Gli Eroi dell'Olimpo - Loveless World

di EnricoZapping
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ammazziamo la guida turistica ***
Capitolo 2: *** Voliamo ad alta quota senza bisogno dell'aereo ***
Capitolo 3: *** Nathan si addormenta con la spada in mano ***
Capitolo 4: *** Robert incontra il suo cugino divino ***
Capitolo 5: *** Christian impara a surgelare i semidei ***
Capitolo 6: *** La Pizia ha un attacco di raucedine sentenziosa ***
Capitolo 7: *** Abbiamo un attacco di panico ***
Capitolo 8: *** Abbiamo tre sospettati ***
Capitolo 9: *** Partiamo col piede sbagliato ***
Capitolo 10: *** Chiacchiero con un roditore ***
Capitolo 11: *** Christian rimane in mutande ***



Capitolo 1
*** Ammazziamo la guida turistica ***


Si prospettava una normalissima gita.
Inutile dire che non lo sarebbe stata.
 
La voce della professoressa Whistle risuonava nell'autobus, spiegando dolcemente ciò che vedevamo dai finestrini. Ok, era la professoressa più buona del mondo, gentile, anche carina, coi suoi capelli lunghi tenuti da un sacco di mollette. Ma la sua voce portava con sé la noia profonda.
 
Austin dormiva. La voce della professoressa per lui era sempre un sonnifero. Già di suo non muoveva un muscolo, ma quella vocina dolce gli faceva sempre chiudere le palpebre.
Ad ogni modo, Austin rimaneva il mio migliore amico. Aveva i capelli castani, lisci, e gli occhi verde intenso, profondi come pochi.
 
Il mio nome è Robert Shane. Sono alto e biondo, tanto per cominciare. E frequento la Glosbury School di New York.
 
O almeno, la frequento quest'anno.
Perché la verità è che ho dei seri problemi a studiare. Mi distraggo sempre, e i guai mi ronzano attorno come le mosche attorno ad una carcassa, tanto per intenderci. Vengo sempre espulso da ogni scuola.
 
Eravamo in giro da parecchio e iniziamo a invidiare Austin. Almeno lui non doveva sorbirsi la lezione! Sbuffai e guardai fuori dal finestrino alla ricerca di qualcosa di interessante. Macché, solo alberi e vecchi edifici di cui poco mi interessava. Non avevo idea di cosa fare. Mi guardai intorno e provai senza riuscirci a seguire la lezione.
 
Finalmente, arrivammo a destinazione, più o meno. Washington.
 
Dopo qualche minuto, scendemmo dall'autobus (incluso Austin, perché l’ho svegliato, sennò era capacissimo di rimanere sull’ autobus). La prof ci condusse, tenendo bene alzata la bandierina gialla come punto di riferimento, alla Casa Bianca.
Ok, non me ne fregava molto neppure di quella, contenti?
Avemmo il grandissimo onore (Bah!) di entrare. Ci accolse una guida turistica dall'aspetto impeccabile.
"Buongiorno, benvenuti alla Casa Bianca, residenza del Presidente degli Stati Uniti, sede del Parlamento Americano e del governo!"
Iniziò a farci vagare di stanza in stanza, in un tour senza fine e senza interesse, almeno per me.
La guida parlava a raffica di presidenti e descriveva le stanze meticolosamente.
 
"Quanto vorrei essere fuori di qui" dissi ad Austin sottovoce.
"Già...Giuro che se non la smette di parlare le ficco un palo in bocca, almeno, forse, si zittirà" mi rispose lui, visibilmente annoiato. Cercava di nascondere gli sbadigli, ma non era molto bravo.
Austin aveva un'espressione del tipo "tiratemi fuori di qui, o giuro che mi butto dalla finestra", e io non avrei esitato a seguirlo.
 
Troppe volte avevo studiato la storia americana, e, anche se la Casa Bianca era la dimora del presidente, di certo non la rendeva più divertente.
Cercai di distrarmi, e il neo peloso della guida era un'ottima distrazione. "Ehi, Austin....Guarda che schifo il porro della guida, lì, sotto il suo nas..." “Voi due, là in fondo, tacete" ci disse Miss Porro 2012, e io non potei fare a meno di trattenere una risata, meno male che questa volta non mi vide.
 
"Avete problemi a seguire, ragazzi?", chiese la guida. "Vi vedo.. molto distratti."
"Ehm, no, perché? E' interessante, sentire la vita del presidente Roosevelt..."
"Veramente stavo parlando di Lincoln", rimbeccò la guida con disapprovazione. Dopodiché si girò, ma posso giurare che aveva un sorrisetto maligno dipinto in volto, come se avesse appena fatto una scoperta molto interessante.
 
Finalmente,dopo altre due ore, la visita era finita, e mentre io e Austin stavamo uscendo dal portone principale, la guida saltò addosso al mio amico con aria omicida. Austin urlò di spavento, mentre io cercavo di scrollare quella donna indiavolata dal suo gracile corpo.
"Ma che le è preso?!"
"Non fate finta di non saperlo, mezzosangue!", ci urlò la guida.
 
Dopodiché, avvenne qualcosa che mi shockò non poco.
La guida iniziò a trasformarsi. Le spuntarono le ali, da pipistrello, con un'apertura alare di quasi un metro e mezzo. Sulle punte delle ali aveva degli artigli, corti ma visibilmente affilati come rasoi, e zanne altrettanto taglienti nella bocca mostruosa. In una "mano", teneva una frusta fiammeggiante.
La classe sembrava non essersi accorta di niente, e procedeva tranquilla e beata verso l'autobus.
Tuttavia, qualcuno sembrava accorgersi dell'assurdità della situazione: la professoressa Whistle. Ce la ritrovammo al nostro fianco. "Fatevi onore", ci disse. Si tolse dai capelli una molletta e me la diede. Dopodiché scappò anche lei sull'autobus, più bianca che mai.
Mi chiesi: 'Che cosa me ne faccio di una molletta?', e prima che completassi il pensiero non stringevo più una molletta, ma un arco dipinto di vernice dorata, e mi resi conto dal peso sulle spalle che avevo anche una faretra in dotazione.
 
La nostra mostruosa guida turistica mi si avventò contro, urlando furiosa, tentando di strapparmi di mano l'arco.
Senza pensarci troppo, incoccai una freccia e la scagliai. Le trappassò la fronte. Mi aspettavo di ritrovarmi fuori un bel cadavere, che magari poi sarebbe stato visto da tutta Washington, e io sarei diventato un qualche criminale omicida. Invece, no. Si polverizzò all'istante, senza battere ciglio.
 
La professoressa Whistle uscì dall'autobus, ancora color mozzarella.
"L'avete... sconfitta? Oh, grandioso!", disse, le mani rivolte al cielo.
"Ehm, ma di preciso, cosa ho sconfitto?", chiesi.
Mi guardò come se avessi appena detto una bestemmia atroce.
Mi si avvicinò all'orecchio.
"Una Furia", bisbigliò.
"COSA?! Una Furia?!?", chiesi, senza prestare cura alcuna al volume della mia voce.
"Ma le Furie sono... delle creature dellla mitologia greca.. O sbaglio?", chiese Austin.
"Esatto.", rispose la professoressa Whistle.
"...Ok, e noi chi siamo?", chiesi io.
"Oh, molto furbo, Shane. L'hai capito subito che anche voi eravate coinvolti. Beh, voi siete dei semidei."
Io e Austin ci scambiammo un'occhiata perplessa e sconvolta, oltre che terrorizzata.

Questa fanfiction è stata scritta con l'aiuto di jenoma97 e Xariod.

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Capitolo 2
*** Voliamo ad alta quota senza bisogno dell'aereo ***


"Professoressa Whistle, cosa intende per... semidei?", chiese Austin.
"Pensavo che lo sapessi... Eri sempre stato bravo quanto a mitologia..."
"Intende dire che siamo figli... di un dio e di un essere umano?"
"Non è possibile!!", sclerava (sì, sclerava, né più né meno) Robert.
"Possibilissimo."
"Ma gli déi olimpici non stanno in Grecia?"
"Ne è passato di tempo, da quando stavano in Grecia... La Grecia era l'Occidente di due millenni fa.. Ma l'Occidente col tempo si sposta... Si è spostato verso Roma qualche secolo dopo, e ora è qua, in America. Il Monte Olimpo è al seicentesimo piano dell'Empire State Building, ad esempio."
Austin e Robert la guardarono come se avesse appena detto che la Luna è fatta di formaggio. (Uhm, buona! ndEnrico)
"Allora, quella era una Furia.. Giusto?", cercò di coordinarsi le idee Robert.
"Sì, esatto.. Fin qua ci siamo..", disse la professoressa Whistle.
"E... ce ne sono molte, di robe del genere?"
"Di Furie, solo tre. Ma mostri, quanti ne vuoi!", e la cosa peggiore è che sorrideva mentre lo diceva.
Austin era spaventato, non voleva che la sua vita fosse una battaglia continua, lui era sempre stato un ragazzo pigro, non un guerriero esperto.
In quel momento, Austin voleva illudersi di essere in un incubo, un orrendo incubo da cui si sarebbe risvegliato a breve, ma purtroppo, sapeva benissimo che non era così, era la vita reale, e il cuore gli salì in gola al solo pensiero di dover combattere.
Certe creature lo spaventavano, questa era una Furia, ma lui conosceva bene la mitologia greca, c'erano cose molto peggiori, come il Minotauro, o i Titani, o, ciò che lo spaventava maggiormente, l'Ade e tutti i suoi gironi infernali. Non voleva fare quella fine.
Voleva vivere come un ragazzo normale, sposare una bella ragazza e morire felice di vecchiaia, non in un combattimento all'ultimo sangue contro chissà quale creatura!
"Ehi, Austin!", disse Robert, che evidentemente aveva captato il panico che lo attanagliava, "Ma mica li devi combattere tutti tu! Quell'Arpia ci avrà trovato per pura fortuna! In fondo, saremo uno su un milione..."
"Ah-hem", intervenne la professoressa Whistle, "mi dispiace, ma purtroppo i mostri sentono il vostro.. odore semidivino, per così dire... Vi distinguono, vi trovano.."
A quel pensiero, Austin, iniziò a piangere e singhiozzare, i suoi occhi si riempirono di paura.
“Come possono sapere dove siamo?! E' una ..catastrofe! Non abbiamo nessuna possibilità, moriremo!” urlò Austin, in pieno stato confusionale.
Non capiva più nulla, il terrore offuscava la sua mente. Anche Robert era terrorizzato, ma non tanto quanto lui. La professoressa Whistle aveva ancora quel fottutissimo sorriso stampato in faccia.
”Ma non preoccupatevi” ci disse,“E’ solo questione di tempo prima che le Aurai (plurale di Aura) vi portino al sicuro.”
“Aurai? Spiriti del vento, se non erro …” rispose Robert.
“Sì, in genere a recuperare e mettere in salvo i Mezzosangue sono i satiri, ma quest'anno il Campo Mezzosangue, un rifugio e campo addestramento per semidei, ha fatto gli straordinari.”
"E...Quando arriveranno?"
"Ma sono già qua!", rispose la professoressa Whistle.
"Dove?"
"IO sono già qua!", rispose nuovamente la professoressa.
Davanti ai loro occhi, le gambe della professoressa svanirono, i vestiti da professoressa divennero veli e iniziò a levitare sfruttando il vento, facendo sventolare la gonna di velo bianco.
La cosa iniziava a farsi surreale.
“Volete andare adesso al Campo Mezzosangue?”, chiese la profess-ehm,Aura Whistle (suona malissimo …).
Austin e Robert si guardarono.
Poi Robert rispose.
Sì.
“Molto bene.”, disse la Whistle, poi si mise quattro dita in bocca e fischiò.
Dal finestrino dell’autobus videro qualcosa che li lasciò a bocca aperta.
Dei cavalli alati, Pegasi, stavano atterrando accanto all’autobus.
Non erano candidi come se li aspettavano. Non tutti, almeno.
Uno sembrava un grosso stallone arabo con due ali di corvo formato XXL attaccate ai fianchi, un altro era bianco pezzato di pelo bruno e un ultimo, più minuto, era colore del latte.
Uscirono dall’autobus.
“Saltate su”, disse la Whistle, come se fosse la cosa più naturale del mondo, salendo sul pegaso bianco.
Un po’ titubanti, un po’ emozionati, un po’ chiedendosi come mai nessuno si chiedesse cosa ci faceva un autobus parcheggiato di sbiego da mezz’ora davanti alla Casa Bianca, e come mai nessuno avesse notato i pegasi, Austin salì sullo stallone nero e Robert sul pezzato.
Fu un viaggio memorabile. Avete mai viaggiato in aereo? Beh, è un’esperienza di volo completamente diversa.
Con l’aereo, siete seduti su un comodo sedile mentre guardare dal finestrino, magari mentre un hostess vi serve di ciambelline e pastefrolle.
A cavallo di un pegaso, aspettatevi di sentirvi il vento che vi fischia nelle orecchie e vi scompiglia i capelli, la vostra cavalcatura che ondeggia ad ogni battito d’ali, e l’umidità delle nuvole che vi zuppa i vestiti. Ma non c’è dubbio alcuno: cavalcare un pegaso è molto più emozionante che farsi un volo in aereo, anche se ha i suoi svantaggi.
Nonostante il bellissimo volo, l'atterraggio fu orribile, quantomeno per Austin. Cadde sul prato, e Robert subito sopra di lui. Austin stava per sparare una parolaccia, mentre Robert si era già rialzato e accarezzava il bellissimo pezzato. Oltretutto, erano fradici per essere passati fra le nuvole. Poi si resero conto di dov'erano...
Siete mai stati in Grecia, o a vedere qualche monumento greco, latino o della Magna Grecia?
Siete mai stati al parco?
Siete mai stati ad un campus?
Mescolate insieme le tre esperienze e avrete un'idea. Forse.
Come un sito archeologico greco, quel posto era pieno di edifici costruiti in stile greco, ma integri in quanto costruiti di recente: padiglioni con colonnato di marmo, decorati da frontoni con bassorilievi.
Come un parco, era di una bellezza particolare, e il pavimento era a tratti pavimentato, a tratti in terra battuta, a tratti ricoperto d'erba.
Come un campus, le persone ci vivevano e ci si addestravano ad ammazzare mostri. Come dite? Nei campus non insegnano ad ammazzare mostri? Vabbé, che ce ne frega.
"Benvenuti", li accolse... un centauro. Austin si strofinò gli occhi, anche se ormai si era quasi rassegnato a quella serie di assurde verità. "Sono Chirone, gestore del Campo Mezzosangue."
Chirone sarebbe potuto essere un normalissimo essere umano di mezza età, con tanto di capelli brizzolati e barba forse un po’ malcurata. Indossava persino la maglietta (con scritto sopra "W I Party Pony"). La cosa che lo faceva sembrare un'assurdità ambulante era il corpo equino che aveva dalla vita in giù, di un color castagna lucido, dal pelo evidentemente ben curato.
Passammo accanto a quelle che dovevano essere le mura del campo. Austin ebbe un’orribile sensazione di pericolo …
“Aspetta … Abbiamo detto che i mostri fiutano i semidei …”
“Hm, sì, potremmo dire di sì.”
“Quindi, perché questo posto non è ancora stato raso al suolo da un esercito di creature mitologiche varie?
“Oh, abbiamo una difesa potente: l’Albero di Talia. E’ una lunga storia, sta di fatto che protegge questo campo da ogni mostro. Qualche anno fa l’albero stava quasi per morire e un semidio ha intrapreso una missione per portarci il Vello D’Oro … Sì, esatto … Beh, ora decisamente scoppia di vita, con la magia del Vello, ma abbiamo dovuto trovare un drago da guardia …”
‘Un drago da guardia? Altro che pitbull’, pensò Austin con una punta di sarcasmo.
“E perché i ‘comuni mortali’ non si imbattono per errore in questo posto? Anzi, praticamente ignorano qualsiasi cosa, fosse anche davanti ai loro occhi …”
“E’ la Foschia … Una forza che camuffa le cose agli occhi mortali, evitando che si scateni il panico nel mondo intero, potremmo dire … Per esempio, anziché vedere dei pegasi, vedono degli elicotteri …”
Ora tutto si stava facendo più chiaro, se non altro.
Ci scortò verso degli edifici disposti in una forma inequivocabile: una lettera omega greca. Una ventina di edifici che si distinguevano dal resto del Campo Mezzosangue per la caratteristica di essere tutti diversi fra di loro.
"Che cosa sono?", chiese Austin.
"Le case", rispose Chirone, "sono dove i semidei vanno prima di essere riconosciuti. Ogni casa ospita i figli di un dio o di una dea. E incarna un po’ anche il dio stesso."
Austin si divertì a dare un'occhiata alle case. La numero 1 era maestosa, interamente di marmo bianco, con due colonne. Le porte erano di bronzo lucidissimo e mandavano riflessi a forma di fulmine.
"Zeus", sospirò Austin.
"Esatto..."
La seconda era simile, sempre di marmo bianco, ma con colonne più esili, e decorata da ghirlande di fiori. Era. La terza, fatta di pietra pomice incrostata di corallo e cirripedi, indubbiamente la casa di Poseidone. La quarta era variopinta, di legno, aveva l'erba che le cresceva sul tetto ed era ricoperta di piante rampicante e attorniata di piante in vaso. Demetra.
La quinta era rossa, malamente dipinta, e aveva una testa di cinghiale affissa come un trofeo davanti all'entrata. Ares, probabilmente.
La sesta era di pietra grigia mista a marmo, e dalle ampie finestre si intravedeva un ambiente pieno zeppo di libri. I letti erano stipati in un angolo, come se a nessuno importasse nulla di dormire.’Atena’, pensò Austin con un sorriso.
La settima era interamente d’oro, lucidissima. Quasi accecante, sotto la luce del sole. E l’ottava, interamente d’argento. ‘Apollo e Artemide, il sole e la luna’
La nona sembrava una fabbrica, interamente di ferro, con la porta come il caveau di una banca e le ciminiere fumanti sul tetto. Efesto.
La decima era colorata, moderna, esteticamente molto bella, e se ci ti avvicinavi avvertivi un leggero olezzo di profumo firmato. ‘Afrodite’, pensò Austin, dato che sembrava che ci fosse molta cura per la bellezza.
L’undicesima era malandata e aveva un bastone sulla porta. Non riuscì a capire a chi appartenesse. Lo chiese a Chirone, che gli rispose che era la casa di Ermes, dio delle strade. Solo allora Austin capì che quel bastone era un caduceo.
La dodicesima aveva le pareti ricoperte di vite rampicante piena di grappoli d’uva, e quindi probabilmente apparteneva a Dioniso, dio del vino.
La tredicesima era di nerissima ossidiana, con due bracieri che ardevano un inquietante fuoco verde, e decorata con teschi e ossa. ‘Ade, senz’ombra di dubbio’, pensò Austin, e rabbrividì.
La quattordicesima era tutta arcobaleno, e quando la vide per poco Austin non si mise a ridere. Chirone, vedendolo scompisciarsi, gli disse che era la casa di Iride, dea messaggera dell’Arcobaleno, e Austin riuscì a reprimere la ridarella.
Poi, in ordine, Hypnos, dio del Sonno, Nemesi, dea della Vendetta, Nike, dea della Vittoria, Ebe, dea della Giovinezza, Tike, dea della Fortuna (la cui casa assomigliava ad un casinò abitabile), e infine Ecate, dea della Magia.
 “Ehm … e come facciamo a sapere di chi siamo figli?”, chiese Robert a Chirone.
“Presto i vostri genitori divini vi manderanno un segnale.”
“Che genere di segnale?”
“Qualcosa di molto simile a quello che hai sulla testa, Robert.”
… Sopra la testa di Robert c’era un piccolo sole, come un’immagine olografica.
“Figlio di Apollo, vedo. Puoi recarti nella tua cabina, se vuoi.”, disse Chirone, e Robert si avviò, con passo un po’ incerto, verso la casa d’oro zecchino.
E io?”, chiese Austin.
“Mh, a quanto pare ancora non è il tuo momento … Se vuoi, puoi posare le valigie nella casa di Ermes e dormire là finché non sarai riconosciuto. Tranquillo, non ci vorrà molto.”
Poi Chirone assunse un’espressione riflessiva, come se stesse tentando di ricordare qualcosa di importante.
“Hmmm … Hai un’arma?
“Eh? .. N-no, perché?”, rispose tentennante Austin.
“Niente paura, te ne procuriamo una. Vieni.”
Chirone scortò Austin di fronte alla casa di Efesto. Bussò. Aprì un semidio dai capelli lunghi, vestiti pieni di borchie. ‘Wow, un semidio metallaro’, pensò Austin, non molto felice della cosa.
“Austin, questo è Nathan O’Neil. Nathan, questo è Austin …”
“Austin Neword, piacere”, e gli tese la mano.
“Nathan, è un nuovo arrivato. Gli servirebbe un’arma. Lo porteresti al deposito delle armi, per cortesia?”
“Uhm, va bene.”
 
Austin entrò nell'armeria con Nathan, e quasi gli prese un colpo, alle pareti erano appese asce, spade, claymore, addirittura mazze chiodate, e ogni genere di arma. Quel posto gli faceva venire i brividi
“Allora, ti va bene questa?", disse Nathan porgendomi un'ascia bipenne, che Austin, vista la sua corporatura fragile non riusciva nemmeno a sollevare.
 "Credo di no...." disse Austin al metallaro.
"Okay..." rispose lui, prendendo quell'arma senza sforzo..."Che ne dici di una spada? Maneggevole, comoda, credo sia perfetta" disse Nathan a Austin, ma invece di dargli una spada leggera, gliene diede una a due mani, che, ovviamente, Austin riusciva a sollevare a malapena.
"Credo che non vada bene …”
“Dovresti mettere su un po' di muscoli!" rispose Nathan, un po' scocciato.
Austin si guardò un po' in giro, mentre Nathan faceva un rumore infernale per trovare un'arma adatta a lui.
"Finalmente! Questo DEVE starti bene!" gridò Nathan, lanciando verso Austin un bastone.
"Un bastone? E che me ne faccio?"
"Non è un bastone qualsiasi, è un bastone animato!", disse. Prese in mano il bastone, e tirò la parte alta. Nascosta all'interno del bastone, che fungeva da custodia dissimulante, c'era una lunga ed affilata lama di bronzo celeste, che scintillava di fascino marziale.
Austin era affascinato da quella bellissima lama, sembrava creata su misura per lui, provò ad impugnarla, era leggerissima, maneggevole e veloce.
"Perfetto...Grazie.", disse Austin a Nathan, che, con quel vestito borchiato e tutte quelle armi, lo spaventava un po'.
"Non c'è di che, piccoletto" Rispose lui, continuando a frugare tra quell'enorme mucchio di metallo affilato.
 

La casa di Apollo rifletteva decisamente bene un aspetto del dio Apollo: l’essere il dio del Sole. Era interamente d’oro, e sotto la luce del sole era uno spettacolo accecante. Ma all’interno era, se possibile, anche peggio. La luce del lampadario (che era a candele, ma le candele non si scioglievano, non facevano nemmeno fumo, ma spargevano un potente aroma di giacinti) si rifletteva sulle pareti d’oro lucide come specchi, in un accecante effetto caleidoscopico di tutte le tinte del color oro. Tutto il mobilio sembrava essere fatto d’oro 24 carati. Anche le lenzuola erano in maglia d’oro filato. I materassi e i cuscini erano probabilmente imbottiti di polvere d’oro, cosa che non li rendeva particolarmente comodi. In mezzo alla sala d’ingresso c’era un’immensa statua di Apollo, integralmente d’oro, con la corona d’alloro e la lira.
“Benvenuto.”, lo accolse un altro figlio di Apollo. Era biondo come lui, ma più basso, con uno sguardo dolce, leggermente velato, come se avesse qualche pesante problema di vista che gli impediva di mettere a fuoco gli occhi delle persone con cui parlava.”Piacere, William Foam. Sono il direttore della casa di Apollo. Tu devi essere il nuovo arrivato … Robert Shane, giusto? Ti stavamo aspettando.”
Era leggermente inquietante, ma sembrava gentile.
Scortò Robert in una stanza che designò come la sua, con un letto (d’oro), un comodino (d’oro), una cassapanca (d’oro) e una finestra col vetro sabbiato di polvere d’oro.
“Benvenuto a casa. La tua nuova casa.”, gli disse William.
Casa dolce casa”, rispose Robert, iniziando a stendersi comodo (non particolarmente comodo, ma se non altro stendersi) sul letto d’oro.

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Capitolo 3
*** Nathan si addormenta con la spada in mano ***


Quella fu una lunga notte, per Austin, nella casa di Ermes.
Eh? No, tranquilli. Austin non è figlio di Ermes. La casa di Ermes accoglie ogni semidio che ancora non sa chi sia il suo genitore divino. Motivo per il quale è sempre in cattive condizioni, essendo sovrappopolata.
Comunque, dicevamo … Fu una lunga notte, per Austin.
Cioè, per dormire, dormì. Il problema difatti si verificò dormendo.
Sogni. Sogni assurdi, confusi, come fotogrammi di un film che passano davanti ai suoi occhi in rapida successione, mescolandosi fra di loro in maniera caotica.
Ogni tanto fra i fotogrammi distingueva un momento del suo passato. Più il sonno andava avanti, più gli sembrava che i fotogrammi lo ritraessero giovane. Ad un certo punto, lo ritraevano nella culla. Poco dopo, non ritraevano più lui, ma sua madre. La signora Neword.
La vedeva, giovane e bellissima, con i suoi capelli biondi al vento, indossava una camicia da notte che le dava un'aria un po' da bambina. Era tranquilla, sul suo letto, quando la finestra si spalancò e un dio meraviglioso dalle ali argentate , si salutarono con dei baci sulle guance, poi iniziarono a baciarsi appassionatamente.
Austin capì che cosa stava per succedere.
Austin aveva visto suo padre, probabilmente dall'aspetto immutato e vagamente rassomigliante a quello del mezzosangue, aveva i suo stessi capelli marroni e gli occhi della sua esatta sfumatura di verde smeraldo.
Poi, il sogno si distorse come una spugna strizzata. Il ricordo del letto svanì in una nube di colori indistinti e mescolati. Poi, tutto tornò a fuoco, come se la polvere del ricordo si fosse ricomposta a formare qualcosa di nuovo.
 
