Reazione chimica

di SkyScraper88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo giorno di laboratorio ***
Capitolo 3: *** Cambio di rotta ***
Capitolo 4: *** Stupida scimmia! ***
Capitolo 5: *** Domenica, nei miei pensieri... ***
Capitolo 6: *** Una settimana in prova ***
Capitolo 7: *** Colazione per due ***
Capitolo 8: *** Ripetizioni fastidiose ***
Capitolo 9: *** Il motivo... che non conosco ***
Capitolo 10: *** Un cuore da zittire ***
Capitolo 11: *** Anche tu ***
Capitolo 12: *** Il verdetto ***
Capitolo 13: *** Un passato da dimenticare ***
Capitolo 14: *** Lasciati amare ***
Capitolo 15: *** Il ragazzo dietro la fontana ***
Capitolo 16: *** Mi sono innamorato ***
Capitolo 17: *** Byung Hee ***
Capitolo 18: *** Già mi manchi... ***
Capitolo 19: *** Posso dormire nel tuo letto? ***
Capitolo 20: *** Ti ho preso ***
Capitolo 21: *** Dimostralo ***
Capitolo 22: *** Hai la mia parola! ***
Capitolo 23: *** Tienimi con te ***
Capitolo 24: *** Dubbi e gelosie ***
Capitolo 25: *** Sei tu... la mia casa ***
Capitolo 26: *** Io non ho bisogno di maschere ***
Capitolo 27: *** Non c'è nessun altro che vorrei ***
Capitolo 28: *** Raccontami di te ***
Capitolo 29: *** Perchè dovrei fidarmi di te? ***
Capitolo 30: *** Luci e colori ***
Capitolo 31: *** Le minacce sono per i disperati ***
Capitolo 32: *** Fiducia incondizionata ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Prologo

 
Le prime gocce scivolarono silenziose sul viso, infastidendolo. Sbuffò, mentre cercava rapidamente rifugio oltre l’uscio di quel vecchio stabile ubicato alla periferia di Seoul. Gli piaceva la pioggia, ma non quando i capelli gli si schiacciavano sulla fronte e sulle guance, donandogli un aspetto insicuro e trasandato. Aveva lasciato l’ombrello a casa prima di partire, ricordò con un pizzico di irritazione sul bel volto. Attraverso il fitto incedere del temporale osservò la sua nuova città. L’ultima pioggia. L’estate stava arrivando.
Una donna trasse a sé la propria bambina, allontanandola da una pozzanghera, e KiBum sorrise alla loro vista. La piccola avrà avuto poco più di cinque anni, e con le sue treccine scure e gli scarponcini gialli saltellava euforica, puntando al cielo il proprio sguardo radioso. Sua madre la strattonava dolcemente  e la esortava ad affrettarsi, ma lei fissava quell’immensa coltre di nubi senza provare per essa il minimo timore. Sorrideva al temporale come avrebbe fatto con un vecchio compagno di giochi e KiBum sorrise insieme a lei.
-Come stai, omma?- mormorò fra sé, sospirando piano.
-KiBum-ah? 
KiBum sollevò le palpebre, separandosi rapidamente dalla parete contro la quale si era lasciato andare. Gli occhi sorridenti di un ragazzo incrociarono i suoi e questi gli andò rapidamente incontro, salutandolo dolcemente con l’espressione gioviale che da sempre aveva caratterizzato la sua personalità. KiBum rispose al suo saluto e arrossì leggermente, mentre la mano gentile di JinKi si abbassava fiduciosa sul suo capo e carezzava brevemente i suoi capelli biondi.
-Andiamo?- gli propose, e KiBum annuì con un sorriso.
Lee JinKi e Kim KiBum si erano conosciuti mesi prima, alla facoltà presso la quale il primo dei due lavorava come assistente di uno dei docenti in cattedra. Tra loro l’alchimia era esplosa immediata, facendo scoprire ad entrambi un’affinità poco comune che aveva gettato rapidamente le basi per un’amicizia sincera e duratura.
-Non è molto grande- esordì JinKi, cedendogli il passo -Però è parecchio luminosa e i riscaldamenti funzionano perfettamente- aggiunse con un mezzo sorriso, mentre KiBum faceva un passo avanti e annuiva soddisfatto. Le pareti possedevano le tonalità rassicuranti del cielo di giugno e nonostante l’arredo essenziale, dovette ammettere di trovare l’appartamento piuttosto piacevole. Due grandi finestre si affacciavano sul cortile sottostante, permettendo ai deboli raggi di quel primo pomeriggio di filtrare timidamente all’interno della modesta abitazione, illuminando la cucina. Alla sua destra si trovava un piccolo divano per due, posizionato dinanzi ad un televisore al plasma di discrete dimensioni, e proprio al centro della stanza un tavolo circolare e due sedie dall’aspetto robusto ad esso accostate. Un appendiabiti accanto alla porta, il lavabo e il piano cottura lavati di recente e un enorme tappeto a pelo corto dai toni vivaci.
-Sai già chi sarà il mio coinquilino?
JinKi si grattò distrattamente la testa, scrollando le spalle. La struttura in cui si trovavano, poco lontano dall’università nella quale lavorava, era di proprietà della sua famiglia. Quando KiBum aveva espresso l’intenzione di iscriversi alla sua facoltà, quello stesso autunno, JinKi gli aveva proposto immediatamente di prendere in affitto uno dei loro appartamenti.
-Come ti ho già detto, questo è il primo anno che attiviamo una convenzione con la facoltà. Tu sei fra i pochi a cui ho fatto vedere la struttura. Al momento, ammettendo che tu decida di restare, sarete solo in tre- rispose con una piccola smorfia, precedendolo verso le camere da letto.
KiBum  lo seguì pazientemente, nonostante non avvertisse la reale necessità di verificare lo stato dell’alloggio. L’ambiente era discreto e il prezzo ragionevole. I suoi genitori avrebbero potuto mantenerlo senza difficoltà, ma la sola idea di dipendere economicamente dalle finanze del suo vecchio lo metteva di mal’umore. Avrebbe trovato un lavoretto part-time e con il ricavato avrebbe pagato l’affitto e le bollette, in attesa che l’università stanziasse i fondi per le borse di studio e che un’altra persona provvedesse a dividere con lui le spese per l’appartamento.
-La prendo- affermò convinto, mentre il sorriso smagliante di JinKi si rivelava tremendamente contagioso -Quando posso trasferirmi?- aggiunse, indicando la valigia che si era faticosamente trascinato dietro per tutto il giorno.
-Benvenuto a casa!- esclamò JinKi, allargando le braccia e scoppiando in una fragorosa risata. KiBum scosse la testa, tentando con difficoltà di mantenere l’equilibrio, giacché il maggiore aveva preso a lasciare poderose pacche di incoraggiamento sulle sue spalle strette e ossute. Poi, cercando di apparire il meno pretenzioso possibile, si arrischiò a porgli la domanda che continuava ad assillarlo.
-Potrei chiederti un favore?- esordì titubante, ricevendo un cenno d’assenso in risposta -Per il mio coinquilino, sai. Potrei esserci quando gli farai vedere il posto? Non vorrei ritrovarmi tra queste quattro mura con un folle omicida- gracchiò le ultime parole, rabbrividendo sinceramente.
-Fai tutto tu- concesse candidamente JinKi, sorridendogli -Il prezzo lo conosci, e sarà tutto molto più semplice se ti occuperai personalmente dell’intera faccenda- precisò con diplomazia -Quando avrai scelto, bussa all’appartamento 21/C e farò firmare il contratto al nuovo arrivato.
 
*****

Gli scatoloni che stava cercando di trascinare erano dannatamente pesanti. Si maledisse mentalmente, rimproverandosi per non aver cercato aiuto al suo compagno di alloggio. Arricciò le labbra e la sua espressione infantile divenne estremamente buffa, mentre il cattivo odore proveniente dalla sua felpa nuova lo lasciava costernato e con la fronte aggrottata. Sudore! Dio, come odiava sudare, sentirsi sporco e umidiccio. TaeMin imprecò tra i denti e tentò con difficoltà di arrampicarsi sugli ultimi scalini, quando un ragazzo dai capelli biondi e la felpa celeste fece la sua comparsa in cima alle scale. Teneva il cellulare all’orecchio e sembrava impegnato in una conversazione poco felice; i suoi occhi erano affilati e vivaci, mentre si muoveva con espressione spazientita in direzione di TaeMin.
-No omma, certo che no. Ti avrei chiamato questa sera, ti pare?- sollevò stancamente lo sguardo al soffitto e una piccola imprecazione sfuggì via dalle sue armoniose labbra a forma di cuore -Ma certo che mangio, omma!- esclamò irritato, ormai ad un passo da TaeMin. Questi tirò velocemente al muro lo scatolone e gli permise di passare. Inaspettatamente, i passi di KiBum si bloccarono, e i suoi occhi incuriositi si puntarono sul volto affaticato del ragazzino. Un sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra, distendendo i suoi lineamenti affilati.
-Ci sentiamo più tardi omma, ho da fare- decretò semplicemente, ponendo fine alla conversazione -Vuoi una mano?- aggiunse subito dopo, afferrando il suo bagaglio senza attendere risposta. Gli occhioni scuri di TaeMin si levarono perplessi sulla sua figura sottile, mentre KiBum barcollava appena ma continuava ad avanzare con fierezza. TaeMin inarcò entrambe le sopracciglia e gli si mosse incontro, con le guance paffute tinte di rosso e un sorriso grato ad illuminargli il volto. Raggiunse rapidamente KiBum e afferrò con convinzione l’estremità opposta dello scatolone.
-In due facciamo prima, Hyung!- spiegò un po’ timido, abbassando le lunghe ciglia sullo sguardo imbarazzato. KiBum non gli rispose, ma sorrise di rimando. Insieme raggiunsero l’appartamento 24/D, lì dove il dito sottile di TaeMin si era puntato una volta giunti al terzo piano. Il bagaglio scivolò a terra ed entrambi lasciarono andare un pesante sospiro. TaeMin si voltò con l’intenzione di ringraziarlo, ma le dita fredde di KiBum si avventarono improvvise sulle sue guance arrossate dalla fatica, imprigionandole con dolcezza.
-Ma quanto sei carino!- trillò questi eccitato, scompigliandogli i capelli e tirandoselo addosso per poterlo abbracciare -Io sto al 22/B!- aggiunse con un sorriso smagliante, senza dare troppo peso allo sguardo allibito dell’altro. TaeMin, sul punto di parlare, sussultò sorpreso quando KiBum si piantò bruscamente una mano in fronte e strillò come una ragazzina.
-Mi uccido se non arrivo in tempo!- squittì in preda al panico, dimenticando di presentarsi -Ci vediamo presto!- urlò in direzione del ragazzino dai capelli castani, e corse via.
Il suo schiamazzare ridestò l’attenzione di una terza persona, che borbottò qualche parola poco gentile e abbandonò il libro che stava leggendo sulla propria scrivania. MinHo infilò con indolenza le ciabatte e distese verso l’alto le lunghe braccia, nascondendo uno sbadiglio dietro il pugno chiuso, mentre la porta del 24/D si apriva, lasciando passare la figuretta smilza di TaeMin.
-Ti serve una mano?- gli chiese MinHo premuroso, notando il volto stanco e l’espressione accigliata, impossessandosi gentilmente del suo carico. TaeMin gli sorrise con riconoscenza, inchinandosi un po’ impacciato. MinHo, che era alto dieci centimetri più di lui e pesava almeno il doppio, si incamminò fiducioso verso la stanza del suo coinquilino, dimostrando una disinvoltura tale da fargli credere che il suo scatolone fosse stato magicamente svuotato di tutte le sue cianfrusaglia e riempito di coriandoli e polistirolo. Con quel corpo, avrebbe potuto caricarsi in spalla persino lo stesso TaeMin!
-Grazie, MinHo-ssi.
-Ti prego, non farlo- mormorò il suo coinquilino -Mi fai sentire incredibilmente vecchio così- spiegò divertito, sorridendo dinanzi all’imbarazzo che aveva nuovamente colorato il viso di TaeMin -Come hai detto che ti chiami?- indagò ancora, grattandosi nervosamente la nuca.
-TaeMin. Lee TaeMin- soffiò fuori il ragazzino, infilando le mani nervose dentro la tasca dei pantaloni. MinHo osservò in silenzio i suoi capelli disordinati e i calzini a righe, mentre TaeMin lasciava andare lo sguardo a terra e ciondolava timidamente sui talloni.
-Bene, Min- esordì MinHo, abbandonando le formalità -Da oggi in poi chiamami Hyung!
  
*****
 
Dopo aver accuratamente messo da parte il nuovo contratto, JinKi si stiracchiò svogliatamente sulla sedia che stava occupando. Tra poco più di un’ora avrebbe dovuto fare un colloquio di lavoro a nome di sua madre, ma la cosa non lo rendeva particolarmente entusiasta. Attraversò la piccola camera e scostò pigramente le tende, osservando le strade e il cielo grigio di Seoul. L’umidità che risiedeva sui vetri appannati gli solleticò i polpastrelli e le unghie smangiucchiate, mentre JinKi spingeva verso l’esterno le imposte scure e l’aria fredda gli invadeva i polmoni. Il letto rappresentava in quel momento un’alternativa più che allettante al suo imminente impegno. Sospirò, rassegnato, e il suo cellulare prese a suonare.
-Yoboseyo?- rispose con tono professionale, considerando l’ipotesi che potesse essere l’università -Si, mi dica?- aggiunse subito dopo, rilassando visibilmente la propria postura.
-Potremmo rimandare l’incontro di un’ora? Ho avuto qualche problema con l’auto e credo che ritarderò- gli spiegò una voce affaticata dall’altra parte. JinKi sollevò un sopracciglio e prestò maggiore attenzione al suo interlocutore, il cui respiro diveniva via via più spossato man mano che i secondi trascorrevano. Riparava una gomma o stava correndo la maratona?
-Si, certamente, non ci sono problemi- concesse senza indugi, quando i suoi pensieri tornarono a concentrarsi sulla lieta possibilità di gettarsi di peso tra le coperte e riposare allegramente per le successive due ore.
-Bene, la ringrazio molto.
Proprio mentre si accingeva a lasciarsi andare tra i cuscini il campanello trillò inaspettato per l’intero appartamento, facendogli arricciare le labbra. JinKi sbuffò irritato e si mosse verso l’ingresso. Sua madre lo fissò indignata, squadrando con espressione severa il suo abbigliamento trasandato e la smorfia che gli segnava il volto.
-Jinki, ma cosa fai ancora in pantofole?!- lo richiamò severa -Quel ragazzo arriverà presto in negozio! Sapevo di non potermi affidare a te, sei sempre stato un ritardatario! Menomale che sono passata altrimenti tu…
Non prestò attenzione al resto del discorso, semplicemente lasciò libera sua madre di crogiolarsi nelle sue inutili paranoie  e accese il primo fornello, quello più piccolo, adagiandoci sopra il bollitore per il tè. Osservò serenamente il paesaggio fuori dalla finestra, attendendo con pazienza il termine di quell’ennesimo monologo, e considerò tra sé l’idea di invitare KiBum per cena. Il ragazzo sicuramente non conosceva nessuno in città e presentargli MinHo e TaeMin sarebbe potuta essere una buona occasione per fargli acquistare familiarità con il nuovo ambiente. Dal secondo ripiano della credenza raccolse due tazze scure dalle delicate note orientali, sistemandole accanto al bollitore quando questi iniziò a sibilare con insistenza. Il tè venne versato con attenzione e il chiacchiericcio di sua madre si convinse finalmente a cessare.
-Hai finito?- le chiese gentilmente, ricevendo in cambio uno sguardo in tralice -Adesso, se permetti, parlerei io- continuò con un sorriso, prendendo posto di fronte a lei -Il ragazzo che viene a fare il colloquio ritarderà di un’ora. Problemi con l’auto a quanto sembra- spiegò semplicemente, traendo un sadico divertimento dall’espressione sgomenta di sua madre.
-Perché non me l’hai detto subito?!
JinKi sospirò, rigirandosi tra le mani la bevanda fumante che aveva piacevolmente preso a riscaldargli le dita. Poi i suoi occhi nocciola si posarono nuovamente su quelli della donna, spalancati e così simili ai suoi. Sua madre era una donnetta sottile e dalle labbra grandi, pochi segni sulla pelle a testimoniare la sua età ormai avanzata, insieme alla peculiare abitudine di indossare golfini colorati e un’orribile braccialetto di perline colorate che suo padre le aveva regalato quando era ancora una ragazzina.
-Perché ti conosco, omma. Se non mi sgridassi almeno una volta al giorno la tua salute ne risentirebbe sicuramente!- esclamò convinto, mentre la donna lo colpiva debolmente al braccio sinistro e mostrava in fondo allo sguardo lo stesso divertimento che il volto di JinKi stava esprimendo. Il ragazzo rise piano, alzandosi e andandole vicino, ma lei si finse risentita e volse la sua attenzione ad un punto non ben definito oltre le spalle di suo figlio. JinKi l’adorava, e lei lo sapeva bene. Quelle schermaglie continue tra loro facevano ormai parte di una routine quotidiana a cui nessuno dei due avrebbe mai voluto rinunciare.
-Non preoccuparti, omma- mormorò JinKi, chinandosi su di lei per poterle sfiorare la tempia sinistra con un dolcissimo bacio -Io ti voglio bene comunque.
 
*****
 
Corse come il vento, pregando con tutto se stesso di non trovare gli uffici didattici chiusi. Con il fiato corto e le guance arrossate dal freddo, si presentò alla segretaria grassoccia che se ne stava appollaiata dietro la propria scrivania, e con uno sfavillante sorriso le porse la propria domanda d’iscrizione. Questa gli fece un rapido cenno d’assenso e lo congedò poco dopo. Solo qualche altro minuto per ammirare il magnifico campus che avrebbe frequentato di lì a qualche mese e KiBum si incamminò nuovamente per le grandi vie di Seoul. Fissò il cielo, che era rapidamente tornato ad incupirsi, e affrettò il passo con una smorfia. All’incrociò tra il terzo e il quarto distretto, però, qualcosa attirò la sua attenzione.
Dalla vetrina di un piccolo bar dalle imposte tinteggiate di verde, intravide una ragazza bionda con in mano un enorme croissant al cioccolato, mentre il suo stomaco prendeva a grugnire con insistenza ricordandogli che aveva saltato il pranzo. Sospirò, infilando una mano dentro la borsa che portava a tracolla, e verificò di avere ancora con sé il proprio portafoglio. Si abbassò il berretto scuro sulla fronte e spinse debolmente la porta del locale, che si aprì verso l’interno con un simpatico tintinnio. Sorrise, rinvigorito dal piacevole calore che lo avvolse una volta entrato, poi si guardò brevemente intorno e si incamminò a passo deciso verso un tavolino dalla forma squadrata accanto ad una delle finestre che davano sulla strada.
I posti a sedere erano comodi e gli sgabelli che costeggiavano il bancone rivestiti di scura pelle imbottita. In fondo al locale riuscì a distinguere l’ingresso ai laboratori di pasticceria, da dove un invitante profumo di arancia e vaniglia si irradiava in assidue e costanti ondate, mentre i camerieri attraversavano le porte a spinte e scomparivano alla vista dei clienti. Un ragazzo, poco più che ventenne, venne lui incontro e gli sorrise cordiale, dandogli il benvenuto. KiBum sorrise di rimando e gli comunicò la propria ordinazione senza neanche consultare il menu. Accanto a lui un gruppo di ragazzine sfogliava una rivista e ridacchiava a bassa voce, puntando il volto di un attore o forse di un cantante tra le pagine patinate che tutte quante si ostinavano a fissare con brama evidente. KiBum regalò loro una piccola smorfia e prese a tamburellare con le dita sul ripiano laccato del tavolino, in attesa della sua cioccolata calda e del suo dolce.
Qualche secondo dopo giocherellava svogliatamente con un fazzolettino di carta, stendendolo e poi ripiegandolo, fin quando questo non assunse la forma di un bellissimo cigno dalle candide ali. Da piccolo, quando aveva appena quattro anni e frequentava ancora la scuola materna, aveva imparato a fare gli origami. Di figure gliene avevano insegnate molte solo che adesso, a distanza di tanto tempo, l’unica che riusciva a ricordare era quello stupido cigno così banale. A KiBum, infatti, le cose banali non erano mai piaciute. Così aveva finito per appassionarsi a materie come la chimica, o la fisica, dove non si finiva mai di imparare, esplorare, fare indagini e poi formulare ipotesi e leggi. Tutto ciò che molte persone reputavano straordinario lui era stato in grado di ricrearlo in laboratorio, affascinato e pieno di orgoglio, tra provette, vetrini ed attenti esami dai risultati sorprendenti. Si sentiva speciale, fiero. Se Kim KiBum fosse diventato lo scienziato che voleva essere allora forse, finalmente, avrebbe detto addio per sempre alla propria banalità.
Il croissant gli venne servito con un breve inchino, distogliendolo dai propri pensieri, e gli ricordò la morse pressante della fame che continuava a stringergli lo stomaco. Addentò il proprio dolce con soddisfazione, mandando giù un sorso di cioccolata calda, sorridendo istintivamente senza curarsi più di nulla. Un po’ di crema scivolò fuori dalla sfoglia spezzata, sporcandogli il dorso della mano, e come se fosse la cosa più naturale del mondo chinò semplicemente il capo, leccandola via. Dimenticò quello stupido origami che, ormai abbandonato su un angolo del tavolino, gli aveva ricordato per un attimo l’invisibile gabbia di mediocrità che continuava a circondarlo, e assaporò con entusiasmo quella piccola pausa al profumo di cioccolato che si era voluto concedere.
Il conto, una volta alla cassa, gli parve fin troppo economico. Uscì dal bar, sfilando dalla borsa la sua inseparabile agenda, e vi appuntò sopra il nome di quel locale. Ci sarebbe tornato sicuramente. Magari in compagnia di quel tenero ragazzino dalle guance paffute e i lineamenti fanciulleschi. Sulla strada verso casa scoprì un piccolo market che non aveva notato all’andata, probabilmente troppo impegnato a scongiurare il fato di non fargli trovare i cancelli della facoltà accostati. Doveva comprare qualcosa per il giorno dopo, rifornire la credenza e magari invitare JinKi a bere qualcosa nel suo nuovo appartamento. Voleva approfittare della possibilità di abitargli vicino per farsi dare qualche dritta sui prossimi corsi che avrebbe frequentato, magari utilizzare il tempo insieme anche per conoscere meglio il suo padrone di casa e cercare di ripagarlo di tutte le sue gentilezze.
Tra le fila di ramen e udon precotti si mosse rapidamente, infilando nel piccolo cesto di plastica che portava sotto braccio una scatola di biscotti con uvetta e cereali, qualche cartone di latte, verdura di stagione, una mezzo dozzina di mele, due confezioni di riso e una di spaghetti. In procinto della cassa selezionò rapidamente degli aromi e lasciò sul ripiano scorrevole due bottiglie di soju e tre lattine di birra. L’anziana proprietaria gli propose di acquistare anche dei dango, un dolce giapponese a cui KiBum era particolarmente affezionato, che la moglie di suo figlio produceva personalmente.
Lungo il viale alberato a pochi isolati da casa il suo portafoglio gli parve straordinariamente leggero, d’altra parte però a diventare ingordo e pesante ci avrebbe pensato lui stesso se solo, già dal mattino seguente, non fosse tornato alle sue vecchie abitudini alimentari mettendo da parte tutte quelle leccornie che si era concesso con ben poco giudizio.
-Che importa! Solo per oggi- si disse, abbandonando ogni preoccupazione.
La strada svoltava a destra, attraversando un piccolo parco dalle aiuole curate. Sospirò, sedendo su una panchina, e si portò alle labbra una nuova pallina dolce. Chiuse gli occhi, assaporando sulla lingua quella morbida consistenza burrosa, e quasi non si accorse del grosso cane che gli si era appena avvicinato. Con un balzò stratosferico finì rapidamente in piedi, direttamente sul sedile, stringendosi il petto con una mano tremante. Gettò un’altra occhiata al pelo scuro della tenera bestiola che lo fissava dal basso, agitando freneticamente la coda con gli occhi puntati direttamente nei suoi. Sorrise appena, scivolando lentamente a sedere, ancora un po’ dubbioso ma più incline ad un nuovo approccio.
-Ne vuoi uno?- chiese dolcemente, lasciando cadere vicino alla lingua penzolante del grosso cane un paio di palline zuccherate. Le fauci dell’animale si spalancarono in un istante, divorandole, e questi abbaiò allegramente la propria gratitudine. KiBum sorrise ancora, più sereno, mentre i muscoli del suo intero corpo si rilassavano e lui si concedeva una breve carezza alla testolona morbida della cagnetta.
Alla fine rimasero semplicemente così, vicini e complici, KiBum appollaiato contro il sedile e il cane acciambellato ai suoi piedi, deciso a tenergli compagnia il più a lungo possibile. Il tempo corse in fretta, mentre il pomeriggio lasciava infine spazio alle ombre della sera e la luce dei lampioni illuminava l’intero parco, attraverso i nuovi rumori che avevano preso lentamente a riempirgli le orecchie. Seoul era una città grande e dalla movimentata vita notturna, ma KiBum la conosceva troppo poco per arrischiarsi a rimanere ancora in giro ad un’ora così tarda. Decise quindi che era il momento di rientrare e, seppur a malincuore, sorrise in direzione di quell’enorme ammasso di pelo e le fece un piccolo cenno di saluto.
-Va via, adesso. Non posso portarti con me- le ripeteva, sempre più combattuto, mentre l’animale si ostinava dolcemente ad andargli dietro, senza capire le sue intenzioni di allontanarlo. Interpretava i suoi gesti concitati come un gioco di cui non conosceva ancora le regole, e gli saltellava allegra intorno in cerca di nuove carezze. Alla fine KiBum si arrese, tornando a chinarsi su di lei.  Ci avrebbe provato. Avrebbe invitato JinKi a bere qualcosa, come si era ripromesso, e gli avrebbe presentato fiducioso la sua nuova amica, sperando nella sua clemenza e nel suo buon cuore.
 
*****
 
La donna dai riccioli corvini sollevò lo sguardo sorpreso sulla porta che si era appena aperta. Un ragazzone, dai capelli castani e i grandi occhi scuri, fece il suo ingresso con passo incerto. Appariva titubante, come se qualcuno gli avesse disegnato un grande punto interrogativo proprio sul viso. Attraverso il giubbino chiaro spuntava la maglia ampia e un po’ scolorita di una vecchia band di cui non ricordava il nome, insieme ad una lunga catenina d’acciaio e alle tonalità ambrate del suo giovane corpo.
-Posso aiutarla?- chiese la segretaria, riservandogli un sorriso incoraggiante.
-S-si- balbettò questi in risposta -C’è ancora tempo per le iscrizioni?- si informò timoroso.
-Certo, tesoro. Prego, prendi uno di questi e riconsegnalo quando lo avrai compilato- confermò la donna, ricevendo in cambio due occhi luminosi e un sorriso radioso -Hai avuto qualche problema?- gli chiese, confusa dai suoi modi.
-Giornata pesante- rispose sincero il ragazzo, scrollando le spalle -Problemi con l’auto, ritardo ad un colloquio di lavoro- spiegò con una piccola smorfia, raccogliendo il modulo che la donna gli stava porgendo. Lo sguardo corse velocemente sulle poche pagine che lo componevano, esaminandone il contenuto. Tra i denti chiuse il labbro inferiore e inspirò con forza, sperando che la propria scelta avventata non gli causasse più dolori che onori.
-A volte capita- commentò la segretaria -Lo compili qui?- chiese poi, mentre il ragazzo infilava una mano nella tasca interna del suo giubbino e ne tirava fuori una stilografica dal cilindro scuro.
-E’ un problema?
La donna non ebbe il cuore di negargli quella possibilità e si affrettò a scuotere la testa, indicandogli una sedia. Il giovane chinò il capo e si concentrò sul documento, mentre le dita si serravano per un attimo con eccessiva forza sul colpo sottile della penna, evidenziando le nocche bianche della mano e i tendini in tensione.
L’inchiostro nero incontrò il colore immacolato del foglio su cui era stato depositato, formando a chiare lettere il nome di un ragazzo dal passato travagliato, che racchiudeva in sé tante paure ma soprattutto grandi speranze. La donna sorrise della sua espressione assorta e diede una rapida sbirciata al modulo che aveva dinanzi. Proprio lì, in cima al primo foglio del plico sottile, un nome:

 
Kim JongHyun

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Capitolo 2
*** Primo giorno di laboratorio ***



Capitolo 01 - Primo giorno di laboratorio
 
Svuotò il contenuto della tazza nel lavandino, arricciando le labbra. Era nervoso… tremendamente nervoso. Controllò un’ultima volta l’orario, e prese il giubbottino bianco che aveva lasciato sul divano. Sulla porta infilò le scarpe, mentre la borsa che aveva appeso intorno al collo rischiava di farlo finire con le labbra a terra.
 
Troppo pesante… magari qualcosa potrei anche lasciarla…
 
Frugò svogliatamente fra la propria roba, poggiando il libro che aveva iniziato a leggere la settimana prima sul tavolo. Alla fine… di tempo libero non ne avrebbe sicuramente avuto. Inspirò profondamente, sistemando sul naso le grosse lenti dalla montatura spigolosa, e aprì la porta del proprio appartamento.
 
Il palazzo di Jinki, una volta trascorsa l’estate, si era riempito rapidamente. Dieci dei quattordici alloggi erano stati affittati, ma Kibum non si era ancora messo alla ricerca del proprio coinquilino. Aveva deciso di rimandare quella fatidica scelta all’inizio delle lezioni. Avrebbe inserito un annuncio nella bacheca dell’università, e avrebbe attentamente esaminato ogni studente che si fosse fatto avanti.
 
Minho comparve proprio in quel momento dal fondo del corridoio, sollevando la mano nella sua direzione. Gli sorrise, andandogli incontro. Avevano fatto amicizia fin dai primi giorni, e si ritrovavano spesso a cenare insieme. Il più piccolo aveva immediatamente attirato la sua attenzione. Serio e basato… si era rivelato una compagnia molto piacevole.
 
“Ciao Hyung!” lo salutò il moro, facendogli storcere le labbra.
 
“Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così!” rispose infastidito il biondo “Sei grande il doppio di me… mi sento preso in giro!” borbottò risentito, incrociando le braccia sul petto.
 
Taemin venne fuori come un lampo, con una fetta di pane tostato ancora tra le labbra. Sorrise, lasciandosi abbracciare dal vicino di casa. Kibum, alla sua vista, sembrava aver recuperato tutto il buon umore. Si affrettò ad aggiustare la sciarpina verde che il ragazzino portava intorno al collo, ricevendo in cambio le proteste dell’altro.
 
“Omma!” strillò questi seccato “Non sono un bambinooo!” si lagnò, con le labbra imbronciate e una strana smorfia di disappunto sul volto fanciullesco.
 
Inutile precisare… che le sue lamentele non servivano proprio a un bel niente con uno come Kibum. Fin da subito soprannominato omma… quello era stato esattamente l’atteggiamento che il più grande assumeva sempre nei suoi confronti. Lo viziava, lo riempiva di coccole… e si assicurava che non prendesse freddo. Taemin di tanto in tanto si lamentava, ma anche lui aveva imparato a volergli bene.
 
“Allora… facciamo così…” annunciò il maggiore, mentre scendevano velocemente le scale “Io e Minho accompagneremo prima te a scuola, giusto per evitare problemi…” spiegò con una leggera scrollata di spalle “Le nostre lezioni iniziano alle nove, e tu entri alle otto e dieci… ce la faremo tranquillamente…” affermò deciso, sorridendo di fronte all’espressione rassegnata del più piccolo.
 
Dietro di loro, il moro non protestò. Si erano già accordati il mese prima, tutti e tre insieme. O meglio… Kibum decideva, e loro due abbassavano la testa con accondiscendenza. Il carattere del biondo era imprevedibile. Se lo sapevano tenere buono… era la persona più dolce e amorevole del pianeta. D’altro canto però, se si correva il rischio di istigare la sua suscettibilità... beh… allora le sue reazioni potevano diventare mostruose!
 
Sarà meglio non stuzzicarlo. Tanto più che… anche a me non va particolarmente a genio l’idea di mandare il ragazzino a scuola da solo. Avrà anche diciotto anni… ma è talmente ingenuo che chissà in quale casino sarebbe capace di cacciarsi!
 
Così… Minho, Taemin e Kibum… si incamminarono con calma verso la scuola del più piccolo. Chiacchieravano e ridevano allegri, senza curarsi del cielo che si stava coprendo di nuvoloni scuri… e senza badare ai sentimenti agitati, che ognuno di loro covava nel fondo del cuore.
 
Quel giorno, rappresentava per tutti quanti un nuovo inizio. Minho e Kibum si sarebbero addentrati nel mondo universitario… entrambi lontani dalle proprie famiglie, e con la voglia di aiutare quel piccolo ragazzino che era diventato la loro mascotte. Quest’ultimo, d’altra parte, non viveva una situazione molto piacevole… ma ogni mattina si sforzava di ricacciare indietro la propria tristezza… affrontando insieme agli amici la separazione dai propri genitori.
 
Rimasto orfano da appena un anno, aveva pregato i nonni per sei mesi interi… chiedendo loro di lasciarlo studiare nella capitale. Non ne poteva più di quella vita. Ascoltare i pianti della sorella… vivere tra quelle mura che, un tempo, avevano ospitato il calore della famiglia che aveva perduto. Aveva bisogno di cambiamenti… di un’atmosfera più leggera… e di volti nuovi a fargli compagnia.
 
Alla fine la sua richiesta era stata accolta. A Seul aveva conosciuto Minho, Kibum e Jinki… che con la loro vicinanza e i loro sorrisi, erano stati capaci di restituirgli quella serenità che gli era stata ingiustamente strappata via.
 
Era proprio questo a cui pensava, mentre… con il cuore finalmente più libero… lasciava che la sua nuova famiglia si prendesse cura di lui.
 

*****

 
Quando Jonghyun entrò in laboratorio, tutti gli altri compagni avevano già preso posto. L’assistente lo fissò apprensivo, mentre il professore lanciava un’occhiata poco felice in direzione del nuovo arrivato. Il ragazzo dagli occhi scuri parve non accorgersene, e si diresse a passo spedito verso il secondo bancone a sinistra.
 
Kibum mantenne lo sguardo basso, continuando a sfogliare il libro che aveva davanti. Jinki sospirò, constatando quanto quei due fossero diversi. Aveva conosciuto Jonghyun mesi prima, per un colloquio di lavoro. Adesso faceva l’aiutante presso il negozio che apparteneva ai suoi nonni, e si era iscritto al primo anno della sua stessa università.
 
Il più grande scosse la testa, sorridendo del modo impacciato con il quale il ragazzo in seconda fila si stava liberando del cappotto. Sembrava che non si fosse portato niente dietro… neanche una penna e un foglio di carta. Come aveva intenzione di seguire la lezione?
 
Lo sguardo di Jonghyun si posò due secondi dopo sul suo volto perplesso, proprio mentre Kibum si voltava verso il compagno di banco. Gli occhi felini scivolarono silenziosi sulla figura del nuovo arrivato… soffermandosi sui jeans strappati e l’assenza di un qualsiasi mezzo per prendere appunti. Jinki lo vide sospirare, irritato, mentre chiudeva il libro con un gesto infastidito.
 
Allo stesso tempo, il ragazzo al suo fianco, aveva sollevano una mano in direzione dell’assistente… salutandolo. Gli occhi nocciola del maggiore gli sorrisero, e la lezione iniziò.
 
Jonghyun apparve perplesso per la stragrande maggioranza del tempo, e anche vagamente agitato. Kibum scriveva veloce sul proprio block notes, senza degnarlo della minima considerazione. A Jinki un po’ dispiacque quella situazione. Conosceva le abitudini del professore che accompagnava. Se quei due avessero diviso il banco il primo giorno… allora sarebbero dovuti rimanere insieme per tutto il resto dell’anno accademico.
 
Il ragazzo dai capelli scuri era un tipo dolce… socievole. Trattava le persone con gentilezza, ed era un gran lavoratore. Sperava solo che, contro ogni previsione, Kibum gli avrebbe concesso la possibilità di mostrargli i suoi pregi.
 
Gli occhiali scuri del biondo vennero poggiati con un sospiro sul grande ripiano grigio, e la penna venne abbandonata sul block notes. La prima ora… era giunta al termine.
 

*****

 
Gettai un’occhiata fugace al ragazzo che mi sedeva a fianco. Lui teneva lo sguardo fisso sulle mani, e sembrava essersi perso in chissà quale fantasia. I capelli erano leggermente schiariti… di un caldo colore castano, molto simile ai suoi occhi. Il profilo era deciso, e le labbra strette fra i denti. Sembrava nervoso.
 
Il fisico non era male. Asciutto… muscoli al punto giusto. Era l’abbigliamento che proprio non sopportavo. Svogliato, quasi trasandato... sembrava essersi appena ritirato da una serata in discoteca. Senza contare poi… che non aveva prestato la minima attenzione a quello che il professore diceva!
 
Lo avevo osservato, di tanto in tanto, mentre lui lasciava vagare lo sguardo su un punto non ben definito oltre la cattedra. Non gliene fregava assolutamente nulla della chimica, oppure… cosa peggiore… magari non ci capiva proprio niente di quella materia! Ammetto che, la seconda ipotesi, mi parve anche la più probabile.
 
Jinki si incamminò verso di me, e io avvertii il suo sguardo amorevole posarsi sulla mia figura. Sollevai gli occhi nella sua direzione, e rimasi piacevolmente sorpreso dalla carezza che mi lasciò sulla testa. Credevo che in facoltà avrebbe evitato quegli atteggiamenti affettuosi, ma… per fortuna… mi ero sbagliato.
 
“Tutto bene?” mi chiese tranquillo, mentre l’insistente attenzione che una seconda persona mi stava rivolgendo... mi costrinse a voltarmi nuovamente verso il mio compagno di banco.
 
Quel tizio mi fissava in modo sfacciato, e io sollevai un sopracciglio… irritato. Lo vidi arrossire, e chinare velocemente il capo. Fu in quel momento che Jinki gli si avvicinò, rivolgendo anche a lui la stessa domanda a cui avevo appena risposto. Sbattei le palpebre… non capivo. Si conoscevano forse?
 
“L’appartamento in cui sto è abbastanza lontano da qui” stava dicendo il ragazzone al mio fianco “Ho calcolato male i tempi…” giustificò così il proprio ritardo.
 
Gli occhi nocciola dell’assistente si puntarono su di me, e io sgranai gli occhi nella sua direzione… scuotendo velocemente la testa. Non dirglielo! Non dirglielo, ti prego! Sto tipo già non mi piace, non lo sopporterei come vicino di casa!
 
Jinki parve intuire i miei pensieri, e sospirò rassegnato… cambiando discorso. Continuarono a parlare del più e del meno… e da quel poco che ascoltai mi parve che, quel tizio di nome Jonghyun, non dovesse avere le idee molto chiare. Non sapeva dove si sarebbe tenuta la prossima lezione… né tantomeno “quale” lezione fosse.
 
“Forse saresti dovuto rimanere a dormire!” mi lasciai scappare, infastidito… tornando ad aprire il libro che stavo sfogliando prima del suo arrivo.
 
Nessuno dei due rispose alla mia provocazione e… anzi… entrambi cercarono più volte di introdurmi nella loro conversazione. Mi rivolgevano qualche domanda, ma io rispondevo solo a monosillabi… evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di quel ragazzo incredibilmente irritante. Poi una mano si tese verso di me, e io fui costretto a stringerla.
 
“Kim Jonghyun…” mi disse semplicemente, sorridendomi gentile.
 
Rimasi per un attimo lì imbambolato a fissarlo. Ma l’aveva capito che non lo sopportavo? Oppure era completamente suonato, e non riusciva a cogliere un dettaglio così importante che… a onor del vero… gli avevo più volte sbattuto in faccia, in quegli ultimi dieci minuti.
 
“Kim Kibum” risposi secco, separandomi immediatamente dalla sua pelle calda. La mia mano bruciava, e io abbassai velocemente lo sguardo sul libro.
 
Non ci fu altro. Il professore tornò in classe, Jinki si allontanò, e una nuova ora di lezione era sul punto di cominciare. Non lo guardai più… neanche una volta. Presi i miei soliti appunti, attesi lo scoccare delle undici… e poi raccolsi rapidamente le mie cose, andando via.
 
Fuori dall’aula incontrai Minho. Verificammo a vicenda gli orari dell’altro, e constatai piacevolmente che avremmo passato diverso tempo insieme. Anche la lezione successiva era in comune, e ci incamminammo l’uno di fianco all’altro verso la nostra meta.
 
Qualcuno mi sfiorò il braccio, e quel ragazzo di nome Jonghyun mi sorpassò veloce. Si voltò un attimo nella mia direzione, salutandomi con un gesto del capo. I nostri occhi si incrociarono per una frazione di secondo, e poi il suo bel corpicino scomparve in mezzo alla marea di studenti che aveva invaso il corridoio.
 
Si lo ammetto… mi dava su i nervi, però… non lo si poteva certo definire brutto!
 
“Lo conosci?” mi giunse la voce interessata di Minho, mentre anche il suo sguardo seguiva la figura atletica del mio compagno di laboratorio.
 
“Il tizio che mi è capitato affianco durante chimica…” risposi con un’alzata di spalle, riponendo il block notes dentro la borsa “Muoviamoci!” aggiunsi, controllando l’orario “Dobbiamo arrivare fino al secondo piano”.
 

*****

 
Le lezioni finirono alle tre e mezza. Taemin era già a casa da più di due ore, e si stava annoiando a morte. Recuperò da sopra il tavolo la chiave di emergenza che Kibum gli aveva consegnato, e si incamminò spedito verso l’appartamento del suo vicino.
 
La porta del 22/B cigolò rumorosamente verso l’interno, e una grossa macchia scura corse incontro al nuovo arrivato. Il ragazzino dai capelli castani si chinò velocemente in avanti, facendo sparire le manine delicate in mezzo al pelo di quel dolce cagnolone che gli saltellava intorno.
 
“Lucy, tesoro!” la chiamò divertito, lasciandosi gettare a terra dall’irruenza dell’animale “Che dici se andiamo a prendere i due Hyung?! La mia omma sentirà sicuramente la tua mancanza!” esclamò euforico, mentre la coda del cane iniziava a scattare velocemente da un lato e poi dall’altro. Sembrava che fosse riuscita a capirlo.
 
Taemin prese la cordicella rossa dalla camera di Kibum, allacciandola al collare di Lucy. Venne immediatamente trascinato fuori dall’appartamento, riuscendo giusto in tempo a chiudersi la porta alle spalle. Poi… con un gran sorriso sulle labbra, il più piccolo si incamminò verso l’università degli amici.
 
Le strade erano piene di auto, e di ragazzi che rientravano a casa dalla scuola. Una donna stava cullando tra le braccia un bimbo molto piccolo… gli sussurrava paroline dolci, e la tenera creaturina che si stringeva al petto chiuse docilmente gli occhietti. Il ragazzino non riuscì a sopportare quella vista, e distolse velocemente lo sguardo.
 
Il naso umido del cane, che gli trotterellava a fianco… sfiorò la sua mano, reclamando le sue attenzioni. Grato per quella distrazione, Taemin asciugò frettolosamente le poche lacrime che erano state sul punto di scendere… e sorrise raggiante in direzione dell’animale.
 
Lucy non si fece ingannare da quella falsa allegria, e leccò piano le dita che avevano cercato di accarezzarla. Gli animali, si sa… hanno un certo senso per queste cose. Vuoi l’istinto… vuoi l’affetto che, soprattutto i cani, maturano nei confronti dei volti più familiari… fatto sta che, quel giorno, quegli occhioni scuri avevano riconosciuto la tristezza nel cuore di quel ragazzino.
 
Taemin sorrise ancora. Un sorriso triste, ma infinitamente più sincero. La dolce cagnolina camminò docilmente al suo fianco, fino all’università, distraendolo con la propria allegria dai pensieri negativi che lo avevano travolto. Il ragazzo parve rincuorato da quel comportamento, e… un po’ alla volta… anche quel momento difficile passò.
 

*****

 
Lo vidi venirci tranquillamente incontro, con Lucy al seguito. Mi sorrise, ma i suoi occhi lucidi non riuscirono a prendermi in giro. Kibum non l’aveva ancora visto. Con le spalle al nuovo arrivato, era tutto intento a fermare, con l’aiuto di una puntina da disegno, uno sgargiante volantino fucsia alla bacheca dell’università.
 
Inarcai un sopracciglio, leggendone velocemente il contenuto. La ricerca del coinquilino era finalmente iniziata, a quanto sembrava. Ci sarebbe stato da ridere. Chissà se esisteva davvero… qualcuno in grado di compiacere al 100% la nostra cara prima donna. Scossi la testa, divertito a quel pensiero… e la mano delicata di Taemin si poggiò sul mio braccio.
 
“Che fa?” mi chiese curioso, indicando Kibum con un gesto del capo.
 
Quest’ultimo sobbalzò appena, riconoscendo la voce del suo piccoletto. Si voltò verso di noi come un tornado, catapultandosi addosso al ragazzo con cui dividevo l’appartamento. Il ragazzino barcollò, perdendo l’equilibrio, e alla fine fui costretto a sorreggere entrambi.
 
“Yah, Hyung!” mi lamentai con il più grande “Ma non vedi che riesce a malapena a reggersi in piedi!” aggiunsi irritato, guadagnandomi un’occhiata sdegnata da parte di tutti e due.
 
Lucy nel frattempo si era avvicinata scodinzolante al padrone, strusciandosi contro le sue gambe. Kibum parve ridestarsi, e iniziò ad accarezzare con foga il pelo del grosso cane. Rideva, felice come un bambino delle elementari… senza notare il ragazzo dietro di noi, che si era fermato proprio in quel momento di fronte al volantino che aveva lasciato in bacheca.
 
Guardò il pezzo di carta alquanto appariscente, e poi i suoi occhi si spostarono sorpresi in direzione della risata cristallina di Kibum. Quest’ultimo era nel frattempo finito a terra, praticamente intrappolato sotto il peso del cane giocherellone. Non si lamentava però, neanche quando il suo giubbotto iniziò a sporcarsi e la gente ad osservare la scena.
 
Lui si godeva le attenzioni di Lucy, e continuava a ridere. Il ragazzone dagli occhi scuri staccò velocemente il volantino dalla bacheca, infilandoselo in tasca. I nostri occhi si incrociarono, e lui mi sorrise titubante. Pensava forse che lo avrei fermato? Risposi al suo sorriso, e questi sospirò grato.
 
Quando ci passò accanto, il muso del cane di Kibum si sollevò interessato nella sua direzione. Il padrone lo notò, e i suoi occhi felini si puntarono sul nuovo arrivato. Storse le labbra, infastidito, rimettendosi velocemente in piedi. Non lo degnò di attenzione, incitandoci a tornare a casa. Io scrollai le spalle, seguendolo… e Taemin fece lo stesso, ignaro di quello che stava accadendo.
 
Lucy però sembrava di tutt’altro avviso. Trotterellò allegramente verso la mano che era stata tesa verso di lei, e Kibum la fissò indignato. Il ragazzo dagli occhi scuri sorrise all’animale, accarezzando con dolcezza il suo pelo lungo. La coda si agitò immediatamente... chiaro segno dell’approvazione che il cane aveva concesso allo sconosciuto.
 
Gli occhi felini si strinsero in due fessure sottili, mentre il mio vicino di casa pestava a terra con un piede. Sbuffò pesantemente, rimettendosi in marcia. Lucy avvertì l’assenza del padrone… e dopo essersi concessa un’ultima carezza, gli corse rapidamente dietro. Kibum borbottò qualcosa in direzione dell’animale, e continuò a camminare impettito.
 
Io e Taemin lo seguimmo, e il ragazzo dagli occhi scuri scomparve nuovamente tra la folla.
 

*****

 
Jinki uscì dal proprio appartamento che erano le sette di sera passate. Tra le mani reggeva una piccola cassetta di birra, e lo sguardo perplesso continuò a vagare dalla porta del 22/B a quella del 24/D.
 
Da quale di loro avremmo dovuto cenare questa sera? Aishh… che testa che ho! Ha ragione mia madre… dovrei proprio iniziare una cura a base di fosforo!
 
La porta dell’alloggio di Kibum si aprì proprio in quel momento, e il più piccolo sventolò allegramente una mano nella sua direzione. Se non altro… adesso sapeva dove doveva andare. Percorse con un sorriso la distanza che li separava, scomparendo oltre la soglia del 22/B.
 
Taemin e Minho erano seduti sul divano, intenti a seguire una partita alla televisione. Jinki fece una piccola smorfia… a lui lo sport non interessava. Lucy gli andò incontro, scodinzolando felice. Il padrone di casa appoggiò le bevande sul lavandino, e si chinò ad accarezzare il suo pelo scuro.
 
Quando Kibum gli aveva chiesto di poterla tenere, doveva ammettere che l’idea non gli aveva certo fatto fare i salti di gioia. Il più piccolo era stato però estremamente convincente… inondandolo con un lungo discorso strappa lacrime che alla fine gli aveva fatto ottenere il suo permesso. A onor del vero, dopo più di cinque mesi, non si era affatto pentito della propria scelta.
 
Lucy era una cagnolina tranquilla, piena di attenzioni ed affetto nei confronti del suo padrone. Anche con loro, seppur non dal primo istante, si era dimostrata dolce e vogliosa di coccole. Due occhi curiosi si puntarono sullo scambio di effusioni che il più grande e l’animale si stavano scambiando, e la voce profonda del moro risuonò per la cucina.
 
“Avresti dovuto vederla questa mattina… come pendeva dalle labbra di quel tizio!” affermò divertito, e il ragazzo dagli occhi nocciola sollevò lo sguardo interrogativo nella sua direzione.
 
Appena rientrato nella stanza, Kibum aveva evidentemente ascoltato la sua ultima battuta, borbottando qualche lamentela incomprensibile. Lucy gli era andata velocemente incontro, forse conscia del suo malumore… e lui aveva volutamente pestato un piede a terra, facendola scappare.
 
“Non puoi certo prendertela con lei!” disse ancora Minho, scoppiando in una fragorosa risata. Anche Taemin parve divertito da quell’osservazione, e si chinò velocemente verso l’animale con l’intenzione di consolarlo.
 
“Non ci sto capendo nulla…” mormorò Jinki confuso, lasciando scorrere lo sguardo perplesso sul volto degli altri tre.
 
“Quel tipo del laboratorio!” lo informò scocciato Kibum, sbuffando pesantemente “Appena l’ha visto… avresti dovuto vederla!” continuò irritato, storcendo le labbra “Gli è scodinzolata incontro e si è lasciata accarezzare come se lo conoscesse da una vita!” concluse imbronciato, lasciandosi cadere sul divano.
 
“Parli di Jonghyun?” chiese il più grande, ricevendo un grugnito in risposta “Beh… è un ragazzo gentile… le avrà fatto simpatia…” gli occhietti affilati si puntarono verso di lui, incenerendolo.
 
“Piuttosto… com’è che tu conosci quella scimmia?!” volle sapere il biondo, rimarcando con eccessiva enfasi il nomignolo che aveva appena appioppato al suo compagno di banco.
 
“Lavora in negozio con mia madre…” spiegò Jinki, cercando di soppesare bene la propria risposta. Kibum appariva già abbastanza irritato, ancora un po’… e la crisi isterica sarebbe stata assicurata “Se gli dessi modo di farsi conoscere, sono sicuro che…”
 
“Non se ne parla!” lo interruppe immediatamente l’altro, balzando in piedi “Non voglio avere niente a che fare con quello scansafatiche!” annunciò deciso, mentre… senza volerlo… pensava ancora una volta al sorriso di Jonghyun.

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Capitolo 3
*** Cambio di rotta ***



Capitolo 02 – Cambio di rotta
 
Aveva salutato Minho di fronte all’aula di lingue, proseguendo verso la biblioteca. La sua prima lezione sarebbe iniziata solo alle undici, tanto valeva utilizzare il tempo a disposizione per studiare un po’. Gli occhi vagarono tra le migliaia di volumi ordinatamente disposti sugli scaffali… e Kibum sospirò, sorridendo subito dopo. Finalmente… si sentiva a casa.
 
Scorse velocemente l’indice sul grosso bancone in legno, adocchiando ciò che gli interessava. Reparto di fisica… corridoio 14, proseguendo fino al 18. Lo sguardo si riempì d’interesse, e i capelli biondi vennero ordinatamente riportati dietro l’orecchio. Diversi libri finirono fra le sue braccia… alcuni pesanti, altri un po’ meno. Tra questo e quello, alla fine il suo bagaglio divenne piuttosto faticoso da trasportare.
 
Meglio se vado a sedermi… prima di finire vergognosamente a terra!
 
Barcollò appena, cercando di non perdere l’equilibrio, e raggiunse una delle poltroncine disponibili. Due ragazze occupavano il suo stesso tavolo. Le notò appena. Una di loro gli lanciò un’occhiata interessata, ma ovviamente l’attenzione di Kibum era tutta proiettata sui libri. Quando una nuova persona si unì a quelle già presenti, il biondo neanche se ne accorse.
 
Erano passati quindici minuti da quando si era seduto, e aveva già voracemente divorato circa una decina di pagine. Molti concetti di base già li conosceva, ma i libri universitari non avevano niente a che fare con quelli delle scuole superiori. Con un linguaggio molto più ricercato e preciso, gli parlavano di quel mondo straordinario di cui lui stesso faceva parte… monopolizzando il suo interesse.
 
Una sensazione di disagio gli attraversò per un attimo la schiena, costringendolo a rileggere la stessa riga per la seconda volta. Qualcuno lo stava fissando, e… quegli occhi… sentiva di conoscerli. Le dita si allungarono verso la frangetta, scostandola di lato, e Kibum incrociò lo sguardo del ragazzo che gli sedeva di fronte.
 
“Ciao…” lo salutò Jonghyun, titubante.
 
Al di sotto delle grosse lenti, le iridi scure del suo compagno di laboratorio furono attraversate da un lampo di irritazione, spiazzandolo. Il più grande abbassò gli occhi, imbarazzato, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. Non riusciva proprio ad andargli a genio, vero?
 
“Ciao” gli giunse la risposta secca del biondo, mentre questi tornava ancora una volta a concentrarsi sul suo libro. Il ragazzo di fronte a lui sospirò, e Kibum storse le labbra.
 
Ma proprio lui mi doveva capitare? Perfino in biblioteca non posso starmene tranquillo! Che poi… che diavolo ci fa uno zotico come lui in un posto del genere?! Figurati se ha voglia di…
 
Gli occhi felini incrociarono la pila di volumi accatastati accanto a Jonghyun, rimanendone notevolmente sorpresi. Abbandonò la lettura, osservando la fronte corrucciata e le mani nervose dell’altro studente. Sembrava stesse svolgendo un’impresa sovrumana, mentre se ne rimaneva lì… tutto concentrato… sulle prime pagine di un libro di chimica di base.
 
Il più piccolo sollevò un sopracciglio, interrogativo. Davvero quel tizio non sapeva nulla dell’università che aveva scelto? Cioè… se non conosci neanche le cose fondamentali… allora perché frequentare una facoltà difficile come quella?
 
“Vediamo se indovino…” mormorò derisorio “non sei un grande fan di Celsius, non è così?” chiese con strafottenza, lanciando uno sguardo all’argomento trattato nella pagina che Jonghyun stava faticosamente cercando di interpretare.
 
Gli occhi scuri del bruno si alzarono verso i suoi, confusi e imbarazzati. Cristo! Non lo conosceva davvero!
 
“Celsius… Anders Celsius…” scandirono lentamente le labbra a cuore di Kibum, che stava seriamente iniziando a spazientirsi “Il primo a proporre una scala di temperatura, sei sveglio?!” domandò indignato, roteando gli occhi al cielo e sbuffando pesantemente “Santo cielo, non hai mai usato un termometro in vita tua?!” concluse rassegnato, allargando le braccia e lasciandosi andare contro la spalliera del proprio sedile.
 
Il volto del suo compagno di laboratorio aveva velocemente preso fuoco, mentre questi chinava il capo nella vergogna più totale. Il biondo era un tipetto dal caratterino intransigente, questo l’aveva già capito, ma… aveva proprio sperato di riuscire ad entrare nelle sue grazie. Speranza inutile la sua!
 
“I-io…” balbettò a disagio, sforzandosi di trovare le parole adatte per porgergli le proprie scuse.
 
“Se penso che dovrò passare tutto l’anno accanto ad una testaccia vuota come la tua!” borbottò infastidito Kibum, senza permettergli di parlare “Facciamo così…” aggiunse sconsolato, inspirando profondamente “Siamo in laboratorio… e il professore ci chiede di diluire dell’acido solforico…” pronunciò con lentezza, sollevando gli occhi indagatori sull’espressione stralunata dell’altro.
 
Jonghyun venne inchiodato alla sedia dal suo sguardo attento. Quella era una prova… ne era sicuro. Strinse le labbra, prestando la massima attenzione alle parole del biondo. Non ci capiva nulla di quella roba… ma doveva sforzarsi, altrimenti non sarebbe durato neanche sei mesi in quell’università.
 
Che poi… ammesso che gli esami non mi uccidano… sono sicuro che lo farebbe lui!
 
Gli occhi affilati di Kibum non celavano minimamente i pensieri del proprietario. Così diretti e privi di ipocrisia… sembravano volergli dire: “Tanto so bene che sbaglierai… dannato troglodita dei miei stivali!”
 
“Tu cosa fai?” chiese il più piccolo, con una nota di derisione nella voce melodiosa “Versi l’acido nell’acqua… oppure… versi l’acqua nell’acido?” quella domanda cadde fra loro come un mattone, e il cuore del bruno prese a battere con forza.
 
Ovvio che io non sappia la risposta! Allora… ragiona, ragiona, ragiona. Apparentemente sembra la stessa cosa, se versi l’uno o l’altro… cosa mai dovrebbe cambiare no?! L’importante è che si uniscano! No, no… impossibile. Troppo facile. Guarda i suoi occhi… sembra sul punto di mettersi a ridere. Ovviamente una delle due risposte è sbagliata… ma quale?!
 
Cosa farei? Che domanda! Io girerei i tacchi e scapperei fuori dal laboratorio! Ecco cosa farei! Esattamente la stessa cosa che avrei voglia di fare in questo momento. E se sbagliassi… ti cercheresti un altro compagno? E’ per questo che mi hai messo sotto esame? Basta… dirò una cosa a caso… o la va, o la spacca!
 
Jonghyun chiuse gli occhi, pregando di non sbagliare. Poi le sue palpebre si sollevarono piano… e il suo sguardo si puntò deciso su quello felino di Kibum. Quest’ultimo non mosse un solo muscolo… con le mani giunte e il mento sollevato… rimase in attesa del verdetto.
 
Sei proprio stupido… si vede lontano un miglio che non sai cosa dire! Forza… dimostrami che mi sbaglio…
 
“Verso l’acqua nell’acido” risposta secca, convinta… almeno all’apparenza. La realtà era che le gambe del bruno avevano perfino preso a tremare, mentre il suo sistema nervoso soccombeva di fronte all’espressione severa del più piccolo.
 
Le labbra del biondo si sollevarono appena. Stava sorridendo? I lineamenti di quel viso incredibilmente pallido si distesero, mentre le spalle un tempo rigide… si rilassavano sotto lo sguardo speranzoso di Jonghyun. Dopo fu solo questione di un paio di secondi. Le dita sottili si chiusero intorno al libro che stava leggendo, scaraventandolo con forza sul viso attraente del bruno. Questi fece giusto in tempo a parare il colpo con le braccia, e il volume ricadde a terra con un rumore sordo.
 
Gli altri studenti si voltarono sorpresi verso di loro, osservando l’espressione pacifica di Kibum trasformarsi in una maschera di rabbia. Il più giovane tirò rapidamente indietro la poltroncina, mettendosi in piedi.
 
“Dannatissimo idiota!” trillò furioso “Ucciderai entrambi prima della fine dell’anno!” ringhiò con astio, e senza dargli il tempo di reagire… percorse a grandi falcate la distanza che lo separava dall’uscita della biblioteca.
 

*****

 
Stupido! Imbecille! Ignorante! Ma perché diavolo me la prendo tanto?! Ignoralo! Ignoralo Kibum e tutto andrà bene. Chi se ne frega se dovrò portarmelo dietro per tutto l’anno, l’importante è che… diavolo! Ho lasciato la mia roba sulla sedia! Maledetto Kim Jonghyun! Con quella sua faccia da prendere a sberle… mi sta mandando fuori di testa!
 
Una mano si chiuse con forza attorno al mio polso… sussultai, mentre i miei occhi sorpresi incrociavano quelli seri della scimmia. Sembrava arrabbiato. Ma dico?! Lui arrabbiato?! Dovrei essere io quello furioso, non tu!
 
Notai il segno rosso sul suo zigomo destro. A quanto sembrava… non era riuscito ad evitarlo completamente quel colpo. Avvertii uno strano brivido attraversarmi la schiena, mentre le dita che mi stringevano iniziavano a farmi male. Cercai di liberarmi, ma quell’idiota mi strattonò più forte.
 
“Ma guardati!” esclamò adirato, sputandomi addosso il suo risentimento “Io forse non sarò un genio della chimica, ma tu?!” sollevai un sopracciglio, voleva forse dire che ero io l’ignorante?! “Ti senti tanto superiore non è vero?! Beh, non lo sei!” urlò rabbioso, mentre qualche bisbiglio lontano iniziava ad infastidirmi.
 
“Puoi giocare al piccolo chimico quanto ti pare… diluire il tuo amato acido solforico e fantasticare su tutti i cervelloni esistiti primi di te, ma…” i suoi occhi si riempirono d’amarezza, e uno leggero senso di colpa mi costrinse ad abbassare lo sguardo “Che mi dici delle persone?” chiese in un soffio, mentre la sua presa abbandonava finalmente il mio braccio.
 
Sollevai la mano sul petto, stringendo fra le dita il polso dolorante. Mi sarebbe uscito un livido, ma… non riuscivo proprio a preoccuparmene in quel momento. Avevo capito. Capivo quello che stava cercando di dirmi, e ripensare alle mie ultime azioni non fece che incrementare il calore che mi era salito alle guance.
 
“Non hai il diritto di trattarmi in questo modo… né tantomeno di giudicarmi. Tu non mi conosci. E io non conosco te” mormorò risentito “Credevo che sarebbe stato gentile… cercare di venirti incontro, ma… mi sbagliavo” ammise con un sospiro, e i miei occhi si sollevarono automaticamente sulla sua espressione ferita.
 
“Scusami tanto se ti ho distolto dai tuoi doveri… non accadrà più” solo allora le notai, le cose che teneva sotto il braccio “Questi li avevi lasciati in biblioteca…” aggiunse con freddezza, allungandomi il giubbotto e la mia borsa “Buona giornata” concluse, mentre io me ne rimanevo lì imbambolato... a fissare le sue spalle che si allontanavano.
 
Allungai una mano, che rimase sospesa nel vuoto… e i denti si chiusero con forza sulle labbra. Una morsa mi strinse lo stomaco, mentre comprendevo finalmente la gravità delle mie azioni. Lui aveva ragione, lo sapevo. Ma… la cosa che più mi sconvolse… fu la sincerità delle sue parole. Normalmente… la gente mi offriva accondiscendenza e appoggio, perfino quando i miei ragionamenti non erano del tutto corretti.
 
Jonghyun fu la prima persona ad affrontarmi. La prima… a dirmi apertamente che mi stavo sbagliando. La prima a definirmi... seppur in modo indiretto… uno stupido insensibile. Abbassai la testa, calciando via un sassolino. Aveva indovinato… io ero davvero uno stupido insensibile.
 

*****

 
Kibum rimase di cattivo umore per tutto il giorno. Con la fronte corrucciata e lo sguardo pensieroso, fissava i professori senza vederli veramente. Il blocco degli appunti rimase vuoto, abbandonato nella borsa. Il biondo unì le mani sotto il viso, sospirando pesantemente.
 
“Qualcosa non va?” chiese Minho, seduto accanto a lui in sala mensa.
 
“Mmm…” confermò laconico, giocherellando distrattamente con il cibo che aveva nel piatto “Lo vuoi?” chiese poi al suo vicino, indicando il riso intatto.
 
Il moro lo fissò perplesso, ma abbassò ugualmente la testa in segno di assenso. Kibum rimase a guardarlo, mentre divorava senza complimenti la seconda porzione. Seguì con indolenza i muscoli delle braccia che si intravedevano sotto la maglia che Minho portava, e i suoi pensieri si spostarono… per un attimo… su argomenti più leggeri.
 
Mangia per tre, e continua a non ingrassare. Sfido io… con tutta quella palestra che fa. Taemin mi ha detto che esce a correre ogni mattina, magari farebbe bene anche a me un po’ d’esercizio. Ma che dico? Sverrei al primo angolo… sono troppo delicato, e poi sudare mi mette i brividi. Chissà… probabilmente anche lui va a correre. Cioè… il suo fisico è così… così…
 
Le guance si tinsero immediatamente di rosso, mentre quelle osservazioni silenziose… che aveva concepito pensando a Jonghyun… gli facevano andare la saliva di traverso. Tossicchiò rumorosamente, e Minho sollevò lo sguardo preoccupato nella sua direzione. Qualche pacca sulla schiena, e poi gli porse la propria bottiglietta d’acqua.
 
“Hyung! Ma che combini?” chiese questi impensierito, osservando il volto sbiancato e gli occhi resi lucidi per il troppo tossire.
 
Stava per aprire la bocca, con l’intenzione di rimproverarlo per la centesima volta. Possibile che non riuscisse proprio a fare a meno di chiamarlo in quel modo?! Poi la sua pelle vibrò impercettibilmente, sotto lo sguardo della persona che era appena entrata in mensa. I jeans strappati, e gli occhi da cucciolo… Jonghyun sostenne il suo sguardo per qualche secondo, e poi gli diede le spalle.
 
Ci saranno più di cinquanta studenti qua dentro, possibile che io riesca a vederlo anche in mezzo a questo casino?! Oh andiamo… smettila subito Kibum! Sei solo scombussolato per quello che è successo questa mattina. Dimenticati di quello stupido troglodita, e pensa a prestare più attenzioni alle lezioni del pomeriggio.
 
Si costrinse a non seguire la figura atletica diretta al bancone del self service, e infilò una mano dentro la borsa che aveva poggiato sul sedile accanto al proprio. Quindi… lingue straniere, fisica, elementi di base, laboratorio di chimica… Diavolo!
 
Sbuffò, gettando da parte l’orario che aveva appena controllato. Minho sollevò un sopracciglio nella sua direzione, recuperando il foglietto che il compagno aveva accartocciato e abbandonato sul tavolo. I suoi occhi scuri percorsero il programma giornaliero di Kibum, e un piccolo sorriso fece capolino sulla sua espressione divertita.
 
“Aahh… allora è questo il problema…” commentò ironico, tamburellando con un dito sull’ultima lezione che il più grande avrebbe dovuto seguire “Non ci riesci proprio ad andarci d’accordo?” aggiunse incoraggiante, ricominciando a mangiare.
 
Nessuna risposta giunse dal biondo, mentre questi incurvava esageratamente le spalle… scivolando con un sospiro in una posizione non propriamente composta. Strinse i pugni sul tavolo, storcendo le labbra e maledicendo il proprio caratteraccio.
 
Io andarci d’accordo?! Fidati… a questo punto sarà lui a non trovare un solo motivo per andare d’accordo con me!
 
Gli occhi felini si sollevarono ancora una volta, cercando la figura del suo compagno di laboratorio, tra la fila di studenti con il vassoio in mano. Niente, al bancone non c’era più. Si guardò rapidamente intorno, constatando con una smorfia quanto la grande sala si fosse riempita negli ultimi dieci minuti. Sbuffò, infastidito dalle difficoltà che stava incontrando nell’individuarlo.
 
Ma dove diavolo si è cacciato?! Basso per com’è… ovvio che non riesca a trovarlo! Sarà andato via? Figurati… non l’avrebbe mai fatto solo perché ci sono io, giusto? O magari si… magari… aishh! Idiota Kibum! Che diamine sto pensando?! Come se mi desse tutta questa importanza… non gli frega assolutamente nulla di un tipo isterico che gli ha lanciato un libro! Sicuramente adesso…
 
Il filo dei suoi pensieri si interruppe bruscamente, mentre il suo sguardo spazientito si posava sul profilo di un ragazzo dai capelli castani e i grandi occhi scuri. Il cuore del biondo palpitò più velocemente… improvvisamente agitato, e una mano si posò preoccupata sul petto. Che gli prendeva? Perché si stava preoccupando così tanto per un estraneo?
 
Jonghyun sollevò la testa, abbandonando le bacchette accanto al proprio piatto. Non aveva fame. Quel piccolo assatanato del suo compagno di laboratorio gli aveva fatto perdere tutto l’appetito. Ma come caspita faceva… con quel visetto d’angelo che si ritrovava… ad avere un carattere così terribile?
 
Gli occhi si spostarono indolenti sulla finestra alla sua sinistra, perdendosi tra pensieri confusi e ricordi lontani. Kibum lo vide così… pensieroso e vagamente distratto. Poi una ragazza dai lunghi capelli schiariti scivolò sul sedile accanto alla persona che stava fissando… poggiando le mano delicata sulla spalla di Jonghyun. Questi sussultò appena, sorpreso, e la tizia si avvicinò eccessivamente a lui… mormorandogli qualcosa all’orecchio.
 
Il biondo si sentì profondamente infastidito da quella scena, e gli occhi felini si strinsero minacciosi in due fessure. Il più grande era nel frattempo arrossito, allontanandosi a disagio dalla ragazza che gli aveva poco prima rivolto la parola. Sembrava che fossero in confidenza, constatò il più piccolo… mentre quella tipetta tutto pepe rubava qualche patatina dal piatto del suo compagno di laboratorio.
 
Le dita di Kibum si strinsero con eccessiva forza intorno al tovagliolo che aveva appena finito di trasformare in un cigno, distruggendo il proprio operato in un battito di ciglia. Una strano miscuglio di emozioni gli rimescolò lo stomaco, mentre Jonghyun sorrideva affabile alla ragazza seduta al suo fianco.
 
Non ci capisci niente di chimica… mi fai male ad un polso… e adesso questo! Guardati… tutto carino e pieno di sorrisi… mentre con me non hai perso tempo ad inalberarti. Ora ho capito… ecco qual è il motivo. Non è lo studio… e non è la facoltà… sarà mica per lei che sei venuto qui?!
 
Gli occhi scuri del bruno si spostarono sul viso adirato del ragazzo che sembrava sul punto di incenerirlo… e il suo grosso corpo pieno di muscoli fu attraversato da un brivido. Kibum voltò immediatamente il capo dal lato opposto, recuperando velocemente la propria roba. Disse poche parole al ragazzo accanto a lui, e quest’ultimo lo fissò sorpreso. Un ultimo sguardo nella sua direzione… un’ultima minaccia di morte… e andò via.
 

*****

 
“Il pianeta terra non è altro che materia. Materia che continua ad evolversi, galleggiando nello spazio. Il tempo e il movimento ne hanno mescolato le sostanze che la formano, dando vita ad un vasto numero di combinazioni. La chimica… studia queste sostanze, e il modo in cui si combinano…”
 
Il professore continuò a parlare di tutta quella roba a cui non riuscivo a prestare attenzione. Kibum era seduto accanto a me, e come sempre non mi degnava di considerazione. Sospirai, osservando il suo profilo serio, mentre continuava a scribacchiare parole per me incomprensibili.
 
Aveva tenuto il capo chino su quel dannato block notes fin da quando ero arrivato. Io non avevo trovato il coraggio di salutarlo, e a lui la cosa parve non interessare minimamente. L’avevo visto… il suo sguardo adirato mentre eravamo in mensa. Doveva essere ancora arrabbiato.
 
Mi diedi dello stupido, per aver perso le staffe in quel modo… e tornai a guardare l’insegnante sulla cattedra. Questi lasciava scorrere lo sguardo severo sull’uno e poi sull’altro studente, allontanandosi a passo lento verso la finestra socchiusa. Fuori pioveva.
 
Lo vidi recuperare un piccolo recipiente in vetro, che era stato lasciato sul davanzale in muratura. Non ne ricordavo il nome, ma non me ne curai. La pioggia si era accumulata velocemente dentro di esso, riempiendolo. Inarcai un sopracciglio... a cosa gli sarebbe servito?
 
Kibum abbandonò la penna sul banco, producendo un piccolo rumore metallico. Mi voltai a guardarlo, ma anche questa volta non riuscì ad incrociare i suoi occhi. Il suo sguardo entusiasmato era puntato sull’uomo di mezza età, che aveva preso a dividere il liquido raccolto in piccole fialette. Storsi le labbra… ero sicuro di essere il solo lì dentro, a non comprendere il perché dei suoi gesti.
 
Quando il professore mi porse quelle piccole gocce di pioggia, io chinai velocemente il capo… cercando di celare alla meglio l’imbarazzo della mia ignoranza. Qualcuno borbottò poco felice al mio fianco, sfilando con un movimento deciso la fialetta tra le mie dita. Sfiorai la sua pelle, e lo vidi innervosirsi. Non mi guardò, ma le sue guance si tinsero immediatamente di rosso. Mi sorprese.
 
“Faccio io…” mormorò semplicemente, recuperando uno dei vetrini che Jinki ci aveva consegnato ad inizio lezione. Mi indicò il microscopio alla mia destra, e io glielo avvicinai immediatamente.
 
Non capivo nulla di quello che stava accadendo, neanche quando le sue dita sottili si chiusero intorno alle rotelline scure… regolando la messa a fuoco dell’apparecchio. Sorrise, e io mi ritrovai ad imitarlo come un imbecille. Era talmente diverso in quel momento… proprio come quella volta che l’avevo visto abbracciare quel grosso cane, fuori dalla facoltà.
 
“Una goccia d’acqua piovana… è molto più di semplice acqua” aveva intanto ricominciato a parlare l’insegnante “Le piccole particelle che la compongono infatti… non sono altro che componenti, mescolati insieme, che continuano a mantenere la propria identità…”
 
Voleva forse essere chiaro con quella spiegazione? Perché io continuavo a sentirmi ancora tremendamente disorientato. Fu allora che li avvertii... gli occhi felini che si erano posati sul mio viso, scrutando a disagio la mia espressione confusa. Mi voltai, imbarazzato, incrociando lo sguardo attento di Kibum.
 
Rimase immobile per un attimo, con le labbra dischiuse… ma non disse nulla. Sospirai, avvilito… e lui si allontanò appena. Mi indicò il microscopio, dal quale si era appena scostato… e il sorriso gentile che mi rivolse mi fece rabbrividire. Stavo soffrendo di allucinazioni forse?!
 
Mi affrettai ad occupare la postazione che aveva liberato per me, terrorizzato dall’idea di irritarlo ancora una volta. Il mio occhio destro si perse oltre il piccolo foro circolare dello strumento… e la mia attenzione venne completamente catturata da quelle piccole bollicine incomprensibili, che componevano l’acqua che stavamo esaminando.
 
“L’acqua è un composto chimico…” iniziò a spiegarmi, con tono pacato e accomodante “cioè formata dall’unione di due elementi: ossigeno e idrogeno” affermò con risolutezza, e la sua voce mi parve d’improvviso incredibilmente vicina. Quando parlò ancora, il suo alito caldo mi solleticò la pelle del viso… facendomi sussultare appena.
 
“Due atomi di idrogeno, con carica positiva… e un atomo di ossigeno, con due cariche negative. Insieme… formano la molecole H2O” riprese lentamente, e il sorriso che accompagnò quelle parole… riuscii quasi a vederlo “Poche gocce d’acqua… come quelle che stai guardando adesso… contengono milioni di queste molecole”.
 
“Il punto di ebollizione, a 100°, e quello di fusione, a 0°… furono stabiliti da Celsius, il tizio che ti ho nominato questa mattina…” sollevai di scatto la testa, mentre le sue guance arrossivano all’istante… e lui abbassava lo sguardo imbarazzato “Qu-quello della scala della tempe-peratura… ricordi?” balbettò agitato, rigirandosi tra le mani le grosse lenti che aveva abbandonato sul tavolo.
 
Mi venne da sorridere, di fronte a quella persona così diversa che si era presa la briga… contro ogni mia aspettativa… di dividere le proprie conoscenze con un ignorante come me. Non ottenendo una risposta, i suoi occhi felini si sollevarono lentamente sul mio viso. E questa volta… sorrisi davvero.
 
“Si, me lo ricordo” mormorai piano, ancora emozionato da quel piccolo barlume di speranza che mi aveva donato “Perché li usi?” chiesi d’istinto, mentre Kibum lasciava scivolare la montatura scura sul naso “Non mi sembra che ti servano…” aggiunsi titubante, grattandomi nervosamente la testa mentre lui arrossiva ancora di più.
 
“Tutta scena…” spiegò sotto voce, incrociando le dita nervose. Aveva raddrizzato la schiena, sedendosi più compostamente sul grande sgabello. Cercava di darsi un contegno. Probabilmente anche lui era rimasto sorpreso… da quell’improvvisa aria di confidenza che ci aveva magicamente avvolti.
 
“Alle superiori, tutti pensavano a fissare imbambolati il mio viso… piuttosto che ascoltare quello che avevo da dire…” disse ancora, distogliendo lo sguardo dal mio “Non mi piace essere preso in considerazione solo per il mio aspetto” aggiunse con una smorfia.
 
Seguii l’istinto, pregando con tutto me stesso di non ricevere un altro libro addosso. Gli occhi felini si puntarono sorpresi sui miei, mentre allontanavo silenziosamente quelle grosse lenti dai suoi lineamenti delicati.
 
“E’ un bel viso…” confermai insicuro, cercando disperatamente di non arrossire a mia volta “Però… prometto solennemente che ascolterò tutto quello che mi dirai…” lo incoraggiai, tremando appena di fronte al sorriso accennato che aveva incurvato le sue labbra a forma di cuore.
 
“Ok…” concesse semplicemente, abbassando lo sguardo sul block notes che poco dopo avrebbe riposto nella sua borsa.
 
Mi guardai velocemente intorno, spaesato. Metà degli studenti erano già andati via, e anche del professore non c’era traccia. Quando diavolo era finita la lezione?! Sulla porta, incrociai gli occhi caldi di Jinki. Ci guardava dolcemente, con un sorriso sulle labbra e la schiena poggiata alla parete. Quello sguardo confermò i miei pensieri, mentre le dita sottili del mio compagno di laboratorio mi sfioravano la mano.
 
Si era ripreso gli occhiali, ma invece di metterli… li lasciò scivolare dentro il proprio astuccio, riponendoli nella borsa. Ci guardammo, un’ultima volta. Poi mi salutò, con quella dolce vocina melodiosa che non gli avevo mai sentito usare… e uscì silenziosamente fuori dall’aula.
 
Risi piano, felice, recuperando in fretta la mia roba. Kim Kibum… mi stava concedendo una possibilità.

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Capitolo 4
*** Stupida scimmia! ***



 

Capitolo 03 - Stupida scimmia!

Sospirò, incrociando le gambe… e si lasciò cadere sull’erba verde di quel gigantesco cortile. L’aria era fresca, ma il sole splendeva alto nel cielo. Chiuse gli occhi, portando le braccia dietro di sé… sostenendosi, mentre si stendeva completamente. Le voci dei ragazzi intorno a lui divennero lontane e confuse, e Kibum si beò di quegli ultimi raggi… che l’estate aveva dimenticato di portarsi via.
 
Le lezioni del venerdì mattina erano finite da qualche minuto, ma l’orologio segnava ancora le dodici. Minho avrebbe terminato alle tredici, e insieme si sarebbero diretti in mensa. Per il momento… gli restava ancora un’ora buca da occupare. Dalla finestra del secondo piano, quella vicino alla biblioteca, aveva notato gli studenti stesi al sole… e con un sorriso, si era deciso ad imitarli.
 
Dei passi leggeri si fermarono al suo fianco, e un’ombra scura si proiettò sulla propria testa. Il biondo storse le labbra, infastidito da quell’interruzione… e sollevò lentamente le palpebre. Un tizio dai capelli castani, abbastanza lunghi, gli sorrise impacciato… chinandosi brevemente di fronte a lui.
 
“Sei Kim Kibum, giusto?” chiese timoroso, arrossendo appena sotto lo sguardo confuso dell’interpellato.
 
“Si…” mormorò il ragazzo dagli occhi felini, inarcando un sopracciglio “E tu sei…?” aggiunse scocciato, infastidito dal gesto nervoso con il quale quel tipo continuava a stritolarsi le dita.
 
“Ah!” esclamò il nuovo arrivato, mentre le sue gote divenivano sempre più rosse “Scusami! Pa-Park… Park Seung Su, seguiamo fisica insieme e…” si dimenticò completamente di seguire il discorso concitato di quel ragazzo, troppo occupato a guardarsi intorno.
 
Lo aveva avvertito… quello sguardo insistente, che ogni volta lo metteva in agitazione. Ma dov’era? Percorse rapidamente le finestre del primo piano, alla ricerca del volto "fin troppo familiare" del suo compagno di laboratorio. Nulla. Passò al secondo, senza badare al battito veloce che il proprio cuore aveva iniziato a produrre. Sbuffò… deluso. Non era neanche lì. Ma forse…
 
Una mano si sollevò lentamente nella sua direzione, mentre lo sguardo sorpreso del biondo incrociava quello sorridente di Jonghyun. Quest’ultimo… si trovava ai piedi di un grosso albero, poco distante da lui. Le fronde rigogliose lo proteggevano dal sole, così come avevano impedito… in un primo momento… che Kibum lo notasse.
 
“Quindi mi chiedevo…” gli giunse la voce petulante di quel tizio, di cui già non ricordava il nome “Per te andrebbe bene?” storse le labbra, infastidito, ma non ne voleva proprio sapere di lasciarlo in pace?!
 
“Si, si… come vuoi…” concesse rapidamente, facendo per alzarsi. Vide il ragazzo più grande, con la schiena appoggiata al grosso arbusto, sollevare un sopracciglio. Sembrava sorpreso. Nel frattempo quel tale… Park e qualcosa… gli si era praticamente inginocchiato di fronte, chiudendo entrambe le sue mani nelle proprie.
 
“Grazie! Grazie! Grazie!” continuava a farneticare, euforico per Dio solo sapeva bene cosa “Allora lunedì ti aspetto alla fine delle lezioni!” gli sorrise ancora, senza badare minimamente allo sguardo allibito che Kibum gli stava riservando, e corse via come un matto.
 
Il biondo schiuse le labbra, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. Gli occhi spalancati seguirono la figura piuttosto massiccia del ragazzo che… senza sapere bene come fosse successo… avrebbe dovuto rivedere la settimana seguente. Strinse le sopracciglia, corrugando la fronte… e una nuova persona si sedette al suo fianco.
 
“Non ti facevo così magnanimo…” commentò Jonghyun, con un sorriso. Il più piccolo balzò velocemente di lato, aumentando la distanza fra i loro corpi così inaspettatamente vicini. Il bruno parve non dare troppo peso alle sue azioni, e riprese a sfogliare il grosso libro che aveva tra le mani.
 
“Io…” mormorò imbarazzato “In realtà non è che ci abbia capito molto…” ammise con una smorfia, grattandosi nervosamente la testa.
 
Il ragazzo accanto a sé non gli rispose immediatamente, troppo impegnato ad abbracciare con forza il proprio stomaco… nel vano tentativo di preservarlo da quel fastidioso pizzicare, che ti invade quando stai ridendo troppo. Kibum sbuffò ancora, incrociando le braccia sul petto.
 
“Yah!” si lamentò, infastidito, mollandogli una sberla sulla spalla “Si può sapere cosa c’è di così tanto divertente?!” trillò furioso… facendo per andare via, quando Jonghyun non si degnò di rispondergli.
 
Una mano si chiuse repentinamente sul suo polpaccio, facendolo rabbrividire… e la forza del più grande lo trascinò nuovamente a sedere. Il biondo scivolò a terra con una piccola esclamazione di sorpresa, ritrovandosi il volto sorridente del bruno a pochi centimetri dal proprio. Avvampò… spingendolo lontano, ma anche questa volta… nessuno si curò delle sue proteste.
 
“Complimenti… docente Kim Kibum!” si congratulò quel ragazzo con i lineamenti da scimmia, stringendo vigorosamente la sua mano destra “Lei ha appena accettato di avviare un corso di ripetizioni!” aggiunse entusiasta, mentre la sua fragorosa risata riempiva rapidamente l’intero cortile.
 
La mascella del più giovane per poco non finì a terra, mentre i suoi occhietti felini si spalancavano increduli. Ma che? Cosa? Quando diavolo aveva accettato una cosa del genere?!
 
Jonghyun nel frattempo si era schiarito la voce, cercando di recuperare un po’ di controllo. L’espressione del suo compagno di laboratorio… non era di molto aiuto comunque. I lineamenti sottili di quel volto delicato… risultavano ancora stravolti da quell’impensabile verità e, senza saperlo, avevano smosso una debole sensazione di tenerezza nel cuore del più grande.
 
“Suvvia Bummie… non sarà mica così grave…” mormorò incoraggiante, lasciando una pacca veloce tra quei morbidi capelli, ordinatamente pettinati. Una leggera folata di vento costrinse entrambi a chiudere gli occhi… mentre il delicato profumo di Kibum lo avvolgeva in un inaspettato abbraccio.
 
Che cos’è? Vaniglia? Non l’avevo sentito prima… forse… perché adesso siamo più vicini? E’ buono… così perfettamente abbinato… al suo volto pallido. Mi pia… frena! Frena Kim Jonghyun! Che diamine stai pensando?!
 
Il bruno sbatté un paio di volte le palpebre, scuotendo energicamente la testa. Lasciò volare via quelle considerazioni inopportune, che per un attimo l’avevano fatto rabbrividire… e il suo sguardo fu nuovamente catturato dai movimenti leggeri della persona che gli stava di fronte.
 
Il biondo teneva gli occhi serrati, e il capo leggermente chinato. Le dita sottili si erano chiuse sulla nuca, proteggendolo da quel vento fastidioso. Storse le labbra, imbronciandosi appena… sollevando lentamente le palpebre. Il più grande era ancora lì… la bocca dischiusa, e gli occhi puntati direttamente nei suoi. Il sangue salì rapidamente alle guance, colorandole. Entrambi volsero lo sguardo altrove, sentendosi incredibilmente stupidi.
 
“Come diavolo ho fatto a cacciarmi in una situazione del genere?!” borbottò Kibum infastidito, ripensando al ragazzone a cui aveva poco prima concesso delle lezioni “E adesso?” aggiunse con un sospiro, curvando le spalle rassegnato.
 
Jonghyun sollevò timidamente gli occhi scuri verso di lui… sorridendo di fronte alle labbra rosse del compagno, protese leggermente in avanti. Era buffo in quel momento… sembrava quasi un bambino. Trasse un profondo respiro, rilasciando l’aria con esasperata lentezza. Doveva calmarsi.
 
“Forse non è una cattiva cosa…” commentò alla fine, cercando di non arrossire di fronte allo sguardo, teneramente abbattuto, del più piccolo “H-ho visto che cerchi un compagno per la casa!” annunciò imbarazzato, alzando involontariamente la voce di mezzo tono “Ma-magari le ripe-petizioni potrebbero aiuta-tarti… sai…” balbettò agitato “fin tanto che non trovi qualcuno che divida le spese con te…” concluse a fiori di labbra.
 
Le dita del biondo si chiusero repentinamente sull’erba, stringendosi con forza intorno a quei pochi ciuffetti verdi che riuscirono ad afferrare. Lui sapeva? Sapeva dell’appartamento nel palazzo di Jinki? E sapeva anche che stava cercando un coinquilino! E se…? No, no, no. Assolutamente no!
 
“Si, forse hai ragione tu…” confermò a disagio, cercando di non dar troppo peso alle proprie fantasie “Cosa leggi?” chiese rapidamente, affrettandosi a cambiare argomento.
 
“Fisica di base, e qualche altra cosa di cui non ho ben capito neanche il nome…” rispose l’altro, imbarazzato dalla propria ignoranza “Sai… neanche io sono… propriamente un asso, in queste cose…” aggiunse titubante, sollevando i grandi occhi scuri verso quelli terrorizzati di Kibum.
 
Ooohhh ma è possibile che non ne combino una giusta?! Adesso cosa dovrei fare?! Dirgli che può unirsi al gruppo di studio?! No, non posso! Col cavolo che lo faccio! Già mi sento un idiota in questo momento. Se me lo tengo vicino per troppo tempo… diventerò davvero un mentecatto!
 
Che poi… perché deve essere così mi chiedo?! E’ rozzo, ignorante, con quei jeans strappati… il naso troppo grande… se-senza conta-tare… le labbra morbide… le mani forti… aishh! Idiota Kibum! Stai perdendo di vista il buon senso! Smettila di fissarlo come un pesce lesso, e và via di qui!
 
“Questo è Berthard Russel…” mormorò a mezza voce, indicando con la punta del dito una foto poco chiara, in un angolo della pagina “e questo è Karl Popper…” aggiunse ancora, con un sospiro… mostrando un’altra immagine.
 
La mano del biondo si mosse leggermente in avanti, spostando di lato quella di Jonghyun… rimasta immobile sul libro. Lesse velocemente il titolo del capitolo… “Metodo dell’induzione: attendibile o no?”. Scosse la testa, rassegnato, e riprese a parlare.
 
“Il metodo dell'induzione è un procedimento, che attraverso lo studio di casi particolari, cerca di stabilire una legge universale. Russel e Popper, non condividevano questo metodo... e nella prima metà del XX secolo, hanno sollevato pesanti obiezioni nei confronti della comunità scientifica” spiegò brevemente, e gli occhi scuri del compagno si puntarono attenti sul suo volto.
 
“Secondo loro... era impensabile formulare una legge, sulla base di casi singoli. Se osservi un gatto nero, non puoi certo stabilire... che tutti i gatti siano dello stesso colore” chiarì con un esempio pratico, cercando di non badare al calore improvviso che la vicinanza di Jonghyun gli trasmetteva “Il manto degli animali può essere bianco, marrone, grigio e così via. Allo stesso modo... qualsiasi altra teoria di questo tipo, può essere facilmente smentita”.
 
Stupido Kibum! Perché ti lasci impietosire tanto facilmente… da questo cucciolone un po’ troppo cresciuto?! Che fine ha fatto quella geniale idea di scappare via?!
 
“L'osservazione non è mai neutra, ma si base su teorie che... hanno bisogno di essere messe alla prova. Einstein diceva ‘Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento... potrà dimostrare che ho sbagliato’” riportò alla lettera le parole del grande scienziato “In pratica... il metodo sperimentale non garantisce che una legge fisica possa essere verificata in modo definitivo, ma si può limitare solamente... a fornire la prova della falsità di un'ipotesi”.
 
Gli occhi felini si sollevarono lentamente verso quelli sorpresi del più grande, e un sorriso ebete gli si dipinse sul viso… mentre il bruno abbassava ritmicamente la testa. Chiaro segno… che aveva finalmente capito.
 
“Diavolo Bummie! Sei proprio bravo!” esclamò Jonghyun entusiasta, sporgendosi ancora una volta verso di lui.
 
Il biondo trasalì, scostandolo con dolcezza, e finse di cercare qualcosa dentro la propria borsa. La frangetta chiara nascose la propria espressione imbarazzata, e le mani si mossero nervose fra la roba che si era portato dietro. Inconsciamente, le dita si chiusero intorno ad uno dei block notes che aveva utilizzato quella mattina.
 
Lo tirò fuori, fissandolo per qualche secondo. Sulla copertina, la sua calligrafia precisa, aveva segnato la parola “FISICA”. Storse un attimo le labbra, indeciso… e sbuffò subito dopo. Lo lanciò con un movimento deciso sul grembo del proprio compagno di laboratorio, borbottando qualcosa di poco comprensibile.
 
“Hai detto qualcosa?” chiese il più grande, sollevando un sopracciglio nella sua direzione. Nel frattempo… gli occhi si erano abbassati sul taccuino che Kibum gli aveva dato, sorridendo davanti alla parola in stampatello che vi era stata scritta sopra.
 
“Non perderlo, e non sporcarlo!” ripeté il biondo, spazientito, portandosi nervosamente i capelli dietro l’orecchio “A me non servirà fino alla prossima settimana… me lo ridarai in laboratorio” spiegò velocemente, mettendosi elegantemente in piedi.
 
Jonghyun seguì i suoi movimenti, imitandolo subito dopo. “Grazie Bummie!” esclamò entusiasta, riponendo con cura il block notes nella propria borsa. Di fronte a lui, gli occhi felini del più piccolo lo fissarono interrogativi.
 
“Ma perdonami…” iniziò Kibum perplesso “Che diavolo è questo nomignolo?!” scandì lentamente la propria domanda, mentre lo sguardo confuso si assottigliava sulle ultime parole.
 
“Kibum…” rispose dolcemente l’altro, facendo ondeggiare il dito indice davanti al suo viso “Kibummie…” continuò con un sorriso, sfiorandogli delicatamente il naso “Bummie!” concluse euforico, ridendo piano di fronte alla bocca spalancata del biondo.
 
“Stupida scimmia…” bofonchiò il suo compagno di laboratorio, arrossendo fino alla punta dei capelli… e si affrettò ad allontanarsi.
 
“Non è carino come Bummie…” commentò Jonghyun, facendo spallucce “Però va bene lo stesso!” gli urlò dietro, mentre il sorriso sulle sue labbra… si faceva ancora più largo.
 

*****

 
Le ultime cifre vennero accuratamente riportate sul blocco degli appunti, e la calcolatrice messa da parte. L’uomo, di mezza età e con la base dei capelli leggermente brizzolata, sospirò pesantemente… mettendosi in piedi. La segretaria entrò proprio in quel momento, porgendogli il cappotto scuro.
 
“A che ora rientrerà pomeriggio, dott. Kim?” gli chiese con un sorriso, aiutandolo ad indossare l’indumento.
 
“Verso le 15.00” rispose tranquillo “ma assicurati che per le 18.00 tutti gli impegni siano terminati… accompagno mia moglie a prendere i biglietti” spiegò brevemente, salutandola con un movimento veloce.
 
La ragazza si chinò di fronte a lui, ricambiando il suo gesto. Attese che l’uomo uscisse dall’ufficio… e poi si diresse, come ogni giorno, alla sua scrivania. Il dott. Kim era un professore dalle indubbie capacità intellettive, ma l’ordine non rientrava assolutamente fra le sue innumerevoli qualità.
 
Ripose le penne nel contenitore cilindrico rivestito in pelle, e la calcolatrice nel primo cassetto della scrivania. Verificò l’apertura del secondo, dove l’uomo per cui lavorava nascondeva gli appunti più importanti. Come al solito… si era dimenticato di chiuderlo. Sospirò, divertita dalla sua sbadataggine, e diede un giro di chiave alla serratura.
 
Voltò appena il viso verso sinistra, individuando la piccola scultura di gesso… a forma di lente d’ingrandimento. Strinse le dita intorno al manico, non molto lineare, e lasciò scivolare la piccola chiave all’interno della base forata. Sul retro, i suoi occhi… si bloccarono istintivamente sulla dedica.
 
“A papà… con affetto, Kibum”
 
Ricordò quel ragazzino dai capelli lisci e gli occhi dolci, che molte volte si era seduto sulle gambe del professore… mentre questi ancora lavorava. Passava spesso a trovarlo, dopo la scuola. Faceva un sacco di domande, e il dott. Kim non gli negava mai una risposta. Era un bambino sveglio, pieno di entusiasmo.
 
Quando in ufficio c’era qualche riunione, lui si fermava con la segretaria in reception... svolgendo con impegno i suoi compiti, e raccontando qualche nuova idea geniale che gli era venuta in mente. Era sorprendente… una mente sempre attiva e piena di stimoli. Senza dubbio, nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno… quello straordinario legame padre-figlio… si sarebbe spezzato.
 
Non sapeva cosa fosse successo. D’un tratto… semplicemente… il nome di quel ragazzino, ormai quasi maggiorenne… non venne più fatto. Il professore non parlava più del suo primogenito, e non prendeva più permessi a lavoro… per partecipare ai suoi incontri scolastici. Lo sguardo dell’uomo divenne triste… e di Kibum… scomparve ogni traccia.
 
Tutto ciò che restava, si trovava su quella scrivania. Un vecchio ricordo fatto alle elementari… per la festa del papà. Così poco perfetto, e così poco professionale… ma che non aveva mai abbandonato quel massiccio tavolo in mogano. E un’istantanea, accuratamente incorniciata e conservata, proprio accanto al portapenne… di un bambino dallo sguardo intelligente, con le braccia strette intorno al collo del padre.
 
Da quel giorno, di quasi tre anni fa, in cui le era stato riferito di non fare più il nome di quel ragazzino, il dott. Kim non era diventato altro… che la sbiadita ombra di se stesso.
 

*****

 
“Si, tesoro mio… ma hai riscaldato anche il pollo, non è vero?” la frangetta di Kibum si mosse con irruenza, mentre questi scuoteva contrariato la testa “No Minnie, ti ho detto che devi mangiare entrambe le cose!” Minho si voltò verso il compagno, sorridendo della sua espressione adirata “Non mi interesse nulla se non hai fame! Sei già così piccolo… mangia, e non fare storie!” lo ammonì, categorico.
 
Il moro allungò una mano nella sua direzione, sfilandogli il cellulare. Gli occhi affilati del più grande si puntarono sui suoi, indignati… ma il più alto non ci badò. Lasciò una breve carezza su quella testaccia calda del suo vicino di mensa, e si concentrò sulla dolce vocina concitata che giungeva dall’altro lato dell’apparecchio.
 
“Min, sono io” lo informò, ridendo piano mentre il suo coinquilino ammutoliva di colpo “Fai quello che dice omma, altrimenti chi lo sente questa sera…”
 
“Ma posso sempre dirgli che ho mangiato tutto, no Hyung?!” lo supplicò Taemin “Ti prego, aiutami… diventerò un elefante se inizio a mangiare tutto quello che mi prepara!” aggiunse abbattuto, sprofondando nel piccolo divano rosso del loro appartamento.
 
“Potresti provarci…” acconsentì rapidamente, immaginando il volto entusiasta del più giovane “Ma sei sicuro di poterlo prendere in giro?” gli chiese sornione, sorridendo di fronte al pesante sospiro che l’altro si era lasciato sfuggire.
 
“Che non ci pensi neanche!” trillò Kibum, infastidito “Controllerò frigorifero, forno… e perfino pattumiera!” minacciò furioso, incrociando le braccia sul petto.
 
“Lo hai sentito credo…” disse ancora Minho al suo interlocutore “Metti l’anima in pace… e mangia tutto. Si, non ti preoccupare… lo calmo io. Ciao piccolo” e mise fine alla comunicazione.
 
Il biondo tamburellò nervosamente con le dita sul tavolo, incrociando lo sguardo bonario del più giovane “Chi dovresti calmare tu?!” chiese scocciato, rifilandogli un calcio da sotto il tavolo.
 
“Non mi uccidere Hyung!” si lamentò il moro, sollevando le mani in gesto di resa “Era solo una farsa… ti pare!” continuò con convinzione “Hai presente… il poliziotto buono…” disse con un sorriso, indicando se stesso “E quello cattivo…” concluse, mentre una smorfia divertita si faceva strada sul suo volto.
 
Kibum lo fissò per un attimo, soppesando con occhio critico la veridicità delle sue parole. Minho non era il tipo da bugie, anche se… spesso e volentieri (come in quel caso) si dimostrava più scaltro di ciò che ti aspetteresti.
 
“Anche tu credi che sia troppo magro… non è vero?” gli chiese con un sospiro, tornando a fissare il proprio piatto, ancora completamente integro.
 
“Già…” confermò il più giovane, fissando con apprensione il volto pensieroso del biondo “Anche tu però…” aggiunse titubante, mentre il compagno si voltava sorpreso verso di lui “E’ da qualche giorno che me ne sono accorto…” spiegò, indicando il riso intatto “Qualche problema?” chiese premuroso.
 
“No, solo pensieri…” rispose Kibum sincero, e i suoi occhi felini si sollevarono automaticamente verso un altro tavolo… poco distante.
 
Jonghyun teneva la testa bassa, consumando in silenzio il proprio pranzo. La ragazza al suo fianco era la stessa di sempre. Sorrideva, parlando allegramente con un’altra tizia, lasciando cadere nel piatto della scimmia qualcosa che… a quanto sembrava… non aveva intenzione di mangiare.
 
Lo sguardo del bruno si sollevò verso quello della vicina, e le disse qualcosa di poco gradito… a giudicare dall’espressione scocciata che si dipinse sul viso delicato della ragazza. Poi lei gli rispose con quella che aveva tutta l’aria di essere una battuta. Lui sorrise, lasciandosi abbracciare… e le bacchette si ruppero con un rumore sordo tra le dita di Kibum.
 
“Dannazione!” si lamentò infastidito, lasciando ricadere quei pezzetti di legno… ormai inutilizzabili… sul vassoio che aveva davanti.
 
“Mmm…” mormorò Minho pensieroso “Così sarebbe questo… il tuo problema…” commentò divertito, passandosi una mano sul mento con fare teatrale.
 
Il più grande roteò gli occhi, sbuffando, ma non rispose. Il moro rimase a fissarlo… mentre storceva le labbra rosse, e tornava a sollevare lo sguardo verso il volto sorridente del suo compagno di laboratorio. Si portò la bottiglietta d’acqua alle labbra, fingendo un disinteresse che non provava affatto. Proprio in quel momento, anche la scimmia guardò nella sua direzione… e Kibum prese immediatamente fuoco.
 
Sputacchiò il liquido incolore che gli era andato di traverso, solleticando in questo modo l’ilarità dell’amico. Minho si piegò immediatamente verso di lui, porgendogli un tovagliolino e cercando di trattenere l’irruente attacco di risa che gli stava salendo in gola. Alla fine non riuscì a resistere… e il biondo lo inondò con una vastissima serie di imprecazioni poco signorili.
 
“Perdonami Hyung, ma… proprio non ce la faccio!” bofonchiò il più piccolo, accasciandosi sul tavolo… e utilizzando le braccia per ripararsi dagli schiaffoni di Kibum.
 
“Cosa succede qui?” interruppe quella piccola battaglia la voce di Jinki, che si stava avvicinando a loro con un vassoio in mano.
 
Poco alla volta le acque si calmarono, grazie soprattutto all’intervento diplomatico del maggiore. Il biondo guardò in cagnesco il proprio vicino ancora per un po’, e quando questi gli porse il proprio dolce… la riconciliazione venne ufficialmente firmata.
 
Diversi metri più avanti, Jonghyun seguiva interessato la scena. Kibum sorrideva di continuo adesso, consumando con occhietti adoranti la propria fetta di torta extra, e ascoltando con candida devozione le parole dell’assistente di laboratorio. Quando un leggero venticello, proveniente dalla finestra socchiusa alle sue spalle, gli scompigliò appena i capelli… lo vide sbuffare e lamentarsi.
 
Le dita di quel tizio, di cui ancora non conosceva il nome, si posarono con familiarità sulla testa del suo compagno di laboratorio… rimettendo al loro posto i ciuffi biondi. Il bruno distolse velocemente lo sguardo, ignorando la spiacevole sensazione che l’aveva invaso a quella vista. La ragazza al suo fianco gli sorrise, gettando un’occhiata al tavolo poco distante.
 
“Quello non è il tipo che fa chimica con te?” gli chiese interessata, punzecchiando divertita il suo braccio muscoloso. Jonghyun grugnì la propria risposta, infastidito. “Mmm… carino…” commentò ancora l’amica, sorridendo compiaciuta mentre la sua espressione diveniva sempre più cupa.
 
“Aahh tesoro miooo!” esclamò smielata, tirandoselo addosso con forza inaspettata “Non preoccuparti! Tu sei sempre il mio preferito!” annunciò con convinzione, schioccandogli un bacio piuttosto rumoroso sul volto imbronciato. Il bruno scosse la testa, lasciandosi abbracciare… e il buon umore tornò a fargli compagnia.
 
“Conosci quel tizio?” le domandò incuriosito, mentre il ragazzo accanto a Kibum sollevava una mano nella loro direzione.
 
“Si, Choi Minho… frequentiamo lingue e calcolo insieme” spiegò veloce, rispondendo con un sorriso al saluto del moro. “E’ un tipo apposto, e poi… hai visto che fisico!” aggiunse con enfasi, giungendo entrambe le mani davanti alla propria espressione euforica.
 
Jonghyun sollevò con nonchalance la manica della maglia a maniche lunghe, spiattellando il proprio bicipite sotto lo sguardo estasiato della ragazza. “Dicevi?” le chiese sornione, vedendola arrossire come un pomodoro.
 
La tipa dai capelli schiariti ridacchio piano, imbarazzata, e nascose il volto in fiamme sulle braccia che aveva incrociato sul tavolo. Il bruno scosse la testa, divertito, e scompigliò con amore la sua zazzera bionda.
 
“La conosci?” volle sapere un’altra persona, ad un altro tavolo… mentre gli occhi di Minho seguivano lo sguardo di Kibum, fino al volto di quella ragazza dalle guance imporporate.
 
“Park Hyuri, frequentiamo delle lezioni insieme” rispose il moro, scrollando appena le spalle “Perché ti interessa?” aggiunse, e la leggera nota sarcastica della sua voce non sfuggì al compagno che gli sedeva a fianco.
 
“Niente che t’importi!” lo rimbeccò il più grande, scocciato dal suo atteggiamento. Una nuova schermaglia stava per iniziare, ma Jinki si affrettò a mettersi nuovamente in mezzo.
 
“Parlando di cose più importanti…” esordì pensieroso, affondando le bacchette nel proprio piatto di riso “Hai poi trovato qualcuno per il tuo appartamento?” chiese fiducioso, sollevando lo sguardo in direzione di Kibum “Ho notato che non c’è traccia del tuo volantino… in bacheca” spiegò, facendo spallucce “Credevo l’avessi tolto tu…” aggiunse ancora, inarcando le sopracciglia di fronte all’espressione sorpresa del biondo.
 
“Ah, no…” rispose prontamente Minho “Ma quello non è durato neanche dieci secondi…” affermò convinto, mentre i suoi occhi divertiti si spostavano automaticamente verso il tavolo di Hyuri “Qualcuno… l’ha tolto subito dopo che noi ci siamo allontanati…”
 
Kibum rimase in silenzio. Seguì semplicemente il suo sguardo, incrociando subito dopo… quello dolce di Jonghyun. Deglutì rumorosamente, e quella nuova scoperta rese improvvisamente secca la sua gola. Non sapeva cosa dire… cosa fare. Doveva esserne felice? Doveva sentirsi in trappola? Non lo sapeva.
 
La mente andò completamente in bianco, e le guance bruciarono per l’emozione. L’intera sala mensa… fu privata tutto d’un colpo dell’incessante chiacchiericcio dei suoi ospiti. Solo un rumore… pressante… irregolare. Lo stava avvolgendo… lo stava assordando.
 

BUM.  BUM.  BUM.  BUM.  BUM.

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Capitolo 5
*** Domenica, nei miei pensieri... ***



 

Capitolo 04 - Domenica, nei miei pensieri...

Camminavo lentamente, percorrendo quel lungo viale alberato con Lucy al mio fianco. Anche lei sembrava serena. Scodinzolava… la lingua penzoloni fuori dalla bocca, e gli occhioni scuri puntati su di una palla rossa, abbandonata poco più avanti. Sorrisi, intuendo i suoi pensieri canini, e mi avvicinai a quello oggetto dalla forma sferica... che aveva attirato l’attenzione della mia amica.

Non mi piaceva particolarmente l’idea di raccogliere qualcosa che non mi apparteneva. Chi aveva toccato quella palla prima di me? Dove era stata per tutto quel tempo? Storsi le labbra, disgustato dalle stesse congetture che il mio cervello stava formulando. Tirai fuori un pacchetto di fazzoletti dalla tasca interna del giubbotto, e ne estrassi velocemente due.

Lucy fece per avvicinare il musetto umido alla sfera rossa, ma io la tirai tempestivamente indietro. Neanche morto avrei permesso che ci giocasse. Non prima di averla lavata, almeno. Utilizzai quei guanti improvvisati per raccoglierla, e mi avvicinai rapidamente ad una fontanella poco distante… che avevo notato lungo la strada.

L’acqua fredda mi fece un attimo rabbrividire, e lasciai andare al suolo i fazzolettini che avevo in mano. La palla, se non altro, adesso era “un po’” più pulita. Sorrisi, soddisfatto, e la coda di Lucy prese a muoversi più veloce... vittima dell’entusiasmo, che solo un grosso cagnolone come lei poteva possedere.

Raccolsi da terra quello che ci avevo lasciato cadere poco prima e, passando accanto ad una pattumiera, entrai in quel grande parco poco lontano da casa. L’aria era fresca, ma non troppo. Il sole dava bella mostra di sé… alto nel cielo, illuminando le aiuole curate. Mi sedetti all’ombra, su di una panchina dall’aspetto un po’ diroccato, e sollevai in aria il braccio.

Lucy, che si era appollaiata al mio fianco, scattò immediatamente sulle zampe… catapultandosi all’inseguimento della palla. Poggiai la schiena al sedile in pietra, sorridendo della sua pazza corsa. Era autunno. L’autunno mi piaceva. Anche la primavera mi piaceva. A dirla tutta… mi piacevano le mezze stagioni. Né troppo freddo, né troppo caldo.

D’autunno… le foglie degli alberi diventavano di mille colori diversi. Le svariate sfumature dell’arancio, del giallo e del rosso… avvolgevano tutto ciò che mi era attorno. Erano tonalità calde, piene di vita. Sebbene abbandonate, da quello stesso albero che le aveva viste nascere… quelle foglie, stese a dormire sull’asfalto, non erano realmente morte.

Una ragazza le raccoglieva, portandole con sé. Le avrebbe utilizzate per riempire un qualche piccolo vassoio dall’aspetto anonimo… che avrebbe poi posizionato al centro di un tavolo rotondo, in una casa sempre piena di persone. Un bambino ci avrebbe giocato, tra un giro sullo scivolo ed uno in altalena, fantasticando su quei colori… che gli ricordavano tanto il tramonto.

Poi sarebbe arrivato il vento… libero… inarrestabile. Le foglie si sarebbero librate nell’aria… volando in alto… lontane. Senza catene, senza legami. Avrebbero viaggiato vicine, incontrando qualche sorella dimenticata lungo il cammino… avrebbero scoperto città diverse, in paesi diversi… adagiandosi silenziose, sui balconi di quelle persone che non avevano mai conosciuto.

Guardai quelle foglie… e la loro semplice essenza mi avvolse. Antoine-Laurent de Lavoisier diceva: “Nulla si crea, nulla si distrugge… tutto si trasforma”. La terra dà, la terra toglie. L’albero che l’aveva generata… aveva abbandonato quella misera forma irregolare di colore arancione, che in quel momento io tenevo tra le mani. Quella non era la sua fine. Quella foglia… non era nata per poi morire, da sola, su quel terreno che si preparava all’inverno.

La trasformazione era iniziata. Un tempo parte di quell’albero, con i suoi rami e le sue radici. Adesso… libera. Ogni limite era stata annullato. Avrebbe potuto viaggiare, conoscere le lingue e i profumi di altri luoghi… lontani o vicini che fossero. Il vento l’avrebbe aiutata. Il vento… l’avrebbe cullata. Schiusi le dita, allentai la presa… e quella foglia dai caldi colori… volò via.

La lingua ruvida di Lucy mi sfiorò la mano, e io chinai la testa… sorridendole. Raccolsi nuovamente la palla, e la lanciai più lontano. Il morbido manto scuro si perse oltre una siepe, e non riuscii più a vederla. L’ignoto… non mi ha mai attirato molto. Mi misi velocemente in piedi, finendo per arrampicarmi sulla panchina.

Da lontano, riuscii a scorgere quella tenera bestiola che avevo imparato ad amare. Scodinzolava verso il suo tesoro, raccogliendolo fra i denti minacciosi… che non erano realmente capaci di fare del male. Trotterellò entusiasta nella mia direzione, e quando riapparve… al centro del parco… potei tornare a sedermi.

“Brava la mia cucciola…” le dissi a bassa voce, concedendole quelle carezze che tanto desiderava. Molto presto, me la ritrovai sulle gambe. Era saltata a sua volta sulla panchina, accoccolando la grossa testa sul mio grembo. Sorrisi ancora, e le mie dita scomparvero oltre il suo pelo scuro.

 

*****


Taemin finì velocemente il suo bicchiere di latte, affrettandosi a sciacquarlo. Era tardi. Controllò ancora una volta l’orologio… le 09:30. Sbuffò, nervoso, e l’immagine della sua omma infuriata lo fece rabbrividire.

Kibum era uscito già da diverso tempo, portando Lucy a fare la sua passeggiata mattutina. Con un libro sotto braccio, e un sopracciglio alzato… aveva fissato contrariato l’immagine del più piccolo, ancora con il pigiama addosso.

“Avete intenzione di farmi aspettare anche oggi?” la domanda era ovviamente retorica, e il ragazzino non si azzardò a replicare. “Alle 10:00, solito posto. Ci sarà anche Jinki. Lasciatemi lì appeso…” aggiunse minaccioso “e ve ne pentirete!”

Le mani tremarono appena, e Taemin afferrò rapidamente il proprio giubbotto. Il suo coinquilino ancora dormiva. Spalancò la porta senza neanche bussare. Minho non avrebbe risposto… non lo faceva mai. Perso nel suo mondo fatato, poltriva come un ghiro fin quando qualcuno (indovinate un po’ chi?) non era costretto a strattonarlo con forza… buttandolo giù dal letto.

Il più piccolo sospirò pesantemente, portandosi entrambe le mani sui fianchi. Trasse qualche respiro profondo, preparandosi mentalmente alla battaglia. Abitudine di ogni giorno oramai, ma pur sempre parecchio rognosa. Inspirò un poderoso quantitativo d’aria… e le urla iniziarono.

“Hyung! E’ mattina! Alzati immediatamente!” strillò a squarciagola e, per tutta risposta, il moro si voltò con un grugnito dal lato opposto “Yah, Hyung!” sbraitò ancora, afferrando le coperte con entrambe le mani.

Tirò con forza… un colpo deciso. Il corpo di Minho fu attraversato da un brivido, mentre l’aria fresca del mattino lo prendeva alla sprovvista. Non si lasciò abbattere. Raggomitolò il suo gigantesco corpo su se stesso, e riprese a russare.

“Aishh!” si lamentò esasperato il ragazzino di fronte a lui “Omma ucciderà entrambi, non lo capisci?!” si lagnò la sua vocina acuta, mentre il suo proprietario… con un gesto disperato… si fiondava sul letto.

Il moro spalancò gli occhi di colpo, improvvisamente sveglio. Le dita impertinenti di Taemin si erano velocemente insinuate sotto la sua maglietta, solleticandogli i fianchi sensibili. Si contorse, cercando di sfuggire a quella piccola vendetta. Nel farlo… rotolò rovinosamente a terra. Le mani si chiusero intorno alle braccia del più piccolo, che con un’esclamazione di sorpresa… lo seguì nella sua caduta.

La testa finì al suolo, producendo un rumore sordo. Gli occhioni preoccupati del ragazzino che gli stava sopra… si puntarono veloci sui suoi. Una smorfia distorse i lineamenti di Minho, mentre questi sollevava una mano… massaggiandosi il punto dolorante.

“Hyung?” squittì il suo coinquilino, abbassandosi sul suo viso e portando le dita delicate sul petto del più grande “Ti sei fatto male?!” chiese apprensivo, e le labbra tremarono appena per la paura.

Gli occhi del moro furono attraversati da un lampo di furbizia, mentre questi si lasciava sfuggire un rantolo forzato… che l’ingenuità di Taemin attribuì immediatamente alla sofferenza. Poi Minho finse di perdere per un attimo il respiro, e chiuse improvvisamente gli occhi. Il volto inespressivo venne abbandonato sul pavimento freddo, e le mani del più piccolo si chiusero con forza intorno alla sua maglia.

“Hyung?! Hyung?! Hyung?!” strillò l’amico in preda al panico, scuotendo il grosso corpo apparentemente privo di conoscenza “Hyung?! Ti prego! Ti prego, rispondimi!” iniziò a piagnucolare il povero ragazzino, tirando su con il naso e aggrappandosi con terrore alle spalle del più grande.

Minho sorrise mentalmente, soddisfatto della sua piccola vendetta. Non voleva farlo piangere, gli era bastato… preoccuparlo un po’. Era sul punto di aprire gli occhi, con la sua aria sarcastica e il sorriso sornione sulle labbra divertite… quando uno schiaffo si abbatté con forza sulla sua guancia.

“Hyung, devi riprenderti!” aveva urlato Taemin in quel momento, sollevando ancora una volta la mano in aria “Non ci pensare neanche a morire!” aggiunse con forza, ma a quel punto… il moro era già scattato a sedere.

Gli occhioni lucidi del più piccolo accolsero la sua espressione stralunata, mentre questi si lanciava euforico contro il suo petto. Le braccia sottili lo avvolsero, stritolandolo nella presa inaspettata che si era serrata intorno al suo collo. Minho era sul punto di urlargli qualcosa di poco carino. Qualcosa del tipo “Ma perché diavolo mi hai picchiato?!”. Taemin però stava già singhiozzando sulla sua spalla, tremando come un bambino… per il pericolo di cui l’aveva creduto vittima.

“Stai bene… stai bene…” continuava a mormorare tra le lacrime, lasciandolo allibito.

Perché piangi? Ti ho fatto preoccupare così tanto? Che idiota che sono! Scusami piccolo… non volevo farti piangere. Era solo uno scherzo, ma… uno scherzo terribilmente bastardo. Hai ragione tu.

Se lo strinse velocemente addosso, cullandolo fra le braccia come si farebbe con un neonato. Il più piccolo abbandonò la fronte sul suo collo, lasciando che il moro… si prendesse cura delle sue paure.

 

*****


Respirai a pieni polmoni quell’aria un po’ pungente, che mi pizzicò il naso. Sorrisi, grattandolo piano… e scalciai uno dei sassolini lungo la strada. Mi guardai attorno, nascondendo uno sbadiglio dietro la mano. Era dannatamente presto, ma avevo bisogno di fare la spesa.

Davanti a me, due bambini dalle guance arrossate e il fiato corto, mi vennero incontro correndo. Erano piccoli… non più di nove anni ciascuno. Guardai alle loro spalle, alla ricerca di un adulto, e i miei occhi incrociarono quelli di una ragazza dai capelli legati. Era molto carina, constatai immediatamente. Lei rimase per un attimo imbambolata, con lo sguardo fisso nel mio, e poi arrossì… chinando il capo.

Uno dei due “maratoneti” mi si abbatté addosso come una furia, dimenticandosi le buone maniere. Si stavano rincorrendo, lui e l’altro ragazzino, e non riuscì a fargliene una colpa. L’unica cosa che la mia mente registrò in quel momento, fu il passo incerto che portò avanti… subito dopo l’urto. Aveva perso l’equilibrio. Mi chinai istintivamente in avanti, sorreggendolo.

Si mosse appena, agitato a causa di quella mano improvvisa che l’aveva stretto con forza, e lo lasciai velocemente libero. Batté un paio di volte le palpebre, fissando con indugio il sorriso che gli stavo rivolgendo. Parve capire. Si chinò rapidamente davanti a me, ringraziandomi con quella vocina sottile… che era così tipica nei bambini della sua età.

La ragazza nel frattempo ci aveva raggiunti, imitando i gesti della persona che avevo appena soccorso. Cercai di trattenermi il meno possibile. Risposi con educazione ai suoi ringraziamenti, salutando i due bambini con una pacca sulla testa… e ripresi la mia passeggiata. Lo sguardo che mi aveva lanciato… era stato fin troppo chiaro. Se mi fossi fermato a parlare, probabilmente si sarebbe fatta qualche illusione.

Lungo la strada mi fermai davanti ad un fioraio, che con una pompa verde in mano… stava ripulendo l’entrata del suo negozietto dalle foglie secche. Mi piaceva osservare le persone la mattina presto, impegnate in quelle piccole attività quotidiane così ordinarie… che mi facevano sorridere. Raccolsi un piccolo bocciolo di rosa, che spezzandosi dal suo stelo… era stato abbandonato sull’asfalto.

Me lo rigirai pensieroso tra le mani, ricominciando a camminare. Era bianco, delicato… morbido e liscio sulla mia pelle. Lo avvicinai al naso, e respirai piano il suo profumo. Ad occhi chiusi, e con la mente ancora un po’ assonnata… non riuscii a concentrarmi su quel gradevole odore.

Paragonai quel colore immacolato… al pallore di una pelle, che quel giorno non sarei riuscito a vedere. Quella fragranza piacevole… alla vaniglia che mi aveva avvolto i sensi, in quel cortile, quella mattina. Anche la sensazione sulle dita sarebbe stata la stessa? Anche lui era morbido e liscio… come quella rosa?

Spalancai gli occhi, avvertendo la vampata improvvisa di calore che mi era salita alle guance. Dovevo smetterla con tutti quei pensieri strani. Dannazione! Sbuffai, svoltando rapidamente a destra. Ricordavo che ci doveva essere una fontana da quelle parti. Attraversai velocemente la strada, e percorsi in fretta quel lungo viale alberato.

L’avevo trovata. Feci roteare velocemente la manovella, e infilai entrambe le mani sotto il getto freddo. Sciacquai il viso… più volte, con esasperazione… e sospirai contro i palmi aperti. Sollevai il capo, ancora un po’ frastornato, incamminandomi verso il parco.

Il bocciolo di rosa... lo nascosi nella tasca interna del giubbotto. Non mi andava ancora di buttarlo via. Allontanai i pensieri confusi dal volto delicato del mio compagno di laboratorio, ma… contro ogni previsione… i miei piedi si bloccarono all’istante.

Un libro dalla copertina consumata, la frangetta bionda dietro l’orecchio… e una macchia nera accucciata al suo fianco. Il ragazzo sulla panchina sorrise, cambiando pagina… mentre la mano libera scompariva oltre il manto scuro di quel tenero ammasso di pelo.

Erano stati i miei pensieri a farlo materializzare? Kibum? Il suo volto pallido, le sue labbra a forma di cuore, il suo profilo delicato. Deglutì a fatica, senza notare gli occhioni scuri che si erano puntati sulla mia figura. Fu questione di pochi secondi, ma preso dalla paura… quegli attimi mi parvero eterni.

Lucy abbaiò forte, sollevandosi sulle zampe e scuotendo la lunga coda scura. Mi fissava. Mi aveva riconosciuto. Fece per scendere dalla panchina, ma una mano si levò immediatamente sul suo collare… trattenendola. Kibum chiuse con un movimento leggero il libro, adagiandolo sulla pietra fredda. I capelli sfuggirono al loro sostegno, ricadendo sulla fronte… nascondendo i suoi occhi.

Non avrei avuto un’altra occasione. Stava per voltarsi. Lo sapevo. Scivolai a terra con la rapidità di un fulmine, e mi appiattii al suolo come il peggiore dei ladri. Ma cosa diamine stavo facendo?! Il cespuglio dietro il quale mi ero nascosto era abbastanza rigoglioso. Ero al sicuro lì. Ma al sicuro da cosa?!

“Cosa c’è cucciola?” la sua voce rassicurante giunse fino a me, facendomi rabbrividire “Stai diventando paranoica come il tuo padrone?” le chiese scherzoso, e io non riuscì a trattenere un sorriso.

Il cane continuò ad abbaiare, ma Kibum doveva essere convinto che non avesse un valido motivo per farlo. Quando i passi si allontanarono… mi rimasi lentamente in piedi. Portai una mano sul petto, lasciando andare un pesante sospiro. Quanto potevo essere idiota?!

Osservai le sue esili spalle, ormai lontane, mentre lasciava il parco e svoltava a sinistra. Aveva preso il cellulare, e se l’era portato all’orecchio. Con chi parlava? Dove andava? Troppe domande, a cui non riuscivo a rispondere. Sollevai il cappuccio della felpa sulla testa… e lo seguii.

 

*****


Taemin continuava a tenere il capo chino, e la fronte corrucciata. Jinki, che gli camminava a fianco, aveva già da tempo notato i suoi occhi, incredibilmente lucidi. Lo sguardo perplesso corse verso la figura atletica di Minho, scrutando la sua espressione frustrata.

“Ma è successo qualcosa?” chiese alla fine, stanco del silenzio snervante che si era creato tra loro.

A quella domanda, il ragazzino dai capelli castani rabbrividì impercettibilmente, e il volto perse ancora un po’ del suo colorito. Le mani tremarono, dentro le tasche di quei pantaloni troppo larghi, mentre i suoi occhioni scuri incrociavano la figura della sua omma… poco distante.

Kibum stava con la schiena appoggiata alla parete, e Lucy si era compostamente seduta al suo fianco. Lo sguardo attento si voltava a destra, e subito dopo a sinistra. Sembrava stesse cercando qualcosa. Poi i suoi occhi felini si puntarono su Taemin, e le braccia si aprirono istantaneamente nella direzione del più piccolo. Quando quest’ultimo gli corse incontro, abbracciandolo forte… una nuova consapevolezza si fece largo nella mente del biondo.

“Cosa diavolo gli hai fatto?!” sputò fuori con astio, senza lasciarsi impietosire dallo sguardo supplichevole di Minho.

Jinki aveva accompagnato il più giovane al bagno, mentre le lacrime avevano ricominciato a bagnare quel volto… ancora incredibilmente infantile. Avevano preso posto al piccolo bar, nel quale facevano colazione ogni domenica, e Kibum sembrava davvero furioso.

“M-ma… pe-perché pensi…?” cercò di giustificarsi il moro, ma la risposta secca del suo interlocutore non gli permise di formulare il resto della domanda.

“Sento la puzza dei tuoi sensi di colpa fin da qui!” rispose con durezza il più grande, poggiando entrambe le mani sul tavolo… e protendendosi minaccioso nella sua direzione “Adesso…” scandì con lentezza “parla!”

Minho sospirò pesantemente, intrappolato dallo sguardo categorico dell’amico, e raccontò brevemente quello che era successo appena sveglio. Di fronte a lui, gli occhi di Kibum si riempirono di tristezza… e tutta la rabbia che aveva guidato i gesti di poco prima, lo abbandonò d’un colpo solo.

“Capisco…” commentò semplicemente “Non lo fare mai più. Per nessun motivo” si raccomandò, sorridendogli mestamente “Non è facile per lui…” concluse con rammarico, incurvando le spalle delicate… mentre si lasciava andare contro lo schienale della propria sedia.

“Ma… cosa…?”

Il moro avrebbe voluto chiedere tante cose. Il perché delle lacrime di Taemin. Il perché della tristezza di Kibum. E soprattutto… come queste due cose fossero legate tra loro. Non sapeva. Non conosceva ancora la natura della ferita, che continuava a straziare il cuore fragile… del suo piccolo coinquilino.

Gli altri due si stavano avvicinando, in silenzio e un po’ accigliati. Non c’era tempo per le domande. Avrebbe dovuto aspettare. Quando lui e Kibum fossero rimasti da soli… allora avrebbe fatto in modo che il più grande chiarisse i suoi dubbi. Per il momento, l’unica cosa che importava, era far tornare a sorridere… le dolci labbra di Taemin.

 

*****


Ordinai il mio solito croissant, e la cioccolata calda. Il mio Minnie sembrava sentirsi meglio. Minho continuava a riempirgli il piatto con ogni leccornia immaginabile e possibile, ripetendo che il conto l’avrebbe pagato lui quel giorno. Si sentiva in colpa, lo sapevo. Solo io conoscevo la verità, e l’avevo scoperta quasi per caso.

Qualche mese prima, subito dopo la fine degli esami, avevo invitato il mio dolce vicino ad accompagnarmi per negozi. Era un ragazzetto tenero e dalle guance paffute… lo avrei riempito di coccole dalla mattina alla sera!

Lui mi seguì mesto mesto, sorridendo alle mie battute idiote e lasciandosi trascinare senza sosta da un posto all’altro. Al ritorno gli avevo anche comprato un gelato, per ringraziarlo. Eravamo vicino casa quando accadde. Un forte odore di incenso mi invase i sensi, infastidendomi. Ma dove diavolo veniva?

Accanto a me, Taemin si era bloccato di colpo… sgranando gli occhi nel vuoto. Lo chiamai, preoccupato… ma non rispose. All’improvviso scivolò a terra, si portò le mani sulle orecchie… lamentandosi sottovoce di non capivo bene quale cosa… e si mise a piangere.

Quasi mi veniva un colpo, non ci capivo più niente. Finii per inginocchiarmi accanto a lui, stringendomelo al petto, mentre cercavo di placare i forti singhiozzi che lo stavano scuotendo. Poi capii. Ebbi come un’illuminazione. Quell’odore di incenso proveniva dalle onorificenze di una veglia funebre. Qualcuno doveva essere morto, qualche palazzo più avanti.

Le dita del ragazzino si strinsero sulla mia maglietta, pregandomi di non lasciarlo solo. Riuscii a farlo alzare, trascinandolo a forza lontano da lì. Se il suo problema era quello che immaginavo, allora la prima cosa da fare sarebbe stata portarlo via. Arrivammo fino a casa, e io sapevo che Minho non ci sarebbe stato quel giorno. Lo guidai direttamente nel mio appartamento, e lui non protestò.

Dopo una tazza di thè, e diversi minuti di silenzio… mi raccontò tutto. L’incidente dei suoi genitori. La fine della sua vita da adolescente. La difficoltà di vivere in quella casa che non sentiva più sua. Le preghiere ai suoi nonni, e infine il trasferimento a Seul. La madre di suo padre, la signora Lee, conosceva quella di Jinki.

Ricordo che solo allora ci pensai… a cosa ci facesse un ragazzino delle superiori in un dormitorio universitario. Ecco svelato il mistero. I nonni gli avevano concesso di vivere lontano, ma avevano stabilito una regola. Avrebbe abitato in uno degli appartamenti di quella vecchia amica di famiglia, e Jinki si sarebbe impegnato a tenere d’occhio il loro piccolo nipote.

Scossi la testa, cercando di allontanare quei ricordi tristi… e cercai di concentrarmi sul liquido caldo che tenevo tra le mani. Il piacevole profumo della cioccolata mi solleticò il naso, mentre io chiudevo gli occhi estasiato. Bevvi un lungo sorso, e le mie dita scivolarono verso il croissant al cioccolato.

Vibrai appena, sollevando di scatto la testa. Ancora! Ma che diavolo mi stava prendendo?! Ero impazzito, ecco la spiegazione! Fin da quel dannato parco, continuavo ad immaginarmi lo sguardo dolce del mio compagno di laboratorio… puntato addosso a me, proprio in mezzo alle mie spalle.

“Aishh!” mi lamentai infastidito, e Minho sollevò un sopracciglio nella mia direzione. Lo ignorai, guardandomi freneticamente intorno. Non potevo crederci… adesso anche le allucinazioni mi faceva venire!

“Kibum? Che ti prende?” mi richiamò alla realtà la voce calda di Jinki, che come me aveva preso a guardare fuori dalla finestra. Che cavolo di figura che stavo facendo…

“Nulla…” mormorai, arricciando le labbra, obbligandomi ad ignorare quella piacevole sensazione che ancora sentivo sulla pelle. Quel ragazzo… mi avrebbe portato alla pazzia!

Finimmo di fare colazione in tutta tranquillità, parlando del più e del meno. Il musetto di Lucy mi solleticò una mano, da sotto il tavolo, e io le porsi un pezzo del mio dolce. Per fortuna quel bar permetteva l’accesso agli animali. Lei scodinzolò felice, regalandomi una breve leccatina di ringraziamento. Mi appuntai mentalmente di passare dal bagno, prima di andare via… e regalai alla mia dolce cucciola il resto del croissant.

“Sei sicuro che le faccia bene?” mi chiese Minho pensieroso “Ho sentito dire che i cani non dovrebbero mangiare dolci…” aggiunse serio, e accanto a lui Jinki confermò quello che diceva.

Mi morsi le labbra, e abbassai velocemente gli occhi verso Lucy. Troppo tardi, aveva già mangiato tutto. Idiota Kibum! Nuovo appunto mentale: Non permettere più al cane di mangiare cibo da umani. Accarezzai la sua testolona scura, e sospirai.

Fuori dal locale, l’aria era diventata incredibilmente fredda. Tirai su il colletto del giubbotto, e feci lo stesso con quello di Taemin. Lui mi sorrise, ringraziandomi… e io scompigliai i suoi capelli castani. Lo adoravo quel ragazzino.

Lungo la via di ritorno chiamai mia madre, chiedendole quando sarebbe arrivata. Mi indicò una data precisa, del mese successivo, e la appuntai sulla mia inseparabile agenda. Come al solito… nessuno dei due nominò mio padre. Per un attimo lo rividi. La sua figura composta, i capelli brizzolati… da quanto tempo non ci parlavamo? Tre anni ormai.

Ricacciai indietro la sensazione spiacevole che mi si era posata sul petto, obbligando l’immagine di quell’uomo ad arretrare, fino ad un punto nascosto… gelosamente custodito in un’angolo remoto del mio cuore. Non volevo pensarci ancora. Non dopo tutto quel silenzio.

Svoltammo a destra, e poi a sinistra. Sorrisi, mentre il nostro piccolo palazzotto arancione diveniva sempre più vicino. Quella era la mia nuova casa… e quella era la mia nuova famiglia. Feci scivolare lo sguardo sui volti gentili di Jinki, Taemin e Minho. Loro erano diversi. Loro mi capivano. Sospirai, e recuperai dalla borsa le chiavi del mio appartamento.

 

*****


Quante volte ero stato sul punto di essere scoperto fino ad allora? Cinque? Sei? Sette? Avevo perso il conto. Kibum sembrava stranamente sensibile alla mia presenza, e continuava a guardarsi intorno con aria apprensiva. Possibile che fossi davvero io la persona che stava cercando?

Impossibile, lui praticamente mi odiava! Poi ripensai a tutte le sue gentilezze di quegli ultimi giorni. L’aiuto in laboratorio, la spiegazione in cortile… e il block notes pieno di appunti che mi aveva prestato. Magari mi sbagliavo. Magari cominciavo sul serio a stargli simpatico.

Osservai la sua camminata elegante, mentre infilava le chiavi nella toppa di quel grande portone dall’aspetto non propriamente nuovo… e scompariva insieme agli altri dentro quel palazzo dai caldi colori. Così era quello… lo stabile di Jinki. Anche quel tizio abitava lì. Quel grosso ragazzone dai capelli neri, che gli girava sempre attorno.

Riconobbi anche il ragazzino dai lineamenti delicati… lo avevo visto all’università, il giorno che Kibum aveva collocato in bacheca il suo volantino. Già… il volantino. Infilai una mano nella tasca dei jeans. Me lo portavo sempre dietro ultimamente, spostandolo con meticolosità da un pantalone all’altro. Ogni pomeriggio cercavo il coraggio di fermarlo… parlargli della mia idea di trasferirmi, e mostrargli quell’annuncio. Inutile, ero un fifone!

Sospirai, facendo per allontanarmi. Ero stato egoista fra l’altro. Il giorno che l’avevo letto, lo avevo anche velocemente staccato dal suo posto in bacheca… senza permettere ad altri di vederlo. In questo modo… nessuno avrebbe potuto contattarlo. Ma non gli stavo certo facendo un favore, giusto? Cosa avrebbe fatto se qualcuno non si fosse fatto avanti per dividere le spese con lui? Avrebbe dovuto continuare a pagare tutto da solo?

Quanto sei stupido Jonghyun! Potrà sempre scrivere un altro volantino, tornare ad attaccarlo in bacheca… e così qualcun altro potrà trasferirsi con lui. Mi bloccai di colpo, congelato da quella possibilità. Aishh! Ma cosa diavolo stavo combinando?! Feci dietro-front, e corsi “letteralmente” verso casa di Kibum.

Ci sarei andato io a vivere con lui! Cosa poteva fare infondo? Rifiutarmi? Aveva bisogno di un coinquilino, e io ero disposto a diventarlo. Che c’era di così complicato?! All’inferno io e le mie paranoie, lo avrei convinto!

Salii i gradini due alla volta, mentre il respiro mi si spezzava in gola e il cuore prendeva a battermi più forte nel petto. Ero agitato. Agitato e sudato. Quelli non erano sicuramente punti a mio vantaggio! Mi bloccai sul primo pianerottolo, piegandomi sulle ginocchia e cercando di riprendere fiato. Dovevo calmarmi. Calmarmi e preparare qualcosa da dirgli.

Una macchia scura comparve velocemente nel mio raggio visivo, sorprendendomi. Mi stava correndo incontro… scodinzolante e con la lingua penzoloni fuori dalla bocca. Lucy! Il mio cuore fece una capriola all’indietro. Se lei era lì, allora…

Il grosso animale mi arrivò addosso, cercando di attirare la mia attenzione. Persi l’equilibrio, ancora immerso nel mio mondo di preoccupazioni, e finii a terra… con lei sopra. Abbaiava, eccitata… strofinando il grosso naso umido sulla mia faccia allibita.

Delle dita sottili si chiusero sul suo collare rosso, strattonandola appena. Tremai… la conoscevo quella mano. Il cane indietreggiò, ubbidendo immediatamente agli ordini del suo padrone. Vidi i capelli biondi, e le labbra rosse… mentre Kibum la rimproverava con un dito per aria.

“Cosa stavi facendo? Che fine hanno fatto le buone maniere?” pronunciava con severità la sua voce melodiosa, e io non riuscii a fare altro che fissarlo... come uno stupido. Non mi aveva ancora riconosciuto.

“Le chiedo scusa… non so cosa le sia…” le ultime parole si affievolirono, perdendosi negli occhi sgranati che mi aveva appena puntato addosso “Jonghyun?” mormorò lentamente, mentre le sue guance delicate si tingevano rapidamente di rosso.

 

In quel momento… avrei tanto voluto morire!

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Capitolo 6
*** Una settimana in prova ***


NOTE

Chiedo umilmente perdono per il ritardo... non è stata colpa mia, giuro! x.x
Il mio collegamento ad internet ieri sera faceva cilecca, e purtroppo ho dovuto rimandare ad oggi l'inserimento del
nuovo capitolo. Confido nella vostra clemenza... un abbraccio a tutte quante! ^^

(Aiutami tu Jongie... con quegli occhietti dolci che hai! >.< Non riuscirebbero mai a prendersela con te! u.u)





 

Capitolo 05 - Una settimana in prova

“E così si è fatto avanti, finalmente…” commentò Minho divertito, portandosi un pezzo di carne alle labbra e sorridendo sornione di fronte agli occhi irritati di Kibum.
 
“Ridi quanto ti pare, ma io non ho ancora accettato!” rispose quest’ultimo sbuffando, e con un gesto stizzito gettò da parte le proprie bacchette. Gli era passato l’appetito. “Perché avrei dovuto farlo poi…” continuò con petulanza, arricciando le labbra in una smorfia disgustata “Non ha praticamente spiccicato parola. Mi ha mollato quel dannatissimo volantino in mano, e poi mi ha praticamente urlato in faccia di pensarci! Sembrava un pazzo!” aggiunse, incupendosi di nuovo.
 
“Povero ragazzo…” commentò Jinki, che fino ad allora era rimasto in silenzio “Come si fa a farsi amare da un tipo come te?” aggiunse ironico, spalancando le braccia verso il soffitto e sospirando teatralmente.
 
Kibum non rispose nulla, ma il suo broncio contrariato toccava praticamente terra. Incrociò le braccia sul tavolo, e ci abbandonò sopra la testa. “Che cosa devo fare?” mormorò afflitto, mentre Minho allungava la sua grande mano sulle spalle ricurve dell’amico.
 
“Non farla così tragica Hyung…” lo incoraggiò, cercando di non scoppiare a ridere “Pensavo che ultimamente cominciasse a nascere… un certo feeling tra voi…” rincarò divertito, e la risatina che seguì le sue parole ridestò completamente il caratteraccio del biondo.
 
“Yah!” esclamò Kibum indignato “Porta rispetto!” strillò furioso, spintonandolo lontano da sé “Io non ce la voglio quella scimmia in giro per casa!” affermò con fierezza, sollevando il mento e pestando un pugno sul tavolo.
 
Di fronte a lui, il moro inarcò entrambe le sopracciglia… parecchio scettico. Ma quanto ci voleva ad ammetterlo? L’aveva visto arrossire… ogni volta che quel ragazzone dai capelli scuri entrava in mensa. Gli sguardi che si lanciavano di continuo erano abbastanza loquaci, per non parlare delle insistenti domande che il biondo continuava a rivolgergli su Hyuri.
 
“Perché semplicemente non ammetti che ti piace?” gli chiese d’improvviso, incredibilmente serio. Kibum avvampò come una ragazzina, e la bassa risata di Jinki accompagnò il suo imbarazzo.
 
“Non è assolutamente vero!” urlò la vocina stridula del più grande “E’ rozzo, zotico, ignorante, petulante…” iniziò ad elencare sulla punta delle dita i difetti quasi inesistenti di Jonghyun, mentre la sua rabbia man mano andava scemando… cancellata dal viso del suo compagno di laboratorio. Questi infatti era appena entrato in sala, subito seguito da quella tizia odiosa. “Aishh!” strillò il biondo, esasperato, portandosi entrambe le mani ai capelli.
 
Minho e Jinki seguirono il suo sguardo, incontrando immediatamente l’oggetto della sua disperazione. Il bruno si stava sedendo pochi tavoli più in là, e Hyuri gli si affiancò anche quel giorno. Con gli occhi sfavillanti e un sorriso pieno d’amore, continuava a fissarlo… mostrandogli con insistenza qualcosa sul proprio cellulare. Jonghyun le cinse le spalle con un braccio, e lei appoggiò la testa sul suo petto… sospirando beata.
 
“Basta!” affermò con convinzione la persona improvvisamente agguerrita, che sedeva vicino a Minho “Adesso vado lì e…” disse concitato, mettendosi velocemente in piedi.
 
La mano del moro si allungò istintivamente in avanti, bloccandolo per un braccio. Che cosa voleva fare quel piccolo assatanato? Gli occhi di Kibum si puntarono su di lui, assetati di sangue… e il più piccolo rabbrividì all’istante. Il biondo si liberò con uno strattone, e lo sguardo minaccioso che gli rivolse inchiodò l’amico alla sedia.
 
“Non si mettono le mani addosso alle persone” sibilò il più grande tra i denti, fissandolo torvo “Di grazia…” aggiunse, con un sorriso da presa in giro sul bel volto “Per quale cavolo di motivo hai pensato bene di fermarmi?!” chiese rabbioso, pestando un piede a terra e serrando i pugni lungo i fianchi stretti.
 
“I-io pensa-savo che voles-si andare da lo-loro…” balbettò Minho, aggrappandosi istintivamente al braccio di Jinki… che invece continuava tranquillamente a consumare il pollo che aveva nel piatto “Hyung…?” lo richiamò il moro, sempre più preoccupato, scuotendolo appena.
 
“Stai calmo, non ti ucciderà mai con tutti questi testimoni…” lo rassicurò l’assistente di laboratorio, scrollando le spalle “Al massimo aspetterà di tornare a casa, prima di farlo…” aggiunse con un sorriso, sollevando lo sguardo divertito verso il volto adirato di Kibum, che nel frattempo era tornato a sedersi.
 
“Yah! Non mi aiuti così!” lo rimproverò Minho, imbronciandosi come un bambino.
 
“E chi potrebbe farlo… grosso e stupido per come sei!” commentò il biondo con una smorfia “Stavo solo andando a dirgli che poteva trasferirsi con me, comunque…” spiegò con lo sguardo basso, mentre le sue guance tornando ad imporporarsi .
 
Jinki abbassò ritmicamente la testa, confermando le parole del più piccolo. Lui l’aveva già capito. L’unico che spalancò la bocca, grattandosi nervosamente la testa… fu proprio il gigante grosso e stupido.
 
“Ehi Jong! Mi stai ascoltando?” gli chiese la voce squillante di Hyuri, mentre i suoi occhi venivano nuovamente catturati dall’elegante figura di Kibum. Prima lo aveva visto sollevarsi, piuttosto agitato. Poi quel tizio lo aveva afferrato per un braccio, e lui era tornato a sedersi.
 
Ci sarà qualcosa tra loro? Non riesco a capire, ma è strano comunque… che passino tutto questo tempo insieme. Anche con Jinki però… l’ho notato perfino a lezione. A volte si guardano, anche solo per pochi secondi, ed è come se nei loro silenzi… ci fossero nascosti mille discorsi, che io non riesco a percepire. Poi si sorridono, ed ognuno torna a quello che stava facendo.
 
Non mi piace. Non mi piace il rapporto di familiarità che vedo tra quei tre. Sarà perché vivono vicino? Sono sicuro che passano molto tempo insieme, magari si vedono tutti i pomeriggi… mentre io sono a lavoro. Cosa faranno? Kibum sorride più spesso quando è con loro. E’ come se quei due tirassero fuori il suo lato più spontaneo… meno costruito.
 
Quella volta mi ha detto che il fatto di portare gli occhiali era solo una messa in scena. Mi è sembrato tanto un suo modo per proteggersi… dai pensieri sbagliati della gente. Nasconde la sua “vera personalità” dietro quelle lenti. Quando è insieme a loro, però… non le indossa mai.
 
“Vieni!” affermò convinto Jonghyun, afferrando Hyuri per un braccio “Te lo voglio presentare!”
 
Non mi importa se mi hai promesso che ci avresti pensato… se adesso allento la presa, sono sicuro che scapperai via come un cucciolo impaurito. Non ti piace farti conoscere… non ti piace essere giudicato… non ti piace che la gente ti osservi, senza capirti davvero. Non voglio che tu sia così con me! Voglio vederle anch’io… tutte quelle espressioni sincere che concedi solo a loro. E per farlo… dobbiamo vivere insieme!
 
“Adesso vado e glielo dico, però… tu andrai con lui quando dovrà portare la sua roba” stava dicendo intanto il biondo, indicando Minho mentre frugava nella borsa “Tieni…” e gli porse le chiavi del suo appartamento.
 
Il moro lo fissò come un idiota, sembrava aver bisogno di un interprete. Che cavolo aveva detto di così strano? Sapeva che le sue lezioni sarebbero finite alle 15:00. Sulla via del ritorno… avrebbe potuto tranquillamente portarsi dietro Jonghyun, no?!
 
“Ma… scusa Hyung… perché non ci vai tu?” gli chiese l’amico, e accanto a lui… Jinki gli diede man forte.
 
“Si, Kibum” confermò il più grande, mentre l’interpellato iniziavo a perdere la pazienza “Tu finisci alle 16:00 oggi… non è molto tardi.  Farete sempre in tempo a…”
 
Strinsi gli occhi, e scalciai nel vuoto. Avevo una voglia matta di prendere a pugni qualcuno, possibile che non capissero?! Testacce vuote… tutti e due! Ci conoscevamo da mesi ormai, la mia espressione non era abbastanza chiara?! Io non volevo farlo! Punto!
 
“Non ci penso neanche!” strillò, lasciando scorrere lo sguardo su entrambi i loro volti confusi “Già me lo immagino! Tutto lui… smanicato, sudato… con quegli scatoloni in mano!” la sua voce continuava ad alzarsi, ma non riuscì a preoccuparsene. Era troppo impegnato a sfogare le sue frustrazioni. “E io?! Che faccio poi io?! Muoio! Ecco che faccio!” urlò quelle ultime parole, e metà della gente intorno a loro si voltò a fissarlo. Diavolo!
 

*****

 
La donna vicino alla finestra sospirò, chiudendo con un movimento rassegnato le imposte. Il vento stava iniziando ad alzarsi, e sembrava che quella giornata… non sarebbe stata soleggiata come le altre. Alle sue spalle, il marito continuava a sfogliare il proprio giornale. Non se n’era staccato un attimo. Neanche quando, pochi secondi prima, aveva risposto con un “no” deciso… a quella domanda che le stava così tanto a cuore.
 
“Perché non ci pensi un po’ su…” riprovò ancora, sedendosi accanto a lui e sfiorando la sua spalla con mano delicata “Tesoro mio… non credi che sia il momento di porre fine a questa lite?” gli chiese speranzosa, sorridendo dolcemente di fronte all’espressione burbera dell’uomo.
 
“Tu non sai quello che è successo…” le rispose semplicemente, mentre i suoi occhi severi venivano riempiti da quella solita tristezza… che si faceva prepotentemente spazio dentro di lui, ogni volta che il nome di suo figlio veniva pronunciato.
 
“Già, non lo so…” il tono di sua moglie era cambiato, e la nota di risentimento che si levò nella stanza… non riuscì ad evitarla “Nessuno di voi due ha voluto parlarne con me, né tantomeno avete chiarito tra di voi” aggiunse seccamente, rimettendosi in piedi e dandogli le spalle.
 
L’uomo scosse la testa, mettendo finalmente da parte quello stupido giornale. Si alzò, andandole vicino, ma ad un passo da lei… si fermò. Cosa avrebbe potuto dirle? Era vero, nessuno le aveva raccontato quello che era successo. Quello… era l’unico segreto che continuava, mutuamente, a legare lui e Kibum. Non voleva rattristarla con i propri sentimenti feriti… e forse, almeno un po’, cercava di preservare il proprio orgoglio di padre.
 
Quel giorno, di tre anni prima, quando era rientrato a casa… sua moglie l’aveva visto subito. Il viso pallido, le mani tremanti. Si era spaventata, andandogli incontro… e sorreggendolo fino alla poltrona. Non aveva detto niente. Non una parola, non un lamento. Aveva abbassato le palpebre, portandosi entrambe le mani sul viso… e quelle poche lacrime che avevano abbandonato i suoi occhi delusi… non le aveva mostrate a nessuno.
 
Kibum era arrivato in casa come una furia. Il fiato corto, e gli occhi lucidi… sul volto, portava ancora i segni di quel terribile schiaffo. La donna al suo fianco aveva tremato, correndo incontro al suo unico figlio. Il ragazzo l’aveva scostata bruscamente, salendo con impazienza le scale del primo piano. Stava seguendo quell’uomo… dalle spalle ricurve e il volto ferito, che un tempo aveva chiamato papà.
 
Non seppe mai cosa successe dopo. Le urla di Kibum erano troppo alte, troppo concitate,  e i pugni che aveva inutilmente sbattuto contro quell’uscio chiuso… continuavano a risuonare nella mente di sua madre, come il peggiore dei ricordi. Da quel giorno, come se fosse la cosa più naturale del mondo… padre e figlio… non si guardarono più negli occhi.
 
“Sono stanca…” mormorò semplicemente, mentre una nuova incrinatura scalfiva quel cuore amorevole… troppe volte messo alla prova “Lui è il mio bambino, e tu sei l’uomo che amo… ma in questo momento, non riesco a sopportare la vista di entrambi” disse con gravità, mentre le mani del marito si chiudevo straziate sulle sue spalle “Come hai potuto permettere… che si arrivasse a tanto?”
 
Quella domanda ricadde tra loro… pesante, soffocante. Gli tolse il respiro, e la persona dietro di lei indietreggiò… allontanandosi. Risentimento, tristezza. Quanti sentimenti amari… trasparivano da quella voce che tornava ancora una volta a ferirlo. L’amava quella donna, ma… non conosceva il modo… per lenire il suo dolore.
 

*****

 
“… con quegli scatoloni in mano. E io?! Che faccio poi io?! Muoio! Ecco che faccio!”
 
Non avevo sentito il resto del discorso, e la cosa mi indispettii parecchio. Scatoloni? Una sola parola, che fece nascere una profonda speranza… nel mio cuore lasciato pazientemente in attesa. Sorrisi, come un idiota, e Hyuri mi fissò stranita. Ovvio che non capisse. Non le avevo ancora detto nulla.
 
“Perché muori, Bummie?” gli chiesi quasi senza rendermene conto. Sollevò immediatamente gli occhi, terrorizzato, e il mio sorriso divenne un po’ più tirato. Aspetta un attimo… perché mi guardava così adesso? Non l’avrei dovuto sentire… quello che aveva appena detto?
 
Congelai. Il brivido che mi attraversò il corpo fu peggio di un pugno in pieno stomaco, e ogni singolo muscolo si contrasse per l’agitazione. Kibum schiuse le labbra… completamente in panne… senza riuscire più a dire niente. Perché? Perché non faceva capire anche a me… il motivo di tutto quel disagio?
 
Non sarà qualcun altro, vero? La persona che verrà a vivere con te? Impossibile. Il volantino l’avevo preso io, ed ero passato davanti alla bacheca giusto quella mattina. Nessun nuovo annuncio era stato appeso.
 
“Odia i traslochi” mi rispose Jinki, con il suo solito tono pacato e accomodante “Basta guardarlo…” continuò divertito, mentre gli occhi del biondo si puntavano sgranati nei suoi “E’ troppo delicato…” concluse con enfasi, scrollando appena le spalle.
 
“Beh si, è vero…” confermai, tornando a spostare lo sguardo sul mio compagno di laboratorio. La voce era venuta fuori un po’ stridula, sorprendendomi. Tossii un paio di volte, a disagio… e la mano di Hyuri si chiese apprensiva intorno alla mia.
 
“Perché non vi sedete?” chiese il ragazzone dai capelli scuri, e l’espressione furente di Kibum la vidi… purtroppo. Non voleva. Mi aveva guardato. Aveva guardato me, e subito dopo la ragazza al mio fianco. Scivolò con una smorfia sul sedile, borbottando qualche parola sconnessa.
 
“Possiamo?” rivolsi quella domanda direttamente a lui, e il suo sguardo si sollevò ancora verso il mio. Mi fissò sfrontato, mentre i suoi occhi scuri mi facevano rabbrividire. Stavo cercando il suo permesso, ma sembrò capirlo solo in quel momento. Avvampò, e io mi sforzai di sorridergli. Poi indicò con un gesto brusco le sedie di fronte a noi, e si voltò velocemente dall’altro lato.
 
“Lei è Hyuri, una mia amica…” presentai brevemente la ragazza che mi accompagnava, e Kibum grugnì il suo saluto… con ben poco entusiasmo. Lei sembrò non badarci, gli allungò dolcemente la mano, e il mio compagno di laboratorio fu costretto a stringerla.
 
“Minho non lo conosci…” disse poco dopo Jinki, indicando la persona accanto a sé “Frequenta il primo anno, come voi…” mi spiegò, e questa volta fui io… ad infastidirmi. Kibum inarcò un sopracciglio, se n’era accorto? Chinai velocemente il capo, nascondendo l’imbarazzo che… ne ero sicuro… doveva essere ormai dipinto sul mio volto.
 
Jinki e Minho intrattennero la conversazione… mentre i suoi occhietti felini continuavano ad evitarmi. Aveva tirato fuori un’agenda, fingendo di controllare l’orario delle lezioni. Come facevo ad essere sicuro che stesse fingendo? Beh… semplice. Se ne rimase lì, bello e buono, a fissare quella stessa dannata pagina… per buoni cinque minuti.
 
Cercavo di non guardarlo, ma i miei occhi tornavano ripetutamente a cercare il suo viso. Quell’improvvisa “visita di cortesia” lo stava ovviamente infastidendo. Le dita sottile erano chiuse con eccessiva forza, sulla pelle color cobalto. Arricciava le labbra, sbuffando… soprattutto quando eravamo io o Hyuri a parlare.
 
All’ennesima smorfia, sospirai. Era inutile rimanere lì. Mi rimisi in piedi, e gli occhi della mia amica si puntarono sorpresi verso di me. Non li notai. Anche Kibum aveva sollevato la testa, fissandomi. Sembrava ansioso, ma anche… non lo so… un po’ triste. Cercai ancora di sorridergli, ma chinò velocemente il capo. Minho gli diede una piccola gomitata, e lui lo fulminò.
 
Si alzò controvoglia, ma il suo sguardo continuava a rimanere basso. Jinki lo guardava, e la sua bassa risata lo fece arrossire. Era carino… quando le sue guance si imporporavano, e i suoi occhi felini sembravano per un attimo spaesati. Si passò nervosamente una mano tra i capelli, voleva dire qualcosa... ma era chiaro che non sapesse da dove iniziare.
 
“Accompagnami a prendere una cosa…” disse alla fine, mentre il suo sguardo si puntava immediatamente su Hyuri. Voleva che non ci seguisse, lo capii subito. “Devo parlarti…” spiegò, allungando una mano per recuperare la propria borsa. Non aspettò la mia risposta. Fece un rapido gesto agli altri due ragazzi, borbottando un saluto poco cordiale alla ragazza che mi stava a fianco… e si allontanò.
 
“Vai pure…” mi rassicurò lei, poggiando la sua mano delicata sul mio braccio “Ci vediamo pomeriggio…” concluse, con un sorriso, e mi lasciò un rapido bacio sulla guancia. Le accarezzai i capelli, riconoscente, e corsi dietro a Kibum.
 
Era dannatamente veloce. Le sue gambe sottili scattavano in avanti con movimenti precisi e diretti, non potei fare a meno di notarlo. I suoi fianchi… non assomigliavano affatto a quelli di un ragazzo. Sottili, morbidi… ondeggiavano appena, seguendo il movimento della sua camminata. Furono diversi gli sguardi che lo seguirono, oltre mio, mentre percorreva con innata eleganza il lungo corridoio che ci avrebbe condotto all’uscita.
 
Io rimasi volontariamente qualche passo dietro di lui. In qualche modo… ero incredibilmente conscio del suo nervosismo. Qualsiasi cosa mi volesse dire, aveva bisogno di riorganizzare un po’ le idee… prima di parlare. Così me ne restai in disparte, limitandomi ad osservare le reazioni della gente al suo passaggio.
 
Qualche ragazza lo fissava, timidamente, chinando subito dopo il capo… e bisbigliando qualche commento segreto all’orecchio dell’amica che aveva a fianco. Arrossivano appena entrambe, per poi tornare a guardarlo… un po’ più coraggiose.
 
Ma la cosa che più mi sorprese… credo che fosse un’altra. Non era solo il sesso opposto... a seguire con interesse la sua figura leggera. Molti ragazzi si voltarono, e qualcuno lo salutò anche. Strinsi le labbra, improvvisamente infastidito. Gli uomini non sono discreti come le donne. Quei tipi rozzi, e privi di vergogna, squadravano voracemente il suo corpo delicato… sogghignando, o lanciando gomitate ai loro vicini.
 
Sia che provenissero da un sesso, o da un altro, tutti gli sguardi che ricevette quel giorno… furono carichi di apprezzamento. Possibile che non se ne fosse accorto? Con la schiena diritta e lo sguardo fiero, continuava a camminare come se nulla fosse. Le uniche persone che salutava, con un breve inchino e un “buongiorno” educatamente pronunciato, erano i professori.
 
No, non avevo più dubbi ormai. Quel ragazzo… doveva essere di un altro pianeta.
 
Quando i suoi passi si fermarono, finalmente, eravamo già fuori. Si guardò intorno, avvicinandosi con un sorriso ad un piccolo chiosco… vicino all’entrata dell’università. Inarcai un sopracciglio, seguendolo. Sembrava quasi che si fosse dimenticato di me. Nel momento stesso in cui gli arrivai a fianco, infatti, lo vidi irrigidirsi ancora.
 
“Ti piacciono i Taiyaki?” gli chiesi dolcemente, cercando il modo più veloce per metterlo a suo agio.
 
“Già…” mormorò a bassa voce, allungando una mano verso il dolce… che il tizio dietro il bancone gli stava porgendo. Lo vidi tenere faticosamente in equilibrio la borsa, che aveva poggiato sul ginocchio piegato in aria. Stava cercando il portafoglio, dedussi con un sorriso. Portai la mano alla tasca posteriore, e pagai al suo posto.
 
I suoi occhi scuri si puntarono immediatamente sui miei, sorpresi, e le labbra rosse si dischiusero piano… incerte. Lo fissai, rimanendo pazientemente in attesa. Chinò il capo, facendo scivolare la tracolla nera su un fianco, e la frangetta bionda mi impedì di vedere la sua espressione.
 
“Grazie…” disse a fior di labbra, con quella vocina dolce che mi rivolgeva così raramente. Dentro il petto… il mio cuore scalpitò un attimo, intenerito. Cercai di non badarci, seguendo solamente il mio istinto. Poggiai le dita sulla sua testa, e accarezzai piano i suoi capelli chiari. Farfugliò qualcosa, arrossendo subito dopo, strappandomi una piccola risata.
 
“Di cosa mi volevi parlare?” mi azzardai a chiedere pochi minuti dopo. Eravamo seduti su una panchina in legno… e lui stava consumando in silenzio il proprio dolce.
 
I suoi morsi erano piccoli, educati. Portava alle labbra il suo Taiyaki, raccogliendo con il dito indice la cioccolata che minacciava di sporcargli il mento. Vederlo così, tranquillo e anche un po’ indifeso, mi scaldò rapidamente il cuore. Osservai il suo profilo, mentre mandava giù l’ultimo boccone… e attesi la sua risposta.
 
“L’appa-partamento…” balbettò, stringendo tra le dita sottili il fazzolettino che aveva utilizzato per ripulirsi “Credo che si possa fare…” mormorò a disagio, agitandosi appena sul sedile. Continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, ma le sue guance rosse… furono la cosa più bella che potesse donarmi.
 
Sorrisi. Ero felice… “tremendamente” felice. Se mi fossi messo a ridere come un idiota, probabilmente avrebbe ritirato immediatamente la sua offerta. Così mi sforzai di ricacciare indietro tutta la mia euforia, mettendo a tacere il battito veloce del mio cuore emozionato… e continuai a guardarlo.
 
“Quando posso trasferirmi?” chiesi, avvicinandomi ancora un po’. Rabbrividii appena, e mi sentii incredibilmente infantile. Le nostre mani, entrambe poggiate sul legno scuro della panchina, si erano sfiorate per un attimo. La sensazione che quel semplice contatto si lasciò dietro... mi fece vibrare.
 
“Alle 15.00, ti accompagnerà Minho…” quel nuovo particolare mi irritò non poco, ma cercai di non darlo a vedere. Kibum si era voltato verso di me, e i suoi occhi dal taglio felino... erano fissi nei miei adesso “Una settimana di prova” aggiunse deciso “Se ti comporti bene, puoi restare…” spiegò, mentre il mio sopracciglio destro si sollevava impercettibilmente.
 
“N-non sono di mo-molte pretese…” balbettò, nuovamente a disagio “Mi basta che lasci il bagno pulito e, di tanto in tanto, tu dia una mano con le pulizie…” chiarì con tono impacciato, iniziando a giocherellare nervosamente con la cerniera del suo giubbottino grigio.
 
“Va bene” acconsentii rapidamente, osservando con piacere il piccolo sospiro… che si era involontariamente fatto sfuggire. Kibum arrossì per l’ennesima volta, conscio del suo passo falso, e scattò in piedi come una molla.
 
“Allora è deciso!” affermò, con voce… forse eccessivamente alta “I-Io vado… le lezioni stanno iniziando…” aggiunse con rapidità, facendomi sorridere “Dovresti andare anche tu!” concluse, fissandomi per un attimo negli occhi.
 
Le guance si imporporarono un po’ di più. Afferrò con un movimento veloce la propria borsa… e corse via.
 

*****

 
Quando una chiave venne inserita nella serratura, Taemin scattò velocemente giù dal divano… attraversando di corsa il piccolo corridoio che l’avrebbe condotto all’entrata. Era felice che Minho fosse rientrato. Di stare solo ne aveva abbastanza, e poi il suo gigante buono… era sempre pieno di premure nei suoi confronti.
 
“Hyung!” strillò come un matto, lanciandosi addosso al nuovo arrivato. Peccato però… che non si fosse prima preso la briga di guardarlo in faccia!
 
Jonghyun sorrise, vagamente a disagio, mentre il ragazzino scivolava leggermente tra le sue braccia. Sembrava sul punto di cadere a terra, giacché lui stesso non era preparato a sorreggerlo. Due mani grandi si chiusero tempestive intorno ai fianchi del più piccolo, sollevandolo senza nessuno sforzo.
 
“Hyung…?” mormorò ancora Taemin, fissando con i suoi occhioni scuri quelli infastiditi del più grande. Il moro lo teneva ancora fra le braccia. Le labbra strette in una linea sottile, e la mascella serrata. Gli diede il tempo di recuperare l’equilibrio, per poi lasciarlo andare subito dopo.
 
“Guarda… la prossima volta” sibilò tra i denti, dando velocemente le spalle ad entrambi. Sia il ragazzino che Jonghyun rimasero a fissarlo, sorpresi, mentre con un gesto brusco mollava su una sedia la sua borsa “Siediti, prendo qualcosa da bere” aggiunse funereo, lanciando un’occhiata di sbieco al tizio che era stato costretto a portarsi dietro.
 
Taemin gli trotterellò velocemente a fianco, infilandosi in cucina. Il ragazzo sulla porta non sapeva bene come comportarsi, ma alla fine si decise a seguirli. Durante il tragitto, lui e Minho non avevano parlato molto. Passando dal suo vecchio appartamento, Jonghyun aveva frettolosamente recuperato le sue cose… lasciando le proprie chiavi sul tavolo all’entrata.
 
“Il tipo con cui abito conosce già le mie intenzioni…” aveva spiegato brevemente, notando il sopracciglio che il moro aveva inarcato di fronte al suo gesto.
 
Poi c’era stata qualche frase di circostanza… tutto altamente prevedibile e noioso. Da quanto tempo conosci Kibum? Di dove sei? E altre domande simili, di poco conto… e anche vagamente forzate. Minho era un tipo serio e tranquillo, non gli era sembrato particolarmente infastidito dalla sua presenza. Anzi… qualche volta gli aveva perfino sorriso.
 
Fino ad ora, almeno. Forse non è Bummie... la persona che gli interessa…
 
Si ritrovò a sospirare, rincuorato, mentre il ragazzino dai capelli castani porgeva tre bicchieri al suo coinquilino… e questi allungava affettuoso una mano, scompigliandogli i capelli. Già, perfino lui riusciva a notarla. Quella luce calda che illuminava lo sguardo del moro, mentre Taemin arrossiva appena di fronte alle sue carezze.
 
“Aranciata o succo di mela?” gli chiese la vocina delicata del più piccolo, e Jonghyun rispose velocemente che avrebbe preferito la prima bevanda “Così tu sarai il coinquilino della mia omma… mmm…” osservò il ragazzino, scrutandolo con interesse “Sarà divertente!” concluse poi, mentre un sorriso raggiante allargava i suoi lineamenti da bambino.
 
Minho intanto si era avvicinato loro, poggiando una mano sulla spalla del più piccolo. Taemin aveva sollevato gli occhietti verso il moro, sorridendo ancora. I sentimenti che trasparivano dalla sua espressione… erano abbastanza chiari.
 
Tanti pensieri per niente. Questi due sembrano una coppietta di fidanzatini…
 
“Io aiuto Jonghyun a sistemare le sue cose. Kibum dopo le lezioni deve fermarsi in biblioteca, e rientrerà tardi” spiegò in direzione del suo piccolo compagno, trattenendo a stento una risatina “Hai presente? Il tizio a cui si è ritrovato a dover dare ripetizioni…” aggiunse compiaciuto, e anche Taemin sembrò condividere il suo divertimento.
 
“Stasera cuciniamo noi allora…” osservò il ragazzino, scrollando le spalle e poggiando sul tavolo il proprio bicchiere… ormai vuoto. “Omma avrà un diavolo per capello quando tornerà a casa…!”
 
Entrambi scoppiarono a ridere, e quella strana atmosfera che nasceva dal loro buon umore… in qualche modo, avvolse anche il nuovo arrivato.
 
Mi piacevano quei due. E mi piaceva molto anche Jinki. Avrei apprezzato vivere in quell’edificio, ne ero sicuro ormai. Non era solo la presenza di Kibum, c’era… qualcos’altro. Qualcosa che… per il momento… non riuscivo ancora a spiegarmi. L’aria che si respirava tra quelle mura… era leggera, calda… donava serenità. Non assomigliava affatto ai dormitori universitari di cui avevo sentito parlare i miei amici.
 
Quel palazzo di colore arancione, dalle piccole siepi curate e le finestre marroni… ancora non lo sapevo, ma ben presto… l’avrei chiamato “casa”.
 

*****

 
Sospirai per la centesima volta, lasciando scivolare la tracolla lungo il braccio. La trascinai di malavoglia per un manico, sbuffando di fronte a quel cielo improvvisamente grigio. Erano le 19:00. Quel tizio mi aveva fatto perdere due ore e mezza in quella maledetta biblioteca. Non che fosse stupido o altro, ad essere sincero… apprendeva anche abbastanza velocemente.
 
Il problema… era proprio lui. Le sue continue domande sulla mia vita privata, il modo “falsamente” involontario con il quale continuava a sfiorarmi la mano… fingendo di indicare qualcosa sul libro di testo. Ero stato seriamente sul punto di mandarlo all’inferno, almeno una decina di volte!
 
Mi sfilai gli occhiali da vista, che avevo continuato a tenere sul naso perfino fuori dall’università. Non erano stati molto utili, a dire il vero. Con quell’idiota avrei dovuto scendermi direttamente una busta in testa, per evitare che mi guardasse con quel suo sguardo da pesce lesso. Ci mancava solo che sbavasse, e l’avrei potuto portare in uno zoo. Nella gabbia delle bestie in calore!
 
