Lovestory

di sbornyXVII
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Never again! ***
Capitolo 2: *** Shiver ***
Capitolo 3: *** Ankwardness ***
Capitolo 4: *** Lovestory ***
Capitolo 5: *** Countdown ***
Capitolo 6: *** Changed ***
Capitolo 7: *** Embrace ***
Capitolo 8: *** Fears ***
Capitolo 9: *** Farewell ***
Capitolo 10: *** Forever ***



Capitolo 1
*** Never again! ***


NEVER AGAIN!

Rose e Faith avevano frequentato il medesimo liceo, eppure non si erano mai parlate, prima di incontrarsi in quell'aula.
Era ottobre, e in quella buia aula dell'università un professore dall'aura grinzosa e grigia stava illustrando alle matricole il percorso che avrebbero seguito nei successivi tre anni.
Rose, che si era persa, arrivò in ritardo, così dovette accontentarsi di un posto in ultima fila, accanto ad una ragazza dai capelli ricci che aveva un'aria piuttosto familiare...
«Tu sei Faith, giusto?»
«Sì» rispose lei sorridente.
Ed è così che ebbe inizio la loro amicizia.
 
Nessuna delle due amava particolarmente il corso di laurea che avevano scelto, e questo le unì particolarmente.
Saltavano le lezioni insieme, trascorrevano le ore prendendo in giro professori e compagni di corso, e parlavano di tante cose; di ragazzi, specialmente.
Faith le raccontava di Julius, il suo ex. Rose le parlava di Mark, il suo ragazzo, che viveva ad un migliaio di chilometri di distanza, e con il quale voleva rompere i ponti.

Due o tre mesi dopo il loro incontro in quell'aula, la situazione si ribaltò. Rose lasciò Mark. Faith conobbe Moore. E Rose conobbe Moore, una sera di febbraio, insieme a Jermanie e Daniel - gran bella coppia, quei due - ed Andrew. Rose era timida ed imbarazzata, e di certo non diede una buona impressione iniziale. Non riusciva a sostenere lo sguardo di Andrew. E lui la fissava, insistentemente. Lei non lo sopportava, e tenne lo sguardo basso per diverse ore a venire.
 
Andarono al cinema tutti e sei insieme, quella sera. Jermanie e Daniel sedettero vicini; stessa cosa fecero Faith e Moore. Così a Rose toccò sedersi accanto ad Andrew. Cercò di ignorarlo, inizialmente, ma durante il film, più di una volta, lei si voltò verso di lui, per controllare che non la stesse guardando.
 
Il film si rivelò orribile, così, per rifarsi la bocca, dopo il cinema, e dopo essersi congedati da Jermanie e Daniel, i quattro andarono a casa di Moore a vedere un cartone animato.
Erano lì, sul divano, da circa un'ora, quando la mano di Andrew si allungò verso la coscia di Rose. Lei, timida e insicura, non mosse un muscolo. Era la prima volta che si trovava in una situazione del genere. Poteva tranquillamente ribellarsi e spostare quella mano, ma non ebbe il coraggio di farlo. Quando poi la mano di lui cercò di prendere la sua, Rose, caparbia e imbarazzata, non glielo permise. La situazione era assurda, per lei, e non sapeva proprio come comportarsi.
 
Poco dopo, Faith e Moore si spostarono nella stanza accanto; poco importava il motivo, fatto sta che Rose e Andrew rimasero da soli.
Di punto in bianco, lui le baciò l'orecchio. Rose incassò la testa tra le spalle.
L'imbarazzo aveva raggiunto l'apice.
Le loro labbra si sfiorarono, per un istante, ma era troppo.
 
Faith tornò nella stanza un istante dopo. Quando disse che era tardi, e che era meglio ripartire, Rose scattò in piedi, sollevata.
 
«Io e Andrew ci siamo baciati» esordì poco dopo, in macchina.
«Davvero?!» fece Faith, presa alla sprovvista.
«Eh sì...». E spero di non rivederlo mai più, aggiunse, tra i suoi pensieri.
 
Ma quello era soltanto l'inizio. Solo che non lo sapeva ancora.

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Capitolo 2
*** Shiver ***


SHIVER

Col passare del tempo, alcune cose cambiarono.
Faith abbandonò gli studi, e Rose fece lo stesso poche settimane dopo; vivendo in città diverse iniziarono a vedersi di meno, ma questo non incrinò la loro amicizia. Rose andò a trovarla di tanto in tanto. Invece degli appunti, si prestavano libri e romanzi. Invece di studiare insieme, si organizzavano per le fiere del fumetto estive. Faith le raccontava di quanto fosse felice con Moore. Rose le raccontava di come Mark, insistentemente, continuasse a farsi sentire per telefono, esasperandola.
Poi, una sera di fine aprile in cui Rose doveva rimanere a dormire da lei, Faith fece una proposta.
«Ti va di andare al cinema, stasera?»
«Sicuro! Che film avevi in mente?»
«E' uscito Thor...». Faith tentennò, prima di aggiungere altro. «Ci andiamo con Moore.»
«Nessun problema» sentenziò Rose.
Faith esitò. «Ci sarà anche Andrew.»
Oh. Dio.
«No, ti prego, non farmi questo!» piagnucolò. «Sarebbe imbarazzante, non voglio vederlo!»
 
Le sue lamentele non sortirono alcun effetto.
Andrew e Moore le vennero a prendere a casa di Faith, quella sera.
Si salutarono con un gelido «Ciao...». La tensione era palpabile.
 
Per evitare di rovinarsi la serata, Rose cercò di fingere che non fosse successo niente, a febbraio, e per un po' funzionò. La serata procedette tranquilla.
Il film si rivelò deludente, ma per Rose quello era l'ultimo dei problemi.
Notò che anche Andrew cercava di ignorare ciò che era successo l'ultima volta.
Magari si vergogna?
Forse vuole chiedermi scusa...
Senza rendersene conto, iniziò a vederlo sotto una luce diversa. Non sembrava il provolone della prima sera. 
Era gentile.
Aveva un bel sorriso contagioso.
Non era quello che si potrebbe definire un bel ragazzo, ma aveva un modo di fare estremamente carismatico.
 
Giunti a casa di Faith, Andrew scese dalla macchina, spostò il sedile, e le fece scendere. Faith fece il giro per andare a salutare il suo ragazzo con un bacio. Fu allora che Andrew si avvicinò a Rose, per salutarla.
Lei si sentì mancare.
E adesso?!
Le diede un bacio sulla guancia.
Le augurò la buona notte.
Nell'istante in cui le sfiorò la pelle, Rose fu scossa da un piacevole brivido.
Quella notte non riuscì a chiudere occhio.
 