Era in una grotta. Sentiva il suono dell’acqua corrente … Un fiume. Nel fiume si immergevano le radici di un albero, un albero senza foglie. Eppure, in qualche modo, vivo. Austin lo sentiva.
Davanti a sé vide quel dio. Aveva sempre gli occhi chiusi. Mentalmente, Austin pensò: “Papà.”, e dopo … “Bel modo che hai di riconoscermi. Ti mostri addormentato. Mi hai appena confessato di aver condannato mia madre e me a una vita ai limiti dell’emarginato. Neanche mi dici esplicitamente chi sei.”
Poi, una voce prese a parlare nella sua testa. Suonava come se uscisse dal profondo della caverna, gorgogliante come l’acqua del fiume. Tuttavia, Austin capì che era una qualche forma di telepatia, perché se la sentiva nella testa, non nelle orecchie. “Hmph, dovrei proprio smetterla di fare figli se poi sono tutti così ingrati. Io sono il dio Hypnos, figlio mio. Antichissimo dio del Sonno, figlio di Nyx la dea della Notte. Questa è la caverna dove vivo … Dove scorre una propaggine del fiume Stige, il Lethe, capace di cancellare ogni ricordo … Dove il mio albero sacro immerge le sue radici nelle acque del Lethe, fiume dell’Oblio …”
“… Ok, sono figlio del dio del sonno.”, metabolizzò Austin. “E sei vecchio come il mondo, dato che Nyx è fra le divinità più antiche. Ehm … Ma mi spieghi come sei riuscito a mettere incinta mia madre, se stai tutto il tempo in una grotta?
“Se è quello che stai pensando, non mi sono scomodato ad uscire da qua per ere geologiche, e certamente non l’ho fatto per il puro piacere di metterla incinta. Per amore verso quella mortale mi sono materializzato, sai, noi déi possiamo stare in più posti contemporaneamente. Appena la vidi dormire dolcemente nel mio reame del Sonno, fu un colpo di fulmine, era da tempo che non vedevo una ragazza splendida come lei, e da lì iniziammo a frequentarci, ogni sera ci incontravamo. Ma il tuo passato non è stato poi così drammatico, conosco mezzosangue messi molto peggio di te.
“Quindi, tu, Hypnos, sei mio padre? Giusto?” disse Austin, confuso, era contento che sua madre si fosse innamorata di un dio, anche se il suo passato non fu proprio florido, dato che i suoi nonni lo ritenevano figlio del peccato.
Si svegliò alle prime luci del giorno, e probabilmente non avrebbe più ripreso sonno. Decise di fare una passeggiata per riflettere...
 

Il giorno dopo.
 
Alle otto, il campo iniziava a svegliarsi. I Satiri suonavano il corno per dare la sveglia del mattino, le Arpie iniziavano a spignattare la colazione e le Aure addette a servirla.
A Nathan era stato affibbiato da Chirone il compito di badare a quei due novellini; Austin e Robert. Non ne era esattamente entusiasta. Nemmeno loro ne erano entusiasti, anche se Austin lo esternava un po’ di più, attraverso occhiate non esattamente amichevoli, del genere che dicono: “Perché Zeus ha scelto proprio te, per farci la guardia?”
Gli procurò due magliette del Campo Mezzosangue – arancioni con un Pegaso disegnato sopra, oltre alla scritta “Campo Mezzosangue” – e aveva risposto a tutte le loro domande.
 
“Perché quelle driadi e quei satiri coltivano fragole?”
“Perché dovremo pur campare, e per campare coltiviamo fragole …”
A Nathan sembrava di avere a che fare con due bambini in piena fase dei perché.
“Ehi! E perché le fragole crescono così in fretta? Ma dico, guardale! Sembra che abbiano fretta di fruttare!”
“Perché ci sono i Satiri che le fanno crescere con la musica … E anche per un altro motivo …”
 
Li accompagnò a fare colazione nel bel mezzo dell’erba, su panche fatte con tronchi d’albero quasi interi, giusto con un taglio in cima per renderle adatte a sedersi e uno in fondo per darle il fondo piatto.
“Ahem, vi presento il … Signor D.
Il Signor D era un uomo dal volto rossastro, sembrava avesse forse quarant’anni. Sorseggiava Coca-Cola a tutto spiano, e prima di rispondere alla presentazione, scolò da cima a fondo senza riprendere fiato un’intera lattina.
“Oh, salve. Voi dovete essere … Rowen Shape e Auberg Oldword.”
“Signor D … Veda che ci chiamiamo Robert Shane e Austin Neword …”
“Sì sì, certo, lo sapevo, come no …”
Nathan aveva la vaga impressione che come al solito se ne fregasse dei nomi dei campeggiatori.
Un’aura porse al Signor D un bicchiere d’aranciata. Lui la guardò come se fosse fiele e la trasformò in vino con un gesto della mano. L’Aura lo ammonì stizzita.
“Ma allora è un vizio, signore! La punizione di suo padre Zeus, ricorda?”
“Oh, certo, certo … Scusate … Vecchie abitudini dure a morire …”
Con un secondo gesto della mano, il bicchiere di vino si trasformò in Coca-Cola.
“Vecchie abitudini …?”, rifletté Austin.
Voglio vedere quanto ci mette a capirlo”, sussurrò Dioniso alle orecchie di un’Aura.
“Hai trasformato l’aranciata in vino … Tuo padre è Zeus …”
I due si bloccarono come se quello che avevano davanti fosse un mostro alto 4 metri o roba simile.
“T-t-tu s-se-sei D-d-d-d-dio-n-n-n-i-so?”, balbettò Austin come se gli fossero venute delle crisi epilettiche.
“Ha! Tutti la stessa reazione, Romilda! Tutti!”, disse all’Aura sgomitando in ammiccamento, come se guardare due campeggiatori terrorizzati fosse la cosa più divertente del mondo. “Sì, sono Dioniso, dio del vino. O della Coca - cola, attualmente. Il mio gentilissimo padre Zeus mi ha punito per aver – ehm – cercato di entrare nelle grazie di una ninfa che aveva fatto voto eterno di castità, per intenderci, con cent’anni da astemio in questo campo …”. Pronunciò la parola “campo” come se fosse un insulto. “Dovresti guidare i giovani, non metterli sulla strada dell’alcolismo..”, disse, imitando in maniera ridicola la voce di Zeus. “E bla, bla, bla!”
Dioniso prese un’altra sorsata di coca cola e fissò intensamente i due ragazzi che erano in evidente stato di "ma che cavolo sta succedendo?". Dioniso prese un lungo respiro e, continuando a fissare i due ragazzini davanti a lui disse: "Potete andare a fare colazione, non vi sta trattenendo nessuno! Nathan, accompagnali." Nathan fece uno sbuffo appena percettibile e li accompagnò alle loro panche ancora vuote. A quanto pare, anche per le panche si stava con i propri "fratelli divini". Una semidea dal tavolo di Ecate si alzò e con un gesto e sussurrando un incantesimo nell'antichissima lingua del minoico accese il fuoco. Nathan spiegò loro come il fuoco fosse incantato, in maniera da rispecchiare il loro animi in colore ed intensità. I loro animi dovevano essere piuttosto sereni, perché il fuoco era pressoché normale, solo vagamente più luminoso della norma.
 
Delle ninfe dei boschi portarono dei vassoi ripieni di ogni Ben di Zeus, tutto ciò che si può desiderare per colazione: cereali, brocche di latte, polvere di cacao, miele, marmellata, pane, burro, e chi più ne ha più ne metta. C'era persino della frutta fresca, fragole, albicocche, prugne.
Ad un tratto, con stupore di Robert ed Austin, alcuni si alzarono e buttarono frammenti di pane, alcune fragole ed altro nel fuoco.
"Che stanno facendo?", chiese Robert a Nathan..
"Ignorante, sacrificano il cibo per gli déi... Si nutrono del fumo..."
Robert, iniziando a capirci qualcosa, si alzò, prese un'arancia e la buttò fra le fiamme dicendo: "Ad Apollo!". L'arancia bruciò come carta, lasciandosi dietro un gradevole aroma che niente aveva a vedere col normale fumo. Era profumato come se avessero distillato l'aroma dal succo, non buttato l'arancia fra le fiamme ardenti di un falò. Austin si alzò dal tavolo numero quindici - il tavolo di Hypnos, che si era scoperto ieri notte essere suo padre - e sacrificò un bicchiere di cereali Cheerios in nome del padre (ma non del figlio né dello Spirito Santo).
Poi iniziò la vera colazione, dove Robert si servì d'aranciata e fette biscottate spalmate di marmellata di pesche e Austin di latte e frollini alla panna, mentre Nathan si ingozzò di pancetta, uova fritte e burro.
Quando furono sazi, ma veramente sazi, erano già le 10. Nathan condusse i ragazzi verso uno spiazzo.
 
Lì, prese delle armature e gliele fece indossare. Erano seriamente pesanti, forse 15 chili di metallo. Ma a detta di Nathan, senza si moriva. Avevano una piastra per il petto e una per gli addominali modellata come se i muscoli di chi l'ha indossata l'ultima volta fossero stati così enormi da lasciare l'impronta. Poi cavigliere di bronzo e elmi con pennacchio, il che faceva sentire i due leggermente schiacciati dal peso, nonché in qualche modo ridicoli.
Nathan si voltò per prendere un armatura di misura più grande per sé, allontanandosi da Robert e Austin, che non avevano la minima idea di cosa fare.
Mentre Nathan era un attimo via, i due si misero a chiacchierare
"Ma non è fighissimo essere qua?", chiese Robert ad Austin con il sorriso entusiasta di un bambino che ha appena messo piede in un parco giochi.
"Perché dovrebbe essere figo, scusa?", disse Austin, serio e cupo.
"Ma come! Insomma, ci stanno insegnando a combattere! Siamo figli degli déi! Probabilmente abbiamo poteri che i mortali si sognano!"
"Io invece sognerei di essere un comune mortale... L'idea di combattere i mostri non la digerisco..."
"Fifone", lo schernì Robert.
"Ripetilo quando un drago ti azzannerà.."
 
Dopodiché, ritornò Nathan, che con l'armatura aveva un'aria quanto mai minacciosa. Brandiva un'ascia bipenne con una lama d'acciaio e l'altra di uno scintillante metallo verdastro. Austin lo riconobbe tacitamente come bronzo celeste.
"Siete pronti?"
"Se dico di no iniziamo lo stesso, vero?", disse Austin.
Robert rise.
"Avanti, tirate fuori le armi."
Robert prese dalla tasca (non aveva osato indossarla in testa) la molletta per capelli della Whistle. Divenne subito un arco e il peso della faretra si fece sentire sulle sue spalle.
Austin sfilò lo stocco dalla sua custodia camuffata da bastone, mandando uno scintillio verde bronzo agli occhi di Nathan.
"Per questa volta, faremo un po’ di... lotta libera... Specialmente dato che le nostre armi sono così diverse che troverei difficile insegnarvi tecniche; io sono esperto con le asce."
Austin ebbe un brivido al pensiero che sarebbe stato più un duello che una lezione.
Senza dar il tempo ai neuroni di Austin di prepararsi mentalmente per ciò che stava per avvenire, Nathan disse "Uno, due, tre, via!", e iniziò a roteare l'ascia. Di riflesso Austin parò con lo stocco, producendo scintille verdi all'impatto.
Robert incoccò rapidamente una freccia. Nathan usò il piatto dell'ascia come uno scudo, e la freccia si abbatté a vuoto sulla parte in acciaio con un sordo tintinnio.
Austin tentò di affondare nella pancia di Nathan mentre si proteggeva dalle frecce. Nathan fu più rapido, parò anche quel colpo con una rapida rotazione di polso.
"Bei riflessi", pensò Austin.
Robert incoccò un'altra freccia. Vano, fu respinta anche questa. Nathan partì all'assalto roteando l'ascia pericolosamente vicino al fianco di Austin, che parò in extremis.
"Se solo non fosse così rapido!", pensò Austin. Partì all'assalto rompendo la parata. Nathan, prevedibilmente, parò. Ma sembrava... rallentato. Chiuse le palpebre un momento, come se volesse farsi un rapido sonnellino nel bel mezzo della battaglia, poi le riaprì. Aveva … sonno?
"Hmph!", sbuffò Nathan, "Vedo che stai iniziando a prendere coscienza dei tuoi poteri! Era ora..."
Fra i neuroni di Austin scoppiò la seconda guerra mondiale di pensieri. ‘Poteri? Figlio di Hypnos. Sonno? Opportunità. Attacca!’ Il tutto in una frazione di secondo.
Austin partì all’assalto. Nessuna parata, finalmente. Nathan sembrava sonnolento come qualcuno che si è appena svegliato e ha desiderio di tornarsene fra le lenzuola calde. Il metallo dello stocco cozzò contro la placca addominale dell’armatura di Nathan. Austin ebbe il raro momento di felicità che si ha quando si riesce a fare qualcosa che non si riusciva a fare. Poi, dovette schivare un’asciata diretta alla testa.
 
"Ehi, dispiace se mi unisco a voi?", disse una voce femminile alle spalle di Nathan.
Una ragazza della casa di Demetra (cosa facilmente deducibile dal cerchietto decorato a tulipani, che forse era un po’ kitsch), con dei capelli castani zeppi di boccoli, con addosso dei jeans strappati e una t-shirt color lavanda, e in mano una falce lunga (che reggeva a due mani, come la reggerebbe un contadino), entrò nel campo di battaglia.
"Ehi, il campo da combattimento non è da figlie di Demetra...", disse Nathan.
"Ma come sei presuntuoso! Pensi forse che siamo solo capaci a far crescere fiori e fragole?", disse la ragazza, sembrando alquanto incazzata.
"Ehm, no, ma...", e Nathan venne interrotto da un colpo di falce che parò all'ultimo minuto con il manico dell'ascia.
"Adesso chi è l'inutile figlia dei fiori? Eh?", incalzava la ragazza. Nathan aveva il fiatone, sembrava già stanco.
"Va bene, va bene, basta così!", disse. "Smidollato", lo rimbeccò la ragazza.
"Ehi, ma come ti chiami?", chiese Austin, che non era esattamente riuscito a metabolizzare la comparsa della ragazza.
"Anthea, Anthea Elderoots. Nomi antiquati, e per antiquati intendo dell'epoca classica. Fra l'altro i soprannomi sono orribili, 'Anty' fa semplicemente vomitare. Quindi, chiamatemi Anthea.. "
 
Tutto a un tratto, una voce spezzò la routine degli allenamenti. Un ragazzo della casa di Ares che stava facendo arrampicata sulle apposite pareti (che schizzavano lava per rendere il tutto più "appassionante") quasi non si spaccò il collo perché cadde, distratto. Metà e passa del Campo Mezzosangue si radunò attorno a Chirone.
"Stasera, dopo cena, ci sarà una corsa delle bighe! Ogni casa è pregata di preparare il proprio carro, il proprio auriga, il proprio guerriero, i propri cavalli, insomma, tutto ciò che vi occorre per giocare al meglio! Tutti gli oggetti magici sono permessi, si può rallentare l'avversario con vari sistemi, ma è vietato ferire i gareggianti o i loro cavalli..."
Improvvisamente l'aria al campo si fece effervescente, nervosa, tesa, ansiosa, ma decisamente felice.
Nathan non era da meno, l'anno scorso erano arrivati terzi, e invece, quest'anno, era determinato a vincere ad ogni costo. Si recò insieme a James Bell a fare ... la revisione ... ai cavalli.
 
Quella sera, dopo la cena (che si era svolta attorno ad un falò fucsia dall'eccitazione), iniziò finalmente l'attesissima gara di corsa delle bighe. Chirone ripeté le regole (ben poche e non parecchio limitanti nemmeno in tiri sleali e ferite), e i carri presero posizione.
Ogni biga aveva un auriga (cioè qualcuno che gestiva i cavalli) e un guerriero, che si occupava in vari modi di sabotare i nemici. Per ogni biga, i cavalli erano due, ma in alcuni casi non erano veri e propri cavalli. Per la casa di Iride, erano unicorni. Per quella di Ares, erano strani cavalli-scheletro, alquanto inquietanti. Per quella di Efesto... cavalli automi, che avevano l'aria di filare letteralmente come treni.
Per qualche gioco del destino, quei due novellini, Robert e Austin, erano stati scelti come guerrieri delle rispettive bighe.
Quella di Apollo, con William Foam come auriga, era dipinta d'oro e tirata da stupendi palomini. Robert era armato con un arco e una faretra piena di strane frecce.
Quella di Hypnos era nera come la notte, ricoperta di disegni stellari e con una falce di luna dipinta sul davanti. L'auriga era Eric Dalton, mentre il guerriero, Austin (che sembrava in piena fase d'ansia di prestazione, della serie "Cosadevofarecosadevofare?!?").
Invece Nathan era l'auriga di quella di Efesto, che era fatta di lamina di ferro e sembrava accessoriata come una Lamborghini di lusso, solo che con armi letali al posto dell'aria condizionata. La guerriera era una certa Teresa McCobble, grossa, robusta e bruttina come tutte le figlie di Efesto.
"Pronti... Partenza... Via!", e si scatenò subito l'Ade.
 

“Ehi, e io cosa dovrei fare?”, chiese Robert a William, che conduceva la biga nel caos andante della corsa, mentre gli spettatori urlavano e facevano il tifo.
“Dovresti sabotarli … Naturalmente …”
"E come, se ho solo un arco e frecce? E' vietato ferire!"
"Queste non sono normali frecce, sono frecce soniche! Prova a scagliarne una verso le ruote del carro di Atena..."
Robert incoccò e lanciò. Erano un po’ strane perché non avevano la punta di una freccia, ma sembravano proprio frecce. Ma a metà strada, la freccia scomparve, e avvenne una sorta di piccola esplosione senza fumo - un'onda d'urto. La ruota destra posteriore del carro di Atena aveva metà dei raggi fracassati.
"Forte!", commentò Robert, e incoccò un'altra freccia.
 

Austin era nel panico, si reggeva a malapena sul carro, e non sapeva come attaccare con il suo stocco, visto che non poteva ferire né i cavalli né l'auriga e l'attaccante delle altre bighe.
Eric, il suo compagno, guidava la biga perfettamente, curvava benissimo e sempre senza manovre brusche. Il carro di Nemesi era alla sua destra, mentre quello di Iride alla sua sinistra.
Eric era bravo, ma l'auriga del carro di Nemesi era migliore, e l'attaccante, un ragazzo abbastanza alto e con un bel fisico che impugnava pericolosamente una specie di mazza, era senza alcun dubbio migliore di Austin, piccolo e gracile.
D'istinto, Austin prese un giavellotto dal carro, e lo conficcò nella ruota sinistra posteriore del carro di Nemesi, facendoli sbandare. Il giavellotto, però, si era rotto insieme alla ruota, e il mezzosangue non sapeva più che escogitare.
"Reggiti forte!" Gridò Eric al semidio, e quasi derapando, superarono la biga di Iride.
Austin quasi cadde, ma intanto avevano recuperato una posizione.
 

Nathan puntava a una cosa sola: far mangiare la polvere alle altre case.
Il carro di Atena, quello di Nemesi, Ebe, Demetra e Tyke erano fuori gioco. Rimanevano il carro di Ermes, che era in testa, quello di Efesto, subito dopo, in terza posizione i figli della dea Nike, poi Ares, Apollo, Afrodite, Hypnos, Iride, e in ultima posizione il carro di Ecate (che comunque da dietro continuava a lanciare maledizioni ai carri vicini).
La principale minaccia era dunque costituita dai figli del Dio dei Mercanti, ma fra il loro carro e quello di Efesto c'era la biga di Afrodite, rifletté Nathan. "Ehi, tu, là dietro!", sbraitò alla combattente dietro al carro. "Sgancia un regalino alla biga di Afrodite!"
Teresa non se lo fece ripetere. Guardò le risorse del carro come per decidere la fine più rapida - o la più divertente - per il carro di Afrodite, e decise che lanciargli a bordo un barilotto di pece incendiato sarebbe stata una buona idea.
Il carro di Afrodite prese fuoco. Con un grido, l'auriga di Afrodite fece inversione a U e corse come un demonio verso il più vicino ruscello, con grande scorno delle naiadi che vi vivevano.
“Obiettivo agganciato”, pensò Nathan, avvicinandosi al carro di Ermes, ora che non vi erano più ostacoli in mezzo. Teresa neppure si fece comandare. Prese una sorta di missile – evidentemente tenuto per le grandi occasioni – lo puntò verso il carro di Ermes, lo mollò e partì da solo, lasciandosi dietro, per il breve tragitto, una scia di fumo nerastro. Colpì le ruote sinistre del carro di Ermes, che saltarono in aria insieme a tutta la parte sinistra del carro stesso. Fortunatamente i due sul carro non si fecero granché.“Colpito ed affondato”, pensò Nathan, con una sorta di piacere sadico-agonistico, sgomitando. Peccato che adesso la biga in seconda posizione – quella di Nike, dopo l’eliminazione di quella di Ermes – fosse così lontana. In mezzo c’erano quella di Bacco, Iride, e Hypnos. Poteva solo sperare che se ne occupasse quella di Ecate con qualche sortilegio, per quanto fosse indietro.
 

La biga di Ares stava pericolosamente prendendo uno slancio di velocità.
Robert incoccò una freccia sonica, e con un sordo "tok!" seguito da un boato, la ruota destra del loro carro ebbe una bella rottura e iniziò a sobbalzare ogni dieci secondi.
Si sentì una piccola esplosione alle spalle di Robert.
Robert si girò. Il carro di Efesto gli aveva tirato addosso una piccola bomba incendiaria. Meno male che era andata a vuoto, atterrando sulla pista.
Robert rifletté che le sue frecce soniche potevano avere qualche difficoltà a danneggiare un carro di ferro, e tirò un'altra freccia al carro di Ares. La ruota precedentemente danneggiata si spezzò e il carro di Ares slittò fuori dalla pista e si scontrò contro un larice (facendo scappare la driade che lo incarnava).
"Anche questo è K.O.", pensò Robert. Ebbe un piccolo slancio di entusiasmo, frenato subito al pensiero di dover danneggiare un carro di ferro con quelle frecce.
 

Hypnos e Iride erano fianco a fianco, con l'ultima biga leggermente in vantaggio.
Austin non aveva idee, forse avrebbe potuto speronare l'altro carro, però ci avrebbe rimesso anche lui.
Poteva solo sperare che una maledizione del carro di Ecate (verso il quale provava una certa antipatia) colpisse Iride con un suo incantesimo.
Si concentrò, e provò a far assonnare l'auriga della biga di Iride, ma non aveva imparato a padroneggiare bene quel potere, quindi non riusciva ancora a prolungare quell'abilità a distanza.
Una maledizione di Ecate mancò, fortunatamente, il carro di Hypnos, colpendo di striscio la ruota della biga di Iride, non le sortì particolari effetti, ma Hypnos ebbe il tempo di superarla.
 

"Questa non la scansi", pensò Nathan. "Teresa, dai ad Apollo il giocattolino migliore che hai!"
Tacita e zitta, Teresa obbedì. Prese una specie di fuoco d'artificio, diede fuoco alla miccia e quello partì dritto dritto verso il carro di Apollo (era incantato per sapere da solo dove andare). Al contatto con la biga, non fece un appariscente spettacolo di scintille, ma un'esplosione vera e propria. Le ruote destre del carro
di Apollo saltarono.
 

Austin vide, alquanto spaventato, la biga di Apollo saltare in aria.
La biga di Iride era rimasta K.O. per colpa di un altro incantesimo di Ecate, che ha sbriciolato le redini che ancoravano gli unicorni al carro, che una volta liberi sono partiti per la loro strada, lasciandola appiedata. I poteri di Ecate spaventavano Austin, non si spiegava il fatto che la loro biga fosse in ultima posizione.
Anche se la biga di Ecate era un avversario più pericoloso di quella di Dioniso, Austin decise di abbattere quest'ultima.
La biga di Dioniso era abbastanza abbordabile, o almeno così pensava Austin. I figli del dio del vino erano in grado di far crescere piante, e infatti, creando una specie di lancia "vegetale", l'attaccante di Dioniso iniziò ad attaccare la ruota posteriore del carro. La lancia di Dioniso mancò di poco la ruota della biga di Hypnos, ma l'attaccante non demorse, anzi, ne stava creando un'altra. Nemmeno questa la colpì, però la mira dell'attaccante non accennava a calare, anzi, ad ogni tentativo si avvicinava sempre di più al bersaglio. L'unica speranza di Austin era riuscire a prendere una di quelle lance e rilanciarle alla biga di Dioniso. Probabilmente ci avrebbe rimesso un dito, ma dato che era la sua unica occasione di togliere di mezzo quella seccatura alcolista, ci provò. Prese al volo un giavellotto, rischiando di cadere dal carro. Ora il problema era lanciarlo alla ruota dell'altra biga. Se avesse mancato, ne avrebbe dovuto prendere un altro, rischiando ulteriormente. Quindi, sperava di beccarla. Caricò bene il colpo, prendendo la mira, conscio che sarebbe stato difficile avere una seconda chance. Non ce ne fu bisogno, dato che la lancia beccò in pieno i raggi della ruota anteriore, mandandola in frantumi. Il carro di Dioniso iniziò a sbandare a destra e a sinistra, e a decelerare notevolmente.
 

"Wow, una carneficina di bighe, stavolta. Erano 20, siamo rimasti in quattro. Nike, Hypnos, Ecate e noi, Efesto.", pensò Nathan.
"E presto saranno tre."
Deviò accostando alla destra, avvicinandosi alla biga di Hypnos. Una volta tolta di mezzo quella, la via per Nike sarebbe stava libera. Con un cenno, disse a Teresa di attaccare. Nulla accadde.
"Ehi, là dietro, ci sei? Attacca!", sbraitò Nathan.
Si girò. Teresa si era accoccolata sul pavimento della biga. Stava... dormendo. Nathan maledisse in greco antico Hypnos fra sé e sé, e spronò i cavalli. Non gli restava altro da fare se non superare Nike. In risposta, anche la biga di Nike accelerò Finalmente, dopo tanta strada, si iniziava ad intravedere la linea del traguardo. Improvvisamente, anche lui stava iniziando ad intorpidirsi. Una bella situazione. Hypnos che stordisce ed addormenta i figli di Efesto, Ecate che bombarda Nike di maledizioni varie. Il traguardo ora era così vicino! Spronò i cavalli meccanici alla massima velocità. Nike in qualche modo risultava ancora più veloce di lui! ... Non ce la fece. Nike tagliò il traguardo per prima, fra il giubilo generale, confermando che erano "i figli della Vittoria". Efesto venne subito dopo, ma fu un argento amaro come il veleno. Hypnos terzo (cosa che fece molto felici i figli del dio del sonno), e Ecate quarta (ecco, se c'è una cosa che non è buona quando si parla dei figli di Ecate, è lasciarli con l'amaro in bocca, così poi ti trasformano in rospo per ripicca).
Sulla biga di Hypnos, Austin si addormentò fra le assi di legno per recuperare l'energia spesa con lo sforzo.

