha è già
abbastanza.
Perché Sara potrà anche essere una bambina, ma li
ascolta anche lei i telegiornali e lo sa quello che sta succedendo. La
Crisi, la politica che è uno schifo, gli imprenditori che si
suicidano... i suoi amici ci riempiono le loro bacheche di facebook con
link su questa roba. E allora perché Nadia non vuole
restarsene nel loro porto sicuro, perché sembra sempre
così pronta a lasciare una certezza per mille incognite?
Forse Nadia è una stupida, alla fin fine. O forse Nadia
è quella coraggiosa e lei, Sara, è la vigliacca.
Ma evidentemente sua sorella non vuole andarsene davvero, forse non
è ancora pronta a spiccare il volo e per quanto tenti di
sbattere le ali, quelle sono ancora troppo deboli per portarla via da
lì.
Sara le vuole bene, un bene dell'anima. E in nome di questo affetto non
sa se augurarsi che lei rinunci a questa idea di farsi un'altra vita o
se sperare che riesca in tutto ciò che si prefigge.
La ragazza spinge il mozzicone sul fondo del pesante posacenere di
marmo appoggiato alla ringhiera. Entra dentro e quando apre la porta i
rumori della hall la investono come una folata di vento. È
la sua vita, la loro vita, cosa c'è che non va?
Oh, guarda chi c'è, il ragazzo della numero 7, quello bello
e inquietante con il nome strano.
Sara ha visto lui e Nadia tornare in hotel insieme la sera prima. Sono
tornati tardi, lei li ha visti solo perché era andata in
cucina a prendere dell'acqua. Non è che sembrassero
particolarmente affiatati, lui sembrava pensieroso e con la mente
altrove, a lei di certo non brillavano gli occhi, ma quando mai
è capitato che Nadia passasse del tempo con un cliente
dell'albergo? Del resto, quando mai ha avuto motivi per farlo?
Sara sorride tra sé e sé e pensa che provare a
parlare con quel tizio non sarebbe male. Così, tanto per
cercare di capire che tipo è. Nadia diceva di trovarlo
inquietante eppure ci si è fatta una passeggiata assieme di
sera tardi – ammesso che non sia successo anche dell'altro.
L'espressione della ragazza passa dal sarcastico allo sgomento.
No, decisamente Nadia
non è il tipo...
Il ragazzo, Low Key Laufeyson, è seduto su una poltrona di
velluto. Sara più lo guarda e più le piace,
cioè ha proprio un atteggiamento da piccolo lord, sembra
uscito da una fotografia vittoriana. È alto ma non
particolarmente robusto, eppure c'è qualcosa di imponente
nella sua figura, come nel ritratto di un re. E c'è davvero
qualcosa di regale nel modo in cui se ne sta seduto, composto, come se
cercasse di occupare il minor spazio possibile, con il giornale tra le
mani aperto alla pagina dell'enigmistica, lo sguardo concentrato,
probabilmente a cercare di ricordarsi la risposta alla definizione del
1 orizzontale.
«Grossman» gli dice lei, avvicinandosi.
Lui solleva la testa di scatto, le dita affusolate si stringono attorno
alle pagine. Forse lo ha spaventato o lo ha infastidito, o forse voleva
arrivarci da solo a ricordarsi quel nome. Ma non c'è nessuna
nota di fastidio nella sua voce mentre le chiede,
«Come dici?». C'è giusto una punta di
freddezza, ma forse è solo per gli occhi straordinariamente
azzurri.
«La definizione, il primo orizzontale: il David scrittore. La
risposta è Grossman, me lo ha detto Nadia, stavo facendo
anche io quel cruciverba stamattina» spiega Sara, un po' in
imbarazzo. Magari andargli a parlare non è proprio una buona
idea, adesso passerà per la bimbetta imbranata e
fastidiosa... accidenti. Di sicuro Nadia non deve essergli sembrata
imbranata e fastidiosa!
Più che altro, il ragazzo la guarda come se non avesse idea
di cosa lei stia dicendo. Sara si sente in dovere di riparare a quella
figuraccia e tornarsene nel suo angolino ad arrossire e a rimuginare su
quanto è stata stupida.
«Pensavo stesse facendo ehm... il cruciverba. Mi
scusi» farfuglia sentendo il rossore già affiorare
in ondate di caldo sulle guance.
Ma il ragazzo le sorride. Cioè, non è proprio un
sorriso... lo definirebbe più che altro un ghigno gentile.
Ripiega il giornale in grembo e la guarda.
«Non c'è niente di cui scusarsi»
mormora, con la sua voce pacata e carezzevole. «A proposito
di Nadia, sai dirmi dov'è? Mi aveva promesso di procurarmi
una cartina di Venezia con i percorsi delle imbarcazioni
pubbliche».
Imbarcazioni pubbliche?
Sta parlando delle linee dei traghetti, suppone Sara. Sì,
è decisamente uscito da una foto vittoriana. E comunque, le
ha chiesto di Nadia, subito, nel giro di una manciata di parole. Lei
non sa se ridacchiare o essere un po' invidiosa.
«Nadia è una randagia» risponde con un
sorriso ironico, scuotendo la testa. «Adesso non saprei
proprio dov'è, forse a Rialto, forse a guardare qualche
chiesa cercando qualche particolare da fotografare. Se ne sta in giro
più che può, io credo che non le piaccia troppo
stare qui dentro».
«Oh. Davvero?» Low Kay si guarda attorno con aria
teatrale. «Non mi sembra affatto un posto così
brutto».
Infatti non lo
è, ma a Nadia non piace perché Nadia
è...
«Nadia è sempre stata un po'...»
Strana, diversa,
ambiziosa... presuntuosa.
Sara deglutisce, deve fare attenzione a come parla di sua sorella con
un estraneo, potrebbe venire fraintesa.
«Nadia è sempre stata un po' più
incline ad altre aspirazioni. Non credo voglia fare
l'albergatrice» risponde semplicemente, ma non c'è
più il sorriso sulla sua faccia, lo ha sentito andare via
come una fiamma di candela sulla quale qualcuno ha soffiato.
«No? Penso che per fare questo mestiere ci vogliano certe
doti, in effetti» replica Low Kay.
Sì, ci
vogliono certe doti che Nadia non ha, io invece ce le ho. Ho molte
più doti di lei, eppure tutti mi credono una bambina!
«Ad ognuno il suo» conclude con un'alzata di
spalle, scacciando via quei pensieri astiosi che proprio non sono da
lei. «Le auguro buona giornata, signor Laufeyson».
«Anche a te».
Sara indugia qualche secondo. Non la chiama per nome, non se lo
ricorda, di certo. Però si ricorda quello di Nadia, lei
voleva parlare con lui per il semplice gusto di parlare qualche minuto
con un bel ragazzo – che male c'è? E invece hanno
parlato di Nadia.
La ragazza si stropiccia il viso con le mani, chiedendosi cosa sia
quella sensazione di freddo che sente stringerle alla bocca dello
stomaco.
***
Loki appoggia il giornale sul tavolino e si alza, lisciandosi il
tessuto del soprabito scuro.
Ha capito che è inutile starsene lì ad aspettare
Nadia. Potrebbe rintracciarla cercando di captare l'energia della
pietra, ma se spuntasse di nuovo all'improvviso sul suo cammino lei
potrebbe cominciare a insospettirsi.
Di questo passo, impiegherà un'eternità a portare
a compimento il suo piano. Ma non ha altra scelta.
Osserva con la coda dell'occhio la ragazza più giovane, di
cui ignora il nome, allontanarsi verso le scale. Quando l'ha vista
avvicinarsi ha pensato subito che potesse essere una buona occasione
per sapere dove era Nadia e magari per avere qualche informazione su
come attirare in qualche modo il suo interesse, ma non è
stato un gran colpo. Tutto quello che ha capito parlando con la
ragazzina è che lei prova una specie di attrazione nei suoi
confronti. È stato divertente sentirla farfugliare e vederla
arrossire, ma la cosa non lo fa sentire affatto lusingato, gli fa solo
apparire la natura umana un mistero ancora più insondabile
– e quasi esasperante, se avesse il tempo e la voglia di
fermarsi a rifletterci su.
E a un certo punto ha visto le ombre nello sguardo della ragazzina,
quando parlava della sorella maggiore. Ombre di invidia, di
incomprensioni non sanate, di distanze mai colmate.
Forse è il destino di tutti i fratelli minori, pensa con un
sospiro, mentre un vento leggero smuove le poche nuvole che macchiano
il cielo. Però si è divertito a vedere quelle
onde incupirsi parola dopo parola, pensiero dopo
pensiero.
Certo, la ragazzina non arriverà mai a odiare la sorella
maggiore, non permetterà mai a quelle ombre di avere la
meglio, perché è una debole, perché ha
bisogno di sapere che Nadia ci sarà nella sua vita, a
posarle la mano sulla spalla ed aiutarla dall'alto della sua
superiorità. Si ricorda di tenerlo a mente, nel caso in cui
avesse bisogno di smuovere la piccola fotografa: sua sorella sarebbe
un'eccellente leva sulla quale fare pressione. Nadia si piegherebbe di
sicuro per la ragazzina. Perché lei è buona e
può permetterselo, perché lei è amata
e può regalarle qualche spicciolo di luce quando non
è troppo impegnata a crogiolarsi nelle sue vittorie facili.
Come ha fatto suo fratello...
Fratello.
La parola gli sibila nella mente come il rumore delle spire di un
serpente. La parola che non riesce a staccare da quel nome,
da quei ricordi, da giorni lontani che gli pesano nella mente come
vestiti carichi di pioggia.
Fratello. Famiglia. Casa.
Tutte cose di cui non ha bisogno, vi ha rinunciato molto tempo fa.
È un dio, e in quanto tale può bastare a se
stesso, ma per quanto potere possa ottenere, per quanto bene possa
nascondersi dai suoi nemici, non può niente contro la
prepotenza di quel ricordare che arriva di soppiatto e lo fa fremere di
rabbia. Una rabbia glaciale, che si mescola al freddo del suo stesso
sangue.
Loki alza lo sguardo sulla grande cupola di rame del tempio –
è certo che in quel posto i luoghi di culto non vengano
più chiamati in quel modo, ma ora non rammenta il termine
esatto.
È sempre la curiosità che lo spinge a varcare la
soglia dell'edificio circolare. Oltre i grossi battenti dell'ingresso
c'è un silenzio che sembra indotto da un incantesimo e un
odore dolciastro di fiori che appassiscono, insieme a un sentore di
cera bruciata e di incenso che ristagna nell'aria immobile.
Loki cammina tra le file di panche di legno, sfiorandone gli schienali
con la punta delle dita. Il ticchettio dei suoi passi come unica
compagnia.
Alza lo sguardo al di sopra dell'altare coperto da una tovaglia bianca
e osserva la croce. Che religione è una che sceglie come
proprio emblema un antico strumento di tortura?
Quel luogo di culto è un posto triste, gli sembra vuoto. In
quello strano mondo gli uomini non temono gli dei, cantano per loro e
accendono candele, i loro altari sono immacolati, il sangue del
sacrificio non li ha mai sfiorati. Credono in un dio che muore per loro
invece che combattere.
L'odore di fiori e cera bruciata gli arriva a zaffate, come un olezzo
insopportabile. Loki si volta, quasi stizzito, fa per uscire, ma si
ferma davanti a una specie di grosso catino circolare pieno per
metà di acqua. Guarda la superficie liscia del liquido
perfettamente trasparente, si riescono a vedere le venature del marmo
sul fondo del recipiente.
Loki stende una mano, la passa a pelo d'acqua; sotto il suo palmo si
forma uno strato di ghiaccio spesso e lucido. Sorride il dio
dell'inganno, mentre si allunga a spiare la sua immagine sulla
superficie gelata e, nonostante indossi ancora gli abiti da terrestre,
si vede riflesso con le insegne del suo potere e del suo rango che
rifulgono di luce dorata.
***
Nadia scende dal traghetto, reggendo tra le braccia un ingombrante
sacchetto della spesa pieno di verdura fresca.
Nella tasca posteriore dei jeans ha la cartina di Venezia con le linee
e gli orari dei mezzi pubblici del centro storico, se l'è
fatta dare alla fermata di piazza San Marco.
C'è un'afa quasi estiva nell'aria, il gelo improvviso che ha
soffiato sulla città due giorni prima sembra un ricordo
lontanissimo. Ora invece è come se su Venezia si sia
precipitata un'estate inaspettata.
Il cielo era talmente terso che dalla piazza si scorgeva netto
all'orizzonte il profilo dell'isola di San Michele. Le strade erano
affollate, una Babele di lingue, con i turisti dei paesi del nord
già in canottiera e pantaloncini.
Nadia ha addosso uno strano senso di buon umore quel pomeriggio. Ha
passato una mattina in giro per le strade, ha incontrato un paio di
amici per un caffè e ha scoperto che alla Corte dell'Angelo
ricominceranno i concerti di musica jazz quella settimana, e lei vuole
assolutamente andarci. Non pensa più al malumore di qualche
giorno prima; non che le sia passata da un momento all'altro,
semplicemente si è detta che per un po' metterà
da parte tutti i pensieri poco salutari per il benessere del suo
fegato. Non ha voglia di continuare ad angustiarsi perché le
cose non vanno come vorrebbe, per un po' vuole solo deporre le armi e
stabilire un armistizio con la sua vita, solo per un breve periodo
magari, ma ne ha davvero bisogno. Forse, una volta che si
sarà riposata, una volta che avrà smesso di
rimuginare sulle cose andate male, riuscirà ad affrontare
meglio le battaglie che verranno.
Affonda il viso nel sacchetto inspirando l'odore di frutta fresca e
basilico.
Cucinerà lei a cena, farà gli spaghetti con il
pomodoro fresco che tanto piacciono a Sara, e le scaloppine come le ha
insegnato suo padre. E non se ne andrà in giro per la
città di sera, resterà a casa, con la sua
famiglia perché è giusto che ogni tanto lei resti.
Entra in casa dalla porta sul retro, l'ingresso privato all'abitazione
della famiglia Berton. Mette i rametti di basilico in un bicchiere con
dell'acqua, perché si conservino freschi. Separa la frutta
più matura da quella ancora un po' acerba – la
prima nel frigo, la seconda nel cestino sopra al davanzale della
finestra.
Casanova compare sulla soglia, si mette a sedere sulle zampe posteriori
e segue i suoi movimenti con gli occhi dorati. Sa che la sua padrona
non vuole che entri in cucina, un animale in cucina non è
igienico, e lui obbedisce, anche se sa che la sua padrona non lo
picchierebbe mai con il giornale o con la scopa.
«Sì, gatto ingordo, ho qualcosa anche per
te» dice Nadia, mostrando un pacco di carta cerata che odora
di mare e pesce fresco.
Casanova si lecca il muso e tende il collo con aria interessata, dando
qualche colpetto con la coda sul pavimento in segno di approvazione.
Nadia sorride compiaciuta, poi si ricorda della cartina nella tasca
posteriore dei jeans.
«Però prima devo andare a portare questa al tipo
strambo» dice.
Il gatto la segue mentre esce dall'appartamento e entra nella hall,
imbocca le scale e sul pianerottolo si imbatte in Sara.
«Ehi, stasera cucino. Pasta con il pomodoro fresco»
le dice, strizzandole l'occhio.
Sua sorella la guarda con un'aria stranamente crucciata,
«Oh, bene. Io stasera esco» risponde sbrigativa.
«Ma come? E io che volevo cucinare»
«Esco» ripete Sara scrollando le spalle.
«Non sei certo la sola ad avere cose da fare fuori di
qui».
Non le dà tempo di replicare, la sorpassa e si allontana.
Nadia si volta, guardandola sparire giù per i gradini di
moquette. Ogni tanto sua sorella ha ancora qualche rigurgito di crisi
adolescenziale, ma non era mai stata così fredda con lei
prima.
Nadia decide di lasciar perdere, terrà d'occhio Sara nei
prossimi giorni e se ci sarà qualcosa che non va ne
parlerà, perché sono sorelle, possono parlare e
risolvere qualsiasi cosa.
Arriva al secondo piano. Si ferma davanti alla camera numero 7 e si
chiede se Loki sia dentro. Non gli ha chiesto che ci fa a Venezia, non
gli ha chiesto un sacco di cose. Avrebbe potuto azzardare qualche
domanda la sera prima, ma ha avuto come l'impressione che lui fosse
stanco, stanco di una stanchezza che anche lei prova spesso... stanco
del mondo. Che avesse bisogno solo di camminare in silenzio, respirando
l'aria salmastra e un po' umida della sera. E chi è lei per
privarlo di questa necessità, sapendo bene come alle volte
certi bisogni possono diventare pressanti?
Pensa che se non è in camera si limiterà a
infilargli la cartina sotto l'uscio della porta. Lo stesso uscio che
Casanova ora sta annusando circospetto.
Nadia allontana il gatto spingendolo piano con il collo del piede e
bussa.
Loki c'è, le apre la porta, sorride.
«Ben trovata» dice. Chissà
perché, ma la ragazza non si aspettava un ciao, troppo poco
aristocratico per lui, evidentemente.
Nadia sta per rispondere al saluto, ma Casanova lancia un miagolio
acuto e vibrante e scatta in avanti, soffiando, mettendosi tra lei e il
ragazzo.
Loki abbassa lo sguardo sul gatto, stavolta non sembra spaventato,
stavolta lo guarda con freddezza, come se potesse ucciderlo con
un'occhiata da un momento all'altro. Anche Nadia ora vorrebbe uccidere
il suo adorato micio, in realtà.
«Casanova, via!» esclama interdetta.
Il gatto miagola, come se cercasse di lanciarle un monito, frusta il
pavimento con la coda d'argento.
«Ho detto: via!». Nadia alza la voce. Non ha mai
voluto farlo castrare, le è sempre sembrata una barbarie, ma
forse è il caso che cominci a prendere in considerazione
l'idea.
Casanova ritrova lentamente il suo contegno da felino domestico, fa
oscillare la testa spostando lo sguardo di ambra tra la sua padrona e
l'ospite che tanto gli è antipatico, poi lancia un ultimo
debole miagolio di protesta prima di allontanarsi.
Nadia si passa una mano sul viso, lancia verso Loki uno sguardo
mortificato.
«Mi dispiace... non è mai stato aggressivo con
nessuno» dice, scuotendo la testa. «Ero venuta a
portarti questa».
Gli porge la cartina, Loki si sposta di lato.
«Vuoi entrare?» le chiede.
No, preferirebbe proprio di no. Non è molto professionale, e
poi deve andare di sotto a cucinare.
Ma Loki è... sembra ancora così stanco. E forse
è anche stanco di starsene lì da solo. Nadia lo
guarda chiedendosi se abbia una casa dove tornare.
Certo che ce l'ha,
perché non dovrebbe?
«Ho da fare. Dovevi dirmi qualcosa?» dice varcando
la soglia.
Loki chiude la porta alle loro spalle. Nadia lancia uno sguardo veloce
in giro per la stanza: sembra che non ci sia stato nessuno. Nemmeno una
sedia è stata spostata, non sono state aperte neanche le
tende. La ragazza sa che non dovrebbe essere lì e che il suo
istinto materno che l'ha portata a intenerirsi per la silenziosa
solitudine di quel tizio dovrebbe essere messo da parte nelle occasioni
future.
«Non vorrei approfittare della tua gentilezza»
esordisce Loki. «Volevo solo chiederti se puoi indicarmi una
biblioteca, dovrei fare delle ricerche».
«È per questo che sei a Venezia, per una
ricerca?», la domanda le scappa di bocca senza che Nadia
riesca a trattenerla.
Negli occhi di Loki si accende una scintilla di divertimento,
«Direi proprio di sì» le risponde con
uno strano sorriso.
Nadia prende la biro con il nome dell'albergo appoggiata sul tavolino
assieme ai fogli intestati, apre la cartina e la spiega sul piano di
legno smaltato.
«L'albergo è qui» dice facendo un
cerchio. «La biblioteca è qui». Disegna
una croce in un punto vicino Piazza San Marco, poi solleva lo sguardo e
fissa il suo interlocutore.
«Ti ringrazio» mormora lui prima di notare che lei
lo sta guardando pensierosa. «Cosa c'è?».
«Quando mi hai detto il tuo nome ieri mattina ho pensato al
cane di una mia amica delle medie, poi ho pensato alla
divinità norrena: Loki, il dio dell'inganno»
«Lo sapevo!»
«Cosa?»
«Che sei una persona piuttosto colta».
Nadia scuote la testa, alza gli occhi al cielo.
«Beh, trovo emblematico il fatto che ti chiami come una
divinità nordica, ingannatrice e portatrice di
caos» risponde, un po' canzonatoria un po' seria.
«Io lo trovo casuale, in realtà. Ma se fossi una
divinità sarebbe... divertente»
replica lui, distogliendo lo sguardo e fissando un punto lontano, come
se stesse accarezzando chissà quale strano pensiero.
«Oh, volendo prestare fede alle leggende norrene, Loki era
uno che se la spassava parecchio»
«Sul serio?»
«Sì. Dicono che si fosse accoppiato con un sacco
di esseri sovrannaturali per generarne altri ancora più
orribili. Ricordo una storia sul fatto che si sia trasformato in una
giumenta per farsi montare da un cavallo e...».
L'angolo della bocca del ragazzo è sollevato in una smorfia
di puro disgusto. Nadia arriccia le labbra, forse non era il caso di
uscirsene con quelle cose e non era quello il modo di ribadire al suo
strano ospite che non si fida particolarmente di lui.
«In fatto di dei, al genere umano non è mai
mancata l'immaginazione» conclude Loki scuotendo la testa.
___________________________________________________________________________________________
Note:
Mi è
piaciuto scrivere un paragrafo dal POV di Sara, così mi sono
tolta
lo sfizio di fare un po' la fangirl senza andare a minare il contegno
del mio OC e anche perché mi piaceva questa cosa di lui che
in
quanto divinità del caos riesce a seminare la discordia
anche senza
fare niente di che.
E mi
sono divertita a pensare che Loki trovi strano il fatto di esercitare
un'attrazione fisica su un'umana, perché ho come
l'impressione che
il personaggio non si ritenga molto gradevole.
Non
mi è piaciuto parlare di Clint e Natasha, sono personaggi
che faccio
ancora un po' fatica ad inquadrare. Ma c'è tempo prima che i
Vendicatori entrino nel vivo della storia, per cui per adesso va bene
così.
La
faccenda di Loki che si trasforma in una giumenta e tutto il resto fa
tendenza ormai... ma mi piace pensare che il personaggio marveliano
non abbia molto a che fare con il “vero” dio della
mitologia
norrena, perché QUEL Loki che fa le cose raccontate nelle
leggende
nordiche proprio non ce lo vedo (suvvia, è troppo impegnato
a
conquistare il mondo e a tentare di battere suo fratello per avere il
tempo di accoppiarsi con esseri strani e generare mostri!).
Al prossimo capitolo ^^
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Capitolo 6 *** Capitolo quinto ***
Capitolo quinto
Pepper sta pensando a quanto è buono il caffè che
ha bevuto poco prima, in quel delizioso bar con l'orchestra, all'ombra
del campanile.
Pepper sta pensando a quanto è buono il caffè. La
cosa è sensazionale, in sé per sé.
Sono a chilometri e chilometri da casa e lei può permettersi
di non pensare a niente di più importante di un
caffè in un bar.
Era molto tempo che Tony insisteva per andare a Venezia e alla fine ce
l'hanno fatta. E ne è valsa decisamente la pena.
Per una volta si è lasciata convincere a delegare tutti i
suoi monumentali impegni alla sua nutrita schiera di impeccabili
collaboratori e si è decisa a lasciarsi alle spalle lo
stress accumulato, la paura accumulata soprattutto. Perché
finalmente, per una volta, lei e Tony sono in un angolo di mondo in cui
non c'è spazio per i supereroi, niente ex-amici di suo padre
– o figli degli stessi – arrabbiati e assetati di
vendetta o potere o qualsiasi cosa sia. E niente divinità
sociopatiche con le manie di grandezza. Niente di niente, nemmeno
strani congegni super tecnologici, nemmeno la dannata armatura: Tony le
ha promesso che l'avrebbe lasciata a casa quando lei gli ha giurato che
non avrebbe telefonato in ufficio dieci volte al giorno per sincerarsi
che tutto andasse bene.
Il ponte di Rialto è un mosaico di facce che si confondono.
Passanti che si spingono contro il parapetto per fotografare il Canal
Grande, l'acqua dai riflessi argentati che scorre placida riflettendo
l'azzurro del cielo, solcata dalle sagome scure e allungate delle
gondole e dai vaporetti.
Dopo pranzo hanno in programma di andare a Murano, spera di trovare
qualche bella scultura di vetro da comprare; ognuno ha le sue
debolezze, la passione per gli oggetti d'arte è la sua. Ma
vorrebbe proprio prendere uno dei traghetti e non andarci con lo yacht
privato, le piace questo mescolarsi con la gente, fare finta di essere
una come tutti e non la compagna di... Iron Man. Ha
bisogno di credersi una come tutti, l'aiuta a dimenticare quel giorno
tremendo. Il giorno in cui da un varco aperto in mezzo al cielo
sembrava piovere la fine del mondo, e lei era su quell'aereo a guardare
le immagini dallo schermo di un televisore e le si è fermato
il cuore quando il varco stava per richiudersi dietro le spalle di
Tony. E lei non c'era, e lei era lontana...
No, non deve pensarci. Deve pensare al caffè, ai piccioni,
alle sculture di vetro di Murano, e al giro in gondola con Tony che ha
fatto impazzire il gondoliere che a un certo punto ha cominciato a
guardarlo come se volesse buttarlo giù dalla barca. Non deve
pensarci, è tutto finito. Ora sono tutte quelle cose ad
essere lontane.
«Stavo pensando che potremmo provare a prendere uno di quei
traghetti» dice, spingendosi anche lei contro il parapetto di
marmo, insieme a tutti gli altri turisti. «Lo so che tu non
sei molto propenso a... Tony?».
La donna si volta, si guarda attorno. Tony non c'è, deve
averlo perso mentre salivano sul ponte, in mezzo a tutto quel caos.
Ha appena realizzato la cosa che il suo cellulare comincia a squillare,
lo recupera dal fondo della borsetta e la fotografia di un sornione
signor Stark lampeggia sul display. Lei preme il tasto per accettare la
chiamata e le parole cominciano a piovere a raffica dalla cornetta.
«Stavo pensando di impiantarti un microcip nella schiena
prima di partire» dice Tony. «Sai uno di quelli
molto piccoli, giusto per essere sicuro che...»
«Tony» lo interrompe sorridendo. «Dimmi
dove sei, ti raggiungo».
«Nella piazzetta con la statua di Goldoni. Vuoi che ti faccia
localizzare da un satellite?».
Potrebbe farlo, basterebbe una telefonata e arriverebbe un elicottero a
prenderla, ne è sicura. Ma non è necessario, e
comunque in quella piazza ci sono passati poco prima,
riuscirà sicuramente a ritrovarla.
«Non muoverti di là, arrivo» dice, prima
di chiudere la telefonata.
Ci sono passati pochissimi minuti prima in effetti. Ma ora che la
tranquilla, ordinata, equilibrata Virginia Potts osserva il via vai di
gente salire e scendere da quell'enorme ponte si rende conto di non
avere la più pallida idea di come tornare in quella piazza.
Estrae di nuovo il cellulare, pensa di richiamare Tony e dirgli se non
di mandare un astronauta a recuperarla, quanto meno di essere lui a
raggiungere lei a Rialto. Cerca di far partire la chiamata, ma
l'aggeggio si spegne con il cicalio che annuncia lo scaricarsi della
batteria.
***
Nadia sta contando le monete da dare al tabaccaio per i pacchetti di
sigarette che ha comprato per suo padre e per sua sorella. Ha provato
un paio di volte a convincerli a smettere, ma senza risultati. Sara ha
vent'anni e si crede invincibile, suo padre ne ha cinquantacinque e si
crede troppo saggio per ascoltare consigli e per farsi fregare dalle
sigarette.
Ognuno si suicida come meglio può, pensa Nadia. E mentre lo
sta pensando, viene superata da una donna bionda, con una coda di
cavallo perfettamente diritta, che appoggia sul bancone una cartina
della città che ha appena preso dall'espositore.
«Scusa, c'eri prima tu, non avevo visto» mormora la
donna, accorgendosi di lei, sorridendo gentile e facendosi da parte.
La ragazza ricambia il sorriso, scrolla le spalle.
«Non importa, fai pure» risponde. La donna sembra
un po' trafelata, forse ha fretta, forse si è persa.
La sconosciuta la ringrazia, paga la cartina ed esce scartandola
dall'involucro di cellophane.
Nadia mette in borsa i pacchetti di sigarette. Pensa che ha voglia di
tornare a fare fotografie, che deve inventarsi qualcosa. È
passata una settimana da quando ha avuto quell'infruttuoso incontro con
il gallerista, dal giorno in cui c'è stata quella strana
ondata di gelo su Venezia, dalla sera in cui è arrivato Loki
in albergo.
Accidenti, si era ripromessa di smetterla di rimuginare su Loki
perché alle volte le sembra di sfiorare le vette della
paranoia. Non si è mai interessata dei clienti dell'albergo,
di chi sono, di cosa fanno; forse sono passati tanti tizi poco
raccomandabili tra quelle stanze e lei non se n'è nemmeno
accorta, però Casanova non aveva mai soffiato contro nessuno
prima di allora. Certo, non che sia indicativo, ma Nadia non
può fingere che non ci sia qualcosa di molto strano in quel
ragazzo. No, non è stranezza, all'inizio credeva si
trattasse di bizzarria ma ora sa che è qualcosa di diverso,
dopo una settimana, dopo che, in un modo o nell'altro lui è
riuscito a convincerla ad accompagnarla nelle sue passeggiate serali
più di una volta, anche se non hanno mai parlato molto,
c'è una cosa che Nadia ha capito con certezza: Loki non
è innocente.
Non saprebbe dire innocente rispetto a cosa, sa solo che quando lo vede
sorridere, quando lo sente parlare, una parte di lei ha paura, una
paura istintiva e viscerale che però non si trasforma in un
vero e proprio sentimento negativo nei suoi confronti
perché, in ultima analisi, il ragazzo le sta persino
simpatico. È solo, gli è certamente accaduto
qualcosa, e non sembra avere nessuna cattiva intenzione,
perché dovrebbe avere qualcosa contro di lui?
È appunto per questo che non vuole pensarci; le sembra di
essere schizofrenica, oltre che paranoica. E prima o poi, Loki
lascerà l'albergo, lascerà Venezia e nel giro di
poco tempo lei se ne sarà dimenticata.
Esce dalla tabaccheria, senza guardare davanti a sé e
finisce addosso a qualcuno.
«Mi dispiace» mormora imbarazzata, sollevando lo
sguardo sulla persona che ha investito. È la donna bionda di
poco prima, che se ne stava ferma davanti alla porta a consultare la
cartina che ha comprato.
«Oh, fa niente, davvero. Ero io tra i piedi»
risponde la donna, in inglese, con un inequivocabile accento americano.
«Scusa, io mi sono persa e con questa cartina non riesco a
capire niente. Sapresti dirmi dov'è la piazza con la statua
di Goldoni?».
Nadia guarda la turista americana; ha le guance arrossate e sembra in
ansia, come se in quella piazza ci fosse una bomba a orologeria che
deve andare a disinnescare prima che sia troppo tardi.
«Devo passare di lì, ti ci accompagno se
vuoi».
Gli occhi della sconosciuta si illuminano,
«Sarebbe davvero un'ottima cosa, se per te non è
un disturbo» mormora ripiegando la cartina.
«Nessun disturbo. Mi chiamo Nadia, a proposito»
«Io sono Pepper».
Nadia pensa che sia un nome insolito, ma è una settimana che
ha a che fare con un ragazzo che si fa chiamare come una
divinità cattiva e promiscua, può digerire
tranquillamente una Pepper.
Fa caldo, un caldo fuori stagione, che dà ai nervi. Il sole
si riflette sull'acqua in bagliori che feriscono gli occhi di chi
guarda. Nadia non deve propriamente passare per la piazza con la
statua, ma è di nuovo in una di quelle giornate in cui
farebbe di tutto pur di non dover tornare a casa.
«Sei proprio di qui tu, di Venezia?» domanda la
donna, seguendola mentre scansa i passanti. Nadia annuisce.
«Io invece vengo da New York».
La ragazza si volta a guardare la sua interlocutrice, parla come se non
riuscisse a farne a meno, come se fosse troppo nervosa per starsene in
silenzio. Cosa diamine la sta aspettando in quella piazza, un plotone
di esecuzione?
«Mi piacerebbe visitare l'America» le risponde
distrattamente.
«Scherzi? Vivi a Venezia, se fossi al tuo posto non mi
muoverei da qui per nessuna ragione al mondo» replica Pepper.
«Lo dici solo perché non sei al mio posto. Venezia
è una cosa alla quale ci si fa l'abitudine»
«A New York invece non ci si abitua mai». La donna
lo dice con una mezza risatina nervosa, scuotendo il capo. Nadia
ripensa alle notizie di qualche settimana prima, alle immagini della
città distrutta da un altro attacco terroristico; su
internet qualcuno parlava addirittura di alieni. Su internet girano un
sacco di stupidaggini, però Sara ci ha quasi creduto alla
storia dell'attacco interspaziale.
«Ho sentito di quello che è successo nella tua
città, deve essere stato brutto» dice Nadia. Deve
essere stato orribile, indicibile, come diavolo le è venuto
in mente di aprire un discorso del genere?
Pepper si irrigidisce per un attimo, deglutisce, poi sbatte le palpebre
come a voler cancellare quell'espressione stranita dal viso, con
l'abilità di chi è abituato a non mostrare i
propri pensieri e a essere diplomatico, se la situazione lo richiede,
«Non ero in città quando è
successo» risponde. D'accordo, non vuole parlarne,
è più che legittimo, ma ora Nadia si sente in
imbarazzo e deve pensare a qualcos'altro da dire.
«Sei in ritardo per un appuntamento? Non per farmi i fatti i
tuoi, ma sembra che tu abbia una gran fretta di raggiungere quella
piazza» le dice con un tono ironico, tanto per alleggerire
l'aria.
Pepper ridacchia, come se le fosse venuto in mente qualcosa di
straordinariamente buffo.
«In effetti, il mio compagno mi sta aspettando lì
e lui è... beh, non è il tipo che può
essere lasciato da solo, in una città come questa»
spiega, continuando a ridacchiare.
Nadia non capisce cosa ci sia di divertente, ma sorride, scrolla le
spalle e continua a camminare.
Quando raggiungono la piazza, nota che Pepper allunga il collo,
cercando il suo compagno.
«Devi convenire con me che l'idea del microcip non
è poi così male» dice all'improvviso
una voce alle loro spalle. Nadia si volta perplessa: quello sarebbe il
compagno di Pepper? Quell'uomo sulla quarantina con la t-shirt blu
sulla quale campeggia il logo degli AC/DC e quel curioso pizzetto?
Ad ogni modo, Nadia ha la sensazione di aver già visto la
sua faccia da qualche parte.
«No, dico sul serio. Pensa alla prossima Stark Expo, pensa a
tutti i viaggi futuri, pensa se si dovesse rompere un'ascensore alla
Star Tower. E comunque, io sto per svenire dalla fame. A proposito, chi
è l'incantevole donzella? Io sono Tony, incantevole
donzella».
Tony parla
a raffica. Come diavolo fa a respirare, ha le branchie? Quella sua
lingua sciolta sta mettendo in difficoltà l'ottimo inglese
di Nadia; che roba è la Stark Expo, la Stark Tower? Da quale
clinica psichiatrica è scappato quel tipo?
«Io mi chiamo Nadia. Sei sicuro di essere qui in vacanza,
Tony? Non mi sembri molto rilassato» risponde la ragazza.
«Il tuo accento mi dice che sei un'indigena. E comunque, io
sono assolutamente rilassato, come potrei non esserlo?»
«Nadia è stata così gentile da aiutarmi
a trovare questo posto» interviene Pepper, con una punta di
bonaria severità nella voce, a suggerire al suo uomo di
provare a essere un po' più... o un po' meno... a Nadia
viene da ridere, quel Tony deve essere uno spasso e non ha l'aria di
qualcuno che riesca a essere un po' più o un po' meno di
quello che è.
«Grazie, Nadia. Possiamo offrirti uno shawarma»
aggiunge l'uomo, con fare amichevole. «Conosci un posto qui
dove fanno lo shawarma?»
Dove fanno il che?
«Io conosco solo posti dove suonano il jazz»
risponde Nadia sarcastica.
Tony sgrana gli occhi e getta all'indietro la testa, con aria
sconfortata, borbottando un «oh no» a mezza voce.
«Davvero?» interviene Pepper con aria interessata.
«Mi stavo giusto chiedendo se c'era qualche posto dove
suonassero qualcosa di buono».
Dalla faccia di Tony è evidente che non gli piace il jazz,
ma Pepper ignora la sua enfatica reazione e chiede maggiori
informazioni sulla cosa. Nadia si ritrova a parlarle della Corte
dell'Angelo, un posto in cui fanno musica dal vivo ogni
giovedì sera.
«Potremmo andarci» conclude la donna.
«Potremmo? Davvero?» replica Tony come se lei
avesse detto un'eresia.
«Potremmo proprio» ribatte Pepper dondolando il
capo, decisa.
«Oh, ma grazie, grazie Colombina. Proprio non vedevo l'ora di
trovare un posto dove si suonasse jazz a Venezia!».
Il modo in cui Tony sta pronunciando quelle parole le smentisce, ma
alla fine fa una smorfia che somiglia a un sorriso che Nadia si trova a
ricambiare.
«Vi lascio alla vostra vacanza. È stato un piacere
incontrarvi» dice, alzando la mano per fare un cenno di
saluto.
«Oh, davvero non possiamo invitarti a prendere un aperitivo
con noi? Sei stata così gentile» chiede Pepper.
Le piacerebbe, quei due le stanno simpatici, ma sa che è ora
di tornare a casa, non può abusare troppo della pazienza dei
suoi e della libertà che le è concessa lavorando
per la sua famiglia.
«Devo tornare a lavoro» risponde. «Ma
magari ci rivediamo alla Corte dell'Angelo, giovedì
sera».
***
Sta andando molto bene.
Loki sorride al vuoto, seduto su una panchina in un vicolo accanto
all'albergo.
Quando una settimana prima aveva messo piede in quella casa, pensando
di trovare la pietra ad attenderlo dentro a uno scrigno o qualcosa di
simile, e poi l'aveva vista al polso dell'umana, per un attimo si era
sentito perso.
Ma alla fine non è stato difficile, solo un po'
più lento del previsto. E nemmeno noioso come temeva. Certo,
le lunghe ore di inattività lo hanno innervosito, ma avere
occasione di conoscere più da vicino gli umani è
stato comunque divertente, cercare di cogliere ogni particolare del
loro insulso modo di vivere per confermare ciò che ha sempre
pensato: sono delle creature inferiori, allo sbando. E ognuna di loro
ha dei nervi scoperti che possono essere toccati come i fili delle
marionette, suonati come le corde di un'arpa. E a lui piacere essere il
compositore di certe melodie, gli piace fare il burattinaio.
La ragazza, ad esempio, ha la sua solitudine e il suo senso di vuoto
che la portano ad essere disposta a fare qualsiasi cosa pur di sentirsi
un po' meno senza scopo, un po' meno inutile. Persino passare del tempo
con lui.
Deve ammetterlo, Nadia è stata un oggetto di osservazione
parecchio complesso e interessante in quella settimana, più
di quanto gli era sembrata all'inizio. Nadia è una guerriera
che non sa di esserlo, e per questo ha tanti punti deboli nella sua
armatura. Se Loki avesse tempo da perdere su Midgard, gli piacerebbe
provare ad insinuarsi in ognuna di quelle fenditure, entrarle sotto la
pelle per il solo gusto di scoprire cosa c'è, e poi ritrarsi
e lasciarla come un guscio vuoto.
Ma più ci pensa e più si rende conto che non ha
nemmeno troppa voglia di ucciderla, quando tutto questo sarà
finito penserà ad andarsene per la sua strada
perché sta diventando troppo sfiancante, tanto da togliere
il divertimento persino al più crudele dei progetti. Vuole
lasciare Midgard, cercare altre battaglie da combattere... poi forse un
giorno tornerà ed esigerà da quel piccolo mondo
la sua vendetta, un tributo di lacrime e sangue per il disonore che gli
hanno arrecato con quella sconfitta immeritata.
Lui è un dio, e un dio non lascia niente di irrisolto o di
impunito.
Ma deve ammettere che giocare a fare l'umano è stato...
Rilassante?
Divertente.
Piacevole?
Originale.
Sorride di nuovo. Beh, di certo non è stato niente di troppo
drammatico. Come direbbero loro, l'ha presa con filosofia.
Un verso graffiante arriva improvviso a strapparlo alle sue
riflessioni, a cancellargli dalla faccia quel sorriso beffardo e
tagliente. Loki solleva lo sguardo e incontra gli occhi d'oro del gatto
della ragazza. Quella maledetta bestiaccia!
Si alza in piedi di scatto, il felino continua a soffiargli contro. Il
dio dell'inganno serra la mascella, in un impeto di irritazione. Si
guarda attorno: non c'è nessuno. Bene.
Prima che l'animale abbia il tempo anche solo di capire, si china su di
lui come una freccia. La mano tesa punta dietro le orecchie, le dita si
serrano in un attimo. Lo scricchiolio delle piccole ossa del collo
sottile è un rumore secco e un istante dopo il corpo del
gatto si affloscia morbidamente sul ciottolato.
Loki osserva la piccola sagoma argenta ai suoi piedi con un misto di
disgusto e soddisfazione. Sfrega i palmi delle mani l'uno contro
l'altro, per togliere qualche traccia di pelo che può
essergli rimasta sulla pelle e...
«Casanova, dove sei?».
La voce della ragazza arriva da dietro l'angolo. Lo sguardo di Loki
svetta in ogni direzione. C'è un cestino per i rifiuti sotto
al palo della luce, prende il gatto per la coda e lo lancia dentro, un
istante prima che Nadia spunti nello spiazzo tra le case.
Lei interrompe di colpo il suo camminare concitato, quasi spaventata
dall'esserselo trovato all'improvviso davanti – bene, per una
volta è lei che ha trovato lui e non il contrario, si stava
giusto chiedendo dove fosse finita.
«Oh... ciao, Loki».
«Ciao».
«Stavo cercando il mio gatto, mi è sembrato di
averlo visto venire da questa parte» dice lei.
Lui inclina appena la testa, solleva leggermente le sopracciglia,
«Non l'ho visto» mente in tutta
tranquillità.
«Uhm, penso che sia inutile continuare a cercarlo, forse
tornerà quando avrà fame»
«Sicuramente. Stavo rientrando, vieni con me?».
***
Il cielo sopra Asgard è una distesa di blu a perdita
d'occhio, verso l'orizzonte infinito dell'universo. Il confine della
città eterna è segnato da un enorme cancello
dorato che si apre al suo passaggio, oltre il cancello c'è
un ponte, un ponte che lui stesso ha distrutto. Ogni colpo di martello
su quella superficie dai riflessi d'arcobaleno era un pezzo del suo
cuore che si sgretolava mentre la voce di suo fratello faceva eco nelle
tue orecchie: «Che stai facendo? Se distruggi il ponte non
potrai mai più rivederla!».
Jane...
Il ricordo di lei fa gonfiare i suoi pensieri come nuvole che scatenano
temporali di rimpianto.
Ora che ha il Tesseract potrebbe tornare sulla Terra, rivederla, ma
ancora una volta il futuro re di Asgard ha diverse priorità,
deve scegliere altro. Per il momento.
Thor attraversa ad ampie falcate quel che resta del Bifrost, un lembo
di ponte lastricato di luce, in sospeso su una mare nero come
l'inchiostro. All'estremità di quel lungo frammento
c'è Heimdall in piedi a vigilare sui nove regni con il suo
sguardo. Accanto al gigante c'è Odino che scruta silenzioso
le stelle immobili.
Thor sente la rabbia montargli nel ventre e fargli pulsare la testa, ma
l'ultima volta che ha avuto uno scatto di ira con suo padre... beh,
meglio non ripetere di nuovo lo stesso errore, non sarebbe saggio e lui
in quanto a saggezza ha molta strada ancora da fare. Per questo
deglutisce, prende un lungo respiro e si ferma alle spalle del gigante
e del Padre, rilassa i pugni che teneva serrati a far sbiancare le
nocche e tenta di assumere un tono di voce tranquillo.
«Perché non stiamo facendo niente?»
chiede. Domanda legittima, si dice. Hanno trovato Loki, Heimadall lo
sta osservando da giorni, eppure il re ancora non ha dato ordine di
andarlo a riprendere, nonostante si stia mescolando agli umani e possa
far loro del male da un momento all'altro. Nonostante abbia trovato una
delle pietre di Borr – diamine, esistono davvero! - e ne stia
assorbendo l'energia per attuare chissà quale oscuro
proposito.
Odino si volta a guardarlo.
«Loki voleva una guerra» dice. «Sta per
averne una e sono certo che sarà una lezione migliore di
qualsiasi punizione potrebbe ricevere qui».
Per un attimo, il cuore di Thor si ferma e si contrae in una morsa
d'angoscia. Si chiede cosa abbia visto suo padre che a lui è
sfuggito, si chiede cosa sa il re di Asgard che non dice.
«È in pericolo?» domanda preoccupato.
Non ce la fa, non riesce semplicemente a smettere di essere un fratello
maggiore in apprensione. «E la città in cui si
trova? E gli umani che gli sono attorno?».
Il Padre degli dei fa un sorriso colmo di malinconia.
«Quello che tuo fratello non sa e che tu dovresti imparare
è che le guerre non si scelgono, né si scelgono
le loro conseguenze».
I pugni di Thor tornano a serrarsi, la rabbia gli fa scoppiare
scintille di calore nella testa.
«E le persone che si trovano accanto a Loki, cosa saranno?
Vittime accettabili in un massacro utile a impartire una lezione al tuo
figlio disobbediente?» esclama.
Suo padre inarca un sopracciglio con fare enigmatico.
«Ho forse detto questo? E ho forse parlato di
massacro?» replica tranquillo. «No, Thor, loro non
saranno privi di protezione. Ma ogni cosa a tempo debito».
______________________________________________________________
Note
Vi
prego, osserviamo tutti cinque minuti di silenzio per il povero
Casanova.
Fatto?
Bene, ora possiamo festeggiare perché nella storia
è stato citato
anche Tony Stark. Adesso che ci sono tutti, compreso Babbo Orbo che
è
tornano ad “avere disegni”, possiamo cominciare con
la roba seria
(tra un paio di capitoli, magari... fatemi giocare un altro po' con
Loki che gioca con Nadia).
Naturalmente il fatto
che esista un posto chiamato la Corte dell'Angelo dove suonano jazz
è inventato.
A
proposito... Tony e Pepper a Venezia non è un caso a uso e
consumo
della trama della mia storia. In Iron
Man 2 lui ripete più volte che
vuole mollare tutto per una vacanza a Venezia, quindi chi sono io per
negare qualcosa al signor Stark? XD
|
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Capitolo 7 *** Capitolo sesto ***
Questa settimana doppio
aggiornamento. Non era previsto, ma sono di cattivo umore e
quindi scrivo tanto (praticamente, la fanfiction sul mio pc
è quasi conclusa)... e soprattutto volevo cogliere
l'occasione per ringraziare i 9 che hanno messo la storia tra i
preferiti e i 34 che la seguono, e chiunque sia passato di qui anche
solo per una sbirciatina. Grazie di cuore.
Capitolo sesto
Il vicolo è stretto tra le case, dalle finestre penzolano
vestiti ad asciugare e fioriere piene di piante; le imposte chiuse sono
come occhi che non vogliono guardare. La stradina è in
penombra, fredda e silenziosa e finisce di colpo in un canale, senza
parapetti e senza ringhiere, semplicemente la strada si interrompe e
comincia l'acqua.
È una stradina secondaria, lontanissima dai percorsi dei
turisti, dal trambusto di una città che replica ogni giorno
il suo spettacolo di gloria immortale, di maschere che fissano i
passanti dalle vetrine, con i loro occhi vuoti.
Nadia si ferma sul ciglio dell'argine e guarda il suo riflesso
accartocciarsi sull'acqua verde smossa dalla brezza di quella tarda
mattina. Basterebbe un passo, anche meno, e non ci sarebbe
più nient'altro che quell'acqua a ricoprire tutto, a
ricoprire lei, la sua vita, a lavare via ogni malumore e ogni
fallimento. Perché quel giorno lo ricorderà come
l'ennesimo giorno sbagliato, come l'ennesima caduta epica.
Nadia fissa l'acqua chiedendosi quanto sia fredda. Si allunga un po' di
più come a volersi ricongiungere con il suo riflesso
sbiadito. Poi lo squillo del cellulare spezza il silenzio come uno
sparo contro un vetro.
Prende il telefonino dalla tasca, se lo porta all'orecchio.
«Sì, pronto?»
«Nadia, dove sei?»
«Sara...».
Cosa vogliono da lei? Oggi è il suo giorno libero, che la
lasciassero in pace una buona volta.
«Volevo chiederti se avevi voglia di venire con me al cinema
stasera» dice sua sorella. Sua sorella che da alcuni giorni
sembrava fare una gran fatica a rivolgerle la parola.
«Non lo so, Sara... sono un po' giù».
Respiro che fruscia nella cornetta. Secondo di silenzio pesante come un
macigno.
«Nadia, è successo qualcosa?»
«Sì, cioè io sto bene, niente di che...
sono solo... ne parliamo a casa, ok?»
«Ma dove sei?» insiste Sara, con una nota
preoccupata nella voce.
«In giro. Non andate in panico, torno stasera, va bene? Ho
voglia di stare un po' per fatti miei».
Non è del tutto vero. Più che altro, non ha
voglia di tornare a casa e di dover dire ai suoi che le hanno rubato la
macchina fotografica. Quella che aveva comprato un paio di mesi prima,
con i suoi risparmi, quella con cui andava sempre in giro e con la
quale sognava il futuro che voleva – nemmeno fosse un uomo da
sposare, poi!
È stato un attimo, l'ha appoggiata su un muretto per
mettersi un fermaglio e zac...
Il tizio – figlio
di puttana, spero che tu cada in un canale! -
è spuntato dal nulla, ha afferrato la fotocamera ed
è corso via. Ha provato a inseguirlo, ma figuriamoci se
poteva andarle bene!
D'accordo, d'accordo, non è grave. Può mettere di
nuovo insieme un gruzzoletto e ricomprane un'altra, magari
troverà qualche occasione su internet. È il
concetto in sé che la fa impazzire. È l'idea che
le vada sempre tutto storto e che lei non riesca a fare altro se non
piangersi addosso.
È che è stanca. Ogni volta pensa di rinunciare,
di chiudere i sogni in un cassetto e gettare via la chiave, poi succede
qualcosa che le fa tornare la voglia di provarci e subito dopo accade
qualcos'altro che prende i sogni e li fa a pezzi. E lei resta a
guardare quei pezzi volteggiare nell'aria come coriandoli prima che
l'ultima folata di vento li porti via.
Adesso non sta pensando a rinunciare o ad andare avanti. Sta solo
pensando che vuole un po' di silenzio e Venezia non è una
città che va troppo d'accordo con il silenzio, a meno che
non voglia trascorrere tutta la giornata in quel vicolo sperduto. A
meno che... oh, sì, non è una cattiva idea. La
sua adorata casa fatiscente, il suo rudere, dove ha scattato il suo
meraviglioso servizio fotografico che il gallerista idiota ha scartato.
Può farlo, può entrare in una libreria, comprare
il nuovo romanzo di Paulo Coelho, un panino e una bottiglia d'acqua e
rifugiarsi lì. Non è proprio la casa sull'albero
che sognava di avere quando era bambina – o la dimora
sotterranea del Fantasma dell'Opera, come nel musical, ma è
sempre meglio di niente. Sempre meglio che tornare a casa e sorbirsi le
solite filippiche su “non è niente, ci siamo qui
noi”. Perché è qualcosa, cazzo.
È sempre stato qualcosa, e loro non hanno mai voluto
dargliene atto. E forse hanno sempre avuto ragione e lei si
è sempre sbagliata.
***
Non ha mai amato la violenza, qualsiasi cosa credano il suo integerrimo
fratello e i suoi nuovi stolti amici. Sa che ci sono cose che si
possono ottenere solo in certi modi, ma non sono i modi di operare che
preferisce quelli che richiedono spargimenti di sangue e altre cose
barbare.
Poi ci sono anche i momenti in cui è piacevole vedere la
luce spegnersi nello sguardo di un nemico, ma Loki prova più
piacere a tessere ragnatele che non a sguainare zanne e artigli.
Però adesso vorrebbe qualcuno
o qualcosa da uccidere. Tutto ha un limite, anche la sua
pazienza e la dannata ragazza è sparita. Ha passato l'intera
giornata alla finestra, attendendo il suo rientro; se va avanti di
questo passo ci vorranno mesi prima di poter lasciare Midgard.
Nadia è lontana, lo sa, lo sente perché avverte
l'energia della pietra, ma a quella distanza non può
assorbirla, non può fare niente. E lui detesta non poter
fare niente.
Un conto è starsene rinchiuso nella prigione di vetro di
Fury aspettando di scatenare un mostro, un altro conto è
restare in quella stupida stanza dalle tende azzurre in attesa che
Nadia ricompaia e si ricordi di avere una casa.
Potrebbe trovarla, come l'ha trovata la prima volta, come l'ha trovata
tutte le altre volte, ma se è sparita per tutto quel tempo
è perché vuole stare da sola e se vuole stare da
sola si sarà nascosta in qualche modo. E se si è
nascosta lui non può trovarla e fingere che sia stato un
caso; c'è un limite alla sua pazienza come c'è un
limite alla sua abilità di mentitore.
Sarebbe rilassante avere qualcuno da uccidere, comunque.
Loki sospira, sa che non deve dare troppo nell'occhio, è
già abbastanza sorprendente che Thor non lo abbia ancora
rintracciato e non sia sceso sulla Terra a riprenderlo, con la grazia e la
sobrietà che lo contraddistinguono. A
proposito, ora che ci pensa, è davvero troppo strano che non
lo abbiano trovato. Possibile che lo stiano lasciando fare per qualche
astruso disegno del Padre degli dei? No, non può essere.
Quale disegno di Odino potrebbe mai prevedere che lui incrementi il suo
potere? Evidentemente la vista di Heimdall si è davvero
affievolita e, soprattutto con la rottura del Bifrost, il gigante
è diventato sempre più inservibile.
Si costringe a scendere al piano di sotto, prima che l'irritazione
abbia la meglio. Gli sta anche tornando il mal di testa, sensazione
assolutamente impensabile per un dio.
Nella hall dell'albergo tutto sembra in ordine, come sempre. Sarebbe
una bella sorpresa se facesse qualche trucchetto e ravvivasse un po'
l'atmosfera, ma decisamente non è nel suo stile.
Si guarda attorno, la tv è spenta. Quei due vecchi che
guardavano quel programma tutte le sere sono partiti il giorno prima.
Durante le loro lunghe e silenziose passeggiate, una delle rare volte
in cui Nadia ha parlato di qualcosa, ha parlato di quei due vecchi e da
come ne ha discusso sembrava ammirarli, ma non li invidiava. Nei sogni
di Nadia non c'è... l'amore. Accidenti, la gelida agente
Romanoff è assai più romantica e sentimentale di
quella ragazza.
È sciocco da parte sua indugiare in pensieri che riguardino
la natura di quell'umana, lei non gli interessa, ma ha bisogno di
controllarla finché è lì e non si
può controllare qualcosa che non si conosce, per questo si
è sforzato di abbassarsi al suo livello e cercare di
comprenderla. E ha compreso più cose di quante gliene
necessitino, tutte cose noiose che non vede l'ora di dimenticare. Ma
intanto, sarebbe meglio se lei si rifacesse viva, dannazione.
Loki intercetta con lo sguardo la sorella della ragazza: Sara. Ci ha
messo un po' ma alla fine lo ha imparato quel nome.
Sara lo guarda da dietro al bancone della hall – Sara lo
guarda spesso, credendo di non essere vista, ma di solito non in quel
modo preoccupato.
Alla fine la ragazzina scende dallo sgabello sul quale è
appollaiata e gli va incontro, fermandosi di fronte a lui.
«Scusi il disturbo» gli mormora, e stavolta non
c'è traccia del solito civettuolo imbarazzo, «ma
volevo chiederle se sa cosa è successo».
Loki la guarda senza capire.
«A Nadia, intendo. L'ho sentita al telefono stamattina,
sembrava molto giù e ha detto che sarebbe rientrata
stasera».
Ah, lei vorrebbe sapere da lui cosa è successo a sua
sorella. Questa sì che è una follia.
«E cosa ti fa credere che io sappia qualcosa al
riguardo?» chiede con freddezza. La stupidità
umana non ha limiti, così come la loro disperazione.
«Mi scusi, è che pensavo che lei e Nadia aveste...
ehm, legato in questi giorni e ho pensato... scusi, è stato
sciocco» conclude Sara.
Loki non riesce a trattenersi dallo sgranare gli occhi. Che
cos'è che aveva pensato quella ragazzina? Che lui potesse
davvero aver instaurato un legame con Nadia, che provasse dell'affetto
per lei?
«Tua sorella è stata solo tanto gentile da volermi
accompagnare in qualche giro per la città»
replica, perché sente il bisogno di puntualizzarlo.
«Non si è mai confidata con me e non so dove sia o
cosa le sia accaduto. Ma sono sicuro che sta bene».
Non ne è affatto sicuro, l'unica cosa che sa con certezza
è che Nadia non è morta, altrimenti avrebbe
sentito la pietra spegnersi. La pietra funziona ancora, questa
è la cosa più importante, e di certo entro sera
Nadia tornerà a casa e avrà senz'altro qualcosa
di cui lagnarsi, qualche motivo per piagnucolare, è una cosa
che le riesce meravigliosamente bene.
***
Nadia, si può
sapere cosa è successo?
Niente.
Nadia? Nadia?!
Nadianadianadia...
«Sono un'idiota». La ragazza si guarda riflessa
contro il vetro della finestra. Si è comportata da vera
stupida, ha fatto preoccupare inutilmente la sua famiglia e ha passato
una giornata chiusa in una casa fatiscente a leggere un libro che l'ha
resa ancora più depressa. Si è comportata da
bambina e si sente ancora di più una poppante ora che vede
gli occhi nel riflesso farsi lucidi di lacrime.
Non è per la macchina fotografica, non è per il
fatto che quando è tornata a casa i suoi hanno di nuovo
sminuito tutto, sintetizzando con “sono cose che capitano,
dai, fatti una dormita che domani andrà meglio”.
È per tutto. Anche per Casanova che non è
più tornato, il suo bellissimo gatto. Per le mille cose che
si vanno sommando, per tutti i battiti di ali che non fanno nient'altro
che sollevare polvere mentre lei resta inchiodata con i piedi a terra.
Nadia sta cominciando a chiedersi se c'è un momento in cui
qualcuno deve semplicemente riconoscere la sconfitta e smettere di
lottare. Forse si sentirebbe molto più saggia e matura se
potesse dire che quello è il momento in questione. Se
potesse stabilire con certezza che quello è il limite
massimo oltre il quale la perseveranza diventa ossessione e
autocommiserazione.
Sarebbe bello avere qualcuno con cui parlare. Ma per adesso
c'è solo quella cassa di birra che sta tirando fuori dal
frigorifero.
Non è che abbia in progetto una sana ubriacatura –
non si è mai ubriacata in vita sua, in effetti. Vuole solo
vedere che succede se mischia un po' di birra ai diversi spritz che ha
bevuto prima di tornare a casa.
***
È tornata. Lo sa, lo sente, la pietra è molto
molto vicina, più del solito.
Loki solleva la testa di scatto. Che Nadia stia venendo a bussare alla
sua porta? No, non lo farebbe mai, non a quell'ora tarda della sera.
Apre la porta quel tanto che basta per guardare fuori, scruta la
penombra del corridoio e sente dei passi felpati allontanarsi verso le
scale che portano di sopra. Vede uno sbuffo di capelli biondi sparire
su per i gradini.
Deve avvicinarsi, deve poter stare vicino alla pietra. Senza nemmeno
pensare a una scusa plausibile per giustificare quella specie di
silenzioso inseguimento, raggiunge le scale e va di sopra.
C'è un altro piano di camere e poi la scala continua a
salire fino al soffitto. Sul soffitto c'è una botola con una
serratura.
Loki fa appena in tempo a vedere Nadia sparire su per la botola. Le va
dietro, solleva la porta orizzontale di ferro smaltato.
«Nadia!». La ragazza ha un sussulto, si ferma, si
gira verso di lui e per una volta non sembra infastidita di trovarselo
tra i piedi, sembra, anzi, sollevata.
Anche lui è sollevato, finalmente può
ricominciare il suo lavoro. Sorride per se stesso, ma sembra che
sorrida a lei e la ragazza sorride di rimando, ma ha un'espressione
stanca.
Il vento soffia un po' più freddo lassù, sono su
un terrazzo a cielo aperto, con i tetti delle case che fanno da cornice
alla volta stellata. Probabilmente potrebbe sembrare uno scenario
romantico, ma lui non si abbasserà a dire o fare qualcosa di
smielato per trattenere l'umana o per legare, come aveva
detto Sara.
Nadia si siede con la schiena contro il parapetto di muratura,
sistemando accanto a sé uno scatolo con delle lattine e fa
cenno a Loki di raggiungerla.
Lo sta invitando a sedersi vicino a lei? Straordinario! Deve essere
veramente abbattuta se desidera così tanto la sua compagnia,
visto che di solito lui deve trovare delle scuse o dei sotterfugi per
poterle stare vicino.
«Ma tu non dormi mai?» gli chiede, mentre lui si
mette a sedere. Ha lo sguardo velato e la voce vibrante di chi ha
bevuto troppo. In un'altra situazione, Loki riderebbe di lei.
«Considerala una fortuna. Non hai un'aria molto allegra e sei
su un terrazzo molto in alto. Da sola saresti un pericolo per te
stessa». Scherza, il dio dell'inganno, dopotutto è
divertente. Dopotutto è quello che un essere umano farebbe
in una situazione simile: userebbe l'ironia per risollevare il morale
al compagno triste. Dopotutto la tristezza di quella ragazza non gli
è di alcun aiuto.
«Ah, perché se io tentassi di gettarmi di sotto tu
proveresti a fermarmi» borbotta Nadia, aprendo una lattina di
birra e porgendola al suo interlocutore.
«Non ci proverei» dice Loki, portandosi la lattina
alle labbra. « Ci
riuscirei».
È la verità e Nadia lo guarda con una punta di
stupore, forse perché si accorge che non sta mentendo e non
lo credeva capace di dire qualcosa di assolutamente sincero. Ma
è la verità: non le permetterebbe di togliersi la
vita, non finché ha la pietra di Borr al braccio.
***
Nadia sorride, ed è il suo primo sorriso della giornata.
Beve una lunga sorsata di birra e guarda gli occhi di Loki puntati sul
suo viso come due fanali.
«Mi hanno rubato la macchina fotografica» dice di
colpo, sentendosi una stupida per come la sua voce suona lamentosa e
strascicata. Forse non dovrebbe continuare a bere quella birra.
«Mi dispiace» risponde il ragazzo. «Ma
davvero non mi sembra un motivo sufficiente per abbattersi in questo
modo».
«E Casanova è sparito. Gli sarà
sicuramente capitato qualcosa» aggiunge Nadia, sentendo le
lacrime salirle agli occhi.
China il capo e di colpo avverte qualcosa, un freddo strano, le dita di
Loki che si stringono attorno al suo mento e la costringono ad alzare
la testa. Le dita di Loki sono... gelide. E anche i suoi occhi lo sono,
e anche la sua voce.
«Non metterti a piangere» sibila lui, in un tono
spaventoso e autoritario. «Non piangere».
Sembra vento del nord, anzi qualcosa di ancora più lontano,
di alieno. Però funziona, perché Nadia ricaccia
indietro le lacrime e annuisce. Loki le lascia andare il mento.
«Alle volte mi chiedo se non sia giusto rinunciare, se tutti
i miei fallimenti non siano dei segnali per dirmi che non devo
proseguire su questa strada. Se fossi sicura che questo è il
punto di arrivo mi fermerei e mi rassegnerei, ma come posso saperlo con
certezza?».