Arrivai a casa senza neanche rendermene conto. Avevo spento completamente il cervello, arrendendomi alla stanchezza che mi spingeva a tenere le spalle curvate. I piedi seguirono automaticamente la via del ritorno, e quando svoltai l’ultimo angolo… scorgendo la mia meta… sorrisi istintivamente.
 
Il cellulare che tenevo in tasca vibrò appena, richiamando la mia attenzione. Lo estrassi, storcendo le labbra quando il ciondolo che ci avevo appeso si impigliò alla cucitura dei jeans. Finalmente libero da quel fastidioso impiccio, pigiai rapidamente sulla busta lampeggiante… leggendo il nuovo messaggio in arrivo.
 
“Omma, ti sono mancato? ^^ Immaginavamo che saresti stato stanco, per cui… stasera tutti da Jinki-Hyung! >.< Rimettiti in sesto, e raggiungici là! Kisu! u.u”
 
Sorrisi, mentre quelle semplici parole mi scaldavano il cuore… facendomi dimenticare completamente di quel pomeriggio infernale. Affrettai il passo, attraversando il cortile. Ero ansioso di rivedere il mio piccolino… dovevo muovermi! Salii velocemente le scale di casa, e tirai fuori dalla tasca interna della mia borsa la seconda chiave... destinata al mio coinquilino.
 
Quando la infilai dentro la toppa del mio portone, avevo ancora un’espressione euforica sul volto. Inutile dire… che questa mia allegria durò ben poco. Spalancai l'uscio, richiudendolo con un calcio… mentre un braccio si allungava automaticamente verso l’appendi abiti, lasciandoci la borsa e il giubbotto che mi ero appena sfilato.
 
“Bentornato Bummie!”
 
Mi prese un accidente! Riconobbi immediatamente quella voce, mentre i miei occhi stralunati si puntavano su quelli della persona al centro della stanza. Mi appiattii istintivamente contro la porta, portandomi una mano sul cuore. I battiti erano praticamente impazziti, ed ero assolutamente sicuro di essere impallidito. Come diavolo avevo fatto a dimenticarmi di lui?!
 
“Ehi!” disse ancora, sorridendomi divertito “Sembra che tu abbia visto un fantasma…” aggiunse con ironia, e il mio sguardo prese rapidamente fuoco.
 
Riprenditi immediatamente Kibum! Non sei qui per farti prendere in giro da questo bell’imbusto! Che poi… notai solo in quel momento… sembrava essere appena uscito dalla doccia. Sul collo, la punta dei suoi capelli mi apparve leggermente umida. Senza contare il fatto che in quel momento erano stranamente lisci, e non sparati in aria… come ero ormai abituato a vederli.
 
Deglutii a fatica, riconoscendo l’imbarazzo… provato di fronte a quel volto così dannatamente bello… prima ancora che questi mi tingesse le guance di rosso. Chinai il capo, farneticando non sapevo bene neanche io cosa. Jonghyun sollevò un sopracciglio, con fare interrogativo, facendo aumentare a dismisura il mio disagio.
 
“Sei tu il fantasma che ho visto!” sbottai infastidito, decidendomi finalmente ad allontanarmi dal mio sostegno. Quando i nostri occhi si erano incrociati, appena arrivato, le gambe mi erano diventate incredibilmente molli… e un’assurda tremarella aveva scosso tutto il mio corpo.
 
Se non ci fosse stata quella porta dietro, sicuramente sarei finito a terra come una pera!
 
Lo sentii ridere piano, evidentemente divertito dal mio disappunto. Non avevo tempo di farmi una doccia. Sarei uscito pazzo… da solo con lui… dentro quell’appartamento, che d’un tratto mi sembrava incredibilmente piccolo. Riaprii nuovamente l’uscio, come in cerca d’aria, e borbottai che sarebbe stato il caso di muoverci.
 
Quando i suoi passi mi avvertirono della sua vicinanza, mi catapultai velocemente verso il pianerottolo… incamminandomi verso casa di Jinki. La scimmia mi seguii ubbidiente… e solo allora la notai: la macchia scura che sgambettava tranquillamente accanto a lui.
 
Lucy! Brutta cagnetta traditrice! Avrei voluto urlarle, facendola scappare via. Lei però neanche mi degnava di considerazione. Di tanto in tanto strofinava il suo musetto contro la mano che Jonghyun dondolava lungo il fianco sinistro… richiamando la sua attenzione. Lui le sorrideva, allungandole una carezza, e la grossa coda ricominciava ad agitarsi, estasiata dal suo tocco.
 
E’ così bello essere toccati dalle sue dita? Che pensiero idiota che stava formulando il mio cervello, ma proprio non riuscii a trattenermi. La saliva mi si seccò improvvisamente in gola, mentre i suoi occhi scuri si puntavono sui miei… che si erano a loro volta imbambolati sul suo viso. Mi fece l’occhiolino, indicando il modo spudorato con il quale Lucy continuava a strofinarsi sulla sua gamba… e io strinsi impercettibilmente le labbra.
 
Brutto borioso che si crede tanto figo! Ma qui caschi male caro mio… te lo farò vedere io chi è Kim Kibum! Se speri che anche io faccia la fine di quell’ingenua cagnolina… beh… ti sbagli proprio! Non finirò lì immobile, come un idiota, a supplicarti per qualche coccola. Ho un orgoglio da difendere, accidenti!
 
Sbuffai, bussando con eccessiva forza alla porta di Jinki. Il padrone di casa spalancò immediatamente l’uscio, fissando con un “mal celato” divertimento… le espressioni, nettamente differenti, mia e del mio odiato coinquilino. Ci fece segno di accomodarci, e quando Taemin mi venne incontro… saltandomi letteralmente in braccio… non riuscii a trattenere un sorriso.
 
“Omma! Omma!” strillava contro il mio orecchio, aggrappandosi con tutte le sue forza al mio collo “Mi hai lasciato solo, cattivo!” piagnucolò sulla mia spalla, mentre io lo stringevo forte.
 
Già seduto al tavolo, Minho seguiva con sguardo dolce quella scenetta smielata. Lo vidi sollevare una mano verso Jonghyun, e questi lo raggiunse immediatamente… lasciandogli qualche pacca amichevole sulla spalla, mentre prendeva posto accanto a lui. Iniziarono subito a chiacchierare, e io sgranai gli occhi… allibito.
 
Ma se in sala mensa sembrava che non lo sopportasse! Taemin seguì il mio sguardo, sorridendo euforico. Anche Jinki sembrava aver intuito i miei pensieri, e mi porse il bicchiere di succo che mi aveva riempito appena arrivato.
 
“Sono così da oggi pomeriggio…” mi spiegò a bassa voce, porgendo al ragazzino una lattina d’aranciata, destinata al mio coinquilino “Sembra che vadano molto d’accordo…” aggiunse sereno, lasciandomi una carezza sulla testa “anche a Tae piace” precisò ancora, mentre i miei occhi sorpresi si puntavano sul ragazzino dai capelli castani, che stava porgendo la bevanda a quella strana scimmia sempre sorridente.
 
“Dagli una possibilità Kibum” sussurrò Jinki al mio orecchio, indicandomi il tavolo. La cena era pronta. “Sembra che lui ci tenga molto…”
 
Quelle ultime parole, si depositarono leggere sul mio cuore agitato… mettendo a tacere, in un misero istante, tutte le mie preoccupazioni. Gli occhi dolci di Jonghyun si sollevarono verso i miei. Sembrava felice. Non ce la feci. Avrei voluto… ma non ce la facevo proprio ad odiarlo. Era così… così dannatamente gentile, premuroso… come cavolo facevo a non farmelo piacere?
 
Sorrise. Un sorriso caldo… sincero. Il cuore si agitò ancora una volta… ma non era l’ansia a smuoverlo. Lo sapevo. Lo sapevo bene, ormai. Che stupido che ero… mi stavo scavando la fossa con le mie stesse mani, ma non avrei saputo fare altrimenti. Quegli occhi erano troppo belli… per poter essere ignorati.
 
Senza accorgermene… gli sorrisi a mia volta. Non so bene che sorriso fu, considerato che non potevo vedermi. Però lui parve sussultare appena, mentre le iridi scure si dilatavano… e la lattina vibrava impercettibilmente fra le sue grandi mani.
 
Il cuore mi si gonfiò nel petto, e … senza  sapere bene come… avevo già iniziato ad accettarlo.

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Capitolo 7
*** Colazione per due ***



 


Capitolo 06 - Colazione per due

Riuscivo a vederle… quelle braccia forti, rassicuranti. Si protendevano verso di me, cercando di abbracciarmi. Mi agitai nella sua stretta… tentando disperatamente di liberarmi. Non toccarmi Jonghyun… mi prenderà un accidente se lo fai! Respinsi quelle mani dolci, e una piccola smorfia deformò le sua labbra protese. Mi dispiaceva vederlo così. Cercai di dirglielo, ma le parole vennero fuori confuse… apparendo ovattate e prive di senso, perfino alle mie orecchie.
 
Lui parve capire. Mi sorrise, sciogliendomi il cuore. Sospirai, e quelle dita mi sfiorarono. Accarezzarono la mia testa, sfiorarono le mie orecchie. Rabbrividii… perso in quel sogno che mi appariva tanto reale. Poi la sensazione di quella mano… parve bruciarmi la pelle. Lo avvertivo… quel calore, che silenzioso si stava propagando nel mio corpo addormentato. Quando l’eccitazione sfiorò il lenzuolo… balzai a sedere, sgranando gli occhi.
 
“Aishh!” mi lamentai, infastidito dalla frustrazione che quelle immagini mi avevano lasciato addosso. Gettai da parte le coperte, nervoso come poche mattine, e mi alzai velocemente. Le mattonelle sotto i miei piedi scalzi erano fredde, ma non me ne importò.
 
“Ed è solo il primo giorno!” borbottai, grattandomi la testa… mentre con l’altra mano tiravo su la persiana. Il sole era già alto, ma sapevo di non essere in ritardo. La mia mente aveva una specie di sveglia incorporata. Se avevo aperto gli occhi… dovevano essere le 06:30 del mattino.
 
Mi crogiolai nel dormiveglia, strabacchiandomi sulla poltroncina accanto alla porta. Non mi andava molto di andare di là. Il pensiero di trovarlo in giro per casa… mi metteva i brividi addosso. Presi qualche ciuffo biondo tra le dita, giocandoci distrattamente. Abbassai lo sguardo, sbadigliando, e strabuzzai gli occhi. Indossavo ancora i pantaloni del giorno prima!
 
Scattai come una molla, muovendomi freneticamente da un lato all’altro della stanza. Mi stava venendo una crisi isterica, lo sapevo! Mi bloccai davanti allo specchio, notando solo in quel momento che avevo portato entrambe le mani alla testa… boccheggiavo come un malato d’asma… e la mia pelle appariva più bianca del latte, che non avevo ancora bevuto!
 
“Calma! Calma! Calma!” strillai al mio riflesso, che tutto stralunato continuava a fissarmi come un idiota “Pensa Kibum, pensa! Che diavolo è successo ieri sera?!”
 
Chiusi gli occhi, con forza… cercando disperatamente di concentrarmi. Le tempie presero a pulsarmi ritmicamente, infastidite dallo stress che stavo causando loro. Mi morsi le labbra, cercando di inspirare profondamente. Continuando a comportarmi come un pazzo… non avrei certo risolto qualcosa!
 
Allora… facciamo mente locale. Abbiamo cenato… si. Jinki era seduto accanto a me, e di fronte avevo Taemin. Minho alla destra di Jonghyun e… i suoi occhi si insinuarono con prepotenza tra i miei ricordi, facendomi perdere il filo dei pensieri. Accidenti a te!
 
“Ricominciamo… e stavolta cerca di non ricordare più del necessario!” mi rimproverai a voce alta, come il miglior paziente di una clinica psichiatrica “La cena è andata bene, ma devo aver esagerato con la birra… figurati! Lui continuava a guardarmi, come cavolo si poteva pretendere che stessi calmo?!” la voce si era alzata bruscamente, risuonando tra quelle mura… che stavano spiando il mio delirio.
 
“Poi… poi… poi…” mormorai nervoso, scivolando nuovamente sul letto. Gli occhi ancora chiusi… la fronte corrucciata. Mi sentivo come se la mia testa dovesse scoppiare da un momento all’altro. “Mi sono imbottito d’alcool, su questo non ci sono dubbi!” osservai stizzito, con una voglia pazzesca di prendermi a sberle “Che spettacolo patetico devo essere stato, se penso che lui mi ha visto… io… Aishh! Idiota Kibum!” perfetto, avevo ricominciato ad urlare.
 
“Jinki!” esclamai tutto d’un colpo, mentre una chiara immagine… del sorriso amorevole del mio padrone di casa… si faceva magicamente spazio tra i miei ricordi offuscati “E’ stato lui a riportarmi qui!” strillai euforico, sgranando gli occhi e sollevando i pugni in aria “Si! Si! Si! Se Jonghyun non mi ha toccato, allora non ho fatto nessuna idiozia!” gioii con un sorriso a trentadue denti, mettendomi in piedi come la più leggiadra delle ballerine.
 
Il buon umore mi invase tutto d’un colpo, ridestando nel mio stomaco un certo languorino. Feci una rapida giravolta, come ultimo festeggiamento per quella nuova certezza… e socchiusi lentamente la porta davanti a me. Attraversai il corridoio in punta di piedi, scomparendo oltre la soglia della cucina.
 
Va bene essere felici, ma la paura di incontrarlo era ancora troppa. Dovevo per lo meno farmi una doccia, lavare i denti, sistemare i capelli, cambiare i vestiti e… dannato me! Sembravo una ragazzina al primo appuntamento! Sbuffai, rendendo improvvisamente pesanti i miei ultimi passi. Questo era troppo! Che mi sentisse pure e mi vedesse in quello stato… non avevo problemi io!
 
Qualcosa mi sfiorò la spalla, e io feci uno stratosferico balzo in avanti. Si certo… strafottenza, indifferenza… eccole qua… tutte concentrate in questo corpo tremante, che viene lentamente invaso dalla nevrosi! Mi voltai… ancora ansimante, e…
 
“Dannata tenda!” strillai, afferrando il tessuto leggero e scuotendolo con rabbia “Sto diventando scemo!” urlai, tremendamente adirato con me stesso. Quello stupido vento aveva mosso quella stupida tenda, che aveva sfiorato questo stupido idiota… affetto da tachicardia acuta!
 
Grugnii una lunga serie di imprecazioni, voltandomi stizzito… mentre ricominciavo a camminare. La cucina si trovava ancora per metà al buio… mi avvicinai alla finestra, e la spalancai completamente. Il respiro sereno del nuovo giorno mi solleticò il viso, invadendomi i polmoni. Schiusi le labbra, aspirando forte… e lasciai che l’aria venisse fuori lentamente, con indolenza.
 
“Molto meglio…” mormorai, sospirando appena… mentre i muscoli tesi si scioglievano istintivamente, sotto i primi raggi del sole. La mattina… era forse il momento della giornata che preferivo. Tutto era calma… sonnolenza.
 
La prima ora era fatta di sbadigli, dolci colazioni… e la stupida canzoncina di qualche cartone per bambini, che trasmettevano alla televisione. Sorrisi, accostandomi al tavolo. Eh si, avevo decisamente fame. Un piccolo brontolio aumentò il mio buon umore, e portai una mano sullo stomaco. Anche lui si stava svegliando.
 
Feci per aprire il frigorifero, alla ricerca del latte, ma la mia mano si bloccò a mezz’aria. Sbattei un paio di volte le palpebre, trovando un piccolo bigliettino di colore giallo… simpaticamente appuntato sulla superficie di metallo. Una calamita abbastanza grande, a forma di mela, lo sosteneva da un lato… richiamando immediatamente la mia attenzione.
 
Le dita si chiusero intorno al messaggio, staccandolo con un movimento leggero. Non conoscevo quella calligrafia, ma… chi poteva averlo lasciato… se non il mio coinquilino? Quella consapevolezza mi regalò un piccolo brivido, che io cercai prontamente di ignorare.
 
“Buongiorno Bummie!” con un piccolo smile, affianco a quello stupido nomignolo. Potrei dire che quel saluto mi infastidii, ma direi solo una fesseria. Avevo sorriso come un idiota, e il cuore aveva preso a battere un po’ più forte. Chiusi un attimo gli occhi, per poi riaprirli subito dopo… e continuai a leggere.
 
“Sono andato a correre con Minho, e ho portato Lucy con me… spero che non ti dispiaccia” un’altra faccina… con gli occhiettini lucidi e le labbra protese. Risi piano, e quella dolce sensazione che sentivo in petto… si fece più prepotente.
 
“Torneremo verso le 07:30, in tempo per accompagnare Taemin a scuola. Ho lasciato una cosa per te… spero ti faccia piacere. Jonghyun”.
 
Strinsi gli occhi, cercando di mettere a fuoco quel minuscolo disegnino, che era stato fatto proprio lì… accanto al suo nome. Le orecchie tonde, il naso pronunciato… ma che diavolo era? Di una cosa era sicuro, quel ragazzo non sarebbe mai diventato un artista. Ci riprovai ancora, con maggiore sforzo. C’era qualcosa… che proprio non capivo cosa rappresentasse.
 
Qualcosa di piccolo, a forma di mezza luna. Quell’omino la teneva legata… ad una corda?  E con la bocca spalancata… sembrava impaziente di mangiarla. Portai una mano sugli occhi, stropicciandoli. Avevano iniziato a bruciare un po’. Nascosi uno sbadiglio tra le dita… e quasi mi soffocai dalle risate, quanto lo sguardo scivolò senza volerlo sul portafrutta rosso, al centro del tavolo.
 
“E’ una banana!” strillai euforico, riportando velocemente il disegno ad un pelo dal naso “E questa è una scimmia!” mi piegai in due, accasciandomi sul ripiano freddo del lavello. Quel tipo, ne ero sicuro… avrebbe trovato il modo per uccidermi! Lasciai andare la fronte sul braccio, e ricominciai a ridere.
 
Poche lacrime scivolarono lungo le guance… prima ancora che me ne accorgessi, e lo stomaco prese a punzecchiarmi… infastidito da quel violento attacco d’ilarità. Cercai di ricompormi alla meglio, asciugando quelle divertite gocce salate… che mi avevano offuscato la vista. Guardai un’ultima volta il bigliettino… e istintivamente portai il dito indice su quel piccolo nasino rotondo, proprio al centro del suo visetto affamato… fingendo di solleticarlo.
 
“Si…” soffiai su quel pezzetto di carta, che aveva incredibilmente rallegrato la mia giornata “Tu mi farai sicuramente morire…” sospirai, un po’ più consapevole, e nascosi il bigliettino in tasca.
 
Staccai la calamita dal frigorifero, lasciandola accanto alla zuccheriera. Non era la mia, questo l’avevo notato da subito. Mi guardai velocemente intorno, rendendomi conto di quanta poca attenzione avessi prestato al resto della stanza. Sul tavolino, accanto al televisore… vidi un libro, che era stato abbandonato, ancora aperto, sul ripiano in legno. Non era mio.
 
Feci scorrere lentamente lo sguardo… soffermandomi su ogni particolare. L’orologio appeso al muro, accanto alla porta. Dei dvd, poggiati sul lettore. Un giubbotto, vicino all’ingresso, di fianco al mio. Una padella dal manico verde, vicino a quei piatti che… una volta solo per una persona, adesso si erano magicamente sdoppiati.
 
Le mani tremarono, su quel pomello che faticavo ad afferrare. Aprii la credenza… qualcuno aveva fatto la spesa. Il fiato divenne un po’ più corto, e richiusi velocemente lo sportello. Corsi lungo il corridoio, spalancando la porta del bagno. Il dopobarba, lo spazzolino, il pettine giallo. E poi ancora… un tappeto che non avevo mai visto, una spugna blu, un bagnoschiuma al profumo di pino.
 
Le gambe mi tremarono, ma non potevo ancora fermarmi. Deglutii a fatica, immobile di fronte a quell’uscio chiuso. La testa mi girò appena, e fui costretto ad appoggiare la schiena al muro. Chiusi gli occhi, inspirando piano. Non l’avevo ancora capito, vero? Non avevo ancora capito… quello che stava succedendo…
 
Gli avevo detto che poteva restare. Gli avevo detto di portare le sue cose. Ma io? Mi ero sul serio… dato il tempo di metabolizzarlo? No, diavolo! Non l’avevo fatto neanche un po’! Diedi un pugno contro la parete, e afferrai con decisione quella maniglia. Scottava fra le mie mani… ma forse non era il metallo… ero io, quello che scottava. Con le guance rosse, e il fiato corto… aprii l’ultima porta.
 
Il profumo di Jonghyun mi avvolse. Come avevo fatto a non notarlo prima? Quel dolce aroma agrodolce… che sapeva di uomo… di dolcezza. Che sapeva di “lui”. Feci un passo avanti, e tutti quegli oggetti sconosciuti mi fissarono… sorpresi… forse poco coscienti, un po’ come me.
 
Il letto era ancora disfatto, e una maglia era stata abbandonata ai suoi piedi. La riconobbi, era quella della sera prima. Quello che feci dopo, magari preferirei non doverlo neanche ricordare. Mi imbarazzavo, tremando dalla paura di poter essere scoperto… ma mi mossi comunque.
 
Le dita si chiusero intorno al tessuto chiaro. Era freddo. Il calore del corpo che lo aveva abbracciato… era sparito già da molto tempo. Sussultai, sfiorandolo con la punta del naso… e sospirai. Quanto era piacevole quella sensazione? Una piuma leggera… che si era posata sul mio cuore, facendolo battere più forte… mentre l’immagine di Jonghyun si dipingeva, inaspettatamente nitida, sotto le mie palpebre abbassate.
 
Il fischio di un treno, in lontananza, mi riportò alla realtà. Fissai la sveglia sul comodino, ancora un po’ frastornato… da tutte quelle emozioni che non volevano abbandonarmi. Era già passato così tanto tempo? Sbattei un paio di volte le palpebre, abbandonando a malincuore quel dolce profumo e… senza guardarmi indietro… sgattaiolai fuori dalla sua camera.
 
Ritornai verso la cucina. Lo sguardo perso e la mente assente… mi sentivo un po’ stordito. Fu allora che i miei occhi la incrociarono… quella bustina bianca, con lo stemma di una dolceria… poco distante da casa. Sollevai un sopracciglio, sorpreso… e la strinsi fra le mani. Ricordai l’ultima parte di quel biglietto, che appena sveglio avevo trovato appeso al frigorifero.
 
“Ho lasciato una cosa per te… spero ti faccia piacere. Jonghyun”
 
La carta si stropiccio un poco, tra le mie dita impazienti. Qualsiasi cosa ci fosse dentro… era ancora caldo. L’avvertii sulla punta della lingua… l’acquolina in bocca che mi era velocemente nata in gola, mentre i miei occhi lucidi incrociavano quell’inaspettato pensiero. Sul fondo della busta, un piccolo pesciolino ripieno di cioccolata… mi diede il suo buongiorno.
 
“Stupida scimmia…” mormorai con la poca voce che riuscii a trovare, e questa venne fuori un po’ incrinata… un po’ emozionata. Strinsi al petto quel dolce tesoro… e sorrisi.
 
C’era un’ultima cosa che dovevo notare. Un’ultima cosa… che i miei occhi avevano bisogno di trovare, prima di poter finalmente accettare la presenza di Jonghyun… in quella casa, nella mia vita. Aprii lo sportello in legno, che cigolò debolmente verso l’esterno. La mia tazza era lì, dove l’avevo lasciata. Adesso però… non era più sola.
 
Un’altra… stranamente identica… le sedeva affianco. I manici perfettamente allineati, il piccolo spazio… così perfettamente diviso. Non c’era niente di sbagliato in quell’immagine. Non c’era niente di sbagliato… nella gioia che avvertivo nel petto, mentre la mia mente prendeva piena coscienza… di ciò che stavo concedendo.
 
Avevo voluto Jonghyun in casa con me, ma avevo paura di incontrarlo. Avevo cercato la sua vicinanza, ma non volevo che mi toccasse. Sentivo il bisogno della sua presenza, ma mi sforzavo di fingere che non esistesse. Ero stanco di tutti quei dubbi… di tutte quelle incertezze.
 
Presi entrambe le tazze, canticchiando a fior di labbra un motivetto allegro. Le paure… stavano silenziosamente scivolando via, e io non cercai di trattenerle. Apparecchiai la tavola, sbucciai qualche frutto. Dal frigorifero tirai fuori gli ingredienti che mi sarebbero serviti, ma stavolta… ogni dosaggio venne raddoppiato. I tappetini per la colazione vennero poggiati sul tavolo… erano due.
 
Sistemai la tazza di Jonghyun di fronte alla mia… e sorrisi. Adesso… ero pronto.
 

*****

 
Minho e Jonghyun correvano da quasi un’ora. L’andatura… un tempo decisa e veloce, si era adesso rilassata… più tranquilla, più affaticata. Un ultimo respiro forzato. I muscoli iniziarono a bruciare, i piedi a fremere… e il moro si fermò, piegandosi sulle ginocchia. Ansimava rumorosamente, con il volto accaldato e la maglia incollata alla pelle. Scivolò lentamente sull’erba, mentre la risata divertita del suo compagno di corsa… gli faceva storcere le labbra.
 
“Non ridere… sto per morire…” borbottò, frustrato a causa di quegli stupidi tendini… che continuavano imperterriti a tirare con forza. L’ultima svolta era stata azzardata. Il piede non aveva mantenuto perfettamente l’equilibrio, e quel dolore ne era stato il risultato.
 
Qualcuno si stese con un sospiro al suo fianco, poggiandosi entrambe le mani sul petto… e sollevando gli occhi al cielo. Sarebbe stata una bella giornata. I primi rumori della città iniziavano ad avvolgerli. Una madre che chiamava il proprio bambino, dalla finestra lasciata aperta… in quel palazzo dall’altra parte della strada. Un uomo si avvicinava all’edicola, chiedendo al giornalaio il periodico sullo sport. La ragazza della gelateria tirò in alto la saracinesca, dichiarando con quel semplice movimento… che la sua attività era finalmente aperta.
 
“Mi è sempre piaciuto correre…” mormorò Jonghyun, chiudendo gli occhi e portando le braccia sotto la testa “C’è qualcosa di estremamente liberatorio, quando i tuoi piedi sembrano non toccare terra…” spiegò brevemente, forse più a se stesso… che al ragazzo accanto a sé.
 
L’aria fresca smosse appena qualche ciuffo, facendolo scontrare con la fronte accaldata. Era una sensazione piacevole. Inspirò profondamente, e sollevò ancora una volta le palpebre. Il cielo, sopra le loro teste... sembrava talmente immenso da volerlo inghiottire.
 
Mi sono sempre chiesto cosa si provi… a stare lassù. Quando corro, la mia mente si libera… il cuore batte più forte. Non sento la fatica, non riesco a pensare. Vedo la strada davanti a me, e la voglia di percorrerla diventa incontenibile. Aumento la velocità, spingo più forte sui muscoli… che iniziano a lamentarsi. Il petto si alza, il fiato si spezza… ma la voglia di correre… non passa mai.
 
E’ un modo per sentirsi liberi… un modo per sentirsi invincibili… un modo per sentirsi… slegati. Slegati dai propri problemi, dalle proprie emozioni, dalle persone che ti circondano. Ci sei tu. Tu… e nessun altro. Volare nel cielo, dovrebbe regalarti una sensazione molto simile. Non dipendi più da quelle stupide regole, che influenzano... come fili invisibili... la vita di tutte quelle persone, che continuano a muoversi, agitate… intrappolate nella frenesia della propria quotidianità.
 
Siamo vittime della società… vittime della religione. Vittime… perfino delle nostre famiglie. Il lavoro ti obbliga a vestire tutti i giorni con giacca e cravatta, ma quel colletto è troppo stretto… ti soffoca, ti impedisce di respirare. Vorresti sfilarti quella stupida cravatta che ti ha regalato la tua ragazza, e gettarla nella pattumiera. Non ti è mai piaciuta… ma sei costretto ad indossarla.
 
Il tuo credo ha dettato le leggi divine da rispettare… per guadagnare il paradiso. Mangiare è peccato, fare sesso è peccato. L’uomo buono deve sottostare ai voleri del suo Dio, porgendo sempre l’altra guancia… per dimostrare il proprio valore. Ma dov’è la giustizia? Dov’è il nostro Signore… quando una donna viene picchiata a morte dal proprio compagno? Quando una ragazza viene obbligata ad abortire, perché priva di un marito? Quando un uomo è costretto a rubare… per sfamare la propria famiglia?
 
Il mondo sta andando a rotoli… ma tuo padre continua ancora a farti la predica, tutti i giorni. Non vai all’università… non possiedi un lavoro d’ufficio. Dormi troppo a lungo la domenica… o non ti precipiti sulla porta a salutarlo, quando lui rientra a casa. E allora ti verrebbe voglia di dimenticarle… tutte quelle regole che ti impongono il silenzio. Che ti impediscono di mancargli di rispetto… urlargli in faccia la tua rabbia, invitarlo a gettare giù dal balcone… la propria mentalità ristretta.
 
“Non sei mai contento papà!” questo vorresti gridare. Ho finito le scuole superiori per te, anche se di voglia di studiare ne avevo davvero poca. Non possiedo un lavoro d’ufficio perché questa società è sbagliata, e premia solo i figli e i nipoti di qualcun altro. La domenica dormo fino a tardi, perché il sabato esco con gli amici… cercando di godermi quell’unica sera libera, che il mio “noiosissimo” lavoro mi concede.
 
Non scendo a salutarti appena arrivi, perché sono stanco. Sono stanco di vederti sospirare, mentre incontri i miei occhi… e nei tuoi ci vedo riflessi solo rimproveri. Sono stanco di fingere che io non le veda… tutte quelle smorfie disgustate mentre ti parlo di quei sogni, che per te sono solamente illusioni. Lo so. Lo so che non sono il figlio che avresti voluto. Lo so che avresti preferito vedermi dietro una scrivania, con una fede al dito che non voglio portare… e con una cravatta che odio, stretta intorno al collo.
 
Mi dispiace. Mi dispiace papà. Ma io non sono come te.
 
Il cielo mi sorride, compassionevole… unico testimone di quei pensieri tormentati. Un uccello viene giù in discesa libera... lo seguo. Fremo… mentre finge di schiantarsi al suolo, e poi vira velocemente… scomparendo dietro un albero, dalle foglie rosse e gialle.
 
Si… sarebbe proprio bello poter volare…
 

*****

 
Kibum gettò da parte l’accapatoio, controllando l’orologio. Le 7:30… ormai mancava poco. Aprì velocemente l’armadio, tirando fuori i vestiti che avrebbe indossato quel giorno. Impresa ardua la sua… sempre troppo impegnato ad abbinare tessuti e colori. Sbuffò, contrariato dal proprio comportamento… e afferrò un paio di pantaloni neri, elasticizzati.
 
Avrei dovuto prepararli ieri sera… idiota che non sono altro! Ah no, scordavo… ieri sera ero troppo impegnato a sfuggire ai suoi occhi, per badare a tutte le bottiglie di birra che mi stavo scolando! Ben mi sta! Impara dai tuoi errori… Kim Kibum.
 
Una porta si chiuse, facendo vibrare il suo cuore. Jonghyun era tornato. Si posizionò davanti allo specchio, dando un’ultima pettinata ai capelli. Per fortuna… aveva deciso di asciugarli direttamente in bagno. La maglia nera scivolò sulle sue spalle strette, proseguendo fino ai fianchi. Con quel colore addosso… sembrava possibilmente più pallido del solito.
 
Però… resto sempre carino!
 
Qualcosa iniziò a strusciare con insistenza contro l’uscio chiuso, mentre Lucy abbaiava risentita… dall’altro lato. Kibum sorrise, avvicinandosi alla porta… e la schiuse dolcemente. Come aveva immaginato, la cagnolina si era incollata dietro. Un movimento brusco, e avrebbe rischiato di ferirla. Le grosse zampe finirono immediatamente sui pantaloni puliti, sporcandoli appena. Il biondo non ci badò, e si chinò ad accarezzarla.
 
“Ce ne siamo andati in giro, non è vero?” le chiese con dolcezza, scompigliando con forza il morbido pelo “E così mi hai tradito grandissima cattiva…” disse ancora, facendole gli occhi tristi “Non sono più io il tuo preferito?” sporse il labbro inferiore in avanti, suscitando in quella tenera amica… i sentimenti che desiderava.
 
Lucy abbaiò con foga, contrariata davanti alla sua espressione. Kibum si era inginocchiato, poggiando entrambe le mani sulle gambe. La cagnolina infilò rapidamente la testa sotto un suo braccio, insistendo per essere abbracciata. Il ragazzo sorrise, affondando il volto nel suo manto scuro… e lei prese a leccarlo con affetto.
 
“Lo so… lo so…” mormorò contro l’orecchio, appena incurvato, di quella dolce creaturina “Ti voglio bene anch’io…”
 
Dalla cucina, gli giunse il rumore secco di uno sportello… che veniva chiuso. Sembrava il frigorifero. Ma perché Jonghyun l’aveva aperto? Non aveva forse visto… l’abbondante colazione che aveva già sistemato sul tavolo? Kibum sollevò un sopracciglio, aggrottando la fronte, e si incamminò lungo il corridoio.
 
Taemin era alle spalle del suo coinquilino, pronto ad inchinarsi. Il più grande gli porse uno dei fustini di latte, e il sorriso del ragazzino dai capelli castani si fece più radioso. Dovevano averlo finito, dedusse il biondo.
 
“Buongiorno omma!” trillò la voce spensierata del suo piccolino, non appena i loro occhi si incrociarono. Non ebbe il tempo di rispondere, questi si era rapidamente sollevato verso l’orecchio di Jonghyun… sussurrandoci qualcosa. Il bruno arrossì appena, e Taemin gli fece l’occhiolino.
 
“Yah!” lo rimproverò Kibum, improvvisamente agitato “Non è educato quello che hai appena fatto!” si lamentò la sua voce risentita, mentre il suo proprietario portava entrambe le mani sui fianchi.
 
“Mi dispiace omma…” si scusò il più piccolo, facendogli una rapida linguaccia “Ma tu non potevi sentire!” spiegò euforico, catapultandosi con un scatto felino fuori dalla porta.
 
“Ragazzino impertinente…” borbottò Kibum fra i denti, arricciando le labbra rosse in una smorfia. I suoi occhi furono catturati dalla figura, così evidentemente sudata, del suo coinquilino… e fu costretto a chinare il capo. Le guance divennero di fuoco, mentre l’immagine dell’aitante corpo dell’altro… si marchiava a fuoco nella sua mente.
 
“Dovresti andare a fare una doccia…” mormorò, con quello che più che un consiglio verso l’altro… voleva essere un tentativo di salvataggio per se stesso. La sua libido era velocemente salita a livelli fin troppo alti, e non poteva rischiare che Jonghyun se ne accorgesse.
 
“Ok, torno subito” acconsentì rapidamente il più grande, sorpassandolo in tutta fretta “Aspettami!” gli urlò dal corridoio, pochi secondi prima di scomparire oltre la porta del bagno.
 
Kibum sospirò, poggiandosi una mano sul petto. Sarebbe stato molto difficile… abituarsi a tutte quelle sensazioni. Si mosse verso il divano, scivolandoci sopra con poca grazia. Una mano si allungò istintivamente verso il telecomando, su un angolo del tavolino che gli stava davanti, e le urla di un personaggio dall’aspetto grottesco… coprirono il rumore dello scrosciare dell’acqua.
 
Doveva rilassarsi… prendersi del tempo per regolare la respirazione. Chiuse gli occhi, concentrandosi nella sua nuova missione. Lucy gli andò vicino, balzando con un solo movimento sulla morbida consistenza… che ospitava il corpo del suo padrone. Kibum le sorrise, e la sua testolona si impossessò ben presto del grembo del ragazzo.
 
Lo zapping fu breve. Il dito si bloccò, non appena raggiunse il sesto canale. L’anime che stava iniziando… era alle prime puntate. Ne aveva vista qualcuna, la settimana precedente. Era carino. Canticchiò distrattamente la sigla di apertura, senza accorgersi della nuova presenza… che stava silenziosamente varcando la soglia della cucina.
 
“Non ti facevo tipo da cartoni, Bummie…” commentò la voce divertita di Jonghyun, e Kibum si zittì tutto d’un colpo “Se smetti a causa mia mi sento in colpa…” aggiunse ancora il ragazzone accanto a lui, sorridendogli incoraggiante.
 
Il biondo borbottò qualche parola sconnessa, mettendosi in piedi. Per un attimo… si era quasi pentito di avergli preparato la colazione. Non si accorse dello sguardo impacciato che il più grande gli rivolse, mentre lo seguiva verso il tavolo rotondo… né del gesto nervoso con il quale continuava ad arricciare un angolo della maglietta, quando il suo coinquilino scoprì le frittelle dolci e la frutta fresca.
 
Kibum si mise a sedere in silenzio, allungando una mano verso il brick del latte. Le sue dita tremavano, ma Jonghyun non le notò. Il cuore batteva come un tamburo, e le loro dita si sfiorarono appena… mentre entrambi si tendevano in avanti, prendendo una bustina di zucchero. Fecero colazione… muti, e un po’ nervosi.
 
Il biondo non sollevò gli occhi dalla sua tazza, e il suo coinquilino non riuscì a separarsi... da quel dolce volto imbarazzato. Una piccola ruga solcava la sua fronte delicata, donandogli un aspetto pensieroso. Più che pensieroso… Kibum stava decisamente entrando in panico. Lo avvertiva… quello sguardo puntato sulla propria testa, ma non riusciva a sentirsene infastidito.
 
“Tu non mangi?” mormorò timidamente il bruno. Il piattino giallo, alla destra del ragazzo dai capelli chiari, era ancora vuoto. Gli occhi timorosi del più piccolo si sollevarono, incrociando i suoi.
 
“H-ho già ma-mangiato…” balbettò Kibum in risposta, mentre il maggiore sollevava un sopracciglio “Il taiyaki…” precisò a fior di labbra, nascondendo il proprio imbarazzo dietro la tazza che sosteneva tra le dita sottili “Era buono…”
 
Il biondo arrossì appena, deliziandolo con quel dolce color porpora… che gli aveva invaso le guance. Jonghyun gli sorrise, un po’ più sereno. Quella prima mattina insieme, d’un tratto, si era trasformata in qualcosa… di inaspettatamente speciale.
 

Sono felice che tu sia qui.
Sorridimi ancora, e queste due tazze...
continueranno ad occupare lo stesso ripiano.


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Capitolo 8
*** Ripetizioni fastidiose ***




 

Capitolo 07 - Ripetizioni fastidiose

Erano passati due giorni da quando vivevamo insieme. Kibum stava camminando accanto a me, erano le 08:00. Sbirciai la sua espressione con la coda nell’occhio… sembrava rilassato. Parlava con Minho, su un qualche argomento che mi ricordò una delle ultime lezioni di chimica. Non riuscivo ancora a destreggiarmi bene… tra formule e provette. Forse avrei dovuto chiedere il suo aiuto, ma non ero certo di compiere la mossa giusta.
 
Non ci vedevamo molto, a casa perlomeno. Io andavo a lavoro appena uscito dalla facoltà, mentre lui rientrava con gli altri. Facevamo colazione e cenavamo, nulla di più. Poi ognuno si chiudeva nella propria camera… e il giorno volgeva lentamente al termine. Sbuffai, non mi sentivo soddisfatto. Avrei voluto passarci più tempo insieme, riuscire a parlarci con tranquillità… e magari scoprire qualche particolare in più, su quella sua personalità così complessa.
 
Ovviamente… quello che desideravo io non aveva molto importanza. Kibum restava sempre sulla difensiva, anche se mi sorrideva molto di più. Quando eravamo a casa, praticamente non si sentiva. La sera precedente non riuscivo a prendere sonno… mi ero alzato, passando dalla cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Lo avevo trovato sul divano, raggomitolato sotto una grossa coperta. Dormiva.
 
La televisione era ancora accesa, ma il volume era al minimo. La mia camera era lì vicino… possibile che non avessi sentito niente? Mi avvicinai, cercando di non svegliarlo. Volevo solo sollevarlo, con l’intenzione di riportarlo a letto. Mi piegai su di lui, avvolgendo il primo braccio intorno alle spalle. Ancora quel profumo. La dolce fragranza di vaniglia mi solleticò il naso, e abbassai istintivamente il viso… sfiorando appena la pelle del suo collo.
 
Mi piaceva… così delicata e sottile. Due secondi dopo lui aveva spalancato gli occhi, allontanando bruscamente le mie braccia da sé. Mi fissò, un po’ stralunato. Il disagio crebbe rapidamente, e chinai il capo… passando nervosamente una mano tra i capelli. Non riusciva proprio a rilassarsi, vero? Anche il primo giorno si era comportato in quel modo… a casa di Jinki.
 
Aveva alzato un po’ il gomito… e guardarlo singhiozzare sul tavolo era qualcosa di troppo divertente. Le guance arrossate e le labbra balbettanti, mi facevano una tenerezza infinita. Anche quella volta avevo cercato di prenderlo in braccio, per riportarlo nel nostro appartamento. Lui aveva protestato, divincolandosi come una furia. Ci ero rimasto male, lo ammetto. Sembrava proprio non sopportarlo… il mio tocco.
 
Poi aveva farfugliato qualcosa di poco chiaro. Che io non potevo abbracciarlo… che si vergognava. Era troppo dolce… e non ero riuscito a non sorridergli, perdonando tutto. Jinki lo aveva sollevato, portandolo fino al suo letto. Avevo guardato un’ultima volta il suo viso addormentato, ed ero andato a coricarmi.
 
La seconda volta però… la situazione aveva preso una piega decisamente più imbarazzante. Kibum era completamente sveglio, e mi fissava come se fossi stato un alieno. Cercai di spiegargli quello che avevo intenzione di fare, e lui parve capire. Arrossì ancora, schiudendo le labbra rosse e passandoci sopra la lingua. Quel gesto… beh… mi fece uno strano effetto. Ma meglio non parlarne.
 
Si alzò, raccogliendo la coperta che aveva tenuto addosso fino a quel momento. Mi augurò velocemente la buonanotte… e si chiuse in camera. Se non gli avessi praticamente fatto le fusa addosso, forse lui non si sarebbe svegliato di colpo… pensando che fossi un qualche maniaco, degno di cinema horror!
 
Sospirai, e lui si voltò verso di me. I suoi occhi scuri avevano un taglio particolare… sembravano quelli di un gatto. Un gatto un po’ timido, ma dal pelo più candido che avessi mai visto. Mi chiese se andava tutto bene, e io lo rassicurai. Parve soddisfatto, e mi allungò un berretto di lana. Era mio. Ma quando lo aveva preso?
 
“Sei uno scimmione senza cervello…” borbottò avvicinandosi “Mettilo, inizia a fare freddo” me lo infilò in testa con un movimento impaziente, come se avesse fretta di allontanarsi. Incrociai ancora una volta i suoi occhi, e lui arrossì.
 
“Prenditelo da solo la prossima volta, perché io non lo farò di nuovo!” mi ammonì con un dito per aria, nascondendo l’imbarazzo dietro quel suo caratteraccio… che ormai non mi ingannava più. Gli sorrisi, ringraziandolo, e lui mi imprecò addosso.
 
Già… sei proprio un gattino un po’ timido…
 

*****

 
Taemin fissò ancora una volta quella foto, che aveva dimenticato dentro il diario. Era a scuola, e non poteva mostrare le proprie emozioni. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente… ma quella fitta al cuore stava diventando rapidamente insopportabile.
 
Ti prego, ti prego, ti prego… pensa ad altro. Pensa ad altro. Pensa ad altro.

Minho…

 
La prima volta che si erano conosciuti, non gli aveva fatto una cattiva impressione. Tuttavia… c’era qualcosa di estremamente serio, e forse anche un po’ freddo, in quegli occhi scuri che lo squadravano con accondiscendenza. Sembrava che lo stesse accettando più per compassione, che per piacere.
 
Jinki gli aveva detto che si sarebbero trovati bene insieme, ma lui non gli credeva affatto. Gli aveva detto di chiamarlo Hyung, ma fuggiva ogni volta che provava ad avvicinarsi. Lo guardava a lungo la mattina, mentre facevano colazione allo stesso tavolo. Al più piccolo non dispiaceva… era normale un po’ di curiosità infondo, no?
 
Le cose però non migliorarono nei giorni successivi. Minho sembrava sempre più distante… sempre più evasivo. Se sedevano accanto, sul divano, per guardare la televisione… il moro occupava il minor spazio possibile, assicurandosi di non sfiorarlo… neanche per caso. Ne aveva abbastanza di quel comportamento infantile! Credeva che avesse il colera, forse?!
 
Con Kibum era stato diverso. La sua omma era allegra, sorridente… lo abbracciava di continuo e lo riempiva di attenzioni. Gli aveva perfino affibbiato un vezzeggiativo. Minnie. A Taemin piaceva, lo faceva sentire ben voluto. Così aveva finito col frequentare più il vicino, del suo stesso coinquilino. Il ragazzo dai capelli chiari lo aiutava a fare i compiti, nel pomeriggio… e lo lasciava giocare con la sua cagnetta.
 
Un giorno erano andati a comprare un dolce, alla pasticceria poco lontano da casa. Kibum non lo aveva fatto pagare, invitandolo a consumare la torta insieme a lui. Aveva accettato, senza preoccuparsi di avvertire il moro che non sarebbe rincasato per cena.
 
“Figurati… cosa vuoi che gliene importi!” si era detto, lasciandosi trascinare nell’appartamento dell’amico.
 
Si era sbagliato. Minho aveva notato la sua assenza, eccome. Alle 23:00, un pugno era stato sbattuto con violenza sull’uscio del 22/B, mentre la voce concitata di Jinki li aveva supplicati di lasciarli entrare. Lasciarli? Il più piccolo aveva sgranato gli occhi, mentre il moro si catapultava dentro come una furia… afferrandolo per un braccio.
 
“Sei impazzito?!” gli urlò in faccia, strattonandolo con forza “Mi hai fatto girare mezza Seul, perché diavolo non mi hai avvisato?!” il suo sguardo lo impaurì, e Taemin arretrò istintivamente all’indietro… finendo contro Kibum.
 
Il biondo li aveva separati con un movimento deciso, aggredendo “verbalmente” Minho. Il ragazzino dai capelli castani aveva tremato un po’… scombussolato da quella scenata. Era finito a terra, in ginocchio… mentre le lacrime prendevano a rigargli copiose il volto pallido.
 
Jinki lo aveva velocemente soccorso, pregando gli altri due di smetterla di urlare. Avevano fatto sedere il più piccolo sul divano, e Kibum aveva diluito due bustine di zucchero in un bicchiere d’acqua. Nessuno fiatò per i primi dieci minuti, aspettando che Taemin si riprendesse.
 
“E’ venuto da me poco fa…” iniziò il maggiore con calma, mantenendo quel suo solito tono pacato e rassicurante “Non sapeva che fine avessi fatto, e si era preoccupato. Non puoi biasimarlo infondo, vero?” chiese al più piccolo, facendolo arrossire “Ho ricordato di averlo visto con te, nel pomeriggio…” disse ancora, rivolgendosi a Kibum “Lo stava cercando da almeno due ore…” concluse con un sospiro.
 
Minho teneva il capo chino, e i pugni serrati dentro le tasche. Taemin si era alzato, barcollando verso di lui. Le gambe faticavano a tenerlo in piedi, ma rifiutò l’aiuto premuroso di Kibum. Il più grande sollevò lo sguardo, fissando con rammarico gli occhi scuri del suo coinquilino.
 
“Mi dispiace… di averti fatto male…” borbottò a disagio, passandosi una mano tra i capelli.
 
Al ragazzino dai capelli castini… quel tizio alto e dalle spalle larghe… era sempre piaciuto. Il problema era sorto quando aveva creduto di non essere ricambiato. Anche se in un modo un po’ eccessivo, il moro gli aveva appena dimostrato di essersi sbagliato.
 
Taemin si sollevò sulla punta dei piedi, abbracciandolo forte. Minho vibrò appena contro di lui, stringendolo subito dopo. Kibum e Jinki si erano velocemente eclissati nella camera del biondo, lasciando loro del tempo per chiarire. In realtà… di parole ce n’erano state veramente poche.
 
“Se ti offro un pezzo di torta… mi perdoni?” aveva chiesto il ragazzino… con le guance imporporate e gli occhi pieni di speranza. Il moro aveva abbassato ritmicamente la testa, sorridendogli.
 
Era quello. Era quello il sorriso che Taemin ricordava. Dolce, sensibile… vagamente divertito. Da quel giorno non c’erano più stati silenzi o fughe fra di loro. Minho si era amorevolmente preso cura del più giovane, con tutti i suoi piccoli gesti carichi di significato… e quegli sguardi pieni d’affetto, che si scambiavano prima di salutarsi.
 
Jinki aveva ragione… loro due andavano molto d’accordo. Il ragazzino sorrise, riponendo la foto dei genitori dietro l’ultima pagina del diario. Non era capace di affrontarli ancora… quei volti felici, che lo fissavano attraverso un’immagine sbiadita. Con il tempo, ci avrebbe riprovato.
 
Per ora… continuerò a pensare un altro po’ a lui.
 

*****

 
Jinki prese l’ultima fetta di dolce, sorridendo alla donna dietro il bancone. Era bassina, con i capelli rossicci. Quando era ancora uno studente, aveva preso l’abitudine di fermarsi in laboratorio a parlare con il professore… anche quando gli altri ragazzi erano andati a pranzare. Aveva sempre domande nuove, curiosità ogni volta diverse… di tempo per pensare al cibo, non riusciva a trovarne.
 
Così capitava spesso che la mensa chiudesse, e lui rimanesse senza nulla per pranzo. Quella donna, con cui adesso stava scambiando qualche chiacchiera, conservava una fetta di dolce per lui. La incartava con cura, adagiandola sul suo armadietto... accanto alla porta principale. Jinki sorrise a quel ricordo, e si incamminò verso il tavolo dei suoi amici.
 
“Ma lo sai che è strano…” stava dicendo Kibum, mentre il più grande prendeva posto “ogni volta che arrivi tu, appare magicamente una fetta di torta… che prima non c’era…” mormorò pensieroso, grattandosi la testa con il tappo della penna che teneva tra le mani.
 
Il ragazzo dagli occhi nocciola non rispose, addentando con gusto il proprio dolce. Lo sapeva bene, ma non gli andava di confessare il suo piccolo segreto. Bevve un sorso d’acqua, e ignorò quel breve commento. Con il viso rilassato e lo stomaco soddisfatto, prese ad osservare con interesse i propri amici. Chi mangiava, come Minho, e chi chiacchierava... come Kibum.
 
Jonghyun aveva fatto scivolare un pezzo della propria torta nel piatto del più piccolo, e questi aveva iniziato a farneticare di non averne bisogno. Il biondo gesticolava, agitato, mentre l’altro ragazzo lo fissava con un sorriso… quasi non lo stesse ascoltando. Alla fine Kibum si arrese. Sospirò pesantemente, ringraziandolo con le guance ancora rosse… e lasciò sprofondare la sua espressione imbarazzata nel piatto.
 
“Siete carini insieme…” fu l’osservazione sincera che venne fuori all’assistente di laboratorio, mentre Minho… che fino ad allora era apparso disinteressato alla questione… rideva sommessamente contro il palmo della propria mano.
 
Il sorriso di Jonghyun si allargò notevolmente, e i suoi occhi scuri non si separano neanche per un secondo dal volto del biondo… che invece era diventato paonazzo. Sembrava avesse dimenticato perfino come si faceva a respirare. Jinki se la rise, gustandosi quella sua reazione.
 
Pensavi che non mi fossi accorto di come lo guardi? Datti una svegliata Kibum… anche lui ti guarda.
 
“Ca-carini?” strillò il più piccolo con voce stridula “So-sono un raga-gazzo!” continuò imperterrito. Il fatto che la sua indignazione stesse venendo fuori balbettante, non faceva altro che rendere più divertente la scena. “Non parlare mai più di me in questi termini! Io…”
 
“Bummie, fai aaahhh…” Jonghyun gli sventolò un pezzo di torta davanti al naso. L’aveva spezzata con le mani, mentre il più piccolo era impegnato ad inveire contro Jinki. Il biondo aveva schiuso istintivamente le labbra, lasciandosi imboccare.
 
Nell’esatto momento in cui il dolce gli sfiorò la lingua, kibum strabuzzò gli occhi... arrossendo come una persona stesa per ore al sole, senza ombrellone o crema solare. Minho rise più forte, e il bruno accarezzò soddisfatto i capelli lisci del suo coinquilino.
 
“Si, sei proprio carino…” mormorò con un sorriso, picchiettando con dolcezza sulla punta del suo nasino.
 
Lo sguardo si assottigliò, prendendo rapidamente fuoco. Il biondo era balzato in piedi, sbattendo entrambe le mani sul tavolo… che aveva tremato appena, a causa della rabbia che aveva guidato quel gesto. Le guance si gonfiarono, le vene del collo diventarono più evidenti. Era sul punto di urlare, e Minho si avvicinò tempestivamente al maggiore… aumentando le distanze tra sè e lo “tsunami in arrivo”.
 
Tutto cessò di esistere in una manciata di secondi. Dei lunghi capelli biondi svolazzarono nell’aria, merito della corsa della loro proprietaria. Hyuri arrivò alle spalle di Jonghyun, abbracciandolo forte.
 
“Grazie, grazie, grazie!” strillò all’orecchio dell’amico, e il bacio schioccante che gli lasciò sulla guancia… fece impallidire Kibum.
 

*****

 
Oca. Megera. Poco di buono. Dio quanto avrei voluto strangolarla! Lui poi… con quel sorriso ebete sulla faccia, le aveva dedicato tutte le attenzioni non appena gli si era seduta accanto. Tra le mani teneva una bustina, non molto grande. La pasticceria vicino casa. Il cuore tremò appena… e fui costretto a raccogliere le mie cose. Andai via subito dopo, senza dare spiegazioni. Quello stronzo!
 
Seung Su sfiorò le mie dita, e io rabbrividii. Mi ero scordato di lui. Ritrassi velocemente la mano, e ripresi la mia spiegazione. Gli porsi un nuovo libro, facendogli appuntare nuove formule. Mi seguiva con interesse… era abbastanza sveglio. Probabilmente non aveva neanche bisogno delle mie ripetizioni, ma questo lo avevo immaginato subito.
 
“Oggi vorrei fermarmi un’altra oretta, se non ti dispiace…” mi propose con lo sguardo basso, arrossendo appena. Pensai ai soldi extra che mi avrebbe lasciato, e acconsentii. Quelli… erano l’unico motivo per cui mi sforzavo di sopportarlo.
 
“Mi rispiegheresti questo punto…” disse ancora, tornando a toccarmi “Non ho capito molto bene il secondo passaggio…” e le dita erano salite sul polso. Sbuffai, e con la scusa di prendere carta e penna… mi allontanai dal suo tocco.
 
“Oggi sembri nervoso…” si lasciò sfuggire, sospirando piano. Non gli diedi retta, e cercai di concentrarmi sugli appunti che stavo scrivendo per lui. La penna vibrò appena tra le mie mani. Certo che ero nervoso… eccome se lo ero!
 
Non mi illudevo molto con lui. Con Jonghyun intendo. In realtà però… un po’ ci avevo sperato. Era gentile con me. Si preoccupava dei miei orari, delle mie esigenze. La sera prima si era avvicinato troppo, e io avevo rischiato di restarci secco. Mi piaceva quel suo modo di fare… sempre premuroso, sempre disponibile. Mi aveva fatto illudere. Poi avevo scoperto che non riservava solo a me quelle attenzioni particolari, e il mio castello di carta era venuto giù… lasciandomi l’amaro in bocca.
 
Cercai di non ripensare a quello stupido dolce che le aveva comprato, e passai il foglio di carta al ragazzo che mi stava di fronte. Lui scorse velocemente le prime righe, abbassando ritmicamente la testa. Non era un grande attore, si vedeva lontano un miglio che conosceva alla perfezione quel passaggio.
 
“Tutto chiaro?” chiesi irritato, e la sua conferma fu totalmente scontata. “Bene, allora andiamo avanti… segui questo esempio” sollevò lo sguardo verso di me, ascoltandomi con attenzione “Hai una spugna secca… la prendi e la immergi nell’acqua. La prima cosa che noti è che questa si gonfia. In pratica… in quel momento le sue molecole si stanno allontanando l’una dall’altra…” sorrise, e il mio fastidio crebbe. Odiavo la gente che mi fissava in quel modo.
 
“L’acqua ha riempito tutti gli intervalli e la spugna ha acquistato capacità. Quello che è successo, può inizialmente far pensare che l’acqua abbia esercitato una fattispecie di forza repulsiva, sulle molecole della spugna, spingendole ad allontanarsi. In realtà è tutto l’opposto…” le ultime parole mi morirono in gola, mentre quell’idiota si prendeva il labbro inferiore tra i denti… osservando spudoratamente la mia bocca.
 
“E’ attrazione...” mormorò a bassa voce, cercando i miei occhi “la gravità dell’acqua… la forza che le molecole del fluido esercitano l’una sull’altra… identica a quella che agisce sulla spugna… e infine…” eccolo là, giocherellava con la penna… roteandola tra le dita… e la usò per sfiorarmi il braccio. Odiosamente viscido.
 
“Infine…” ripeté con enfasi “C’è l’attrazione che le molecole dell’acqua… esercitano su quelle della spugna” allungò una mano verso di me. Gli sorrisi. Quella volta gli avrei cavato un occhio… parola mia! Mi toccò ancora, ma nel suo sguardo non c’era più traccia d’imbarazzo. Presi aria, pronto a fare fuoco, ma…
 
“Elasticità?” la voce di Jonghyun mi fece sussultare, mentre il libro sul quale le nostre mani si erano unite… venne portato via con un movimento deciso. Il legame venne reciso, e Seung Su imprecò fra i denti… infastidito da quell’interruzione.
 
Il mio coinquilino si lasciò cadere sulla sedia accanto alla mia, portando con familiarità un braccio intorno alle mie spalle. Fissai il suo profilo sorridente. Sembrava soddisfatto. Mi venne voglia di prenderlo a sberle… proprio quando avevo smesso di pensare a lui!
 
“Che ci fai qua?!” chiesi burbero, e lui si voltò a guardarmi.
 
“Mi mancavi…” risposta diretta, apparentemente sincera. Mi sorrise ancora… più dolcemente. I suoi occhi scuri erano troppo vicini, mettendo a dura prova il mio cuore. Il primo battito venne fuori un po’ accelerato, e abbassai la testa sul libro che avevo davanti… cercando di sfuggirgli.
 
“Non devi andare a lavoro?” provai ancora, stropicciando un angolo del mio block notes. Stavo diventando nervoso, e quella consapevolezza non mi aiutava. Pregai perché se ne andasse, ma dei nuovi libri vennero poggiati sul tavolo… proprio accanto ai miei.
 
“Pomeriggio libero. Ieri è arrivata la merce nuova, e oggi il negozio è chiuso per allestimento” spiegò brevemente, spingendosi in avanti sul gomito sinistro… che aveva puntato sul ripiano in legno “Ho pensato di farti un po’ di compagnia…” la sua voce bassa mi solleticò l’orecchio, facendomi avvampare.
 
Al diavolo… scimmia dei miei stivali! Per quale dannato motivo ti ostini a torturarmi così?! Tornatene da quella sciacquetta e lasciami in pace!
 
“Vattene da Hyuri!” sbottai come un idiota, liberandomi con uno strattone della mano che si trovava ancora sulla mia spalla. Non si scompose minimamente, mentre la mia voglia di gettarmi dalla finestra crebbe a dismisura. Ero impazzito! Ecco… ero impazzito completamente!
 
“Dai Bummieee…” cantilenò petulante, chiudendo le dita intorno al mio braccio e smuovendomi con delicatezza “Non essere arrabbiato con me, ok?”
 
Sospirai pesantemente, incurvando le spalle… mentre scivolavo più in basso sulla sedia. Chiusi gli occhi, lasciando ciondolare la testa in avanti. Possibile che non potessi avere un attimo di pace?! La sua mano forte mi scompigliò i capelli, facendomi scordare perfino dell’esistenza di quello sgradevole omuncolo, che mi sedeva di fronte.
 
“Oohh Jinki ha proprio ragione…”
 
Avrei dovuto infuriarmi. Mi stava dicendo ancora che ero carino, giusto?! Ma come facevo?! Dannato Jonghyun! Continuava ad accarezzarmi e io stavo lentamente entrando in fibrillazione. Quando finalmente riuscii ad aprire gli occhi, credo che la mia espressione dovesse assomigliare più o meno a quella di un gatto pronto a strusciarglisi addosso. Lui rise piano, e io arricciai le labbra… avvertendo una nuova ondata di calore risalirmi verso le guance.
 
Seung Su ci fissava ad occhi sgranati, sicuramente sconvolto. Sapevo quello che sembrava, ma non me ne importava nulla. Il mio sguardo aveva incrociato quello del mio coinquilino… così incredibilmente dolce. Non sarei riuscito a concentrarmi su altro, neanche se lo avessi voluto.
 
“Sai che facciamo?!” esclamò entusiasta, balzando in piedi con un movimento veloce. Con la sua mano ancora stretta intorno al braccio, ero stato facilmente trascinato in alto… abbandonando a mia volta la sedia “Adesso torniamo prima a casa, e ci mettiamo ai fornelli!” sollevai un sopracciglio. Dovevo abbandonare lo studio per cucinare?
 
“Non fare quella faccia!” mi rimproverò lui, fingendosi offeso “Prepariamo qualcosa e invitiamo gli altri, ti va? Domani Taemin non ha scuola, possiamo rimanere tutti insieme e guardare un film!” sembrava euforico, e l’idea di rifiutare la sua proposta già mi faceva sanguinare il cuore.
 
“Dai Bummie… non dirmi di no…”
 
Finito. Battaglia persa. Aveva messo su quegli occhioni sbrilluccicosi da cucciolone. Neanche Lucy mi guardava in quel modo. Abbassai rassegnato la testa, confermando la mia decisione di seguirlo. Il sorriso che mi rivolse fu qualcosa di… non lo so… wow! Come cavolo avevo fatto a fregarmi il cervello in così poco tempo?
 
“Vivete insieme?” la voce acida di Seung Su irruppe fastidiosa tra le mie pippe mentali, facendomi arricciare le labbra. Qualche problema?! Si. Dallo sguardo gelido che lanciò a Jonghyun, direi proprio che doveva averlo… “qualche problema”.
 
“Assolutamente!” fu la risposta decisa del mio coinquilino, che senza degnarlo di considerazione si era già chinato sul tavolo… raccogliendo i suoi libri, e subito dopo i miei “Tieni Bummie!” disse voltandosi verso di me, mentre mi porgeva la tracolla nera… già bella che sistemata.
 
Prese tra le braccia i volumi che avremmo dovuto riconsegnare prima di uscire e, contro ogni previsione, rivolse la parola direttamente a Seung Su.
 
“Kim Jonghyun, piacere” si presentò con un sorriso, mentre l’altro ragazzo si ritrovava costretto a stringere la sua mano. Fissai quella scena con un sopracciglio inarcato, confuso sulle sue intenzioni. “Sei il ragazzo a cui Bummie da ripetizioni?” domandò tranquillo, infilando distrattamente il proprio giubbotto.
 
“Si, e noi stavamo ancora…” sapevo cosa aveva intenzione di dire. Stavamo ancora studiando? Si, vallo a raccontare a qualcun altro! Non ne hai neanche bisogno, tu sei qui con intenzioni completamente diverse!
 
“Avevo notato” lo interruppe velocemente Jonghyun, scrollando le spalle. Seung Su storse le labbra, ovviamente infastidito dalla sfrontatezza del mio coinquilino “Ma sai… quanto lo paghi?” anche io feci una piccola smorfia. Dove cavolo voleva andare a parare?
 
“Dipende dalle ore che facciamo” rispose secco il viscidone, spostando lo sguardo verso di me.
 
“Qualsiasi sia la cifra…” il ragazzo che mi stava accanto si sporse in avanti, poggiando i palmi delle mani sul tavolo... che Seung Su ancora occupava “Dovresti aggiungerci parecchi zeri, prima di poterlo toccare…”
 
Quelle parole vennero fuori fredde… minacciose. Non riuscivo a vederlo in faccia, e la cosa mi infastidii. Com’erano i suoi occhi? Quali sentimenti trasparivano dalla sua espressione? Il tizio di fronte a lui si irrigidì, allontanandosi… per quel che gli era possibile.
 
Cercai di ignorarlo… il battito impazzito del mio cuore. Una scarica di adrenalina mi era esplosa in corpo, e non sapevo come metterla a tacere. Perché lo aveva detto? Perché si era messo in mezzo? Perché stava tenendo la mia mano, mentre si incamminava verso l’uscita?
 
Fissavo le sue spalle, imbambolato e sognante. Aveva appena affermato che Seung Su non poteva toccarmi, vero? Non era stata la mia fantasia impazzita... ad immaginare tutta quella scena? No, diavolo no! La sua voce l’avevo sentita bene… chiara, decisa. Proprio come l’aveva sentita anche quel ragazzo dalle mani lunghe, che avevamo lasciato pietrificato al tavolo.
 
Sorrisi, come un idiota… mentre l’aria fresca mi scompigliava i capelli. Jonghyun si bloccò di colpo, liberando la mia mano. Lo fissai sorpreso… deluso. Già ne sentivo la mancanza… di quel tocco caldo e gentile. Mi venne vicino, sfilando dalla tasca un berretto di lana. Era quello che gli avevo dato quella mattina.
 
“Mettilo tu…” disse semplicemente, infilandomelo in testa. Ci mise un po’ troppo foga, e il cappello mi scivolò sugli occhi… impedendomi di vederlo. Mormorai appena, infastidito, mentre lui rideva piano. Chinai il capo, e le sue mani sul viso… mi fecero rabbrividire.
 

*****

 
Non ero riuscito ad evitarlo. Minho mi aveva detto dove trovarlo, ma non mi aveva specificato il fatto che non sarebbe stato solo. Quando ero entrato, entrambi erano chini sui libri. Avevo riconosciuto in Seung Su quel tipo del cortile, intuendo la natura dei loro impegni. Non volevo disturbarlo… ma non mi andava neanche di tornare a casa da solo.
 
Così mi ero seduto diversi tavoli più avanti, osservando il movimento distratto... con il quale si rigirava un ciuffo di capelli fra le dita. Non sembrava che ne fosse cosciente, anche se gliel’avevo visto fare spesso in quegli ultimi giorni… mentre leggeva, o mentre guardava la televisione. Era come un avvertimento per me. Significava che, qualsiasi cosa stesse facendo, stava pensando ad altro.
 
Lo vidi sospirare, e poi fare una piccola smorfia. Era inquieto. Cosa ti passava in quella piccola testolina, Bummie? Chi era la causa di quel mal’umore? Poi Seung Su gli aveva detto qualcosa, e il movimento lascivo con il quale gli aveva sfiorato la mano mi aveva fatto sgranare gli occhi. Ero già balzato in piedi, ma il mio coinquilino si liberò rapidamente dal suo tocco… infilando la testa dentro la borsa.
 
Tornai a sedermi, ma i miei occhi non si staccarono più da loro. Serrai la mascella, quando la penna scivolò sul braccio di Kibum. Strinsi i pugni, quando quell’idiota si morse le labbra… puntando gli occhi sulla bocca rossa... di quel ragazzo dal profilo delicato. Era troppo! Mi precipitai verso di loro, e per fortuna ero abbastanza lontano. Il mio cervello lavorò velocemente… cosa che mi sorprese!
 
1° pensiero: Gli spacco la faccia!
2° pensiero: Gli faccio ingoiare la penna!
3° pensiero: Porto via Kibum!
4° pensiero: Cosa gli dico? Si arrabbierà?
5° pensiero: Crederà che sono pazzo…
 
Rallentai, cercando di inspirare profondamente un paio di volte. A meno di due metri... mi fermai completamente. Chiusi gli occhi. Recitai mentalmente una preghiera, e mi feci avanti. Sapevo cosa avrei fatto. Sapevo cosa avrei detto. Molto meno di quello che avrei voluto. Abbastanza da fermare quell’idiota.
 
Raggiunsi Kibum, e mi calai nel mio ruolo di coinquilino affettuoso. Quando arrivò il momento, ricordai a quel viscido verme qual’era il suo posto… godendo di fronte alla sua espressione impaurita. Poi presi per mano il mio Bummie… e me lo portai via.
 
Adesso era fermo di fronte a me, fuori dall’università. Era troppo tenero… con quel berretto sceso sugli occhi, e le labbra rosse arricciate. Poggiai entrambe le mani sul suo viso, e gli sfilai lentamente il cappello. I suoi occhi felini si aprirono silenziosi, togliendomi per un attimo il respiro. Erano così belli…
 
Kibum era imbronciato. Mi venne istintivo sfiorarla... quella bocca a forma di cuore, leggermente protesa in avanti. Era piccola… e morbida. Vibrò contro la mia pelle, e mi fece sorridere.
 
“Avanti Bummie… non tenermi il muso…” lo pregai, giocherellando sulla sua smorfia. Kibum arrossì immediatamente, sussurrando qualche parola sconnessa. Il mio tocco lo aveva imbarazzato, e non riuscivo a fargliene una colpa. Allontanai la mano, e gli porsi il mio braccio.
 
“Aggrappati...” lo invitai, sperando di far sparire il cattivo umore dal suo volto. Parve titubante, ma alla fine si strinse a me. Il suo corpo era caldo. Riuscivo ad avvertirlo, accanto al mio… nonostante i giubbotti che ci dividevano.
 
Camminammo in silenzio per qualche minuto, e il mio coinquilino si stava lentamente rilassando. Ripensai a quello che avevo detto a quel tizio, in biblioteca. Ero stato precipitoso? Magari Kibum si era infastidito. Non mi era sembrato, comunque. Per un attimo, avevo quasi creduto di poter leggere un po’ d’emozione… dentro quegli occhi incredibilmente neri.
 
Ripensai alla sua battuta scontrosa su Hyuri, e al suo viso infastidito… mentre a mensa le porgevo il dolce che le avevo portato. Che lei non gli piacesse era abbastanza chiaro, ma perché? Quella frase poi… “Vattene da lei!”
 
Sbirciai il suo profilo, e lui scalciò via un sassolino. Non si era accorto che lo stavo fissando. Teneva lo sguardo basso, e la fronte leggermente aggrottata. Allungai un dito, distendendo con dolcezza quella linea sottile… che deturpava in modo sconsiderato quei lineamenti incredibilmente delicati. I suoi occhi sorpresi si sollevarono verso i miei, e cercai di sorridergli.
 
Si morse le labbra, di nuovo a disagio. Come faceva ad essere così? Prima sfrontato, poi timido. Prima dolce, poi aggressivo. Prima arrabbiato, poi sfuggente. Dio… quel ragazzo era proprio un mistero. Non facevo in tempo a scoprire uno spiraglio… di quella sua spiazzante complessità, che lui si richiudeva velocemente in se stesso… impedendomi di andare oltre.
 
Anche in quel momento lo fece. Chinò velocemente il capo, cercando di nascondere dietro i capelli le guance arrossate. Stupido… perché si voltava? Quei momenti, erano senza ombra di dubbio i miei preferiti. I suoi occhi scuri sembravano parlare… mentre mi fissavano spaesati… timorosi. Mi facevano sentire… non lo so. Come se… qualsiasi cosa ci fosse intorno… lui riuscisse a renderla invisibile.
 
Mi avvicinai lentamente, scostando con una carezza i suoi capelli biondi. Ci eravamo fermati, e qualcuno aveva anche cominciato a guardarci. Sembrava una situazione “ambigua”, me ne rendevo conto. Non mi importava. Volevo solo che tornasse da me… che la smettesse di scappare.
 
“Sorridi…” sussurrai al suo orecchio, aumentando il suo imbarazzo. Cercai di essere sincero. Dirgli quello che volevo, e sperare che capisse. E ciò che desideravo in quel momento… era vederlo sorridere.
 
Le sue labbra tremarono appena, schiudendosi. Inspirò piano, e altrettanto lentamente… si voltò verso di me. Partì dagli occhi… silenzioso, disarmante. Quelle pozze scure si riempirono di dolcezza, mentre le sue labbra si sollevavano titubanti… mostrandomi un sorriso stupendo.
 
Era un sorriso timido. Un sorriso dubbioso. Un sorriso che… voleva essere rassicurato. Mi fece battere più forte il cuore… e un po’ mi vergogno ad ammetterlo. Nessun persona, prima di allora, era riuscita a farmi emozionare con così poco. Non riuscii a non dirglielo.
 

“Sei così bello…”

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Capitolo 9
*** Il motivo... che non conosco ***




 

Capitolo 08 - Il motivo... che non conosco

Minho infilzò il suo spiedino, dandoci un morso. Si ripulì le labbra con un tovagliolino accartocciato, che aveva lasciato accanto al proprio piatto… e si voltò verso il ragazzo seduto al suo fianco. Storse le labbra, notando tutto il riso ancora nella ciotola. Mangiava troppo poco.
 
Sbuffò, prendendo il cucchiaio dalle mani di Taemin. I chicchi bianchi scivolarono facilmente al suo interno, riempiendolo completamente. Il più piccolo già scalpitava. Riusciva a notarlo… dal frenetico oscillare del suo piede destro, abbandonato fuori dal divano. Gli portò il cibo alle labbra, con un movimento deciso, e il ragazzino iniziò a lagnarsi.
 
“Sono pieno… Hyuuung, ti preeego!” le manine sottili si giunsero, con fare supplichevole… ma non ci fu nulla da fare. Minho scosse la testa, e gli ficcò il cucchiaio direttamente in gola. Non molto delicato, ma comunque efficace.
 
“Mangia!” ordinò categorico, restituendogli la ciotola “Se non finisci tutto… scordatelo di comparire nella mia stanza, in piena notte!” lo minacciò severo, e tre paia di occhi si sgranarono sulla sua espressione burbera.
 
Kibum aveva appena messo in bocca della carne, ma finì per sputacchiarla tutta. Cos’è che aveva detto?! Stanza? Piena notte? Taemin… nel suo letto?!
 
“Che diavolo è questa storia?!” strillò infuriato, cercando di mettersi in piedi. Jinki si era già sporto in avanti, trattenendolo. Sarebbe finita a botte… se qualcuno non si fosse messo in mezzo. Il biondo era troppo irascibile, quando si trattava del più piccolo.
 
Non riuscendo nel suo intento di aggredire il moro, Kibum si liberò velocemente dalla prese del padrone di casa… coricandosi letteralmente sul tavolo. Le sue mani apprensive si erano avvinghiate alla maglia di Taemin, trascinandolo giù dal divano.
 
“Guardami negli occhi!” urlò come un ossesso, strattonandolo come un pupazzo di pezza. Il ragazzino venne sballottato freneticamente a destra, e subito dopo a sinistra. “Racconta tutto alla tua omma!” lo supplicava il biondo, mordendosi le labbra furioso “Se ti ha fatto qualcosa giuro che…!” neanche terminò la frase.
 
Mollò Taemin con un movimento brusco, digrignando i denti e balzando repentinamente in avanti. Minho sgranò gli occhi, ritrovandoselo ad un pelo dal naso. Gli artigli levati in aria, e lo sguardo assassino. Kibum dava di sé… un’immagine degna di un omicida.
 
“Piccolo sciagurato…” sibilò rabbioso “ma io ti strappo il cuore dal petto!” le mani scattarono velocemente in avanti, con tutta l’intenzione di strangolare il povero sventurato. Il moro chiuse automaticamente gli occhi… non c’era più speranza per lui!
 
“Lasciami! Mollami immediatamente!” quelle grida da femmina isterica, apparvero a Minho inaspettatamente lontane. Si azzardò a schiudere un occhio, sbirciando la situazione intorno a sè. Quello che vide, per poco non lo fece cadere dal divano.
 
Jonghyun teneva le mani intorno ai fianchi di Kibum, e se lo stava faticosamente depositando in grembo. Quel piccolo assatanato continuava ad urlare come un ossesso, cercando di sfuggirgli. Le dita del più grande, evidentemente, non glielo permisero… e lui sbuffò, risentito.
 
“Perché li difendiiii?!” piagnucolò il biondo, tempestando di pugni il petto del suo coinquilino “Mi ha fatto arrabbiare, dovrebbe essere già morto…”
 
Doveva essere una minaccia? Non ne aveva affatto le sembianze. La voce di Kibum, infatti, si era lentamente affievolita… scomparendo completamente, sulla spalla del ragazzo che lo stava stringendo. Il bruno se l’era tirato contro il petto, accarezzando amorevolmente i suoi capelli biondi. Perfino Jinki smise di mangiare, osservando con interesse quella scena inaspettata. Il più giovane stava lentamente sbollendo, mentre le sue guance diventavano via via più rosse.
 
“Lo so… sshhh… non ti preoccupare…” stava mormorando Jonghyun al suo orecchio, cullandolo dolcemente “Se adesso ti tranquillizzi un po’, vedrai come gli altri… ti daranno sicuramente una spiegazione…” proseguì con parsimonia, sorridendo… mentre la fronte di Kibum scivolava docilmente contro il suo collo.
 
Il più grande lanciò un rapido sguardo a Taemin, che era probabilmente il più allibito di tutti. Con la bocca spalancata e gli occhi sconvolti… continuava a fissare la sua omma… come se le fosse improvvisamente cresciuta la coda!
 
No! Non può essere! Come cavolo c’è riuscito?! Guardalo lì… sembra un bambino! Kim Kibum… ammutolito… da un abbraccio?!?!
 
Il sorriso di Jonghyun si fece più largo, mentre il corpicino stretto al proprio vibrava impercettibilmente. Il biondo puntò rapidamente le mani sul petto dell’altro ragazzo, cercando di sottrarsi a quel contatto. Schiuse le labbra, cercando di prendere aria. Dove era finito tutto l’ossigeno?!
 
Quella stupida scimmia continuava a tenerlo per i fianchi, senza dargli via di scampo. Borbottò il suo disappunto, tentando ancora di sfuggirgli. Il bruno sospirò, sollevando una mano verso il suo viso. Una carezza leggera, rassicurante… e tra Kibum e un pomodoro non ci furono più differenze.
 
“Ascolterai quello che ti diranno?” gli chiese il più grande, con tono pacato e sguardo dolce.
 
“Tu-tutto quel-lo che vuoi… pe-però ad-desso la-lasciami anda-dare…” balbettò il biondo, con disperazione, mentre il ritmo martellante del proprio cuore… rischiava di farlo impazzire.
 
“Bene…” le mani di Jonghyun scivolarono silenziose verso il basso, liberandolo. Con lo sguardo fissò nel suo, Kibum si sentì improvvisamente spoglio. Gli era piaciuto, essere abbracciato da lui. Il suo respiro spezzato… ne era la prova lampante.
 

*****

 
Era praticamente “volato” verso la sua stanza, farneticando qualcosa… sull’urgenza di mettersi qualcosa di più comodo. Tutte scuse. Lo avevo capito io, e lo avevano capito anche gli altri. Il ragazzone dai capelli scuri continuava a sorridere, riprendendo a mangiare con più gusto di prima.
 
“E così…” mormorai con noncuranza, prendendo qualche altra zucchina dal piatto accanto alle birre “Sembra che andiate d’accordo, mmm?” buttai lì a caso, sbirciando con la coda dell’occhio l’espressione di Jonghyun.
 
Il lampo di soddisfazione che gli attraversò lo sguardo, non riuscì a nasconderlo. Sospirai, rigirandomi le bacchette tra le mani. Non avevo più bisogno che mi rispondesse. Pensai che era proprio sorprendente, il modo in cui… in così poco tempo… Kibum si fosse lasciato “imbrigliare”. Che quel tipo gli piacesse… era totalmente scontato.
 
Minho e Taemin continuavo a punzecchiarsi. Il più piccolo fingeva di portare alle labbra un cucchiaio stracolmo di riso. Il moro, tutto contento, riprendeva a mangiare… e nel frattempo… il ragazzino lasciava ricadere metà boccone nel piatto. Era troppo divertente vederli insieme.
 
“Mangi da venti minuti, ma il riso è ancora tutto lì!” borbottò il più grande, fissandolo trucemente. Mi dispiace Min… mi sa che sei appena stato beccato. Mi venne da ridere, e lo feci. Quei quattro… ce ne avrebbero messo di tempo a comprendersi.
 
Jonghyun mi stava guardando. Il mio divertimento doveva averlo incuriosito. Gli versai dell’altra birra, e lui l’accettò con un sorriso. Era semplice da leggere. I suoi occhi erano molto sinceri. La sua espressione, perennemente piena di dolcezza, poteva sembrare scontata e invece… non lo era affatto. La vicinanza di Kibum… lo rendeva dolce.
 
“Allora? Che film vediamo?” chiese in quel momento Minho, mettendo da parte le proprie bacchette. Lui e Taemin erano gli unici sul divano. Noi, invece, ci eravamo appollaiati su dei cuscini… a terra.
 
Una quinta figura si aggiunse al gruppo, e gli occhi di Jonghyun si puntarono immediatamente verso di lui. Lanciò uno sguardo veloce all’abbigliamento dell’altro ragazzo, mentre Kibum… ancora imbarazzato… si fingeva tutto intento a recuperare i pop-corn, sull’ultimo ripiano della credenza. Il movimento con il quale si tese, fece sollevare un lembo della maglia bianca che indossava… scoprendogli automaticamente un fianco.
 
Quella scena… non me la dovevo assolutamente perdere! Il tessuto risalì velocemente sulla pelle chiara, che in questo modo… fu inevitabilmente messa in mostra. Eccolo lì. Le palpebre si abbassarono appena, Jonghyun sospirò piano… e la lingua scivolò sulle labbra. Sorrisi mentalmente, e Kibum appoggiò i pop-corn sul tavolo. Impossibile resistere.
 
“Spettacolo finito…” mormorai con indifferenza, osservando divertito… la grande mano che vibrava attorno al bicchiere. Gli occhi scuri si puntarono immediatamente sui miei, spiazzati e vagamente intimoriti. Mi fece un po’ pena vederlo così agitato. “Il lettore dvd…” aggiunsi mestamente, indicando Minho e Taemin, che continuavano a trafficarci. “Sembra che non sappiano farlo funzionare…”
 
Scattò in piedi, avvicinandosi per aiutarli. Se Kibum avesse avuto meno ormoni in circolo, non ci avrebbe messo molto… a notare quei chiarissimi segni di apprezzamento. Il biondo si sedette al mio fianco, incrociando le gambe sotto di sé. Mi allungò la scodella, e io affondai le dita tra quelle scricchiolanti palline salate. Mi piacevano un sacco!
 
Il film partì, ma io lo seguii appena. Era una commedia, neanche particolarmente interessante. La solita storia d’amore… piena di malintesi e qualche lite di troppo. Lo avevano scelto insieme, ma… fui assolutamente certo… che Jonghyun si fosse lasciato abbindolare dai suoi occhietti felini. Quale ragazzo sceglierebbe un film del genere?!
 
Mi misi comodo, appoggiando la schiena al muro… gustandomi con interesse ogni loro movimento. Il bruno era tornato al proprio posto, accanto al suo coinquilino. Kibum si era irrigidito immediatamente, finendo spalla a spalla con me. Se non ci fossi stato… sicuro che si sarebbe allontanato ancora di più.
 
Lo sguardo di Jonghyun lo cercava di continuo, tentando di leggere la sua espressione. Il biondo sembrava tutto concentrato sul film, e l’altro si fece raggirare facilmente. Feci scivolare lo sguardo lungo il braccio di Kibum, fermandomi sulle sue dita sottili. Il pantalone della tuta ci era finito inevitabilmente in mezzo, terminando accartocciato… e anche un po’ raggrinzito. Altro che film…
 
Il bruno infilò la mano dentro la scodella azzurra, che si trovava tra loro. Decisi che… si, potevo anche divertirmi un po’. Avvicinai le labbra all’orecchio di Kibum, sussurrandoci la mia richiesta. Si mosse istintivamente di lato, cercando quello che gli avevo chiesto. Sorrisi, mentre le loro mani si scontravano. Il più grande sussultò, sollevando gli occhi verso il biondo. Ero sicuro che fosse arrossito. Un peccato… che le luci fossero spente.
 
Il più piccolo mi allungò la mia manciata di pop-corn, e io lo ringraziai. Jonghyun aveva sospirato, mentre Kibum lo ignorava. Eh si… ce ne avrebbero messo molto di tempo…
 
Continuarono in quel modo per tutta la serata. Kibum lavava i piatti? Jonghyun si precipitava ad asciugarli. Kibum prendeva l’acqua dal frigo? Jonghyun gli porgeva il bicchiere. Kibum sbadigliava? Jonghyun gli finiva silenziosamente più vicino. Kibum chiudeva gli occhi? La spalla di Jonghyun raccoglieva il suo capo.
 
Il bruno sorrise, e io feci lo stesso. Il più piccolo mormorò qualcosa, probabilmente nel sonno. Il suo coinquilino sollevò un braccio, avvolgendo le sue piccole spalle. La prima volta che aveva tentato un gesto del genere… a casa mia… il risultato era stato decisamente diverso.
 
Kibum non si svegliò, ne cercò di sfuggirgli. Quando le mani di Jonghyun gli sfiorarono il viso, scostando la frangetta bionda dagli occhi… lui smise di lamentarsi. Strofinò la guancia contro le dita del più grande, e questi si morse le labbra. Confermavo il mio pensiero. Erano proprio carini insieme.
 
Allontanai lo sguardo, fingendo di non notare il gesto così intimo… con il quale, il bruno, gli stava baciando la fronte. Sollevai gli occhi sul divano, trovandoci gli altri due. Minho, completamente sbracato contro la spalliera, e Taemin… raggomitolato contro il suo braccio. Ecco qui un altro chiaro esempio di quella che si potrebbe definire… una coppia di testoni!
 
Il ragazzino strinse le mani sottili intorno ai fianchi del moro, e questi si innervosì eccessivamente. Non doveva essere facile… sopportare quel tocco così gradevole. Strinse le labbra, cercando di allontanare appena il suo coinquilino. Tae protestò, stringendosi più forte a lui. Si arrese, lo vidi chiaramente… mentre sospirava, e accarezzava con delicatezza i suoi capelli castani.
 
I titoli di coda si susseguirono lentamente sullo schermo, ma nessuno di loro sembrava intenzionato a mettere fine a quella serata. Ovviamente… chi ne avrebbe avuto motivo? Erano tutti così rilassati adesso… accanto alla persona, di cui desideravano ardentemente la vicinanza.
 
Li guardai un’ultima volta. Kibum, che era sveglio già da diversi minuti… ma continuava a tenere gli occhi chiusi. Jonghyun, che sorrideva come un idiota… mentre gli solleticava le labbra. Taemin, che perfino da addormentato… si ostinava a rimanere aggrappato al suo Hyung. E Minho, che nonostante i suoi sforzi e le sue reticenze… appariva così incredibilmente soddisfatto… con il corpo del più piccolo stretto al proprio.
 
Mi misi silenziosamente in piedi, avvicinandomi all’interruttore. Non avrei voluto guastargli la festa, ma lo schermo blu della televisione indicava chiaramente che il film era già finito da un pezzo. Il primo a riprendersi fu il moro. Strinse gli occhi, infastidito dalla luce… e arrossì appena, incrociando il mio sguardo divertito. Borbottò qualcosa a fior di labbra, chinandosi sul suo coinquilino per svegliarlo.
 
Jonghyun non ne fece una tragedia. Si mise lentamente in piedi, cercando di non svegliare il ragazzo che teneva ancora tra le braccia. Cosa avrebbe pensato… sapendo che quella era tutta una messa in scena? Io sicuramente non gliel’avrei detto!
 
Si incamminò con Kibum verso il corridoio, abbassando con un gomito la maniglia della seconda camera. Quando vi sparì dietro, non ci contai particolarmente… sul fatto che sarebbe ricomparso molto presto. Difatti… Taemin ebbe tutto il tempo di svegliarsi, e Minho di aiutarmi a rimettere al loro posto cuscini e pop-corn avanzati.
 
Quando Jonghyun tornò in cucina, sorrideva ancora. Il più piccolo del gruppo rimase a fissarlo… pensieroso. In realtà, credevo che avrebbe potuto tranquillamente addormentarsi in piedi… tanto i suoi occhi erano arrossati. Poi schiuse le labbra, lasciandosi sfuggire un risolino. Quel particolare… sorprese perfino me.
 
“Cosa è successo tra voi due?” domandò la sua vocina divertita, mentre lo sguardo sicuro intrappolava il coinquilino di Kibum. Il bruno sollevò un sopracciglio, fingendo di non capire. “La mia omma è strana… fidati. A tratti accondiscendente… e a tratti eccessivamente imbarazzata” spiegò saputello, tamburellando con il dito indice sulle labbra carnose.
 
Jonghyun si passò una mano tra i capelli, chinando il viso. Era a disagio. Quel semplice gesto… bastò a tradirlo. Taemin sbatté con forza i palmi delle mani aperte, salterellando sul posto. Minho lo fissava senza capire. E anche io… a dire il vero… ero abbastanza confuso.
 
“Non avete litigato, vero?” chiese il ragazzino dai capelli castani, puntando un dito sotto il naso del più grande.
 
“Peggio”
 
“Mmm… hai toccato le sue cose?” tutti lo fissammo sorpresi “No, sai… è che da fuori di matto quando qualcuno entra nella sua camera” spiegò concitato, tornando ad impensierirsi. “Ma scusa allora che…?”
 
“Gli ho detto che è bello”
 
Schietto. Diretto. Ci mancò poco che la mia mascella toccasse terra. Minho aveva strabuzzato gli occhi, fissandolo come si farebbe con una divinità. Riuscivo ad intuire la natura della sua ammirazione. Perfino io… faticavo a credere che fosse ancora vivo!
 
“Ma allora avete litigato?!” continuò imperterrito Taemin, poggiando entrambe le mani sui fianchi.
 
“Ti capisco… quando perde la testa sa essere molto spietato…” commentò invece il moro, lasciando qualche pacca comprensiva sulla spalla di Jonghyun.
 
Qualcosa non quadrava. Kibum era imbarazzato si, ma quello lo era praticamente sempre. Se si fosse arrabbiato, allora avrebbe cercato di evitarlo. Magari… lo avrebbe addirittura ignorato. Il suo comportamento invece, era stato completamente diverso. Faticava a guardarlo negli occhi… si scioglieva sotto le sue mani… e fingeva pur di non essere “costretto” a liberarsi dalle sue braccia.
 
Quelle non erano cose negative. Qualsiasi cosa fosse successa tra loro, in qualche modo… li aveva avvicinati!
 
“Cosa ti ha risposto?” chiesi a quel punto, cercando lo sguardo di Jonghyun “Che non l’abbia ucciso è abbastanza chiaro…” aggiunsi, indicando con una mano la perfetta integrità del suo corpo. “Quindi… o è fuggito…” osservai, ripensando alla scusa dei vestiti… che Kibum aveva utilizzato per rintanarsi in camera, dopo cena. “Oppure… ti ha risposto qualcosa…” conclusi, assolutamente convinto della mia teoria.
 
Il sorriso che fece capolino sul volto di Jonghyun… fu abbastanza loquace. Non importavano le parole usate, il significato di quello sguardo… lo conoscevo bene. Le labbra si sollevarono lentamente… donandogli un aspetto stralunato, e vagamente sognante. Era felice, vero?
 
“Segreto…” rispose mestamente, e ci accompagnò alla porta.
 

*****

 
“Perché hai detto loro che la sera vengo nella tua stanza?” chiese stizzito il più piccolo, appena chiuso l’uscio. Minho si voltò a guardarlo. Il suo coinquilino teneva le labbra imbronciate, e le braccia incrociate sul petto. Si era arrabbiato davvero?
 
“Non è forse così?” rispose sornione, allungando un dito verso un ciuffo castano… che ciondolava teneramente sulla fronte aggrottata di Taemin “E poi scusa… ti vergogni di dormire con me?” aggiunse subito dopo, fingendosi rattristato.
 
“No, Hyung!” esclamò immediatamente il più piccolo, stringendo con dita apprensive la mano che lo stava accarezzando “E’ solo che…” mormorò a bassa voce, chiudendo il labbro inferiore fra i denti “Hai visto omma… se Jonghyun non l’avesse fermata…” la testa tornò rapidamente diritta, e gli occhietti scuri si accesero di malizia “Pensi anche tu che sia successo qualcosa, vero? Vero?”
 
Minho osservò la sua espressione eccitata, dimenticandosi completamente il discorso precedente. Taemin stava sorridendo. Un sorriso radioso… completamente disarmante. Sospirò, tornando ad accarezzarlo. Quando gli piacevano quei capelli. Morbidi, sottili… così incredibilmente dolorosi fra le sue dita. Strinse le labbra, mentre il profumo delicato del più piccolo risvegliava strani pensieri. Doveva smetterla.
 
Tirò indietro la mano, cercando di ignorare il calore prepotente che gli aveva avvolto l’inguine. Era sempre così. Ogni giorno più intenso. Ogni giorno più difficile. Lo faceva soffrire. Lo faceva soffrire l’idea si poter accarezzare i suoi capelli, ma non le sue labbra. L’idea di poter sfiorare la pelle della sua mano, ma non quella del suo collo. L’idea che… se si fosse avvicinato troppo… Taemin sarebbe corso via, impaurito.
 
Il più piccolo stava continuando a parlare. Gesticolava animatamente, farneticando qualcosa sull’inevitabile attrazione che avrebbe spinto Kibum tra le braccia di Jonghyun. Minho non lo ascoltava. Perso nel suono delicato della sua voce… lasciò scorrere lo sguardo sulla sua figura sottile. Le spalle strette… le braccia esili. E poi la schiena troppo spesso curvata… il suo modo distratto di giocherellare con l’elastico dei pantaloni.
 
Taemin si era allontanato, raccontandogli di quello strano languorino che l’aveva invaso. Si voltò verso il frigo, facendoci scomparire velocemente la testa dentro. Avrebbe preso qualcosa di dolce, ne era sicuro. Il suo coinquilino mangiava poco, e odiava dover essere forzato a farlo. Ma se c’erano cioccolata o merendine in giro… non duravano molto, con lui nei paraggi.
 
Sempre meglio di niente. Dovrebbe mangiare un po’ di carne in più… magari domani potrei chiedere a Kibum di preparargli qualcosa. Oppure dovrei decidermi ad imparare a cucinare. Riesco a fare un po’ di riso, e anche a sbattere qualche uovo ma… tutta la mia conoscenza dell’arte culinaria si ferma lì.
 
E’ troppo magro. Avrebbe bisogno di proteine, carboidrati... non solo zuccheri! Se continua ad alimentarsi come un uccellino finirà con l’ammalarsi. Le sue gambe sono più sottili, e anche il viso sta risentendo della perdita di peso. Dovrei proprio cercare di… Aishh! Stupidi occhi, dove diavolo siete andati a finire?!
 
Taemin si sporse in avanti, adocchiando una gustosa barretta al cioccolato… ripiena di caramello e crema di nocciole. Ma come aveva fatto a finire lì infondo? Arricciò le labbra, tendendo un braccio verso il fondo del frigo. Sembrava un cane alla ricerca di tartufi! Il sedere si sollevò appena, seguendo con una leggera oscillazione… il movimento fluido con il quale la schiena del ragazzino si stava curvando.
 
Minho imprecò tra i denti, dandogli rapidamente le spalle. Ma come si faceva a restare calmi in una situazione del genere?! Abbassò gli occhi, e l’erezione nei pantaloni gli parve incredibilmente grande. Diavolo! Doveva andare via!
 
“Vado in bagno…” annunciò velocemente, procedendo a grandi falcate verso il corridoio “Se riesco ad arrivarci…!” aggiunse a fior di labbra, mentre afferrava con impazienza i jeans... giusto all’altezza della cerniera… e li scostava infastidito dal membro pulsante.
 
Si chiuse la porta alle spalle, con un movimento secco, finendoci immediatamente contro. Slacciò la cintura, aprì il primo bottone. Aveva bisogno di calmarsi. Fece mente locale… analizzando le diverse "soluzioni" disponibili. Avrebbe potuto fare una doccia, possibilmente gelata, e mettere a tacere in quel modo i suoi omoni in subbuglio. Oppure c’era la secondi ipotesi e…
 
No, no, no! Assolutamente no! Non l’ho mai fatto pensando a lui, e non inizierò adesso! E' così dolce e ingenuo... cosa penserebbe di uno che si spara una sega dentro il bagno, pensando al suo corpo nudo?! No! Mi farei schifo da solo… non lo farò.
 
“Hyung?” quella vocina delicata, proveniente dal corridoio, gli fece drizzare i peli sulle braccia. Non lo stava aiutando. Più cercava di allontanare l’immagine di Taemin dai suoi pensieri, più questi faceva involontariamente di tutto per torturarlo.
 
“Senti, ma…” si sforzò di ascoltarlo, allontanando la mano dall’erezione. Chiuse gli occhi, abbandonando il capo contro il legno scuro. Sospirò, e attese le sue richieste. Il più piccolo gli parve esitante. Riusciva ad immaginarlo… con la barretta ancora tra le mani, e l’espressione tesa.
 
“Dimmi…” lo incoraggiò, passandosi una mano sulla fronte… improvvisamente sudata.
 
“Potrei…” Taemin prese aria, scivolando silenziosamente contro la porta. La voce di Minho gli era parsa incredibilmente vicina. Cosa stava facendo? Era sicuro che volesse fare una doccia, prima di coricarsi… ma l’acqua continuava a restare chiusa. “Potrei… dormire con te stasera?” soffiò a disagio, abbassando le palpebre.
 
Le dita si unirono, nervose… stropicciandosi l’un l’altra. Non gli piaceva la notte. O perlomeno… non gli piaceva passarla da solo. Quando il buio ti impedisce di vedere qualsiasi cosa… è lì, che la tua mente ti frega. Non importa quanto tu sia riuscito a tenerli a bada, quei ricordi lontani, durante le ore diurne. Quando la notte arriva, il resto del mondo va a dormire.
 
Non ci sono le chiacchiere dei compagni. Non ci sono gli abbracci di Kibum. Non c'è la voce calda di Jinki.

L’immagine dei suoi genitori, sorridenti e con i volti spensierati… gli attraversò la mente come un fulmine, spingendolo a piegarsi su se stesso. Inspirò profondamente, serrando con forza gli occhi. Le mani si sollevarono verso le orecchie… catturandole… ostruendole.
 
Le espressioni felici si deformano, si confondono. Gli alberi alle loro spalle perdono colore… sbiadiscono. Le pareti bianche prendono il loro posto. Così anonime, così inquietanti. Il canto addolorato di una sirena, i muscoli che bruciano per la corsa. Spalanca le porte di quell’ospedale di cui non ricorda neanche il nome. Sua nonna è nel corridoio, e stringe fra le braccia la sorella disperata.
 
E’ un attimo. Taemin capisce. Scivola a terra… e urla il proprio dolore.
 
La porta si spalancò all’improvviso, rivelando l’espressione sconvolta di Minho. Il più grande si chinò in avanti… stravolto, preoccupato. Il ragazzino dagli occhi castani stringeva convulsamente le ginocchia al petto, liberando con disperazione quei singhiozzi strozzati, strazianti. Due braccia lo avvolsero rapidamente, e il pavimento scomparve.
 
“Min… non piangere. Non piangere… ci sono io” le molle si lamentarono appena, sotto il peso improvviso che le stava schiacciando. Minho scivolò sul letto, trascinando con sé il piccolo cucciolo che si lamentava contro il suo petto.
 
Gli accarezzò i capelli, senza parlare. Ci aveva fatto l’abitudine ormai. Non sapeva cosa accadesse… sotto quelle palpebre serrate con forza… dentro quei pugni stretti al petto. Taemin aveva l’abitudine di farlo, durante la notte. Urlava, mentre ancora dormiva. Poi i passi veloci, lungo il corridoio, gli annunciavano la sua corsa.
 
La porta si apriva, e il corpo tremante del suo coinquilino si catapultava tra le braccia già aperte. Piangeva. Piangeva e tremava. Non raccontava il perché, e non cercava parole di conforto. L’unica cosa di cui aveva bisogno… era il calore di un’altra persona.
 
Se sei caldo… sei vivo. Se sei vivo… non sei morto. Se ti stringo… questo gelo… potrà finalmente abbandonare il mio corpo.
 
Era da un po’ che non accadeva. I primi mesi erano stati duri. La prima notte… a dir poco sconvolgente. Minho non conosceva il perché di quella disperazione, e Taemin si ostinava a rimanere in silenzio. Aveva fatto l’unica cosa che gli era possibile. L’unica cosa… che il più piccolo gli avesse chiesto.
 
“Abbracciami... non mi lasciare…” la solita preghiera, soffocata tra quei singhiozzi che non accennavano a scomparire. Il corpo tremante si strinse convulsamente a quello del maggiore, e questi sospirò tra i suoi capelli… stringendolo più forte.
 
Mi era sembrato che stessi meglio. Venivi a dormire da me quando ancora non piangevi. Ti infilavi sotto le coperte, e io fingevo di non essermi svegliato. Inspiravi profondamente, rilasciando l’aria con un sorriso sereno. Lasciavi scivolare la testa sul mio braccio, cercando la mia mano. Le tue dita le si chiudevano intorno, regalandomi un piccolo brivido.
 
Aprivo un occhio. Incrociavo il tuo sguardo preoccupato. Accarezzavo i tuoi capelli, e tu tornavi a rilassarti. Mi dicevi “buonanotte…”, abbassando le palpebre con uno sbadiglio. Mi piaceva proteggerti. Mi piaceva… impedire che ti abbandonassi a quegli incubi.
 
Speravo di non doverlo più rivedere… tutto questo dolore. I singhiozzi si stanno placando, ma la tua sofferenza… è ancora così palpabile. Cosa ti è successo? Cos’è che pensi? Cos’è… che rende più disperato il tuo respiro? Parlamene. Min… parla con me. Non voglio restare qui, immobile e impotente… mentre le tue lacrime, fanno soffrire anche me.
 

Lasciati aiutare. Lasciati capire.
... Non sei solo ...
Permettimi… di restarti accanto.

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Capitolo 10
*** Un cuore da zittire ***




 

Capitolo 09 - Un cuore da zittire

Aprire gli occhi fu più difficile del previsto. Mi ero addormentato molto tardi, e i sogni che avevo fatto… meglio non parlarne. Per fortuna quella mattina sarei rimasto a casa, da solo. Meglio così. Avevo bisogno di rilassarmi. Dovevo ragionare su tutta la faccenda a mente fredda, riflettere sulle mie azioni… e magari trovare una soluzione al “problema”.
 
La porta cigolò appena, mentre io vi appoggiavo sopra la mano, spingendola delicatamente verso l’esterno. Erano le 07:00… e la certezza di non avere compagnia mi fece sentire più coraggioso. Abbandonai sul pavimento del bagno la maglia del pigiama, recuperando la mia spugna dalla mensoletta bianca. Me la rigirai tra le mani, infilandola sotto il getto caldo. Il bagnoschiuma scivolò silenzioso sulla base irregolare, e il suo profumo… bastò a farmi sorridere.
 
Il mio corpo si ricoprì lentamente di schiuma. Chiusi gli occhi, sospirando. L’acqua accarezzava la mia schiena nuda, scontrandosi con i muscoli tesi... aiutandoli a rilassarsi. Poggiai la fronte sulle mattonelle fredde, rabbrividendo. No, non era solo colpa dell’inverno.
 
Rividi il suo viso… così dannatamente nitido sotto le palpebre abbassate. Il sorriso dolce, appena pronunciato. Gli occhi grandi, i capelli scuri. Giusto perché non dovevi pensarci, vero? Sbuffai, scuotendo la testa. Dovevo smetterla. Mi morsi le labbra, resistendo alla tentazione di sfiorare l’erezione. Si, mi ero già eccitato. Capitava troppo spesso di recente. Girai la manovella con un gesto stizzito, passando entrambe le mani sul viso.
 
“Perché deve essere così?” mi chiesi ad alta voce, infilando l’accappatoio pulito e  le ciabatte. I piedi erano ancora bagnati, ma non ci badai. Non avevo voglia di soffermarmi su quei particolari, che… normalmente… mi avrebbero infastidito. Mi diressi spedito fino al piccolo specchio, sopra il lavello… e con un movimento veloce… eliminai il vapore che oscurava la mia immagine.
 
Eccomi. I capelli appiattiti sulla fronte, le pupille dilatate dal desiderio. Le labbra ancora strette tra i denti, e le mani appena tremanti. Non mi riconobbi. Feci una smorfia al mio riflesso, e abbassai lo sguardo. Non mi piaceva quello che stavo diventando. Troppo legato alle emozioni, troppo sensibile alla sua presenza. Mi sarei dovuto controllare. Avrei dovuto fare un passo indietro, e ricordarmi chi ero.
 
Un tipo razionale. Un tipo che osservava la vita attraverso un microscopio, e si fermava in laboratorio… per carpirne il significato. Le persone che mi circondavano... le amavo. Ma nessuno era come me. Non vedevano quello che vedevo io. Non sentivano quello che sentivo io. Non soffrivano come soffrivo io. Nessuno… poteva capirmi. Chiusi ancora una volta gli occhi, e mi imposi di tirarmene fuori.
 
Basta. Basta guance arrossate, batticuori inutili e gelosie infondate. Non volevo. Non volevo rinunciare all’intelletto per il sentimento. Non volevo rinunciare alla razionalità per l’istinto. Non volevo… perdere me stesso per avvicinarmi a lui. Perché… lui non era come me.
 
Non saremmo mai stati complementari. Non ci saremmo mai saputi comprendere con un solo sguardo. Io ero acqua, lui era fuoco. Io ero la luna, lui era il sole. Io ero pensiero, lui era azione. Io ero un piano, lui era musica. Io ero una penna, lui una poesia. Io ero una batteria, lui la corrente che generavo… Diavolo! Quando ero diventato così?!
 
Quando avevo perso di vista le mie priorità? Quando avevo iniziato a spiegare la chimica ad un mentecatto? Quando avevo confuso l’attrazione per… No, no, no e ancora no! Era ancora solo questo, lo sapevo. Ma… riconoscevo anche la via che avevo iniziato a percorrere. Dovevo fermarmi. Dovevo farlo adesso, quando ancora avevo una scelta.
 
Se avessi continuato a guardarlo. Se avessi continuato a sentirlo. Se avessi continuato… a percepire la sua assenza. Tutte quelle emozioni… mi avrebbero portato alla distruzione. Mi sarei trasformato, mi sarei adattato. Avrei preso le sembianze di uno qualsiasi di loro… quei piccoli e ignoranti esseri umani, per cui non provavo alcuna stima.
 
Io non volevo girare il mondo, io volevo “conoscerlo”. Non volevo amare una persona, volevo amare la “vita”. Non volevo omologarmi, non volevo circuirmi. Non volevo svegliarmi una mattina, e rendermi conto di aver sacrificato i miei sogni per il bene di qualcun altro. Non volevo… che le sue necessità divenissero più importanti delle mie.
 
Non posso. Non posso permetterlo. Queste persone sono così banali, così prevedibili. Se vuoi farle star male, togli loro l’amore. Se vuoi vederle piangere, togli loro l’amore. Se vuoi vederle morire… togli loro l’amore. No! Non sarei diventato come loro. Io… non la volevo quella vita.
 
Avevo degli obiettivi. Avevo dei sogni. Avevo delle ambizioni. Se avessi permesso al cuore di fermarmi… dove sarei finito? Cosa ne sarebbe stato di me? Per anni… me ne ero tenuto lontano. Studio, libri, laboratorio… questo, era tutto ciò di cui avevo bisogno. Confusione, farfalle nello stomaco, fiato corto… questo, era tutto ciò che non volevo.
 
Fermati adesso. Fermati adesso… e domani sarei più forte di tutti loro.
 
La porta si chiuse alle mie spalle, e rientrai in camera. L’accappatoio scivolò a terra. Rimasi completamente nudo. Il barattolo della crema era rosa… dagli angoli arrotondati e il coperchio dorato. Lo presi tra le mani. Era quasi vuoto. La consistenza setosa, di quel candido color perlaceo, mi sporcò le dita… mentre lasciavo che i polpastrelli vi si immergessero completamente. Ne tirai fuori quello che bastava, e sollevi una gamba sulla sponda del letto.
 
Quel rituale mi rilassava… distendeva i miei nervi. Le mani corsero lungo il polpaccio, massaggiandolo. Risalirono verso la coscia, carezzando con attenzione ogni millimetro di pelle. Inspirai piano, inebriandomi di quel dolce aroma. Era buono… mi piaceva. Era… così diverso dal suo…
 
Sgranai gli occhi, corrugando la fronte. Maledetto me! Rimisi a terra il piede, e ripetei l’operazione sulla seconda gamba. Tutta la magia era finita. Strozzata sul nascere… sbiadita… offuscata da una sensazione molto più forte. Il ricordo del suo profumo. Quel profumo che non somigliava al mio. Quel profumo che avevo rubato dalla sua maglia. Quel profumo… che stava lentamente risvegliando la mia erezione.
 
Sbuffai, e infilai rapidamente i boxer. Dovevo pensare ad altro. Diedi una pettinata ai capelli, insistendo con frustrazione sui ciuffi più capricciosi. Mi sentivo come uno di loro. Anche il mio corpo stava facendo i capricci. Non mi voleva dare ascolto… non voleva sottostare alle mie regole. Niente amore, niente sesso. Emozioni troppo forti, che avrebbero rischiato di rendere nullo il mio giudizio.
 
Arricciai le labbra, afferrando i pantaloni neri. Erano comodi, e abbastanza larghi. Sentivo caldo, e non era solo colpa dei riscaldamenti accesi. Feci per avvicinarmi al comodino, con l’intenzione di recuperare un libro, di cui avevo abbandonato la lettura… il giorno che avevo accolto in casa il mio nuovo coinquilino. Con lui in giro… mi scordavo perfino di respirare!
 
Fu allora che lo notai. Doveva essere sempre stato lì… fin da quando avevo aperto gli occhi. Battei le palpebre, e il brivido che mi percorse la schiena… lo maledii con tutte le mie forze. Era verde, poco più grande della mia mano. Liscio, e ritagliato un po’ male. Le labbra rotonde, le pinne appuntite. Un pesciolino. Un pesciolino che… mi ricordò tanto un Taiyaki.
 
La scrittura era spigolosa… così diversa da lui. Lui sapeva di gentilezza… di protezione… di dolcezza. No, quella calligrafia non lo sapeva rappresentare. Ci sarebbero volute più curve, più imprecisioni. Mentre quelle parole erano lineari, precise, marcate. Feci un’altra smorfia. Non gli rendeva giustizia.
 
“Buongiorno… sei arrabbiato? Non volevo entrare, ma la porta era socchiusa. Non ti sei svegliato, e sembrava che riposassi bene” ricordai il sogno che mi aveva accompagnato fino al risveglio. Sicuramente non mi aveva regalato il buon umore.
 
Il cuore stava tremando, lo avvertivo. Strinsi le dita, e il pesciolino si accartocciò appena. Me ne dispiacque, e il nuovo battito fu più forte degli altri. Ero così debole? Lo lisciai con cura, mentre gli occhi diventavano un po’ lucidi. Ero arrabbiato, ma non riuscivo a dargliene la colpa. Mi rimproveravo per la mia debolezza, ma continuavo a non saperla tenere a bada. Quel cuore… era diventato troppo prepotente.
 
“Sono con Minho e… ho preparato una cosa” lo smile che seguiva quell’affermazione era sorridente, ma per  qualche strano motivo… mi apparve un po’ incerto “In cucina, sul fornello… ci vediamo lì”. Sollevai un sopracciglio. Che diavolo significava?
 
Non infilai la maglia. Non ne avevo voglia. Mi trascinai dietro quel misero ritaglio di carta, e attraversai il corridoio. La finestra era socchiusa, e un leggero soffio di vento smuoveva appena la tenda azzurra. Le tapparelle erano alzate… il sole illuminava la stanza. Strano, normalmente lasciava tutto al buio. Quando ci arrivai… nel punto che mi aveva indicato… lo trovai subito. Questo era arancione.
 
Mi veniva da sorridere. Li sentivo… gli angoli delle labbra che combattevano, nel tentativo di sollevarsi. Mi ostinai. Restate ferme! Allungai una mano, staccando il pesciolino dal brick di metallo. Le dita tremavano, ma finsi di non vederle. Qualsiasi cosa… pur di non accettare quello che provavo.
 
“Dovrebbe essere ancora caldo, l’ho fatto prima di uscire…” Sfiorai il coperchio. Mi bruciai appena, e tirai velocemente indietro il braccio. Si, lo era ancora. “Credenza, secondo ripiano… sulla destra” eccolo lì, il terzo smile. Sospirai, ebbi quasi la tentazione di non seguirle… quelle istruzioni.
 
Sapevo che me ne sarei pentito. Odiavo il fatto di non riuscire a fermarla… quella mano che si stava sollevando, di volontà propria, afferrando il pomello in legno. Spalancai lo sportello, quasi con rabbia. Ne avevo abbastanza. Perché mi stavo disperando per una idiozia del genere? Chi diavolo si metterebbe a ritagliare dei pesciolini di carta alle sei di mattina?! Solo uno stupido come lui avrebbe potuto…
 
Biscotti. Piccoli, colorati… dentro una bustina di colore azzurro. Ce n’erano almeno una ventina l’ha dentro. Alle mandorle, ripieni, con il pistacchio, al cioccolato, con crema, al gusto di fragola… e Dio solo sapeva cos’altro. Li poggiai determinato sul tavolo, voltandomi rapidamente verso il lavello. Era freddo. Ci poggiai entrambe le mani, inspirando profondamente.
 

BUM-BUM-BUM-BUM-BUM
Smettila!
BUM-BUM-BUM-BUM-BUM
Non voglio!
BUM-BUM-BUM-BUM-BUM
Perché non vuoi lasciarmi in pace?

 
Il terzo pesciolino, lo avevo già tra le dita. Scottava, contro la volontà che mi spingeva a considerarlo insignificante. Chiusi gli occhi… non ce la facevo, era così? Non sarei più riuscito a tenerlo a bada, vero? Il cuore martellò più forte nelle orecchie, mentre abbassavo lo sguardo su quella nuova forma ritagliata. Era giallo.
 
“Li ho presi in pasticceria, ma… non conoscevo i tuoi gusti. Ho chiesto di metterli dentro tutti quanti, mangiane quanti ne vuoi. Sono per te. Ultima cosa. Dovrebbe mancare solo la tazza ormai…”
 
Mi voltai verso il tavolo, osservandolo un po’ stralunato. Aveva ragione. Ci avevo poggiato sopra il brick, appena constatato che il latte fosse ancora caldo. I biscotti ce li avevo aggiunti poco prima e… tappetino e cucchiaio… quelli doveva averli sistemati lui. Mi aveva preparato la colazione, giusto?
 
Già… come avevo fatto ad essere così cieco? Insignificante, inutile, stupido… quanti aggettivi negativi gli avevo affiancato in quegli ultimi dieci minuti? Ero io l’idiota. Come si poteva considerare banale… uno come Jonghyun? Come si poteva fingere di non vederlo? Come si poteva… ignorare il ritmo assordante di quel cuore, che continuava a rispondere prepotentemente ad ogni suo gesto? Stava battendo, e io fingevo di non ascoltarlo. Si stava emozionando, e io fingevo che non esistesse.
 
Stupido Kibum... lui non se lo merita. Mi arresi. Lasciai scivolare via la frustrazione, con quell’ultimo sospiro che mi era salito alle labbra. Strinsi i pugni. Mi feci coraggio. Raccolsi tutti i pesciolini, e li strinsi tra le dita. I colori si confusero… mescolandosi l’uno con l’altro… in quella danza senza tempo, scandita dal ritmo dei miei battiti accelerati.
 
Stavo piangendo. Lo sapevo e… non me ne vergognavo. Una lacrima cadde silenziosa sui ritagli di carta, mentre una smorfia di disappunto mi attraversava il volto. Non volevo che si rovinassero. Asciugai frettolosamente la superficie arancione, sperando di non macchiarla. Sorrisi, senza neanche accorgermene, e la tasca dei pantaloni divenne… il mio piccolo acquario personale.
 
Raccolsi un fazzolettino, facendo scomparire velocemente le ultime lacrime. Erano poche in realtà. Non sapevano di sofferenza, né di frustrazione. Quei sentimenti, non li sentivo più miei. Erano liberatorie… un po’ ostinate, però felici. Perché era così che mi sentivo infondo. Ero felice. Felice… per quel pensiero che mi aveva rivolto. Felice… per essere riuscito, infine, ad apprezzarlo. Felice… per avergli chiesto di restare.
 
Jonghyun… era speciale. Era speciale… e io lo sapevo. Non contava quante altre volte avrei cercato di scappare. Correre lontano da lui, non avrebbe messo a tacere… quella ritmica emozione che mi pulsava nelle vene. Il petto era caldo, come se… un abbraccio invisibile… mi avesse avvolto. No, lui non era banale. Mi aveva fregato. Aveva raggirato le mie ostinate resistenze, ed era arrivato dritto lì… su quel cuore, a cui avevo proibito di amare. Vi si era adagiato, silenzioso… e la sua rassicurante voce… lo aveva svegliato.
 
Non dormivo più. La sonnolenza dei sensi, lui l’aveva spazzata via. Ero freddo. Ero cinico. Ero scontroso. Ma… per qualche strano motivo… sembrava non importargli. Forse… aveva ragione lui. Forse… c’era ancora qualcos’altro da tirare fuori. Qualcosa che, nemmeno io, sapevo di possedere.
 
Inspirai profondamente, seguendo con dedizione le sue ultime parole. Adesso… mancava solo la tazza. Le mani tremarono, davanti a quello sportello ormai aperto. Uno. Due. Tre. Quattro. I secondi che mi servirono per comprenderlo. Cinque. Sei. Sette. Otto. I secondi che mi servirono per accettarlo. Nove. Dieci… Lo sapevo! Non ero malato. Non stavo morendo. Quel sentimento che mi stava scoppiando in petto… quell’emozione che mi stringeva lo stomaco… quella morsa che mi serrava la gola… non volevano uccidermi.
 
Era un avviso. Era un presagio. Era il sole di agosto. Erano i ciliegi in primavera. Era il canto di un uccello. Era il richiamo del mare. Era… il cuore… che urlava di lasciarlo parlare. Ne aveva abbastanza di restare in silenzio. Ne aveva abbastanza delle mie regole e delle mie paranoie. Voleva uscire fuori. Voleva liberarsi. Voleva… vivere.
 
“Buongiorno Bummie”
 
Solo questo. Nient’altro. Scritto con delicatezza, sull’angolo bianco di quell’istantanea. Mi aveva spiazzato… scombussolato. Aveva reso ancora umidi i miei occhi, mentre una mano liberava quel dolce sorriso… dalla ceramica fredda sul quale era stato appuntato. Gli occhi socchiusi, lo sguardo un po’ timido. Quanto era bello. Quanto era bello… il mio Jongie.
 
Sorrisi, finalmente. Strinsi al cuore quella foto… e gli permisi di entrarci.
 

*****

 
Quando mi svegliai, quella mattina… ero sicuro che stesse ancora dormendo. Ricordai le parole di Taemin: “Dà fuori di matto, quando qualcuno entra nella sua camera…” Tremai, con la mano ferma sulla sua porta, e l’emozione mi costrinse a chiudere gli occhi. Lo avevo visto, la sera prima. Lo avevo visto dormire, sospirare piano. Il calore del suo corpo, tra le mie braccia, non ero riuscito a dimenticarlo.
 
L’uscio cigolò verso l’interno. Quel rumore fastidioso, temetti che avrebbe interrotto i suoi sogni. Kibum si lamentò appena, voltandosi sull’altro fianco. Dormiva ancora. Sospirai, procedendo in punta di piedi verso il suo letto. La sveglia sul comodino, indicava ancora le 05:30. Non ero riuscito a dormire granché, troppo impegnato ad analizzare… i sentimenti che quello scricciolo mi stava facendo provare.
 
Scivolai in ginocchio, avvicinandomi… forse eccessivamente… al suo volto rilassato. I capelli biondi ricadevano scompigliati sulla fronte, e le labbra a forma di cuore… rimasero silenziosamente protese in avanti. Deglutii a fatica, con lo sguardo intrappolato… su quella morbida carne di colore rosso. Mi piaceva la sua bocca. Era calda, ma sapeva come ferire. Era dolce, ma sapeva tenerti lontano.
 
Kibum era così… a volte bianco, a volte nero. A volte zucchero, a volte sale. A volte pioggia, a volte sole. Sorrisi, di fronte a quell’ultimo paragone che avevo concepito. Anche se fosse rimasto per tutta la vita un temporale… spietato e crudele... la voglia di lasciarmi bagnare dalla sua furia, non sarei riuscito a combatterla. Qualsiasi cosa facesse, il desiderio di restargli vicino… non mi passava mai.
 
Allungai un dito, timoroso… scostando un ciuffo da sopra gli occhi. Anche quelli mi piacevano. Sottili… felini… minacciosi… impauriti. Cosa non avrebbe saputo dire… con quello sguardo fiero e determinato? Non credevo esistesse qualcuno… capace di resistere ai suoi occhi. Neri, freddi… bellissimi.
 
Le ciglia erano lunghe, le guance delicate, la curva del collo sottile. Le coperte erano silenziosamente poggiate sulle sue spalle, impedendomi di scorgere tutto il resto. Si, un po’ sfrontato da dire ma… avrei voluto vederlo… “tutto il resto”.
 
La sua pelle… era così pallida dappertutto? Quanto riusciva ad arrossire… mentre qualcuno lo osservava? Avrebbe tremato… tra le braccia di un’altra persona? La sua voce… sarebbe sembrata diversa, sotto il peso di un altro corpo?
 
Mi morsi le labbra, abbassando lo sguardo. Kibum sospirò piano, stringendo più forte il cuscino. Le dita delicate si chiusero intorno a quel morbido appoggio… e io fremetti nel guardarle. Avrei voluto sentirle. Non mi aveva mai toccato… neanche una volta. Certo, le nostre mani si erano sfiorate però… era stato involontario.
 
Io… volevo che lo desiderasse. Volevo che desiderasse sfiorarmi… desiderasse sentirmi vicino. Desiderasse… rispondere a tutte quelle domande che avevo paura di porgli. Era piccolo… era dolce. Era timido… e ti faceva venir voglia di abbracciarlo. Avrei dato qualsiasi cosa… per poterlo fare.
 
Mi rimisi faticosamente in piedi, combattendo contro quel cuore frustrato… che non voleva ancora lasciarlo andare. Lo guardai un’ultima volta. Strinsi i pugni… e lasciai la sua camera.
 
In cucina spalancai la finestra. Avevo bisogno d’aria. Quella brezza leggera mi avvolse, rinvigorendomi con il suo alito pungente. Iniziava a fare freddo. Inspirai profondamente, e fu allora che li notai. Erano dei cartoncini, di tanti colori diversi. Verde, giallo, arancione. La pubblicità di qualche negozio, pensai. Ne presi uno tra le mani, rigirandomelo davanti agli occhi. Una lampadina si accese, e corsi a prendere le forbici. Ci avrei messo un po’. Per fortuna… mi ero svegliato presto.
 
Alla pasticceria all’angolo chiesi di farmi un sacchetto. Un dolce per tipo, senza correre il rischio di sbagliare. Conoscevo il tizio dietro il bancone. Era un ragazzo apposto, dallo sguardo sereno e un sorriso sincero. Mi sorrise, sussurrando qualcosa… sulla frequenza con la quale stavo andando lì, ogni mattina. Ricordai i Taiyaki che prendevo per Kibum, e un rapido calore mi solleticò le guance.
 
Il mio pacchetto era pronto. Lo afferrai, ringraziando… e corsi via. L’orologio segnava le 06:10, dovevo muovermi! 06:30… Minho me lo aveva raccomandato. “Se arrivi più tardi… sarà già sveglio”. Aprii il portone, salendo gli scalini il più velocemente possibile. Rischiai di finire a terra, un paio di volte, ma non mi importava.
 
La polaroid era sul tavolo, accanto ai pesciolini colorati. Loro mi avrebbero aiutato. Taemin aveva sbirciato la mia idea, mentre entravo nel loro appartamento… chiedendo in prestito la macchina fotografica. Lo avevo visto divertito, nonostante gli occhi rossi e il volto stanco. Ero anche stato sul punto di chiederglielo. Cosa ci fai sveglio a quest’ora? Poi il suo coinquilino mi fissò, forse intuendo i miei pensieri. Scosse la testa, e io rimasi in silenzio.
 
“Quando usciamo. Poi ti racconto…” mi disse sulla porta, e io acconsentii immediatamente. Anche lui non aveva dormito molto. Lasciai una carezza leggera, tra i capelli castani del ragazzino che gli si era avvicinato, e tornai nel mio appartamento.
 
Tesi le orecchie. Nessun rumore. Sospirai, affrettandomi a mettere appunto gli ultimi dettagli di quel piano improvvisato. Ne sarebbe stato felice? Lo avrebbe trovato stupido? Si sarebbe arrabbiato, sapendo che ero entrato in camera sua? Non lo sapevo. Non sapevo rispondere a nessuna di quelle domande.
 
Appuntai velocemente i ritagli colorati al posto che avevo deciso di assegnargli. Sospirai, recitando una rapida preghiera. Volevo ricambiare la sua gentilezza… almeno una volta. La colazione… era sempre lui a prepararla. Ripensai a quel primo giorno, quando Taemin… seguendomi dentro casa… aveva annusato il profumo di frittelle appena fatte.
 
“La mia omma ha pensato anche a te…” aveva commentato divertito, mentre io sollevavo un sopracciglio… e Kibum entrava in cucina. Il più piccolo si era sollevato sulle punte, arrivando ad un millimetro dal mio orecchio. “Lui prepara da mangiare solo per me, ma… io sono speciale…”. Mi aveva sorriso, facendo la linguaccia al mio coinquilino, ed era scappato via.
 
Speciale. Cosa aveva cercato di dirmi? Anche io… lo ero? Non riuscii a trattenerlo… quel leggero batticuore che testimoniava la mia emozione. Credo di essere anche arrossito, appena appena, mentre Bummie borbottava il suo disappunto. Poi avevamo iniziato a mangiare, tutte e due un po’ nervosi. Era stato quel giorno... che avevo deciso.
 
“Anche tu sei speciale…” mormorai a fior di labbra, appuntando la polaroid alla tazza. La mia espressione imbarazzata mi fissò, attraverso quello scatto… che speravo sarebbe riuscito a strappargli un sorriso.
 
Mi guardai intorno un’ultima volta. Era tutto perfetto. Sospirai, infilando la giacca della tuta, e lasciai l’appartamento.
 

*****

 
Quando la porta tornò ad aprirsi… erano le 07:30. Kibum non aveva lezioni quella mattina. Minho avrebbe accompagnato Taemin a scuola, e da lì sarebbe andato direttamente in facoltà. Gli impegni di Jonghyun iniziavano alle 11:00. Aveva altre tre ore da passare in casa.
 
Il biondo era disteso sul divano, le gambe raccolte sotto una coperta leggera… e gli occhi puntati sul televisore. Il più grande riconobbe la sigla del solito cartone, e quando il suo coinquilino la canticchiò a bassa voce… non riuscì a trattenere un sorriso. Kibum lo intravide, ma cercò di non dargli peso.
 
Le dita si erano chiuse sul pantalone nero, nello stesso istante in cui la chiave era stata inserita nella toppa. Lo stava aspettando. Sapeva che da un momento all’altro il bruno sarebbe tornato. Le prime immagini colorate invasero lo schermo, insieme al parlottare ansioso del protagonista. Kibum strinse le labbra, facendosi coraggio… e sollevò il capo.
 
Jonghyun aveva richiuso l’uscio, e si trovava accanto al tavolo. L’espressione titubante e il sorriso impacciato… erano chiari segni del suo disagio. Il biondo si obbligò a restare calmo, ostentando una tranquillità che non provava affatto. Gli occhi corsero rapidamente sulla figura del coinquilino. Aveva il respiro pesante, e la fronte imperlata di sudore.
 
Sarà così anche mentre… smettila! Non è il momento di pensare a queste cose!
 
Il più grande si mosse appena, spostando il peso da un piede all’altro. Lo sguardo di Kibum lo innervosiva, e non gli lasciava intuire i suoi pensieri. Quando le labbra rosse si curvarono, dolci e rassicuranti, rispondendo al suo sorriso… il cuore perse un battito. Era un buon segno, vero? Sospirò, rilassandosi visibilmente… sotto gli occhi attenti del minore.
 
“Lasciami i vestiti, li metto a lavare…” le parole vennero pronunciate velocemente, imbarazzate. Il biondo si era alzato, avvicinandosi all’altro ragazzo. Le mani tremanti si sollevarono verso le spalle del coinquilino, aiutandolo a liberarsi della giacchetta.
 
Calmo. Calmo. Rimani calmo.
 
Sfiorò la pelle delle braccia, con quello che sarebbe dovuto sembrare un movimento casuale. Rabbrividì... mentre le poche gocce trasparenti, che ricoprivano i muscoli di Jonghyun… si impossessavano dei suoi polpastrelli. Kibum strinse le labbra tra i denti, senza notare gli occhi scuri… che erano rimasti ipnotizzati da quel gesto.
 
Il più piccolo gli era davanti. Teneva la testa bassa, e un’espressione di disagio dipinta sul volto delicato. Evitava il suo sguardo, mentre lo invitava candidamente a privarsi dei vestiti. Era cosciente di quello che gli stava chiedendo? Avrebbe dovuto spogliarsi davanti a lui?
 
Il bruno deglutì a vuoto. Le mani del coinquilino erano scivolate sulle braccia, sfiorandolo leggere. La saliva si prosciugò in gola, mentre il ritmo frenetico del cuore gli faceva temere un prossimo infarto. Chiuse gli occhi, cercando di mettere a tacere l’eccitazione, che gli era rapidamente cresciuta dentro. L’indumento venne sfilato completamente, e Kibum si allontanò di un passo… ripiegandoselo su un braccio.
 
“Anche la maglia…” mormorò in un soffio. Le guance si tinsero rapidamente di rosso, mentre il sangue prendeva a pulsare con forza nelle sue vene. Era diventato pazzo, ecco che c’era. Nell’attimo stesso in cui l’aveva visto entrare… il suo corpo accaldato l’aveva eccitato da morire. A rischio di svenirgli davanti… voleva vedere qualcosa in più.
 
“Siamo tra uomini, qual è il problema?” aggiunse secco, sollevando un sopracciglio mentre lo fissava in maniera sfrontata. Non era calmo, e non era neanche un robot. Jonghyun mandava al diavolo tutto il suo buon senso, facendolo comportare come un gatto in calore. Non avrebbe ceduto facilmente, ma l’idea di vederlo senza maglia… gli aveva scosso i sensi, obbligandolo ad agire in quel modo.
 
Il bruno non disse nulla. Guardò i suoi occhi freddi, provando un forte desiderio di stravolgerli. Lo stava provocando? Si rendeva conto di quello che faceva? Sollevò il mento, indispettito dalla tranquillità che Kibum sembrava provare. Alzò entrambe le braccia, e sfilò velocemente la maglietta sudata.
 
Le guance del biondo presero fuoco, mentre lo sguardo soddisfatto di Jonghyun si depositava sul suo volto in fiamme. Sapeva che la sua reazione era stata troppo esplicita, ma non riusciva a pentirsene. Gli occhi insicuri seguirono la curva delle braccia… perdendosi sui bicipiti pronunciati, e scivolando verso il torace. Era ampio, ben delineato. I muscoli erano tonici, senza però apparire eccessivamente appariscenti.
 
Non mi sono mai piaciuti i tipi “pompati”. Braccia allenate, addominali scolpiti. Mi sarà uscita la lingua di fuori? Spero di no. Dovrei essere già scappato via, invece non riesco a muovermi. I piedi si sono incollati al suolo, cercando in esso la stabilità... che ha abbandonato il resto del mio corpo. Diavolo Jonghyun! Non potevi averlo… almeno un difetto?
 
Kibum inghiottì, abbastanza rumorosamente, quel grosso nodo di saliva che gli si era formato in gola. Se non altro… non aveva smesso di respirare. Fece qualche passo indietro, abbassando lo sguardo sugli indumenti sporchi che teneva tra le mani. In un altro momento, tutto quel sudore… gli avrebbe fatto venire la nausea. Odiava la sensazione appiccicaticcia che gli lasciava sulle dita, ma se lo sarebbe volentieri spalmato addosso... quell’intenso profumo di “uomo”, che il corpo del più grande emetteva.
 
Il lampo di malizia che aveva attraversato gli occhi grandi del suo coinquilino… lo aveva notato. Come biasimarlo? Aveva punito la sua faccia tosta e, ad essere del tutto sinceri, seppur imbarazzante… quella punizione se l’era gustata fino in fondo. Si schiarì la voce, recuperando l’espressione sfrontata di poco prima… mentre il sopracciglio destro di Jonghyun si sollevava impercettibilmente.
 
“Vai a fare una doccia. I pantaloni puoi anche lasciarli in bagno…” precisò sarcastico, e le labbra del bruno si imbronciarono appena “Io riscaldo il latte. Non metterci una vita…” aggiunse distrattamente, avvicinandosi ai fornelli.
 
Giacchetta e maglia vennero abbandonati dentro un cesto di vimini, che il più grande notò solo in quel momento. Vi erano altri indumenti, probabilmente di Kibum. Riconobbe anche qualcosa di suo. Quando non c’era… il più piccolo doveva essere entrato in camera sua. Tremò appena, considerando la possibilità che il biondo... avesse potuto aprire il primo cassetto della sua scrivania.
 
Impossibile. Non ne avrebbe avuto motivo. E poi figurati… se lo avesse visto, non sarebbe mica così calmo… giusto? Nonostante la sua "normalità", quell’oggetto avrebbe immediatamente attirato la sua attenzione. Si sarebbe posto delle domande, che alla fine… non trovando risposta… avrebbe rivolto a me. No, ne sono sicuro. Non deve aver visto nulla.
 
“Perché riscaldi il latte?” si azzardò a chiedere, notando sulla tavola… la presenza del tappetino da colazione di Kibum. Questi volse appena il viso nella sua direzione, facendo spallucce.
 
“Ti ho aspettato…” spiegò tranquillamente, regalandogli un nuovo brivido lungo la schiena. Non era paura quella, solo… un piccolo barlume di speranza. Un gesto apparentemente da poco, ma che… per uno come il suo Bummie… significava molto.
 
“Corro!” esclamò euforico, catapultandosi verso il bagno. La porta si chiuse alle sue spalle, con un movimento frettoloso, e lo scrosciare dell’acqua... prese a riempire subito dopo la piccola stanza. La sua impazienza... era stata tradita da quei particolari insignificanti, che non sfuggirono alla mente veloce del suo coinquilino.
 
Kibum sorrise, canticchiando ancora una volta la sigla di quello stupido cartone animato. Il latte era quasi pronto. Infilò una mano in tasca, e le dita si strinsero attorno a quelle forme sottili… che aveva già deciso di conservare. I pesciolini vennero messi da parte, mentre gli occhi emozionati... scivolavano ancora una volta su quella piccola polaroid.
 

Ehi Jongie…
Cosa penseresti di uno…
che non riesce più ad immaginare
una sola delle sue mattine…
senza il tuo sorriso?

 

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Capitolo 11
*** Anche tu ***





Capitolo 10 – Anche tu

Seung Su era scomparso già da qualche giorno, e nessuno ne conosceva il motivo. Dopo le lezioni, Kibum si fermava raramente in biblioteca, ma quelle poche volte che lo faceva… era per aiutare Jonghyun. C’era una strana intesa fra loro, e anche Jinki lo aveva notato. In mensa sedevano spesso vicini, come avrebbero fatto anche quel giorno.

Io occupavo il mio solito posto, tra la prima donna e l’assistente di laboratorio. Chiacchieravano tra loro, su un qualche esperimento a cui avevano assistito tempo addietro. Erano euforici, ma la cosa non mi meravigliava più di tanto. Avevo altri pensieri per la testa. Pensieri che mi facevano dormire poco durante la notte, e mi lasciavano l’amaro in bocca durante il giorno.

Taemin era irrequieto. Molto più del solito. Cercavo di stargli vicino, ma avvertivo la presenza di quella barriera invisibile… che lui aveva levato tra di noi. Del suo passato non parlava mai. Il giorno prima avevo cercato di farmi raccontare qualcosa da Kibum, ma con scarsi risultati.

“Mi dispiace, non posso farlo” mi aveva risposto, scuotendo la testa rammaricato “Proverò a parlarne con lui, te lo prometto”. Gli avevo creduto, appoggiandomi a quell’inspiegabile fiducia, che ci aveva legati fin da subito.

Hyuri teneva sotto braccio Jonghyun, ed entrambi si stavano avvicinando al nostro tavolo. Il brontolio del ragazzo al mio fianco fu abbastanza loquace. Mi voltai a guardarlo. Jinki aveva sospirato, mentre Kibum arricciava le labbra, imbronciandosi. La sua gelosia veniva apertamente mostrata, in ogni suo piccolo gesto.

Quando i nuovi arrivati ci giunsero vicino, il biondo afferrò velocemente la borsa che occupava la sedia accanto alla propria, riponendola a terra. Non sollevò lo sguardo, e non disse niente. Il suo coinquilino aiutò Hyuri a depositare il vassoio sul tavolo, e poi lo raggiunse. Gli sorrise, come ogni volta, ma il saluto di Kibum venne a mala pena borbottato.

La ragazza che aveva preso posto di fronte a me, piaceva a tutti quanti. Tutti tranne miss Prima Donna, ovviamente. Si sbirciavano, di tanto in tanto, tra un boccone e l’altro. Il mio vicino la trattava con accondiscendenza, rispondendo a monosillabi alle sue domande. Lei cercava spesso di fare conversazione, ma le sue chiacchiere venivano bloccate sul nascere.

Jonghyun sorrideva ad entrambi, rincuorando Hyuri e infastidendo Kibum. Possibile che non si accorgesse di quella silenziosa disputa, che tra sguardi di fuoco e labbra imbronciate, si svolgeva intorno a lui? No, non si era accorto proprio di nulla. Trattava la ragazza con gentilezza, e ricopriva il coinquilino di premure. Benedetto ragazzo, non sapeva in che guaio si era cacciato!

Jinki rise piano, mentre il bruno allungava al più piccolo la propria fetta di dolce. Era così ogni volta. A Jonghyun, i dolci non piacevano particolarmente. Prendeva il suo solo per poterlo dare a Kibum, ma questi neanche lo ringraziava. Lo fissava torvo, sbuffando pesantemente quando Hyuri allungava al suo scimmione le carote che non mangiava. La gelosia lo faceva diventare verde dalla rabbia, e di tanto in tanto, le bacchette venivano “magicamente” spezzate dalle sue dita sottili.

“Una ragazza della mia classe… avrebbe bisogno di qualche ripetizione…” le parole erano state pronunciate con titubanza, un po’ indecise, mentre gli occhi felini di Kibum si puntavano sul sorriso impacciato di Hyuri. Era chiaro a tutti che stesse parlando con lui. Come era chiaro a tutti… che il biondo provava una voglia matta di affogarla nella minestra che aveva davanti.

Il mio vicino finse di non intuire la sua sottile richiesta, ricominciando silenziosamente a mangiare. La mano di Jonghyun scivolò sul suo braccio pallido, lasciandogli una breve carezza. Si era avvicinato a lui, portando le labbra vicino al suo orecchio. Tanto bastò a Kibum per prendere fuoco, mettendo su un’espressione davvero imbarazzata.

Mi venne da ridere, e non riuscii a trattenermi. Le labbra dischiuse e il fiato corto, andavano perfettamente d’accordo con le guance in fiamme e le dita nervose. “Troppo vicino!” sembrava volesse urlare. Invece era costretto a rimanere in silenzio, mandando giù l’ultimo pezzo di dolce, e tentando di non strozzarsi al momento di inghiottire tutto quanto. La frustrazione che lessi nei suoi occhi, era quasi palpabile.

Jonghyun gli aveva sussurrato qualcosa, probabilmente cercando di convincerlo ad aiutare l’amica di Hyuri. Lui aveva corrucciato la fronte, infastidito. Odiava l’idea di aiutare quella tizia, ma al tempo stesso non riusciva a dire di no al coinquilino. L’indecisione sul suo volto durò diversi secondi. Poi sbuffò, per l’ennesima volta, grugnendo la sua risposta.

“Non ho intenzione di fare sconti!” pronunciò secco, senza sollevare lo sguardo verso il sorriso che la ragazza gli stava rivolgendo “Martedì e Giovedì. A casa, non in biblioteca. Il nostro indirizzo…” aggiunse sarcastico, puntando gli occhietti affilati su quelli di Hyuri “sono sicuro che già lo conosci…” sbiascicò con disappunto, arricciando le labbra rosse.

Anche questa volta Jonghyun non capì niente, limitandosi a ringranziarlo a bassa voce. Gli sfiorò la testa con la punta delle dita, accarezzando i suoi capelli biondi. Kibum si innervosì ancora una volta, e la maschera di acidità che si era spiaccicato in faccia, giusto pochi secondi prima… venne puntualmente distrutta dal sorriso luminoso del suo coinquilino.

Arrossì appena, cercando invano di liberarsi della sua mano. Fatica inutile. Il più grande continuava a ridere, divertito dalle sue reazioni. Gli solleticava il naso, facendogli perdere le staffe. Kibum schiaffeggiava la sua mano, e per il bruno quel gesto sembrava il più dolce del mondo. Beh, che il mio vicino assomigliasse ad un gatto selvatico… lo avevo notato anch’io.

“Bummie, sei un tesoro!” esclamò Jonghyun, afferrandolo per le guance e stringendole allegro. Rabbrividii, temendo di ritrovarlo con la testa rotta sullo spigolo del tavolo. Il più piccolo invece non fece nulla. Imprecò tra i denti, mentre Hyuri abbassava la testa sul proprio piatto. Un lampo di vittoria attraversò lo sguardo del ragazzo alla mia sinistra, che cedette con un sospiro alle carezze del bruno.

Terminato di mangiare, la “rivale di Kibum” fu la prima a congedarsi. A quanto disse, le sue lezioni erano sul punto di cominciare. Si alzò, inchinandosi brevemente di fronte a noi. Il saluto che il biondo gli rivolse, fu stranamente più cordiale del solito. Preferiva vederla andare via, che vederla arrivare. Il suo coinquilino non afferrò quel sottile sottinteso, ma io e Jinki si. Ci fissammo, facendo spallucce, e iniziammo a raccogliere le nostre cose.

“Hai ancora una lezione, vero?” chiese Jonghyun, al gattino al suo fianco. Questi abbassò ritmicamente la testa, confermando la sua ipotesi. “Vai subito a casa quando finisci” più che un consiglio, sembrava un ordine. Kibum sollevò un sopracciglio, voltandosi a guardarlo. “Inizia a fare freddo…” si giustificò il più grande, fissandolo con i suoi occhioni sinceri.

Troppo semplice da leggere. Jonghyun mi piaceva, e anche tanto. Inizialmente, ero stato quasi sicuro di essere io quello che non gli andava a genio. Mi aveva rivolto qualche occhiata di traverso, i primi giorni. Poi lo avevo aiutato a traslocare, e sembrava che il suo parere su di me fosse magicamente cambiato. Non sapevo quale fosse la causa della sua trasformazione, ma mi aveva piacevolmente sorpreso.

Lui e Kibum avevano stabilito un periodo di prova, prima di decidere se continuare a dividere casa o separarsi. La settimana stabilita stava finendo. Era sabato. Mi sarebbe dispiaciuto vederlo andare via, ma ero abbastanza sicuro che il suo coinquilino non lo avrebbe mai scacciato. Arrossiva troppo, in presenza del maggiore. Era chiaro a tutti che fra quei due ci fosse del tenero.

L’unica domanda che mi sorse spontanea, e che non rivelai ad alta voce, mentre Jonghyun raccoglieva la sua borsa, annunciando che sarebbe andato a lavoro… fu questa:

“Hyuri, è realmente un ostacolo?”


*****


Taemin si rigirò il cucchiaino tra le dita, mescolando la propria cioccolata calda. Sospirò, mentre gli occhietti colpevoli scivolavano sulla tovaglia bianca. La sua omma aveva ragione, e lui lo sapeva bene. I dolcetti alla crema vennero sventolati sotto il suo naso, strappandogli un breve sorriso.

“Non ti sto rimproverando, Minnie…” disse Kibum, sedendo di fronte a lui. Le mani si unirono, sul tessuto candido che ricopriva la tavola, e il più grande rimase per qualche attimo a fissare il suo volto addolorato. “Capisco che sia difficile per te, ma… dovresti cercare di metterti nei suoi panni…” aggiunse rammaricato, accarezzando il suo braccio.

“Lo so…” mormorò il ragazzino, giocherellando con le poche briciole accanto al proprio piatto “Sta capitando più spesso… ultimamente…” soffiò, mentre le prime lacrime iniziavano a pungergli gli occhi.

Il cuore di Kibum si strinse, e le guance del più piccolo si bagnarono di tristezza. Il biondo si alzò velocemente, andandogli vicino. Taemin si lasciò abbracciare, nascondendo il volto sulla spalla del vicino. La sua omma… era dolce con lui. Lo era talmente tanto, che a volte stentava a riconoscerla.

“E’ giusto che Minho sappia…” sussurrò il più grande sui capelli castani, accarezzando le spalle delicate “Ci sarò anch’io, se vuoi” aggiunse incoraggiante, stringendolo più forte.

L’altro ragazzo si tirò appena indietro, cercando il suo sguardo. Anche gli occhi di Kibum erano lucidi. Il più piccolo sospirò, regalandogli un dolce sorriso. Voleva bene alla sua omma, e ringraziava il cielo ogni giorno… per avergli dato la possibilità di conoscere una persona sensibile come lui. Nonostante questo però, si vide costretto a rifiutare la sua proposta.

“Grazie, ma…” iniziò impacciato, inspirando profondamente. Il biondo sfilò dalle sue mani il fazzolettino raggrinzito. Lo aprì, stendendolo con delicatezza tra le dita sottili, e lo utilizzò per asciugargli il viso. Non gli piaceva vederlo triste. Taemin sorrise ancora, rasserenando il suo cuore preoccupato.

“Lo farò da solo” annunciò il più piccolo, sicuro “Io… ho bisogno di rimanere solo con lui…” spiegò, tirandosi sulla mano la manica della maglia arancione. “E tu smettila di piangere, omma!” rimproverò bonariamente l’amico, asciugando a sua volta le lacrime dell’altro “oppure Jonghyun non penserà più…” attese qualche secondo, gustandosi il volto di Kibum… già divenuto rosso, nell’attimo stesso in cui il nome del suo coinquilino era stato pronunciato.

“Oppure non penserà più che sei bello…” terminò, rimarcando con un alone di divertimento le ultime parole. La reazione fu quella sperata. Il biondo balzò in piedi, facendo qualche passo indietro. Aveva sgranato gli occhi, stringendo i pugni lungo i fianchi.

“Co-come…” balbettò agitato, mordendosi le labbra nel tentativo di bloccarle “Come fai a saperlo?!” strillò subito dopo, puntandogli un dito tremante sotto il nasino arricciato. Una smorfia divertita aveva attraversato il viso del più piccolo, ma Kibum non le diede il giusto peso.

Taemin fece spallucce, allungandovi verso il vassoio con i biscotti. Si finse indeciso, prendendo tempo, e alla fine ne scelse uno non molto grande, a forma di stella. Se lo portò alle labbra, masticando con lentezza, mentre i primi segni di isterismo cominciavano a deformare l’espressione del biondo.

“Ce lo ha raccontato lui… qualche giorno fa” rispose tranquillo, lasciando che il cucchiaio di metallo scivolasse dentro la tazza. Il liquido scuro lo riempì velocemente, e gli occhi del maggiore uscirono letteralmente fuori dalle orbite.

“Che cosa?!” urlò imbufalito, prendendo fuoco con la rapidità di un fulmine. Il ragazzino scosse la testa, fingendosi rammaricato, ma non disse nulla. “Quel grandissimo…!” non riuscì a sentire il resto, lo sportello della credenza venne sbattuto con forza, nascondendo l’imprecazione della sua omma.

Kibum era finito al centro della stanza, muovendosi nervosamente avanti e indietro. Percorse la cucina a grandi falcate, da un polo all’altro… senza sosta. Portò entrambe le mani ai capelli, ringhiando la propria frustrazione. Taemin si mise più comodo sulla sedia. Poggiò la schiena alla spalliera in legno, nascondendo dietro la tazza fumante il proprio sorriso divertito.

“Che vuoi farci…” disse dopo qualche secondo, quando le dita del più grande si erano già strette intorno al primo cuscino. “Forse siamo stati noi ad insistere troppo. Sai eravamo tutti qui, e…” lasciò volutamente la frase a metà, portando con finto imbarazzo una mano alle labbra. “Ops!”

“Tutti?!” strillò il biondo, ormai pronto a strangolare qualcuno. Il cuscino si scontrò con la parete accanto alla porta, attraversando l’intera stanza nella sua folle corsa. Kibum lo aveva lanciato, con rabbia, urlando quella domanda che fece per un attimo sobbalzare il più piccolo.

Un calcio venne assestato al tavolino, e questo tremò, cigolando il proprio disappunto. Taemin inspirò profondamente, mentre il maggiore gli dava le spalle. Aveva dieci secondi, forse anche qualcosa in meno. L’amico sbolliva rapidamente, recuperando il proprio buon senso. Avrebbe dovuto approfittarne subito, fin tanto che la rabbia oscurava il suo giudizio.

“Vedila così. Il tuo gesto nei suoi confronti è stato carino…” si azzardò ad insinuare, sorridendo incoraggiante allo sguardo furioso che si era nuovamente puntato sul suo “Jonghyun sembrava felice” aggiunse mestamente, proprio mentre le labbra di Kibum si schiudevano.

Avanti omma... non farti pregare. Il tuo adorato coinquilino ci ha voluti tenere all’oscuro, ma… tu potresti farmi capire quello che è successo.

“Questa poi! Era un’osservazione!” la voce venne fuori acuta, stridula. Il biondo pestò un piede a terra, gesticolando come uno a cui hanno appena rigato la macchina nuova. Le mani si levarono minacciose al cielo, serrandosi in due pugni intrisi di rabbia. “Al diavolo! Maledetto Jonghyun! Era un “dato di fatto”! Non un complimento!” preciso, carico di rancore.

Le guance avevano preso nuovamente a bruciare, ma Taemin non si fece raggirare. Non era solo l’indignazione a guidare le sue reazioni. La sua omma era imbarazzata. Eccome… se lo era! Un’ultima spinta. Un’ultima spinta… e avrebbe vuotato il sacco.

“Sai, una cosa del genere… non è che la si dica tutti i giorni…” disse il più piccolo, con accondiscendenza, abbandonando la tazza sul bordo del tavolo “Poi, da una persona come te…” aggiunse, appena sarcastico, mettendosi in piedi con indifferenza. La vena sul collo del biondo si gonfiò rapidamente, così come i suoi occhi, che fulminarono l’altro.

“Quindi adesso sarebbe colpa mia?!” sibilò Kibum tra i denti, pestando rumorosamente i piedi, mentre si avvicinava al ragazzino con una luce sinistra negli occhi scuri. Il sangue ribolliva nelle vene, e la voglia di spaccare quella faccia di scimmia del suo coinquilino stava diventando incontenibile.

“Lui mi guarda, e io lo guardo!” esclamò stizzito, sottolineando ogni parola con un gesto rabbioso della mano, che stava sventolando con impetuosità sotto lo sguardo timoroso di Taemin “Se ne è rimasto lì, come un pesce lesso! Mi fissa e mi dice in quel modo!” continuò con lo stesso tono, piantandosi con forza una mano sulla fronte.

La pelle del viso bruciava, come poche volte prima di allora. Tutto quell’imbarazzo che sentiva addosso, non faceva altro che aumentare la sua indignazione. Possibile che quell’imbecille avesse davvero raccontato a tutti quanti quello che gli avevo detto?!

“I-Io… io…” aveva iniziato a balbettare, senza neanche rendersene conto. Le mani appoggiate al tavolo, e le spalle rivolte al più piccolo. Il gesto di vittoria che il ragazzino sollevò in aria, neanche lo vide. “Non è colpa mia se…” si morse le labbra, chiudendo gli occhi “Se anche lui lo è…” concluse in un soffio, mentre le manine impazienti di Taemin si abbattevano sulle sue braccia.

L’amico lo scosse appena, facendolo voltare. Un sorriso a trentadue denti sul volto da bambino, mentre puntava i suoi occhioni emozionati sull’espressione stralunata del più grande.

“Quindi è questo che gli hai detto?!” strillò euforico, senza curarsi minimamente della bocca che Kibum aveva spalancato davanti a lui.

Perché me lo chiedi? Se già lo sapevi… perché ti serve una mia conferma? Quel dannato Jon… Aspetta! Non era così contento prima! Perché adesso…? Perché adesso… che sono stato io ad ammettere quello che è successo? Se già sapeva… No! Prima non sapevi nulla!

“Brutto marmocchio diabolico…” sibilò il biondo tra i denti, liberandosi velocemente dalle mani che cercavano di tenerlo fermo. Gli occhietti del più piccolo si colmarono di divertimento. Troppo felici, per poter ancora nascondere la soddisfazione che provava. Taemin fece un balzo indietro, allungando le dita impazienti verso la porta d’ingresso.

“I biscotti erano buonissimi, e io ti voglio un mondo di bene!” squittì tutto d’un fiato, catapultandosi verso il pianerottolo “Ciao ommaaaa!” urlò senza neanche voltarsi, mentre correva come un disperato verso il proprio appartamento.

Le parolacce che Kibum gli riversò addosso… neanche le sentì. Se le meritava tutte, come biasimarlo? Almeno non lo stava inseguendo, per prenderlo a calci. Inserì rapidamente la chiave nella toppa, infilandosi in casa. La porta si richiuse con un tonfo sordo, infastidendo il ragazzo dai capelli scuri, coricato sul divano.

“Min… fa’ piano…” si lamentò Minho, portandosi una mano sugli occhi. Si era appena appisolato, quando quella furia del suo coinquilino... lo aveva, poco gentilmente, strappato via da quell’attimo di pace.

“Scusa Hyung…” mormorò il più piccolo, imbronciando le labbra carnose “Però…” aggiunse divertito “Non puoi immaginare quello che ho appena scoperto!” cantilenò gongolante, salterellando incontro al moro. “Se mi dai un bacino…” soffiò, vicinissimo al suo viso “Lo racconto anche a te”.

*****


Hyuri attraversò la strada, riponendo in tasca il cellulare. Quel Kibum era proprio un tipetto tutto pepe, ma per fortuna Jonghyun era riuscito a convincerlo. Aveva appena parlato con Min Nyu, la ragazza alla quale il biondo avrebbe dovuto dare ripetizioni. Era dolce e tranquilla, impossibile non andarci d’accordo.

“Spero solo che non la faccia fuggire via al primo incontro…” mormorò sovrappensiero, mentre poggiava una mano sulla porta di quel piccolo negozietto, appena svoltato l’angolo. L’ambiente era gradevole, e perfettamente ordinato. Vendeva un po’ di tutto, in realtà. Penne, quaderni, qualche oggetto per la casa. La signora dietro al bancone le sorrise, e lei ricambiò il saluto.

“Jonghyun è sul retro, te lo chiamo?” le chiese la donna, che solo di recente aveva scoperto essere la madre dell’assistente di chimica. Rispose che non ce ne sarebbe stato bisogno, e prese a girare distrattamente tra gli scaffali. Riconobbe un paio di cose. Delle candele profumate, una tazza dal manico particolare, e un orsacchiotto dagli occhioni dolci.

“Sei arrivata?” il ragazzo alle sue spalle le si avvicinò, lasciandole un rapido bacio sulla guancia. Sorrise, notando il peluche che teneva tra le mani “E’ come quello che ti ho portato mesi fa, ricordi?” le chiese, accarezzando i suoi capelli lunghi.

“Già” confermò Hyuri, sorridendo a sua volta “Mi piace un sacco” precisò, riponendo l’animaletto al suo posto. “Hai finito?”

“Ancora qualche minuto. Aspetto che arrivi Jinki…” rispose Jonghyun, liberandosi della felpa gialla che utilizzava per lavorare. “Non mi va che la signora Lee rimanga da sola…” aggiunse sincero, arricciando appena le labbra.

L’espressione della ragazza si intenerì, di fronte alle candide premure che l’amico riservava a quella donna dal viso gradevole. Scosse la testa, accarezzando la guancia spigolosa del più grande. Si conoscevano da tanto tempo ormai, e la dolcezza di Jonghyun non era una dote da sottovalutare. Lui era fatto così. Un tipo semplice, senza molte pretese, che ti resta accanto con il suo rassicurante sorriso.

“Non c’è problema” affermò convinta, raccogliendo dal secondo ripiano una piccola calamita a forma di girasole. L’amico gliela rubò velocemente di mano, prendendone una gemella e rigirandosela tra le dita. Strinse le labbra, indeciso.

Hyuri avrebbe voluto chiedergli cosa stava pensando, ma non volevo correre il rischio di imbarazzarlo con la propria curiosità. Jonghyun parve prendere una decisione. Sorrise, stringendo più forte le due calamite, e si avvicinò alla casa.

“Signora Lee, sto prendendo queste” annunciò alla donna dai capelli scuri, che aveva sollevato i suoi occhi amorevoli in direzione dei due piccoli fiori. Non accettò i soldi che il ragazzo le porgeva, rispondendo alle sue proteste con una semplice scrollata di spalle.

“Sono solo pochi spiccioli, non farne un problema” lo rassicurò gentile, e la campanellina sulla porta d’ingresso annunciò l’arrivo di una nuova persona.

“Buonasera omma” la voce di Jinki era profonda, calda. Si sporse sul bancone, lasciandole un bacio sulla fronte, e sua madre gli accarezzò una guancia. “Grazie per il duro lavoro” disse ancora, dando qualche pacca amichevole alla spalla del vicino di casa.

“Allora noi andremmo…” annunciò Jonghyun, avvicinandosi a Hyuri e prendendola sottobraccio. Si salutarono, cortesemente, e i due ragazzi lasciarono il negozio.

L’assistente di laboratorio seguì le loro sagome, fin quando non ebbero svoltato l’angolo. Poi sospirò, grattandosi pensieroso la testa. La donna al suo fianco notò l’espressione del figlio, accigliandosi a sua volta. Il cuore di una madre, intuisce sempre quando qualcosa ci preoccupa.

“Problemi?” gli chiese, sfiorando il braccio del suo primogenito. Jinki si sforzò di sorriderle, non voleva che si impensierisse per niente. Quei due gli sembravano troppo affiatati. Non era la prima volta, che Jonghyun andava via insieme all’amica.

“Capita spesso?” domandò a sua madre, indicando con un gesto del capo il punto oltre il quale i due ragazzi erano appena scomparsi.

“Quasi sempre, negli ultimi sei mesi” confermò la donna, sorridendo. “Jonghyun è un caro ragazzo. Aspetta sempre l’arrivo di tuo zio, prima di andare via” Jinki confermò distrattamente le sue parole, incupendosi ancora. “Non mi sono permessa di chiedere loro che tipo di rapporto abbiano, però… mi sono sembrati molto uniti. Se un giorno mi dicessero che stanno insieme… ne sarei felice”.

Non parlare tanto facilmente omma. Se un giorno quei due dovessero stare insieme… “qualcuno” non ne sarebbe affatto felice. Forse è il caso che io passi più spesso, la sera, da queste parti. Non si sa mai. Questa situazione… meglio tenerla sotto controllo.

*****


Mi metteva a disagio cucinare con lui nei paraggi. Gli avevo dato qualche reazione da bilanciare, e adesso eccolo lì… con lo sguardo concentrato, e la penna stritolata tra le dita. Non ci capiva una mazza, vero? Sbuffai, e lui sollevò gli occhi verso di me. Una mano si puntò sul fianco sinistro, mentre l’altra sollevava minacciosamente in aria il mestolo.

“Non ci stai neanche provando!” lo ammonii, contrariato dal suo piccolo cervelletto ottuso. Cercò di rabbonirmi, con uno dei suoi soliti sorrisi tutto miele. Dannazione a te! Come faccio a farti la ramanzina, se continui a fissarmi con quegli occhioni da cucciolo?!

Lucy, che si era raggomitolata ai suoi piedi, sollevò stancamente la testa… lasciando scorrere lo sguardo pensiero da me al mio coinquilino. Parve dargli ragione, e mi abbaiò contro. Non era stata aggressiva, ma mi fece arrabbiare comunque. Indirizzai la mia arma nella sua direzione, e le sorrisi derisorio.

“Un altro suono, e ti mando a letto senza cena…” sibilai tra i denti, ricevendo in cambio un piccolo mugolio risentito. Jonghyun si chinò, accarezzandole il pelo scuro, cercando di consolarla. “E lo stesso vale per te!” aggiunsi scocciato, dandogli le spalle “E non osare guardarmi in quel modo!”.

Rise piano, divertito dal mio avvertimento, e mi venne voglia di lanciarglielo… quel mestolo. I passi leggeri che mi stavano raggiungendo, fecero tremare appena il coltello che tenevo tra le mani. Quelle reazioni mi facevano rabbia. Possibile che non riuscissi a rimanere indifferente neanche per mezzo secondo?! Afferrai stizzito una delle zucchine, tagliandola velocemente a cubetti.

Quando le sue dita scivolarono sulle mie, interrompendo il mio lavoro, rabbrividii. Non mi aspettavo un contatto diretto, e la sensazione che sentivo sulla pelle… mi piacque da morire. Si era chinato verso di me, parlandomi con lentezza, neanche fossi un bambino. Sbuffai, cercando di camuffare il batticuore che la sua vicinanza mi faceva provare.

“Io ti aiuto con la cena, e tu mi aiuti con le reazioni… vuoi?” il suo alito caldo mi solleticò il collo, e menomale che avevo già mollato il coltello, altrimenti avrei finito con l’affettarmi un dito. Chiusi gli occhi, stringendo le labbra tra i denti. Stava infilando le mani sotto le mie braccia, poggiate al lavandino, cercando di prendere il piatto con le verdure da tagliare. Sobbalzai, ritrovandomelo addosso.

Il suo torace aveva sfiorato la mia schiena, bloccandomi ogni via di uscita. Non poteva vedermi in volto, considerata la posizione in cui ci trovavamo, e benedissi il cielo per quel colpo di fortuna. Ero arrossito, probabilmente talmente tanto da poter essere scambiato con uno dei pomodori da fare a cubetti.

Rimasi immobile, ma in quei pochi secondi… il calore che mi invase avrebbe potuto farmi prendere facilmente fuoco. Combustione spontanea, ne ero certo. Immaginai i titoli dei giornali, e storsi le labbra. “Ragazzino sessualmente frustrato, bruciato dalla propria libido”… oppure… “Voleva diventare uno scienziato, ma sembra che sarà proprio il suo caso a dover essere studiato”. Imprecai fra i denti, provando un desiderio irrefrenabile di scappare via.

Troppo frettoloso. Scattai come una molla, voltandomi di colpo. Jonghyun… me lo ritrovai ad un pelo dal naso. Dannato! Dannato Kibum! Guarda in che casino ti sei cacciato! Muoviti, allontanati e… e…

Niente. Ero andato. I suoi occhi scuri erano troppo vicini… appena sorpresi, e anche vagamente imbarazzati. Schiuse le labbra, sembrava voler dire qualcosa, ma la bocca rimase aperta… e nessun suono venne emesso. Sarei voluto scomparire! Scavarmi una fossa a mani nude, e allontanarmi dal battito forsennato di quel cuore, che sembrava volermi perforare i timpani.

Cercai di prendere aria, ma respirare era pressoché impossibile. Fu lui il primo a riprendersi. Arrossì appena, ma figurarsi… io ero stato sul punto di stramazzare al suolo! Indietreggiò, dandomi modo di allontanarmi a mia volta. Chinò il capo, non sapeva cosa dire. Io ancora tremavo, e quella consapevolezza non fece che aumentare il mio disagio. Portai istintivamente una mano sulla guancia, trovandola smisuratamente accaldata.

Qualcosa si strusciò contro le mie gambe, prendendomi alla sprovvista. Sussultai, puntando gli occhi sgranati sul pelo scuro della mia cagnolina. Fui quasi felice di vederla. Un modo per sfuggire all’imbarazzo. Finii rapidamente in ginocchio, infilando entrambe le mani nel suo morbido mando. Utilizzai quella scusa per dare le spalle a Jonghyun e riacquistare un po’ di calma.

Lui non parlava. Il leggero rumore prodotto dal piatto, che veniva delicatamente poggiato sul ripiano del tavolo, mi fece intuire i suoi movimenti. Poi il coltello prese ad urtare ritmicamente la base di porcellana, tagliando la zucchina che avevo abbandonato poco prima. Mi azzardai a sollevare lo sguardo, ma i suoi occhi erano puntati sulle verdure. Sospirai mentalmente, seguendo con ammirazione… i gesti esperti che utilizzava per fare a cubetti un pomodoro maturo.

“Sai cu-cucinare?” mi ritrovai a balbettare, come un perfetto idiota. Jonghyun si fermò, voltandosi a guardarmi. Ero ancora inginocchiato a terra, e quella posizione… mi faceva sentire possibilmente più a disagio. Deglutii a fatica quando, non so bene come, finii per soffermarmi più del necessario sui muscoli delle sue braccia.

“Si, abbastanza” rispose modesto, e fortunatamente non si era accorto dello sguardo adorante che gli avevo rivolto poco prima. Non dissi niente. Tornai a guardare Lucy, e mi presi del tempo per riacquistare un minimo di contegno. Dove diavolo finiva tutto il “self-control”, quando avevo a che fare con quell’insopportabile tentazione che era il mio coinquilino?!

Utilizzai la scusa di dar da mangiare al cane per cambiare stanza. Andai verso il bagno, con l’intenzione di recuperare la ciotola rossa, che avevo lavato quella mattina… e quell’adorabile ammasso di pelo mi scodinzolò dietro, felice.

*****


Che pessima figura avevo appena fatto! Se ne era accorto? Speravo proprio di no. Abbassai lo sguardo sui pantaloni, trovandoli tremendamente gonfi. Imprecai tra i denti, intimandomi di darmi una calmata. Si, certo! Una passeggiata! Non feci neanche in tempo a chiudere gli occhi, che il suo volto riapparve ancora una volta a torturarmi.

Non avevo resistito. Quando mi aveva dato le spalle, ritornando a preparare la cena, la tentazione di avvicinarmi a lui era stata troppo forte. Kibum aveva tremato, impercettibilmente, mentre utilizzavo quella scusa per rinchiuderlo nel mio “quasi abbraccio”. Erano stati solo pochi secondi, ma… la sensazione di quel corpo vibrante stretto al mio, mi aveva completamente svuotato il cervello.

Si era voltato di colpo, forse infastidito… forse arrabbiato. Il suo volto era talmente vicino, che avevo dovuto stringere più forte quel piatto, per evitare di fare qualche fesseria. Le guance si erano infiammate all'istante… con quell’adorabile color porpora che lo faceva apparire ancora più bello. Volevo scusarmi, allontanarmi, ma… come si faceva a lasciarlo andare?

Non se ne rendeva conto. Non vedeva… quello che vedevo io. Le labbra dischiuse, impaurite. Gli occhi confusi, imbarazzati. Quanto mi piaceva. Quanto mi piaceva la consapevolezza di esserne la causa. Vederlo turbato… timoroso, mi riempiva di soddisfazione. Forse ero un po’ sadico… ma più Kibum arrossiva, più io mi eccitavo.

E così quello era stato il risultato. Il cuore palpitava come un matto, impedendomi di riacquistare la calma, e l’erezione premeva con forza sui jeans… obbligandomi a stringere le labbra tra i denti. Se fosse tornato in quel momento, avrei rischiato di fargli capire tutto. Abbassai una mano sul cavallo dei pantaloni, massaggiandolo appena… iniziava a fare male.

“Aishh!” mi lamentai, e l’istinto di rintanarmi in camera divenne ancora più forte. “Non posso… non posso…” cercai di convincermi, serrando la mascella e tornando ad afferrare il coltello “Se adesso vado via senza aiutarlo, non avrò una scusa per restare ancora con lui”.

Ricordai le sere precedenti quando, subito dopo cena, Kibum si congedava rapidamente. I suoi sbadigli non mi ingannavano. Lo capivo che stava recitando. L’idea che cercasse un pretesto per allontanarsi, mi stringeva lo stomaco ogni volta che ci pensavo. Aveva un carattere molto introverso, ma dopo quasi una settimana di convivenza… quella scusa che mi rifilavo di continuo… iniziava ad apparire stupida perfino alle mie orecchie.

Sospirai, considerando seriamente l’idea di non essere riuscito a piacergli, e l’erezione scomparve completamente. Bastava molto poco per far sbollire i miei ormoni. Non ero tipo da accontentarmi del semplice contatto fisico, e anche nel caso di Kibum… non era solo il mio corpo a cercare soddisfazione. E se avessi interpretato male tutto quanto? Se quell’imbarazzo, quegli sguardi dolci… fossero solo delle conseguenze al mio comportamento?