Il giorno seguente, Faith e Rose andarono in piazza per il concerto del primo maggio. Erano arrivate presto, mancavano ancora un paio d'ore, perciò si sedettero fuori da un bar, in attesa di veder spuntare qualche faccia conosciuta. Non dovettero aspettare a lungo. Moore, Andrew, e un altro paio di ragazzi, spuntarono da dietro l'angolo pochi minuti dopo. Senza rendersene conto, Rose salutò soltanto Andrew. Faith la squadrò perplessa.
Trascorsero alcuni minuti chiacchierando del più e del meno. A un certo punto gli altri ragazzi si allontanarono per conto proprio. Poi Moore si rivolse a Rose.
«Ti dispiace se ti porto via Faith per un po'?»
Rose tentennò.
«Ti lascio in buona compagnia» aggiunse riferendesi ad Andrew.
Dio, che ho fatto di male?!
Faith spostava lo sguardo dal ragazzo all'amica, incredula.
«Be'» osò infine. «Se vi serve un po' di privacy...»
«Precisamente! Facciamo subito.» disse lapidario, prendendo per mano la ragazza e portandola verso la macchina.
Faith si voltò un attimo, e notò lo sguardo afflitto dell'amica. «Trattamela bene!» disse rivolta ad Andrew, un attimo prima di sparire dietro l'angolo.
 
Fu così che rimasero da soli, per la seconda volta da quando si erano conosciuti.
Impalata dall'imbarazzo, Rose rimase immobile, inizialmente, ma poi si convinse a non pensarci.
Se sono sopravvissuta ieri, resisterò anche oggi.
Parlarono di cose futili, per un po'. Lui del suo lavoro, lei del fatto che aveva abbandonato l'università.
Ma Rose non riuscì ad aprirsi più di tanto.
Continuava a ripensare alla sera in cui, di punto in bianco, lui si era messo a sbaciucchiarle l'orecchio, e al terribile imbarazzo che aveva provato.
Fortunatamente, poco dopo, tornarono gli altri amici di Andrew, così si unirono al gruppetto e non dovette più mascherare le emozioni.
Il concerto fu piacevole da sentire, ma Rose aveva la testa altrove.
 
A parte qualche occhiata fugace all'oggetto dei suoi pensieri, quel pomeriggio, non accadde altro.
 
Quella notte, Rose si svegliò di soprassalto. Aveva fatto uno strano sogno, con Andrew come protagonista. E solo quando riadagiò la testa sul cuscino, mentre ripiombava nel mondo dei sogni, si rese conto che quel ragazzo da pessima-prima-impressione, inesorabilmente, stava iniziando a piacerle.

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Capitolo 3
*** Ankwardness ***


ANKWARDNESS
 
Rose aveva un blog in cui amava condividere i suoi pensieri, e in quel periodo aveva molte riflessioni da mettere per iscritto. Fu così che Mark, il famigerato ex, scoprì che Rose iniziava a provare qualcosa per un altro. La gelosia l'accecò. Il giorno stesso le telefonò e le fece una predica interminabile.
«Come può piacerti uno che ti usa così?! E' uno spudorato opportunista! Io sono meglio di lui, e tu lo sai! Non lo conosci neanche, e la prima sera vi siete già baciati?! Tu sei ancora innamorata di me!»
Che razza di imbecille patentato.
Rose lo liquidò mandandolo a quel paese in tutti i modi di dire e relativi sinonimi che le vennero in mente.
Ma non sapeva, ancora, cosa avrebbe fatto Mark pochi giorni dopo.
 
Passarono un paio di giorni. Rose trascorreva ore ed ore a studiare le foto di Andrew su facebook, ed era sempre più convinta dei propri pensieri. Le piaceva, nonostante quell'imbarazzante primo incontro.
Aveva tanta voglia di vederlo, di parlargli, ma non aveva il suo numero. Facebook era l'unica via. Teneva la chat perennemente aperta, aspettando che le venisse in mente qualcosa da scrivergli. Ma non appena lo vedeva online chiudeva tutto, spegneva il computer e si ripeteva che era una cosa stupida. E la cosa andò avanti per qualche giorno.
 
Poi, una mattina, accese il computer, e trovò una sorpresa. Un'orribile sorpresa.
Era un messaggio di Mark, che diceva che si rassegnava, e che aveva fatto un'ultima cosa per lei: aveva mandato un messaggio ad Andrew, rivelandogli i sentimenti di Rose.
Furibonda, lo chiamò all'istante.
«RAZZA DI IMBECILLE! CHE TI E' SALTATO IN MENTE?!»
«Ero ubriaco, non l'avrei fatto altrimenti...»
«SEI UNA FOTTUTA TESTA DI CAZZO, NON VOGLIO PARLARTI MAI PIU'!»
Riagganciò. Diede un calcio alla scrivania, ferendosi il mignolo. Imprecò. Si prese la testa tra le mani.
Con che faccia avrebbe potuto mostrarsi ancora a lui?
Che cosa avrebbe pensato, leggendo quel messaggio?
Dio, che vergogna...
Il telefono squillò.
«Che diavolo vuoi ancora!?» urlò.
Mark aveva la voce rotta dal pianto.
«Ti prego, parla con me-»
«Non hai capito?! Non voglio più sentirti!»
«Parlami o mi uccido.» sentenziò.
Ma è scemo o ci fa?
«E ammazzati allora! Non chiamarmi mai più!»
E riagganciò, arrabbiata e sollevata allo stesso tempo.
Mark provò a richiamarla un paio di volte, ma lei non ci badò nemmeno. Ora doveva trovare un modo per risolvere quel casino.
 
«Faith, aiutami, è successo un disastro!» piagnucolò al telefono, quel pomeriggio.
«Lo sai già?» balbettò l'amica dall'altra parte della cornetta.
Eh? «M... ma... scusa, tu da chi l'hai saputo?»
«Da Andrew.» Merda. «E' venuto qui da Moore poco fa, e mi ha chiesto se conoscevo un certo Mark. Gli ho detto che era il tuo ex. Ha risposto che questo spiega tutto, e poi ci ha raccontato del messaggio.» Merda. Merda!
«Che vergogna, penserà che sono una stupida...» singhiozzò esasperata.
 
Come nei giorni precedenti, l'intonsa chat sul profilo di Andrew era perennemente aperta. Rose, intanto, sedeva davanti al pc, aspettando la morte.
 
Una sera, nel tentativo di rilassarsi, estrasse un blocco da disegno e una matita. Disegnare tendeva a rilassarla, così buttò giù il bozzetto di una ragazza che muore per l'imbarazzo.
 