«Saperlo con certezza?». Loki sembra stupito, quasi
sconcertato dalle sue parole. «Non c'è proprio
nulla da sapere, se non che questo punto di arrivo di cui parli non
esiste. Non esiste un limite oltre il quale ci si debba arrendere e
chiunque lo pensi o è uno stupido o è un
debole».
Nadia ridacchia, con la testa resa leggera dall'alcol. Butta
giù un altro sorso di birra, tanto ormai non importa.
«Io non lo so che cosa sono» blatera, scuotendo il
capo.
«Io penso tu sia una guerriera. Tuo malgrado, ma lo
sei» risponde Loki, come se stesse pensando ad alta voce
piuttosto che parlare con lei.
«Speravo di essere una fotografa, ma ora che non ho
più la mia macchina...».
***
Loki ha accompagnato Nadia fino al pianterreno. L'ha aiutata a scendere
dalla botola e l'ha portata fino all'appartamento della sua famiglia,
sul retro dell'albergo. C'erano troppe scale da fare e sarebbe stato un
vero peccato se la ragazza, nello stato in cui era, fosse caduta e si
fosse rotta il collo, soprattutto dopo che lui aveva passato tutto quel
tempo su quel terrazzo ad ascoltare i suoi piagnistei.
Appena l'ha vista sparire dietro la porta di casa, ha tirato un sospiro
di sollievo. Poi, un attimo dopo, ha sentito una strana tensione allo
stomaco, un senso di rabbia e frustrazione. Ha sentito che doveva fare
qualcosa. E anche in momenti come quello, lui non fa mai niente per
niente. Ha sentito che doveva fare qualcosa di utile, di sensato,
qualcosa che servisse a...
Ora il dio dell'inganno sta sorridendo, mentre va in contro all'aria
fresca della notte con in mente una piccola impresa da realizzare. Sa
che sprecherà molte delle energie raccolte, sa che occorre
molto potere per trovare un oggetto in una città e che
dovrà sacrificare una discreta parte di quello accumulato
grazie alla pietra; ma forse, dopo quest'impresa sarà ancora
più facile avvicinare la ragazza.
Di certo lei si chiederà come ha fatto, ma lui
sarà senz'altro in grado di trovare una menzogna convincente
per spiegarle in che modo ha ritrovato la sua dannata macchina
fotografica.
***
La carta da parati su quei muri ha sicuramente conosciuto tempi
migliori, giorni in cui non era così pregna dell'odore di
fumo e di chiuso e in cui il suo colore non era simile a quello del
piscio.
Pat smette di pensare a quanto sia squallida e vecchia la carta da
parati e infila il porno nel lettore dvd. Se l'è guadagnata
quella serata tranquilla, o no? La vita del ricettatore è
proprio uno schifo, però lui quella serata se l'è
sudata, è tutto il giorno che se ne stata attaccato al
telefono per vedere dove piazzare la merce. La merce, quella nascosta
nel doppio fondo dell'armadio. Con l'ultima transazione vuole
vedere se riesce a mettere da parte qualcosa per trovarsi un
appartamento più nuovo, senza quella schifosa carta da
parati puzzolente.
Sullo schermo la biondina con le tette grandi sta per...
«Ma che cazzo... è originale questo dvd, l'ho
pagato tredici euro all'edicola!».
Sarà pure originale e costerà pure tredici euro,
ma sta cominciando ad andare a scatti. Pat prende il telecomando, preme
il tasto per far uscire il dvd.
«Ora provo a rimandarlo d'accapo e vediamo se
funziona» borbotta.
Lo sportellino del lettore si apre, ma non esce nessun dvd. La fessura
rettangolare rimane aperta, una striscia di nero sulla plastica
argentata.
Pat si alza, si china sul mobiletto del televisore, da un colpo al lato
del lettore dvd. Niente.
Sta per infilare un dito nella fessura per vedere se riesce a far
scattare il meccanismo che fa uscire il carrello, ma sente dei rumori
strani provenire dall'apparecchio. Forse è un corto circuito
e quei rumori che sente sono quelli delle scintille che rimbalzano tra
il metallo e i cavi interni, ma ad ascoltare bene sembrano
più che altro sibili, qualcosa di ruvido che striscia,
qualcosa di solido e viscido che si muove.
Pat deglutisce, prova a guardare. Ma nel momento in cui fa per
avvicinare l'occhio allo sportellino aperto ecco che una biscia nera e
lucida scivola fuori proprio da lì, scende fino al pavimento
e attraversa la stanza.
L'uomo la osserva con gli occhi sgranati, poi cominciano a spuntare
altre serpi, più grandi, e ragni grossi e pelosi che si
arrampicano sulle pareti.
Pat ha un singulto, troppo terrorizzato per gridare, cade all'indietro
e si ritrova a sedere sul pavimento.
La casa ora è una sinfonia di rumori di animali orrendi che
camminano ovunque.
Sudore freddo cola dalla fronte dell'uomo, degli enormi insetti neri
gli si avvicinano. Lui batte i piedi disperatamente, li pesta ma questi
scompaiono sotto le sue suole, come se fossero fatti di fumo, eppure ce
ne sono sempre di più, sono dappertutto, sempre
più vicini. Pat si trascina all'indietro sui palmi delle
mani e sul sedere, non ce la fa ad alzarsi, le gambe gli tremano come
gelatina. Dopo alcuni disperati secondi, la sua schiena va a urtare
qualcosa... qualcuno, un paio di gambe.
Dalla bocca dell'uomo esce un gridolino che è simile allo
squittio di un topo mentre alza lo sguardo sull'alta figura dietro di
sé. È un giovane uomo, indossa un mantello verde
e strani abiti con delle placche dorate come parti di un'armatura, e ha
un elmo con lunghe corna ricurve.
Satana,
è il primo pensiero di Pat.
«Mi sono guadagnato la tua attenzione?» dice il
demonio, e ha una voce suadente e un po' melliflua, che fa correre un
brivido di puro terrore sulla schiena di Pat, ma nel momento esatto in
cui comincia a parlare, gli animali spariscono e nella casa torna il
silenzio.
Quell'uomo... quell'essere lo afferra per il colletto della maglia e lo
rimette in piedi, poi lo scaglia contro il muro e gli serra una mano
attorno alla gola.
«Hai qualcosa che voglio, umano» sibila.
Dagli occhi di Pat stanno scendendo lacrime a fiotti.
«Prendi... prendi quello che vuoi...» dice,
singhiozzando come un bambino. «Ti... ti prego... non
uccidermi».
«Dove tieni le cose che rubi?».
L'uomo vorrebbe specificare che lui non ruba, lui si occupa di
rivendere quello che altri rubano, ma non crede faccia molta differenza
per il suo tremendo ospite. Alza una mano tremante indicando l'armadio,
un grosso mobile di truciolato bianco e nero.
Quella creatura sputata dall'inferno lo trascina fin lì,
mentre lui balbetta ossessivamente,
«Tutto quello che vuoi... tutto quello che vuoi... quello che
vuoi...».
Quando l'intruso lo lascia andare, Pat si affloscia sulle ginocchia.
Riesce a fatica ad aprire le ante e a far scorrere di lato la porta del
doppio fondo. Sempre senza riuscire a rialzarsi, afferra un busta e la
getta sul pavimento. Dal sacco di plastica rotolano alcuni iPhone, un
paio di orologi e due grosse macchine fotografiche.
L'essere si china e afferra una delle due fotocamere, la guarda come ad
assicurarsi che sia intatta, poi si gira nuovamente verso il
ricettatore.
Ora Pat è troppo basito per continuare ad essere spaventato.
Il Diavolo ha bussato alla sua porta per una macchina fotografica?
Forse è solo un sogno, forse ora si sveglierà e
scoprirà di essersi addormentato davanti al film porno.
«Sì, ora mi sveglio» mormora con voce
lamentevole, dondolandosi sulle ginocchia piegate.
«Questo» dice il demonio con un sorriso crudele,
«dipende dai punti di vista».
E quel sorriso è l'ultima cosa che Pat vede, una virgola
tagliente come una lama, mentre il demonio che sembra un ragazzo lo
solleva di peso e gli stringe di nuovo le dita attorno al collo.
________________________________________________________________________________
Note:
Sesto
capitolo, altrimenti detto l'altalena dei POV. È che volevo
dare
l'idea dei pensieri dei due protagonisti che cominciano a diventare
confusi, meno definiti dei capitoli precedenti. Sono momenti di
elettricità nell'aria che preannunciano una tempesta,
qualcosa del
genere, insomma...
Sì,
sì, le cose schifide che escono dallo sportellino del
lettore dvd:
Loki è il dio dell'inganno, può creare illusioni,
può fare questo
e altro. E comunque, doveva uccidere qualcuno (a parte il gatto), e
doveva rimettersi addosso la chincaglieria, altrimenti a me venivano
le crisi esistenziali (e pure a lui).
Nota
bonus. Andando avanti con la stesura della fanfiction, mi
sono resa
conto che ci sono un po' di scene violente e anche che spuntano
spesso delle parolacce. Senza contare che la storia ha per
protagonista un tizio che un rigo sì e l'altro pure pensa a
come
fare del male alla ragazza... viste le circostanze, se qualcuno
dovesse pensare che un rating giallo è troppo basso per il
livello
della storia, me lo faccia sapere.
Nota
bonus bonus (sì, oggi sono logorroica). Sono
contenta che
l'incursione del caro signor Stark, per quanto breve, nel capitolo
precedente sia stata di vostro gradimento. Senza anticiparvi nulla,
vi dico comunque che il rapporto che si verrà a instaurare
tra Nadia
e Tony è un elemento della storia a cui tengo molto. Spero
di saper
gestire a dovere il caro genio, miliardario, playboy, filantropo nei
capitoli che verranno.
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Capitolo 8 *** Capitolo settimo ***
Capitolo settimo
“There is a
castle on a cloud,
I like to go there in my
sleep...”
Nadia se ne sta stesa sul suo letto, gli occhi aperti a guardare
l'ombra del lampadario che riflette una strana forma sul soffitto, una
macchia grigia a cui lei tenta di dare un senso, come quando era
bambina e giocava a vedere i disegni nelle nuvole.
Quella mattina è una lama di sole che filtra dagli scuri
socchiusi. Quella mattina è una giornata di primavera e un
tremendo cerchio alla testa.
E Nadia si ritrova a canticchiare a fior di labbra quella canzone di
uno dei suoi musical preferiti. È la canzone che le viene in
mente ogni volta che è triste.
Man mano che riemerge dal torpore del sonno pesante dovuto al troppo
bere, la mente della ragazza tenta di rielaborare quello che
è successo la sera prima. Non si è ubriacata sul
serio, non tanto da avere dei buchi di memoria, ma i ricordi dentro la
sua testa sono immagini che impiegano un po' più tempo del
solito per mettersi a fuoco. Ricorda il terrazzo, ricorda Loki che ha
ascoltato il suo piagnucoloso discorso sconclusionato e le ha dato
l'unica risposta sensata: non esiste un limite oltre il quale
c'è da arrendersi. E poi c'è il ricordo delle
braccia di Loki e di lei contro il suo petto, un ricordo che la fa
sussultare: cavolo, non avranno mica?...
Nadia strizza gli occhi e si spreme le doloranti meningi. No, non
è successo niente, semplicemente lui l'ha aiutata a scendere
dalla scala e l'ha accompagnata fino al suo appartamento. E sulle scale
deve averla tenuta stretta perché di certo lei non aveva un
passo molto fermo e c'era pericolo che cadesse. Ma non è
successo niente; la ragazza tira un sospiro di sollievo, un attimo
prima di ammettere con se stessa che non sarebbe stato poi
così spiacevole. Certo, se proprio deve cadere tra le braccia di
qualcuno, è meglio che lo faccia da sobria e
che questo qualcuno non sia un cliente dell'albergo.
Si alza a sedere in mezzo al materasso, una stilettata di dolore le
attraversa la testa.
«Così imparo a fare miscugli di roba
alcolica» borbotta a se stessa, e allunga la mano verso il
bordo del letto, tastando la trapunta. Vuoto.
Sospira pesantemente, massaggiandosi le tempie. Casanova non
è lì, Casanova non tornerà, ormai ne
è certa. Chiude gli occhi.
“There is a
castle on a cloud...”
E non tornerà nemmeno la sua macchina fotografica. E di
sicuro nemmeno la sua voglia di reagire, se rimane lì a
rigirarsi nel letto senza fare niente.
Ecco, ecco cosa farà adesso: si alzerà,
andrà a farsi una doccia, mangerà qualcosa e si
prenderà un'aspirina. E poi elaborerà un qualche
piano di battaglia.
Nadia si alza in piedi, sente lo stomaco bruciarle e farle male come se
qualcuno lo stesse stringendo dall'interno. Deve solo arrivare fino
alla cassettiera e prendere dei vestiti puliti, poi potrà
cominciare un'altra giornata. Deve solo mettere un piede avanti
all'altro fino al mobile.
Il silenzio e la penombra sembrano pesanti come un macigno.
“I know a
place where no one's lost,
I know a place
where no one cries,
crying at all
is not allowed,
not in my
castle on a cloud.”
Nadia sale al piano di sopra con addosso ancora l'odore del
bagnoschiuma. In effetti la lunga doccia l'ha aiutata a riconciliarsi
un po' con il mondo.
Nell'ultima mezz'ora un vento fresco ha soffiato nuvole su Venezia,
forse presto verrà a piovere.
«Ehi, sei tornata in te» borbotta Sara accodandosi
a lei, mentre raggiungono la hall.
«Non del tutto, però neanche oggi
ammazzerò qualcuno» risponde Nadia, imponendosi di
sorriderle e battendole una pacca sulla spalla.
«Sai, stavo pensando che poteremmo fare dei volantini con le
foto per cercare Casanova, qualcosa del genere».
In cuor suo Nadia è contenta che Sara si sia preoccupata
della cosa, ma i volantini con la foto di un animale scomparso non
servono a molto in una città come Venezia. Probabilmente non
servono nemmeno in altre città. E poi lei è
sicura che se il suo Casanova non è tornato è
perché non vuole o perché non può.
«Trovare un gatto, a Venezia? I volantini non servirebbero...
però grazie per averci pensato. È successo
qualcosa qualche giorno fa, eravamo strane, tutte e
due» dice la sorella maggiore.
Sara stringe le labbra, come se stesse pensando a qualcosa, come se si
stesse sforzando di ricordare un particolare, magari il
perché da un momento all'altro aveva cominciato ad avercela
con sua sorella.
«Sì, eravamo tutte e due di cattivo
umore» dice alla fine, con un mezzo sorriso conciliante.
«Alle volte penso che siamo molto distanti e ci metto un po'
a ricordare che anche se fosse, non cambierebbe niente».
Nadia ridacchia, passa un braccio intorno alle spalle della
più piccola e la stringe.
«Meno male che siamo diverse. Altrimenti mamma e
papà impazzirebbero» esclama, continuando a
ridere.
Sara è la prima a entrare nella hall e a dirigersi verso il
bancone. Nadia sta lanciando una rapida occhiata alla tv sintonizzata
sul telegiornale locale che sta parlando del ritrovamento di un uomo
morto strangolato nel suo appartamento a Mestre.
«Cavolo! Ehi, guarda qui!» esclama la ragazza dalla
reception.
Nadia si volta di soprassalto, presa alla sprovvista dalla voce della
sorella. C'è qualcosa sul bancone, qualcosa che Sara sta
fissando attonita.
«Ma... è la mia macchina fotografica»
dice, sgranando gli occhi.
C'è un portachiavi, uno di quelli di metallo a forma di
maschera che vendono in tutta Venezia, agganciato alla tracolla, una
specie di gentile omaggio dell'anonimo benefattore. Afferra la grossa
custodia rigida e ne apre la zip, guarda la fotocamera: è
proprio la sua, con quella piccola ammaccatura sulla vernice grigia
nell'angolo in basso a desta. Se la rigira tra le mani, quasi non
riuscendo a crederci.
Mauro, il portiere che fa il turno di notte a cui loro devono dare il
cambio, sta uscendo dalla toilette riservata al personale. Le ragazze
gli si precipitano addosso.
«Chi l'ha portata questa?» domanda Nadia.
L'uomo si passa una mano tra i capelli brizzolati e inarca le
sopracciglia.
«Non lo so, signorina Berton. Ero andato in bagno, e quando
sono tornato era lì. Pensavo che ce l'avesse messa lei
rientrando e l'ho lasciata dov'era» spiega con un'alzata di
spalle.
«Oh, sì, ho capito. Lasci perdere, Mauro, vada
pure a casa».
L'uomo si congeda con un cortese saluto ed esce dall'albergo. Nadia
prova ad accendere la fotocamera, dentro ci sono ancora le sue foto,
anche la memoria esterna è ancora al suo posto. Non capisce
come sia possibile.
«Ma solo noi sapevamo che te l'avevano rubata»
osserva Sara, perplessa.
Nadia guarda sua sorella, scuote la testa. No, i suoi famigliari non
erano gli unici a saperlo.
Loki...
Ma non può essere stato lui, è uno straniero,
è solo uno di passaggio, come avrebbe fatto a rintracciare
la sua fotocamera caduta in mano a chissà quale bastardo
ricettatore? E perché lo avrebbe fatto?
Qualcosa si rompe, al centro esatto della mente di Nadia: gli argini
che tenevano confinate le sue impressioni su quel ragazzo entro i
limiti della normalità.
***
Loki tiene la fronte appoggiata al vetro della finestra e guarda fuori.
Guarda le nuvole addensarsi sui tetti di Venezia e tende le orecchie
per cercare di capire se deve preoccuparsi di quel rumore di tuoni in
lontananza.
Forse quello della sera prima è stato un azzardo troppo
grande, forse quella piccola impresa lo ha reso rintracciabile a quelli
che sono sulle sue tracce. E anche se così non fosse, quella
della sera prima ora non gli sembra una trovata molto intelligente.
Pensandoci, è stato stupido e inutile, uno sforzo senza
senso che gli causerà solo altri guai. Perché,
per quanto provi a rifletterci, non riesce a trovare nessuna scusa,
nessuna menzogna per spiegare a Nadia come mai è rientrato
in possesso della sua macchia fotografica. E la ragazza non
è una stupida, questo lo deve riconoscere.
E allora, perché diamine ha avuto quell'idea tutt'altro
brillante di fare ciò che ha fatto?
Per farle un piacere...
No, non gli importa di fare un piacere a quella maledetta umana. Aveva
solo bisogno di rammentare a qualcuno chi era, e non importa se poi il
qualcuno in questione sia stato ucciso.
Gli era parsa una cosa utile recuperare l'oggetto che avevano rubato a
Nadia, tutto qui. Ma ora si sta rendendo conto che forse ha fatto
più danni che altro.
Ha agito come quello stolto di suo fratello, quando trascinò
lui e i quattro cavalieri di Asgard nella desolazione di Jotunheim per
il solo gusto di dare una prova di forza a esseri che riteneva inetti,
si è lasciato prendere dalla vanità, si
è comportato da stupido.
Pensandoci, sarebbe meglio giungere a patti con se stesso e dire che
voleva fare solo un favore alla ragazza. Forse suona un po' meno
sciocco. Ma lui non ha alcun bisogno di fare qualcosa per Nadia, non ce
n'è motivo, non le deve niente, anche se è stata ospitale con lui;
gentile, in un certo senso. Non si era mai sentito considerato solo per
se stesso, era stato il secondogenito all'ombra di un ingombrante
fratello maggiore, il figlio indesiderato, il re senza diritto sul
trono. Non era mai stato solo Loki, tranne che con la ragazza.
Ma solo
perché non sa chi sono...
E comunque – tenta di concentrare i propri pensieri su
qualcosa d'altro – quei tuoni sono molto lontani,
però non può ancora dirsi fuori dalla portata del
figlio di Odino.
Cessa di preoccuparsi dei tuoni perché sente che
c'è un'altra tempesta in arrivo. Sente la pietra avvicinarsi
e sa che questa volta Nadia sta venendo proprio da lui. Non
è che sia preoccupato, ma non ha voglia di altre
complicazioni, già lei è una complicazione di per
sé.
Sì, andrebbe decisamente d'accordo con Thor quella ragazza:
ha lo stesso modo barbaro di bussare alla porta.
Loki sospira prima di aprirle.
«Avresti potuto trovarmi addormentato» le dice
subito, in tono ironico di protesta. «Credo non sia professionale svegliare
in modo brusco un ospite dell'albergo».
Nadia scuote nervosamente la testa,
«Figuriamoci, tu non dormi» ribatte, e ha di nuovo
quell'aria da guerriera. «Non dormi e arrivi qui una sera,
senza bagagli, non sai quanto tempo intendi fermarti, passi
metà del tempo chiuso in camera e l'altra metà a
passeggiare senza meta per la città. E adesso questo».
La ragazza solleva la macchina fotografica avvolta nella custodia, con
il portachiavi a forma di maschera che penzola dalla bretella
– quello non sa perché ce lo ha messo, voleva
essere una specie di firma, qualcosa... qualcosa che non ha il minimo
senso, e comunque non importa. Nadia quasi gli getta contro il suo
prezioso aggeggio per fare foto.
Potrebbe mostrarsi sorpreso e fingere di non saperne nulla, ma non
servirebbe. Lei sa. O meglio, lei sta cominciando a capire, era
inevitabile, prima o poi sarebbe successo, per questo sperava di
finirla in fretta con la storia della pietra, ma la ragazza
è peggio di un cane randagio.
«Credevo ti avrebbe fatto piacere» le dice
semplicemente, imprimendo a quelle parole tutta l'ingenuità
e la gentilezza di cui è capace.
«Certo che mi avrebbe fatto piacere riavere la mia macchina
fotografica» ribatte Nadia, aggiustandosi nervosamente una
ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Ma non che fossi tu a
riportarmela, perché io so, lo so, che il
fatto che tu sia in grado di recuperare in così poco tempo
un oggetto rubato in una città che non è la tua
non è un buon segno».
Loki si picchietta l'indice sul mento, enfatizzando un'aria pensierosa.
«Un buon segno per cosa, esattamente?» domanda
mellifluo.
La ragazza si morde il labbro,
«Chi sei, Loki?» sibila, puntandogli gli occhi in
viso.
Regge il suo sguardo il dio dell'inganno, regge lo sguardo di un
interlocutore anche quando gli mente, altrimenti sarebbe davvero
indegno del suo titolo.
«Non sono un ladro che ha a che fare con altri ladri, se
è questo che stai pensando» replica.
Nadia corruga la fronte. Quasi sicuramente sta pensando che lui sia una
sorta di agente speciale in incognita, una specie di Nick Fury sotto
mentite spoglie... perché gli umani sono così,
hanno sempre bisogno di trovare un appiglio per fidarsi di qualcuno,
hanno sempre bisogno di pensare che hanno a che fare con i buoni, anche
quando tutte le prove dicono il contrario.
«E tu non mi hai ancora detto grazie» conclude, con
un accenno di sorriso.
Per un attimo anche Nadia ricambia il sorriso, ma poi si stringe le
braccia attorno al busto come se all'improvviso avesse cominciato a
sentire freddo.
Non si fida, la piccola umana, ed è una che non molla.
Pensandoci, è stato lui la sera prima a dirle che non ci si
dovrebbe arrendere mai e poi mai. E ci crede davvero a quello che le ha
detto, perché gli stava dando ai nervi, perché
avrebbe voluto prenderle la testa tra le mani e sbatterla contro la
muratura del terrazzo fino a quando il cranio non le si sarebbe aperto
come un fiore color sangue!
«Ti ringrazio, Loki, per la macchina fotografica, davvero.
È che tu hai tutti questi misteri e...»
«Il tuo interesse mi commuove. Ad ogni modo, tra un paio di
giorni me ne andrò, così tu tornerai a dormire
sogni tranquilli». Menzogne, di nuovo. Tra un paio di giorni
non avrà finito, trascorre troppo poco tempo con Nadia, non
può lasciare quel posto per il momento a meno che...
«Non suonerò di certo le trombe quando te ne
andrai, non ho niente contro di te, sia chiaro» precisa
Nadia.
«E allora, usciresti con me?». Gli si stringe lo
stomaco dalla frustrazione mentre pronuncia quelle parole, che gli
escono a fatica dalla bocca e che lui stesso stenta ad accettare. Era
proprio quello che sperava di evitare: una situazione imbarazzante e
ambigua con una midgardiana.
E Nadia, come è ovvio, non sembra emozionata o lusingata,
sembra soltanto molto perplessa. E gli sta tornando la voglia di
ucciderla, con qualche mezzo lento e doloroso, anche se è
solo colpa sua e non della dannata ragazza.
«Loki?»
«Sì»
«Respira, stai diventando viola» borbotta Nadia,
poi comincia a ridacchiare. «Penso che potrei fare lo sforzo
di uscire con te, sì. Ti piace il jazz?».
***
Sara la guarda con occhi sottili e aria pensierosa.
«Smettila di fissarmi e accendi il gas sotto la pentola per
la pasta» sbraita Nadia.
Sua sorella obbedisce, ma comincia a sorridere in quel modo un po'
convulso di chi sta trattenendo uno scoppio di risate.
«Ti ha chiesto di uscire» ripete per l'ennesima
volta e poi scoppia a ridere. «No, cioè,
è figo! Dai, vorrei essere al tuo posto, a me
piace».
Nadia si stropiccia il viso con la mano e alza gli occhi al cielo.
«Allora, adesso è il momento in cui io e te
dobbiamo farci un discorso da sorella maggiore a sorella più
piccola» esordisce in tono solenne. «Non
è che se un ragazzo e una ragazza escono la cosa debba
essere particolarmente significativa. Soprattutto se il ragazzo in
questione riparte tra un paio di giorni»
«Beh, io non ho mai detto che voglia chiedere la tua mano,
però è da quando è arrivato che ti
ronza attorno»
«E tu non lo trovi
strano?»
«Non sei così brutta»
«Grazie tante!» Nadia scuote la testa.
«Intendevo strano, in generale. Non sono riuscita a farmi
dire come ha recuperato la mia macchina fotografica»
«Pensi che possa essere pericoloso?».
Bella domanda. Nadia si appoggia con il fianco al taglio del tavolo,
abbassa gli occhi e comincia a rimuginare. Non ha mai pensato che Loki
possa essere pericoloso, non l'ha mai voluto pensare, perché
ha bisogno di sentirsi al sicuro, ma anche perché lui non
gli ha mai dato ragione di pensarlo. È sempre stato molto
educato, composto, persino distante e riservato anche nel suo ronzarle
attorno.
«Non lo so» ammette alla fine.
Ma non ha importanza,
tanto tra un paio di giorni Loki ripartirà, come ha detto, e
uscirà una volta per tutte dalla mia vita.
Ora Sara ha un sorriso da Stregatto,
«Non sai se è pericoloso, però ci esci
assieme. Deve piacerti parecchio» conclude con aria furba.
***
Ha piovuto durante tutta la mattina, poi il pomeriggio ha smesso ma le
nuvole tengono ancora in ostaggio Venezia, coprono le stelle di quella
serata che si preannuncia davvero davvero triste.
Un tuono romba in lontananza, Loki quasi spera che spunti Thor dalla
finestra, lo afferri per il colletto della camicia e lo trascini via.
D'accordo, adesso sta esagerando e sta cadendo nel patetico.
È stato allevato come un principe, gli è stata
impartita un'educazione aristocratica, conosce bene la cavalleria:
è perfettamente capace di passare una serata a intrattenersi
con una ragazza, è assolutamente in grado di trascorrere una
serata normale in compagnia di un'altra persona – anche se la
parte più interessante della persona in questione
è una pietra incastonata in un bracciale.
Una serata normale...se
ci pensa per più di un minuto, non gli sembra
così terribile. Da quanto non c'è qualcosa di
normale nella sua vita? In fin dei conti, la ragazza ha comunque una
sua utilità.
Esce dalla sua stanza, pensando che quella serata dovrà
essere molto molto lunga, deve assorbire molta energia dalla pietra e
deve recuperare quella che ha usato per ritrovare la macchina
fotografica di Nadia.
Oh, di sicuro quella serata sarà incredibilmente
lunga.
Nadia lo sta aspettando fuori dall'albergo, è vestita in
modo semplice, con quei calzoni di quel tessuto blu che chiamano jeans
e una camicia di lino, forse solo il trucco sul viso è
appena un po' più curato. Per fortuna non sembra essersi
messa in testa idee troppo impegnative per la serata.
Loki la guarda per un istante, prima che lei si accorga di lui, e pensa
a quanto sarebbe interessante farle sapere chi è davvero
prima di andarsene, per il solo gusto di sconvolgerla e di farle capire
che fa male a fidarsi, per farle rendere conto di quanto è
piccola e impotente. Sarebbe più soddisfacente che
ucciderla, la morte dura un attimo, la paura dura tutta la vita. Ma ci
penserà al momento opportuno, per adesso deve ancora
recitare la sua parte.
Nadia lo vede, si volta verso di lui, sorride in quel suo modo
così da bambina e così poco da guerriera. Lui le
si avvicina,
«Andiamo?». Si chiede se dovrebbe porgerle il
braccio o qualcosa del genere. Meglio di no.
«Sicuro che ti piaccia il jazz?» domanda la
ragazza, incamminandosi.
Non ne ha idea. Scrolla le spalle. Ha scelto lei dove andare e parla in
modo entusiasta di quella dannata musica.
Camminano per vicoli che sono diversi da quelli delle altre passeggiate
serali di Nadia, non sono bui ed isolati, sono pieni di gente che
chiacchiera e sosta ai tavolini dei bar bevendo vino bianco dai calici
e birra da spessi boccali di vetro. C'è odore di cibo
nell'aria, soffia dalle finestre delle cucine dei tanti ristoranti,
c'è la solita cacofonia di lingue diverse che si confondo in
un brusio che si mischia allo sciabordio dell'acqua e al soffio del
vento che accarezza le tegole.
E c'è una luna, una luna enorme come una fanale, che sembra
bucare il banco di nubi che la circonda.
Venezia è odore di pioggia e luci di lampioni che si
riflettono sull'acqua scura dei canali.
Venezia, questa sera, è l'ultimo posto al mondo in cui Loki
vorrebbe trovarsi.
«E così parti, torni a casa?» domanda
all'improvviso Nadia, mentre sorpassano una fila di turisti tedeschi.
«Forse» risponde Loki distrattamente.
La ragazza si ferma, aggrotta le sopracciglia con aria perplessa.
«Che vuol dire forse?
Pensavo che avessi deciso di andare»
«L'ho detto solo per convincerti a uscire con me».
Nadia arriccia il naso, ha un'espressione buffa tanto che il sorriso
che affiora sulle labbra del dio dell'inganno è quasi
sincero.
«Stai mentendo» risponde lei scrollando la testa.
«Può darsi. Una volta mi è stato detto
che è una delle cose che mi riesce meglio».
Nadia gli fa segno di svoltare in un vialetto pieno di bar, dove arriva
forte l'odore del vino e del pane.
«Chi te lo ha detto?» domanda. Lo chiede cercando
di dissimulare l'interessamento per la risposta, ma si vede che
è curiosa, anche se finge di prestare attenzione alle
insegne con i nomi delle strade.
«Mio fratello» dice Loki, alzando istintivamente lo
sguardo sul banco di nubi che circondano la luna.
«Hai un fratello? Bene. Cioè... è la
prima volta che ti sento parlare di qualcosa di personale».
Ora la ragazza smette di far finta che non gli interessa e il dio si
chiede come mai gli umani sentano sempre tutta questa
necessità di conoscere chi hanno davanti. «E visto
che è la prima volta e hai tirato in ballo proprio lui,
immagino che siate molto legati».
Loki quasi inciampa in un ciottolo della pavimentazione della strada.
Scuote la testa.
«Oh sì, siamo molto legati» risponde
quasi tra i denti, quasi sputando fuori le parole. Sono legati, lui e
Thor, come è giusto che siano due nemici.
Nadia vorrebbe saperne di più, Loki glielo legge negli
occhi, ma lui non ha voglia di raccontarle, non ha voglia di sentire
riaffiorare i ricordi.
«Dove vorresti andartene?» le chiede a bruciapelo,
mentre lei si ferma davanti a un arco di pietra.
«Come, scusa?»
«Vuoi andare via da qui, è chiaro. Dove? Per fare
cosa?».
Nadia abbassa lo sguardo e si morde il labbro, come fa sempre quando si
sente presa alla sprovvista o in difficoltà.
«Qualsiasi altra cosa che non sia quello che mi aspetta se
rimango» risponde, sbrigativa.
Loki vorrebbe dirle che la capisce, perché è
davvero così, ma essere comprensivo con un'umana non gli
riesce così facile. Decide di non dire niente, lei intanto
gli indica l'arco di muratura davanti a loro.
Oltre l'arco c'è un cortile tra i palazzi, in un angolo
è allestito il bancone di un bar, sul lato opposto
è montato un palco con dei faretti e degli strumenti
musicali che Loki non riconosce. Nello spiazzo vuoto ci sono tanti
piccoli tavolini rotondi e degli sgabelli tra i quali svettano
camerieri con addosso gilè a quadri.
Lo sguardo di Loki scorre tra le facce anonime dei presenti, fino a
fermarsi, basito, su un volto tutt'altro che anonimo.
No, non può
essere...
No, quello non può essere Tony Stark, l'uomo di metallo. Non
deve essere lui il tizio dall'aria annoiata seduto accanto a quella
donna bionda che sorride come una bambola. E soprattutto, non
può essere che Nadia abbia fatto un cenno di saluto nella
sua direzione e che si stia avviando verso di lui.
È sempre stato un calcolatore, una persona abituata a
giocare di astuzia e a usare la logica. Il destino non può
scompigliare di nuovo in quel modo assurdo i conti che lui ha impiegato
giorni a elaborare, non può stravolgere un piano
così semplice e perfetto.
Loki lancia un'occhiata allarmata verso il tavolino di Stark. Lui non
lo ha visto, se lo avesse visto avrebbe già fatto comparire
dal nulla quella sua diavoleria di armatura e ora gli starebbe puntando
contro qualche missile.
Di istinto, il dio si ritrae in un angolo, sotto lo sguardo perplesso
di Nadia.
«Vuoi scusarmi solo un momento?» le dice con un
sorriso incerto.
Si allontana verso l'uscita, stringendo i pugni per la rabbia,
chiedendosi come cavarsi di impiccio da quella situazione assurda.
Quando Nadia esce a cercarlo, un po' preoccupata, un po' interdetta,
lui si sente un perfetto idiota. Voleva solo passare una serata normale
– e attingere energia dalla pietra magica, voleva solo che
andasse tutto secondo i piani.
«Nadia, io non posso restare» borbotta, cercando di
mostrarsi mortificato e non agitato. «Mi dispiace, mi
dispiace moltissimo, credimi».
Lei non ha l'aria di una che gli sta credendo.
«È successo qualcosa?» gli chiede.
«Niente di grave. Devo tornare in albergo per... per fare
delle telefonate. Lavoro».
Idiota, sono un perfetto
idiota!
«Beh, posso riaccompagnarti, tu fai le tue telefonate e poi
torniamo qui» propone lei. Loki sta odiando quella sua
gentilezza.
«No. Sarà una cosa molto lunga, temo. Possiamo
rimandare la nostra uscita a un'altra sera? Nel caso in cui io non
partissi, ovvio».
La ragazza piega la testa di lato e lo fissa in un modo che gli fa
venire voglia di cavarle gli occhi.
«Sì, credo di sì» conclude.
«Loki, sei sicuro che vada tutto bene? Mi sembri
turbato»
«Lavoro, come ti ho detto».
Non gli crede. Nadia può essere ingannata fino a un certo
punto, ma lei sa. Loki lo ha capito da tempo. Lei sa. Ma non importa,
lui ora deve solo andarsene via da lì, sparire, evitare di
venire scoperto o sarà stato tutto vano.
«Poi mi racconterai com'era il jazz, eh» conclude
lui con il miglior sorriso che riesce a trovare, un attimo prima di
voltarsi di spalle e avviarsi lungo la strada.
Sente lo sguardo di Nadia puntato sulla propria schiena, lo sente quasi
pesare. E non ne è felice, non è contento di aver
perso quell'ennesima occasione per assorbire energia dalla pietra, non
è nemmeno contento di aver perso qualche ora di
normalità – anche se questa è una
considerazione che tiene relegata in fondo ai pensieri. Lui non
è un sentimentale, lui è un dio e gli dei non
sono fatti per la normalità.
Cammina con la rabbia che gli frigge nelle vene e gli appanna lo
sguardo. I passanti sembrano intimoriti perché si spostano
quando lo vedono arrivare, come è giusto che sia.
Loki si chiede, quasi con una punta di panico, come mai Nadia conosca
quel buffone di Tony Stark – perché è
certo che il cenno di saluto della ragazza fosse rivolto a lui e alla
donna bionda. Come è possibile una tale follia del destino?
Procede senza meta per i vicoli di Venezia, le Calli della
città dei Dogi sono nastri di buio che si dipanano nella
notte.
È già lontano dal luogo in cui ha lasciato la
ragazza quando le nuvole hanno la meglio sulla luna e un'ombra cupa
cala sulla città.
Loki si ferma in una strada semideserta, si appoggia con le spalle
contro un muro e solleva lo sguardo.
No. Non anche questo!
La paura e lo stupore gli attraversano i pensieri come una pugnalata.
Li vede avanzare contro il nero del cielo, sono come serpenti d'argento
sospesi tra le stelle. Ma Loki sa bene che cosa sono davvero e riesce
anche a immaginare perfettamente chi li ha mandati e perché.
Attraversano l'aria come comete, quei piccoli demoni, ma non puntano
verso di lui, puntano verso una fonte di potere che vibra nell'aria
più forte delle sue facoltà di dio esperto nelle
arti magiche. Puntano verso...
Oh, no...
Loki ora deve correre. Correre più veloce del vento che sta
aiutando la marcia fluttuante di quelle orrende creature,
perché loro hanno qualcosa da distruggere e lui ha qualcosa
da salvare.
La pietra, la fonte di
energia...
La sua unica possibilità di rialzarsi dopo la caduta.
Nadia.
________________________________________________
Note
“A castel on a cloud” è un brano del
musical Les Miserables. Il canticchiarla quando si è tristi
è una delle poche cose in comune che abbiamo io e il
personaggio di Nadia.
Ah... ahaha! Preso paura eh, che io spedissi Loki e Nadia a fare
un'uscita romantica? No, no, i ragazzi non sono ancora pronti (e non
credo che lo saranno mai). Cioè, io credo che un pizzichino
di cuore lui lo stia più o meno rispolverando,
però non lo so, perché se c'è una cosa
che ho imparato nella mia “carriera” da
scribacchina è che i personaggi fanno sempre di testa loro.
E, naturalmente, i mostriciattoli inviati da Thanos prima o poi
dovevano giungere a destinazione.
Il prossimo aggiornamento è per martedì.
Alla prossima ^^
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Capitolo 9 *** Capitolo ottavo ***
Capitolo Ottavo
Nadia guarda Loki allontanarsi e sparire dietro un angolo. Si chiede se
ha fatto bene a lasciarlo andare da solo, se lui riuscirà a
ritrovare la strada per l'albergo. E poi si chiede perché
diamine dovrebbe preoccuparsi così tanto per quel ragazzo.
Perché non aveva una bella faccia quando è andato
via. Perché di sicuro le ha mentito, di nuovo. E nonostante
questo... lui le piace. Non c'è niente di male ad
ammetterlo, ma mentre la ragazza osserva il suo strano accompagnatore
dileguarsi in mezzo al viavai serale, si sforza di ricordare a se
stessa che se anche il tizio in questione non fosse uno strambo tipo
incline alle menzogne, sarebbe comunque un pessimo affare
perché prima o poi dovrà andarsene. Di sicuro
più prima che poi, a quanto sembra, quindi è
meglio che lei si metta il cuore in pace e si goda la serata. Amen.
E poi ci sono sempre i due americani, non deve per forza rimanere da
sola.
Nadia torna dentro, nel momento esatto in cui attraversa l'arco di
pietra che immette nell'ampio cortile le sembra che ogni cosa
sgradevole rimanga fuori.
Bene, meglio
così...
«Nadia!» Pepper agita la mano per salutarla e le fa
cenno di avvicinarsi.
«Una così giovane fanciulla senza
accompagnatore» borbotta Tony fingendo un'aria scandalizzata.
La ragazza scrolla le spalle.
«Ne avevo uno, ma è stato richiamato al suo
dovere... o qualcosa del genere, credo».
Tony sbuffa,
«Decisamente non li fanno più i cavalieri di una
volta» commenta scuotendo la testa.
«Senti da che pulpito vien la predica» lo rimbecca
Pepper con una smorfia.
«Io almeno ho un'armatura».
Nadia vede la donna quasi trasalire alla parola armatura, poi
Pepper si scosta una ciocca di capelli dal viso.
«Siediti. Resta con noi» la invita con quei suoi
modi pacati e gentili.
Nadia vorrebbe dire di no, che non vuole disturbarli, sono una coppia
in vacanza e non vorrebbe fare il terzo incomodo, ma ha troppa poca
voglia di restare sola e ne ha ancora meno di tornare a casa. Accetta
sorridendo con gratitudine l'invito della donna e scivola sulla sedia.
Ordinano dei cocktail, mentre sul piccolo palco i musicisti accordano
gli strumenti.
Tony continua a parlare a raffica, raccontando di una gita a Murano che
Nadia non riesce a capire se gli sia piaciuta o no.
«E adesso,» conclude l'uomo, puntando in faccia
alla ragazza i suoi occhi scuri da bambino pestifero,
«raccontami qualcosa della persona a cui devo questa serata
di musica soporifera».
«Ti ho già spiegato che il jazz non è
una musica soporifera» replica Pepper, prima che Nadia riesca
a parlare.
«No, non me lo hai spiegato. Hai cercato di convincermene, e
con pessimi risultati se dobbiamo proprio essere sinceri»
«Oh già, dimenticavo: Tony Stark, l'uomo dalle
mille certezze!»
«Smettila Pepper, stiamo annoiando la nostra amica
indigena».
Nadia ride. Nemmeno si ricorda perché era così
giù di morale quella mattina, nemmeno ripensa al
perché dovrebbe dispiacerle che Loki non ci sia –
e a proposito di Loki, è certa che lui non avrebbe affatto
apprezzato la compagnia di Tony e Pepper.
«Non c'è molto da raccontare su di me»
dice scrollando le spalle. «Tutto molto ordinario e
noioso»
«Noioso? Più del jazz, intendi?».
Tony non vuole proprio mollare con quella storia del jazz, ma Pepper
non sembra prendersela, sembra vaccinata
contro i suoi modi esuberanti, probabilmente stanno
insieme da una vita e di sicuro devono essere una coppia splendida.
«I miei hanno un albergo qui a Venezia, lavoro lì
con loro ma sogno di fare la fotografa. Tutto qui»
«Tutto qui? Io ucciderei per lavorare in un albergo a
Venezia» commenta Pepper, quasi facendosi andare di traverso
un sorso di cocktail.
«Voi in che albergo state?»
«Al Danieli».
Ora è a Nadia che sta per andare di traverso la bevanda. Lei
avrebbe soggezione anche solo a sedersi su una sedia in un posto come
quello. Era sicura di aver già visto la faccia di Tony da
qualche parte, ora è assolutamente certa che si tratti di
una sorta di celebrità – una celebrità
piuttosto simpatica, comunque, quindi perché dare peso alla
cosa?
Non le sembra il caso di commentare con un ironico «vi
trattate bene», e comunque non farebbe in tempo a dire
niente, perché le luci vicino al palco si stanno spegnendo e
i musicisti stanno prendendo posto accanto agli strumenti.
«Godetevi pure lo spettacolo» mormora Tony.
«Io ho qualche ora di sonno da recuperare».
Ma la battuta si perde nel suono acuto di un grido improvviso e nel
rumore di vetri che si rompono.
***
Non farà mai in tempo.
Nadia sarà ridotta a un grumo sanguinante sul ciottolato
prima che lui arrivi a destinazione e la pietra si spegnerà
e tutto sarà perduto.
Nelle mente di Loki c'è un'immagine piuttosto nitida di una
massa informe dalla quale parte una ragnatela di rivoli scarlatti. Una
furore cieco gli attanaglia le viscere al pensiero che quel sangue
doveva essere versato da
lui e non per
lui.
Si credeva al sicuro dalla vendetta di Thanos, pensava che senza il
Tesseract non sarebbe mai riuscito a raggiungere altri mondi, a
raggiungere lui, ma gli esseri che gli sguinzagliato dietro sono
creature incorporee e possono viaggiare tra gli universi a
velocità folli. Quegli esseri possono fare molte cose, tutte
sgradevoli, tutte difficili da contrastare. Sono creature antiche e
potenti, votate al caos, tanto che per secoli il loro sterminio
è stato considerato un dovere improrogabile in tutti i nove
regni, e Loki davvero non si aspettava che Thanos avesse un simile asso
nella manica.
Corre, corre più forte che può, come uno stupido
umano impotente davanti alla tragedia, come tutte quelle persone che
gli sembravano piccole come formiche dall'alto della Stark Tower di New
York, mentre cercavano di sottrarsi alla sorte che lui aveva scelto per
loro, mentre cercavano di fuggire dall'inevitabile, prima che arrivasse
quella squadra di fenomeni da baraccone a porre fine ai suoi meritati
sogni di gloria, distruggendo l'esercito dei Chitauri.
Loki non ha mai avuto qualcosa da difendere, qualcuno da salvare, per
questo gli è estranea la forza che lo spinge ad andare
avanti, mentre davanti ai suoi occhi le luci di Venezia sfrecciano come
comete in picchiata.
Da un punto impreciso, in un angolo della notte, si alza un coro di
grida spaventate.
Loki scavalca un muro, l'aria gli brucia nei polmoni insieme all'odore
del mare. Sente le pulsazioni della pietra, la ragazza è
ancora viva ma non lo resterà per molto. Pensa a cosa fare,
ma sa che per adesso può solo continuare a correre.
Nella sua mente, lì dove l'immagine del cadavere ha preso
forma, il sangue sul selciato si sta raggrumando mischiandosi alla
polvere, un velo di freddo si sta già dispiegando sulla
carne morta e martoriata.
La morte non gli ha mai fatto orrore, ma questa volta è
l'ultima cosa al mondo che i suoi occhi desiderano guardare.
***
Nadia si alza di scatto, si volta a guardare il punto dal quale
è giunto il grido.
Le bottiglie che c'erano dietro al bancone del bar sono tutte esplose,
liquori e sciroppi alla frutta gocciolano in rivoli colorati dalla
mensola.
È stata la barista a gridare, e adesso tutti la guardano
chiedendosi cosa c'è che non va e come diamine sono esplose
tutte le bottiglie.
Nadia si sente raggelare perché dagli sguardi perplessi e
non abbastanza spaventati delle persone attorno a lei capisce subito
che loro non vedono.
Non vedono quei fili di denso fumo argentato che fluttuano nell'aria e
che ora si stanno muovendo, strisciando come serpenti, disseminandosi
nel riquadro di cielo sopra al cortile. Ce ne sono a decine.
I secondi si dilatano all'infinito mentre la ragazza fissa attonita
quello spettacolo assurdo, chiedendosi se è reale.
Il vento fa tremolare le lunghe figure di quelle creature, ne disperde
nell'aria qualche sbuffo di fumo, ma loro rimangono lì,
sospese sopra la gente.
«Nadia, tutto bene?» chiede Pepper. Ma Nadia quasi
non la sente.
«Dobbiamo andare... ora...» mormora. È
l'istinto a farle salire quelle parole alle labbra, la consapevolezza
del pericolo.
«Nadia?». Tony le si para davanti, le posa una mano
sulla spalla e la scuote piano.
«Cosa... cosa sono quelli?» di nuovo Pepper, ora la
sua voce è leggermente stridula, le parole le inciampano tra
le labbra.
Ora li vede anche lei?
Ora forse li vedono tutti, perché alzano gli occhi al cielo
e fissano quelli che prima sembravano serpenti di fumo e adesso sono
strisce traslucide, come sottilissimi fili di stagno con tre minuscoli
puntini luminosi al posto degli occhi.
«Ne ho visti di più grossi» dice Tony
con un sorriso beffardo, sembra perfettamente calmo.
Nadia non capisce, Nadia ha paura e sente che sta per succedere
qualcosa, qualcosa di orribile.
Uno di quegli esseri plana verso il basso, veloce come una freccia, in
direzione di un uomo in piedi in mezzo al cortile, troppo sconvolto per
provare anche solo a muoversi. La serpe argentata passa il petto
dell'uomo da parte a parte, si conficca in un punto sotto il suo sterno
ed esce un attimo dopo da un foro nella sua schiena, disegnando un
anello color porpora sul tessuto della camicia chiara.
È un attimo di silenzio, perfetto, immobile, attonito. Un
attimo in cui sembra che ogni rumore sia stato risucchiato dal cielo,
poi comincia il caos, e comincia con un grido di molte bocche che
strillano all'unisono mentre le creature si avventano sul corpo
dell'uomo ucciso tagliando la carne.
«Ne ho visti di più grossi, ma questi sono cattivi
forte» dice Tony, senza alcuna ironia, afferrando la mano di
Pepper e la spalla di Nadia mentre la gente attorno a loro corre
forsennata verso l'uscita.
Anche loro cominciano a correre, ma la ragazza si volta un attimo verso
l'orrendo spettacolo delle creature che stanno – oh, Dio mio!
- banchettando con il cadavere che ormai non è altro che una
massa informe e sanguinolenta.
Non riesce a crederci, la sua mente non può crederci, e si
sta ancora domando stolidamente come mai lei era la sola a poterle
vedere mentre erano ancora fatte di fumo. Fissa l'uomo e la donna che
stanno scappando con lei chiedendosi perché sembrano
così poco
sconvolti; un attimo dopo un sibilo orrendo le trafigge le orecchie.
Decine di puntini blu luminosi sono fissi su di lei ora, da ogni angolo
del cortile.
C'è gente ovunque, ma le creature la stanno puntando. E lei
è paralizzata dal terrore, quasi non sente la spinta che la
getta a terra, l'urto contro il duro della pavimentazione di pietra
ruvida che le scortica a sangue i palmi delle mani.
È stato Tony a gettarsi su di lei, le creature l'hanno
mancata per un pelo e sono atterrate a meno di un metro da
dove lei è adesso, scalfendo la pietra e sollevando una
nuvola di schegge e polvere.
Le creature si rialzano, salendo in verticale, svettando verso l'alto.
«Le abbiamo fatte arrabbiare» borbotta Tony
sollevando lo sguardo sugli esseri alieni di nuovo in picchiata.
«Cosa vogliono da te?».
Che razza di domanda...
«Mangiarmi» squittisce Nadia, atterrita. Eppure
sente che non è così.
In un impeto di forza di spirito e buon senso, Pepper fa rotolare un
tavolino caduto verso il suo compagno e la ragazza ancora stesi a
terra. Un attimo dopo sono tutti e tre rannicchiati sotto il ripiano
del tavolo piantato sul suolo a mo' di scudo. Ma le creature stanno per
arrivare e se possono passare da parte a parte una persona e scalfire
la pietra, possono senz'altro anche passare attraverso il legno e
ridurlo in schegge insieme alle loro ossa.
«Vogliono... vogliono me...» balbetta Nadia, il
battito accelerato è un fischio sordo nelle orecchie.
«Toglietevi... da qui».
Sente il fischio dei corpi serpenteschi che frustano l'aria scendendo
in picchiata nella loro direzione.
Pepper e Tony si scambiano uno strano sguardo, si prendono per mano, ma
non si muovo.
Il sibilo ora è quasi assordante. La fine è a un
battito di ciglia, Nadia quasi riesce a sentire lo scricchiolio sordo
del tavolino che va in frantumi. Si dice che non farà male,
che è solo un attimo, che non farà in tempo
nemmeno a sentire la sua carne lacerarsi. Si dice che non vuole morire,
ma non può farci niente.
E poi il rumore arriva, ma non è quello del legno che va in
frantumi. È un tonfo che è quasi un boato, come
se un'enorme molla fosse scattata nell'aria che adesso ha odore come di
bruciato.
Il silenzio arriva di colpo, un silenzio gelido che stringe alla gola e
frastorna la mente.
Nadia ha bisogno di sapere come mai è ancora viva, forse ne
ha bisogno più di quanto ne abbiano Tony e Pepper,
perché loro continuano a starsene premuti con le spalle
contro il tavolino mentre lei si alza lentamente, con cautela, quel
tanto che basta per guardare oltre il ripiano di legno.
Qualcosa dentro di lei le dice che non dovrebbe essere affatto contenta
di ciò che ora ha davanti, anche se le creature sono
sparite, anche se lei è salva e il cortile adesso
è sgombro e pare che non sia morto più nessuno.
Loki?
Loki, certo. Il viso che quello strano elmo lascia scoperto
è senz'altro il suo, quegli occhi azzurri e dall'aria
stravolta sono quelli del ragazzo della numero 7. Ma la persona in
piedi davanti a Nadia non è un ragazzo, è
qualcosa di sovrumano e spaventoso, maestoso come un... come un dio.
L'elmo e le placche sulle braccia e sulle spalle riflettono dei cupi
bagliori dorati, i vestiti – diversi strati di qualcosa che
sembra cuoio e velluto – hanno un taglio mai visto prima e il
mantello verde che ondeggia alle sue spalle sembra quello di un re.
Perché ha davvero un aspetto imponente e regale, anche se
dalla sua fronte sta colando una goccia di sudore che ha un'aria molto
molto umana.
Nadia guarda quello spettacolo assurdo, il tassello che dà
senso a un mosaico di mistero che non era riuscita a decifrare. Una
verità troppo enorme e, in un certo senso, troppo dolorosa,
per lei.
Restano a fissarsi, il dio e la ragazza, in silenzio. Lei sconvolta,
lui imperscrutabile.
«Tu?». Un singolo suono spezza il silenzio, un
suono carico di disprezzo e veleno che esce all'unisono da due bocche,
nel medesimo tono astioso e stupito.
Tony si è alzato in piedi, lui e Loki si guardano come
nemici.
«Sì, Stark. E purtroppo ti ho salvato la
vita».
Loki smette subito di prestare attenzione all'uomo e si volta
nuovamente verso Nadia.
«Stai bene?» le domanda, scoccandole un'occhiata
penetrante.
Lei boccheggia, incapace di dire qualcosa. Sta bene? Certo che no.
«Tu... tu sei... tu sei... oh, mio dio»
mormora con un filo di voce, gli occhi sgranati fissi su quello che
credeva essere un ragazzo.
«Pessima scelta di parole» commenta Tony tra
sé e sé.
Loki le si avvicina, le prende le mani con una certa gentilezza e
guarda i tagli che si è fatta quando l'hanno spinta a terra,
dove il sangue sta già formando una crosta. Poi scruta il
suo viso con una sorta di apprensione e sta per dirle qualcosa quando
Tony si para tra loro due, allontanandolo.
«Sta' lontano da lei, Bambi» borbotta.
«Non sono qui per fare del male alla ragazza, sono qui per
proteggerla semmai. E sono certo di poterlo fare meglio di te, a meno
che tu non nasconda qualche altra diavoleria tecnologica nei
calzini»
«Lo vedremo. Dammi il tempo di andare a recuperare l'armatura
in albergo»
«Sai che non lo farò». Il sorriso che
increspa le labbra di Loki è irriverente e crudele allo
stesso tempo.
«Quale armatura in albergo?» sbotta Pepper
all'improvviso, cercando di alzarsi. Tony strabuzza gli occhi.
Nadia sente che sta per mettersi a urlare e non capisce
perché si stia parlando di armature adesso. Loki le serra
una mano attorno al braccio.
«Noi dobbiamo andarcene» le dice, autoritario.
Lei si libera dalla stretta con uno scatto stizzito.
«Noi dobbiamo andarcene? Cioè io dovrei venire con
te? Tu devi essere pazzo... oltre che... che... cosa sei
esattamente?» strilla guardando Loki con le lacrime agli
occhi.
«È un dio, dolcezza» risponde Tony.
«Un dio con le manie di grandezza e il complesso del figlio
adottato. Che ha provato a conquistare la Terra con un esercito alieno,
ucciso decine di persone e quasi raso al suo Manhattan. Ah, e gettato
me giù da una torre alta decine di metri. E questo solo per
essere sintetici. Perché potremmo anche parlare dei danni al
mio attico ma di quest...».
«Tu sei il figlio di puttana che ha ucciso Phil»
interviene Pepper, il suo sguardo sembra piombo. Fino a un secondo
prima sarebbe stato impensabile credere che potesse uscirle qualche
parolaccia di bocca.
Nadia sente il peso del mondo scivolarle di colpo sulle spalle.
Esistono mostri di fumo, esistono dèi con un pessimo
carattere, esistono eserciti alieni che... e più di ogni
altra cosa, esiste quel dio dal pessimo carattere che ha fatto tutte
quelle cose orribili. E quel dio è Loki, il ragazzo della
numero 7.
«Se abbiamo finito con le reminiscenze,» dice Loki,
«dobbiamo andarcene. Torneranno».
«E perché dovremmo fidarci di te?»
domanda Pepper.
«Ho forse detto che dovete farlo? Io me ne vado e porto la
ragazza via da qui. Se voi volete restare, fate pure»
«La ragazza
con te non va da nessuna parte» sbotta Nadia.
«Temo che dovrò insistere. Hai qualcosa che mi
preme e non permetterò che ti uccidano».
Ora Loki non sta mentendo, lei lo sa. La calma brutalità con
cui ha pronunciato quelle parole basta a farla smuovere e anche a farle
male. Ma non è di questo che deve preoccuparsi adesso.
«No, stammi bene a sentire, Bambi» interviene Tony.
«Noi adesso ce ne andiamo tutti quanti insieme, troviamo un
posto sicuro e poi tu mi racconti che altro film dell'orrore stai
mettendo in scena e cosa vuoi da Nadia»
«Non ho intenzione di farlo e non ho tempo di ucciderti. Ma
sappi che non sono io il cattivo, stavolta» conclude Loki,
allungando una mano verso Nadia. Lei fissa stranita quel palmo aperto,
bianchissimo, teso verso di lei.
«Se mi tocchi giuro che ti tolgo quel ridicolo elmo e te lo
ficco su per il culo, comprese le corna» sibila la ragazza
scansandosi e avvicinandosi di più a Pepper e Tony.
Un minuto dopo stanno correndo via.
***
Stanno correndo via.
Loki non sa bene dove, non sa a cosa serva. Quelle creature sentono
l'energia della pietra e possono trovarli ovunque, anche se
è quasi del tutto certo di averle indebolite abbastanza da
costringerle a cercare dei corpi dei quali prendere possesso, quei
maledetti parassiti! E se si impossessassero di qualche corpo umano
sarebbero limitate ai sensi degli esseri umani, incapaci di captare la
pietra e lui potrebbe avere un attimo di respiro, quel tanto che
basterebbe a decidere cosa fare.
Sta di nuovo scappando, come un vigliacco. Sta fuggendo senza sapere
dove trovare riparo, in testa a quel piccolo assurdo corteo: Nadia e la
donna alle sue spalle e Stark in coda.
Questa proprio non ci voleva. Avrebbe tutto il tempo di fermarsi e
uccidere quei due ma non può farlo, non davanti a Nadia, sa
che se la turbasse fino a quel punto non riuscirebbe più a
farsi seguire da lei e lei da sola adesso è troppo
vulnerabile, deve per forza starle vicino ed è
già abbastanza turbata e spaventata da lui. Forse
è un bene che lo tema, ma Loki non riesce a fare a meno di
pensare a quanto sarebbe stata gradevole, tutto sommato, una serata
normale. Perché alla fine quegli sprazzi di
normalità non gli sono affatto dispiaciuti e ora sa che sono
finiti, che Nadia non lo tratterà mai più come
trattava il ragazzo che credeva lui fosse.
Loki non capisce perché, ma la cosa lo infastidisce. Forse
perché nessuno lo aveva mai trattato da persona comune ed
è assurdo, lui sa di non essere affatto un essere comune,
lui detesta dover anche solo somigliare a un essere comune, ma pare che
le persone comuni siano le uniche che possono meritarsi un sorriso
sincero, ogni tanto.
Non gli importa nemmeno dei sorrisi, in realtà. È
che non riesce a sopportare che le cose non siano andate come voleva
lui e che adesso Nadia sia fuori dalla portata delle sue manipolazioni.
Si è tolto elmo, mantello e placche dorate. Alla ragazza
stava per prendere un colpo quando ha visto sparire nel nulla quegli
ornamenti che tanto ama sfoggiare.
«Stai correndo verso Piazza san Marco» osserva
Nadia, quasi con rabbia. «C'è troppa gente
lì a quest'ora, dobbiamo portare quegli esseri in un posto
dove non ci siano persone da mangiare!».
Perché diamine si ritrova sempre circondato da uomini e
donne che vogliono fare gli eroi?
Nadia lo afferra per un lembo della casacca e lo trascina in un vicolo.
Lo trascina, già. Quanta forza riescono a tirare fuori
questi esseri umani quando sono spaventati.
Si fermano all'ombra di una palazzina, gettandosi con le spalle contro
il muro, a riprendere fiato.
«Cosa sono quei cosi?» abbaia Stark, puntando in
faccia a Loki due occhi che ardono di furia. È spaventato il
piccolo uomo di metallo, ora che deve proteggere la sua donna e una
ragazza da lui e dai mostri e non ha i mezzi per farlo.
«Non hanno un nome, c'è chi li chiama i demoni di fumo»
spiega il dio. «Li ho indeboliti e adesso staranno vagando
per la città alla ricerca di corpi di cui
impossessarsi»
«Che cosa?» sbotta la donna bionda sollevando le
sopracciglia fin quasi all'attaccatura dei capelli.
«Sono molto potenti, ma quando perdono la loro energia si
impossessano delle persone e usano i loro corpi. Mantengono la loro
forza e i loro poteri, che non sono da poco, ma sono limitati ai sensi
del corpo che occupano, così non ci possono
rintracciare»
«Che vuol dire che non ci possono rintracciare?»
«Nella loro forma di serpenti di fumo, hanno la
facoltà di avvertire l'energia magica».
È tedioso dover perdere tutto quel tempo a spiegare a degli
umani cose che sono così al di là della loro
comprensione.
«Ma stavano cercando
me!» interviene Nadia, parandosi di fronte a
Loki con quel suo fare da soldatino, solo molto più
rabbioso, di una rabbia che viene dalla paura, che sale dallo stomaco e
che le stringe il cuore in una morsa di gelo. «E io non ho
nessuna fonte di energia magica... nessun maledetto anello di Sauron,
nessuna cazzo di bacchetta di sambuco, niente di niente!».
Ecco, la paura e la rabbia la stanno facendo diventare sciocca e cieca.
Se fosse lucida, la Nadia che conosce lui, avrebbe già
capito qual'è la fonte di energia magica in suo possesso.
«Allora è a questo che ti riferivi, quando hai
detto che lei ha qualcosa che ti serve» interviene Stark,
palesando l'ovvio. Lui è idiota anche quando è
lucido e ora lo sta fissando come se cercasse di capire, si sta facendo
domande che non vuole porre ad alta voce. Si sta chiedendo come mai
lui, il dio del caos, il
mostro, non abbia semplicemente ucciso la ragazza per
prendersi ciò che gli serviva. E si sta chiedendo se non ci
sia della buona fede in questo, perché ora Tony Stark ha
bisogno di credere di potersi fidare, seppure in minima parte,
dell'essere che ha disprezzato e combattuto, della persona che lo ha
lanciato giù da una torre per ucciderlo.
«Il bracciale?» domanda Nadia. Un lembo di
intelligenza deve essere riaffiorato dal caos.
Loki non ha bisogno di darle una risposta affermativa. Lei sa, come ha
sempre saputo.
«D'accordo» borbotta la ragazza.
«Prendilo e vattene».
Stark sta osservando soave che non è il caso di dare a un
dio psicopatico quello che vuole con tanta facilità, ma
né Nadia né Loki gli prestano attenzione. Sono
troppo impegnati a fronteggiarsi con lo sguardo, immersi in pensieri
rancorosi e amareggiati.
Prendilo e vattene.
Quelle parole sono dure come un pugno, pesano come il martello di Thor
sul suo petto mentre lo teneva inchiodato a terra ponderando di
distruggere il Bifrost. Pesano come l'aria che lo spingeva
giù durante la caduta.
