A series of unfortunate events

di Alkimia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventunesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventiduesimo ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


(Contro)indicazioni per l'uso:
Premetto che dell'universo Marvel conosco solo i film e la fanfiction si basa su quelli (anzi, a partire da quelli), quindi se tra il pubblico dovesse esserci qualche esperto dei fumetti mi perdoni le eventuali boiate.
Nelle indicazioni sul genere non ho voluto inserire "comico", però credo sia impossibile scrivere una fanfiction sui film targati Marvel senza sparare allegre caz... ehm, senza concedersi un po' di "beneducate frivolezze" (citazione colta U_U) mirate a strappare un sorrisetto a chi legge. 
Solitamente, con film come The Avengers regredisco all'età mentale di undici anni, per di più ho malsane ed enfatiche tendenze da fangirl a oltranza per cui se la cosa si facesse troppo evidente nella storia ogni critica (e ogni tentativo di fermare lo scempio che potrebbe venirne fuori) è ben accetta, soprattutto perché questa è la mia prima fanfiction “mainstream” che scrivo, di solito sono abituata a fandom meno frequentanti e a personaggi meno “inflazionati”.

Il titolo della fanfiction è trafugato dal ciclo di romanzi di Lemony Snicket.


***

Prologo


Odino è stanco. Sente la fatica pesargli sul petto, serpeggiargli sotto la pelle fino alle ossa, come una febbre venefica.
Ha combattuto molte battaglie il Padre degli dei, ha avuto tanti momenti di gloria, ma ora ha davanti agli occhi la sua più grande sconfitta, quel figlio che non è riuscito a salvare da se stesso, dall'ossessione che lo ha corrotto.
Si avvicina alla porta della stanza cercando di fare piano, ma il suo passo è pesante – il passo di un vecchio, pensa. Le guardie, armate di lance e spade, sono immobili come statue nelle loro armature scintillanti, pronte a ogni evenienza, ma lui non vuole pensare a ogni evenienza.
Schiude appena l'uscio; i battenti sono bloccati e possono essere aperti solo dall'esterno. Guarda dentro la camera e sente qualcosa di amaro e pungente agitarsi in fondo al suo cuore.
La stanza dai tendaggi dorati è in penombra e sembra troppo grande per una sola persona. O forse è il suo occupante a sembrare per un attimo troppo piccolo sotto lo sguardo velato del dio.
Nel silenzio che regna in quell'ala del palazzo di Asgard, per un istante Odino sente affiorare dai recessi della mente una strana sensazione di pace, quella di un padre che osserva un figlio dormire e si permette di immaginare per lui il futuro migliore che si possa sperare. Poi un'immagine arriva a coprire come un sudario quel sentimento sereno: l'immagine di quello stesso figlio in ceppi, con la bocca imbavagliata e lo sguardo furente. L'immagine di un uomo umiliato e senza alcun futuro in cui sperare.
Che Thor abbia agito a torto o a ragione andando a riprendere Loki e riportandolo a casa da prigioniero, non fa alcuna differenza. Odino sa che ora lui li odierà per sempre, adesso non sono più la sua famiglia, sono diventati i suoi giudici e i suoi carcerieri.
L'odio di un figlio: quale sconfitta peggiore per un padre...
Perché quel ragazzo è suo figlio, qualsiasi cosa creda, qualsiasi follia si sia insinuata nella sua fragile mente.
Ma adesso non ha importanza, adesso Loki sta dormendo, al sicuro – prigioniero – nella casa in cui è cresciuto e Odino è molto molto stanco.
“Cosa farai, ora?”. La voce di Frigga arriva ovattata alle sue spalle.
Il Padre degli dei si volta richiudendo piano la porta. Sua moglie ha occhi che sanno già tutto.
“Non posso permettere che lasci Asgard, che lasci queste stanze” le risponde con una certa amarezza. “Lo priverò dei suoi poteri e lo terrò qui”.
Frigga aggrotta le sopracciglia e c'è qualcosa di profondamente addolorato nel solco che si disegna sulla sua fronte.
“Non puoi tenerlo qui per sempre” osserva cupa.
“Lo so. Ma stavolta non ho un disegno da seguire”. Odino sospira, un sospiro carico di rimpianto, proprio come quello di un vecchio.

*

Nel sogno stava cadendo. Il pavimento di pietra si avvicinava a una velocità vorticosa e lui non poteva fare niente, in mezzo a quel buio non c'era alcun appiglio.
Si sveglia, apre gli occhi per un momento. Non era solo un sogno, è caduto davvero.
Si chiede come diamine sia riuscito ad addormentarsi; ora che è sveglio la rabbia gli fa accelerare il battito, gli pulsa nelle tempie e Loki ha quasi l'impressione di sentire in testa il rombo dei tuoni scatenati dal martello di Thor. Eppure resta immobile perché sa che deve raccogliere le forze e le idee.
Sente i passi di qualcuno avvicinarsi alla porta di quella che una volta era la sua stanza e che ora è la sua prigione, finge di essere ancora addormentato.
Attraverso le palpebre socchiuse vede la porta aprirsi appena e rivelare il profilo di Odino premuto contro il battente a spiare dentro. Non ha alcuna intenzione di far sapere al Padre che è sveglio, non ha alcuna intenzione di parlare con lui, per questo resta abbandonato tra le lenzuola, il volto affondato nel guanciale. Non ha alcuna intenzione di vedere di nuovo la pena nello sguardo del potente re di Asgard.
Da lontano arriva flebile, quasi un soffio, la voce di Frigga. Il pensiero di sua madre gli fa ancora sanguinare il cuore alle volte... un attimo prima di ricordarsi che lui non ha un cuore e che quella donna non è sua madre.
“Cosa farai, ora?” domanda lei.
Sente le loro parole anche attraverso la porta che il Padre ha richiuso piano dietro di sé e per quanto si sforzi di non fare alcun movimento, le labbra di Loki si increspano in un ghigno. Vuole proprio sentirla questa risposta.
“... lo priverò dei suoi poteri e lo terrò qui” conclude Odino.
Certamente. E perché non murarlo vivo in uno dei pilastri del palazzo, già che ci siamo.
“Non puoi tenerlo qui per sempre” replica Frigga. Loki sente il dolore pungere attraverso la sua voce.
“Lo so. Ma stavolta non ho un disegno da seguire”.
Io invece sì.
Loki stringe istintivamente i pugni attorno alle lenzuola. Lui ha molti disegni, in effetti. Fin da quando ha lasciato Asgard la prima volta, dopo lo scontro in cui Thor aveva distrutto il Bifrost, quando tutti lo avevano creduto morto, non ha fatto altro che cercare strade da seguire.
Ha calcolato ogni cosa, a questo gli è servito quel suo lungo esilio. Per ogni percorso possibile ha trovato almeno due o tre vie di fuga. Aveva messo in conto anche l'eventualità di venire catturato nel caso in cui il suo piano con i Chitauri fosse fallito.
Mentre nella sua mente si dipana una mappa da seguire, Loki sa che non è più un prigioniero. È solo qualcuno in attesa di un'occasione, come lo è stato per il resto della sua vita.  

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


Capitolo Primo


Nell'androne del palazzo c'è un grosso portaombrelli di rame a forma di anfora, sembra molto vecchio e Nadia ha una gran voglia di prenderlo a calci.
Si ferma sull'ultimo scalino, fa grandi respiri. L'aria sa di pietra vecchia e gerani.
Nadia detesta l'odore dei gerani. E detesta quei grandi palazzi antichi e i tizi panciuti in giacca e cravatta che ci vivono dentro, con il loro olezzo di gel per capelli e dopobarba costoso, con quel loro mettere in mostra oggetti di antiquariato e argenteria cesellata. E detesta se stessa per essersi messa in ghingheri con trucco, tacchi alti e tutto il resto e aver indossato i suoi vestiti migliori, e il girocollo di sua madre, e il bracciale che le aveva dato sua sorella come portafortuna. In un moto di stizza afferra il bracciale e cerca di tirarlo via, ma quel maledetto affare se ne resta incollato al polso.
«Vaffanculo!».
Al diavolo il bracciale, al diavolo i vestiti, al diavolo tutto.
Si toglie le scarpe, il pavimento di marmo levigato dal tempo è gelido contro le piante dei piedi e il sottile tessuto dei collant non è un granché come protezione.
Apre il pesante portone, una lama di luce e pulviscolo fende la penombra e le ferisce gli occhi. Lei esce e attraversa a grandi passi i portici di Piazza San Marco.
Le vetrine delle gioiellerie riflettono l'immagine di una giovane donna dall'aria furiosa, con i capelli corti e biondi, che cammina scalza in uno dei luoghi più belli e famosi del mondo.
Nessuno tra gli sciami di turisti e venditori di souvenir fa caso a lei.
Nadia continua a camminare, rimuginando sul giorno in cui una sua foto varrà migliaia di euro e quell'idiota del gallerista piangerà per essersi rifiutato di esporre i suoi lavori.
Sotto la pianta dei piedi i collant devono essersi strappati, ma la ragazza non ci presta attenzione. Quello a cui fa caso invece è il vento insolitamente gelido che ora sta spazzando la piazza e che fischia forte nelle sue orecchie, spingendole i capelli sugli occhi.
Nadia si guarda attorno, non ci sono uccelli in cielo, il vento è davvero troppo forte e non soffiava in quel modo quando era entrata nel palazzo, né faceva così freddo fino a mezz'ora prima.
L'ombra del campanile di San Marco sbiadisce man mano che le nuvole si spostano e coprono il sole che rimane solo un pallido cerchio luminescente oltre una coltre di grigio, una sfera che somiglia alla pietra sul bracciale che Nadia ha al polso. Sul molo davanti alla Loggia delle Signorie i traghetti oscillano sollevando schizzi di acqua salmastra, emettendo cigolii lamentosi. Sotto quel cielo plumbeo la Laguna è un foglio di carta stagnola sgualcita.
La ragazza deglutisce, sente una strana tensione in fondo allo stomaco, come di un brutto presentimento. Scuote la testa, solleva il colletto del soprabito e continua a camminare.
Venezia sarà pure una delle città più belle del mondo, ma in quel posto non succede mai niente. Arrivano i turisti, se ne vanno, al loro posto ne arrivano altri. La marea sia abbassa, poi sale, poi scende – tanto per dare agli osservatori ambientali qualcosa con cui riempire gli ultimi minuti del Tg regionale... e non succede mai niente. E il gallerista l'ha invitata a prendere un caffè solo per dirle che non era interessato a esporre le sue foto.
Man mano che Nadia si addentra nell'intricato labirinto di stradine e di ponti, il fischio del vento si fa meno acuto. Man mano che la rabbia inizia a sbollire cresce il dolore ai piedi e la consapevolezza che quella di togliersi le scarpe è stata un'idea davvero stupida. A conti fatti, sembra che ultimamente ogni sua idea sia stupida.
«D'accordo...». La ragazza sbuffa, si siede sui gradini di un ponte e si rimette le scarpe chiedendosi se sia più folle camminare per Venezia a piedi nudi o girarci in tacchi alti.
La strada fino a San Simeon le sembra incredibilmente lunga. 
L'acqua mossa dal vento scroscia nei canali come un fiume color piombo, urta contro gli argini con tonfi sordi e solleva schizzi gelidi.
Nadia non vede l'ora di poter dimenticare quella giornataccia. Ma sono solo le undici del mattino.
Si ricorda di sfuggita di sua sorella che le ha chiesto di comprarle il suo mensile di cinema, quindi si ferma a un'edicola. Sulla copertina c'è Christian Bale con il costume di Batman, il titolo annuncia anteprime sul nuovo film di Christopher Nolan; la ragazza guarda la foto e pensa che più che un supereroe le farebbe comodo qualcuno che facesse piazza pulita di tutta quella gente odiosa e inutile.
Si sente uno schifo. La notte prima ha sognato che il mare sommergeva l'albergo dei suoi genitori e lei ne rideva. «Così non ci resterò intrappolata per sempre» diceva, e non era la solita Nadia, era una ragazza crudele e priva di sentimenti. E adesso quel pensiero le si agita nella testa, perché da bambina, alle volte aveva desiderato sul serio che l'albergo sparisse, che le circostanze fossero diverse. Forse è davvero crudele e priva di sentimenti, pensa stringendo sottobraccio la rivista per sua sorella, perché tutto quello a cui ha pensato negli ultimi anni è non rimanere incastrata a gestire l'attività di famiglia – e non le è nemmeno riuscito troppo bene.
Da lontano, le persone sulle scale della stazione sembrano formiche attorno a una meringa.
Nadia costeggia la chiesa di San Simeon con il naso all'insù, scrutando quel cielo spettrale. Sembra che sia in arrivo un temporale, ma non si sentono tuoni, ci sono solo nuvole e freddo. Un freddo pungente, praticamente una vera e propria cappa di gelo.
Almeno gli osservatori dell'ARPA potranno discutere di qualcosa di diverso dall'alta marea per un paio di giorni.     

L'albergo San Simeon, in un vicolo alle spalle della chiesa, non è di certo il posto più chic di Venezia, ma la famiglia Berton se ne occupa da decenni e lo fa anche con un certo stile, con quella buona lena e quella naturalezza propria di chi ama il mestiere che svolge.
Nadia fissa l'insegna ciondolare sopra il portone principale e pensa che questo vale per i suoi genitori, ma non per lei. Lei non vuole fare l'albergatrice, quel posto è un'eredità che non desidera ricevere. Ma per adesso, che alternative ha?
Fa il giro dell'edificio ed entra da una porta sul retro, nella vana speranza che nessuno la noti. Sta già pensando di sgusciare verso le scale che portano al piano più basso, dove c'è l'appartamento della sua famiglia, separato dalle stanze riservate agli ospiti del piccolo hotel. I collant sono irrimediabilmente strappati all'estremità ma si toglie comunque le scarpe, per non fare rumore; la sensazione della moquette contro le piante dei piedi è piacevole.
È Casanova a tradirla, il suo gatto. Lancia un acuto miagolio di benvenuto che attira l'attenzione di sua madre e di sua sorella Sara.
Casanova ha un setoso pelo grigio, morbido e lucido, e due occhi color ambra. Quando Nadia lo trovò nel negozio abbandonato, l'anno prima, con una zampa rotta e gli occhioni spaventati, le sembrò la cosa più adorabile del mondo, ora vorrebbe immergerlo in un catino di acqua gelata, ma si china comunque a prenderlo in braccio e lo accarezza sotto il mento. È un peso caldo e confortante, non abbastanza per riappacificarsi con il mondo, ma di sicuro un buon punto di partenza, almeno fino a quando non solleva lo sguardo su sua madre e su Sara che le bloccano il passaggio verso le scale, immobili l'una accanto all'altra, così somiglianti tra loro da sembrare due matrioske, con un sorriso da un orecchio all'altro.
«Allora?».
Nadia affonda un po' di più le mani nel pelo di Casanova.
«Allora niente» dice, cercando di non apparire troppo amareggiata – non che serva a molto, probabilmente ha la faccia verde in questo momento.
«Come niente?» esclama sua madre, facendo una passo verso di lei.
Nadia le sguscia di fianco, guadagnando le scale. Si volta, con un piede già sul primo gradino.
«Niente foto da esporre, secondo il gallerista. Quindi niente di cui discutere» conclude, cercando di mettere su un sorriso che alleggerisca il tono delle sue parole.
«Nadia, asp...», la voce di Sara le arriva lontanissima, come se venisse da un'altra dimensione.
La ragazza chiude la porta della propria camera alle sue spalle, si dirige verso il letto e ci si butta di schiena, a peso morto.
Casanova incespica sul copriletto di raso azzurro, ma riesce a raggiungere la sua padrona e si acciambella accanto a lei. È quasi miracoloso come la curva della schiena del gatto si incastri in quella del fianco della ragazza.

***

Le dieci pietre di Borr, il padre di Odino. Loki ne rammenta perfettamente la storia, una delle tante che il re di Asgard raccontava a lui e a Thor quando erano piccoli.
In molti, tra la sua gente, sono convinti che si tratti solo di una leggenda, ma lui ha avuto tempo per apprendere la verità dietro ogni favola che i padri di Asgard racconta ai propri figli. Ha letto molti libri e conosce la vera storia dietro ogni mito. Sa che le pietre furono donate da Borr ai dieci cavalieri più valorosi del mondo eterno, sa che uno di loro, durante una spedizione su Midgard, si innamorò di una mortale umana e rimase nel suo mondo tenendo con sé la pietra. Sa che quella pietra si trova ancora sulla Terra, perché era una cifra dei suoi calcoli prima di contattare il pianeta dei Chitauri, e che è un forte concentrato di potere magico, quello di cui ha bisogno per riprendersi dalla battaglia – dalla sconfitta, pensa amaramente, e dalla rocambolesca fuga da Asgard dove volevano tenerlo rinchiuso in attesa che il Padre degli dei formulasse un qualche disegno per decidere della sua sorte...
Sa anche che la pietra può funzionare solo nelle mani di un asgardiano, per questo gli umani, in tutti quei secoli non si sono accorti del suo straordinario potere. E sa che l'energia che ha usato per manifestarsi in quel luogo e attivare la pietra, così da poterla rintracciare seguendo le emanazioni del suo potere, è l'ultima che gli è rimasta. Trovare quell'oggetto ora è una necessità.
Non avrebbe mai immaginato di potersi sentire così distrutto e privo di forze. E il luogo in cui si trova è assolutamente assurdo: una città sull'acqua, giusto gli umani potevano inventarsi una cosa simile. Giusto quei patetici esseri che amano le cose fragili perché adorano crogiolarsi nel timore di perderle e provano piacere a struggersi quando ciò accade.
Una città sull'acqua. Che cosa stupida! E non vuole nemmeno immaginare come abbia fatto la pietra a finire lì, gli sembra già abbastanza miracoloso che non sia andata persa in tutto quel tempo.
Ma ormai non importa, ormai sa che l'oggetto è vicino, lo sente, è da qualche parte, alle spalle di quel tempio con la croce.
Loki si ferma al centro del ponte, appoggiandosi al parapetto di marmo. Il vento e il freddo che hanno preannunciato il suo arrivo tengono ancora in ostaggio quella città... Venezia, il nome gli sembra antico e gli suona meglio di quelli delle altre città di Midgard in cui è stato, e guardando il sole tramontare riconosce che forse quel posto può davvero apparire molto bello agli occhi dei mortali. Lui di tutta quella bellezza decisamente non sa che farsene.
Attraversa il ponte, dio in mezzo agli uomini, gruppetti di persone che gli passano accanto ignare parlando tante lingue diverse.
La pietra è vicinissima. Negli ultimi metri che separano Loki dalla sua meta, lui pensa a come fare per prenderla... un furto, qualche omicidio, sì, ma con molta molta discrezione. Non ha armi ed è stremato, non può affrontare le forze dell'ordine della Terra – anche se dubita che in un luogo senza mezzi di locomozione su ruote, le forze dell'ordine siano particolarmente tempestive.
Ora sa che la pietra è dietro quella porta. Sopra la porta c'è un'insegna che cigola, la scritta dice: Hotel San Simeon.  

***

«Abbiamo dormito per tutto il pomeriggio?». Nadia sposta lo sguardo tra la finestra della sua camera e gli occhi gialli di Casanova che la fissano con una malizia tutta felina.
Sì, ha dormito fino a sera e probabilmente i suoi non ne faranno un dramma, tendono a essere sempre molto protettivi con lei quando rimedia un qualche fallimento: il concorso per quel posto di lavoro a Mestre; la rottura del fidanzamento con Fabio; la non ammissione a quella scuola di fotografia di Padova... «Non ti preoccupare, Nadia, hai noi e hai questo posto. Certe cose non cambieranno mai». Già. La sua vita sarebbe molto più semplice se riuscisse a convincersene, invece di continuare ad agitarsi per un cambiamento che non avverrà mai. Ventisei anni di onesta esistenza a inanellare insuccessi come perle in una collana potrebbero anche bastare.
La ragazza fa un sospiro rassegnato, si ripete di smetterla di fare la derelitta e si alza. Cerca dei vestiti puliti – ordinati ma anonimi, come raccomanda sempre sua madre – e va verso il bagno. Apre il rubinetto della doccia e mentre aspetta che l'acqua diventi abbastanza calda si toglie quella roba assurda che ha addosso. Via la giacca, via la gonna, via la camicetta color crema; lancia tutto nel cesto dei panni sporchi, si sfila gli orecchini e il girocollo, tira via il bracciale che le ha regalato Sara. Il bracciale non vuole saperne di togliersi dal suo polso.
Nadia fissa perplessa il ninnolo, è uno di quei bracciali rigidi d'argento, molto vecchio, con dei simboli simili a delle rune e con al centro una pietra bianca dai riflessi colorati simile a un'opale. Sara glielo ha regalato alcuni mesi prima dicendole che è un portafortuna, lo ha comprato in un negozio a Porto Marghera e Nadia non lo aveva mai messo prima di quella mattina.
Il vapore sta facendo appannare lo specchio. La ragazza guarda il suo riflesso che è solo una macchia contro lo sfondo bianco delle mattonelle.
«Nadia, sei viva?». Sara bussa rumorosamente alla porta.
«No, c'è il mio fantasma qui dentro».
D'accordo, penserà poi a sfilarsi il bracciale. Si butta sotto il getto caldo della doccia, pensa che può continuare a tenere duro ancora per un po'... forse.

Sua madre ha indossato un pullover di filo color grigio fumo, si sta strofinando le braccia. Nadia sente un calore appiccicoso nell'aria e si arrotola fino al gomito le maniche della camicia. 
«Brrr, ho acceso i riscaldamenti!» esclama la signora Angela Berton, appena vede arrivare le sue due figlie. Finge di non vedere la maglia di Sara con sopra stampato un disegno di Victoria Frances, perché evidentemente non ha voglia di discutere. E finge di non sapere che l'altra figlia è di pessimo umore, perché in quella casa è così che vanno le cose: non c'è tempo per il cattivo umore, altrimenti come si fa a essere gentili e sorridenti con gli ospiti dell'hotel?
«Ah, c'è qualcosa che non va con la rete internet» dice la donna guardando Nadia.
«Ora do un'occhiata, mamma».
La ragazza si sistema dietro al bancone della hall e comincia ad armeggiare con il mouse; di sicuro sua madre ha fatto confusione con il pc, da quando hanno sostituito il computer, con il sistema operativo nuovo la signora Berton non riesce a raccapezzarcisi. La ragazza sente distrattamente sua madre impartire ordini a Sara, qualcosa che ha a che fare con il controllo di vecchie fatture. Poi solleva lo sguardo sulla saletta davanti a sé, un paio di signori se ne stanno seduti a leggere il giornale, i coniugi Monteverdi hanno monopolizzato la televisione sintonizzandola su una soap-opera – quei due anziani signori sono lì da un paio di giorni, per il loro quarantacinquesimo anniversario di matrimonio, stanno facendo una specie di remake del loro viaggio di nozze e hanno ancora l'abitudine di lasciare le mance. A Nadia stanno simpatici.
La ragazza sta fissando con un mezzo sorriso i due anziani che complottano su quali potrebbero essere i futuri sviluppi della soap, approfittando dell'intervallo pubblicitario, quando vede con la coda dell'occhio la porta di ingresso che si apre di schianto.
Una folata di vento gelido attraversa la stanza e Nadia si ritrova a fissare a metà tra il perplesso e l'interdetto il tizio che ora sta attraversando la hall. Un uomo giovane dall'aria torva, vestito in modo eccessivamente elegante, che cammina come se da un momento all'altro potesse estrarre una granata dalla tasca del soprabito di alta sartoria.
Naturalmente quel tipo non estrarrà nessuna granata, e di certo è stato il vento a far aprire la porta in quel modo tanto brusco. Nadia ne è sicura. Più o meno...
«Buona sera» trilla sua madre in direzione dello sconosciuto. «Possiamo fare qualcosa per lei?».
È uno sguardo assassino quello con cui l'uomo – più un ragazzo che un uomo – sta guardando sua madre? Nadia non sa perché le sta venendo la pelle d'oca, ma vorrebbe tanto che il tizio dicesse di essersi sbagliato, salutasse e uscisse per tornarsene da dove è venuto. Ma lui non dice niente, nemmeno in risposta alla domanda di Angela. Forse è straniero, forse non capisce l'italiano, ma perché accidenti non parla?
Come se fosse l'unico essere vivente lì dentro, lo sconosciuto si prende un lungo momento per guardarsi intorno, come se stesse cercando di riconoscere un posto o una persona. A Nadia sembra più un segugio che fiuta una preda.
«Sta... ehm... cercando qualcuno?», Nadia prova a parlare, ma sente uno strano senso di disagio. Forse è solo quell'insolita tinta di azzurro molto chiaro che fa sembrare gli occhi del ragazzo così gelidi. Però quegli occhi si puntano su di lei all'improvviso e in mezzo a quell'azzurro ghiaccio si accende come una scintilla di qualcosa che sembra rabbia. Poi nient'altro, lo sconosciuto abbassa le palpebre, fa un leggero sospiro, come di qualcuno che tenta di ristabilire un certo contegno e quando riapre gli occhi sembra più... normale. Cioè, non sembra che voglia far saltare tutto in aria, ma agli occhi di Nadia continua a non avere un aspetto particolarmente rassicurante.
«Sì» dice di colpo. «Mi servirebbe una stanza, qui».
Parla in italiano, con una marcata inflessione straniera che la ragazza non riesce a identificare. Ad ogni modo, contro ogni regola della buona educazione, lei rimane impalata a fissarlo. Non ha bagagli, tra poco è sera, ha intenzione di dormire in giacca e cravatta?
«Nadia!» sua madre la richiama a denti stretti, lei si fa da parte e lascia che l'uomo si avvicini al bancone della reception.
Angela prende i documenti che lo sconosciuto ha estratto dalla tasca e compila il modulo elettronico.
«Quanto tempo intende fermarsi?» domanda.
«Il tempo che occorre».
La madre di Nadia non si scompone, ne è passata di gente strana sotto quel tetto e il tizio non è nemmeno lontanamente vicino a sfiorare la vetta della hit-parade degli svitati che il San Simeon  ha avuto l'onore di ospitare. Ma di solito gli svitati hanno la loro buona dose di simpatia e di attrattiva, questo più che altro sembra la scena di perfetto silenzio in un film dell'orrore, quando la guardi e sai che da un momento all'altro ci sarà il rumore improvviso che ti farà sobbalzare. Lo sai, eppure quando arriva ti prende comunque un colpo.
«Nadia» la voce di sua madre la strappa a quelle riflessioni idiote. «Accompagna di sopra il signore».
Nadia vorrebbe obiettare che c'è del personale appositamente assunto per accompagnare la gente alle proprie camere, portare bagagli e altre cose del genere, e lei quello lì non lo accompagnerebbe nemmeno alla poltrona vicino ai coniugi Monteverdi. Ma la professionalità le impone di non mettersi a discutere con sua madre in quel momento e in quel posto, quindi si sforza di sorridere allo sconosciuto – promettendosi che più tardi andrà nel database a controllare chi è e da dove viene, e gli fa cenno di seguirlo.
La camera assegnata al nuovo ospite è la numero 7, al secondo piano. Nadia sale le scale tappezzate di moquette blu imponendosi di mantenere un'andatura lenta e tranquilla, ma dietro di sé sente lo sguardo dello sconosciuto trapassarle la schiena.
Finalmente arrivano sul pianerottolo, davanti alla porta lucida di ciliegio.
Nadia è costretta a voltarsi e a guardare il ragazzo. È più alto di lei e adesso le sembra quasi un pesce fuor d'acqua.
«La sua camera è questa» gli dice, aprendo la porta per mostrargli la stanza. Ma lui non guarda la stanza, guarda lei con fin troppa insistenza.
«Tutto bene, signor... ehm, potrebbe ripetermi il suo nome?».
Lui sembra non averla sentita, la sorpassa ed entra nella stanza. Solo in quel momento la ragazza si accorge di quanto sia pallido e di quanto siano marcate le occhiaie sotto le palpebre. Sara ne impazzirebbe con la sua mania per i vampiri.
«Il mio nome, perché? Hai intenzione di chiamarmi spesso?». Lo dice senza particolare ironia e Nadia non riesce a capire se ci stia provando, in modo piuttosto maldestro e sgradevole tra l'altro, o se faccia tutto parte della sua bizzarria.
«No di certo» risponde gelida. «Buona serata».
Si volta e si avvia verso le scale. Lo sa che dall'uscio della stanza numero 7 quel tizio la sta ancora guardando, se lo sente, ma mentre imbocca i gradini le arriva il rumore ovattato della porta della camera che si chiude. 
 
***

La voce sembra essere fatta di buio e pietra, sembra spegnere le stelle. È una voce crudele che soffia come il vento in mezzo al deserto e fa quasi eco nella desolazione rocciosa di quell'universo lontano.
«Una promessa mantenuta merita una ricompensa. Una promessa tradita esige un castigo» sentenzia la voce.
Il capo dei Chitauri freme e quasi non osa guardare l'imponente figura di Thanos stagliarsi contro il nero del cielo. Un frammento di oscurità contro l'oscurità.
«Ebbene?» chiede, temendo che la domanda giunga troppo irritante e superflua.
La figura incappucciata china appena il capo a indicare un grosso oggetto cilindrico, tra le pareti di vetro opaco si agitano come minuscoli serpenti dei fili di fumo argenteo.
Il capo dei Chitauri afferra l'oggetto, sembra pesante a vedersi, e invece il suo peso è quasi inconsistente. Guardando più da vicino il contenuto del cilindro, sente un superstizioso terrore fargli eco nella mente.
«Possono viaggiare in qualsiasi universo. Possono viaggiare ovunque» afferma Thanos con un crudele compiacimento nella voce. «Voglio Loki, lo voglio vivo».


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Venezia. Loki. The Avengers. Venezia...
Sì, Venezia, tanto per essere... ehm... originali.

La storia delle dieci pietre magiche è stata inventata dalla sottoscritta. Però Borr è davvero il nome del padre di Odino - Wikipedia docet.
In quanto alle questioni linguistiche, ho supposto che gli dei di Asgard potessero parlare “automaticamente” la lingua del luogo in cui si manifestano (dato che Thor piove dal cielo nel New Mexico e parla la stessa lingua delle persone che incontra... e Loki spunta dal varco aperto dal Tesseract e non ci sono problemi di comprensione... e così via...), quindi ho pensato che potesse essere plausibile che Loki in Italia riesca a parlare perfettamente l'italiano anche se con un'inflessione particolare (poi, per il futuro, va da sé che gli albergatori di un'importante meta turistica sappiano parlare bene l'inglese).


 

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


Capitolo secondo


Stendere il braccio. Richiamare il Martello. Distruggere qualcosa.
È tutto ciò a cui Thor riesce a pensare in questo momento, mentre sposta nervosamente lo sguardo tra la porta della stanza aperta e le guardie stese sul pavimento lucido. Un urlo di furore si agita in fondo alla sua gola, tanto da spezzargli il respiro. A guardarlo potrebbe sembrare un leone pronto ad attaccare, peccato che ora la gazzella sia molto al di là della sua portata.
«La buona notizia è che sono vive» dice Fandral, dopo aver controllato uno ad uno i corpi riversi sul pavimento. «Thor, mi stai ascoltando?».
Stendere il braccio. Richiamare il Martello. Distruggere qualcosa.
«Sì. Le guardie sono vive, splendido, vuol dire che mio fratello fa progressi» mormora il dio del tuono con aria poco convinta.
Sif gli si avvicina, cercando le parole per rincuorarlo. Parole che non riesce a trovare, evidentemente perché non ce ne sono. Stavolta nemmeno lei sa da che parte il suo cuore sta sanguinando.
Dal fondo del corridoio arriva il rumore di passi pesanti e affrettati. Thor incrocia le braccia sul petto.
«Volstagg, confido che tu giunga con una buona notizia» borbotta, senza voltarsi a guardare il corpulento cavaliere di Asgard appena arrivato. China il capo il dio del tuono, non vuole che i suoi amici vedano la sua espressione amareggiata, non vuole che si accorgano di come la rabbia gli fa tremare le mani.
«In realtà, no» ammette Volstagg. Nella sua voce non c'è traccia della solita baldanza. «Heimdall non riesce ancora a vederlo».
Certo che no. Un tempo Loki era riuscito a far penetrare dei Giganti di Ghiaccio nelle segrete del palazzo, senza che il Guardiano del regno si accorgesse di nulla, lui sa come nascondersi alla sua vista onnisciente, sa come entrare e uscire da quella casa, conosce molti modi per lasciare Asgard.
Stendere il braccio. Richiamare il Martello. Distruggere qualcosa.
Thor ordina che le guardie vengano portate nella camera della guarigione e mentre i suoi compagni si occupano di eseguire questo compito, misura a grandi passi l'ampia anticamera, fino a fermarsi sull'uscio di quella che una volta era la camera da letto di suo fratello. C'è qualcosa che lo trattiene dall'oltrepassare la soglia, lo stesso senso del pudore che lo tratterrebbe dal violare la dimora di uno sconosciuto.
Lui e Loki hanno almeno una cosa in comune: a nessuno dei due piace perdere. Anzi, le cose in comune sono due. In un modo o nell'altro, entrambi hanno già perso.
Stendere il braccio. Richiamare il Martello. Distruggere qualc...
«Troveremo il modo».
Thor sbatte le palpebre perplesso, non si era accorto che sua madre fosse lì. Non ha il coraggio di voltarsi verso di lei e mostrarle con la sua espressione che non crede affatto a quelle parole.
«Troveremo il modo» ripete Frigga, dolcemente ma con determinazione, avvicinandosi a suo figlio.
Lui non è mai stato bravo a mentire e a celare i proprio sentimenti. Meno che mai con lei.
«Non c'è un modo, madre» si sente costretto ad ammettere. Gli fa male pronunciare quelle parole, gli fa male vedere gli occhi della regina di Asgard ombrarsi di preoccupazione.
Thor distoglie lo sguardo dal volto della dea, osserva la stanza oltre la soglia. Non ricordava che ci fossero così tanti libri lì dentro, si chiede come sia possibile che una persona abbia il tempo di leggere tutti quei volumi dall'aria noiosa e impegnativa. Si chiede quanta solitudine sia stata spesa tra quelle pagine.
«Hai davvero perso la speranza, figlio mio?».
«Non lo so. Questa sua fuga mi fa pensare che il risentimento verso di me abbia davvero spazzato via ogni cosa»
«Anche tu sembri risentito»
«Lo sono. Mi manca. Mi manca il fratello che ho amato quando ero bambino, mi manca il ragazzo con il quale sono cresciuto».
Frigga sorride con tutta la complicità di cui può essere capace una madre. Thor si rende conto che forse anche lei, che sicuramente anche il Padre condividono quel sentimento.
«Allora riportalo da noi» conclude la regina di Asgard, posando una mano sulla spalla del figlio.
Il dio del tuono cerca di abbozzare un sorriso, ma la verità è che si sente del tutto impotente e, per adesso, non sa da dove cominciare.

***

Questo decisamente non l'aveva messo in conto.
L'alba filtra dalle tende bianche e azzurre, inondando lentamente la stanza di una luce rosata.
Loki guarda la sua ombra disegnarsi sempre più nitida contro il muro e realizza di aver passato tutta la notte seduto sul bordo del letto a pensare a come risolvere quel maledetto problema. Più che un problema gli sembra un labirinto, da qualche parte deve esserci una via di uscita ma lui non sa dov'è.
Molto bene. Si tratta solo di cercare...
È stanco, affamato, e trova insopportabile l'odore del mare e dell'acqua stagnante che c'è in quella città. Ma si impone di fare un ultimo sforzo per riassumere – per l'ennesima volta – la situazione e provare a capire se c'è qualche strada da tentare alla quale ancora non ha pensato.
Ha attivato la pietra per poterne captare le emanazioni di energia. Non poteva immaginare che qualcuno stesse indossando uno stupido bracciale con una delle dieci pietre di Borr incastonata sopra.
Quello che sa è che adesso quel bracciale non si staccherà dal polso della dannata ragazza per nessuna ragione al mondo, perché gli oggetti magici hanno un modo tutto loro di funzionare, come il martello Mjolnir che riconosce solo le mani del dio a cui è stato affidato.
Se potesse semplicemente ucciderla e prendersi il monile d'argento il problema non sussisterebbe, ma ha studiato molte cose sulle pietre di Borr e sa che una volta attivate non possono essere sottratte con la forza, anche se sono indossate da qualcuno che non può usufruire del loro potere. Però sa anche che se ha potuto attivare la pietra da lontano può comunque usare una parte della sua energia... se è abbastanza vicino da riuscirci e questo vorrebbe dire avere tra i piedi la ragazza. Preferirebbe staccarle il braccio a mani nude, tra l'altro ha come la sensazione di aver detto o fatto qualcosa che l'ha irritata la sera prima; perché queste femmine umane si agitano con poco, tanto da essere quasi divertenti – in questo momento, Loki ha in mente un dialogo con l'algida agente Romanoff che gli ha procurato non poche soddisfazioni, prima di rendersi conto che lei gli aveva teso una trappola. Certo, la razza umana deve pur avere un barlume di arguzia, altrimenti come avrebbe fatto a sopravvivere tutto quel tempo?
Ad ogni modo, ormai è su Midgard e non ha molte risorse per fare grosse manovre. Tanto vale restare lì, assorbire quanto più può da quella pietra e chissà che alla fine non nasca anche l'occasione propizia per dare alla ragazza la lezione che meriterebbe per quei suoi modi arroganti.
Afferra il pezzo di carta ripiegato sul piano del comodino con tutte le informazioni sull'albergo, scopre che dalle sette alle undici del mattino servono la colazione nella sala da pranzo al pian terreno. La cosa riesce quasi a sembrargli una buona notizia.
Si toglie il soprabito e la sciarpa di seta, va in bagno e si sciacqua la faccia. Fissando per qualche istante il suo riflesso nello specchio si rende conto di avere un aspetto pessimo. Eppure si ricorda di essersela cavata in situazioni ben peggiori; si ripete che ce la farà anche questa volta. Cerca di ricordare il nome della mortale, qualcosa con la N.
Mentre scende al piano di sotto, Loki si chiede se è normale che a un dio venga mal di testa.

***

Sullo schermo del computer c'è la piantina con i piani dell'albergo, cliccando sui numeri delle camere si può vedere se sono occupate e recuperare il documento di ingresso di chi le ha affittate.
Nadia fissa con aria astiosa il numero 7 al centro della piantina del secondo piano. Per un attimo pensa di non cliccarci sopra, che in fin dei conti non gli importa chi sia quel tizio, però ha la strana sensazione che si sentirebbe molto più tranquilla se conoscesse il suo nome e sapesse da dove viene.
Clicca sul numero 7. La clessidra comincia a girare accanto al puntatore del mouse mentre si carica il documento collegato.
«Oh, andiamo, quanto ci metti ad aprir...». Nadia ha un sussulto. Il documento si è aperto ed è bianco, come se non fosse mai stato compilato, la camera numero 7 risulta occupata, ma non ci sono i dati relativi al suo ospite. La ragazza sgrana gli occhi; di certo è stata sua madre a fare casino con il nuovo programma, di certo non può essere stato lui a far sparire il suo modulo dal database.
Nadia fissa il proprio riflesso in un soprammobile a specchio.
«Ricordami perché siamo diventate paranoiche sul figlio di Lord Voldemort, ragazza» borbotta a se stessa.
«Stiamo entrando in modalità Smeagol?», Sara appoggia un grosso registro sul bancone della reception. «E chi è il figlio di Lord Voldemort?».
Nadia si stropiccia il viso con le mani. La sera prima, a cena, sua sorella e sua madre hanno avuto una brutta discussione sul fatto che Sara non dovrebbe mettersi magliette con disegni di vampiri mentre lavora. Sua madre dimentica sempre che Sara ha vent'anni all'anagrafe e dodici al cervello e che ormai è tardi per porre rimedio alla cosa.
«Ti sei persa l'inquietante tizio della numero 7?»
«No, l'ho visto arrivare ieri sera»
«E non ti mette i brividi?».
Sara scrolla le spalle.
«Direi che abbiamo visto di peggio» asserisce con un energico cenno del capo. Le due sorelle ridacchiano, ma Nadia sta pensando che il fatto che siano spariti i dati dal computer è un problema burocratico che sarebbe meglio risolvere.
«La belva se ne va ancora in giro di sopra la notte. Trova un modo per tenerlo buono o lo affogo nel Canale» suo padre, Vincenzo, attraversa la hall e si ferma davanti alla reception. Nel gergo di suo padre, la belva sarebbe Casanova, a lui non è mai piaciuta l'idea di un gatto in giro per l'albergo.
«È un gatto, non un canarino. Non posso metterlo in gabbia»
«Allora mettilo sul terrazzo»
«Fa freddo di notte»
«Sono certo che sul fondo del Canale faccia ancora più freddo».
Nadia alza gli occhi al cielo, chiede a sua sorella di restare alla reception al suo posto per dieci minuti e parte spedita a cercare il suo gatto.
Casanova si è andato a intrufolare nella lavanderia, sta inseguendo un batuffolo di fuliggine che oscilla sul pavimento. La ragazza lo prende in braccio sbuffando e lo porta in camera sua.
La camera di Nadia è una stanzetta quadrata dalle pareti tinteggiate di un verde carico, sul muro di fondo c'è un filo di spago dal quale pendono alcune delle sue foto alle quali è più affezionata. Alle volte, il pensiero che siano foto di posti e non di persone le fa sentire freddo, un freddo che viene da dentro.
Dalle mensole ad angolo, i titoli di libri e cd sembrano occhi amici che la guardano con benevolenza. Romanzi e musical, ecco di cosa si è nutrita la sua fantasia in tutti quegli anni; ama le storie, e a volte pensa che sia un peccato il fatto che non le sappia raccontare.
Casanova si struscia pigramente contro le sue caviglie.
«Non credo che mio padre ti affogherebbe davvero» mormora la ragazza, passando le dita tra il pelo argentato dell'animale. «Ma per favore, cerca di startene qui buono una mezza mattinata, ok?».
Il gatto solleva la testa, la guarda in viso e fa tremolare i baffi, poi le sue orecchie scattano in quello che sembra proprio un cenno di assenso. Nadia alle volte ha la sensazione che lui la capisca sul serio.
Torna nella hall. Sara sta scarabocchiando il margine della pagina di un block-notes.
«Qualcosa degno di nota?» chiede la sorella maggiore.
«Ha chiamato un tizio per prenotare una quadrupla per il week end e il figlio di Lord Voldemort è sceso a fare colazione» risponde Sara, cominciando a mangiucchiare il tappo della penna. Nadia la guarda male, non sopporta i tappi delle penne mangiucchiati, è poco igienico ed è brutto usare con i clienti delle biro che sembrano aver avuto la peggio in uno scontro con un castoro, ma non ha voglia di mettersi a discutere, sta pensando di andare a parlare con il ragazzo della numero 7, anche se trova più allettante la prospettiva di mettersi a sedere alla reception e finire di leggere il romanzo di Stephen King che ha iniziato.
«Non è male» dice Sara.
«Chi?»
«Il figlio di Lord Voldemort. Sembra che lo abbiano appena dissotterrato eh, ma ha un non so che di intrigante».
Santi numi. Forse è meglio che dica a Sara di andare a parlarci lei per la questione dei dati scomparsi, può darsi che trovi la prospettiva più allettante. No, d'accordo, vuole farlo di persona, così vediamo se le dice il suo nome senza fare troppo l'esuberante, il coglione!
Di norma non andrebbe a disturbare un ospite dell'albergo durante la colazione, ma ha paura che il tizio le scappi via.    
Metà dei clienti dell'albergo stanno ancora dormendo, l'altra metà è tutta nella sala da pranzo, dove è apparecchiato un grande tavolo con un'infinità di cose che Nadia trova impensabili da mangiare di prima mattina – la chiamano colazione internazionale. Mah, come dice il detto: il mondo è bello perché è vario.
Dietro al tavolo ci sono due cameriere in un'impeccabile divisa blu e nera che riempiono i vassoi che si svuotano, aiutano gli ospiti dell'hotel a servirsi le portate e gli mostrano come far funzionare la macchina a cialde per il caffè e il dispenser dei cereali. Ma tanto ci sarà sempre qualcuno che farà schizzare ovunque chicchi di riso soffiato, è matematico.
I coniugi Monteverdi stanno avendo un battibecco che Nadia capisce essere dovuto al fatto che lui ha messo troppo zucchero nel caffè e non va bene per la sua glicemia alta.
Il ragazzo della numero 7 è seduto a un tavolo nell'angolo, in disparte. Ha gli stessi vestiti che indossava la sera prima e, anche se non sono sgualciti, Nadia è certa che abbia dormito con quelli addosso. O che non abbia dormito affatto, a giudicare dalla brutta cera che ha.
Sul tavolino, davanti a sé, il ragazzo ha una lunga fila di fette di pane sulle quali sta spalmando con calma del miele. Nadia lo guarda un po' perplessa, chiedendosi quanto pane e miele ci possa stare tutto nel corpo di una sola persona. Se il ragazzo è molto affamato, comunque non lo da a vedere, allinea le fette di pane quasi con cura nel piatto dopo averle spalmate, eppure per un attimo lei ha la sensazione che quel tizio ne abbia passate tante. Quasi rinuncia alla sua idea di parlargli – aggredirlo – in quel momento, ma proprio mentre sta per girare sui tacchi e andarsene, lui alza lo sguardo e la saluta.
«Buongiorno» le dice in tono composto, puntandole in viso quegli occhi azzurrissimi.
«Buongiorno. Io la stavo cercando».
Lui inclina appena la testa, Nadia cerca di reprimere la sensazione di disagio e prova a ricordarsi che ha a che fare con il tizio dall'aria inquietante e dalle uscite infelici con il quale ha avuto a che fare la sera prima.
«Mi cercavi per cosa?» domanda lui con una punta di impazienza.
«I suoi dati sono spariti dal computer. Un nostro errore, mi dispiace, ma quando ha finito qui dovrebbe tornare alla reception e ripetere la procedura di accettazione»
«Nessun problema».
Bene. Niente di troppo drammatico. Ora Nadia vuole solo voltarsi e andarsene il più lontano possibile da quel tizio, anche se non ha ancora capito come si chiama, ma lui aggiunge qualcosa.
«Sono stato poco cortese, ieri sera. Devi scusarmi, ero stanco per il viaggio», mormora. Ha una voce bassa e carezzevole, c'è qualcosa di ruffiano e studiato nell'accenno di sorriso che ora le sta rivolgendo. «Ad ogni modo, visto che me lo avevi chiesto, mi chiamo Low Key Laufeyson».
«D'accordo, signor Laufeyson...» Ad ogni modo, visto che me lo avevi chiesto, non ho intenzione di chiamarti spesso.
«Loki»
«Come, prego?»
«No, non Laufeyson. Ecco, non amo essere chiamato in quel modo. Quelli che mi conoscono mi chiamano Loki».
Lok... cosa? Loky come il cane della mia compagna delle medie, o Loki come la divinità norrena?
Non ha importanza e di certo lei non si metterà a fare domande su quell'astruso nomignolo.
«Va bene. Questo non occorre metterlo nel database. Comunque sia, ha dormito bene Loki?»
«Non ho dormito».
Nadia si sta pentendo di aver fatto quella domanda. Lei non è portata per la professione di albergatrice e tutti i salamelecchi sulla comodità dell'hotel e i vari “possiamo fare qualcosa per...” non sono cose che le riescono troppo bene.
«Oh. Mi dispiace... ehm, qualcosa non va?» domanda, cercando di mostrarsi umilmente interessata.
«Molte cose, in realtà»
«Poteva chiamarci e avremmo trovato una soluzione. Mi dica cosa possiamo fare per...».
Ora Loki sembra perplesso, scuote appena la testa con aria gentile.
«Non è colpa del vostro albergo, no di certo» afferma. «Ho avuto cose a cui pensare, diciamo così».
«Capisco». No, non capisce, e nemmeno vuole capire. I pensieri che tengono sveglio di notte Low Key Laufeyson proprio non la riguardano. «Spero che lei riesca a riposarsi, fin tanto che è qui».
Loki fa un sorriso strano, quasi sarcastico. Evidentemente non è lì per riposarsi o per prendersi una vacanza, ma nemmeno questo sembra importante agli occhi di Nadia.
«Intanto, le auguro una buona giornata».
E spero che la mia sia meglio di quella di ieri!

***

Ha certamente sopportato cose peggiori – ha creduto di essere il fratello di Thor per tantissimo tempo, ad esempio – ma mentre osserva la ragazza allontanarsi tra i tavolini della sala da pranzo pensa che quando non avrà più bisogno della sua vicinanza troverà senz'altro il modo di lasciarle un ricordo poco gradevole. O di non lasciarle alcuna testa nella quale conservare ricordi.
Stringe nel pungo un lembo della tovaglia di tessuto damascato.
Come osa un misero essere di carne, con la mente tanto piccola da contenere un mondo soltanto, essergli di impedimento? A lui, al dio che ha visto molti universi, che è stato allevato dai re del cielo!
Loki odia quel mondo, odia le creature che lo popolano, odia quegli stupidi abiti da terrestre. E la giornata gli sembra infinitamente lunga.
Addenta la prima fetta di pane.
Anche il cibo è pessimo in quel luogo che i suoi stessi abitanti hanno avvelenato con... come lo chiamano? Ah, già, progresso.  
Non importa, ha fame. E ha davvero sopportato cose peggiori. Ha sopportato la caduta, la forza incontrastabile dell'aria che lo artigliava e lo trascinava verso il basso, ha sopportato il buio di cieli senza stelle, il freddo di mondi senza soli. La solitudine di luoghi senza volti amici. Ma ha sopportato, appunto, è sopravvissuto, la caduta non lo ha ucciso, è ancora in piedi e tra lui e la prima fetta del potere a cui aspira c'è solo una fragile umana la cui mente non può essere tanto più forte delle altre molte menti che ha plagiato in passato. Non c'è niente di impossibile, nulla che sia inarrivabile, Loki lo sa bene. Lo sa da quando ancora ragazzo aveva iniziato a scoprire i tanti modi di violare le entrate e le uscite di Asgard, i varchi tra gli universi che non necessitano per forza di ponti protetti da tediosi giganti.
Addenta la seconda fetta di pane. Non ne sente nemmeno più il sapore, è troppo concentrato a pensare ad altro, perché ci sono molte cose ancora alle quali pensare.
Il beneamato fratello, tanto per cominciare. Thor ormai saprà della sua fuga, si starà affannando nella sua ricerca, riesce quasi a vederlo davanti ai suoi occhi, intento a tuonare ordini a destra e a manca e a camminare su e giù per uno dei corridoi del palazzo, con il mantello scarlatto che svolazza alle sue spalle e i suoi compagni d'armi che arrancano nella sua ombra. Lo vede socchiudere le palpebre nello sforzo di pensare – uno sforzo enorme per lui, in effetti, tentando di elaborare un piano.
Oh, quanto vorrebbe essere lì a chiedergli come si sente il dio del tuono ora che non può risolvere tutto agitando il martello. E vorrebbe dirgli di non affannarsi, che non può riavere suo fratello, che il fratello che ha amato in realtà non è mai esistito.
Questa è una menzogna...
No, non lo è. E se anche fosse, non è importante.
Loki solleva tra due dita l'ultima fetta di pane. C'è un'altra cosa con la quale ancora non ha fatto i conti: la vendetta di Thanos. Il capo dei Chitauri lo aveva messo in guardia, gli aveva detto che se avesse fallito nella sua impresa, che se non avesse consegnato loro il Tesseract non ci sarebbe stato luogo in cui nascondersi dalla furia del suo signore.
È davvero un problema? Loki si guarda attorno e pensa che il nascondiglio gli sembra piuttosto efficace. E ad ogni modo non ha di che preoccuparsi, il Tesseract è nelle mani degli asgardiani, Thanos non ha alcun mezzo per raggiungere Midgard ora, per raggiungere lui.
E poi ci sono i... i Vendicatori. Ma loro, quei molesti fenomeni da baraccone, sono molto lontani, lo credono prigioniero di guerra nella casa di Odino e, dopotutto, questa volta lui non sta cercando di minare la sicurezza della loro amata Terra, quindi non sprecherebbero il loro preziosissimo tempo da eroi di fama per venire a cercarlo.
Loki si pulisce le mani sul tovagliolo di cotone. Sorride.
Ora che il cibo lo ha rifocillato la situazione non gli sembra più tanto drammatica. C'è solo la ragazza a cui pensare, e lei, in fin dei conti, è un ostacolo non più grande di un sassolino sul suo sentiero.


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Noticine:

L'idea dell'assonanza tra Low Key e Loki non è mia, è di quel genio di Neil Gaiman, nel suo libro “American Gods” il personaggio di Loki, quando vuole confondersi tra gli umani si fa chiamare Low Key Leysmith (anche il cognome è geniale, ma ho preferito non approfittarne).

È una questione di interpretazione personale e la cosa è del tutto opinabile, ma io sono convinta che ci sia stato un tempo, magari un passato molto molto remoto, in cui Loki ha davvero voluto bene a Thor come fratello.

Ci leggiamo la prossima settimana, con il nuovo capitolo (salvo complicazioni sismiche). Intanto grazie a tutti quello che stanno leggendo, commentando, preferendo, ricordando e seguendo.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


Capitolo terzo


C'è un bel sole che entra dai finestrini dell'auto, la luce disegna strane forme geometriche sulla plastica scura del cruscotto, e c'è odore di bosco, quell'aroma penetrante di erba, terriccio e resina.
Le ruote del suv macinano chilometri di strada sterrata e Steve si sente meravigliosamente rilassato mentre guida quella grossa auto che gli hanno messo a disposizione alla centrale dello S.H.I.E.L.D. e che ha impiegato qualche giorno a imparare a usare. Si sente rilassato anche se accanto a lui c'è Bruce Banner, quello capace di trasformarsi in un enorme mostro verde poco incline alle buone maniere.
Durante i primi minuti di macchina hanno provato ad accendere l'autoradio, ma hanno scoperto che nessuno dei due è troppo aggiornato sulle nuove tendenze musicali e, soprattutto che nessuno dei due le gradisce troppo. Poi per un po' hanno semplicemente continuato ad andare, godendosi il cambio di paesaggio, la città che stemperava in vie sempre più piccole, le case sempre meno ammucchiate, fino alla campagna. E oltre la campagna, il bosco.
«Sei proprio sicuro di quello che stai facendo?» domanda all'improvviso Steve, desideroso di interrompere il silenzio.
«Pensi che dovrei tornarmene a Calcutta o in un qualche altro posto sperduto ai confini del mondo, a fare il medico...»
«Bruce...»
«... no, perché sarebbe plausibile, cioè lo capirei se è questo che pensi, sarebbe molto più sicuro, ma...»
«Bruce, volevo solo dire che potresti provare a restare in città. Dopotutto, l'ultima volta Hulk non mi è sembrato così fuori controllo» osserva Steve.
Banner dondola il capo con quell'espressione perennemente a metà tra un sorriso e un sospiro afflitto,
«Davvero? Vorrei ricordarmelo. E più di ogni altra cosa vorrei ricordare di quando l'Altro ha messo al tappeto Loki».
I due uomini ridacchiano. Steve se lo ricorda bene, quando sono saliti in cima alla Stark Tower e hanno trovato Loki infossato nel pavimento, suonato come una nacchera è stata la prima cosa che ha pensato riuscendo a mettere su il primo e ultimo sorriso di quella tremenda giornata. Una giornata memorabile, ad ogni modo.
Nei giorni a venire poi, mentre sociologi e criminologi e alte cariche delle forze dell'ordine discutevano in tv della potenziale minaccia che potevano essere questi fantomatici supereroi, la gente continuava a tappezzare le strade e le case con le loro foto, inneggiando il loro nome.
La gente è dalla loro parte, non c'è conduttore o sponsor che tenga.
«Comunque, sei sicuro che confinarti in una casa in mezzo al bosco, da solo, sia una buona idea?» aggiunge Steve, spiando di sottecchi il dottore.
«Diciamo che al momento mi sembra la migliore opzione tra quelle disponibili» afferma Banner, scrollando le spalle. «Lo S.H.I.E.L.D. è stato gentile a fornirmi le apparecchiature per continuare i miei studi lì e Tony Stark mi ha messo a disposizione la casa sul lago di sua madre... a proposito, dov'è?»
«Stark? Beh, credo che tutto questo affetto da parte della gente alla fine lo abbia terrorizzato. C'è un limite a tutto, anche al suo narcisismo»
«Si è preso una vacanza?».
Steve sorride, un sorriso sornione pieno di un certo compiacimento.
«Io direi che se l'è data a gambe» conclude, trattenendo una risata. Tony Stark non è lo spaccone egoista che il Capitano credeva, era disposto a sacrificarsi per deviare il missile nucleare lanciato sulla città, ma questo non lo rende immune al sarcasmo altrui – come nessuno è immune al suo, di sarcasmo. Sono giorni buoni per ridere questi, pensa Steve, nonostante nel mondo ci siano parecchie cose che vanno a rotoli; ci sono anche minacce peggiori, minacce che loro hanno sventato e che sventeranno ancora, se ce ne sarà bisogno. E nonostante tutto, fuori dai finestrini del suv il bosco manda avanti la sua sinfonia di suoni che sembrano un perfetto inno alla pace.
La casa compare in fondo al sentiero. È piuttosto grande, con i muri di mattoni e gli infissi di legno, il tetto spiovente perfettamente rosso sfiorato dai rami delle conifere, è un'immagine da cartolina.
«Il piano quindi è quello di restartene qui?» domanda ancora Steve.
Bruce annuisce,
«Beh, mi sembra un posto tranquillo. E ho idea che Fury verrà spesso a prendere il té e che l'agente Barton e l'agente Romanoff verranno a portarmi il pancake per la colazione».
«E io potrei portarti la birra i cheeseburger. E quando torna Stark potrete farvi lunghe chiacchierate nella vostra lingua da scienziati pazzi».
Il dottore sorride, un sorriso un po' più largo del solito. Anche a Steve viene da sorridere, forse è sciocco e sentimentale ma al momento ha in mente l'immagine di una specie di grande famiglia.
«Me la caverò benissimo» sentenzia Banner dando un'amichevole pacca sulla spalla del proprio interlocutore.
Sì, lui se la caverà. Se la caveranno tutti. È decisamente l'ora di ridere per un po'.

***

È quasi sera. Il tramonto fa diventare la Laguna una stola di velluto.
Dalla finestra della sua camera, Nadia osserva un tratto del Canal Grande attraversato dai traghetti che si fermano davanti alla stazione di Santa Lucia. Non ha cenato quella sera, non ha fame, vuole solo uscire a fare un sopralluogo per delle foto, con Casanova che la segue per un tratto di strada, fino a quando non scivola in un vicoletto dove c'è di sicuro qualche gattina miagolante ad attenderlo. Chissà quanti figli ha sparsi per la città dei Dogi, pensa Nadia ridendo, forse quei gattini in quella casa di Dorsoduro erano suoi, in effetti avevano tutti gli stessi occhi color dell'ambra.
La giornata è stata piatta, una di quelle giornate senza infamia né lode. Peccato solo che non abbia trovato nessuna occasione per uscire, di solito le piace occuparsi delle commissioni da sbrigare fuori: andare al mercato di Rialto, fare la spesa, comprare le sigarette a suo padre. Quel giorno invece è rimasta inchiodata dietro il bancone della reception a fare la sua parte, insieme a Sara. Sara che ha finito le superiori e non ne ha più voluto sapere di libri e insegnati, perché per Sara restare o non restare inchiodata lì non fa nessuna differenza. Sara non ha grandi ambizioni, Nadia forse ne ha ma non ha ancora capito quali sono... la fotografia, certo, ma poi? Dove vuole andare? Cosa vuole fare davvero? Chi vuole essere?
«Sei un po' fuori tempo massimo per le crisi adolescenziali, ragazza» borbotta al suo riflesso sullo schermo del computer portatile spento.
Sente qualcosa di umido e ruvido strusciare contro il dorso della sua mano destra abbandonata a penzoloni oltre il bracciolo della sedia da scrivania. Casanova le sta leccando la mano e il bracciale, quello che ancora non è riuscita a sfilarsi, non ci ha nemmeno riprovato in realtà, ha scoperto che le piace e ha paura di usare pinze o qualcosa di simile, non vuole rovinarlo. Semmai dovesse toglierlo per forza, allora troverà il sistema per farlo, adesso non ha voglia né motivo di starci a pensare.
Si alza, infila il soprabito leggero. È aprile, la cappa di gelo del giorno prima sembra solo un ricordo. C'è un vento tiepido che soffia gentile su Venezia, che non increspa nemmeno l'acqua del Canale.
Nadia esce, passando dalla porta sul retro. La macchina fotografica è un peso piacevole a tracolla della spalla, anche se di sera è improbabile che riesca a usarla a dovere senza usare dei faretti. Casanova cammina elegante nella scia dei suoi passi, senza fare rumore.
La chiesa è un blocco bianco che emerge dalla penombra, all'uscita del vicolo. Non c'è molta gente in strada, non ce n'è mai troppa in quella zona della città a quell'ora.
Venezia è bella. Nadia deve riconoscerlo, l'abitudine non toglie niente allo splendore di quella città, anche se lei crede che il mondo sia pieno di tante altre cose belle da vedere.
Casanova balza agile e aggraziato su un muretto, la coda diritta, con la punta che dondola, i suoi occhi brillano leggendo le ombre degli edifici. Ad un tratto il gatto si arresta emettendo un sibilo, si volta di scatto e salta giù dal muretto alle spalle di Nadia. La ragazza ha un sussulto, anche lei si gira, guarda il suo micio rizzare il pelo, la coda dritta come un palo e gli occhi scintillanti puntati davanti a sé, le zampe ben piantate sul selciato, le orecchie tese, quasi come a volerla difendere da qualcuno che sta tentando di prenderla alle spalle.
Nel silenzio della sera, per qualche secondo si sente solo il soffio di minaccia del felino argentato.
«Accidenti...». Il qualcuno alle spalle di Nadia fa un sobbalzo all'indietro, come preso alla sprovvista, spaventato dal movimento improvviso del gatto.
La ragazza richiama debolmente Casanova che dopo qualche secondo, dopo aver soffiato e sputato in direzione del nuovo arrivato, abbassa la coda e scatta di lato, infilandosi in un vicolo e sparendo tra le ombre.
Ora Nadia fissa il ragazzo, ancora un po' boccheggiante per lo spavento. E non è il solo ad aver rischiato un infarto.
«Lei? Ma che cosa... che diavolo?» non riesce ad articolare le parole. Low Key Laufeyson, Loki, o come accidenti si chiama, prima o poi si beccherà un ceffone o un calcio in mezzo alle gambe. Sì, le piacerebbe davvero assestargli un bel colpo, tanto per lasciargli un ricordo di Venezia.
«Scusa», come se le avesse letto nel pensiero, lui alza le mani in una specie di segno di resa. «E prima che tu me lo chieda, non ti stavo pedinando».
Nadia non è sicura di aver pensato una cosa del genere, ma ora che lui l'ha detto quasi quasi comincia a farci un pensierino.
«Buono a sapersi» borbotta, quasi soffiando come il suo gatto. «E allora stavi pedinando Casanova?». Smette automaticamente di dargli del lei, a un certo punto le sembra ridicolo, quanti anni avrà quel tizio? Ventotto, ventinove? E il suo gatto stava per sbranarlo. Sì, le formalità possono essere anche messe da parte.
«Chi?... no, ero uscito per fare una passeggiata. Nemmeno mi ero accorto che eri tu qualche metro più avanti».
Nadia non sa se crederci. Il modo di parlare di quel ragazzo sembra così... non sa come descriverlo, ma in quel momento le viene da pensare che il serpente che era andato da Eva per convincerla a mangiare la mela dovesse aver avuto più o meno quel tono. Il tono di un mentitore molto abile. Però, volendo essere razionali, non avrebbe alcun motivo per mentirle e non le farebbe del male visto che il suo nome è registrato tra gli ospiti dell'albergo della sua famiglia, giusto?
«Mi dispiace se il mio gatto ti ha spaventato» dice Nadia. Se lui non vuole farle del male, lei non ha nessun motivo di non essere civile e cortese.
Loki si stringe nelle spalle e fa qualche passo verso di lei, avvicinandosi al cono di luce proiettato da un lampione.
Ora che lo vede meglio, si accorge che si è cambiato i vestiti, ma il suo abbigliamento non è meno austero. Indossa una camicia grigio chiaro senza cravatta, il soprabito e i pantaloni sono di uno strano colore scuro che dovrebbe essere grigio, ma sembra più una tonalità molto cupa di verde. La sciarpa di seta invece non l'ha tolta, dev'essere proprio un suo vezzo personale. E ha anche un colorito molto più sano e un viso decisamente più riposato.
In un primo momento Nadia si chiede quando è successo che sia arrivato il suo bagaglio con i vestiti, poi pensa a Sara, al fatto che aveva ragione, quel tizio ha qualcosa di intrigante e non è affatto male. Però non ce lo vuole tra i piedi...
«Quella è una macchina fotografica?» domanda all'improvviso Loki, indicando la tracolla che le pende sotto il braccio.
Nadia annuisce sbrigativa. «Io dovrei andare a... sì, insomma...»
«Posso accompagnarti?».
No, mille volte no.
«Penso che ti annoieresti, Loki. Io sono un po' musona quando mi occupo di questa roba»
«Non dobbiamo conversare per forza, ma ho lasciato la cartina in albergo e ho paura di perdermi».
Scuse, ovvio, scuse piuttosto scontate tra l'altro. Ma Nadia non conosce un modo educato per dire a una persona di non passeggiare in sua compagnia, oltretutto Venezia è suolo pubblico e se Loki vuole andare dove va lei non c'è modo di impedirglielo. Tra l'altro, appurato che il tizio non dovrebbe essere pericoloso – sulla base di un ragionamento molto approssimativo, che Nadia non sa fino a che punto sia esatto – potrebbe essere anche un'occasione per spezzare la routine delle sue passeggiate serali da sola.
«Per questa volta faccio finta di cascarci, Loki» conclude la ragazza, con un mezzo sorriso, voltandosi e cominciando a camminare.    

***

La curiosità è la madre di ogni conoscenza. Loki ne è profondamente convinto, per questo si ritiene un curioso, perché la conoscenza gli è sempre interessata, è un potere maggiore della forza bruta e a differenza di quest'ultima, può essere acquisita da chiunque. Ed è stata la curiosità a spingerlo a trascorrere quella giornata a guardarsi intorno, tra gli umani che vivono in quell'albergo nella città sull'acqua. Per quanto li ritenga insulsi, Loki non può non essere curioso riguardo a creature così diverse dalla sua natura, per questo le ha osservate durante il giorno, mentre la ragazza – che ha appurato, si chiama Nadia – era impegnata a fare altro e lui non poteva starle vicino e assorbire energia dalla pietra.
Ha osservato la sua famiglia e alla fine ha concluso che la casa in cui è cresciuto non è affatto la gabbia di matti peggiore dell'universo, come talvolta gli era capitato di pensare.
La vita di quegli umani è piena di piccole cose che si ammucchiano davanti alle cose veramente importanti, fino a seppellirle.
Non ha scoperto granché su Nadia, su come avvicinarla e come suscitare il suo interesse, ma ha deciso comunque che appena avrebbe messo piede fuori dall'hotel l'avrebbe seguita.
È stato umiliante fingersi spaventato per quello stupido gatto e sforzarsi di non apparire seccato quando lei lo ha scoperto. Per non parlare di quel: «e prima che tu me lo chieda, non ti stavo pedinando», per i corvi di Odino! Ha detto menzogne migliori, in circostanze in cui era assai più divertente e necessario farlo. Però lei se l'è bevuta... quella del fatto che aveva dimenticato la cartina in albergo e temeva di perdersi invece no.
Oh, quando tutto questo sarà finito si divertirà moltissimo a farle pagare tutte queste umiliazioni, e quelle che verranno. Perché Loki lo sa che ce ne saranno altre.
Ma una cosa alla volta. La pazienza è sempre stata una delle sue migliori virtù. Ora deve pensare ad arrivare in fondo a questa serata.
Nadia cammina pochi passi avanti a lui, senza dire niente – ovviamente non ha nulla da dirgli. La macchina fotografica penzola al suo fianco. Le piace fare fotografie, quindi. Sì, su Midgard dovrebbe essere una specie di forma d'arte o qualcosa del genere, abbastanza simile alla pittura probabilmente. Ah, gli animi artistici, così pomposi e inutilmente complicati!
Loki cerca di concentrarsi su altro, prima che il suo istinto di torcerle il collo abbia la meglio. Cerca di concentrarsi sull'enorme energia che sprigiona dalla pietra e che lui sente aleggiare nell'aria come un profumo. Gli basta aprire i palmi delle mani, concentrarsi su quelle onde che attraversano impercettibilmente l'aria, per incanalare quel potere. È naturale che quell'energia magica scorra verso di lui e che si lasci assorbire dalla sua pelle, lui è un asgardiano, lui conosce i misteri di quella forza, e quando ne avrà raccolta abbastanza...
Quando ne avrai abbastanza, cosa farai?
Non lo sa, non ci ha ancora pensato. Ma di certo sarà forte tanto da poter contrastare ogni minaccia, da non dover più temere che Thor o Thanos lo scovino.
Loki ha totalmente perso la cognizione del tempo, ma le stelle in cielo ora sono nitide e la luna è una virgola d'argento perfettamente delineata. E Nadia continua a camminare. È una buona cosa, vuol dire che avrà ancora più energia da raccogliere.
«Hai cenato?» domanda all'improvviso la ragazza, fermandosi di colpo al margine di una piccola piazza. Nell'aria c'è un odore zuccheroso e gradevole, ma lui non ha tempo per queste cose. Lui è un dio, non ha bisogno di nutrirsi così spesso come gli umani.
«No, non sono particolarmente affamato» risponde.
Nadia ridacchia sommessamente. Cosa diamine ci troverà da ridere?
«Ma qui non si sta parlando di fame. Si sta parlando di tentazione calorica».
Loki non ha idea di cosa lei stia dicendo, non vuole nemmeno saperlo, vuole continuare a camminare in silenzio ed essere lasciato in pace a fare ciò per cui è venuto.
«Crema o cioccolato?» insiste lei e gli sorride. Maledizione, potesse stringere una mano intorno a quel collo e cancellarle quel sorriso dalla faccia!
«Come dici?» si ritrova invece a mormorare con un mezzo sorrisetto spaesato che lo fa sentire un perfetto idiota.
«Uhm, sei più tipo da crema tu». Detto questo Nadia si allontana in direzione di un negozietto davanti al quale se ne sta raccolto un crocchio di ragazzi, con in mano del cibo avvolto in tovaglioli di carta. Sul manifesto accanto alla porta del negozio c'è scritto: aperto fino a mezzanotte – bomboloni caldi.
Bomboloni. A Loki la parola fa venire in mente qualcosa di molto grande e minaccioso. Qualcosa di... qualcosa di enorme, verde e arrabbiato. Il solo ricordo basta a fargli venire male in tutte le ossa, quel maledetto mostro dissennato!
Nadia riemerge dal crocchio di ragazzi con in mano due cartocci.
«Tieni» gli dice allungandogliene uno. Loki lo afferra, senza provare nemmeno a opporsi o a fare domande, non servirebbe, la ragazzina è esuberante e sicuramente cocciuta e insistente. Andrebbe d'accordo con Thor, senz'altro. Pensa spesso a lui, ci pensa più spesso di quanto vorrebbe, ci pensa ogni volta che è irritato per qualcosa.
«Grazie» dice poco convinto, guardando il cibo avvolto nella carta. È qualcosa di tondo e soffice, coperto di zucchero e odora di buono, e lui davvero non ha tempo per queste cose. Ma visto che in quei giorni il suo tempo sarà quello della ragazza umana, tanto vale abituarcisi.
Si siedono su una panchina di pietra fredda. Freddo come il vento che soffiava nella desolazione di Jotunheim, come il suo stesso sangue. Loki si rende conto di quanto la sua mente sia fragile alle volte, di come certi ricordi dolorosi e molesti riescano a riaffiorare in superficie con troppa facilità, senza che lui possa fare niente. Stringe le mani che sente gelide attorno al cartoccio caldo. Assaggia.
Beh, non tutto il cibo in quel posto fa schifo.
«È buono» si trova costretto ad ammettere. Un po' perché gli viene spontaneo, un po' perché ora che è distratto e non riesce ad assorbire l'energia della pietra il silenzio gli da quasi fastidio e i ricordi di cui è popolato gli fanno paura.
«Sembri stupito. Non hai mai mangiato un bombolone in vita tua?» chiede Nadia.
«Sarebbe così strano?». Loki sente i granelli di zucchero attaccarsi al bordo delle labbra.
Nadia sgrana gli occhi,
«Sei un vampiro?» le chiede, fingendo un'aria spaventata.
«No, direi di no».
«Se lo fossi, diresti di no comunque».
«Allora immagino tu non abbia altra scelta che prestare fede alla mia parola» conclude lui.
La ragazza inclina la testa,
«Mah, considerando che ti ho visto mangiare, posso anche sincerarmi da sola che tu non sia un vampiro» asserisce, arricciando le labbra.
«Molto logico. Perché la mia parola non ti basterebbe, dico bene?».
Ora Nadia sta aggrottando le sopracciglia in un'espressione da combattimento verbale.
«Mi hai mentito prima. La scusa della cartina dimenticata in albergo era abbastanza triste e tu mi sembri un ragazzo intelligente» borbotta. Non è risentita, ci tiene solo a precisare che non è stupida.
«Quindi o soffri di solitudine o forse entro mezzanotte mi avrai fatta a pezzi e gettata nel Canale».
Sarebbe allettante...
«Non voglio farti a pezzi e gettarti nel Canale».
 Non entro la mezzanotte di oggi, almeno...
Ora c'è qualcosa di dolce nel sorriso di Nadia, la guerriera ha abbassato le armi. Come sono materne le donne su Midgard, si inteneriscono per niente. Soffrire di solitudine, lui? Che sciocchezza!
«Sei una specie di trafficante, un terrorista in fuga, un criminale che si sta nascondendo?».
Loki stavolta non riesce a capire fino a che punto la domanda della sua interlocutrice sia seria e fino a che punto lei stia solo scherzando. In realtà è un po' tutte quelle cose messe assieme, secondo la logica umana, e Nadia forse davvero non è stupida. Ma lui è il dio dell'inganno, lui sorride nel modo più amabile e convincente che riesce a trovare.
«Certo che no» dichiara, riuscendo a mantenere la voce perfettamente ferma, il suo sguardo puntato in quello della ragazza. «Ma visto che non ti fidi della mia parola, sei libera di continuare a pensare che potrei esserlo».
Gli crede, evidentemente, perché fa una specie di cenno di assenso e gli fa un altro sorriso.
Finiscono di mangiare il dolce in silenzio. Nadia ha l'aria di una che avrebbe ancora molte domande da porre ma non lo fa, per educazione forse, o magari perché anche lei è stanca di parlare. Loki pensa che se vivesse in una casa come la sua sarebbe stanco anche lui di avere a che fare con le altre persone.
Si alzano dalla panchina, si addentrano in vicoli deserti e stretti dove sono i gatti randagi a farla da padrone. La luna getta un riverbero argenteo sul ciottolato levigato e reso irregolare dalle maree, nel silenzio si sente solo lo sciabordio leggero dell'acqua che scorre sotto i ponti e contro gli argini.
Nadia si ferma di colpo alla fine di un vicolo cieco, dove c'è una casa con le finestre prive di vetri. Si avvicina a quell'edificio con aria sorridente e osserva la porta chiusa da una trave inchiodata alla buona.
«Devi entrare lì dentro?» domanda Loki.
«Sì, credo proprio di sì». Lo dice come se fosse un infante che sta scegliendo il giocattolo nuovo da farsi regalare per il suo compleanno, sembra entusiasta.
«È un rudere». Loki si sente in dovere di ribadire l'ovvio visto che lei non sembra molto conscia della cosa.
«Certo»
«Quindi tu fai fotografie alle case in rovina».
Nadia interrompe la sua ispezione dell'edificio fatiscente e si volta verso di lui, facendo cenno di sì con la testa.
«E, dimmi, queste tue fotografie riscuotono molto successo?»
«Intendi di recente?» borbotta lei mordendosi il labbro.
«Come immaginavo».
La ragazza si volta di scatto, ha di nuovo quell'espressione corrucciata e sta incrociando le braccia sul petto.
«Tutto il mondo fotografa la parte bella di Venezia, io fotografo posti come questo. Mi... mi piacciono le cose spezzate» dice, agguerrita come l'intero esercito di Asgard.
«Bene. Se la cosa ti aggrada, fai pure» borbotta Loki, fingendo persino una certa arrendevole complicità. No, decisamente non ha voglia di mettersi a questionare sui discutibili gusti di quella stramba umana, ma quando la vede sollevare l'anta di legno di una finestra e arrampicarsi per scavalcare il davanzale, strabuzza gli occhi perplesso.
Sta pensando a una trave che si stacca e che le cade in testa. Sta pensando a lei che muore con il cranio fracassato. Sta penando alla pietra che si spegne per sempre e a se stesso che rimane inchiodato lì senza risorse. Brutti, bruttissimi pensieri.
Loki si lancia verso il davanzale, pianta i palmi delle mani sul parapetto di marmo e si da una spinta.
«Che stai facendo?» borbotta la ragazza a mezza voce.
«Se ti dovesse capitare qualcosa, non saprei come ritrovare la strada per tornare in albergo» replica lui, atterrando con un balzo agile sul pavimento di pietra impolverata.
«Molto premuroso, grazie».
La ragazza armeggia con qualcosa che ha estratto dalla custodia della macchina fotografica. Una specie di torcia con una manovella che Nadia ora sta facendo girare energicamente, producendo uno strano ronzio.
La torcia si accende, una bolla di luce incerta illumina l'interno della casa fatiscente. I muri sono spogli, corrosi dal tempo. Mattoni rossi sono visibili sotto l'intonaco scrostato del soffitto.
A terra sono disposti alcuni materassi vecchi, coperte, vestiti strappati ammucchiati negli angoli a prendere polvere. L'aria sa di chiuso e di sporco.
Loki si chiede se non sia più semplice prendere in ostaggio la famiglia della ragazza per obbligarla a starsene ferma e lasciargli assorbire l'energia della pietra. Ma la famiglia di Nadia ha un maledetto albergo, è circondata di persone, sarebbe troppo complicato e richiederebbe troppa fatica.
«Se ne sono andati davvero» mormora all'improvviso la ragazza, strappando il dio dell'inganno alle sue elucubrazioni.
«Sì, me ne andrei anche io da un posto come questo» si ritrova a ribattere lui con un sospiro spazientito.
«Qui ci vivevano degli zingari che per non so quale ragione erano stati cacciati via dal loro campo» spiega Nadia.
Loki si rende conto che sta per ascoltare una storia insulsa, noiosa e inutile.
«Interessante» mormora distrattamente, guardando un grosso ragno risalire lungo un pilastro scoperto.
«Per un po' sono stati qui, c'erano anche dei bambini. Gli ho portato da mangiare e in cambio loro si sono lasciati scattare delle foto».
La ragazza scatta foto di relitti umani dentro a relitti di edifici. È parecchio perversa.
«Ne è venuto fuori un servizio fotografico stupendo, una cosa che nessuno ha mai fatto» insiste Nadia stringendo i pugni. La luce della torcia si sta affievolendo.
«Ne sono certo» annuisce Loki, reprimendo uno sbadiglio.
«Ma quella testa di cazzo del gallerista ha detto che non lo esporrà, perché non è idoneo. Idoneo, così ha detto. Perché la gente quando pensa a Venezia deve poter vedere i monumenti e le gondole e i piccioni... sai che ti dico? Che si fottano i piccioni!».
Oh, e così la piccola Nadia ha anche un lato scurrile, basta solo farla surriscaldare un po'.
«Che si fottano i piccioni» ripete Loki.
Lei scoppia a ridere, ride anche lui. Ridono entrambi, di gusto, ma per motivi ben diversi.  