A un certo punto, senza una ragione precisa, alzò lo sguardo dal foglio, e ciò che vide le causò un mancamento. Sulla chat aperta era comparsa una nuvoletta: Andrew le stava scrivendo qualcosa.
O mamma. O mamma.
Le aveva scritto un semplice "ciao", ma Rose lo interpretò come un "ciao, patetica scema, stai lontana da me, grazie".
Lei rispose con un altrettanto banale saluto, che però sottintendeva tanta vergogna e un mare di scuse per l'accaduto.
Dalla conversazione che seguì, però, non le parve affatto infastidito. Sembrava piuttosto che avesse sfruttato l'opportunità per parlarle, avendo trovato una scusa per fare conversazione. E infatti, il breve scambio di messaggi si concluse con "ne riparleremo la prossima volta a quattrocchi :)".
 
Non ci fu alcuna occasione di vedersi, nei giorni successivi, e Rose non resisteva più. Voleva assolutamente vederlo, e chiarire quella storia. Così, un mercoledì sera, fu lei a contattare Andrew, tramite l'unico mezzo a sua disposizione.
Lei suggerì di vedersi, con la scusa che gli avrebbe offerto un gelato. Si scambiatono i numeri di cellulare. Si diedero appuntamento per venerdì, due giorni dopo.
 
E quei due giorni, a Rose, sembrarono eterni.

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Capitolo 4
*** Lovestory ***


LOVESTORY
 
Rose era una tipa molto trasandata. Non si truccava, si vestiva come capitava; aveva i capelli lunghissimi, talmente lunghi che le stavano piatti sulla testa e scendevano come spaghetti fino alla cintola. Poteva essere carina, ma non le era mai importato. Quel venerdì mattina, invece, passando davanti allo specchio al risveglio, si era messa ad osservarsi. Per la prima volta in vita sua, si pose il problema del "che cosa mi metto?" e "cacchio, sono un mostro!". Fu così che si mise all'opera. Andò in bagno, e con phon e spazzola diede un po' di volume ai capelli. Un velo di matita... Vestiti decenti... Il minimo sindacale, per l'appuntamento di quel pomeriggio.
 
L'ora x, dopo un'attesa interminabile, infine, giunse. Andrew arrivò in orario impeccabile al luogo dell'incontro. Rose montò in macchina. Si salutarono con un bacio sulla guancia.
«Dove vogliamo andare?»
La giornata era splendida, perciò Rose propose di andare al parco dall'altro lato della città. Era un bel posto, vicino al fiume, con tanto verde e un anfiteatro dove sedersi. Ed è proprio lì che andarono.
Fu allora che Rose si rese cono di essere agitata. Si sentiva come una quattordicenne al primo appuntamento, e non aveva più idea di cosa volesse dirgli. Quando Andrew si rese conto del suo timido mutismo, dapprima rise, poi si accostò a lei, cercando di metterla a suo agio. Non funzionò, ma almeno ci aveva provato.
«Dai su, cos'è che volevi dirmi?»
«Be'... io... che mi piaci oramai lo sai...». Con orrore, si rese conto che stava balbettando. Si sentiva sempre più stupida.
Andrew le sfiorò una guancia paonazza con l'indice. Rose si perse nei suoi occhi marrone scuro.
E mentre la neve dei pioppi vorticava intorno a loro, le loro labbra si sfiorarono in quello che, presto, Rose avrebbe considerato "il miglior bacio degli ultimi vent'anni".
 
Trascorsero un paio d'ore insieme, quel pomeriggio. Prevalentemente fu Andrew a riempire i silenzi, perché lei non riusciva a proferire parola.
Una sola cosa la spiazzò quel giorno. Andrew le raccontò di Eleanor, la ragazza con cui era stato tre anni e mezzo e che aveva lasciato sette mesi prima. Disse che non se la sentiva di iniziare un'altra relazione, che non voleva legami, che non voleva dover rendere conto a qualcuno. Un'altra non l'avrebbe accettato, ma Rose lo fece. Sentiva che, in qualche strano modo, comprendeva quel bisogno di libertà. Dopo un anno e mezzo con Mark, anche lei aveva bisogno di pensare a sé stessa per un po'. Considerò il rischio di innamorarsi di una persona che non vuole legami, e lo trovò accettabile. Poteva gestirlo. O almeno, così credeva...
 
Si videro altre volte, dopo quel giorno. Volta dopo volta, le ansie di Rose svanivano. Era più sciolta, spontanea... Si sentiva sempre più a suo agio.
Gli parlò di Mark, della sua vita, dei suoi interessi... Anche di quel sogno strano che le aveva messo in chiaro le idee.
 
Passò un mese, e arrivò il giorno del suo ventunesimo compleanno. Rose non amava festeggiarlo, perciò, siccome per quella sera era previsto un concerto nella città vicina, decise di passare la serata lì, in compagnia di qualche amica. Al concerto vennero solo Faith e Mel - una vecchia amica del liceo - e, inaspettatamente, Andrew.
Rose, come Faith le fece notare, era al settimo cielo, agitata come un'adolescente. E, effettivamente, era proprio così che si sentiva.
"Niente regali" aveva dichiarato Rose giorni prima, ma Andrew non le aveva dato retta. Si presentò con un libro. Gli angeli danzano, gli angeli muoiono, biografia di Jim Morrison e Pamela Courson.
Una storia d'amore... Mi ha regalato una storia d'amore, pensò Rose senza fiato.
Sulla prima pagina, le aveva persino scritto una dedica.
 
A lei, che mi ha dato la felicità
e la spensiertezza che cercavo.
A lei, che non mi annoia mai
e mi fa stare bene.
A lei che mi ha sognato...
Dedico questo libro a lei.
Buon compleanno, Rose.
10-6-2011
Andrew
 
Il compleanno più bello della mia vita.
Fu quella sera, quando andò a letto stringendo forte il libro a sé, che Rose si rese conto che si stava inesorabilmente innamorando di lui.

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Capitolo 5
*** Countdown ***


COUNTDOWN

Rose non aveva quella che si potrebbe definire una vita "felice". Aveva problemi con la sua famiglia. Aveva problemi economici. Non riusciva a trovare un lavoro. E si era innamorata di un ragazzo che non voleva legami sentimentali.
Ma per Rose, il rapporto che si era creato con Andrew era come un sorso d'acqua fresca nel deserto, e non aveva alcuna intenzione di rinunciarci. 
 
