i'm singing in the rain

di itsonlyalie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** don't mess with her. ***
Capitolo 2: *** It's like the rainbow. ***
Capitolo 3: *** Remember him. ***



Capitolo 1
*** don't mess with her. ***


La sveglia suonò. Rebecca non aveva nessuna voglia di affrontare un giorno come l’altro, non più. La casa, pur essendo fresca ed accogliente, le sembrava qualcosa di vecchio, come un nido ormai troppo vecchio. Inciampò sulla borsa ai piedi del letto e si preparò un caffè.
Un altro interminabile giorno. Meglio che mi sbrighi.
Dopo un’ora, come al solito era fuori casa, con le chiavi della macchina in mano. Il suo lavoro era rispettabile, e anche molto ma a lei non era mai piaciuto. Dover servire gente dalla mattina alla sera, anche trattandosi di celebrità conosciute nel mondo non l’allettava, neanche quando suo padre, prima che morisse, le diede quel lavoro. Era morto da due anni, e a lei non mancava, si sentiva sollevata più che altro. Era sempre stata trattata con diffidenza e inferiorità dal padre, probabilmente dal fatto che sua madre, la sua moglie tanto amata, era morta per dare alla luce lei. A scuola, si ricordava i brutti momenti che aveva passato, derisa dai bambini che la chiamavano ‘bimba assassina’ per identificarla. Poi alle superiori tutto sembrava essersi sistemato, aveva trovato amici e aveva raggiunto un equilibrio che non si sarebbe mai aspettata di trovare. Il pub, dato che era di sua proprietà, lo doveva aprire ogni giorno lei, e chiuderlo ogni volta. Ammirava suo padre, per tutti gli sforzi che aveva fatto, per far sì che quel pub, apparentemente tutta la sua vita, diventasse il più famoso di Londra e conosciuto persino dall’altro capo del mondo. Aveva impiegato tutte le sue energie su quel posto, non aveva tempo per sua figlia e per lei suo padre non era altro colui che le dava da mangiare e le comprava il necessario per vivere, non una carezza, non uno sguardo accorato. Lo ammirava per l’impegno, non per altro. Accese le luci, per far sì che i raggi di sole entrassero il quel locale, ormai la sua vita. Poco dopo arrivarono i collaboratori e i chi si occupava della cucina e ben presto fu tutto pronto. Girò il cartello da chiuso ad aperto, ormai più che altro una formalità.
Poco dopo la gente guardava l’insegna e capendo che era un posto famoso entrava e ben presto il pub fu pieno. La mattina non c’era traccia di celebrità e il pub poteva sembrare un normalissimo bar, era la sera che le stelle affluivano nel locale. Rebecca, pur essendo giovane conosceva molte star e spesso era finita in conversazioni interessanti che non si sarebbe aspettata di fare con una celebrità.
<< Rebecca, hanno bisogno di te dietro, potresti andarci? >>
Con non curanza si diresse verso il retro con un breve cenno.
In quasi vent’anni che questa gente lavora qua, non hanno capito ancora qualcosa.
Il problema era semplicemente che si erano rotte due tazze, nel tentativo di portarle ai clienti.
<< non dovreste disturbarmi, mi occupo di quasi tutto ciò che viene al di fuori di queste due stanze. Fai pulire a chi si occupa delle pulizie, lo sai che non vi rimprovero o roba del genere. Lavorate per me, e ne sono grata, ma non dovete disturbarmi mentre lavoro. >>
Si limitarono ad annuire con un sorriso appena.
La fila di gente era aumentata e la ragazza sbuffò. La giornata passò così, interminabile, tra mamme preoccupate che la cioccolata fosse troppo calda per i proprio bambini, e ragazzi che parlavano fragorosamente, tra una risata e l’altra. Alle cinque e mezzo il locale si svuotò e chi puliva in men che non si dica avevo pulito tutto.
<< Bravi ragazzi, oggi era più affollato di altri giorni. Premierò tutti con un giorno di ferie per domenica. >>
Tutti sorrisero: là si lavorava, e anche tanto, era stancante, ripetitivo. Rebecca si accasciò su una poltroncina, e tutti cominciarono a mangiare ciò che rimaneva, come loro pranzo.
Alle sei e mezza riaprirono il locale e all’entrata si mise un uomo piuttosto grosso, un buttafuori. Molte celebrità, non solo inglesi varcarono la porta: Jessie J, Madonna, Katy Perry, Rita Ora, Ludacris e tanti altri.
<< Il locale è tuo? >>
La Ora si era rivolta a Rebecca che con aria stanca provò a sorriderle
<< oh, sì. Era di mio padre, e lo lasciò a me >>
Anche se non so perché. Avrebbe voluto aggiungere. Suo padre, che non aveva pensato altro che al lavoro e alla moglie defunta si era preso la briga di dare il locale alla figlia che aveva ucciso la donna che amava.
<< ha fatto un gran lavoro. E tu sei stata all’altezza di saper gestirlo, complimenti. >> le strizzò l’occhio ed ordinò due cocktail per poi allontanarsi con qualcuno, probabilmente suo amico. Si fecero le dieci e Rebecca aveva passato tutta la serata a scambiare due parole con i clienti e dare ciò che volevano.
Un ragazzo dalla faccia un po’ stupita si sedette su uno sgabello davanti al bancone, e per un attimo Rebecca pensò che fosse un infiltrato, ma chiuse un occhio perché odiava fare polemiche.