Loki la sta odiando, perché non sopporta che lei gli dia un
ordine così perentorio ora che sa chi è,
perché non sopporta quella freddezza nel fondo di quegli
occhi scuri che lo fissano e sembrano pozzi senza fondo nella penombra
della notte. La sta odiando, ma si costringe a mantenere la calma
mentre le risponde.
«Ti sarai accorta che non puoi toglierlo, immagino»
le dice, semplicemente.
«Ehi, Bambi, cosa è questa storia del
bracciale?» interviene Stark, impaziente.
«Qualcosa che non ti riguarda e che la tua mente ristretta
non potrebbe comprendere»
«La mia mente ristretta comprende molte più cose
della tua, brutto figlio di...»
«Stanno tornando!» strilla la donna bionda,
scattando.
«Oh, merda!» sibila Stark voltandosi a osservare un
nastro argentato che fluttua in alto, puntando nella loro direzione.
Gli altri demoni avranno certamente trovato corpi da occupare, ma
quello deve essere l'unico che ha resistito all'attacco sferrato da
Loki, e sta usando le sue percezioni per trovare tutti loro.
Cioè per trovare lui e Nadia.
I quattro fuggitivi stanno valutando da che parte andare, scambiandosi
occhiate nervose.
«Come li fermiamo?» domanda Stark,
deglutendo.
«È questo il problema: non possiamo fermarli. Se
uccidiamo il corpo che li ospita, loro lo mantengono in vita e
continuano a sfruttarlo. Si possono uccidere solo nella loro forma non
umana, ma io adesso non ho abbastanza potere per farlo»
sibila Loki, poi senza aggiungere altro, si volta, afferra Nadia per un
polso e la trascina via di corsa. La trascinerà anche a
costo di legarla e imbavagliarla, anche a costo di doverle fare del
male. Lei ha la pietra, lui non può lasciarla andare
perché ora quella pietra gli serve più che mai,
gli è necessaria non solo per riacquistare potere ma anche
per salvarsi la vita.
Ma Stark non lo lascerebbe allontanarsi con la ragazza. Gli si
appiccica alle calcagna, insieme alla dannata donna bionda.
«Devi avere un piano. Sei tu quello esperto in stermini e
uccisioni» borbotta l'uomo di metallo.
Sentono su di loro lo sguardo del demone.
«Ho bisogno dell'energia della pietra sul bracciale per
contrastarli, ma ci vuole tempo per assorbirla» commenta
Loki, serrando ancora di più le dita attorno ai polsi di
Nadia, per il solo gusto di farle male.
«Stai dicendo che tirerai fuori un po' di fegato e
combatterai contro quei cosi?» lo provoca Stark. Beffardo
anche nel pericolo, Loki pensa che forse deve riconsiderare l'idea di
ucciderlo con o senza Nadia.
«Devo farlo, vogliono me» risponde il dio
dell'inganno, senza mentire. «E non parlarmi come se fossi un
codardo! Ho sempre combattuto le mie battaglie»
«E ti è sempre andata da schifo».
«Tony!». La donna bionda cade, inciampa in un
ciottolo rialzato e finisce in terra.
Loki vorrebbe continuare a correre via, ma quando Stark si ferma per
aiutare la sua compagna anche Nadia si punta con i piedi a terra,
opponendo resistenza e strattonandosi per liberarsi dalla sua presa. E
alla fine ci riesce, con uno strattone che fa quasi perdere
l'equilibrio al dio, colto alla sprovvista da tanta forza.
«Idiota! Vogliono uccidere anche te, nel caso non ti sia
chiaro! Hanno sentito il potere della pietra e sanno che è
la mia risorsa» lui le urla dietro, incapace di reagire alla
mancanza di senno di quella giovane che non lo sta affatto ascoltando.
Loki alza un attimo lo sguardo, quel tanto che basta per capire che
Stark non ce la farà ad aiutare la donna, che non
farà in tempo. Forse alla fine il fato ha deciso di dargli
una mano, forse l'uomo di metallo sarà ucciso dal demone di
fumo che sta volando sopra la sua testa in questo momento e lui non
avrà bisogno di turbare Nadia prendendosi il disturbo del
suo assassinio.
Il serpente argentato scende in picchiata verso l'uomo che sta aiutando
la donna a rialzarsi. Lei deve essersi slogata una caviglia o qualcosa
del genere, perché non riesce a tornare in piedi.
«Tony, attento!» grida Nadia, terrorizzata.
Stark si alza di scatto e rovina all'indietro. In quell'istante il
serpente cade addosso alla donna ma non la passa da parte a parte,
semplicemente si infrange sulle sue spalle e sparisce in una nuvola di
fumo.
Oh, no...
«Pepper!». Stark fa per allungare una mano verso di
lei.
Pessima, pessima
scelta...
«Fai qualcosa...». Nadia ha già capito,
e le parole che le escono dalle labbra sono una preghiera, non un
ordine. Loki pensa che quello è il momento adatto per
prenderla e andarsene, e lasciare Stark e la sua compagna al loro
infausto destino. Ma tenere a bada i mostri, scappare e convincere
Nadia a essere collaborativa non sono cose facili da farsi in
contemporanea; ha bisogno di lei e, per quanto lo ripugni l'idea,
potrebbe avere bisogno anche di Stark. Senza contare che se la ragazza
lo vedesse salvare il suo beniamino, forse si mostrerebbe un po' meno
ostile in futuro.
Si getta sull'uomo un attimo prima che la donna bionda di nome Pepper
sollevi la testa. L'espressione sul volto affilato ed elegante
è raggelata in una maschera inespressiva e le pupille dei
suoi occhi sono sfere di fumo argentato. Adesso quella tutto
è tranne che la tenera, dolce compagna di Tony Stark;
l'ultimo demone rimasto senza un corpo ne ha appena trovato uno.
E quel maledetto idiota di un umano sta anche opponendo resistenza.
Vuole sottrarsi alla stretta di Loki e tornare da lei, ah l'amore come
rende stolti!
Nadia lo viene ad aiutare, circonda con un braccio il torace di Stark e
lo spinge all'indietro.
«Dobbiamo andare, adesso» dice con una dolcezza e
una fermezza che Loki non le ha mai sentito usare. «Troveremo
una soluzione, te lo prometto, ma se ti lasci uccidere non potrai
salvarla».
Un barlume di lucidità affiora per un attimo nello sguardo
di Tony Stark mentre Nadia lo guarda negli occhi, pronunciando una
promessa che non è in grado di mantenere.
La donna bionda si alza in piedi, lui deglutisce. Loki pensa che se ne
avesse il tempo potrebbe persino vomitare, ma devono andarsene prima
che lei – cioè il demone che ora si porta dentro
– cominci a dare
spettacolo.
«Dobbiamo trovare un posto per nasconderci» mormora
Stark con voce spenta, in un tono che quasi non sembra il suo.
Loki e Nadia si scambiano un rapido sguardo, uno sguardo che malgrado
tutto ha un che di complice: hanno pensato alla stessa cosa.
«Il tuo rudere abbandonato» dice lui con un rapido
cenno di assenso.
Lei annuisce.
Forse per quella notte le battaglie sono finite.
________________________________________________________
Applauso a chi aveva già capito che Tony l'armatura se l'era
portata dietro comunque XD
Per questo capitolo vi risparmio la mia logorrea, non c'è
niente da dichiarare, se non il mio rinnovato ringraziamento a tutti
voi.
Ci leggiamo lunedì prossimo ^^
Ciauz!
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Capitolo 10 *** Capitolo nono ***
Capitolo nono
Il silenzio è duro come la pietra di quella casa, denso come
le ombre gelide che quell'unica fonte di luce non riesce a dissipare.
La fonte di luce in questione è il cellulare – o
almeno, l'aggeggio sembra essere un cellulare – di Tony,
appoggiato su una cassetta della frutta messa al centro della stanza a
mo' di tavolino. Lui ha premuto qualche tasto e una luce bianchissima
si è accesa da un foro aperto sulla cover metallizzata.
Nadia fissa come ipnotizzata quel cono luminoso proiettarsi contro il
muro disegnando un ovale sulla parete spoglia. È quasi
sicura che se continua a guardarlo la luce invaderà tutto e
lei si risveglierà nel proprio letto, con Casanova accanto,
e scoprirà che nella camera numero 7 sono alloggiati una
coppia di turisti giapponesi.
Ma per adesso è ancora incastrata in quella specie di sogno
surreale, dove ci sono mostri che si impossessano della gente, pietre
magiche, divinità criminali e turisti americani molto
sfortunati.
Si è seduta vicino a Tony, su un materasso che odora di
polvere, ed è rimasta accanto a lui che fissa il pavimento
con aria pensierosa. Nessuno ha detto una parola da quando hanno
varcato la soglia della casa abbandonata.
Loki se ne sta in piedi, con le braccia conserte, nel punto
più lontano dalla luce. Nadia non riesce a vederlo, ma
è sicura che il suo viso non tradisca alcun sentimento
particolare. La ragazza adesso si sta chiedendo se Loki abbia qualche
sentimento sotto quella sua pelle diafana e fredda.
Come se il dio si fosse accorto che i pensieri di Nadia sono rivolti a
lui, solleva la testa e punta lo sguardo nella sua direzione. E dice
una cosa assolutamente stupida.
«Dovresti provare a dormire».
Lei strabuzza gli occhi.
«Perché? Se mi stanco la tua preziosa pietra non
funziona a dovere?» ribatte acida.
«Perché più sei stanca e più
sei vulnerabile. Anche se fatico a immaginarti più
vulnerabile di quanto tu già non sia».
Tony alza lo sguardo con uno scatto e aggrotta le sopracciglia,
«Tirare su il morale non è mai stato il tuo forte,
eh?» borbotta.
«Dovrei dirle di non preoccuparsi e che andrà
tutto bene?»
«Non è questa la tua specialità, Bambi,
mentire?».
Loki scuote il capo, spazientito, e comincia a camminare su e
giù per la stanza.
Ad ogni modo, lei non vuole che gli si menta, non ne può
più di bugie, tranelli e verità nascoste.
«A proposito di menzogne» interviene Nadia.
«Perché non mi fornite qualche particolare su come
è nata questa vostra splendida e amichevole
relazione?»
«Oh, giusto. Gli Avengers, il circo ambulante di Nick Fury,
mio fratello, il Tesseract» borbotta Loki, l'acredine del suo
tono di voce si fa più palpabile parola dopo parola.
«... l'omicidio dell'agente Culson, la quasi distruzione
dell'eliveivolo, il rincoglionimento dell'agente Barton e del dottor
Selvig, il pessimo gusto nel vestire» continua Tony, con aria
di sfida.
Nadia adesso sente che sta per scoppiarle la testa e si rende conto che
c'è più di un nervo scoperto che una simile
conversazione andrebbe a toccare. Dal modo in cui si guardano, Loki e
Tony sembrano due bombe a orologeria pronte a esplodere per vedere
quale delle due ha la carica più distruttiva.
«D'accordo, possiamo parlarne in un altro momento»
conclude, alzando le mani. «Adesso perché non
discutiamo di un piano per risolvere il nostro problema?».
«Io ho bisogno della mia armatura» dice subito Tony.
La sua che? Oh, certo, la misteriosa armatura di cui si va farneticando
da quando è cominciato quell'orrore. Nadia non ha la
più pallida idea di cosa debba farsene di un'armatura.
«Niente di più facile» ribatte Loki.
«Puoi uscire, andarla a prendere e poi tornare. Non ti
troveranno, non potrebbero farlo, e di sicuro non è te che
stanno cercando».
Tony sgrana gli occhi.
«E lasciarti da solo con Colombina? Neanche per
idea».
Loki si massaggia la fronte, sembra già sull'orlo
dell'esasperazione.
«E che cosa suggerisci? Non posso venire a farti da balia,
Stark, non è prudente lasciare qui Nadia senza
protezione»
«Neanche io ho bisogno della balia» replica la
ragazza.
«Questo» sibila il dio, seccato, «non
è il momento di fare l'eroina».
«Ah, già, perché l'eroe qui dentro sei
tu» sussurra lei, astiosa. Lui sarà pure sull'orlo
dell'esasperazione, ma non le importa.
Loki ha uno scatto, attraversa a grandi passi la stanza, arrivando fino
a lei. Tony fa per pararsi tra loro due, ma Nadia lo scosta con una
leggera spinta. Non ha paura di Loki, non le importa se è un
dio malvagio e vendicativo, non le importa quanta gente ha ucciso. Lei
lo sta detestando per quello che le ha fatto, per averla trascinata in
quel casino a causa della pietra, per averle mentito su tutto e
perché non prova il minimo rimorso ad averlo fatto.
«Dovrei esserlo, ai tuoi occhi, sciocca ragazza, visto che
sono l'unica ragione per cui sei ancora in vita» le sibila il
dio, guardandola con freddezza.
«Certo, ti sono grata per avermi salvato solo
perché sono un braccio che regge un ninnolo. Per
curiosità, in che modo avevi pensato di uccidermi una volta
che non ti sarei più stata utile?»
«In un modo consono alla tua impudenza, di sicuro».
Non sentono il tonfo sordo provenire dal tetto, un colpo
così duro che fa scrollare la polvere da tutte le
insenature. Non sentono la voce preoccupata di Tony che tenta di
ricondurli alla ragione e attirare la loro attenzione su quello che sta
succedendo.
«Qui c'è qualcosa che non va!» dice lui
allarmato, sollevando lo sguardo verso il punto in cui ha sentito il
rumore. Un secondo dopo si sente il rombo assordante di un tuono
spandersi nell'aria e di colpo l'espressione di Tony si fa
più distesa.
Nadia ha un sussulto, non ha mai sentito tuonare così
violentemente. Si guarda attorno febbrile.
«Che cos'è?» domanda.
«Rinforzi» risponde Tony con un sorriso che
è quasi giocoso.
«Grane» gli fa eco Loki coprendosi mestamente la
faccia con il palmo della mano.
***
Dall'alto la città gli sembra quasi una ragnatela tracciata
da canali che si insinuano tra gli edifici, gli pare bellissima, ma il
dio del tuono non ha tempo per perdersi in pigre contemplazioni del
luogo in cui si sta dirigendo.
Quando suo padre aveva detto che gli umani coinvolti nell'ennesimo
misfatto di Loki avrebbero avuto giusta protezione non aveva capito che
si stava riferendo a lui, ma mentre il vento gli sferza il viso, Thor
è quasi contento che gli sia toccata quell'impresa.
Atterra sul tetto della casa, protetto dall'oscurità. Il
martello fa disperdere nel buio schegge di tegole e uno sbuffo di
polvere.
Inspira una grande boccata d'aria che sa di mare e di pietra.
Sì, è decisamente lieto di trovarsi
lì, di poter aiutare un compagno di battaglia in
difficoltà, riacciuffare suo fratello e conoscere l'umana.
Non sa molto di lei, sa solo quello che ha visto attraverso gli occhi
di Heimdall: immagini di una giovane donna che senza saperlo stava
giocando con il fuoco. Anzi, era il fuoco che stava giocando con lei
facendole credere di essere vento.
L'ha osservata mentre era in compagnia di Loki, in alcuni momenti si
è persino concesso la speranza che lei potesse essere una
specie di ancora di salvezza per suo fratello, che anche a lui
accadesse ciò che Thor aveva già vissuto quando
aveva cominciato a provare dei sentimenti per una mortale. Ma ora le
cose sono più complicate e non tutti i cuori sono fatti per
accettare il cambiamento.
Un tuono romba sopra la sua testa mentre lui scavalca il parapetto del
tetto e salta sul davanzale di una finestra. Sfonda le travi che
chiudono il passaggio e scivola dentro, lasciandosi inghiottire dal
buio. C'è una luce in fondo alle scale. Ci sono molte cose
in fondo a quei gradini, ma man mano che Thor si avvicina sente solo un
confuso senso di frustrazione pulsargli nelle tempie. Si accorge,
ancora una volta, che non sa bene che fare.
Quando arriva nella stanza a pianterreno, dove gli altri lo stanno
evidentemente aspettando, è l'impulsività ad
avere la meglio. I volti di Tony Stark e della ragazza ancora senza
nome svaniscono, confondendosi con le macchie sui muri; vede solo Loki
che lo fissa altezzoso, con il gelo nello sguardo.
Il dio del tuono si getta addosso a suo fratello, lo afferra per il
bavero della casacca e lo spinge contro il muro, con così
tanta violenza che sulla parete dove hanno urtato le spalle di Loki si
disegna un ricamo di crepe.
«Ti aprirei la testa a mani nude solo per vedere che hai in
quel cervello!» gli ringhia a un palmo dal naso.
Con la coda dell'occhio vede la ragazza sussultare e Stark batterle
amichevolmente una mano sulla spalla mormorando: «Sono
questioni di famiglia, lascia fare».
Loki ridacchia, sprezzante.
«Io almeno posso dire di avercelo, un cervello»
replica senza scomporsi.
«Non prenderti gioco di me, Loki»
«No, sei troppo stolto, non è nemmeno
divertente».
Thor lancia un grido di furore e scaraventa Loki a terra. Il dio
dell'inganno cade nella polvere.
«Allora verrai soccorso da uno stolto» borbotta il
figlio di Odino, esasperato. «Perché è
così che è stato deciso»
« Soccorso»
ripete Loki con aria di diffidenza. «Pensavo che il Padre
degli dei ti avesse mandato a catturarmi, o a uccidermi»
«Ucciderti? Ogni volta che ti vedo il tuo vaneggiare va
peggiorando, fratello. Nostro padre mi ha mandato ad aiutare te e
questa gente, prima che si compiano altri massacri a causa
tua».
« Fratello?».
È la ragazza a parlare, lo fa con la voce incrinata dallo
stupore, gli occhi le sono diventati grandi come due monete.
«Mi sono persa decisamente troppe puntate».
«Sì, gli piace usare quella parola, assai
più di quanto piaccia a me» replica Loki,
alzandosi.
Tony Stark si decide a fare gli onori di casa, ma sembra più
che altro che voglia sedare sul nascere una lite che potrebbe far
crollare quel fragile edificio,
«Lui è Thor, il bravo bambino. Ma non farlo
arrabbiare perché ha una sventola da paura»
dice indicando alla giovane il dio del tuono.
Lui si volta a guardare l'umana, ha il viso segnato dalla stanchezza e
dalle troppe cose accadute nell'arco di una sola serata, ma Thor l'ha
vista sorridere nei giorni precedenti – sorridere a Loki,
oltretutto – e ora sente una strana tenerezza mentre la vede
fissarlo ancora attonita e forse persino un po' ammirata.
«Thor, lei è Nadia. Ha un futuro come
gioielliera».
Lui le fa un leggero inchino, con il solo risultato di farla
imbarazzare, ma è così che ci si comporta e
quella ragazza si merita decisamente tutti gli onori della circostanza.
«Ehm... sì. Piacere» farfuglia la
giovane, poi scuote il capo. «Un momento, tu sei Thor tipo Thor il dio del tuono?».
Il figlio di Odino annuisce e ridacchia per il tono perplesso e
l'espressione stranita della sua interlocutrice.
Nadia si volta verso Loki, arricciando le labbra.
«Quindi tu sei proprio quel
Loki, quello che si è trasformato in una puledra per
farsi... oh...»
«Giusto! Me lo sono sempre chiesto anche io. Com'è
stato?» interviene Stark.
Il dio dell'inganno getta all'indietro la testa e sospira con aria di
sopportazione.
«Non ho mai fatto niente di tutto ciò»
puntualizza. «Ma l'ultima volta che ho controllato non
c'erano altri Thor e altri Loki in giro per l'etere».
Tony Stark batte le mani e sfrega i palmi, guardando uno a uno i
presenti. C'è un'ombra nel suo sguardo, qualcosa che sembra
preoccupazione. Thor non immagina neanche quanta pena lui debba provare
per la sua compagna, è quasi miracoloso che non abbia perso
il dono dell'ironia.
«Direi che abbiamo risolto il nostro primo problema,
no?» dice l'uomo di metallo con un sorriso. «Thor
resta con Nadia, io e il tristo mietitore andiamo a prendere la mia
armatura in albergo».
Loki fa una smorfia,
«Devi avere una pessima memoria, se ti affidi a me per
guardarti le spalle» borbotta.
Il sorriso di Stark si allarga, ora è l'immagine della
furbizia. È sempre stato arguto quell'uomo.
«Vedi, non credo che mi faresti del male, ti posso tornare
utile e poi non vuoi fare brutta figura con la nostra amica»
dice mellifluo, strizzando l'occhio verso Loki.
È vero, Thor se ne accorge dall'espressione che suo fratello
ora ha lanciato a Nadia. Un'espressione che lo tradisce: non le ha
fatto del male fisico, per quanto sicuramente ci abbia pensato molto
seriamente, non vuole farle nemmeno del male emotivo uccidendo qualcuno
per il quale lei prova simpatia.
Forse non è tutto perduto. Forse quella ragazza rappresenta
ancora una speranza di far rinsavire
Loki.
***
Dunque, ricapitoliamo...
Nadia si mette a sedere, osservando Thor che è di spalle e
sbircia fuori da una fessura della finestra sprangata, con l'ampio
mantello color porpora che copre tutta la sua imponente figura e le
dita serrate attorno all'impugnatura di quell'enorme martello.
Anche lui sembra solo un ragazzo, o almeno lo sembrerebbe se avesse
addosso dei vestiti da essere umano. Ed è straordinariamente
bello e buffo con la sua aria da cavaliere medioevale.
Nadia si sente in soggezione al solo guardarlo, e non capisce
perché ogni volta che lui guarda lei ha quell'aria di
contentezza nello sguardo.
Loki e Tony sono usciti da dieci minuti e lei si sente come se sotto la
pelle fosse fatta di gesso.
Sa che deve parlare, dire qualsiasi cosa. Se rimane in silenzio un
minuto di più perderà la ragione – se
non l'ha già persa.
«E così... ehm... tu e Loki sareste
fratelli?» domanda.
Thor si volta, facendo frusciare il mantello e le punta in viso due
occhi che brillano. Anche lui ha gli occhi di un azzurro straordinario,
ma non somigliano affatto a quelli di Loki.
«Questa è un'interessante domanda»
risponde il dio con un sospiro di pena. «Dovremmo esserlo,
nel senso che siamo stati allevati assieme, ma lui è
adottato e da quando lo ha scoperto ha smarrito il senno. Anzi, direi
che lo aveva smarrito già da prima. Comunque sia, ai miei
occhi non riesce ad essere meno di un fratello, come agli occhi di mio
padre non riesce ad essere meno di un figlio».
Nadia annuisce,
«Tuo padre?»
«Odino, il Padre degli dei».
Certo, Odino, mi sembra
giusto. Ora ci mancano solo Percy Jackson e Harry Potter.
Nadia si stropiccia il volto con le mani; uno sbaglio le schiude la
bocca, suo malgrado. Non vuole essere stanca, non vuole dormire.
«Cosa intendi quando dici che Loki ha smarrito il
senno?» chiede.
«Si è convinto di essere considerato inferiore a
me, il risentimento è cresciuto dentro di lui per anni e si
è trasformato in follia. Ha cospirato contro di me, ha
attentato alla sicurezza della Terra perché sa che
è un luogo al quale sono devoto, ma io voglio continuare a
sperare che da qualche parte, dentro di lui, siano rimaste le tracce
del fratello che era prima che tutto ciò
accadesse» risponde Thor con un sorriso mesto.
«Oh, sei un ottimista» borbotta Nadia con velato
sarcasmo.
«Intendi dire che sono uno sciocco?»
«Intendo dire che Loki non ha l'aria di uno che tornerebbe
sui suoi passi. Credo che certi limiti, una volta superati, ti
precludono la possibilità di tornare indietro».
Anche lei si sente triste mentre pronuncia quelle parole. Si sente
triste per il bel dio biondo e anche per Loki che ha sciupato con
così tanta noncuranza l'affetto di una persona che,
nonostante tutto, continua a chiamarlo fratello.
E invece Thor fa un sorriso un po' più allegro, una strana
luce gli accende lo sguardo che ha il colore del cielo del nord.
«Ho imparato che le strade che il fato mette a disposizione
sono sempre tante e inaspettate» dice convinto, come se
davvero parlasse per esperienza.
Nadia non è troppo convinta, o quanto meno, pensa che se
anche ci fossero delle strade per tornare indietro e rimediare Loki non
sarebbe disposto a percorrerle. Ma non lo dice, perché non
vuole rattristare Thor e forse perché anche lei vuole
concedersi un po' di speranza, perché non riesce ad
accettare che Loki sia davvero il mostro che ha scoperto essere quella
sera.
***
La vita certe volte è proprio una figlia di puttana.
Questo pensiero Tony Stark lo ha formulato più volte
nell'arco della sua sgangherata e lussuosa esistenza, e di solito il
suo cervello ponderava la suddetta riflessione quando lui era ubriaco.
Adesso è sobrio, maledettamente sobrio. Evidentemente
è il destino che si è fatto un goccio di troppo
per arrivare a trascinarlo in quella situazione. Il suo karma ha
proprio dato i numeri se adesso lui sta camminando a notte fonda per i
vicoli di Venezia con la versione stempunk di Hitler.
Lui stesso sta dando i numeri se è così disperato
da credere che il caro Loki sia l'unica speranza per salvare Pepper. Il
problema è che Loki è l'unica speranza di salvare
Pepper, insieme a Nadia. Ammesso che la ragazza resista –
fisicamente e psicologicamente – a tutto quel dannato casino.
Ma magari lui è in coma etilico steso sul divano di casa
sua, si sveglierà e scoprirà che niente di tutto
ciò è mai accaduto. Si sveglierà e
Pepper sarà lì a lanciargli un'occhiataccia
perché ha alzato il gomito.
Tony non ha mai desiderato tanto di essere ubriaco come in quel momento.
Ma è sobrio, e deve continuare ad esserlo. Per Pepper, per
la ragazza, per tutte le persone che adesso si ritrovano ad avere dei
serpenti di fumo che gli nuotano nel cervello... E dire che in passato
c'era stato un momento in cui aveva pensato che fosse davvero
divertente fare l'eroe. Che fosse semplice, perché era il
momento in cui non c'erano troppe scelte da prendere: aveva deciso di
servire il suo Paese e di farlo a modo suo. Ed era facile
perché quella del proprio Paese è un'idea,
qualcosa che ti inculcano fin da bambino, qualcosa che senti dentro,
non ci sono piani o compromessi. Adesso si tratta di salvare
qualcuno, qualcuno che ha un volto, un nome, una voce. Qualcuno che per
lui significa tanto e lui non solo non ha un piano, ma sa che
dovrà anche piegarsi al peggiore dei compromessi, allearsi
con un nemico mortale.
Sì, la vita è decisamente una gran figlia di
puttana.
«Ehi, Bambi» dice fermandosi di colpo a qualche
metro da un molo dove sono ormeggiate delle imbarcazioni che fungono da
taxi. «Siamo a Venezia, ma non è ancora Carnevale,
fai evaporare quei vestiti da darkettone».
Loki inclina leggermente la testa di lato e lo fissa con una strana
espressione sarcastica.
«Chiedimelo con più gentilezza»
suggerisce, mellifluo.
Tony scrolla le spalle e si avvia verso il molo. Non ha tempo da
perdere dietro a Loki e alle sue manie da primadonna, non ha bisogno
che lui gli faccia da balia, ma temeva che se lo avesse lasciato in
quella casa avrebbe trovato il modo di far saltare i nervi a Thor, e
c'è bisogno che i nervi di tutti quanti si mantengano molto
molto saldi. Soprattutto quelli di Thor, che quando saltano sono peggio
di una mina antiuomo.
Ad ogni modo, Loki non fa altre storie, in un battito di ciglia fa
sparire la chincaglieria e gli va dietro, vestito con un completo scuro
e una sciarpa di seta verde e dorata appesa al collo come una bandiera.
Salgono su un taxi, Tony dice al pilota che deve portarli al Danieli,
poi si volta a fissare Loki, che osserva con sguardo assente la
città addormentata scorrere ai lati del canale.
«Non credevo che Nadia fosse il tuo tipo» gli dice
con un sogghigno. «Così umana e indisponente, non
particolarmente incline alla sottomissione».
Loki alza la testa di scatto, puntandogli in faccia due occhi gelidi.
«Le persone che non si piegano sono le mie
preferite» dice in un filo di voce, con un sorriso crudele,
talmente affilato da far sanguinare anche il vento. «Adoro
riuscire a spezzarle».
Forse sta dicendo la verità, forse invece il dio
dell'inganno ha messo su l'ennesima maschera per coprire una debolezza
assolutamente poco divina.
Ma Tony non riesce a fare a meno di guardarlo con disprezzo prima di
tornare a fissare l'acqua scura che scorre sotto di loro.
***
Loki scruta il cielo, tentando di celare una certa apprensione.
Stark cammina davanti a lui reggendo quella che sembra essere
un'ingombrante valigia di metallo rosso e oro. È peggio di
un prestigiatore, riesce a far spuntare una delle sue maledette
armature dal nulla! Però, per una volta, la cosa gli sembra
un bene.
Non che Stark e Thor non rappresentino dei problemi seri. Ma sono
problemi che verranno affrontati dopo,
una volta sconfitti i demoni di fumo, e nel frattempo lui
potrà prendere dalla pietra tutta l'energia che gli serve.
Ora però hanno bisogno di elaborare un piano, una strategia.
Stark, Thor e Nadia di sicuro riterranno importante affannarsi per non
nuocere alle persone di cui i demoni si sono impossessati e questo
rallenterà di molto le operazioni, ma per una volta il dio
dell'inganno non ha molta scelta se non quella di adattarsi alle
istanze altrui. Ha bisogno di loro, per quanto la cosa gli appaia
detestabile.
Entrano furtivi dentro la casa, facendo attenzione a non fare rumore.
All'interno non c'è più la luce accesa,
è tutto buio e immobile. Loki sente un moto di agitazione
serrargli la mascella. Dove sono Thor e la ragazza?
Potrebbe accendere un fuoco con la magia, un vecchio trucco, ma non sa
se è opportuno. Lui e Stark si muovono a tentoni, reggendosi
alle pareti.
Un'enorme ombra nera si staglia all'improvviso contro l'apertura di una
porta strappata via dai cardini.
«Thor?» bisbiglia Stark.
«Sì. Fate silenzio» risponde in un filo
di voce il dio del tuono.
«Cosa succede?» ringhia Loki tra i denti.
«Niente, la ragazza dorme».
Che le Norne ti cavino
gli occhi, Thor!
Loki sospira stizzito,
«Dobbiamo parlare» asserisce.
«Il fratellino ha ragione, Thor. Abbiamo bisogno di un piano
o non usciremo mai da questa situazione» gli fa eco Stark.
«Certo. Andiamo di sopra, però, la ragazza
sta...»
«Sta dormendo, abbiamo capito» borbotta il dio
dell'inganno, strabuzzando gli occhi. Per fortuna che sta dormendo,
comunque. Ci manca giusto che proprio lei crolli per la stanchezza.
Cosa avrà fatto Thor per convincerla a prendere sonno, le
avrà cantato una canzone?
Salgono piano le scale scivolose e corrose dal tempo. Stark appoggia in
un angolo la sua valigia con l'armatura – come ci
starà mai quella diavoleria lì dentro? - e Loki
nota alcuni mozziconi di candela in un angolo, incollati con la stessa
cera sciolta su una base di ferro arrugginito.
Il silenzio e l'oscurità sono soffocanti come l'attesa.
Il dio dell'inganno passa le dita sugli stoppini anneriti di quel che
resta delle candele e un attimo dopo le fiammelle tremule spargono un
chiarore incerto per la stanza piena di polvere e ragnatele. Mentre si
guarda attorno si chiede ancora una volta come diamine faccia Nadia a
trovare attraente quel posto. Ah, già, lei ama le cose
spezzate. Ripensa a quello che ha detto a Stark mentre erano su quella
barca, a come lui lo abbia guardato con disprezzo.
«Mi sono informato» esordisce Thor.
«Nella biblioteca di Asgard ho trovato dei testi che parlano
di questi demoni di fumo».
Loki sgrana gli occhi con un moto teatrale di incredulità.
«Tu hai letto
dei libri?» chiede.
Thor solleva le sopracciglia che ora sembrano due punti di domanda
dorati.
«Certo che ho letto dei libri» risponde, sulla
difensiva.
«Impressionante. Sai leggere?».
Il dio del tuono lancia uno sguardo astioso in direzione del fratello,
poi scuote la testa e riprende le fila del discorso.
«Il Mjolnir dovrebbe bastare a eliminarle, ma dobbiamo
tirarle fuori dai corpi delle persone, sfiancarle il più
possibile» conclude.
«Tutto qui? Così semplice?» borbotta
Stark incrociando le braccia sul petto.
«No, non è affatto così
semplice» osserva Loki. «Quelle persone ora hanno i
poteri dei demoni, possono muovere gli oggetti con il pensiero, hanno
forza e agilità sovrumana e uccidere i corpi delle persone
non fermerebbe i parassiti che vi si sono annidati»
«Infatti noi non uccideremo proprio nessuno»
replica prontamente l'uomo di metallo. «Mi sono spiegato,
Terminator con le corna?»
«Immagino che la puntualizzazione sia valida soprattutto per
la tua dolce donna bionda, giusto?»
«Cosa non ti è chiaro dell'espressione: proprio nessuno?»
«Non ci saranno vittime, faremo tutto quanto è in
nostro potere per evitare un simile scempio» replica Thor
alzando leggermente il tono di voce. «Ad ogni modo, Loki, i
tuoi poteri non sono sufficienti a estirpare i mostri dai corpi delle
persone?»
«Non ancora. Mi serve Nadia per questo, ma la nostra giovane
amica non è tenuta a restare e a rischiare la vita per
salvare degli sconosciuti».
Thor fa uno strano sorriso che sembra quasi una smorfia amareggiata e
dondola la testa. Una ciocca di capelli gli cade davanti agli occhi.
«Dopo tutte le dimostrazioni che hai avuto, proprio non
riesci a convincerti del fatto che gli umani non siano i codardi
smidollati che tu pensi» mormora, come se stesse pensando ad
alta voce.
Eccolo che ricomincia con la sua apoteosi della razza umana.
C'è gente come quel mentecatto di Stark che va anche bene a
fare l'eroe, che certamente ci prova anche gusto, ma Nadia è
solo una ragazza e sembra che loro diano per scontato che lei possa e
voglia reggere quella situazione. E Loki sa che se lei volesse
andarsene e mettersi al sicuro quei due glielo lascerebbero fare,
perché non
possono obbligarla, perché non è giusto
obbligarla. Perché sono degli ipocriti che
mettono la giustizia davanti alla necessità.
«Allora non ci resta che sperare che quell'umana in questione
non sia una codarda smidollata, perché quello che le si deve
chiedere non è da poco» conclude Loki con
un'alzata di spalle. Oh, ma ormai è certo di conoscere Nadia
tanto da sapere che è folle abbastanza da imbarcarsi in
quell'impresa.
«Dunque, il piano sarebbe lasciarti attingere energia dalla
pietra per darti la facoltà di esorcizzare i demoni che
verranno presi a martellate una volta fuori dai corpi umani?»
riassume Stark. «Perché la cosa mi puzza di
inganno? Chi ci assicura che una volta che avrai attinto energia dalla
pietra non te ne andrai lasciandoci in balia di quegli
esseri?».
La prudenza è sintomo di saggezza, indubbiamente. Ma nel
caso dell'uomo di metallo qui si sta davvero cadendo nell'idiozia.
D'accordo, l'energia della pietra gli servirà anche a
fuggire e lasciarsi alle spalle Thor e tutto quel dannato disastro, una
volta eliminati i demoni, ma questa cosa riguarda solo lui, non
c'è niente di cui Stark debba preoccuparsi.
«Cosa ci trovi di ingannevole nel fatto che io ho tanto
interesse quanto te a distruggere quelle creature? Non dimenticare che
la tua donna si è ritrovata invischiata perché
era nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma loro sono qui per
me» osserva Loki. Non vuole la fiducia di nessuno;
è semplice logica, non dovrebbe nemmeno star lì a
spiegare quelle cose! «Ad ogni modo, ho bisogno di una
giornata tranquilla con la ragazza per assorbire quello che mi serve
dalla pietra».
«E poi, che facciamo? Cerchiamo uno ad uno i posseduti e gli
recitiamo un salmo?» incalza Stark.
«Quanti sono?» domanda Thor incupendosi.
«Non li abbiamo contati, forse una trentina».
Il dio del tuono si massaggia la barba ramata e lancia uno sguardo ai
presenti.
«E noi siamo solo in tre» conclude, lapidario.
Sa leggere e sa anche contare. Confortante.
Stark mette su uno di quei suoi sorrisi da bambino che sta progettando
di andare a rubare caramelle.
«Potremmo chiamare i rinforzi. Che ne dite di una bella
rimpatriata?» esclama.
«Oh, sarei felicissimo di rivedere i tuoi amici, tanto quanto
loro lo saranno di rivedere me» borbotta Loki.
A parte le sue personali riserve, comunque sa che Stark ha ragione, gli
occorre una mano e gli altri quattro saltimbanchi che ha lasciato a
casa sono l'opzione migliore che hanno. Ma non vuole rimanere
lì e assistere al piccolo trionfo personale di Stark che si
atteggia a maestro di cerimonia mentre organizza tutto quello che
c'è da organizzare. Si volta senza aggiungere altro e scende
al piano inferiore.
Dalle poche fessure sulle ante delle finestre sprangate filtrano le
prime luci del giorno.
Loki attraversa le stanze vuote, immerso nei suoi pensieri. In una
delle camere scorge Nadia stesa su un materasso, rannicchiata sotto il
mantello rosso di Thor, e si ferma di colpo sulla soglia della porta.
Si ritrova a pensare a come farà adesso Stark a spiegarle la
situazione, le dovrà certamente dire degli Avengers, delle
persone che stanno arrivando e di sicuro non perderà
occasione di infarcire il racconto con qualche altro particolare sui
suoi crimini.
E lei non perderà occasione di rammentargli quanto lo trova
detestabile.
E comunque la vista di Nadia con addosso il mantello di Thor lo irrita
profondamente.
Ma non vuole svegliarla, non ha voglia di affrontarla. Ha solo voglia
di rimanere un po' in silenzio e, finalmente, a una distanza
accettabile dalla pietra.
_______________________________________________________________________________________________________________________
Note:
Questo
è uno dei capitoli che mi è piaciuto di
più scrivere. Io li adoro
tutti questi tizi!
L'armatura
di zio Tony, quella nella valigia, dovrebbe essere una cosa simile a
quella della scena del circuito automobilistico di Montecarlo in Iron
Man 2. (se non avete visto il film, è lo stesso... lo dico
solo per
specificare che non me lo sono inventato io il fatto che il caro
signor Stark si porti dietro l'armatura compattata in una valigia).
Ci leggiamo venerdì con il prossimo capitolo ^^
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Capitolo 11 *** Capitolo decimo ***
Capitolo decimo
Steve ha sempre pensato che le città fossero caotiche e
rumorose, pensava che non ci fosse luogo peggiore di New York. Prima di
ritrovarsi nella New York del ventunesimo secolo.
Quel posto è un inferno. Sembra che automobili, bus e
persone si siano quadruplicate negli ultimi sessant'anni, che i palazzi
siano diventati più alti e ingombranti, le luci
più accecanti e invadenti.
E poi ci sono i telefoni
cellulari. Sono utili, per carità, ma sono
anche così alienanti.
Non è stato molto contento quando Stark gliene ha regalato
uno, ha detto che era per la sua sopravvivenza, ma ai suoi tempi Steve
ricorda che c'erano i telefoni pubblici a gettoni e la gente
sopravviveva lo stesso.
Chiude la porta di casa dietro alle sue spalle, reggendo un sacchetto
della spesa. Il rumore sembra interrompersi di colpo, si ritrae e resta
confinato dietro il battente di legno.
L'uomo fa un sospiro di sollievo.
Sistema nella dispensa le cose che ha comprato, in fondo al sacchetto
c'è il disco... ora si chiamano CD. Un quadrato di plastica
lucida con sopra una foto in bianco e nero di Coleman Hawkins che
soffia nel suo sassofono.
Steve scarta il disco dall'involucro di cellophane e apre la copertina.
Si avvicina al ripiano del mobile dove c'è il lettore CD e posa
il disco sulla mensola, staccandolo con molta cura dall'alloggio di
plastica al quale è agganciato. Gli hanno spiegato che
quegli affari sono delicati, non si devono graffiare e non si devono
mettere le mani sulla superficie argentata.
Pigia un tasto e il coperchio del lettore cd si solleva con un sottile
ronzio elettrico. Il disco va inserito con la parte argentata verso il
basso, poi si richiude lo sportellino e si preme PLAY.
Steve esegue tutte queste operazioni con precisa
meticolosità, come un rito, pregustando il momento in cui
dalle casse comincerà a spandersi la musica.
Preme sul PLAY e...
I'M ON HIGHWAY TO HELL!
HIGWAY TO HELL!
I'M ON HIGHWAY TO HELL!
Quello decisamente non è Coleman Hawkins. Quella
è la stramaledetta suoneria del suo cellulare, omaggio di
Stark – sia il cellulare che la suoneria con quella musica
oscena che ascolta lui.
L'apparecchio sta vibrando sul piano del tavolo, con il display che si
accende a intermittenza. Sul piccolo schermo rettangolare ora campeggia
la foto di Stark che sorride e fa il segno di vittoria con le due dita
alzate.
«Stark?!» ringhia Steve dopo aver premuto il tasto
con la cornetta verde.
«Ciao, Capitano! Come stai?»
«Ora peggio. Quando torni devi fare in modo che il mio
cellulare smetta di squillare con questo rumore assurdo».
«Pensavo di sentirti più rilassato, Capitan
Dinosauro. La modernità è una vera giungla,
eh?».
Steve si passa una mano sul viso e prende un bel respiro. Tony Stark
è irritante, ma è pur sempre un amico e in tutta
sincerità lui non può dire di non essere contento
di sentirlo.
«Sei ancora in vacanza?» gli chiede, ritrovando un
tono voce più cordiale.
«Mi piacerebbe poterti dire di sì, ma non sarebbe
esattamente vero» risponde l'altro.
«Sei tornato a New York?»
«No, sono ancora in Italia»
«E questa è una telefonata di
cortesia?». Steve sa che non lo è, non che Stark
sia del tutto incapace di essere cortese, ma adesso lui ha una specie
di brutto presentimento, come se ci fosse qualcosa di strano nel tono
del suo interlocutore.
«Ti avrei chiamato per sapere qual'è la tua
taglia, qui vendono degli adorabili boxer con il campanile di San Marco
disegnato in posizione strategica. Tuttavia, c'è qualcosa
che al momento mi preme di più».
Steve sospira, guarda il lettore cd con i led ancora accesi e sa che
dovrà rimandare a tempo indeterminato l'ascolto del disco
che ha comprato.
«Sono tutto orecchi» borbotta.
«C'è un'emergenza, Capitano. Ho bisogno che tu
organizzi una rimpatriata con Shrek, Robin Hood e la strega Morgana e
che mi raggiungiate, il prima possibile, in assetto da guerra...
più o meno. È un codice rosso, anzi volendo
mettere la cosa in termini cromatici, direi che la vedo nera»
spiega Stark, alzando di qualche ottava il tono di voce.
«Aspetta, aspetta, rallenta» lo interrompe Steve.
«Che tipo di emergenza?»
«Il solito, direi. Persone in pericolo, mostri assassini e
cose del genere... oh, e c'è anche una donzella in
difficoltà, questo può bastare a sbrinare il tuo
tenero cuoricino surgelato?»
«Stark, sta succedendo una catastrofe. A Venezia. E Lo
S.H.I.E.L.D. non ne sa nulla?»
«Esattamente. E non
deve saperne nulla. L'ultima volta il Consiglio di Stato
Maggiore ha pensato di risolvere il problema con un missile nucleare,
direi che è meglio non farli preoccupare. Vi
spiegherò tutto quando sarete qui, ora non ho molto
tempo».
Steve non riesce a crederci. Davvero Stark pensa di cavarsela
così? Di dire quattro parole al telefono e farli mobilitare
tutti per raggiungerlo dall'altro lato del mondo? Magari ha solo
organizzato una festa a sorpresa su una terrazza sulla Laguna...
«Stark, ascolta...»
«Steve, ti prego. È una cosa seria. Molto
seria».
Per un attimo il Capitano si sente raggelare. Da che ricorda, Tony
Stark non lo ha mai chiamato per nome e non ha mai usato quel tono
grave, nemmeno nei momenti più drammatici, persino dopo aver
sfiorato la morte ha mantenuto il suo contegno da pagliaccio. E ora lo
sta... pregando?
«Va bene. Dammi ventiquattro ore» conclude Steve.
***
Una luce livida filtra dalle fessure delle finestre. È tutta
la notte che respira l'odore di chiuso e polvere di quel posto e adesso
non lo sente nemmeno più.
Nadia emerge pian piano dal sonno, in mezzo al grigiore della stanza
spoglia. Si volta su un fianco, stiracchiandosi, avvolta in un bozzolo
di calore. Sente un tessuto morbido a contatto con la pelle, le sue
dita tastano la stoffa rossa del mantello di Thor, cercando di capire
di che meraviglioso materiale sia fatto. Ma quand'è che
glielo ha steso addosso? Ah, deve essere crollata addormentata
all'improvviso – e lui deve averla presa in braccio e messa a
letto. Non deve essere stata una bella figura, dopotutto stavano
parlando di cose piuttosto importanti e folli... Asgard, i complessi di
Loki, ponti dell'arcobaleno distrutti, l'esilio del dio del tuono su
Midgard. Midgard,
ha detto proprio così...
Sbatte più volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza.
L'unica nota di colore in mezzo a tutto quel grigio è
un'ombra scura, seduta in terra accanto al materasso su cui
è sdraiata.
Oh, santi numi...
«Ben svegliata» mormora Loki in tono inespressivo.
Che cosa ci fa lì? Ah, certo, la pietra...
Lei ha un sussulto e scatta mettendosi a sedere, avendo cura di tenere
addosso il mantello rosso per proteggersi dall'umidità di
quel primo mattino.
«Dove sono Tony e Thor?» domanda accigliata.
«Li ho fatti a pezzi e gettati in un canale»
«Non sei spiritoso»
«No, in effetti non è il mio miglior
pregio».
Nadia alza gli occhi al cielo e scuote la testa. Si stropiccia il viso
con le mani e cerca di rimettere ordine tra i pensieri che si affollano
confusi sotto i ciuffi biondi dei suoi capelli scompigliati.
La verità su quel ragazzo
che non è un ragazzo è stata un
colpo davvero duro. Più di ogni cosa andata storta,
più di ogni paura non affrontata. È qualcosa che
le brucia dentro, come un marchio, come l'effetto del ghiaccio tenuto
troppo a lungo sulla pelle; sì, questa è la
sensazione più giusta, un senso terribile di congelamento.
Ma quello non è il momento di affrontare Loki, Loki il dio,
Loki il cattivo, Loki il manipolatore. E anche se volesse farlo, non ne
sarebbe in grado.
Lo guarda e sente che lui è la sua sconfitta più
grande. Ma non è quello il momento di innescare un'altra
battaglia con lui, perché lui è la chiave per
salvare quelle persone. Il pensiero affiora nella mente della ragazza
con una lucidità spaventosa, come se nemmeno fosse lei a
formularlo, come se fosse in un sogno e stesse guardando le cose
dall'altro invece che esserci in mezzo.
Almeno il dio non ha più quel ridicolo elmo e quegli orpelli
da drag queen. Però perché la sta fissando in
quel modo?
«Cosa vuoi, Loki?» borbotta con un sospiro.
«Mi stavo domandando se il mio caro fratello non ti abbia
raccontato una qualche storia strappalacrime sul mio conto»
«Oh, temi di perdere la tua reputazione da
supercattivo?».
Nadia non è in grado di dire se le spiegazioni che Thor le
ha fornito siano davvero da considerarsi strappalacrime, quel che
è certo è che le hanno reso ancora più
confusi i suoi pensieri su Loki.
«Dopo tutto quello che ho fatto per conquistare una tale
reputazione, direi che è il minimo» ribatte lui,
con un mezzo sorriso privo di allegria.
«Tranquillo, non sto combattendo contro l'impulso di
abbracciarti» risponde lei. «E comunque, ci sono un
sacco di cose che Thor non mi ha detto. Ad esempio chi ti ha
sguinzagliato contro quei mostri e perché». E
forse non lo ha fatto perché nemmeno lui sa bene come siano
andate le cose.
Hai pestato la coda al
diavolo, eh Loki?
«E speri che te lo racconti?» borbotta il dio,
lisciandosi una piega sulla casacca lunga fino alle ginocchia,
distogliendo lo sguardo.
«Hai altro da fare?».
Loki fa un sospiro, la luce incerta di quell'alba stiracchiata lo fa
apparire ancora più pallido. I sentieri azzurrini delle vene
si disegnano sotto la pelle alabastrina. No, decisamente il dio delle
malefatte non è da compiangere, ma è fragile, di
quella fragilità di una pianta cresciuta senza la giusta
dose di sole. Ed è orribile e doloroso che abbia tentato di
porre rimedio alle sue debolezze con la crudeltà e con gli
inganni.
«Si chiama Thanos» dice all'improvviso.
«Quando lasciai Asgard, dopo lo scontro in cui Thor distrusse
il Bifrost – te ne avrà parlato, sono precipitato
in un... oh, voi lo chiamereste ponte spaziotemporale».
Certamente. Esistono gli dei norreni, esistono anche i ponti nello
spazio-tempo. Esisteranno di certo anche i vampiri e i goblin... e
Babbo Natale e la Fatina dei denti...
«Un warmhall? Come in Stargate?»
«Che?...»
«Niente, lascia perdere. Cose da umana di bassa levatura poco
interessanti per un dio. Dicevi?»
«Sono precipitato in questa enorme e infinita voragine
nell'universo, fino a quando non mi sono ritrovato in un angolo
estremamente remoto dello spazio. Lì ho incontrato Thanos,
aveva dalla sua questa monumentale armata di esseri chiamati Chitauri,
mi ha fatto da maestro, mi ha mostrato cose che mai avrei creduto
possibile anche solo immaginare. Alla fine, abbiamo stipulato un patto,
lui voleva una chiave d'accesso per muoversi nell'universo, io volevo
un trono».
E lo vuoi ancora, vero,
il tuo fottutissimo trono?
Nadia non è sicura di voler ascoltare il seguito di quel
racconto. Si circonda le ginocchia con le braccia e china la testa,
come quando era bambina e nel film alla televisione si arrivava a
qualche scena particolarmente preoccupante. Ma adesso lei è
dentro al film, è parte della storia, una pedina di
quell'assurdo gioco, e non c'è verso di salvarsi da
quell'orrore, dalle ombre che si annidano dietro l'azzurro degli occhi
di Loki né dagli esseri che aspettano nel buio di coglierli
in fallo per attaccarli.
«Gli promisi che gli avrei consegnato il Tesseract, un
manufatto del mio popolo che si trovava sulla Terra, nelle mani di...
oh, li conoscerai, certi amici del tuo diletto Tony Stark, se
così si può dire».
La ragazza aggrotta la fronte. Quali amici di Tony? Cosa c'entrano
adesso gli amici di Tony?... Non ha tempo di fare domande al riguardo
perché Loki prosegue con la sua spiegazione.
«Lui in cambio mi avrebbe messo a disposizione il suo
esercito, per conquistare la Terra. Ma come puoi immaginare, il fato
non mi ha sorriso. Io non gli ho consegnato il Tesseract e ora Thanos
vuole vendetta» conclude il dio, con estrema
semplicità, come se fosse una cosa assolutamente normale
essere perseguitato da un re alieno vendicativo.
Nadia si massaggia la fronte, cercando di assimilare le informazioni
appena ricevute, tentando di imporre al proprio cervello di continuare
a pensare in termini logici e realistici e reprimendo l'espressione
ostile che sta per disegnarsi sul suo viso. Le sembra tutto troppo
grande per lei, tutto impossibile da concepire, figuriamoci da
affrontare!
«Fantastico, io quindi sto parlando con il mio mancato re.
Ricordami di chiederti un autografo quando tutto questo sarà
finito» dice coprendo uno sbadiglio con la mano, tentando di
dissimulare lo sconcerto con l'ironia. «Chi ha fermato questa
follia?». Perché è una follia, anche se
Loki non sembra ancora essersene consapevole.
L'espressione del dio si irrigidisce, Nadia lo vede serrare le mascelle
e quasi arricciare il naso in un moto di disgusto mentre lo sguardo si
fa cupo.
«Stark, Thor e un'altra accozzaglia di... personaggi non meno
folli di me» conclude, con le parole che gli inciampano sulle
labbra.
«Gli Avengers.
Abbiamo persino un nome, rammenti, Bambi?». Tony fa il suo
ingresso nella stanza, reggendo in mano un sacchetto dal quale si
spande un profumo di buono. «Ho fatto un salto veloce a un
forno qui vicino e ho rimediato la colazione. Perché non
avete le ciambelle glassate in questa città
galleggiante?».
L'imponente figura di Thor segue a ruota l'americano. Ora che ci sono
tutti, Nadia ha quasi paura ad aprire bocca, teme che una domanda
sbagliata possa far scoppiare il caos. Apre il sacchetto che Tony le
sta porgendo e tira fuori una brioche di pasta sfoglia e una lattina di
té freddo, lanciando verso l'uomo uno sguardo di
gratitudine.
«Sono certo che vorrai proseguire tu il racconto delle vostre
mirabolanti gesta» dice Loki, con quel suo fare ostile e
altezzoso. «E già che ci sei, spiega anche a Nadia
come stanno le cose».
La ragazza sente il cuore contrarsi per un'ondata di panico, stringe la
lattina e fa traboccare qualche goccia di té sul materasso.
«Sono sicuro che Nadia sia abbastanza intelligente da averlo
capito da sola» replica Tony. «Non tutti hanno
bisogno di farsi dare una lezione da Hulk, sai?».
Chi o che cos'è Hulk? Cosa c'è ancora?
Nadia punta in faccia a Tony due occhi smarriti, colmi di
preoccupazione. E sente freddo, malgrado il mantello, malgrado la luce
del sole stia diventando più nitida e calda. E sa che la sua
famiglia sarà preoccupata da morire quando
scoprirà che non è rientrata a casa. E sente che
lì è tutto sbagliato, che lei è la
persona sbagliata.
«Abbiamo bisogno di te» asserisce Tony.
«Non ti mentirò, nessuno ti obbligherà
a restare. Se tu adesso tornassi a casa e stessi lontana da Loki
probabilmente i mostri ti lascerebbero in pace perché non
è te che vogliono, ma senza quella pietra non potremmo
salvare quelle persone».
E Loki non potrebbe
salvare se stesso...
«Restare sarà rischioso, è inutile
negarlo. Puoi fare questo, Nadia?» gli fa eco Thor.
Sente gli sguardi degli altri pesare su di lei come macigni. Solo Loki
tiene gli occhi rivolti altrove.
E tutto quello che ora Nadia vorrebbe fare è alzarsi e
scappare via, tornare alla sua vita, dire alla sua famiglia che si
è sbagliata, che non vuole andare da nessuna parte, che
vuole restare con loro in quella vita piatta e tranquilla. Non vuole
sentire mai più quella paura scorrerle nel sangue come
veleno, non vuole mai più provare la consapevolezza di stare
per morire. Non vuole mai più sentir parlare di
divinità, di mostri, di persone da salvare. Non è
mai stata capace di salvare sé stessa, come possono
aspettarsi che li aiuti a salvare altra gente? Loro sono... lei non è...
Sente una lacrima capitolare oltre le ciglia, ne sente il sale mentre
scivola sulla guancia come se fosse alcol su una ferita.
«Certo che resterò» mormora. In quello
stesso istante Loki alza lo sguardo e la fissa negli occhi.
Ora Nadia sa di aver firmato la propria condanna a morte.
Perché lei non è un'eroina, perché le
persone comuni non sopravvivono a cose come quella, ma non essere eroi
non significa essere codardi e la sua coscienza non le ha lasciato
scelta.
Tony le sia avvicina, le poggia una mano sulla spalla e stringe
leggermente. C'è la gratitudine in fondo al suo sguardo,
negli occhi di Nadia invece ci sono solo lacrime di paura ma si sforza
ugualmente di sorridere.
«E ora cominciano le buone notizie» dice Tony,
lasciandola andare e ritrovando quel suo sorrisetto da satiro.
«Ho fatto una telefonata e stanno arrivando i
rinforzi».
«Stanno proprio arrivando allora» borbotta Loki.
«Sì, ed è meglio che tu metta su il tuo
abito da festa perché nessuno sarà contento di
vederti, piccolo cervo».
La ragazza cerca di rimettere in moto il cervello, di far ripartire gli
ingranaggi paralizzati dalla paura. Perché ha sempre la
sensazione di essersi persa un pezzo? Di che accidenti stanno parlando
adesso?
«Chi è che sta arrivando?» domanda,
serrando le dita attorno al margine del materasso.
«Gli altri» risponde Tony, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo. «Zio Bruce, zio Clint, la
cugina Natasha e nonno Steve, i Vendicatori, i supereroi che le hanno
suonate al tuo amichetto rocchettaro. Sono certo che ti
piaceranno».
Supereroi?
«Non stiamo... ehm, davvero parlando di gente in calzamaglia
che fa cose miracolose armata di spirito di sacrificio e amore
patriottico, vero?»
«No, solo Steve, il Capitano, è quel genere di
persona, gli altri, beh... Clint Barton e Natasha Romanoff sono due
agenti di un'associazione segreta, sono tipo Attila, dove passano loro
non cresce più l'erba; Bruce, il dottor Banner, lui invece
è un tipo mansueto e del tutto inutile se non lo fai
irritare, ma troveremo il modo di servircene. E poi ci sono io e
c'è il campione di pesi massimi che cavalca gli
arcobaleni... sei in una botte di ferro, Colombina.» conclude
Tony per poi voltarsi con fare teatrale in direzione di Loki.
«Diglielo che siamo forti, Bambi!»
«Un ammasso di muscoli, cervelli sotto la media e soprannomi
ridicoli. Sì, sei decisamente in ottime mani»
borbotta il dio, un attimo prima di lasciare la
stanza.
***
Loki si siede in un angolo della stanza al piano superiore della casa.
Guarda le ombre senza forma disegnarsi sui muri dall'intonaco scrostato.
Non aveva dubbi sul fatto che Nadia, alla fine, avrebbe accettato di
restare – lei, a suo modo, è una guerriera, questo
lui lo ha intuito da subito. Quello su cui nutre seri dubbi
è il fatto che lei sopravviva. Ma non è
importante, lui stesso aveva più volte pensato a come
eliminarla, a farle del male... ma ancora una volta il pensiero che le
accada qualcosa lo turba e lo irrita. Lui aveva progettato di farle del
male, personalmente. Ma che lei rimanesse coinvolta in uno scontro tra
lui e i mostri di Thanos non è qualcosa che trova
particolarmente allettante, non lo ha mai trovato allettante e questo
è una spina nel fianco del suo orgoglio. Quell'orgoglio che
ora gli impone di fare tutto ciò che è in suo
potere per risolvere la situazione, perché lui non ha mai
voluto che gli venissero immolate delle vittime, perché odia
le cose stupide e una morte senza senso è una cosa molto
stupida.
Stende una mano; le ombre sul muro diventano serpenti scuri che
cominciano a strisciare lentamente sulle pareti.
Tutta quella situazione è stupida. Lui lì, con
Thor e con i dannati Avengers che stanno arrivando a salvare quelle
persone e a salvare il loro vecchio nemico. È più
che stupido, è nauseante.
Il dio dell'inganno quasi non ricorda dei giorni in cui l'universo gli
sembrava immenso e pieno di possibilità. Con tanto infinito
spazio, si chiede come diamine sia finito confinato in quel luogo
orrendo, chiuso in quella casa a nascondersi e a doversi preoccupare
della sorte di una mortale che sarà polvere quando lui un
giorno sarà re.
I serpenti cominciano a combattere tra loro, spalancano le bocche e
fanno sibilare lunghe lingue rosso sangue. Diventano un unico nodo di
buio, con le spire che si intrecciano sempre più strette.
Loki conosce l'odio, è come un diamante con mille
sfaccettature e lui le ha viste tutte, ci si è tagliato la
pelle e l'anima. L'odio è qualcosa che esplode, come una
stella che compare nel cielo e resta accesa all'infinito orientando le
azioni delle persone, una fiamma inestinguibile. Eppure adesso non
è l'odio a muoverlo; c'è l'istinto di
sopravvivenza, c'è l'orgoglio, certo. Ma c'è
anche dell'altro. Qualcosa che il dio non riesce a comprendere,
qualcosa di... di umano.
E questo qualcosa lo turba e lo disgusta.
Le serpi sulla parete ora sono una sfera di oscurità che
produce un sibilo sofferente.
Lo scricchiolio del pavimento strappa Loki alle sue riflessioni. Thor
compare sulla porta e resta lì, fermo per qualche secondo,
occupando l'intero spazio dell'apertura, quasi come a volergli dire di
averlo messo spalle al muro.
Messo spalle al muro da suo fratello. È la storia della sua
vita.
«Sei qui» borbotta il dio del tuono, sembra persino
un po' imbarazzato.
«Evidentemente».
Thor entra nella stanza, a passi lenti, come se cercasse di prendere
tempo per dire quello che deve. Ma Loki non ha alcuna voglia di
ascoltarlo.
«Non lo avrei mai sperato» gli dice all'improvviso,
incrociando le braccia sul petto muscoloso. «Un'altra
battaglia da combattere assieme».
Il dio dell'inganno serra i pugni, i serpenti sulla parete svaniscono e
tornano ad essere ombre senza forma. Adesso il figlio di Odino
ricomincerà con una delle sue filippiche sul loro legame e
sul loro glorioso passato; e tra mostri alieni e lunghe giornate su
Midgard e interazioni con esseri umani poco interessanti, Loki davvero
non è pronto a sopportare anche questo.
«Non ho alcuna intenzione di parlare con te» dice
perentorio.
Thor scrolla le spalle, stringendo le labbra sotto la barba dorata.
«Va bene. Non parleremo allora» conclude
tranquillo, appoggiandosi con la schiena contro il muro e mettendosi a
fissare con aria pensierosa un punto indistinto.
Loki trattiene un sospiro stizzito. La sua ingombrante presenza lo
irrita anche quando non fa niente.
«Ad ogni modo» esordisce Thor all'improvviso, dopo
soli pochi secondi di silenzio. «So che sei
preoccupato».
Loki gli lancia uno sguardo torvo e un ghigno infastidito.
«Molto perspicace, bravo» mormora.
«Ma io ti do la mia parola, fratello, che non le
accadrà niente».
Non le
accadrà niente? Sta parlando della ragazza. Sta davvero
pensando che io sia preoccupato per la ragazza.
«Non è per lei che sono preoccupato»
puntualizza il dio dell'inganno. «E, ad ogni modo, tu non
dovresti fare promesse che non puoi mantenere».
Thor lo fissa con uno strano sguardo perplesso che lo fa apparire, se
è possibile, ancora più stupido.
«Sei stato qui due settimane, Loki. Persino il tuo cuore non
può essere così insensibile da non aver provato
anche solo un barlume di simpatia. Vorresti forse farmi credere che non
hai trovato niente di bello in questo posto?»
«Se anche ci fosse qualcosa di bello, ti assicuro che non ho
avuto il tempo di cercarlo» dichiara il dio inarcando un
sopracciglio. «Comunque sia, se anche mi fossi dato pena di
provare simpatia per la ragazza, sarebbe stata fatica
sprecata»
«Perché dici questo? Sei sempre stato
così maledettamente pessimista!».
Pessimista?
A Loki quasi scappa di bocca una risata esasperata.
«In questo dannato piccolo mondo, io sono il mostro cattivo,
Thor», lo dice senza rimpianto e senza astio. Ma anche senza
alcun dispiacere. È un dato di fatto che non necessita di
alcuna argomentazione.
Suo fratello apre la bocca per questionare, ma non riesce a trovare una
sola parola per controbattere. Adesso Loki si sente meglio, se non
altro è riuscito a zittire il petulante dio del tuono.
______________________________________________________________________________
Note:
Coleman Hawkins è un sassofonista jazz degli anni '40. La
canzone che Steve ha come suoneria, essendo il cellulare un gentile
omaggio di Tony, è “Higway to hell”
degli AC/DC.