Arrossiva perché lo mettevo a disagio, e mi sorrideva perché iniziava a considerarmi un amico. Cristo… quell’ipotesi era peggio di un pugno allo stomaco. Tagliai l’ultima melanzana con eccessiva foga, senza accorgermi degli occhi perplessi che si erano puntati sulle mie spalle. Quando la mano di Kibum entrò nel mio quadro visivo, mi fece sussultare.

Lui non mi guardò. Aveva preso tra le mani il mio quaderno di chimica, controllando velocemente le ultime reazioni. Erano sbagliate, lo sapevo benissimo. Storse le labbra, e le mie spalle si incurvarono ancora di più. Abbassai gli occhi sulle verdure accuratamente tagliate, e mi convinsi di non avere nessuna possibilità con un tipo intelligente come lui.

“Qui ci eri vicino…” mi disse tranquillo, sventolando il foglio pieno di cancellature sotto il mio naso “Guarda…” la sua voce improvvisamente dolce, fece battere un po’ più forte il mio cuore “Aggiungi un due da questa parte…” mi spiegò paziente, picchiettando con la punta della penna sul punto che voleva indicarmi “ed è bilanciata”.

Sbattei un paio di volte le palpebre, completamente allibito di fronte alla possibilità di aver potuto combinare qualcosa di giusto. Il sorriso che mi rivolse subito dopo, quasi mi mandava in coma diabetico. Avevo commesso il tremendo errore di sollevare lo sguardo sul suo viso, incontrando quegli occhi felini incredibilmente belli. Non sarei riuscito a sopravvivere ancora per molto, con un’espressione così angelica davanti.

Utilizzò il tappo della biro per solleticarmi il naso, ridendo piano mentre io mi tiravo automaticamente indietro, grattandolo. Aveva portato una mano alle labbra, nascondendo il suo divertimento contro il palmo aperto. Tutto inutile. Anche con quella barriera davanti, riuscivo ancora a vederlo… nelle iridi scure che mi stavano fissando.

“Metti tutto in padella…” suggerì tranquillo, recuperando dal primo cassetto la tovaglia bianca e blu. La allargò con un movimento deciso, ricoprendo il ripiano in legno. “Quando finiamo di mangiare… ti aiuto con le altre”.

Quasi scivolai, finendo anche io sui fornelli. Mi avrebbe aiutato, anche se ero un idiota? Quando rise ancora, afferrandomi per un braccio nel tentativo di mantenermi in equilibrio… fui certo di essere finito in paradiso.

*****


Era un po’ imbranato, ma anche tremendamente dolce. Quando ero tornato in cucina, per qualche motivo a me sconosciuto, mi era parso triste. Faceva male. Mi fece male. Una piccola fitta, non molto dolorosa, ma comunque insistente. All’altezza del petto, proprio lì… dove il sangue pompava più veloce, quando lui mi era vicino. Non mi fermai ad analizzarlo quel dolore. La causa ormai la conoscevo, e alle conseguenze… mi ero imposto di non pensarci più.

Cercai un modo per farlo sorridere. Qualcosa che scacciasse via quella piccola smorfia che gli aveva incurvato le labbra, e che riportasse un po’ di luce in quello sguardo abbattuto. Mi avvicinai al tavolo, lanciando un’occhiata veloce al quaderno con gli esercizi. Sbagliato. Sbagliato. Sbagliato. Sbagliato. Stavo per arrendermi, possibile che non ce ne fosse neanche una giusta?

I miei occhi si bloccarono sulla penultima riga, e il sorriso che mi sorse spontaneo sulle labbra… cercai di nasconderlo alla meglio. Allungai una mano, mentre finalmente si accorgeva della mia presenza. Finsi di esaminare con cura il suo operato, lasciandomi andare a qualche smorfia di disappunto. Quando mi resi conto che il mio giudizio lo stava rendendo ancora più nervoso… gli avvicinai immediatamente il quaderno.

Prima sorpreso. Poi incredulo. E infine felice. Il mio cuore fece una capriola, sciogliendosi come burro di fronte a quegli occhi da cucciolo che erano tornati ad illuminarsi. A quel punto… non mi restava che un’ultima cosa da fare. Mi stava fornendo la scusa per restargli accanto, e questa volta non mi sarei tirato indietro.

“Quando finiamo di mangiare… ti aiuto con le altre”.

Cucinammo insieme, per la prima volta. Era divertente, e anche rilassante. Chiacchierava molto, mentre raccoglieva tra le dita grandi la pasta da mettere sul fuoco… o quando arricciava il naso, mentre gli allungavo il pepe. Mi piaceva stuzzicarlo. Quando starnutì rumorosamente, sull’ultima cosa piccante che gli sventolai sotto le narici… quasi mi piegai in due per il troppo ridere.

Si lamentò, recuperando un fazzolettino e spintonandomi appena. Cercò di aggrapparsi a quei pochi mesi di differenza, ricordandomi che era il più grande. Si aspettava un trattamento diverso, forse?

“Devo chiamarti Hyung?” gli chiesi, sbattendo ingenuamente le ciglia. Mi ero avvicinato, anche un po’ troppo, cercando una reazione… un segno… qualsiasi cosa. Arrossì, come poche volte lo avevo visto fare. Il moto di gioia che mi aggrovigliò lo stomaco, fu qualcosa di inaspettatamente piacevole. Gli feci la linguaccia, e mi allontanai tutto soddisfatto.

Mangiammo con la televisione aperta, scegliendo un programma abbastanza banale… che andava in onda sul terzo canale. Cercavo di non guardarlo, concentrandomi il più possibile sullo schermo luminoso. Inutile. Ogni volta che i suoi occhi mi sfioravano, era come una bevanda calda… mentre fuori piove a dirotto.

Jonghyun… era questa la sensazione che mi lasciava addosso. Dolcezza, calore, protezione. Mi piaceva. Mi piaceva, e finalmente riuscivo a pensarlo senza sentirmi in colpa con me stesso. Gli sorrisi, voltandomi all’improvviso, e l’acqua che aveva appena portato in bocca si trattenne dal sputacchiarla sulla tavola.

Ok, quello che feci io non lo racconterò. Sto diventando ingiusto, non è vero? E’ solo che… solo a pensarci, mi vergogno da morire. Mi imbarazza ricordare quei momenti. Quella scarica di desiderio che mi attraversava il corpo, ogni volta che le nostre dita si sfioravano… cercando la bottiglia. Ad un certo punto, credo anche di aver balbettato qualcosa di astruso, mentre lui utilizzava il suo fazzolettino per ripulirmi la guancia da uno schizzo di sugo.

Si, avrei tanto voluto nascondermi sotto il tavolo! Poi lui aveva sorriso… una, due, tre, dieci volte… e tutto l’imbarazzo lo avevo mandato al diavolo! Non volevo. Non volevo rovinarlo quel momento, con tutte le paure che mi invadevano il cuore quando lui si avvicinava un po’ di più. Sospirai, e decisi che era giunto il momento di concedergli un po’ di fiducia.

Sparecchiamo, e tutte le cose più pesanti sparivano di continuo dalle mie mani. Jonghyun era dolce, lo è sempre stato. Ero solo io… ad essere troppo timoroso per ammetterlo.

“La somma delle masse dei reagenti, che partecipano ad una reazione chimica, deve essere uguale alla somma delle masse dei prodotti” citai velocemente la legge di Lavoisier, osservando la sua fronte corrucciata. Ci eravamo rimessi seduti, con il suo quaderno di chimica davanti. Non sembrava ancora convinto.

“Durante una reazione, il numero di atomi di un elemento chimico… deve rimanere uguale tra reagenti e prodotti” ripresi con calma, sottolineando con la penna i diversi elementi presenti nell’esercizio che avevo scritto.

H3PO4 + Ca(OH)2 → Ca3(PO4)2 + H2O


“Allora… bilanciamo per primo il calcio. Ci sono tre atomi di calcio a destra, e uno a sinistra” parlavo lentamente, cercando di confonderlo il meno possibile. Non aveva la minima dimestichezza con quelle cose, e le dita che continuava a tamburellare freneticamente sul tavolo ne erano la prova. “Ponendo il coefficiente 3 davanti a Ca(OH)2”.

H3PO4 + 3 Ca(OH)2 → Ca3(PO4)2 + H2O


Aspettai il suo segno di conferma, prima di proseguire. “A sinistra abbiamo un atomo di P, a destra ne abbiamo 2. Bilanciamo P ponendo un 2 davanti a H3PO4 …”

2 H3PO4 + 3 Ca(OH)2 → Ca3(PO4)2 + H2O


Questa volta mi parve decisamente più “consapevole” di quello che stavamo facendo. Aggiunse lui stesso il numero 2, e quel suo atteggiamento positivo… mi fece sorridere. “Rimangono da bilanciare H e O. H è presente in 3 posti diversi. In 2 H3PO4 abbiamo 6 atomi di H, e in 3 Ca(OH)2 ne abbiamo altri 6” temevo di perdere la sua buona volontà, e rallentai ancora.“In totale, tra i reagenti, abbiamo 12 atomi di H. Tra i prodotti invece ne abbiamo solamente 2…”

“6 davanti a H2O?” quella domanda interruppe tutto il mio bel discorso, ma piuttosto che infastidirmi, mi lasciò piacevolmente sorpreso. Iniziava a capire. Abbassai ritmicamente la testa, lasciandogli nuovamente la penna, e lui mi sorrise… puntandola sul foglio.

2 H3PO4 + 3 Ca(OH)2 → Ca3(PO4)2 + 6 H2O


“E’ più facile quando lo spieghi tu…” commentò, con il capo chino sul quaderno, riempiendomi d’orgoglio. Rimaneva da bilanciare O, e rimasi trepidamente in attesa delle sue osservazioni.

“O ne abbiamo 14 sia a sinistra…” disse a bassa voce, spostando il dito sul lato opposto della freccia “che a destra”. Quando sorrise, tirai istintivamente un sospiro di sollievo. “E' già bilanciato” concluse, entusiasta, mostrandomi tutto felice il foglio spiegazzato.

Non resistetti. E prima ancora di capire quello che stavo facendo… mi ero allungato in avanti, schioccandogli un bacio sulla guancia. Dire che ne rimase sorpreso, sarebbe un eufemismo. Sfiorò il viso con dita esitanti, mentre io credo di essere arrossito fino alla punta dei capelli. Poi sbatté un paio di volte le palpebre, afferrando con forza una delle mie mani... e puntando i suoi occhi sconvolti nei miei.

“Ehi Bummie, mica farai così anche con quella tizia… vero?!”

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Capitolo 12
*** Il verdetto ***




Capitolo 11 - Il verdetto

Era una giornata soleggiata, piacevole. Minho se ne stava seduto sul balcone, la schiena rilassata e lo sguardo rivolto al cielo. Quando Taemin lo raggiunse, porgendogli un bicchiere di succo, tutto divenne perfetto. Il moro sospirò, regalando una dolce carezza al suo piccolo coinquilino.

“Hyung, sembri felice…” osservò il ragazzino, scrutando la sua espressione serena.

Il più grande non rispose, limitandosi a sorridergli. La sera prima, il suo Min non aveva avuto gli incubi, e forse era proprio quello... il motivo del suo inspiegabile buon umore. Portò le mani in tasca, sfiorando con la punta delle dita la piccola sorpresa che gli aveva preparato. Non sarebbero stati soli, però… sperava che una giornata “diversa” avrebbe tranquillizzato ulteriormente l’animo dell’altro.

Quella mattina erano usciti presto, lui e Jonghyun. Ne parlavano già da qualche giorno, ed entrambi non vedevano l’ora di mettere in atto il “piano”. Notò gli scarponcini ai piedi di Taemin, storcendo appena le labbra. Non sarebbero andati bene. Rifletté un attimo, grattandosi distrattamente la testa.

“Dopo aver fatto colazione con gli altri, pensavo di andare a fare la spesa. Vieni con me?”

Il ragazzino lo fissò. Non sembrava molto convinto. Minho era un pessimo attore, e lo sapeva bene. Sicuramente il più piccolo aveva notato qualcosa di strano, nella sua espressione… oppure nel modo nervoso con cui continuava a tamburellare il piede al suolo. Alla fine Taemin scrollò le spalle, accantonando la possibilità che il suo Hyung gli stesse mentendo. Non lo avrebbe mai fatto.

“Va bene” confermò tranquillo, portando alla bocca il proprio bicchiere. Una goccia solitaria scivolò giù dalle sue labbra, proseguendo verso il mento. Gli occhi del moro la seguirono, attenti, e forse anche un po’ sognanti. Quel ragazzino gli faceva uno strano effetto.

Se lo tocco adesso, con la scusa di asciugarla, riuscirò a fermarmi? Ieri ha voluto un bacio, e io non mi sono tirato indietro. Quando ho sfiorato la sua guancia, soffermandomi più del necessario sulla sua pelle sottile, non mi è sembrato infastidito. Come reagirebbe se lo facessi ancora?

No, non posso. Nei miei pensieri per lui… non c’è niente di casto, o fraterno. Se lo baciassi di nuovo, non credo che riuscirei a fermarmi ancora.

“Metti delle scarpe comode. Cammineremo più del solito…”

*****


La strada verso il bar l’avrebbe saputa percorrere perfino ad occhi chiusi. Così lasciò libero possesso della propria andatura alla memoria, facendo vagare lo sguardo da una parte all’altra della strada. Incrociò le solite persone, quelle di ogni domenica. Abitudinari frequentatori delle edicole, o donne che accompagnavano i figli al parco. Sorrise, mentre un bimbo si aggrappava alla gonna della madre, spaventato dalla mole di Lucy. Tirò delicatamente il guinzaglio, e la cagnolina si allontanò da quegli occhi impauriti.

“Ma come si fa a temerti?!” una voce calda… gli ricordò che non era solo. Si erano fermati, sedendo sulla panchina di fronte al bar, e Jonghyun si era rapidamente chinato in avanti, coccolando l’animale. Le mani accarezzavano energicamente la schiena pelosa, ricevendo in cambio qualche rapida leccatina. Kibum cercò di non concentrarsi troppo su di lui, tornando a guardare la strada.

La sua espressione assorta venne sbirciata dal ragazzo al suo fianco, che fin da quella mattina… era rimasto sorpreso dal suo inspiegabile silenzio. Beh, magari una motivazione l’aveva anche trovata, ma sperava tanto di sbagliarsi. Era domenica. Il momento della scelta. Sospirò, tornando a guardare Lucy.

Il musetto umido sfiorò i suoi pantaloni bianchi, bagnandoli appena. Jonghyun non era tipo da preoccuparsi per quelle cose, e dedicò un sorriso dolce al tenero animale. Anche lei era nervosa. Continuava a portare gli occhi prima su un ragazzo, e subito dopo sull’altro. Che avvertisse qualcosa? Il bruno inarcò un sopracciglio, mentre il nasino della cagnolina tentava di smuovere la sua mano con piccoli colpetti.

“Cos’è che vuoi?” le chiese a bassa voce, ricevendo in cambio una spinta più forte… e anche leggermente infastidita. Avrebbe volentieri riso, mentre Lucy sollevava il mento, stizzita, e spostava la sua attenzione su Kibum. Quando le sue intenzioni, però, divennero abbastanza ovvie, quel sorriso gli morì in gola.

Il biondo era distratto, fin troppo assorto nei suoi pensieri. La mano del suo coinquilino, immobile sul legno scuro, proprio accanto alla sua gamba, neanche la notò. Una testolona scura si fece spazio sotto le sue dita, forse in cerca di attenzioni. L’accarezzò automaticamente, senza badare al leggero movimento con il quale la cagnolina si stava velocemente muovendo di lato. Il manto morbido scomparve in un battito di ciglia, e quello che si ritrovò a toccare… lo fece arrossire all’istante.

Gli occhi di Jonghyun erano fissi nei suoi, nervosi e un po’ imbarazzati. Le loro mani, adesso l’una sull’altra, si impadronirono velocemente del calore che stavano sfiorando… regalando ad entrambi un piccolo brivido. Kibum schiuse le labbra, senza però riuscire a trovare nulla da dire. Scusami? Ma non era mica colpa sua! E’ stato il cane? Si, certo, molto maturo gettare la colpa ad un’innocente bestiola.

Avrebbe voluto spostarsi appena, magari senza giustificazioni, e immergersi nuovamente nei propri pensieri. Impossibile. La pelle di Jonghyun, leggermente ruvida sotto i suoi polpastrelli, faceva accelerare i battiti del proprio cuore, impedendogli qualsiasi ragionamento sensato.

Gli occhi del bruno scivolarono istintivamente su quella bocca rossa, che il suo coinquilino continuava a tenere dischiusa. Lui non era sorpreso. Le intenzioni di Lucy le aveva capite, giusto una manciata di secondi prima che la cagnolina portasse a termine il suo “compito”. Avrebbe potuto impedirlo. Spostare la mano, evitare che Kibum lo toccasse. Non c’era riuscito.

Voleva sfiorarla, quella perfetta forma a cuore… che erano le labbra del più piccolo. Saggiarne la consistenza, conoscerne il sapore. Quando il biondo le strinse forte tra i denti, abbassando gli occhi imbarazzato, gli sembrò che il cuore fosse sul punto di uscire dal petto. Deglutì a fatica, inclinandosi automaticamente in avanti. Voleva sentirlo più vicino.

“Bummie…?” pronunciò il suo nome con timore, stringendo delicatamente le dita sottili dell’altro ragazzo. Gli occhi da gatto si puntarono nei suoi, impauriti da quella distanza che si stava silenziosamente riducendo. Ancora più forte. Quel tamburo che gli scuoteva il petto ad ogni nuovo tocco, prese a martellare con più insistenza.

“Ommaaaa?!” Taemin urlò da lontano. Non si era accorto di quello che stava interrompendo, altrimenti col cavolo che si sarebbe messo in mezzo. Le mani unite erano nascoste, fra i loro corpi ancora vibranti. E la presenza dei due amici, che si stavano velocemente avvicinando alla panchina, interruppe quell’attimo di intimità.

Kibum si allontanò con un movimento brusco, mettendosi rapidamente in piedi. Jonghyun voltò il capo nella direzione opposta, schiarendosi appena la voce e recuperando il guinzaglio di Lucy. La cagnolina si lasciò andare ad un breve rantolo, disapprovando il loro comportamento. Entrambi arrossirono, mentre i loro occhi si incontravano per un breve istante. Poi Minho e il suo coinquilino li raggiunsero, e tutti e due cercarono di dimenticare ciò che la presenza dell’altro rappresentava.

“Jinki-hyung ritarderà dieci minuti” stava dicendo Taemin, aggrappandosi al braccio della sua omma “Ci ha detto di aspettarlo dentro” concluse con un sorriso, trascinando il biondo verso il bar.

Gli occhi scuri di Minho rimasero immobili sul viso di Jonghyun, scrutando con insistenza la sua espressione stralunata. Gli apparve stranamente a disagio, e la cosa lo lasciò perplesso. Il bruno camminava con fatica, come se fosse sottoposto ad un qualche tipo di fastidio. Quando sfilò rapidamente la felpa che portava, legandola in vita… il suo “segreto” venne scoperto.

“Ma che cavolo…?!” il moro non era riuscito a trattenersi, e con lo sguardo fissò sull’erezione dell’amico, aveva strabuzzato gli occhi, alzando eccessivamente il tono di voce.

“Sta zitto!” ringhiò il più grande, afferrandolo per un braccio, con l’intenzione di impedirgli di seguire gli altri. Taemin e Kibum scomparvero oltre la porta a vetri del bar, e Jonghyun si appoggiò con un lamento al muro dietro di sé.

“Non sei l’unico ad essersi preso una sbandata per il proprio coinquilino, va bene?!” ammonì infastidito il ragazzo al suo fianco, portandosi entrambe le mani sul viso. A quelle parole, Minho era arrossito velocemente, chinando il capo. “Il tuo disagio non ha motivo di esistere…” proseguì il bruno, sospirando pesantemente “Siamo sulla stessa barca, come puoi notare!” brontolò infelice, indicando con un gesto più che loquace i propri pantaloni.

*****


Quando svoltai l’angolo, l’entrata del locale era deserta. Dovevano aver seguito il mio suggerimento. Sorrisi, lanciando un rapido sguardo al biglietto che avevo nascosto nella tasca interna del giubbotto. Jonghyun e Minho mi avevano messo al corrente della loro idea quella mattina, molto presto, lasciandomi quella strisciolina di carta colorata. Non mi sarebbe dispiaciuto accompagnarli, tanto più che avevo una voglia matta di zucchero filato!

Presi un profondo respiro, cercando di non mostrare troppo apertamente la mia soddisfazione. Taemin e Kibum non sapevano ancora nulla. Se avessi mandato a monte la loro sorpresa, quei due mi avrebbero fatto la pelle. Salutai con un gesto della mano i miei vicini di casa, e presi posto al nostro solito tavolo.

Ci stavamo un po’ stretti, lo notai subito. Beh… quel giorno c’era una persona in più. Era la prima volta che Jonghyun partecipava alla nostra “colazione della domenica”, e il nervosismo del ragazzo al suo fianco non passò inosservato. Il biondo teneva gli occhi fissi sul menù, controllando più volte ogni singola riga. Inarcai un sopracciglio, divertito. Era da sette mesi che frequentavamo quel posto, e la sua ordinazione era rimasta sempre la stessa. Non riuscivo a credere che avesse intenzione di cambiarla.

Kibum era un abitudinario, nonostante la sua idea di “abitudine” fosse molto diversa dalla mia. Arricciò le labbra, sospirando, e una mano corse automaticamente al portatovaglioli in alluminio. Ne sfilò uno, lisciandolo con eccessiva lentezza. Quando iniziò a piegarlo, con cura e meticolosità, gli occhi del suo coinquilino erano già scivolati sulle sue dita.

Pochi gesti. Precisi, calcolati. Il cigno iniziava a prendere forma, e Jonghyun a sporgersi verso la sua creazione. Non mi parve eccessivamente sorpreso, da quello stravagante passatempo che Kibum si portava dietro fin dall’infanzia, semmai… affascinato. Si, era quello il termine esatto. Osservava i suoi movimenti esperti, chiudendo appena gli occhi, verso la fine, mentre il più piccolo inumidiva le labbra con la punta della lingua.

Era pronto. L’elegante forma immacolata venne depositata al centro del tavolo, mentre una cameriera si avvicinava a noi per segnare le ordinazioni. Era bianca, ed estremamente delicata. Assomigliava a lui, e fui certo di non essere il solo a condividere quel pensiero. Il bruno spostò lo sguardo sul volto del suo coinquilino, mentre questi chiedeva il suo solito croissant e la cioccolata calda. Come volevasi dimostrare.

Jonghyun sospirò, ordinando la stessa cosa. Questa volta fu Kibum a guardarlo. Il menu si stropicciò appena fra le sue dita nervose, mentre si sforzava di distogliere lo sguardo dal profilo del più grande. Era arrossito, giusto un po’, mentre Lucy depositava la testa su una delle sue gambe, facendolo sussultare. Cercò di sorriderle, ma ne venne fuori solo una smorfia, anche abbastanza buffa.

I loro occhi si incrociarono. Quelli suoi e di Jonghyun. Fu solo per un istante, ma tanto bastò per renderli entrambi nervosi. Mi venne da sorridere, mentre univo le mani davanti alle labbra, nascondendoci dietro il mio divertimento. Kibum si era mosso velocemente, urtando con il polso il piccolo vasetto contenente le bustine di zucchero. Questo rotolò su un fianco, rovesciando a terra metà del suo contenuto.

Minho e Taemin sollevarono lo sguardo, puntandolo sugli altri due. Si erano entrambi chinati, cercando di rimediare al danno. Portando indietro le sedie e curvandosi in avanti nello stesso istante, non avevano fatto altro che ridurre notevolmente la distanza tra loro. Le fronti si urtarono, anche abbastanza rumorosamente, e Kibum imprecò tra i denti. Non era il dolore, solo l’emozione di essersi ritrovato il volto di Jonghyun così vicino.

Si sollevò, mettendosi in piedi e serrando i pugni lungo i fianchi. Il più grande, poverino, lo fissò tristemente… chinando il capo. Il comportamento del biondo era troppo esplicito. Tutti quanti ci eravamo accorti di come cercasse di stargli lontano, ferendo in questo modo il suo animo gentile. Kibum annunciò che sarebbe andato in bagno, mentre il suo coinquilino finiva di recuperare lo zucchero da terra. Lo ripose sul tavolo, seguendo con amarezza la sagoma della persona che si stava allontanando, e si appiattì con rassegnazione sul proprio sedile.

Vuoi il mio spirito rappacificatore, vuoi che mia madre mi aveva sempre insegnato che non era bello… ignorare i problemi di un’altra persona, fatto sta che finii con l’alzarmi a mia volta. Minho mi guardò, perplesso, e io indicai con un gesto del capo la toilette. Parve capire. Mi sorrise, e io seguii Kibum.

*****


Quando la porta si riaprì, subito dopo essersi chiusa alle sue spalle, il ragazzo dagli occhi felini sussultò, voltandosi rapidamente verso la persona che l’aveva seguito. Era Jinki. Si portò una mano sul petto, sospirando di sollievo, e poggiò la schiena al lavello. Teneva gli occhi chiusi, cercando di recuperare un po’ di calma. Credeva di essere al sicuro, in quel momento, lontano da Jonghyun. Si sbagliava.

“Stai sbagliando”. Due parole. Secche, decise. L’assistente di laboratorio lo raggiunse, scostandolo appena. Si chinò verso il lavandino, girando la manovella, e infilò entrambe le mani sotto il getto d’acqua.

Kibum schiuse le labbra, sorpreso. Non era stupido. Aveva capito benissimo quale fosse il motivo di quell’ammonimento, ma non riusciva a trovare nulla da replicare. Jinki lo fissò, severo, e lui fu costretto ad abbassare lo sguardo. Il maggiore non poteva essere contraddetto, perché… in un modo o nell’altro… finiva sempre per avere ragione. Il biondo lo ammirava. Il suo carattere, la sua intelligenza, la sua saggezza. Non si sarebbe mai permesso di rispondergli.

“Cosa è successo?” la voce del ragazzo dagli occhi nocciola si era ammorbidita, sfiorandolo come una carezza delicata. Era bravo lui… a trattare con le persone. Tutto il contrario di Kibum, che finiva sempre col tenere lontani gli altri. Prese un profondo respiro, e raccontò brevemente di quello che era accaduto mentre era fuori con Jonghyun, in attesa del loro arrivo.

“Credi che volesse…?” la domanda venne volutamente lasciata in sospeso. Jinki avrebbe potuto facilmente portarla a termine, ma decise che era meglio non esagerare. Si erano capiti comunque, e infatti il più piccolo era già arrossito. Comprendeva il suo imbarazzo, ma d’altro canto era convinto che quello stato d’animo non avrebbe aiutato Kibum.

“Non lo so…” mormorò il biondo, raccogliendo l’acqua fresca nei palmi delle mani, e portandola velocemente al volto. Cercava di calmarsi, sforzandosi di non dare ascolto a quella ritmica pulsazione, che rendeva più instabile il suo giudizio. “I-Io… n-non so che de-devo fare…” ammise controvoglia, balbettando la propria inesperienza “E’ la pri-prima volta c-che…” non concluse il pensiero, ma la mano di Jinki si era già poggiata sulla sua spalla.

“Vieni qui” gli sussurrò il più grande all’orecchio, tirandoselo con delicatezza al petto. Kibum lo strinse immediatamente, lasciandosi andare a quella piacevole sensazione di sicurezza, che le braccia di Jinki gli infondevano. “E’ normale avere paura…” lo rassicurò con dolcezza, accarezzando piano la sua schiena, appena tremante.

Lacrime di frustrazione bagnarono la maglia dell’assistente di laboratorio, e questi sospirò piano, abbracciandolo più forte. Kibum poteva sapere molte cose, ma sicuramente non aveva ancora compreso quello strano sentimento… che rischiava di soffocarlo, ogni volta che Jonghyun faceva o diceva qualcosa. Conoscere il significato di una parola, non ti aiuta ad affrontarla meglio.

“Io non lo so, se lui volesse baciarti o meno, però…” Jinki lo allontanò piano da sé, cercando i suoi occhi umidi, e gli sorrise “Se è davvero quello che temi, allora… non è forse una cosa buona?” gli chiese con dolcezza, asciugando con la punta delle dita il viso dell’altro ragazzo. “Lui ti piace, giusto?”

Il biondo non rispose, ma il calore che gli salì alle guance fu abbastanza esplicito. Il suo padrone di casa sorrise ancora, scompigliandogli i capelli, e scuotendo piano le sue spalle delicate. Voleva che lo guardasse, e gli occhi di Kibum si puntarono subito dopo nei suoi.

“Smettila di preoccuparti per ogni cosa. Quando cerchi di allontanarti, gli fai male… non te ne accorgi?” non voleva che si sentisse in colpa, così il suo tono di voce non era cambiato di molto, rimanendo pacato e rassicurante. Il brivido che aveva attraversato il corpo del più piccolo, nell’udire quelle parole, Jinki lo aveva avvertito. “Cos’è che ti preoccupa?” chiese ancora, e l’ombra di tristezza che si nascondeva negli occhi scuri di Kibum, divenne più evidente.

“I-io… l’ho ca-capito…” sussurrò il biondo a fior di labbra, chinando appena il capo “So cosa sta succedendo” affermò con convinzione, mentre chiudeva gli occhi e cercava di raccogliere tutto il proprio coraggio. “So-solo che… n-non so-sono molto bravo a ge-gestirlo ancora…” ammise in un soffio, stringendo le labbra tra i denti.

Jinki rise piano, accarezzando la guancia delicata del più giovane. Kibum era particolare, ma non era stupido. Sapeva cosa stava accadendo tra lui e Jonghyun, ma non aveva ancora imparato a governare le proprie emozioni. Arrossiva, balbettava, fuggiva. Non cercava di scappare dal suo coinquilino, ma da se stesso. Temeva di sembrare insicuro, oppure inesperto, e facendo così… confondeva ancora di più i pensieri del bruno.

“E’ che non la vuole smettere di battere!” esclamò stizzito, portandosi una mano al petto e arricciando le labbra rosse. Si sentiva a disagio, parlando del proprio batticuore, e le sue guance colorate ne erano la prova. “E’ per questo che scappo…” borbottò teneramente, incurvando le spalle “Che faccio… se riesce a sentirlo?” chiese tristemente, arrossendo ancora di più.

Jinki sollevò una mano, più consapevole, adagiandola su quella di Kibum. La strinse dolcemente, allontanandola dalla maglia che il più giovane continuava a stropicciare tra le dita. Gli sorrise, lasciandogli un buffetto sulla guancia, ed espresse a voce alta il proprio consiglio.

“Lascia che lo faccia”. Il biondo inarcò un sopracciglio. Non aveva capito. “Lascia che Jonghyun ascolti il tuo cuore…” spiegò Jinki, scostando un ciuffo chiaro dagli occhi sgranati dell’altro ragazzo. “Se non sarai troppo impegnato ad occultare i tuoi sentimenti, potrai accorgerti... che non sei il solo ad avere paura”.

*****


Camminavamo già da diversi minuti, ma l’idea che mi frullava per la testa continuava ad essere la medesima: Io e la mia omma eravamo gli unici a non conoscere la destinazione. Minho già non mi aveva fregato la prima volta, figurarsi la seconda, quando aveva balbettato che andavamo tutti al supermercato. Si, Hyung… io abbassavo la testa, ma raggirarmi non è così semplice come credi.

Mi aggrappai al suo braccio, stringendomi a lui. Stargli vicino mi faceva stare bene. Era per questo che la sera correvo nel suo letto. Minho mi abbracciava, e quando ero con lui, tutte le paure scivolavano via silenziose. Il calore del suo corpo era così rassicurante, che niente e nessuno poteva ferirmi, se eravamo insieme.

Mi circondò le spalle, accarezzando dolcemente la mia testa. Il suo tocco mi metteva i brividi. Me ne ero accorto già da un po’. Per la precisione, da quel giorno in cui si era arrabbiato, strattonandomi forte. Le sue mani... non mi facevano male. Mi stringevano lo stomaco, rendevano irregolare il mio respiro, e facevano involontariamente reagire il mio corpo. La prima volta che lo avevo notato, sarei voluto morire dalla vergogna.

Mi ero eccitato. Per un uomo. Il mio coinquilino. Perché finivo sempre per cacciarmi nei casini?! Lui non lo sapevo cosa provava, e questa insicurezza mi frenava molto. Era premuroso, delicato, ma non si sbilanciava mai troppo. Potevo essere solo un fratellino da accudire, o una persona che considerava speciale. Se solo avesse mosso un passo. Un “solo” singolo passo, e avrei potuto finalmente dirgli quello che provavo.

Cercai di cacciarlo indietro, quel velo di tristezza che stava silenziosamente scivolando sul mio cuore. Non volevo illudermi, ma non volevo neanche arrendermi. Minho mi faceva battere il cuore, come nessun altro prima di lui. Sia che mi parlasse o guardasse la televisione, sia che dormisse o leggesse un libro… il suo viso… continuava ad essere la cosa più bella che avessi mai visto.

“Tutto bene?” la sua voce attraversò i miei pensieri, profonda e un po’ preoccupata. Lo avevo fatto ancora, vero? Mi ero perso nel mio mondo personale, allontanandomi dalla realtà, e facendolo impensierire. Abbassai ritmicamente la testa, voltandomi verso di lui. I suoi occhi scuri mi fissavano, alla ricerca del dettaglio che avrebbe svelato la mia menzogna. Non stavo bene. Volevo che mi amasse. Questo però… non potevo dirlo.

“Stavo cercando di indovinare dove mi stessi portando!” affermai allegro, mascherando i miei pensieri dietro quel sorriso forzato. Cercai di prenderlo in contropiede, allontanando la possibilità di essere scoperto. Colpito. Lui si grattò nervosamente la testa, guardandomi impacciato. Gli sorrisi ancora, e poggiai la testa contro la sua spalla. “Va bene così…” lo rassicurai, sfiorando il suo petto da sopra il giubbotto scuro “Mi piacciono le sorprese”.

Sospirò piano, rilassandosi sotto le mie mani. Mi sollevai sulla punta dei piedi, spinto da quell’insano desiderio di fargli avvertire, seppur in minima parte, i sentimenti che provavo per lui. Le mie labbra toccarono la sua guancia sinistra, mentre il profumo del suo dopobarba mi invadeva i sensi. Credo che quel bacio sia durato più del necessario, e quando mi allontanai eravamo entrambi un po’ imbarazzati.

“Grazie…” sussurrai a disagio, perdendomi negli occhi scuri che aveva puntato sui miei.

“Per cosa?” chiese, senza capire. Ovvio che non lo fece, chi poteva capirlo infondo? No, mi sbagliavo, forse una persona c’era. Il mio sguardo scivolò automaticamente sulla mia omma, che camminava tutta tesa vicino al suo scimmione. Sorrisi, scuotendo la testa, e tornai a guardare Minho.

“Per esserti preoccupato per me” risposi sinceramente, rubando il ricordo di quelle labbra dolci, che si sollevavano silenziose. Fui fiero di me stesso. Per aver detto la verità, anche se non del tutto. E per essere riuscito a riportare la serenità su quel volto, che mi faceva sentire più forte… e anche un po’ meno solo.

Ricominciammo a camminare, e lo sguardo di Jinki lo notai solo io. Sbirciava i nostri gesti, di tanto in tanto, proprio come faceva con gli inquilini del 22/B. Era sempre stato così. Silenzioso, perspicace, e tremendamente protettivo. Il giorno che lo conobbi, ebbi la certezza che sarebbe stato facile… essere “sorvegliato” da lui. Jinki non era un guardiano, ma un fratello. Così come Kibum era la mia omma, e Minho… era il ragazzo di cui mi ero innamorato.

Jonghyun lo conoscevo ancora poco, però mi piaceva. Era dolce e sincero. Così diverso dal suo coinquilino, che invece faceva di tutto per nascondere i propri sentimenti. Stare vicini scombussolava entrambi, e li rendeva tremendamente teneri. Kibum non era facile da gestire, ma il “ragazzo-scimmia” non si stancava mai di riprovarci. Perfino in quel momento… lo stava facendo.

La fuga della mia omma, mentre ancora eravamo nel bar, lo aveva fatto scivolare nello sconforto. Minho aveva cercato di distrarlo, e lì avevo capito che “anche lui” doveva aver intuito quello che accadeva tra loro. C’era quella strana forza, un mix di attrazione e curiosità, che li spingeva inesorabilmente l’uno verso l’altro. Jonghyun ci si sarebbe abbandonato volentieri, con quell’innata ingenuità che traspariva dai suoi occhi grandi. Kibum, invece, era di tutt’altro avviso.

Inizialmente aveva cercato di combatterlo, dandogli dello zotico e dello stupido. Adesso mi sembrava più consapevole, se non altro, di quello che stava accadendo fra loro. In un certo senso, credevo anche che in buona parte lo avesse accettato. Voleva Jonghyun vicino, e si era reso conto che il suo atteggiamento avrebbe finito per allontanarlo. Ma da lì ad accogliere con un sorriso le sue carezze… ce n’era ancora di strada da fare.

*****


Jinki aveva ragione. Ero stato uno stupido. Il mio padrone di casa non sembrava l’unico di quell’avviso, anche Lucy mi stava snobbando. Mi fissava severa, quelle poche volte che mi degnava di considerazione, e poi tornava ad accarezzare col musetto la mano di Jonghyun. Lui invece non parlava, guardando dritto davanti a sé. Aveva affondato le mani nelle tasche dei jeans, e la sua indifferenza… mi feriva più di quella della mia tenera cagnolina.

Sospirai, abbassando la sguardo sulla pashmina grigia. Non volevo che fosse così tra noi. Mi arrabbiai con me stesso, mentre il marciapiede diventava ogni secondo più sfocato. Tirai su col naso, mascherando gli occhi lucidi con un raffreddore che in realtà non avevo. Quando un fazzolettino mi venne sventolato sotto il naso, sollevai di scatto la testa, incrociando i suoi occhi titubanti.

“Grazie…” mormorai a disagio, chiudendo le dita intorno a quel sottile riquadro profumato. La fragranza di fragola mi solleticò le narici, facendomi sorridere. “Ti somiglia…” non so perché lo dissi. Venne fuori spontaneo, poco ragionato, e le mie guance presero subito fuoco. Jonghyun mi fissava, lo avvertivo, ma io non riuscivo più a spiccicare parola.

La sua bassa risata mi stupì, facendomi sgranare gli occhi sul suo volto, adesso più rilassato. Stava scuotendo la testa, ricominciando a camminare, mentre io rimanevo imbambolato a guardarlo. Un “certo ammasso di pelo” decise proprio in quel momento che era il caso di intromettersi. Si mosse rapidamente in avanti, strattonando il collare che tenevo tra le dita. Fissò i miei occhi sorpresi, abbaiando dolcemente, e mi trascinò nuovamente accanto al mio coinquilino.

Che lei avesse capito più di me? Quell’ipotesi non mi parve così improbabile. Sicuramente… era più brava a farsi coccolare. Scodinzolò felice, leccando la mano che si era poggiata sulla sua testolona scura, e Jonghyun le sorrise. Era così facile? Ohhh, al diavolo Kibum!

Mi mossi silenziosamente verso sinistra, e le nostre spalle si sfiorarono. Ne parve sorpreso, mentre osservava con attenzione il mio profilo. Mi finsi tutto concentrato sulla strada, lottando contro il brivido che mi attraversava il corpo, ogni volta che le nostre braccia si sfioravano. Faceva improvvisamente più caldo. Quando mi aiutò a sfilare la sciarpa, mi sarei volentieri messo a ballare.

“Grazie!” esclamai raggiante (forse un po’ troppo), e lui mi sorrise.

Una musichetta ripetitiva iniziava a riempire l’aria, molto simile a quella del furgone dei gelati, che passava ogni giovedì sotto casa. Sollevai istintivamente la testa, ritrovandomi davanti un enorme cancello verde. Quasi non ci credevo. Quell’insegna lampeggiante però, che mutava velocemente i propri colori dal verde all’arancio, e poi dall’azzurro all’indaco, non lasciava spazio a nessun tipo di dubbio.

“Il Luna Park!” strillò Taemin, pochi passi dietro di noi. Mi voltai verso gli altri, giusto in tempo per vedere quella piccola pesta saltare addosso al suo coinquilino.“Oh Hyung! Grazie! Grazie! Grazie!” squittiva eccitato, stringendo il viso di Minho fra le mani e riempiendolo di baci. Il moro lo teneva sollevato da terra, ma appariva piuttosto confuso in quel momento. La reazione del più piccolo l’aveva preso alla sprovvista.

Sorrise. Un sorriso sognante, quasi idiota. Era proprio cotto! Non che me ne fossi accorto solo allora, ma vedere quelle espressioni stupide sul suo volto… era qualcosa di tremendamente divertente. Minho era un tipo tutto d’un pezzo, serio e studioso. Taemin lo trattava come un grande orsacchiotto di peluche, coccolandolo e arruffandogli il pelo. L’intesa che c’era tra loro, mi duole un po’ ammetterlo… ma la invidiavo tanto.

Il mio sorrise divenne un po’ triste, e spostai nuovamente lo sguardo verso l’entrata. Jinki ci aveva raggiunti, tirando fuori il proprio biglietto, mentre anche Jonghyun infilava la mano in tasca. Li fissai, vagamente confuso. Io non lo avevo. Minho e Taemin ci sorpassarono, il primo soddisfatto, il secondo euforico. Il maggiore porse due rettangolini colorati al ragazzo accanto al cancello, che ne strappò una parte e restituì la rimanenza ai miei amici.

“Vieni Bummie, andiamo…” quella voce, sussurrata al mio orecchio, mi fece vibrare. Sollevai gli occhi, lasciandomi stregare dal suo volto sorridente. Il sole sfiorava i suoi lineamenti marcati, formando piccoli sprazzi di ombre… sugli zigomi e sul naso. Credo di essere rimasto lì ad osservarlo, appena un po’ stralunato, mentre le sue dita si chiudevano intorno alle mie, trascinandomi oltre l’entrata.

Lo vidi porgere altri due biglietti al ragazzo con la divisa del Luna Park, sorridendo di fronte al mio sguardo sorpreso. Non lasciò la mia mano, e quel contatto persistente mi fece girare per un attimo la testa. Non ero abituato. Non ero abituato ad essere guidato da qualcun altro, mentre ci facevamo largo tra la folla, avvicinandoci alla prima attrazione. Non ero abituato al suono della sua risata, ai suoi occhi scuri pieni di allegria, e alla sua voce dolce, che continuava a chiedermi su quale giostra volessi salire.

Non ero abituato… a quel sentimento di leggerezza, di necessità, di calore… che la sua presenza mi donava.

Credo di essermi perso tutto il resto. Le urla di Taemin, sul sedile accanto a Minho. Jinki, che correva come un bambino incontro alla bancarella dello zucchero filato. Lucy, che scodinzolava felice in mezzo a quella moltitudine di gente. Mi concentrai su di lui. Solo… su Jonghyun.

Rise tanto quel giorno, per qualsiasi cosa. A volte perfino senza motivo. Mi trascinava da una parte all’altra, mandandomi completamente nel pallone. Per la maggior parte del tempo mi scordavo perfino dove eravamo, lasciandomi avvolgere dal suo profumo, dal suono profondo della sua voce. C’era molto rumore, e spesso si chinava vicino al mio orecchio, sussurrandoci quello che voleva dirmi. Dei battiti che fece perdere al mio cuore… persi il conto dopo il quindicesimo.

Scendemmo dalla terza giostra che già non capivo più niente. Troppa fretta, troppa emozione. Chiusi per un attimo gli occhi, aggrappandomi al suo braccio, e lui mi sorresse senza sforzo. La testa mi girava, e il sangue mi pulsava veloce nelle orecchie. Mi accarezzò il viso, ma quello che mi chiese lo sentii appena. Avevo sollevato le palpebre, incrociando i suoi occhi preoccupati. Seguii il movimento delle sue labbra, cercando di carpirne il significato, ma i rumori intorno a noi erano troppi… e rinunciai al secondo tentativo.

Jonghyun si chinò velocemente, slegando Lucy dal paletto al quale l’avevamo legata. Lei mi si avvicinò, leccandomi una mano. Perché mi sembravano tutti così turbati? Il mio coinquilino mi afferrò per le spalle, sorreggendomi fino ad una panchina. Quando il colore dell’erba si confuse con quello del cielo, intuii che qualcosa non andava. Le ginocchia cedettero all’improvviso, e alla figuraccia che avrei fatto, cadendo lungo lungo a terra… non volevo neanche pensarci.

Due braccia mi circondarono veloci, premurandosi di mantenermi in equilibrio, mentre mi guidavano verso la base fredda che mi avrebbe sorretto. Mi ci lasciai adagiare, sedendo con poca grazia, e un nuovo capogiro mi costrinse a portare entrambe le mani sul viso.

“Ehi Bummie, bevi questo…” la sua voce mi giunse confusa, un po’ lontana. La cannuccia mi sfiorò la bocca, mentre mi sforzavo di seguire il suo consiglio. Il sapore era dolce… estremamente dolce. Storsi le labbra, ma Jonghyun mi costrinse a mandare giù il resto del contenuto. “Lascia gli occhi chiusi, riposa un po’…” continuava a ripetermi, accarezzando dolcemente la mia testa.

Come se avessi potuto fare altrimenti. Mi sentivo talmente scombussolato, che non avrei riconosciuto neanche mia madre, se in quel momento mi fosse passata davanti. Inspirai profondamente, cercando di regolarizzare il battito cardiaco. Lui non mi era di molto aiuto, comunque. Mi avvolse il fianco destro con un braccio, avvicinandomi ulteriormente al suo corpo. Altro che tranquillizzarmi, stavo per entrare in iperventilazione.

“Calmo… resto qui con te…”

Addio. Giusto quando ero stato sul punto di sentirmi meglio, ecco che lui mandava tutto quanto al diavolo! Strinsi più forte gli occhi, e le sue labbra mi sfiorarono la fronte. I rumori intorno a noi, un tempo confusi e mescolati, presero lentamente forma… separandosi, concretizzandosi. La voce dell’uomo dietro al bancone, alla nostra destra. Un bambino che continuava a chiedere le noccioline, poco distante. La melodia allegra della giostrina con i cavalli, alla nostra sinistra.

Sollevai le palpebre, sbattendole un paio di volte. Jonghyun continuava ad accarezzarmi il viso, scostando con movimenti delicati i ciuffi biondi che mi ricadevano sugli occhi. Quando sollevai lo sguardo verso di lui, finalmente cosciente della sua vicinanza, il calore che mi salii alle guance non riuscii a fermarlo.

“Stai meglio…” mormorò dolcemente, sfiorando con i polpastrelli ruvidi la pelle color porpora. I suoi occhi erano silenziosamente scivolati sulle mie labbra, in un modo totalmente sfrontato e privo di vergogna. Mi attraversarono il corpo, con quella scarica di adrenalina che percorse la mia spina dorsale in tutta la sua lunghezza.

“Quando arrossisci... ti mangerei di baci…”

La gola divenne completamente secca, mentre le dita tremanti si afferravano impaurite al suo giubbotto scuro. Avevo talmente paura che mi baciasse, che avrei finito col farmi prendere un infarto, se lo avesse fatto davvero. No, no, no… impossibile! Era solo un modo di dire, giusto? Giusto?!

Rise piano, sfiorandomi la punta del naso con il proprio. Già non riuscivo a respirare, un altro po’ e sarei svenuto del tutto! La mano che mi stringeva il fianco rafforzò la presa, mentre la sua fronte si scontrava delicatamente con la mia.

“Troppe persone…” sussurrò ancora, evidentemente divertito dal mio nervosismo. Le sue palpebre si abbassarono appena, accompagnando un nuovo sorriso. Mi sarei dovuto arrabbiare. Avrei dovuto punire la sua faccia tosta, magari con una sberla o qualche insulto di troppo. Invece me ne rimasi lì, tremante e rosso di vergogna, mentre speravo con tutto il cuore che dimenticasse il buon senso… eliminando quella poca distanza che ci separava.

Jonghyun invece si tirò lentamente indietro, sospirando. I suoi occhi si incupirono appena, mentre si fermavano un’ultima volta sulla mia bocca trepidante. Si mise in piedi, aiutandomi ad imitarlo, e mi sostenne fra le sue braccia… forse per qualche secondo di troppo. Quando mi porse la mano, invitandomi a seguirlo, l’afferrai senza indugio.

*****


Me lo avrebbe lasciato fare? Se in quel momento mi fossi avvicinato ancora, sfiorando quella morbida perfezione che erano le sue labbra, mi avrebbe respinto? Una parte di me era convinta che no, Kibum non si sarebbe tirato indietro, questa volta. I suoi occhi però, conservavano ancora quel sottile alone di paura, che li rendeva così teneramente vulnerabili.

Non volevo rischiare. Non volevo rovinare quello che stavo faticosamente costruendo tra noi, magari con un movimento azzardato, o con l’impazienza di un idiota, che non riusciva più a separarsi da lui. Il mio coinquilino era orgoglioso, e pieno di determinazione. Ma era anche timido, insicuro… e troppo spesso invaso dal timore. Se volevo conquistare il suo cuore, doveva mantenere la calma. Prima i sentimenti, poi il contatto.

Kibum era innocente, e questo ormai lo avevo capito fin troppo bene. Il solo pensiero di poter essere io… il primo ad iniziarlo a quelle nuove emozioni, fatte di sospiri e battiti accelerati, mi faceva venir voglia di tornare indietro. Si, riportare indietro il tempo. Ritornare su quella panchina, sulla quale eravamo seduti solo pochi secondi prima, ed appropriarmi senza ulteriori indugi di quelle labbra incredibilmente rosse, che dovevano avere il sapore più dolce che avessi mai assaggiato.

E invece mi trattenni, imponendomi di andarci piano. Lui non era una conquista facile. C’era attrazione fisica tra noi, solo un cieco non l’avrebbe notata, ma a me non bastava. Non volevo che fosse l’istinto a guidare le sue risposte, ma il cuore. Non volevo che si pentisse la mattina dopo quando, svegliandosi fra le mie braccia, si fosse accorto di aver commesso il più grande errore della sua vita. Volevo che le sue scelte fossero ponderate, sicure. Io… volevo che mi amasse.

Strinsi più forte le sue dita, rallentando il passo. Solo allora notai il suo respiro affrettato, mentre cercava di starmi dietro, senza lamentarsi. Mi sentii tremendamente in colpa, e mi fermai del tutto. Aveva ancora le guance rosse, e lo sguardo imbarazzato veniva mantenuto fisso sul terriccio. Sospirai, allungando una mano fra i suoi capelli. Kibum sollevò la testa, cercando i miei occhi. Le iridi scure erano dilatate, ancora intrise da quel profondo groviglio di emozioni… che non riuscivo pienamente a decifrare.

“Gli altri?” mormorò titubante, guardandosi intorno timoroso. Dovevano essere lontani ormai, io lo sapevo. Mi si strinse il cuore, notando il movimento agitato con il quale continuava a mordersi le labbra. Quando i suoi occhi scivolarono sulle nostre mani, ancora unite, si colmarono improvvisamente di tristezza. Cercò di ritrarsi, e la mia presa divenne più salda.

“Ho detto loro che li avremmo raggiunti, non appena ti fossi ripreso…” spiegai brevemente, senza riuscire a nascondere completamente quel sentimento amaro, che mi aveva avvolto il cuore, mentre Kibum tentava di allontanarsi. “Non vuoi stare con me?”

Lo chiesi d’istinto, senza pensarci troppo. La mente divenne un miscuglio confuso di pensieri. C’era attesa, trepidazione, timore, paura, speranza, fiducia. Attesi la sua risposta, e ad ogni secondo che passava, il cuore sembrava perdere un po’ del suo ottimismo, schiacciato dal peso della sua reticenza.

Schiuse le labbra, inspirando profondamente. Tornò a guardarmi, finalmente. Uno sguardo silenzioso, attento, pulito. Sostenni il suo esame, consapevole che qualsiasi mio gesto, avrebbe potuto far mutare la sua risposta. Quando mi sorrise, lo fece con lentezza, con sincerità. Gli angoli della bocca si sollevarono appena, titubanti, inondando di dolcezza i suoi occhi scuri.

“Si…” rispose semplicemente, voltandosi alla svelta, tentando di nascondere quel nuovo rossore. I suoi occhi incrociarono una bancarella piena di dolciumi, illuminandosi, mentre il mio cuore ricominciava a battere veloce.

“Andiamo!” annunciai felice, trascinandolo verso quel profumo zuccherato, che aveva riacceso il suo appetito. “Ti compro tutto quello che riesci a mangiare!” lo sfidai convinto, indicando con un gesto ampio l’intero bancone.

“Ti sei cacciato in un brutto guaio!” rispose divertito, scoppiando subito dopo a ridere. La sua voce era allegra, il suo tono spensierato. Si portò un dito alle labbra, osservando con meticolosità ogni pallina dolce, e ogni treccina al miele. Sembrava un bambino davanti alla vetrina del pasticciere, con il naso appiccicato al vetro e gli occhi spalancati.

Mi venne da ridere, e non riuscii a trattenermi. Mi tirò una gomitata, e per punizione ordinò quattro tipi diversi di dolce. Il migliore acquisto della mia vita, pensai mentre lo guardavo mangiare, seduto su un tavolino dalle gambe azzurre, poco lontano dalla ruota panoramica. Incrociai le braccia sulla base liscia, poggiandoci il mento con un sospiro. Mi sorrise, ancora una volta, allungandomi un pezzetto del suo tesoro.

Non amavo i dolci, ma l’idea di essere alimentato dalle sue dita sottili… fu una tentazione troppo forte. Schiusi le labbra, sporgendomi verso di lui, e richiudendole troppo velocemente, intorno ai suoi polpastrelli. Sussultò, ritirando velocemente indietro la mano. Mi fissò sorpreso, arrossendo per l’ennesima volta. Dio mio… Kibum era qualcosa di inspiegabile. Troppo dolce, per poter essere descritto a qualcuno che non lo conosce.

Gli feci la linguaccia, e lui arricciò il naso, ricominciando a mangiare. “Non ti darò più nulla!” borbottò con la bocca piena, nascondendo dietro la mano il sacchettino giallo. Risi, di fronte al suo gesto, facendo aumentare il suo disappunto. Ma quando, pochi minuti più tardi, mi allungai verso le dita che avevano catturato una pallina zuccherosa… lui sospirò, senza negarmela.

Parlammo molto. Per lo più di cose futili, ma che mi aiutarono a conoscerlo un po’ meglio. Gli piacevano gli aquiloni, mi disse mentre osservava un bambino, a piedi nudi sull’erba, che ne faceva volare uno azzurro, tutto sorridente. Sollevai un sopracciglio, mentre stringeva appena le labbra. Quando era piccolo, raccontò con una smorfia, aveva paura di perderlo.

“Tenevo lo spago con entrambe le mani, perdendomi tutto il divertimento di quel gioco, troppo timoroso che volasse via…” ammise imbarazzato, scrollando le spalle quando il mio sguardo divenne più triste “Ma ormai è storia vecchia” aggiunse con un sorriso, trascinandomi verso le bancarelle con i peluche.

Dieci colpi per volta, e per gli orsacchiotti più grandi avremmo dovuto consumare almeno due caricatori. Si, era uno di quei giochi in cui devi centrare tutte le lattine. Allungai le banconote al ragazzo dalla pelle scura, ignorando le proteste di Kibum, che continuava a ripetermi di lasciar perdere. Gli sorrisi, scompigliandogli i capelli, e le sue guance rosse mi diedero la carica che mi serviva.

Divaricai appena le gambe, portando indietro il gomito destro, mentre stendevo il braccio che sorreggeva la pistola. Chiusi un occhio, mettendo bene a fuoco il mio bersaglio. La sua testolina bionda riuscivo ancora a scorgerla, e inspirando profondamente, sparai il primo colpo. La lattina rotolò sull’asse di legno, riempiendomi d’orgoglio.

Il caricatore si svuotò rapidamente, e ogni proiettile di gomma mi diede grande soddisfazione. Venti involucri cilindrici, gialli verdi e rossi, si trovavano stesi su un fianco. Li avevo centrati tutti. Allungai la pistola a Kibum, e lui mi fissò ad occhi sgranati. Era già carica, doveva solo sparare.

“No, no, no!” si impuntò subito, scuotendo energicamente la testa “Sono una frana in queste cose!” aggiunse impaurito, indietreggiando mentre io gli andavo più vicino. Aveva levato in aria entrambe le mani, sventolandole nervosamente davanti al mio volto.

“Oh andiamo!” cercai di convincerlo, bloccandolo per i polsi. “Non hai nessuna regola fisica da rifilarmi?” gli chiesi, beffardo, tentando di provocarlo. “Sai… traiettoria, velocità… tutte quelle cose strane che ti piacciono tanto!” aggiunsi, ridendo delle sue guance improvvisamente gonfie. Sembrava una gatto con il pelo rizzato, pronto a saltarti alla gola.

Mi strappò la pistola di mano, cercando di imitare la postura sicura che avevo adottato io poco prima. Teneva entrambi gli occhi aperti, e quella scelta non lo avrebbe aiutato molto. Mi avvicinai, con l’intenzione di metterlo in guardia, ma mi grugnii contro. Lo lasciai fare, sicuro che avrebbe sbagliato, e il primo colpo venne sparato.

Sbuffò, brontolando qualche parola sconnessa. Non badai al sopracciglio che il ragazzo oltre il bancone inarcò, mentre mi accostavo a Kibum, circondando le sue esili spalle con le mie braccia. Lasciai scivolare le mani sulle sue, sentendolo sussultare, e mi sporsi verso il suo orecchio.

“La presa deve essere più salda, in questo modo…” gli consigliai, serrando le dita intorno a quelle più delicate, che sorreggevano l’arma. “L’occhio deve essere in linea con l’obiettivo, e la canna lo deve seguire” inclinò appena il collo, mentre la sua schiena si scontrava col mio petto.

Cercai di trattenere un brivido, quando il cavallo dei miei pantaloni… entrò involontariamente a contatto con il suo sedere. Chiusi gli occhi, e lui si mosse nervosamente contro di me. Il tizio dalla pelle scura spostò lo sguardo altrove, e mi resi conto che quella posizione stava diventando piuttosto imbarazzante. Feci scivolare entrambe le mani sui fianchi delicati di Kibum, spingendolo dolcemente in avanti.

“Adesso… spara” la voce venne fuori più rauca del previsto, ma quando il colpo partì, abbattendosi sicuro contro una delle lattine in fila, mi dimenticai completamente della mia eccitazione. Lo aveva centrato! Si voltò verso di me, euforico, arrivandomi praticamente addosso.

Saltellava, felice, continuando a ripetere: “Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!”. Quando mi diede quel secondo bacio, ancora sulla guancia, ma in mezzo ad una marea di gente… mi fece arrossire come mai in vita mia.

Tutti i suoi obiettivi successivi finirono a terra, l’uno dopo l’altro, ma io li notavo appena. Accarezzavo il suo profilo con lo sguardo, perdendomi su quell’espressione radiosa, che rendeva più luminosi i suoi occhi. Scelse un grosso dinosauro, dalla pelle verde e un sorriso pieno di denti appuntiti. Mi sorprese, mentre se lo stringeva al petto, afferrando nuovamente la mia mano.

“Ti somiglia!” commentò dolcemente, schioccandogli un bacio sulla punta del naso “E’ tenerone come te!” spiegò tranquillo, ridendo di fronte al mio sguardo perplesso. Non mi diede il tempo di rispondere, e mi trascinò verso una nuova giostra “Andiamo! Voglio salire su quella!”

Risi insieme a lui, correndogli dietro. Lo stomaco si aggrovigliava sempre, dopo ogni giro, quando le nostre dita tornavano a cercarsi. Il cuore tremava, mentre i suoi occhi scuri incrociavano i miei, e lui sorrideva ancora. Il tempo passava, a volte lento e a volte veloce, ma nessuno dei due ci fece caso. Eravamo insieme, e tanto ci bastava.

Quando controllai l’orologio… erano le quattro di pomeriggio. Kibum era seduto accanto a me, con una bottiglietta d’aranciata in mano e lo sguardo stanco. Fece scivolare la testa sulla mia spalla, circondando il mio braccio sinistro con il proprio. Sbadigliò, chiudendo gli occhi, mentre io ancora stentavo a credere… che quella giornata fosse esistita davvero.

“Hai sonno?” bisbigliai al suo orecchio, e il dolce profumo della sua pelle mi avvolse, costringendomi a deglutire. Abbassò ritmicamente il capo, accucciandosi contro di me. Dovetti stringere le labbra, trattenendo il sospiro che mi era salito in gola. Lucy, che ci aveva seguita obbediente per tutta la giornata, sbadigliò a sua volta, raggomitolandosi accanto al suo padrone.

Infilai una mano nella tasca del giubbotto, tirando fuori il cellulare. Scorsi velocemente la rubrica, e il numero che cercavo lo trovai facilmente, fra le ultime chiamate. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Click. La voce profonda che mi rispose, mi parve anche stranamente vicina.

“Cercavi noi?” Minho mi sorrise, tamburellando con un dito sulla mia fronte corrucciata.

“Perché mi hai risposto, se eri a due metri da me?” mi lamentai, pensando ai pochi centesimi di scatto alla risposta, appena sprecati. Il ragazzo al mio fianco aprì lentamente gli occhi, riconoscendo i volti sorridenti delle persone che lo stavano fissando. Le sue guance presero subito fuoco, mentre si risvegliava completamente, allontanandosi dal mio braccio.

Non gliene feci una colpa, comprendendo il suo imbarazzo, e quando cercò i miei occhi… titubante… gli sorrisi. Allungai una mano verso di lui, aiutandolo a rimettersi in piedi, mentre il resto del gruppo si metteva in marcia. Il grosso dinosauro fui io a portarlo fino a casa, e non mi dispiacque. Lucy ogni tanto lo fissava storto, guaendo il suo disappunto. Era forse gelosa?

Per il viaggio di ritorno ci affidammo ai mezzi pubblici, tutti troppo affaticati per camminare ancora a piedi. Minho mi schiacciò l’occhio, quando Kibum tornò a cercare la mia spalla, nell’ultima fila di quel grosso autobus dai sedili scomodi. Jinki sorrise, e la risatina di Taemin non riuscii a considerarla sfacciata. Mi strinsi più vicino il mio coinquilino, chiudendo a mia volta gli occhi, e il tragitto fino a casa mi parve incredibilmente corto.

Sul pianerottolo ci salutammo velocemente, arrancando ognuno verso il proprio appartamento. Kibum si lasciò cadere sul divano, mentre io depositavo il nuovo “membro della famiglia” sul piccolo tavolo circolare. Mi voltai a guardarlo, sorridendo quando si raggomitolò su un fianco.

“Bummie… vieni con me” sussurrai al suo orecchio, ma lui già dormiva. Feci scivolare una mano sotto le sue ginocchia, utilizzando l’altra per sostenergli la schiena, e lo trasportai fino alla sua camera. Lo depositai sulle lenzuola azzurre, ma la forza di lasciarlo completamente... ancora non riuscivo a trovarla.

“Hai cercato di comprarmi, vero?” sbiascicò nel dormiveglia, stringendosi al cuscino. I capelli si scompigliarono rapidamente, allargandosi sulla federa sottile. Sfiorai le labbra rosse con la punta del dito, percorrendone dolcemente i contorni, mentre le sue ciglia si sollevavano lentamente.

“Se anche fosse…” mormorai sincero, intuendo immediatamente il significato della sua insinuazione. Era domenica, e quello sarebbe potuto essere il nostro ultimo giorno come coinquilini. Decisi di dire la verità, mettendo da parte la vergogna. “Non voglio andarmene. Vuoi farmene una colpa?” chiesi in un soffio, cercando i suoi occhi.

Mi fissò. Non sembrava sorpreso, solo pensieroso. Stava decidendo, lo sapevo, e quella consapevolezza mi fece trattenere il respiro. Il cuore prese a battere un po’ più velocemente, mentre le sue iridi scure si addolcivano, meno timorose. Mi sorrise, rassicurante, e le labbra si schiusero appena. Solo due parole, sussurrate, e la ritmica pulsazione del mio sangue... parve sul punto di rendermi sordo.

“Puoi restare”

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Capitolo 13
*** Un passato da dimenticare ***




 

Capitolo 12 - Un passato da dimenticare

Corre, e il dolore ai muscoli non lo avverte. Finisce addosso alla gente, non chiede scusa… non ne ha il tempo. Il cellulare brucia tra le mani. Vorrebbe lanciarlo, lontano, con rabbia. Non può. Potrebbero richiamare. Serra gli occhi, e le lacrime già sono in arrivo.
 
“C’è stato un incidente. Vieni in ospedale”.
 
Quelle parole risuonano nelle sue orecchie. Ancora, ancora, ancora. Vorrebbe non sentirle. Vorrebbe scacciarle. Vorrebbe… che non fossero mai state pronunciate. Il vento lo investe. E’ freddo, gli fa male, rende più gelido il suo volto. Non gli importa. Non gli importa più di niente.
 
L’insegna verde la ricorda ancora, così eccessivamente luminosa, su quella struttura immacolata che lo fa tremare. Cercano di fermarlo, all’entrata, ma non ascolta nessuno. L’infermiera finisce a terra, spinta via dal suo dolore. Il corridoio è lungo… troppo lungo. Le immagini si confondono. Si sente mancare, e schiude la bocca, in cerca di ossigeno. Non lo trova.
 
Il cuore si stringe, i ricordi si deformano. Le pareti bianche sono scomparse, insieme al pianto di una ragazzina e alle parole di sua nonna. La strada è deserta, la macchina già capovolta. Non c’è nessuno. Urla, chiede aiuto, ma solo la neve gli risponde. Sotto i suoi scarponcini la macchia rossa si dilata, lo avvolge, lo sporca. Trema, e non riesce più a muoversi.
 
“Quando i soccorsi sono arrivati, l’auto era già in fiamme”.
 
Un primo bagliore. La scintilla che mise fine alla loro vita, al suo sorriso. Il fuoco si espande veloce. Inghiottisce, consuma, distrugge. Stringe i pugni, grida più forte, e finalmente riesce a correre. Rivede il viso di sua madre, troppo nero per essere riconosciuto. Di suo padre… non distingue più nulla.
 
“L’uomo è morto sul colpo. La donna era ancora viva, ma non potevamo fare più niente ormai”.
 
La sirena si avvicina. Il suo lamento lo stordisce, lo disgusta, lo svuota. Porta le mani al petto, stringe, ansima. Il dolore è troppo forte. Lo lacera, strazia il cuore e annienta la ragione. Finisce a terra. Su quello stesso asfalto sporco di sangue. Il sangue dei suoi genitori. Il sangue… che lo tormenta ogni notte. L’urlo è disperato. Gli graffia la gola, gli fa desiderare la morte.
 
Taemin spalancò gli occhi, nel buio di quella stanza che racchiudeva la sua angoscia. La pelle era madida di sudore, l’eco della sua perdita… risuonava ancora tra le mura sottili. Cercò di alzarsi, ma le gambe erano ancora deboli, intorpidite. Finì a terra. Non voleva fermarsi. Non voleva restare solo. Le lacrime non avevano mai smesso di scendere, i singhiozzi di scuoterlo.
 
La porta si spalancò, e un’ombra scura lo fece sussultare. Riconoscere quelle braccia, quella voce… non fu difficile. Minho si precipitò al suo fianco, raccogliendolo dal pavimento, come una bambola senza vita. Il suo abbraccio era caldo, rigenerante. Il più piccolo si lasciò cullare, mordendo le labbra, stringendo le dita sulla sua maglia.
 
Anche il suo coinquilino tremava, ma Taemin non riusciva a percepirlo. I suoi lamenti ricoprivano tutto il resto, mentre il moro lo accarezzava dolcemente, avvolgendolo col suo conforto. Passò molto tempo. Tempo in cui il ragazzino si aggrappò al suo corpo forte, cercando in esso il sostegno alla propria disperazione. Minho gli baciò la fronte, asciugando con la manica del pigiama il sudore della sua fronte.
 
“Sono qui. Sono qui piccolo… vicino a te”.
 

*****

 
Kibum fissò il vetro bagnato, con l’amaro in bocca e la pelle fredda. Pioveva. Quando Jonghyun era rimasto a casa, quella mattina, aveva capito tutto. Non aveva bisogno di sentirselo dire, sapeva. Sapeva che il suo Minnie stava di nuovo male. Le mani che si strinsero sulle sue spalle erano calde, preoccupate. Si voltò versò il suo coinquilino, cercando di sorridergli.
 
“Vieni a mangiare qualcosa…” la voce del più grande era dolce, il tono rassicurante. Il biondo fissò i suoi occhi scuri, osservando senza vergogna l’innata bellezza di quel volto da uomo. Jonghyun abbassò lo sguardo, vagamente a disagio.
 
A Kibum non erano mai piaciuti quei momenti di impotenza. Non poteva fare nulla, e quella consapevolezza lo rendeva inquieto, scostante. Rifiutò l’idea di chiudersi in se stesso, ricoprendosi dell’unica cosa che lo facesse stare bene. Si fece più vicino al suo coinquilino, e lo abbracciò.
 
Il corpo del bruno vibrò, a contatto con quello dell’altro ragazzo, ma le mani si sollevarono istintivamente verso l’alto, stringendo a sé quella piccola figura bisognosa d’affetto. Il più giovane poggiò la fronte sulla sua spalla, mentre sospirava piano. Era piacevole quel calore. Così avvolgente, così sincero.
 
“Tu lo sai, vero?”
 
Non c’era bisogno che dicesse altro. Kibum aveva già capito, serrando più forte gli occhi. Non voleva pensarci. Le dita forti scivolarono sul suo capo inclinato, accarezzando dolcemente i capelli biondi. Pur non conoscendo la causa della sua sofferenza, Jonghyun desiderava consolarlo, fargli percepire la propria vicinanza.
 
“Ti ho preparato il latte, bevine un po’… vuoi?” il più grande lo allontanò delicatamente, cercando i suoi occhi da cerbiatto, adesso leggermente umidi. La tristezza che ci lesse dentro lo avvolse, rivelandogli la fragilità del cuore sensibile di Kibum. Le labbra scesero esitanti sulla pelle pallida, mentre le mani catturavano silenziose quel viso dai lineamenti perfetti.
 
Piccoli baci, leggeri. Piccoli baci che ricoprirono la sua espressione desolata, rubandogli un sorriso. Quella scimmia era talmente dolce, che in quel momento il biondo si chiese: Come ho fatto, fino ad oggi, a vivere senza di te? Sorrise ancora, un po’ più sereno, e la sua bocca sfiorò la guancia spigolosa di Jonghyun.
 
Il bruno trattenne il respiro, gustandosi quel breve momento di intimità. Kibum stava cambiando, lo avvertiva. Ma non era la persona a mutare, solo i suoi atteggiamenti. Il più giovane diventava più istintivo, più sincero. Con se stesso, e perfino con il suo coinquilino. Le dita delicate si strinsero intorno alle sue, guidandolo verso il divano.
 
Jonghyun lo seguì senza protestare, scivolando con lui tra i cuscini. Nessuno dei due disse nulla, mentre una mano si tendeva verso il telecomando, afferrandolo. Il solito cartone animato prese vita sullo schermo, rendendo più dolci gli occhi di Kibum. Il petto del più grande divenne il suo sostegno, e lui ci poggiò contro la schiena, senza trattenere un brivido.
 
Era così bello sentirlo vicino. Abbandonò la testa sulla sua spalla, e insieme canticchiarono quella musichetta stupida. Una bassa risata sfiorò il collo del biondo, mentre questi si imbronciava, lanciando una gomitata al suo vicino di posto.
 
“Non prendermi in giro!” squittì, risentito, voltandosi appena per guardarlo negli occhi. “Posso sempre andarmene, se il mio modo di cantare ti diverte così tanto…” lo minacciò, con le sopracciglia aggrottate. Fece per allontanarsi, ma la presa intorno al suo fianco divenne più forte, senza permettergli di muoversi. Jonghyun lo aveva abbracciato stretto, assicurandosi di non essere abbandonato.
 
“Mi piace sentirti cantare…” lo contraddisse, sincero, scostando un ciuffo sottile dalla fronte di porcellana. Kibum arrossì, borbottando che non gli credeva affatto. Una mano accarezzò il viso del più piccolo, impedendogli di voltarsi, nascondendo il proprio imbarazzo. Il coinquilino lasciò un rapido bacio sul suo nasino perfetto, e gli avvicinò la busta con il pesciolino al cioccolato, che aveva poggiato sul tavolo pochi minuti prima.
 
Lo stomaco del biondo brontolò appena, aumentando il rossore sulle morbide guance. Jonghyun sospirò, beandosi di quello splendido buongiorno, e allungò il Taiyaki al suo destinatario. Kibum apparve prima incerto, poi seccato. Alla fine sbuffò, sollevando in aria la frangetta, e allungò entrambe le mani verso quel dolce irresistibile.
 
“Grazie…” soffiò nervoso, addentando la propria colazione. Il bruno rimase a guardarlo, senza rispondere, accettando con un sorriso la piccola coda che il più giovane gli stava concedendo. Gli fece la linguaccia, masticando rumorosamente accanto al suo orecchio, e Kibum puntò due dita sulla sua fronte, cercando di allontanare da sé quel suono fastidioso.
 
Rise piano, arruffandogli i capelli, cercando di distrarlo. Il suo coinquilino si contorse tra le sue braccia, abbandonando sul tavolo il resto del pesciolino, e gli si avventò addosso. Jonghyun si divincolò sotto le mani pallide, cercando di sfuggire a quella dolce tortura. Il biondo gli fece il solletico, mentre la richiesta di tregua riempiva velocemente la cucina.
 
“Così la prossima volta ci penserai due volte, prima di…” Kibum era tornato ad accoccolarsi tra le sue braccia, ripescando il proprio Taiyaki tutto soddisfatto. Il più grande si sporse in avanti, inumidendo il collo sottile… con la saliva di quel bacio inaspettato. Il più giovane sussultò, rabbrividendo, e quella frase non venne più terminata.
 

*****

 
Mi apparve piccolo. Piccolo e pallido, su quel letto troppo grande per il suo esile corpicino. Si era addormentato solo da qualche ora, dopo tutte le lacrime versate, sul nascere del nuovo giorno. Mi avvicinai a lui, sedendo silenziosamente al suo fianco. Non so se avvertì la mia presenza, o magari fu solo un movimento involontario, ma Taemin tese una mano… e sfiorò la mia.
 
Chiusi gli occhi, cercando di tranquillizzare il battito del mio cuore. Non ci riuscivo. Non riuscivo a vederlo in quello stato, senza conoscerne la causa e neanche la cura. Volevo fare di più. Volevo mandare via la sua sofferenza, impedire al pianto di svuotarlo… tutte le notti… una dopo l’altra. Per due giorni non era successo. Per due giorni mi ero illuso, di nuovo.
 
Sollevai le palpebre, infastidito. Avevano suonato alla porta. Attraversai il corridoio, stanco, ancora bisognoso di riposo. Il viso di Kibum, pallido e tirato, dietro quell’uscio non più chiuso, avrei dovuto immaginarlo. Sospirai, lasciandolo entrare. C’era anche Jonghyun. Il primo non disse nulla, tirando dritto verso la camera di Taemin, mentre il suo coinquilino mi poggiava una mano sulla spalla, cercando di sorridermi. Non era bravo con le bugie, e dal suo tentativo venne fuori solo una piccola smorfia dispiaciuta.
 
“Siediti…” mormorai, indicandogli il divano, e lui lo fece.
 
Le loro voci, quando iniziarono a parlare, erano troppo confuse perché io riuscissi a distinguerne i discorsi. Kibum venne fuori per primo, sorreggendo il mio Min, ancora tremante. Mi alzai di scatto, spinto dalla necessità di aiutarlo, ma gli occhi del mio vicino mi fermarono. Scosse la testa, indicando il volto del più piccolo, che cercava di evitare il mio sguardo. Mi fece male.
 
“Lo aiuto a farsi una doccia, prendigli dei vestiti puliti e portami qualche asciugamano”.
 
Non dissi nulla, limitandomi a seguire le indicazioni di Kibum. Jonghyun mi seguì, silenzioso, dividendo il mio carico. Davanti alla porta del bagno indugiai, deglutendo a fatica. Già, perfino in quel momento ci pensai. Mi odiai, mentre immaginavo il corpo nudo di Taemin, sotto lo scrosciare dell’acqua. Bussai, senza entrare, porgendo al ragazzo che apparve sulla soglia quello che mi aveva chiesto.
 
“Sta bene, è solo stanco…” cercò di consolarmi, ma il suo sguardo rammaricato non fece che aumentare il mio disagio. “Per oggi è meglio che resti a casa. Avvisa Jinki, deve essere sua madre a chiamare la scuola”. Quelle parole mi confusero ancora di più, facendo serrare i miei pugni, e incendiando il mio cuore ferito. Ero l’unico a non sapere, vero?!
 
Kibum intuì i miei pensieri, avvicinandosi di un passo, cercando di prendermi una mano. Ero arrabbiato. Lo allontanai bruscamente, e lui rischiò di perdere l’equilibrio. Riuscii ad avvertirla, prima ancora di sentirla addosso, la furia che si abbatté sulla mia spalla. Jonghyun mi spinse via, sorreggendo il più piccolo. Il mio compagno di corsa mi fissò, adirato, tirandoselo dietro la schiena.
 
Non pensai a quello che stavo facendo. Sapevo solo di doverlo scaricare… quel risentimento, che aveva rischiato di farmi ferire uno dei miei migliori amici. Sollevai in aria il pugno, e questo produsse un rumore sordo, sopra la porta sul quale si era consumato. Chiusi gli occhi, lasciando ricadere la fronte sul legno scuro, mentre Kibum si avvicinava ancora una volta.
 
Accarezzò la mia schiena. Stavo tremando, forse anche piangendo. Frustrazione, rancore, impotenza. Quanti sentimenti non riuscivo più a controllare. Mi lasciai consolare, mentre gli occhi umidi di Taemin si poggiavano sulla mia figura ricurva. Quando era arrivato? Non lo sapevo. Non l’avevo visto uscire.
 
Si avvicinò, titubante, colpevole, e Kibum si fece da parte. Era del suo abbraccio che avevo bisogno. Delle sua voce, della sua sincerità. Unì le mani dietro la mia schiena, attirandomi contro il proprio corpo sottile. Lo strinsi forte, rischiando di fargli del male. In quel momento… ero solo un ragazzo di vent’anni, innamorato perso… dell’unica persona che non riuscivo a far stare bene.
 
Pianse ancora, senza lasciarmi andare, mentre Jonghyun prendeva silenziosamente la mano del suo coinquilino, uscendo dal nostro appartamento. La pelle di Taemin profumava di pulito, di innocenza, di fragilità. Mi sentii una carogna, per avergli mostrato quel lato così violento, così nascosto. Lui si sporse appena, chiudendo le dita delicate intorno al mio viso stravolto, e mi baciò la fronte.
 
“Ti racconterò tutto…”
 

*****

 
Jinki chiuse la porta del proprio appartamento, facendo accomodare i due amici. Il volto di Kibum, stanco e abbattuto, non ebbe bisogno di spiegazioni. Riempì tre tazze scure, con il tè che aveva appena preparato, e ne porse due ai suoi ospiti. Le mani del più piccolo si chiusero intorno alla porcellana, stringendola con eccessiva forza. Il padrone di casa sospirò, e si lasciò cadere sulla sedia di fronte a loro.
 
“Rimarrà a casa?” chiese, dopo aver mandato giù un lungo sorso della bevanda calda. La testa bionda si abbassò ritmicamente, e le dita di Jinki si allungarono verso il cellulare. “Omma, sono io. Si, stai tranquilla”. Jonghyun tese l’orecchio, cercando di ascoltare le risposte della signora Lee. “Potresti chiamare la scuola di Taemin, per piacere? No, oggi non si sente molto bene”.
 
Gli occhi nocciola si sollevarono verso quelli cupi di Kibum, cercando di rassicurarlo. “Bene, ti ringrazio. No, no, non fa nulla. Ci pensiamo noi a lui, grazie”. La chiamata venne chiusa poco dopo, in seguito alle solite raccomandazioni. Il maggiore scivolò più giù sul sedile, e abbassò le palpebre.
 
“Dovrebbe raccontargli la verità” disse semplicemente. Gli altri due ragazzi intuirono di chi stesse parlando, ma nessuno rispose. Jonghyun spostava lo sguardo confuso da Jinki al proprio coinquilino, in cerca di spiegazioni. Minho non era il solo… a non sapere cosa stesse succedendo.
 
“Tanto vale che lo sappia anche lui” iniziò Kibum, guardando il padrone di casa, che aveva inarcato un sopracciglio. “Quando stavamo andando via, Tae era sul punto di raccontargli tutto” chiarì, tranquillo, e il gesto di conferma che ricevette in risposta… fu il permesso di cui aveva bisogno.
 
Jonghyun unì le mani sul tavolo, ascoltando con attenzione quello che gli venne svelato. I particolari erano pochi, ma comunque fin troppo dolorosi. Le dita si strinsero, l’una sull’altra, quando il suo coinquilino fu costretto ad asciugare gli occhi umidi. Avrebbe voluto abbracciarlo, ancora una volta, ma quella verità aveva pietrificato perfino lui.
 
Il bruno l’aveva sempre notato, quell’alone di tristezza, che rendeva più spenti gli occhi di Taemin. Qualcosa di inafferrabile, come un’ombra, che a volte oscurava il suo sorriso da bambino. Gli dispiacque, enormemente. Per la sua perdita, per il modo ostinato con il quale continuava a proteggersi da Minho, ma soprattutto… per le conseguenze che quella terribile vicenda… continuava ad avare sulla sua anima tormentata.
 
“Non l’ha ancora accettato, lo capisci?” soffiò Kibum, con rassegnazione, cercando i suoi occhi. “Non ha partecipato al funerale. Non è mai andato al cimitero. Rifiuta l’idea che se ne siano andati, che l’abbiano abbandonato…” le lacrime scesero copiose sulle guance pallide, e Jonghyun si sporse in avanti, stringendolo forte.
 
“Bummie…” pronunciò il suo nome a bassa voce, contro i capelli biondi, cullandolo fra le braccia.
 
Sollevò lo sguardo verso Jinki, in cerca di aiuto, ma le sue spalle ricurve lo spiazzarono. La mascella serrata, il capo chino. Era il maggiore di loro, ma questo non lo rendeva immune al dolore. Anche lui amava Taemin, e la sofferenza del ragazzino… gravava con forza su quel cuore ancora giovane.
 
“Minho lo aiuterà” quelle parole vennero fuori decise, convinte. Due paia di occhi si sollevarono simultaneamente verso Jonghyun, sorpresi. “Minho lo aiuterà” ripeté ancora “Tae, per lui è…” lo sguardo scivolò istintivamente su Kibum, e il bruno si morse le labbra.
 
Lui lo ama. Io lo so che è così. Il modo in cui lo osserva, lo abbraccia, lo protegge. Ha tanto di quell’amore dentro che… ne sono sicuro… riuscirà a trovare la strada giusta. Io lo farei. Ti starei vicino, ti ricorderei che non sei solo. Ti obbligherei a vivere. Non c’è nulla… che non farei per te.
 
“Per lui è speciale…” mormorò, timoroso, senza riuscire a separarsi da quelle iridi scure, che lo stavano fissando. “E quando una persona è così importante, faresti di tutto… per farla sorridere ancora” le parole si incrinarono appena, colmandosi con l’emozione di quel cuore, che aveva preso a battere con più forza.
 

*****

 
Taemin rimase immobile, con il respiro pesante, di fronte a quella finestra aperta. Minho era dietro di lui. Avvertiva la sua presenza, anche se non riusciva a vederlo. Allungò una mano tremante, afferrando quella S metallica, che avrebbe tenuto lontano il freddo invernale. La spinse in avanti, facendola ruotare di 90°, e la finestra si chiuse.
 
Il nodo che avvertiva in gola si fece più pressante, mentre la morsa che gli attanagliava il petto lo costringeva a stringersi nelle braccia. Una felpa scivolò sulle sue spalle, silenziosa, premurosa. Non si voltò. Non ne aveva la forza. Chiuse gli occhi, e trasse un profondo respiro. Non poteva più tirarsi indietro.
 
“Gennaio, quasi un anno fa” la voce era così stridula, che quasi stentò a riconoscerla. Le dita si serrarono intorno all’indumento caldo, che portava ancora il profumo del suo coinquilino, infondendogli la forza di cui aveva bisogno. “Stavo tornando a casa, da un corso di lingue che frequentavo nella mia vecchia scuola”.
 
Minho fissava le sue spalle delicate curvarsi, ad ogni nuova parola. La difficoltà di quella confessione lo fece rimanere in silenzio. Se avesse detto qualcosa, il coraggio di Taemin sarebbe potuto svanire. Fece un passo indietro, scivolando sul divano, e rimase in attesa. La mano gli faceva ancora male. Era rossa, sulle nocche, appena escoriata. Storse le labbra. Era stato un vero idiota.
 
La cassettina dei medicinali venne riposta sul piccolo tavolo, accanto alla sua gamba destra. Quando l’aveva presa? Taemin si inginocchiò di fronte a lui, raccogliendo un batuffolo di cotone tra le dita sottili. Un tappo venne svitato, liberando l’odore pungente dell’alcool. Il liquido gli sfiorò la ferita, ma di dolore ne avvertì pochissimo. Guardò ancora una volta i capelli castani del più piccolo, e sospirò.
 
“Mia madre voleva che frequentassi un altro corso. Qualcosa che mi piacesse davvero” proseguì, senza riuscire a nascondere il tremore della propria voce “Mio padre però, era convinto che studiare bene l’inglese mi avrebbe aiutato, da grande, quando avrei cercato un lavoro” aggiunse, con una piccola smorfia.
 
E’ la prima volta che lo sento parlare dei suoi genitori. Fin’ora ha nominato solo la sorella, e giusto un paio di volte. Saranno rimasti nella sua vecchia città? Però è strano, comunque, che non lo chiamino mai…
 
“Così lo accontentai, perché lui infondo… trovava sempre il modo di fare lo stesso con me” Taemin si interruppe un attimo, chiudendo gli occhi. Le lacrime iniziavano a lottare, cercando con ostinazione la strada che le avrebbe rese libere, ma lui le mandò via.
 
“Mia sorella frequentava la casa di un’amica, in quel periodo, e non c’era. Io sarei dovuto andare da mia nonna” la garza venne avvolta con meticolosità intorno alla mano ferita, e le dita tremanti del più piccolo furono troppo evidenti. “Però non ci arrivai”.
 
Si rimise in piedi, riponendo tutto dentro la cassettina rettangolare. Minho si alzò, voleva aiutarlo, ma Taemin si mosse istintivamente indietro, aumentando la distanza tra loro. Il moro strinse le labbra, ferito da quel gesto, e anche il ragazzino fece lo stesso. I loro occhi si incontrarono. Quelli del maggiore risentiti, quelli del coinquilino timorosi.
 
“S-se ti avvici-cini… n-non riuscirò a co-continuare…” balbettò quest’ultimo, tirando su col naso, mentre asciugava con rabbia la prima lacrima. Una mano grande si mosse in avanti, esitante, rimanendo sospesa a mezz’aria.
 
Taemin lo fissò, rosso in viso, stringendo con forza le dita attorno ai pantaloni cadenti del pigiama. Aveva paura. Già, Minho gli faceva paura, o meglio, erano i sentimenti che provava per lui… a farlo tremare. Ripensò a quell’albero, contro il quale si era rifugiato quel giorno, di tanti mesi prima, quando era scappato di casa.
 
Era spoglio, impoverito, raggrinzito. Mi sentivo come lui. Solitario, vuoto. Nessuna foglia gli era rimasta accanto. Era inverno, come avrebbe potuto? Anche io ero così. Debole, abbandonato a me stesso. Poi ti ho conosciuto, e la primavera ha bussato alla mia porta. I miei rami hanno preso vigore, puntandosi verso il cielo, nutrendosi del tuo sorriso, della tua presenza.
 
Ma io non sono così. Sotto quella fronda verde, il mio tronco continua a marcire. Dietro quei fiori delicati, le mie radici affondano nella terra fredda, rivivendo il sapore dell’inverno. Se ti lasciassi vedere dentro di me, cosa proveresti? Pietà? Io non voglio vederlo questo sentimento, dentro i tuoi occhi dolci.
 
Se adesso mi abbracci, il tuo calore tornerà a bruciarmi la pelle, ricordandomi ciò che io stesso ho smesso di essere… molto tempo fa. Rimani lontano, al sicuro da questo gelo, che mi impedisce di chiederti di restare. Se tu accettassi di rimanermi accanto, adesso, io non saprei mai per quale motivo l’hai fatto.
 
Ti prego… perdona il silenzio che ti ha ferito. Ero solo un codardo, incapace di sopportare il peso della tua compassione. Ora sono pronto. Dirò tutto quanto, e ti lascerò libero di dimenticarmi. Questo dolore che mi porto addosso, non dovrà mai più rovinare il tuo sorriso.
 
“Un incidente, sulla strada che li avrebbe riportati a casa”. Nessuna lacrima, nessun grido. Incrociò gli occhi sconvolti di Minho, mentre quella terribile rivelazione si concretizzava, ogni secondo di più, dentro le pupille dilatate dallo sgomento. “Sono morti, tutti e due. Per questo… io non sono mai arrivato da mia nonna, quella sera”.
 
Una risatina stridula risalì le sue labbra, riempiendo l’aria intorno a loro, come il più sinistro dei suoni. Non era impazzito… stava solo crollando. Tutto quanto. Tutto… stava crollando. Le lacrime accompagnarono quell’ultimo istante di lucidità, scuotendogli il petto, spezzandogli il respiro. Minho rimase inerme, devastato, mentre il più piccolo si piegava su se stesso, liberando ancora una volta il proprio dolore.
 
Il moro scivolò accanto a lui, tremante. Finalmente sapeva. Finalmente… era tutto chiaro. Chiuse le braccia intorno a quel corpo che si stava spezzando, incrinandosi, spaccandosi. Se lo strinse al petto, nascondendo sul proprio cuore le urla che seguirono quella confessione. Stava venendo tutto fuori. Dopo tutto quel tempo passato a contenersi, la disperazione… prendeva infine il sopravvento.
 
“Perché?” gli chiese, tra le lacrime, con le labbra sepolte tra i suoi capelli castani. Minho piangeva. Piangeva il dolore del ragazzo che stringeva, e quello che si stava facendo spazio, silenzioso, dentro il proprio cuore. “Perché non me l’hai detto?”
 
Le dita si serrarono con forza, attorno ai fianchi della persona che lo abbracciava. Taemin sollevò lo sguardo, cercando gli occhi che avrebbero riportato indietro la primavera. Che domanda stupida gli aveva appena fatto. E che risposta troppo sincera… era sul punto di dargli.
 

“Perché… mi sono innamorato di te”

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Capitolo 14
*** Lasciati amare ***




 

Capitolo 13 - Lasciati amare

Sospirava, lo faceva di continuo. Sia che fosse davanti alla televisione, fingesse di fare i compiti, o si infilasse le mie pantofole senza chiedere il permesso… Taemin sospirava. Lo osservai, mentre raccoglieva una briciola di pane dalla maglia grigia, e puntava gli occhi sul vetro appannato. Pioveva da due giorni, ma non sembrava che avesse ancora voglia di smettere. Ci avrei riprovato. Non poteva continuare ad evitare quell’argomento per sempre.
 
“Vuoi dirmi cosa è successo?” si irrigidì immediatamente, mentre io prendevo posto accanto a lui, e le sue mani si agitavano, nervose. Giocherellò per un po’ con l’elastico della tuta, infastidendomi. Adoravo quel ragazzino, ma quella sua reticenza stava mettendo a dura prova la mia pazienza. Era da troppo tempo che lo “nascondevo” dal suo coinquilino.
 
“Niente Hyung…” mormorò a fior di labbra, ma le sue guance colorite lo tradirono. Scossi la testa, chiudendo tra le dita la sua boccuccia imbronciata. Taemin era ancora un cucciolo, non riuscivo proprio ad arrabbiarmi con lui.
 
“Sei arrivato qui, ieri mattina, correndo come un pazzo” gli ricordai, tranquillo e accomodante “Ti sei chiuso in bagno, senza una parola, senza una spiegazione” aggiunsi, sollevando un sopracciglio nella sua direzione “Minho per poco non mi buttava giù la porta, e…” attesi un attimo, sorridendo mentre stritolava tra le mani un angolo della maglia “… vuoi farmi credere che non è successo niente?”
 
Lui sbuffò, tirandosi le ginocchia al petto, e sprofondò ancora di più tra i cuscini del divano. Non dissi altro, affidandomi alla sua intelligenza. Taemin poteva sembrare un bambino, ma non lo era affatto. Era un tipo abbastanza maturo, per la sua età almeno, e di certo prestava molta attenzione al mio giudizio.
 
Raccolsi il piatto con i resti del suo pranzo, avvicinandomi al lavandino e sciacquandolo velocemente. Si stava alzando. Le molle cigolarono lievemente, nonostante i suoi movimenti leggeri, mentre lui si posizionava silenzioso al mio fianco. Raccolse il bicchiere già pulito, e prese ad asciugarlo. Sbirciai la sua espressione con la coda dell’occhio. Era ancora molto teso.
 
“Gli ho detto la verità” disse tutto d’un tratto, mentre quel sottile intuito che guidava la mia logica… mi fece capire immediatamente a cosa si stesse riferendo. Il piatto cadde rumorosamente sopra le poche posate da lavare, e Taemin sussultò, arrossendo vistosamente.
 
“Co-Come?” chiesi allucinato. Mai mi sarei aspettato una confessione del genere. Cioè, insomma, i sentimenti che legavano quei due li avevo capiti già da tempo, però… per qualche strano motivo, ero rimasto fortemente convinto che il “tempo delle dichiarazioni” non fosse ancora arrivato.
 
“H-Hai capito” sbiascicò a disagio, dandomi le spalle con la scusa di infilare la felpa azzurra “E non fare quella faccia!” strillò scocciato, incrociando le braccia sul petto e fissandomi torvo “Tu lo sai bene cosa provo per lui, ce lo hai scritto in faccia per tutto il tempo!” borbottò risentito, lasciandosi cadere ancora una volta sul divano.
 
Ed ecco il nuovo sospiro, più pesante dei precedenti. Mi imposi di riacquistare un po’ di calma, comprendendo solo in quel momento il “perché” di quella sua richiesta di asilo. Asciugai le mani. I piatti avrebbero aspettato. Recuperai del succo di frutta dal frigo, riempiendone due bicchieri. Gliene porsi uno, e mandai giù il mio tutto d’un fiato.
 
In quel momento, ero più agitato io di quanto lo fosse Taemin. Mi passai una mano tra i capelli, sedendo sul bordo del tavolino, di fronte a lui. Continuava a tenere lo sguardo basso, nascondendo le guance rosse sotto i capelli spettinati. Era il momento dei consigli, giusto? Ma cosa avrei dovuto dirgli? Era ovvio che Minho non si fosse ancora confessato, quindi come facevo ad incoraggiarlo a parlarci… senza sbilanciarmi? Decisi di prendermi del tempo, tentando di comprendere meglio lo svolgersi degli eventi.
 
“Lui come ha reagito?” chiesi lentamente, osservando il modo tenero con il quale le dita avevano preso a torturare il pantalone. Gonfiò le guance, afferrando uno dei cuscini viola e nascondendoci dietro il volto. Imbarazzato lo era di sicuro.
 
“Non lo ha fatto” la sua voce mi giunse fievole e ovattata, attraverso la barriera che stava utilizzando per celare i propri sentimenti. Mi avvicinai a lui, e dolcemente lo privai di quel morbido oggetto. Non oppose resistenza, balbettando qualche parola confusa mentre gli sorridevo.
 
“Spiegami meglio…” cercai di incoraggiarlo, scivolando silenzioso accanto a lui. Neanche mezzo secondo dopo si era inclinato su un fianco, finendo per nascondere il volto contro la mia spalla. Le dita sottili si strinsero attorno al mio braccio, e Taemin sospirò sul mio collo.
 
“Ha sgranato gli occhi, e mi ha fissato stralunato, neanche fossi un alieno!” borbottava risentito, affogando in quel tono frustrato le lacrime, che ero sicuro gli avessero già riempito gli occhi. Pensai a Minho, e all’espressione che aveva dovuto avere in quel momento. Conoscendo i sentimenti che provava per il più giovane, la sua reazione mi parve abbastanza scontata.
 
“E poi sono scappato via…” continuò il ragazzino stretto al mio petto, tirando su col naso e asciugando frettolosamente una guancia umida. “Però mi ha seguito, come hai potuto notare tu stesso…” concluse, mentre le sue esili spalle si curvavano ulteriormente, e il pianto non veniva più trattenuto.
 
“Stai calmo piccolo…” cercai di tranquillizzarlo, accarezzando piano la sua schiena tremante “Vedrai che le cose non sono terribili come ti appaiono” aggiunsi, positivo, sorridendo mestamente mentre infilavo una mano nella tasca dei pantaloni. Lanciai uno sguardo a Taemin. Non si era accorto di nulla.
 
Scrissi velocemente il mio messaggio, e ne trovai il destinatario. Conferma. Invia. Sospirai, abbandonando il cellulare sul divano, e strinsi più forte il ragazzino al mio fianco. Povero Min. Se a quel tempo avesse saputo… quello che io avevo già intuito… tante lacrime si sarebbero potuto risparmiare.
 

*****

 
Minho sbuffò, lasciando cadere le bacchette sul tavolo. Non aveva fame. Jonghyun sollevò gli occhi verso di lui, cercando il suo sguardo, mentre allungava una mano sul braccio dell’amico. Quello che era successo il giorno prima con Kibum l’avevano già chiarito, e anche il suo piccolo coinquilino… aveva perdonato il ragazzo dai capelli scuri. In quel momento erano soli, e quella gli era sembrata l’occasione migliore per cercare di farlo parlare.
 
“Ho sentito che Tae sta con Jinki-hyung…” mormorò il più grande, a disagio, rabbrividendo mentre gli occhi di Minho si riempivano di rabbia. Il ragazzo, normalmente tranquillo e gentile, strinse con forza un pugno sul tavolo, serrando la mascella. Jonghyun sospirò, tornando al suo pranzo. Forse era meglio lasciarlo sbollire.
 
“Io non lo capisco!” esclamò all’improvviso il moro, accartocciando con frustrazione un fazzoletto di carta, poco prima di gettarlo nel proprio piatto. “Prima mi dice in quel modo e poi scappa! Ho cercato di parlarci, ma si è chiuso dentro il bagno! Nel bagno, ma siamo impazziti?!” Il palmo della sua mano si scontrò rumorosamente contro il tavolo, e una bottiglietta d’acqua rotolò a terra. Nessuno dei due si chinò a raccoglierla.
 
Il bruno aveva aggrottato la fronte, pensieroso. Perché Taemin era scappato dopo aver raccontato al coinquilino dei suoi genitori? Non aveva molto senso. E poi… perché doversi addirittura nascondere per due giorni? Qualcosa gli sfuggiva. Giocherellò per un attimo con il riso che aveva nel piatto, e accanto a lui Minho stese entrambe le braccia sul ripiano in legno, facendoci sprofondare in mezzo la testa. Jonghyun lo fissò, intenerito. Sembrava proprio messo male.
 
“Ha detto che mi ama”.
 
Solo quello. Nessun dettaglio, nessun particolare. Poche parole, che ebbero il potere ti far affogare il più grande. Quest’ultimo aveva silenziosamente raccolto la bottiglietta d’acqua, che poco prima era finita a terra, svitandone il tappo e portandola alle labbra. Il primo sorso era sceso tranquillo. Il secondo sbagliò traiettoria, finendo col farlo diventare rosso per la vergogna, mentre sputacchiava tutto sul tavolo.
 
Minho sollevò mestamente la testa, arricciando la bocca in una piccola smorfia. Allungò una mano sulla spalla del maggiore, e ci lasciò sopra qualche pacca. Non era di molto aiuto, considerando soprattutto che era stato proprio lui la causa del mezzo soffocamento del bruno.
 
Jonghyun si portò una mano sul petto, cercando si regolarizzare il respiro, in quel momento affannato. Il moro non disse altro, tornando ad accasciarsi nella sua posizione precedente. Le dita che si chiusero intorno alle sue spalle erano impazienti, poco compassionevoli, lo afferrarono con forza, strattonandolo.
 
“Yah!” si lamentò il più piccolo, cercando di liberarsi “Che diavolo ti prende Jong?!” sbraitò infastidito, spingendolo via.
 
“Che diavolo prende a me?!” rispose con lo stesso tono l’amico, puntandosi un dito sul petto “Che diavolo prende a te?!” urlò sconvolto, spiaccicandogli sotto il naso il suo indice accusatore. “Perché sei qui, crogiolandoti nel tuo sconforto, quando il ragazzo di cui ti sei innamorato ricambia i tuoi sentimenti?!”
 
Minho sbuffò, voltandosi dall’altro lato. “Credi che non ci abbia provato… a parlarci? Ho perso il conto di tutte le volte che sono andato da Jinki, negli ultimi due giorni” spiegò brevemente, passandosi stancamente una mano sul viso “Non vuole vedermi. Ogni volta che busso alla porta, riesco a sentirle perfino da fuori le sue urla. Continua a strillare che si deve nascondere, rintanandosi chissà dove, e Jinki mi ripete di dargli del tempo”. Il moro sospirò, abbattuto, poggiando la fronte contro le mani unite.
 
Jonghyun sorrise, sorprendendolo, e mezzo secondo dopo Minho si ritrovò tra le sue braccia. Diversi studenti, seduti ai tavoli vicini, osservarono quella scena, facendo arrossire il più giovane. Non era male, comunque. Per una volta… era lui quello che veniva consolato. Si arrese, stringendo a sua volta quel ragazzo dal sorriso gentile che gli stava di fronte, e la bassa risata del bruno gli fece storcere le labbra.
 
“Interrompo qualcosa?!” una voce acida si insinuò a forza nelle loro orecchie, ponendo fine a quel momento di fraternizzazione. Il moro fu il primo a sollevare lo sguardo, e gli occhi gelidi di Kibum lo inchiodarono, adirati.
 
“State dando spettacolo” commentò, secco, mentre anche Jonghyun si voltava a guardarlo. Il biondo abbandonò rumorosamente il proprio vassoio sul tavolo, inserendolo con un movimento deciso tra quello dei compagni. Minho seguì impaurito la sua sottile figura, e il vicino di casa arrivò velocemente al suo fianco.
 
“Fammi spazio…” sibilò quest’ultimo al suo orecchio, allontanandolo con un movimento brusco dalla sedia accanto al coinquilino. Il moro non se lo fece ripetere due volte, scalando velocemente di un posto. Kibum scivolò elegantemente a sedere, e il sorriso di Jonghyun gli apparve più radioso del solito.
 
“Ciao Bummie…” cantilenò, allegro, sporgendosi verso di lui con l’intenzione di baciargli una guancia. Le dita sottili lo bloccarono immediatamente, stringendosi infastidite sul suo volto sorridente. Lo allontanò da sé, ringhiandogli contro, ma la mano del maggiore era già scesa ad avvolgergli un fianco.
 
“Non ci provare neanche!” sbraitò il biondo, cercando (inutilmente) di liberarsi della sua presa. Jonghyun serrò le dita sul suo corpo, facendoselo più vicino, ridendo piano contro l’orecchio del più giovane. Quest’ultimo prese velocemente fuoco, e non solo per la rabbia. “Vai a fa-fare le fusa da qua-qualche altra pa-parte!” voleva essere una minaccia, ma già stava balbettando, risultando assai poco credibile.
 
Il bruno sorrise contro i suoi capelli, strusciandoci in mezzo il naso. Il profumo del suo Bummie lo adorava ogni giorno di più. Il ragazzo al suo fianco vibrò, trattenendo il respiro, mentre la bocca di Jonghyun scivolava sulla sua guancia, baciandola dolcemente.
 
“Ma io voglio abbracciare solo te…” sussurrò, sincero, aumentando il disagio di Minho. Questi, infatti, non sapeva più dove posare gli occhi. Quei due, quando erano insieme, inviano feromoni in tutte le direzioni. Definirli “indecenti”… non sarebbe stato un errore!
 
“Non era quello che sembrava!” sbuffò Kibum, stizzito, lottando contro il desiderio di strusciarsi a sua volta contro il più grande. La gola improvvisamente secca lo infastidì, ricordandogli la scarica di emozioni che gli stavano serrando lo stomaco. Aveva parlato troppo, e parve rendersene conto solo in quel momento. Arrossì vistosamente, mentre Jonghyun percorreva con la punta del dito il suo profilo delicato.
 
“Solidarietà maschile” chiarì quest’ultimo, mordendosi le labbra quando gli occhi del biondo si posarono sui suoi. Era talmente bello, che la voglia di baciarlo diventava sempre più difficile da tenere a bada. Kibum inarcò un sopracciglio, poco convinto, arricciando la bocca. Quella piccola forma rossa, così particolarmente perfetta, venne protesa in avanti, facendo deglutire rumorosamente il bruno.
 
“Mi sei mancato…” mormorò Jonghyun, come un idiota, e il cuore prese a battere più veloce. L’altro arrossì ancora di più, abbassando le ciglia sui dolcissimi occhi da gatto. Il più grande chiuse istintivamente una mano sulla sua, nascondendo entrambe fra i loro corpi emozionati. “Non avevamo neanche una lezione insieme” aggiunse imbronciato, ostentando una tranquillità che non provava. Le dita di Kibum, tremanti fra le sue, non lo aiutavano molto.
 
Minho sarebbe voluto diventare invisibile, e sgattaiolare lontano da quei due il più velocemente possibile. Gli occhi puntati sul loro tavolo si erano triplicati, ma molti di questi non gli apparvero affatto felici. Il moro non era stupido. Fin dal primo giorno, lo aveva notato subito… il modo in cui gli altri ragazzi guardavano il suo vicino. Sia che camminasse per i corridoi dell’università, oppure passeggiasse in cortile, di persone ad ammirarlo ce n’erano fin troppe.
 
Kibum era un bel ragazzo, inutile negarlo. Gli occhi di Jonghyun si puntarono veloci su quei volti infastiditi, minacciando con il proprio silenzio la loro invadenza. Alcuni abbassarono lo sguardo, altri sbuffarono, ma il ragazzo stretto a lui non si accorse di nulla. Minho sorrise, piacevolmente sorpreso da quella piega severa, che si era impossessata della bocca del suo compagno di corsa. Sembrava volesse dire: “Lui è mio!”
 
Sospirò, mentre lasciava scivolare gli occhi sul proprio piatto, ancora intatto, e ripensava alle parole dell’amico. Cosa diavolo prende a te?! Aveva ragione. Che cosa gli stava succedendo? Lui amava Taemin, perché si lasciava fermare da una stupida porta, o dalla voce gentile di Jinki, che gli consigliava di portare pazienza?
 
“Se fosse successo a me… non sarei riuscito ad aspettare neanche un secondo” le parole di Jonghyun lo sorpresero, facendogli sollevare lo sguardo nella sua direzione. Il più grande lo stava fissando, mentre Kibum spostava gli occhi confusi dall’uno all’altro ragazzo. Non riusciva ad intuire il senso di quel discorso, e quella consapevolezza lo infastidiva. “Jinki non deve saperne nulla, per quello ha cercato di fermarti” aggiunse dolcemente il bruno, sentendosi in dovere di difendere le buone intenzioni del maggiore.
 
“Non riuscirete a capirvi… senza parlare sinceramente l’uno con l’altro. Obbligalo ad ascoltarti…” suggerì con un sorriso, allungando istintivamente una mano tra i capelli biondi del suo coinquilino “Sei ad un passo dall’ottenere quello che hai sempre desiderato, non averne paura”. Concluse, mentre l’emozione spezzava appena le sue ultime parole.
 
Kibum sollevò gli occhi scuri sul volto amorevole del più grande, scoprendolo rattristato. Non ne capiva il motivo. Il cellulare di Minho stava suonando, ma lui non ci badò. Seguì il proprio istinto, prendendosi qualche secondo per raccogliere un po’ di coraggio. Poi abbassò le palpebre, stringendo più forte le dita attorno a quelle del suo scimmione, e baciò con dolcezza la sua guancia spigolosa. Quando il sorriso di Jonghyun illuminò nuovamente la sala mensa, il suo cuore perse un battito.
 

*****

 
Afferrai velocemente il giubbotto, infilandolo alla meglio, mentre abbandonavo il tavolo senza neanche svuotare il mio vassoio. I due ragazzi ancora seduti mi dissero di non preoccuparmi, e io li ringraziai, correndo a perdifiato fino all’uscita della facoltà. Il giorno precedente ero rimasto a casa, e adesso fuggivo prima della fine delle lezioni. Quello non era sicuramente un comportamento maturo. Sbuffai, fregandomene, e rilessi ancora una volta il messaggio.
 
“So tutto. Vado a fare la spesa, e ti lascio le chiavi del mio appartamento nella buca delle lettere. In questo modo… non potrà scappare! >.< Sii gentile con lui, è solo spaventato. Fighting! Jinki ^^”
 
Sorrisi, come un bambino a cui hanno appena fatto un regalo, e corsi più veloce. Sentivo l’euforia crescermi dentro, ad ogni nuovo passo, mentre la voglia di riabbracciare quel piccolo scricciolo del mio coinquilino mi invadeva il cuore. Lo amavo! Lo amavo… e dovevo solo farglielo sapere. Si, ce l’avrei fatta! Lo avrei guardato dritto negli occhi, e lui avrebbe riconosciuto i miei sentimenti.
 
Il palazzo dalle aiuole curate apparve magicamente davanti a me, facendo aumentare il mio battito cardiaco. Ero parecchio nervoso, e lo sapevo. Cercai di ricacciare indietro quell’ansia che mi stringeva la gola, mentre salivo velocemente i pochi scalini fino al portone a vetri. Frugai frettolosamente nelle tasche, cercando la chiave della buca delle lettere, trovandola subito dopo.
 
Il sottile strato di alluminio cigolò appena, scivolando verso l’esterno. Riconobbi la piccola mela colorata, spugnosa e vagamente profumata, appesa all’anello metallico che univa le chiavi di Jinki. Ci strinsi le dita attorno, notando il leggero tremore che le stava scuotendo. Poi chiusi un attimo gli occhi, appoggiando entrambe le mani al muro, e ripresi fiato.
 
Era da tanto tempo che aspettavo quel momento. Tanto tempo… che lottavo contro le emozioni che Taemin mi faceva provare. Tanto tempo… che ignoravo il batticuore scaturito dalla sua vicinanza. Tanto tempo… che non mi ritrovavo a ridere da solo, come un idiota, davanti ad una cassetta delle lettere ancora aperta, posando una mano sul petto palpitante.
 
Si, il tempo dell’attesa era finito. Jonghyun aveva ragione, io… avevo solo paura. Stupido, vero? Proprio in quel momento, quando tutti i miei sogni erano sul punto di realizzarsi, io avevo paura. Temevo quel profondo cambiamento, che avrebbe reso incredibilmente diverse le vite di entrambi. Taemin ed io… avevamo una chance. Una possibilità di avvicinarci. Una possibilità di completarci. Una possibilità di amarci.
 
Sollevai le palpebre, sicuro, deciso. Non avrei sprecato un altro minuto del mio tempo. Le scale terminarono in una manciata di secondi. Quella nuova certezza, che palpitava silenziosa dentro il mio cuore, mi rendeva più convinto, più consapevole. Sarebbe andato tutto bene, finalmente lo sapevo.
 
La chiave scivolò silenziosa nella toppa, e la serratura scattò immediatamente. L’uscio si aprì, cigolando appena, mentre vi poggiavo sopra una mano, spingendolo verso l’interno. Lo trovai subito. Era di spalle, con la testa nascosta dentro il frigorifero. Sicuramente cercava qualche schifezza. Sorrisi istintivamente, ricordando tutte le volte che avevo dovuto nascondere le merendine, impedendo che le finisse in un giorno solo.
 
“Bentornato Hyung!” esclamò tranquillo, senza voltarsi. Doveva credere che fossi Jinki. Effettivamente, come biasimarlo? In teoria, solo lui avrebbe potuto entrare in quell’appartamento. Chiusi la porta, cercando di produrre il minor rumore possibile. Avrebbe potuto girarsi, da un momento all’altro, vedendomi.
 
Sarebbe corso via? Sicuramente. Non potevo permetterlo. Mi avvicinai velocemente, e la barretta che teneva tra le mani finì a terra. Lo avevo abbracciato, da dietro, chiudendolo nella mia stretta, impedendogli di fuggire. Mi riconobbe subito. Lo intuì dai suoi muscoli tesi, dal suo respiro spezzato. Tremò, come qualcosa di incredibilmente fragile, serrando i pugni lungo i fianchi.
 
“Hyung…” pronunciò debolmente. La voce risultò stridula, incrinata dalla paura. Non era una domanda. Non cercava la mia conferma. Sapeva chi fossi, ma l’incredulità non l’aveva ancora abbandonato del tutto.
 
“Sono qui…” mormorai contro il suo orecchio, e lui trattenne il respiro. Lo strinsi più forte, nascondendo un sospiro contro la pelle sottile del suo collo. Vibrò più forte, cercando di liberarsi. Non parlava, ma il primo singhiozzo lo udì chiaramente. Con entrambe le mani strette sul volto, cercava di mettere a tacere il proprio pianto, con scarsi risultati.
 
“Lasciami… per favore…” piagnucolava, divincolandosi debolmente. Era sfinito. Notavo la stanchezza che si portava addosso, così tangibile nelle spalle tremanti e la voce spezzata. Continuava a ripetere che voleva restare solo, ma era davvero quello che desiderava?
 
“Stronzate!” ribattei con decisione, costringendolo a voltarsi. Strinse le labbra tra i denti, abbassando la testa, ma i suoi occhi impauriti riuscii a vederli comunque. “Stronzate…” ripetei ancora, con più dolcezza “Tu non vuoi che me ne vada”. Un singhiozzo più forte scosse il suo corpo, mentre le dita sottili si chiudevano sulle mie braccia, cercando di allontanarmi.
 
“Non farlo, per favore…” mormorò tra le lacrime, cercando di retrocedere, ma finì solamente per intrappolarsi da solo, scontrandosi con lo sportello chiuso del frigorifero. “I-io non vo-voglio…” continuò, sempre più a disagio, sfuggendo con insistenza ai miei occhi, che desideravano ardentemente specchiarsi nei suoi “N-non voglio obbliga-garti a restarmi vi-vicino…”
 
Sollevai un sopracciglio, sorpreso. Che cosa stava dicendo? Bloccai il suo volto con le mani, e lui si divincolò ancora, impaurito. Le lacrime gli rigavano il viso, scivolando sulle labbra dischiuse, perdendosi oltre la curva del mento. Min era così. Fragile, bellissimo… perfino mentre piangeva.
 
“Cosa vuoi dire?” gli chiesi, ritrovandomi improvvisamente a corto di fiato. I miei occhi erano stati stregati. Sedotti dalla sua bocca piena, dalle sue iridi dilatate, dalla sua pelle sottile. Lo avvertii. Prepotente, istintivo… il calore che stava avvolgendo il mio corpo. Nasceva sul mio cuore, e si diffondeva… silenzioso… in tutte le direzioni. Taemin tremò ancora, mentre io mi tiravo appena indietro, impedendogli di avvertire la mia erezione.
 
“Non vo-voglio la tua pie-pietà…” balbettò, rosso in volto, e nuove lacrime bagnarono le sue guance da bambino. “Lo odierei… un amore pieno di compassione” concluse, arrendendosi. Mi apparve improvvisamente inerme, tra le mie braccia, mentre scivolava contro il frigo, chiudendo gli occhi.
 
Non ci capivo più niente. Era quello che pensava? Credeva che il suo passato mi avrebbe spinto a compatirlo, obbligandomi a restargli accanto nonostante non lo amassi? Il motivo per il quale non mi aveva raccontato la verità fino a quel momento… era la paura di perdermi?
 
Ero un idiota. Taemin me lo aveva anche detto, il giorno prima. Ero rimasto talmente sconvolto da quella confessione, da non collegare le sue parole con tutto il resto del discorso. Qual’era stata la mia domanda, giusto un secondo prima che ammettesse i suoi sentimenti?
 
“Perché non me l’hai detto?” – “Perché… mi sono innamorato di te”.
 
Anche lui era un idiota. Lo eravamo entrambi. Sospirai, abbandonando la fronte contro la sua, facendolo sussultare. Lo strinsi contro di me, e lo sentii trattenere il respiro. Gli sorrisi, ma fu giusto un attimo. I suoi occhi si spalancarono, increduli, mentre la distanza tra i nostri volti diminuiva ad ogni secondo. Cercai di essere gentile, come mi aveva detto Jinki, ma non appena sfiorai quelle labbra umide, che sapevano di lacrime e cioccolato, ogni buon proposito svanì… come d’incanto.
 
Mi ritrovai ad avanzare, facendo aderire le sue spalle delicate all’acciaio freddo. Tremò, mentre invadevo la sua bocca con la forza del mio desiderio, strappandogli un suono che mi apparve incredibilmente erotico. Una gamba scivolò silenziosa fra le sue, e le sue mani si arpionarono attorno al mio collo. Mi stava abbracciando. Un moto di gioia mi invase, obbligandomi a stringere le dita sui suoi capelli castani, facendogli piegare la testa all’indietro.
 
Quando gli morsi il labbro inferiore, facendolo sussultare, i suoi occhi sgranati si puntarono sui miei. Credo di aver sorriso, troppo felice per evitarlo, mentre Taemin abbassava lo sguardo, arrossendo come un adorabile pomodoro. Chiusi ancora una volta le mani intorno al suo viso, constatando con soddisfazione che aveva smesso di piangere.
 
Il suo sguardo si sollevò, confuso, verso il mio, e io sorrisi ancora. Asciugai con dita emozionate le poche lacrime che rendevano più umide le sue guance, sospirando di gratitudine, mentre il ritmo accelerato dei miei battiti non accennava a diminuire. Lo fissai, dritto negli occhi, senza più timore.
 
“Questa…” sfiorai con il pollice le sue labbra, appena tremanti, percorrendone con dolcezza i contorni “Ti è sembrata compassione?”
 
Non disse nulla. Parve rifletterci, esitante, cercando ancora una volta i miei occhi. Sostenni il suo esame, sereno, finalmente libero. Non nascosi più nulla. Lasciai che tutti i miei sentimenti risalissero il mio corpo, dal cuore, impadronendosi dello sguardo timoroso che li stava cercando. Quando li trovò… la luce che illuminò il suo volto… non potrò mai scordarla.
 
Si alzò sulla punta dei piedi, mentre gli angoli delle sue labbra si sollevavano, manifestando in tutto il loro splendore la gioia che provava. Attirò il mio volto verso il suo, e mi baciò di nuovo.
 

*****

 
Kibum e Jonghyun erano seduti in biblioteca. Il primo intento a sottolineare un passaggio importante, su di un libro di testo, con la frangetta bionda che gli ricadeva sbarazzina sulla montatura scura. Il secondo lo fissava, dimenticandosi degli esercizi che aveva davanti, e allungò istintivamente una mano, privandolo degli occhiali. Lo sguardo sorpreso del suo coinquilino corse immediatamente a cercare il suo, trovandolo tutto sorridente ad osservarlo.
 
“Che c’è?” mormorò il più piccolo, mentre le sue guance delicate si imporporavano velocemente. “Non capisci qualcosa?” chiese ancora, nervoso, avvicinandosi al bruno con timore, controllando le formule scritte sul block notes.
 
“Già…” rispose Jonghyun, facendogli sollevare un sopracciglio. Ma se era tutto giusto? “Non capisco perché ti ostini ad usarli…” chiarì il maggiore, riponendo gli occhiali nel loro astuccio, abbandonato poco distante.
 
Kibum storse appena le labbra, senza rispondere. Si imbronciò, chinando il capo, ma la mano di Jonghyun si mosse veloce in avanti, solleticando la sua tenera boccuccia. Non gli piaceva vederlo triste, ma in compenso… adorava quando arrossiva. E fu così che il biondo lo fece ancora. Le guance presero fuoco, e la bassa risata del ragazzo al suo fianco non fece che aumentare il suo imbarazzo.
 
“Oggi verrà quella tizia…” disse la prima cosa che gli venne in mente, cercando di allontanare l’attenzione del bruno dal proprio disagio. Parve riuscirci, perché il più grande borbottò qualcosa, rabbuiandosi. A Kibum venne da ridere, e lo fece, rendendo più pronunciata la smorfia sul viso del suo coinquilino.
 
“A che ora? Io finirò tardi” grugnì  Jonghyun, incupendosi ancora. Non gli piaceva affatto l’idea che il suo Bummie restasse solo con quella. Non la conosceva, ma già la odiava. Incurvò le spalle, tornando a sollevare lo sguardo sul più piccolo.
 
“Arriverà tra un paio d’ore. Io ho un’ultima lezione ancora, tu hai finito?” l’altro abbassò ritmicamente la testa, controllando l’orologio che portava al polso. Doveva cominciare a raccogliere le sue cose. La signora Lee lo aspettava per le 15:00.
 
Kibum parve rattristarsi, mentre il più grande si metteva in piedi, infilando il cappotto rosso. Jonghyun se ne accorse, e il biondo si voltò rapidamente, abbassando le lunghe ciglia. Una mano gli accarezzò i capelli, scompigliandoli dolcemente. L’alito caldo del bruno gli sfiorò una guancia, facendo sussultare il minore, che si ritrovò le labbra morbide del più grande contro la pelle.
 
Il cuore fece una capriola, e il suo proprietario chiuse automaticamente gli occhi, godendosi quel breve contatto che gli aveva fatto trattenere il respiro. Jonghyun si allontanò controvoglia, accompagnando quel bacio con una breve carezza, che andò a sfiorare quella nuova emozione che aveva colorato le guance del biondo.
 
“Tieni Bummie…” gli disse con dolcezza, allungandogli il proprio ombrello. Fuori ancora pioveva. Kibum arrossì ancora di più, ricordando improvvisamente di aver lasciato il suo a casa. “Io ho il cappuccio…” lo rassicurò il bruno, notando il suo sguardo indeciso. Il suo coinquilino gli sorrise, con gratitudine, e le dita che si chiusero intorno al manico sfiorarono le proprie.
 
Il più grande abbozzò un sorriso, lottando contro la scarica di desiderio che quel semplice contatto gli aveva smosso dentro. Raccolse le sue cose, lanciando un ultimo sguardo al volto dolce del suo piccolo compagno di appartamento, e si allontanò a malincuore verso l’uscita della biblioteca.
 
Kibum sospirò, seguendo le sue spalle larghe. Si diede dello stupido, mentre un piccolo dolore si impadroniva del suo cuore, e Jonghyun scompariva dalla sua vista. Si sentiva malato. Contagiato da quello strano virus... di cui aveva letto su quegli sdolcinati romanzi d’amore, che le ragazze compravano di continuo. Incurvò le spalle, abbattuto, scuotendo la testa.
 
“Come mi sono ridotto…” pronunciò a mezza voce, passandosi una mano tra i capelli, ricordando la carezza del bruno. Il dolore al petto fu sostituito dal calore di quell’ultimo gesto, strappandogli un piccolo sorriso. Non aveva più voglia di rimanere lì. Avrebbe aspettato gli altri studenti in aula, magari chiacchierando con quel professore simpatico, che gli sembrava anche incredibilmente preparato.
 
Raccolse i libri, rimettendoli nella tracolla. Il blocco degli appunti lo tenne in mano, riponendo fra le sue pagine i fogli che aveva scribacchiato all’ultima lezione. C’era una cosa che avrebbe voluto chiedere, al docente, prima che la spiegazione andasse avanti. Ripiegò il giubbotto sopra il braccio, lasciando alla donna dietro il bancone i volumi che aveva preso in prestito, e attraversò l’entrata con movimenti eccessivamente veloci.
 
Aveva fretta. Il tizio sul quale finì addosso non fece neanche in tempo a vederlo in volto, ma doveva essere piuttosto corpulento, considerando il dolore che avvertì alla spalla, subito dopo l’urto. Perse l’equilibrio, finendo rovinosamente al suolo. Rosso per la vergogna, balbettò imbarazzato le proprie scuse, raccogliendo i fogli che aveva seminato a terra. La mano che si allungò verso di lui… lo sorprese.
 

“Ti sei fatto male?”

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Capitolo 15
*** Il ragazzo dietro la fontana ***




 

Capitolo 14 - Il ragazzo dietro la fontana

Quando Jinki era tornato nel proprio appartamento, il giorno prima, lo aveva trovato vuoto. Sorrise, infilando la maglia viola e recuperando i jeans chiari. Non era andato a cercarli, sicuro che fossero insieme, preferendo lasciargli del tempo per poter restare da soli. Rilesse un’altra volta il foglietto spiegazzato, che aveva trovato sul tavolo, appena entrato.
 
“Grazie di tutto Hyung! Io sto tornando a casa e, anche se non so bene come, sono sicuro che in tutto questo ci sia il tuo zampino. ^^ Non dire niente a Minho-hyung… però ti meriteresti un bacio in bocca in questo momento! >_< A domani, Tae”.
 
Il ragazzo dagli occhi nocciola si riempì d’orgoglio, lieto di aver spinto quei due a chiarirsi. A dirla tutta… si era anche sentito un po’ in colpa, all’inizio, per aver tenuto il più grande lontano dal suo coinquilino. Così aveva cercato di fare ammenda, combinando il loro incontro, garantendo al moro la possibilità di confessarsi.
 
La porta si aprì, sul lungo corridoio di quel palazzotto non particolarmente nuovo, poco lontano dall’università. I guaiti, oltre le scale, li riconobbe subito. Jonghyun era già sul pianerottolo, e teneva gli occhi puntati sulla sottile figura di Kibum. Non che ci fosse da meravigliarsi, ma quando quest’ultimo si sporse in avanti, chinandosi verso Lucy, le guance del più grande si tinsero immediatamente di rosso.
 
La cagnolina si era rattristata, come ogni mattina, quando il suo padrone andava via. Si strofinò alla gamba del più piccolo, cercando di strappargli un ultimo istante di attenzioni. Il sorriso che l’inquilino del 22/B le rivolse fu estremamente dolce, mentre si sporgeva in avanti, accarezzando la sua testolona scura. Il ragazzo al suo fianco si passò nervosamente una mano tra i capelli, osservando con eccessivo interesse il piccolo sedere che si era proteso verso di lui.
 
Jinki si lasciò sfuggire una risatina, avvicinandosi a loro, e il bruno si schiarì velocemente le voce, voltandosi dall’altro lato. Gli occhietti allegri di Kibum apparvero subito dopo, appena occultati dalla frangetta chiara. Il maggiore gli arruffò i capelli, e Jonghyun grugnì il suo disappunto.
 
“Non sarai geloso anche di me?” indagò il padrone di casa, divertito, mentre il biondo si offriva volontario per andare a chiamare gli altri due ritardatari. Il ragazzone dai capelli scuri borbottò qualche parola incomprensibile, eclissandosi nel proprio imbarazzo. Jinki lasciò qualche pacca amichevole alle sue spalle nervose, e rise ancora.
 
Taemin spalancò la porta del proprio appartamento, con un sorriso talmente radioso da far storcere le labbra alla sua omma. Tutta quell’euforia gli puzzava di “novità”. Intrufolò la testolina curiosa oltre il braccio che sosteneva l’uscio, incrociando lo sguardo titubante di Minho.
 
Gli occhi di Kibum si strinsero, mentre il moro infilava velocemente una felpa. Da quando in qua ci si vestiva in cucina? Il ragazzino fissò a sua volta il ventre piatto del coinquilino, sul quale madre natura aveva disegnato dei perfetti addominali, e arrossì appena, mordendosi le labbra. Altro particolare da non tralasciare.
 
“Non esiste più la decenza?!” commentò il biondo, acido, con quella che suonò alle orecchie dei presenti come una domanda totalmente retorica. Difatti nessuno rispose, e i due abitanti del 24/D si affrettarono a seguirlo, uscendo dal proprio appartamento.
 
“Buongiorno!” squittì la vocina allegra di Taemin, che si stava velocemente allontanando dall’aria minacciosa della sua omma, raggiungendo il resto del gruppo. Jonghyun e Jinki risposero al suo sorriso, gentili, scambiando qualche frase di poco conto.
 
Minho deglutì a fatica, mentre le dita della prima donna si chiudevano con forza attorno al suo braccio. Fu obbligato a rallentare il passo, mantenendosi lontano dagli altri, che avevano già iniziato ad imboccare la via per le scale. Il moro si voltò a guardare il più grande, trepidante, in attesa della ramanzina che era sicuro fosse sul punto di fargli.
 
“Avete chiarito?” la domanda venne posta con un tono tranquillo, e sinceramente interessato. Kibum sollevò gli occhi felini verso l’amico, stupendolo con la comprensione che Minho ci lesse dentro. “Non sono fatto di pietra, e anche se a volte sono… intollerante… questo non vuol dire che non ti voglia bene” si erano fermati, e il biondo aveva abbassato la testa, improvvisamente a disagio.
 
“Sono rimasto in disparte per due giorni, e non credere che non avessi intuito quello che stava succedendo” ammise quest’ultimo, storcendo le labbra rosse “Ho cercato di non mettermi in mezzo, una volta tanto…” proseguì, e un sorriso imbarazzato incurvò la sua bocca a forma di cuore “Se tu puoi renderlo felice, non hai bisogno della mia benedizione”.
 
Il moro sgranò gli occhi, commosso dalle parole del più grande. Sorrise a sua volta, abbracciando brevemente il ragazzo che gli stava di fronte, sorprendendolo. Kibum gli apparve titubante, ma alla fine alzò a sua volta le braccia, circondando i fianchi dell’amico. Sospirò contro la sua spalla, e pochi secondi dopo si ritirò dolcemente dalla sua stretta.
 
“Solo una cosa” lo ammonì, sollevando il dito indice in aria “Non farmi assistere mai più a scene come quella di poco fa!” intimò, spintonandolo piano “Sono debole di cuore… e non posso credere di aver appena concesso, ad un pervertito come te, la mano del mio piccolo Minnie!” sbuffò, fingendosi contrariato, e riprese a camminare.
 
Minho non si fece ingannare dal suo tono burbero, e il sorriso che aveva ridisegnato, poco prima, la curva delle sue labbra, non scomparve. Gli occhi scuri si riempirono d’affetto, mentre seguivano le esili spalle del più grande, che si era fermato in quel momento davanti alle scale. Gli corse incontro, felice, e insieme raggiunsero gli altri.
 

*****

 
La mia omma, lo sapevo bene, non avrebbe mai fatto del male al ragazzo di cui mi ero innamorato. Così trattenni Jinki, quando fu sul punto di tornare indietro a cercarli. Eravamo già nel cortile, ma Kibum e il mio coinquilino ancora non si vedevano. Sorrisi, rassicurando il nostro padrone di casa, e anche Jonghyun appoggiò la mia scelta.
 
“Tranquillo Hyung!” disse rivolto al più grande, schiacciandomi l’occhio “Minho gli starà chiedendo il permesso di sposare Tae!” se ne uscì con quella battuta, come se fosse totalmente convinto di quello che stava dicendo, e io credo di essere diventato rosso come un peperone.
 
Lo avevano capito tutti, giusto? Jinki conosceva il mio segreto, e aveva combinato l’incontro del giorno prima. La mia omma era troppo intelligente, per non aver intuito cosa stava accadendo tra noi. E, a quanto sembrava, anche per Jonghyun eravamo ormai un libro aperto.
 
“Ma scusate” borbottai, risentito “da quanto tempo lo sapevate voi due?!” chiesi stizzito, incrociando le braccia sul petto. Le loro risposte, convinte e affatto titubanti, mi fecero spalancare la bocca.
 
“Dalla prima volta che vi ho visti insieme!” esclamò Jinki, euforico, poggiando una mano sulla spalla di Jonghyun, alla ricerca di una conferma. “Da quando Minho mi ha aiutato a traslocare!” disse a sua volta, sorridendo al più grande “Impossibile non notarlo!” aggiunse, divertito, mentre la mia mascella toccava il suolo.
 
In pratica… ero stato solo io il cieco! Sbuffai, arrossendo ancora di più, e il braccio che mi avvolse le spalle mi fece sussultare. Dovevano essere arrivati mentre noi parlavamo ma, tutto preso dalla conversazione, non mi ero assolutamente accorto della loro presenza. Il mio coinquilino mi sorrise, facendo aumentare notevolmente il mio imbarazzo.
 
“Tempismo perfetto…” sbiascicai, facendogli sollevare un sopracciglio. Kibum lo notai solo in quel momento. Si era avvicinato a Jonghyun, infilandogli per la centesima volta il berretto di lana in testa, e quest’ultimo era tutto intento a cercare di acciuffarlo, mentre la mia omma sgusciava come un’anguilla lontano dalle sue braccia.
 
I nostri occhi si incrociarono, solo per un attimo, e la sua espressione si addolcì immediatamente. Mi sorrise, e l’amore che lessi nel suo sguardo mi sciolse il cuore. Kibum è sempre stata una parte importante della mia vita. Ricevere la sua approvazione, quel giorno, ebbe il potere di lavare via le mie ultime paure.
 
Io e Minho ci eravamo innamorati, e i nostri amici appoggiavano la nostra unione. Mi lasciai stringere dal mio Hyung, ridendo piano quando i suoi capelli mi solleticarono il collo. Si era chinato verso di me, baciandomi una guancia, e la gioia che provavo dentro… divenne finalmente completa.
 
La strada verso scuola mi parve più breve del solito, animata dalle chiacchiere di Jonghyun e le battute pungenti della mia omma. Battibeccavano di continuo, per le cose più banali e prive di significato. Il ragazzo dai grandi occhi scuri si imbronciava, rattristato, e il più piccolo sbuffava, concedendogli quello che voleva.
 
Jinki li osservava, sorridente. La sua espressione sembrava volesse dire: “Adesso restate solo voi due”. Io condividevo in pieno i suoi pensieri, e quando Kibum rimase intrappolato tra le braccia del più grande, arrossendo fino alla punta dei capelli, l’euforia di Jonghyun coinvolse anche me.
 

*****

 
Hyuri camminava verso l’università, assonnata, con Min Nyu al seguito. Erano vicine di casa, ma avevano avuto modo di conoscersi meglio solo in facoltà. La ragazza dai capelli chiari scosse la testa, ridendo, divertita da quello che aveva appena ascoltato.
 
“Ti giuro, quasi cascavo a terra! Credo si fosse dimenticato del mio arrivo, perché i suoi occhi mi sono apparsi completamente stralunati!” sospirò, unendo entrambe le mani davanti al viso e sollevando gli occhi al cielo “Kibum-Oppa… quanto mi piace il suo nome…” con quella voce sognante, e lo sguardo emozionato, Hyuri poté solamente ridere più di prima.
 
“Ti sei presa proprio una bella cotta!” la punzecchiò, facendola arrossire, ma la più piccola si aggrappò al suo braccio, per niente risentita. Dopotutto era la verità. Quel ragazzo dagli occhi affilati e i capelli biondi… le piaceva da impazzire.
 
“Poi è così gentile, così attento…” Hyuri inarcò un sopracciglio, sorpresa da quell’osservazione “Davvero!” continuò Min Nyu, intuendo il suo scetticismo “Mi chiedeva sempre se avessi capito, e poi mi ha anche offerto del tè… credo di aver perfino balbettato, in più di un’occasione” ammise, imbarazzata, gonfiando le guance rosate.
 
L’amica non rispose, limitandosi ad osservare il profilo dell’altra, pensierosa. E così Jonghyun non era il solo…a subire il fascino del bel saputello. Si, lo sapeva. Lei e quella testa calda si conoscevano da troppo tempo, e il modo in cui il più grande fissava Kibum, o tutte le scuse che utilizzava per toccarlo… non erano passate inosservate.
 
“Poi è arrivato quel tuo amico” disse ancora Min Nyu, ridestando l’interesse di Hyuri “e tutta la magia è scomparsa…” la ragazza dai capelli scuri sospirò, rattristata, incurvando le spalle delicate. “Avresti dovuto vederlo. Si è piazzato senza troppe cerimonie accanto a noi, senza neanche un briciolo di discrezione. Oppa mi sembrava infastidito dalla sua presenza. Si è innervosito subito, e non lo degnava di considerazione…”
 
Hyuri, nell’udire quelle parole, fu di tutt’altro avviso. Immaginò la scena, e fu assolutamente certa che la tensione creatasi… non fosse dovuta minimamente al fastidio. A Kibum piaceva Jonghyun. Era talmente palese da risultare perfino stupido. Ogni volta che erano vicini, gli sguardi che si scambiano parlavano abbastanza chiaro.
 
“Più volte ci ha anche interrotti, chiedendo spiegazioni su questo e su quello. Ma anche a lui Oppa ha concesso delle ripetizioni?” chiese Min Nyu, rivolta all’amica. Quest’ultima si lasciò sfuggire una risatina, che occultò rapidamente dietro una mano, con la quale si coprì la bocca.
 
“Si, diciamo così…” confermò, sollevando appena le spalle “Ma non credo che Jonghyun debba pagarlo, come fai tu…” aggiunse, ironica, e lo sguardo perplesso della più piccola… finse di non vederlo.
 
Le dita di Hyuri si intrufolarono veloci dentro la borsa, recuperando il proprio cellulare. Era rosa, come la gonna che la sua proprietaria stava indossando, con un piccolo panda che ci penzolava affianco. Il messaggio venne composto velocemente, mentre un nuovo sorriso increspava le labbra della ragazza.
 
“Buongiorno Jong! Dormito bene? Ho sentito parlare della tua frustrazione, di ieri sera… ^^ Il tuo piccolo Bummie ti mette a dura prova? Non temere, nessuno può resistere al tuo fascino! u.u Un bacione ^^”
 
Il destinatario sussultò, leggendo quelle parole, e nascose il palmare alla vista del suo coinquilino. Kibum si irrigidì, diventando scontroso. Quando il bip dell’e-mail aveva fatto tremare la tasca del bruno, al cui braccio era ancora aggrappato, il più piccolo si era sporto istintivamente verso l’altro, sbirciando il display colorato.
 
“Solo un vecchio amico…” commentò Jonghyun, che si era accorto delle sue labbra imbronciate. Il biondo borbottò che non gli importava, separandosi completamente da lui. Una mano si allungò immediatamente, cercando di trattenerlo, ma il ragazzo la evitò senza indugio, allontanandosi.
 
“Problemi?”
 
Kibum aveva raggiunto Taemin, che trotterellava davanti a tutti, e Minho si accostò al compagno di corsa, osservando il suo profilo rattristato. Il più grande non rispose, allungandogli il proprio cellulare.
 
Il moro inarcò un sopracciglio, leggendo il messaggio. Non aveva capito. Jonghyun fissò le sue sopracciglia aggrottate, e sospirò pesantemente. “E’ di Hyuri. Ieri sera, quando sono tornato a casa, c’era quella tizia insieme a Bummie” spiegò abbattuto “Deve averle raccontato che ho cercato di intromettermi tra loro, e lei mi ha mandato quello…” concluse, indicando il palmare con un gesto del capo.
 
“Mmm…” fu l’unico suono che venne emesso da Minho, mentre chiudeva automaticamente la casella dei messaggi. La schermata iniziale apparve sul display quadrato, rendendo ancora più perplessa l’espressione del moro. Sullo sfondo c’era una foto di qualche anno prima, al mare, raffigurante un Jonghyun abbronzato… che teneva Hyuri tra le braccia.
 
“Sembrate molto uniti” commentò il più piccolo, indicando lo schermo luminoso, e l’altro annuì, distratto. Non aveva afferrato il sottile sottointeso, celato tra le parole di Minho. “C’è qualcosa tra voi?” chiese l'altro a bruciapelo, facendo bloccare improvvisamente il bruno, che si voltò a guardarlo, sorpreso.
 
Jonghyun si passò una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi, e inspirò profondamente. Non sapeva bene come rispondere, e il suo indugio era ben visibile sul suo volto espressivo. Il moro rimase sconcertato da quel comportamento. Era convinto che al maggiore piacesse Kibum. Ma allora perché, davanti alla sua insinuazione, non negava fermamente un suo coinvolgimento amoroso nei confronti della ragazza.
 
“E’ una faccenda complicata” mormorò alla fine, rabbuiandosi “Io e Hyuri ci siamo stati vicendevolmente vicini, in momenti delle nostre vite che non sono stati propriamente facili” spiegò, infilando le mani dentro le tasche dei jeans e ricominciando a camminare. Manteneva lo sguardo basso, e quel comportamento a Minho non piacque per niente. Non era da Jonghyun… nascondere le proprie emozioni.
 
“Tengo tantissimo a lei, e per Hyuri è la stessa cosa, ma siamo solo buoni amici” concluse il bruno, rivolgendogli un sorriso che non gli parve completamente naturale. Dopo quella breve conversazione, il ragazzo più alto si ritrovò con qualche pensiero in più. Niente che potesse essere considerato piacevole, fra l’altro. Mentre, a sua insaputa, la mente dell’amico si riempiva di vecchi ricordi.
 
Jonghyun si riprese il cellulare, fissando per alcuni secondi quella foto, di molti anni prima, dove i propri occhi apparivano un po’ più sereni. Poi sospirò, infilandolo in tasca, e la scuola di Taemin apparve all’orizzonte.
 

*****

 
Avevo un’ora buca, ma di andare a cercare quella scimmia non ne avevo la minima voglia. Il cielo si era schiarito, facendo trapelare tra le sue folti nubi qualche timido raggio. Scrollai le spalle, incurante di ciò che il buon senso mi suggeriva, e mi allontanai in direzione del cortile. Faceva ancora freddo, e non sarebbe stato consigliabile passare tutto quel tempo all’aperto, ma me ne infischiai. Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria.
 
Feci qualche passo sull’erba, perdendomi tra i miei pensieri, e prima ancora di rendermene conto ero arrivato ai piedi della fontana. Lasciai vagare lo sguardo sulla limpida superficie dell’acqua, sedendomi sulla sponda di quella gigantesca costruzione in pietra. In alto, una donna dall’aspetto fiabesco, teneva le mani unite a coppa, davanti al viso. Fra le dita, il forellino dal quale zampillava l’acqua neanche si vedeva. Quella fontana era l’orgoglio del preside.
 
Mi venne da sorridere, ricordando l’uomo attempato, conosciuto il primo giorno, con quegli strani occhietti tondi e il pancione pronunciato. Era gentile, ma sorrideva anche un po’ troppo. Accarezzai la superficie riflettente, trovandoci nascosta la mia espressione triste, e mi feci una smorfia.
 
“Dannato Jonghyun!” borbottai, schiaffeggiando l’acqua. Perché non mi aveva permesso di leggere il messaggio? Ok, il mio comportamento era stato inopportuno però… che avesse qualcosa da nascondere? Quell’ipotesi fece incurvare ancora di più le mie spalle, mentre sollevavo le ginocchia al petto, e ci lasciavo cadere sopra il mento, sospirando.
 
Passarono diversi minuti, ma il mio sguardo continuava a rimanere fisso sull’erba. La sera prima, quando si era comportato in quel modo infantile, frapponendosi con un sorriso tra me e Min Nyu, mi aveva reso felice. Si, sono idiota, basta poco per farmi battere il cuore. O meglio, basta poco a Jonghyun. Avevo gongolato, prima di addormentarmi, fissando il soffitto e immaginando la sua gelosia. Evidentemente mi ero sbagliato.
 
Aveva allontanato il cellulare, impedendomi di leggere il contenuto di quell’e-mail. Non era stato molto veloce, comunque. Il nome del mittente lo avevo riconosciuto subito. Sbuffai, infastidito, ma quando gli occhi divennero lucidi… mi rifiutai di lasciarmi andare allo sconforto. Non era da me. E poi la conoscevo da troppo poco tempo… quella scimmia sorridente, che a quanto sembrava era anche capace di farmi piangere.
 
Il vento soffiò forte, all’improvviso, facendomi rabbrividire. Mi strinsi nella braccia, cercando di preservare il petto, ma ciò che custodivo si era già congelato. Una lacrima scivolò, silenziosa, e l’asciugai rapidamente, furioso.
 
“Ti prenderai un malanno, se continui a restare qui…”
 
Quella voce mi fece sussultare, e anche arrossire. Credevo di essere solo. Avevo ancora il capo chino, sulle gambe, e speravo con tutto il cuore che quella persona non mi avesse visto piangere. Sollevai lo sguardo, cercando il proprietario di quel tono pacato e gentile. Intravidi una sagoma, alle mie spalle, ma l’acqua che sgorgava dalla fontana mi impediva di scorgerne il volto.
 
Quando si alzò, venendomi incontro, schiusi istintivamente le labbra, sorpreso. Riconobbi il ragazzo contro il quale ero finito il giorno prima. Quello della biblioteca. Lui mi sorrise, sedendosi accanto a me. Non disse nulla, neanche quando notò i miei occhi rossi, e ringraziai mentalmente quella discrezione che mi aveva concesso.
 
Volse lo sguardo al cortile, allargando le braccia e portandole all’indietro. Puntò le mani sul granito freddo, e notai i guanti che indossava. Sembravano quelli di un motociclista. Di pelle. Fasciavano il palmo e lasciavano scoperte le dita. Aggrottai le sopracciglia, senza neanche accorgermene, e lui si voltò proprio in quel momento.
 
“Cosa c’è?” mi chiese, sorridente, stendendo le gambe e incrociando le caviglie.
 
“I guanti…” risposi sincero, arrossendo subito dopo. Parve capire, e il suo sorriso divenne più largo. Che il mio imbarazzo lo divertisse? Scossi la testa, e lasciai correre via quel pensiero. In un'altra occasione avrei risposto a tono, mandandolo a farsi un giro, ma in quel momento ero troppo abbattuto per uno scontro verbale.
 
“Ho la moto” spiegò poco dopo, e il suo tono mi parve improvvisamente più dolce. “Guarda, è quella lì…” aggiunse, allungando un dito, indicandomi un punto poco lontano. Dall’altra parte della strada, proprio davanti alla facoltà, riconobbi un’Honda arancione. Non avrei saputo identificarne il modello, non ci capivo una mazza di quegli aggeggi. Il suo fianco affusolato, e il suo muso sporgente, comunque… mi piacquero.
 
“Viaggi con quella?” lo dissi senza pensarci troppo, felice di poter parlare di qualcosa di insignificante. Mi serviva una chiacchierata leggera, disinteressata, che non mi desse modo di pensare al mio coinquilino.
 
“Già” confermò quel ragazzo, abbassando la testa. “E’ il mio gioiellino” aggiunse, sorridendo ancora, e si passò elegantemente una mano tra i capelli.
 
Lo osservai per un attimo, mentre chiudeva il libro che teneva sulle ginocchia, e lo riponeva nella seconda tasca del proprio zaino. Le ciocche che gli ricaddero davanti agli occhi erano scure, così come i suoi occhi. Il profilo era regolare, preciso. Più morbido, rispetto a quello di Jonghyun. Le labbra non erano molto grandi, ma ben disegnate. In quel momento era serio, mentre appuntava un segnalibro tra le pagine di quel grosso volume, e lo faceva ricadere nella cartella.
 
Ripensai al suo sorriso gentile e, per qualche motivo a me sconosciuto, decisi che quel tizio mi piaceva. C’era qualcosa di familiare in lui, qualcosa che… non sapevo bene come… mi ricordava me stesso. Il titolo del libro che aveva posato lo avevo riconosciuto. Era un testo scritto da un famoso scienziato, diversi anni prima, che trattava di riproduzione e selezione naturale, ricollegandosi alle più antiche ideologie di Darwin.
 
“L’ho letto anch’io” osservai, e lui capii immediatamente a cosa mi riferivo. Il vento non voleva saperne di calmarsi, e quando rabbrividii nuovamente… il giubbotto che mi allungò mi fece arrossire ancora.
 
Passammo parecchio tempo, seduti lì, parlando di fisica e motori. Sul primo argomento andavo tranquillo, risultando anche un po’ puntiglioso, ma a lui la parola non mancò mai. Se ne intendeva, e la sua intelligenza mi sorprese parecchio. Non l’avrei mai detto, dai suoi jeans strappati e gli anfibi di pelle.
 
Il settore motori era per me un immenso punto interrogativo. Se ne accorse, e cercò di parlarne nel modo più semplice possibile. Gliene fui grato, ma non capii niente ugualmente. Quando le nuvole divennero grigie, e il primo lampo illuminò il cielo, la pioggia era ormai imminente.
 
“Forse è meglio se entriamo dentro” mi suggerì, alzandosi. Lo seguii verso la facoltà, con addosso il suo piumino, e le guance non persero neanche per un attimo il loro colorito imbarazzato. Mi sentii un idiota, e quasi inciampai sull’ultimo scalino davanti alla porta.
 
Quel tipo tese una mano, sorreggendomi. “Cadi un po’ troppo spesso” commentò, divertito, e io mi allontanai dalla sua presa, borbottando. Non erano solo i lineamenti ad essere differenti. Anche il suo tocco… non era come quello di Jonghyun. Gentile, caldo… quello si. Ma nonostante il disagio, il mio cuore non prese a battere più forte, e il mio corpo non vibrò sotto le sue dita.
 
Quella scimmia era speciale. O forse… era speciale solo per me. Quella consapevolezza mi irritò moltissimo. Quell’idiota mi aveva fatto arrabbiare, e star lì a pensare a lui… non mi aiutava a dimenticare quello che era successo.
 
“Ti chiedo scusa se l’altro giorno sono scappato via in quel modo, ma andavo parecchio di fretta” aveva ripreso a parlare, incamminandosi verso il lungo corridoio del primo piano. Scossi la testa, dicendo che non importava. Mi aveva aiutato a rialzarmi, raccogliendo e riordinando i miei appunti, tanto mi era bastato.
 
Sorrise, porgendomi la mano destra, e io la presi immediatamente. “Piacere, il mio nome è Jung Byung-Hee”. La sua stretta era forte, salda. Per un attimo temetti che mi stritolasse le dita, ma lui si dimostrò gentile, ancora una volta.
 
“Kim Kibum, piacere mio” risposi, facendo una piccola smorfia, che lo fece ridere subito dopo. Quando lo spintonai lo feci istintivamente, con naturalezza, quasi lo conoscessi da anni. Byung-Hee non si scompose, e continuò a camminare al mio fianco, allegro.
 
Il suono della campana annunciò la fine della quinta lezione. Era ora di pranzo. Il cellulare vibrò, nella tasca dei miei pantaloni, e io lo raccolsi. Pigiai con il polpastrello del pollice sull’icona lampeggiante, senza badare al nome in grassetto, che contraddistingueva quel breve messaggio.
 
“Bummie, dove sei? Sono venuto a cercarti, ma non ti ho trovato. Stiamo andando in mensa, raggiungici là”.
 
Storsi le labbra, cacciandomi nuovamente il palmare in tasca, e il sopracciglio di Byung-Hee si inarcò immediatamente. Il mio disappunto doveva averlo incuriosito. Non dissi nulla. Come spiegare la mia travagliata convivenza con quella scimmia in poche parole? Era inutile, per cui ci rinunciai. Un’altra idea, molto più perfida, stava prendendo forma nella mia mente.
 
“Resti per le lezioni del pomeriggio?” gli chiesi, tranquillo, e lui confermò la mia ipotesi “Ti va di pranzare insieme? Non conosco molta gente in facoltà, ma io e i miei amici normalmente occupiamo lo stesso tavolo. Ti unisci a noi?”
 
Il sorriso di Byung-Hee fu sincero, così come le sue parole, quando rifiutò il mio invito. “Mi spiace, oggi non posso proprio. Dovrei incontrare una persona tra…” sollevò il polso, controllando rapidamente l’orologio “Venti minuti”  aggiunse, con una piccola smorfia.
 
“Peccato” mi dissi, scrollando le spalle di fronte alla sua espressione rammaricata, e gli restituii il giubbotto. Il suo sguardo tornò ad addolcirsi, mentre mi proponeva un compromesso. “Facciamo domani, va bene?”
 
Lisciai la frangetta bionda, gongolante, eliminando con cura le poche pieghe che avevano increspato la mia felpa. Lo sguardo attento che mi venne rivolto lo notai appena. Solo quando entrammo in mensa, e i miei occhi si puntarono euforici sul tavolo in fondo alla sala, al quale era seduto Jonghyun, Byung-Hee parlò.
 
“Ti sei rimesso in ordine. Andiamo ad incontrare qualcuno di importante?” aveva avvicinato le labbra al mio orecchio, sussurrandoci direttamente quella domanda maliziosa. Sbiancai, punto sul vivo, voltandomi repentinamente verso di lui. Me lo ritrovai ad un pelo dal naso, e il suo sorriso raggiante parve dire “Beccato!”
 
Avvampai in un battito di ciglia, mentre la bassa risata del ragazzo che mi stava di fronte mandava completamente in pappa il mio cervello. “Ci vediamo domani” mi disse, portando due dita alla fronte, quasi fosse un militare. Rise ancora, per poi allontanandosi verso l’uscita.
 
Degli occhi che si puntarono, furiosi, nella nostra direzione… non mi accorsi.
 

*****

 
Jonghyun era seduto al solito posto, in attesa del suo coinquilino. Quando il più piccolo entrò in sala, la sua presenza attirò immediatamente gli occhi del bruno, portandolo a voltarsi. Quello che vide... non gli piacque per niente.
 
Kibum era fermo, accanto alla porta, insieme ad un tizio che non aveva mai visto. Era alto, muscoli proporzionati e fisico asciutto. Si stava abbassando verso l’orecchio del biondo, mentre questi era distratto, bisbigliandoci qualcosa. Gli occhi di Jonghyun si chiusero in due fessure, minacciosi, e il ragazzo accanto allo sconosciuto arrossì fino alla punta dei capelli.
 
Serrò i pugni, lungo i fianchi, mettendosi repentinamente in piedi. La sedia finì a terra, allarmando gli amici accanto, che non si erano accorti di nulla. Jinki sollevò istintivamente una mano, con l’intenzione di toccargli una spalla, ma il bruno era già scattato in avanti, allontanandosi.
 
Minho sgranò gli occhi, afferrando il braccio dell’assistente di laboratorio. “Guarda!” esclamò, facendolo ruotare velocemente verso l’entrata. Kibum era lì, impalato, con un tipo ad un pelo dal naso. Quest’ultimo sorrideva, soddisfatto, mentre il loro vicino sembrava avesse appena visto un fantasma.
 
“Lo ammazza” furono le uniche parole che uscirono dalla bocca di Jinki, in risposta a quella scena, mentre già si muoveva, lanciandosi all’inseguimento di Jonghyun. Il moro gli fu subito dietro, ma nel frattempo lo studente accanto a Kibum si era allontanato, abbandonando la mensa.
 
La mano che si strinse attorno alla spalla del biondo non fu affatto gentile, semmai rude, rabbiosa. Lo strattonò appena, spingendolo repentinamente verso il corpo del coinquilino. Gli occhi del bruno stavano letteralmente schizzando fuori dalle orbite, mentre la voce profonda formulava duramente la prima domanda.
 
“Chi era?!” il più piccolo aveva strabuzzato gli occhi, ancora rosso in viso, osservandolo stralunato. Non si era accorto della marcia furiosa che aveva portato Jonghyun verso di lui, né tanto meno dello sguardo di fuoco che aveva rivolto alle spalle di Byeong-Hee.
 
“Che voleva da te?!”
 
Il più grande iniziava a perdere la pazienza, e i gesti bruschi con i quali strattonò Kibum, cercando di farlo parlare, ebbero solo il potere di far imbestialire quest’ultimo. Le dita sottili si arpionarono con irritazione alle braccia del bruno, spingendolo via.
 
“Non sono affari tuoi!” ringhiò, furioso, allontanandosi a sua volta in direzione del corridoio.
 
La mente annebbiata di Jonghyun dovette suggerirgli che stava andando dietro a quel tizio perché, dopo un attimo di sorpresa, dovuto alla reazione del biondo, questi partì immediatamente all’inseguimento del coinquilino. Minho e Jinki si fissarono, non sapendo come comportarsi.
 
La rabbia per quello che gli era stato fatto, giusto quella mattina, si impossessò nuovamente di Kibum, spingendolo ad allungare il passo. Quella scimmia nana aveva le gambe più corte delle sue, ma era anche incredibilmente veloce. Lo raggiunse subito, appena varcata la porta della mensa, bloccandolo per un polso.
 
Se non altro, adesso, non daremo spettacolo!
 
“Rispondimi quando ti parlo!” urlò il più grande, facendo rabbrividire gli altri due amici, che li avevano seguiti. L’assistente di laboratorio poggiò una mano sul petto del moro, fermandolo. Scosse la testa, indicandogli gli altri ragazzi, poco distanti.
 
“E’ meglio lasciarli soli”. Minho non parve del suo stesso avviso, e fremette, tornando a guardare Kibum e Jonghyun.
 
Il primo si era liberato ancora una volta dalla presa del coinquilino, facendo subito dopo un passo verso di lui, e spingendolo lontano. Il bruno si lasciò nuovamente sorprendere, retrocedendo di pochi passi. Gli occhi affilati del più giovane si puntarono sui suoi, frustrati e pieni di rancore.
 
“Un vecchio amico” rispose, sprezzante, rifilandogli le stesse parole che si era sentito rivolgere quella mattina. Jinki sospirò, intuendo il motivo di quanto avevano appena visto. Trascinò il moro verso la mensa, ignorando le sue proteste, e una volta rimasti soli si voltò a guardarlo, sorridente.
 
“Sono solo scaramucce tra innamorati” poi scrollò le spalle, e riprese il proprio posto, iniziando a mangiare. La mascella di Minho per poco non cadde a terra mentre, fuori la porta, la battaglia non era ancora finita.
 
“Non prenderti gioco di me! Quello era ad un millimetro dal tuo viso!” Jonghyun gli aveva puntato un dito contro, con fare inquisitore, e il biondo aveva prontamente provveduto a schiaffeggiarlo via.
 
“Senti chi parla...” rispose, sarcastico, mentre un sorriso forzato si faceva spazio sul suo volto pallido “Come se tu non avessi fatto lo stesso con me, solo poche ore fa…” gli occhi si rattristarono appena, e il più piccolo si voltò veloce, nascondendo le lacrime che li aveva improvvisamente riempiti.
 
Non ci riuscì. Il bruno le aveva viste, vibrando di fronte al rancore di quel delicato ragazzo dalle spalle ricurve. Fu solo un attimo. Come la neve che viene giù d’inverno, sottile e quasi invisibile, la tristezza di Kibum invase anche il cuore del suo coinquilino, pungendolo con il proprio dolore.
 
“Bummie…?” lo chiamò, con dolcezza, mentre la rabbia scivolava via, silenziosa, veloce come era arrivata.
 
“Mi ha solo preso in giro, per il fatto che sistemo di continuo i capelli...” spiegò l'interpellato, debolmente, mordendosi le labbra per impedire alle lacrime di manifestarsi. “Cosa ho fatto di male?” soffiò, tirando su col naso, rabbrividendo subito dopo.
 
Jonghyun si era avvicinato, vinto dalla fragilità di quella voce spezzata. Si diede dello stupido, mentre lo attirava sul proprio petto, trovandolo inaspettatamente arrendevole. Il biondo si lasciò stringere, chiudendo gli occhi. Quel calore, intorno alle braccia, contro la schiena, lo avvolse velocemente. Il cuore perse un battito, e le labbra del più grande si mossero, oltre la curva del suo collo sottile.
 
“Mi dispiace…” il suo scimmione lo strinse più forte, mentre lasciava scivolare le mani sui fianchi delicati, esercitando su di essi una leggera pressione. Lo obbligò a voltarsi, ritrovandosi i suoi occhi smarriti vicinissimi ai propri. Kibum deglutì, lasciandosi accarezzare senza proteste.
 
Le dita del bruno scivolarono dolci, tra i capelli biondi, sulle morbide guance, nuovamente arrossate. Rise piano, mentre il più piccolo si lasciava vincere dall’emozione, chinando il capo. Sfiorò la fronte con la bocca, racchiudendo nei palmi delle mani quel viso dai lineamenti perfetti, che gli aveva stregato il cuore.
 
“Non sono arrabbiato…” lo rassicurò, notando il modo nervoso con il quale Kibum continuava ad afferrarsi alla sua maglia, stringendola tra le dita. “Solo che…” inspirò profondamente. Stava per dire una cosa molto importante. Il sangue aveva preso a fluire più velocemente, dentro le vene, nelle orecchie, annullando il suo udito.
 
Il resto della confessione venne bisbigliato, appena udibile, mentre il proprietario di quella voce emozionata lasciava andare la propria fronte... su quella del ragazzo che stava abbracciando. Il biondo sgranò gli occhi, sorpreso, quasi sconvolto.
 
Il più grande trattenne il respiro, trepidante, e le guance del suo coinquilino divennero ancora più rosse. Le dita sottili si sollevarono, ricoprendo le labbra a forma di cuore. Stavano tremando. Le iridi scure di Kibum si dilatarono appena, commosse, mentre le lacrime tornavano a riempire il suo sguardo.
 
Sorrise. Un sorriso felice… silenzioso. Non era solo il viso a portarne i segni. Le mani, il fiato spezzato, il cuore che batteva furioso nel petto. Tutto, fuori e dentro quel piccolo angelo dai capelli biondi, sembrava stesse urlando la gioia che provava.
 

“Solo io. Voglio essere l’unico... a poterti toccare”

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Capitolo 16
*** Mi sono innamorato ***


NOTE

Bene... tesorini miei... con questo nuovo "lunghissimo" capitolo, spero in qualche modo di riuscire a fare ammenda
per il tremendo e colossale ritardo di questi ultimi tempi. Sono ben 14 pagine di word, e non c'è mica da
scherzare sapete? Normalmente sono solo otto! Quasi il doppio... siete contente?! ^^
Avrei potuto farne due capitoli distinti, ma l'idea di "tagliare" proprio non mi piaceva... u.u
Spero di aver preso la decisione giusta! ^^ E se... in caso... neanche questo bastasse... allora...

>.< JONGHIE PENSACI TUUUUUU!!!! >.<

Un bacione a tutte quante!
Chuuuuu <3



 

Capitolo 15 - Mi sono innamorato

Venerdì mattina. Due giorni dopo la mia sfuriata in mensa. Mi rigiravo nel letto, senza trovare la volontà di alzarmi. Nessuno di noi avrebbe avuto lezioni, e anche Taemin sarebbe rimasto a casa. La facoltà aveva chiuso i battenti, donandoci un po’ di riposo. Non che fosse stata la magnanimità del direttore a guidare quella decisione, semplicemente… c’era una conferenza.
 
Già, una riunione di cervelloni, proprio nella nostra aula più grande. L’argomento riguardava la micro genetica, o qualcosa del genere, non avevo ben capito. Kibum me lo aveva anche spiegato, tutto esaltato e con le mani che si muovevano freneticamente in ogni direzione, ma non ci avevo capito nulla comunque. A lui… ovviamente… non lo dissi. Mi avrebbe ucciso.
 
La scuola di Taemin, invece, organizzava una gita, a cui il mio piccolo vicino aveva deciso di non partecipare. Nessuno aveva creduto alle sue paroline strascicate… mentre annunciava, tutto rosso in volto, che preferiva rimanere a letto per riposare. Figurarsi, l’espressione di Minho era fin troppo eloquente. Così, quella mattina, quando il messaggio del mio compagno di corsa fece vibrare il mio cellulare, sul comodino, avrei perfino potuto evitare di leggerlo.
 
Allungai svogliatamente un braccio, sbadigliando, e recuperai il mio palmare. “Resto a casa con Min, ti spiace? E’ solo che… beh, hai capito.” Le mie labbra si incurvarono automaticamente, immaginando il suo imbarazzo. Tirai indietro i capelli, e ricominciai a leggere. “E non ridere sciagurato!” Che mi avesse messo una di quelle diavolerie elettroniche, con sensori di movimento e microcamera nascosta, dentro la stanza? “Pensa al tuo coinquilino! ^^ Bye bye… u.u”
 
Questa volta fui io ad arrossire, ma per fortuna ero da solo. Bummie mi aveva completamente rincitrullito, facendomi comportare, spesso e volentieri, come un liceale alla sua prima cotta. Magari, solo un pochino però, quella sensazione mi piaceva anche. Era difficile descriverlo a quel tempo. In realtà… credo lo sia tutt’ora.
 
Kibum è sempre stato diverso ai miei occhi. Avevo già avuto delle ragazze, prima di conoscerlo. Alcune storie di poco conto, altre perfino importanti. Ero stato innamorato, avevo fatto l’amore. Non ero mai stato respinto, ma qualche volta mi avevano lasciato. Dicevano che con me non era semplice averci a che fare. Non ho mai capito cosa volessero dire. Pensavano… che sorridessi troppo.
 
Questa poi! Chi è che vorrebbe stare con un musone? Io cercavo di compiacerle, farle ridere. E loro mi definivano “strano”. Anche io avevo i miei problemi, come tutti, ma questo non voleva dire che fossi disposto a condividerli con qualcuno. Beh… magari era proprio questo che intendevano.
 
Non mi è mai piaciuto scaricare le mie frustrazioni sugli altri. Star lì a parlare, per ore ed ore, di ciò che mi preoccupava o mi affliggeva. Io non ero così. Sbagliavo, ne ero consapevole, ma non riuscivo a comportarmi diversamente. I miei pensieri più segreti, in qualche modo, riuscivo sempre a tenerli solo per me. Così le mie ex dicevano che il nostro rapporto era incompleto, superficiale. Non sbagliavano. L’amore non è fatto solo di sorrisi, adesso lo so.
 
Quando conobbi Kibum, capii cosa era andato male… nei miei vecchi rapporti. Se lui mi era vicino, non esitavo a parlare dei miei problemi, semplicemente… si annullavano. Dimenticavo tutto. I rimproveri di mio padre, le aspettative di mia madre, le lacrime di mia sorella… il giorno in cui ero andato via di casa. Scordavo tutto ciò che aveva reso difficile la mia vita, perché… il sorriso di quello scricciolo… aveva il potere di illuminare tutto quanto. Perfino me.
 
Mi alzai, improvvisamente impaziente, e delle ciabatte che non avevo messo… non me ne importò nulla. Dubitai un attimo, fermo davanti alla porta della sua camera. Dovevo bussare? Chiedergli il permesso di entrare? Magari stava ancora dormendo. Lo avrei svegliato? Mi affacciai in cucina, controllando l’orologio appeso alla parete. Le 06:26. Sorrisi. Mi sarebbe bastato aspettare.
 
L’uscio si aprì, silenzioso, verso la stanza ancora al buio. Il giorno prima doveva aver abbassato le persiane. Feci pochi passi, muovendomi a tastoni in direzione del suo letto. Quando un piccolo sospiro riempì l’aria, giungendo fino alle mie orecchie, quasi finivo a terra. Un primo battito, sopraffatto dalla presenza del mio coinquilino, mi serrò la gola, obbligandomi a deglutire. Quelli che seguirono… divennero via via più prepotenti, aggrovigliandomi lo stomaco.
 
Cercai di non fare rumore, mentre permettevo a qualche linea di luce di sfiorare il suo letto. Giusto quel che bastava a permettermi di vederlo. Era coricato a pancia in giù, con entrambe le braccia piegate sotto il cuscino. Immobile, completamente addormentato. Mi fece sorridere. Teneva le labbra dischiuse, inspirando lentamente, e le lunghe ciglia sfioravano le sue guance pallide, donando loro qualche sprazzo d’ombra.
 
Sospirai, provando un desiderio indescrivibile di stringerlo. Non potevo farlo, e feci automaticamente un passo indietro, cercando di allontanare quel pensiero. Quando si voltò su un fianco, trascinandosi dietro il cuscino, un ciuffo biondo gli sfiorò la fronte, e il lenzuolo scivolò appena… lungo la curva della sua spalla. Impossibile! Eppure… era proprio vero!
 
Bummie non portava la maglia. I miei occhi si scontrarono con la sua pelle di porcellana, trovandola estremamente invitante. Credo di aver stritolato le labbra tra i denti, per evitare di saltargli addosso in quel preciso istante. Volsi rapidamente lo sguardo verso il muro, inspirando profondamente. Avevo chiuso gli occhi, cercando disperatamente di ignorare l’eccitazione che mi aveva infiammato l’inguine.
 
Non pensate a me in certi termini! Non sono mica un pervertito! E’ colpa sua! Già… è completamente e totalmente colpa sua. Come si poteva essere così? Come aveva potuto madre natura… creare un corpo come quello? Kibum era la perfezione. Non importava da quale lato lo si guardava, che fosse il viso, le mani, o qualsiasi altra parte. Lui… era… semplicemente perfetto.
 
Un misto di seduzione e innocenza… peccato e redenzione. Bastava uno sguardo dei suoi, e chiunque sarebbe stato ben felice di passare una vita all’inferno, pur di ottenere in cambio una sola notte… con il suo odore addosso. Si, perché… non ci scordiamo il suo profumo. Mi solleticò il naso, proprio in quel momento, riempiendomi i polmoni… e con essi il cuore.
 
Era dolce. Piacevole. Delicato. Come lui. Sapeva di alberi alla prima fioritura… quando tutto intorno è silenzio, e l’unica cosa che accompagna la tua passeggiata… sono quei pochi petali, bianchi e rosati, lungo una via  illuminata dal sole. Ti chini. Ne raccogli uno. Sorridi… e capisci che la primavera è finalmente arrivata.
 