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Note, varie ed eventuali:

Cinque minuti di sentimentalismo, affidati al buon Cap., l'idea di fondo sarebbe quella di far vedere un po' tutti i Vendicatori nei vari capitoli, prima che vengano inseriti nella trama principale (perché loro saranno inseriti nella trama principale) della storia, anche perché di solito, quando scrivo una fanfiction su un film è perché io amo TUTTO del film e quindi, chi più chi meno anche tutti i suoi personaggi. E mi piaceva mostrare Steve e Bruce (per il quale ho un'enorme tenerezza) in un momento di normalità, intenti a fare pensieri sereni.

E sì, anche un momentino di sciocca normalità e non-prendiamoci-troppo-sul serio tra Nadia e Loki volevo proprio scriverlo. Perché in seguito non ci saranno più molte occasioni.


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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


Capitolo quarto


Il pub è affollato, l'aria è carica del chiacchiericcio – nemmeno troppo sommesso – dei presenti. Meglio: un po' di confusione aiuta a confondersi in modo migliore, a sparire più facilmente se si vuole. Certe regole valgono sempre, non importa se è un sabato sera di relax in cui non è previsto che accada niente di preoccupante. 
Tump. La prima freccetta va a segno, al centro esatto del bersaglio di sughero.
Tump. La seconda si va a conficcare nel retro della prima.
Clint prende tra le mani la terza freccetta, sicuro di centrare il colpo anche questa volta. Tiene tra l'indice e il pollice il cilindro di plastica, prende la mira, tira indietro la mano e fa per lanciare...
«Non ti annoia mai?». La voce alle sue spalle lo distrae. La terza freccia si conficca qualche centimetro più in basso delle altre. Clint Barton, Occhio di Falco, agente speciale dello S.H.I.E.L.D., super tiratore e – se le circostanze lo richiedono – supereroe, odia mancare il bersaglio per questo si impegna affinché non accada.
«No, Natasha. Se mi annoiassi non lo farei» dice pacato alla donna seduta al tavolo alle sue spalle. A proposito di bersagli mancati, per l'appunto.
Clint torna a sedersi vicino alla sua collega e beve un lungo sorso di birra. Il direttore Fury deve aver pensato che fossero davvero provati dalla loro ultima impresa se gli ha concesso un po' di tempo per... bah, per fare cosa Clint ancora non l'ha ancora capito. Cosa si aspetta che facciano due sicari di un'associazione segreta quando non sono in missione, tornei di Cluedo?
Però, se ci pensa, l'ultima missione è stata davvero un brutto colpo. Anche sorvolando sul fatto di essere finito a fare la marionetta nelle mani di Loki, quella voragine aperta in mezzo al cielo dalla quale piovevano alieni armati ed enormi creature mostruose non è un ricordo piacevole. E ancora meno piacevole è il ricordo di quando Loki ha fermato con una sola mano la freccia che puntava al suo occhio. Spera che nel suo pianeta... mondo... universo, lì fra le nuvole, dovunque sia, gliela stiano facendo pagare a quel figlio di puttana!
«Ci stai di nuovo pensando» afferma Natasha, con la sicurezza che la contraddistingue.
Clint finge di non capire, di non aver sentito; beve un altro sorso dal bicchiere, ma Natasha non è una che molla. 
Gli tiene gli occhi puntati in faccia, come i mirini di un bazooka. Attende una risposta, la pretende.
«Vorresti farmi credere che tu non ci pensi mai?» cede l'agente Barton, inclinando la testa di lato.
Le dita della donna si stringono nervosamente attorno allo stelo del bicchiere da cocktail, tanto che per un attimo lui si aspetta di sentire lo scricchiolio del vetro che si spezza.
«Se pensassi a quello che è stato, tutte le volte che accade qualcosa... i pensieri sono un lusso che non possiamo permetterci» sentenzia lei laconica.
Ha ragione, è innegabile, eppure Clint si sorprende a pensare che per questa volta non sta dicendo ciò che lui voleva sentirle dire.
«Evitare una catastrofe mondiale non capita tutti i giorni»
«Hai intenzione di fare lo spaccone per questo? Forse può funzionare con le ragazze».
Clint ridacchia sommessamente.
«Anche con i ragazzi. Sai, non tutti considerano una dimostrazione d'affetto un colpo che procuri una commozione cerebrale» replica scherzoso.
«Quella non era una dimostrazione d'affetto»
«Lo è stata il non uccidermi?».
Natasha distoglie lo sguardo, come se le ultime due dita di cocktail sul fondo del bicchiere siano diventate all'improvviso la cosa più interessante del mondo.
«Almeno adesso siamo pari» mormora poi continua a bere tranquillamente il suo mojito.

***

Sara è sul terrazzino a fumare una sigaretta. Da lì guarda l'interno della hall, con il via vai mattutino dei clienti.     
Soffia verso l'alto una stringa di fumo, mentre un gabbiano plana nel rettangolo di cielo visibile tra i tetti delle case, una porzione di azzurro terso e senza nuvole. C'è un bel silenzio riposante e c'è una frescura piacevole, quella dell'ombra della pietra vecchia che si respira nei vicoli meno affollati di Venezia.
Sara non capisce perché Nadia sia sempre così inquieta, perché si affanni tanto per non restare lì. Non ha mai detto davvero che vuole andarsene, ma lei lo sa, altrimenti perché sua sorella avrebbe fatto tutti quegli sforzi per fare altre cose. Sara davvero non riesce a capire; quella è la loro vita, la loro casa, la loro famiglia... ah, ma Nadia è sempre stata diversa. Nadia ha sempre avuto i suoi romanzi – fino a qualche anno fa ci si perdeva proprio, la si poteva trovare assorta con un libro tra le mani e lo sguardo assente, lontano – e ha avuto la sua musica, quella pesante, dei cantautori italiani e i musical internazionali. A Sara i musical fanno venire sonno, l'unico che sia riuscito a guardare una volta è stato Moulin Rouge...

One day I'll fly away,
leave all this to yesterday...

Sembrava l'avesse scritta Nadia quella canzone. Sara aveva osservato le labbra della sorella ripetere a memoria le parole mentre Nicole Kidman cantava sullo schermo, e allora aveva capito.
Anche se ha sei anni meno di lei, anche se non riesce a non essere la bambinona della casa e ci sono poche cose che capisce davvero a fondo, ma una di queste è proprio Nadia, per l'appunto. Capisce lei, capisce il suo sguardo che si spegne mentre la mamma parla di fatture e computer nuovi e costi del personale. Ma non capisce la sua voglia di qualcosa di diverso, non capisce la ragione di lottare tanto per avere qualcosa quando quello che ha è già abbastanza.
Perché Sara potrà anche essere una bambina, ma li ascolta anche lei i telegiornali e lo sa quello che sta succedendo. La Crisi, la politica che è uno schifo, gli imprenditori che si suicidano... i suoi amici ci riempiono le loro bacheche di facebook con link su questa roba. E allora perché Nadia non vuole restarsene nel loro porto sicuro, perché sembra sempre così pronta a lasciare una certezza per mille incognite?
Forse Nadia è una stupida, alla fin fine. O forse Nadia è quella coraggiosa e lei, Sara, è la vigliacca.
Ma evidentemente sua sorella non vuole andarsene davvero, forse non è ancora pronta a spiccare il volo e per quanto tenti di sbattere le ali, quelle sono ancora troppo deboli per portarla via da lì.
Sara le vuole bene, un bene dell'anima. E in nome di questo affetto non sa se augurarsi che lei rinunci a questa idea di farsi un'altra vita o se sperare che riesca in tutto ciò che si prefigge.
La ragazza spinge il mozzicone sul fondo del pesante posacenere di marmo appoggiato alla ringhiera. Entra dentro e quando apre la porta i rumori della hall la investono come una folata di vento. È la sua vita, la loro vita, cosa c'è che non va?
Oh, guarda chi c'è, il ragazzo della numero 7, quello bello e inquietante con il nome strano.
Sara ha visto lui e Nadia tornare in hotel insieme la sera prima. Sono tornati tardi, lei li ha visti solo perché era andata in cucina a prendere dell'acqua. Non è che sembrassero particolarmente affiatati, lui sembrava pensieroso e con la mente altrove, a lei di certo non brillavano gli occhi, ma quando mai è capitato che Nadia passasse del tempo con un cliente dell'albergo? Del resto, quando mai ha avuto motivi per farlo?
Sara sorride tra sé e sé e pensa che provare a parlare con quel tizio non sarebbe male. Così, tanto per cercare di capire che tipo è. Nadia diceva di trovarlo inquietante eppure ci si è fatta una passeggiata assieme di sera tardi – ammesso che non sia successo anche dell'altro.
L'espressione della ragazza passa dal sarcastico allo sgomento.
No, decisamente Nadia non è il tipo...
Il ragazzo, Low Key Laufeyson, è seduto su una poltrona di velluto. Sara più lo guarda e più le piace, cioè ha proprio un atteggiamento da piccolo lord, sembra uscito da una fotografia vittoriana. È alto ma non particolarmente robusto, eppure c'è qualcosa di imponente nella sua figura, come nel ritratto di un re. E c'è davvero qualcosa di regale nel modo in cui se ne sta seduto, composto, come se cercasse di occupare il minor spazio possibile, con il giornale tra le mani aperto alla pagina dell'enigmistica, lo sguardo concentrato, probabilmente a cercare di ricordarsi la risposta alla definizione del 1 orizzontale.
«Grossman» gli dice lei, avvicinandosi.
Lui solleva la testa di scatto, le dita affusolate si stringono attorno alle pagine. Forse lo ha spaventato o lo ha infastidito, o forse voleva arrivarci da solo a ricordarsi quel nome. Ma non c'è nessuna nota di fastidio nella sua voce mentre le chiede,
«Come dici?». C'è giusto una punta di freddezza, ma forse è solo per gli occhi straordinariamente azzurri.
«La definizione, il primo orizzontale: il David scrittore. La risposta è Grossman, me lo ha detto Nadia, stavo facendo anche io quel cruciverba stamattina» spiega Sara, un po' in imbarazzo. Magari andargli a parlare non è proprio una buona idea, adesso passerà per la bimbetta imbranata e fastidiosa... accidenti. Di sicuro Nadia non deve essergli sembrata imbranata e fastidiosa!
Più che altro, il ragazzo la guarda come se non avesse idea di cosa lei stia dicendo. Sara si sente in dovere di riparare a quella figuraccia e tornarsene nel suo angolino ad arrossire e a rimuginare su quanto è stata stupida.
«Pensavo stesse facendo ehm... il cruciverba. Mi scusi» farfuglia sentendo il rossore già affiorare in ondate di caldo sulle guance.
Ma il ragazzo le sorride. Cioè, non è proprio un sorriso... lo definirebbe più che altro un ghigno gentile. Ripiega il giornale in grembo e la guarda.
«Non c'è niente di cui scusarsi» mormora, con la sua voce pacata e carezzevole. «A proposito di Nadia, sai dirmi dov'è? Mi aveva promesso di procurarmi una cartina di Venezia con i percorsi delle imbarcazioni pubbliche».
Imbarcazioni pubbliche? Sta parlando delle linee dei traghetti, suppone Sara. Sì, è decisamente uscito da una foto vittoriana. E comunque, le ha chiesto di Nadia, subito, nel giro di una manciata di parole. Lei non sa se ridacchiare o essere un po' invidiosa.
«Nadia è una randagia» risponde con un sorriso ironico, scuotendo la testa. «Adesso non saprei proprio dov'è, forse a Rialto, forse a guardare qualche chiesa cercando qualche particolare da fotografare. Se ne sta in giro più che può, io credo che non le piaccia troppo stare qui dentro».
«Oh. Davvero?» Low Kay si guarda attorno con aria teatrale. «Non mi sembra affatto un posto così brutto».
Infatti non lo è, ma a Nadia non piace perché Nadia è...
«Nadia è sempre stata un po'...»
Strana, diversa, ambiziosa... presuntuosa.
Sara deglutisce, deve fare attenzione a come parla di sua sorella con un estraneo, potrebbe venire fraintesa.
«Nadia è sempre stata un po' più incline ad altre aspirazioni. Non credo voglia fare l'albergatrice» risponde semplicemente, ma non c'è più il sorriso sulla sua faccia, lo ha sentito andare via come una fiamma di candela sulla quale qualcuno ha soffiato.
«No? Penso che per fare questo mestiere ci vogliano certe doti, in effetti» replica Low Kay.
Sì, ci vogliono certe doti che Nadia non ha, io invece ce le ho. Ho molte più doti di lei, eppure tutti mi credono una bambina!
«Ad ognuno il suo» conclude con un'alzata di spalle, scacciando via quei pensieri astiosi che proprio non sono da lei. «Le auguro buona giornata, signor Laufeyson».
«Anche a te».
Sara indugia qualche secondo. Non la chiama per nome, non se lo ricorda, di certo. Però si ricorda quello di Nadia, lei voleva parlare con lui per il semplice gusto di parlare qualche minuto con un bel ragazzo – che male c'è? E invece hanno parlato di Nadia.
La ragazza si stropiccia il viso con le mani, chiedendosi cosa sia quella sensazione di freddo che sente stringerle alla bocca dello stomaco.

***

Loki appoggia il giornale sul tavolino e si alza, lisciandosi il tessuto del soprabito scuro.
Ha capito che è inutile starsene lì ad aspettare Nadia. Potrebbe rintracciarla cercando di captare l'energia della pietra, ma se spuntasse di nuovo all'improvviso sul suo cammino lei potrebbe cominciare a insospettirsi.
Di questo passo, impiegherà un'eternità a portare a compimento il suo piano. Ma non ha altra scelta.
Osserva con la coda dell'occhio la ragazza più giovane, di cui ignora il nome, allontanarsi verso le scale. Quando l'ha vista avvicinarsi ha pensato subito che potesse essere una buona occasione per sapere dove era Nadia e magari per avere qualche informazione su come attirare in qualche modo il suo interesse, ma non è stato un gran colpo. Tutto quello che ha capito parlando con la ragazzina è che lei prova una specie di attrazione nei suoi confronti. È stato divertente sentirla farfugliare e vederla arrossire, ma la cosa non lo fa sentire affatto lusingato, gli fa solo apparire la natura umana un mistero ancora più insondabile – e quasi esasperante, se avesse il tempo e la voglia di fermarsi a rifletterci su.
E a un certo punto ha visto le ombre nello sguardo della ragazzina, quando parlava della sorella maggiore. Ombre di invidia, di incomprensioni non sanate, di distanze mai colmate.
Forse è il destino di tutti i fratelli minori, pensa con un sospiro, mentre un vento leggero smuove le poche nuvole che macchiano il cielo. Però si è divertito a vedere quelle onde incupirsi parola dopo parola, pensiero dopo pensiero.  
Certo, la ragazzina non arriverà mai a odiare la sorella maggiore, non permetterà mai a quelle ombre di avere la meglio, perché è una debole, perché ha bisogno di sapere che Nadia ci sarà nella sua vita, a posarle la mano sulla spalla ed aiutarla dall'alto della sua superiorità. Si ricorda di tenerlo a mente, nel caso in cui avesse bisogno di smuovere la piccola fotografa: sua sorella sarebbe un'eccellente leva sulla quale fare pressione. Nadia si piegherebbe di sicuro per la ragazzina. Perché lei è buona e può permetterselo, perché lei è amata e può regalarle qualche spicciolo di luce quando non è troppo impegnata a crogiolarsi nelle sue vittorie facili. Come ha fatto suo fratello...
Fratello.
La parola gli sibila nella mente come il rumore delle spire di un serpente. La parola che non riesce a  staccare da quel nome, da quei ricordi, da giorni lontani che gli pesano nella mente come vestiti carichi di pioggia.
Fratello. Famiglia. Casa.
Tutte cose di cui non ha bisogno, vi ha rinunciato molto tempo fa. È un dio, e in quanto tale può bastare a se stesso, ma per quanto potere possa ottenere, per quanto bene possa nascondersi dai suoi nemici, non può niente contro la prepotenza di quel ricordare che arriva di soppiatto e lo fa fremere di rabbia. Una rabbia glaciale, che si mescola al freddo del suo stesso sangue.
Loki alza lo sguardo sulla grande cupola di rame del tempio – è certo che in quel posto i luoghi di culto non vengano più chiamati in quel modo, ma ora non rammenta il termine esatto.
È sempre la curiosità che lo spinge a varcare la soglia dell'edificio circolare. Oltre i grossi battenti dell'ingresso c'è un silenzio che sembra indotto da un incantesimo e un odore dolciastro di fiori che appassiscono, insieme a un sentore di cera bruciata e di incenso che ristagna nell'aria immobile.
Loki cammina tra le file di panche di legno, sfiorandone gli schienali con la punta delle dita. Il ticchettio dei suoi passi come unica compagnia.
Alza lo sguardo al di sopra dell'altare coperto da una tovaglia bianca e osserva la croce. Che religione è una che sceglie come proprio emblema un antico strumento di tortura?
Quel luogo di culto è un posto triste, gli sembra vuoto. In quello strano mondo gli uomini non temono gli dei, cantano per loro e accendono candele, i loro altari sono immacolati, il sangue del sacrificio non li ha mai sfiorati. Credono in un dio che muore per loro invece che combattere.
L'odore di fiori e cera bruciata gli arriva a zaffate, come un olezzo insopportabile. Loki si volta, quasi stizzito, fa per uscire, ma si ferma davanti a una specie di grosso catino circolare pieno per metà di acqua. Guarda la superficie liscia del liquido perfettamente trasparente, si riescono a vedere le venature del marmo sul fondo del recipiente.
Loki stende una mano, la passa a pelo d'acqua; sotto il suo palmo si forma uno strato di ghiaccio spesso e lucido. Sorride il dio dell'inganno, mentre si allunga a spiare la sua immagine sulla superficie gelata e, nonostante indossi ancora gli abiti da terrestre, si vede riflesso con le insegne del suo potere e del suo rango che rifulgono di luce dorata.

***

Nadia scende dal traghetto, reggendo tra le braccia un ingombrante sacchetto della spesa pieno di verdura fresca.
Nella tasca posteriore dei jeans ha la cartina di Venezia con le linee e gli orari dei mezzi pubblici del centro storico, se l'è fatta dare alla fermata di piazza San Marco.
C'è un'afa quasi estiva nell'aria, il gelo improvviso che ha soffiato sulla città due giorni prima sembra un ricordo lontanissimo. Ora invece è come se su Venezia si sia precipitata un'estate inaspettata.
Il cielo era talmente terso che dalla piazza si scorgeva netto all'orizzonte il profilo dell'isola di San Michele. Le strade erano affollate, una Babele di lingue, con i turisti dei paesi del nord già in canottiera e pantaloncini.
Nadia ha addosso uno strano senso di buon umore quel pomeriggio. Ha passato una mattina in giro per le strade, ha incontrato un paio di amici per un caffè e ha scoperto che alla Corte dell'Angelo ricominceranno i concerti di musica jazz quella settimana, e lei vuole assolutamente andarci. Non pensa più al malumore di qualche giorno prima; non che le sia passata da un momento all'altro, semplicemente si è detta che per un po' metterà da parte tutti i pensieri poco salutari per il benessere del suo fegato. Non ha voglia di continuare ad angustiarsi perché le cose non vanno come vorrebbe, per un po' vuole solo deporre le armi e stabilire un armistizio con la sua vita, solo per un breve periodo magari, ma ne ha davvero bisogno. Forse, una volta che si sarà riposata, una volta che avrà smesso di rimuginare sulle cose andate male, riuscirà ad affrontare meglio le battaglie che verranno.
Affonda il viso nel sacchetto inspirando l'odore di frutta fresca e basilico.
Cucinerà lei a cena, farà gli spaghetti con il pomodoro fresco che tanto piacciono a Sara, e le scaloppine come le ha insegnato suo padre. E non se ne andrà in giro per la città di sera, resterà a casa, con la sua famiglia perché è giusto che ogni tanto lei resti.
Entra in casa dalla porta sul retro, l'ingresso privato all'abitazione della famiglia Berton. Mette i rametti di basilico in un bicchiere con dell'acqua, perché si conservino freschi. Separa la frutta più matura da quella ancora un po' acerba – la prima nel frigo, la seconda nel cestino sopra al davanzale della finestra.
Casanova compare sulla soglia, si mette a sedere sulle zampe posteriori e segue i suoi movimenti con gli occhi dorati. Sa che la sua padrona non vuole che entri in cucina, un animale in cucina non è igienico, e lui obbedisce, anche se sa che la sua padrona non lo picchierebbe mai con il giornale o con la scopa.
«Sì, gatto ingordo, ho qualcosa anche per te» dice Nadia, mostrando un pacco di carta cerata che odora di mare e pesce fresco.
Casanova si lecca il muso e tende il collo con aria interessata, dando qualche colpetto con la coda sul pavimento in segno di approvazione.
Nadia sorride compiaciuta, poi si ricorda della cartina nella tasca posteriore dei jeans.
«Però prima devo andare a portare questa al tipo strambo» dice.
Il gatto la segue mentre esce dall'appartamento e entra nella hall, imbocca le scale e sul pianerottolo si imbatte in Sara.
«Ehi, stasera cucino. Pasta con il pomodoro fresco» le dice, strizzandole l'occhio.
Sua sorella la guarda con un'aria stranamente crucciata,
«Oh, bene. Io stasera esco» risponde sbrigativa.
«Ma come? E io che volevo cucinare»
«Esco» ripete Sara scrollando le spalle. «Non sei certo la sola ad avere cose da fare fuori di qui».
Non le dà tempo di replicare, la sorpassa e si allontana. Nadia si volta, guardandola sparire giù per i gradini di moquette. Ogni tanto sua sorella ha ancora qualche rigurgito di crisi adolescenziale, ma non era mai stata così fredda con lei prima.
Nadia decide di lasciar perdere, terrà d'occhio Sara nei prossimi giorni e se ci sarà qualcosa che non va ne parlerà, perché sono sorelle, possono parlare e risolvere qualsiasi cosa.
Arriva al secondo piano. Si ferma davanti alla camera numero 7 e si chiede se Loki sia dentro. Non gli ha chiesto che ci fa a Venezia, non gli ha chiesto un sacco di cose. Avrebbe potuto azzardare qualche domanda la sera prima, ma ha avuto come l'impressione che lui fosse stanco, stanco di una stanchezza che anche lei prova spesso... stanco del mondo. Che avesse bisogno solo di camminare in silenzio, respirando l'aria salmastra e un po' umida della sera. E chi è lei per privarlo di questa necessità, sapendo bene come alle volte certi bisogni possono diventare pressanti?
Pensa che se non è in camera si limiterà a infilargli la cartina sotto l'uscio della porta. Lo stesso uscio che Casanova ora sta annusando circospetto.
Nadia allontana il gatto spingendolo piano con il collo del piede e bussa.
Loki c'è, le apre la porta, sorride.
«Ben trovata» dice. Chissà perché, ma la ragazza non si aspettava un ciao, troppo poco aristocratico per lui, evidentemente.
Nadia sta per rispondere al saluto, ma Casanova lancia un miagolio acuto e vibrante e scatta in avanti, soffiando, mettendosi tra lei e il ragazzo.
Loki abbassa lo sguardo sul gatto, stavolta non sembra spaventato, stavolta lo guarda con freddezza, come se potesse ucciderlo con un'occhiata da un momento all'altro. Anche Nadia ora vorrebbe uccidere il suo adorato micio, in realtà.
«Casanova, via!» esclama interdetta.
Il gatto miagola, come se cercasse di lanciarle un monito, frusta il pavimento con la coda d'argento.
«Ho detto: via!». Nadia alza la voce. Non ha mai voluto farlo castrare, le è sempre sembrata una barbarie, ma forse è il caso che cominci a prendere in considerazione l'idea.
Casanova ritrova lentamente il suo contegno da felino domestico, fa oscillare la testa spostando lo sguardo di ambra tra la sua padrona e l'ospite che tanto gli è antipatico, poi lancia un ultimo debole miagolio di protesta prima di allontanarsi.
Nadia si passa una mano sul viso, lancia verso Loki uno sguardo mortificato.
«Mi dispiace... non è mai stato aggressivo con nessuno» dice, scuotendo la testa. «Ero venuta a portarti questa».
Gli porge la cartina, Loki si sposta di lato.
«Vuoi entrare?» le chiede.
No, preferirebbe proprio di no. Non è molto professionale, e poi deve andare di sotto a cucinare.
Ma Loki è... sembra ancora così stanco. E forse è anche stanco di starsene lì da solo. Nadia lo guarda chiedendosi se abbia una casa dove tornare.
Certo che ce l'ha, perché non dovrebbe?
«Ho da fare. Dovevi dirmi qualcosa?» dice varcando la soglia.
Loki chiude la porta alle loro spalle. Nadia lancia uno sguardo veloce in giro per la stanza: sembra che non ci sia stato nessuno. Nemmeno una sedia è stata spostata, non sono state aperte neanche le tende. La ragazza sa che non dovrebbe essere lì e che il suo istinto materno che l'ha portata a intenerirsi per la silenziosa solitudine di quel tizio dovrebbe essere messo da parte nelle occasioni future.
«Non vorrei approfittare della tua gentilezza» esordisce Loki. «Volevo solo chiederti se puoi indicarmi una biblioteca, dovrei fare delle ricerche».
«È per questo che sei a Venezia, per una ricerca?», la domanda le scappa di bocca senza che Nadia riesca a trattenerla.
Negli occhi di Loki si accende una scintilla di divertimento,
«Direi proprio di sì» le risponde con uno strano sorriso.
Nadia prende la biro con il nome dell'albergo appoggiata sul tavolino assieme ai fogli intestati, apre la cartina e la spiega sul piano di legno smaltato.
«L'albergo è qui» dice facendo un cerchio. «La biblioteca è qui». Disegna una croce in un punto vicino Piazza San Marco, poi solleva lo sguardo e fissa il suo interlocutore.
«Ti ringrazio» mormora lui prima di notare che lei lo sta guardando pensierosa. «Cosa c'è?».
«Quando mi hai detto il tuo nome ieri mattina ho pensato al cane di una mia amica delle medie, poi ho pensato alla divinità norrena: Loki, il dio dell'inganno»
«Lo sapevo!»
«Cosa?»
«Che sei una persona piuttosto colta».
Nadia scuote la testa, alza gli occhi al cielo.
«Beh, trovo emblematico il fatto che ti chiami come una divinità nordica, ingannatrice e portatrice di caos» risponde, un po' canzonatoria un po' seria.
«Io lo trovo casuale, in realtà. Ma se fossi una divinità sarebbe... divertente» replica lui, distogliendo lo sguardo e fissando un punto lontano, come se stesse accarezzando chissà quale strano pensiero.
«Oh, volendo prestare fede alle leggende norrene, Loki era uno che se la spassava parecchio»
«Sul serio?»
«Sì. Dicono che si fosse accoppiato con un sacco di esseri sovrannaturali per generarne altri ancora più orribili. Ricordo una storia sul fatto che si sia trasformato in una giumenta per farsi montare da un cavallo e...».
L'angolo della bocca del ragazzo è sollevato in una smorfia di puro disgusto. Nadia arriccia le labbra, forse non era il caso di uscirsene con quelle cose e non era quello il modo di ribadire al suo strano ospite che non si fida particolarmente di lui.
«In fatto di dei, al genere umano non è mai mancata l'immaginazione» conclude Loki scuotendo la testa.

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Note:

Mi è piaciuto scrivere un paragrafo dal POV di Sara, così mi sono tolta lo sfizio di fare un po' la fangirl senza andare a minare il contegno del mio OC e anche perché mi piaceva questa cosa di lui che in quanto divinità del caos riesce a seminare la discordia anche senza fare niente di che.
E mi sono divertita a pensare che Loki trovi strano il fatto di esercitare un'attrazione fisica su un'umana, perché ho come l'impressione che il personaggio non si ritenga molto gradevole.
Non mi è piaciuto parlare di Clint e Natasha, sono personaggi che faccio ancora un po' fatica ad inquadrare. Ma c'è tempo prima che i Vendicatori entrino nel vivo della storia, per cui per adesso va bene così.
La faccenda di Loki che si trasforma in una giumenta e tutto il resto fa tendenza ormai... ma mi piace pensare che il personaggio marveliano non abbia molto a che fare con il “vero” dio della mitologia norrena, perché QUEL Loki che fa le cose raccontate nelle leggende nordiche proprio non ce lo vedo (suvvia, è troppo impegnato a conquistare il mondo e a tentare di battere suo fratello per avere il tempo di accoppiarsi con esseri strani e generare mostri!).

Al prossimo capitolo ^^
 

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


Capitolo quinto

Pepper sta pensando a quanto è buono il caffè che ha bevuto poco prima, in quel delizioso bar con l'orchestra, all'ombra del campanile.
Pepper sta pensando a quanto è buono il caffè. La cosa è sensazionale, in sé per sé. Sono a chilometri e chilometri da casa e lei può permettersi di non pensare a niente di più importante di un caffè in un bar.
Era molto tempo che Tony insisteva per andare a Venezia e alla fine ce l'hanno fatta. E ne è valsa decisamente la pena.
Per una volta si è lasciata convincere a delegare tutti i suoi monumentali impegni alla sua nutrita schiera di impeccabili collaboratori e si è decisa a lasciarsi alle spalle lo stress accumulato, la paura accumulata soprattutto. Perché finalmente, per una volta, lei e Tony sono in un angolo di mondo in cui non c'è spazio per i supereroi, niente ex-amici di suo padre – o figli degli stessi – arrabbiati e assetati di vendetta o potere o qualsiasi cosa sia. E niente divinità sociopatiche con le manie di grandezza. Niente di niente, nemmeno strani congegni super tecnologici, nemmeno la dannata armatura: Tony le ha promesso che l'avrebbe lasciata a casa quando lei gli ha giurato che non avrebbe telefonato in ufficio dieci volte al giorno per sincerarsi che tutto andasse bene.
Il ponte di Rialto è un mosaico di facce che si confondono. Passanti che si spingono contro il parapetto per fotografare il Canal Grande, l'acqua dai riflessi argentati che scorre placida riflettendo l'azzurro del cielo, solcata dalle sagome scure e allungate delle gondole e dai vaporetti.
Dopo pranzo hanno in programma di andare a Murano, spera di trovare qualche bella scultura di vetro da comprare; ognuno ha le sue debolezze, la passione per gli oggetti d'arte è la sua. Ma vorrebbe proprio prendere uno dei traghetti e non andarci con lo yacht privato, le piace questo mescolarsi con la gente, fare finta di essere una come tutti e non la compagna di... Iron Man. Ha bisogno di credersi una come tutti, l'aiuta a dimenticare quel giorno tremendo. Il giorno in cui da un varco aperto in mezzo al cielo sembrava piovere la fine del mondo, e lei era su quell'aereo a guardare le immagini dallo schermo di un televisore e le si è fermato il cuore quando il varco stava per richiudersi dietro le spalle di Tony. E lei non c'era, e lei era lontana...
No, non deve pensarci. Deve pensare al caffè, ai piccioni, alle sculture di vetro di Murano, e al giro in gondola con Tony che ha fatto impazzire il gondoliere che a un certo punto ha cominciato a guardarlo come se volesse buttarlo giù dalla barca. Non deve pensarci, è tutto finito. Ora sono tutte quelle cose ad essere lontane.
«Stavo pensando che potremmo provare a prendere uno di quei traghetti» dice, spingendosi anche lei contro il parapetto di marmo, insieme a tutti gli altri turisti. «Lo so che tu non sei molto propenso a... Tony?».
La donna si volta, si guarda attorno. Tony non c'è, deve averlo perso mentre salivano sul ponte, in mezzo a tutto quel caos.
Ha appena realizzato la cosa che il suo cellulare comincia a squillare, lo recupera dal fondo della borsetta e la fotografia di un sornione signor Stark lampeggia sul display. Lei preme il tasto per accettare la chiamata e le parole cominciano a piovere a raffica dalla cornetta.
«Stavo pensando di impiantarti un microcip nella schiena prima di partire» dice Tony. «Sai uno di quelli molto piccoli, giusto per essere sicuro che...»
«Tony» lo interrompe sorridendo. «Dimmi dove sei, ti raggiungo».
«Nella piazzetta con la statua di Goldoni. Vuoi che ti faccia localizzare da un satellite?».
Potrebbe farlo, basterebbe una telefonata e arriverebbe un elicottero a prenderla, ne è sicura. Ma non è necessario, e comunque in quella piazza ci sono passati poco prima, riuscirà sicuramente a ritrovarla.
«Non muoverti di là, arrivo» dice, prima di chiudere la telefonata.
Ci sono passati pochissimi minuti prima in effetti. Ma ora che la tranquilla, ordinata, equilibrata Virginia Potts osserva il via vai di gente salire e scendere da quell'enorme ponte si rende conto di non avere la più pallida idea di come tornare in quella piazza.
Estrae di nuovo il cellulare, pensa di richiamare Tony e dirgli se non di mandare un astronauta a recuperarla, quanto meno di essere lui a raggiungere lei a Rialto. Cerca di far partire la chiamata, ma l'aggeggio si spegne con il cicalio che annuncia lo scaricarsi della batteria.

***

Nadia sta contando le monete da dare al tabaccaio per i pacchetti di sigarette che ha comprato per suo padre e per sua sorella. Ha provato un paio di volte a convincerli a smettere, ma senza risultati. Sara ha vent'anni e si crede invincibile, suo padre ne ha cinquantacinque e si crede troppo saggio per ascoltare consigli e per farsi fregare dalle sigarette.
Ognuno si suicida come meglio può, pensa Nadia. E mentre lo sta pensando, viene superata da una donna bionda, con una coda di cavallo perfettamente diritta, che appoggia sul bancone una cartina della città che ha appena preso dall'espositore.
«Scusa, c'eri prima tu, non avevo visto» mormora la donna, accorgendosi di lei, sorridendo gentile e facendosi da parte.
La ragazza ricambia il sorriso, scrolla le spalle.
«Non importa, fai pure» risponde. La donna sembra un po' trafelata, forse ha fretta, forse si è persa.
La sconosciuta la ringrazia, paga la cartina ed esce scartandola dall'involucro di cellophane.
Nadia mette in borsa i pacchetti di sigarette. Pensa che ha voglia di tornare a fare fotografie, che deve inventarsi qualcosa. È passata una settimana da quando ha avuto quell'infruttuoso incontro con il gallerista, dal giorno in cui c'è stata quella strana ondata di gelo su Venezia, dalla sera in cui è arrivato Loki in albergo.
Accidenti, si era ripromessa di smetterla di rimuginare su Loki perché alle volte le sembra di sfiorare le vette della paranoia. Non si è mai interessata dei clienti dell'albergo, di chi sono, di cosa fanno; forse sono passati tanti tizi poco raccomandabili tra quelle stanze e lei non se n'è nemmeno accorta, però Casanova non aveva mai soffiato contro nessuno prima di allora. Certo, non che sia indicativo, ma Nadia non può fingere che non ci sia qualcosa di molto strano in quel ragazzo. No, non è stranezza, all'inizio credeva si trattasse di bizzarria ma ora sa che è qualcosa di diverso, dopo una settimana, dopo che, in un modo o nell'altro lui è riuscito a convincerla ad accompagnarla nelle sue passeggiate serali più di una volta, anche se non hanno mai parlato molto, c'è una cosa che Nadia ha capito con certezza: Loki non è innocente. Non saprebbe dire innocente rispetto a cosa, sa solo che quando lo vede sorridere, quando lo sente parlare, una parte di lei ha paura, una paura istintiva e viscerale che però non si trasforma in un vero e proprio sentimento negativo nei suoi confronti perché, in ultima analisi, il ragazzo le sta persino simpatico. È solo, gli è certamente accaduto qualcosa, e non sembra avere nessuna cattiva intenzione, perché dovrebbe avere qualcosa contro di lui?
È appunto per questo che non vuole pensarci; le sembra di essere schizofrenica, oltre che paranoica. E prima o poi, Loki lascerà l'albergo, lascerà Venezia e nel giro di poco tempo lei se ne sarà dimenticata.
Esce dalla tabaccheria, senza guardare davanti a sé e finisce addosso a qualcuno.
«Mi dispiace» mormora imbarazzata, sollevando lo sguardo sulla persona che ha investito. È la donna bionda di poco prima, che se ne stava ferma davanti alla porta a consultare la cartina che ha comprato.
«Oh, fa niente, davvero. Ero io tra i piedi» risponde la donna, in inglese, con un inequivocabile accento americano. «Scusa, io mi sono persa e con questa cartina non riesco a capire niente. Sapresti dirmi dov'è la piazza con la statua di Goldoni?».
Nadia guarda la turista americana; ha le guance arrossate e sembra in ansia, come se in quella piazza ci fosse una bomba a orologeria che deve andare a disinnescare prima che sia troppo tardi.
«Devo passare di lì, ti ci accompagno se vuoi».
Gli occhi della sconosciuta si illuminano,
«Sarebbe davvero un'ottima cosa, se per te non è un disturbo» mormora ripiegando la cartina.
«Nessun disturbo. Mi chiamo Nadia, a proposito»
«Io sono Pepper».
Nadia pensa che sia un nome insolito, ma è una settimana che ha a che fare con un ragazzo che si fa chiamare come una divinità cattiva e promiscua, può digerire tranquillamente una Pepper.
Fa caldo, un caldo fuori stagione, che dà ai nervi. Il sole si riflette sull'acqua in bagliori che feriscono gli occhi di chi guarda. Nadia non deve propriamente passare per la piazza con la statua, ma è di nuovo in una di quelle giornate in cui farebbe di tutto pur di non dover tornare a casa.
«Sei proprio di qui tu, di Venezia?» domanda la donna, seguendola mentre scansa i passanti. Nadia annuisce. «Io invece vengo da New York».
La ragazza si volta a guardare la sua interlocutrice, parla come se non riuscisse a farne a meno, come se fosse troppo nervosa per starsene in silenzio. Cosa diamine la sta aspettando in quella piazza, un plotone di esecuzione?
«Mi piacerebbe visitare l'America» le risponde distrattamente.
«Scherzi? Vivi a Venezia, se fossi al tuo posto non mi muoverei da qui per nessuna ragione al mondo» replica Pepper.
«Lo dici solo perché non sei al mio posto. Venezia è una cosa alla quale ci si fa l'abitudine»
«A New York invece non ci si abitua mai». La donna lo dice con una mezza risatina nervosa, scuotendo il capo. Nadia ripensa alle notizie di qualche settimana prima, alle immagini della città distrutta da un altro attacco terroristico; su internet qualcuno parlava addirittura di alieni. Su internet girano un sacco di stupidaggini, però Sara ci ha quasi creduto alla storia dell'attacco interspaziale.
«Ho sentito di quello che è successo nella tua città, deve essere stato brutto» dice Nadia. Deve essere stato orribile, indicibile, come diavolo le è venuto in mente di aprire un discorso del genere?
Pepper si irrigidisce per un attimo, deglutisce, poi sbatte le palpebre come a voler cancellare quell'espressione stranita dal viso, con l'abilità di chi è abituato a non mostrare i propri pensieri e a essere diplomatico, se la situazione lo richiede,
«Non ero in città quando è successo» risponde. D'accordo, non vuole parlarne, è più che legittimo, ma ora Nadia si sente in imbarazzo e deve pensare a qualcos'altro da dire.
«Sei in ritardo per un appuntamento? Non per farmi i fatti i tuoi, ma sembra che tu abbia una gran fretta di raggiungere quella piazza» le dice con un tono ironico, tanto per alleggerire l'aria.
Pepper ridacchia, come se le fosse venuto in mente qualcosa di straordinariamente buffo.
«In effetti, il mio compagno mi sta aspettando lì e lui è... beh, non è il tipo che può essere lasciato da solo, in una città come questa» spiega, continuando a ridacchiare.
Nadia non capisce cosa ci sia di divertente, ma sorride, scrolla le spalle e continua a camminare.
Quando raggiungono la piazza, nota che Pepper allunga il collo, cercando il suo compagno.
«Devi convenire con me che l'idea del microcip non è poi così male» dice all'improvviso una voce alle loro spalle. Nadia si volta perplessa: quello sarebbe il compagno di Pepper? Quell'uomo sulla quarantina con la t-shirt blu sulla quale campeggia il logo degli AC/DC e quel curioso pizzetto?
Ad ogni modo, Nadia ha la sensazione di aver già visto la sua faccia da qualche parte.
«No, dico sul serio. Pensa alla prossima Stark Expo, pensa a tutti i viaggi futuri, pensa se si dovesse rompere un'ascensore alla Star Tower. E comunque, io sto per svenire dalla fame. A proposito, chi è l'incantevole donzella? Io sono Tony, incantevole donzella».
Tony parla a raffica. Come diavolo fa a respirare, ha le branchie? Quella sua lingua sciolta sta mettendo in difficoltà l'ottimo inglese di Nadia; che roba è la Stark Expo, la Stark Tower? Da quale clinica psichiatrica è scappato quel tipo?
«Io mi chiamo Nadia. Sei sicuro di essere qui in vacanza, Tony? Non mi sembri molto rilassato» risponde la ragazza.
«Il tuo accento mi dice che sei un'indigena. E comunque, io sono assolutamente rilassato, come potrei non esserlo?»
«Nadia è stata così gentile da aiutarmi a trovare questo posto» interviene Pepper, con una punta di bonaria severità nella voce, a suggerire al suo uomo di provare a essere un po' più... o un po' meno... a Nadia viene da ridere, quel Tony deve essere uno spasso e non ha l'aria di qualcuno che riesca a essere un po' più o un po' meno di quello che è.
«Grazie, Nadia. Possiamo offrirti uno shawarma» aggiunge l'uomo, con fare amichevole. «Conosci un posto qui dove fanno lo shawarma?»
Dove fanno il che?
«Io conosco solo posti dove suonano il jazz» risponde Nadia sarcastica.
Tony sgrana gli occhi e getta all'indietro la testa, con aria sconfortata, borbottando un «oh no» a mezza voce.
«Davvero?» interviene Pepper con aria interessata. «Mi stavo giusto chiedendo se c'era qualche posto dove suonassero qualcosa di buono».
Dalla faccia di Tony è evidente che non gli piace il jazz, ma Pepper ignora la sua enfatica reazione e chiede maggiori informazioni sulla cosa. Nadia si ritrova a parlarle della Corte dell'Angelo, un posto in cui fanno musica dal vivo ogni giovedì sera.
«Potremmo andarci» conclude la donna.
«Potremmo? Davvero?» replica Tony come se lei avesse detto un'eresia.
«Potremmo proprio» ribatte Pepper dondolando il capo, decisa.
«Oh, ma grazie, grazie Colombina. Proprio non vedevo l'ora di trovare un posto dove si suonasse jazz a Venezia!».
Il modo in cui Tony sta pronunciando quelle parole le smentisce, ma alla fine fa una smorfia che somiglia a un sorriso che Nadia si trova a ricambiare.
«Vi lascio alla vostra vacanza. È stato un piacere incontrarvi» dice, alzando la mano per fare un cenno di saluto.
«Oh, davvero non possiamo invitarti a prendere un aperitivo con noi? Sei stata così gentile» chiede Pepper.
Le piacerebbe, quei due le stanno simpatici, ma sa che è ora di tornare a casa, non può abusare troppo della pazienza dei suoi e della libertà che le è concessa lavorando per la sua famiglia.
«Devo tornare a lavoro» risponde. «Ma magari ci rivediamo alla Corte dell'Angelo, giovedì sera».

***

Sta andando molto bene.
Loki sorride al vuoto, seduto su una panchina in un vicolo accanto all'albergo.
Quando una settimana prima aveva messo piede in quella casa, pensando di trovare la pietra ad attenderlo dentro a uno scrigno o qualcosa di simile, e poi l'aveva vista al polso dell'umana, per un attimo si era sentito perso.
Ma alla fine non è stato difficile, solo un po' più lento del previsto. E nemmeno noioso come temeva. Certo, le lunghe ore di inattività lo hanno innervosito, ma avere occasione di conoscere più da vicino gli umani è stato comunque divertente, cercare di cogliere ogni particolare del loro insulso modo di vivere per confermare ciò che ha sempre pensato: sono delle creature inferiori, allo sbando. E ognuna di loro ha dei nervi scoperti che possono essere toccati come i fili delle marionette, suonati come le corde di un'arpa. E a lui piacere essere il compositore di certe melodie, gli piace fare il burattinaio.
La ragazza, ad esempio, ha la sua solitudine e il suo senso di vuoto che la portano ad essere disposta a fare qualsiasi cosa pur di sentirsi un po' meno senza scopo, un po' meno inutile. Persino passare del tempo con lui.
Deve ammetterlo, Nadia è stata un oggetto di osservazione parecchio complesso e interessante in quella settimana, più di quanto gli era sembrata all'inizio. Nadia è una guerriera che non sa di esserlo, e per questo ha tanti punti deboli nella sua armatura. Se Loki avesse tempo da perdere su Midgard, gli piacerebbe provare ad insinuarsi in ognuna di quelle fenditure, entrarle sotto la pelle per il solo gusto di scoprire cosa c'è, e poi ritrarsi e lasciarla come un guscio vuoto.
Ma più ci pensa e più si rende conto che non ha nemmeno troppa voglia di ucciderla, quando tutto questo sarà finito penserà ad andarsene per la sua strada perché sta diventando troppo sfiancante, tanto da togliere il divertimento persino al più crudele dei progetti. Vuole lasciare Midgard, cercare altre battaglie da combattere... poi forse un giorno tornerà ed esigerà da quel piccolo mondo la sua vendetta, un tributo di lacrime e sangue per il disonore che gli hanno arrecato con quella sconfitta immeritata.
Lui è un dio, e un dio non lascia niente di irrisolto o di impunito.
Ma deve ammettere che giocare a fare l'umano è stato...
Rilassante?
Divertente.
Piacevole?
Originale.
Sorride di nuovo. Beh, di certo non è stato niente di troppo drammatico. Come direbbero loro, l'ha presa con filosofia.
Un verso graffiante arriva improvviso a strapparlo alle sue riflessioni, a cancellargli dalla faccia quel sorriso beffardo e tagliente. Loki solleva lo sguardo e incontra gli occhi d'oro del gatto della ragazza. Quella maledetta bestiaccia!
Si alza in piedi di scatto, il felino continua a soffiargli contro. Il dio dell'inganno serra la mascella, in un impeto di irritazione. Si guarda attorno: non c'è nessuno. Bene.
Prima che l'animale abbia il tempo anche solo di capire, si china su di lui come una freccia. La mano tesa punta dietro le orecchie, le dita si serrano in un attimo. Lo scricchiolio delle piccole ossa del collo sottile è un rumore secco e un istante dopo il corpo del gatto si affloscia morbidamente sul ciottolato.
Loki osserva la piccola sagoma argenta ai suoi piedi con un misto di disgusto e soddisfazione. Sfrega i palmi delle mani l'uno contro l'altro, per togliere qualche traccia di pelo che può essergli rimasta sulla pelle e...
«Casanova, dove sei?».
La voce della ragazza arriva da dietro l'angolo. Lo sguardo di Loki svetta in ogni direzione. C'è un cestino per i rifiuti sotto al palo della luce, prende il gatto per la coda e lo lancia dentro, un istante prima che Nadia spunti nello spiazzo tra le case.
Lei interrompe di colpo il suo camminare concitato, quasi spaventata dall'esserselo trovato all'improvviso davanti – bene, per una volta è lei che ha trovato lui e non il contrario, si stava giusto chiedendo dove fosse finita.  
«Oh... ciao, Loki».
«Ciao».
«Stavo cercando il mio gatto, mi è sembrato di averlo visto venire da questa parte» dice lei.
Lui inclina appena la testa, solleva leggermente le sopracciglia,
«Non l'ho visto» mente in tutta tranquillità.
«Uhm, penso che sia inutile continuare a cercarlo, forse tornerà quando avrà fame»
«Sicuramente. Stavo rientrando, vieni con me?».

***

Il cielo sopra Asgard è una distesa di blu a perdita d'occhio, verso l'orizzonte infinito dell'universo. Il confine della città eterna è segnato da un enorme cancello dorato che si apre al suo passaggio, oltre il cancello c'è un ponte, un ponte che lui stesso ha distrutto. Ogni colpo di martello su quella superficie dai riflessi d'arcobaleno era un pezzo del suo cuore che si sgretolava mentre la voce di suo fratello faceva eco nelle tue orecchie: «Che stai facendo? Se distruggi il ponte non potrai mai più rivederla!».
Jane...
Il ricordo di lei fa gonfiare i suoi pensieri come nuvole che scatenano temporali di rimpianto.
Ora che ha il Tesseract potrebbe tornare sulla Terra, rivederla, ma ancora una volta il futuro re di Asgard ha diverse priorità, deve scegliere altro. Per il momento.
Thor attraversa ad ampie falcate quel che resta del Bifrost, un lembo di ponte lastricato di luce, in sospeso su una mare nero come l'inchiostro. All'estremità di quel lungo frammento c'è Heimdall in piedi a vigilare sui nove regni con il suo sguardo. Accanto al gigante c'è Odino che scruta silenzioso le stelle immobili.
Thor sente la rabbia montargli nel ventre e fargli pulsare la testa, ma l'ultima volta che ha avuto uno scatto di ira con suo padre... beh, meglio non ripetere di nuovo lo stesso errore, non sarebbe saggio e lui in quanto a saggezza ha molta strada ancora da fare. Per questo deglutisce, prende un lungo respiro e si ferma alle spalle del gigante e del Padre, rilassa i pugni che teneva serrati a far sbiancare le nocche e tenta di assumere un tono di voce tranquillo.
«Perché non stiamo facendo niente?» chiede. Domanda legittima, si dice. Hanno trovato Loki, Heimadall lo sta osservando da giorni, eppure il re ancora non ha dato ordine di andarlo a riprendere, nonostante si stia mescolando agli umani e possa far loro del male da un momento all'altro. Nonostante abbia trovato una delle pietre di Borr – diamine, esistono davvero! - e ne stia assorbendo l'energia per attuare chissà quale oscuro proposito.
Odino si volta a guardarlo.
«Loki voleva una guerra» dice. «Sta per averne una e sono certo che sarà una lezione migliore di qualsiasi punizione potrebbe ricevere qui».
Per un attimo, il cuore di Thor si ferma e si contrae in una morsa d'angoscia. Si chiede cosa abbia visto suo padre che a lui è sfuggito, si chiede cosa sa il re di Asgard che non dice.
«È in pericolo?» domanda preoccupato. Non ce la fa, non riesce semplicemente a smettere di essere un fratello maggiore in apprensione. «E la città in cui si trova? E gli umani che gli sono attorno?».
Il Padre degli dei fa un sorriso colmo di malinconia.
«Quello che tuo fratello non sa e che tu dovresti imparare è che le guerre non si scelgono, né si scelgono le loro conseguenze».
I pugni di Thor tornano a serrarsi, la rabbia gli fa scoppiare scintille di calore nella testa.
«E le persone che si trovano accanto a Loki, cosa saranno? Vittime accettabili in un massacro utile a impartire una lezione al tuo figlio disobbediente?» esclama.
Suo padre inarca un sopracciglio con fare enigmatico.
«Ho forse detto questo? E ho forse parlato di massacro?» replica tranquillo. «No, Thor, loro non saranno privi di protezione. Ma ogni cosa a tempo debito».
 
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Note

Vi prego, osserviamo tutti cinque minuti di silenzio per il povero Casanova.
Fatto? Bene, ora possiamo festeggiare perché nella storia è stato citato anche Tony Stark. Adesso che ci sono tutti, compreso Babbo Orbo che è tornano ad “avere disegni”, possiamo cominciare con la roba seria (tra un paio di capitoli, magari... fatemi giocare un altro po' con Loki che gioca con Nadia).

Naturalmente il fatto che esista un posto chiamato la Corte dell'Angelo dove suonano jazz è inventato.
A proposito... Tony e Pepper a Venezia non è un caso a uso e consumo della trama della mia storia. In Iron Man 2 lui ripete più volte che vuole mollare tutto per una vacanza a Venezia, quindi chi sono io per negare qualcosa al signor Stark? XD

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


Questa settimana doppio aggiornamento. Non era previsto, ma sono di cattivo umore e  quindi scrivo tanto (praticamente, la fanfiction sul mio pc è quasi conclusa)... e soprattutto volevo cogliere l'occasione per ringraziare i 9 che hanno messo la storia tra i preferiti e i 34 che la seguono, e chiunque sia passato di qui anche solo per una sbirciatina. Grazie di cuore. 



Capitolo sesto



Il vicolo è stretto tra le case, dalle finestre penzolano vestiti ad asciugare e fioriere piene di piante; le imposte chiuse sono come occhi che non vogliono guardare. La stradina è in penombra, fredda e silenziosa e finisce di colpo in un canale, senza parapetti e senza ringhiere, semplicemente la strada si interrompe e comincia l'acqua.
È una stradina secondaria, lontanissima dai percorsi dei turisti, dal trambusto di una città che replica ogni giorno il suo spettacolo di gloria immortale, di maschere che fissano i passanti dalle vetrine, con i loro occhi vuoti.
Nadia si ferma sul ciglio dell'argine e guarda il suo riflesso accartocciarsi sull'acqua verde smossa dalla brezza di quella tarda mattina. Basterebbe un passo, anche meno, e non ci sarebbe più nient'altro che quell'acqua a ricoprire tutto, a ricoprire lei, la sua vita, a lavare via ogni malumore e ogni fallimento. Perché quel giorno lo ricorderà come l'ennesimo giorno sbagliato, come l'ennesima caduta epica.
Nadia fissa l'acqua chiedendosi quanto sia fredda. Si allunga un po' di più come a volersi ricongiungere con il suo riflesso sbiadito. Poi lo squillo del cellulare spezza il silenzio come uno sparo contro un vetro.
Prende il telefonino dalla tasca, se lo porta all'orecchio.
«Sì, pronto?»
«Nadia, dove sei?»
«Sara...».
Cosa vogliono da lei? Oggi è il suo giorno libero, che la lasciassero in pace una buona volta.
«Volevo chiederti se avevi voglia di venire con me al cinema stasera» dice sua sorella. Sua sorella che da alcuni giorni sembrava fare una gran fatica a rivolgerle la parola.
«Non lo so, Sara... sono un po' giù».
Respiro che fruscia nella cornetta. Secondo di silenzio pesante come un macigno.
«Nadia, è successo qualcosa?»
«Sì, cioè io sto bene, niente di che... sono solo... ne parliamo a casa, ok?»
«Ma dove sei?» insiste Sara, con una nota preoccupata nella voce.
«In giro. Non andate in panico, torno stasera, va bene? Ho voglia di stare un po' per fatti miei».
Non è del tutto vero. Più che altro, non ha voglia di tornare a casa e di dover dire ai suoi che le hanno rubato la macchina fotografica. Quella che aveva comprato un paio di mesi prima, con i suoi risparmi, quella con cui andava sempre in giro e con la quale sognava il futuro che voleva – nemmeno fosse un uomo da sposare, poi!
È stato un attimo, l'ha appoggiata su un muretto per mettersi un fermaglio e zac...
Il tizio – figlio di puttana, spero che tu cada in un canale! - è spuntato dal nulla, ha afferrato la fotocamera ed è corso via. Ha provato a inseguirlo, ma figuriamoci se poteva andarle bene!
D'accordo, d'accordo, non è grave. Può mettere di nuovo insieme un gruzzoletto e ricomprane un'altra, magari troverà qualche occasione su internet. È il concetto in sé che la fa impazzire. È l'idea che le vada sempre tutto storto e che lei non riesca a fare altro se non piangersi addosso.
È che è stanca. Ogni volta pensa di rinunciare, di chiudere i sogni in un cassetto e gettare via la chiave, poi succede qualcosa che le fa tornare la voglia di provarci e subito dopo accade qualcos'altro che prende i sogni e li fa a pezzi. E lei resta a guardare quei pezzi volteggiare nell'aria come coriandoli prima che l'ultima folata di vento li porti via.
Adesso non sta pensando a rinunciare o ad andare avanti. Sta solo pensando che vuole un po' di silenzio e Venezia non è una città che va troppo d'accordo con il silenzio, a meno che non voglia trascorrere tutta la giornata in quel vicolo sperduto. A meno che... oh, sì, non è una cattiva idea. La sua adorata casa fatiscente, il suo rudere, dove ha scattato il suo meraviglioso servizio fotografico che il gallerista idiota ha scartato.
Può farlo, può entrare in una libreria, comprare il nuovo romanzo di Paulo Coelho, un panino e una bottiglia d'acqua e rifugiarsi lì. Non è proprio la casa sull'albero che sognava di avere quando era bambina – o la dimora sotterranea del Fantasma dell'Opera, come nel musical, ma è sempre meglio di niente. Sempre meglio che tornare a casa e sorbirsi le solite filippiche su “non è niente, ci siamo qui noi”. Perché è qualcosa, cazzo. È sempre stato qualcosa, e loro non hanno mai voluto dargliene atto. E forse hanno sempre avuto ragione e lei si è sempre sbagliata.

***

Non ha mai amato la violenza, qualsiasi cosa credano il suo integerrimo fratello e i suoi nuovi stolti amici. Sa che ci sono cose che si possono ottenere solo in certi modi, ma non sono i modi di operare che preferisce quelli che richiedono spargimenti di sangue e altre cose barbare.
Poi ci sono anche i momenti in cui è piacevole vedere la luce spegnersi nello sguardo di un nemico, ma Loki prova più piacere a tessere ragnatele che non a sguainare zanne e artigli.
Però adesso vorrebbe qualcuno o qualcosa da uccidere. Tutto ha un limite, anche la sua pazienza e la dannata ragazza è sparita. Ha passato l'intera giornata alla finestra, attendendo il suo rientro; se va avanti di questo passo ci vorranno mesi prima di poter lasciare Midgard.
Nadia è lontana, lo sa, lo sente perché avverte l'energia della pietra, ma a quella distanza non può assorbirla, non può fare niente. E lui detesta non poter fare niente.
Un conto è starsene rinchiuso nella prigione di vetro di Fury aspettando di scatenare un mostro, un altro conto è restare in quella stupida stanza dalle tende azzurre in attesa che Nadia ricompaia e si ricordi di avere una casa.
Potrebbe trovarla, come l'ha trovata la prima volta, come l'ha trovata tutte le altre volte, ma se è sparita per tutto quel tempo è perché vuole stare da sola e se vuole stare da sola si sarà nascosta in qualche modo. E se si è nascosta lui non può trovarla e fingere che sia stato un caso; c'è un limite alla sua pazienza come c'è un limite alla sua abilità di mentitore.  
Sarebbe rilassante avere qualcuno da uccidere, comunque.
Loki sospira, sa che non deve dare troppo nell'occhio, è già abbastanza sorprendente che Thor non lo abbia ancora rintracciato e non sia sceso sulla Terra a riprenderlo, con la grazia e la sobrietà che lo contraddistinguono. A proposito, ora che ci pensa, è davvero troppo strano che non lo abbiano trovato. Possibile che lo stiano lasciando fare per qualche astruso disegno del Padre degli dei? No, non può essere. Quale disegno di Odino potrebbe mai prevedere che lui incrementi il suo potere? Evidentemente la vista di Heimdall si è davvero affievolita e, soprattutto con la rottura del Bifrost, il gigante è diventato sempre più inservibile.
Si costringe a scendere al piano di sotto, prima che l'irritazione abbia la meglio. Gli sta anche tornando il mal di testa, sensazione assolutamente impensabile per un dio.

Nella hall dell'albergo tutto sembra in ordine, come sempre. Sarebbe una bella sorpresa se facesse qualche trucchetto e ravvivasse un po' l'atmosfera, ma decisamente non è nel suo stile.
Si guarda attorno, la tv è spenta. Quei due vecchi che guardavano quel programma tutte le sere sono partiti il giorno prima. Durante le loro lunghe e silenziose passeggiate, una delle rare volte in cui Nadia ha parlato di qualcosa, ha parlato di quei due vecchi e da come ne ha discusso sembrava ammirarli, ma non li invidiava. Nei sogni di Nadia non c'è... l'amore. Accidenti, la gelida agente Romanoff è assai più romantica e sentimentale di quella ragazza.
È sciocco da parte sua indugiare in pensieri che riguardino la natura di quell'umana, lei non gli interessa, ma ha bisogno di controllarla finché è lì e non si può controllare qualcosa che non si conosce, per questo si è sforzato di abbassarsi al suo livello e cercare di comprenderla. E ha compreso più cose di quante gliene necessitino, tutte cose noiose che non vede l'ora di dimenticare. Ma intanto, sarebbe meglio se lei si rifacesse viva, dannazione.
Loki intercetta con lo sguardo la sorella della ragazza: Sara. Ci ha messo un po' ma alla fine lo ha imparato quel nome.
Sara lo guarda da dietro al bancone della hall – Sara lo guarda spesso, credendo di non essere vista, ma di solito non in quel modo preoccupato.
Alla fine la ragazzina scende dallo sgabello sul quale è appollaiata e gli va incontro, fermandosi di fronte a lui.
«Scusi il disturbo» gli mormora, e stavolta non c'è traccia del solito civettuolo imbarazzo, «ma volevo chiederle se sa cosa è successo».
Loki la guarda senza capire.
«A Nadia, intendo. L'ho sentita al telefono stamattina, sembrava molto giù e ha detto che sarebbe rientrata stasera».
Ah, lei vorrebbe sapere da lui cosa è successo a sua sorella. Questa sì che è una follia.
«E cosa ti fa credere che io sappia qualcosa al riguardo?» chiede con freddezza. La stupidità umana non ha limiti, così come la loro disperazione.
«Mi scusi, è che pensavo che lei e Nadia aveste... ehm, legato in questi giorni e ho pensato... scusi, è stato sciocco» conclude Sara.
Loki non riesce a trattenersi dallo sgranare gli occhi. Che cos'è che aveva pensato quella ragazzina? Che lui potesse davvero aver instaurato un legame con Nadia, che provasse dell'affetto per lei?
«Tua sorella è stata solo tanto gentile da volermi accompagnare in qualche giro per la città» replica, perché sente il bisogno di puntualizzarlo. «Non si è mai confidata con me e non so dove sia o cosa le sia accaduto. Ma sono sicuro che sta bene».
Non ne è affatto sicuro, l'unica cosa che sa con certezza è che Nadia non è morta, altrimenti avrebbe sentito la pietra spegnersi. La pietra funziona ancora, questa è la cosa più importante, e di certo entro sera Nadia tornerà a casa e avrà senz'altro qualcosa di cui lagnarsi, qualche motivo per piagnucolare, è una cosa che le riesce meravigliosamente bene.

***

Nadia, si può sapere cosa è successo?
Niente.
Nadia? Nadia?! Nadianadianadia...
«Sono un'idiota». La ragazza si guarda riflessa contro il vetro della finestra. Si è comportata da vera stupida, ha fatto preoccupare inutilmente la sua famiglia e ha passato una giornata chiusa in una casa fatiscente a leggere un libro che l'ha resa ancora più depressa. Si è comportata da bambina e si sente ancora di più una poppante ora che vede gli occhi nel riflesso farsi lucidi di lacrime.
Non è per la macchina fotografica, non è per il fatto che quando è tornata a casa i suoi hanno di nuovo sminuito tutto, sintetizzando con “sono cose che capitano, dai, fatti una dormita che domani andrà meglio”. È per tutto. Anche per Casanova che non è più tornato, il suo bellissimo gatto. Per le mille cose che si vanno sommando, per tutti i battiti di ali che non fanno nient'altro che sollevare polvere mentre lei resta inchiodata con i piedi a terra.
Nadia sta cominciando a chiedersi se c'è un momento in cui qualcuno deve semplicemente riconoscere la sconfitta e smettere di lottare. Forse si sentirebbe molto più saggia e matura se potesse dire che quello è il momento in questione. Se potesse stabilire con certezza che quello è il limite massimo oltre il quale la perseveranza diventa ossessione e autocommiserazione.
Sarebbe bello avere qualcuno con cui parlare. Ma per adesso c'è solo quella cassa di birra che sta tirando fuori dal frigorifero.
Non è che abbia in progetto una sana ubriacatura – non si è mai ubriacata in vita sua, in effetti. Vuole solo vedere che succede se mischia un po' di birra ai diversi spritz che ha bevuto prima di tornare a casa.

***

È tornata. Lo sa, lo sente, la pietra è molto molto vicina, più del solito.
Loki solleva la testa di scatto. Che Nadia stia venendo a bussare alla sua porta? No, non lo farebbe mai, non a quell'ora tarda della sera.
Apre la porta quel tanto che basta per guardare fuori, scruta la penombra del corridoio e sente dei passi felpati allontanarsi verso le scale che portano di sopra. Vede uno sbuffo di capelli biondi sparire su per i gradini.
Deve avvicinarsi, deve poter stare vicino alla pietra. Senza nemmeno pensare a una scusa plausibile per giustificare quella specie di silenzioso inseguimento, raggiunge le scale e va di sopra.
C'è un altro piano di camere e poi la scala continua a salire fino al soffitto. Sul soffitto c'è una botola con una serratura.
Loki fa appena in tempo a vedere Nadia sparire su per la botola. Le va dietro, solleva la porta orizzontale di ferro smaltato.
«Nadia!». La ragazza ha un sussulto, si ferma, si gira verso di lui e per una volta non sembra infastidita di trovarselo tra i piedi, sembra, anzi, sollevata.
Anche lui è sollevato, finalmente può ricominciare il suo lavoro. Sorride per se stesso, ma sembra che sorrida a lei e la ragazza sorride di rimando, ma ha un'espressione stanca.
Il vento soffia un po' più freddo lassù, sono su un terrazzo a cielo aperto, con i tetti delle case che fanno da cornice alla volta stellata. Probabilmente potrebbe sembrare uno scenario romantico, ma lui non si abbasserà a dire o fare qualcosa di smielato per trattenere l'umana o per legare, come aveva detto Sara.
Nadia si siede con la schiena contro il parapetto di muratura, sistemando accanto a sé uno scatolo con delle lattine e fa cenno a Loki di raggiungerla.
Lo sta invitando a sedersi vicino a lei? Straordinario! Deve essere veramente abbattuta se desidera così tanto la sua compagnia, visto che di solito lui deve trovare delle scuse o dei sotterfugi per poterle stare vicino.
«Ma tu non dormi mai?» gli chiede, mentre lui si mette a sedere. Ha lo sguardo velato e la voce vibrante di chi ha bevuto troppo. In un'altra situazione, Loki riderebbe di lei.
«Considerala una fortuna. Non hai un'aria molto allegra e sei su un terrazzo molto in alto. Da sola saresti un pericolo per te stessa». Scherza, il dio dell'inganno, dopotutto è divertente. Dopotutto è quello che un essere umano farebbe in una situazione simile: userebbe l'ironia per risollevare il morale al compagno triste. Dopotutto la tristezza di quella ragazza non gli è di alcun aiuto.
«Ah, perché se io tentassi di gettarmi di sotto tu proveresti a fermarmi» borbotta Nadia, aprendo una lattina di birra e porgendola al suo interlocutore.
«Non ci proverei» dice Loki, portandosi la lattina alle labbra. «Ci riuscirei».
È la verità e Nadia lo guarda con una punta di stupore, forse perché si accorge che non sta mentendo e non lo credeva capace di dire qualcosa di assolutamente sincero. Ma è la verità: non le permetterebbe di togliersi la vita, non finché ha la pietra di Borr al braccio.