Cosa succede a Loki quando si lascia cadere nel vuoto alla fine di
Thor... quella cosa del warmhall non l'ho inventata io, l'ha spiegata
Tom Hiddleston in
un'intervista. Direi che possiamo fidarci...
Si ringrazia Keyra93, la mia (tra le altre cose) spacciatrice di
materiale meraviglioso e interessante, per il link alla suddetta
intervista.
Piccolo-spazio-pubblicità.
Insomma, volevo segnalrvi questa
one-shot di _Eleuthera_ in questa stessa sezione che secondo
me merita di essere letta e anche riletta, per quanto è
fresca ed originale ...Loki, una libreria e tante cose carucce :)
Ci leggiamo mercoledì con il prossimo aggiornamento.
Ciauz
|
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Capitolo 12 *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo undicesimo
«Non mi piace, non mi piace neanche un po'» mormora
Burce Banner guardando gli aerei che decollano dalla pista del J.F.
Kennedy, enormi sagome bianche che si alzano verso un cielo grigio
temporale.
«Coraggio, dottore. Hai già volato una
volta» risponde Natasha, battendogli una mano sulla spalla.
«Sì. E sono l'unico a ricordarsi come è
andata a finire?» insiste lo scienziato, torcendosi
nervosamente le mani.
Oh, lei se lo ricorda benissimo come è andata a finire. Ma
stavolta non ci sarà nessun nemico in arrivo pronto a far
saltare in aria i motori, quello su cui devono salire è un
semplice volo di linea intercontinentale.
«Dov'è Barton?» domanda Rogers,
guardandosi attorno.
«A sbrigare qualche pratica.
Il tuo scudo non passerebbe al chek-in. E nemmeno le nostre
valige» spiega l'agente Romanoff. C'è una certa
agitazione, anche sotto la sua aria di calma imperscrutabile da
deformazione professionale.
Se solo Stark avesse fornito loro qualche dettaglio in più.
E se solo non si fosse così caldamente raccomandato di
tenere nascosta la cosa allo S.H.I.E.L.D, a quest'ora starebbero
volando sul Quinjet e non ci sarebbe alcuna pratica da sbrigare
per imbarcare le armi.
L'agente Romanoff è brava a improvvisare, ma c'è
un limite a tutto. E, in ogni caso, detesta perdere tempo quando
c'è del lavoro da sbrigare. Anche se ancora non ha capito di
che si tratta, come nessuno di loro. Semplicemente ha voluto fidarsi
del Capitano; se anche non avesse voluto prestare fede all'allarmismo
di Tony Stark, crede almeno nel suo buon senso da soldato che non gli
avrebbe lasciato allertare tutti loro se la questione non fosse stata
davvero urgente. Ma è sicura che c'è una qualche
ragione per la quale Stark non si sia dilungato in spiegazioni, e la
cosa non promette affatto bene.
L'aeroporto di New York è un tappeto di facce che si
confondo, il sibilo delle ruote dei trolley si mischia alla voce
metallica che annuncia i voli in partenza e in arrivo dai megafoni.
È tutto un ronzio di neon e odore di detersivo e plastica.
Tony ha inviato loro un messaggio di testo con un indirizzo di Venezia
e con le istruzioni per localizzarlo attraverso il segnale gps del suo
telefono cellulare – che probabilmente oltre a fare
telefonate, prepara anche il tè, pilota barche a distanza e
si trasforma in uno spazzolino da denti o in una tenda da campeggio.
Il brillante signor Stark ha proprio paura che non riescano a trovarlo;
cioè, ha paura, è evidente. E adesso Natasha si
sta chiedendo di cosa, sarebbe davvero utile saperlo, perché
la paura è quella che aiuta a essere prudenti, a non
sbagliare. Se il segreto di Bruce Banner sta nell'essere sempre
arrabbiato, quello delle persone come lei sta nell'essere sempre
impaurite... ma deve mettersi l'anima in pace e accettare la missione a
scatola chiusa. Sarà comunque un buon modo di passare il
tempo, forse. Sicuramente migliore della vacanza caldamente
consigliata dal direttore Fury.
«Andiamo?». Clint arriva all'improvviso, anche lui
ha l'aria tranquilla, ma Natasha è certa che stia pensando
più o meno le stesse cose che sta pensando anche lei.
«Puoi farcela, Banner?».
«Ho scelta?» domanda il dottore con un mezzo
sorriso titubante.
«Puoi scegliere di, non so, farti una dormita. In prima
classe non ci sono le hostess che fanno i massaggi?»
«Penso che comprerò una rivista
enigmistica».
Clint fa una strana smorfia perplessa.
«Davvero? Il sudoku non ti rende nervoso?».
La voce nel megafono annuncia che al gate numero 9 è aperto
l'imbarco per il loro volo, i quattro si mettono in fila insieme agli
altri passeggeri.
Natasha ripassa mentalmente l'itinerario. Il volo è un
diretto, fino all'aeroporto di Malpensa, a Milano; una volta
lì l'idea sarebbe di noleggiare una macchina per raggiungere
Piazzale Roma, a Venezia, l'ultimo pezzo di asfalto prima del cuore
della città sull'acqua. Trecento chilometri di autostrada,
circa, se tutto va bene, tre ore di viaggio dall'aeroporto di Milano
alla loro destinazione.
Ha calcolato tutto, studiato il tragitto e memorizzato le tempistiche.
Ma ha come l'impressione che il viaggio sarà la parte meno
ardua della faccenda.
«Sai a cosa sto pensando?» dice Clint con un filo
di voce al suo orecchio, mentre si accodano alla fila di passeggeri.
Sì, lo sa a cosa sta pensando, lo sa quasi sempre.
«Che è un peccato non poter provocare una
commozione cerebrale anche a Bruce per viaggiare più
sereni?» mormora in risposta, con aria sarcastica.
«Sto pensando che Fury lo verrà a sapere comunque
di questa nostra piccola gita scolastica, e quando lo
saprà... ah, spero proprio che sia una cosa seria, come dice
Stark».
***
«Tu non metterai piede fuori di qui!».
I toni soavi che arrivano dal piano di sopra sono quelli di Loki. Dopo
queste parole vagamente minacciose si sente il rumore di un tonfo
sordo.
Quella casa ha tutta l'aria di poter crollare da un momento all'altro
se solo il vento soffiasse un po' più forte e i rumori che
dal piano superiore si propagano attraverso quelle fragili pareti hanno
un che di inquietante.
Il Capitano aveva chiesto ventiquattro ore e sono già
passate da un po'. Ventiquattro ore chiuso in quella casa con il trio
peggio assortito della storia. E fuori di lì persone
possedute da demoni di fumo che fanno la ronda per Venezia cercando il
piccolo cervo dalle brutte compagnie. E in mezzo a loro la sua Pepper.
«Non sarai tu a decidere. E smettila di puntarmi contro quel
dito». Questa è Nadia, soave anche lei.
«È una follia» replica Loki, a voce
ancora più alta. Pensandoci, il dio gracilino non
è tipo da alzare la voce, è inquietante,
sociopatico, maniaco omicida, ma solitamente è molto pacato,
anche quando si arrabbia. E invece ora Tony se lo figura paonazzo in
viso mente lo sente praticamente urlare contro la loro bionda
amica.
Altro tonfo sordo, rumore di scalpiccio e qualcosa che sbatte. Ora
anche Thor guarda verso l'alto con aria allarmata.
Forse quei due se le stanno dando di santa ragione e loro farebbero
meglio a intervenire.
«Una follia! Ha parlato mister salute mentale». Va
detto, a beneficio della ragazza, che ha il senso dell'umorismo. E che
ha fegato, un fegato grosso come una casa.
A dirla tutta, a Tony non piace l'idea di Nadia sola in una stanza con
Loki. Anche appurato che lui non può farle del male
perché lei è il suo caricabatterie magico, gli
dà ai nervi pensare che quell'essere giri a meno di un
chilometro di distanza dalla ragazza – la ragazza che trova
divertente riuscire a spezzare, come ha detto. La ragazza che si crede
tanto brava da riuscire a tenergli testa ma che si ritroverebbe
sventrata sul pavimento se solo il caro cerbiatto volesse.
Perché Loki è subdolo e pericoloso e adesso Tony
non ne può più di non sapere cosa stanno
combinando quei due al piano di sopra.
Si alza e si avvia lungo le scale. E quello che vede una volta arrivato
non gli piace nemmeno un po'.
Nadia è spalle al muro, lo sguardo furioso di chi
sopporterebbe qualsiasi tortura piuttosto che ammettere di essere sul
punto di farsela addosso, anche se è chiaro che ha paura.
Loki la tiene ferma contro la parete, con le mani serrate attorno ai
suoi polsi e la guarda come se volesse staccarle la testa.
Brutto pezzo di merda.
«Lasciala andare sub...». Tony non fa in tempo a
finire di pronunciare quell'ordine perché Loki è
costretto a ritrarsi con un gemito di dolore. Sì, le
ginocchiate nello stomaco devono fare proprio un male cane, anche se
sei una divinità e specie se date da una donna furibonda...
Brava Colombina, ti sei
meritata un mese di vacanza con l'agente Romanoff.
Loki solleva lo sguardo furioso, guardando Nadia in cagnesco.
«Me la pagherai. Quando tutto questo sarà
finito...» sibila.
«Te la pagherò, certo. È tutto quello
che sai dire» replica lei, astiosa da far quasi spavento.
Tony avrebbe qualche commento molto ironico e assolutamente brillate da
fare, ma non può perdere tempo a parlare, deve mettersi in
mezzo a quei due prima che si ammazzino sul serio.
«Ehi, vediamo di calmarci tutti quanti, ok?»
suggerisce, parandosi davanti a Loki, alzando le mani.
Ma è come dire a una bomba a mano di non esplodere una volta
che si è sganciata la sicura.
Il dio nemmeno lo ascolta, lo scaraventa via mandandolo gambe all'aria
sul pavimento. Fa due passi verso Nadia.
«Tu, piccola impudente» esordisce con la voce che
sembra il rumore del ghiaccio quando si spezza.
Grazie a Dio non fa in tempo a mettere le mani addosso alla ragazza...
grazie al dio, in realtà. Il martello di Thor ruota a
mezz'aria, colpisce Loki sul petto e lo mette KO, lasciandolo
inchiodato al pavimento.
«Loki!» interviene il dio del tuono, scandalizzato
più che interdetto. «È una
fanciulla».
No, no, pessima cosa da dire davanti a una donna arrabbiata. Accidenti,
si vede che quei due sono fratelli, hanno la stessa
incapacità di comprensione dell'animo femminile. Una donna
arrabbiata non è mai una fanciulla, una donna arrabbiata
è più che altro una calamità naturale.
«Sapete che vi dico?» sbotta Nadia. «La fanciulla ha una
famiglia che sarà preoccupata per lei. La fanciulla adesso va
a trovare il modo di calmare i suoi genitori prima che chiamino la
polizia. Che è esattamente quello che volevo fare prima che
quello lì cominciasse a fare l'isterico!».
Un attimo dopo la ragazza è già schizzata
via.
Hanno tutti i nervi a fior di pelle, lei più degli altri,
è normale, si è ritrovata coinvolta in quel
delirio da un tizio che credeva essere un ragazzo qualsiasi e per il
quale quasi certamente aveva anche una cotta, che ha scoperto essere un
dio malvagio, che si veste da damerino del medioevo e che l'ha messa in
un pericolo mortale. E come la fermi una così?
Tony si alza dal pavimento, corre caracollando giù dalle
scale tentando di raggiungere Nadia. La ferma appena in tempo; prima
che lei apra una finestra da scavalcare, l'uomo si getta di peso
sull'anta di legno tarlato chiudendola di schianto.
«Aspetta» le dice con il fiato corto.
«Su, Colombina, fai un bel respiro e calmati».
L'espressione furiosa della ragazza sembra rabbonirsi. Lei gli
è stata simpatica dal primo momento – aveva dato
una mano a Pepper, sta ancora dando una mano a Pepper, una grossa
grossa mano – evidente la simpatia è reciproca, ed
è contento di avere una qualche possibilità di
farla ragionare.
Dal piano di sopra arrivano altri rumori poco rassicuranti. Forse
adesso sono Loki e Thor che se le stanno suonando, e non sarebbe male,
una scazzottata tra fratelli risolve sempre un sacco di cose e se
quell'idiota di Bambi si rompesse il naso non sarebbe più
brutto di quanto già non è.
«Come si fa fuori un dio norreno sbruffone?»
borbotta Nadia con un sospiro.
«Non l'ho ancora scoperto, ma è dalla prima volta
che ho incontrato Loki che mi chiedo se una vasca piena di acido non
sarebbe utile allo scopo».
Per un attimo la ragazza sembra sul punto di mettersi a ridere, ma
torna seria un secondo dopo.
«Devo vedere la mia famiglia, Tony. Devo dirgli che sto bene
e che è tutto a posto... anche se è una
bugia».
Certo, è naturale e comprensibile. E sarebbe anche utile al
fine se lei potesse tranquillizzare la sua famiglia, non gli occorre
anche la polizia in giro a cercare una persona scomparsa.
Din-din-din... Stark!
Dal centro del cervello di Tony parte l'allarme che scatta ogni
qualvolta lui è sul punto di fare qualche idiozia.
Non sarebbe proprio una totale idiozia, in realtà. Quante
probabilità ci sono che gli indemoniati li trovino nel
tragitto dalla casa all'albergo dei genitori di Nadia? Non molte, in
realtà, e se anche li trovassero... si saranno sparpagliati
per tutta la città, se indossa l'armatura può
benissimo tenere testa a un certo numero di persone con i superpoteri,
nel caso dovessero incontrare un gruppetto di ronda.
E comunque, è talmente assuefatto a sentire quel trillo di
allarme nella sua testa che ormai neanche ci fa più caso.
«Ce l'hai una scusa da raccontare a casa?» domanda
con aria ammiccante.
«No, non ci ho pensato, in realtà».
Lui sorride, alza lo sguardo verso il piano di sopra, dove Loki e Thor
saranno ancora intenti a prendersi a botte o a fare qualsiasi altra
cosa utile a sfogarsi – dovrebbero trovarsi la ragazza, tutti
e due.
«Io una scusa ce l'avrei» dice a Nadia, strizzando
l'occhio.
Din-din-din...
allarme... cazzata in arrivo... cazzata in arrivo!
La ragazza sembra illuminarsi e lui si decide definitivamente ad
ignorare il monito che arriva dalla sua testa.
***
Fuori, all'aperto. Che meravigliosa sensazione.
Nadia e Tony stanno attraversando i vicoli più deserti di
Venezia, nel sestriere di Dorsoduro, diretti all'albergo della sua
famiglia. E va tutto bene, niente persone possedute da demoni in vista,
niente persone, in generale, a quell'ora della sera, in quelle stradine
nascoste che di solito, ai comuni mortali come lei fanno anche un po'
paura.
È una serata calma, con un bel vento tiepido. Se si
concentrasse, se riuscisse a pensare intensamente forse le sembrerebbe
tutto assolutamente normale, ma poi le capita di lanciare qualche
sguardo alla strana valigia che Tony si porta dietro e ogni illusione
di normalità evapora nel nulla.
Non c'è più niente di normale. Nadia si chiede
quanto durerà tutta quella storia e si chiede anche cosa
c'è in quella valigia, cosa ha a che fare quella roba con la
fantomatica armatura, ma non ha voglia di fare domande ed è
immensamente grata che Tony stia tenendo a freno la sua lingua lunga.
Ma di certo anche lui non sta messo bene. Lei non ha il coraggio di
fare il minimo accenno alla cosa, ma il fatto che quei mostri abbiano
preso Pepper deve averlo distrutto, per quanto lui tenti di non darlo a
vedere. Pensandoci, sembra fin troppo abituato a gestire questo genere
di situazioni e Nadia è curiosa di conoscere questi Avengers. Anche se
il pensiero di una squadra di persone che si fanno chiamare Vendicatori
non aiuta a smaltire l'ansia.
«È questo?» domanda Tony, fermandosi
davanti all'insegna dell'albergo.
A Nadia sembra di essere stata lontana da lì da una vita e
invece manca da casa da solo un giorno. Sta scappando, nascondendosi
nella sua stessa città a una manciata di isolati da casa sua
e adesso deve anche trovare una bugia abbastanza convincente da dire ai
suoi. E sa che deve... salutarli.
«Sicuro di avere una buona idea su cosa
raccontare?» chiede a Tony.
Lui le lancia un'occhiata ammiccante.
«Sicuro. Tu stai al gioco».
Un attimo dopo entrano. Mentre attraversano la soglia, la ragazza sente
le lacrime pungerle gli occhi, ma sa che deve ricacciarle indietro.
«NADIA!». Sua madre, dalla reception fa un balzo e
quasi scavalca il bancone per andarle incontro, seguita a ruota da sua
sorella. Un gesto così vistoso e rocambolesco va contro
tutte le loro regole di sobrietà e discrezione; diversi
clienti seduti nella hall si voltano a guardare.
Sara le afferra una braccio e quasi le conficca le unghie laccate di
blu nella carne.
«Dove cazzo sei stata?» le sibila a bassa voce,
come se stesse facendo uno sforzo sovrumano per non mettersi a urlare.
Un attimo dopo compare anche suo padre che si accoda al gruppo.
Le lacrime si fanno più insistenti, trattenerle fa quasi
male. Sente che Tony le posa una mano sulla spalla.
«Signori, siamo infinitamente dispiaciuti di aver creato
questo piccolo disguido» dice lui all'improvviso.
«Ma si dà il caso che la nostra giovane Nadia sia
stata scelta per uno stage fotografico a... ehm, a Milano. L'abbiamo
trattenuta in uno studio per delle prove e non c'è stato
modo di...».
Nadia passa in rassegna le facce della sua famiglia. Non sembrano molto
convinti.
«Mi dispiace di avervi fatto preoccupare» dice,
interrompendo Tony che sembra in evidente difficoltà.
«Non vi avevo detto niente dello stage perché non
volevo darvi un'altra delusione se fosse andato male... io dovrei stare
via qualche giorno».
È delirevole, è assurdo... i suoi non sembrano
convinti nemmeno un po'. E Sara ha un'espressione fin troppo strana,
sembra sul punto di esplodere.
«Ci hai fatti spaventare a morte! Stavamo per chiamare la
polizia» borbotta sua madre.
Sì, lo so.
È per questo che sono qui.
«E poi, con quella storia di quelle cose strane che sono
successe alla Corte dell'Angelo, pensavamo che tu fossi
lì...».
Nadia si sente stringere lo stomaco con così tanta
prepotenza che per poco non le viene da vomitare per lo shock.
«Oh... no, non ero lì. Cosa è
successo?» chiede, cercando di apparire misuratamente
incuriosita e tranquilla. Lei e Tony si scambiano una rapida occhiata
complice.
«Sembra che sia morto un uomo, parlano di cose strane.
Addirittura di allucinazioni di gruppo dovute a qualche cosa di chimico
che c'era forse nei fumi di scena del concerto» spiega la
signora Angela, scuotendo il capo sconcertata. «Sembra che
stiano ancora indagando, non si capisce niente».
Nadia strabuzza gli occhi. Allucinazioni di gruppo? È
così che hanno liquidato la cosa? Beh di certo non essere al
corrente di un'invasione di mostri alieni aiuterà molta
gente a preservare la propria sanità mentale – e
Nadia al momento sta invidiando quella gente.
«E comunque, lei chi è?» aggiunge suo
padre, squadrando Tony dalla testa ai piedi.
«Tony Stark» risponde Sara al posto suo, con fare
saputo ed evidente aria di irritazione. «Cosa c'entra un
inventore miliardario con i concorsi di fotografia?».
Nadia si sente sprofondare. Certo, sua sorella segue un sacco di storie
bizzarre su internet, e in fatto di personaggi strani ne sa
più di lei – forse Sara ha persino sentito parlare
degli Avengers.
«Io sono il promotore del concorso di fotografia»
ribatte Tony, senza mostrare alcun cedimento. «Sto cercando
dei giovani fotografi in giro per il mondo per realizzare un catalogo
della prossima Stark Expo. Posso rimediarti un invito,
Carmilla».
Il signore e la signora Berton si guardano in viso, increduli e senza
capire una parola di quello che ora si sta dicendo, ma Sara fa un
sorriso a trentadue denti e anche Nadia finge un'espressione entusiasta
e questo sembra bastare a convincerli o quanto meno a far smaltire loro
un po' di preoccupazione e sospetto.
«E Laufeyson? È sparito anche lui» dice
all'improvviso suo padre, sentendosi rassicurato dallo scambio di
sorrisi tra le due figlie.
Tony lancia a Nadia una furtiva occhiata interrogativa.
« Low Key
Laufeyson» risponde lei tirando una discreta gomitata
all'americano. «Lui è un collaboratore del signor
Stark, per questo mi ha accompagnata a fare alcune
fotografie».
«Oh, giusto. Low Key, uno dei miei peggiori acquisti, non
vedo l'ora di licenziarlo» risponde Tony scuotendo la testa.
«Immagino ci sia un conto da saldare, sistemiamo la faccenda
e poi andiamo perché io e Nadia avremmo un treno da
prendere, giusto?».
La ragazza annuisce, mentre Tony segue suo padre alla reception.
«Ma quanto tempo starai via?» domanda sua madre.
«Non lo so, qualche giorno, forse una settima»
«Parti senza nemmeno fare le valige?»
«Credo che lì troverò tutto quello che
mi serve»
«Però telefona»
«Ci proverò, è che da quanto ho capito
avremo degli orari da ufo».
Nadia sente su di sé lo sguardo di sua sorella, si volta a
guardarla e si accorge che Sara ha ancora un'espressione strana. Sara
non se l'è bevuta del tutto e ora lei le sta lanciando
un'occhiata mortificata.
Mi dispiace, non posso
spiegarti. Ti prego, cerca di capire...
Nadia non vuole ammetterlo nemmeno con se stessa, ma se quella
è l'ultima volta che vede i suoi genitori, come commiato fa
davvero schifo.
Pochi minuti dopo lei e Tony sono di nuovo fuori. E adesso Nadia non
riesce a trattenere le lacrime.
Piange in silenzio per un bel pezzo di strada, con la penombra della
sera che nasconde il volto rigato.
«Andrà tutto bene» dice Tony
all'improvviso, senza voltarsi a guardarla, lasciandole quella specie
di privacy. «Me lo hai detto tu, me lo hai
promesso» le ricorda cercando di imprimere a quelle parole
tutta la rassicurazione di cui è capace.
Sì, glielo ha promesso, perché voleva portarlo
via prima che il demone che si era impossessato di Pepper lo facesse a
pezzi e lui finisse ucciso da un essere con le sembianze della sua
donna. Glielo ha promesso sapendo di mentire, perché mentire
a lui e a se stessa è tutto quello che Nadia poteva fare,
perché lei non è un'eroina e solo gli eroi
possono concedersi il lusso della verità in certi frangenti.
Lei non è un'eroina, probabilmente è
più simile a Loki, una persona fragile con il bisogno di
mentire per celare le proprie debolezze, che è quello che
forse sta facendo da tutta la vita.
Non dice niente, non sa che dire. E se anche volesse sforzarsi di
cercare le parole non le resterebbe il tempo perché ora, in
fondo al vicolo, la strada è sbarrata da un gruppo di cinque
persone.
Quando i cinque sconosciuti alzano la testa i loro occhi sono scintille
d'argento.
Fottuti.
È l'unica parola che ora viene in mente a Nadia.
Lei si ritrova paralizzata, a fissare quegli occhi disumani che la
fissano a loro volta. E alle sue spalle arriva un rumore strano, un
sibilo metallico.
La ragazza si volta appena in tempo per vedere Tony sparire inglobato
da lamiere di lucido metallo rosso e oro che si dispiegano
come un origami lungo tutto il suo corpo, seguendone alla perfezione le
forme. L'armatura...
Sul pettorale si accende un triangolo di luce azzurrina e una maschera
dorata cala sulla faccia come la visiera di un elmo, dove due fessure
oblique si accendono al posto degli occhi.
«Bentrovato signore, non l'aspettavo così
presto» dice una voce atona dall'accento robotico.
«Spero che il suo soggiorno a Venezia sia stato
piacevole».
L'armatura... parla?
Parla e sembra Alfred, il maggiordomo di Bruce Wayne!
«Poteva andare meglio. Abbiamo una piccola emergenza,
Jarvis» dice Tony. «Pronto?»
«Come sempre,
signore».
_____________________________________________________________________________________________
Note:
Capitolozzo breve, di passaggio.
Dialogo demente tra gli Avengers in aeroporto, tanto per gradire e per
spezzare un po' con i drammi veneziani (non so voi, ma io se fossi una
persona con problemi di gestione della rabbia non mi metterei a fare il
sudoku in aereo).
La logistica del viaggio dei nostri verso Venezia è
più che altro improvvisazione letteraria, ma mi sembra
abbastanza palusibile.
Giusto per essere chiari, visto che Tony dice che le ventiquattro ore
chieste da Steve sono già passate, va da sé che i
vari paragrafi (non solo di questo capitolo, ma in generale) non
raccontano scene che si svolgono sempre e comunque in contemporanea.
Tra oggi e domani rispondo anche alle vostre magnifiche recensioni,
chiedo scusa se non l'ho fatto prima, intanto grazie di cuore a tutti ^^
Per il prossimo capitolo, ci leggiamo lunedì ;)
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Capitolo 13 *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo dodicesimo
Venezia è sicuramente un posto meraviglioso, una delle
più belle città del mondo, con le gondole, i
piccioni, le chiese, i musei, le maschere e tutto il resto. Un
gioiellino di arte, cultura e storia che non smette mai di brillare in
mezzo al caos del mondo... eppure, adesso che hanno parcheggiato la
macchina presa a noleggio e attraversato il primo ponte, Bruce comincia
a sentirsi inquieto.
Quella città gli dà un senso di... stretto. È
tutto troppo piccolo, le strade tra le case, gli argini dei canali,
tutto minuscolo. E l'Altro è così dannatamente
ingombrante.
Va bene, non deve pensarci, non adesso, non prima di aver trovato Stark
e di aver capito che accidenti sta succedendo. L'Altro è
riuscito a compiere la semplice distinzione binaria tra amici e nemici
già una volta, magari lo farà di nuovo, ma lui
spera proprio che non ci sia bisogno di tirare in ballo qualcuno che
potrebbe usare il campanile di San Marco come uno stuzzicadenti.
L'agente Romanoff controlla lo schermo del rilevatore satellitare.
«Stark non deve essere lontano» dice mentre si
infila in un vicolo che costeggia la chiesa di San Simeon, sulla riva
di fronte alla stazione.
Sono ancora tutti in abiti
civili, eppure se lui fosse uno dei tanti passanti che li
sfiorano, guardandoli farebbe fatica a credere che sono dei semplici
turisti.
Steve Rogers tiene a tracolla una borsa con dentro il suo meraviglioso
scudo e la divisa di Captain America. Dice che Stark ha detto di andare
lì in assetto da guerra e la calzamaglia fa parte del
pacchetto.
Bruce non vuole sapere cosa c'è nel trolley che si sta
trascinando dietro Clint Barton o nello zaino di Natasha Romanoff.
Bruce vorrebbe essere nella sua casa in mezzo al bosco a leggere i
rapporti della sezione ricerca e sviluppo delle Stark Industries.
Bruce sa che se Tony ha chiesto anche
di lui allora la situazione è veramente critica. E lo sanno
anche gli altri, nonostante abbiano finto per tutto il tempo passato in
volo che si trattasse di una specie di gita scolastica.
Sì, dai, una
gita a Venezia, una scazzottata con qualche mostro cattivo! Un po' di
vita!
Come se l'ultima volta non fosse già stato abbastanza. Come
se rispedire indietro un esercito alieno non fosse un'impresa da poter
bastare per un'intera esistenza.
Ad ogni modo, non importa. Ormai è lì, avrebbe
potuto scegliere di non esserci, nessuno lo avrebbe costretto, ma lui
ha scelto di andare e mentre cammina in quei deliziosi viottoli pensa
che magari riuscirà anche a non pentirsene. E comunque, non
era mai stato a Venezia.
Non fa in tempo a formulare questo pensiero che da un gomitolo di
stradine secondarie e deserte arriva un rumore fortissimo, come di
qualcosa di pesante che viene fatto sbattere a terra.
Tutti e quattro di fermano, paralizzati per qualche secondo.
«Ditemi che non è quello che sto
pensando» mormora Bruce.
«Stai pensando che stanno demolendo un edificio? No? Allora
temo proprio che tu ci abbia preso» risponde Clint Barton,
lanciando un'occhiata al dispositivo che ha in mano la Romanoff.
***
Deve essere maledettamente difficile riuscire a tenere a bada delle
persone che vogliono farti a pezzi e che tu non vuoi uccidere.
A questo pensa Nadia e le sembra un pensiero molto stupido, data la
circostanza, ma non vuole pensare di essere di nuovo sul punto di
morire, malgrado ogni neurone strilli come una sirena di allarme in un
labirinto privo di uscite di sicurezza.
Tony le ha detto di stare indietro – come se ci fosse bisogno
di dirlo – e ora lei se ne sta appiattita contro il muro a
guardare con occhi sbarrati la scena.
Ogni tanto alza gli occhi al cielo, come a controllare che le stelle
siano ancora lì, che quello sia proprio il cielo della sua
città. Che sia reale, che lei non abbia smarrito il senno.
I tizi stanno facendo vorticare pezzi di lamiera e sassi in tutte le
direzioni – come ha detto Loki, i loro poteri sono piuttosto sostanziosi. Tony
è troppo impegnato a schivarli, a sparare agli oggetti che
volano per preoccuparsi anche del fatto che gli indemoniati stiano
guadagnando terreno e li stiano spingendo sempre di più
verso il fondo della strada, mettendoli spalle al muro.
Non serve a niente scappare, se anche ci provassero loro li
inseguirebbero e magari scoprirebbero la casa in cui si stanno
nascondendo. Oppure la ucciderebbero prima che lei vi arrivi.
Una tegola ruota sibilando a mezz'aria, nella sua direzione e Nadia fa
appena in tempo ad abbassarsi per schivarla lasciando che si frantumi
contro una parete dietro di lei. La ragazza sente spezzarsi il respiro
mentre cerca di prendere lunghe boccate d'aria che sa di muschio.
La paura è una ventata di gelo sotto la pelle.
Mentre cade sulla ginocchia e si copre il viso con le mani, la ragazza
pensa a Loki. Sta per essere ammazzata e pensa a Loki, assurdo! No,
nemmeno troppo assurdo, in realtà. Se sopravvive a
quell'attacco lui glielo rinfaccerà a vita. Già
se lo immagina, con quella sua espressione supponente e quei suoi occhi
gelidi mentre le dice che glielo aveva detto, che aveva ragione lui,
che uscire era una follia.
Il pensiero quasi la fa arrabbiare più del fatto di
ritrovarsi incastrata in una strada senza uscita con delle persone
possedute da demoni che vogliono farla a pezzi.
«Ci sei, Colombina?» domanda Tony, da dentro
l'armatura.
«Sì, ma sarebbe meglio darci una mossa, non
credi?»
«Hai qualche idea?».
Nadia solleva lo sguardo e lancia una rapida occhiata attorno a
sé. Il vicolo cieco nel quale li hanno confinati si
interseca con una stradina sul margine di un rio.
«Se riesci a gettarli in acqua forse riusciremmo a guadagnare
tempo per svignarcela!» urla, mentre un grosso ciottolo
atterra a mezzo metro dal suo naso, facendole schizzare in viso qualche
scheggia di pietra.
«Non male come idea» approva Tony, dandosi uno
slancio con le gambe. Un attimo dopo sta fluttuando a un metro da
terra. Spara piccoli missili ai piedi delle persone che indietreggiano
istintivamente, strabuzzando i loro occhi d'argento, avvicinandosi le
une alle altre, raccogliendosi al centro del vicolo.
Quando sono abbastanza vicine, Tony comincia a volare in circolo
attorno a loro, con un'agilità che sembra impossibile
immaginare vedendolo con tutta quella ferraglia addosso.
Nadia non capisce subito cosa stia facendo, ci impiega qualche secondo
a notare il sottile filo d'acciaio che spunta dalla placca sul polso
sinistro dell'armatura.
Gli esseri cominciano a far piovere altri sassi e altri oggetti su
Tony, lui cerca di schivarli o di farli esplodere con i colpi che
partono dal braccio destro mentre continua a volare in circolo,
avvolgendo le persone in diversi giri di acciaio. Quando sono
ben strette, l'uomo dà un ultimo strattone e le trascina
all'indietro, verso l'argine.
Nadia immagina che le abbia legate in modo che riescano a liberarsi
senza annegare.
I tizi oppongono una resistenza esasperante con la loro forza
sovrumana, reagendo alla spinta di Tony che dà istruzioni
alla sua armatura parlante di concentrare l'energia nei propulsori
posteriori. Lentamente riesce a trascinare via i cinque indemoniati, ma
è troppo lentamente.
Uno di loro, dentro al corpo di un signore panciuto con i capelli
impomatati, solleva lo sguardo vuoto su Nadia e fa un orribile ghigno.
Da un angolo della strada, il cestino per i rifiuti di ghisa scura
comincia ad accartocciarsi, poi si stacca dal palo al quale
è agganciato, si solleva nel vuoto e comincia a roteare a
una velocità folle in direzione della ragazza.
Nadia si preme contro il muro e si rannicchia coprendosi la testa con
le braccia.
Non servirà a niente, quel cilindro di ghisa
peserà un quintale e la spinta della velocità
renderà l'impatto un colpo letale. È un
arrendersi al destino che le lascia in gola un sapore amaro.
E Nadia lo sente, l'impatto. Un suono orribile di metallo che urta e
vibra, una vibrazione intensa e lunghissima come la nota di un
diapason. Ma non può essere stata la sua testa ad aver
prodotto quel suono mentre finiva sfracellata per la botta.
E questo chi
è?
Davanti a Nadia c'è un uomo biondo, sulla trentina e forse
anche più giovane, alto e piuttosto ben messo. Ad una prima
occhiata, la ragazza ha pensato a Thor, ma questo non ha i capelli
lunghi e nessun mantello – anzi, ha un taglio anni '50, e
indossa jeans a vita ridicolmente alta con camicia di flanella dentro
la cintura. E in mano regge uno scudo rotondo a strisce bianche e
rosse, con al centro un cerchio blu e una stella.
«Scommetto che tu sei... Marte»
farfuglia Nadia, frastornata dalla paura, dal rumore e dalla sorpresa.
In quel momento si sente il tonfo delle persone che cadono nell'acqua e
la ragazza vede Tony svolazzare verso di lei a tutto gas.
Altre due persone scavalcano il muro con un'agilità
sorprendete, un uomo e una giovane donna, con dei jeans e dei giubbotti
di pelle scura dal taglio molto più moderno degli abiti di
quell'altro tizio che l'ha salvata.
«E voi siete Minerva e Cupido?» aggiunge la
ragazza, scuotendo il capo attonita, notando che l'uomo impugna un arco
nel quale ha già incoccato una freccia e la donna regge una
pistola con il dito già posato sul grilletto.
«Ehi, voi, aspettate... io sono solo uno
scienziato» borbotta una voce affaticata.
Nadia solleva lo sguardo, in tempo per vedere un uomo moro scavalcare
faticosamente il muro e lasciarsi cadere cautamente verso il basso con
gesti goffi.
«Tu non lo so che divinità sei...»
mormora la ragazza, fissandolo stranita.
«Tu invece hai l'aria di una in stato di shock»
«Sì, ammetto che certe volte faccio questo
effetto» interviene Tony, raggiungendoli e facendo sollevare
verso l'alto la visiera dell'armatura. «Ma adesso dobbiamo
andare via, prima che gli anfibi tornino sulla terraferma. Quando
saremo al sicuro vi spiegherò tutto».
E dunque quelli sono i fantomatici Avengers.
L'uomo con lo scudo tende cavallerescamente una mano verso Nadia, per
aiutarla a rialzarsi, e le sorride.
«L'ultima volta che ho controllato, mi chiamavo
Steve» dice.
«E loro sono Natasha, Clint e Bruce. Signori, lei
è Nadia» aggiunge Tony sbrigativo.
«Andiamo?».
Raggiungono la casa, assicurandosi che nessuno li abbia inseguiti.
Mentre Nadia scavalca il davanzale, si rende conto che ancora una volta
se l'è cavata per un pelo e sente un tremendo senso di
stanchezza avvolgerla come una coperta, le gambe quasi le cedono quando
atterra con un balzo maldestro sul pavimento di pietra.
Gli altri scavalcano dietro di lei che fissa sconvolta Tony premere
qualche tasto e liberarsi dall'armatura che si ripiega su se stessa
tornando a essere una valigia.
«Thor?» borbotta l'uomo di nome Bruce, fissando il
dio del tuono che sta scendendo le scale.
«Speravo di rivedervi in un frangente meno movimentato,
amici» risponde lui, e tuttavia sorride, un sorriso che gli
altri ricambiano per un secondo fino a quando non scorgono Loki sui
gradini dietro al fratello.
Adesso le espressioni dei quattro nuovi arrivati sono congelate in una
piega di sconcerto e un silenzio duro e freddo come l'acciaio cala per
qualche istante sulla casa.
«E lui cosa ci fa qui?». È Clint a
rompere il silenzio, la sua voce è ostile, piena di rabbia.
La stessa ostilità e la stessa rabbia che passa anche sui
visi dei suoi compagni.
Loki non sembra nemmeno farci caso, scende le scale, attraversa la
stanza con la sua solita indolente eleganza e si avvicina a Nadia,
lanciandole uno sguardo accigliato e colmo di aria di sufficienza,
un'occhiata da "te
l'avevo detto, sciocca". Come volevasi dimostrare.
«Avevi detto che ve ne sareste occupati voi, nella tua
città sulle nuvole» insiste Clint, serrando i
pugni e guardando Thor con irritazione. Evidentemente lui ha proprio
qualcosa di personale contro Loki, lo detesta più degli
altri.
«E avevamo intenzione di farlo» replica il dio del
tuono con fare conciliante. «Ma è fuggito alle
guardie di mio padre».
«Cosa? Siete troppo impegnati a cucinare nettare e ambrosia
lassù per tenere sotto sorveglianza un prigioniero? Ve lo
siete fatto scappare!»
«Sì, e credimi, io sono quello che ne è
maggiormente rammaricato ma...»
«Le vostre guardie sono degli incapaci»
«Non offendere il mio popolo, agente Barton!».
Nadia ha quasi un sussulto nel sentire Thor alzare la voce. Se uno come
lui urlasse contro di lei probabilmente le verrebbe un infarto, ma
Clint Barton non sembra voler lasciar perdere e di certo non ha l'aria
di uno che si fa intimidire.
«Avresti dovuto lasciarlo a noi! Me ne sarei occupato
personalmente, ho ancora un conto in sospeso con quel gran figlio di
puttana».
«Non usare questo tono! Anche Fury se lo è fatto
scappare mentre era nella vostra prigione di vetro sulla vostra
macchina volante» osserva Thor, senza smettere di gridare.
Steve, l'uomo con lo scudo, si avvicina cautamente al dio del tuono e
allunga una mano verso la sua spalla, come a voler essere pronto a
trattenerlo per ogni eventualità.
Natasha invece posa una mano sul braccio di Clint, nella vana speranza
di tranquillizzarlo.
Quale che sia la posta in gioco, quello davvero non è il
momento dei litigi e delle recriminazioni.
Nadia guarda Tony. È lui che ha chiamato quelle persone, e
ora lei vorrebbe chiedergli se è proprio certo che sia stata
una buona idea, se è sicuro che loro siano quelli
più adatti a proteggerla e a risolvere il problema.
Poi lo sguardo della ragazza si posa su Loki che guarda la scena come
se non fosse lui la pietra dello scandalo, sembra persino divertito. In
effetti non ha fatto altro che parlare di quelle persone con acido
sarcasmo, sarà contento adesso di vedere che con il loro
comportamento gli stanno dando ragione.
«Pensavo che tu e la tua gente avreste agito con un po'
più di buon senso, visto che avevate in consegna quello che
ci ha quasi distrutto il pianeta!» continua Clint.
«Non provare a darmi lezioni di buon senso. Io...».
«BASTA!».
L'urlo arriva dall'uomo moro, Bruce. Quello che sembra tanto mite e
pacifico, persino un po' imbranato – tanto che Nadia se lo
era quasi dimenticato, ma la sua voce si fa sentire al di sopra di
quella di Thor e di Clint e tutti si voltano allarmati nella sua
direzione. Più che allarmati sembrano spaventati; la mano di
Natasha è corsa automaticamente al calcio della pistola, e
anche Loki ha avuto un sussulto e si è appiattito contro il
muro.
Bruce tossicchia e prende un lungo respiro.
«Bene» dice con un sorriso bonario, un po' tirato.
«Ora che avete smesso di gridare, possiamo cominciare a
parlare da persone civili».
Clint si stropiccia il viso con le mani e fa un passo indietro,
scambiando con Thor quello che sembra un rapido e imbarazzato sguardo
di scusa.
«Non vediamo l'ora di conoscere i dettagli.
Stark?». Steve si volta verso Tony, incrociando le braccia
sul petto con aria impaziente.
«Ci hai giocato un bello scherzo invitando anche Loki alla
festa» asserisce Natasha, in tono cupo.
Nadia nota che tutti evitano di guardare verso il dio dell'inganno,
come se nonostante quello che è stato detto preferiscano
fingere che non ci sia.
«Ma di sicuro avrai una spiegazione» interviene
Bruce. «Ti conviene che sia buona, perché anche
l'Altro è molto curioso di sentirla».
«E adesso voglio proprio vedere» mormora Loki tra
sé e sé, in un sussurro appena udibile, tanto che
solo Nadia, che è accanto a lui, riesce a sentirlo.
«Chi è l'Altro?» gli domanda in un filo
di voce.
«Qualcuno che è meglio non conoscere»
risponde il dio arricciando il naso, poi le fa cenno di ascoltare
mentre Stark prende la parola.
Sì, anche lei vuole proprio vedere come farà Tony
a spiegare che per salvare quella gente gli Avengers devono guardare le
spalle al nemico
pubblico numero uno.
***
Finalmente silenzio.
Loki credeva che non avrebbero smesso più di parlare. Ad
ogni frase di Stark qualcuno se ne usciva con una domanda assolutamente
inutile e superflua che implicava una lunga divagazione. Per fortuna
che Thor si era dato la pena di leggere
informazioni sui demoni, così è toccato a lui
fornire le spiegazioni più salienti. Loki davvero non aveva
voglia di parlare con quella massa di decerebrati che lo guardano male
ogni volta che sbatte anche solo le palpebre.
Alla fine la squadra di soldatini ha avuto il cosiddetto quadro
generale della situazione. Hanno capito di cosa si tratta e
c'è stata un'altra mezza lite quando si sono resi conto che
il fulcro della questione era che dovevano proteggere lui oltre che la
ragazza, altrimenti non avrebbero potuto salvare quelle persone.
A Loki la cosa non piace più di quanto piaccia a loro,
questo almeno spera che sia chiaro per quelle teste troppo
piccole. Ma gli Avengers si sentono in dovere di salvare quella gente,
Nadia e la donna di Stark e lui ha tutto il diritto di salvarsi la
pelle: uno scambio equo, senza ma e senza se. E senza inganni, ammesso
che non si voglia chiamare inganno
qualche piccola omissione; loro non sono tenuti a sapere proprio tutto,
come ad esempio il fatto che lui sta incamerando più energia
di quanta gli occorre per contrastare i demoni, perché ha
altri progetti una volta che quella situazione si sarà
risolta, ma decisamente queste non sono cose che riguardano i benamati
Vendicatori.
Rogers ha organizzato i turni di guardia, ha usato esattamente questo
termine. Sono tutti stanchi per il viaggio e hanno bisogno di riposo
– hanno accennato a qualcosa che si chiama jet lag, ma
resteranno svegli a due a due per controllare che non succeda niente e
che nessuno di sospetto si avvicini alla casa.
Lui non è stato inserito nei turni, non si fidano. Sono
davvero duri di comprendonio se non capiscono che è anche
nel suo interesse che tutto si risolva per il meglio.
Alla piccola Nadia invece hanno lasciato fare la sua parte. Ma sono
stati magnanimi, le hanno lasciato il turno di guardia delle prime ore
del mattino, così almeno potrà passare la notte
serena. Sono tutti così
inteneriti da lei, dalla giovane umana che ha deciso di
mettersi a fare l'eroina perché la sua coscienza,
più che il suo coraggio, le ha impedito di fare altrimenti.
Ad ogni modo, il primo turno tocca a Rogers e a Thor – che ha
tenuto a precisare che in quanto dio è molto più
in forma di tutti loro, anche se Loki lo conosce e sa che è
provato.
Gli altri hanno deciso di andare a dormire, per essere pronti e vigili.
In quella casa, se non altro, non mancano i materassi.
Quello che manca è un piano, un vero piano per sconfiggere
le creature. Forse ci penseranno l'indomani, quando il sonno
ristoratore avrà sortito i suoi effetti, ma Loki non ha
tempo da perdere. E anche lui comincia a sentire la stanchezza che
bussa a chiedere il suo tributo.
«Faresti meglio a farti una dormita, Bambi» dice
Stark, passandogli davanti. «Pensavo fosse impossibile, ma
hai una cera più brutta del solito».
Loki gli lancia un'occhiata stizzita. Vorrebbe dirgli che non ha
bisogno che qualcuno gli faccia da balia, ma non ha voglia di mettersi
a questionare con nessuno di loro. Sono nemici, niente cambia questo
stato di cose e quella sorta di gelida tregua è difficile
per tutti quanti.
Nadia si avvicina all'uomo di metallo e lo prende sottobraccio.
«A proposito di persone che hanno bisogno di farsi una
dormita, sono due giorni che non chiudi occhio» gli mormora,
sempre con quel tono dolce e amichevole che usa quando si rivolge a
lui. Poi lo pilota verso una branda, nella stanza attigua.
Loki resta a fissarli di sottecchi, vede la ragazza spingere l'uomo a
sedersi sul materasso sfondato.
«Non è proprio un posto per cervelloni
miliardari» aggiunge lei con fare bonario. «Ma sono
certa che ti sarai stufato del Danieli».
Stark scrolla le spalle, il suo sguardo si fissa nel vuoto, come se
stesse inseguendo il fantasma di un ricordo lontano e doloroso.
«Ho dormito in posti peggiori» dice, come se stesse
pensando ad alta voce. «Una volta, in
Afghanistan...». Lascia la frase in sospeso e Nadia non fa
domande. Sa quando tacere – quasi sempre, questo almeno
glielo si deve riconoscere.
E adesso... ah, perché diamine lei lo sta abbracciando?
Loki guarda quasi perplesso la ragazza cingere le spalle dell'uomo e
posargli una guancia contro il braccio. Stark batte una mano su quella
di lei e china il capo verso il suo, in un gesto quasi fraterno.
Dannati umani, con il loro sciocco, patetico sentimentalismo!
Non sono capaci di badare a loro stessi, per questo hanno sempre
bisogno di una mano che batta su una spalla o che si stringa attorno a
un'altra mano. La capacità di essere soli è un
potere che solo chi ha conosciuto la solitudine più totale
può comprendere, ma ci vuole coraggio per simili cose e
quest tipo di coraggio è ben al di là della
portata di quegli esseri smarriti.
Il dio dell'inganno è costretto a ritrarsi e voltarsi in
un'altra direzione quando vede che Nadia si alza per uscire dalla
stanza e lasciare Stark ai suoi dispiaceri e alla sua dose di riposo.
Torna a girarsi in direzione delle ragazza mentre lei raggiunge un
altro materasso, in un altro ambiente della casa piena di stanze senza
porte. La guarda allontanarsi e lasciarsi cadere sul letto
improvvisato. La guarda e si pone un sacco di domande che non sono di
nessuna utilità, eppure sente che sarebbe quanto meno
divertente conoscere le risposte.
Con un ghigno, si avvicina quatto all'uscio della stanza dove ora Nadia
è andata a stendersi e si siede sul pavimento accanto alla
porta senza imposte, ad attendere che lei si addormenti.
Le facce dei Vendicatori si fanno sempre un po' più torve
quando lo vedono avvicinarsi a lei, ma adesso lui dovrebbe sembrare del
tutto innocuo. Nessuno sa che può viaggiare in molti luoghi,
anche nei sogni, perché lui ha il potere dell'illusione e i
sogni non sono altro che illusioni dentro la mente delle persone.
Loki appoggia il capo alla parete, chiude gli occhi, cerca di
rilassarsi e di rimanere concentrato.
Nel sogno c'è
la stanza d'albergo, la camera numero 7 in cui ha passato tutto quel
tempo a meditare e ad aspettare. È l'unico luogo che lui
conosce che sia familiare anche alla ragazza.
Nel letto dalla coperta
azzurra c'è Nadia che dorme e che da un momento all'altro si
sveglierà nel sogno in cui lui ha deciso di comparire.
Perché è curioso, vuole sapere cosa pensa la
ragazza, cosa gli direbbe in una dimensione in cui crede di essere al
riparo nel proprio inconscio. Vuole scoprire se il suo sciocco
sentimentalismo, se la sua banale umanità valgono anche per
lui, adesso che lei sa chi è davvero quello che credeva
essere solo un ragazzo con un po' troppi misteri.
Perché ora
che quei misteri sono stati svelati, non gli piace che lei tenga
qualcosa per sé in quella sua testolina boriosa.
La ragazza apre gli
occhi e si guarda attorno mentre nella sua mente affiora la
consapevolezza di essere in un sogno. Si mette a sedere con la schiena
contro il cuscino e punta lo sguardo su di lui, seduto sul bordo del
letto, in abiti da umano.
«Quanti anni
hai?» le chiede subito.
Per un attimo Nadia fa
un'espressione crucciata, poi si arrende all'insensatezza che
è propria di ogni visione onirica. Perché lei non
sa che quello non è un semplice sogno.
«Ventisei»
dice, schiarendosi la voce impastata.
Ventisei primavere; un
battito di ciglia per un dio.
«Sei tipo la
voce del mio inconscio?» domanda poi Nadia.
«Non lo
so...»
«Cielo!
Nemmeno nei sogni mi lasci in pace...»
«Se
è un tuo sogno, non posso averne colpa. Piuttosto verrebbe
da chiedersi come mai il tuo inconscio ha le mie sembianze»
«Forse
perché occupi un po' troppo spazio nei miei
pensieri»
«Perché
hai paura di me?».
Le parla con voce calma,
nel tono più amichevole e suadente che riesce a usare. La
ragazza si sente al sicuro lì, credendo di essere nella sua
stessa mente, e sarebbe inopportuno metterla in agitazione e non farla
sentire a proprio agio.
Nadia arriccia le labbra
con fare pensoso.
«Sì,
ho paura di te» ammette. «Ma non è solo
questo, credo»
«Non ti sarai
affezionata al mostro senza cuore?»
«Lo sei
davvero, un mostro senza cuore?».
E questo che significa?
È stato lui a creare quel sogno, dovrebbe essere lui a
dirigere il gioco e fare domande.
«Tu cosa
credi?»
«Sei troppo
arrabbiato, amareggiato e pieno di risentimento per non avere un cuore.
Se conosci certi sentimenti, conoscerai di sicuro anche i loro
opposti».
A questo punto Loki deve
misurare bene le parole. Non sia mai detto che una ragazzina possa
mettere in difficoltà l'abilità retorica del dio
dell'inganno.
«Quindi...
è pietà la tua?» domanda, sforzandosi
di non apparire piccato.
«Non mi fai
pietà, ma nemmeno ti odio. È più una
specie di dolore... sì, è doloroso pensare che
tutto questo sfoggio di malvagità sia l'unico modo in cui
pensi di poter porre rimedio alle tue debolezze».
Cosa? Come osa?
«Io non sono
debole». Stavolta non riesce a mascherare il totale
disappunto e l'irritazione.
Nadia scrolla le spalle
e fa una specie di sorriso. Gli sta sorridendo! Quella dannata piccola
sciocca ha appena messo in dubbio la sua forza e ora gli sorride!
«Se
è un sogno, non starò qui a tentare di far valere
le mie ragioni, è fatica sprecata. Loki non mi darebbe
ascolto da sveglia, figuriamoci in una visione onirica...».
Certo che non le darebbe
ascolto. È una ragazzina umana che non ha visto nemmeno un
granello di tutto l'infinito che lui ha potuto contemplare, che non ha
idea di cosa sia il potere, di cosa siano le ombre, e di quanto possa
essere accecante la luce.
«Anzi,
già che ci sei, potresti soddisfare un tuo piccolo grande
capriccio» aggiunge lei dopo qualche secondo di silenzio, con
un tono maledettamente sarcastico. «Potresti uccidermi.
Quando uno muore in un sogno poi si sveglia, e questo sogno
è molto noioso».
«Potrebbe
diventare doloroso, se io volessi» sibila Loki, scoccandole
un'occhiata gelida.
«Sei la voce
del mio inconscio» osserva lei. «E se
c'è una cosa che credo di sapere nel mio inconscio,
è che Loki, per quanto ci abbia pensato, per quanto forse lo
abbia desiderato davvero, non mi farebbe del male».
E così crede
di conoscerlo. Si illude di conoscerlo, si illude di poter prevedere le
sue mosse e le sue intenzioni. Ma non sa niente, la maledetta
ragazzina!
In un impeto di furia,
Loki si getta su di lei, bloccandola contro il materasso. Certo,
è solo un sogno, può farla soffrire e
può ucciderla nell'illusione senza fare danni alla ragazza
che dorme, alla Nadia che è fisicamente fuori da quella
dimensione, ma ha ragione, sarebbe senz'altro liberatorio potersi
finalmente prendere la soddisfazione di vedere la luce spegnersi in
quegli occhi impertinenti.
Rimpiange di non avere
un pugnale, un'arma qualsiasi per tagliarle la gola e vedere scorrere
il suo sangue, sentirlo scivolare caldo sulle sue mani, osservarlo
inzuppare le lenzuola.
Non ha pensato a una
simile eventualità, voleva solo parlare, ma visto che lei ci
tiene tanto a divertirlo in quel modo...
Nadia getta la testa
all'indietro, scoprendo il collo, offrendogli la gola perché
lui possa stringervi attorno le dita. E lo fa, serra una mano a
bloccarle il respiro. Ora deve solo stringere ancora un po'
più forte, niente di così complicato. E allora,
perché sta esitando? Perché le dita non si
chiudono attorno alla carne?
La ragazza piega appena
la testa in avanti, quel tanto che basta per poterlo guardare negli
occhi. E ha un'espressione irriverente, detestabile. Eppure lui non
riesce a...
«Ti capita
spesso?» chiede Nadia, con un ghigno che è quasi
compiaciuto.
Lui ritrae la mano e
picchia un pugno furioso contro il materasso. Non riesce a ucciderla.
Non... non vuole ucciderla.
«Resterà
tra me e te, giuro. E comunque, è solo un sogno»
insiste lei, sempre con quel tono canzonatorio, poi alza la testa di
scatto e preme le labbra contro le sue.
È solamente
un secondo, perché arriva un rumore sordo dall'esterno e il
sogno svanisce di colpo.
Loki riapre gli occhi, come finestre che si spalancano per un colpo di
vento. Resta fermo per qualche istante, ha la sensazione di aver
ricevuto un pugno allo stomaco, un colpo dal quale deve riprendersi per
un attimo.
Dalla soglia accanto alla quale è seduto fa capolino Nadia,
che si sporge con gli occhi sgranati per l'agitazione.
«Cos'era quel rumore?» chiede preoccupata.
«Chiedo scusa. Ho fatto cadere una trave appoggiata al
muro» risponde Thor dal fondo della stanza, dove se ne sta a
controllare la strada dalle fessure delle finestre, assieme a Rogers.
«Fate più attenzione a dove mettete i
piedi» borbotta l'agente Romanoff, spuntando da un'altra
stanza, già con la pistola in pugno. «Meno male
che Banner ha il sonno pesante» aggiunge, prima di voltarsi e
tornarsene a dormire.
Nadia sbuffa di sollievo, alle spalle di Loki. Lui volta il capo per
guardarla, non tradisce nessuna emozione eppure la dannata ragazzina lo
ha stupito con... cosa voleva essere quella roba nel sogno?
Aveva architettato quella cosa – una cosa da nulla, per lui
– per togliersi qualche curiosità, e ora si
ritrova con domande molto più pressanti e ingombranti di
quelle che aveva prima. E lui detesta non essere in grado di capire.
«Che c'è?» chiede Nadia, perfettamente
calma, notando che il dio la sta guardando. Certo, lei è
davvero convinta che sia stato solo un sogno, che lui non sappia niente
di quello che è accaduto un minuto prima.
«Niente» le risponde sbrigativo.
«Hai intenzione di dormire seduto sul pavimento?»
«Ha importanza?».
La ragazza alza le mani in un enfatico gesto di resa.
«Non oserei mai dare suggerimenti a un dio in merito al
proprio giaciglio» dice sarcastica, prima di tornare nella
sua stanza.
Mentre la vede voltarsi e sparire con quel suo sorrisetto canzonatorio,
Loki si chiede come sia possibile che gli sia passata la voglia di
ucciderla.
_______________________________________________________________________
Note
Le
scene “movimentate” non sono il mio forte
(ulteriore motivo che
mi spinge a chiedermi perché mai io mi sia voluta imbarcare
nell'impresa di scrivere una fanfiction sugli Avengers), ma spero che
risulti comunque plausibile.
Come
ho detto più volte, il rapporto di reciproca simpatia e
affetto tra Tony e Nadia è una cosa molto importante per il
senso
della storia, quindi
quella cosa dell'abbraccio mi sembrava indispensabile, spero non
risulti un particolare troppo stonato e melenso.
Loki
che si intrufola nei sogni. Ho immaginato che fosse una cosa simile a
quando è sulla Terra e si manifesta sul pianeta dei
Chitauri... lui
che può usare le illusioni e tutto il resto, spero sia
abbastanza
chiaro.
Ci leggiamo venerdì con il prossimo aggiornamento.
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Capitolo 14 *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo tredicesimo
Nadia si alza dal letto – un letto abbastanza indegno di tale
titolo, a voler essere brutalmente sinceri – e si dirige
verso lo spazio che fa da anticamera alle varie stanze del pianterreno.
È il suo turno di fare la guardia, non ricorda con quale
membro della colorita ciurma.
Ha dormito male quella notte. La notte prima, dopo la fuga dall'assalto
dei demoni alla Corte dell'Angelo e dopo aver scoperto la
verità su Loki e l'arrivo di Thor, era crollata,
più per lo shock che per la stanchezza; adesso che la sua
mente si è in qualche modo abituata a tutte quelle cose
tremende, adesso che se n'è fatta quasi una ragione, resta
solo la paura. E in mezzo a quelle persone si sente un po' come un
ragazzino obeso finito per sbaglio in una squadra di atleti
olimpionici.
Ha dormito a sprazzi interrotti, pieni di sogni strani. Il primo dei
tanti è stato un sogno particolarmente vivido, in cui c'era
anche Loki. Non lo ricorda bene, non ricorda mai bene i sogni che fa,
ma i pochi flash che riesce a rimandare alla mente non sono molto
incoraggianti per la sua salute mentale già messa a dura
prova dagli eventi degli ultimi due giorni.
Erano nella stanza numero 7, avevano parlato – non riesce a
ricordare di cosa – e poi, non sa come, non sa
perché, lui le era finito addosso, ma stando alle immagini
che emergono dai ricordi confusi non doveva essersi trattato di una
roba tipo sogno erotico. Però ricorda gli ultimi secondi del
sogno, quelli li ricorda davvero bene, quando si è sollevata
verso di lui e lo ha baciato. Cioè, non è stato
proprio un bacio, è stato più un gesto di sfida,
perché sapeva, anche nel sogno, che quella reazione era
proprio l'ultima cosa al mondo che lui si sarebbe aspettato. E
comunque, anche se fosse stato un bacio, non hanno fatto in tempo
perché poi Thor è inciampato in una trave,
qualcosa del genere... e lei è letteralmente caduta dal
letto con il cuore che andava a mille. E la tachicardia non era
propriamente dovuta alla sottospecie di bacio dato in sogno a un dio
malefico e affascinante. Era stata paura, paura che stesse succedendo
di nuovo qualcosa.
D'accordo, è tutto passato; il sogno, la nottataccia, il
rumore, l'allarme. Ora deve pensare a rimanere concentrata e a tenere
d'occhio la strada fuori dalla finestra.
La casa è avvolta nella penombra, tutto sembra nebbioso e
ovattato tra quelle pareti. Dormono tutti, Nadia riesce a vederli dalle
porte prive di imposte. I due agenti, Natasha e Clint, in una stanza su
due materassi messi negli angoli opposti della saletta quadrata
– lei non ha ancora capito se c'è del tenero tra
quei due o se si tratta solo di un rapporto professionale molto molto
profondo. Tony nella stanza in fondo a sinistra, dove lo ha lasciato la
sera prima. Steve in uno stretto stanzino sotto le scale... e che
cos'è quella roba che ha addosso? Oddio, Tony lo aveva detto
che lui era davvero tipo da calzamaglia! Il russare alla grossa che
viene dal piano di sopra invece deve essere opera di Thor –
anche gli dei dormono, buono a sapersi. E a proposito, Loki
dov'è? Probabilmente è andato a dormire sul
tetto, ne sarebbe assolutamente capace, per tenersi il più
alla larga possibile da tutti loro.
Ad ogni modo, andando per esclusione, resta solo...
“Ciao, Bruce”. Per l'appunto. L'uomo moro sta
seduto su uno sgabello sgangherato accanto alla finestra chiusa.
“Oh, buongiorno”.
Ha sentito che gli altri lo chiamano Dottore. Nadia si sta chiedendo se
sia davvero un medico, pensandoci, si rende conto di sapere
così poco di quelle persone che hanno attraversato l'Oceano
solo per rispondere alla chiamata di Tony e venire in soccorso di
perfetti sconosciuti – e di Loki, non dimentichiamoci del dio
dell'inganno, che tutti loro hanno ragione di detestare. Anche Nadia
dovrebbe detestarlo, anche solo per spirito di aggregazione al resto
del genere umano, ma non è così. Devono aver
parlato di questo nel sogno, ora che ci pensa. Del fatto che non lo
odia e nemmeno gli ispira pena, è semplicemente dispiaciuta per
lui, anzi è davvero addolorata per lui, senza bisogno di
compatirlo. Per fortuna che era solo un sogno, nella realtà
Loki avrebbe sicuramente intentato un discorso per farle notare quanto
sciocco e insensato sia un simile sentimento da parte sua. Ma del
resto, Loki cosa ne sa dei sentimenti?
Nadia decide di non pensarci, si rende conto che sarebbe molto
più costruttivo tentare di avere un dialogo con Bruce
Banner, che sembra molto più buono e gentile di un dio
norreno con le manie di persecuzione.
“Ora ci vorrebbe proprio un caffè, qualcosa che
dia un po' di carica” gli dice, stiracchiandosi.
Bruce la guarda come se avesse detto una cosa strana e fuori luogo.
“Divertente...” mormora con uno strano sorriso
tirato.
“Divertente in che senso?”
“Oh, Stark non ti ha... ehm, istruito sul fatto che
è meglio non darmi la carica?”.
Forse Loki aveva ragione, forse gli amici di Tony sono un po' folli,
Tony stesso gli ha fatto pensare a qualcuno scappato da una clinica la
prima volta che lo ha incontrato, anche è riuscita ad
adorarlo dopo i primi dieci secondi.
“Mi ha solo detto i vostri nomi e ha accennato al fatto che
le avete suonate a Loki, quando lui ha fatto... beh, quel casino che ha
fatto a New York, insomma” risponde la ragazza.
“Non per fare il gradasso, ma si dà il caso che
quello che le ha suonate a Loki, praticamente parlando, sono stato io.
Più o meno”.
Bruce Banner ha l'aria di uno che non suonerebbe nemmeno i campanelli,
per non disturbare eventuali piccioni appollaiati sul tetto.
“Che significa più
o meno?”
“Non è una cosa facile da spiegare. Diciamo che
quando mi arrabbio divento molto sgradevole” .
Nadia proprio non riesce a seguirlo. Sembra che il dottore debba dire
qualcosa di grosso e si stia preoccupando di poterla turbare. Come se
lei potesse essere più turbata di quanto già non
è.
“Anche io divento sgradevole quando mi arrabbio”
gli dice con un sorriso ironico.