Durante uno dei tanti pomeriggi che passavano insieme in quel periodo, lui aveva ribadito il suo desiderio di non legarsi, aggiungendo che, se per caso lei si fosse affezionata troppo, avrebbero interrotto la loro storia sul nascere, perché non voleva farla soffrire. Rose, però, preferì seppellire i propri sentimenti in fondo al cuore, piuttosto che perderlo; si tenne dentro tutto quello che provava, a costo di esplodere, perché Andrew era la cosa più bella che le fosse capitata da lungo tempo.
Stranger Things Have Happened, una canzone dei Foo Fighters, descriveva alla perfezione i suoi pensieri di allora. La ascoltava ogni sera, prima di addormentarsi, spesso inzuppando il cuscino di lacrime, e pregando che le cose migliorassero.
 
Durante l'estate, Faith e Moore si lasciarono. Non era molto chiaro il motivo. Secondo Faith, lui l'aveva lasciata senza motivo, cosa che Rose trovò assurda, ma evitò di indagare, e si fece gli affari propri.
La verità è che aveva altre cose a cui pensare. Ogni santo giorno sperava che Andrew cambiasse idea sul loro rapporto. Fingere di non provare nulla diventava sempre più difficile, e temeva che, nel momento in cui lui l'avesse scoperto, l'avrebbe abbandonata. 
 
Senza neppure rendersene conto, affrontò un cambiamento dopo l'altro, per lui. Magari lo faceva per dimostrargli indirettamente quanto ci tenesse a lui. Forse voleva diventare una persona che lui avrebbe potuto amare. Neppure lei lo sapeva.
Iniziò a curare di più il suo aspetto. Si tagliò i capelli. Si sforzò di diventare più aperta e spontanea. Ma sebbene lui apprezzasse quella "nuova Rose", niente nelle sue intenzioni diede segni di cedimento. Niente.
 
Fu così che iniziò a perderci le speranze. E decise di andarsene, più lontano possibile, da lui, da casa, dalla sua opprimente vita quotidiana. Fu proprio così che decise di partire per l'Inghilterra.
Trovò un lavoro come ragazza alla pari a Oxford, e prenotò un aereo per Londra. E il conto alla rovescia partì.
-30 giorni.
Mancava un mese esatto, quando si decise a dirlo ad Andrew. Si aspettava una reazione controllata, una risposta tipo "d'accordo, finiamola qui", o anche "be', godiamoci il tempo che ci resta, allora, e poi amici come prima". Mai avrebbe immaginato la reazione che ebbe effettivamente.
 
«Devo dirti una cosa.»
«Devo preoccuparmi?»
«Non lo so, dipende da te...»
Andrew sollevò un sopracciglio, perplesso.
Rose temporeggiò un istante, ma poi glielo disse, tutto d'un fiato. Dopodiché attese la reazione che si aspettava, a occhi bassi. Ma ciò che aveva previsto non avvenne mai.
Andrew era come paralizzato. Di certo non se lo aspettava, e non sapeva cosa risponderle.
«Quando partirai?» osò, dopo quasi un minuto di silenzio.
«Tra un mese» sussurrò lei, cercando di mascherare l'infinita tristezza che le incrinava la voce.
«E...per quanto tempo resterai là?»
«Sei mesi. Di più, se mi trovo bene.»
Ancora silenzio.
«Verrò a trovarti, in Inghilterra» sussurrò infine, a un soffio dalle labbra di lei.
 
Rose tremò, come un'esile foglia accarezzata dalla brezza.
Non aveva neppure osato sperarlo.
 
Trascorsero assieme più tempo possibile, nelle settimane successive, tanto che Rose, involontariamente, smise di curarsi delle amiche. E a Faith questo non andò giù. Era invidiosa del suo rapporto con Andrew, e iniziò ad accumulare rancore, piano piano, come un veleno.
 
Rose partì per Oxford all'inizio dell'autunno, con il cuore pesante e la valigia piena di speranze. Non sapeva cosa l'aspettava, ma, qualunque cosa le sarebbe capitata, era sicura che si trattasse esattamente del cambiamento di cui aveva bisogno.

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Capitolo 6
*** Changed ***


CHANGED
 
Rose si era messa in contatto con Mashama Muchaneta tramite un sito di au pairing. Nelle settimane precedenti la partenza, si erano scambiati diverse email, nelle quali lui le aveva raccontato che viveva a Oxford, che lui e sua moglie Ebba erano originari dello Zimbabwe, che aveva due bambine di nome Jenna e Nesu, che lei avrebbe dovuto occuparsi delle bambine e un po' della casa come una regolare ragazza alla pari, che avrebbe avuto la possibilità di frequentare un corso di inglese in un college poco lontano da casa, che l'avrebbero accolta come una di famiglia. Ciò che si prospettava per Rose, era una gran bella opportunità. Ma sarebbe trascorso ancora un po' di tempo, prima che Rose si rendesse conto che non era affatto così.
 
L'aereo atterrò in una grigia mattina inglese. Londra era fredda e nebbiosa, suggestiva come solo l'Inghlterra può essere. Prese la metropolitana, e attraversò tutta la città, trascinandosi dietro le due pesanti valigie fino alla stazione di Paddington, dove trovò un treno per Oxford senza troppe difficoltà.
 
I suoi occhi si posarono su ogni casa accanto alla ferrovia, mentre il paesaggio correva rapido dietro al finestrino imperlato di gocce di pioggia. Stava cercando di immaginare la casa, la città... Si chiedeva se si sarebbe trovata bene, se avrebbe avuto difficoltà nel farsi degli amici, se Andrew sarebbe venuto presto da lei.
Sospirò.
 
Mashama l'attendeva alla stazione insieme alle bambine, reggendo in mano un cartello con il suo nome. Sembrava un uomo per bene, e le fece subito simpatia.
 
Mentre uscivano dal parcheggio della stazione in auto, le indicò un college, una biblioteca, e altri edifici, ma Rose era stanca, e non riuscì a memorizzare nessuna informazione.
Si fece più attenta, però, quando l'auto si diresse fuori città.
Ma non abitava dentro Oxford?
Guidò per circa venti minuti nella campagna inglese, fino ad arrivare al quartiere periferico di una cittadina. Tutto quello che Rose riuscì a vedere, lì intorno, erano una fermata dell'autobus, un asilo, un supermercato e una base dell'esercito.
Avrò fatto bene a venire qui?
La casa era piccola, dislocata su due piani, accogliente all'apparenza. La prima cosa che notò, era che non avevano un tavolo. La seconda, che non c'era neppure un granello di polvere in tutto l'appartamento. La terza: la sua "stanza" era poco più grande di uno sgabuzzino.
Perfetto! Almeno è più grande dello stanzino nel sottoscala di Harry Potter...
Il letto era grande, e lasciava pochissimo spazio per camminare. Alla finestra c'erano delle tende rosa delle principesse Disney (Dio, che orrore...). C'erano due piccoli comò, uno sopra l'altro, pieni di vestiti da bambina. Solo tre cassetti potevano contenere la sua roba. C'era anche un armadio a muro, che si apriva a malapena perché intralciato dal letto. Ma almeno lì dentro c'era un po' di spazio per appendere la sua roba.
Passò la sua prima sera in Inghilterra davanti alla finestra della sua camera, fissando la strada, e domandandosi se non aveva per caso commesso il più grosso sbaglio della sua vita.
 