Sollevai le palpebre, lentamente, quasi timoroso, e i miei occhi tornarono immediatamente a cercarlo. Il morbido profilo, sprofondato nel cuscino dalle dolci tonalità pastello, e i capelli biondi scomposti… così soffici e sottili. Imprecai fra i denti, e l’erezione crebbe di più. Dovevo riacquistare la calma, perchè quei numerini luminosi, che apparivano e scomparivano ad intermittenza… me lo stavano imponendo.
 
La sveglia di Kibum mi apparve stranamente inquietante, ma forse… il motivo della mia angoscia… era solo l’orario che ci leggevo impresso sopra. Le 06:29. Solo un minuto. Sessanta miseri secondi… e i suoi occhi si sarebbero aperti. Una parte di me sarebbe voluta scappare via, a gambe levate, impedendogli di vedere il desiderio che mi stava divorando il corpo. Poi c’era quel battito emozionato, persistente, che scandiva con i suoi rintocchi ogni istante della mia attesa.
 
Stava per svegliarsi, e io…non volevo perdermi quel momento.
 

*****

 
Minho collegò il cellulare al caricabatterie, portando subito dopo una mano davanti alla bocca, nascondendoci dietro un pesante sbadiglio. Aveva ancora sonno. Si incamminò pigramente verso la propria camera, sorridendo come un idiota. Sapeva chi avrebbe trovato, rannicchiato sotto le coperte, con le ginocchia al petto e le lenzuola sotto il naso. Il suo coinquilino… era un tipo piuttosto freddoloso.
 
“Fammi spazio piccolo…” sussurrò il moro, all’orecchio di Taemin, spingendolo delicatamente verso il lato del letto accostato al muro. Era sempre il più giovane ad occupare quel posto. Minho insisteva spesso, ripetendo che in quel modo sarebbe stato più tranquillo. Il ragazzino a quel punto arrossiva, riconoscendo nella voce del maggiore l’affetto che nutriva nei suoi confronti, e acconsentiva, felice, alla sua richiesta.
 
“Mmm…” le braccia sottili si mossero istintivamente verso il nuovo arrivato, stringendosi attorno ai suoi fianchi. La guancia delicata si posò sul petto del moro, strusciandosi dolcemente su di esso. Minho nascose un brivido, mentre Taemin lo abbracciava, sospirando piano.
 
Si erano baciati solo due volte. Il giorno della confessione, e il pomeriggio prima. C’era ancora molto imbarazzo, tanta esitazione. Il loro rapporto era cambiato completamente e in pochissimo tempo. Il più piccolo avrebbe voluto essere più intraprendete e così, quel giovedì, si era sollevato sulla punta dei piedi… appena il moro era rientrato in casa… e gli aveva schioccato un euforico bacio sulla bocca.
 
Erano arrossiti entrambi, subito dopo, chi balbettando un “Sono tornato” imbarazzato, e chi mordendosi le labbra dalla vergogna. Ma quei sentimenti erano talmente belli che, seppur mettendoli a disagio, spinsero i due ragazzi a sorridersi, felici per quel nuovo contatto. Taemin ripensò a quel momento, improvvisamente sveglio, e con gli occhi ancora chiusi… protese la bocca verso il più grande.
 
“Voglio il bacio del buongiorno…” mormorò, con la voce impastata dal sonno, troppo timoroso per sollevare le palpebre. La bassa risata di Minho lo sorprese, così come le mani impazienti… che gli avvolsero il viso, spingendolo verso il proprio coinquilino.
 
Miagolò qualcosa di incomprensibile, mentre il suo desiderio veniva esaudito. Le labbra del moro si mossero, esperte, su quella dolce scoperta che si schiudeva ad ogni suo tocco. Le lingue si cercarono immediatamente, ansiose di trovarsi, e la gamba del più piccolo scivolò silenziosa fra le sue. Minho si lasciò sfuggire un rantolo di approvazione, avvolgendogli il fianco sinistro con il braccio, schiacciandoselo addosso.
 
I petti ansimanti si scontrarono, aumentando l’erezione del più grande. Taemin riuscì ad avvertirla, così eccitante, mentre premeva con forza sulla sua coscia nuda. No, non era diventato improvvisamente pazzo. Non era mica sua abitudine… dormire in quello stato accanto all'altro ragazzo.
 
L’ironia della sorte aveva voluto che, la sera prima, l’impianto dei riscaldamenti che copriva l’intero palazzo… si bloccasse “di volontà propria”… su di una temperatura eccessivamente elevata. Jinki aveva provveduto immediatamente a contattare il servizio d’assistenza, ma il tecnico sarebbe potuto intervenire solo in mattinata. Così, quella notte, ben due persone avevano rinunciato a qualche capo di vestiario, vinti dal caldo. Beh si… non ci siamo dimenticati di Kibum, vero?
 
Le dita di Minho si avventurarono sotto la maglia del più piccolo, mentre quest’ultimo tirava istintivamente indietro la testa, permettendo libero accesso alle labbra del moro. La scia umida che gli solleticò il collo… quasi gli faceva scoppiare il cuore in gola. Era la prima volta… che qualcuno lo toccava in quel modo così… intimo. Taemin era giovane. Giovane e pieno di problemi. Di tempo per fare nuove esperienze non ne aveva mai avuto molto e poi, a dirla tutta, era anche la “persona giusta” a mancare.
 
Poi aveva conosciuto quel gigante dallo sguardo dolce, che lo abbracciava la notte e lo viziava durante il giorno. Come resistergli? Il suo animo fragile ne era rimasto immediatamente affascinato, così come quel cuore… che continuava furiosamente a battergli in petto. Anche lui voleva dimostrarglielo. Minho non era il solo… a temere le reazioni del proprio corpo.
 
Le bocche tornarono a cercarsi, fra una carezza sul viso e un’altra lungo la schiena. Taemin si spinse contro di lui, e il più grande fu attraversato da una di quelle potenti scariche di desiderio… completamente dolorose… ma smisuratamente piacevoli. I denti che gli morsero la lingua lo fecero sussultare, mentre sgranava improvvisamente gli occhi… sul sorriso malizioso del più piccolo.
 
“Non sei il solo… a saper giocare pesante” la voce del ragazzino era sottile, suadente… assurdamente sfacciata. “Ehi Hyung… non mi avevi mica preso per una bambola di porcellana, vero?”
 
A Minho quasi andò di traverso la saliva, mentre le labbra di quel tipetto impertinente scivolavano sulla sua spalla destra, ripetendo lo stesso gesto. I denti si chiusero sulla carne accaldata, intrappolandola nel dolce tepore di quella bocca peccatrice. Non c’erano parole per descriverlo. Diavolo o acqua santa? Delirio o innocenza? Taemin era entrambe le cose. Lo sconvolgimento dei sensi, e la purezza di un cuore incontaminato.
 
Il moro chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere da quella nuova sensazione di smarrimento. Le mani che cercavano il corpo dell’altro, questa volta, non erano le sue. Il più piccolo aveva inarcato la schiena, gemendo piano, lasciando scontrare la propria erezione contro quella del compagno. Il dormiveglia lo liberava dalle inibizioni. La penombra della camera… rendeva più sensibili i loro corpi.
 
“E’ troppo presto” ansimò Minho, sulla sua bocca, avvertendo il leggero movimento con il quale il più piccolo… lo stava spingendo a stendersi su di lui.
 
“Stai pensando troppo, Hyung” rispose Taemin, ridendo piano a quelle parole “Non ti mangio, giuro”. E con quell’ultima promessa… tornò a baciarlo.
 

*****

 
Aprire gli occhi, quella mattina, quasi mi costava un infarto. Erano le 06:30, ne ero certo, mentre sollevavo le braccia verso l’alto, emettendo un piccolo suono di approvazione. Mi piaceva quella sensazione. Avvertivo il sonno… che scivolava via dal mio corpo, quando tutti i muscoli si tendevano, nello stesso istante, allungandosi prima, e rilassandosi dopo.
 
Portai una mano sul viso, usandola per scompigliare i capelli e stropicciare gli occhi. Devo anche aver mormorato un “Buongiorno Kibum”, perso per com’ero nel mio stato di mezzo assopimento. E poi era successo. Il cuore si era congelato, dentro al petto ansimante, mentre mi mettevo rapidamente a sedere, e ci piantavo sopra le dita tremanti.
 
“Santo Dio, vuoi farmi morire?!” urlai, osservando la sua espressione dispiaciuta. Era in piedi, scalzo, accanto al mio letto. Aveva chinato il capo, grattandosi la testa. Quando i suoi occhi risentiti si sollevarono sui miei… mi ero già pentito della mia reazione. “Sc-scusa…” sbiascicai, a disagio “Non volevo gridare”.
 
Non ripensai alla sera prima. Il caldo asfissiante, la maglia che avevo deciso di non mettere, gli stupidi pantaloncini rosa, che mi arrivavano al polpaccio. Semplicemente allungai una gamba fuori dal letto, alzandomi, e il suo sguardo allibito fece tutto il resto. Ecco, in quel momento avrei volentieri urlato di nuovo, o magari starnazzato proprio… inorridito… coprendomi il petto come una femmina pudica. Ma la saliva era scomparsa del tutto, così come tutte le altre capacità reattive, solo una “cosa” sembrava non essersi stancata di farmi visita.
 
Il calore che mi invase le guance lo maledissi con tutte le mie forze, mentre Jonghyun balbettava qualcosa di totalmente idiota, voltandosi talmente terrorizzato verso il muro… che fui quasi certo avrebbe finito per spalmarci sopra il naso. Tra me e lui… non so proprio chi fosse più imbarazzato. Afferrai la prima maglia che mi venne a tiro, ansimando un agitatissimo “Vado a preparare la colazione”, e corsi via.
 
Non mi seguì, mentre io mi catapultavo contro il lavello, in cucina, aggrappandomi al freddo acciaio con disperazione. Mi sarei scavato una fossa, talmente profonda da non vederne la fine, e mi ci sarei sotterrato, fintanto che ne avevo le forze. Pregai di non vederlo spuntare, da lì a qualche secondo, sulla soglia della stanza. Fortunatamente, un Dio benevolo parve ascoltare le mie suppliche.
 
La porta del bagno si chiuse, alla spalle del mio coinquilino, e io sospirai automaticamente. Mi lasciai cadere sulla sedia, incrociando le braccia sul tavolo, e la testa ci sprofondò immediatamente in mezzo. Imprecai, ancora tremante. Che risveglio!
 
Mi sollevai dopo quella che mi parve un’eternità, portando una mano al viso, sentendolo ancora tremendamente accaldato. Infierì sulla guancia con qualche sberla leggera, chiaro segno della mia disapprovazione. Stupido Kibum! Perché devi sempre comportarti come una scolaretta! Altro che schiaffi, quello che mi sarebbe servito era una doccia gelata. Incurvai le spalle, avvilito: il bagno era occupato.
 
Chissà cosa stava facendo Jonghyun? Non avevo mai visto il suo corpo nudo, neanche per sbaglio, quella volta che avevo un disperato bisogno di utilizzare la toilette, e mi ci ero fiondato senza bussare. Per fortuna aveva ancora i jeans! Mi maledissi, furioso con me stesso. Ma che diavolo stavo pensando?! I pantaloni da femminuccia si gonfiarono, chiaro segno che… una femmina non ero di certo, e mi misi velocemente in piedi.
 
Camminai spedito verso la finestra, spalancandola. Aria. Tutti i Taiyaki del mondo… per un filo d’aria. Chiusi gli occhi, rincuorato, abbandonando il volto a quella leggera brezza di inizio inverno. Andava già meglio. I passi del mio coinquilino, mentre entrava in cucina e mi fissava le spalle, li sentii appena. Mi ostinai a tenere le palpebre abbassate, prendendomi ancora qualche minuto per placare il mio animo agitato. La maglia l’avevo indossata, per cui… no problem.
 
Beh, no problem per modo di dire. Era verde, e non ci azzeccava una mazza con il rosa confetto dei miei pantaloni, ma era pur sempre meglio di niente. Se non altro i pinocchietti erano larghi, di quelli sportivi, con i lacci al polpaccio. Fossero stati aderenti e con il sedere in bella vista… mi sarei ucciso davvero!
 
Il rombo di una moto, in lontananza, mi ricordò che era il momento di venir fuori dal mio isolamento. Poggiai le mani sul davanzale, inclinandomi leggermente in avanti. Era gialla, piuttosto grossa, e veniva verso il nostro palazzo. Mi fece pensare a Byung-Hee.
 
Quel tipo mi piaceva, l’ho già detto… vero? Avevo avvertito subito una certa intesa tra noi, l’inizio di un qualcosa che si sarebbe potuto trasformare in amicizia. Peccato che… non lo avessi più rivisto. Ci saremmo dovuti incontrare il giorno prima, per pranzare insieme. Volevo presentarlo agli altri. Anche se l’idea iniziale era stata quella di “sfruttarlo” per infastidire Jonghyun, la voglia di farlo unire al mio gruppo di amici non era scomparsa del tutto.
 
In facoltà non lo avevo visto, così come non c’era traccia di lui in mensa. Non presi in considerazione l’ipotesi che mi avesse dato buca. Il suo sorriso, il suo sguardo… mi erano sembrati sinceri. Io solitamente snobbavo la gente, e mi circondavo solo di poche persone. Se quel tizio aveva attirato la mia attenzione… c’era sicuramente un perché. L'indomani lo avrei cercato di nuovo, e per il momento... avrei confidato nella sua buona fede.
 
Mi voltai, e Jonghyun era davanti al frigo. Mi dava le spalle, tenendo una mano sul grosso sportello in alluminio. I muscoli, sotto la maglia bianca, erano tesi e ben visibili. Mi dispiacque. Quella mattina non era certo iniziata nel migliore dei modi. Inspirai profondamente, avvicinandomi in silenzio, e lasciai scivolare entrambe le braccia intorno alla sua vita. Era il mio modo di chiedere scusa.
 
Le dita tremarono, incontrando la curva dei suoi addominali. Avrei voluto toccarli, senza quello stupido indumento a dividermi dal calore della sua pelle, e quella consapevolezza mi fece arrossire… ancora una volta. Lui non disse nulla, rimanendo immobile in quella posizione… che sembrava divenire ad ogni secondo più piacevole.
 
Chiusi gli occhi, arrendendomi al turbinio di emozioni che mi si stavano risvegliando nel petto. Jonghyun mi piaceva, e quello che mi aveva detto fuori dalla mensa, pochi giorni prima, mi aveva reso meno timoroso. Non si dice una cosa del genere a chiunque, giusto? Se non voleva che gli altri mi toccassero, allora magari non ero il solo… a sentirmi in quel modo, ogni volta che lui mi era vicino.
 
Ero sul punto di lasciar scivolare la fronte sulla sua schiena, ma il modo repentino con il quale si voltò, mi portò a far sprofondare il viso nel suo petto. Tutta la passività che aveva dimostrato fino a quel momento… scomparve. Le sue braccia si chiusero intorno alle mie spalle, attirandomi verso quel corpo che mi faceva vibrare ad ogni movimento. Mi venne da sorridere, mentre sospirava contro il mio collo, solleticandomi con il suo respiro.
 
“Che c’è?” avrei voluto prenderlo in giro, ma la mia voce incrinata… non possedeva affatto il tono ironico che avrei desiderato. Mi resi conto di aver chiuso le dita sulla sua maglia, forse con eccessiva forza, mentre le sue mani calde scivolavano lungo i miei fianchi, attirandomi verso quel silenzioso rifugio che era diventato il suo abbraccio.
 
“Restiamo così… ancora un pò” mormorò, accanto al mio orecchio. La sua bocca lo aveva sfiorato, giusto un attimo, prima che chinasse nuovamente il capo. Serrai le palpebre, inebriandomi con l’aroma che il suo corpo sprigionava. Era così buono, così invitante… che quando ci poggiai sopra le labbra, desideroso di conoscerne il sapore, neanche me ne resi conto.
 
Solo per un momento. Un piccolo assaggio. Lo sentii trattenere il respiro, e fui orgoglioso di me stesso. Il cuore non si stancava di martellarmi dentro, tremando con me, di fronte ad ogni nuova sensazione. Non avevo mai toccato qualcuno. Non così… almeno. Schiusi la bocca sulla base del collo; quel piccolo angolo di paradiso… che chiedeva solamente di essere esplorato.
 
Percorsi lentamente la sua pelle olivastra, dalla consistenza morbida e il colore attraente. Era talmente diversa dalla mia. Io ero pallido, quasi cadaverico. Jonghyun sembrava un modello da rivista per ragazze. Perennemente abbronzato, circondato da quell’alone di mistero… che solamente un corpo come il suo poteva avere.
 
Quando altre labbra si fecero avanti, desiderose di condividere il mio stesso cammino, un leggero capogiro mi costrinse ad aggrapparmi alle sue spalle. Non stavo male, ero solo sorpreso. Era una sensazione positiva, travolgente… eccitante. La lingua che scivolò sul mio collo mi diede i brividi, aumentando notevolmente il rossore… che si era già impossessato delle mie guance.
 
“Anche io ho fame” poche parole, sussurrate con quella voce profonda…resa più roca dal desiderio. Sgranai gli occhi, senza però riuscire a vedere nulla. Non ci capivo più niente. Tutto quello che avevamo avuto intorno, fino a pochi minuti prima, era improvvisamente scomparso… lasciando spazio alla confusione, all’istinto… alla bocca che stava sfiorando la mia pelle.
 
Mi tesi, contro quelle mani che si erano aggrappate ai miei fianchi. Mi vergognai terribilmente, ma quando i suoi denti si chiusero sul lobo del mio orecchio sinistro… quel miagolio strozzato che mi salii alla gola… non riuscii a trattenerlo. Non mi riconobbi. Cosa ne era stato di quel ragazzo con gli occhiali scuri, che ignorava le chiacchiere della gente e affondava il viso sui libri di scuola?
 
Volatilizzato. Annullato. Perso. Ecco come mi sentivo in quel momento. Sotto quelle dita, sotto quel respiro improvvisamente pesante… che indugiava sulla mia guancia…io mi sentivo totalmente nuovo. Più vivo, più caldo, più coraggioso. Ammaliato dalla bassa risata che mosse i miei capelli, catturato da quegli occhi sui quali avevo alzato lo sguardo… c’era solo una cosa… che avrei tanto voluto fare.
 
Abbandonai le braccia lungo i fianchi, pronto ad arrendermi. Qualsiasi cosa sarebbe venuta dopo, mi sentito incredibilmente smanioso di viverla. Lasciai che le ciglia si abbassassero, nascondendo al ragazzo che mi stava di fronte… l’emozione che aveva reso più spezzato il mio respiro. Schiusi le labbra, e il calore di quel corpo, che si stava inevitabilmente curvando verso il mio… pulsava freneticamente nelle mie vene… come la più dolce delle tempeste.
 

*****

 
Kibum spense il cervello. Jonghyun avvicinò le proprie labbra alle sue. E il campanello suonò. Sfortuna, destino beffardo… chi lo sa. Il coraggio scomparve, gli occhi si spalancarono… e le guance presero rapidamente fuoco. Un ammasso di pelo scodinzolò, allegro, sorpassandoli con la sua corsa. Si erano dimenticati perfino di lei.
 
“Buongiorno!” salutò Jinki, sorridente, per nulla consapevole di quello che aveva appena interrotto. Il biondo rispose mestamente, nascondendo subito dopo la testa dentro il frigorifero. Il suo coinquilino, che aveva aperto la porta, sembrava tutto fuorché felice.
 
Il padrone di casa inarcò un sopracciglio, interdetto, annunciando che i riscaldamenti avrebbero ripreso a funzionare da lì ad un paio d’ore. Jonghyun cercò di dimostrarsi entusiasta, ma le sue scarse capacità recitative non lo aiutarono. Kibum, invece, che si era da poco avvicinato al tavolo, finì per incontrare lo sguardo deluso del più grande, e quasi inciampò nelle zampe di Lucy.
 
La mano che lo afferrò era calda, preoccupata. Gli bruciò la pelle, già fin troppo sensibile al suo tocco, portando il più giovane a ritrarsi… con un movimento più brusco di quello che avrebbe voluto. Il bruno lo fissò, spaesato, incurvando le spalle. Jinki si grattò la testa, sconcertato da tutta la tensione che gli aleggiava attorno. Kibum si morse le labbra, scomparendo in direzione del bagno, e l’altro ragazzo sospirò, rattristato.
 
“Ho interrotto qualcosa?” quella domanda gli parve talmente stupida… che Jonghyun cominciò a ridere, quasi isterico, portandosi entrambe le mani alla testa e lasciandosi cadere sul divano.
 
“No, Hyung!” rispose, con l’espressione più stralunata che potesse avere “Solo il momento migliore della mia vita…” soffiò fuori, abbattuto, nascondendo il viso tra i cuscini.
 
“Oh mio Dio!” praticamente urlò l’assistente di laboratorio, coprendo la bocca con la mano destra, e puntando l’indice sinistro sull’espressione afflitta del più piccolo “Non mi dire?!” aggiunse, entusiasta, salterellando euforico incontro all’altro ragazzo. Jonghyun sollevò di scatto la testa, fissandolo torvo.
 
Cosa ci trova da festeggiare?! Se non fosse stato per lui… a quest’ora noi… cioè… Kibum era sul serio… e poi… Aishh!! Dannazione Hyung, non avevi quando diavolo venire?!
 
Tutti i suoi pensieri, così facilmente visibili dentro lo sguardo furente, agghiacciarono per un attimo il povero Jinki, che si immobilizzò. Il maggiore fece istintivamente un passo indietro, finalmente conscio del proprio intervento inopportuno, e con un sorriso carico si scuse… sgattaiolò fuori dal loro appartamento.
 
Il bruno tirò un pugno su uno dei cuscini, che si afflosciò appena, impaurito dalla rabbia di quel gesto. Jonghyun chiuse gli occhi, inspirando lentamente. Si sentiva frustrato… terribilmente frustrato. L’espressione di Kibum, così impaurita e imbarazzata, mentre scappava lungo il corridoio, gli strinse lo stomaco… rattristandolo. Doveva rimediare. Poco importava come… ma doveva riuscirci.
 
Si mise in piedi, positivo, avvicinandosi a passo spedito verso quella porta… che lo separava dal suo piccolo coinquilino. La mano si bloccò a mezz’aria, mentre si concedeva un ultimo istante di raccoglimento, facendosi coraggio. Poi le nocche si scontrarono in modo discreto con l’uscio scuro, facendo sussultare il ragazzo che vi si era poggiato sopra.
 
Il biondo si portò istintivamente una mano sul petto, trovandolo ancora incredibilmente agitato. Doveva darsi una calmata. La tristezza di Jonghyun era riuscito a vederla… dentro quegli occhi così belli, che l’avevano fissato… infelici. Strinse i pugni, sollevando le palpebre, e poco prima di parlare si schiarì la voce.
 
“Si?”
 
Il più grande non sapeva bene cosa dire. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, purché Kibum venisse fuori dal suo guscio, tornando nuovamente al suo fianco. Lucy si avvicinò alle sue gambe, strusciando il suo musetto dolce contro la mano nervosa, e con un rantolo molto simile ad una preghiera... gli mostrò la cordicella rossa che teneva tra i denti.
 
“Usciamo a fare quattro passi?” chiese euforico, impulsivo “Possiamo portare Lucy a spasso e poi…” si grattò la testa, alla disperata ricerca di una nuova idea “Non abbiamo ancora fatto colazione, no?” Silenzio. Il suo coinquilino non rispondeva. “Ti compro tutti i dolci che vuoi…” aggiunse, quasi supplichevole, poggiando entrambi i palmi aperti sull’uscio ancora chiuso.
 
Il più giovane sospirò, e un piccolo sorriso fece capolino sul volto emozionato. Portò due dita alle labbra, chiudendole tra i denti, quasi avesse bisogno di qualcosa con cui occupare la bocca… per evitare di mettersi a ridere. Era felice. Jonghyun stava cercando di avvicinarsi, di nuovo, rendendo la sua espressione completamente idiota.
 
“Dammi un po’ di tempo…” il tono dolce che aveva utilizzato fece illuminare gli occhi del bruno, che sollevò entrambe le braccia in aria, festeggiando mutamente per quella risposta. “Mi preparo e ti raggiungo”.
 
L’acqua della doccia venne aperta pochi secondi dopo, e la scimmia felice si gettò letteralmente in ginocchio, abbracciando forte la cagnetta scodinzolante. “Grazie piccola!” esclamò al suo orecchio peloso, arruffandole eccitato il manto scuro.
 

*****

 
Erano le 08:30, e Taemin aveva la bocca piena di cereali al miele. Con le gambe incrociate sul divano, seguiva un nuovo drama dall’ambientazione scolastica. Sorrise innocentemente, mentre il suo coinquilino entrava in cucina, e lo fissava severo. Stava spargendo le briciole della propria colazione per tutta la casa, lo sapeva bene, ma quella posizione gli piaceva troppo. Non avrebbe mai rinunciato a latte e televisione.
 
“Ne vuoi un po’?” chiese a Minho, indicando la propria scodella stracolma. Il più grande scosse la testa, contrariato, andandogli vicino. Borbottò un rimprovero appena udibile, ma il ragazzino accanto a lui non lo degnò di considerazione. Il più piccolo allungò invece le gambe sul bracciolo, accoccolando la schiena contro il suo petto, e riprese a mangiare.
 
Il moro si diede per vinto, sospirando contro quella pelle profumata. Come aveva fatto a lasciarlo andare? Erano rimasti a letto per quasi due ore, baciandosi e accarezzandosi. Taemin ad un certo punto si era anche appisolato, ma la bocca del maggiore aveva provveduto prontamente a risvegliarlo.
 
La cosa più “hot” che fecero fu toccarsi, reciprocamente, il petto. Se poi si pensa che, in quel momento, si trovavano l’uno sull’altro… beh… diciamo solo che l’eccitazione non mancava di sicuro. Seppur controvoglia, comunque, Minho si era tirato indietro... all’ennesima carezza sulle cosce nude. Avrebbe voluto approfondire quel contatto, e lo desiderava talmente tanto da averne quasi paura.
 
Non voleva sbagliare. Taemin era importante. Lo amava. Avrebbe fatto le cose con calma, scoprendo il proprio cuore… un passo per volta… davanti a quei dolci occhietti che lo fissavano con devozione. Non poteva commettere errori. Non adesso. Non con lui. Se incontri una persona speciale allora… non puoi permettere ai tuoi stupidi istinti di rovinare tutto quanto. Avrebbero affrontato quel cambiamento insieme, con trepidazione, ma anche con serenità.
 
Quando arriverà il momento… lo sapremo.
 
Chiuse le braccia intorno ai fianchi di Taemin, e questi rise piano, lasciandosi stringere. Il cellulare sul tavolo emise un suono appena udibile, mentre il più piccolo si sporgeva in avanti, prendendolo. Sbirciò il mittente, accertandosi che non fosse una ragazza, per poi porgerlo al suo proprietario.
 
“E’ Jinki-Hyung” annunciò, tranquillo, senza badare allo sguardo divertito del moro. Le sue intenzioni erano apparse troppo evidenti, ma chi se ne importava. Era normale essere gelosi del proprio fidanzato, no? Perché infondo era questo che erano diventati… o almeno… questo era quello che credeva il ragazzino dai capelli castani.
 
Minho lesse il messaggio, aggrottando le sopracciglia. Il suo coinquilino lo stava fissando, pensieroso, mordendosi il labbro inferiore. Una domanda si stava prepotentemente materializzando nelle sue iridi color cioccolato, ma formulare quel pensiero ad alta voce… sarebbe stato davvero imbarazzante.
 
“Se passo da voi, mi ritrovo con un occhio nero? No, perché… beh… non si sa mai. Io vorrei evitarlo, cioè… lo farei volentieri… se fosse possibile. Per cui apri la porta se credi va bene, altrimenti lasciala pure chiusa. Non ti preoccupare, aspetterò”.
 
Ma che diavolo sta blaterando?! Il troppo caldo gli ha dato alla testa? Un occhio nero? Perché dovrebbero esserci dei problemi se viene a trovarci? Lo fa di continuo… si preoccupa solo adesso di non disturbare?
 
Il moro si grattò distrattamente la testa, scuotendola subito dopo, rammaricato dall’idea che il suo vecchio Hyung avesse definitivamente perso la ragione. Si scostò dolcemente da Taemin, mettendosi in piedi, e l’espressione titubante di Jinki gli apparve davanti come per magia. Era già impalato dietro l’uscio.
 
Il padrone di casa si infilò velocemente dentro casa, guardandosi freneticamente intorno. Trovò il più piccolo, ancora pensieroso, che fingeva di osservare lo schermo, con la tazza di cereali sulle ginocchia. Poi guardò di nuovo Minho, soffermandosi sulla maglia perfettamente stirata e i capelli in ordine.
 
“Oh, grazie al cielo!” esclamò all’improvviso, portandosi una mano alla fronte e lasciandosi cadere su una delle sedie. Il ragazzo più alto arricciò le labbra, sempre più confuso. “Se avessi interrotto anche voi mi sarei picchiato da solo, giuro!” aggiunse, sospirando, mentre Taemin sollevava gli occhietti attenti nella sua direzione.
 
“Anche?” chiese, perplesso, mettendosi velocemente in piedi. Il suo coinquilino osservò le espressioni di entrambi, e Jinki abbassò ritmicamente la testa, sconsolato. Non ci stava capendo niente. Poi il più piccolo lanciò un’urletto eccitato, aggrappandosi ansioso al suo braccio.
 
“Ooohhh non tenermi sulle spine! Quando? Quando? Quando?” strillò, esaltato, agitando le manine sottili davanti al viso dell’assistente di laboratorio. Cercava di attirare la sua attenzione, ma questi non faceva altro che sospirare, incurvando ancora di più le spalle. “Ma ne sei sicuro?! Cioè… ma raccontami uffi!” Taemin lo strattonò, impaziente.
 
“Certo che ne sono sicuro…” ammise Jinki, abbattuto, passandosi stancamente una mano sul viso “Jonghyun mi avrebbe volentieri ucciso, e Kibum è praticamente corso in bagno. Poi… rosa e verde non stanno bene insieme, giusto?” lo sguardo stralunato del più grande si puntò su quello del ragazzino dai capelli castani, come se… da quell’unica insignificante domanda… dipendesse tutta la sua vita.
 
“La mia omma era vestita così?!” Taemin balzò in piedi, iniziando a saltarellare sul posto, poco prima di fiondarsi addosso al coinquilino. “E’ successo sicuramente qualcosa!” concluse, euforico, e le sopracciglia di Minho si inarcarono sempre di più.
 
“Ma volete spiegarmi di che diavolo state farfugliando?!” proruppe quest'ultimo, stizzito, incrociando le braccia sul petto. Gli altri due lo fissarono a bocca aperta, allibiti da quella totale mancanza di intuito, e quando le labbra del moro si imbronciarono, infastidite… scoppiargli a ridere in faccia divenne inevitabile.
 
Jinki scaricò tutta la tensione che si portava dentro, accasciandosi sul tavolo e stringendosi lo stomaco tra le mani. Taemin, invece, aveva ripreso a saltarellare… indicando l’espressione seccata del coinquilino con il suo dito sottile. Definirli dei pazzi… sarebbe stato poco!
 
Le spiegazioni infine arrivarono, diversi minuti dopo, non prima di una buona dose di minacce di morte. Minho, finalmente cosciente della situazione, quasi si slogava la mascella per la fretta di spalancarla. E così… quei due bricconi erano stati sul punto di baciarsi?!
 
“Se io non fossi arrivato ad interromperli…” commentò il padrone di casa, sprofondando nuovamente nei propri sensi di colpa “E pensare che ci tenevo così tanto a questo primo movimento…” aggiunse, mestamente, mentre il ragazzino di fronte a lui lo fissava, sorpreso.
 
“Cosa vuoi dire, Hyung?” chiese Taemin, perplesso.
 
“Oh… beh…” mormorò Jinki, agitandosi nervosamente sulla sedia “Voi due siete apposto ormai” continuò, a disagio, arrossendo appena “Non guardatemi in quel modo! Non sono un impiccione!” esclamò, infastidito dalle espressioni divertite degli altri due “E’ solo che… è talmente evidente quello che c’è tra loro! Era ora che si decidessero!” concluse, convinto.
 
Entrambi gli amici non poterono far altro che dargli ragione. Quel dolce ragazzo dagli occhi nocciola non era affatto un impiccione, lo sapevano bene. Teneva molto a loro, e lo dimostrava ogni giorno… con le sue premure e i suoi sorrisi. Il fatto che, per tutto quel tempo, avesse “vegliato” sulle loro vite… poteva solo renderli felici.
 
“Non preoccuparti Hyung, non ti conosciamo meglio di quanto credi” Taemin lo salutò con quelle parole, sul pianerottolo, poco prima che Jinki andasse via. Si abbracciarono brevemente, e anche se Minho non fu particolarmente entusiasta di quel gesto… non disse nulla. La porta si chiuse, alle spalle del padrone di casa, e il moro si mosse verso il frigorifero.
 
Il suo coinquilino lo fissò per qualche istante, indeciso, mentre l’acqua riempiva silenziosamente il bicchiere dai disegni delicati. Avrebbe fatto bene a chiederglielo? Non lo sapeva. La risposta sarebbe stata quella sperata? Non sapeva neanche quello. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente… O la va, o la spacca!
 
“Hyung?” soffiò debolmente, e lo sguardo del moro si puntò immediatamente sul suo “Io e te…” l’angolo destro della maglia finì accartocciato tra le sue dita, mentre le guance si tingevano velocemente di rosso “siamo fidanzati?”
 
Gli occhioni fiduciosi di Taemin si riempirono d’attesa, mentre Minho… totalmente impreparato a quella domanda… sputacchiava tutta l’acqua nel lavandino che aveva affianco.
 

*****

 
Lo sbirciai con la coda dell’occhio, e mi sembrò completamente a suo agio. Si era cambiato, ovviamente, indossando una maglia rossa e dei jeans bianchi, con sopra una felpa dello stesso colore. Peccato… quei pantaloncini rosa non mi dispiacevano. Mi diedi dello stupido, ripensando al suo corpo seminudo, e volsi rapidamente la testa verso il lato opposto della strada.
 
“Dove stiamo andando?” mi chiese, mentre le sue mani si intrufolavano sotto il mio braccio. Si era avvicinato, appoggiandosi a me, e quel cambiamento mi sorprese tantissimo. Sorrise, di fronte al mio sguardo sconcertato, provocandomi un tuffo al cuore. I suoi passi si bloccarono, e Lucy si voltò a guardarci, incuriosita. Quando si piegò verso il mio viso, sfiorandone la guancia con quelle labbra incredibilmente morbide, mi scordai perfino di respirare.
 
Chiusi gli occhi, solo un attimo, assaporando quel contatto. Quando sollevai le palpebre, la sua reazione mi lasciò di stucco. Le lunghe ciglia scure erano ancora abbassate, ma il dolce sorriso che seguì quel piccolo sospiro… fece aumentare a dismisura il mio battito cardiaco. Incrociò il mio sguardo, felice, e riprese a camminare.
 
Dovetti sbattere un paio di volte le palpebre, cercando di fare mente locale. Come mi chiamavo?  Quanti anni avevo? Dove avevo deciso di portarlo? Niente. Ero completamente andato. Risi, come un pazzo a cui hanno appena regalato un fiore, e depositai un bacio veloce tra quei profumati capelli biondi. Stretto a me, il suo brivido non riuscì a nasconderlo, e la mia mente si liberò… euforica.
 
Neanche me ne accorsi, mentre prendevo la sua mano, intrecciando le nostre dita, e iniziavo stupidamente a ciondolarle avanti e indietro. La gente ci guardava, chi incuriosita e chi contrariata, ma io non vedevo nessuno. La sua melodiosa risata mi riempì le orecchie, quando sorpassai una pozzanghera con un salto. Mi inchinai brevemente verso un pubblico invisibile, e Kibum rise più forte.
 
La pasticceria era ormai vicina. Lo spinsi dolcemente davanti alla porta a vetri, e questa si aprì automaticamente davanti a lui. Quel posto mi piaceva molto. Di tavoli per fare colazione ce n’erano solamente due, accanto al bancone delle torte. Noi occupammo quello più vicino al laboratorio, ma all’arrivo di Jin... non ero preparato. Non ci avevo pensato.
 
Mi salutò, allegro come sempre, ripulendosi le mani sul grembiule pieno di farina e cioccolato. Kibum lo osservava, silenzioso, lasciando scorrere lo sguardo da me al nuovo arrivato. Gli sorrisi, incoraggiante, presentandogli il pasticcere. La loro stretta fu breve, automatica, ma mi fece storcere comunque le labbra. Il ragazzo vestito di bianco era alto e slanciato, dai lineamenti gentili e la voce calda. Lo conoscevo da quasi un anno ormai, ma che toccasse il mio coinquilino non mi andava ugualmente bene.
 
Mi intromisi nella loro conversazione appena nata, allontanando l’attenzione di Jin dagli occhi felini di Kibum. Quest’ultimo parve notare il mio disappunto, e nascose velocemente un sorriso dietro il palmo della mano, arrossendo vistosamente. Le avrei riempite di baci… quelle guance emozionate e incredibilmente dolci… ma eravamo in pubblico, e dovetti trattenermi.
 
“Hyuri non è con te?”
 
La domanda del pasticciere ricadde pesantemente tra i nostri sguardi incrociati. Jin aveva una cotta per la mia migliore amica, e io lo sapevo bene. Strinsi automaticamente una mano sul pantalone, cercando di nascondere le mie reazioni sotto un’espressione tranquilla. Non fui bravo, e lo sguardo che si abbassò sul tavolo ne fu la prova. Kibum aveva intuito che qualcosa non andava. Speravo solo… che non mi facesse domande.
 
“No, aveva un impegno” risposi laconico, puntando gli occhi sul menù.
 
“Allora, cosa vi porto? Chiedetemi quello che volete. Ero giusto sul punto di infornare una crostata alla ciliegie che…” il ragazzo vestito di bianco aveva cambiato argomento, immergendosi nuovamente nel suo mondo fatto di dolciumi.
 
“Taiyaki” il mio coinquilino aveva già deciso. Il sorriso che il pasticcere gli rivolse mi fece venire la pelle d’oca. Aveva capito! Mi sporsi velocemente in avanti, cercando di attirare l’attenzione di Jin con una domanda completamente stupida, ma lui neanche mi ascoltò.
 
“Allora è a te che li porta!” strillò euforico, mentre io mi piantavo rumorosamente una mano sulla fronte. Ero fregato. Tutti i clienti si voltarono verso il nostro tavolo, e Kibum fissò l’altro ragazzo con un rinnovato interesse. “I miei complimenti!” continuò quel combina guai del mio amico, stringendo calorosamente la mano del mio coinquilino “Nessuno era mai riuscito ad ammaestrarlo così bene!”
 
Bummie sprofondò nel più totale imbarazzo, abbozzando un mezzo sorriso. Le sue iridi scure si erano illuminate, ancora, inghiottite da tutte le emozioni che stava provando. Cercai di non arrossire a mia volta, ma si rivelò un’impresa piuttosto difficile. Jin era partito in quarta, raccontandogli di tutte quelle volte in cui mi ero presentato, alle 06:30 di mattina, pretendendo un taiyaki appena sfornato.
 
Che vergogna! Mi venne voglia di affogarmici... con tutti quei pesciolini ripieni al cacao… almeno in quel modo non avrei più sentito nulla. E invece quel pasticcere pettegolo non la finiva di immischiarsi nei fatti miei!
 
“Avresti dovuto vederlo quel giorno! Era tutto zuppo come un pulcino… fuori c’era il diluvio!” rideva come un matto, eccitato dal proprio racconto, ma l’unica cosa a cui riuscivo a pensare… era Kibum. Stritolava un tovagliolino tra le dita, mordendo nervosamente il labbro inferiore. “Io gli faccio ‘Ehi Jong, ti serve un’asciugamano?’ e lui ‘Non ho tempo. Muoviti che si sta per svegliare’”.
 
Jin ricominciò a ridere, dopo aver imitato in modo impeccabile il mio tono scontroso di quella volta. La testolina bionda si chinò, imbarazzata, e un piccolo sorriso distese i lineamenti delicati del mio compagno di appartamento. Quando i suoi occhi felici cercarono i miei, mandai al diavolo tutta la vergogna che stavo provando. Se il mio Bummie era felice, allora lo ero anch’io!
 
Sulla via del ritorno, il silenzio tra di noi era piacevole. Ogni tanto ci guardavamo, anche solo per qualche secondo, mentre Lucy si intrufolava tra i nostri corpi vicini, sentendosi improvvisamente esclusa. Mi dispiaceva per lei, ma proprio non riuscivo a concentrarmi su altro. Le mie attenzioni… i miei sospiri… erano tutti per quel piccolo scricciolo che mi camminava affianco.
 
Sorrisi, quando prese a giocherellare distrattamente con i capelli, e decisi che era il momento di fargli un’altra confessione. Tanto, oramai, il mio orgoglio stava già scioperando. Tirai fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni, e lui seguì i miei movimenti, incupendosi appena. Le labbra si protesero silenziose in avanti, imbronciandosi, ma io le avevo già afferrate tra l’indice e il pollice.
 
“Prima di arrabbiarti…” iniziai, quando finalmente riuscii ad incrociare il suo sguardo “Guarda” gli allungai il palmare, e la schermata di quell’imbarazzante messaggio era già stata aperta. “E’ questo… che cercavo di non farti leggere”.
 
Trattenni il fiato, impaziente, mentre i suoi occhi felini scivolavano titubanti sul display. Lo lesse di fretta, cercando di mascherare le proprie emozioni. Sicuramente… aveva creduto di trovarsi davanti qualcosa di completamente diverso. Le sue gote si tinsero rapidamente di rosso, e le dita tremarono… intorno all’involucro nero del mio cellulare.
 
Mi guardai intorno, felice di aver preso quella strada isolata, e il bacio che gli schioccai sulla guancia fu fin troppo rumoroso. Mi vergognavo da morire… ma il sorriso raggiante che mi rivolse… mi fece dimenticare perfino di quello.
 
Se ripenso a quei giorni, adesso, posso dire con assoluta certezza che… si, era quello. Quello… fu il momento esatto in cui capii… che non sarei più riuscito a fare a meno di lui. Mentre i suoi polpastrelli gelati sfioravano il dorso della mia mano, stringendola più forte. Mentre le sue labbra si protendevano verso il mio orecchio, sussurrandoci che aveva di nuovo fame. Mentre la sua fronte si poggiava sulla mia spalla e… il cuore sembrava volesse scoppiarmi in petto.
 
Si stava facendo spazio, silenzioso, nella mia quotidianità… tra i miei pensieri… nelle mie vene. Chiamava il mio nome, e il mondo intero diventava più piccolo. Le chiacchiere dei passanti, il cielo sulle nostre teste, i sassolini lungo il viale di quella strada secondaria… tutto, intorno a me, iniziava e finiva negli occhi scuri di Kibum.
 
Le iridi si stringevano, le pupille si dilatavano… mentre la sua voce emozionata mi spezzava il respiro. Poi, semplicemente, arrossiva. Il calore risaliva le sue guance delicate, avvolgendole, colorandole. Chinava il capo, balbettava, cercando di sfuggirmi. Feci scivolare un braccio intorno alla sua vita, catturandolo, e il suo sorriso non mi era mai apparso così bello.
 

Ero innamorato.
Perdutamente… totalmente…
Innamorato.

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Capitolo 17
*** Byung Hee ***


NOTE

Ma guardate quanto sono brava... non siete orgogliose di me?! >_< Sto recuperando il "vecchio" ritmo di pubblicazione! ^^
Ed ecco a voi, un capitolo (come può essere facilmente intuito dal titolo) interamente dedicato alla nostra New Entry! *^*
Ci sarà anche qualche altra piccola scena, che interesserà gli altri protagonisti, giusto per non trascurare nessuno! >.<

Prima di lasciarvi leggere, mi sembra d'obbligo una precisazione.
Allora, anche se con molte di voi ho già chiarito questo punto... non si sa mai! ^^ In primis... Byung-Hee
è a sua volta un personaggio del k-pop, e per la precisione... fa parte degli mblaq, e il suo nome d'arte è GO.
Per ulteriori chiarimenti, credo che google e youtube siano più che affidabili! ^w^
In secundis... prima di minacciarlo di morte... guardate bene la sua foto! *^*
Suvvia... chi di voi lo ucciderebbe davvero?!

A presto ragazzacce.... Chuuuuu! <3
- Mary -



 

Capitolo 16 - Byung Hee

Jonghyun se ne stava appollaiato, tutto sorridente, ai piedi di quel grosso albero, che aveva silenziosamente iniziato a perdere tutte le sue foglie. Una testolina bionda gli sfiorò la spalla, e i capelli sottili vennero prontamente arruffati. Kibum storse le labbra, ripensando a tutto il tempo perso per sistemarli, poi la bocca morbida del suo coinquilino gli sfiorò la fronte… e il disappunto scomparve velocemente dal suo volto.
 
“Niente libri in testa?” chiese il più grande, scherzoso, aspettandosi una reazione molto più esplosiva. Il ragazzo al suo fianco fece spallucce, scuotendo dolcemente la testa, e ricominciò a leggere.
 
Era piacevole, restar lì a non fare nulla, semplicemente tenendosi compagnia. Il più piccolo allungò le gambe, incrociando le caviglie. Erano seduti a terra, e mentre voltava pagina… prese a strappare distrattamente qualche filo d’erba dal suolo. Jonghyun lo osservava, in silenzio, ammirando il gioco di luce che il sole proiettava tra i suoi capelli color miele.
 
“Stanno crescendo…” mormorò, raccogliendo tra le dita un ciuffo più lungo, che ricadeva sulla fronte pallida. Kibum sollevò lo sguardo nella sua direzione, e la foglia che gli solleticò il naso lo fece starnutire. Il suo corpo vibrò appena, mentre il bruno rideva piano e ricominciava ad infastidirlo.
 
“Yah, scimmione!” lo rimproverò il biondo, lasciando cadere il libro sulle ginocchia, e sollevò entrambe le mani in aria, cercando di ripararsi. Le dita si agitavano, spazientite, ma quello stupido coinquilino non accennava a lasciarlo in pace. La foglia si fermò sulla guancia delicata, accarezzandola con dolcezza, mentre le gote del più piccolo si imporporavano veloci.
 
Jonghyun si era chinato verso di lui, sorridente, arrivando fin troppo vicino al suo volto. “E’ divertente...” soffiò, sfiorandogli il naso con il proprio “Sembravi un gattino con il suo filo di lana”. Al ragazzo dagli occhi felini quel paragone non piacque per niente, giacché non aveva fatto altro che aumentare il suo imbarazzo. Kibum gonfiò le guance, contrariato, e queste scoppiarono subito dopo… come un palloncino… strapazzate fra le dita del bruno.
 
“Un giorno o l’altro me la pagherai!” borbottò il biondo, mentre le braccia del più grande già si allargavano, così come il suo sorriso sghembo.
 
“Fai di me quello che vuoi!” commentò Jonghyun, felicissimo di sottostare a qualsiasi suo capriccio. Le labbra rosse si schiusero, e una linguaccia gli venne poco gentilmente spiattellata davanti. Poi il più piccolo lo colpì, su una spalla, con la copertina rigida del suo libro. Kibum non era riuscito a trattenere un sorriso, ancora un po’ timido, e il bruno lo avvolse velocemente con le proprie braccia.
 
“Che leggi?” gli chiese, mentre il capo del compagno scivolava sul suo petto. Il biondo non rispose, troppo impegnato ad arrossire come un pomodoro, ma si limitò a sollevare il volume che teneva tra le mani, mostrandone il titolo. “Elettricità convertita in luce” mormorò il più grande, inarcando un sopracciglio “Cosette da nulla, come sempre…” commentò, sarcastico, dando il via a quella che si sarebbe rivelata… una lunghissima discussione.
 
“Non fare dello spirito, scimmione! Sono cose importanti!” ribatté immediatamente il più piccolo, arricciando le labbra “Parla dei temporali. Hai presente? Quando i fulmini illuminano il cielo?” Jonghyun fece segno di si, poggiando la schiena al grosso tronco. Tanto valeva mettersi comodo. “Ecco, quella non è altra che interazione tra particelle: i protoni del nucleo di atomi, e gli elettroni” spiegò, mentre i suoi occhi diventavano via via più sfavillanti.
 
Il bruno sospirò, felice, nonostante non ci stesse capendo nulla. Nascose un sorriso sul collo di Kibum, e questi rabbrividì appena, ma senza mai smettere di parlare. “Gli effetti macroscopici di queste interazioni sono le correnti elettriche e l’attrazione o repulsione di corpi elettricamente carichi” il biondo riprese velocemente aria, tamburellando con il dito indice sull’immagine in copertina.
 
Jonghyun si sforzò di seguire le sue parole, completamente inebriato dal dolce profumo della sua pelle, e buttò un occhio sulla foto di un paesaggio notturno, mentre il cielo veniva prepotentemente squarciato dalla luce di un gigantesco fulmine. Era quello che intendeva? L’elettricità che si convertiva in luce? La sua espressione assorta fece sorridere il più piccolo, che riprese la sua spiegazione.
 
“Il fulmine è una scarica elettrica, ovviamente di grandi dimensioni, che avviene nell' atmosfera e che si instaura fra due corpi con una elevata differenza di potenziale elettrico” Kibum lo guardò ancora, e il più grande abbassò ritmicamente la testa. Iniziava a capire. “La scarica del fulmine, nella maggior parte dei casi, viene generata dalle particelle negative delle nuvole… che vengono attratte da quelle positive presenti nel suolo”.
 
“L'espansione del canale ionizzato genera anche un'onda d'urto rumorosissima…” il biondo si fermò un attimo, lasciandogli il tempo di ragionare.
 
“Il tuono” commentò Jonghyun, sicuro, riempiendo d’orgoglio il piccolo genietto. Ma allora non sei così tonto…
 
“Ovviamente… alla scarica del fulmine coincide anche un’attività luminosa” il dito sottile scivolò nuovamente sulla copertina, ma il bruno aveva già capito.
 
“Il lampo”. L’espressione maliziosa del più piccolo non la vide, mentre… tutto gongolante… quest’ultimo tesseva minuziosamente la ragnatela del suo tranello. L’ultima volta che avevano studiato insieme, due giorni prima, l’argomento trattato era stato il suono.
 
Se adesso sbagli, caro il mio scimmione, il libro in testa ti finisce di sicuro!
 
“Ma…” iniziò Kibum, puntando il suo indice destro sotto il naso del più grande “Se tuono e lampo sono generati dalla stessa interazione…” formulò, mellifluo, assottigliando lo sguardo sull’espressione interrogativa del suo coinquilino “Allora perché i nostri sensi non li percepiscono simultaneamente?” il sorriso beffardo si allargò, enigmatico, sul viso soddisfatto del biondo, e l’altro ragazzo sollevò automaticamente una mano verso la nuca.
 
Jonghyun si grattò distrattamente la testa, arricciando il naso, concentrandosi il più possibile su quanto gli era stato appena chiesto. I suoi occhi confusi soppesarono l’espressione del più piccolo, che stava già serrando le dita intorno al grosso volume. Ad ogni secondo che passava, lo sguardo derisorio andava lentamente scemando, sostituito da sentimenti ben più pericolosi. Insoddisfazione, disappunto, malcontento… ed infine… rabbia.
 
Il bruno portò avanti la sua recita con maestria, per la prima volta, fino alla fine. Quando Kibum emise un rantolo furioso, stringendo i denti, il libro si trovava a meno di tre centimetri dal volto inespressivo del più grande. La mano che bloccò il polso fu veloce, previdente. Si serrò con precisione attorno alla carne delicata, stando ben attenta a non ferirla.
 
“340 m/s” cantilenò, compiaciuto, mentre gli occhi del gattino si sgranavano, sbalorditi “Il suono viaggia ad una velocità molto inferiore a quella della luce. 340 m/s… contro 300.000 km/s” dichiarò, sorridendo placidamente “Circa tre secondi di ritardo, per ogni chilometro di distanza dal fulmine”.
 
Il libro ricadde pesantemente a terra, e lo stupore del biondo si trasformò ben presto in euforia. Senza dargli neanche il tempo di reagire, il più piccolo afferrò il volto di Jonghyun con entrambe le mani, trascinandolo vicinissimo al proprio. Quando le labbra rosse si schiusero, mormorando un appena udibile “Esatto”, le guance del bruno si colmarono di imbarazzo, e l’intero suo viso venne ricoperto di baci.
 

*****

 
Minho e Jinki percorrevano il lungo corridoio del secondo piano, l’uno di fianco all’altro. L’assistente sbirciò l’espressione del più giovane, trovandola estremamente pensierosa. Il moro teneva le sopracciglia aggrottate e le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni. Sospirò piano, e il più grande non riuscì a trattenersi oltre.
 
“E’ successo qualcosa?” chiese, apprensivo, poggiando una mano sul braccio dell’amico. Quest’ultimo si voltò a guardarlo, confuso, sbattendo un paio di volte le palpebre. Sembrava che non l’avesse neanche sentito. “Tutto bene?” disse ancora, e il rossore sulle guance di Minho rispose per lui.
 
Jinki scosse la testa, ricominciando a camminare. “Deduco che si tratti di Tae” commentò, divertito, mentre un sorriso affettuoso gli incurvava le labbra. Il gigante si passò le dita tra i capelli, non sapendo bene come comportarsi.
 
“Già…” ammise alla fine, evitando accuratamente lo sguardo curioso del padrone di casa. “E’ un argomento delicato…” aggiunse ancora, guardandosi velocemente intorno. Per fortuna gli altri studenti erano per lo più nelle proprie aule. Mancavano dieci minuti all’inizio delle lezioni pomeridiane.
 
“Se posso essere utile” il più grande si mise immediatamente a disposizione, bloccandosi di fronte al laboratorio di chimica. L’appuntamento con il resto della compagnia era stato fissato per le 15:00, lì davanti. Minho si poggiò al muro, inspirando profondamente. Non era affatto facile parlare di quelle cose.
 
“Io e lui passiamo la notte insieme…” iniziò, torturandosi nervosamente le dita. Jinki rimase in silenzio, in attesa che continuasse. Aveva già immaginato che quei due dormissero insieme. Alla fine… con il problema di Taemin… probabilmente lo facevano anche prima di confessarsi i loro sentimenti.
 
“Io… ho paura di non riuscire a controllarmi” le parole vennero fuori in un soffio, appena udibili, e l’assistente inarcò immediatamente un sopracciglio. Non aveva capito. Lo sguardo del moro si sollevò, titubante, incrociando il suo. “C-Cioè… inso-somma… l-lui mi pi-piace e…” balbettò, mentre abbandonava la nuca contro la parete alle proprie spalle. Chiuse gli occhi, cercando di recuperare un minimo di contegno. “Min… è piuttosto intraprendente”.
 
Le sue guance si colorarono ancora, ma questa volta non furono le sole. Il ragazzo dagli occhi nocciola aveva finalmente afferrato… la natura del suo imbarazzo. Chinò rapidamente il capo, schiarendosi la voce. Cosa avrebbe dovuto rispondergli? Mica se l’aspettava una cosa del genere!
 
Assecondalo? No, è troppo presto. Parlargli apertamente? Come se fosse semplice! Cosa dovrebbe dirgli? Scusa, ma per il momento credo sia meglio aspettare? Figurarsi, Tae non gli crederebbe minimamente, finendo soltanto con crearsi un milione di congetture fantasiose. Ricomincerebbe a pensare che sta con lui solamente per pietà, o peggio ancora che lo stia tradendo.
 
Santo cielo… benedetti giovani d’oggi! Dovrebbe ringraziare Dio per aver trovato un tipo serio e basato come Minho, invece no! Loro vogliono tutto quanto, e per di più lo vogliono subito! Ma che fine hanno fatto i sani principi di una volta? Oh mammina bella… mi sembro mio nonno! Però è vero. Un rapporto non ha necessariamente bisogno, soprattutto agli inizi, di un contatto fisico “completo”.
 
Ci sono gli sguardi, i baci, quelle paroline sdolcinate che ti sussurri all’orecchio… perché hai troppa paura che gli altri possano sentirle. Ci sono i segreti, che non avresti mai pensato di poter raccontare a qualcuno… ma con quella persona ti riesce così facile parlare che, senza neanche sapere come, gli hai svelato qualsiasi cosa. Già… l’amore è fatto soprattutto di queste cose. Sarò anche antiquato, ma per il sesso ne avranno di tempo.
 
Sono giovani, e gli ormoni reclamano, me ne rendo conto. Però Minho è talmente protettivo che… come si fa a non perdonargli questa sua reticenza? Specialmente adesso che conosce il passato di Tae. Vuole tenerlo al sicuro, perfino da se stesso. E’ un cuore nobile… sono felice di non essermi sbagliato su di lui. Anche Min, ne sono certo, lo capirà.
 
“Portalo fuori” propose Jinki, tranquillo, affiancandosi al più piccolo con un sorriso. “Sono sicuro che gli farebbe piacere” lo incoraggiò, depositando una carezza leggera sul capo chino dell’amico. “Non preoccuparti. Tutto andrà bene… te lo prometto”.
 
Minho sollevò lo sguardo, emozionato, incrociando lo sguardo dolce dell’altro ragazzo. “Tu riuscirai a trattenerti, e Tae comprenderà le tue intenzioni” riprese, pacato e convincente “I sentimenti tra di voi sono sinceri, quando il rapporto verrà approfondito… lo deciderete insieme. Sarai all’altezza della situazione, e continuerai a farlo sentire speciale” aggiunse, sorridendogli “Sei sempre stato bravo in questo”.
 
Il più piccolo incurvò appena le labbra, mentre il cuore palpitava un po’ più veloce, immensamente grato. Quella voce calda e comprensiva… aveva come sempre il potere di tranquillizzarlo. Il sorriso si fece più largo, e quando la mano del più grande tornò a scompigliargli i capelli… tutti i timori erano volati via.
 
“Oh, cosa sono queste effusioni in pubblico?” Kibum si intromise prepotentemente fra loro, osservando Minho con occhi minacciosi “Non osare prenderti gioco del mio cucciolo!” sibilò, schiaffeggiando le dita che Jinki era stato sul punto di allontanare “E anche tu!” continuò, puntando l’indice davanti al viso divertito dell’assistente di laboratorio “Se ti metti in mezzo a questi due… me ne infischierò altamente della tua anzianità!”
 
Le braccia di Jonghyun, di cui si era per un attimo scordato, gli cinsero velocemente la vita, allontanandolo dagli amici. Entrambi gli sorrisero, riconoscenti, e il gattino rabbioso si agitò nella sua presa. “Lasciami! Non ho ancora finito!” strillò, infastidito, ma il bruno lo strinse più forte. “E p-poi… sme-mettila di abbrac-ciarmi…”
 
“Sshhh” bisbigliò il più grande al suo orecchio, ridendo piano quando iniziò a balbettare “Sono sicuro che non stavano facendo niente di male” continuò, cercando di riappacificare il suo animo “E sono convinto che infondo… lo sappia anche tu” concluse, accarezzando dolcemente i suoi capelli biondi.
 
Kibum sbollì rapidamente, lasciandosi sfuggire un piccolo suono di approvazione. Il micetto… iniziava a fare la fusa. Minho e Jinki, dapprima divertiti, si imbarazzarono parecchio. Jonghyun aveva trascinato il biondo contro il proprio petto, solleticandogli la punta del naso, mentre il coinquilino ricambiava il suo abbraccio con un sospiro.
 
“Superman e la criptonite” borbottò il moro, a disagio, allontanando lo sguardo dai due piccioncini in fase di amoreggiamento “Basta che gli si avvicini un po’ di più… e il cervello di quel piccolo diavolo diventa più molliccio della gelatina”.
 
Il padrone di casa rise piano, in risposta a quello strano paragone, e la campanella risuonò fastidiosa tra i corridoi vuoti. Lo scimmione borbottò il suo disappunto, allontanandosi a malincuore dalle guance arrossate del suo Bummie. “Che lezione hai adesso? Inglese?”
 
Kibum annuì brevemente, perché per parlare gli mancava proprio il fiato. Sorrise, mentre il più grande lo prendeva per mano, accompagnandolo fino all’aula di lingue. Erano solo pochi metri. Fermi sulla soglia, si scambiarono un breve sguardo imbarazzato, e le dita si sciolsero definitivamente.
 
“Ci vediamo più tardi...” mormorò Jonghyun, sfiorando dolcemente le sue gote emozionate. Il sorriso timido del più piccolo gli scaldò il cuore, rendendo ancora più difficile la separazione. Poi il professore apparve in lontananza, annunciando il suo arrivo, e il biondo si precipitò in mezzo agli altri studenti.
 
Il docente, un uomo smilzo e con i capelli completamente grigi, sorpassò il bruno, che si inchinò in segno di rispetto. Minho lo raggiunse, annunciandogli che avrebbero seguito la lezione di fisica insieme, mentre Jinki faceva loro un rapido gesto con la mano, scomparendo dentro il laboratorio di chimica.
 
I due amici si incamminarono verso la propria aula, chiacchierando del più e del meno, e un ragazzo dagli anfibi neri… prese posto accanto a Kibum.
 

*****

 
Mi misi a sedere, sognante, sospirando piano mentre portavo una mano sul volto. Il calore della carezza di Jonghyun… ancora riuscivo a sentirlo. Il professore aveva già iniziato a parlare, ma rincretinito per com’ero… neanche me ne ero accorto. Mi sporsi in avanti, allungando un braccio verso la tracolla, che avevo abbandonato a terra. Me la tirai sulle ginocchia, e ne estrassi il blocco per gli appunti e l’astuccio con le penne.
 
Lo guardai un attimo, sorridendo di fronte all’occhiolino che il coniglietto giallo mi fece. Ce lo avevo fin dalle medie. Era un regalo di mia madre. Lo lavavo periodicamente, trattandolo con cura. Non volevo si rovinasse. Sottile e poco capiente, mi era sembrato l’ideale per l’università. Alla fine… doveva contenere poche cose. Due penne, entrambe nere, una da utilizzare e una di riserva. Una matita, una gomma e un evidenziatore.
 
Chiusi la cerniera, riponendo l’astuccio nella borsa, e la penna che tenevo fra le dita finì a terra. Borbottai, chinandomi nuovamente per raccoglierla, ma il mio vicino mi precedette. Non sapevo chi fosse. Non avevo guardato nessuno, appena entrato, solo pochi minuti prima. Una mano si allungò verso di me, porgendomi la biro, e il guanto di pelle che la fasciava… lo riconobbi immediatamente.
 
Sollevai di scatto il capo, trovandomi di fronte il sorriso gentile di Byung-Hee. Sorrisi anch’io, istintivamente, ringraziandolo. Mi ero già dimenticato dell’appuntamento saltato, e quando me lo ritrovai vicino… mi fece solo piacere. Indossava una maglia nera, di cotone, con le maniche raccolte fino ai gomiti. Sotto aveva i soliti jeans strappati, e le scarpe scure gli fasciavano la gamba, fino a metà polpaccio, chiudendosi sul davanti con una serie di lacci incrociati.
 
“Ciao Kibum” mi salutò, portando due dita alla fronte, come l’ultima volta. Doveva essere un’abitudine la sua. Non mi diede neanche il tempo di rispondere, che già si stava prodigando in mille scuse. “Mi dispiace tantissimo per l’altro giorno, sul serio! Ho avuto un impegno improvviso e mi sono dovuto assentare. Spero di non averti offeso, ma non avevo il tuo numero, e non sapevo proprio come avvisarti” si passò una mano tra i capelli, chinando il capo, a disagio.
 
“Non preoccuparti” lo rassicurai “Avevo immaginato che non fosse dipeso da te” aggiunsi, aprendo il block notes e preparandomi a prendere appunti “Piuttosto… spero solo che non fosse nulla di grave”. Non volevo sembrare sfacciato, impicciandomi dei fatti suoi, così rimasi sul vago… limitandomi ad una frase abbastanza banale.
 
“Va tutto bene, grazie” confermò, raggiante, allungandosi subito dopo verso di me, facendo leva sul gomito che aveva poggiato al bracciolo fra di noi “Tu hai seguito la lezione di giovedì?” mi chiese, sbirciando la mia scrittura ordinata. Capii immediatamente le sue intenzioni, e feci segno di si con la testa.
 
“Te lo presto appena finisce l’ora” mormorai sotto voce, notando lo sguardo di rimprovero che il docente ci aveva lanciato in quel momento. Il sorriso di Byung-Hee si fece più largo, e poco prima di chinarsi sul suo quaderno… mi accarezzò i capelli.
 
Sussultai, cercando di non dare a vedere il mio imbarazzo. Non mi piaceva particolarmente essere toccato, a maggior ragione dagli estranei. La mano di quel ragazzo dalla voce profonda… era stata dolce, e poco invasiva. Non l’avevo trovata fastidiosa, però… il mio pensiero era immediatamente corso a Jonghyun.
 
“Solo io. Voglio essere l’unico… a poterti toccare”. Rabbrividii, ricordando le sue parole. Mi dispiacque, e imbronciai involontariamente le labbra. Non volevo che si arrabbiasse ancora. Byung-Hee lo consideravo un conoscente, magari un probabile amico, ma niente di tutto questo… era lontanamente paragonabile a quello che provavo per il mio coinquilino. Fosse stata la mia scimmia a toccarmi… a quel punto gli sarei già finito addosso, in cerca di attenzioni.
 
Sospirai, sentendomi ugualmente in colpa. Avrei dovuto dirglielo? Ma cosa dovevo fare? Andare da lui ed iniziare il discorso con “Un tizio oggi mi ha accarezzato la testa, spero non ti dispiaccia!”. Mi parve un’idea totalmente idiota, e arrossì da solo, senza sapere ancora come comportarmi.
 
“Qualche problema?” la voce del mio vicino mi colse di sorpresa, facendomi sussultare di nuovo. Scossi il capo, senza guardarlo, fingendo di seguire la lezione. Ero una frana con le bugie. Se mi fossi voltato… si sarebbe immediatamente accorto che stavo mentendo.
 
“E così è quello lì… il tizio per il quale ti mettevi in ordine l’ultima volta” il tono divertito della sua voce, nonché l’evidente insinuazione che aveva appena fatto, per poco non mi fecero cadere dalla sedia. Mi mossi nervoso, sollevando su di lui uno sguardo timoroso. “Oh Kibum…” esordì, sorridente “Non mi faccio mica dei problemi, rilassati!” aggiunse, incoraggiante, lasciandomi qualche pacca eccessivamente pesante sulla schiena. In pratica… stavo per finire con le labbra sul piccolo quadrato in legno che avevo davanti.
 
Non disse altro, limitandosi a guardarmi, di tanto in tanto. Io mi sentivo sempre più imbarazzato, e all’ennesima cancellatura… rinunciai a prendere appunti. Byung-Hee rise piano, informandomi che mi avrebbe a sua volta prestato i propri. La gentilezza di quel ragazzo… non mi aiutava affatto!
 
Aveva capito, vero? Sapeva che mi piaceva una persona del mio stesso sesso, ma non mi sembrava affatto turbato. Anzi… tutt’altro. Continuava a trattarmi con la stessa dolcezza di prima, senza dare il minimo peso alla mia frustrazione. Mi maledissi mentalmente. Perché mi ero appiccicato in quel modo a Jonghyun?! E poi… soprattutto… perché l’avevo fatto proprio in facoltà?! Mi ero fregato il cervello, ecco perché!
 
Quando la campanella suonò ancora, per la seconda volta quel pomeriggio, tirai un sospiro di sollievo. Le mie lezioni era finite, e potevo finalmente tornarmene a casa. Quell’ultima ora... non era stata fra le più tranquille della mia vita. Mi voltai verso Byung-Hee, mentre anche lui iniziava a raccogliere le sue cose. Sollevò lo sguardo verso di me, allungandomi il suo blocco per gli appunti.
 
Lo raccolsi, arrossendo appena, scambiandolo con il mio. “Grazie!” esclamò, completamente tranquillo, riponendolo nello zaino. Non sapevo cosa fare, così me ne rimasi lì impalato, a fissarmi la punta delle scarpe, mentre gli altri studenti lasciavano l’aula.
 
“Io ho finito per oggi” annunciò, tirando giù le maniche della maglia “Mi accompagni alla moto?” abbassai ritmicamente la testa, seguendolo in silenzio. Il corridoio era pieno di chiacchiere e ragazzi che andavano di fretta. Alcuni si salutavano, altri si ignoravano, spintonandosi per arrivare più velocemente alla loro meta. I cambi d’ora… erano sempre un caos!
 
“Sei al primo anno, giusto?” Byung-Hee mi rivolse quella domanda, appena arrivati davanti al portone che dava sul cortile, e tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette. Lo fissai, sconcertato, mentre ne accendeva una e se la portava alle labbra. Non l’avrei mai detto un fumatore.
 
“Dovresti smettere” mi ritrovai a suggerire, arrossendo subito dopo. Si, ero diventato completamente scemo! Ma i fattaci miei mai, vero?! Lui mi sorrise, divertito, aspirando una nuova boccata di fumo.
 
“Mi aiuta a scaricare la tensione” spiegò, spostando il peso da una gamba all’altra. Gli occhi scuri si puntarono sul corpo affusolato che teneva tra le dita, e sospirò. “Non sei il primo a dirmi di smetterla, ma… cosa dovrei fare?” fece spallucce, scuotendo la testa “Ormai è diventato un vizio” avvicinò nuovamente le labbra alla sigaretta, e la nuvoletta grigia che rilasciò dalle narici mi fece tossire.
 
Agitai una mano davanti al viso, infastidito. Odiavo quell’odore. Byung-Hee spostò lo sguardo sorpreso da me al pacchetto rettangolare, che di lì a pochi secondi finì dentro il cestino dell’immondizia. Stavolta fui io a strabuzzare gli occhi, completamente allibito da quel gesto. Lui non diede peso alla mia reazione, e riprese a camminare.
 
“Dicevo… sei del primo anno, giusto?” mi chiese nuovamente, mentre io mi sistemavo la tracolla sulla spalla, un po’ a disagio. Confermai la sua ipotesi, e lui si infilò il giubbotto. “Io sono al terzo, per questo non ci siamo mai incontrati. Seguiamo insieme solo una lezione” spiegò brevemente, accostandosi alla moto.
 
Continuai a giocherellare come uno stupido, con la cerniera della felpa, non sapendo cos’altro dire. “Hai finito anche tu?” domandò, curioso, puntando gli occhi attenti sulla sciarpa che avevo appena allacciato al collo. Annuii distrattamente, e quando il casco nero mi fu sventolato sotto il naso… quasi non ci credevo.
 
“Salta sù!” disse semplicemente, sorridendo della mia espressione terrorizzata “Non mi dire! Hai paura della velocità?” mi prese in giro, portando entrambe le mani sul manubrio. La chiave venne girata, i fari accesi, il gas rilasciato… e il rombo possente di quella belva riempì velocemente l’intera traversa. Ne rimasi affascinato. Non ero mai salito su una moto.
 
“Prometto di andare piano” cercò di convincermi, indicando con un gesto del capo il sellino posteriore. Deglutii, insicuro, Jonghyun mi avrebbe ucciso. Sorrisi mestamente, e gli riconsegnai il casco. Lui parve capire, e la sua smorfia divertita mi fece abbassare lo sguardo. “E’ tanto geloso?”
 
Arrossii fino alla punta dei capelli, portando istintivamente le dita sul viso, cercando disperatamente di nascondere il mio imbarazzo. “N-Non mi gua-guardare! Se-sembro un idio-diota!” balbettai, pestando simultaneamente un piede a terra. Ma che razza di reazioni erano quelle!
 
Gli occhi di Byung-Hee si illuminarono, esilarati dal mio comportanto, e la sua fragorosa risata mi fece imbronciare le labbra. Mi mossi istintivamente in avanti, serrando il pugno destro, contrariato, e lo utilizzai per colpirlo alla spalla.
 
“Ahi!” strillai, massaggiando le nocche doloranti. Mi ero fatto male da solo, ma quanto potevo essere stupido?! Lui non si era mosso di mezzo millimetro, e le lacrime che gli salirono agli occhi… erano di puro divertimento. Si portò una mano sul petto, fingendosi terrorizzato dal mio sguardo furente, recuperando un minimo di auto-controllo.
 
“Non è stato molto carino da parte mia, ti chiedo scusa” pronunciò, eccessivamente serio, facendomi scuotere la testa. Si vedeva lontano un miglio che stava fingendo. Sospirai, sentendomi improvvisamente più tranquillo. Se mi offriva un passaggio e continuava a sorridere delle mie figuracce… allora sul serio non gli importava niente dei miei gusti, giusto?
 
“Mmm…” mormorò, spegnendo il motore “E se fossi io a rimanere un po’ qui?” mi chiese, fiducioso, abbandonando il sellino. Sollevai un sopracciglio, senza capire. “Non posso accompagnarti a casa, ma potrò almeno passare un po’ di tempo con un compagno, no?” suggerì, sorridente, indicando una delle panchine della facoltà.
 
“Va bene” acconsentii, controllando l’orologio. Erano le 16:10, e l’ultima lezione di Jonghyun finiva alle 17:00. Magari avrei potuto approfittarne per aspettarlo. Seguii il ragazzo che mi precedeva, osservando il suo passo deciso e la sua schiena fiera. Mi sembrava un tipo parecchio orgoglioso, o almeno… questo era quello che si intuiva dalla sua andatura.
 
“Lunedì me lo presenti, ok?” domandò, lasciandosi cadere sul sedile in pietra. Parlava sul serio? “Se mi conoscesse, magari sarebbe meno riluttante a farci passare del tempo insieme”. Il mio sguardo doveva essersi illuminato parecchio, perché dal suo sorriso… intuii che non aveva più bisogno di una mia risposta.
 
Non aveva tutti i torti infondo. Avevo comunque intenzione di presentare Byung-Hee ai miei amici, perché non iniziare proprio dal mio scimmione? Il ragazzo accanto a me si stiracchiò, placido e un po’ scomposto. Teneva le gambe aperte, in una posa piuttosto sfrontata, poggiandosi contro la spalliera e scivolando appena sulle ginocchia. Era un tipo “particolare”.
 
Lo imitai, mettendomi più comodo, ma la mia postura rimase comunque molto più rigida della sua. Io tenevo le cosce unite, e la schiena diritta. Non volevo sembrare volgare, né tantomeno farmi venire la scoliosi. Tutti quei particolari comunque, associati al viso di Byung-Hee, non gli conferivano affatto un’immagine da bullo. A guardarlo bene, dovevo ammettere… che era anche piuttosto affascinante.
 
In un altro momento forse, e se non avessi conosciuto quella dolcissima scimmia… magari… mi sarebbe anche potuto piacere. Sorrisi, scuotendo la testa a quella idea. Avevo sempre ammirato i ragazzi dalla voce calda e il fisico sportivo, nonostante questo… non avevo mai avuto una storia. Non era l’aspetto esteriore che mi importava. Kim Jonghyun… in ogni caso… rispettava perfettamente anche quei parametri.
 
“Tu mi ricordi una persona…” il tono con il quale pronunciò quelle parole mi sorprese. Mi voltai a guardarlo, trovandolo assorto in chissà quali pensieri. Teneva lo sguardo fissò sulla strada, e del solito sorriso non c’era più traccia. “Gli somigli molto…” aggiunse, con un sospiro, tirando indietro ai capelli.
 
“Un vecchio amico?” mi azzardai a chiedere, desideroso di aiutarlo. Quel tizio… mi faceva un effetto strano. Più gli stavo accanto, più sentivo un certo legame smuovermi il petto. C’era qualcosa… che ancora non riuscivo ad identificare… che mi spingeva a cercare la sua compagnia.
 
“Qualcosa del genere” rispose, appena sarcastico, arricciando le labbra. I suoi occhi mi cercarono, e io li sostenni. Nonostante l’ironia nella sua voce, quelle iridi scure continuavano a colmarsi di tristezza. “Quel tipo fuori dall’aula…” mi irrigidii automaticamente, mentre Byung-Hee tirava nuovamente in ballo Jonghyun “E’ un vecchio amico?” inarcò un sopracciglio, scettico, e io arrossii immediatamente.
 
Chinai il capo, passandomi una mano dietro il collo, avvertendo la bassa risata che si era concesso. Sobbalzai, mentre una lampadina si accendeva improvvisamente nel mio cervello, e i miei occhi spalancati si puntarono su di lui. “Ce ne hai messo di tempo…” commentò, confermando l’ipotesi che la mia mente aveva formulato.
 
“Anche tu?!” domandai, incredulo, girandomi completamente nella sua direzione. Sorrise, abbassando ritmicamente la testa, mentre la mia espressione diventava sempre più sconvolta. Mi diedi dell’idiota. Come avevo fatto a non accorgermene prima?! Beh… si… come avrei potuto? Non ero mica “pratico” di quelle cose.
 
“E io ti ricordo…?” mi indicai con un dito, sorpreso, arrossendo ancora di più. Un altro gesto affermativo, e quasi mi veniva voglia di scappare via. Stupido Kibum! Questa volta Jonghyun ti uccide davvero! Portai entrambe le mani sul viso, trovandolo incredibilmente accaldato, e Byung-Hee rise ancora.
 
“Intendevo fisicamente” cercò di rassicurarmi, sorridente, intrecciando le dita sulla pancia. “Lui dovrebbe avere la tua età… adesso” continuò, serrando la mascella “Anche il carattere è simile. Timidi, insicuri…” scrollò le spalle, portando automaticamente una mano alla tasca dei jeans. Fece una smorfia, probabilmente ricordando il pacchetto di sigarette, abbandonato nella pattumiera dell’università, e riprese a parlare.
 
“Comunque… è da molto che non lo vedo” mormorò, incupendosi “Sicuramente… non è più quello di un tempo” gli occhi di Byung-Hee tornarono a cercare i miei e, per qualche strano motivo, la sua espressione mi diede i brividi.
 

*****

 
La moto correva veloce, tra le strade affollate, superando auto in corsa ed evitando pedoni distratti. Le dita si strinsero più forte, attorno al manubrio, mentre il ragazzo dai guanti di pelle inspirava profondamente. Gli occhi sottili tornarono ad insinuarsi tra i suoi pensieri… agitati, impauriti… così come li aveva visti l’ultima volta.
 
“Dannazione!” imprecò tra i denti, superando quell’incrocio a tutta velocità, nonostante la luce rossa gli imponesse di fermarsi. Diede gas, lasciandosi avvolgere da quel ruggito possente… che l’animale tra le sue gambe liberò intorno a loro. Sorrise, più di rimpianto che di gioia, chinandosi in avanti e piegandosi verso destra.
 
La curva era stretta, difficile, ma lui la conosceva bene. La superò senza difficoltà, e il lungo rettilineo che gli comparve davanti… accolse con il proprio silenzio la sua pazza corsa. La città scomparve, caotica, alle spalle di Byung-Hee. L’eco dei clacson si perse nel vento, così come le sue frustrazioni. Il motore lanciò un nuovo urlo… feroce, rabbioso. I campi si aprirono, su entrambe le fiancate, riportandogli indietro l’odore di casa.
 
Rallentò, soddisfatto, mentre il cancello automatico riconosceva il segnale del suo telecomando. I copertoni si scontrarono con la via ricoperta di ghiaia, emettendo quel piacevole scricchiolio che aveva accompagnato tutta la sua vita. Il palazzo era alto, maestoso, proprio come l’immagine del suo vecchio. Il ragazzo sorrise, fermando la moto davanti al portone, e uno degli inservienti si affrettò a raggiungerlo.
 
“Buongiorno signore” lo salutò l’uomo, inchinandosi pomposamente di fronte a lui. Byung-Hee fece una smorfia, porgendogli il casco e le chiavi. Odiava tutte quelle cerimonie. Sorpassò il maggiordomo, infastidito, dirigendosi a passo veloce verso l’ampia scalinata.
 
“Mio padre?” chiese solamente, quando la cameriera raccolse il suo giubbotto. La donna indicò con discrezione una porta chiusa, là dove si trovava lo studio del primo piano, e il figlio del padrone non si preoccupò neanche di ringraziarla. Avere tutte quelle persone intorno lo irritava. Sorridevano, lucidavano l’argenteria, e poi si rintanavano in cucina, criticando tutto e tutti.
 
Una volta ci era capitato per sbaglio, in quel vecchio ripostiglio accanto alla palestra del secondo piano, attirato dai continui bisbigli che provenivano dal suo interno. Quello che il custode aveva detto quel giorno… gli era costato un naso spaccato, e diverse costole rotte. “La signora, povera donna, ha fatto proprio bene ad andarsene. Come poteva sopportarlo… quello stupido orso di suo marito”.
 
Byung-Hee si era lasciato accecare dalla rabbia, colpendolo ripetutamente al volto, e facendogli fare un volo di diversi metri, giù per le scale. Cosa ne sapevano loro?! Come si permettevano di parlare in quel modo di suo padre?! Stupido orso?! Povera donna?! Dannatissimo idiota, quella lezione se l’era proprio andata a cercare!
 
Il ragazzo aprì la pesante porta in legno di noce, senza neanche bussare, e lo sguardo dell’uomo accanto al camino… si sollevò immediatamente verso di lui. I guanti vennero abbandonati sul tavolino circolare, vicino alla libreria, e i passi proseguirono diretti… fino alla poltrona dall’ampia spalliera, dove sedeva il suo vecchio.
 
“Buonasera…” lo salutò il figlio, appoggiandosi ai braccioli e piegandosi prontamente verso di lui, baciandogli una guancia spigolosa. Le labbra sottili si sollevarono, sorridendogli, e la mano  ruvida accarezzò brevemente quella di Byung-Hee.
 
“E’ andato tutto bene, oggi?” il signor Jung riportò la propria attenzione sul fuoco scoppiettante, accavallando le gambe, in attesa di una risposta. Il ragazzo si sedette di fronte a lui, con un sospiro, spingendolo a voltarsi. “Byung?” lo richiamò l’uomo, notando con disappunto gli anfibi pieni di terra.
 
“Va tutto bene papà… non ti preoccupare” lo rassicurò il suo primogenito, appoggiandosi allo schienale e chiudendo gli occhi “Tu piuttosto, sei andato dal medico?”. Le labbra di suo padre si incresparono appena, e l’espressione di disappunto che gli si dipinse sul viso… fu abbastanza loquace. Byung-Hee però… non poteva vederlo.
 
“Sciocchezze!” borbottò il signor Jung “Io sto benissimo!” rincarò, allungando la mano verso il suo solito bicchiere di vino rosso. Suo figlio si mise rapidamente in piedi, sbuffando, e gli sfilò lo stelo di cristallo dalla dita. “Yah, ragazzo! Torna immediatamente qui!” ordinò il padrone di casa, imbufalito, ma nessuno si curò delle sue proteste.
 
Byung-Hee si avvicinò al carrello dei liquori, svuotando l’intero contenuto della coppa dentro il cestello del ghiaccio. Poi recuperò la bottiglia di un bianco d’annata, molto più indicato, e tornò verso suo padre. “Il rosso ti fa male” lo rimproverò, aggrottando le sopracciglia. L’uomo, che era già sul punto di rispondere, venne bloccato dal gesto categorico del giovane, che stava allontanando dalla sua portata anche la seconda scelta.
 
“E va bene, va bene” acconsentì il signor Jung, arrendendosi, e il sorriso compiaciuto del ragazzo gli fece storcere le labbra. “Tu mi ridurrai a pane e acqua!” commentò, seccato, avvicinando alla bocca il nuovo bicchiere.
 
“Si, papà, come dici tu” cantilenò, tornando a sedersi “E vedi di non esagerare neanche con quello!” lo ammonì, sprofondando nuovamente nella poltrona. Byung-Hee osservò le gambe di suo padre, elegantemente accavallate, sotto i pantaloni grigi di alta sartoria. Gli occhi risalirono sul resto della figura. Le spalle ampie, i capelli lisci, la mascella squadrata e lo sguardo profondo. Quell’uomo era il padrone di un impero, ma… nonostante questo… si ostinava a star lontano dai medici.
 
“Hai fatto l’insulina?” gli chiese, apprensivo, ridendo piano alla nuova ondata di imprecazioni. “Smettila di lamentarti, vecchio smidollato!” lo prese in giro, ricevendo in cambio un cuscino in pieno viso. “Anzianotto e miliardario per come sei, cosa ne penserebbero i tuoi soci… di un comportamento del genere?!” lo rimbeccò sarcastico “Cosa sei? Un bambino capriccioso?”
 
L’uomo lo fissò, furente, mentre il morbido involucro di seta rossa… finiva poco dopo contro la sua spalla. “Insolente!” commentò, stizzito, fingendo di ignorarlo. Byung-Hee scosse la testa, sbracandosi di fronte al fuoco, e si liberò dalle scarpe sporche.
 
“Dicono che ti somigli molto…” mormorò, derisorio, e il grugnito di suo padre lo fece scoppiare a ridere. “Tirate indietro gli artigli, vostra grazia” lo canzonò, sporgendosi verso di lui, e prendendo fra le sue una delle mani dell’uomo. Questi sbuffò ancora, irritato, ma non si tirò indietro.
 
La piccola forma cilindrica venne avvicinata al suo dito indice, pungendolo lievemente. Il signor Jung si voltò verso il camino, lasciando tutto il resto al suo primogenito. La macchinetta emise pochi bip, annunciando la sua elaborazione, e il risultato apparve poco dopo sul display rettangolare.
 
“Tutto nella norma” concesse Byung-Hee, benevolo “Ma domani non avvicinarti ai dolci di Grace” si raccomandò, riponendo tutto quanto nell’astuccio grigio.
 
La donna apparve proprio in quel momento, sulla soglia, non prima di aver discretamente bussato all’uscio. “E’ tornato signorino?” chiese, andando incontro al ragazzo con un dolce sorriso “Benvenuto” lo salutò, abbracciandolo brevemente. Il figlio del padrone si era messo in piedi, andandole incontro, e sorrise a sua volta.
 
“Stavamo proprio parlando dei tuoi dolci” la informò, facendo spallucce “E del fatto che qualcuno non dovrebbe mangiarne”. La governante sghignazzò, notando il gesto ammonitivo con il quale Byung-Hee aveva indicato suo padre, e l’uomo si indispettì ancora di più, incrociando le braccia sul petto.
 
“A proposito di dolci” disse, allungando una mano sul braccio del giovane “Le ho lasciato un pezzo di torta di mele, gliela scendo?”
 
“Non disturbarti” rispose immediatamente il ragazzo “Vengo con te” annunciò, infilando le ciabatte, che erano magicamente comparse accanto ai suoi piedi. Quella donna lo conosceva troppo bene. “Torno subito papà” mormorò, lasciando una breve carezza sulla spalla del signor Jung. Questi, seppur ancora imbronciato, la strinse brevemente nella sua.
 
La porta si richiuse, alle spalle di Byung-Hee e Grace, ed entrambi si incamminarono in direzione delle cucine. “Ah, quasi me ne scordavo!” esclamò la governante, sfiorando la fronte col palmo della mano “Ha chiamato il signor Park, questo pomeriggio, molto presto. La cercava. Ha detto che riproverà in serata”.
 
Il giovane annuì, infilando la mano in tasca. Ne estrasse il cellulare, osservando contrariato lo schermo buio. Si era scaricato. “Vado un attimo in camera mia. Ti raggiungo subito” disse velocemente, e svoltò ansioso, correndo verso la prima rampa di scale.
 

*****

 
“Come hai potuto notare tu stesso… ha schiarito i capelli” Jihun fece una breve pausa, cercando di soppesare la mia espressione, ma gli dovette risultare molto difficile… e sospirò, riprendendo. “Ha lasciato la casa paterna, direi all’incirca un anno fa, probabilmente qualcosa in meno”.
 
“Non hai scoperto altro?” gli chiesi, spazientito, avvicinandomi alla finestra della sala grande. Lui scosse la testa, e i miei pugni si strinsero istintivamente, mentre serravo le labbra e chiudevo gli occhi. Avvertii i muscoli tendersi, sotto il tessuto della maglia elasticizzata, e inspirai profondamente, cercando di calmarmi.
 
“No, mi spiace. Sai bene come vanno le cose. Suo padre è un uomo influente, ed è riuscito ad occultarlo fino ad ora. Mi sembra strano, semmai, che l’abbia lasciato andare via così facilmente” Jihun scrollò le spalle, accendendosi una sigaretta.
 
“Non si parlano da anni ormai, come pensi che possa avere ancora qualche potere?” lo contraddissi, tornando a guardarlo. Gli occhi nocciola si puntarono nei miei, e la prima nuvola di fumo nascose la sua espressione.
 
“Te lo ha tenuto nascosto fino ad ora, non ti sembra abbastanza come risposta?”. Strinsi i denti, e un nuovo moto di rabbia mi costrinse ad afferrare uno dei bicchieri sul tavolo, mandandone giù l’intero contenuto. Serrai le palpebre, stringendo le dita intorno al pesante ripiano in legno, e la mano di Jihum si poggiò amorevolmente sulla mia spalla destra.
 
“Perché ti ostini ancora con questa storia? Eravate praticamente dei bambini…” mormorò, rattristato, scuotendo la testa. “Byung-Hee, ascoltami” mi scrollò appena, costringendomi a voltarmi, ma io avevo già abbassato lo sguardo, impedendogli di incontrare i miei occhi. “Lui ti ha dimenticato, lo capisci?”
 
Quelle parole mi forarono i timpani, risuonando amare… fra le pareti di quello stupido cuore, che aveva preso a battere come una furia. Piantai entrambe le mani sul petto del mio migliore amico, e lo spinsi lontano. L’urlo che mi salì alla gola… non riuscii a controllarlo.
 
Mai!” ringhiai, inferocito “Non rinuncerò mai a lui!” la gola bruciò, mentre Jihun faceva automaticamente un passo indietro, allontanandosi ancora. “Non importa quanto tempo ci metterò! Lui mi amava, lo capisci?!” inveii, stravolto, serrando le dita su una vecchia statuetta cinese, che si infranse subito dopo… sul muro che avevo di fronte.
 
“Anche se gli avessero fatto il lavaggio del cervello, lui non può essersi dimenticato di me! Ricorderà tutto quanto! Me lo ha promesso!”
 
Raggiunsi il suo volto pallido, puntando i miei occhi stralunati sulle sue pupille dilatate. Jihum tremò visibilmente, deglutendo a fatica, mentre il mio respiro pesante si scontrava con la sua espressione impaurita.
 

“Costi quel che costi… me lo riprenderò!”
 

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Capitolo 18
*** Già mi manchi... ***




 

Capitolo 17 - Già mi manchi...

Corre lungo la strada, e i ricordi di quel passato si confondono con i sogni. L’inconscio si beffa di lui, lo deride. Le spalle si irrigidiscono, mentre la porta viene spalancata di colpo. L’immagine di quel sorriso, ingenuo e luminoso, è rimasta così nitida… così immacolata. I capelli scuri sono lisci, sottili, gli incorniciano il volto da bambino, evidenziandone i tratti delicati. Le labbra, così sapientemente modellate, hanno il colore delle fragole… e riesce quasi ad immaginarne il sapore.
 
“Mi piaci!”
 
Il cuore sussulta, pervaso dalla sincerità di quella voce tremante. Quel giorno, la sua confessione l’aveva urlata, imbarazzato, con le guance in fiamme e il fiato corto. Un rumore li fa rabbrividire, mentre Byung-Hee chiude nella propria mano le dita sottili dell’altro ragazzino, e lo trascina via. Ignorano i richiami dei genitori, rifugiandosi nel sottoscala. Il padre di quel dolce angelo… non gli è mai piaciuto.
 
Due braccia lo stringono, emozionate, giocando un brutto scherzo al suo cuore inesperto. Balbetta, con lo stomaco aggrovigliato e le mani improvvisamente più sudate. “Resteremo sempre insieme, vero?”. Esplode. I battiti diventano assordanti, la gola si stringe, gli occhi pizzicano. Lo tira più vicino, e sospira tra i suoi capelli. Il più piccolo trema ancora, facendolo sorridere.
 
“Sempre” risponde, assecondando quell’innocente convinzione… che niente avrebbe mai potuto dividerli.
 
Le palpebre si sollevarono, pesanti, e una mano si allungò stancamente, proteggendo il viso da quei raggi fastidiosi. Byung-Hee sospirò, maledicendo il sogno che l’aveva accompagnato fino al risveglio. Controllò l’orologio. Erano solo le 06:00. Chiuse di nuovo gli occhi, ma l’eco di una promessa… risuonò ancora una volta nelle tempie pulsanti, tormentandolo.
 
“Dannazione!” Le coperte vennero bruscamente fatte da parte, e i postumi dell’ultima sbornia resero più instabili i suoi passi. Non dovette abbandonare la propria camera perché, per fortuna, il bagno si trovava proprio lì a fianco. Superò la porta bianca, portando due dita alla fronte, massaggiandola piano.
 
Immobile davanti allo specchio, il proprio riflesso gli sorrise, prendendolo in giro, ricordandogli tutto il rancore che si portava dentro. Fece una smorfia, e si liberò dei pantaloni. Aveva bisogno di una doccia.
 
L’acqua scorreva, indifferente, accarezzando i muscoli pronunciati, risvegliandoli dal torpore del sonno. Byung-Hee si appoggiò alla parete, lasciandosi sopraffare da quella dolce sensazione di calore. Da quanto tempo? Quanti anni erano passati da quel giorno? Quando era stata la prima volta… che aveva iniziato a sognarlo?
 
“Probabilmente non ho mai smesso” si rispose, ad alta voce, ridendo ancora una volta. La voce incrinata gli procurò una fitta al petto, lì dove il suo cuore… aveva per un attimo reclamato. Non ce la faceva. Ogni volta che sorrideva, che si illudeva di stare meglio… ecco che arrivavano le proteste. Il rimpianto gli serrò la gola, impedendogli di respirare, e una mano invisibile accarezzò dolcemente le sue sofferenze.
 

Tornerò. Aspettami, ti prego.
Non so quanto tempo ci vorrà… ma tornerò da te.
Te lo prometto.

 
La vista divenne improvvisamente annebbiata, offuscata dal dolore di quel nuovo ricordo. Strinse i pugni, ringhiando il proprio lamento, e le lacrime scivolarono… silenziose… confondendosi con l’acqua. Per quanto tempo? Quel giorno… avrebbe voluto chiederglielo. Non ne ebbe la possibilità. Recuperò il cambio pulito, e si avvicinò alla scrivania.
 
I capelli erano ancora bagnati, e poche gocce incolore… solcavano silenziose le sue spalle, scivolando malinconiche lungo la curva della schiena. Trattenne il respiro, mentre il cursore si muoveva titubante, andando incontro a quella piccola bustina bianca, che contraddistingueva ognuna delle sue mattina. Non hai ricevuto nuovi messaggi. Le dita tremarono, attorno alla plastica insensibile del mouse, e Byung-Hee lo strinse più forte. Sapeva che era impossibile, eppure… continuava a sperarci.
 
Nuovo messaggio. E-mail numero 1369. L’unica cosa che lo facesse continuare a camminare. L’unica cosa… a cui il suo cuore innamorato si ostinava ad aggrapparsi. Quella casella di posta… era il solo mezzo di comunicazione che gli fosse rimasto. La sola traccia… che gli ricordasse l’esistenza del suo primo amore. A differenza del numero di telefono e dell’indirizzo, quella… non era scomparsa.
 
La nuova schermata si aprì, rivelando il foglio immacolato, destinato ad un messaggio ancora da comporre. Il primo cassetto venne schiuso, e la vecchia istantanea tirata fuori. Byung-Hee la guardò un attimo, accarezzando con il pollice il viso sorridente. Erano insieme. Erano felici. Inspirò profondamente… e rivolse a lui la sua domanda.
 

“Per quanto tempo… dovrò ancora aspettarti?”

 

*****

 
Domenica mattina. Dolce poltrire. Kibum sistemò le gambe sopra il divano, incrociandole tra i cuscini morbidi, e si tirò la coperta sulle spalle. Faceva freddo, nonostante fuori fosse spuntato il sole. Dopotutto… Novembre era iniziato. Sorrise, mentre la buffa caduta di quel personaggio dall’aspetto pacchiano risvegliava il suo buon umore. Erano le 07:30, ma Jonghyun non era ancora tornato. Il più piccolo fissò l’orologio accanto alla porta d’ingresso, sospirando piano. Non gli piaceva rimanere solo.
 
Scivolò più in basso, stendendosi, e il calore del plaid lo avvolse completamente. Ci si era incartato, assomigliando più ad un involtino che ad una persona, ma poco importava. Stava bene, e tanto bastava. Riportò lo sguardo sul televisore, mentre si sforzava di non pensare nuovamente al coinquilino, alzando di poco il volume.
 

… Torna presto Jongie …

 
Sul pianerottolo, pochi metri più avanti del suo appartamento, Minho e Jonghyun parlottavano sottovoce. Il più grande rise piano, e il moro lo spintonò, offeso per la sua sfrontatezza. Non poteva crederci. Lo stava prendendo in giro? Avrebbe dovuto comprendere il suo imbarazzo, invece di piegarsi in due e rischiare di soffocarsi per il troppo divertimento.
 
“Dio mio… che scena esilarante che mi sono perso!” esclamò il bruno, asciugando col dorso della mano le poche lacrime che gli avevano rigato le guance “Ma sul serio hai sputato tutto?!” infierì ancora, sopraffatto dal nuovo attacco di risa che l’espressione burbera dell’amico gli stava procurando.
 
“Yah! La vuoi smettere?!” si infuriò Minho, assestandogli un pugno sul braccio. Non c’era traccia di delicatezza nei suoi gesti, e Jonghyun barcollò appena, sorreggendosi al muro. “Ma perché ti sto raccontando queste cose poi?! Proprio tu… che ti strusci addosso al tuo coinquilino e non sei ancora riuscito a baciarlo!”
 
Colpito e affondato. Tutto il divertimento del più grande scomparve in un battito di ciglia, e le spalle si incurvarono repentinamente. “Mi avevi promesso di non tirare più in ballo questa cosa!” lo rimproverò, risentito, imbronciandosi come un bambino.
 
“Sei ingiusto lo sai…” commentò il moro, sorridendo compiaciuto “Tu puoi prenderti gioco delle mie figuracce, e io non posso ricordarti la tua sfiga?” chiese, gongolando mentalmente per la propria trovata. Jonghyun gli aveva raccontato, il giorno prima, del mancato bacio tra lui e Kibum. Il più piccolo l’aveva fissato, comprensivo, senza però rivelare il particolare... che Jinki avesse già vuotato il sacco.
 
“Hyung se n’è rimasto lì, tutto euforico, mentre la mia occasione di intrappolare Bummie se ne andava felicemente al diavolo!” grugnì, avvertendo un pizzico di risentimento rimescolargli lo stomaco “Mai come in quel momento… ho desiderato strappare i capelli a qualcuno!” sbuffò, abbattuto, e Minho sorrise mestamente… immaginando un Jinki completamente calvo.
 

Poveraccio… Ora capisco perché temesse un occhio nero…

 
“Tu, piuttosto” riprese il più grande “Cosa hai risposto alla fine?!” indagò, improvvisamente curioso, avvicinandosi nuovamente all’amico. Sembrava la rimpatriata di due comari. Il moro abbassò velocemente la testa, arrossendo fino alla punta dei capelli, e la sua risposta venne fuori piuttosto incerta.
 
“Co-cosa ho rispo-posto… che do-domanda stupi-pida” balbettò, grattandosi nervosamente la testa “Ho de-detto di s-si” ammise con non poco imbarazzo, mentre la pacca che veniva assestata sulla sua schiena… rischiava di farlo finire a terra.
 
“Congratulazioni!” strillò Jonghyun, tutto eccitato, chiudendo una mano dell’amico tra le proprie e stringendola con vigore “E quindi ormai è ufficiale, no?! Cambierete il nome sul campanello, quindi?!” continuò, imperterrito, divertendosi da morire mentre le spalle di Minho si irrigidivano, nervose “Choi e consorte non suona male!”
 
Il più piccolo si liberò dalla sua presa, irritato, bofonchiando qualche imprecazione poco carina. Il bruno rise più forte, per niente offeso dal suo comportamento. Poco dopo, infondo al corridoio del secondo piano, una porta si aprì lentamente, rivelando l’espressione sorpresa di Taemin.
 
“Ma allora eravate voi due a fare tutto questo baccano” constatò, sorridendo ai due ragazzi, il cui scambio di battute si era improvvisamente interrotto. “Vieni dentro Hyung!” disse poi, allegramente, mentre la testolina castana si spingeva ancor di più verso l’esterno “Ti ho preparato la colazione!” annunciò euforico, facendo imporporare le guance di Minho.
 
Jonghyun sbirciò con la coda dell’occhio il compagno di corsa, trovandolo estremamente buffo, ma non proferì parola. Lo capiva da solo… quando era il caso di mostrare un minimo di indulgenza. Rispose al gesto di Taemin, che stava sventolando la mano nella sua direzione, e il più piccolo rientrò dentro casa.
 
“Raggiungilo” disse semplicemente, spintonando il moro verso il punto in cui il suo coinquilino era scomparso. Minho gli apparve ancora un po’ scombussolato, ma dopo il primo attimo di esitazione, si affrettò a raggiungere quello che… ormai… era diventato a tutti gli effetti il suo fidanzato.
 
“Io ho un gattino da alimentare” aggiunse il più grande, a bassa voce, mentre il suo tono assumeva una sfumatura incredibilmente dolce. Sospirò piano, riscoprendosi piacevolmente emozionato. L’idea che il suo Bummie lo stesse aspettando, oltre quella porta ancora chiusa, fece palpitare più forte il suo cuore.
 
“Questa volta non mi scappi…”
 

*****

 
“Perché il taiyaki?” sollevai gli occhi verso di lui, trovandolo incredibilmente pensieroso, con lo sguardo puntato su di me. Parlava sul serio? Ma che domanda era? “Ci sono tanti dolci ripieni al cioccolato, però tu mangeresti sempre e solo quello…” continuò, totalmente assorto nelle sue riflessioni. Divaricò appena le gambe, spingendosi in avanti col busto, e poggiò i gomiti sulle ginocchia. Era seduto sul tavolino, proprio di fronte al divano, con le sopracciglia aggrottate e un’espressione terribilmente seria.
 
“Non lo so…” mormorai, guardando il pesciolino che stringevo tra le mani. Che risposta idiota. Jonghyun mi fissò, scettico. Neanche lui mi parve particolarmente entusiasta. Mi morsi le labbra, a disagio, non volevo apparire stupido ai suoi occhi. Arricciai il naso, cercando di concentrarmi. Ero un abitudinario, è vero, ma odiavo anche tutto ciò che potesse apparire banale, per cui…
 
“Non mi sembri un tipo che fa qualcosa senza un motivo” commentò lui, sicuro, lasciandomi piacevolmente sorpreso. Forse mi conosceva meglio di quanto credessi. Magari… Jonghyun aveva intuito l’esistenza di qualcosa… che io stesso ancora ignoravo. Chiusi gli occhi, cercando tra i miei pensieri… il ricordo di un giorno assai lontano. Quando era stata la prima volta che avevo mangiato un taiyaki?
 
Rividi un Kibum ancora bambino, camminare per mano con la sua mamma premurosa. Avrò avuto si e no sette anni, ma già riempivo chiunque di domande. Quel mattino… il quesito era questo: “Perché i pesci non volano e gli uccelli non possono vivere sott’acqua?”
 
La donna accanto a me aveva i capelli lunghi e morbidi. Mi guardò, sorridendomi, mentre accarezzava la mia testa bruna. Per tutta la vita, fin da che ho memoria, ho sempre fatto dei pensieri di quel tipo. La mia mente era un continuo susseguirsi di incognite e voglia di sapere. Normalmente era mio padre a rispondere alle mie domande, ma per sua sfortuna… quella volta fu mia madre… la vittima della mia fervida fantasia da bambino.
 
Storsi le labbra, ricordando l’uomo che mi aveva cresciuto, e mi affrettai a cancellare la sua immagine. Riaprii gli occhi, rendendomi conto solo in quel momento di averli chiusi. Jonghyun era ancora lì. Si era fatto più vicino. Lo guardai, mentre il mio cuore perdeva un battito, e lui mi sorrise.
 
“Te ne sei ricordato?” volle sapere, sedendo al mio fianco. Abbassai la testa, incredibilmente conscio di possedere una motivazione, anche se non completamente chiara. Ripartii dall’inizio, e cercai di rispondere a quella sua curiosità… attraverso le stesse immagini che avevo appena ricordato. Chissà, magari quella scimmia perspicace avrebbe potuto aiutarmi.
 
“La prima volta che ne ho visto uno… ero insieme alla mia mamma” arrossii appena, imbarazzato dal modo infantile con il quale avevo chiamato mia madre. Lui sorrise ancora, senza dire nulla, aspettando che continuassi. “Eravamo usciti a fare la spesa e… mi venne in mente una domanda un po’ stupida” ammisi, grattandomi nervosamente la testa. Avrei anche dovuto dire quale?
 
“Cioè?” - Benedetto Jonghyun, tu e la tua curiosità!
 
Strinsi le dita intorno al pantalone del pigiama, sotto il plaid che mi copriva ancora le gambe, e la mia voce fu appena un sussurro. “Perché i pesci non volano e gli uccelli non possono vivere sott’acqua?” mormorai, avvertendo il calore sulle guance diventare sempre più insistente.
 
“Non è stupida” il suo tono sicuro mi stupì, così come la carezza che mi lasciò sulla testa “Volevi solo sapere”. Schiusi le labbra, dimostrando in quel modo tutto la mia sorpresa. “Il tuo cervello era già quello di un secchione…” aggiunse, divertito, tamburellando con il dito indice sulla mia fronte aggrottata.
 
Utilizzò una mano per sfiorare la mia espressione, eliminando con la sua dolcezza quella ruga che mi aveva solcato il viso. Non riuscivo proprio ad arrabbiarmi con lui. Se ne accorse, e la soddisfazione che lessi nei suoi occhi mi fece venire voglia di schiaffeggiarlo. Che impertinenza!
 
Quando le sue braccia si allungarono all’improvviso, chiudendosi sotto le mie gambe e sollevandomi di peso… riuscii a pensare solo una cosa: “Adesso muoio!” Rimasi congelato. Rigido come una corda di violino. Ricadde sul divano, lì dove ero stato seduto io, fino ad un attimo prima. Aggiustò la coperta intorno al mio corpo, senza curarsi minimamente del tremendo batticuore che mi aveva procurato. Stupido! Stupido Jonghyun!
 
Mi ritrovai seduto sul suo grembo, leggermente ansimante, mentre lui scivolava sui cuscini e mi stringeva forte a sé. Abbandonai il viso sul petto di quel sadico coinquilino, che continuava ad attentare ogni giorno alla mia fragile vita, e ci nascosi in mezzo il mio imbarazzo. Il suo respiro sul collo mi fece tremare, facendomi entrare in un totale stato di confusione mentale.
 
“Adesso va meglio…” mormorò, strofinando il naso sui mie capelli “Continua…”
 
Si, certo! Magari quando avesse smesso di accarezzarmi la schiena! In quel momento, di fiato per riprendere a parlare… ero completamente a corto! Le dita che superarono la coperta mi fecero venire la tremarella. Stava cercando il mio corpo, oltre quei numerosi strati di vestiario dietro il quale l’avevo occultato.
 
“Se non ti va di raccontarmi… possiamo fare altro…”
 
Diavolo no! Se per “altro” intendi quello che intendo io, allora sarò morto prima ancora di riuscire a capirci qualcosa! Sollevai di scatto la testa, incrociando i suoi occhi divertiti. Brutto scimmione borioso… mi stava prendendo in giro! Digrignai i denti, ringhiando il mio disappunto, e la sua bassa risata mi fece sentire ancora più idiota. Ma per quale dannato motivo doveva sempre averla vinta lui?!
 
“Buono…” sussurrò al mio orecchio, impedendomi di sottrarmi alla sua presa. “Non ti arrabbiare…” Me ne sarei dovuto andare, offeso ed indignato, ma… lui continuava ad accarezzarmi, lentamente, facendo impazzire il mio cuore tormentato. Sospirai, mugugnando la mia imprecazione contro il suo petto, e smisi di divincolarmi.
 
“Mamma non era brava con le mie domande, e cercò di raggirarmi” mormorai, accompagnando con una piccola smorfia quell’ultima parola. “Mi disse ‘Andiamo a chiederlo a loro’. Io non capii cosa intendesse, ma la seguii comunque”. Jonghyun posò un bacio sulla mia guancia, ed io persi il filo del discorso.
 
“Dove ti portò?” mi chiese, sfiorandomi il collo con il suo respiro caldo. Tenevo il capo chino, e vedere la sua espressione mi era praticamente impossibile. Il sorriso che doveva avere in quel momento… riuscii ad immaginarlo ugualmente. Arrossii, mentre Lucy faceva il suo ingresso in cucina. Lei mi guardò, quasi volesse accertarsi che stessi bene. Quando le sorrisi… parve rasserenarsi… e trotterellò tutta felice verso la sua ciotola con i croccantini.
 
“Bummie?” il ragazzo che mi stava abbracciando richiamò la mia attenzione, e io mi voltai istintivamente a guardarlo. I suoi occhi erano molto vicini, grandi e pieni di curiosità, mi imbambolai a fissarlo… dimenticando ancora una volta la sua domanda. Jonghyun sollevò un sopracciglio, divertito, rendendomi improvvisamente consapevole dello stato di trance in cui ero caduto.
 
“Acqua-quario” balbettai “Mi portò all’acquario!”
 
“Non ci eri mai andato?” mi chiese ancora, spingendomi nuovamente verso di sé. Non mi feci pregare, felice di poter nascondere le mie guance color porpora sulla sua felpa scura. Scossi la testa, confermando la sua ipotesi, e abbassai le palpebre. Cercai di ignorare le braccia che mi stavano stringendo, e tornai a concentrarmi sul mio racconto.
 
“Mi piacque molto. Talmente tanto che dimenticai tutto il resto…” ammisi, mentre la sua mano destra ricominciava ad accarezzarmi i capelli. Mi lasciai distrarre ancora una volta, e i miei pensieri vennero fuori di getto, senza che io potessi controllarmi. “Al ritorno verso casa, le dissi che avrei voluto vivere dentro un acquario” quella confessione mi fece imbarazzare ancora di più, e la sua bassa risata non fece altro che peggiorare la situazione.
 
“Cosa ti piaceva così tanto?” volle sapere, rigirandosi un ciuffo più lungo intorno alle dita. La sensazione che mi donava la sua vicinanza, nonostante mi facesse agire come un completo imbecille, riusciva anche… in qualche modo… a rilassarmi terribilmente. Jonghyun mi donava sicurezza, mi faceva sentire protetto.
 
“I colori” risposi, lasciandomi guidare dall’istinto. Non ero un tipo che parlava molto. Normalmente… ero più bravo ad ascoltare. Quando conobbi quella scimmia dai capelli per aria, senza accorgermene, avevo già iniziato a cambiare. “Non solo i colori dei pesci. Anche i riflessi dell’acqua, la proiezione della mia immagine, sul vetro che circondava le vasche. L’acquario era pieno di luci, e queste si scontravano su qualsiasi particolare… rendendolo quasi… magico” conclusi, riscoprendomi inaspettatamente emozionato.
 
Era la prima volta che raccontavo a qualcuno una cosa così stupida… e allo stesso tempo così importante. Le mie sensazioni, le mie considerazioni… era difficile che le esternassi davvero. La gente mi credeva scostante, magari introverso, ma la realtà… è che ero semplicemente timido. Parlare di me stesso mi metteva a disagio, e cercavo di nascondere quella mancanza… sotto una maschera di studiata freddezza.
 
“Cosa ti ha portato fino al taiyaki?”
 
“La sua forma… credo. Stavamo tornando a casa e… il chiosco vicino al fruttivendolo vendeva quegli strani dolci che assomigliavano a dei pesci. La mia mamma ci si fermò davanti…” chiusi gli occhi, ripensando al sorriso che mia madre mi fece quel giorno “e mi disse ‘Non posso farti vivere in un acquario Kibum, mi mancheresti troppo’ ” le lacrime si fecero avanti, ma la sensazione che mi strinse il cuore… era calda e piacevole. Mi cullò, facendomi sentire speciale. “ ‘Però posso lasciarti portare a casa tutti i pesci che vuoi’ “.
 
Mi allontanai dal petto di Jonghyun, cercando il suo sguardo. Lo trovai subito, pieno di dolcezza, immobile sul mio viso. “Credo sia questo… il motivo”. Mi sorrise… ed io recuperai, un po’ più consapevole, il mio taiyaki.
 

*****


“Lo hai visto?” la donna gli si avvicinò, titubante, ponendogli quella domanda con voce ansiosa. Suo marito le dava le spalle, seduto sulla solita poltrona. Questi abbassò ritmicamente la testa, senza parlare. Portò una mano sull’angolo della pagina, chiudendolo tra due dita, e proseguì la sua lettura.
 
“Era alla conferenza?” la tazza del tè tremò appena, tra le dita sottili della sua adorata moglie, risvegliandogli in cuore una nuova tristezza.
 
“No. Mi avevi dato l’indirizzo. Sono passato da casa sua” bevve un lungo sorso del liquido caldo, chiudendo gli occhi e sospirando piano. Conosceva già quello che sarebbe seguito, e con un peso sul petto… si affrettò a disilludere la donna. “Sono rimasto in auto, aspettando che rientrasse. Sta bene, non devi preoccuparti”.
 
La signora Kim abbassò lo sguardo, un tempo speranzoso, nascondendo al marito la propria delusione. Non che ci fosse riuscita, comunque, ma il suo intento era stato quello. L’uomo si mise in piedi, avvicinandosi a lei. Seduta al grande tavolo circolare, continuò a tenere gli occhi umidi sulla bevanda scura, ignorandolo. Una mano si poggiò sulla spalla sinistra, stringendola piano, ma la donna si mise lentamente in piedi… allontanandosi.
 
La porta si chiuse sulle sue spalle ricurve, e il signor Kim mise da parte la propria tazza. Non ne aveva più voglia. Si avvicinò alla libreria, recuperando un volume color avorio, piuttosto grosso. La sua ultima pubblicazione. Sollevò la copertina, quasi timoroso. Respirò profondamente… quando quelle poche parole… gli fecero tremare il cuore.
 

A mio figlio.
Per tutti i suoi sorrisi…
che hanno costantemente
accompagnato la mia ricerca.

 
Il libro si richiuse con un tonfo sordo, e il padre di Kibum lo lasciò cadere sul tavolo, dandogli velocemente le spalle. Troppi pensieri. Troppi ricordi. Li ignorò, concentrandosi sul paesaggio desolato, oltre la vetrata di quel grande salotto finemente arredato. Com’era successo? Sua moglie aveva ragione. Era colpa sua. Il suo unico figlio gli aveva tolto la parola, e lui… in tutti quegli anni… non aveva mai cercato una soluzione alla loro situazione.
 
Mi bastava saperti al sicuro, vicino a me. Mi illudevo che con il tempo… tutto si sarebbe aggiustato. Invece il tuo sguardo diventava sempre più freddo… ed io non riuscivo più a raggiungerlo. Ti ho portato sulle mie spalle, ti ho insegnato a leggere, ti ho comprato il primo camice che avevi ancora dieci anni. Eri il mio orgoglio. Il mio lascito a questo mondo. Come ho potuto permettere… che te ne dimenticassi?
 
Il telefono suonò, insistente, obbligandolo a sollevare la cornetta. Il tono freddo fece per un attimo titubare il suo interlocutore che, come da accordi, lo contattava all’inizio di ogni mese. Ascoltò distrattamente quello che gli veniva detto, annuendo a monosillabi di fronte alle informazioni di routine.
 
“Cosa vuol dire che non sta cambiando gli assegni?!” ruggì, improvvisamente furente, stringendo un pugno e serrando la mascella. “Da quando?! Perché non me l’hai detto prima?!”
 
“Ho voluto aspettare, per sincerarmi delle sue intenzioni” spiegò velocemente l’altra persona “Questo è il secondo mese. Sta utilizzando i soldi della borsa di studio per pagare l’affitto, e con le ripetizioni copre le altre spese. Si sta organizzando bene, e se dovesse ricevere gli incentivi dell’università alla fine dell’anno… allora potrà sicuramente mantenersi da solo”.
 
“Dannazione!” la comunicazione venne interrotta bruscamente, e il signor Kim passò una mano tremante… sul volto incredibilmente pallido.
 

*****

 
Erano appena le 09:10. Quella mattina non saremmo usciti. Jinki era fuori città con la madre, in visita da alcuni parenti lontani, e avevamo deciso di non andare al solito bar. Non sarebbe stato lo stesso senza di lui. Fermi sulla soglia del suo appartamento… lo avevamo abbracciato tutti quanti, raccomandandogli di fare attenzione lungo il tragitto. Lui ci aveva sorriso, tutto emozionato per la nostra preoccupazione, ed infine era partito.
 
Sollevai il volto, abbandonando per un attimo la lettura, e Bummie mi passò frettolosamente davanti. Teneva un secchio pieno d’acqua in una mano, e una mazza da lavare piuttosto malconcia nell’altra. Non era la prima volta che lo vedevo fare la pulizie. Ammetto che, sbirciare le sue espressioni in quei momenti, mi divertiva parecchio.
 
Si bloccò all’improvviso, guardingo, annusando l’aria intorno a sé. Lo imitai automaticamente, senza neanche rendermene conto. Non sentii nulla di strano, e anche lui… dopo un attimo… parve convincersi che andasse tutto bene. Passò l’indice affusolato sulla superficie chiara delle mensole accanto al frigorifero, osservando con minuziosa attenzione il polpastrello pulito. Non c’era traccia di polvere, e il suo sorriso soddisfatto ne fu la prova.
 
“Vuoi una mano?” gli chiesi, desidero di stargli più vicino, ma il suo sguardo severo fece spegnere rapidamente il mio entusiasmo. Sbirciò il libro ancora aperto, abbandonato sul divano, e scosse la testa. Uff… sempre la solita storia!
 
“Torna a studiare” mi intimò, per niente benevolo, puntando i suoi occhi felini sul mio volto deluso “Finisci il capitolo, e dopo ne riparliamo…” concesse, con una piccola smorfia, e una punta di rossore rese deliziosamente imbarazzate le sue guance delicate.
 
A lavoro! Datti una mossa Kim Jonghyun, qui non c’è tempo da perdere! Mi rimisi rapidamente seduto, mentre Lucy si accoccolava placidamente ai miei piedi. Kibum si schiarì la voce, fissandola torvo, e la cagnolina parve intuire immediatamente la natura della sua insoddisfazione. Balzò sul divano, sedendo al mio fianco, e il mio coinquilino prese a lavare energicamente il pavimento.
 
“Alza” ordinò, urtando le mie ciabatte con lo straccio bagnato. Obbedii, troppo timoroso per rischiare di farlo infuriare, e ben presto le mattonelle presero a brillare. Tutte le finestre erano state spalancate, facendo congelare le mie povere spalle. Mi tirai una coperta addosso, tremando appena, e i miei pensieri corsero automaticamente al ragazzo che avevo di fronte. Osservai la sua maglia a maniche corte, rabbuiandomi subito dopo.
 
“Ti farà male se resti in quel modo” cercai di metterlo in guardia, ma lui scrollò le spalle, ritornando verso il secchio abbandonato vicino alla porta. Era proprio una testaccia dura alle volte! Sbuffai, mettendomi in piedi, e mi affrettai ad andargli incontro “Non va bene come sei vestito” insistetti, fermo dietro di lui.
 
Non mi ascoltò neanche, sporgendosi in avanti e prendendo a ripulire energicamente i battiscopa. Il suo sedere oscillò appena, seguendo il movimento ondulatorio dei fianchi stretti. Deglutii, senza trovare la forza di voltarmi. I suoi occhi si puntarono repentinamente sui miei, guardandomi di sbieco. Si era accorto di quello che stavo facendo?!
 
Credo di essere sbiancato, mentre Kibum digrignava i denti, recuperando la mazza da lavare e venendomi incontro. Sollevai entrambe le mani in aria, in una mutua richiesta di tregua, ma il suo grugnito di risposta non fu per niente rassicurante. Dio santo! E adesso come lo convincevo della mia innocenza?
 
“Era ancora bagnato!” sbottò all’improvviso, puntando con dito inquisitore le orme di sporco che avevo lasciato alle mie spalle. Avrei voluto tirare un sospiro di sollievo, felice di non essere stato scoperto, ma non me ne diede neanche il tempo. “Non solo faccio sempre tutto io, per di più ti metti anche a sporcare!”
 
Gonfiò le guance, indispettito, e quando pensai lucidamente a quello che stavo per fare… era già troppo tardi. Me lo caricai in spalla, facendolo strillare per la sorpresa. Si divincolò, cercando di liberarsi, ma sarebbe bastato un movimento più brusco… per farlo finire con le labbra a terra.
 
“Non dimenarti…” mi lagnai, tentando di tenerlo fermo “Non riesco a tenerti se continui a comportarti come un pazzo!” aggiunsi, con il solo intento di provocarlo. Tanti piccoli pugni si abbatterono sulle mie spalle, così come i suoi insulti strozzati… resi meno chiari dalla posizione difficoltosa nella quale si trovava. Le braccia vennero abbandonate, penzoloni, sfiorandomi le gambe, e in un attimo fui cosciente… che la “battaglia” si era conclusa.
 
Lo trascinai sul divano insieme a me, intrappolandolo sotto il mio peso. Non avevo intenzione di assalirlo, ma solo di bloccarlo. Quello che non avevo previsto… fu il suo ansimare leggero, non appena i nostri corpi entrarono in contatto. Il respiro sul mio viso era spezzato, evidentemente eccitato. Non avrebbe dovuto farlo. Mi allontanai da lui con la velocità di un fulmine, giusto in tempo per tirarmi un cuscino addosso, coprendo l’erezione che mi aveva gonfiato i pantaloni.
 
Aveva ancora le labbra dischiuse, e le mani abbandonate ai lati del volto. I capelli si erano spettinati e la maglia sollevata, appena appena, sul fianco destro. Sembrava non essersi accorto di nulla, troppo impegnato a regolarizzare il proprio respiro. Il problema era che io, invece, ero pienamente cosciente del suo stato. Sentii il calore scalpitare, insistente, all’altezza del mio inguine. Maledizione!
 
“Che volevi fare?” soffiò fuori, totalmente confuso. Ringraziai il cielo per quell’attimo di smarrimento, e cercai mentalmente una scusa plausibile da rifilargli. Kibum sbatté le palpebre, mettendosi lentamente a sedere. Portò le mani alla testa, notando i capelli sconvolti, mentre i suoi occhi da gatto divenivano ancora più sottili. Stava recuperando velocemente coscienza. Non mi restava più molto tempo.
 
“Sei ostinato!” esclamai, agitando nervosamente le mani “I-Io volevo di-dimostrarti c-che non puoi sempre fa-fare quello c-che vuoi!” il suo sguardo minaccioso divenne sorpreso, mentre il calore alle guance tornava ad imporporarle. Come faceva a cambiare così rapidamente? Come poteva essere così… Dio… il capo chino e lo sguardo imbarazzato: Il mio Bummie era adorabile.
 
Mi dimenticai gli istinti che avrei dovuto tenergli nascosti, scivolando nuovamente accanto a lui. Balbettò qualche scusa poco comprensibile, dandomi “in parte” ragione. “Forse sono troppo leggero…” mormorò, a fior di labbra, sfiorando la maglia e sfuggendo al mio sguardo. Mi fece sorridere. Mi spinsi verso il suo corpo, trascinandolo ancora una volta tra i cuscini. Feci attenzione a non finirgli sopra, spingendolo a coricarsi su un fianco.
 
Kibum si irrigidì tra le mie braccia, dimostrandosi molto più arrendevole di quanto avesse fatto al primo tentativo. Sospirò, cercando di rilassarsi, mentre il suo profumo delicato avvolgeva lentamente l’aria che avevo intorno. Afferrai la coperta, e coprii entrambi. I capelli biondi, così vicini al mio viso, erano talmente morbidi da ricordarmi la seta. Tutto… in lui… era prezioso ed unico.
 
“Adesso non sentirai freddo” sussurrai, avvalendomi di quella scusa per avvicinarmi al suo orecchio. Portai un braccio intorno al suo fianco sinistro, utilizzando l’altro per sostenere il suo capo. Il calore di quel corpo fragile… faceva vibrare l’intero mio essere. Non parlo solo dal punto di vista fisico. Bummie… mi smuoveva l’anima. Qualcosa che non credevo possibile. Qualcosa… che non avevo mai provato.
 
Quando fu lui ad abbracciarmi, rispondendo con un movimento incerto alla mia stretta… finalmente… anche io riuscii a rilassarmi. Chiusi gli occhi, dimenticando tutto il resto. Anche lui sembrò faro lo stesso e… per quella mattina… le pulizie non vennero completate.
 

*****

 
Taemin e Minho gli apparvero piuttosto sconvolti mentre, tutto ansimante, annunciava la sua imminente partenza. Erano le 11:00 di mattina, e la notizia gli era giunta solo da pochissimi minuti. Il ragazzino dai capelli castani spalancò la bocca, stravolto. Accanto a lui… il gigante buono assunse un atteggiamento molto simile.
 
“Ma… Jong… che dici?” mormorò, non riuscendo a credere possibile una cosa del genere.
 
“Ragazzi, rilassatevi!” esclamò il più grande, poggiando una mano sulla spalla di entrambi, e scuotendoli piano “Mancherò solo un giorno, al massimo due” precisò, ricevendo in cambio un pesante sospiro di sollievo “Fatemi gli auguri…” aggiunse, tutto emozionato “Sono diventato zio!”
 
L’espressione sui volti dei due inquilini del 22/B cambiò velocemente. Stupore. Confusione. Gioia. Si mossero entrambi in avanti, abbracciandolo forte. “Auguri vecchio mio!” tuonò il moro, col suo vocione potente, stritolandolo nella sua morsa. Il più piccolo, assai più delicato, lo strinse dolcemente, sussurrando al suo orecchio le proprie congratulazioni.
 
“Yurim. 3.00Kg. E la mammina sta benissimo! ^^ Vieni presto, ti aspettiamo! ^^ Chongmin”
 
Il messaggio di suo cognato era arrivato all’improvviso, mentre lui e Kibum sonnecchiavano sul divano. Lo aveva sorpreso, ma anche reso felicissimo. Mancava ancora una settimana alla data prevista per il parto ma, a quanto sembrava, Yurim non aveva voglia di aspettare oltre. Jonghyun sorrise, ripetendosi mentalmente il nome della sua nuova nipotina. Insieme all’sms, Chongmin ci aveva allegato una foto. Non si vedeva molto bene, perché il ragazzo non aveva utilizzato il flash per scattarla. Si sa… i bambini piccoli non possono essere sottoposti a luci troppo forti o improvvise.
 
Il suo coinquilino si era dimostrato entusiasta da quella notizia, aiutandolo a preparare la borsa e controllando per lui gli orari degli autobus. Ne sarebbe partito uno tra poco più di un’ora. Giusto il tempo di lavarsi e correre ad avvisare i vicini.
 
“Mi raccomando però… cercate di non lasciare solo il mio piccoletto” si era raccomandato, per l’ennesima volta, mentre ritornava con gli amici verso il proprio appartamento. Entrambi annuirono, sorridendo del modo in cui aveva chiamato Kibum. La scimmia era proprio cotta, vero?
 
“Bummie?” neanche aveva messo il piede dentro, che il più piccolo gli era già addosso. Strinse le dita sottili sulle braccia di Jonghyun, ripetendo per la milionesima volta le stesse raccomandazioni.
 
“Copriti per bene. Ho controllato le previsioni e stasera le temperature si abbasseranno” mentre parlava… aveva infilato, come era ormai divenuta sua abitudine, il cappello di lana in testa al bruno, aggiustandolo con cura e meticolosità. “L’autobus ci metterà quattro ore ad arrivare, quindi meglio se vai in bagno prima di uscire di casa!” lo spintonò verso il corridoio, mentre gli altri due amici sghignazzavano, e Jonghyun arrossiva dalla vergogna.
 
“Stai sempre attento al bagaglio. Ci sono in giro un sacco di tipi poco raccomandabili!” continuò a strillargli, agitatissimo, da dietro la porta chiusa. “Oh… hai preso il caricabatterie vero?” chiese, iniziando a sbattere furiosamente contro l’uscio. Questo venne aperto all’improvviso, facendolo finire addosso al più grande.
 
“Calmati!” ordinò il bruno, afferrandolo per le spalle e scrollandolo con dolcezza. Stava sorridendo, ma le continue urla del più piccolo lo stavano sul serio facendo impazzire. “Il viaggio sarà tranquillo. Mi coprirò bene. Non mi farò derubare” disse con tono pacato, scandendo lentamente ogni singola parola “Il carica batterie l’ho preso, non ti preoccupare”.
 
Kibum curvò le spalle, improvvisamente abbattuto, e sollevò gli occhi da cerbiatto verso di lui. Sembrava… quasi triste. “E mi chiami?” volle sapere, arrossendo immediatamente. Il sorriso di Jonghyun si allargò, estasiato da quelle parole. “Appena arrivo” rispose, accarezzandogli una guancia.
 
Il biondo abbassò ritmicamente la testa, come a voler confermare che gli sembrava la scelta migliore. “Minho e Taemin ti terranno compagnia” disse ancora il più grande, lasciando scorrere le dita tra i suo capelli spettinati “Vedo mia nipote… e torno da te”.
 
Il suo coinquilino arrossì ancora di più, intrecciando le proprie dita con quelle di Jonghyun, mentre insieme si avvicinavano alla porta d’ingresso. I vicini rimasero un attimo in disparte, sedendo sul divano e fingendo di guardare la televisione. Kibum gli strinse improvvisamente le braccia intorno al collo, facendolo barcollare.
 
Il bruno rise piano, avvolgendogli i fianchi e cullandoselo dolcemente addosso. “Torna presto…” sbiascicò il più piccolo, tremante e incredibilmente emozionato. La voce, appena incrinata, gli fece guadagnare un’altra carezza. Le labbra di Jonghyun sfiorarono la sua fronte, baciando con delicatezza la sua pelle di porcellana.
 
“Promesso…”
 
Separarsi da quell’incantevole micetto… fu più difficile di quanto avesse creduto. Dovette inspirare profondamente, cercando di controllare la voglia improvvisa di portarselo dietro. Come avrebbe fatto? In valigia non poteva certo nasconderlo e poi… cosa avrebbe detto ai suoi? Non sarebbe stato un comportamento normale… portarsi dietro un amico di cui non avevano mai sentito parlare. Senza contare che poi… magari sarebbe stato lo stesso Kibum… a sentirsi in imbarazzo.
 
Rilasciò andare lentamente l’aria, allontanandosi a malincuore dal corpo caldo del suo Bummie. Il biondo si sforzò di sorridergli, notando l’atteggiamento titubante che il suo coinquilino aveva adottato negli ultimi minuti. Un’ultima carezza, che questa volta fu il più piccolo a concedergli, e Jonghyun andò via.
 
La fermata dell’autobus non era molto lontana, e la raggiunse rapidamente. Il mezzo era già arrivato, e l’autista invitava i passeggeri a sistemare i propri bagagli. Hyuri gli andò incontro, sventolando una mano nella sua direzione. L’amico la raggiunse, lasciandosi abbracciare.
 
“Tantissimi auguri zietto” sussurrò lei al suo orecchio, sollevandosi sulla punta dei piedi e baciando dolcemente la sua guancia sinistra. “Andiamo a conoscere la tua nuova nipotina” e così dicendo lo prese per mano, trascinandolo verso il pullman.
 
Mancavano ancora venti minuti alla partenza, ma una volta che le borse furono sistemate… tanto valeva prendere posto. Scelsero i sedili sulla destra, della quarta fila. A Hyuri non piaceva stare infondo, soprattutto a causa del motore, e Jonghyun assecondò le sue scelte senza dire nulla. Lasciò il posto interno alla ragazza, sedendo accanto al finestrino. Attraverso il vetro, gli occhi si persero sulle strade affollate di Seul, scorgendo mille particolari... che in realtà non vedevano davvero.
 
Il bruno era distratto, pensieroso. Quando il paesaggio iniziò velocemente a scorrere intorno a loro, sfilò il cellulare dalla tasca. La schermata dei messaggi si aprì veloce, dandogli la possibilità di comporre il proprio. Poche parole, niente di eccessivamente pomposo o melodrammatico. Semplicemente… la verità. Selezionò il numero del suo coinquilino, e pigiò il tasto di invio. Sospirò, chiudendo gli occhi, ma l’immagine di Kibum non abbandonò i suoi pensieri… neanche per un attimo.


 

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Capitolo 19
*** Posso dormire nel tuo letto? ***


NOTE

Ragazzuole care, eccoci qui con un nuovo capitolo... non mi morite, mi raccomando! >_<
Questa breve introduzione, più che per parlare della storia, è un annuncio tutto personale dell'autrice.
Mi spiego... recentemente, ho aggiunto diverse di voi su facebook. Beh, nel caso ci sia qualcun'altra
di voi interessata, vi lascio di seguito il link diretto alla mia pagina. Mi raccomando però, avvisatemi in pvt,
altrimenti non riuscirà mai a capire "chi" è "chi"... non so se mi spiego! >_<
A presto carissime! Baci! <3

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Capitolo 18 - Posso dormire nel tuo letto?

“Con chi parli?” Chongmin gli sfilò il cellulare di mano, facendolo allarmare “Continuo a pensarti. Non vedo l’ora di tornare” lesse ad alta voce, sghignazzando sommessamente quando Jonghyun avvampò in preda al panico “Qualcuno si è trovato la ragazza…” commentò il padre di Yurim, restituendogli il palmare.
 
“Non andare a spiattellarlo in giro!” esclamò il più piccolo, guardandosi velocemente intorno. Sembrava che non ci fosse nessuno. Sospirò, portando una mano sul petto, e suo cognato rise ancora di più.
 
“Andiamo…” disse il marito di Miyon, sua sorella maggiore, trascinandolo verso il portico. La bambina e la madre stavano riposando, entrambe sfinite dal parto. La piccola aveva capelli lisci e nerissimi, come quelli di Chongmin. Gli occhi non era riuscito a vederli, ma quelle piccole guanciotte rosa già le adorava.
 
“Allora… racconta!” lo spronò l’altro ragazzo, e Jonghyun prese a grattarsi nervosamente la testa, puntando lo sguardo verso l’orizzonte. Il sole stava tramontando veloce. Dovevano essere le 18:30, più o meno. La casa dei due coniugi si trovava in una cittadina non molto grande, a qualche ora da Seul. Intorno alla piccola struttura su due piani, circondata da un ampio giardino, si stendevano centinaia di ettari di terreno coltivabile, in quel momento per lo più spogli.
 
“Questo posto mi è sempre piaciuto” commentò il bruno, inspirando profondamente l’aria incontaminata.
 
“Se è così… perché la prossima volta non la porti con te?” gli occhi di Jonghyun, temporaneamente chiusi, si spalancarono all’improvviso, fissando il volto sorridente di Chongmin “Cos’è? Non vuoi farcela conoscere?” indagò il maggiore, inarcando un sopracciglio “A giudicare dalla tua reazione di prima, mi sembra che tu ci tenga parecchio… no?”
 
Il più piccolo si lasciò cadere sulla panchina in legno, accanto alla porta d’ingresso, e suo cognato lo imitò. “Non è così semplice…” mormorò il ragazzo dagli occhi scuri, poggiando i gomiti sulle ginocchia e incurvando appena le spalle. “E poi… non sono sicuro che vorrebbe venire”.
 
Sul volto del padre di Yurim spuntò una piccola smorfia, mentre la sua natura comprensiva lo spingeva ad accarezzare brevemente la schiena di Jonghyun. “Come vi siete conosciuti?” gli chiese, poggiando le spalle allo schienale e stendendo le gambe.
 
Il bruno sospirò, indeciso, sapeva bene che quel momento prima o poi sarebbe arrivato. Se non altro… i suoi genitori non erano presenti. “All’università” rispose, scrollando le spalle, attendendo la reazione dell’altro ragazzo. Chongmin strabuzzò gli occhi,  completamente incredulo, guardandolo come se fosse stato un alieno.
 
“Ma cosa…?! Quando?!” esclamò, afferrando il più piccolo per le spalle e scrollandolo con veemenza “Perché non ci hai detto nulla?! Io credevo stessi lavorando!” continuò, alzando la voce quel tanto che bastava per far volare via un piccolo uccellino impaurito. Di fianco a lui, Jonghyun scosse la testa, sorridendogli.
 
“Ho iniziato quest’anno. Dipartimento fisica e chimica” pronunciò quelle parole con tono sicuro, e allo stesso tempo estremamente sereno. In qualche modo… la propria scelta lo rendeva un pizzico orgoglioso. Non l’avrebbe mai ammesso davanti a suo padre, che per tutta la vita non aveva fatto altro che indirizzarlo verso l’università, ma… con Chongmin… poteva essere sincero. “Ci sto ancora prendendo la mano. All’inizio, tra formule e leggi di ogni tipo, stavo rischiando sul serio di uscire pazzo!” ammise, ridendo piano della propria stupidità.
 
“E’ la stessa facoltà che frequenta Hyuri, non è così?” commentò suo cognato, ricevendo in risposta un rapido segno di assenso. “E anche quest’altra persona la frequenta?” Jonghyun abbassò ritmicamente il capo, per la seconda volta, ma con non poco imbarazzo. Il moro rise a sua volta, incrociando le braccia dietro la testa e sollevando lo sguardo verso il cielo “Parlami un po’ di lei…”
 
E’ sempre stato facile con lui. Chongmin, oltre a mia sorella, è sempre stato l’unico della mia famiglia ad “ascoltarmi” davvero. I miei abbassavano semplicemente la testa, sbadigliando di tanti in tanto, per poi abbattere con la loro superficialità… i piccoli castelli di sabbia di cui erano fatti i miei sogni. Io dovevo pensare alla nostra attività. Studiare economia e prendere il posto di mio padre. Un futuro già deciso. Un futuro che non avevo scelto. Un futuro… che non volevo.
 
Così ero andato via, soffrendo insieme a Miyon, per le lacrime che quel giorno avevano rigato il suo volto. Lei e Chongmin stavano già insieme, ma si sarebbero sposati solo dopo sei mesi. Davanti al cancello di casa, mentre mio padre sbatteva la porta dello studio, giurando che non mi avrebbe mai perdonato… mio cognato mi si avvicinò.
 
“Cerca la tua strada, e abbi sempre il coraggio di seguirla” mi aveva detto, stringendomi a sé. Ero rimasto sorpreso dal suo calore, dal suo appoggio. Avevo pianto tra le sue braccia, come il bambino che non ero mai stato. Avevo paura. Da una parte la desideravo… quella libertà che mi era stata sempre negata. D’altra però… l’ignoto che mi attendeva, fuori da quelle mura che mi avevano visto crescere, mi impauriva.
 
Sarei stato da solo. Lontano dalle mie abitudini e dal sorriso di mia sorella. Una vita nuova stava iniziando, ma la mia voglia di viverla non la rendeva meno spaventosa. Credo sia normale infondo. Chi, fra di noi, non ha mai avuto paura di “crescere”? Quando sei piccolo… sono gli altri a prendere le decisioni al posto tuo. Ma da adulto… solo le tue gambe possono mantenerti in piedi.
 
“Sii forte” mi disse quel giorno Chongmin “E noi saremo sempre qui per te”.
 
Jonghyun osservò il profilo di suo cognato, mentre il cielo si tingeva di rosso, e le rondini lo attraversavano, veloci, l’una accanto all’altra. Era sempre stato bravo lui… con le parole. Sapeva quando consigliarti o quando, semplicemente, stringerti forte. Gli faceva pensare a Jinki. Loro si somigliavano molto. A Kibum sarebbe piaciuto sicuramente.
 
“Usa un paio di occhiali molto grandi, con la montatura nera e le lenti spesse” iniziò, partendo da quel particolare che lo aveva subito incuriosito “Ma non ne ha realmente bisogno” aggiunse, scuotendo la testa, ridendo piano. “Dice che la gente rivolge la propria attenzione al suo aspetto fisico, senza prestargli ascolto” spiegò, e la risata che si unì alla sua lo spinse a continuare il suo racconto.
 
“I suoi capelli sono biondi, e hanno lo stesso colore del miele… o dei girasoli, quando è tempo di fioritura” non badò allo sguardo che si era posato sul suo volto, poggiando la nuca contro la panchina. Chiuse gli occhi, e pensò solo al suo Bummie. “La sua pelle è bianca, sottile… profumata. Quando la accarezzo… mi sembra di toccare qualcosa di astratto, qualcosa… di incredibilmente surreale”.
 
“E’ morbida, vellutata sotto le dita” stinse una mano intorno al pantalone, mordendo nervosamente il labbro inferiore “L’aroma di vaniglia è talmente… non lo so” Jonghyun portò un braccio sulla fronte, nascondendoci dietro la propria espressione “Mi avvolge. Mi strega… mandandomi completamente fuori di testa” confessò, sentendosi parecchio a disagio. Fece una piccola pausa, inspirando profondamente. Più immaginava Kibum, più la voglia di tornare da lui cresceva a dismisura.
 
“Le labbra sono rosse… perfette. I contorni dolci, morbidi e precisi. Le imbroncia spesso e…” non riusciva a trovare le parole giuste. O forse si, solo che sarebbe stato davvero sconveniente rivelare i propri pensieri. Lasciò la frase in sospeso, mentre la bocca del suo coinquilino si protendeva appena… squisitamente provocante… sotto le sue palpebre abbassate. Jonghyun sfiorò la propria, scoprendola inspiegabilmente secca, e ci passò sopra la lingua.
 
“Ma la cosa più bella…” sospirò, sorridendo involontariamente, e le ciglia lunghe di Kibum si sollevarono… concedendogli ciò che cercava. “… sono i suoi occhi” riprese fiato, improvvisamente assetato, e la piccola fitta al cuore lo fece sospirare ancora. “Sottili, quasi felini. Sono caldi, pieni di timidezza… a volte un po’ ingenui” rise piano, alzando le palpebre, cercando il cielo. “Altre volte si intestardisce, oppure si arrabbia… e il suo sguardo potrebbe uccidere chiunque. L’ha fatto anche con me, in qualche occasione” ammise, con una piccola smorfia.
 
“E’ speciale” soffiò, sinceramente emozionato, mentre la sua voce si perdeva lentamente… tra i battiti furiosi che scandivano le sue parole. “Intelligente, di una tenerezza disarmante…” sfilò il berretto dalla testa, rigirandoselo tra le dita, e il sorriso ebete sul suo volto fece sorridere Chongmin. “Poi d’un tratto cambia, quando meno te lo aspetti, e potrebbe tranquillamente prenderti a calci… senza il minimo rimorso!”
 
“Un tipetto non indifferente…” commentò suo cognato, estremamente divertito da quella descrizione più che minuziosa. “Mi sembra strano che tu sia riuscito a starle lontano per tutto questo tempo!” osservò, comprensivo, lasciando qualche pacca sulla sua gamba. “Te ne sei innamorato, non è vero?”
 
Jonghyun arrossì vistosamente, chinando il capo e portando istintivamente il cappello sul viso. Dio che vergogna! Ci nascose dietro il proprio imbarazzo, mentre la risata di Chongmin risuonava fragorosa per tutta la campagna. “E così evidente?” mormorò il più giovane, imbronciando le labbra e sollevando gli occhi da cucciolo sul volto sorridente dell’altro ragazzo.
 
“Se ti fossi messo un cartello attorno al collo, scrivendoci sopra i tuoi sentimenti…” suo cognato gli poggiò una mano sulla spalla, cercando i suoi occhi “Si sarebbe notato meno!”
 

*****

 
“Tra un po’ torno a casa. Sono passato in biblioteca a studiare, e ti ho preso quel volume che ti serviva ^^ Lì come va? Ho visto la foto. E’ davvero bellissima…
<3 Domani volevo lavare i vetri, però… lo sai che soffro di vertigini, no? Non posso farlo solo quindi… beh... mi servirebbe una mano. Torna presto… ok?” Conferma. Invia.
 
Kibum sospirò, gonfiando subito dopo le guance delicate. Un piccolo “puff” seguì quel suo gesto, mentre Byung Hee si allungava verso di lui, e utilizzava l’indice destro per farle scoppiare. Il più giovane arrossì, ricordando la presenza del nuovo amico, balbettando qualche parola confusa. Il ragazzo seduto accanto a lui sorrise, scompigliandogli i capelli.
 
“Non ho resistito!” si giustificò, ritornando chino sui propri appunti “Mi passi il libro su Wöhler?” chiese subito dopo, indicando un volume poco distante. Il biondo, ancora leggermente in imbarazzo, lo raccolse… totalmente impacciato. La mano guantata incrociò la sua, sfiorandone le dita, mentre il più grande lo ringraziava per la sua gentilezza.
 
Kibum si fissò i polpastrelli, pensieroso, aggrottando la fronte e dimenticando completamente gli esercizi che aveva davanti. Perché non accadeva nulla? Gli occhi si sollevarono nuovamente sul volto dell’altro studente, e le labbra a forma di cuore si arricciarono appena.
 
Perché non mi da fastidio? Non che io voglia a tutti i costi che sia così, però… proprio non riesco a capirlo. E’ successo solo una volta, con Taemin. Però con Minnie è diverso… Byung Hee non è come lui! Che strano… credevo che non mi sarebbe mai capitato. Perfino con Jonghyun, all’inizio, ho avuto difficoltà ad accettarlo. Certo adesso… la situazione è completamente diversa.
 
Uff… chissà quando torna. Ieri ho cenato con gli altri, e questa mattina ci sono state le lezioni però… non voglio proprio tornare a casa. Mi mancano… quel suo inutile chiacchiericcio e tutte quelle smorfie che fa di continuo. Aveva detto che sarebbe stato via solo un giorno, ma siamo già a lunedì. Domenica è passata in fretta. Oggi invece… sembra che ogni minuto sia eterno.
 
Sul pesante tavolo in legno, il palmare di Kibum vibrò, attirando l’attenzione del suo proprietario. La mano corse veloce a raccoglierlo, mentre un battito più forte lo costringeva a deglutire. Sapere chi fosse… non lo aiutava a restare più calmo. Scimmione, lesse sul piccolo display a colori, e gli angoli delle labbra si sollevarono automaticamente verso l’alto.
 
“Prenderò il primo autobus, domattina. Non penso che verrò in facoltà comunque. Ci vedremo direttamente a casa, nel pomeriggio. Grazie per il libro e… non vedo l’ora di aiutarti! ^^ Qui l’atmosfera è piacevole. Prima di vederla, non avevo realmente capito quanto mia sorella mi fosse mancata. Adesso però… vorrei solo tornare. Sai… anche a Seul… c’è qualcosa che mi manca terribilmente! <3”
 
Il cuore si risvegliò, rispondendo galoppante a quel dolce sottinteso. Il biondo portò automaticamente il cellulare al petto, sospirando pesantemente, mentre le gote assumevano un delicato colore rosato. Byung-Hee sollevò il capo, osservando la sua espressione, e inarcò un sopracciglio.
 
“Belle notizie?” chiese, facendo sussultare il povero Kibum, che si era completamente dimenticato di lui.
 
“Mmm…” mormorò il più piccolo, arrossendo ancora di più “Jonghyun torna domani” aggiunse, e il tono dolce che scandì quelle parole… non passò inosservato. Il ragazzo al suo fianco non rispose nulla, ricominciando semplicemente a scrivere.
 
Gli occhi felini si abbassarono sulla tracolla, nella quale il biondo ripose il proprio palmare. Un nuovo sguardo si posò sulle sue spalle delicate, ma era troppo lontano, e il diretto interessato non riuscì a notarlo. Qualcuno digrignò i denti, chiudendo rumorosamente il libro che aveva davanti. Lo sconosciuto spiò i movimenti di quel piccolo angelo dalla pelle di porcellana, mentre questi si piegava verso Byung-Hee, sbirciando i suoi appunti.
 
“Ne hai saltato uno…” mormorò Kibum, tamburellando con la penna sul blocco del vicino “ondulatorio, termico, elettrico, magnetico…” rilesse veloce “e corpuscolare” concluse, sorridendo di fronte al volto sorpreso dell’altro ragazzo.
 
“Hai ragione” convenne Byung-Hee, avvicinando la biro al foglio scribacchiato “Oggi non ho testa” spiegò, scrollando appena le spalle, e mise da parte i propri volumi “Credo che me ne tornerò a casa. Vuoi uno strappo?”
 
“No grazie” rispose il biondo, raccattando la sua roba “Jinki finisce tra qualche minuto. Aspetterò lui” infilò rapidamente il giubbotto, mentre le labbra del più grande si imbronciavano, e insieme si diressero verso l’uscita. Un’altra persona si mise in piedi, seguendoli a distanza, tra un’imprecazione e l’altra.
 
“Ti accompagno fino al laboratorio di chimica” annunciò il maggiore, sistemando meglio il casco sotto il braccio “E’ l’assistente, no?” Kibum abbassò ritmicamente la testa, mentre il corridoio del secondo piano si apriva di fronte a loro, subito svoltato l’angolo.
 
Rimasero in silenzio per il resto del tragitto, ognuno perso tra i propri pensieri. Byung-Hee sbirciò l’espressione emozionata del biondo, ma questi teneva lo sguardo basso e non riuscì a notarlo. Le dita si mossero esperte sulla piccola tastiera, componendo un messaggio appena infantile, ma completamente sentito.
 
“Sei ingiusto! Avevi detto solo un giorno… uff! Me la pagherai brutto scimmione! è.é Ieri sono andato a fare la spesa, e quasi mi slogavo un polso con tutte quelle buste! O_o Se Seul ti manca così tanto allora… dovresti semplicemente tornare…” Conferma. Invia.
 
Il più piccolo ripose il cellulare in tasca, mentre il ragazzo al suo fianco si fermava all’improvviso. “Siamo arrivati” commentò quest’ultimo, lasciando trasparire una certa durezza… nella voce normalmente gentile. Kibum lo fissò, senza capire il motivo di quel cambiamento. Byung-Hee indicò il laboratorio con un gesto del capo, pochi metri più avanti “Io vado da questa parte, arriverò prima” aggiunse, muovendo un passo verso l’uscita secondaria, che dava su una scala esterna che l’avrebbe portato direttamente al cortile.
 
“Ok” mormorò il biondo, aggiustando la tracolla sulla spalla destra “Allora… ci vediamo domani?” volle sapere, improvvisamente timoroso. Gli occhi del più grande, cupi e per niente amichevoli, sembrava che non lo stessero neanche guardando. “Byung-Hee?” lo richiamò, sfiorando il braccio del ragazzo con le dita affusolate.
 
L’interpellato sbatté un paio di volte le palpebre, mentre una piccola smorfia dispiaciuta faceva capolino sulla sua espressione tirata. Si sforzò di sorridere, accarezzando brevemente i capelli di Kibum. “Certo piccoletto, ci vediamo domani” confermò, e gli occhi felini parvero rasserenarsi.
 
Che idiota che sono! Si sarà accorto di qualcosa? Non volevo farlo preoccupare. Mi dispiace, è solo che… questa faccenda proprio non mi piace. Deve essere un idiota questo tipo, per poter credere di avere davvero qualche speranza di avvicinarti. E’ meglio se adesso ti lascio andare. Risolverò io questa cosa, giacché sei troppo indifeso… per potermi permettere di lasciar perdere. In ogni caso… tu non verrai mai a saperlo.
 
La mano guantata si sollevò verso la fronte, puntellandoci sopra due dita. Il solito saluto… rivolto al ragazzo dalla pelle pallida, che sventolò la mano nella sua direzione. Il biondo oltrepassò la porta del laboratorio, e Byung Hee svoltò a destra, nascondendosi nel breve corridoio che lo separava dall’uscita secondaria. Gli bastò attendere pochi secondi… ed eccolo lì. Fisico corpulento, accompagnato da un’espressione lasciva e poco raccomandabile. Il braccio si mosse velocemente in avanti, e Seung Su venne bruscamente trascinato nella penombra.
 
“Ahi!” si lamentò, mentre le spalle si scontravano dolorosamente contro la parete. Il corpo della persona che lo aveva afferrato si piazzò rapidamente di fronte a lui, bloccandolo al muro con il proprio peso.
 
“Dove te ne andavi di bello?” sibilò Byung Hee, affatto felice, limitando i suoi movimenti con l’avambraccio destro, che aveva prontamente sollevato, puntandolo sul torace del molestatore.
 
Seung Su artigliò con forza la sua presa, cercando di liberarsene. Niente da fare. Il ragazzo che gli stava di fronte non riusciva a vederlo in viso, ma era assolutamente sicuro si trattasse del tizio di poco prima… quello che aveva visto in biblioteca insieme a Kibum. Un altro strattone, e un nuovo colpo gli tolse per un attimo il respiro.
 
I lunghi capelli gli schiaffeggiarono il viso, mentre Seung Su ringhiava un’imprecazione. “Non ho tempo da perdere. Parla!” lo minacciò Byung Hee, stringendo le dita attorno ai ciuffi castani, e tirandoli con forza all’indietro “Che diavolo vuoi da Kibum?!”
 
La risata sprezzante lo fece infuriare, mentre quel tipo dallo sguardo viscido gli sputava in faccia la propria risposta “Cos’è? Culetto d’oro si è trovato un nuovo amichetto?” cantilenò, derisorio, facendo nuovamente leva sui piedi, cercando di far indietreggiare il suo assalitore. “Avevo controllato bene. Credevo ci fosse solo quell’idiota dai capelli per aria” continuò, arricciando le labbra in una smorfia disgustata  “Che fate? Ve lo scambiate nei fine settimana?”
 
Brutta mossa. Byung Hee non era un tipo riflessivo come Jonghyun. Fece volontariamente un passo indietro, facendogli sperare in un’inversione di ruoli, ma quando Seung Su si mosse verso di lui… il pugno che gli centrò lo stomaco lo fece boccheggiare, obbligandolo a piegarsi su se stesso.
 
“Ascoltami bene” scandì il più grande, afferrandolo con poca gentilezza per il bavero della giacca “Non so a quale idiota tu ti riferisca però…” un sorriso crudele gli incurvò le labbra carnose, facendo rabbrividire il ragazzo stretto nella sua morsa. Gli occhi scuri si strinsero, mostrando senza indugio la collera che li governava “Io non sono come lui…” sussurrò, mentre la voce calda si riempiva di una sinistra minaccia.
 
“Avvicinati ancora a Kibum… e scoprirai quanto amaro possa diventare… il sapore del proprio sangue”.
 

*****

 
Mi lasciai cadere sul divano, sfinito. Avevo aiutato Hyuri a lavare i piatti, e adesso lei e Chongmin si trovavano di fronte alla televisione, parlottando fra di loro. Controllai l’orario. Erano già le 20:00. Avevo detto a Bummie di avvisarmi, non appena fosse arrivato a casa. Possibile che si trovasse ancora in giro?
 
Storsi le labbra. Non mi piaceva affatto quell’eventualità. Raccolsi il cellulare, pigiando col pollice sull’icona dei messaggi. Niente. Mi venne un’idea, e composi velocemente il mio testo. Inviato. Sospirai, passandomi una mano tra i capelli, sperando che quel gigante non fosse troppo impegnato con il suo coinquilino. Biip.
 
“No, non è a casa. Siamo alla videoteca del terzo distretto, tutti insieme. E’ un po’ giù in questi giorni… magari tu ne conosci anche il motivo ^^ Una “certa persona” lo ha lasciato solo. Dovresti vederlo… il broncio gli tocca terra! >_< Ha detto che voleva affittare un film, da vedere prima di mettersi a letto, e lo abbiamo accompagnato fin qui. Siamo stati bravi, non è vero? ^^”
 
Sorrisi al display, immaginando la boccuccia rossa di Kibum. Sentiva la mia mancanza? Anche solo “sperare” che potesse essere vero… fece battere più forte il mio cuore. Risposi a Minho, cercando di non dargli troppi spunti per prendermi in giro, e mi apprestai a scrivere un nuovo messaggio.
 
“Bummie, che fai? Non sei ancora rientrato a casa? Mio cognato ha cucinato il riso al curry questa sera, ma… non è buono come il tuo. Mi mancano le tue minacce in cucina. E io? Ti manco? <3”
 
Mi alzai, stirando in aria le braccia, e trattenendo a fatica uno sbadiglio. Ero stanchissimo. Avevo passato il pomeriggio a chiacchierare con mia sorella, per lo più di argomenti futili, ma la sera prima non avevo dormito molto bene così… il sonno iniziava a farsi sentire. Decisi di uscire sul portico, ma non prima di aver indossato la felpa e infilato il berretto di lana. La temperatura, in campagna, si abbassava di molti gradi dopo il tramonto.
 
Raggiunsi la panchina che avevo condiviso con Chongmin, solo poche ore prima, e mi ci sedetti con un sorriso. Il cielo era stupendo. La luna piena illuminava i roseti, il grande amore di Miyon, e un milione di piccole stelle risplendevano nella notte. Ripensai a quello che mi aveva detto mio cognato, inspirando a pieni polmoni prima di stendermi completamente. Piegai le ginocchia, puntando i piedi sul legno freddo, e incrociai le braccia sotto il collo.
 
“Perché la prossima volta non la porti con te?”
 
Un sorriso triste mi incurvò le labbra, rendendo improvvisamente più pesante il mio cuore. Avrei potuto davvero chiederglielo? Magari lo avrei messo a disagio. Infondo… ci conoscevamo da appena un mese. E poi c’era anche la questione dei miei genitori. Io e mio padre avevamo ricominciato a parlarci solo di recente. Se ci avessero visti insieme, quanto tempo sarebbe passato… prima che i miei sentimenti per Kibum diventassero troppo evidenti?
 
A me non importava. Avrei voluto essere libero di gridarlo, proprio lì, in mezzo a quel silenzio che mi circondava. Bummie rendeva bellissima ognuna delle mie giornate, e non avrei avuto paura di ammetterlo. Ma lui? Provava quello che provavo io? Avrebbe accettato facilmente… un rapporto tra persone dello stesso sesso? Purtroppo, quando si tratta di scelte di questo genere, non siamo solo noi a dover prendere una decisione.
 
Il mondo intero sarebbe stato pronto a giudicarci, additandoci come “sbagliati”… come “anormali”. Kibum era dolce… incredibilmente fragile e delicato. Come potevo chiedergli di affrontare un tipo come mio padre? Lui ci avrebbe fatto a pezzi, sputandoci in faccia il suo disprezzo e urlandoci di lasciare la sua casa.
 
No. Anche se avrei voluto tanto… era ancora troppo presto. Bummie non poteva conoscere la mia famiglia. Chongmin  e mia sorella forse, dopo che avessi confessato loro la verità. Nessuno, infatti, sapeva ancora che… la persona di cui mi ero perdutamente innamorato… era in realtà un “ragazzo”.
 
Biip.
 
“Sono arrivato adesso. Scusa, ero in videoteca con gli altri. Ieri sera non ho dormito molto… pensavo che un film avrebbe aiutato. Come potresti mancarmi scimmione?! ‘Tu’ in cucina sei totalmente inutile! Ti distrai di continuo e non fai altro che parlare! Figurarsi… come potrei mai sentire la tua mancanza. Comunque… se il riso al curry ti piace così tanto… te lo faccio appena torni”.
 
Risi piano, immaginando la sua vocina concitata, tutte le volte che mi aveva intimato di smetterla di chiacchierare o di tagliare più piccole le verdure. Le ultime parole però… mi parvero estremamente dolci. Potevo quasi vederle… le sue guance arrossate mentre le scriveva. Risi più forte, e tornai a guardare il cielo.
 
Un’idea improvvisa mi balenò in testa, nello stesso istante in cui le cicale iniziavano ad intonare il loro malinconico canto. Attivai la fotocamera del cellulare, e la puntai verso la luna. Click. Allegai lo scatto ad un messaggio di testo, trasformandoli in un mms. Peccato non poterlo vedere in viso, quando lo avrebbe ricevuto.
 
“Oggi c’è la luna piena, e sono seduto fuori… a guardare le stelle. Mi piace stare qui… ma sento qualcosa di strano, ogni volta che alzo gli occhi verso il cielo. Mi sento solo Bummie. La notte è bellissima… e mi fa pensare a te. Se non ti avessi lasciato a Seul magari… in questo momento… mi sentirei ‘completo’ <3”
 
Chiusi gli occhi, abbandonando il palmare sul petto. La morsa delle mie stesse aspettative mi strinse lo stomaco, attanagliandolo con la propria urgenza. Avevo bisogno di sapere. Volevo che fosse sincero. Che mettesse da parte la timidezza e mi rispondesse “sul serio”. Anche io gli mancavo? Quando ero andato via, i suoi occhi mi erano sembrati terribilmente tristi. Se quei sentimenti che avevo immaginato, riflessi nelle sue iridi scure, erano veri… avrei tanto voluto che me lo dicesse.
 
Biip. Il cuore perse un battito, e io strinsi istintivamente le labbra tra i denti. Gli occhi si mossero verso il display, adesso illuminato, timorosi… ma anche impazienti. Le dita mi tremavano, e quella nuova consapevolezza mi fece inspirare più forte. Raccolsi tutto il coraggio che riuscii a trovare, deglutendo a fatica, e la schermata del nuovo messaggio si aprì velocemente… accompagnata dalle mie speranze.
 
“Posso dormire nel tuo letto?”
 
Battei un paio di volte le palpebre, scuotendo la testa. Mi sentii un po’ stupido, ma sul serio credevo di aver avuto le allucinazioni. No, era tutto vero. Non c’era scritto altro. Corrucciai la fronte, senza capire. Pensai molte cose in quel momento, alcune delle quali non propriamente piacevoli. La prima fu sicuramente: “Sono davvero io il destinatario di questo messaggio?”
 
Una fitta insistente mi serrò la gola, facendo impazzire il mio battito cardiaco. Non so perché… ma tutto quello che riuscivo ad immaginare era il mio Bummie, che sgattaiolava fuori dal nostro appartamento per raggiungere qualcun altro. Feci tante altre supposizioni… considerando ogni eventualità.
 
La mia stanza era più calda della sua? Impossibile, i riscaldamenti erano gli stessi. Lucy aveva scambiato il letto di Kibum per la sua cuccia? Idiozia totale, stavo delirando. Voleva dormire lì per… sentirmi più vicino?
 
Ipotesi più improbabile, ma anche l’unica che riuscì a togliermi completamente il respiro. La prima eventualità non la presi neanche in considerazione. Se il mio coinquilino avesse passato la notte con qualcun altro… mi sarei trasformato in un folle omicida, su quello non c’erano dubbi! Digrignai istintivamente i denti, e il rantolo sordo che mi salì alla gola stupì perfino me. Se Bummie avesse amato qualcun altro… sarei impazzito sul serio?
 
Quell’idea mi fece rabbrividire, rendendo più insicure le mie mani. Decisi di mantenermi sul vago, cercando di capirci qualcosa. Risposi alla sua richiesta con un’altra domanda. “Perché?” Solo questo, niente di più. Dal messaggio che avrei ricevuto subito dopo, con tutta probabilità, sarebbe dipesa la mia sanità mentale.
 
Biip. Trattenni il respiro, e il dito sul display si mosse di volontà propria, svelando senza troppe cerimonie quella che era… la “verità”.
 
“Perché mi manchi…”
 

*****

 
Sollevai le ginocchia al petto, nascondendoci in mezzo il mio sospiro. Il film era iniziato già da diversi minuti, ma io non lo stavo minimamente seguendo. Come avrei potuto? Lo schermo era completamente annebbiato. Le immagine che vi si susseguivano… completamente sfocate e confuse. Mi irritai, facendo scomparire sul palmo della mano l’ennesima lacrima. Mi sentivo terribilmente frustrato… e anche totalmente idiota!
 
“Perché gli ho mandato quel maledetto messaggio?!” squittii, lasciandomi cadere fra i cuscini colorati. Ne raccolsi uno, affondandoci sopra la mia tristezza. Quello stupido scimmione mi aveva fatto diventare un rammolito! Per due giorni avevo cercato di non lasciarmi andare allo sconforto e poi… lui se ne esce con quella storia incredibilmente sdolcinata, sulle stelle e la luna, e il mio cuore se ne va a farsi strabenedire.
 
Mugugnai il mio lamento, raggomitolandomi sotto la coperta, mentre nuove lacrime mi costringevano a serrare con forza le palpebre. Non volevo piangere. Mi sentivo un completo imbecille. Che bisogno c’era di farla così tragica?! Jonghyun non c’era ok, ma erano solo due giorni, nulla di eccezionale!
 
Strinsi le dita intorno al plaid, e morsi furiosamente le labbra… cercando di ricacciare indietro quel primo singhiozzo. “Domani” continuavo a ripetermi “Domani lui sarà tornato e tutto andrà di nuovo bene”. Ma non ci credevo neanche io, e la situazione continuava a peggiorare. Cosa diavolo stavo facendo?!
 
Allontanai le coperte come una furia, chiudendo la televisione e gettando via  il telecomando, con un movimento stizzito. Questo ricadde sul divano, che io avevo appena abbandonato, mentre i miei passi frenetici iniziavano a riempire la cucina.
 
“Ragiona Kibum, ragiona!” mi imposi, per niente felice del mio comportamento “Dannazione, lo conosci solo da un mese!” mi rimproverai, bloccandomi davanti al tavolo circolare, e assestandoci sopra un sonoro schiaffone. La mano formicolò appena, lì dove l’asse di legno aveva incontrato la mia frustrazione, e io imprecai piano tra i denti.
 
“E smettila di piangere!” strillai, cancellando con rabbia il nuovo moto di tristezza, che aveva reso nuovamente umidi i miei occhi. Non che stessi disperdendo liquidi in quantitativi industriali però… anche quelle poche lacrime mi rendevano irascibile.
 
Fin dal momento in cui l’aveva visto scomparire, con la borsa in spalla e quello stupido berretto di lana, un pesante macigno mi si era formato in petto. La sua pesante mole era crudele, asfissiante… serrava la mia gola e opprimeva il mio cuore. Maledissi i sentimenti da cui mi ero lasciato vincere, e la mano corse istintivamente verso il cellulare.
 
“Va bene” rilessi, digrignando i denti, mentre cercavo di resistere alla voglia che mi stava nascendo dentro… di scagliare il palmare contro il muro.
 
“Che diavolo di risposta è?!” mi ribellai, completamente isterico, e Lucy si nascose velocemente dietro il divano. Fissai la sua coda tremante, l’unica cosa che riuscissi ancora a scorgere, e mi sentii terribilmente in colpa. Scivolai mestamente a sedere, accanto a lei, allungando una mano nella sua direzione. Non la toccai, ma quando lei gattonò ubbidiente verso le mie dita, mi misi immediatamente in ginocchio, abbracciandola forte.
 
In quei due giorni, io e la mia dolce cagnolina, ci eravamo silenziosamente tenuti compagnia. Anche a lei mancava quello stupido scimmione. La sera prima, quando io ero rientrato in casa, si era appollaiata davanti alla porta d’ingresso, puntando i suoi occhioni scuri sull’uscio chiuso. “Oggi Jongie non torna…” le avevo spiegato, abbattuto quanto lei, accompagnandola verso la cuccia. Credevo avesse capito, e invece…
 
Non riuscii a chiudere occhio per tutta la notte. Verso le 02:30, alla fine, buttai via le coperte e mi incamminai verso la cucina. Magari con un po’ di tè sarebbe andata meglio. Quasi mi cadeva la mandibola a terra. Lucy era tornata accanto alla porta, raggomitolandosi a pochi centimetri da essa, e se ne rimaneva… completamente al buio… ad attendere il rientro di Jonghyun.
 
Anche quel giorno la strinsi forte, comprendendo tremendamente bene la sua tristezza. La feci stendere accanto a me, sul divano, avvolgendo il suo corpo peloso con la coperta calda. “Se rimaniamo qui… lo vedremo tornare” le dissi, sperando che mi desse ascolto. Dopo un po’, per fortuna, parve rilassarsi. Sospirai, accarezzando la sua testolona scura, e ci addormentammo entrambi che erano già le 04:00 del mattino.
 
Non volevo che si ripetesse la stessa storia del giorno prima, così le raccontai dei messaggi che io e il mio coinquilino ci eravamo scambiati, informandola del suo prossimo rientro. Ho sempre reputato i cani degli animali molto intelligenti ma… Lucy era davvero speciale. Si mise immediatamente in piedi, abbaiando felice, mentre mi seguiva scodinzolante verso la camera di Jonghyun. In qualche modo… credo che avesse “esattamente” capito quello che le avevo detto.
 
Quando aprii la porta, il forte profumo che respirai mi fece venire i brividi. Avanzai, titubante, mentre la macchia scura accanto a me mi precedeva senza indugi. Si fiondò sopra una maglia rossa, abbandonata sulla sedia accanto alla scrivania, e iniziò ad annusarla. Forse io non ero l’unico… ad essere rimasto affascinato dal buon odore di quello stupido scimmione.
 
La raggiunsi, ancora un po’ spaesato, e tirai gentilmente via l’indumento spiegazzato. Lo avvicinai a mia volta al naso, inspirando profondamente. Le gambe tremarono appena, mentre non riuscivo a trattenere qualche nuova lacrima. Come aveva fatto? Come aveva potuto, in così poco tempo, diventare così dannatamente indispensabile?
 