“Certo. Ma dubito che tu diventi verde, altra due metri,
incapace di intendere e di volere e dotata di forza
sovrumana”.
“Verde?!”
“Verde, già”.
La ragazza sgrana gli occhi. Il suo cervello le sta gridando che
è impossibile, ma ha visto talmente tante cose impossibili
negli ultimi due giorni da non preoccuparsi nemmeno di apparire stupita
dalla spiegazione di Bruce. Pensa che non c'è più
niente che possa stupirla, ormai.
“E non puoi controllarlo, il tizio verde?” chiede,
semplicemente curiosa.
Lui scuote la testa.
“No, l'Altro ha una politica tutta sua”.
Deve essere davvero una cosa spaventosa. Nadia adesso si sta
preoccupando della sua espressione, non vuole che Bruce si senta come
l'oggetto della sua pena.
“E i tuoi amici, loro che fanno di interessante?”
chiede.
L'uomo assume un'aria pensosa, come se stesse cercando le parole per
spiegarle, nel modo più semplice e meno traumatizzante
possibile, tutte le varie storielle dei tizi addormentati nelle altre
stanze.
“Tanto per cominciare, c'è Steve Rogers, alias
Captain America” esordisce Burce. “Lui è
il nostro pezzo vintage”.
***
Sono le otto del mattino, ora italiana, quando tutti cominciano a
svegliarsi.
Steve si stropiccia il viso con le mani, fa un lungo sbadiglio e
stiracchia la schiena. Sta ancora tentando di decidere se quelle brande
sono meglio o peggio dei letti dei campi militari della Seconda Guerra
Mondiale.
Si ritrovano tutti nell'anticamera all'ingresso della casa. Lui scruta
le facce dei suoi compagni, e vede i loro visi irrigidirsi quando Loki
fa la sua comparsa in cima alle scale.
Proteggere il nemico non è una cosa facile da accettare come
missione. Per quel che lo riguarda, Steve vede solo delle vite da
salvare, è un soldato ed è abituato a credere che
quando impugna le armi deve pensare a chi sta soccorrendo e non a chi
sta uccidendo, al male che può evitare e non a quello che
deve fare.
Si siedono a terra, in circolo. Hanno molte cose di cui discutere.
Loki si accoda alla processione e fa per sedersi vicino alla ragazza
– che deve sembrargli la faccia meno ostile tra tutti i
presenti. Ma Stark fa scostare Nadia di lato e si siede in mezzo a loro
due, come per allontanarli, con quella sua aria petulante da scimmia
dispettosa. Sembra che proprio non regga l'idea di Loki a meno di un
metro di distanza dalla loro giovane nuova amica. E forse fa bene.
Appena è venuto a conoscenza di tutta la storia, Steve non
ha potuto fare a meno di provare una certa ammirazione per la ragazza.
Lei ha l'aria di una che si sente un peso morto, una palla al piede per
le loro manovre, ma lui vorrebbe tanto dirle che sono le persone come
lei i veri eroi, insomma, ha deciso di restare quando poteva andarsene,
e aveva dei motivi piuttosto validi per farlo. E invece è
rimasta e adesso si sta fidando di tutti loro, anche se non li conosce,
anche se ai suoi occhi devono sembrare un gruppo male assortito di
individui bizzarri. E tutto questo non fa che far sentire Steve ancora
più responsabile nei suoi confronti.
“Ci serve fare un giro di perlustrazione” esordisce
Steve, quando si accorge di avere su di sé l'attenzione dei
presenti. “Dobbiamo sapere dove sono i demoni, cosa fanno,
come si muovono”.
“Non ci hanno visti” osserva Natasha Romanoff,
“me, Clint e il dottor Banner, non sanno chi siamo e che
siamo con voi. Poi ci sarebbe Thor, ma lui è un tantino
vistoso”
“Bene. Shrek, Robin Hood e la strega Morgana vanno in
ricognizione” approva Stark. “E già che
ci siamo, ci procurano anche qualcosa da mettere sotto i
denti”.
“E poi?” domanda Nadia.
“E poi gli tendiamo un agguato” dice Loki
all'improvviso, catturando su di sé gli sguardi di tutti.
“Questa da dove viene, dal manuale delle Giovani
Marmotte?” sbuffa Barton.
“No, no, fate parlare Machiavelli, voglio sentire il suo
piano” replica Stark.
“I demoni non abbandonano i corpi perché li ho
indeboliti, ma qualora lo facessero potrebbero sentire le emanazioni
della pietra e dei miei poteri e rintracciarci” esordisce
Loki, in tono paziente. “Voi vi raccogliete tutti in un luogo
prestabilito, insieme a Nadia. Io e Thor cercheremo di isolare una
persona posseduta e di estirparle il demone, che a questo punto
guiderà gli altri dove sente provenire l'energia della
pietra. Una volta raccolti tutti lì, voi cercherete di
tenere a bada il gruppo, mentre io faccio il mio lavoro”.
“Non è malaccio come idea” osserva
Stark, picchiettandosi l'indice sul mento. “Solo una cosa non
mi va a genio: non ho nessuna intenzione di esporre Nadia e usarla come
esca”
“Il punto non è questo” sbotta Loki, il
suo tono è già assai meno paziente e diplomatico
adesso. “Vorrei tanto dire di capire il tuo sentimentalismo
paterno, ma mi serve avere la ragazza vicino, per usare l'energia della
pietra. Posso esorcizzare un singolo demone, ma senza una risorsa di
energia dubito di riuscire a stanarne trenta”.
Silenzio. Lunghi secondi di silenzio perplesso. Nessuno vuole usare la
ragazza come esca, ma la soluzione proposta da Loki è quella
più sensata, non c'è altro modo. Potrebbero
cercare gli indemoniati uno a uno, ma ci vorrebbero giorni e stanno
già rischiando abbastanza. Se loro li trovassero e li
cogliessero di sorpresa, sarebbe un rischio ancora maggiore per Nadia,
e quei demoni possono arrivare da un momento all'altro.
“Non mi piace. Non è sentimentalismo, cerbiatto
bacato, è prudenza” borbotta Stark.
“Non piace nemmeno a me” gli fa eco Barton.
“Ammassare trenta persone alle quali non possiamo fare male
e se anche gliene facessimo non servirebbe... non mi sembra un'idea
così geniale. Né per noi né per
Nadia”.
“Va bene” esclama lei, alzando la voce.
“Per me va bene. Se è l'unico modo...”
“Nadia, il tuo coraggio ti fa onore, ma se ti accadesse
qualcosa sarebbe tutto perduto. E nessuno di noi potrebbe mai
perdonarselo” mormora Thor, quasi afflitto.
“Non è l'unico modo, è solo quello
più sbrigativo” fa notare l'agente Romanoff.
Steve si passa una mano tra i capelli e abbassa lo sguardo.
È l'unico modo, ed è sbrigativo perché
il tempo non è un elemento a loro favore in quel frangente,
però non vuole essere lui a dirlo, non se la sente di essere
quello che appoggerà un altro chiodo sulla bara di quella
ragazza. E Thor ha maledettamente ragione, se le succedesse qualcosa
nessuno di loro potrà mai perdonarselo.
“Ci penso io. A Nadia, intendo, posso pensarci io... io e
l'Altro, cioè” dice Banner, prima di cominciare a
mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore.
Tutti si voltano a guardarlo, stupiti e increduli. Non che Bruce Banner
manchi di spirito e di buona volontà, ma che Hulk possa
proteggere una ragazza e non trasformare in cibo per cani quelli che
vogliono farle male è un'idea piuttosto azzardata.
“Sentite: io e Nadia ci nascondiamo da qualche parte, mentre
voi fate quello che dovete fare. Se i demoni dovessero arrivare a
lei... beh, l'Altro saprà certamente come rimediare alla
cosa” spiega Banner, ricambiando quasi con imbarazzo gli
sguardi degli altri.
“E tu sei proprio sicuro che Hulk riuscirà a
essere abbastanza attento a non esagerare?” domanda Steve,
cercando di imprimere alla domanda quanta più delicatezza
gli è possibile.
“Lo hai detto tu, Capitano. Ci è riuscito una
volta, può senz'altro farlo ancora” conclude
Banner.
“Mi piace. Io tifo per Bruce!” asserisce Nadia, con
un sorriso incoraggiante.
“Non sai quello che dici” le mormora Stark
all'orecchio.
“No, ma so che dobbiamo darci una mossa, Tony”.
***
Hanno deciso che sarà per quella sera, anzi a notte
inoltrata, così da avere meno gente possibile tra i piedi.
Nel frattempo, la Romanoff, Barton e Banner sono usciti per questo
famoso giro di ricognizione. E ora loro sono lì ad
aspettarli. È snervante e noioso, ma non hanno alternative.
Loki si va a sedere sul davanzale di una finestra sprangata e osserva
la stanza e i suoi occupanti.
Stark è intento a controllare i pezzi della sua armatura,
mentre parla con il soldato che gli sta spiegando di come abbiano fatto
tutto in modo che Nick Fury non scoprisse niente – anche se
mentre lo dice lui stesso non ne sembra molto convinto.
Thor e Nadia sono seduti sulle scale che portano al piano di sopra,
anche loro stanno chiacchierando e stanno persino ridendo. La ragazza
sembra ancora più minuta seduta tra il muro e il profilo del
possente dio del tuono, ma sono lì a parlare come se niente
fosse. Thor le sta raccontando di quella donna che ha conosciuto
durante il suo esilio, la scienziata midgardiana che gli ha rapito il
cuore, e lo sta facendo in modo assolutamente stomachevole. Ma Nadia
sembra apprezzare... certo, perché anche lei è
una sentimentale che adora crogiolarsi nel pantano dei propri buoni
sentimenti e di quelle che ritiene essere passioni. Come nel sogno
della sera prima...
Ora che ci pensa con più calma e lucidità, Loki
capisce il senso di quel bacio. Non era un segno di affetto, Nadia
voleva semplicemente coglierlo di sorpresa, forse persino umiliarlo in
qualche modo. E resta il fatto che lui ha dovuto arrendersi e ammettere
con se stesso che non vuole ucciderla, non vuole farle del male. In
definitiva, non prova odio o disprezzo nei suoi confronti, sarebbe
sciocco, arrivati a quel punto continuare a sputare veleno sul suo nome
ogni volta che questo gli attraversa i pensieri. Quella ragazza ha
delle doti che le vanno riconosciute, è intelligente, ha
coraggio ed è capace di avere fede – fede in un
branco di fenomeni da baraccone che si fanno chiamare Vendicatori, ma
è il concetto che conta.
Ora che Loki lo ha ammesso almeno con se stesso, si rende conto di non
sapere che farsene di queste convinzioni. Dovrebbe stimarla? Dovrebbe
considerarla degna del
suo affetto? No, la stima e l'affetto per una mortale non
trovano spazio nel suo cuore. Loki vuole solo che tutta quella storia
abbia fine, vuole riportarla a casa sana e salva, come il suo orgoglio
impone, sollevarla dall'onere della sua presenza e lasciarsela alle
spalle. Vuole che quando si volterà per andarsene nessuno
abbia da recriminare, nessuno possa dire che lui non ha fatto
ciò che era giusto, perché lui non è
incapace di comportamenti onorevoli, perché lui non
è un debole.
L'agente Romanoff, Barton e Banner impiegano un paio di ore a tornare.
Ma quando lo fanno hanno con loro quattro sacchetti di carta con sopra
il simbolo di quel luogo di ristorazione che chiamano fast-food. E non
sembrano di buon umore.
“Allora?” chiede subito il Capitano.
“Ce n'è uno di guardia a tutte le uscite dalla
città: alla stazione, al ponte prima di Piazzale Roma e
all'imbarco dei vaporetti” spiega Barton. “Vogliono
assicurarsi che nessuno scappi, ma sono discreti, sanno il fatto loro.
Nessuno si è accorto degli occhi grigi sotto gli occhiali da
sole”.
“Non è una cattiva notizia” replica
Stark. “La festicciola di stanotte possiamo organizzarla nel
parcheggio di Piazzale Roma. Se c'è un solo indemoniato di
guardia può essere il primo che Loki spreme come un
limone”.
“Sì, è una buona idea”
interviene Nadia. “Di notte, quando finiscono i giri dei bus
notturni, il piazzale è sempre deserto, a parte le
macchine”.
“E c'è altro?” chiede ancora Stark. I
suoi compagni capiscono il senso della domanda, è ovvio,
vuole sapere se hanno visto la sua donna. Ma loro scuotono la testa.
“Nient'altro” conclude la Romanoff, aprendo le
buste con il cibo.
Loki non ha alcuna intenzione di unirsi a loro in quel pranzo frugale.
È ancora troppo preso dalle sue riflessioni e l'odore di
quei panini dentro le scatole colorate non è particolarmente
invitante. E per fortuna i cari eroi sono troppo presi da loro stessi
per badare al cattivo nell'angolo.
“Quando tutto questo sarà finito” dice
Nadia mangiando svogliatamente un toast. “Vi porto io in un
posto, dove si mangia come si deve... seppie alla veneziana, spaghetti
ai frutti di mare e vino soave”
“Ve l'avevo detto che questa ragazza ha capito tutto della
vita” asserisce Stark deliziato.
E a Loki sta tornando il mal di testa. Sarebbe affascinante prendere
uno di quei rimedi medicamentosi che si sciolgono nell'acqua
sfrigolando e facendo comparire tante piccole bollicine, per il solo
gusto di scoprire com'è e se davvero funziona.
E adesso ci si mette pure Thor che si stacca dall'allegra comitiva per
andare verso di lui, con in mano due di quei panini che a chiamarli
cibo per cani gli si farebbe un complimento.
“Dovresti assaggiarli, sono deliziosi. E poi dovresti bere
una tazza di quella bevanda che fanno qui... caffè, o
qualcosa del genere” gli dice, mettendogli in mano un
involucro unticcio dall'odore speziato.
“Non ho fame”. Loki guarda con disgusto il
cartoccio che suo fratello gli ha premuto contro il palmo, lo solleva
con due dita e lo poggia nell'angolo più lontano del
davanzale.
“E comunque” aggiunge Thor accostandosi
maggiormente a lui e abbassando la voce. “Dovresti parlare
con Nadia”.
“E a che proposito? Ci stavi parlando tu poco fa e sembravate
meravigliosamente a vostro agio”
“Sembri una botte di aceto certe volte. Io volevo solo
distrarla un po', ma è spaventata, Loki, ha bisogno di
essere rassicurata”.
Loki sgrana gli occhi, la sua bocca si contrae in una smorfia.
“E dovrei farlo io?”
“Sì, perché sa che sei tu ad avere le
risorse per salvare la situazione, è di te che si fida.
È con te che vuole parlare” conclude Thor, prima
di allontanarsi.
Questa sì che è buona. Nadia non sta facendo
altro che abbaiargli dietro da quando è cominciata quella
follia.
No, non è
vero...
No, non ha solo sbraitato e puntato il dito contro di lui. Ha anche
provato ad ascoltarlo, ha anche voluto sentire la sua storia, gli ha
persino detto – in sogno – di non provare
né odio né pena per lui. Ma si sbaglia se pensa
di poter contare su di lui, si sbaglia davvero. Cosa si aspettano che
le dica, poi?
Il cibo sembra aver migliorato l'umore dei presenti, tuttavia quella
sarà una lunga giornata in attesa che arrivi la sera. Ma
forse, se tutto va come sperato, entro l'alba di domani quella storia
sarà già solo un ricordo. Una voce dal fondo dei
pensieri di Loki sussurra molesta di non sperarci, che non
può essere così semplice, ma lui cerca di
scacciare via quelle parole dalla sua mente.
Che cos'è che può andare storto?
Ogni cosa!
Niente.
Adesso Nadia sta aiutando Steve Rogers a mettere via gli avanzi e i
rifiuti, spingendoli ordinatamente in un sacchetto. Sarebbero una bella
coppia quei due, il soldato e la guerriera, il buono e la sentimentale.
Barton e la Romanoff aprono i loro bagagli e cominciano a estrarre un
po' di materiale interessante: armi, e altri attrezzi utili allo scopo.
No, non c'è niente che può andare storto. Loki
è persino convinto che quell'essere privo di senno di Hulk
si rivelerà capace di prendersi cura della ragazza, se
dovesse essercene bisogno. Tutto quadra, tutto è perfetto,
ogni cosa è al suo posto.
Sì, lo hai
pensato anche l'ultima volta, e la volta prima, e la volta prima
ancora...
“Domani sarà tutto finito...”. La voce
di Nadia arriva a strappare Loki alle sue riflessioni. Lui alza lo
sguardo sulla ragazza che ora è ferma accanto al davanzale e
non capisce se le sue parole siano una domanda o un'affermazione.
“Sarà sicuramente così” le
risponde a mezza voce.
Lei si guarda il polso, dove il bracciale è rimasto serrato
con la pietra color madreperla. Probabilmente sta pensando che
è assurdo che tutto sia accaduto a causa di un oggetto
così piccolo e che ai suoi occhi appare ancora
insignificante.
“Si preoccupano tutti per me. Ma tu, arriverai vivo a
domani?” chiede con voce cupa, abbassando lo sguardo.
“Io sono solo un brutto scherzo del destino, ma è
te che vogliono”.
È di questo che si sta preoccupando la ragazza? Crede che
lui potrebbe non farcela. È ridicolo, lui è un
dio e lei sembra dimenticarlo con fin troppa facilità.
“So badare a me stesso”
“Certo. Ci sai badare talmente bene che sei finito braccato
da un tizio alieno più schizzato di te”
“Se ti preoccupa tanto la mia salvezza e la salvezza di
quelle persone” risponde Loki, scoccandole un'occhiata
penetrante, “c'è solo una cosa che devi fare.
Restare viva”.
_____________________________________________________________________________________
Note:
Ok, i
nostri hanno un piano e io ho un annuncio: l'ho finita! Ho finito di
scrivere la fanfiction, sono ventitrè capitolozzi lasciati a
macerare in una cartella del mio pc. Non vi dico altro, se non che
sono molto contenta di aver portato a termine questa piccola grande
avventura e mi sento di ringraziare ancora una volta tutti quelli che
hanno letto e tutte le commentatrici che con le loro recensioni
entusiaste e lusinghiere mi hanno incoraggiato e hanno fatto
aumentare la mia voglia di proseguire con questa storia.
Grazie
davvero a tutti voi!
Ci
leggiamo mercoledì con il prossimo capitolo ^^
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Capitolo 15 *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo quattordicesimo
Nadia si è chiesta spesso come sarebbe vivere in una
città normale. Un posto con strade e macchine e semafori e
palazzi di vetro.
Quella notte Venezia ha un aspetto quasi sepolcrale. Il cielo cupo
senza stelle è un drappo nero che incombe sulle case, un
sudario di silenzio si stende per le strade deserte. Ha un brivido
mentre guarda la volta scura, sollevando gli occhi verso
l'alto prima di uscire dalla casa e sentendo un vento fresco quasi
pungerle sulla pelle.
Nadia si è chiesta spesso anche come sarebbe vivere qualcosa
di davvero diverso. Ora che sa la risposta è solo
più confusa e spaventata di prima. Non si
abituerà mai all'idea che il mondo non è al
sicuro da certe cose, che il suo piccolo mondo è qualcosa di
fragile e aleatorio.
Steve le tende la mano per aiutarla a scendere dal davanzale.
Il piano è che Natasha, Clint e Bruce si avviino da soli
verso il parcheggio fuori dal centro storico. I demoni non li conoscono
e quello di guardia vicino a Piazzale Roma li lascerà
senz'altro passare. Poi Tony porterà anche lei in volo fino al
parcheggio, perché non possono rischiare di andare a piedi e
farsi scoprire, e una volta lì troveranno un modo di
nasconderla. Solo allora Thor e Loki – insieme a Steve,
perché anche lui non può passare senza essere
riconosciuto – andranno ad affrontare il primo demone.
Tony, incastrato nella sua armatura, le fa cenno di salire sulle sue
spalle. A Nadia sembra quasi ridicola quella cosa, ma gli allaccia le
braccia attorno al collo e le gambe attorno al bacino; sente il freddo
del metallo anche attraverso la stoffa dei vestiti.
La ragazza si guarda attorno, passa in rassegna i visi di quegli eroi
che ora sono diventati i suoi eroi. Vorrebbe raccomandare
ancora una volta a Loki di non farsi uccidere, ma lui è
lontano, nell'ombra proiettata dalla casa. Le raccomandazioni e gli
incoraggiamenti sono per i buoni,
ai cattivi
resta solo il silenzio e l'attesa della propria sorte.
Thor le si avvicina e le dà una pacca sulla spalla.
«Buona fortuna, Nadia» le mormora.
«State attenti» replica lei, e ha un tono quasi
implorante. Non vuole che qualcuno si faccia male, anche se dovrebbe
preoccuparsi più di se stessa, perché adesso che
vede tutti loro in assetto da battaglia si rende conto di quanto
è vulnerabile. Si ripete che non importa, che entro
domattina sarà tutto finito. In un modo o nell'altro.
«Reggiti, Colombina» dice Tony, poi si
dà una spinta e lei serra le palpebre.
Sente lo stomaco fare le capriole mentre prendono quota e tutto quello
che la protegge dalla forza di gravità è l'uomo
in armatura al quale è attaccata come un koala. Sente il
vento quasi schiaffeggiarle il viso, attaccarle addosso la stoffa dei
vestiti e spingerle i capelli sulla faccia.
Apre gli occhi solo un istante, quel tanto che basta per accorgersi che
Venezia di sera dall'alto è una macchia di nero puntellata
di luci, sembra quasi un cielo stellato, ribaltato sul mare.
Ha maledettamente freddo e ha anche una paura fottuta.
***
Loki alza lo sguardo, vede Stark e Nadia sparire nel cielo, come una
cometa.
Si incamminano tutti insieme, sperando di non trovare intoppi lungo il
sentiero. Nessuno parla, il silenzio è così denso
che lo si potrebbe toccare.
La sensazione della pietra che si allontana non è gradevole
e soprattutto non è rassicurante. Non gli piace l'idea di
non poter tenere Nadia sotto controllo, a vista. Spera solo che lei non
faccia qualche idiozia eroica.
Si passa una mano sul viso come a tentare di cancellare i brutti
presentimenti che fin da quella mattina gli tengono sotto assedio i
pensieri, impedendogli di restare concentrato. La mancanza di
concentrazione è un lusso che in quel momento non
può proprio permettersi.
Attraversano il sestriere di Dorsoduro senza incontrare nessuno. Mentre
si avvicinano alla chiesa di San Simeon, Loki allunga lo sguardo in uno
dei vicoli alle spalle del tempio, sa che una di quelle luci che si
riflettono sul ciottolato è quella dell'albergo della
famiglia di Nadia e sa che non vedrà mai più quel
posto. Un pensiero consolante, in ogni caso.
Svoltano dopo la chiesa. A quel punto la Romanoff, Barton e Banner si
separano e si avviano verso il parcheggio, raccomandando di essere
cauti.
Adesso comincia la parte più difficile.
Thor gli lancia una lunga occhiata seriosa. Come nella piana di
Jotunheim, come nella valle di Nornheim, come all'inizio di ogni
battaglia. È un'occhiata che ha sempre significato molte
cose, troppe per Loki: fiducia, incoraggiamento, complicità.
Perché in quei tempi, che ora sembrano lontanissimi,
combattevano fianco a fianco, affidando l'uno la vita nelle mani
dell'altro. Ma sono tempi che si perdono in ricordi sfocati,
reminiscenze che il tempo ha sfilacciato come vecchi pezzi di stoffa.
«È tempo di procedere» dice Loki,
meccanicamente, avviandosi lungo la strada che costeggia l'imbocco del
Canale. Tempo di procedere, tempo di andare avanti.
La loro parte, per il momento è facile. Prendere di sorpresa
il demone che fa la guardia, tirarlo fuori dal corpo della vittima,
aspettare che dia il segnale di allarme per far accorrere i suoi simili
e poi distruggerlo. Thor distrugge il demone, il Capitano guarda loro
le spalle mentre quella dannata bestiaccia farà certamente
piovere contro di loro ogni cosa.
Camminano rasente ai muri, protetti dalle ombre, facendo attenzione ai
loro stessi respiri.
Ora il dio sente persino una nota di paura fargli eco nel petto.
Combattere al fianco di persone che disprezza gli sembra una condanna
già abbastanza pesante, senza dover pagare anche con la
propria vita o con il subire qualsivoglia disgrazia.
«Sicuro di potercela fare?» domanda il Capitano,
stringendo un po' di più le dita attorno all'impugnatura del
suo formidabile scudo.
«Non ti sembra un po' tardi per i dubbi,
soldatino?» sibila Loki sprezzante. State zitti tutti quanti,
dannazione!
Può farcela, se si avvicinano il più possibile
alla persona in piedi all'uscita della città. Ah, quanto
vorrebbe avere con sé lo scettro di Thanos, con quello
sarebbe facile uccidere quei mostri, anche se significherebbe immolare
le persone di cui si sono impossessati – ma questo non
è mai stato un suo problema.
«State pronti» ordina in un filo di voce. Un attimo
dopo scatta in avanti, stagliandosi contro la luce di un lampione, in
piena vista.
Il demone lo vede, ghigna e getta via gli occhiali da sole, rivelando
gli occhi dalle pupille argentate. Resta a fissarlo con un sorriso
disumano, tende le braccia verso di lui e Loki avverte una potente onda
di energia scagliarlo contro il muro.
L'impatto è violento, il dio dell'inganno cade a terra
frastornato e strizza più volte le palpebre cercando di
riprendersi dal colpo. Si alza barcollando per qualche secondo; il
demone sta tornando verso di lui, ma il Capitano gli lancia contro il
suo scudo che colpisce l'uomo al fianco e lo getta a terra.
È il momento che stava aspettando.
Loki stende il braccio, cerca di richiamare a sé tutta
l'energia del suo potere. E la sente quell'energia spandersi nell'aria
come una ragnatela che si propaga dalle sue dita tese in direzione del
demone. Sente i fili di questa ragnatela fluttuare leggeri e incorporei
nel vuoto fino a raggiungere l'uomo che si stava preparando a lanciare
un altro attacco, stavolta contro il soldato che lo aveva ostacolato.
La ragnatela invisibile lo raggiunge. I suoi fili di energia si
insinuano nella bocca, nel naso, negli occhi, sotto la pelle. Ora sono
artigli che scavano, raschiano alla ricerca del demone annidato da
qualche parte.
L'uomo posseduto ha degli spasmi violenti, si porta le mani alla gola
come se stesse soffocando. Un sottile rigagnolo di sangue scende dalle
sue narici.
Lo ha trovato, il demone. Ora non deve fare altro che stringere e
strappare, come erbaccia in un campo. E Loki stringe, stringe con tutta
la forza che ha, tanto da sentire male in ogni parte del corpo, da
avvertire le gambe che tremano per lo sforzo. Alla fine il demone
è costretto ad arrendersi.
L'uomo cade a terra, privo di sensi ma vivo. Dalle sue spalle si
solleva uno sbuffo di fumo grigio che sale verso l'alto e prendere la
forma di un serpente, un nastro argentato che fluttua nell'aria.
È debole quel demone, li aveva già indeboliti con
il primo colpo la sera del primo scontro, ora che questo è
stato strappato via così brutalmente è ancora
più vulnerabile. Sì, un solo lancio del martello
Mjolnir dovrebbe bastare a eliminarli definitivamente una volta che lui
è riuscito a trascinarli via dai corpi umani.
Guardano il serpente di fumo salire verso l'alto, come una saetta che
procede al contrario, con gli occhi di luce blu puntati verso le stelle
che non si vedono. Da lì, il demone emette un forte fischio,
talmente acuto che sono costretti a portarsi le mani alle orecchie per
proteggerle da quel suono mostruoso.
Bene, è andata come speravano. Ora che il demone ha lanciato
l'allarme e richiamato gli altri, non serve più.
«Adesso, Thor» dice Loki, con il fiato corto.
Il dio del tuono fa roteare il martello, che prende a vorticare con un
sibilo sordo, poi lo lancia in aria. L'oggetto sfreccia in direzione
del demone, lo colpisce facendolo dissolvere in una nuvola di fumo nero
che si trasforma in cenere.
Il primo di loro è morto.
«Un buon inizio» dice il Capitano.
«Un piccolo inizio» replica Loki, piegandosi in
avanti e reggendosi con i palmi delle mani contro le ginocchia.
Thor afferra al volo il martello, poi si affretta ad andare verso di
lui, gli posa una mano sulla spalla e lo guarda con apprensione.
Loki ha il volto pallido e sudato, si sente come se ogni grammo di
forza fosse evaporato dal suo corpo, ma non vuole l'aiuto di Thor. Si
sottrae al suo tocco con uno scatto stizzito e si impone di tornare in
piedi.
«Ora capite perché mi serve la ragazza con
l'energia della pietra» borbotta. Cerca di fare appello alle
ultime forze rimaste, c'è qualche metro da correre per
raggiungere il parcheggio, e presto gli altri demoni arriveranno.
***
Al centro del parcheggio è fermato un grosso caravan, sembra
nuovo di zecca con la carrozzeria lucida e nera. È
lì dietro che si sono nascosti Nadia e Banner.
Tony, Natasha e Clint si sono acquattati dietro la prima fila di auto,
in attesa.
Stavano giusto cominciando a chiedersi se gli altri tre avevano avuto
fortuna, quando hanno sentito quel fischio tremendo e hanno capito che
non poteva essere altro che l'allarme dato dal demone per richiamare i
suoi compagni. Evidentemente Loki, Thor e Steve ce l'hanno fatta.
«Ricordate» dice Tony. «Sparate molto
vicino a loro senza colpirli, il rumore dei colpi li
confonde».
«Andrà tutto bene, Stark» lo rassicura
Natasha. Diamine, deve proprio sembrare disperato se l'algida agente
Romanoff si è sentita in dovere di rassicurarlo.
Sentono dei passi, è il rumore di poche persone. La donna
dello S.H.I.E.L.D. toglie la sicura alla pistola e si sporge appena per
vedere chi sta arrivando.
«Sono Rogers e gli altri» mormora.
Il Capitano e le due divinità litigarelle raggiungono il
piazzale e si sistemano con loro dietro le macchine.
«Sei passato sotto un rullo compressore, Bambi?»
chiede Tony fissando sorpreso Loki. Non credeva che fare l'esorcista
fosse così debilitante; se quello non fosse il tizio che lo
ha scaraventato giù da una torre, gli farebbe quasi pena.
«Il primo mostriciattolo è andato?»
domanda Barton.
Il Capitano annuisce,
«Sì, andato. Banner e la ragazza?».
Clint gli indica con lo sguardo il caravan nero al centro del
parcheggio.
«Quando attaccheranno, è quello che dobbiamo
proteggere».
Un demone è andato. Ne restano altri ventinove. E loro sono
solo in sei, sette se Hulk dovesse unirsi alla festa. Tony spera
proprio che l'energia di quella pietra sia portentosa come dice il
rockettaro incazzato.
Restano immobili per qualche secondo, ad ascoltare quali buone nuove
arrivano dal silenzio. Non devono attendere a lungo.
I demoni arrivano quasi a passo di marcia, si riversano nel piazzale e
si guardano attorno. Sono una miriade di occhi color argento che
brillano nel buio come quelli dei felini.
«Thor e Loki, nella retroguardia» ordina il
Capitano, mentre loro saltano fuori dal cantuccio in cui si erano
nascosti e cominciano a darsi da fare per tenere impegnati gli
indemoniati.
Se Loki ha ragione, se fintanto che i demoni restano nei corpi umani
sono limitati ai sensi delle persone normali, non possono semplicemente
trovare Nadia andando a fiuto. Tuttavia loro scattano tra lo spazio
vuoto e il caravan parcheggiato in mezzo alla piazza. Tra loro e il
caravan ci sono Loki e Thor, ad aspettare di fare la loro parte:
esorcizzare e distruggere.
Tutto sommato, sono pur sempre una bella squadra.
«Che la festa cominci!» esclama Tony. Sta per darsi
uno slancio e sollevarsi da terra, avere la visuale dall'alto
può essere utile. Ma un attimo prima di spiccare il salto la
vede. Pepper è lì, in testa al gruppo, un viso
caro in mezzo a tante facce anonime.
È una visione che lo annienta, che gli gela il sangue nelle
vene. Sa che non possono permettersi errori, ha sempre saputo qual'era
la posta in gioco, ma adesso sente davvero il pericolo tangibile
e reale di poter perdere la persona che ama.
***
Nadia stringe gli occhi e serra i pugni. Sente il finimondo provenire
dalle sue spalle. Sente gli spari e le esplosioni e l'odore di
bruciato. La sinfonia della battaglia è una musica stonata
che fa quasi sanguinare le orecchie.
Deve fare un enorme sforzo per mantenersi calma e resistere all'impulso
di sporgersi per guardare fuori.
Sa che Thor e Loki sono appena oltre la macchina dietro la quale lei e
Bruce sono nascosti. Sente le loro voci e sente il dio del tuono
portare il conto, forse per puro entusiasmo da guerriero, forse
perché sa che lei può sentirlo ed è
l'unico modo per farle sapere che ce la stanno facendo, che sta andando
tutto bene.
«Fuori quattro!» grida Thor. Nadia alza gli occhi
al cielo, vede un demone esplodere in una nuvola di cenere colpito dal
martello che poi torna in picchiata verso il suo proprietario.
Fuori quattro. Ne
mancano ancora più di venti.
«Bruce, tutto ok?» dice Nadia, posando una mano su
quella del Dottore che sta sudando freddo e tiene le labbra serrate.
«Mai stato meglio» mormora lui.
«Stiamo vincendo. Un po' troppo lentamente, ma ce la stiamo
facendo» lo rassicura lei.
Non ne è del tutto convinta, ma davvero non ha voglia di
fare la conoscenza di Hulk quella sera.
«Fuori cinque!» grida Thor, Nadia ne approfitta per
sorridere a Bruce, come a voler dire che la notizia è una
prova a favore delle sue affermazioni.
Stiamo vincendo.
Dobbiamo vincere per forza.
Adesso Nadia si sta chiedendo se in mezzo a tutto quel macello Tony
abbia rivisto Pepper, se lei è una di quelli che hanno
già liberato.
Vorrebbe davvero poter dare solo una sbirciatina.
All'improvviso sente i rumori avvicinarsi e il cuore batterle
all'impazzata, così forte che teme che il sangue potrebbe
evaporare dal suo corpo a causa dell'attrito.
Sente uno scricchiolio metallico e poi una botta contro la schiena. Un
attimo dopo lei e Bruce si ritrovano a bocconi sull'asfalto. Sopra di
loro, il caravan si solleva e ruota spinto da una forza invisibile,
atterrando di schianto davanti ai loro occhi attoniti.
«Questo non è tranquillizzante» dice
Bruce, mortificato.
«Va tutto bene» mente Nadia, voltandosi per vedere
cosa sta succedendo. Ma all'improvviso comincia a calare una strana
nebbia, densa come il fumo di un incendio. Opera di Loki, senz'altro.
In una manciata di secondi si fa tutto ovattato e lattiginoso. Per
qualche secondo persino i rumori cessano, nessuno sa più
dove andare a colpire.
Le orecchie di Nadia fischiano per il frastuono di poco prima. E in
mezzo a quell'innaturale immobilità sente la voce di Loki
che grida.
«Thor! La ragazza!».
Uno sbuffo di rosso compare in mezzo all'aria fumosa e cala su lei e
Bruce. Nadia si sente sollevare per la vita, anche il dottore viene
preso di peso.
«Non arrabbiarti per questo, Banner» dice la voce
di Thor sopra le loro teste. E poi è un attimo, un salto nel
buio, in tutti i sensi.
Nadia non fa nemmeno in tempo ad aprire gli occhi mentre si sente
staccare da terra. Per una manciata di secondi vede dall'alto
quell'enorme grumo di grigio che è ora il piazzale fuori il
centro storico di Venezia. E poi atterrano sull'asfalto, dove Thor li
lascia andare cercando di essere il più delicato possibile.
«Non muovetevi» intima il dio del tuono, un attimo
prima di voltarsi e sparire.
Sono in un altro punto del parcheggio, dietro un'altra auto.
Nadia spia con apprensione il viso di Bruce. In effetti sembra un po'
verdastro.
«Ehi... non ti stai trasformando, vero?» gli chiede
preoccupata.
«No. Credo che sto per vomitare...».
La ragazza alza appena la testa; nella posizione in cui si trova riesce
a vedere una certa angolazione della piazza riflessa nello specchietto
della macchina dietro la quale è nascosta. Ora la nebbia si
sta dissipando e a guardare bene, si accorge che c'è una
cosa che non sta andando come doveva. I demoni stanno battendo in
ritirata.
Lei si chiede se non sia il caso di inseguirli tutti assieme, ma forse
la ciurma crede che un inseguimento la lascerebbe troppo esposta e
vulnerabile. Ah, detesta essere il loro punto debole.
Nadia si sposta appena per poter vedere meglio dallo specchietto.
Natasha, Clint e Steve provano a fermare la fuga dei demoni. Tony
rimane in piedi al centro del piazzale a fronteggiare... oh, mio Dio,
il demone che è dentro al corpo di Pepper.
Dov'è Loki? Perché non sta facendo niente?
Il demone con le sembianze di Pepper si muove in circolo attorno al
margine del piazzale. Sembra aver capito che Tony non è in
condizioni di farle del male, non riesce ad alzare le armi contro la
sua donna, e c'è qualcosa di crudele nell'espressione del
suo viso, come se avesse compreso il legame tra l'uomo nell'armatura e
la donna di cui sta occupando il corpo.
Ora il demone con la faccia di Pepper è vicino alla macchina
dove Nadia e Bruce sono nascosti. Continua a fissare Tony che la fissa
di rimando.
Loki spunta furtivo da un punto imprecisato e alza la mano verso di
lei. Grazie al cielo! Forse, se non altro, dopo stasera, Tony
riavrà la sua donna, è pur sempre un passo a loro
favore.
Pepper ha dei violenti spasmi e si piega sulle ginocchia. Tony fa per
andare verso di lei, ma Loki gli intima di non avvicinarsi.
Sembra che il demone stia opponendo una strenua resistenza a... a
qualsiasi cosa stia facendo il dio dell'inganno. E sembra che il corpo
stia soffrendo non poco.
Ma a un certo punto la donna in ginocchio fa un ghigno raggelante. E
accade tutto in due o tre secondi. Allunga la mano e raccoglie da terra
un frammento di vetro lungo almeno venti centimetri. Lo afferra e se lo
poggia contro la sua stessa gola, che non è la sua gola, ma
quella di Pepper. Può ucciderla e continuare ad usare il suo
corpo, e vuole ucciderla per colpire Tony, per colpire tutti loro al
cuore.
Nadia sente una morsa di angoscia farle contorcere ogni muscolo. Sente
un dolore che è quasi fisico.
Ma è lei quella più vicina alla donna;
è lei, debole o no, che deve fare qualcosa adesso.
Si alza in piedi, con uno scatto fulmineo si avventa su Pepper e le
blocca il polso. Bruce non ha nemmeno il tempo di provare a fermarla,
forse non riesce nemmeno a rendersi subito conto che lei si
è alzata ed è uscita dal loro riparo.
Nadia adesso sta stringendo il polso del corpo di Pepper, un polso
esile dalla pelle morbida. Eppure per un secondo il demone oppone
resistenza.
«Nadia, no!» grida Tony con un accenno di
disperazione. Fa partire un missile che atterra ed esplode davanti a
loro, sperando che serva a intontire il demone. Ma è troppo
tardi.
Ora è lei, è Nadia che il demone sta guardando
con un quel ghigno infernale. Tiene gli occhi d'argento fissi nei suoi
mentre le affonda il pezzo di vetro nella pancia.
Non sente dolore, sente solo la sensazione del sangue caldo e vischioso
che inzuppa il tessuto della maglietta. La debolezza che l'assale di
colpo è quasi piacevole.
Nadia ricade in avanti e sente il buio arrivare a coprire tutto, come
una marea.
Solo buio e nient'altro, anche la fitta lancinante che adesso si spande
dalla ferita a ogni fibra del suo corpo diventa in un istante un
ricordo lontano. E in mezzo a quell'oscurità, l'ultima cosa
che le arriva dal mondo è la voce di Loki che strilla il suo
nome.
_________________________________________________
Note:
Nei
contenuti speciali del dvd di Thor c'è una scena eliminata
di un
dialogo tra Thor e Loki in cui si fa un breve riferimento a una loro
battaglia contro Nornheim, uno dei nove regni e dove tra l'altro si
parla del fatto che Loki aveva creato una mega nebbia per aiutarli.
Per questo ho citato la cosa.
Avendo
finito la storia (Odino sia ringraziato!), gli aggiornamenti seguiranno
un preciso ritmo ciclico:
lunedì-venerdì-mercoledì-lunedì,
che è più o meno lo stesso che ho cercato di
tenere durante tutta la pubblicazione, così non passa troppo
tempo tra un capitolo e l'altro, ma chi vuole seguire la fanfiction ha
abbastanza tempo per leggere l'aggiornamento senza che si accavallino
troppi capitoli nuovi, mi è sembrata una scelta ragionevole,
spero che vi possa andar bene :)
Calendario alla mano, posso dirvi che, salvo imprevisti, l'ultimo
capitolo della storia sarà pubblicato il 13
settembre.
Ci
leggiamo lunedì con l'aggiornamento ;)
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Capitolo 16 *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo quindicesimo
«Nadia!». La voce di Loki suona quasi come uno dei
tuoni di Thor.
La ragazza si accascia al suolo, mentre il demone che l'ha colpita
scappa via. Non provano a fermare il mostro, non servirebbe e hanno
altro a cui pensare.
Nadia non deve morire. Nadia non può morire altrimenti
sarà tutto perduto.
Ma alle volte anche agli eroi le situazioni sfuggono di mano. E quegli
eroi sono quelli che ci
mettono un po' di tempo a scaldarsi, non era
così scontato che ogni cosa andasse bene, ma che le cose si
mettessero male fino a quel punto...
Tony si china su di lei, strappandosi di dosso il casco dell'armatura
che lascia rotolare sull'asfalto.
«Ehi... no, no Colombina, non facciamo scherzi» le
dice scuotendola.
Banner arriva correndo, quasi inciampando nei suoi stessi piedi. Cade
in ginocchio accanto al corpo della ragazza, allunga una mano sul suo
addome e la ritrae completamente zuppa di sangue. E comincia ad andare
in iperventilazione.
«Non è il momento di perdere la calma. Le serve un
medico è tu sei un medico, Bruce» dice Tony,
perentorio.
Non fa caso a Loki, all'ombra che resta in piedi alle sue spalle,
guardando con occhi sbarrati la scena. Il dio dell'inganno non ha frasi
argute da proporre, nessun commento acido da fare.
«Le serve più di un medico. Le serve un ospedale,
e anche così... io temo che non sia sufficiente»
sentenzia Banner con la voce che trema.
«Che cosa è successo?». È
Steve Rogers a porre la domanda. Dove cazzo erano finiti tutti quanti
mentre lì succedeva il disastro? Oh, erano andati a
inseguire i demoni. Ma adesso c'è il rischio che non ci
siano più demoni da inseguire.
«Oh, no» aggiunge il Capitano, rendendosi conto
della situazione.
Bruce prova a tastarle il polso.
«È viva» annuncia, voltando cautamente
il corpo di Nadia e premendole un fazzoletto sul taglio.
«Dobbiamo tornare alla casa, dobbiamo fermare l'emorragia e
suturare la ferita, augurandoci che non ci siano danni agli organi
interni».
«Ho portato un kit medico, qualcosa di meglio delle normali
valigette per il pronto soccorso» dice subito Natasha
Romanoff.
Il fatto che dalla bocca della ragazza stia colando un rigagnolo di
sangue scuro non è affatto buon segno. Non faranno in tempo,
Tony lo sa, ma non vuole dirlo, non vuole nemmeno pensarlo.
«Ci penso io» dice, sollevando con cautela la
ragazza, attento a fare il minor numero di movimenti possibili.
«Thor, farebbe comodo un passaggio» dice Banner.
Il dio del tuono, che pure deve averne viste un bel po', sembra quello
più scioccato di tutti. Annuisce con un ritmico dondolio del
capo, ma ha lo sguardo assente.
Anche Loki non sembra molto in sé. Certo, sta per perdere
l'unica speranza che aveva di salvarsi la pelle.
Una manciata di secondi dopo sono in volo. Tony con Nadia tra le
braccia e Thor che tiene Banner per la vita. La situazione ha persino
un che di grottesco, ma non è il caso di stare a
sottilizzare.
***
Quando arrivano alla casa, trovano Stark e Thor nell'anticamera. In
piedi accanto alla porta sulla quale qualcuno di loro ha appeso un
lenzuolo a mo' di tenda.
Dietro quel lenzuolo c'è Banner che sta cercando di salvare
la vita alla ragazza.
Nessuno dice una parola.
È inutile recriminare, discutere, fare la conta dei ma e dei
se. Nadia ha commesso una grave imprudenza, uscendo dal suo
nascondiglio e cercando di salvare la donna e ora la sta pagando con la
vita. Se solo non si fosse lasciata trascinare dal suo istinto, se non
fosse stata così sciocca!
Ha commesso esattamente il tipo di errore che Loki temeva, un'eroica
imprudenza. E adesso il dio sente la rabbia avvelenargli il sangue,
come ogni volta che si trova davanti a qualcosa di irreparabile.
Perché ci sono cose che nemmeno un dio può
contrastare, ci sono fallimenti con i quali anche quelli come lui
devono fare i conti. E Loki ha fallito, non potrà riportare
a casa la ragazza, non potrà salvarsi dai demoni. Tutto
è perduto, lui, il suo orgoglio, ogni suo progetto. Tutto
annega nel sangue di una mortale.
Tutto è perduto. Ora ne ha la certezza.
Banner riemerge da dietro la tenda, ha gli occhi arrossati e la fronte
imperlata di sudore. Strofina nervosamente le mani in un telo sudicio
di sangue, con il solo risultato di sporcarsi ancora di più
le dita. Gli altri capiscono subito quello che Loki aveva compreso con
qualche secondo di anticipo. Perché lui ha sentito la pietra
spegnersi e sa quello che Banner vuole dire, ma le parole gli si
incastrano in gola.
«Non... non ce l'ha fatta» il dottore riesce a
buttare fuori, a fatica.
I volti dei presenti si raggelano in un'espressione addolorata. Non
c'è posto per le lacrime su quei visi, perché
sono visi di soldati e di guerrieri che sanno far fronte a una perdita,
che sono abituati alle perdite. Anche se Loki sa che tutti loro stanno
pensando che quella
perdita è fin troppo drammatica.
Nemmeno lui ha lacrime da versare. Non ne ha da molto tempo, le sue
ultime lacrime sono state versate mentre si lasciava cadere nel vuoto,
dopo la distruzione del Bifrost. Dopo quel terribile momento lui
è diventato un altro. Ha perso le lacrime e ha capito che si
può fare a meno anche del proprio cuore.
Tuttavia, sente che deve entrare in quella stanza. Sa che deve vederla,
forse dirle qualche parola di commiato – anche se
è inutile, se lei non può sentire più
nulla.
Fa per avvicinarsi alla tenda e Thor gli si va incontro, gli posa una
mano sulla spalla e stringe leggermente in un moto di
solidarietà.
«Fratello...» mormora con voce spezzata.
Loki non vuole la sua solidarietà, non prova lo stesso
dolore che provano tutti loro all'idea che una ragazzina buona e brava
si sia sacrificata inutilmente. Perché non è
questo il punto. Ma a nessuno di loro importa di lui e di cosa pensi,
quindi perché perdere altro tempo?
Solleva lo sguardo, i suoi occhi ardono di furia.
«Lasciami solo» sibila a Thor che si ritrae quasi
di scatto.
Loki scosta la tenda ed entra.
Nell'aria c'è l'odore ferruginoso del sangue sotto l'olezzo
del disinfettante medico. Nadia è stesa su una branda con
gli occhi chiusi, le labbra smunte strette in un'espressione che sembra
imbronciata.
Lui si siede sul bordo del letto e la fissa per lunghi minuti, poi si
schiarisce la voce e comincia a parlare.
«Mi hanno definito un mostro, un essere ignobile, ma volevo
governare questo mondo perché trovo che chi lo popola sia
fin troppo stolto. E tu... tu sei l'ennesima prova della
stupidità umana: morire perché cerchi di salvare
un branco di estranei, fidandoti della protezione di una banda di
saltimbanchi che si fanno chiamare eroi è una cosa davvero stupida. E
sai, io odio la stupidità... e odio il fatto che tu... sia
morta...».
Ora quasi si sente meglio. Avrebbe anche dell'altro da aggiungere, da
farle sapere, che non sopporta che i suoi piani siano andati storti fin
dall'inizio a causa sua, ad esempio. Ma quello è un addio,
il momento del congedo, non del rimprovero.
Rimane seduto lì, con le braccia a penzoloni oltre il
materasso e lo sguardo fisso, con la mente incapace di concentrarsi su
un qualsiasi pensiero sensato. Poi, all'improvviso la stanza comincia a
vorticare attorno a lui.
Le pareti di pietra scompaiono, sostituite da alte mura dorate. Quando
Loki riesce a mettere a fuoco l'ambiente, si rende conto che
è una sala del palazzo di Asgard. È sempre seduto
sulla branda, con il corpo di Nadia, ma non è più
in quella casa a Venezia, o almeno deve esserci una magia molto potente
che ha creato una tale illusione se neanche lui riesce a spezzarla.
Loki sente dei passi provenire dalle sue spalle e si alza di scatto.
Odino. Certo, chi altri?
Il Padre degli dei sta venendo verso di lui, con la sua andatura
solenne e regale. La luce del fuoco nei bracieri accentua i chiaroscuri
sul tessuto dorato della sua veste.
«Sei venuto per assicurarti che il tuo prezioso primogenito
stia bene?» chiede Loki, aspro. Non riesce a non
contrastarlo, ad essere calmo e misurato, non dopo tutto quel tempo,
non dopo tutto quello che è accaduto.
«Se così fosse» dice Odino in tono
pacato, «sarei con lui, non con te. Mi dispiace per l'amore
che evidentemente non abbiamo saputo dimostrarti, Loki, ma da quando
sei fuggito da Asgard io non ho fatto altro che volgere il mio sguardo
verso di te».
Non gli importa del rammarico del Padre, non gli importa se non riesce
a smettere di vederlo come un figlio. Lui ha rinunciato a tutte quelle
cose quando ha lasciato la sua casa, ma se il potente dio ha deciso di
venire in loro soccorso, chi è lui per impedirglielo?
«Sei qui per aiutarci? Vuoi stendere la tua lancia e
annientare i mostri come facesti un tempo?» gli chiede,
cercando di trovare un tono di voce meno ostile. Al momento non gli
importa nemmeno di discutere la questione, in realtà, ma
ormai è lì e se c'è modo di porre fine
a quel delirio tanto vale che lo si faccia in fretta.
«Non mi immischio in battaglie che non mi appartengono, e
questa non è la mia battaglia» replica Odino
scuotendo il capo.
«E quindi, cosa ci fai qui?»
«Volevo vedere la ragazza. Combatte pur senza essere
costretta a farlo, pur sapendo di non esserne capace e questo la rende
una guerriera più valorosa di molti altri che ho
incontrato».
Loki abbassa lo sguardo sul cadavere ormai freddo, disteso su quel
letto al centro della stanza come su di un altare. Il suo sguardo cade
sulla pietra incastonata nel bracciale... è forse possibile?
«Tu puoi salvarla» realizza, corrugando la fronte.
«Ha la pietra, l'ha portata per tanto tempo, può
essere curata con la nostra magia»
«Vuoi che la salvi? Lo sai cosa significherebbe, cosa
comporterebbe per lei?».
Sì, lo sa. Non è certo stupido.
«Potrò pensarci io, quando tutto questo
sarà finito» ribatte, fissando intensamente il suo
interlocutore.
Odino sembra stupito da quelle parole. Il suo figliastro non credeva
che il Padre potesse ancora sorprendersi di qualcosa.
«Ti occuperesti dei guai di una mortale? Tu?»
chiede con aria pensosa.
«Sono in debito con lei. Molte cose si possono dire di me, ma
non che sia privo di onore»
«Onore? No, figlio mio, quando tutto questo sarà
finito tu avrai un debito ancora più importante da
pagare».
Loki serra la mascella in un gesto stizzito. Non vuole perdere tempo in
gare di eloquenza con il Padre degli dei, non vuole ascoltare
filippiche sulla giustizia. Sente un nervosismo febbrile serpeggiargli
nella mente, serrargli la gola e strozzargli il respiro, tanto che
urlerebbe solo per provare a scacciare quel senso di oppressione che
ora lo sta attanagliando.
«È una guerriera, come tu hai detto»
conclude, imponendosi di mantenere il suo autocontrollo. «So
che se potesse scegliere, deciderebbe di continuare a vivere e a
combattere, a qualsiasi prezzo».
«E sia, come tu desideri quindi» ribatte Odino,
sfoderando il piccolo stiletto ornamentale che porta appeso alla
cintura. Chiude la mano a pugno attorno alla lama e lascia che scivoli
a tagliarli la carne. Appoggia il palmo sanguinante sulla ferita di
Nadia.
Loki osserva la scena sentendo uno strano senso di paura pervaderlo. La
vita, la morte e la magia sono cose pericolose se mescolate insieme, e
sono poche le circostanze in cui una delle tre può servire
alle altre. Questo è uno dei rari casi in cui è
possibile, ma tutto ha un prezzo...
Odino ritrae la mano e guarda la ragazza con un'espressione quasi
paterna.
«Sono sicuro che non sciuperà questo
dono» dice. Loki non sa se si sta riferendo al dono della
vita o al dono
che implica un tale procedimento alchemico. Non vuole pensarci adesso.
Il Padre degli dei sa di non poter attendere altre parole dal giovane
che continua a chiamare figlio. Un attimo dopo la stanza riprende a
girare come una scatola e davanti agli occhi di Loki c'è di
nuovo la camera spoglia della casa di Venezia.
Osserva con impazienza il volto di Nadia che non ha affatto ripreso
colorito. Tuttavia, dopo lunghi secondi lei comincia a stringere le
palpebre. Si muove, respira, è viva.
***
Nadia apre gli occhi.
L'ultimo ricordo che ha è quello del dolore per una
pugnalata. Un dolore tremendo che sembra esserle rimasto incollato alla
pelle.
Volta piano la testa e vede Loki in piedi accanto al letto che la
fissa. Prova ad alzarsi e a mettersi seduta, ma ha le vertigini e si
ritrova a boccheggiare stringendo le dita attorno al materasso.
«Piano, ragazzina» mormora il dio, premendole una
mano sulla spalla per farla tornare distesa.
«Ho una nausea tremenda...» si lamenta.
È come una cattiva digestione, forse se riuscisse a vomitare
si sentirebbe meglio dopo. Poi, all'improvviso realizza.
«Io ero... morta».
Non sa nemmeno come fa a saperlo, ha solo questo vago ricordo del buio
che arrivava a sommergerla lentamente.
«Lo eri» conferma Loki.
Nadia si tasta febbrilmente la pancia, lì dove sente la
maglia strappata e il tessuto irrigidito per il sangue ormai rappreso.
Si passa una mano sulla pelle: lì dove dovrebbe esserci un
taglio stralabrato c'è un sottilissimo solco argentato, come
il segno di una smagliatura. Il respiro le si fa affannato e cerca di
opporre resistenza con gesti convulsi ai tentativi di Loki di farla
rimanere distesa.
«Cosa?... sei stato tu a farmi... oddio, tu... tu hai...
puoi...»
«Calmati, Nadia. Non sono stato io, è stato
Odino».
Odino? Cosa c'entra Odino adesso? Ah, le sta per scoppiare la testa, e
forse le scoppieranno anche il cuore e lo stomaco. Oddio, il suo
stomaco...
«Ci sono certe, come dire, situazioni particolari, in cui
qualcuno con il potere del Padre degli dei può contrastare
la morte» aggiunge Loki, mentre lei si arrende e si lascia
cadere contro il materasso. «E tu te ne eri andata da pochi
minuti, praticamente eri ancora qui. E hai la pietra, è un
potente manufatto magico per il mio popolo ed è stato per
questo che Odino ha potuto risvegliarti, i poteri di guarigione ad
Asgard sono una cosa abbastanza comune».
Sì, ma io non
sono stata guarita. Io sono stata...
La parola le fa tremendamente impressione.
…
resuscitata.
E se fosse accaduto a qualcun altro, uno qualsiasi di loro, stando a
quello che le ha detto il dio, il miracolo non sarebbe stato possibile.
Quel bracciale, l'oggetto che l'ha condannata è anche
l'oggetto che l'ha salvata. La sensazione si nausea si fa sempre
più pressante.
Nadia cerca di prendere dei lunghi respiri.
«Perché Odino avrebbe dovuto fare questo per
me?» domanda, per poi voltarsi a guardare Loki con sconcerto.
«Glielo hai chiesto tu?».
«Lui è come Thor. Ha un debole per gli
umani» replica lapidario il dio dell'inganno.
«Beh, se lo rivedi, ringrazialo da parte mia»
borbotta la ragazza, gettando la testa all'indietro sul cuscino.
«Santi numi, gli altri come stanno?».
«Sei tornata dalla morte, puoi rimandare ancora di qualche
minuto le tue preoccupazioni per quei mentecatti».
Forse è vero, ma Nadia adesso sta pensando a Tony. Tony che
ha visto Pepper quasi uccidersi... prima di uccidere lei.
Tutta quella situazione è impossibile da digerire. Ecco
perché ha la nausea.
Prova ad alzarsi, nonostante le vertigini e il dolore che ancora sente
lì dove dovrebbe esserci la ferita. Loki allunga un braccio
per provare a fermarla.
«Nadia, non...» prova a dire, contrariato.
«Stai zitto» lo ammonisce lei debolmente e si
aggrappa al suo braccio per tirarsi su.
Quando punta i piedi a terra e si alza, sente la stanza vorticare
attorno a lei. Più che una resurrezione sembra una sbornia
venuta male.
Loki la guarda, per assicurarsi che non stramazzi sul pavimento
all'improvviso. Loki non ha un'aria molto rassicurante come
crocerossino.
Nadia volta il capo per guardarlo e di istinto gli getta le braccia al
collo, affondandogli il viso nel petto. Lo sente quasi sussultare, non
si aspetta che risponda all'abbraccio e infatti lui non ci prova
neanche.
«Che stai facendo?» domanda con un sospiro che
è quasi esasperato.
«Sono contenta che anche tu sia ancora vivo»
risponde lei, concedendosi ancor qualche secondo per stringere a
sé il dio che ora le sta battendo goffamente una mano sulla
spalla. «E adesso, dammi una mano ad arrivare di
là» dice poi la ragazza, aggrappandosi al braccio
di Loki, sentendosi molto malferma sulle ginocchia.
***
Immobilità.
Quello che resta dopo lo scoppio di una bomba è un istante
di silenzio perfetto, una totale assenza di rumore e movimento.
È questo che ora c'è nella mente di Tony: il
nulla che segue il disastro.
Non è il tipo di persona capace di gettare la spugna. La
spugna in questione non è di quelle che possono essere
gettate. Ma hanno combattuto una battaglia nella quale si sono giocati
il tutto per tutto e hanno perso.
Hanno persona Nadia. Loro, gli eroi, i Vendicatori, quelli che, cazzo,
hanno salvato il pianeta, non sono riusciti a proteggerla.
Ora Tony si sente parte di quel nulla che lo sta assalendo, una
minuscola molecola di vuoto in un mondo che gli appare gigantesco ed
enorme, del quale non sa riprendere le fila che fino a poche ore prima
credeva di tenere ben strette in mano, come è sempre stato,
perché chi lo ha definito un presuntuoso, un pallone
gonfiato, in fin dei conti ha sempre avuto ragione.
Hanno perso Nadia e hanno perso la speranza di salvare quelle persone.
Lui ha perso la speranza di salvare Pepper, per la quale si
è sacrificata un'innocente. Doveva essere lui a proteggerle,
entrambe. E invece adesso sono tutte e due perdute.
Ottimo lavoro, Stark!
Tony alza lo sguardo sul lenzuolo che copre l'accesso alla stanza.
Loki sarà lì dentro da almeno un'ora. Che
accidenti starà facendo quel figlio di puttana?
Persino ora che Nadia è morta, gli dà fastidio il
pensiero di saperlo troppo vicino a lei. Ma forse il dio non
è così insensibile come credono, forse persino
lui è riuscito a provare un po' d'affetto per la ragazza che
ha tentato di aiutarlo, e adesso starà versando qualche
calda lacrima color arcobaleno, prostrato accanto al corpo. No, certo
che no... è un quadro troppo sentimentale per un dio senza
cuore. Eppure Tony è certo di aver visto un'ombra di
smarrimento e disperazione passare nello sguardo di Loki mentre entrava
nella stanza. Forse si sta solo preoccupando del fatto che ora che la
pietra è andata anche lui è fottuto, o forse
c'è un cuore sotto quegli strati di cuoio e velluto e ogni
tanto è persino capace di battere.
Ma adesso basta. Adesso Tony vuole andare lì, prendere il
dio per la collottola e scaraventarlo fuori da quella stanza. Se lui
non fosse piovuto dal cielo e non si fosse intrufolato nella vita di
Nadia, se avesse avuto la dignità di accettare la sorte che
si era meritato, a quest'ora sarebbero tutti felici, ognuno con le
proprie vite.
Lui e Pepper starebbero bevendo champagne nella suite del Danieli.
Gli altri si starebbero godendo la loro vacanza.
Nadia probabilmente starebbe sorridendo a un giovanotto che merita
tutto il bene che quella ragazza era capace di dare. E in ogni caso,
sarebbe viva e vegeta, ben lontana dalla paura che si sarebbe portata
dentro tutta la vita, se fosse sopravvissuta.
Tony si alza in piedi, diretto verso la stanza sul fondo
dell'anticamera. Forse ha solo bisogno di qualcuno con cui prendersela
ma non è abbastanza lucido da ammetterlo.
Intercetta per caso lo sguardo di Steve Rogers che, dietro
l'espressione contrita, sembra avere scritto in faccia: «Torna a sedere, non
fare stupidaggini».
Ed ecco che la tenda si sposta. Ah, finalmente Loki si è
deciso a uscire e a venire ad affrontarli.
Nadia?
È davvero lei. Pallida e malferma sulle gambe, aggrappata al
braccio del dio, e sembra che ogni movimento le costi uno sforzo
tremendo. Ma è lei, si muove, respira, sembra perfettamente
lucida.
Tony non capisce. Bruce non ha nemmeno fatto in tempo a ricucire la
ferita, ma lei non sta sanguinando, non sembra nemmeno che ci sia una
ferita sotto lo strappo insanguinato sulla maglietta.
Tutti loro fissano attoniti la ragazza uscire dalla stanza, nessuno
sembra capace di dire o fare la minima cosa.
Tony vorrebbe dire qualcosa, ma si ritrova a boccheggiare, incapace di
mettere assieme un pensiero di senso compiuto.
È stato Loki? È lui che l'ha salvata? Nella sua
scatola da prestigiatore ci sono davvero magie tanto potenti?
«Qualcuno dica qualcosa, prima che io decida di mettermi a
cantare» dice Nadia. Ha la voce spenta, ma si sforza di
sorridere e quello è proprio il suo sorriso.
Tony non dice niente, ma le va incontro e l'abbraccia, staccandola da
Loki.
«Certo che sei brava a organizzare scherzi, eh
Colombina!» esclama poi, ridacchiando nervosamente.
«Tu... tu ti senti bene?» farfuglia il dottor
Banner, guardandosi le mani che un minuto prima erano sporche del suo
sangue.
«Non proprio. Ma per quanto ne so, potrei stare
peggio».
«Dio sia ringraziato» aggiunge Steve, avvicinandosi
e facendo una carezza sulla testa della ragazza.
«In proposito» aggiunge Thor – che al
momento ha stampato in faccia un sorriso così compiaciuto da
farlo sembrare un idiota. «Posso dedurre che è
stato nostro padre a fare
questo». Guarda Loki ma il dio dell'inganno
nasconde lo sguardo.
«È stato Odino, sì.» risponde
sbrigativo.
«Accidenti! Mi chiedo perché Fury non abbia ancora
provato a reclutarlo» scherza l'agente Barton.
Perché ora è tempo di scherzare e sorridere.