<< Un bicchiere d’acqua >> sembrò deciso ma Rebecca lo guardò stranito e rise a voce bassa
<< Mi stai dicendo che in un pub chiedi acqua e non quale altra cosa? >>
<< non vedo dove sia il problema. Sono un cliente, ho chiesto un bicchiere d’acqua e tu da brava gestore del bar, dovresti darmi ciò che ho chiesto >> il ragazzo dagli occhi verdi azzurri fece roteare gli occhi, e la fece innervosire.
<< subito >> fece con una smorfia Rebecca.
Vorrei sapere chi è questo ragazzo, se sa che sta parlando con la proprietaria di questo pub famoso più di lui.
Lui si limitò ad accennarle un sorriso veloce e bevve la sua acqua, mentre Rebecca osservava il corso che faceva sul collo del ragazzo
<< sei la proprietaria? >> Rebecca si stava per allontanare
<< sì >>
<< capisco >>
<< io invece non ti ho mai visto in questo locale tantomeno su internet o roba simile >>
<< sono Harry Styles. Faccio parte di una boy band, non so se la conosci: i One Direction >>
Rebecca fece spallucce, anche se era interessata in qualche modo a quel ragazzo, per la prima volta voleva sapere cosa balenava per la testa di quel ragazzo con l’aria da bambino. Si sorrisero con diffidenza e lui si allontanò.
Era con dei suoi amici, forse i componenti della band
<< ci hai messo tanto, Harry. Ti sei messo a parlare con la cameriera di turno? >>
Uno dei suoi amici, con degli occhi azzurri come il mare e i capelli biondi sembrò tutto divertito e i gli altri quattro risero.
<< Ho parlato con la proprietaria, niente di più. >>
Da quando era stato lasciato dalla ragazza, sembrava che il senso dell’umorismo che aveva era scomparso definitivamente
<< Harry, capisco che Linda ti manchi, ma devi passare avanti se ha fatto così è una troia. Chi non vorrebbe uno come te? >>
Harry sorrise debolmente
<< Lo so, Louis. Ma … io la amo. >>
Louis affranto alzò le mano con segno di arresa e salutò un paio di persone
Chissà se la proprietaria mi sta fissando ancora come mi fissava prima.
Mosse lentamente il capo e vide che era indaffarata a servire e discutere con i clienti e con lieve imbarazzo tornò alla posizione precedente, e sembrò che l’amico accanto al biondo avesse capito tutto
<< Carina la proprietaria, non trovi Harry? >>
Si sentì preso alla sprovvista e arrossì
<< che stai dicendo Liam? >>
<< Ti ho fatto una domanda, non trovi che sia particolarmente carina? >>
In effetti era vero: una pelle diafana, con qualche lentiggine appena sul naso e sulle guance e gli zigomi più rosei, con degli occhi sul verdastro grigio e dei capelli rossi scuri, confondibili facilmente con un comune castano scuro. Una bocca non carnosa ma timida e un naso perfetto. Però aveva qualcosa che non permetteva alla gente di andare oltre un sguardo e un pensiero toccante il suo fisico e il suo apparire.
Forse quello sguardo gelido, e quel fare da gran donna, quando il suo corpo era solo come quello di una povera bambina. E forse era quel fare che aveva colpito Harry, quello sguardo rassegnato e gelido, senza emozioni
<< sì, può darsi. È discreta. >> mentì
<< Neanche Zayn direbbe una cosa del genere. Ma se tu vuoi mentire, a te la scelta >> andò per alzarsi, seguendo i suoi amici Niall e Louis, mentre l’amico Zayn se ne stava a parlare con qualche celebrità
Linda le assomigliava.
Linda era un punto fisso. Come lo aveva stregato lei nessuna vi era riuscita nell’intento. Si sistemò i capelli ricci e rimase a guardare i suoi amici parlare con delle persone e di tanto in tanto lasciarsi trasportare dalla musica. Una nocciolina colpì in pieno la fronte del ragazzo che si voltò verso Zayn che lo guardava insieme ad altri estremamente divertito. Harry sorrise con tono di sfida e ne lanciò due e in un minuto l’intera clientela era a lanciarsi noccioline.
Che diamine sta succedendo?
Rebecca era appena tornata dal retro e guardava allibita la scena: neanche il buttafuori riusciva a fare calmare la gente, e tutti i camerieri preoccupati la guardavano. Sorrise: era da una vita che nel suo locale non succedeva una cosa così e un po’ si divertiva a quella scena, ma come proprietaria doveva prendere dei giusti provvedimenti.
Fermò la musica con tranquillità e spense le luci. Tutti smisero di lanciare roba e lei riaccese la luce
Che schifo.
Guardò con disprezzo tutti i partecipanti a quella battaglia e con un tono assai severo ma sereno fissò tutti.
<< Chi ha cominciato? >>
La gente si guardava attorno confusa e in lei balenò il ragazzo riccio che le aveva chiesto il bicchiere d’acqua e tra i tanti sguardi c’era lui che lo guardava pentito
<< ho fatto una domanda, chi è stato? >>
Il ragazzo che lei temeva si alzò.
E ti pareva fece roteare gli occhi seccata.