***

Nadia sorride, ed è il suo primo sorriso della giornata. Beve una lunga sorsata di birra e guarda gli occhi di Loki puntati sul suo viso come due fanali.
«Mi hanno rubato la macchina fotografica» dice di colpo, sentendosi una stupida per come la sua voce suona lamentosa e strascicata. Forse non dovrebbe continuare a bere quella birra.
«Mi dispiace» risponde il ragazzo. «Ma davvero non mi sembra un motivo sufficiente per abbattersi in questo modo».
«E Casanova è sparito. Gli sarà sicuramente capitato qualcosa» aggiunge Nadia, sentendo le lacrime salirle agli occhi.
China il capo e di colpo avverte qualcosa, un freddo strano, le dita di Loki che si stringono attorno al suo mento e la costringono ad alzare la testa. Le dita di Loki sono... gelide. E anche i suoi occhi lo sono, e anche la sua voce.
«Non metterti a piangere» sibila lui, in un tono spaventoso e autoritario. «Non piangere».
Sembra vento del nord, anzi qualcosa di ancora più lontano, di alieno. Però funziona, perché Nadia ricaccia indietro le lacrime e annuisce. Loki le lascia andare il mento.
«Alle volte mi chiedo se non sia giusto rinunciare, se tutti i miei fallimenti non siano dei segnali per dirmi che non devo proseguire su questa strada. Se fossi sicura che questo è il punto di arrivo mi fermerei e mi rassegnerei, ma come posso saperlo con certezza?».
«Saperlo con certezza?». Loki sembra stupito, quasi sconcertato dalle sue parole. «Non c'è proprio nulla da sapere, se non che questo punto di arrivo di cui parli non esiste. Non esiste un limite oltre il quale ci si debba arrendere e chiunque lo pensi o è uno stupido o è un debole».
Nadia ridacchia, con la testa resa leggera dall'alcol. Butta giù un altro sorso di birra, tanto ormai non importa.
«Io non lo so che cosa sono» blatera, scuotendo il capo.
«Io penso tu sia una guerriera. Tuo malgrado, ma lo sei» risponde Loki, come se stesse pensando ad alta voce piuttosto che parlare con lei.
«Speravo di essere una fotografa, ma ora che non ho più la mia macchina...».

***

Loki ha accompagnato Nadia fino al pianterreno. L'ha aiutata a scendere dalla botola e l'ha portata fino all'appartamento della sua famiglia, sul retro dell'albergo. C'erano troppe scale da fare e sarebbe stato un vero peccato se la ragazza, nello stato in cui era, fosse caduta e si fosse rotta il collo, soprattutto dopo che lui aveva passato tutto quel tempo su quel terrazzo ad ascoltare i suoi piagnistei.
Appena l'ha vista sparire dietro la porta di casa, ha tirato un sospiro di sollievo. Poi, un attimo dopo, ha sentito una strana tensione allo stomaco, un senso di rabbia e frustrazione. Ha sentito che doveva fare qualcosa. E anche in momenti come quello, lui non fa mai niente per niente. Ha sentito che doveva fare qualcosa di utile, di sensato, qualcosa che servisse a...

Ora il dio dell'inganno sta sorridendo, mentre va in contro all'aria fresca della notte con in mente una piccola impresa da realizzare. Sa che sprecherà molte delle energie raccolte, sa che occorre molto potere per trovare un oggetto in una città e che dovrà sacrificare una discreta parte di quello accumulato grazie alla pietra; ma forse, dopo quest'impresa sarà ancora più facile avvicinare la ragazza.
Di certo lei si chiederà come ha fatto, ma lui sarà senz'altro in grado di trovare una menzogna convincente per spiegarle in che modo ha ritrovato la sua dannata macchina fotografica.

***

La carta da parati su quei muri ha sicuramente conosciuto tempi migliori, giorni in cui non era così pregna dell'odore di fumo e di chiuso e in cui il suo colore non era simile a quello del piscio.
Pat smette di pensare a quanto sia squallida e vecchia la carta da parati e infila il porno nel lettore dvd. Se l'è guadagnata quella serata tranquilla, o no? La vita del ricettatore è proprio uno schifo, però lui quella serata se l'è sudata, è tutto il giorno che se ne stata attaccato al telefono per vedere dove piazzare la merce. La merce, quella nascosta nel doppio fondo dell'armadio. Con l'ultima transazione vuole vedere se riesce a mettere da parte qualcosa per trovarsi un appartamento più nuovo, senza quella schifosa carta da parati puzzolente.
Sullo schermo la biondina con le tette grandi sta per...
«Ma che cazzo... è originale questo dvd, l'ho pagato tredici euro all'edicola!».
Sarà pure originale e costerà pure tredici euro, ma sta cominciando ad andare a scatti. Pat prende il telecomando, preme il tasto per far uscire il dvd.
«Ora provo a rimandarlo d'accapo e vediamo se funziona» borbotta.
Lo sportellino del lettore si apre, ma non esce nessun dvd. La fessura rettangolare rimane aperta, una striscia di nero sulla plastica argentata.
Pat si alza, si china sul mobiletto del televisore, da un colpo al lato del lettore dvd. Niente.
Sta per infilare un dito nella fessura per vedere se riesce a far scattare il meccanismo che fa uscire il carrello, ma sente dei rumori strani provenire dall'apparecchio. Forse è un corto circuito e quei rumori che sente sono quelli delle scintille che rimbalzano tra il metallo e i cavi interni, ma ad ascoltare bene sembrano più che altro sibili, qualcosa di ruvido che striscia, qualcosa di solido e viscido che si muove.
Pat deglutisce, prova a guardare. Ma nel momento in cui fa per avvicinare l'occhio allo sportellino aperto ecco che una biscia nera e lucida scivola fuori proprio da lì, scende fino al pavimento e attraversa la stanza.
L'uomo la osserva con gli occhi sgranati, poi cominciano a spuntare altre serpi, più grandi, e ragni grossi e pelosi che si arrampicano sulle pareti.
Pat ha un singulto, troppo terrorizzato per gridare, cade all'indietro e si ritrova a sedere sul pavimento.
La casa ora è una sinfonia di rumori di animali orrendi che camminano ovunque.
Sudore freddo cola dalla fronte dell'uomo, degli enormi insetti neri gli si avvicinano. Lui batte i piedi disperatamente, li pesta ma questi scompaiono sotto le sue suole, come se fossero fatti di fumo, eppure ce ne sono sempre di più, sono dappertutto, sempre più vicini. Pat si trascina all'indietro sui palmi delle mani e sul sedere, non ce la fa ad alzarsi, le gambe gli tremano come gelatina. Dopo alcuni disperati secondi, la sua schiena va a urtare qualcosa... qualcuno, un paio di gambe.
Dalla bocca dell'uomo esce un gridolino che è simile allo squittio di un topo mentre alza lo sguardo sull'alta figura dietro di sé. È un giovane uomo, indossa un mantello verde e strani abiti con delle placche dorate come parti di un'armatura, e ha un elmo con lunghe corna ricurve.
Satana, è il primo pensiero di Pat.
«Mi sono guadagnato la tua attenzione?» dice il demonio, e ha una voce suadente e un po' melliflua, che fa correre un brivido di puro terrore sulla schiena di Pat, ma nel momento esatto in cui comincia a parlare, gli animali spariscono e nella casa torna il silenzio.
Quell'uomo... quell'essere lo afferra per il colletto della maglia e lo rimette in piedi, poi lo scaglia contro il muro e gli serra una mano attorno alla gola.
«Hai qualcosa che voglio, umano» sibila.
Dagli occhi di Pat stanno scendendo lacrime a fiotti.
«Prendi... prendi quello che vuoi...» dice, singhiozzando come un bambino. «Ti... ti prego... non uccidermi».
«Dove tieni le cose che rubi?».
L'uomo vorrebbe specificare che lui non ruba, lui si occupa di rivendere quello che altri rubano, ma non crede faccia molta differenza per il suo tremendo ospite. Alza una mano tremante indicando l'armadio, un grosso mobile di truciolato bianco e nero.
Quella creatura sputata dall'inferno lo trascina fin lì, mentre lui balbetta ossessivamente,
«Tutto quello che vuoi... tutto quello che vuoi... quello che vuoi...».
Quando l'intruso lo lascia andare, Pat si affloscia sulle ginocchia. Riesce a fatica ad aprire le ante e a far scorrere di lato la porta del doppio fondo. Sempre senza riuscire a rialzarsi, afferra un busta e la getta sul pavimento. Dal sacco di plastica rotolano alcuni iPhone, un paio di orologi e due grosse macchine fotografiche.
L'essere si china e afferra una delle due fotocamere, la guarda come ad assicurarsi che sia intatta, poi si gira nuovamente verso il ricettatore.
Ora Pat è troppo basito per continuare ad essere spaventato. Il Diavolo ha bussato alla sua porta per una macchina fotografica? Forse è solo un sogno, forse ora si sveglierà e scoprirà di essersi addormentato davanti al film porno.
«Sì, ora mi sveglio» mormora con voce lamentevole, dondolandosi sulle ginocchia piegate.
«Questo» dice il demonio con un sorriso crudele, «dipende dai punti di vista».
E quel sorriso è l'ultima cosa che Pat vede, una virgola tagliente come una lama, mentre il demonio che sembra un ragazzo lo solleva di peso e gli stringe di nuovo le dita attorno al collo.  
    
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Note:

Sesto capitolo, altrimenti detto l'altalena dei POV. È che volevo dare l'idea dei pensieri dei due protagonisti che cominciano a diventare confusi, meno definiti dei capitoli precedenti. Sono momenti di elettricità nell'aria che preannunciano una tempesta, qualcosa del genere, insomma...

Sì, sì, le cose schifide che escono dallo sportellino del lettore dvd: Loki è il dio dell'inganno, può creare illusioni, può fare questo e altro. E comunque, doveva uccidere qualcuno (a parte il gatto), e doveva rimettersi addosso la chincaglieria, altrimenti a me venivano le crisi esistenziali (e pure a lui).

Nota bonus. Andando avanti con la stesura della fanfiction, mi sono resa conto che ci sono un po' di scene violente e anche che spuntano spesso delle parolacce. Senza contare che la storia ha per protagonista un tizio che un rigo sì e l'altro pure pensa a come fare del male alla ragazza... viste le circostanze, se qualcuno dovesse pensare che un rating giallo è troppo basso per il livello della storia, me lo faccia sapere.

Nota bonus bonus (sì, oggi sono logorroica). Sono contenta che l'incursione del caro signor Stark, per quanto breve, nel capitolo precedente sia stata di vostro gradimento. Senza anticiparvi nulla, vi dico comunque che il rapporto che si verrà a instaurare tra Nadia e Tony è un elemento della storia a cui tengo molto. Spero di saper gestire a dovere il caro genio, miliardario, playboy, filantropo nei capitoli che verranno.


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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***


Capitolo settimo


“There is a castle on a cloud,
I like to go there in my sleep...”

Nadia se ne sta stesa sul suo letto, gli occhi aperti a guardare l'ombra del lampadario che riflette una strana forma sul soffitto, una macchia grigia a cui lei tenta di dare un senso, come quando era bambina e giocava a vedere i disegni nelle nuvole.
Quella mattina è una lama di sole che filtra dagli scuri socchiusi. Quella mattina è una giornata di primavera e un tremendo cerchio alla testa.
E Nadia si ritrova a canticchiare a fior di labbra quella canzone di uno dei suoi musical preferiti. È la canzone che le viene in mente ogni volta che è triste.
Man mano che riemerge dal torpore del sonno pesante dovuto al troppo bere, la mente della ragazza tenta di rielaborare quello che è successo la sera prima. Non si è ubriacata sul serio, non tanto da avere dei buchi di memoria, ma i ricordi dentro la sua testa sono immagini che impiegano un po' più tempo del solito per mettersi a fuoco. Ricorda il terrazzo, ricorda Loki che ha ascoltato il suo piagnucoloso discorso sconclusionato e le ha dato l'unica risposta sensata: non esiste un limite oltre il quale c'è da arrendersi. E poi c'è il ricordo delle braccia di Loki e di lei contro il suo petto, un ricordo che la fa sussultare: cavolo, non avranno mica?...
Nadia strizza gli occhi e si spreme le doloranti meningi. No, non è successo niente, semplicemente lui l'ha aiutata a scendere dalla scala e l'ha accompagnata fino al suo appartamento. E sulle scale deve averla tenuta stretta perché di certo lei non aveva un passo molto fermo e c'era pericolo che cadesse. Ma non è successo niente; la ragazza tira un sospiro di sollievo, un attimo prima di ammettere con se stessa che non sarebbe stato poi così spiacevole. Certo, se proprio deve cadere tra le braccia di qualcuno, è meglio che lo faccia da sobria e che questo qualcuno non sia un cliente dell'albergo.
Si alza a sedere in mezzo al materasso, una stilettata di dolore le attraversa la testa.
«Così imparo a fare miscugli di roba alcolica» borbotta a se stessa, e allunga la mano verso il bordo del letto, tastando la trapunta. Vuoto.
Sospira pesantemente, massaggiandosi le tempie. Casanova non è lì, Casanova non tornerà, ormai ne è certa. Chiude gli occhi.

“There is a castle on a cloud...”

E non tornerà nemmeno la sua macchina fotografica. E di sicuro nemmeno la sua voglia di reagire, se rimane lì a rigirarsi nel letto senza fare niente.
Ecco, ecco cosa farà adesso: si alzerà, andrà a farsi una doccia, mangerà qualcosa e si prenderà un'aspirina. E poi elaborerà un qualche piano di battaglia.
Nadia si alza in piedi, sente lo stomaco bruciarle e farle male come se qualcuno lo stesse stringendo dall'interno. Deve solo arrivare fino alla cassettiera e prendere dei vestiti puliti, poi potrà cominciare un'altra giornata. Deve solo mettere un piede avanti all'altro fino al mobile.
Il silenzio e la penombra sembrano pesanti come un macigno.

“I know a place where no one's lost,
 I know a place where no one cries,
 crying at all is not allowed,
 not in my castle on a cloud.”

Nadia sale al piano di sopra con addosso ancora l'odore del bagnoschiuma. In effetti la lunga doccia l'ha aiutata a riconciliarsi un po' con il mondo.
Nell'ultima mezz'ora un vento fresco ha soffiato nuvole su Venezia, forse presto verrà a piovere.
«Ehi, sei tornata in te» borbotta Sara accodandosi a lei, mentre raggiungono la hall.
«Non del tutto, però neanche oggi ammazzerò qualcuno» risponde Nadia, imponendosi di sorriderle e battendole una pacca sulla spalla.
«Sai, stavo pensando che poteremmo fare dei volantini con le foto per cercare Casanova, qualcosa del genere».
In cuor suo Nadia è contenta che Sara si sia preoccupata della cosa, ma i volantini con la foto di un animale scomparso non servono a molto in una città come Venezia. Probabilmente non servono nemmeno in altre città. E poi lei è sicura che se il suo Casanova non è tornato è perché non vuole o perché non può.
«Trovare un gatto, a Venezia? I volantini non servirebbero... però grazie per averci pensato. È successo qualcosa qualche giorno fa, eravamo strane, tutte e due» dice la sorella maggiore.
Sara stringe le labbra, come se stesse pensando a qualcosa, come se si stesse sforzando di ricordare un particolare, magari il perché da un momento all'altro aveva cominciato ad avercela con sua sorella.
«Sì, eravamo tutte e due di cattivo umore» dice alla fine, con un mezzo sorriso conciliante. «Alle volte penso che siamo molto distanti e ci metto un po' a ricordare che anche se fosse, non cambierebbe niente».
Nadia ridacchia, passa un braccio intorno alle spalle della più piccola e la stringe.
«Meno male che siamo diverse. Altrimenti mamma e papà impazzirebbero» esclama, continuando a ridere.
Sara è la prima a entrare nella hall e a dirigersi verso il bancone. Nadia sta lanciando una rapida occhiata alla tv sintonizzata sul telegiornale locale che sta parlando del ritrovamento di un uomo morto strangolato nel suo appartamento a Mestre.
«Cavolo! Ehi, guarda qui!» esclama la ragazza dalla reception.
Nadia si volta di soprassalto, presa alla sprovvista dalla voce della sorella. C'è qualcosa sul bancone, qualcosa che Sara sta fissando attonita.
«Ma... è la mia macchina fotografica» dice, sgranando gli occhi.
C'è un portachiavi, uno di quelli di metallo a forma di maschera che vendono in tutta Venezia, agganciato alla tracolla, una specie di gentile omaggio dell'anonimo benefattore. Afferra la grossa custodia rigida e ne apre la zip, guarda la fotocamera: è proprio la sua, con quella piccola ammaccatura sulla vernice grigia nell'angolo in basso a desta. Se la rigira tra le mani, quasi non riuscendo a crederci.
Mauro, il portiere che fa il turno di notte a cui loro devono dare il cambio, sta uscendo dalla toilette riservata al personale. Le ragazze gli si precipitano addosso.
«Chi l'ha portata questa?» domanda Nadia.
L'uomo si passa una mano tra i capelli brizzolati e inarca le sopracciglia.
«Non lo so, signorina Berton. Ero andato in bagno, e quando sono tornato era lì. Pensavo che ce l'avesse messa lei rientrando e l'ho lasciata dov'era» spiega con un'alzata di spalle.
«Oh, sì, ho capito. Lasci perdere, Mauro, vada pure a casa».
L'uomo si congeda con un cortese saluto ed esce dall'albergo. Nadia prova ad accendere la fotocamera, dentro ci sono ancora le sue foto, anche la memoria esterna è ancora al suo posto. Non capisce come sia possibile.
«Ma solo noi sapevamo che te l'avevano rubata» osserva Sara, perplessa.
Nadia guarda sua sorella, scuote la testa. No, i suoi famigliari non erano gli unici a saperlo.
Loki...
Ma non può essere stato lui, è uno straniero, è solo uno di passaggio, come avrebbe fatto a rintracciare la sua fotocamera caduta in mano a chissà quale bastardo ricettatore? E perché lo avrebbe fatto?
Qualcosa si rompe, al centro esatto della mente di Nadia: gli argini che tenevano confinate le sue impressioni su quel ragazzo entro i limiti della normalità.

***

Loki tiene la fronte appoggiata al vetro della finestra e guarda fuori. Guarda le nuvole addensarsi sui tetti di Venezia e tende le orecchie per cercare di capire se deve preoccuparsi di quel rumore di tuoni in lontananza.
Forse quello della sera prima è stato un azzardo troppo grande, forse quella piccola impresa lo ha reso rintracciabile a quelli che sono sulle sue tracce. E anche se così non fosse, quella della sera prima ora non gli sembra una trovata molto intelligente. Pensandoci, è stato stupido e inutile, uno sforzo senza senso che gli causerà solo altri guai. Perché, per quanto provi a rifletterci, non riesce a trovare nessuna scusa, nessuna menzogna per spiegare a Nadia come mai è rientrato in possesso della sua macchia fotografica. E la ragazza non è una stupida, questo lo deve riconoscere.
E allora, perché diamine ha avuto quell'idea tutt'altro brillante di fare ciò che ha fatto?
Per farle un piacere...
No, non gli importa di fare un piacere a quella maledetta umana. Aveva solo bisogno di rammentare a qualcuno chi era, e non importa se poi il qualcuno in questione sia stato ucciso.
Gli era parsa una cosa utile recuperare l'oggetto che avevano rubato a Nadia, tutto qui. Ma ora si sta rendendo conto che forse ha fatto più danni che altro.
Ha agito come quello stolto di suo fratello, quando trascinò lui e i quattro cavalieri di Asgard nella desolazione di Jotunheim per il solo gusto di dare una prova di forza a esseri che riteneva inetti, si è lasciato prendere dalla vanità, si è comportato da stupido.
Pensandoci, sarebbe meglio giungere a patti con se stesso e dire che voleva fare solo un favore alla ragazza. Forse suona un po' meno sciocco. Ma lui non ha alcun bisogno di fare qualcosa per Nadia, non ce n'è motivo, non le deve niente, anche se è stata ospitale con lui; gentile, in un certo senso. Non si era mai sentito considerato solo per se stesso, era stato il secondogenito all'ombra di un ingombrante fratello maggiore, il figlio indesiderato, il re senza diritto sul trono. Non era mai stato solo Loki, tranne che con la ragazza.
Ma solo perché non sa chi sono...
E comunque – tenta di concentrare i propri pensieri su qualcosa d'altro – quei tuoni sono molto lontani, però non può ancora dirsi fuori dalla portata del figlio di Odino.
Cessa di preoccuparsi dei tuoni perché sente che c'è un'altra tempesta in arrivo. Sente la pietra avvicinarsi e sa che questa volta Nadia sta venendo proprio da lui. Non è che sia preoccupato, ma non ha voglia di altre complicazioni, già lei è una complicazione di per sé.
Sì, andrebbe decisamente d'accordo con Thor quella ragazza: ha lo stesso modo barbaro di bussare alla porta.
Loki sospira prima di aprirle.
«Avresti potuto trovarmi addormentato» le dice subito, in tono ironico di protesta. «Credo non sia professionale svegliare in modo brusco un ospite dell'albergo».
Nadia scuote nervosamente la testa,
«Figuriamoci, tu non dormi» ribatte, e ha di nuovo quell'aria da guerriera. «Non dormi e arrivi qui una sera, senza bagagli, non sai quanto tempo intendi fermarti, passi metà del tempo chiuso in camera e l'altra metà a passeggiare senza meta per la città. E adesso questo».
La ragazza solleva la macchina fotografica avvolta nella custodia, con il portachiavi a forma di maschera che penzola dalla bretella – quello non sa perché ce lo ha messo, voleva essere una specie di firma, qualcosa... qualcosa che non ha il minimo senso, e comunque non importa. Nadia quasi gli getta contro il suo prezioso aggeggio per fare foto.
Potrebbe mostrarsi sorpreso e fingere di non saperne nulla, ma non servirebbe. Lei sa. O meglio, lei sta cominciando a capire, era inevitabile, prima o poi sarebbe successo, per questo sperava di finirla in fretta con la storia della pietra, ma la ragazza è peggio di un cane randagio.
«Credevo ti avrebbe fatto piacere» le dice semplicemente, imprimendo a quelle parole tutta l'ingenuità e la gentilezza di cui è capace.
«Certo che mi avrebbe fatto piacere riavere la mia macchina fotografica» ribatte Nadia, aggiustandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Ma non che fossi tu a riportarmela, perché io so, lo so, che il fatto che tu sia in grado di recuperare in così poco tempo un oggetto rubato in una città che non è la tua non è un buon segno».
Loki si picchietta l'indice sul mento, enfatizzando un'aria pensierosa.
«Un buon segno per cosa, esattamente?» domanda mellifluo.
La ragazza si morde il labbro,
«Chi sei, Loki?» sibila, puntandogli gli occhi in viso.
Regge il suo sguardo il dio dell'inganno, regge lo sguardo di un interlocutore anche quando gli mente, altrimenti sarebbe davvero indegno del suo titolo.
«Non sono un ladro che ha a che fare con altri ladri, se è questo che stai pensando» replica.
Nadia corruga la fronte. Quasi sicuramente sta pensando che lui sia una sorta di agente speciale in incognita, una specie di Nick Fury sotto mentite spoglie... perché gli umani sono così, hanno sempre bisogno di trovare un appiglio per fidarsi di qualcuno, hanno sempre bisogno di pensare che hanno a che fare con i buoni, anche quando tutte le prove dicono il contrario.
«E tu non mi hai ancora detto grazie» conclude, con un accenno di sorriso.
Per un attimo anche Nadia ricambia il sorriso, ma poi si stringe le braccia attorno al busto come se all'improvviso avesse cominciato a sentire freddo.
Non si fida, la piccola umana, ed è una che non molla. Pensandoci, è stato lui la sera prima a dirle che non ci si dovrebbe arrendere mai e poi mai. E ci crede davvero a quello che le ha detto, perché gli stava dando ai nervi, perché avrebbe voluto prenderle la testa tra le mani e sbatterla contro la muratura del terrazzo fino a quando il cranio non le si sarebbe aperto come un fiore color sangue!
«Ti ringrazio, Loki, per la macchina fotografica, davvero. È che tu hai tutti questi misteri e...»
«Il tuo interesse mi commuove. Ad ogni modo, tra un paio di giorni me ne andrò, così tu tornerai a dormire sogni tranquilli». Menzogne, di nuovo. Tra un paio di giorni non avrà finito, trascorre troppo poco tempo con Nadia, non può lasciare quel posto per il momento a meno che...
«Non suonerò di certo le trombe quando te ne andrai, non ho niente contro di te, sia chiaro» precisa Nadia.
«E allora, usciresti con me?». Gli si stringe lo stomaco dalla frustrazione mentre pronuncia quelle parole, che gli escono a fatica dalla bocca e che lui stesso stenta ad accettare. Era proprio quello che sperava di evitare: una situazione imbarazzante e ambigua con una midgardiana.
E Nadia, come è ovvio, non sembra emozionata o lusingata, sembra soltanto molto perplessa. E gli sta tornando la voglia di ucciderla, con qualche mezzo lento e doloroso, anche se è solo colpa sua e non della dannata ragazza.
«Loki?»
«Sì»
«Respira, stai diventando viola» borbotta Nadia, poi comincia a ridacchiare. «Penso che potrei fare lo sforzo di uscire con te, sì. Ti piace il jazz?».

***

Sara la guarda con occhi sottili e aria pensierosa.
«Smettila di fissarmi e accendi il gas sotto la pentola per la pasta» sbraita Nadia.
Sua sorella obbedisce, ma comincia a sorridere in quel modo un po' convulso di chi sta trattenendo uno scoppio di risate.
«Ti ha chiesto di uscire» ripete per l'ennesima volta e poi scoppia a ridere. «No, cioè, è figo! Dai, vorrei essere al tuo posto, a me piace».
Nadia si stropiccia il viso con la mano e alza gli occhi al cielo.
«Allora, adesso è il momento in cui io e te dobbiamo farci un discorso da sorella maggiore a sorella più piccola» esordisce in tono solenne. «Non è che se un ragazzo e una ragazza escono la cosa debba essere particolarmente significativa. Soprattutto se il ragazzo in questione riparte tra un paio di giorni»
«Beh, io non ho mai detto che voglia chiedere la tua mano, però è da quando è arrivato che ti ronza attorno»
«E tu non lo trovi strano
«Non sei così brutta»
«Grazie tante!» Nadia scuote la testa. «Intendevo strano, in generale. Non sono riuscita a farmi dire come ha recuperato la mia macchina fotografica»
«Pensi che possa essere pericoloso?».
Bella domanda. Nadia si appoggia con il fianco al taglio del tavolo, abbassa gli occhi e comincia a rimuginare. Non ha mai pensato che Loki possa essere pericoloso, non l'ha mai voluto pensare, perché ha bisogno di sentirsi al sicuro, ma anche perché lui non gli ha mai dato ragione di pensarlo. È sempre stato molto educato, composto, persino distante e riservato anche nel suo ronzarle attorno.
«Non lo so» ammette alla fine.
Ma non ha importanza, tanto tra un paio di giorni Loki ripartirà, come ha detto, e uscirà una volta per tutte dalla mia vita.
Ora Sara ha un sorriso da Stregatto,
«Non sai se è pericoloso, però ci esci assieme. Deve piacerti parecchio» conclude con aria furba.

***

Ha piovuto durante tutta la mattina, poi il pomeriggio ha smesso ma le nuvole tengono ancora in ostaggio Venezia, coprono le stelle di quella serata che si preannuncia davvero davvero triste.
Un tuono romba in lontananza, Loki quasi spera che spunti Thor dalla finestra, lo afferri per il colletto della camicia e lo trascini via.
D'accordo, adesso sta esagerando e sta cadendo nel patetico. È stato allevato come un principe, gli è stata impartita un'educazione aristocratica, conosce bene la cavalleria: è perfettamente capace di passare una serata a intrattenersi con una ragazza, è assolutamente in grado di trascorrere una serata normale in compagnia di un'altra persona – anche se la parte più interessante della persona in questione è una pietra incastonata in un bracciale.
Una serata normale...se ci pensa per più di un minuto, non gli sembra così terribile. Da quanto non c'è qualcosa di normale nella sua vita? In fin dei conti, la ragazza ha comunque una sua utilità.
Esce dalla sua stanza, pensando che quella serata dovrà essere molto molto lunga, deve assorbire molta energia dalla pietra e deve recuperare quella che ha usato per ritrovare la macchina fotografica di Nadia.
Oh, di sicuro quella serata sarà incredibilmente lunga.
Nadia lo sta aspettando fuori dall'albergo, è vestita in modo semplice, con quei calzoni di quel tessuto blu che chiamano jeans e una camicia di lino, forse solo il trucco sul viso è appena un po' più curato. Per fortuna non sembra essersi messa in testa idee troppo impegnative per la serata.
Loki la guarda per un istante, prima che lei si accorga di lui, e pensa a quanto sarebbe interessante farle sapere chi è davvero prima di andarsene, per il solo gusto di sconvolgerla e di farle capire che fa male a fidarsi, per farle rendere conto di quanto è piccola e impotente. Sarebbe più soddisfacente che ucciderla, la morte dura un attimo, la paura dura tutta la vita. Ma ci penserà al momento opportuno, per adesso deve ancora recitare la sua parte.
Nadia lo vede, si volta verso di lui, sorride in quel suo modo così da bambina e così poco da guerriera. Lui le si avvicina,
«Andiamo?». Si chiede se dovrebbe porgerle il braccio o qualcosa del genere. Meglio di no.
«Sicuro che ti piaccia il jazz?» domanda la ragazza, incamminandosi.
Non ne ha idea. Scrolla le spalle. Ha scelto lei dove andare e parla in modo entusiasta di quella dannata musica.
Camminano per vicoli che sono diversi da quelli delle altre passeggiate serali di Nadia, non sono bui ed isolati, sono pieni di gente che chiacchiera e sosta ai tavolini dei bar bevendo vino bianco dai calici e birra da spessi boccali di vetro. C'è odore di cibo nell'aria, soffia dalle finestre delle cucine dei tanti ristoranti, c'è la solita cacofonia di lingue diverse che si confondo in un brusio che si mischia allo sciabordio dell'acqua e al soffio del vento che accarezza le tegole.
E c'è una luna, una luna enorme come una fanale, che sembra bucare il banco di nubi che la circonda.
Venezia è odore di pioggia e luci di lampioni che si riflettono sull'acqua scura dei canali.
Venezia, questa sera, è l'ultimo posto al mondo in cui Loki vorrebbe trovarsi.
«E così parti, torni a casa?» domanda all'improvviso Nadia, mentre sorpassano una fila di turisti tedeschi.
«Forse» risponde Loki distrattamente.
La ragazza si ferma, aggrotta le sopracciglia con aria perplessa.
«Che vuol dire forse? Pensavo che avessi deciso di andare»
«L'ho detto solo per convincerti a uscire con me».
Nadia arriccia il naso, ha un'espressione buffa tanto che il sorriso che affiora sulle labbra del dio dell'inganno è quasi sincero.
«Stai mentendo» risponde lei scrollando la testa.
«Può darsi. Una volta mi è stato detto che è una delle cose che mi riesce meglio».
Nadia gli fa segno di svoltare in un vialetto pieno di bar, dove arriva forte l'odore del vino e del pane.
«Chi te lo ha detto?» domanda. Lo chiede cercando di dissimulare l'interessamento per la risposta, ma si vede che è curiosa, anche se finge di prestare attenzione alle insegne con i nomi delle strade.
«Mio fratello» dice Loki, alzando istintivamente lo sguardo sul banco di nubi che circondano la luna.
«Hai un fratello? Bene. Cioè... è la prima volta che ti sento parlare di qualcosa di personale». Ora la ragazza smette di far finta che non gli interessa e il dio si chiede come mai gli umani sentano sempre tutta questa necessità di conoscere chi hanno davanti. «E visto che è la prima volta e hai tirato in ballo proprio lui, immagino che siate molto legati».
Loki quasi inciampa in un ciottolo della pavimentazione della strada. Scuote la testa.
«Oh sì, siamo molto legati» risponde quasi tra i denti, quasi sputando fuori le parole. Sono legati, lui e Thor, come è giusto che siano due nemici.
Nadia vorrebbe saperne di più, Loki glielo legge negli occhi, ma lui non ha voglia di raccontarle, non ha voglia di sentire riaffiorare i ricordi.
«Dove vorresti andartene?» le chiede a bruciapelo, mentre lei si ferma davanti a un arco di pietra.
«Come, scusa?»
«Vuoi andare via da qui, è chiaro. Dove? Per fare cosa?».
Nadia abbassa lo sguardo e si morde il labbro, come fa sempre quando si sente presa alla sprovvista o in difficoltà.
«Qualsiasi altra cosa che non sia quello che mi aspetta se rimango» risponde, sbrigativa.
Loki vorrebbe dirle che la capisce, perché è davvero così, ma essere comprensivo con un'umana non gli riesce così facile. Decide di non dire niente, lei intanto gli indica l'arco di muratura davanti a loro.
Oltre l'arco c'è un cortile tra i palazzi, in un angolo è allestito il bancone di un bar, sul lato opposto è montato un palco con dei faretti e degli strumenti musicali che Loki non riconosce. Nello spiazzo vuoto ci sono tanti piccoli tavolini rotondi e degli sgabelli tra i quali svettano camerieri con addosso gilè a quadri.
Lo sguardo di Loki scorre tra le facce anonime dei presenti, fino a fermarsi, basito, su un volto tutt'altro che anonimo.
No, non può essere...
No, quello non può essere Tony Stark, l'uomo di metallo. Non deve essere lui il tizio dall'aria annoiata seduto accanto a quella donna bionda che sorride come una bambola. E soprattutto, non può essere che Nadia abbia fatto un cenno di saluto nella sua direzione e che si stia avviando verso di lui.
È sempre stato un calcolatore, una persona abituata a giocare di astuzia e a usare la logica. Il destino non può scompigliare di nuovo in quel modo assurdo i conti che lui ha impiegato giorni a elaborare, non può stravolgere un piano così semplice e perfetto.
Loki lancia un'occhiata allarmata verso il tavolino di Stark. Lui non lo ha visto, se lo avesse visto avrebbe già fatto comparire dal nulla quella sua diavoleria di armatura e ora gli starebbe puntando contro qualche missile.
Di istinto, il dio si ritrae in un angolo, sotto lo sguardo perplesso di Nadia.
«Vuoi scusarmi solo un momento?» le dice con un sorriso incerto.
Si allontana verso l'uscita, stringendo i pugni per la rabbia, chiedendosi come cavarsi di impiccio da quella situazione assurda.
Quando Nadia esce a cercarlo, un po' preoccupata, un po' interdetta, lui si sente un perfetto idiota. Voleva solo passare una serata normale – e attingere energia dalla pietra magica, voleva solo che andasse tutto secondo i piani.
«Nadia, io non posso restare» borbotta, cercando di mostrarsi mortificato e non agitato. «Mi dispiace, mi dispiace moltissimo, credimi».
Lei non ha l'aria di una che gli sta credendo.
«È successo qualcosa?» gli chiede.
«Niente di grave. Devo tornare in albergo per... per fare delle telefonate. Lavoro».
Idiota, sono un perfetto idiota!
«Beh, posso riaccompagnarti, tu fai le tue telefonate e poi torniamo qui» propone lei. Loki sta odiando quella sua gentilezza.
«No. Sarà una cosa molto lunga, temo. Possiamo rimandare la nostra uscita a un'altra sera? Nel caso in cui io non partissi, ovvio».
La ragazza piega la testa di lato e lo fissa in un modo che gli fa venire voglia di cavarle gli occhi.
«Sì, credo di sì» conclude. «Loki, sei sicuro che vada tutto bene? Mi sembri turbato»
«Lavoro, come ti ho detto».
Non gli crede. Nadia può essere ingannata fino a un certo punto, ma lei sa. Loki lo ha capito da tempo. Lei sa. Ma non importa, lui ora deve solo andarsene via da lì, sparire, evitare di venire scoperto o sarà stato tutto vano.
«Poi mi racconterai com'era il jazz, eh» conclude lui con il miglior sorriso che riesce a trovare, un attimo prima di voltarsi di spalle e avviarsi lungo la strada.
Sente lo sguardo di Nadia puntato sulla propria schiena, lo sente quasi pesare. E non ne è felice, non è contento di aver perso quell'ennesima occasione per assorbire energia dalla pietra, non è nemmeno contento di aver perso qualche ora di normalità – anche se questa è una considerazione che tiene relegata in fondo ai pensieri. Lui non è un sentimentale, lui è un dio e gli dei non sono fatti per la normalità.
Cammina con la rabbia che gli frigge nelle vene e gli appanna lo sguardo. I passanti sembrano intimoriti perché si spostano quando lo vedono arrivare, come è giusto che sia.
Loki si chiede, quasi con una punta di panico, come mai Nadia conosca quel buffone di Tony Stark – perché è certo che il cenno di saluto della ragazza fosse rivolto a lui e alla donna bionda. Come è possibile una tale follia del destino?
Procede senza meta per i vicoli di Venezia, le Calli della città dei Dogi sono nastri di buio che si dipanano nella notte.
È già lontano dal luogo in cui ha lasciato la ragazza quando le nuvole hanno la meglio sulla luna e un'ombra cupa cala sulla città.
Loki si ferma in una strada semideserta, si appoggia con le spalle contro un muro e solleva lo sguardo.
No. Non anche questo!
La paura e lo stupore gli attraversano i pensieri come una pugnalata.
Li vede avanzare contro il nero del cielo, sono come serpenti d'argento sospesi tra le stelle. Ma Loki sa bene che cosa sono davvero e riesce anche a immaginare perfettamente chi li ha mandati e perché.
Attraversano l'aria come comete, quei piccoli demoni, ma non puntano verso di lui, puntano verso una fonte di potere che vibra nell'aria più forte delle sue facoltà di dio esperto nelle arti magiche. Puntano verso...
Oh, no...
Loki ora deve correre. Correre più veloce del vento che sta aiutando la marcia fluttuante di quelle orrende creature, perché loro hanno qualcosa da distruggere e lui ha qualcosa da salvare.
La pietra, la fonte di energia...
La sua unica possibilità di rialzarsi dopo la caduta.
Nadia.

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Note

“A castel on a cloud” è un brano del musical Les Miserables. Il canticchiarla quando si è tristi è una delle poche cose in comune che abbiamo io e il personaggio di Nadia.

Ah... ahaha! Preso paura eh, che io spedissi Loki e Nadia a fare un'uscita romantica? No, no, i ragazzi non sono ancora pronti (e non credo che lo saranno mai). Cioè, io credo che un pizzichino di cuore lui lo stia più o meno rispolverando, però non lo so, perché se c'è una cosa che ho imparato nella mia “carriera” da scribacchina è che i personaggi fanno sempre di testa loro.
E, naturalmente, i mostriciattoli inviati da Thanos prima o poi dovevano giungere a destinazione.

Il prossimo aggiornamento è per martedì.
Alla prossima ^^

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


Capitolo Ottavo


Nadia guarda Loki allontanarsi e sparire dietro un angolo. Si chiede se ha fatto bene a lasciarlo andare da solo, se lui riuscirà a ritrovare la strada per l'albergo. E poi si chiede perché diamine dovrebbe preoccuparsi così tanto per quel ragazzo.
Perché non aveva una bella faccia quando è andato via. Perché di sicuro le ha mentito, di nuovo. E nonostante questo... lui le piace. Non c'è niente di male ad ammetterlo, ma mentre la ragazza osserva il suo strano accompagnatore dileguarsi in mezzo al viavai serale, si sforza di ricordare a se stessa che se anche il tizio in questione non fosse uno strambo tipo incline alle menzogne, sarebbe comunque un pessimo affare perché prima o poi dovrà andarsene. Di sicuro più prima che poi, a quanto sembra, quindi è meglio che lei si metta il cuore in pace e si goda la serata. Amen.
E poi ci sono sempre i due americani, non deve per forza rimanere da sola.
Nadia torna dentro, nel momento esatto in cui attraversa l'arco di pietra che immette nell'ampio cortile le sembra che ogni cosa sgradevole rimanga fuori.
Bene, meglio così...
«Nadia!» Pepper agita la mano per salutarla e le fa cenno di avvicinarsi.
«Una così giovane fanciulla senza accompagnatore» borbotta Tony fingendo un'aria scandalizzata.
La ragazza scrolla le spalle.
«Ne avevo uno, ma è stato richiamato al suo dovere... o qualcosa del genere, credo».
Tony sbuffa,
«Decisamente non li fanno più i cavalieri di una volta» commenta scuotendo la testa.
«Senti da che pulpito vien la predica» lo rimbecca Pepper con una smorfia.
«Io almeno ho un'armatura».
Nadia vede la donna quasi trasalire alla parola armatura, poi Pepper si scosta una ciocca di capelli dal viso.
«Siediti. Resta con noi» la invita con quei suoi modi pacati e gentili.
Nadia vorrebbe dire di no, che non vuole disturbarli, sono una coppia in vacanza e non vorrebbe fare il terzo incomodo, ma ha troppa poca voglia di restare sola e ne ha ancora meno di tornare a casa. Accetta sorridendo con gratitudine l'invito della donna e scivola sulla sedia.
Ordinano dei cocktail, mentre sul piccolo palco i musicisti accordano gli strumenti.
Tony continua a parlare a raffica, raccontando di una gita a Murano che Nadia non riesce a capire se gli sia piaciuta o no.
«E adesso,» conclude l'uomo, puntando in faccia alla ragazza i suoi occhi scuri da bambino pestifero, «raccontami qualcosa della persona a cui devo questa serata di musica soporifera».
«Ti ho già spiegato che il jazz non è una musica soporifera» replica Pepper, prima che Nadia riesca a parlare.
«No, non me lo hai spiegato. Hai cercato di convincermene, e con pessimi risultati se dobbiamo proprio essere sinceri»
«Oh già, dimenticavo: Tony Stark, l'uomo dalle mille certezze!»
«Smettila Pepper, stiamo annoiando la nostra amica indigena».
Nadia ride. Nemmeno si ricorda perché era così giù di morale quella mattina, nemmeno ripensa al perché dovrebbe dispiacerle che Loki non ci sia – e a proposito di Loki, è certa che lui non avrebbe affatto apprezzato la compagnia di Tony e Pepper.
«Non c'è molto da raccontare su di me» dice scrollando le spalle. «Tutto molto ordinario e noioso»
«Noioso? Più del jazz, intendi?».
Tony non vuole proprio mollare con quella storia del jazz, ma Pepper non sembra prendersela, sembra vaccinata contro i suoi modi esuberanti, probabilmente stanno insieme da una vita e di sicuro devono essere una coppia splendida.
«I miei hanno un albergo qui a Venezia, lavoro lì con loro ma sogno di fare la fotografa. Tutto qui»
«Tutto qui? Io ucciderei per lavorare in un albergo a Venezia» commenta Pepper, quasi facendosi andare di traverso un sorso di cocktail.
«Voi in che albergo state?»
«Al Danieli».
Ora è a Nadia che sta per andare di traverso la bevanda. Lei avrebbe soggezione anche solo a sedersi su una sedia in un posto come quello. Era sicura di aver già visto la faccia di Tony da qualche parte, ora è assolutamente certa che si tratti di una sorta di celebrità – una celebrità piuttosto simpatica, comunque, quindi perché dare peso alla cosa?
Non le sembra il caso di commentare con un ironico «vi trattate bene», e comunque non farebbe in tempo a dire niente, perché le luci vicino al palco si stanno spegnendo e i musicisti stanno prendendo posto accanto agli strumenti.
«Godetevi pure lo spettacolo» mormora Tony. «Io ho qualche ora di sonno da recuperare».
Ma la battuta si perde nel suono acuto di un grido improvviso e nel rumore di vetri che si rompono.

***

Non farà mai in tempo.
Nadia sarà ridotta a un grumo sanguinante sul ciottolato prima che lui arrivi a destinazione e la pietra si spegnerà e tutto sarà perduto.
Nelle mente di Loki c'è un'immagine piuttosto nitida di una massa informe dalla quale parte una ragnatela di rivoli scarlatti. Una furore cieco gli attanaglia le viscere al pensiero che quel sangue doveva essere versato da lui e non per lui.
Si credeva al sicuro dalla vendetta di Thanos, pensava che senza il Tesseract non sarebbe mai riuscito a raggiungere altri mondi, a raggiungere lui, ma gli esseri che gli sguinzagliato dietro sono creature incorporee e possono viaggiare tra gli universi a velocità folli. Quegli esseri possono fare molte cose, tutte sgradevoli, tutte difficili da contrastare. Sono creature antiche e potenti, votate al caos, tanto che per secoli il loro sterminio è stato considerato un dovere improrogabile in tutti i nove regni, e Loki davvero non si aspettava che Thanos avesse un simile asso nella manica.
Corre, corre più forte che può, come uno stupido umano impotente davanti alla tragedia, come tutte quelle persone che gli sembravano piccole come formiche dall'alto della Stark Tower di New York, mentre cercavano di sottrarsi alla sorte che lui aveva scelto per loro, mentre cercavano di fuggire dall'inevitabile, prima che arrivasse quella squadra di fenomeni da baraccone a porre fine ai suoi meritati sogni di gloria, distruggendo l'esercito dei Chitauri.
Loki non ha mai avuto qualcosa da difendere, qualcuno da salvare, per questo gli è estranea la forza che lo spinge ad andare avanti, mentre davanti ai suoi occhi le luci di Venezia sfrecciano come comete in picchiata.
Da un punto impreciso, in un angolo della notte, si alza un coro di grida spaventate.
Loki scavalca un muro, l'aria gli brucia nei polmoni insieme all'odore del mare. Sente le pulsazioni della pietra, la ragazza è ancora viva ma non lo resterà per molto. Pensa a cosa fare, ma sa che per adesso può solo continuare a correre.
Nella sua mente, lì dove l'immagine del cadavere ha preso forma, il sangue sul selciato si sta raggrumando mischiandosi alla polvere, un velo di freddo si sta già dispiegando sulla carne morta e martoriata.
La morte non gli ha mai fatto orrore, ma questa volta è l'ultima cosa al mondo che i suoi occhi desiderano guardare.

***   

Nadia si alza di scatto, si volta a guardare il punto dal quale è giunto il grido.
Le bottiglie che c'erano dietro al bancone del bar sono tutte esplose, liquori e sciroppi alla frutta gocciolano in rivoli colorati dalla mensola.
È stata la barista a gridare, e adesso tutti la guardano chiedendosi cosa c'è che non va e come diamine sono esplose tutte le bottiglie.
Nadia si sente raggelare perché dagli sguardi perplessi e non abbastanza spaventati delle persone attorno a lei capisce subito che loro non vedono. Non vedono quei fili di denso fumo argentato che fluttuano nell'aria e che ora si stanno muovendo, strisciando come serpenti, disseminandosi nel riquadro di cielo sopra al cortile. Ce ne sono a decine.
I secondi si dilatano all'infinito mentre la ragazza fissa attonita quello spettacolo assurdo, chiedendosi se è reale.
Il vento fa tremolare le lunghe figure di quelle creature, ne disperde nell'aria qualche sbuffo di fumo, ma loro rimangono lì, sospese sopra la gente.
«Nadia, tutto bene?» chiede Pepper. Ma Nadia quasi non la sente.
«Dobbiamo andare... ora...» mormora. È l'istinto a farle salire quelle parole alle labbra, la consapevolezza del pericolo.
«Nadia?». Tony le si para davanti, le posa una mano sulla spalla e la scuote piano.
«Cosa... cosa sono quelli?» di nuovo Pepper, ora la sua voce è leggermente stridula, le parole le inciampano tra le labbra.
Ora li vede anche lei?
Ora forse li vedono tutti, perché alzano gli occhi al cielo e fissano quelli che prima sembravano serpenti di fumo e adesso sono strisce traslucide, come sottilissimi fili di stagno con tre minuscoli puntini luminosi al posto degli occhi.
«Ne ho visti di più grossi» dice Tony con un sorriso beffardo, sembra perfettamente calmo.
Nadia non capisce, Nadia ha paura e sente che sta per succedere qualcosa, qualcosa di orribile.
Uno di quegli esseri plana verso il basso, veloce come una freccia, in direzione di un uomo in piedi in mezzo al cortile, troppo sconvolto per provare anche solo a muoversi. La serpe argentata passa il petto dell'uomo da parte a parte, si conficca in un punto sotto il suo sterno ed esce un attimo dopo da un foro nella sua schiena, disegnando un anello color porpora sul tessuto della camicia chiara.
È un attimo di silenzio, perfetto, immobile, attonito. Un attimo in cui sembra che ogni rumore sia stato risucchiato dal cielo, poi comincia il caos, e comincia con un grido di molte bocche che strillano all'unisono mentre le creature si avventano sul corpo dell'uomo ucciso tagliando la carne.
«Ne ho visti di più grossi, ma questi sono cattivi forte» dice Tony, senza alcuna ironia, afferrando la mano di Pepper e la spalla di Nadia mentre la gente attorno a loro corre forsennata verso l'uscita.
Anche loro cominciano a correre, ma la ragazza si volta un attimo verso l'orrendo spettacolo delle creature che stanno – oh, Dio mio! - banchettando con il cadavere che ormai non è altro che una massa informe e sanguinolenta.
Non riesce a crederci, la sua mente non può crederci, e si sta ancora domando stolidamente come mai lei era la sola a poterle vedere mentre erano ancora fatte di fumo. Fissa l'uomo e la donna che stanno scappando con lei chiedendosi perché sembrano così poco sconvolti; un attimo dopo un sibilo orrendo le trafigge le orecchie.
Decine di puntini blu luminosi sono fissi su di lei ora, da ogni angolo del cortile.
C'è gente ovunque, ma le creature la stanno puntando. E lei è paralizzata dal terrore, quasi non sente la spinta che la getta a terra, l'urto contro il duro della pavimentazione di pietra ruvida che le scortica a sangue i palmi delle mani.
È stato Tony a gettarsi su di lei, le creature l'hanno mancata per un pelo e sono atterrate a  meno di un metro da dove lei è adesso, scalfendo la pietra e sollevando una nuvola di schegge e polvere.
Le creature si rialzano, salendo in verticale, svettando verso l'alto.
«Le abbiamo fatte arrabbiare» borbotta Tony sollevando lo sguardo sugli esseri alieni di nuovo in picchiata. «Cosa vogliono da te?».
Che razza di domanda...
«Mangiarmi» squittisce Nadia, atterrita. Eppure sente che non è così.
In un impeto di forza di spirito e buon senso, Pepper fa rotolare un tavolino caduto verso il suo compagno e la ragazza ancora stesi a terra. Un attimo dopo sono tutti e tre rannicchiati sotto il ripiano del tavolo piantato sul suolo a mo' di scudo. Ma le creature stanno per arrivare e se possono passare da parte a parte una persona e scalfire la pietra, possono senz'altro anche passare attraverso il legno e ridurlo in schegge insieme alle loro ossa.
«Vogliono... vogliono me...» balbetta Nadia, il battito accelerato è un fischio sordo nelle orecchie. «Toglietevi... da qui».
Sente il fischio dei corpi serpenteschi che frustano l'aria scendendo in picchiata nella loro direzione.
Pepper e Tony si scambiano uno strano sguardo, si prendono per mano, ma non si muovo.
Il sibilo ora è quasi assordante. La fine è a un battito di ciglia, Nadia quasi riesce a sentire lo scricchiolio sordo del tavolino che va in frantumi. Si dice che non farà male, che è solo un attimo, che non farà in tempo nemmeno a sentire la sua carne lacerarsi. Si dice che non vuole morire, ma non può farci niente.
E poi il rumore arriva, ma non è quello del legno che va in frantumi. È un tonfo che è quasi un boato, come se un'enorme molla fosse scattata nell'aria che adesso ha odore come di bruciato.
Il silenzio arriva di colpo, un silenzio gelido che stringe alla gola e frastorna la mente.
Nadia ha bisogno di sapere come mai è ancora viva, forse ne ha bisogno più di quanto ne abbiano Tony e Pepper, perché loro continuano a starsene premuti con le spalle contro il tavolino mentre lei si alza lentamente, con cautela, quel tanto che basta per guardare oltre il ripiano di legno.
Qualcosa dentro di lei le dice che non dovrebbe essere affatto contenta di ciò che ora ha davanti, anche se le creature sono sparite, anche se lei è salva e il cortile adesso è sgombro e pare che non sia morto più nessuno.
Loki?
Loki, certo. Il viso che quello strano elmo lascia scoperto è senz'altro il suo, quegli occhi azzurri e dall'aria stravolta sono quelli del ragazzo della numero 7. Ma la persona in piedi davanti a Nadia non è un ragazzo, è qualcosa di sovrumano e spaventoso, maestoso come un... come un dio.
L'elmo e le placche sulle braccia e sulle spalle riflettono dei cupi bagliori dorati, i vestiti – diversi strati di qualcosa che sembra cuoio e velluto – hanno un taglio mai visto prima e il mantello verde che ondeggia alle sue spalle sembra quello di un re. Perché ha davvero un aspetto imponente e regale, anche se dalla sua fronte sta colando una goccia di sudore che ha un'aria molto molto umana.
Nadia guarda quello spettacolo assurdo, il tassello che dà senso a un mosaico di mistero che non era riuscita a decifrare. Una verità troppo enorme e, in un certo senso, troppo dolorosa, per lei.
Restano a fissarsi, il dio e la ragazza, in silenzio. Lei sconvolta, lui imperscrutabile.
«Tu?». Un singolo suono spezza il silenzio, un suono carico di disprezzo e veleno che esce all'unisono da due bocche, nel medesimo tono astioso e stupito.
Tony si è alzato in piedi, lui e Loki si guardano come nemici.
«Sì, Stark. E purtroppo ti ho salvato la vita».
Loki smette subito di prestare attenzione all'uomo e si volta nuovamente verso Nadia.
«Stai bene?» le domanda, scoccandole un'occhiata penetrante.
Lei boccheggia, incapace di dire qualcosa. Sta bene? Certo che no.
«Tu... tu sei... tu sei... oh, mio dio» mormora con un filo di voce, gli occhi sgranati fissi su quello che credeva essere un ragazzo.
«Pessima scelta di parole» commenta Tony tra sé e sé.
Loki le si avvicina, le prende le mani con una certa gentilezza e guarda i tagli che si è fatta quando l'hanno spinta a terra, dove il sangue sta già formando una crosta. Poi scruta il suo viso con una sorta di apprensione e sta per dirle qualcosa quando Tony si para tra loro due, allontanandolo.
«Sta' lontano da lei, Bambi» borbotta.
«Non sono qui per fare del male alla ragazza, sono qui per proteggerla semmai. E sono certo di poterlo fare meglio di te, a meno che tu non nasconda qualche altra diavoleria tecnologica nei calzini»
«Lo vedremo. Dammi il tempo di andare a recuperare l'armatura in albergo»
«Sai che non lo farò». Il sorriso che increspa le labbra di Loki è irriverente e crudele allo stesso tempo.
«Quale armatura in albergo?» sbotta Pepper all'improvviso, cercando di alzarsi. Tony strabuzza gli occhi.
Nadia sente che sta per mettersi a urlare e non capisce perché si stia parlando di armature adesso. Loki le serra una mano attorno al braccio.
«Noi dobbiamo andarcene» le dice, autoritario.
Lei si libera dalla stretta con uno scatto stizzito.
«Noi dobbiamo andarcene? Cioè io dovrei venire con te? Tu devi essere pazzo... oltre che... che... cosa sei esattamente?» strilla guardando Loki con le lacrime agli occhi.
«È un dio, dolcezza» risponde Tony. «Un dio con le manie di grandezza e il complesso del figlio adottato. Che ha provato a conquistare la Terra con un esercito alieno, ucciso decine di persone e quasi raso al suo Manhattan. Ah, e gettato me giù da una torre alta decine di metri. E questo solo per essere sintetici. Perché potremmo anche parlare dei danni al mio attico ma di quest...».
«Tu sei il figlio di puttana che ha ucciso Phil» interviene Pepper, il suo sguardo sembra piombo. Fino a un secondo prima sarebbe stato impensabile credere che potesse uscirle qualche parolaccia di bocca.
Nadia sente il peso del mondo scivolarle di colpo sulle spalle. Esistono mostri di fumo, esistono dèi con un pessimo carattere, esistono eserciti alieni che... e più di ogni altra cosa, esiste quel dio dal pessimo carattere che ha fatto tutte quelle cose orribili. E quel dio è Loki, il ragazzo della numero 7.
«Se abbiamo finito con le reminiscenze,» dice Loki, «dobbiamo andarcene. Torneranno».
«E perché dovremmo fidarci di te?» domanda Pepper.
«Ho forse detto che dovete farlo? Io me ne vado e porto la ragazza via da qui. Se voi volete restare, fate pure»  
«La ragazza con te non va da nessuna parte» sbotta Nadia.
«Temo che dovrò insistere. Hai qualcosa che mi preme e non permetterò che ti uccidano».
Ora Loki non sta mentendo, lei lo sa. La calma brutalità con cui ha pronunciato quelle parole basta a farla smuovere e anche a farle male. Ma non è di questo che deve preoccuparsi adesso.
«No, stammi bene a sentire, Bambi» interviene Tony. «Noi adesso ce ne andiamo tutti quanti insieme, troviamo un posto sicuro e poi tu mi racconti che altro film dell'orrore stai mettendo in scena e cosa vuoi da Nadia»
«Non ho intenzione di farlo e non ho tempo di ucciderti. Ma sappi che non sono io il cattivo, stavolta» conclude Loki, allungando una mano verso Nadia. Lei fissa stranita quel palmo aperto, bianchissimo, teso verso di lei.
«Se mi tocchi giuro che ti tolgo quel ridicolo elmo e te lo ficco su per il culo, comprese le corna» sibila la ragazza scansandosi e avvicinandosi di più a Pepper e Tony.  
Un minuto dopo stanno correndo via.

***

Stanno correndo via.
Loki non sa bene dove, non sa a cosa serva. Quelle creature sentono l'energia della pietra e possono trovarli ovunque, anche se è quasi del tutto certo di averle indebolite abbastanza da costringerle a cercare dei corpi dei quali prendere possesso, quei maledetti parassiti! E se si impossessassero di qualche corpo umano sarebbero limitate ai sensi degli esseri umani, incapaci di captare la pietra e lui potrebbe avere un attimo di respiro, quel tanto che basterebbe a decidere cosa fare.
Sta di nuovo scappando, come un vigliacco. Sta fuggendo senza sapere dove trovare riparo, in testa a quel piccolo assurdo corteo: Nadia e la donna alle sue spalle e Stark in coda.
Questa proprio non ci voleva. Avrebbe tutto il tempo di fermarsi e uccidere quei due ma non può farlo, non davanti a Nadia, sa che se la turbasse fino a quel punto non riuscirebbe più a farsi seguire da lei e lei da sola adesso è troppo vulnerabile, deve per forza starle vicino ed è già abbastanza turbata e spaventata da lui. Forse è un bene che lo tema, ma Loki non riesce a fare a meno di pensare a quanto sarebbe stata gradevole, tutto sommato, una serata normale. Perché alla fine quegli sprazzi di normalità non gli sono affatto dispiaciuti e ora sa che sono finiti, che Nadia non lo tratterà mai più come trattava il ragazzo che credeva lui fosse.
Loki non capisce perché, ma la cosa lo infastidisce. Forse perché nessuno lo aveva mai trattato da persona comune ed è assurdo, lui sa di non essere affatto un essere comune, lui detesta dover anche solo somigliare a un essere comune, ma pare che le persone comuni siano le uniche che possono meritarsi un sorriso sincero, ogni tanto.
Non gli importa nemmeno dei sorrisi, in realtà. È che non riesce a sopportare che le cose non siano andate come voleva lui e che adesso Nadia sia fuori dalla portata delle sue manipolazioni.
Si è tolto elmo, mantello e placche dorate. Alla ragazza stava per prendere un colpo quando ha visto sparire nel nulla quegli ornamenti che tanto ama sfoggiare.
«Stai correndo verso Piazza san Marco» osserva Nadia, quasi con rabbia. «C'è troppa gente lì a quest'ora, dobbiamo portare quegli esseri in un posto dove non ci siano persone da mangiare!».
Perché diamine si ritrova sempre circondato da uomini e donne che vogliono fare gli eroi?
Nadia lo afferra per un lembo della casacca e lo trascina in un vicolo. Lo trascina, già. Quanta forza riescono a tirare fuori questi esseri umani quando sono spaventati.
Si fermano all'ombra di una palazzina, gettandosi con le spalle contro il muro, a riprendere fiato.
«Cosa sono quei cosi?» abbaia Stark, puntando in faccia a Loki due occhi che ardono di furia. È spaventato il piccolo uomo di metallo, ora che deve proteggere la sua donna e una ragazza da lui e dai mostri e non ha i mezzi per farlo.
«Non hanno un nome, c'è chi li chiama i demoni di fumo» spiega il dio. «Li ho indeboliti e adesso staranno vagando per la città alla ricerca di corpi di cui impossessarsi»
«Che cosa?» sbotta la donna bionda sollevando le sopracciglia fin quasi all'attaccatura dei capelli.
«Sono molto potenti, ma quando perdono la loro energia si impossessano delle persone e usano i loro corpi. Mantengono la loro forza e i loro poteri, che non sono da poco, ma sono limitati ai sensi del corpo che occupano, così non ci possono rintracciare»
«Che vuol dire che non ci possono rintracciare?»
«Nella loro forma di serpenti di fumo, hanno la facoltà di avvertire l'energia magica».
È tedioso dover perdere tutto quel tempo a spiegare a degli umani cose che sono così al di là della loro comprensione.
«Ma stavano cercando me!» interviene Nadia, parandosi di fronte a Loki con quel suo fare da soldatino, solo molto più rabbioso, di una rabbia che viene dalla paura, che sale dallo stomaco e che le stringe il cuore in una morsa di gelo. «E io non ho nessuna fonte di energia magica... nessun maledetto anello di Sauron, nessuna cazzo di bacchetta di sambuco, niente di niente!».
Ecco, la paura e la rabbia la stanno facendo diventare sciocca e cieca. Se fosse lucida, la Nadia che conosce lui, avrebbe già capito qual'è la fonte di energia magica in suo possesso.
«Allora è a questo che ti riferivi, quando hai detto che lei ha qualcosa che ti serve» interviene Stark, palesando l'ovvio. Lui è idiota anche quando è lucido e ora lo sta fissando come se cercasse di capire, si sta facendo domande che non vuole porre ad alta voce. Si sta chiedendo come mai lui, il dio del caos, il mostro, non abbia semplicemente ucciso la ragazza per prendersi ciò che gli serviva. E si sta chiedendo se non ci sia della buona fede in questo, perché ora Tony Stark ha bisogno di credere di potersi fidare, seppure in minima parte, dell'essere che ha disprezzato e combattuto, della persona che lo ha lanciato giù da una torre per ucciderlo.
«Il bracciale?» domanda Nadia. Un lembo di intelligenza deve essere riaffiorato dal caos.
Loki non ha bisogno di darle una risposta affermativa. Lei sa, come ha sempre saputo.
«D'accordo» borbotta la ragazza. «Prendilo e vattene».
Stark sta osservando soave che non è il caso di dare a un dio psicopatico quello che vuole con tanta facilità, ma né Nadia né Loki gli prestano attenzione. Sono troppo impegnati a fronteggiarsi con lo sguardo, immersi in pensieri rancorosi e amareggiati.
Prendilo e vattene.
Quelle parole sono dure come un pugno, pesano come il martello di Thor sul suo petto mentre lo teneva inchiodato a terra ponderando di distruggere il Bifrost. Pesano come l'aria che lo spingeva giù durante la caduta.
Loki la sta odiando, perché non sopporta che lei gli dia un ordine così perentorio ora che sa chi è, perché non sopporta quella freddezza nel fondo di quegli occhi scuri che lo fissano e sembrano pozzi senza fondo nella penombra della notte. La sta odiando, ma si costringe a mantenere la calma mentre le risponde.
«Ti sarai accorta che non puoi toglierlo, immagino» le dice, semplicemente.  
«Ehi, Bambi, cosa è questa storia del bracciale?» interviene Stark, impaziente.
«Qualcosa che non ti riguarda e che la tua mente ristretta non potrebbe comprendere»
«La mia mente ristretta comprende molte più cose della tua, brutto figlio di...»
«Stanno tornando!» strilla la donna bionda, scattando.
«Oh, merda!» sibila Stark voltandosi a osservare un nastro argentato che fluttua in alto, puntando nella loro direzione.
Gli altri demoni avranno certamente trovato corpi da occupare, ma quello deve essere l'unico che ha resistito all'attacco sferrato da Loki, e sta usando le sue percezioni per trovare tutti loro. Cioè per trovare lui e Nadia.
I quattro fuggitivi stanno valutando da che parte andare, scambiandosi occhiate nervose.
«Come li fermiamo?»  domanda Stark, deglutendo.
«È questo il problema: non possiamo fermarli. Se uccidiamo il corpo che li ospita, loro lo mantengono in vita e continuano a sfruttarlo. Si possono uccidere solo nella loro forma non umana, ma io adesso non ho abbastanza potere per farlo» sibila Loki, poi senza aggiungere altro, si volta, afferra Nadia per un polso e la trascina via di corsa. La trascinerà anche a costo di legarla e imbavagliarla, anche a costo di doverle fare del male. Lei ha la pietra, lui non può lasciarla andare perché ora quella pietra gli serve più che mai, gli è necessaria non solo per riacquistare potere ma anche per salvarsi la vita.
Ma Stark non lo lascerebbe allontanarsi con la ragazza. Gli si appiccica alle calcagna, insieme alla dannata donna bionda.
«Devi avere un piano. Sei tu quello esperto in stermini e uccisioni» borbotta l'uomo di metallo.
Sentono su di loro lo sguardo del demone.
«Ho bisogno dell'energia della pietra sul bracciale per contrastarli, ma ci vuole tempo per assorbirla» commenta Loki, serrando ancora di più le dita attorno ai polsi di Nadia, per il solo gusto di farle male.
«Stai dicendo che tirerai fuori un po' di fegato e combatterai contro quei cosi?» lo provoca Stark. Beffardo anche nel pericolo, Loki pensa che forse deve riconsiderare l'idea di ucciderlo con o senza Nadia.
«Devo farlo, vogliono me» risponde il dio dell'inganno, senza mentire. «E non parlarmi come se fossi un codardo! Ho sempre combattuto le mie battaglie»
«E ti è sempre andata da schifo».
«Tony!». La donna bionda cade, inciampa in un ciottolo rialzato e finisce in terra.
Loki vorrebbe continuare a correre via, ma quando Stark si ferma per aiutare la sua compagna anche Nadia si punta con i piedi a terra, opponendo resistenza e strattonandosi per liberarsi dalla sua presa. E alla fine ci riesce, con uno strattone che fa quasi perdere l'equilibrio al dio, colto alla sprovvista da tanta forza.
«Idiota! Vogliono uccidere anche te, nel caso non ti sia chiaro! Hanno sentito il potere della pietra e sanno che è la mia risorsa» lui le urla dietro, incapace di reagire alla mancanza di senno di quella giovane che non lo sta affatto ascoltando.
Loki alza un attimo lo sguardo, quel tanto che basta per capire che Stark non ce la farà ad aiutare la donna, che non farà in tempo. Forse alla fine il fato ha deciso di dargli una mano, forse l'uomo di metallo sarà ucciso dal demone di fumo che sta volando sopra la sua testa in questo momento e lui non avrà bisogno di turbare Nadia prendendosi il disturbo del suo assassinio.
Il serpente argentato scende in picchiata verso l'uomo che sta aiutando la donna a rialzarsi. Lei deve essersi slogata una caviglia o qualcosa del genere, perché non riesce a tornare in piedi.
«Tony, attento!» grida Nadia, terrorizzata.
Stark si alza di scatto e rovina all'indietro. In quell'istante il serpente cade addosso alla donna ma non la passa da parte a parte, semplicemente si infrange sulle sue spalle e sparisce in una nuvola di fumo.
Oh, no...
«Pepper!». Stark fa per allungare una mano verso di lei.
Pessima, pessima scelta...
«Fai qualcosa...». Nadia ha già capito, e le parole che le escono dalle labbra sono una preghiera, non un ordine. Loki pensa che quello è il momento adatto per prenderla e andarsene, e lasciare Stark e la sua compagna al loro infausto destino. Ma tenere a bada i mostri, scappare e convincere Nadia a essere collaborativa non sono cose facili da farsi in contemporanea; ha bisogno di lei e, per quanto lo ripugni l'idea, potrebbe avere bisogno anche di Stark. Senza contare che se la ragazza lo vedesse salvare il suo beniamino, forse si mostrerebbe un po' meno ostile in futuro.  
Si getta sull'uomo un attimo prima che la donna bionda di nome Pepper sollevi la testa. L'espressione sul volto affilato ed elegante è raggelata in una maschera inespressiva e le pupille dei suoi occhi sono sfere di fumo argentato. Adesso quella tutto è tranne che la tenera, dolce compagna di Tony Stark; l'ultimo demone rimasto senza un corpo ne ha appena trovato uno.
E quel maledetto idiota di un umano sta anche opponendo resistenza. Vuole sottrarsi alla stretta di Loki e tornare da lei, ah l'amore come rende stolti!
Nadia lo viene ad aiutare, circonda con un braccio il torace di Stark e lo spinge all'indietro.
«Dobbiamo andare, adesso» dice con una dolcezza e una fermezza che Loki non le ha mai sentito usare. «Troveremo una soluzione, te lo prometto, ma se ti lasci uccidere non potrai salvarla».
Un barlume di lucidità affiora per un attimo nello sguardo di Tony Stark mentre Nadia lo guarda negli occhi, pronunciando una promessa che non è in grado di mantenere.
La donna bionda si alza in piedi, lui deglutisce. Loki pensa che se ne avesse il tempo potrebbe persino vomitare, ma devono andarsene prima che lei – cioè il demone che ora si porta dentro – cominci a dare spettacolo.
«Dobbiamo trovare un posto per nasconderci» mormora Stark con voce spenta, in un tono che quasi non sembra il suo.
Loki e Nadia si scambiano un rapido sguardo, uno sguardo che malgrado tutto ha un che di complice: hanno pensato alla stessa cosa.
«Il tuo rudere abbandonato» dice lui con un rapido cenno di assenso.
Lei annuisce.
Forse per quella notte le battaglie sono finite.

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Applauso a chi aveva già capito che Tony l'armatura se l'era portata dietro comunque XD
Per questo capitolo vi risparmio la mia logorrea, non c'è niente da dichiarare, se non il mio rinnovato ringraziamento a tutti voi.
Ci leggiamo lunedì prossimo ^^

Ciauz!