La prima settimana fu durissima. Venne fuori che doveva alzarsi alle 6:30, fare il bagnetto a Jenna e prepararla per andare a scuola, pulire a fondo la casa fino a mezzogiorno, pranzare rapidamente - in piedi, o al massimo sul divano, non essendoci un tavolo - stirare fino alle 4 del pomeriggio, andare a prendere Jenna che tornava da scuola, giocare con le bambine fino all'ora di cena, cambiarle e metterle a letto. Alle 9 di sera era talmente esausta che aveva a malapena la forza di farsi una doccia e buttarsi a letto, per poi rialzarsi la mattina seguente e ricominciare da capo.
 
«Coraggio, hai solo bisogno di tempo per abituarti.» la rassicurò sua madre per telefono.
«Mamma, lavoro più di dodici ore al giorno per 80 fottute sterline a settimana, è schiavitù questa!» si sfogò.
«Ti abituerai.»
E certo... Posso contare solo su me stessa, come sempre.
 
Questa era la vita di Rose, dal lunedì al venerdì. Fortunatamente il sabato e la domenica erano liberi. Imparò a memoria gli orari dell'autobus, e trascorreva i finesettimana in giro per Oxford o Abingdon - la città di cui faceva parte il quartiere in cui "viveva" - e ben presto si fece un piccolo giro di amicizie. Conobbe Manuela, una ragazza che studiava alla Brooks University. Conobbe Monique, che aveva fatto la ragazza alla pari, come lei, per poi stabilirsi lì. Conobbe Sam, Adjoa, Chin, gente che come lei avrebbe trascorso qualche mese in Inghilterra, prima di tornare nel proprio paese. Ma, soprattutto, conobbe Adrienne.
 
Adrienne lavorava nella zona di Oxford da più di un anno, sempre come ragazza alla pari. E la prima casa in cui aveva lavorato, era quella della famiglia Muchaneta. Le cose che le raccontò le fecero aprire gli occhi. Non solo la stavano sfruttando, perché un au pair dovrebbe lavorare circa cinque o sei ore al giorno, ma molto probabilmente, come ad Adrienne era capitato, Ebba frugava tra la sua roba, le nascondeva alcuni cibi, e forse la spiava addirittura.
Ma in che razza di gabbia di matti sono finita?!
 
Cercò di tenere duro, inizialmente. Riuscì ad ottenere un paio d'ore pomeridiane libere, ma nient'altro.
Poi una sera, accadde una cosa talmente orribile da farle desiderare di scappare a gambe levate.
Mashama ci provò con lei, una sera in cui Ebba era fuori casa. Non la toccò, né parlò in modo esplicito, ma le sue intenzioni erano estremamente chiare.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Quell'esperienza l'aveva cambiata. Si era indurita, era diventata più determinata e decisa. E dopo un solo mese in quell'inferno, aveva deciso di dire basta.
 
«Pronto?»
«Sono Rose.»
Dal tono della risposta di Andrew, intuì che stava sorridendo. «Rose! Come stai? A fine novembre verrò a trovarti.»
«Non sarà necessario.» replicò con la durezza accumulata in quelle settimane. 
 
«Torno a casa.»

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Capitolo 7
*** Embrace ***


EMBRACE
 
Io non te lo volevo dire, ma una settimana dopo la tua partenza Andrew già usciva con un'altra. Faith.
 
Il messaggio era arrivato sul cellulare di Rose alla fine di una giornata tremenda. Aveva detto ai Muchaneta che sarebbe ripartita entro un paio di settimane. Aveva dovuto discutere con Ebba, fare i conti con tutte le implicazioni della sua scelta... Era stata una giornata stressante. E dopo quel breve messaggio, si sentì tradita e distrutta.
Non riuscì a dormire quella notte. Sapeva bene che Andrew non era il suo ragazzo, e che poteva fare quello che voleva, ma l'idea che frequentasse un'altra era come una pugnalata nella schiena.
La sera seguente gli mandò un'email, chiedendogli di dirgli la verità. La risposta non tardò ad arrivare.
 
Ti assicuro che non è vero. Io però ti avevo detto che volevo un rapporto libero, altrimenti mi sarei già messo con te da un pezzo. Non avrei alcun motivo di nascondertelo. Ci sono state delle scappatelle, cose di una sera, ma, ti giuro, l'ultima risale a luglio, e non c'è nessuna che frequento adesso. Anzi, sto contando le ore che mi separano dal rivederti... Faith sta cadendo veramente in basso. Forse è il caso che rivaluti la vostra amicizia. Baci, Andrew.
 
Basta, ci rifletterò quando tornerò a casa.
Cercò di non pensarci, nei giorni successivi, e ci riuscì, perché aveva ben altre preoccupazioni. Mashama ci provava con lei ogni volta che Ebba aveva il turno di notte. Una volta usò la scusa che voleva un massaggio, dato che era andato a correre. Una volta entrò in camera sua senza bussare, mentre stava per andarsene a letto. Rose era disgustata e terrorizzata. E non vedeva l'ora di andarsene da quel posto.
 
Una sera, pochi giorni prima della partenza, scrisse a Faith raccontandole dei problemi che le avevano rovinato la permanenza in Inghilterra. Fu allora, per la prima volta, che notò il menefreghismo di Faith. Sembrava non le interessasse minimamente ciò che stava passando. Non espresse preoccupazione, né apprensione, niente. Solo allora si rese conto che, da quando Moore l'aveva lasciata, non era rimasto nulla della ragazza dolce e divertente che Rose aveva conosciuto.
Le parlerò quando torno.
 
E il giorno della partenza, infine, arrivò. I Muchaneta non si degnarono né di accompagnarla all'aeroporto, né tanto meno in città, dove avrebbe potuto prendere una navetta per Heathrow. Dovette chiedere ad un loro vicino di casa se poteva accompagnarla ad Oxford alle due del mattino, perché il volo sarebbe partito all'alba, e a quell'ora di notte non passavano autobus che avrebbero potuto portarla in centro.
Fanculo tutti, tanto non devo rivedervi mai più!
 