<< e con te chi? >>
L’amico si alzò, anche lui pentito e sconfitto, con una nocciolina nel ciuffo
Sorrise soddisfatta e pregò alla clientela di uscire, essendo l’orario di chiusura
<< Voi due pulirete tutto, anche se siete delle celebrità. Io ho permesso questo finché stavate per spaccare un tavolo, ringraziatemi per questo. Io starò seduta a guardarvi e tornerete a casa solo quando avrete sistemato tutto. >>
<< ma tu hai i la gente che lavora per questo, non dobbiamo far il lavoro che spetta ad altri >>
<< il loro lavoro non è pulire le cazzate che fanno due idioti. Il loro lavoro è pulire ciò che la gente consuma in questo pub. Sono stata chiara? >> indicò i ragazzi e dopodiché diede delle scope per cominciare a pulire e si sedette stanca su una poltroncina.
Nella ragazza c’era qualcosa che Harry non sapeva capire, decifrare. Una specie di enigma, degli enigmi. In quei occhi così freddi, in quella pelle quasi trasparente e candida c’era qualcosa di anormale, strano. Lei lo continuava a guardare mentre compieva i suoi movimenti e lui la guardava sottecchi quando lei si distraeva. I capelli raccolti in quello chignon sbarazzino tiravano l’attaccatura dei capelli rendendole lo sguardo più tirato, più sofferente. Le due ore successive continuarono così: lei che lo guardava curiosa ma con fare severo, lui che la guardava sottecchi con un po’ di antipatia. Mentre l’altro ragazzo, Zayn, si era limitato a restare in silenzio e di tanto in tanto guardare pure lui la ragazza.
Nonostante quella specie di punizione Harry le sorrise quando Rebecca chiuse il locale, e lei non poté che ricambiare.
C’è qualcosa in lei. Che devo riuscire a capire, qualcosa in lei che la rende diversa e unica.
Evidentemente sarà stato quello sguardo ad attirare il riccio, quello sguardo gelido e indifferente, privo di emozioni. Quell’alone scuro che emanava, che teneva lontano chiunque.
Pensierosa tornò a casa, con lo sguardo ancora impresso di quel sorriso, apparentemente sincero, che le aveva scavato qualcosa dentro, di estremamente profondo, quasi come un taglio, una ferita. 

bella gente, è la mia prima storia, quindi vi prego,
siate gentili cwc scherzi a parte, accetto le critche, che ne pensate?
#luvya
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Capitolo 2
*** It's like the rainbow. ***




La giornata seguente fu non certo meno noiosa per Rebecca, e più di una volta diede di matto.
Il fatto è che era scontenta di quel lavoro, e quel ragazzo la sera prima le era rimasto impresso tutto la notte, non facendola dormire. Rimase ferma a guardare una madre con suo figlio, con leggera disapprovazione e frustrazione
Chissà com’era mia madre. Cosa faceva nella vita, come pensava, come si muoveva, com’era la sua vita.
Suo padre sulla moglie non aveva mai proferito parola, e quando si parlava di lei si finiva sempre con qualche oggetto rotto, e questo Rebecca voleva evitarlo. Quei sorrisi, quegli sguardi da madre a figlia avrebbe voluto provarli lei, in prima persona e non restare là a guardare con sottile sofferenza.
Due gemiti e poi delle urla confuse e sconnesse tra loro. Molte persone si erano alzate e avevano accerchiato qualcuno e con poco interesse Rebecca fece tornare la calma.
- mi sarebbe dispiaciuto se ti avessero rotto qualche altra cosa. Avrei dovuto ripulire io – sorrise.
Ancora quel ragazzo e ancora quella fitta allo stomaco.
Sorrise e lui si sedette di fronte al bancone esattamente dov’era nella sera precedente
- come mai sei venuto? Stai facendo impazzire tutte le ragazze di questo bar. – fece un gesto veloce indicando un gruppo completamente impazzito. Lui si limitò a sorridere e a salutarle
Il cuore di Rebecca ebbe un sussulto
Rebecca. Riprenditi. È bello. Nient’altro. Tu ora gli darai ciò che desidera, e lui se ne andrà a casa sua, a farsi la sua vita, con una fidanzata magari.
- tu vivi per questo bar, eh? –
- pub – lo corresse in modo pignolo – anche io lo definisco bar, ma a mio padre farebbe piacere sentirlo chiamare per quel che è. –
- era di tuo padre questo posto? Sapevo che esisteva da un bel po’ di tempo, quindi è vero. –
Lei annuì, mentre indaffarata puliva qualche tazza e bicchiere – sì, era di mio padre. Lui me lo ha voluto dare, perché ero la sua unica figlia e non si fidava di nessuno. –
Continuava a pulire piatti e forchette, insieme ad altri oggetti e lui attentamente la osservava.
Dalle mani passò alle braccia e dalle braccia alle spalle, accarezzandola solo con lo sguardo fino ad arrivare agli occhi, pieni di qualcosa, che non era approvazione e serenità. Più una rassegnazione.
Cos’ha di diverso da l’altra gente? Cosa la differisce? Ha in meno, ho più rispetto alle persone?
Harry evidentemente si faceva troppe domande che quasi lei lo notò e con imbarazzo si spostò dalla sua visuale, cercando di sembrare il più fluido possibile. Lei continuò in silenzio a lavorare, accennando qualche sorriso quando i suoi occhi s’incontravano con i suoi, in modo abbastanza impacciato.
- io non so ancora il tuo nome a dir il vero. –
Sobbalzò, immersa nei suoi pensieri si era dimenticata che al di fuori di quel piatto da pulire e lei non ci fosse niente.