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


Capitolo nono


Il silenzio è duro come la pietra di quella casa, denso come le ombre gelide che quell'unica fonte di luce non riesce a dissipare.
La fonte di luce in questione è il cellulare – o almeno, l'aggeggio sembra essere un cellulare – di Tony, appoggiato su una cassetta della frutta messa al centro della stanza a mo' di tavolino. Lui ha premuto qualche tasto e una luce bianchissima si è accesa da un foro aperto sulla cover metallizzata.
Nadia fissa come ipnotizzata quel cono luminoso proiettarsi contro il muro disegnando un ovale sulla parete spoglia. È quasi sicura che se continua a guardarlo la luce invaderà tutto e lei si risveglierà nel proprio letto, con Casanova accanto, e scoprirà che nella camera numero 7 sono alloggiati una coppia di turisti giapponesi.
Ma per adesso è ancora incastrata in quella specie di sogno surreale, dove ci sono mostri che si impossessano della gente, pietre magiche, divinità criminali e turisti americani molto sfortunati.
Si è seduta vicino a Tony, su un materasso che odora di polvere, ed è rimasta accanto a lui che fissa il pavimento con aria pensierosa. Nessuno ha detto una parola da quando hanno varcato la soglia della casa abbandonata.
Loki se ne sta in piedi, con le braccia conserte, nel punto più lontano dalla luce. Nadia non riesce a vederlo, ma è sicura che il suo viso non tradisca alcun sentimento particolare. La ragazza adesso si sta chiedendo se Loki abbia qualche sentimento sotto quella sua pelle diafana e fredda.
Come se il dio si fosse accorto che i pensieri di Nadia sono rivolti a lui, solleva la testa e punta lo sguardo nella sua direzione. E dice una cosa assolutamente stupida.
«Dovresti provare a dormire».
Lei strabuzza gli occhi.
«Perché? Se mi stanco la tua preziosa pietra non funziona a dovere?» ribatte acida.
«Perché più sei stanca e più sei vulnerabile. Anche se fatico a immaginarti più vulnerabile di quanto tu già non sia».
Tony alza lo sguardo con uno scatto e aggrotta le sopracciglia,
«Tirare su il morale non è mai stato il tuo forte, eh?» borbotta.
«Dovrei dirle di non preoccuparsi e che andrà tutto bene?»
«Non è questa la tua specialità, Bambi, mentire?».
Loki scuote il capo, spazientito, e comincia a camminare su e giù per la stanza.
Ad ogni modo, lei non vuole che gli si menta, non ne può più di bugie, tranelli e verità nascoste.
«A proposito di menzogne» interviene Nadia. «Perché non mi fornite qualche particolare su come è nata questa vostra splendida e amichevole relazione?»
«Oh, giusto. Gli Avengers, il circo ambulante di Nick Fury, mio fratello, il Tesseract» borbotta Loki, l'acredine del suo tono di voce si fa più palpabile parola dopo parola.
«... l'omicidio dell'agente Culson, la quasi distruzione dell'eliveivolo, il rincoglionimento dell'agente Barton e del dottor Selvig, il pessimo gusto nel vestire» continua Tony, con aria di sfida.
Nadia adesso sente che sta per scoppiarle la testa e si rende conto che c'è più di un nervo scoperto che una simile conversazione andrebbe a toccare. Dal modo in cui si guardano, Loki e Tony sembrano due bombe a orologeria pronte a esplodere per vedere quale delle due ha la carica più distruttiva.
«D'accordo, possiamo parlarne in un altro momento» conclude, alzando le mani. «Adesso perché non discutiamo di un piano per risolvere il nostro problema?».
«Io ho bisogno della mia armatura» dice subito Tony.
La sua che? Oh, certo, la misteriosa armatura di cui si va farneticando da quando è cominciato quell'orrore. Nadia non ha la più pallida idea di cosa debba farsene di un'armatura.
«Niente di più facile» ribatte Loki. «Puoi uscire, andarla a prendere e poi tornare. Non ti troveranno, non potrebbero farlo, e di sicuro non è te che stanno cercando».
Tony sgrana gli occhi.
«E lasciarti da solo con Colombina? Neanche per idea».
Loki si massaggia la fronte, sembra già sull'orlo dell'esasperazione.
«E che cosa suggerisci? Non posso venire a farti da balia, Stark, non è prudente lasciare qui Nadia senza protezione»
«Neanche io ho bisogno della balia» replica la ragazza.
«Questo» sibila il dio, seccato, «non è il momento di fare l'eroina».
«Ah, già, perché l'eroe qui dentro sei tu» sussurra lei, astiosa. Lui sarà pure sull'orlo dell'esasperazione, ma non le importa.
Loki ha uno scatto, attraversa a grandi passi la stanza, arrivando fino a lei. Tony fa per pararsi tra loro due, ma Nadia lo scosta con una leggera spinta. Non ha paura di Loki, non le importa se è un dio malvagio e vendicativo, non le importa quanta gente ha ucciso. Lei lo sta detestando per quello che le ha fatto, per averla trascinata in quel casino a causa della pietra, per averle mentito su tutto e perché non prova il minimo rimorso ad averlo fatto.
«Dovrei esserlo, ai tuoi occhi, sciocca ragazza, visto che sono l'unica ragione per cui sei ancora in vita» le sibila il dio, guardandola con freddezza.
«Certo, ti sono grata per avermi salvato solo perché sono un braccio che regge un ninnolo. Per curiosità, in che modo avevi pensato di uccidermi una volta che non ti sarei più stata utile?»
«In un modo consono alla tua impudenza, di sicuro».
Non sentono il tonfo sordo provenire dal tetto, un colpo così duro che fa scrollare la polvere da tutte le insenature. Non sentono la voce preoccupata di Tony che tenta di ricondurli alla ragione e attirare la loro attenzione su quello che sta succedendo.
«Qui c'è qualcosa che non va!» dice lui allarmato, sollevando lo sguardo verso il punto in cui ha sentito il rumore. Un secondo dopo si sente il rombo assordante di un tuono spandersi nell'aria e di colpo l'espressione di Tony si fa più distesa.
Nadia ha un sussulto, non ha mai sentito tuonare così violentemente. Si guarda attorno febbrile.
«Che cos'è?» domanda.
«Rinforzi» risponde Tony con un sorriso che è quasi giocoso.
«Grane» gli fa eco Loki coprendosi mestamente la faccia con il palmo della mano.

***

Dall'alto la città gli sembra quasi una ragnatela tracciata da canali che si insinuano tra gli edifici, gli pare bellissima, ma il dio del tuono non ha tempo per perdersi in pigre contemplazioni del luogo in cui si sta dirigendo.
Quando suo padre aveva detto che gli umani coinvolti nell'ennesimo misfatto di Loki avrebbero avuto giusta protezione non aveva capito che si stava riferendo a lui, ma mentre il vento gli sferza il viso, Thor è quasi contento che gli sia toccata quell'impresa.
Atterra sul tetto della casa, protetto dall'oscurità. Il martello fa disperdere nel buio schegge di tegole e uno sbuffo di polvere.
Inspira una grande boccata d'aria che sa di mare e di pietra. Sì, è decisamente lieto di trovarsi lì, di poter aiutare un compagno di battaglia in difficoltà, riacciuffare suo fratello e conoscere l'umana.
Non sa molto di lei, sa solo quello che ha visto attraverso gli occhi di Heimdall: immagini di una giovane donna che senza saperlo stava giocando con il fuoco. Anzi, era il fuoco che stava giocando con lei facendole credere di essere vento.
L'ha osservata mentre era in compagnia di Loki, in alcuni momenti si è persino concesso la speranza che lei potesse essere una specie di ancora di salvezza per suo fratello, che anche a lui accadesse ciò che Thor aveva già vissuto quando aveva cominciato a provare dei sentimenti per una mortale. Ma ora le cose sono più complicate e non tutti i cuori sono fatti per accettare il cambiamento.
Un tuono romba sopra la sua testa mentre lui scavalca il parapetto del tetto e salta sul davanzale di una finestra. Sfonda le travi che chiudono il passaggio e scivola dentro, lasciandosi inghiottire dal buio. C'è una luce in fondo alle scale. Ci sono molte cose in fondo a quei gradini, ma man mano che Thor si avvicina sente solo un confuso senso di frustrazione pulsargli nelle tempie. Si accorge, ancora una volta, che non sa bene che fare.
Quando arriva nella stanza a pianterreno, dove gli altri lo stanno evidentemente aspettando, è l'impulsività ad avere la meglio. I volti di Tony Stark e della ragazza ancora senza nome svaniscono, confondendosi con le macchie sui muri; vede solo Loki che lo fissa altezzoso, con il gelo nello sguardo.
Il dio del tuono si getta addosso a suo fratello, lo afferra per il bavero della casacca e lo spinge contro il muro, con così tanta violenza che sulla parete dove hanno urtato le spalle di Loki si disegna un ricamo di crepe.
«Ti aprirei la testa a mani nude solo per vedere che hai in quel cervello!» gli ringhia a un palmo dal naso.
Con la coda dell'occhio vede la ragazza sussultare e Stark batterle amichevolmente una mano sulla spalla mormorando: «Sono questioni di famiglia, lascia fare».
Loki ridacchia, sprezzante.
«Io almeno posso dire di avercelo, un cervello» replica senza scomporsi.
«Non prenderti gioco di me, Loki»
«No, sei troppo stolto, non è nemmeno divertente».
Thor lancia un grido di furore e scaraventa Loki a terra. Il dio dell'inganno cade nella polvere.
«Allora verrai soccorso da uno stolto» borbotta il figlio di Odino, esasperato. «Perché è così che è stato deciso»
«Soccorso» ripete Loki con aria di diffidenza. «Pensavo che il Padre degli dei ti avesse mandato a catturarmi, o a uccidermi»
«Ucciderti? Ogni volta che ti vedo il tuo vaneggiare va peggiorando, fratello. Nostro padre mi ha mandato ad aiutare te e questa gente, prima che si compiano altri massacri a causa tua».
«Fratello?». È la ragazza a parlare, lo fa con la voce incrinata dallo stupore, gli occhi le sono diventati grandi come due monete. «Mi sono persa decisamente troppe puntate».
«Sì, gli piace usare quella parola, assai più di quanto piaccia a me» replica Loki, alzandosi.
Tony Stark si decide a fare gli onori di casa, ma sembra più che altro che voglia sedare sul nascere una lite che potrebbe far crollare quel fragile edificio,
«Lui è Thor, il bravo bambino. Ma non farlo arrabbiare perché ha una sventola da paura» dice  indicando alla giovane il dio del tuono.
Lui si volta a guardare l'umana, ha il viso segnato dalla stanchezza e dalle troppe cose accadute nell'arco di una sola serata, ma Thor l'ha vista sorridere nei giorni precedenti – sorridere a Loki, oltretutto – e ora sente una strana tenerezza mentre la vede fissarlo ancora attonita e forse persino un po' ammirata.
«Thor, lei è Nadia. Ha un futuro come gioielliera».
Lui le fa un leggero inchino, con il solo risultato di farla imbarazzare, ma è così che ci si comporta e quella ragazza si merita decisamente tutti gli onori della circostanza.
«Ehm... sì. Piacere» farfuglia la giovane, poi scuote il capo. «Un momento, tu sei Thor tipo Thor il dio del tuono?».
Il figlio di Odino annuisce e ridacchia per il tono perplesso e l'espressione stranita della sua interlocutrice.
Nadia si volta verso Loki, arricciando le labbra.
«Quindi tu sei proprio quel Loki, quello che si è trasformato in una puledra per farsi... oh...»
«Giusto! Me lo sono sempre chiesto anche io. Com'è stato?» interviene Stark.
Il dio dell'inganno getta all'indietro la testa e sospira con aria di sopportazione.
«Non ho mai fatto niente di tutto ciò» puntualizza. «Ma l'ultima volta che ho controllato non c'erano altri Thor e altri Loki in giro per l'etere».
Tony Stark batte le mani e sfrega i palmi, guardando uno a uno i presenti. C'è un'ombra nel suo sguardo, qualcosa che sembra preoccupazione. Thor non immagina neanche quanta pena lui debba provare per la sua compagna, è quasi miracoloso che non abbia perso il dono dell'ironia.
«Direi che abbiamo risolto il nostro primo problema, no?» dice l'uomo di metallo con un sorriso. «Thor resta con Nadia, io e il tristo mietitore andiamo a prendere la mia armatura in albergo».
Loki fa una smorfia,
«Devi avere una pessima memoria, se ti affidi a me per guardarti le spalle» borbotta.
Il sorriso di Stark si allarga, ora è l'immagine della furbizia. È sempre stato arguto quell'uomo.
«Vedi, non credo che mi faresti del male, ti posso tornare utile e poi non vuoi fare brutta figura con la nostra amica» dice mellifluo, strizzando l'occhio verso Loki.
È vero, Thor se ne accorge dall'espressione che suo fratello ora ha lanciato a Nadia. Un'espressione che lo tradisce: non le ha fatto del male fisico, per quanto sicuramente ci abbia pensato molto seriamente, non vuole farle nemmeno del male emotivo uccidendo qualcuno per il quale lei prova simpatia.
Forse non è tutto perduto. Forse quella ragazza rappresenta ancora una speranza di far rinsavire Loki.     

***

Dunque, ricapitoliamo...
Nadia si mette a sedere, osservando Thor che è di spalle e sbircia fuori da una fessura della finestra sprangata, con l'ampio mantello color porpora che copre tutta la sua imponente figura e le dita serrate attorno all'impugnatura di quell'enorme martello.
Anche lui sembra solo un ragazzo, o almeno lo sembrerebbe se avesse addosso dei vestiti da essere umano. Ed è straordinariamente bello e buffo con la sua aria da cavaliere medioevale.
Nadia si sente in soggezione al solo guardarlo, e non capisce perché ogni volta che lui guarda lei ha quell'aria di contentezza nello sguardo.
Loki e Tony sono usciti da dieci minuti e lei si sente come se sotto la pelle fosse fatta di gesso.
Sa che deve parlare, dire qualsiasi cosa. Se rimane in silenzio un minuto di più perderà la ragione – se non l'ha già persa.
«E così... ehm... tu e Loki sareste fratelli?» domanda.
Thor si volta, facendo frusciare il mantello e le punta in viso due occhi che brillano. Anche lui ha gli occhi di un azzurro straordinario, ma non somigliano affatto a quelli di Loki.
«Questa è un'interessante domanda» risponde il dio con un sospiro di pena. «Dovremmo esserlo, nel senso che siamo stati allevati assieme, ma lui è adottato e da quando lo ha scoperto ha smarrito il senno. Anzi, direi che lo aveva smarrito già da prima. Comunque sia, ai miei occhi non riesce ad essere meno di un fratello, come agli occhi di mio padre non riesce ad essere meno di un figlio».
Nadia annuisce,
«Tuo padre?»
«Odino, il Padre degli dei».
Certo, Odino, mi sembra giusto. Ora ci mancano solo Percy Jackson e Harry Potter.
Nadia si stropiccia il volto con le mani; uno sbaglio le schiude la bocca, suo malgrado. Non vuole essere stanca, non vuole dormire.
«Cosa intendi quando dici che Loki ha smarrito il senno?» chiede.
«Si è convinto di essere considerato inferiore a me, il risentimento è cresciuto dentro di lui per anni e si è trasformato in follia. Ha cospirato contro di me, ha attentato alla sicurezza della Terra perché sa che è un luogo al quale sono devoto, ma io voglio continuare a sperare che da qualche parte, dentro di lui, siano rimaste le tracce del fratello che era prima che tutto ciò accadesse» risponde Thor con un sorriso mesto.
«Oh, sei un ottimista» borbotta Nadia con velato sarcasmo.
«Intendi dire che sono uno sciocco?»
«Intendo dire che Loki non ha l'aria di uno che tornerebbe sui suoi passi. Credo che certi limiti, una volta superati, ti precludono la possibilità di tornare indietro».
Anche lei si sente triste mentre pronuncia quelle parole. Si sente triste per il bel dio biondo e anche per Loki che ha sciupato con così tanta noncuranza l'affetto di una persona che, nonostante tutto, continua a chiamarlo fratello.
E invece Thor fa un sorriso un po' più allegro, una strana luce gli accende lo sguardo che ha il colore del cielo del nord.
«Ho imparato che le strade che il fato mette a disposizione sono sempre tante e inaspettate» dice convinto, come se davvero parlasse per esperienza.
Nadia non è troppo convinta, o quanto meno, pensa che se anche ci fossero delle strade per tornare indietro e rimediare Loki non sarebbe disposto a percorrerle. Ma non lo dice, perché non vuole rattristare Thor e forse perché anche lei vuole concedersi un po' di speranza, perché non riesce ad accettare che Loki sia davvero il mostro che ha scoperto essere quella sera.

***

La vita certe volte è proprio una figlia di puttana.
Questo pensiero Tony Stark lo ha formulato più volte nell'arco della sua sgangherata e lussuosa esistenza, e di solito il suo cervello ponderava la suddetta riflessione quando lui era ubriaco. Adesso è sobrio, maledettamente sobrio. Evidentemente è il destino che si è fatto un goccio di troppo per arrivare a trascinarlo in quella situazione. Il suo karma ha proprio dato i numeri se adesso lui sta camminando a notte fonda per i vicoli di Venezia con la versione stempunk di Hitler.
Lui stesso sta dando i numeri se è così disperato da credere che il caro Loki sia l'unica speranza per salvare Pepper. Il problema è che Loki è l'unica speranza di salvare Pepper, insieme a Nadia. Ammesso che la ragazza resista – fisicamente e psicologicamente – a tutto quel dannato casino.  
Ma magari lui è in coma etilico steso sul divano di casa sua, si sveglierà e scoprirà che niente di tutto ciò è mai accaduto. Si sveglierà e Pepper sarà lì a lanciargli un'occhiataccia perché ha alzato il gomito.
Tony non ha mai desiderato tanto di essere ubriaco come in quel momento.
Ma è sobrio, e deve continuare ad esserlo. Per Pepper, per la ragazza, per tutte le persone che adesso si ritrovano ad avere dei serpenti di fumo che gli nuotano nel cervello... E dire che in passato c'era stato un momento in cui aveva pensato che fosse davvero divertente fare l'eroe. Che fosse semplice, perché era il momento in cui non c'erano troppe scelte da prendere: aveva deciso di servire il suo Paese e di farlo a modo suo. Ed era facile perché quella del proprio Paese è un'idea, qualcosa che ti inculcano fin da bambino, qualcosa che senti dentro, non ci sono piani o  compromessi. Adesso si tratta di salvare qualcuno, qualcuno che ha un volto, un nome, una voce. Qualcuno che per lui significa tanto e lui non solo non ha un piano, ma sa che dovrà anche piegarsi al peggiore dei compromessi, allearsi con un nemico mortale.
Sì, la vita è decisamente una gran figlia di puttana.
«Ehi, Bambi» dice fermandosi di colpo a qualche metro da un molo dove sono ormeggiate delle imbarcazioni che fungono da taxi. «Siamo a Venezia, ma non è ancora Carnevale, fai evaporare quei vestiti da darkettone».
Loki inclina leggermente la testa di lato e lo fissa con una strana espressione sarcastica.
«Chiedimelo con più gentilezza» suggerisce, mellifluo.
Tony scrolla le spalle e si avvia verso il molo. Non ha tempo da perdere dietro a Loki e alle sue manie da primadonna, non ha bisogno che lui gli faccia da balia, ma temeva che se lo avesse lasciato in quella casa avrebbe trovato il modo di far saltare i nervi a Thor, e c'è bisogno che i nervi di tutti quanti si mantengano molto molto saldi. Soprattutto quelli di Thor, che quando saltano sono peggio di una mina antiuomo.
Ad ogni modo, Loki non fa altre storie, in un battito di ciglia fa sparire la chincaglieria e gli va dietro, vestito con un completo scuro e una sciarpa di seta verde e dorata appesa al collo come una bandiera.
Salgono su un taxi, Tony dice al pilota che deve portarli al Danieli, poi si volta a fissare Loki, che osserva con sguardo assente la città addormentata scorrere ai lati del canale.
«Non credevo che Nadia fosse il tuo tipo» gli dice con un sogghigno. «Così umana e indisponente, non particolarmente incline alla sottomissione».
Loki alza la testa di scatto, puntandogli in faccia due occhi gelidi.
«Le persone che non si piegano sono le mie preferite» dice in un filo di voce, con un sorriso crudele, talmente affilato da far sanguinare anche il vento. «Adoro riuscire a spezzarle».
Forse sta dicendo la verità, forse invece il dio dell'inganno ha messo su l'ennesima maschera per coprire una debolezza assolutamente poco divina. Ma Tony non riesce a fare a meno di guardarlo con disprezzo prima di tornare a fissare l'acqua scura che scorre sotto di loro.

***

Loki scruta il cielo, tentando di celare una certa apprensione.
Stark cammina davanti a lui reggendo quella che sembra essere un'ingombrante valigia di metallo rosso e oro. È peggio di un prestigiatore, riesce a far spuntare una delle sue maledette armature dal nulla! Però, per una volta, la cosa gli sembra un bene.
Non che Stark e Thor non rappresentino dei problemi seri. Ma sono problemi che verranno affrontati dopo, una volta sconfitti i demoni di fumo, e nel frattempo lui potrà prendere dalla pietra tutta l'energia che gli serve.
Ora però hanno bisogno di elaborare un piano, una strategia. Stark, Thor e Nadia di sicuro riterranno importante affannarsi per non nuocere alle persone di cui i demoni si sono impossessati e questo rallenterà di molto le operazioni, ma per una volta il dio dell'inganno non ha molta scelta se non quella di adattarsi alle istanze altrui. Ha bisogno di loro, per quanto la cosa gli appaia detestabile.
Entrano furtivi dentro la casa, facendo attenzione a non fare rumore.
All'interno non c'è più la luce accesa, è tutto buio e immobile. Loki sente un moto di agitazione serrargli la mascella. Dove sono Thor e la ragazza?
Potrebbe accendere un fuoco con la magia, un vecchio trucco, ma non sa se è opportuno. Lui e Stark si muovono a tentoni, reggendosi alle pareti.  
Un'enorme ombra nera si staglia all'improvviso contro l'apertura di una porta strappata via dai cardini.
«Thor?» bisbiglia Stark.
«Sì. Fate silenzio» risponde in un filo di voce il dio del tuono.
«Cosa succede?» ringhia Loki tra i denti.
«Niente, la ragazza dorme».
Che le Norne ti cavino gli occhi, Thor!
Loki sospira stizzito,
«Dobbiamo parlare» asserisce.
«Il fratellino ha ragione, Thor. Abbiamo bisogno di un piano o non usciremo mai da questa situazione» gli fa eco Stark.
«Certo. Andiamo di sopra, però, la ragazza sta...»
«Sta dormendo, abbiamo capito» borbotta il dio dell'inganno, strabuzzando gli occhi. Per fortuna che sta dormendo, comunque. Ci manca giusto che proprio lei crolli per la stanchezza. Cosa avrà fatto Thor per convincerla a prendere sonno, le avrà cantato una canzone?   
Salgono piano le scale scivolose e corrose dal tempo. Stark appoggia in un angolo la sua valigia con l'armatura – come ci starà mai quella diavoleria lì dentro? - e Loki nota alcuni mozziconi di candela in un angolo, incollati con la stessa cera sciolta su una base di ferro arrugginito.
Il silenzio e l'oscurità sono soffocanti come l'attesa.
Il dio dell'inganno passa le dita sugli stoppini anneriti di quel che resta delle candele e un attimo dopo le fiammelle tremule spargono un chiarore incerto per la stanza piena di polvere e ragnatele. Mentre si guarda attorno si chiede ancora una volta come diamine faccia Nadia a trovare attraente quel posto. Ah, già, lei ama le cose spezzate. Ripensa a quello che ha detto a Stark mentre erano su quella barca, a come lui lo abbia guardato con disprezzo.  
«Mi sono informato» esordisce Thor. «Nella biblioteca di Asgard ho trovato dei testi che parlano di questi demoni di fumo».
Loki sgrana gli occhi con un moto teatrale di incredulità.
«Tu hai letto dei libri?» chiede.
Thor solleva le sopracciglia che ora sembrano due punti di domanda dorati.
«Certo che ho letto dei libri» risponde, sulla difensiva.
«Impressionante. Sai leggere?».
Il dio del tuono lancia uno sguardo astioso in direzione del fratello, poi scuote la testa e riprende le fila del discorso.
«Il Mjolnir dovrebbe bastare a eliminarle, ma dobbiamo tirarle fuori dai corpi delle persone, sfiancarle il più possibile» conclude.
«Tutto qui? Così semplice?» borbotta Stark incrociando le braccia sul petto.
«No, non è affatto così semplice» osserva Loki. «Quelle persone ora hanno i poteri dei demoni, possono muovere gli oggetti con il pensiero, hanno forza e agilità sovrumana e uccidere i corpi delle persone non fermerebbe i parassiti che vi si sono annidati»
«Infatti noi non uccideremo proprio nessuno» replica prontamente l'uomo di metallo. «Mi sono spiegato, Terminator con le corna?»
«Immagino che la puntualizzazione sia valida soprattutto per la tua dolce donna bionda, giusto?»
«Cosa non ti è chiaro dell'espressione: proprio nessuno
«Non ci saranno vittime, faremo tutto quanto è in nostro potere per evitare un simile scempio» replica Thor alzando leggermente il tono di voce. «Ad ogni modo, Loki, i tuoi poteri non sono sufficienti a estirpare i mostri dai corpi delle persone?»
«Non ancora. Mi serve Nadia per questo, ma la nostra giovane amica non è tenuta a restare e a rischiare la vita per salvare degli sconosciuti».  
Thor fa uno strano sorriso che sembra quasi una smorfia amareggiata e dondola la testa. Una ciocca di capelli gli cade davanti agli occhi.
«Dopo tutte le dimostrazioni che hai avuto, proprio non riesci a convincerti del fatto che gli umani non siano i codardi smidollati che tu pensi» mormora, come se stesse pensando ad alta voce.
Eccolo che ricomincia con la sua apoteosi della razza umana. C'è gente come quel mentecatto di Stark che va anche bene a fare l'eroe, che certamente ci prova anche gusto, ma Nadia è solo una ragazza e sembra che loro diano per scontato che lei possa e voglia reggere quella situazione. E Loki sa che se lei volesse andarsene e mettersi al sicuro quei due glielo lascerebbero fare, perché non possono obbligarla, perché non è giusto obbligarla. Perché sono degli ipocriti che mettono la giustizia davanti alla necessità.
«Allora non ci resta che sperare che quell'umana in questione non sia una codarda smidollata, perché quello che le si deve chiedere non è da poco» conclude Loki con un'alzata di spalle. Oh, ma ormai è certo di conoscere Nadia tanto da sapere che è folle abbastanza da imbarcarsi in quell'impresa.
«Dunque, il piano sarebbe lasciarti attingere energia dalla pietra per darti la facoltà di esorcizzare i demoni che verranno presi a martellate una volta fuori dai corpi umani?» riassume Stark. «Perché la cosa mi puzza di inganno? Chi ci assicura che una volta che avrai attinto energia dalla pietra non te ne andrai lasciandoci in balia di quegli esseri?».
La prudenza è sintomo di saggezza, indubbiamente. Ma nel caso dell'uomo di metallo qui si sta davvero cadendo nell'idiozia. D'accordo, l'energia della pietra gli servirà anche a fuggire e lasciarsi alle spalle Thor e tutto quel dannato disastro, una volta eliminati i demoni, ma questa cosa riguarda solo lui, non c'è niente di cui Stark debba preoccuparsi.
«Cosa ci trovi di ingannevole nel fatto che io ho tanto interesse quanto te a distruggere quelle creature? Non dimenticare che la tua donna si è ritrovata invischiata perché era nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma loro sono qui per me» osserva Loki. Non vuole la fiducia di nessuno; è semplice logica, non dovrebbe nemmeno star lì a spiegare quelle cose! «Ad ogni modo, ho bisogno di una giornata tranquilla con la ragazza per assorbire quello che mi serve dalla pietra».
«E poi, che facciamo? Cerchiamo uno ad uno i posseduti e gli recitiamo un salmo?» incalza Stark.
«Quanti sono?» domanda Thor incupendosi.
«Non li abbiamo contati, forse una trentina».
Il dio del tuono si massaggia la barba ramata e lancia uno sguardo ai presenti.
«E noi siamo solo in tre» conclude, lapidario.
Sa leggere e sa anche contare. Confortante.
Stark mette su uno di quei suoi sorrisi da bambino che sta progettando di andare a rubare caramelle.
«Potremmo chiamare i rinforzi. Che ne dite di una bella rimpatriata?» esclama.
«Oh, sarei felicissimo di rivedere i tuoi amici, tanto quanto loro lo saranno di rivedere me» borbotta Loki.
A parte le sue personali riserve, comunque sa che Stark ha ragione, gli occorre una mano e gli altri quattro saltimbanchi che ha lasciato a casa sono l'opzione migliore che hanno. Ma non vuole rimanere lì e assistere al piccolo trionfo personale di Stark che si atteggia a maestro di cerimonia mentre organizza tutto quello che c'è da organizzare. Si volta senza aggiungere altro e scende al piano inferiore.
Dalle poche fessure sulle ante delle finestre sprangate filtrano le prime luci del giorno.  
Loki attraversa le stanze vuote, immerso nei suoi pensieri. In una delle camere scorge Nadia stesa su un materasso, rannicchiata sotto il mantello rosso di Thor, e si ferma di colpo sulla soglia della porta. Si ritrova a pensare a come farà adesso Stark a spiegarle la situazione, le dovrà certamente dire degli Avengers, delle persone che stanno arrivando e di sicuro non perderà occasione di infarcire il racconto con qualche altro particolare sui suoi crimini.
E lei non perderà occasione di rammentargli quanto lo trova detestabile.  
E comunque la vista di Nadia con addosso il mantello di Thor lo irrita profondamente.
Ma non vuole svegliarla, non ha voglia di affrontarla. Ha solo voglia di rimanere un po' in silenzio e, finalmente, a una distanza accettabile dalla pietra.

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Note:

Questo è uno dei capitoli che mi è piaciuto di più scrivere. Io li adoro tutti questi tizi!
L'armatura di zio Tony, quella nella valigia, dovrebbe essere una cosa simile a quella della scena del circuito automobilistico di Montecarlo in Iron Man 2. (se non avete visto il film, è lo stesso... lo dico solo per specificare che non me lo sono inventato io il fatto che il caro signor Stark si porti dietro l'armatura compattata in una valigia).

Ci leggiamo venerdì con il prossimo capitolo ^^

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Capitolo 11
*** Capitolo decimo ***


Capitolo decimo


Steve ha sempre pensato che le città fossero caotiche e rumorose, pensava che non ci fosse luogo peggiore di New York. Prima di ritrovarsi nella New York del ventunesimo secolo.
Quel posto è un inferno. Sembra che automobili, bus e persone si siano quadruplicate negli ultimi sessant'anni, che i palazzi siano diventati più alti e ingombranti, le luci più accecanti e invadenti.
E poi ci sono i telefoni cellulari. Sono utili, per carità, ma sono anche così alienanti.
Non è stato molto contento quando Stark gliene ha regalato uno, ha detto che era per la sua sopravvivenza, ma ai suoi tempi Steve ricorda che c'erano i telefoni pubblici a gettoni e la gente sopravviveva lo stesso.
Chiude la porta di casa dietro alle sue spalle, reggendo un sacchetto della spesa. Il rumore sembra interrompersi di colpo, si ritrae e resta confinato dietro il battente di legno.
L'uomo fa un sospiro di sollievo.
Sistema nella dispensa le cose che ha comprato, in fondo al sacchetto c'è il disco... ora si chiamano CD. Un quadrato di plastica lucida con sopra una foto in bianco e nero di Coleman Hawkins che soffia nel suo sassofono.
Steve scarta il disco dall'involucro di cellophane e apre la copertina. Si avvicina al ripiano del mobile dove c'è il lettore CD e posa il disco sulla mensola, staccandolo con molta cura dall'alloggio di plastica al quale è agganciato. Gli hanno spiegato che quegli affari sono delicati, non si devono graffiare e non si devono mettere le mani sulla superficie argentata.
Pigia un tasto e il coperchio del lettore cd si solleva con un sottile ronzio elettrico. Il disco va inserito con la parte argentata verso il basso, poi si richiude lo sportellino e si preme PLAY.
Steve esegue tutte queste operazioni con precisa meticolosità, come un rito, pregustando il momento in cui dalle casse comincerà a spandersi la musica.
Preme sul PLAY e...

I'M ON HIGHWAY TO HELL!
HIGWAY TO HELL!
I'M ON HIGHWAY TO HELL!

Quello decisamente non è Coleman Hawkins. Quella è la stramaledetta suoneria del suo cellulare, omaggio di Stark – sia il cellulare che la suoneria con quella musica oscena che ascolta lui.
L'apparecchio sta vibrando sul piano del tavolo, con il display che si accende a intermittenza. Sul piccolo schermo rettangolare ora campeggia la foto di Stark che sorride e fa il segno di vittoria con le due dita alzate.
«Stark?!» ringhia Steve dopo aver premuto il tasto con la cornetta verde.
«Ciao, Capitano! Come stai?»
«Ora peggio. Quando torni devi fare in modo che il mio cellulare smetta di squillare con questo rumore assurdo».
«Pensavo di sentirti più rilassato, Capitan Dinosauro. La modernità è una vera giungla, eh?».
Steve si passa una mano sul viso e prende un bel respiro. Tony Stark è irritante, ma è pur sempre un amico e in tutta sincerità lui non può dire di non essere contento di sentirlo.
«Sei ancora in vacanza?» gli chiede, ritrovando un tono voce più cordiale.
«Mi piacerebbe poterti dire di sì, ma non sarebbe esattamente vero» risponde l'altro.
«Sei tornato a New York?»
«No, sono ancora in Italia»
«E questa è una telefonata di cortesia?». Steve sa che non lo è, non che Stark sia del tutto incapace di essere cortese, ma adesso lui ha una specie di brutto presentimento, come se ci fosse qualcosa di strano nel tono del suo interlocutore.
«Ti avrei chiamato per sapere qual'è la tua taglia, qui vendono degli adorabili boxer con il campanile di San Marco disegnato in posizione strategica. Tuttavia, c'è qualcosa che al momento mi preme di più».
Steve sospira, guarda il lettore cd con i led ancora accesi e sa che dovrà rimandare a tempo indeterminato l'ascolto del disco che ha comprato.
«Sono tutto orecchi» borbotta.
«C'è un'emergenza, Capitano. Ho bisogno che tu organizzi una rimpatriata con Shrek, Robin Hood e la strega Morgana e che mi raggiungiate, il prima possibile, in assetto da guerra... più o meno. È un codice rosso, anzi volendo mettere la cosa in termini cromatici, direi che la vedo nera» spiega Stark, alzando di qualche ottava il tono di voce.
«Aspetta, aspetta, rallenta» lo interrompe Steve. «Che tipo di emergenza?»
«Il solito, direi. Persone in pericolo, mostri assassini e cose del genere... oh, e c'è anche una donzella in difficoltà, questo può bastare a sbrinare il tuo tenero cuoricino surgelato?»
«Stark, sta succedendo una catastrofe. A Venezia. E Lo S.H.I.E.L.D. non ne sa nulla?»
«Esattamente. E non deve saperne nulla. L'ultima volta il Consiglio di Stato Maggiore ha pensato di risolvere il problema con un missile nucleare, direi che è meglio non farli preoccupare. Vi spiegherò tutto quando sarete qui, ora non ho molto tempo».
Steve non riesce a crederci. Davvero Stark pensa di cavarsela così? Di dire quattro parole al telefono e farli mobilitare tutti per raggiungerlo dall'altro lato del mondo? Magari ha solo organizzato una festa a sorpresa su una terrazza sulla Laguna...
«Stark, ascolta...»
«Steve, ti prego. È una cosa seria. Molto seria».
Per un attimo il Capitano si sente raggelare. Da che ricorda, Tony Stark non lo ha mai chiamato per nome e non ha mai usato quel tono grave, nemmeno nei momenti più drammatici, persino dopo aver sfiorato la morte ha mantenuto il suo contegno da pagliaccio. E ora lo sta... pregando?
«Va bene. Dammi ventiquattro ore» conclude Steve.

***

Una luce livida filtra dalle fessure delle finestre. È tutta la notte che respira l'odore di chiuso e polvere di quel posto e adesso non lo sente nemmeno più.
Nadia emerge pian piano dal sonno, in mezzo al grigiore della stanza spoglia. Si volta su un fianco, stiracchiandosi, avvolta in un bozzolo di calore. Sente un tessuto morbido a contatto con la pelle, le sue dita tastano la stoffa rossa del mantello di Thor, cercando di capire di che meraviglioso materiale sia fatto. Ma quand'è che glielo ha steso addosso? Ah, deve essere crollata addormentata all'improvviso – e lui deve averla presa in braccio e messa a letto. Non deve essere stata una bella figura, dopotutto stavano parlando di cose piuttosto importanti e folli... Asgard, i complessi di Loki, ponti dell'arcobaleno distrutti, l'esilio del dio del tuono su Midgard. Midgard, ha detto proprio così...  
Sbatte più volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza. L'unica nota di colore in mezzo a tutto quel grigio è un'ombra scura, seduta in terra accanto al materasso su cui è sdraiata.
Oh, santi numi...
«Ben svegliata» mormora Loki in tono inespressivo. Che cosa ci fa lì? Ah, certo, la pietra...
Lei ha un sussulto e scatta mettendosi a sedere, avendo cura di tenere addosso il mantello rosso per proteggersi dall'umidità di quel primo mattino.
«Dove sono Tony e Thor?» domanda accigliata.
«Li ho fatti a pezzi e gettati in un canale»
«Non sei spiritoso»
«No, in effetti non è il mio miglior pregio».
Nadia alza gli occhi al cielo e scuote la testa. Si stropiccia il viso con le mani e cerca di rimettere ordine tra i pensieri che si affollano confusi sotto i ciuffi biondi dei suoi capelli scompigliati.
La verità su quel ragazzo che non è un ragazzo è stata un colpo davvero duro. Più di ogni cosa andata storta, più di ogni paura non affrontata. È qualcosa che le brucia dentro, come un marchio, come l'effetto del ghiaccio tenuto troppo a lungo sulla pelle; sì, questa è la sensazione più giusta, un senso terribile di congelamento. Ma quello non è il momento di affrontare Loki, Loki il dio, Loki il cattivo, Loki il manipolatore. E anche se volesse farlo, non ne sarebbe in grado.
Lo guarda e sente che lui è la sua sconfitta più grande. Ma non è quello il momento di innescare un'altra battaglia con lui, perché lui è la chiave per salvare quelle persone. Il pensiero affiora nella mente della ragazza con una lucidità spaventosa, come se nemmeno fosse lei a formularlo, come se fosse in un sogno e stesse guardando le cose dall'altro invece che esserci in mezzo.
Almeno il dio non ha più quel ridicolo elmo e quegli orpelli da drag queen. Però perché la sta fissando in quel modo?
«Cosa vuoi, Loki?» borbotta con un sospiro.
«Mi stavo domandando se il mio caro fratello non ti abbia raccontato una qualche storia strappalacrime sul mio conto»
«Oh, temi di perdere la tua reputazione da supercattivo?».
Nadia non è in grado di dire se le spiegazioni che Thor le ha fornito siano davvero da considerarsi strappalacrime, quel che è certo è che le hanno reso ancora più confusi i suoi pensieri su Loki.
«Dopo tutto quello che ho fatto per conquistare una tale reputazione, direi che è il minimo» ribatte lui, con un mezzo sorriso privo di allegria.
«Tranquillo, non sto combattendo contro l'impulso di abbracciarti» risponde lei. «E comunque, ci sono un sacco di cose che Thor non mi ha detto. Ad esempio chi ti ha sguinzagliato contro quei mostri e perché». E forse non lo ha fatto perché nemmeno lui sa bene come siano andate le cose.
Hai pestato la coda al diavolo, eh Loki?
«E speri che te lo racconti?» borbotta il dio, lisciandosi una piega sulla casacca lunga fino alle ginocchia, distogliendo lo sguardo.
«Hai altro da fare?».  
Loki fa un sospiro, la luce incerta di quell'alba stiracchiata lo fa apparire ancora più pallido. I sentieri azzurrini delle vene si disegnano sotto la pelle alabastrina. No, decisamente il dio delle malefatte non è da compiangere, ma è fragile, di quella fragilità di una pianta cresciuta senza la giusta dose di sole. Ed è orribile e doloroso che abbia tentato di porre rimedio alle sue debolezze con la crudeltà e con gli inganni.
«Si chiama Thanos» dice all'improvviso. «Quando lasciai Asgard, dopo lo scontro in cui Thor distrusse il Bifrost – te ne avrà parlato, sono precipitato in un... oh, voi lo chiamereste ponte spaziotemporale».
Certamente. Esistono gli dei norreni, esistono anche i ponti nello spazio-tempo. Esisteranno di certo anche i vampiri e i goblin... e Babbo Natale e la Fatina dei denti...
«Un warmhall? Come in Stargate?»
«Che?...»
«Niente, lascia perdere. Cose da umana di bassa levatura poco interessanti per un dio. Dicevi?»
«Sono precipitato in questa enorme e infinita voragine nell'universo, fino a quando non mi sono ritrovato in un angolo estremamente remoto dello spazio. Lì ho incontrato Thanos, aveva dalla sua questa monumentale armata di esseri chiamati Chitauri, mi ha fatto da maestro, mi ha mostrato cose che mai avrei creduto possibile anche solo immaginare. Alla fine, abbiamo stipulato un patto, lui voleva una chiave d'accesso per muoversi nell'universo, io volevo un trono».
E lo vuoi ancora, vero, il tuo fottutissimo trono?
Nadia non è sicura di voler ascoltare il seguito di quel racconto. Si circonda le ginocchia con le braccia e china la testa, come quando era bambina e nel film alla televisione si arrivava a qualche scena particolarmente preoccupante. Ma adesso lei è dentro al film, è parte della storia, una pedina di quell'assurdo gioco, e non c'è verso di salvarsi da quell'orrore, dalle ombre che si annidano dietro l'azzurro degli occhi di Loki né dagli esseri che aspettano nel buio di coglierli in fallo per attaccarli.
«Gli promisi che gli avrei consegnato il Tesseract, un manufatto del mio popolo che si trovava sulla Terra, nelle mani di... oh, li conoscerai, certi amici del tuo diletto Tony Stark, se così si può dire».
La ragazza aggrotta la fronte. Quali amici di Tony? Cosa c'entrano adesso gli amici di Tony?... Non ha tempo di fare domande al riguardo perché Loki prosegue con la sua spiegazione.
«Lui in cambio mi avrebbe messo a disposizione il suo esercito, per conquistare la Terra. Ma come puoi immaginare, il fato non mi ha sorriso. Io non gli ho consegnato il Tesseract e ora Thanos vuole vendetta» conclude il dio, con estrema semplicità, come se fosse una cosa assolutamente normale essere perseguitato da un re alieno vendicativo.
Nadia si massaggia la fronte, cercando di assimilare le informazioni appena ricevute, tentando di imporre al proprio cervello di continuare a pensare in termini logici e realistici e reprimendo l'espressione ostile che sta per disegnarsi sul suo viso. Le sembra tutto troppo grande per lei, tutto impossibile da concepire, figuriamoci da affrontare!
«Fantastico, io quindi sto parlando con il mio mancato re. Ricordami di chiederti un autografo quando tutto questo sarà finito» dice coprendo uno sbadiglio con la mano, tentando di dissimulare lo sconcerto con l'ironia. «Chi ha fermato questa follia?». Perché è una follia, anche se Loki non sembra ancora essersene consapevole.
L'espressione del dio si irrigidisce, Nadia lo vede serrare le mascelle e quasi arricciare il naso in un moto di disgusto mentre lo sguardo si fa cupo.
«Stark, Thor e un'altra accozzaglia di... personaggi non meno folli di me» conclude, con le parole che gli inciampano sulle labbra.
«Gli Avengers. Abbiamo persino un nome, rammenti, Bambi?». Tony fa il suo ingresso nella stanza, reggendo in mano un sacchetto dal quale si spande un profumo di buono. «Ho fatto un salto veloce a un forno qui vicino e ho rimediato la colazione. Perché non avete le ciambelle glassate in questa città galleggiante?».
L'imponente figura di Thor segue a ruota l'americano. Ora che ci sono tutti, Nadia ha quasi paura ad aprire bocca, teme che una domanda sbagliata possa far scoppiare il caos. Apre il sacchetto che Tony le sta porgendo e tira fuori una brioche di pasta sfoglia e una lattina di té freddo, lanciando verso l'uomo uno sguardo di gratitudine.
«Sono certo che vorrai proseguire tu il racconto delle vostre mirabolanti gesta» dice Loki, con quel suo fare ostile e altezzoso. «E già che ci sei, spiega anche a Nadia come stanno le cose».
La ragazza sente il cuore contrarsi per un'ondata di panico, stringe la lattina e fa traboccare qualche goccia di té sul materasso.
«Sono sicuro che Nadia sia abbastanza intelligente da averlo capito da sola» replica Tony. «Non tutti hanno bisogno di farsi dare una lezione da Hulk, sai?».
Chi o che cos'è Hulk? Cosa c'è ancora?
Nadia punta in faccia a Tony due occhi smarriti, colmi di preoccupazione. E sente freddo, malgrado il mantello, malgrado la luce del sole stia diventando più nitida e calda. E sa che la sua famiglia sarà preoccupata da morire quando scoprirà che non è rientrata a casa. E sente che lì è tutto sbagliato, che lei è la persona sbagliata.
«Abbiamo bisogno di te» asserisce Tony. «Non ti mentirò, nessuno ti obbligherà a restare. Se tu adesso tornassi a casa e stessi lontana da Loki probabilmente i mostri ti lascerebbero in pace perché non è te che vogliono, ma senza quella pietra non potremmo salvare quelle persone».
E Loki non potrebbe salvare se stesso...
«Restare sarà rischioso, è inutile negarlo. Puoi fare questo, Nadia?» gli fa eco Thor.
Sente gli sguardi degli altri pesare su di lei come macigni. Solo Loki tiene gli occhi rivolti altrove.
E tutto quello che ora Nadia vorrebbe fare è alzarsi e scappare via, tornare alla sua vita, dire alla sua famiglia che si è sbagliata, che non vuole andare da nessuna parte, che vuole restare con loro in quella vita piatta e tranquilla. Non vuole sentire mai più quella paura scorrerle nel sangue come veleno, non vuole mai più provare la consapevolezza di stare per morire. Non vuole mai più sentir parlare di divinità, di mostri, di persone da salvare. Non è mai stata capace di salvare sé stessa, come possono aspettarsi che li aiuti a salvare altra gente? Loro sono... lei non è...
Sente una lacrima capitolare oltre le ciglia, ne sente il sale mentre scivola sulla guancia come se fosse alcol su una ferita.  
«Certo che resterò» mormora. In quello stesso istante Loki alza lo sguardo e la fissa negli occhi.
Ora Nadia sa di aver firmato la propria condanna a morte. Perché lei non è un'eroina, perché le persone comuni non sopravvivono a cose come quella, ma non essere eroi non significa essere codardi e la sua coscienza non le ha lasciato scelta.
Tony le sia avvicina, le poggia una mano sulla spalla e stringe leggermente. C'è la gratitudine in fondo al suo sguardo, negli occhi di Nadia invece ci sono solo lacrime di paura ma si sforza ugualmente di sorridere.
«E ora cominciano le buone notizie» dice Tony, lasciandola andare e ritrovando quel suo sorrisetto da satiro. «Ho fatto una telefonata e stanno arrivando i rinforzi».
«Stanno proprio arrivando allora» borbotta Loki.
«Sì, ed è meglio che tu metta su il tuo abito da festa perché nessuno sarà contento di vederti, piccolo cervo».
La ragazza cerca di rimettere in moto il cervello, di far ripartire gli ingranaggi paralizzati dalla paura. Perché ha sempre la sensazione di essersi persa un pezzo? Di che accidenti stanno parlando adesso?
«Chi è che sta arrivando?» domanda, serrando le dita attorno al margine del materasso.
«Gli altri» risponde Tony, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Zio Bruce, zio Clint, la cugina Natasha e nonno Steve, i Vendicatori, i supereroi che le hanno suonate al tuo amichetto rocchettaro. Sono certo che ti piaceranno».
Supereroi?
«Non stiamo... ehm, davvero parlando di gente in calzamaglia che fa cose miracolose armata di spirito di sacrificio e amore patriottico, vero?»
«No, solo Steve, il Capitano, è quel genere di persona, gli altri, beh... Clint Barton e Natasha Romanoff sono due agenti di un'associazione segreta, sono tipo Attila, dove passano loro non cresce più l'erba; Bruce, il dottor Banner, lui invece è un tipo mansueto e del tutto inutile se non lo fai irritare, ma troveremo il modo di servircene. E poi ci sono io e c'è il campione di pesi massimi che cavalca gli arcobaleni... sei in una botte di ferro, Colombina.» conclude Tony per poi voltarsi con fare teatrale in direzione di Loki. «Diglielo che siamo forti, Bambi!»
«Un ammasso di muscoli, cervelli sotto la media e soprannomi ridicoli. Sì, sei decisamente in ottime mani» borbotta il dio, un attimo prima di lasciare la stanza.     

***

Loki si siede in un angolo della stanza al piano superiore della casa. Guarda le ombre senza forma disegnarsi sui muri dall'intonaco scrostato.
Non aveva dubbi sul fatto che Nadia, alla fine, avrebbe accettato di restare – lei, a suo modo, è una guerriera, questo lui lo ha intuito da subito. Quello su cui nutre seri dubbi è il fatto che lei sopravviva. Ma non è importante, lui stesso aveva più volte pensato a come eliminarla, a farle del male... ma ancora una volta il pensiero che le accada qualcosa lo turba e lo irrita. Lui aveva progettato di farle del male, personalmente. Ma che lei rimanesse coinvolta in uno scontro tra lui e i mostri di Thanos non è qualcosa che trova particolarmente allettante, non lo ha mai trovato allettante e questo è una spina nel fianco del suo orgoglio. Quell'orgoglio che ora gli impone di fare tutto ciò che è in suo potere per risolvere la situazione, perché lui non ha mai voluto che gli venissero immolate delle vittime, perché odia le cose stupide e una morte senza senso è una cosa molto stupida.
Stende una mano; le ombre sul muro diventano serpenti scuri che cominciano a strisciare lentamente sulle pareti.
Tutta quella situazione è stupida. Lui lì, con Thor e con i dannati Avengers che stanno arrivando a salvare quelle persone e a salvare il loro vecchio nemico. È più che stupido, è nauseante.
Il dio dell'inganno quasi non ricorda dei giorni in cui l'universo gli sembrava immenso e pieno di possibilità. Con tanto infinito spazio, si chiede come diamine sia finito confinato in quel luogo orrendo, chiuso in quella casa a nascondersi e a doversi preoccupare della sorte di una mortale che sarà polvere quando lui un giorno sarà re.
I serpenti cominciano a combattere tra loro, spalancano le bocche e fanno sibilare lunghe lingue rosso sangue. Diventano un unico nodo di buio, con le spire che si intrecciano sempre più strette.
Loki conosce l'odio, è come un diamante con mille sfaccettature e lui le ha viste tutte, ci si è tagliato la pelle e l'anima. L'odio è qualcosa che esplode, come una stella che compare nel cielo e resta accesa all'infinito orientando le azioni delle persone, una fiamma inestinguibile. Eppure adesso non è l'odio a muoverlo; c'è l'istinto di sopravvivenza, c'è l'orgoglio, certo. Ma c'è anche dell'altro. Qualcosa che il dio non riesce a comprendere, qualcosa di... di umano. E questo qualcosa lo turba e lo disgusta.
Le serpi sulla parete ora sono una sfera di oscurità che produce un sibilo sofferente.
Lo scricchiolio del pavimento strappa Loki alle sue riflessioni. Thor compare sulla porta e resta lì, fermo per qualche secondo, occupando l'intero spazio dell'apertura, quasi come a volergli dire di averlo messo spalle al muro.
Messo spalle al muro da suo fratello. È la storia della sua vita.
«Sei qui» borbotta il dio del tuono, sembra persino un po' imbarazzato.
«Evidentemente».
Thor entra nella stanza, a passi lenti, come se cercasse di prendere tempo per dire quello che deve. Ma Loki non ha alcuna voglia di ascoltarlo.
«Non lo avrei mai sperato» gli dice all'improvviso, incrociando le braccia sul petto muscoloso. «Un'altra battaglia da combattere assieme».
Il dio dell'inganno serra i pugni, i serpenti sulla parete svaniscono e tornano ad essere ombre senza forma. Adesso il figlio di Odino ricomincerà con una delle sue filippiche sul loro legame e sul loro glorioso passato; e tra mostri alieni e lunghe giornate su Midgard e interazioni con esseri umani poco interessanti, Loki davvero non è pronto a sopportare anche questo.
«Non ho alcuna intenzione di parlare con te» dice perentorio.
Thor scrolla le spalle, stringendo le labbra sotto la barba dorata.
«Va bene. Non parleremo allora» conclude tranquillo, appoggiandosi con la schiena contro il muro e mettendosi a fissare con aria pensierosa un punto indistinto.
Loki trattiene un sospiro stizzito. La sua ingombrante presenza lo irrita anche quando non fa niente.
«Ad ogni modo» esordisce Thor all'improvviso, dopo soli pochi secondi di silenzio. «So che sei preoccupato».
Loki gli lancia uno sguardo torvo e un ghigno infastidito.
«Molto perspicace, bravo» mormora.
«Ma io ti do la mia parola, fratello, che non le accadrà niente».
Non le accadrà niente? Sta parlando della ragazza. Sta davvero pensando che io sia preoccupato per la ragazza.
«Non è per lei che sono preoccupato» puntualizza il dio dell'inganno. «E, ad ogni modo, tu non dovresti fare promesse che non puoi mantenere».
Thor lo fissa con uno strano sguardo perplesso che lo fa apparire, se è possibile, ancora più stupido.
«Sei stato qui due settimane, Loki. Persino il tuo cuore non può essere così insensibile da non aver provato anche solo un barlume di simpatia. Vorresti forse farmi credere che non hai trovato niente di bello in questo posto?»
«Se anche ci fosse qualcosa di bello, ti assicuro che non ho avuto il tempo di cercarlo» dichiara il dio inarcando un sopracciglio. «Comunque sia, se anche mi fossi dato pena di provare simpatia per la ragazza, sarebbe stata fatica sprecata»
«Perché dici questo? Sei sempre stato così maledettamente pessimista!».
Pessimista?
A Loki quasi scappa di bocca una risata esasperata.
«In questo dannato piccolo mondo, io sono il mostro cattivo, Thor», lo dice senza rimpianto e senza astio. Ma anche senza alcun dispiacere. È un dato di fatto che non necessita di alcuna argomentazione.
Suo fratello apre la bocca per questionare, ma non riesce a trovare una sola parola per controbattere. Adesso Loki si sente meglio, se non altro è riuscito a zittire il petulante dio del tuono.


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Note:

Coleman Hawkins è un sassofonista jazz degli anni '40. La canzone che Steve ha come suoneria, essendo il cellulare un gentile omaggio di Tony, è “Higway to hell” degli AC/DC.
Cosa succede a Loki quando si lascia cadere nel vuoto alla fine di Thor... quella cosa del warmhall non l'ho inventata io, l'ha spiegata Tom Hiddleston in un'intervista. Direi che possiamo fidarci...
Si ringrazia Keyra93, la mia (tra le altre cose) spacciatrice di materiale meraviglioso e interessante, per il link alla suddetta intervista.

Piccolo-spazio-pubblicità.
Insomma, volevo segnalrvi questa one-shot di _Eleuthera_ in questa stessa sezione che secondo me merita di essere letta e anche riletta, per quanto è fresca ed originale ...Loki, una libreria e tante cose carucce :)

Ci leggiamo mercoledì con il prossimo aggiornamento.
Ciauz

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Capitolo 12
*** Capitolo undicesimo ***


Capitolo undicesimo


«Non mi piace, non mi piace neanche un po'» mormora Burce Banner guardando gli aerei che decollano dalla pista del J.F. Kennedy, enormi sagome bianche che si alzano verso un cielo grigio temporale.
«Coraggio, dottore. Hai già volato una volta» risponde Natasha, battendogli una mano sulla spalla.
«Sì. E sono l'unico a ricordarsi come è andata a finire?» insiste lo scienziato, torcendosi nervosamente le mani.
Oh, lei se lo ricorda benissimo come è andata a finire. Ma stavolta non ci sarà nessun nemico in arrivo pronto a far saltare in aria i motori, quello su cui devono salire è un semplice volo di linea intercontinentale.
«Dov'è Barton?» domanda Rogers, guardandosi attorno.
«A sbrigare qualche pratica. Il tuo scudo non passerebbe al chek-in. E nemmeno le nostre valige» spiega l'agente Romanoff. C'è una certa agitazione, anche sotto la sua aria di calma imperscrutabile da deformazione professionale.
Se solo Stark avesse fornito loro qualche dettaglio in più.
E se solo non si fosse così caldamente raccomandato di tenere nascosta la cosa allo S.H.I.E.L.D, a quest'ora starebbero volando sul Quinjet e non ci sarebbe alcuna pratica da sbrigare per imbarcare le armi.
L'agente Romanoff è brava a improvvisare, ma c'è un limite a tutto. E, in ogni caso, detesta perdere tempo quando c'è del lavoro da sbrigare. Anche se ancora non ha capito di che si tratta, come nessuno di loro. Semplicemente ha voluto fidarsi del Capitano; se anche non avesse voluto prestare fede all'allarmismo di Tony Stark, crede almeno nel suo buon senso da soldato che non gli avrebbe lasciato allertare tutti loro se la questione non fosse stata davvero urgente. Ma è sicura che c'è una qualche ragione per la quale Stark non si sia dilungato in spiegazioni, e la cosa non promette affatto bene.
L'aeroporto di New York è un tappeto di facce che si confondo, il sibilo delle ruote dei trolley si mischia alla voce metallica che annuncia i voli in partenza e in arrivo dai megafoni. È tutto un ronzio di neon e odore di detersivo e plastica.
Tony ha inviato loro un messaggio di testo con un indirizzo di Venezia e con le istruzioni per localizzarlo attraverso il segnale gps del suo telefono cellulare – che probabilmente oltre a fare telefonate, prepara anche il tè, pilota barche a distanza e si trasforma in uno spazzolino da denti o in una tenda da campeggio.
Il brillante signor Stark ha proprio paura che non riescano a trovarlo; cioè, ha paura, è evidente. E adesso Natasha si sta chiedendo di cosa, sarebbe davvero utile saperlo, perché la paura è quella che aiuta a essere prudenti, a non sbagliare. Se il segreto di Bruce Banner sta nell'essere sempre arrabbiato, quello delle persone come lei sta nell'essere sempre impaurite... ma deve mettersi l'anima in pace e accettare la missione a scatola chiusa. Sarà comunque un buon modo di passare il tempo, forse. Sicuramente migliore della vacanza caldamente consigliata dal direttore Fury.
«Andiamo?». Clint arriva all'improvviso, anche lui ha l'aria tranquilla, ma Natasha è certa che stia pensando più o meno le stesse cose che sta pensando anche lei. «Puoi farcela, Banner?».
«Ho scelta?» domanda il dottore con un mezzo sorriso titubante.
«Puoi scegliere di, non so, farti una dormita. In prima classe non ci sono le hostess che fanno i massaggi?»
«Penso che comprerò una rivista enigmistica».
Clint fa una strana smorfia perplessa.
«Davvero? Il sudoku non ti rende nervoso?».
La voce nel megafono annuncia che al gate numero 9 è aperto l'imbarco per il loro volo, i quattro si mettono in fila insieme agli altri passeggeri.
Natasha ripassa mentalmente l'itinerario. Il volo è un diretto, fino all'aeroporto di Malpensa, a Milano; una volta lì l'idea sarebbe di noleggiare una macchina per raggiungere Piazzale Roma, a Venezia, l'ultimo pezzo di asfalto prima del cuore della città sull'acqua. Trecento chilometri di autostrada, circa, se tutto va bene, tre ore di viaggio dall'aeroporto di Milano alla loro destinazione.
Ha calcolato tutto, studiato il tragitto e memorizzato le tempistiche. Ma ha come l'impressione che il viaggio sarà la parte meno ardua della faccenda.
«Sai a cosa sto pensando?» dice Clint con un filo di voce al suo orecchio, mentre si accodano alla fila di passeggeri.
Sì, lo sa a cosa sta pensando, lo sa quasi sempre.
«Che è un peccato non poter provocare una commozione cerebrale anche a Bruce per viaggiare più sereni?» mormora in risposta, con aria sarcastica.
«Sto pensando che Fury lo verrà a sapere comunque di questa nostra piccola gita scolastica, e quando lo saprà... ah, spero proprio che sia una cosa seria, come dice Stark».
***

«Tu non metterai piede fuori di qui!».
I toni soavi che arrivano dal piano di sopra sono quelli di Loki. Dopo queste parole vagamente minacciose si sente il rumore di un tonfo sordo.
Quella casa ha tutta l'aria di poter crollare da un momento all'altro se solo il vento soffiasse un po' più forte e i rumori che dal piano superiore si propagano attraverso quelle fragili pareti hanno un che di inquietante.
Il Capitano aveva chiesto ventiquattro ore e sono già passate da un po'. Ventiquattro ore chiuso in quella casa con il trio peggio assortito della storia. E fuori di lì persone possedute da demoni di fumo che fanno la ronda per Venezia cercando il piccolo cervo dalle brutte compagnie. E in mezzo a loro la sua Pepper.
«Non sarai tu a decidere. E smettila di puntarmi contro quel dito». Questa è Nadia, soave anche lei.
«È una follia» replica Loki, a voce ancora più alta.  Pensandoci, il dio gracilino non è tipo da alzare la voce, è inquietante, sociopatico, maniaco omicida, ma solitamente è molto pacato, anche quando si arrabbia. E invece ora Tony se lo figura paonazzo in viso mente lo sente praticamente urlare contro la loro bionda amica.   
Altro tonfo sordo, rumore di scalpiccio e qualcosa che sbatte. Ora anche Thor guarda verso l'alto con aria allarmata.
Forse quei due se le stanno dando di santa ragione e loro farebbero meglio a intervenire.
«Una follia! Ha parlato mister salute mentale». Va detto, a beneficio della ragazza, che ha il senso dell'umorismo. E che ha fegato, un fegato grosso come una casa.
A dirla tutta, a Tony non piace l'idea di Nadia sola in una stanza con Loki. Anche appurato che lui non può farle del male perché lei è il suo caricabatterie magico, gli dà ai nervi pensare che quell'essere giri a meno di un chilometro di distanza dalla ragazza – la ragazza che trova divertente riuscire a spezzare, come ha detto. La ragazza che si crede tanto brava da riuscire a tenergli testa ma che si ritroverebbe sventrata sul pavimento se solo il caro cerbiatto volesse.
Perché Loki è subdolo e pericoloso e adesso Tony non ne può più di non sapere cosa stanno combinando quei due al piano di sopra.
Si alza e si avvia lungo le scale. E quello che vede una volta arrivato non gli piace nemmeno un po'.
Nadia è spalle al muro, lo sguardo furioso di chi sopporterebbe qualsiasi tortura piuttosto che ammettere di essere sul punto di farsela addosso, anche se è chiaro che ha paura. Loki la tiene ferma contro la parete, con le mani serrate attorno ai suoi polsi e la guarda come se volesse staccarle la testa.
Brutto pezzo di merda.
«Lasciala andare sub...». Tony non fa in tempo a finire di pronunciare quell'ordine perché Loki è costretto a ritrarsi con un gemito di dolore. Sì, le ginocchiate nello stomaco devono fare proprio un male cane, anche se sei una divinità e specie se date da una donna furibonda...
Brava Colombina, ti sei meritata un mese di vacanza con l'agente Romanoff.
Loki solleva lo sguardo furioso, guardando Nadia in cagnesco.
«Me la pagherai. Quando tutto questo sarà finito...» sibila.
«Te la pagherò, certo. È tutto quello che sai dire» replica lei, astiosa da far quasi spavento.
Tony avrebbe qualche commento molto ironico e assolutamente brillate da fare, ma non può perdere tempo a parlare, deve mettersi in mezzo a quei due prima che si ammazzino sul serio.
«Ehi, vediamo di calmarci tutti quanti, ok?» suggerisce, parandosi davanti a Loki, alzando le mani.
Ma è come dire a una bomba a mano di non esplodere una volta che si è sganciata la sicura.
Il dio nemmeno lo ascolta, lo scaraventa via mandandolo gambe all'aria sul pavimento. Fa due passi verso Nadia.
«Tu, piccola impudente» esordisce con la voce che sembra il rumore del ghiaccio quando si spezza.
Grazie a Dio non fa in tempo a mettere le mani addosso alla ragazza... grazie al dio, in realtà. Il martello di Thor ruota a mezz'aria, colpisce Loki sul petto e lo mette KO, lasciandolo inchiodato al pavimento.
«Loki!» interviene il dio del tuono, scandalizzato più che interdetto. «È una fanciulla».
No, no, pessima cosa da dire davanti a una donna arrabbiata. Accidenti, si vede che quei due sono fratelli, hanno la stessa incapacità di comprensione dell'animo femminile. Una donna arrabbiata non è mai una fanciulla, una donna arrabbiata è più che altro una calamità naturale.
«Sapete che vi dico?» sbotta Nadia. «La fanciulla ha una famiglia che sarà preoccupata per lei. La fanciulla adesso va a trovare il modo di calmare i suoi genitori prima che chiamino la polizia. Che è esattamente quello che volevo fare prima che quello lì cominciasse a fare l'isterico!».
Un attimo dopo la ragazza è già schizzata via.     
Hanno tutti i nervi a fior di pelle, lei più degli altri, è normale, si è ritrovata coinvolta in quel delirio da un tizio che credeva essere un ragazzo qualsiasi e per il quale quasi certamente aveva anche una cotta, che ha scoperto essere un dio malvagio, che si veste da damerino del medioevo e che l'ha messa in un pericolo mortale. E come la fermi una così?
Tony si alza dal pavimento, corre caracollando giù dalle scale tentando di raggiungere Nadia. La ferma appena in tempo; prima che lei apra una finestra da scavalcare, l'uomo si getta di peso sull'anta di legno tarlato chiudendola di schianto.
«Aspetta» le dice con il fiato corto. «Su, Colombina, fai un bel respiro e calmati».
L'espressione furiosa della ragazza sembra rabbonirsi. Lei gli è stata simpatica dal primo momento – aveva dato una mano a Pepper, sta ancora dando una mano a Pepper, una grossa grossa mano – evidente la simpatia è reciproca, ed è contento di avere una qualche possibilità di farla ragionare.
Dal piano di sopra arrivano altri rumori poco rassicuranti. Forse adesso sono Loki e Thor che se le stanno suonando, e non sarebbe male, una scazzottata tra fratelli risolve sempre un sacco di cose e se quell'idiota di Bambi si rompesse il naso non sarebbe più brutto di quanto già non è.
«Come si fa fuori un dio norreno sbruffone?» borbotta Nadia con un sospiro.
«Non l'ho ancora scoperto, ma è dalla prima volta che ho incontrato Loki che mi chiedo se una vasca piena di acido non sarebbe utile allo scopo».
Per un attimo la ragazza sembra sul punto di mettersi a ridere, ma torna seria un secondo dopo.
«Devo vedere la mia famiglia, Tony. Devo dirgli che sto bene e che è tutto a posto... anche se è una bugia».
Certo, è naturale e comprensibile. E sarebbe anche utile al fine se lei potesse tranquillizzare la sua famiglia, non gli occorre anche la polizia in giro a cercare una persona scomparsa.
Din-din-din... Stark!
Dal centro del cervello di Tony parte l'allarme che scatta ogni qualvolta lui è sul punto di fare qualche idiozia.
Non sarebbe proprio una totale idiozia, in realtà. Quante probabilità ci sono che gli indemoniati li trovino nel tragitto dalla casa all'albergo dei genitori di Nadia? Non molte, in realtà, e se anche li trovassero... si saranno sparpagliati per tutta la città, se indossa l'armatura può benissimo tenere testa a un certo numero di persone con i superpoteri, nel caso dovessero incontrare un gruppetto di ronda.
E comunque, è talmente assuefatto a sentire quel trillo di allarme nella sua testa che ormai neanche ci fa più caso.
«Ce l'hai una scusa da raccontare a casa?» domanda con aria ammiccante.
«No, non ci ho pensato, in realtà».
Lui sorride, alza lo sguardo verso il piano di sopra, dove Loki e Thor saranno ancora intenti a prendersi a botte o a fare qualsiasi altra cosa utile a sfogarsi – dovrebbero trovarsi la ragazza, tutti e due.
«Io una scusa ce l'avrei» dice a Nadia, strizzando l'occhio.  
Din-din-din... allarme... cazzata in arrivo... cazzata in arrivo!
La ragazza sembra illuminarsi e lui si decide definitivamente ad ignorare il monito che arriva dalla sua testa.

***

Fuori, all'aperto. Che meravigliosa sensazione.
Nadia e Tony stanno attraversando i vicoli più deserti di Venezia, nel sestriere di Dorsoduro, diretti all'albergo della sua famiglia. E va tutto bene, niente persone possedute da demoni in vista, niente persone, in generale, a quell'ora della sera, in quelle stradine nascoste che di solito, ai comuni mortali come lei fanno anche un po' paura.
È una serata calma, con un bel vento tiepido. Se si concentrasse, se riuscisse a pensare intensamente forse le sembrerebbe tutto assolutamente normale, ma poi le capita di lanciare qualche sguardo alla strana valigia che Tony si porta dietro e ogni illusione di normalità evapora nel nulla.
Non c'è più niente di normale. Nadia si chiede quanto durerà tutta quella storia e si chiede anche cosa c'è in quella valigia, cosa ha a che fare quella roba con la fantomatica armatura, ma non ha voglia di fare domande ed è immensamente grata che Tony stia tenendo a freno la sua lingua lunga.
Ma di certo anche lui non sta messo bene. Lei non ha il coraggio di fare il minimo accenno alla cosa, ma il fatto che quei mostri abbiano preso Pepper deve averlo distrutto, per quanto lui tenti di non darlo a vedere. Pensandoci, sembra fin troppo abituato a gestire questo genere di situazioni e Nadia è curiosa di conoscere questi Avengers. Anche se il pensiero di una squadra di persone che si fanno chiamare Vendicatori non aiuta a smaltire l'ansia.
«È questo?» domanda Tony, fermandosi davanti all'insegna dell'albergo.
A Nadia sembra di essere stata lontana da lì da una vita e invece manca da casa da solo un giorno. Sta scappando, nascondendosi nella sua stessa città a una manciata di isolati da casa sua e adesso deve anche trovare una bugia abbastanza convincente da dire ai suoi. E sa che deve... salutarli.
«Sicuro di avere una buona idea su cosa raccontare?» chiede a Tony.
Lui le lancia un'occhiata ammiccante.
«Sicuro. Tu stai al gioco».
Un attimo dopo entrano. Mentre attraversano la soglia, la ragazza sente le lacrime pungerle gli occhi, ma sa che deve ricacciarle indietro.
«NADIA!». Sua madre, dalla reception fa un balzo e quasi scavalca il bancone per andarle incontro, seguita a ruota da sua sorella. Un gesto così vistoso e rocambolesco va contro tutte le loro regole di sobrietà e discrezione; diversi clienti seduti nella hall si voltano a guardare.
Sara le afferra una braccio e quasi le conficca le unghie laccate di blu nella carne.
«Dove cazzo sei stata?» le sibila a bassa voce, come se stesse facendo uno sforzo sovrumano per non mettersi a urlare.
Un attimo dopo compare anche suo padre che si accoda al gruppo.
Le lacrime si fanno più insistenti, trattenerle fa quasi male. Sente che Tony le posa una mano sulla spalla.
«Signori, siamo infinitamente dispiaciuti di aver creato questo piccolo disguido» dice lui all'improvviso. «Ma si dà il caso che la nostra giovane Nadia sia stata scelta per uno stage fotografico a... ehm, a Milano. L'abbiamo trattenuta in uno studio per delle prove e non c'è stato modo di...».
Nadia passa in rassegna le facce della sua famiglia. Non sembrano molto convinti.
«Mi dispiace di avervi fatto preoccupare» dice, interrompendo Tony che sembra in evidente difficoltà. «Non vi avevo detto niente dello stage perché non volevo darvi un'altra delusione se fosse andato male... io dovrei stare via qualche giorno».
È delirevole, è assurdo... i suoi non sembrano convinti nemmeno un po'. E Sara ha un'espressione fin troppo strana, sembra sul punto di esplodere.
«Ci hai fatti spaventare a morte! Stavamo per chiamare la polizia» borbotta sua madre.
Sì, lo so. È per questo che sono qui.
«E poi, con quella storia di quelle cose strane che sono successe alla Corte dell'Angelo, pensavamo che tu fossi lì...».
Nadia si sente stringere lo stomaco con così tanta prepotenza che per poco non le viene da vomitare per lo shock.
«Oh... no, non ero lì. Cosa è successo?» chiede, cercando di apparire misuratamente incuriosita e tranquilla. Lei e Tony si scambiano una rapida occhiata complice.
«Sembra che sia morto un uomo, parlano di cose strane. Addirittura di allucinazioni di gruppo dovute a qualche cosa di chimico che c'era forse nei fumi di scena del concerto» spiega la signora Angela, scuotendo il capo sconcertata. «Sembra che stiano ancora indagando, non si capisce niente».
Nadia strabuzza gli occhi. Allucinazioni di gruppo? È così che hanno liquidato la cosa? Beh di certo non essere al corrente di un'invasione di mostri alieni aiuterà molta gente a preservare la propria sanità mentale – e Nadia al momento sta invidiando quella gente.
«E comunque, lei chi è?» aggiunge suo padre, squadrando Tony dalla testa ai piedi.
«Tony Stark» risponde Sara al posto suo, con fare saputo ed evidente aria di irritazione. «Cosa c'entra un inventore miliardario con i concorsi di fotografia?».
Nadia si sente sprofondare. Certo, sua sorella segue un sacco di storie bizzarre su internet, e in fatto di personaggi strani ne sa più di lei – forse Sara ha persino sentito parlare degli Avengers.
«Io sono il promotore del concorso di fotografia» ribatte Tony, senza mostrare alcun cedimento. «Sto cercando dei giovani fotografi in giro per il mondo per realizzare un catalogo della prossima Stark Expo. Posso rimediarti un invito, Carmilla».
Il signore e la signora Berton si guardano in viso, increduli e senza capire una parola di quello che ora si sta dicendo, ma Sara fa un sorriso a trentadue denti e anche Nadia finge un'espressione entusiasta e questo sembra bastare a convincerli o quanto meno a far smaltire loro un po' di preoccupazione e sospetto.
«E Laufeyson? È sparito anche lui» dice all'improvviso suo padre, sentendosi rassicurato dallo scambio di sorrisi tra le due figlie.
Tony lancia a Nadia una furtiva occhiata interrogativa.
«Low Key Laufeyson» risponde lei tirando una discreta gomitata all'americano. «Lui è un collaboratore del signor Stark, per questo mi ha accompagnata a fare alcune fotografie».
«Oh, giusto. Low Key, uno dei miei peggiori acquisti, non vedo l'ora di licenziarlo» risponde Tony scuotendo la testa. «Immagino ci sia un conto da saldare, sistemiamo la faccenda e poi andiamo perché io e Nadia avremmo un treno da prendere, giusto?».
La ragazza annuisce, mentre Tony segue suo padre alla reception.
«Ma quanto tempo starai via?» domanda sua madre.
«Non lo so, qualche giorno, forse una settima»
«Parti senza nemmeno fare le valige?»
«Credo che lì troverò tutto quello che mi serve»
«Però telefona»
«Ci proverò, è che da quanto ho capito avremo degli orari da ufo».
Nadia sente su di sé lo sguardo di sua sorella, si volta a guardarla e si accorge che Sara ha ancora un'espressione strana. Sara non se l'è bevuta del tutto e ora lei le sta lanciando un'occhiata mortificata.
Mi dispiace, non posso spiegarti. Ti prego, cerca di capire...
Nadia non vuole ammetterlo nemmeno con se stessa, ma se quella è l'ultima volta che vede i suoi genitori, come commiato fa davvero schifo.