Sospirai, soffiando il naso dentro il fazzolettino di carta che mi ero portato dietro, e Lucy si strofinò premurosa contro le mie gambe. Cercai di sorriderle, anche se lei non mi parve molto convinta. Il suo musetto mi sfiorò il sedere, spingendomi dolcemente verso il letto. Risi piano, completamente rapito dalla sua intelligenza. Mi liberai velocemente dei jeans, lasciandoli ricadere a terra, e un’idea malsane iniziò a prendere forma fra le mie membra spossate.
 
“Devo essere impazzito…” mormorai, arrendendomi con una smorfia… alla richiesta sfacciata del mio corpo.
 
La maglia a righe accarezzò la mia pelle, mentre la sfilavo, vibrando impercettibilmente per ciò che ero sul punto di fare. La guardai ancora una volta, rigirandomela fra le dita, con solamente i boxer grigi addosso. Stavo diventando un cleptomane, vero?
 
“Al diavolo!” esclamai, stizzito, e il tessuto rosso mi avvolse il busto… arrivandomi all’inguine. Quasi mi soffocavo, trattenendo il respiro come un idiota. Avevo indossato la maglietta di Jonghyun e, quel semplice particolare, bastò per farmi andare completamente in iperventilazione.
 
Poggiai una mano sul petto, inspirando profondamente, cercando di mettere a tacere quel battito impazzito. Niente da fare. Battei con forza un piede a terra, imponendomi un po’ di autocontrollo, e chiusi i pugni lungo i fianchi. Il movimento veloce liberò, contro ogni previsione, il profumo leggero che il tessuto aveva gelosamente conservato. Il ricordo del corpo del mio coinquilino mi  aggrovigliò lo stomaco, spingendomi a coprire il viso con le mani.
 
Il calore si propagò rapidamente, rendendo più sensibile il mio membro… adesso completamente eretto. Ci diedi istintivamente uno schiaffo, intimandogli di smetterla, ma lui mi ignorò completamente, ormai dotato di una forza di volontà completamente autonoma. Imprecai ancora, ma l’idea di liberarmi dall’indumento non mi sfiorò la mente neanche per un attimo.
 
Scivolai sulle coperte, gattonando fino al cuscino. Ci ricaddi sopra con un enorme sospiro, stringendoci immediatamente le braccia intorno. Non misi i pantaloni, infilando le cosce nude direttamente sotto le lenzuola. Ero già fin troppo caldo, non sarei sicuramente morto dal freddo!
 
Sbadigliai rumorosamente, mentre tutta la stanchezza… dovuta all’ultima notte insonne… rendeva improvvisamente più pesanti le mie palpebre. Lucy si raggomitolò al mio fianco, sfiorandomi il collo con il respiro pesante. Il suo alito caldo, insieme al silenzioso picchiettare della pioggia, cullarono dolcemente i miei sensi… facendomi cadere in un sonno profondo.
 
Dormii meravigliosamente bene, immaginando le braccia forti di Jonghyun cingermi la vita, accompagnate dal suono basso della sua bellissima voce. Il suo profumo doveva aver completamente plagiato il mio cervello perché… quando Lucy iniziò ad abbaiare, diverse ore prima dell’alba… io neanche me ne accorsi.
 

*****

 
La pioggia, inizialmente sottile e piacevole, si trasformò ben presto in una bufera. Tirai il cappuccio della felpa sugli occhi, seppellendoci sotto il berretto scuro. Estrassi le banconote dal portafoglio, allungandole velocemente al tassista. Ero troppo lontano da casa, se avessi percorso l’intero tragitto a piedi… mi sarei sicuramente beccato una polmonite. Non rimpiansi neanche per un attimo i soldi spesi per il biglietto, acquistato a prezzo pieno direttamente alla sportello. Avevo sorriso all’impiegato, tremendamente felice, lasciandolo anche un po’ allibito, e mi ero lanciato all’inseguimento dell’ultimo treno.
 
Rabbrividii, impalato davanti al portone d’ingresso, scavando freneticamente nella borsa, alla ricerca delle chiavi. Finalmente le trovai, infilando quella più grossa nella serratura. Il condominio era completamente avvolto dal silenzio, e non me ne stupii affatto. Salii velocemente le sei rampe di scale, lasciandovi sopra un numero considerevole di impronte poco igieniche, e i miei passi si bloccarono automaticamente… di fronte all’appartamento 22/B.
 
Inspirai profondamente, liberandomi del cappuccio, e poggiandomi una mano sul petto. Avevo il fiatone. Le chiavi tintinnarono leggermente, scontrandosi l’una con l’altra, mentre quella dall’impugnatura rotonda... scivolava lentamente all’interno della toppa. Cercai di fare il più piano possibile. Non volevo svegliarlo. Tuttavia non riuscii a trattenere un sorriso, mentre un ammasso di pelo scuro mi finiva in mezzo alle gambe, subito dopo che l’uscio venne aperto.
 
Mi chinai verso Lucy, arruffandole il pelo. Lei scodinzolava, tutta felice, saltellandomi intorno ed iniziando ad abbaiare. Scivolai immediatamente in ginocchio, chiudendole il musetto umido nei palmi delle mani, e lei parve capire. La lasciai libera, ma questa volta non emise nessun suono. Trotterellò al mio fianco, fissandomi con i suoi occhioni scuri, mentre lasciavo cadere la borsa su una sedia, liberandomi con una smorfia del giubbotto completamente zuppo.
 
Tolsi anche le scarpe e i calzini, che erano a loro volta piuttosto conciati male. Alle mie spalle, cinque impronte infangate segnavano la scia del mio passaggio, facendomi scappare un’imprecazione. Mi grattai la testa, trovandoci ancora sopra il cappello, pregando che Kibum non si arrabbiasse troppo.
 
Già… Kibum. Il cuore prese a battere più forte, mentre percorrevo a passi incerti il breve corridoio, superando il bagno e lo sgabuzzino. Inspirai, poggiando una mano sulla porta della mia camera. Sapevo che era lì. Tutta l’emozione che avevo cercato di trattenere fino ad allora, sapendolo nel mio letto… mi travolse all’improvviso, spezzandomi il respiro. Dio… quanto ero felice di essere tornato prima!
 
L’uscio si mosse verso l’interno, rispondendo con un fastidioso cigolio alla pressione che le mie dita stavano esercitando sul legno scuro. Era completamente aperto. Deglutii a fatica, stringendo gli occhi, cercando di abituarmi al buio della stanza. Riconobbi la sua sagoma, là dove le coperte si gonfiavano appena, seguendo il ritmo regolare del suo respiro. Non volevo disturbarlo, solo… guardarlo. Appena un attimo. Una sbirciatina… e poi sarei andato a dormire sul divano.
 
Proseguii a fatica, scoprendomi incredibilmente emozionato. Avevo una tremarella mai provata, mentre mi liberavo del berretto di lana, abbandonandolo sulla poltrona accanto alla scrivania. Pregai il cielo di non inciampare su qualcosa, finendo rovinosamente a terra. Dovevo essere discreto, e assolutamente invisibile. Raggiunsi la sponda del letto, e un battito più forte mi costrinse a chiudere gli occhi.
 
Mi era mancato tantissimo. Ne ero stato consapevole per tutto il tempo ma… mai come in quel momento… fui certo di quanto indispensabile fosse divenuto quel piccolo scricciolo. Le nuvole si diradarono, mostrando nuovamente un cielo sereno e privo di perturbazioni. Il temporale era finito. I raggi della luna attraversarono silenziosamente i vetri bagnati, scontrandosi con le lenzuola scure, sfiorando il profilo delicato… del ragazzo che ci dormiva in mezzo.
 
Quasi mi prendeva un accidente, mentre i sentimenti che mi scalpitavano dentro… riabbracciavano finalmente la loro fonte di vita. Mi comportai come un perfetto idiota, dimenticando completamente tutti i miei buoni propositi. La mano si mosse istintivamente in avanti, rispondendo a quell’incontenibile istinto che mi spingeva verso di Kibum.
 
Scostai le coperte, rivelando ai miei occhi uno spettacolo che… probabilmente... non erano del tutto preparati ad accogliere. Nacque sulla punta dei piedi, risalendo velocemente lungo le mie gambe, aggrovigliandomi lo stomaco, scontrandosi con la mia erezione improvvisa. E subito dopo serrò la gola, rese irregolare il mio respiro, scivolando infine sul mio petto… avvolgendomi il cuore… stritolandolo nella sua morsa. Cristo! Neanche nella migliore delle mie fantasie… avrei mai immaginato una scena come quella.
 
I capelli biondi rilucevano, sotto l’influenza di quel grande satellite, assomigliando a sottili fili d’oro… intenti ad adornare il volto più sensazionale del creato. Le labbra rosse ci stavano proprio in mezzo… dischiuse, timide, rilassate. Il collo sottile, così armoniosamente ripiegato in avanti… reso ancora più niveo… dall’indumento scuro che ricopriva il resto del busto.
 
L’avevo riconosciuta. Quella maglia rossa che avevo indossato, il giorno prima di partire. Era troppo larga… per il corpo sinuoso che stava rivestendo. Scivolava, assolutamente sfacciata, sulla curva di quei fianchi così squisitamente peccaminosi, interrompendosi all’altezza delle cosce. Non le avevo mai viste. La pelle pallida appariva vellutata, senza neanche un'imperfezione... maledettamente invitante e priva di vergogna.
 
Sarei voluto morire. Non so proprio come altro descriverlo… quel desiderio prorompente che mi aveva invaso il sangue, svuotandomi il cervello, annientandomi il cuore. Ma non era solo quello. Non era solo lussuria quella che mi stava consumando i sensi. Kibum, tra quelle lenzuola, in quel letto, era la visione più immorale che avessi mai visto, ma… allo stesso tempo… anche la più pura.
 
Le sue gambe erano sottili, pudicamente strette l’una all’altra, risultando incredibilmente inespugnabili. L’espressione del suo viso era serena, solcata da tutti quei brividi… che era capace di donare perfino nel sonno. Il colore delle labbra era rosso. Sapeva di fragole quando arriva giugno… di rose rosse quando ti senti in vena di sentimentalismi. Sapeva d’amore. D’amore… e di nient’altro.
 
Non potevo fermarmi. Non più… ormai. Scivolai su quel letto, allungando le braccia tremanti verso il corpo che mi era terribilmente mancato… bagnando il suo collo con i ciuffi ancora umidi. Lo strinsi forte, magari anche un po’ troppo. Si mosse appena, emettendo un sottile miagolio che fece fermare il mio cuore.
 
Non so cosa fu a dettare i suoi movimenti. Magari l’istinto… magari il sogno. Non lo so. So solo che Kibum si voltò, strusciando le proprie gambe nude contro i jeans che ancora indossavo. I capelli biondi mi solleticarono il naso, mentre le dita affusolate trovavano magicamente la strada verso il mio viso. Mi si strinse addosso, affondando il volto sulla mia spalla, mandandomi completamente al manicomio.
 
“Jong…” mormorò, attentando alla mia vita con quell’unica parola. Piegò un ginocchio, intrufolando una coscia tra le mie. Quasi ci restavo secco, mentre la protuberanza dei miei pantaloni si scontrava con la sua morbida carne. La guancia venne strofinata contro la mia, e quella carezza si perse subito dopo… nel gemito sottile che gli salì alle labbra.
 
Venni rapito. Si, rapito. Stregato da ogni gesto, da ogni sospiro. Caddi in balia della sua persona, abbandonandomi ai sentimenti che mi stavano soffocando… come un naufrago che si afferra con disperazione ad un brandello del vascello sommerso, pregando gli dei che questo lo riporti alla terraferma. Allo stesso modo io mi aggrappai a lui… con una necessità talmente violenta da rendermi irragionevole.
 
Strinsi le mani sui suoi fianchi sottili, piegando il volto verso quelle palpebre ancora abbassate, ansimando la mia urgenza sul collo armonioso, ad un soffio dalle sue labbra. “Kibum…” sussurrai, abbracciandolo più forte, e gli occhi che si spalancarono sul mio viso… erano incredibilmente stravolti.
 
Annaspò, pochi secondi prima di comprendere la totalità della nostra posizione. Le dita tremanti sfiorarono il mento… lì dove le ultime gocce di pioggia avevano bagnato la sua espressione. Vibrò, talmente forte che quasi mi fece paura, mentre puntava le mani sul mio petto… schiudendo le labbra… boccheggiando il proprio stupore. Cercava disperatamente di riprendere aria, ma le sue pupille dilatate… dimostravano palesemente la sua difficoltà.
 
“Qua-quando?” riuscì infine a balbettare, accompagnando quella domanda con la più deliziosa delle emozioni. Sorrisi, trionfante, quando le sue guance si tinsero dello stesso colore della mia maglia… completando con la loro spontaneità... quel quadro spettacolare che era la sua immagine.
 
“La domanda giusta…” la mia voce era rauca, non meno emozionata dei suoi occhi, mentre mi sforzavo di esprimere a parole quelli che erano i miei pensieri “è perché…” conclusi, sollevando una mano verso il suo volto.
 
Lo raggiunsi, seguendone i lineamenti perfetti, perdendomi nella dolce paura che lo spingeva ad afferrarsi al mio corpo. Non disse nulla. Non era più capace di parlare, o questo almeno… fu quello che mi fece credere. Il pollice scivolò sulle labbra ansimanti, saggiandone la morbidezza, sfiorandone con estenuante lentezza ogni minimo particolare.
 
“Non ti muovere…” riuscii a malapena a mormorare, mentre il desiderio di assaporarlo diveniva incontrollabile. Il suo corpo sinuoso si irrigidì, completamente inerme di fronte a ciò che era sul punto di succedere. I suoi occhi mi cercarono, lasciandomi sprofondare nella meravigliosa scoperta che erano le sue emozioni. Cielo… quanto ero felice di riuscire a comprenderlo... finalmente.
 
Non aveva paura. Man mano che la mia bocca si avvicinava alla sua… i nostri respiri si confondevano... intrecciandosi, appartenendosi. Ad ogni secondo, tutto l’attesa che gli cresceva in corpo diventava così deliziosamente visibile… attraverso le ciglia scure che erano state abbassate. Si tese, artigliando le mie braccia scoperte, abbandonando indietro la testa e schiudendo le labbra.
 
Eccoci. In quel momento… ad un soffio da quello che avevo sempre desiderato… fu proprio lui… a compiere l’ultimo passo. Si tirò più in alto, facendo leva sulla presa che lo avvolgeva, e… in un modo totalmente sconvolgente… mi permise di baciarlo.
 
Lo schiacciai automaticamente sul materasso, sovrastandolo col mio peso, mentre scivolavo con esasperata lentezza sopra quel corpo che sapeva di vaniglia. Miagolò, direttamente nella mia gola, regalandomi il brivido più travolgente della mia vita. Non ebbi bisogno di chiedere alcun tipo di permesso. Le labbra si erano dischiuse di volontà propria, permettendomi di invaderle con l’impetuosità dei miei gesti.
 
Trovai la sua lingua… dolce… appena timorosa. Non sapeva cosa fare, e la piena consapevolezza di ciò che mi era stato regalato… mandò completamente in fiamme il mio cuore. Ne accarezzai ogni particolare… dalle guance umide, al respiro spezzato. Mi impossessai di quella meravigliosa emozione che sprigionava il suo corpo, unendo i nostri due esseri attraverso un abbraccio violento.
 
Si lasciò stringere… si lasciò dominare. Ansimò sulla mia guancia, mentre le esili braccia circondavano il mio busto, e la scia umida dei miei baci gli percorreva la carotide. I suoi muscoli si tesero,quando una mano si insinuò sotto la sua maglia, cercandone la pelle che sapeva di seta. Mai avrei potuto immaginare qualcosa di più morbido, di più dolce, di più perfetto. Kibum era la più grande scoperta della mia vita.
 
Il lobo tra i miei denti era vellutato, sapeva di peccato e non riuscivo a separarmene. Ci avvolsi intorno la lingua, ridendo piano del suo leggero ansimare, catturandolo tra le labbra e succhiandolo piano. Schiuse le gambe, spingendo in avanti il bacino, scontrandosi con la totale eccitazione di ogni mia singola cellula. Un rantolo di piacere sfuggì al mio controllo, mentre la scoperta della sua innocente erezione… mi spingeva ad abbassarmi nuovamente su di lui.
 
“Jong…” miagolò contro il mio orecchio, sfiorando la guancia con i suoi capelli dorati “Mmm…” serrai le dita intorno alla sua coscia nuda, spingendolo a chiudere le gambe intorno ai miei fianchi. Obbedì, inaspettatamente docile… completamente in trappola.
 
I nostri corpi si urtavano, impazienti, rigenerandosi da ogni morso… con il solo pulsare dei nostri cuori impazziti. Un altro po’… e non sarei più riuscito a fermarmi. Non gli avevo sfilato la maglia, e io ero ancora completamente vestito. Come poteva esistere, in natura, un essere così dannatamente eccitante come il mio Bummie?
 
Tentai di riprendere fiato, puntando una mano sul cuscino e sollevandomi appena. Cercai il suo volto, trovandolo incantevolmente stravolto. Le iridi scure erano luminose, le labbra ancora dischiuse. Sfiorai un’ultima volta quella deliziosa perfezione che era la sua bocca, trovandola estremamente umida e tremante. Le dita scivolarono intorno al suo viso, circondandolo con quella tenera presa che non voleva assolutamente ferirlo.
 
Utilizzai i polpastrelli per accarezzarne la pelle, soffermandomi sulle guance arrossate e la gola pulsante. Lo sguardo incatenato al mio, così inspiegabilmente nocivo per la mia stabilità mentale, fu la cosa più bella che avessi mai visto. Era felice. Incredibilmente… felice. Mi tolse il respiro, strappandomi un brivido.
 
Le labbra rosse si incurvarono, nello stesso istante in cui io stesso non riuscivo a trattenere un sorriso. “Sono tornato” fu l’unica cosa che dissi, mentre mi chinavo sulla suo fronte accaldata, depositandoci un bacio leggero. Rise piano, quando la mia bocca non resistette alla tentazione, scivolando sugli zigomi, sul naso, sul mento… percorrendo l’intero viso con la sua insaziabile gioia.
 
“Bentornato…” sussurrò, quando i nostri respiri si incontrarono, chiudendomi dolcemente nel suo abbraccio. Nascosi un sospiro tra i suoi capelli, abbandonandomi su quel corpo ancora tremante. Lo strinsi forte, e immobili in quella posizione... aspettammo insieme l’alba.
 

Finalmente… ero a casa.

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Capitolo 20
*** Ti ho preso ***


NOTE

Care le mie lettrici, eccoci qui con un nuovo capitolo ^^
Come si comporteranno i nostri "piccioncini" con il nuovo giorno? E gli altri?
Cosa ne è stato di tutti gli altri personaggi? Taemin e Minho? Byung-Hee?
Leggete tesorucci miei, e cercherò di svelarvi qualche "nuovo particolare"
della nostra ingarbugliata storia! >.<

P.S. = Grazie mille per tutte le recensioni che avete lasciato al precedente
capitolo! *^* Sono tantissime, e già so che ci metterò tantissimo per
rispondere a tutte ma... non c'è gioia più grande di questa! ^^

Bacioni a tutteeeee! <3
SkyScraper





Capitolo 19 - Ti ho preso

Taemin strinse tra le dita l’asciugamano pulito, tamponando il viso con la morbida spugna. Un capogiro gli fece venire la nausea, costringendolo a sorreggersi dal lavandino. Chiuse gli occhi, inspirando ed espirando lentamente, cercando di calmare il proprio cuore galoppante.

“Dannazione…” imprecò, poggiando la fronte contro lo specchio freddo “Perché di nuovo?” le prime lacrime scivolarono lungo le gote arrossate, mentre una mano veniva sollevata in alto, poggiandosi sulla gola. Un singhiozzo venne fuori strozzato, attutito dalle labbra carnose che erano state serrate con disperazione “Non piangere… non piangere… non piangere…”

Ci provò. Ci provò con tutto se stesso. Le gambe però stavano già diventando deboli, instabili. Le ginocchia non riuscirono a sorreggerlo, piegandosi stancamente in avanti, facendolo scivolare sul pavimento piastrellato. Si rannicchiò contro la parete, coprendo il viso con le braccia tremanti. Stava ricominciando… poco a poco, sempre più frequente.

Perché? Stava andando meglio. Perché ancora? Non ce la faccio. Non voglio più stare male.

Un secondo singhiozzo gli scosse il petto, che venne immediatamente stretto con forza. Era il terzo giorno ormai. La vicinanza di Minho, subito dopo la confessione, gli aveva donato quel poco di serenità… che aveva reso i suoi sogni meno terrificanti. Si addormentava tra le sue braccia, cullato dal battito forte del suo cuore, e tutto gli sembrava più facile. Aveva affrontato quelle notti con coraggio, con positività. Si era illuso… che quella pace potesse durare per sempre.

Sotto le palpebre abbassate, una mano si protese verso di lui. Era pallida, ricoperta di sangue. La sera prima l’aveva rivista… sua madre. Intrappolata dentro quell’abitacolo carbonizzato, mentre invocava il suo aiuto, tentando disperatamente di afferrarsi al proprio bambino. Taemin aprì gli occhi, ormai impotente, strinse i denti intorno al braccio, che prese a fargli male. Le prime gocce rosse scivolarono lungo il polso, macchiando il pigiama a righe, sporcando con la loro tristezza… il pavimento candido di quel piccolo bagno.

Soffocò un urlo, mentre il sapore metallico del sangue gli riempiva la bocca. Morse più forte la propria carne delicata, lacerando la pelle… straziando la propria anima. Non doveva sentirlo. Minho… non doveva sapere. Come si sarebbe sentito, se avesse scoperto che il suo dolce compagno… non riusciva a dormire bene neanche al suo fianco?

Stava cercando di controllarlo. Stava cercando… di ingabbiarlo. Legando i polsi della sua stessa mente, si era obbligato a non urlare. Uno stupro psicologico, che gli permetteva di continuare a vivere. Erano solo poche immagini, mentre il sole iniziava già a filtrare attraverso le persiane. Niente di paragonabile ai mesi precedenti. Stava ritornando tutto a galla, in punta di piedi, silenzioso e inesorabile. Il suo passato… non era capace di metterlo a tacere.

Per quanto tempo? Per quanto tempo riuscirò ancora a tenerlo a bada? Crollerò… non è vero? Un giorno non riuscirò a scappare. Le lacrime saranno più veloci delle mie gambe, e raggiungere il bagno mi sarà impossibile. Scivolerò sul suo petto, sconfitto, mostrandogli ancora una volta… il pietoso spettacolo che sono diventato. Non c’è salvezza. Non c’è amore che basti. Fin quando quell’auto continuerà a bruciare… la mia anima… arderà con essa.

Perdonami. Perdonami Minho. Sono stato un egoista. Non avrei dovuto trascinarti con me… in questo incubo fatto di fuoco e sangue. Il tuo sorriso… avrei voluto proteggerlo. Avrei dovuto proteggerlo. Invece tutto sta ricominciando. Ogni giorno andrà sempre peggio… e alla fine… il mio dolore distruggerà anche te.

Ti amo. Dovrei mandarti via. Ti amo. Non voglio restare solo. Ti amo. Voglio vivere. Ti amo. Mi sento morire.
 

*****

 
Aprii gli occhi che era già ora di uscire. Le 07:20, verificai attraverso la sveglia. Minho e Taemin sarebbero arrivati di lì a poco, convinti di trovare in casa solo il mio coinquilino. Mi mossi lentamente, cercando di non svegliarlo. Il suo respiro regolare mi sfiorava il collo, strappandomi un sorriso. Abbassai lo sguardo sul suo volto rilassato, trattenendo un sospiro mentre incrociavo le sue labbra protese.

Due dita scivolarono sulla carne rosata, seguendo i contorni di quel morbido fiore. Già… la bocca di Bummie è come un fiore. Il colore, il profumo, il sapore. Tutto, in lui, mi ricorda qualcosa di tremendamente perfetto. Ripensai alla sera prima, mentre i suoi gesti inaspettati mi facevano trattenere il respiro. Si accucciò sul mio petto, stringendo le mani sulla maglia viola che indossavo. La manica rossa superava il suo polso, ricoprendo parte del palmo aperto. Era davvero troppo grande per lui.

Sorrisi ancora, immaginandolo come un bimbo… vestito di abiti troppo larghi. Accarezzai la guancia pallida, lasciando scorrere le dita sui lineamenti delicati. Seguii la curva della mascella, scivolando verso il mento e la gola sottile. I capelli biondi si sollevarono all’improvviso, accompagnando il movimento con il quale si stava voltando. Finì a pancia in su, facendo imbronciare le mie labbra. Il calore che aveva abbandonato il mio petto… già mi mancava.

Mi voltai su un fianco, sbirciando i suoi gesti futuri. Aveva sollevato entrambe le braccia, abbandonandole ai lati del viso. Un sospiro leggero lasciò la sua bocca, mentre le dita affusolate grattavano il nasino perfetto. Si, il mio Bummie era proprio un micetto. Stiracchiò il corpicino candido, strofinando la guancia sinistra sul cuscino, e inarcando la schiena verso l’alto. Spostai istintivamente le coperte, troppo curioso per poter resistere.

Le gambe nude mi fecero rabbrividire, obbligandomi a mandare giù un gigantesco quantitativo di saliva. Abbandonate sul letto, entrambe piegate e strette l’una all’altra, mi sfiorarono ingenuamente l’erezione mattutina, mentre il mio dolce coinquilino tornava a cercare il mio calore. Ne approfittai, stringendolo forte tra le mie braccia. Affondai il naso fra i capelli setosi, aspirando a pieni polmoni il suo profumo delicato, e la mano destra sfiorò vogliosa la sua coscia nuda.

Kibum mormorò qualche parola incomprensibile, concedendomi il suo corpo attraverso l’oblio del sogno. Mi sentii un verme, e anche tremendamente insoddisfatto. Non c’era gusto in quel modo. Volevo che fosse sveglio. Volevo che i suoi occhi smarriti incrociassero i miei, e che le sue guance pallide si imporporassero per darmi il buongiorno. Sadico, non è vero? Ma era lui a rendermi tale. Se Bummie non si emozionava, allora neanche io potevo farlo.

Mi chinai verso di lui, sollevandogli il mento con il supporto di una carezza, chiamando piano il suo nome. Non mi sentì, e io sbuffai piano. I polpastrelli presero a consumare il suo volto, percorrendolo con delicatezza e frustrazione. “Svegliati cucciolo…” avrei voluto dirgli, solo per vederlo sgranare gli occhi e tremare contro il mio corpo. Sapevo che l’avrebbe fatto. E invece mi strusciai contro la sua guancia, facendogli storcere le labbra mentre la mia barba incolta lo pizzicava appena. Schiusi la bocca vicino al suo orecchio, e lo morsi piano.

La morbida consistenza dei lobi sensibili… era il suo punto debole. Miagolò sotto le mie attenzioni, mentre la bramosia dei miei gesti lo obbligava a scostarsi, guidato dall’istinto. Le braccia intorno al suo corpo si fecero più salde, sbarrando ogni via d’uscita, e le sopracciglia chiare si aggrottarono automaticamente. Iniziava a svegliarsi. Risi piano, curvandomi nuovamente verso il suo corpo, ma lui non cercò di tenermi lontano.

Rimasi spiazzato quando, lasciando scorrere la bocca sulla sua gola, i fianchi delicati si scontrarono leggermente contro i miei, innocentemente seducenti e provocatori. Mi morsi le labbra, permettendogli di avvicinarsi ancora. Tirò indietro il collo, mentre le ciglia lunghe iniziavano a tremare, pronte a sollevarsi, e la mia lingua scivolò lasciva sulla pelle inesplorata.

Lo morsi ancora, imprigionato dalla mia stessa trappola, ammaliato dal profumo di vaniglia di quella carne immoralmente candida. Oltre la curva del collo, sulla base della sua spalla destra, strinsi i denti sul suo corpo incantatore, e mi lasciai trasportare dall’istinto.

“Mmm…” mormorò, sensualmente incosciente, assecondando i miei gesti con il respiro d’un tratto irregolare. Le mani si sollevarono, alla ricerca del mio volto, trovarono i capelli… e vi si immersero. Chiusi automaticamente gli occhi, beandomi di quel tocco inesperto e pieno di significato. Quando feci leva sugli avambracci, spingendolo a stendersi sulla schiena, il bisogno di unire le nostre labbra era ormai insopportabile.

Il cuore perse un battito, mentre ogni singola cellula del mio organismo urlava la propria soddisfazione. Mi abbandonai con delicatezza, ricoprendolo con il mio corpo, forzando la sua bocca perché si schiudesse. Esercitai una leggera pressione sulla carne rosata, infilandoci in mezzo la lingua. Un sospiro più pesante accompagnò quella dolce conquista, e gli occhi da gatto di puntarono sorpresi nei miei.

Non dissi nulla. Mi mancava la volontà per parlare. Rimasi in attesa della sua reazione, senza mai smettere di sfiorare le sue labbra, sperando con tutto il cuore che non si arrabbiasse. Era stata una mossa sleale, me ne rendevo conto. Bummie ancora dormiva, e io gli ero praticamente salito sopra senza farmi troppi problemi. Lui sbatté un paio di volte le palpebre, prendendo velocemente coscienza della situazione. I suoi muscoli si tesero, sotto le mani che gli stavano accarezzando i fianchi, mentre le guance si tingevano rapidamente di rosso.

Mi eccitai ancora di più. Quanto mi piaceva il suo imbarazzo. Mi scostai appena, ostentando un sorriso incerto. Kibum era imprevedibile. Avrebbe potuto abbracciarmi, ma anche farmi ruzzolare giù dal letto. La boccuccia umida tremò, incredibilmente provocante, e gli angoli si sollevarono lentamente verso l’alto. Tirai mentalmente un sospiro di sollievo, mentre le iridi scure si illuminavano di fronte ai miei occhi.

“Non era un sogno…” mormorò, con la voce resa ovattata dal sonno, e il piccolo slancio che seguì quelle parole… mi fece saltare il cuore direttamente in gola. “Sei veramente qui…” soffiò, mentre le braccia esili si afferravano con forza al mio collo, spingendomi nuovamente verso il suo corpo emozionato. “Mi sei mancato tanto…”

Eccolo lì. Mi aveva fregato alla grande. La dolcezza di quella confessione mi avvolse il petto, depositandosi sul mio amore come la più disarmante delle dichiarazioni. Insinuai le mani sotto la sua schiena, abbracciandolo a mia volta, affondando il volto tra i capelli biondi. “Tu di più…” risposi, e la sua bassa risata mi fece rabbrividire.

“Non te ne andare più…” quasi mi supplicò, con un tono implorante e la vocina spezzata. Abbandonai la fronte contro la sua, concentrandomi sugli occhi lucidi e le labbra imbronciate. Risi anch’io, racchiudendo quella bellissima espressione nei palmi delle mani. I battiti ritmici divennero sempre più insistenti, impedendomi quasi di respirare. Quale persona sana di mente… l’avrebbe lasciato andare?

“La prossima volta ti porto con me” lo rassicurai, con quella che aveva tutta l’aria di una solenne promessa. Sorrise… e lo fece con una gioia talmente grande… che rischiò di mandarmi in fibrillazione. Una lacrima, ormai troppo difficile da combattere, scivolò silenziosa sulla sua pelle di porcellana. Rotolò sulle gote arrossate, sfiorando il sorriso radioso, perdendosi sul mento che stavo sostenendo.

Utilizzai il pollice per raccoglierla, facendolo poi scorrere sul resto del viso, eliminando ogni traccia di tristezza dalla persona di cui mi ero innamorato. Kibum strofinò la guancia contro le mie dita, chiudendo gli occhi e sospirando sulla mia carezza. Mi fece tremare, mentre sollevava appena il busto, cercando di incontrare la mia bocca.

Non ebbe certo bisogno di pregarmi. Allontanai una mano dal suo volto, afferrando le lenzuola e trascinandole sui nostri corpi, mentre la mia lingua già esultava nell’incontrare la sua. Il modo impacciato con il quale la muoveva, all’interno della mia bocca, mi riempì il cuore di orgoglio. Non sapeva bene dove mettere le mani, così finì per arpionare le lenzuola, mentre la scia umida dei miei baci gli accarezzava la gola.

Sciolsi delicatamente la sua presa, ridendo piano sulle labbra un po’ imbronciate, strappandogli un rantolo di disapprovazione. Guidai le dita nervose sul mio petto, invitandolo a toccarmi. Tremò, puntando gli occhietti impauriti nei miei, rispondendo alla mia offerta con un piccolo inizio di erezione. Accarezzai i suoi capelli, perdendomi in quella tenera espressione di inesperienza, premendo il mio bacino verso il suo.

Serrò le palpebre, stringendole con forza l’una all’altra. Le guance divennero talmente rosse da renderlo irresistibile, mentre la consapevolezza del mio stato gli strappava un gemito improvviso. Diavolo… era la cosa più erotica che avessi mai sentito. Puntellai il peso sui gomito, scivolando lentamente verso il volto accaldato, chiudendo i suoi lamenti tra le mie labbra vogliose.

Finalmente parve reagire, e il mio torace si gonfiò, stracolmo di aspettative, quando le mani delicate iniziarono la loro danza. Dapprima incerto, poi… sempre più audace. Il suo tocco si fece strada sul mio corpo, spingendomi ad aggredire con più disperazione la sua lingua. Era caldo… leggero. Sapeva di tenera immoralità, mentre si intrufolava sotto la mia maglia, facendomi assaporare la devastante sensazione della sua pelle sulla mia.

Percorse gli addominali, sfiorandoli lentamente, uno alla volta. Sorpassò l’ombelico, strappandomi un sottile lamento, e si fermò sul petto… tatuandoci sopra delle forme invisibili. Quell’eccitante disegno nasceva dalla punta dei suoi polpastrelli, ricadendo all’interno del mio corpo come una potente scarica elettrica. Aveva reso i miei nervi più tesi, il mio fiato più pesante, e la voglia di sentirlo miagolare inaspettatamente vorace.

Rise, soddisfatto, mentre i miei denti si serravano sul suo collo, dimostrando con la loro morsa la mia approvazione. Voltò il capo dal lato opposto, affondando la guancia destra sul cuscino, ansimando il proprio piacere… mentre lo stringevo per i fianchi, succhiando avidamente quella pelle che sapeva di vaniglia. Non sarei andato oltre. Non quel giorno… almeno. Accarezzai nuovamente il suo volto, ripercorrendo a ritroso la strada verso le sue labbra. Mi sorrise, timido e molto imbarazzato, abbassando le lunghe ciglia e stringendosi nuovamente al mio collo.

“I-Io… normalme-mente…” balbettò contro al mio orecchio, facendosi piccolo piccolo nel mio abbraccio. Temeva il mio giudizio. Era questo, giusto?

“Lo so” risposi, senza dargli modo di continuare. Tornai a sollevarmi, giusto di qualche centimetro, accarezzando la sua guancia con la punta del naso. Un sospiro di sollievo lasciò la sua bocca, strappandomi un sorriso, mentre depositavo un bacio leggero sulla sua fronte.

“Restiamo a casa?” mormorò titubante, cercando i miei occhi. Il suo sguardo era pieno di speranza, e risvegliava nel mio cuore innamorato… una voglia matta di viziarlo e riempirlo di coccole. “Voglio stare con te…” soffiò, avvampando all’istante e nascondendo il volto contro la mia spalla. Quella tenera confessione quasi mi uccideva, prosciugando completamente la mia saliva. Affondai la mia espressione emozionata sul cuscino, accanto ai suoi capelli biondi, sforzandomi di non mangiarlo per la gioia.

“Tutto quello che vuoi…” riuscii infine a dire, e le sue labbra delicate mi sfiorarono una guancia.

*****


Le nocche contro la porta, dapprima leggere e discrete, divennero sempre più insistenti. Taemin recuperò un po’ d’aria, sforzandosi di rimettersi in piedi. Minho si era svegliato, senza trovarlo nel letto, partendo immediatamente alla sua ricerca. Il bagno… era rimasta l’ultima ipotesi.

“Min?” lo chiamò, per la centesima volta “Min, rispondi!” esclamò, spazientito, afferrando la maniglia e cercando di aprire. Inutile. Era chiuso dall’interno. Una miriade di pensieri invase la mente del più grande, alcuni particolarmente allarmanti.

Perché non risponde? Deve essere per forza qui dentro. Si è sentito male? E’ per questo che non riesco a sentirlo? No, non dire idiozie! E’ solo il tuo cervello mezzo addormentato che si diverte a prendersi gioco di te! Si, ma se poi… Min dannazione, apri questa porta!

La serratura scattò, risuonando con forza tra i suoi sentimenti angosciati. Taemin lo fissò, mostrando lo spazzolino che teneva in mano e la bocca piena di schiuma. Stava lavando i denti. O questo almeno… fu quello che fece credere a Minho. Quest’ultimo, troppo felice di vederlo sano e salvo, se lo strinse istintivamente al petto, senza curarsi del dentifricio che gli impiastrò la maglia.

“Non chiuderti a chiave” mormorò, contro il collo del ragazzino, rilasciando la propria ansia con un profondo sospiro. Il cuore del più piccolo si strinse, attanagliato dai sensi di colpa. Non importava cosa facesse. Alla fine… riusciva sempre a farlo preoccupare. Le mani delicate si posarono sul petto del più grande, allontanandolo con dolcezza.

Il moro rimase a guardarlo, mentre tornava verso il lavandino e finiva di sciacquarsi. Lo spazzolino venne abbandonato nel piccolo bicchiere in ceramica, accanto al sapone, e Taemin sollevò lo sguardo dispiaciuto nella sua direzione. “Scusa Hyung…” soffiò fuori, chinando il capo e fissando il pavimento. Giocherellò con il piede scalzo sull’angolo di una mattonella, troppo imbarazzato per tornare a guardarlo.

Le dita forti si serrarono intorno al suo polso, spingendolo con un movimento deciso verso il corpo del più grande. “Non sono arrabbiato” lo rassicurò Minho, cullandoselo addosso e lasciando un bacio leggero tra i suoi capelli profumati. “Solo che penso troppo…” ammise, poggiando le labbra sulla pelle delicata del suo collo.

Taemin si strinse più forte a lui, affondando la propria frustrazione in quell’abbraccio rassicurante. Lo sguardo ricadde sulla manica scura, sulla quale era ancora visibile il sottile rivolo di sangue che l’aveva macchiata. Sussultò, avvertendo un piccolo crampo serrargli lo stomaco. Aveva paura. “Mi prepari il latte? Io devo ancora cambiarmi” chiese, puntando gli occhioni speranzosi verso il volto dolce del suo coinquilino. Questi acconsentì, abbassando ritmicamente la testa e stampandogli un bacio veloce sulle labbra.

“Ti aspetto in cucina” disse semplicemente, allentando la presa intorno ai suoi fianchi stretti. Il più piccolo sorrise appena, ancora agitato, e si dileguò velocemente in direzione della propria camera. Il leggero tintinnio delle stoviglie… gli fece tirare un sospiro di sollievo. Taemin si portò una mano sul petto, ringraziando mentalmente la sua buona stella, e si liberò velocemente della maglia.

Doveva tornare in bagno, ma doveva farlo in punta di piedi. Infilò i pantaloni chiari, rovistando nell’armadio alla ricerca della camicia bianca. Quella divisa non gli piaceva per niente, e storse istintivamente le labbra alla sua vista. Recuperò la cartella, buttandoci dentro i libri che gli sarebbero serviti, e si avvicinò alla porta con passo incerto.

Minho era di spalle. Il ragazzino riuscì a scorgerlo, mentre si incamminava lungo il corridoio con passo felpato. Trattenne il respiro, fiondandosi con un ultimo slancio oltre la porta socchiusa, e il più grande si voltò proprio in quel momento. Non si accorse di nulla, scrollando le spalle e ricominciando a mescolare il cacao con il latte.

Strano… mi era sembrato di sentire un rumore. Ma no, la mia fantasia oggi è piuttosto bizzarra. Smettila Choi, sei solo troppo apprensivo! Meglio darsi una mossa piuttosto, sono già le 07:30! Chissà se Kibum è riuscito a dormire, ieri sera…

Le dita dentro alla cassetta dei medicinali si mossero frenetiche, afferrando un pezzo di garza e del disinfettante. Strinse le labbra, trattenendo il piccolo lamento che aveva accompagnato il liquido incolore. Quest’ultimo scivolò silenzioso sulla ferita, ripulendola, mostrando la totale assenza di infezione. Meglio così. Tagliò un rettangolino retato, appuntandolo sulla pelle con l’ausilio di un paio di cerotti, e infilò rapidamente il resto dei vestiti.

La porta si aprì all’improvviso, rivelando un Minho dall’espressione tirata. Il sopracciglio destro era stato inarcato, mentre gli occhi scuri si puntavano sulla sagoma del suo coinquilino, ancora ricurvo sulla cassetta dei medicinali. “Cosa stavi facendo?” indagò, facendo un passo avanti.

Taemin si rimise velocemente diritto, senza però trovare il coraggio di incrociare il suo sguardo. Raccolse le ultime cose dal bordo del lavello, infilandole velocemente nella cassetta bianca, mentre il battito frenetico del proprio cuore gli martellava con insistenza le membra. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Quale scusa sarebbe sembrata più plausibile?

“A scuola sta tornando l’influenza stagionale” butto lì, piuttosto concitato, utilizzando la scusa di pettinare i capelli per non doversi voltare verso l’altro ragazzo “Ho pensato di controllare che avessimo le medicine adatte…” spiegò, scrollando le spalle, riponendo la spazzola sulla mensoletta in legno.

Le dita tremarono, insicure, e il riflesso di un’altra persona si accostò al suo, all’interno del grande specchio ovale che aveva di fronte. Il più giovane cercò di trattenere un brivido, sostenendo con inaudita tranquillità lo sguardo dubbioso del moro.

“E’ la verità?” chiese Minho, obbligandolo a voltarsi, incatenandolo gli occhi timorosi di Taemin nei propri. La testolina castana si abbassò ritmicamente, confermando ciò che il suo proprietario aveva precedentemente detto. Il gigante parve rilassarsi, accogliendo il volto delicato del coinquilino tra le mani, spingendolo ad alzare il mento.

Quest’ultimo non disse nulla, temendo che la propria voce tremante potesse tradire la propria bugia. Si sollevò sulla punta dei piedi, cingendo le spalle larghe con le proprie braccia, alla disperata ricerca di un bacio… che non tardò ad arrivare. Il moro lo strinse forte, obbligandolo ad indietreggiare, fin quando la schiena delicata non si scontrò con il bordo del lavello.

Scusami Hyung, non vorrei mentirti però… fin quando mi sarà possibile… cercherò di mantenerti il più lontano possibile dai miei problemi. Questa storia tra di noi… non sarebbe mai dovuta iniziare. Ti amo. Ti amo così tanto che… separarmi da te sarebbe troppo doloroso. Sono egoista. Non voglio lasciarti andare, pur sapendo che potrei farti soffrire. Perdonami. Perdonami… ti prego.

Le lacrime che nacquero lì, sotto le palpebre abbassate di Taemin, vennero ostinatamente ricacciate indietro. Inghiottite… all’interno di quel groppo in gola che lo faceva star male. Si lasciò baciare, ansimando il suo nome… quando le mani di Minho si strinsero intorno ai suoi glutei. Tirò indietro la testa, permettendo alle labbra del più grande di accarezzargli il collo, rubandogli un gemito e facendolo inarcare.

Non poteva separarsi da quelle braccia. Non adesso… che aveva scoperto cosa si provava a starci in mezzo. Avrebbe taciuto le proprie paure, ancora una volta, leccando le proprie ferite in silenzio, dentro il buio di quel bagno dalle piastrelle immacolate. Serrò le labbra tra i denti, beandosi della presa possessiva che lo aveva sollevato, spingendolo a schiudere le gambe. La ceramica fredda del lavello lo sostenne, mentre Minho si faceva sempre più vicino, lasciando scivolare la propria lingua tra le labbra carnose del ragazzo che stava stringendo.

“Ti amo…” mormorò il più grande, poggiando la fronte contro la sua, e sospirando pesantemente quando arrivò il momento di lasciarlo andare. Quelle dolci parole frantumarono il cuore del piccolo Taemin, che venne investito da una nuova ondata di dolore, possibilmente peggiore della prima.

“Ti amo anch’io…” rispose, con la voce spezzata e le guance bagnate. Il moro incrociò il suo sguardo, rivelando la propria preoccupazione, mentre le dita gentili correvano ad asciugare il volto del più giovane. “Sono solo felice…” cercò di rassicurarlo quest’ultimo, sforzandosi di sorridere, lasciandosi baciare un’ultima volta.

Cos’è che mi nascondi? Da dove nasce la paura che ti leggo dentro? Min, non farmi questo. Non tenermi fuori dalla tua vita. I tuoi pensieri, il tuo dolore… io voglio tutto quanto. Mi fa male. Mi fa male scoprire le tue bugie, mentre affermi di amarmi, e nascondi i tuoi timori dietro un sorriso che sa di menzogna. Non lo voglio. Un amore incompleto... è quello che più temo.

Sono qui. Ci sarò sempre. Anche quando urlerai nel cuore della notte, o quando le tue gambe cederanno, e non riuscirai più ad andare avanti. Ti abbraccerò piccolo… potrai usare il mio petto per riposare, e i miei piedi per continuare a camminare. Raccontami tutto. Ogni lacrima… ogni sospiro… accetterò ogni cosa. Ma ti prego… non mentirmi ancora.

*****


Seduto dietro quella grossa scrivania in mogano, le sue spalle sembravano ancora più larghe e la sua espressione più minacciosa. Jihun si inchinò velocemente, mostrando il proprio rispetto al padrone di casa, ma questi neanche lo guardava. Con lo sguardo fisso sul portatile che aveva davanti, il signor Jung indicò una sedia, invitandolo a prendervi posto.

“Credo che tu già conosca… il motivo della mia chiamata”.

Come sempre, il padre di Byung-Hee non si perdeva in cerimonie. Centrò direttamente il proprio bersaglio, senza giri di parole o falsi convenevoli, e gli occhi severi inchiodarono il suo ospite. Il migliore amico di suo figlio chinò il capo, mordendosi le labbra. Cosa avrebbe fatto adesso? Se raccontava la verità… sarebbe venuto meno alla parola data.

Il monitor luminoso venne voltato verso il ragazzo, richiamando in questo modo la sua attenzione. Sullo schermo, diverse cifre ordinatamente elencate, mostravano senza possibilità di sbaglio tutti i movimenti di denaro che aveva subito il conto corrente del suo primogenito. Jihun sbiancò all’istante, mentre un piccolo fascicolo veniva letteralmente lanciato nella sua direzione.

Le mani tremanti si protesero in avanti, chiudendosi attorno alla sottile cartelletta gialla. Il cartoncino, ruvido e appena arrotondato agli angoli, parve sul punto di scottargli le dita. Il giovane si passò una mano sulla tempia sudata, inspirando quanto più aria potesse. L’elastico scattò verso l’esterno, e i pochi fogli al suo interno furono rivelati.

“Non ho potuto evitarlo” mormorò, sincero, sollevando lo sguardo colpevole verso il grosso impresario “Sa bene quanto me… quanto lui possa diventare testardo” aggiunse ancora, mentre le labbra si arricciavano, mostrando una piccola smorfia infelice.

L’uomo di fronte a lui tamburellò con le dita sul ripiano in legno, sospirando pesantemente mentre si metteva in piedi. Portò una mano alla bottiglia di vino rosso, riempiendo metà del proprio bicchiere, e si allontanò in direzione della finestra. Con la bocca ad un centimetro dal liquido scuro… parve ripensarci. Chiuse per un attimo gli occhi, e il vino venne messo da parte.

“Chi stai seguendo?” volle sapere, già fin troppo consapevole della risposta “Se è ancora lui, mi chiedo cosa sia cambiato. Sono passati sei anni…” convenne, puntando lo sguardo verso un punto indefinito, oltre il grande giardino “Volete forse farmi credere che… ci sono delle novità?” non si voltò, allentò semplicemente il nodo della cravatta, e attese.

Jihun serrò le dita intorno al morbido bracciolo, corrucciando la fronte in uno stato di evidente agitazione. Non poteva tradire il suo migliore amico. Ma non poteva neanche evitare quella domanda. Come avrebbe reagito il signor Jung, sapendo quello che stava succedendo? Scosse la testa, ormai sconfitto. Non c’era alternativa.

“Sette mesi fa” mormorò, portando i gomiti in avanti, assicurandoli al tavolo ottocentesco “E’ saltata fuori una traccia” la fronte scivolò sulle mani unite, mentre la mascella assumeva un taglio piuttosto severo. “Questa volta…” il padrone di casa si era voltato a guardarlo, sorpreso e anche un po’ infuriato “potrebbe esserci una possibilità”.

“Di che diavolo stai parlando?!” la voce risuonò tetra e infastidita, tuonando potente in quella larga stanza dagli arazzi enormi “Quel ragazzino non ha mai cercato di contattarlo. Mai! Speravo che quell’idiota di mio figlio si fosse finalmente arreso e invece…!” il pugnò si abbatté con forza sulla scrivania, facendo tremare il povero Jihun, che vi si trovava ancora poggiato sopra.

“H-ho prova-vato a farlo ra-ragionare” balbettò, e lo stomaco si aggrovigliò rapidamente, soggiogato dallo sguardo autoritario che lo stava fissando “Non mi ha dato ascolto!” tentò di giustificarsi, alzando a sua volta la voce. “E non lo darà neanche a lei…”

Quelle parole ricaddero, pesanti e sfacciate, su quel tavolo che ancora li separava. Gli occhi del signor Jung si strinsero in due fessure, e un brivido di paura attraversò la schiena del ragazzo che gli stava di fronte, spingendolo a chinare il capo. Byung-Hee e suo padre… si assomigliavano più di quanto credessero.

Avere a che fare con loro è peggio di un giro alla Roulette Russa! Calmi, pacati e pieni di intelligenza. Ad un certo punto semplicemente impazziscono, e ti piantano in testa una pallottola. Al diavolo amico… se il tuo vecchio mi uccide… verrò a tirarti i piedi durante la notte! Ma come è possibile? Aveva davvero creduto che ti fossi arreso?!

Un pesante sospiro accompagnò gli ultimi passi del signor Jung che, portandosi una mano sulle labbra, si lasciò cadere sulla propria poltrona. Afferrò nuovamente il bicchiere di vino, e lo mandò giù tutto d’un fiato. “Byung si infurierebbe…” si disse, osservando il calice ormai vuoto. Che triste ironia era la sua. Arricciò le labbra, e abbassò le palpebre.

Benedetto figlio mio… tu mi manderai all’altro mondo! Quando quel ragazzino è andato via… ho sul serio temuto di perderti. Eri come un animale ferito. Nessuno ti si poteva avvicinare. Nessuno… poteva pronunciare il suo nome. Perfino oggi, fatico a ripensarci. Ti ci è voluto tanto tempo. Perché vuoi continuare a farti del male? Perché non riesci a liberarti del tuo passato?

“Non ha mai smesso di cercarlo… vero?” le parole vennero fuori stancamente, improvvisamente affaticate. L’espressione burbera dell’uomo d’affari lasciò il volto del padrone di casa, restituendogli i tratti insicuri di un amorevole padre. Se suo figlio continuava a soffrire, allora anche lui non avrebbe riposato in pace.

Jinun sollevò lo sguardo verso i suoi occhi, adesso aperti, che aspettavano una risposta. Rimase sorpreso dal dolore che ci lesse dentro, riscoprendo tra i due... un altro lato in comune. Byung-Hee e suo padre, non sarebbero mai potuti essere più simili. Due caratteri forti, combattivi… ma che sanno piegarsi e perfino arrendersi… di fronte alla tristezza delle persone che amano.

“No” confermò, accennando un sorriso dispiaciuto. L’uomo scosse la testa, avvilito, portando una mano sugli occhi e abbandonandoci sopra il capo. Un genitore che non riesce a lenire il dolore del proprio figlio… diventa un genitore inutile. Ed era proprio così che, in quel momento, il signor Jung si sentiva. Completamente inutile.

“Raccontami tutto” disse, mentre una leggera sfumatura della solita autorità rendeva più duro il suo tono. Poi le spalle si incurvarono pesantemente, e il racconto di Jihun ebbe inizio.

“E questo è lui” affermò il ragazzo, portando una mano al taschino interno della propria giacca. Due foto vennero tirate fuori, posandosi subito dopo sul ripiano in legno. Nel primo scatto c’era un ventenne dai capelli schiariti, che sorrideva serenamente alla macchina fotografica, rendendo ancora più sottili i propri occhi.

“Lo ricordo perfettamente” mormorò il padrone di casa, e la lieve incrinatura malinconica della voce tradì le sue emozioni “Veniva in casa nostra quasi ogni giorno, quando stavamo ancora in città. Byung era felice… con lui nei paraggi” spostò lo sguardo verso una raffinata cornice in argento, poco più avanti, che raffigurava il suo primogenito intento a correre.

Già… lui l’ha sempre reso felice. Non importava cosa facessero o dove fossero… gli bastava stare insieme. Credo di averlo sempre saputo… quello che provavi. Ho aspettato che lo capissi. Ho atteso la tua confessione. Quando quel giorno hai chiesto il mio perdono, non ho trovato un valido motivo per smettere di amarti. Eri la mia vita. Lo sei sempre stato. Un figlio “diverso” non lo si può cacciare via. La sola idea di perderti mi spezzava il cuore.

Ho accettato la tua natura, mettendo da parte le prime reticenze e concedendoti la possibilità di essere felice. Tu ne avevi bisogno. Avevi bisogno della mia approvazione, e io lo sapevo. Se ti avessi accusato di aver tradito la mia fiducia… come avresti reagito? Ti saresti sottomesso al mio volere, rinnegando ciò che eri, vivendo una vita che ti avrebbe reso infelice? Oppure saresti andato via, abbandonando il mio tetto, tagliandomi fuori dal tuo futuro?

Non lo so. Non conoscevo la risposta alle mie domande allora… e non la conosco neanche adesso. Ma ho preso la scelta giusta. E quando quel giorno mi hai sorriso, abbracciandomi forte, le tue lacrime di gioia hanno fatto piangere anche me. Eri mio figlio, e niente avrebbe cambiato quella realtà. Che fosse uomo o donna… la persona che poteva renderti felice… l’importante era che lo fossi.

“Lui chi è?” il signor Jung fissò il secondo scatto, assumendo un’espressione palesemente perplessa. Jihun si passò una mano tra i capelli, cercando di trovare le parole adatte per descriverlo. Non gliene vennero in mente molte, anche perché le informazioni che possedeva su quel ragazzo erano ancora troppo poche. Trasse un profondo respiro, e si accinse a svelare quel nuovo mistero.

“E’ l’erede dei Park” annunciò, gravemente, e gli occhi che si puntarono su di lui erano totalmente sconvolti. “Ha capito bene” proseguì, lasciando scivolare lo sguardo dai capelli bruni alle braccia muscolose “il vecchio Park ha un figlio adottivo. Lui.” precisò ancora, tamburellando il dito indice sulle labbra sorridenti che risplendevano al centro della foto.

“Se l’ha designato ufficialmente allora… vuol dire che sta per ritirarsi?” indagò immediatamente il padre di Byung-Hee, la cui mente attenta stava già iniziando a collegare i diversi tasselli del puzzle. Jihun abbassò ritmicamente la testa, senza proferire parola. “E’ sicuro? Ha accettato? Dopotutto è adottato, potrebbe sempre rifiutarsi, no?” insistette, mentre una nuova minaccia prendeva forma nel suo cuore.

“Sembra che l’abbia già fatto, più volte” convenne il ragazzo che aveva di fronte, ma la sua espressione seria non lasciava trasparire nulla di buono “Non potrà tenersene fuori ancora per molto” decretò cupamente “Il vecchio non smetterà di stargli addosso, e alla fine sarà costretto a cedere. A Park serve qualcuno che prenda in mano le redini della sua attività. Non si arrenderà tanto facilmente”.

“Se quel ragazzo eredita il gruppo…” la frase venne volutamente lasciata a metà, mentre il signor Jung nascondeva il volto tirato nei palmi aperti “Jihun…” lo chiamò, utilizzando per la prima volta il suo nome di battesimo “Cosa rappresenta questo tizio… per Byung-Hee?” si decise a chiedere, ora più che mai timoroso… di conoscere la risposta.

Un sorriso amaro incurvò le labbra del ragazzo, mentre questi lasciava scivolare due dita su entrambe le foto, affiancandole con un movimento lento. Il volto sorridente di un ragazzino dalla pelle lattea, e quello mascolino… del nuovo erede di una delle famiglie più pericolose di tutta la Corea.

“Il suo ultimo ostacolo”.

*****


Jonghyun mi sorrise, stringendomi ancora una volta nel suo abbraccio. Erano già le 12:00, ed era da parecchie ore che non ci alzavamo da quel divano. Il mio coinquilino era uscito, subito dopo che avevano suonato alla porta. La voce di Minho l’avevo sentita, così come quella di Minnie, però non avevo capito cosa dicessero. Parole concitate e frettolose. Poi la sua testolona spettinata aveva fatto capolino dalla porta della camera, annunciandomi che sarebbe uscito per pochi minuti.

Mi ero stretto sotto le coperte, ancora un po’ imbarazzato, accennando il mio “Va bene”. Lui si era fiondato su di me, blaterando qualcosa come “Faccio presto! Ritornerò prima ancora che tu possa sentire la mia mancanza!” Diavolaccio… lui e la sua linguetta impertinente! Mi fece arrossire ancora di più, quando mi sollevò con tutte le lenzuola, sfasciando completamente il letto, e mi chiuse contro il suo petto, nascondendo il viso sul mio collo.

Sospirò forte, facendomi rabbrividire. Il suo alito caldo mi scombussolò i sensi, e le mani che mi accarezzavano la schiena non mi aiutarono di certo. “Come faccio a lasciarti andare?” sussurrò, direttamente al mio orecchio, strofinando il naso contro la mia guancia. Il cuore mi si strapazzò in petto, procurandomi una fitta dolorosa all’altezza dello stomaco. Neanche io volevo che se ne andasse. Allacciai le braccia intorno al suo collo, sospirando insieme a lui.

Rise forte, forse divertito dal mio comportamento, guadagnandosi un piccolo pugno. Non volevo fargli male, e mi limitai ad imbronciare le labbra, incrociando le braccia e fissandolo torvo. Jonghyun rise ancora di più, trascinandomi sul letto, mentre già aveva iniziato a ricoprirmi il viso di baci. Aveva proprio deciso di uccidermi, vero? Maledetto scimmione tutto coccole, se fossi morto… gliel’avrei fatta pagare!

Poco dopo si era sciolto dolcemente dalla mia presa, solleticandomi il broncio con l’indice destro. Mi fece venire voglia di morderlo, e infatti lo feci, senza neanche pensarci. Mi prese un accidente, mentre la sua mascella si spalancava, rivelando il suo stupore, e le mie labbra si chiudevano intorno alla carne ruvida. Sembrò qualcosa di terribilmente sfacciato, e anche vagamente provocatorio. Le guance divennero talmente accaldate che avrei volentieri nascosto la testa sotto il cuscino!

Mi baciò subito dopo, tirandomi verso di sé con un movimento veloce e pieno di urgenza. Io mi sentivo allo stesso modo. Quel momento imbarazzante, invece di farmi scappare… aveva solo reso più stretti i miei pantaloni. Pantaloni… ma quali pantaloni?! Si, me ne ricordai solo in quel momento. Non avevo nulla oltre la maglia… la sua maglia! Cristo… che figura di m...da!

Annaspai nel suo abbraccio, cercando di sgusciare via per rintanarmi in bagno. Neanche la più pesante delle porte… avrebbe potuto occultare la tremenda vergogna che provai in quel momento. Dannato Kibum, con tutte le tue fantasia malsane! Gli sarò sembrato un assatanato! Ma perché dovevo comportarmi in un modo così imbecille?! Maledetto Jonghyun e il suo sorriso contro il mio collo… mi avrebbe fatto impazzire!

Scivolammo tra le lenzuola, entrambi improvvisamente desiderosi di non lasciarci andare. Trattenni istintivamente il respiro, mentre incrociavo i suoi occhi emozionati, e le mie labbra si schiudevano automaticamente… in attesa di quel bacio che stavo per ricevere. Vibrai contro il corpo forte che mi stava stringendo, spingendomi istintivamente verso quella bocca protesa, senza riuscire a resistere alla sua meravigliosa tentazione.

I primi due baci che ci eravamo scambiati, molto più irruenti di quello nuovo, mi parvero in quel momento assai più semplici da gestire. Ero teso, impaurito. Tremai ad ogni carezza, respirando con difficoltà, chiudendo gli occhi senza neanche rendermene conto. La sua lingua scivolò dolcemente fra le mie labbra, rendendo più instabile il battito cardiaco, obbligandomi ad afferrarmi con più forza alla sua maglietta. Mi sentivo spaesato, completamente svuotato da qualsiasi cosa… che non fosse Jonghyun.

Ondeggiavo sul ciglio di quel burrone, senza riuscire a vederne la fine. La cosa assurda… era che non ne avevo paura. Gli unici miei timori erano legati alla mia inesperienza, al costante brivido che mi percorreva la spina dorsale… ogni volta che le sue mani mi sfioravano il viso. Mi lasciai stringere, abbandonandomi a quella sensazionale emozione che ogni nuovo bacio si portava dietro. La mia bocca venne invasa dalla sua dolcezza, e io non riuscii a fare altro che lasciarmi travolgere da essa.

Mormorai qualcosa di incomprensibile, aggiungendo altro imbarazzo alla mia già “tragica” posizione. Il cuscino apparve magicamente sotto la mia testa, e quando mi resi conto che era stato lui ad avvicinarmelo, l’istinto di accarezzarlo a mia volta divenne troppo forte. Le dita si insinuarono tra i suoi capelli, trovandoli incredibilmente soffici e piacevoli. La lingua che stava inseguendo la mia si fece più insistente, più bramosa. Gettai indietro il capo, concedendogli carta bianca.

Jonghyun gemette. Un gemito profondo, rauco… e terribilmente sexy. Mi fece rizzare tutti i peli sulle braccia, e rese invisibile qualsiasi cosa… oltre la porta della stanza nella quale ci trovavamo. Volevo ripagarlo, farlo stare bene. Deglutii a fatica, mentre le sue labbra si allontanavano per un attimo, scivolando oltre la curva del mento, risalendo con impazienza verso il mio orecchio sinistro.

Puntai gli occhi al soffitto, serrando i denti sulla bocca ansimante. La lingua si mosse lentamente sulla mia pelle, così spudoratamente sensibile ad ogni suo tocco, e il nuovo sospiro non riuscii a trattenerlo. Rise piano, tra i miei capelli sicuramente scomposti, stringendomi il volto tra le mani e poggiando la fronte sulla mia. Volevo guardarlo. Il mio sguardo corse a cercare quello di Jonghyun, trovandolo già lì, pronto ad accogliermi.

Mi persi dentro i suoi grandi occhi, scoprendoli inaspettatamente scuri e pieni di gratitudine. Utilizzò i polpastrelli per accarezzarmi una guancia, sorridendo debolmente, mentre scostava un ciuffo più lungo dalla mia fronte accaldata. Sospirai, contro il palmo della sua mano, depositandoci sopra un bacio fugace. Mi imbarazzai ancora una volta, arrossendo fino alle orecchie, rendendo il suo sguardo ancora più dolce.

“Torno subito…” mi rassicurò, scaldandomi il cuore e strappandomi un sorriso. Abbassai ritmicamente la testa, e il suo ultimo bacio mi riempì di gioia. Fu leggero, delicato… appena accennato. Mi sfiorò le labbra con quella che mi parve la sensazione più incredibile della mia vita, lavando via le mie paure, facendo aumentare il ritmo dei miei battiti. La porta si chiuse alle sue spalle, e io sprofondai il viso sul cuscino, praticamente urlando.

Ero un idiota. Un idiota completamente fuori di testa. Picchiai le gambe contro il materasso, serrando le dita sulla federa scura e iniziando a ridere come un matto. Non mi accorsi immediatamente di Lucy, che mi fissava sconcertata, mentre scattavo impazientemente in piedi e mi portavo entrambe le mani sulle labbra, saltellando per la stanza come la più svampita delle teenager.

“Ci siamo baciati! Ci siamo baciati!” strillavo, in preda a chissà quale raptus di felicità estrema. Finii rapidamente in ginocchio, afferrando la mia dolce cagnolina per le zampe anteriori e strattonandola forte. Menomale che è sempre stata calma e docile lei… altrimenti in quel momento mi avrebbe sicuramente azzannato!

“Adesso posso anche morire…” sospirai, teatralmente sincero, gettandomi all’indietro sul pavimento, con braccia e gambe spalancate. Nascosi un nuovo attacco di risa dietro le mani aperte, e Lucy prese ad abbaiare con forza, saltellandomi intorno euforica. Sembrava volesse partecipare ai miei festeggiamenti.

“Adesso… denti, capelli, vestiti!” esclamai, schizzando verso il bagno e fiondandomi davanti allo specchio. Che spettacolo raccapricciante! Ero talmente stravolto da poter essere paragonato, senza mezzi termini, ad un pulcino che ha appena ricevuto una forte scarica elettrica. Con l’unica differenza che… un pulcino folgorato… non avrebbe avuto il mio stesso sorriso da mentecatto.

Volevo farmi una doccia, sicuramente ripulire la bocca dal sapore impastoso del sonno, e magari cambiarmi. Aprii il palmo della mano destra sul viso, respirandoci contro un paio di volte. No, l’alito non puzzava. Avessi scoperto una verità così imbarazzante, avrei utilizzando la tavoletta del water per distruggermi la testa!

Sfilai a malincuore la maglia di Jonghyun, lasciando scorrere l’acqua calda sul mio corpo eccitato. No, nessuna erezione, solo che non la smettevo di ridere e saltellare. Se fossi scivolato sul fondo bagnato, avrei continuato a ridere ugualmente? Probabilmente si! Afferrai l’accappatoio e mi asciugai in un lampo. Una veloce pettinata e sarei stato pronto.

Sputacchiai la schiuma nel lavandino, allungando simultaneamente una mano verso l’asciugamano pulito. Lucy mi era rimasta accanto per tutto il tempo, come una mammina premurosa e sempre disponibile. Aveva utilizzato il musetto per avvicinarmi le ciabatte, voltandosi con discrezione vero il muro, mentre io mi liberavo di tutto quello che avevo addosso. Era proprio ben educata quella cagnetta.

I boxer puliti li infilai con fin troppa foga, quando distinsi chiaramente il rumore metallico della serratura che scattava. La porta d’ingresso si richiuse con un piccolo tonfo, avvisandomi del rientro di Jonghyun. Rischiai di finire steso a terra, mentre il piede sinistro si appuntava sull’elastico scuro, facendomi perdere l’equilibrio. Salterellai, in difficoltà e con una gamba ancora per aria, finendo con l’accasciarmi sul bordo della vasca. Un altro po’… e l’eco della mia caduta avrebbe riempito tutta la casa.

“Bummie?” la sua voce era incredibilmente vicina, e proveniva esattamente da dietro l’uscio del bagno. Imprecai mentalmente. Non ero ancora pronto! Mi rimisi in piedi, infilando completamente l’intimo e voltandomi con gli occhi sgranati verso il piccolo mobile accanto al lavandino.

“Dannazione!” esclamai, terribilmente furioso con me stesso. Avevo scordato di prendere i vestiti puliti.

“Bummie? Tutto bene?” ancora lui, mentre la maniglia scivolava pericolosamente verso il basso. “Posso entrare?” cercò di chiedermi, ma l’attimo dopo io mi ero già spiattellato contro la porta, impedendogli l’ingresso.

“No!” urlai, forse un po’ troppo bruscamente “So-sono anco-cora nudo” balbettai, sperando che non ci fosse rimasto male. Grande trovata! Così non solo mi sentii in colpa, avvampai anche come una scolaretta con il cervello in pappa, rendendomi finalmente conto dell’assurda affermazione che avevo appena fatto!

“O-ok… ti aspetto in cucina”

Quella risposta avrebbe dovuto calmarmi? Col cavolo! Non solo aveva balbettato, ma la sua voce era venuta fuori talmente rauca che… Dio, mi sarei voluto affogare dentro il lavandino! E adesso come facevo? Non potevo mica uscire in quel modo? Avrei potuto correre, o magari attraversare il corridoio in punta di piedi, sperando che non mi notasse. Inutile. Non c’era nulla da fare. Rischiare di essere beccato, con solo i boxer addosso, mentre mi defilavo verso la mia camera… era davvero troppo imbarazzante!

“Jonghyun?” lo richiamai, sperando che non si fosse ancora allontanato.

“Si?” no, era ancora lì dietro.

“Mi potresti portare dei vestiti puliti?” morsi le labbra, appoggiando la fronte contro il legno scuro “Ho dimenticato di prenderli” spiegai, sempre più a disagio, e i suoi passi lungo il corridoio mi fecero sospirare pesantemente “Di questo passo finirò col suicidarmi…” sbiascicai, passandomi una mano sul viso accaldato. Ero proprio una frana in certe cose.

“Tieni” la sua velocità mi sorprese, così come la mano che venne allungata verso l’interno, attraverso l’uscio appena scostato. Aggrottai le sopracciglia, senza riconoscere ciò che mi stava porgendo. Presi la maglia tra le mani, constatando con una smorfia che non c’erano i pantaloni, e la sorpresa quasi mi lasciava secco.

“M-ma…” e che altro dovevo dire?! Chiusi nuovamente la bocca, mentre le guance già riprendevano a scottare, e il ritmo martellante del mio cuore mi tappava le orecchie.

“Mettila” disse semplicemente, senza lasciarmi molte alternative. Non avevo nient’altro. Indossare la sua maglia… oppure passargli davanti senza nulla addosso? Mi morsi le labbra, e il tessuto di cotone mi avvolse il busto, scivolando lungo i fianchi.

Anche questa era parecchio larga. Verde, con le maniche più scure e un grosso numero stampato sulla schiena. Mi guardai allo specchio, e coprii il viso con entrambe le mani. Lo stomaco rispose alla mia emozione con una fitta persistente, che rese più faticoso il mio respiro. Chiusi gli occhi, cercando di calmarmi. Quella situazione… iniziava sul serio a diventare surreale!

*****


Kibum si decise a venir fuori dal bagno dopo quella che a Jonghyun parve un’eternità. Aveva esagerato? La gola si strinse, vinta dalla stessa sensazione che gli aveva infiammato l’inguine. Il suo coinquilino se ne stava sulla soglia della cucina, titubante e con lo sguardo basso. Le guance, delicatamente imporporate, riempirono con la loro straordinaria dolcezza il cuore del più grande.

La maglia gli arrivava alle cosce, proprio come quella rossa, lasciandone sensualmente scoperta una buona parte. I riscaldamenti erano accesi, per cui non c’era pericolo che sentisse freddo. Nonostante quella consapevolezza, il bruno gli si fece subito vicino, coprendolo velocemente con il plaid colorato. Gli occhi felini si sollevarono, cercando i suoi, facendolo rabbrividire con la loro timidezza.

“Vieni…” gli disse, chiudendo le dita intorno alla sua mano tremante, guidandolo verso il divano. Si sedettero insieme, tremendamente vicini. Un braccio avvolse i fianchi del più piccolo, e Kibum allargò la coperta intorno alle spalle del suo coinquilino, invitandolo a riscaldarsi. Jonghyun gli sorrise, vinto dalla dolcezza dei suoi gesti, trascinandoselo in grembo e accendendo la televisione.

Il biondo tremò, ancora inesperto e pieno di disagio. Sospirò, cercando di rilassarsi, e il più grande si spostò appena verso destra, permettendogli di sistemarsi meglio. La guancia delicata sfiorò il collo, mentre le gambe nude si piegavano lentamente, dandogli modo di rannicchiarsi contro il suo petto. Una mano scivolò sui capelli chiari, accarezzandoli con dolcezza, rilassando i suoi muscoli tesi.

“Tieni…” mormorò Jonghyun, passandogli la solita bustina azzurra, con all’interno quel piccolo pesciolino al cioccolato, ancora caldo e terribilmente invitante. Kibum infilò le dita affusolate dentro al sacchetto, estraendone il suo taiyaki, e senza pensarci molto porse la coda al suo coinquilino. “Grazie” il bruno protese le labbra verso le dita incerte, lasciandosi imboccare con un sorriso.

Il solito cartone riempì lo schermo, facendo arricciare le labbra del più giovane. “Ma… come?” soffiò, esitante, senza riuscire a capire. La bassa risata dell’altro ragazzo gli solleticò il viso, mentre una nuova carezza, lungo la sua gamba sottile, costringeva il biondo a mordersi le labbra.

“Ho programmato la registrazione prima di uscire” spiegò, indicando con un gesto del capo il videoregistratore, in quel momento acceso. Quella rivelazione lasciò completamente senza fiato il suo dolce coinquilino, che senza riuscire ad emettere nessun suono, si abbandonò semplicemente alla tenerezza dei gesti di Jonghyun, stringendosi più forte contro di lui.

La mattina trascorse in quel modo, con i loro corpi abbracciati, sotto il calore di un plaid dai disegni fantasiosi. Kibum sorrideva, per ogni piccola cosa, lasciandosi baciare le guance imporporate e balbettando, di tanto in tanto, quando la bocca del maggiore diventava improvvisamente più audace. Il cartone fu seguito da un drama, e subito dopo da un programma non ben definito, al quale nessuno dei due prestò particolare attenzione.

Lucy si raggomitolò sotto il tavolo, cercando le loro mani intrecciate, quando le veniva improvvisamente voglia di una coccola. Jonghyun rise come un matto, mentre la cagnolina tentava in tutti i modi di intrufolare la testolona scura sotto il braccio del più piccolo, terribilmente cosciente di essere stata dimenticata. Il biondo si inclinò in avanti, riempiendola di carezze e parole rassicuranti. La compagna parve gradire molto quella sua tenera preoccupazione, regalandogli una rapida leccatina sulla punta delle dita.

“Rassegnati piccola…” una mano forte cinse i fianchi di Kibum, obbligandolo a rintanarsi nuovamente contro il petto del suo coinquilino “Bummie è tutto mio ormai…”

Le proteste sconclusionate, che l’altro ragazzo fu sul punto di fare, si persero nell’improvviso rossore che gli colorò le guance. Jonghyun lo strinse più forte, strofinando il proprio naso contro quello delicato del più giovane. “E’ inutile che ti lamenti…” mormorò ancora, ad un soffio dalle sue labbra rosse “Ti ho preso”.

I loro sguardi si incontrarono, l’uno emozionato e l’altro timoroso, mentre le braccia sottili si sollevavano, incrociandosi dietro al collo del più grande. Un sorriso felice incurvò la bocca di Kibum, facendo perdere un battito al cuore debole del suo scimmione. Il bacio che seguì fu dolce, estremamente delicato. Fatto solo di labbra e mute promesse. Arrivò inaspettato, suggellando con la propria spontaneità… i sentimenti sinceri che l’avevano guidato.

Non sei il solo.
Mi hai abbracciato. Mi hai baciato.
Hai stretto il mio corpo al tuo, facendomi sentire importante.
Anche io. Anche io Jongie…
Ti ho preso.

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Capitolo 21
*** Dimostralo ***




 

Capitolo 20 - Dimostralo

Jinki si passò una mano tra i capelli, sospirando pesantemente. I libri sul lungo ripiano grigio vennero raccolti con un unico gesto, per poi essere accatastati in fondo al secondo scaffale della libreria. L’aula era vuota, giacché alla quarta ora di mercoledì mattina… nessuna classe avrebbe avuto laboratorio. Le vecchie imposte vennero chiuse, e il ragazzo dagli occhi nocciola tornò a cercare lo sguardo di Minho.
 
“Ne sei proprio sicuro?” chiese, con l’aria di uno che ha appena ricevuto una brutta notizia “Potresti anche esserti sbagliato, infondo…” le parole si bloccarono, mentre la risposta repentina del moro lo obbligava a tacere.
 
“Non sono stupido Hyung” ribatté il più piccolo, scuotendo la testa e lasciandosi cadere su uno degli sgabelli in legno. “Sta succedendo qualcosa, o meglio… sta ricominciando” aggiunse, mentre il volto abbattuto si sollevava ancora una volta verso quello dell’assistente “Min non è molto bravo con le bugie” quella conclusione gli fece arricciare le labbra, e la sua espressione rattristata strinse il cuore di Jinki.
 
Il maggiore gli andò vicino, fermandosi alle sue spalle. Portò entrambe le mani sui muscoli tesi, massaggiandoli con dolcezza. “Andrà tutto bene…” cercò di rassicurarlo, utilizzando il tono più gentile possibile “Provo a parlarci io, vuoi?” la testa di Minho si abbassò ritmicamente, mentre il dolce sorriso del ragazzo alle sue spalle venne fuori più tirato del solito.
 
Devo chiedere a Kibum. Magari con lui ne ha parlato. No, è impossibile… me lo avrebbe già detto. Diavolo Tae, perché non vieni da noi? Fino ad oggi l’hai sempre fatto. Cos’è che è cambiato adesso? E’ per lui? Stai cercando di proteggerlo? Sei uno stupido. Minho ha già capito, e tu stai ancora una volta soffrendo da solo. Non è giusto. Abbiamo promesso di starti accanto… tutti noi. Non puoi escluderci così, senza una parola.
 
Che situazione. Sua nonna dice che, dopo tutto questo tempo, avrebbe bisogno dell’aiuto di un esperto. Lo so. Lo so che ha ragione. Ma come si fa? Come posso obbligarti ad andare da uno strizzacervelli? C’è ancora una possibilità, o almeno… ci sarebbe. Possiamo sostenerti. Possiamo guidarti verso la strada giusta. Il tuo domani… non dovresti viverlo tra i fantasmi del passato.
 
Prima di quell’incidente c’è stato molto altro. Altri ricordi. Altri momenti felici. Dovresti concentrarti su quelli. I tuoi incubi riportano indietro lo scenario peggiore: la loro morte. Ma non c’è solo quello. Per superare la tua perdita, devi abbandonare quelle immagini che ti recano solo dolore. Loro erano vivi, e ti amavano. Dovresti custodire i momenti di gioia, non quelli di sofferenza.
 
Ricordalo. Ricorda tutto quello che avete vissuto insieme. Le carezze, i baci della buonanotte, i loro visi durante il giorno di Natale. Ricorda tutto l’amore che hanno regalato al tuo cuore, e dimentica le lacrime che hai dovuto versare. Le persone care non dovrebbero mai essere ricordate da morte, con la pelle fredda e gli occhi spenti. Le persone care… dovrebbero essere ricordate con le mani calde e i sorrisi gentili.
 
La morte esiste, e ci si deve fare i conti ogni giorno. Siamo umani. Non possiamo fermare la natura. La nostra stessa esistenza si basa sulla certezza che, presto o tardi che sia, ognuno di noi conserva lo stesso destino. Ciò che ci distingue gli uni dagli altri… è il modo di affrontarlo. Permetti loro di riposare in pace. E concedi a te stesso… la possibilità di essere felice. In un modo o nell’altro… il cuore troverà la forza di superare anche questo dolore.
 
“Hai poi pensato all’idea di portarlo fuori?” chiese, mentre Minho sollevava gli occhi confusi nella sua direzione “Cosa c’è? Stai pensando che queste bugie… incidano sull’amore che prova per te?” il moro chinò il capo, serrando con forza la mascella “Non è così. Ha solo bisogno di un motivo… lo capisci?”
 
Entrambe le mani vennero portate al volto, e l’espressione avvilita del più piccolo ci scomparve dentro. “Un motivo per cosa?” rispose, con una nuova domanda, mentre la voce profonda veniva fuori confusa e un po’ tremante.
 
Jinki scosse la testa, accarezzando con dolcezza i capelli scuri “Tu dovrai essere il suo motivo” chiarì, con una frase perfino più enigmatica della precedente. Scrollò con delicatezza le spalle di Minho, obbligandolo a sollevare lo sguardo “Un motivo per continuare a vivere”.
 

*****

 
Camminava al mio fianco, salterellando di tanto in tanto, mantenendo gli occhi su quel grosso volume dalla copertina consumata. Il solito mattone da genietto, avevo dedotto, sbirciando il titolo e arricciando le labbra. Lo afferrai per un braccio, trascinandomelo vicino, giusto un secondo prima che finisse addosso ad una colonna di cemento. Oh Bummie, sei sempre stato un po’ svampito.
 
“Cosa c’è?” sollevò gli occhietti sorpresi verso di me, schiudendo appena le labbra rosse. Fu solo un attimo, prima che ricominciasse a leggere, ma quella sua espressione innocente mi aveva già trafitto il cuore. Sospirai, rubando una delle manine pallide, e lui non oppose resistenza.
 
Le guance si tinsero lievemente, mentre sbirciava le nostre dita intrecciate con la coda dell’occhio. Gli sorrisi, e il suo imbarazzo aumentò ancora. Camminavamo lungo il corridoio che ci avrebbe portati in sala mensa, ma non mi sembrava molto ansioso di pranzare. Quel libro aveva iniziato a leggerlo il giorno prima, nel pomeriggio, subito dopo avermi assegnato un altro “lunghissimo” capitolo da studiare.
 
Figurarsi, io perdevo più tempo a guardare lui, anziché a concentrarmi sui compiti che avrei dovuto svolgere. Ricordo che in quel momento mi chiesi dove lo avesse preso. Non avevo mai visto quel volume in giro per casa. Ero stato anche sul punto di manifestare le mie perplessità, ma non ne avevo avuto il tempo. Si era fatto più vicino, sbirciando la pagina alla quale ero arrivato, da sopra la mia spalla.
 
Una piccola smorfia gli aveva fatto arricciare il nasino, mentre la mano sottile mi aveva mollato un ceffone sulla nuca. Non mi stavo impegnando molto, ne ero più che consapevole. Si era chinato verso di me, picchiettando con il tappo della penna sul libro. “Studia!” mi aveva detto, mentre il suo dolce profumo mi avvolgeva i sensi, facendomi chiudere gli occhi.
 
Alla fine mandai al diavolo tutto quanto, e lo trascinai sulle mie ginocchia. Bummie si era agitato per un po’, strillandomi contro una marea di improperi, e utilizzando i suoi piccoli pugni per scuotermi il petto. Una volta che riuscii a baciarlo… l’armistizio venne ufficialmente firmato. Un bacio per ogni pagina terminata, gli proposi, e questa volta non furono necessarie delle preghiere.
 
Studiai come un matto quel pomeriggio, guadagnandoci in cambio un sacco di carezze e sospiri. Facesse così tutti i giorni… diventerei il primo del mio corso in meno di un mese! Eh si, la boccuccia di Kibum mi avrebbe fatto camminare perfino sui carboni ardenti, se avesse voluto. Risi piano, e mi infilai insieme a lui dentro un’aula vuota.
 
“Che fai?!” squittì il mio ingenuo coinquilino, piantandomi entrambe le mani sul petto e cercando di tenermi lontano. Lotta inutile la sua. Non mi sarei arreso tanto facilmente. Gli sorrisi, con non poco faccia tosta, e mi si sciolse letteralmente tra le braccia. Aveva già chiuso gli occhi, mentre lo spingevo delicatamente verso il muro, prestando molta attenzione perché non si facesse male.
 
“Solo uno, e poi ti lascio andare” sussurrai, vicino al suo orecchio, e il tonfo sordo della sua borsa, che era appena finita a terra, mi fece ridere ancora. Miagolò contro la mia guancia, dimostrando con quel suono leggero tutta la sua disapprovazione. Se sperava di fermarmi, avrebbe ottenuto esattamente l’effetto contrario.
 
Le labbra scivolarono sulle sue, trovandole già dischiuse e ben disposte al contatto. Mi fece rabbrividire, mentre infilava le mani tra i miei capelli, invitandomi a stringerlo più forte. Chiusi le braccia intorno alla sua vita sottile, attirandolo contro il mio corpo, accarezzando la sua lingua con la mia. Quel sapore. Non sarebbe mai esistito… qualcosa di altrettanto meraviglioso.
 
Sollevai appena una palpebra, troppo desideroso di vedere la sua espressione. I capelli biondi ricadevano sulla fronte delicata, ricoprendola con i ciuffi dorati. Le ciglia lunghe sfioravano la pelle pallida delle guance, in quel momento tremendamente arrossate. Quasi mi soffocavo, mentre anche i suoi occhi si aprivano, incrociando i miei. Fu giusto un attimo, perché entrambi ci affrettammo a richiuderli, imbarazzati dalla consapevolezza di essere stati appena beccati a “spiare”.
 
Mi separai a malincuore, sospirando contro la sua bocca ansimante, regalandole un’ultima carezza prima di allontanarmi del tutto. Kibum mantenne il capo chino, troppo timido per riuscire a guardarmi ancora. Gli accarezzai una guancia, sorridendo quando lui chiuse una sua mano sulla mia. Intrecciai nuovamente le mie dita con le sue, e raccolsi la sua borsa.
 
Me la misi in spalla, proprio sopra la mia. Ero sicuro che avrebbe protestato, e invece non disse nulla, limitandosi ad arrossire ancora di più. Lasciai un bacino sulla punta del suo naso, e sbirciai il corridoio prima di abbandonare la classe buia. Era deserto. Dovevano già essere tutti in mensa. Bummie mi si fece più vicino, facendo sfiorare le nostre spalle mentre camminavamo, e la sua voglia di starmi accanto rese più instabili le mie emozioni.
 
Troppo dolce per poter esistere davvero. Kibum era come un cocktail. Un mix esplosivo di timidezza e seduzione. Ti incantava con le sue guance rosse, e ti stregava con quello sguardo felino, che era in grado di farti tremare. Il corpo sottile, pallido e perfetto. Non fosse stato per tutti gli occhi che gli si puntavano costantemente addosso, magari non avrei avvertito quella voglia crescente… di rinchiuderlo in casa e buttare via la chiave.
 
Ci avrei volentieri messo un cartello, sulle sue spalle esili e sempre fiere: “Vietato toccare (e anche guardare!) Proprietà privata!”. Mi avrebbe preso a legnate probabilmente ma… che ci potevo fare? Nessuno doveva avvicinarsi a lui. Nessuno, oltre me, doveva avere il privilegio di incrociare quello sguardo timido e pieno di timori. Solo io. Solo io… e nessun altro.
 

*****

 
Le loro mani si slegarono appena entrati, ma non abbastanza velocemente perché qualcuno non le notasse. Io per primo, me ne ero accorto subito. Minho mi aveva raccontato che Jonghyun aveva anticipato il proprio rientro, il giorno prima, e che lui e il suo coinquilino avevano deciso di saltare le lezioni, passando del tempo insieme. Era sicuramente successo qualcosa, e ammetto che la mia “voglia di gossip” iniziava a scalpitare.
 
Soppesai le loro espressioni. Imbarazzate, sicuramente, ma anche teneramente felici. Sorrisi, e anche il ragazzo accanto a me fece lo stesso. A quanto sembrava, qualcuno condivideva i miei stessi pensieri. Erano solo a pochi passi da noi, quando il più piccolo si bloccò all’improvviso, puntando gli occhi verso la fila al bancone. Inarcai un sopracciglio, confuso dal suo comportamento. Seguii il suo sguardo, e il mio cuore fece istintivamente una capriola.
 
Anfibi neri, jeans strappati e guanti di pelle. Impossibile non riconoscerlo. Credo di essere sbiancato, mentre Kibum abbandonava definitivamente il fianco del suo coinquilino, incamminandosi veloce verso l’altro ragazzo. La mascella di Minho cadde praticamente dentro il piatto, ma di raccoglierla non ne avevo proprio il tempo. Il mio vicino di casa, ancora immobile al centro della sala, strinse forte i pugni, puntando gli occhi furiosi verso la scena che si stava svolgendo poco più avanti.
 
Il ragazzo dalla tracolla blu si voltò immediatamente, mentre una mano si posava con confidenza sul braccio muscoloso, richiamando la sua attenzione. Un sorriso sincero gli illuminò il volto, e Kibum gli disse qualcosa, ricambiando la sua espressione con una praticamente identica. Poveretti noi… le cose si stavano mettendo proprio male! Mi misi rapidamente in piedi, e scrollai con forza le spalle di Minho, che era rimasto talmente sconvolto da non riuscire più a muovere un muscolo.
 
“Svegliati, non c’è tempo da perdere!” affermai con forza, indicandogli il volto funereo di Jonghyun, che era già sul punto di scagliarsi in avanti. “Fermalo!” continuai, spingendo il moro verso di lui “Io penso a Kibum!”
 
Non mi fermai a vedere cosa avrebbe fatto, un altro secondo in più e la nostra università si sarebbe trasformata in un campo di battaglia. Raggiunsi velocemente il mio piccolo vicino, salutandolo con eccessiva enfasi, rendendomi improvvisamente conto di non aver “preparato” niente di preciso. Mi diedi una scrollata mentale, e mi incitai ad andare avanti. Avrei improvvisato.
 
Gli occhi dell’altro ragazzo si puntarono immediatamente sul mio viso, mentre la bocca morbida assumeva un taglio decisamente severo. Mi squadrò rapidamente, inarcando un sopracciglio, per poi voltarsi nuovamente verso Kibum. “Lo conosci?” gli chiese, indicando la mia persona con un gesto del capo. Non molto cordiale devo dire. Dal tono di sufficienza che utilizzò, sembrava quasi che stesse parlando di zucchine di bassa qualità. Di quelle che svendono al supermercato, quando stanno per marcirsi.
 
“E’ Jinki-Hyung, l’assistente di laboratorio” rispose prontamente l’altro, notando la mia espressione infastidita “Mi hai accompagnato da lui qualche giorno fa, ricordi?” disse ancora, e lo sguardo minaccioso di quel tizio scomparse subito dopo, trasformandosi in quello di una persona dispiaciuta.
 
“Scusami” esordì, grattandosi nervosamente la testa “Ci sono strani tipi in giro, e non sono tutti molto… raccomandabili” strana giustificazione la sua, ma conoscendo l’ascendente di Kibum, anche abbastanza plausibile. Allungò la mano verso la mia, presentandosi, e io la strinsi. “Non ti avevo riconosciuto senza il camice” aggiunse, facendo spallucce.
 
“Piacere mio” risposi, un po’ laconico. Il suo comportamento non mi aveva convinto del tutto. Se fossi stato davvero uno di quei tizi poco raccomandabili, mi avrebbe forse azzannato alla gola? Gli occhi che mi avevano fissato, giusto un attimo prima che “cambiasse”, mi avevano messo i brividi addosso.
 
“Jonghyun si stava chiedendo che fine avessi fatto…” buttai lì, giusto per far intuire a Kibum quello che stava accadendo. I suoi occhi felini si spostarono timorosi verso il nostro solito tavolo, riempiendosi di sensi di colpa quando incrociarono lo sguardo severo del suo coinquilino.
 
Lo guardai a mia volta, notando immediatamente le spalle tese e la mascella serrata. Minho cercava di calmarlo, ridendo di tanto in tanto, probabilmente un po’ isterico. Invitai personalmente il nuovo conosciuto a sedere con noi, e l’espressione di Kibum si trasformò ancora una volta, illuminandosi. Quel tizio gli andava proprio a genio, vero?
 
Feci la fila con loro, riempiendo un vassoio per Jonghyun. Il più piccolo conosceva bene i suoi gusti, e fu lui stesso a scegliere tutte le pietanze. Notai lo sguardo divertito che il ragazzo accanto gli rivolgeva, mentre si tamburellava un dito sulle labbra, e fissava indeciso il bancone dei dolci. Il diretto interessato neanche se ne accorse. Non mi sorprese. E’ sempre stato molto ingenuo da quel punto di vista.
 
Ritornando verso i nostri posti, individuai la presenza di una nuova persona, proprio accanto al ragazzone dai capelli per aria. Era Hyuri, che parlandogli con dolcezza… sembrava avesse avuto più successo di Minho. Jonghyun infatti appariva appena più rilassato… o, se non altro, non sul punto di uccidere qualcuno. Quando raggiungemmo il tavolo comunque, lo sguardo che lui e quel tipo si scambiarono… non mi piacque affatto.
 
Si presentò come Byung-Hee, ma il suo nome non riuscii a memorizzarlo subito. Con lui accanto, Kibum divenne stranamente più loquace, e anche abbastanza intraprendente. Tutto il contrario del suo coinquilino, che si chiuse nel più totale silenzio, fissando minaccioso il nuovo arrivato.
 
Il più piccolo, spalla a spalla con lo studente che ci aveva appena fatto conoscere, parlò a macchinetta per tutto il tempo. Perfino con Hyuri, che solitamente ignorava. Jonghyun era furioso, e non lo nascondeva di certo. Di fronte a lui, la sua amica lo fissava, preoccupata, così come Minho, al suo fianco.
 
Io rimasi tranquillo, consumando le mie verdure e addentando un pezzo di carne. Non avrebbe reagito, lo sapevo bene. Era geloso, ma dall’ultima volta che li aveva visti insieme… qualcosa era “indubbiamente” cambiato tra lui e Kibum.
 
“Tieni…” Byung-Hee infilò una mano dentro la propria borsa, estraendone un libro tutto consunto, insieme a dei fogli ordinatamente ripiegati. “E’ quello che volevi leggere” spiegò, mentre gli occhi felini si sgranavano su di lui, completamente rapiti da quel regalo inaspettato. “E questi sono gli appunti d’inglese. Ieri non c’eri…” aggiunse ancora, mostrandogli il contenuto di quelle pagine dalla calligrafia decisa.
 
“Grazie! Grazie! Grazie!” strillò Kibum, tutto euforico, poggiando entrambe le mani sul braccio destro del nuovo amico. “Ti riporto questo domani, ormai l’ho praticamente finito” continuò, indicando il volume che teneva alla propria sinistra, accanto al vassoio del pranzo.
 
A quelle parole, Jonghyun vibrò impercettibilmente, serrando la presa intorno alla bottiglietta dell’acqua, che aveva appena sollevato. La plastica si lamentò, riempiendo l’aria con il suo scricchiolio poco piacevole, ma solo Byung-Hee parve accorgersi, oltre me, di quel suo gesto.
 
Quest’ultimo aveva adottato un atteggiamento strano, quasi ingenuo. Aveva intuito il rapporto che c’era tra quei due, difatti… in più di un’occasione… avevo notato distintamente le sue labbra tremare, nel tentativo di trattene un sorriso. Quello che ancora non capivo era: “La sua presenza nella loro vita, avrebbe portato aiuto o discordia?”
 
Proprio in quel momento, i suoi occhi scuri si puntarono sui miei, tranquilli, e stavolta sorrise apertamente. Magari mi sbagliavo, ma non mi sembrava una cattiva persona. Parlava con tutti, e il suo tono mi era apparso troppo gentile, per essere falso. Ricambiai il suo sorriso, speranzoso, mentre Minho mi fissava allibito.
 
“E com’è che vi conoscete, voi due?!” la domanda del ragazzo seduto al mio fianco venne fuori acida, risentita. Stava prendendo finalmente parola, dopo tutto il silenzio che l’aveva circondato. Gli occhi di Kibum si puntarono sui suoi, appena infastiditi. Il tono accusatorio del suo coinquilino… non era sfuggito a nessuno.
 
“Gli sono finito addosso fuori dalla biblioteca” spiegò Byung-Hee, tranquillo, intercettando il suo sguardo “Giusto qualche settima fa, no?” aggiunse ancora, rivolgendo la sua domanda direttamente al biondo. Questi abbassò ritmicamente la testa, tremando visibilmente, mentre Jonghyun stringeva un pugno sul tavolo. Era da così tanto che si conoscevano? Perché noi non ne avevamo saputo niente?
 
I miei pensieri vennero evidentemente condivisi dal mio vicino di casa che, da quel momento in poi, non sollevò più lo sguardo dal proprio vassoio. Kibum gli parlava di continuo, cercando di introdurlo nella conversazione, ma riceveva in cambio solamente dei monosillabi. Lo vidi scivolare un po’ più in basso sulla sedia, dopo l’ennesimo tentativo andato male, e il profondo sospiro che si lasciò sfuggire sorprese tutti quanti.
 
Il suo coinquilino si decise finalmente a guardarlo, mentre il biondo nascondeva velocemente gli occhi lucidi, chinando il capo. Mi fece tenerezza. Lo conoscevo da molto ormai, e non l’avevo mai visto interessarsi più di tanto a quelli che erano i pensieri della gente. Con Jonghyun, ovviamente, era tutto diverso. Se non ce l’aveva ancora presentato, probabilmente era stata solo questione di “occasioni mancate”, sicuramente non di cattiva fede. Kibum non sarebbe riuscito a prendere in giro qualcuno neanche volendo.
 
Il ragazzone al suo fianco parve addolcirsi, mentre la linea delle sue labbra si ammorbidiva, e il pugno che aveva serrato sul tavolo tornava a rilassarsi. Quando la mano di Jonghyun scomparve, oltre il tavolo, raggiungendo quella del biondo, il sorriso del più piccolo illuminò l’intera mensa.
 

*****

 
L’acqua scorreva da buoni venti minuti. Kibum si rigirò la pasta tra le mani, in attesa del suo coinquilino. Accanto a lui, Lucy seguiva i suoi movimenti nervosi, scuotendo appena la coda e volgendo lo sguardo verso il corridoio. Jonghyun era in bagno, e fin dall’ora di pranzo… non avevano avuto molto tempo per parlare.
 
“Sarà ancora arrabbiato?” il biondo sospirò, avvilito, lasciando scivolare gli spaghetti di soia dentro la confezione rossa. Raccolse il mestolo in legno, mescolando mestamente il condimento, nella padella lì a fianco. A lezioni finite era andato via da solo, rimuginando per tutta la strada sul proprio comportamento. “Forse avrei dovuto raccontargli prima di Byung-Hee…”
 
“Si, avresti dovuto” quella risposta non se l’aspettava. Perso nei propri pensieri, non si era accorto della porta che veniva aperta, né dei passi silenziosi che si avvicinavano alle sue spalle. Kibum sussultò, arrossendo, facendo cadere a terra ciò che teneva in mano.
 
Jonghyun si chinò al suo posto, raccogliendo il mestolo, e qualche piccola goccia scivolò dai suoi capelli bagnati, scontrandosi con le mattonelle chiare del pavimento. Il più giovane si morse istintivamente le labbra, abbassando lo sguardo imbarazzato. Il bruno era a torso nudo, con indosso solamente i pantaloni scuri di una vecchia tuta.
 
“Do-dovresti mettere qua-qualcosa ad-dosso” balbettò, voltandosi di scatto verso il lavandino, annaspando come un pesciolino a cui hanno appena tolto l’ossigeno. Alle sue spalle, il più grande sorrise, avvicinandosi nuovamente a lui, per poi chinarsi in avanti e aprire l’acqua.
 
Le mani forti si strinsero intorno al manico del cucchiaio, sciacquandolo velocemente. Kibum non osava sollevare lo sguardo, troppo impaurito dall’idea di farsi prendere un attacco di cuore. Jonghyun era troppo vicino. Riusciva a sentire l’aroma del suo bagnoschiuma, tutto intorno alla propria persona, così come il respiro caldo, proprio accanto al suo orecchio.
 
Il biondo chiuse istintivamente gli occhi, serrando le dita attorno al bordo d’acciaio del lavello. Inspirò profondamente un paio di volte, vibrando appena… mentre il petto del suo coinquilino gli sfiorava la schiena. Era in trappola. Stretto fra il corpo del compagno e il mobile, non sapendo più cosa fare. “Ora puoi usarlo” lo fecero sobbalzare le parole improvvise del più grande, che gli stava porgendo nuovamente il mestolo “Io vado a coricarmi. Non ho molta fame”.
 
Kibum sollevò improvvisamente le palpebre, voltandosi in tutta fretta, pronto ad afferrarlo prima che se ne andasse. Mossa stupida. Jonghyun non si era mosso di un millimetro, ridendo divertito, in attesa della sua reazione. Il più piccolo si scontrò contro il suo torace nudo, sul quale aveva involontariamente poggiato entrambe le mani, procurandosi in questo modo un violentissimo brivido lungo la spina dorsale.
 
Schiuse le labbra, trovandole incredibilmente secche, mentre i battiti del proprio cuore aumentavano a dismisura ad ogni attimo che passava. Gli occhi felini incrociarono quelli ironici del suo coinquilino, facendogli provare una voglia tremenda di fuggire via. “Avresti dovuto dirmelo” ripeté ancora il più grande, appoggiandosi con disinvoltura al lavandino. Era di nuovo in trappola.
 
Che stai facendo?! Ti prego, ti prego… allontanati almeno un po’! Dio… calmati, calmati… devi stare calmo! No, no… non guardarmi così! Non avvicinarti! Dannazione perché sto chiudendo gli occhi?! Sto facendo la figura dell’idiota!
 
“Bummie…?” la voce di Jonghyun gli giunse suadente, e anche incredibilmente vicina, mentre serrava con forza le palpebre l’una contro l’altra… e i denti correvano a torturare la piccola bocca tremante.
 
“E’ so-solo un ami-mico, verame-mente…” balbettò, quasi implorante, chinando il capo e maledicendo l’improvviso rossore che gli era salito alle guance. “Volevo presentarvelo già da un po’…” aggiunse ancora, raggiungendo un angolo della maglia e iniziando a stritolarlo tra le dita “Poi lui è stato assente e tu sei partito…” spiegò, con il fiato corto e la mente annebbiata, mentre la mano del più grande si intrufolava tra i suoi capelli, sfiorandoli piano. “Non volevo mentirti…”
 
Le ultime parole vennero fuori in un soffio, completamente sopraffatte dalle sensazioni che stava provando. Una nuova carezza lo obbligò a sollevare il mento, e l’espressione di Jonghyun, in quel momento, gli apparve terribilmente seria. Trattenne istintivamente il fiato, senza riuscire a trovare il coraggio per separarsi da quegli occhi scuri che lo stavano giudicando. Il sangue fluiva con forza nelle vene, sotto la pelle pallida e lo sguardo timoroso, reso ancora più veloce dalla lenta carezza che era stata appena depositata sul suo fianco sinistro.
 
“Dimostralo…” solo questo, nient’altro, sussurrato ad un millimetro dalle sue labbra. Il bruno si allontanò, liberandolo dalla propria presa, incamminandosi a passi lenti verso il divano. Lì si sedette, tornando a cercare i suoi occhi, mentre lasciava cadere sulla poltrona l’asciugamano che fino a poco prima teneva sulle spalle.
 
Rimase in quel modo, placidamente in attesa, per qualcosa come cinque minuti. Kibum non riusciva a muoversi di un millimetro, troppo occupato a regolarizzare i battiti del proprio cuore, per poter realmente intuire il significato di quella singola parola. “Co-cosa?” sbiascicò fuori, alla fine, completamente spaesato e privo di indizi.
 
“Dimostrami che non stavi mentendo” chiarì Jonghyun, inarcando un sopracciglio e scompigliandosi con disinvoltura i capelli bagnati. Il biondo deglutì a fatica, seguendo i suoi movimenti con la gola improvvisamente secca. Come avrebbe dovuto dimostrare la propria sincerità? Cos’era… che il più grande si aspettava da lui?
 
“Chiudi i fornelli, e vieni qui” non gli era sembrato un ordine, eppure Kibum si comportò come se lo fosse. Fece ruotare verso destra la manovella del gas, per poi dirigersi, con passi incerti, verso il divano che l’altro ragazzo occupava. Gli si fermò davanti, teso fino all’inverosimile, ma con lo sguardo perfettamente incatenato a quello del maggiore.
 
“Non mi credi?” la domanda si ruppe sulle ultime parole, seguendo l’incrinatura della voce spezzata che l’aveva pronunciata. Gli occhi lucidi scivolarono sul pavimento, mentre le labbra tremanti rendevano più sensibile il cuore del bruno. Non voleva farlo soffrire. Infondo… non riusciva davvero a crederci… che un micetto così dolce potesse avergli mentito.
 
Sospirò, allungandosi in avanti e stringendo con delicatezza il polso del più piccolo. Questi si morse le labbra, cercando disperatamente di trattenere le lacrime, mentre le braccia del suo scimmione lo accoglievano nel loro calore. Si afferrò con forza alle spalle di Jonghyun, lasciando che qualche goccia salata si unisse alla sua pelle umida.
 
“Non piangere cucciolo…” mormorò il più grande contro al suo orecchio, avvertendo quella stessa tristezza serrargli lo stomaco. Lo cullò sul proprio petto, dimenticando completamente la malizia della propria richiesta. Kibum non aveva il carattere disinibito di tutte quelle ragazzine in minigonna che giravano per Seul. Il suo piccolo scricciolo… non avrebbe mai potuto leggere la sottile provocazione che quelle parole avevano celato.
 
“Volevo che mi baciassi Bummie…” gli spiegò, allontanandolo appena, cercando i suoi occhi lucidi. Utilizzò un dito per tracciare la scia delle sue lacrime, asciugando in quel modo la sua pelle pallida. Il più piccolo abbassò le palpebre, cingendogli il collo con entrambe le braccia. “Ti credo, hai capito?” disse ancora, con estrema dolcezza, accarezzando ancora una volta i capelli biondi.
 
Il volto schiacciato contro il suo collo si abbassò ritmicamente, mentre Kibum tirava rumorosamente su col naso, strofinando la guancia morbida contro la pelle nuda del suo torace. Jonghyun se lo tirò completamente addosso, facendogli allargare le gambe intorno alla propria vita. In un altro momento, quella posizione lo avrebbe sicuramente eccitato, in quella determinata circostanza però… tutto quello che gli importava era far sentire al più piccolo la propria vicinanza.
 
Che idiota che sono! Perché l’ho trattato in questo modo? Il mio Bummie non è come agli altri. Non si sarebbe mai catapultato verso di me, cercando di far scomparire i miei dubbi con l’utilizzo del suo corpo innocente. Bastardo Jonghyun… sei solamente un bastardo! I tuoi istinti sono quelli di un animale. Che diavolo centro io… con questo piccolissimo angelo che continua ad abbracciarmi?
 
Un bacio delicato gli sfiorò la carotide, facendolo rabbrividire. Ne arrivò un secondo, e subito dopo un terzo. Erano timidi, parecchio insicuri, proprio come la persona che gliene stava facendo dono. Gli occhi imbarazzati di Kibum cercarono i suoi, ancora un po’ umidi ed emozionati, mentre le dita sottili si posavano sul suo viso, lasciandoci sopra una tenerissima carezza.
 
Le guance, morbide e colorate, gli fecero trattenere il respiro, spingendolo ad abbracciare con fin troppa urgenza il corpo delicato che gli si era fatto più vicino. Nessuno dei due disse nulla. Il più grande avrebbe dovuto fermarlo, ma proprio non riusciva a trovarne la forza. Scivolò indietro, stendendosi sui cuscini colorati, trascinando il peso del più giovane con sé. Non l’avrebbe lasciato andare per niente al mondo.
 
Quel movimento fece perdere un battito al cuore inesperto del biondo che, senza neanche rendersene conto, si ritrovò a ricoprirlo con il proprio corpo tremante. L’alito caldo sfiorò il volto del bruno, mentre le loro labbra si trovavano a pochi millimetri di distanza. Kibum deglutì rumorosamente, strappando un sorriso al ragazzo estasiato che gli stava sotto.
 
“Non devi fare nulla…” lo rassicurò Jonghyun, spingendo il suo viso verso il proprio petto “Rimaniamo solo così, ok?” la mano sinistra risalì tra i capelli del più giovane, rimettendoli in ordine con piccoli gesti stracolmi di dolcezza. Quest’ultimo inspirò con forza, sorprendendolo, e prima ancora di dargli il tempo di comprendere quello che stava per accadere... stampò un rumorosissimo bacio sulle sue labbra sorridenti.
 
Il bruno scoppio in una fragorosa risata, divertito all’inverosimile… dal rossore improvviso che aveva colorato le gote del più giovane. Quel gesto, seppur un po’ infantile e pieno di paura, aveva avuto il potere di sciogliergli il cuore. Kibum arricciò le labbra, infastidito dalla piega comica che avevano preso le proprie azioni. Lui non voleva apparire come una verginella inesperta, voleva essere capace di… come dirlo? Si, ecco, voleva essere capace di farlo arrossire!
 
Perché sono solamente io quello che ogni volta non sa che fare? Jonghyun avrà sicuramente più esperienza di me però… non è giusto! Anche io posso essere sfacciato se voglio! Potrei… ecco potrei… oh dannazione Kibum, pensa a qualcosa! Aishh sono una frana, come posso non avere idea di come comportarmi?! Cosa fa lui?! Cosa fa lui con me?!
 
Quell’ultima considerazione, avrebbe avuto sul suo scimmione degli effetti… certamente inaspettati.
 

*****

 
Quando avvicinò nuovamente le sua bocca alla mia, io stavo ancora ridendo. Mi aspettavo un altro bacio leggero, probabilmente più imbarazzato del primo, e invece dovetti assolutamente ricredermi. La sua lingua si mosse veloce, sfiorandomi le labbra, facendomi tendere sotto il suo corpo sinuoso. Sollevai istintivamente lo sguardo verso il suo volto, ma i suoi occhi li trovai chiusi. Teneva le sopracciglia appena aggrottate, e sembrava sinceramente intenzionato… a farmi pentire per quello che avevo fatto.
 
Lo lasciai fare, serrando le dita intorno ai suoi fianchi delicati, gustandomi quella sua nuova intraprendenza con rinnovata curiosità. Il profumo di vaniglia si fece più prepotente, mentre scivolava completamente sul mio corpo, procurandomi un forte brivido di piacere. Schiusi automaticamente le labbra, lasciandogli modo di approfondire quel bacio che, io stesso, non vedevo l’ora di ricevere.
 
Fu morbido, elegante… danzò dentro la mia bocca come la più abile delle seduttrici. Giocava con la mia lingua, come il gatto avrebbe fatto con il topo. Mi estenuava, aggrovigliandole in un incontro impetuoso, per poi fuggire subito dopo, lasciandomi da solo con il mio crescente desiderio. Lo fece ancora due o tre volte, fin quando, ormai sconfitto, non protesi entrambe le mani verso la sua nuca, cercando di bloccarlo.
 
Fu più veloce, tirandosi repentinamente indietro, con un movimento talmente provocatorio da farmi perdere la testa. Feci leva sui gomiti, e l’attimo dopo mi ero sollevato a mia volta, arrivandogli nuovamente vicinissimo. Sorrise, palesemente soddisfatto, mandando in orbita il mio cuore semplicemente con uno sguardo. Gli occhi felini, normalmente timidi e sfuggenti, quella volta si puntarono suoi miei, sfrontati e vittoriosi.
 
“Chi è che ride adesso?” mormorò, portandosi una mano sulle labbra e nascondendoci dietro la sua risata. Mi fece serrare con forza le palpebre, perché il suo movimento gli aveva fatto involontariamente serrare le cosce, provocando un leggero incontro fra i nostri corpi. Non che prima non ci stessimo toccando, semplicemente… quella volta… riuscii a sentire distintamente la curva dei suoi glutei, proprio lì, dove la mia erezione iniziava a risvegliarsi.
 
Kibum non si accorse di nulla, forse perché troppo impegnato a festeggiare. Aveva ottenuto quello che voleva, ossia farmi restare senza parole, e adesso si accingeva a rimettersi in piedi, con l’intenzione di dedicarsi probabilmente alla cena. Non aveva capito invece… che il gioco era appena iniziato.
 
Lo bloccai prima ancora che potesse allontanarsi dal divano, trascinandolo nuovamente verso il mio corpo. Non so che espressione avessi, ma particolarmente loquace sicuramente, giacché lui divenne dello stesso colore di un pomodoro maturo, ansimando appena quando lo spinsi a coricarsi ancora.
 
Non lo feci stendere completamente, né tantomeno mi mossi sopra di lui. Non ero stupido. Una mossa sbagliata, e non sarei più riuscito a trattenermi. Cercai di tranquillizzarlo, non volevo che avesse paura della mia irruenza. Accarezzai con dolcezza il suo volto timoroso, e gli dissi di stare tranquillo. Volevo solo abbracciarlo, ancora per un po’, ed era la verità. Parve rilassarsi, sistemandosi meglio tra i cuscini.
 
Le sue gambe erano sopra le mie, ma i nostri busti non si sfioravano. Presi una delle sue mani, baciandola piano, prima di guidarla verso il mio torace scoperto. Volevo che mi toccasse. Volevo assaporare la delicatezza delle sue carezze… l’imbarazzo della sua inesperienza. Kibum era una continua scoperta, e il mio desiderio di conoscere ogni cosa di lui… diventava ogni giorno più forte.
 
Strinse le labbra tra i denti, rendendo improvvisamente secca la mia gola. La sua bocca… era davvero stupenda. Mi chinai verso di lui, anelando un nuovo bacio. Trovai la sua lingua, avvolgendola con la mia, mordendone piano la punta. Fremette tra le mie braccia, lasciandosi andare contro il mio petto. Le dita sottili, intanto, erano risalite lentamente verso il mio collo, annebbiando i miei sensi con la loro delicata carezza.
 
“Mmm…” miagolò, inclinando indietro la testa, mentre stringevo tra i denti il suo mento sollevato. Mi piaceva morderlo. Il sapore della sua carne era stupefacente. Dolce sulla lingua, ma capace di scottarti il cuore, proprio nell’attimo in cui cercavi di privartene. E fu per quello che non lo feci. Semplicemente lasciai che la mia bocca seguisse la curva del suo collo, lasciandoci spesso dei segni rossi, lungo tutta la sua morbida consistenza, fin quando non venni fermato dalla maglia chiara che indossava.
 
Imprecai mentalmente, già desideroso di gettarla via, ma serrai impercettibilmente le labbra, e non feci nulla. Avevo abbassato le palpebre, rifugiandomi nel mio piccolo mondo fatto solo di Kibum, gustando con estremo piacere il calore della sua lingua, mentre accarezzava con innato erotismo la curva della mia mascella. Sospirai, contro il suo orecchio destro, avvertendo la tensione che quel semplice gesto aveva esercitato sui muscoli del suo intero corpo.
 
Chiusi i denti sul lobo delicato, strattonandolo appena, e il gemito che gli strappai mi riempii d’orgoglio. Abbandonò la fronte contro la mia spalla, e le dita sui miei addominali scivolarono ancora più in basso, fermandosi sull’elastico dei pantaloni. Ero assolutamente sicuro che non avesse intenzione di fare “altro” però… quella sua sosta prolungata… proprio ad un passo da mio inguine… mi ricordò che sarei dovuto obbligatoriamente passare dal bagno, prima di mettermi a tavola.
 
Sorrisi, quando le sue braccia si strinsero nuovamente attorno al mio collo, e lo abbracciai a mia volta, gongolando soddisfatto del suo respiro spezzato. Bummie mi avrebbe portato alla pazzia, ne ero convinto. In quel momento comunque, stretto a lui, su quel divano, il suo dolce calore… era tutto ciò di cui avevo bisogno.
 
“Mangiamo?” gli chiesi, lasciandogli un’ultima carezza lungo tutta la schiena, mentre lui già abbassava ritmicamente la testa, spostando gli occhietti emozionati sul mio volto.
 
Baciai la sua fronte, così come il naso e le labbra. Piccoli baci, che avevano l’unico scopo di dimostrargli quanto tenessi a lui. Arrossì, ridendo piano quando gli solleticai i fianchi, e al momento di alzarci mi porse la mano. La strinsi forte nella mia, seguendolo fino ai fornelli, aiutandolo ad apparecchiare la tavola.
 
Sbirciai il suo profilo sereno, mentre tirava fuori dalla pentola gli spaghetti, lasciandoli cadere nella padella ancora sul fuoco. Mi offrii di mescolarli con i gamberetti e i pomodori pachino, e lui mi sorrise, prendendo dal frigo il formaggio e la bottiglia dell’acqua. La voce di un attore giapponese riempì la cucina, insieme alle nostre chiacchiere e al rumore delle stoviglie.
 
Mangiammo tranquillamente, scambiandoci qualche carezza veloce, sui dorsi delle mani o tra i capelli, ridendo di quello stupido film… e avvicinando un po’ di più le nostre sedie l’una all’altra. I suoi occhi luminosi facevano battere più forte il mio cuore, emozionandolo con la loro dolcezza, anche senza l’aiuto di gesti più spinti. Mi piaceva stargli vicino. Mi piaceva, semplicemente, l’idea di passare le mie giornate con lui accanto.
 
“Domani ti faccio il riso al curry” mi disse all’improvviso, lasciandomi per un attimo perplesso. Il tempo di riempire nuovamente il bicchiere con l’acqua, e avevo capito tutto. Ricordai quello stupido messaggio che gli avevo mandato giorni prima, in cui avevo lodato la sua cucina, con la sottile intenzione di ricordargli quanto mi mancasse.
 
Mi venne fuori un sorriso a trentadue denti, mentre la mia eccessiva felicità rendeva più confusi i suoi bellissimi occhi. Gli strinsi il volto tra le mani… e senza dire nulla… gli stampai uno schioccante bacio sulle labbra.
 

Hei Bummie, lo sai cosa vorrei? Lo vuoi sapere davvero? Io vorrei

Un milione di altre serate come questa, dove la nostra cena l’abbiamo cucinata insieme,
chiacchierando di argomenti inutili, davanti ad un film completamente stupido.

Vorrei sentire ogni giorno il suono della tua voce, che sia stata sussurrata al mio orecchio,
oppure urlata dall’altra parte della casa. Non mi importa… basta che ci sia.

Vorrei ricevere un bacio sdolcinato e privo di malizia, quando apro gli occhi la mattina,
e quando sono sul punto di chiuderli la notte, poco prima di dormire, con te al mio fianco.

Vorrei una vita fatta delle tue mani, del tuo sorriso, dei tuoi occhi.

Vorrei una vita fatta di noi. Di noi… e di nient’altro.


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Capitolo 22
*** Hai la mia parola! ***




Capitolo 21 - Hai la mia parola!

Kibum e Taemin camminavano diversi metri davanti a loro, teneramente uniti per le manine e con lo sguardo puntato verso l’orizzonte. Jinki si accostò agli altri due, che confabulavano a bassa voce su qualcosa di cui non aveva ancora afferrato bene il significato. Dosi, miscele… che si fossero uniti a qualche famigerata cerchia di stregoni?!

“L’hai tagliata come ti avevo spiegato?” investigò Jonghyun, scrutando l’espressione assorta di Minho. Questi abbassò ritmicamente la testa, tornando a guardarlo.

“Si, tranquillo” confermò, liberandosi del giubbotto e rimanendo solo con la felpa viola “Piuttosto… ringrazia Hyuri da parte mia” aggiunse, facendo inarcare un sopracciglio all’assistente di laboratorio “Sono rimasto sveglio per gran parte del tempo, ma sembra che lui abbia riposato meglio del solito” spiegò, indicando il suo coinquilino con un gesto del capo.

“Non hai dormito, vero?” chiese il più grande, toccando brevemente la spalla dell’amico “Ti capisco. Se succedesse a Bummie, probabilmente neanche io riuscirei a chiudere occhio”. Il bruno sollevò lo sguardo verso il cielo, soffermandosi sulle grosse nuvole bianche che ci volavano in mezzo. Era una bella giornata, e sperava tanto che quel sole inaspettato riuscisse a riportare un po’ di serenità anche nell’animo di Minho.

“Posso sapere di che parlate?” si intromise in quel momento Jinki, sempre più disorientato, lasciando scorrere lo sguardo dall’uno all’altro ragazzo. Entrambi gli sorrisero, inteneriti dal piccolo broncio che aveva appena fatto capolino sul volto del maggiore. Lui, sempre così disponibile a consigliarli ed incoraggiarli, adesso si sentiva improvvisamente “tagliato fuori” dalla loro conversazione.

“Non c’è nulla da ridere!” sbottò l’assistente di laboratorio, incrociando le braccia sul petto e facendo per allontanarsi. Due mani si allungarono nello stesso istante, e la forza della loro stretta gli fece per un attimo perdere stabilità sulla strada. Minho e Jonghyun lo avevano fermato, serrando le dita intorno alle sue braccia, trascinandolo nuovamente qualche passo indietro. La rapidità di quei movimenti, lo aveva letteralmente sollevato da terra.

“Ehi Hyung, non mi aspettavo un comportamento così infantile da te!” lo canzonò il moro, scoppiando in una fragorosa risata… quando il calcio che gli venne assestato nello stinco rimarcò il disappunto di Jinki. “Tienilo fermo, Jong! Oggi sembra più agguerrito del solito!” strillò, fingendosi impaurito, mentre entrambi si piegavano in due, sotto la sfilza di sberle e imprecazioni che gli venne riversata addosso.

“Piccoli impudenti privi di educazione!” li rimproverò il padrone di casa, senza riuscire a trattenere un sorriso, mentre gli amici puntavano i loro occhioni mortificati sul suo volto. “E smettetela di guardarmi in quel modo…” continuò, con un tono di voce di gran lunga più accomodante “Siete troppo cresciuti per fare i cucciolini bisognosi d’affetto”.

Nonostante ciò che aveva appena affermato, su entrambe le testolone scure venne lasciata una rapida carezza, e poco più avanti… dei rumorosi rantoli di rimprovero vennero indirizzati a quella piccola scenetta smielata. Tre sguardi sorpresi si concentrarono sulle espressioni corrucciate di Kibum e Taemin che, in tutta fretta, si stavano precipitando verso di loro.

“Ehi Hyung! Mi stai lasciando solo!” si lagnò il ragazzino dai capelli castani, pestando i piedi a terra e chiudendo entrambe le manine sulle braccia del suo coinquilino. Minho sghignazzò appena, facendo spallucce, e il più piccolo gli assestò un ceffone sul petto. “Me ne vado!” lo minacciò, abbandonandolo con uno strattone, già pronto a fare dietrofront.

Non ne ebbe il tempo, il moro gli circondò le spalle, trascinandoselo nuovamente vicino. “Dove scappi?” gli chiese, schioccandogli un bacio sulla guancia “Vieni qui, stretto stretto… così non ti perdo” aggiunse, avvolgendolo completamente nella sua presa, mentre il visetto dolce di Taemin si tingeva con i colori del proprio imbarazzo.

Al contrario di lui, Kibum non disse nulla. Si limitò ad incrociare le braccia sul petto, imbronciando le piccole labbra rosse, e fissando in modo torvo il suo grosso scimmione. “Ebbene…?!” sibilò, più acido che mai, tamburellando a terra con il piede destro. Jonghyun, troppo divertito dal suo comportamento, si prese qualche lunghissimo secondo prima di rispondere.

“Ebbene cosa?” mormorò, spavaldo, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni e inarcando un sopracciglio. Accanto a lui, Jinki scosse la testa, ridendo piano. Nessuno dei due diede molto peso alle sue azioni, e quando infine si allontanò, seguendo gli altri amici, che avevano ricominciato a camminare, l’aria intorno ai neo-piccioncini era più tesa che mai.

Il bruno fece un passo in avanti, eliminando la poca distanza che lo separava dal suo coinquilino. Il più piccolo lo ignorò completamente, voltando rapidamente il viso dal lato opposto. “Dimmi… dimmi… dimmi…” sussurrò Jonghyun, utilizzando due dita per accarezzare con estrema lentezza la sua guancia pallida “Non sarai mica geloso, vero?” soffiò suadente, direttamente al suo orecchio sinistro, facendolo avvampare in un battito di ciglia.

Kibum gli grugnì addosso, schiaffeggiando la mano che stava continuando ad accarezzarlo, mentre tentava istintivamente di indietreggiare. Il maggiore aveva già previsto la sua ritirata, e portò prontamente un braccio intorno ai suoi fianchi, trattenendolo. Il biondo cercò di divincolarsi dalla sua presa, con ben scarsi risultati, lasciandosi travolgere da un brivido… quando il volto del suo scimmione scomparve oltre la curva del collo sottile.

“Lasciami…” si lamentò, poco convincente, e la bassa risata che gli solleticò la pelle gli fece arricciare le labbra. “Non ti sopporto quando fai così!” piagnucolò, annullando automaticamente le proprie proteste, vinto dalle labbra calde che gli stavano sfiorando un orecchio.

“Sei stato tu il primo ad allontanarti” ribatté il suo coinquilino, sbirciando velocemente la via deserta, prima di far scivolare la propria lingua sulla morbida curva del suo lobo delicato. “Mano nella mano con un altro ragazzo” precisò, vibrando impercettibilmente mentre un piccolo miagolio abbandonava le labbra del più giovane. “Mmm… cosa ti farei se fossimo a casa”.

Quella chiara allusione fece impazzire il battiti del cuore di Kibum che, appena impaurito dalle sue parole, cercò ancora una volta di allontanarsi. “Era so-solo Mi-Minnie…” si giustificò, ritrovandosi improvvisamente a corto di fiato, e le mani che si strinsero possessivamente sui fianchi stretti lo obbligarono a serrare con forza le palpebre.

“E quello era solo Jinki” puntualizzò prontamente Jonghyun, ritraendosi appena da quel dolcissimo corpo dal sapore di vaniglia. Le lunghe ciglia si sollevarono, cercando i suoi occhi scuri e vagamente divertiti. “Come potrei tradire queste tenere guanciotte imbarazzate?” lo prese in giro il più grande, accarezzandogli il viso con i polpastrelli freddi.

Il biondo sorrise, grato per quelle parole, ma non prima di aver chinato il capo ed essere arrossito ancora di più. “Sarà meglio per te!” borbottò, fingendosi scontroso, perdendo il filo dei propri pensieri quando la bassa risata del bruno gli agitò il cuore. “S-se lo fa-fai ti am-mazzo!” buttò fuori, balbettante e imprudentemente sincero.

“Aaahhh Bummie…” sospirò Jonghyun, facendosi ancora più vicino, completamente stordito da quell’inaspettata dichiarazione. “E’ tutta colpa tua… ricordatelo” mormorò, tirandoselo contro il petto e chinandosi velocemente verso le sue labbra tremanti. Due secondi dopo, senza curarsi del posto dove si trovavano, né degli sguardi allibiti che il resto del gruppo rivolse loro… la sua bocca si chiuse avidamente su quella del più piccolo, irrompendo tra i suoi pensieri confusi… come la più travolgente delle emozioni.

*****


Beh... se non altro avevano chiarito il loro “status”. Già perché… quel bacio totalmente sfrontato e improvviso… era la prova tangibile che quei due non fossero più dei semplici coinquilini. Noi li fissavamo allibiti, ovviamente impreparati ad uno spettacolo del genere. Il mio Min fu il primo a riprendersi. Afferrò me e Jinki per un braccio, e ridendo sommessamente ci trascinò lontano.

“E smettetela di guardare!” ci rimproverò, mentre entrambi ci voltavamo di continuo, cercando di sbirciare qualche altro particolare di quello scandaloso incontro di labbra. “Siete due pettegoli!” disse ancora il mio coinquilino, e l’angolo dietro il quale svoltammo fece sospirare sia me che il mio padrone di casa.

Forse aveva ragione lui. Si, eravamo dei pettegoli! Ci spronò subito dopo a camminare, guardandosi intorno incuriosito. Eravamo al quarto distretto, e sicuramente non riusciva a capire quale fosse la “destinazione” della nostra passeggiata. Non bazzicavamo spesso da quelle parti, e la sua curiosità iniziava a farlo scalpitare.

“Hyung, dove andiamo?” mi chiese, mentre già allungava le manine verso la mia borsa. Mi sorprese. Io stesso mi ero scordato di quella grossa sacca, che mi trascinavo dietro fin da quando eravamo usciti di casa. Feci appena in tempo a tirarla fuori dalla sua portata, che Min aveva già arricciando il naso e storto le labbra.

Non potevo dirglielo. Non ancora, almeno. Jinki sghignazzò, nascondendo il proprio divertimento dietro il palmo aperto. A quel punto, che lui sapesse fu abbastanza chiaro. Il mio coinquilino infatti aggrottò la fronte, mettendo su un’espressione completamente furiosa. “Tu lo sai!” gli strillò contro, puntando l’indice destro sotto il suo naso.

Io sospirai, già cosciente di ciò che mi aspettava. Non passò molto tempo infatti, prima che quel piccolo diavoletto si voltasse verso di me, adirato e con i pugni serrati. “Perché a me no?!” mi urlò addosso, tempestandomi la spalla di pugni. Beh… pugni è una parola grossa. Diciamo “pugnetti”, considerando la poca forza con la quale scosse il mio corpo.

“Buono…” cercai di calmarlo, bloccandogli i polsi e indicandogli con il capo un punto poco lontano “Siamo quasi arrivati” aggiunsi, e il suo sbuffo mi solleticò la pelle del viso, facendomi sorridere. “Se scappi ti metto il guinzaglio!” lo minacciai, ma la smorfia che gli arricciò le labbra non mi consolò poi molto. Era piccoletto si, ma correva anche piuttosto veloce.

Le chiacchiere alle nostre spalle si fecero sempre più vicine, fin quando anche Jonghyun e il suo coinquilino non ci raggiunsero. A dire il vero, l’unico a parlare era il mio compagno di corsa. Kibum teneva lo sguardo basso, con le guance rosse e la testolina incastrata in mezzo alle spalle. Sperava di rendersi invisibile, forse? Mi fece tenerezza. Timido per com’era, ovvio che adesso si vergognasse di noi.

Nonostante l’evidente disagio che stava provando, non si separò dalla mano del più grande neanche per un attimo. Le loro dita rimasero saldamente intrecciate l’una all’altra, fin quando… meno di tre minuti dopo… ci apprestavamo a sorpassare l’entrata di quel grande campo da basket.

“Noooo!” già aveva strillato il mio piccolo Min, cercando con tutte le forze di sfuggire alla presa ferrea che lo stava spingendo a proseguire. Gli avevo bloccato le spalle con entrambe le mani, ma i suoi piedini dispettosi si impuntarono testardamente sulla strada, strofinando rumorosamente contro l’asfalto ogni volta che tentavo di farlo avanzare.

“Lo sapevo che mi avresti fatto combattere!” dissi ad alta voce, più a me stesso che a lui “Andiamo, non farti pregare!” insistetti, mentre arpionava le dita alle mie braccia, implorando la mia pietà.

“Ti prego Hyungggg!” piagnucolò contro la mia spalla, ma io l’avevo già sollevato di peso, obbligandolo a stringere le ginocchia intorno ai miei fianchi, per evitare di cadere. “Si sudaaaa” strillò ancora, aggrappandosi più forte al mio corpo. Dovetti soffocare un’imprecazione, quando quel suo modo convulso di stringersi a me fece involontariamente risvegliare la mia libido. Dovevo cambiare tattica, altrimenti non sarei mai riuscito a convincerlo.

Taemin è sempre stato un eterno pigrone. Era una fortuna per lui, possedere quella delicata costituzione che gli permetteva di abbuffarsi di dolciumi, senza ingrassare di un solo grammo. Un altro, al posto suo, si sarebbe risvegliato completamente avvolto nel proprio grasso, così… senza preavviso… da un giorno all’altro.

Passava le sue giornate tra la casa e la scuola. In pratica… o era seduto al suo banco, seguendo le lezioni, oppure si sbracava sul divano, divorando pacchi interi di merendine. La mia descrizione non è esagerata. Facevamo la spesa il martedì, solitamente, e lui stesso riempiva il carrello di tutte le schifezze possibili e immaginabili. Poi tornavo a casa il giovedì, mezzo distrutto dall’università, e lui mi faceva: “Hyung, quando andiamo a fare la spesa? Ho finito le merendine”.

Hai finito le merendine?! Ma se io stesso ho pagato metà conto, per quell’assurda montagna di dolciumi che ti sei felicemente trascinato dietro! Allucinante!

In realtà… quelle parole a lui non le ho mai dette. Sarà stata colpa dei suoi occhioni lucidi, o del piccolo broncio che mi spiattellava sotto il naso ogni santissima volta. Fatto sta che, ogni venerdì mattina, mi ritrovavo a girare per gli scaffali del piccolo supermercato sotto casa, riempiendo due buste intere con tutte le porcherie che riuscivo a trovare.

A Min non dicevo nulla. Le riportavo a casa mentre lui ancora dormiva, subito dopo la corsa con Jonghyun, e riponevo tutto quanto dentro la credenza. Poi, poco prima di pranzo, quando ero sicuro che fosse sul punto di rientrare, gli mandavo un sms sul cellulare. Il contenuto era sempre lo stesso.

“Il giorno che scoppierai come un palloncino… non venire a piangere da me!”

Non rispondeva neanche, fingendosi offeso dal mio mancato sostegno. Ma quanto tornavo a casa la sera, e lo trovavo davanti alla televisione, con il nuovo pacchetto di biscotti tra le mani, il dolce sorriso che mi rivolgeva aveva il potere di sciogliermi il cuore. Si alzava, senza dire una parola, mi veniva incontro e mi schioccava un bacio sulla guancia, stringendomi fra le sue esili braccia.

Adoravo quel ragazzino, non ci potevo far nulla! Credo che quello sia stato il primo indizio, si. Quando mi accorsi di non riuscire a resistere di fronte ai suoi occhioni tristi… ero già bello che fregato! Completamente cotto… di un piccolo assatanato di zuccheri, che mi riempiva di briciole il divano e rendeva inspiegabilmente speciale ogni mia singola giornata.

*****


“Va bene, siedi qui allora” concesse Minho, improvvisamente più accomodante. Taemin sollevò lo sguardo sorpreso verso il proprio coinquilino, schiudendo le labbra e lasciandosi sfuggire una piccola esclamazione. “Jong? Facciamo uno contro uno?” chiese il moro, correndo entusiasta verso l’altro ragazzo.

Kibum, già per niente ansioso di fare sport, arricciò immediatamente le labbra, portando gli occhietti infastiditi verso le due figure che avevano silenziosamente iniziato a placcarsi. Il pallone arancione era scivolato tra i loro corpi, finendo poco dopo nelle mani del maggiore.

Il bruno fece un mezzo giro su se stesso, muovendosi veloce sulle ginocchia piegate. Minho, che aveva appena tentato di rubargli la palla, si sbilanciò leggermente verso destra, urtando con il proprio petto la spalla del più grande. “Sto gioco non mi piace per niente” decretò a quel punto il biondo, pestando pesantemente i piedi a terra, mentre si incamminava verso la panchina occupata da Taemin.

Jinki, seduto accanto a loro, osservò la scena divertito. Aveva intuito immediatamente le intenzioni dei loro coinquilini, e restava pazientemente in attesa delle reazioni dei più piccoli. Il primo canestro venne messo a segno, proprio dallo stesso scimmione che aveva condotto il gioco fino a quel momento. La palla rimbalzò più volte al suolo, per poi essere circondata dalla presa del moro, che non perse tempo in cerimonie e si mosse veloce verso l’altro lato del campo.

Jonghyun gli fu subito addosso, mentre le manine ansiose del ragazzino dai capelli castani iniziavano a stropicciare un angolo della propria felpa. “Uff…” sbuffò, ruotando gli occhi, e curvando poco dopo le esili spalle. Kibum aveva ragione. Anche a lui quel gioco non piaceva per nulla. Minho si aggiudicò il secondo tiro, e sollevò i pugni in aria quando il suo rivale gli fece una smorfia.

“Adesso iniziamo a fare sul serio!” sentenziò il bruno, avvicinandosi velocemente agli altri con la felpa scura già tra le mani “Bummie, sicuro di non voler provare?” chiese al suo piccolo coinquilino, allungandogli l’indumento perché glielo tenesse. Questi non rispose subito, lanciando un’occhiata veloce all’altro ragazzone in mezzo al campo.

Il moro già scalpitava, occupando il tempo di attesa con qualche tiro libero verso il canestro. Anche lui era rimasto solo con la maglia a maniche lunghe, che però stava proprio in quel momento arrotolando fino ai gomiti. Si voltò verso il suo scimmione, sbracciandosi nel tentativo di attirare la sua attenzione. “Jong datti una mossa, io qui mi annoio!” urlò, cercando di trattenere un sorriso, mentre un ragazzino dai capelli castani si metteva improvvisamente in piedi.

“Brutto stupido gigante con il cervello di un criceto!” borbottava Taemin, liberandosi del giubottino e della sciarpetta color lavanda. “Adesso te lo faccio vedere come ti annoi!” sputò fuori, pieno di risentimento. Sorpassò il coinquilino di Kibum, che finse di non essersi accorto di niente. Le dita sottili si strinsero attorno al bicipite pronunciato, obbligandolo a voltarsi.

“Ehi Hyung!” lo richiamò la vocina sfrontata del suo vicino, mentre gli occhietti minacciosi si puntavano arroganti nei suoi “Strusciati ancora contro il mio ragazzo… e ti faccio la pelle!”

Jonghyun e Jinki rimasero a fissarlo, sconcertati da tanto ardore, mentre il biondo se la ridacchiava gongolante. “Cioè… lui vuole uccidermi e tu ridi?!” esclamò il bruno, spalancando la bocca di fronte al volto soddisfatto del più giovane.

“Mi ha solo anticipato…” rispose Kibum, scrollando leggermente le spalle, poco prima di mettersi in piedi e incamminarsi ancheggiando verso il centro del campo. “Vieni? Oppure devo giocare anche io con Minho?” strillò, spalancando entrambe le braccia mentre si voltava a cercare i suoi occhi.

Un sorriso provocatorio rese più audaci i suoi lineamenti sottili, facendo perdere un battito al cuore del più grande. Era così bello, mentre portava un ciuffo di capelli biondi dietro l’orecchio, invitandolo ad avvicinarsi con la sola forza del proprio sguardo ammaliatore. Jonghyun sospirò, vinto da tanta intraprendenza, lanciandosi al suo inseguimento.

Mezzo secondo dopo gli era già arrivato addosso, ridendo della sua sfacciataggine, mentre lo stringeva in un abbraccio da togliere il respiro. “Non ci provare neanche” sussurrò al suo orecchio, stampandogli un bacio veloce ad un soffio dalle labbra dischiuse, e la spavalderia del biondo scomparve rapidamente, completamente inghiottita dal lungo brivido che gli attraversò il corpo.

Alla fine non si tenne una vera e propria partita, giacché tra i diversi giocatori il dislivello di preparazione era troppo grande. Jonghyun e Minho insegnarono ai cuccioli i fondamenti principali della pallacanestro, sostenendoli con i loro incoraggiamenti quando decisero di praticare con un difficilissimo corpo a corpo.

In realtà, l’esito dell’incontro era già più che scontato. Taemin, nonostante la propria indolenza, aveva velocemente imparato a palleggiare, aggiudicandosi diversi canestri perfino con il proprio coinquilino. Al contrario di lui, Kibum era totalmente negato. Troppo preoccupato di farsi male, finiva con il coprirsi la testa ogni volta che qualcuno gli si avvicinava, lasciando cadere a terra la palla che avrebbe dovuto difendere.

Jinki si piegava in due ogni volta che qualcuno cercava di placcare il biondo. L’espressione terrorizzata che gli si dipingeva addosso era davvero esilarante. Il bruno invece scuoteva la testa, e le labbra si sollevavano istintivamente in un dolcissimo sorriso, come sempre intenerite… da qualsiasi cosa facesse quel piccolo scricciolo.

“Non gli ho visto fare un solo canestro” commentò Minho, accanto a lui, osservando con ammirazione il corpo sottile che si era sollevato sulle punte dei piedi, lanciando la palla verso il cesto. “Nuovo punto per Taemin” aggiunse, ridendo piano della piccola smorfia che aveva arricciato le labbra di Jonghyun.

“Ha solo paura” ribatté, vagamente inacidito “Richiama in panchina il tuo piccolo prodigio. Ci penso io a Bummie” annunciò subito dopo, lanciandogli la piccola asciugamano con la quale si stava tamponando la fronte, mentre si accingeva a correre incontro al proprio coinquilino.

Kibum, immobile al centro del campo, fissava il pallone arancione con una tristissima espressione d’impotenza. “Perché non ci riesco?” mormorò a bassa voce, sospirando avvilito e incurvando le spalle delicate. Due mani forti si chiusero sulle sue, mentre il sorriso del suo scimmione lo distraeva dai propri pensieri negativi.

“Si che ce la fai” lo incoraggiò, accarezzando i capelli biondi con dolcezza “Vieni”. Lo accompagnò verso il canestro, sollevandogli gli angoli delle labbra con le dita e sfiorandogli il nasino perfetto con un velocissimo bacio. “Devi essere positivo!” affermò, con convinzione, scrollandolo delicatamente le sue esili spalle.

Il più piccolo inspirò profondamente, puntando gli occhietti attenti sul volto rassicurante della sua dolce scimmia. La testolina si abbassò ritmicamente, e lo splendido sorriso che Jonghyun gli rivolse gli fece leggermente tremare le ginocchia. “Bene” disse, poggiando entrambe le mani sulla sua schiena, spingendolo gentilmente in avanti.

“Il busto deve restare morbido, pronto a seguire i movimenti delle tue braccia” spiegò, chinandosi verso le gambe del più piccolo ed esercitando una leggera pressione sui suoi polpacci. “Piega le ginocchia e solleva appena i talloni da terra. Non devi saltare, ma molleggiare”.

Kibum eseguì velocemente le sue indicazioni, anche se le mani del più grande, immobili sui propri fianchi, non lo aiutavano particolarmente a concentrarsi. “Il primo tiro lo proviamo direttamente da qui” se lo tirò dolcemente verso il petto, muovendosi alle sue spalle, mentre lo spingeva ad indietreggiare di qualche passo.

“Allora… metti una mano qui” e guidò la sinistra verso la parte inferiore della grossa palla arancione, facendogli serrare le dita intorno alla curva robusta della sfera. “L’altra invece la porti qui sopra, e dovrai utilizzarla per accompagnare il tuo tiro” aggiunse, indicandogli il canestro e lasciandolo finalmente libero dalla propria presa.

“Non devi avere fretta. Concentrati”. Kibum inspirò profondamente, cercando di seguire alla meglio il suo consiglio. Puntò gli occhi felini sul cesto, trovandolo incredibilmente alto e lontano. In realtà… era solo la propria paura di sbagliare a renderlo tale. “Individua la tua traiettoria, e guida la palla verso la direzione che hai scelto. Prima la spingi verso l’alto, con la mano che la sostiene, e subito dopo utilizzi l’altra per muoverla in avanti”.

Il più piccolo serrò per un attimo le palpebre, mentre i battiti pressanti del proprio cuore scandivano con il loro suono profondo ogni nuovo secondo. Sapeva che Jonghyun lo stava guardando, in attesa della sua mossa. Non voleva deluderlo. Anche se si trattava solo di uno stupido tiro verso un cesto fatto di corde.

“Dopo il riso al curry che hai fatto oggi… puoi permetterti di sbagliarli tutti quanti” la voce rassicurante del suo scimmione venne soffiata direttamente al suo orecchio, sorprendendolo con la dolcezza del proprio tono. Si abbandonò a quella dolce sensazione che gli aveva lasciato addosso e, più che mai convinto di non voler sbagliare, aprì gli occhi e li puntò con convinzione sul proprio bersaglio.

Ce la farò. Allora… traiettoria. Individuare la direzione da dare la palla. Tenere le ginocchia piegate. Le gambe servono a molleggiare non a saltare. La mano sinistra sostiene e spinge. La destra accompagna e guida il tiro.

Solo due passi, mossi con estrema fluidità incontro al canestro. Il busto si piegò leggermente in avanti, seguendo lo slancio con il quale i piedi si stavano sollevando da terra. Le dita si curvarono elegantemente all’indietro, mentre la palla si alzava veloce davanti ai suoi occhi decisi. L’altra mano si arcuò sinuosa in avanti… e il cesto fatto di corde accolse, con il suo impercettibile fruscio, il primo canestro di Kibum.

“Ce l’ho fatta…” soffiò fuori, schiudendo le labbra e sbattendo un paio di volte le palpebre. Totalmente incredulo, il biondo volse lo sguardo in direzione del suo coinquilino, trovandolo euforicamente trionfante.

“Ce l’hai fatta Bummie!” strillò questi a sua volta, mentre era già sul punto di chinarsi in avanti, cogliendolo totalmente alla sprovvista. Un urletto appena gracchiato, che più tardi lo avrebbe fatto morire dalla vergogna, si levò nell’aria, proprio mentre… per la seconda volta… i suoi piedi abbandonavano la stabile consistenza del terreno.

La testa di Jonghyun gli finì praticamente tra le gambe, mentre questi se lo issava senza il minimo sforzo sulle spalle, iniziando a salterellare felice. Kibum arpionò entrambe le mani alle sue spalle, stringendo le braccia intorno al suo collo. La presa divenne talmente forte da rischiare di soffocarlo, ma il bruno ci badò appena.

“Ho le vertiginiiiii!” squittì il più piccolo contro al suo orecchio, riversando i propri capelli biondi sul viso di quella stupida scimmia, che continuava a sballottolarlo a destra e a sinistra, a più di tre metri d’altezza. Chiuse gli occhi, terrorizzato e allo stesso tempo euforico, e la forte risata del suo coinquilino… divenne tutto d’un tratto incredibilmente contagiosa.

*****


Quei due insieme erano qualcosa di sorprendente. Non ricordavo di aver mai visto la mia omma così felice, nonostante i continui urletti con i quali si aggrappava al corpo di Jonghyun. Quest’ultimo era completamente su di giri, e il suo carattere esuberante non lasciava spazio alla paura dell’altro ragazzo.

Alla fine risero tutti e due, come dei perfetti idioti, per qualcosa come dieci minuti interi. Sorrisi istintivamente, poggiando la testa contro la spalla del mio Hyung, e il braccio di Minho mi circondò il fianco. Sospirai. Mi sentivo incredibilmente stanco, conscio come non mai… di quanto il mio dolce poltrire avesse influito negativamente sui miei muscoli adesso doloranti.

“Magari ci possiamo tornare qualche volta” mormorai, mentre il piccolo bacio che mi sfiorava i capelli mi faceva sorridere di nuovo “Magari quando riuscirò a camminare di nuovo…” aggiunsi, e la bassa risata del mio coinquilino mi riscaldò il cuore.

“Andiamo. Ti compro il gelato, lo vuoi?” si era già alzato, allungandomi una mano per aiutarmi a mettermi in piedi. “Un gigantesco cono tutto cioccolato e fragola” precisò, guadagnandosi uno schioccante bacio sulla guancia, mentre mi fiondavo verso di lui, aggrappandomi al suo braccio. Non gli risposi, ma il mio Hyung aveva già capito. Mi scompigliò i capelli, e insieme a Jinki ci avviammo verso quei due squilibrati.

La mia omma, finalmente a terra, aveva le guance arrossate e il fiato corto, ma sembrava davvero molto felice. Jonghyun la chiuse nel proprio abbraccio, mentre Minho si schiariva inutilmente la voce, e noi continuavamo a rimanere completamente invisibili ai loro occhi.

I due piccioncini ci misero ancora qualche minuto, prima di rendersi conto di non essere finiti in un mondo parallelo, fatto solo dei loro sorrisi e delle loro mani intrecciate. Ci seguirono mestamente, a qualche metro di distanza, ma il suono dei piccoli bacetti che si scambiavano di continuo non riuscirono a camuffarlo molto bene.

Ripensai alla sera prima, quando ero tornato in cucina subito dopo aver lavato i denti, e ci avevo trovato Minho, ricurvo su una piccola ciotola in legno che non avevo mai visto. Mi aveva spiegato di star preparando un qualche intruglio per una tisana, che gli sarebbe servita per rilassare i muscoli dopo l’attività fisica. Io non ci capivo nulla di quelle cose, e mi ero limitato ad annuire.

L’odore dell’arancia riempì ben presto la stanza, incuriosendomi. Mi piaceva un sacco il suo sapore. Hyung aveva iniziato a fare delle smorfie buffissime, rigirandosi la sua tazza tra le mani, evidentemente poco convinto sul da farsi. “Non ti piace?” gli avevo chiesto, e lui aveva immediatamente scosso la testa.

Mi sorprese. Era raro nel mio coinquilino un comportamento del genere. Sembrava quasi che stesse facendo i capricci. Sospirai, sopraffatto dal suo tenero broncio, e presi posto accanto a lui. Sfilai la bevanda fumante dalle sue dita, bevendone un piccolo sorso. Era buona. Lanciai un’occhiata al fornello, trovandoci il pentolino con dentro ancora dell’acqua.

Riempii una nuova tazza, avvertendo il suo sguardo attento seguire ogni mio movimento. Avevo capito bene. Cercava solo un po’ di compagnia. Tornai al suo fianco e gli sorrisi, incoraggiandolo a riprendere la sua tisana. Rispose al mio sorriso, improvvisamente più rilassato, e consumammo insieme quello strano intruglio alle erbe.

Quella notte avevo dormito come un ghiro, scoprendo con immenso piacere… che quella deliziosa miscela mi rilassava il corpo, svuotando la mente da tutte quelle piccole paure che vi facevano capolino, poco prima di mettermi a letto. Quando riaprii gli occhi, al suono della sveglia, ritrovandomi tranquillamente addormentato tra le sue braccia, la sorpresa che mi crebbe dentro si trasformò ben presto in gioia.

Magari quelle tisane avrebbero aiutato anche me. Magari… avrei potuto utilizzare la scusa di far compagnia a Minho per poterne avere un po’, senza destare troppi sospetti. Ero sicuro che quella soluzione non potesse essere considerata definitiva, ma era pur sempre meglio di niente, giusto?

Ringraziai mentalmente il mio Hyung, che mi aveva inconsapevolmente aiutato a dormire meglio, e mi strinsi più forte al suo grande corpo. “Stasera sminuzziamo qualche altra erba” gli dissi, trovandolo inaspettatamente contento del mio suggerimento “I tuoi muscoli ne avranno bisogno” aggiunsi, senza dare troppo peso al suo cambio d’umore.

Le porte automatiche della gelateria si aprirono, silenziose, dandoci il benvenuto. Io e la mia omma abbandonammo velocemente il braccio dei nostri accompagnatori, catapultandoci verso il bancone con le vaschette colorate. Minho e Jonghyun pagarono anche per noi, senza battere ciglio, e quelle dolci premure fecero diventare più radioso il sorriso di Kibum.

Non ci sedemmo, controllando l’orologio e decidendo che sarebbe stato meglio consumare il gelato per la strada. Ci incamminammo a passo lento verso casa, e quando il mio coinquilino si chinò verso il mio cono... trovò un dolce bacio al sapore di fragola pronto ad accoglierlo.

*****


Comprammo due pizze, al piccolo locale che si trovava ad un solo isolato dal nostro palazzo, che poi dividemmo fra noi, una volta arrivati all’appartamento di Jinki-Hyung. Quello sarebbe dovuto essere un altro noioso giovedì, nel quale avrei dovuto dare ripetizioni a Min Nyu, sospirando davanti all’orologio in attesa che Jonghyun tornasse. Le cose, alla fine, erano andate molto meglio del solito.

Il nostro padrone di casa finiva le sue lezioni all’ora di pranzo, così come Minho. Io e il coinquilino ce la defilammo prima del previsto, saltando “per la seconda volta” un importante impegno scolastico. Io che facevo cose del genere… neanche in un milione di anni mi sarei anche solo sognato un comportamento simile. Poi quella stupida scimmia era entrata nella mia vita, sconvolgendola totalmente.

Quando avevo capito che quel pomeriggio non avrebbe lavorato, mi ero immediatamente catapultato alla ricerca di Min Nyu, trovandola diversi minuti più tardi, davanti alla sala mensa. Le rifilai il migliore dei sorrisi, sperando che non facesse storie, e lei acconsentì rapidamente alla mia richiesta. Così rimandai il nostro appuntamento al giorno dopo, apprestandomi a raggiungere il mio coinquilino.

Fu in quel momento che incrociai Byung-Hee, con il casco in mano e la sigaretta tra le labbra. Giusto il tempo di vedermi, e quel piccolo portatore di tumore venne velocemente gettato lontano. Mi sorrise mestamente, evidentemente colpevole, scompigliandomi i capelli e facendomi una piccola smorfia.

Non mi dilungai troppo, giusto il tempo di qualche chiacchiera. Mi fermò, stringendo delicatamente il mio polso, quando ero stato già sul punto di andare via. “Lasciami il numero di cellulare, vuoi?”. Me lo chiese dolcemente, fissandomi con i suoi rassicuranti occhi scuri. Fosse stato un altro mi sarei sicuramente negato, magari formulando una stupida scusa, svignandomela subito dopo. Ma Byung era diverso, e l’idea di poter avere la possibilità di comunicare con lui anche fuori dalla facoltà… non mi dispiaceva affatto.

A Jonghyun lo dissi subito, appena arrivato in cortile. Arricciò le labbra, ma non ne fece un affare di stato. Era solo un amico, con il quale condividevo molti interessi e mi faceva piacere parlare. Lo precisai più di una volta, sulla via del ritorno, e il mio coinquilino abbassò ritmicamente la testa, stringendomi più forte quando arrivammo dentro casa.

“Non è come me?” mi aveva chiesto all’improvviso, facendomi arrossire mentre si avvicinava silenziosamente alle mie labbra. Mi lasciai baciare, troppo impaziente per riuscire a formulare una risposta sensata. Mi sorrise su una guancia, poco prima di accarezzarla con la punta del naso, e io sospirai felice contro al suo orecchio. “No, non è come me” si disse da solo, facendomi ridere con la sua espressione convinta.

Mi voltai a guardarlo, mentre eravamo seduti sul divano di Jinki, e lui allargò le proprie gambe, permettendomi di sedermici in mezzo. Quella posizione un po’ mi dava vergogna, soprattutto se si tiene conto degli occhietti furbi che ci stavano spiando. Minnie addentò un pezzo di pizza, e mi fece l’occhiolino, accucciandosi a sua volta tra le braccia di Minho.

Erano belli quei due insieme. Li avevo notati… i sottili segni scuri sotto gli occhi del più grande. Così come mi ero accorto dello sguardo apprensivo, che più di una volta il nostro padrone di casa rivolse loro. Qualcosa non andava, vero? L’unico tranquillo sembrava il mio dolce vicino e, proprio per quello, dedussi che lui stesso doveva essere la causa dei loro timori.

Arricciai le labbra, ma non ebbi il tempo di rattristarmi. Il cellulare prese a vibrare insistentemente nella mia tasca, obbligandomi a tirarlo fuori. Il nome impresso sul display mi fece sorridere. Un po’ diversa fu la reazione di Jonghyun, che grugnì qualche parola incomprensibile contro il mio orecchio, stringendomi più forte nel suo abbraccio. Mi divertiva parecchio quel suo lato possessivo, e voltandomi appena verso di lui, depositai un piccolo bacio sulla sua guancia spigolosa.

Mi guardò, dapprima sorpreso, poi sempre più rilassato. Gli sorrisi, ormai convinto di averlo tranquillizzato, e mi affrettai a prendere la chiamata. “Pronto?” la mia voce venne fuori più allegra del previsto, attirando gli sguardi di tutti i presenti. Me ne vergognai un po’, ma cercai di non darlo a vedere. Mossi qualche passo verso la finestra, e lì mi fermai.

“Ciao Kibum, disturbo?” lanciai una rapida occhiata al mio scimmione, che aveva già incrociato le braccia e puntato la sua espressione corrucciata nella mia direzione. Gli feci la linguaccia, strappandogli un piccolo sorriso, e lui me ne restituì un’altra di rimando.

“No, figurati. Dimmi tutto” risposi, giocherellando distrattamente con un angolo della tenda azzurra. La voce di Byung-Hee mi piaceva. Era dolce, incredibilmente calda. Ogni volta che parlavo con lui finivo sempre col sentirlo inaspettatamente più vicino. Non lo so. Come se ad ogni nuova parola… il nostro legame si facesse via via più profondo.

Non erano gli stessi sentimenti che mi legavano a Jonghyun. Il mio scimmione mi faceva tremare. Aumentava i battiti del mio cuore e mi faceva sentire speciale. Con l’altro ragazzo non c’erano sospiri spezzati o brividi lungo la schiena… era semplicemente un forte feeling. Già, credo di poterlo definire così. Avevamo questa piccola cordicella che ci univa, inspiegabilmente radicata tra i nostri pensieri, che ci spingeva istintivamente a cercare la compagnia l’uno dell’altro.

Eppure lo conoscevo da così poco. Era talmente strana come sensazione, che a volte mi faceva anche un po’ paura. Poi avevo pensato a Jinki. Si, proprio a lui. Anche quando avevo conosciuto questo strano tizio, con il camice spiegazzato e una marea di libri tra le mani, mi ero sentito immediatamente attratto dalla sua persona. Non parliamo di attrazione fisica, bensì… come definirla… attrazione mentale? Si, credo che fosse proprio quella.

Parlavamo per ore ed ore i primi tempi. Di tutto e di niente in realtà. Con Byung-Hee era stata più o meno la stessa cosa. Le sue mani forti e le spalle larghe, piuttosto che farmi sentire minacciato, mi donavano un’inspiegabile sensazione di benessere. Mi ero fidato di lui fin dal primo sguardo e, a voler essere del tutto onesti, credo che anche per lui sia stata la stessa cosa.

“Hai detto che domani darai ripetizioni a quella tipa in biblioteca, giusto?” mi chiese, distogliendomi dalle mie riflessioni. Confermai le sue parole, e aspettai che continuasse. “Posso unirmi a voi? A casa mia ci sarà un via vai di gente, e la confusione potrebbe rendermi estremamente irascibile” spiegò, mentre la piccola smorfia che lessi nella sua voce mi fece istintivamente sorridere.

“Certo, non c’è problema” acconsentii subito, guadagnandomi un’altra occhiataccia da Jonghyun, che si era silenziosamente fatto più vicino, arrivando ad un millimetro dal mio orecchio. Grandissimo spione che era! Gli assestai una gomitata sul fianco, e lui chiuse le braccia intorno al mio corpo. Eccolo lì… tra un po’ avrei iniziato a sospirare, facendoci la figura dell’imbecille.

“Allora ci vediamo domani. Notte piccoletto” per fortuna non si era dilungato in parole. Ricambiai il suo saluto, augurandogli a mia volta di trascorrere una notte serena, e misi fine alla conversazione.

“Piccoletto?” gracchiò quella stupida scimmia sul mio collo, chiudendoci subito dopo i denti intorno. Mi morse, e anche non molto delicatamente. Serrai istintivamente le palpebre, stringendo con forza le labbra. Tentativo inutile. Un piccolo suono venne fuori ugualmente, e la sua bassa risata, mentre io avvampavo per la vergogna, mi fece venire voglia di prenderlo a calci.

Tutti gli altri si erano ammutoliti, osservando quell’imbarazzante quadretto con fin troppo interesse. Allontanai bruscamente quello sfacciato coinquilino che mi ritrovavo, ottenendo come risultato che l’intero gruppo mi scoppiasse a ridere in faccia. Bella figura! Complimenti Jongie… questa me la paghi!

*****


Taemin si rigirò quella stupida rivista tra le mani, trovandola incredibilmente stimolante. Accanto a lui, Minho scosse la testa, sorridendo della sua espressione infantile. Aveva rannicchiato le ginocchia sulla poltrona, puntando gli occhietti curiosi su quello che sembrava un test per l’affinità di coppia.

Poveretto me… peggio delle ragazzine delle medie! Ma guardalo… con la penna mangiucchiata tra le labbra e l’espressione assorta di un tiratore di precisione. Gli interessa così tanto quel risultato?!

“Non dovresti chiedere anche all’altra parte?” il moro si chinò verso di lui, sbirciando le sue risposte. Quella sottile provocazione non toccò minimamente l’interpellato, che scrollò le spalle e si voltò a guardarlo.

“Non è presente” mormorò, mentre gli occhi che si strinsero minacciosi sulla sua sfacciataggine lo riempivano d’orgoglio. Si lasciò stritolare nella presa possessiva di quelle grandi braccia, ridendo come un matto quando le dita dispettose scesero sui fianchi a fargli il solletico. “Mi arrendo! Mi arrendo!” strillò, lasciandosi andare con un sospiro sul petto dell’altro, non appena questi smise di torturarlo.

“Sono tutto orecchi” annunciò Minho, finalmente soddisfatto, tirandoselo completamente addosso e cullandolo dolcemente sul proprio cuore. Di fronte a loro, Kibum e Jonghyun si trovavano in una posizione molto simile, anche se il più piccolo non faceva altro che lanciare all’altro delle furenti occhiatacce.

“Hai deciso di tenermi il muso per tutta la serata?” indagò il più grande, fingendosi rattristato, ma il suo coinquilino non si fece abbindolare, continuando ad ignorarlo. “Bummie? Me lo dai un bacino?” sussurrò al suo orecchio, vedendolo arrossire subito dopo. Nulla da fare. Nonostante l’imbarazzo, anche quella volta il biondo non cedette.

Jinki, a pochi metri di distanza dagli altri, ripiegava la propria tuta sul ripiano in legno del tavolo. L’aveva indossata per andare al campo di basket, quel pomeriggio, ma senza farne grande uso. In realtà non si era mai alzato dalla panchina, limitandosi a seguire il gioco degli altri e a ridere delle loro scenette comiche.

“Ehi Hyung?” lo richiamò Kibum, alla disperata ricerca di qualcosa che non lo facesse pensare alla vicinanza del proprio scimmione “Come mai non hai giocato per nulla oggi?” gli chiese, sinceramente interessato alla sua risposta.

L’assistente di laboratorio scrollò le spalle, sorridendogli mentre metteva da parte la felpa bianca. “Vi avrei messo in imbarazzo” mormorò, per poi precisare, con tono piuttosto saccente “E’ inutile che mi guardate così. Intendevo dire che vi saresti vergognati della vostra incapacità”.

Perfino Taemin smise di leggere, sollevando i suoi occhietti dubbiosi sull’espressione sicura del maggiore. Il biondo invece inarcò le sopracciglia, lasciandosi sfuggire un sorrisetto di derisione. Erano stati tutti quanti presenti, in più e più occasioni, alle spettacolari cadute di Jinki. Impossibile credere che sapesse sul serio praticare qualche sport… senza imbrogliarsi con i suoi stessi piedi.

“Parlo sul serio!” ribatté il ragazzo dagli occhi nocciola, arricciando le labbra e voltandosi contrariato verso la libreria. Ne estrasse un volume piuttosto grande, dalla copertina color avorio e gli angoli un po’ consumati. “Guardate!” esclamò, porgendo l’annuario della propria scuola superiore a Kibum.

Tutti quanti si mossero istintivamente verso il biondo, picchiando le teste l’una con l’altra, curiosi come non mai di verificare la veridicità di quelle parole. Le dita affusolate si chiusero sulle prime pagine, sfogliandole velocemente, per poi bloccarsi di colpo, mentre gli occhietti felini si spalancavano su un’enorme foto a colori.

Era la squadra di pallacanestro dell’istituto, composta da una quindicina di ragazzi in divisa, diligentemente divisi in due file, che sorridevano emozionati alla macchina fotografica. Tra questi, il viso di Jinki era probabilmente il più raggiante. Teneva un braccio teso in avanti, con l’indice e il medio puntati in alto, in segno di vittoria.

“No?!?!” esclamarono all’unisono i quattro malfidati, guardandosi l’un l’altro completamente allibiti. Il padrone di casa sorrise, gongolando nel proprio orgoglio, e sfilò gentilmente l’annuario dalle mani di Kibum. Un ultimo sguardo allo scatto, e lo richiuse con un piccolo sospiro, riponendolo al suo posto.

“Non ci credo…” mormorava Minho, ancora sconvolto da quell’inimmaginabile scoperta “Ma allora perché non giochi più?” volle sapere, e gli altri tre ragazzi abbassarono ritmicamente la testa, come dei piccoli piccioni, confermando i suoi stessi dubbi.

“E’ solo che…” l’assistente di laboratorio non sapeva bene come rispondere. Si grattò nervosamente la testa, ritornando verso il divano. Fu questione di un attimo. La punta del piede intoppò sul pesante tappeto blu, spingendo l’intero corpo del ragazzo a piegarsi in avanti. Gli amici chiusero istintivamente gli occhi, e l’eco del suo capitombolo risuonò per tutta la casa.

Jonghyun gli andò rapidamente vicino, sorreggendolo per un gomito mentre si rimetteva faticosamente in piedi. “Aishh!” si lamentò Jinki, massaggiandosi un ginocchio e sollevando lo sguardo abbattuto verso di loro “C’è ancora bisogno che risponda?” chiese con una smorfia, ma nessuno trovò il fiato per dire nulla.

Kibum si era completamente coricato sul divano, nascondendo il volto su un cuscino rotondo, soffocandoci dentro la propria risata squillante. Minho si piegò su stesso, portando le mani allo stomaco e puntando un dito verso il povero padrone di casa. La sua fragorosa risata riempì ben presto la cucina, subito accompagnata da quella più discreta del suo piccolo coinquilino. Quest’ultimo aveva poggiato la fronte sulle ginocchia, tentando disperatamente di non apparire troppo spudorato.

Perfino Jonghyun, dopo essersi accertato sulle condizioni fisiche del più grande, dovette nascondere il proprio attacco di ilarità dietro il palmo della mano. Abbracciando lo svampito assistente di laboratorio, e mollandogli delle possenti pacche sulle spalle.

“Non preoccuparti vecchio mio!” cercò di rassicurarlo, ma le sue parole vennero fuori confuse, rese poco credibili da tutte le risate che le accompagnarono. “Ognuno ha la sua croce!” aggiunse ancora, e le labbra di Jinki si imbronciarono appena.

“Palleggiavo da Dio e mi smarcavo in un battito di ciglia…” mormorò questi, facendo spallucce, mentre sprofondava sulla grossa poltrona color ruggine. “Era la corsa verso il canestro a fregarmi!” ammise, chinando il capo e sospirando pesantemente. La sua aria abbattuta fece velocemente sparire il buon umore di uno dei presenti che, in completo silenzio, gli era andato incontro con un dolcissimo sorriso.

Kibum si piegò sulle ginocchia, accovacciandosi ai suoi piedi, attirandolo dentro il proprio abbraccio. Il padrone di casa aprì improvvisamente gli occhi, che aveva chiuso solo pochi istanti prima, ritrovandosi totalmente impreparato di fronte a quello slancio d’affetto.

“Sei sempre il migliore” gli sussurrò il biondo all’orecchio, sorridendo felice, quando la sua stretta venne ricambiata. Jinki accarezzò con riconoscenza i suoi capelli schiariti, ringraziandolo delle sue parole con lo sguardo emozionato, e il più piccolo gli stampò un tenerissimo bacio sulle guance tinte di rosso.

Il resto dei presenti sorrise a sua volta, mutuamente d’accordo con le parole dell’amico. Tutti tranne uno, ovviamente. Le mani di Jonghyun si chiusero immediatamente sui fianchi del suo dolce micetto, sollevandolo in aria, mentre questi si lasciava sfuggire una piccola esclamazione di sorpresa.

“Apposto così...” borbottò, improvvisamente burbero, tirandosi il più piccolo addosso quando si rimise seduto “Ho concesso anche troppo” rimarcò, spingendo il volto pallido di Kibum verso il proprio petto. “Non farci l’abitudine Hyung!” concluse, falsamente minaccioso, sbirciando il sorriso di Jinki con gli occhi socchiusi.

Quest’ultimo scosse la testa, come sempre divertito dalle sue reazioni, e Kibum si accoccolò più stretto tra le braccia del suo scimmione. Quell’inaspettata gelosia aveva sciolto il suo cuore palpitante, facendogli scordare il motivo della loro silenziosa schermaglia. Smise di tenere il broncio al più grande, e si lasciò coccolare dalle sue amorevoli carezze.

*****


Non protestò più. Stranamente accomodante di fronte ad ogni mio desiderio, mi permise di sfiorargli più volte il collo con le labbra, nonostante arrossisse puntualmente ad ogni nuovo tocco. Gli altri ormai ci avevano fatto l’abitudine, trattenendosi dal fissarci spudoratamente quando la mia ricerca di attenzioni diventava un attimo più… intraprendente.

Bummie si mosse appena dentro il mio abbraccio, portando la manina delicata davanti alle labbra, e rilasciandoci contro un dolcissimo sbadiglio. Controllai l’orologio. Mancava un quarto alle dieci. Non era tardissimo, ma se il mio scricciolo aveva sonno… allora lo avrei portato di filato nel mio letto.

Si, ormai l’avevo deciso. Dopo la prima notte trascorsa insieme, al mio rientro dalla visita a mia sorella, avevamo ricominciato a dormire separati, ognuno nella propria camera. Quella situazione mi dava noia. Volevo svegliarmi col suo dolce respiro sul collo, giocherellando con il suo nasino perfetto perché aprisse gli occhi. Ne avevo abbastanza di quella lontananza. Eravamo una coppia ormai, giusto?

Più che mai convinto di aver preso la scelta giusta, non prestai molto attenzione alla nuova domanda che Taemin aveva rivolto a Minho, mentre erano entrambi ricurvi su quella sottile rivista. Sembrava una specie di test, e mi chiedevo come mai il mio compagno di corsa ci stesse prestando tutta quell’attenzione.

“Quale, tra i cinque sensi, è il più importante?” strano quesito. La testolina bionda si sollevò lentamente, mostrando gli occhietti curiosi del mio gattino. Sembrava interessato. Sorrisi istintivamente, accarezzando la sua guancia pallida e guardando a mia volta i nostri vicini.

“La vista” rispose prontamente il moro, facendo accigliare il più piccolo. Anche Bummie arricciò le labbra, sorprendendomi, e borbottò qualcosa di poco carino.