- Rebecca. Rebecca Connor. – fu schietta, veloce. Odiava il suo cognome, perché le ricordava quando il padre le disse perché la teneva con sé
- Rebecca, io ti tengo con me perché sei l’unica cosa che mi ricordi mia moglie, tua madre. Lei ti ha dato alla luce, ed è morta per questo. So che in fondo non è colpa tua, nessuno se lo poteva aspettare. Ma fa male, e in te rivedo lei, rivedo il suo sorriso dolce e ingenuo, e mi fa male pensare che questa è nostra figlia. Che lei non si è potuta godere per darti alla luce . – tu sei una Connor solo per nome, solo nella carta d’identità.  Mio padre aveva ragione. Anche se non diceva che non mi voleva, lo capivo, lo recepivo. Ma da quando mi ha dato il suo locale, nella sua tomba riesco a vedere solo quel padre che mi sono immaginata da quando sono nata. Quel padre che mi difendeva, che portava a scuola, che comprasse i vestiti con me, consigliandomi.
Scacciò quei brutti pensieri sistemandosi i capelli e continuò ad osservare il ragazzo occupato a fare autografi e farsi fare foto.
- ti andrebbe di fare una passeggiata? Da semplici conoscenti – le sorrise
- sto lavorando. Io … mi dispiace – voleva tanto uscire da quel luogo, in qualsiasi modo. Non le era mai piaciuto stare in compagnia, aveva sempre scelto la strada solitaria. Ma quel ragazzo sembrava aver capito tutto di lei, con pochi sguardi e qualche piccola conversazione. Fuori aveva smesso di piovere, e con malinconia guardò oltre la vetrata
- lavori ogni giorno qua, potrai perdere massimo due ore. –
- e sarebbero già troppe, se succedesse qualche cosa mi sentirei terribilmente in colpa. Questo locale è l’unica cosa che ho, per cui vado avanti. Lo faccio per mio padre. –
Al ragazzo bastò sembrare triste e sgranò leggermente gli occhi per commuoverla e lei, proprio come fece in passato, cedette.
Chiese a qualcuno di poter gestire il locale e infine uscirono, con una piccola pioggerellina che accarezzava la pelle e che richiamava in Harry brutti ricordi
Pioveva quando Linda mi ha lasciato.
Rimasero un po’ in silenzio. Il silenzio, se condiviso, per Rebecca faceva sempre piacere, ed evidentemente anche per Harry.
- ho fatto delle ricerche per vedere che tipo di musica fate – disse d’un tratto la ragazza, leggermente imbarazzata. Qualcosa le diceva che quel silenzio non era condiviso, nemmeno un po’.
- t’interessava così tanto? – lui la guardò curioso e appena lei arrossì violentemente sorrise, facendo comparire due piccole fossette al centro delle guance. Le aveva anche Rebecca, e le fece piacere sapere che lui e lei avessero qualcosa in comune, anche se la cosa più sottile.
- così tanto no, ma ero curiosa. Conosco canzoni di tutti coloro che entrano nel mio locale, e qualche film per gli attori. Non conoscevo il vostro genere, ma quando l’ho ascoltato devo dire che mi è piaciuto. – gli sorrise timida e lui aveva un’aria leggermente fiera, e si batté il petto scherzando. In lui c’era qualcosa di solare, che Rebecca non si aspettava di trovare in nessuna persona, qualcosa che l’attraeva, che la incuriosiva. Harry guardò il cielo ed indicò alla ragazza l’arcobaleno che li sovrastava e lei sorrise, mentre lui la guardava cercando di intravedere qualche sua emozione.
- i sorrisi, se sinceri sono come gli arcobaleni. – affermò poi
- che intendi con quest’affermazione? –
- che un sorriso sincero non lo trovi spesso, e nasce solo dopo tanta sofferenza e periodi bui –
Quelle parole colpirono Rebecca, quanto lo faceva il sorriso di quel ragazzo accanto a lei.
Mentre si preparava una tazza di latte, verso le due di notte,  la sfiorò di nuovo la frase di Harry.
Sapeva che dentro quel ragazzo c’era qualcosa di simile a lei, lo sentiva. C’era qualcosa che li accomunava.
 
Harry ritornato da quella passeggiata non faceva che pensare a Rebecca, a quell’aria innocente che aveva. Eppure, dentro di lei sembrava ci fosse una guerriera che combatteva contro un destino avverso a lei.
- vuoi una mano? Sicura di riuscire a scavalcare? –
- sì. –
- sei sicurissima? Ti potrei dare una mano, se vuoi. –
- NON VOGLIO. CE LA SO FARE, DA PICCOLA RIUSCIVO A SCAVALCARE MURETTI ANCHE PIU’ ALTI DI QUESTO. –
Ad Harry venne in mente il breve e insignificante litigio che avevano avuto lui e Rebecca, mentre scavalcavano un muretto. La sua agilità era tanta, e sembrò muoversi come un serpente, fluida, come se dovesse nascondersi da qualcosa, come chi era stato abituato a stare solo e scappare da qualcosa. Faceva spesso riferimenti a quando era piccola e a suo padre. ma sembrava ricordarli più con odio e tristezza che come i bei tempi che aveva passato giocando con le bambole. Harry pensò poi a Linda. L’innocenza della sua precedente ragazza non erano pari a quelle della ragazza con cui aveva passato il pomeriggio. Per lei mostrare la sua femminilità e le sue capacità di seduzione erano tutto, tutto ciò che possedeva, pensò con rabbia Harry. Però lui l’amava ancora.