Pochi minuti dopo lei e Tony sono di nuovo fuori. E adesso Nadia non riesce a trattenere le lacrime.
Piange in silenzio per un bel pezzo di strada, con la penombra della sera che nasconde il volto rigato.
«Andrà tutto bene» dice Tony all'improvviso, senza voltarsi a guardarla, lasciandole quella specie di privacy. «Me lo hai detto tu, me lo hai promesso» le ricorda cercando di imprimere a quelle parole tutta la rassicurazione di cui è capace.
Sì, glielo ha promesso, perché voleva portarlo via prima che il demone che si era impossessato di Pepper lo facesse a pezzi e lui finisse ucciso da un essere con le sembianze della sua donna. Glielo ha promesso sapendo di mentire, perché mentire a lui e a se stessa è tutto quello che Nadia poteva fare, perché lei non è un'eroina e solo gli eroi possono concedersi il lusso della verità in certi frangenti. Lei non è un'eroina, probabilmente è più simile a Loki, una persona fragile con il bisogno di mentire per celare le proprie debolezze, che è quello che forse sta facendo da tutta la vita.
Non dice niente, non sa che dire. E se anche volesse sforzarsi di cercare le parole non le resterebbe il tempo perché ora, in fondo al vicolo, la strada è sbarrata da un gruppo di cinque persone.
Quando i cinque sconosciuti alzano la testa i loro occhi sono scintille d'argento.
Fottuti.
È l'unica parola che ora viene in mente a Nadia.
Lei si ritrova paralizzata, a fissare quegli occhi disumani che la fissano a loro volta. E alle sue spalle arriva un rumore strano, un sibilo metallico.
La ragazza si volta appena in tempo per vedere Tony sparire inglobato da lamiere di lucido metallo rosso e oro che  si dispiegano come un origami lungo tutto il suo corpo, seguendone alla perfezione le forme. L'armatura...
Sul pettorale si accende un triangolo di luce azzurrina e una maschera dorata cala sulla faccia come la visiera di un elmo, dove due fessure oblique si accendono al posto degli occhi.
«Bentrovato signore, non l'aspettavo così presto» dice una voce atona dall'accento robotico. «Spero che il suo soggiorno a Venezia sia stato piacevole».
L'armatura... parla? Parla e sembra Alfred, il maggiordomo di Bruce Wayne!
«Poteva andare meglio. Abbiamo una piccola emergenza, Jarvis» dice Tony. «Pronto?»
«Come sempre, signore».      

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Note:
Capitolozzo breve, di passaggio.
Dialogo demente tra gli Avengers in aeroporto, tanto per gradire e per spezzare un po' con i drammi veneziani (non so voi, ma io se fossi una persona con problemi di gestione della rabbia non mi metterei a fare il sudoku in aereo).
La logistica del viaggio dei nostri verso Venezia è più che altro improvvisazione letteraria, ma mi sembra abbastanza palusibile.
Giusto per essere chiari, visto che Tony dice che le ventiquattro ore chieste da Steve sono già passate, va da sé che i vari paragrafi (non solo di questo capitolo, ma in generale) non raccontano scene che si svolgono sempre e comunque in contemporanea.
Tra oggi e domani rispondo anche alle vostre magnifiche recensioni, chiedo scusa se non l'ho fatto prima, intanto grazie di cuore a tutti ^^

Per il prossimo capitolo, ci leggiamo lunedì ;)

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Capitolo 13
*** Capitolo dodicesimo ***


Capitolo dodicesimo


Venezia è sicuramente un posto meraviglioso, una delle più belle città del mondo, con le gondole, i piccioni, le chiese, i musei, le maschere e tutto il resto. Un gioiellino di arte, cultura e storia che non smette mai di brillare in mezzo al caos del mondo... eppure, adesso che hanno parcheggiato la macchina presa a noleggio e attraversato il primo ponte, Bruce comincia a sentirsi inquieto.
Quella città gli dà un senso di... stretto. È tutto troppo piccolo, le strade tra le case, gli argini dei canali, tutto minuscolo. E l'Altro è così dannatamente ingombrante.
Va bene, non deve pensarci, non adesso, non prima di aver trovato Stark e di aver capito che accidenti sta succedendo. L'Altro è riuscito a compiere la semplice distinzione binaria tra amici e nemici già una volta, magari lo farà di nuovo, ma lui spera proprio che non ci sia bisogno di tirare in ballo qualcuno che potrebbe usare il campanile di San Marco come uno stuzzicadenti.
L'agente Romanoff controlla lo schermo del rilevatore satellitare.
«Stark non deve essere lontano» dice mentre si infila in un vicolo che costeggia la chiesa di San Simeon, sulla riva di fronte alla stazione.
Sono ancora tutti in abiti civili, eppure se lui fosse uno dei tanti passanti che li sfiorano, guardandoli farebbe fatica a credere che sono dei semplici turisti.
Steve Rogers tiene a tracolla una borsa con dentro il suo meraviglioso scudo e la divisa di Captain America. Dice che Stark ha detto di andare lì in assetto da guerra e la calzamaglia fa parte del pacchetto.
Bruce non vuole sapere cosa c'è nel trolley che si sta trascinando dietro Clint Barton o nello zaino di Natasha Romanoff.
Bruce vorrebbe essere nella sua casa in mezzo al bosco a leggere i rapporti della sezione ricerca e sviluppo delle Stark Industries.
Bruce sa che se Tony ha chiesto anche di lui allora la situazione è veramente critica. E lo sanno anche gli altri, nonostante abbiano finto per tutto il tempo passato in volo che si trattasse di una specie di gita scolastica.
Sì, dai, una gita a Venezia, una scazzottata con qualche mostro cattivo! Un po' di vita!
Come se l'ultima volta non fosse già stato abbastanza. Come se rispedire indietro un esercito alieno non fosse un'impresa da poter bastare per un'intera esistenza.
Ad ogni modo, non importa. Ormai è lì, avrebbe potuto scegliere di non esserci, nessuno lo avrebbe costretto, ma lui ha scelto di andare e mentre cammina in quei deliziosi viottoli pensa che magari riuscirà anche a non pentirsene. E comunque, non era mai stato a Venezia.
Non fa in tempo a formulare questo pensiero che da un gomitolo di stradine secondarie e deserte arriva un rumore fortissimo, come di qualcosa di pesante che viene fatto sbattere a terra.
Tutti e quattro di fermano, paralizzati per qualche secondo.
«Ditemi che non è quello che sto pensando» mormora Bruce.
«Stai pensando che stanno demolendo un edificio? No? Allora temo proprio che tu ci abbia preso» risponde Clint Barton, lanciando un'occhiata al dispositivo che ha in mano la Romanoff.

***

Deve essere maledettamente difficile riuscire a tenere a bada delle persone che vogliono farti a pezzi e che tu non vuoi uccidere.
A questo pensa Nadia e le sembra un pensiero molto stupido, data la circostanza, ma non vuole pensare di essere di nuovo sul punto di morire, malgrado ogni neurone strilli come una sirena di allarme in un labirinto privo di uscite di sicurezza.
Tony le ha detto di stare indietro – come se ci fosse bisogno di dirlo – e ora lei se ne sta appiattita contro il muro a guardare con occhi sbarrati la scena.
Ogni tanto alza gli occhi al cielo, come a controllare che le stelle siano ancora lì, che quello sia proprio il cielo della sua città. Che sia reale, che lei non abbia smarrito il senno.
I tizi stanno facendo vorticare pezzi di lamiera e sassi in tutte le direzioni – come ha detto Loki, i loro poteri sono piuttosto sostanziosi. Tony è troppo impegnato a schivarli, a sparare agli oggetti che volano per preoccuparsi anche del fatto che gli indemoniati stiano guadagnando terreno e li stiano spingendo sempre di più verso il fondo della strada, mettendoli spalle al muro.
Non serve a niente scappare, se anche ci provassero loro li inseguirebbero e magari scoprirebbero la casa in cui si stanno nascondendo. Oppure la ucciderebbero prima che lei vi arrivi.
Una tegola ruota sibilando a mezz'aria, nella sua direzione e Nadia fa appena in tempo ad abbassarsi per schivarla lasciando che si frantumi contro una parete dietro di lei. La ragazza sente spezzarsi il respiro mentre cerca di prendere lunghe boccate d'aria che sa di muschio.  
La paura è una ventata di gelo sotto la pelle.
Mentre cade sulla ginocchia e si copre il viso con le mani, la ragazza pensa a Loki. Sta per essere ammazzata e pensa a Loki, assurdo! No, nemmeno troppo assurdo, in realtà. Se sopravvive a quell'attacco lui glielo rinfaccerà a vita. Già se lo immagina, con quella sua espressione supponente e quei suoi occhi gelidi mentre le dice che glielo aveva detto, che aveva ragione lui, che uscire era una follia.
Il pensiero quasi la fa arrabbiare più del fatto di ritrovarsi incastrata in una strada senza uscita con delle persone possedute da demoni che vogliono farla a pezzi.
«Ci sei, Colombina?» domanda Tony, da dentro l'armatura.
«Sì, ma sarebbe meglio darci una mossa, non credi?»
«Hai qualche idea?».
Nadia solleva lo sguardo e lancia una rapida occhiata attorno a sé. Il vicolo cieco nel quale li hanno confinati si interseca con una stradina sul margine di un rio.
«Se riesci a gettarli in acqua forse riusciremmo a guadagnare tempo per svignarcela!» urla, mentre un grosso ciottolo atterra a mezzo metro dal suo naso, facendole schizzare in viso qualche scheggia di pietra.
«Non male come idea» approva Tony, dandosi uno slancio con le gambe. Un attimo dopo sta fluttuando a un metro da terra. Spara piccoli missili ai piedi delle persone che indietreggiano istintivamente, strabuzzando i loro occhi d'argento, avvicinandosi le une alle altre, raccogliendosi al centro del vicolo.
Quando sono abbastanza vicine, Tony comincia a volare in circolo attorno a loro, con un'agilità che sembra impossibile immaginare vedendolo con tutta quella ferraglia addosso.
Nadia non capisce subito cosa stia facendo, ci impiega qualche secondo a notare il sottile filo d'acciaio che spunta dalla placca sul polso sinistro dell'armatura.
Gli esseri cominciano a far piovere altri sassi e altri oggetti su Tony, lui cerca di schivarli o di farli esplodere con i colpi che partono dal braccio destro mentre continua a volare in circolo, avvolgendo  le persone in diversi giri di acciaio. Quando sono ben strette, l'uomo dà un ultimo strattone e le trascina all'indietro, verso l'argine.
Nadia immagina che le abbia legate in modo che riescano a liberarsi senza annegare.
I tizi oppongono una resistenza esasperante con la loro forza sovrumana, reagendo alla spinta di Tony che dà istruzioni alla sua armatura parlante di concentrare l'energia nei propulsori posteriori. Lentamente riesce a trascinare via i cinque indemoniati, ma è troppo lentamente.
Uno di loro, dentro al corpo di un signore panciuto con i capelli impomatati, solleva lo sguardo vuoto su Nadia e fa un orribile ghigno.
Da un angolo della strada, il cestino per i rifiuti di ghisa scura comincia ad accartocciarsi, poi si stacca dal palo al quale è agganciato, si solleva nel vuoto e comincia a roteare a una velocità folle in direzione della ragazza.
Nadia si preme contro il muro e si rannicchia coprendosi la testa con le braccia.
Non servirà a niente, quel cilindro di ghisa peserà un quintale e la spinta della velocità renderà l'impatto un colpo letale. È un arrendersi al destino che le lascia in gola un sapore amaro.
E Nadia lo sente, l'impatto. Un suono orribile di metallo che urta e vibra, una vibrazione intensa e lunghissima come la nota di un diapason. Ma non può essere stata la sua testa ad aver prodotto quel suono mentre finiva sfracellata per la botta.
E questo chi è?
Davanti a Nadia c'è un uomo biondo, sulla trentina e forse anche più giovane, alto e piuttosto ben messo. Ad una prima occhiata, la ragazza ha pensato a Thor, ma questo non ha i capelli lunghi e nessun mantello – anzi, ha un taglio anni '50, e indossa jeans a vita ridicolmente alta con camicia di flanella dentro la cintura. E in mano regge uno scudo rotondo a strisce bianche e rosse, con al centro un cerchio blu e una stella.
«Scommetto che tu sei... Marte» farfuglia Nadia, frastornata dalla paura, dal rumore e dalla sorpresa.
In quel momento si sente il tonfo delle persone che cadono nell'acqua e la ragazza vede Tony svolazzare verso di lei a tutto gas.
Altre due persone scavalcano il muro con un'agilità sorprendete, un uomo e una giovane donna, con dei jeans e dei giubbotti di pelle scura dal taglio molto più moderno degli abiti di quell'altro tizio che l'ha salvata.
«E voi siete Minerva e Cupido?» aggiunge la ragazza, scuotendo il capo attonita, notando che l'uomo impugna un arco nel quale ha già incoccato una freccia e la donna regge una pistola con il dito già posato sul grilletto.
«Ehi, voi, aspettate... io sono solo uno scienziato» borbotta una voce affaticata.
Nadia solleva lo sguardo, in tempo per vedere un uomo moro scavalcare faticosamente il muro e lasciarsi cadere cautamente verso il basso con gesti goffi.
«Tu non lo so che divinità sei...» mormora la ragazza, fissandolo stranita.
«Tu invece hai l'aria di una in stato di shock»
«Sì, ammetto che certe volte faccio questo effetto» interviene Tony, raggiungendoli e facendo sollevare verso l'alto la visiera dell'armatura. «Ma adesso dobbiamo andare via, prima che gli anfibi tornino sulla terraferma. Quando saremo al sicuro vi spiegherò tutto».
E dunque quelli sono i fantomatici Avengers.
L'uomo con lo scudo tende cavallerescamente una mano verso Nadia, per aiutarla a rialzarsi, e le sorride.
«L'ultima volta che ho controllato, mi chiamavo Steve» dice.
«E loro sono Natasha, Clint e Bruce. Signori, lei è Nadia» aggiunge Tony sbrigativo. «Andiamo?».    

Raggiungono la casa, assicurandosi che nessuno li abbia inseguiti.
Mentre Nadia scavalca il davanzale, si rende conto che ancora una volta se l'è cavata per un pelo e sente un tremendo senso di stanchezza avvolgerla come una coperta, le gambe quasi le cedono quando atterra con un balzo maldestro sul pavimento di pietra.
Gli altri scavalcano dietro di lei che fissa sconvolta Tony premere qualche tasto e liberarsi dall'armatura che si ripiega su se stessa tornando a essere una valigia.
«Thor?» borbotta l'uomo di nome Bruce, fissando il dio del tuono che sta scendendo le scale.
«Speravo di rivedervi in un frangente meno movimentato, amici» risponde lui, e tuttavia sorride, un sorriso che gli altri ricambiano per un secondo fino a quando non scorgono Loki sui gradini dietro al fratello.
Adesso le espressioni dei quattro nuovi arrivati sono congelate in una piega di sconcerto e un silenzio duro e freddo come l'acciaio cala per qualche istante sulla casa.
«E lui cosa ci fa qui?». È Clint a rompere il silenzio, la sua voce è ostile, piena di rabbia. La stessa ostilità e la stessa rabbia che passa anche sui visi dei suoi compagni.
Loki non sembra nemmeno farci caso, scende le scale, attraversa la stanza con la sua solita indolente eleganza e si avvicina a Nadia, lanciandole uno sguardo accigliato e colmo di aria di sufficienza, un'occhiata da "te l'avevo detto, sciocca". Come volevasi dimostrare.
«Avevi detto che ve ne sareste occupati voi, nella tua città sulle nuvole» insiste Clint, serrando i pugni e guardando Thor con irritazione. Evidentemente lui ha proprio qualcosa di personale contro Loki, lo detesta più degli altri.
«E avevamo intenzione di farlo» replica il dio del tuono con fare conciliante. «Ma è fuggito alle guardie di mio padre».
«Cosa? Siete troppo impegnati a cucinare nettare e ambrosia lassù per tenere sotto sorveglianza un prigioniero? Ve lo siete fatto scappare!»
«Sì, e credimi, io sono quello che ne è maggiormente rammaricato ma...»
«Le vostre guardie sono degli incapaci»
«Non offendere il mio popolo, agente Barton!».
Nadia ha quasi un sussulto nel sentire Thor alzare la voce. Se uno come lui urlasse contro di lei probabilmente le verrebbe un infarto, ma Clint Barton non sembra voler lasciar perdere e di certo non ha l'aria di uno che si fa intimidire.
«Avresti dovuto lasciarlo a noi! Me ne sarei occupato personalmente, ho ancora un conto in sospeso con quel gran figlio di puttana».
«Non usare questo tono! Anche Fury se lo è fatto scappare mentre era nella vostra prigione di vetro sulla vostra macchina volante» osserva Thor, senza smettere di gridare.
Steve, l'uomo con lo scudo, si avvicina cautamente al dio del tuono e allunga una mano verso la sua spalla, come a voler essere pronto a trattenerlo per ogni eventualità.
Natasha invece posa una mano sul braccio di Clint, nella vana speranza di tranquillizzarlo.
Quale che sia la posta in gioco, quello davvero non è il momento dei litigi e delle recriminazioni.
Nadia guarda Tony. È lui che ha chiamato quelle persone, e ora lei vorrebbe chiedergli se è proprio certo che sia stata una buona idea, se è sicuro che loro siano quelli più adatti a proteggerla e a risolvere il problema.
Poi lo sguardo della ragazza si posa su Loki che guarda la scena come se non fosse lui la pietra dello scandalo, sembra persino divertito. In effetti non ha fatto altro che parlare di quelle persone con acido sarcasmo, sarà contento adesso di vedere che con il loro comportamento gli stanno dando ragione.
«Pensavo che tu e la tua gente avreste agito con un po' più di buon senso, visto che avevate in consegna quello che ci ha quasi distrutto il pianeta!» continua Clint.
«Non provare a darmi lezioni di buon senso. Io...».
«BASTA!».
L'urlo arriva dall'uomo moro, Bruce. Quello che sembra tanto mite e pacifico, persino un po' imbranato – tanto che Nadia se lo era quasi dimenticato, ma la sua voce si fa sentire al di sopra di quella di Thor e di Clint e tutti si voltano allarmati nella sua direzione. Più che allarmati sembrano spaventati; la mano di Natasha è corsa automaticamente al calcio della pistola, e anche Loki ha avuto un sussulto e si è appiattito contro il muro.
Bruce tossicchia e prende un lungo respiro.
«Bene» dice con un sorriso bonario, un po' tirato. «Ora che avete smesso di gridare, possiamo cominciare a parlare da persone civili».
Clint si stropiccia il viso con le mani e fa un passo indietro, scambiando con Thor quello che sembra un rapido e imbarazzato sguardo di scusa.
«Non vediamo l'ora di conoscere i dettagli. Stark?». Steve si volta verso Tony, incrociando le braccia sul petto con aria impaziente.
«Ci hai giocato un bello scherzo invitando anche Loki alla festa» asserisce Natasha, in tono cupo.
Nadia nota che tutti evitano di guardare verso il dio dell'inganno, come se nonostante quello che è stato detto preferiscano fingere che non ci sia.
«Ma di sicuro avrai una spiegazione» interviene Bruce. «Ti conviene che sia buona, perché anche l'Altro è molto curioso di sentirla».
«E adesso voglio proprio vedere» mormora Loki tra sé e sé, in un sussurro appena udibile, tanto che solo Nadia, che è accanto a lui, riesce a sentirlo.
«Chi è l'Altro?» gli domanda in un filo di voce.
«Qualcuno che è meglio non conoscere» risponde il dio arricciando il naso, poi le fa cenno di ascoltare mentre Stark prende la parola.  
Sì, anche lei vuole proprio vedere come farà Tony a spiegare che per salvare quella gente gli Avengers devono guardare le spalle al nemico pubblico numero uno.

***

Finalmente silenzio.
Loki credeva che non avrebbero smesso più di parlare. Ad ogni frase di Stark qualcuno se ne usciva con una domanda assolutamente inutile e superflua che implicava una lunga divagazione. Per fortuna che Thor si era dato la pena di leggere informazioni sui demoni, così è toccato a lui fornire le spiegazioni più salienti. Loki davvero non aveva voglia di parlare con quella massa di decerebrati che lo guardano male ogni volta che sbatte anche solo le palpebre.
Alla fine la squadra di soldatini ha avuto il cosiddetto quadro generale della situazione. Hanno capito di cosa si tratta e c'è stata un'altra mezza lite quando si sono resi conto che il fulcro della questione era che dovevano proteggere lui oltre che la ragazza, altrimenti non avrebbero potuto salvare quelle persone.
A Loki la cosa non piace più di quanto piaccia a loro, questo almeno spera che sia chiaro per quelle  teste troppo piccole. Ma gli Avengers si sentono in dovere di salvare quella gente, Nadia e la donna di Stark e lui ha tutto il diritto di salvarsi la pelle: uno scambio equo, senza ma e senza se. E senza inganni, ammesso che non si voglia chiamare inganno qualche piccola omissione; loro non sono tenuti a sapere proprio tutto, come ad esempio il fatto che lui sta incamerando più energia di quanta gli occorre per contrastare i demoni, perché ha altri progetti una volta che quella situazione si sarà risolta, ma decisamente queste non sono cose che riguardano i benamati Vendicatori.
Rogers ha organizzato i turni di guardia, ha usato esattamente questo termine. Sono tutti stanchi per il viaggio e hanno bisogno di riposo – hanno accennato a qualcosa che si chiama jet lag, ma resteranno svegli a due a due per controllare che non succeda niente e che nessuno di sospetto si avvicini alla casa.
Lui non è stato inserito nei turni, non si fidano. Sono davvero duri di comprendonio se non capiscono che è anche nel suo interesse che tutto si risolva per il meglio.
Alla piccola Nadia invece hanno lasciato fare la sua parte. Ma sono stati magnanimi, le hanno lasciato il turno di guardia delle prime ore del mattino, così almeno potrà passare la notte serena. Sono tutti così inteneriti da lei, dalla giovane umana che ha deciso di mettersi a fare l'eroina perché la sua coscienza, più che il suo coraggio, le ha impedito di fare altrimenti.
Ad ogni modo, il primo turno tocca a Rogers e a Thor – che ha tenuto a precisare che in quanto dio è molto più in forma di tutti loro, anche se Loki lo conosce e sa che è provato.
Gli altri hanno deciso di andare a dormire, per essere pronti e vigili. In quella casa, se non altro, non mancano i materassi.
Quello che manca è un piano, un vero piano per sconfiggere le creature. Forse ci penseranno l'indomani, quando il sonno ristoratore avrà sortito i suoi effetti, ma Loki non ha tempo da perdere. E anche lui comincia a sentire la stanchezza che bussa a chiedere il suo tributo.
«Faresti meglio a farti una dormita, Bambi» dice Stark, passandogli davanti. «Pensavo fosse impossibile, ma hai una cera più brutta del solito».
Loki gli lancia un'occhiata stizzita. Vorrebbe dirgli che non ha bisogno che qualcuno gli faccia da balia, ma non ha voglia di mettersi a questionare con nessuno di loro. Sono nemici, niente cambia questo stato di cose e quella sorta di gelida tregua è difficile per tutti quanti.
Nadia si avvicina all'uomo di metallo e lo prende sottobraccio.
«A proposito di persone che hanno bisogno di farsi una dormita, sono due giorni che non chiudi occhio» gli mormora, sempre con quel tono dolce e amichevole che usa quando si rivolge a lui. Poi lo pilota verso una branda, nella stanza attigua.
Loki resta a fissarli di sottecchi, vede la ragazza spingere l'uomo a sedersi sul materasso sfondato.
«Non è proprio un posto per cervelloni miliardari» aggiunge lei con fare bonario. «Ma sono certa che ti sarai stufato del Danieli».
Stark scrolla le spalle, il suo sguardo si fissa nel vuoto, come se stesse inseguendo il fantasma di un ricordo lontano e doloroso.
«Ho dormito in posti peggiori» dice, come se stesse pensando ad alta voce. «Una volta, in Afghanistan...». Lascia la frase in sospeso e Nadia non fa domande. Sa quando tacere – quasi sempre, questo almeno glielo si deve riconoscere.
E adesso... ah, perché diamine lei lo sta abbracciando?
Loki guarda quasi perplesso la ragazza cingere le spalle dell'uomo e posargli una guancia contro il braccio. Stark batte una mano su quella di lei e china il capo verso il suo, in un gesto quasi fraterno.
Dannati umani, con il loro sciocco, patetico sentimentalismo!
Non sono capaci di badare a loro stessi, per questo hanno sempre bisogno di una mano che batta su una spalla o che si stringa attorno a un'altra mano. La capacità di essere soli è un potere che solo chi ha conosciuto la solitudine più totale può comprendere, ma ci vuole coraggio per simili cose e quest tipo di coraggio è ben al di là della portata di quegli esseri smarriti.
Il dio dell'inganno è costretto a ritrarsi e voltarsi in un'altra direzione quando vede che Nadia si alza per uscire dalla stanza e lasciare Stark ai suoi dispiaceri e alla sua dose di riposo. Torna a girarsi in direzione delle ragazza mentre lei raggiunge un altro materasso, in un altro ambiente della casa piena di stanze senza porte. La guarda allontanarsi e lasciarsi cadere sul letto improvvisato. La guarda e si pone un sacco di domande che non sono di nessuna utilità, eppure sente che sarebbe quanto meno divertente conoscere le risposte.
Con un ghigno, si avvicina quatto all'uscio della stanza dove ora Nadia è andata a stendersi e si siede sul pavimento accanto alla porta senza imposte, ad attendere che lei si addormenti.
Le facce dei Vendicatori si fanno sempre un po' più torve quando lo vedono avvicinarsi a lei, ma adesso lui dovrebbe sembrare del tutto innocuo. Nessuno sa che può viaggiare in molti luoghi, anche nei sogni, perché lui ha il potere dell'illusione e i sogni non sono altro che illusioni dentro la mente delle persone.
Loki appoggia il capo alla parete, chiude gli occhi, cerca di rilassarsi e di rimanere concentrato.

Nel sogno c'è la stanza d'albergo, la camera numero 7 in cui ha passato tutto quel tempo a meditare e ad aspettare. È l'unico luogo che lui conosce che sia familiare anche alla ragazza.
Nel letto dalla coperta azzurra c'è Nadia che dorme e che da un momento all'altro si sveglierà nel sogno in cui lui ha deciso di comparire. Perché è curioso, vuole sapere cosa pensa la ragazza, cosa gli direbbe in una dimensione in cui crede di essere al riparo nel proprio inconscio. Vuole scoprire se il suo sciocco sentimentalismo, se la sua banale umanità valgono anche per lui, adesso che lei sa chi è davvero quello che credeva essere solo un ragazzo con un po' troppi misteri.
Perché ora che quei misteri sono stati svelati, non gli piace che lei tenga qualcosa per sé in quella sua testolina boriosa.
La ragazza apre gli occhi e si guarda attorno mentre nella sua mente affiora la consapevolezza di essere in un sogno. Si mette a sedere con la schiena contro il cuscino e punta lo sguardo su di lui, seduto sul bordo del letto, in abiti da umano.
«Quanti anni hai?» le chiede subito.
Per un attimo Nadia fa un'espressione crucciata, poi si arrende all'insensatezza che è propria di ogni visione onirica. Perché lei non sa che quello non è un semplice sogno.
«Ventisei» dice, schiarendosi la voce impastata.
Ventisei primavere; un battito di ciglia per un dio.
«Sei tipo la voce del mio inconscio?» domanda poi Nadia.
«Non lo so...»
«Cielo! Nemmeno nei sogni mi lasci in pace...»
«Se è un tuo sogno, non posso averne colpa. Piuttosto verrebbe da chiedersi come mai il tuo inconscio ha le mie sembianze»
«Forse perché occupi un po' troppo spazio nei miei pensieri»
«Perché hai paura di me?».
Le parla con voce calma, nel tono più amichevole e suadente che riesce a usare. La ragazza si sente al sicuro lì, credendo di essere nella sua stessa mente, e sarebbe inopportuno metterla in agitazione e non farla sentire a proprio agio.
Nadia arriccia le labbra con fare pensoso.
«Sì, ho paura di te» ammette. «Ma non è solo questo, credo»
«Non ti sarai affezionata al mostro senza cuore?»
«Lo sei davvero, un mostro senza cuore?».
E questo che significa? È stato lui a creare quel sogno, dovrebbe essere lui a dirigere il gioco e fare domande.
«Tu cosa credi?»
«Sei troppo arrabbiato, amareggiato e pieno di risentimento per non avere un cuore. Se conosci certi sentimenti, conoscerai di sicuro anche i loro opposti».
A questo punto Loki deve misurare bene le parole. Non sia mai detto che una ragazzina possa mettere in difficoltà l'abilità retorica del dio dell'inganno.
«Quindi... è pietà la tua?» domanda, sforzandosi di non apparire piccato.
«Non mi fai pietà, ma nemmeno ti odio. È più una specie di dolore... sì, è doloroso pensare che tutto questo sfoggio di malvagità sia l'unico modo in cui pensi di poter porre rimedio alle tue debolezze».
Cosa? Come osa?
«Io non sono debole». Stavolta non riesce a mascherare il totale disappunto e l'irritazione.
Nadia scrolla le spalle e fa una specie di sorriso. Gli sta sorridendo! Quella dannata piccola sciocca ha appena messo in dubbio la sua forza e ora gli sorride!
«Se è un sogno, non starò qui a tentare di far valere le mie ragioni, è fatica sprecata. Loki non mi darebbe ascolto da sveglia, figuriamoci in una visione onirica...».
Certo che non le darebbe ascolto. È una ragazzina umana che non ha visto nemmeno un granello di tutto l'infinito che lui ha potuto contemplare, che non ha idea di cosa sia il potere, di cosa siano le ombre, e di quanto possa essere accecante la luce.
«Anzi, già che ci sei, potresti soddisfare un tuo piccolo grande capriccio» aggiunge lei dopo qualche secondo di silenzio, con un tono maledettamente sarcastico. «Potresti uccidermi. Quando uno muore in un sogno poi si sveglia, e questo sogno è molto noioso».
«Potrebbe diventare doloroso, se io volessi» sibila Loki, scoccandole un'occhiata gelida.
«Sei la voce del mio inconscio» osserva lei. «E se c'è una cosa che credo di sapere nel mio inconscio, è che Loki, per quanto ci abbia pensato, per quanto forse lo abbia desiderato davvero, non mi farebbe del male».
E così crede di conoscerlo. Si illude di conoscerlo, si illude di poter prevedere le sue mosse e le sue intenzioni. Ma non sa niente, la maledetta ragazzina!
In un impeto di furia, Loki si getta su di lei, bloccandola contro il materasso. Certo, è solo un sogno, può farla soffrire e può ucciderla nell'illusione senza fare danni alla ragazza che dorme, alla Nadia che è fisicamente fuori da quella dimensione, ma ha ragione, sarebbe senz'altro liberatorio potersi finalmente prendere la soddisfazione di vedere la luce spegnersi in quegli occhi impertinenti.
Rimpiange di non avere un pugnale, un'arma qualsiasi per tagliarle la gola e vedere scorrere il suo sangue, sentirlo scivolare caldo sulle sue mani, osservarlo inzuppare le lenzuola.
Non ha pensato a una simile eventualità, voleva solo parlare, ma visto che lei ci tiene tanto a divertirlo in quel modo...
Nadia getta la testa all'indietro, scoprendo il collo, offrendogli la gola perché lui possa stringervi attorno le dita. E lo fa, serra una mano a bloccarle il respiro. Ora deve solo stringere ancora un po' più forte, niente di così complicato. E allora, perché sta esitando? Perché le dita non si chiudono attorno alla carne?
La ragazza piega appena la testa in avanti, quel tanto che basta per poterlo guardare negli occhi. E ha un'espressione irriverente, detestabile. Eppure lui non riesce a...
«Ti capita spesso?» chiede Nadia, con un ghigno che è quasi compiaciuto.
Lui ritrae la mano e picchia un pugno furioso contro il materasso. Non riesce a ucciderla. Non... non vuole ucciderla.
«Resterà tra me e te, giuro. E comunque, è solo un sogno» insiste lei, sempre con quel tono canzonatorio, poi alza la testa di scatto e preme le labbra contro le sue.
È solamente un secondo, perché arriva un rumore sordo dall'esterno e il sogno svanisce di colpo.

Loki riapre gli occhi, come finestre che si spalancano per un colpo di vento. Resta fermo per qualche istante, ha la sensazione di aver ricevuto un pugno allo stomaco, un colpo dal quale deve riprendersi per un attimo.
Dalla soglia accanto alla quale è seduto fa capolino Nadia, che si sporge con gli occhi sgranati per l'agitazione.
«Cos'era quel rumore?» chiede preoccupata.
«Chiedo scusa. Ho fatto cadere una trave appoggiata al muro» risponde Thor dal fondo della stanza, dove se ne sta a controllare la strada dalle fessure delle finestre, assieme a Rogers.
«Fate più attenzione a dove mettete i piedi» borbotta l'agente Romanoff, spuntando da un'altra stanza, già con la pistola in pugno. «Meno male che Banner ha il sonno pesante» aggiunge, prima di voltarsi e tornarsene a dormire.  
Nadia sbuffa di sollievo, alle spalle di Loki. Lui volta il capo per guardarla, non tradisce nessuna emozione eppure la dannata ragazzina lo ha stupito con... cosa voleva essere quella roba nel sogno?
Aveva architettato quella cosa – una cosa da nulla, per lui – per togliersi qualche curiosità, e ora si ritrova con domande molto più pressanti e ingombranti di quelle che aveva prima. E lui detesta non essere in grado di capire.
«Che c'è?» chiede Nadia, perfettamente calma, notando che il dio la sta guardando. Certo, lei è davvero convinta che sia stato solo un sogno, che lui non sappia niente di quello che è accaduto un minuto prima.
«Niente» le risponde sbrigativo.
«Hai intenzione di dormire seduto sul pavimento?»
«Ha importanza?».
La ragazza alza le mani in un enfatico gesto di resa.
«Non oserei mai dare suggerimenti a un dio in merito al proprio giaciglio» dice sarcastica, prima di tornare nella sua stanza.
Mentre la vede voltarsi e sparire con quel suo sorrisetto canzonatorio, Loki si chiede come sia possibile che gli sia passata la voglia di ucciderla.

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Note

Le scene “movimentate” non sono il mio forte (ulteriore motivo che mi spinge a chiedermi perché mai io mi sia voluta imbarcare nell'impresa di scrivere una fanfiction sugli Avengers), ma spero che risulti comunque plausibile.

Come ho detto più volte, il rapporto di reciproca simpatia e affetto tra Tony e Nadia è una cosa molto importante per il senso della storia, quindi quella cosa dell'abbraccio mi sembrava indispensabile, spero non risulti un particolare troppo stonato e melenso.

Loki che si intrufola nei sogni. Ho immaginato che fosse una cosa simile a quando è sulla Terra e si manifesta sul pianeta dei Chitauri... lui che può usare le illusioni e tutto il resto, spero sia abbastanza chiaro.


Ci leggiamo venerdì con il prossimo aggiornamento.

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Capitolo 14
*** Capitolo tredicesimo ***


Capitolo tredicesimo


Nadia si alza dal letto – un letto abbastanza indegno di tale titolo, a voler essere brutalmente sinceri – e si dirige verso lo spazio che fa da anticamera alle varie stanze del pianterreno. È il suo turno di fare la guardia, non ricorda con quale membro della colorita ciurma.
Ha dormito male quella notte. La notte prima, dopo la fuga dall'assalto dei demoni alla Corte dell'Angelo e dopo aver scoperto la verità su Loki e l'arrivo di Thor, era crollata, più per lo shock che per la stanchezza; adesso che la sua mente si è in qualche modo abituata a tutte quelle cose tremende, adesso che se n'è fatta quasi una ragione, resta solo la paura. E in mezzo a quelle persone si sente un po' come un ragazzino obeso finito per sbaglio in una squadra di atleti olimpionici.
Ha dormito a sprazzi interrotti, pieni di sogni strani. Il primo dei tanti è stato un sogno particolarmente vivido, in cui c'era anche Loki. Non lo ricorda bene, non ricorda mai bene i sogni che fa, ma i pochi flash che riesce a rimandare alla mente non sono molto incoraggianti per la sua salute mentale già messa a dura prova dagli eventi degli ultimi due giorni.
Erano nella stanza numero 7, avevano parlato – non riesce a ricordare di cosa – e poi, non sa come, non sa perché, lui le era finito addosso, ma stando alle immagini che emergono dai ricordi confusi non doveva essersi trattato di una roba tipo sogno erotico. Però ricorda gli ultimi secondi del sogno, quelli li ricorda davvero bene, quando si è sollevata verso di lui e lo ha baciato. Cioè, non è stato proprio un bacio, è stato più un gesto di sfida, perché sapeva, anche nel sogno, che quella reazione era proprio l'ultima cosa al mondo che lui si sarebbe aspettato. E comunque, anche se fosse stato un bacio, non hanno fatto in tempo perché poi Thor è inciampato in una trave, qualcosa del genere... e lei è letteralmente caduta dal letto con il cuore che andava a mille. E la tachicardia non era propriamente dovuta alla sottospecie di bacio dato in sogno a un dio malefico e affascinante. Era stata paura, paura che stesse succedendo di nuovo qualcosa.  
D'accordo, è tutto passato; il sogno, la nottataccia, il rumore, l'allarme. Ora deve pensare a rimanere concentrata e a tenere d'occhio la strada fuori dalla finestra.
La casa è avvolta nella penombra, tutto sembra nebbioso e ovattato tra quelle pareti. Dormono tutti, Nadia riesce a vederli dalle porte prive di imposte. I due agenti, Natasha e Clint, in una stanza su due materassi messi negli angoli opposti della saletta quadrata – lei non ha ancora capito se c'è del tenero tra quei due o se si tratta solo di un rapporto professionale molto molto profondo. Tony nella stanza in fondo a sinistra, dove lo ha lasciato la sera prima. Steve in uno stretto stanzino sotto le scale... e che cos'è quella roba che ha addosso? Oddio, Tony lo aveva detto che lui era davvero tipo da calzamaglia! Il russare alla grossa che viene dal piano di sopra invece deve essere opera di Thor – anche gli dei dormono, buono a sapersi. E a proposito, Loki dov'è? Probabilmente è andato a dormire sul tetto, ne sarebbe assolutamente capace, per tenersi il più alla larga possibile da tutti loro.
Ad ogni modo, andando per esclusione, resta solo...
“Ciao, Bruce”. Per l'appunto. L'uomo moro sta seduto su uno sgabello sgangherato accanto alla finestra chiusa.
“Oh, buongiorno”.
Ha sentito che gli altri lo chiamano Dottore. Nadia si sta chiedendo se sia davvero un medico, pensandoci, si rende conto di sapere così poco di quelle persone che hanno attraversato l'Oceano solo per rispondere alla chiamata di Tony e venire in soccorso di perfetti sconosciuti – e di Loki, non dimentichiamoci del dio dell'inganno, che tutti loro hanno ragione di detestare. Anche Nadia dovrebbe detestarlo, anche solo per spirito di aggregazione al resto del genere umano, ma non è così. Devono aver parlato di questo nel sogno, ora che ci pensa. Del fatto che non lo odia e nemmeno gli ispira pena, è semplicemente dispiaciuta per lui, anzi è davvero addolorata per lui, senza bisogno di compatirlo. Per fortuna che era solo un sogno, nella realtà Loki avrebbe sicuramente intentato un discorso per farle notare quanto sciocco e insensato sia un simile sentimento da parte sua. Ma del resto, Loki cosa ne sa dei sentimenti?
Nadia decide di non pensarci, si rende conto che sarebbe molto più costruttivo tentare di avere un dialogo con Bruce Banner, che sembra molto più buono e gentile di un dio norreno con le manie di persecuzione.
“Ora ci vorrebbe proprio un caffè, qualcosa che dia un po' di carica” gli dice, stiracchiandosi.
Bruce la guarda come se avesse detto una cosa strana e fuori luogo.
“Divertente...” mormora con uno strano sorriso tirato.
“Divertente in che senso?”
“Oh, Stark non ti ha... ehm, istruito sul fatto che è meglio non darmi la carica?”.
Forse Loki aveva ragione, forse gli amici di Tony sono un po' folli, Tony stesso gli ha fatto pensare a qualcuno scappato da una clinica la prima volta che lo ha incontrato, anche è riuscita ad adorarlo dopo i primi dieci secondi.
“Mi ha solo detto i vostri nomi e ha accennato al fatto che le avete suonate a Loki, quando lui ha fatto... beh, quel casino che ha fatto a New York, insomma” risponde la ragazza.
“Non per fare il gradasso, ma si dà il caso che quello che le ha suonate a Loki, praticamente parlando, sono stato io. Più o meno”.
Bruce Banner ha l'aria di uno che non suonerebbe nemmeno i campanelli, per non disturbare eventuali piccioni appollaiati sul tetto.
“Che significa più o meno?”
“Non è una cosa facile da spiegare. Diciamo che quando mi arrabbio divento molto sgradevole” .
Nadia proprio non riesce a seguirlo. Sembra che il dottore debba dire qualcosa di grosso e si stia preoccupando di poterla turbare. Come se lei potesse essere più turbata di quanto già non è.
“Anche io divento sgradevole quando mi arrabbio” gli dice con un sorriso ironico.
“Certo. Ma dubito che tu diventi verde, altra due metri, incapace di intendere e di volere e dotata di forza sovrumana”.
“Verde?!”
“Verde, già”.
La ragazza sgrana gli occhi. Il suo cervello le sta gridando che è impossibile, ma ha visto talmente tante cose impossibili negli ultimi due giorni da non preoccuparsi nemmeno di apparire stupita dalla spiegazione di Bruce. Pensa che non c'è più niente che possa stupirla, ormai.
“E non puoi controllarlo, il tizio verde?” chiede, semplicemente curiosa.
Lui scuote la testa.
“No, l'Altro ha una politica tutta sua”.
Deve essere davvero una cosa spaventosa. Nadia adesso si sta preoccupando della sua espressione, non vuole che Bruce si senta come l'oggetto della sua pena.
“E i tuoi amici, loro che fanno di interessante?” chiede.
L'uomo assume un'aria pensosa, come se stesse cercando le parole per spiegarle, nel modo più semplice e meno traumatizzante possibile, tutte le varie storielle dei tizi addormentati nelle altre stanze.
“Tanto per cominciare, c'è Steve Rogers, alias Captain America” esordisce Burce. “Lui è il nostro pezzo vintage”.

***

Sono le otto del mattino, ora italiana, quando tutti cominciano a svegliarsi.
Steve si stropiccia il viso con le mani, fa un lungo sbadiglio e stiracchia la schiena. Sta ancora tentando di decidere se quelle brande sono meglio o peggio dei letti dei campi militari della Seconda Guerra Mondiale.
Si ritrovano tutti nell'anticamera all'ingresso della casa. Lui scruta le facce dei suoi compagni, e vede i loro visi irrigidirsi quando Loki fa la sua comparsa in cima alle scale.
Proteggere il nemico non è una cosa facile da accettare come missione. Per quel che lo riguarda, Steve vede solo delle vite da salvare, è un soldato ed è abituato a credere che quando impugna le armi deve pensare a chi sta soccorrendo e non a chi sta uccidendo, al male che può evitare e non a quello che deve fare.
Si siedono a terra, in circolo. Hanno molte cose di cui discutere.
Loki si accoda alla processione e fa per sedersi vicino alla ragazza – che deve sembrargli la faccia meno ostile tra tutti i presenti. Ma Stark fa scostare Nadia di lato e si siede in mezzo a loro due, come per allontanarli, con quella sua aria petulante da scimmia dispettosa. Sembra che proprio non regga l'idea di Loki a meno di un metro di distanza dalla loro giovane nuova amica. E forse fa bene.
Appena è venuto a conoscenza di tutta la storia, Steve non ha potuto fare a meno di provare una certa ammirazione per la ragazza. Lei ha l'aria di una che si sente un peso morto, una palla al piede per le loro manovre, ma lui vorrebbe tanto dirle che sono le persone come lei i veri eroi, insomma, ha deciso di restare quando poteva andarsene, e aveva dei motivi piuttosto validi per farlo. E invece è rimasta e adesso si sta fidando di tutti loro, anche se non li conosce, anche se ai suoi occhi devono sembrare un gruppo male assortito di individui bizzarri. E tutto questo non fa che far sentire Steve ancora più responsabile nei suoi confronti.
“Ci serve fare un giro di perlustrazione” esordisce Steve, quando si accorge di avere su di sé l'attenzione dei presenti. “Dobbiamo sapere dove sono i demoni, cosa fanno, come si muovono”.
“Non ci hanno visti” osserva Natasha Romanoff, “me, Clint e il dottor Banner, non sanno chi siamo e che siamo con voi. Poi ci sarebbe Thor, ma lui è un tantino vistoso”
“Bene. Shrek, Robin Hood e la strega Morgana vanno in ricognizione” approva Stark. “E già che ci siamo, ci procurano anche qualcosa da mettere sotto i denti”.
“E poi?” domanda Nadia.
“E poi gli tendiamo un agguato” dice Loki all'improvviso, catturando su di sé gli sguardi di tutti.
“Questa da dove viene, dal manuale delle Giovani Marmotte?” sbuffa Barton.
“No, no, fate parlare Machiavelli, voglio sentire il suo piano” replica Stark.
“I demoni non abbandonano i corpi perché li ho indeboliti, ma qualora lo facessero potrebbero sentire le emanazioni della pietra e dei miei poteri e rintracciarci” esordisce Loki, in tono paziente. “Voi vi raccogliete tutti in un luogo prestabilito, insieme a Nadia. Io e Thor cercheremo di isolare una persona posseduta e di estirparle il demone, che a questo punto guiderà gli altri dove sente provenire l'energia della pietra. Una volta raccolti tutti lì, voi cercherete di tenere a bada il gruppo, mentre io faccio il mio lavoro”.
“Non è malaccio come idea” osserva Stark, picchiettandosi l'indice sul mento. “Solo una cosa non mi va a genio: non ho nessuna intenzione di esporre Nadia e usarla come esca”
“Il punto non è questo” sbotta Loki, il suo tono è già assai meno paziente e diplomatico adesso. “Vorrei tanto dire di capire il tuo sentimentalismo paterno, ma mi serve avere la ragazza vicino, per usare l'energia della pietra. Posso esorcizzare un singolo demone, ma senza una risorsa di energia dubito di riuscire a stanarne trenta”.
Silenzio. Lunghi secondi di silenzio perplesso. Nessuno vuole usare la ragazza come esca, ma la soluzione proposta da Loki è quella più sensata, non c'è altro modo. Potrebbero cercare gli indemoniati uno a uno, ma ci vorrebbero giorni e stanno già rischiando abbastanza. Se loro li trovassero e li cogliessero di sorpresa, sarebbe un rischio ancora maggiore per Nadia, e quei demoni possono arrivare da un momento all'altro.
“Non mi piace. Non è sentimentalismo, cerbiatto bacato, è prudenza” borbotta Stark.
“Non piace nemmeno a me” gli fa eco Barton. “Ammassare trenta persone alle quali non possiamo fare male e se anche gliene facessimo non servirebbe... non mi sembra un'idea così geniale. Né per noi né per Nadia”.
“Va bene” esclama lei, alzando la voce. “Per me va bene. Se è l'unico modo...”
“Nadia, il tuo coraggio ti fa onore, ma se ti accadesse qualcosa sarebbe tutto perduto. E nessuno di noi potrebbe mai perdonarselo” mormora Thor, quasi afflitto.
“Non è l'unico modo, è solo quello più sbrigativo” fa notare l'agente Romanoff.
Steve si passa una mano tra i capelli e abbassa lo sguardo. È l'unico modo, ed è sbrigativo perché il tempo non è un elemento a loro favore in quel frangente, però non vuole essere lui a dirlo, non se la sente di essere quello che appoggerà un altro chiodo sulla bara di quella ragazza. E Thor ha maledettamente ragione, se le succedesse qualcosa nessuno di loro potrà mai perdonarselo.
“Ci penso io. A Nadia, intendo, posso pensarci io... io e l'Altro, cioè” dice Banner, prima di cominciare a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore.
Tutti si voltano a guardarlo, stupiti e increduli. Non che Bruce Banner manchi di spirito e di buona volontà, ma che Hulk possa proteggere una ragazza e non trasformare in cibo per cani quelli che vogliono farle male è un'idea piuttosto azzardata.
“Sentite: io e Nadia ci nascondiamo da qualche parte, mentre voi fate quello che dovete fare. Se i demoni dovessero arrivare a lei... beh, l'Altro saprà certamente come rimediare alla cosa” spiega Banner, ricambiando quasi con imbarazzo gli sguardi degli altri.
“E tu sei proprio sicuro che Hulk riuscirà a essere abbastanza attento a non esagerare?” domanda Steve, cercando di imprimere alla domanda quanta più delicatezza gli è possibile.
“Lo hai detto tu, Capitano. Ci è riuscito una volta, può senz'altro farlo ancora” conclude Banner.
“Mi piace. Io tifo per Bruce!” asserisce Nadia, con un sorriso incoraggiante.
“Non sai quello che dici” le mormora Stark all'orecchio.
“No, ma so che dobbiamo darci una mossa, Tony”.

***

Hanno deciso che sarà per quella sera, anzi a notte inoltrata, così da avere meno gente possibile tra i piedi.
Nel frattempo, la Romanoff, Barton e Banner sono usciti per questo famoso giro di ricognizione. E ora loro sono lì ad aspettarli. È snervante e noioso, ma non hanno alternative.
Loki si va a sedere sul davanzale di una finestra sprangata e osserva la stanza e i suoi occupanti.
Stark è intento a controllare i pezzi della sua armatura, mentre parla con il soldato che gli sta spiegando di come abbiano fatto tutto in modo che Nick Fury non scoprisse niente – anche se mentre lo dice lui stesso non ne sembra molto convinto.
Thor e Nadia sono seduti sulle scale che portano al piano di sopra, anche loro stanno chiacchierando e stanno persino ridendo. La ragazza sembra ancora più minuta seduta tra il muro e il profilo del possente dio del tuono, ma sono lì a parlare come se niente fosse. Thor le sta raccontando di quella donna che ha conosciuto durante il suo esilio, la scienziata midgardiana che gli ha rapito il cuore, e lo sta facendo in modo assolutamente stomachevole. Ma Nadia sembra apprezzare... certo, perché anche lei è una sentimentale che adora crogiolarsi nel pantano dei propri buoni sentimenti e di quelle che ritiene essere passioni. Come nel sogno della sera prima...
Ora che ci pensa con più calma e lucidità, Loki capisce il senso di quel bacio. Non era un segno di affetto, Nadia voleva semplicemente coglierlo di sorpresa, forse persino umiliarlo in qualche modo. E resta il fatto che lui ha dovuto arrendersi e ammettere con se stesso che non vuole ucciderla, non vuole farle del male. In definitiva, non prova odio o disprezzo nei suoi confronti, sarebbe sciocco, arrivati a quel punto continuare a sputare veleno sul suo nome ogni volta che questo gli attraversa i pensieri. Quella ragazza ha delle doti che le vanno riconosciute, è intelligente, ha coraggio ed è capace di avere fede – fede in un branco di fenomeni da baraccone che si fanno chiamare Vendicatori, ma è il concetto che conta.
Ora che Loki lo ha ammesso almeno con se stesso, si rende conto di non sapere che farsene di queste convinzioni. Dovrebbe stimarla? Dovrebbe considerarla degna del suo affetto? No, la stima e l'affetto per una mortale non trovano spazio nel suo cuore. Loki vuole solo che tutta quella storia abbia fine, vuole riportarla a casa sana e salva, come il suo orgoglio impone, sollevarla dall'onere della sua presenza e lasciarsela alle spalle. Vuole che quando si volterà per andarsene nessuno abbia da recriminare, nessuno possa dire che lui non ha fatto ciò che era giusto, perché lui non è incapace di comportamenti onorevoli, perché lui non è un debole.

L'agente Romanoff, Barton e Banner impiegano un paio di ore a tornare. Ma quando lo fanno hanno con loro quattro sacchetti di carta con sopra il simbolo di quel luogo di ristorazione che chiamano fast-food. E non sembrano di buon umore.
“Allora?” chiede subito il Capitano.
“Ce n'è uno di guardia a tutte le uscite dalla città: alla stazione, al ponte prima di Piazzale Roma e all'imbarco dei vaporetti” spiega Barton. “Vogliono assicurarsi che nessuno scappi, ma sono discreti, sanno il fatto loro. Nessuno si è accorto degli occhi grigi sotto gli occhiali da sole”.
“Non è una cattiva notizia” replica Stark. “La festicciola di stanotte possiamo organizzarla nel parcheggio di Piazzale Roma. Se c'è un solo indemoniato di guardia può essere il primo che Loki spreme come un limone”.
“Sì, è una buona idea” interviene Nadia. “Di notte, quando finiscono i giri dei bus notturni, il piazzale è sempre deserto, a parte le macchine”.
“E c'è altro?” chiede ancora Stark. I suoi compagni capiscono il senso della domanda, è ovvio, vuole sapere se hanno visto la sua donna. Ma loro scuotono la testa.
“Nient'altro” conclude la Romanoff, aprendo le buste con il cibo.
Loki non ha alcuna intenzione di unirsi a loro in quel pranzo frugale. È ancora troppo preso dalle sue riflessioni e l'odore di quei panini dentro le scatole colorate non è particolarmente invitante. E per fortuna i cari eroi sono troppo presi da loro stessi per badare al cattivo nell'angolo.
“Quando tutto questo sarà finito” dice Nadia mangiando svogliatamente un toast. “Vi porto io in un posto, dove si mangia come si deve... seppie alla veneziana, spaghetti ai frutti di mare e vino soave”
“Ve l'avevo detto che questa ragazza ha capito tutto della vita” asserisce Stark deliziato.  
E a Loki sta tornando il mal di testa. Sarebbe affascinante prendere uno di quei rimedi medicamentosi che si sciolgono nell'acqua sfrigolando e facendo comparire tante piccole bollicine, per il solo gusto di scoprire com'è e se davvero funziona.
E adesso ci si mette pure Thor che si stacca dall'allegra comitiva per andare verso di lui, con in mano due di quei panini che a chiamarli cibo per cani gli si farebbe un complimento.
“Dovresti assaggiarli, sono deliziosi. E poi dovresti bere una tazza di quella bevanda che fanno qui... caffè, o qualcosa del genere” gli dice, mettendogli in mano un involucro unticcio dall'odore speziato.
“Non ho fame”. Loki guarda con disgusto il cartoccio che suo fratello gli ha premuto contro il palmo, lo solleva con due dita e lo poggia nell'angolo più lontano del davanzale.
“E comunque” aggiunge Thor accostandosi maggiormente a lui e abbassando la voce. “Dovresti parlare con Nadia”.
“E a che proposito? Ci stavi parlando tu poco fa e sembravate meravigliosamente a vostro agio”
“Sembri una botte di aceto certe volte. Io volevo solo distrarla un po', ma è spaventata, Loki, ha bisogno di essere rassicurata”.
Loki sgrana gli occhi, la sua bocca si contrae in una smorfia.
“E dovrei farlo io?”
“Sì, perché sa che sei tu ad avere le risorse per salvare la situazione, è di te che si fida. È con te che vuole parlare” conclude Thor, prima di allontanarsi.
Questa sì che è buona. Nadia non sta facendo altro che abbaiargli dietro da quando è cominciata quella follia.
No, non è vero...
No, non ha solo sbraitato e puntato il dito contro di lui. Ha anche provato ad ascoltarlo, ha anche voluto sentire la sua storia, gli ha persino detto – in sogno – di non provare né odio né pena per lui. Ma si sbaglia se pensa di poter contare su di lui, si sbaglia davvero. Cosa si aspettano che le dica, poi?
Il cibo sembra aver migliorato l'umore dei presenti, tuttavia quella sarà una lunga giornata in attesa che arrivi la sera. Ma forse, se tutto va come sperato, entro l'alba di domani quella storia sarà già solo un ricordo. Una voce dal fondo dei pensieri di Loki sussurra molesta di non sperarci, che non può essere così semplice, ma lui cerca di scacciare via quelle parole dalla sua mente.
Che cos'è che può andare storto?
Ogni cosa!
Niente.
Adesso Nadia sta aiutando Steve Rogers a mettere via gli avanzi e i rifiuti, spingendoli ordinatamente in un sacchetto. Sarebbero una bella coppia quei due, il soldato e la guerriera, il buono e la sentimentale.
Barton e la Romanoff aprono i loro bagagli e cominciano a estrarre un po' di materiale interessante: armi, e altri attrezzi utili allo scopo.
No, non c'è niente che può andare storto. Loki è persino convinto che quell'essere privo di senno di Hulk si rivelerà capace di prendersi cura della ragazza, se dovesse essercene bisogno. Tutto quadra, tutto è perfetto, ogni cosa è al suo posto.
Sì, lo hai pensato anche l'ultima volta, e la volta prima, e la volta prima ancora...
“Domani sarà tutto finito...”. La voce di Nadia arriva a strappare Loki alle sue riflessioni. Lui alza lo sguardo sulla ragazza che ora è ferma accanto al davanzale e non capisce se le sue parole siano una domanda o un'affermazione.
“Sarà sicuramente così” le risponde a mezza voce.
Lei si guarda il polso, dove il bracciale è rimasto serrato con la pietra color madreperla. Probabilmente sta pensando che è assurdo che tutto sia accaduto a causa di un oggetto così piccolo e che ai suoi occhi appare ancora insignificante.
“Si preoccupano tutti per me. Ma tu, arriverai vivo a domani?” chiede con voce cupa, abbassando lo sguardo. “Io sono solo un brutto scherzo del destino, ma è te che vogliono”.
È di questo che si sta preoccupando la ragazza? Crede che lui potrebbe non farcela. È ridicolo, lui è un dio e lei sembra dimenticarlo con fin troppa facilità.
“So badare a me stesso”
“Certo. Ci sai badare talmente bene che sei finito braccato da un tizio alieno più schizzato di te”
“Se ti preoccupa tanto la mia salvezza e la salvezza di quelle persone” risponde Loki, scoccandole un'occhiata penetrante, “c'è solo una cosa che devi fare. Restare viva”.  

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Note:

Ok, i nostri hanno un piano e io ho un annuncio: l'ho finita! Ho finito di scrivere la fanfiction, sono ventitrè capitolozzi lasciati a macerare in una cartella del mio pc. Non vi dico altro, se non che sono molto contenta di aver portato a termine questa piccola grande avventura e mi sento di ringraziare ancora una volta tutti quelli che hanno letto e tutte le commentatrici che con le loro recensioni entusiaste e lusinghiere mi hanno incoraggiato e hanno fatto aumentare la mia voglia di proseguire con questa storia.
Grazie davvero a tutti voi!

Ci leggiamo mercoledì con il prossimo capitolo ^^

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordicesimo ***


Capitolo quattordicesimo


Nadia si è chiesta spesso come sarebbe vivere in una città normale. Un posto con strade e macchine e semafori e palazzi di vetro.
Quella notte Venezia ha un aspetto quasi sepolcrale. Il cielo cupo senza stelle è un drappo nero che incombe sulle case, un sudario di silenzio si stende per le strade deserte. Ha un brivido mentre  guarda la volta scura, sollevando gli occhi verso l'alto prima di uscire dalla casa e sentendo un vento fresco quasi pungerle sulla pelle.
Nadia si è chiesta spesso anche come sarebbe vivere qualcosa di davvero diverso. Ora che sa la risposta è solo più confusa e spaventata di prima. Non si abituerà mai all'idea che il mondo non è al sicuro da certe cose, che il suo piccolo mondo è qualcosa di fragile e aleatorio.
Steve le tende la mano per aiutarla a scendere dal davanzale.
Il piano è che Natasha, Clint e Bruce si avviino da soli verso il parcheggio fuori dal centro storico. I demoni non li conoscono e quello di guardia vicino a Piazzale Roma li lascerà senz'altro passare. Poi Tony porterà anche lei in volo fino al parcheggio, perché non possono rischiare di andare a piedi e farsi scoprire, e una volta lì troveranno un modo di nasconderla. Solo allora Thor e Loki – insieme a Steve, perché anche lui non può passare senza essere riconosciuto – andranno ad affrontare il primo demone.
Tony, incastrato nella sua armatura, le fa cenno di salire sulle sue spalle. A Nadia sembra quasi ridicola quella cosa, ma gli allaccia le braccia attorno al collo e le gambe attorno al bacino; sente il freddo del metallo anche attraverso la stoffa dei vestiti.
La ragazza si guarda attorno, passa in rassegna i visi di quegli eroi che ora sono diventati i suoi eroi.  Vorrebbe raccomandare ancora una volta a Loki di non farsi uccidere, ma lui è lontano, nell'ombra proiettata dalla casa. Le raccomandazioni e gli incoraggiamenti sono per i buoni, ai cattivi resta solo il silenzio e l'attesa della propria sorte.
Thor le si avvicina e le dà una pacca sulla spalla.
«Buona fortuna, Nadia» le mormora.
«State attenti» replica lei, e ha un tono quasi implorante. Non vuole che qualcuno si faccia male, anche se dovrebbe preoccuparsi più di se stessa, perché adesso che vede tutti loro in assetto da battaglia si rende conto di quanto è vulnerabile. Si ripete che non importa, che entro domattina sarà tutto finito. In un modo o nell'altro.
«Reggiti, Colombina» dice Tony, poi si dà una spinta e lei serra le palpebre.
Sente lo stomaco fare le capriole mentre prendono quota e tutto quello che la protegge dalla forza di gravità è l'uomo in armatura al quale è attaccata come un koala. Sente il vento quasi schiaffeggiarle il viso, attaccarle addosso la stoffa dei vestiti e spingerle i capelli sulla faccia.
Apre gli occhi solo un istante, quel tanto che basta per accorgersi che Venezia di sera dall'alto è una macchia di nero puntellata di luci, sembra quasi un cielo stellato, ribaltato sul mare.
Ha maledettamente freddo e ha anche una paura fottuta.

***

Loki alza lo sguardo, vede Stark e Nadia sparire nel cielo, come una cometa.
Si incamminano tutti insieme, sperando di non trovare intoppi lungo il sentiero. Nessuno parla, il silenzio è così denso che lo si potrebbe toccare.
La sensazione della pietra che si allontana non è gradevole e soprattutto non è rassicurante. Non gli piace l'idea di non poter tenere Nadia sotto controllo, a vista. Spera solo che lei non faccia qualche idiozia eroica.
Si passa una mano sul viso come a tentare di cancellare i brutti presentimenti che fin da quella mattina gli tengono sotto assedio i pensieri, impedendogli di restare concentrato. La mancanza di concentrazione è un lusso che in quel momento non può proprio permettersi.
Attraversano il sestriere di Dorsoduro senza incontrare nessuno. Mentre si avvicinano alla chiesa di San Simeon, Loki allunga lo sguardo in uno dei vicoli alle spalle del tempio, sa che una di quelle luci che si riflettono sul ciottolato è quella dell'albergo della famiglia di Nadia e sa che non vedrà mai più quel posto. Un pensiero consolante, in ogni caso.
Svoltano dopo la chiesa. A quel punto la Romanoff, Barton e Banner si separano e si avviano verso il parcheggio, raccomandando di essere cauti.
Adesso comincia la parte più difficile.  
Thor gli lancia una lunga occhiata seriosa. Come nella piana di Jotunheim, come nella valle di Nornheim, come all'inizio di ogni battaglia. È un'occhiata che ha sempre significato molte cose, troppe per Loki: fiducia, incoraggiamento, complicità. Perché in quei tempi, che ora sembrano lontanissimi, combattevano fianco a fianco, affidando l'uno la vita nelle mani dell'altro. Ma sono tempi che si perdono in ricordi sfocati, reminiscenze che il tempo ha sfilacciato come vecchi pezzi di stoffa.
«È tempo di procedere» dice Loki, meccanicamente, avviandosi lungo la strada che costeggia l'imbocco del Canale. Tempo di procedere, tempo di andare avanti.
La loro parte, per il momento è facile. Prendere di sorpresa il demone che fa la guardia, tirarlo fuori dal corpo della vittima, aspettare che dia il segnale di allarme per far accorrere i suoi simili e poi distruggerlo. Thor distrugge il demone, il Capitano guarda loro le spalle mentre quella dannata bestiaccia farà certamente piovere contro di loro ogni cosa.
Camminano rasente ai muri, protetti dalle ombre, facendo attenzione ai loro stessi respiri.
Ora il dio sente persino una nota di paura fargli eco nel petto. Combattere al fianco di persone che disprezza gli sembra una condanna già abbastanza pesante, senza dover pagare anche con la propria vita o con il subire qualsivoglia disgrazia.
«Sicuro di potercela fare?» domanda il Capitano, stringendo un po' di più le dita attorno all'impugnatura del suo formidabile scudo.
«Non ti sembra un po' tardi per i dubbi, soldatino?» sibila Loki sprezzante. State zitti tutti quanti, dannazione!
Può farcela, se si avvicinano il più possibile alla persona in piedi all'uscita della città. Ah, quanto vorrebbe avere con sé lo scettro di Thanos, con quello sarebbe facile uccidere quei mostri, anche se significherebbe immolare le persone di cui si sono impossessati – ma questo non è mai stato un suo problema.
«State pronti» ordina in un filo di voce. Un attimo dopo scatta in avanti, stagliandosi contro la luce di un lampione, in piena vista.
Il demone lo vede, ghigna e getta via gli occhiali da sole, rivelando gli occhi dalle pupille argentate. Resta a fissarlo con un sorriso disumano, tende le braccia verso di lui e Loki avverte una potente onda di energia scagliarlo contro il muro.
L'impatto è violento, il dio dell'inganno cade a terra frastornato e strizza più volte le palpebre cercando di riprendersi dal colpo. Si alza barcollando per qualche secondo; il demone sta tornando verso di lui, ma il Capitano gli lancia contro il suo scudo che colpisce l'uomo al fianco e lo getta a terra.
È il momento che stava aspettando.
Loki stende il braccio, cerca di richiamare a sé tutta l'energia del suo potere. E la sente quell'energia spandersi nell'aria come una ragnatela che si propaga dalle sue dita tese in direzione del demone. Sente i fili di questa ragnatela fluttuare leggeri e incorporei nel vuoto fino a raggiungere l'uomo che si stava preparando a lanciare un altro attacco, stavolta contro il soldato che lo aveva ostacolato.
La ragnatela invisibile lo raggiunge. I suoi fili di energia si insinuano nella bocca, nel naso, negli occhi, sotto la pelle. Ora sono artigli che scavano, raschiano alla ricerca del demone annidato da qualche parte.
L'uomo posseduto ha degli spasmi violenti, si porta le mani alla gola come se stesse soffocando. Un sottile rigagnolo di sangue scende dalle sue narici.
Lo ha trovato, il demone. Ora non deve fare altro che stringere e strappare, come erbaccia in un campo. E Loki stringe, stringe con tutta la forza che ha, tanto da sentire male in ogni parte del corpo, da avvertire le gambe che tremano per lo sforzo. Alla fine il demone è costretto ad arrendersi.
L'uomo cade a terra, privo di sensi ma vivo. Dalle sue spalle si solleva uno sbuffo di fumo grigio che sale verso l'alto e prendere la forma di un serpente, un nastro argentato che fluttua nell'aria.
È debole quel demone, li aveva già indeboliti con il primo colpo la sera del primo scontro, ora che questo è stato strappato via così brutalmente è ancora più vulnerabile. Sì, un solo lancio del martello Mjolnir dovrebbe bastare a eliminarli definitivamente una volta che lui è riuscito a trascinarli via dai corpi umani.
Guardano il serpente di fumo salire verso l'alto, come una saetta che procede al contrario, con gli occhi di luce blu puntati verso le stelle che non si vedono. Da lì, il demone emette un forte fischio, talmente acuto che sono costretti a portarsi le mani alle orecchie per proteggerle da quel suono mostruoso.
Bene, è andata come speravano. Ora che il demone ha lanciato l'allarme e richiamato gli altri, non serve più.
«Adesso, Thor» dice Loki, con il fiato corto.
Il dio del tuono fa roteare il martello, che prende a vorticare con un sibilo sordo, poi lo lancia in aria. L'oggetto sfreccia in direzione del demone, lo colpisce facendolo dissolvere in una nuvola di fumo nero che si trasforma in cenere.
Il primo di loro è morto.
«Un buon inizio» dice il Capitano.
«Un piccolo inizio» replica Loki, piegandosi in avanti e reggendosi con i palmi delle mani contro le ginocchia.
Thor afferra al volo il martello, poi si affretta ad andare verso di lui, gli posa una mano sulla spalla e lo guarda con apprensione.
Loki ha il volto pallido e sudato, si sente come se ogni grammo di forza fosse evaporato dal suo corpo, ma non vuole l'aiuto di Thor. Si sottrae al suo tocco con uno scatto stizzito e si impone di tornare in piedi.
«Ora capite perché mi serve la ragazza con l'energia della pietra» borbotta. Cerca di fare appello alle ultime forze rimaste, c'è qualche metro da correre per raggiungere il parcheggio, e presto gli altri demoni arriveranno.

***

Al centro del parcheggio è fermato un grosso caravan, sembra nuovo di zecca con la carrozzeria lucida e nera. È lì dietro che si sono nascosti Nadia e Banner.
Tony, Natasha e Clint si sono acquattati dietro la prima fila di auto, in attesa.
Stavano giusto cominciando a chiedersi se gli altri tre avevano avuto fortuna, quando hanno sentito quel fischio tremendo e hanno capito che non poteva essere altro che l'allarme dato dal demone per richiamare i suoi compagni. Evidentemente Loki, Thor e Steve ce l'hanno fatta.
«Ricordate» dice Tony. «Sparate molto vicino a loro senza colpirli, il rumore dei colpi li confonde».
«Andrà tutto bene, Stark» lo rassicura Natasha. Diamine, deve proprio sembrare disperato se l'algida agente Romanoff si è sentita in dovere di rassicurarlo.
Sentono dei passi, è il rumore di poche persone. La donna dello S.H.I.E.L.D. toglie la sicura alla pistola e si sporge appena per vedere chi sta arrivando.
«Sono Rogers e gli altri» mormora.
Il Capitano e le due divinità litigarelle raggiungono il piazzale e si sistemano con loro dietro le macchine.
«Sei passato sotto un rullo compressore, Bambi?» chiede Tony fissando sorpreso Loki. Non credeva che fare l'esorcista fosse così debilitante; se quello non fosse il tizio che lo ha scaraventato giù da una torre, gli farebbe quasi pena.
«Il primo mostriciattolo è andato?» domanda Barton.
Il Capitano annuisce,
«Sì, andato. Banner e la ragazza?».
Clint gli indica con lo sguardo il caravan nero al centro del parcheggio.
«Quando attaccheranno, è quello che dobbiamo proteggere».
Un demone è andato. Ne restano altri ventinove. E loro sono solo in sei, sette se Hulk dovesse unirsi alla festa. Tony spera proprio che l'energia di quella pietra sia portentosa come dice il rockettaro incazzato.
Restano immobili per qualche secondo, ad ascoltare quali buone nuove arrivano dal silenzio. Non devono attendere a lungo.
I demoni arrivano quasi a passo di marcia, si riversano nel piazzale e si guardano attorno. Sono una miriade di occhi color argento che brillano nel buio come quelli dei felini.
«Thor e Loki, nella retroguardia» ordina il Capitano, mentre loro saltano fuori dal cantuccio in cui si erano nascosti e cominciano a darsi da fare per tenere impegnati gli indemoniati.
Se Loki ha ragione, se fintanto che i demoni restano nei corpi umani sono limitati ai sensi delle persone normali, non possono semplicemente trovare Nadia andando a fiuto. Tuttavia loro scattano tra lo spazio vuoto e il caravan parcheggiato in mezzo alla piazza. Tra loro e il caravan ci sono Loki e Thor, ad aspettare di fare la loro parte: esorcizzare e distruggere.
Tutto sommato, sono pur sempre una bella squadra.
«Che la festa cominci!» esclama Tony. Sta per darsi uno slancio e sollevarsi da terra, avere la visuale dall'alto può essere utile. Ma un attimo prima di spiccare il salto la vede. Pepper è lì, in testa al gruppo, un viso caro in mezzo a tante facce anonime.
È una visione che lo annienta, che gli gela il sangue nelle vene. Sa che non possono permettersi errori, ha sempre saputo qual'era la posta in gioco, ma adesso sente davvero il pericolo tangibile e  reale di poter perdere la persona che ama.