Minho, sentendosi chiamato in causa, posò automaticamente lo sguardo sulla sua espressione contrariata. “Cosa?” gli chiese, e Kibum ripeté senza troppe cerimonie il suo commento di poco prima. “Tipica risposta di una persona completamente superficiale”.

“Il gusto” stava dicendo nel frattempo Taemin, puntando la biro su un angolo della pagina, disegnando con tranquillità la piccola crocetta che indicava la sua scelta. Stavolta non ci furono parole acide, ma il mio coinquilino si lasciò andare ad una nuova osservazione.

“E il tuo motivo mi sembra abbastanza ovvio…” mormorò, dolcemente, indicando con un gesto del capo il pezzetto di cioccolato che il più giovane teneva tra le dita sottili. Questi gli sorrise, teneramente cosciente del proprio debole per i dolciumi, e infilò in bocca il resto del suo dessert.

“Non capisco perché la mia scelta sia superficiale” borbottò Minho, risentito, spostando lo sguardo da me a Jinki, probabilmente alla ricerca di appoggio. Sperai che fosse l’assistente di laboratorio a prestargli soccorso. Non potevo permettermi di far infuriare un’altra volta Bummie. Non dopo aver concepito il desiderio di farlo dormire con me, almeno.

“Pensaci Kibum, non è un po’ ipocrita il tuo giudizio?” chiese il padrone di casa, segnando l’inizio di un acceso dibattito. “Tu stesso, la prima volta che hai visto Jonghyun… non sei stato attratto dal suo aspetto?” disse ancora, facendo avvampare il mio timido coinquilino.

Sorrisi, mestamente riconoscente per quell’osservazione imprevista. Abbassai lo sguardo sul volto in fiamme, ancora schiacciato al mio petto, e rimasi in trepida attesa della sua risposta. “Ve-Veramente neanche m-mi piace-ceva” balbettò, facendomi spalancare istintivamente la bocca. Ci ero rimasto malissimo, lo ammetto. Davvero non gli piacevo?!

“Intendevo l’abbigliamento!” esclamò Kibum due secondi dopo, puntando gli occhietti colpevoli sulla mia espressione triste. “Non mi piacevano i jeans strappati… non tu” soffiò fuori, stringendo le dita sottili sulla mia maglia, e le labbra tremanti fecero tutto il resto. Soppesai la sua giustificazione, trovandola sinceramente plausibile. Gli sorrisi, avvertendo i suoi muscoli tesi rilassarsi contro il mio corpo. Si era preoccupato sul serio.

“Secondo me è l’olfatto” decretò Jinki, ma io ascoltai appena le sue motivazioni, troppo impegnato a godermi le tenere attenzioni che Bummie mi stava rivolgendo. Cercò di fare ammenda per le proprie parole, tirandosi un po’ più su con il busto, mentre depositava piccoli bacini timorosi sulla curva del mio collo.

Mi fece istintivamente rabbrividire, quando utilizzò una manina per coprire le nostre labbra, poco prima di far scivolare la propria lingua nella mia bocca. Non mi aspettavo qualcosa di così spinto, non davanti agli altri almeno. Non fu un bacio molto lungo, ma comunque incredibilmente sensuale. Accarezzai quella morbida forma a cuore con un dito, depositandoci un altro bacetto. Mi allontanai dalle sue labbra, non propriamente soddisfatto, ma sicuramente grato per quel gesto così sentito.

Kibum si era certamente vergognato da morire, come dimostravano apertamente le sue guance rosse e il suo respiro irregolare. Io invece avevo già una mezza erezione nei pantaloni, e finsi di sistemarmi meglio tra i cuscini, spostandolo appena verso destra, nel tentativo di non far strofinare la sua gamba sul cavallo dei miei jeans.

“Il tatto” mormorò debolmente, proprio vicino al mio orecchio, facendomi rabbrividire con la sua voce improvvisamente roca. Non me l’aspettavo. Né tantomeno immaginavo che si sarebbe servito della nostra posizione, che gli permetteva di dare le spalle al resto del gruppo, per far lentamente scivolare la lingua lungo il mio collo, per poi fermarsi sul confine con la maglia verde.

Poteva sembrare che mi stesse semplicemente abbracciando, abbandonando il viso sulla mia spalla, ma… era tutto il contrario. Schiuse la bocca sulla mia pelle, in quel momento totalmente impreparata al suo tocco, per poi prenderne un lembo dentro la bocca, e inumidirla sensualmente con la propria saliva. Mi avrebbe sicuramente lasciato un segno rosso, e quella consapevolezza non fece altro che eccitarmi ancora di più.

Aspirai il suo dolce profumo di vaniglia, concentrandomi sul debole suono del suo respiro spezzato. Sfiorai con una mano una ciocca dei suoi capelli, lasciandomi ammaliare dal loro caldo colore… così simile a quello del miele. Mi tirai gentilmente indietro, chinando il capo alla ricerca del suo viso, e il sapore delle sue labbra già umide mi stordì completamente.

“Tutti quanti…” sussurrai a mia volta, sprofondando nel desiderio intenso che lessi nei suoi occhi languidi. Parve non capire, e gli sorrisi, accarezzando dolcemente la sua schiena tremante. Pensai ancora una volta al suo profumo… al suono del suo respiro… al colore dei suoi capelli… al sapore delle sue labbra. La sensazione della sua lingua sulla pelle la lasciai per ultima, sussultando appena... quando la sua gamba si strofinò involontariamente contro il mio membro, completamente eretto.

“Tutti i sensi sono importanti” quasi ansimai, facendogli aggrottare la fronte. Il mio Bummie è sempre stato un grandissimo testardo. Il fatto che lo avessi contraddetto, sicuramente non gli andava particolarmente a genio. Storse le labbra, sbuffando piano sulla mia risposta.

“Non è vero” ribatté, ostinatamente bellissimo. La boccuccia rossa si protese in avanti, imbronciandosi, spingendomi ad accarezzarla con la punta delle dita.

“Posso farti cambiare idea” dissi piano, cercando di raggirarlo con il mio comportamento provocatorio. Mi era venuta una mezza idea, mentre quello stupido test riusciva ad avere… sul mio piccolo cervello pieno di Kibum… degli effetti completamente inaspettati.

“Non ci riuscirai” replicò subito, più che mai convinto della propria scelta.

“E se ce la faccio…” mi presi un paio di secondi, prima di terminare la frase, ammirando il modo confuso con il quale continuava a guardarmi, cercando di interpretare la mia espressione enigmatica. “Cosa mi dai in cambio?” conclusi, e il mio sorriso di sfida lo fece irrigidire.

“Quello che vuoi!” rispose, deciso e agguerrito, puntando i suoi occhi felini nei miei, mentre sollevava il mento e mi fissava spavaldo.

“Non c’è da fidarsi…” mormorai, scrollando le spalle, fingendomi poco convinto. “Dicono tutti così” rincarai, e il suo piccolo rantolo di rabbia mi preannunciò la mia imminente vittoria. “Chi me lo dice che poi non ti tirerai indietro, venendo meno a quello che hai appena affermato?”

Uno. Due. Tre. I secondi che dovetti attendere, prima di esultare mentalmente di fronte alla sua ingenua sconfitta. Piccolo dolce Bummie… non sapevi ancora… in che guaio ti eri appena andato a cacciare.

Hai la mia parola!


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Capitolo 23
*** Tienimi con te ***


NOTE

Ed eccoci qui... care le mie piccole lettrici... con un nuovo capitolo tutto da leggere, e che spero possa
piacervi quanto e più dei precedenti. Ci sarà qualche novità, non propriamente "positiva", e che probabilmente
nessuno si aspettava. Perfino io, mentre scrivevo il mio racconto, mi sono ritrovata a spalancare la bocca
e a dire "Qui le cose si mettono male..." O_o Ma tranquille, non disperiamoci prima del previsto,
pensiamo a sorridere... immaginando ciò che Taemin si è appena messo in testa di fare!
(E non fate pensieri pervertiti piccole assatanate! >_<)

Bacioni tesorucci miei! Chuuuuuu <3
SkyScraper




 

Capitolo 22 - Tienimi con te

Quando il sole di quel venerdì mattina superò le persiane alzate, scontrandosi con il letto sul quale ero ancora disteso, l’unica cosa che riuscii a pensare fu… Non sono solo. Avvertivo la sua presenza, calda e rassicurante, proprio sulla mia schiena. Mi resi conto di essere girato sul fianco destro, ma cercai di muovermi il meno possibile. Giusto quel tanto che bastava, per poter allungare le braccia e tendere i muscoli intorpiditi.
 
Il suo petto si sollevava, calmo e rilassato, sfiorando le mie spalle nude, facendomi rabbrividire. Non ricordavo molto della sera precedente. Ero troppo stanco. Mi ero lasciato guidare dentro casa, saldamente agganciato alla sua mano forte, e quando mi aveva invitato nella propria camera ero impazzito di gioia. Avevo abbassato la testa, probabilmente arrossendo, ma già le gambe cominciavano a diventare instabili, obbligandomi a sorreggermi dal suo collo.
 
Ricordo solo le sue braccia. Mi circondarono il corpo, sollevandomi da terra. Le lenzuola fresche le distinsi appena. Cercai rifugio sul suo cuore, lasciandomi cullare da quei battiti forti ed emozionati. Gli occhi già chiusi e la mente leggera. Non riuscii a concentrarmi su nulla. Solo quel suono… profondo e rassicurante. BumBumBum. Sospirai, lasciandomi stringere, e il sonno arrivò improvviso.
 
La notte trascorse serena. Non mi svegliai neanche una volta, anche se credo di averla avvertita… qualcuna delle sue carezze sul mio viso. Le sue braccia erano il posto perfetto per dormire. Ti riscaldavano… come i timidi raggi del sole di aprile, quando il cielo è ancora nuvoloso, e non sai se aspettarti bel tempo oppure pioggia. Jonghyun era come quella piccola speranza, che si intravedeva di tanto in tanto, tra una nube e l’altra, ricordandoti la sua presenza. Ti sfiorava la pelle, ancora infreddolita dalla fine dell’inverno, e ti faceva desiderare disperatamente la sua vicinanza.
 
Poi l’alba aveva riempito le strade, risvegliando con essa i miei sensi assopiti. Avevo solo i boxer addosso, e l’idea che fosse stato lui a spogliarmi fece sollevare notevolmente la mia temperatura corporea. Un sottile inizio di erezione sfiorò il tessuto elasticizzato, e io serrai istintivamente le palpebre, mentre la persona coricata alle mie spalle lasciava piccoli baci lungo la curva sensibile del mio collo.
 
“Buongiorno” mormorò, accostandosi al mio orecchio, soffiandoci dentro quel dolcissimo saluto. La voce calda, resa roca e appena impastata dalla notte, mi regalò un lungo brivido di esaltazione. Anche se tremendamente imbarazzato, non riuscii a resistere.
 
Rotolai sulla schiena, ma lui non abbandonò neanche per un attimo il mio corpo. Seguì i miei movimenti, adattandosi ad essi, per poi sorridermi timoroso non appena i nostri occhi si incrociarono. Era bello. Bello come solamente lui poteva essere. Trattenni istintivamente il fiato, rapito da quella tenera emozione… che mi veniva mostrata con sincerità, senza paure o censure di alcun genere.
 
Lo sguardo di Jonghyun era qualcosa di magnetico. Qualcosa in grado di trasformarti in gelatina il cervello, e farti salire il cuore in gola con un solo sospiro. Non riuscivo a separarmene. Non riuscivo… a governare il mio amore. Quella parola mi fece sussultare. Amore. Era davvero questo che provavo? Solo in quel momento, nel dolce dormiveglia del nostro buongiorno fatto di occhi, avrei potuto possedere il coraggio di un simile pensiero.
 
Chinai istintivamente il capo, troppo timoroso di svelare al mondo quella nuova consapevolezza. Sfuggii perfino a lui. Al ragazzo che rendeva più spezzati i miei respiri. Alla persona che avrei voluto avere al mio fianco… in tutte le nuove albe della mia intera vita. Arricciai il naso, perché lui aveva già preso a stuzzicarlo. Sospirai contro la mano che mi stava accarezzando il viso, e concessi alle sue labbra il permesso che cercavano.
 
La sua lingua invase i miei sensi, rendendoli incredibilmente vivi e sensibili. Ogni muscolo si tese, rispondendo con la sua rinata eccitazione ad ogni nuovo gesto. Danzammo insieme… in quella meravigliosa mattina fatta di sole e saliva. Strinsi i denti sulla sua bocca, quasi desideroso di strapparla via. Nessuno, oltre me, era autorizzato a toccarla. Che fosse un innocente bacio sulla guancia, o un semplice saluto, prima di una lunga separazione… io non l’avrei permesso. Jonghyun era mio, e solo allora lo comprendevo… il vero significato della parola gelosia.
 
Avevo provato risentimento per Hyuri, ma non l’avevo mai realmente odiata. Da quel giorno in poi, le cose sarebbero cambiate. La consapevolezza dei miei sentimenti… mi rendeva pericoloso. Non avrei accettato altre smancerie, né scambi di sguardi o carezze fugaci. C’era un legame tra noi. Lui stesso l’aveva dimostrato, ogni volta che il nome di Byung-Hee saltava fuori. Io… ancora non lo sapevo… ma sarei diventato mille volte più possessivo di Jonghyun.
 
“Sembri diverso” ansimò, sulla bocca che sapeva ancora dei nostri baci. Chiuse una mano intorno al mio volto, spingendomi a sollevare lo sguardo. Aspettava una risposta.
 
“Solo più sincero” concessi, appena enigmatico. Non gli bastò, e il suo sopracciglio inarcato rimarcò la sua perplessità. “Dormiremo sempre così?” chiesi, un po’ per deviare l’argomento, un po’ perché realmente interessato.
 
“Vuoi che lo facciamo?” Mai una risposta diretta, vero? Sospirai, decidendo che potevo anche dargliela vinta. Abbassai un paio di volte la testa, tornando a cercare le sue labbra. Rise, direttamente dentro il nostro bacio, contagiandomi con il suo buon umore.
 
“Non mi hai ancora risposto” lo ammonii con il broncio, piegando il collo all’indietro, sfuggendo con rapidità al suo nuovo assalto. Se gli avessi permesso di andare avanti, sicuro che non avremmo più trovato il fiato per parlare. Strinse le dita sui miei fianchi, rendendomi partecipe del proprio disappunto. La mia fuga l’aveva irritato. Mi morse il mento, l’unico punto del mio viso che riusciva ancora a raggiungere, spingendosi più avanti e schiacciandomi contro il materasso.
 
“Si” mormorò, e la sua lingua sulla spalla sinistra mi fece chiudere gli occhi “Sempre”.
 
Un brivido più forte mi attraversò il corpo, rendendo più lucidi i miei occhi e più serrata la mia gola. Parlava sul serio? Cercai il suo sguardo, e lui non si tirò indietro. Si mise a disposizione, sottostando senza proteste a quel silenzioso esame. Ricordo che il suo volto, in quel momento, era talmente vicino da togliermi il respiro.
 
Ne seguii i lineamenti, con la punta del dito tremante. La curva spigolosa della mascella. Il mento pronunciato. La linea diritta del naso. Le morbide fattezze della sua bocca incantatrice. Sorrisi, e la mia stessa serenità si riflesse nei suoi occhi. Non mi avrebbe mai mentito. Protesi le labbra in avanti, e sfiorai con dolcezza la sua guancia destra. Un bacio casto, completamente innocente.
 
“Va bene” accordai, ormai convinto della sua sincerità. Jonghyun mi chiuse nel suo abbraccio, che mi parve d’un tratto assai più soffocante. Era felice. Ma quella stessa gioia rischiava di asfissiarmi. Al diavolo! Se dovevo morire… quale modo migliore di quello? Lo strinsi a mia volta, e lui sospirò tra i miei capelli.
 
“Non me ne voglio andare” soffiò teneramente, sciogliendomi il cuore, mentre strofinava il volto sul mio collo e già iniziava a sbuffare. Avevo capito a cosa si riferisse. Lanciai una rapida occhiata alla sveglia. Minho sarebbe venuto a chiamarlo di lì a poco. Giusto una manciata di minuti, e mi sarei dovuto separare da quel grosso scimmione coccoloso.
 
“Invece di lamentarti…” la mia gamba sinistra si intrufolò tra le sue, improvvisamente intraprendente, strusciandosi contro la sua erezione mattutina, mentre i suoi grandi occhi scuri si spalancavano nei miei “Cerca di occupare bene il tempo che ti resta” lo provocai, arricciando le labbra in una piccola smorfia, portando entrambe le mani sulla sua espressione sorpresa.
 
Lo baciai ancora. Senza vergogna. Senza moralismi. Arrivai alla sua lingua e la incatenai alla mia, lasciandomi sfuggire un piccolo rantolo di piacere, quando le sue dita risalirono il mio corpo. Mi accarezzò i fianchi, percorrendo lentamente la schiena, centimetro dopo centimetro, fino ad arrivare alla nuca. Lì si fermò, serrandoci intorno la sua presa, obbligandomi a piegarmi all’indietro, mentre lui scivolava con un movimento sinuoso sopra di me.
 
Forse fu l’istinto, o magari l’eccitazione del momento… ma le mie gambe si schiusero da sole, senza preoccuparsi di chiedermene il permesso. Un gemito risalì veloce la mia gola, e la sua erezione si scontrò con la mia, rendendola possibilmente più dura di quanto già non fosse. Quel suono rauco e pronunciato… trovò la via d’uscita fino alle mie labbra, e da lì venne fuori, rendendo più tesi i muscoli che stavo accarezzando.
 
Mi piacevano le sue spalle, così larghe, così forti. Approfittai di quell’attimo in cui si separò da me, sollevandosi appena alla ricerca di ossigeno, e affondai i denti sulla morbida carne che le rivestiva. Il brivido che gli percorse il corpo mi riempì d’orgoglio, eliminando le ultime tracce di inibizione a cui mi stavo aggrappando.
 
Inarcai la schiena, invocando piano il suo nome, ma la sua bocca stava già scivolando… provocante e inarrestabile… oltre la base del mio collo, fino al petto ansimante. Il calore mi risalì il viso, inondando le guance e spingendomi a sospirare. La lingua accarezzava la mia pelle, ed io non riuscivo a fare altro che cadere. Si, cadevo. Mi lasciavo andare più giù, sprofondando tra le pieghe di quell’incredibile sogno, fatto solo delle sue mani e della sua bocca.
 
Spalancai gli occhi sul soffitto, quando la carne che rivestiva il mio fianco destro venne intrappolata. Ci chiuse le labbra attorno, imprigionandola nel dolce calore del suo respiro. Mi bagnai con la sola forza del suo desiderio, mentre il rivolo di saliva che mi percorse la pelle rendeva insopportabile ogni nuovo battito. Forte, sempre di più, come se non conoscesse limiti. Il mio cuore pompava sangue con la stessa intensità delle mie emozioni, riempiendomi le orecchie, rendendomi sordo a qualsiasi altro rumore.
  

C’ero io. C’era lui. Eravamo insieme.

 
Infilai le dita tra i suoi capelli scuri, spingendolo con urgenza sul mio collo, quando la sua bocca affamata cercò un altro lembo di carne da assaporare. Serrò la sua presa sulla mia coscia, strappandomi un nuovo gemito, rendendo più impulsivi i miei movimenti. Sollevai il bacino, donando ai miei fianchi le sensuali movenze di un’onda appassionata. Assecondai le sue necessità, arcuando il busto, permettendo ai nostri corpi di incontrarsi a metà strada.
 
“Kibum…” un suono rauco, profondo… tremendamente eccitante. Lo bisbigliò al mio orecchio, poco dopo aver abbandonato la sua preda, lasciando un ultimo morso sulla mia pelle arrossata, e tirandosi faticosamente più indietro. Lo capivo, e la sua espressione sofferente mi strappò un piccolo sorriso.
 
Accarezzai la sua guancia, comprendendo solo in quel momento… quanto il mio intero corpo stesse tremando. Paura? No, non provavo il minimo timore nei suoi confronti. Imbarazzo? Forse un po’. Mi ero dimostrato più spudorato del solito, ma questo non voleva dire che avessi improvvisamente acquistato la disinvoltura di una donna di facili costumi.
 

Emozione? Sicuramente si.
 

Con Jonghyun tutto era nuovo. Io ero nuovo. Dimenticavo le mie reticenze, annullavo me stesso per avvicinarmi a lui. Non volevo essere più io. Già… Kim Kibum non mi bastava più. Volevo dell’altro. Volevo qualcosa che iniziasse… lì dove la mia essenza finiva. Volevo un cuore legato alla mia anima. Volevo… volevo lui.
 
Lui… sorridente e incredibilmente dolce. Lui… dalle mani forti e la presa gentile. Volevo Jonghyun. Con me. Per me. Kim Kibum era stato bene da solo. Lo era stato per talmente tanto tempo, da farmi arrivare a credere che sarebbe stato così per sempre. Ma non era quella la realtà. La realtà del mio sogno io la compresi quel giorno, su quel letto, con il suo respiro indeciso sulla pelle, e le dita disperatamente intrecciate alle sue.
 
Il mio sogno era fatto di due persone. Il mio sogno… non era più solamente mio. Il mio sogno desiderava Jonghyun. Il mio sogno… ci vedeva vicini. Finalmente lo comprendevo. Sfiorai la sua fronte con le labbra umide, chiudendo velocemente gli occhi, impedendogli di vederci la mia commozione.

Quando gli ero accanto… Kim Kibum… era completo.
 

*****

 
Ci separammo davanti alle scale del primo piano. Jonghyun avrebbe proseguito fino al secondo, per la lezione di biologia, e noi altri ci saremmo fermati lì. La manina sottile torturò senza tregua il povero colletto della maglia color prugna, che veniva di continuo sollevato e risistemato. Pensava di poterlo nascondere in quel modo, occultandolo dietro il sottile pezzo di stoffa che stava utilizzando come scudo. Niente da fare. Tutti quanti ce n’eravamo accorti.
 
Minho aveva sghignazzato per tutto il tragitto fino alla facoltà, spesso rimproverato dal suo piccolo coinquilino, che riteneva assolutamente inopportuno il suo comportamento. Io avevo cercato di trattenermi il più possibile, ma tra il viso imbarazzato di Kibum, e l’espressione soddisfatta di Jonghyun, non fu un’impresa molto facile da portare a termine.
 
Sulla base del collo sottile, proprio dove le dita pallide tornavano a posarsi di continuo, un segno rosso molto evidente dava bella mostra di sé, lasciando a bocca aperta tutti i presenti. Il ragazzone dai capelli per aria era un tipo dolce, ma anche incredibilmente possessivo. Che lo avesse fatto di proposito? Avrebbe potuto attaccare  qualsiasi altro punto, e invece sembrava essersi accanito proprio lì… su quel lembo di pelle che non poteva essere nascosto.
 
“Famelico” osservò Minho, quando Kibum si separò da noi, sollevando per l’ennesima volta il colletto della maglia.
 
“Solo geloso” lo corressi, indicando con un gesto del capo un ragazzo dalle spalle possenti e l’atteggiamento sfrontato, che si stava avvicinando proprio in quel momento. Byung-Hee sollevò una mano, senza però fermarsi. Ci fece un rapido saluto e ci sorpassò. Entrambi seguimmo la sua figura slanciata, mentre superava le due aule alle nostre spalle, entrando in quella di lingue.
 
“La stessa di Kibum” osservò il mio vicino, accigliandosi. Io scossi le spalle, incitandolo a camminare. Quel tipo non mi preoccupava molto. Forse ero un po’ ingenuo, ma non mi andava di giudicare qualcuno senza prima conoscerlo davvero.
 
“Taemin?” chiesi invece, e il sorriso radioso di Minho non ebbe bisogno di parole. Meglio così. “Jonghyun mi ha detto che è stata Hyuri a consigliare quella tisana. E’ così?” lui abbassò ritmicamente la testa, e questa volta fui io a rabbuiarmi.
 
Le preoccupazioni di tutti quanti si concentravano su quello strano motociclista, per il quale Kibum sembrava provare un’inspiegabile interesse. Dal canto mio, ero convinto che il vero “ostacolo” alla relazione dei miei amici… potesse essere tutt’altro.
 
“Che c’è Hyung?” la domanda di Minho mi distolse dai miei pensieri, e io feci spallucce, fingendo che fosse tutto apposto. Non mi andava di creare rumori inutili. Prima volevo essere sicuro di aver compreso bene la situazione.
 
Avevo preso l’abitudine di passare dal negozio di mia madre ogni pomeriggio, utilizzando quell’attenuante per sbirciare le abitudini di Jonghyun. Beh… ne avevo ricavato solo un milione di altri punti interrogativi. Hyuri passava tutti i giorni, chiacchierando amabilmente con noi altri, e prendendo sottobraccio il ragazzo dai capelli per aria, quando arrivava l’ora di andare via.
 
Non riuscivo a comprendere. Nessuno dei due sembrava imbarazzato o colpevole, per quell’atteggiamento fin troppo familiare che assumevano l’uno nei confronti dell’altra. Avevo anche capito che, nei giorni in cui Jonghyun era stato lontano da casa, Hyuri lo aveva accompagnato a visitare la sorella. Il loro rapporto era così profondo da coinvolgere anche le famiglie?
 
Kibum non aveva notato quell’abitudine che avevano, e che consisteva nel passare del tempo insieme ogni pomeriggio. Io non gli avrei detto nulla ma… come l’avrebbe presa? Prima o poi quel particolare sarebbe saltato fuori, e temevo che le reazioni del mio piccolo vicino non sarebbero state affatto piacevoli. Sospirai, affondando le mani nelle tasche del lungo camicie.
 
Minho continuava a soppesare la mia espressione, e io tornai a guardarlo. Gli sorrisi, appena incerto, cercando di deviare i suoi pensieri su un altro argomento. “Ieri dicevi che avevi deciso di portarlo fuori, no?” gli chiesi, tirando fuori la chiave del laboratorio di chimica e tendendo la mano destra verso la serratura. Lui confermò le sue intenzioni, abbandonando velocemente l’atteggiamento sospettoso di poco prima.
 
“Pensavo a questo fine settimana, ma non sono ancora riuscito a parlarne con Min” le dita lunghe scivolarono tra i capelli, spettinandoli appena, accentuando il suo disagio. “E’ solo che… beh…” le gote si tinsero d’imbarazzo, strappandomi un sorriso. Aprii completamente la porta, indicandogli l’interno dell’aula. Le sue lezioni sarebbero iniziate alle seconda ora, e anche le mie, tanto valeva spendere quel tempo a disposizione per tenerci compagnia.
 
“Qual è il problema?” dissi, spronandolo ad andare avanti. Lui si lasciò cadere sulla sedia accanto alla cattedra, sospirando pesantemente, per poi sollevare i suoi occhi dubbiosi verso di me.
 
“Non sembrerà strano?” mormorò, incurvando le spalle e poggiando entrambe le braccia sul ripiano sottile. “Cioè… ci siamo già baciati e…” distolse lo sguardo, al massimo dell’imbarazzo, mentre io allungavo istintivamente una mano sulla sua schiena. “Il nostro rapporto… è come se fosse partito dalla fine” la voce era appena un sussurro, ma riuscii ad udirla comunque.
 
“Intendi per il fatto che… il primo appuntamento ci sarebbe dovuto essere prima del bacio?”
 
Confermò i miei pensieri, facendomi scuotere la testa, mentre prendevo posto di fronte a lui. “Non credo che a Tae importerà molto” lo rassicurai, sorridendo della sua espressione dubbiosa. “Pensaci” lo esortai “Sei la persona più importante per lui, in questo momento. Sarà molto felice della tua proposta”.
 
Gli angoli delle labbra morbide si sollevarono dolcemente verso l’alto, sorridendomi con riconoscenza. Accarezzai i suoi capelli scuri, e lo strinsi nel mio abbraccio.
 

*****

 
“Te ne vergogni?” Jonghyun era fermo sulla soglia della biblioteca, con Kibum accanto. Il più piccolo manteneva il capo chino, con le labbra appena protese in avanti e lo sguardo di un cucciolo timoroso. I polpastrelli ruvidi gli sfiorarono una guancia, scivolando verso il mento ed esercitando su di esso una leggera pressione. Gli occhi felini incrociarono i suoi, e un piccolo sospiro rese ancora più ricurve le esili spalle.
 
“Io…” mormorò Kibum, andandogli più vicino “C-Cioè… mi imba-barazza un po’” ammise, chiudendo i denti sul labbro inferiore, mentre le dita impaurite cercavano le braccia del più grande “Non è per te…” soffiò fuori, lasciandosi stringere “Stamattina ne ero anche felice”.
 
Quella tenera confessione fece perdere un battito al cuore di Jonghyun, che affondò il naso tra i suoi morbidi capelli, respirando a pieni polmoni il dolce profumo di quella pelle vellutata. “Ho capito” lo rassicurò, lasciando scorrere le dita tra i ciuffi chiari, per poi trattenerne un paio e rigirarseli tra le dita.
 
“Facciamo così…” si scostò appena, infilando una mano dentro la propria borsa, da dove ne estrasse una piccola sciarpa di lana dai colori leggermente sbiaditi. “Metti questa” propose, sorridendo con dolcezza davanti all’espressione sorpresa del più piccolo. Kibum si lasciò sfuggire una sottile esclamazione, e il tessuto caldo gli avvolse il collo, celando il segno rosso che vi era stato marchiato sopra.
 
“Ma…” cercò di protestare, però il suo coinquilino aveva già lasciato scivolare due dita sulle sue labbra dischiuse, bloccandovi in mezzo il resto delle sue parole. Lasciò un rapido bacio sulla guancia pallida, tirandoselo per un attimo sul petto, mentre la mano sinistra spingeva il volto del biondo verso la propria spalla.
 
“Io non sentirò freddo” lo rassicurò, dopo aver facilmente intuito la natura dei suoi timori “E tu potrai sempre dire di avere un leggero mal di gola” aggiunse, accarezzandogli la schiena quando i loro occhi tornarono ad incontrarsi. Kibum gli sorrise, guardandosi velocemente intorno. Il bruno inarcò un sopracciglio, senza capire le sue intenzioni, ma le braccia che si allacciarono pochi secondi dopo al suo collo furono più che loquaci.
 
Jonghyun sospirò, lasciandosi trasportare dall’irresistibile slancio di quel gesto improvviso. Schiuse le labbra, protendendosi verso quel bacio che era sul punto di ricevere, e le palpebre si abbassarono istintivamente. Il corpo caldo del più piccolo si unì al proprio, infiammandolo con la sua innocenza.
 
“Tra quanto arriva quella tizia?” ansimò, incatenando al proprio lo sguardo languido di quel micetto intraprendente. Kibum aprì appena la bocca, ma non sembrava sul serio intenzionato a rispondere. Il suo leggero boccheggiare rese più annebbiati i pensieri del maggiore, che senza pensarci un attimo lo afferrò per un polso, trascinandoselo dietro.
 
“Tu mi farai uscire pazzo…” soffiò al suo orecchio, intrappolandolo al muro con il peso del proprio corpo. Il più piccolo avvampò velocemente, guardando con timore al corridoio che avevano appena abbandonato. “Qui non ci sono aule” cercò di tranquillizzarlo Jonghyun, mentre le sue labbra esigenti scivolavano veloci lungo la mascella, proseguendo fino all’orecchio sinistro.
 
“Mmm…” la sensazione calda e scivolosa che gli avvolse il lobo delicato lo fece fremere all’improvviso, aumentando notevolmente la sua già precaria stabilità emotiva. Le dita sottili si strinsero attorno ai capelli scuri, e l’intero corpo del biondo si lasciò travolgere da quella nuova eccitante avventura.
 
Non aveva mai provato quel brivido di esaltazione lungo la schiena, quando la voglia di essere abbracciati si unisce alla paura di essere scoperti. Lui era sempre stato un ragazzino basato, di quelli che non utilizzavano lo stanzino dei cancellini per baciare la ragazza di turno.
 
Se qualcuno mi avesse detto, appena un mese fa, che oggi mi sarei ritrovato dietro quest’angolo buio, a fremere di desiderio tra le braccia di un tipo con i capelli sparati per aria… probabilmente avrei consigliato al diretto interessato una seduta psichiatrica. Ed ora invece, mentre le sue mani si intrufolano sotto la mia felpa e le mie si aggrappano alla sua schiena, non riesco proprio ad immaginare qualcosa di più bello.
 
Biip. Un suono improvviso, al quale nessuno dei due diede molto peso. La lingua di Jonghyun si scontrò con la sua, e il nuovo miagolio strozzato si perse nel calore dei loro respiri. La melodia che riempì fastidiosamente l’aria spinse Kibum a separarsi, con le guance ancora rosse e i capelli appena spettinati.
 
“Dovresti rispondere…” gli disse, e la sua voce venne fuori in un timido sussurrò. Il bruno soffocò in gola un’imprecazione, facendo un passo indietro e tirando fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni. “E’ Hyuri” annunciò, osservando l’espressione del più piccolo incupirsi a quelle parole.
 
“Pronto?” le mani sottili rassettarono i vestiti, mentre le labbra si assottigliavano impercettibilmente e gli occhi felini si riempivano di astio. “Si, certo. A che ora?” Jonghyun allungò istintivamente un braccio in avanti, cercando di fermarlo, ma Kibum raccolse velocemente la propria tracolla, divincolandosi dalla sua presa. “Ok, ti chiamo dopo”.
 
La chiamata venne interrotta bruscamente, e il più grande si catapultò immediatamente all’inseguimento del coinquilino. Con le spalle rigide e il passo affrettato, quest’ultimo era già arrivato dinanzi alla biblioteca, e si accingeva a superarne l’entrata. Ignorò i richiami dell’altro ragazzo, liberandosi frettolosamente della sciarpa che aveva indossato pochi minuti prima, e lanciandogliela contro.
 
“Dalla a lei questa!” sputò fuori, lasciando totalmente allibito Jonghyun, che rimase a fissarlo come un idiota. “Non mi va per niente quello che fai!” il biondo ritornò sui propri passi, spingendolo bruscamente, costringendolo ad arretrare di qualche metro. Era furioso, e nonostante sapesse di poterci rimettere, non esitò ad andare avanti. “Non me ne rimarrò in silenzio mentre tu le vai dietro come un cagnolino, è chiaro?!”
 
Il bruno sbatté un paio di volte le palpebre, ma già il cuore aveva preso a battere più forte, facendo diventare la sua voglia di ridere praticamente incontenibile. Si mosse velocemente in avanti, catturando quel piccolo gattino inviperito che continuava a sbuffargli contro, e il sorriso che gli illuminò il viso non fece altro che peggiorare la situazione.
 
“Cosa c’è da ridere?!” strillò Kibum, divincolandosi nella sua presa, utilizzando le dita sottili per arpionargli le braccia e cercare di sfuggirgli via. “Sei un idiota Jonghyun!” gli urlò in faccia, guadagnandoci in cambio una montagna di piccoli bacetti sul viso. “E smettila di baciarmi! Non li voglio i tuoi baci!”
 
L’avevo già visto ingelosirsi, ma mai infuriarsi e sbraitarmi contro come fece quel giorno. Mi sarei dovuto sentire ingiustamente accusato, ma il modo istintivo con il quale si stava ribellando, e la voglia di prendermi a botte che gli vidi riflessa negli occhi… furono la reazione più bella che potesse donarmi.
 
Kibum era geloso, e in quel momento avrebbe potuto anche prendermi a calci… non me ne sarebbe minimamente importato. Anzi… probabilmente mi sarei lasciato pestare ben volentieri, con un sorriso ebete sul viso, e una voglia di riempirlo di baci sempre più grande.
 
“Ma io li voglio dare solo a te…” mormorò il più grande contro il suo orecchio, utilizzando il proprio naso per accarezzare quello di Kibum, subito dopo averlo completamente intrappolato tra le forti braccia. “Mmm Bummie? Lo sai che ti adoro quando ti arrabbi?” le mani che avevo continuato ad accanirsi sul suo petto divennero improvvisamente più deboli, così come la volontà del ragazzo che gli si abbandonò addosso con un lungo sospiro.
 
“Io ti odio” buttò fuori, esausto, e la bassa risata di Jonghyun gli solleticò il collo. “Non voglio che parli sempre con quella” aggiunse, sbuffando pesantemente contro la mano che aveva preso ad accarezzargli una guancia.
 
Gli occhi del bruno cercarono i suoi, colmandoli con la loro dolcezza. “Va bene” concesse velocemente, poggiando la propria fronte a quella del più piccolo. “Solo tu, ok?”
 
La testolina bionda si abbassò ritmicamente, e l’espressione frustrata di Kibum sprofondò sulla sua spalla, dove si lasciò docilmente cullare dal rassicurante calore del suo abbraccio. “Me lo prometti?” volle insistere, sfruttando la propria tenera vocina per guadagnarsi qualche nuova certezza.
 
“Te lo prometto”.
 

*****

 
Il campanello suonò ripetutamente, prima che una personcina in grembiule e fiatone si decidesse ad aprire la porta. Taemin si catapultò addosso al nuovo arrivato, ricoprendo anch’egli con la farina che si era poco prima versato addosso.
 
“Oh Hyung, menomale che sei arrivato!” strillava, salterellando con le braccia ancora strette al collo di Jinki “Stavo impazzendo qui da solo!” si lagnò, portando entrambe le mani sporche ai capelli, per poi accorgersi (con orrore!) di aver imbrattato anche quelli.
 
“Calmo Tae. Non farti prendere dal panico…” cercò di rassicurarlo il suo padrone di casa, stringendolo nuovamente nel proprio abbraccio, senza curarsi minimamente dei pantaloni e del maglione ormai da lavare. Il più piccolo sbuffò contro la sua spalla, mormorando qualche altra imprecazione strozzata.
 
“Avanti” lo spronò il ragazzo dagli occhi nocciola, scrollandolo dolcemente per le spalle “A che punto sei arrivato?” fece un passo avanti, sbirciando la cucina completamente sottosopra, trattenendosi con tutte le sue forze dal lasciarsi sfuggire una smorfia di disappunto.
 
Ma non doveva essere solo una semplice torta al cacao? Santi dei… questo posto è un campo di battaglia! La farina non l’aveva solo addosso… l’ha praticamente utilizzata per ridipingere casa! Poveretti noi... speriamo bene! Piuttosto, il problema più grande è un altro. Siamo sicuri che quello che preparerà sia commestibile?
 
“Ho mescolato tutti gli ingredienti” stava spiegando nel frattempo il cuoco provetto, afferrando tra le manine polverose la grossa ciotola gialla, per poi mostrarla ad un Jinki piuttosto dubbioso. Quella poltiglia piena di grumi doveva essere l’impasto?!
 
“Ehm… si” mormorò, prendendo con cautela il recipiente (neanche fosse una bomba!), con l’intenzione di esaminarne il contenuto più da vicino. “La ricetta dove l’hai presa?” decise di indagare. Così… giusto per scrupolo.
 
Taemin sfoggiò un sorriso a trentadue denti, indicando con un gesto solenne una piccola agenda dalla custodia in pelle, con le pagine appena ingiallite e gli angoli consumati. L’assistente di laboratorio inarcò un sopracciglio, senza capire. Quell’oggetto dall’apparenza così comune avrebbe dovuto rallegrarlo?
 
“E’ il ricettario di omma!” sbottò il più piccolo, sventolando le mani in aria, quasi volesse urlare al mondo l’eresia che era stata appena commessa in quella sudicia cucina. “Come fai a non conoscerlo?!” strillò ancora, chiudendo le dita sottili sul maglioncino del maggiore, per poi utilizzare quella stessa presa per scrollarlo con forza.
 
“No?!?!” quasi urlò l’altro ragazzo, scostando il ragazzino con un movimento veloce, e avvicinandosi con sguardo adorante a quel piccolo tesoro inestimabile. “Avevo sentito che esistesse, ma… nessuno l’aveva mai visto!” esclamò, prendendo quella preziosa reliquia tra le mani.
 
“Come hai fatto a convincerlo?!” Taemin non rispose, portando entrambe le mani sui fianchi, e sollevando il mento tutto soddisfatto. Erano state settimane di lunghe implorazioni, ma questo non l’avrebbe mai ammesso davanti agli altri. Quando Kibum alla fine aveva ceduto, estenuato dalle sue preghiere, la voglia di urlare al miracolo era stata realmente tanta!
 
Jinki nel frattempo si era chiuso nel suo piccolo momento di venerazione, sfogliando con sguardo adorante quelle pagine stracolme di post-it e ritagli di giornale. Il suo piccolo vicino con gli occhi da gatto nutriva una passione segreta per l’arte culinaria. Jonghyun stesso, dopo la prima settimana di convivenza, aveva riunito tutti gli amici per raccontare loro di tutti gli squisiti pranzetti che il più giovane gli preparava.
 
“Mmm… potremmo addirittura chiedergli un riscatto con una rarità tale tra le mani…” mormorò il padrone di casa, mentre un lampo di insana esaltazione rendeva più dilatate le sue pupille, facendolo apparire assai agghiacciante agli occhi del suo unico spettatore.
 
“Ehm Hyung” si azzardò a richiamarlo Taemin, avvicinandosi con passo incerto alla sua figura ricurva sul tavolo, per poi sfilargli con estrema lentezza il libricino dalle mani. “Questo è meglio se lo mettiamo da parte, si?” continuò, nascondendo la causa di quel momento di cupidigia nell’ultimo cassetto della credenza.
 
Jinki, finalmente libero da quell’insensato sortilegio che l’aveva stregato, si schiarì nervosamente la voce, cercando di recuperare un minimo di autocontrollo. Il ragazzino dai capelli castani gli sorrise, un po’ incerto, ed insieme tornarono ad avvicinarsi a quello che sarebbe dovuto essere l’impasto.
 
“L’hai mescolato troppo poco” sentenziò rapidamente il padrone di casa, rientrando totalmente in possesso delle proprie facoltà mentali.
 
“Ma se mi sono distrutto il braccio” si lamentò il più piccolo, strofinandosi automaticamente i muscoli indolenziti. “Omma è così gracile e delicata… come diavolo farà ad impastare tutta quella roba?!” borbottò, allungando la ciotola al padrone di casa. “Fallo tu, ti prego”.
 
Il maggiore scrollò le spalle, già pronto a mettersi all’opera, e il suo fedele assistente si mosse verso i fornelli, recuperando il pentolino con il latte. “Dobbiamo unirlo all’impasto” spiegò, tornando al fianco di Jinki. “E lasciarne un po’ da parte” aggiunse ancora, ripercorrendo mentalmente la ricetta che aveva riletto almeno una ventina di volte.
 
“Bene” mormorò l’assistente di laboratorio “Tu versa. Io continuo a mescolare” affermò, suddividendo fra sé e il più piccolo il lavoro da portare a termine. “Cosa dobbiamo farci con ciò che resta?” chiese poco dopo, rigirando energicamente il grosso cucchiaio in legno nel composto ormai omogeneo.
 
“Dobbiamo scioglierci dentro il lievito” rispose Taemin, recuperando una piccola scodella ed iniziando a versarci dentro il latte avanzato. Senza attendere istruzioni, strappò un angolo della bustina di lievito, e unì entrambi gli ingredienti.
 
Il padrone di casa, che in quel momento gli dava le spalle, non si accorse delle sue azioni, tutto intento per com’era… ad affondare l’indice destro nell’impasto scuro. “Mmm… buono” osservò compiaciuto, succhiando avidamente gli ultimi resti del composto. “Piuttosto Tae… scegli una ciotola alta altrimenti…”
 
Non fece in tempo a terminare la propria raccomandazione. Il ragazzino fece un balzo all’indietro, e la schiuma prodotta dal lievito si riversò irrimediabilmente sul sottile ripiano in legno del tavolo. “Aishh!” esclamò il maggiore, afferrando velocemente uno strofinaccio. “Dammi una mano!” borbottò, in direzione di Taemin “Questa cucina è un disastro!”
 

*****

 
“Mmm… fammi indovinare” Byung-Hee si tamburellò l’indice sulle labbra, sollevando gli occhi al cielo e fingendosi pensieroso. Quell’espressione era talmente buffa, che il ragazzo al suo fianco non riuscì a trattenere un sorriso.
 
“Già” confermò Kibum rapidamente, senza avvertire il reale bisogno di ascoltare il resto della frase. Aveva già capito. “Anche oggi ritornerò a piedi” concluse, arricciando le labbra e sistemando la tracolla sulla spalla destra.
 
“Sei troppo testardo” sbuffò rumorosamente il più grande, infilando il giubbotto scuro, mentre entrambi si incamminavano verso il cortile. “Se tu non glielo dici e io non glielo dico… come dovrebbe venire a saperlo?” chiese, accennando una piccola smorfia di disappunto.
 
“Lo saprei io, e tanto basta”  rispose il biondo, controllando rapidamente l’orologio. Erano le 18:00. Jonghyun doveva essere già a lavoro. Ripescò il palmare dalla tasca posteriore dei jeans, senza badare allo sguardo divertito che continuava a seguire i suoi movimenti, e compose velocemente il proprio messaggio.
 
“Jongie… ricordati che questa sera ceniamo con i ragazzi ^^ Ci vediamo direttamente da Minnie. Se non hai l’ombrello, chiedi alla madre di Jinki di prestartene uno. Pioverà sicuramente”. Conferma. Invia.
 
“Scusami, devo rispondere” le parole di Byung-Hee lo colsero alla sprovvista, giacché un cellulare suonare non lo aveva neanche sentito. Sbirciò istintivamente il piccolo schermo rettangolare, racchiuso tra le forti dita del più grande, trovandolo impegnato a lampeggiare. Doveva avere ancora la vibrazione inserita.
 
“Fai pure” si affrettò a rispondere, scrollando le esili spalle, e l’altro ragazzo si allontanò di qualche passo. Avrebbe potuto tranquillamente ascoltare la conversazione, considerata la poca distanza che li separava, ma Kibum non era mai stato un ficcanaso, né tantomeno un tipo a cui non era stata insegnata la buona educazione. Si incamminò lentamente verso la moto dell’amico, e lì attese il suo ritorno.
 
“Pronto?” la voce del maggiore venne fuori fredda e incolore, un po’ come l’espressione che gli aveva appena indurito i lineamenti. La persona dall’altro lato si presentò, riferendo di essere stato incaricato di recapitargli quelle informazioni dal signor Park Jihun. “La ascolto”.
 
“Il nome del ragazzo che ci ha segnalato è presente nei nostri archivi. Si parla per lo più di cose di poco conto. Oltraggio a pubblico ufficiale e multe stradali per aver superato il limite di velocità” quel tizio, un certo Lee Donggouan, si schiarì la voce, riprendendo subito dopo il discorso interrotto. “Gli episodi più significativi si sono svolti negli ultimi due anni. Spaccio di droga nei quartieri alti, per lo più in night o discoteche prestigiose”.
 
“Come ha fatto ad uscirne pulito?” lo interruppe Byung-Hee, serrando istintivamente la mascella, e lanciando una rapida occhiata alle proprie spalle. Kibum era lontano.
 
“Suo padre possiede una grossa flotta di navi mercantili. Come lei stesso può immaginare, i prodotti che traffica non sono sempre di carattere legale. Ha le spalle coperte, e quegli stessi agganci hanno preservato il suo unico figlio dalla galera” il ragazzo dai guanti di pelle storse le labbra, con quella che si dimostrò una smorfia di sincero disgusto.
 
“Se lei ha una persona vicina, che potrebbe essere molestata da questo tipo… le consiglio vivamente di rivolgersi alle autorità locali” la voce dell’agente era notevolmente cambiata, assumendo una sfumatura più confidenziale, e anche vagamente apprensiva. “Pochi mesi fa è stata presentata una denuncia da un giovane vicino di casa. Le accuse sono cadute dopo un paio di settimane, perché la famiglia della vittima si è rifiutata, ad un passo dall’incontro col giudice, di portare avanti l’indagine”.
 
“Di quale crimine era stato accusato?” il tono aspro di quella domanda non stupì il misterioso interlocutore, che si affrettò a chiarire i suoi dubbi. Non che in realtà i pensieri di Byung-Hee potessero più essere considerati delle incertezze comunque. Il reato commesso dal giovane Park Seung Su… lui riusciva già ad immaginarlo.
 
“Tentata violenza”.
 

*****

 
Taemin raccolse le ultime briciole di cioccolato dal suo piattino di plastica, portandole tutto felice alla bocca. Noi altri lo stavano osservando, estremamente divertiti dai suoi comportamenti infantili, e nessuno riuscì ad evitare di sorridere quando, uno per uno, ogni dito venne golosamente rinchiuso tra le sue labbra carnose.
 
Bummie, seduto accanto a me, gli gattonò vicino, schiaffeggiando le sue manine. “Che fine hanno fatto le tue buone maniere?!” lo rimproverò, utilizzando il tovagliolino pulito che si era portato dietro per ripulirgli la bocca sporca di crema. “Aishh… guarda come sei ridotto!”
 
Effettivamente… tutti quanti avevamo notato il pessimo stato del suo abbigliamento. Per cucinare quella torta, lui e Jinki si erano completamente imbrattati di farina, e il più piccolo ci aveva anche aggiunto qualche sbaffo di cacao, mentre consumava la propria abbondante razione di torta.
 
“E’ colpa tua omma! E' troppo buona!” venne così rimbeccato il mio coinquilino, che storse le labbra e infilò tutte le sue dieci sottilissime dita tra i capelli castani di Taemin, scompigliandoli con furia. “Omma mi fai maleee!” si lagnò quel piccolo diavoletto, facendo sussultare il suo amorevole assalitore, che si tirò rapidamente indietro, liberandolo dalla propria presa.
 
“Te l’ho fatta!” strillò euforico il ragazzino impertinente, e con un unico slancio… andò a nascondersi dietro la schiena di Minho.
 
Lo sguardo di Kibum, orgoglioso per com’era, prese rapidamente fuoco. Nonostante tutto non si mosse, e la sottile minaccia nascosta negli occhi scuri del mio compagno di corsa rese improvvisamente rigide le sue spalle. Nessuno avrebbe osato avvicinarsi a Taemin, fin tanto che il suo apprensivo gigante era nei dintorni. Perfino il mio Bummie, nonostante il suo carattere istintivo, dovette desistere dal mettere in atto la propria vendetta.
 
“Piccolo moccioso” bofonchiò, rintanandosi a sua volta contro il mio petto. Io mi offrii ben volentieri di leccare le sue ferite. E no, non è solo un modo di dire. Ne approfittai più volte, mentre gli altri chiacchieravano e rimettevano in ordine la cucina, per chiudere tra le labbra piccoli lembi della sua pelle. Mi piaceva vederlo serrare le palpebre, nel disperato tentativo di non emettere alcun suono.
 
L’ultima volta scoprii con un sospiro il suo collo sottile, sfilando la sciarpa che continuava a ricoprirlo, per poi stringere i denti su quel sensibile punto… che già prima di allora avevo felicemente torturato. Non volevo che quel segno andasse via. Ci sarei tornato ogni giorno, succhiando il sapore dolce della sua carne, per poi seviziarla amabilmente nella mia morsa, senza lasciarle via d’uscita.
 
“Tieni Kibum” mi allontanai a malincuore dal suo collo, giusto perché gli occhi nocciola di Jinki si erano sgranati, con fin troppa ovvietà, su quel nostro piacevole rituale. Il mio coinquilino non disse nulla, chinò il capo con un movimento veloce, e le dita sottili si protesero verso una piccola agenda dall’aspetto piuttosto vissuto.
 
“Cos’è?” sussurrai al suo orecchio, sistemandomi meglio sui cuscini, che ci avevano fatto da sostegno mentre mangiavamo. Bummie tornò a cercare il calore del mio abbraccio, e io lo avvolsi velocemente nella mia presa. Mi porse l’oggetto del mio interesse, invitandomi a sfogliarlo, ma io non ebbi certo bisogno di essere pregato.
 
Quella scoperta mi lasciò piacevolmente sorpreso. C’erano ricette di ogni tipo, dai primi ai dolci, tutte minuziosamente appuntate o ritagliate da vecchie riviste di cucina. Riconobbi qualche piatto che mi aveva preparato, e il sorriso che mi illuminò il volto venne fuori totalmente inconsapevole.
 
Aspettai di rimanere solo con lui, subito dopo aver augurato la buonanotte agli altri amici, ed esserci ritirati nel nostro appartamento. “Saresti una brava mogliettina” ansimai sul suo collo, mentre chiudevo la porta con un calcio, e lo spingevo con dolcezza ad utilizzarla come sostegno.
 
Kibum si scostò rapidamente dal mio corpo, sfuggendo al mio ennesimo bacio, e i suoi occhi allibiti mi lasciarono piuttosto perplesso. “I-Io sono un ma-maschio!” balbettò, e le sue gote arrossate risvegliarono il sentimento di tenerezza che nutrivo nei suoi confronti.
 
“Mmm…” mormorai, grattandomi con finto disagio la nuca “Allora mi sa che dovrò cercarmene un’altra” lo provocai, scrollando leggermente le spalle mentre facevo per allontanarmi. Credevo che avrebbe tentato di trattenermi, e invece se ne rimase lì, immobile, con la schiena su quell’uscio freddo, riflettendo seriamente sulle mie parole.
 
“Sei una scimmia molto strana” osservò alla fine, e i suoi occhietti spaesati mi spinsero inesorabilmente a cercare il suo corpo. Portai un braccio intorno alle sue spalle, facendo scivolare l’altro sotto le sue ginocchia. Una piccola spinta, e il mio tenero Bummie si sollevò da terra in un battito di ciglia, finendo con l’afferrarsi al mio collo quando io iniziai a camminare.
 
Per fortuna la porta della mia camera non era chiusa, altrimenti non so proprio con quale mano l’avrei potuta aprire. Arrivai fino al letto, lanciando un’occhiata carica di bisogno al suo viso timoroso. La testolina biondo si abbassò velocemente, più volte, concedendomi il permesso di depositarlo fra quelle lenzuola immacolate, che io stesso non vedevo l’ora di disfare.
 
“Pensavo che non fosse più scimmia… il mio nomignolo” ansimai tra i suoi capelli, mentre scivolavo con esasperante lentezza sul suo corpo tremante, guadagnandoci una lunga scarica di desiderio lungo tutta la spina dorsale. “Nel messaggio… mi hai chiamato in un altro modo” precisai, per poi stupirmi nel vederlo avvampare dalla vergogna.
 
Lo aveva fatto involontariamente? Era per quello che adesso arrossiva, sfuggendo al mio sguardo mentre nascondeva il proprio volto sulla mia spalla sinistra? “Jongie…” soffiò fuori, inverosimilmente a disagio, facendo arrossire perfino me… con il suono dolcissimo della propria voce.
 
“Mi piace” confermai, strappandogli un sorriso, e Kibum si sollevò sui gomiti, cercando con insistenza un nuovo bacio. Adoravo quella docile abitudine che aveva preso di lasciarsi abbracciare. Si lasciava stringere senza timori, nonostante le sue mani continuassero a tremare, e le guance delicate non perdessero neanche per un secondo il loro colorito imbarazzato.
 
“N-Non do-dovresti cercare qua-qualcun altro” balbettò, insicuro, artigliando con forza le mie spalle, quando scivolammo insieme tra i morbidi cuscini. Inarcai un sopracciglio, senza capire immediatamente a cosa alludesse. “L-La mogliet-tina” chiarì, spingendomi teneramente contro il proprio corpo, come se temesse sul serio che andassi via.
 
Quanto era dolce il mio Bummie? Sospirai sul suo collo, baciando delicatamente quella piccola macchia rossa che segnava la sua pelle. Chi sarebbe mai andato alla ricerca di una moglie, con un gattino talmente adorabile tra le braccia?!
 
“Non vado da nessuna parte” lo rassicurai, sollevandomi appena e sfilando la maglia con un movimento veloce. Il suo piacevole calore… già mi mancava da morire. “Si sta troppo bene qui” mormorai, cercando nuovamente il suo corpo sottile. Vibrò impercettibilmente, sorridendo con sincerità alle mie parole, e lo aiutai a privarsi a sua volta della felpa chiara.
 
La parte inferiore dei nostri corpi era rivestita dalle vecchie tute che utilizzavamo per stare in casa. Sarebbero andate bene anche per dormire. Raccolsi le coperte che avevamo scostato prima di coricarci, e ci nascosi sotto i nostri respiri pesanti. Kibum si rannicchiò sul mio petto, accarezzandone con delicatezza ogni dettaglio.
 
Le adoravo… quelle forme totalmente insensate che continuava a disegnarmi sulla pelle… facendomi rilassare ed eccitare allo stesso tempo. Sospirai, chiudendo le braccia intorno alle sue spalle nude, e lui fece lo stesso, spostandosi sul fianco sinistro e cercando i miei occhi.
 
“Buonanotte…” mormorò, respirando direttamente sulle mie labbra, tanto eravamo vicini.
 
“Sogni d’oro” risposi, affondando le dita tra i suoi capelli biondi, mentre lo spingevo ad eliminare quegli ultimi centimetri di distanza, per poter posare un’ultima volta le mie labbra sulle sue. La sua dolcissima forma a cuore si protese in avanti, incontrando la mia bocca a metà strada. Fu un bacio delicato, appena accennato, a cui ne seguirono altri due, ugualmente leggeri e innocenti.
 

La buonanotte che ho sempre desiderato.

 
“Jongie?” soffiò piano, quando i nostri occhi si chiusero, e i nostri respiri iniziarono a diventare lentamente più regolari. “Mmm?” non riuscii a dire altro, limitandomi a far combaciare le nostre fronti, mentre il suono flebile della sua voce mi guidava dolcemente fra le braccia di Morfeo. Bummie esitò un attimo e poi… con la più disarmante delle richieste… mi obbligò a stringerlo con più forza nel mio abbraccio.
 

“Tienimi con te”



 

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Capitolo 24
*** Dubbi e gelosie ***


NOTE

Buongiorno a tutte! ^^
*si copre il viso, pronta a darsi alla fuga*

Prima che iniziate a tirarmi addosso pomodori marci e uova andate a male... ve ne prego... lasciatemi almeno spiegare -.-
Non è stata colpa mia, giuro! ç.ç Chiamo a farmi da testimone il caldo asfissiante degli ultimi giorni, vostro onore!
Sul seriooo... Io me ne andavo lì, tutta euforica, prendendo posto davanti al mio adorato pc... pronta a sfornare
un nuovo ed entusiasmante capitolo, pieno di colpi al cuore e sbaciucchiamenti di tutti i tipi! *o*
Solo che poi iniziavo a sudare, mi veniva la nervina, e dovevo correre come una pazza verso la doccia! x.x
Ora voi ditemi... E' forse colpa mia questa?!?! o_O

Come seconda attenuante, vi propongo altri due punti, di altrettanta importanza:
1) Ieri ho fatto ripulire al mio ragazzo il mio fedelissimo compagno estivo (il ventilatore!), posizionandolo proprio
oggi accanto alla mia postazione, pronto ad alleviare con il suo fresco respiro le mie estenuanti pene! u.u
2) Inchinandomi con rispetto di fronte al sopra citato "compagno estivo", vi comunico che il nuovo capitolo... appena
sfornato e pronto per essere letto --> Consiste in ben 23 pagine di word! >_<

No, cioè... ma voglio dire?!?! Non mi merito un bacio forse?!?! *w*

P.S. = Quasi mi scordavo. Ho notato, dalle vostre recensioni all'ultimo capitolo, che a molte è sfuggita l'identità
della persona su cui Byung-Hee ha chiesto informazioni. E' Seung Su! ^^ Non fatemi di questi scivoloni...
il nome del tizioletto è chiaramente indicato alla fine del paragrafo... u.u

Buona lettura ragazzuole mie! Un mega bacione a tutte quante! <3
SkyScraper





 

Capitolo 23 – Dubbi e gelosie
 
Un sospiro pesante risuonò nel piccolo bagno, proprio mentre Kibum veniva fuori dalla doccia, tutto imbronciato e con i capelli bagnati. Il suo coinquilino sarebbe mancato per tutta la mattina. Al negozio di Jinki era arrivata della merce nuova, e il suo unico dipendente si sarebbe dovuto fermare in magazzino fino a orario di chiusura.
 
“Uff… però è sabato!” la mano si allungò verso il grande specchio, liberando la superficie riflettente dal sottile strato di vapore che ne offuscava l’immagine proiettata sopra. I lineamenti delicati, appena accartocciati dalla piccola smorfia che segnava la sua espressione, divennero via via più nitidi e scontrosi.
 
“Non è giusto!” sbottò Kibum, afferrando un asciugamano pulito e iniziando a frizionare con forza  i ciuffi chiari. “Io volevo stare con Jongie…” soffiò fuori, sempre più demoralizzato. Sospirò pesantemente, e le esili spalle si ammaccarono verso il basso, seguendo con il loro movimento il grosso quantitativo d’aria che era stato appena rilasciato.
 
Biip. Il palmare grigio vibrò impercettibilmente, accompagnando quel piccolo suono che segnalava l’arrivo di un nuovo messaggio. Le dita sottili si chiusero attorno allo strato liscio e lucido del suo involucro, portando il tecnologico oggetto sotto il naso del suo proprietario. La luce del display si accese, nell’esatto momento in cui Kibum sfiorò lo schermo con il pollice, e la nuova e-mail venne aperta.
 
“Ommaaa, che fai? Io mi annoio! x.x Ma la tua scimmia doveva proprio venire a chiedere l’aiuto del mio sensibile fidanzato?! Che seccatura! Così adesso siamo tutti e due qui a demoralizzarci…! Che dici? Facciamo qualcosa insieme? ^^”
 
Le dita corsero esperte sulla piccola tastiera virtuale, componendo velocemente un messaggio di risposta. Conferma. Invia. Ancora un ultimo sguardo allo specchio, e le guance si tinsero emozionate. Era ancora lì. Immutato e sfacciatamente ovvio. I polpastrelli umidi ne sfiorarono la base, girandoci più volte intorno, quasi avessero paura di toccarlo. Il marchio rosso del suo amore.
 
La prova che questo corpo gli appartiene. Dovrebbe infastidirmi. Pensare che qualcuno abbia creduto di potermi “segnare” come sua proprietà… per uno come me… dovrebbe equivalere a sentirsi in trappola. Eppure questa prigione mi piace. Le sue pareti sono calde e mi fanno sentire al sicuro. Sono come le sue braccia… dentro le quali è più bello salutare il nuovo giorno. Non c’è tetto… cosicché io possa sempre vedere il cielo. Le sbarre sono fatte di cioccolato e il mio letto conserva il suo profumo.
 

Jonghyun è la mia prigione
e il mio cuore ne è ormai pieno.

 

*****

 
Il giorno in cui mia madre andò via di casa io lo ricordo appena. Non ero molto piccolo, ma sono pochissime le immagini di quel momento che riesco a ricostruire. Non chiese di me. Probabilmente non le importava. Grace cercò di abbracciarmi, ma io sfuggii alla sua presa. Pioveva. Ne sono certo perché, quando arrivai nel vialetto, i miei capelli e i miei vestiti erano già fradici. C’era una macchina ad aspettarla, e lei vi salì, senza guardarsi indietro.
 
Non la odiai. Semplicemente… mi dimenticai di lei. Era una donna dedita alle amicizie altolocate e agli abiti di alta moda. Non aveva tempo (e voglia) di crescere un bambino. Mio padre rimaneva a casa tutti i fine settimana, e insieme uscivamo spesso. Mi portava allo zoo, al parco, a vedere i cavalli. E’ sempre stato presente per me, nonostante tutti gli impegni che gli dava il lavoro.
 
L’uomo con cui mia madre lo tradiva lo conobbi solo da adulto. Era una festa di beneficienza, di quelle a cui partecipano solo le persone influenti e piene di soldi. Il mio vecchio mi portò con sé. Lo fece perché era sabato, e quel giorno mi aveva promesso che saremmo stati insieme. In tutti questi anni… non ricordo che sia mai venuto meno alla parola data.
 
Quel tizio aveva le basette corte, e un paio di baffi ispidi e per niente gradevoli. Indossava uno smoking scuro, di alta sartoria, e teneva tra le dita un grosso sigaro per metà consumato. Lei gli camminava accanto, con il capo chino, in remissiva postura. Riconobbi nell’uomo al suo fianco… un vecchio socio di mio padre, che veniva spesso a casa, quando lui era fuori città. Ero abbastanza grande da cogliere la sottile ironia di quel momento, e risi piano, quando ci passarono vicino.
 
Fu allora che lei mi vide. Sollevò i suoi occhi spenti verso il mio volto sorridente, trovandoci stampata sopra la mia smorfia di derisione. Non ebbi pietà del suo viso invecchiato, né della pelle pallida o delle spalle ricurve. Quella donna mi era completamente indifferente. Il mio carattere freddo lo devo a mio padre, e mai come quel giorno… fui felice di possederlo. La guardai dall’alto in basso, scostandomi appena quando le nostre braccia furono sul punto di sfiorarsi. La sola idea di toccarla, anche se involontariamente, mi faceva venire il voltastomaco.
 
La persona al mio fianco era imponente. Il suo abito era stato perfettamente confezionato, da uno degli stilisti stranieri più famosi. Metteva in risalto le spalle larghe e la schiena fiera mentre, con assoluta indifferenza, continuava a parlare con il suo unico figlio, superandoli come se non li avesse neanche visti. Io gli sorrisi, e quelle due sagome sbiadite e prive di importanza scomparvero tra la folla.
 
Il momento più stupefacente dell’intera serata… fu quando lei si afferrò al mio braccio, subito dopo la fine dell’asta. Ero andato in giardino, lasciando il mio vecchio in compagnia di un tizio che non la smetteva mai di parlare, defilandomi nel lungo corridoio, con l’intenzione di accendermi una sigaretta. Probabilmente mi aveva seguito, perché non credo che un tale incontro fu semplicemente “un caso”.
 
I suoi occhi erano rossi e supplichevoli. Non ricordo le sue parole. Le ascoltai appena. Risi della sua espressione ferita, quando le dissi che non sapevo chi fosse. Mi liberai della sua presa con inaspettata irruenza, facendola barcollare e poi finire a terra. Non la aiutai, né mi fermai per accertarmi delle sue condizioni. L’abito da sera color lavanda era sudicio. Macchiato dalla pioggia acida che ricopriva l’intero giardino. Ironia della sorte… anche quel giorno aveva piovuto.
 
“Io non ho una madre” dissi solamente, gettando lontano ciò che restava della mia sigaretta. La lasciai lì, a struggersi nel proprio dolore. L’eco dei suoi singhiozzi non mi commosse, né scalfì in alcun modo la certezza della mia decisione. I miei passi proseguirono lentamente fino alla piccola entrata secondaria, dalla quale ero arrivato, e dietro di questa scomparvi.
 
Raggiunsi mio padre, allontanando dalle sue labbra il bicchiere che vi aveva appena avvicinato. “Non impari mai!” lo rimproverai, mandando giù il vino e sostituendolo con l’acqua. Lui storse le labbra, ma io gli sorrisi. “Andiamo vecchio… le tue povere ossa hanno bisogno di riposo”. La macchina con l’autista era fuori ad aspettarci. Prendemmo posto sui sedili posteriori, e la notte inghiottì nel suo silenzio il ricordo di quel penoso lamento.
 
Il ragazzo di cui mi sarei innamorato… l’avrei ritrovato pochi mesi dopo. Lo conoscevo già, e insieme avevamo trascorso gran parte della nostra infanzia. Le nostre case si trovavano l’una di fianco all’altra e capitava spesso, durante il pomeriggio, che ci tenessimo compagnia a vicenda. Quando era partito, per seguire il padre nei suoi viaggi d’affari, avevo anche pianto. Ma ero solo un bambino, e il ricordo di quel ragazzino dalla pelle pallida e gli occhi scuri scomparve rapidamente.
 
Quando ci ritrovammo invece… fu totalmente diverso. Mi si avvicinò un tipo dal fiato corto e le guance arrossate, bloccandomi per un polso, mentre io passeggiavo insieme ad una compagna di classe, tra i negozi di quel grosso centro commerciale. Non lo riconobbi subito. Dovette presentarsi, ripetendomi fino alla nausea che era tornato a Seul solo quella primavera.
 
Mi piacque immediatamente. I capelli scuri gli ricadevano sulla fronte, accompagnando con il loro ciuffo liscio i delicati lineamenti di un volto poco cresciuto. Avrà avuto tredici anni, forse quattordici, ma le gambe sottili e il sorriso radioso… mi fecero tremare le ginocchia. Era bello. Bello e incredibilmente timido. Abbandonai quella ragazza che continuava a farmi il filo da mesi, e accettai il suo invito di prendere un gelato insieme.
 
“Mi hai fatto correre come un matto per raggiungerti” mi disse, portando alle labbra la piccola ciliegia che si trovava in cima alla sua coppa maxi. Alla fine fui io a pagare. Gli piacevano i dolci, e vederlo mangiare con tanto gusto mi sciolse il cuore. Nell’arco di un paio d’ore capii che mi piacevano i ragazzi… e anche che non me ne importava assolutamente nulla.
 
Parlammo dei vecchi tempi, ricordando le ginocchia sbucciate e le sgrida dei genitori. Gli raccontai di mia madre, e la sua reazione mi lasciò senza fiato. Non avevo mai parlato con nessuno di quello che era accaduto tra i miei genitori. Era tutta colpa dei suoi occhi lucidi e delle sue labbra tremanti… ne ero certo. Scostò lentamente la sedia, mettendosi in piedi e venendomi vicino. La gelateria era piena di gente, ma a nessuno dei due importava.
 
Mi abbracciò forte. Talmente forte che rischiai anche di eccitarmi. Non soffrivo per l’abbandono di quella donna, ma approfittai di quel momento per stringerlo a mia volta. Il battito impazzito del mio cuore quasi mi uccideva, mentre il suo corpo sottile vibrava tra le mie braccia. Fu una sensazione strana… sconvolgente. Quando i nostri occhi tornarono a cercarsi, le sue guance rosse mi stregarono.
 
Mi innamorai di un tizio con cui giocavo a palla da piccolo. Un ragazzino dall’aspetto fragile e l’animo gentile, che si prese la briga di consolarmi, nonostante io non ne avessi bisogno. Passò un anno e mezzo prima della sua confessione. Diciotto mesi in cui uscimmo, guardammo un sacco di film, spesi tutte le mie paghette a dolci, e riempii di baci il suo tenerissimo viso.
 
Era il mio sole. Il mio ossigeno. Lo è tutt’ora. Anche quando le nostre strade si separarono bruscamente… anche quando le mie lacrime bagnavano ogni notte le federe pulite… io continuai ad aspettarlo. Sarebbe tornato, me l’aveva promesso. Mi fidavo di lui. Mi amava come io lo amavo, e tanto mi bastava per affrontare tutto quel dolore.
 

Sarò qui. Il giorno in cui ricorderai le tue parole… io ci sarò.
Tutto il tempo del mondo non sarebbe sufficiente. Niente… riuscirà a separarci”

 

*****

 
Minho si lasciò cadere sulla sedia, portando una mano alla fronte, trovandola incredibilmente umida e appiccicaticcia. Ancora un altro scatolone e si sarebbe gettato a terra, fingendo un infarto. Una pacca possente fece vibrare le sue spalle, e il suo vicino di casa sospirò pesantemente, sedendosi accanto a lui.
 
Jonghyun, distrutto e grondante di sudore, chiuse le dita attorno al tessuto di cotone, sollevandolo sull’addome. Utilizzò un angolo della maglia per asciugare il collo, avvicinandoci subito dopo la punta del naso. Una smorfia disgustata gli arricciò le labbra, mentre l’odore pungente della propria fatica gli invadeva le narici.
 
“Mi serve una doccia” borbottò, chiudendo gli occhi e poggiando la nuca alla parete. “Puzziamo da fare schifo!” aggiunse, accigliandosi. Se Kibum avesse sentito il tanfo di cui erano impregnati i suoi vestiti, sicuro che si sarebbe mantenuto ad una distanza di sicurezza di minimo dieci metri. “Bummie non mi darà neanche il bacio di ben tornato…”
 
Il moro rise piano, guadagnandosi una gomitata. “Non è colpa mia se il tuo coinquilino è un maniaco della pulizia!” lo rimbeccò, spintonandolo, già imbronciato e risentito. Il più grande non riuscì ad ascoltarlo, troppo impegnato ad afferrarsi alla parete, per evitare di finire lungo lungo sul pavimento. Due bottigliette vennero abbandonate sui loro grembi, mentre la voce calda di Jinki li distraeva dalla loro piccola zuffa.
 
“Smettetela di fare i bambini” li ammonì, ma il suo tono dolce non conteneva il minimo accenno di rimprovero. “Abbiamo quasi finito” aggiunse poi, liberandosi del maglioncino grigio. La canotta che indossava sotto era scura, e gli lasciava scoperte le braccia. Si era recato in negozio che erano già le 10:00, con l’intenzione di fare un saluto e svignarsela il più velocemente possibile. Inutile precisare… che non ci era riuscito.
 
“Quando sono passato da te…” mormorò, svitando il tappo e avvicinando il beccuccio di plastica alle labbra “Kibum era sul punto di uscire” concluse, facendo per mandare giù un lungo sorso d’acqua. A quelle parole, Jonghyun si mise rapidamente in piedi, urtando il suo braccio e rischiando di farlo soffocare.
 
“Yah!” sbraitò Jinki, sputacchiandogli l’acqua sul viso, mentre Minho lasciava qualche pacca vigorosa sulle sue spalle ricurve. Il bruno neanche lo ascoltava. Guardandosi freneticamente intorno, sembrava sul punto di fuggire via. Il primo passo venne mosso, ma l’assistente di laboratorio si affrettò ad afferrarlo per la collottola della maglia, trattenendolo.
 
“E’ con Taemin!” precisò, e quando anche il moro sgranò gli occhi… comprese finalmente la stupidità del proprio gesto. Adesso erano in due pronti a scappare. “Ma che diavolo vi prende? Andavano a fare un giro, mica ad inseguire qualche pornodivo!” strillò, chiudendo con un movimento secco la porta del magazzino, prima che i suoi vicini avessero il tempo di svignarsela.
 
“No, non va bene” mormorava Minho, che nel frattempo si era avvicinato al suo compagno di corsa, puntandogli entrambe le mani sulle spalle. “Dobbiamo vedere dove sono!” continuò, scrollandolo con forza. Non che Jonghyun avesse bisogno dei suoi consigli. Il piccolo palmare grigio era già stato sfilato dalla tasca posteriore dei pantaloni, e il numero di Kibum composto in tutta fretta.
 
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. L’orecchio del moro si era incollato all’aggeggio, e man mano che i secondi passavano, sul volto di entrambi appariva sempre più evidente il loro forte disappunto. “Non risponde!” quasi urlò il più grande, mentre la voce meccanica della segreteria metteva fine alla comunicazione.
 
“Provo io!” Minho si guardò rapidamente intorno, tastando contemporaneamente il pezzo inferiore della propria tuta. “Prova a chiamarmi” suggerì, irritato, tornando a guardare Jonghyun. Questi abbassò ritmicamente la testa, e Jinki fece spallucce, lasciandosi cadere su un grosso scatolone pieno di quaderni. Inutile cercare di fermarli. Non lo avrebbero ascoltato.
 
“Eccolo!” strillò il più piccolo, euforico, catapultandosi verso uno dei ripiani in alluminio, sui quali avevano appena finito di sistemare la merce. L’eco della suoneria si perse tra le sue mani, e le dita ansiose fecero scorrere rapidamente la rubrica. “Min risponde sempre quando lo chiamo” decretò, orgoglioso, facendo sbuffare il suo compagno di corsa.
 
Biip. Il padrone di casa sussultò, sorpreso, riconoscendo il piccolo suono proveniente dal suo cardigan. Si alzò, lasciando gli altri due alle loro faccende di spionaggio, e si avvicinò incuriosito al proprio maglioncino. Tirò fuori il proprio cellulare, e la bustina lampeggiante confermò la presenza di un nuovo messaggio.
 
“Ciao Hyung! ^^ Sei con quelle due testucce vuote? Stanno provando a chiamarci, ma abbiamo deciso di farli penare un po’. Dopotutto… sono stati loro a lasciarci soli! è.é Non dirgli nulla. Volevamo solo farti sapere che stiamo bene, nel caso ti fossi preoccupato per noi ^^ Stiamo andando in centro. Facciamo un giro per i negozi e poi torniamo a casa. A più tardi! Tantissimi bacetti (solo per te!) <3”
 
Jinki scosse la testa, ridendo piano di fronte a quell’inaspettata ripicca. Sollevò lo sguardo sugli altri due, trovandoli intenti a sbraitarsi contro. Erano sul serio due testucce vuote! Jonghyun afferrò la felpa, infilandosela velocemente, mentre non perdeva l’occasione per mollare un piccolo calcio contro la gamba del moro. Questi zoppicò fino al suo giubbotto, restituendogli subito dopo il favore.
 
“E’ colpa tua, accidenti!” borbottò Minho, andandogli vicino e spintonandolo appena. Il più grande, che era stato sul punto di aprire la porta, barcollò all’indietro, finendo col sedere su di un grosso scatolone con su scritto “candele profumate”.
 
“Ma sentilo questo qui!” ribatté Jonghyun, lanciandosi in avanti e buttandoglisi addosso, cercando di uscire per primo. “Min risponde sempre quando lo chiamo!” cantilenò, guardandolo in cagnesco, mentre le loro fronti si scontravano rumorosamente “Aishh!” sbraitarono, ed entrambi fecero un passo indietro, massaggiandosi le tempie doloranti.
 
“Avete finito?” si intromise a quel punto Jinki, che riusciva a stento a trattenere le proprie risa. “Sono insieme, e stanno andando in centro” decise di comunicare, spiattellando davanti alle loro espressioni allibite lo schermo luminoso. Le dita di Minho si chiusero frettolose sul piccolo cellulare, rubandoglielo di mano. Jonghyun, accanto a lui, si agguantò rapidamente al suo braccio, leggendo a sua volta il contenuto del messaggio.
 
Entrambe le bocche si spalancarono, totalmente incredule, e anche incredibilmente buffe. Il padrone di caso si portò una mano sulle labbra, ma di trattenere la propria fragorosa risata… non ne ebbe più la volontà.
 

*****

 
Il piccolo parco che stavano attraversando era pieno di bambini e ragazzi che si tenevano per mano. Kibum e Taemin fissarono una giovane coppietta, seduta all’ombra di un grosso albero, e i loro piccoli bronci vennero fuori quasi simultaneamente. “Uff…!” sbuffò il più grande, e la timida melodia di una chiamata entrante accompagnò quel piccolo suono abbattuto.
 
“Jong?” sbiascicò Taemin, che con le spalle ricurve e gli occhietti infelici, si stava aggrappando al suo braccio destro. Il biondo abbassò un paio di volte la testa, e un sospiro pesante rese ancora più afflitta la sua espressione. “Vuoi rispondere?” chiese allora il ragazzino, rabbonito dal suo sguardo triste.
 
“No! Deve soffrire!” esclamò Kibum, scuotendo freneticamente il capo e ricacciandosi il palmare in tasca. Neanche mezzo secondo dopo… anche quello del più piccolo riprese a suonare. “Non si arrendono…!” borbottò l’inquilino del 22/B, sollevando il colletto del cappottino bianco, mentre la propria andatura decisa costringeva Taemin ad affrettare il passo.
 
“Però è divertente!” squittì quest’ultimo, improvvisamente enforico. Un piccolo saltellò accentuò il suo buon umore, e il maggiore sorrise istintivamente del suo entusiasmo. “Non preoccupiamoci troppo. Jinki-Hyung sa dove stiamo andando. Vedrai che tra un po’ lo dirà anche a quei due sciagurati”.
 
Quelle parole rincuorarono l’animo sensibile di Kibum che, anche se non l’avrebbe mai ammesso, iniziava già ad avvertire i primi sensi di colpa. L’idea di far impensierire il suo grosso scimmione non gli piaceva molto… ma neanche quella di essere stato lasciato solo però!
 
Minnie ha ragione. Basta preoccupazioni! Gli farò rodere un pochino il fegato, e poi troverò il modo di farmi perdonare… quando saremo di nuovo soli. Oh! Smettila immediatamente Kibum! Non è il momento di fare certi pensieri! Prima di tutto sei per strada e poi… non eri arrabbiato con lui, fino a due secondi fa?!
 
Aishh! Come se potessi arrabbiarmi sul serio! Io già lo so come finirà. Lui arriverà a casa, e il suo tenero broncio sfiorerà il pavimento. Mi farò impietosire dai suoi occhioni tristi e finirò col riempirlo di baci. Dannazione a me! Come mi sono ridotto!
 
“Ehi omma, ma lo sai che questi pantaloni sono la fine del mondo?!” esclamò in quel momento Taemin, che stava rimirando con rinnovato interesse i suoi skinny fucsia, comprati solo qualche giorno prima sulla via verso casa.
 
“Belli vero?” rispose il biondo, imitando il suo stesso tono adorante “Li ho presi da poco. E’ la prima volta che li metto!” annunciò, ancheggiando più del solito, in un gesto che gli venne completamente involontario.
 
Kibum adorava i vestiti. Che fossero sportivi, eleganti o da lavoro. Gli piaceva comprarli, abbinarli, o anche semplicemente guardarli. Ci associava scarpe e accessori di qualsiasi genere, solo per il gusto di rendere più “ricercato” il proprio stile. Anche quel giorno si era messo tutto in tiro. All’università si limitava un po’, giusto per non dare troppo nell’occhio. Ma quando si trovava con i suoi amici, in giro per le vie di Seul… beh… era tutta un’altra storia.
 
Quella mattina aveva scelto quei pantaloni carinissimi, a cui aveva a malincuore staccato il talloncino. Voleva apparire “particolare”, ma non pacchiano. Il fucsia era già un colore di per sé molto appariscente, inutile accostarci tonalità troppo sgargianti. Così aveva optato per il bianco. Classico, elegante, e sempre alla moda.
 
Gli scarponcini, con un piccolo accenno di zeppa, erano di vernice. Legati sul davanti, gli fasciavano la caviglia e anche parte del polpaccio. Dello stesso colore era il cappottino corto, i cui primi bottoni erano stati lasciati volutamente aperti, con il solo scopo di rendere subito visibile la sottile pashmina rosa, che portava legata al collo. Gli piacevano quelle tonalità. E no, le proprie preferenze in fatto di abbigliamento non dipendevano solo dalle proprie tendenze sessuali.
 
Anche Jonghyun baciava i ragazzi eppure… l’idea di vestirlo di rosa era talmente buffa da rasentare il ridicolo! “Che c’è?” chiese Taemin, incuriosito dalla sua espressione divertita. Il più grande fece spallucce, ma non rispose, accarezzando brevemente i capelli castani del suo vicino.
 
“Io direi di cominciare dalla libreria!” annunciò invece, indicando con l’indice sinistro un gigantesco negozio ad angolo, che occupava ben tre saracinesche, e conteneva un numero esagerato di volumi di ogni genere, tutti minuziosamente ordinati.
 
Il più piccolo storse automaticamente le labbra, lasciando scorrere lo sguardo indeciso dalla grossa insegna azzurra agli occhi sbrilluccicosi della sua omma. Ci avrebbero perso almeno un’ora là dentro, e lui lo sapeva bene. Sospirò, troppo debole di fronte all’espressione raggiante di Kibum, e abbassò ritmicamente la testa, guadagnandoci un tenero buffetto sulla guancia paffuta.
 
“Ma non metterci troppo, ok?” volle precisare, lasciandosi guidare verso le strisce pedonali, mentre un numero consistente di altre persone si affiancavano a loro, aspettando pazientemente che la luce verde sostituisse quella rossa.
 

*****

 
Che suo padre sapesse… l’aveva già capito. Era sempre stato così tra loro. Le parole erano superflue. Quando quella sera lo guardò negli occhi, mentre gli augurava la buonanotte, il suo sguardo severo l’aveva trafitto. Non gli chiese scusa. Il suo vecchio non approvava, ma Byung-Hee non avvertiva il minimo rimorso per ciò che stava facendo. Lo chiuse forte nel suo abbraccio, e quando la sua stretta venne infine ricambiata, seppe che lo avrebbe appoggiato fino alla fine.
 
“Ti voglio bene” sussurrò al suo orecchio. L’uomo gli accarezzò il viso, sorridendogli. Non erano tipi di molte parole in famiglia, ma quel giorno fu diverso.
 
Se c’è una cosa per cui mi senta in obbligo di ringraziare Dio, ammesso che Egli esista davvero… non sono i soldi, né la bellezza. L’unica cosa per cui direi “Grazie”… sarebbe mio padre.
 
Era sabato, e quella mattina il signor Jung era a casa. Gli grugnì contro, mentre allontanava il dolce di Grace dalla sua vista, e suo figlio rispose alla sua protesta con una smorfia. “Lo hai mangiato ieri sera” precisò, tornando a sedersi. Byung-Hee non toccò la sua crostata, mettendola da parte.
 
“Non fare il carino con me!” borbottò suo padre, ma non gli diede ascolto. Da quando gli avevano diagnosticato il diabete, diversi anni prima, le regole culinarie della casa erano cambiate per tutti. Se la sua governante preparava un nuovo dolce… il ragazzo sapeva bene che era stato il suo vecchio a chiederlo.
 

Non lo faceva per se stesso, ma per me.

 
La notava la sua espressione contrariata, mentre lasciava che il maggiordomo portasse via dal proprio piatto tutto quello che suo padre non poteva mangiare. Non gli pesava. Non l’aveva mai ritenuto un sacrificio. In qualsiasi caso… non sarebbe mai riuscito a mandare giù un solo boccone… di quello stesso cibo che al suo unico genitore era stato proibito. Era un muto accordo. Il suo modo di sostenerlo.
 
“E chi lo farebbe” rispose, facendo spallucce “Perché dovrei fare il carino con un vecchiaccio scorbutico come te?” buttò lì, giusto per farlo infuriare. L’uomo pestò una mano sulla tavola, facendo tremare i bicchieri con la spremuta d’arancia (rigorosamente amara), strappandogli un sorriso. “Ho sentito che allo zoo non sono riusciti a trovare un orso bruno…” continuò, arricciando le labbra in una smorfia derisoria “Chissà… magari accetterebbero anche te”.
 
Si scansò giusto in tempo. Il fazzoletto di stoffa sfiorò i capelli castani, ma Byung-Hee si era già piegato verso destra, senza più riuscire a trattenere la propria risata. “Piccolo insolente!” urlò il signor Jung, guardandosi frettolosamente intorno, alla ricerca di qualche altra cosa da tirargli contro. Il ragazzo approfittò di quell’attimo di distrazione, chinandosi in avanti. Raccolse quel morbido riquadro color pesca che era finito a terra, e quando questo colpì suo padre in pieno viso… lui aveva già afferrato il casco, pronto alla ritirata.
 
“Ciao vecchiaccio! Vado a fare un giro!” strillò, senza neanche voltarsi. La sua espressione paonazza la conosceva benissimo. Recuperò i guanti dallo scrittoio, accanto alla porta della sala da pranzo, e la voce possente di suo padre lo raggiunse fino all’ingresso. Quelle parole le conosceva a memoria. Sempre le stesse. Ripetute ogni giorno, non appena il suo primogenito era sul punto di mettere un piede fuori di casa.
 
“Vedi di tornare tutto intero!” Byung-Hee sorrise, e il pesante portone in legno si richiuse alle sue spalle.
 
Pochi passi, estremamente leggeri e silenziosi, ma evidentemente… non abbastanza. Il primo leccapiedi venne fuori dal giardino, sollevando il suo cappello impagliato, mentre si inchinava pomposamente in avanti. Aishh… quanto li odio! Non ci badò, procedendo a passo spedito verso la saracinesca abbassata. Sarebbe potuto passare dall’interno, ma ci avrebbe messo molto tempo, e il rischio di essere “intercettato” era davvero troppo alto.
 
“Signorino, prendo la macchina?”
 
Ma che diavolo ho addosso?! Un segnalatore di movimento?! Grugnì che sarebbe uscito in moto, e il secondo pinguino sospirò, scuotendo la testa. Erano poche le persone in quella casa che tollerava, ma per fortuna la maggior parte del personale era stato “smaltito” l’anno precedente. Di inservienti fissi ne erano rimasti solo sei: Grace, le due cuoche, l’autista, il maggiordomo di sala e il portiere. Tutti gli altri visitavano la villa saltuariamente, o al massimo a giorni alterni, e avevano il compito di rassettare, ripulire e curare il giardino.
 
Infilò una mano in tasca, riconoscendo sotto i polpastrelli la forma rettangolare del telecomando. Non lo tirò fuori. Bastò esercitare una leggera pressione sul secondo pulsante, ad appena pochi metri dal suo obbiettivo, e la serranda arrugginita iniziò la sua lenta risalita, accompagnata dal fastidioso struscio delle sue assi metalliche.
 
Le strade di Seul brulicavano di gente, così diverse dalle vie di campagna a cui era abituato, ma altrettanto interessanti. Usciva spesso, il sabato mattina, con la scusa di comprare qualche libro nuovo o fare un giro in centro. La verità… era che gli bastava semplicemente avvertire il vento tra i capelli, mentre le chiacchiere delle persone gli riempivano le orecchie.
 
Svoltò a destra, superando con un ultimo slancio del motore un semaforo sul punto di divenire rosso. Rallentò, pochi metri più avanti, sbirciando il volto di una bambina paffuta, che teneva tra le piccole manine una bustina di caramelle gommose. Erano quelle al gusto di coca-cola e menta, e quel semplice particolare bastò a rabbuiare la sua espressione. Byung-Hee si diede dello stupido, serrando per un attimo le palpebre, ma il volto di un ragazzo dalle gote arrossate investì con forza i suoi pensieri, obbligandolo ad accelerare ancora una volta.
 
Gli alberi si susseguivano veloci, lungo quel piccolo viale che segnava l’inizio di una strada secondaria pressoché deserta. La sua voglia di “movimento” era già scomparsa. Si piegò verso sinistra, accompagnando con il peso del proprio corpo quella curva stretta e non completamente calcolata. Era distratto, e quella consapevolezza lo innervosì. Non voleva rischiare di rompersi l’osso del collo.
 

Ci sono ancora troppe cose che devo fare.

 
Una grande insegna azzurra, decisamente luminosa, risplendeva altezzosa… tra tutti i piccoli negozietti che le stavano vicino. Era una libreria piuttosto conosciuta, nonché una tra le meglio fornite delle città. L’idea di farci un salto non gli dispiaceva. Un piccolo sbuffo d’aria nera venne rilasciato dal suo tubo di scarico, e la moto proseguì spedita in direzione della sua meta.
 
Fu allora che lo vide. Non era solo, ma il ragazzino che gli camminava a fianco non lo riconobbe. Gli parve più piccolo, probabilmente uno studente delle superiori. Si accigliò appena, disorientato. Un cugino? Un amico? Scrollò le spalle. Poco importava. Si accostò alle due figure slanciate, seguendole con indolenza a pochi metri di distanza.
 
Si prese un attimo per osservarne l’abbigliamento. Non ricordava di averlo mai visto così appariscente in facoltà. Un sorriso nacque spontaneo sul suo volto, e Byung-Hee si decise finalmente a segnalare la propria presenza. Il muso arancione della moto si fece appena in avanti, mentre la sua domanda sarcastica faceva sussultare il suo tenero compagno di università.
 
“Ma dove diavolo li hai comprati quei pantaloni?!”
 

*****

 
Feci uno stratosferico balzo in avanti, portando istintivamente una mano sul petto. Chi caspita era questo qui?! Lasciai scorrere lo sguardo allibito dal suo giubbotto di pelle all’espressione radiosa della mia omma. Si conoscevano forse? Inarcai un sopracciglio, sempre più confuso, e Kibum si avvicinò immediatamente a quel tipo, salutandolo con un gigantesco sorriso.
 
“Minnie, lui è Byung-Hee. Frequentiamo la stessa università” una presentazione veloce, e neanche tanto esauriente. Peccato che, al solo udire quel nome, tutti i peli sulle mie braccia si rizzarono all’istante, neanche avessi preso la scossa. Accostai immediatamente l’immagine di quello sconosciuto ai numerosi racconti del mio coinquilino, e una nuova ondata di timore mi attraversò la schiena, facendomi rabbrividire.
  

Jonghyun-Hyung non ne sarà affatto contento…

 
“E lui è Minnie, il mio piccolo cucciolo” stava dicendo intanto omma, spettinandomi i capelli “Divide casa con Minho. Ti ricordi di lui, no?” aggiunse, e gli occhi scuri del nuovo arrivato tornarono a puntarsi sul suo viso. Sembravano entrambi piuttosto a loro agio.
 
Rimasi in silenzio per gran parte del tempo, osservando con spasmodica attenzione ogni loro movimento. Si toccavano spesso, notai subito. Quel tipo, Byung-Hee o come diavolo si chiamava, fermò la moto nella piccola zona parcheggio, poco più avanti, lasciandoci per un attimo da soli.
 
“Gli permetti di metterti le mani addosso?!” attaccai immediatamente la mia omma, rendendomi conto con un secondo di ritardo… di quanto il mio tono acido potesse risultare sospettoso. Chi se ne frega! Alla fine avevo ragione!
 
Kibum mi fissò, sorpreso, accigliandosi subito dopo. “L’ho fatto?” mi chiese, facendomi sgranare gli occhi e spalancare la bocca. Non se n’era accorto?! La sua espressione imbarazzata sembrava sincera, soprattutto quando si grattò nervosamente la testa, arrossendo come un pomodoro maturo.
 
“Dimmi che non hai intenzione di tradire Jong con quel tizio!” quasi strillai, afferrandolo per le spalle e strattonandolo con forza. La sua testolina bionda venne sballottata a destra e subito dopo a sinistra, ma la mia mezza crisi isterica non fece che aumentare. “Parlami! Dimmi che non è vero!” continuai ad urlare, e Kibum si liberò con uno strattone della mia presa, fissandomi furioso.
 
“Ma che diavolo stai dicendo?!” ribatté, aggrottando le sopracciglia e puntandomi il suo sguardo furibondo addosso. “Hanno fatto il lavaggio del cervello anche a te quei due imbecilli?!” sputò fuori, più inviperito che mai, lasciandomi di sasso. “Pensi davvero che sarei capace di fare una cosa del genere?!”
 
Ci rimasi malissimo. Le mie insinuazioni lo avevano profondamente ferito, e solo allora notai quell’ombra di risentimento, nascosta dietro la rabbia delle sue parole. Non sapevo cosa rispondere. Schiusi le labbra, ma quel tipo si trovava a soli pochi metri da noi, e l’espressione della mia omma cambiò velocemente, celando il suo disappunto dietro un grandissimo (quanto falso) sorriso di circostanza.
 
“Dove andavate?” chiese il ragazzone dai guanti di pelle, fermandosi di fronte a Kibum, ma puntando i suoi occhi circospetti direttamente sul mio volto. Si era accorto di qualcosa? Inarcò un sopracciglio, e io abbassai velocemente il capo. Sembrava piuttosto sveglio. Li seguii dentro la libreria, imbarazzato e completamente avvilito. Il mio vicino di casa continuava a non rivolgermi la parola.
 
Avevamo già sorpassato il secondo scaffale, mentre loro continuavano a scambiarsi diversi volumi, commentandone il contenuto con frasi fin troppo cervellotiche. Io non ci capivo nulla di quella roba. “E a te Taemin? Che libri piacciono?” quella domanda mi sorprese, facendomi anche avvampare per la vergogna.
 
La mia omma puntò i suoi occhi affilati sul mio viso, riversandomi addosso la sua sottile minaccia. Dovevo essere carino, vero? Sospirai, sollevando lo sguardo verso il ragazzo che aveva parlato, trovandolo pazientemente in attesa della mia risposta. Mi sorrise. Gli angoli delle sue labbra si sollevarono lentamente, stupendomi con la loro sincerità. Non era educazione, ma autentico interesse.
 
“Le storie dell’orrore” mormorai, accartocciando tra le dita un angolo del giaccone, mentre l’espressione severa di Kibum si addolciva lentamente. “Una volta l’ho costretto a vedere con me cinque film di fila” aggiunsi, indicando il mio vicino con un gesto del capo. “Gli stava per venire un attacco di cuore!” conclusi, ridendo piano, e anche Byung-Hee rise.
 
La mia omma non disse nulla, ma neanche si arrabbiò. Fece spallucce, proseguendo fino al quinto scaffale, subito seguito da noi altri. I titoli dei libri, in quella particolare sezione piuttosto ben fornita, attirarono immediatamente la mia attenzione. Era il reparto dedicato all’horror. “Scegline uno. Te lo prendo io”.
 
Mi avvicinai alla sua figura sottile, cercando di nascondere gli occhi lucidi sotto la frangetta, e chiusi la mia mano attorno alla sua. Ero stato proprio stupido, no? Come avevo potuto trattarlo in quel modo? Kibum svolgeva un ruolo insostituibile nella mia vita, viziandomi e rimproverandomi di continuo… come solo le mamme sanno fare. Adoravo i suoi abbracci e le sue dolci premure, ogni volta che mi lasciava il pranzo già pronto, o quando veniva a bussare alla nostra porta, prima di mettersi a letto, solo per augurarmi la buonanotte. Non avrei dovuto dire certe cose di lui.
 
“Grazie” mormorai, e le sue dita sottili mi accarezzarono brevemente la testa. Scelsi il libro da portare a casa, prestando molta attenzione al prezzo, stampato sul retro della copertina. Conoscevo bene la situazione familiare della mia omma, e non avevo la benché minima intenzione di gravare negativamente sulle sue finanze.
 
Il volume scuro scivolò sul piccolo bancone accanto all’entrata, subito recuperato dalla mano delicata di una ragazzina dai capelli biondi. Era molto carina, e il sorriso che mi rivolse mi imbarazzò non poco. Ci stava forse provando?! La bassa risata di Kibum mi fece serrare le labbra, mentre spostavo il mio sguardo infastidito sulla sua espressione divertita. Si, si stava proprio prendendo gioco di me.
 
“Avresti potuto lasciarglielo il tuo numero di cellulare, no?” mi punzecchiò, appena usciti, e la sua risata squillante fece sorridere anche il ragazzo che ci stava venendo dietro. Scrollai le spalle, decidendo di ignorare le sue battutine, e la mia omma gonfiò istintivamente le guance, indispettita dalla mia indifferenza.
 
“Mmm… si, sarebbe stato carino…” dissi piano, fingendomi sovrappensiero, sfogliando distrattamente le prime pagine del mio ultimo acquisto “Sono certo che ti saresti divertito molto anche tu” aggiunsi poi, e le sue sopracciglia inarcate mi spronarono ad andare avanti. Si puntò un dito sul petto, senza capire, ma il mio sorriso enigmatico non gli fu di molto aiuto. “Certo omma, cosa credi? Avrei concesso a te… l’onore di raccontare a Minho-Hyung quello che era successo”.
 
Sbiancò, impaurito dalla sola possibilità di trovarsi immischiato in un fattaccio del genere, e le dita sottili si mossero automaticamente verso il collo, serrandosi intimorite attorno alla gola. Deglutì rumorosamente, e tanto bastò per decretare la mia schiacciante vittoria sul suo sarcasmo impertinente. “Uno a zero per me!” cinguettai, gongolante, ma le parole che seguirono quella piccola provocazione… agghiacciarono il mio di sangue.
 
“Quindi non siete solo semplici coinquilini?” il tono schietto, nonché l’evidente insinuazione che quella domanda celava, mi colsero completamente impreparato. Byung-Hee puntò il suo sguardo diretto sul mio volto, soppesando la mia espressione con i suoi penetranti occhi scuri. Mi ero scordato di lui! “Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese ancora, spostando la propria attenzione sulla mia snaturata omma.
 
Kibum infatti stava sghignazzando, senza il minimo pudore, osservando il mio smisurato disagio con i suoi occhietti da gatto pieni di divertimento. “Ben ti sta!” sembrava volesse dirmi, ma io non riuscii a trovare nulla di sensato con cui ribattere. Continuavo a tenere gli occhi sgranati e le labbra semiaperte. La mia capacità di formulare un pensiero assennato… era andata a farsi strabenedire!
 
“Il mio cucciolo è solo un po’ timido” rispose il mio vicino di casa, avvolgendomi un braccio intorno alle spalle e scrollandomi dolcemente. “Si, lui e Minho fanno coppia” annunciò, risoluto. Una forte ondata di calore risalì velocemente il mio corpo, concentrandosi proprio lì… sulle guance che sembravano sul punto di prendere fuoco. “Minnie, stai andando in iperventilazione” mi canzonò omma, accarezzandomi il viso, forse cercando di tranquillizzarmi.
 
“Non c’è mica bisogno di aver paura” quel tono caldo e pacato, quasi piacevole, mi sorprese. Byung-Hee si era avvicinato di un passo, sorridendomi placidamente. “Facciamo parte della stessa squadra, sai?” disse ancora, portando una mano accanto alla bocca, quasi stessimo cospirando di chissà quale piano criminale.
 
Ci misi un po’ ad afferrare il significato di quelle parole. Interminabili secondi in cui, sia l’uno che l’altro ragazzo al mio fianco, si scambiarono uno sguardo di muta intesa, sorridendosi a vicenda. No! Non poteva essere! Quel tizio tutto pelle e strafottenza era….?!?! Impossibile!
 
“Ecco perché Jonghyun si fa le seghe mentali…”
 
La mia voleva essere una semplice osservazione, possibilmente privata. Una di quelle cose che racconti a te stesso, tra i silenziosi meandri del tuo cervello in pappa. E invece io, idiota che non ero altro, avevo appena commesso un madornale errore, utilizzando la mia lingua sconsiderata per rivelare qualcosa di molto imbarazzante.
 
Kibum e Byung-Hee mi fissarono allibiti, ovviamente impreparati ad ascoltare una considerazione così sincera. Il primo arrossì rapidamente, contagiato dal mio stesso disagio. Ma la reazione del ragazzone con i capelli scuri fu quella che mi lasciò più basito. Portò un braccio attorno alle spalle della mia omma, trascinandosela vicino con un movimento sfacciatamente confidenziale.
 
Stava già ridendo mentre, cercando il suo sguardo sorpreso, formulava con palese divertimento la sua domanda. “Quindi il tuo bello è geloso di me, mmh?”
 

*****

 
Quando Taemin entrò nel piccolo negozio, procedendo a passo spedito verso il magazzino, Jinki fece appena in tempo a scorgere la sua espressione preoccupata, aggrottando la fronte e andandogli dietro. Era successo qualcosa? Lo trovò sul retro, intento a parlare con Minho. Gli parve un discorso piuttosto concitato, che aveva tutta l’aria di non promettere nulla di buono.
 
“Kibum?” chiese immediatamente l’assistente di laboratorio, affiancando le figure dei suoi vicini di casa.
 
Il più piccolo strinse impercettibilmente le labbra, spostando il suo sguardo infastidito sul ragazzo che aveva appena parlato. “E’ fuori, ma non è questo il problema” commentò, incrociando le braccia sul petto e sbuffando pesantemente. “Mi sono preoccupato inutilmente a quanto sembra” aggiunse subito dopo, indicando con un gesto ampio del braccio l’interno del grande stanzone. “Quella scimmia se n’è andata!”
 
Jinki non nascose una piccola smorfia contrariata, deviando lo sguardo e facendo un rapido segno d’assenso. Jonghyun era uscito da poco più di venti minuti. Hyuri era arrivata in negozio senza preavviso, proprio mentre loro finivano di sistemare gli ultimi scatoloni di merce. Aveva chiesto all’amico di accompagnarla in un posto, sul quale nessuno aveva carpito grandi dettagli, e il maggiore si era velocemente congedato, andandole dietro.
 
“Non riesco a crederci!” sbottò Taemin, spalancando le braccia stizzito, per poi lasciarle ricadere con rabbia lungo i fianchi stretti. “Omma ha passato metà mattinata a sospirare, perché non poteva stare con lui. E quell’idiota che fa? Finisce prima e va via con qualcun altro?!” sbraitò, arricciando le labbra in una smorfia totalmente infastidita. “E io che mi stavo perfino preoccupando per lui!”
 
Il padrone di casa, che aveva seguito tutto il discorso con mesta accondiscendenza, sollevò lentamente la testa, accigliandosi. “Perché ti sei preoccupato per lui?” chiese immediatamente, trovando riflessa nello sguardo di Minho la sua stessa domanda. Questi infatti si era rapidamente tirato su, abbandonando la piccola sedia sulla quale si era stravaccato a fine lavoro. Gli occhi scuri avevano cercato quelli indecisi del suo coinquilino, obbligandolo a parlare con la sola intensità del proprio silenzio.
 
“Abbiamo incontrato quel tipo, per strada…” sbiascicò fuori il più piccolo, grattandosi nervosamente la testa. Entrambi continuavano ad osservare la sua espressione imbarazzata, senza comprendere a pieno  il significato delle sue parole. “Byung-Hee, giusto? Quel ragazzo che frequenta l’università con voi” chiarì, con una piccola smorfia, e lo sguardo del moro lo spinse automaticamente a fare un passo indietro.
 
“Kibum è con lui?” la voce gelida di Minho intimorì il suo dolce coinquilino, le cui spalle si irrigidirono, obbligando Jinki ad intervenire prontamente nella loro conversazione.
 
“Non c’è bisogno di scaldarsi” decretò sicuro, poggiando una mano sul braccio del maggiore, come un muto invito a riacquistare la calma. “E’ successo qualcosa di… spiacevole?” aggiunse poi, riportando la propria attenzione sull’espressione ansiosa di Taemin.
 
“N-No” balbettò questi, e un sorriso tirato gli incurvò le labbra carnose “E’ un tipo apposto” mormorò, mentre i suoi occhi timorosi tornavano a cercare quelli del moro. “Lo so quello che Jonghyun pensa di lui, ma… non mi è sembrato cattivo” precisò, improvvisamente più coraggioso. “E poi… abbiamo solo fatto un giro. Non era un incontro programmato”.
 
Minho sbuffò pesantemente, facendo sospirare Jinki, che al contrario di lui non trovava nulla di male in quello che i suoi amici avevano fatto. “Se è stato casuale, non vedo dove sia il problema” osservò, ripensando invece alla scelta intenzionale di qualcun’altro, che aveva tranquillamente lasciato il negozio, senza preoccuparsi di avvisare Kibum.
 
“La tua preoccupazione era dovuta a Jonghyun?” disse ancora, e Taemin abbassò ritmicamente la testa, arricciando le labbra. “E’ andato via con Hyuri, ma dovrebbe essere qui a momenti” raccontò, mentre gli occhietti adirati del più piccolo facevano trasparire tutto il disappunto che stava provando. “Forse è meglio se andiamo fuori. Ci sta aspettando, vero?”
 
La sua domanda non ottenne risposta. Il ragazzino dai capelli castani si incamminò spedito verso la porta, sfuggendo con un movimento veloce alla mano che si era protesa nella sua direzione. Minho fissò le sue spalle tese, proprio mentre Taemin abbandonava il magazzino, lasciandosi sfuggire un’imprecazione.
 
“Sei stato ingiusto” la voce di Jinki lo trapassò con la propria durezza, spingendolo a cercare il suo sguardo “Non c’è nulla di male ad incrociare un conoscente per strada e passarci qualche tempo insieme. Sono grandi e vaccinati, non potete pensare di poterli tenere per sempre al guinzaglio” il padrone di casa scosse la testa, osservando con rammarico l’espressione abbattuta del più piccolo.
 
“Dovreste fidarvi delle persone con cui avete deciso di intraprendere un tipo di rapporto così intimo… non dubitare della loro buonafede, ogni volta che si avvicinano a qualcun altro” una piccola pacca venne depositata sulle spalle, adesso ricurve, di Minho “Comportati come hai sempre fatto, e vedrai che gli passerà in fretta. Si è sentito ingiustamente attaccato dalla tua reazione, ma questo non vuol dire che i suoi sentimenti per te possano mutare con tanta facilità” concluse, spingendolo dolcemente verso l’uscita “Vieni, raggiungiamo gli altri”.
 
Kibum si trovava di fronte a Byung-Hee, con Taemin accanto. Quest’ultimo stava cercando di rispondere in modo più cauto possibile alle sue domande, ma affrontare una conversazione del genere con la sua omma… si era rivelata un’impresa assai ardua.
 
“Che vuol dire che è andato via?!” esclamò il biondo, assottigliando lo sguardo, inchiodando con la propria furia l’espressione rammaricata del più piccolo.
 
“Con Hyuri. M-Mi hanno de-detto solo que-questo” balbettò, sollevando istintivamente i palmi aperti davanti al volto, pronto a difendersi da una possibile crisi isterica. “M-Ma tra un po’ to-torna” aggiunse, cercando di placare con quell’insignificante dettaglio… la lunga serie di improperi che Kibum stava riservando al proprio coinquilino.
 
“Sarà andato qui vicino. Forse a comprare qualcosa” intervenne il ragazzo accanto alla moto arancione, attirando l’attenzione del gattino bisbetico con il proprio tono pacato e conciliante “Vedrai che tra un po’ comparirà da quell’angolo, con una spiegazione più che valida” cercò di tranquillizzarlo, sorridendogli con dolcezza.
 
Il biondo storse le labbra, ma se non altro smise di scagliare imprecazioni a destra e a manca. “Non mi ha detto niente” borbottò, incrociando le braccia. Byung-Hee rise piano, scompigliandogli i capelli, proprio sotto gli occhi sgranati di Minho, che era stato sul punto di avvicinarsi insieme a Jinki. “Sei proprio testardo, vero?” mormorò, con le dita tra i ciuffi spettinati, lasciandogli subito dopo un buffetto sulla guancia. “Non fasciarti la testa prima del tempo. Non sarà successo nulla”.
 
Kibum inspirò profondamente, puntando i suoi occhietti tristi sull’espressione rassicurante del più grande, e rilasciò lentamente l’aria che aveva accumulato nei polmoni, liberandosi con un ultimo sospiro della propria collera. “Davvero molto bravo…” mormorò il padrone di casa, che si era portato l’indice destro alle labbra, fissando con rinnovato interesse quell’inaspettata scena.
 
“Non trovi che sia strano però” bisbigliò di rimando il moro, tutt’altro che positivo, affiancandolo con circospezione “Solo Jonghyun, fino ad oggi, era riuscito a farlo sbollire così velocemente” osservò, e lo sguardo divertito di Jinki… perse per un attimo tutta la propria sicurezza. Non ci aveva pensato.
 
Byung-Hee salì in sella alla sua moto, portando una gamba al di là dell’elegante siluette arancione, mentre era già sul punto di infilare il casco. Una mano venne protesa velocemente nella sua direzione, e la stretta di Kibum si chiuse attorno al suo braccio. Il maggiore inarcò un sopracciglio, cercando il suo sguardo imbarazzato, e il biondo abbozzò un timido sorriso.
 
“Mi stai chiedendo di lasciarmi usare?” il tono divertito del ragazzo dagli occhi scuri tinse di rosso le morbide guance del più piccolo, che abbassò ritmicamente la testa, senza trovare il fiato per rispondergli. Byung-Hee scrollò le spalle, agganciando il casco all’estremità sinistra del manubrio, rimettendosi in piedi. “Va bene, mi sacrifico” concesse, stranamente accondiscendente, lasciando piuttosto perplesso l’ingenuo Taemin.
 
Non ci sto capendo niente! Che diavolo stanno confabulando questi due? Usarlo? Ma usarlo per cosa?! Aishh, santa omma! Spero solo che questo tuo ingegnoso piano non si riveli un disastro. Ho come il timore che tutta questa storia finirà col sfuggirti di mano. Oh dannazione, eccolo che arriva!
 

*****

 
Svoltai l’angolo, massaggiando con una smorfia i muscoli indolenziti. Quelle buste pesavano un accidente. Ma come cavolo pensava di riuscire a portarle tutte?! Da sola, per di più! Hyuri è sempre stata troppo cocciuta. Così mi ero visto costretto ad abbandonare il negozio, per niente felice di dover rimandare il rientro a casa, ma comunque consapevole di non poter lasciare a quella piccola svampita il suo enorme carico.
 
Ci avrei messo poco. Infondo sua madre abitava a pochi isolati da lì. Feci il più velocemente possibile, mentre le mie braccia iniziavano ad urlare pietà, troppo affaticate dal precedente lavoro in magazzino. Non vedevo l’ora di farmi una doccia, per poi potermi finalmente concentrare su quel tenero micetto che era il mio coinquilino. Sfilai istintivamente il cellulare dalla tasca, sorridendo come un idiota, senza badare molto alla strada che mi si stava aprendo davanti. Avevo voglia di sentire la sua voce.
 
Uno squillo. Due squilli. E una timida melodia attirò la mia attenzione, facendomi sollevare lo sguardo. I miei passi si bloccarono automaticamente, e la mano che stringeva il palmare scivolò silenziosa lungo il fianco, scordandosi di mettere fine alla chiamata. Bummie era davanti a me, e i suoi occhi felini non sembravano affatto felici di rivedermi. In tutta onestà, in quel momento, neanche io ero particolarmente euforico.
 
Riconobbi immediatamente il ragazzo al suo fianco, che invece non mi degnò di considerazione. Continuava a tenere lo sguardo puntato sul volto tirato del mio coinquilino, e un piccolo sorriso divertito gli incurvava le labbra, accentuando il mio mal’umore. Minho e Jinki li notai appena, così come Taemin, che mi guardava impensierito. Quando il mio compagno di corsa mi arrivò accanto, le sue spiegazioni concitate mi fecero salire il sangue al cervello.
 
“Si sono incontrati per strada. Min dice che non è successo nulla. E’ andato con loro in libreria e poi li ha accompagnati fin qua” mi raccontò, poggiando contemporaneamente una mano sul mio braccio, quando quello stramaledetto idiota si mosse ancora più avanti, avvicinandosi ulteriormente a Kibum. “Stai calmo Jong! Vedrai che adesso andrà via” cercò di rassicurarmi, ma ciò che avvenne dopo… quasi mi faceva esplodere la testa.
 
Bummie si era voltato a guardarlo, probabilmente sorpreso da quell’inaspettata vicinanza. Byung-Hee gli disse qualcosa, e lui abbassò ritmicamente la testa, serrando le labbra e sollevando il mento. Che diavolo stava facendo?! Avvertii distintamente l’aggrovigliarsi delle mie budella, quando quella sudicia mano sfiorò il suo viso delicato. Non ci vidi più dalla rabbia. Strinsi con forza i pugni, liberandomi della stretta di Minho con uno strattone.
 
Li raggiunsi con poche falcate, raggirando Jinki con un ringhio sordo, e Taemin, stranamente temerario, si piantò davanti a me, bloccandomi il cammino. “Hyung noi…” cercò di dirmi, ma di parole per rassicurarmi era ovviamente sprovvisto, perché richiuse con rammarico le labbra, deglutendo rumorosamente.
 
“No, non c’è niente. Deve essere stato solo il vento” quella voce profonda e tranquilla mi colpì il viso, più forte e derisoria di uno schiaffo. Byung-Hee fece un passo indietro, allontanandosi da Kibum, e lui gli sorrise, ringraziandolo. “Non ti conviene sfregarlo comunque, prova a metterci un po’ d’acqua quando arrivi a casa”.
 
Fu allora che parvero finalmente ricordarsi della mia presenza. Il più piccolo si voltò a guardarmi, evidentemente soddisfatto, e il sorriso che mi rivolse quasi mi gelava il sangue. Era arrabbiato. Eccome se lo era. Il ragazzo dai guanti di pelle si mise rapidamente in sella alla proprio moto, ma il forte ruggito del suo motore lo notai appena. Bummie si voltò nuovamente verso di lui, sorridendo al suo saluto, quando quel tipo portò due dita sulla visiera sollevata. C’era una strana intesa tra loro, e quella consapevolezza incendiò ancora una volta il mio sangue.
 
Allungai istintivamente una mano in avanti, proprio mentre l’espressione divertita di quel bastardo si puntava sul mio volto, e chiusi con forza le dita sul polso di Kibum, trascinandolo al mio fianco. “Che diavolo aspetti?!” sputai fuori, indicando la strada, ormai stanco di nascondere il mio astio nei suoi confronti. Byung-Hee rispose alla mia provocazione con una fragorosa risata, affatto intimorito.
 
Una nuvola nera accompagnò la sua partenza, insieme alle sue ultime parole, che però non vennero indirizzate alla mia persona. “Ci vediamo lunedì” disse, e la sua voce venne fuori appena attutita, smorzata dal rivestimento interno del casco che aveva indossato. Il mio coinquilino abbassò ritmicamente la testa, e quello sgommò via.
 
Non gli diedi neanche il tempo di svoltare l’angolo, scrollai con forza il braccio di Kibum, obbligandolo a voltarsi. Mi fissò, con i suoi occhi affilati, freddi e inespressivi. Mi bloccò il respiro in gola perché… quella persona che mi stava affrontando con tanta arroganza… io non sapevo chi fosse. Una piccola smorfia deformò i suoi lineamenti sottili. C’era disgusto nelle sue parole.
 
“Lasciami!” strillò, improvvisamente furente, liberandosi della mia presa con un movimento deciso, pronto alla ritirata. Non gli avrei permesso di fuggire via, e lo agguantai nuovamente, bloccandolo per le spalle. Il suo sguardo era tutta una minaccia di morte. Odiava essere sottomesso alla mia forza, e quella sua natura competitiva mi riaccese dentro una piccola scintilla di eccitazione.
 
“Vuoi farmi ammazzare qualcuno?!” ribattei, ugualmente adirato, scuotendolo appena. Non volevo fargli del male. Nonostante tutta la rabbia che la sua “provocazione” mi aveva smosso dentro, non sarei riuscito a torcergli un capello neanche volendo. Perché era di una vendetta che stavamo parlando, vero? In un primo momento… la gelosia aveva completamente offuscato il mio giudizio, ma subito dopo… era stato lo stesso Kibum a farmi rinsavire.
 
I suoi occhi soddisfatti e il sorriso derisorio, mentre lasciava che Byung-Hee si allontanasse da lui, erano stati più loquaci di mille parole. “Come se te ne importasse qualcosa!” mi ringhiò contro, cercando ancora una volta di liberarsi. “Vai via! Torna dalla tua amichetta del cuore! Che c’è? Vuoi forse dirmi che sono più importante di lei?!” urlò, e quando il suo piede si accanì con forza sul mio stinco, trattenere un’imprecazione mi fu impossibile.
 
“Sono venuto qui per stare con te, e guarda un po’ cosa mi dicono?!” sbraitò, assestandomi un ceffone sulla nuca. Io, che mi ero istintivamente piegato per massaggiare la caviglia, fui sul punto di sfiorare l’asfalto col muso. “Mi dispiace, è andato via con Hyuri!” riuscii a bloccargli il polso destro, pochi secondi prima che il suo pugno chiuso si abbattesse sul mio petto. Diavolo… diventava una furia quando si arrabbiava!
 
“Tu… brutta zotica e irriconoscente scimmia dei miei stivali!” sibilò, e se in quel momento avesse avuto una pistola tra le mani… avrei fatto bene a darmela a gambe levate. “Dovresti baciare la terra dove cammino, non fare il carino con quella lì!” urlò quelle parole con tutto il fiato che gli era rimasto, assestandomi una manata sulla fronte, quando un sorriso nacque spontaneo sulle mie labbra.
 
Finii col sedere a terra, davanti agli occhi sconvolti di tutti gli altri. Minho e Jinki mi vennero immediatamente vicini, aiutandomi a rialzarmi. Mi piegai in avanti, lasciandomi andare ad una fragorosa risata, rendendo ancora più stralunati i loro sguardi preoccupati. Credevano che fossi impazzito, vero? Beh, magari ero pronto per la camicia di forza ma… tutta la furia del mio piccolo micetto… non poteva che rendermi euforicamente svitato!
 
“Bummie, dove vai?!” gli gridai dietro, tra un colpo di tosse e l’altro, mentre il suo piccolo sedere si allontanava, provocantemente rivestito da quegli eccentrici pantaloni. Il suo modo di camminare… avrebbe mandato al manicomio perfino il più virtuoso fra gli esseri umani. O magari ero solamente io, che ad ogni nuovo movimento delle sue gambe affusolate, perdevo un po’ della mia collera, trascinandomi a fatica al suo inseguimento.
 
“Fottiti Jonghyun!” mi strillò di rimando, senza neanche voltarsi, e la sua camminata elegante si trasformò ben presto in un’arrestabile corsa. Io, ancora affaticato dal lavoro, e ammaccato dalle sue percosse, mi affannai per stargli dietro. Dannazione… era inaspettatamente veloce quel gattino impazzito!
 

*****

 
Non era riuscito a fermarmi. Gli avevo distrutto a dovere una gamba, e tutto lo sforzo al negozio aveva sicuramente fatto il resto. Nonostante la rabbia che avvertivo dentro, provai una leggera contrazione ai muscoli dello stomaco, quando il suo respiro pesante divenne via via più vicino. Era sul punto di raggiungermi, lo sapevo. Un’ultima spinta, appena dolorosa, sui polpacci ormai indolenziti, e il portone di casa lo trovai miracolosamente aperto.
 
Mi venne istintivamente da ridere, mentre annaspavo verso le scale, totalmente distrutto e grondante di sudore. Chi me lo avrebbe dovuto dire? Io, Kim Kibum, con tutte le mie paranoie sull’igiene e la pulizia, avvertivo distintamente il rivolo sottile che mi stava scivolando tra le scapole, accarezzando con la sua maleodorante consistenza l’elastico dei boxer. Il mio regno per una doccia!
 
Feci appena in tempo a infilare la chiave dalla punta seghettata nella toppa della porta, che il suo corpo mi arrivò praticamente addosso. Cercai di liberarmene, rifilandogli una gomitata sul fianco, e lui si lamentò sommessamente, allentando la presa quel tanto che bastava per permettermi di catapultarmi in casa. Mi liberai velocemente del giubbotto, lanciandoglielo addosso.
 
“Stai lontano da me!” strillai, cercando di non soffermarmi più del necessario sulle braccia scoperte e il respiro pesante. Era sempre sexy il mio scimmione, ma quel pelo di affanno, unito ai capelli in disordine e allo sguardo intenso… gli donavano un aspetto vagamente selvaggio.
 
“Sono stato sul punto di fare un occhio nero a quel tizio” buttò fuori, mentre il suo petto si abbassava e si rialzava faticosamente, cercando di recuperare l’ossigeno di cui la corsa lo aveva privato. “Mi sono lasciato prendere a calci da un piccolo micetto impudente come te” disse ancora, e l’ombra di quel sorriso sfrontato che gli ammorbidì le labbra mi fece rabbrividire “Ho attraversato mezza città correndo come un pazzo e…” inspirò profondamente, inarcando un sopracciglio e muovendo il primo passo verso di me “Pensi davvero che mi fermerò adesso…?”
 
Mi precipitai verso il tavolo circolare, girandoci lentamente intorno, ogni volta che lui era sul punto di venirmi vicino. Era un’ottima tattica. Non sarebbe riuscito a prendermi tanto facilmente. “Sei andato via con quella!” lo rimproverai, mentre una piccola morsa allo stomaco mi costringeva a distogliere lo sguardo. Non importava quanto mi fossi divertito a vedergli perdere la testa, e neanche tutta la voglia di saltarmi addosso, che gli vedevo riflessa negli occhi. Il problema di fondo non era ancora stato risolto.
 
“L’ho solo aiutata a portare a casa le buste della spesa” rispose, ma il suo tono dolce e rassicurante non riuscì a raggirarmi. “Nessuno le ha viste queste buste!” ribattei prontamente, sollevando il mento e sfilando la pashmina rosa. Anche questa gli finì addosso, ma… invece di allontanarla… Jonghyun se la portò al naso. Chiuse gli occhi, inspirando a pieni polmoni sul suo morbido tessuto, strappandomi un lungo brivido per tutta la spina dorsale.
 
“C-Che fai?” balbettai, dandomi dello stupido. Le mie guance avevano già preso fuoco. “Sa di te…” mormorò, rauco e vagamente eccitato. I miei occhi scivolarono istintivamente sui pantaloni che stava indossando, cercando con crescente disagio la prova alle mie supposizioni. La sua erezione mi seccò la gola, facendo aumentare il mio battito cardiaco e serrare le palpebre.
 
“Ne hai approfittato…” ansimai, improvvisamente a corto di fiato, quando le sue braccia calde mi circondarono, obbligandomi a riaprire gli occhi. Quella vicinanza mi impauriva, così come la sua bassa risata sul mio collo. Non potevo permettergli di annebbiare il mio giudizio. Le sue fusa avrebbero dovuto aspettare. Annaspai, cercando di allontanarmi, ma io ero ormai sfinito, e le labbra che avevano preso ad accarezzarmi l’orecchio sinistro mi strapparono un piccolo gemito.
 
“Le aveva lasciate fuori” sussurrò, facendo scivolare le mani lungo i miei fianchi, per poi spingermi ancora una volta contro il suo corpo. “Ti sei lasciato toccare…” aggiunse, serrando i denti sulla base del mio collo, e l’esclamazione di dolore che mi risalì la gola non riuscii a trattenerla. “Non importa quello che succede tra noi” soffiò sulla mia pelle, lasciando scorrere la lingua sul punto che aveva appena ferito. “Se gli permetti di farlo ancora…”
 
Non terminò la sua minaccia, ma il brusco movimento con il quale mi obbligò ad appiattirmi contro il muro… chiarì perfettamente le sue intenzioni. “Dovevi venire da me!” esclamai, adirato, sfuggendo alle labbra che tentarono di catturare le mie. Avrei voluto prenderlo a sberle. Come si permetteva di fare la predica a me, quando era stato lui il primo a sbagliare?! Bloccò i miei polsi senza difficoltà, sollevandoli con un movimento deciso oltre la mia testa, chiudendoci intorno la propria morsa inattaccabile. Non potevo batterlo. Almeno… non sul piano fisico.
 
“Dammi un buon motivo per cui dovrei crederti…” sibilai, mostrando i denti e spingendomi automaticamente in avanti. Jonghyun mi fissò, sconcertato. Sul serio non capiva? “Solo tu puoi essere geloso?” mormorai, e tutta la mia rabbia scivolò lentamente via dal mio corpo, sopraffatta dalla tristezza che il suo comportamento mi aveva lasciato addosso. “Sono stanco di giocare” conclusi, divincolandomi ancora una volta. Le mani che mi bloccavano divennero d’un tratto più insicure, e io riuscii a liberarmi facilmente dalla loro presa.
 
Chinai il capo, sconfitto, mentre lui faceva inconsapevolmente un passo indietro, permettendomi di allontanarmi. Avvertii le prime lacrime pungermi gli occhi. Mi avrebbe lasciato andare via così? Il peso di tutti i miei dubbi mi arrivò addosso, con la forza di un macigno, obbligandomi a piegare le spalle.
 
“Pensi davvero quello che hai detto?” la sua voce tremante mi sorprese. Se fossi stato io a parlare, anche la mia sarebbe risultata così stridula e addolorata? “Credi davvero che non volessi venire da te?” chiese ancora, stringendo il mio cuore con la morsa delle proprie accuse. Mi sentii in colpa. Le sue parole mi fecero sentire responsabile della sua sofferenza… e non riuscivo neanche a capirne il motivo.
 
L’incedere dei suoi passi era incerto, così simile alla sensazione che mi invase il petto, quando la sua fronte scivolò sulla mia spalla. Mi abbracciò di nuovo, ma la sua stretta non riuscì a consolarmi, semmai a farmi sentire ancora peggio. Sembrava impaurito. “Perché devi pensare queste cose?” mormorò piano, facendosi ancora più vicino. “Hyuri non centra nulla con te, lo capisci?”
 
Serrai le labbra, sforzandomi di non tremare. Solo io dovevo capire? Perché non era lui invece… a mettersi nei miei panni? Salutavo un tipo in mensa… ed era sul punto di azzannarlo alla gola. Ma se poi diventavo io… quello che sollevava questioni e si infuriava… allora tutto diventava sbagliato.
 
“Non ti ho mentito” continuò, facendo sprofondare il naso tra i miei capelli scomposti “Te l’ho promesso, ricordi?” strinsi istintivamente le mani attorno alle sue braccia, sospirando forte, mentre mi giravo lentamente nella sua presa, vinto dal disperato bisogno di stringerlo a mia volta. “Solo tu” sussurrò, cercando i miei occhi, portando le dita forti attorno al mio viso.
 
Non riuscii a sostenere il suo sguardo, e morsi con forza il labbro inferiore, chinando il capo. “Bummie?” pronunciò il mio nome con dolcezza, scostandosi appena dal mio corpo, facendomi temere che volesse andare via. Sollevai istintivamente gli occhi lucidi verso i suoi, e lui mi sorrise. “Non me ne vado” mi rassicurò, prendendomi silenziosamente per mano, guidandomi verso la propria camera.
 
Lucy, raggomitolata sulla poltrona accanto alla scrivania, sollevò immediatamente la sua testolona scura. Sicuramente stava dormendo. “Scusa bella…” le disse Jonghyun, accarezzando brevemente il suo morbido manto. “Ci lasceresti un po’ soli?” le chiese con dolcezza, e la reazione della mia tenera cagnetta mi lasciò basito. Fece perno sulle zampe anteriori, rimettendosi velocemente in piedi, stiracchiando con un movimento deciso i muscoli intorpiditi, per poi saltare con un unico balzo sul pavimento. Accarezzò una mia gamba, quasi volesse salutarmi, e scomparve verso il corridoio.
 
Aveva capito quello che le aveva detto? Non ebbi il tempo di approfondire quei pensieri, perché il ragazzo che stringeva la mia mano mi costrinse a proseguire, guidandomi fino alla sponda del letto. Ci sedemmo entrambi, e le nostre dita non si separarono. “Lo capisco” mormorò, voltandosi verso di me, sollevandomi il mento e obbligandomi a guardarlo. “Vuoi una prova?”
 
Ero consapevole di quanto infantile potesse apparire la mia richiesta ma… abbassai ritmicamente la testa, confidando nella tenera luce che i suoi occhi scuri nascondevano. Ero insicuro. Terribilmente insicuro. Non avevo mai avuto una “persona speciale” nella mia vita. Non sapevo come fronteggiare quel sentimento infido che era la mia gelosia nei suoi confronti, né come mettere a tacere i battiti impazziti del mio cuore… quando si liberò con delicatezza dalle mie dita, spingendomi dolcemente verso il materasso.
 
“Chiudi gli occhi…” sussurrò, e il suo alito caldo, soffiato direttamente al mio orecchio, mi fece tremare. Feci come mi aveva detto, trattenendo istintivamente il respiro, mentre il suo corpo scivolava lentamente sul mio. Ebbi paura. Un grosso nodo mi serrò la gola, nell’esatto momento in cui la sua bocca si schiuse sulla mia, forzandola appena, spingendola ad accettare la scivolosa consistenza della sua lingua.
 
Mi piacevano i suoi baci, ma il particolare stato d’animo che li accompagnava… mi riempii di timori. Strinsi con forza le palpebre, e le prime lacrime rotolarono giù dai miei occhi, bagnando le guance e rendendo più disperato il mio respiro. Come faceva la gente? Come facevano tutte le persone innamorate a vivere ogni giorno con quella spada di Damocle sulla testa?
 
L’amore non è eterno. Tutti lo sanno. Come si può affrontare una storia… senza avere paure della sua fine? Io lo amavo Jonghyun. Lo amavo talmente tanto… che il solo pensiero di perderlo mi soffocava il cuore, rendendo deliranti i miei pensieri, stringendomi lo stomaco con i suoi artigli. “Come faccio?” singhiozzai, contro la sua spalla, senza riuscire a ricordare il momento esatto in cui avevo iniziato a piangere.
 
“Sshhh” sussurrò sulla mia guancia, accarezzando lentamente la mia schiena tremante, mentre le sue labbra mi sfioravano dolcemente il viso, ricoprendolo di piccoli baci delicati. “Ti aiuto io” cercò di confortarmi, chiudendo le proprie dita intorno alle mie, guidando la mia mano verso il proprio petto. “Lo senti?” mormorò, strofinando il suo naso contro il mio, abbandonando la fronte sul mio collo.
 
Aprii istintivamente gli occhi, puntandoli sul soffitto. Schiusi la bocca, cercando di ricacciarci dentro quanto più ossigeno possibile. Da dove diavolo veniva fuori… tutta quella fottuta paura che mi stava schiacciando il cuore, rendendo i miei pensieri così maledettamente illogici?
 

“Io sento quello che senti tu”

 
Quelle parole mi stordirono, togliendomi completamente il respiro. Lui capiva? Capiva davvero? “Ogni volta che qualcuno si avvicina a te… sento un forte dolore… proprio qui…” mi spiegò, esercitando una leggera pressione sulla mia mano, spingendola con più decisione sul proprio petto. “Mi manca l’aria, e lo stomaco si stringe” sussultai, sorpreso da quello strano racconto… che sembrava stesse narrando le mie stesse emozioni.
 
“Vorrei portarti via. Vorrei impedirti di parlare o guardare chiunque” continuò, mentre il suo respiro diventava più incerto, e il mio cuore un po’ più consapevole. “Vorrei che i tuoi occhi incrociassero solo i miei… vorrei che il mondo intero… conoscesse il nome della persona a cui sei legato”. Le sue labbra calde mi sfiorarono uno zigomo, scivolando lentamente verso il mio collo, chiudendosi con dolcezza su quello stesso punto che ricordava ancora il sapore dei suoi denti.
 
La lingua scivolò sulla pelle arrossata, gustandola, inumidendola. Chiusi istintivamente gli occhi, utilizzando la mano libera per accarezzare i suoi capelli disordinati. “Questi pantaloni dovrei bruciarli” ansimò, strappandomi un breve sorriso, mentre le dita esigenti si chiudevano con urgenza sul primo bottone, sfilandolo dall’asola. “Ti proibisco di metterli” continuò, abbassando lentamente la cerniera, il cui rumore metallico accompagnò la sua involontaria carezza sulla mia erezione.
 
“Concentrati” mi rimproverò “Ascoltalo” aggiunse, poggiando una mano sulla mia coscia ormai nuda, mentre l’altra tornava a guidare la mia sul proprio cuore. Il battito stava accelerando. Lo avvertivo. Forte, pressante… vibrava sotto le mie dita, inondando il mio corpo con la sua emozione. Ogni palpito soggiogava il mio, spingendolo ad andargli incontro, ad adattarsi al suo andamento. Provavamo davvero le stesse cose?
 
“Toglila” mormorò, cercando i miei occhi, portando le mie dita tremanti sul bordo inferiore della sua maglia sudata. Per la prima volta nella mia vita… quell’intenso odore di fatica non mi dava la nausea. Mi lasciai stregare dal profumo di maschio che la sua pelle emanava, strofinandoci addosso il viso, non appena l’indumento sottile toccò terra.
 
“Va tutto bene” mi rassicurò, quando un lungo brivido intimorito mi attraversò il corpo, mentre sollevavo istintivamente le braccia, permettendogli di sfilare la mia maglia bianca. “Non farò niente che anche tu non voglia” sussurrò, direttamente sul mio fianco, lasciando scivolare la lingua sulla carne sudata, per poi chiuderla con dolcezza fra le labbra affamate.
 
Sul mio corpo nudo, il tessuto ruvido dei suoi pantaloni mi fece inarcare la schiena, rendendo più prepotente la mia erezione, obbligandomi ad invocare piano il suo nome. Avevo istintivamente riportato una mano sul suo petto, rabbrividendo al contatto con la sua pelle calda, mentre il battito furioso del suo cuore mi lasciava senza fiato. Era per me? Era per me che batteva così forte?
 
“Solo tu” disse, cercando le mie labbra, come se con quelle due misere parole, fosse in grado di mettere a tacere tutte le mie paure. Fu una sensazione strana… inspiegabile. I secondi passavano, i nostri respiri divenivano più spezzati, ed ogni nuovo bacio acquistava più urgenza del precedente. La cosa di cui non riuscivo a capacitarmi era: Come faceva… un suono semplice come quello… a liberare la mia mente da tutti i suoi fantasmi?
 
“Meglio?” volle accertarsi, quando infine allacciai entrambe le braccia intorno al suo collo, attirandolo con un sospiro nel mio abbraccio. Abbassai un paio di volte il capo, senza pensarci troppo, rendendomi improvvisamente conto che… no, non stavo mentendo. Stavo meglio sul serio.
 
Il peso sul cuore si sciolse, come per magia, sopraffatto da tutto il calore che lo aveva avvolto. Quella sensazione piacevole e rassicurante… nasceva da ogni sua carezza, da ogni nuovo bacio che le nostre labbra si scambiavano. La paura scomparve, così come le mie lacrime, catturate dalle dita premurose, che avevano preso a sfiorarmi il viso.
 
Sfilai i suoi pantaloni, ridendo piano, ammaliato dal gemito sordo che emise, quando le nostre erezioni si scontrarono. “Kibum…” la sua voce, quasi cantilenante, pronunciò con bisogno il mio nome, facendomi perdere un battito. Una mano si insinuò tra le mie gambe, invitandomi a schiuderle, permettendogli di scivolarci in mezzo. Eravamo pelle contro pelle adesso, divisi solo dai sottili indumenti intimi che ancora limitavano le nostre carezze.
 
“J-Jong io…” mormorai, vagamente supplichevole, quando le sue dita si chiusero possessive intorno al mio sedere, obbligandomi ad inarcare la schiena. Non mi permise di dire altro. Baciò le mie labbra, con inaspettata lentezza, e ogni volta che le nostre lingue si sfioravano, un nuovo centimetro di pelle veniva scoperto. Mi stava spogliando.
 
Mi vergognai da morire. Lui si era sollevato leggermente sui gomiti, allontanandosi quel tanto che bastava, per lasciar scorrere i boxer chiari lungo le mie gambe. Portai istintivamente entrambe le mani sulla mia eccitazione, serrando le palpebre e mordendo la bocca. Era la prima volta che qualcuno mi guardava così. Lui rimase immobile. Non toccò il mio corpo, né emise alcun suono. Riuscivo ad avvertire l’intensità del suo sguardo. Mi scivolava addosso, come la più eccitante delle carezze, rendendo più febbricinante la mia pelle… e più smorzato il mio respiro.
 
“M-Mi vergo-gogno” piagnucolai, sollevandomi di scatto. Allontanai le mani dal mio membro eretto, e le piantai istintivamente sul suo viso, occultandone gli occhi. “Smettila di guardarmi!” lo rimproverai, lasciandomi scappare una risatina stridula, quando la sua lingua si insinuò sensuale fra le mie dita tremanti. “Non s-sei dive-vertente” balbettai, e lui si sollevò sulle ginocchia, bloccandomi i polsi.
 
Non riuscii a fermarlo. Si liberò da quella benda improvvisata, che non gli permetteva di guardarmi, e mi sorrise dolcemente. “Il mio gattino ha paura?” cantilenò, appena derisorio, depositando teneri bacetti sulla punta delle mie dita. Gonfiai le guance, sbuffandogli addosso. Come si permetteva di prendermi in giro in un momento del genere?!
 
“Perdonami, uomo vissuto… se non ho coltivato il passatempo di mostrare in giro il mio corpo nudo!” sbottai, risentito. Una piccola esclamazione di sorpresa abbandonò le mie labbra dischiuse, mentre Jonghyun mi si gettava letteralmente addosso, schiacciandomi sul letto con il peso della propria urgenza.
 
“Mmm…” mormorò, facendo le fusa contro il mio collo, serrando le dita sui miei fianchi “Sarebbe stata un’idea insopportabile…” sbiascicò, portando la bocca sulla mia spalla destra, percorrendola lentamente con l’umidità della propria saliva “Pensarti tra le braccia di qualcun altro…” i denti sostituirono la lingua, rimarcando con la loro morsa il fastidio che provava “Mi avrebbe ucciso”.
 
“Esagerato” ansimai, scordandomi della mia nudità, mentre il mio cuore faceva una piccola capriola, esaltato da quella tenera confessione. Non ebbi bisogno di muti inviti quella volta. Divaricai istintivamente le gambe, e lui ci si sistemò in mezzo, strusciando il proprio corpo sul mio, mozzandomi il respiro e strappandomi un gemito prolungato.
 
“La tua pelle è così liscia…” la sua osservazione mi fece arrossire, ma l’imbarazzo durò ben poco, immediatamente sostituito da un nuovo brivido. Era scivolato più in basso, sfiorando il fianco destro in una lenta carezza, subito accompagnata dall’appassionata scia dei suoi caldi baci. “Il tuo profumo mi fa venire voglia di mangiarti…” I fatti seguirono le parole, e i denti che intrappolarono la mia carne mi obbligarono a gettare il collo all’indietro, ansimando senza vergogna il mio piacere.
 
Serrai istintivamente le palpebre, mentre le sue dita accarezzavano la zona sensibile fra le cosce, sfiorando la pelle sottile, facendo tendere nello stesso istante tutti i muscoli del mio corpo. “Io n-non so s-se…” cercai di dire, ma la mente era stata annebbiata dal calore dei nostri respiri, e formulare un pensiero decente equivaleva a portare a termine un’impresa titanica.
 
“Non lo farò… tranquillo…” utilizzò la mano libera per lisciare i miei capelli, abbandonandosi sul mio petto, quando tornò a cercare le mie labbra. Mi baciò con disperazione, quasi con furia, rendendo impossibile qualsiasi resistenza. Lasciai che la sua lingua avvolgesse la mia, sforzandomi con tutto me stesso di non apparire troppo impacciato… all’interno di quel famelico incontro di bocche che non conservava alcuna traccia di innocenza.
 
Guidò le dita impaurite fino alla sottile striscia di peluria, che si perdeva con sfacciata sensualità oltre l’elastico dei suoi boxer elasticizzati. Deglutii a fatica, sollevando lentamente le palpebre, cercando angosciosamente i suoi occhi. Li trovai immediatamente. Mi stava guardando, e la fronte imperlata di sudore mi regalò un nuovo brivido. I capelli scomposti gli ricadevano sul viso, reso incredibilmente accaldato da tutto quello che c’era appena stato.
 
“Davvero mi vuoi?” una domanda completamente idiota, che mi imbarazzò da morire. Morsi istintivamente le labbra, deviando lo sguardo, e la sua bassa risata mi fece avvampare come una ragazzina. “Ti sei mai guardato allo specchio?” rispose, confondendomi. Mi accigliai appena, troppo sensibile al calore del suo corpo, per riuscire a carpire il muto significato di quelle parole apparentemente insensate.
 
“Sei talmente bello Bummie…” mormorò, sfiorando la mia guancia con la punta delle dita, mentre tutti i miei dubbi scomparivano velocemente, così come erano arrivati. “Sei intelligente, ingenuo, dolcissimo…” continuò, scivolando sulla curva del mio collo, depositandoci piccoli baci fatti di sospiri “E anche incredibilmente testardo, dispotico e geloso…” aggiunse, e le mie labbra si arricciarono, appena infastidite. Rise ancora una volta, stringendo il mio volto tra le mani, cercando con insistenza il mio sguardo indispettito.
 

“Sei la cosa più bella che io abbia mai avuto…”

 
Ok, fine dei giochi. Il buon senso se andò allegramente al diavolo, le lacrime ripresero a pungermi gli occhi, e un sorriso ebete mi ridisegnò i lineamenti. Sospirai, gelatinosamente felice. Era così dolce il mio Jongie… come potevo evitare di sciogliermi… di fronte alla disarmante sincerità di cui le sue iridi scure mi stavano facendo dono.
 
Si sollevò sui gomiti, permettendomi di levargli completamente i boxer, che avevo inconsapevolmente iniziato a trascinare verso il basso. Il mio sguardo ricadde proprio lì… nell’esatto punto in cui la mia indole timida non mi avrebbe dovuto permettere di guardare. Oh porcaccia della miseriaccia! Annaspai come un idiota, disperatamente cosciente della consistente dote che madre natura gli aveva regalato. Rise forte, mentre io sollevavo entrambe le mani sul volto in fiamme, coprendo gli occhi con un gesto totalmente sconvolto.
 
“Non ti mangia mica, sai…?” mi prese in giro, e avrei tanto voluto avere a disposizione una delle mie solite battutine taglienti, ma… niente! Nada! ZERO TOTALE! L’unica cosa che riuscivo a ripetere, come la più insensata e imbarazzante delle preghiere, era… “Calma! Calma Kibum! Respira!” (La cosa assurda… fu che lo dissi sul serio!)
 
Mi investì di baci, riempiendomi di teneri schiocchi i timpani, mentre le sue dita si stringevano sulle mie, cercando di liberare il mio viso color porpora dalla presa che lo teneva nascosto. “Vuoi farmi diventare cattivo Bummie?” soffiò sul mio orecchio, e io scossi freneticamente la testa, senza però trovare il coraggio di mostrare apertamente la mezza crisi isterica che si stava svolgendo sotto le mie mani tremanti.
 
“Come vuoi tu…”
 
Non feci neanche in tempo a preoccuparmi delle sue parole, che qualcosa di inaspettatamente piacevole mi costrinse a sgranare gli occhi, facendomi emettere un gemito talmente acuto da farmi desiderare la morte. Avvertii distintamente le dita che si erano chiuse intorno alla mia erezione, facendomi scordare in un battito di ciglia tutti i pensieri sconclusionati di poco prima.
 
“Adesso hai qualcosa di ben peggiore… di cui preoccuparti” ansimò, improvvisamente serio, scivolandomi completamente addosso. Il suo braccio destro iniziò a muoversi, lento e tremendamente eccitante. Era la prima volta. Cioè… non la prima volta che… beh, insomma… io lo facevo però… non era certo la stessa cosa!
 
I suoi occhi penetranti mi trafissero, posandosi attenti sui miei, pronti a carpire qualsiasi emozione. Mi sforzai di mantenere la calma, chiudendo i denti sulle labbra, quando una nuova scarica di piacere rischiò di farmi perdere la testa. Era diverso. Talmente diverso da risultare surreale. Era solamente pelle, giusto? Eppure, la percezione delle sue dita sul mio membro, mi donava una sensazione mille volte più piacevole… di quanto io stesso avrei mai potuto ritenere possibile.
 
I muscoli dello stomaco si contrassero, così come quelli delle gambe, che si schiusero istintivamente, permettendo alla schiena di inarcarsi e al bacino di sollevarsi. Mi tirai sù, cercando la sua bocca. Non volevo qualcosa di freddo o meccanico tra di noi. Avevo bisogno del calore del suo respiro, della dolcezza dei suoi baci. Volevo Jonghyun, e non solamente la mano che mi stava masturbando.
 
“Ti piace?” sussurrò sul mio viso, sfiorando delicatamente la mia fronte, poggiandoci sopra la propria. Non riuscivo a parlare, così mi limitai a guardarlo, sperando che capisse. Mi sorrise, sciogliendomi il cuore, e le molle del letto cigolarono appena, seguendo il nuovo movimento con il quale stavo assecondando le sue carezze. “Non trattenerti. Lasciami ascoltare la tua voce…”
 
Le sue parole vennero fuori in un sussurro, attraversandomi le orecchie, raggiungendomi l’anima. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di sapere che stavo bene, che ero felice di quello che stava accadendo. Quando incrociai nuovamente i suoi occhi… li trovai stranamente timorosi, quasi imploranti. Non voleva che me ne pentissi, vero?
 
Sollevai entrambe le mani verso il suo viso, circondandolo, attirandolo verso la mia bocca. Fu un bacio fugace, appena accennato, perché quando il nuovo gemito mi risalì la gola… non lo trattenni. Ansimai, direttamente sulla sua pelle, chiudendo gli occhi e concedendogli quello che voleva. Mi vergognavo. Continuavo a sentire le guance accaldate, mentre mettevo da parte il mio disagio, sforzandomi di andare incontro alle sue richieste.
 
I brividi lungo la mia schiena divennero sempre più frequenti, accompagnati dalla scivolosa scia di saliva che mi stava bagnando il collo, unita all’intensità delle sue carezze. Lo bloccai, giusto un secondo prima di raggiungere l’orgasmo. Fu doloroso. L’inguine mi faceva male, pulsando furiosamente, reclamando l’appagamento che gli era stato negato. I miei stessi gesti mi sorpresero, così come resero più confusi gli occhi del ragazzo che mi era sopra.
 
“Qualcosa non va?” mi chiese, timidamente impacciato. Solo adesso si accorgeva di quanto tutto quello fosse imbarazzante?
 
Gli sorrisi, parzialmente rincuorato. Vedere i suoi timori… mi faceva sentire un po’ meno… inesperto? Probabilmente era così. Il profondo divario di esperienza che ci separava… mi lasciava addosso un leggero senso di “inadeguatezza”. Anche se, quello status emotivo, durò solo per i primi tempi.
 
“Non è giusto…” soffiai fuori, arrossendo ancora di più, sperando che la mia inattesa intraprendenza non si rivelasse un gigantesco buco nell’acqua. Inspirai profondamente, senza fornirgli ulteriori spiegazioni, e quando le mie dita sfiorarono timidamente la sua erezione… il suo sguardo divenne improvvisamente più liquido. Il suo respiro non riuscii praticamente a sentirlo. Stava trattenendo il fiato?!
 
I primi movimenti furono incerti, resi ancora più impacciati dagli occhi eccitati che rimasero costantemente puntati nei miei. Mi faceva un certo effetto… pensare razionalmente a cosa stavo facendo. Non avevo mai toccato qualcuno in un modo così intimo. La prima reazione, quando la sua pelle liscia e tesa incontrò la mia, fu quella di ritrarmi. Non lo feci. Rimasi saldamente ancorato alla mia voglia di farlo stare bene, imponendomi una calma che non credevo neanche di riuscire a possedere.
 
Avvertivo la sua carne pulsare spasmodicamente nella mia mano, mentre il suo membro diveniva via via più prepotente e vitale. Stava crescendo ancora, e la consapevolezza delle sue misure mi seccò completamente la gola. Non riuscii a trattenere un brivido, quando il primo gemito, profondo e roco, si scontrò con le mie labbra dischiuse… perdendosi poi nella mia gola, sopraffatto dal nuovo bacio che ci stavamo scambiando.
 
Da quel momento in poi tutto divenne confuso. C’era solo istinto e saliva tra di noi, unito ai nostri corpi vibranti… e al suono armonioso delle nostre voci. Chiusi gli occhi, subito dopo che la sua fronte tornò a posarsi sulla mia, ansimando leggermente sulla sua guancia sinistra. La sua mano aveva ricominciato ad accarezzarmi, adattandosi con ammirevole esperienza all’andamento dei miei stessi movimenti.
 
“Più veloce…” sussurrò, sottolineando il suo bisogno con l’inaspettata irruenza che spinse i nostri bacini a scontrarsi. Assecondai le sue richieste, riscoprendomi a mia volta più eccitato e pronto alla fine. Portai istintivamente una mano tra i suoi capelli, stringendoli con forza, liberando la voce e pregando con tutto il cuore che nessuno riuscisse a sentirmi.
 
“Kibum” solo una parola, nient’altro. Ogni tendine vibrò, attraversato dalla forte scarica liberatoria che quell’atto aveva generato. Inarcai la schiena, affogando il mio piacere in quel bacio che mi aveva appena serrato le labbra, e il calore di quel liquido viscoso che mi scivolò lungo l’addome... non potrò mai dimenticarlo.
 
Sorrise, stringendomi forte nel suo abbraccio, abbandonando il capo sul mio petto ansimante. Non badai minimamente alla sensazione appiccicaticcia che legava i nostri corpi. Avremmo avuto modo di ripulirci più avanti. Allacciai le braccia intorno alle sue spalle sudate, sospirando piano tra i suoi capelli, concentrando tutta la mia attenzione sul suono irregolare dei nostri respiri.
 
“Dovrei farti arrabbiare più spesso…” sbiascicò, guadagnandosi una sberla sulla nuca, ma quando la sua bassa risata mi sfiorò la pelle accaldata… fui ben disposto ad accompagnarla con la mia.
 
Il mio intero corpo era in subbuglio, colmato dal calore di quegli ultimi avvenimenti… che ci avevano silenziosamente guidato verso un lungo abbraccio… fatto di paroline sussurrate e timidi baci. Mi lasciai cullare dal battito forte del suo cuore, scoprendomi tremendamente orgoglioso quando, per la seconda volta, ritrovai in me stesso la causa di quell’evidente turbamento.
 
Chiusi gli occhi, lasciandomi vincere dal velo di stanchezza che stava rendendo più pesanti le mie palpebre. Jonghyun si sollevò sui gomiti, forse accorgendosi che mi trovavo sul punto di addormentarmi. Rotolò su un fianco, spingendomi dolcemente verso il proprio petto, e io mi ci rannicchiai contro.
 
“Mangeremo più tardi” mormorò, accarezzandomi i capelli, mentre io sbiascicavo debolmente la mia risposta. “Ti è piaciuto?” volle accertarsi, prima di abbandonarsi a sua volta a quel dolce riposo che stavamo per concederci. Io ero già mezzo addormentato, e invece di ragionare molto sulle mie parole, dissi semplicemente la verità, troppo stanco perfino per arrossire.
 

“E’ stato come volare…”

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Capitolo 25
*** Sei tu... la mia casa ***


NOTE

Salve a tutte ^^ Oggi note brevi, perchè non ho molto da dirvi... tranne che vi adoro e vi spupazzo di baci come al solito! >_<
Ah, ecco! Negozi simili a quello di cui viene parlato in questo capitolo esistono davvero, ma si trovano per lo più in Giappone.
Non posso entrare nei particolari, altrimenti dovrei anche dirvi di che genere di attività di tratta... e rischierei di bruciarvi
la sorpresa ^w^ Detto questo... buona lettura ragazzuole. Vi mando un grossissimissimo bacio! <3

P.S. = In bocca a lupo a tutte quelle che sono impegnate con gli esami ^^ Fighting! >.<

SkyScraper





 

Capitolo 24 – Sei tu… la mia casa
 
Taemin raccolse tra le dita una piccola manciata di biscotti, sbriciolandoli lentamente, per poi lasciarli cadere nella grossa tazza di latte freddo. Teneva le gambe incrociate, occupando un angolo del divano con il suo corpicino sottile. Rise rumorosamente, puntando un dito sullo schermo, indicando il viso di quel ragazzetto piuttosto grasso, che era stato sul punto di finire a faccia in giù sul pavimento.
 
“Mangia meno dolci… magari riuscirai più facilmente a tenerti in piedi” sghignazzò, allungando una mano verso il pacchetto sul tavolino, recuperando un piccolo cerchietto di pasta frolla al cioccolato.
 
“Senti chi parla” mormorò Minho, sedendo al suo fianco, guadagnandosi un’occhiataccia e un leggero calcetto sulla coscia. “Non fare il bambino capriccioso, altrimenti verserai tutto il latte sul divano” lo rimproverò, allungando simultaneamente una mano, pronto a sorreggere la grande tazza.
 
“Ce la faccio benissimo da solo!” ribatté il suo coinquilino, rifilandogli una linguaccia e voltandosi scontrosamente dal lato opposto “Vivere con la mia omma sarebbe stato più divertente” bofonchiò a fior di labbra, raccogliendo un grosso cucchiaio della propria colazione.
 
“Mmm… se lo dici tu” il moro fece spallucce, trattenendo un piccolo sorriso quando un sottile rivolo di latte percorse il mento di Taemin. “Io dico che ti avrebbe fatto la pelle dopo la seconda briciola” decretò, sollevando sarcasticamente un sopracciglio, puntando gli occhi sull’evidente traccia di granellini al cioccolato che ricopriva la maglia del ragazzino.
 
Il più giovane non badò alle sue parole, alzò invece il volume della televisione, e scivolò con la schiena sulla comoda spalliera del divano. “Renditi utile…” mormorò, poggiando i piedini sulle gambe di Minho “E magari in cambio ti do un bacino” aggiunse, mentre il suo sguardo malizioso cercava quello del coinquilino. Quest’ultimo non disse nulla, ma il silenzioso rigonfiamento nei suoi pantaloni fu più che loquace.
 
La testolina castana venne nuovamente chinata verso la tazza, e la piccola risatina del suo proprietario fece arricciare le labbra del più grande. Si divertiva proprio a provocarlo, vero? L’ennesima ciambellina di pasta frolla venne immersa nel liquido candido, che oramai si trovava sul punto di finire, e Taemin spalancò felicemente la bocca, portandoci vicino il suo biscottino tutto zuppo.
 
“Mmm” mugugnò, sollevando gli occhi verso il soffitto e masticando lentamente la propria squisita colazione “Dobbiamo assolutamente comprarne degli altri!” annunciò, affrettandosi ad inghiottire. Minho allungò istintivamente una mano verso il pacchetto color panna, trovandolo praticamente vuoto. Lo avevo comprato venerdì...!
 
“Mi sarebbe costato meno allevare un maialino” borbottò, ammiccando con derisione verso il proprio coinquilino, che aveva sollevato lo sguardo scocciato sul suo viso, infastidito da quell’osservazione. “Almeno quello me lo sarei potuto mangiare, invece tu… non mi sembri totalmente commestibile” aggiunse, scrollando le spalle e allungando le forti dita sulla gamba affusolata del più piccolo “Mangi tanto, ma continui a restare pelle e ossa!”
 
“Molto bene” Taemin serrò le labbra, avvicinandoci contemporaneamente il bordo di ceramica della tazza, e mandò giù ciò che restava del suo latte. “Vorrà dire che cercherò qualcuno meno esigente di te” annunciò con risolutezza, allontanando i piedi dal suo grembo, giù sul punto di alzarsi “Chissà… qualcuno meno schizzinoso… potrebbe trovarlo commestibile… questo corpo pelle e ossa”.
 
Il moro, dapprima confuso dalle sue parole, sgranò immediatamente gli occhi, fiondandosi in avanti e afferrandolo per i fianchi. “Dove hai detto che vai?!” ringhiò, contro il suo collo, soffiandoci contro la propria insoddisfazione. “Esci da quella porta… e un sacco di persone rischieranno la vita, per colpa della tua geniale trovata!”
 
Il ragazzino si finse indignato, portandosi una mano alle labbra. Gli occhietti scuri si dilatarono, puntandosi sconvolti sul volto minaccioso del più grande. “Ma non mi dire? Ti arrabbieresti?” continuò a provocarlo, e l’angolo sinistro della sua bocca tremò appena, cercando a stento di trattenere il proprio divertimento. “Potrei sempre risarcirti per le tue cure” continuò, corrugando la fronte e portando l’indice destro sul mento “Chissà… un maialino bello grassoccio andrebbe bene?”
 
Il suo stridulo urletto risuonò per la cucina, mentre Minho grugniva qualcosa di ben poco signorile al suo orecchio, gettandoglisi addosso quando finirono entrambi sul divano. “Hyung! Oh Dio!” tutte quelle esclamazioni vennero pronunciate tra uno strillo e l’altro, ma le mani del moro non si impietosirono, infilandosi a forza sotto la sottile maglia del suo pigiama, per poi accanirsi con furia sui fianchi delicati.
 
“Ripetilo se hai il coraggio” lo sfidò il più grande, facendolo contorcere per il solletico. Taemin gettò indietro la testa, ridendo come un pazzo, allacciandogli le braccia al collo e avvicinando provocante le proprie labbra a quelle del suo ragazzo. “Mi arrendo…” sussurrò, circondando i suoi fianchi con le gambe, mentre gli si faceva ancora più vicino.
 
“Sei un piccolo diavolo” ansimò Minho, improvvisamente a corto di fiato, chiudendo istintivamente gli occhi… quando il movimento ondulatorio di quel corpo tentatore rese ancora più vistosa la sua erezione. “Era questo il piano?” chiese, trattenendo un brivido, e la lingua sfacciata del più giovane gli accarezzò il collo. Serrò istintivamente le dita, ancora più forte, facendo aderire i palmi aperti delle sue mani alla morbida carne che aveva appena catturato.
 
“Mmm… forse…” miagolò Taemin, inarcando appena la schiena, lasciandosi avvolgere da quel piacevole calore che gli aveva invaso l’inguine. Il moro lo aveva afferrato per i glutei, spingendo i loro membri eccitati a toccarsi con irruenza. “Ieri mi sono addormentato troppo presto” mormorò, strusciando la guancia su quella del compagno, ricordando il sonno improvviso della notte precedente, che non gli aveva permesso di dedicarsi alle loro consuete coccole serali.
 
“Solo un po’” concesse il più grande, sfilandogli velocemente la maglia, e depositando subito dopo un veloce bacio sulla sua bocca dischiusa. “Dopo dobbiamo andare in un posto” spiegò, osservando con un sorriso l’espressione confusa del suo dolce coinquilino. “E’ una sorpresa” concluse, sfiorando la punta del suo nasino con la propria.
 
“Spero solo che non si sudi troppo” decretò Taemin, arricciando appena le labbra in una smorfia contrariata.
 
“Non preoccuparti piccolo…” Minho rise, divertito dalla sua osservazione, e il suo alito caldo sfiorò la pelle del più giovane, che non riuscì a trattenere a sua volta un tenero sorriso. Se il suo gigante era entusiasta di quell’idea, allora lui si sarebbe impegnato a fondo per non deludere le sue aspettative.
 
“Va bene” acconsentì, facendo spallucce, lasciandosi abbracciare nuovamente, percorrendo le spalle forti del moro in una lenta carezza. “Mi fido” sbiascicò, un po’ ansimante, sollevando i fianchi per permettergli di spogliarlo. “Sarà meglio che ne valga la pena… Mmm…” anche i pantaloni del maggiore erano finiti a terra, e la sorprendente sensazione delle loro pelli a contatto, non permise al ragazzino di trattenere quel nuovo miagolio.
 
“Non temere troppo di affaticarti” lo canzonò Minho, estasiato da quel flebile suono, che aveva reso più tesi i muscoli del suo intero corpo. “Prometto che ti farò sudare a dovere… prima di uscire di casa”.
 
Le guance di Taemin presero rapidamente fuoco, e la bassa risata del ragazzo che gli stava sopra… accompagnò il nuovo bacio che era stato appena schioccato sulle sue labbra protese.
 

*****

 
Jihun si rigirò la cicca tra le dita, non sapendo bene cosa farne. Un posacenere dalla forma rettangolare, dalle ambrate tonalità intarsiate, venne allungato vicino al suo volto, per essere poi depositato sulla grossa scrivania in mogano dello studio centrale.
 
“Grazie” mormorò il ragazzo, strusciando l’estremità ancora accesa sull’angolo arrotondato, e gettò subito dopo quel che restava della sua sigaretta. “Sei sicuro di volerlo fare?” chiese, passandosi una mano tra i capelli, spettinandoli appena. “Non capisco da dove nasca questa tua ostinazione di proteggere quel ragazzino…”
 
Byung-Hee non rispose. Sedette di fronte a lui, spostando i gomiti sulla base del tavolo, e utilizzò le mani giunte per depositarci sopra le labbra. Ci pensava ormai da diversi giorni. Non poteva aspettare una mossa diretta. Quel ragazzo doveva essere tolto di mezzo il prima possibile. Le sopracciglia si unirono, evidenziando con il loro cipiglio severo lo sguardo pensieroso. Gli occhi scuri vennero infine sollevati sul volto del suo migliore amico, e lì si bloccarono.
 
“Mio padre ha molti contatti, e già conosce la storia. Non mi negherà il suo aiuto” spiegò, raccogliendo il piccolo fascicolo che si trovava ancora di fronte a lui. “Questo tizio è una bomba ad orologeria. Non posso prevedere il momento esatto in cui esploderà, ma… posso liberarmene prima che accada”.
 
Jihun inspirò profondamente, ormai convinto di non poter in alcun modo far cambiare idea al più piccolo. “Devi stare molto attento. E’ gente che non scherza questa” lo mise in guardia, come se le informazioni raccolte fino a quel giorno non fossero già abbastanza ovvie. “Se il suo vecchio si accorge delle tue intenzioni…” la frase venne volutamente lasciata a metà, e la forte tensione già presente nell’aria… non fece che aumentare.
 
“Lo so. Dovrò giocare con le sue stesse armi” annunciò l’altro con risolutezza, facendo sussultare  il ragazzo che gli stava vicino. “Non posso mettere in mezzo la legge. Loro hanno già fallito” il suono secco prodotto dall’accendino si spense immediatamente, e la piccola fiamma rossastra illuminò l’angolo sinistro delle sue labbra dischiuse. La sigaretta intatta venne tirata fuori, per essere subito dopo serrata nel taglio severo della sua bocca piena. “Faremo alla vecchia maniera”.
 
La prima boccata permise all’odore pressante del fumo di invadergli le narici, e da lì venne lentamente fuori, creando intorno al volto di Byung-Hee una piccola nuvola grigiastra. Il suo migliore amico ne osservò lo sguardo inespressivo, deglutendo pesantemente quando questo si sollevò infine nella sua direzione. L’erede di Jung era un tipo tranquillo, con una mente sveglia e altamente pericolosa. Non si sarebbe fatto mettere nel sacco tanto facilmente.
 
“Ti aiuterò” affermò, sfilandogli la sigaretta dalle dita, portandola con un movimento deciso verso la propria bocca. Il più giovane incurvò le labbra, mostrando con soddisfazione il suo sorrisetto sghembo. Ci aveva contato fin dall’inizio. “Sei troppo sfacciato” lo rimproverò Jihun, arricciando il naso e allungandogli nuovamente il sottile corpo che stringeva tra le dita.
 
Byung-Hee fece spallucce, accentuando il disappunto dell’altro ragazzo. “L’arroganza è un dono di famiglia” mormorò, abbandonando le spalle contro lo schienale di pelle. “Piuttosto, i tuoi come se la passano?”. I bicchieri di cristallo tentennarono appena, proprio mentre il suo migliore amico ne chiudeva un paio nella sua presa, spingendo i due steli a scontrarsi fra loro.
 
“Mio padre si sbatte ancora la segretaria, e mia madre sta per convolare a nozze per…” si bloccò un attimo, sollevando gli occhi al soffitto e accartocciando la bocca sottile “Quarta volta, credo” terminò, scrollando le spalle. “Sujong ti saluta” aggiunse dopo qualche secondo, utilizzando il pollice destro per esercitare una leggera pressione sul tappo di sughero.
 
“E’ da un po’ che non la vedo” osservò il ragazzo dall’altro lato della scrivania, avvicinando la mano al bicchiere che gli era stato appena allungato. “Quel collegio è troppo lontano” una smorfia rese più infastiditi i suoi lineamenti regolari, e il liquido rosato accarezzò col suo piacevole calore la gola assetata.
 
“Tornerà per le feste di Natale” Jihun bevve a sua volta un piccolo sorso di vino, passando la lingua sulle labbra umide. “Chiede sempre di te” precisò, sorridendo divertito quando il sopracciglio sinistro di Byung-Hee si inarcò verso l’alto. “Non fare quella faccia. Lo sapevi bene che aveva una cotta per te!” lo prese in giro, accavallando elegantemente le gambe e scivolando un po’ più in basso sul sedile.
 
“Ma era alle elementari!” rispose acidamente il suo migliore amico, scuotendo la testa. “Dovresti parlare di meno. Non sarebbe felice di sapere cosa va dicendo in giro suo fratello!” rincarò, svuotando velocemente il resto del proprio bicchiere.
 
“Si Byung… magari quando te l’ha detto frequentava le elementari però… fidati, non le è passata!” affermò con decisione, ridendo subito dopo “Se dovessimo diventare cognati sarebbe terribile!” aggiunse, portando entrambe le mani al petto, fingendosi sconvolto.
 
Il calcio che gli venne assestato da sotto il tavolo solleticò ancora una volta il suo buon umore, e il padrone di casa storse le labbra, accigliandosi. “Ti ricordo… che mi finisci tra i piedi perfino quando non ti cerco!” ribatté, sfilandogli la bottiglia di mano, riempiendo nuovamente il proprio bicchiere. “Se dovessi lasciarci le penne… sarò ben felice di vederti piangere davanti al mio cadavere!”
 
Il sorriso di Jihun si spense rapidamente, stroncato da quelle parole apparentemente sarcastiche, ma che celavano una possibilità che si rifiutava perfino di prendere in considerazione. “Non illuderti” sentenziò, cercando direttamente i suoi occhi “Farò in modo di tenerti in vita piccolo screanzato”.
 
Byung-Hee gli sorrise e, senza rispondere, versò dell’altro vino nel bicchiere dell’amico.
 

*****

 
Jinki attraversò la piccola cucina, chiamando a gran voce il nome della cagnetta. Lucy scodinzolò rapidamente al suo fianco, intrufolandosi fra le sue gambe e abbaiando forte. “Vieni bella, guarda cosa ti ho portato!” i croccantini si scontrano rumorosamente con la scodella di metallo, riempiendola fino al bordo. “Buon appetito!” una rapida leccata gli solleticò le dita della mano, e la cagnolina di Kibum si precipitò verso la sua colazione.
 
“La vizi troppo…” mormorò il biondo, puntando gli occhietti assonnati sul nome della costosissima marca stampato sulla busta gialla. “Lasciane un po’ per più tardi” aggiunse, spostando lo sguardo contrariato sulla bocca piena di Lucy. Questa gli diede nuovamente il sedere, e riprese tranquillamente a mangiare. “Piccola sconsiderata!”
 
Di fronte a lui, Jonghyun fu sul punto di versare tutto il thé sul tavolo, troppo impegnato a guardare la piccola boccuccia protesa del suo coinquilino. Jinki finse di non essersi accorto di nulla, ma un piccolo sorriso divertito incurvò comunque le sue labbra carnose. “E così… oggi è il grande giorno, mmh?” osservò, con quella che aveva tutta l’aria di essere più un’affermazione che una domanda.
 
“Già” confermò Kibum, mescolando distrattamente il liquido scuro “Qualcuno sa dove ha intenzione di portarlo?”
 