L'immobilità di qualche minuto prima è stato solo
un attimo di stasi, come un laccio emostatico che ha bloccato il
normale flusso delle cose. Adesso è tutto a posto, adesso
possono tornare a pensare di andare avanti.
La Romanoff si china a guardare la faccia di Nadia, ancora
incredibilmente pallida,
«Però forse tu dovresti mangiare
qualcosa» suggerisce.
Lei scuote la testa.
«Se penso anche solo all'idea di mangiare, vomito»
risponde arricciando il naso.
«L'unica cosa di cui ha bisogno, in realtà,
è riposo» interviene Loki.
Un dubbio strano e molesto si affaccia di colpo nella mente di Tony.
Certamente il caro Odino deve essere uno che sa il fatto suo, ma lui,
da piccolo essere umano – per quanto geniale e brillante
– si chiede se strappare una persona alla morte non abbia
delle conseguenze.
«Non... non comincerà a fare cose strane, tipo
bere sangue o nutrirsi di cervelli umani, vero?» dice
all'improvviso, senza nemmeno pensare che la sua possa sembrare una
domanda sciocca, perché c'è un motivo serio per
cui la sta facendo.
«Niente affatto» replica immediatamente Loki, con
la sua solita aria altezzosa. «Tutto quello di cui ha bisogno
è un po' di riposo. Poi ritornerà a fare tutto
quello che faceva prima».
«Avrei bisogno anche di una maglia di ricambio»
precisa Nadia con aria giocosa. Certo, è morta è
risorta, è normale che voglia sdrammatizzare! Ah, benedetta
ragazza...
«A questo si può porre rimedio» risponde
la Romanoff, mettendosi a frugare nel suo zaino ed estraendone una
t-shirt scura.
_______________________________________________________________________
Note:
Finalmente
Babbo Orbo è stato utile a qualcosa.
Come
dice un personaggio telefilmico molto interessante: “la magia
ha
sempre un prezzo”. Ma questo lo vedremo in seguito... molto
in
seguito, per adesso, se vedete personaggi dire o pensare cose strane
riguardo all'accaduto e alla sorte di Nadia, abbiate fede...
Spero
che risulti comprensibile e plausibile... una resurrezione è
una
roba brutta da smaltire, in tutti i sensi.
Ci
leggiamo venerdì (o se tornassi tardi, perché
sono via, sabato
mattina) con l'aggiornamento ;)
|
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Capitolo 17 *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo sedicesimo
Nick Fury guarda assorto lo schermo del computer dove campeggia la
piantina tridimensionale di un edificio, una costruzione sotterranea
che sarà realizzata subito fuori New York. Ha fatto tutto
Tony Stark e lui lo ha lasciato fare perché, in fin dei
conti, l'idea non gli sembrava affatto male.
Una base segreta per gli Avengers.
È più di quanto potesse sperare, quando
quell'avventura era cominciata e quella strana squadra sembrava un
branco di polli lobotomizzati che non facevano altro che beccarsi tra
loro.
C'era voluta la morte dell'agente Culson per dare una svegliata a
quelle teste bacate, una brutta perdita. Ma alla fine ce l'avevano
fatta, su tutti i fronti.
C'è un certo senso di immobilità, ora, quasi di
pace. Nessuno squillo di telefono che risuona come un grido di allarme
tra i corridoi, nessuna luce rossa lampeggiante contro il bianco
asettico delle pareti.
Nick Fury è quasi contento di quelle ultime settimane di
calma piatta. Sorvolando sul fatto che ha passato un giorno
sì e l'altro pure a rassicurare il Consiglio di Stato
Maggiore sulla faccenda dei supereroi
sguinzagliati in giro per il Paese, quelle ultime
settimane sono state un lento, lungo, noioso lasso di tempo tranquillo
dove le uniche notizie di rilievo che gli venivano riferite erano
quelle che avevano a che fare con la riparazione dell'eliveivolo.
Non che non avere il proprio pianeta minacciato da alieni sia
sgradevole, però il direttore dello S.H.I.E.L.D. non
vorrebbe rischiare che il suo dipartimento si rammollisca per l'ozio.
È abituato a pensieri che lo tengono sveglio la notte.
È abituato a sentire il fiato sul collo. Adesso, dannazione,
l'altra sera stava quasi prendendo in considerazione l'idea di farsi
una camomilla e andarsene a letto!
In realtà però c'è un tarlo che ora
sta cominciando a scavare tra i suoi pensieri.
«Signore» la voce della Hill arriva dall'ingresso
dell'ufficio. «Aveva ragione, c'è qualcosa di
strano».
Ecco, lo sapeva!
Fury solleva il capo di scatto e fissa la donna che regge tra le mani
dei fogli che hanno tutta l'aria di essere ancora caldi di stampante.
«Barton e la Romanoff hanno usato una delle loro
identità di copertura per prendere un aereo diretto a
Milano, insieme a Banner e Rogers. E hanno usato il nostro protocollo
per imbarcare delle armi, delle attrezzature dello S.H.I.E.L.D.
e...»
«Che cosa?»
«Lo scudo di Captain America, signore».
Fury fa un sospiro che sembra tanto lo sbuffo di un toro pronto alla
carica.
«Milano, hai detto?» borbotta. «E Stark,
lo avete localizzato?»
«Sì. È a Venezia, signore».
Aveva congedato Clint Barton e Natasha Romanoff per un breve periodo di
pausa. Poi qualche giorno prima un loro computer aveva segnalato
l'utilizzo dei loro passaporti falsi per l'imbarco su un volo
intercontinentale diretto in Italia. Fossero partiti loro due da soli,
Fury avrebbe persino potuto sforzarsi di pensare che fosse una specie
di idiota e stucchevole viaggio romantico organizzato da due dei suoi
agenti migliori improvvisamente rimbecilliti da un improbabile attacco
di melensaggine, ma in un impeto di scrupolosità –
o forse di noia – un agente si era dato la pena di
controllare la lista di passeggeri di quel volo ed era venuto fuori che
su quello stesso aereo erano saliti Bruce Banner e Steve Rogers. La
cosa era parsa quanto mai sospetta, visto che Fury sapeva che anche
Stark in quei giorni era in Italia, così aveva dato ordine
di controllare se era stata attivata qualche procedura particolare da
Barton e dalla Romanoff.
Imbarco di armi, di
attrezzature S.H.I.E.L.D, scudi leggendari e... Banner. Anche lui, su
un cazzo di aereo. Un aereo con passeggeri, hostess e tutto quanto,
sprovvisto di cella di supersicurezza...
Fury non è incline a pensare che due dei suoi migliori
agenti abbiano totalmente perso il senno, ma sarebbe una prospettiva
molto più rassicurante perché, quale che sia il
motivo per cui quei due si siano recati in Italia con Rogers e Banner,
è quasi certamente una di quelle cose che di solito gli
provocano insonnia. Se si aggiunge che hanno fatto tutto ciò
senza informarlo poi, è una questione che potrebbe anche
fargli passare l'appetito.
«C'è qualche traccia? Qualche informazione che
lasci capire dove sono finiti e cosa stanno facendo?» domanda
massaggiandosi il mento.
«No, signore. Sembrano spariti nel nulla» risponde
la Hill.
Molto rassicurante, già.
Quasi sicuramente sono a Venezia anche loro. Forse Stark ha solo
organizzato una party sulla Laguna, ma in quel caso perché
avrebbero portato con loro delle armi?
No, sta certamente succedendo qualcosa, laggiù. Qualcosa di
cui hanno pensato bene di tenerlo all'oscuro.
«Vuole che mandiamo qualcuno a cercarli?» chiede
Maria Hill.
Fury incrocia le braccia sul petto e resta a rimuginare per qualche
secondo.
Dopotutto, l'ultima volta che ha dato fiducia a quella squadra non
è andata poi così male.
«No, non occorre. Ma appena rientrano voglio essere
immediatamente informato» conclude.
Appena rientrano, sarà meglio per loro che siano disposti a
raccontargli tutto.
***
«Che cos'è lo S.H.I.E.L.D?» domanda
Nadia, guardando la scritta sulla maglia che le ha prestato Natasha
Romanoff, la giovane donna che ora è seduta accanto a lei, a
vegliare sul suo riposo
caldamente raccomandato da Loki. Praticamente l'hanno costretta a
letto, le uniche volte in cui si è alzata è stato
durante la notte, quando si è chiusa nel bagno guasto a
vomitare anche l'anima. Ed essendo Natasha l'unica ragazza,
è sembrato appropriato che se qualcuno dovesse farle da
infermiera fosse lei.
La donna rossa inarca un sopracciglio. È molto bella, e
Nadia quasi le invidia quella compostezza, quel suo fare compassato,
come se ogni suo gesto fosse studiato, preparato per essere reso
perfetto.
«Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics
Division» recita Natasha, cantilenando come se fosse una
filastrocca. «Tecnicamente è un'associazione
segreta di intelligence e tu, in quanto civile di un altro Paese, non
ne dovresti saperne assolutamente nulla. Ma conoscendo la lingua lunga
di Stark, è un miracolo che tu non sappia già
tutto».
«La parola miracolo ultimamente fa tendenza da queste
parti» scherza Nadia, alzando gli occhi sul soffitto e
fissando le ragnatele che pendono come merletti dalle travi scoperte.
Natasha sorride, si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Ne ho viste di cose, nella mia vita. Ma questa le ha
superate tutte» dice.
Sì, è stata una serata memorabile. Nadia si
chiede se riuscirà mai a dimenticarsene, perché
è stato comunque terribile. Le sue mani vanno in
continuazione all'addome, i polpastrelli tastano il solco appena
accennato della sottilissima cicatrice argentata; un bel souvenir per
un viaggio nell'oltretomba.
Clint Barton fa improvvisamente capolino nella stanza e guarda la sua
collega.
«Nat, dimmi che ti sei portata le carte da gioco»
dice con voce quasi implorante. La giornata sta trascorrendo con una
lentezza micidiale.
«Volevo portare Risiko, ma ho perso tutti i carrarmato rossi
dalla scatola» scherza lei.
Ci starebbe proprio bene una partita a un qualche gioco di
società. Ma Nadia è convinta che ci siano delle
priorità a cui pensare. Sopra la sua testa, le ragnatele
ondeggiano appena.
«Ma non dovremmo tipo organizzare un altro incontro con i
nostri amici demoni?» chiede, odiando il fatto di essere
stesa in un letto cigolante. Già la trattavano come una
bambola di porcellana, adesso che è malaticcia la situazione
sembra peggiorata.
Barton inclina la testa di lato e scambia una strana occhiata con
Natasha.
«Quante volte hai intenzione di farti uccidere in una sola
settimana?» dice l'uomo e sembra sinceramente scandalizzato.
Oh, andiamo, loro sono super spie di una super associazione segreta che
assolda supereroi e divinità, non possono stupirsi davvero
perché lei vuole farla finita con tutta quella storia
assurda.
«Naturalmente avevo in mente un incontro con un finale un po'
diverso» dice.
«Ad esempio?» la incalza Natasha.
«Datemi una mano ad alzarmi e facciamo una bella riunione di
gruppo»
«Nadia, Loki ha detto che...»
«Vi dispiacerebbe così tanto contraddirlo o farlo
irritare?».
Clint scoppia a ridere. No, a lui non dispiacerebbe far irritare Loki
– e nemmeno prenderlo a pugni o piantargli una freccia in un
occhio, questo è evidente e non è detto che non
lo farà, quando la questione dei demoni sarà
chiusa. A proposito, cosa ne sarà di Loki quando quella
storia sarà finita? Nadia non vuole pensarci, non deve
pensarci, sopratutto non adesso.
È tutta la sera che, tra un attacco di nausea e l'altro,
pensa a un piano. Un piano architetto vomitando non sembra un
granché, per principio, e lei non è un'eroina e
nemmeno un soldato, ma pensare a un modo per risolvere quella
situazione è stata la sola cosa sensata che le è
venuta in mente. E ci ha pensato molto a lungo, visto che non ha chiuso
occhio la notte prima.
Clint le passa un braccio attorno alla vita, reggendola con forza e
aiutandola a uscire dalla stanza.
«E questo che significa? Dove hai intenzione di
andare?» esclama Bruce appena la vede in piedi.
«A prendere un gelato al Florian» lo rimbecca lei.
«Dove sono tutti? Dobbiamo parlare».
Nella stanza, oltre al dottore, ci sono solo Steve e Tony. Loki e Thor
staranno al piano di sopra, a rammentare i bei tempi andati o a
litigare, molto più probabilmente. Cioè, Thor
è l'unico che non preferisce evitarlo, gli altri non riesco
semplicemente ad aver a che fare con lui e Nadia non può
davvero biasimarli. In condizioni normali, Loki non è
nemmeno eccessivamente sgradevole, ma ha tentato di uccidere uno di
loro, lobotomizzato un altro e fatto vedere i sorci verdi – e
gli Hulk verdi – a tutti quanti. E sì, forse
è decisamente meglio non pensare a cosa lo aspetta quando
tutto quel casino sarà risolto.
«Capisco che scampare alla morte ti faccia sentire
invincibile, lo capisco molto bene» dice Steve. «Ma
Nadia, dovresti davvero riposare, sembri distrutta».
«Non ho vomitato anche il cervello, posso farcela. Ho
un'idea».
La ragazza si fa portare da Clint fino a uno sgabello di legno tarlato
e si lascia cadere seduta.
«Sei appena tornata dall'aldilà, è un
po' presto per avere idee» osserva Bruce tra il sarcastico e
lo scioccato.
«No, voglio sentire. Che genere di idea?»
interviene Tony. «E qualcuno dica ai due cherubini di
scendere dalle nuvole».
Natasha si sporge verso le scale, chiamando Thor e Loki. Dovevano star
discutendo di qualcosa di molto molto importante lassù,
perché non hanno le facce particolarmente rilassate.
«Cosa ci fai alzata?» sbraita subito Loki.
«Mi rendo utile» ribatte Nadia scrollando le
spalle. Per fortuna il dio non sembra avere voglia di discutere anche
con lei, si limita a guardarla con disappunto e a scuotere la testa.
«Nadia voleva parlarci di un piano» spiega Natasha.
«Sarebbe?» domanda Thor.
Nadia fa un sorriso furbo.
«San Michele» dice, passando poi in rassegna le
facce dei presenti per vedere se hanno colto.
«L'isola con il cimitero?» chiede Bruce.
«Come facciamo arrivare i demoni su un'isola?».
«Con un'esca» risponde Nadia. «Thor mi ha
detto che Loki ha un trucchetto niente male in quella sua manica bella
stretta».
La ragazza scambia una rapida occhiata con il dio dell'inganno.
«Bambi?» lo esorta Tony.
Loki stringe le labbra con aria pensosa.
«Creare un'illusione di me stesso. Ci sono state occasioni in
cui è stato anche molto divertente» mormora,
lanciando verso Thor un'occhiata colma di malevolo sarcasmo.
«E non costa particolari sforzi in termini di energia. Ci
vuole una barca abbastanza grande, Stark. Puoi tirarne fuori una dal
tuo cappello da prestigiatore?».
Nadia sorride, Loki ha capito esattamente cosa vuole fare. Far salire
gli indemoniati sulla barca, far partire la barca verso l'isola di San
Michele e affrontarli lì, così che non possano
ritirarsi e così che loro abbiano uno spazio di manovra
abbastanza grande per nascondersi e attaccarli senza che nessuno si
faccia male. Per loro fortuna, quei mostri sono tutti superpoteri e
niente cervello – ad eccezione di quello più
cazzuto, quello che ha resistito al primo attacco di Loki e si
è impossessato di Pepper; Nadia ha i brividi al solo
pensarci.
Certo, le piange il cuore per il cimitero e i monumenti che sono
lì da duecento anni, per non parlare degli illustri defunti
sepolti nel camposanto. Ma è normale che una riveda le
proprie priorità dopo essere stata pugnalata a morte da una
donna indemoniata.
«E noi, sull'isola come ci arriviamo?» chiede
Steve.
«Ecco, a questo non ci avevo pensato» ammette
Nadia. «Ma in squadra due di noi volano»
«E dovremmo farci portare avanti e indietro come dei
pacchi?» dice il Capitano poco convinto.
«Rettifica: ci servono due barche, Stark» aggiunge
Clint, muovendo la mano a mezz'aria come a cancellare quello che si
è detto fino a quel momento. «Su una andiamo noi,
a luci spente, sull'altra i demoni. Saranno troppo impegnati a fare a
pezzi l'ologramma di Loki per accorgersi di noi».
«Possiamo avere due barche?» chiede Thor.
«Per prendere a calci in culo quegli sputi da
narghilè possiamo avere anche un'intera flotta!»
risponde Tony con un sorriso largo da un orecchio all'altro.
«Fantastico!» esclama Loki, torvo.
«Mentre voi limate i dettagli di questo progetto, io riporto
a letto la stratega».
***
«Fantastico!» esclama, non troppo convinto. Non
perché non sia una buona idea, ma perché sa che
nessuno di loro si è ancora ripreso dalla sera precedente e
il piano, per quanto interessante, non potrà essere attuato
prima di un paio di giorni, specie con Nadia in quelle condizioni.
«Mentre voi limate i dettagli di questo progetto, io riporto
a letto la stratega».
Lo dice perentorio, non ammette alcuna replica. Nadia deve riposare.
Dovrebbero tutti riposare in realtà, anche lui.
La ragazza prova ad alzarsi in piedi, ma non sembra molto ferma sulle
gambe. Loki le cinge la vita con un braccio, sta per sollevarla e
portarla di peso nell'altra stanza e a lei la cosa non sembra piacere.
La capisce, anche a lui non piace mostrarsi debole e detesta aver
bisogno dell'aiuto degli altri, ma quello non è il momento
di fare la bambina orgogliosa.
«Non toccarla» sbotta Stark, all'improvviso. Sembra
che il monito gli sia venuto di impulso, una specie di tilt in quel suo
cuore robotico.
Loki si volta a guardarlo con aria sdegnata. Adesso cos'è
quest'altra novità? Di che ha paura, che la contagi con la
sua inguaribile
malvagità?
Anche Nadia sembra stupita dalla reazione del suo nuovo amico del cuore.
«Ehm... Tony, è tutto a posto, davvero»
dice lei, titubante.
«Mi dà fastidio, ok? Mi dà i brividi,
anzi».
Nessuno di loro sembra voler aggiungere qualcosa. Non che Loki si
aspetti che qualcuno prenda le sue parti, ma se qualche altro buono facesse
notare a Stark quanto stia parlando da paranoico sarebbe uno sforzo
gradito. Ovviamente tutto quello che resta è il silenzio
assoluto e lo sguardo preoccupato di Nadia.
Loki scrolla le spalle.
«Lei ha detto che è tutto a posto»
osserva mellifluo, sollevando la ragazza ora palesemente a disagio.
Stark freme, serra i pugni. Se avesse addosso la sua armatura,
probabilmente gli sparerebbe solo per sfogarsi – ci vuole ben
più di un proiettile per uccidere un dio.
«Vuoi proprio sentirmelo dire, eh?» mormora Loki
dopo qualche passo, senza voltarsi a guardare Stark e gli altri alle
sue spalle. Nadia gli stringe una mano attorno al braccio in un monito
silenzioso. «Ma tanto non mi crederesti».
«Di che stai parlando?» domanda Rogers freddamente.
«Dell'affermare ad alta voce, esplicitamente, che non ho
alcuna intenzione di nuocere a Nadia, in nessun modo».
Alle sue spalle arriva solo il silenzio. Lui volta appena la testa di
lato per mostrare agli altri la sua espressione di fredda irritazione.
«Ma come dicevo, non mi credete» conclude, portando
Nadia nella stanza accanto, dove la posa con quanta più
delicatezza può sul materasso.
Lei lo fissa con una strana espressione.
«Era proprio necessaria tutta quella pantomima?»
gli chiede con un sospiro.
«Era proprio necessario che il tuo diletto Stark condividesse
a quel modo i suoi timori?».
Nadia si massaggia le tempie e getta la testa sul cuscino. I capelli
biondi si spargono a cerchio sul guanciale, in ciocche ondulate.
«Non hai alcun bisogno che loro ti credano, vero?»
mormora.
Per un attimo Loki pensa che non ha voglia di fare quella
conversazione, ma ha ancora meno voglia di uscire da quella stanza e
ritrovarsi immerso in quella selva di sguardi ostili. Parlare con
Nadia, se non altro, non è difficile.
«Non ho bisogno che mi crediate» replica con fare
distaccato.
«E io cosa c'entro? Io non penso che tu voglia nuocermi, anche
perché peggio di così...»
«Di certo non avevo in mente di farti ritrovare coinvolta in
questa storia spiacevole». Aveva in mente altri modi per
farle del male, ma sarebbero stati un affare tra lui e la ragazza, con
i suoi tempi e secondo le sue modalità.
Ma lei non pensa a questo, lei gli sta sorridendo, di nuovo –
da quanto tempo non lo faceva?
«Scuse accettate» replica, con quel sorrisetto
saputo.
Non erano scuse.
O forse sì?
Bah! Che pensi quello che vuole, a lui non importa.
«Di cosa stavate parlando prima tu e Thor?» chiede
lei, cogliendolo alla sprovvista. «No, non dirmelo. Cose che
un'umana non merita di sapere...».
Non sono cose che un'umana non merita di sapere, sono cose che lei, in
quel particolare momento non deve sapere. Non deve sapere cosa le
causerà il procedimento innescato da Odino per riportarla in
vita. Non deve sapere che lui sarebbe persino ben disposto a darle una
mano se non ci fosse l'universo intero a reclamare la sua testa. Non
deve sapere che porterà i segni di quella brutta avventura
per molto tempo, per tutta la vita. Perché è una
guerriera, ma la sua armatura è fragile e piena di crepe e
Loki ha bisogno che tenga duro ancora un po', non sarà lui a
infliggerle il colpo che manderà in frantumi le sue ultime
risorse per andare avanti.
Thor invece ha capito che quel salvataggio non poteva essere senza
conseguenze. Lui ha dovuto usare tutta la sua abilità di
mentitore per sminuire la cosa, per convincerlo che non era
così grave come credeva, perché non deve mettere
in allarme né la ragazza né il circo ambulante
che ha attorno – ah, per i corvi di Odino! Perché
suo fratello deve smettere di essere stupido nei momenti meno opportuni?
«Parlavamo del futuro» risponde enigmatico,
distogliendo lo sguardo.
«Ottimo argomento. Cosa succederà quanto tutto
questo sarà finito?»
«Come dite voi: e
vissero tutti felici e contenti».
Nadia si solleva, puntellandosi su un gomito. Lo guarda con quella sua
aria un po' supponente e un po' materna. Non tenera come quando parla
con Stark, ma abbastanza interessata da sembrare quasi affettuosa.
«Intendevo dire: cosa ne sarà di te?»
precisa.
«Se non la smetti di preoccuparti per me potrei persino
commuovermi» borbotta lui, con un sarcasmo privo di allegria.
«Smettila di fare il dio capriccioso e rispondi»
«Smettila di fare l'umana testarda e non darmi
ordini»
«Loki, sto aspettando...».
Sospira, il dio dell'inganno. Non ha voglia di mentire, non servirebbe.
E comunque Nadia sa, come è già successo altre
volte, lei ha già capito e lui ha come l'impressione che
insista con il fargli domande solo per dargli la possibilità
di riflettere meglio sulle risposte. Ma ha già preso la sua
decisione, e non sarà l'interessamento di una mortale a
fargli cambiare idea.
«Davvero non te lo immagini?» le dice.
«Scapperai, vero? Non lascerai che tuo fratello ti riporti a
casa».
Quello non è
mio fratello e quella non è la mia casa!
Il pensiero è amaro come fiele. E lo sguardo di Nadia adesso
è indecifrabile. Ma sarebbe un buon momento per dirle la
verità, per dirle che lei dovrebbe solo rallegrarsi del
fatto che lui non ha intenzione di starsene a marcire in una cella
nelle segrete del palazzo di Asgard, perché verrà
il giorno in cui lei avrà bisogno che lui sia libero di
darle una mano con quello che l'aspetta.
Ma non lo dice, perché ha appena promesso che non
farà niente che possa nuocerle.
«Posso non essere un re» replica Loki con una certa
durezza nella voce. «Ma sono un dio e non si mette in catene
un dio».
____________________________________________________________________________
Note:
Non si può scrivere una storia sugli Avengers senza nemmeno
una comparsata di Nick Fury.
S.H.I.E.L.D. come acronimo di “Strategic Homeland
Intervention, Enforcement and Logistics Division” viene dal
primo film di Iron Man, lo dice l'agente Culson quando si presenta a
Pepper. Ho scelto questo perché appunto la
fanfiction fa riferimento all'universo filmico, ma le parole della
sigla hanno subito qualche variazione tra fumetti e trasposizioni varie.
Duuunque... diciamolo... chi scrive ama essere letto, c'è
poco da fare, anche se io ho un enorme senso del pudore rispetto
all'esprimere gratitudine a chi legge le mie storie, sembra un'inutile
captatio benevolentiae che non ha ragion d'essere, la mia storia
è qui, chi ha voglia di leggerla la leggerà, chi
ha piacere di lasciarmi una recensione lo farà di suo, per
questo chiedere mi sembra sempre un po' fuori luogo. E poi, i lettori
ti stupiscono sempre: SavaneH
ha inviato la segnalazione all'amministrazione per l'inserimento di
questa storia tra le scelte. Posso dire, senza timore di esagerare che
la cosa mi ha commossa. GRAZIE, GRAZIE DI CUORE!
Prima di imbarcarmi in quest'avventura della fanfiction su The
Avengers, ho sempre frequentato fandom con poco seguito e non ho mai
prestato attenzione a certe cose, ma ho dato un'occhiata alla
classifica delle storie più popolari della sezione e ho
scoperto che A series of unfurtunate eventes è la prima per
la quantità di parole nelle recensioni, e questo
è tutto merito vostro.
Un enorme abbraccio virtuale a tutti, io e questa storia vi dobbiamo
moltissimo.
Luciana.
PS: ci leggiamo giovedì prossimo con l'aggiornamento :)
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Capitolo 18 *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo diciassettesimo
Nadia si gira su un
fianco. Ha passato una notte abbastanza tranquilla e la nausea
è quasi del tutto sparita. Forse se prova ad alzarsi in
piedi non le girerà nemmeno la testa e riuscirà a
reggersi sulle proprie gambe.
Si solleva lentamente, senza compiere movimenti bruschi. Si siede sul
bordo del materasso e appoggia i piedi a terra, aspetta qualche secondo
prima di darsi la spinta per alzarsi. Rimanda.
Ha quasi paura di scoprire che ancora non può farcela. La
paura di scoprire che non può farcela la accompagna da tutta
la vita, in realtà, ma stavolta è diverso. Non si
tratta più di ambizioni personali o di rivalse sulla sua
famiglia, stavolta la posta in gioco è molto molto
più alta.
Si guarda attorno, passa in rassegna tutta la stanza, come se non la
conoscesse. Le pareti di pietra sono ancora al loro posto, la macchia
di intonaco gonfio per l'umidità è ancora
lì, sul muro a destra, ha vagamente la forma di una
margherita.
E fuori di lì Venezia starà rinnovando il suo
spettacolo di immutata bellezza per le migliaia di turisti arrivati da
ogni dove. Anche lei, al suo posto. Fuori di lì l'aspettano
tutte le cose che ha lasciato, deve solo tenere duro ancora un po' e
poi potrà riaverle, correre a riprendersele. Ammesso che la
persona che uscirà da quella casa e da quell'avventura sia
la stessa persona ce lei era prima che tutto questo avesse inizio.
Sulla parete a sinistra, nell'angolo tra il muro e il letto,
c'è Loki addormentato. Si è davvero addormentato
seduto sul pavimento, con le gambe incrociate e la schiena contro la
parete.
Per essere un aspirante re, ha l'aria di aver dormito in posti
peggiori.
Nadia lo guarda e scuote la testa; quel ragazzo è senza
speranza. E non è nemmeno un ragazzo, chissà
quanti anni avrà vissuto.
Non ha voglia di svegliarlo, perché sa che se lui ha
preferito restarsene lì nell'angolo è
perché non aveva intenzione di uscire e avere a che fare con
tutti gli altri. Loro sono i buoni e hanno ragione ad avercela con lui,
ma sono anche in netta maggioranza, sono una squadra. Loki è
solo, come quando lo ha conosciuto, come è destinato a
rimanere.
Ma ha bisogno di dormire, possibilmente in una posizione decente.
Nadia fa un sospiro e gli batte delicatamente una mano sulla spalla.
Lui apre gli occhi, corrugando le sopracciglia.
«Ha sofferto?» gli dice subito.
«Eh... cosa?» borbotta il dio con la voce impastata
dal sonno.
«Il mio gatto, quando lo hai ucciso. Ha sofferto?».
Loki impasta la bocca e sbatte più volte le palpebre. Nadia
ha sempre saputo che è stato lui, cioè non sempre ma
quell'idea è germogliata e cresciuta nella sua testa come
una pianta. E adesso è una certezza grossa come un baobab.
Lo strano acredine nato tra Loki e Casanova avrebbe dovuto essere un
campanello d'allarme, ma lei lo aveva ignorato, come aveva ignorato
molti altri particolari prima di scoprire la verità.
Casanova non era mai stato aggressivo e lei non aveva mai visto nessuno
guardare un semplice gatto con tanta malcelata furia.
Lui la guarda con gli occhi ancora velati di sonno. Probabilmente
nemmeno se lo ricorda di aver ucciso Casanova; con tutta la gente che
ha ammazzato, un gatto deve essergli sembrato veramente insignificante.
«No, non ha sofferto» dice semplicemente. E poi
richiude gli occhi.
«Ti odio» sibila Nadia.
«Non è vero» risponde lui, con la voce
ovattata di chi è già ripiombato nel dormiveglia.
«Ti odio e voglio liberarmi di te al più
presto» aggiunge lei, convinta che il dio ormai non la stia
già più ascoltando. «Per questo fammi
un favore, sii lucido e riposato per la prossima battaglia. Me lo devi,
visto che hai ammazzato il mio gatto... bastardo».
Lo afferra per la spallina della casacca e lo tira verso l'alto con
tutta la forza che ha, che non è molta, e Loki non
sarà grosso come Thor, ma è dannatamente alto e,
sotto tutti quegli strati di pelle e velluto e materiale lucido non
identificato, non è smilzo e gracile come si potrebbe
pensare ad una prima occhiata.
Dopo una certa resistenza, apre di nuovo gli occhi e la guarda
perplesso. Sembra troppo stanco per opporsi e lascia che lei lo tiri su
e lo spinga sul letto.
«Non ti... affaticare...» bofonchia affondando con
la faccia nel materasso. Poi torna beatamente a dormire.
Nadia resta a guardarlo con espressione crucciata. Ha un'enorme voglia
di piangere, la sente salire come una marea e invadere ogni scampolo di
lucidità; ha bisogno di piangere, non per Loki, non per Tony
e Pepper, non per gli sconosciuti in balia dei demoni ma per se stessa.
Sono morta, cazzo...
Ricaccia indietro le lacrime, non sapendo se la forza che la spinge a
farlo sia buon senso o se sia il primo stadio di una follia destinata a
divorarla. Poi scuote la testa, si volta e cerca di uscire dalla
stanza, a passi molto lenti e cauti.
Steve le va incontro e le offre il braccio, con anacronistica
cavalleria.
«Sorpresa!» esclama Clint Barton, indicando dei
cartoni di pizza posati su una cassetta ribaltata. Ottima cosa, stava
morendo di fame.
«E quelli come ve li siete procurati?» chiede.
L'agente dello S.H.I.E.L.D scrolla le spalle,
«Passando per i tetti» risponde con
ovvietà.
Giusto. Dev'essere utile essere delle super spie di una super
associazione segreta. Non fa proprio tutto schifo in quella storia,
questa cosa della pizza arrivata via tetti se la ricorderà
tutta la vita. E si ricorderà anche di loro, per il resto
dei suoi giorni.
Adesso Nadia si sta domandando che ore siano. La poca luce che entra in
quella casa non basta a dare un'idea del momento del giorno in cui si
trovano e lei sente che il suo orologio biologico ormai è
totalmente sballato. Si sente ancora un po' frastornata e sta
seriamente pensando che la prima cosa che farà una volta
tornata a casa è una sana dormita. Anzi, forse prima ancora
di una dormita penserà a una doccia.
«Abbiamo le barche!» annuncia Tony scendendo dalle
scale, giocherellando con il suo strano cellulare. Poi lo sguardo
dell'uomo si fissa su Nadia. «Tutto ok,
Colombina?».
«Ora che ho scoperto che possiamo mangiare la pizza,
decisamente meglio».
Non si aspetta che Tony faccia qualche riferimento alla discussione
avvenuta tra lui e Loki la sera prima. Evidentemente lui crede che lei
abbia capito, ma in realtà la ragazza non è
riuscita a comprendere la questione fino in fondo.
Non si fidano di Loki e questo è normale, ma lo scatto di
Tony le sembra ancora spropositato.
Questo forse
perché non sono io quella che è stata
defenestrata dal dio norreno sociopatico...
A Nadia continua a sembrare tutto troppo grande, il male che Loki ha
fatto e la rabbia che gli Avengers provano per lui. E si sente una
stupida perché non riesce a compenetrarsi davvero nella
situazione, come se una parte di lei non volesse accettare fino in
fondo la verità. Come se una parte di lei crede che le cose
possano cambiare o che ci possa essere un diverso punto di vista
attraverso il quale guardarle.
Ma non c'è...
E adesso le è anche passato l'appetito, tuttavia Natasha
insiste che lei mangi qualcosa e Bruce le allunga un trancio di pizza.
Nadia si ritrova seduta sul pavimento, a sbocconcellare una fetta di
capricciosa ormai fredda.
Forse non è un bene il sapere che non riuscirà
mai a dimenticarsi di quella storia. E sa che è ingiusto
pensarlo, sa che è ingiusto sperare di poter cancellare quei
ricordi perché in quei ricordi ci sono quelle persone e
decisamente non meritano di essere dimenticate.
***
Thor si ferma con le spalle al muro, in un angolo dell'anticamera; da
quel punto può vedere tutta la stanza e le porte aperte come
occhi spalancati.
Ha visto cieli infiniti su mari che si perdevano nel nulla, ha visto
edifici alti fino alle stelle, ha visto valli sterminate coperte di
ghiaccio e deserti così ampi da non riuscire a scorgere
nemmeno l'orizzonte. Eppure il brulicare di vita che c'è in
quella casa fatiscente gli sembra qualcosa di immenso, un'energia
più potente di qualsiasi manufatto divino. C'è
molta più grandezza tra quelle quattro pareti che sotto il
cielo di Asgard. È per questo che Thor ama gli umani, e quegli umani in
particolare.
Una volta, non molto tempo prima, Loki lo aveva accusato di essere un
sentimentale e lo aveva detto come se fosse una colpa, gli aveva
scagliato contro quella parola come se fosse un'ingiuria.
Sì, è un sentimentale e non ne prova vergogna, ma
sa che non esserlo avrebbe almeno un vantaggio: adesso non si
sentirebbe così frastornato dagli avvenimenti di quei
giorni. Certo, l'affezione per i propri compagni di battaglia rende
più forte e determinato un guerriero, perché sa
che sta lottando non solo per un fine ultimo, ma anche per proteggere
degli amici. Ma il suo cuore ha tremato in quei giorni, ed è
una sensazione che lui non ama particolarmente.
Thor si sta ancora chiedendo come mai suo padre abbia salvato Nadia.
Odino ha combattuto cento, mille guerre per tenere al sicuro la Terra e
le popolazioni dei nove regni ma non si era mai esposto così
tanto per una singola persona. Che anche lui riponga speranze nella
ragazza? Che anche lui la ritenga un modo per far tornare suo fratello
sui suoi passi?
Forse anche il Padre degli dei è un sentimentale. Loki non
è cambiato, è ancora traboccante di risentimento
e voglia di rivalsa; Thor è certo che quando lo sguardo di
suo fratello si fissa nel vuoto, sono scenari di distruzione, sangue e
vendetta quelli che sta immaginando. La permanenza sulla Terra non
è servita a nulla, non ha toccato il suo cuore, ma la
ragazza, lei forse lo ha fatto in qualche strano modo che il dio del
tuono non riesce a comprendere.
Quando Nadia giaceva senza vita su quella branda e Loki è
andato da lei, c'era dolore nel suo sguardo, c'era la nebbia venefica
di un'altra sconfitta dietro l'azzurro pallido dei suoi occhi. E Thor
è certo che tutti loro se ne siano accorti, così
come sa bene che tutti loro hanno imputato quei sentimenti solo al
fatto che Loki, il nemico, il mostro, avesse perso la sua unica
possibilità di salvezza rappresentata dalla pietra al
braccio della giovane. Nessuno crede che nel cuore del dio del caos
possa esserci qualcosa di diverso, Stark ha persino dato in
escandescenza appena lo ha visto solo sfiorarla.
E io, cosa credo?
Crede in ciò che vede, nel modo in cui la ragazza guarda
Loki, nel modo in cui gli sguardi di entrambi si cercano, anche solo
per scambiarsi un'occhiata astiosa nei momenti di maggiore tensione.
Crede nel fatto che c'è una ragione, forse una ragione
sciocca e sentimentale ma pur sempre valida, se Odino ha riportato
indietro Nadia.
Forse vedo solo
ciò che voglio vedere...
E Nadia adesso è in piedi di fronte a lui, a osservarlo con
un'espressione perplessa e rapita allo stesso tempo.
Thor alza lo sguardo su di lei e accenna un sorriso.
«Mi trovi buffo anche tu?» le chiede. Anche Jane lo
trovava buffo. Anche per Jane il suo cuore trema fin troppo spesso.
«Più che altro ti trovo spaventosamente
bello» ammette la ragazza con un sorriso. «Cosa
è successo tra te e il fratellino con le corna, ieri
sera?».
Il dio del tuono aggrotta la fronte. È successo che Thor ha
provato a parlare con Loki dell'incontro tra lui e Odino, voleva sapere
se per suo fratello fosse stato solo una parentesi non importante, se
si era reso conto che il Padre salvando Nadia stava salvando anche lui.
E più di tutto, voleva capire cosa poteva significare per la
ragazza essere riportata indietro.
Ma sono cose che Thor non può dirle, perché
almeno su un aspetto della questione Loki ha dannatamente ragione: lei
non ha bisogno di essere spaventata più di quanto non sia
già, turbarla potrebbe solo complicare ulteriormente le
cose. Ma menzogne, omissioni e macchinazioni non sono cose in cui il
dio del tuono è mai stato particolarmente abile, per questo
ritiene che sia meglio cambiare argomento di conversazione prima di
rischiare di dire qualcosa di troppo.
«Tu provi dell'affetto per Loki» asserisce il dio,
quasi sconcertato dall'udire le sue stesse parole.
«Pfff, potrei dire la stessa cosa di te. E con me non ha
neppure tentato la strada dell'omicidio, non ha fatto in tempo
almeno»
«Ma io ci sono cresciuto assieme...»
Tu ragazza, invece, cosa
hai visto in lui che noi ignoriamo? Quale riflesso hai colto in mezzo
alle migliaia di specchi distorti?...
«... è naturale che gli voglia bene».
Nadia sgrana gli occhi e scuote la testa.
«A sentire lui, non lo è affatto»
replica. «E comunque, se provare affetto per Loki significa
non lasciarlo al suo destino e tentare di evitare che i demoni lo
uccidano... allora questo è proprio il suo
fanclub!»
«Il suo cosa?»
«Niente, lascia stare».
A Thor nasce spontaneo un sorriso. Di certo suo fratello e quella
giovane si somigliano, hanno la stessa abilità a usare le
parole per scoraggiare qualcuno.
***
Loki ha un piano.
Sorride al soffitto ricamato di ragnatele mentre quel semplice
stratagemma prende forma nella sua mente come se anche lì ci
fosse un ragno impegnato a tessere una rete. Sorride perché
è lieto di constatare che dopo tutto quel tempo trascorso in
compagnia degli umani, malgrado l'aver combattuto al fianco dei suoi
nemici, non ha perso nulla di ciò che è sempre
stato.
È un dio. Lo mormora a fior di labbra, quasi assaporando il
gusto di quella parola. È un dio, il significato stesso di
questa affermazione è quanto di più forte ci sia
contro il cambiamento. Gli dei non mutano la loro essenza
perché per quelli della sua razza la morte, il disfacimento,
è solo l'ombra di un futuro lontano, oltre le stelle.
Gli umani invece cambiano, si usurano,
periscono.
Loki si passa una mano sul viso, ancora un po' intorpidito dal sonno.
Gli umani muoiono, è nella loro natura.
Il sorriso tagliente sparisce a poco a poco dal volto pallido. Il dio
degli inganni ha un piano e tra i suoi scopi c'è quello di
perseverare la vita di una mortale. Non è il suo fine
ultimo, si ripete, è soltanto un mezzo per arrivare a
ciò che vuole. E ciò che vuole, al momento si
trova dall'altro lato di quel grande oceano.
Lo scettro di Thanos.
L'arma è caduta in mano ai suoi nemici, al termine della
battaglia di New York. La cara agente Romanoff la teneva ben stretta
quando sono andati a prenderlo sull'attico della Stark Tower e lui la
rivuole. Non aveva mai sperato di poter trovare il modo di rientrarne
in possesso, ma ora ha una carta da giocare.
Nadia.
E tutto quello che lui deve fare è aiutarla a sopravvivere a
quello che verrà. O meglio, fare in modo che siano gli
Avengers a preoccuparsene e a scoprire che non sono in grado. Loro
adorano la ragazzina, probabilmente lei è adorabile davvero
se è bastata una manciata di giorni a quei decerebrati per
imparare a ritenerla loro pari: un'eroina che combatte, un cuore senza
macchia e senza paura. Stark la porta su un piatto d'argento
perché si è sacrificata per provare a salvare la
sua donna, tutti loro vorranno aiutarla e non potranno, e scopriranno
di aver bisogno di lui.
Deve solo trovare un modo per assicurarsi che gli Avengers la portino
con sé.
Oh, sarà un tale divertimento, una tale soddisfazione!
Il sorriso torna ad affacciarsi sulle sue labbra, mentre immagina Stark
cedere e lasciare Nadia alle sue cure, mentre se lo figura guardarlo
disgustato all'idea che sarà il mostro e non l'eroe a
salvare la fanciulla.
Salvarla...
Potrebbe persino non essere necessario. Potrebbe persino lasciarla
morire, alla fin fine. Ma non ci ricaverebbe niente.
E da quando il ricavo è diventato più importante
del piacere di vendicarsi?...
Loki aggrotta le sopracciglia. Non c'entra niente, lui non vuole
vendicarsi di Nadia. C'è una differenza tra mentire e
mancare alla parola data; un conto è l'arte della menzogna,
un altro conto è essere del tutto privi di onore.
Nadia non merita di
morire.
Non lo merita perché sta salvando anche lui, non solo quelle
persone. Lei lo sta salvando e lui la risparmierà. Saranno
pari.
***
Odino cammina lentamente lungo quello che resta del Bifrost, una scia
opalescente si disegna sotto i suoi passi.
In tutti i nove regni molti uomini dotti o persone di fede si
interrogano su cosa muova l'universo. Persino il potente re di Asgard
non ha una risposta definitiva a questa domanda, ma in quel momento
pensa che l'amore sia una verità abbastanza soddisfacente. E
non ha in mente l'amore delle canzoni dei bardi o delle rime dei poeti,
ha in mente qualcosa di molto più concreto e, volendo, di
molto più devastante.
Mentre solleva lo sguardo davanti a sé, il Padre degli dei
scorge un'altra persona in piedi accanto a Heimdall.
Il cielo trapuntato di stelle comincia a scurirsi e le luci degli astri
divengono più nitide.
Su Midgard, Thor e i suoi amici mortali si stanno preparando per lo
scontro finale, per quello che sperano sia lo scontro finale, almeno.
Una battaglia su di un'isola, una soluzione ingegnosa quanto rischiosa.
Se è vero che l'hanno scelta perché i demoni non
avessero vie di fuga è altrettanto vero che nemmeno loro
avranno modo di ritirarsi se qualcosa dovesse andare diversamente da
come previsto.
Odino guarda Frigga intenta a scrutare le visioni che il Guardiano le
sta mettendo davanti agli occhi. Se i cuori degli umani fossero fatti
di luce, quella piccola casa in rovina in quella città
sull'acqua brillerebbe in mezzo al mondo come una stella.
La regina di Asgard distoglie lo sguardo e lo fissa su suo marito,
accennando un sorriso.
«Sono certa che ce la faranno» dice all'improvviso,
con la sua voce bassa e carezzevole. Una voce che l'eco delle primavere
lontane, di glorie ancora tutte da conquistare. «Sono certa
che torneranno. Entrambi».
Odino annuisce,
«La tua speranza infonde speranza anche a me»
risponde e vorrebbe davvero che fosse la verità.
«Non è così. Tu lo consideri perduto,
tu credi che Loki...» lo redarguisce la dea, ma non ha il
coraggio di terminare la frase.
«Io credo a ciò che vedo, non a quello che voglio
vedere».
Il re di Asgard ha anche il compito di essere duro con chiunque lo
meriti, ha il compito di punire chi viola i suoi ordini o la sicurezza
del regno, come fece con Thor quando lo bandì. Ma Odino ha
dovuto prendere atto di quanto sia inesorabile l'amore di una madre, di
come possa arrivare a sconvolgere anche i disegni di colui che regola
l'universo.
Talvolta ha creduto, scioccamente, che la saggezza lo tenesse al riparo
dai sensi di colpa, che la convinzione della giustizia delle proprie
azioni lo ponesse al di sopra di ogni dubbio. Adesso che il rammarico
è tornato a farsi strada nel suo cuore, trovando terreno
fertile in mezzo ai solchi scavati dalla vecchiaia, Odino ha bisogno di
avere fede in qualcosa e a conti fatti non ha trovato altro che quel
suo credere alla tremenda concretezza dell'amore. L'amore di Frigga per
i suoi figli e per la sua famiglia.
Avevano già creduto Loki morto una volta. Perderlo di nuovo
sarebbe stato un dolore troppo grande, un dolore dal quale lei voleva
preservare tutti loro e lo ha fatto convincendo Odino a intervenire in
un modo che il Padre degli dei non avrebbe mai scelto da solo,
persuadendolo a salvare la vita della ragazza approfittando della
situazione propizia, del fatto che lei fosse la portatrice della pietra
di Borr.
Salvare la giovane mortale significava dare a quegli umani un'altra
possibilità di vincere quella strana, orribile guerra
– una guerra del tutto immeritata. E significava dare a Loki
l'opportunità di salvarsi la vita e di riscattarsi almeno
con se stesso, se non davanti alla giustizia a cui un giorno avrebbe
dovuto rispondere per i propri crimini.
Ma alla fine, Odino sa che lui e sua moglie devono fare i conti con una
certezza che peserà sulle loro teste come una colpa. Hanno
salvato un figlio, forse, ma la ragazza è condannata
comunque.
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Note:
Alla
fine ho affidato le riflessioni sul famigerato (e non ancora
comprovato) legame tra Loki e Nadia al caro Thor. A questo punto
della storia andava fatto un po' il punto sulla situazione di quei
due e ho voluto che fosse Thor a farlo perché mi piace
questa sua
parzialità e il fatto che sia indeciso su cosa pensare, che
con
tutte le sue riflessioni non arrivi a dare una risposta (né
a se
stesso, né a noi) definitiva.
Ma
intanto, Loki è il solito Loki, già... credevate
forse che...? Ma
no! Ah!
E sì,
tecnicamente, Nadia è spacciata.
Un grazie enorme a Sheelen_
per aver segnalato la fanfiction per le storie scelte *_*
State decisamente facendo palpitare il mio cuoricino atrofizzato.
Ci leggiamo lunedì con l'aggiornamento.
Ciauz ^^
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Capitolo 19 *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo diciottesimo
Nadia sente uno strano furore agitarle i pensieri, rimescolarli come il
vento fa con il mare. È una voglia forte, prepotente di
vincere, è un illudersi di potercela fare e di essere
invincibile.
Non si era mai sentita così prima di questo momento.
«Io penso tu
sia una guerriera. Tuo malgrado, ma lo sei»
Glielo aveva detto Loki, quella sera sul terrazzo dell'albergo. Prima
che il cielo crollasse sopra le loro teste, quando lei credeva che
fosse solo un ragazzo e... oh, il ricordo potrebbe farla quasi
arrossire, quando i loro visi erano così vicini mentre
parlavano e lei, in mezzo ai fumi dell'alcol, aveva pensato a quanto le
sarebbe piaciuto che lui si fosse chinato a baciarla. Perché
lo aveva pensato, e non era stata colpa della birra; lo aveva pensato
anche dopo, a mente lucida.
Ammetterlo non le costa niente, non le fa nemmeno male. Dovrebbe averne
paura, ma non è così, ormai tutti i danni
possibili sono già stati fatti. Loki l'ha ingannata,
manipolata, l'ha esposta al pericolo, è entrato nella sua
vita e l'ha sconvolta, distruggendo pezzo dopo pezzo tutte le sue
certezze, quella sua sensazione di essere al sicuro dal Male, quello
con la M maiuscola. Non può farle nient'altro,
può solo ucciderla, ma non ne ha motivo ormai, non ne ha
nemmeno voglia forse.
E Nadia non prova alcun malessere emotivo nel rendersi conto che, se
tornasse indietro, su quel terrazzo, pur sapendo tutto quello che sa
ora, sarebbe lei a baciarlo.
Non c'è un motivo particolare, certe cose sono del tutto
irrazionali. È stata come un'esplosione, lei è
sopravvissuta al colpo, ma adesso ci sono delle schegge che le son
rimaste conficcate nella carne. Loki è una di queste
schegge, la più affilata, la più dolorosa.
Si scopre quasi a sorridere nel chiedersi come si sentirebbe il dio
dell'inganno se lei facesse una cosa del genere. Sarebbe compiaciuto
perché riterrebbe la cosa una sorta di resa o sarebbe
disgustato da un simile contatto con un'umana?
Non importa. Sono domande che non troveranno mai una risposta e si
tratta solo di uno dei tanti rimpianti da aggiungere alla lista,
perché quella è la notte della battaglia e Nadia
sa che potrebbero non farcela neanche stavolta, che quell'isola
è una trappola non solo per i demoni ma anche per tutti
loro, nel caso in cui le cose si mettessero male.
Eppure lei ha solo voglia di andare incontro al suo destino e giocare
quella partita.
Non ha più paura, o meglio ne ha ancora tanta, ma sente che
non è più la paura a guidare le sue azioni.
C'è uno strano senso di voglia di rivalsa: i demoni volevano
ucciderla e lo hanno fatto. Ora vuole vederli andare tutti in cenere,
uno ad uno. Non riesce quasi a pensare ad altro.
Lo sguardo di Nadia si fissa sulle mani di Natasha, intenta a infilare
proiettili nel caricatore della pistola. Quanto vorrebbe saperne usare
una...
Cosa?!
Si stupisce di quel pensiero. Le armi le hanno sempre fatto orrore, non
è mai stata un tipo violento, non lo è diventato
nemmeno adesso, però detesta sentirsi indifesa.
«Tu vieni con me, ok?» dice Clint, parandosi di
fronte a lei.
La ragazza rivolge all'uomo un'occhiata interrogativa.
«Staremo su un punto alto, in modo che i demoni non possano
raggiungerti. E se cominciassero a scalare le pareti, beh, diciamo che
mi inventerò qualcosa»
«Spero che tu abbia molta fantasia» replica Nadia,
con un mezzo sorriso
«Se non fossi stato una spia, sarei diventato un
romanziere».
Hanno aspettato diversi giorni, chiusi in quella casa, che lei si
riprendesse. L'attesa non ha fatto altro che caricarli tutti di
sentimenti bellicosi, forse è per questo che sembrano tutti
un branco di belve inferocite. Forse è per questo che anche
lei si sente così. Nadia spera solo che il furore non faccia
commettere sciocchezze a nessuno – ma non si permette di dar
voce a questo pensiero, a lei potrebbero dare il nobel per la
sciocchezza del secolo!
Non è stata
una sciocchezza, ho salvato Pepper...
Pepper, certo. Lo sguardo di Nadia vaga nella stanza alla ricerca di
Tony. I suoi occhi sono velati da un'ombra cupa, di certo lui
lì è il più furioso di tutti,
è quello che ha più cose da perdere
perché non sta combattendo solo per la sua sopravvivenza e
per un gruppo di sconosciuti. E Nadia sente un'angoscia terribile
stringerle lo stomaco. C'è sempre stato qualcosa tra lei e
Tony, una strana alchimia, una specie di colpo di fulmine e lei non
sopporta l'idea che lui possa perdere la sua personale battaglia per
salvare la sua donna. Anche se Nadia ha la certezza che Tony, che tutti
loro, avrebbero combattuto quella battaglia anche se non fossero stati
emotivamente coinvolti. Loro sono degli eroi, e solo adesso la ragazza
capisce appieno il significato di questa parola.
Sì, deve fare qualcosa, deve almeno provarci.
Si alza di colpo e sale di sopra, al piano superiore dove Loki se
n'è stato rintanato quasi tutto il giorno, con la sua
stolida tendenza a volersi tenere alla larga dal resto del gruppo.
Certo, perché
lui non fa parte del gruppo...
Il dio dell'inganno se ne sta con la fronte appoggiata agli scuri
chiusi, fissa la strada da un piccolo buco nel legno scolorito, ma si
volta appena la sente arrivare.
«Devo chiederti una cosa» mormora la ragazza,
cercando il suo sguardo.
Una scintilla di malizia brilla in fondo agli occhi azzurri.
«La risposta è no a qualsiasi richiesta tu voglia
sottopormi» risponde lui con una punta di dispettoso
sarcasmo.
Nadia scuote la testa e alza gli occhi al cielo enfatizzando
un'espressione esasperata,
«Devi fare una cosa per me» insiste.
« Devo?
Sul serio? E perché mai?»
«Perché alle volte si fanno dei favori agli altri
solo per essere carini. Il papà non te lo ha mai
spiegato?».
Loki assume un'espressione serafica,
«L'ho ucciso prima che potesse farlo» risponde
mellifluo, con uno dei suoi sorrisi crudeli e taglienti.
Ma Nadia ormai è ben oltre l'impressionabilità e
lui sembra accorgersene, perché cambia espressione e assume
un'aria di pacato distacco.
«Cos'è che vorresti?» chiede senza
particolare calore, come a farle intendere che non è affatto
scontato che l'accontenti.
«Voglio che Pepper sia la prima persona a cui estrai il
demone dal corpo. Prima di qualsiasi cosa, prima di chiunque
altro».
Loki arriccia le labbra, torna sarcastico, un serpente velenoso pronto
a mordere.
«Questo genere di favoritismi non è una cosa molto
eroica» le fa notare.
«Io non sono un eroe, infatti». Nadia sostiene il
suo sguardo con durezza.
Loki le si avvicina, comincia a camminare in circolo attorno a lei, a
passi lenti, con le mani incrociate dietro la schiena e le labbra
strette ridotte a una fessura, fingendo un'aria pensosa.
«Vorresti assicurarti che la compagna di Stark venga tratta
in salvo per prima» dice. «Io dovrei preoccuparmi
della salvezza della donna di un mio acerrimo nemico. Perdona se sono
ripetitivo, ma perché mai dovrei farlo?».
Nadia non ha davvero una risposta, non l'aveva pensata in questi
termini.
«La salveresti comunque, devi per forza uccidere tutti i
demoni se vuoi essere libero, no?» replica cercando di
apparire convinta, cercando di dimostrare che quel suo camminare in
cerchio attorno a lei come un avvoltoio non la metta affatto in
soggezione. «Prima o dopo che differenza fa?».
«Se non facesse la differenza non me lo avresti chiesto. Tu
vuoi che il tuo diletto Tony Stark abbia comunque il suo lieto fine,
comunque vadano le cose. Dipendesse da me, ucciderei sia lui che la sua
bionda donzella».
È vero, lo farebbe sul serio. Lo avrebbe già
fatto se avesse potuto, la notte del primo attacco alla Corte
dell'Angelo.
«Mi devi più di un favore. Io ti ho offerto un
bombolone alla crema!» ironizza Nadia, come a ribadire che la
sua crudeltà non basta a impressionarla, non più.
«Non è un'argomentazione sufficiente»
replica Loki, l'angolo della bocca svetta all'insù in un
sorriso sghembo che la ragazza non riesce a interpretare, non capisce
se lui stia solo giocando o se faccia sul serio. «Potresti
convincermi se solo avessi qualcosa da offrirmi in cambio, ma non ce
l'hai. A meno che tu non abbia preso in considerazione l'idea di
amputarti il braccio per farmi avere la pietra».
«Se tu potessi entrare in possesso della pietra semplicemente
amputandomi il braccio, lo avresti già fatto la prima sera
che hai messo piede qui a Venezia».
Loki si ferma di fronte a lei e si picchietta l'indice sul mento.
«Oh, giusto. Allora è come dico io, non hai niente
da offrirmi in cambio».
Nadia ha voglia di tirargli un pugno. Forse qualche secondo prima stava
solo giocando, ma adesso sta davvero cercando di farle perdere le
staffe. E lui farebbe perdere le staffe anche a una statua di marmo.
«Perché? C'è qualcosa che
vorresti?» replica astiosa, pentendosi quasi subito di quella
frase così dannatamente equivoca e fuori luogo.
Quella tremenda avventura l'ha cambiata, la Nadia che era una settimana
fa non avrebbe mai detto quelle parole o quanto meno avrebbe avuto la
decenza di arrossire. La Nadia che era prima e la Nadia che
è diventata adesso hanno almeno una cosa in comune: sono
entrambe due idiote!
«Niente che non mi sarei già potuto prendere da
solo» risponde Loki.
Crash...
L'ultimo scampolo di autocontrollo è andato a farsi
benedire. La mano di Nadia scatta diretta al viso del dio, con tutta la
forza di cui è capace. È un istante, un istante
solo in cui lei fa persino in tempo a immaginare la
brutalità dell'impatto, lo schiocco dello schiaffo contro la
guancia pallida. Ma il colpo non arriva a destinazione, è un
battito di ciglia, un attimo prima che la mano colpisca, Loki le ha
afferrato il polso con uno scatto fulmineo e le sue dita ora si serrano
con veemenza sulla sua pelle.
«Lo dicevo che sei una guerriera» dice il dio con
un sorriso che è quasi terrificante. «Ma hai
ancora molto da imparare».
E prima ancora che Nadia possa rendersene conto, prima ancora di
riuscire a trovare un senso a quelle parole, sente le sue spalle
impattare quasi dolorosamente contro il muro verso il quale Loki l'ha
gettata, tenendola bloccata lì con il suo peso.
Il dio china il capo e preme la sua bocca sulla sua, con prepotenza.
Nadia non vorrebbe dargliela vinta, ma quella è una partita
che lei aveva già perso in partenza perché lui
non ha sentimenti lei invece sì.
La ragazza china il capo all'indietro e lascia che Loki approfondisca
il bacio. Non si aspetta alcuna tenerezza, non c'è nessuna
dolcezza eppure c'è qualcosa di disperatamente caloroso nel
modo in cui lui si ostina a prolungare quel contatto, nella leggerezza
con cui le sue labbra sfiorano quelle di lei nei brevi istanti che si
concede per riprendere fiato.
Loki si stacca lentamente dalla ragazza, senza smettere di fissarla.
Ora Nadia fa una fatica immane a reggere il suo sguardo, ma si
costringe a non abbassare gli occhi.
A un certo punto lui aggrotta le sopracciglia in un'espressione
perplessa, è quasi buffo.
«Di che cosa stavamo parlando?» domanda serafico.
«Fai uno sforzo di memoria, sono certa che ti
verrà in mente» replica Nadia, scoccandogli
un'occhiata penetrante, prima di voltarsi e sparire in direzione delle
scale.
***
«Allora, diamo inizio allo show?» chiede Tony,
passando in rassegna con lo sguardo i suoi compagni, prima di indossare
l'elmo dell'armatura. «Ricordate, la barche sono due grandi
yacht bianchi, si chiamano Angie I e Angie II».
Steve Rogers arriccia il naso,
«Angie?» domanda.
«Come la canzone dei Rolling Stones, aggiornati! È
irritante doverti spiegare sempre tutto»
«Ricapitoliamo» interviene l'agente Romanoff.
«Thor raggiunge l'isola in volo, Stark ci aspetta a Piazza
San Marco e spinge la barca con gli indemoniati fino all'isola mentre
noi saremo sull'altra barca. Appena arriviamo a San Michele, Nadia e
Clint trovano una postazione abbastanza in alto da essere al sicuro, ma
non troppo distanti per permettere a Loki di utilizzare l'energia della
pietra. Se i demoni dovessero disperdersi...»
«Interviene l'Altro» conclude per lei Banner, con
un cenno di assenso.
Tony picchietta le dita contro la superficie lucida dell'elmo. Si
ripete che andrà tutto bene, ma era quello che si era detto
anche la volta precedente e invece era andata a finire con Nadia
pugnalata a morte e i demoni ancora in circolazione.
«Ne abbiamo fatti fuori dieci la volta scorsa»
riepiloga l'agente Barton. «Ne sono rimasti venti, si tratta
solo di raddoppiare gli sforzi».
Se la matematica non
è un'opinione...
Raddoppiare gli sforzi, sembra impossibile. Ma stavolta sono
più preparati e meglio disposti alla prudenza. E stavolta i
serpentelli non possono scappare.
Ma possono fare tante
altre cose. Tutte bruttissime.
«Andrà alla grande» dice Steve Rogers
con aria sinceramente convinta, come a voler dare sicurezza a tutti
loro.
«Ah, non si dicono queste cose, nei film quello che le dice
è il primo che muore» borbotta Tony, agitando
l'indice con aria ammonitrice. «Ma forse quando guardavi tu i
film ancora non c'era il sonoro»
«Stanotte non morirà nessuno» insiste
Thor, mettendo su il suo grugno da divinità dalla scorza
dura.
A proposito di divinità, dov'è la star dello
show? Oh, eccolo lì, in cima alle scale.
«Quando sei più comodo, piccolo cervo»
borbotta Tony, impaziente. «Non vorrai perderti il gran
gala».
Lo osserva attraversare la sala, con il suo solito contegno da
principino. Lo guarda e si chiede cosa ne sarà di lui quando
tutto questo sarà finito, probabilmente Thor lo
prenderà per la collottola e lo riporterà
sull'Olimpo, e lo sbatterà nella più profonda
segreta del suo palazzo d'oro per assicurarsi che non scappi un'altra
volta.
Quale che sia la sorte di Loki dopo quella battaglia, non è
affare loro. Il rocchettaro bastardo si merita di marcire in una fogna
per il resto dei suoi giorni, fine della storia.
E Nadia? Cosa ne sarà di lei quando tutto questo
sarà finito? Se non ha perso la ragione fino a quel momento
non è detto che non lo faccia in seguito. Se non si
è preoccupata della sorte di Loki fino a quel momento, non
è detto che non si aggrapperà all'orlo del
mantello di Thor implorando clemenza per il damerino con le corna,
domattina, quando i demoni saranno spariti dalla circolazione
– si spera – e ogni cosa sarà tornata al
suo posto. Nadia prova qualcosa per Loki e Loki, nel suo modo
assolutamente astruso e oscuro, deve avere un minimo di interesse per
la ragazza, deve pur aver sviluppato un minimo di empatia nei suoi
confronti, è l'unica con la quale riesce a mettere in fila
più di due parole, è più di quanto lui
abbia mai fatto con qualsiasi altro essere umano – se si
escludono quelli che aveva soggiogato con il potere dello scettro.
Tony sente lo stomaco riempirsi di bile, per un attimo crede di essere
sul punto di mettersi a vomitare.
D'accordo, quello non è il momento di preoccuparsi di cose
simili. Aiuterà Nadia a togliersi Loki dalla testa a forza
di martellate in fronte se sarà necessario, ma decisamente
non deve pensarci ora.
«Allora, pronti?» chiede, guardando ancora una
volta la ciurma al completo. Tutti annuiscono.
«Bene».
Tony si infila l'elmo, la visiera cala davanti ai suoi occhi e le
schermate interne si accendono.
«Buona sera, signore» dice compita la voce di
Jarvis.
Un attimo dopo sono fuori, nel piazzale davanti alla casa, schierati
come un plotone di soldati.