- Harry, sei scomparso per tutto il pomeriggio. Non ti pare il caso di dirci dove sei stato? –
Il biondo, Niall, lo scrutava con rimprovero e gli altri amici si avvicinarono dopo poco
- ho fatto un giro. –
- dove? Con qualcuno? –
Liam aveva paura che sarebbe tornato con Linda. Lui odiava Linda, aveva provato a persuadere pure lui mentre aveva una relazione con l’amico,  e quando l’ebbe rifiutata lo aveva scongiurato di non dire niente ad Harry. Non glielo disse per non ferirlo, probabilmente. Sapeva che in tutti i casi, la colpa l’amico l’avrebbe dato a lui e non alla fidanzata. Però era carina, non si poteva evitare di dirlo. Capelli biondi, che si potevano dire bianchi, occhi azzurri come il cielo e in viso dolce e grazioso, con un corpo proporzionato e snello. Ripensare a quella ragazza gli fece rabbia, pensare che ancora l’amico potesse veramente amarla lo faceva andare su tutte le furie, ma tacque, mantenendo un atteggiamento sereno.
- ho passeggiato. Con una ragazza. –
- chi è questa ragazza? Linda, Harry? –
- No, Louis. –
Evidentemente a tutti i ragazzi venne subito in mente Linda, tutti la odiavano, ma volevano troppo bene all’amico per fargli del male. Sapevano quanto ci sarebbe rimasto male a sapere tutto ciò che aveva fatto mentre lui l’amava morbosamente, con tutto se stesso.
- e con chi allora? –
- è il terzo grado? – alzò la voce
- no. –
Zayn si allontanò, abbassando la voce e abbassando il capo. Non voleva cercar guai, non voleva avere problemi con i suoi amici
- sono stato con Rebecca, la ragazza che gestisce il locale dove siamo andati ieri sera, okay? – guardò con le braccia aperte i ragazzi, abbastanza innervosito e infastidito. Fuori pioveva, e di quell’arcobaleno così nitido e perfetto non ne era rimasto che un ricordo. Un tuono risuonò per tutta la casa e i ragazzi si allarmarono, ad eccezione di Niall, che rimase imperterrito a scrutare Harry, cercando di capire se diceva il vero. La luce se ne andò e i cinque amici cominciarono ad incespicare nel buio, sfiorandosi con le mano l’un l’altro. Qualcuno fece luce con un telefono ed andò a riaccendere la corrente generale.
Quella sera Harry dormì appena, come Rebecca, del resto.
Spero solo che Harry sia felice e che abbia più sorrisi come l’arcobaleno.
Pensò. Si era affezionata a quel ragazzo, in modo alquanto strano. Era una solitaria, odiava stare in compagnia. Eppure, in quel ragazzo c’era qualcosa che la turbava, che l’attraeva.
Il sorriso di quella ragazza è davvero come l’arcobaleno, così raro da vedere ma perfetto.
Harry quasi si vergognò di quel pensiero, e ben presto cerco di pensare ad altro, ma quel sorriso di quella ragazza così combattuta e debole ricapitolava sempre nella sua mente, martellandolo. Qualcosa li accomunava e forse era la delusione ricevuta da qualcuno. Ma chi avrebbe potuto deludere Rebecca? Harry si sentì così confuso che passò il resto della notte a guardare alla finestra, scorgendo pensieri lontani tra un fulmine e l’altro. 

ecco alla fine del capitolo, nella zona per l'autore, 
sono curiosa di sapere cosa ne pensate di lei e di harreh,
vi piace come coppia? vorreste qualcuno in maggior risalto? eh? eh? eh?
okay, non è il caso, fatemi sapere, recensite a più non posso, 
#luvya 
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Capitolo 3
*** Remember him. ***




Un forte rumore e poi silenzio. Harry stava sistemando la casa,  e con in mano un pile andò ad aprire alla porta: pioveva e lui era solo in casa. Era un periodo in cui non voleva uscire, e la passeggiata con Rebecca lo aveva scombussolato un poco.
Saranno di ritorno.
Pensò poi, e quando aprì la porta si ritrovò davanti la persona che non avrebbe mai e poi mai voluto vedere, pur amandola. Linda era là, infreddolita e bagnata che lo guardava con un sorriso debole, quasi completamente bagnata.
- posso entrare? –
Sapeva perfettamente che Harry non le avrebbe mai detto di no e lui infatti a suo malgrado la fece entrare, guardandola scorbutico.
- cosa vuoi Linda? Perché ti presenti a casa mia così? Non ti trovi più bene con Greg? –
- ho litigato con lui, credo di non amarlo più. –
Quelle parole nel profondo di Harry lo toccarono, sperando che fosse tornato da lui perché si era accorta che amava lui e solo lui, ma ancora più in profondità sapeva che era solo una sgualdrina.
Cercò di mantenere la sua posizione, e con scetticismo le diede delle spugne per asciugarsi. Non disse una parola, ma gli occhi di quella ragazza parlavano da soli: erano pieni di sicurezza, di saper che Harry le sarebbe caduto ai suoi piedi, senza problemi. Ma da quando aveva conosciuto Rebecca, i sentimenti che Harry provava per Linda si erano trasformati, diventando rancore. Quella ragazza sconosciuta aveva molte cose simili a lui, e lo incuriosiva sapere, conoscere qualcosa di quella ragazza così misteriosa.
- Harry – fece una pausa, guardandolo in modo profondo – mi manchi. E tanto. Mi manca tutto di te. –
Lo immaginavo. Non fare il cazzone e fatti valere, cazzo.
- Linda – doveva risponderle, doveva fare il ragazzo cattivo, ciò che non era e non era mai stato – mi hai scaricato come un animale, ma io non sono un animale. E mai lo sarò. E non sono nemmeno il tuo zerbino. E non mi manchi. – mentì, sapeva di aver mentito in cuor suo, ma sapeva anche che Linda era una brutta persona.