Tra partenza, pullman, attese infinite, e infine il volo, passò la notte in bianco. Ma era felice, all'ennesima potenza, e voleva godersi ogni istante. E mentre lasciava quella bellissima terra piovosa, giurò a sé stessa che non avrebbe mai più accettato che qualcuno le facesse tanto male quanto ne aveva patito durante quel mese e mezzo.
 
Rose detestava suo padre, ma quando la venne a prendere all'aeroporto gli saltò al collo. Era quasi felice di vederlo. Andarono a casa, dove, dopo un pasto decente, riuscì finalmente a dormire un po'. Si riposò per tutto il pomeriggio, ma il momento di quel giorno che più bramava non era ancora arrivato.
Quella sera, dopo una doccia bollente, andò in strada, e si accese una sigaretta, nell'attesa dell'evento più caldo del giorno.
Un'alfa grigia si accostò sul ciglio della strada. Rose saltò in piedi, e corse sul lato del passeggero; aprì lo sportello, montò sull'auto, e prima ancora di riuscire a chiudere, Andrew la stava già stringendo in un abbraccio forte e tremante.
«Mi sei mancata tanto...» gemette.
Rose sorrise, mentre una lacrima le rigava la guancia.
Parlarono tanto, quella sera. Andrew le fece notare che non era rimasto nulla della ragazzina trasandata e timida di un paio di mesi prima. Era partita bambina, era tornata donna. Una donna forte e coraggiosa pronta a prendere in mano il suo destino.
«In fondo ti ha fatto bene quest'esperienza. Sei... cresciuta. Sono felice di poter scoprire questa nuova versione di te.»
Lei rise. Lui sorrise.
 
La mattina seguente Rose si impose di andare a cercarsi un impiego. E lo trovò, appena due giorni dopo. Fece un colloquio, e una settimana dopo il suo ritorno in patria già aveva un contratto di un mese e mezzo in un magazzino. Lì dentro ebbe modo di constatare quanto effettivamente fosse cambiata. Gli uomini venivano da lei come mosche al miele, e anche se nessuno di essi le interessava, era comunque una bella soddisfazione.
 
Le settimane procedettero monotonamente. Durante la settimana lavorava. Il sabato e la domenica erano dedicati ad Andrew.
Faith, d'altro canto, non si era più fatta viva. Rose le aveva proposto di andare insieme a trovare i loro ex-compagni di università, una volta, e Faith, fino all'ultimo, aveva detto che sarebbe venuta. Dovevano andarci in treno, ma lei non si presentò. Trovò una scusa all'ultimo minuto, e non venne. Delusa, Rose partì da sola, sempre più convinta delle parole di Andrew. Rivalutò quell'amicizia, che un tempo le era parsa tanto speciale, e le dispiacque, in parte. Ma, d'altro canto... Forse è meglio così.

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Capitolo 8
*** Fears ***


FEARS

L'inizio del nuovo anno coincise con nuovi, inesorabili cambiamenti. Rose si ritrovò nuovamente senza lavoro, ma non disperò, e tornò a cercarsi un impiego. Faith non si era più fatta sentire, e Rose non badò più a cercarla. La possibilità di un rapporto con Andrew sembrava sempre più irraggiungibile, ma le rimaneva ancora qualche piccola speranza a cui aggrapparsi. Dopo tanto tempo rivide Mel, la sua compagna di liceo, e Albert, un altro vecchio amico.
 
A febbraio accadde qualcosa che avrebbe condizionato completamente il corso degli eventi futuri. Per settimane intere cadde tanta di quella neve da coprire ogni cosa. Le strade erano intasate, i mezzi pubblici non passavano... e Andrew, che viveva in un paese in montagna, rimase bloccato.
Fu così che Rose constatò che non si sarebbero visti più, fino al disgelo. 
Passavano i giorni, e le temperature non accennavano a salire.
Stava rischiando di impazzire, perciò decise di tenersi occupata. Quando non era impegnata a fare colloqui o spedire curriculum, usciva con Mel, o con gli ex colleghi del magazzino, o con Albert e i suoi amici.
Una sera andò con Albert in un pub; gli altri li avrebbero raggiunti più tardi, e nell'attesa si era messa a socializzare. Fu così che conobbe Jennifer, una ragazza solare e spontanea che le era piaciuta al volo. La stessa sera conobbe anche Micheal. Era un ragazzo alto, carino, con un bel sorriso contagioso e dai modi molto coinvolgenti. E Rose gli piacque a prima vista.
 
Passarono ancora dei giorni, e continuava a fare freddo. La nostalgia era tanta, e il lato di sé che Rose aveva così accuratamente sepolto mesi prima iniziava a riemergere. Le sue ansie e le sue terribili paure tornarono a tormentarla. Ogni volta che sentiva Andrew, e gli chiedeva quando avrebbero potuto rivedersi, lui rispondeva in modo vago e seccato. Era sempre lei a farsi sentire, e mai lui. Cominciava a pensare che si fosse stancato di lei, e il sospetto la straziava.
 
Aveva bisogno di parlarne con qualcuno. Non a Faith, perché di lei non si fidava più. Non a Mel, perché sapeva ben poco di quella storia. Capitò l'occasione di parlarne con Micheal, una sera, e lui l'aiutò ad alleggerirsi. Lasciò che si sfogasse, per poi farla pensare ad altro. Micheal la faceva ridere quando ne aveva più bisogno, e fu felice all'idea di essersi fatta un nuovo amico.
 
Febbraio giunse al termine, e marzo portò con sé un po' di sollievo dal freddo. Le strade tornarono ad essere percorribili, e Rose era al settimo cielo quando Andrew le disse che potevano finalmente rivedersi.
 
Era sabato. Erano stati al compleanno di un'amica comune, e poi erano andati insieme a casa di Andrew.
Rose giaceva nel letto, avvolta tra le lenzuola profumate, e fissava la lavalamp accesa sul comodino. La cera mutava ipnotica. Fu allora che Rose iniziò a riflettere sul loro rapporto. Al ritorno dall'Inghilterra aveva giurato a sé stessa che non avrebbe più sofferto, per nessun motivo e in nessun caso. Era giunto il momento di far capire ad Andrew che il tempo dei giochi era finito. Era il momento di prendersi le proprie responsabilità. Lei lo amava, e voleva stare con lui. Restava solo da capire se Andrew ci teneva a lei abbastanza da mettere da parte il passato.
 