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Capitolo 4
*** Robert incontra il suo cugino divino ***


Mi svegliai, finalmente. Quanto tempo ero rimasta addormentata?
Mi resi conto, dall'aria che sapeva di medicinali anziché di rose e dalla calma assoluta che pervadeva l'ambiente, che non ero nella casa di Demetra.
Ero in infermeria. Fantastico.
Provai ad alzarmi. Non ci riuscii per il dolore atroce che mi si scatenò alla spalla.
"Non ti sforzare", mi disse una voce dolce e premurosa come quella di un vecchio nonno, "hai una brutta frattura scomposta alla scapola."
Improvvisamente mi tornò la memoria della brutta, brutta caduta che feci durante la gara di corsa delle bighe.
Mormorai una maledizione in greco antico nei confronti degli abitanti della casa numero cinque.
Girai la testa. Il letto alla mia sinistra era vuoto, così come tutti quelli nella corsia opposta. Ero sola, in infermeria? Girai la testa verso destra e mi resi conto di no.
C'era anche Robert, un letto più in là.
Era sveglio e non era particolarmente pieno di fasce, ma era zeppo di tagli e taglietti, abrasioni. Dedussi che aveva avuto anche lui una caduta dalla biga non particolarmente gradevole.
"Non preoccuparti, sto bene", disse Robert, notando che Anthea lo guardava, "dovresti preoccuparti di te stessa."
La voce dolce tornò a parlare. "Robert ha ragione, sei messa molto peggio di lui" Riuscii ad alzare dolorosamente la testa e vidi in faccia quell'uomo. Aveva i capelli brizzolati, barba curata, camice candido da dottore. Ok, era un dottore? No. Era Esculapio, il dio della medicina. Momentaneamente era lui, a gestirla, l’infermeria. Una grande fortuna, considerando che qua c'è sempre qualcuno che infilza "per errore" un avversario, o qualcuno che si scotta con la lava della parete d'arrampicata.
Esculapio assunse un'espressione pensosa. "Mh, quella frattura ci metterebbe come minimo un mese a guarire naturalmente... Meno male che possiamo darle una mano."
Mi si avvicinò. "Non vuoi restare un mese sul letto, vero?"
Mormorai "No".
"Capisco. Allora, lascia che ti dia una mano." Appoggiò la mano sulle mie spalle, cosa un po’ dolorosa poiché avevo una scapola fratturata.
Dopodiché avvertii una sensazione di benessere incredibile. Il dolore era passato del tutto. Provai a muovere il braccio. Non fece male. Provai ad alzare la schiena. Nessun dolore.
Ebbi solo la forza di dire "Wow", poi mi ridistesi sul letto.
Esculapio frugò in una valigetta.
Tornò con un po’ di quadretti di quella che sarebbe potuta sembrare cioccolata, se non fosse stata color dell'oro. Ambrosia, il cibo degli dei.
Me li offrì, e li portai alla bocca.
E' un peccato che i mortali non possano mangiare ambrosia e bere nettare senza ridursi in cenere, perché al mondo non esiste nulla di più buono.
Hanno il sapore di ciò che ti piace di più, ma mille volte più sublime. Direi che questa è la descrizione più appropriata. Per esempio, per me aveva un irresistibile sapore di fragole e panna.
"Sicuro di stare bene?", disse, con la sua voce profonda e gentile.
"Sì, grazie...", rispose Robert. Aveva gli occhi chiusi. Forse si voleva addormentare.
"Fammi lo stesso controllare."
Esculapio appoggiò una mano sul petto di Robert, all'altezza del cuore. Fece un'espressione sorridente.
"Sei sano. Però ho notato che hai il mio dono."
"Il... tuo dono?", chiese Robert dubbioso.
"Sì, il dono di Esculapio. Come me, puoi guarire le persone con il tuo solo tocco."
"Oh, wow."
"Prova. Guarisciti i tagli da solo."
Robert posò la sua mano destra sul dorso della sinistra, dove c'era un taglio. Chiuse gli occhi, si concentrò. Un'aura verde avvolse la mano. Quando la sollevò, il taglio non c'era più.
"Comodo.", commentò Robert. Poi, si stese sul letto e si addormentò.
Decisi di emularlo. Esculapio mi sorrise, dicendomi "Sogni d'oro".



“Arthur, che posto è questo?”, chiesi al satiro.
“Benvenuto al Campo Mezzosangue, Christian.”, mi rispose platealmente il vecchio satiro.
Era il posto più strano che avessi mai visto. Semidei in armatura si allenavano nella lotta; un centauro, un tizio dalle gote rosse e parecchie ninfe (non chiedetemi come capii che erano ninfe) stavano brindando alla grande di coca-cola attorno ad un falò; c’era gente che scalava pareti verticali di roccia che si scuotevano come in preda a terremoti e sprizzavano sbuffi di lava liquida.
Rimasi un attimo senza fiato. Per lo stupore, soprattutto, ma anche perché avevo un attimo i neuroni in sovraccarico dalle novità.
Il centauro mi vide arrivare e si alzò sul suo corpo equino. Camminò lentamente verso di me e disse: “Benvenuto. Questo è il Campo Mezzosangue, il rifugio dei semidei.”
“Oh, fantastico, fino a qua c’ero arrivato, che ero un semidio. Ma si può sapere figlio di chi?”
“Beh, quello si vedrà tra breve, tranquillo. Nel frattempo …”, disse adocchiando un semidio, “Nathan, ti dispiacerebbe accompagnarlo alla casa 11?”
“Ma perché sempre io? Quantomeno datemi un incarico ufficiale! Che ne so, “addetto al benvenuto matricole”!”
“Vai.”, mi incoraggiò Arthur con una pacca sulle spalle. Seguii docilmente Nathan (che sembrava chissà perché un po’ incazzato) verso un ammasso di costruzioni tutte diverse fra loro. Mi portò verso una casa piuttosto sgangherata, mal dipinta e quant’altro. “Casa dolce casa”, risposi con ironia fra me e me.
Deposi, in una stanza delle dimensioni di un sottoscala, le mie cose. Dopodiché, Nathan, sempre lievemente scocciato, mi fece cenno di seguirlo. Uscimmo dall’ammasso di case tutte diverse e arrivammo in un edificio con forge e magazzini d’armi, ovverosia l’armeria. A quanto pare, dovevo scegliermi un’arma.
“Lancia?”
“No …”
“Ascia?”
“No.”
“Mazza chiodata?”
“No!”
“E allora cosa cavolo vuoi?”, mi rispose stizzito.
“Non ce l’hai una spada, scusa?!”
“Ah, potevi dirlo subito!”
Frugò un po’ e prese una lama, lunga quasi 90 cm (alla faccia della spada!), di un metallo color verde acqua che scintillava in maniera quasi attrattiva anche solo con i rimasugli di luce solare che filtravano dalla finestra.
“Prendila.”
La presi in mano. Mi aspettavo che 90cm di lama pesassero un’accidenti, e che sarebbe stata un’impresa menare fendenti con un’arma simile. Invece, sembrava molto più leggera di quanto pensassi. Certo, avevo sempre bisogno di due mani per afferrarla, ma ce la facevo agevolmente.
“Non giocarci troppo, Chris.”, mi disse Nathan, vedendomi menare fendenti al vuoto.
“E’ così leggera e maneggevole …”, risposi ammirato.
“Bronzo celeste, un metallo divino. Leggerissimo, ferisce solo mostri e dei, ma non i mortali, quindi non rischi di ammazzare i passanti per sbaglio, disintegra i mostri con una ferita ben assestata, facile da forgiare, eccetera, eccetera, eccetera …”, disse con aria adorante.
“Ehi, Nathan, tu di chi sei figlio?”
Sorridendo, rispose: “Casa 9, Efesto, dio dei fabbri.”
Mentalmente, mi chiesi di chi fossi figlio.



Nathan mi fece tornare alla realtà con un cenno che mi invitava a seguirlo. Poggiando la spada sulla spalla gli chiesi: "Ehm, quando si mangia? Avrei anche fame!". Nathan si girò, stranamente calmo e rispose: "E’ appunto a pranzare che stiamo andando, se sua maestà ha un po’ di pazienza, magari!"
Sbuffai e lo seguii fino ad uno spiazzo con falò e diverse panche. Alcune panche erano gremite di persone, altre erano assolutamente vuote. Mi sedetti su una panca di quelle vuote.
"Ma sei scemo?", mi sgridò Nathan. "Quella è la panca di Era! Tu sei figlio di Era? No, Era non fa figli! Allora alzati!"
Mugugnando maledizioni in greco antico, Nathan mi condusse alla panca più gremita in assoluto, la numero undici, quella di Ermes, dove si stava tanto stretti che avevo mezzo sedere sulla panca e mezzo per aria.
Mentre lui si sedeva sulla panca numero 8, chiesi: "Ehm, sono figlio di Ermes?"
Nathan fece un'espressione esasperata, come per dire "ma chi me l'ha fatto fare?"
"No, semplicemente la panca di Ermes accoglie tutti quelli che non si sa ancora di chi siano figli. Chiaro, campione?"
"Sì, mr. Simpatia", gli risposi.
Chinai il capo verso il piatto ma non feci in tempo a mettere in bocca il primo boccone che Nathan mi blocco e riprendendomi disse: "Ma è possibile che ti devo dire tutto io?".
Sbuffai sonoramente e passandomi una mano in faccia gli dissi: "Che ho fatto ora? Respirato troppo ossigeno?"
"No, caro il mio clown, dovresti tipo alzare il deretano e sacrificare del cibo a tuo padre nel falò" mi rispose.
"Ok, ma io non so chi sia mio padre!" gli disse alterandomi.
"Pronto? Nathan chiama imbecille! E’ troppo difficile dire "A mio padre vada questo sacrificio?""
Imbarazzato per non averci pensato mi alzai lentamente dal mio posto e recandomi verso il falò sacrificai la prima cosa commestibile che mi capitò sotto mano – una coscia di pollo fritto – e dissi: "Chiunque sia mio padre, a lui vada questo sacrificio"; mi girai e aggiunsi a bassa voce "E magari si faccia sentire".
Mi accorsi di avere una fame pazzesca. Mi feci un panino a tre - quattro strati con formaggio emmenthal fresco, pomodoro appena tagliato eccetera eccetera, e condii il tutto con salsa greca allo yogurt. Dato che la panca era sovraffollata e stavo decisamente scomodo, decisi di alzarmi e mangiare in piedi.
Diedi un morso al panino. Era buonissimo, ma era decisamente troppo alto; uno schizzo di salsa allo yogurt partì e andò ... dritto dritto sulla maglietta di Nathan. "Ops", pensai.
Nathan mi guardò con occhi di bragia, ribaltò il vassoio pieno di cibo nel falò e si alzò con veemenza.
"Ehi, ma che cavolo guardi? Il culo delle ninfe? Mi hai rovinato la maglietta dei Metallica, pezzo di cretino!", mi disse, sempre più infuriato.
"Ehm, scusa ...", provai a difendermi io.
"Scusa un accidente!", disse, paonazzo dall'ira. "Presentati alle 15:00 al campo allenamento; ti sfido a duello!"
Capii subito di essermi cacciato in un guaio. Deglutii a vuoto, mi girai e guardai che tutte le panche chiacchieravano sommessamente; inutile chiedere l'argomento.



Controllai l'orologio. Erano le 15:00.
Nathan arrivò. "Scusa, sei arrivato in anticipo e ti ho fatto aspettare? Ci tengo sempre a spaccare il secondo!"
Sembravamo Davide e Golia. Beninteso, Nathan era Golia, io ero Davide. Ma dubitavo che Nathan sarebbe crollato con un sassolino scagliato in fronte.
Mi tremavano leggermente le ginocchia. Nathan impugnava un'immensa ascia bipenne con le lame di due metalli differenti. Con l'armatura, era un colosso più di quanto non lo fosse senza.
"Prometti di non uccidermi?", chiesi con un fil di voce.
"Uhm, fammi pensare... No. Nell'agenda di oggi non c'è scritto 'abbi pietà'."
Mentre Nathan, praticamente in bersek, mi caricava brandendo l'ascia, io deglutii di nuovo a vuoto e mi preparai a parare. "Se vinco, ricordatemi di sacrificare una coscia di pollo ciascuno ad ogni dio del Pantheon."
L'ascia di Nathan cozzò contro il piatto della mia spada, producendo scintille del colore dell'acciaio e del bronzo celeste. Comunque il colpo di Nathan mi fece retrocedere, era dannatamente forte! Ebbi come un fremito d'istinto e provai a colpire Nathan con la spada. Inutile, Nathan parò fulmineo. Mi resi conto che era una battaglia persa in partenza.
Nathan mi caricò a tutta velocità, e nel tentativo di parare, mi cadde la spada di mano. Ero anche disarmato, fantastico.
"Sei mio!!", urlò Nathan, e alzò l'ascia. La calò, diretta verso la mia testa. Per puro istinto - tutt'ora non me ne capacito - presi l'ascia e provai a bloccarla stringendola fra le mani.
Nathan però continuava a spingere sull'asta dell'ascia, e non avrei tenuto a lungo.
"Fantastico, sto per morire ucciso da un semidio metallaro.", pensai.
"Basta, Nathan!!", urlò una voce alle mie spalle.
"Non ti impicciare!"
Mi girai; era una ragazza incredibilmente bella. Figlia di Afrodite, dedussi all'istante. Quella tirò fuori dalle tasche un porta-ombretto. "Ma che cavolo fai? Non è l'ora del makeup!", le urlai. Quella prese due pennellini dal porta-ombretto. Prima che potessi parlare, diventarono due pugnali gemelli. Provò a pugnalare Nathan alla schiena; quello strappò l'ascia dalla mia presa e si parò con quella, fortunatamente senza mutilarmi le dita.
"Basta così." Un'altra voce, maschile, stavolta. Cos'è, una riunione dei miei salvatori? Beh, non che mi dispiaccia, ma quantomeno davanti, non alle spalle! Mi girai. Era Chirone, e aveva uno sguardo serio, intenso, penetrante e vagamente omicida, come un genitore mentre fa la ramanzina a un figlio che l'ha combinata veramente grossa.
"Nathan, saresti così gentile da smetterla? Non è una cosa carina, cercare di uccidere i nuovi arrivati."
"Perché, chi non è matricola si può allegramente sbudellare?"
La ragazza figlia di Afrodite rise.
Nathan diede a Chirone uno sguardo falsamente afflitto, proprio come i bambini che dicono scusa ma segretamente pensano di non star facendo nulla di male, e se ne andò.
Io ero seduto col sedere a terra. La ragazza mi si avvicinò.
"Piacere, mi chiamo Louise Westwood. E tu?", mi chiese, con un sorriso rassicurante.
“Christian, Christian Derflinger.”
“Va bene, Christian, nulla di rotto? Tagli, ferite?”
Stavo per dire “Nulla” quando appoggiai le mani al terreno e mi accorsi che così non era; avevo le mani zeppe di dolorosi tagli.
“Oh, capito.”, disse lei. “Vieni, ti porto in infermeria.”



Entrammo nell’infermeria. Come al solito, l’aria puzzava di medicine ed erbe, i letti erano candidi ed Esculapio badava ai pazienti; o per meglio dire, alla paziente. Ce n’era una sola, con un braccio fasciato all’altezza dell’ascella.
“Oh, salve.”, mi salutò il dio dei medici con la sua voce affabile e affettuosa. “A cosa devo la visita? Immagino che non siate qua per cortesia.”
“Immagini bene, Esculapio”, gli dissi. “Questo qua si è tagliato le mani in uno scontro.”
“Sempre a scontravi, voi semidei … Vabbé, vediamo cosa possiamo fare per te.”
Prese una valigetta e vi frugò dentro. Prese una bottiglietta con un fluido verde torbido e un’altra con un denso fluido di colore dorato che assomigliava vagamente a tè caldo con il miele, più un fagottino.
“Immergiti le mani in questa”, disse, indicando la bottiglia verde, “E’ infuso di erba panacea diluito al 6%. Normalmente l’erba panacea cura qualsiasi cosa, morte inclusa, se usata in foglie, e comunque Zeus ne ha proibito quest’uso, ma ho voluto comunque aggiungere un po’ di nettare ed ambrosia”, disse, indicando prima la bottiglietta col liquido simile a tè e poi il fagottino.



Andai nella casa di Ermes e mi feci dare qualcosa per immergere le mani nell’infuso; mi diedero una fondina per torte, e sinceramente non volevo chiedermi da dove venisse. Misi il liquido nella fondina, e vi immersi le mani. All’instante, sentii una sensazione di scioglimento, come se le mie mani fossero fatte di cera e le avessi appena messe dentro il falò del pranzo. Poi, questa strana sensazione passò, e lasciò spazio ad una sensazione di benessere e relax come quando entri nella vasca da bagno con l’acqua calda al punto giusto.
Tolsi le mani dall’acqua: erano perfettamente guarite. Nessuna cicatrice, erano addirittura lisce come se avessi usato una crema di bellezza.
Presi la bottiglia con il liquido dorato e versai il suo contenuto in un bicchiere; ce n’era poca, quindi il bicchiere non fu pieno nemmeno a metà. Mi preparai al saporaccio delle medicine, dolciastro, con un retrogusto amaro come la fiele. Invece, la mia bocca fu inondata da un sublime sapore di … coca cola ghiacciata. Quando staccai le labbra dal bicchiere, sorpreso, mi sentivo rinvigorito. “Nettare”, pensai, “il cibo degli déi. Nessuna sorpresa che gli piaccia tanto.”
Adocchiai il fagottino. Dentro, c’era una specie di pezzetto di cioccolata. Sembrava incartata con uno strato ben messo di carta dorata come le uova di pasqua. Provai a scartarla, e mi resi conto che non era un involucro, era davvero dorata. Pensai che era ambrosia, e preparandomi a un sapore sublime, la misi in bocca, e non fui deluso. Il sapore della pizza margherita più saporita di sempre si abbatté sulle mie papille gustative come uno tsunami si abbatte su una costa. Ero in estasi.



“Chirone, c’è una cosa che vorrei chiederti.”, dissi.
“Dimmi pure, Robert.”
“Nostra madre..”
“Cosa c’è? La vuoi sentire? Sei preoccupato per lei?”
“Sì, la vorrei sentire. Sì può?”
“Certo.”, rispose calmo Chirone.
“Grandioso!”, disse Austin.
“E come?”, chiesi io.
“Mai sentito parlare di iPhone?”
“iPhone? Non sono dei cellulari di ultima generazione?”
“Oh, in questo caso la “i” sta per “Iride”, non per “intelligent”. Iride, la dea messaggera dell’olimpo, dea dell’arcobaleno.
Tirò fuori dal taschino della maglietta un coso che effettivamente assomigliava parecchio ad un cellulare, più una grossa moneta d’oro. Armeggiò coi tasti del cellulare. Quella che sembrava la fotocamera si aprì e spruzzò acqua. Poi, una luce al led si accese, e nella nuvoletta d’acqua nebulizzata si creò un piccolo alone d’arcobaleno.
“Iride, dea dell’arcobaleno, accetta la mia offerta. Mostrami Dioniso, al Campo Mezzosangue.”, disse Chirone, e buttò la moneta d’oro nella nuvoletta arcobaleno. Quella scomparve nel nulla. Nell’arcobaleno comparve il volto di Dioniso, completo di gote rosse e lattina di coca-cola.
“Oh, sei tu, Chirone? Cosa vuoi? Perché mi stai chiamando via iPhone? Disterò si e no cento metri …”
“Niente di che, signor D. Dovevo solo far vedere a dei nuovi arrivati come si fa.”
“Bah!”, disse Dioniso. Chirone sventolò una mano, e la nuvola arcobaleno si dissolse nell’aria.
“Beh, adesso sapete come si fa.”, ci disse con un sorriso. “Tenete, due dracme d’oro”, ci disse, tendendoci due monete uguali a quella usata prima.
“E per gli iPhone?”, chiesi.
“Fatevi dare un prisma da quelli della casa numero 14.”, ci rispose.



Dopo esserci fatti dare due prismi dai figli di Iride – che gentilmente ce li regalarono – andammo ognuno alla propria stanza. Io, alla casa di Hypnos, Robert alla casa di Apollo.
Chiusi la porta della stanza, presi il prisma e lo misi accanto ad una fessura della finestra dalla quale filtrava la luce del giorno. Come previsto, la luce si scisse in un arcobaleno.
Dissi “Iride, dea dell’arcobaleno, accetta il mio sacrificio. Mostrami Samantha Neword, a New York.”
Mia madre stava cucinando. Dall’arcobaleno, la vedevo di spalle. Dissi “Mamma!”, e lei si voltò.
“Austin! Cielo, dove sei?”
“Sono qui, mamma!”
Finalmente notò l’arcobaleno che incorniciava la mia immagine.
“Santo cielo, come …?”
“Chiamata-Iride, mamma. Lascia perdere.”
“Iride?...”, la sua espressione si scurì. “Hai scoperto tutto, vero?”
“Sì. Allora tu sapevi tutto. Sapevi chi era mio padre. Fammi capire, pensavi di tenermelo nascosto per sempre?”
Mia madre sembrava terrorizzata. “Tu non mi capisci! Non hai idea che dolore sia avere un figlio e sapere che potrebbe morire da un momento all’altro, essere vittima dei peggiori abomini del mondo, costretto a lottare per sopravvivere! Accanto a me tu eri al sicuro!”
Improvvisamente, mi sentii un fuoco dentro, come se in fondo al mio cuore ci fosse stata un’esplosione. Rabbia, allo stato puro. “Se non l’hai capito i mostri mi avrebbero trovato comunque! E saresti potuta finirci di mezzo tu!”
“Ma io ti avrei anche … difeso …”, disse lei. Stava per scoppiare a piangere, aveva la voce rotta. Ma onestamente, a me non importava molto.
“Sei una mortale!!”, urlai. “Lo vuoi capire? Non sei capace di difendermi! Ed è meglio se … è meglio se mi stai lontana!!”
“No!!”, urlò lei. “Non voglio!”
“Mi dispiace.”, dissi. Stavo iniziando a piangere anch’io. “Non voglio che ti venga fatto del male.”
Tolsi il prisma dalla finestra. L’immagine di mia madre scomparve. Mi gettai sul letto e iniziai a piangere in silenzio.



Voi non avete mai incontrato mia madre, vero?
Beh, allora vi comunico che la signora Claire Shane è un piccolo miracolo di bontà umana. E una piccola catastrofe di sbadataggine, ma sono dettagli.
Illuminai con una torcia il prisma, e la luce della torcia venne scissa in un arcobaleno.
L'immagine di mia madre mi comparve davanti, completa di lunghi capelli color paglia, mani dalle dita lunghe come solo quelle di una pianista possono essere, e il suo volto che sembrava di porcellana fine.
Notò subito, senza che parlassi, cosa stava succedendo.
Cacciò un urletto, poi vide che ero io e si ricompose.
Mi salutò con una mano. Sembrava contentissima, ma non il genere di contentezza di qualcuno che ha appena ricevuto un regalo, era più orgoglio, ecco. Era contenta, ma sembrava che avesse gli occhi che navigavano in un pesante strato di lacrime che li facevano luccicare. "Ciao, Robert."
“Ciao, mamma.”
Anche io mi stavo sciogliendo come burro al sole. E’ sempre una cosa bella, rivedere propria madre, o qualunque altro parente che adori, dopo tempo.
“Come …?”, iniziò a chiedere.
“Iride, la dea messaggera dell’Olimpo, dea dell’arcobaleno. Figo, no?”
"Altro che cellulari", ridacchiò lei.
"Già" dissi io, sfoderando un sorriso. Era la prima volta che mi sentivo così da quando ero arrivato al campo. Le spiegai la situazione, che ero al campo e stavo bene, un po' ammaccato dopo la corsa, ma vivo e vegeto. Non le disse che avevo armi, probabilmente l'avrebbe presa molto male, visto che lei è sempre stata contraria alla violenza. Cosa vi aspettavate, lacrimoni in diretta, tragedie genitoriali? Beh, rimarrete delusi, perché la chiamata si risolse in un “Sto bene” “Sto bene anch’io”. Meno male.



Angolo dello scrittore:
Oh, wow! Non avrei mai pensato di avere un angolo dello scrittore. Innanzitutto, devo dire che questo capitolo ha subito ritardi perché aspettavo delle altre recensioni, che non sono arrivate. Ora, andiamo avanti con la storia, così se non altro avrete qualche altro stimolo!

Ringrazio tantissimo Madama Pigna, che ha commentato, ed Ailea Elisewin e Electre_the_Demigod che hanno aggiunto questa storia ai loro preferiti.

Il quinto capitolo arriverà domani. (E' già scritto, così come anche il sesto e praticamente il settimo, solo che non voglio andare troppo veloce. Sì, sono strano.)

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Capitolo 5
*** Christian impara a surgelare i semidei ***


Alle undici, mi decisi a uscire dalla casa numero dodici. Uhhh, che dolore alla testa. Ieri sera ho decisamente esagerato. Ero sull'uscio e le case stavano danzando e fondendosi davanti ai miei occhi. Wow, una sbronza epocale. Rischiando di vomitare succhi gastrici ad ogni passo e barcollando un po’, andai verso il falò. Spento, mi ero logicamente persa la colazione, grazie al Caspio, alle undici.
Mio padre si stava facendo imboccare di frutta da dei satiri. Fragole, pesche, albicocche, un po’ tutto tranne l'uva, anch'essa proibitagli.
"Salve padre", lo salutai, massaggiandomi le tempie.
"Ciao, Airyn! Non mi dire, un'altra sbronza.", disse, facendomi una TAC completa con gli occhi.
"Indovinato."
"Ah, dannazione. Vorrei poter bere io. Non posso io e possono i miei figli! Dannazione, che ingiustizia!"
"Ehm, padre..."
"Sì, sì, mai giudicare le decisioni del padre Zeus, bla, bla, bla. Bah!!"
"Non è che mi faresti... passare 'stò cerchio alla testa?"
"E a che pro, se fra mezz'ora ti sarai già scolata abbastanza vino da ubriacare cinque mortali?"
"Uffa..."
"Niente uffa, Airyn. Dovresti andare ai campi, a cercare di far crescere le fragole."
Reprimendo un conato, borbottai un incerto "Sì, padre" e mi recai mogia mogia verso i campi di fragole.