***

Nadia stringe gli occhi e serra i pugni. Sente il finimondo provenire dalle sue spalle. Sente gli spari e le esplosioni e l'odore di bruciato. La sinfonia della battaglia è una musica stonata che fa quasi sanguinare le orecchie.
Deve fare un enorme sforzo per mantenersi calma e resistere all'impulso di sporgersi per guardare fuori.
Sa che Thor e Loki sono appena oltre la macchina dietro la quale lei e Bruce sono nascosti. Sente le loro voci e sente il dio del tuono portare il conto, forse per puro entusiasmo da guerriero, forse perché sa che lei può sentirlo ed è l'unico modo per farle sapere che ce la stanno facendo, che sta andando tutto bene.
«Fuori quattro!» grida Thor. Nadia alza gli occhi al cielo, vede un demone esplodere in una nuvola di cenere colpito dal martello che poi torna in picchiata verso il suo proprietario.
Fuori quattro. Ne mancano ancora più di venti.
«Bruce, tutto ok?» dice Nadia, posando una mano su quella del Dottore che sta sudando freddo e tiene le labbra serrate.
«Mai stato meglio» mormora lui.
«Stiamo vincendo. Un po' troppo lentamente, ma ce la stiamo facendo» lo rassicura lei.
Non ne è del tutto convinta, ma davvero non ha voglia di fare la conoscenza di Hulk quella sera.
«Fuori cinque!» grida Thor, Nadia ne approfitta per sorridere a Bruce, come a voler dire che la notizia è una prova a favore delle sue affermazioni.
Stiamo vincendo. Dobbiamo vincere per forza.
Adesso Nadia si sta chiedendo se in mezzo a tutto quel macello Tony abbia rivisto Pepper, se lei è una di quelli che hanno già liberato.
Vorrebbe davvero poter dare solo una sbirciatina.
All'improvviso sente i rumori avvicinarsi e il cuore batterle all'impazzata, così forte che teme che il sangue potrebbe evaporare dal suo corpo a causa dell'attrito.
Sente uno scricchiolio metallico e poi una botta contro la schiena. Un attimo dopo lei e Bruce si ritrovano a bocconi sull'asfalto. Sopra di loro, il caravan si solleva e ruota spinto da una forza invisibile, atterrando di schianto davanti ai loro occhi attoniti.
«Questo non è tranquillizzante» dice Bruce, mortificato.
«Va tutto bene» mente Nadia, voltandosi per vedere cosa sta succedendo. Ma all'improvviso comincia a calare una strana nebbia, densa come il fumo di un incendio. Opera di Loki, senz'altro.
In una manciata di secondi si fa tutto ovattato e lattiginoso. Per qualche secondo persino i rumori cessano, nessuno sa più dove andare a colpire.
Le orecchie di Nadia fischiano per il frastuono di poco prima. E in mezzo a quell'innaturale immobilità sente la voce di Loki che grida.
«Thor! La ragazza!».
Uno sbuffo di rosso compare in mezzo all'aria fumosa e cala su lei e Bruce. Nadia si sente sollevare per la vita, anche il dottore viene preso di peso.
«Non arrabbiarti per questo, Banner» dice la voce di Thor sopra le loro teste. E poi è un attimo, un salto nel buio, in tutti i sensi.
Nadia non fa nemmeno in tempo ad aprire gli occhi mentre si sente staccare da terra. Per una manciata di secondi vede dall'alto quell'enorme grumo di grigio che è ora il piazzale fuori il centro storico di Venezia. E poi atterrano sull'asfalto, dove Thor li lascia andare cercando di essere il più delicato possibile.
«Non muovetevi» intima il dio del tuono, un attimo prima di voltarsi e sparire.
Sono in un altro punto del parcheggio, dietro un'altra auto.
Nadia spia con apprensione il viso di Bruce. In effetti sembra un po' verdastro.
«Ehi... non ti stai trasformando, vero?» gli chiede preoccupata.
«No. Credo che sto per vomitare...».
La ragazza alza appena la testa; nella posizione in cui si trova riesce a vedere una certa angolazione della piazza riflessa nello specchietto della macchina dietro la quale è nascosta. Ora la nebbia si sta dissipando e a guardare bene, si accorge che c'è una cosa che non sta andando come doveva. I demoni stanno battendo in ritirata.
Lei si chiede se non sia il caso di inseguirli tutti assieme, ma forse la ciurma crede che un inseguimento la lascerebbe troppo esposta e vulnerabile. Ah, detesta essere il loro punto debole.
Nadia si sposta appena per poter vedere meglio dallo specchietto.
Natasha, Clint e Steve provano a fermare la fuga dei demoni. Tony rimane in piedi al centro del piazzale a fronteggiare... oh, mio Dio, il demone che è dentro al corpo di Pepper.
Dov'è Loki? Perché non sta facendo niente?
Il demone con le sembianze di Pepper si muove in circolo attorno al margine del piazzale. Sembra aver capito che Tony non è in condizioni di farle del male, non riesce ad alzare le armi contro la sua donna, e c'è qualcosa di crudele nell'espressione del suo viso, come se avesse compreso il legame tra l'uomo nell'armatura e la donna di cui sta occupando il corpo.
Ora il demone con la faccia di Pepper è vicino alla macchina dove Nadia e Bruce sono nascosti. Continua a fissare Tony che la fissa di rimando.
Loki spunta furtivo da un punto imprecisato e alza la mano verso di lei. Grazie al cielo! Forse, se non altro, dopo stasera, Tony riavrà la sua donna, è pur sempre un passo a loro favore.
Pepper ha dei violenti spasmi e si piega sulle ginocchia. Tony fa per andare verso di lei, ma Loki gli intima di non avvicinarsi.
Sembra che il demone stia opponendo una strenua resistenza a... a qualsiasi cosa stia facendo il dio dell'inganno. E sembra che il corpo stia soffrendo non poco.
Ma a un certo punto la donna in ginocchio fa un ghigno raggelante. E accade tutto in due o tre secondi. Allunga la mano e raccoglie da terra un frammento di vetro lungo almeno venti centimetri. Lo afferra e se lo poggia contro la sua stessa gola, che non è la sua gola, ma quella di Pepper. Può ucciderla e continuare ad usare il suo corpo, e vuole ucciderla per colpire Tony, per colpire tutti loro al cuore.
Nadia sente una morsa di angoscia farle contorcere ogni muscolo. Sente un dolore che è quasi fisico.
Ma è lei quella più vicina alla donna; è lei, debole o no, che deve fare qualcosa adesso.
Si alza in piedi, con uno scatto fulmineo si avventa su Pepper e le blocca il polso. Bruce non ha nemmeno il tempo di provare a fermarla, forse non riesce nemmeno a rendersi subito conto che lei si è alzata ed è uscita dal loro riparo.
Nadia adesso sta stringendo il polso del corpo di Pepper, un polso esile dalla pelle morbida. Eppure per un secondo il demone oppone resistenza.
«Nadia, no!» grida Tony con un accenno di disperazione. Fa partire un missile che atterra ed esplode davanti a loro, sperando che serva a intontire il demone. Ma è troppo tardi.
Ora è lei, è Nadia che il demone sta guardando con un quel ghigno infernale. Tiene gli occhi d'argento fissi nei suoi mentre le affonda il pezzo di vetro nella pancia.
Non sente dolore, sente solo la sensazione del sangue caldo e vischioso che inzuppa il tessuto della maglietta. La debolezza che l'assale di colpo è quasi piacevole.
Nadia ricade in avanti e sente il buio arrivare a coprire tutto, come una marea.
Solo buio e nient'altro, anche la fitta lancinante che adesso si spande dalla ferita a ogni fibra del suo corpo diventa in un istante un ricordo lontano. E in mezzo a quell'oscurità, l'ultima cosa che le arriva dal mondo è la voce di Loki che strilla il suo nome.

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Note:

Nei contenuti speciali del dvd di Thor c'è una scena eliminata di un dialogo tra Thor e Loki in cui si fa un breve riferimento a una loro battaglia contro Nornheim, uno dei nove regni e dove tra l'altro si parla del fatto che Loki aveva creato una mega nebbia per aiutarli. Per questo ho citato la cosa.

Avendo finito la storia (Odino sia ringraziato!), gli aggiornamenti seguiranno un preciso ritmo ciclico: lunedì-venerdì-mercoledì-lunedì, che è più o meno lo stesso che ho cercato di tenere durante tutta la pubblicazione, così non passa troppo tempo tra un capitolo e l'altro, ma chi vuole seguire la fanfiction ha abbastanza tempo per leggere l'aggiornamento senza che si accavallino troppi capitoli nuovi, mi è sembrata una scelta ragionevole, spero che vi possa andar bene :)
Calendario alla mano, posso dirvi che, salvo imprevisti, l'ultimo capitolo della storia sarà pubblicato il 13 settembre. 

Ci leggiamo lunedì con l'aggiornamento ;)

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Capitolo 16
*** Capitolo quindicesimo ***


Capitolo quindicesimo

«Nadia!». La voce di Loki suona quasi come uno dei tuoni di Thor.
La ragazza si accascia al suolo, mentre il demone che l'ha colpita scappa via. Non provano a fermare il mostro, non servirebbe e hanno altro a cui pensare.
Nadia non deve morire. Nadia non può morire altrimenti sarà tutto perduto.
Ma alle volte anche agli eroi le situazioni sfuggono di mano. E quegli eroi sono quelli che ci mettono un po' di tempo a scaldarsi, non era così scontato che ogni cosa andasse bene, ma che le cose si mettessero male fino a quel punto...
Tony si china su di lei, strappandosi di dosso il casco dell'armatura che lascia rotolare sull'asfalto.
«Ehi... no, no Colombina, non facciamo scherzi» le dice scuotendola.
Banner arriva correndo, quasi inciampando nei suoi stessi piedi. Cade in ginocchio accanto al corpo della ragazza, allunga una mano sul suo addome e la ritrae completamente zuppa di sangue. E comincia ad andare in iperventilazione.
«Non è il momento di perdere la calma. Le serve un medico è tu sei un medico, Bruce» dice Tony, perentorio.
Non fa caso a Loki, all'ombra che resta in piedi alle sue spalle, guardando con occhi sbarrati la scena. Il dio dell'inganno non ha frasi argute da proporre, nessun commento acido da fare.
«Le serve più di un medico. Le serve un ospedale, e anche così... io temo che non sia sufficiente» sentenzia Banner con la voce che trema.
«Che cosa è successo?». È Steve Rogers a porre la domanda. Dove cazzo erano finiti tutti quanti mentre lì succedeva il disastro? Oh, erano andati a inseguire i demoni. Ma adesso c'è il rischio che non ci siano più demoni da inseguire.
«Oh, no» aggiunge il Capitano, rendendosi conto della situazione.
Bruce prova a tastarle il polso.
«È viva» annuncia, voltando cautamente il corpo di Nadia e premendole un fazzoletto sul taglio. «Dobbiamo tornare alla casa, dobbiamo fermare l'emorragia e suturare la ferita, augurandoci che non ci siano danni agli organi interni».
«Ho portato un kit medico, qualcosa di meglio delle normali valigette per il pronto soccorso» dice subito Natasha Romanoff.
Il fatto che dalla bocca della ragazza stia colando un rigagnolo di sangue scuro non è affatto buon segno. Non faranno in tempo, Tony lo sa, ma non vuole dirlo, non vuole nemmeno pensarlo.
«Ci penso io» dice, sollevando con cautela la ragazza, attento a fare il minor numero di movimenti possibili.
«Thor, farebbe comodo un passaggio» dice Banner.
Il dio del tuono, che pure deve averne viste un bel po', sembra quello più scioccato di tutti. Annuisce con un ritmico dondolio del capo, ma ha lo sguardo assente.
Anche Loki non sembra molto in sé. Certo, sta per perdere l'unica speranza che aveva di salvarsi la pelle.
Una manciata di secondi dopo sono in volo. Tony con Nadia tra le braccia e Thor che tiene Banner per la vita. La situazione ha persino un che di grottesco, ma non è il caso di stare a sottilizzare.

***

Quando arrivano alla casa, trovano Stark e Thor nell'anticamera. In piedi accanto alla porta sulla quale qualcuno di loro ha appeso un lenzuolo a mo' di tenda.
Dietro quel lenzuolo c'è Banner che sta cercando di salvare la vita alla ragazza.
Nessuno dice una parola.
È inutile recriminare, discutere, fare la conta dei ma e dei se. Nadia ha commesso una grave imprudenza, uscendo dal suo nascondiglio e cercando di salvare la donna e ora la sta pagando con la vita. Se solo non si fosse lasciata trascinare dal suo istinto, se non fosse stata così sciocca!
Ha commesso esattamente il tipo di errore che Loki temeva, un'eroica imprudenza. E adesso il dio sente la rabbia avvelenargli il sangue, come ogni volta che si trova davanti a qualcosa di irreparabile. Perché ci sono cose che nemmeno un dio può contrastare, ci sono fallimenti con i quali anche quelli come lui devono fare i conti. E Loki ha fallito, non potrà riportare a casa la ragazza, non potrà salvarsi dai demoni. Tutto è perduto, lui, il suo orgoglio, ogni suo progetto. Tutto annega nel sangue di una mortale.
Tutto è perduto. Ora ne ha la certezza.
Banner riemerge da dietro la tenda, ha gli occhi arrossati e la fronte imperlata di sudore. Strofina nervosamente le mani in un telo sudicio di sangue, con il solo risultato di sporcarsi ancora di più le dita. Gli altri capiscono subito quello che Loki aveva compreso con qualche secondo di anticipo. Perché lui ha sentito la pietra spegnersi e sa quello che Banner vuole dire, ma le parole gli si incastrano in gola.
«Non... non ce l'ha fatta» il dottore riesce a buttare fuori, a fatica.
I volti dei presenti si raggelano in un'espressione addolorata. Non c'è posto per le lacrime su quei visi, perché sono visi di soldati e di guerrieri che sanno far fronte a una perdita, che sono abituati alle perdite. Anche se Loki sa che tutti loro stanno pensando che quella perdita è fin troppo drammatica.
Nemmeno lui ha lacrime da versare. Non ne ha da molto tempo, le sue ultime lacrime sono state versate mentre si lasciava cadere nel vuoto, dopo la distruzione del Bifrost. Dopo quel terribile momento lui è diventato un altro. Ha perso le lacrime e ha capito che si può fare a meno anche del proprio cuore.
Tuttavia, sente che deve entrare in quella stanza. Sa che deve vederla, forse dirle qualche parola di commiato – anche se è inutile, se lei non può sentire più nulla.
Fa per avvicinarsi alla tenda e Thor gli si va incontro, gli posa una mano sulla spalla e stringe leggermente in un moto di solidarietà.
«Fratello...» mormora con voce spezzata.
Loki non vuole la sua solidarietà, non prova lo stesso dolore che provano tutti loro all'idea che una ragazzina buona e brava si sia sacrificata inutilmente. Perché non è questo il punto. Ma a nessuno di loro importa di lui e di cosa pensi, quindi perché perdere altro tempo?
Solleva lo sguardo, i suoi occhi ardono di furia.
«Lasciami solo» sibila a Thor che si ritrae quasi di scatto.
Loki scosta la tenda ed entra.
Nell'aria c'è l'odore ferruginoso del sangue sotto l'olezzo del disinfettante medico. Nadia è stesa su una branda con gli occhi chiusi, le labbra smunte strette in un'espressione che sembra imbronciata.
Lui si siede sul bordo del letto e la fissa per lunghi minuti, poi si schiarisce la voce e comincia a parlare.
«Mi hanno definito un mostro, un essere ignobile, ma volevo governare questo mondo perché trovo che chi lo popola sia fin troppo stolto. E tu... tu sei l'ennesima prova della stupidità umana: morire perché cerchi di salvare un branco di estranei, fidandoti della protezione di una banda di saltimbanchi che si fanno chiamare eroi è una cosa davvero stupida. E sai, io odio la stupidità... e odio il fatto che tu... sia morta...».
Ora quasi si sente meglio. Avrebbe anche dell'altro da aggiungere, da farle sapere, che non sopporta che i suoi piani siano andati storti fin dall'inizio a causa sua, ad esempio. Ma quello è un addio, il momento del congedo, non del rimprovero.
Rimane seduto lì, con le braccia a penzoloni oltre il materasso e lo sguardo fisso, con la mente incapace di concentrarsi su un qualsiasi pensiero sensato. Poi, all'improvviso la stanza comincia a vorticare attorno a lui.
Le pareti di pietra scompaiono, sostituite da alte mura dorate. Quando Loki riesce a mettere a fuoco l'ambiente, si rende conto che è una sala del palazzo di Asgard. È sempre seduto sulla branda, con il corpo di Nadia, ma non è più in quella casa a Venezia, o almeno deve esserci una magia molto potente che ha creato una tale illusione se neanche lui riesce a spezzarla.
Loki sente dei passi provenire dalle sue spalle e si alza di scatto.
Odino. Certo, chi altri?
Il Padre degli dei sta venendo verso di lui, con la sua andatura solenne e regale. La luce del fuoco nei bracieri accentua i chiaroscuri sul tessuto dorato della sua veste.
«Sei venuto per assicurarti che il tuo prezioso primogenito stia bene?» chiede Loki, aspro. Non riesce a non contrastarlo, ad essere calmo e misurato, non dopo tutto quel tempo, non dopo tutto quello che è accaduto.
«Se così fosse» dice Odino in tono pacato, «sarei con lui, non con te. Mi dispiace per l'amore che evidentemente non abbiamo saputo dimostrarti, Loki, ma da quando sei fuggito da Asgard io non ho fatto altro che volgere il mio sguardo verso di te».
Non gli importa del rammarico del Padre, non gli importa se non riesce a smettere di vederlo come un figlio. Lui ha rinunciato a tutte quelle cose quando ha lasciato la sua casa, ma se il potente dio ha deciso di venire in loro soccorso, chi è lui per impedirglielo?
«Sei qui per aiutarci? Vuoi stendere la tua lancia e annientare i mostri come facesti un tempo?» gli chiede, cercando di trovare un tono di voce meno ostile. Al momento non gli importa nemmeno di discutere la questione, in realtà, ma ormai è lì e se c'è modo di porre fine a quel delirio tanto vale che lo si faccia in fretta.
«Non mi immischio in battaglie che non mi appartengono, e questa non è la mia battaglia» replica Odino scuotendo il capo.
«E quindi, cosa ci fai qui?»
«Volevo vedere la ragazza. Combatte pur senza essere costretta a farlo, pur sapendo di non esserne capace e questo la rende una guerriera più valorosa di molti altri che ho incontrato».
Loki abbassa lo sguardo sul cadavere ormai freddo, disteso su quel letto al centro della stanza come su di un altare. Il suo sguardo cade sulla pietra incastonata nel bracciale... è forse possibile?
«Tu puoi salvarla» realizza, corrugando la fronte. «Ha la pietra, l'ha portata per tanto tempo, può essere curata con la nostra magia»
«Vuoi che la salvi? Lo sai cosa significherebbe, cosa comporterebbe per lei?».
Sì, lo sa. Non è certo stupido.
«Potrò pensarci io, quando tutto questo sarà finito» ribatte, fissando intensamente il suo interlocutore.
Odino sembra stupito da quelle parole. Il suo figliastro non credeva che il Padre potesse ancora sorprendersi di qualcosa.
«Ti occuperesti dei guai di una mortale? Tu?» chiede con aria pensosa.
«Sono in debito con lei. Molte cose si possono dire di me, ma non che sia privo di onore»
«Onore? No, figlio mio, quando tutto questo sarà finito tu avrai un debito ancora più importante da pagare».
Loki serra la mascella in un gesto stizzito. Non vuole perdere tempo in gare di eloquenza con il Padre degli dei, non vuole ascoltare filippiche sulla giustizia. Sente un nervosismo febbrile serpeggiargli nella mente, serrargli la gola e strozzargli il respiro, tanto che urlerebbe solo per provare a scacciare quel senso di oppressione che ora lo sta attanagliando.
«È una guerriera, come tu hai detto» conclude, imponendosi di mantenere il suo autocontrollo. «So che se potesse scegliere, deciderebbe di continuare a vivere e a combattere, a qualsiasi prezzo».
«E sia, come tu desideri quindi» ribatte Odino, sfoderando il piccolo stiletto ornamentale che porta appeso alla cintura. Chiude la mano a pugno attorno alla lama e lascia che scivoli a tagliarli la carne. Appoggia il palmo sanguinante sulla ferita di Nadia.
Loki osserva la scena sentendo uno strano senso di paura pervaderlo. La vita, la morte e la magia sono cose pericolose se mescolate insieme, e sono poche le circostanze in cui una delle tre può servire alle altre. Questo è uno dei rari casi in cui è possibile, ma tutto ha un prezzo...
Odino ritrae la mano e guarda la ragazza con un'espressione quasi paterna.
«Sono sicuro che non sciuperà questo dono» dice. Loki non sa se si sta riferendo al dono della vita o al dono che implica un tale procedimento alchemico. Non vuole pensarci adesso.
Il Padre degli dei sa di non poter attendere altre parole dal giovane che continua a chiamare figlio. Un attimo dopo la stanza riprende a girare come una scatola e davanti agli occhi di Loki c'è di nuovo la camera spoglia della casa di Venezia.
Osserva con impazienza il volto di Nadia che non ha affatto ripreso colorito. Tuttavia, dopo lunghi secondi lei comincia a stringere le palpebre. Si muove, respira, è viva.

***

Nadia apre gli occhi.
L'ultimo ricordo che ha è quello del dolore per una pugnalata. Un dolore tremendo che sembra esserle rimasto incollato alla pelle.
Volta piano la testa e vede Loki in piedi accanto al letto che la fissa. Prova ad alzarsi e a mettersi seduta, ma ha le vertigini e si ritrova a boccheggiare stringendo le dita attorno al materasso.
«Piano, ragazzina» mormora il dio, premendole una mano sulla spalla per farla tornare distesa.
«Ho una nausea tremenda...» si lamenta. È come una cattiva digestione, forse se riuscisse a vomitare si sentirebbe meglio dopo. Poi, all'improvviso realizza.
«Io ero... morta». Non sa nemmeno come fa a saperlo, ha solo questo vago ricordo del buio che arrivava a sommergerla lentamente.
«Lo eri» conferma Loki.
Nadia si tasta febbrilmente la pancia, lì dove sente la maglia strappata e il tessuto irrigidito per il sangue ormai rappreso. Si passa una mano sulla pelle: lì dove dovrebbe esserci un taglio stralabrato c'è un sottilissimo solco argentato, come il segno di una smagliatura. Il respiro le si fa affannato e cerca di opporre resistenza con gesti convulsi ai tentativi di Loki di farla rimanere distesa.
«Cosa?... sei stato tu a farmi... oddio, tu... tu hai... puoi...»
«Calmati, Nadia. Non sono stato io, è stato Odino».
Odino? Cosa c'entra Odino adesso? Ah, le sta per scoppiare la testa, e forse le scoppieranno anche il cuore e lo stomaco. Oddio, il suo stomaco...   
«Ci sono certe, come dire, situazioni particolari, in cui qualcuno con il potere del Padre degli dei può contrastare la morte» aggiunge Loki, mentre lei si arrende e si lascia cadere contro il materasso. «E tu te ne eri andata da pochi minuti, praticamente eri ancora qui. E hai la pietra, è un potente manufatto magico per il mio popolo ed è stato per questo che Odino ha potuto risvegliarti, i poteri di guarigione ad Asgard sono una cosa abbastanza comune».
Sì, ma io non sono stata guarita. Io sono stata...
La parola le fa tremendamente impressione.
… resuscitata.
E se fosse accaduto a qualcun altro, uno qualsiasi di loro, stando a quello che le ha detto il dio, il miracolo non sarebbe stato possibile. Quel bracciale, l'oggetto che l'ha condannata è anche l'oggetto che l'ha salvata. La sensazione si nausea si fa sempre più pressante.
Nadia cerca di prendere dei lunghi respiri.
«Perché Odino avrebbe dovuto fare questo per me?» domanda, per poi voltarsi a guardare Loki con sconcerto. «Glielo hai chiesto tu?».
«Lui è come Thor. Ha un debole per gli umani» replica lapidario il dio dell'inganno.
«Beh, se lo rivedi, ringrazialo da parte mia» borbotta la ragazza, gettando la testa all'indietro sul cuscino. «Santi numi, gli altri come stanno?».
«Sei tornata dalla morte, puoi rimandare ancora di qualche minuto le tue preoccupazioni per quei mentecatti».
Forse è vero, ma Nadia adesso sta pensando a Tony. Tony che ha visto Pepper quasi uccidersi... prima di uccidere lei.
Tutta quella situazione è impossibile da digerire. Ecco perché ha la nausea.
Prova ad alzarsi, nonostante le vertigini e il dolore che ancora sente lì dove dovrebbe esserci la ferita. Loki allunga un braccio per provare a fermarla.
«Nadia, non...» prova a dire, contrariato.
«Stai zitto» lo ammonisce lei debolmente e si aggrappa al suo braccio per tirarsi su.
Quando punta i piedi a terra e si alza, sente la stanza vorticare attorno a lei. Più che una resurrezione sembra una sbornia venuta male.
Loki la guarda, per assicurarsi che non stramazzi sul pavimento all'improvviso. Loki non ha un'aria molto rassicurante come crocerossino.
Nadia volta il capo per guardarlo e di istinto gli getta le braccia al collo, affondandogli il viso nel petto. Lo sente quasi sussultare, non si aspetta che risponda all'abbraccio e infatti lui non ci prova neanche.
«Che stai facendo?» domanda con un sospiro che è quasi esasperato.
«Sono contenta che anche tu sia ancora vivo» risponde lei, concedendosi ancor qualche secondo per stringere a sé il dio che ora le sta battendo goffamente una mano sulla spalla. «E adesso, dammi una mano ad arrivare di là» dice poi la ragazza, aggrappandosi al braccio di Loki, sentendosi molto malferma sulle ginocchia.

***

Immobilità.
Quello che resta dopo lo scoppio di una bomba è un istante di silenzio perfetto, una totale assenza di rumore e movimento.
È questo che ora c'è nella mente di Tony: il nulla che segue il disastro.
Non è il tipo di persona capace di gettare la spugna. La spugna in questione non è di quelle che possono essere gettate. Ma hanno combattuto una battaglia nella quale si sono giocati il tutto per tutto e hanno perso.
Hanno persona Nadia. Loro, gli eroi, i Vendicatori, quelli che, cazzo, hanno salvato il pianeta, non sono riusciti a proteggerla.
Ora Tony si sente parte di quel nulla che lo sta assalendo, una minuscola molecola di vuoto in un mondo che gli appare gigantesco ed enorme, del quale non sa riprendere le fila che fino a poche ore prima credeva di tenere ben strette in mano, come è sempre stato, perché chi lo ha definito un presuntuoso, un pallone gonfiato, in fin dei conti ha sempre avuto ragione.
Hanno perso Nadia e hanno perso la speranza di salvare quelle persone. Lui ha perso la speranza di salvare Pepper, per la quale si è sacrificata un'innocente. Doveva essere lui a proteggerle, entrambe. E invece adesso sono tutte e due perdute.
Ottimo lavoro, Stark!
Tony alza lo sguardo sul lenzuolo che copre l'accesso alla stanza.
Loki sarà lì dentro da almeno un'ora. Che accidenti starà facendo quel figlio di puttana?
Persino ora che Nadia è morta, gli dà fastidio il pensiero di saperlo troppo vicino a lei. Ma forse il dio non è così insensibile come credono, forse persino lui è riuscito a provare un po' d'affetto per la ragazza che ha tentato di aiutarlo, e adesso starà versando qualche calda lacrima color arcobaleno, prostrato accanto al corpo. No, certo che no... è un quadro troppo sentimentale per un dio senza cuore. Eppure Tony è certo di aver visto un'ombra di smarrimento e disperazione passare nello sguardo di Loki mentre entrava nella stanza. Forse si sta solo preoccupando del fatto che ora che la pietra è andata anche lui è fottuto, o forse c'è un cuore sotto quegli strati di cuoio e velluto e ogni tanto è persino capace di battere.
Ma adesso basta. Adesso Tony vuole andare lì, prendere il dio per la collottola e scaraventarlo fuori da quella stanza. Se lui non fosse piovuto dal cielo e non si fosse intrufolato nella vita di Nadia, se avesse avuto la dignità di accettare la sorte che si era meritato, a quest'ora sarebbero tutti felici, ognuno con le proprie vite.
Lui e Pepper starebbero bevendo champagne nella suite del Danieli.
Gli altri si starebbero godendo la loro vacanza.
Nadia probabilmente starebbe sorridendo a un giovanotto che merita tutto il bene che quella ragazza era capace di dare. E in ogni caso, sarebbe viva e vegeta, ben lontana dalla paura che si sarebbe portata dentro tutta la vita, se fosse sopravvissuta.
Tony si alza in piedi, diretto verso la stanza sul fondo dell'anticamera. Forse ha solo bisogno di qualcuno con cui prendersela ma non è abbastanza lucido da ammetterlo.
Intercetta per caso lo sguardo di Steve Rogers che, dietro l'espressione contrita, sembra avere scritto in faccia: «Torna a sedere, non fare stupidaggini».
Ed ecco che la tenda si sposta. Ah, finalmente Loki si è deciso a uscire e a venire ad affrontarli.
Nadia?  
È davvero lei. Pallida e malferma sulle gambe, aggrappata al braccio del dio, e sembra che ogni movimento le costi uno sforzo tremendo. Ma è lei, si muove, respira, sembra perfettamente lucida.
Tony non capisce. Bruce non ha nemmeno fatto in tempo a ricucire la ferita, ma lei non sta sanguinando, non sembra nemmeno che ci sia una ferita sotto lo strappo insanguinato sulla maglietta.
Tutti loro fissano attoniti la ragazza uscire dalla stanza, nessuno sembra capace di dire o fare la minima cosa.
Tony vorrebbe dire qualcosa, ma si ritrova a boccheggiare, incapace di mettere assieme un pensiero di senso compiuto.
È stato Loki? È lui che l'ha salvata? Nella sua scatola da prestigiatore ci sono davvero magie tanto potenti?
«Qualcuno dica qualcosa, prima che io decida di mettermi a cantare» dice Nadia. Ha la voce spenta, ma si sforza di sorridere e quello è proprio il suo sorriso.
Tony non dice niente, ma le va incontro e l'abbraccia, staccandola da Loki.
«Certo che sei brava a organizzare scherzi, eh Colombina!» esclama poi, ridacchiando nervosamente.
«Tu... tu ti senti bene?» farfuglia il dottor Banner, guardandosi le mani che un minuto prima erano sporche del suo sangue.
«Non proprio. Ma per quanto ne so, potrei stare peggio».
«Dio sia ringraziato» aggiunge Steve, avvicinandosi e facendo una carezza sulla testa della ragazza.
«In proposito» aggiunge Thor – che al momento ha stampato in faccia un sorriso così compiaciuto da farlo sembrare un idiota. «Posso dedurre che è stato nostro padre a fare questo». Guarda Loki ma il dio dell'inganno nasconde lo sguardo.
«È stato Odino, sì.» risponde sbrigativo.
«Accidenti! Mi chiedo perché Fury non abbia ancora provato a reclutarlo» scherza l'agente Barton. Perché ora è tempo di scherzare e sorridere. L'immobilità di qualche minuto prima è stato solo un attimo di stasi, come un laccio emostatico che ha bloccato il normale flusso delle cose. Adesso è tutto a posto, adesso possono tornare a pensare di andare avanti.
La Romanoff si china a guardare la faccia di Nadia, ancora incredibilmente pallida,
«Però forse tu dovresti mangiare qualcosa» suggerisce.
Lei scuote la testa.
«Se penso anche solo all'idea di mangiare, vomito» risponde arricciando il naso.
«L'unica cosa di cui ha bisogno, in realtà, è riposo» interviene Loki.
Un dubbio strano e molesto si affaccia di colpo nella mente di Tony. Certamente il caro Odino deve essere uno che sa il fatto suo, ma lui, da piccolo essere umano – per quanto geniale e brillante – si chiede se strappare una persona alla morte non abbia delle conseguenze.
«Non... non comincerà a fare cose strane, tipo bere sangue o nutrirsi di cervelli umani, vero?» dice all'improvviso, senza nemmeno pensare che la sua possa sembrare una domanda sciocca, perché c'è un motivo serio per cui la sta facendo.  
«Niente affatto» replica immediatamente Loki, con la sua solita aria altezzosa. «Tutto quello di cui ha bisogno è un po' di riposo. Poi ritornerà a fare tutto quello che faceva prima».
«Avrei bisogno anche di una maglia di ricambio» precisa Nadia con aria giocosa. Certo, è morta è risorta, è normale che voglia sdrammatizzare! Ah, benedetta ragazza...
«A questo si può porre rimedio» risponde la Romanoff, mettendosi a frugare nel suo zaino ed estraendone una t-shirt scura.

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Note:

Finalmente Babbo Orbo è stato utile a qualcosa.
Come dice un personaggio telefilmico molto interessante: “la magia ha sempre un prezzo”. Ma questo lo vedremo in seguito... molto in seguito, per adesso, se vedete personaggi dire o pensare cose strane riguardo all'accaduto e alla sorte di Nadia, abbiate fede...
Spero che risulti comprensibile e plausibile... una resurrezione è una roba brutta da smaltire, in tutti i sensi.

Ci leggiamo venerdì (o se tornassi tardi, perché sono via, sabato mattina) con l'aggiornamento ;)

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Capitolo 17
*** Capitolo sedicesimo ***


Capitolo sedicesimo


Nick Fury guarda assorto lo schermo del computer dove campeggia la piantina tridimensionale di un edificio, una costruzione sotterranea che sarà realizzata subito fuori New York. Ha fatto tutto Tony Stark e lui lo ha lasciato fare perché, in fin dei conti, l'idea non gli sembrava affatto male.
Una base segreta per gli Avengers.
È più di quanto potesse sperare, quando quell'avventura era cominciata e quella strana squadra sembrava un branco di polli lobotomizzati che non facevano altro che beccarsi tra loro.
C'era voluta la morte dell'agente Culson per dare una svegliata a quelle teste bacate, una brutta perdita. Ma alla fine ce l'avevano fatta, su tutti i fronti.
C'è un certo senso di immobilità, ora, quasi di pace. Nessuno squillo di telefono che risuona come un grido di allarme tra i corridoi, nessuna luce rossa lampeggiante contro il bianco asettico delle pareti.
Nick Fury è quasi contento di quelle ultime settimane di calma piatta. Sorvolando sul fatto che ha passato un giorno sì e l'altro pure a rassicurare il Consiglio di Stato Maggiore sulla faccenda dei supereroi sguinzagliati in giro per il Paese, quelle ultime settimane sono state un lento, lungo, noioso lasso di tempo tranquillo dove le uniche notizie di rilievo che gli venivano riferite erano quelle che avevano a che fare con la riparazione dell'eliveivolo.
Non che non avere il proprio pianeta minacciato da alieni sia sgradevole, però il direttore dello S.H.I.E.L.D. non vorrebbe rischiare che il suo dipartimento si rammollisca per l'ozio.
È abituato a pensieri che lo tengono sveglio la notte. È abituato a sentire il fiato sul collo. Adesso, dannazione, l'altra sera stava quasi prendendo in considerazione l'idea di farsi una camomilla e andarsene a letto!
In realtà però c'è un tarlo che ora sta cominciando a scavare tra i suoi pensieri.
«Signore» la voce della Hill arriva dall'ingresso dell'ufficio. «Aveva ragione, c'è qualcosa di strano».
Ecco, lo sapeva!
Fury solleva il capo di scatto e fissa la donna che regge tra le mani dei fogli che hanno tutta l'aria di essere ancora caldi di stampante.
«Barton e la Romanoff hanno usato una delle loro identità di copertura per prendere un aereo diretto a Milano, insieme a Banner e Rogers. E hanno usato il nostro protocollo per imbarcare delle armi, delle attrezzature dello S.H.I.E.L.D. e...»
«Che cosa?»
«Lo scudo di Captain America, signore».
Fury fa un sospiro che sembra tanto lo sbuffo di un toro pronto alla carica.
«Milano, hai detto?» borbotta. «E Stark, lo avete localizzato?»
«Sì. È a Venezia, signore».
Aveva congedato Clint Barton e Natasha Romanoff per un breve periodo di pausa. Poi qualche giorno prima un loro computer aveva segnalato l'utilizzo dei loro passaporti falsi per l'imbarco su un volo intercontinentale diretto in Italia. Fossero partiti loro due da soli, Fury avrebbe persino potuto sforzarsi di pensare che fosse una specie di idiota e stucchevole viaggio romantico organizzato da due dei suoi agenti migliori improvvisamente rimbecilliti da un improbabile attacco di melensaggine, ma in un impeto di scrupolosità – o forse di noia – un agente si era dato la pena di controllare la lista di passeggeri di quel volo ed era venuto fuori che su quello stesso aereo erano saliti Bruce Banner e Steve Rogers. La cosa era parsa quanto mai sospetta, visto che Fury sapeva che anche Stark in quei giorni era in Italia, così aveva dato ordine di controllare se era stata attivata qualche procedura particolare da Barton e dalla Romanoff.
Imbarco di armi, di attrezzature S.H.I.E.L.D, scudi leggendari e... Banner. Anche lui, su un cazzo di aereo. Un aereo con passeggeri, hostess e tutto quanto, sprovvisto di cella di supersicurezza...
Fury non è incline a pensare che due dei suoi migliori agenti abbiano totalmente perso il senno, ma sarebbe una prospettiva molto più rassicurante perché, quale che sia il motivo per cui quei due si siano recati in Italia con Rogers e Banner, è quasi certamente una di quelle cose che di solito gli provocano insonnia. Se si aggiunge che hanno fatto tutto ciò senza informarlo poi, è una questione che potrebbe anche fargli passare l'appetito.
«C'è qualche traccia? Qualche informazione che lasci capire dove sono finiti e cosa stanno facendo?» domanda massaggiandosi il mento.
«No, signore. Sembrano spariti nel nulla» risponde la Hill.
Molto rassicurante, già.
Quasi sicuramente sono a Venezia anche loro. Forse Stark ha solo organizzato una party sulla Laguna, ma in quel caso perché avrebbero portato con loro delle armi?
No, sta certamente succedendo qualcosa, laggiù. Qualcosa di cui hanno pensato bene di tenerlo all'oscuro.
«Vuole che mandiamo qualcuno a cercarli?» chiede Maria Hill.
Fury incrocia le braccia sul petto e resta a rimuginare per qualche secondo.
Dopotutto, l'ultima volta che ha dato fiducia a quella squadra non è andata poi così male.
«No, non occorre. Ma appena rientrano voglio essere immediatamente informato» conclude.
Appena rientrano, sarà meglio per loro che siano disposti a raccontargli tutto.     

***

«Che cos'è lo S.H.I.E.L.D?» domanda Nadia, guardando la scritta sulla maglia che le ha prestato Natasha Romanoff, la giovane donna che ora è seduta accanto a lei, a vegliare sul suo riposo caldamente raccomandato da Loki. Praticamente l'hanno costretta a letto, le uniche volte in cui si è alzata è stato durante la notte, quando si è chiusa nel bagno guasto a vomitare anche l'anima. Ed essendo Natasha l'unica ragazza, è sembrato appropriato che se qualcuno dovesse farle da infermiera fosse lei.
La donna rossa inarca un sopracciglio. È molto bella, e Nadia quasi le invidia quella compostezza, quel suo fare compassato, come se ogni suo gesto fosse studiato, preparato per essere reso perfetto.
«Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division» recita Natasha, cantilenando come se fosse una filastrocca. «Tecnicamente è un'associazione segreta di intelligence e tu, in quanto civile di un altro Paese, non ne dovresti saperne assolutamente nulla. Ma conoscendo la lingua lunga di Stark, è un miracolo che tu non sappia già tutto».
«La parola miracolo ultimamente fa tendenza da queste parti» scherza Nadia, alzando gli occhi sul soffitto e fissando le ragnatele che pendono come merletti dalle travi scoperte.
Natasha sorride, si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Ne ho viste di cose, nella mia vita. Ma questa le ha superate tutte» dice.
Sì, è stata una serata memorabile. Nadia si chiede se riuscirà mai a dimenticarsene, perché è stato comunque terribile. Le sue mani vanno in continuazione all'addome, i polpastrelli tastano il solco appena accennato della sottilissima cicatrice argentata; un bel souvenir per un viaggio nell'oltretomba.  
Clint Barton fa improvvisamente capolino nella stanza e guarda la sua collega.
«Nat, dimmi che ti sei portata le carte da gioco» dice con voce quasi implorante. La giornata sta trascorrendo con una lentezza micidiale.  
«Volevo portare Risiko, ma ho perso tutti i carrarmato rossi dalla scatola» scherza lei.
Ci starebbe proprio bene una partita a un qualche gioco di società. Ma Nadia è convinta che ci siano delle priorità a cui pensare. Sopra la sua testa, le ragnatele ondeggiano appena.
«Ma non dovremmo tipo organizzare un altro incontro con i nostri amici demoni?» chiede, odiando il fatto di essere stesa in un letto cigolante. Già la trattavano come una bambola di porcellana, adesso che è malaticcia la situazione sembra peggiorata.
Barton inclina la testa di lato e scambia una strana occhiata con Natasha.
«Quante volte hai intenzione di farti uccidere in una sola settimana?» dice l'uomo e sembra sinceramente scandalizzato.
Oh, andiamo, loro sono super spie di una super associazione segreta che assolda supereroi e divinità, non possono stupirsi davvero perché lei vuole farla finita con tutta quella storia assurda.
«Naturalmente avevo in mente un incontro con un finale un po' diverso» dice.
«Ad esempio?» la incalza Natasha.
«Datemi una mano ad alzarmi e facciamo una bella riunione di gruppo»
«Nadia, Loki ha detto che...»
«Vi dispiacerebbe così tanto contraddirlo o farlo irritare?».
Clint scoppia a ridere. No, a lui non dispiacerebbe far irritare Loki – e nemmeno prenderlo a pugni o piantargli una freccia in un occhio, questo è evidente e non è detto che non lo farà, quando la questione dei demoni sarà chiusa. A proposito, cosa ne sarà di Loki quando quella storia sarà finita? Nadia non vuole pensarci, non deve pensarci, sopratutto non adesso.
È tutta la sera che, tra un attacco di nausea e l'altro, pensa a un piano. Un piano architetto vomitando non sembra un granché, per principio, e lei non è un'eroina e nemmeno un soldato, ma pensare a un modo per risolvere quella situazione è stata la sola cosa sensata che le è venuta in mente. E ci ha pensato molto a lungo, visto che non ha chiuso occhio la notte prima.
Clint le passa un braccio attorno alla vita, reggendola con forza e aiutandola a uscire dalla stanza.
«E questo che significa? Dove hai intenzione di andare?» esclama Bruce appena la vede in piedi.
«A prendere un gelato al Florian» lo rimbecca lei. «Dove sono tutti? Dobbiamo parlare».
Nella stanza, oltre al dottore, ci sono solo Steve e Tony. Loki e Thor staranno al piano di sopra, a rammentare i bei tempi andati o a litigare, molto più probabilmente. Cioè, Thor è l'unico che non preferisce evitarlo, gli altri non riesco semplicemente ad aver a che fare con lui e Nadia non può davvero biasimarli. In condizioni normali, Loki non è nemmeno eccessivamente sgradevole, ma ha tentato di uccidere uno di loro, lobotomizzato un altro e fatto vedere i sorci verdi – e gli Hulk verdi – a tutti quanti. E sì, forse è decisamente meglio non pensare a cosa lo aspetta quando tutto quel casino sarà risolto.  
«Capisco che scampare alla morte ti faccia sentire invincibile, lo capisco molto bene» dice Steve. «Ma Nadia, dovresti davvero riposare, sembri distrutta».
«Non ho vomitato anche il cervello, posso farcela. Ho un'idea».
La ragazza si fa portare da Clint fino a uno sgabello di legno tarlato e si lascia cadere seduta.
«Sei appena tornata dall'aldilà, è un po' presto per avere idee» osserva Bruce tra il sarcastico e lo scioccato.
«No, voglio sentire. Che genere di idea?» interviene Tony. «E qualcuno dica ai due cherubini di scendere dalle nuvole».
Natasha si sporge verso le scale, chiamando Thor e Loki. Dovevano star discutendo di qualcosa di molto molto importante lassù, perché non hanno le facce particolarmente rilassate.
«Cosa ci fai alzata?» sbraita subito Loki.
«Mi rendo utile» ribatte Nadia scrollando le spalle. Per fortuna il dio non sembra avere voglia di discutere anche con lei, si limita a guardarla con disappunto e a scuotere la testa.
«Nadia voleva parlarci di un piano» spiega Natasha.
«Sarebbe?» domanda Thor.
Nadia fa un sorriso furbo.
«San Michele» dice, passando poi in rassegna le facce dei presenti per vedere se hanno colto.
«L'isola con il cimitero?» chiede Bruce. «Come facciamo arrivare i demoni su un'isola?».
«Con un'esca» risponde Nadia. «Thor mi ha detto che Loki ha un trucchetto niente male in quella sua manica bella stretta».
La ragazza scambia una rapida occhiata con il dio dell'inganno.
«Bambi?» lo esorta Tony.
Loki stringe le labbra con aria pensosa.
«Creare un'illusione di me stesso. Ci sono state occasioni in cui è stato anche molto divertente» mormora, lanciando verso Thor un'occhiata colma di malevolo sarcasmo. «E non costa particolari sforzi in termini di energia. Ci vuole una barca abbastanza grande, Stark. Puoi tirarne fuori una dal tuo cappello da prestigiatore?».
Nadia sorride, Loki ha capito esattamente cosa vuole fare. Far salire gli indemoniati sulla barca, far partire la barca verso l'isola di San Michele e affrontarli lì, così che non possano ritirarsi e così che loro abbiano uno spazio di manovra abbastanza grande per nascondersi e attaccarli senza che nessuno si faccia male. Per loro fortuna, quei mostri sono tutti superpoteri e niente cervello – ad eccezione di quello più cazzuto, quello che ha resistito al primo attacco di Loki e si è impossessato di Pepper; Nadia ha i brividi al solo pensarci.
Certo, le piange il cuore per il cimitero e i monumenti che sono lì da duecento anni, per non parlare degli illustri defunti sepolti nel camposanto. Ma è normale che una riveda le proprie priorità dopo essere stata pugnalata a morte da una donna indemoniata.  
«E noi, sull'isola come ci arriviamo?» chiede Steve.
«Ecco, a questo non ci avevo pensato» ammette Nadia. «Ma in squadra due di noi volano»
«E dovremmo farci portare avanti e indietro come dei pacchi?» dice il Capitano poco convinto.
«Rettifica: ci servono due barche, Stark» aggiunge Clint, muovendo la mano a mezz'aria come a cancellare quello che si è detto fino a quel momento. «Su una andiamo noi, a luci spente, sull'altra i demoni. Saranno troppo impegnati a fare a pezzi l'ologramma di Loki per accorgersi di noi».
«Possiamo avere due barche?» chiede Thor.
«Per prendere a calci in culo quegli sputi da narghilè possiamo avere anche un'intera flotta!» risponde Tony con un sorriso largo da un orecchio all'altro.
«Fantastico!» esclama Loki, torvo. «Mentre voi limate i dettagli di questo progetto, io riporto a letto la stratega».

***

«Fantastico!» esclama, non troppo convinto. Non perché non sia una buona idea, ma perché sa che nessuno di loro si è ancora ripreso dalla sera precedente e il piano, per quanto interessante, non potrà essere attuato prima di un paio di giorni, specie con Nadia in quelle condizioni. «Mentre voi limate i dettagli di questo progetto, io riporto a letto la stratega».
Lo dice perentorio, non ammette alcuna replica. Nadia deve riposare. Dovrebbero tutti riposare in realtà, anche lui.
La ragazza prova ad alzarsi in piedi, ma non sembra molto ferma sulle gambe. Loki le cinge la vita con un braccio, sta per sollevarla e portarla di peso nell'altra stanza e a lei la cosa non sembra piacere. La capisce, anche a lui non piace mostrarsi debole e detesta aver bisogno dell'aiuto degli altri, ma quello non è il momento di fare la bambina orgogliosa.
«Non toccarla» sbotta Stark, all'improvviso. Sembra che il monito gli sia venuto di impulso, una specie di tilt in quel suo cuore robotico.
Loki si volta a guardarlo con aria sdegnata. Adesso cos'è quest'altra novità? Di che ha paura, che la contagi con la sua inguaribile malvagità?
Anche Nadia sembra stupita dalla reazione del suo nuovo amico del cuore.
«Ehm... Tony, è tutto a posto, davvero» dice lei, titubante.
«Mi dà fastidio, ok? Mi dà i brividi, anzi».
Nessuno di loro sembra voler aggiungere qualcosa. Non che Loki si aspetti che qualcuno prenda le sue parti, ma se qualche altro buono facesse notare a Stark quanto stia parlando da paranoico sarebbe uno sforzo gradito. Ovviamente tutto quello che resta è il silenzio assoluto e lo sguardo preoccupato di Nadia.
Loki scrolla le spalle.
«Lei ha detto che è tutto a posto» osserva mellifluo, sollevando la ragazza ora palesemente a disagio.
Stark freme, serra i pugni. Se avesse addosso la sua armatura, probabilmente gli sparerebbe solo per sfogarsi – ci vuole ben più di un proiettile per uccidere un dio.
«Vuoi proprio sentirmelo dire, eh?» mormora Loki dopo qualche passo, senza voltarsi a guardare Stark e gli altri alle sue spalle. Nadia gli stringe una mano attorno al braccio in un monito silenzioso. «Ma tanto non mi crederesti».
«Di che stai parlando?» domanda Rogers freddamente.
«Dell'affermare ad alta voce, esplicitamente, che non ho alcuna intenzione di nuocere a Nadia, in nessun modo».
Alle sue spalle arriva solo il silenzio. Lui volta appena la testa di lato per mostrare agli altri la sua espressione di fredda irritazione.
«Ma come dicevo, non mi credete» conclude, portando Nadia nella stanza accanto, dove la posa con quanta più delicatezza può sul materasso.
Lei lo fissa con una strana espressione.
«Era proprio necessaria tutta quella pantomima?» gli chiede con un sospiro.
«Era proprio necessario che il tuo diletto Stark condividesse a quel modo i suoi timori?».
Nadia si massaggia le tempie e getta la testa sul cuscino. I capelli biondi si spargono a cerchio sul guanciale, in ciocche ondulate.
«Non hai alcun bisogno che loro ti credano, vero?» mormora.
Per un attimo Loki pensa che non ha voglia di fare quella conversazione, ma ha ancora meno voglia di uscire da quella stanza e ritrovarsi immerso in quella selva di sguardi ostili. Parlare con Nadia, se non altro, non è difficile.
«Non ho bisogno che mi crediate» replica con fare distaccato.
«E io cosa c'entro? Io non penso che tu voglia nuocermi, anche perché peggio di così...»
«Di certo non avevo in mente di farti ritrovare coinvolta in questa storia spiacevole». Aveva in mente altri modi per farle del male, ma sarebbero stati un affare tra lui e la ragazza, con i suoi tempi e secondo le sue modalità.
Ma lei non pensa a questo, lei gli sta sorridendo, di nuovo – da quanto tempo non lo faceva?
«Scuse accettate» replica, con quel sorrisetto saputo.
Non erano scuse.
O forse sì?
Bah! Che pensi quello che vuole, a lui non importa.
«Di cosa stavate parlando prima tu e Thor?» chiede lei, cogliendolo alla sprovvista. «No, non dirmelo. Cose che un'umana non merita di sapere...».    
Non sono cose che un'umana non merita di sapere, sono cose che lei, in quel particolare momento non deve sapere. Non deve sapere cosa le causerà il procedimento innescato da Odino per riportarla in vita. Non deve sapere che lui sarebbe persino ben disposto a darle una mano se non ci fosse l'universo intero a reclamare la sua testa. Non deve sapere che porterà i segni di quella brutta avventura per molto tempo, per tutta la vita. Perché è una guerriera, ma la sua armatura è fragile e piena di crepe e Loki ha bisogno che tenga duro ancora un po', non sarà lui a infliggerle il colpo che manderà in frantumi le sue ultime risorse per andare avanti.
Thor invece ha capito che quel salvataggio non poteva essere senza conseguenze. Lui ha dovuto usare tutta la sua abilità di mentitore per sminuire la cosa, per convincerlo che non era così grave come credeva, perché non deve mettere in allarme né la ragazza né il circo ambulante che ha attorno – ah, per i corvi di Odino! Perché suo fratello deve smettere di essere stupido nei momenti meno opportuni?
«Parlavamo del futuro» risponde enigmatico, distogliendo lo sguardo.
«Ottimo argomento. Cosa succederà quanto tutto questo sarà finito?»
«Come dite voi: e vissero tutti felici e contenti».
Nadia si solleva, puntellandosi su un gomito. Lo guarda con quella sua aria un po' supponente e un po' materna. Non tenera come quando parla con Stark, ma abbastanza interessata da sembrare quasi affettuosa.
«Intendevo dire: cosa ne sarà di te?» precisa.
«Se non la smetti di preoccuparti per me potrei persino commuovermi» borbotta lui, con un sarcasmo privo di allegria.
«Smettila di fare il dio capriccioso e rispondi»
«Smettila di fare l'umana testarda e non darmi ordini»
«Loki, sto aspettando...».
Sospira, il dio dell'inganno. Non ha voglia di mentire, non servirebbe. E comunque Nadia sa, come è già successo altre volte, lei ha già capito e lui ha come l'impressione che insista con il fargli domande solo per dargli la possibilità di riflettere meglio sulle risposte. Ma ha già preso la sua decisione, e non sarà l'interessamento di una mortale a fargli cambiare idea.
«Davvero non te lo immagini?» le dice.
«Scapperai, vero? Non lascerai che tuo fratello ti riporti a casa».
Quello non è mio fratello e quella non è la mia casa!
Il pensiero è amaro come fiele. E lo sguardo di Nadia adesso è indecifrabile. Ma sarebbe un buon momento per dirle la verità, per dirle che lei dovrebbe solo rallegrarsi del fatto che lui non ha intenzione di starsene a marcire in una cella nelle segrete del palazzo di Asgard, perché verrà il giorno in cui lei avrà bisogno che lui sia libero di darle una mano con quello che l'aspetta.
Ma non lo dice, perché ha appena promesso che non farà niente che possa nuocerle.
«Posso non essere un re» replica Loki con una certa durezza nella voce. «Ma sono un dio e non si mette in catene un dio».


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Note:

Non si può scrivere una storia sugli Avengers senza nemmeno una comparsata di Nick Fury.
S.H.I.E.L.D. come acronimo di “Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division” viene dal primo film di Iron Man, lo dice l'agente Culson quando si presenta a Pepper. Ho  scelto questo perché appunto la fanfiction fa riferimento all'universo filmico, ma le parole della sigla hanno subito qualche variazione tra fumetti e trasposizioni varie.

Duuunque... diciamolo... chi scrive ama essere letto, c'è poco da fare, anche se io ho un enorme senso del pudore rispetto all'esprimere gratitudine a chi legge le mie storie, sembra un'inutile captatio benevolentiae che non ha ragion d'essere, la mia storia è qui, chi ha voglia di leggerla la leggerà, chi ha piacere di lasciarmi una recensione lo farà di suo, per questo chiedere mi sembra sempre un po' fuori luogo. E poi, i lettori ti stupiscono sempre: SavaneH ha inviato la segnalazione all'amministrazione per l'inserimento di questa storia tra le scelte. Posso dire, senza timore di esagerare che la cosa mi ha commossa. GRAZIE, GRAZIE DI CUORE!
Prima di imbarcarmi in quest'avventura della fanfiction su The Avengers, ho sempre frequentato fandom con poco seguito e non ho mai prestato attenzione a certe cose, ma ho dato un'occhiata alla classifica delle storie più popolari della sezione e ho scoperto che A series of unfurtunate eventes è la prima per la quantità di parole nelle recensioni, e questo è tutto merito vostro.
Un enorme abbraccio virtuale a tutti, io e questa storia vi dobbiamo moltissimo.
Luciana.

PS: ci leggiamo giovedì prossimo con l'aggiornamento :)

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Capitolo 18
*** Capitolo diciassettesimo ***


Capitolo diciassettesimo


Nadia si gira su un fianco. Ha passato una notte abbastanza tranquilla e la nausea è quasi del tutto sparita. Forse se prova ad alzarsi in piedi non le girerà nemmeno la testa e riuscirà a reggersi sulle proprie gambe.
Si solleva lentamente, senza compiere movimenti bruschi. Si siede sul bordo del materasso e appoggia i piedi a terra, aspetta qualche secondo prima di darsi la spinta per alzarsi. Rimanda.
Ha quasi paura di scoprire che ancora non può farcela. La paura di scoprire che non può farcela la accompagna da tutta la vita, in realtà, ma stavolta è diverso. Non si tratta più di ambizioni personali o di rivalse sulla sua famiglia, stavolta la posta in gioco è molto molto più alta.
Si guarda attorno, passa in rassegna tutta la stanza, come se non la conoscesse. Le pareti di pietra sono ancora al loro posto, la macchia di intonaco gonfio per l'umidità è ancora lì, sul muro a destra, ha vagamente la forma di una margherita.
E fuori di lì Venezia starà rinnovando il suo spettacolo di immutata bellezza per le migliaia di turisti arrivati da ogni dove. Anche lei, al suo posto. Fuori di lì l'aspettano tutte le cose che ha lasciato, deve solo tenere duro ancora un po' e poi potrà riaverle, correre a riprendersele. Ammesso che la persona che uscirà da quella casa e da quell'avventura sia la stessa persona ce lei era prima che tutto questo avesse inizio.
Sulla parete a sinistra, nell'angolo tra il muro e il letto, c'è Loki addormentato. Si è davvero addormentato seduto sul pavimento, con le gambe incrociate e la schiena contro la parete.
Per essere un aspirante re, ha l'aria di aver dormito in posti peggiori.
Nadia lo guarda e scuote la testa; quel ragazzo è senza speranza. E non è nemmeno un ragazzo, chissà quanti anni avrà vissuto.
Non ha voglia di svegliarlo, perché sa che se lui ha preferito restarsene lì nell'angolo è perché non aveva intenzione di uscire e avere a che fare con tutti gli altri. Loro sono i buoni e hanno ragione ad avercela con lui, ma sono anche in netta maggioranza, sono una squadra. Loki è solo, come quando lo ha conosciuto, come è destinato a rimanere.
Ma ha bisogno di dormire, possibilmente in una posizione decente.
Nadia fa un sospiro e gli batte delicatamente una mano sulla spalla. Lui apre gli occhi, corrugando le sopracciglia.
«Ha sofferto?» gli dice subito.
«Eh... cosa?» borbotta il dio con la voce impastata dal sonno.
«Il mio gatto, quando lo hai ucciso. Ha sofferto?».
Loki impasta la bocca e sbatte più volte le palpebre. Nadia ha sempre saputo che è stato lui, cioè non sempre ma quell'idea è germogliata e cresciuta nella sua testa come una pianta. E adesso è una certezza grossa come un baobab.
Lo strano acredine nato tra Loki e Casanova avrebbe dovuto essere un campanello d'allarme, ma lei lo aveva ignorato, come aveva ignorato molti altri particolari prima di scoprire la verità. Casanova non era mai stato aggressivo e lei non aveva mai visto nessuno guardare un semplice gatto con tanta malcelata furia.
Lui la guarda con gli occhi ancora velati di sonno. Probabilmente nemmeno se lo ricorda di aver ucciso Casanova; con tutta la gente che ha ammazzato, un gatto deve essergli sembrato veramente insignificante.
«No, non ha sofferto» dice semplicemente. E poi richiude gli occhi.
«Ti odio» sibila Nadia.
«Non è vero» risponde lui, con la voce ovattata di chi è già ripiombato nel dormiveglia.
«Ti odio e voglio liberarmi di te al più presto» aggiunge lei, convinta che il dio ormai non la stia già più ascoltando. «Per questo fammi un favore, sii lucido e riposato per la prossima battaglia. Me lo devi, visto che hai ammazzato il mio gatto... bastardo».
Lo afferra per la spallina della casacca e lo tira verso l'alto con tutta la forza che ha, che non è molta, e Loki non sarà grosso come Thor, ma è dannatamente alto e, sotto tutti quegli strati di pelle e velluto e materiale lucido non identificato, non è smilzo e gracile come si potrebbe pensare ad una prima occhiata.
Dopo una certa resistenza, apre di nuovo gli occhi e la guarda perplesso. Sembra troppo stanco per opporsi e lascia che lei lo tiri su e lo spinga sul letto.
«Non ti... affaticare...» bofonchia affondando con la faccia nel materasso. Poi torna beatamente a dormire.
Nadia resta a guardarlo con espressione crucciata. Ha un'enorme voglia di piangere, la sente salire come una marea e invadere ogni scampolo di lucidità; ha bisogno di piangere, non per Loki, non per Tony e Pepper, non per gli sconosciuti in balia dei demoni ma per se stessa.
Sono morta, cazzo...
Ricaccia indietro le lacrime, non sapendo se la forza che la spinge a farlo sia buon senso o se sia il primo stadio di una follia destinata a divorarla. Poi scuote la testa, si volta e cerca di uscire dalla stanza, a passi molto lenti e cauti.
Steve le va incontro e le offre il braccio, con anacronistica cavalleria.
«Sorpresa!» esclama Clint Barton, indicando dei cartoni di pizza posati su una cassetta ribaltata. Ottima cosa, stava morendo di fame.
«E quelli come ve li siete procurati?» chiede.
L'agente dello S.H.I.E.L.D scrolla le spalle,
«Passando per i tetti» risponde con ovvietà.
Giusto. Dev'essere utile essere delle super spie di una super associazione segreta. Non fa proprio tutto schifo in quella storia, questa cosa della pizza arrivata via tetti se la ricorderà tutta la vita. E si ricorderà anche di loro, per il resto dei suoi giorni.
Adesso Nadia si sta domandando che ore siano. La poca luce che entra in quella casa non basta a dare un'idea del momento del giorno in cui si trovano e lei sente che il suo orologio biologico ormai è totalmente sballato. Si sente ancora un po' frastornata e sta seriamente pensando che la prima cosa che farà una volta tornata a casa è una sana dormita. Anzi, forse prima ancora di una dormita penserà a una doccia.
«Abbiamo le barche!» annuncia Tony scendendo dalle scale, giocherellando con il suo strano cellulare. Poi lo sguardo dell'uomo si fissa su Nadia. «Tutto ok, Colombina?».
«Ora che ho scoperto che possiamo mangiare la pizza, decisamente meglio».
Non si aspetta che Tony faccia qualche riferimento alla discussione avvenuta tra lui e Loki la sera prima. Evidentemente lui crede che lei abbia capito, ma in realtà la ragazza non è riuscita a comprendere la questione fino in fondo.
Non si fidano di Loki e questo è normale, ma lo scatto di Tony le sembra ancora spropositato.
Questo forse perché non sono io quella che è stata defenestrata dal dio norreno sociopatico...
A Nadia continua a sembrare tutto troppo grande, il male che Loki ha fatto e la rabbia che gli Avengers provano per lui. E si sente una stupida perché non riesce a compenetrarsi davvero nella situazione, come se una parte di lei non volesse accettare fino in fondo la verità. Come se una parte di lei crede che le cose possano cambiare o che ci possa essere un diverso punto di vista attraverso il quale guardarle.
Ma non c'è...
E adesso le è anche passato l'appetito, tuttavia Natasha insiste che lei mangi qualcosa e Bruce le allunga un trancio di pizza.
Nadia si ritrova seduta sul pavimento, a sbocconcellare una fetta di capricciosa ormai fredda.
Forse non è un bene il sapere che non riuscirà mai a dimenticarsi di quella storia. E sa che è ingiusto pensarlo, sa che è ingiusto sperare di poter cancellare quei ricordi perché in quei ricordi ci sono quelle persone e decisamente non meritano di essere dimenticate.

***

Thor si ferma con le spalle al muro, in un angolo dell'anticamera; da quel punto può vedere tutta la stanza e le porte aperte come occhi spalancati.
Ha visto cieli infiniti su mari che si perdevano nel nulla, ha visto edifici alti fino alle stelle, ha visto valli sterminate coperte di ghiaccio e deserti così ampi da non riuscire a scorgere nemmeno l'orizzonte. Eppure il brulicare di vita che c'è in quella casa fatiscente gli sembra qualcosa di immenso, un'energia più potente di qualsiasi manufatto divino. C'è molta più grandezza tra quelle quattro pareti che sotto il cielo di Asgard. È per questo che Thor ama gli umani, e quegli umani in particolare.
Una volta, non molto tempo prima, Loki lo aveva accusato di essere un sentimentale e lo aveva detto come se fosse una colpa, gli aveva scagliato contro quella parola come se fosse un'ingiuria.
Sì, è un sentimentale e non ne prova vergogna, ma sa che non esserlo avrebbe almeno un vantaggio: adesso non si sentirebbe così frastornato dagli avvenimenti di quei giorni. Certo, l'affezione per i propri compagni di battaglia rende più forte e determinato un guerriero, perché sa che sta lottando non solo per un fine ultimo, ma anche per proteggere degli amici. Ma il suo cuore ha tremato in quei giorni, ed è una sensazione che lui non ama particolarmente.
Thor si sta ancora chiedendo come mai suo padre abbia salvato Nadia. Odino ha combattuto cento, mille guerre per tenere al sicuro la Terra e le popolazioni dei nove regni ma non si era mai esposto così tanto per una singola persona. Che anche lui riponga speranze nella ragazza? Che anche lui la ritenga un modo per far tornare suo fratello sui suoi passi?
Forse anche il Padre degli dei è un sentimentale. Loki non è cambiato, è ancora traboccante di risentimento e voglia di rivalsa; Thor è certo che quando lo sguardo di suo fratello si fissa nel vuoto, sono scenari di distruzione, sangue e vendetta quelli che sta immaginando. La permanenza sulla Terra non è servita a nulla, non ha toccato il suo cuore, ma la ragazza, lei forse lo ha fatto in qualche strano modo che il dio del tuono non riesce a comprendere.
Quando Nadia giaceva senza vita su quella branda e Loki è andato da lei, c'era dolore nel suo sguardo, c'era la nebbia venefica di un'altra sconfitta dietro l'azzurro pallido dei suoi occhi. E Thor è certo che tutti loro se ne siano accorti, così come sa bene che tutti loro hanno imputato quei sentimenti solo al fatto che Loki, il nemico, il mostro, avesse perso la sua unica possibilità di salvezza rappresentata dalla pietra al braccio della giovane. Nessuno crede che nel cuore del dio del caos possa esserci qualcosa di diverso, Stark ha persino dato in escandescenza appena lo ha visto solo sfiorarla.
E io, cosa credo?
Crede in ciò che vede, nel modo in cui la ragazza guarda Loki, nel modo in cui gli sguardi di entrambi si cercano, anche solo per scambiarsi un'occhiata astiosa nei momenti di maggiore tensione. Crede nel fatto che c'è una ragione, forse una ragione sciocca e sentimentale ma pur sempre valida, se Odino ha riportato indietro Nadia.
Forse vedo solo ciò che voglio vedere...
E Nadia adesso è in piedi di fronte a lui, a osservarlo con un'espressione perplessa e rapita allo stesso tempo.
Thor alza lo sguardo su di lei e accenna un sorriso.
«Mi trovi buffo anche tu?» le chiede. Anche Jane lo trovava buffo. Anche per Jane il suo cuore trema fin troppo spesso.
«Più che altro ti trovo spaventosamente bello» ammette la ragazza con un sorriso. «Cosa è successo tra te e il fratellino con le corna, ieri sera?».
Il dio del tuono aggrotta la fronte. È successo che Thor ha provato a parlare con Loki dell'incontro tra lui e Odino, voleva sapere se per suo fratello fosse stato solo una parentesi non importante, se si era reso conto che il Padre salvando Nadia stava salvando anche lui. E più di tutto, voleva capire cosa poteva significare per la ragazza essere riportata indietro.
Ma sono cose che Thor non può dirle, perché almeno su un aspetto della questione Loki ha dannatamente ragione: lei non ha bisogno di essere spaventata più di quanto non sia già, turbarla potrebbe solo complicare ulteriormente le cose. Ma menzogne, omissioni e macchinazioni non sono cose in cui il dio del tuono è mai stato particolarmente abile, per questo ritiene che sia meglio cambiare argomento di conversazione prima di rischiare di dire qualcosa di troppo.
«Tu provi dell'affetto per Loki» asserisce il dio, quasi sconcertato dall'udire le sue stesse parole.
«Pfff, potrei dire la stessa cosa di te. E con me non ha neppure tentato la strada dell'omicidio, non ha fatto in tempo almeno»
«Ma io ci sono cresciuto assieme...»
Tu ragazza, invece, cosa hai visto in lui che noi ignoriamo? Quale riflesso hai colto in mezzo alle migliaia di specchi distorti?...
«... è naturale che gli voglia bene».
Nadia sgrana gli occhi e scuote la testa.
«A sentire lui, non lo è affatto» replica. «E comunque, se provare affetto per Loki significa non lasciarlo al suo destino e tentare di evitare che i demoni lo uccidano... allora questo è proprio il suo fanclub!»
«Il suo cosa?»
«Niente, lascia stare».
A Thor nasce spontaneo un sorriso. Di certo suo fratello e quella giovane si somigliano, hanno la stessa abilità a usare le parole per scoraggiare qualcuno.

***

Loki ha un piano.
Sorride al soffitto ricamato di ragnatele mentre quel semplice stratagemma prende forma nella sua mente come se anche lì ci fosse un ragno impegnato a tessere una rete. Sorride perché è lieto di constatare che dopo tutto quel tempo trascorso in compagnia degli umani, malgrado l'aver combattuto al fianco dei suoi nemici, non ha perso nulla di ciò che è sempre stato.
È un dio. Lo mormora a fior di labbra, quasi assaporando il gusto di quella parola. È un dio, il significato stesso di questa affermazione è quanto di più forte ci sia contro il cambiamento. Gli dei non mutano la loro essenza perché per quelli della sua razza la morte, il disfacimento, è solo l'ombra di un futuro lontano, oltre le stelle.
Gli umani invece cambiano, si usurano, periscono.
Loki si passa una mano sul viso, ancora un po' intorpidito dal sonno.
Gli umani muoiono, è nella loro natura.
Il sorriso tagliente sparisce a poco a poco dal volto pallido. Il dio degli inganni ha un piano e tra i suoi scopi c'è quello di perseverare la vita di una mortale. Non è il suo fine ultimo, si ripete, è soltanto un mezzo per arrivare a ciò che vuole. E ciò che vuole, al momento si trova dall'altro lato di quel grande oceano.
Lo scettro di Thanos.
L'arma è caduta in mano ai suoi nemici, al termine della battaglia di New York. La cara agente Romanoff la teneva ben stretta quando sono andati a prenderlo sull'attico della Stark Tower e lui la rivuole. Non aveva mai sperato di poter trovare il modo di rientrarne in possesso, ma ora ha una carta da giocare.
Nadia.
E tutto quello che lui deve fare è aiutarla a sopravvivere a quello che verrà. O meglio, fare in modo che siano gli Avengers a preoccuparsene e a scoprire che non sono in grado. Loro adorano la ragazzina, probabilmente lei è adorabile davvero se è bastata una manciata di giorni a quei decerebrati per imparare a ritenerla loro pari: un'eroina che combatte, un cuore senza macchia e senza paura. Stark la porta su un piatto d'argento perché si è sacrificata per provare a salvare la sua donna, tutti loro vorranno aiutarla e non potranno, e scopriranno di aver bisogno di lui.
Deve solo trovare un modo per assicurarsi che gli Avengers la portino con sé.
Oh, sarà un tale divertimento, una tale soddisfazione!
Il sorriso torna ad affacciarsi sulle sue labbra, mentre immagina Stark cedere e lasciare Nadia alle sue cure, mentre se lo figura guardarlo disgustato all'idea che sarà il mostro e non l'eroe a salvare la fanciulla.
Salvarla...
Potrebbe persino non essere necessario. Potrebbe persino lasciarla morire, alla fin fine. Ma non ci ricaverebbe niente.
E da quando il ricavo è diventato più importante del piacere di vendicarsi?...
Loki aggrotta le sopracciglia. Non c'entra niente, lui non vuole vendicarsi di Nadia. C'è una differenza tra mentire e mancare alla parola data; un conto è l'arte della menzogna, un altro conto è essere del tutto privi di onore.
Nadia non merita di morire.
Non lo merita perché sta salvando anche lui, non solo quelle persone. Lei lo sta salvando e lui la risparmierà. Saranno pari.  