- Ah, sì? La pensi così? Che io ti ho sempre trattato come uno zerbino? Bene! Addio Harry. –
Si alzò, si vestì ed uscì, senza fiatare, sbattendo la porta dietro di sé. Harry per un attimo si sentì spaesato e poi si accorse che in mano aveva il suo maglione blu scuro, ancora bagnato. Prese la direzione della porta, ma Linda era già lontana. Quella sera, quando i suoi amici tornarono, Harry rimase nel suo silenzio, pieno di tristezza e frustrazione.
Non ho con chi parlarne, se lo dico a qualcuno dei ragazzi mi uccidono. Odiano Linda, anche se non me l’hanno detto. Lo so. E basta.
Niall notò più volte la completa assenza dell’amico e qualche volta gli dava un paio di pacche sulla spalla per riprenderlo dai pensieri lontani che lo avvolgevano.
- Harry, tutto bene? –
- Io? Mai stato meglio Zayn! –
- non sono Zayn, idiota. Sono Niall. –
Harry non alzò lo sguardo, si limitò ad annuire triste guardando le sue mani.
- Va tutto bene? – riprovò
- sì. –
Niall si accasciò sulla poltrona sconfitto e lo guardò.
Che succede Harry? Perché sei così lontano? Cosa ti spinge ad allontanarti dalla tua famiglia, da tutto ciò che hai attorno, non ti capisco.
Il giorno seguente Harry uscì con Liam e Louis, alla ricerca di qualche vestito, una scusa come l’altra per distrarre il ragazzo da tutti quegli strani pensieri che lo rincorrevano, o che lui semplicemente, si ostinava ad inseguire.
Louis provò più di una volta ad indicargli qualche bella ragazza, ma lui accennava un ‘sì carina’ in modo svogliato. Poi, ad un tratto a Liam tornò in mente la barista, Rebecca. Si era particolarmente interessato a quella ragazza fin da subito, e poteva essere, magari, una buona scusa per distrarlo. I suoi occhi, il suo corpo, e il suo sguardo potevano essere là in quel momento, ma la mente, il cuore e i suoi pensieri sembravano essere lontani anni luce.
Riuscì a rendere l’argomento spontaneo appena passarono davanti ad un bar
- ah, Harry – lo guardò speranzoso, ma lui come al solito girò lievemente la testa. – questa sera che ne dici se fai venire la tua amica barista, quella Rebecca, a casa nostra? Sarebbe un bel modo di passare un bel sabato, dato che diluvierà tra pochissimo e non potremo fare niente in alternativa. –
Liam lo aveva colpito: lo guardò e poi sorrise. Subito dopo si vergognò quasi del suo sorriso e cambiò subito espressione.
- non sarebbe una brutta idea, ma non ho il suo numero. –
- non lavora? – cercò di dire Louis, capendo il pensiero di Liam
Li guardò speranzosi e cominciò a correre. Il bar non distava molto, e la sua speranza e felicità potevano superare anche milioni di chilometri, semplicemente seguendo il cuore.
 
Rebecca era immersa nei pensieri, e le fischiavano le orecchie
Qualcuno mi sta pensando rifletté divertita ma che dico. Rebecca, riprenditi. Sembri una di quelle ragazze super montate. Smettila, e pensa chi sei.
Stava pulendo un bancone quando ad un tratto Freddie, il cassiere, la interruppe
- Rebecca, fuori c’è qualcuno che ti vuole parlare –
Lei lo guardò interrogativa e lui le sorrise. Un piccolo balzo al cuore, e le ritornò in mente il pomeriggio che aveva passato con quel riccio, Harry.
Andò velocemente a riguardarsi e vedendosi allo specchio sorrise
Da quanto non mi soffermavo a guardarmi? Che sorriso finto e privo di emozioni, cazzo. Che persona apatica che sembro. E che sono.
Le fece male pensare quella cosa ma respirò ed uscì, in prede all’emozione. Forse  paura, o magari speranza. Quelle due emozioni si fusero e tremò, appena vide il ragazzo con quel sorriso così dolce e quei occhi verdi.
- ehi, ciao. Mi chiedevo se … se … -
- se? – si sentì tanto tornare bambina, quando il compagno di scuola si vergognava a dire se voleva venire al ballo con lui, o se voleva dividere la merenda con lui, o fare i compiti insieme. quelle piccole cose che la rendevano leggermente importante, che le facevano pensare ‘cavolo, allora grazie a me provano qualcosa di positivo, un’emozione forte benevola.’
- che ne dici se venissi a casa mia e dei ragazzi questa sera e mangi da noi? Qualcosa tra amici, niente più. –
Alzò le mani e le sorrise.
Lei fu in dubbio. Non credeva che un ragazzo conosciuto da così poco tempo potesse darle tanto importanza. O forse la stupiva ancora che qualcuno le dava importanza, dato che lei in primis non si dava importanza.
Doveva prendere una decisione. La testa le si riempì di possibili scuse, ma in fondo non aspettava altro che allontanarsi da quel lavoro così estenuante e monotono
- credo si possa fare, non c’è problema. Darò l’incarico a qualcuno di sorvegliare il bar e gli darò le chiavi. – quelle piccole riflessioni le piaceva farle ad alta voce, per sentirsi sicura di ciò che diceva. Forse era stato il padre che le aveva insegnato a parlare ad alta voce, magari credeva che tutte quelle riflessioni che faceva il padre su di lei  se le fosse sempre immaginate, e che erano solo cose inventate, o che magari diceva senza pensare.