Ai campi, i miei fratelli e sorelle e quelli della casa 4 stavano cercando di velocizzare la crescita delle fragole e di raccoglierle in fretta quanto crescevano. Sì, fatichiamo a tenere il passo, ma non produciamo tantissime fragole perché i nostri campi sono piccoli.
Mi recai in un lotto di terreno dove un figlio di Demetra piantava i semi delle fragole, poi li faceva crescere e una sua sorella raccoglieva i frutti a falciate.
"Cavolo, Anthea! Dovresti raccogliere le fragole in maniera più ortodossa!"
"Conosci una maniera più ortodossa della falce ed altrettanto veloce? Se sì, fammi uno squillo."
"Vai all'Ade.", borbottò quello.
Mi avvicinai.
"Oh, salve! Tu devi essere della casa 12..."
"Da cosa lo deduci, dal fiato a 20° di gradazione alcolica o dall'andatura?"
"Eddai, una volta in vita tua non essere così scortese!"
"Ah, sì, sennò cosa mi fai?"
"Ti infilo la lama della falce in posti che non posso nominare, che domande!"
"Ehm, perché non la piantate di litigare?", dissi io, dopo una breve guerriglia contro il mio stomaco.
"Oh, sì, mi sembra giusto.", disse il ragazzo, e gettò un'occhiataccia ad Anthea.
"Posso darvi una mano?", chiesi.
"Sì", rispose Anthea, "potresti raccogliere le fragole."
"Raccoglierle? E come? Io le so far crescere, mica sono abituata a raccoglierle...", risposi io.
"Con la falce?", mi offrì Anthea, porgendomi la sua arma.
"Eh, no, a mani nude!", rispose il ragazzo.
"Falce!" "Mani!" "Falce!!" "Mani!!" "Falce!!!" "Mani!!!" "BASTA!!!", sbottai io.
Mi guardarono storto. Erre as korakas, Demeter. ("Vai ai corvi, Demetra", e per chi se lo stesse chiedendo, è un insulto pesante.)
"Sentite, secondo me dovremmo fare così. Le fragole le facciamo crescere io e te,", dissi, indicando il ragazzo, "mentre una volta cresciute le raccogliete entrambi, Anthea con la falce, tu con le mani, possibilmente senza mutilarlo, Anthea."

Il lavoro, almeno inizialmente, sembrava procedere abbastanza bene, qualche volta Anthea e l'altro ragazzo si stuzzicavano, ma non degenerò nulla. Almeno non troppo. E durante un ciclo di raccolta e l’altro, bevevo dalla mia personale fiaschetta. Basta chiederle un vino, e lei si riempie di quel vino. E te ne può dare quanto vuoi. Solo vino, però, non birra né altri alcolici, a me piace solo il vino. Un regalo di papà.
Il lavoro di raccolto era noioso e faticoso. Poi, per me che ero continuamente in preda a sbronze, risultava anche peggiore di mattina. Ma vabbè.



“Ehi, ti va di allenarti con me?”, mi chiese una voce alle mie spalle.
“Uh? E tu chi sei?”, chiesi, voltandomi. Era un ragazzo con capelli scuri scarmigliati come se si fosse appena svegliato, e una volta svegliato avesse messo le dita in una presa, più un paio di occhi gelidi come scaglie di ghiaccio.
Sorridendomi, il ragazzo rispose. “Christian Derflinger, sono nuovo di qua.”
“Uhm, capito. Vorresti allenarti, quindi?”
“Esatto.”
“Però c’è un problema, io come arma uso un arco.”
“Ahio, mi sa che non puoi aiutarmi, allora. Sei figlio di Apollo, giusto?”
“Sì, tu?”
“Oh, io … Sono ancora … Indeterminato, capisci.”
“Casa undici, eh?”, e sorrisi.
“Già.”
“Ad ogni modo … Credo di conoscere chi ti può aiutare.”
“Chi?”

Lo portai verso la casa numero 15. Solo starle vicino era narcotico, dannazione!
Entrai, di soppiatto. L’atmosfera era piena di odore pesantissimo di papaveri, e tutto taceva tranne qualcuno che russava e qualche piccolo insonne. Lo sport preferito nella casa di Hypnos è dormire, anche se esistono le eccezioni, come Austin. E una volta trovata la sua branda (che sembrava comoda da morire), difatti, lo trovammo sveglio che cercava di risolvere i cruciverba in greco antico della Settimana Mistica.
“Antico nome di Candia, primo alleato commerciale di Atlantide … Uhm, Herakleion …”
“Ehm, Austin?”, dissi, e mi palesai agli occhi del mio amico.
“Oh, ciao, Robert. E questo chi è?”
“Christian Derflinger. Chiamami Chris.”, rispose lui.
“Vorrebbe qualcuno per allenarsi a combattere con la spada.”
“Oh, capisco, l’ha chiesto a te e hai pensato a me.”
“Ehm, già.”
“Io uso una lama di stocco, Chris. Per te va bene?”
“Mh, suppongo di sì.”

Ok, dopo qualche futile giro di parole, andammo tutti e tre al campo d’allenamento. Austin prese delle armature per sé e per Christian (che sembrava stesse scoppiando di caldo, sotto tutto quel metallo), e io mi sedetti sulla gradinata stile teatro greco.
“Sei pronto? Cominciamo?”, chiese Christian ad Austin. Si, Christian ad Austin, non viceversa. Strano, vero? No, semplicemente Chris era ansioso, no, ansiosissimo.
Iniziarono ad allenarsi.



“Anf! Anf! Anf! Non te la cavi male, per essere un nuovo arrivato!”
“Nemmeno tu!”, rispose Chris.
Si tolsero le corazze e poi Chris anche la maglietta, doveva sentire davvero un caldo boia. In fondo era giugno. Si asciugarono la fronte e un po’ tutte le zone sudate con degli asciugamani, dopodiché si sedettero sulla gradinata per un po’ di relax.
Chiacchierando, mi misi una mano sul mento e notai di avere.. la barba. Oh, wow, me la devo fare di nuovo? Christian lo notò.
“Ehi, stai pensando di raderti?”
“Eh, già. Ho una bella barbetta.”
“Secondo me sarebbe una buona cosa farsi fare una barba sagomata,nel tuo caso. Ce l’hai bionda, ti starebbe benissimo.”
“Se lo dici tu.”, risposi io poco certo.



‘Ok, lucidalabbra messo, capelli piastrati, fondotinta messo, manca l’ombretto e l’eye-liner’, riflettei.
La mia seduta di bellezza fu interrotta da un “toc toc”, evidentemente qualcuno stava bussando. Non senza incazzarmi un pelino, andai ad aprire la porta.
“Chi scoccia?”, dissi con l’aria di una vipera pronta a mordere.
Ok, me ne pentii subito dopo. Era Christian. Con un amico. Uno più bono dell’altro, ma sono dettagli!
“Oh … Salve Chris. Chi è questo? Un tuo amico?”
“Sì, Louise. Si chiama Robert, è della casa sette. Vorrebbe qualcuno per fargli la barba, e ho pensato che una figlia di Afrodite non può fare a meno di sapere come occuparsene …”
Mi sentii un po’ lusingata. Forse era questo che voleva, ma lo lasciai fare.
“Oh, va bene, entra.”
“Grazie”, disse Robert, e si accomodò.
Chiusi la porta.
“Ma sei sicuro di volere solo la barba? Non vuoi anche shampoo e capelli?”, dissi. Cioè, non lo dissi in maniera normale. Usai lo “charmspeak”, che è una capacità di noi figli di Afrodite. Possiamo incantare le persone solo con le parole, e una volta incantate farebbero qualsiasi cosa gli chiedi, dal passarti il sale al prestarti la macchina. Comodo!
“Mh, certo. Come vuoi”, rispose Robert un po’ spiritato. Perfetto, il mio charmspeak funziona bene come sempre.
Gli feci lo shampoo, poi gli tagliai un po’ i capelli e li acconciai e cerai con la cera per capelli. Dopodiché presi un rasoio e gli rasai la barba con cura, lasciando un pizzetto biondo sul mento. Smack, al bacio.
Ruppi lo charmspeak (sennò si sarebbe trovato bellissimo anche con un facocero sulla testa) e gli porsi uno specchio. “Guardati.”
Lui si rimirò allo specchio. Sembrava entusiasta.
“Non ti dispiace se quando ho bisogno torno da te, vero?”
“No, certo che no.”, risposi io.



Quello che avete letto sopra è tratto dalle due settimane precedenti al giorno in cui Chirone annunciò un altro particolare evento sportivo: la gara di caccia alla bandiera. La notizia aveva parecchio scosso l'intero campo, in positivo, intendo. Avete mai visto qualcosa tipo 200 semidei euforici? Credetemi, bastano a replicare l'effetto di uno stadio da concerto, con alcuni interessi distruttivi da parte delle case più turbolente. Questa volta volevo vincere, ero disposto a tutto pur di farlo, non come la figuraccia di due settimane fa.
L'aria al campo mezzosangue fremeva d'eccitazione. Il tempo volò, e dopo una cena tesa come corde di violino, fu (finalmente!) giunta l'ora.



Chirone si pose al limitare della foresta, e l'intero campo, armato di tutto punto, si radunò attorno a lui.
"Semidei!", la voce di Chirone tonò nei dintorni sopra il brusio eccitato che pervadeva l'ambiente.
"Le regole della Caccia alla Bandiera sono semplici! Si affronteranno due squadre, la blu e la rossa! Indos-sate gli elmi a seconda degli accordi presi!"
I figli di Ares, Apollo, Efesto, Dioniso, Hypnos, Nike e Tyke indossarono un elmo dal pennacchio blu elet-trico.
I figli di Ebe, Nemesi, Ecate, Atena, Demetra, Ermes e Afrodite invece indossarono un elmo con un pennac-chio rosso vivo.
Chirone dovette urlare per farsi sentire sopra il brusio degno di un alveare.
"Ogni squadra ha una bandiera, e può posizionare un massimo di due semidei a difesa della bandiera! Gi altri devono difenderla da distanza ostacolando chi si avvicina all'area della bandiera. Le due squadre cer-cheranno di prendere la bandiera dell'altra, e chi ci riuscirà vincerà la gara! Ricordiamo che tutti gli ogget-ti magici e i poteri sono consentiti. Chi ferirà verrà punito severamente, e per severamente intendo che non riceverà il dessert per un'intera settimana!"
All'orecchio di Louise, sussurrai: "La coca-cola non conta come dessert, vero?"



La caccia era iniziata, e io, come al solito, non sapevo assolutamente cosa fare. Ero un attaccante della squadra rossa, probabilmente l'ultimo ruolo adatto a me.
Camminando per il bosco del campo, incontrai una bellissima ragazza, con occhi verde smeraldo, capelli lunghi, biondi, setosi e piastrati, dal fisico perfetto, un volto fantastico e un cu...Ehm, posteriore magnifico. Era una figlia di Afrodite, e purtroppo, era una nemica. Per istinto tirai fuori lo stocco, pronto ad un probabile combattimento. Ma soprattutto, quello che dovevo temere era lo charmspeak, che rendeva i figli di Afrodite tanto belli quanto letali. Lei mi guardava con un sorrisetto di sfida, i suoi bellissimi occhi erano fissi su di me. Io invece la guardavo con aria indifferente, o almeno è quello che diedi a vedere, visto che, in realtà, ero quasi del tutto ammaliato dal suo incantevole corpo. "Austin, no, non farti ammaliare, no!" mi ripetevo nei miei pensieri. L'unica cosa che potevo fare era addormentarla prima che lei mi incantasse col suo charmspeak, ma dovevo coglierla di sorpresa e, soprattutto, non dovevo ascoltarla.
Si avventò su di me con mosse e salti mortali degne di una ginnasta, e io, confuso, feci appena in tempo a parare un calcio diretto allo stomaco. Io cercai di prenderla in contropiede colpendola con un calcio, ma lei si abbassò e sfoderò in un attimo due pugnali, coi quali quasi mi colpì. A quanto pare avrebbe rinunciato al dessert pur di vincere. "Tu... devi... dormire...", pensavo, nel tentativo di ipnotizzarla. Lei, nel frattempo, si massaggiò la gamba borbottando qualcosa di tremendamente simile a un "vaffantartaro" e mi caricò coi pugnali. "Perché non posi la spada e ti fai colpire, caro? Lo faresti, per me?", disse una voce suadente come il suono di una cascata di miele, che usciva... dalla sua bocca, la sua bocca così rosea, così bella, così desiderabile. Abbassai la guardia con il cervello ridotto in pappa. Poi riuscii a riguadagnare l'autocontrollo e parai giusto in tempo per parare. "Ma perché ...", continuò la voce suadente, "non ti fai colpire? Prometto che se lo fai ti do ... un bacio.”
Feci cadere l'arma a terra, le ginocchia mi si sciolsero e caddi in ginocchio sulla nuda terra, sbattendo le ginocchiere al terreno. Mi sentivo inerme. Lei afferrò saldamente i pugnali e urlò un "SEI MIO!", che mi fece gelare il sangue nelle vene. Riuscii a riprendermi dallo charmspeak a causa di questa frase non più così suadente e intercettai il suo colpo. Le toccai la fronte, e chiuse gli occhi. Peccato che, non appena toccò terra con tutto il corpo, si svegliò di soprassalto.
"Questo sarà uno scontro bellissimo.", pensai.



"Grazie!", dissi ad Anthea.
"Figurati, se non ci si aiuta tra compagni!", mi rispose lei con un sorriso onesto.
Ringraziai Demetra per aver procreato quella ragazza, che mi aveva appena salvato dall'ultimo avversario prima della bandiera.
Dopo ore di schermaglie, sgattaiolamenti nelle linee nemiche e altro, eravamo finalmente giunti alla bandiera blu.
Fermai Anthea con un braccio, per pianificare qualcosa, ma sia lei che il nostro alleato, un figlio di Ermes che avevo intravisto qualche volta gironzolare per la casa, si svelarono al nemico.
"Ma che fate?", sussurrai da dietro l'albero
"Un vero guerriero non usa queste tattiche, né si nasconde, quando arriva la battaglia finale: cerca la gloria!", mi rispose il nostro alleato figlio di Ermes ,con aria fiera, "E ora esci fuori da lì!"
"Su forza, piccolo fifone! Esci fuori da lì!", disse una voce familiare ma allo stesso tempo inquie-tante. Era Nathan!
"Accidenti", dissi, uscendo dal mio nascondiglio, "Devo presumere che chi non muore si rivede!"
"Beh,allora credo che io e te non ci rivedremo più!", disse Nathan. Deglutii per la paura
"E' un tuo amico, Nathan?", chiese una ragazza dalla pelle abbronzata e lineamenti che potevano essere di un solo posto al mondo: le isole Hawaii.
"Ma quando mai, Ailani! Non hai sentito che voglio spaccargli le ossa?"
"Evita, già solo per ferirli stiamo rinunciando al dessert. Non voglio saltare tutti i pasti, grazie."
Il nostro alleato della casa 11 sfoderò una daga dalla cintura e gridando "Per Ermes!", caricò la ragazza.
Quella si limitò a schivare e poi dare un calcio ben assestato all'altezza dei reni di quel povero ragazzo.
"Non l'ho mai provato di persona, ma deve fare male. Non è vero?", chiese Ailani al ragazzo di Ermes con un sorrisino sarcastico.
Anthea mi comunicò con labiale di caricare Nathan. Modalità kamikaze, on! Schizzammo verso il figlio di Efesto brandendo la falce e la spada sguainate e pronte all'uso.
Provai a colpirlo al fianco destro mentre Anthea provò a colpirlo alle gambe, ma Nathan li schivò en-trambi con destrezza sorprendente retrocedendo. Nathan oscillò il piatto della scure verso di noi, ma, for-tunatamente, il colpo andò a vuoto.
Anthea continuò il suo assalto, iniziando ad attaccarlo con dei veloci colpi della sua falce, mentre io andai alla carica solo dopo, dandole manforte.
Nel frattempo, Ailani stava picchiando a suon di calci e ginocchiate il figlio di Ermes, che nonostante fosse armato stava avendo la peggio. Tuttavia, mentre lei l'aveva buttato a terra ed era intenzionata a prenderlo a calci lì dov'era, lui col pugnale le ferì la gamba. Sapete che dolore crea una ferita? Molto, immaginate be-ne. E sapete quanto si incazzò Ailani? Molto, esatto.
"Questo... Non l'avresti... Mai... Dovuto... Fare...", scandì Ailani con un'aria che sembrava quantomeno inviperita.
Si tolse dal braccio un polsino color rosso sangue con una grande A ricamata e quello si trasformò in una sorta di mazza, anzi, un claymore. E non un claymore qualsiasi. Sembrava incandescente, emanava calore chiaramente percepibile, ed era circondato da un leggero alone fiammeggiante. Iiiih, avrei volentieri fatto a meno d'essere picchiato con un'arma simile.
"Se sei fortunato Esculapio ti saprà guarire senza neanche lasciarti i segni.", disse, dopodiché calò la pe-sante arma sulle sue gambe. Credetti di sentire un disgustoso "crick!", inequivocabile segno che gli si era rotto un osso.
"Sotto a chi tocca.", disse lei, sorrise carica di sfida e pronta allo scontro, ed impugnò saldamente il cla-ymore ardente.



Il combattimento procedeva, e io mi stavo stancando sia di lei che fisicamente. Fortunatamente, lei era nella mia stessa condizione, aveva la fronte sudata e il fiato corto proprio come me. "Perché non ti arrendi!?" disse lei furiosamente, correndo verso di me con uno dei coltelli pronto a colpire il mio stomaco. Mi mossi di lato appena in tempo, ma il suo assalto non era finito, e continuò sferrandomi un veloce calcio diretto al mento, ma fortunatamente riuscii a deviare il colpo con il manico dello stocco, ma in ogni caso non riuscivo a contrattaccare, perché ora la semidea, invece di concentrarsi sullo Charmspeak, si concentrava sullo scontro diretto, attaccandomi senza riserve.
"Non posso continuare a parare e schivare, devo fare in modo di riuscire ad addormentarla" mi dissi tra me e me. Azzardai un affondo con lo stocco, che lei schivò abilmente con una ruota a sinistra. Non dovevo darle, tempo, anzi, dovevo mantenere una certa pressione su di lei, così continuai con una serie di tagli, affondi e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente lei schivò tutto, come previsto. Ma non ebbe il tempo di contrattaccare, anzi, non ce la faceva più nemmeno a fare quelle maledettissime acrobazie che stavo iniziando ad odiare. Finalmente avevo abbastanza tempo, mi concentrai, questa volta più forte del normale, e riuscii ad addormentarla, finalmente. Un po' ci rimasi male, ma finalmente potevo rilassarmi un po'.



Tok! Tok! Tok!
E un altro semidio era stato appena bloccato ad un albero per le maniche con delle frecce mirate al millime-tro. Mi feci largo fra fronte, frasche, cespugli, rampicanti e robaccia varia. Arrivai ad una radura. Oltre la radura, senza gli alberi a bloccarmi la vista, vidi una collinetta sulla quale svettava... un drappo rosso.
"Tombola"
Lo ammetto, ero eccitato come poche volte in vita mia. Camminai per la foresta in direzione della monta-gna. Un mezzosangue mi tese un agguato dietro un albero brandendo una mazza chiodata. Prima che me la schiantasse sulla testa, gli diedi una ginocchiata all'inguine e lui si accasciò a terra in preda a dolori lan-cinanti. "Poco ortodosso, ma efficace!", pensai.
Arrivai al monte, che era circondato di persone svenute.. Inquietante. Ma non c'era nessuno in piedi. Mi avvicinai alla bandiera... E prima che potessi prenderla, una ragazza si alzò da terra. Capii che era un bluff, si era confusa con le sue vittime per trarre in inganno.
"Sei la guardia, eh?", le chiesi.
"Complimenti, l'hai capito quasi subito. C'è gente che è scappata credendomi un morto vivente."
"Divertente.", dissi, e senza esitare presi l'arco e incoccai una freccia.
Avvenne tutto come al rallentatore.
La freccia che sibila e scatta...
La ragazza che si sfila un anello...
L'anello che diventa uno scudo...
La freccia che si scontra contro lo scudo...
La freccia che si riduce in polvere!!!
"Ma che cos-", non feci tempo a chiedere che mi rispose.
"Carino, vero? Questo scudo ha una maledizione. Di quelle pesanti. Tutto ciò che lo tocca, di inorganico, si riduce in polvere. E tutto ciò di organico che tocca, lo scortica!"
"Bel souvenir", le dissi, e l'attimo dopo mirai con precisione millimetrica alla mano con la quale non reg-geva lo scudo. La volevo ferire, ma avrei evitato ferite mortali alla testa.
Però lei alzò rapidissimamente lo scudo e intercettò la freccia a mezz'aria. Anche questa si ridusse in nient'altro che polvere.
"Non l'hai capito? Non puoi vincere.", disse lei, rivolgendomi un sorriso euforico e un po’ sadico, tipico di chi sa di avere una vittoria schiacciante in pugno.
Mi rimanevano cinque frecce. Rivolsi una preghiera silenziosa nei riguardi della dea Tyke.



"Tyke, tu mi odi!", pensai dentro di me mentre schivavo una calda vampata di calore. Accidenti, quella Ailani era totalmente trasfigurata da quando il mio compagno di squadra l'aveva ferita. Ora sia lui che Anthea erano occupati a trattenerla,mentre io dovevo occuparmi da solo di Na-than, e come affrontare questa impresa senza una bella aggiunta di fiammate random che ri-schiavano di colpirmi da un momento all'altro?
"Sudi freddo, eh pivellino?", disse Nathan, che da quando Ailani si era infuriata stava pigramente rispondendo ai miei colpi per prendermi in giro.
"Non sudo certo per te!", dissi ... mossa sbagliata! Nathan assunse un cipiglio furioso, e mi carico con la sua ascia, facendomi volare via la spada.
"Oh, cavolo! Anthea!", urlai in preda al panico, ma era troppo impegnata a evitare di essere car-bonizzata.
"Fine dei giochi, amico! Non verrà nessuno a salvarti stavolta!", concluse Nathan, e calò su di me la sua possente ascia.
"Questa scena mi è troppo familiare!", pensai, bloccando ancora Nathan,ma stavolta per le brac-cia.
"Ah, credi di potermi fermare così! Guardati, sudi come un matto, non resisterai a lungo!"
Aveva ragione. Chiusi gli occhi. Il caldo non era mai stato troppo un problema per me, nemmeno in estate. Non in Canada,dove ero nato. E ora ero lì,con una gigantesca arma in fiamme che ri-scaldava l'ambiente e stava per arrostire i miei compagni. Mi rivennero in mente i ricordi della mia infanzia. Il vento fresco del Canada. Lo scroscio delle cascate del Niagara. Le foreste ventilate.
Il vento freddo ...
"NATHAN! COSA TI SUCCEDE?", urlò all'improvviso Ailani.
Riaprii gli occhi.
Nathan era sbigottito,e inizialmente non capii perché. Poi sentii una frescura vicino alle mie ma-ni,e mi volsi a guardarle. Le vidi, ma non mi sorpresero loro, quanto piuttosto lo strato di ghiaccio che aveva ricoperto gli avambracci di Nathan, immobilizzandoli.
Non so perché, ma all'improvviso persi la testa.
"Aaaaaaaaaaaaah! Che succede? Per Zeus, le mie mani sono fredde, sento il gelo che mi pervade, che stregoneria è mai questa?"
Iniziai a sventolare le mani in giro,come se andassero a fuoco, anche se era tutto il contrario, mentre Nathan cercava di rompere il ghiaccio (in senso letterale).
"Calma Chris! Non agitarti in questo modo!", mi urlò Anthea, che però aveva altro a cui pensare, come evitare di diventare un pollo fritto.
"Calmarmi? Sto diventando un ghiacciolo alla Coca Cola!"
"Attento!"
Non capii cosa intendesse, finché non mi accorsi di essere arrivato proprio sul ciglio di una picco-la discesa rivestita di erba e fiori, e vi ruzzolai giù. Poi mi rialzai, e corsi alla cieca cercando aiuto, sia medico che psichiatrico: non credevo che sarei riuscito a calmarmi facilmente!



Christian ci passò davanti correndo come qualcuno perseguitato da un demone, urlando come un ossesso.
"Se me lo vuoi chiedere, io non lo conosco...", dissi alla ragazza con lo scudo. Eh? Come? Come si chiama? Oh, certo... Mi ha detto come si chiama mentre lottavamo... Jasmine. Ok, siete soddisfatti? Andiamo avan-ti!
Incoccai la prima delle cinque frecce e la mirai alla spalla. Anche stavolta, la parò e questa si disintegrò.
"Erre as korakas, Jasmine!", le urlai.
Lei mi caricò come un toro, e sfortunatamente non riuscii a schivare in tempo. Al solo contatto, armatura e maglietta si disintegrarono, dopodiché lo scudo toccò la mia pelle. Sentii un dolore che spero di non risenti-re mai più. Avete presente la sensazione di dolore di quando vi tirano i peli delle sopracciglia con la pinzet-ta? Leggermente dolorosa, no? Ecco. Immaginate che vi stiano strappando un'infinità di peli dalla pelle colpita con un miliardo di pinzette infuocate. Direi che come descrizione, calza. Cacciai un urlo disumano di dolore. Mi accasciai al suolo sopraffatto dal dolore tremendo. Il mio petto, privo di pelle, sanguinava.
"Il mio dono, Robert. Il mio dono."
Avrei giurato di aver sentito un sussurro, nella mia testa. Da terra, alzai una mano e me la posi sul petto scorticato, ricavandoci un bel surplus di dolore. Dopodiché chiusi le palpebre, respirai e mi concentrai. Sentii la sensazione di benessere tipica di quando il Dono di Esculapio ti cura, e il dolore sparii. Mi guardai il petto, avevo creato un sottile strato di pelle (che si distingueva da quella non intaccata poiché privo della benché minima abbronzatura). Mi alzai.
"... Sei capace di curarti, ma non mi sconfiggerai lo stesso!", disse lei, che era sbiancata nel vedermi curare.
Fece di nuovo per caricarmi. Dopodiché, si sentì una musica in lontananza. Jasmine ebbe un fremito, ab-bozzò un sorriso. La musica si fece più forte, e riuscii a distinguere le note del Kefka's theme, suonato col flauto, ora si distingueva. Una semidea dai capelli fulvi (eccetto una ciocca bianca sul lato destro) emerse dai boschi, suonando un flauto traverso. Ora Jasmine si stava sbellicando. Rideva come una pazza isterica.
Si avvicinò ancora di più, e Jasmine si piegò in due, si rotolò per terra come in presa a convulsioni, ridendo fino a piangere come se qualcuno la stesse sottoponendo a una tortura del solletico.
Non persi l'occasione. Mi arrampicai in fretta e in furia sulla china, e... presi la bandiera!
Un pegaso, che ci stava sorvolando dall'alto, atterrò. Una semidea scese e dichiarò: "La bandiera rossa è stata catturata! La squadra blu VINCE!!"
La sua voce risuonò come amplificata di cento volte, in tutto il bosco.
Il drappo, che era rosso, divenne improvvisamente una bandiera color oro con un disegno del sole al centro, una lira a destra e un arco e freccia a sinistra.
“Complimenti!”, mi disse la semidea con i capelli fulvi, e mi sorrise. “Uhm, come ti chiami?”, poi chiese, dubbiosa.
“Robert Shane, e tu?”
“Airyn Phantom, sono della casa 12.”
“Continuerete la vostra chiacchierata attorno al falò”, ci riprese la semidea discesa dal pegaso.