«Mi sei mancato da morire in queste settimane... Per la prima volta in vita mia ho odiato la neve.»
«Anch'io, non sai quanto.» 
Come inizio promette bene.
Rose fece una pausa, prima di continuare. «Ho riflettuto tanto ultimamente. Su... noi.»
Andrew trattenne il respiro per un istante. «E...?»
Un respiro profondo. «Non posso stare senza di te.»
L'aria calda dell'appartamento si fece gelida e tesa, da un momento all'altro.
«Ho sempre temuto che arrivasse questo giorno.»
«Che significa?» gemette, col fiato sospeso.
«Significa... che è meglio se la finiamo qui e smettiamo di vederci.»
 
Fu così che il cuore di Rose andò in mille minuscoli frantumi.

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Capitolo 9
*** Farewell ***


FAREWELL

«No, ti prego! Lasciamo le cose come stanno! Preferisco averti a metà piuttosto che non averti affatto!»
 
Era finita. L'unica persona che aveva amato davvero l'aveva abbandonata.
Si sentiva morta dentro. Non riusciva a sorridere. Passava le notti a piangere.
Era un fantasma, in mezzo alla gente. Non le interessava più nulla.
Era stato l'addio più doloroso della sua vita, e si sentiva come se quella ferita non si sarebbe rimarginata mai più.
 
Micheal l'aiutò ad uscirne, dal momento esatto in cui aveva saputo cos'era successo. Le stava vicino, cercava di farla ridere in ogni momento. La fece sentire... amata. Come Andrew non l'aveva fatta sentire mai.
 
Il sabato seguente, una settimana dopo quel terribile giorno, Micheal la invitò ad una gara di bevute. Rose non era famosa per reggere l'alcol, ma le sembrò un'idea divertente, perciò accettò.
Perse clamorosamente. Micheal, contrito, la portò fuori a vomitare. Le diede la sua giacca, e le parlò a raffica, in modo che non si addormentasse.
Si sà, l'alcol tende a disinibire le persone, e anche Micheal aveva mandato giù qualche bicchiere di troppo. Fu così che avviò il discorso che da diverso tempo gli attanagliava le viscere.
 
«Tu mi piaci molto, Rose...»
«Lo so» mugugnò lei, tenedo la fronte contro la spalla di Micheal.
«Davvero?! Chi te l'ha detto?» chiese sulla difensiva.
«Dovrei essere cieca per non accorgermene...» mormorò lei, cercando di non dare di stomaco. In quel momento sarebbe stato davvero fuori luogo.
«E' così evidente?»
La risposta era sottintesa, ma Rose non ebbe la forza di replicare.
Il suo stomaco parve placarsi, poco a poco.
«Hai qualcosa da dire al riguardo?» osò chiederle.
Rose lo guardò dritto negli occhi. Non voleva pensare ad Andrew. Voleva sentirsi amata, desiderata... Voleva qualcuno che la sostenesse sempre, che non avesse paura di mostrare i propri sentimenti. E quel qualcuno, poteva essere Micheal.
«Anche tu mi piaci.» rispose infine, abbozzando un timoroso sorriso.
Micheal parve rilassarsi. E smise di trattenersi.
La baciò, e la strinse forte a sé, in un modo impetuoso e dolce al tempo stesso, romantico, come nessun primo bacio era mai stato per lei.
Poi, di punto in bianco, lei lo spinse via. Era pallidissima.
«Che c'è, che ho fatto?!» chiese lui terrorizzato.
«Devo vomitare-» fece in tempo a dire prima di piegarsi in avanti, imbrattando completamente le scarpe del povero Micheal. 
 
La mattina seguente, il suo primo pensiero fu Andrew, ma cercò immediatamente di levarselo dalla testa. Il secondo pensiero fu Micheal, e la figura pietosa della sera prima.
Oddio! Come ho potuto?!
Chiamò Micheal, incapace di pensare a cosa dirgli, a parte scusarsi.
«P...ronto?» sbadigliò lui.
«Micheal! Scusami, io... Ma ti ho svegliato?» farfugliò.
«Rose? Sei tu?» chiese con un tono sorprendentemente sveglio e reattivo. «Passata la sbornia?» rise.
«Perdonami, non volevo vomitarti addosso» disse mortificata.
«Non ti preoccupare» rispose lui allegro. «Ti va di vederci, stasera?»
Sì. Micheal poteva essere la persona giusta al momento giusto.

Passarono i giorni. Rose riusciva di nuovo a sorridere, e soprattutto a non pensare ad Andrew.
Ma quell'equilibrio che con tanta fatica era riuscita a conquistare, fu spezzato violentemente da una telefonata.
 
Erano passate tre settimane da quella sera terribile che si era imposta di dimenticare. Rose stava per andare da Micheal, che la stava aspettando al pub, quando il suo cellulare squillò.
Era Andrew.
Rose cercò di essere forte. Premette il tasto verde con estrema cautela.
«Ciao Andrew.» sussurrò, sforzandosi stare calma.
«Rose! Non ti sei più fatta sentire...».
Chiuse gli occhi, ripetendosi che andava tutto bene.
«Come stai?» osò domandarle.
Come credi che stia?! Cercò di moderare i toni che l'istinto le comandava di usare. «Va tutto bene. Alla grande. Davvero. E tu come stai?»
«Malissimo.» Rose ebbe un tuffo al cuore. «Lo so che è tutta colpa mia... Mi manchi tanto, parlo di te in continuazione, non riesco a non pensare a te.»
Una lacrima scrivolò lungo la guancia di Rose.
«Vorrei rivederti... Se ti va bene... voglio parlare con te.»
«Perché adesso?»
«Perché purtroppo ci si rende conto dell'importanza di una persona solo dopo averla persa-»
«Io non avevo bisogno di perderti per capire quanto fossi importante!» gli urlò contro.
«Lo so...» mormorò contrito. «Possiamo parlarne di persona? Ti prego...»
«Non ce la faccio...» mormorò con la voce rotta dal pianto trattenuto.
«Cosa?»
«Non ce la faccio... Mi hai spezzato il cuore... Non voglio più soffrire a causa tua... Non voglio vederti più.»
Riattaccò, e si asciugò le lacrime, prima di uscire, preparandosi a far finta che non fosse successo niente.
 
E la ferita tornò a sanguinare.
 

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Capitolo 10
*** Forever ***


FOREVER
 
«Hai da fare oggi pomeriggio?»
«Sono libero dalle due alle quattro.»
«Bene, allora ci vediamo alle due e mezza sotto il tuo ufficio.»
 
Moore faceva l'assicuratore, e il suo ufficio si trovava a quattro isolati dalla casa di Rose. Non lo vedeva da un pezzo; ma il motivo principale per cui voleva incontrarlo era che voleva un assaggio di normalità: voleva vedere un amico comune ad Andrew, senza necessariamente dover parlare di lui.
 