Gli occhi affilati si puntarono direttamente su quelli del bruno, come se fosse sicuro di trovare in lui una risposta affermativa. Il più grande fece spallucce, ridacchiando appena, e si allontanò velocemente verso il bagno. “Quel brutto scimmione sa tutto!” decretò il biondo, imbronciandosi “Guardalo come scappa!” aggiunse, alzando volutamente il tono della propria voce, così che quello sciagurato potesse sentirlo.
 
“Di cosa ti sorprendi?” osservò l’assistente di laboratorio, allungando una mano verso i cornetti caldi “Quei due parlano un sacco”. Il piccolo croissant al cioccolato venne depositato sul piattino accanto alla sua tazza, e il più piccolo inarcò contemporaneamente il sopracciglio destro.
 
“Non te ne sei accorto?” Jinki scosse la testa, ridendo piano. “Sono diventati inseparabili da quando vanno a correre insieme. Durante il pomeriggio, quando Jonghyun è al negozio, capita anche che si messaggino” spiegò, arricciando le labbra “Fossi in voi mi preoccuperei…” mormorò, riferendosi ovviamente a Kibum e al piccolo Taemin.
 
Neanche mezzo secondo dopo… il più giovane si era già catapultato verso il corridoio, accanendosi come una furia sulla porta del bagno. “Vieni fuori brutta scimmia adultera!” sbraitò, pestando il pugno chiuso sull’uscio di legno “Che diavolo fai quando non sei con me, eh?! Vedi che lo dico a Minnie, hai capito?!” la totale assenza di risposta lo fece imbufalire ancora di più, e la punta della ciabatta si abbatté con forza sulla spessa consistenza del legno.
 
“Bummie?” lo richiamò il bruno, che aveva fatto scattare la serratura proprio in quel momento. Il suo piccolo micetto si trovava seduto sul pavimento, con le gambe incrociate e un broncio che toccava terra. “Ma… cosa?” non fece in tempo a terminare la frase. Il biondo si mise rapidamente in piedi e iniziò nuovamente ad urlargli contro.
 
“Buono… buono…” mormorava Jonghyun, sollevandolo di peso, mentre il più piccolo riversava i propri pugnetti serrati sulla sua schiena muscolosa. “Sshhh…” le gambe affusolate si allacciarono ai suoi fianchi, e il più grande chiuse le braccia sotto il suo piccolo sedere. Kibum sbuffò sulla sua spalla, ormai a corto di parolacce, lasciandosi trasportare tutto offeso fino alla cucina.
 
“Non ho ben capito quello che è successo. Ma se volevi che ti abbracciassi… bastava chiedere, no?” il bruno, che si stava mettendo seduto, sussurrò quelle parole al suo orecchio, stringendoselo addosso. Jinki osservò la scena con un sorriso, ridendo piano quando il biondo grugnì al proprio coinquilino che era uno stupido.
 
La tazza fumante venne avvicinata alle sottilissime dita, e queste vi si chiusero lentamente intorno. Le labbra rosse mantennero per tutto il tempo quella divertentissima piega scocciata, consumando il thè nel più totale silenzio. Jonghyun riscontrò qualche difficoltà ad afferrare il proprio croissant, ma non si lamentò. Con Bummie allacciato al proprio corpo… avrebbe felicemente digiunato per una settimana intera.
 
“Voglio che messaggiamo, quando sei a lavoro” se ne venne fuori tutto ad un tratto il più piccolo, strappandogli un fugace sorriso. Il bruno non disse nulla, abbassando un paio di volte la testa e avvicinando alle sue labbra un piccolo pezzetto del proprio dolce. Kibum schiuse la bocca, permettendogli di imboccarlo, arrossendo appena quando gli occhi nocciola del suo padrone di casa seguirono divertiti quella scenetta.
 
“Allora io andrei…” annunciò Jinki, subito dopo aver terminato il proprio cornetto. “Ho promesso a mia madre che sarei passato da casa” spiegò, quando gli sguardi sorpresi dei suoi vicini si puntarono sul suo volto.
 
Il biondo scivolò a malincuore su un’altra sedia, abbandonando le gambe del suo coinquilino, che si mise in piedi per accompagnare alla porta l’assistente di laboratorio. “Ciao Hyung” lo salutò, lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Jonghyun, che non si era ancora abituato a tutte quelle smancerie fra il suo micetto e il padrone di casa.
 
“Ciao piccoletto” rispose il maggiore, scompigliandogli i capelli. Il bruno sbuffò, e Jinki rise piano. “Dovrei mettervi tutti quanti sotto cura” decretò, seguendo l’altro ragazzo fino all’entrata “Un paio di camomille al giorno non vi farebbero male” aggiunse, lasciando una carezza sulla testolona scura di Lucy, che gli abbaiò di rimando, salutandolo a sua volta.
 
“Un paio? Hyung a me ne servirebbe un container intero!” esclamò Jonghyun, esasperato, e la fragorosa risata del più grande riecheggiò per tutto il pianerottolo.
 

*****

 
La vita è fatta di attimi. Attimi in cui il tempo ti scorre intorno, inesorabile, portando con sé i sorrisi della gente e le lacrime che hai versato. Attimi… invece… in cui il mondo intero si ferma, bloccato, folgorato. Non capisci perché e neanche come sia successo. E’ come se qualcuno ti abbia puntato un gigantesco riflettore dritto sul viso e ti abbia detto: “Vivi”. Il tempo con Minho, per me… era come quella luce che ti accecava, quando tutto sembrava perduto. Una luce che filtrava prepotente, oltre le palpebre abbassate e i sensi stravolti. Centrava il tuo cuore… e lo obbligava a battere.
 
Ricordo molti particolari di quella giornata, alcuni più nitidi, altri dai contorni appena sbiaditi. C’era il suo sorriso, fatto di occhi e di nient’altro, mentre quelle piccole palle di pelo mi finivano addosso, spingendomi su quella morbida poltrona color vaniglia, con la sola forza delle loro minuscole zampette. Non c’ero mai stato. Fin quando non vi entrammo… non riuscii a capire che posto fosse.
 
“Neko House” si chiamava, e il suo proprietario era un ragazzo di ventisette anni, sposato da poco, di nazionalità giapponese. Ci venne incontro sulla porta, salutandoci cordialmente e invitandoci a prendere posto. Non me lo feci ripetere due volte. Mi piacciono gli animali. Mi mettono allegria. Che siano grandi o piccoli, quando il loro musetto umido ti sfiora la punta delle mani… non sorridere diventa impossibile.
 
Mi ci buttai a pesce fra tutti quei cuscini, ritrovandomi molto presto senza più ossigeno nei polmoni. Erano tantissimi… di tutte le razze e di tutti i colori. Ti saltavano addosso, chiedevano attenzioni, o semplicemente si arrotolavano sulle tue gambe, sgranocchiando dai palmi aperti i croccantini che gli porgevi. C’erano altre persone oltre noi, ma io le notai appena. Minho intrecciò le sue dita alle mie, e trattenere la voglia di gettarmi fra le sue braccia fu assai difficile.
 
“Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto” mormorò al mio orecchio, allungando la mano libera verso il nasino del piccolo batuffolo che mi si stava arrampicando sulla gamba. Giocherellò con il suo candido pelo, issandolo subito dopo vicino al mio viso, permettendomi di raccoglierlo e stringerlo al petto. Era morbido. Morbido e dolcissimo. Avevo paura di fargli male, tanto era piccolo e fragile.
 
“Avrà un paio di mesi” mi spiegò, sorridendo quando quello scricciolo giocherellone mi regalò una slinguazzata lungo la guancia sinistra. Fu in quel momento che lo capii, mentre socchiudeva gli occhi scuri, aggiustando i miei capelli in disordine, per poi depositarci sopra un tenerissimo bacio.
 

- Minho era quell’attimo fatto di luce -

 
Versò del latte dentro una ciotola color avorio, poggiandola sul piccolo tavolino che ci stava di fronte. Pochi secondi di attesa… e una sproporzionata marmaglia di gattini ci finì addosso. “Piano… piano…” continuava a ripetere lui, raccogliendo i più piccoli fra le braccia. Fece scivolare due dita nel liquido bianco, sporcandone le punte, portandole con un sorriso alle labbra dei tre micetti. Questi presero a miagolare tutti insieme, quasi volessero ringraziarlo, leccando con dolcissima espressione la sua pelle bagnata.
 
Notai che non prestava molta attenzione alla gente che ci fissava, perché la sua mano destra non abbandonò mai la mia, tenendosela sempre vicina, per sfiorarla di tanto in tanto in una rapida carezza. Risi molto quel giorno, perso tra le zampette pelose di quei teneri cuccioletti, mentre il calore del suo sguardo non si allontanava mai per troppo tempo dal mio viso.
 
Quel posto aveva tariffe orarie se non capii male. Ognuno poteva portarci i propri gatti, e chiunque poteva usufruire di quel coloratissimo ambiente per passare qualche ora in loro compagnia. “La maggior parte però vivevano per strada” mi disse il proprietario, sorridendo con dolcezza della mia espressione rattristata. “Non preoccuparti. Come vedi… adesso hanno tutti una casa” precisò, allargando le braccia e racchiudendo nel proprio sguardo l’intero negozio.
 
Già, tutti quei piccoli animali non sarebbero più rimasti da soli. Qualcuno se ne prendeva cura, e quella consapevolezza mi rasserenò enormemente. Per qualche strano motivo… mi resi conto di non essere molto diverso da loro. “Anche io ero un randagio” confessai, diverse ore più tardi, su di quella collinetta semi-nascosta, liberando piccole nuvolette bianche dalla bocca, ogni volta che la mia voce ne veniva fuori.
 
Minho si voltò a guardarmi, ma non disse nulla. Era paziente con me. Non cercò la risposta giusta da darmi, né mi spronò ad andare avanti. Mi chiuse più forte nel suo abbraccio, e utilizzò la sciarpa verde per circondarmi il collo. Le lacrime già pungevano gli occhi, ma sapevo bene che il tempo di trattenerle era finito. Il suo respiro era caldo, direttamente sulle mie mani, mentre le sfregava l’una con l’altra, cercando di riscaldarle.
 
Avevamo pranzato in un piccolo ristorante, non troppo lussuoso, ma dalle pareti rivestite di legno scuro, e i tavolini accompagnati da morbide tovaglie bianche. Era un locale per famiglie. Uno di quelli in cui ti capita spesso di incontrare uomini esasperati, e bambini dalle assurde richieste, che piagnucolano in braccio alle loro madri. Tutti questi potrebbero sembrare difetti eppure… ai miei occhi divennero solo pregi.
 
Mi piaceva l’aria che si respirava in quel posto. Sapeva di casa. Sapeva di vita. Non era il solito ristorante silenzioso, pieno di dirigenti in giacca e cravatta, o mogli con tacchi a spillo e nessun figlio al seguito. Quei locali non mi piacevano. Sapevano di fredda diplomazia, zero chiacchiere inutili e tanta argenteria lucidata a mano. Erano anonimi, scontati. Servizio impeccabile e conti salati.
 
“Forse dovremmo tornare a casa” mi disse all’improvviso, sfiorando la mia guancia con la propria, facendo per rialzarsi. La panchina era fredda, così come la pelle esposta al vento. Il tempo era cambiato rapidamente, portando via quel timido sole della mattina, sostituendolo con i nuvoloni grigi e l’aria pungente. “Un altro po’” lo pregai, incrociando i suoi occhi e sprofondando nuovamente fra le sue braccia.
 
Inspirai profondamente, una prima ed una seconda volta, abbassando le palpebre e raccogliendo il mio coraggio. “Non l’avevo più una casa, proprio come quei gattini” cominciai, riprendendo con il cuore in gola il discorso di poco prima. Anche stavolta non ricevetti risposta, ma le mani attorno ai miei fianchi si immobilizzarono, serrando la proprio presa e lasciandomi avvertire la loro forza.
 
Ero fra le sue gambe, protetto dalle spalle ampie e il calore del suo corpo. Il petto appoggiato alla mia schiena, e il suo cappotto lasciato volutamente aperto, così da poterlo allargare sulle mie braccia, come ulteriore difesa. Neanche quel posto conoscevo, ma non doveva trovarsi molto lontano dal palazzo di Jinki. Avevo riconosciuto la fermata dell’autobus alla quale eravamo scesi, e dovevamo essere ad appena qualche isolato dalla nostra traversa.
 
Avevamo preso una stradina secondaria, che terminava in una lunga scalinata. Sulla cima c’era una piazzetta, non molto grande e neanche tanto curata, ma la vista era molto bella, e le prime luci della città rendevano il paesaggio ancora più incantevole. Assomigliava ad un quadro. Saranno state le quattro, forse le cinque del pomeriggio, ma era inverno, e il sole non ci avrebbe messo ancora molto a tramontare.
 
Sulla nostre teste diversi lampioni proiettavano strani giochi di luci ed ombre, che attraversavano i nostri corpi stretti, per poi scivolare sul sentiero di ciottoli, o semplicemente affogare… in qualcuna di quelle numerose pozzanghere che ricoprivano il terriccio umido. Aveva piovuto, mentre noi pranzavamo. “Quando sono arrivato qui… non ci credevo molto. Non credevo che avrei trovato un altro posto, nel quale poter riprendere a respirare”.
 
Fui costretto a fermarmi. Le lacrime incrinarono la mia voce, fino a spezzarla. Non potevo cedere. Non adesso. Non ancora. Raccolsi altro ossigeno, e ripresi. “Jinki era gentile… ma non era abbastanza. Kibum mi abbracciava… ma non era abbastanza. Avevo deciso di andare via. Sai… appena arrivato. Mi ero detto che se non fosse cambiato nulla, allora sarei andato via”.
 
Le gote si bagnarono lentamente. Talmente lentamente… che la discesa di quel pianto mi parve quasi surreale. Non stavo soffrendo, solo comprendendo. Finalmente… capivo. “Lo sai perché non sono andato via?” chiesi. E avrei voluto che la mia voce fosse più ferma, ma le labbra tremavano, e ciò che ne venne fuori fu appena un sussurrò, reso più ovattato e confuso dalle mie emozioni.
 
“No, non lo so” la sua risposta mi sfiorò i capelli, attraverso il respiro incerto che l’aveva pronunciata, così simile al mio da farmi perdere un battito.
 
“Cercavo qualcosa. Qualcosa che…” quel singhiozzo fu troppo forte, e dovetti fermarmi ancora. Minho abbandonò la fronte contro la mia nuca, serrando le dita sul mio giubbotto, ricordandomi quando bisogno avesse di sentirmelo dire. “Qualcosa per cui vivere” soffiai fuori, sollevando gli occhi al cielo, riscoprendolo più liquido… attraverso quel velo sottile che mi offuscava la vista.
 
“Non è finita” confessai, mordendo le labbra, aspettando una reazione che non arrivò. Non capii. Mi voltai nel suo abbraccio, sollevando le ginocchia sulla panchina, per poter arrivare più vicino al suo volto in penombra. Stava piangendo. Ma al contrario del mio… il suo pianto era silenzioso. Non sfuggì ai miei occhi, dimostrando ancora una volta quanto forte potesse essere. Perché infondo... quanti uomini posseggono il coraggio di mostrare le proprie lacrime?
 
“Lo so” ammise, accarezzandomi il viso, spezzandomi il respiro con quella dichiarazione. “Non sono arrabbiato” aggiunse, utilizzando due dita per asciugarmi le guance, quando il mio corpo fu attraversato da nuovi brividi. “Non me l’hai ancora detto…”. Il suo sorriso era timido, e la luce che vidi riflessa nei suoi occhi scuri mi riempì il petto, riscaldandolo. Aveva ragione. Non lo avevo ancora fatto.
 
Abbassai le palpebre, improvvisamente a disagio. Volevo farlo. Volevo farlo davvero. Volevo regalargli la sincerità di quelle parole, e sperare che bastasse… per ripagarlo di tutti quei brutti ricordi che l’avevo obbligato a conservare. “Per te” dichiarai, trattenendo il fiato, riaprendo lentamente gli occhi. “Perché l’ho trovata… qualcosa per cui vivere”.
 
Rise. Dapprima piano, poi sempre più forte. Il suo abbraccio si fece quasi soffocante, mentre premeva dolcemente la sua bocca sulla mia, affondando fra le mie labbra quella gioia improvvisa che rendeva più profondi i suoi occhi scuri. “E’ per te…” ansimai, aggrappandomi forte alle sue spalle, chiudendo le braccia intorno al suo collo. “E’ per te… che ho di nuovo una casa”.
 

*****

 
Fu silenziosa la via del ritorno. Non c’era imbarazzo, né malcontento. Era un silenzio fatto di dita intrecciate e occhi puntati al cielo. Saltò una pozzanghera, ridendo felice quando me lo riportai vicino. Non potevo sopportarla l’idea di non averlo affianco. Con Taemin era tutto strano… era tutto magico. Le stelle mi sembravano più luminose quella sera, e anche la strada deserta mi donava serenità.
 

Eravamo io e lui. Tutto il resto venne dimenticato.

 
La tisana la preparammo insieme. Si sforzò di sminuzzare quelle piccole foglioline dall’odore così particolare, scottandosi appena la lingua quando provò con entusiasmo il liquido fumante. Era tenero e un po’ timido. Osservava il colore intenso di quella bevanda, e la consapevolezza di ciò che avrebbe rappresentato per il suo riposo si fece lentamente spazio nei suoi occhioni sorpresi.
 
“T-Tu… s-se lo sa-sapevi allora…” portai due dita sulle sue labbra, invitandolo dolcemente a tacere. Aveva capito, e tanto bastava. Gli sorrisi, mentre le pupille si dilatavano leggermente, e nuove lacrime resero più lucido il suo sguardo.
 
“Basta piangere” mormorai, trascinandomelo sul petto, ridendo piano quando tirò rumorosamente su con il naso. “Dovrei comprarti un ciuccio?” lo provocai, facendo istintivamente un passo indietro, troppo curioso di osservare la sua espressione imbronciata. Lui invece era lì, bello come il sole, e totalmente sereno. Ripulì le labbra sul tovagliolino di carta, ripiegandoselo tra le dita, per poi utilizzarne la facciata opposta sulla mia bocca.
 
Credo di essere arrossito. Era un gesto molto intimo e in quel momento… fui io a sentirmi un po’ bambino. Le tazze vuote finirono nel lavello, accanto al pentolino utilizzato per bollire l’acqua. Avrei lavato tutto il giorno dopo. Non avevo voglia di perdere altro tempo in quella piccola cucina. “Andiamo a letto” fu lui stesso a dire, e io mi lasciai prendere per mano, seguendolo docilmente fino alla mia stanza.
 
Ne rimasi sorpreso. Min allungò le mani tremanti, poggiandole sul pesante tessuto della mia felpa. Le dita si chiusero attorno alla cerniera, lasciandola scorrere lentamente verso il basso, permettendomi di sfilare l’indumento lungo le braccia. C’era qualcosa di insolito nel suo atteggiamento. Prima di tutto era la prima volta che mi spogliava e poi…

Mi mossi appena verso destra, spingendolo ad adattarsi involontariamente ai miei movimenti. La stanza era in penombra, giacché nessuno dei due si era preso la briga di accendere la luce. Timidi raggi lunari sorpassarono la base umida del vetro, scontrandosi col suo profilo emozionato, rendendo più evidenti le sue guance imporporate. Tremava. Era in imbarazzo. Mi stava spogliando. Fu come essere folgorato da un fulmine. Solo che… un fulmine mi avrebbe ucciso, quella nuova consapevolezza si limitò a stordirmi.
 
“Co-Cosa stai fa-facendo?” balbettai come uno stupido, senza trovare il tempo necessario neanche per vergognarmene. Taemin spinse dolcemente i jeans verso il basso, scoprendomi le gambe. Un lungo brivido mi attraversò la schiena, facendomi serrare gli occhi, mentre le sue mani delicate si posizionavano ancora una volta sul mio petto, spingendomi ad indietreggiare.
 
Finii disteso sul letto in un battito di ciglia, troppo sconvolto perfino per protestare. Cosa ho appena detto? Protestare? Che ipocrita che sono. Anche possedendo il fiato necessario, non avrei protestato comunque. Successe spontaneamente. Talmente tanto da farmi credere di star vivendo dentro un sogno. Osservavo il suo corpo sottile, mentre allargava le gambe intorno ai miei fianchi, posizionandosi cavalcioni sulla mia erezione. Era ancora vestito.
 
Riuscivo a percepire distintamente il battito furioso del mio cuore, così come udii il piccolo fremito che lo scosse, quando le mie mani si decisero finalmente a collaborare. Aveva sfilato lentamente il proprio maglioncino di lana, abbandonandolo sulla piccola montagnola formata dai miei vestiti, puntando i suoi occhi emozionati direttamente nei miei. Fu come risvegliarsi da un lungo sonno. Sbattei una paio di volte le palpebre, e la vista del suo corpo ormai nudo mi colpì dritto allo stomaco, togliendomi il respiro.
 
“Sei sicuro?” riuscii giusto a chiedergli, vedendolo deglutire a fatica, mentre abbassava ritmicamente la testa, mostrando un timido sorriso che lo fece apparire ancora più bambino.
 
Fu allora che lo toccai. Le mani si mossero da sole, risalendo i suoi fianchi, ricordando la vellutata consistenza della sua pelle perfetta. Non era la prima volta che lo toccavo. Ma era sicuramente la prima volta… che non mi sarei fermato solo a quello. Si lasciò sovrastare, gemendo piano quando gli fui sopra. Le dita corsero istintivamente a cercare il lenzuolo, e lì si chiusero, aggrappandosi con forza a ciò che restava dei suoi timori.
 
Avevo letto. Mi ero documentato. Ma da lì a farlo sul serio… ci passava un abisso. Min aveva chiuso gli occhi, affidandomi con un sospiro tutto se stesso. Non potevo rischiare. La sola idea di ferirlo mi stringeva la gola, provocandomi una dolorosa fitta all’altezza del petto. “Aspettami” sussurrai, depositando un ultimo bacio sulle sue labbra dischiuse.
 
Ricordavo vagamente una lozione per il corpo, che possedeva una piacevole fragranza al sapore di frutta. Kibum gliel’aveva regalata qualche mese prima, insistendo perché la usasse. Si trovava sulla piccola mensola scura, proprio sopra la vasca. Serrai le dita attorno al corpo plastificato della sua boccetta, riscoprendo attraverso le mani tremanti quanto fossi agitato.
 
Era steso sul letto, immobile nella posizione in cui l’avevo lasciato. Le coperte erano però state sollevate sui fianchi, in modo da coprirne le gambe e parte dell’inguine. Aveva freddo? No, sicuramente era solo imbarazzato. I passi che mi separavano da lui mi parvero tantissimi, mentre mi rigiravo con vergogna il flaconcino tra le mani, sfuggendo ai suoi occhi quando cercò di distinguere l’oggetto che mi ero portato dietro.
 
Affilai istintivamente lo sguardo, concentrandomi sulla sottile figura che mi stava aspettando. La pelle liscia e levigata, assai più perfetta di qualsiasi scultura avessi mai visto. I capelli erano appena arruffati. Ricadevano sbarazzini intorno alle sue guance piene, evidenziando con il loro colore gli occhi grandi e le labbra tremanti. Era così bello e innocente… che quasi mi soffocavo, trattenendo il respiro senza accorgermene.
 
Tese le braccia verso di me, proprio mentre io scivolavo sul suo corpo delicato, cercandone nuovamente il calore. “Non ho paura” mi rassicurò, aiutandomi a sfilare i boxer. Mi presi di coraggio ai primi gemiti strozzati, abbassando il capo sul petto ansimante, percorrendolo lentamente con la punta della lingua. Il suo sapore era dolce… irresistibile.
 
Volevo essere gentile, almeno la prima volta. Dio solo sa quanto la mia erezione stesse reclamando, ma non avevo alcuna intenzione di mostrarmi sconsiderato ed egoista. Avrei fatto tutto con calma, mettendo a tacere la mia libido, rendendo indimenticabile quella prima sera. Le gambe affusolate mi circondarono i fianchi, regalandomi un brivido quando il loro lento ondeggiare mi permise di sfiorare la curva dei suoi glutei.
 
“Aahhh…”
 
La mano sulla sua erezione la mossi timidamente, temendo di spaventarlo. Min invece inarcò immediatamente la schiena, chiudendo gli occhi, manifestando senza vergogna il proprio piacere. Fu solo un secondo, ma la sensazione che mi provocò al petto fu tremendamente fastidiosa. Aveva un corpo molto lascivo, per essere solo un innocente vergine di appena diciotto anni. Non è che per caso…?
 
Come ho già detto. Durò solo un secondo. Il mio cervello era fin troppo sveglio, considerando ciò che eravamo sul punto di fare. Decisi di spegnerlo, abbassando velocemente l’interruttore e lasciandomi guidare solo dall’istinto. La scia della mia saliva risalì il collo sottile, che venne velocemente piegato all’indietro, lasciandomi libero accesso alle pelle sensibile dietro l’orecchio.
 
“Hyung…” sbiascicò, aggrappandosi con forza alle mie spalle, arcuando i muscoli e cercando le mie labbra. Fu un bacio bramoso, quasi animalesco. Fino ad allora non mi ero reso conto… di quanto il mio desiderio fosse diventato prepotente. Min ne ebbe un assaggio poco dopo, quando chiusi con eccessiva foga la sua bocca carnosa tra i denti, strappandogli una piccola esclamazione di dolore.
 
La sua erezione, ancora racchiusa nella lenta carezza della mia mano destra, si fece appena più rigida, rispondendo con evidente lussuria alla mia mossa azzardata. Gli piaceva. Non me lo sarei aspettato. Ma magari ero solo io… a reputarlo ancora un innocente ragazzino dal cuore puro. La realtà è che il mio dolce coinquilino era abbastanza disinibito in fatto di sesso. Anche se… fortunatamente… lo era solo con me.
 
La fredda consistenza della lozione mi scivolò sulle dita, inumidendole con la sua viscosa scia al profumo di frutti di bosco. Serrò istintivamente le labbra, tornando a cercare con le dita il lenzuolo. Poi mi fissò negli occhi, concedendomi quel rapido segno di assenso che stavo aspettando. Respirare divenne più difficile, e il ritmo frenetico con cui il mio sangue fluiva nelle vene… mi fece temere un qualche arresto cardiaco, di lì a pochi secondi.
 
Inutile precisare che sono vivo e vegeto. Era solo il mio cuore quello in tumulto, pronto a scoppiarmi in petto da un momento all’altro, senza preavviso. La carne fra le sue cosce era tenera e candida, riluceva come seta sotto la poca luce che filtrava dalla finestra. Un po’ mi dispiacque non poterlo vedere meglio, ma gli occhi si erano abituati velocemente all’oscurità, così da potermi permettere di distinguere abbastanza nitidamente il suo corpo nervoso.
 
Eravamo entrambi agitati e imbarazzati. Sollevare l’interruttore... sarebbe equivalso a sprofondare senza ombra di dubbio nella vergogna più totale. Lo avrei guardato meglio le volte successive. Inspirai profondamente, abbassando per un attimo le palpebre, posizionandomi fra le sue gambe, mentre scivolavo lentamente sul materasso, portando il viso all’altezza del suo inguine.
 
Era morbido, avvolto da quella piacevole tonalità rosata che ne rendeva più innocenti le pareti esterne. Min inarcò la schiena, gemendo piano. Sollevai immediatamente gli occhi, e la smorfia che gli accartocciò i lineamenti mi strinse il cuore. Soffriva, e io non potevo farci nulla. “Respira con calma…” cercai di incoraggiarlo, aspettando nuovamente il suo segno di assenso, prima di iniziare a muovermi.
 
Era solo un dito, ma sembrava già fin troppo doloroso. Forse era meglio fermarsi. “Mmm…” miagolò, schiudendo completamente le labbra, lasciandosi vincere da quella nuova sensazione. Piacere. Lo capii subito, perché la sua espressione divenne più rilassata, e gli occhi che spalancò sul soffitto mi parvero improvvisamente più languidi. Rimasi stregato da quella visione, spingendo con delicatezza il secondo dito dentro il suo corpo.
 
Pulsò con forza, attorno ai miei polpastrelli, lasciandomi senza fiato. Si adattò a quell’invasione più velocemente di quanto avrei creduto, facendomi fremere quando infine mi disse “Va bene così. Sono pronto”.
 
La nostra unione fu silenziosa, fatta solo di sospiri spezzati e dita intrecciate. Cercai le sue labbra per tutto il tempo, così da poter assaporare fino in fondo ogni suo nuovo gemito, ammaliando i sensi con la spregiudicata sensualità dei suoi fianchi oscillanti. Si adattò al mio ritmo, aggrappandosi alle mie spalle, ansimando contro il mio orecchio.
 
“Ti amo” sussurrai, accarezzando i suoi capelli castani, avvertendo attorno alla mia reazione quell’impercettibile contrazione che precedeva l’orgasmo. Poche gocce salata gli bagnarono il viso, mentre tirava indietro il collo, invocando il mio nome, liberandosi con un lungo brivido nella mia mano. Lo seguii subito dopo, riempiendo il suo corpo delicato con la profonda soddisfazione che quell’unione mi aveva donato.
 
“Ti amo anch’io” mormorò, spingendomi verso il proprio petto, accarezzando una guancia con il suo respiro irregolare. “Non male… per un primo appuntamento”. Chiuse gli occhi, ormai sfinito, regalandomi un timido sorriso, un attimo prima di addormentarsi.
 
Non c’era stato bisogno di inviti. Quel piccolo diavoletto mi leggeva dentro. Ero felice di averlo fatto. Jinki aveva ragione. Non contavano i tempi fra noi, ma solo i sentimenti che ci avevano legato, fin dalla prima volta che i nostri occhi si erano incontrati. Avevo bisogno di dirlo. Nonostante non potesse sentirmi, lo avrei fatto comunque.
 

“Ce la faremo Min. Non importa quanto ci vorrà.
Questa casa… sarà per sempre tua

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Capitolo 26
*** Io non ho bisogno di maschere ***


NOTE

Ehm... mmm... ehm... Non saprei proprio cosa scrivere questa volta. ^^
La situazione si complica ragazzuole. "Come se non fosse già abbastanza ingarbugliata!" direte voi, ma...
Leggete su, non voglio svelarvi nulla! >_<

Un bacione a tutte! Chuuuuuu! <3

SkyScraper





 

Capitolo 25 – Io non ho bisogno di maschere
 
Seta, della più pregiata e costosa. Avevo seta sotto le dita. Abbandonato su quel letto, teneva gli occhi chiusi e si mordeva le labbra. Innocente. Immorale. Sadicamente perfetto. Sollevai la sua gamba sinistra, chiudendo le dita attorno al polpaccio morbido e sottile. Guidai il piede fino alla mia spalla destra, e da lì lo sostenni. La maglia scura si mosse sui fianchi, scoprendo parte delle cosce, rendendo più asciutta la mia gola.
 
Di saliva a disposizione non ne avevo. Avrei utilizzato la sua. Feci perno sulle ginocchia, portando il busto in avanti, chinandomi sul suo viso. La sua gamba fu costretta a seguirmi, e il ginocchio si piegò flessibile, donando a quella posizione una sfumatura ancora più erotica. Le palpebre le sollevò piano, timoroso e probabilmente imbarazzato. Ma la sua bocca rossa si era già protesa, e catturarne la dolce forma a cuore non fu difficile.
 
“Mmm…” miagolò nel nostro bacio, tremando impercettibilmente quando le dita corsero pigre sul dorso del suo piede. Potevo avvertire ogni vibrazione e ogni fremito, attraverso la liscia perfezione di quella pelle lattea. Senza accorgermene… tremai anch’io.
 
La mia mano risalì, indolente e spregiudicata, costringendo il suo corpo ad inarcarsi, quando infine ne sfiorai le cosce tentatrici. La sua tenera carne mi faceva ardere e sospirare, mentre le gambe sottili si schiudevano appena, rispondendo con sincerità alle mie nuove carezze. Rimasi fermo di fronte a lui, in ginocchio tra le lenzuola sgualcite, osservando ogni mutamento della sua espressione, perdendomi in quel leggero ansimare che rese completamente rigida la mia erezione.
 
Era una lenta scoperta. Giorno dopo giorno, ogni volta un po’ di più. Le labbra sostituirono le dita, e il dolce profumo del suo peccato mi invase le narici, obbligandomi a deglutire. Vaniglia. Dio, quanto mi piaceva. La saliva rese la pelle più umida e scivolosa, mentre al senso del tatto e dell’olfatto… si aggiungeva quello del gusto. No, non me n’ero scordato. Gli avevo strappato una promessa giorni prima, e il mio piano era ormai sul punto di mettersi in moto.
 
“J-Jong…”
 
Il mio nome venne fuori flebile e appena udibile. Sorrisi sulla pelle di porcellana, e il mio respiro rese più nervosi i suoi muscoli, che si tesero tutti insieme, nello stesso istante. Scivolai tra le sue gambe, premendo le labbra sul suo interno coscia. Il movimento con il quale la mano tremante corse a coprire la sua erezione mi fece trattenere il respiro. Anche il gesto più innocente assumeva una sfumatura altamente provocante… se era il mio Bummie a farlo.
 
Indossava i boxer e una delle mie maglie, assai più larghe del suo corpicino delicato, ma dannatamente perfette nel loro intendo di accrescere la mia fame. Avevamo dormito insieme, come accadeva da diverse notti ormai. Al rientro dalla corsa lo avevo trovato ancora mezzo addormentato, con un braccio penzoloni fuori dal letto, e la gamba sinistra sfacciatamente scoperta.
 
Non avevo resistito.
 
Il tempo di una doccia, che avevo per lo più occupato pregando che non si svegliasse, ed ero nuovamente tornato da lui. I capelli erano ancora umidi, ma non mi importava. La sola idea che fossero le mie carezze a rendere coscienti quei bellissimi occhi da gatto… aveva prepotentemente rigonfiato i pantaloni sottili, facendo aumentare con facilità il pulsare del mio cuore.
 
I denti intrappolarono la carne, mentre Kibum gettava indietro la testa. Il gemito che abbandonò le sue labbra era più acuto del precedente. Rese più instabili le mie emozioni, spingendo la mia morsa a serrarsi ancora, troppo bramosa di ascoltare nuovamente quello scandaloso suono. Le dita sulle mie spalle divennero quasi disperate. Le unghie graffiarono la pelle, ma invece di infastidirmi mi regalarono un lungo brivido.
 
Non riuscivo a separare lo sguardo dal suo volto. Il rossore risalì veloce le guance delicate, riempiendole con il suo adorabile colore, facendomi perdere un battito mentre allungavo istintivamente la mano destra. Come la falena che insegue la luce destinata a bruciarle le ali, allo stesso modo io inseguivo quell’angelo che mi avrebbe scottato l’anima. Era una droga. Era la mia rovina.
 

Volare al suo fianco… sarebbe stato davvero possibile?

 
I polpastrelli ruvidi cercarono con sofferente bisogno il viso innocente da cui erano stati stregati. Lo catturarono tra le dita, mentre le iridi scure e liquide incrociavano le mie, colmandomi con le emozioni che a stento tentavano di celare. Fu uno sguardo languido. Uno sguardo timido. I suoi occhi mi facevano impazzire. Disegnati dal più abile dei pittori, riempiti con il colore denso del cioccolato amaro. Avrebbero reso chiunque un burattino. Se solo Kibum lo avesse voluto… la sua aura innocente avrebbe spinto all’inferno qualsiasi uomo.
 
Depositai gentilmente il piede delicato sul materasso, proprio accanto al mio corpo, che era tornato a gattonare verso il suo volto. Mi sorrise. Un sorriso imbarazzato, ma tremendamente felice. Bummie era come il sole estivo. Non importava quanto cercassi di tenertene lontano, anche da sotto le tettoie, anche attraverso il tessuto colorato di un ombrellone. Lui ti raggiungeva. Sfiorava il tuo corpo con il suo devastante calore, scioglieva ogni resistenza… e alla fine ti rendeva suo schiavo.
 
La lingua che accarezzò la mia era timorosa e un po’ impacciata. Sapeva danzare egregiamente, ma non ne era ancora consapevole. Meglio così. Fosse stato pienamente cosciente del suo potere… chissà cosa ne sarebbe stato di me. La catturai tra le labbra, succhiandola piano, godendomi fino in fondo quello strozzato miagolio che gli risalì la gola. Ogni dimostrazione di benessere rendeva più insaziabile il mio amore.
 
“Kibum…” ansimai a mia volta, desideroso di percorrere i suoi lineamenti con l’umidità della mia bocca. Lo feci, e lui rise piano, chiudendo braccia e gambe intorno al mio corpo, sussultando appena quando le nostre erezioni si sfiorarono.
 
“Faremo tardi…” sbiascicò, talmente insicuro da non farmi credere che le sue preoccupazioni fossero reali. “Jong davvero, dovremmo… mmm…” avevo serrato con forza la mia presa sui suoi fianchi sottili, spingendolo ad unire un po’ di più i nostri bacini, permettendogli di percepire fino in fondo l’urgenza del mio bisogno.
 
“Vuoi che mi fermi?” gli chiesi, in parte ironico, in parte provocatore. Le labbra scivolarono oltre la curva del mento, sfiorando la morbida pelle del collo, intrappolandone un lembo per poi passarci più volte sopra la lingua. Era sensibile a quel contatto, e lo dimostrò immediatamente, gemendo ancora e inarcando la schiena. Risi della sua resa, lasciando scorrere la maglia lungo i fianchi, scoprendo con voluta lentezza nuovi centimetri del suo corpo.
 
Non si tirò indietro, e neanche oppose nuove resistenze verbali. Al loro posto schiuse la presa attorno alle mie spalle, sollevando le braccia verso l’alto, permettendomi di spogliarlo completamente. Fu talmente docile in quel momento da farmi istintivamente trattenere il fiato, mentre i suoi occhi scuri tornavano nuovamente a cercare i miei. La bocca rossa divenne inaspettatamente vicina, e fu lui a baciarmi per primo.
 
Le dita saggiarono i preziosi ansimi del suo torace, percorrendolo lentamente in una lunga carezza. Percepivo il leggero tremore delle sue mani, proprio sul viso, lì dove le aveva silenziosamente adagiate. Mi spinse nuovamente a sovrastarlo, ma le gambe erano rigidamente serrate l’una all’altra e mi strapparono un sorriso sincero. Quel lato puro e ingenuamente eccitante mi faceva perdere la testa.
 
“Hai paura?” mormorai, sfiorando il lobo sinistro con la lingua, percorrendone placidamente la morbida consistenza, per poi chiuderlo con piacere tra i denti. Lo stuzzicai piano, senza fargli del male, assaporando con soddisfazione quel piccolo fremito che lo spinse a serrare le palpebre.
 

“Non potrei mai avere paura di te”

 
Quella risposta, seppur sussurrata e appena udibile, mi donò un’emozione fortissima. Avvertii distintamente il tendersi dei miei muscoli, sorpresi e vagamente turbati. Il loro stesso stupore si trasformò in pochi secondi in stucchevole dolcezza… rilassando il mio intero corpo… come il getto caldo di una doccia, dopo le fatiche di una lunga giornata.
 
Abbandonai la fronte contro la sua, sospirando forte, incorniciando la straordinaria bellezza di quel volto con le mie dita adoranti. “Ho detto qualcosa di sbagliato?” mi chiese, arrossendo ancora, probabilmente confuso dall’espressione completamente idiota che ero sicuro mi si fosse spalmata sulla faccia. Scossi leggermente la testa, e lo abbracciai forte.
 
Teneva gli occhi appena sgranati, nascondendoci dentro quel filo di preoccupazione che ancora non l’aveva abbandonato. “Hai detto una cosa bellissima…” lo rassicurai, accarezzando dolcemente i suoi capelli biondi, felice di sentirlo rilassarsi dopo quelle parole. Il sorriso sulla mia spalla lo percepii subito, così come le braccia che stavano tornando a sollevarsi, rispondendo con la loro timida stretta all’abbraccio che lo aveva avvolto.
 
“Apri un po’ le gambe. Non faccio niente”. Non feci in tempo a terminare la frase. Kibum aveva già acconsentito alla mia richiesta, permettendomi di scivolare completamente su di lui, avvolgendomi i fianchi con il seducente calore delle sue cosce dischiuse. “Mmm” mormorai, soddisfatto, affondando il naso sul suo collo sottile.
 
Rimanemmo semplicemente in quel modo, senza dire o fare nulla. Non mentivo. Non avrei fatto niente in ogni caso. Era ancora troppo presto e me ne rendevo conto. Ci conoscevamo da qualcosa in più di un mese, e nonostante fossi sicuro di quello che provavo per lui… capivo che per il mio dolce coinquilino quel passo era troppo importante… per poterlo compiere dopo così poco.
 
Mi bastava il suo profumo. Mi bastava il sapore dei suoi baci. Mi bastava… la sensazione della sua pelle addosso. Avrei proceduto con calma, con rispetto. Non volevo che se ne pentisse. Non volevo che si alzasse il giorno dopo, guardandosi allo specchio e sentendosi sporco. Avrebbe scelto lui il momento, e a me andava bene così. Lo avrei aspettato. Avrei aspettato tutto il tempo necessario… per quel piccolo micetto che mi stava concedendo di stargli affianco.
 
“Sei importante per me” dissi, senza preoccuparmi di sbilanciarmi troppo. Forse non era ancora pronto per una dichiarazione d’amore in grande stile, ma quella sottile via di mezzo sarebbe dovuta andare bene.
 
Sussultò, ancora stretto al mio collo, e io mi mossi velocemente verso la sua schiena tremante, accarezzandola piano. Percorsi con lentezza quella forte emozione che gli stava attraversando il corpo, felice di avvertirne ogni sfumatura sotto la punta delle dita. Era contento. Lo sapevo. Sollevai appena il viso, e cercai i suoi occhi.
 
Fu come entrare in mare, tutto in un colpo. Il primo bagno di maggio, quando la spiaggia è ancora deserta e tu ti senti particolarmente temerario. L’acqua salata ti avvolge, inghiottendo il tuo coraggio tra le sue onde ancora gelide. Inizialmente ti toglie il fiato, colpendoti allo stomaco come una scarica elettrica, che ti stordisce i sensi, facendo fluire più velocemente il sangue nelle vene, mentre il battito impazzito del cuore riempie completamente le orecchie.
 
Poi il sole ti richiama a sé, permettendoti di scorgere la superficie, sempre più vicina. L’ultima bracciata e i raggi ti investono, sfiorando la pelle tremante e appena intirizzita, facendoti scoppiare a ridere come un pazzo. Ce l’hai fatta. Non hai avuto paura. Ti sei tuffato, e ne sei uscito vittorioso.
 
La sensazione che provai in quel momento… mi viene da paragonarla proprio a questo. Un salto coraggioso, ripagato dalla gioia della conquista.
 
Le guance si bagnarono lentamente, inumidite da quei sentimenti che non era riuscito a trattenere. Sorrideva. Sorrideva e piangeva. Qualcosa di talmente bello che credevo avrebbe fermato completamente il mio cuore. Accarezzai le sue lacrime, che scomparvero silenziose sulla punta dei polpastrelli, e risposi al suo sorriso, baciando dolcemente le labbra umide dal pianto.
 
“Anche tu…” soffiò, nascondendo il volto sulla mia spalla, stringendomi forte mentre ricominciava a parlare “Anche tu sei importante per me”.
 

*****

 
Osservai le sopracciglia di Kibum unirsi, conferendogli un’espressione assai confusa. Fissava lo schermo del suo palmare, e Jonghyun gli si era prontamente piegato di lato, sbirciando a sua volta il monitor luminoso. Lo sguardo perplesso corse dal messaggio al volto del suo coinquilino, e lì si fermò.
 
Eravamo seduti in mensa. Loro due, Minho ed io. Pensai immediatamente che si trattasse di Taemin, e inarcai a mia volta un sopracciglio. “Minnie ha finito la lozione per il corpo che gli ho comprato?” chiese il biondo, portando lo sguardo sul volto del mio vicino, che a quelle parole prese fuoco peggio di una foglia secca esposta al sole, strozzandosi con qualche chicco di riso che gli andò di traverso.
 
C’era qualcosa di strano quella mattina, e ce n’eravamo accorti tutti. Soprattutto Kibum, che evidentemente considerava più che bizzarro quell’sms. In tutta onestà io non ci trovai nulla di anomalo. Non sapevo neanche che avesse comprato al più piccolo una lozione per il corpo, ma poco importava. Qual’era il problema se l’aveva finita? Di sicuro… la reazione di Minho non rese la sua espressione più rilassata, comunque.
 
“Non ne ho idea” rispose alla fine il moro, tra un colpo di tosse e l’altro, abbassando lo sguardo sul proprio piatto. Sembrava quasi che gli fosse passato l’appetito. Riempì di malavoglia un altro cucchiaio di riso, portandoselo alle labbra.
 
“Non ne hai idea, mmh?” commentò il mio vicino dagli occhi felini, osservando l’espressione del proprio coinquilino, che aveva a sua volta deviato lo sguardo. Jonghyun appariva quasi “colpevole” in quel momento. La bocca di Kibum si ridusse ad una linea sottile, mentre la mascella veniva serrata e il cellulare messo da parte.
 
“La cosa ancora più strana… considerato che mi ha detto di usarla molto poco…” mormorò, con voluta lentezza, risvegliando con il proprio tono saccente il mio interesse. L’ombra dei suoi pensieri diabolici prese lentamente forma davanti ai miei occhi, come se riuscissi a leggergli direttamente in testa. Era pronto a sferrare un colpo mortale, ne ero sicuro. “E’ che dice di avere bisogno di un’intera confezione” concluse, arricciando le labbra, inchiodando con il proprio sguardo il mio vicino di posto.
 
Minho strabuzzò gli occhi, strozzandosi per la seconda volta. Se prima era solo imbarazzato, direi che adesso era praticamente sull’orlo di una crisi isterica. Affondò il volto tra le mani, scuotendo la testa da una parte all’altra. Mi fece preoccupare. Perché una reazione del genere al solo sentir nominare una semplice lozione per il corpo? Beh… un “possibile” motivo mi aveva attraversato la mente in realtà. Ma non credevo che…
 
“Dannato animale!” strillò Kibum, di cui mi ero per un attimo dimenticato. Jonghyun non fece in tempo ad afferrarlo. Si coricò sul tavolo, facendo ruzzolare a terra un paio di bottiglie (per fortuna ancora chiuse!) e afferrò il malcapitato per il colletto. “Ma io ti ammazzo brutta bestia che non sei altro!” gli urlò addosso, strattonandolo con forza.
 
Il più piccolo avrebbe potuto facilmente liberarsi, considerata la consistente differenza di stazza, ma non cercò neanche di schivarlo. Rimase lì, inerme e più stravolto di lui, lasciandosi sballottare da un lato all’altro. Non potevo certe restarmene a guardare, no? Mezza mensa ci stava osservando ad occhi sgranati, e perfino le cuoche avevano puntato i loro sguardi preoccupati sul nostro tavolo.
 
“Kibum, lascialo! Così lo ammazzi!” esclamò Jonghyun, alzando notevolmente il tono di voce, cercando di farsi strada attraverso la furia cieca che si era impossessata del suo piccolo micetto. Dovetti mettermi in piedi anch’io, arrivandogli alle spalle. Strinsi le braccia intorno al suo esile corpo, sollevandolo di peso, riuscendo così ad allontanarlo da Minho.
 
Il coinquilino di Taemin era talmente pallido da risultare quasi cadaverico. Continuava a tenere le dita sul collo, lì dove la morsa di Kibum aveva rischiato per un attimo di strangolarlo, e gli occhi spenti rimasero intrappolati in quelli furenti del più grande. “Dì qualcosa maledetto imbecille! Non hai fatto quello che penso, vero?!”
 
“Restiamo tutti calmi…” dissi, mettendomi istantaneamente in mezzo. Li invitai tutti quanti a riprendere posto, facendo notare loro quanta attenzione avevamo attirato. Il gattino impazzito serrò con forza i pugni, ma fece ciò che gli avevo detto. “Bene…” iniziai, tornando a mia volta accanto a Minho, che aveva nuovamente chinato il capo.
 
“Qualsiasi cosa sia successa… non sono affari nostri”.
 
I miei occhi si puntarono direttamente su Kibum, che in un primo momento schiuse le labbra, pronto a rispondere. Dopo parve ripensarci, probabilmente intimorito dall’espressione severa che assunsi, e le richiuse silenziosamente. Conoscevo il mio ascendente su di lui. Sapevo che mi avrebbe ascoltato.
 
Non potevo scendere molto nei particolari, altrimenti avrei rischiato solo di peggiorare la situazione. “Capisco la tua preoccupazione” continuai, addolcito dal piccolo broncio che gli aveva fatto incurvare le labbra. Ci teneva molto a Tae, e su questo non potevo assolutamente dire nulla.
 
“Ma non credi che sia abbastanza maturo da prendere da solo le sue decisioni?” incalzai, cercando disperatamente di mettere fine a quella conversazione. Dopotutto… anche io mi vergognavo parecchio. Si trattava pur sempre di un argomento piuttosto delicato, e mettermi in mezzo mi creava un certo disagio.
 
Passarono alcuni secondi. Attimi in cui nessuno fiatò, e dove lo sguardo di tutti i presenti si spostò sull’espressione abbattuta di Kibum. Alla fine la sua testolina bionda si abbassò. Un rapido segno di assenso, e nulla più.
 
Gli sorrisi, tendendo un braccio verso di lui, e gli spettinai dolcemente i capelli. “Lui sta bene. L’hai visto anche tu stamattina, no?”.
 
Mugugnò qualcosa che mi parve un “Si”, per poi sollevare gli occhi dispiaciuti su quelli imbarazzati di Minho. “Mi dispiace” sbiascicò fuori, arrossendo appena, mentre Jonghyun lo fissava con orgoglio, tornando nuovamente a sorridere.
 
Il ragazzo al mio fianco sospirò pesantemente. “Non fa niente” mormorò. Kibum si lasciò mestamente stringere dal suo coinquilino, e io potei finalmente tranquillizzarmi. Sembrava che il peggio fosse passato.
 
“Ma se lo fai soffrire ti ammazzo” ci giunse la sua voce attutita, stritolata in quel forte abbraccio che lo aveva avvolto. Niente di troppo esagerato, considerando il soggetto. Il solito avvertimento da omma.
 
Minho rise piano, guadagnandosi un’occhiataccia. Pronunciò la sua risposta con solennità, emozionandomi un po’. Il suo amore era molto grande, e io lo sapevo bene. “Non lo farò mai, te lo prometto” disse, sorridendogli con dolcezza. Kibum si sciolse completamente, e gli sorrise a sua volta, finalmente soddisfatto.
 
Quei due avevano uno strano rapporto. Di interessi in comune ne condividevano molti, e li avevo spesso osservati chiacchierare amabilmente per ore intere. Il fatto che nutrissero un grande affetto per Taemin comunque… rendeva la loro amicizia spesso altalenante. Nonostante tutto ero più che consapevole del bene che si volessero, per cui ogni minaccia non veniva mai realmente espressa con cattiveria.
 
Scossi la testa, riempiendo i polmoni con quel piacevole profumo di “famiglia” che respiravo sempre in loro compagnia. Rendevano ogni mia giornata assai più movimentata, ma era una confusione che sapeva di benessere, e tanto bastava a rendermi felice. Mi chinai, senza dire altro, recuperando le bottiglie e nascondendo appena in tempo gli occhi lucidi.
 

Li avessi resi coscienti di quanto amore nutrissi nei loro confronti…
sicuro che se ne sarebbero approfittati!

 

*****

 
I passi procedevano, lenti ma convinti, lungo il corridoio del secondo piano che l’avrebbe portato dalla persona che cercava. Era sicuro che lo avrebbe trovato lì. Controllò un’ultima volta l’orologio, e si fermò sulla soglia dell’aula. “Dovrebbe essere ora” mormorò, poggiando la schiena al muro e sistemando meglio la tracolla sulla spalla destra. “Questa faccenda deve essere chiarita”.
 
La campanella risuonò stridente e fastidiosa, riempiendogli le orecchie e facendogli storcere le labbra. Lo odiava quel frastuono. I primi studenti vennero fuori. Qualcuno gli lanciò uno sguardo incuriosito, gli altri si limitarono ad ignorarlo. Una ragazza gli sorrise, abbastanza sfrontata, ma Jonghyun si affrettò ad abbassare gli occhi.
 

Il mio Bummie non somiglia per niente ad una di queste ochette giulive.

 
Voltò appena il capo, sbirciando l’interno della sala di fisica, trovandola quasi vuota. Ma dove diavolo si era cacciato?! “Ah, eccolo” disse ad alta voce, più a se stesso che ad un possibile interlocutore, incupendosi ancora di più. Byung-Hee recuperò il casco dal pavimento, infilandolo sotto il braccio, sfilando allo stesso tempo un piccolo pacchetto dalla forma rettangolare dalla tasca interna del giubbotto.
 
La mano si bloccò a mezz’aria, proprio mentre i suoi occhi scuri incrociavano quelli della persona che lo stava aspettando. “Buongiorno” lo salutò, senza apparire eccessivamente sorpreso, e il sorriso che gli rivolse rese più tesi i lineamenti di Jonghyun. “Ho un’ora buca” aggiunse, portando con indifferenza la sigaretta alle labbra “Se dobbiamo parlare meglio andare fuori”. Non attese risposta. Semplicemente si incamminò verso il cortile, subito seguito dal più piccolo.
 
Non ci furono troppe cerimonie, né tanto meno convenevoli cortesi e totalmente fasulli. I loro passi si bloccarono davanti al basso muretto che correva parallelamente alle scale esterne, e la prima domanda venne scandita con freddezza. “Che cosa vuoi da lui?”
 
Le labbra piene di Byung-Hee si piegarono in un piccolo sorriso, mentre questi prendeva posto su quel sedile improvvisato, stendendo le gambe e incrociando le caviglie. La fiammella dell’accendino appena comprato non durò che un attimo, ma la prima boccata risultò esasperatamente lunga e insopportabile. Gli piaceva innervosire la gente, forse?
 
“State insieme, no?”
 
Nessuna risposta, solo un’altra domanda. Jonghyun sbuffò, infastidito. “Credevo che questo fosse abbastanza chiaro” il suo tono severo fece sollevare lo sguardo al più grande, che riportò la mano guantata alle labbra, inspirando nuovamente. Il fumo venne lentamente rilasciato, riempiendo l’aria che avevano intorno. L’estremità esterna della sigaretta bruciò appena, consumando il sottile rivestimento bianco, i cui bordi divennero neri e irregolari.
 
“Giusto” confermò, e la sua risata divertita ridusse gli occhi del bruno a due ostili fessure “Il marchio che gli hai lasciato addosso non è sfuggito a nessuno” aggiunse, facendo spallucce. “Interessante… il modo infantile con il quale credi di poter legare a te una persona” osservò con indolenza, portando le braccia all’indietro, utilizzandole per sostenere il proprio peso attraverso i palmi aperti.
 
Il rantolo infastidito di Jonghyun non fece altro che aumentare il suo divertimento. Byung-Hee poteva sembrare molte cose, ma non era certo un tipo a cui mancava la parola. “E se avessi ragione tu?” continuò, tornando improvvisamente serio, sorprendo il suo interlocutore con il suo torno risoluto e lo sguardo diretto. “Dovrei forse aver paura di te?” l’ultima domanda si perse nel nuovo alito di vento che attraversò il cortile, mentre il suo ghigno divertito spingeva il più piccolo a serrare entrambi i pugni.
 
“Vedo che hai finalmente deciso di abbandonare la tua maschera” le braccia si tesero, mostrando senza timore le vene sporgenti, forte segno di tutto l’autocontrollo che stava cercando di imporsi.
 
“Non ho bisogno di maschere Jonghyun” lo contraddisse immediatamente, puntando gli occhi sulla fontana che avevano di fronte. Si prese qualche secondo, nel quale il respiro del ragazzo al suo fianco divenne via via più pesante. La pazienza non doveva essere il suo punto forte. “E tu?”
 
Quella domanda ricadde, decisa e inaspettata, tra il sottile gioco di sguardi che avevano ricominciato a scambiarsi. Il più giovane inarcò un sopracciglio, dimostrando la propria indifferenza. “Quanto di quello che dimostri è reale…?” Un nuovo sorriso strafottente, e quel pugno chiuso avrebbe sul serio voluto stamparglielo in faccia. Quel tipo era odioso.
 
“Stai lontano da lui” sibilò, facendo istintivamente un passo in avanti, ma l’espressione derisoria del maggiore non cambiò di una virgola. “Non sono un tipo a cui piace parlare” i muscoli della  mascella si contrassero impercettibilmente, e la tensione esercitata sulle spalle rigide aumentò ancora.
 
Pronto a fare dietrofront e andare via, le parole che stava per ascoltare non se le sarebbe mai aspettate. “Ti conosce bene, non è vero? Quel fioraio da cui passi quasi ogni giorno. Si trova al quinto distretto, giusto?”
 
Fu come ricevere un pugno in pieno stomaco, quando la tua guardia è rimasta stupidamente abbassata, trasportata dall’ingenua convinzione che il tuo avversario fosse ormai a terra. Byung-Hee rimase pazientemente in attesa, gettando lontano ciò che restava della propria sigaretta. Non l’aveva ancora finita, ma sapeva bene che di lì a poco non avrebbe più avuto modo di farlo.
 
Questione di brevi secondi. Sette, dieci al massimo. Gli occhi che tornarono a cercare il suo viso erano furiosi, così come le mani che si abbatterono con forza sul suo corpo. Ma il maggiore era preparato alle sue reazioni, e non si scompose neanche quando Jonghyun lo costrinse ad alzarsi, strattonandolo dal bavero del giubbotto, trascinandolo vicinissimo al suo viso.
 
“A che diavolo di gioco stai giocando?!” ringhiò il bruno, aggrappandosi disperatamente all’ultimo barlume di buon senso. Se lo avesse preso a pugni in mezzo al cortile… avrebbe rischiato un provvedimento disciplinare. L’astio nella sua voce era talmente palpabile da far apparire il cielo improvvisamente più grigio. No, non era un’impressione. Il temporale si stava avvicinando.
 
“Io non gioco Jonghyun” mormorò, scandendo con esasperante lentezza ogni singola sillaba. “Conosco le tonalità dei fiori che usi comprare. Conosco il nome della persona che li riceve. E conosco il bacio che ti viene regalato in cambio. Quello che non conosco… è il motivo delle tue azioni”.
 
La rabbia con la quale venne allontanato lo fece sbattere con forza contro il muro ma, anche questa volta, Byung-Hee non reagì. “Non metterti in mezzo” gli sputò addosso il più piccolo, assestando il proprio pugno a cinque centimetri dal suo volto, proprio su quella parete che avrebbe potuto rompere tutte le ossa della sua mano. “Kibum è mio!” il nuovo rantolo venne fuori strozzato, spezzato tra i denti uniti che gli venivano mostrati senza remore.
 
Un altro al suo posto si sarebbe impaurito, scappando via. C’era così tanta furia in quegli occhi da dover procurare almeno un sussulto… in qualsiasi uomo dotato di un briciolo d’istinto. Ma il tipo che aveva di fronte, e che continuava a mostrare con indifferenza il suo sorriso sghembo e soddisfatto, non provava alcun timore per quella minaccia che Jonghyun rappresentava.
 
“Kibum ha molte domande in testa” ribatté, risoluto “E a te mancano le risposte” aggiunse, incurvando le labbra in una piccola smorfia canzonatoria “Non c’è amore senza fiducia”. Il tono ironico non passò inosservato, così come Byung-Hee notò immediatamente l’ombra di timori che attraversò gli occhi del più giovane.
 
“Perché dovrei mettermi in mezzo ad una relazione così instabile? Riflettici Jonghyun… io non interferirò tra voi due” mormorò, puntando una mano sul petto ansimante, esercitando quel tanto di pressione che bastava a farlo indietreggiare. Non fu necessario forzarlo, perché il bruno si tirò mestamente indietro, conscio più che mai di quanto avesse sottovalutato il suo nemico.
 
“Se volessi Kibum… mi basterebbe aspettare” decretò, recuperando da terra le proprie cose. “Sarai tu a segnare la fine della vostra storia” le dita si chiusero con sicurezza intorno al corpo sottile di una nuova sigaretta, e questa venne lentamente accesa e portata alle labbra. Gli occhi di Jonghyun seguirono i suoi movimenti senza vederli davvero. La stretta che gli serrava lo stomaco era diventata insopportabile… così come la verità che si nascondeva dietro quell’ultima frase.
 
“Io lo amo” confessò, tornando ad incrociare lo sguardo adesso stupito del più grande. “Tu puoi dire lo stesso?” strinse le labbra, attendendo una risposta. Se quella era l’unica cosa che poteva affermare con sicurezza, allora era anche l’unica che potesse utilizzare. Lui amava davvero Kibum, ed era un motivo più che valido per non volerlo lasciare a nessun altro.
 
La tracolla blu scivolò sulla spalla destra di Byung-Hee, i cui occhi scuri avevano per un attimo lasciato trasparire la sua sorpresa. “Non paragonare i nostri sentimenti Jonghyun” mormorò, mentre un sorriso amaro ridisegnava con durezza i suoi lineamenti regolari. “Faresti un grosso errore”.
 
Lo lasciò lì, senza ulteriori spiegazioni né ammonimenti. Le gambe gli parvero improvvisamente instabili, tanto da vederlo costretto a scivolare a sua volta sul muretto, occupando quello stesso posto che il motociclista aveva abbandonato solo da poco. Entrambe le mani vennero portate al viso, nascondendo nei palmi aperti i nuovi pensieri confusi che gli stavano riempiendo la testa.
 

“Che diavolo sto facendo?”

 

*****

 
Jonghyun era strano. Taciturno e sfuggente. Osservai il suo profilo, scorgendo le piccole rughe di espressione che ne segnavano con durezza i lineamenti. A cosa pensava? Qualcosa lo turbava? Quel giorno era tornato più tardi del solito, dedicandomi solo un bacio frettoloso, per poi immergersi completamente nello studio. Non si mise neanche in cucina, e quel particolare mi fece rattristare.
 
Ero io il motivo di quel cambiamento? A scuola ci eravamo separati dopo la seconda ora pomeridiana. Io avrei aspettato la fine delle mie lezioni, mentre lui avrebbe raggiunto la madre di Jinki al negozio. Mi aveva addirittura trascinato in un angolo del corridoio, dandomi un bacio che per poco non mi lasciava completamente a corto di fiato. Dopo non ci eravamo più visti fino al suo rientro.
 
Le nocche si scontrarono discretamente con l’uscio chiuso, annunciando la mia presenza. Notai le sue spalle divenire più rigide, mentre io facevo il mio ingresso nella sua camera. Il sospiro che abbandonò le sue labbra mi fece male. Non voleva che fossi lì, vero? Non ero uno stupido. Lo capivo anch’io quando non ero desiderato.
 
Chinai istintivamente il capo, voltandomi nuovamente verso la porta. “Scusami. Vado via” mormorai, e la mia voce venne fuori talmente tremante da farmi arrabbiare. “Smettila Kibum! Sarà solo stanco!” continuavo a ripetermi, ma dopo quello che era successo appena sveglio… non me lo aspettavo sul serio un comportamento del genere.
 
Il cuore pulsò un po’ più forte, rendendo insopportabile quell’emozione che mi aveva serrato la gola, materializzandoci in mezzo un grosso nodo stracolmo di insicurezza. Affrettai i miei passi, troppo timoroso di scoppiare a piangere come un bambino. Dovevo uscire da lì, senza dargli modo di vedere il mio dispiacere.
 
“Resta”.
 
Solo una parola, ma che ebbe il potere di mille abbracci. Percepii la sincerità nella sua voce, nonostante il tono abbattuto e lo strascico di altre inspiegabili sensazioni che si era lasciata dietro. C’era qualcosa che non lo faceva stare tranquillo, adesso ne ero sicuro. Sollevai per un secondo gli occhi sulla parete, fingendo uno smisurato interesse per il piccolo quadro che vi era stato appeso sopra. Niente di particolare. Era lì ancora prima del nostro arrivo. Mi servì comunque come scusa, dandomi il tempo necessario a ricacciare indietro le lacrime che avevano minacciato di venire fuori.
 
“Kibum?” mi richiamò, facendomi rabbrividire. Era vicino. Come aveva fatto ad essere talmente silenzioso? Normalmente era abbastanza goffo nei movimenti. Non risposi, già cosciente di quello che sarebbe venuto dopo.
 
Mi abbracciò, talmente stretto da farmi ridere. Abbandonai la nuca sul suo petto, e le labbra gentili mi sfiorarono il collo, ricordandomi il piacevole calore che sapevano donarmi. “Qualcosa non va?” mi azzardai a chiedere, girandomi lentamente nel suo abbraccio, cercando fiducioso il suo sguardo un po’ esitante. Abbassò un paio di volte il capo, ma non disse nulla.
 
I capelli di Jonghyun erano morbidi e sottili, estremamente gradevoli al tatto. Li accarezzai con dolcezza, scivolando poi sulla guancia, sfiorandola con i polpastrelli prima di depositarci un piccolo bacio. “Puoi parlarne con me, se ti va”. Non volevo essere troppo invadente, e cercai di prenderla nel modo più tranquillo possibile.
 
Incrociò i miei occhi, e quello che vi lessi dentro non mi piacque affatto. Serrai involontariamente le labbra, senza riuscire a trattenere quel nuovo moto di paura che mi invase il cuore. Colpevole, sembrava ci fosse scritto sul suo viso. Jonghyun si sentiva in colpa, ed era nei miei confronti che aveva sbagliato. Cercai istintivamente di allontanarmi, ma la sua presa intorno al mio corpo divenne ferrea, impedendomi qualsiasi movimento.
 
“Cosa sta succedendo?” buttai fuori, quasi con astio, rendendomi conto solo in quel momento di quanto ferita risultasse la mia voce. Infondo… era proprio in quel modo che mi sentivo. Ferito. Tradito. La cosa buffa… era che non conoscevo neanche la “causa” di quei sentimenti.
 
“Non ti farei mai del male” rispose invece, eludendo la mia domanda, schivandola con un’affermazione che mi rese ancora più sospettoso. La sua fronte scivolò contro la mia, senza che io riuscissi ad evitarlo. Portai entrambe le mani sul suo petto, cercando di spingerlo via.
 
Mi ritrovai a combatterlo senza neanche sapere come. Da una semplice resistenza… le mie proteste si erano trasformate in rabbia, spingendomi ad urlargli contro che non aveva alcun diritto di trattenermi. “Non ti lascerò andare” mormorò, direttamente sul mio collo, stringendo la presa intorno alla mia nuca, per poi obbligarmi a stringermi al suo petto.
 
Lo odiavo. Odiavo quel suo modo offensivo con il quale si faceva beffa della mia inferiorità fisica, costringendomi a sottostare alla sua forza senza il minimo rimorso. Quando le sue labbra cercarono le mie, io ero stato sul punto di ribattere, ed evitarle divenne praticamente impossibile. Premette la lingua sui denti serrati, cercando uno spiraglio che gli permettesse l’accesso. Fui quasi tentato di mordergliela, ma la sola idea di ritrovarmi la bocca piena di sangue mi faceva accapponare la pelle.
 
“Mmm” mi lamentai, sollevando il braccio che ero riuscito a liberare, serrando il pugno e preparandomi a colpirlo. Inutile. Le dita si chiusero sul mio polso, bloccandomi. Cercava di non farmi male, e quella consapevolezza mi fece tremare. Me n’ero accorto solo in quel momento. Le braccia che mi circondavano erano ferme, quasi timorose di stringersi troppo. Si limitavano a bloccarmi qualsiasi via d’uscita, ma senza esercitare liberamente la forza di cui ero sicuro fosse capace.
 
Stessa cosa dicasi per le sue mani. Non mi permettevano di colpirlo, ma non avevo ricevuto un solo strattone da quando mi aveva afferrato. Sospirai, frustrato, interrompendo la lotta. “Dimmi che sta succedendo” ansimai, avvertendo tutta la fatica delle mie proteste ricadermi addosso. Che idiota che ero. Mi ero inflitto più dolore io dimenandomi, di quanto me ne volesse volontariamente procurare Jonghyun.
 
Non rispose, limitandosi ad allontanarsi appena, permettendomi di scorgere ancora una volta il suo sguardo. C’era tristezza dentro. Talmente tanta da togliermi il respiro. Temevo per me stesso, ma al tempo stesso… la sola idea che lui potesse soffrire… mi faceva provare un dolore assai più grande. Come avevo potuto concedergli tanto potere? Ne avrei pagato le conseguenze un giorno, e quella prospettiva non faceva che rendermi più inquieto.
 

“Non ti farei mai del male”

 
Ancora la solita frase. Abbassai le palpebre, inspirando piano, cercando di recuperare un minimo di calma. “Non capisco…” sussurrai, ed era vero. La sua pelle contro le mie guance fece battere più forte il mio cuore, affogando le paure da cui ero invaso nel dolce calore della sua morbida bocca. Non riuscii a tirarmi indietro. Non di nuovo.
 
Mi lasciai guidare verso il suo letto, combattuto tra la voglia di sapere e quella di vivere per sempre nella mia ignoranza. Conoscere il motivo dei suoi sensi di colpa… mi avrebbe permesso di restargli ancora accanto? Codardo Kibum, sei solo un grandissimo codardo. Orgoglio, coraggio? Dove era finito tutto quanto? Erano rimasti solo timori in fondo ai miei pensieri. E il più grande di tutti… urlava di non volerlo perdere.
 
Scivolò sul mio corpo, schiacciandolo con il peso di quelle parole taciute. Anche Jonghyun aveva paura, e quella consapevolezza mi aiutava in qualche modo a respirare. Se non voleva perdermi… allora i suoi sentimenti e i miei dovevano essere simili, vero?
 
“Non me ne vado” mormorai, ripetendo le stesse rassicurazioni che già una volta lui aveva fatto a me. “Resto qui con te” mi resi conto di quanto le lacrime avessero incrinato la mia voce, ma non me ne importò. Volevo solo confortarlo. Mandare al diavolo i miei timori e lenire i suoi. Annullare me stesso per il suo bene. Ironico, no? Tutto quello che mi ero sempre ripromesso di non fare… Jonghyun me lo aveva facilmente scombinato.
 
Il nuovo bacio mi sconvolse, avvolgendomi con la disperazione di quella lingua che si univa alla mia. Mi costrinse a tirare indietro il collo, ansimando senza vergogna per l’inspiegabile piacere che mi aveva procurato. I sentimenti che lo accompagnavano erano così forti… così reali. Una persona che mente non può farlo talmente bene. Il corpo che vibrava stretto al mio. Il cuore che batteva sotto le mie dita. Non era una menzogna… non poteva esserlo.
 
L’aveva guidata lui la mia mano, ancora una volta, sopra il suo petto. I battiti profondi e accelerati, mentre lo aiutavo a liberarsi della maglia, gettandola sul pavimento e tornando a cercarlo. Mi entrarono in testa, scandendo il tempo dei miei respiri con il loro forsennato ritmo. Mi stava stordendo. Mi stava chiamando.
 
“Kibum” ansimò, lambendo la pelle del mio collo. Lo stesso punto di ogni giorno. Lo stesso punto che portava il segno del nostro legame. “Te ne vergogni?” mi chiese, segnandone i contorni con la lingua, chiudendoci sopra la bocca, per poi baciarlo dolcemente.
 
“No” risposi sincero “In un primo momento forse” un gemito strozzato non mi permise di continuare, e serrai i denti sul labbro inferiore, inarcando la schiena quando mi afferrò per i glutei, plasmando con un nuovo movimento ogni centimetro della nostra pelle. “Ma quando lo guardo la mattina…” inspirai a fatica, ringraziandolo mentalmente per quell’attimo di tregua che mi stava concedendo.
 
Si era sollevato sui gomiti, puntellandoli ai lati del mio volto, utilizzandoli per allontanarsi di poco. Già mi mancava, ma i suoi occhi cercarono i miei, implorandomi di continuare. “Dopo la doccia, davanti allo specchio…” sussurrai, arrossendo vistosamente mentre finalmente tornava a sorridere “Ne sono felice” ammisi , sfuggendo al suo sguardo intenso, affondando una guancia sul cuscino che aveva avvicinato al mio capo.
 
“Perché sei felice?”
 
Che domanda idiota. Mi venne da ridere, e lo feci senza pensarci troppo. Lui imbronciò le labbra, utilizzando un ciuffo più lungo per solleticarmi il naso. Voleva essere una ripicca? No, perché ottenne esattamente l’effetto opposto. Risi ancora più forte, e le sue mani tornarono a chiudersi intorno al mio corpo, accompagnate dal piccolo rantolo di rimprovero che mi grugnì all’orecchio.
 
Rotolò sul materasso, trascinandomi sopra di lui. In un altro momento me ne sarei vergognato, ma il susseguirsi di tutte quelle emozioni… alcune belle e altre molto meno… mi aveva reso stranamente incoerente con me stesso. Magari anche più sincero. Mi sollevai appena dal suo petto, mentre un pensiero ancora abbozzato prendeva forma nella mia testa. Utilizzai i palmi delle mani per sostenermi dal suo corpo, facendogli fare una smorfia buffissima quando il mio sedere si scontrò con la sua erezione.
 
Mi sentii forte in quel momento, e senza pensarci due volte ondeggiai nuovamente sul suo grembo. “Sei un piccolo diavolo...” ansimò, stringendo la presa sulle mie gambe, obbligandomi a scivolare un po’ più in giù verso il suo viso. Indossavamo ancora i pantaloni, ma la sensazione di quel contatto aveva reso anche il mio respiro più irregolare, punendomi con la mia stessa vendetta.
 
“Tu sapevi di Tae e Minho, vero?” gli chiesi, lasciandomi abbracciare. “Rispondi a questa domanda, e io risponderò alla tua”. Non parlò, limitandosi ad abbassare ritmicamente la testa. “E adesso ti senti in colpa?” la seconda frase venne fuori un po’ più sicura. Prima ancora di vedergli confermare la mia idea, la serenità aveva nuovamente invaso il mio cuore, strappandomi un sorriso.
 
Non era niente di così grave infondo.
 
Mi baciò a lungo. La sua bocca si mosse dolce e teneramente apprensiva, accarezzando la mia e inumidendone gli angoli. Sospirai sul suo collo, abbandonandomi al calore delle sue dita, che si intrufolarono delicate tra i miei capelli, sfiorandoli con il loro tocco gentile. Lanciai un ultimo sguardo al suo viso, trovandolo ad occhi chiusi, per poi accoccolarmi nuovamente sul suo petto.
 
“Sto aspettando” mormorò, pizzicandomi il sedere, facendomi sussultare con quel gesto inaspettato. Gli rifilai un piccolo schiaffetto sulla spalla, e sentirlo ridere piano mi gonfiò il cuore, lasciando scivolare una singola lacrima silenziosa, che mi preoccupai di non lasciargli vedere.
 

“Sono felice di essere tuo”

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Capitolo 27
*** Non c'è nessun altro che vorrei ***


NOTE

*solleva la manina tremante oltre il bordo della scrivania, sventolando con aria timorosa il proprio fazzolettino bianco*
Lo so... lo so x_x Ma ho già pronto il modo per farmi perdonare! ^^ Si, anche questa volta... u.u
Approfitto di questa breve parentesi quindi, per annunciarvi la prossima uscita di una oneshot
un pò "particolare", partorita durante una delle mie torride serate all'insegna del caldo
afoso! O_o Non è ancora stata pubblicata (in quanto ancora abbozzata), ma vi
lascerò il link diretto al prossimo capitolo, promesso! >_<

Buona lettura ragazzuole, chuuuuuu <3

SkyScraper




 

Capitolo 26 - Non c’è nessun altro che vorrei

Capitano dei momenti, nella vita di ognuno di noi, nei quali… razionalizzare un particolare stato d’animo… diventa pressoché impossibile. Io, quella mattina, mi sentivo esattamente così. Il vento gelido mi schiaffeggiò il viso, obbligandomi a chinare il capo. Sollevai il giubbotto sul collo e inspirai profondamente. Che diavolo ci facevo lì? Sarei dovuto essere in aula, ma la lezione l’avevo saltata, camminando istintivamente verso il piccolo cortile sul retro.
 
Non ci andava mai nessuno. Quello fu il motivo principale per cui lo scelsi, fra tanti luoghi, come la mia meta.
 
La tracolla nera finì a terra, e io presi posto su una delle tante panchine apparentemente instabili. Non era una zona molto curata, ma non ci feci caso. Avevo bisogno di stare solo, tutto qui. Avevamo fatto colazione insieme, tra una chiacchiera e una carezza. Tutto apparentemente normale. Ma non c’era niente di “normale” in quella giornata.
 
“Quel’è il problema?” mi chiesi, riscoprendo i mille dubbi che la mia voce nascondeva. Non capivo. Credevo che fosse tutto chiarito, eppure… qualcosa ancora non andava. E se mi stavo illudendo? E se… fossi stato io stesso a cercare una giustificazione al suo comportamento? Magari la realtà era un’altra…
 
Erano solo sensazioni, nulla più. Il formicolio alle punte dei piedi, lo strano peso che sentivo gravare sulle spalle, adesso ricurve. Avvertivo la presenza di qualcosa di estraneo. Qualcosa a cui non riuscivo a dare un nome, ma della cui esistenza ero pienamente cosciente. “Dannazione…!” ansimai, ritrovandomi già sul punto di piangere. Tutta quell’ansia mi stava uccidendo.
 
Qualcosa di morbido e scuro mi finì sul viso. Sussultai, sorpreso e appena impaurito. Tirai rapidamente in su il mento, scorgendo oltre il velo della mia tristezza il volto della persona che si stava sedendo al mio fianco. Non disse nulla. Io recuperai la sciarpa che mi aveva ceduto, tirando su col naso, felice di vederlo.
 
Le lunghe gambe vennero stese, rivelando il sottile strato di terriccio intrappolato sotto gli anfibi neri. Le piccole striature che ne ricoprivano le suole, scontrandosi con l’erba umida, erano facilmente affondate sul terreno fangoso, imbrattando il colore scuro con piccole chiazze che mi fecero storcere il naso.
 
“Tua madre non ne sarà molto contenta…” mormorai, utilizzando il dorso della mano per sfregare l’occhio sinistro.
 
“Già, Grace mi picchierà questa sera” commentò, facendomi inarcare un sopracciglio “E’ la mia governante” precisò, senza guardarmi “Se vuoi piangere fallo pure. Non è un problema per me”.
 
Quell’ultima frase mi fece arrossire. Mi mossi a disagio sul sedile in pietra, chinando il capo e serrando le labbra. A volte era troppo perspicace. “Non stavo piangendo” mi affrettai a contraddirlo, tirando le ginocchia al petto e poggiandoci sopra le braccia incrociate “Non sono un bambino!” continuai, fissandolo torvo quando rise piano.
 
Mi piaceva la sua risata. Calda e appena accennata. Mi faceva sentire più leggero, nonostante la miriade di pensieri confusi che affollavano la mia mente. Non mi chiese spiegazioni, né cercò di intavolare qualche stupido discorso per farmi distrarre. Si limitò a tenermi compagnia, fumando come al suo solito, sorridendo con innocenza mentre io gli sfilavo la sigaretta dalle labbra. La spensi contro un piede della panchina, constatando con una smorfia quanto il suo odore fastidioso mi avesse impregnato la pelle dei polpastrelli.
 
“Dovrò lavare le mani” borbottai, allacciando involontariamente la sua sciarpa al collo. “Gr-Grazie” balbettai subito dopo, e la sua espressione soddisfatta mi fece arrossire ancora, obbligandomi a deviare lo sguardo.
 
“Hai una governante?” gli chiesi, giusto per cambiare argomento. Lui abbassò un paio di volte la testa, e io feci lo stesso, quasi di riflesso. “Non sembri un tipo da governante” commentai, facendo spallucce. Mi resi conto con un attimo di ritardo di quanto impertinente potesse apparire quell’osservazione, ma il mio interlocutore continuava ad apparire rilassato, e io tirai mentalmente un sospiro di sollievo.
 
Mi piaceva passare del tempo in sua compagnia. La sua apparenza sicura, così come lo sguardo dolce e i capelli scompigliati… mi facevano stare bene. “Com’è casa tua?”
 
“Si trova in campagna, poco fuori Seul” rispose, allungando le braccia sopra la testa, stirandosi piano prima di tornare ad afflosciarsi sulla base fredda della panchina. “Te la farei vedere, se non avessi così paura di seguirmi” aggiunse, fissandomi beffardo, mentre io arricciavo le labbra e gli mostravo con tranquillità una delle mie migliori linguacce.
 
“Non ho paura” precisai, stringendo più forte le ginocchia al petto “Jonghyun non ne sarebbe felice” chiusi un attimo gli occhi, immaginando il suo bellissimo volto, perdendomi per un secondo nel ricordo delle mille carezze che ci eravamo scambiati la sera prima. “Non voglio farlo arrabbiare” sussurrai, dando involontariamente voce ai miei pensieri.
 
“Lo capisco” mormorò, infilando le mani in tasca e abbandonando la nuca sul sedile “Avete parlato di me, ieri?” quella domanda mi fece sussultare. Come faceva a saperlo?
 
“Si” inutile mentire, la sua espressione appariva fin troppo consapevole per essere stato un semplice colpo di fortuna.
 
“Sapeva in quale aula mi trovassi, ed è venuto a cercarmi. Per questo non ti ho raggiunto in biblioteca” mi spiegò, e io trattenni istintivamente il fiato. Non ne sapevo nulla. “Non mi sembrava la cosa migliore da fare, considerato quello che mi ha detto”. Serrai le labbra, cercando il suo sguardo. Gli occhi scuri però rimasero puntati sul cielo grigio, ed intercettarli mi risultò difficile.
 
Il silenzio che scivolò tra di noi fu abbastanza pesante. In realtà fui solo io ad avvertire quella scomoda sensazione all’altezza dello stomaco, che mi impediva di comportarmi come se nulla fosse. Che diavolo si era messo in testa Jonghyun?! Byung-Hee non sembrava infastidito. Pensieroso forse. Sospirai piano, raccogliendo un minimo di coraggio prima di formulare la mia nuova domanda.
 
“Cosa vi siete detti?”
 
Si voltò a guardarmi, e i suoi occhi intrappolarono i miei, diretti come sempre. “Vuole che stia lontano da te. Crede che interferirò nella vostra storia”. Schiusi le labbra, senza riuscire a trovare le parole giuste da dire. Così le richiusi, e le guance accaldate mi costrinsero nuovamente a chinare il capo.
 
“Mi dispiace” soffiai fuori, incurvando le spalle. Le sue dita tra i miei capelli mi fecero sussultare, così come la bassa risata che riempì velocemente l’aria, sorprendendomi. Non era arrabbiato? Infondo era stato ingiustamente accusato… come faceva a restare così tranquillo?
 
“Non preoccuparti piccoletto” mi rassicurò, facendo spallucce e ritraendo il braccio. “Piuttosto… preferisci che mi faccia un po’ da parte? Non è mia intenzione crearvi problemi” il tono carezzevole della sua voce mi fece sorridere, rincuorandomi con la sua disponibilità.
 
“Non sarà necessario” mi affrettai a rispondere, scuotendo con decisione il capo. Il nuovo sorriso che gli increspò le labbra mi sembrò quasi sollevato, e per qualche strano motivo… fece battere un po’ più forte il mio cuore. C’era qualcosa in lui. Qualcosa che ancora non afferravo, ma che mi faceva desiderare restargli vicino.
 
“Tu stai bene?” fu una domanda istintiva. Risalì la mia gola, senza che io ebbi il tempo di fermarla. Rabbrividii impercettibilmente, proprio mentre i suoi occhi scuri sfuggivano ai miei, incupendosi velocemente. Non avevo più bisogno di una risposta. “Perdonami, non avrei dovuto”.
 
Un nuovo moto di ansia mi invase, nell’esatto momento in cui vidi i suoi occhi chiudersi e le sue labbra serrarsi. Sembrava che stesse cercando di recuperare la calma. Magari lo avrei spinto ad allontanarsi con un’osservazione del genere. Ci conoscevamo da poco… non avevo il diritto di immischiarmi così nei suoi affari. Feci per alzarmi, rammaricato, chinandomi a raccogliere la mia borsa.
 
“Non voglio che tu vada via” mormorò, utilizzando la mano sinistra per sorreggere la fronte, mentre quella destra si allungava verso di me, trattenendomi per un polso. Sorrisi a quelle parole, tornando a sedermi. Non dissi nulla. Sapevo di non dovergli fare fretta. Avrebbe parlato quando si sarebbe sentito pronto a farlo. “Non credevo che fosse così evidente” sbiascicò, ridendo piano. Cercò di dimostrarsi naturale e rilassato, ma la mascella tesa e lo sguardo sfuggente non mi ingannarono.
 
“Non lo è” risposi, incrociando le gambe sulla panchina, per poi scivolare sullo schienale con un nuovo respiro. “E’ stata una cosa irrazionale. E pensare che non sono mai stato molto bravo a capire la gente…” osservai, ridendo di me stesso, e la sua espressione parve mutare ancora. Sorrise a sua volta. Un sorriso tirato, ma sincero.
 
“Casa mia ha un grande giardino, fatto di ghiaia, siepi e alberi molto alti” disse, divaricando appena le gambe. Il busto venne portato in avanti e i gomiti sulle ginocchia. Le iridi scure si spostarono sul grosso edificio che ci stava dinanzi, ma non sembrava che lo stesse guardando davvero. “Lo studio centrale possiede un grosso camino. Sai… di quelli in muratura. Il mio vecchio ne è innamorato, e capita di rado che lo abbandoni. Ma ovviamente parliamo solo del periodo invernale”.
 
“In giro ci sono sempre strani pinguini, che si prodigano in grandi sorrisi e stupide frasette da presa in giro” il suo tono aveva assunto una nota decisamente critica, e capii facilmente che quell’aspetto della propria vita non dovesse piacergli molto. “Fosse per me li butterei tutti fuori”. Ecco. Appunto.
 
“Anche la tua governante?” mi azzardai a chiedere. Avevo notato una leggera traccia d’affetto nella sua espressione, quando l’aveva nominata poco prima. “Grace, giusto?” Byung-Hee fece un rapido segno di assenso, ricominciando a parlare.
 
“Già” confermò, passando una mano tra i capelli e ridendo piano. Inarcai un sopracciglio, e lui si voltò finalmente a guardarmi. “Sono sicuro che si divertirebbe un mondo a rimpizzarti di dolci”. Quell’osservazione mi colse impreparato. Aveva notato le fette di torta che Jonghyun mi cedeva a mensa? Arrossii violentemente, e la sua fragorosa risata fece aumentare ancora di più il mio imbarazzo.
 
“Non hai mai visto mangiare Minnie!” borbottai, infastidito. Liberai una delle gambe che tenevo incrociate, e la utilizzai per spintonarlo. “E smettila di ridere di me!” Byung-Hee neanche mi ascoltava. Gettò la testa all’indietro, e il timbro musicale della sua voce finì per contagiarmi.
 

- Almeno adesso non è più triste -

 

*****

 
Jonghyun raggiunse il laboratorio con il fiato corpo, scompigliando i capelli umidi e guardandosi frettolosamente intorno. Non era neanche lì. Jinki, che stava raccattando le ultime cose prima di andare a pranzo, lo fissò confuso. “Cercavi Kibum?” gli chiese, e il bruno parve finalmente accorgersi della sua presenza.
 
“Non riesco a trovarlo” rispose, piegando le labbra in una smorfia piuttosto infastidita. “Sono anche uscito fuori, ma c’è il diluvio. Dubito che sia rimasto sotto la pioggia” la mano destra venne affondata nella tasca anteriore della borsa color senape, rovistando al suo interno con eccessiva foga. “Ho provato a chiamarlo, ma risponde la segreteria” spiegò, tirando fuori il proprio cellulare.
 
“Magari si sarà scaricato” cercò di incoraggiarlo l’assistente, andandogli vicino. “Stai tranquillo Jong. Vedrai che ci aspetterà in mensa” le dita comprensive si poggiarono con delicatezza sulle spalle rigide, massaggiandole piano “Vieni, andiamo a vedere se è lì”.
 
Le imposte vennero chiuse e le luci spente. Jinki precedette il più giovane fuori dall’aula, ripetendogli ancora una volta di conservare la calma. Il bruno mantenne la mascella serrata e la fronte aggrottata, tentando invano di mettere a tacere il proprio animo irrequieto. Aveva un brutto presentimento. L’università era grande, ma non ci aveva messo poi molto a girarla tutta… nel vano tentativo di ritrovare il proprio coinquilino.
 
Jonghyun sbuffò pesantemente, e il maggiore si accigliò istintivamente, sbirciando la sua espressione severa con la coda dell’occhio. Era parecchio nervoso. I capelli scuri ricadevano sulla fronte, disordinati e umidi. Quanto tempo aveva passato sotto la pioggia? A giudicare dalle piccole goccioline d’acqua che ricoprivano il tessuto della sua giacca cerata… certamente non poco.
 
“Ti stai preoccupando troppo” la voce del padrone di casa attraversò il fitto intreccio di pensieri che lo stava avvolgendo, facendolo voltare “Ho capito qual è il problema, ma credo che le tue reazioni siano eccessive” continuò, bloccando i propri passi a pochi metri dalla sala mensa. Il più piccolo lo fissò, senza apparire troppo convinto da ciò che aveva appena ascoltato.
 
“Cerca per un attimo di seguire il mio ragionamento, ok?” Jinki inspirò profondamente, restando in attesa della sua conferma. Questa non tardò ad arrivare, strappandogli un fugace sorriso. Se non altro gli stava dando la possibilità di parlare. “Il gesto di sabato era stato evidentemente architettato da Kibum, che altrimenti si sarebbe immediatamente tirato indietro”. Era piuttosto azzardato tirare nuovamente in ballo quel ricordo, ma ahimè... anche necessario.
 
“Lo so” borbottò il bruno, incupendosi. I pugni vennero serrati, e l’immagine di quella carezza rese i suoi lineamenti ancora più severi. “Era una ripicca” puntualizzò, non troppo felice di mostrare le proprie debolezze.
 
“Appunto, quindi non credo che tu debba prenderla troppo sul serio” concordò l’assistente, incastrando lo sguardo di Jonghyun al proprio “Credi che Kibum ti tradirebbe con qualcun altro?” domanda diretta, senza possibilità di evasione. La risposta del ragazzo di fronte a lui arrivò veloce e totalmente convinta.
 

“Non lo farebbe mai”

 
Jinki sorrise, e i suoi caldi occhi nocciola si riempirono di tenerezza. “Se ne sei convinto… allora qual è il problema se passa del tempo con quel tipo? Byung-Hee sarà solo il primo di tanti altri. Cercheranno sempre di avvicinarsi a lui, e tu non puoi ostinarti a combattere tutto il mondo”. Era la verità, ma non lo aiutava comunque a mettere a tacere i propri timori.
 
“Hyung…” lo richiamò, improvvisamente avvilito e insicuro “E se Bummie preferisse lui a me?”
 
La fragorosa risata del padrone di casa gli fece aggrottare la fronte e storcere le labbra. Che diavolo aveva da ridere?! Il più grande si piegò di lato, sorreggendosi dalla candida parete accanto alla finestra. “Scusami, non ho resistito” cercava di giustificarsi, affogando le proprie parole in quel suono divertito che fece imbronciare Jonghyun.
 
Le braccia muscolose vennero incrociate sul petto, e gli occhi ridotti a due minuscole fessure. L’assistente si affrettò a schiarirsi la voce, arrossendo appena e riacquistando una posizione eretta. “Ehm… non era mia intenzione prendermi gioco delle tue preoccupazioni” mormorò, grattandosi nervosamente la testa. “Solo che… oh ma dai!” esclamò, spalancando le braccia e sollevando gli occhi verso il soffitto “Come fai a non notarlo?!”
 
Il bruno inarcò entrambe le sopracciglia, senza capire, e il maggiore sbuffò pesantemente, scuotendo la testa. “Santi ragazzi... mi manderete al manicomio!” borbottò, arricciando le labbra. “Ma non te ne accorgi di come ti guarda?” chiese d’istinto, comprendendo solo in quel momento quanto potesse diventare ottusa la mente di una persona innamorata.
 
Jonghyun puntò i grandi occhioni scuri sulla sua espressione seccata, dimostrando l’arguzia di un bambino delle elementari. Grande e grosso si… ma con il cervello completamente rimbecillito dal suo dolce coinquilino. “Lui ci tiene tantissimo a te” disse infine Jinki, regalandogli un sorriso pieno di affetto, mentre la mano sinistra si sollevava automaticamente sulla sua spalla, stringendola appena.
 
Le guance del più giovane si imporporarono velocemente, forse sorprese da quell’osservazione, e il padrone di casa gli lasciò una breve carezza sul capo. La testa era stata istintivamente abbassata, tentando invano di nascondere il proprio imbarazzo. Il bruno sospirò, e gli occhi nocciola si addolcirono ulteriormente.
 
“Non l’ho mai visto interessarsi così tanto a qualcuno. E’ felice con te… talmente tanto che passa più tempo ad imbarazzarsi di quanto ne passi studiando” l’assistente sorrise del suo sguardo sorpreso, scuotendo piano la testa “Non sembra anche a te un risultato eccellente… per uno con le manie di Kibum?”
 

*****

 
Lo avevo lasciato di fronte alla fontana, rifiutando con dispiacere il suo invito a pranzare insieme. Avevamo passato l’ultima ora in un bar, non molto lontano, consumando un discreto caffè e uno schiumoso cappuccino. Mi aveva fatto felice quella sua proposta. “Andiamo da qualche parte?” mi aveva detto, abbandonando la panchina e stiracchiandosi pigramente. Non me l’aspettavo.
 
Era stato piacevole averlo accanto, con il suo continuo chiacchiericcio e la sua risata squillante. Kibum aveva la straordinaria capacità di farmi sorridere… così... anche senza un motivo. “Glielo dirai?” gli chiesi, recuperando la sciarpa che mi stava porgendo. Lui abbassò un paio di volte la testa, spingendomi ad accarezzare per l’ultima volta i suoi capelli biondi. Mi diedi dello stupido. Come avevo potuto pensare che un cuore gentile come il suo… fosse capace di mentire?
 
Jihun quasi non lo vidi arrivare. Sollevai una mano, facendogli segno di aspettare. Agganciai la grossa catena alla moto, e il mio sguardo si spostò istintivamente verso l’entrata dell’università. Kibum l’aveva superata solo pochi minuti prima, sventolando un braccio nella mia direzione, poco prima di scomparire. Abbandonai la tracolla sul sedile posteriore dell’auto, e gli occhi del mio migliore amico si puntarono interessati sulla mia espressione.
 
“Ripensamenti?” mi chiese, mentre io portavo la sigaretta appena accesa alle labbra, chiudendo gli occhi. Scossi la testa, rilasciando lentamente il fumo. La nuca la adagiai con un sospiro al sedile, e le palpebre tornarono ad alzarsi. Ne ero assolutamente convinto ormai… avrei fatto di tutto per proteggerlo.
 
“Andiamo” dissi semplicemente, controllando l’orologio “Dobbiamo essere i primi ad arrivare”.
 
Saracinesche abbassate, siepi spoglie e donne affaticate. Seul mi scorreva davanti, ma io la notavo appena. Ripercorsi mentalmente le mie prossime mosse, lanciando uno sguardo alla foto che Jihun mi aveva allungato. “Si somigliano molto” commentai, arricciando le labbra “Come hai fatto a trovarlo?” mormorai, giusto per curiosità.
 
“Ho un amico che lavora al pronto soccorso dell’ospedale centrale. Il suo appartamento non si trova molto lontano da quel posto” rispose, mentre le dita lunghe si chiudevano con decisione sul cambio, scalando marcia “Il mese scorso, rientrando a casa, un tizio lo ha fermato. Sapeva che era un infermiere, e anche dove abitasse” una smorfia di disgusto gli attraversò il viso, e l’auto accostò lentamente sulla sinistra.
 
“Per farla breve… il ragazzino era stato conciato ben bene. Lo hanno minacciato di non farne parola con nessuno, sventolandogli una calibro trentotto sotto il naso” il motore venne spento, e la cintura di sicurezza sganciata “Se ne è preso cura come meglio poteva, e il giorno dopo è venuto a raccontarmi tutto”.
 
Sorrisi, sinceramente sorpreso dal coraggio che quel tipo aveva dimostrato. “Hai intenzione di mandargli al diavolo la festa?” chiesi, restituendogli la foto, mentre la piega dura delle sue labbra sottili lasciava facilmente intuire i suoi pensieri.
 
“Puoi scommetterci” confermò, sollevando il mento. La morsa rabbiosa delle sue dita si serrò attorno al volante, e lo sguardo fiero cercò nuovamente il mio. “Sono lì dentro contro la propria volontà. Minacciati e picchiati a sangue. Fossero stati consenzienti me ne sarei infischiato. Non è il primo bordello che vedo infondo…” il fascicolo di quello squallido club venne richiuso e conservato, mentre l’insegna al neon prendeva lentamente vita di fronte ai nostri occhi. La luce rossa vibrò per qualche secondo, divenendo subito dopo ferma ed eccessivamente sfacciata.
 

Che il gioco abbia inizio

 
Non ci fu bisogno di documenti d’identità o presentazioni. “Il mio amico vorrebbe passare un bel momento. Vogliamo il migliore” Jihun finse di ripulire le lenti scure degli occhiali, rivelando senza troppi preamboli la propria espressione ostile e alquanto scocciata. Era un ottimo attore, dovevo riconoscerglielo.
 
I due tipi dietro al bancone erano alti e corpulenti, ma i loro sguardi vuoti e appena stralunati non gli donavano un aspetto particolarmente “intelligente”. Si guardarono l’un l’altro, e il tizio in abito scuro allungò una mano verso il piccolo ricevitore agganciato al muro. Doveva essere il buttafuori, dedussi dal suo abbigliamento e le braccia pompate.
 
“Capo, dei clienti chiedono di Abel. Cosa devo dire?” fece una piccola pausa, probabilmente seguita dalla risposta del suo interlocutore. “Il pupillo costa parecchio” ci disse, riportando gli occhi sporgenti nella nostra direzione. Gli sorrisi, beffardo, facendogli inarcare un sopracciglio. Le banconote di grosso taglio vennero sfilate con voluta lentezza dalla tasca interna del mio giubbotto, per poi essere depositate con un movimento deciso sul sudicio ripiano in finto legno.
 
“I soldi non sono un problema” mormorai, facendo spallucce, osservando con la coda dell’occhio il mezzo sorriso che aveva incurvato le labbra di Jihun.
 
“Potete accomodarvi di là” si affrettò a affermare l’altro tizio, quello non impegnato a rassicurare il proprio boss. “Abel si trova… beh, è un attimo impegnato” non mi lasciai sfuggire il suo imbarazzo mentre, con espressione contrita, ci guidava verso un corridoio poco illuminato. “Vedremo di mandarlo da voi il prima possibile” ci rassicurò, fermandosi di fronte alla seconda porta. Le chiavi che tirò fuori si scontrarono rumorosamente l’una con l’altra, e la serratura scattò con un rumore secco.
 
“Prego…” ci incitò, facendosi da parte “Buon divertimento”. Il piccolo ghigno che gli incurvò le labbra lo avrei volentieri preso a pugni, ma spostai velocemente lo sguardo, allontanandolo dal suo volto, annuendo.
 
La stanza era buia, con scarsa mobilia e tende pesanti alle finestre. La attraversai lentamente, soffermandomi sul letto disfatto e il vasetto di lubrificante sul comodino. Quanti uomini erano passati di lì? Le lenzuola non dovevano essere state lavate da molto, ma qualche macchia cremisi, accanto al secondo cuscino, era ancora visibile. Sangue, non avevo dubbi. C’era un grande specchio sulla parete ad ovest, e un altro sul soffitto. A qualche sudicio pervertito glielo faceva venire duro probabilmente. Storsi le labbra, e l’odore pungente di sperma divenne più insistente.
 
Il cestino all’angolo era stracolmo di preservativi, alcuni dei quali sembravano anche abbastanza vecchi. Inghiottii il mio disgusto, spostando lo sguardo sul volto di Jihun. La sua espressione non era molto diversa dalla mia. “C’eri già stato?” gli chiesi, e lui scosse il capo. Inarcai un sopracciglio. Non mi sembrava completamente estraneo a quell’ambiente.
 
“C’è stato qualcun altro, al mio posto” precisò, poggiando l’indice sulle labbra, facendomi segno di tacere. E così si stava già dando da fare, vero? Abbassai ritmicamente il capo, e il mio migliore amico parve rilassarsi. Non ero uno sprovveduto. Le sue indagini poi… non erano certo una novità per me.
 
La porta cigolò appena, attirando l’attenzione di entrambi. Ci voltammo nello stesso istante, e quasi simultaneamente… le nostre bocche si spalancarono. Era minuto e dalle spalle gracili. Completamente vestito di bianco, quasi fosse un angelo. Quel particolare mi fece serrare le labbra. Che raccapricciante senso dell’umorismo che dovevano avere. Come si faceva ad utilizzare un colore così puro… addosso ad un ragazzino che di innocenza sapeva così poco?
 
Fece un passo verso di noi, tenendo il capo chino, e le gambe si mossero esitanti. Non era imbarazzo. Quasi non riusciva a tenersi in piedi! I capelli biondi erano piuttosto lunghi. Gli ricadevano sul viso, nascondendo quei lineamenti delicati che avevo intravisto solamente in fotografia. Quando Jihun spostò una mano sull’interruttore, facendolo scattare senza preavviso, il ragazzino sussultò, sgranando gli occhi e sollevando di scatto la testa.
 
“Cosa ti hanno fatto?” avrei voluto chiedergli, mentre mi muovevo istintivamente verso di lui. L’ultimo passo mi era sembrato assai più instabile dei precedenti. Inciampò sul tappeto pallido, ricadendomi pesantemente tra le braccia. Era terrorizzato, e il suo corpo tremante e sudato mi serrò lo stomaco.
 
Gli occhi che si sollevarono a cercare i miei erano sottili, dalle ciglia lunghe e lo sguardo spento. Un gran peccato, considerando che il loro colore mi ricordava tantissimo il cielo azzurro di luglio. “M-Mi dispiace” balbettò, ma io lo trattenni quando cercò di allontanarsi, aiutandolo a rimettersi eretto prima di lasciarlo completamente andare.
 
Jihun si schiarì la voce, indicando con un rapido gesto del capo lo specchio alle mie spalle. Telecamere. Diavolo! “Volete entrambe le luci aperte?” quelle parole mi fecero riflettere, suscitando un piccolo brivido di eccitazione lungo la spina dorsale. Forse avevo trovato l’idea giusta. Scossi la testa, deviando lo sguardo quando la canotta leggera venne sfilata, rivelando la pelle pallida e maltrattata.
 
“Ci aspetti fuori?” mi azzardai a chiedere, sperando che l’istinto del mio migliore amico non facesse cilecca. Ma lui abbassò ritmicamente il capo, e io tirai mentalmente un sospiro. Tre persone sarebbero state troppo difficili da gestire. “Ricorda che un po’ di discrezione, alle volte, non ti farebbe male” mormorò, prima di lasciare la stanza. Capii perfettamente ciò che voleva dirmi. Sarei stato attento a non farmi beccare.
 
“Non sembri un tipo da posti del genere” il tono flebile e delicato mi sorprese, accarezzandomi i sensi con quella voce improvvisamente più lasciva. Si stava calando nella parte. Qual’era la punizione che lo avrebbe aspettato… se il cliente non fosse stato soddisfatto?
 
“Sei la seconda persona che fa una considerazione del genere, oggi. Sono così facile da leggere?” risposi, appena sarcastico, liberandomi a mia volta della maglia scura. I suoi occhi chiari percorsero con lentezza il mio corpo, sorpresi e vagamente sfrontati. Kibum non sarebbe stato capace di uno sguardo così sfacciato neanche in un milione di anni.
 
“Chiudi la luce” ordinai, ostentando un tono autoritario che mi sarebbe tornato utile “Certe cose non mi piace farle sotto i riflettori” aggiunsi, allargando le labbra nel mio solito sorriso da presa in giro. Non mi diede ascolto, e con pochi passi mi venne vicino.
 
Era bello, su quello non c’erano dubbi. Delicato e sottile. Dall’apparenza innocente e lo sguardo vuoto. Ogni azione era meccanica, mentre la pelle fredda delle dita gentili si posava sul mio torace. Chiusi un attimo gli occhi, cercando di percepire in me qualche cambiamento. Niente. Il suo tocco non risvegliava nel mio corpo alcuna emozione.
 
Lo afferrai per un polso, troppo cosciente di dover mettere da parte la gentilezza. Gli uomini che spiavano le nostre mosse… non dovevano considerarmi diverso da tutti gli altri clienti. La forza con il quale lo strattonai lo fece tremare più forte. I muscoli delle mie spalle si irrigidirono, impietositi da tutta la paura che tentava disperatamente di nascondere.
 
“Chiudi la luce” sibilai, ad un millimetro dal suo volto, spingendolo con furia verso l’interruttore. Barcollò, sorreggendosi alla parete un attimo prima di finire a terra. Riuscii a scorgerle… le sue lacrime sconfitte. Mi strinsero il cuore, facendomi sentire colpevole di un peccato che avrei preferito non dover mai commettere. Aveva già subito così tanto. Mai e poi mai avrei voluto utilizzare la violenza su di un’anima così fragile.
 
Il buio calò nella stanza, rendendo il suo respiro mozzato ancora più evidente. Avvertii la sua presenza al mio fianco, stringendo appena gli occhi, tentando di adattarmi velocemente all’oscurità che ci circondava. Le labbra scesero sul collo sottile, sfiorandolo con non poche reticenze. Da quanto tempo non toccavo qualcuno in quel modo?
 
Sei anni. Ripensai al voto di castità che avevo involontariamente rispettato da quel giorno, mentre il suono opprimente di una voce amata si faceva silenziosamente largo tra i miei sentimenti contrastanti. Dovevo rispettare il ruolo che interpretavo, ma avrei cercato fino alla fine di concedere il minimo indispensabile a quell’esperienza. Nulla in più di ciò che ritenevo strettamente necessario.
 
Il primo gemito si liberò nell’aria, riempiendo con la propria volgarità le mie orecchie, spingendomi a serrare le palpebre e irrigidire la mascella. Quel suono… era tanto falso quanto osceno. Stava fingendo, e io lo capivo bene. Stretto contro al mio corpo, troppo impegnato ad ostentare un piacere che era ben lontano dal provare, mi regalò un nuovo moto di compassione, facendomi rabbrividire a mia volta.
 
“Riescono a vederci?” mormorai contro al suo orecchio, circondando i suoi fianchi stretti mentre lo spingevo dolcemente ad indietreggiare. Sussultò, e i suoi muscoli si contrassero sotto le mie mani, rivelando la sua paura. Scosse appena il capo, troppo terrorizzato anche per parlare.
 
“Non ho intenzione di farti del male” continuai, accarezzando con delicatezza i capelli biondi, allontanandolo quel tanto che bastava per incrociare i suoi occhi. Le tende erano state accostate, per non permettere ad alcun occhio indiscreto di spiare ciò che accadeva all’interno di quel sudicio locale. Riuscii appena a distinguerne le iridi allarmate, ma tanto mi bastò a raccogliere la prova del suo stupore.
 
“Adesso dovrai seguire attentamente quello che ti dirò” sussurrai, spingendolo a coricarsi, mantenendo quel minimo di distanza che non avrebbe permesso ai nostri corpi di sfiorarsi più del necessario. “Fingi, come hai sempre fatto. Non ti toccherò e non cercherò di fare sesso” lo rassicurai, e lui parve finalmente rilassarsi.
 
“Cos’è che vuoi?” soffiò fuori, scrutando con attenzione il mio volto sconosciuto. La vita lo aveva portato a diffidare di chiunque, ma… nonostante tutto… la piccola scintilla che gli illuminò lo sguardo non riuscì a nasconderla. C’era ancora speranza in lui.
 

“Aiutami. E ti prometto che farò di tutto… per tirarti fuori da quest’incubo”

 

*****

 
Seduto al suo fianco, Kibum non parlava, consumando in silenzio il proprio pranzo. Alla fine era in mensa, proprio come Jinki aveva ipotizzato. “Non ti ho visto a biologia…” mormorò Minho, osservando con la coda dell’occhio l’espressione pensierosa del suo vicino dalla pelle pallida. Voleva essere una frase come un’altra, giusto per spezzare il pesante silenzio che regnava padrone sul loro solito tavolo.
 
“Non mi hai visto perché non c’ero” il tono del biondo fu secco, per niente disponibile al dialogo. Jonghyun si voltò rapidamente a guardarlo, serrando la mascella e stritolando le sottili bacchette tra le dita “Ero con Byung-Hee” aggiunse Kibum, puntando lo sguardo scocciato direttamente sul proprio coinquilino “Problemi?” chiese, più sarcastico che sincero, ricominciando a mangiare subito dopo.
 
Jinki si mosse a disagio sulla sedia, cercando di attirare l’attenzione del ragazzo con i capelli per aria, che invece ignorò tutti quanti, allontanando il proprio vassoio con un movimento infastidito del braccio. Rabbia e preoccupazione facevano a botte dentro il suo corpo, lottando con furia tra loro, cercando vicendevolmente di mettersi a tacere. Hyuri osservò il voltò dell’amico, incupendosi a sua volta.
 
“Ho cercato di chiamarti” sbottò il più grande, innervosito dall’aura di indifferenza che aleggiava intorno a Kibum. “Non volevo essere disturbato” ribatté quest’ultimo, mentre le labbra rosse si affilavano, e gli occhi da gatto inchiodavano Jonghyun al proprio sedile “Siamo andati a prendere un caffè, nient’altro” precisò, mettendosi rapidamente in piedi.
 
Lo sguardo adirato del bruno seguì la sua siluette sottile, che si avvicinò con eleganza alla pattumiera, riversandoci dentro ciò che restava del pranzo appena toccato. Jinki allungò istintivamente il braccio, cercando di fermare il ragazzo dai pugni serrati, che abbandonò a sua volta il tavolo, andando incontro al proprio coinquilino. “Non perdere la testa” tentò invano di farlo ragionare, ma Jonghyun neanche lo ascoltava. Ignorò il suo suggerimento e riprese la propria marcia.
 
Le porte della mensa si richiusero dietro le esili spalle del biondo, provocando un leggero spostamento d’aria. Il maggiore si lasciò sfuggire un piccolo rantolo infastidito, unendo le sopracciglia e affrettando il passo. “Non andare via mentre ti parlo!” lo ammonì, bloccandolo per un polso un secondo prima che avesse il tempo di rifugiarsi in bagno.
 
“E tu smettila di minacciare i miei amici!” gli strillò Kibum sul volto, abbandonando la propria maschera di indifferenza, stupendolo non poco con il proprio sguardo carico di risentimento. “Sei proprio un egocentrico e arrogante scimmione, lo sai?!” continuò, liberandosi con uno strattone “Con chi diavolo pensi di avere a che fare?! Non so quante ragazzette facili tu abbia frequentato fino ad oggi, ma lasciati dire una cosa… io non sono come loro!”
 
Quelle parole lo ammutolirono, obbligandolo a chinare il capo. Doveva immaginarlo che quell’idiota non avrebbe tenuto il becco chiuso. Un nuovo moto di paura gli invase il petto, costringendolo a deglutire. “Che cosa ti ha detto?” chiese, storcendo le labbra di fronte al suono titubante della propria voce. Si stava facendo prendere dal panico, ed esserne consapevole non lo aiutava.
 

Se gli avesse raccontato tutto quanto… a quest’ora mi
 avrebbe lanciato dietro tutti i tavoli della mensa.

 
“Che il mio ragazzo gli ha intimato di starmi alla larga!” rispose il più piccolo, avvampando di vergogna un secondo dopo. Un battito più forte lo obbligò a mordersi le labbra, mentre il sorriso ebete di Jonghyun gli appariva incredibilmente soddisfatto. “Dannazione a me!” borbottò Kibum, dandogli le spalle, rifugiandosi con uno scatto fulmineo dietro la porta alla propria destra.
 
“Bummie?” cercò di trattenerlo il richiamo sdolcinato del suo scimmione, ma la serratura della cabina scattò rapidamente, impedendo al suo coinquilino di seguirlo. Si era fiondato in quel piccolo abitacolo senza pensarci troppo, mosso dalla nuova vampata di vergogna che gli aveva infuocato le guance pallide.
 
La schiena scivolò sul sottile strato di legno, e il biondo portò entrambe le mani al volto, regalandosi una piccola sberla sulla fronte accaldata. Come cavolo si poteva fare ad essere così idioti?! Un attimo prima lo investiva con la propria rabbia, e il secondo dopo eccolo lì… pronto a definirlo il proprio ragazzo!
 
“Stupido Kibum!” borbottò, pestando i piccoli pugni contro la porta, rabbrividendo istintivamente quando gli occhietti affilati si posarono sul bagno sudicio. “Ma non lo lavano mai questo posto?!” sbottò, dimenticando per un istante la persona che l’aveva seguito. La bassa risata di Jonghyun lo fece irrigidire, e la propria risposta venne fuori acida e infastidita “Il sorriso abbonda sul viso degli stolti!”
 
Il bruno non rispose, poggiando la fronte all’uscio chiuso, accarezzandone con i polpastrelli la base ruvida e irregolare. Riusciva quasi a vederla… la  sua testolina bionda dall’altro lato. Sospirò pesantemente, rilassando i muscoli e chiudendo gli occhi. “Fai il micetto obbediente... Apri questa porta” mormorò, picchiettando con il dito indice sul legno scuro.
 
Kibum arricciò le labbra, sbuffando. “Non sono un gatto!” ribatté, tentando di ignorare le invisibili vibrazioni che il suono caldo di quella voce trasmetteva al proprio cuore. Abbassò a sua volta le palpebre, inspirando profondamente, cercando di mettere un minimo di ordine tra i propri pensieri. “Perché lo hai fatto?” soffiò fuori, appena udibile, e Jonghyun aprì il palmo della mano su quel fastidioso intralcio, improvvisamente sofferente all’idea di non poterlo toccare.
 
“Non è di te che non mi fido” cercò di giustificarsi, allontanando la fronte dall’uscio e riaprendo gli occhi. “Sei un micetto troppo speciale” continuò, ma le dita che il più piccolo portò al petto non riuscì a vederle “Chiunque vorrebbe abbracciarti”.
 
Il sangue fluì ancora una volta sulle gote emozionate, strappandogli un brivido di gioia. Non importava quanto lo facesse arrabbiare, Jonghyun aveva quello strano potere di farsi perdonare immediatamente… anche con una stupida frase. “E’ stato umiliante” confessò, stringendo le labbra rosse tra i denti “Mi fa male… pensare che tu non possa fidarti di me”.
 
La voce tremò appena, sfumando sulle ultime parole, per poi morire con il pesante sospirò che lasciò la sua bocca rattristata. “Sul serio non lo capisci?” soffiò fuori, avvilito. La testa bruna si sollevò, e i grandi occhi scuri si puntarono sulla porta chiusa, oltre la quale il respiro del suo dolce coinquilino si era appena spezzato.
 

“Non c’è nessun altro che vorrei”

 
Il cuore si strinse nel petto, arricciandosi alle estremità, lanciandosi in quell’imprevisto salto mortale che gli annebbiò la vista, costringendolo a deglutire. “Apri” mormorò Jonghyun, quasi implorante, utilizzando l’ultima briciola di fiato che gli era rimasta. La chiave venne ruotata lentamente nella serratura, e il chiavistello sganciato. Kibum si allontanò dall’uscio, ma senza aprirlo. Il cigolio fastidioso accompagnò la mano che venne protesa in avanti, guidando la porta verso l’interno, mentre la testolina bionda si chinava automaticamente verso il basso.
 
Gli occhi sottili intravidero le scarpe bianche, sporche di fango e dalle punte consumate. Doveva essere uscito a cercarlo. Un nuovo brivido, e i battiti del proprio cuore divennero insopportabili. Lo aveva fatto preoccupare. Si pentii delle proprie azioni immature, abbassando le palpebre e mordendo il labbro inferiore. Erano stati due stupidi, vero?
 

*****

 
Con la schiena al muro e lo sguardo pentito… fu così che lo trovai. Risposi istintivamente al primo impulso che quell’immagine mi diede. Portai una mano alle sue spalle, tirandomelo contro il petto, allontanandolo da quella parete lurida, che avrebbe rischiato di sporcare i vestiti perfettamente stirati. “Pensavo che da un posto del genere ti saresti sempre mantenuto alla larga…” lo presi in giro, ridendo piano quando la sua lamentela venne borbottata al mio orecchio.
 
“Non mi fai ridere scimmione!” mi rimproverò, storcendo le labbra contro il mio collo. Le dita sottili si chiusero sul mio maglione, aggrappandosi al tessuto caldo, mentre il suo abbraccio mi faceva trattenere il fiato. Quel gattino mi colmava il cuore, invadendolo con la propria dolcissima irruenza. “Finirai col soffocarmi…” ansimò, e io lo chiusi più forte nella mia morsa. Sentirlo finalmente vicino mi aiutava a riflettere.
 
Abbassai le palpebre, lasciandomi sopraffare da quel piacevole profumo che traspariva da ogni singolo poro della sua pelle. “Se ti dicessi che sono felice… ti arrabbieresti?” Rimase per un secondo in silenzio, ma la sua risposta saputella non tardò ad arrivare “Lo hai appena fatto, stupido!”. Risi tra i suoi capelli, e i muscoli tesi si rilassarono lentamente sotto le mie carezze.
 
“Sono felice” sussurrai sul suo orecchio, infilando le dita bisognose tra i ciuffi chiari, muovendole circolarmente sulla base della sua nuca. Sospirò nel mio abbraccio, e anche io lo feci. “Pace?” Abbassò ritmicamente la testa, solleticandomi il viso con il nasino perfetto. Mi tirai leggermente indietro, dimenticando il posto in cui ci trovavamo, cercando le dolci labbra che erano state silenziosamente protese verso le mie.
 
Piccoli baci, appena accennati e privi di saliva. Li utilizzai per suggellare il nostro armistizio, e quando l’ennesimo schiocco risuonò ovattato, tra le pareti della piccola cabina, Kibum rise piano sulla mia bocca. “Mmm… quanto è bello il mio gattino” sbiascicai, ignorando la forte scarica di desiderio che mi aveva avvolto l’inguine. Utilizzai l’indice per percorrere il suo profilo delicato, rabbrividendo istintivamente nell’istante in cui accarezzai con lentezza la morbida forma a cuore delle sue labbra. Bummie le schiuse appena, malizioso.
 
“Non mi provocare” lo avvisai, e la mia voce roca non fece altro che aumentare il suo divertimento. La punta scivolosa della lingua sfiorò i polpastrelli, avvolgendoli subito dopo con il suo invitante calore. Trattenni il fiato, ammaliato dal movimento seducente con il quale le lunghe ciglia di stavano sollevando, permettendomi di scorgere infine i suoi occhi luminosi.
 
Il mento venne alzato, e la pelle umida delle mie dita seguì involontariamente quel gesto, scivolando con pigrizia sulla curva del suo collo sottile. Portai la mano libera alla maniglia in alluminio, serrandoci intorno la mia urgenza. Kibum mi si fece più vicino, sorridendo soddisfatto quando la porta venne richiusa alle mie spalle. “Non ti allargare troppo scimmione” mi mise in guardia, strusciando la guancia pallida contro la mia “Non ho nessuna intenzione di mostrare le mie grazie ad uno squallido bagno universitario”.
 
Risi delle sue parole, spingendolo dolcemente verso il muro. “Forse avresti dovuto pensarci prima”. Chiusi le sue proteste nel nuovo incontro di labbra che lo obbligò ad inarcare la schiena. Avevo cercato di trattenermi, ma con scarsi risultati. Non lo avrei lasciato andare tanto facilmente. Solo baci, glielo promisi. In cambio mi concesse di accarezzargli i fianchi, mentre il suono tentatore della sua voce ansimava la propria approvazione.
 
Fu più faticoso del previsto tirarsi indietro. Sistemai i suoi capelli scomposti, depositando un ultimo bacio sulla punta del graziosissimo naso, cercando di evitare il colore indecente della sua bocca dischiusa. Il fiato corto mi solleticò la pelle, spingendomi a cercare la sua fronte con la mia. “Il mio impegno merita un premio” soffiai sul viso delicato, chiudendone tra le dita le armoniose fattezze.
 
“A casa” concesse “Solo se prometti di non dubitare più di me”. Il suo tono serio mi fece abbassare mestamente la testa. “Non lo sottovalutare” risposi, accarezzando con un sospiro l’elegante curva della schiena fiera, percorrendola con lentezza fino all’orlo della felpa rossa. “Voglio solo che tu stia attento, ok? Quel tipo… credo che stia nascondendo qualcosa”.
 
Kibum si allontanò delicatamente dal mio corpo, cercando i miei occhi per poi osservarli con attenzione. “Io non me la sento di appoggiare i tuoi pensieri. Anzi… sono assolutamente convinto che Byung-Hee sia una persona molto buona” non furono le sue parole a colpirmi, ma la decisione con la quale vennero pronunciate. Il suo tacito modo di contraddirmi mi incupì lo sguardo, e le braccia ricaddero stancamente lungo i fianchi, rimarcando con la loro decisione di lasciarlo andare il mio stato d’animo.
 
“Ma lo farò” mi sorprese, bruciandomi il cuore con la dolcezza delle iridi scure che mi stavano ancora fissando. “Starò attento al suo atteggiamento, e cercherò di non darti preoccupazioni inutili” mi rassicurò, accarezzando con un sorriso la mia guancia. Le dita delicate mi percorsero il viso, e io voltai appena il capo verso la sua mano, depositando le mie labbra grate sulla sua pelle profumata.
 
“Io voglio stare con te” sussurrò, allacciandomi le braccia al collo “Ma questo l’hanno capito anche i muri ormai… non credi?” il suo sorriso imbarazzato mi spinse ad abbracciarlo a mia volta, e Kibum abbandonò la testa sulla mia spalla, sospirando piano. Baciai la sua fronte, intrecciando le mie dita alle sue, e senza dire altro lo guidai gentilmente verso l’uscita.
 
Fu pochi minuti dopo che accadde. Lo avevo accompagnato fino alla biblioteca, dove sapevo che avrebbe dovuto incontrare l’amica di Hyuri, per le solite ripetizioni del martedì pomeriggio. Quella tipa era proprio lì di fronte. Teneva la testa bassa, torturando nervosamente il tessuto chiaro del suo cappotto color albicocca. La riconobbi immediatamente, ma il suo nome non riuscii a ricordarlo. Mi voltai verso Bummie, e il suo sguardo seguì automaticamente il mio, fino a raggiungere quella sottile figura che appariva stranamente in attesa.
 
“Min-Nyu?” la chiamò lui, abbandonando la mia mano. Un po’ mi dispiacque, ma la piccola smorfia che gli arricciò le labbra mi fece sorridere. Anche a lui dispiaceva. Un paio di occhi scuri si sollevarono nella nostra direzione, e le gote della ragazza si imporporarono all’istante, facendomi inarcare un sopracciglio.
 
“Kibum-Oppa” rispose lei, titubante, mentre le guance assumevano lo stesso colore del maglioncino che indossava. Oppa? Ma guarda questa qui! Adesso anche delle donne dovevo preoccuparmi…! “Ehm… potrei parlarti un attimo?” lo sguardo timoroso si puntò su di me, facendomi sbuffare di rimando. Kibum mi lanciò un’occhiataccia, a cui io risposi con una smorfia non troppo felice.
 
“Non ricominciare” borbottò, sorridendo subito dopo a quella tipa dall’espressione adorante “Vieni, sediamoci lì” le disse, indicando i sedili di fronte alla segreteria. I suoi occhi furono abbastanza chiari: “Fai qualche idiozia e sei morto!”
 
Sospirai, affondando le mani nelle tasche dei jeans, seguendo con crescente fastidio le due figure che si stavano allontanando. Non riuscii a sentire molto, considerata la distanza, ma quando anche le guance di Kibum divennero imbarazzate quasi mi strozzavo con la mia stessa saliva. Benissimo! Ecco a voi una nuova scocciatura!
 
Il mio coinquilino agitò le mani davanti al viso, parecchio a disagio, chinando più volte il capo in gesto di scuse. L’espressione di lei non riuscivo a scorgerla, ma l’irruenza con il quale la sua supplica raggiunse le mie orecchie... bastò a chiarire ogni mio dubbio.
 
“Per favore Oppa dammi una possibilità! Mi piaci davvero tanto!” Bummie si grattò nervosamente la testa, ridendo appena, strappandomi un rantolo infastidito. Dal movimento delle sue labbra mi parve di decifrare qualcosa del tipo “Mi dispiace. Non posso”.
 
“C’è qualcun altro? Stai già frequentando una persona? Mi dispiace tanto Oppa, io… non volevo metterti in una situazione difficile” si alzò velocemente, ma lo sguardo di Kibum la sorpassò, puntandosi apprensivo sul mio volto. Ne ebbi abbastanza di rimanermene in disparte, e vinto dalla mia impulsività mi mossi istintivamente verso di loro.
 
“Mi dispiace” dissi, annunciando la mia presenza. Min-Nyu sussultò, proprio mentre il mio coinquilino sbiancava, sgranando i suoi bellissimi occhi sulla mia espressione decisa “Bummie e io stiamo insieme” lo annunciai senza troppi giri di parole, afferrando nuovamente la mano di Kibum. Lui non si tirò indietro, ma neanche la strinse. Sembrava sul punto di un attacco isterico, e la cosa non mi sorprese affatto.
 
L’amica di Hyuri spalancò la bocca, evidentemente sconvolta da quella notizia. Divenne rapidamente paonazza, per poi arrossire fino alla punta dei capelli. “Sc-Scusate! Oh Dio! Scusate tantissimo” la testa quasi gli toccava terra, tanta era la foga che aveva messo in quell’ultimo inchino. Corse rapidamente via, ma io neanche la guardavo. Cercai invece lo sguardo di Kibum, e lì mi fermai.
 
“T-T-Tu… co-cos’è che hai appe-ppena fat-to?” balbettò, liberandosi della mia stretta. Entrambe le mani vennero portate sul viso, e il suo forte imbarazzo esplose tutto in un colpo, conferendogli le incantevoli tonalità di un pomodoro appena raccolto. “Quale parte di ‘Non ricominciare’ era poco chiara?!” sbraitò, e io non riuscii più a trattenere il mio divertimento.
 
Risi della sua espressione stralunata, avvicinandomi a braccia spalancate al suo corpo tremante di rabbia. “Non ci provare grandissimo idiota!” tentò di fermarmi, riempiendomi il petto di sberle, chiaro segno della sua frustrazione “Un altro po’ ci restavo secco!” strillò, inalberato, cercando di spingermi via.
 
Chiusi le sue proteste nel mio abbraccio, ricoprendo di teneri baci il suo volto furibondo. “Vieni con me!” esclamai all’improvviso, trascinandolo come un pazzo verso le scale che ci avrebbero guidato al piano terra. Lo feci correre, senza preoccuparmi di chiedere il suo permesso, troppo euforico per aver finalmente dichiarato ad un estraneo che Kibum mi apparteneva.
 
“Un palazzo molto alto! No, no! Meglio ancora… un ponte!” blateravo, fermandomi di colpo e afferrandolo per le esili spalle. Il cuore quasi mi scoppiava in petto. Lo avrei fatto! Lo avrei fatto sul serio! “Qual è il punto più alto della città Bummie?” lo scossi appena, ma i suoi occhi sgranati non riuscirono nel loro intento di frenarmi “Su, avanti. Non restartene in silenzio. Metti in moto il cervello, uffa!” cantilenai, come un bambino, picchiettando con l’indice destro sulle profonde rughe che gli avevano accartocciato la fronte.
 
“Ma che diavolo stai dicendo?!” sbottò, schiaffeggiandomi la mano. Gli occhi felini tornarono ad incendiarsi, trapassandomi con la loro furia. “Ti rendi conto di quello che hai fatto?! E cosa vai farneticando adesso?!” le mani sottili si mossero freneticamente, sollevandosi verso il soffitto. Lo avevo proprio esasperato. “Sei impazzito per caso?!”
 
Scoppiai nuovamente a ridere, afferrando il suo viso corrucciato, stampando sulle labbra infastidite uno schioccante bacio. “Ma quale impazzito Bummie?” mormorai, chiudendo gli occhi e stringendolo forte. “Voglio gridarlo, non lo capisci?” lo liberai lentamente della mia presa, scandendo con lentezza ciò che il mio folle cervello continuava a suggerirmi. “Voglio urlarlo al mondo intero… che tu sei mio”.
 
Aspettai. Paziente e trepidante. Le pupille si dilatarono, seguendo con la loro espansione la bocca rossa che si stava schiudendo. Le dita scivolarono sulla morbida forma a cuore, mentre il significato delle mie parole prendeva lentamente forma nella profondità del suo bellissimo sguardo. Gli angoli delle labbra si incresparono, e una nuova luce si impossessò dei suoi occhi, inondandoli con la disarmante dolcezza di quell’inaspettato sorriso.
 

“Si. Tu sei proprio pazzo…”


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Capitolo 28
*** Raccontami di te ***


NOTE

E' un periodaccio ragazze, vi chiedo seriamente scusa per il tremendo ritardo. Tenterò di fare ammenda.
Piuttosto perdonatemi anche per questo capitolo, non sono pienamente sicura di averlo scritto nel migliore dei modi
per cui... siate clementi. Anche la one-shot è stata pubblicata. Il suo titolo è "Another Me", ed è formata da due
capitoli (il secondo dei quali sarà online domani). Vi lascio il link diretto al quale poterla leggere --> qui

Un bacione gioiuzze mie! Chuuuuuu <3
SkyScraper




Capitolo 27 - Raccontami di te

Mercoledì pomeriggio. Ore 15:00. La testolina bionda venne fuori dall’aula di lingue, e la mano che si protese silenziosa nella sua direzione lo fece sorridere. “E’ da molto che aspetti?” Jonghyun scosse la testa, intrecciando le proprie dita con quelle del più piccolo. “Andiamo?” chiese. Kibum annuì, un po’ emozionato. Le gote si tinsero di rosso, riscaldando con il loro tenero colorito il cuore del ragazzo al suo fianco.
 
Spalla contro spalla, si allontanarono lungo il corridoio del secondo piano, mentre gli studenti che passavano loro accanto sgranavano leggermente gli occhi, voltando velocemente il capo subito dopo. Non si vedevano tutti i giorni scene di quel tipo. Come un sonoro schiaffo, sulla guancia immacolata dei loro ipocriti moralismi, Kibum e Jonghyun procedettero uniti fino all’uscita, totalmente sordi a quel malcelato brusio che iniziava lentamente a levarsi nell’aria. Le chiacchiere della gente non contavano nulla.
 
Il bruno sbirciò il profilo del suo coinquilino, un po’ sorpreso nel trovarlo sorridente ed incredibilmente rilassato. Credeva si sarebbe imbarazzato. Lo sguardo luminoso corse a cercare il suo, innocentemente inconsapevole dello strano potere che era in grado di esercitare sul più grande. Questi infatti arrossì appena, stringendo più forte la sua mano, rispondendo alla sua espressione felice con un sospiro sognante.
 
“Facciamo un giro in centro?” propose il più piccolo, il cui cuore aveva istintivamente fatto una rapida capriola su se stesso, dolcemente trafitto dallo sguardo adorante del suo scimmione.
 
Jonghyun rimase stranamente in silenzio, lasciandolo piuttosto perplesso. Ma lo aveva sentito? Kibum bloccò i propri passi, ruotando di 90° verso il proprio accompagnatore. Per tutta risposta l’altro inarcò un sopracciglio, più confuso di prima. “Allora?” chiese ancora il biondo, curvando il capo verso destra, rimarcando con il proprio tono ostile il fastidio che quella mancanza di attenzione aveva risvegliato nel suo animo orgoglioso.
 
“Oh!” il maggiore sbatté un paio di volte le palpebre, richiamato sul pianeta terra dal pesante sbuffo che la boccuccia rossa aveva rilasciato. “Hai de-detto qualco-cosa?” balbettò, imbarazzato, scompigliando con la mano libera i capelli già spettinati. Il suo coinquilino assottigliò lo sguardo, facendosi fin troppo vicino.
 
“A chi pensavi?” sibilò, aggrottando le sopracciglia e portando le mani sui fianchi.
 
Jonghyun si tirò leggermente indietro, ricominciando a camminare, spingendolo contro il proprio corpo quando infine svoltarono l’angolo. Di occhi indiscreti non c’era più traccia. “A te. Solo a te” rispose il bruno, lentamente, accarezzando con entrambi i pollici la pelle morbida delle sue guance, utilizzando poi i palmi aperti per obbligarlo a sollevare completamente il viso. Il suo Bummie era arrossito velocemente, e quella nuova reazione lo fece sorridere.
 
“Scusami” mormorò, strofinando il proprio naso contro quello delicatamente perfetto del più piccolo. “Mi ero incantato a guardarti…” si giustificò, ridendo piano, mentre il colore sulle gote del biondo diveniva ad ogni parola più intenso. Il dolce sospiro del suo gattino regalò un battito più prepotente al suo cuore innamorato, e Kibum annuì, ancora a disagio.
 
“Passiamo dalla pasticceria dopo, che dici?” i piedi faticarono non poco ad eseguire il suo comando, tirandosi mestamente indietro, così da poter lasciare al suo tenero coinquilino il tempo di riprendersi.
 
“Mmh, va bene” acconsentì quest’ultimo, sollevando i propri occhi felini sul suo volto. Jonghyun accarezzò con lentezza i capelli morbidi e sottili, intrappolando con il proprio sguardo quello più imbarazzato di Kibum. “S-Se conti-tinui a to-toccarmi…” la frase si affievolì sulle ultime sillabe, sfumando completamente quando le palpebre vennero silenziosamente abbassate.
 
“E’ colpa tua” sussurrò il più grande, lasciando scivolare i polpastrelli oltre la fronte levigata, sfiorando con il dorso delle dita la pelle vellutata del collo sottile. “Come puoi pretendere… che io trovi la forza di lasciarti andare?” concluse, quasi sofferente, curvandosi subito dopo su quelle piccole labbra rosse già schiuse.
 
“Mmm…” le braccia si allacciarono dietro la schiena forte, attirando il maggiore dentro quel nuovo abbraccio. “Allora non farlo…” ansimò Kibum, cercando nuovamente i suoi occhi, mostrandogli con la sola intensità del proprio sguardo quanto quelle parole lo avessero emozionato. La stretta intorno ai fianchi sottili divenne più vigorosa, e Jonghyun rabbrividì di fronte a quel volto tanto amato, che era diventato per lui più indispensabile dell’aria stessa.
 
“Non te ne lamentare poi…” rispose, appena sarcastico, arricciando le labbra in una dolce smorfia divertita. Il corpo delicato si appoggiò completamente al suo, mozzandogli il respiro con quella profumata morbidezza che gli incendiò l’inguine.
 
“Baciami ancora” fu la sola richiesta che il più giovane gli fece, mentre… abbandonandosi fra le sue braccia… abbassava nuovamente le ciglia, permettendogli di impossessarsi completamente del proprio cuore.
 

*****

 
Quando Minho rientrò a casa, quel  pomeriggio, il divano del salotto lo trovò stranamente vuoto. Che fine aveva fatto il mostriciattolo che ne aveva reclamato la possessione a tempo indefinito?! L’interruttore della luce scattò verso l’alto, illuminando con il proprio bagliore la cucina stranamente al buio. Le tapparelle erano state abbassate. Che fosse uscito? Quella possibilità non gli piacque neanche un poco.
 
Infilò una mano in tasca, arricciando le labbra. Doveva forse fare la caccia al tesoro?! “Aishh!” si lamentò, abbandonando la tracolla sul tavolo “Ma dove diamine l’avrò ficcato quell’aggeggio?!” Libri e quaderni vennero sparsi un po’ dovunque. Alcuni sul ripiano della credenza, altri finirono malauguratamente a terra. Il moro borbottò qualcosa di indefinito (un’imprecazione probabilmente), e ci ficcò direttamente la testa in quella dannata borsa.
 
“Ti ho trovato piccolo snaturato!” esclamò, vittorioso, quando il palmare sottile si materializzò… quasi per magia… tra le sue grandi dita agitate. “Min, se non mi rispondi neanche stavolta giuro che ti lego da qualche parte!” pronunciò così la propria minaccia, nonostante il diretto interessato non potesse neanche sentirlo. Il numero del suo coinquilino venne composto rapidamente, e l’allegra suoneria di un anime poco conosciuto prese vita dal nulla, proprio sul pianerottolo.
 
Le gambe si mossero automaticamente verso l’ingresso, e la porta fu spalancata. Taemin, che tra una busta e l’altra non era ancora riuscito a recuperare il cellulare, sollevò lo sguardo sorpreso sul proprio coinquilino, mormorando un “Oh!”. Il più grande lo fissava, assai contrariato, con le braccia incrociate e la fronte aggrottata.
 
“Ciao Hyung” lo salutò il ragazzino, allargando le labbra in un sorriso volutamente ingenuo, immedesimandomi subito dopo nella sua solita parte da fanciullo innocente. “Che ne diresti di darmi una mano?” continuò, ignorando il grugnito poco cortese che l’altro gli rivolse. Le mani forti si protesero comunque in avanti, e Taemin si affrettò a riversarci sopra tutti i propri acquisti. “Grazie!” squittì, sollevandosi sulla punta dei piedi. Il bacetto, con il quale volle manifestare la propria gratitudine, risuonò per tutto l’appartamento, facendo arrossire il povero Minho.
 

Ti ho fregato Hyung! Adesso tutta la voglia di rimproverarmi ti è passata!

 
“Hai sva-svaligiato il su-supermercato?” balbettò il moro, ancora su di giri, depositando sul tavolo quattro buste fin troppo pesanti. La testolina castana, il cui proprietario euforico aveva iniziato a salterellargli intorno, per poco non urtò la sua. Il maggiore fece appena in tempo a ritrarsi indietro, ma Taemin neanche ci badò, troppo emozionato dall’idea di mostrare al suo Hyung ciò che aveva comprato.
 
“Guarda! Guarda! Guarda!” strillava, aggrappandosi al suo braccio. “Queste cose le ho prese per te!” annunciò, orgoglioso di se stesso. Il cuore di Minho vibrò alle sue parole, sinceramente colpito da quella notizia. Poteva sembrare una fesseria, eppure… Voleva dire che lo aveva pensato, no?
 
Le mani si allungarono verso la busta che il più piccolo gli indicava, tirandone lentamente fuori gli acquisti a lui destinati. I suoi snack favoriti. La bevanda energetica che prendeva quando andava a correre. Il bagnoschiuma che aveva finito. Una spugna nuova, che lo fece istintivamente sorridere. La mia è ridotta ad uno straccio. E poi ancora… gli ingredienti per il suo piatto di carne preferito, le pile per la sveglia (esaurite giusto la sera prima), qualche blocco nuovo per l’università e…
 
“Que-Questi sono…?” deglutì, sollevando lo sguardo sul visetto imporporato di Taemin, che aveva silenziosamente iniziato a torturarsi le dita. Il ragazzino abbassò ritmicamente la testa, troppo imbarazzato all’idea di incrociare il suo sguardo. Mantenne il capo chino, emozionato, pregando con tutto se stesso che la propria richiesta non ricevesse un rifiuto.
 
“I-Io lo so c-che è un po’ stu-stupido però…” sospirò, allacciando le mani dietro la schiena, utilizzando la punta del piede destro per disegnare piccoli cerchietti sulle mattonelle bianche. “Beh… insomma… s-se non v-vuoi non f-fa niente” gli occhietti lucidi si sollevarono timorosi, riscoprendo in quelli del più grande il riflesso di un sorriso, che gli aveva un attimo prima incurvato le labbra.
 
“Non vedo l’ora di usarlo” lo rassicurò Minho, accarezzandogli i capelli, rischiando di finire con il sedere a terra quando… al colmo della felicità… Taemin gli saltò improvvisamente addosso, tappezzando di bacini dolciosi la sua bocca sorridente.
 

*****

 
Quando mi dissero che in casa non riuscivano a trovarlo, immaginare il suo “nascondiglio” fu per me assai facile. Lo avevo visto sgattaiolarci di tanto in tanto, durante qualcuna delle cene d’affari che il suo vecchio era solito organizzare. Parliamo di diversi anni fa in realtà, ma certe abitudini restano comunque, nonostante tu sia cresciuto e i tempi cambiati.
 
Le scale che portavano al terzo piano erano ampie e luminose. Quel lato della casa si affacciava sul giardino e, tralasciando le poche ombre generate dagli alberi più alti, la luce del sole filtrava direttamente attraverso le grandi vetrate, illuminando tutta l’ala est della villa. Ricordo che, da piccoli, ci passavamo molto tempo tra quei verdi prati sempre lussureggianti.
 
“Non ti sfugge niente, mmh?” mormorò, non appena i miei passi varcarono la soglia. Teneva gli occhi chiusi e la schiena al pavimento, ma sembrava che della mia persona conoscesse perfino l’odore. Sollevò stancamente il braccio destro, portando la sigaretta alle labbra, aspirando profondamente prima di sfiorare con la punta delle dita il posto accanto al proprio. “Puoi venire, se vuoi…”
 
Mi sedetti al suo fianco, a dispetto dell’abito nuovo, allentando con un sospiro il nodo della cravatta. “Niente università?” chiesi, ma lui rise piano, senza rispondere. Non era cambiato di una virgola in tutti quegli anni. In tutta onestà… credo che seguire le lezioni non rappresentasse per lui un reale bisogno. Frequentare la facoltà era un modo come un altro per distrarsi, per non pensare troppo.
 
“Hai lasciato solo il tuo piccolo amico?” mi azzardai a fargli notare, e lui fece spallucce, rilasciando una nuova nuvola di fumo che si sollevò malinconica sopra le nostre teste. “Non è solo” mi contraddisse, arricciando le labbra, porgendomi la sigaretta per metà consumata “E comunque quell’idiota è fuori città. Lo hai detto tu, no?”. Si trattava di una domanda retorica. Sapevo benissimo anch’io quali fossero i movimenti di quel Seung Su.
 
La foto che teneva sul petto, proprio all’altezza del cuore, non ebbi bisogno di voltarla. Conoscevo alla perfezione il volto che ci avrei visto stampato sopra. Byung-Hee è un abitudinario, per certe cose. Se si trovava in quella stanza, sotto quel grande lucernario ad arco che gli permetteva di vedere il cielo… allora era a Lui che stava pensando.
 
Avevo una colpa nel cuore. Qualcosa per cui non gli avevo mai chiesto scusa e che, quel giorno, venne tristemente fuori dalla mia bocca, facendolo sorridere. “Mi dispiace… di non esserci stato” mormorai, chiudendo a mia volta gli occhi, allungando una mano sulla sua. “Non è stata colpa tua” mi rassicurò, liberandosi dolcemente della mia stretta. Non gli piaceva che qualcuno lo toccasse ed io, che lo conoscevo bene, non gli rimproverai quel gesto così poco delicato.
 
“Se lo avessi saputo… sarei tornato” dissi ancora, avvertendo quel grosso nodo alla gola sciogliersi un po’ per volta, man mano che la mia confessione andava avanti. “Ci sarei stato per te, spero che tu sappia almeno questo”.
 
Byung-Hee si mise lentamente a sedere, sollevando le palpebre. Lo imitai, incrociando i suoi occhi seri e appena malinconici. “Perché credi che non l’abbia fatto?” domandò, con quel solito sorriso ironico, che utilizzava sempre per celare la propria tristezza. “Avevi un sogno, ed io non volevo rovinartelo”.
 
Mi commosse.
 
Sulle sue motivazioni avevo fantasticato tante volte. Perché non mi aveva avvisato? Perché non aveva cercato il suo migliore amico, in un momento così brutto della sua vita? Credevo fosse orgoglio. Credevo… fosse il suo bisogno di restare da solo. Non avrei mai pensato che, in realtà, lo avesse fatto per me.
 
Io, all’epoca, frequentavo ancora l’Accademia militare. Se fossi tornato in Corea, avrei probabilmente ritardato di un anno il mio diploma ma… non mi sarebbe importato. Lo avrei fatto per lui. Byung-Hee… questo… deve averlo sempre saputo.
 
“Sei un detestabile marmocchio, lo sai vero?!” lo rimproverai, cercando di ricacciare indietro quelle lacrime che mi avevano per un attimo annebbiato la vista. “Sempre a decidere tu per tutti quanti, non è così?!” insistetti, spingendolo a sorridere sulle ultime parole. Si mise lentamente in piedi, sovrastandomi dall’alto con la sua espressione da sapientone.
 
“Prendo io tutte le decisioni perché…” scrollò le spalle, e l’angolo sinistro della bocca tremò appena, trattenendo a stento il suo divertimento “Beh, perché sono il migliore!” concluse, riempiendo la stanza con il suono allegro della sua risata. “Tirati su Jihun! Per quanto tu possa ostinarti a negarlo… lo so bene quanto mi adori!”
 

*****

 
La signora Lee finì di sistemare la sua nuova composizione, riponendo il vaso di girasoli sulla piccola mensola dietro la cassa. I fiori erano una delle sue mille passioni, e non capitava spesso che il suo negozietto ne fosse sprovvisto. Fu con una mano sui sottili steli dei gigli bianchi, che i suoi amorevoli occhi si puntarono sulla piccola porticina in vetro che, annunciando l’arrivo di un nuovo cliente, aveva liberato il suo piacevole scampanellio per tutto il locale.
 
“Buongiorno signora” Hyuri scostò un ciuffo biondo dal volto, rivelando due occhi arrossati dal vento (e forse non solo da quello). La madre di Jinki rispose prontamente al suo sorriso, mentre l’animo sensibile di cui il cielo le aveva fatto dono… si preoccupava istintivamente alla vista della ragazza.
 
“Buongiorno tesoro. Cercavi Jonghyun?” quelle parole ebbero sulla giovane l’effetto di uno schiocco di dita. Le palpebre vennero più volte sbattute, mentre una nuova consapevolezza prendeva forma nelle dolci iridi scure, seguita subito dopo da un tristissimo sorriso.
 
“Me ne sono completamente scordata…” mormorò, portando una mano alla fronte, massaggiando stancamente le tempie pulsanti. “Le chiedo scusa signora” continuò, sollevando nuovamente lo sguardo sul volto apprensivo della donna “La lascio lavorare”. Fece giusto in tempo a dare un passo verso la porta, che la morbida voce della madre di Jinki tornò ad accarezzarle le orecchie.
 
“Stavo per preparare del tè. Mi faresti compagnia per una tazza?”
 
“Oh, no!” Hyuri arrossì vistosamente, inchinandosi subito dopo di fronte all’espressione sorpresa della donna “Mi scusi signora, non intendevo assolutamente essere maleducata!” esclamò, scuotendo energicamente le mani davanti al viso. “Io non vorrei disturbarla, sul serio” aggiunse, chinando ancora una volta il capo, occultando dietro la frangetta bionda gli occhi improvvisamente tristi.
 
Il sorriso sincero della padrona si fece ancora più largo, rivelando con la sua spontaneità quanto quella ragazza gli fosse cara. “Non preoccuparti tesoro” le rispose, indicandole con dolcezza la sedia accanto alla propria “A quest’ora… di clienti ce ne sono ben pochi”.
 
Hyuri sospirò, rincuorata dalle amorevoli attenzioni della madre di Jinki e, seppur a disagio, prese velocemente posto accanto a lei. Il piccolo fornello elettrico, posto tra la cassa e la spessa parete dipinta di azzurro, venne acceso quasi immediatamente. L’acqua tintinnò allegra sul fondo del pentolino, accompagnando con il suo piacevole suono il timido sorriso che incurvò le labbra della ragazza.
 
“Aspetti, la aiuto” si affrettò quest’ultima ad annunciare, scostando appena la sedia, recuperando le bustine verdi che la signora stava cercando di prendere. Lo scatolino color prugna era seppellito sotto una montagna di riviste e scorte di fazzolettini imbevuti. La signora Lee era un tipo previdente, che si portava sempre dietro quell’importantissima tracolla da supermercato, nella quale venivano riposte tutte le piccole cose di cui sapeva bene avrebbe prima o poi avvertito la necessità.
 
“Grazie cara” le disse la donna, raccogliendo dalle sue mani i due quadratini di carta che conservavano al loro interno le erbe aromatiche di cui aveva bisogno. “Mettiti pure seduta. Tra un po’ sarà pronto”.
 
Hyuri rassettò velocemente la gonna lunga, piegandola sotto le gambe quando riprese posto sulla sua sedia. Era una ragazza delicata e discretamente deliziosa. Di quelle a cui, ogni madre, avrebbe volentieri dato in sposo il proprio figlio. Le lunghe dita erano prive di anelli o smalti; assai poco comune per le tendenze giovanili di quegli anni, in cui tutte le ragazzine facevano a gara per chi possedeva il look più appariscente. L’amica di Jonghyun indossava abiti comodi e dalle tinte pastello. A guardarla bene… si sarebbe pensato che, considerati i tempi, la sua presenza stonasse pesantemente con il mondo che le girava intorno.
 
“Grazie signora” mormorò, sinceramente emozionata, specchiandosi in quello sguardo dolce che le ricordava tanto quello di sua madre. “E… non solo per il tè” aggiunse, abbassando le palpebre, portando alle labbra la tazza fumante che le era stata consegnata. “Mmm… è buonissimo”.
 
La signora Lee sorrise, facendo fare al proprio cucchiaino piccoli movimenti circolari, diluendo nel liquido scuro la propria bustina di zucchero. “Ti piacciono i fiori?” le chiese, notando l’ammirata attenzione che la ragazza rivolgeva ai candidi gigli, ancora sul bancone. Hyuri sorrise, accarezzando la porcellana della propria tazza con le lunghe dita affusolate.
 
“Li adoro”.
 

*****

 
Fu un pomeriggio piacevole. La nostra prima uscita di coppia, da soli, fra le strade affollate di Seul. Non andammo in nessun posto in particolare. Una semplice passeggiata, fatta di negozi dalle vetrine illuminate, mani intrecciate dentro le tasche dei giubbotti, e nuvolette di aria condensata dopo ogni nuova risata. Kibum parlava molto, e spesso le sue osservazioni non avevano neanche bisogno di una vera risposta. Così io mi limitavo ad annuire, perso nei suoi occhi sorridenti, lasciandomi cullare dal tono euforico della vocina sottile. Il mio micetto commentava qualsiasi cosa. Dal troppo tempo che i semafori impiegassero a diventare verdi, alle gonne troppo corte che le ragazzine indossavano. Indecenti, le definiva, e io non riuscivo a fare a meno di sorridergli ancora.
 
“Beh… magari adesso sono un po’ ipocrita” mormorò ad un certo punto. Stava esaminando, attraverso la vetrina di una famosa atelier, una sciccosissima minigonna a scacchi. Di quelle che, una volta messe addosso, lascerebbero intravedere perfino il colore delle mutandine. “Se fossi nato femmina forse… cioè… ha un suo stile” affermò,facendo spallucce. “Voglio dire… probabilmente l’avrei comprata anch’io” concluse, con una dolcissima smorfia, ricominciando a camminare.
 
Io quasi mi strozzavo, figurarsi. Con gli occhi sgranati, direttamente sul suo piccolo sedere ancheggiante, immaginai le cose più perverse, deglutendo a fatica quando capii che… no, non mi sarebbe dispiaciuta affatto come scena. Kibum con solo quell’affarino minuscolo addosso? Tutte le buste che portavo tra le braccia finirono a terra, mentre Bummie si voltava sospettoso nella mia direzione. Avvertii distintamente il calore del mio imbarazzo esplodermi sul viso mentre lui, intelligente com’era, intuiva immediatamente i miei pensieri poco casti, arrossendo a sua volta.
 
“Stupida scimmia!” borbottò, riportandomi indietro di un mese, a quel primo giorno in cui aveva coniato quel nomignolo. Sorrisi, afferrando le manine infreddolite dall’inverno, obbligandolo a venirmi più vicino. “J-Jongie?” mi richiamò, impaurito, guardandosi freneticamente intorno “C-Che fai? C’è un sac-co di ge-gente e…”
 
“Mi piace di più quando mi chiami così” mormorai, interrompendolo, abbassandomi definitivamente sulle sue labbra tremanti che, seppur timorose, risposero con un sospiro al mio bacio. “Sei gelato” soffiai sulla pelle di vaniglia, raccogliendo all’interno dei polmoni tutta la sua inebriante dolcezza. “Vieni, andiamo a prendere qualcosa di caldo” suggerii, indicando il bar poco lontano, dall’altra parte della strada.
 
La testolina bionda si abbassò ritmicamente, e la piccola boccuccia rossa venne istintivamente chiusa tra i denti, proprio mentre le nostre dita tornavano ad allacciarsi. Utilizzai la mano libera per scostare un ciuffetto birbante dalla sua fronte, depositandoci subito dopo un piccolissimo bacio. “Andiamo”.
 
Non ci eravamo mai stati, ma era un posticino davvero accogliente. Le pareti erano bordeaux, squisitamente abbinate al pavimento in legno e alle sottili tovaglie di lino bianco. Le tazze, nelle quali la cioccolata ci venne servita, erano tutte diverse tra loro, ed esposte dietro al lungo bancone ad angolo, su di un quantitativo smisurato di mensole e mensolette. Sembrava la collezione di macchinine di un bambino.
 
La mia era nera, e sulla base arrotondata, delicatamente intarsiati direttamente sulla porcellana, facevano bella mostra di se diversi chicchi di caffè e zollette di zucchero, a loro volta accompagnati da piccolissimi fiorellini di camomilla. Era particolare, e finemente lavorata. Qualcosa di ricercato, indubbiamente.
 
Quella di Bummie aveva il manico sottile, appena svolazzante all’estremità inferiore, che si concludeva in un delizioso sbuffo verso l’alto. Interamente bianca, pallida e liscia come la pelle che stava accarezzando, portava sul davanti un disegno elegantemente stilizzato. L’abbraccio di due innamorati, di spalle, su di una panchina volutamente sbiadita. Per i tratti, garbati ed abbozzati, era stato utilizzato lo stesso colore della mia tazza. Era davvero bella, e mi ricordava tanto il buon vecchio romanticismo. Quello dei film in bianco e nero di una volta.
 
Mi accigliai istintivamente, quando il tizio dietro al bancone lanciò uno sguardo incuriosito al nostro tavolo. Guardava Kibum. Sbuffai, e le labbra rosse vennero silenziosamente percorse dalla consistenza morbida e tentatrice della sua lingua. “Oh Bummie, non fare così!” esclamai, affogando la mia frustrazione in un pesante sospiro. I suoi occhi da gatto si sollevarono verso di me, sorpresi e anche vagamente confusi.
 
“Che ho fatto?” chiese “Mi sono sporcato?” si allarmò, portando una mano sulle bocca, arrossendo subito dopo. Mi fece venire voglia di mangiarmelo tutto intero, così com’era, con le guance imbarazzate e gli occhietti spaesati. La sedia stridette fastidiosamente, mentre mi trascinavo con un movimento deciso più vicino a lui, facendolo sussultare.
 
“Non fare cose che spingano gli altri a guardarti” borbottai, trascinandolo contro il mio petto quando quel cameriere idiota tornò a cercare il suo dolce visino. “Maledetto!” imprecai, stritolando Bummie nel mio abbraccio “Io vado lì e gli faccio ingoiare tutte le tazze che ci sono sulle mensole!” sbiascicai, altamente infastidito, affondando il mio lamento sul collo sottile del ragazzo al mio fianco.
 
Rise come un matto, spudoratamente felice della mia rabbia, stringendomi a sua volta quando io, stizzito, feci per allontanarmi. “Dove vai, Jongie?” mi chiese, sbattendomi innocentemente le ciglia davanti al broncio “Se mi lasci divento triste” sussurrò, strofinando la sua guancia contro la mia, facendomi tremare il cuore con la sua dolcezza.
 
“Aishh” mi lagnai, troppo orgoglioso per ammettere quanto potere… quel micetto in cerca di coccole… avesse sul mio umore. “Sei un furbacchione!” lo rimproverai, concedendogli velocemente quel bacio che stava cercando “Ma come faccio a dirti di no?”. Kibum sorrise, stringendomi lo stomaco con la disarmante bellezza dei suoi occhi sottili.
 
“Non puoi” rispose, arricciando la boccuccia in una tenerissima smorfia di soddisfazione “Ti ho incastrato ormai!” sospirai, baciandolo ancora. Dio… quanto aveva ragione…!
 
Il conto ci venne portato direttamente al tavolo. Ignorai le sue protesta, pagando per entrambi, evitando accuratamente di lasciare alcuna mancia a quel viscido cameriere senza pudore. Questi ci seguì mestamente fino all’uscita, scostando la porta per lasciarci passare. “Speriamo di riavervi presto nel nostro locale” ci salutò, puntando lo sguardo speranzoso direttamente su Bummie. Forse avrei dovuto trattenermi ma… come facevo?!
 
“Non ci contare troppo!” sbottai, riservandogli lo sguardo più minaccioso che mi venne fuori. Kibum mi trascinò rapidamente via, e la bocca spalancata di quel tizio riuscii a scorgerla fin quando non svoltammo l’angolo. Ci fossi tornato da quelle parti… sarebbe stato meglio per lui non farsi vedere!
 

*****

 
Scivolai lentamente fino al pavimento, ancorato alle sue forti spalle. Avvertivo il suo respiro pesante sulla mia gola, e sorrisi soddisfatto, accarezzando i capelli scuri. Baciò ancora una volta le mie labbra, recuperando gli accappatoi puliti. “Grazie” gli dissi, sollevando le braccia mentre mi aiutava ad infilare il mio. Utilizzai quei pochi secondi a disposizione, prima che si coprisse, per spiare silenziosamente il suo corpo nudo. Minho arrossì, e io gli feci la linguaccia.
 
“Sei troppo spudorato, lo sai?!” mi ammonì, precedendomi fuori dal bagno. Scappava via?
 
“E tu sei troppo timido, lo sai?!” gli feci il verso, urlando la mia risposta attraverso il corridoio, ridendo divertito mentre inciampava nei propri piedi, richiudendosi la porta della sua camera alle spalle. Scossi la testa, entusiasta per quel piccolo “incontro ravvicinato” che ci eravamo concessi sotto la doccia. “Anche se adesso mi sento la schiena a pezzi…!” mormorai, con una smorfia, accarezzando il fondo schiena dolorante. “Timido si, ma in certi casi…” sghignazzai, ricordando la sua irruenza mentre facevamo l’amore.
 

Il mio Hyung è uno stallone, né!

 
Troppo perso tra i miei pensieri, dimenticai completamente l’oggetto che avevo abbandonato in cucina, sul fondo di una delle mie buste. Mi mossi a mia volta verso la stanza che occupavo, ancora elettrizzato, lasciando ricadere l’accappatoio sulla sedia. Ripiegati sul pesante piumino, gli abiti di ricambio erano già pronti per essere infilati. La maglia di cotone era un po’ stropicciata, ma non ci feci caso. Posai una mano sul termosifone, utilizzando il suo piacevole calore per placare i piccoli brividi di freddo che mi avevano attraversato il corpo umido.
 
“Molto meglio…”. La luce rossastra dell’abatjour accarezzò il letto, che divenne l’unico punto della camera ad essere illuminato. Un motivetto allegro prese vita dalle mie labbra dischiuse, e la porta cigolò debolmente alle mie spalle. “Pensavo ti stessi ancora nascondendo…” lo canzonai, senza voltarmi, infilando i calzini puliti. La spugna morbida mi strinse il polpaccio, mentre la risposta di Minho tardava ad arrivare.
 
Mi voltai a cercarlo, incuriosito dal suo silenzio. Sobbalzai, con gli occhi puntati sulla forma rettangolare dell’album rosso. “Hai delle foto da sistemarci?” domandò, evidentemente curioso. Cosa avrei dovuto rispondere? Lo avevo comprato d’impulso, quasi senza pensare, ma di coraggio per eseguire i miei propositi me ne era rimasto ben poco.
 
“Qualcosa del genere” dissi, e il suo sopracciglio scuro si sollevò appena, perplesso. Sospirai, chinando il capo, stringendo tra le dita il tessuto sottile dei pantaloni di cotone. Le palpebre si abbassarono, giusto per pochi secondi, concedendomi quell’attimo di raccoglimento nel quale avevo bisogno di rifugiarmi. “Ti faccio vedere…” mormorai, mentre le mie gambe venivano velocemente rivestite dalla pesantezza del mio animo, non molto collaborative nel mio intento di raggiungere la scrivania.
 
Al suo interno c’era una busta di carta, bianca, vecchia e impolverata. Era rimasta in quel cassetto dal giorno del mio trasferimento, e da allora non l’avevo più toccata. Inspirai profondamente, chiudendola tra le dita. Tremavo. La mia presa non era sicura. Impaurita, semmai. Faticai a resistere all’impulso di lasciar cadere a terra quei vecchi scatti e, senza sollevare gli occhi dal pavimento, porsi infine la busta al ragazzo con cui dividevo casa.
 
“Non sarà facile però…” confessai, tornando sulla sponda del letto. Utilizzai i palmi aperti per sostenere la testa, mordendo le labbra quando le fotografie vennero infine fuori, accompagnate da quell’impercettibile fruscio che mi fece serrare le palpebre. “Non voglio vederle!” affermai, impaurito, ricacciando indietro le lacrime quando la mia voce stridula riempì la camera.
 
Minho non lo guardai, temevo troppo il suo sguardo. Gli facevo pena, non è vero? Quella possibilità mi strinse lo stomaco, che si accartocciò sconfitto, rispondendo con uno spasmo ai miei pensieri pessimisti.
 
“Era molto bella… tua madre”.
 
La mano sulla mia schiena si mosse leggera, accarezzando con la sua dolcezza il tremore dei miei singhiozzi repressi. Nascosi il dolore dietro i palmi schiacciati al volto, abbandonandomi tra le braccia del mio gigante quando infine mi strinse al suo petto. Sotto le palpebre abbassate i ricordi iniziarono a riaffiorare, troppo amari da poter gestire. Le mie lacrime bagnarono la sua pelle ancora umida, contro la quale venni silenziosamente cullato, per tutto il tempo.
 
“Lo facciamo insieme” mi disse, scostando i capelli dalla fronte madida. Stavo sudando. Non me ne ero accorto. Gli occhi che cercarono i miei non mostravano pietà, bensì… comprensione. Mi stupirono, con il loro amorevole bisogno di accompagnarmi in quella prova. Erano forti. Erano pazienti. “E’ un volto molto bello. Non dovrebbe rimanere chiuso in un cassetto” mormorò, utilizzando i polpastrelli ruvidi per raccogliere le mie lacrime.
 
La foto che mi venne avvicinata strozzò il mio cuore, comprimendolo, straziandolo. Serrai nuovamente le palpebre, attraverso il penoso rifiuto che il mio cervello continuava ad impormi. “N-Non ce la fa-faccio” balbettai, terrorizzato, e la sua mano intrappolò la mia, prima ancora che io avessi la possibilità di farmi del male. Le unghie si erano pericolosamente avventate sulla morbida carne delle braccia, ma Minho dovette intuire quello che sarebbe venuto dopo, perché mi tenne stretto a sé, sconfiggendo le mie resistenze con la sua determinazione.
 
“Non te lo lascerò fare” ansimò, sofferente, contro la guancia nuovamente umida, sulla quale le sue labbra stavano scivolando “Guardala” continuò, soffocando i miei lamenti contro il suo petto, obbligandomi a sollevare il capo quando quella foto venne nuovamente protesa verso il mio viso.
 
Non volevo farlo. Non volevo trattarlo male, e neanche infierire su quel volto ingiallito che tanto amavo. Schiaffeggiai la sua mano, urlandogli contro che non l’avrei fatto, divincolandomi tra le braccia che cercavano di mantenermi fermo. Lo scatto, dai colori sbiaditi e gli angoli consumati, finì a terra, insieme con le gambe, che cedettero una volta in piedi. Attesi il dolore della caduta, esausto, ma neanche questo arrivò.
 
Minho era venuto giù con me.
 
Sgranai gli occhi, impaurito, voltandomi veloce verso la sua espressione rattristata. Si era fatto male. Io, al contrario, avevo sfiorato il pavimento con dolcezza, accompagnato dalle mani protettive che avevano sorretto il mio corpo durante il crollo. “Non te lo lascerò fare” disse ancora. Le labbra ridotte ad una linea sottile, mentre stringeva la presa intorno alla mia vita, obbligandomi a restargli vicino.
 
“Perché?” piagnucolai, serrando i pugni, furioso con lui e con me stesso. Non riuscivo ad oppormi a quel dolore. E Minho non cercava neanche di tenersene lontano. “Perché devi fare così?!” urlai la mia rabbia, piangendo più forte, colpendo il suo petto con la poca forza che mi era rimasta addosso.
 

“Perché ti amo”

 
Sorrise. Un sorriso dolce, rassicurante, attraverso le lacrime che avevano silenziosamente preso ad accarezzare il suo bellissimo volto. “Ti amo, Min” sussurrò, ad un soffio dalle mie labbra, raccogliendo nel suo sguardo il colore grigio della mia malinconia. Da quanto era lì? Da quanto permettevo a quel colore, spento e uggioso, di opprimere l’anima delle mie tele? “Non devi più scappare. Lo faremo insieme”.
 
Non so quando smisi di piangere. Forse subito, forse dopo diverso tempo. Quello che ricordo… fu la sensazione che mi avvolse il cuore… mentre le sue parole cercavano di rassicurarlo, ricordandomi quanto quella mia battaglia fosse ormai inutile. Ogni anima porta dentro di sé una grande tavolozza di colori. Quegli stessi colori che utilizzi per dipingere il tuo presente, per conservare il tuo passato, per inventare il tuo futuro.
 
C’è la briosità del giallo, con le sue sfumature dorate e la vitalità inafferrabile. Ridisegna il calore di una giornata al mare, o il sudore piacevole della tua corsa verso casa. Il verde splende sempre, sa di vita, di erbe appena tagliata, di alberi in piena fioritura. Il blu è profondo, come l’oceano, come quella volta che ti sei steso tra i campi, abbandonando la bicicletta accanto allo steccato, cercando nell’infinità del cielo la risposta ai tuoi mille dubbi da ragazzino. Il rosso è vivo. Il rosso è caldo. Il fuoco dentro un camino, il cuore su quel piccolo orsacchiotto, che ti è stato regalato a Natale.
 

Ogni emozione ha un colore.
Sofferenza. Abbandono. Malinconia. Dolore. Disperazione.
Anche loro ne hanno uno. Ed è giusto che sia così.

 
La mia famiglia era il tramonto che guardavo la sera, dalla cucina, mentre cenavamo. La mia famiglia era quella palla colorata, che mio padre aveva riempito d’aria in riva al mare, lanciandola sulla schiena di mia madre per farla arrabbiare. La mia famiglia era la voce che mi svegliava la mattina, ricordandomi che era ora di andare a scuola. La mia famiglia era il bacio della buonanotte, le mani che mi aiutavano a rialzarmi dopo ogni caduta. La mia famiglia… era la mia tavolozza di colori… dove per il grigio non c’era spazio.
 

Posso davvero smettere di scappare?
Minho, se io mi fermo, riuscirò davvero a non morire?


 
*****

 
“La ricordo quell’estate. Il tuo costume era ridicolo, lo sai?” Jihun rise, osservando ancora una volta quell’istantanea che il suo migliore amico gli aveva allungato. Il sorriso di Byung-Hee era splendente, raggiante. Così come il boxer hawaiano, giallo e rosso, che indossava. Era un regalo. Per quello lo metteva, nonostante non gli piacesse.
 
“Me lo aveva comprato lui” rispose infatti, accarezzando con i polpastrelli il volto del ragazzo che lo accompagnava in quella vecchia foto “Ma probabilmente neanche lo ricorda più quel costume”. Il più grande abbassò lo sguardo, senza dire una parola. Se avesse cercato di consolarlo… non glielo avrebbe perdonato.
 
“Gli scrivi ancora?” chiese invece, mentre gli occhi scuri si spostavano automaticamente sullo schermo buio del portatile. Byung-Hee annuì, e Jihun portò alle labbra il proprio bicchiere mezzo vuoto. “Non capisco. Scuola, numero di telefono, città. Tutto è stato cambiato o cancellato. Ma allora perché? Perché quell’indirizzo di posta non l’ha fatto chiudere?” sospirò pesantemente, tornando a voltarsi verso il più piccolo.
 
“Me lo chiedo ogni giorno” mormorò quest’ultimo, e i muscoli della mascella si contrassero impercettibilmente, così come quelli delle ampie spalle. “Un po’ crudele come mossa” aggiunse, ridendo piano. Un sorriso triste, ironicamente sconfitto. “Se doveva dimenticarmi, allora perché lasciarmi una speranza?”
 
I passi fino alla scrivania si mossero lenti, apparentemente pesanti e restii a proseguire. “Sei il primo a leggerla. Oltre me” disse semplicemente, mentre le dita si serravano decise su quei sottili fogli invecchiati, accuratamente piegati in quattro e riposti all’interno di un grosso libro di Nietzsche. Jihun raccolse tra le mani quelle memorie di cui Byung-Hee gli stava facendo silenziosamente dono, avvertendo un forte senso di inadeguatezza all’altezza del petto.
 