Finalmente, riuscii a trovare la via per uscire dalla foresta. Trovai Chirone seduto attorno al falò spento.
"Chirone!! CHIRONE!", sbraitai.
Quello si alzò sulle sue zampe equine e mi raggiunse.
"Cosa c'è, qualcuno si è ferito gravemente?", chiese.
"No, cioè sì, cioè... Insomma... Ehm... Ho congelato... Il braccio di Nathan! Sì, ho congelato il braccio di Nathan!", risposi, ripetendo il concetto per autoconvincermene.
"Capisco.", disse Chirone. Mi accorsi che non mi guardava negli occhi, ma guardava dietro di me... O sul-la mia testa.
Alzai lo sguardo. Su di me fluttuava una sorta di ologramma di una gigantesca bussola con l'ago puntato a Nord, circondata di fiocchi di neve.
"Ave, Christian Derflinger, figlio di Boreas, dio del Vento del Nord.", disse Chirone.


Angolo dell'autore bis. Ormai inizia ad essere un'abitudine.
Questo capitolo è stato scritto con la collaborazione di due nuovi scrittori che si sono iscritti al gruppo originale: Whitemushroom, inventrice del personaggio di Airyn, e RoxasXIII95, inventore dei personaggi di Christian e Louise. Ailani è stata creata da Lisaralin, e Jasmine da Nothing~, che però non hanno voluto/potuto/dovuto/vomitato scrivere insieme a noi. Peccato.
Ah, l'avevo detto? Robert appartiene a me, Austin appartiene a Jenoma97 (detto anche zexion4ever) e Nathan a Xariod.

Quindi, per non confondervi le idee, facciamo uno schemino dei personaggi e loro vari creatori.

Robert Shane, figlio di Apollo: Io, EnricoZapping
Austin Neword, figlio di Hypnos: Jenoma97
Nathan O'Neil, figlio di Efesto: Xariod
Anthea Elderoots, figlia di Demetra: Io, o in alternativa nessuno. Fate voi. (No. Non intendo Ulisse.)
Christian Derflinger, figlio di Boreas: RoxasXIII95
Louise Westwood, figlia di Afrodite: RoxasXIII95
Ailani Kanaka, figlia di Ares: Lisaralin
Airyn Phantom, figlia di Dioniso: Whitemushroom
Jasmine Proofsteel, figlia di Ebe: Nothing~

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Capitolo 6
*** La Pizia ha un attacco di raucedine sentenziosa ***


Stavo dormendo tranquillamente nella mia camera. Le tende erano chiuse,la casa silenziosa. Tutto era calmo. Ma ancora per poco. Improvvisamente, qualcuno aprì le tende, facendo entrare nella mia camera una cascata di luce che mi accecò gli occhi!
"Mhhhhh...!”, mugugnai, girandomi e mettendomi sopra le coperte. Stavo riposando così bene! Ma a quanto pare Hypnos quel giorno ce l’aveva con me. Venni tirato giù dal letto con la forza, finendo a testa in giù e riconoscendo subito una faccia che ormai mi era fin troppo nota.
"Nathan... cielo, devo stare ancora dormendo! Questo è un incubo!", dissi ancora capovolto.
"Nessun incubo, bello. Sono qui come messaggero da parte di Chirone: dice che entro oggi, la tua nuova casa sarà pronta, quindi inizia a fare i bagagli,tra un po’ te ne vai!"
"Mmmmh...nuova casa?"dissi io, mentre mi rialzavo e mi stropicciavo gli occhi.
"Per Poseidone, perché ho sempre a che fare con dei tardi? Casomai non lo sapessi, sei il primo figlio di Boreas che abbiamo qui al Campo Mezzosangue, quindi non abbiamo una casa fatta apposta...o meglio, non avevamo!", disse, con la sua solita faccia scontenta.
Rimasi a bocca aperta: una casa tutta per me? Doveva essere un sogno! Mi diedi un pizzicotto: mi fece male, quindi era vero. Yuppie!
Mi vestii in fretta e furia, senza nemmeno pettinarmi i capelli (come se lo facessi, di solito) e uscii seguendo Nathan fino alla sala da pranzo.
Vidi che molti erano già svegli e facevano colazione, e istintivamente guardai il tavolo di Ermes: pieno da scoppiare, come al solito, e tutti che parlavano e ridevano... Mi sarebbe mancato un po’, in fondo! Ma almeno ora non sarei più stato spinto fuori dal tavolo ogni tre minuti, pensai, e andai sedermi al mio tavolo, dove le ninfe mi servirono un cappuccino (che riempii di taaanto zucchero) e dei cornetti ripieni di crema alla cioccolata. Ne presi uno e lo buttai nel fuoco, dicendo: "Questo sacrificio vada a Boreas, per la nuova casa che mi ha procurato!". Mentre dicevo questo, pensavo a quello che mi avrebbe regalato per Natale, se questo era un regalino così. Mi accorsi che,mentre mangiavo, alcuni dei semidei che passavano additavano me e il nuovo tavolo incuriositi, mentre altri spiegavano il perché. Devo ammettere che anziché esserne fiero,mi vergognavo un po’ di essere al centro dell'attenzione. A un certo punto passarono alcune ragazze della casa di Afrodite, che iniziarono a sghignazzare come si vede in quasi tutti i film ambientati in una scuola mentre, in mezzo a loro, Louise mi salutò. Arrossii e rimediai nascondendomi dietro un cappuccino. Che involontariamente versai e, poiché era bollente, mi feci un male cane, gatto e anche pappagallo.



La casa di Ebe è uno dei posti più singolari dell’intero Campo Mezzosangue. Questo soprattutto grazie al dono di nostra madre, che ci fa invecchiare (nonché crescere) al rallentatore. Io stessa ho 28 anni, cronologicamente, ma fisicamente ne dimostro si e no 16; circa la metà. (Vi ricordate di me? Quella con lo scudo maledetto … Jasmine … Smemorati …) E questo vuol dire, innanzitutto, roba retrò, a partire dalla musica retrò, che nessuno ascolta da anni, ma che noi, quando eravamo ancora cronologicamente giovani, tipo a 18 anni d’età cronologica (quindi fisicamente bambini) abbiamo imparato ad amare e continuiamo ad ascoltare tutt’ora, magari con giradischi che ben calzano nella definizione “vecchiume” o “oggetto d’antiquariato”. Le pareti sono tappezzate di poster, negli angoli ci sono vecchi jukebox (modificati per accettare le dracme, oltre che i dollari), c’è gente che parla in continuazione, si gioca alla PlayStation 1 o al Game Boy Color e tutto è tranquillo nel complesso sebbene ciascuno sia esagitato e ci sia continuamente qualcosa da fare.
Qualcuno bussò alla porta. Mi alzai dal mio letto (con le cuffie e il walkman con la musica anni ’80) e andai ad aprire.
“Salve.”, salutò Chirone.
“Oh … Salve, Chirone. Desidera?”, risposi io.
“Volevo solo informarti che … sei stata disegnata. Spero che tu capisca queste parole, non posso parlare troppo. Bene, detto ciò, ti saluto.”, disse sbrigativo.
Chirone prese in mano il pomello e chiuse la porta frettolosamente.
Oh, Zeus.



Dopo pranzo, non avevo niente da fare, così decisi di andare a vedere come andavano i lavori della mia casa. Passai davanti a tutte le 20 case e, dopo aver superato l'ultima, arrivai al cantiere.
Era uno spettacolo incredibile: decine di varie creature mitologiche – ciclopi, arpie, alcune ninfe - stavano lavorando febbrilmente sotto la direzione di Chirone, che faceva da architetto, e già si poteva vedere parte della casa. che era fatta in legno – legno d’abete - coperto da una brina così lucente da sembrare polvere di diamanti. Notai di non essere l'unico ad ammirare quello spettacolo; infatti altra gente si era radunata per vedere i lavori, tra cui...
"Louise! Anche tu qui?"dissi alla bionda e leggiadra figlia di Afrodite, che si girò per salutarmi.
"Ciao Chris! Però, stanno costruendo questa casa solo per te! Non si parla d'altro da stamattina! Immagino sarai felice, vero?", mi disse sorridente, muovendo le labbra lucide di rossetto fucsia.
"Beh, più che felice mi sento un po’ in imbarazzo, mi sembra di essere un figlio di papà così!"
"Ma che scherzi? Magari l'avessi io una casa tutta per me! C'è tanta di quella confusione nella casa di Afrodite; gente che si ruba lo shampoo, i rossetti, le spazzole... Che bello sarebbe non avere di questi problemi!"
Mentre parlava osservavo tutti i dettagli che si potevano già scorgere nella mia nuova casa, ma la cosa che più mi affascinava era come la brina non si sciogliesse. Incantata o roba del genere, probabilmente.
"Accidenti, mi sembra quasi di essere di nuovo in Canada!", dissi a Louise mentre guardavo ancora la casa.
"Com'è lì da voi? E' molto diverso rispetto a qui?", mi disse lei, incuriosita dalla mia affermazione.
"Beh, uguale a qui, eccetto per due cose: la temperatura e i francesi! Non li sopporto proprio quelli del Quebec, che solo perché sono nati lì si credono di essere chissà quali nobili!" E poi, imitando l'accento francese, aggiunsi: "Guardatemi, sono un franscese, mangio formaggio puzzolont tutto il dì e tengo il pane sotto le ascell! J'adore l'Ispettore Clouseau,è un uomo affascinant, si vede che viene dalla mia patria!" "E poi l'Ispettore Clouseau è interpretato da Peter Sellers!", aggiunsi tornando a parlare normalmente, mentre Louise rideva, con un risolino dolce e suadente.
"Piuttosto, ho sentito anche che sei riuscito a tenere testa a Nathan durante la gara di caccia alla bandiera!", cambiò argomento Louise.
"Beh, sì, anche se dopo sono scappato via in preda al terrore del mio stesso potere. Non credo di riuscire a gestirlo molto bene!", risposi io, poi ci pensai su e le chiesi: "Ehm,senti Louise... se non ti è di disturbo, potresti aiutarmi tu? Non so dove siano gli altri, e dovrei proprio esercitarmi …”
"Va bene!", disse lei senza esitazioni, poi mi prese per mano e mi trascino al campo di allenamento.
Arrivati lì, indossammo le armature, anche se ne avrei fatto a meno visto il caldo che faceva.
"Allora …", disse Louise tirando fuori i suoi pennellini, che subito si trasformarono nei famigerati pugnali, "Che tipo di poteri hai?"
"Beh", dissi, "per ora so soltanto che posso congelare qualcosa toccandolo, nient'altro, e non credo che serva molto se non in un corpo a corpo!"
"Io non direi: non lo sai che la tua spada, essendo di bronzo celeste, può replicare i tuoi poteri, assorbendoli?"
"Davvero?", chiesi incuriosito, e presi la lama della spada fra le mani. Mi concentrai tantissimo,cercando di rievocare quel potere che mi aveva salvato da Nathan. Riuscivo a sentirlo, la calura se ne stava andando, il mio potere passava dentro la spada. La lama della mia spada iniziò a baluginare di un blu chiaro, e un sottile strano di ghiaccio la ricoprì lentamente.
"Impressionante!", esclamai, mentre mi rigiravo la spada nelle mani. Esagitato, iniziai a roteare la spada in aria. All'improvviso, calò un vento freddo. Per curiosità, la roteai più velocemente con un movimento del polso. Un vento gelido e carico di neve ci travolse: avevo generato una piccola tormenta...? "... Uao.", fu il mio commento shockato. Anche Louise era sorpresa,tanto che ci mise un po’ ad accorgersi che era coperta di neve.
"Però, guarda un po’ che macello!", disse una voce da dietro.
Mi voltai,e vidi che qualcuno era arrivato ad assistere al mio allenamento. Era la ragazza a guardia della bandiera, quella Hawaiana …
"Ehm, Ailani, giusto?", disse Louise: a quanto pare la ragazza che aveva messo alle strette la nostra squadra era abbastanza famosa al Campo Mezzosangue, e visto come combatteva non mi stupivo.
"Ci dispiace di aver fatto questo macello,io e Chris cercavamo di scoprire i suoi poteri e..", riprese Louise, ma Ailani la interruppe con un gesto.
"Non dovete preoccuparvi di questo, non se ne è accorto nessuno... Me esclusa, sai, non sono abituata alle temperature basse!", disse lei con tono rassicurante.
"Ah, ti capisco benissimo, anche se io non sopporto il caldo, invece!", dissi io. "Senti,che ne dici di una sfida fuoco contro ghiaccio? Non ti sembra interessante?", disse poi lei, svelando un sorriso che mi inquietava non poco.
"Ehm, ecco, se si potesse evitare, visto che sono nuovo...", iniziai a balbettare, ma Louise mi fermò.
"Chris, lo sai che chi fa il codardo e rifiuta la sfida non può bere bibite, alcolici o altro che non sia acqua per un mese?", mentì lei (ma inizialmente non lo capii).
"In guardia, figlia di Ares!" dissi io, impugnando saldamente la spada: avrei sfidato Zeus in persona, pur di continuare a bere coca-cola!
"Bene, allora iniziamo!", disse Ailani, togliendosi il polsino che si trasformò nel suo Claymore, mentre Louise si era già allontanata per assistere... da dietro un albero! Brutto segno. Ailani teneva ancora il Claymore a terra, come se fosse un bastone da passeggio, e con un cenno mi invitò ad attaccare per primo. L'avevo vista combattere contro Anthea, e sapevo che partire spedito con un corpo a corpo sarebbe significato una visita diretta a Esculapio. Poi mi venne un'idea: sorrisi beffardo ad Ailani, e lei mi guardo strano.
"E così non sopporti il freddo, eh? Dovresti stare più attenta a ciò che dici!", le dissi, tirai la spada indietro e poi feci un ampio gesto col braccio, scatenando una bufera di neve dritta su di lei. Lei subito frappose il Claymore tra sé e la bufera, ma anche se riuscì a schermare il mio attacco, ora la sua visuale era limitata. D'istinto, conficcai la lama a terra e concentrai i miei poteri. Il gelo si spanse sulla terra, e uno strato di ghiaccio lentamente ricoprì il terreno, trasformando il campo di battaglia in una vera e propria pista da pattinaggio. Il gelo era persino giunto all’albero dietro al quale si era nascosta Louise. Infine, dandomi la spinta con la spada come se fosse un bastone da sci, mi lanciai verso Ailani. Chiaramente non aveva mai visto qualcuno pattinare sul ghiaccio (cosa in cui io invece eccellevo), perché riuscì a parare a stento il mio colpo velocissimo, finendo per scivolare e cadere a terra, mentre io sterzavo e ripartivo all'attacco. Ma a quanto pare ad Ailani non piaceva stare con la schiena sul ghiaccio, anzi, il suo Claymore iniziò a divampare come quanto aveva steso Anthea, fino a sciogliere tutto il ghiaccio e facendomi quasi cadere e grattugiare le ginocchia sul terreno. Quindi si lanciò verso di me e mi assestò un potente colpo, che parai con la spada. Decisi di provare a congelarla,ma siccome avrei voluto evitare di rimanere senza mano, pensai di farlo indirettamente: usando la spada, provai a congelare il suo Claymore, ma stranamente non funzionò.
"Cosa?",dissi io.
"Il mio Claymore certo non si farà congelare così, ti pare?", rispose lei sorridendo, e mi assestò un calcio che mi spinse via. Quindi provò a bloccarmi a terra, ma muovendo il braccio sinistro riuscii a scatenare una piccola bufera, che era comunque abbastanza per farle perdere la concentrazione e permettermi di spostarmi. Ma all'improvviso Ailani infiammò ancora di più il Claymore, e creò una vampata che non solo vaporizzò la mia bufera, ma mi raggiunse e mi scagliò contro un albero (neanche fosse stata una bomba!). Mi ero fatto parecchio male, quasi non riuscivo a rialzarmi. E non lo feci, perché subito Ailani mi puntò il Claymore alla gola, con un'occhiata che mi invitava ad arrendermi.
"Ok, ok, ho perso, ma ora toglimi quel coso dalla gola, per favore!", dissi impaurito, ma per fortuna lei abbassò l'arma e mi diede una mano a rialzarmi.
"Stai bene, Chris?", disse Louise, spuntando da dietro all'improvviso: a quanto pare ero andato a finire proprio addosso all'albero dietro al quale ci stava osservando duellare. "Sì,grazie!", dissi io, felice di non aver perso nessuna parte del corpo nello scontro.
"Non sei malaccio", mi disse Ailani, "Ma devi allenarti di più a contrastare il fuoco: non si può mai sapere quando un nemico contro cui sei svantaggiato apparirà!"
"Signorsì, signora!"dissi accennando un saluto militare. Ero decisamente più rilassato ora che non rischiavo più di diventare un arrosto.
"Bene, io vado, tra qualche ora inizia la festa per la vittoria della mia squadra, devo prepararmi!", concluse Ailani, e si diresse verso la sua casa.
"Oh, cielo, è vero, c'è la festa!", disse all'improvviso Louise, spaventata come se avesse incontrato un'Idra.
"E allora? Mancano ancora tipo tre ore!"dissi io tranquillo. "Non c'è niente di cui preoccuparsi, c'è tempo!"
"Niente di cui preoccuparsi?", disse lei come se avessi appena detto che Poseidone sarebbe uscito dal mare per andare a ballare in discoteca, "C'è TUTTO di cui preoccuparsi: capelli, eye-liner, mascara, e soprattutto i vestiti! E tutte quante le mie amiche saranno sicuramente impegnate per consigliarmi cosa mettere!"
Detto questo mi prese per mano e mi condusse (o meglio trascinò) verso la decima casa.
"Su forza,mi serve qualcuno che mi dica se sto bene o no!", disse lei.
"Ma,io veramente...", iniziai a dire, ma quando mi prese per mano ammutolii, e mi feci trascinare più che volentieri.



Si fece sera, e con la sera arrivò... la festa!
Per l'occasione quasi tutti i semidei avevano indossato i loro abiti migliori. Per le ragazze della casa di Afrodite, come Louise, a questo si sommava un trattamento di bellezza che le trasformava in sorta di creature celestiali scese in terra a diffondere amore. Vi lascio immaginare le espressioni dei maschietti.
Le ninfe portarono attorno al fuoco un vero e proprio banchetto. Piatti pieni di ogni leccornia, partendo da un antipasto di tartine e ciotole di frutta secca, passando al risotto allo zafferano, funghi e panna come primo, arista agli agrumi come secondo, budini al cioccolato e al latte come dessert. E questo era uno dei 25 menù disponibili a richiesta. Wow.
Come al solito, da seduti ai tavoli, ci alzammo per sacrificare parte del cibo. Era quasi una sofferenza privarci di parte di quel banchetto, ma sacrificammo comunque il dovuto.
Ci risedemmo ai tavoli e iniziammo ad ingozzarci a più non posso, trincando bibite d'ogni tipo (per gentile concessione di Dioniso, bastava chiedere al bicchiere ciò che volevi e lui si riempiva da solo della bevanda richiesta), mentre le varie ninfe, driadi e naiadi e nereidi, oltre che i satiri, allietavano ulteriormente il pasto con il canto e suonando vari strumenti. Il fuoco era colore dell'oro per la gioia, e decisamente alto.
All'improvviso, notai che seduta al tavolo di Apollo, il mio, c'era una ragazza con un tratto singolare, per dov'era seduta... Aveva i capelli rossi. Strano, generalmente tutta la prole di Apollo aveva i capelli colore dell'oro!
Usai la cosa per attaccare bottone e le chiesi: "Scusa, tu sei una figlia di Apollo? Hai i capelli.. rossi!"
"No, no, forse stenterai a credermi, ma sono una mortale! Niente paura, sono la moderna Pizia, l'Oracolo di Apollo!", rispose lei, voltandosi. Era parecchio grande, rispetto a me...
"Oh, interessante!", risposi io. "Piacere, Robert Shane!", mi presentai.
"Molto piacere, Rachel Elizabeth Dare. Ma fammi la cortesia personale di chiamarmi solo Rachel.", si presentò lei a sua volta. Ci stringemmo la mano. Uh, stretta energica.
"Hm, quindi... Sei l'Oracolo di Apollo, eh? Prevedi il futuro?"
"Sì, esatto, il concetto è quello."
"Oh, sai dirmi qualcosa sul mio, futuro?", chiesi eccitato.
"Ehm, veramente funziona più a profezie... Non sono una cartomante, e non ho visioni o roba del genere... Semplicemente a un certo punto mi incanto, inizia a uscirmi fumo verde dalla bocca e parlo a rime con voce spiritat-"
... Ok, si era appena incantata, le stava uscendo fumo verde dalla bocca... Si era alzata dal tavolo e aveva alzato con aria solenne le mani al cielo... Il fuoco del falò si era fatto blu scuro come un fuoco fatuo, a causa dell’improvvisa tensione che aveva improvvisamente contagiato tutto il Campo Mezzosangue radunatovi attorno... Profezia in arrivo, suppongo?

E con voce spiritata … La Pizia sentenziò.

“Avverrà il furto, vi dico
di un oggetto quanto mai antico
Fonte di una forza temuta dai numi
Senza la quale il mondo andrà in frantumi
Andranno tre trii di semidei per trovare quest'oggetto
Ed un figlio degli déi verrà maledetto
Inoltre io predico, mi dispiace
Che qualcun troverà infine eterna pace.”

Chirone si fece strada fra la festa ormai silenziosa e attonita. Il fuoco era nero.
"Finalmente. Il disegno?", disse laconico, come se avesse timore di parlare troppo di fronte alla folla.
"... Era destino. Lo sapevo. Devo andarlo a prendere?", disse Rachel.
"Sì.", annuì grave il centauro."E voi cosa avete? Continuate a festeggiare!", disse poi.
Le driadi ricominciarono a suonare e lentamente la festa riprese. Anche se il colore del fuoco non raggiunse più quel bel colore oro; rimase color girasole, segno che un velo d'ansia era calato sui cuori di tutti i presenti.



Angolo dello scrittore.
Intanto, sì, miei cari fan di Rachel Elizabeth Dare! E' proprio lei! Ed è proprio la Pizia. Quindi, iniziate a levarvi dalla tesa idee di pairing che la riguardano, che tanto ha fatto voto di castità. Ehm, lol?
Questo è stato in assoluto il capitolo che nella sua stesura ha incontrato più ritardi, mi sa. Tutta colpa tua, Franci! *scherza*
Ah, poi, una cosa... 
Di recente ho notato alcune cose inquietanti... Come la concessionaria d'auto Zeuscar... Il supermercato Poseidon... La fabbrica di materassi Morfeo... Il pianoforte di un mio amico che è un modello "Apollo"... L'acqua Athena (bevuta ieri sera)... I famosi Mars... La crema Venus... Oh, miei déi, è reale!! D=

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Capitolo 7
*** Abbiamo un attacco di panico ***


Mi avvicinai alla porta della casa di Chirone. “Come potevano un disegno e delle parole mettermi così in agitazione?”, pensai, e prendendo coraggio bussai alla porta. Una voce dall'interno mi chiese: "Chi è?" "Nathan O’Neil", risposi. Chirone non rispose subito. Aspettò qualche secondo di riflessiva attesa, poi disse: "Entra pure". Aprì la porta ed entrai, piantandomi in una posa quasi militare davanti a Chirone.
"Dimmi, Nathan. L'ultima volta che ti ho visto così turbato è stato quando gli Iron Maiden hanno minacciato di sciogliersi …", mi disse ridendo.
"Sono preoccupato per la profezia e...", mi arrestai.
"E?" incalzò Chirone.
"Per il disegno … Non capisco come uno stupido pezzo di carta mi metta così tanto timore."
“Vorrei ricordarti che quel pezzo di carta è un disegno profetico della Pizia", disse Chirone riprendendomi.
"Vero", dissi abbassando la testa. Chirone mi mise una mano sulla spalla e mi rincuorò: “Non ti preoccupare, è normale avere paura del futuro; il futuro è sempre ignoto proprio perché sarebbe terrificante conoscerlo."
"Appunto! Come si fa ad affrontare con leggerezza la profezia di un morto e di un maledetto?!"
"Calma! Rilassati...", mi tranquillizzò il centauro. "Ricorda che, se cerchi di districarti dalle trame del futuro, ci finirai ancora più aggrovigliato. Potresti morire tu cercando di non far morire qualcun altro e quindi non far avverare la profezia... Che quindi si avvererebbe comunque..."
"Ma non portare sfiga!", gli risposi un po’ alterato (e toccandomi).
"Era per dire...", rispose Chirone con un sorrisetto gentile, onesto.
"Quindi, scusami...", analizzai io, "Mi stai dicendo che dovrei affrontare il destino per quello che è e sperare di non venire maledetto o ucciso?"
"... Non volevo metterla su questi toni, ma, sostanzialmente... Beh, sì.", rispose lui come se gli dolesse molto dirlo.
"Fantastico", dissi io, e volsi gli occhi al cielo. Avevo una mezza idea di sacrificare qualcosa di importante a Tyke; di fortuna ne sarebbe servita.