***

Odino cammina lentamente lungo quello che resta del Bifrost, una scia opalescente si disegna sotto i suoi passi.
In tutti i nove regni molti uomini dotti o persone di fede si interrogano su cosa muova l'universo. Persino il potente re di Asgard non ha una risposta definitiva a questa domanda, ma in quel momento pensa che l'amore sia una verità abbastanza soddisfacente. E non ha in mente l'amore delle canzoni dei bardi o delle rime dei poeti, ha in mente qualcosa di molto più concreto e, volendo, di molto più devastante.
Mentre solleva lo sguardo davanti a sé, il Padre degli dei scorge un'altra persona in piedi accanto a Heimdall.
Il cielo trapuntato di stelle comincia a scurirsi e le luci degli astri divengono più nitide.
Su Midgard, Thor e i suoi amici mortali si stanno preparando per lo scontro finale, per quello che sperano sia lo scontro finale, almeno. Una battaglia su di un'isola, una soluzione ingegnosa quanto rischiosa. Se è vero che l'hanno scelta perché i demoni non avessero vie di fuga è altrettanto vero che nemmeno loro avranno modo di ritirarsi se qualcosa dovesse andare diversamente da come previsto.
Odino guarda Frigga intenta a scrutare le visioni che il Guardiano le sta mettendo davanti agli occhi. Se i cuori degli umani fossero fatti di luce, quella piccola casa in rovina in quella città sull'acqua brillerebbe in mezzo al mondo come una stella.
La regina di Asgard distoglie lo sguardo e lo fissa su suo marito, accennando un sorriso.
«Sono certa che ce la faranno» dice all'improvviso, con la sua voce bassa e carezzevole. Una voce che l'eco delle primavere lontane, di glorie ancora tutte da conquistare. «Sono certa che torneranno. Entrambi».
Odino annuisce,
«La tua speranza infonde speranza anche a me» risponde e vorrebbe davvero che fosse la verità.
«Non è così. Tu lo consideri perduto, tu credi che Loki...» lo redarguisce la dea, ma non ha il coraggio di terminare la frase.
«Io credo a ciò che vedo, non a quello che voglio vedere».
Il re di Asgard ha anche il compito di essere duro con chiunque lo meriti, ha il compito di punire chi viola i suoi ordini o la sicurezza del regno, come fece con Thor quando lo bandì. Ma Odino ha dovuto prendere atto di quanto sia inesorabile l'amore di una madre, di come possa arrivare a sconvolgere anche i disegni di colui che regola l'universo.
Talvolta ha creduto, scioccamente, che la saggezza lo tenesse al riparo dai sensi di colpa, che la convinzione della giustizia delle proprie azioni lo ponesse al di sopra di ogni dubbio. Adesso che il rammarico è tornato a farsi strada nel suo cuore, trovando terreno fertile in mezzo ai solchi scavati dalla vecchiaia, Odino ha bisogno di avere fede in qualcosa e a conti fatti non ha trovato altro che quel suo credere alla tremenda concretezza dell'amore. L'amore di Frigga per i suoi figli e per la sua famiglia.
Avevano già creduto Loki morto una volta. Perderlo di nuovo sarebbe stato un dolore troppo grande, un dolore dal quale lei voleva preservare tutti loro e lo ha fatto convincendo Odino a intervenire in un modo che il Padre degli dei non avrebbe mai scelto da solo, persuadendolo a salvare la vita della ragazza approfittando della situazione propizia, del fatto che lei fosse la portatrice della pietra di Borr.
Salvare la giovane mortale significava dare a quegli umani un'altra possibilità di vincere quella strana, orribile guerra – una guerra del tutto immeritata. E significava dare a Loki l'opportunità di salvarsi la vita e di riscattarsi almeno con se stesso, se non davanti alla giustizia a cui un giorno avrebbe dovuto rispondere per i propri crimini.  
Ma alla fine, Odino sa che lui e sua moglie devono fare i conti con una certezza che peserà sulle loro teste come una colpa. Hanno salvato un figlio, forse, ma la ragazza è condannata comunque.


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Note:
Alla fine ho affidato le riflessioni sul famigerato (e non ancora comprovato) legame tra Loki e Nadia al caro Thor. A questo punto della storia andava fatto un po' il punto sulla situazione di quei due e ho voluto che fosse Thor a farlo perché mi piace questa sua parzialità e il fatto che sia indeciso su cosa pensare, che con tutte le sue riflessioni non arrivi a dare una risposta (né a se stesso, né a noi) definitiva.
Ma intanto, Loki è il solito Loki, già... credevate forse che...? Ma no! Ah!
E sì, tecnicamente, Nadia è spacciata.

Un grazie enorme a Sheelen_ per aver segnalato la fanfiction per le storie scelte *_*
State decisamente facendo palpitare il mio cuoricino atrofizzato.

Ci leggiamo lunedì con l'aggiornamento.
Ciauz ^^

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Capitolo 19
*** Capitolo diciottesimo ***


Capitolo diciottesimo


Nadia sente uno strano furore agitarle i pensieri, rimescolarli come il vento fa con il mare. È una voglia forte, prepotente di vincere, è un illudersi di potercela fare e di essere invincibile.
Non si era mai sentita così prima di questo momento.

«Io penso tu sia una guerriera. Tuo malgrado, ma lo sei»

Glielo aveva detto Loki, quella sera sul terrazzo dell'albergo. Prima che il cielo crollasse sopra le loro teste, quando lei credeva che fosse solo un ragazzo e... oh, il ricordo potrebbe farla quasi arrossire, quando i loro visi erano così vicini mentre parlavano e lei, in mezzo ai fumi dell'alcol, aveva pensato a quanto le sarebbe piaciuto che lui si fosse chinato a baciarla. Perché lo aveva pensato, e non era stata colpa della birra; lo aveva pensato anche dopo, a mente lucida.
Ammetterlo non le costa niente, non le fa nemmeno male. Dovrebbe averne paura, ma non è così, ormai tutti i danni possibili sono già stati fatti. Loki l'ha ingannata, manipolata, l'ha esposta al pericolo, è entrato nella sua vita e l'ha sconvolta, distruggendo pezzo dopo pezzo tutte le sue certezze, quella sua sensazione di essere al sicuro dal Male, quello con la M maiuscola. Non può farle nient'altro, può solo ucciderla, ma non ne ha motivo ormai, non ne ha nemmeno voglia forse.
E Nadia non prova alcun malessere emotivo nel rendersi conto che, se tornasse indietro, su quel terrazzo, pur sapendo tutto quello che sa ora, sarebbe lei a baciarlo.
Non c'è un motivo particolare, certe cose sono del tutto irrazionali. È stata come un'esplosione, lei è sopravvissuta al colpo, ma adesso ci sono delle schegge che le son rimaste conficcate nella carne. Loki è una di queste schegge, la più affilata, la più dolorosa.  
Si scopre quasi a sorridere nel chiedersi come si sentirebbe il dio dell'inganno se lei facesse una cosa del genere. Sarebbe compiaciuto perché riterrebbe la cosa una sorta di resa o sarebbe disgustato da un simile contatto con un'umana?
Non importa. Sono domande che non troveranno mai una risposta e si tratta solo di uno dei tanti rimpianti da aggiungere alla lista, perché quella è la notte della battaglia e Nadia sa che potrebbero non farcela neanche stavolta, che quell'isola è una trappola non solo per i demoni ma anche per tutti loro, nel caso in cui le cose si mettessero male.
Eppure lei ha solo voglia di andare incontro al suo destino e giocare quella partita.
Non ha più paura, o meglio ne ha ancora tanta, ma sente che non è più la paura a guidare le sue azioni. C'è uno strano senso di voglia di rivalsa: i demoni volevano ucciderla e lo hanno fatto. Ora vuole vederli andare tutti in cenere, uno ad uno. Non riesce quasi a pensare ad altro.
Lo sguardo di Nadia si fissa sulle mani di Natasha, intenta a infilare proiettili nel caricatore della pistola. Quanto vorrebbe saperne usare una...
Cosa?!
Si stupisce di quel pensiero. Le armi le hanno sempre fatto orrore, non è mai stata un tipo violento, non lo è diventato nemmeno adesso, però detesta sentirsi indifesa.
«Tu vieni con me, ok?» dice Clint, parandosi di fronte a lei.
La ragazza rivolge all'uomo un'occhiata interrogativa.
«Staremo su un punto alto, in modo che i demoni non possano raggiungerti. E se cominciassero a scalare le pareti, beh, diciamo che mi inventerò qualcosa»
«Spero che tu abbia molta fantasia» replica Nadia, con un mezzo sorriso
«Se non fossi stato una spia, sarei diventato un romanziere».
Hanno aspettato diversi giorni, chiusi in quella casa, che lei si riprendesse. L'attesa non ha fatto altro che caricarli tutti di sentimenti bellicosi, forse è per questo che sembrano tutti un branco di belve inferocite. Forse è per questo che anche lei si sente così. Nadia spera solo che il furore non faccia commettere sciocchezze a nessuno – ma non si permette di dar voce a questo pensiero, a lei potrebbero dare il nobel per la sciocchezza del secolo!
Non è stata una sciocchezza, ho salvato Pepper...
Pepper, certo. Lo sguardo di Nadia vaga nella stanza alla ricerca di Tony. I suoi occhi sono velati da un'ombra cupa, di certo lui lì è il più furioso di tutti, è quello che ha più cose da perdere perché non sta combattendo solo per la sua sopravvivenza e per un gruppo di sconosciuti. E Nadia sente un'angoscia terribile stringerle lo stomaco. C'è sempre stato qualcosa tra lei e Tony, una strana alchimia, una specie di colpo di fulmine e lei non sopporta l'idea che lui possa perdere la sua personale battaglia per salvare la sua donna. Anche se Nadia ha la certezza che Tony, che tutti loro, avrebbero combattuto quella battaglia anche se non fossero stati emotivamente coinvolti. Loro sono degli eroi, e solo adesso la ragazza capisce appieno il significato di questa parola.
Sì, deve fare qualcosa, deve almeno provarci.
Si alza di colpo e sale di sopra, al piano superiore dove Loki se n'è stato rintanato quasi tutto il giorno, con la sua stolida tendenza a volersi tenere alla larga dal resto del gruppo.
Certo, perché lui non fa parte del gruppo...
Il dio dell'inganno se ne sta con la fronte appoggiata agli scuri chiusi, fissa la strada da un piccolo buco nel legno scolorito, ma si volta appena la sente arrivare.
«Devo chiederti una cosa» mormora la ragazza, cercando il suo sguardo.
Una scintilla di malizia brilla in fondo agli occhi azzurri.
«La risposta è no a qualsiasi richiesta tu voglia sottopormi» risponde lui con una punta di dispettoso sarcasmo.
Nadia scuote la testa e alza gli occhi al cielo enfatizzando un'espressione esasperata,
«Devi fare una cosa per me» insiste.
«Devo? Sul serio? E perché mai?»
«Perché alle volte si fanno dei favori agli altri solo per essere carini. Il papà non te lo ha mai spiegato?».
Loki assume un'espressione serafica,
«L'ho ucciso prima che potesse farlo» risponde mellifluo, con uno dei suoi sorrisi crudeli e taglienti.
Ma Nadia ormai è ben oltre l'impressionabilità e lui sembra accorgersene, perché cambia espressione e assume un'aria di pacato distacco.
«Cos'è che vorresti?» chiede senza particolare calore, come a farle intendere che non è affatto scontato che l'accontenti.
«Voglio che Pepper sia la prima persona a cui estrai il demone dal corpo. Prima di qualsiasi cosa, prima di chiunque altro».
Loki arriccia le labbra, torna sarcastico, un serpente velenoso pronto a mordere.
«Questo genere di favoritismi non è una cosa molto eroica» le fa notare.
«Io non sono un eroe, infatti». Nadia sostiene il suo sguardo con durezza.
Loki le si avvicina, comincia a camminare in circolo attorno a lei, a passi lenti, con le mani incrociate dietro la schiena e le labbra strette ridotte a una fessura, fingendo un'aria pensosa.
«Vorresti assicurarti che la compagna di Stark venga tratta in salvo per prima» dice. «Io dovrei preoccuparmi della salvezza della donna di un mio acerrimo nemico. Perdona se sono ripetitivo, ma perché mai dovrei farlo?».
Nadia non ha davvero una risposta, non l'aveva pensata in questi termini.
«La salveresti comunque, devi per forza uccidere tutti i demoni se vuoi essere libero, no?» replica cercando di apparire convinta, cercando di dimostrare che quel suo camminare in cerchio attorno a lei come un avvoltoio non la metta affatto in soggezione. «Prima o dopo che differenza fa?».
«Se non facesse la differenza non me lo avresti chiesto. Tu vuoi che il tuo diletto Tony Stark abbia comunque il suo lieto fine, comunque vadano le cose. Dipendesse da me, ucciderei sia lui che la sua bionda donzella».
È vero, lo farebbe sul serio. Lo avrebbe già fatto se avesse potuto, la notte del primo attacco alla Corte dell'Angelo.
«Mi devi più di un favore. Io ti ho offerto un bombolone alla crema!» ironizza Nadia, come a ribadire che la sua crudeltà non basta a impressionarla, non più.
«Non è un'argomentazione sufficiente» replica Loki, l'angolo della bocca svetta all'insù in un sorriso sghembo che la ragazza non riesce a interpretare, non capisce se lui stia solo giocando o se faccia sul serio. «Potresti convincermi se solo avessi qualcosa da offrirmi in cambio, ma non ce l'hai. A meno che tu non abbia preso in considerazione l'idea di amputarti il braccio per farmi avere la pietra».
«Se tu potessi entrare in possesso della pietra semplicemente amputandomi il braccio, lo avresti già fatto la prima sera che hai messo piede qui a Venezia».
Loki si ferma di fronte a lei e si picchietta l'indice sul mento.
«Oh, giusto. Allora è come dico io, non hai niente da offrirmi in cambio».
Nadia ha voglia di tirargli un pugno. Forse qualche secondo prima stava solo giocando, ma adesso sta davvero cercando di farle perdere le staffe. E lui farebbe perdere le staffe anche a una statua di marmo.
«Perché? C'è qualcosa che vorresti?» replica astiosa, pentendosi quasi subito di quella frase così dannatamente equivoca e fuori luogo.
Quella tremenda avventura l'ha cambiata, la Nadia che era una settimana fa non avrebbe mai detto quelle parole o quanto meno avrebbe avuto la decenza di arrossire. La Nadia che era prima e la Nadia che è diventata adesso hanno almeno una cosa in comune: sono entrambe due idiote!
«Niente che non mi sarei già potuto prendere da solo» risponde Loki.
Crash...
L'ultimo scampolo di autocontrollo è andato a farsi benedire. La mano di Nadia scatta diretta al viso del dio, con tutta la forza di cui è capace. È un istante, un istante solo in cui lei fa persino in tempo a immaginare la brutalità dell'impatto, lo schiocco dello schiaffo contro la guancia pallida. Ma il colpo non arriva a destinazione, è un battito di ciglia, un attimo prima che la mano colpisca, Loki le ha afferrato il polso con uno scatto fulmineo e le sue dita ora si serrano con veemenza sulla sua pelle.
«Lo dicevo che sei una guerriera» dice il dio con un sorriso che è quasi terrificante. «Ma hai ancora molto da imparare».
E prima ancora che Nadia possa rendersene conto, prima ancora di riuscire a trovare un senso a quelle parole, sente le sue spalle impattare quasi dolorosamente contro il muro verso il quale Loki l'ha gettata, tenendola bloccata lì con il suo peso.
Il dio china il capo e preme la sua bocca sulla sua, con prepotenza. Nadia non vorrebbe dargliela vinta, ma quella è una partita che lei aveva già perso in partenza perché lui non ha sentimenti lei invece sì.
La ragazza china il capo all'indietro e lascia che Loki approfondisca il bacio. Non si aspetta alcuna tenerezza, non c'è nessuna dolcezza eppure c'è qualcosa di disperatamente caloroso nel modo in cui lui si ostina a prolungare quel contatto, nella leggerezza con cui le sue labbra sfiorano quelle di lei nei brevi istanti che si concede per riprendere fiato.
Loki si stacca lentamente dalla ragazza, senza smettere di fissarla. Ora Nadia fa una fatica immane a reggere il suo sguardo, ma si costringe a non abbassare gli occhi.
A un certo punto lui aggrotta le sopracciglia in un'espressione perplessa, è quasi buffo.
«Di che cosa stavamo parlando?» domanda serafico.
«Fai uno sforzo di memoria, sono certa che ti verrà in mente» replica Nadia, scoccandogli un'occhiata penetrante, prima di voltarsi e sparire in direzione delle scale.

***

«Allora, diamo inizio allo show?» chiede Tony, passando in rassegna con lo sguardo i suoi compagni, prima di indossare l'elmo dell'armatura. «Ricordate, la barche sono due grandi yacht bianchi, si chiamano Angie I e Angie II».
Steve Rogers arriccia il naso,
«Angie?» domanda.
«Come la canzone dei Rolling Stones, aggiornati! È irritante doverti spiegare sempre tutto»
«Ricapitoliamo» interviene l'agente Romanoff. «Thor raggiunge l'isola in volo, Stark ci aspetta a Piazza San Marco e spinge la barca con gli indemoniati fino all'isola mentre noi saremo sull'altra barca. Appena arriviamo a San Michele, Nadia e Clint trovano una postazione abbastanza in alto da essere al sicuro, ma non troppo distanti per permettere a Loki di utilizzare l'energia della pietra. Se i demoni dovessero disperdersi...»
«Interviene l'Altro» conclude per lei Banner, con un cenno di assenso.
Tony picchietta le dita contro la superficie lucida dell'elmo. Si ripete che andrà tutto bene, ma era quello che si era detto anche la volta precedente e invece era andata a finire con Nadia pugnalata a morte e i demoni ancora in circolazione.
«Ne abbiamo fatti fuori dieci la volta scorsa» riepiloga l'agente Barton. «Ne sono rimasti venti, si tratta solo di raddoppiare gli sforzi».
Se la matematica non è un'opinione...
Raddoppiare gli sforzi, sembra impossibile. Ma stavolta sono più preparati e meglio disposti alla prudenza. E stavolta i serpentelli non possono scappare.
Ma possono fare tante altre cose. Tutte bruttissime.
«Andrà alla grande» dice Steve Rogers con aria sinceramente convinta, come a voler dare sicurezza a tutti loro.
«Ah, non si dicono queste cose, nei film quello che le dice è il primo che muore» borbotta Tony, agitando l'indice con aria ammonitrice. «Ma forse quando guardavi tu i film ancora non c'era il sonoro»
«Stanotte non morirà nessuno» insiste Thor, mettendo su il suo grugno da divinità dalla scorza dura.
A proposito di divinità, dov'è la star dello show? Oh, eccolo lì, in cima alle scale.
«Quando sei più comodo, piccolo cervo» borbotta Tony, impaziente. «Non vorrai perderti il gran gala».
Lo osserva attraversare la sala, con il suo solito contegno da principino. Lo guarda e si chiede cosa ne sarà di lui quando tutto questo sarà finito, probabilmente Thor lo prenderà per la collottola e lo riporterà sull'Olimpo, e lo sbatterà nella più profonda segreta del suo palazzo d'oro per assicurarsi che non scappi un'altra volta.
Quale che sia la sorte di Loki dopo quella battaglia, non è affare loro. Il rocchettaro bastardo si merita di marcire in una fogna per il resto dei suoi giorni, fine della storia.
E Nadia? Cosa ne sarà di lei quando tutto questo sarà finito? Se non ha perso la ragione fino a quel momento non è detto che non lo faccia in seguito. Se non si è preoccupata della sorte di Loki fino a quel momento, non è detto che non si aggrapperà all'orlo del mantello di Thor implorando clemenza per il damerino con le corna, domattina, quando i demoni saranno spariti dalla circolazione – si spera – e ogni cosa sarà tornata al suo posto. Nadia prova qualcosa per Loki e Loki, nel suo modo assolutamente astruso e oscuro, deve avere un minimo di interesse per la ragazza, deve pur aver sviluppato un minimo di empatia nei suoi confronti, è l'unica con la quale riesce a mettere in fila più di due parole, è più di quanto lui abbia mai fatto con qualsiasi altro essere umano – se si escludono quelli che aveva soggiogato con il potere dello scettro.
Tony sente lo stomaco riempirsi di bile, per un attimo crede di essere sul punto di mettersi a vomitare.  
D'accordo, quello non è il momento di preoccuparsi di cose simili. Aiuterà Nadia a togliersi Loki dalla testa a forza di martellate in fronte se sarà necessario, ma decisamente non deve pensarci ora.
«Allora, pronti?» chiede, guardando ancora una volta la ciurma al completo. Tutti annuiscono. «Bene».
Tony si infila l'elmo, la visiera cala davanti ai suoi occhi e le schermate interne si accendono.
«Buona sera, signore» dice compita la voce di Jarvis.
Un attimo dopo sono fuori, nel piazzale davanti alla casa, schierati come un plotone di soldati.
«Avanti, facci vedere qualcosa di interessante una buona volta» dice Rogers voltandosi verso Loki.
Tutti i loro sguardi sono fissi sulla figura del dio dell'inganno, stagliata contro un muro di pietra. Per un attimo è come un fermo immagine che comincia a sgranarsi, i contorni del suo profilo vibrano impercettibilmente e per ogni vibrazione il suo corpo sembra moltiplicarsi.
Per un attimo, persino la compassata agente Romanoff strabuzza gli occhi.
Ora ci sono ben sette Loki davanti alla casa. Peggio del peggior incubo che si potesse sognare. E non si riesce nemmeno a distinguere qual'è quello vero.
«Ma che bravo...» borbotta Tony. Per quanto sarcasmo ci sia in quell'affermazione, Stark deve riconoscere che il dannato piccolo cervo è bravo sul serio, che sarebbe un meraviglioso alleato se non fosse pazzo e se stesse dalla parte giusta della barricata. Per quanto sprezzo ci sia nel modo in cui lo guarda, Tony sa, dentro di sé, che lo teme; quel volo oltre la vetrata è un ricordo indelebile nella sua mente, come pure lo sguardo folle e crudele di Loki mentre lo spingeva nel vuoto.
Quello che evidentemente è il vero Loki fa un cenno e i suoi cloni partono di corsa disperdendosi per i vicoli di Venezia.

***

Quella dannata città galleggiante non è mai ferma, c'è sempre il mare che scorre nei canali, che si increspa per il vento e urta contro gli argini sollevando schizzi. C'è sempre qualche turista che si attarda o qualche ubriaco che sembra sul punto di cadere giù da un ponte.
Loki vede tutte queste cose, vede con gli occhi dei suoi replicanti che corrono, inseguiti dai demoni dai quali si sono fatti trovare.  
Non è facile tenere a bada tutto questo e contemporaneamente correre verso Piazza San Marco, dove sono ormeggiate le barche che Stark ha tirato fuori non si capisce da dove. Nel mondo dal quale proviene lui è il rango a dare potere, su quel piccolo sciocco pianeta invece è il denaro, lì tutto può comprare, tutto è in vendita. Che cosa squallida.
Thor è già partito alla volta dell'isola, Stark starà aspettando su un tetto nei pressi del punto di ormeggio.
Loki ha una tremenda sensazione di vertigine. I suoi poteri sono cresciuti durante il suo esilio, ma adesso sta facendo qualcosa al limite dell'impossibile; non aveva mai provato a controllare le illusioni di se stesso a una tale distanza. Lo scalpiccio concitato dei piedi che corrono sul ciottolato si mischia ai rumori che provengono dalle visioni e lui si sente disorientato. Barcolla, urta contro un lampione.
«Non ti metterai a fare la femminuccia svenevole proprio adesso?» ringhia astiosa la voce dell'agente Barton.
«Che cos'hai?» domanda Nadia, afferrandolo bruscamente per la manica della casacca e trascinandolo lungo la strada senza attendere una risposta alla sua domanda.
Nella penombra di quella notte assurda, Loki sorride. Quasi lo diverte il pensiero di ciò che il destino è riuscito a fare con quella ragazza, le ha fatto tirare fuori i denti, ha sanato molte delle crepe sulla sua armatura. È un peccato che presto, troppo presto, scoprirà di essere debole come non lo era mai stata prima.
Le immagini di diversi luoghi di Venezia vorticano nella sua testa, davanti ai suoi occhi, impedendogli di vedere la strada. Lui si lascia guidare dalla ragazza, si sforza di tenere il ritmo di quella corsa precipitosa.
Potrebbe usare l'energia della pietra per stabilizzare i suoi poteri ed essere un po' più cosciente di sé, reprimere quella sensazione di stordimento e nausea ed essere padrone delle proprie azioni, ma sa che non ne vale la pena. C'è un motivo ben preciso per il quale ha voluto che la ragazza fosse presente mentre lui esorcizzava i demoni, un motivo che di certo non poteva permettersi di condividere con i suoi detestabili compagni di sventura: voleva attingere l'energia necessaria dalla pietra senza consumare quella che aveva accumulato nei momenti di calma. Ed è molta, è riuscito ad assorbire così tanto potere da poter attraversare l'intero universo, potrebbe sconfiggere qualsiasi nemico con tutta quell'energia che gli pulsa nelle vene ma non ha intenzione di sprecarla perché ora ha bisogno di sistemare le cose, riformulare i suoi piani, darsi nuovi obiettivi.
Come prima cosa, lo scettro...
L'energia che ha accumulato deve conservarla come un tesoro perché gli servirà per lasciare quel posto e poi tornare al momento più opportuno.
Alla fine i suoi disegni su come usare la pietra di Borr non sono stati del tutto stravolti, sono solo incappati in qualche imprevisto.
Una serie di sfortunati eventi...
Imprevisti che forse stanno per essere risolti. E magari qualcuno dei cari Vendicatori potrebbe persino rimetterci la vita, nel frattempo, suo fratello, perché no? Thor potrebbe avere un qualche incidente durante lo scontro sull'isola – lui, con tutta l'energia che ha accumulato, riuscirebbe benissimo ad adoperarsi affinché questo accada.
No, l'energia mi occorre per fare altro...
Non può permettersi il lusso di farsi prendere la mano dalla propria voglia di rivalsa. A Thor penserà in un altro momento – perché il momento in questione arriverà prima o poi, ne è certo. Adesso deve concentrarsi su altro.
«Eccole, le barche» esclama l'agente Romanoff.
«Un tempismo veramente pessimo» ribatte stizzito Rogers.
Loki scuote energicamente la testa e cerca di mettere a fuoco quello che ha davanti. Sono sul bordo del molo, dinnanzi alle barche, dal lato opposto della piazza stanno arrivando i demoni, lanciati come cani rabbiosi all'inseguimento di una sua copia.
«Sulla barca. Ora!» tuona Barton.
Loki si sente quasi sul punto di crollare a terra quando Rogers prende Nadia e l'allontana da lui.
«Permetti?» le chiede con fare cavalleresco – cavaliere anche nel pericolo, diamine, che razza di idiota!
A proposito di cavalleria, comunque Nadia sembra apprezzare più altri tipi di approccio, o quanto meno non ha avuto niente da recriminare riguardo al suo di approccio. In tutta onestà, Loki nemmeno si aspettava che lei avrebbe ricambiato quel bacio dato per sfregio. Ma nel momento in cui ha risposto alle sue labbra è diventato qualcosa di...
Piacevole?
Divertente. Sì, divertente. Nient'altro.
La ragazza non capisce cosa voglia da lei il soldato, annuisce meccanicamente e lui le cinge la vita con un braccio, poi spicca un salto e atterra sulla barca.
«Io... mi sono ricordato che soffro il mal di mare» balbetta Banner, dal nulla.
«Non hai portato la rivista di sudoku?» domanda Barton. «Salta su dottore! A bordo giochiamo a sasso, carta, forbici».
Loki non capisce di che diamine stiano parlando, fa solo in tempo a cogliere uno sbuffo di rosso sotto ai suoi occhi, i capelli della Romanoff che lo sta fissando in cagnesco, come se non aspettasse altro che una scusa per fare quello che sta per fare: prenderlo di peso e lanciarlo sulla barca. Lui atterra bocconi sul ponte, con un tale violenza che a un comune mortale avrebbe certamente rotto qualche osso – la signorina è forzuta per essere una vulvetta lamentosa. Si morde le labbra per trattenere un gemito di dolore e si solleva appena in tempo per vedere il suo replicante salire sulla barca ormeggiata accanto alla loro, seguito dai demoni che cominciano ad agitarsi, una volta scoperto l'inganno.
Venti paia di occhi di piombo fuso si puntano su di loro. Gli indemoniati aprono le bocche come per gridare, ma non esce alcun suono. Sono sul punto di lanciarsi sulla solo barca, quando Loki avverte le vibrazioni del motore e lo yacht parte rapidamente verso l'isola.
Mentre si allontanano dalla riva, vedono Stark attraversare il cielo e sparire in acqua. Sulla superficie nera e lucida del mare della Laguna compaiono le luci dei propulsori dell'armatura.
Ora che Loki può far sparire le illusioni di se stesso, si sente decisamente meglio. Si volta, restando steso di schiena sul ponte della barca e guarda gli altri che sono con lui.
Barton sta guidando lo yacht; Rogers è in piedi, braccia conserte e sguardo concentrato a osservare l'altra imbarcazione dove gli indemoniati si dibattono e fanno a pezzi il parapetto; la Romanoff osserva preoccupata Banner che si è rintanato in un angolo e ha una faccia decisamente sofferente.
Nadia si china su di lui e lo guarda con preoccupazione.
«Sto bene» le dice subito, in tono infastidito, cercando di rimettersi in piedi.
La barca sfreccia a una velocità impossibile, sollevando alti schizzi dall'odore salmastro.
«Che cosa stanno facendo?» dice la Romanoff all'improvviso, premendosi contro la ringhiera di acciaio lucido per osservare l'altra barca che è diversi metri dietro la loro.
Gli sguardi di tutti si catalizzano nello stesso punto.
Metà dei demoni si sono lanciati in acqua, con un balzo agilissimo che li ha portati a cadere vicino alla loro barca. Per quanto Barton stia spingendo i motori al massimo, quegli esseri nuotano disperatamente in una scia di spuma bianca.
Dopo una manciata di secondi sentono un tonfo sordo contro lo scafo.
Gli indemoniati cominciano ad arrampicarsi verso il parapetto, arpionandosi alla fiancata che graffiano con le dita. La barca rulla come per una tromba d'aria.
La Romanoff prova a sparare oltre le loro spalle, ma il rumore non li distrae dalla loro piccola scalata.
«Siamo quasi arrivati» annuncia Barton. «Teneteli a bada solo pochi minuti»
«Ti pare facile!» replica la sua collega, deglutendo nervosamente.
L'isola è così dannatamente vicina e loro sono così dannatamente senza speranza.
Se quelle schifose creature fossero sensibili al dolore, Loki renderebbe incandescente la ringhiera alla quale sono aggrappate, ma non c'è niente che lui possa fare.
Il Capitano lancia il suo scudo che ruota silenziosamente a mezz'aria, colpendo gli intrusi aggrappati al lato sinistro della barca. Metà di loro cadono in acqua.
Sul lato destro, un paio di demoni riescono a salire a bordo. Con quei loro volti inespressivi e quei loro occhi innaturali e i vestiti strappati che grondano acqua sembrano cadaveri di annegati che il mare ha fatto risorgere.
Loki si getta sui due intrusi prima che arrivino a Nadia. È pur sempre un dio, non avrà la forza bruta di Thor, ma è comunque più forte e resistente di un comune essere umano.
Le dita di uno dei mostri che tiene bloccati a terra gli affondano nella spalla, lacerando la carne. Il dio sente il sangue colare fino al petto e ringhia di furia.
Un colpo di pistola esplode a pochi centimetri da lui, lasciando storditi i due indemoniati per qualche secondo, quel poco che basta a Loki per gettarli in acqua, per poi scambiare un rapido sguardo con l'agente Romanoff, responsabile dello sparo. In un'altra circostanza, Loki troverebbe davvero interessante tentare di capire come si sentono tutti loro a doversi preoccupare della sua incolumità.
«Sei ferito». Nadia fa appena in tempo a pronunciare queste parole che un demone arriva alle sue spalle, l'agguanta e la trascina in acqua.
Il demone e la ragazza spariscono sotto la superficie nera del mare.
«No!» Loki lancia un grido di sconcerto che viene coperto da un sinistro scricchiolio.
«Adesso basta» dice una voce, una voce cavernosa e vibrante.
I loro sguardi vengono catturati dalla figura che incombe in angolo a poppa.
Il vento sta portando via gli ultimi brandelli di quella che una volta era la camicia di Bruce Banner. Al posto del timido dottore adesso c'è Hulk.
Il gigante verde lancia un urlo da spaccare i timpani, scuote la testa come un cavallo imbizzarrito e prima ancora che tutti loro abbiano il tempo di spaventarsi si tuffa in acqua facendo oscillare lo yacht.


____________________________________________________________

Note:
Da qualche capitolo a questa parte, Loki ha smesso di essere collaborativo con la mia penna. Qualsiasi cosa lui faccia non è opera mia.
Non so esattamente quali siano i tempi di percorrenza dal molo di Piazza San Marco all'isola di San Michele, quindi non ho voluto dare indicazioni di tempo precise senza contare che quello che succede durante il tragitto è talmente concitato che i tempi della narrazione sono molto più lenti di quanto siano i tempi “reali” dei fatti che accadono.
Sì, ehm... forse riguardo all'isola mi sono presa un po' troppe licenze poetiche, non credo abbia un punto di costa sabbiosa.
Hulk mancava all'appello, un po' mi dispiace che sia “arrivato” solo ora.
Come si sente Loki a dover gestire i suoi replicanti a distanza è pura improvvisazione, spero che sia plausibile.

Ci leggiamo sabato con il nuovo capitolo :)

PS: a proposito di Loki. Loki e Thor. Loki e Thor ad Asgard. Loki e Thor e i loro bei tempi andati e tutta un'altra seire di cose folli... mi sono cimentata con una breve raccolta di episodi sul passato del caro Bambi... per chi volesse dare un'occhiata, la storia è nel fandom di Thor e si intitola Una goccia di splendore.

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Capitolo 20
*** Capitolo diciannovesimo ***


Capitolo diciannovesimo


Nadia sta facendo l'unica cosa che può fare: lottare. Sa che è inutile, sa che il buio che ha attorno presto avrà la meglio, come è già successo, ma non può fare altro che continuare a dibattersi per cercare di sottrarsi a quella presa d'acciaio che le tiene la testa sott'acqua.
Trattiene il respiro. Fino a quando non lascia scappare la poca aria che ha nei polmoni le resta ancora una minuscola, flebile speranza.
Il buio incombe, il silenzio è assordante e fa a brandelli ogni scampolo di lucidità. Sono solo una manciata di secondi, resi più lenti dal dolore che ora le assedia il petto. Il dolore diventa insostenibile e lei lascia andare l'aria che stava trattenendo. Ora la fine è solo una questione di tempo.
Il buio è così enorme da sembrare luce e il dolore sparisce mentre l'acqua le invade la gola, diretta ai polmoni.
E poi è di nuovo dolore. Un dolore strano che non proviene da dentro ma da fuori, come quando si urta uno scoglio mentre si sta nuotando. È un impatto forte che fa accendere scintille in mezzo al buio; è qualcosa che urta violentemente contro il suo fianco, come un enorme amo che l'arpiona e la trascina via, la sottrae alla stretta del demone e prima ancora che lei si renda conto, riaffiora in superficie, con la testa fuori dall'acqua. L'aria che adesso riesce a respirare fa ancora più male e lei tossisce violentemente, sentendo la gola e il petto ardere, come se vi fossero stati conficcati dei chiodi incandescenti.
Il suo cervello impiega tempo a tornare alla realtà. La realtà è che non è morta, che il cuore le martella in petto come impazzito e che c'è qualcosa che sta mulinando in mezzo all'acqua, a pochi metri da lei. Qualcosa di verde, enorme e rumoroso, che sta afferrando uno ad uno gli indemoniati caduti in acqua, spingendoli sulla barca che avrebbe dovuto portarli all'isola.
A proposito di barche? Che fine ha fatto lo yacht con Loki e gli altri?
Nadia si dà una spinta con le mani e i piedi per cercare di sollevarsi un po' e guardarsi attorno. Il loro yacht ha raggiunto la riva, quello dei demoni è solo qualche metro dietro di lei. E il gigante verde... Hulk non permette agli indemoniati di tuffarsi fuori bordo e tornare da lei.
Nadia guarda la riva dell'isola, una striscia di terra con la cupola della chiesa che emerge indistinta nel buio della notte. Un lampo squarcia il nero del cielo, seguito dal rombo potente di un tuono.
La ragazza spera che Thor sappia che se un fulmine finisce in acqua fanno tutti la fine della frittura di paranza, lei, Hulk, i demoni e Tony, che è ancora là sotto a spingere la barca.
Hulk non ha l'aria particolarmente rassicurante, ma Nadia sa che non possono continuare così, con lui che ripesca indemoniati e li ributta sullo yacht che loro stessi stanno facendo a pezzi.
«Devi portarmi a riva!» grida in direzione del gigante verde. «Ehi, mi hai sentito?!».
Non sa quanto sia saggio gridargli contro, non sa fino a che punto quell'essere possa mantenersi abbastanza lucido da capire che non deve farle del male, ma non ha scelta. Devono andare sull'isola, lasciare che i demoni li raggiungano e farla finita.
Hulk si gira verso di lei con uno strano grugno.
«Riva» ripete con la sua voce cavernosa. Muove il braccio a pelo d'acqua sollevando un'enorme onda che avrebbe fatto la gioia di una squadra di surfisti. L'onda allontana per un po' i demoni e fa oscillare la loro barca, quel tanto che basta perché il gigante riesca a darsi una spinta per avvicinarsi a lei.
Istintivamente, Nadia sforza lo sguardo nella penombra, cercando di rintracciare sul viso di quel tremendo essere i lineamenti di Bruce.
«Con delicatezz... ARGH!». Hulk non le lascia il tempo di finire la frase, la sua enorme manona cala sul suo stomaco mentre la prende per portarla via.
Con il braccio libero, il gigante nuota verso l'isola. Sono pochi secondi di dolore lancinante e di schizzi di acqua in faccia per Nadia che prima ancora di rendersene conto si ritrova con la faccia nella sabbia. Ai piedi degli altri Vendicatori già arrivati sull'isola.
Steve si precipita accanto a lei, facendole poggiare la schiena sul suo ginocchio e dandole qualche leggera pacca sulla spalla mentre lei sputa acqua e sabbia. Il vento la fa rabbrividire per il freddo.
«Grazie a Dio, stai bene» mormora Captain America con un sorriso stremato sotto il cappuccio della dannata calzamaglia.
«Quando penso a Dio, non lo immagino color smeraldo» replica lei, ridacchiando malgrado le facciano male il petto e la pancia.
Hulk resta in piedi sul bagnasciuga, spalancando la bocca ed emettendo un urlo minaccioso in direzione della barca con gli indemoniati che adesso è a pochi metri dalla riva.

***

Lo scafo dello yacht va in frantumi appena tocca terra. Tony vede la barca letteralmente sgretolarsi sopra di sé e svetta verso l'alto. Percorre qualche metro in verticale per avere una visuale completa della situazione.
«C'è un gran trambusto, signore» osserva Jarvis.
Gli indemoniati stanno correndo alla ricerca dei loro obiettivi. Tony allarga lo zoom sul gruppo di persone che corrono convulsamente sulla spiaggia e individua Pepper, nota che ha i vestiti sporchi di sangue, quello di Nadia. Deglutisce nervosamente e si fionda verso i suoi compagni, lasciandosi dietro una scia di luce, come una cometa.
Sono tutti nel cimitero. Nadia e l'agente Barton sono sul tetto di una cappella, un punto dal quale lui riesce ad avere la visuale di tutto il camposanto. Gli altri – Hulk compreso, in tutta la sua verde maestosità – sono in piedi accanto a una fila di lapidi, e attendono.
L'odore del mare non riesce a coprire lo strano, inconfondibile olezzo che hanno i cimiteri. Quello è un luogo pieno di storia, ma è pur sempre un tributo dell'umanità alla morte e se lui fosse un tipo un po' più suscettibile penserebbe che è un pessimo segno. Cerca di rimandarsi alla mente le parole di Thor: stanotte non morirà nessuno.
Tony vola verso il tetto della cappella. Nadia è rannicchiata contro il rialzo del frontone, reggendosi al basamento di una grossa croce di ferro. Sotto il giubbotto di pelle che le ha prestato Barton i suoi vestiti sono bagnati e lei è coperta di lividi. Vorrebbe chiederle cosa è successo, non ha ben capito come siano andate le cose quando gli indemoniati si sono buttati giù dalla barca. Vorrebbe, semplicemente, che non le fosse accaduto niente. E vorrebbe dirle qualcosa, ma sente che non c'è alcun bisogno di aggiungere parole, si limita a far scattare verso l'alto la visiera dell'elmo per poterla guardare negli occhi con i suoi occhi e non con quelli di Iron Man, da essere umano ad essere umano, perché a voler fare gli eroi ha il sospetto che lei possa essere assai più brava di tutti loro messi assieme. Si scambiano un lungo sguardo, poi lui si volta verso Barton.
«Mi raccomando, Guglielmo Tell, vediamo di uscirne tutti quanti tutti interi» dice mentre da lontano arriva il rumore come di un muro che crolla.
Tony fluttua accanto all'enorme statua di un angelo mezzo ricoperto dal muschio.
«Odio essere in anticipo ad una festa» borbotta impaziente.
«Almeno non ti perderai i fuochi di artificio» replica Steve, sbuffando.
L'attesa diventa una cacofonia di rumori sempre più vicini. Poi all'improvviso gli indemoniati compaiono facendosi strada oltre una siepe.
Thor fa roteare il martello che crea un vortice che solleva ciuffi d'erba e sassolini di ghiaia. Quando solleva il braccio, un fulmine atterra ai piedi dei loro nemici con un fragore tremendo e loro restano storditi.
«Un bel modo per aprire le danze, Boccoli d'oro» ghigna Tony da dentro l'armatura.

***

Loki sposta lo sguardo sui demoni schierati di fronte a loro, come un plotone di esecuzione.
La ferita sulla spalla pulsa e brucia. Guarirà in fretta, i suoi tempi di ripresa sono sempre stati molto rapidi, ma ad ogni movimento che compie qualche rivolo di sangue torna a inzuppargli il velluto scuro della camicia, sotto le placche dell'armatura.
«Loki!» lo esorta Thor, affiancandosi a lui con le dita che stringono nervosamente l'impugnatura del martello.
Tra qualche secondo gli indemoniati si riprenderanno dal colpo lanciato con il fulmine e cominceranno a ingaggiare battaglia. Dovrebbe approfittare di quei pochi minuti di calma per esorcizzarne quanti più riesce e invece sta perdendo tempo per, ah, per i corvi di Odino!... per cercare in mezzo a loro la donna di Stark, come gli ha chiesto Nadia.
Alla fine non è una cattiva idea. Se per i suoi piani futuri, per riavere lo scettro, dovrà avere di nuovo a che fare che gli Avengers, un po' di gratitudine da parte di quel tronfio guitto di Tony Stark farebbe comunque comodo. Non lo sta facendo per accontentare la ragazza, lo sta facendo perché la cosa gli potrebbe tornare utile, se lo ripete più volte, eppure una volta individuata la donna bionda dal nome astruso, prima di concentrarsi su di lei, alza istintivamente lo sguardo verso il tetto della cappella. Nadia tiene gli occhi fissi su di lui e il loro sguardo pesa come una condanna.
Maledetta ragazza, dovrei ucciderti...
Loki alza la mano in direzione della donna bionda.
Avrei dovuto farlo molto tempo fa...
Richiama l'energia della pietra e comincia a usarla contro il demone che si annida nel corpo della compagna di Stark. Il suo potere e quello della creatura ingaggiano una lotta invisibile, quello è il demone che ha resistito più di tutti al suo primo assalto, è il più potente in mezzo a quel branco di orride creature e Loki prova un dolore indicibile mentre tende allo spasmo le sue energie verso quel nemico. La ferita alla spalla si allarga nello sforzo, lui sente il sangue caldo colargli fino al fianco.
Ferite che si aprono e sanguinano senza che nessuno le veda. Praticamente, la storia della sua vita.
Il demone oppone una resistenza disperata, ma lui è più forte. Quella consapevolezza lo fa sorridere malgrado il dolore e alla fine il demone cede, esce dal corpo lasciandolo esangue in terra.
Thor lancia il martello verso il serpente di fumo e lo riduce in cenere.
Il problema è che adesso gli altri si sono ripresi dal primo colpo, alle loro spalle sollevano centinaia di pietre che fluttuano per qualche secondo a mezz'aria prima di scagliarsi addosso a loro alla velocità di una scarica di proiettili.
Il Capitano solleva il suo scudo e si piega leggermente sulle ginocchia aspettando l'impatto; Stark si solleva in aria; Thor fa ruotare il Martello perché il vortice respinga i colpi; Hulk fa un balzo e con una sola bracciata afferra Loki e la Romanoff proteggendoli dietro al suo enorme corpo.
Sgradevole, irrimediabilmente sgradevole per quanto necessario.
Come direbbero gli umani, per adesso la partita è 1 a 0 per loro!
Appena cessato quel primo attacco, Stark vola in picchiata ad afferrare la sua donna, ancora priva di sensi su una striscia di prato. Chiama il suo nome ma lei non risponde, sa che non può indugiare più di tanto con il perdere tempo, così si limita a sollevarla tra le braccia e a volare fino al tetto della cappella, deponendola accanto a Nadia, poi torna verso di loro.
«Sarebbe utile ripetere il trucchetto della nebbia» suggerisce la Romanoff guardando verso Loki, urlando le parole a gran voce mentre spara ai piedi degli indemoniati per tenerli buoni.
«Loro non vedrebbero noi, ma nemmeno noi vedremmo loro» fa notare il dio.
«Dobbiamo inventarci qualcosa o finiremo ammazzati prima che tu li esorcizzi tutti»
Gli spari si interrompono per qualche momento, i demoni hanno indietreggiato e ora scuotono il capo e strabuzzano gli occhi argentati, come tanti pesci catturati in una rete che lottano per respirare.
«Non si possono accelerare i tempi?» domanda Rogers, lanciando uno sguardo preoccupato ai demoni che stanno per riprendersi nuovamente.
Loki gli lancia un'occhiata malevola, sta per fargli notare che è una domanda assolutamente idiota, che se si potesse lo avrebbe fatto già la volta precedente ma poi si ricorda che la volta precedente c'era una pedina in meno sulla scacchiera.
Alza lo sguardo verso il tetto della cappella, in quello stesso istante gli arriva la voce di suo fratello.
«No, non puoi» dice Thor, con la voce che diventa un ruggito, mettendo su un'espressione dura e furente. Per una volta il suo ottuso fratello ha capito le cose in anticipo.
«Di che sta parlando?» interviene la Romanoff, guardandolo sospettosa mentre le sue mani infilano un caricatore nuovo nella pistola con gesti automatici che i suoi occhi non hanno bisogno di controllare.
«Di Nadia, naturalmente» risponde Loki. «Hulk e Stark faranno in modo di raccogliere gli indemoniati in un unico punto. Io e Nadia tireremo fuori i demoni. Non fate domande, non ce n'è il tempo».

***

«Che cosa ti sembra stiano facendo?» chiede Nadia nervosamente, allungando il collo oltre il parapetto del tetto.
«Stanno parlando» risponde Clint, voltandosi verso di lei. «Di te».
Non capisce cosa sta succedendo là sotto, perché si perda tempo a discutere invece che a fare qualcosa di costruttivo. Vorrebbe mettersi a gridare di darsi una mossa ma viene distratta da una voce flebile che arriva alle sue spalle.
«Tony?...».
La ragazza si precipita verso Pepper e l'aiuta delicatamente a sollevare la testa. Alla fine Loki l'ha accontentata; alla fine, comunque vada, Tony non avrà perso la guerra.
Gli occhi della donna sono di nuovo i suoi, lucidi e arrossati, cerchiati da profonde occhiaie marroni sul viso sudicio. Se Pepper Potts si vedesse allo specchio ora, probabilmente le verrebbe un infarto.
«Ehi, va tutto bene, sei salva» le dice Nadia con dolcezza, facendole posare la testa sulle sue gambe.
La donna ha un tremito e strabuzza gli occhi.
«Nadia!» esclama smarrita. «Mio Dio... tu stai bene? Io... io... oh, mi dispiace così tanto, io ho visto quello che accadeva ma...».
«Tu non c'entri niente, eri posseduta» replica con decisione la ragazza, anche se cerca di non guardare le macchie del suo sangue sui vestiti di Pepper.
«Sta bene?» chiede Clint senza voltarsi a guardare, continuando a tenere d'occhio il cimitero sotto di loro, con una strana freccia incoccata nell'arco.
«Credo che sia sotto shock, ma si riprenderà. Almeno è quello che dice Loki»
«E se lo dice Loki...» mugugna l'uomo. Come sempre, ogni volta che pronuncia quel nome, sembra stia masticando fango e sapone.  
Nadia appoggia una mano su quella di Pepper. Vorrebbe che ci fosse Tony a prendersi cura di lei, vorrebbe che quella notte finisse in fretta.
Alza gli occhi verso il cielo, la luna calante sembra un colpo di artiglio su una tela nera. Si rende conto che quella notte potrebbe essere molto molto lunga e quasi non si accorge di Thor che piomba all'improvviso sul tetto e si china su di lei.
«Nadia...» pronuncia il suo nome pieno di rammarico, quando la ragazza solleva lo sguardo su di lui vede che il dio ha gli occhi tristi e un'espressione contrita. «C'è bisogno di te».
Sta scherzando...
Loki vuole darla in pasto ai demoni per tenerli occupati mentre li esorcizza? Oh, potrebbe essere un'idea ma non le sembra il genere di idea che tutti gli altri approverebbero.
Mentre è intenta a formulare questi pensieri sente dei rumori improvvisi venire da sotto. Pepper sussulta tra le sue braccia e lei si sente sul punto di avere un infarto.
«Di qualsiasi cosa si tratti, direi che dobbiamo darci una mossa» replica Clint, lucido e professionale come ci si aspetta che sia.
«Qualsiasi cosa, basta che la finiamo» replica la ragazza, cercando di mostrasi senza macchia e senza paura, come gli altri credono che sia. Accidenti a lei e a quando ha deciso di mettersi a fare la dura!
Aiuta Pepper a mettersi seduta contro il parapetto di marmo chiazzato di umidità. Le raccomanda di stare tranquilla e le dice che presto Tony sarà da lei – non sa quantificare quel presto, ma è tutto quello che può fare, al momento.
Sotto di loro, Hulk si è lanciato contro i demoni. Letteralmente. Ne ha afferrati almeno sei in quelle sue enormi braccia di cui Nadia ha un bel ricordo violaceo sulla pancia.
Tony ha cominciato a volare attorno agli altri, scampati alla presa del gigante verde, come quella sera nel vicolo, per legarli con il filo d'acciaio. Non serve a niente tenerli legati, lo hanno già sperimentato, nella testa di Nadia adesso c'è il caos e quasi non si rende conto delle braccia di Thor che si chiudono attorno a lei. Non se ne rende conto fino a quando la presa salda del dio non va a premere sui lividi della lotta precedente, facendole vedere le stelle.
A proposito, Loki era stato ferito anche lui e sembrava un bel po' dolorante qualche minuto prima. Ma Nadia ha come la sensazione che è di se stessa che si deve preoccupare maggiormente adesso. Adesso che è atterrata sul prato in mezzo alle lapidi e il dio dell'inganno la sta scrutando con una delle sue occhiate indecifrabili, sotto quel suo strano elmo con le corna.
Un albero di cipresso crolla nel punto in cui sono raccolti. Thor fa appena in tempo ad afferrarne il tronco e a farlo cadere di lato prima che li spazzi via tutti.
«Lì dietro!» ordina Steve, indicando una cappella con le vetrate colorate.
Corrono a rannicchiarsi mentre Tony e Hulk sono ancora impegnati a fermare i demoni, come se volessero tenerli tutti raccolti in un unico punto.
«Allora?» chiede lei lanciando uno sguardo ai presenti. Ma sembra che Loki sia il solo a conoscere la risposta alla domanda e che non abbia nemmeno particolare voglia di stare lì a perdere tempo in spiegazioni.
«Li esorcizziamo, tutti insieme in una sola volta. Non posso farlo da solo, devi darmi una mano» si limita a dire.
«Ti sembro forse Sailor Moon?» sbotta Nadia. «Lo hai detto tu, la pietra non da nessun potere agli esseri umani, ergo io non posso esorcizzare demoni».
«Questo è tutto da vedere, ragazza resuscitata da Odino. Fai esattamente quello che ti dico».
Oh, c'entra Odino e c'entra la resurrezione: lo sapeva che c'era la fregatura!

Per qualche secondo cala un silenzio quasi innaturale in quel luogo spettrale. L'unica cosa che Nadia riesce a sentire è il battito del suo stesso cuore che le fa eco nelle orecchie.
«Stavamo dicendo?» mormora, cercando di non apparire troppo esasperata.
Tony arriva in volo, atterrando di fronte a loro.
«Qualsiasi cosa tu debba fare, falla adesso» dice rivolto a Loki e anche da sotto l'armatura si sente che ha la voce esausta.
Nel silenzio cominciano a rimbombare le grida graffianti di Hulk.
Nadia sussulta e si appiattisce contro il muro. Loki l'afferra per una manica e la solleva in piedi.
«Sparate, fate confusione, stordite i demoni. Al resto pensiamo io e la ragazza» conclude il dio dell'inganno.  
Pensarci io e lui?
«Sei impazzito del tutto?» esclama la ragazza mentre il dio la trascina con sé.
«Devi fidarti di me. Farà male, non sarà piacevole, ma funzionerà» risponde lui.
Nadia guarda il suo profilo pallido nella penombra della notte, chiedendosi quante persone si siano mai fidate di lui, domandandosi se quelle persone ora siano ancora vive.
«Hai mentito per tutto questo tempo? Posso usare il potere della pietra?» gli domanda in un filo di voce.
Un attimo dopo tutto si trasforma in una cacofonia di spari. Gli indemoniati sono legati stretti gli uni agli altri dal filo di acciaio di Tony, con Hulk che gli gira attorno come uno squalo. Il frastuono li stordisce rendendoli innocui, almeno per un po'.
Loki si chiana sull'orecchio della ragazza, urlando per farsi sentire, finalmente disposto a darle una specie di spiegazione.
«Non è così semplice. Odino ha usato il suo sangue per salvarti quindi l'energia della pietra si lascia assorbire dal tuo corpo. Che tu sia in grado di usarla è un altro paio di maniche» le dice. «Ma adesso dovrai fare uno sforzo e io ti darò un piccolo incentivo».
«Grandioso...». La parola si perde nel caos.
Nadia nota con orrore che gli indemoniati stanno per spezzare il filo di acciaio, per quanto intontiti dagli spari. Sente ogni muscolo del suo corpo tendersi e irrigidirsi, ha quasi paura che le vengano i crampi per l'agitazione. Non è affatto sicura di capire quello che le è stato detto e non è per niente certa di riuscire a fare quello che il dio si aspetta da lei.
Si ferma accanto a Loki, in un punto abbastanza vicino ai demoni ma fuori dalla traiettoria degli spari. Thor è alle loro spalle, pronto a usare il suo Martello miracoloso.
Io non posso farcela...
«Come posso esorcizzare i demoni se non so usare il potere della pietra?» urla senza guardare Loki in viso.
«In questo modo» risponde lui.
Nadia fa appena in tempo a vedere il baluginio di una lama brillare nel buio. Loki le afferra il polso e le apre un taglio profondo sul palmo della mano, procurandole un gemito di dolore. Poi fa la stessa cosa con la mano di Thor e unisce i due palmi sanguinanti. Le due ferite pulsano l'una contro l'altra e la ragazza osserva smarrita il viso del dio del tuono. Ha la sensazione che lui non si stia prestando volentieri a quella specie di rito.
«Che cosa...». Sta per fare l'ennesima domanda che probabilmente resterà senza risposta, ma non riesce a finire la frase. Il cuore ha un battito fortissimo e doloroso e lei si piega sulle ginocchia boccheggiando per lo stupore e per il male che sente spandersi in tutto il corpo. È quella l'energia di cui parlava Loki, la sente scorrere come veleno. Aveva immaginato che fosse una sensazione piacevole di calore e invece è qualcosa di devastante, di venefico, di estraneo...
Vorrebbe ribellarsi a quell'invasione, a quel qualcosa che le sta scorrendo dentro lasciandosi dietro una scia di sofferenza, ma non può, non sa come fermarlo.
«Nadia!». Loki le stringe una mano sulla spalla e la scuote. «Ora devi ascoltarmi, passerà presto, ma devi ascoltarmi!».
Solleva a fatica lo sguardo sul dio dell'inganno. Lo sta odiando per quello che le ha fatto in quel momento. Vorrebbe pensare che è per il bene di quelle persone e di tutti loro, ma adesso sente solo il suo dolore.
«Ascoltami» ripete Loki cercando di imprimere a quelle parole una punta di dolcezza, le posa una mano fredda sotto al mento facendole alzare delicatamente la testa. «Sei una guerriera e puoi farcela, sei arrivata fino a qui, non puoi mollare proprio adesso, non c'è un limite oltre il quale si può abbandonare la partita, rammenti?».
Se fosse un po' più lucida, si chiederebbe come è possibile che riesca a sentire la voce di Loki in mezzo a tutto quel frastuono.
«Guardali, alza il braccio» intima il dio.
Lei obbedisce meccanicamente, con il corpo in balia di quella strana febbre.
«Puoi vederli, i demoni dentro ai corpi. Valli a prendere».
Le parole di Loki sembrano arrivare da dentro la sua testa, come se fossero pensieri della sua mente e non la voce di qualcuno dall'esterno. E proprio come se fossero pensieri creati da lei stessa, Nadia riesce a comprenderli perfettamente anche se non capisce come.
Comprende ed esegue.
Ora li vede, come li aveva visti la prima volta alla Corte dell'Angelo, prima che gli altri riuscissero a scorgerli. Li vede e vede un altro fiume di energia che proviene da Loki, strisce luminose che fluttuano intrecciandosi nelle maglie di una rete. Guarda quei fili, guarda quegli intrecci e più li guarda più l'energia che sente dentro di lei fluisce nella stessa direzione, rendendo la rete sempre più ampia. E più l'energia fluisce fuori dal suo copro più il dolore si attenua e la sua mente torna lucida.
«Ci stai salvando tutti» sente dire alla voce di Loki.
Ora la rete sembra grande come il cielo stesso. Cala sui demoni e lei li vede rimanere impigliati nelle maglie di luce, dibattersi per scappare e opporre resistenza per non venire trascinati via. Sente il dolore aumentare di nuovo mentre quegli esseri fanno forza per opporsi e l'energia si concentra di nuovo dentro il suo corpo per vincere quella resistenza disperata.
Alla fine è solo come strappare via una pianta selvatica particolarmente coriacea. E lo strappo fa un rumore tremendo dentro le sue orecchie, un rumore che risucchia tutto, il dolore, la luce, la voce di Loki...
Nadia cade sulle proprie ginocchia e si puntella sui palmi delle mani per non finire bocconi sulla ghiaia. Si sente stravolta, ma il dolore è sparito; ora ha di nuovo coscienza di sé e i suoi occhi sono tornati a vedere come quelli di un normale essere umano. Fa in tempo a vedere l'enorme fulmine che si abbatte sui demoni che fluttuano a mezz'aria, disperdendoli tutti in una grossa nube di cenere.
Hanno vinto. Ora può chiudere gli occhi e riposare.

Tiene gli occhi chiusi, ora che non ha più ragione di temere il buio, ora che non c'è più pericolo. Resta ferma per un tempo lunghissimo, senza nemmeno preoccuparsene, senza nemmeno pensare alle mille domande che sicuramente più tardi le assalteranno il cervello.
Sente qualcuno chinarsi su di lei, alle sue spalle, afferrarla e stringerla in un abbraccio convulso. Sente la dura consistenza delle placche metalliche di un'armatura, il tessuto morbido di un mantello solleticarle in viso.
Loki...
«Nadia». La voce che chiama il suo nome non è quella del dio dell'inganno. È Thor quello che la sta abbracciando, che le sta accarezzando i capelli, e lei lo stringe di rimando, appoggiando la fronte contro il suo petto prima di scoppiare in un pianto a dirotto.
Non sa per quanto tempo rimane rannicchiata tra le braccia del dio, a piangere fino a sentire la testa quasi svuotarsi dai ricordi, mentre le lacrime si perdono tra le pieghe del mantello color porpora.
Quando la crisi di pianto comincia a scemare, la ragazza diventa consapevole degli sguardi puntati su di lei. Si alza lentamente, senza staccarsi da Thor, e fissa gli Avengers guardarla attoniti e preoccupati. C'è anche Pepper, che si regge malferma al braccio di Tony.
Dietro di loro ci sono diciannove corpi privi di conoscenza. Diciannove corpi più uno, a dirla tutta: c'è anche Bruce che ha ripreso le sue sembianze innocue, steso a braccia aperte su una tomba, con addosso solo quello che resta di un paio di pantaloni beige.
Hanno vinto. Forse è il momento di dire qualcosa di eloquente e solenne.
«Sbaglio, Colombina, o ci avevi promesso qualche consiglio in merito a un buon ristorante?» dice Tony. Eloquente e solenne, per l'appunto.
Nadia ridacchia e scuote la testa.
«Dammi solo il tempo di farmi una sciacquata di viso» risponde.
Thor la lascia andare con estrema cautela, assicurandosi che non caschi a terra una volta priva di appiglio. Il dio del tuono sorride,
«Hai visto, fratello?» dice, facendo per voltarsi alle sue spalle. «Possiamo ancora combattere insiem... Loki?».
Ha parlato al vuoto, dietro le sue spalle non c'è più nessuno.
Nadia batte una mano sul braccio di Thor che ora ha un'espressione a metà tra l'afflitto e il deluso. Lei non si sente né afflitta né delusa, e nemmeno arrabbiata.
Se n'è andato, come aveva detto...
Sa solo che quella scheggia si è conficcata un po' a fondo dentro di lei e che dovrà convivere forse per tanto tempo con il male che fa.    
 


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Note:

Siamo quasi in dirittura d'arrivo, mancano tre capitoli e l'epilogo alla conclusione di questa storia.
So che la verità sulla condizione di Nadia non è stata ancora spiegata e non si è capito bene cosa sia successo, ma del resto mancano ancora tre capitoli e l'epilogo.
Il prossimo aggiornamento non riuscirò a pubblicarlo prima di una settimana, perché lunedì parto, ma prometto che entro sabato ci sarà il nuovo capitolo.

Grazie di nuovo a tutti.
Alla prossima.

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Capitolo 21
*** Capitolo ventesimo ***


Capitolo ventunesimo


Il tizio in frac e guanti bianchi dietro la lussuosa reception del Danieli sembra sul punto di farsi venire un attacco di panico mentre passa in rassegna il colorito gruppo di personaggi che ha davanti agli occhi, entrati pochi secondi prima al seguito di uno dei più illustri clienti dell'albergo.
«Signor Stark... bentornato» farfuglia titubante, mentre allunga verso Tony la chiave della sua suite. Nessuno può dire di no a un genio miliardario, anche se si presenta in uno degli hotel più lussuosi del mondo con al seguito un crocchio di persone che decisamente non fanno pendant con l'ambiente.
Bruce è praticamente senza vestiti, avvolto nel mantello di Thor; Nadia sembra uscita da una discarica dopo aver avuto un incontro di lotta libera con una lavatrice rotta; Clint e Natasha hanno i vestiti appiccicati addosso dal sudore e le mani lerce; Steve è in tenuta da Captain America, e la tenuta avrebbe bisogno di una lavanderia; Pepper sembra essere stata appena ripescata in un canale; e poi c'è Thor, che è qualcosa di impossibile da commentare.
«Dunque» dice Tony con tutta la disinvoltura del mondo. «Mi occorrono delle camere dove sistemare i miei amici per qualche giorno. Cinque stanze, quindi».
Il volto del portiere diventa cereo mentre annuisce meccanicamente e comincia ad armeggiare con il computer. Nadia si sente sul punto di scoppiare a ridere.
«Mia madre avrebbe fatto meno storie» bisbiglia all'orecchio di Tony.
Li avrebbe volentieri ospitati tutti nell'albergo della sua famiglia, ma non avrebbe saputo come spiegare ai suoi genitori lo stato in cui si trovano. Lei stessa ha in programma di tornare a casa prima che faccia mattina, così da potersi dare una sistemata e apparire davvero come se fosse appena tornata da uno stage a Milano. Anche se è certa che qualcosa, in fondo ai suoi occhi, la tradirebbe comunque, anche se recitasse alla perfezione il ruolo di quella a cui non è accaduto niente.
Tony lascia una generosa mancia al portiere, ma nemmeno tutto l'oro del mondo sarebbe sufficiente a fargli togliere dalla faccia quell'espressione stravolta. A lui si uniscono i facchini preposti ad accompagnare i nuovi ospiti nelle rispettive camere.
«Oh, sarebbe possibile avere delle ciambelle glassate?» chiede il signor Stark con aria speranzosa.
Il portiere sbatte le palpebre,
«Possiamo senz'altro provvedere, signore» risponde, con la voce leggermente stridula per il nervosismo.
«Eccellente!».
«E la... ehm, signorina?» chiede uno dei facchini, guardando Nadia.
«La sua famiglia ha un albergo qui a Venezia, è venuta a fare dello spionaggio industriale» spiega Tony, posandole un braccio sulla spalla. «Per la precisione vuole sapere come è arredata la mia suite».

La suite di Tony e Pepper è spaventosa per quanto appare lussuosa. Nadia ha quasi soggezione a respirare lì dentro, con quell'aria che odora di fiori.
Dall'ampia vetrata che affaccia sul Canal Grande si vede l'alba cominciare a rischiare il cielo di Venezia.
Tutti i brutti incubi finiscono con l'arrivo della luce del giorno.
La ragazza si circonda il busto con le braccia, per provare a scacciare quella terribile sensazione di freddo e di vuoto.
È stato davvero un incubo, ma è stato così grande che adesso che è tutto finito si sente quasi persa, non sa come fare per tornare alla vita di tutti i giorni, senza nessuno con cui poter parlare di tutta quella storia, senza nessuno che possa capire. Ma non deve pensarci adesso, loro sono ancora lì e lei ha ancora da mantenere la promessa riguardo al portarli a pranzo in un posto come si deve.
«Ho bisogno di una doccia» dice, voltandosi a guardare Tony che ha appena messo a letto Pepper. Sembra che lei starà bene, ma quei demoni bastardi non si sono presi molta cura dei corpi che avevano infestato, per cui adesso lei ha bisogno di riposo – e probabilmente anche di tornare a fare pasti regolari, è davvero sciupata e forse le ci vorrà del tempo per riprendersi.
«Certo che ne hai bisogno!» esclama lui. «Serve a tutti quanti un bel bagno nel mercurio».
L'uomo apre un mobiletto e ne estrae un kit per il pronto soccorso. Nadia lo guarda armeggiare con una bottiglia di disinfettante, dell'ovatta e delle garze in una confezione di plastica. È iperattivo ai limiti del patologico, dovrebbe essere distrutto per tutto quello che è successo e invece il sollievo per aver salvato la sua donna e distrutto i demoni sembra averlo caricato.
Tony le prende la mano e le fa aprire le dita. Al centro del palmo il taglio rosso è incrostato di sangue rappreso.
Nadia sente dolore ogni volta che muove anche solo leggermente la mano e a ogni fitta un paio di occhi azzurri brillano nella sua mente come luci al neon.
Tony tampona con cautela il taglio; il disinfettante brucia a contatto con la carne viva.
«Lascerà il segno?» domanda lui mentre avvolge diversi giri di garza tra l'indice e il pollice della ragazza. L'odore di alcol si mischia al profumo di fiori.
Nadia solleva lo sguardo, fissando gli occhi in quelli del suo interlocutore.
«Dovremmo chiederlo a Bruce, forse» mormora scrollando le spalle.
L'uomo inarca un sopracciglio e le lancia una lunga occhiata.
«Non stavo parlando della ferita alla mano».
«Oh».
La ragazza prende un grosso respiro. Non sa se è pronta ad affrontare l'argomento, non sa se riuscirà mai ad esserlo. Che cosa si aspettano che dica? Che cosa pensano che lei provi?
Ha diritto anche a tacere, se vuole, un diritto che si è guadagnata con tutto quello che ha fatto, ma ha la sensazione che la domanda di Tony sia più che altro una domanda retorica, che lui sappia tutto quello che c'è da sapere e che invitandola a parlarne voglia solo aiutarla.
«Sono sopravvissuta, è un buon punto di partenza per cominciare a dimenticare la parte peggiore di questa avventura» risponde, semplicemente.
«Ah, c'è anche una parte migliore?» la incalza lui.
«Sei così narcisista che hai bisogno di sentirtelo dire, signor Stark?».
Tony sorride e scuote la testa. La luce dell'alba diventa più nitida, più simile alla luce del giorno, del domani che bussa alle finestre con il suo bagaglio di normalità.
«Cosa è successo quando tu e il cervo fuggiasco avete fatto la macumba ai demoni?» aggiunge l'uomo.
«Gran bella domanda, signor Stark. Non ne ho idea, so solo che all'improvviso ho sentito l'energia della pietra e ho saputo usarla» risponde Nadia, deglutendo. Non è una bella domanda, è una domanda pessima, che le fa venire i brividi. «Credo ci entrasse qualcosa il sangue di Thor, di un asgardiano, come quello di Odino usato per resuscitarmi. Ma credo che non lo sapremo mai e non importa, non sono previsti altri attacchi di demoni, giusto?».
Lei si sforza di sorridere e Tony di assecondare il suo sorriso.
Ci sono altre domande, ma restano sospese, una tra tutte: e Loki?
Sì, è molto meglio che quella domanda venga taciuta, perché quella decisamente non è la parte migliore della storia e nemmeno quella meno dolorosa.