Sarebbe stato giusto rifiutare per paura di apparire in modo sbagliato ai suoi amici e a condizionare l’amicizia tra lei e Harry.
E se non potessi più stare con Harry? Che ne sarebbe della nostra amicizia?
Quel pensiero la colpì.
Amicizia?! Forse non è amicizia. E se non lo fosse, e fosse solo una presa in giro da parte di entrambi?
Harry aveva l’aria impaziente ed imbarazzata. Quell’attesa gli faceva pensare che volesse declinare gentilmente l’invito, e stesse cercando le parole giuste.
 - non sarebbe male. Mi farebbe piacere, a dir il vero – esordì lei.
Il volto del ragazzo s’illuminò: non gl’importava se lei avesse detto sì per pietà o per pura noia. Aveva detto sì, e lui era felice, soddisfatto.
Quando le si avvicinò di scatto per baciarla capì cosa provava per quella ragazza.
Così misteriosa, così seria e così semplice. Quel suo essere così frustrato. O forse semplicemente quel suo essere come nessuno lo è. Ecco cosa mi ha attratto, e poi invaghito. La amo? O ho scambiato l’affetto e la pietà per una ragazza così indifesa con l’amore, questo sentimento talmente forte.
Nel vedere quel movimento, Rebecca si scostò velocemente.
Lui riprese le distanze e si portò una mano tra i capello, evidentemente imbarazzato dal quel gesto poco opportuno.
Harry si permise di accompagnare la ragazza, guidando la macchina di quest’ultima. A parere di Rebecca fu un gesto gentile e carino, e lei si sentì molto lusingata che non poté non scambiare più volte sorrisi con quel ragazzo. Tra loro stava nascendo un fiore, ancora molto piccolo e sarebbe passato ancora molto per vederlo sbocciare, e magari essere uno dei fiori più belli mai visti.
- ti vengo a prendere alle sette, va bene? –
- va bene. a dopo Harry e – si guardò le mani – grazie dell’invito. Era da un bel po’ di tempo che nessuno mi chiedesse di fare una cosa di questo genere. –
Lui sorrise dolcemente e si allontanò, mentre lei si chiuse la porta alle spalle, aspirando.
Oh merda. Non farti prendere dal panico. Non ti piace, chiaro? Stai calma.
Rebecca aveva sempre avuto questo ripudio verso l’amore. Da piccola no, non da giovane. Le piaceva amare, le piaceva essere felice. Le piaceva amare qualcuno a tal punto da stare male, e desiderare passare un’intera vita con lui.
Faceva freddo e pioveva eppure mi sembrava una delle più belle giornate. Eleanor mi aveva detto che girava voce che il ragazzo che mi piaceva, anzi che mi faceva stravedere, mi volesse invitare al ballo di primavera. Era anche uno dei più popolari e belli della scuola. L’anno precedente ero stata invitata dall’amico, sempre con la sua stessa fama: bello ed irraggiungibile. Ero fortunata: mi ero fatta come migliore amica una ragazza bellissima, voluta da tutti e strano da dirsi gentile ed affettuosa con tutti quanti. O almeno, con la maggior parte. Grazie a lei avevo una visione eccellente di tutti i ragazzi, e spesso molti di loro si interessavano a me. Era bello. Ed aspettavo quel giorno da una vita intera. Donny Rut mi avrebbe chiesto di accompagnarmi al ballo.
Rebecca si sedette sul divano, crogiolandosi tra le coperte. Si fece un po’ di cioccolata calda, e aggiunse un paio di marshmellow. Il primo sorso fu accompagnato da ricordi duri ed amari, che le scottarono la lingua.
Eravamo a pranzo. Tutti guardavano me e poi Donny, che di tanto in tanto mi guardava sottecchi. Quando la mensa si cominciò a svuotare si avvicinò sempre di più a me e ad El, mentre il mio cuore batteva forte.
- tranquilla Becky, calma – mi ripeteva spesso. Ad un tratto si alzò e mi lanciò un occhiolino per poi scomparire dalla grande porta. La odiai. Mi ritrovai accanto Donny, con quei suoi occhi verdi e i suoi ricci così perfetti, che avrei potuto contare uno per uno. Erano nascosti da uno dei suoi cappelli di lana sottile e solo qualcuno ne usciva, rendendolo ancora più affascinante.
- ehi – disse soltanto.
Fu il momento più bello della mia vita. I suoi occhi sulle mie labbra, i miei sulle sue, per poi incrociarsi. Il suo sguardo penetrare nel mio, e le nostre bocche le lentamente si avvicinavano fino a toccarsi del tutto.
Mi piacque, di questo ne son certa. Ancora oggi lo accarezzo con un bel ricordo, e come un errore da non commettere mai più. Dopo qualche scambio lungo di baci e qualche, vomitevole al tempo, scambio di saliva, mi guardò, portando una mano sul mio fianco e l’altra ad accarezzare il mio zigomo:
- tu verrai al ballo di primavera con me? Vorresti venire? –
Prima di dirlo con le mie corde vocali lo dissi con lo sguardo, col corpo e col sorriso. Dopo un lungo bacio riuscì a dire –sì –ed uscimmo tenendoci per mano. Non sembrava imbarazzato, tanto che quelli furono i migliori momenti della mia adolescenza, in assoluto. Passammo una settimana insieme stretti l’un l’altro.