Nell'antro buio della Pizia, che sono io, ammiravo i miei disegni. Sembravano fatti da una bambina particolarmente turbata. Erano schizzi di matita e colori a cera, pastrocchi difficilmente comprensibili.
Tutto era sembrato prendere una piega non esattamente felice due anni prima, quando per la prima volta avevo pronunciato quella profezia davanti a Chirone e mi ero messa a disegnare. Avevo disegnato un ragazzo, un ragazzo robusto con un'ascia. Sotto avevo scritto in calligrafia illeggibile qualcosa... "Nathan O'Neil". Era stato annoverato fra i nove predestinati semidei. Ed era il primo di una lista, una lista quasi sfortunata. Non era la profezia peggiore del mondo, il Campo Mezzosangue ne aveva viste di peggio, inclusa una che diceva che il primo mezzosangue figlio dei Tre Pezzi Grossi (Ade, Poseidone, Zeus) che avrebbe raggiunto i 16 anni avrebbe ottenuto il potere di distruggere gli déi, in seguito alla quale i tre dei in questione promisero di non fare più figli - accordo che comunque non mantennero troppo fedelmente. Tuttavia, questa profezia era stata subito marcata come araldo di catastrofe quando, sul disegno di Nathan, come su tutti i disegni che vennero dopo riguardanti i predestinati, avevo... pianto una lacrima rossa di sangue. Brutto, brutto segno.
Una voce risuonò dall'ingresso della grotta. "E' permesso?"
Risposi a mia volta con un rimbombante "Avanti".
Nell'oscurità della grotta, reggendo una torcia, si addentrò una mezzosangue.
Quando fu abbastanza vicina a me, riuscii a distinguerne il volto nelle tenebre a malapena sondate dalla luce della torcia. Jasmine Proofsteel, della casa di Ebe. Nonché l'ultima aggiunta alla lista, la numero nove.
"Oh, sei tu.", la accolsi.
"Salve.", rispose lei. "Sai perché sono qua, vero?"
"Sì, lo so bene. Guarda pure il tuo foglio.", dissi, e le porsi il suo disegno.
Lei lo guardò bene. Si rese conto che era senza dubbio lei, e nessun altro, e sbiancò. Emise un sospiro triste, riprese un po’ di colore, e lasciò cadere il foglio.
"Non puoi assolutamente esserti sbagliata, vero?"
"Assolutamente no.", risposi concisa.
"Oh... Bene.", rispose lei. Sembrava non essere realmente - affatto! - dell'opinione che fosse un bene, che ciò che profetizzavo fosse praticamente una verità scritta.
"Vuoi sapere chi sono gli altri eletti?", le dissi.
"Sì.", rispose lei, curiosa.
"Beh, uno di loro è..."



“Robert Shane!”, mi chiamò a gran voce Chirone. (Troll! ndXariod)
Interruppi un'interessante chiacchierata con una ragazza della casa di Atena (che ci rimase male, ahimè) e mi affrettai a raggiungerlo.
“Sì, Chirone?”
"C'è qualcuno che dovrebbe parlarti.", disse lui.
"Uhm, chi?"
Senza rispondere, Chirone mi prese per un braccio, e con l'altra mano mi fece segno di venire con lui. Mi portò all'infermeria. Sull'uscio, mi sussurrò un "Vai" all'orecchio, mollò la presa sul mio braccio e se ne andò, mentre io entravo nella tenda piena di letti disinfettati.
“Ehm, salve …”, dissi io.
“Entra, entra …”, mi rispose una voce alla quale mi ero a malapena abituato: la voce gentilissima, leggermente roca, profonda d’affetto, di Esculapio, dio della medicina. Capii che era importante.
“… Cosa mi devi dire?”, chiesi in tono serio, mentre raggiunsi il dio che stava riordinando alcune fiale in una grossa borsa.
“Dritto al punto, vedo. E allora, così sia … Bene, Robert, credo che sia l’ora che tu ti faccia la domanda che praticamente il novanta per cento del Campo Mezzosangue si sta facendo, per adesso.”
“Che domanda?”, chiesi.
“ ‘Sono o non sono tra i nove semidei della profezia?’ “
“…”
“Esatto. Tu sei fra questi nove. Sì, lo so, non è una prospettiva allegrissima.”
“Non credevo che avrei mai incontrato un semidio strafatto di erba panacea”, pensai, ma non glielo dissi.
“Ehi, ci sono dei che ti avrebbero ridotto in un mucchietto di cenere per molto meno, sai?”
Aspetta.. “Scusa, leggi … nel pensiero?”, gli chiesi, strabuzzando gli occhi.
“Non è una vera e propria lettura del pensiero, è più empatia. Riesco ad avere uno schema sommario di ciò che pensano o provano le persone che mi circondano. Quindi, non ho capito molto bene cosa mi hai detto, ma sono sicuro che era un insulto.”
“Oh, ehm, scusa.”, chiesi, un po’ vergognandomi.
“Non c’è bisogno di scusarti … Comunque, a parte per darti la lieta novella di essere nel numero fortunato –sì, è sarcasmo – dei predestinati, ti ho fatto venire qua per darti anche qualcosa che ti potrebbe tornare utile.”
“Cosa?”, chiesi, e pensai che stavo diventando abbastanza laconico. Doveva essere quel pizzico di shock che provavo.
Esculapio iniziò a frugare nella borsa che stava riordinando, e prese alcune ampolle e qualche fagottino.
“Ambrosia e nettare, infuso di panacea diluito al 15%, antidoto ai veleni mitologici (quelli curabili, si intende), distillato cicatrizzante, garza sterile incantata da me in persona, e infine.. una goccia di sangue di Gorgone.”
Nominando quest’ultima, tirò fuori dalla borsa una provetta sul cui fondo c’era una goccia di liquido verde smeraldo scuro, un po’ come il sangue dei granchi, se l’avete mai visto.
“Il sangue di Gorgone ha doti curative prodigiose se preso dalla loro metà destra, è un veleno mortale se preso dalla sinistra. Questa è una goccia di sangue di Gorgone preso dalla destra, sì. Ho pensato di darti questa preziosa goccia poiché si dice che il sangue di Gorgone – e io ne so qualcosa – sia in grado di resuscitare i morti, e spero quindi di evitare a qualcuno di voi di morire … permanentemente. Tuttavia, non so se una singola, misera goccia basti.”
Io strabuzzai (ancora!) gli occhi. “Magnifico! Con questa quella profezia non fa più molta paura.”, dissi, e sorrisi. Esculapio allargò le braccia. Non ci pensai due volte, e lo abbracciai.
“Non c’è di che.”, mi rispose, rivolgendomi un sorriso che avrebbe scaldato un cuore di ghiaccio.



“Ma tu sai fare crescere anche gli alberi?”, chiese Anthea.
“No, so fare crescere solo le piante da frutto. E tu sai fare impazzire la gente?”
“Certo che no, quella è una dote da figlia di Dioniso!”
“Tu hai talento nella musica?”
“E tu sai cucinare?”
“Tu sei sempre una chioccia con tutti!”
“Tu bevi in continuazione!”
“Mamma chioccia!”
“Alcolizzata!”
Mi ero scocciato. Decisamente.
“E basta!”, urlai esasperato. “E’ un quarto d’ora che litigate! Fatela finita e rendetevi conto che siete figlie di divinità diverse ed è normale che abbiate doti diverse!”
“Ma tu sei figlio di Boreas o di Nemesi, scusa?! Guardalo tu, questo qua!”
“Perché tu, invece sei una pacifica figlia di Iride?
“Ha parlato!”, rispose Anthea a tono.
Fortunatamente, la lite venne sedata dall’arrivo di una semidea trafelata, che camminava con passo incerto, bianca in volto come uno spettro. Jasmine.
“Ehi, Jasmine … Cos’hai? Sei tutta pallida …”, disse Airyn, improvvisamente molto meno litigiosa.
“… Ho delle … Brutte notizie.”, disse Jasmine, col tono di chi ti deve informare che è morta tua madre e non sa come rendere più lieve il colpo.
“Che genere di brutte notizie?”, chiesi.
“Praticamente le peggiori. Io, Nathan, Robert e tutti voi siamo fra i prescelti della profezia.”, e lo disse come per dare le condoglianze, come se fosse la cosa più spiacevole del mondo.
“S-scusa?”, disse Anthea. “Devo avere problemi d’udito!”
“Abbiamo sentito benissimo!”, dissi invece io. “Quindi, io, Anthea, Airyn, Robert, tu e Nathan siamo fra i prescelti, eh?”
“… Sì.”, disse Jasmine, un po’ straniata dal tono in cui lo dissi.
“… Come mai stai sorridendo?”, mi chiese poi Airyn.
Non lo avrei confessato neanche sotto tortura (forse sotto minaccia di togliermi la coca-cola sì), ma l’azione era qualcosa che assolutamente cercavo e desideravo.
Poi, feci un altro pensiero.
“Ehi … Siamo a sei … Chi sono gli altri tre?”
“Oh, giusto … Beh, tanto per cominciare c’è …”



“Austin!”, mi chiamò Ailani. “Sei venuto a vederci?”
“O quantomeno, a vedere come le infilo un pugnale nello stomaco?”, rispose Louise.
Io non ero là per vedere il loro allenamento, mi duole dire. Avevo altro da fare.
“Mi dispiace, ragazze, no. Devo dirvi una cosa.”
“Mh, parla, avanti.”, fece Ailani, sedendosi sopra una roccia a bordo campo.
“Allora … Beh, come dire … Siamo tutti nella profezia. Io, tu e Ailani.”
Vedere Ailani sbiancare, che di solito è l’icona della spavalderia, è un evento più unico che raro. E non è esattamente un buon segno.
“E’ uno scherzo, vero? Di cattivo gusto, aggiungerei.”, disse Ailani.
“Nessuno scherzo. Me l’ha detto Nathan, anche lui è nel gruppo, e a lui l’ha detto Chirone. Sì, non sono esattamente felice della cosa.”
“Di quale cosa? Della profezia?”
“No, del fatto che Nathan è con noi!”
“Ma non te ne frega nulla del fatto che uno di noi morirà?”
“Posso solo sperare che sia qualcun altro.”, dissi onestamente.
“Cinico.”, disse Louise, storcendo il naso.



Il fuoco era violaceo, ondeggiante, carico di inquietudine, freddo come se fosse spento.
Chirone, ritto sulle zampe equine, alzò le mani e parlò al Campo Mezzosangue riunito.
“Eroi! Oggi è finalmente arrivato il momento, per la profezia pronunciata da nostro oracolo, la Pizia, di avverarsi. Nove semidei sono stati scelti per recuperare un oggetto rubato agli déi circa due mesi fa: la faretra di Eros, contenente le frecce dell’amore. Come dice la profezia, senza di questa il mondo finirà per subire una grave perdita d’abitanti, poiché, senza amore, non vi sarà nessuna nuova generazione, e la vita finirebbe. Questi nove semidei hanno il compito, importantissimo, di riprendere la faretra di Eros e riportarla sull’Olimpo, al seicentesimo piano dell’Empire State Building, entro il solstizio d’estate, il 21 giugno, quando avverrà la prossima riunione del concilio degli déi, perché dopo questa data Afrodite ha dichiarato che riprenderà in mano le redini dell’amore, per quanto ci riesca. Ma comunque, rimane il fatto che, chiunque sia il ladro, non ha certamente rubato la faretra di Eros per collezionismo: intende usarla. Vi ricordo, infine, che è il 13 giugno, e che quindi, a partire da domani, i semidei selezionati per l’impresa avranno solo una settimana di tempo. E i semidei selezionati sono, vi comunico: Nathan O’Neil! Louise Westwood! Ailani Kamaka! Airyn Phantom! Anthea Elderoots! Austin Neword! Christian Derflinger! Robert Shane! Jasmine Proofsteel!”
In silenzio, ci alzammo, alcuni coi capi chini come penitenti, altri con la testa alzata come se fossero nati pronti per l’occasione.
“Buona fortuna, non posso fare altro che augurarvela.”, disse infine Chirone.
Poi ci congedò.

“Pss!”, mi chiamò qualcuno alle mie spalle.
“Oh, prof- ehm, signorina Whistle!”
“Salve … E’ da tempo che non ci si vede, eh, Robert?”, disse lei, con un sorrisetto.
“Oh, beh, sì. Forse una settimana e mezza …”
“Vabbé, comunque voglio dirti … Che temo per la salute tua e quella di Austin. Non posso farci niente se mi sono affezionata a voi due. Purtroppo Chirone dice che non posso partecipare anch’io all’impresa, perché la profezia parla di voi nove semidei e non sia mai che l’Oracolo venga contraddetto; il destino troverebbe solo un’altra via per avverarsi, e nella maggior parte dei casi non è gradevole. Ma ho pensato di poterti aiutare con un … piccolo regalo, tanto per iniziare.”, e mi porse un anello dorato – troppo leggero per essere vero oro.
“Oh, uhm, cos’è?”, le chiesi.
“Infilatelo …”, mi disse. Io obbedii. Non successe niente. “Ora dì: Sono Robert Shane, figlio di Apollo, e adesso mi appartieni.”
Io ripetei: “Sono Robert Shane, figlio di Apollo, e adesso mi appartieni.”
“Ora, prova a sfilartelo.”, mi disse, facendo un’espressione lievemente eccitata, come se stesse per succedere qualcosa di clamoroso ed emozionante.
Non appena sfilai l’anello, divenne un arco, un arco lungo, dalle capacità nettamente superiori al mio vecchio arco, senza dubbio, anche se tecnicamente più difficile da usare; peccato che i figli di Apollo siano perfettamente a loro agio e con mira infallibile con qualsiasi arco. Al contempo, sentii il peso della faretra sulle spalle.
“Oh, grazie. Un arco migliore.”
“Non sai quanto migliore! Devi sapere che quest’arco è incantato. Se lo perdi, o comunque se ti cade o altro, ti tornerà magicamente in mano come anello. E nella faretra ci sono dieci frecce con punta di bronzo celeste, anch’esse incantate: due minuti dopo averle scoccate, ritorneranno nella faretra.”
Mi resi improvvisamente conto che quell’arco avrebbe fatto invidia al 99,9% periodico della casa di Apollo. Non era un arco, era L’Arco, praticamente. Fantastico.
“.. Non so come ringraziare!”, scoppiai in un moto di gratitudine.
“Basta che ritorni vivo e sarò felice.”, mi rispose la Whistle. Dopodiché, mi prese una guancia fra le dita e me la tirò.
“Ahio!”



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Cari lettori, vi devo dare un avviso. Il gruppo di scrittura, che si riunisce su MSN, è alla ricerca di nuovi componenti. Se siete interessati a farne parte, speditemi un messaggi privato con il vostro indirizzo; non dovrebbe essere difficile riconoscere il mio invito. Le condizioni per farne parte sono due, semplici: entrare su MSN quotidianamente o quasi (va bene anche praticamente un giorno sì e uno no, ma non di più) e l'avere uno stile di scrittura abbastanza buono (parliamo soprattutto di buona sintassi; non dovrebbe essere un requisito difficile da avere).
Inoltre, vi comunico che questa fanfiction, a patto che riesca a sopravvivere e continuare senza rimanere a secco di partecipanti col sottoscritto che scrive in solitario, sarà parte di una serie formata da 4 fanfiction in sequenza. Bello, eh?
I membri che aderiscono al gruppo di scrittura, finita questa fanfiction, verranno chiamati a creare alcuni personaggi che compariranno nelle fanfiction seguenti (maggiori informazioni a tempo debito).

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Capitolo 8
*** Abbiamo tre sospettati ***


Ero davvero teso e agitato riguardo alla profezia ... Sopratutto per il fatto che uno di noi nove avrebbe probabilmente perso la vita, e io non avevo nemmeno raggiunto la maggiore età. Era notte ed ero veramente giù di morale, e mentre indossai il pigiama, maledissi la mia sfortuna. Ero andato a letto alle undici e quaranta; riuscii ad addormentarmi all'una. Che sogno strano feci: era notte, e io ero seduto su un bellissimo prato fiorito (dovetti sforzarmi gli occhi per distinguere l’erba, il mondo sembrava nebuloso). Mi alzai, vedevo a malapena delle bellissime rose rosse per colpa del buio.
Avanzai un po', fino a uno strano albero. Avvicinandomi, notai che era un salice piangente.
Da dietro di esso, delle figure femminili avanzavano verso di me.
“Accontentala … Accontentala … Accontenta la figlia della luna … Fallo!" Mi dissero con un tono ansioso.
Non capii nulla, e mi svegliai.

Erano circa le dieci di mattina, ero leggermente in ritardo per la colazione, ma invece, corsi sparato verso la direzione. Mi fiondai li dentro come un tornado, rischiando di far cadere una lampada vicino alla porta. Chirone, che stava mangiando
"Cosa c'è Austin? Perché mai sei così agitato? E' molto strano da parte tua." mi disse Chirone, evidentemente stupito dal mio comportamento diverso dal solito.
"Ho fatto uno strano sogno... Ero su un prato, era notte, mi avvicino a un salice piangente davanti a me... E poi delle figure femminili mi dicono di accontentare la figlia della luna.", dissi io agitatamente, e riprendendo fiato tra una parola e un altra.
Dopo qualche istante di riflessione, Chirone mi disse: "La prima cosa che mi viene in mente è che Artemide c'entri qualcosa con la vostra profezia."
Pensai che, contro una dea, anche in nove semidei avremmo sicuramente fatto una brutta, brutta fine. Dopo essere rimasto là, davanti a Chirone, imbambolato e con una faccia uguale a quella di qualcuno che doveva andare al patibolo, mi avviai verso la mia casa... Era ora di colazione, ma non aveva per niente fame. Invidiavo molto alcuni miei compagni, senza alcuna profezia che nomina la loro morte, senza preoccupazioni e senza doveri così importanti. Nella mia casa, quasi del tutto vuota, ad eccezione di un ragazzo addormentato profondamente, mi stesi sul mio letto a pancia in giù, e giusto per provare a rilassarmi, iniziai a fare le parole crociate della Settimana Mistica. Era la cosa che mi distendeva di più.
"Uhm... Dee del destino dall'aspetto di vecchie signore... Moirai..."




Non ricordo l’ultima volta che ho pianto. Adesso sì, sto piangendo, e per me è un fatto assolutamente eccezionale. Mi viene da pensare a mia madre, a come sperava che io potessi sempre avere la chance di una vita normale. Sono dislessica, eppure mi ha spronata così tanto che riuscivo ad ottenere sempre la sufficienza e a volte anche oltre. Non sono mai stata straordinaria in nessuna materia scolastica, tranne nello sport, e siamo riuscite – insieme! – a farmi avere una borsa di studio proprio grazie a quest’attitudine allo sport, a Phoenix. Le doveva così tanto. Ma il sogno era scoppiato come una bolla di sapone. Quando aveva scoperto che un suo insegnante di ginnastica era un Ciclope – neanche troppo camuffato – la sua piccola epoca d’oro della soddisfazione è finita, veloce come era iniziata. Ero una mezzosangue. Mia madre aveva sempre provato a nasconderlo e negarlo, e non la vedo come una brutta cosa. E ora, sto per imbarcarmi in un’impresa nella quale potrei morire. Inconsciamente, presi in mano una dracma d’oro e il mio iPhone. Sapevo cosa fare, in cuor mio.
“Iride, dea dell’arcobaleno, accetta il mio sacrificio. Mostrami Miliani Kamaka, a Phoenix.”
Nel piccolo arcobaleno, si formò l’immagine di mia madre. Stava guardando un qualche sport alla TV, rapita. Dio, quant’era invecchiata, in tre anni. Mi mancava da morire.
“… Ciao, mamma.”, la salutai.
Lei si rese conto della chiamata, e mi salutò a sua volta con un: “Ciao, piccola campionessa.”
Mi venne da ridere, di quel risolino triste e felice allo stesso tempo che è la nostalgia. Erano secoli che non mi chiamava più così!
“Come va? Tutto bene?”, le chiesi.
“Oh, sì, certo. Anche se ormai la vita è una noia, e ti devo confessare che la tua chiamata è stata una brezza di novità.”
Mi sentii improvvisamente in colpa per averla chiamata. “Ehm, mamma … il fatto è che … Non ho delle buone notizie.”
“Cosa è successo?”, chiese lei spaventata. “Ti rimandano a casa?”, e mi accorsi che, mentre diceva questa domanda, sebbene stesse mantenendo l’espressione spaventata ed ansiosa, aveva le labbra increspate come se dovesse sorridere.
“No.”, dissi, e quasi mi pentii di non poter rispondere sì. “Sono stata … scelta per un’impresa, un’impresa importante. E la profezia … la profezia che mi ha selezionata, dice che uno di noi morirà ed un altro verrà maledetto. Siamo in nove, me inclusa.”
Mi aspettavo una delle seguenti reazioni. Uno, mia madre si mette a piangere. Due, mia madre mi augura buona fortuna e di tornare sana e salva. Tre, mia madre sventola la mano davanti alla nuvoletta, concludendo la chiamata, per poi tentare di venire personalmente al Campo Mezzosangue per pestare a sangue la Pizia.
“… Ailani Kamaka, tu sei figlia di Ares. Per quanto non ci tenga a ricordarmelo.”, mi disse con un’aria seria. “Sono sicura che se c’è qualcuno che la spunterà, sarai tu. Vedrai.”, e dicendo così, mi elargì un sorrisetto serio che valeva più di mille parole. Voleva dire una sola parola: orgoglio. Era orgogliosa di me. In qualche modo, non le passava neanche per l’anticamera del cervello che fossi potuta non tornare o tornare maledetta per la vita. Tutto ciò che riusciva a pensare era che l’avrei fatta felice, in futuro, di sentire che sua figlia aveva fatto qualcosa di grande. Credo che gli occhi mi stiano luccicando, ora come ora.
“Grazie, mamma. Vedrai, tornerò.”
“Ci conto.”, rispose lei.
“Ciao.”, la salutai.
“… Ciao.”, mi salutò lei sospirando.
Ora, mi sentivo il cuore gonfio di coraggio. Grazie, mamma, grazie sul serio.



Non ero contenta di essere predestinata, o meglio, non l'avevo presa bene soprattutto per il pezzo che profetizzava la morte di un mezzosangue del gruppo. E' da parecchio che desideravo un'impresa, fin dal primo giorno della mia permanenza al campo. Ma non in un'impresa così pericolosa. Il solo pensiero mi faceva rimpiangere il mio passato, la mia vita noiosa ma felice che avevo in precedenza. Quando vivevo con mio padre in Kansas, quella terra arida. Ovviamente, dato i miei poteri, per noi non c'erano problemi, facevo crescere inconsciamente, e nonostante mio padre mi volesse un mondo di bene, lui odiava queste mie capacità. Ogni volta che facevo qualcosa di simile, lui si arrabbiava molto, e mi gridava di non farlo mai più. Se avessi saputo dell'impresa, probabilmente gli avrei dato ascolto, anziché far crescere margherite nel nostro prato (sempre secco ed arido).
Decisi di fare un giretto al campo, dato che sarebbe potuto anche essere l'ultimo. Poteva essere un addio, o forse solo un arrivederci, chissà, del resto, cosa sarebbe stato. Ovviamente, io speravo nella seconda ipotesi. Vicino al campo di allenamento vidi Austin intento nella sua settimana mistica. Non lo conoscevo molto, ma probabilmente lui l'aveva presa peggio di me. Mi sedetti vicino a lui, anche se inizialmente non mi notò. Poi, appena staccò gli occhi da quel giornale, mi salutò con un "Ciao" e un gesto della mano.
"Ehm, come va? Che pensi? Per la profezia, intendo.", gli chiesi io.
"Be'.......E' inutile negarlo, sono terrorizzato, non voglio assolutamente morire così giovane, non sono un tipo a cui piace l'azione, sinceramente non volevo essere nemmeno un mezzosangue all'inizio... Dovevi vedermi, appena lo venni a sapere dalla Whistle, il mio volto sbiancò e iniziai a dare di matto...", mi disse lui con aria triste. Nell'ultima parte della frase non riuscii a trattenere un risolino.
"Nemmeno io ne sono molto contenta..." gli risposi io, con aria altrettanto triste. "Inizio a rimpiangere la mia vita da mortale inconsapevole." continuai.
"Be'. non preoccuparti, siamo nove... Forse non saremo noi a morire... Forse andrà tutto bene ad entrambi." disse lui, anche se gli si leggeva in faccia che non era vero.
"Be'....Probabilmente hai ragione" gli risposi io, non del tutto convinta e comunque preoccupata.



Nella casa di Apollo, regnava il silenzio prima della tempesta. Un silenzio rotto dalle nostre voci.
“William, ma tu perché non porti gli occhiali coi problemi di vista che ti ritrovi?”
“Oh, ehm …”, disse lui, visibilmente imbarazzato, “sono cieco.”
“Oh.”, esclamò Robert. “Dalla nascita?”
“Sì. Sai, Apollo non dà a tutti gli stessi doni. A me è toccato il vaticinio, il Dono di Tiresia.”
“Aspetta - aspetta – aspetta, scusa?!”, dissi, credendo di avere avuto un’allucinazione uditiva. “Mi stai dicendo che esiste più di una persona in questo campo che sa vedere nel futuro?”
“Oh, beh, solo io, in effetti. Sai com’è, il Dono di Tiresia è raro.”
“E allora cosa mi dici, Mr. Profezia, cosa dobbiamo aspettarci?”
“Che la missione sia inizialmente un totale fallimento e finisca per essere un totale successo.”
“Oh, se non altro!”, dissi io. “E riguardo al ladro?”
“Questo non posso dirtelo. Però posso dirti una cosa che non deriva dalla visione del futuro. Sospetto che Calipso c’entri qualcosa.”
Stranizzato, chiesi: “Calipso? Ma non è quella dea che vive praticamente sola sull’isola di Ogigia?”
“Tecnicamente, dovrebbe essere. Però è da quando si è avverata l’ultima Grande Profezia che è stata lasciata libera di vagare per l’Occidente.”
“Ok, quindi, fantastico, potrebbe essere ovunque, in America. Ma mi spieghi perché Calipso dovrebbe essere interessata alla Faretra di Eros, scusa?”
“Non lo capisci? E’ stata dannata con la reclusione solitaria in un’isola nella quale approdavano gli eroi naufragati, e il fato ogni volta voleva che lei se ne innamorasse, che non venisse mai corrisposta e che l’eroe la dovesse sempre lasciare nuovamente sola. Cosa può mai una dea sottoposta ad un tale supplizio desiderare se non di essere finalmente libera di essere ricambiata?”
“Non fa una grinza.”, risposi io.