***

Nadia ha fatto una doccia, gli ha detto che voleva arrivare a casa prima che i suoi si svegliassero, per avere il tempo di nascondere con un po' di trucco i segni della stanchezza e inventare qualche bugia credibile sul fantomatico stage di fotografia a Milano.
Tony le ha prestato dei vestiti di Pepper, per farle mettere addosso qualcosa di pulito che non avesse il sentore del sangue, dell'acqua melmosa della Laguna e del terriccio, poi le ha chiamato un taxi e ha pensato per l'ennesima volta nella sua vita che non mettere al mondo figli è un'ottima idea. Naturalmente Nadia è troppo cresciuta per poter essere una sua figlia ipotetica, ma l'affetto che ha sviluppato per lei gli sembra qualcosa di molto simile alla paternità e vederla andare via gli sta procurando uno strano senso di vertigine, un tuffo allo stomaco. Roba troppo indigesta per un genio spoetato...
E poi che diamine ne sa lui della paternità? Il suo augusto genitore non è stato esattamente un fenomeno in effetti, e ci sono cose di cui il grande Tony Stark può fare assolutamente a meno.
Lo pensava anche dell'amore, ad esempio, poi però era arrivata Pepper Potts e gli aveva insegnato l'esatto significato del termine necessità. Lei gli è necessaria, senza ma e senza se. E non solo perché lui non ricorda il suo dannato numero per la Previdenza Sociale.
E alla fine, dopo tutto quello che ha visto accadere, il brillante signor Stark si sta quasi rassegnando all'idea di non poter tenere sempre tutto sotto controllo, comprese quelle farfalle che si annidano nello stomaco di ogni essere umano e che fanno gare di volo ogni volta che si incrocia la strada di una persona speciale. E Nadia è una persona speciale... incasinata come un adolescente magari, con pessimi gusti in fatto di ragazzi sicuramente, con una malsana e inspiegabile passione per la musica jazz, eppure, mentre sta per uscire dalla camera per tornare alla sua vita Tony la chiama, la fa voltare e il suo cervello da miliardi di dollari di fatturato annuo ha un attimo di black-out prima che a lui venga in mente qualcosa da dirle.
«Ehi, ehm... che ne è della promessa di portarci a mangiare in un buon ristorante?» le chiede con un sorriso obliquo.
«Ci vediamo domani mattina alle undici, signor Stark. Procura dei vestiti da essere umano per Thor» risponde lei, facendogli l'occhiolino per poi sparire oltre la porta di legno scuro.
Thor, ma certo!
Tony lo conosce bene, quello sfavillio che si accende nel cervello e fa luce su un'idea... non a caso i comuni mortali parlano di avere un'illuminazione. A lui capita spesso, in media una volta ogni ora.
Esce dalla suite, armato del suo cellulare, percorre il corridoio alla ricerca della stanza dove hanno sistemato Thor e una volta arrivato bussa energicamente, non ottenendo risposta. Preme dei tasti sul suo apparecchio, una luce rossa si sprigiona dal display e passa lentamente sul legno attorno alla serratura, che un secondo dopo scatta aprendosi.
Il caro dio dalla chioma dorata è steso sulla pancia su un grande letto, con il viso che affonda in una pila di cuscini. Anche le divinità con i capelli da spot pubblicitario di una marca di shampoo possono essere sfinite.
Tony picchietta una mano sulla spalla di Thor che sposta appena la testa e impasta la bocca.
«Ancora cinque minuti, madre...» bofonchia il dio, con la voce ovattata.
Stark strabuzza gli occhi e lo strattona con più forza. Thor solleva le palpebre di colpo, con uno scatto fulmineo si volta sulla schiena e allunga il braccio per chiamare a sé il Martello, un attimo prima di realizzare che la persona che lo ha svegliato non deve essere fatta a pezzi, forse.
«Il riposo è un'attività a te sconosciuta, uomo di metallo» borbotta il dio, visibilmente interdetto per essere stato svegliato.
«Sai, noi cervelloni abbiamo sempre qualche tarlo che ci tiene svegli» replica Tony con un'alzata di spalle, poi prende una poltrona e la avvicina al letto. Riposerà, certo, tra qualche minuto però. «Da dove vieni tu non esistono i jeans?»
«Come?... mi hai svegliato per discutere di abbigliamento?»
«No. Ma era da un po' che volevo chiedertelo e ho approfittato del momento di intimità».
Thor si stropiccia il viso con le mani e sbatte le palpebre, cercando di mandare via gli ultimi residui di sonno. Il possente Thor, sembra un tenero, tonto orsacchiotto formato gigante.
«In che cosa posso esserti utile, Tony Stark?» domanda, ostentando un tono gentile e affabile.
«Volevo sapere che cosa ha fatto il caro fratellino con Nadia quando hanno cacciato i demoni. Mi sembrava una cosa vagamente inquietante, sai di quelle cose che fa lui insomma. E visto che è servita la tua sanguinolenta partecipazione ho supposto che tu ne sapessi qualcosa».
Thor aggrotta le sopracciglia dorate,
«Non ne so molto. Ah, mia madre aveva ragione, avrei dovuto prendere esempio da Loki in fatto di amore per gli studi!» risponde con aria crucciata. «Credo c'entri la pietra e il fatto che mio padre l'ha riportata in vita, ma non so nello specifico come abbia fatto Loki a fare in modo che lei la usasse e con così tanta forza... immagino che sia perché la pietra risponde solo a un asgardiano e se il sangue di Nadia è entrato in contatto con il mio, è probabile che per qualche tempo il gioiello abbia lasciato che lei assorbisse l'energia».
Tony si massaggia le tempie. Può capire molte cose, compreso un trattato di fisica nucleare letto nell'arco di una sola nottata, ma non può sentir parlare di magia senza che gli venga l'emicrania.
«Stai dicendo cose senza senso» borbotta, guardando il suo interlocutore con aria afflitta.
Thor fa un mezzo sorriso,
«Me lo hanno già detto. Tu dai un nome differente alle cose, Tony Stark, e tendi anche a complicare la faccenda» risponde. «Quello che ti interessa sapere non è cosa sia successo davvero stanotte, semplicemente vuoi chiedere se Nadia starà bene».
«Uhm, non sei poi così tonto»
«Il benessere di quella ragazza sta a cuore a tutti noi. Purtroppo non ho risposte certe per le domande al riguardo»
«Oh, per un attimo ho pensato che stessi per darmi qualche buona notizia, è un po' che non se ne vedono da queste parti. Come facciamo a saperlo?» incalza Tony.
«Dovremmo chiederlo a...». Thor alza gli occhi al cielo e sospira afflitto.
«A Loki, certo. A proposito, hai intenzione di lasciarlo ancora a piede libero per la galassia e aspettare che incontri Darth Vader o hai già un piano in mente?»
«So come fare per cercarlo quando sarò tornato ad Asgard, ma ritengo che dopotutto si meriti un discreto vantaggio».   

***

Nessuna luce accompagna il suo passaggio, non è come viaggiare attraverso le strade rivelate dal Bifrost o venire sospinti dal varco del Tesseract. Quello che ha appena sperimentato è più simile a uno strappo, come se il sangue e il respiro venissero polverizzati per poi ricomporsi in un altrove remoto.
Non è stato piacevole, ma non importa. È salvo e al sicuro, non conta nient'altro.
Loki atterra su una superficie di pietra nuda e si lascia cadere seduto, con la schiena poggiata contro un masso. Si toglie la casacca e la blusa, le getta stizzito contro il terreno duro e infila una mano ad allargare l'apertura della camicia di velluto scuro. La ferita sulla sua spalla è una macchia rossa sulla pelle pallida, pulsa e continua a sanguinare. Sa che deve guarirla in fretta, non può permettersi di essere debole, ma ha perso molto sangue e per guarire gli occorre attingere alla sua riserva di energia.
Il dio dell'inganno alza lo sguardo sul cielo color pece, privo di stelle.
Negli anni in cui assimilava con voracità tutto ciò che la sua fame di conoscenza reputava interessante, ha imparato a memoria le mappe degli spazi vuoti di universo tra i nove regni, ha scoperto che non sono affatto vuoti, ma sono pieni di lingue di terra deserta e arida sospesa nel nulla. Ed è su una di quelle terre che si trova adesso, non può rimanere a lungo, da Asgard potrebbero intercettarlo da un momento all'altro, appena Thor farà ritorno alla casa di Odino annunciando la sua fuga. Anche se ha come la sensazione che il suo beneamato fratello non farà subito ritorno alla patria eterna: la debolezza e il sentimentalismo che lo lega a quegli umani può essere più forte persino del senso del dovere, della necessità di dare la caccia a lui, al traditore, al rinnegato... o forse Thor gli vorrà concedere un po' di vantaggio, pensando che anche lui abbia occasione di riposare, perché c'è sentimentalismo e debolezza anche in quello che prova nei suoi confronti, nelle vane speranze che nutre per lui, nel desiderio di ritrovare un fratello che non è mai esistito.
Sono fuggito ancora. Non mi avrai mai in catene, figlio di Odino.
Il pensiero si accende nella sua testa, come un lampo che preannuncia un temporale. Ogni volta che indugia nel pensare a cose simili, poi la sua mente precipita in un buio tunnel di astio e voglia di rivalsa che lo rende cieco e che lo distrae. Non deve pensare a quelle cose ora, deve pensare ai suoi piani, deve pensare alla ragazza.
Ha fatto i suoi calcoli, ha pensato a come fare per sfruttare al meglio le sue risorse di energia, non importa se quel momentaneo esilio e se il viaggio di ritorno su Midgard – quando sarà il momento – esauriranno le sue scorte; quando sarà di nuovo con lei potrà attingere ancora altra energia dalla pietra di Borr, adesso deve pensare alle cose da fare, un passo alla volta.
Ora Nadia sarà a casa, si crederà al sicuro, resterà di quell'avviso per un paio di settimane, forse, prima che comincino i sintomi.
O più probabilmente la ragazza sarà insieme ai suoi eroi a brindare alla vittoria e a pensare con sollievo di essersi liberata di lui.
In effetti, essersi liberati della reciproca presenza dovrebbe essere un sollievo per entrambi, ma Loki non si sente affatto sollevato. Ora che lei è diventata una pedina sulla sua scacchiera, detesta non poterla tenere a vista, non essere in grado di controllarla, non esserle vicino per sapere cosa passa in quella sua confusa testolina da umana bellicosa.
Scuote la testa, si stropiccia il viso con le mani. Deve smetterla di angustiarsi per simili sciocchezze, ha predisposto ogni cosa, conosce la ragazza, sa bene come andranno gli eventi. Eppure quel silenzio e quel buio lo inquietano, è un'irritazione che non confesserebbe nemmeno a se stesso, ma non vorrebbe trovarsi lì. Si era quasi abituato alla confusione di quella città sull'acqua, al continuo movimento del mare che lambiva le sue strade, che adesso tutta quella silenziosa immobilità gli sembra insostenibile. Si era quasi abituato a non...
...essere più solo?
… ad avere qualcuno da tormentare con la sua sola presenza. Si era quasi abituato a bearsi per la paura e l'irritazione che riusciva a provocare.
Adesso invece prova...
… nostalgia?
… noia. Forse che lo starsene rinchiuso in quella casa ha esaurito la sua proverbiale pazienza?
Non importa, lui è un dio – se lo ripete ancora una volta, come se fosse una rassicurazione – e gli dei non cambiano e non si piegano agli eventi. Gli dei godono delle ombre e dei silenzi, li usano come alleati. Gli dei non hanno bisogno di alcuna compagnia.
E soprattutto, un dio non ha bisogno di riposare quando così tanti progetti aspettano di essere attuati. Loki stringe i denti e si sforza di rimanere lucido, malgrado la stanchezza e la debolezza indotta dalla ferita.
Deve pensare, dunque. Deve pensare a Nadia. Se non altro, sono pensieri privi di odio.
Le darà un po' di tempo per crogiolarsi nelle sue rinnovate sicurezze, prima di farle visita. Le notizie che ha da darle saranno di una tale portata e saranno così devastanti per un'anima che si credeva già in salvo che sicuramente la ragazza crollerà, avrà paura, cederà al panico e farà quello Loki si aspetta che lei faccia: chiedere l'aiuto dei suoi nuovi amici.  


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Note:
Questo capitolo ha un che di demenziale, lo so... ma il nemico è stato battuto, il peggio è passato e io volevo divertirmi un po'.
Chi coglie il riferimento alla battuta sul numero della Previdenza Sociale vince un reattore Arc da usare come lampada sul comodino.
In quanto a Loki... ve l'ho già detto, da un po' fa i capricci e non collabora con la mia penna, saltellando nella mia testa gettando per aria fogli e urlando “I DO WHAT I WANT!”.
Sono appena tornata da un settimana di trasferta, al più presto risponderò anche a lle recensioni.
Ci leggiamo giovedì con il penultimo capitolo.
Ciauz

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Capitolo 22
*** Capitolo ventunesimo ***


Capitolo ventunesimo


Nadia guarda i riflessi delle luci sull'acqua. Il cielo e il mare si fondono in una bolla di nero.
Il vento che soffia su Venezia e increspa il mare è un vento tiepido, già carico delle promesse dell'estate; non come il giorno dell'arrivo di Loki, quando soffiava quella prepotente brezza gelida che sembrava aver fatto ghiacciare le nuvole attorno al sole.
La ragazza odia quell'odore malsano che si alza dal mare nelle zone portuali, quel tanfo di petrolio e acqua stagnate, le dà la nausea e mai come quella sera sente lo stomaco fare le capriole mentre respira quell'olezzo insopportabile.
La barca bianca si avvicina alla banchina con manovre lente, sulla fiancata ha la scritta Stark Industries. Nadia la guarda e le sembra che stia fluttuando in mezzo a quel buio, come un fantasma.
Sono passati tre giorni da quando è tornata a casa, alla sua vita, e sono stati comunque giorni surreali, in giro per Venezia con la squadra di supereroi più spiantati del mondo... dell'universo interno, anzi, visto che con loro c'era anche una divinità proveniente da chissà dove. Sono stati giorni irreali, ma straordinari. Ha conosciuto i supereroi dentro quella casa in rovina, quando c'era da combattere e da rischiare; in quelle ultime giornate di tranquille gite per la città dei dogi invece ha conosciuto le persone dietro quella strana leggenda che fa eco da oltreoceano.
Nadia sente una morsa stringerle lo stomaco e trattiene a stento un conato di vomito. A forza di andare in giro per ristoranti e trattorie per far conoscere ai suoi amici le delizie della cucina italiana, sarà ingrassata di almeno cinque chili, e quegli ultimi due bicchieri di Soave ghiacciato a cena forse era meglio evitarli; li ha mandati giù di un fiato, cercando un po' di coraggio per affrontare quel momento, il momento dei saluti.
Si sente una stupida mentre pensa che quasi preferirebbe non essere lì, che sarebbe stato meglio se si fossero separati fuori a quel ristorante, senza dirsi niente.
Nadia sta odiando quell'odore tremendo che c'è nell'aria e il pizzichio delle lacrime nella coda dell'occhio.
A casa, la sua famiglia si è accorta che c'è qualcosa di strano, che le è accaduto molto più di quanto ha voluto raccontare di quell'inesistente stage fotografico a Milano.
«Non è che hai conosciuto qualche ragazzo che ti ha spezzato il cuore?» ha ironizzato sua madre, la sera prima.
No, non è un ragazzo, e il cuore era partito spezzato in partenza. E comunque, non importa, lui se n'è andato...
Lei ha fatto quello che doveva: nascondere con cura i lividi. Tutti i lividi.
La nausea si fa sempre più prepotente, la ragazza è costretta ad allontanarsi dalla banchina e a respirare grandi boccate d'aria per cercare di calmarla. Sarebbe pericoloso vomitare sulla camicia di Bruce mentre lo saluta.
«La nostra barca è arrivata» la informa una voce titubante.
Nadia si volta e si trova faccia a faccia con Steve. Lei e Tony ci hanno impiegato due giorni, ma sono riusciti a infilarlo in una camerino di un negozio di abbigliamento e a fargli mettere addosso un paio di jeans dal taglio moderno e una camicia di cotone azzurro da portare fuori dalla cintura.
Caro, caro, tenero, attempato Steve!
«Ho la sensazione che se tu decidessi di salire a bordo e partire all'avventura con noi, Tony sverrebbe dalla contentezza» aggiunge lui.  
Partire all'avventura, già. Ma loro non stanno partendo per qualche avventura, da lì andranno in aeroporto e prenderanno un volo verso l'America; stanno tornando a casa, alle rispettive vite e occupazioni, ed è giusto che lo faccia anche lei.
«Ho la sensazione che non c'è niente che farebbe svenire Tony» risponde con un sorriso divertito, dimenticandosi della nausea.
Steve le offre il braccio e insieme tornano verso il molo.
Loro sono tutti lì, schierati sulla banchina, ad attendere di salire sulla barca – eccetto Thor, che usa altri mezzi per spostarsi e che resterà quando gli altri saranno partiti.
I primi che Nadia si trova davanti sono Clint e Natasha, lui le afferra la mano in una salda stretta.
«Dunque, se ci servisse una copertura per qualche missione da queste parti?» dice
«Potete venire nel mio albergo, basta che non me lo facciate saltare in aria» risponde lei
«Possiamo senz'altro tentare» conclude Natasha.
Nadia li guarda con un mezzo sorriso, vorrebbe raccomandarsi di prendersi cura di loro stessi e di non finire fatti a pezzi in qualche missione o qualcosa del genere, ma suonerebbe stupido: quei due non finirebbero male neanche se li si mandasse a prendere il sole in un campo coltivato a mine antiuomo!
«Io e l'Altro siamo stati felici di averti conosciuta» dice Bruce, avvicinandosi, sempre torcendosi le mani in quel suo modo nervoso.
«Mi dispiace che l'Altro ci abbia tenuto compagnia per così poco...»
«A me non dispiace affatto».
In barba a tutta la sua goffaggine e alla sua timidezza, Bruce circonda la ragazza con le braccia per un secondo, prima di farsi sopraffare dall'imbarazzo per quel gesto inconsulto. Nadia quasi ride contro la sua spalla.
I saluti hanno sempre quello strano sapore agrodolce che copre tutto come un velo. Per quel che riguarda la ragazza, quella curiosa sensazione sta avendo la meglio anche sulla nausea e sul malinconico senso di irrealtà.
Anche Steve l'abbraccia, in una stretta da spezzare le costole e lei gli stampa un bacio sulla guancia.
«Su, basta, cosa sono queste moine?» esclama Tony, dal nulla, afferrando Nadia per un braccio. «Mollala Capitano, non voglio che respiri troppa naftalina».
Oh, certo, il pezzo forte di quello strano rituale di commiato è lui. Ci deve essere un momento tutto per loro, su quel molo, in mezzo a tutti gli altri; è normale che i tentativi di Nadia di non cedere alla commozione si facciano più ardui adesso che Tony la sta guardando negli occhi.
«Quello che mi mancherà più di tutto, è il tuo improponibile accento, Colombina» le dice, arricciando le labbra. Non si aspettava nessun addio strappalacrime, non dal grande Tony Stark.
«Puoi sempre telefonarmi, se hai voglia di risentirlo» lo rimbecca lei con una smorfia. Non è una battuta è più che altro una specie di invito, perché davvero lei non può pensare che tutto finisca lì, che loro semplicemente se ne vadano via, come ha fatto...
Loki. Non devo pensare a lui.
Infatti non ci aveva pensato affatto, negli ultimi tre giorni mentre era a divertirsi insieme a tutti gli altri.
Nadia deglutisce, scaccia via l'impulso di mettersi a piangere e una nuova ondata di nausea.
«Dovresti venire a fare un giro a New York» aggiunge Tony. «Potrei aver bisogno davvero di un fotografo per il catalogo della Stark Expo, sai?»
«Non so se ho voglia di lavorare per te, signor Stark. Pepper mi ha raccontato cose tremende di quando era la tua segretaria»
«Leggende metropolitane».
Nadia aggrotta le sopracciglia, poi scuote la testa e ridacchia tra sé e sé.
«Ne riparleremo, tra un anno o due, quando mi sarò ripresa da tutto questo» conclude, ironica.
Tony dondola la testa in un cenno di assenso, poi batte energicamente la mano sulla spalla della ragazza.
«Comunque, anche se per colpa tua sono finito a un concerto jazz terminato con un'invasione aliena, sono contento di averti conosciuta» afferma, enfatizzando un'aria solenne.
«Quello che sta cercando di dirti» si intromette Pepper, quasi spingendo da parte il suo esuberante compagno, «è che ti siamo immensamente grati».
Nadia adesso non sa cosa dire. Aveva sempre pensato che salvare la vita a qualcuno fosse davvero una cosa da eroi, adesso che in un certo senso lo ha fatto davvero, si rende conto che è qualcosa di naturale, che sarebbe stato letteralmente abominevole pensare di comportarsi in modo diverso, scegliere di scappare e abbandonare Pepper e tutte quelle persone al loro destino. E comunque sia, non ha fatto di certo tutto da sola.
«Siamo una bella squadra, tutto qui» dice con un sorriso.
Pepper sembra persino più commossa di lei, non ha ancora superato il trauma di essere stata la proprietaria della mano che l'ha pugnalata, ad ogni modo, si china su di lei per un abbraccio. È un abbraccio strano, delicato.
«Loro sono una bella squadra. Tu sei una bella persona» le mormora Pepper all'orecchio.

***

Thor stringe una ad una le mani dei suoi compagni, quei valorosi midgardiani che quasi gli dispiace dover lasciare, soprattutto dopo quegli ultimi tre giorni di goliardica baldoria.
Il vento fa increspare il mare; mentre loro salgono a bordo dell'imbarcazione bianca, lui guarda Nadia in piedi alla sua destra, sembra una fiammella che vibra per il muoversi dell'aria.  
«Posso mettermi a piangere, adesso?» mormora lei, stropicciandosi il viso con le dita.
Thor le posa una mano sulla spalla,
«Non sarò certo io a impedirtelo» le risponde.
No, certo che non glielo impedirà. Quella ragazza si merita di lasciarsi andare alla debolezza, dopo tutto quello che ha passato, dopo tutto quello che ha fatto.
Il dio del tuono ha addosso dei jeans chiari e una maglia di cotone grigia con sopra il disegno stilizzato di un tornado e la scritta 'hurricane' a caratteri rossi. Dopo qualche piccola insistenza, Nadia lo ha convinto anche a legare i lunghi capelli biondi in una coda, giusto per fargli avere un aspetto quanto più normale e anonimo era possibile, così ha detto.
Si voltano e cominciano a camminare, allontanandosi dal porto. Nadia non piange, alla fine, Nadia si mantiene forte fino in fondo, forse perché non vuole immalinconirlo.
«Posso esprimere un desiderio?» dice Thor, guardando quasi rapito le luci elettriche delle costruzioni ai lati della via.
«Un figo dio norreno in jeans può avere praticamente tutto» risponde lei, giocosa.
«Un ultimo cartè, prima della partenza»
«Caffè, Thor. Si dice caffè».
Entrano in uno dei bar aperti che trovano lungo la strada, dove si fondo le tante voci dagli accenti più disparati mentre da quello strumento chiamato radio un uomo canta in italiano con una voce cadenzata.
 
"Hai resistito ai devastanti effetti
del mio passaggio e per la cronaca
ricordo l'ora, i minuti esatti,
lo dico senza retorica...".

Si appoggiano al bancone, nel punto più lontano dagli altri clienti e dai loro bicchieri di quella bevanda arancione smagliante che chiamano spritz e che Tony Stark sembrava molto apprezzare.
Nadia, appollaiata su un alto sgabello, ordina due caffè e appoggia in mento sulle braccia che ha incrociato sul legno lucido davanti a lei.
La voce nella radio continua a cantare, udibile al di sopra del chiacchiericcio.

"Purtroppo non era solo un gioco
 per provocare un comportamento
 ogni reazione serviva a poco,
 nemmeno dirsi addio..."

La ragazza non sembra nemmeno più particolarmente malinconica, ha lo sguardo perso, lontano. E Thor è dolorosamente consapevole di quale sia l'orizzonte verso il quale quello sguardo è proiettato.
Il barista appoggia due tazzine fumanti sui piattini di porcellana. Il dio del tuono ha l'aria di un bambino contento mentre zucchera il suo caffè e Nadia ricambia il suo sorriso, sembra deliziata dal suo essere deliziato.

"... di questa stella che ho messo a fuoco

 io sono l'unico proprietario
 la uso come mio lampadario
 nel buio che si fa".

In realtà è tutto momentaneo, presto anche lui dovrà partire. Partire significa tornare ai propri doveri e mai come in quel momento quegli oneri gli sembrano pesanti, tanto che preferirebbe lasciarli alle spalle di qualcun altro. Era partito da Asgard con l'intenzione di riportare indietro Loki, di ritrovare un fuggiasco evaso dalla sua prigionia e magari anche di ritrovare il fratello che si era smarrito su sentieri che tutt'ora Thor non riesce a comprendere. Non è riuscito in nessuno dei due obiettivi,  ha fallito e adesso vorrebbe solo non essere lui a ricominciare quella che non è più una semplice ricerca ma si è tramutata in una vera e propria caccia.
Nadia gira il cucchiaino per far sciogliere lo zucchero, poi guarda con aria poco convinta la tazzina.
«Non ne ho voglia, puoi berlo tu» gli dice, con una scrollata di spalle.
Sì, certo, lui adora il caffè. Ma non è per questo che adesso si ritrova in quel bar assieme a quella piccola umana; vorrebbe parlarle prima di andare via, vorrebbe farle domande che forse non sono lecite, che forse non ha il diritto di porle. Perché lui ci aveva creduto davvero al fatto che Loki fosse tornato a provare dei sentimenti buoni, perché c'erano stati momenti, in quei giorni chiusi in quella casa, in cui sembrava che lei potesse fare davvero una qualche differenza nel cuore di pietra di quel fratello divenuto a un tratto un nemico ed un estraneo. Perché Thor davvero non riesce a capacitarsi del fatto che si sia trattato solo di una sua illusione, che abbia visto ciò che gli faceva piacere vedere per non accettare una triste realtà alla quale ancora non si è abituato. Perché Thor ancora non sa cosa c'è o cosa ci sia stato nel cuore di Nadia e trova insopportabile non essere riuscito a capire davvero se in quei giorni a Venezia il cuore di Loki fosse tornato a battere.

"Meraviglia,
ho stabilito il mio record
di resistenza alla vita e stranamente
mi sento leggero".

Il dio del tuono indugia, tamburellando con le dita sul bancone, vuole guadagnare tempo, non vuole partire. Non vuole lasciare la ragazza e né vuole tornare ad essere il figlio di Odino che adempie ai propri doveri. Vorrebbe potersi trattenere lì ancora per un po', assicurarsi che Nadia stia bene, illudersi che Loki possa tornare sui suoi passi e spuntare una sera in uno di quegli strani vicoli che affacciano su qualche canale, chiedendo semplicemente di essere lasciato lì, in pace. E lui, forse, lo lascerebbe stare, lì a Venezia, lì con Nadia, in pace.
Ma sono elucubrazioni prive di senso, i pensieri di un sentimentale che si sta mostrando uno sciocco. Meglio smettere subito, meglio alzarsi da quello sgabello e andare via.
Nadia fa per incamminarsi, ma all'improvviso si ferma, appoggiandosi alla spalliera di una sedia, con un gemito di dolore.
«Stai bene?» le chiede Thor, preoccupato.
«Sì, credo di sì. È stato il vino» borbotta lei, agitando la mano come a sottolineare che è un affare di poco conto. «Andiamo, prima che mi venga in mente di sequestrarti e tenerti prigioniero nel mio armadio». Sorride, la piccola umana, ma adesso che Thor si è finalmente convinto a guardarla negli occhi si accorge del velo di tristezza e smarrimento che li rende spenti.
Nadia resterà sola, dopo tutto quello che ha fatto. Sola con la sua storia e con cicatrici che non meritava.   

"...tra il freddo dei vetri

 ho pensato anche a te,
ai tuoi abbracci così taglienti...".

Le luci dei lampioni allungano le ombre e le appiattiscono sul ciottolato. Nadia si infila sotto il suo braccio e gli cinge il torace.
«Parlami di Asgard, che posto è?» chiede, interrompendo il silenzio di quella loro passeggiata che per quanto possano rallentare, prima o poi giungerà alla fine.
Thor sospira.
Avresti dovuto chiedere a mio fratello, lui è molto più bravo di me con le parole.
Suo fratello è destinato a diventare la sua ossessione, ormai lo ha capito. Cerca di non pensarci, di ricacciare indietro quel pensiero, guarda Nadia e tanta di mettere insieme una spiegazione che renda l'idea.
«Una sorta di grande isola, sospesa tra le stelle» dice. «Le sue origini si perdono molto indietro nel tempo, ma chi l'ha fondata doveva avere ben chiaro il concetto di grandezza, è tutto molto... imponente, sfarzoso e ordinato e talvolta, certi luoghi sono persino troppo austeri. Io, sai... non credo che ti piacerebbe».
Nadia lo guarda incuriosita.
«Dici? Beh, se si vestono tutti come te, l'effetto sarebbe sicuramente molto buffo»
«Cosa hanno i miei abiti che non va? Oh, dimenticavo questa sorta di connessione astrale tra te e Tony Stark!».
Nadia ridacchia, poi il suo sorriso si spegna di colpo mentre si rende conto che sono giunti a destinazione.
Thor aveva bisogno di un luogo isolato dove poter ripartire senza che nessuno lo vedesse. L'unico posto del genere che Nadia conosce è quella casa fatiscente, il nascondiglio in cui sono rimasti confinati per tanto tempo. Guardare l'edificio malmesso ergersi nella penombra fa un effetto davvero strano; il dio del tuono sente la ragazza rabbrividire nella sua stretta.
«Posso andare da solo» mormora Thor.
«E lasciare che io mi perda lo spettacolo di te che vieni risucchiato da un fascio di luce? Stai scherzando?».
Scavalcano un davanzale e si muovono piano nella penombra, anche se conoscono a memoria ogni angolo di quel posto. Il dio sa che la ragazza non metterà mai più piede lì dentro dopo quella notte, non sa come fa a saperlo ma ne è certo.
Salgono le scale, arrivano al piano di sopra e aprono la botola che immette sul tetto.
Da lassù si vede la striscia lucida di un rio che scorre verso il Canal Grande, come un nastro di seta nera che scivola tra il cemento.
Thor si toglie l'elastico che ha tra i capelli e un soffio di vento gli agita davanti agli occhi le ciocche dorate. Deglutisce, stende il braccio e attende che il Mjolnir risponda al suo richiamo. Quando il Martello urta contro il suo palmo, una ragnatela di luce e fulmini si dipana attorno a lui e in pochi secondi gli abiti da terrestre lasciano il posto all'armatura e alle insegne del suo rango.
Il vento agita il mantello scarlatto contro il nero della sera. Thor sente uno strano senso di stanchezza e malinconia pesargli sul petto.
«Pensandoci, questo look ti dona parecchio» dice Nadia, ammiccando, riuscendo a strappargli un mezzo sorriso.
Lui le si avvicina e le prende la mano, fa per portarsela alle labbra e salutarla come impone la cavalleria, ma sente lo sguardo della ragazza puntato su di lui, quasi come se gli trapassasse la testa. Si solleva di scatto a guardarla e lei si morde nervosamente il labbro.
«Thor...» gli dice, titubante. «Dove pensi che sia?».
Il dio del tuono non ha bisogno di chiedere chi sia il soggetto implicito della frase.
«Non lo so, ma sarà mia premura cercarlo appena sarò tornato ad Asgard»
«E cosa succederà se dovessi trovarlo?»
«Lo riporterò a casa e invocherò per lui la clemenza della giustizia e del re perché credo che...».
Thor sente la ragazza fremere di angoscia, la vede mordersi con più forza il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
«Non dirmi niente» sbotta lei di colpo. «Non... non voglio pensarci».
Lo sguardo del dio si fa cupo,
«Quando ti chiesi se provavi qualcosa per Loki, sapevo già che la risposta era un sì, ma non credevo che si fosse giunti fino a questo segno» mormora e quasi rimane stupito del vedere Nadia arrossire.
«Siamo tutti e due degli sciocchi sentimentali, per questo credo che lui non gradisca la nostra presenza» tenta di scherzare la ragazza. «Forse ha paura che potremmo contagiarlo».
Thor scuote la testa con un sorriso amaro,
«Credo invece che lui volesse evitare di contagiare te con le sue disgrazie. Loki non ha mai pensato che qualcuno potesse amarlo per quello che è» asserisce.
Nadia deglutisce, come se stesse rimangiando una risposta che era sulle sue labbra ma che preferisce non pronunciare.
«Farò tutto ciò che posso perché gli accada il minor male possibile. Sono uno sciocco sentimentale e per per giunta testardo oppure ottuso, se vogliamo»
«Loki è fortunato ad avere un fratello come te».
Thor trova bello che ora, in quel momento esatto, entrambi trovino la forza d'animo di sorridersi.
Il dio si china a baciare la mano della ragazza.
«Buon fortuna, Nadia di Midgard» le dice.
«Anche a te, figlio di Odino».
La luce azzurra e chiarissima gli invade gli occhi di colpo, inghiottendo il cielo di Venezia e il suo odore di pietra e acqua di mare. Mentre l'energia del Tesseract lo spinge via, lontano da quel piccolo mondo che è la Terra, Thor immagina la ragazza, in piedi da sola su quel tetto, con il naso all'insù a cercare nel cielo risposte che non avrà mai. Si sente triste per lei e per se stesso, mentre il lampo di luce azzurra sparisce e il palazzo di Asgard si staglia in tutta la sua opulenta bellezza davanti al suo sguardo, ma sa che sono entrambi guerrieri e che il destino dei guerrieri è quello di andare avanti, battaglia dopo battaglia.

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Note:

Ora che ho infilato anche Samuele Bersani in una fanfiction sugli Avengers posso morire felice... il brano che Thor e Nadia si trovano ad ascoltare quando entrano nel bar si intitola “Meraviglia” ed è una canzone che ho sempre trovato molto azzeccata per questa fanfiction (senza contare che è una canzone a cui sono molto legata io di mio, a prescindere), in particolare in quel paragrafo mi sembrava molto adatta a descrivere i pensieri di Nadia mentre scorreva il POV di Thor.
La scena sul tetto della casa, con Thor che ritorna a indossare la sua “divisa da asgardiano” si rifà a quella del film, quando lui recupera i suoi poteri dopo aver combattuto contro il Distruttore.

Prossimamente invio reattori Arc a tutte voi XD
Loki si scusa per l'assenza, ma tornerà nel prossimo capitolo, che è l'ultimo capitolo prima dell'epilogo.
Ci leggiamo lunedì con l'aggiornamento.
Ciauz! ^^

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Capitolo 23
*** Capitolo ventiduesimo ***


Capitolo ventiduesimo


Nadia si guarda riflessa nello specchio del bagno di casa sua, dove è rientrata dopo quella sera fatta di saluti che le hanno messo sottosopra lo stomaco, tanto da farla finire piegata in due sul water a vomitare. Continua a ripetersi che è colpa dei due bicchieri di Soave troppo freddo bevuti troppo in fretta, e forse è anche colpa delle emozioni e della malinconia, perché no? Perché non ammetterlo?
Ha conosciuto divinità ingannatrici e guerriere, ha conosciuto eroi che hanno salvato il pianeta, ha affrontato mostri di fumo, è tornata dalla morte e la normalità le è sembrata una cosa straordinaria, fino a quando, un momento dopo non si è sentita annientata dall'immensa solitudine che deriva da tutto quello che è successo. È sola con i suoi ricordi e con le sue cicatrici. Quella sulla parte bassa dell'addome, pochi centimetri sotto l'ombelico, dove ha ricevuto la pugnalata dal demone con le sembianze di Pepper, e poi c'è la cicatrice collocata da un'altra parte, dentro di lei, in un posto che Nadia non riesce a rintracciare, forse è il cuore, forse è l'anima... no, queste considerazioni lasciamole ai veri sciocchi sentimentali, si dice tutte le volte. Qui non si tratta di stupido sentimentalismo, qui si tratta della concreta, alienante sensazione di un posto vuoto che è come una ferita dentro di lei.
Non si era mai fatta illusioni su Loki, non ha mai voluto niente da lui, non ha mai desiderato redimerlo o salvarlo da se stesso. Si sono salvati la vita a vicenda, è più di quanto ognuno potesse aspettarsi dall'altro. Quello che Nadia non riesce a sopportare, adesso lo sa, sono le parole lasciate in sospeso, le domande alle quali pensava di avere diritto e che lui ha beatamente ignorato scappando senza nemmeno fermarsi a salutare. Eppure lei non prova rancore, sa che non poteva aspettarsi nulla di diverso, sa che il solo sperare in qualcosa di diverso sarebbe stata un'offesa all'indole del dio dell'inganno, e lei ha imparato a volere bene a Loki, ad accettare anche i suoi lati peggiori, perché è questo l'affetto.
La ragazza toglie il tappo al flacone di valium. Vuole dormire quella notte, cazzo, vuole svegliarsi riposata, pronta ad affrontare una comune giornata di lavoro in albergo. Anche se adesso Nadia non sa che farsene di tutta quella normalità, non sa che fare di se stessa. Sa che è successo qualcosa, che dentro di lei delle cose sono cambiate così radicalmente che adesso le toccherà imparare a conoscersi prima di poter pensare di tornare a far parte del mondo.
La ragazza impasta la bocca per mandare via quel sapore appiccicoso di agrumi amari e il suo sguardo si fissa vacuo sul bracciale. Si chiede come mai, ora che è tutto finito, ora che Loki è andato via, il ninnolo di argento resti ancora arpionato al suo polso. Si chiede se l'energia della pietra non serva a fare in modo che lui torni. Ma sa che non deve nemmeno lontanamente concentrarsi su un pensiero così stupido e così devastante. Le loro strade si sono incrociate per sbaglio, per una serie di sfortunati eventi, ma in realtà sono percorsi tracciati a distanze incolmabili.
Nadia spegne la luce, si trascina dal bagno fino alla sua camera e si butta a peso morto sul materasso, chiude gli occhi e attende pazientemente che il sonno arrivi, mentre l'innaturale rilassatezza indotta dal medicinale le appesantisce il corpo e le fa sembrare più leggera la testa.  

Attorno non c'è altro che roccia, sotto un cielo immenso e pieno di stelle che sembrano straordinariamente vicine. Sono vicine in modo innaturale, anzi, e non c'è niente di familiare in quel luogo, niente che sembri umano.
Gli astri fanno rispendere di strani scintilli argentati le pietre, come se fossero cosparse di piccoli cristalli.
Tutto intorno l'aria è immobile e fredda.
Nadia si sente frastornata mentre prende coscienza del proprio corpo, inginocchiato sulla pietra. Si alza, appoggiandosi a una sporgenza; la roccia è gelida sotto i palmi delle sue mani.
Quello è decisamente un sogno, o più probabilmente un incubo. Le è già successo, le rare volte in cui le era capitato di prendere un po' di valium per provare a dormire meglio.
Mentre la ragazza si guarda attorno, vede una figura avanzare verso di lei, stagliata contro l'orizzonte color pece, con un lungo mantello verde che ondeggia dietro le sue spalle.
Riconosce gli occhi di Loki, riconosce la pena nel suo sguardo. Eppure, per un attimo, Nadia è contenta di star facendo quel sogno, di sognare lui. Fosse anche solo per dirgli quanto lo ha detestato nel momento in cui si è accorta che non c'era più – ma lei lo sapeva che sarebbe finita così, lui glielo aveva detto e lei davvero non poteva aspettarsi niente di diverso dal dio dell'inganno. E di colpo, non ha più voglia di dirgli che lo detesta, perché non è affatto vero.
«Sono stato io a portati qui» dice subito Loki, fermandosi davanti alla ragazza.
Lei si guarda attorno, scruta con sguardo crucciato la desolazione di pietra.
«È un sogno» risponde in tono pratico. E ora potrebbe dirgli molte cose, o magari abbracciarlo, ora può fare tutto perché è solo un sogno e qualsiasi cosa facesse resterebbe lì.
«Non proprio. L'ho creato io, avevo bisogno di parlarti, non sono una visione onirica, Nadia».
Lei arriccia le labbra, pensierosa. Non sa se credergli, se fosse un sogno è esattamente così che sognerebbe Loki, come lo ha conosciuto, solo con quell'espressione vagamente più umana, più accorata del solito. Ma ha visto così tante cose assurde da quando lui è piombato nella sua vita che ora credere all'ennesimo prodigio non le costa particolare sforzo.
«E cosa avevi da dirmi di così importante da necessitare una videochiamata inter-dimensione astrale?». Sapere che quello che ha davanti è proprio Loki fa scattare le sue difese, vorrebbe fidarsi di lui ma non sa se può. Si chiede che altro interesse potrebbe mai avere il dio su di lei, e non riesce a immaginare una risposta. Ha paura di immaginare una risposta.
«Ascoltami» esordisce lui con una leggera nota di autorità. «Ci sono delle cose che devi sapere».
«Che altro può esserci?» sbotta la ragazza, sollevando gli occhi su quel cielo alieno.
«Ne va della tua vita» replica Loki, alzando appena il tono di voce.
Nadia ammutolisce. La sta davvero guardando con l'apprensione nello sguardo, è davvero preoccupato per lei, o la ragazza vede solo ciò che vuole vedere?
«Quando Odino ha compiuto il rito necessario a salvarti, ha usato il suo sangue e tu avevi la pietra al braccio» spiega il dio, pronunciando con calma le parole, assicurandosi che lei segua il filo del discorso. «La pietra non funziona con gli esseri umani, solo gli asgardiani possono usare la sua energia, perché i manufatti magici del mio popolo sono in grado di riconoscere chi ha il potere di usarli, come il martello di Thor, ad esempio».
Nadia annuisce meccanicamente, ha capito cosa le sta dicendo ma non ha ancora capito dove lui vuole andare a parare.
«E quindi?» chiede, sentendosi persino un po' stupida.
Loki sospira,
«Quello che ti sto dicendo è che hai avuto il sangue di Odino in circolo mentre avevi la pietra al braccio. È il motivo per cui lui ha potuto salvarti, ma è anche la ragione per la quale l'energia magica della pietra è penetrata dentro di te. Sull'isola ho fatto entrare il tuo sangue in contatto con quello di Thor perché tu potessi usare l'energia che il tuo corpo aveva assorbito per aiutarmi a scacciare i demoni. È stato un gesto disperato che ha peggiorato la situazione» conclude.
La ragazza scuote la testa. Non era quello il dialogo che aveva immaginato di avere con Loki se lo avesse rivisto. Di sicuro non è quello che aveva immaginato di dirgli se lo avesse sognato.
«Non capisco, sono diventata... che cosa, una strega?».
«Sei diventata capace di assorbire l'energia della pietra. O meglio, l'energia ti entra dentro, automaticamente, è così che funzionano le pietre di Borr. E non è una buona notizia».
Sì, questo lo aveva capito dai suoi occhi così pieni di preoccupazione. Ma era troppo intenta a pensare alla preoccupazione in sé per concentrarsi sulle sue cause.
Loki allunga una mano, come a volergliela posare sulla spalla, ma poi la lascia ricadere lungo il fianco e china il capo.
«Resta il fatto che tu non sei un'asgardiana e il tuo corpo non è fatto per sopportare quell'energia» aggiunge. «Devi lasciarla uscire, come un salasso, altrimenti ti avvelenerà e morirai».
No, decisamente quello non era il dialogo che avrebbe voluto avere con Loki. Non avrebbe voluto parlare con nessuno di possibilità di rigetto letale di energia magica non richiesta. Ma ora che conosce le cause della preoccupazione che ha spinto il dio a prendersi il disturbo di farle visita, continuano a sembrarle meno importanti alla luce del fatto che lui è lì.
Nadia serra gli occhi stizzita, si dà della sciocca per aver indugiato in un simile pensiero. Ma non riesce a fare altrimenti, è... felice di vederlo, di sapere che sta bene, di sapere che lui si è preoccupato per lei, più di quanto lei riesca a preoccuparsi di se stessa. Tuttavia, cerca di riprendere il controllo dei propri pensieri. Il problema c'è e non può essere ignorato.
«Che intendi con lasciarla uscire? Io non mi sono nemmeno accorta di questa energia» osserva.
«Te ne accorgerai, tra qualche giorno. Comincerai a stare male probabilmente e se non riesci a controllarla, potresti anche fare del male».
A quelle parole la ragazza si sente raggelare.
«Dimmi cosa devo fare!» esclama.
«Te lo dirò, ma non ora. È una cosa lunga, complicata, richiede tempo e bisogna che tu impari un passo alla vota a controllare quest'energia e, chissà, magari anche ad usarla» risponde Loki.
Cosa? Lei non vuole usare niente, non vuole fare niente! Sperava che la sua vita sarebbe tornata alla normalità e adesso lui le sta dicendo che non è così, che non sarà mai più così.
«Perché sei venuto a dirmelo, che ti importa?» sente il gelo condensarsi nelle parole. Non è Loki l'oggetto della sua rabbia, ma non riesce a fare a meno di mostrarsi astiosa con lui adesso.
«Mi importa... di te» dice il dio, esitando e strappando a Nadia quasi un singulto di sorpresa.
Non può averlo detto davvero. A lui non interessano gli umani, li ritiene inferiori, ne ha uccisi tanti. Che differenza farebbe se anche lei morisse?
«Decidendo di restare a combattere al mio fianco e con gli Avengers hai scelto di salvare quelle persone» continua il dio, incurante della sua aria rabbiosa e sorpresa nello stesso tempo. «Ma hai anche deciso di salvare me, quando attorno avevi persone che con ogni loro respiro non facevano che ricordarti che sono un mostro. Qualsiasi cosa pensiate tu e i tuoi amici Vendicatori, io non sono del tutto insensibile alla gratitudine».
Adesso Nadia non lo sopporta, non sopporta quelle parole, quello sguardo, quel viso che si china sul suo nel mormorare una verità che sembra stonata su quelle labbra abituate alle menzogne. Si volta, per non guardarlo, si volta per non cedere alla tentazione di abbracciarlo davvero.
Loki le serra una mano attorno al braccio e la costringe a voltarsi nuovamente verso di lui con uno strattone.
«Non darmi le spalle! E non fingere che non ti interessi il mio aiuto o che non sia importante che io ti resti accanto in questa faccenda» ringhia il dio a un palmo dal suo naso.
«E lo farai, Loki?» domanda lei con un sorriso triste. «Resterai, fino in fondo? Ti farai carico dei miei guai perché mi sei grato e perché in qualche modo astruso lo ritieni importante?»
«Lo sto già facendo. Sono qui»
«E sei... importante». Maledizione, lo ha detto! Maledizione, perché gli sta stringendo la mano nella sua?
Perché ha bisogno di sapere che è reale, che è davvero successo quello che crede: Loki ha dimostrato di avere dei sentimenti, e quei sentimenti sono per lei. È scappato per avere la possibilità di tornare da lei ad aiutarla.
«Ora torna al tuo sonno. Tornerò da te al più presto e risolveremo questo problema, te lo assicuro» le dice il dio, con un mezzo sorriso. «Hai la mia parola, Nadia di Midgard» aggiunge enfatizzando con ironia un tono solenne, sollevando la mano con cui la ragazza gli ha stretto le dita e portandosela alle labbra per imprimervi un leggero bacio sul dorso.

***

L'aereo con la scritta STARK che campeggia al centro dello scafo, atterra su una pista privata poco fuori New York.
Dal finestrino Tony vede il grigio dell'asfalto avvicinarsi e la sensazione di essere a casa è un po' strana. Ormai dovrebbe averci fatto l'abitudine: uccidi i mostri, salva il mondo, vatti a mangiare un panino al kebab con gli amici, torna a casa dalla tua donna e fai tanto sesso. Ma questa volta le cose sono un tantino diverse.
Hanno dormito tutti per quasi tutto il tempo del viaggio. Persino l'agente Romanoff e Clint Barton avevano l'aria da cuccioli indifesi raggomitolati sui sedili piegati all'indietro. Lui si sente a pezzi, ma il sonno sembra essersela data a gambe. Il viaggio lo ha passato con le dita intrecciate a quelle di Pepper – addormentata anche lei, a pensare agli avvenimenti degli ultimi giorni.
Pensare non è sempre una buona cosa, l'ultima volta che ha pensato tanto a lungo è comparso in una conferenza stampa annunciando che la sua fabbrica di armi non avrebbe più fabbricato armi. Non si è mai pentito di quella scelta, ma questo non toglie che sia una persona poco incline ai cambiamenti.
Si è riappropriato della sua vacanza, negli ultimi tre giorni che ha trascorso lì, dopo il combattimento sull'isola di San Michele, anzi l'ha trasformata in una vera e propria gita scolastica e Nadia si è offerta di far loro da guida.
Sono andati a mangiare in piccoli ristoranti all'ombra di portici che affacciavano direttamente sui canali, con i gondolieri che passavano accanto a loro e i piccioni che svolazzavano da un tetto all'altro.
Hanno vestito Thor da essere umano ed è stato divertente quando il cameriere di quella trattoria sotto il porticato lo ha fissato attonito divorare quattro piatti di seppie alla veneziana. Perché Thor ha avuto la brillante idea di restare con loro, sia detto. A quanto pare, Boccoli d'oro sembrava deciso a dare un po' di vantaggio al fratello pestifero che si era fatto scappare sotto il naso, e prima di tornare a dargli la caccia ha ritenuto che qualche giorno da mortale sarebbe stato un ottimo diversivo per riprendersi dalla battaglia. Non è stata un'azione molto da guerriero quella di concedere tutto quel vantaggio al nemico, ma Loki ha pur sempre dato una mano a esorcizzare i demoni.
Perché gli faceva comodo.
E poi Thor questa volta sembrava seriamente intenerito, e la ragione la conoscono tutti: Nadia. Nadia che in mezzo a tutto quel casino è persino riuscita a prendersi la sbandata per il cattivo ragazzo e che, in qualche misura, è riuscita persino a renderlo meno inquietante. Nadia che sembrava a pezzi quando tutti loro l'hanno salutata per tornare in America.
Thor deve aver fatto qualche ragionamento da gran sentimentale, figurandosi un futuro improbabile con suo fratello che vive felice e contento la sua vita da onesto cittadino per amore di una mortale.
Pensandoci, se e quanto il dio gracilino si sia realmente affezionato alla piccola Colombina è qualcosa che non si è ben capito. Quel che è certo è che se l'è data a gambe piuttosto che affrontare le sue responsabilità. Non è che questo aiuti a migliorare l'opinione che Tony e i suoi compagni avevano di lui.
Però il piccolo cervo ha fatto la sua parte.
È un vero peccato che il fratellino bastardo sia dalla parte sbagliata della barricata; è uno che sa il fatto suo alla fin fine. Ma Tony spera che Thor lo trovi, che lo getti in una prigione molto buia e molto profonda e butti via la chiave. E spera che Nadia superi tutta quella strana storia, si trovi un bravo ragazzo e viva felice e contenta, lontana da divinità psicopatiche, da calzamaglie e da tizi verdi alti più di due metri.
Basta! Deve smetterla di pensarci. Comunque sia, è andato tutto per il meglio.
L'aereo completa la manovra di atterraggio; tutti si svegliano stiracchiandosi sui sedili, recuperano i propri bagagli e si preparano a scendere.
Tony ha fatto chiamare due macchine, una per sé e per Pepper e un'altra per riportare il nonno e i tre moschettieri a casa. Ma non ci sono le sue due macchine ad aspettarli al margine della pista. Ci sono due suv con il logo dell'aquila stilizzata sulla portiera. Appoggiato a uno dei due macchinoni c'è il caro Nick Fury, braccia conserte, completo nero cornacchia e sguardo torvo.
È incredibile quanto riesca ad essere torvo il suo sguardo con un occhio solo!
«Lo sapevo che sarebbe andata a finire così» borbotta Clint Barton tra i denti.
«Vi avevo detto di non...» tenta di dire Tony, ma non servirebbe. Lo S.H.I.E.L.D ha occhi ovunque e loro quattro hanno già fatto più di quanto dovevano.
«Nick! Sei venuto a controllare se ti ho portato un souvenir?» esclama Tony allargando le braccia e mettendo su un sorriso da un orecchio all'altro. «Dato che ti sei preso il disturbo, ti farò scegliere tra il ventaglio con il leone di San Marco e il fermacarte a forma di gondola».
Il direttore Fury non è del tutto impermeabile all'ironia, ma oggi sembra fatto di marmo.
«Salite in macchina. Tutti quanti» dice freddo, lanciando uno sguardo un po' più cupo ai suoi due agenti, che in quanto tali sono i primi ad obbedire.
«Tanto baccano per una gita a Venezia, Nick?» incalza Tony, arricciando le labbra.
«Sali in macchina. Non farmelo ripetere»
«Uh, se avessi saputo che la prendevi così male avrei invitato anche te»
«STARK!».
Tony alza gli occhi al cielo e sbuffa enfaticamente.
«D'accordo, d'accordo. Ma forse è meglio che ci lascia tornare a casa senza farci domande» borbotta poi, dopo qualche secondo, esitando davanti alla portiera aperta. «Le risposte non ti piacerebbero».
«Di questo ne sono più che certo» conclude con durezza il direttore dello S.H.I.E.L.D.

***

Loki si prende la testa tra le mani. Una risata spasmodica affiora sulle sue labbra pallide di stanchezza. Ride di se stesso, il dio dell'inganno, della sua immane stupidità e della sua insensata inconcludenza.
«Idiota. Idiotaidiotaidiota!» mormora, sollevando la testa di scatto, scuotendola in un cenno di resa davanti all'evidenza dei fatti.
Ha elaborato molti piani, tutti andati storti perché un fratello tenace, degli umani molesti e dei demoni rabbiosi hanno demolito uno ad uno i suoi progetti. Il destino è stato ingiusto con lui, si è accanito facendo a pezzi i suoi desideri e le sue aspirazioni, e adesso, per una volta che era tornato ad avere in mano un asso da giocare è stato lui stesso ad abbandonare la partita e a lasciar sfumare la possibilità di attuare un altro colpo, un altro tentativo per rialzarsi dopo la caduta che ancora gli brucia come il sentore del ghiaccio dentro le sue vene mentre la sua mano si colorava di blu per il tocco di un gigante di Jotunheim, dando un volto a tutti gli incubi e le paure che lo avevano tormentato negli anni precedenti fino a portarlo alla disperazione e dalla disperazione all'odio.
Poteva tornare a combattere e invece ha scelto di fare dell'altro.
Tornare da Nadia, attraverso i suoi sogni, faceva parte del suo piano, come anche dirle la verità sui sortilegi della pietra. Quello che non doveva fare era dirle che l'avrebbe aiutata; lui non doveva aiutare quella ragazza, doveva dirle che non poteva tornare sulla Terra perché non aveva abbastanza energia per affrontare il viaggio, doveva indurla a cercare l'aiuto degli Avengers e fare in modo che lei si convincesse che la scelta migliore fosse quella di seguirli in America, e solo quando lei sarebbe stata lì, lui sarebbe potuto tornare, offrirle il suo aiuto, salvarla, comprare con la vita della mortale la fiducia dei Vendicatori. Questo era il piano, un piano dannatamente semplice, dove niente poteva andare storto. Alla fine avrebbe aiutato Nadia, ma non lo avrebbe fatto per niente, perché lui non è abituato a fare qualcosa per niente! Perché lui è un dio e non dovrebbe importargli della sorte di un'insignificante umana, anche se aveva detto che a quell'umana non avrebbe fatto mai del male.
Loki serra nervosamente i pugni. Ripercorre mentalmente le immagini di quel dialogo nel sogno. Non capisce come sia potuto succedere, come abbia fatto a rimangiarsi le parole che aveva calcolato di dire e abbia detto tutt'altro. Come ha potuto decidere di fare tutt'altro?
Semplicemente, quando ha visto Nadia alzarsi da terra, smarrita e perplessa, si è ricordato che di tanti ricordi dolorosi e sgradevoli, non ce n'era nessuno che avesse a che fare con lei. Semplicemente non ha potuto. Ha un'opinione troppo alta di sé, il dio dell'inganno, per riservare i suoi trucchi a una creatura tanto smarrita e tanto immeritevole di malvagità.
«È tutto così dannatamente sciocco» dice a se stesso. È sciocco, eppure è reale, tangibile, irrimediabile, per quanto Loki non sappia dare un nome a quello che prova per Nadia, non riesce semplicemente a farselo scivolare addosso come pioggia.
«E sia...» conclude, alzando lo sguardo sulle stelle e restando a fissarle immobile. Tornerà dalla ragazza, l'aiuterà a imparare a controllare l'energia della pietra, salderà il suo debito e poi se ne andrà per la sua strada. Troverà altri modi per raggiungere i suoi scopi, ci sono senz'altro altre strade, deve solo cercarle.
È ancora assorto nei suoi pensieri quando una voce alle sue spalle spezza il silenzio.
«Ti abbiamo trovato, infine».
Loki china la testa. Ha l'impulso di voltarsi di scatto, ma si trattiene perché non vuole mostrarsi spaventato. Si gira lentamente verso l'individuo che ha pronunciato quelle parole, mettendo su un sorriso sprezzante, colmo di aria di sufficienza, malgrado il cuore nel petto abbia cominciato a pulsare a un ritmo che ha l'eco della paura.
Il ghigno crudele sul volto del capo dei Chitauri sembra una ferita purulenta.
«Ti era stato promesso dolore e sofferenza se avessi fallito, Loki di Asgard» dice lui, con la sua voce fredda e cavernosa. «E a differenza di te, noi manteniamo le nostre promesse. Prendetelo».
Loki serra le labbra in un moto di nervosismo mentre vede il drappello di strane creature deformi alle spalle di quell'ambasciatore di sciagura. Probabilmente quello è tutto ciò che rimane delle armate di Thanos, ma sono comunque in troppi.
Potrebbe affrontarli, ha abbastanza energia per distruggerli, ma se usasse quell'energia per combattere dopo non potrebbe più muoversi da quello sputo di terra alla deriva nello spazio e restare lì significa finire intercettati presto o tardi dallo sguardo di Heimdall. In un caso o nell'altro cadrebbe prigioniero dei suoi nemici e Loki adesso sta pensando che scegliere i nemici è comunque un punto a suo favore. Sa che Thanos non lo ucciderà, non subito almeno, e lui avrebbe tutto il tempo di riuscire a fuggire al momento più opportuno e tornare sulla Terra, rivedere Nadia, aiutarla e nel frattempo assorbire nuova energia dalla pietra. Se invece distrugge quel drappello di armigeri verrà rintracciato, preso e riportato ad Asgard, dove sarà privato dei suoi poteri e dove resterà prigioniero in eterno, senza alcuna possibilità di fuga, stavolta. Sa anche che l'unico motivo per cui Thanos non lo ucciderebbe subito è perché vuole torturarlo per fargli scontare il suo tradimento. Non importa, lui è un dio, niente può spezzarlo.
Loki chiude gli occhi per un istante, respira lentamente e si arrende ai suoi nuovi carcerieri.
Per il momento.
Ora che ha preso la sua decisione, la logica e la razionalità riprendono possesso dei suoi pensieri e una domanda affiora nella sua mente.
«Come avete fatto?» domanda, guardando il capo dei Chitauri. «Come siete riusciti a viaggiare fin qui senza il Tesseract?»
«Abbiamo altri alleati che hanno trovato un altro modo di viaggiare nelle galassie, non è lontanamente potente come il manufatto del popolo asgardiano, ma serve allo scopo. Ora, basta parlare, Loki di Asgard! Risparmia il fiato per quando avrai da urlare pietà al mio signore».
Questo non avverrà mai!
Loki fa un enorme sforzo di volontà per restare passivo e immobile mentre gli incatenano i polsi dietro la schiena. Il ghigno del capo dei Chitauri sparisce appena incontra lo sguardo del dio, carico di odio e di furore.
 

____________________________________________________________________

Note:

Ultimo capitolo, prima dell'epilogo.
Alla fine Loki cede a quel po' di buono che c'è in lui. Mi spiego: essendo io convinta, a prescindere da questa fanfiction, che in un passato magari molto remoto Loki abbia davvero voluto bene a Thor e non sia del tutto incapace di provare sentimenti, va da sé che c'è del buono in lui, un buono sommerso da anni e anni di rancore e tutto il resto, ma c'è e alla fin fine è venuto fuori automaticamente, per qualcuno contro il quale lui non ha alcun motivo di provare sentimenti negativi, anche se il qualcuno in questione è una comune mortale un po' scassaballe.
E alla fine Loki, proprio quando si era deciso a fare qualcosa di decente, viene beccato dagli scagnozzi di Thanos... per la serie “tanta fatica per nulla”. Perché un po' se lo merita, perché un po' se l'è andata a cercare e per quanto mi dispiaccia... ben gli sta!
Ma... abbiate fede...

Ci leggiamo giovedì con l'epilogo. E poi shawarma per tutti!


 

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Capitolo 24
*** Epilogo ***


Epilogo


Un mese dopo...

Nadia tira il discarico e si lascia cadere contro il pavimento del bagno. Vorrebbe alzarsi e sciacquarsi la bocca per lavare via quel sapore disgustoso, ma resta lì, seduta sulle mattonelle bianche, con la voglia di piangere che le serra la gola e le spezza il respiro.
Il silenzio è un rumore assordante, il vuoto di un buco nero che sembra inghiottirla, giorno dopo giorno.
Sua madre bussa alla porta, la chiama. Lei le dice che va tutto bene, ma non è così.
Non può dire niente alla sua famiglia di quello che sta succedendo, loro non capirebbero. È già tanto che è riuscita a nascondere il fatto che sta male, che peggiora giorno dopo giorno con quelle continue nausee e i capogiri. Nel suo corpo c'è qualcosa che ogni sua cellula sembra rifiutare. Certo, perché lei non è fatta per essere un... che cosa è? Un contenitore di energia magica? Quell'energia magica che non sa come smaltire, che sembra condensarsi dentro di lei, ristagnarle nel sangue, sotto la pelle, per poi farla star male. Oppure esplodere e farla sentire come se ogni parte di lei stesse andando a fuoco.
E lei è sola con tutto questo.
Loki aveva detto che l'avrebbe aiutata, che sarebbe tornato per lei.
La ragazza si sente una sciocca per avergli creduto. Come ha potuto pensare che lui, il dio dell'inganno, si sarebbe fatto carico dei guai di una mortale? Come ha potuto pensare che per una volta il Mentitore per eccellenza le stesse dicendo la verità? Come ha potuto illudersi che lui provasse dei sentimenti per una sciocca ragazza che dal primo momento che ha incrociato la sua strada non gli è stata altro che di intralcio?
È inutile tormentarsi. Nadia conosce la risposta a queste domande: sperava che Loki provasse qualcosa per lei, perché lei... gli vuole bene. Perché lui per lei è importante, come gli ha detto, e le è costato tanto doverlo dire ad alta voce, davanti a quegli occhi di ghiaccio.
Ma Loki è sparito da un mese e lì le cose vanno peggiorando. Loki è stato crudele presentandosi da lei e facendole promesse che non aveva la minima intenzione di mantenere. Forse era il regalo di commiato che il dio delle malefatte progettava da sempre: tradirla, farle del male, distruggerla dall'interno, partendo dal cuore.  
E l'unica cosa che Nadia sa è che se potesse tornare indietro, rifarebbe esattamente le stesse cose. Sceglierebbe di combattere per salvare quelle persone e per salvare lui. Lo salverebbe altre cento, mille volte.
Lo sa, e l'idea le fa ancora più male. Le lacrime che ora le scorrono sulle guance sono stille di veleno.
Ma sa anche che deve fare qualcosa. E sa che non ha molta scelta in merito al cosa in questione.
Si alza dal pavimento, reggendosi al termosifone. Si lava il viso e sciacqua la bocca con un sorso di collutorio, poi va in camera sua a prendere il cellulare dove è memorizzato il numero che aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai usato – non per chiedere aiuto, almeno, ma non ha altra scelta.
Grazie al cielo i telefoni dell'albergo sono abilitati alle chiamate intercontinentali. Con un sospiro di resa, Nadia compone il numero e ascolta gli squilli nella cornetta con il battito cardiaco che aumenta, secondo dopo secondo, diventando un rombo sordo nella testa.
«Nadia!». La voce di Tony, perennemente carica di esuberanza, arriva come un balsamo nelle sue orecchie. Anche se lui è dall'altro lato del mondo, è un conforto sentirlo.
«Ciao, signor Stark» mormora lei. Contrariamente a quanto si aspettava, il suo interlocutore non comincia con nessun discorso a raffica, aspetta che sia la ragazza a parlare. «Io... mi dispiace di averti chiamato... ma non sapevo a chi altri rivolgermi».
«Sei nei guai» dice Tony con un sospiro che fruscia nella cornetta. Non è una domanda, è un'affermazione.
«Non so da dove cominciare...»
«Lo so».
Nadia si morde il labbro. Cos'è che lui sa?
«Dammi due minuti e arrivo» conclude Tony, cercando di assumere un tono più rassicurante.
Dargli due minuti? Ma è dall'altra parte del mondo! E perché sembra sapere già tutto?
«Tony, ma cosa...»
«Solo due minuti, Colombina» conclude l'americano prima di riagganciare.
Nadia fissa basita la cornetta del telefono. Forse quando ha detto due minuti Tony ha parlato per iperbole. Forse parte tra due minuti – parte per andare da lei? Sarebbe molto confortante ma Nadia sa che non ha il diritto di aspettarsi tanto. E anche se fosse, ci vorranno ore prima che Tony o chi per lui arrivi a Venezia da New York.
La ragazza prende lunghi respiri e cerca di calmarsi. Non ha senso stare lì a farsi venire un attacco di panico, forse è meglio che torni nella hall a dare una mano, che provi a tenersi impegnata. Può sempre provare a richiamare Tony in un secondo momento.
Sta per raggiungere la reception quando sente Sara alzarsi di scatto da dietro al bancone, facendo stridere sul pavimento le gambe di legno della sedia.
«Signor Stark?!» esclama sua sorella.
«Ciao, Carmilla».
Nadia ha un sussulto. In un moto istintivo controlla l'orologio: sono passati esattamente due minuti. Affretta il passo, apre la porta che dal loro appartamento privato immette nella hall e vede Tony avanzare in tutta la sua narcisistica sobrietà.
Lui si toglie gli occhiali da sole e li posa nel taschino della giacca, lanciandole un lungo sguardo e strizzandole l'occhio. Nadia ha voglia di corrergli incontro per abbracciarlo.
«Oh, è bello averla qui...» dice Sara, su di giri. «A cosa dobbiamo il piacere?».
«Nadia, di nuovo non hai detto niente ai tuoi? Un po' più di autostima, ragazza mia!» dice Tony in tutta naturalezza. «Ha passato le selezioni del concorso di fotografia, deve venire con me».
Venire con lui dove?
Sara si volta a guardala, con la bocca talmente spalancata per lo stupore che c'è da temere che le si stacchi la mascella.
Ora anche sua madre si unisce alla conversazione.
«Aspetti, sta dicendo che mia figlia ha vinto un concorso di fotografia? Per un lavoro da fotografa in America?» borbotta quasi scioccata.
«Esattamente, signora Berton. Deve essere molto fiera di lei, è una ragazza speciale, più di quanto si riesca a credere». Queste ultime parole non sono per sua madre, sono per lei, Tony le pronuncia con un'aria quasi solenne, fissando Nadia negli occhi per poi tornare a guardare la signora Angela. «Non vorrà dirmi che in tutto questo tempo l'avevate sottovalutata?».
La ragazza quasi sorride per quel piccolo momento di rivalsa, ma ora deve scendere dalle nuvole e tornare alla realtà. Deve stare al gioco, ma ha bisogno di capire cosa sta succedendo.
«Ehm... mi scusi, signor Stark, ma io non sapevo niente di questa partenza» mormora. «Quando dovremmo partire? Per quanto tempo starò via?».
«La risposta alla prima domanda è: adesso. La risposta alla seconda è: non lo so». Tony le lancia un'occhiata eloquente. «Perché non vai a fare le valige? Il mio team ti spiegherà tutto durante il viaggio».
La signora Berton ha un moto di panico. Sgrana gli occhi e per poco non agguanta il braccio di Stark.
«Vuole portare via la mia bambina dall'altro lato del mondo?» esclama, con la voce che all'improvviso è diventata tremula.
«Soltanto se la sua bambina ventiseienne non ha niente in contrario. Qualcosa in contrario, piccola locandiera?»
«Direi che non sono in condizioni di avere qualcosa in contrario» dice Nadia, più tristemente di quanto dovrebbe. Sua madre e sua sorella la fissano stranite. «Cioè, volevo dire, è l'occasione che aspettavo da tutta la vita... lo sapete... io...».
«Ho sempre saputo che sarebbe successo, un giorno» conclude Sara. Nadia non riesce a capire se sia triste o felice per lei, ma sa che non può fare altro che andare in camera sua e preparare i bagagli alla svelta.
Aveva chiamato Tony per chiedergli aiuto, ora sa che non può fare altro che fidarsi di lui.

Ha salutato la sua famiglia che ha creduto alla bugia riguardo al fatto che era tutto previsto da contratto che aveva firmato quando aveva cominciato a partecipare alle prime fasi di selezione del fantomatico concorso di fotografia.
Ha messo in valigia solo le cose più indispensabili, qualche vestito di ricambio, il suo computer portatile, la sua macchina fotografica – sì anche quella. Del resto sa che troverà tutto quello che le serve una volta arrivati a destinazione. Qualunque sia la destinazione.
Ha promesso a Sara che potranno sentirsi tutti i giorni o quasi con la webcam e che la terrà aggiornata su tutte le cose fighissime che sicuramente vedrà - «... e se Stark ci dovesse provare con te: stacci. Fallo per me, se non altro». «Sei sempre la solita idiota, sorellina». «E tu la solita donna fortunata!».
No, non si sente affatto fortunata mentre cammina insieme a Tony verso piazzale Roma, dove li sta aspettando una macchina – probabilmente una Maserati con tanto di autista e frigorifero sul sedile posteriore – che li porterà all'aeroporto.
La macchina è davvero una Maserati, dalla carrozzeria nera e dai sedili in pelle bianca. E c'è davvero l'autista, che le apre lo sportello e le fa un sorriso squisito.
Nadia si sente soffocare, ma si sforza di sorridere a Tony che si sta sedendo accanto a lei.
«Grazie per... ehm, per questo» gli dice con un filo di voce.
«In realtà, è un piacere. Ci serviva proprio qualcuno che ne capisca di cucina italiana. Come stai?»
«Sembrerei sciocca e infantile se mi mettessi a piangere?»
«No. È per questo che ho portato questi» dice Tony aprendo una vano portaoggetti e tirando fuori una scatola di cleenex.
La lascia al suo momento di sfogo personale anche se sembra che abbia molte cose da dirle. Del resto il viaggio è lungo fino in America.

Arrivati al Marco Polo, Nadia nota subito l'aereo con la scritta STARK sullo scafo che attende sulla pista di atterraggio dove loro sono diretti senza passare per il chek-in, senza sbrigare alcuna pratica.
Scendono direttamente sull'enorme nastro d'asfalto.
«E io che fino a ieri ero convinta che la mia vita fosse tornata normale...» borbotta Nadia, ritrovando un po' del suo sarcasmo.
Quale vita? Se non si risolve questa cosa non ci sarà più nessuna vita...
Degli uomini spostano una scala accanto al portellone dell'aereo, quando questo si apre spuntano tre visi noti.
Pepper, Natasha e Steve.
I tre scendono rapidamente la scala. Carino da parte loro essere venuti a prenderla. La gioia di rivederli le fa quasi dimenticare tutto il resto. E tutto il resto è enorme... ma la vista di loro tre che scendono la scala per venirle incontro, il sorrisetto da satiro di Tony in piedi accanto a lei, fanno restringere le pareti di quel buco nero che fino a poche ore prima sembrava sul punto di inghiottirla.
«Avevamo paura che un viaggio intero da sola con Tony fosse troppo snervante» dice subito Steve.
«Invece viaggiare con un tizio che si veste come mio nonno è molto rilassante» lo rimbecca l'altro.
«Sta' zitto Stark. Io almeno non sembro un regalo portato da Babbo Natale».
Pepper cinge le spalle di Nadia con un braccio.
«Non preoccuparti, Natasha ha una pistola per la caccia agli elefanti, con le cartucce piene di sonnifero ed è pronta a usarla. Su quei due, intendo».
«Tre donne contro due ometti» interviene Natasha. «Forse sono loro che dovrebbero preoccuparsi».
Nadia si sforza di ridere. Ancora non sa bene cosa sta succedendo e come sia possibile che loro siano lì e che in qualche modo sappiano tutto, eppure non le sembra così tanto rilevante.
Mentre sale la scala verso il portellone dell'aereo sente la sua vita andare in pezzi ad ogni gradino e intravede una vita nuova, piena di incognite, che l'attende oltre quello sportello di metallo, con tanti punti di domanda e un'unica certezza. Ora sa che non dovrà mai più preoccuparsi di essere sola. Ora ha i suoi eroi e loro la salveranno.


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Note e titoli di coda.

Ehm... ehm... naturalmente è sottinteso che il caro Nick Fury si era fatto raccontare tutto e aveva messo sotto sorveglianza la ragazza, per questo Tony era già a Venezia quando lei lo ha chiamato e sapeva già tutto.
E così lasciamo Nadia alle cure degli Avengers (sono certa che a forza di dai e dai, un modo per salvarla lo trovano) e Loki alle torture di Thanos perché questo mi sembrava l'unico finale plausibile per una storia del genere, perché la salvezza e l'happy ending non erano in scaletta. Perché visti i personaggi, mi sembrava stupido. Non volevo una storia in cui Loki finisse per redimersi per amore di una donna, non volevo nemmeno una storia in cui Loki si innamorasse in realtà, infatti non credo si possa parlare propriamente di amore tra lui e Nadia; semplicemente lei è l'unica che non si è posta in una situazione di antagonismo nei suoi confronti e per questo a lui viene automatico provare qualcosa di positivo per lei. Non la volevo perché credo che per far innamorare Loki  (e soprattutto, farlo innamorare di un'umana) ci sia bisogno di fargli avere un certo tipo di evoluzione che in questa storia non era prevista.
E quindi li lasciamo così. Ma questo non vuol dire che non potremmo ritrovarli, più in là. Sì, c'è un sequel che bolle in pentola e che sarà pubblicato tra due di settimane (salvo imprevisti), ma non è il momento di parlarne adesso.

Mettere il punto conclusivo a una storia è sempre un po' emozionante, se poi nel frattempo questa storia è stata condivisa con altre persone, la sensazione è ancora più pressante... non che ci siano elucubrazioni sentimentali da fare su questa fanficiton, l'ho scritta per il bisogno di dire la mia su dei personaggi e su un universo che ho adorato guardando i film e mi sono divertita (ogni tanto, nella mia testa, io e Loki ci usavamo come reciproco bersaglio per il lancio di oggetti contundenti a caso, ma è stato divertente anche quello). Spero che un po' di quel divertimento e un pizzico di qualsiasi cosa di buono io abbia tentato di mettere tra queste righe sia arrivato a chi ha letto.
Grazie a chiunque abbia seguito questa storia, a tutti quelli che hanno commentato e a tutti quelli che hanno voluto passare un po' di tempo in compagnia di Nadia, del “mio” Loki e dei “miei” Avengers.

Alla prossima.
Luciana

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