Sembravamo stare bene insieme. passò quasi un mese, e fu ad una festa, a casa sua, per celebrare la vittoria della sua squadra di rugby, che facemmo l’amore. Non ricordo bene come fu, ma ricordo che fu bello. Eravamo impacciati e tra uno sguardo e l’altro ci giurammo amore eterno.
Eravamo giovani, pieni di aspettative e sempre pronti a tutto per intraprendere la via dell’amore. Gli dissi più volte ‘ti amo’ tra quelle coperte, tra le coperte di quella camera così accogliente piena di foto dello sport preferito del mio ragazzo. I miei capelli sfiorati dal suo sguardo e le mie mani ad accarezzare ogni suo singolo riccio, che avevo amato con tutta me stessa e che erano finalmente parte di me. Io diciassettenne e lui diciottenne da poco. Era tutto perfetto.
Una lacrima, seguita da altre due uscirono dai suoi occhi e le toccarono tutte le dita ed entrarono dentro la sua maglietta, proprio come fece Donny quella sera. Fu quello l’anno più bello della sua vita, fino a quel momento. L’aveva fatta sentire viva, e il dolore del padre che incombeva perennemente su di lei, lui lo cancellava.
Fui reginetta del ballo di primavera, e lui il mio re. Appartenevo a lui, e lui a me, lo sapevo. I nostri sorrisi, impressi in quella foto accuratamente messa nella soffitta.
- siamo stati scelti! –eravamo al parco e lui aveva appena chiuso una telefonata. Era il capitano della squadra di rugby della scuola, da quando James, il ragazzo di El, non si era rotto un ginocchio giocando.
Gli sorrisi dall’altalena: -per cosa?-
- per le finali contro i Red Buft. –
Mi sorrise. Era il suo sogno. Il nostro sogno. Io tra poco avrei compiuto diciotto anni e mi aveva giurato che dopo ci saremmo sposati e avremmo avuto figli. Dei stupendi figli a parer mio. I nostri erano sogni, destinati a morire in quel campo, in quel pomeriggio. fu due settimane dopo il mio compleanno, esattamente un mese e due settimane da quando aveva ricevuto quella notizia. 1 – 0 per la squadra di Donny e lui stava dando il massimo. La folla inferocita urlava, chi spingeva, chi rideva, chi tifava. Si divertivano mentre io guardavo fissa Donny, immaginandolo accanto a me in sala parto con un nostro figlio in grembo. Era lui il mio sogno, non quel fottuto pub. Eleanor era accanto a me e mi guardava
- sarò felicissima quando vi sposerete Becky. –
- Pure io El. Pure io. –
Pensai a mio padre, se avesse voluto portarmi all’altare e a mia madre che magari avrebbe voluto vedere i suoi nipotini tanto desiderati, sempre accarezzati con un sottile sogno.
Sbattè e cadde. Aveva sbattuto contro degli avversari. Il mio cuore si fermò, con poco dopo la partita.
- Donny! Alzati! Aiutatelo, vi prego! –urlavo.
Era spesso caduto e aveva spesso preso delle botte. Ma quella era diversa. Rimase là fermo, e poco dopo io ero accanto all’infermiere.
All’ospedale respirava a fatica.
Era un incubo: lentamente, nei suoi occhi verdi spenti vedevo il mio sogno, il nostro sogno, dileguarsi, sprofondare, svanire.
- avrò qualcosa di rotto. Non ti preoccupare, scemotta - gli presi la mano e gli sorrisi con le lacrime che grondavano dal viso.
- ti amo Becky. Ti amo tantissimo. con te ho fatto per la prima volta l’amore e sesso. Lo chiamo amore perché tengo a te e al nostro futuro. Con te ho fatto tantissime cose, oltre ad amare fino nel profondo. Ora, e per sempre. Ti amo. –
- ti amo Donny. Quanto un fulmine può amare il cielo, quando una nuvola può amare la pioggia. Non sono i paragoni migliori, ma dato che non sono perfetta, un paragone non perfetto.-
Come i film mi addormentai lì. Con la sua mano tra le mie. Solamente che quando mi risvegliai la sua mano era fredda, e lui privo di vita. Cenerentola aveva trovato il suo principe azzurro, che se n’era andato prima del ‘vissero felici e contenti’. Piansi, in silenzio. Urlai, tra le lacrime. Caddi nel vuoto.
Con lui, col mio amore, i miei sogni se n’erano andato, sotterrati con lui in quel cimitero angusto. Il suo posto è il migliore, vicino ad un salice, sotto il raggio di sole. L’ho sempre pensato. Quel giorno di ottobre mi ha sussurrato che l’amore, la pace, per me non esistono.
La prima volta che facemmo l’amore disse – bene, ora ci rivestiamo, e diciamo che abbiamo fatto una passeggiata. Poi sorrideremo e continueremo a fare la nostra vita, facendo l’amore insieme. –
In quel momento Rebecca ricordò.
Le riflessioni ad alta voce non le faceva il padre, le faceva lui.
Poggiò la tazza sul tavolino e si affacciò alla finestra: vide il riflesso di lei e Donny, in veneranda età, attorniati da bambini piccoli. Lui aveva vicino un ometto sulla trentina e lei una donna giovane che assomigliava tanto al suo amato marito, strappatogli via dalla morte.
Non chiedeva molto. Voleva solo un futuro con la persona che amava. 

in questo spazio vorrei taanto sapere che ne pensate, 
non sono stata il massimo,  lo so cwc
siate buoni lol
#luvya
*recensite vi prego çç*
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