Alle due e mezza esatte si incontrarono in strada, e decisero di andare a mangiarsi un gelato. In gelateria, mentre fissava le vaschette dei gelati, si perse un istante nei suoi pensieri.
Non gli ho mai offerto quel gelato che avevo usato come scusa... me ne ero dimenticata...
«Ehi tutto ok?» chiese Moore, che aveva già in mano il suo cono, interrompendo il flusso di ricordi.
«Eh? Oh, sì, certo! Una coppetta stracciatella e cioccolato, per favore.»
 
Si sedettero su una panchina al sole, parlando del più e del meno. Poi Moore cambiò discorso, di punto in bianco.
«Con Andrew com'è la situazione?»
Rose sussultò, e per poco non le cadde il cucchiaino dalle mani.
«Non c'è niente da dire. Non ci vediamo e non ci parliamo.» Abbassò lo sguardo, e iniziò a rompere col cucchiaio i pezzetti di cioccolato rimasti sul fondo della coppa. «Non mi va di parlarne comunque.»
«Davvero?» fece lui, sorpreso. «Credevo mi avessi cercato per questo. Io sapevo che lui voleva rivederti e... Ok, scusa, discorso chiuso.»
Piombò un silenzio piuttosto imbarazzante, perciò Rose tentò di cambiare discorso domandando una cosa su cui si arrovellava da tempo: gli chiese come mai era finita con Faith.
Le spiegò che Faith, dopo il primo mese, non aveva dimostrato più affetto, o attaccamento, o interesse nei suoi confronti. Si faceva viva quando le serviva qualcosa, e quando era a casa sua non faceva altro che chiedergli "mi fai questo?" "mi porti quello?" e lui non otteneva neppure un grazie. E concluse dicendo che il giorno in cui le aveva fatto notare il suo atteggiamento, se ne era andata sbattendo la porta e mandandolo a quel paese.
«Be'» commentò Rose infine, «questo spiega un bel po' di cose.»
 
A quell'ondata di ricordi in gelateria ne seguirono altre. Passando davanti al parco vicino al fiume, ripensava al loro primo appuntamento. Nei tratti della gente che incrociava, rivedeva lui. Ogni alfa-romeo metallizzata che le passava accanto la faceva sussultare.
Non posso andare avanti così. Devo capire cosa voglio e cosa provo.
 
«No, non se ne parla neanche!» La reazione di Micheal non lasciava decisamente spazio all'interpretazione.
«Ne ho bisogno... Fidati di me.»
«Ma come faccio?!»
«Vuoi che io sia sicura di voler stare con te? Lasciamelo incontrare, e dopo non dovrai più avere dubbi.»
 
Alla fine acconsentì, ma Rose aveva sopravvalutato il proprio autocontrollo.
Rivedere Andrew fu come risvegliarsi dopo settimane di torpore. Lui l'abbracciò, in lacrime, mormorando che l'amava, che aveva commesso lo sbaglio più grosso della sua vita, che non voleva lasciarla andare, che era disposto a fare a botte con Micheal pur di riaverla.
 
Quando quella sera tornò a casa, si chiuse nella sua stanza e si accasciò contro la porta, più confusa di prima.
E ora che faccio?
 
«Jenny, dammi una mano.»
«E' un gran casino non c'è che dire.»
Rose e Jennifer erano piuttosto legate, ormai, pur conoscendosi da poco. Jenny era schietta e spontanea, e soprattutto conosceva Micheal da più tempo di lei, perciò forse poteva aiutarla.
«Come faccio a capire chi dei due voglio?»
«Puoi fare una lista dei pro e i contro, che ne dici?»
«E' un inizio.»
 
Cominciò da Micheal. Lui le stava dando tutto ciò che con Andrew le era mancato. Era presente, era generoso, le aveva risanato la ferita nel cuore.
Andrew, d'altro canto, le era stato vicino quando ne aveva avuto più bisogno. Con lui era scattato qualcosa di chimico. Si erano frequentati per quasi un anno e non avevano mai litigato, neanche una volta. Era sempre stato sincero, le voleva bene... ma poteva essere cambiato davvero nel giro di poche settimane?
Chi scelgo: chi mi ha fatta soffrire e vuole rimediare, o chi non ha ancora avuto occasione di spezzarmi il cuore?
«Stai dimenticando una cosa importante» intervenne Jennifer. «Tu di chi sei innamorata?»
«Che hai detto?» sussultò Rose, in preda ai flashback.
Perché non ci ho pensato io? Come ho fatto ad essere così stupida?!
Strappò il foglietto su cui aveva elencato pregi e difetti di entrambi.
«Ehi! Ma che...»
«In un mese non si cancellano certe emozioni... Ora so che devo fare!»
 
Senza aggiungere altro, corse a casa. Da un momento all'altro, tutto le era apparso chiaro. Quante possibilità ci sono, che due persone arrivino a provare sentimenti così forti l'uno per l'altra, dopo un primo incontro patetico come il loro? Chi altro avrebbe avuto la forza di aspettare una persona per un intero anno, pur non avendo possibilità? Chi rinuncerebbe alle proprie convinzioni, se non per il vero amore?
Erano sempre state anime affini, le loro, sin dal pincipio... E l'amore aveva vinto.
 
Giunta a casa mandò un messaggio a Micheal, spiegandogli che era finita e sperando, in cuor suo, che fosse in grado di perdonarla.
Poi toccò ad Andrew.
Lo chiamò. Gli comunicò la sua decisione. Cinque minuti dopo era già per strada per andare da lei.
Ci mise appena venti minuti ad arrivare, sfiorando più volte la morte, pur di arrivare da lei, che era finalmente sua.
 
«Mi dispiace... mi dispiace...» mormorò lui tra lacrime di gioia.
«Non ha più importanza» disse lei, felice. «Siamo qui, adesso. Siamo io e te-»
«Per sempre.» sussurrò Andrew.
«Per sempre.» confermò Rose, prima di dargli l'ennesimo bacio.




 
 
Rose e Andrew hanno trovato la pace dei sensi.
Vivono insieme, adesso, e sono felici.
Micheal, col tempo, ha perdonato Rose, 
ma non si sono ancora rivisti da allora.
Jennifer è ancora molto amica di Rose, 
e continuano a frequentarsi nonostante i mezzi scarsi.
Faith ha infierito un paio di volte nel rapporto tra Andrew e Rose, 
ma senza risultati, e infine si è arresa.
Ormai in paese la odiano tutti,
perciò in giro non si vede mai.
 
La loro storia è la prova
che anche nella vita reale
può esistere il lieto fine.
 
Basato su una storia vera.

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