«Avanti, facci vedere qualcosa di interessante una buona
volta» dice Rogers voltandosi verso Loki.
Tutti i loro sguardi sono fissi sulla figura del dio dell'inganno,
stagliata contro un muro di pietra. Per un attimo è come un
fermo immagine che comincia a sgranarsi, i contorni del suo profilo
vibrano impercettibilmente e per ogni vibrazione il suo corpo sembra
moltiplicarsi.
Per un attimo, persino la compassata agente Romanoff strabuzza gli
occhi.
Ora ci sono ben sette
Loki davanti alla casa. Peggio del peggior incubo che si
potesse sognare. E non si riesce nemmeno a distinguere
qual'è quello vero.
«Ma che bravo...» borbotta Tony. Per quanto
sarcasmo ci sia in quell'affermazione, Stark deve riconoscere che il
dannato piccolo cervo è bravo sul serio, che sarebbe un
meraviglioso alleato se non fosse pazzo e se stesse dalla parte giusta
della barricata. Per quanto sprezzo ci sia nel modo in cui lo guarda,
Tony sa, dentro di sé, che lo teme; quel volo oltre la
vetrata è un ricordo indelebile nella sua mente, come pure
lo sguardo folle e crudele di Loki mentre lo spingeva nel vuoto.
Quello che evidentemente è il vero Loki fa un cenno e i suoi
cloni partono di corsa disperdendosi per i vicoli di Venezia.
***
Quella dannata città galleggiante non è mai
ferma, c'è sempre il mare che scorre nei canali, che si
increspa per il vento e urta contro gli argini sollevando schizzi.
C'è sempre qualche turista che si attarda o qualche ubriaco
che sembra sul punto di cadere giù da un ponte.
Loki vede tutte queste cose, vede con gli occhi dei suoi replicanti che
corrono, inseguiti dai demoni dai quali si sono fatti trovare.
Non è facile tenere a bada tutto questo e contemporaneamente
correre verso Piazza San Marco, dove sono ormeggiate le barche che
Stark ha tirato fuori non si capisce da dove. Nel mondo dal quale
proviene lui è il rango a dare potere, su quel piccolo
sciocco pianeta invece è il denaro, lì tutto
può comprare, tutto è in vendita. Che cosa
squallida.
Thor è già partito alla volta dell'isola, Stark
starà aspettando su un tetto nei pressi del punto di
ormeggio.
Loki ha una tremenda sensazione di vertigine. I suoi poteri sono
cresciuti durante il suo esilio, ma adesso sta facendo qualcosa al
limite dell'impossibile; non aveva mai provato a controllare le
illusioni di se stesso a una tale distanza. Lo scalpiccio concitato dei
piedi che corrono sul ciottolato si mischia ai rumori che provengono
dalle visioni e lui si sente disorientato. Barcolla, urta contro un
lampione.
«Non ti metterai a fare la femminuccia svenevole proprio
adesso?» ringhia astiosa la voce dell'agente Barton.
«Che cos'hai?» domanda Nadia, afferrandolo
bruscamente per la manica della casacca e trascinandolo lungo la strada
senza attendere una risposta alla sua domanda.
Nella penombra di quella notte assurda, Loki sorride. Quasi lo diverte
il pensiero di ciò che il destino è riuscito a
fare con quella ragazza, le ha fatto tirare fuori i denti, ha sanato
molte delle crepe sulla sua armatura. È un peccato che
presto, troppo presto, scoprirà di essere debole come non lo
era mai stata prima.
Le immagini di diversi luoghi di Venezia vorticano nella sua testa,
davanti ai suoi occhi, impedendogli di vedere la strada. Lui si lascia
guidare dalla ragazza, si sforza di tenere il ritmo di quella corsa
precipitosa.
Potrebbe usare l'energia della pietra per stabilizzare i suoi poteri ed
essere un po' più cosciente di sé, reprimere
quella sensazione di stordimento e nausea ed essere padrone delle
proprie azioni, ma sa che non ne vale la pena. C'è un motivo
ben preciso per il quale ha voluto che la ragazza fosse presente mentre
lui esorcizzava i demoni, un motivo che di certo non poteva permettersi
di condividere con i suoi detestabili compagni di sventura: voleva
attingere l'energia necessaria dalla pietra senza consumare quella che
aveva accumulato nei momenti di calma. Ed è molta,
è riuscito ad assorbire così tanto potere da
poter attraversare l'intero universo, potrebbe sconfiggere qualsiasi
nemico con tutta quell'energia che gli pulsa nelle vene ma non ha
intenzione di sprecarla perché ora ha bisogno di sistemare
le cose, riformulare i suoi piani, darsi nuovi obiettivi.
Come prima cosa, lo
scettro...
L'energia che ha accumulato deve conservarla come un tesoro
perché gli servirà per lasciare quel posto e poi
tornare al momento più opportuno.
Alla fine i suoi disegni su come usare la pietra di Borr non sono stati
del tutto stravolti, sono solo incappati in qualche imprevisto.
Una serie di sfortunati
eventi...
Imprevisti che forse stanno per essere risolti. E magari qualcuno dei
cari Vendicatori potrebbe persino rimetterci la vita, nel frattempo,
suo fratello, perché no? Thor potrebbe avere un qualche incidente durante
lo scontro sull'isola – lui, con tutta l'energia che ha
accumulato, riuscirebbe benissimo ad adoperarsi affinché
questo accada.
No, l'energia mi occorre
per fare altro...
Non può permettersi il lusso di farsi prendere la mano dalla
propria voglia di rivalsa. A Thor penserà in un altro
momento – perché il momento in questione
arriverà prima o poi, ne è certo. Adesso deve
concentrarsi su altro.
«Eccole, le barche» esclama l'agente Romanoff.
«Un tempismo veramente pessimo» ribatte stizzito
Rogers.
Loki scuote energicamente la testa e cerca di mettere a fuoco quello
che ha davanti. Sono sul bordo del molo, dinnanzi alle barche, dal lato
opposto della piazza stanno arrivando i demoni, lanciati come cani
rabbiosi all'inseguimento di una sua copia.
«Sulla barca. Ora!» tuona Barton.
Loki si sente quasi sul punto di crollare a terra quando Rogers prende
Nadia e l'allontana da lui.
«Permetti?» le chiede con fare cavalleresco
– cavaliere anche nel pericolo, diamine, che razza di idiota!
A proposito di cavalleria, comunque Nadia sembra apprezzare
più altri tipi di approccio, o quanto meno non ha avuto
niente da recriminare riguardo al suo di approccio. In tutta
onestà, Loki nemmeno si aspettava che lei avrebbe ricambiato
quel bacio dato per sfregio. Ma nel momento in cui ha risposto alle sue
labbra è diventato qualcosa di...
Piacevole?
Divertente. Sì, divertente. Nient'altro.
La ragazza non capisce cosa voglia da lei il soldato, annuisce
meccanicamente e lui le cinge la vita con un braccio, poi spicca un
salto e atterra sulla barca.
«Io... mi sono ricordato che soffro il mal di mare»
balbetta Banner, dal nulla.
«Non hai portato la rivista di sudoku?» domanda
Barton. «Salta su dottore! A bordo giochiamo a sasso, carta,
forbici».
Loki non capisce di che diamine stiano parlando, fa solo in tempo a
cogliere uno sbuffo di rosso sotto ai suoi occhi, i capelli della
Romanoff che lo sta fissando in cagnesco, come se non aspettasse altro
che una scusa per fare quello che sta per fare: prenderlo di peso e
lanciarlo sulla barca. Lui atterra bocconi sul ponte, con un tale
violenza che a un comune mortale avrebbe certamente rotto qualche osso
– la signorina è forzuta per essere una vulvetta lamentosa.
Si morde le labbra per trattenere un gemito di dolore e si solleva
appena in tempo per vedere il suo replicante salire sulla barca
ormeggiata accanto alla loro, seguito dai demoni che cominciano ad
agitarsi, una volta scoperto l'inganno.
Venti paia di occhi di piombo fuso si puntano su di loro. Gli
indemoniati aprono le bocche come per gridare, ma non esce alcun suono.
Sono sul punto di lanciarsi sulla solo barca, quando Loki avverte le
vibrazioni del motore e lo yacht parte rapidamente verso l'isola.
Mentre si allontanano dalla riva, vedono Stark attraversare il cielo e
sparire in acqua. Sulla superficie nera e lucida del mare della Laguna
compaiono le luci dei propulsori dell'armatura.
Ora che Loki può far sparire le illusioni di se stesso, si
sente decisamente meglio. Si volta, restando steso di schiena sul ponte
della barca e guarda gli altri che sono con lui.
Barton sta guidando lo yacht; Rogers è in piedi, braccia
conserte e sguardo concentrato a osservare l'altra imbarcazione dove
gli indemoniati si dibattono e fanno a pezzi il parapetto; la Romanoff
osserva preoccupata Banner che si è rintanato in un angolo e
ha una faccia decisamente sofferente.
Nadia si china su di lui e lo guarda con preoccupazione.
«Sto bene» le dice subito, in tono infastidito,
cercando di rimettersi in piedi.
La barca sfreccia a una velocità impossibile, sollevando
alti schizzi dall'odore salmastro.
«Che cosa stanno facendo?» dice la Romanoff
all'improvviso, premendosi contro la ringhiera di acciaio lucido per
osservare l'altra barca che è diversi metri dietro la loro.
Gli sguardi di tutti si catalizzano nello stesso punto.
Metà dei demoni si sono lanciati in acqua, con un balzo
agilissimo che li ha portati a cadere vicino alla loro barca. Per
quanto Barton stia spingendo i motori al massimo, quegli esseri nuotano
disperatamente in una scia di spuma bianca.
Dopo una manciata di secondi sentono un tonfo sordo contro lo scafo.
Gli indemoniati cominciano ad arrampicarsi verso il parapetto,
arpionandosi alla fiancata che graffiano con le dita. La barca rulla
come per una tromba d'aria.
La Romanoff prova a sparare oltre le loro spalle, ma il rumore non li
distrae dalla loro piccola scalata.
«Siamo quasi arrivati» annuncia Barton.
«Teneteli a bada solo pochi minuti»
«Ti pare facile!» replica la sua collega,
deglutendo nervosamente.
L'isola è così dannatamente vicina e loro sono
così dannatamente senza speranza.
Se quelle schifose creature fossero sensibili al dolore, Loki
renderebbe incandescente la ringhiera alla quale sono aggrappate, ma
non c'è niente che lui possa fare.
Il Capitano lancia il suo scudo che ruota silenziosamente a mezz'aria,
colpendo gli intrusi aggrappati al lato sinistro della barca.
Metà di loro cadono in acqua.
Sul lato destro, un paio di demoni riescono a salire a bordo. Con quei
loro volti inespressivi e quei loro occhi innaturali e i vestiti
strappati che grondano acqua sembrano cadaveri di annegati che il mare
ha fatto risorgere.
Loki si getta sui due intrusi prima che arrivino a Nadia. È
pur sempre un dio, non avrà la forza bruta di Thor, ma
è comunque più forte e resistente di un comune
essere umano.
Le dita di uno dei mostri che tiene bloccati a terra gli affondano
nella spalla, lacerando la carne. Il dio sente il sangue colare fino al
petto e ringhia di furia.
Un colpo di pistola esplode a pochi centimetri da lui, lasciando
storditi i due indemoniati per qualche secondo, quel poco che basta a
Loki per gettarli in acqua, per poi scambiare un rapido sguardo con
l'agente Romanoff, responsabile dello sparo. In un'altra circostanza,
Loki troverebbe davvero interessante tentare di capire come si sentono
tutti loro a doversi preoccupare della sua incolumità.
«Sei ferito». Nadia fa appena in tempo a
pronunciare queste parole che un demone arriva alle sue spalle,
l'agguanta e la trascina in acqua.
Il demone e la ragazza spariscono sotto la superficie nera del mare.
«No!» Loki lancia un grido di sconcerto che viene
coperto da un sinistro scricchiolio.
«Adesso basta» dice una voce, una voce cavernosa e
vibrante.
I loro sguardi vengono catturati dalla figura che incombe in angolo a
poppa.
Il vento sta portando via gli ultimi brandelli di quella che una volta
era la camicia di Bruce Banner. Al posto del timido dottore adesso
c'è Hulk.
Il gigante verde lancia un urlo da spaccare i timpani, scuote la testa
come un cavallo imbizzarrito e prima ancora che tutti loro abbiano il
tempo di spaventarsi si tuffa in acqua facendo oscillare lo yacht.
____________________________________________________________
Note:
Da qualche capitolo a questa parte, Loki ha smesso di essere
collaborativo con la mia penna. Qualsiasi cosa lui faccia non
è opera mia.
Non so esattamente quali siano i tempi di percorrenza dal molo di
Piazza San Marco all'isola di San Michele, quindi non ho voluto dare
indicazioni di tempo precise senza contare che quello che succede
durante il tragitto è talmente concitato che i tempi della
narrazione sono molto più lenti di quanto siano i tempi
“reali” dei fatti che accadono.
Sì, ehm... forse riguardo all'isola mi sono presa un po'
troppe licenze poetiche, non credo abbia un punto di costa sabbiosa.
Hulk mancava all'appello, un po' mi dispiace che sia
“arrivato” solo ora.
Come si sente Loki a dover gestire i suoi replicanti a distanza
è pura improvvisazione, spero che sia plausibile.
Ci leggiamo sabato con il nuovo capitolo :)
PS: a proposito di Loki. Loki e Thor. Loki e Thor ad Asgard. Loki e
Thor e i loro bei tempi andati e tutta un'altra seire di cose folli...
mi sono cimentata con una breve raccolta di episodi sul passato del
caro Bambi... per chi volesse dare un'occhiata, la storia è
nel fandom di Thor e si intitola Una
goccia di splendore.
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Capitolo 20 *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo diciannovesimo
Nadia sta facendo l'unica cosa che può fare: lottare. Sa che
è inutile, sa che il buio che ha attorno presto
avrà la meglio, come è già successo,
ma non può fare altro che continuare a dibattersi per
cercare di sottrarsi a quella presa d'acciaio che le tiene la testa
sott'acqua.
Trattiene il respiro. Fino a quando non lascia scappare la poca aria
che ha nei polmoni le resta ancora una minuscola, flebile speranza.
Il buio incombe, il silenzio è assordante e fa a brandelli
ogni scampolo di lucidità. Sono solo una manciata di
secondi, resi più lenti dal dolore che ora le assedia il
petto. Il dolore diventa insostenibile e lei lascia andare l'aria che
stava trattenendo. Ora la fine è solo una questione di
tempo.
Il buio è così enorme da sembrare luce e il
dolore sparisce mentre l'acqua le invade la gola, diretta ai polmoni.
E poi è di nuovo dolore. Un dolore strano che non proviene
da dentro ma da fuori, come quando si urta uno scoglio mentre si sta
nuotando. È un impatto forte che fa accendere scintille in
mezzo al buio; è qualcosa che urta violentemente contro il
suo fianco, come un enorme amo che l'arpiona e la trascina via, la
sottrae alla stretta del demone e prima ancora che lei si renda conto,
riaffiora in superficie, con la testa fuori dall'acqua. L'aria che
adesso riesce a respirare fa ancora più male e lei tossisce
violentemente, sentendo la gola e il petto ardere, come se vi fossero
stati conficcati dei chiodi incandescenti.
Il suo cervello impiega tempo a tornare alla realtà. La
realtà è che non è morta, che il cuore
le martella in petto come impazzito e che c'è qualcosa che
sta mulinando in mezzo all'acqua, a pochi metri da lei. Qualcosa di
verde, enorme e rumoroso, che sta afferrando uno ad uno gli indemoniati
caduti in acqua, spingendoli sulla barca che avrebbe dovuto portarli
all'isola.
A proposito di barche? Che fine ha fatto lo yacht con Loki e gli altri?
Nadia si dà una spinta con le mani e i piedi per cercare di
sollevarsi un po' e guardarsi attorno. Il loro yacht ha raggiunto la
riva, quello dei demoni è solo qualche metro dietro di lei.
E il gigante verde... Hulk
non permette agli indemoniati di tuffarsi fuori bordo e tornare da lei.
Nadia guarda la riva dell'isola, una striscia di terra con la cupola
della chiesa che emerge indistinta nel buio della notte. Un lampo
squarcia il nero del cielo, seguito dal rombo potente di un tuono.
La ragazza spera che Thor sappia che se un fulmine finisce in acqua
fanno tutti la fine della frittura di paranza, lei, Hulk, i demoni e
Tony, che è ancora là sotto a spingere la barca.
Hulk non ha l'aria particolarmente rassicurante, ma Nadia sa che non
possono continuare così, con lui che ripesca indemoniati e
li ributta sullo yacht che loro stessi stanno facendo a pezzi.
«Devi portarmi a riva!» grida in direzione del
gigante verde. «Ehi, mi hai sentito?!».
Non sa quanto sia saggio gridargli contro, non sa fino a che punto
quell'essere possa mantenersi abbastanza lucido da capire che non deve
farle del male, ma non ha scelta. Devono andare sull'isola, lasciare
che i demoni li raggiungano e farla finita.
Hulk si gira verso di lei con uno strano grugno.
«Riva» ripete con la sua voce cavernosa. Muove il
braccio a pelo d'acqua sollevando un'enorme onda che avrebbe fatto la
gioia di una squadra di surfisti. L'onda allontana per un po' i demoni
e fa oscillare la loro barca, quel tanto che basta perché il
gigante riesca a darsi una spinta per avvicinarsi a lei.
Istintivamente, Nadia sforza lo sguardo nella penombra, cercando di
rintracciare sul viso di quel tremendo essere i lineamenti di Bruce.
«Con delicatezz... ARGH!». Hulk non le lascia il
tempo di finire la frase, la sua enorme manona cala sul suo stomaco
mentre la prende per portarla via.
Con il braccio libero, il gigante nuota verso l'isola. Sono pochi
secondi di dolore lancinante e di schizzi di acqua in faccia per Nadia
che prima ancora di rendersene conto si ritrova con la faccia nella
sabbia. Ai piedi degli altri Vendicatori già arrivati
sull'isola.
Steve si precipita accanto a lei, facendole poggiare la schiena sul suo
ginocchio e dandole qualche leggera pacca sulla spalla mentre lei sputa
acqua e sabbia. Il vento la fa rabbrividire per il freddo.
«Grazie a Dio, stai bene» mormora Captain America con
un sorriso stremato sotto il cappuccio della dannata calzamaglia.
«Quando penso a Dio, non lo immagino color
smeraldo» replica lei, ridacchiando malgrado le facciano male
il petto e la pancia.
Hulk resta in piedi sul bagnasciuga, spalancando la bocca ed emettendo
un urlo minaccioso in direzione della barca con gli indemoniati che
adesso è a pochi metri dalla riva.
***
Lo scafo dello yacht va in frantumi appena tocca terra. Tony vede la
barca letteralmente sgretolarsi sopra di sé e svetta verso
l'alto. Percorre qualche metro in verticale per avere una visuale
completa della situazione.
«C'è un gran trambusto, signore» osserva
Jarvis.
Gli indemoniati stanno correndo alla ricerca dei loro obiettivi. Tony
allarga lo zoom sul gruppo di persone che corrono convulsamente sulla
spiaggia e individua Pepper, nota che ha i vestiti sporchi di sangue,
quello di Nadia. Deglutisce nervosamente e si fionda verso i suoi
compagni, lasciandosi dietro una scia di luce, come una cometa.
Sono tutti nel cimitero. Nadia e l'agente Barton sono sul tetto di una
cappella, un punto dal quale lui riesce ad avere la visuale di tutto il
camposanto. Gli altri – Hulk compreso, in tutta la sua verde
maestosità – sono in piedi accanto a una fila di
lapidi, e attendono.
L'odore del mare non riesce a coprire lo strano, inconfondibile olezzo
che hanno i cimiteri. Quello è un luogo pieno di storia, ma
è pur sempre un tributo dell'umanità alla morte e
se lui fosse un tipo un po' più suscettibile penserebbe che
è un pessimo segno. Cerca di rimandarsi alla mente le parole
di Thor: stanotte non
morirà nessuno.
Tony vola verso il tetto della cappella. Nadia è
rannicchiata contro il rialzo del frontone, reggendosi al basamento di
una grossa croce di ferro. Sotto il giubbotto di pelle che le ha
prestato Barton i suoi vestiti sono bagnati e lei è coperta
di lividi. Vorrebbe chiederle cosa è successo, non ha ben
capito come siano andate le cose quando gli indemoniati si sono buttati
giù dalla barca. Vorrebbe, semplicemente, che non le fosse
accaduto niente. E vorrebbe dirle qualcosa, ma sente che non
c'è alcun bisogno di aggiungere parole, si limita a far
scattare verso l'alto la visiera dell'elmo per poterla guardare negli
occhi con i suoi occhi e non con quelli di Iron Man, da essere umano ad
essere umano, perché a voler fare gli eroi ha il sospetto
che lei possa essere assai più brava di tutti loro messi
assieme. Si scambiano un lungo sguardo, poi lui si volta verso Barton.
«Mi raccomando, Guglielmo Tell, vediamo di uscirne tutti
quanti tutti interi» dice mentre da lontano arriva il rumore
come di un muro che crolla.
Tony fluttua accanto all'enorme statua di un angelo mezzo ricoperto dal
muschio.
«Odio essere in anticipo ad una festa» borbotta
impaziente.
«Almeno non ti perderai i fuochi di artificio»
replica Steve, sbuffando.
L'attesa diventa una cacofonia di rumori sempre più vicini.
Poi all'improvviso gli indemoniati compaiono facendosi strada oltre una
siepe.
Thor fa roteare il martello che crea un vortice che solleva ciuffi
d'erba e sassolini di ghiaia. Quando solleva il braccio, un fulmine
atterra ai piedi dei loro nemici con un fragore tremendo e loro restano
storditi.
«Un bel modo per aprire le danze, Boccoli d'oro»
ghigna Tony da dentro l'armatura.
***
Loki sposta lo sguardo sui demoni schierati di fronte a loro, come un
plotone di esecuzione.
La ferita sulla spalla pulsa e brucia. Guarirà in fretta, i
suoi tempi di ripresa sono sempre stati molto rapidi, ma ad ogni
movimento che compie qualche rivolo di sangue torna a inzuppargli il
velluto scuro della camicia, sotto le placche dell'armatura.
«Loki!» lo esorta Thor, affiancandosi a lui con le
dita che stringono nervosamente l'impugnatura del martello.
Tra qualche secondo gli indemoniati si riprenderanno dal colpo lanciato
con il fulmine e cominceranno a ingaggiare battaglia. Dovrebbe
approfittare di quei pochi minuti di calma per esorcizzarne quanti
più riesce e invece sta perdendo tempo per, ah, per i corvi di Odino!...
per cercare in mezzo a loro la donna di Stark, come gli ha chiesto
Nadia.
Alla fine non è una cattiva idea. Se per i suoi piani
futuri, per riavere lo scettro, dovrà avere di nuovo a che
fare che gli Avengers, un po' di gratitudine da parte di quel tronfio
guitto di Tony Stark farebbe comunque comodo. Non lo sta facendo per
accontentare la ragazza, lo sta facendo perché la cosa gli
potrebbe tornare utile, se lo ripete più volte, eppure una
volta individuata la donna bionda dal nome astruso, prima di
concentrarsi su di lei, alza istintivamente lo sguardo verso il tetto
della cappella. Nadia tiene gli occhi fissi su di lui e il loro sguardo
pesa come una condanna.
Maledetta ragazza,
dovrei ucciderti...
Loki alza la mano in direzione della donna bionda.
Avrei dovuto farlo molto
tempo fa...
Richiama l'energia della pietra e comincia a usarla contro il demone
che si annida nel corpo della compagna di Stark. Il suo potere e quello
della creatura ingaggiano una lotta invisibile, quello è il
demone che ha resistito più di tutti al suo primo assalto,
è il più potente in mezzo a quel branco di orride
creature e Loki prova un dolore indicibile mentre tende allo spasmo le
sue energie verso quel nemico. La ferita alla spalla si allarga nello
sforzo, lui sente il sangue caldo colargli fino al fianco.
Ferite che si aprono e sanguinano senza che nessuno le veda.
Praticamente, la storia della sua vita.
Il demone oppone una resistenza disperata, ma lui è
più forte. Quella consapevolezza lo fa sorridere malgrado il
dolore e alla fine il demone cede, esce dal corpo lasciandolo esangue
in terra.
Thor lancia il martello verso il serpente di fumo e lo riduce in
cenere.
Il problema è che adesso gli altri si sono ripresi dal primo
colpo, alle loro spalle sollevano centinaia di pietre che fluttuano per
qualche secondo a mezz'aria prima di scagliarsi addosso a loro alla
velocità di una scarica di proiettili.
Il Capitano solleva il suo scudo e si piega leggermente sulle ginocchia
aspettando l'impatto; Stark si solleva in aria; Thor fa ruotare il
Martello perché il vortice respinga i colpi; Hulk fa un
balzo e con una sola bracciata afferra Loki e la Romanoff proteggendoli
dietro al suo enorme corpo.
Sgradevole,
irrimediabilmente sgradevole per quanto necessario.
Come direbbero gli umani, per adesso la partita è 1 a 0 per
loro!
Appena cessato quel primo attacco, Stark vola in picchiata ad afferrare
la sua donna, ancora priva di sensi su una striscia di prato. Chiama il
suo nome ma lei non risponde, sa che non può indugiare
più di tanto con il perdere tempo, così si limita
a sollevarla tra le braccia e a volare fino al tetto della cappella,
deponendola accanto a Nadia, poi torna verso di loro.
«Sarebbe utile ripetere il trucchetto della nebbia»
suggerisce la Romanoff guardando verso Loki, urlando le parole a gran
voce mentre spara ai piedi degli indemoniati per tenerli buoni.
«Loro non vedrebbero noi, ma nemmeno noi vedremmo
loro» fa notare il dio.
«Dobbiamo inventarci qualcosa o finiremo ammazzati prima che
tu li esorcizzi tutti»
Gli spari si interrompono per qualche momento, i demoni hanno
indietreggiato e ora scuotono il capo e strabuzzano gli occhi
argentati, come tanti pesci catturati in una rete che lottano per
respirare.
«Non si possono accelerare i tempi?» domanda
Rogers, lanciando uno sguardo preoccupato ai demoni che stanno per
riprendersi nuovamente.
Loki gli lancia un'occhiata malevola, sta per fargli notare che
è una domanda assolutamente idiota, che se si potesse lo
avrebbe fatto già la volta precedente ma poi si ricorda che
la volta precedente c'era una pedina in meno sulla scacchiera.
Alza lo sguardo verso il tetto della cappella, in quello stesso istante
gli arriva la voce di suo fratello.
«No, non puoi» dice Thor, con la voce che diventa
un ruggito, mettendo su un'espressione dura e furente. Per una volta il
suo ottuso fratello ha capito le cose in anticipo.
«Di che sta parlando?» interviene la Romanoff,
guardandolo sospettosa mentre le sue mani infilano un caricatore nuovo
nella pistola con gesti automatici che i suoi occhi non hanno bisogno
di controllare.
«Di Nadia, naturalmente» risponde Loki.
«Hulk e Stark faranno in modo di raccogliere gli indemoniati
in un unico punto. Io e Nadia tireremo fuori i demoni. Non fate
domande, non ce n'è il tempo».
***
«Che cosa ti sembra stiano facendo?» chiede Nadia
nervosamente, allungando il collo oltre il parapetto del tetto.
«Stanno parlando» risponde Clint, voltandosi verso
di lei. «Di te».
Non capisce cosa sta succedendo là sotto, perché
si perda tempo a discutere invece che a fare qualcosa di costruttivo.
Vorrebbe mettersi a gridare di darsi una mossa ma viene distratta da
una voce flebile che arriva alle sue spalle.
«Tony?...».
La ragazza si precipita verso Pepper e l'aiuta delicatamente a
sollevare la testa. Alla fine Loki l'ha accontentata; alla fine,
comunque vada, Tony non avrà perso la guerra.
Gli occhi della donna sono di nuovo i suoi, lucidi e arrossati,
cerchiati da profonde occhiaie marroni sul viso sudicio. Se Pepper
Potts si vedesse allo specchio ora, probabilmente le verrebbe un
infarto.
«Ehi, va tutto bene, sei salva» le dice Nadia con
dolcezza, facendole posare la testa sulle sue gambe.
La donna ha un tremito e strabuzza gli occhi.
«Nadia!» esclama smarrita. «Mio Dio... tu
stai bene? Io... io... oh, mi dispiace così tanto, io ho
visto quello che accadeva ma...».
«Tu non c'entri niente, eri posseduta» replica con
decisione la ragazza, anche se cerca di non guardare le macchie del suo sangue sui
vestiti di Pepper.
«Sta bene?» chiede Clint senza voltarsi a guardare,
continuando a tenere d'occhio il cimitero sotto di loro, con una strana
freccia incoccata nell'arco.
«Credo che sia sotto shock, ma si riprenderà.
Almeno è quello che dice Loki»
«E se lo dice Loki...» mugugna l'uomo. Come sempre,
ogni volta che pronuncia quel nome, sembra stia masticando fango e
sapone.
Nadia appoggia una mano su quella di Pepper. Vorrebbe che ci fosse Tony
a prendersi cura di lei, vorrebbe che quella notte finisse in fretta.
Alza gli occhi verso il cielo, la luna calante sembra un colpo di
artiglio su una tela nera. Si rende conto che quella notte potrebbe
essere molto molto lunga e quasi non si accorge di Thor che piomba
all'improvviso sul tetto e si china su di lei.
«Nadia...» pronuncia il suo nome pieno di
rammarico, quando la ragazza solleva lo sguardo su di lui vede che il
dio ha gli occhi tristi e un'espressione contrita.
«C'è bisogno di te».
Sta scherzando...
Loki vuole darla in pasto ai demoni per tenerli occupati mentre li
esorcizza? Oh, potrebbe essere un'idea ma non le sembra il genere di
idea che tutti gli altri approverebbero.
Mentre è intenta a formulare questi pensieri sente dei
rumori improvvisi venire da sotto. Pepper sussulta tra le sue braccia e
lei si sente sul punto di avere un infarto.
«Di qualsiasi cosa si tratti, direi che dobbiamo darci una
mossa» replica Clint, lucido e professionale come ci si
aspetta che sia.
«Qualsiasi cosa, basta che la finiamo» replica la
ragazza, cercando di mostrasi senza macchia e senza paura, come gli
altri credono che sia. Accidenti a lei e a quando ha deciso di mettersi
a fare la dura!
Aiuta Pepper a mettersi seduta contro il parapetto di marmo chiazzato
di umidità. Le raccomanda di stare tranquilla e le dice che
presto Tony sarà da lei – non sa quantificare quel
presto, ma
è tutto quello che può fare, al momento.
Sotto di loro, Hulk si è lanciato contro i demoni.
Letteralmente. Ne ha afferrati almeno sei in quelle sue enormi braccia
di cui Nadia ha un bel ricordo violaceo sulla pancia.
Tony ha cominciato a volare attorno agli altri, scampati alla presa del
gigante verde, come quella sera nel vicolo, per legarli con il filo
d'acciaio. Non serve a niente tenerli legati, lo hanno già
sperimentato, nella testa di Nadia adesso c'è il caos e
quasi non si rende conto delle braccia di Thor che si chiudono attorno
a lei. Non se ne rende conto fino a quando la presa salda del dio non
va a premere sui lividi della lotta precedente, facendole vedere le
stelle.
A proposito, Loki era stato ferito anche lui e sembrava un bel po'
dolorante qualche minuto prima. Ma Nadia ha come la sensazione che
è di se stessa che si deve preoccupare maggiormente adesso.
Adesso che è atterrata sul prato in mezzo alle lapidi e il
dio dell'inganno la sta scrutando con una delle sue occhiate
indecifrabili, sotto quel suo strano elmo con le corna.
Un albero di cipresso crolla nel punto in cui sono raccolti. Thor fa
appena in tempo ad afferrarne il tronco e a farlo cadere di lato prima
che li spazzi via tutti.
«Lì dietro!» ordina Steve, indicando una
cappella con le vetrate colorate.
Corrono a rannicchiarsi mentre Tony e Hulk sono ancora impegnati a
fermare i demoni, come se volessero tenerli tutti raccolti in un unico
punto.
«Allora?» chiede lei lanciando uno sguardo ai
presenti. Ma sembra che Loki sia il solo a conoscere la risposta alla
domanda e che non abbia nemmeno particolare voglia di stare
lì a perdere tempo in spiegazioni.
«Li esorcizziamo, tutti insieme in una sola volta. Non posso
farlo da solo, devi darmi una mano» si limita a dire.
«Ti sembro forse Sailor Moon?» sbotta Nadia.
«Lo hai detto tu, la pietra non da nessun potere agli esseri
umani, ergo io non posso esorcizzare demoni».
«Questo è tutto da vedere, ragazza resuscitata da Odino.
Fai esattamente quello che ti dico».
Oh, c'entra Odino e c'entra la resurrezione: lo sapeva che c'era la
fregatura!
Per qualche secondo cala un silenzio quasi innaturale in quel luogo
spettrale. L'unica cosa che Nadia riesce a sentire è il
battito del suo stesso cuore che le fa eco nelle orecchie.
«Stavamo dicendo?» mormora, cercando di non
apparire troppo esasperata.
Tony arriva in volo, atterrando di fronte a loro.
«Qualsiasi cosa tu debba fare, falla adesso» dice
rivolto a Loki e anche da sotto l'armatura si sente che ha la voce
esausta.
Nel silenzio cominciano a rimbombare le grida graffianti di Hulk.
Nadia sussulta e si appiattisce contro il muro. Loki l'afferra per una
manica e la solleva in piedi.
«Sparate, fate confusione, stordite i demoni. Al resto
pensiamo io e la ragazza» conclude il dio dell'inganno.
Pensarci io e lui?
«Sei impazzito del tutto?» esclama la ragazza
mentre il dio la trascina con sé.
«Devi fidarti di me. Farà male, non
sarà piacevole, ma funzionerà» risponde
lui.
Nadia guarda il suo profilo pallido nella penombra della notte,
chiedendosi quante persone si siano mai fidate di lui, domandandosi se
quelle persone ora siano ancora vive.
«Hai mentito per tutto questo tempo? Posso usare il potere
della pietra?» gli domanda in un filo di voce.
Un attimo dopo tutto si trasforma in una cacofonia di spari. Gli
indemoniati sono legati stretti gli uni agli altri dal filo di acciaio
di Tony, con Hulk che gli gira attorno come uno squalo. Il frastuono li
stordisce rendendoli innocui, almeno per un po'.
Loki si chiana sull'orecchio della ragazza, urlando per farsi sentire,
finalmente disposto a darle una specie di spiegazione.
«Non è così semplice. Odino ha usato il
suo sangue per salvarti quindi l'energia della pietra si lascia
assorbire dal tuo corpo. Che tu sia in grado di usarla è un
altro paio di maniche» le dice. «Ma adesso dovrai
fare uno sforzo e io ti darò un piccolo incentivo».
«Grandioso...». La parola si perde nel caos.
Nadia nota con orrore che gli indemoniati stanno per spezzare il filo
di acciaio, per quanto intontiti dagli spari. Sente ogni muscolo del
suo corpo tendersi e irrigidirsi, ha quasi paura che le vengano i
crampi per l'agitazione. Non è affatto sicura di capire
quello che le è stato detto e non è per niente
certa di riuscire a fare quello che il dio si aspetta da lei.
Si ferma accanto a Loki, in un punto abbastanza vicino ai demoni ma
fuori dalla traiettoria degli spari. Thor è alle loro
spalle, pronto a usare il suo Martello miracoloso.
Io non posso farcela...
«Come posso esorcizzare i demoni se non so usare il potere
della pietra?» urla senza guardare Loki in viso.
«In questo modo» risponde lui.
Nadia fa appena in tempo a vedere il baluginio di una lama brillare nel
buio. Loki le afferra il polso e le apre un taglio profondo sul palmo
della mano, procurandole un gemito di dolore. Poi fa la stessa cosa con
la mano di Thor e unisce i due palmi sanguinanti. Le due ferite pulsano
l'una contro l'altra e la ragazza osserva smarrita il viso del dio del
tuono. Ha la sensazione che lui non si stia prestando volentieri a
quella specie di rito.
«Che cosa...». Sta per fare l'ennesima domanda che
probabilmente resterà senza risposta, ma non riesce a finire
la frase. Il cuore ha un battito fortissimo e doloroso e lei si piega
sulle ginocchia boccheggiando per lo stupore e per il male che sente
spandersi in tutto il corpo. È quella l'energia di cui
parlava Loki, la sente scorrere come veleno. Aveva immaginato che fosse
una sensazione piacevole di calore e invece è qualcosa di
devastante, di venefico, di estraneo...
Vorrebbe ribellarsi a quell'invasione, a quel qualcosa che le sta
scorrendo dentro lasciandosi dietro una scia di sofferenza, ma non
può, non sa come fermarlo.
«Nadia!». Loki le stringe una mano sulla spalla e
la scuote. «Ora devi ascoltarmi, passerà presto,
ma devi ascoltarmi!».
Solleva a fatica lo sguardo sul dio dell'inganno. Lo sta odiando per
quello che le ha fatto in quel momento. Vorrebbe pensare che
è per il bene di quelle persone e di tutti loro, ma adesso
sente solo il suo dolore.
«Ascoltami» ripete Loki cercando di imprimere a
quelle parole una punta di dolcezza, le posa una mano fredda sotto al
mento facendole alzare delicatamente la testa. «Sei una
guerriera e puoi farcela, sei arrivata fino a qui, non puoi mollare
proprio adesso, non c'è un limite oltre il quale si
può abbandonare la partita, rammenti?».
Se fosse un po' più lucida, si chiederebbe come è
possibile che riesca a sentire la voce di Loki in mezzo a tutto quel
frastuono.
«Guardali, alza il braccio» intima il dio.
Lei obbedisce meccanicamente, con il corpo in balia di quella strana
febbre.
«Puoi vederli, i demoni dentro ai corpi. Valli a
prendere».
Le parole di Loki sembrano arrivare da dentro la sua testa, come se
fossero pensieri della sua mente e non la voce di qualcuno
dall'esterno. E proprio come se fossero pensieri creati da lei stessa,
Nadia riesce a comprenderli perfettamente anche se non capisce come.
Comprende ed esegue.
Ora li vede, come li aveva visti la prima volta alla Corte dell'Angelo,
prima che gli altri riuscissero a scorgerli. Li vede e vede un altro
fiume di energia che proviene da Loki, strisce luminose che fluttuano
intrecciandosi nelle maglie di una rete. Guarda quei fili, guarda
quegli intrecci e più li guarda più l'energia che
sente dentro di lei fluisce nella stessa direzione, rendendo la rete
sempre più ampia. E più l'energia fluisce fuori
dal suo copro più il dolore si attenua e la sua mente torna
lucida.
«Ci stai salvando tutti» sente dire alla voce di
Loki.
Ora la rete sembra grande come il cielo stesso. Cala sui demoni e lei
li vede rimanere impigliati nelle maglie di luce, dibattersi per
scappare e opporre resistenza per non venire trascinati via. Sente il
dolore aumentare di nuovo mentre quegli esseri fanno forza per opporsi
e l'energia si concentra di nuovo dentro il suo corpo per vincere
quella resistenza disperata.
Alla fine è solo come strappare via una pianta selvatica
particolarmente coriacea. E lo strappo fa un rumore tremendo dentro le
sue orecchie, un rumore che risucchia tutto, il dolore, la luce, la
voce di Loki...
Nadia cade sulle proprie ginocchia e si puntella sui palmi delle mani
per non finire bocconi sulla ghiaia. Si sente stravolta, ma il dolore
è sparito; ora ha di nuovo coscienza di sé e i
suoi occhi sono tornati a vedere come quelli di un normale essere
umano. Fa in tempo a vedere l'enorme fulmine che si abbatte sui demoni
che fluttuano a mezz'aria, disperdendoli tutti in una grossa nube di
cenere.
Hanno vinto. Ora può chiudere gli occhi e riposare.
Tiene gli occhi chiusi, ora che non ha più ragione di temere
il buio, ora che non c'è più pericolo. Resta
ferma per un tempo lunghissimo, senza nemmeno preoccuparsene, senza
nemmeno pensare alle mille domande che sicuramente più tardi
le assalteranno il cervello.
Sente qualcuno chinarsi su di lei, alle sue spalle, afferrarla e
stringerla in un abbraccio convulso. Sente la dura consistenza delle
placche metalliche di un'armatura, il tessuto morbido di un mantello
solleticarle in viso.
Loki...
«Nadia». La voce che chiama il suo nome non
è quella del dio dell'inganno. È Thor quello che
la sta abbracciando, che le sta accarezzando i capelli, e lei lo
stringe di rimando, appoggiando la fronte contro il suo petto prima di
scoppiare in un pianto a dirotto.
Non sa per quanto tempo rimane rannicchiata tra le braccia del dio, a
piangere fino a sentire la testa quasi svuotarsi dai ricordi, mentre le
lacrime si perdono tra le pieghe del mantello color porpora.
Quando la crisi di pianto comincia a scemare, la ragazza diventa
consapevole degli sguardi puntati su di lei. Si alza lentamente, senza
staccarsi da Thor, e fissa gli Avengers guardarla attoniti e
preoccupati. C'è anche Pepper, che si regge malferma al
braccio di Tony.
Dietro di loro ci sono diciannove corpi privi di conoscenza. Diciannove
corpi più uno, a dirla tutta: c'è anche Bruce che
ha ripreso le sue sembianze innocue, steso a braccia aperte su una
tomba, con addosso solo quello che resta di un paio di pantaloni beige.
Hanno vinto. Forse è il momento di dire qualcosa di
eloquente e solenne.
«Sbaglio, Colombina, o ci avevi promesso qualche consiglio in
merito a un buon ristorante?» dice Tony. Eloquente e solenne,
per l'appunto.
Nadia ridacchia e scuote la testa.
«Dammi solo il tempo di farmi una sciacquata di
viso» risponde.
Thor la lascia andare con estrema cautela, assicurandosi che non caschi
a terra una volta priva di appiglio. Il dio del tuono sorride,
«Hai visto, fratello?» dice, facendo per voltarsi
alle sue spalle. «Possiamo ancora combattere insiem...
Loki?».
Ha parlato al vuoto, dietro le sue spalle non c'è
più nessuno.
Nadia batte una mano sul braccio di Thor che ora ha un'espressione a
metà tra l'afflitto e il deluso. Lei non si sente
né afflitta né delusa, e nemmeno arrabbiata.
Se n'è
andato, come aveva detto...
Sa solo che quella scheggia si è conficcata un po' a fondo
dentro di lei e che dovrà convivere forse per tanto tempo
con il male che fa.
__________________________________________________________________________________
Note:
Siamo
quasi in dirittura d'arrivo, mancano tre capitoli e l'epilogo
alla conclusione di questa storia.
So che la verità sulla condizione di Nadia non è
stata ancora
spiegata e non si è capito bene cosa sia successo, ma del
resto
mancano ancora tre capitoli e l'epilogo.
Il prossimo aggiornamento non riuscirò a pubblicarlo prima
di una
settimana, perché lunedì parto, ma prometto che
entro sabato ci
sarà il nuovo capitolo.
Grazie
di nuovo a tutti.
Alla prossima.
|
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Capitolo 21 *** Capitolo ventesimo ***
Capitolo ventunesimo
Il tizio in frac e guanti bianchi dietro la lussuosa reception del
Danieli sembra sul punto di farsi venire un attacco di panico mentre
passa in rassegna il colorito gruppo di personaggi che ha davanti agli
occhi, entrati pochi secondi prima al seguito di uno dei più
illustri clienti dell'albergo.
«Signor Stark... bentornato» farfuglia titubante,
mentre allunga verso Tony la chiave della sua suite. Nessuno
può dire di no a un genio miliardario, anche se si presenta
in uno degli hotel più lussuosi del mondo con al seguito un
crocchio di persone che decisamente non fanno pendant con
l'ambiente.
Bruce è praticamente senza vestiti, avvolto nel mantello di
Thor; Nadia sembra uscita da una discarica dopo aver avuto un incontro
di lotta libera con una lavatrice rotta; Clint e Natasha hanno i
vestiti appiccicati addosso dal sudore e le mani lerce; Steve
è in tenuta da Captain America, e la tenuta avrebbe bisogno
di una lavanderia; Pepper sembra essere stata appena ripescata in un
canale; e poi c'è Thor, che è qualcosa di
impossibile da commentare.
«Dunque» dice Tony con tutta la disinvoltura del
mondo. «Mi occorrono delle camere dove sistemare i miei amici
per qualche giorno. Cinque stanze, quindi».
Il volto del portiere diventa cereo mentre annuisce meccanicamente e
comincia ad armeggiare con il computer. Nadia si sente sul punto di
scoppiare a ridere.
«Mia madre avrebbe fatto meno storie» bisbiglia
all'orecchio di Tony.
Li avrebbe volentieri ospitati tutti nell'albergo della sua famiglia,
ma non avrebbe saputo come spiegare ai suoi genitori lo stato in cui si
trovano. Lei stessa ha in programma di tornare a casa prima che faccia
mattina, così da potersi dare una sistemata e apparire
davvero come se fosse appena tornata da uno stage a Milano. Anche se
è certa che qualcosa, in fondo ai suoi occhi, la tradirebbe
comunque, anche se recitasse alla perfezione il ruolo di quella a cui non è accaduto niente.
Tony lascia una generosa mancia al portiere, ma nemmeno tutto l'oro del
mondo sarebbe sufficiente a fargli togliere dalla faccia
quell'espressione stravolta. A lui si uniscono i facchini preposti ad
accompagnare i nuovi ospiti nelle rispettive camere.
«Oh, sarebbe possibile avere delle ciambelle
glassate?» chiede il signor Stark con aria speranzosa.
Il portiere sbatte le palpebre,
«Possiamo senz'altro provvedere, signore» risponde,
con la voce leggermente stridula per il nervosismo.
«Eccellente!».
«E la... ehm, signorina?» chiede uno dei facchini,
guardando Nadia.
«La sua famiglia ha un albergo qui a Venezia, è
venuta a fare dello spionaggio industriale» spiega Tony,
posandole un braccio sulla spalla. «Per la precisione vuole
sapere come è arredata la mia suite».
La suite di Tony e Pepper è spaventosa per quanto appare
lussuosa. Nadia ha quasi soggezione a respirare lì dentro,
con quell'aria che odora di fiori.
Dall'ampia vetrata che affaccia sul Canal Grande si vede l'alba
cominciare a rischiare il cielo di Venezia.
Tutti i brutti incubi finiscono con l'arrivo della luce del giorno.
La ragazza si circonda il busto con le braccia, per provare a scacciare
quella terribile sensazione di freddo e di vuoto.
È stato davvero un incubo, ma è stato
così grande
che adesso che è tutto finito si sente quasi persa, non sa
come fare per tornare alla vita di tutti i giorni, senza nessuno con
cui poter parlare di tutta quella storia, senza nessuno che possa
capire. Ma non deve pensarci adesso, loro sono ancora lì e
lei ha ancora da mantenere la promessa riguardo al portarli a pranzo in
un posto come si deve.
«Ho bisogno di una doccia» dice, voltandosi a
guardare Tony che ha appena messo a letto Pepper. Sembra che lei
starà bene, ma quei demoni bastardi non si sono presi molta
cura dei corpi che avevano infestato, per cui adesso lei ha bisogno di
riposo – e probabilmente anche di tornare a fare pasti
regolari, è davvero sciupata e forse le ci vorrà
del tempo per riprendersi.
«Certo che ne hai bisogno!» esclama lui.
«Serve a tutti quanti un bel bagno nel mercurio».
L'uomo apre un mobiletto e ne estrae un kit per il pronto soccorso.
Nadia lo guarda armeggiare con una bottiglia di disinfettante,
dell'ovatta e delle garze in una confezione di plastica. È
iperattivo ai limiti del patologico, dovrebbe essere distrutto per
tutto quello che è successo e invece il sollievo per aver
salvato la sua donna e distrutto i demoni sembra averlo caricato.
Tony le prende la mano e le fa aprire le dita. Al centro del palmo il
taglio rosso è incrostato di sangue rappreso.
Nadia sente dolore ogni volta che muove anche solo leggermente la mano
e a ogni fitta un paio di occhi azzurri brillano nella sua mente come
luci al neon.
Tony tampona con cautela il taglio; il disinfettante brucia a contatto
con la carne viva.
«Lascerà il segno?» domanda lui mentre
avvolge diversi giri di garza tra l'indice e il pollice della ragazza.
L'odore di alcol si mischia al profumo di fiori.
Nadia solleva lo sguardo, fissando gli occhi in quelli del suo
interlocutore.
«Dovremmo chiederlo a Bruce, forse» mormora
scrollando le spalle.
L'uomo inarca un sopracciglio e le lancia una lunga occhiata.
«Non stavo parlando della ferita alla mano».
«Oh».
La ragazza prende un grosso respiro. Non sa se è pronta ad
affrontare l'argomento, non sa se riuscirà mai ad esserlo.
Che cosa si aspettano che dica? Che cosa pensano che lei provi?
Ha diritto anche a tacere, se vuole, un diritto che si è
guadagnata con tutto quello che ha fatto, ma ha la sensazione che la
domanda di Tony sia più che altro una domanda retorica, che
lui sappia tutto quello che c'è da sapere e che invitandola
a parlarne voglia solo aiutarla.
«Sono sopravvissuta, è un buon punto di partenza
per cominciare a dimenticare la parte peggiore di questa
avventura» risponde, semplicemente.
«Ah, c'è anche una parte migliore?» la
incalza lui.
«Sei così narcisista che hai bisogno di sentirtelo
dire, signor Stark?».
Tony sorride e scuote la testa. La luce dell'alba diventa
più nitida, più simile alla luce del giorno, del
domani che bussa alle finestre con il suo bagaglio di
normalità.
«Cosa è successo quando tu e il cervo fuggiasco
avete fatto la macumba ai demoni?» aggiunge l'uomo.
«Gran bella domanda, signor Stark. Non ne ho idea, so solo
che all'improvviso ho sentito l'energia della pietra e ho saputo
usarla» risponde Nadia, deglutendo. Non è una
bella domanda, è una domanda pessima, che le fa venire i
brividi. «Credo ci entrasse qualcosa il sangue di Thor, di un
asgardiano, come quello di Odino usato per resuscitarmi. Ma credo che
non lo sapremo mai e non importa, non sono previsti altri attacchi di
demoni, giusto?».
Lei si sforza di sorridere e Tony di assecondare il suo sorriso.
Ci sono altre domande, ma restano sospese, una tra tutte: e Loki?
Sì, è molto meglio che quella domanda venga
taciuta, perché quella decisamente non è la parte
migliore della storia e nemmeno quella meno dolorosa.
***
Nadia ha fatto una doccia, gli ha detto che voleva arrivare a casa
prima che i suoi si svegliassero, per avere il tempo di nascondere con
un po' di trucco i segni della stanchezza e inventare qualche bugia
credibile sul fantomatico stage di fotografia a Milano.
Tony le ha prestato dei vestiti di Pepper, per farle mettere addosso
qualcosa di pulito che non avesse il sentore del sangue, dell'acqua
melmosa della Laguna e del terriccio, poi le ha chiamato un taxi e ha
pensato per l'ennesima volta nella sua vita che non mettere al mondo
figli è un'ottima idea. Naturalmente Nadia è
troppo cresciuta per poter essere una sua figlia ipotetica, ma
l'affetto che ha sviluppato per lei gli sembra qualcosa di molto simile
alla paternità e vederla andare via gli sta procurando uno
strano senso di vertigine, un tuffo allo stomaco. Roba troppo indigesta
per un genio spoetato...
E poi che diamine ne sa lui della paternità? Il suo augusto
genitore non è stato esattamente un fenomeno in effetti, e
ci sono cose di cui il grande Tony Stark può fare
assolutamente a meno.
Lo pensava anche dell'amore, ad esempio, poi però era
arrivata Pepper Potts e gli aveva insegnato l'esatto significato del
termine necessità.
Lei gli è necessaria, senza ma e senza se. E non solo
perché lui non ricorda il suo dannato numero per la
Previdenza Sociale.
E alla fine, dopo tutto quello che ha visto accadere, il brillante
signor Stark si sta quasi
rassegnando all'idea di non poter tenere sempre tutto sotto controllo,
comprese quelle farfalle che si annidano nello stomaco di ogni essere
umano e che fanno gare di volo ogni volta che si incrocia la strada di
una persona speciale. E Nadia è una persona speciale...
incasinata come un adolescente magari, con pessimi gusti in fatto di
ragazzi sicuramente, con una malsana e inspiegabile passione per la
musica jazz, eppure, mentre sta per uscire dalla camera per tornare
alla sua vita Tony la chiama, la fa voltare e il suo cervello da
miliardi di dollari di fatturato annuo ha un attimo di black-out prima
che a lui venga in mente qualcosa da dirle.
«Ehi, ehm... che ne è della promessa di portarci a
mangiare in un buon ristorante?» le chiede con un sorriso
obliquo.
«Ci vediamo domani mattina alle undici, signor Stark. Procura
dei vestiti da essere umano per Thor» risponde lei,
facendogli l'occhiolino per poi sparire oltre la porta di legno scuro.
Thor, ma certo!
Tony lo conosce bene, quello sfavillio che si accende nel cervello e fa
luce su un'idea... non a caso i comuni mortali parlano di avere un'illuminazione.
A lui capita spesso, in media una volta ogni ora.
Esce dalla suite, armato del suo cellulare, percorre il corridoio alla
ricerca della stanza dove hanno sistemato Thor e una volta arrivato
bussa energicamente, non ottenendo risposta. Preme dei tasti sul suo
apparecchio, una luce rossa si sprigiona dal display e passa lentamente
sul legno attorno alla serratura, che un secondo dopo scatta aprendosi.
Il caro dio dalla chioma dorata è steso sulla pancia su un
grande letto, con il viso che affonda in una pila di cuscini. Anche le
divinità con i capelli da spot pubblicitario di una marca di
shampoo possono essere sfinite.
Tony picchietta una mano sulla spalla di Thor che sposta appena la
testa e impasta la bocca.
«Ancora cinque minuti, madre...» bofonchia il dio,
con la voce ovattata.
Stark strabuzza gli occhi e lo strattona con più forza. Thor
solleva le palpebre di colpo, con uno scatto fulmineo si volta sulla
schiena e allunga il braccio per chiamare a sé il Martello,
un attimo prima di realizzare che la persona che lo ha svegliato non
deve essere fatta a pezzi, forse.
«Il riposo è un'attività a te
sconosciuta, uomo di metallo» borbotta il dio, visibilmente
interdetto per essere stato svegliato.
«Sai, noi cervelloni abbiamo sempre qualche tarlo che ci
tiene svegli» replica Tony con un'alzata di spalle, poi
prende una poltrona e la avvicina al letto. Riposerà, certo,
tra qualche minuto però. «Da dove vieni tu non
esistono i jeans?»
«Come?... mi hai svegliato per discutere di
abbigliamento?»
«No. Ma era da un po' che volevo chiedertelo e ho
approfittato del momento di intimità».
Thor si stropiccia il viso con le mani e sbatte le palpebre, cercando
di mandare via gli ultimi residui di sonno. Il possente Thor,
sembra un tenero, tonto orsacchiotto formato gigante.
«In che cosa posso esserti utile, Tony Stark?»
domanda, ostentando un tono gentile e affabile.
«Volevo sapere che cosa ha fatto il caro fratellino con Nadia
quando hanno cacciato i demoni. Mi sembrava una cosa vagamente
inquietante, sai di quelle cose che fa lui insomma. E visto che
è servita la tua sanguinolenta partecipazione ho supposto
che tu ne sapessi qualcosa».
Thor aggrotta le sopracciglia dorate,
«Non ne so molto. Ah, mia madre aveva ragione, avrei dovuto
prendere esempio da Loki in fatto di amore per gli studi!»
risponde con aria crucciata. «Credo c'entri la pietra e il
fatto che mio padre l'ha riportata in vita, ma non so nello specifico
come abbia fatto Loki a fare in modo che lei la usasse e con
così tanta forza... immagino che sia perché la
pietra risponde solo a un asgardiano e se il sangue di Nadia
è entrato in contatto con il mio, è probabile che
per qualche tempo il gioiello abbia lasciato che lei assorbisse
l'energia».
Tony si massaggia le tempie. Può capire molte cose, compreso
un trattato di fisica nucleare letto nell'arco di una sola nottata, ma
non può sentir parlare di magia senza che gli venga
l'emicrania.
«Stai dicendo cose senza senso» borbotta, guardando
il suo interlocutore con aria afflitta.
Thor fa un mezzo sorriso,
«Me lo hanno già detto. Tu dai un nome differente
alle cose, Tony Stark, e tendi anche a complicare la
faccenda» risponde. «Quello che ti interessa sapere
non è cosa sia successo davvero stanotte, semplicemente vuoi
chiedere se Nadia starà bene».
«Uhm, non sei poi così tonto»
«Il benessere di quella ragazza sta a cuore a tutti noi.
Purtroppo non ho risposte certe per le domande al riguardo»
«Oh, per un attimo ho pensato che stessi per darmi qualche
buona notizia, è un po' che non se ne vedono da queste
parti. Come facciamo a saperlo?» incalza Tony.
«Dovremmo chiederlo a...». Thor alza gli occhi al
cielo e sospira afflitto.
«A Loki, certo. A proposito, hai intenzione di lasciarlo
ancora a piede libero per la galassia e aspettare che incontri Darth
Vader o hai già un piano in mente?»
«So come fare per cercarlo quando sarò tornato ad
Asgard, ma ritengo che dopotutto si meriti un discreto
vantaggio».
***
Nessuna luce accompagna il suo passaggio, non è come
viaggiare attraverso le strade rivelate dal Bifrost o venire sospinti
dal varco del Tesseract. Quello che ha appena sperimentato è
più simile a uno strappo, come se il sangue e il respiro
venissero polverizzati per poi ricomporsi in un altrove remoto.
Non è stato piacevole, ma non importa. È salvo e
al sicuro, non conta nient'altro.
Loki atterra su una superficie di pietra nuda e si lascia cadere
seduto, con la schiena poggiata contro un masso. Si toglie la casacca e
la blusa, le getta stizzito contro il terreno duro e infila una mano ad
allargare l'apertura della camicia di velluto scuro. La ferita sulla
sua spalla è una macchia rossa sulla pelle pallida, pulsa e
continua a sanguinare. Sa che deve guarirla in fretta, non
può permettersi di essere debole, ma ha perso molto sangue e
per guarire gli occorre attingere alla sua riserva di energia.
Il dio dell'inganno alza lo sguardo sul cielo color pece, privo di
stelle.
Negli anni in cui assimilava con voracità tutto
ciò che la sua fame di conoscenza reputava interessante, ha
imparato a memoria le mappe degli spazi vuoti di universo tra i nove
regni, ha scoperto che non sono affatto vuoti, ma sono pieni di lingue
di terra deserta e arida sospesa nel nulla. Ed è su una di
quelle terre che si trova adesso, non può rimanere a lungo,
da Asgard potrebbero intercettarlo da un momento all'altro, appena Thor
farà ritorno alla casa di Odino annunciando la sua fuga.
Anche se ha come la sensazione che il suo beneamato fratello non
farà subito ritorno alla patria eterna: la debolezza e il
sentimentalismo che lo lega a quegli umani può essere
più forte persino del senso del dovere, della
necessità di dare la caccia a lui, al traditore, al
rinnegato... o forse Thor gli vorrà concedere un po' di
vantaggio, pensando che anche lui abbia occasione di riposare,
perché c'è sentimentalismo e debolezza anche in
quello che prova nei suoi confronti, nelle vane speranze che nutre per
lui, nel desiderio di ritrovare un fratello che non è mai
esistito.
Sono fuggito ancora. Non
mi avrai mai in catene, figlio di Odino.
Il pensiero si accende nella sua testa, come un lampo che preannuncia
un temporale. Ogni volta che indugia nel pensare a cose simili, poi la
sua mente precipita in un buio tunnel di astio e voglia di rivalsa che
lo rende cieco e che lo distrae. Non deve pensare a quelle cose ora,
deve pensare ai suoi piani, deve pensare alla ragazza.
Ha fatto i suoi calcoli, ha pensato a come fare per sfruttare al meglio
le sue risorse di energia, non importa se quel momentaneo esilio e se
il viaggio di ritorno su Midgard – quando sarà il
momento – esauriranno le sue scorte; quando sarà
di nuovo con lei potrà attingere ancora altra energia dalla
pietra di Borr, adesso deve pensare alle cose da fare, un passo alla
volta.
Ora Nadia sarà a casa, si crederà al sicuro,
resterà di quell'avviso per un paio di settimane, forse,
prima che comincino i sintomi.
O più probabilmente la ragazza sarà insieme ai
suoi eroi a brindare alla vittoria e a pensare con sollievo di essersi
liberata di lui.
In effetti, essersi liberati della reciproca presenza dovrebbe essere
un sollievo per entrambi, ma Loki non si sente affatto sollevato. Ora
che lei è diventata una pedina sulla sua scacchiera, detesta
non poterla tenere a vista, non essere in grado di controllarla, non
esserle vicino per sapere cosa passa in quella sua confusa testolina da
umana bellicosa.
Scuote la testa, si stropiccia il viso con le mani. Deve smetterla di
angustiarsi per simili sciocchezze, ha predisposto ogni cosa, conosce
la ragazza, sa bene come andranno gli eventi. Eppure quel silenzio e
quel buio lo inquietano, è un'irritazione che non
confesserebbe nemmeno a se stesso, ma non vorrebbe trovarsi
lì. Si era quasi abituato alla confusione di quella
città sull'acqua, al continuo movimento del mare che lambiva
le sue strade, che adesso tutta quella silenziosa immobilità
gli sembra insostenibile. Si era quasi abituato a non...
...essere più
solo?
… ad avere qualcuno da tormentare con la sua sola presenza.
Si era quasi abituato a bearsi per la paura e l'irritazione che
riusciva a provocare.
Adesso invece prova...
… nostalgia?
… noia. Forse che lo starsene rinchiuso in quella casa ha
esaurito la sua proverbiale pazienza?
Non importa, lui è un dio – se lo ripete ancora
una volta, come se fosse una rassicurazione – e gli dei non
cambiano e non si piegano agli eventi. Gli dei godono delle ombre e dei
silenzi, li usano come alleati. Gli dei non hanno bisogno di alcuna
compagnia.
E soprattutto, un dio non ha bisogno di riposare quando così
tanti progetti aspettano di essere attuati. Loki stringe i denti e si
sforza di rimanere lucido, malgrado la stanchezza e la debolezza
indotta dalla ferita.
Deve pensare, dunque. Deve pensare a Nadia. Se non altro, sono pensieri
privi di odio.
Le darà un po' di tempo per crogiolarsi nelle sue rinnovate
sicurezze, prima di farle visita. Le notizie che ha da darle saranno di
una tale portata e saranno così devastanti per un'anima che
si credeva già in salvo che sicuramente la ragazza
crollerà, avrà paura, cederà al panico
e farà quello Loki si aspetta che lei faccia: chiedere
l'aiuto dei suoi nuovi amici.
__________________________________________________
Note:
Questo capitolo ha un che di demenziale, lo so... ma il nemico
è
stato battuto, il peggio è passato e io volevo divertirmi un
po'.
Chi coglie il riferimento alla battuta sul numero della Previdenza
Sociale vince un reattore Arc da usare come lampada sul comodino.
In quanto a Loki... ve l'ho già detto, da un po' fa i
capricci e non
collabora con la mia penna, saltellando nella mia testa gettando per
aria fogli e urlando “I DO WHAT I WANT!”.
Sono appena tornata da un settimana di trasferta, al più
presto risponderò anche a lle recensioni.
Ci leggiamo giovedì con il penultimo capitolo.
Ciauz
|
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Capitolo 22 *** Capitolo ventunesimo ***
Capitolo ventunesimo
Nadia guarda i riflessi delle luci sull'acqua. Il cielo e il mare si
fondono in una bolla di nero.
Il vento che soffia su Venezia e increspa il mare è un vento
tiepido, già carico delle promesse dell'estate; non come il
giorno dell'arrivo di Loki, quando soffiava quella prepotente brezza
gelida che sembrava aver fatto ghiacciare le nuvole attorno al sole.