Per alleviare la tensione decisi di sfogarmi ancora di più con l'alcol di quanto già non facessi prima. Non ero triste, ma mi serviva conforto, qualcuno in grado di darmi la carica, insomma, avevo bisogno di mio padre. Barcollando e mantenendo conati, cercavo di farmi strada tra i semidei, evitando di cadere addosso a loro, scatenando piccole liti.
Finalmente, dopo ben cinque minuti, arrivai alla direzione. Mio padre era sempre lì, seduto sulla sua sedia a bere diet coke o roba simile per sfogare la sua mancanza di alcol. Poveretto, provavo pena per lui.
Si girò per guardarmi e mi disse: "Airyn, figlia mia, ti vedo più ubriaca del solito! Brava!". Era strano che facesse dei complimenti ai suoi figli. Non era tanto strano il genere di complimento – stiamo pur sempre parlando del dio dell’ebbrezza! – ma piuttosto che li facesse.
"Cosa ci fai qui?”, continuò. "Immagino sia per la profezia".
“Sì.. Hic!”, risposi io.
"Be'.. Sono quasi certo che non sarai tu quella destinata alla morte! Insomma, hai un flauto con il quale fai impazzire i nemici! E' difficile che tu perda la vita, viste le tue capacità" mi disse lui. Nonostante il suo fare distaccato, mi aveva capito subito: avevo bisogno di conforto.
Ero fortunata ad avere il mio padre divino al campo mezzosangue, poteva capirmi facilmente e darmi dei buoni consigli.
“Se devo dirla tutta io un sospetto ce l’avrei …”, continuò. “Ade, mio zio. Ci scommetto un lustro di punizione che sta tentando come sempre di arraffare il trono di Re dell’Olimpo. E magari stavolta starà cercando di causare una morte di massa per portare un esercito di morti sull’Olimpo, sì …”
"Be'... Grazie per il prezioso consiglio, padre, e – hic - grazie di tutto." dissi io andandomene, molto grata a lui e piena di una nuova energia per l'impresa.



Finalmente era arrivata l'ora. Lì, davanti all'entrata del Campo Mezzosangue, vi eravamo tutti noi prescelti insieme a Chirone, pronto a darci le ultime indicazioni e i suoi saluti.
"Bene, ascoltatemi tutti.", disse Chirone, facendosi serio.
In tutta la mia (breve) esperienza al campo credo di non averlo mai visto così teso come in quel momento, e nemmeno gli altri, a quanto dicevano le loro facce.
"State per partire per un viaggio arduo e difficile: dovrete portare a termine una missione, il cui obiettivo è avvolto nel mistero, in solo una settimana, senza contare i pericoli che correrete una volta messi i piedi fuori dal campo. Fate attenzione!"
Ora vi illustrerò come dovrete agire: secondo la profezia,dovrete dividervi in tre squadre,ognuna delle quali lavorerà per conto proprio. Forza, decidete in fretta come dividervi!”
"Io con te non ci sto in squadra!", dicemmo io e Nathan all'unisono. Evidentemente ricordava ancora bene il braccio che gli avevo congelato, come io ricordavo i tagli sulle mani che mi aveva fatto.
E questa fu solo la prima di tante discussioni: Robert voleva stare per forza con Austin, Anthea si rifiutava di andare con Airyn, mentre Nathan si lamentava di non voler stare con nessuno dei novellini, in un putiferio generale da cui uscimmo dopo mezz'ora.
Le squadre finirono per essere le seguenti: Nathan, per sua grande tristezza, dovette andare con Austin e Anthea, che sicuramente andavano mille volte più d'accordo tra di loro che non col figlio di Efesto. Problemi loro. Robert invece sarebbe andato con Ailani, che si sarebbe accontentata di qualunque compagno, e con Jasmine,anche se sembrava esserci un po’ di tensione fra i due. Quanto a me, non sarei potuto finire con compagni migliori: Airyn avrebbe sicuramente saputo come procurarsi ogni genere di bibita, oltre al vino, compresa la Coca-Cola, e Louise... beh, diciamo solo che ero felice e basta che mi avesse chiesto di fare squadra con lei fin da principio.
Fatte le squadre, Chirone, dopo aver dato un thermos di nettare e un paio di tavolette d’ambrosia a ciascun trio, ci augurò lapidario "Buona fortuna", ed uscimmo dai confini del Campo Mezzosangue.



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Cari lettori, vi devo dare un avviso. Il gruppo di scrittura, che si riunisce su MSN, è alla ricerca di nuovi componenti. Se siete interessati a farne parte, speditemi un messaggi privato con il vostro indirizzo; non dovrebbe essere difficile riconoscere il mio invito. Le condizioni per farne parte sono due, semplici: entrare su MSN quotidianamente o quasi (va bene anche praticamente un giorno sì e uno no, ma non di più) e l'avere uno stile di scrittura abbastanza buono (parliamo soprattutto di buona sintassi; non dovrebbe essere un requisito difficile da avere).
Inoltre, vi comunico che questa fanfiction, a patto che riesca a sopravvivere e continuare senza rimanere a secco di partecipanti col sottoscritto che scrive in solitario, sarà parte di una serie formata da 4 fanfiction in sequenza. Bello, eh?
I membri che aderiscono al gruppo di scrittura, finita questa fanfiction, verranno chiamati a creare alcuni personaggi che compariranno nelle fanfiction seguenti (maggiori informazioni a tempo debito).

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Capitolo 9
*** Partiamo col piede sbagliato ***


"La situazione è tragica!", annunciò Zeus, seduto sul suo trono di marmo decorato d'oro.
"Non ce ne eravamo accorti.", ironizzò Efesto.
"E fu così che il divin nume d'amor, Eros, morì silente e privo di forze, scivolando, inesorabilmente, negli atri abissi del Tartaro."
"Che poi, questo ladro è capacissimo di farne quello che vuole, con quelle frecce! E se volesse colpire noi déi?"
"Scomparve dal mondo la favilla sublime dell'attrazione, destino d'oblio giunse fra gli uomini, cessò ogni vita."
"Melpomene, giuro che se non la smetti di comporre 'sté lagne funebri su Eros - che è ancora vivo! - Polimnia non sarà più la sola Musa muta!"
"Glom! Ok, divina Afrodite, la pianto."
"Apollo!", strillò poi Afrodite, "Hai fatto quello che ti ho chiesto?!"
"Calma, calma, per Zeus! Sì, certo che l'ho fatto. Ad ogni modo, dovresti provare gli effetti calmanti del Ginseng.. Benefica è / questa pianta qua / ch'i nervi calma", disse Apollo, concludendo con un haiku.
"Ma ancora non ti sei stufato, con questi stupidi haiku?! Insomma, saranno passati vent'anni da quando te ne sei innamorato in Oriente!", sbottò Artemide.
"Che vuoi, sono il dio della poesia.", fece Apollo, alzando le spalle come per dire 'non posso farci nulla'.
"Ma non puoi forgiargli delle frecce nuove, scusa?", chiese Ermes ad Efesto.
"Oh, certo. Il potere dell'Amore glielo instilli tu?", rispose il dio dei fabbri.
"Ora, silenzio.", disse pacata la dea Atena. Il silenzio, calò. "Abbiamo inviato quei semidei a recuperare la faretra. State calmi."
"Oh, certo, calmissimi. Ti rendi conto che senza l'uomo, non esisterà l'agricoltura?!", era terrorizzata Demetra.
"Se è per questo neanche la guerra!", incalzò Ares.
"Tranquilli, sono convinto che ce la faranno.", disse Poseidone. "Dopotutto gli abbiamo dato tutte le informazioni che gli servivano, no?"
"Sì.", disse Apollo, e poi annuì.



Anthea


Era il nostro primo giorno, e fino adesso le cose stavano andando bene, nessun mostro pronto a ucciderci, nessun problema con le provviste e nessun litigio tra noi, nemmeno tra Austin e Nathan , stranamente. In ogni caso, ero ancora in ansia, so che solo uno morirà, ma potrei essere io, e questo non mi piaceva. Ma era anche vero che era poco il tempo che avevamo lasciato il campo, e probabilmente gli altri giorni non saranno tranquilli come questo. Iniziava a farsi buio, e noi eravamo molto stanchi, così decidemmo di accamparci vicino a un campo di pannocchie. Purtroppo però, il campo era protetto da una recinzione. "Bene, a noi due, caro recinto" , pensai io, e poi lo buttai giù a suon di calci e falciate. Più da vicino, mi accorsi che le pannocchie non erano ancora mature. Mi venne un’idea.. Le feci maturare con i miei poteri e poi le raccolsi con la mia falce. Dopo, le portai a Austin e Nathan.
" Sei un genio!", mi disse il primo.
"Modestamente", gli risposi io.
Nathan allungò le mani cercando di prenderne una, ma glielo impedii con uno schiaffetto sulla mano.
"Ma se volete mangiare queste deliziose, buonissime, a dir poco paradisiache pannocchie....Beh, dovrete lavorare anche voi.", dissi io ai ragazzi. "Bene", continuai, "Fateci una zuppa di mais mentre io accendo il fuoco, okay?", porgendogli le pannocchie.
Raccolsi un po' di legna secca e qualche fogliame, e, con qualche difficoltà, riuscii ad accendere il fuoco, soprattutto grazie all'accendino di Nathan. Dopodiché, Austin mi chiamò, dubbioso.
“Ehm, Anthea … Cosa cavolo dobbiamo fare?”
Sono in momenti come questi che capisci quanto sia frustrante essere l’unica persona che sa cucinare in un gruppo.
“Dovete aprirle, togliergli tutti quei fili, poi raschiare i chicchi, e infine metterli a bollire.”
“E dove, bollire?”
“Nella pentola. Con l’acqua. Trovate entrambe le cose nel mio zaino.”
“Oh, ok.”, fece lui, ora meno confuso.
Alla fine, riuscimmo a cenare. Era deliziosa, anche se lievemente insipida. Sembrava un campeggio tra amici, seduti sui tronchi, attorno al falò a mangiare mais, si respirava un'aria felice, allegra, amichevole. Quasi ci dimenticammo che eravamo in un'impresa mortale. Quando fummo sazi – c’erano pannocchie quante ne volevamo, quindi ne approfittammo – andammo a letto, stanchi, distrutti, e sperai di fare dei bei sogni. Ne avevo davvero bisogno.



Christian


Dopo aver camminato per sette ore verso ovest, calata la notte, avevamo finalmente deciso di accamparci in una piccola radura che non dava nell'occhio, e Louise aveva montato la tenda. L'aveva tirata fuori dalla sua borsetta incantata, e siccome era una di quelle istantanee, la montò in men che non si dica. Già, borsetta incantata! Che ci crediate o no, esistono anche cose del genere. Noi semidei non siamo mica solo dei guerrieri che inventano armi per squartare chiunque ci capiti a tiro! Ci piace anche avere oggetti comodi. Ad esempio, questa particolare borsetta era un piccolo regalo per Louise da parte di sua madre, avuta quando era arrivata al campo. In qualche modo, là dentro ci stava di tutto, a patto che fossi riuscito a farlo entrare. E, ancora più impressionante, non pesava un accidenti come avrebbe dovuto. Trucchi quanti ne vuoi, qualche libro, oggetti di uso comune, dai fiammiferi ai cavatappi, vestiti, c'era di tutto. La migliore valigia del mondo!
Le ragazze erano entrate nella tenda, mentre io ero rimasto fuori, sdraiato sul prato. Rimiravo il cielo e le stelle,che brillavano come mille goccioline d'oro. Abitando in una città molto urbanizzata, le luci impedivano sempre la vista delle stelle. Mentre seguivo con lo sguardo le costellazioni dello Zodiaco, soffermai lo sguardo sulla Luna. All'improvviso realizzai una cosa: se gli déi greci esistevano davvero, allora la Luna non era un satellite roccioso, ma il carro di Artemide, sorella di Apollo. Parte del mio mondo si sgretolò. Allora migliaia di scienziati si erano sbagliati per tutto questo tempo. Le stelle, le galassie, i fenomeni atmosferici. Tutti nati dai capricci di alcuni dei? Mentre pensavo a ciò, mi rivennero in mente tutte le lezioni di mitologia, unica materia che riuscivo a seguire a scuola, e mi ricordai che non avevo mai sentito parlare di mio padre nelle lezioni. Sapevo che era il dio del vento del Nord, ma che tipo era? Mia madre non mi aveva mai parlato molto di lui, era sempre stata misteriosa … e ora sapevo perché!
Mentre pensavo a ciò, la testa di Louise spuntò da dentro la tenda.
"Ehi, Chris”, mi disse, "Non hai freddo?"
"No.", le risposi io. "Non mi sembra che si stia così male qua fuori!"
"Ma faranno almeno 10 gradi, se non di meno! Per essere estate, è una temperatura molto bassa!"
"Sarà che in Canada è sempre così o che sono figlio di Boreas, ma mi trovo a mio agio qui!"
"Contento tu...", concluse lei, con una faccia dubbiosa.
"Piuttosto", dissi io alzandomi, "Avete qualche idea su dove dovremmo dirigerci? Non abbiamo uno straccio di indizio su chi possa aver rubato quella faretra!"
In quel momento si sentì la voce di Airyn (che sembrava particolarmente brilla) dire: "Mio padre dice che forse suo zio potrebbe essere il colpevole!"
"Ehm, quale zio, Airyn? L'albero genealogico degli déi è molto intricato!", disse Louise.
"Ma Ade, ovvio: papà diceva qualcosa sul causare stermini e poi usare i morti per attaccare l'Olimpo!"
"Ma certo!",scattò Louise, "Se non c'è amore, non possono esserci nuove generazioni, e quindi Ade potrebbe usare tutti i dannati per attaccare l'Olimpo indisturbato!"
"In effetti ha senso",dissi io,"Ma dimmi,come ci scendiamo nell'Ade? Perché l'unico modo che conosco io non è né piacevole né ci darebbe la possibilità di riportare indietro la faretra!"
"Io lo so!", disse Airyn.
"Davvero?", dicemmo io e Louise all'unisono.
"Sì...c'è la Via di Or...feooooooooooooooo...", disse, e poi crollò a terra, addormentata.
"Ehm, credo che dovremmo aspettare domani per sapere cos'è questa via di Orfeo. Forza Chris, dobbiamo dormire un po’,non si sa mai a che ora un mostro potrebbe svegliarci di soprassalto!", disse Louise, e rientrò nella tenda.
Anch'io entrai,e ripensando agli astri mi venne in mente un'altra cosa: l'amore era solo qualcosa voluto da Cupido? Perché, mentre guardavo Louise mettersi a dormire, non potei non notare i suoi morbidi capelli biondi, i cristallini occhi verdi e le bellissime labbra, che mi rivolgevano uno splendido sorriso prima che lei si coricasse, e mi chiesi se veramente qualcuno avesse rubato la faretra del dio dell’amore.



Robert


"Ailani, basta!", protestai.
"Ma che basta e basta! Hai detto che dobbiamo cercare Calipso, no? Beh, Calipso viveva ad Ogigia. Che è nel Mare dei Mostri. E il Mare dei Mostri è nel Triangolo delle Bermuda. E qual'è uno dei vertici, del Triangolo delle Bermuda?"
"Miami.", disse mogia Jasmine. "Ma questo non ti autorizza a spronarci così tanto. Sono due giorni che ci fai camminare a passo di marcia! Abbiamo mangiato una scatola di fagioli a testa ieri sera e per il resto siamo digiuni!"
"E abbiamo dormito quattro ore."
"Tzé, sfaticati.", ci schernì la figlia di Ares.
"Possiamo fermarci un pò?"
"Uhm, fammi pensare... Siamo alle porte di Raleigh, in North Carolina.. Beh, sì."
"Ha detto sì?", chiesi a Jasmine come se si fosse appena verificato un miracolo.
"Ha detto sì!", disse lei, esultante, dopodiché mi invitò a darle il batti cinque.
"Però non staremo con le mani esattamente in mano. Ci fermiamo solo perché voglio visitare il Museo della Hall of Fame dello Sport. Tranquilli, vi riposerete un po' le gambe e prenderete qualcosa da sgranocchiare. Anche se mi chiedo cos'abbiano i fagioli che non va."
"Oh, niente, solo che su qualcuno hanno un brutto effetto.", disse Jasmine, ironica-sarcastica-varie-ed-eventuali.
"Ehi!", mi offesi io, "Stai insinuando che soffro di flatulenza?"
"No, sto dicendo che quel poco che ho dormito, l'ho fatto con uno sgradevole odore sotto il naso."
"Ehi..."

"Wow! C'è anche l'uniforme di Meadowlark Lemon!"
"E chi era, 'stò mister Limone?", chiesi, un po’ – un po’ molto – annoiato.
"Un famoso giocatore di basket... Tzé, si vede che non ti interessi di sport."
Ad un tratto, sentii qualcosa sulla spalla.
Una mano, capii, e mi voltai.
Un omone alto, alto, che sicuramente praticava sport, pensai.
"Posso aiutarvi?", ci chiese con un vocione gutturale.
"Oh, no, grazie. Non abbiamo bisogno della guida.", rispose prontamente Ailani.
"Uhm, ma siete tutti minorenni! Sapete che non si può entrare senza genitori, se si è minorenni, vero?"
"Oh, ehm... Siamo... orfani.", mentii.
"Orfani? Oh... Capisco.", fece lui, con quella voce cavernosa
"Come sono morti, i vostri genitori?"
"In un.. incidente d'auto, sì, si sono schiantati.", mentì Jasmine. Mi scoccò un'occhiata come per dire: "Allarme, qualcosa non va."
"Un incidente d'auto! Che brutta morte. Mi dispiace per voi.", disse l'omone. "Dite, vi mancano tanto?"
"Oh, sì.", mentì Ailani. Lo diceva con lo stesso tono con cui elencava i nomi dei vari sportivi, quindi non era molto convincente, considerando che si parlava di morti.
"Bene, cari..", continuò. "Perché vorrei farveli vedere!"
Improvvisamente, una sua paffuta mano scattò e serrò la mia gola. Mi sollevò da terra. I turisti circostanti iniziarono ad urlare, additarci, scappare. Ma onestamente, non ero in condizione di curarmene.
"Mezzosangue! Senza alcun dubbio!", disse, con la sua voce profonda. Mi aveva alzato fin all'altezza della sua testa, e ora riuscivo a vedergli con chiarezza la faccia. Aveva denti giallastri, sporgenti, malcurati, naso storto e dalle narici incrostate di muco solidificato, ma la cosa più brutta, terrificante, erano gli occhi. Anzi, l'occhio. Era un Ciclope!
"E' un ciclope!!"
"L'avevo intuito, grazie!", rispose Ailani. Dopodiché, sferrò un mawashigeri (un calcio da karateka) all'inguine del ciclope, che gemette e mi mollò a terra, facendomi cadere di sedere dolorosamente.
"Stupida ragazzina!", urlò il ciclope, serrandosi con una mano la parte lesa, dolorante. "Perché voi mezzosangue siete sempre così difficili da mangiare?"
Dopodiché, tese l'altra mano per afferrare Ailani. Quella si tolse rapidamente il polsino e intercettò la mano con un colpo di claymore fiammeggiante. Una turista particolarmente temeraria, nel frattempo, scattò una foto.
Il ciclope non batté ciglio, e la afferrò saldamente. "Stupida, stupida semidea. I ciclopi non temono il fuoco."
"Oh, cazzo.", disse Ailani.
Io, nel frattempo, mi ero alzato, e, sfilatomi l'anello dalla mano, adesso impugnavo un arco con freccia pronta ad essere scoccata.
"Beccati questo!", dissi al Ciclope. Scoccai la freccia, che in un attimo si abbatté lì dove dovrebbe esserci il cuore. Ma con mia sorpresa, rimbalzò sulla pelle del Ciclope come se lui avesse addosso un giubotto antiproiettile.
"Ma che cavolo! Sei invulnerabile a tutto?", chiesi al Ciclope, seccato.
"Noi Ciclopi abbiamo la pelle spessa. E' difficile anche solo scalfirla."
"Ne sei sicuro?", chiese Jasmine.
Non mi ero neanche accorto che adesso impugnasse il suo scudo maledetto. Lo caricò, facendo cozzare lo scudo contro la pancia del ciclope. Al contatto, la maglietta si disintegrò, e la pelle iniziò a scorticarsi, rivelando il rosso del sangue e le fibre dei muscoli, scoperte e vulnerabili.
Capii che era la mia occasione, e incoccai una freccia, tendendo l'arco al massimo per assicurarmi che gli trapanasse per bene la carne. "Senza, però, non duri molto.", dissi, sorridendo, e scoccai.
La freccia seguì una traiettoria che, partendo da sopra l'ombelico, gli attraversò la pancia rivolta verso l'alto, probabilmente finendogli nel diaframma o addirittura nei polmoni. Il ciclope emise un gemito di dolore atroce, e iniziò a dissolversi in una nube di sabbia gialla, come un castello di sabbia in balia di un tifone.
"Ecco, vedete cosa succede a fare pause?", disse Ailani, cascata a terra.
"Stai zitta.", le intimai.

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Capitolo 10
*** Chiacchiero con un roditore ***


Robert


Mi svegliai all’alba, dopo una nottata di sonno meritatissimo dopo che Ailani ci aveva trascinato nei pasticci di ammazzare un Ciclope in un museo sportivo. Ci eravamo addormentati come ghiri narcotizzati fra qualche albero poco oltre il bordo di una strada in Georgia, a un paio di centinaia di kilometri di distanza da Atlanta. Sì, avevamo viaggiato davvero TANTO a piedi, e ora avevamo i muscoli delle gambe in fiamme, ma così in fiamme che ci sarebbe voluto il fuoco greco per farceli bruciare di più, i piedi stanchi, gonfi, madidi di sudore e quindi puzzolenti, e dulcis in fundo, ora anche la schiena anchilosata e le foglie di oleandro fra i capelli per l’ambiente poco comodo per dormire. Scordo nulla? Ah, sì, avevo un topo addosso. Non appena me ne accorsi, quello corse via.
“Scappa! Scappa!”, sentii una voce stridula nella mia testa.
Aspetta. No, non è possibile. Aveva appena sentito i pensieri di quel topo?... No, ora voi mi dovete spiegare perché. Ad ogni modo, sperai che funzionasse anche al contrario, e pensai “Fermati!”, diretto al topo. Il topo si fermò, lasciandomi parecchio incredulo.
“Ehi, Jasmine!”, la svegliai.
“Mhhh, aspetta, solo altri cinque minuti!”
“Parlo coi topi!”
Lei si svegliò di soprassalto. “AH! T-topi? Dove?”
“Vieni.”, dissi, e il topo, che era quasi scappato, si avvicinò ai miei piedi.
“Ahhh! Un topo!”, urlò lei. Si tolse persino l’anello, che diventò il suo solito scudo maledetto scorticante-polverizzante. Il roditore ebbe un fremito, ma restò sul posto, probabilmente troppo obbediente per andarsene.
“Ferma! E’ un … amico. Penso. Insomma, mi obbedisce.”
“Davvero?!”, disse lei. “Oh …”, poi fece, come se avesse capito qualcosa di importante.
“Perché ci riesco?”, le chiesi.
“Ci riesci a fare cosa?”, chiese Ailani, che doveva essersi svegliata, in tono assonnato.
“A … parlare coi topi.”, le spiegai.
“Domanda facile. Sono gli animali sacri di tuo padre, insieme ai lupi. A me riesce con i cinghiali.”, disse lei, col tono di chi parla del tempo, guardandosi le unghie (in pessimo stato).
Ok, era fantastico. Sono figlio del dio Apollo. Potrei beccare una mosca in volo con una freccia. Posso curarmi e curare con il tocco. Pare che sia anche un asso nella musica e nella poesia, anche se a quanto pare non sono niente di che nel canto, per gli standard di Apollo. E parlo pure coi topi e coi lupi. “Salve”, salutai il topo, sentendomi un po’ sciocco, “Io sono Robert. Figlio di Apollo, il dio a cui sono sacri i topi.”
La vocina stridula e abbastanza terrorizzata del topo rispose: “S-s-sa-salve. Skuik.” Skuik doveva essere una sorta di nome sorcino, capii.
“Dice che si chiama Skuik.”
“E ora cosa facciamo? Gli chiediamo dov’è Calipso?”, ironizzò Ailani.
“Perché non provare?”, risposi, alzando le spalle. “Ehm, topo … Skuik. Sai dirmi dove trovare la dea Calipso? Hai presente? Una dea. Onnipotente. Probabilmente bellissima. Eterna. Roba di questo genere.”
“Sk-kuik ha s-s-solo notato che la n-natura è m-mo-molto t-tesa attorno a Hollywood.”, rispose con i baffi che tremavano. Ebbi l’impressione che Apollo avesse fatto qualcosa per terrorizzare a morte i poveri topi, che lo temevano e rispettavano. Avrei preferito che questo rapporto di superiorità-inferiorità non ci fosse.
“Ecco, visto?”, dissi io. “Ha detto che la natura è tesa attorno ad Hollywood.”
“Che è vicinissima a Miami.”, rispose Jasmine.
“Quindi dovremmo aver grossomodo capito dov’è andata a cacciarsi quella dea.”, rispose Ailani.
“Solo una cortesia.”, le dissi.
Lei rispose: “Che cortesia?”
“Evitiamo di andare così veloce, per piacere? Ho i tendini che chiedono pietà e mi sono appena svegliato.”, dissi in tono sconsolato.
Ci facemmo una risata.