La ragazza odia quell'odore malsano che si alza dal mare nelle zone
portuali, quel tanfo di petrolio e acqua stagnate, le dà la
nausea e mai come quella sera sente lo stomaco fare le capriole mentre
respira quell'olezzo insopportabile.
La barca bianca si avvicina alla banchina con manovre lente, sulla
fiancata ha la scritta Stark Industries. Nadia la guarda e le sembra
che stia fluttuando in mezzo a quel buio, come un fantasma.
Sono passati tre giorni da quando è tornata a casa, alla sua
vita, e sono stati comunque giorni surreali, in giro per Venezia con la
squadra di supereroi più spiantati del mondo...
dell'universo interno, anzi, visto che con loro c'era anche una
divinità proveniente da chissà dove. Sono stati
giorni irreali, ma straordinari. Ha conosciuto i supereroi dentro
quella casa in rovina, quando c'era da combattere e da rischiare; in
quelle ultime giornate di tranquille gite per la città dei
dogi invece ha conosciuto le persone dietro quella strana leggenda che
fa eco da oltreoceano.
Nadia sente una morsa stringerle lo stomaco e trattiene a stento un
conato di vomito. A forza di andare in giro per ristoranti e trattorie
per far conoscere ai suoi amici le delizie della cucina italiana,
sarà ingrassata di almeno cinque chili, e quegli ultimi due
bicchieri di Soave ghiacciato a cena forse era meglio evitarli; li ha
mandati giù di un fiato, cercando un po' di coraggio per
affrontare quel momento, il momento dei saluti.
Si sente una stupida mentre pensa che quasi preferirebbe non essere
lì, che sarebbe stato meglio se si fossero separati fuori a
quel ristorante, senza dirsi niente.
Nadia sta odiando quell'odore tremendo che c'è nell'aria e
il pizzichio delle lacrime nella coda dell'occhio.
A casa, la sua famiglia si è accorta che c'è
qualcosa di strano, che le è accaduto molto più
di quanto ha voluto raccontare di quell'inesistente stage fotografico a
Milano.
«Non è che hai conosciuto qualche ragazzo che ti
ha spezzato il cuore?» ha ironizzato sua madre, la sera
prima.
No, non è un
ragazzo, e il cuore era partito spezzato in partenza. E comunque, non
importa, lui se n'è andato...
Lei ha fatto quello che doveva: nascondere con cura i lividi. Tutti i
lividi.
La nausea si fa sempre più prepotente, la ragazza
è costretta ad allontanarsi dalla banchina e a respirare
grandi boccate d'aria per cercare di calmarla. Sarebbe pericoloso
vomitare sulla camicia di Bruce mentre lo saluta.
«La nostra barca è arrivata» la informa
una voce titubante.
Nadia si volta e si trova faccia a faccia con Steve. Lei e Tony ci
hanno impiegato due giorni, ma sono riusciti a infilarlo in una
camerino di un negozio di abbigliamento e a fargli mettere addosso un
paio di jeans dal taglio moderno e una camicia di cotone azzurro da
portare fuori dalla cintura.
Caro, caro, tenero,
attempato Steve!
«Ho la sensazione che se tu decidessi di salire a bordo e
partire all'avventura con noi, Tony sverrebbe dalla
contentezza» aggiunge lui.
Partire all'avventura, già. Ma loro non stanno partendo per
qualche avventura, da lì andranno in aeroporto e prenderanno
un volo verso l'America; stanno tornando a casa, alle rispettive vite e
occupazioni, ed è giusto che lo faccia anche lei.
«Ho la sensazione che non c'è niente che farebbe
svenire Tony» risponde con un sorriso divertito,
dimenticandosi della nausea.
Steve le offre il braccio e insieme tornano verso il molo.
Loro sono tutti lì, schierati sulla banchina, ad attendere
di salire sulla barca – eccetto Thor, che usa altri mezzi per
spostarsi e che resterà quando gli altri saranno partiti.
I primi che Nadia si trova davanti sono Clint e Natasha, lui le afferra
la mano in una salda stretta.
«Dunque, se ci servisse una copertura per qualche missione da
queste parti?» dice
«Potete venire nel mio albergo, basta che non me lo facciate
saltare in aria» risponde lei
«Possiamo senz'altro tentare» conclude Natasha.
Nadia li guarda con un mezzo sorriso, vorrebbe raccomandarsi di
prendersi cura di loro stessi e di non finire fatti a pezzi in qualche
missione o qualcosa del genere, ma suonerebbe stupido: quei due non
finirebbero male neanche se li si mandasse a prendere il sole in un
campo coltivato a mine antiuomo!
«Io e l'Altro siamo stati felici di averti
conosciuta» dice Bruce, avvicinandosi, sempre torcendosi le
mani in quel suo modo nervoso.
«Mi dispiace che l'Altro ci abbia tenuto compagnia per
così poco...»
«A me non dispiace affatto».
In barba a tutta la sua goffaggine e alla sua timidezza, Bruce circonda
la ragazza con le braccia per un secondo, prima di farsi sopraffare
dall'imbarazzo per quel gesto inconsulto. Nadia quasi ride contro la
sua spalla.
I saluti hanno sempre quello strano sapore agrodolce che copre tutto
come un velo. Per quel che riguarda la ragazza, quella curiosa
sensazione sta avendo la meglio anche sulla nausea e sul malinconico
senso di irrealtà.
Anche Steve l'abbraccia, in una stretta da spezzare le costole e lei
gli stampa un bacio sulla guancia.
«Su, basta, cosa sono queste moine?» esclama Tony,
dal nulla, afferrando Nadia per un braccio. «Mollala
Capitano, non voglio che respiri troppa naftalina».
Oh, certo, il pezzo forte di quello strano rituale di commiato
è lui. Ci deve essere un momento tutto per loro, su quel
molo, in mezzo a tutti gli altri; è normale che i tentativi
di Nadia di non cedere alla commozione si facciano più ardui
adesso che Tony la sta guardando negli occhi.
«Quello che mi mancherà più di tutto,
è il tuo improponibile accento, Colombina» le
dice, arricciando le labbra. Non si aspettava nessun addio
strappalacrime, non dal grande Tony Stark.
«Puoi sempre telefonarmi, se hai voglia di
risentirlo» lo rimbecca lei con una smorfia. Non è
una battuta è più che altro una specie di invito,
perché davvero lei non può pensare che tutto
finisca lì, che loro semplicemente s e ne vadano via,
come ha fatto...
… Loki. Non
devo pensare a lui.
Infatti non ci aveva pensato affatto, negli ultimi tre giorni mentre
era a divertirsi insieme a tutti gli altri.
Nadia deglutisce, scaccia via l'impulso di mettersi a piangere e una
nuova ondata di nausea.
«Dovresti venire a fare un giro a New York»
aggiunge Tony. «Potrei aver bisogno davvero di un fotografo
per il catalogo della Stark Expo, sai?»
«Non so se ho voglia di lavorare per te, signor Stark. Pepper
mi ha raccontato cose tremende di quando era la tua
segretaria»
«Leggende metropolitane».
Nadia aggrotta le sopracciglia, poi scuote la testa e ridacchia tra
sé e sé.
«Ne riparleremo, tra un anno o due, quando mi sarò
ripresa da tutto questo» conclude, ironica.
Tony dondola la testa in un cenno di assenso, poi batte energicamente
la mano sulla spalla della ragazza.
«Comunque, anche se per colpa tua sono finito a un concerto
jazz terminato con un'invasione aliena, sono contento di averti
conosciuta» afferma, enfatizzando un'aria solenne.
«Quello che sta cercando di dirti» si intromette
Pepper, quasi spingendo da parte il suo esuberante compagno,
«è che ti siamo immensamente grati».
Nadia adesso non sa cosa dire. Aveva sempre pensato che salvare la vita
a qualcuno fosse davvero una cosa da eroi, adesso che in un certo senso
lo ha fatto davvero, si rende conto che è qualcosa di naturale, che
sarebbe stato letteralmente abominevole pensare di comportarsi in modo
diverso, scegliere di scappare e abbandonare Pepper e tutte quelle
persone al loro destino. E comunque sia, non ha fatto di certo tutto da
sola.
«Siamo una bella squadra, tutto qui» dice con un
sorriso.
Pepper sembra persino più commossa di lei, non ha ancora
superato il trauma di essere stata la proprietaria della mano che l'ha
pugnalata, ad ogni modo, si china su di lei per un abbraccio.
È un abbraccio strano, delicato.
«Loro sono una bella squadra. Tu sei una bella
persona» le mormora Pepper all'orecchio.
***
Thor stringe una ad una le mani dei suoi compagni, quei valorosi
midgardiani che quasi gli dispiace dover lasciare, soprattutto dopo
quegli ultimi tre giorni di goliardica baldoria.
Il vento fa increspare il mare; mentre loro salgono a bordo
dell'imbarcazione bianca, lui guarda Nadia in piedi alla sua destra,
sembra una fiammella che vibra per il muoversi dell'aria.
«Posso mettermi a piangere, adesso?» mormora lei,
stropicciandosi il viso con le dita.
Thor le posa una mano sulla spalla,
«Non sarò certo io a impedirtelo» le
risponde.
No, certo che non glielo impedirà. Quella ragazza si merita
di lasciarsi andare alla debolezza, dopo tutto quello che ha passato,
dopo tutto quello che ha fatto.
Il dio del tuono ha addosso dei jeans chiari e una maglia di cotone
grigia con sopra il disegno stilizzato di un tornado e la scritta
'hurricane' a caratteri rossi. Dopo qualche piccola insistenza, Nadia
lo ha convinto anche a legare i lunghi capelli biondi in una coda,
giusto per fargli avere un aspetto quanto più normale e
anonimo era possibile, così ha detto.
Si voltano e cominciano a camminare, allontanandosi dal porto. Nadia
non piange, alla fine, Nadia si mantiene forte fino in fondo, forse
perché non vuole immalinconirlo.
«Posso esprimere un desiderio?» dice Thor,
guardando quasi rapito le luci elettriche delle costruzioni ai lati
della via.
«Un figo dio norreno in jeans può avere
praticamente tutto» risponde lei, giocosa.
«Un ultimo cartè,
prima della partenza»
«Caffè, Thor. Si dice caffè».
Entrano in uno dei bar aperti che trovano lungo la strada, dove si
fondo le tante voci dagli accenti più disparati mentre da
quello strumento chiamato radio un uomo canta in italiano con una voce
cadenzata.
"Hai resistito ai
devastanti effetti
del mio passaggio e per
la cronaca
ricordo l'ora, i minuti
esatti,
lo dico senza
retorica...".
Si appoggiano al bancone, nel punto più lontano dagli altri
clienti e dai loro bicchieri di quella bevanda arancione smagliante che
chiamano spritz e che Tony Stark sembrava molto apprezzare.
Nadia, appollaiata su un alto sgabello, ordina due caffè e
appoggia in mento sulle braccia che ha incrociato sul legno lucido
davanti a lei.
La voce nella radio continua a cantare, udibile al di sopra del
chiacchiericcio.
"Purtroppo non era solo
un gioco
per provocare
un comportamento
ogni reazione
serviva a poco,
nemmeno dirsi
addio..."
La ragazza non sembra nemmeno più particolarmente
malinconica, ha lo sguardo perso, lontano. E Thor è
dolorosamente consapevole di quale sia l'orizzonte verso il quale
quello sguardo è proiettato.
Il barista appoggia due tazzine fumanti sui piattini di porcellana. Il
dio del tuono ha l'aria di un bambino contento mentre zucchera il suo
caffè e Nadia ricambia il suo sorriso, sembra deliziata dal
suo essere deliziato.
"... di questa stella che ho messo a fuoco
io sono
l'unico proprietario
la uso come
mio lampadario
nel buio che
si fa".
In realtà è tutto momentaneo, presto anche lui
dovrà partire. Partire significa tornare ai propri doveri e
mai come in quel momento quegli oneri gli sembrano pesanti, tanto che
preferirebbe lasciarli alle spalle di qualcun altro. Era partito da
Asgard con l'intenzione di riportare indietro Loki, di ritrovare un
fuggiasco evaso dalla sua prigionia e magari anche di ritrovare il
fratello che si era smarrito su sentieri che tutt'ora Thor non riesce a
comprendere. Non è riuscito in nessuno dei due
obiettivi, ha fallito e adesso vorrebbe solo non essere lui a
ricominciare quella che non è più una semplice
ricerca ma si è tramutata in una vera e propria caccia.
Nadia gira il cucchiaino per far sciogliere lo zucchero, poi guarda con
aria poco convinta la tazzina.
«Non ne ho voglia, puoi berlo tu» gli dice, con una
scrollata di spalle.
Sì, certo, lui adora il caffè. Ma non
è per questo che adesso si ritrova in quel bar assieme a
quella piccola umana; vorrebbe parlarle prima di andare via, vorrebbe
farle domande che forse non sono lecite, che forse non ha il diritto di
porle. Perché lui ci aveva creduto davvero al fatto che Loki
fosse tornato a provare dei sentimenti buoni, perché c'erano
stati momenti, in quei giorni chiusi in quella casa, in cui sembrava
che lei potesse fare davvero una qualche differenza nel cuore di pietra
di quel fratello divenuto a un tratto un nemico ed un estraneo.
Perché Thor davvero non riesce a capacitarsi del fatto che
si sia trattato solo di una sua illusione, che abbia visto
ciò che gli faceva piacere vedere per non accettare una
triste realtà alla quale ancora non si è
abituato. Perché Thor ancora non sa cosa c'è o
cosa ci sia stato nel cuore di Nadia e trova insopportabile non essere
riuscito a capire davvero se in quei giorni a Venezia il cuore di Loki
fosse tornato a battere.
"Meraviglia,
ho stabilito il mio
record
di resistenza alla vita
e stranamente
mi sento leggero".
Il dio del tuono indugia, tamburellando con le dita sul bancone, vuole
guadagnare tempo, non vuole partire. Non vuole lasciare la ragazza e
né vuole tornare ad essere il figlio di Odino che adempie ai
propri doveri. Vorrebbe potersi trattenere lì ancora per un
po', assicurarsi che Nadia stia bene, illudersi che Loki possa tornare
sui suoi passi e spuntare una sera in uno di quegli strani vicoli che
affacciano su qualche canale, chiedendo semplicemente di essere
lasciato lì, in pace. E lui, forse, lo lascerebbe stare,
lì a Venezia, lì con Nadia, in pace.
Ma sono elucubrazioni prive di senso, i pensieri di un sentimentale che
si sta mostrando uno sciocco. Meglio smettere subito, meglio alzarsi da
quello sgabello e andare via.
Nadia fa per incamminarsi, ma all'improvviso si ferma, appoggiandosi
alla spalliera di una sedia, con un gemito di dolore.
«Stai bene?» le chiede Thor, preoccupato.
«Sì, credo di sì. È stato il
vino» borbotta lei, agitando la mano come a sottolineare che
è un affare di poco conto. «Andiamo, prima che mi
venga in mente di sequestrarti e tenerti prigioniero nel mio
armadio». Sorride, la piccola umana, ma adesso che Thor si
è finalmente convinto a guardarla negli occhi si accorge del
velo di tristezza e smarrimento che li rende spenti.
Nadia resterà sola, dopo tutto quello che ha fatto. Sola con
la sua storia e con cicatrici che non meritava.
"...tra il freddo dei vetri
ho pensato
anche a te,
ai tuoi abbracci
così taglienti...".
Le luci dei lampioni allungano le ombre e le appiattiscono sul
ciottolato. Nadia si infila sotto il suo braccio e gli cinge il torace.
«Parlami di Asgard, che posto è?»
chiede, interrompendo il silenzio di quella loro passeggiata che per
quanto possano rallentare, prima o poi giungerà alla fine.
Thor sospira.
Avresti dovuto chiedere
a mio fratello, lui è molto più bravo di me con
le parole.
Suo fratello è destinato a diventare la sua ossessione,
ormai lo ha capito. Cerca di non pensarci, di ricacciare indietro quel
pensiero, guarda Nadia e tanta di mettere insieme una spiegazione che
renda l'idea.
«Una sorta di grande isola, sospesa tra le stelle»
dice. «Le sue origini si perdono molto indietro nel tempo, ma
chi l'ha fondata doveva avere ben chiaro il concetto di grandezza,
è tutto molto... imponente, sfarzoso e ordinato e talvolta,
certi luoghi sono persino troppo austeri. Io, sai... non credo che ti
piacerebbe».
Nadia lo guarda incuriosita.
«Dici? Beh, se si vestono tutti come te, l'effetto sarebbe
sicuramente molto buffo»
«Cosa hanno i miei abiti che non va? Oh, dimenticavo questa
sorta di connessione astrale tra te e Tony Stark!».
Nadia ridacchia, poi il suo sorriso si spegna di colpo mentre si rende
conto che sono giunti a destinazione.
Thor aveva bisogno di un luogo isolato dove poter ripartire senza che
nessuno lo vedesse. L'unico posto del genere che Nadia conosce
è quella casa fatiscente, il nascondiglio in cui sono
rimasti confinati per tanto tempo. Guardare l'edificio malmesso ergersi
nella penombra fa un effetto davvero strano; il dio del tuono sente la
ragazza rabbrividire nella sua stretta.
«Posso andare da solo» mormora Thor.
«E lasciare che io mi perda lo spettacolo di te che vieni
risucchiato da un fascio di luce? Stai scherzando?».
Scavalcano un davanzale e si muovono piano nella penombra, anche se
conoscono a memoria ogni angolo di quel posto. Il dio sa che la ragazza
non metterà mai più piede lì dentro
dopo quella notte, non sa come fa a saperlo ma ne è certo.
Salgono le scale, arrivano al piano di sopra e aprono la botola che
immette sul tetto.
Da lassù si vede la striscia lucida di un rio che scorre
verso il Canal Grande, come un nastro di seta nera che scivola tra il
cemento.
Thor si toglie l'elastico che ha tra i capelli e un soffio di vento gli
agita davanti agli occhi le ciocche dorate. Deglutisce, stende il
braccio e attende che il Mjolnir risponda al suo richiamo. Quando il
Martello urta contro il suo palmo, una ragnatela di luce e fulmini si
dipana attorno a lui e in pochi secondi gli abiti da terrestre lasciano
il posto all'armatura e alle insegne del suo rango.
Il vento agita il mantello scarlatto contro il nero della sera. Thor
sente uno strano senso di stanchezza e malinconia pesargli sul petto.
«Pensandoci, questo look ti dona parecchio» dice
Nadia, ammiccando, riuscendo a strappargli un mezzo sorriso.
Lui le si avvicina e le prende la mano, fa per portarsela alle labbra e
salutarla come impone la cavalleria, ma sente lo sguardo della ragazza
puntato su di lui, quasi come se gli trapassasse la testa. Si solleva
di scatto a guardarla e lei si morde nervosamente il labbro.
«Thor...» gli dice, titubante. «Dove
pensi che sia?».
Il dio del tuono non ha bisogno di chiedere chi sia il soggetto
implicito della frase.
«Non lo so, ma sarà mia premura cercarlo appena
sarò tornato ad Asgard»
«E cosa succederà se dovessi trovarlo?»
«Lo riporterò a casa e invocherò per
lui la clemenza della giustizia e del re perché credo
che...».
Thor sente la ragazza fremere di angoscia, la vede mordersi con
più forza il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
«Non dirmi niente» sbotta lei di colpo.
«Non... non voglio pensarci».
Lo sguardo del dio si fa cupo,
«Quando ti chiesi se provavi qualcosa per Loki, sapevo
già che la risposta era un sì, ma non credevo che
si fosse giunti fino a questo segno» mormora e quasi rimane
stupito del vedere Nadia arrossire.
«Siamo tutti e due degli sciocchi sentimentali, per questo
credo che lui non gradisca la nostra presenza» tenta di
scherzare la ragazza. «Forse ha paura che potremmo
contagiarlo».
Thor scuote la testa con un sorriso amaro,
«Credo invece che lui volesse evitare di contagiare te con le
sue disgrazie. Loki non ha mai pensato che qualcuno potesse amarlo per
quello che è» asserisce.
Nadia deglutisce, come se stesse rimangiando una risposta che era sulle
sue labbra ma che preferisce non pronunciare.
«Farò tutto ciò che posso
perché gli accada il minor male possibile. Sono uno sciocco
sentimentale e per per giunta testardo oppure ottuso, se
vogliamo»
«Loki è fortunato ad avere un fratello come
te».
Thor trova bello che ora, in quel momento esatto, entrambi trovino la
forza d'animo di sorridersi.
Il dio si china a baciare la mano della ragazza.
«Buon fortuna, Nadia di Midgard» le dice.
«Anche a te, figlio di Odino».
La luce azzurra e chiarissima gli invade gli occhi di colpo,
inghiottendo il cielo di Venezia e il suo odore di pietra e acqua di
mare. Mentre l'energia del Tesseract lo spinge via, lontano da quel
piccolo mondo che è la Terra, Thor immagina la ragazza, in
piedi da sola su quel tetto, con il naso all'insù a cercare
nel cielo risposte che non avrà mai. Si sente triste per lei
e per se stesso, mentre il lampo di luce azzurra sparisce e il palazzo
di Asgard si staglia in tutta la sua opulenta bellezza davanti al suo
sguardo, ma sa che sono entrambi guerrieri e che il destino dei
guerrieri è quello di andare avanti, battaglia dopo
battaglia.
________________________________________
Note:
Ora che ho infilato anche Samuele Bersani in una fanfiction sugli
Avengers posso morire felice... il brano che Thor e Nadia si trovano
ad ascoltare quando entrano nel bar si intitola
“Meraviglia” ed è
una canzone che ho sempre trovato molto azzeccata per questa
fanfiction (senza contare che è una canzone a cui sono molto
legata
io di mio, a prescindere), in particolare in quel paragrafo mi
sembrava molto adatta a descrivere i pensieri di Nadia mentre
scorreva il POV di Thor.
La scena sul tetto della casa, con Thor che ritorna a indossare la
sua “divisa da asgardiano” si rifà a
quella del film, quando lui
recupera i suoi poteri dopo aver combattuto contro il Distruttore.
Prossimamente invio reattori Arc a tutte voi XD
Loki si scusa per l'assenza, ma tornerà nel prossimo
capitolo, che è l'ultimo capitolo prima dell'epilogo.
Ci leggiamo lunedì con l'aggiornamento.
Ciauz! ^^
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Capitolo 23 *** Capitolo ventiduesimo ***
Capitolo ventiduesimo
Nadia si guarda riflessa nello specchio del bagno di casa sua, dove
è rientrata dopo quella sera fatta di saluti che le hanno
messo sottosopra lo stomaco, tanto da farla finire piegata in due sul
water a vomitare. Continua a ripetersi che è colpa dei due
bicchieri di Soave troppo freddo bevuti troppo in fretta, e forse
è anche colpa delle emozioni e della malinconia,
perché no? Perché non ammetterlo?
Ha conosciuto divinità ingannatrici e guerriere, ha
conosciuto eroi che hanno salvato il pianeta, ha affrontato mostri di
fumo, è tornata dalla morte e la normalità le
è sembrata una cosa straordinaria, fino a quando, un momento
dopo non si è sentita annientata dall'immensa solitudine che
deriva da tutto quello che è successo. È sola con
i suoi ricordi e con le sue cicatrici. Quella sulla parte bassa
dell'addome, pochi centimetri sotto l'ombelico, dove ha ricevuto la
pugnalata dal demone con le sembianze di Pepper, e poi c'è
la cicatrice collocata da un'altra parte, dentro di lei, in un posto
che Nadia non riesce a rintracciare, forse è il cuore, forse
è l'anima... no, queste considerazioni lasciamole ai veri
sciocchi sentimentali, si dice tutte le volte. Qui non si tratta di
stupido sentimentalismo, qui si tratta della concreta, alienante
sensazione di un posto vuoto che è come una ferita dentro di
lei.
Non si era mai fatta illusioni su Loki, non ha mai voluto niente da
lui, non ha mai desiderato redimerlo o salvarlo da se stesso. Si sono
salvati la vita a vicenda, è più di quanto ognuno
potesse aspettarsi dall'altro. Quello che Nadia non riesce a
sopportare, adesso lo sa, sono le parole lasciate in sospeso, le
domande alle quali pensava di avere diritto e che lui ha beatamente
ignorato scappando senza nemmeno fermarsi a salutare. Eppure lei non
prova rancore, sa che non poteva aspettarsi nulla di diverso, sa che il
solo sperare in qualcosa di diverso sarebbe stata un'offesa all'indole
del dio dell'inganno, e lei ha imparato a volere bene a Loki, ad
accettare anche i suoi lati peggiori, perché è
questo l'affetto.
La ragazza toglie il tappo al flacone di valium. Vuole dormire quella
notte, cazzo, vuole svegliarsi riposata, pronta ad affrontare una
comune giornata di lavoro in albergo. Anche se adesso Nadia non sa che
farsene di tutta quella normalità, non sa che fare di se
stessa. Sa che è successo qualcosa, che dentro di lei delle
cose sono cambiate così radicalmente che adesso le
toccherà imparare a conoscersi prima di poter pensare di
tornare a far parte del mondo.
La ragazza impasta la bocca per mandare via quel sapore appiccicoso di
agrumi amari e il suo sguardo si fissa vacuo sul bracciale. Si chiede
come mai, ora che è tutto finito, ora che Loki è
andato via, il ninnolo di argento resti ancora arpionato al suo polso.
Si chiede se l'energia della pietra non serva a fare in modo che lui
torni. Ma sa che non deve nemmeno lontanamente concentrarsi su un
pensiero così stupido e così devastante. Le loro
strade si sono incrociate per sbaglio, per una serie di sfortunati
eventi, ma in realtà sono percorsi tracciati a distanze
incolmabili.
Nadia spegne la luce, si trascina dal bagno fino alla sua camera e si
butta a peso morto sul materasso, chiude gli occhi e attende
pazientemente che il sonno arrivi, mentre l'innaturale rilassatezza
indotta dal medicinale le appesantisce il corpo e le fa sembrare
più leggera la testa.
Attorno non
c'è altro che roccia, sotto un cielo immenso e pieno di
stelle che sembrano straordinariamente vicine. Sono vicine in modo
innaturale, anzi, e non c'è niente di familiare in quel
luogo, niente che sembri umano.
Gli astri fanno
rispendere di strani scintilli argentati le pietre, come se fossero
cosparse di piccoli cristalli.
Tutto intorno l'aria
è immobile e fredda.
Nadia si sente
frastornata mentre prende coscienza del proprio corpo, inginocchiato
sulla pietra. Si alza, appoggiandosi a una sporgenza; la roccia
è gelida sotto i palmi delle sue mani.
Quello è
decisamente un sogno, o più probabilmente un incubo. Le
è già successo, le rare volte in cui le era
capitato di prendere un po' di valium per provare a dormire meglio.
Mentre la ragazza si
guarda attorno, vede una figura avanzare verso di lei, stagliata contro
l'orizzonte color pece, con un lungo mantello verde che ondeggia dietro
le sue spalle.
Riconosce gli occhi di
Loki, riconosce la pena nel suo sguardo. Eppure, per un attimo, Nadia
è contenta di star facendo quel sogno, di sognare lui. Fosse
anche solo per dirgli quanto lo ha detestato nel momento in cui si
è accorta che non c'era più – ma lei lo
sapeva che sarebbe finita così, lui glielo aveva detto e lei
davvero non poteva aspettarsi niente di diverso dal dio dell'inganno. E
di colpo, non ha più voglia di dirgli che lo detesta,
perché non è affatto vero.
«Sono stato io
a portati qui» dice subito Loki, fermandosi davanti alla
ragazza.
Lei si guarda attorno,
scruta con sguardo crucciato la desolazione di pietra.
«È
un sogno» risponde in tono pratico. E ora potrebbe dirgli
molte cose, o magari abbracciarlo, ora può fare tutto
perché è solo un sogno e qualsiasi cosa facesse
resterebbe lì.
«Non proprio.
L'ho creato io, avevo bisogno di parlarti, non sono una visione
onirica, Nadia».
Lei arriccia le labbra,
pensierosa. Non sa se credergli, se fosse un sogno è
esattamente così che sognerebbe Loki, come lo ha conosciuto,
solo con quell'espressione vagamente più umana,
più accorata del solito. Ma ha visto così tante
cose assurde da quando lui è piombato nella sua vita che ora
credere all'ennesimo prodigio non le costa particolare sforzo.
«E cosa avevi
da dirmi di così importante da necessitare una videochiamata
inter-dimensione astrale?». Sapere che quello che ha davanti
è proprio Loki fa scattare le sue difese, vorrebbe fidarsi
di lui ma non sa se può. Si chiede che altro interesse
potrebbe mai avere il dio su di lei, e non riesce a immaginare una
risposta. Ha paura di immaginare una risposta.
«Ascoltami»
esordisce lui con una leggera nota di autorità.
«Ci sono delle cose che devi sapere».
«Che altro
può esserci?» sbotta la ragazza, sollevando gli
occhi su quel cielo alieno.
«Ne va della
tua vita» replica Loki, alzando appena il tono di voce.
Nadia ammutolisce. La
sta davvero guardando con l'apprensione nello sguardo, è
davvero preoccupato per lei, o la ragazza vede solo ciò che
vuole vedere?
«Quando Odino
ha compiuto il rito necessario a salvarti, ha usato il suo sangue e tu
avevi la pietra al braccio» spiega il dio, pronunciando con
calma le parole, assicurandosi che lei segua il filo del discorso.
«La pietra non funziona con gli esseri umani, solo gli
asgardiani possono usare la sua energia, perché i manufatti
magici del mio popolo sono in grado di riconoscere chi ha il potere di
usarli, come il martello di Thor, ad esempio».
Nadia annuisce
meccanicamente, ha capito cosa le sta dicendo ma non ha ancora capito
dove lui vuole andare a parare.
«E
quindi?» chiede, sentendosi persino un po' stupida.
Loki sospira,
«Quello che ti
sto dicendo è che hai avuto il sangue di Odino in circolo
mentre avevi la pietra al braccio. È il motivo per cui lui
ha potuto salvarti, ma è anche la ragione per la quale
l'energia magica della pietra è penetrata dentro di te.
Sull'isola ho fatto entrare il tuo sangue in contatto con quello di
Thor perché tu potessi usare l'energia che il tuo corpo
aveva assorbito per aiutarmi a scacciare i demoni. È stato
un gesto disperato che ha peggiorato la situazione» conclude.
La ragazza scuote la
testa. Non era quello il dialogo che aveva immaginato di avere con Loki
se lo avesse rivisto. Di sicuro non è quello che aveva
immaginato di dirgli se lo avesse sognato.
«Non capisco,
sono diventata... che cosa, una strega?».
«Sei diventata
capace di assorbire l'energia della pietra. O meglio, l'energia ti
entra dentro, automaticamente, è così che
funzionano le pietre di Borr. E non è una buona
notizia».
Sì, questo lo
aveva capito dai suoi occhi così pieni di preoccupazione. Ma
era troppo intenta a pensare alla preoccupazione in sé per
concentrarsi sulle sue cause.
Loki allunga una mano,
come a volergliela posare sulla spalla, ma poi la lascia ricadere lungo
il fianco e china il capo.
«Resta il
fatto che tu non sei un'asgardiana e il tuo corpo non è
fatto per sopportare quell'energia» aggiunge. «Devi
lasciarla uscire, come un salasso, altrimenti ti avvelenerà
e morirai».
No, decisamente quello
non era il dialogo che avrebbe voluto avere con Loki. Non avrebbe
voluto parlare con nessuno di possibilità di rigetto letale
di energia magica non richiesta. Ma ora che conosce le cause della
preoccupazione che ha spinto il dio a prendersi il disturbo di farle
visita, continuano a sembrarle meno importanti alla luce del fatto che
lui è lì.
Nadia serra gli occhi
stizzita, si dà della sciocca per aver indugiato in un
simile pensiero. Ma non riesce a fare altrimenti, è...
felice di vederlo, di sapere che sta bene, di sapere che lui si
è preoccupato per lei, più di quanto lei riesca a
preoccuparsi di se stessa. Tuttavia, cerca di riprendere il controllo
dei propri pensieri. Il problema c'è e non può
essere ignorato.
«Che intendi
con lasciarla uscire? Io non mi sono nemmeno accorta di questa
energia» osserva.
«Te ne
accorgerai, tra qualche giorno. Comincerai a stare male probabilmente e
se non riesci a controllarla, potresti anche fare del male».
A quelle parole la
ragazza si sente raggelare.
«Dimmi cosa
devo fare!» esclama.
«Te lo
dirò, ma non ora. È una cosa lunga, complicata,
richiede tempo e bisogna che tu impari un passo alla vota a controllare
quest'energia e, chissà, magari anche ad usarla»
risponde Loki.
Cosa? Lei non vuole
usare niente, non vuole fare niente! Sperava che la sua vita sarebbe
tornata alla normalità e adesso lui le sta dicendo che non
è così, che non sarà mai
più così.
«Perché
sei venuto a dirmelo, che ti importa?» sente il gelo
condensarsi nelle parole. Non è Loki l'oggetto della sua
rabbia, ma non riesce a fare a meno di mostrarsi astiosa con lui
adesso.
«Mi importa...
di te» dice il dio, esitando e strappando a Nadia quasi un
singulto di sorpresa.
Non può
averlo detto davvero. A lui non interessano gli umani, li ritiene
inferiori, ne ha uccisi tanti. Che differenza farebbe se anche lei
morisse?
«Decidendo di
restare a combattere al mio fianco e con gli Avengers hai scelto di
salvare quelle persone» continua il dio, incurante della sua
aria rabbiosa e sorpresa nello stesso tempo. «Ma hai anche
deciso di salvare me, quando attorno avevi persone che con ogni loro
respiro non facevano che ricordarti che sono un mostro. Qualsiasi cosa
pensiate tu e i tuoi amici Vendicatori, io non sono del tutto
insensibile alla gratitudine».
Adesso Nadia non lo
sopporta, non sopporta quelle parole, quello sguardo, quel viso che si
china sul suo nel mormorare una verità che sembra stonata su
quelle labbra abituate alle menzogne. Si volta, per non guardarlo, si
volta per non cedere alla tentazione di abbracciarlo davvero.
Loki le serra una mano
attorno al braccio e la costringe a voltarsi nuovamente verso di lui
con uno strattone.
«Non darmi le
spalle! E non fingere che non ti interessi il mio aiuto o che non sia
importante che io ti resti accanto in questa faccenda»
ringhia il dio a un palmo dal suo naso.
«E lo farai,
Loki?» domanda lei con un sorriso triste.
«Resterai, fino in fondo? Ti farai carico dei miei guai
perché mi sei grato e perché in qualche modo
astruso lo ritieni importante?»
«Lo sto
già facendo. Sono qui»
«E sei...
importante». Maledizione, lo ha detto! Maledizione,
perché gli sta stringendo la mano nella sua?
Perché ha
bisogno di sapere che è reale, che è davvero
successo quello che crede: Loki ha dimostrato di avere dei sentimenti,
e quei sentimenti sono per lei. È scappato per avere la
possibilità di tornare da lei ad aiutarla.
«Ora torna al
tuo sonno. Tornerò da te al più presto e
risolveremo questo problema, te lo assicuro» le dice il dio,
con un mezzo sorriso. «Hai la mia parola, Nadia di
Midgard» aggiunge enfatizzando con ironia un tono solenne,
sollevando la mano con cui la ragazza gli ha stretto le dita e
portandosela alle labbra per imprimervi un leggero bacio sul dorso.
***
L'aereo con la scritta STARK che campeggia al centro dello scafo,
atterra su una pista privata poco fuori New York.
Dal finestrino Tony vede il grigio dell'asfalto avvicinarsi e la
sensazione di essere a casa è un po' strana. Ormai dovrebbe
averci fatto l'abitudine: uccidi i mostri, salva il mondo, vatti a
mangiare un panino al kebab con gli amici, torna a casa dalla tua donna
e fai tanto sesso. Ma questa volta le cose sono un tantino diverse.
Hanno dormito tutti per quasi tutto il tempo del viaggio. Persino
l'agente Romanoff e Clint Barton avevano l'aria da cuccioli indifesi
raggomitolati sui sedili piegati all'indietro. Lui si sente a pezzi, ma
il sonno sembra essersela data a gambe. Il viaggio lo ha passato con le
dita intrecciate a quelle di Pepper – addormentata anche lei,
a pensare agli avvenimenti degli ultimi giorni.
Pensare non è sempre una buona cosa, l'ultima volta che ha
pensato tanto a lungo è comparso in una conferenza stampa
annunciando che la sua fabbrica di armi non avrebbe più
fabbricato armi. Non si è mai pentito di quella scelta, ma
questo non toglie che sia una persona poco incline ai cambiamenti.
Si è riappropriato della sua vacanza, negli ultimi tre
giorni che ha trascorso lì, dopo il combattimento sull'isola
di San Michele, anzi l'ha trasformata in una vera e propria gita
scolastica e Nadia si è offerta di far loro da guida.
Sono andati a mangiare in piccoli ristoranti all'ombra di portici che
affacciavano direttamente sui canali, con i gondolieri che passavano
accanto a loro e i piccioni che svolazzavano da un tetto all'altro.
Hanno vestito Thor da essere umano ed è stato divertente
quando il cameriere di quella trattoria sotto il porticato lo ha
fissato attonito divorare quattro piatti di seppie alla veneziana.
Perché Thor ha avuto la brillante idea di restare con loro,
sia detto. A quanto pare, Boccoli d'oro sembrava deciso a dare un po'
di vantaggio al fratello pestifero che si era fatto scappare sotto il
naso, e prima di tornare a dargli la caccia ha ritenuto che qualche
giorno da mortale sarebbe stato un ottimo diversivo per riprendersi
dalla battaglia. Non è stata un'azione molto da guerriero
quella di concedere tutto
quel vantaggio al nemico, ma Loki ha pur sempre dato una mano a
esorcizzare i demoni.
Perché gli
faceva comodo.
E poi Thor questa volta sembrava seriamente intenerito, e la ragione la
conoscono tutti: Nadia. Nadia che in mezzo a tutto quel casino
è persino riuscita a prendersi la sbandata per il cattivo
ragazzo e che, in qualche misura, è riuscita persino a
renderlo meno inquietante. Nadia che sembrava a pezzi quando tutti loro
l'hanno salutata per tornare in America.
Thor deve aver fatto qualche ragionamento da gran sentimentale,
figurandosi un futuro improbabile con suo fratello che vive felice e
contento la sua vita da onesto cittadino per amore di una mortale.
Pensandoci, se e quanto il dio gracilino si sia realmente affezionato
alla piccola Colombina è qualcosa che non si è
ben capito. Quel che è certo è che se
l'è data a gambe piuttosto che affrontare le sue
responsabilità. Non è che questo aiuti a
migliorare l'opinione che Tony e i suoi compagni avevano di lui.
Però il
piccolo cervo ha fatto la sua parte.
È un vero peccato che il fratellino bastardo sia dalla parte
sbagliata della barricata; è uno che sa il fatto suo alla
fin fine. Ma Tony spera che Thor lo trovi, che lo getti in una prigione
molto buia e molto profonda e butti via la chiave. E spera che Nadia
superi tutta quella strana storia, si trovi un bravo ragazzo e viva
felice e contenta, lontana da divinità psicopatiche, da
calzamaglie e da tizi verdi alti più di due metri.
Basta! Deve smetterla di pensarci. Comunque sia, è andato
tutto per il meglio.
L'aereo completa la manovra di atterraggio; tutti si svegliano
stiracchiandosi sui sedili, recuperano i propri bagagli e si preparano
a scendere.
Tony ha fatto chiamare due macchine, una per sé e per Pepper
e un'altra per riportare il nonno e i tre moschettieri a casa. Ma non
ci sono le sue due macchine ad aspettarli al margine della pista. Ci
sono due suv con il logo dell'aquila stilizzata sulla portiera.
Appoggiato a uno dei due macchinoni c'è il caro Nick Fury,
braccia conserte, completo nero cornacchia e sguardo torvo.
È incredibile
quanto riesca ad essere torvo il suo sguardo con un occhio solo!
«Lo sapevo che sarebbe andata a finire
così» borbotta Clint Barton tra i denti.
«Vi avevo detto di non...» tenta di dire Tony, ma
non servirebbe. Lo S.H.I.E.L.D ha occhi ovunque e loro quattro hanno
già fatto più di quanto dovevano.
«Nick! Sei venuto a controllare se ti ho portato un
souvenir?» esclama Tony allargando le braccia e mettendo su
un sorriso da un orecchio all'altro. «Dato che ti sei preso
il disturbo, ti farò scegliere tra il ventaglio con il leone
di San Marco e il fermacarte a forma di gondola».
Il direttore Fury non è del tutto impermeabile all'ironia,
ma oggi sembra fatto di marmo.
«Salite in macchina. Tutti quanti» dice freddo,
lanciando uno sguardo un po' più cupo ai suoi due agenti,
che in quanto tali sono i primi ad obbedire.
«Tanto baccano per una gita a Venezia, Nick?»
incalza Tony, arricciando le labbra.
«Sali in macchina. Non farmelo ripetere»
«Uh, se avessi saputo che la prendevi così male
avrei invitato anche te»
«STARK!».
Tony alza gli occhi al cielo e sbuffa enfaticamente.
«D'accordo, d'accordo. Ma forse è meglio che ci
lascia tornare a casa senza farci domande» borbotta poi, dopo
qualche secondo, esitando davanti alla portiera aperta. «Le
risposte non ti piacerebbero».
«Di questo ne sono più che certo»
conclude con durezza il direttore dello S.H.I.E.L.D.
***
Loki si prende la testa tra le mani. Una risata spasmodica affiora
sulle sue labbra pallide di stanchezza. Ride di se stesso, il dio
dell'inganno, della sua immane stupidità e della sua
insensata inconcludenza.
«Idiota. Idiotaidiotaidiota!» mormora, sollevando
la testa di scatto, scuotendola in un cenno di resa davanti
all'evidenza dei fatti.
Ha elaborato molti piani, tutti andati storti perché un
fratello tenace, degli umani molesti e dei demoni rabbiosi hanno
demolito uno ad uno i suoi progetti. Il destino è stato
ingiusto con lui, si è accanito facendo a pezzi i suoi
desideri e le sue aspirazioni, e adesso, per una volta che era tornato
ad avere in mano un asso da giocare è stato lui stesso ad
abbandonare la partita e a lasciar sfumare la possibilità di
attuare un altro colpo, un altro tentativo per rialzarsi dopo la caduta
che ancora gli brucia come il sentore del ghiaccio dentro le sue vene
mentre la sua mano si colorava di blu per il tocco di un gigante di
Jotunheim, dando un volto a tutti gli incubi e le paure che lo avevano
tormentato negli anni precedenti fino a portarlo alla disperazione e
dalla disperazione all'odio.
Poteva tornare a combattere e invece ha scelto di fare dell'altro.
Tornare da Nadia, attraverso i suoi sogni, faceva parte del suo piano,
come anche dirle la verità sui sortilegi della pietra.
Quello che non doveva fare era dirle che l'avrebbe aiutata; lui non
doveva aiutare quella ragazza, doveva dirle che non poteva tornare
sulla Terra perché non aveva abbastanza energia per
affrontare il viaggio, doveva indurla a cercare l'aiuto degli Avengers
e fare in modo che lei si convincesse che la scelta migliore fosse
quella di seguirli in America, e solo quando lei sarebbe stata
lì, lui sarebbe potuto tornare, offrirle il suo aiuto,
salvarla, comprare con la vita della mortale la fiducia dei
Vendicatori. Questo era il piano, un piano dannatamente semplice, dove
niente poteva andare storto. Alla fine avrebbe aiutato Nadia, ma non lo
avrebbe fatto per niente, perché lui non è
abituato a fare qualcosa per
niente! Perché lui è un dio e non
dovrebbe importargli della sorte di un'insignificante umana, anche se
aveva detto che a quell'umana non avrebbe fatto mai del male.
Loki serra nervosamente i pugni. Ripercorre mentalmente le immagini di
quel dialogo nel sogno. Non capisce come sia potuto succedere, come
abbia fatto a rimangiarsi le parole che aveva calcolato di dire e abbia
detto tutt'altro. Come ha potuto decidere
di fare tutt'altro?
Semplicemente, quando ha visto Nadia alzarsi da terra, smarrita e
perplessa, si è ricordato che di tanti ricordi dolorosi e
sgradevoli, non ce n'era nessuno che avesse a che fare con lei.
Semplicemente non ha potuto. Ha un'opinione troppo alta di
sé, il dio dell'inganno, per riservare i suoi trucchi a una
creatura tanto smarrita e tanto immeritevole di malvagità.
«È tutto così dannatamente
sciocco» dice a se stesso. È sciocco, eppure
è reale, tangibile, irrimediabile, per quanto Loki non
sappia dare un nome a quello che prova per Nadia, non riesce
semplicemente a farselo scivolare addosso come pioggia.
«E sia...» conclude, alzando lo sguardo sulle
stelle e restando a fissarle immobile. Tornerà dalla
ragazza, l'aiuterà a imparare a controllare l'energia della
pietra, salderà il suo debito e poi se ne andrà
per la sua strada. Troverà altri modi per raggiungere i suoi
scopi, ci sono senz'altro altre strade, deve solo cercarle.
È ancora assorto nei suoi pensieri quando una voce alle sue
spalle spezza il silenzio.
«Ti abbiamo trovato, infine».
Loki china la testa. Ha l'impulso di voltarsi di scatto, ma si
trattiene perché non vuole mostrarsi spaventato. Si gira
lentamente verso l'individuo che ha pronunciato quelle parole, mettendo
su un sorriso sprezzante, colmo di aria di sufficienza, malgrado il
cuore nel petto abbia cominciato a pulsare a un ritmo che ha l'eco
della paura.
Il ghigno crudele sul volto del capo dei Chitauri sembra una ferita
purulenta.
«Ti era stato promesso dolore e sofferenza se avessi fallito,
Loki di Asgard» dice lui, con la sua voce fredda e cavernosa.
«E a differenza di te, noi manteniamo le nostre promesse.
Prendetelo».
Loki serra le labbra in un moto di nervosismo mentre vede il drappello
di strane creature deformi alle spalle di quell'ambasciatore di
sciagura. Probabilmente quello è tutto ciò che
rimane delle armate di Thanos, ma sono comunque in troppi.
Potrebbe affrontarli, ha abbastanza energia per distruggerli, ma se
usasse quell'energia per combattere dopo non potrebbe più
muoversi da quello sputo di terra alla deriva nello spazio e restare
lì significa finire intercettati presto o tardi dallo
sguardo di Heimdall. In un caso o nell'altro cadrebbe prigioniero dei
suoi nemici e Loki adesso sta pensando che scegliere i nemici
è comunque un punto a suo favore. Sa che Thanos non lo
ucciderà, non subito almeno, e lui avrebbe tutto il tempo di
riuscire a fuggire al momento più opportuno e tornare sulla
Terra, rivedere Nadia, aiutarla e nel frattempo assorbire nuova energia
dalla pietra. Se invece distrugge quel drappello di armigeri
verrà rintracciato, preso e riportato ad Asgard, dove
sarà privato dei suoi poteri e dove resterà
prigioniero in eterno, senza alcuna possibilità di fuga,
stavolta. Sa anche che l'unico motivo per cui Thanos non lo ucciderebbe
subito è perché vuole torturarlo per fargli
scontare il suo tradimento. Non importa, lui è un dio,
niente può spezzarlo.
Loki chiude gli occhi per un istante, respira lentamente e si arrende
ai suoi nuovi carcerieri.
Per il momento.
Ora che ha preso la sua decisione, la logica e la
razionalità riprendono possesso dei suoi pensieri e una
domanda affiora nella sua mente.
«Come avete fatto?» domanda, guardando il capo dei
Chitauri. «Come siete riusciti a viaggiare fin qui senza il
Tesseract?»
«Abbiamo altri alleati che hanno trovato un altro modo di
viaggiare nelle galassie, non è lontanamente potente come il
manufatto del popolo asgardiano, ma serve allo scopo. Ora, basta
parlare, Loki di Asgard! Risparmia il fiato per quando avrai da urlare
pietà al mio signore».
Questo non
avverrà mai!
Loki fa un enorme sforzo di volontà per restare passivo e
immobile mentre gli incatenano i polsi dietro la schiena. Il ghigno del
capo dei Chitauri sparisce appena incontra lo sguardo del dio, carico
di odio e di furore.
____________________________________________________________________
Note:
Ultimo capitolo, prima dell'epilogo.
Alla fine Loki cede a quel po' di buono che c'è in lui. Mi
spiego:
essendo io convinta, a prescindere da questa fanfiction, che in un
passato magari molto remoto Loki abbia davvero voluto bene a Thor e
non sia del tutto incapace di provare sentimenti, va da sé
che c'è
del buono in lui, un buono sommerso da anni e anni di rancore e tutto
il resto, ma c'è e alla fin fine è venuto fuori
automaticamente,
per qualcuno contro il quale lui non ha alcun motivo di provare
sentimenti negativi, anche se il qualcuno in questione è una
comune
mortale un po' scassaballe.
E alla fine Loki, proprio quando si era deciso a fare qualcosa di
decente, viene beccato dagli scagnozzi di Thanos... per la serie
“tanta fatica per nulla”. Perché un po'
se lo merita, perché un
po' se l'è andata a cercare e per quanto mi dispiaccia...
ben gli
sta!
Ma... abbiate fede...
Ci leggiamo giovedì con
l'epilogo. E poi
shawarma per tutti!
|
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Capitolo 24 *** Epilogo ***
Epilogo
Un
mese dopo...
Nadia tira il discarico e si lascia cadere contro il pavimento del
bagno. Vorrebbe alzarsi e sciacquarsi la bocca per lavare via quel
sapore disgustoso, ma resta lì, seduta sulle mattonelle
bianche, con la voglia di piangere che le serra la gola e le spezza il
respiro.
Il silenzio è un rumore assordante, il vuoto di un buco nero
che sembra inghiottirla, giorno dopo giorno.
Sua madre bussa alla porta, la chiama. Lei le dice che va tutto bene,
ma non è così.
Non può dire niente alla sua famiglia di quello che sta
succedendo, loro non capirebbero. È già tanto che
è riuscita a nascondere il fatto che sta male, che peggiora
giorno dopo giorno con quelle continue nausee e i capogiri. Nel suo
corpo c'è qualcosa che ogni sua cellula sembra rifiutare.
Certo, perché lei non è fatta per essere un...
che cosa è? Un contenitore di energia magica? Quell'energia
magica che non sa come smaltire, che sembra condensarsi dentro di lei,
ristagnarle nel sangue, sotto la pelle, per poi farla star male. Oppure
esplodere e farla sentire come se ogni parte di lei stesse andando a
fuoco.
E lei è sola con tutto questo.
Loki aveva detto che l'avrebbe aiutata, che sarebbe tornato per lei.
La ragazza si sente una sciocca per avergli creduto. Come ha potuto
pensare che lui, il dio dell'inganno, si sarebbe fatto carico dei guai
di una mortale? Come ha potuto pensare che per una volta il Mentitore
per eccellenza le stesse dicendo la verità? Come ha potuto
illudersi che lui provasse dei sentimenti per una sciocca ragazza che
dal primo momento che ha incrociato la sua strada non gli è
stata altro che di intralcio?
È inutile tormentarsi. Nadia conosce la risposta a queste
domande: sperava che Loki provasse qualcosa per lei, perché
lei... gli vuole bene.
Perché lui per lei è importante, come gli ha
detto, e le è costato tanto doverlo dire ad alta voce,
davanti a quegli occhi di ghiaccio.
Ma Loki è sparito da un mese e lì le cose vanno
peggiorando. Loki è stato crudele presentandosi da lei e
facendole promesse che non aveva la minima intenzione di mantenere.
Forse era il regalo di commiato che il dio delle malefatte progettava
da sempre: tradirla, farle del male, distruggerla dall'interno,
partendo dal cuore.
E l'unica cosa che Nadia sa è che se potesse tornare
indietro, rifarebbe esattamente le stesse cose. Sceglierebbe di
combattere per salvare quelle persone e per salvare lui. Lo salverebbe
altre cento, mille volte.
Lo sa, e l'idea le fa ancora più male. Le lacrime che ora le
scorrono sulle guance sono stille di veleno.
Ma sa anche che deve fare qualcosa. E sa che non ha molta scelta in
merito al cosa
in questione.
Si alza dal pavimento, reggendosi al termosifone. Si lava il viso e
sciacqua la bocca con un sorso di collutorio, poi va in camera sua a
prendere il cellulare dove è memorizzato il numero che aveva
giurato a se stessa che non avrebbe mai usato – non per
chiedere aiuto, almeno, ma non ha altra scelta.
Grazie al cielo i telefoni dell'albergo sono abilitati alle chiamate
intercontinentali. Con un sospiro di resa, Nadia compone il numero e
ascolta gli squilli nella cornetta con il battito cardiaco che aumenta,
secondo dopo secondo, diventando un rombo sordo nella testa.
«Nadia!». La voce di Tony, perennemente carica di
esuberanza, arriva come un balsamo nelle sue orecchie. Anche se lui
è dall'altro lato del mondo, è un conforto
sentirlo.
«Ciao, signor Stark» mormora lei. Contrariamente a
quanto si aspettava, il suo interlocutore non comincia con nessun
discorso a raffica, aspetta che sia la ragazza a parlare.
«Io... mi dispiace di averti chiamato... ma non sapevo a chi
altri rivolgermi».
«Sei nei guai» dice Tony con un sospiro che fruscia
nella cornetta. Non è una domanda, è
un'affermazione.
«Non so da dove cominciare...»
«Lo so».
Nadia si morde il labbro. Cos'è che lui sa?
«Dammi due minuti e arrivo» conclude Tony, cercando
di assumere un tono più rassicurante.
Dargli due minuti? Ma è dall'altra parte del mondo! E
perché sembra sapere già tutto?
«Tony, ma cosa...»
«Solo due minuti, Colombina» conclude l'americano
prima di riagganciare.
Nadia fissa basita la cornetta del telefono. Forse quando ha detto due
minuti Tony ha parlato per iperbole. Forse parte tra due
minuti – parte per andare da lei? Sarebbe molto confortante
ma Nadia sa che non ha il diritto di aspettarsi tanto. E anche se
fosse, ci vorranno ore prima che Tony o chi per lui arrivi a Venezia da
New York.
La ragazza prende lunghi respiri e cerca di calmarsi. Non ha senso
stare lì a farsi venire un attacco di panico, forse
è meglio che torni nella hall a dare una mano, che provi a
tenersi impegnata. Può sempre provare a richiamare Tony in
un secondo momento.
Sta per raggiungere la reception quando sente Sara alzarsi di scatto da
dietro al bancone, facendo stridere sul pavimento le gambe di legno
della sedia.
«Signor Stark?!» esclama sua sorella.
«Ciao, Carmilla».
Nadia ha un sussulto. In un moto istintivo controlla l'orologio: sono
passati esattamente
due minuti. Affretta il passo, apre la porta che dal loro appartamento
privato immette nella hall e vede Tony avanzare in tutta la sua
narcisistica sobrietà.
Lui si toglie gli occhiali da sole e li posa nel taschino della giacca,
lanciandole un lungo sguardo e strizzandole l'occhio. Nadia ha voglia
di corrergli incontro per abbracciarlo.
«Oh, è bello averla qui...» dice Sara,
su di giri. «A cosa dobbiamo il piacere?».
«Nadia, di nuovo non hai detto niente ai tuoi? Un po'
più di autostima, ragazza mia!» dice Tony in tutta
naturalezza. «Ha passato le selezioni del concorso di
fotografia, deve venire con me».
Venire con lui dove?
Sara si volta a guardala, con la bocca talmente spalancata per lo
stupore che c'è da temere che le si stacchi la mascella.
Ora anche sua madre si unisce alla conversazione.
«Aspetti, sta dicendo che mia figlia ha vinto un concorso di
fotografia? Per un lavoro da fotografa in America?» borbotta
quasi scioccata.
«Esattamente, signora Berton. Deve essere molto fiera di lei,
è una ragazza speciale, più di quanto si riesca a
credere». Queste ultime parole non sono per sua madre, sono
per lei, Tony le pronuncia con un'aria quasi solenne, fissando Nadia
negli occhi per poi tornare a guardare la signora Angela.
«Non vorrà dirmi che in tutto questo tempo
l'avevate sottovalutata?».
La ragazza quasi sorride per quel piccolo momento di rivalsa, ma ora
deve scendere dalle nuvole e tornare alla realtà. Deve stare
al gioco, ma ha bisogno di capire cosa sta succedendo.
«Ehm... mi scusi, signor Stark, ma io non sapevo niente di
questa partenza» mormora. «Quando dovremmo partire?
Per quanto tempo starò via?».
«La risposta alla prima domanda è: adesso. La
risposta alla seconda è: non lo so». Tony le
lancia un'occhiata eloquente. «Perché non vai a
fare le valige? Il mio
team ti spiegherà tutto durante il
viaggio».
La signora Berton ha un moto di panico. Sgrana gli occhi e per poco non
agguanta il braccio di Stark.
«Vuole portare via la mia bambina dall'altro lato del
mondo?» esclama, con la voce che all'improvviso è
diventata tremula.
«Soltanto se la sua bambina ventiseienne non ha
niente in contrario. Qualcosa in contrario, piccola
locandiera?»
«Direi che non sono in condizioni di avere qualcosa in
contrario» dice Nadia, più tristemente di quanto
dovrebbe. Sua madre e sua sorella la fissano stranite.
«Cioè, volevo dire, è l'occasione che
aspettavo da tutta la vita... lo sapete... io...».
«Ho sempre saputo che sarebbe successo, un giorno»
conclude Sara. Nadia non riesce a capire se sia triste o felice per
lei, ma sa che non può fare altro che andare in camera sua e
preparare i bagagli alla svelta.
Aveva chiamato Tony per chiedergli aiuto, ora sa che non può
fare altro che fidarsi di lui.
Ha salutato la sua famiglia che ha creduto alla bugia riguardo al fatto
che era tutto previsto da contratto che aveva firmato quando aveva
cominciato a partecipare alle prime fasi di selezione del fantomatico
concorso di fotografia.
Ha messo in valigia solo le cose più indispensabili, qualche
vestito di ricambio, il suo computer portatile, la sua macchina
fotografica – sì anche quella. Del resto sa che
troverà tutto quello che le serve una volta arrivati a
destinazione. Qualunque
sia la destinazione.
Ha promesso a Sara che potranno sentirsi tutti i giorni o quasi con la
webcam e che la terrà aggiornata su tutte le cose fighissime che
sicuramente vedrà - «... e se Stark ci dovesse
provare con te: stacci. Fallo per me, se non altro».
«Sei sempre la solita idiota, sorellina».
«E tu la solita donna fortunata!».
No, non si sente affatto fortunata mentre cammina insieme a Tony verso
piazzale Roma, dove li sta aspettando una macchina –
probabilmente una Maserati con tanto di autista e frigorifero sul
sedile posteriore – che li porterà all'aeroporto.
La macchina è davvero una Maserati, dalla carrozzeria nera e
dai sedili in pelle bianca. E c'è davvero l'autista, che le
apre lo sportello e le fa un sorriso squisito.
Nadia si sente soffocare, ma si sforza di sorridere a Tony che si sta
sedendo accanto a lei.
«Grazie per... ehm, per questo» gli dice con un
filo di voce.
«In realtà, è un piacere. Ci serviva
proprio qualcuno che ne capisca di cucina italiana. Come
stai?»
«Sembrerei sciocca e infantile se mi mettessi a
piangere?»
«No. È per questo che ho portato questi»
dice Tony aprendo una vano portaoggetti e tirando fuori una scatola di
cleenex.
La lascia al suo momento di sfogo personale anche se sembra che abbia
molte cose da dirle. Del resto il viaggio è lungo fino in
America.
Arrivati al Marco Polo, Nadia nota subito l'aereo con la scritta STARK
sullo scafo che attende sulla pista di atterraggio dove loro sono
diretti senza passare per il chek-in, senza sbrigare alcuna pratica.
Scendono direttamente sull'enorme nastro d'asfalto.
«E io che fino a ieri ero convinta che la mia vita fosse
tornata normale...» borbotta Nadia, ritrovando un po' del suo
sarcasmo.
Quale vita? Se non si
risolve questa cosa non ci sarà più nessuna
vita...
Degli uomini spostano una scala accanto al portellone dell'aereo,
quando questo si apre spuntano tre visi noti.
Pepper, Natasha e Steve.
I tre scendono rapidamente la scala. Carino da parte loro essere venuti
a prenderla. La gioia di rivederli le fa quasi dimenticare tutto il
resto. E tutto il resto è enorme... ma la vista di loro tre
che scendono la scala per venirle incontro, il sorrisetto da satiro di
Tony in piedi accanto a lei, fanno restringere le pareti di quel buco
nero che fino a poche ore prima sembrava sul punto di inghiottirla.
«Avevamo paura che un viaggio intero da sola con Tony fosse
troppo snervante» dice subito Steve.
«Invece viaggiare con un tizio che si veste come mio nonno
è molto rilassante» lo rimbecca l'altro.
«Sta' zitto Stark. Io almeno non sembro un regalo portato da
Babbo Natale».
Pepper cinge le spalle di Nadia con un braccio.
«Non preoccuparti, Natasha ha una pistola per la caccia agli
elefanti, con le cartucce piene di sonnifero ed è pronta a
usarla. Su quei due, intendo».
«Tre donne contro due ometti» interviene Natasha.
«Forse sono loro che dovrebbero preoccuparsi».
Nadia si sforza di ridere. Ancora non sa bene cosa sta succedendo e
come sia possibile che loro siano lì e che in qualche modo
sappiano tutto, eppure non le sembra così tanto rilevante.
Mentre sale la scala verso il portellone dell'aereo sente la sua vita
andare in pezzi ad ogni gradino e intravede una vita nuova, piena di
incognite, che l'attende oltre quello sportello di metallo, con tanti
punti di domanda e un'unica certezza. Ora sa che non dovrà
mai più preoccuparsi di essere sola. Ora ha i suoi eroi e loro la
salveranno.
_________________________________________________________________________________
Note e titoli di coda.
Ehm... ehm... naturalmente è sottinteso che il caro Nick
Fury si era fatto raccontare tutto e aveva messo sotto sorveglianza la
ragazza, per questo Tony era già a Venezia quando lei lo ha
chiamato e sapeva già tutto.
E così lasciamo Nadia alle cure degli Avengers (sono certa
che a forza di dai e dai, un modo per salvarla lo trovano) e Loki alle
torture di Thanos perché questo mi sembrava l'unico finale
plausibile per una storia del genere, perché la salvezza e
l'happy ending non erano in scaletta. Perché visti i
personaggi, mi sembrava stupido. Non volevo una storia in cui Loki
finisse per redimersi per amore di una donna, non volevo nemmeno una
storia in cui Loki si innamorasse in realtà, infatti non
credo si possa parlare propriamente di amore tra lui e Nadia;
semplicemente lei è l'unica che non si è posta in
una situazione di antagonismo nei suoi confronti e per questo a lui
viene automatico provare qualcosa di positivo per lei. Non la volevo
perché credo che per far innamorare Loki (e
soprattutto, farlo innamorare di un'umana) ci sia bisogno di fargli
avere un certo tipo di evoluzione che in questa storia non era
prevista.
E quindi li lasciamo così. Ma questo non vuol dire che non
potremmo ritrovarli, più in là. Sì,
c'è un sequel che bolle in pentola e che sarà
pubblicato tra due di settimane (salvo imprevisti), ma non è
il momento di parlarne adesso.
Mettere il punto conclusivo a una storia è sempre un po'
emozionante, se poi nel frattempo questa storia è stata
condivisa con altre persone, la sensazione è ancora
più pressante... non che ci siano elucubrazioni sentimentali
da fare su questa fanficiton, l'ho scritta per il bisogno di dire la
mia su dei personaggi e su un universo che ho adorato guardando i film
e mi sono divertita (ogni tanto, nella mia testa, io e Loki ci usavamo
come reciproco bersaglio per il lancio di oggetti contundenti a caso,
ma è stato divertente anche quello). Spero che un po' di
quel divertimento e un pizzico di qualsiasi cosa di buono io abbia
tentato di mettere tra queste righe sia arrivato a chi ha letto.
Grazie a chiunque abbia seguito questa storia, a tutti quelli che hanno
commentato e a tutti quelli che hanno voluto passare un po' di tempo in
compagnia di Nadia, del “mio” Loki e dei
“miei” Avengers.
Alla prossima.
Luciana
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