Louise


“Ehm, Airyn … Adesso vorresti spiegarci cos’è questa ‘via di Orfeo’?”, chiesi.
"Dunque", disse Airyn, che stranamente non era né sbronza né in dopo sbornia, "La via di Orfeo è una via alternativa per l’Ade. Un ingresso dal retro, se vuoi. L’ha usata Orfeo per andare a recuperare la sua amata Euridice dal Regno dei Morti, aprendola col suo canto. Basta suonare o cantare, per riaprirla, anche se bisogna conoscere il punto giusto."
“Oh, capisco.”, rispose Christian.
Ad un tratto, sentii un gorgoglio gutturale provenire da Christian. Un rutto?
"Chris, che schifo!", dissi guardando accigliata il figlio di Boreas.
"Ehi, non saltare a conclusioni affrettate, era solo il mio stomaco!", rispose lui, e un altro verso eruttò dal suo stomaco. "Uff, scusa, ma è da quasi un giorno che camminiamo, le provviste nella mia borsetta sono finite e non mangio da ore.”
“E certo”, rispose Airyn con aria un po’ stizzita, Avevi portato soltanto una decina di merendine dietetiche! Vedi che sei figlia di Afrodite, rimani snella e bellissima cascasse il mondo!”
Come se non l’avessi neanche sentita, tenendomi la pancia, dissi: “Ho talmente fame che inizio ad avere allucinazioni uditive!"
“Fa niente, ti capisco, cerchiamo di distrarci dal pensiero della fame.", rispose Christian sorridendomi.
“Più facile a dirsi che a farsi!”, gli risposi abbattuta. E di certo l'ambiente non contribuiva a rallegrarmi: eravamo finiti in una foresta fitta, intricata, ai confini della civiltà, e soprattutto, piena di milioni di ragnatele che mi si impigliavano fra i capelli. Sembrava quasi di essere in una giungla, per questo ci stupimmo quando vedemmo un piccolo selciato, che portava dritto a...
"Una villa!", disse Chris, indicandola.
"Già, sembra che questo posto non sia così disabitato, in fondo!",aggiungi io. "Giusto Airyn? Airyn?"
La nostra amica era lì accanto a noi, ma non c'era: aveva gli occhi chiusi, le narici che inspiravano profondamente.
"Torta di mele!"disse, e poi capii: a quanto pare a qualcuno in quella villa piaceva cucinare,e lo sapeva fare molto bene.
"Forse dovremmo chiedere aiuto,se qualcuno ha una villa del genere di certo avranno un sacco di roba da mangiare!", disse Chris.
“Ehi, aspetta-aspetta-aspetta!”, lo fermai io. “Ci stai suggerendo di entrare in una misteriosa villa nel bel mezzo di una foresta per chiedere da mangiare?”
“Vedi che siamo tre semidei, non Hansel e Gretel.”, disse lui, sollevando un sopracciglio. “Dubito che ci troveremo la strega cattiva dentro.”
Guardai la villa. Era molto grande, ma allo stesso tempo trascurata, come se nessuno se ne prendesse cura. Un tempo doveva essere stato un edificio maestoso, ma adesso le mura erano state prese di mira dall’edera rampicante, che cresceva qua e là, in chiazze disordinate, lasciando intravedere dietro l’intonaco delle mura, che avrebbero avuto bisogno d’un’urgente riverniciata. Il tetto doveva essere stato coperto dalle tegole, che adesso erano in gran parte mancanti, e le poche rimaste erano quasi tutte rotte. Il giardino era pieno di erbacce cresciute fino ad arrivare al ginocchio. E vi erano delle piante nei vasi sui davanzali delle finestre opache di polvere: gerani, azalee, ma erano tutte appassite. Ci avvicinammo, e io suonai il campanello, sopra il quale c’era una targhetta appena leggibile che recitava: “Dott.ssa A. Octapoda, Entomologa”. Un sordo dlin-dlon risuonò nell’aria. Il campanello era molto vicino al rompersi, anche se ancora funzionava. Quasi non ci speravamo, ma qualche secondo dopo la porta si aprì cigolando. In certi casi, case e padroni si assomigliano e si rispecchiano l’un l’altro. Tipo, casa mia, ed intendo la casa in cui vive mio padre, è zeppa di cianfrusaglie, disordinata, ma tutto sommato felice. Un po’ come la vita di mio padre, da quando sono nata io. E allo stesso modo, la dottoressa Octapoda assomigliava incredibilmente alla casa che abitava. Era vecchia, i capelli che un tempo dovevano essere stati splendidi erano canuti, secchi, sciupati, legati malamente a formare una coda. Gli occhi, sebbene di una sfumatura di blu assolutamente affascinante, come il cielo quando sta per iniziare il tramonto, erano pieni di cataratte e di capillari, e portava un paio di occhiali da presbiopia, sulla punta del naso. La bocca era avvizzita, sottile, pallida, ma solo guardandola potevi capire come un tempo fosse stata una bocca rosea e desiderabile, che avresti dato un occhio per essere libero di baciare. La faccia era rugosa, ma anche qua traspariva la bellezza perduta, di quando i suoi lineamenti – invidiabili, e ve lo dice una figlia della dea della bellezza – non erano deturpati dall’età.
“Oh … Salve. Desiderate?”, disse l’anziana dottoressa.
“Oh, signora!”, attaccai io discorso, mischiando teatralità e charmspeak, “E’ da questa mattina che ci siamo perduti in questo bosco. Le dispiacerebbe darci qualcosa da mangiare, e magari darci una mano ad orientarci?”
“Capisco.”, rispose lei con un largo sorriso gentile. “Entrate pure.”
All’interno, la casa si mostrava sempre abbastanza malcurata – polvere quanta ne vuoi, disordinata, carta da parati marcescente – ma aveva alcune cose che la rendevano affascinante. L’ingresso della villa era piuttosto classico, con un tavolino con su le chiavi di casa e qualche candela, vecchie fotografie sbiadite dal tempo. Dall’ingresso si andava in due stanze diverse, a destra e a sinistra. In quella a sinistra, oltre una porta, c’era una normalissima cucina, in stile vittoriano, anche se sempre e comunque logorata dal tempo. Ad ogni modo, sembrava lievemente più curata del resto della casa, forse perché era la stanza in cui passava più tempo. In un angolo c’era una macchina da cucito, ferri lunghi da lana e uncinetto, gomitoli di lana e spagnolette di cotone, riviste di punto croce. Delle scale portavano al piano di sopra, dove probabilmente c’era la stanza da letto ed il bagno. L’altra stanza non era separata dall’ingresso da una porta, ma da una tenda pesante, che non lasciava intravede nulla, nemmeno in controluce.
Ad ogni modo, ci accompagnò con un gesto nella cucina e ci fece sedere al tavolo da pranzo, mentre lei tirava fuori dai mobili delle fette di pane, più marmellata di marroni se ti piaceva il dolce, o prosciutto e formaggio se avevi voglia di mangiare più salato. Alla vista, mi venne l’acquolina.
Portò il tutto a tavola – aggiungendo una caraffa di limonata fatta sul momento alla maniera classica, spremendo i limoni con lo spremiagrumi – e ci disse: “Servitevi pure.”, con un largo sorriso gentile.
Mentre io ringraziavo e mi servivo di pane e marmellata, Airyn prese la parola.
“Dottoressa … Mi scusi, ma non ho proprio potuto fare a meno di notare che la sua casa è, beh, malcurata.”
“Bisognerebbe essere orbi, per non notarlo, e mi sembra che tu ci veda abbastanza bene.”, disse lei, ridacchiando. “La verità è che non ho i soldi per pagare una donna delle pulizie, o un giardiniere. Campo di pensione, che per carità, non è malaccio, sono sempre stata un’entomologa di successo (e mentre lo disse, indicò la laurea e alcuni vecchi articoli di giornale che la celebravano, affissi al muro), ma non basta a far curare per come si deve una villa. Adesso, tutto ciò che mi rimane è l’hobby del cucito e i rimasugli del mio lavoro.”
“Fantastico”, pensai io. “Una vecchia pensionata che abita in una villa malcurata, dedita al cucito. Inoffensiva.” E non sapevo di sbagliarmi.
“Bene, capisco che magari avrete fretta di tornare a casa – i vostri genitori saranno preoccupati – ma vorrei proprio che restaste qua qualche altro minuto. Sapete com’è, le visite sono rare. Generalmente, la mia sola compagnia sta … nelle teche di vetro. A proposito delle teche, volete che vi mostri la mia collezione di insetti?”
Stavo per rispondere di no in un tono che avrebbe convinto chiunque – modestamente, prima di scoprire di essere una mezzosangue, frequentavo una scuola di teatro – ma Christian mi precedette, dicendo con entusiasmo: “Va bene! Faccia strada, signora.”
Ci alzammo e ci condusse nella stanza a destra, quella che non era separata dall’ingresso con una porta, ma con una tenda. E vi si vedevano un sacco di teche di vetro, piene di insetti di ogni genere: locuste e cavallette, vedove nere e tarantole, formiche e termiti, farfalle e bruchi. Sarebbe sembrato un museo, di quanto era grande. Rimasi senza fiato, anche se gli insetti non erano la mia passione.
“Siete sazi, no?”, chiese lei, come se dopo quella merenda ci fosse dubbio.
“Oh, certamente, signora. Ancora grazie.”
“Figuratevi.”, rispose lei. “Il fatto è che io ho un languore.”
Mentre diceva questo, aveva appoggiato una mano sulla spalla di Airyn. Il mio primo assurdo pensiero fu: “Siamo incappati sul serio nella strega di Hansel e Gretel, che vuole mangiarci?” Poi capii che era possibilmente peggio quando la sua rugosa mano sinistra si dissolse in un nugolo di ragni e ragnetti, che iniziarono a correre sulla spalla di Airyn. Io guardavo la scena stordita, attonita. Chris urlò: “Ragni!! Ragni sulla tua spalla!”, e Airyn si rese conto che un mezzo centinaio di aracnidi le zampettava addosso. Ebbe una prontezza di riflessi che io non avrei mai avuto, spintonò via la signora e prese il flauto traverso, iniziandolo a suonare. I ragni si contorsero e le caddero di dosso, mentre la signora sembrava in preda a una crisi isterica. Poi, Airyn si strinse lo stomaco come se avesse il mal di stomaco e smise di suonare. Forse quella magia (era magia, penso) l’aveva stancata.
Nel mio cervello, ero alla disperata ricerca di qualche mostro greco collegato ai ragni, di qualche mito al riguardo. Dopo averci pensato un po’, finalmente mi venne in mente.
“Tu sei Aracne.”, mormorai.
“Molto perspicace.”, rispose lei. “Vediamo se indovino invece chi siete voi. Semidei. Una figlia di Afrodite, si capisce dalla bellezza unica, una di Dioniso, e uno …”, e poi tirò col naso come se volesse annusarci meglio, “Uhm, Eolo? Zefiro?”
“Boreas.”, corresse Christian.
“Uhm, buono.”, disse lei, per poi dissolversi interamente in un ammasso di orribili ragni che zampettarono verso di Chris all’unisono, come una brulicante armata ad otto zampe.
Chris reagì d’istinto, e pestò col piede una mezza dozzina di ragni. Aracne si ricompose subito. All’altezza del collo aveva … un qualche tipo di ferita. Era più come se qualcuno le avesse tolto col coltello un pezzettino di carne. Dalla ferita colava sangue.
“Inutile.”, disse lei, con un sorrisetto avvizzito e crudele. Infilò una mano in una teca piena di ragni, che le zampettarono addosso fino alla lesione e … entrarono a far parte di lei, curandola. “Sapete, io un tempo ero una bellissima fanciulla con un vero talento per il cucito. Talmente brava che ho detto di essere una tessitrice migliore di Atena, che è anche la dea dei lavori domestici, cucito incluso. Ed era vero! Ma lei, per dimostrare il contrario, mi ha sfidato ad una gara. Alla fine, l’ho persino sconfitta. Ma lei non ha voluto accettare l’evidenza, e si è infuriata. Mi ha trasformato in ragni … Da allora continuo a cucire sempre e comunque sotto forma di ragni, ma devo ringraziare Ecate, la dea della magia, se posso anche … riunirmi per formare un corpo umano. E finché vivono i ragni, vivo io.”
“Sei un mostro.”, dichiarai, terrorizzata.
“E a chi lo devo? Ad Atena. Cosa ne sai tu, se da grande diventerai bella più di tua madre, facendoti trasformare in un qualche tipo di fiore o farfalla? E ti sembrerebbe giusto?”
“… No.”, risposi io, e capii che era veramente solo un’anima sfortunata, punita ingiustamente.
Chris interruppe il colloquio con un colpo di spada, di taglio, come a volere segare Aracne in due all’altezza dell’ombelico. Al passaggio della lama, il suo bacino si ridusse a ragni, per tornare carne e pelle una volta passata.
“Ma come – ?”, esclamò Chris stupito.
“Oh, sì, molto comodo per non farsi ammazzare.”, disse lei.
“Vediamo se sei anche immune a questo.”, rispose Christian. Afferrò Aracne con entrambe le mani, sulle spalle, una su ognuna. Lei iniziò a brinare.
“Sciocco! Mi scomporrò e basta.”, disse lei. Ma un attimo dopo si rese conto di non potere. Il gelo aveva già riempito la sua pelle di un sottile strato di brina.
“Oh …”, esclamò lei, capendo di stare per essere congelata. Sotto i nostri occhi, venne lentamente inglobata dal ghiaccio. Christian, una volta ridotta Aracne ad una statua ghiacciata, mollò la presa.
“Chris, ma cosa hai fatto?”, chiesi io.
“Era un mostro.”
“… Sì, era un mostro.”, risposi io, ma nel mio profondo non ne ero veramente convinta.



Anthea


Dovete sapere che noi semidei sogniamo di schifo. Voi sperate di sognare di essere in qualche posto paradisiaco, e i vostri incubi si limitano alla prof che vi mette un quattro in pagella o roba simile. Noi invece ci riterremmo fortunati, in questo caso: i nostri veri incubi, specie quando c’è un pericolo all’orizzonte, sono molto ma molto peggiori.
Ero in una biblioteca. Non è che ci vedessi granché bene, i sogni sono sempre sfumati, ma lo capivo dal silenzio e, beh, dagli scaffali zeppi di cose allineate con ordine che non potevano essere altro che libri. Ora, non so cosa pensiate quando dico scaffali, ma di certo non dovete pensare alla biblioteca comunale. Anche una biblioteca stile quella della Bella e la Bestia sarebbe stata insignificante al confronto. Gli scaffali erano disposti a labirinto, non a schema “libero”, come sarebbe normale. Ed erano alti, ma così alti che non ne vedevi la fine, persa nell’altezza vertiginosa. Il soffitto non c’era, sembrava che sopra di me ci fosse l’immensità o il nulla, una delle due cose, come un cielo senza luna e senza stelle e senza un barlume di luce, nel quale si protendevano probabilmente all’infinito gli scaffali senza limiti d’altezza. Il pavimento era di marmo bianco, creando un assoluto contrasto. Fra uno scaffale e l’altro – nel senso orizzontale, e solo al piano terra – c’erano delle lampade ad olio, che rischiaravano l’ambiente in maniera inquietante.
Voi dite, cosa c’è di inquietante in una biblioteca? Perché dovrebbe essere peggiore sognare questo che non una prof che ti mette quattro? Magari andare in biblioteca vi piace pure. Ma credetemi, presto cambierete idea.
Sentivo una sensazione come di gelo, come se quell’ambiente fosse stato vuoto per una quantità indefinibile di tempo, senza mai avere un essere umano al suo interno (e tecnicamente, se era un posto vero, continuava ad esserlo, dato che io ero un sogno). Il silenzio era irreale, assoluto, così assoluto che potevo sentire il sangue che pulsava nelle mie vene con un sibilante squish-squish che mi faceva pensare a un mostro che esce da un lago rosso sangue delle vittime appena uccise nell’acqua o roba del genere. Decisi che anziché stare là imbambolata a rimuginare terrorizzata, dovevo fare qualcosa. Magari … prendere un libro? Mi avvicinai a uno scaffale. La prima cosa che notai è come nessuno di quei libri avesse titolo di copertina. Ma scelsi ugualmente di prenderne uno. Fantastico, anche la copertina era in bianco, di colore piatto, priva di ogni decorazione. Lo aprii. No, le pagine non erano bianche: peggio. Erano scritte con una sola parola ripetuta all’infinito: cercami. Cercamicercamicercami, come se la biblioteca volesse essere trovata disperatamente, come se avesse urgente bisogno di essere visitata. Lo buttai a terra e ne presi un altro. Aiutoaiutoaiuto. Un altro ancora. Vienivienivieni. Attentaattentaattenta. Stavo impazzendo.
Poi, dal soffitto senza fine, venne una luce che scendeva, su ali d’oro. Doveva essere un dio, ma era sfocato come se fosse avvolto da una nebbia, come se stesse svanendo. Sentii la sua voce rimbombare nel vuoto, come un sussurro strascicato amplificato un centinaio di volte: “Vieni. Qua troverete tutto ciò che vi serve sapere. Qua troverai tutto il dolore che non vuoi. Qua troverai ogni cosa.” Dopo, sparì, lasciandomi sola nella biblioteca vuota.
Alcuni libri caddero dagli alti scaffali. Subito, iniziarono a sbattere la copertina come se fosse un paio d’ali. Scesero in picchiata su di me, seguiti da altri, milioni di infiniti libri. I libri misero denti. In un attimo, uno mi attaccò e mi morse una spalla, e vidi il rosso del sangue. Il mio sangue. Dopodiché, mi svegliai.
Ero ancora nella tenda accanto al campo di grano, avvolta in una copertina che avevo portato con me. Nathan ronfava, ma Austin no. E mi stava guardando.
“Cosa hai sognato?”, mi chiese, col tono di chi chiede se nel tè vuoi latte o miele.
“N-nulla. Insomma, un incubo. O un sogno profetico o comunque ispirato dagli déi. O tutte e due le cose.”
“Certo, proprio nulla.”, disse lui con un sorriso. “Posso darti una mano, a non ritrovarti di nuovo nel nulla.”
“Davvero?”
“Mio padre è Hypnos.”, disse lui, come se gli avessi chiesto “Sai disegnare?” e lui avesse risposto “Sono Michelangelo Buonarroti.”
“Fantastico. Ehm, come?”
“Iniziamo col farti addormentare.”, disse lui.
“E se poi ho di nuovo gli incubi?”
“Sembri una bambina delle elementari, delle volte. ‘E se poi il mostro nell’armadio vuole di nuovo uscire?’ Ci sono io. E non di panza e presenza. Posso manipolarti i sogni, posso ispirarti i sogni che desideri.”
“Davver- ehm, niente.”, mi interruppi io, capendo che era una domanda ai limiti dello sciocco. “Ok, fallo.”
Mi poggiò una mano sulla fronte, e il mondo si fece nero e calmo.


Angolo dello scrittore.
Innanzitutto, ringrazio Ailea Elisewin per le sue recensioni sempre così costanti, sempre così gentili e sempre così costruttive :)
Poi, quanto alla storia. Onestamente, non ero sicuro di voler inserire questa cosa di Robert che può parlare coi topi. Innanzitutto, perché imitava un pò tanto Percy ed i cavalli, e poi perché i topi non li ha creati Apollo, come Poseidone coi cavalli: sono semplicemente i suoi animali sacri. Quanto ad Aracne, lo so che non ha moltissimo senso quel continuo intuire che un tempo fosse stata bellissima, perché la dote principale di Aracne sta nel ricamo. Ed inoltre, anche la faccenda di Aracne che può ricomporsi, sa tanto di fregatura per la maledizione di Atena che è andata a farsi friggere, in fondo. Spero che non dispiaccia a nessuno. 

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Capitolo 11
*** Christian rimane in mutande ***


Airyn


Alla fine dei conti, arrivammo nello stato dell’Indiana, dopo aver raccolto cibo e qualche soldo (sia dollari che dracme d’oro) a casa di Aracne. Per quello che ne sapevo, adesso l’ingresso della via di Orfeo è in un parco di Indianapolis. Dico “adesso” perché è abbastanza variabile, come posizione: ogni due anni si riposiziona magicamente. Non chiedetemi perché.
Sta di fatto che il nostro benvenuto nell’Indiana non fu il migliore del mondo.
Avete presente il Minotauro? Avete presente di chi è figlio? A parte di Pasifae, intendo. Di un toro, dite. Ma non di un bovino qualsiasi, del Toro di Creta, un toro formato gigante con la pelle ultra-coriacea, due corna che sembravano fatte appositamente per conficcarsi nello stomaco di qualcuno, e che per giunta sputava fuoco. Avete indovinato, ce l’eravamo ritrovati davanti a Richmond, poco dopo aver passato il confine fra Ohio e Indiana.
La scena era più o meno questa: Louise che cercava (quasi inutilmente, dato che aveva la pelle resistente come lamiera d’acciaio rinforzata) di infilzarlo con i suoi pugnali, con le punte dei capelli bruciate assieme (cosa che l’aveva resa una discreta furia bovinicida), Christian che prova a congelarlo – sempre inutilmente, dato che a quello bastava un respiro e squagliava tutto il ghiaccio nel giro di metri – e io che provavo a calmarlo – non di farlo impazzire, ci sarebbe mancato soltanto di ritrovarcelo anche pazzo – suonando Frozen di Madonna al flauto.
“Ahhh! Vai all’Ade, βους αραιος!”, urlò Louise (e per chi se lo stesse chiedendo, voleva dire “bue maledetto”), caricandolo, con i pugnali sguainati, l’aria assassina e il makeup sciolto dal calore, cosa che la faceva assomigliare a un’attrice tragica nella scena clou dell’opera.
Il Toro sbuffò una fiammata che per poco non colpì Christian in testa, che però fortunatamente si abbassò il momento prima. Ad ogni modo, gli andarono a fuoco i capelli, e iniziò a correre intorno come un matto coi capelli incendiati.
Ok, la situazione era tragica. … Ecco, avete presente cosa significa “Deus ex machina”? Sostanzialmente, qualcosa che ribalta una situazione drammatica. Come l’idea che avevo avuto.
“Louise!”, gridai. “La tua borsetta!”
Quella smise per un attimo di pugnalare invano il bovino, si girò e senza pensarci troppo me la tirò. Ok, fantastico, a metà strada si era aperta da sola e volando mi rovesciò addosso una valanga di boccette di smalto, ombretti vari, un piumino da cipria in piena faccia, e trucchi vari. Ma non era il tempo di lamentarsi. Iniziai subito a frugare nella borsetta, che equivaleva grosso modo a cercare un ago nel pagliaio. Alla fine però, trovai quello che cercavo. La crema solare di Medea protezione 10.000. All’aroma di kiwi.
“Chris!”, chiamai, e quello corse da me, con i capelli che aveva spento congelandoli col suo tocco, risultando vagamente ridicolo. “Senti, ti fidi di me?”
“No.”, rispose lui, “Onestamente.”
“Vabbé, fa lo stesso! Togliti tutto – eccetto le mutande! – rovesciati addosso questo flacone e poi congelalo!”
“Ma dovrei toccarlo per parecchio tempo, per farlo! E nel frattempo mi incenerirebbe!”
“E a secondo te che cosa serve ‘stà roba? E’ una sorta di lozione magica che rende immuni al fuoco! L’ha usata anche Giasone.”, spiegai in fretta.
“Ah, ora capisco.”
… Cercai di non guardarlo troppo mentre si metteva quasi a nudo e si rovesciava la crema solare addosso, svitando il tappo. Per sicurezza se ne intrise anche le mutande (boxer azzurri, per le interessate), così se il Toro di Creta decideva di sbuffargli una fiammata addosso non rimaneva … incensurato.
“Ora, a noi due!”, disse lui, con l’aria di chi ha il mondo in mano. Caricò il toro, che gli sbuffò fuoco addosso, ma lui passò illeso fra le fiamme, e poi lo prese per le corna, si diede la spinta e gli salì sopra. Con quella crema addosso, quasi nudo, e per di più facendo acrobazie del genere, sembrava un atleta greco. … Se gli dite che l’ho detto, o meglio, pensato, giuro che vi faccio impazzire a forza di suonare La Marcia di Topolino.
Salito in groppa, tenne le mani salde sulle corna, mentre l’ammasso di manzo sputa fuoco si dimenava. In tempo niente, il gelo iniziò a spandersi sopra di lui. Le corna si rivestirono di brina, e nonostante il toro sbuffasse fuoco e continuasse a sbuffare, il gelo continuava ad avanzargli addosso, ricoprendolo lentamente. Nel giro di cinque di minuti, il Toro di Creta era ricoperto di uno strato di ghiaccio magico spesso cinque centimetri.
“Chris, sei grandioso!”, dissi io, e non lo abbracciai solo perché era ancora in versione atleta, ricoperto di crema all’aroma di kiwi.



Nathan


“Sveglia!”, urlai nell’orecchio di Austin. Nessun risultato. Le cose sono due: o ha il sonno ultrapesante perché è figlio di Hypnos, o ha il sonno ultrapesante di suo.
Presi la borraccia dell’acqua e gli spruzzai un po’ d’acqua sulla faccia. Effetto immediato!
“Glub! Pff! NATHAN!”
“Ehi, non ti volevi alzare”, mi scusai io.
“Non è un buon motivo per svegliarmi con l’acqua in faccia!”
“Abbiamo roba più importante di cui parlare, del tuo galateo sottozero, Nathan! E anche tu, Austin, muto.”, disse Anthea, e lo disse con un tono così perentorio che non ubbidirle sarebbe stata un’impresa.
“E cosa c’è di più importante, all’ordine del giorno?”
“Dove trovare Artemide”, ribatté lei. “Stanotte ho avuto un sogno.”
“Ehi, non era un incubo atroce che ti ha svegliato nel sonno? Se Artemide è in un posto da incubo, proporrei di cambiare sospettato.”, disse Austin.
“Non lo definirei un posto da incubo. E’ il Museo.”
“Museo? Quale? Esiste un museo del Metal? Se la risposta è sì, andiamo in qu-“
“Non un museo qualsiasi!”, mi interruppe lei. “Il Museo con la M maiuscola, quello che conteneva la Biblioteca di Alessandria, fondato da Alessandro Magno.”
“Punto primo, mi spieghi perché sarebbe finito in America, se ai tempi dei greci era ad Alessandria?”
“Ciò che i mortali ignorano è che il Museo è quasi un’entità viva. E’ legato al sapere umano, cresce con esso, e finché esiste l’uomo non può essere distrutto. Quando il glorioso regno di Alessandro cadde, e quindi, quando l’Occidente si dovette spostare, il Museo si mosse anch’esso.”
“Morale della favola?”, chiesi io.
“Abbiamo bisogno di un mezzo di trasporto per Seattle.”, annunciò lei.



???


“Grr! Non va bene!”, ruggii, e poi diedi un calcio alla parete.
“Non le fa bene adirarsssi! Si rilasssi.”, mi disse … una cara amica.
“Ma che cosa ne sai tu dei miei problemi!”, le risposi io, non molto rilassata. “Gli Déi mi stanno mettendo i bastoni fra le ruote! Presto arriveranno quegli eroi!”
“Non sssi preoccupi. Basssterà lei, a tenerli a bada. Non sssi ssscordi di che cosssa è capace, mia signora.”
Effettivamente, avevo bisogno di sentirmelo dire.
“E’ vero. Non possono nulla contro di me! Li schiaccerò come pulci! Zanzare! Mosche! Scarafaggi!”, dissi io, con parecchia enfasi.
“La mia sssignora si è calmata.”, rispose lei. “Me ne compiaccio.”
“Grazie, sorella, mi serviva proprio un po’ di incoraggiamento!”
“Perché non torna a ssscagliare frecce?”
“Buona idea.”



Angolo dell'autore. Ho volutamente lasciato questo capitolo privo del pezzo del team di Robert & co. perché a livello di trama quel gruppo era troppo avanti rispetto agli altri, avrebbe finito in anticipo. Ad ogni modo, si accettano scommesse sui personaggi misteriosi dell'ultimo paragrafo. :) Oh, ehm, Christian in mutande conta come fanservice? XD

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