“Sei sicuro che posso farlo?” volle domandare ancora, osservando con attenzione l'espressione severa del suo migliore amico. Questi gli fece un rapido segno di assenso e, senza aggiungere altro, riempì nuovamente il proprio bicchiere, dandogli le spalle.
 

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Seoul, 27 aprile 2006

 
E’ la quarta volta che ci provo, e anche stavolta sono sicuro che andrà male. Non c’è un modo giusto per dirlo, né tantomeno uno indolore. Mi dispiace. Mi dispiace talmente tanto Byung. Non posso negarmi ancora a seguirlo. Non ora che ha minacciato te. Farei qualsiasi cosa pur di saperti al sicuro. Perdonami. Perdonami per tutto quanto.
 
Non mi pento. Di te. Di noi. Lui non capisce. Cerca di combattere ciò che sono, ed è disposto a tutto pur di allontanarci. Non riesco ad immaginarmi senza di te. Non riesco ad immaginarla una vita senza il tuo sorriso, la tua voce, il tuo calore. Sono solo un debole non è vero? Tu avresti combattuto ancora, lo so bene. E’ per questo che vado via così, senza darti una possibilità di reagire. Non cercarmi. Ti prego. Ti prego Byung, non farlo. Ti farebbe del male, ed è solo di questo che ho paura. Non lo sopporterei. Non questo. Ti scongiuro rimani lontano.
 
Te la ricordi quella casa? Quella sulla collina, fuori città? Mi piace quel posto. Ci sono andato oggi, da solo, scappando da lui per l’ultima volta. C’è un albero accanto al lago. E’ il più alto di tutti, lo riconoscerai subito. Ti ho lasciato una cosa, proprio lì. Sono certo che trovarla non sarà difficile. Noi non abbiamo perso Byung. Fin quando il mio cuore sarà tuo, lui non potrà vincere. Lo odio. Odio quello che ci sta facendo.
 
Ieri sera mi dicevi che ero diverso. Adesso sai il perché. Mi odi? Forse dovresti farlo davvero sai. L’odio aiuta a dimenticare. O forse no. Non lo so. Vorrei che fossi felice. Vorrei che mi dimenticassi. E poi vorrei tutto il contrario. Vorrei che ricordassi la mia voce, le mie carezze, il nostro modo di stare insieme. Sono egoista, non è vero? Me ne vado per lasciarti libero, e lo faccio con la speranza di incatenarti ai miei ricordi.
 
Solo tu. Te lo giuro. Per sempre. Chiunque ci sia dopo, per me o per te. Sarai sempre il primo. Sarai sempre il più importante. Non importa tutto il resto. Non importa quanti chilometri ci separeranno. Che siano di mare, cielo o terra… non basteranno. Sei mio, Byung. Rimani mio, anche tra le braccia di un altro.
 
Non riesco a pensarlo senza piangere. Non riesco ad immaginarlo senza provare la voglia di gridare. Non voglio. Non voglio farlo. Non voglio lasciarti solo. Non voglio andare via. Non voglio vivere una vita insignificante lontano da te. Non voglio che qualcuno prenda il mio posto. Non voglio dare il tuo a qualcun altro. Non voglio svegliarmi la mattina e sapere che non ti vedrò. Non voglio Byung. Non voglio smettere di amarti.
 
Ricordalo. Ti prego. Ti prego. Non dimenticarmi. Non odiarmi. E non odiare neanche te stesso. Non saresti riuscito a fermarmi. Non questa volta. E’ la scelta migliore, per entrambi. Tornerò da te, te lo prometto. Non importa quanto tempo ci vorrà. Tornerò da te.
 

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Lungo quel lato della casa il viale di ciottoli e pietre rosate si interrompeva. Jihun si addentrò tra gli alberi, volgendo lo sguardo a nord, dove il piccolo lago dalle acque cristalline riluceva indolente, nonostante il sole fosse ormai basso. Era quello il posto. Ormai lo aveva capito. La casa descritta nella lettera, il sempreverde che stava fissando in quel momento. Byung-Hee aveva chiesto al suo vecchio quella tenuta, diverso tempo addietro, senza un apparente motivo.
 
“Adesso è tutto più chiaro” mormorò, posando il palmo aperto sulla superficie ruvida e irregolare del grosso tronco. La mano si mosse, timorosa, seguendo con l’indice sottile quelle piccole forme intagliate. L’ultima promessa del suo grande amore. “Con te. Per sempre” lesse, con la gola stretta e gli occhi lucidi. “E’ vero. Sei stato proprio un egoista”.
 

*****

 
I polpastrelli sfiorarono la copertina color avorio, le palpebre si abbassarono, e Kibum sospirò. La persona al suo fianco sfogliava distrattamente il libro che teneva tra le mani, soffermandosi poi sulla trama brevemente descritta, storcendo appena le labbra quando la boccuccia rossa si protese silenziosamente in avanti. “Qualcosa non va?” indagò, mettendo da parte il proprio volume, inarcando un sopracciglio quando il più piccolo rimase in silenzio.
 
“Bummie?” lo chiamò, sbirciando la sua espressione corrucciata. Qualcosa lo aveva fatto rattristare, ma Jonghyun non riusciva ad identificarne la fonte. La dedica, stampata ad inchiostro scuro sulla seconda pagina, fece tremare le dita sottili, e gli occhi felini si sollevarono infine sul volto preoccupato del maggiore.
 
“Nulla” rispose semplicemente, scrollando le spalle, per poi riporre il libro sul quarto scaffale, accanto ad altri due volumi dello stesso autore.
 
“Dott. Kim J. S.” lesse distrattamente il bruno, osservando con quanta facilità quel nome facesse incupire lo sguardo del ragazzo che gli stava accanto “Lo conosci?” chiese ancora, seguendo Kibum tra le corsie di quella polverosa libreria, situata a poche decine di metri dalla stazione centrale.
 
Le spalle, piccole e delicate, si irrigidirono all’istante, accompagnando con la loro postura il tono ostile del suo interlocutore. “E’ mio padre” pronunciò gravemente il biondo, svoltando verso destra, interrompendo i propri passi davanti alla sezione Narrativa. “O forse dovremmo dire lo era… non lo so” concluse, sfiorando con l’indice i numerosi titoli che aveva di fronte.
 
Jonghyun incurvò le spalle, soffermandosi sul suo tono eccessivamente risoluto, mentre affermava qualcosa che alla maggior parte della gente avrebbe fatto provare perlomeno un minimo di tristezza. Kibum invece si mostrava freddo e scostante; così diverso dal ragazzo sensibile con il quale divideva casa… da sembrargli addirittura surreale. “Beh, nessuno può scegliere i propri genitori… giusto?” commentò il più grande, raccogliendo dalle sue braccia i numerosi volumi che aveva deciso di comprare.
 
Le iridi scure del suo coinquilino si puntarono su di lui, osservandone in silenzio l’espressione dolce e comprensiva. “Già” convenne il biondo, ringraziandolo per l’aiuto che gli stava dando. Il conto alla cassa fu modesto e affatto esorbitante. Jonghyun aveva notato un avviso, scritto a mano, su di un foglio dallo sfondo arancione che era poi stato attaccato alla piccola porta d’entrata: Vendesi libri usati in discrete condizioni.
 
Kibum faceva economia, e il bruno questo lo aveva già notato. Al supermercato, quando riponeva particolare attenzione alla scelta degli alimenti, e adesso anche in libreria, acquistando solo volumi dall’aspetto usurato e il prezzo stracciato. “Hai intenzione di dare ripetizioni anche il prossimo semestre?” chiese al più piccolo, sperando che le proprie intenzioni non apparissero troppo ovvie. Questi non badò al suo sguardo incerto, troppo impegnato ad osservare una bambina dalle guanciotte paffute, intenta a consumare le sue piccole palline di riso. “Lo farò sicuramente” rispose, sorridendo teneramente a quei dolci occhioni che avevano a loro volta preso a fissarlo.
 
“Posso parlarne con due tipi, all’università, che seguono le mie stesse classi di biologia. Giorni fa li sentivo lamentarsi…” si azzardò a proporre Jonghyun, sollevando lo sguardo verso il semaforo quando il suo coinquilino si voltò a guardarlo. “Gli esami sono vicini” aggiunse, stringendo più forte le cordicelle grigie dalle quali stava trasportando i loro ultimi acquisti. Sperava con tutto il cuore di non farlo arrabbiare. Kibum era troppo orgoglioso su certe cose. Si fosse accorto delle sue intenzioni… sarebbe andato su tutte le furie!
 
“Va bene” concordò invece il più piccolo, facendosi più vicino “A patto che possa aiutare anche te” precisò, raccogliendo tra le dita i due lembi spiegazzati della sciarpa color lampone che Jonghyun portava al collo. “Ti si sta slegando” mormorò, incrociando gli occhi sorpresi del maggiore, regalandogli un breve sorriso prima di tornare ad allontanarsi.
 
Il treno verso casa traboccava di gente. Si strinsero più forte l’uno all’altro, una volta infilatisi in quel lungo vagone brulicante di studenti. Il bruno lasciò a Kibum il posto accanto alla porta, interponendo il proprio corpo tra il coinquilino e il resto dei passeggeri. L’idea che qualcuno lo guardasse già non gli piaceva, figurarsi quella che riuscissero a toccarlo. “Sei iperprotettivo” lo prese in giro l’altro, ridendo piano contro la sua spalla, abbandonando la fronte sulla morbida curva del suo collo.
 
Jonghyun non rispose, infilando il naso direttamente tra i suoi capelli biondi, ignorando senza il minimo rimorso lo sguardo infastidito di un’anziana signora, seduta poco lontano da dove si trovavano loro. Le palpebre si abbassarono automaticamente, trasformando il resto del viaggio in una lunga galleria avvolta dall’oscurità. La gente chiacchierava, e alcuni ragazzini bisticciavano per non aveva capito bene quale motivo. Kibum sospirò accanto al suo orecchio, e le labbra del più grande sfiorarono la guancia delicata con un brevissimo bacio.
 
“Lo stai facendo di nuovo…” sussurrò il biondo, allacciando le braccia alla vita del proprio coinquilino, tirandolo leggermente verso di sé quando questi fece per allontanarsi. “E’ un po’ imbarazzante, però non mi dispiace” precisò, arrossendo vistosamente. Le spalle si adagiarono alla parete metallica, mentre Jonghyun lasciava scivolare le loro buste tra le gambe, rispondendo alla sua affermazione con un nuovo abbraccio.
 
“Allora credo proprio che dovremmo restare così fino alla nostra fermata” annunciò, accarezzando con il calore del proprio respiro il collo sottile del suo micetto. Kibum annuì, guardandosi velocemente intorno prima di lasciargli un piccolo bacetto sull’angolo delle labbra. “Che fine ha fatto il tuo pudore?” lo canzonò il più grande, schiudendo un occhio, osservando divertito le sue gote di nuovo rosse.
 
“Non prenderti gioco di me, scimmione…” lo rimbeccò il biondo che, invece di arrabbiarsi, mise su un tenerissimo broncio, rendendo pericolosamente instabile il suo cuore già debole. Due dita si sollevarono lente, accarezzando brevemente quella dolce boccuccia pretesa. Gli occhi da gatto divennero inaspettatamente più languidi, e Jonghyun si affrettò a ritirare la propria mano, schiarendosi la voce.
 
“Ma quanto ci mette questo treno ad arrivare?!” bofonchiò, vagamente a disagio, sbuffando pesantemente quando quel gattino birbante sfiorò con la punta delle dita la sua erezione già evidente. “Non farlo Bummie” lo ammonì, assottigliando le labbra, trattenendo disperatamente un brivido di eccitazione. Il più piccolo stava infatti sorridendo, malizioso, portando dietro l’orecchio sinistro un ciuffo di capelli in vena di ribellione.
 
“Mi avevi promesso di passare dalla pasticceria…” cantilenò Kibum, falsamente innocente, disegnando intriganti cerchietti immaginari sul suo torace. Il giubbotto di Jonghyun, la cui cerniera era stata abbassata una volta giunti in stazione, venne silenziosamente scostato, permettendo al biondo un contatto più diretto con il suo corpo. “Allora? Mi ci porti?” continuò, impaziente, strofinando la propria guancia contro quella del coinquilino.
 
“V-Va be-bene” balbettò quest’ultimo, allontanandolo rapidamente da sé, suscitando in Kibum un nuovo moto di divertimento. Le labbra rosse vennero chiuse provocatoriamente tra i denti, e Jonghyun si ritrovò improvvisamente a corto di fiato. “Cristo santo, fa che la prossima fermata sia la nostra!”
 

*****

 
Le foto fui io a sistemarle. Min mi osservava, silenzioso, stretto al mio petto. I suoi occhi diventavano spesso lucidi, ma di lacrime non ne versava neanche una. I miei movimenti erano lenti, volutamente calcolati. Gli davo modo di osservare bene ogni singolo scatto, prima di riporlo con cura oltre la pellicola trasparente che lo avrebbe custodito. Le sue dita, disperatamente aggrappate alla mia maglia, tremarono nuovamente… quando il volto di sua madre tornò a fissarlo.
 
Era molto bella, non avevo mentito. Lei e Taemin si somigliavano tantissimo. Occhi grandi, espressione dolce, spalle strette e sorriso disarmante.
 
“Era il mio tredicesimo compleanno” mormorò, senza preavviso, facendomi sussultare. Non credevo avrebbe parlato. “Nella prossima dovrebbe esserci anche la torta” la vocina incrinata mi strinse il cuore, ma feci finta di nulla, allungando la mano libera verso la pila di fotografie ancora da sistemare. Scostai la prima, ed eccola lì.
 
“Mi piaceva quell’anime. Lei lo sapeva” l’ultima parola venne spezzata tra i denti, così come il singhiozzo che temetti fosse sul punto di venire fuori. Chiuse gli occhi, serrando le labbra, e io lo strinsi più forte. “Papà non ci sarebbe dovuto essere” faticava ad andare avanti, respirando profondamente dopo ogni nuova frase. “Ma alla fine, quando arrivò il momento di scartare i regali, suonarono alla porta”.
 
La maglia grigia risentì di quel dolore, accartocciandosi tra le manine sofferenti, trapassandomi il petto con quell’angoscia che non ero ancora in grado di curare. “Se cerca di parlarti, di qualsiasi cosa… fai in modo che non si fermi” mi aveva detto Jinki giorni prima, regalandomi quell’ennesimo consiglio che decisi di seguire.
 
“Era lui?” chiesi, titubante, temendo di turbarlo ulteriormente. Min invece sorrise, oltre il velo di tristezza che gli aveva riempito lo sguardo, annuendo brevemente e chinando il capo. “Era rimasto sveglio tutta la notte, consegnando prima il suo progetto. In cambio… il suo capo gli aveva concesso il pomeriggio libero”.
 
Sorrisi a mia volta, accarezzando i suoi capelli castani, catturando tra le mani il suo volto da bambino. “Ti voleva molto bene” mormorai, asciugando gli angoli dei suoi occhi, felice di leggerci dentro un nuovo sentimento. Stava pensando a quella sorpresa e, in qualche modo, quel ricordo gli stava restituendo un minimo di serenità.
 
“Qui dov’eravate?” insistetti, prendendo una foto poco più grande delle altre, raffigurante uno scivolo ad acqua e quella che mi parve una piscina. Le labbra si allargarono ancora, illuminandogli lo sguardo. Avvertii un battito più forte del precedente scuotermi il petto mentre, per la prima volta, erano le sue dita a protendersi verso quegli scatti.
 
“Un parco divertimenti, in Europa. Mia sorella andava matta per queste cose” precisò, facendo spallucce, accarezzando distrattamente la superficie liscia della fotografia “Mia madre non sapeva nuotare, sai?” continuò, tornando a guardarmi. “Non voleva salirci, ma papà non volle sentire ragioni. La trascinò di forza su quello scivolo e alla fine, quando arrivarono in piscina, fu lui a sostenerla fino al bordo vasca”.
 
Seguii il suo sguardo fino all’album, intuendo i suoi pensieri. Voleva provarci. Raccolsi il grosso volume, avvicinandolo con un movimento deciso alle sue gambe incrociate. “Mettila tu” gli dissi solamente. Le dita affusolate sfiorarono la copertina rossa, accarezzando la consistenza ruvida della pelle che la rivestiva. Era un bell’album, di quelli che non costano neanche poco. Lo aveva scelto con cura.
 
Mi sarebbe piaciuto conoscerli. I suoi genitori intendo. Sembravano una famiglia molto unita, di quelle fatte di abbracci improvvisi e lacrima facile. Taemin stesso rappresentava perfettamente l’essenza di quell’amore smisurato che gli avevano donato. Dolce, sensibile, premuroso. A volte un po’ viziato, come tutti quei bambini che, durante la loro infanzia, hanno ricevuto pochissimo no in risposta.
 
“Mio padre è morto quando avevo due anni” raccontai, senza pensarci, osservando la sorpresa con il quale il mio piccolo coinquilino aveva sgranato gli occhi sul mio volto. Gli sorrisi, cercando di rassicurarlo. Non volevo dargli altre preoccupazioni. “Di lui non ricordo nulla” continuai, scrollando le spalle “Non sembrava neanche che fosse un granché come uomo, e mia madre non parla quasi mai di lui” spiegai, baciando la sua guancia quando mi strinse le braccia al collo.
 
“Non ho mai sofferto Min” sussurrai al suo orecchio, accarezzando la schiena tremante, sospirando piano nel dolce bacio che mi sfiorò la bocca. “Quello che voglio farti capire è questo…” utilizzai i palmi aperti per incorniciargli il volto, cercando i suoi occhi nuovamente lucidi, poggiando la mia fronte alla sua prima di riprendere a parlare. “Ognuno di noi viene al mondo con una sola consapevolezza”.
 
“La morte” mi interruppe, stringendo più forte le labbra.
 
“Già” confermai, sfiorando la guancia pallida con la punta delle dita. Gli sorrisi ancora una volta, e lui faticò non poco a ricambiare quel mio gesto. “Gli esseri umani non si distinguono nella nascita o nella morte, ma in tutto quello che c’è in mezzo. Lo capisci?” La testolina castana si abbassò ritmicamente, un paio di volte, ma non mi parve molto convinto.
 
“E’ il nostro modo di vivere a renderci diversi gli uni dagli altri” precisai, cercando a tastoni i suoi ricordi, obbligandolo a raccogliere tra le mani esitanti quella grossa pila di fotografie. “I tuoi genitori hanno avuto una vita bellissima perché, per tutto il tempo che ci sono stati, hanno fatto sorridere voi. Te e tua sorella” i suoi dolcissimi occhi si riempirono d’emozione, guidandomi sulla strada giusta.
 
“Non piangere ancora la loro morte, Min. Loro non vorrebbero questo” le dita sottili si serrarono su quegli scatti, portandoli al petto, e i colori sbiaditi vennero velocemente bagnati dalle sue lacrime silenziose “Ricorda questo. Il giorno del tuo tredicesimo compleanno, le vacanze in Europa, tua madre che non sa nuotare, tuo padre che arriva in tempo per scartare i regali. Ricorda questo… e tutto il resto mettilo via”.
 

*****

 
Raggomitolato sotto il piumone abbassai per un attimo le palpebre, gustando sotto la lingua il sapore dolce della pasta friabile. Le molle cigolarono, ricordandomi la sua presenza. Mi osservava, in silenzio, sorridente. Risposi al suo sorriso, scostando le coperte dalle gambe e gattonando vicino a lui. Era seduto sul bordo del letto, intento a frizionare i capelli umidi, mentre Lucy trotterellava allegra dentro la stanza.
 
“Vieni bella…” le dissi, lasciando qualche pacca sul materasso, accanto a me. Eravamo stati via tutto il giorno, magari si era sentita sola. La mia cagnolina sbatté entusiasta la coda, crogiolandosi per qualche secondo sotto le carezze del mio coinquilino. Poi, con un singolo balzo, mi arrivò vicino. “Si, si. Mi sei mancata anche tu…” sussurrai alle sue grandi orecchie, ridendo allegro quando prese a leccarmi il viso.
 
Jonghyun si coricò a pancia in giù sulle lenzuola, gettando da parte l’asciugamano giallo. Lucy si accoccolò tra di noi, poggiando il musetto umido sulle grosse zampe. Sembrava in paradiso. Le diedi un’ultima carezza, voltandomi verso il comodino per recuperare il mio dolce. Feci molta attenzione a non toccarlo direttamente con le dita, utilizzando i fazzolettini puliti per staccarne una metà.
 
“Tieni…” dissi, porgendogliela.
 
Poggiai la schiena alla testata del letto, raccogliendo con la lingua il sottilissimo rivolo di crema che era stato sul punto di sporcarmi una mano. “Lo fai spesso” lo sentii mormorare, sbattendo un paio di volte le palpebre sulla sua espressione pensierosa. A cosa si riferiva? Jonghyun non aggiunse altro, lasciandomi piuttosto perplesso. Inarcai un sopracciglio, e lui mi sorrise. “Stai per sporcarti ancora…”
 
Aveva ragione. Avvicinai istintivamente le labbra al piccolo pezzetto di dolce che era rimasto, infilandolo velocemente in bocca. Mi si aggrovigliò lo stomaco mentre, intuendo finalmente il significato delle sue parole, arrossivo con la stessa velocità di una ragazzina delle medie. La sua bassa risata mi accarezzò la guancia, dove il suo tenero bacetto mi incendiò la pelle. “Sei un gattino intelligente” mi prese in giro, giocherellando con la punta del naso sulla base del mio collo. Rabbrividii all’istante, scostandomi dolcemente dalle sue attenzioni.
 
“Va-Vado a la-lavare le ma-mani” balbettai, eccitato dal suo respiro pesante. Non l’avevo scordata la sua reazione sul treno. L’avevo provocato è vero, però in quel momento eravamo soli in casa, e la situazione era completamente diversa. Quasi corsi verso il corridoio, inciampando sulle sue ciabatte mentre scendevo dal letto. “Aishh” mi lamentai, infastidito dalla fragorosa risata che aveva accompagnato la mia quasi caduta.
 
Sperai che non mi seguisse, o perlomeno che non lo facesse subito. Nulla da fare. Neanche mezzo secondo dopo mi scodinzolava dietro, sorridendo beffardo delle mie guance in fiamme. “Devo lavare anch’io le mani” si giustificò, talmente poco credibile da farmi scoppiare il cuore. I suoi occhi infatti, sfacciati ed eccessivamente divertiti, si erano soffermati più del dovuto sul cavallo dei miei pantaloni. Proprio lì, dove la mia eccitazione iniziava a fare capolino.
 
Insaponai le dita con foga evidente, troppo sensibile allo sguardo costantemente puntato sulle mie spalle. Non capivo se stesse aspettando che fossi io a farmi avanti, o semplicemente se provasse un sadico piacere nel vedermi a disagio. “Sei troppo frettoloso…” sussurrò, a pochi centimetri dal mio collo, chinandosi lentamente sulla mia schiena, fino a sfiorarla con il proprio corpo. Portò in avanti le braccia, versando poche gocce del vellutato liquido tra le mani.
 
“Lascia, faccio io” tremai a quel contatto. Nonostante la banalità dei suoi gesti, quella nuova vicinanza tese i miei muscoli, costringendomi a trattenere il fiato. Le dita grandi si muovevano dolci e premurose, insaponando con meticolosa attenzione ogni millimetro di pelle. “Da dove lo tiri fuori questo profumo?” la sua domanda venne formulata così, un po’ enigmatica, facendomi aggrottare la fronte “Ho controllato il bagnoschiuma e lo shampoo, ma nessuno dei due ha questa profumazione”.
 
Un battito più pressante. Il sangue fluì veloce nelle vene, e i denti serrarono nella loro morsa le labbra desiderose di baci. Avevo capito cosa cercava di dirmi, e mi imbarazzai ancora. Stava dicendo che avevo un buon odore, vero?
 
Le dita risalirono verso l’alto, accarezzando con i polpastrelli insaponati la pelle sensibile dei polsi. Chiusi istintivamente gli occhi, sospirando piano. Un altro passo avanti, e i nostri corpi si plasmarono senza troppa difficoltà l’uno all’altro, strappandomi un gemito strozzato. “Te l’avevo detto di non farlo…” mi ricordò, riempiendomi le orecchie con il suono rauco e suadente della sua voce. Il calore della sua erezione mi incendiò i sensi, obbligandomi a tirare indietro il collo, disperatamente bisognoso di un contatto ancora più intimo.
 
La incontrai subito. Morbida, sorridente, già schiusa. La accarezzai con la punta della lingua, ammaliato dal suo dolce sapore. Erano i miei sentimenti a renderle così invitanti. Erano i suoi sorrisi a rendere  le mie ginocchia così instabili. Ansimai sulle sue labbra, e finalmente Jonghyun mi baciò.
 
Adoranti. Possessivi. I suoi baci mi svuotavano. Un inseguirsi di respiri, un’esplosione di emozioni. Lo stomaco che si stringeva, quasi soffocandomi, rendendo più leggera la mia testa, più gonfio il mio petto. Scordai le mani bagnate che, senza che me ne accorgessi, lui aveva già risciacquato. Mi rigirai accaldato nel suo abbraccio, stringendomi al suo collo, inumidendo la guancia destra con le dita che la stavano sfiorando.
 
Accarezzai il suo viso, soffermandomi su ogni particolare. La mascella pronunciata, la pelle liscia, le sopracciglia folte e i capelli arruffati. Sussultai quando la presa sui fianchi divenne più esigente, ricordandomi che un solo bacio non avrebbe saziato nessuno dei due. “C-Che fa-fai?” chiesi, improvvisamente impaurito, perdendo stabilità sul pavimento, avvertendo la consistenza fredda della ceramica attraverso i pantaloni sottili.
 
“Ti metto comodo” soffiò, sulla mia bocca, tornando a cercarla. Mandai al diavolo le ultime reticenze, infischiandomene di tutte quelle paure in cui ero solito cuocermi. Quello era Jonghyun. E con Jonghyun… ogni cosa diventava giusta. Perfino restare seduto su di un lavandino, con le gambe avvolte ai suoi fianchi, ansimando a causa della sua erezione che si scontrava con la mia.
 
Sollevai docile le braccia, trepidamente in attesa della sua prossima mossa. Avevo avvertito la sua presa sulla mia maglia divenire più decisa, mentre stringeva l’estremità inferiore tra le dita, tirandola dolcemente verso l’alto. Cadde a terra, non so bene dove. Non ci badai. Tirai indietro la testa, sfiorando con le spalle la base riflettente dello specchio, trattenendo a stento un gemito quando la sua lingua scivolò lenta sulla mia pelle.
 
Partì dalla bocca, slegandosi a malincuore dal nostro bacio, accarezzando il mento e proseguendo verso il collo. La sua consistenza morbida e scivolosa mi solleticò ogni muscolo, che si tese simultaneamente, accompagnando con una nuova contrazione quel piacevole gioco di saliva. Riscaldò la gola, morse le spalle, percorse il petto. All’altezza dell’ombelico si fermò, togliendomi il fiato, obbligandomi a manifestare il mio piacere.
 
I primi gemiti cercai di trattenerli, serrando le dita sul bordo del lavandino, tremando visibilmente mentre le sue mani risalivano le mie cosce, fermandosi sull’elastico dei pantaloni. “Jongie…” lo chiamai, sollevando le palpebre. Volevo guardarlo. Volevo che mi guardasse. La sua mano mi sfiorò l’addome, posandosi poi sul mio petto. Gli occhi scuri incrociarono i miei, incredibilmente liquidi e intensi. Morsi le labbra, avvertendo sopra il cuore quella calda presenza che ne rese più prepotente ogni battito.
 
“E’ per me?” mi chiese, avvicinando il suo viso al mio, sfiorando il mio imbarazzo con il suo respiro esitante. Simulai un si senza voce, arrossendo ancora di più, incredibilmente emozionato dal suo sorriso felice. “Non avere paura” bisbigliò, baciando la mia fronte, avvolgendo il braccio sinistro intorno ai miei fianchi. Mi sostenne in quel modo, mentre io allacciavo le braccia al suo collo, cercando di mantenere la calma quando anche i pantaloni finirono a terra.
 
Si piegò sulle ginocchia, portando una mano tra le mie cosce, invitandomi dolcemente a schiuderle. Inspirai profondamente prima di farlo, sfiorando con le dita la base della sua nuca. Aveva chinato il capo, e non riuscivo a scorgerne l’espressione. Fremetti non appena le sue labbra mi toccarono, percorrendo con il loro calore il mio corpo vibrante. Raggiunse il ginocchio sinistro, sorpassandolo, accarezzando la curva del polpaccio, respirando direttamente sulla mia caviglia.
 
Le dita sulla base del piede mi solleticarono appena, facendomi ridere piano. Mi sentii uno stupido, ma lui mi sorrise, ripetendo il gesto. “Mi piace vederti ridere” mormorò, risalendo le mia gamba direttamente con la lingua. Inarcai istintivamente la schiena, e l’ennesima scarica di desiderio mi arrivò dritta all’inguine, più forte delle precedenti.
 
“Rilassati. Va tutto bene” mi tranquillizzò, baciando la punta delle mie dita nervose. Avevo portato automaticamente la mano sulla sua, trattenendolo quando le sue intenzioni di sfilarmi anche i boxer divennero fin troppo evidenti. Non mi fece pressioni, continuò ad accarezzarmi con dolcezza, portando le labbra sul petto ansimante, depositandoci baci leggeri e delicati.
 
La mia presa sulla sua mano divenne via via più debole, fin quando… semplicemente… scomparve. “Grazie” disse, scostando la frangia scomposta dalla mia fronte, baciandomi la bocca prima di tornare a chinarsi. Non avevo il coraggio di guardare. Chiusi gli occhi, pregando con tutto il cuore che le mie reazioni non lo deludessero. Sembravo uno stupido, e magari Jonghyun lo pensava davvero. Dovevo smetterla di tremare in quel modo!
 
“Aaahhh..!”
 
Entrambe le mani scattarono sul viso, nascondendo tutta la mia vergogna per quel suono così lascivo.  Non lo avevo visto. Non avevo visto le sue labbra chinarsi sulla mia erezione. Avevo avvertito il suo respiro sulla pelle quando era ormai troppo tardi. Rise, sfiorando la punta eccitata con un piccolo bacio. “Non coprirti. Lasciati guardare…”
 
Deglutii a fatica, tentando invano di regolarizzare il battito furioso del mio cuore. Mi ci volle molto coraggio per abbassare le braccia, e ancora di più per sollevare le palpebre che avevo continuato a tenere serrate. I suoi occhi furono la prima cosa che vidi. Emozionati. Felici. Così grati da sciogliere ogni mio timore. Mi avvolsero con la loro inspiegabile dolcezza, strappandomi un sorriso titubante. Abbassai la testa, concedendogli quel segno di assenso che stava aspettando.
 
Fu come il mare che lambisce le coste, come l’ape che saggia la corolla gialla di un fiore, come il sole sulla pelle scoperta. Accarezzò la profondità dei miei sentimenti, risvegliandoli, sussurrando loro quanto quel momento fosse speciale. Jonghyun era la scia umida che mi faceva sgranare gli occhi, il calore della sua lingua sulla mia nudità, l’intimità di un gesto che mi toglieva il respiro.
 
Ogni movimento era fluido, silenzioso, guidato dal ritmo dei miei e dei suoi sospiri. Le  dita si persero tra i suoi capelli, stringendoli, tirandoli appena. Si abbassò più veloce, inghiottendo completamente, infiammandomi fino in fondo. La pelle bruciava, tendendosi, trasudando piacere. Cercai di allontanarlo, mentre l’ultimo brivido mi scuoteva il corpo, preannunciando l’imminenza del mio orgasmo.
 
Non mi mosse. Poggiò le sue mani sulle mie, avvolgendole con la sua rassicurante presenza. Portai istintivamente in avanti il bacino, scivolando ancora una volta contro lo specchio, chiamando il suo nome quando il piacere divenne troppo intenso da trattenere. Liberai la mia voce, e con essa il mio corpo.
 

*****

 
Non riusciva a parlare. Con l’espressione contratta e le palpebre serrate, le sue guance colorate mi parvero più belle del solito. Sorrisi, nonostante non potesse vedermi, inghiottendo quel liquido caldo che aveva temuto di rilasciare. Non mi sarei mai tirato indietro. Desideravo qualsiasi cosa di Kibum, soprattutto se intrisa dalle devastanti emozioni che le sue iridi scure stavano manifestando.
 
Aveva aperto gli occhi, donandomi quello sguardo spaurito e appagato che mi faceva impazzire. Nessuno lo aveva mai toccato, e quella consapevolezza mi gonfiava di orgoglio, ingigantendo ulteriormente il mio amore. La sua pelle pallida, leggermente inumidita dal sudore che quell’atto aveva generato, la sfiorai con venerazione, perdendomi nella delicata perfezione del suo corpo sottile.
 
Raccolsi tra le braccia i suoi respiri mozzati, ridendo piano quando si avvinghiò con un sospiro ai miei fianchi, permettendomi di tirarmelo completamente addosso. Lo trasportai fino alla mia camera, dove Lucy dormicchiava, senza badare minimamente al nostro ritorno. La sua grande mole occupava quasi metà letto, ma di farla spostare non avevo cuore. Richiusi la porta, proseguendo verso la stanza di Bummie.
 
Tra quelle quattro mura il profumo del ragazzo che stavo stringendo mi invase le narici, così profondamente radicato nel mio cuore da farmi sospirare. “Dormiamo qui, va bene?” gli chiesi, allungando una mano verso il comodino mentre lo aiutavo a stendersi. Recuperai un paio di slip puliti, sorridendo della sua espressione imbarazzata mentre li infilava veloce. Le dita sottili si posarono leggere sul mio braccio, invitandomi a seguirlo sotto le coperte.
 
Non avevo voglia di aprire quell’argomento, ma sapevo bene che quella era probabilmente l’occasione migliore per farlo parlare. Lo avvicinai nuovamente al mio petto, e lui vi si rannicchiò senza esitazioni, accarezzandolo con il proprio respiro per tutto il resto della notte. Dormire con lui era senza ombra di dubbio una delle esperienze più belle che avessi mai vissuto. Osservare i suoi occhi socchiudersi, poco per volta, vinti dal sonno. Così come accarezzargli i capelli nel dormiveglia, attendendo il suono della sveglia alla mattina.
 
“Cosa è successo tra di voi?” mormorai, depositando piccoli baci sulla sua fronte, sfiorando la guancia morbida con la punta delle dita. Il silenzio che seguì la mia domanda non mi sorprese affatto. Aveva capito perfettamente a cosa mi riferissi.
 
“Non poteva accettare un figlio a cui piacciono gli uomini, a quanto pare” la sua risposta mi giunse ovattata, smorzata dalle lenzuola che aveva sollevato fin sopra le labbra. “Sono anni ormai che non ci parliamo” la mano sul mio torace si mosse lenta, seguendo la linea dei miei addominali, obbligandomi a inspirare profondamente prima di parlare ancora.
 
“Non c’è modo di sistemare le cose?”
 
Bummie alzò il capo, incrociando i miei occhi, e scosse la testa. “Non posso cambiare. Non posso essere quello che vorrebbe. Ho passato il primo anno a colpevolizzarmi per ciò che era successo, ma adesso le cose sono diverse” il suo sguardo era deciso, così diverso da quello che mi aveva mostrato in libreria. Ci soffriva ancora, nonostante cercasse di negarlo perfino a se stesso. “Se mio padre non può accettare la mia natura, allora neanche io posso accettare lui”.
 
Non dissi nulla, rispondendo al suo sorriso triste con uno ugualmente rassegnato. “Anche tu non ci vai d’accordo, vero?” sussultai alla sua inaspettata arguzia, accarezzando i capelli biondi che erano tornati a posarsi sul mio torace.
 
Portai gli occhi al soffitto, grato per quel silenzio che mi stava concedendo. Non voleva farmi sentire obbligato a parlare, dolcemente inconsapevole di quanto in realtà io avessi voglia di raccontargli tutto. “Anche lui mi vorrebbe diverso, e di ciò che dico non gli è importato mai molto. Abbiamo interrotto i rapporti per quasi due anni, prima che mia sorella ci spingesse alla riconciliazione”.
 
Kibum annuì sulla mia spalla, lasciandoci sopra un tenerissimo bacio. “Non capisco cosa possa vederci di sbagliato in te”. La sua osservazione mi scaldò il cuore, insieme a quei comprensivi occhietti felini che aveva nuovamente sollevato sul mio volto. “Io non cambierei nulla” aggiunse, sorridendo della mia espressione sorpresa, puntellandosi su un gomito per raggiungere la mia bocca.

 

“Il mio scimmione è perfetto così”

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Capitolo 29
*** Perchè dovrei fidarmi di te? ***


NOTE
 
Bene, bene, bene. No, bene affatto! Ma quanto miseriaccio di tempo è passato dall’ultima pubblicazione?!
Arghhhhh Mariangela… meriteresti l’ergastolo lo sai?!?! *si picchia da sola, immaginando le occhiatacce malefiche delle lettrici*
 
P.S. = Ho una miriade di recensioni a cui rispondere. Sorry! Sorry! Sorry! x_x
(Super Junior aiutatemi voiiiiiii!)
 
Vi adoro gioiuzzeeeeee chuuuuuuu! <3
SkyScraper


 


 
Capitolo 28 – Perché dovrei fidarmi di te?
 
Non so se fossero gli  abiti troppo grandi, oppure il modo ansioso con cui continuava a torturare le dita però… la vista di Abel, su quel marciapiede, in attesa… mi strinse il cuore. La vita è fin troppo ingiusta alle volte, e a farne le spese sono quasi sempre le anime fragili… come la sua.
 
Mi guardai intorno, assicurandomi che nessuno lo stesse spiando. Dubitavo fortemente che lo avessero lasciato da solo. Individuai una berlina nera, poco lontano, con i vetri oscurati e i fari accesi. Come avevo immaginato. Lo avevano seguito.
 
Feci inversione a U, utilizzando un grosso camion di alimentari come copertura. Non sarebbe bastato a farmi passare inosservato, ma se non altro non avrebbe permesso a quei tipi di riconoscere il mio volto. Abbassai la visiera, affiancandomi alla sua figura. Sussultò, puntandomi addosso il suo sguardo spaurito.
 
“Sali” gli dissi, allungandogli il casco che tenevo sotto il braccio. Parve rilassarsi. Forse aveva riconosciuto la mia voce. Annuì, sollevando gli occhi verso l’auto dall’altra parte della strada. Fece loro un gesto; probabilmente un segnale. Il motore venne acceso, e finalmente restammo soli.
 
Il movimento con il quale si issò sul sellino mi parve parecchio insicuro. L’espressione sul suo volto si contrasse, trasmettendomi senza possibilità di dubbio quel malcelato dolore che stava provando. Lo avevano picchiato ancora. Strinsi le labbra, sostenendolo per un gomito.
 
“Fai attenzione”. Fece perno sulla mia presa, allargando le gambe sulla pelle scura. Un timido sorriso di ringraziamento, prima di tornare ad abbassare lo sguardo. Il rombo del motore rese tremanti le sue mani, che corsero fino alla mia giacca, stringendola con forza. “Andrò piano” lo rassicurai, mentre la fronte aggrottata scivolava sulla mia spalla, intenerendomi. Aveva paura.
 
La richiesta insolita aveva fatto borbottare l’uomo al telefono, ma alla fine mi avevano permesso di “prenotarlo”  per un’intera giornata. Avevo dato ad Abel del tempo per riflettere. La mia proposta non era semplice. Così lasciai trascorrere qualche giorno, annunciandogli che ci saremmo risentiti più avanti per i dettagli.
 
La vista della villa dovette stupirlo, perché finalmente si decise a sollevare il capo, rispondendo al mio sguardo divertito con uno evidentemente imbarazzato. Si morse le labbra, curvando le spalle. La sua reazione mi fece sorridere, ricordandomi che non avevo notizie del piccolo Kibum da troppo tempo.
 
Il cavalletto scattò veloce in avanti, permettendomi di adagiarci sopra la grossa mole della mia moto. “Non badare a loro” gli dissi, mentre i primi inservienti iniziavano ad avvicinarsi. L’uomo di mezza età, che ci attendeva sulla porta, gli rivolse un’occhiata assai dubbiosa, osservando con il naso arricciato i pantaloni sgualciti e le maniche della maglia arrotolate. Abel tremava.
 
“Che idiota!” imprecai, togliendo veloce la giacca. La gettai poco gentilmente sulle sue spalle, facendolo sussultare. Gli occhi azzurri si sollevarono sorpresi a cercare i miei, ma non aggiunsi altro. Sulla moto, a Novembre ormai inoltrato, doveva aver sentito molto freddo. Perché diavolo non aveva detto nulla?!
 
“Grazie” mormorò, arrossendo, stringendo le labbra quando le mie mani si mossero decise verso la cerniera ancora abbassata. Fece istintivamente un passo indietro, rivelando la propria natura timorosa e troppo spesso maltrattata. Doppiamente idiota che non ero altro. Ovvio che non si fosse lamentato.
 
Abel era una di quelle creature che dalla vita hanno ricevuto poco o niente. Aveva imparato sulla propria pelle che della parola “bontà” alcuni non conoscono neanche il significato. Ogni gentilezza era stata ripagata con uno schiaffo. Perché avvisarmi quindi? Qualcun altro, al mio posto, non si sarebbe minimamente curato del suo fiato corto o delle dita congelate.
 
“Va tutto bene” mi sentii di ricordargli, spingendolo dolcemente verso il camino accesso. “Aspetta qui. Ti faccio preparare qualcosa da mangiare”. Aprì le labbra, sgranando gli occhi increduli sul sorriso che gli rivolsi. “Te lo ripeto: Va tutto bene”.
 
Il suono di chiacchiere e stoviglie, proveniente dalla cucina, mi fece scuotere la testa. Erano appena le 09:00, ma sembrava che Grace non avesse intenzione di risparmiarsi neanche quel giorno. “Oh, signorino!” esclamò, ravvivando i capelli con la mano sporca di farina. Ghignai, divertito dal suo gesto maldestro. Raccolsi uno strofinaccio pulito dai piccoli ganci accanto al frigo, e le andai incontro.
 
“Sei un disastro” commentai, liberando i ciuffi ramati dalla polverina bianca che li aveva imbrattati. La sua risata squillante si unì alla mia, così spontanea e sincera, in confronto all’invisibile bolla di falsità che aleggiava sulla mia casa. “Oggi avremo un ospite” annunciai, rendendo più grandi i suoi occhi, d’un tratto increduli. Anche le cuoche, intente a pelare e tagliuzzare, si bloccarono all’improvviso, puntando su di me i loro sguardi stupiti.
 
“Ti dispiacerebbe portargli qualcosa per colazione?”
 

*****

 
“Le conversazioni saranno protette?” chiese ancora una volta, facendolo spazientire. Le spalle ossute assunsero nuovamente una posizione eretta, mentre l’espressione infastidita veniva infine mostrata. L’uomo in camice tolse gli occhiali, massaggiando la fronte con le labbra arricciate.
 
“Cielo, Park!” esclamò, mettendo da parte le sottili pinze dall’impugnatura arrugginita “E’ la decima volta che mi fai la stessa domanda!” sbottò, tirando via i guanti in lattice, che un secondo dopo furono abbandonati nella pattumiera. “Sono sicuri” confermò, pronunciando con fermezza l’ennesima rassicurazione. “Piuttosto, dì al tuo amico di non farsi beccare con un aggeggio di questi”.
 
Jihun abbassò ritmicamente la testa, raccogliendo i palmari e le schede doppiate. “Spiegami come funzionano”.
 
“E’ molto semplice” annunciò l’altro, facendo schioccare la lingua, sorridendo compiaciuto al suo cipiglio dubbioso. “Il doppione puoi inserirlo in un cellulare qualunque. Ogni chiamate verrà automaticamente trasferita dalla scheda di copertura all’originale. Entrambi avrete libero accesso alla conversazione, ma l’interlocutore riceverà segnale vocale solo dal doppione”.
 
“Quindi non riuscirà a sentirmi?”
 
“Esattamente” il camice venne sfilato, mentre la mano dalla pelle raggrinzita si tendeva faticosamente verso la finestra “Potrai ascoltare tutto ciò che verrà detto. Stessa cosa per i messaggi di testo. Ogni sms ricevuto sarà a sua volta disponibile sulla scheda originale”. Il tavolo in granito venne silenziosamente illuminato, man mano che la persiana polverosa risaliva lenta verso il cassone.
 
L’ambiente era piccolo. Angusto e disordinato. Tazze sporche sulla zona cottura, dove chiazze di varie tonalità segnavano l’acciaio, chiaro sintomo di poca pulizia. L’intonaco alle pareti iniziava fatalmente a venire giù, lasciando intravedere una vecchia carta da parati dai colori sbiaditi e i disegni indecifrabili. Tutto in quell’appartamento dava la nausea; dal suo padrone di casa, viscido e avaro, al cattivo odore di muffa e abiti ormai smessi.
 
Jihun annuì, sollevando il polso sinistro e controllando l’orario. “Bene. Si è fatta ora” mormorò, raccogliendo il proprio giubbotto dalla pessima poltrona accanto all’ingresso. Una busta non molto grande, senza nomi né sigle, venne fatta scivolare davanti al vecchio Jung, che mostrò con sfacciataggine il proprio sorriso soddisfatto.
 
“Pagamento in contanti e alla consegna” osservò, tirando fuori il grosso mazzetto di banconote. L’indice destro venne portato alle labbra, e il polpastrello inumidito. “E’ un piacere fare affari con te” concluse con un ghigno, iniziando a contare.
 
“Noi non ci siamo visti” lo mise in guardia Jihun, lanciando un’occhiata severa al suo volto scarno e affatto piacevole.
 
Come sempre”.
 

*****

 
Le sue mani sui fianchi mi rendevano nervoso, ma il loro tocco era talmente gradevole da farmi scordare perfino dove fossi. Lanciai uno sguardo veloce all’aula deserta, portando allo stesso tempo le dita sulla sua felpa scura. “A che ora inizi?” mi chiese, sbirciando il corridoio. Sorrise della mia espressione imbronciata, e l’indice sinistro scivolò silenzioso sotto il mento, esercitando quel tanto di pressione che mi obbligò a sollevare il volto.
 
Le labbra scesero ad accarezzare le mie, limitando il contatto ad un bacio leggero ed appena accennato. Faceva tanto lo sbruffone, ma la sua timidezza si manifestava ugualmente, di tanto in tanto, quando meno me lo aspettavo. Accettai quel fugace saluto, adagiando la fronte al suo petto con un piccolo sospiro. Le dita tra i capelli mi solleticarono la nuca, facendomi ridere.
 
“Se fai così non riesco ad andare via…” sussurrò al mio orecchio, mentre la guancia che stavo sfiorando si tendeva impercettibilmente, rivelandomi l’ombra di quel sorriso che ero sicuro gli avesse incurvato le labbra.
 
“Bummie? Domani non prendere impegni, ok?”
 
Quella richiesta mi lasciò perplesso, e il mio sguardo tornò inevitabilmente a cercare il suo. C’era troppa solennità nelle sue parole. Che avesse organizzato qualcosa? La possibilità che si trattasse di un qualche tipo di sorpresa mi aggrovigliò lo stomaco, e di motivi per trattenere quel nuovo sorriso davvero non ne avevo. “Va bene” confermai, sciogliendomi come neve davanti ai suoi occhi raggianti.
 
“Posso almeno chiedere di cosa si tratta?” mormorai, accarezzando i suoi bicipiti da sopra il morbido tessuto. Jonghyun scosse felice il capo, avvolgendomi completamente nel proprio abbraccio. Le guance divennero lentamente più calde, obbligandomi a chinare il capo.
 
Stare insieme mi donava ogni giorno emozioni nuove. Alcune facili da gestire; altre un pò meno.
 
Non mi ero ancora abituato a quella vicinanza. A quella voglia smisurata che avvertivo, quando lui era con me, di stringermi al suo cuore e ascoltarne i battiti. Jonghyun era diverso da tutti gli altri. Forte e premuroso. Furbo e accattivante. Mi spiazzava con la sua esuberanza… invitandomi, giorno dopo giorno, ad approfondire sempre più il nostro legame.
 
A me non dispiaceva. Sarei un ipocrita a dire il contrario. Quel ragazzo mi piaceva, e anche tanto. I suoi capelli sempre fuori posto… gli occhi grandi e il sorriso contagioso. Parlava poco di sé, ma ogni suo gesto esprimeva disponibilità e dolcezza. Soffocava i miei attacchi di rabbia nel calore della propria comprensione, inondandomi il volto di baci quando infine gli sbuffavo contro, dimenticando completamente il motivo della mia ira.
 
Era difficile resistergli. Lucy lo aveva adorato fin dal primo secondo e, probabilmente, era successo lo stesso anche con me.
 
Quando cucinava, il mio coinquilino aveva la straordinaria capacità di rendere salata qualsiasi cosa. Non lo faceva di proposito. Proprio non si regolava. “Mi è scappata la mano” si giustificava, sorridendo timidamente di fronte alla mia espressione severa.
 
Inutile combatterlo. Era un cucciolo dai muscoli esagerati, che si raggomitolava sotto le lenzuola la sera, mugugnando parole poco comprensibili se durante il sonno facevo per allontanarmi. Non dico per dire… lo faceva davvero! Una volta dovevo andare in bagno, e sul serio non riuscivo a scrollarmelo di dosso. Avevo provato ad alzarmi dolcemente, cercando di non svegliarlo, e in un primo momento sembrava anche che la mia “tattica” avesse funzionato.
 
Poi, d’improvviso, quando ero già con un piede fuori dal letto, si era messo a sedere di colpo, ancora con gli occhi chiusi. Credevo fosse sonnambulismo, e rimasi immobile, non sapendo come comportarmi. Due secondi dopo mi si era avvinghiato alla schiena, trascinandomi con decisione accanto a sé. Nuovamente coricato, e con la sua espressione soddisfatta ad un millimetro dal volto, di provare ad allontanarmi ancora proprio non ce la facevo.
 
Alla fine in bagno non ci andai.
 
“E’ una sorpresa” annunciò, portando dietro l’orecchio i ciuffi più lunghi, che mi impedivano di vederlo bene in viso. La sua dichiarazione mi lasciò di sasso. Non credevo avrebbe finito col dirlo davvero. Sorrisi, euforico, più che mai impaziente che quella giornata finisse. Il bacino che depositai sulle sue labbra non venne (per poco) intercettato dal professore di lingue che, proprio in quel momento, appariva in fondo al corridoio.
 
“A più tardi” dissi solamente, sciogliendo dolcemente le nostre mani, felice di quell’ultimo sorriso che mi regalò… prima di andare via.
 
Le due ore di inglese trascorsero lente ed incredibilmente noiose. Avevo vissuto diversi anni in America, per cui qualsiasi cosa mi fosse spiegata non avevo un reale bisogno di assimilarla. Parlavo discretamente tre lingue, oltre la mia. Giapponese, inglese e francese. Quelle lezioni erano obbligatorie, ma del tutto superflue.
 
Solitamente avevo Byung-Hee a farmi compagnia, ma già da tre giorni non riuscivo ad incontrarlo. Inizialmente credevo fosse un caso, ma col passare del tempo mi resi conto che quella sua assenza mi metteva ansia. Che stesse male? Osservai con attenzione i movimenti del docente, in quel momento girato di spalle ed intento a scribacchiare sulla lavagna una miriade di regole grammaticali poco leggibili. Che calligrafia orribile!
 
Il palmare lo estrassi lentamente, guardandomi ripetutamente intorno, estremamente terrorizzato dall’idea che qualcuno potesse vedermi. Non era mia abitudine perder del tempo in facoltà, per di più nel bel mezzo di una lezione. Al contrario di me, sembrava che alcuni studenti non trovassero assolutamente niente di disdicevole in tale comportamento.
 
Pochi banchi più avanti, una ragazza aveva chinato la testa dietro il grande volume di chimica molecolare, infilando le auricolari del suo i-pod e abbassando le palpebre. Strabuzzai gli occhi, incredulo. Come faceva a stare così tranquilla? E se il professore l’avesse beccata? E se…? Ma poi perché il libro di chimica?! Almeno utilizzasse quello di lingue!
 
“Certe gente dovrebbe restarsene a casa!” borbottai, pigiando a capo chino l’icona dei messaggi. Mi morsi le labbra di fronte alla schermata bianca, non sapendo bene come iniziare. Volevo solo sapere se andava tutto bene, niente di più. “Porcaccia miseria!” sbottai, arrossendo vistosamente quando i ragazzi seduti accanto a me si voltarono a fissarmi.
 
“Sc-Scusate…” sbiascicai, imbarazzato all’inverosimile. Uno fece spallucce, tornando ai propri appunti. Mentre l’altro mi sorrise divertito, schiacciandomi l’occhio. Che tipo! Mi sforzai di rispondere al suo sorriso, e deviai velocemente lo sguardo.
 

*****

 
L’asciugamano attorno al corpo era di pura spugna. Pregiato e morbido sotto le dita, che lo sfiorarono insicure, troppo impaurite all’idea di sgualcirlo. Non era abituato a tanto sfarzo. Tutto ciò che lo circondava, all’interno di quella maestosa villa, ostentava una ricchezza difficile da descrivere.
 
Abel accarezzò un’ultima volta il tessuto vellutato, sfilandolo definitivamente quando giunse il momento di rivestirsi. Si guardò intorno, stupito, calpestando a piedi scalzi il raffinato persiano che ricopriva il pavimento dell’abitazione. Quando lo superò, incontrando a malincuore le mattonelle panna e avorio, il brivido di freddo che si aspettava di avvertire tardò ad arrivare, sconcertandolo.
 
Era caldo.
 
Quella piacevole scoperta gli strappò un sorriso, portando in secondo piano il problema “vestiti”. Il ragazzino proseguì a passo lento fino al grande specchio dalla cornice intarsiata, osservando con critica espressione la propria figura livida ed eccessivamente sottile. Le dita tramanti sfiorarono la lunga cicatrice sul fianco sinistro, lì dove la frusta del suo aguzzino si era abbattuta con troppa crudeltà. L’aveva da tre anni ormai, ma ancora non riusciva a guardarla senza rabbrividire.
 
Chiuse gli occhi, allontanando dalla mente i vecchi ricordi che lo avevano investito. Quel ragazzo gli aveva promesso di salvarlo. Magari sbagliava a fidarsi; dopotutto… chi aveva mai mantenuto la parola data, con Abel?
 
“Tornerò a riprenderti” gli aveva detto la madre, il giorno che lo aveva venduto a quel sudicio vecchio in cambio dell’annullamento del proprio debito. Inutile dire che, dopo tutto quel tempo, aveva smesso di aspettare anche lei.
 
“Non ti farò del male, lo giuro” aveva cantilenato il primo uomo, con l’alito fetido e le pupille dilatate, avventandosi sul suo corpo nonostante le urla di protesta.
 
“Sono tutti dei bugiardi” mormorò al proprio riflesso, specchiandosi in quegli occhi spenti e ormai sconfitti, che fin da troppo tempo avevano imparato a mentire.
 
La mano contro la porta fu discreta e assai elegante. Annunciò con il proprio lieve picchiettare la presenza di una nuova persona, oltre la massiccia consistenza laccata di bianco. “Avanti” disse il più giovane, alzando la voce così da farsi udire. Nessun cigolio. Nessuno spostamento d’aria. L’uscio si mosse silenzioso verso l’interno, rivelando la figura alta ed atletica di Byung-Hee.
 
“Ti ho portato questi” comunicò il padrone di casa, allontanando lo sguardo dall’esposta nudità  dell’altro ragazzo. Non ci fu imbarazzo né sorpresa nei suoi occhi, e quella mancata reazione il piccolo Abel proprio non se l’aspettava. A labbra dischiuse, senza trovare altro con cui ribattere, seguì l’andatura decisa del più grande, che nel frattempo si era accostato al letto, lasciando cadere su di esso i vestiti puliti che gli aveva procurato.
 
“Dovrebbero andare bene” aggiunse Byung-Hee, sorridendo gentile al suo ospite, soffermandosi sull’espressione incredula che l’altro gli rivolgeva, attraverso la base riflettente del grande specchio. “Non sei la prima persona nuda che vedo, sai?” lo canzonò, intuendo i suoi pensieri, ridendo piano quando il più giovane arrossì vistosamente, punto sul vivo.
 
“Metti i pantaloni. Vado a prendere qualcosa per quelle ferite” annunciò, accarezzando con dolcezza i capelli biondi. Quel ragazzino… assomigliava a Kibum più di quanto avesse immaginato. “Non fingere con me” aggiunse, sulla porta, cercando ancora una volta i grandi occhi azzurri “Non ne hai bisogno”.
 
Oltre le scale, concentrata su di un grosso libro rilegato in pelle, Grace sorpassò Oscar, il portiere, rileggendo per l’ennesima volta la ricetta di quello stufato assai particolare. “Quel ragazzino mi sembra parecchio denutrito. Dovrò preparare qualcosa di molto sostanzioso questa sera”.
 
Il citofono all’entrata emise il suo squillante richiamo, attirando l’attenzione di tutto il personale. L’uomo in frac sospirò, percorrendo il lungo corridoio a passo svelto. Dietro di lui, Byung-Hee rimase pazientemente in attesa del nuovo ospite. Sulla sua identità, d’altronde, non nutriva alcun dubbio.
 
“Il signor Park per il signorino” confermò l’uomo dalle lunghe basette, inchinandosi brevemente di fronte al padrone di casa. Il portone d’ingresso venne spalancato, e la Lamborghini metalizzata di Jihun superò elegante il cancello automatico.
 
Biip.
 
La mano si spostò veloce fino alla tasca posteriore, tastandola senza risultato. Byung-Hee imprecò tra i denti, non curandosi minimamente dello sguardo indignato che Grace gli rivolse. Sorrise mesto alla propria domestica che, avvicinandosi frettolosa, infilò familiarmente le dita nel taschino interno della sua giacca.
 
“Oh, grazie!” cinguettò lo snaturato ragazzaccio, raccogliendo con un sorriso il proprio cellulare. Le piccole rughe sulla fronte si distesero in un secondo, immediatamente sostituite da quelle agli angoli delle labbra che, decisamente più pronunciate, resero incredibilmente evidente il suo buon umore.
 
“Ciao Byung. E’ da qualche giorno che non ti vedevo così… beh, spero che vada tutto bene. Il professor Lee non la smette più di parlare. Questa lezione è molto più snervante senza qualcuno con cui dividere la noia. Torna presto. Kibum”.
 

*****

 
Taemin canticchiava allegro, spaparanzato sul divano, con una gamba distesa fino al bracciolo e l’altra leggermente ripiegata. Il suo coinquilino sarebbe rientrato di lì a poco. Mise via il pacchetto dei biscotti, recuperando un’ultima stellina alla crema prima di richiuderlo con diligenza.
 
“Mmm…” mormorò, passando le dita tra i capelli “Come dovrei farmi trovare?”
 
Rise della propria sfacciataggine, liberandosi divertito della maglia sottile. Con i riscaldamenti accesi non ne aveva bisogno. Le gambe snelle proseguirono decise fino al tavolo, e lo spigliato ragazzino ci saltò sopra con grazia, accavallandole subito dopo. “No. Troppo sfrontato. Perderebbe più tempo ad arrossire che a fare altro!” decretò, arricciando il nasino.
 
“Ci vuole qualcosa di provocante, ma neanche eccessivamente palese” suggerì a se stesso, balzando giù dal ripiano in legno e tornando a guardarsi meticolosamente intorno. “Un po’ di romanticismo!” esclamò infine, entusiasta, puntando in alto l’indice destro e congratulandosi a gran voce con il proprio ingegno.
 
Il tavolino accanto al divano stridette infastidito, mentre veniva allontanato faticosamente fino alla parete. Taemin volò attraverso il corridoio, catapultandosi come un fulmine dentro la camera del più grande. “Una coperta… una coperta…” cantilenava, rovistando nel piccolo armadio pieno di jeans e felpe enormi.
 
“Trovata!”
 
Il plaid vermiglio ricoprì per intero il piccolo divano, rivestendolo con il proprio tessuto caldo e trapuntato. La mano affusolata si infilò frettolosa nel secondo cassetto della credenza, tirandone fuori un quantitativo smisurato di menu colorati. “Troppo costoso” e il primo venne messo da parte “Poco romantico” e anche il listino della paninoteca fu scartato “Ecco! Questo è perfetto!”
 
Ordinare pietanze da esporto non rientrava nella sua routine quotidiana, ma avevano usufruito di quel servizio qualche volta, per lo più quando si riunivano tutti e cinque per la cena. Il telefono già squillava, ma sembrava che dall’altra parte non si decidessero ad alzare la cornetta. Taemin sbuffò, e proprio sul suo disappunto risuonò squillante la voce della cameriera. L’accento giapponese era impossibile non riconoscerlo.
 
“Moshi moshi”
 
“Ah! Ehm… Moshi moshi” rispose cauto il ragazzino, non molto sicuro della propria intonazione, nonostante il saluto appena pronunciato non rappresentasse poi questa grande difficoltà linguistica. “Potrei ordinare direttamente dal menu del mese scorso? Non è cambiato nulla, vero?”
 
“No, è rimasto tutto uguale. Dica pure”. La donna dovette intuire il suo disagio, perché la seconda frase venne gentilmente pronunciata in coreano, rincuorandolo.
 
“Bene! Allora… uno di spaghetti Udon mare, un Sake Temaki, due Yakitori, un Ebi Teppanyaki e… mmm… un Tako Su!” Taemin sorrise sull’ultima parola, orgoglioso della propria memoria. Aveva ordinato tutti i piatti preferiti di Minho, e la spesa non sarebbe stata neanche tanto eccessiva. “Ci aggiunge anche una Kirin e una Asahi?”
 
“Provvedo subito, signore” confermò professionale la donna “La consegna sarà effettuata tra circa venti minuti. Mi lascia l’indirizzo?”
 
Chiariti gli ultimi dettagli la chiamata venne infine interrotta, ma non prima che il piccolo Tae decidesse, particolarmente intraprendente, di prodigarsi nel suo primo saluto completamente in stile giapponese. “Dōmo arigatō. Mata ne!”
 
Il ragazzino dai capelli castani fece spallucce, pensieroso, riponendo il ricevitore al proprio posto. “Vuoi vedere che non mi prendevano in giro, e la scuola serve davvero a qualcosa?!”
 

*****

 
Arrivai a casa particolarmente stanco. Una giornata intera di lezioni, e la voglia di abbracciare il cuscino senza neanche cenare era davvero tanta. Sul pianerottolo, ad un passo dal portone, i miei piedi si bloccarono automaticamente, stupiti quanto me da quella mancanza di “movimento”. Tutto quel silenzio era raro per il mio coinquilino.
 
Portai un orecchio all’uscio, ma nulla. Neanche un mormorio lontano. Che si fosse addormentato? Impossibile. Mi aveva inviato un sms neanche cinque minuti prima. “Torna presto, Hyung. Ti aspetto! <3” aveva scritto.
 
Infilai lentamente la chiave nella toppa, quasi timoroso di trovare vuoto l’appartamento. Quando si trattava di Taemin non ero molto razionale, lo ammetto. Forse era la situazione che viveva, ma la sua fragilità emotiva mi portava spesso a temere per il nostro rapporto. Si muoveva instabile attraverso i giorni che gli scorrevano intorno, senza viverli mai fino in fondo. Anche con me si comportava così. Ostentava sicurezza, decisione. Ma soffriva, e io lo sapevo.
 
Il profumo dei gamberoni alla piastra fu la prima cosa che riconobbi mentre, entrando silenziosamente in casa, trovavo la cucina piacevolmente in penombra. Due candele dal gambo lungo sul tavolo, dove sei piatti accuratamente coperti erano stati sistemati. La luce delicata ne delineava le forme, donando alle posate i riflessi rossastri della sua fiammella tremolante.
 
“Bentornato…”
 
Sbucò fuori da un angolo buio, sorridente, accarezzandomi la guancia sinistra quando mi arrivò vicino. Non lo avevo notato all’inizio, ma doveva essersi nascosto bene, per darmi il tempo di vedere tutto il resto. Gli sorrisi di rimando, affondando il volto sul suo collo sottile, quando poco dopo me lo strinsi al petto. Ero stato un idiota a dubitare dei suoi sentimenti.
 
“Cosa festeggiamo?” chiesi, contro la pelle delicata che avevo preso ad accarezzare. Non portava la maglia, ma quel particolare non mi sorprese. C’era un non so che di seduzione nell’aria, nonostante la sua espressione innocente e la vocina appena udibile.
 
“Niente” mormorò, sollevandosi sulla punta dei piedi per raggiungere il mio volto. Piccolo diavoletto. Si strusciò immediatamente contro il mio corpo, strappandomi un gemito strozzato mentre le nostre lingue si allacciavano l’una all’altra. “Mi sei mancato…” cinguettò, infilando le dita magre tra i miei capelli “Mi sentivo solo…”
 
La sua boccuccia protesa dovette addolcirmi lo sguardo, perché i suoi occhietti vispi si illuminarono, invitandomi a seguirlo man mano che indietreggiava. “Resta qui” mi disse, spingendomi verso il divano. Abbandonanai distrattamente la borsa sulla poltrona, fin troppo concentrato sul suo provocante ancheggiare.
 
Recuperò il primo piatto, scoprendone il contenuto con un sorriso soddisfatto. Il profumo dei frutti di mari solleticò le mie narici, e io chiusi istintivamente gli occhi, beandomi di quel dolce aroma che aveva risvegliato il mio appetito. A mensa avevo mangiato meno del solito. Alzai le palpebre al suono dei suoi passetti leggeri, ma ben presto si liberò anche delle ciabatte, lasciandole in un angolo con una dolcissima smorfia.
 
Una candela venne depositata a terra, proprio al centro della stanza, così da poter illuminare anche il divano sul quale mi aveva raggiunto. Mi aiutò a togliere la giacca, stuzzicandomi il collo con le labbra carnose. Feci automaticamente per baciarlo, ma si tirò rapidamente indietro, sistemando il piatto con gli spaghetti tra i nostri sguardi agganciati.
 
“Faccio io” protestò, senza permettermi di prendere le bacchette. Dubitai sul da farsi, parecchio a disagio all’idea che fosse lui ad imboccarmi. Quella cena improvvisata, tra cuscini e candele bianche, mi lasciava addosso una sensazione stranissima. Non ero abituato a certe cose. Schiusi lentamente le labbra, e il primo gamberetto sul palato regalò alle mie papille gustative un delicatissimo brivido di piacere.
 
“Com’è?” mi chiese, recuperando dal mio mento un rivolo di sugo con la punta della lingua. Quasi mi strozzavo, sgranando gli occhi sulla sua espressione indifferente “Mmm… buono” decretò, sorridendomi.
 
Dovetti sottostare a quella piacevole tortura per tutto il resto della serata, rabbrividendo a contatto con i suoi polpastrelli, quando il pollo degli spiedini lo portò alla mia bocca direttamente con le dita. La cena più deliziosa della mia vita. Inutile negarlo. Seguivo con lo sguardo i suoi movimenti, e il modo sconsiderato con il quale si faceva ad ogni boccone più vicino mi incendiava lentamente ogni muscolo, obbligandolo a contrarsi.
 
Taemin è una di quelle persone bellissime e imprevedibili, che sconvolgono la tua esistenza con la devastante consapevolezza della loro presenza. Camminano in punta di piedi per non interrompere il tuo sonno, e si trasformano in cuccioli impacciati davanti alla maglia sporca di cioccolato. Pensano tanto, ma raggiungono difficilmente qualche certezza. Chiacchierano per ore, senza raccontare davvero qualcosa. Notano tutto, e non fanno pesare niente.
 
Il giorno che lo vidi per la prima volta, sorridente nonostante l’imbarazzo della nuova conoscenza, qualcosa nel suo viso mi scosse l’anima, costringendola ad accartocciarsi davanti ai suoi occhi così profondi e tristi. Era talmente evidente il suo dolore che non notarlo sarebbe stato impossibile. Quando compresi che ciò che mi legava a quel ragazzino non era solo compassione… cercai istintivamente di allontanarmene.
 
Lui ci soffriva. Il suo sguardo mi seguiva per casa, turbandomi il cuore, tormentando i miei pensieri anche quando non lo vedevo. Rifiutavo inviti su inviti, deludendo le aspettative delle ragazze che mi si dichiaravano, affogando sempre di più in quell’inspiegabile attrazione che mi spingeva verso il cucciolo dai capelli castani con cui dividevo l’appartamento.
 
Mi rifiutavo di ammetterlo, ma cercare di combatterlo non mi portava a nulla. Mi bastava vederlo per cinque secondi (prima di cena o quando uscivo dal bagno) ed ecco che tutti i miei buoni propositi di stargli alla larga se ne andavano al diavolo.
 
Scambiavamo qualche parola, e lui sorrideva, evidentemente felice. Mi sentivo uno schifo. In qualche modo… ero stramaledettamente convinto di star commettendo un gravissimo errore. Taemin era innocente; ancora immaturo in fatto di amore. Non potevo certo prendere e dichiararmi così, come se niente fosse!
 
Ad annullare ogni indecisione era arrivata infine quella pessima serata. Non una chiamata o un post-it al frigorifero. Lo avevo cercato per mezza Seul, terrorizzato dalla possibilità che gli fosse successo qualcosa. Il pensiero che qualcuno avesse potuto ferirlo mi incendiava il cuore, aggrovigliandomi le viscere, portandomi ad imprecare contro il mondo intero.
 
Se un pazzo ci fosse stato, all’epoca, col fegato di toccarlo… probabilmente lo avrei ucciso.
 
Taemin raccolse dal piatto l’ultimo boccone di riso, portandolo provocante alla bocca quando feci per addentarlo. “Metà per uno?” propose, annebbiando la mia razionalità con la lussuria del proprio sguardo. Quello che voleva fare… lo avevo già capito.
 
Lasciò scivolare i chicchi bianchi tra le labbra, allungando una mano fino al mio collo. Le dita sulla nuca aumentarono il ritmo dei miei battiti, mentre mi piegavo obbediente in avanti, seguendolo tra i cuscini quando si stese completamente sul divano. Ammaliato dal dolce sapore della sua saliva dimenticai completamente i propositi di quel bacio, approfondendolo all’istante non appena lo sentii inghiottire.
 
“Soddisfatto?” mormorò, con le palpebre socchiuse, allacciando le braccia dietro la mia schiena. Un sorrisetto irriverente gli distese i lineamenti, spingendomi irrimediabilmente ad assaporarlo ancora.
 
“Neanche un pò”.
 
Soffocai le sue risate nell’impetuosità del mio nuovo bacio, facendomi velocemente spazio tra le sue gambe, mentre infine si inarcava totalmente contro il mio corpo, rivelando senza imbarazzo quanto poco caste fossero in realtà le sue intenzioni.
 

*****

 
La notte scese silenziosa, puntellata di piccole luci… dentro i palazzi, lungo le strade. La brezza serale graffiava la pelle, ferendola con la propria carezza pungente. L’orario di apertura era stato superato da un pezzo, ma Abel era tranquillo. Lui, almeno per quel giorno, non sarebbe stato toccato da nessuno.
 
Jihun scese con una scusa dall’auto grigia, avvisando il ragazzo al suo fianco che sarebbe andato a comprare le sigarette. Quest’ultimo annuì, sorridendogli. “Siete molto amici?” chiese la persona sul sedile posteriore, intercettando il suo sguardo sorpreso attraverso lo specchietto retrovisore.
 
“Ci conosciamo da una vita” rispose Byung-Hee, soppesando la sua espressione in quel momento indecifrabile. Gli avevano spiegato tutto quanto. La situazione di Kibum, come si sarebbero svolte le indagini all’interno del club, e anche quale ruolo avrebbe dovuto ricoprire lui nell’intera faccenda. Abel chinò il capo, unendo le mani sul grembo, stringendo tra le dita sottili il piccolo palmare che gli era stato consegnato.
 
“Perché dovrei fidarmi di te?”
 
Il più grande spense definitivamente il motore, spostando lo sguardo su di un cane randagio, intento a rovistare tra i rifiuti, dall’altra parte della strada. “Non sono sicuro di avere la risposta giusta alla tua domanda” mormorò, poggiando la nuca al sedile e sollevando gli occhi verso il soffitto. “E’ complicato. Sai… la fiducia uno dovrebbe guadagnarsela ma… noi non ce l’abbiamo tutto questo tempo”.
 
“Se scoprono che vi sto aiutando… non ne uscirò vivo. Tu questo lo sai bene” la voce di Abel era ferma, quasi ironica. Un sorriso triste gli increspò le labbra, ma Byung-Hee non riuscì a vederlo.
 
“Non lo permetterò”.
 
La sua risata di scherno questa volta si manifestò apertamente, stridendo come unghie sulla lavagna tanto era stridula. “Non ci credo più alle persone” dichiarò, portando lo sguardo stupito verso il guidatore, quando questi aprì repentinamente lo sportello, abbandonando il sedile anteriore.
 
“Fammi spazio” gli disse, incitandolo a spostarsi più in là. Il vento sferzante lo investì ancora una volta, e Abel si affrettò ad obbedire, desideroso più che mai di allontanare quella sensazione gelida che gli aveva avvolto le ossa. “Prendi questa” aggiunse Byung-Hee, osservando le sue labbra arricciate, lasciandogli sulle ginocchia la sciarpa scura che aveva indossato fino a quel momento.
 
“Mi hai già comprato dei vestiti nuovi. Ci saranno già abbastanza chiacchiere una volta rientrato” rifiutò prontamente il più piccolo, restituendogliela con un movimento frettoloso.
 
Il maggiore scosse la testa, divertito da tanta determinazione, e la sua bassa risata vece aggrottare ulteriormente la fronte di Abel. “Sei più bizzarro di quello che credessi” commentò il ragazzino, allontanando lo sguardo dal volto incredibilmente bello del suo interlocutore.
 
Ci furono diversi minuti di silenzio, interrotti solamente dal flebile guaito del randagio, e dai fari accecanti delle auto che passavano loro vicino. La gola venne schiarita, richiamando l’attenzione del più giovane, che si voltò a guardarlo con un sopracciglio inarcato. Al contrario di lui, la persona al suo fianco fissava un punto indefinito, oltre il parabrezza bagnato della slanciata berlina. Pioveva.
 
“Anche io sono stato tradito. La prima volta da mia madre. La seconda… dalla persona che amavo” ammise, serrando istintivamente la mascella sulla propria dichiarazione “Le persone ti deluderanno sempre, Abel. Ma questo non vuol dire che lo faranno tutte quante”.
 
Gli occhi azzurri restarono fermi sul suo profilo, d’un tratto umidi e più insicuri. “Aveva un altro uomo, e non gli è importato nulla di ciò che si lasciava dietro. Era frivola ed egoista. Troppo concentrata sul proprio benessere, per curarsi del male che arrecava agli altri”. Del proprio passato avrebbe preferito non parlare, ma a quel punto si era rivelato tremendamente necessario.
 
“Lui invece non voleva andare via. Lo hanno costretto” le dita sul pantalone tremarono, mostrando con il loro impercettibile sussultò la sofferenza che quella confessione gli stava infliggendo. “Ha taciuto le sue intenzioni, sapendo che avrei cercato di fermarlo. Mi ha chiesto di non dimenticarlo. Mi ha chiesto… di non odiarlo” si morse le labbra, combattendo contro se stesso e ciò che quei ricordi gli stavano smuovendo dentro.
 
“Cosa avrei dovuto fare?” la voce spezzata impietosì lo sguardo angustiato del ragazzino, avvolgendogli il cuore con il proprio tormento “Mi ha negato la possibilità di combattere. Mi ha condannato al mio dolore. Non avevo alternative, perché lui me le ha tolte”.
 
“Lo odi perché ti ha abbandonato?”
 
Byung-Hee scosse la testa, sconfitto. Con il capo chino e gli occhi serrati, inspirò profondamente, tirando automaticamente fuori il portafoglio. Sul lato destro, accanto alle carte di credito e al tesserino universitario, il volto sorridente di un ragazzino dagli occhi affilati gli trafisse il cuore, annebbiandogli la vista con la propria ingenua bellezza.
 
“Lo odio perché lo sto ancora aspettando”.
 
Un uomo sulla quarantina venne fuori dal piccolo market ad angolo, aperto tutta la notte. Teneva in mano una confezione di birra, e nell’altra un panino piuttosto grande, farcito con carne e verdure fresche. Sorpassò i bidoni dell’immondizia, abbandonandoci dentro il tappo della prima bottiglia. Quest’ultimo, cadendo nel cassonetto, rilasciò un impercettibile tintinnio, attirando l’attenzione del grosso cane che ci stava raggomitolato a fianco.
 
Gli occhi sorpresi dell’uomo incontrarono quelli del cucciolo, che fissò affamato il panino tra le sue mani, tirando fuori la lingua e agitando appena la lunga coda. Senza esitazione, quel tipo fece a metà la propria cena, abbandonandone una buona parte ai piedi della denutrita bestia. “Buon appetito bello” lo salutò, recuperando da terra le proprie birre e allontanandosi con un sorriso verso casa.
 
Le lacrime lungo le guance scesero amare, percorrendo il volto... contratto dalla commozione... di quel dolce ragazzino dai capelli dorati. “Non siamo tutti uguali, Abel” mormorò Byung-Hee, stringendosi al petto i suoi singhiozzi sommessi e addolorati. “Ti aiuterò. Te lo prometto”.
 
 
 
 
NOTE FINALI:
 
Nel caso vi foste domandate di che biribicchio parlasse Minnie nell'ordinazione al ristorante giapponese ^^
 
Spaghetti Udon mare: Spaghetti di grano tenero alla piastra con frutti di mare
Sake Temaki: Cono di alga con riso, salmone e avocado
Yakitori: 3 spiedini di pollo alla piastra
Ebi Teppanyaki: 3 Gamberoni alla piastra
Tako Su: Polipo cotto su letto di insalata mista
Kirin: Birra lager chiara
Asahi: Birra bionda

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Capitolo 30
*** Luci e colori ***


NOTE

Eccomiiiiiiiiiiiiiiiii! >_<
*saltella in direzione del palco, con i capelli al vento e una marea di fogli svolazzanti*
Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! *il manoscritto del nuovo capitolo si disperde tra il pubblico, lanciato in aria
dalla sottoscritta, che si prodiga in una clamorosa risata da nevrosi, innalzando le mani al cielo e lodando il Signore*

Ma non vi sono mancaaaaaaaaaaaata?!?!?! *^* Ooooohhhhh quanto mi siete mancate VOI invece,
mie piccole seguaci svalvolate e arrostite dal caldo! ^w^ Quante di voi si sono abbrustolite al sole?!?!
Dite, dite! Sono proprio curiosa di ascoltare le vostre avventure estive! ^^
*si lancia ai piedi del palco, ciondolanto le gambine oltre il bordo e fissando una ad una le sue lettrici*

Fatevi sentire, mi raccomando!!!!

Bacioniiiiiiiiiiiiiiiii
Chuuuuuuuuuuuuu
<3 <3 <3

SkyScraper








 

Capitolo 29 - Luci e colori

Il suo sorriso sapeva di fragole appena raccolte, mentre il sole trasudava da ogni poro delle braccia, donando alla pelle quella sfumatura luminosa di inizio estate. Non era mai banale o scontato. Anche quando ti aspettavi di vederlo apparire, la luce che i suoi occhi ti regalavano rimaneva uno spettacolo unico al mondo. Deliziosamente incantevole. Ecco com’era Kibum.
 
Nonostante avessi sperato in una temperatura più generosa, i nuvolosi grigi oltre le ultime vetrate dei grattacieli non lasciavano presagire alcuna benevolenza climatica. Lui mi osservava, raggomitolato sul divano con Lucy accanto. Mi accarezzò i capelli quando gli sedetti vicino, invitandomi a seguirlo sotto il piumone che si era trascinato dietro appena alzato.
 
“Grazie” gli dissi, accettando con un piccolo bacio la sua bevanda fumante. Scivolò sul mio petto senza parlare, riscaldando ogni angolo della mia anima con la piacevole sensazione del suo corpo stretto al mio. Bevvi solo qualche sorso, porgendogli nuovamente la tazza. Le labbra a cuore si schiusero dolci, e le palpebre vennero abbassate. Doveva piacergli parecchio.
 
“Dove mi porti?” mi aveva chiesto più volte, fin dalla sera prima, mentre strofinava la sua testolina bionda contro il mio collo, quasi stesse facendo le fusa. Lo sapevo che era curioso. Un piccolo micetto dall’intelligenza spiccata e la pazienza quasi inesistente. Cercai di raggirare ognuna delle sue domande, donandogli in cambio numerose carezze. Odiava la mia cocciutaggine, e la sua espressione corrucciata mi faceva davvero troppa tenerezza.
 
Avevo insistito perché prendesse la mia sciarpa e una delle mie felpe più pesanti, da mettere sotto il giubbotto. Il tragitto da percorrere non sarebbe stato breve. Quando richiuse la cerniera, sbuffando pesantemente mentre uscivamo di casa, mi diede l’impressione di un bambino delle elementari con il broncio indignato. Sembrava un fagottino farcito, tanti erano gli strati di vestiario che lo ricoprivano.
 
“Anni di classe buttati nel water…!” si lamentò, strappandomi una breve risata. Sollevò il mento, frustrato e orgoglioso al tempo stesso. “Ma tu cosa ne puoi capire, scimmione!” aggiunse, credendo di offendermi. La realtà… è che mi venne solo voglia di strapazzarlo di coccole. Dovette intuirlo, perché sbuffò ancora, allontanandosi con sdegno. A Kibum non è mai piaciuto essere preso alla leggera.
 
Un orario insolito per viaggiare, difatti i treni erano pressoché vuoti. Salimmo sul terzo vagone, mentre al tabellone elettronico il nome della nostra meta gli fece arricciare le labbra. “E’ lontanissimo” commentò, stringendosi più forte al mio braccio. Avrebbe voluto tenere il muso ancora per un po’, ma faceva molto freddo e il mio calore dovette allettarlo parecchio.
 
Le due ore e mezza seguenti le trascorremmo seduti l’uno accanto all’altro, in quell’anonima carrozza passeggeri di seconda classe. Terza fila a destra, posti 32/A e 33/B. Gli cedetti il sedile accanto al finestrino, sul quale sporadici raggi rendevano il ruvido sostegno appena più confortevole. Parve non accorgersi della mia gentilezza, ma non mi dispiacque. Mi piaceva prendermi cura di lui, e quando tirò fuori dalla tasca della borsa quella squadrata scatoletta rossa e bianca…
 
“L’ho presi ieri, però…” divenne completamento rosso, chinando il capo e mordendo la boccuccia delicata “Mi sento uno stupido adesso”.
 
Il cuore mi esplose in gola, trottando a perdifiato verso le mie emozioni impazzite. Era l’11 Novembre.
 
Friabile e sottile sulla lingua, si frantumò ben presto in piccoli granellini, mentre lasciava infine spazio al gusto dolce del cacao al latte. Sorrisi come un idiota di fronte ai suoi occhietti imbarazzati, ma Kibum abbassò le palpebre, senza permettermi di rimirare oltre le sue reazioni. Sfiorai le sue labbra con quel che restava del mio bastoncino al cioccolato, e lui le schiuse velocemente, masticando a capo chino.
 
“E’ stata tua l’idea…” lo canzonai, ridendo della sua espressione impacciata. Una ragazza, seduta qualche fila avanti a noi, si voltò su un fianco, cercando ancora una volta le nostre figure. Ci sbirciava con la coda dell’occhio, con uno sguardo misto tra la curiosità e la paura di essere scoperta. Non potevo dirlo a Bummie… avrebbe finito col nascondersi sotto il sedile!
 
Teoricamente avremmo dovuto farlo per strada, come tutti gli altri fidanzati; ma noi non eravamo come gli altri, ed io lo sapevo bene. Per questo Kibum mi aveva mostrato la confezione di Pepero solo in treno.
 
Era ingiusto. Perché dovevamo essere giudicati? Avvertivo sulle spalle lo sguardo severo di quell’uomo d’affari con l’auricolare all’orecchio. Non era difficile immaginare la relazione tra me e il mio vicino di sedile. Le dita sottili del ragazzo con cui dividevo casa erano rimaste per tutto il tempo intrecciate alle mie, mentre i suoi capelli biondi sfioravano insistentemente la mia guancia destra, tanto eravamo vicini.
 
L’imbarazzo del mio coinquilino non era dovuto ai giudizi della gente. Nonostante la sua indubbia timidezza, Kibum restava comunque una persona totalmente sorda al pensiero degli estranei, tanto più se superficiale e insensato. “Lasciane qualcuno per più tardi” gli suggerii, chinandomi verso il suo viso quando mi venne voglia si assaggiare la sua bocca.
 
“Sai di cioccolato” mormorò, sorridendo nel nostro bacio. Non risposi, ma lo strinsi più forte a me… mentre tutti quanti, compreso il tizio con la ventiquattrore, spostavano i loro sguardi indiscreti fuori dai finestrini. “Sono felice…” soffiò al mio orecchio, scivolando ancora una volta sulla mia spalla, con gli occhi già chiusi.
 
Si addormentò di lì a poco.
 
Giocherellai con i suoi capelli scomposti dal vento, slegando appena la sciarpa che portava ancora al collo. Il sole, intento a giocare a nascondino tra le nuvole, mostrava di tanto in tanto il suo volto, illuminando il profilo delicato del mio fidanzato. “Non avrei mai pensato di farcela…” sospirai, portando un braccio intorno alle sue spalle. Come avrebbe reagito… sapendo la verità?
 
Il cellulare nella tasca interna del suo giubbotto prese a suonare insistentemente, rischiando così di turbare il suo sonno. Kibum storse le labbra, muovendosi nervosamente nel mio abbraccio. Imprecai tra i denti, maledicendo mentalmente il guastafeste che aveva deciso di chiamarlo proprio in quel momento. Presi la chiamata senza neanche verificarne il mittente, e la voce profonda dall’altro lato dell’apparecchio mi fece automaticamente serrare i pugni.
 
“Cosa diavolo vuoi?!” sputai fuori, attirando nuovamente l’attenzione degli altri passeggeri.
 
“Sicuramente non te” grugnì Byung-Hee, altrettanto infastidito “Sei con lui, giusto?” indagò subito dopo, ma senza darmi il tempo di ribattere aggiunse “Certo che sei con lui. Che domanda idiota!” rise piano, ma nella sua voce non vi era alcuna traccia di divertimento “Digli solo che l’ho cercato. Mi richiamerà”.
 
Aprii istintivamente la bocca, già pronto a mandarlo al diavolo. Ma la comunicazione venne interrotta bruscamente, e la lunga serie di improperi che mi uscì fuori avrebbe fatto impallidire perfino il più scurrile e insolente tra gli  uomini.
 

*****

 
“Non capisco cosa tu voglia da me” commentò, guardingo, spostando il peso del proprio corpo da un piede all’altro. La felpa grigia delineava con garbo le sue spalle ampie e ben proporzionate, rendendo l’alta figura vagamente elegante. “Ho da fare, levati di torno!”
 
Il ragazzo che gli stava di fronte non fece caso al suo tono poco conciliante, rispondendo allo stesso con un sorriso largo e inaspettatamente sincero. “Non era mia intenzione importunarti, però… credo che tu avessi ragione” scandì con una leggera alzata di spalle, facendosi infine da parte “Quel tipo se la tira troppo anche per i miei gusti” concluse, allontanandosi a passo lento verso l’uscita dell’aula.
 
La risata del suo interlocutore gli giunse esageratamente sguaiata, mentre lo studente dai capelli lunghi e lo sguardo divertito gli andava inaspettatamente dietro. “Vuoi dire che culetto d’oro sta facendo impazzire anche te?!” cantilenò, con quel suo timbro vibrante e non più risentito “Eppure… l’ultima volta mi sembravi abbastanza devoto” commentò prudente, inarcando un sopracciglio di fronte all’espressione scocciata dell’altro ragazzo.
 
“Chi non sarebbe devoto ad un culo come quello!”
 
Un nuovo moto di risa, indecente quasi quanto il primo, mentre la grossa mano si abbatteva più volte sulla spalla di Byung-Hee, costringendolo ad arrestare il passo. “Al diavolo, Jung! Ti sento quasi come un camerata adesso!”
 
Due grandi occhi scuri si sgranarono su quella scena, increduli di fronte a ciò che tanto inaspettatamente stava accadendo lungo il corridoio del terzo piano. Minho si appiattì istintivamente alla parete, celando con la fronte aggrottata la propria persona. “Che diavolo sta succedendo qui?!” ringhiò tra i denti, ripercorrendo a mente una delle tante conversazioni avute con il suo compagno di corsa.
 
I passi pesanti di Seung Su gli fecero trattenere il respiro, e di farsi beccare ad origliare da quei due proprio non ne aveva voglia. La tracolla scivolò repentinamente dal suo braccio sinistro, senza che riuscisse a trattenerla. Si scontrò col pavimento, producendo un tonfo non indifferente, che causò l’immediato arresto delle chiacchiere tra i due cospiratori.
 
“Chi c’è?!” sbraitò d’improvviso il più piccolo fra i due, guardandosi intorno con circospezione. I suoi riflessi dovevano essere senza dubbio molto lenti, perché dell’alta figura nascosta oltre la soglia dell’aula di scienze non avvertì alcuna presenza.
 
“Stai diventando paranoico!” sbuffò Byung-Hee, passandogli con familiarità un braccio intorno alle spalle “Temi che qualcuno scopra le tue intenzioni di andare a puttane?!” lo prese in giro, puntando i propri occhi derisori sull’espressione indignata di Seung Su.
 
“Parli proprio tu!” ribatté quest’ultimo “Cosa direbbe culetto d’oro dei postacci che frequenti?!” gli occhi scuri si fecero più sottili, mentre le pupille si dilatarono al col tempo, chiaro segno del suo divertimento. Il più grande fece spallucce, arricciando il naso. La mano si mosse veloce verso la tasca posteriore dei jeans, dove andò a recuperare il proprio pacco di sigarette, già per metà consumato.
 
“Non sono un santo” borbottò, offrendogliene una con fare indolente “Dovrò pur divertirmi in qualche modo, in attesa che quel tizio si decida ad aprirmi le gambe!”
 
La rabbia esplose veloce, vibrando attraverso la mascella serrata e i muscoli contratti. Minho avvertì sotto la pelle il pulsare frenetico del sangue, che risaliva irrequieto ogni vena, manifestando senza indugio la collera che quella conversazione ascoltata per caso aveva risvegliato. “Figlio di puttana!” sputò fuori, frustrato, fin troppo consapevole di non poter affrontare da solo quei due bastardi.
 
Le voci lungo il corridoio scemarono lente, insieme al rumore metallico che la cinghia del casco procurava sull’involucro esterno di quest’ultimo. Orari e punti d’incontro vennero stabiliti con impensabile risolutezza, mentre il nome di un vecchio club dei quartieri malfamati veniva inevitabilmente menzionato.
 
“Non temere… Jong ti aprirà la testa prima di lasciartelo toccare!”
 

*****

 
Raccolsi dal tavolo le ultime mele, sistemandole con soddisfazione all’interno del piccolo portafrutta dalle sfumature verdastre. Mi si fece vicino, addentando con le labbra sporche di cioccolato un altro pezzo di merendina. “Dovresti concentrarti su qualcosa di più salutare!” puntualizzai, indicando i miei acquisti con un gesto del capo. Inutile continuare. Taemin mi fece la linguaccia, lasciandosi cadere sul  divano con un gran sorriso.
 
Separarlo dai suoi amati dolciumi sarebbe stata un’impresa difficile anche per me.
 
“Né Hyung?” mi chiamò, portando sulla mia espressione scocciata i suoi grandi occhi innocenti “Non avercela con me, ok?” mormorò, aprendo le braccia nella mia direzione. Sospirai, largamente sconfitto. Sedetti al suo fianco, permettendogli di stringermi senza opporre resistenza.
 
Continuò a masticare, arrampicandosi sul mio grembo con sguardo compiaciuto. “Piccola canaglia!” borbottai, arricciando le mie labbra e bloccando le sue. Sbuffò contro la mia mano, scacciandola via per potermi baciare. Un bacetto innocente, di quelli che mi dedicava spesso quando eravamo soli. Posò la bocca sulla mia guancia destra, sorridendo euforico quando mi vide arrossire.
 
“Anche Minho-Hyung arrossisce di continuo” osservò, facendo spallucce e ricominciando a mangiare.
 
“Quando torna?” gli chiesi, liberandomi della felpa per consegnarla a lui. Sorrise ancora, ringraziandomi con la bocca piena. Infilò le braccia nell’indumento, alzando la cerniera e tornandomi vicino. Era un po’ grande per lui, nonostante sui polsi la lunghezza risultasse perfetta. “Cresci in fretta” aggiunsi, mentre una nuova luce gli illuminava il volto.
 
“Oggi finisce alle 17:00. Mancano ancora un paio d’ore” rispose, strizzando appena gli occhi quando tentò di decifrare l’orario sul piccolo display del lettore dvd. “Che film guardavi?” volle sapere, abbandonando la carta della merendina sul basso tavolino accanto al divano. “Qualcosa di romantico, scommetto!”
 
Risi della sua osservazione, recuperando il telecomando e pigiando il tasto di avvio. Mi conosceva fin troppo bene. Feci ripartire il video dall’inizio, ma la prima parte già la conoscevo. Chiusi gli occhi, lasciandomi cullare da quella piacevole atmosfera di ordinaria tranquillità che aleggiava all’interno della mia piccola cucina.
 
“Avevo ragione” disse ad un certo punto, quando sullo schermo la principessa venne salvata dal coraggioso cavaliere “Quel tipo potresti essere tu!” aggiunse, convinto, regalando un altro piccolo bacio alla mia espressione imbarazzata “Ecco, vedi!” strillò, indicando la madrina in lacrime di fronte alla scomparsa della principessa “Quello è omma!”
 
La donna dalle lunghe vesti, con in mano un delicato fazzolettino e le guance arrossate, mollò una sberla al povero capitano delle guardie, accusandolo dell’accaduto. “Non dirlo…” ribattei, quasi strozzato dalle mie stesse risa “Quello è Jonghyun!”
 
Tae si contorse sul mio petto, stringendo le braccia allo stomaco quando le lacrime scivolarono lungo le gote insieme al suo divertimento. “Uguale!” starnazzò, rischiando di cadere dal divano. Lo afferrai giusto in tempo, ridendo insieme a lui del povero capitano, costretto a correre dietro all’isterica madrina, ormai furiosa.
 
I due, si sarebbe scoperto solo alla fine, erano mutuamente innamorati l’una dell’altro fin dal primo incontro.
 
Sui titoli di coda, le note di una malinconica canzone accompagnarono quel venerdì pomeriggio, rendendo appena più lucidi i miei occhi. Che vergogna! Sono un vecchio sentimentale, e piangere alla fine di un buon film d’amore è sempre stato il mio punto debole più imbarazzante. Tae si sollevò sulle ginocchia, sorridendo comprensivo mentre mi porgeva la mano.
 
“Andiamo Hyung piagnucolone!” mi prese in giro, aiutandomi ad alzarmi “Ti offro latte e biscotti se abbandoni questi disdicevoli lacrimoni!”
 
E fu più o meno così che finimmo nel suo appartamento: io seduto sulla vecchia sedia di vimini, accanto al frigorifero, e lui impegnato a non versare il latte fuori dal pentolino. Seguii pensieroso i suoi movimenti, soffermandomi più del necessario sul piccolo segno rosso alla base del collo. Fin troppo evidente per i miei gusti. Storsi le labbra, ma non dissi una parola.
 
Sul secondo scaffale, tra la scatola di cereali e il barattolo dello zucchero, una confezione quasi integra di biscotti mi fu indicata. “Puoi prenderli, per piacere?” mi chiese, e io annuii di rimando. Solo con un paio di quei cosi io avrei potuto addirittura cenare. Passai con una smorfia la mano sinistra sullo stomaco, constatando con disappunto quanto quel paio di chili presi negli ultimi tempi iniziassero ad infastidirmi.
 
“Ti prego… non farlo!” esclamò, allarmato, richiamando a sé il mio sguardo confuso “Mi sembri omma in questo momento!” aggiunse, posando entrambe le mani sul visetto paffuto, fingendosi sconvolto.
 
Rise del mio broncio, rubando una dolce girella ricoperta al cacao per portarla alle mie labbra. Borbottai un’imprecazione, infastidito dal suo malefico ghigno. “Chiamerò te per trainarmi fuori dal mio appartamento, quando peserò una tonnellata e non riuscirò neanche a reggermi in piedi!” lo minacciai, raccogliendo dalle sue dita il megacalorico dolcetto.
 
Taemin non diede peso alla mia provocazione, ma lanciò un rapido sguardo all’orologio da parete, aggiungendo una terza tazza alle due già presenti sul tavolo. “Sarà qui tra poco” disse, allineando con eccessiva precisione il cucchiaio dal manico argentato alla stuoietta per la colazione utilizzata da Minho.
 
“Mi ha raccontato dell’album” mormorai, certo di non indispettirlo. Alzò lo sguardo su di me, un po’ imbarazzato, annuendo in risposta. “Come va adesso?” sollevai appena la sedia che mi venne indicata, scostandola dal tavolo. Sedette di fronte a me, chinando il capo sulle dita nervose.
 
“Meglio… credo” la sua voce era solo un sussurro, e dovetti concentrarmi molto sul movimento delle sue labbra, altrimenti sono certo che qualche parola mi sarebbe sfuggita sicuramente. “E’ stato strano. Non credevo di esserne capace, sai?” inspirò profondamente, cercando i miei occhi con un piccolo sorriso appena accennato “Però con lui è stato più facile”.
 
Stesi istintivamente un braccio, cercando i suoi capelli con la punta delle dita. Lo accarezzai con dolcezza, fiero come non mai dell’inaspettato coraggio che aveva dimostrato. “Andrà tutto bene” gli ricordai, mentre il suo sorriso diveniva più sereno e la sua mano stringeva forte la mia “Siamo tutti qui per te”.
 
Schiuse le labbra, probabilmente sul punto di ringraziarmi, ma la serratura all’ingresso scattò all’improvviso, ed entrambi ci tirammo velocemente indietro. Minho annunciò con una piccola smorfia il suo ritorno, abbandonando il giubbotto e la tracolla sul divano. I suoi movimenti erano frettolosi e infastiditi. Non mi lasciarono presagire nulla di buono, così come il suo sguardo preoccupato, quando incontrò il mio.
 
“Non sono un incosciente” esordì, stringendo i pugni e chinando il capo. Taemin gli arrivò rapido vicino, fissandolo con evidente apprensione “Se lo dico a Jong finisce male…”
 

*****

 
Inizialmente progettato su due livelli, il terzo piano era stato inserito tra le direttive dell’architetto solo a metà lavoro. Le vetrate ampie tra una zona e l’altra facevano da pareti, catapultando il visitatore all’interno di quell’incommensurabile spettacolo fatto di acqua e colori. Le luci dalla forma sferica erano state direttamente incassate al pavimento, così da delineare il cammino di ciascun ospite fin verso l’uscita.
 
Ogni vasca era dotata di illuminazione propria, sapientemente progettata in modo da valorizzarne ogni particolare. Le pietre sul fondo rispecchiavano le sfumature argentate da cui erano colpite, proiettandosi poi verso l’alto, accarezzando con il loro tenue bagliore i corpi longilinei e aggraziati che gli nuotavano accanto. Verde, rosso, dorato. La zona dei pesci tropicali era senza dubbio la più stupefacente.
 
I dolci occhi felini si sgranavano ad ogni scoperta, accompagnati dalle pallide dita aggrappate alla brochure, che stringevano con vigore la carta lucida, dimostrando con lampante evidenza quanto quella sorpresa fosse stata gradita.
 
“Mi sa che qui si sono scordati qualcosa…” mormorò Jonghyun, immobile di fronte alla tavoletta descrittiva di una delle vasche più grandi. Kibum, con lo sguardo perso sul liscio dorso della splendida creatura che stava osservando, lo ascoltava appena. “Dice Mante e Mobule, ma… non sono forse tutte uguali?”
 
La risata cristallina del suo accompagnatore gli fece arricciare il naso, così come la manina affusolata che salì a picchiettarlo sulla fronte. “Né Jongie… tu sei bellissimo, ma io sono più intelligente lo sai, vero?” lo prese in giro Kibum, prendendolo sotto braccio e trascinandolo verso l’angolo opposto della vasca, dove due esemplari piuttosto grandi nuotavano accostati.
 
“La Mobula è un genere di razze, molto simili alle mante” iniziò a spiegare, indicando il soggetto a destra, di dimensioni palesemente minori rispetto al vicino “La bocca si trova sulla parte inferiore rispetto al capo, e poi hanno i denti su entrambe le mascelle” continuò, con tono arguto e sguardo affascinato.
 
“La Manta ha gli occhi sul dorso, mentre sul ventre ci sono la bocca e le fessure branchiali” mormorò fievolmente, impressionato dalla grossa mole del pesce cartilagineo che, proprio in quel momento, gli passava dinanzi “La femmina partorisce un piccolo alla volta, che già dalla nascita misura in lunghezza un metro o anche più”.
 
Le iridi scure di Jonghyun si allargarono ulteriormente, come sempre incredule di fronte a tanta conoscenza. Non era certo la prima volta che Kibum lo deliziava con la sua cultura. A casa, spesso e volentieri, si lanciava in qualche sproloquio scientifico di cui lui comprendeva poco o nulla. Come quella volta in cui, solo per aver commesso l’imperdonabile errore di posizionare un pomodoro proprio al centro della fruttiera, insieme alle mele, il suo piccolo micetto se ne era uscito con quell’inusuale quanto assillante quesito.
 
“Ma secondo te il pomodoro è un frutto o una verdura? Perché sai… ci hanno fatto anche dei dibattiti su questo argomento!”
 
A fine serata, tra le lenzuola, con Kibum stretto tra le braccia e quell’enorme punto interrogativo sulla fronte, Jonghyun si sarebbe volentieri strappato orecchie e occhi, pur di non dover più vedere o sentir parlare di pomodori! Potrebbe non sembrare, ma il dolce scimmione è tipo da perder pomeriggi anche su interrogativi come questo.
 
L’attenzione del più grande venne ben presto richiamata dal delicato ragazzino che gli stava accanto. Kibum, infatti, con il sorriso radioso di un bambino in festa, lo spingeva dolcemente attraverso il lungo corridoio di specchi, che li avrebbe condotti alla laguna dei delfini e alle vasche dei leoni marini.
 
“Lo sapevi che la corteccia celebrale dei delfini ha una complessità paragonabile a quella del cervello umano?” chiese il più piccolo, affiancando la grande vasca, mentre allungava istintivamente la mano destra fino ad incrociare quella del coinquilino. “Sono molto intelligenti, e comunicano tra loro non solo attraverso gli ultrasuoni ma anche utilizzando particolari schemi di movimento”.
 
Jonghyun scosse mestamente la testa, mostrando un impacciato e timido sorriso. “Ora lo sai” convenne velocemente Kibum, intenerito dai suoi grandi occhi imbarazzati. Un rapido bacio venne depositato sulla sua guancia sinistra, e il più grande sospirò istintivamente, perso per com’era nell’inafferrabile dolcezza di cui il suo fidanzato gli stava facendo dono.
 
“Guarda…” sussurrò il più piccolo, puntando l’indice sottile verso un giovane esemplare dalle sfumature grigiastre e sporadiche macchioline più scure sul dorso. Il sorridente mammifero risaliva rapido fino alla superficie, danzando tra le limpide acque con innata eleganza . Pochi schizzi si levarono tutt’intorno, quando infine si fermò dinanzi ai loro sguardi ammirati.
 
“Sembra che sorrida…” commentò Jonghyun, avvicinandosi di un altro passo, sfiorando con il pesante cappotto il passamano bagnato. “In realtà è solo la forma della sua mandibola a dare quest’impressione” avrebbe dovuto correggerlo Kibum, ma… per qualche strano motivo… accantonò con un sospiro la propria vena scientifica, osservando con occhi innamorati il profilo lineare del maggiore.
 
“Già” confermò, stringendo più forte la propria mano a quella di Jonghyun “sembra che sorrida”.
 
La mattina scivolò veloce, tra i denti aguzzi dello squalo e le tonalità accese del corallo rosso. I tentacoli delle anemoni si muovevano fluidi, lasciando addentrare nel loro velenoso rifugio il coraggioso pesce pagliaccio, sorprendentemente immune alle punture urticanti delle sue nematocisti. Un bambino tirò la propria mamma per il braccio, indicando con il piccolo dito il grazioso pesciolino dalle tonalità rosse e bianche, intento a guizzare velocemente all’interno della propria casetta.
 
Jonghyun sorrise istintivamente, immaginando un Kibum bambino e dal visetto emozionato, mentre fantasticava sulla propria idea di vita felice, insieme alle enormi creature di quel mondo sconosciuto. “Mi sarebbe piaciuto vederti” mormorò, appena udibile, perdendosi tra le magiche sensazioni che quel dolce scricciolo gli trasmetteva. La testolina bionda si piegò di lato, mentre lo sguardo entusiasta seguiva una lunga fila di cavallucci marini, che attraversarono con inaspettata velocità il lungo percorso in penombra.
 
“Hai detto qualcosa?” chiese il più giovane, sollevando su di lui i propri occhi affilati ed incredibilmente felici.
 
“Si” rispose Jonghyun, tirandoselo più vicino e allungandogli la mappa stampata del grande acquario “Ci fermiamo a mangiare qui, ti va?” domandò, indicando la zona ristorazione presente sulla cartina “Così pomeriggio vediamo lo spettacolo dei delfini”.
 
Le braccia sottili si protesero all’istante verso il collo del bruno, arpionandosi con slancio al suo corpo forte. Jonghyun barcollò appena, ridendo piano a quella muta risposta. “Andiamo Bummie…” sussurrò al suo orecchio, sfiorando la pelle di seta con labbra adoranti “C’è ancora tanto da vedere”.
 

*****

 
L’armadio gli parve meno grande, una volta riempito con i nuovi acquisti. Un numero indefinito di grucce erano state appese l’una affianco all’altra, mentre l’elegante taglio delle camicie di raffinata sartoria lo costringeva a deglutire. Abel strabuzzò gli occhi, chiudendo con un colpo secco le ante dalla base lucida, abbandonandovi sopra la fronte aggrottata.
 
“Questo non era negli accordi” mormorò, visibilmente sconvolto da tanta generosità, ma la persona alle sue spalle si limitò a sorridere, poggiando la schiena allo stipite della porta. “Quanto ti chiede?” chiese, con tono piatto e sguardo al suolo “Quanto ti costa portarmi qui tutti i giorni?”
 
Byung-Hee scosse la testa, divertito, cercando i suoi occhi e arricciando le labbra. “Perché lo vuoi sapere? Qualsiasi sia la cifra… per me non ha importanza”.
 
Abel strinse con forza i pugni lungo i fianchi. Le palpebre vennero abbassate e la schiena raddrizzata. “Ne ha per me” ribatté, fermo e orgoglioso. “Ti restituirò tutto. Non so come…” i denti catturarono nella loro morsa la bocca piccola e piena, torturandola con l’inevitabile disagio che quella conversazione stava causando “Ma lo farò”.
 
Il ragazzo dai guanti di pelle sospirò pesantemente, allungando svogliato l’accendino alle labbra, dove una nuova sigaretta aspettava di essere accesa. “Smettila con questa storia” lo rimproverò, infastidito da tanta ostinazione “Non ho bisogno dei tuoi soldi, Abel. Quello che riceverai da me non è compassione, né tanto meno voglia di sperperare quattrini” puntualizzò, accigliandosi ulteriormente sotto lo sguardo ferito del più piccolo.
 
Passi lenti e silenziosi lo portarono vicino al ragazzino, che chinò istintivamente il capo, evitando i suoi occhi. “Non trattarmi come tutti gli altri. Infondo… non credo neanche di meritarlo” le dita leggere si persero tra i capelli biondi e sottili, accarezzando con dolcezza l’impalpabile sofferenza che quel giovane cuore si portava dentro. “Accetta quello che ti sto dando, e sorridi ogni tanto…” aggiunse, sollevando incoraggiante gli angoli rosati delle labbra di Abel “Saresti più bello se lo facessi più spesso”.
 
Le guance delicate si tinsero immediatamente di rosso, ravvivando con il loro imbarazzo lo sguardo comprensivo del più grande. “Cambiati adesso. Pranzeremo tra qualche minuto”.
 
La porta si richiuse con discrezione dietro le spalle larghe del padrone di casa, mentre il pesante accappatoio color glicine veniva infine lasciato cadere lungo le esili braccia. Byung-Hee percorse pensieroso il breve tratto che lo avrebbe condotto alle scale, ammiccando in direzione di Jihun quando superò la soglia dell’elegante studio.
 
“Hai trovato i ragazzi?” chiese, scuro in volto, prendendo posto di fronte all’amico.
 
“Si” confermò quest’ultimo, zittendosi istintivamente quando dei passi lungo il corridoio gli ricordarono la presenza degli inservienti. “Meglio se questa la chiudiamo” cantilenò, imbronciandosi, posando la grande mano sull’uscio socchiuso. La porta cigolò flebilmente, e la serratura scattò subito dopo.
 
Jihun proveniva da una famiglia ricca e con pochi valori. I suoi genitori si sarebbero detti delle persone frivole e superficiali, se non fosse stato per il grosso ammontare del loro conto in banca, che spingeva gli estranei a trattarli con ben più considerazione di quella che in realtà meritassero.
 
Il padre di Byung-Hee e il suo avevano frequentato la stessa università, per poi rimanere in contatto (per questioni finanziarie) nel corso degli anni. Il giovane erede dei Jung rappresentava per Jihun, probabilmente, l’unico legame affettivo sul quale potesse fare cieco affidamento in qualsiasi circostanza. E questo fu il motivo per il quale, anche quel giorno, si sentì in dovere di metterlo in guardia.
 
“Ti stai esponendo troppo” gli ricordò, porgendogli le foto dei ragazzi che avrebbero utilizzato “Lui sa chi sei, e non ci penserà due volte a mettere in mezzo il suo vecchio per levarti di torno” aggiunse, stringendo impercettibilmente le labbra quando l’altro ragazzo gli sorrise di rimando.
 
“Lo sapevi che, il giorno del suo diploma, il giovane Seung Su non si è presentato a ritirare l’attestato?” ribatté, tirando indietro i capelli e unendo le mani sul grembo “Il giorno prima aveva alzato il gomito insieme ad altri ragazzi, con cui all’epoca era solito causare problemi. Quell’ultima bevuta causò loro un incidente di discrete proporzioni. Nessuna ferita grave, ma l’auto del padre venne completamente distrutta”.
 
Jihun inarcò prontamente un sopracciglio, incitandolo a proseguire.
 
“Mi chiedo perché, per una misera contusione al braccio sinistro e qualche escoriazione sul viso,  quello sconsiderato ragazzo sia stato costretto a trascorrere in casa i tre mesi successivi, ricevendo come unica visita il vecchio e ormai pensionato medico di famiglia…”
 
Sul volto del maggiore un sorriso di compiacimento distese lentamente i lineamenti decisi, assicurandogli quell’espressione soddisfatta che Byung-Hee aveva sperato di ricevere. “Il mio vecchio ha qualche conoscenza” commentò, falsamente modesto, facendo spallucce e sorridendo beffardo.
 
“Suo padre lo terrorizza. Quando capirà in che guaio si è cacciato… l’idea di chiedergli aiuto non lo sfiorerà neanche per un secondo”.
 

*****

 
La pioggia contro i finestrini dell'autobus diveniva ogni minuto più violenta. Mi strinsi più forte nel giubbotto, e la presa intorno alle mie spalle divenne istantaneamente più salda. “Stai gelando” mormorò, depositando un bacio delicato sulla mia guancia sinistra. Scossi la testa, deciso. Non volevo che si preoccupasse. Era stata una magnifica giornata, e un po' di freddo non mi avrebbe sicuramente ucciso.
 
“Grazie per oggi” sussurrai, appena imbarazzato, accoccolandomi sul suo petto. L'aroma del suo profumo mi avvolse veloce, invadendomi le narici e con esse i sensi. C'era un non so che di diverso tra la fragranza originale, percepita direttamente attraverso la boccetta che aveva sistemato in bagno, e quella che riuscivo ad avvertire solo sulla sua pelle.
 
Il profumo, nonostante rimanesse chiaramente riconoscibile, mutava impercettibilmente a contatto con il suo corpo. L'aroma dolciastro diveniva vagamente pungente, colmandosi di quella piacevole sfumatura di virilità che Jonghyun emanava. Pizzicava sulla punta del naso, scivolando attraverso ogni cellula del sistema nervoso, raggiungendo infine quel punto indefinito all'altezza del petto, che si stringeva all'istante, sopraffatto da nuove ed indecifrabili emozioni.
 
“A cosa pensi?” mi chiese all'improvviso, facendomi sussultare. Arrossii, scoprendo una nota di divertimento tra le profondità che le sue iridi scure rappresentavano. Non insistette, arruffandomi i capelli e controllando l'orologio “Tra un po' saremo a casa”.
 
Annuii distrattamente, tirandomi sotto il mento il grande peluche comprato poche ore prima. La bassa risata di Jonghyun mi solleticò una guancia, mentre io sbuffavo pesantemente sul musetto del dolce delfino, infastidito da tanta ilarità. Non feci in tempo a realizzare le sue intenzioni, che mi ritrovai il flash della fotocamera dritto sul viso e... click!
 
“Dammi immediatamente quell'affare, brutto scimmione privo di buone maniere!” strillai istintivamente, prendendo fuoco con la rapidità di un fulmine “Avresti dovuto chiedermi il permesso per quella fotografia!” continuai, imbufalito, attirando l'attenzione degli altri passeggeri.
 
Ma quel vile malfattore neanche mi ascoltava, impegnato per com'era ad evitare che arrivassi alla fotocamera. “Non ci penso neanche a dartela!” ammise spudorato, ridendo di gusto della mia espressione scandalizzata “La cancelleresti sicuramente, e io voglio avere almeno un ricordo di questa giornata con te!”
 
Mi feci piccolo piccolo sul sedile, raggomitolandomi su me stesso tra l'imbarazzo per  quell'inaspettata dichiarazione e la voglia di scomparire. Aveva starnazzato talmente forte che non ero stato solo io a sentirlo. Non molto distante, una coppia di scolarette sghignazzava poco compostamente, aumentando il mio disagio.
 
“Oh, guarda che sei carino tutto rosso! Qui ci vuole un'altra foto!”. L'avrei strangolato volentieri mentre, tutto felice, dava il via a quello che aveva tutta l'aria di un servizio fotografico improvvisato. Chiusi istintivamente gli occhi, cercando di ignorarlo, altamente frustrato con me stesso e con la mia incapacità di oppormi ai suoi desideri.
 
“Te la brucio, Jonghyun! Giuro che quando arriviamo a casa... quella fotocamera farà una brutta fine!” borbottavo, affondando il naso nella sciarpa e le mani nelle tasche. Avrebbe sviluppato le foto dell'uomo invisibile, mi dissi, rubandogli il cappello e schiaffandomelo in testa. Le labbra piene e sorprese di schiusero automaticamente, seguendo i miei gesti, forse deluse dalla mia scelta di rendergli l'impresa difficile.
 
“Adorabile...!” esclamò invece, facendomi strabuzzare gli occhi. “Oh Bummie, non ti muovere. Sei perfetto così!” mi pregava, del tutto indifferente al mio attacco di nevrosi. Tentai nuovamente di afferrare l'infernale oggetto che sarebbe stato la causa della mia ulcera, ottenendo come risultato la sua sola soddisfazione. Difatti gli finii praticamente addosso, subito bloccato dalle forti braccia che mi obbligarono alla mia posizione.
 
“Sorridi!” squittì, euforico, e l'ultimo scatto della giornata... ci avrebbe raffigurati insieme.
 

*****

 
Il piatto venne lentamente messo da parte e il bicchiere portato alle labbra. Il vino bianco scese fresco lungo la gola, accompagnato dal costante movimento del pomo d'Adamo, che ne seguiva con il suo ritmico ondeggiare ogni nuovo sorso. La signora Kim non disse una parola, osservando con espressione severa lo sguardo accigliato del marito.
 
“Ti sto solo chiedendo di accompagnarmi” mormorò, sospirando “Come pensi di porre fine a questa situazione altrimenti?!” proruppe, spazientita, allontanando con un movimento brusco la sedia dal tavolo. L'uomo chinò tristemente il capo, fin quando la fronte corrugata non incontrò la base stabile delle sue mani giunte. I gomiti poggiati al tavolo e il volto cupo.
 
“Ho detto che ci penserò” ripeté, strofinando le tempie. Sua moglie non si lasciò impietosire dal suo stato d'animo, dandogli le spalle e muovendo un passo verso la porta. “Lo sai bene. Non ho mai voluto tutto questo”.
 
La signora Kim si bloccò davanti all'uscio, portando al suolo gli occhi lucidi e lo sguardo affranto. “Io... sono sicura che neanche Kibum lo abbia voluto. Se solo tu provassi a parlarci...” pochi ciuffi, liberatisi dall'elegante acconciatura che portava sulla nuca, le sfiorarono gentili la fronte, accarezzando il suo dolore e spingendola a sorridere. Un sorriso triste e pieno di amarezza.
 
“Te lo ricordi?” chiese, sollevando la mano fino a toccarli “Lui si addormentava con i miei capelli fra le dita. Li stringeva in quella manina piccola e delicata, sorridendo beato poco prima di chiudere gli occhi” le ultime parole scivolarono inevitabilmente su quell'ennesimo singhiozzo represso, e anche il cuore del signor Kim non poté fare a meno di tremare.
 
Il vento soffiò forte, schiaffeggiando le fronde dei sottili arbusti, ancora giovani, che si piegarono stancamente verso destra, lasciando andare a quel possente respiro le loro foglie gialle e rosse. Un piccolo gatto, dalle striature grigiastre e il manto arruffato, si arrampicò abilmente tra i rami di uno degli esemplari più maturi, raggomitolandosi tra i colori di quel rifugio improvvisato. La pioggia sarebbe arrivata di lì a poco.
 
La domestica fece il suo ingresso in riservato silenzio, ritirando discretamente lo sguardo dal volto addolorato della padrona di casa. La signora le badò appena, stringendo tra le dita la cornice d'argento dalla base liscia e lucida, che custodiva oltre il sottilissimo vetro la foto del suo unico figlio. Le lacrime ne bagnarono silenziose i lineamenti gentili, subito seguite da quella nuova ondata di malinconia che la costrinse a sostenersi dalla parete.
 
“Non sai cosa darei... per poter tornare indietro”.
 

*****

 
La canottiera grigia scivolò leggera sul busto minuto, accarezzandone la pelle pallida e ridefinendo la sua figura sottile. Lucy, ferma di fianco all'armadio, tirò in alto il musetto umido, sfiorando con la propria dolcezza canina le dita affusolate che si protesero a toccarla. “Brava la mia cucciola” le disse Kibum, avviandosi verso il corridoio con un gran sorriso. La cagnolina gli scodinzolò dietro, facendo ondeggiare la grossa coda al ritmo della propria andatura.
 
Oltre la porta del bagno l'acqua scorreva veloce, donando sollievo alla pelle infreddolita. Jonghyun posò la fronte alla parete piastrellata, abbassando le palpebre e rilassando i muscoli della schiena. Aveva lasciato che fosse Kibum a fare la doccia per primo, smisuratamente intenerito dalle guance delicate che il vento aveva arrossato. Tirò indietro i capelli, senza riuscire a trattenere un sorriso, e l'acqua calda scivolò sulla sua espressione serena, ridisegnandone ogni particolare con le sue minuscole goccioline incolore.
 
Il pentolino sul fuoco scalpitò, annunciando che il liquido al suo interno aveva velocemente preso a bollire. L'indice e il pollice si unirono, all'interno del piccolo barattolo in ceramica, intrappolando nella propria presa due bustine dalla forma rettangolare e le dolci sfumature del grano. I croccantini contro la ciotola risuonarono allegri, mentre Kibum si piegava sulle ginocchia e sorrideva in direzione di Lucy, già pronta ad avventarsi sulla propria cena.
 
“Eccoti servita” annunciò, regalandole un'ultima carezza e un bacino volante.
 
Sulla soglia della cucina, Jonghyun incrociò i piedi, lasciandosi sostenere dal pesante stipite di legno scuro. I pantaloni rosa del più piccolo si arricciarono sui polpacci sottili, mostrando sfacciati la morbida carne che avrebbero dovuto coprire. Il profumo di Kibum riempiva la stanza, insieme all'inconfondibile aroma del tè appena fatto. Tè rosso, dedusse.
 
“Non pensavo che te ne saresti ricordato” mormorò il ragazzo dalla pelle pallida, ancora fermo di spalle, mentre lasciava che il liquido scuro riempisse silenzioso le grandi tazze già pronte sul lavello. Il sorriso di Jonghyun si fece più largo, e i pochi passi seguenti lo guidarono verso la slanciata figura del proprio coinquilino, sui cui fianchi le sue braccia si chiusero dolcemente, stringendolo con amore.
 
“Ricordo tutto di te” rispose, posando le labbra sulla base profumata del collo di Kibum, dove un lungo brivido serpeggiò birichino, scivolando poi lungo la spina dorsale e ancora più giù, fino alla punta dei piedi scalzi. La nuca sul suo petto si mosse leggera, mentre il più giovane si abbandonava con un sospiro a quelle tenere attenzioni.
 
“Bugiardo” cinguettò, e le gote si tinsero d'imbarazzo, vanamente nascosto dalla sua risatina acuta.
 
Jonghyun sfilò dalle sue dita una delle due tazze, sostenendola dal manico e guidandolo verso il divano. Tra i morbidi cuscini dovette fare molta attenzione, giustamente timoroso all'idea di versarsi addosso il liquido fumante. Kibum gli sedette vicino, naturalmente aggraziato in ogni movimento che faceva, portando le ginocchia al petto e adagiandoci sopra la base bianca della ceramica lavorata.
 
Il bruno ne osservò il profilo perfetto, mentre il nasino si protendeva curioso fino al bordo della tazza, dalla quale un intenso vapore dal retrogusto forte e agrodolce continuava a venir su con piacevole lentezza. Kibum chiuse gli occhi, sorridendo ancora, puntellando i piedini scalzi sulla sponda del divano, voltandosi radioso a cercare il volto del proprio coinquilino.
 
Impreparato al suo sguardo, Jonghyun tossì un paio di volte, muovendosi a disagio e con le labbra imbronciate. “Bevilo, finché è caldo” gli suggerì il più giovane, perdendo un battito sulla sua espressione impacciata. Era sempre così spontaneo in ogni sua reazione, quel grosso scimmione pieno di muscoli, che non rimanere affascinati da tanta dolcezza sarebbe stato come negare al proprio cuore la possibilità di emozionarsi.
 
Rimasero l'uno accanto all'altro, la testa bionda adagiata sulle forti spalle, e Lucy raggomitolata ai loro piedi, che di tanto in tanto lanciava uno sguardo incuriosito nella loro direzione. “Avevi detto che scegliere la vista al di sopra degli altri sensi sarebbe stato sintomo di superficialità” mormorò il maggiore, ridisegnando il profilo sereno di Kibum con la punta dell’indice. Quest’ultimo strinse immediatamente le sopracciglia, perplesso, cercando i suoi occhi e sgranando i propri.
 
“All’acquario” precisò Jonghyun, facendo scivolare il dito fino alle dolci labbra dischiuse, che percorse con infinita lentezza e sguardo adorante “I pesci… potevi solamente guardarli” continuò, chinandosi al contempo verso quella deliziosa forma a cuore, i cui angoli irritati si erano istantaneamente irrigiditi.
 
“Pensi ancora a quello stupido test?!” proruppe Kibum, tirandosi indietro e sbuffandogli sul viso. Il più grande annuì, divertito e pronto alla sfuriata.
 
“Né Bummie?” cantilenò, avvolgendolo stretto fra le braccia e cercando nuovamente la sua bocca “Ho una scommessa da vincere. Mi hai dato la tua parola, ricordi?” ribatté compiaciuto, posando teneri bacetti sulla smorfia di disappunto che il più giovane si era lasciato sfuggire. “Qualsiasi cosa” sussurrò, accarezzando con il proprio respiro il lobo sinistro di Kibum “Me l’hai promesso”.
 
La risata del suo coinquilino lo sorprese, quasi quanto il bacio dolce e appena spinto che questi gli concesse. “Né Jongie?” mormorò seducente, sollevandosi definitivamente sulle ginocchia, mentre protendeva con provocante delicatezza il proprio corpo verso quello del maggiore “E a me non piace perdere, lo sai?”
 
Le mani leggere si spinsero fino ai muscoli pronunciati, sfiorandoli con studiata lentezza, fin tanto che le loro labbra tornavano ad unirsi. I movimenti delle dita si trasformarono ben presto in una danza cadenzata e ammaliatrice, stregando i sensi e mozzando i respiri. Jonghyun si spinse istintivamente in avanti, scivolando sul corpo sottile e sovrastandolo. Kibum non si oppose, sorridendo beffardo della sua ingordigia, abbandonando le braccia ai lati del viso e lasciandosi imprigionare.
 
“Non mi piace lo sguardo che hai…” ansimò il bruno sulla sua bocca, stringendola tra i denti e cercando la sua schiena. La canottiera di cotone non si oppose alla sua invasione, scostandosi immediatamente al frenetico passaggio delle dita bisognose. “C’è qualcosa di pericoloso nei tuoi occhi” gemette impreparato, mentre le cosce del più piccolo si schiudevano lascive, lasciandolo scivolare al loro interno con innaturale disinvoltura.
 
“Ti faccio così paura?” lo canzonò Kibum, quasi diabolico nel suo tono basso e vagamente roco. La lingua saettò rapida tra le labbra dischiuse, giocando con piacere tra le umide pareti della morbida bocca. Jonghyun abbassò definitivamente le palpebre, troppo inebriato dal suo sapore per potersi concedere altre considerazioni. Fu allora che il suo coinquilino si strusciò volontariamente contro il membro eretto, graffiando i suoi fianchi con famelica lussuria.
 
Quel contatto così diretto lo spinse inevitabilmente a tirarsi indietro, tanto sorpreso quanto stordito dall’avvenenza che quel giovane micetto stava dimostrando. Kibum approfittò di quell’attimo di smarrimento per liberarsi dolcemente della sua stretta, poco prima di rimettersi elegantemente in piedi e indietreggiare di qualche passo.
 
“Considerata la determinazione che poni nel tuo obiettivo, caro il mio scimmione…” pronunciò il gattino con estrema lentezza, scandendo ogni sillaba e affilando lo sguardo. Gli occhi sottili si illuminarono di soddisfazione, mentre l’erezione poco più che percepibile all’inizio, diveniva via via più pronunciata tra le gambe del povero Jonghyun.
 
Ogni indumento cadde con spudorata arroganza al suolo freddo, rendendo vano ogni tentativo di folle resistenza. I pantaloni dal tocco femminile, tanto dolci quanto provocanti, su quel corpo che di innocenza non conservava più traccia, furono gli ultimi a toccare terra, rivelando con languido piacere le rifiniture grigie dei minuti boxer dalle tonalità grigie e nere.
 

“Allora, solo per oggi, ti lascerò qualcosa di molto piacevole da guardare
















NOTE FINALI
  •  Il Tè rosso è comunemente conosciuto (almeno in Occidente) con il nome più diffuso di Tè nero. Composto, al pari del Tè verde, dalle foglie della pianta Camellia sinensin, le foglie del tè nero, dopo essere state raccolte e fatte macerare, vengono essiccate, arrotolate e tritate. Questo processo, porta all'ossidazione del tè che non avviene nel processo di lavorazione del tè verde. Il maggiore produttore di tè è la Cina, seguita dall' India. Anche il Giappone ha un ruolo importante nella produzione di alcune qualità (Bancha, Matcha, Sencha e Gyokuro). In Europa il tè viene coltivato nelle isole Azzorre.
  • Il "Pepero Day" è una ricorrenza della Corea del Sud, simile a San Valentino. Prende il nome dal Pepero, che e' uno spuntino coreano. Questa giornata si festeggia l'11 novembre, dal momento che la data "11/11" assomiglia a quattro bastoncini di Pepero uno a fianco all'altro. Pepero (빼빼로) è appunto un bastoncino di biscotto, immerso in sciroppo di cioccolato, prodotto in Corea dalla Lotte Confectionery, fin dal 1983. Questo snack e' stato ispirato da un dolcetto giapponese, che viene prodotto nel paese nipponico dalla Pocky Glico. Anche in Giappone e' stata iniziata la giornata "Simile Pocky", ma non è riuscita a guadagnare trazione come qui in Corea. La festa viene osservata per lo più da giovani e coppie, che si scambiano bastoni Pepero o altre caramelle e regali romantici.

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Capitolo 31
*** Le minacce sono per i disperati ***


NOTE

Eccoci qui ragazzuole mie! ^^ Questo capitolo, a voler essere onesti, sarebbe dovuto essere online già da ieri sera,
ma... ahimè... la mia linea adsl, di questi tempi, me ne sta facendo passare di tutti i colori! x_x
Spero non me ne vogliate troppo a male, premettendo che il capitolo era già bello che
pronto per essere pubblicato.

P.S. = Non avete certo dimenticato il "misterioso regalo" che Taemin ha portato a Minho
nei capitoli precedenti, vero? >_<

Un grosso bacione a tutte quante! Chuuuuuuu!
<3 <3 <3

SkyScraper






Capitolo 30 - Le minacce sono per i disperati

Il sudore imperlava la fronte, scivolando seducente attraverso le crepe che solcavano la sua espressione. Ad ogni movimento una contrazione, oscillavo tra i suoi sospiri, agganciando a me quel corpo tremante e pieno di desiderio. Le iridi si allargarono, incrociando le mie, stregandole con il piacere incontrollato di un gesto più intimo. Non riuscii a frenarmi.
 
Strinsi la sua mano nella mia, esercitando ulteriore pressione sull’eccitazione crescente. Non potevo toccarlo. Me lo aveva proibito. Assecondai i battiti accelerati, sincronizzando ad essi ogni fibra e ogni gemito. Kibum chiuse gli occhi, mentre le labbra si contorcevano su quella smorfia liberatoria e sconfitta. Non mi si oppose. Non potevo toccare la sua pelle, ma mi avrebbe lasciato guidare le sue dita.
 
Abbassai lo sguardo sul collo sottile, sensualmente ripiegato all’indietro, seguendone la curva appena accennata e infinitamente erotica. Teso. Ogni tendine sembrava trasformarsi in ferro, rendendo squisitamente divaricate le gambe snelle e dalla carne bramata. “Lasciami fare” lo pregai ancora, ottenendo in cambio un sorriso divertito.
 
Un gattino sadico: questo era diventato.
 
Scosse la testa, mordendo la bocca, inarcando il busto e gemendo forte. Contro i jeans qualcosa sfregava con insistenza, rendendo accigliando il mio volto e sofferente il mio sguardo. Mi accarezzò il viso, quasi intenerito, ma non mi avrebbe concesso quel privilegio che tanto imploravo, lo sapevo bene. Accelerai il ritmo del polso, desideroso di fargli conoscere la mia insoddisfazione. La mano sotto la mia tremò visibilmente, serrandosi con eccessiva forza sulla pronunciata erezione che stava accarezzando.
 
Quante volte lo avevo immaginato in quel modo? Quante volte avevo fantasticato su di lui? Sulla sua immagine, supina o inginocchiata, tra le lenzuola disfatte o sul fondo della vasca, mentre gli ansimi si susseguivano, scandendo con la loro licenziosa condotta il ritmo di quell’orgasmo auto-procurato.
 
“Sei bellissimo” mormorai, sulla sua bocca di rose, sfiorandola con la lingua e cercando i suoi occhi. Parve illuminarsi, così come il colore delle sue guance, che dal pallore del latte si tramutò nell’acceso porpora dei tulipani.
 
Attraverso le pareti della mia camera ogni suono raggiungeva il corridoio, riecheggiando per tutto l’appartamento e poi a ritroso, fino al mio cuore in tumulto. Abbandonai la fronte contro la sua, portando lo sguardo alla finestra dalle tende scostate. Lì, oltre il vetro e il vialetto di casa, Seul era ancora gremita di gente indaffarata. Nel palazzo di fronte riuscii a scorgere la figura di una donna, di spalle, mentre posava in frigo della verdura o qualcosa di molto simile.
 
Ebbi un presentimento.
 
La mano si mosse veloce fino al comodino, dove la piccola abatjour (che il mio dolce gattino aveva insistito perché prendessi) lanciava tenui bagliori di luce rossastra sui nostri corpi vicini ed eccitati. Ne cercai a tastoni l’interruttore, maledicendo mentalmente quei languidi gemiti sospirati al mio orecchio sinistro, che mi impedivano un fermo controllo delle mie attività motorie e celebrali.
 
“Bummie…” mormorai, stringendo tra i denti la pelle delicata del suo collo da cigno. Sussultò sotto le mie labbra, mentre la stanza piombava infine nel buio improvviso, che lo spinse a boccheggiare e tentare di rimettersi seduto. “Calmo… non voglio fare nulla” lo rassicurai, accarezzando i sottili capelli di grano e le guance accaldate “Temevo potessero vederci” aggiunsi, e i suoi muscoli tornarono finalmente a rilassarsi.
 
Il respiro, ancora irregolare e frustrato, mi sfiorava le labbra e le palpebre, spingendomi inesorabilmente verso quello strapiombo di emozioni dal quale avevo, per un solo attimo, ripreso fiato. “V-Va be-bene” balbettò, timoroso in ogni movimento, quando poi la sua gamba destra tornò a scontrarsi contro l’eccitazione che i miei pantaloni nascondevano.
 
“Il mio micetto ha perso coraggio…” lo schernii, ondeggiando delicatamente sul suo membro eretto, ancora una volta, con la mia mano che guidava la sua verso un orgasmo sicuramente prossimo all’apice. “Posso approfittarne…” mormorai, cercando i suoi occhi, nel debole bagliore di quei lontani riflessi di luna, che serpeggiavano attraversò le lenzuola disfatte, raggiungendo il profilo in penombra e facendomi dono della sua bellezza.
 
Allontanai con un calcio i jeans ormai inutili, che rotolarono giù dal letto, finendo accanto ai boxer grigi e neri che poco prima si era sfilato. “Aiutami” lo provocai, portando le sue dita all’elastico e incitandolo a liberarmene. Deglutì rumorosamente, talmente imbarazzato da strapparmi una risata. Strinse le labbra infastidito, tirando giù il mio intimo con un movimento veloce e altezzoso. La mia erezione scattò istantaneamente in avanti, scontrandosi con la sua, procurando ad entrambi una roca quanto esaltata reazione.
 
“Ho vinto io” sbiascicò, orgoglioso in ogni cellula di quel meraviglioso corpo incantatore “Non ci riesci. La vista non basta” concluse, trionfante, stringendo le braccia intorno alle mie spalle, mentre mi invitava silenzioso a sovrastarlo col mio peso.
 
“Uno a zero per te” concessi, impaziente e nuovamente eccitato, incontrando con un gemito sordo e prolungato la vellutata pelle delle sue cosce dischiuse. All’altezza del ventre e poi più in giù, fino all’inguine, ogni tendine tornò a contrarsi, rispondendo a quell’imbarazzante contatto con la forza di una scarica elettrica in pieno petto.
 
“J-Jong…” miagolò, stringendomi più forte, graffiando e mordendo ogni angolo di anima a lui esposto. Concessi alle dita libero arbitrio, ed esse presero a muoversi frenetiche, lungo quel corpo dal profumo di vaniglia, le cui delicate fattezze non potevano far altro che aumentare la mia fame. Serrai le cosce nella mia morsa, per poi lasciarla risalire lenta fino ai glutei, lì dove la mia irruenza lo costrinse ad inarcarsi con disperazione, sussurrando al mio orecchio parole sconnesse e gemiti strozzati.
 
Il liquido contro lo stomaco mi sorprese, così come mi incendiò il sangue, obbligandomi a mordere con traboccante gratitudine la sua bocca ancora aperta, dalla quale il suo richiamo di piacere stava infine venendo fuori. Non lo avevo toccato. Non lì, almeno. Solo abbracci, baci, carezze bisognose. Il seme sugli addominali scivolò caldo, fino alla mia erezione, oscurando ogni giudizio con la sconvolgente testimonianza del suo orgasmo.
 
Afferrai con forza eccessiva il polso sottile, guidando le dita affusolate incontro ai miei istinti. Non oppose resistenza, assecondando, tacitamente sottomesso fino alla soddisfazione del mio bisogno. Abbandonai la fronte contro il suo collo, respirando a fatica sull’armoniosa curva delle spalle. Le labbra intrappolarono un lembo di pelle, inumidendolo di saliva, torturandolo tra i denti fin tanto che il ritmo acquistava velocità.
 
“Kibum” lo chiamai, mentre il piacere stravolgeva i sensi, rendendo rigido ogni muscolo e più strozzata la mia voce che, come in un’incontrollata cantilena, invocava il suo nome attraverso ogni battito e ogni respiro.
 

*****

 
L’aria del mattino era sferzante e gelida, schiaffeggiava il viso con l’impetuosità del vento, trapassando le ossa e i muscoli in movimento. Minho teneva lo sguardo puntato sulla strada, correndo al fianco del suo vicino di casa, che con il sorriso radioso e una volontà pazzesca, manteneva ritmi assurdi ad ogni nuova svolta. Di fronte alla stazione ferroviaria superarono un paio di ciclisti svogliati, che con la bottiglietta alle mani e sguardo assente, affiancavano una grossa vettura dai vetri oscurati.
 
Il salumiere del terzo distretto tirò su la saracinesca della sua piccola attività commerciale, sorridendo ai due ragazzi con insolita cordialità. “Si sarà abituato a vederci passare di qui ogni mattina” commentò il più alto, rallentando sul ciglio del marciapiede in attesa del semaforo. Jonghyun ne approfittò per portare una mano alla tasca dei pantaloni, nella quale il suo palmare aveva preso a vibrare già da un paio di secondi.
 
Sorrise, con lo sguardo rivolto al display, ridestando l’interesse di Minho. “Gli manco…” mormorò, tutto gongolante. Il più piccolo scosse la testa, ridendo piano, indicandogli la luce verde mentre ricominciava a correre. Le vie si univano e si separavano, attraverso quel complesso disegno urbano che era la città di Seul. I bidoni dell’immondizia, diligentemente liberati durante le ore notturne, offrivano rifugio ai pochi randagi della zona che, tra le spesse pareti di acciaio e lamiera, cercavano riparo da freddo e sporadiche piogge.
 
“A ora finisci oggi?”
 
Jonghyun sollevò gli occhi al cielo, arricciando le labbra. “Ho sentito dire che il professore di lingue non farà lezione, quindi… per le dodici, credo” rispose, passando la mano sulla fronte sudata e appiccicaticcia. Minho annuì, porgendogli la propria asciugamano. Le nuvole iniziavano ad addensarsi, oltre le montagne, formando una grande coltre grigiastra e temporalesca.
 
“Passi da noi dopo? Kibum aiuta Tae con la matematica” si premurò di precisare, lasciando che la propria corsa raggiungesse un ritmo più morbido e rilassato, giacché di metri tra loro e il portone di casa ne erano rimasti davvero pochi.
 
“Ah, pomeriggio intendi?” il più grande grattò nervosamente la nuca, fermandosi di fronte agli scalini e deviando lo sguardo. Minho soppesò la sua espressione, fin troppo acuto per non notare quel sottile velo d’ansia che ne stava velocemente offuscando la sincerità. “Vado al negozio di Jinki-Hyung dopo. Non sono sicuro di finire presto oggi. Sai… merce da sistemare, scatoloni da buttare” divagò, facendo grandi cerchi nell’aria con gesti irrequieti e tono malfermo.
 
“Capisco” lo assecondò facilmente il più alto, prediligendo un atteggiamento paziente e accomodante, piuttosto che un attacco diretto e per niente fruttuoso. Jonghyun si irrigidì ulteriormente, incrociando per un secondo gli occhi attenti di Minho, per poi chinare nuovamente il capo e nascondere la propria smorfia infelice contro la morbida spugna dell’asciugamano.
 
Si separarono sul portone d’ingresso, come ogni mattina. Il più giovane sarebbe rincasato per primo, mentre l’altro ragazzo avrebbe proseguito fino alla pasticceria infondo alla strada, dove era solito comprare la colazione al proprio fidanzato.
 
Sulla soglia del grazioso locale, completamente vestito di bianco e con il viso imbrattato di farina, Jin attendeva l’arrivo dell’amico. L’insegna aveva da poco preso a lampeggiare, indicando con le proprie sfumature rosa e verdi che l’attività giornaliera era ormai iniziata. I sacchetti tra le mani, due e di medie grandezze, portavano sul fronte il logo del locale, nonché un cordiale saluto a favore del cliente di turno.
 
“A te!” esclamò il gioviale ragazzo, allungando a Jonghyun le prelibatezze ancora calde “Ho messo un segno sulla bustina di Hyuri. Non confonderli, mi raccomando!” la pacca sulla spalla arrivò vigorosa, come ogni mattina, scuotendo il corpo e rallegrando gli animi. Il più piccolo si sforzò di sorridere, mettendo da parte i pensieri e scambiando qualche chiacchiera con l’altro ragazzo.
 
Il canto degli uccelli, che fosse estate o inverno, non variava mai. Risvegliava gli abitanti insonnoliti, spingendoli ad alzare lo sguardo deliziato, tra rami, cespugli e cornicioni sporgenti. Piccoli volatili dai colori caldi e gentili, che si librassero in cielo o zampettassero sul marciapiede, il sol vederli era una gioia per gli occhi. Dorso bianco, piume pece e avorio, gambine sottili e ugola canterina.
 
Jonghyun ripescò dalla felpa le chiavi di casa, che tentennarono l’una contro l’altra, unendosi per un sol momento a quel melodioso insieme di suoni e rumori che segnavano la sua mattina. Contro l’asfalto le biciclette correvano veloci, caparbiamente montate dalla miriade di bambini con ginocchiere e zaino in spalla. La scuola elementare non si trovava lontano.
 
Un poliziotto, incaricato di sorvegliare le zone collegiali, sollevò prontamente un braccio, invitando un grosso camion a dare la precedenza ai pochi passanti. Il guidatore rallentò senza lamentele, chinando brevemente il capo in direzione dell’uomo in uniforme, che rispose al suo gesto con un cordiale “Buongiorno a lei”.
 
Le scale le salì veloce, oltrepassando il variopinto tappeto all’ingresso e gettando con poca grazia le scarpe consunte in un angolo della cucina. Terriccio e fango imbrattarono il battiscopa, e Jonghyun storse il naso, intimidito dalle possibili lamentele del suo tenero micetto. “Meglio lavarle via prima che se ne accorga” mormorò, annuendo a se stesso, quasi congratulandosi per la geniale pensata.
 
Le tazze si trovavano già sul tavolo, e il brik del latte ci stava proprio in mezzo, accanto al barattolo con i biscotti e la zuccheriera. La porta del bagno cigolò appena, rivelando l’imminente arrivo di Kibum. Jonghyun si affrettò ad afferrare la propria tracolla, che penzolava disordinatamente da uno dei ganci accanto allo stanzino. Il dolce destinato a Hyuri ci finì dentro, velocemente e con poca cura, mentre il più piccolo varcava la soglia della cucina, con i capelli ancora umidi e le maniche della maglia arrotolate.
 
“Vai a fare la doccia” disse al proprio coinquilino, sfiorandogli la guancia con un piccolo bacio “Ti aspetto” aggiunse, indicando la colazione e arrossendo vistosamente. La pelle ruvida si scontrò con quella di velluto, nel punto in cui le dita del maggiore sfiorarono il viso di Kibum. Quest’ultimo abbassò ubbidiente le palpebre, facendosi più vicino e lasciandosi stringere.
 
Le braccia attorno alla vita sottile si chiusero con necessità improvvisa, incastrandosi l’una all’altra, mentre lo sguardo combattuto di Jonghyun scompariva oltre il collo del più giovane, affogando nel dolce profumo del ragazzino la propria disperazione.
 
“Mi sei mancato…” mormorò debolmente, e il sorriso gentile che gli sfiorò la guancia riuscì infine a lenire il suo tormento.
 

*****

 
La notte trascorse lenta, infastidita da mille pensieri e supposizioni, e quando l’alba arrivò decisa, illuminando la stanza e con essa la figura fra le lenzuola, Jinki era già sveglio e con lo sguardo rivolto al soffitto. Non prestò attenzione alla colazione, né tantomeno ai vestiti da ripiegare o alle faccende di casa, che aspettavano di essere ultimate. Aprì con un movimento deciso l’armadio, estraendone il pesante giubbotto e un paio di guanti dalle fredde tonalità blu e azzurre.
 
“Jonghyun non dovrà mai saperlo” si disse, ad alta voce, afferrando le chiavi e trattenendo una smorfia. Sul pianerottolo, non senza un minimo di sensi di colpa, si nascose dallo sguardo dolce del piccolo Taemin che, già sulla porta, si accingeva ad andare a scuola in compagnia del suo grosso coinquilino. Anche Minho non sembrava affatto tranquillo.
 
Le occhiaie appena pronunciate, al di sotto dei grandi occhi scuri, lasciarono intuire al maggiore che non solo la propria notte era trascorsa tormentata. Sulle scale fino al cortile affrettò il passo, eliminando così ogni possibilità di incrociare nuovamente i vicini di casa. All’Università non avrebbe dovuto tenere lezioni. Come giustificare con gli amici quella passeggiata mattutina, con cipiglio severo e pugni serrati, proprio nei pressi della facoltà?
 
“Non credevo avrebbero mandato te” mormorò Byung-Hee, ai piedi del grosso albero, con la sigaretta alle labbra e sguardo derisorio. Jinki strinse gli occhi, muovendo un passo verso di lui, furioso quanto insonne. “E’ stato quello grosso, non è vero? Ieri, vicino all’aula di scienze” la mano guantata incontrò il possente tronco, facendo leva sull’avambraccio e aiutandolo a rimettersi in piedi. “Sei qui per minacciarmi?”
 
La bocca piena si mosse lenta, trasformando il volto gentile dell’assistente di laboratorio in una maschera fredda e assolutamente inaspettata. Sorriso sfrontato e sguardo diretto, completavano l’espressione di quel giovane uomo che ben pochi avevano avuto il privilegio di conoscere fino in fondo. “Le minacce sono per i disperati” rispose, serio e affatto impaurito.
 
Gli anfibi neri scalciarono irrequieti, mentre la bassa risata di Byung-Hee giungeva acuta e pressappoco costernata. “Mi sorprendi Lee” ammise, lasciando aderire le spalle al grande arbusto, ma senza rilassarsi davvero. “Avevo un’opinione del tutto sbagliata su di te” concluse, percorrendo svogliatamente il corpo del più grande, con sguardo affilato, esaminando con rinnovata attenzione quella sorprendente scoperta che si era rivelato essere il giovane docente.
 
“Credi di conoscermi?” la domanda venne posta con divertita arroganza, ma non vi era traccia di divertimento alcuno sul volto dell’interpellato. “Non sono un violento, Jung” precisò, facendo spallucce e affondando le mani nelle tasche profonde “Non ho nessuna intenzione di sporcarmi le mani con qualcuno come te” aggiunse, indicando con sdegno e repulsione l’insolente ragazzino sul quale, evidentemente, si era fatto in passato un’opinione più che errata.
 
“L’unico erede di Jung Min Young” cantilenò, irriverente e affatto impressionato “Nessuno ti scambierebbe per un miliardario, lo sai?” si beffò così del suo abbigliamento insolito, ridendo compiaciuto della smorfia irritata che ricevette in cambio. “Forse la mia famiglia non possiede tanto denaro quanto la tua, però… possiamo vantare una lunga sfilza di uomini giusti e rispettabili, a farci da predecessori. Mio padre, ad esempio, è stato docente e poi rettore, in questa facoltà. Lo sapevi?”
 
Byung-Hee non rispose, serrando la propria presa attorno al pacchetto squadrato e malconcio che ancora teneva in mano. L’intero involucro si accartocciò tra le sue dita, spezzando i sottili corpi bianco e senape, dai quali il tabacco venne irrimediabilmente fuori, subito trascinato via dall’improvvisa raffica di vento che investì, con vigore crescente, i due interlocutori.
 
“I soldi non possono comprare chiunque. Il rispetto verso la sua memoria avrà per loro molto più valore delle tue promesse” decretò Jinki, facendo un passo avanti e intrappolando il suo sguardo al proprio “Per quelli come voi non conta nulla, se non l’immagine che la gente possiede della vostra autorità. Mi basterebbe riportare ciò che Minho ha sentito, e saresti gentilmente invitato ad abbandonare questa facoltà in un battito di ciglia”.
 
“Le voci si muovono in fretta, tanto più se riguardano persone importanti e dall’impeccabile condotta… come tuo padre. Non è sempre un pregio essere ricchi, non è vero?” aggiunse, disinvolto, sorridendo mellifluo e tirandosi nuovamente indietro. “Stai lontano da Kibum, Jung. Come ho già detto… le minacce sono per i disperati”.
 

*****

 
La penna a sfera scorreva veloce sul foglio immacolato, colmandolo di formule, definizioni e schizzi di vario genere. Il libro sulla destra, aperto alla pagina 45, veniva sfogliato di malavoglia dal più giovane tra i presenti, costantemente accompagnato dal continuo sbuffare del suo proprietario.
 
“Non ci capisco niente!” si lagnò Taemin, gettando da parte la calcolatrice e scivolando con un’imprecazione ancora più in giù sulla sedia. Gli occhi felini si lavarono a cercare i suoi, spazientiti e indignati.
 
“Non ci stai neanche provando!” lo contraddisse Kibum, pignolo in tutto ciò che riguardava lo studio e il corretto apprendimento. “Usa la formula che ti ho insegnato poco fa. Non mi sembra poi una cosa così difficile!” esordì, indirizzando la manina affusolata del più giovane verso il quaderno, per poi indicare con un gesto deciso del capo la pagina del libro da esaminare.
 
Taemin arricciò le labbra, giungendo le sopracciglia, mentre il suo evidente stato di concentrazione strappava un sorriso al rigido insegnante. “Cambia i segni…” mormorò il biondo, intenerito dalle spalle ricurve e la testolina ciondolante verso il basso. “Il resto è giusto. Vai avanti”.
 
Minho, dall’altra parte della stanza, con un pacco di patatine tra le braccia e il telecomando in mezzo alle gambe, fissava il televisore muto, seguendo un telefilm dalle inquadrature oscene e la sceneggiatura peggiore che avesse mai visto. “Che abominio! Avrebbero potuto utilizzare anche un cane parlante, se lo scopo era quello di inorridire lo spettatore!” borbottò, scuotendo la testa e spettinando i capelli con la mano destra.
 
“Perché lo guardi, se non ti piace?” chiese Kibum, divertito dalle sue continue lamentele. Minho era un appassionato di cinema, al punto di collezionare vecchi film ormai usciti di produzione e alle cui pellicole riservava una particolare, quanta maniacale, cura e devozione.
 
“Mi hai rubato il fidanzato!” protestò di rimando il moro, puntando lo sguardo sul suo giovane coinquilino che, in quel momento, con un sorriso radioso e l’espressione stralunata, indicava al più grande il problema risolto.
 
“Non ci credo, Hyung! Ce l’ho fatta!” ripeteva, elettrizzato dai propri progressi. Kibum gli accarezzò con benevolenza la zazzera castana, propinandogli immediatamente un secondo quesito, assai più difficile del precedente. “Non posso gioire almeno per cinque secondi?” si lamentò il più piccolo, volgendo i suoi occhioni supplichevoli in direzione del biondo.
 
“Te ne concedo tre” sentenziò quest’ultimo, facendo spallucce e ricominciando a scrivere sul proprio block notes. Aggiunse poche righe, sotto la dicitura note, scritta in bella grafia e con l’inchiostro rosso, per poi tirare un profondo sospiro e sorridere del proprio operato. “Con questo non dovrebbe avere problemi” decretò, mettendo da parte i libri di fisica e biologia.
 
Minho, incuriosito da tanto impegno, rubò da sotto il suo naso il grosso blocco a righe, dalla copertina color prugna e le pagine piene di appunti. “Ma è tutto il programma di base?!” esclamò, impressionato “Non dirmi che lo hai fatto per Jong?!” continuò, con ammirazione, incurante dell’enorme imbarazzo che aveva colpito Kibum alla sua affermazione.
 
“E’ da dieci giorni che ci lavoro” ammise, rosso in volto, abbassando lo sguardo sulle mani nervose “Ne ho fatto anche uno di inglese. Lui… beh, Jongie è negato con le lingue” aggiunse, sorridendo timidamente, mentre dalla sua tracolla tirava fuori un altro block notes e due quaderni “Pensavo di darglieli stasera”.
 
Kibum, sotto gli sguardi comprensivi e divertiti degli amici, se la diede velocemente a gambe, fingendo un urgentissimo bisogno di utilizzare la toilette. “Sei un idiota!” si rimproverò, puntando un dito contro lo specchio e rivolgendo una smorfia risentita al proprio riflesso “Quello scimmione senza cervello finirà col montarsi la testa!” sbraitò, schiaffeggiandosi il volto quando, al sol pensiero di Jonghyun, tornò a sorridere come un povero mentecatto.
 
“Ah, ci rinuncio!” strillò, agitando per aria le mani e muovendosi frettoloso in direzione della porta. Fu proprio allora che gli occhietti affilati incrociarono qualcosa, sul bordo del lavandino, all’interno di una piccola tazza di ceramica dall’impugnatura arrotondata e lo sfondo color ocra. Gli angoli delle labbra si sollevarono impercettibili, mostrando una premeditata quanto malvagia vendetta, pronta per essere messa in atto.
 
“Ma che carini!” squittì, attraversando il corridoio con andatura ciondolante e passo spedito. La cucina, ancora piena di mormorii e osservazioni divertite, piombò immediatamente nel silenzio più totale. Kibum, gongolante nella sua scoperta, superò la soglia con un sorriso sincero e affatto risentito. “Credo si sia fatta ora di andare!” commentò, controllando l’orologio da polso.
 
Raccolse rapido le ultime cose, indirizzando uno sguardo beffardo ai due piccioncini, ancora ignari delle sue intenzioni. “Adesso puoi continuare anche da solo” aggiunse, in direzione del minore. Taemin annuì, soppesando l’espressione di Kibum e mordendo nervosamente il labbro inferiore. Quell’improvviso cambio d’umore non gli lasciava presagire nulla di buono.
 
“Solo una curiosità…” esordì il biondo dall’ingresso, con un piede sul pianerottolo e l’occhietto furbo di chi sta già pregustando la propria vittoria “Di chi è stata l’idea?”
 
Minho sbatté le palpebre, confuso, incrociando lo sguardo del proprio coinquilino per poi cercare nuovamente quello di Kibum. “Gli spazzolini” chiarì quest’ultimo, nascondendo il proprio ghigno divertito dietro le lunghe dita affusolate “Sono quelli per le coppie, no? Azzurro per il ragazzo e rosa per la ragazza, ma… Oh beh! Non voglio star qui ad importunarvi con le mie domande!”
 
La porta si richiuse sulla sua espressione raggiante, mentre l’eco fin troppo gioviale della sua “Buonanotte!” si perdeva tra le quattro mura di quella misera cucina, adesso fatalmente piombata… nel più totale imbarazzo!
 

*****

 
Con Jihun alla guida e Abel accanto, sospirai pesantemente, incrociando le braccia sul petto e volgendo lo sguardo verso il finestrino. Percepii la sua apprensione per tutto il tragitto, nonostante nessuna considerazione venne realmente rivelata. Quel ragazzino taciturno e dalla personalità schiva, non avrebbe manifestato apertamente i suoi pensieri e, almeno in quel momento, gli fui grato per il suo silenzio.
 
Non avevo previsto quella svolta. Credevo che Choi sarebbe andato di filato da Jonghyun, rivelandogli le mie intenzioni e obbligandomi così ad un nuovo scontro diretto. Quello che invece si era messo in mezzo era stato Jinki e, ad onor del vero, temevo molto di più un carattere riflessivo come il suo, che uno impulsivo e precipitoso come quello del capellone.
 
“Mi ha messo alle strette!” sbottai, spazientito, liberandomi dei guanti e gettandoli da parte.
 
Jihun cercò il mio sguardo, attraverso lo specchietto retrovisore, stringendo le labbra e scuotendo la testa, rammaricato. Non avevo avuto scelta. Quando mi ero reso conto della presenza di Minho era ormai troppo tardi. Se avessi rivelato anche a Seung Su la sua posizione avrei finito col metterlo nei guai.
 
La rabbia di Jonghyun, seppur pericolosa, sarebbe stata un sentimento facile da gestire. L’amore ti rende schiavo delle passioni, e raggirare un’emozione rappresentava per me un’impresa da poco. Ma con Jinki le mie tattiche non avrebbero funzionato. Non mi sarebbe bastato dirgli “Si, voglio prendermi Kibum”. Lui non si sarebbe scomposto di una virgola, mandando così al diavolo la mia intenzione di deviare la loro attenzione dalla questione principale ad una secondaria.
 
“Non potevo fare altrimenti” ammisi, massaggiando le tempie doloranti e imprecando ancora. “Deve sapere tutto quanto. E’ l’unica soluzione”.
 
Nessuno proferì parola. Rimasero semplicemente in silenzio, ognuno immerso tra i propri pensieri e le proprie paure. Abel sollevò una mano, a capo chino, afferrandosi alla mia giacca poco prima di scivolarmi addosso. La fronte contro la mia spalla, solcata da piccole rughe appena visibili, chiaro sintomo di nervosismo e angoscia, mi spinsero a cercare qualcosa in più da dire.
 
“Non è una cattiva persona” lo rassicurai, accarezzando dolcemente i capelli lisci. Le palpebre si strinsero l’una all’altra, con più forza di prima, aggrovigliandomi lo stomaco. “Kibum è importante per lui. Il fatto che io mi sia avvicinato a Seung Su lo preoccupa. In realtà, credo che potrebbe perfino sospettare qualcosa sul reale pericolo che quel ragazzo rappresenta”.
 
“Dici?” mi interruppe Jihun, accostandosi sulla destra. Il leggero ticchettio prodotto dalla freccia, appena inserita, accompagnò le mie ultime osservazioni mentre, in lontananza, la figura di Lee Jinki diveniva via via più nitida e vicina.
 
“Non è uno stupido. Ha preso informazioni su di me, quindi… sono certo che anche Park non sia passato inosservato” confermai, spostando lo sguardo sull’espressione fredda e decisa dell’assistente di laboratorio.
 
“Sembra un ragazzino” mormorò Jihun, spegnendo il motore. Il primo lampo squarciò il cielo, subito seguito dal fragore assordante del tuono. La pioggia cadde all’improvviso, colpendo il parco e l’intera città, mentre passi lenti e sicuri guidavano Jinki verso la nostra auto.
 
“Dovrebbe avere la tua età” lo corressi, con una piccola smorfia, notando solo in quel momento quanto lo sguardo del mio migliore amico fosse diventato attento ed interessato. “Jihun?” lo richiamai, scuotendolo piano per una spalla. Si voltò a guardarmi, sereno e appena sagace.
 

“Non è male…”

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Capitolo 32
*** Fiducia incondizionata ***


 

Capitolo 31 - Fiducia incondizionata

I fari delle auto fendevano la notte, come spade di luce al calar del sole, illuminavano l’asfalto e la città deserta. I giubbotti appesantiti dalla pioggia erano stati messi da parte all’ingresso, tra l’elegante soprabito per le occasioni importanti e l’austera uniforme dei giorni lavorativi. La libreria e lo scrittoio, entrambe in legno di noce e dal taglio pregiato, occupavano la parete ovest dello studio, insieme alla semplice poltrona panna e oro, e al sottile candelabro dall’impugnatura in ottone.
 
Il fascicolo tra le mani venne gettato via, mentre le labbra carnose si tendevano disgustate, rendendo rigida la mascella e con essa la postura del docente. “Non mi stai dicendo tutto” decretò, con tono severo, cercando gli occhi del suo interlocutore. Jihun, di fronte a lui, rise brevemente a quell’affermazione, accavallando le gambe e allentando la cravatta.
 
“Il professorino è in gamba” osservò, rivolto al suo migliore amico, in piedi accanto alla finestra.
 
Byung-Hee non rispose, accennando un semplice segno di assenso in direzione di Jinki. “Ti ho detto quanto basta” rispose, democratico “Il resto ti darebbe solo noie inutili” aggiunse, spegnendo la sigaretta, per accenderne subito dopo una seconda.
 
Una mano affusolata, dalle dita leggere e la pelle pallida, si tese prontamente nella sua direzione, rubandogli l’accendino con impacciata apprensione. “Ti fa male” si giustificò il ragazzino, deviando lo sguardo. Un’innocua carezza scompigliò i capelli biondi, donando al viso delicato un colorito quanto meno accentuato.
 
Spalla contro spalla, Abel mantenne il capo chino, mordendo distrattamente il labbro inferiore sotto lo sguardo interrogativo di Jinki. “Dimmi che non è quello che penso” mormorò l’assistente di laboratorio, sospirando pesantemente. Nuove congetture avevano preso forma tra i suoi pensieri, incupendo l’espressione e rendendo fastidiosamente pulsante il fluire del sangue nelle vene.
 
Si abbatté con forza sulla scrivania, quella mano usualmente gentile e dalle unghie curate, trasmettendo con un singolo gesto la totale disapprovazione che il più grande provava. “E’ solo un ragazzino!” urlò, fuori di se, mettendosi in piedi ormai furioso. Gli occhi di Byung-Hee osservarono la sua marcia con stanco disinteresse, e i pensieri della persona al suo fianco riuscì a percepirli ancor prima che questa avesse il tempo di agire.
 
Lo spostamento d’aria fu appena percettibile, mentre Abel si spostava protettivo sulla sinistra, interponendosi a Jinki. “E’ una mia scelta” affermò, convinto, affrontando gli occhi nocciola con inaspettata tenacia. “Non sono così puro come credi” sussurrò ancora, scivolando abilmente tra le braccia del docente che, incredulo quanto sconvolto, si tirò rapidamente indietro.
 
“Raccontami tutto” ringhiò feroce, rivolto a Byung-Hee, ma questi scosse ancora una volta il capo, irremovibile. “Hai intenzione di usarlo, vero?!” sputò fuori con astio, stringendo i pugni lungo i fianchi, mentre anche Jihun si decideva finalmente ad intervenire.
 
 “C’è un accordo tra loro” dichiarò, stringendosi nelle spalle “Un accordo dove né tu né io abbiamo voce in capitolo” aggiunse, indicandogli nuovamente la sedia. Non c’era comprensione in fondo ai suoi occhi, ma l’agente Park non si aspettava niente di diverso, e si limitò ad allungare una mano verso il secondo cassetto dello scrittoio, da dove un nuova cartelletta in pelle nera, dalla rilegatura fine e precisa, venne velocemente tirata fuori.
 
“Conosci bene il passato del ragazzo” sentenziò, imponendo il proprio sguardo deciso a quello del docente “Ma quanto ne sai di suo padre?” incalzò, stringendo tra le dita i documenti privati su cui l’attenzione di tutti si era rapidamente concentrata. “Nessuna prova certa. Carichi fantasma. Navi mercantili intercettate in mare aperto. Persone scomparse nel nulla, e bordelli pieni di ragazzini senza nome”.
 
Jinki deglutì a fatica, serrando la propria presa attorno alle braccia squadrate della sedia, fin quando le nocche divennero bianche e il fiato spezzato. “Traffico di persone” concluse, appena udibile, suscitando nel più piccolo dei presenti un lungo brivido di terrore. Byung-Hee chiuse per un attimo gli occhi, tirando a sé il corpo tremante di Abel, pronto a frantumarsi come il più fragile tra i cristalli. Ricordi lontani diedero vita a quel singhiozzo strozzato, sul cui dolore le carezze del maggiore arrivarono premurose, lenendo per quanto possibile il suo pianto silenzioso.
 
“Seung Su è solo una pedina, e Kibum un fuori programma” la scrivania venne sommersa di volti, immagini in bianco e nero di vite spezzate, la cui esistenza era stata crudelmente recisa da uomini avidi e privi di scrupoli “Sono loro le vere vittime” dichiarò, orribilmente consapevole, e la gravità del suo tono gelò il sangue di Jinki… come il più atroce e spietato fra gli inverni.
 

*****

 
Le nuvole si diradarono in cielo, oltre i tetti delle case e il viale illuminato, mentre la mano forte si muoveva irrequieta, tastando le lenzuola disfatte e il letto vuoto. “Kibum?” lo chiamò, con voce roca, stropicciando gli occhi per poi richiuderli. Le tapparelle ancora abbassate. L’appartamento avvolto nel silenzio.
 
Grattò la testa, svogliato, mettendosi lentamente a sedere e gettando da parte le coperte. Rise distrattamente, riscoprendo con un po’ d’imbarazzo la propria nudità. Gli slip li trovò sulla sedia, accanto alla scrivania, scrupolosamente ripiegati dal proprio coinquilino, insieme al resto dei vestiti. Un sospiro abbandonò le labbra, inevitabilmente increspate in un dolce sorriso.
 
Il brusio proveniente dalla cucina divenne ad ogni passo più chiaro, ma Jonghyun non si prese la briga di verificare l’identità degli ospiti; svoltò diretto verso il bagno, accarezzando Lucy e dandole il buongiorno. La cagnolina trotterellò alle sue spalle, giocosa, scomparendo insieme a lui oltre la porta cigolante.
 
“Si è svegliato” mormorò Kibum,  ravvivando i capelli con un filo di vanità. Minho seguì la sua figura, diretta ai fornelli, nascondendo a stento un sorriso divertito. Il biondo, per niente interessato ai suoi commenti sarcastici, sistemò una nuova tazza accanto alla propria, osservando con evidente orgoglio il proprio operato.
 
Le dita sottili si mossero apprensive lungo la maglia, rassettando qui e lì qualche piega. Taemin scostò amorevolmente un ciuffo dal volto del più grande, sorridendogli comprensivo. “Allora noi andiamo” annunciò, facendo un segno d’intesa in direzione del proprio coinquilino. Quest’ultimo annuì prontamente, raggiungendo l’ingresso.
 
“Grazie” mimò il biondo con le labbra, salutando gli amici sulla porta. Taemin e Minho gli diedero un bacio per uno, prendendosi poi per mano e scomparendo oltre le scale.
 
Rimasto solo in casa, Kibum tese l’orecchio, accertandosi che il getto della doccia fosse ancora in funzione. “Bene” dichiarò soddisfatto, raggiungendo veloce il frigorifero. L’involucro rigido, arrotondato sugli angoli e deliziosamente variopinto, venne depositato sul tavolo, insieme a due piatti gemelli e un paio di tovaglioli. Il bollitore sulla fiamma appena accesa. Le minuscole varietà di dolci gustosamente riposte al centro del vassoio.
 
I passi alle sue spalle, discreti e leggeri, lo costrinsero a trattenere il respiro, mentre due braccia robuste si stringevano gentili attorno ai suoi fianchi. “Bu-Buongiorno” balbettò, con gli occhi chiusi e il fiato corto. Jonghyun mormorò poche parole, appena comprensibili, sfiorando il suo collo con un estasiato sospiro.
 
“Quanto è dolce il mio gattino…” gli sussurrò all’orecchio, lusingando con la propria dolcezza il cuore emozionato di Kibum. Battiti veloci e prepotenti scandivano ogni parola, risuonando impetuosi tra le pareti dello stomaco, per poi risalire il suo corpo, fino alla gola improvvisamente asciutta. “Come hai fatto?” volle sapere, allungando una mano verso una tartina di fragole e ciliegie, la cui forma curata e arricchita con panna ricordava vagamente quella di una piccola barchetta.
 
“Mentre dormivi” rispose il più giovane, inspirando a pieni polmoni il dolce aroma del suo dopobarba “Minho e Tae sono venuti con me” precisò d’istinto, quando la presa sulla sua vita si fece improvvisamente possessiva.
 
“Non andartene in giro da solo” brontolò Jonghyun tra i suoi capelli “Non mi piace il modo in cui la gente ti guarda!” gracchiò, tirandoselo più vicino al petto, mentre la squillante risata dell’altro ragazzo riempiva la cucina. “Non è divertente, Bummie!”
 
Il biondo si mosse nel suo abbraccio, e le dita affusolate scomparvero nel caldo colore dei capelli ancora umidi, lisciandoli senza fretta, fintanto che i loro occhi restavano inevitabilmente allacciati gli uni agli altri. “Solo un pochino…” mormorò, con l’accenno di un sorriso. Guidò la mano sinistra del più grande fino alle proprie labbra dischiuse, spezzando tra i denti un pezzetto di quella morbida tartina dall’aspetto invitante.
 
“Com’è?” chiese Jonghyun, il cui sguardo intenso era stato in pochi attimi rapito e sedotto… da quella dolcissima forma a cuore che era la bocca del suo coinquilino.
 
“Vuoi provare?” propose il più giovane, segnando i contorni delle proprie labbra con la punta della lingua. Gli occhi felini resi liquidi dal desiderio, mentre le dita tremanti si chiudevano delicate attorno al collo del maggiore. La voce sottile vibrava ad ogni sillaba, così deliziosamente in contrasto con il velo di provocazione che il suo invito celava.
 
“Sono sicuro che ti piacerà…” soffiò, direttamente sulla sua bocca, e l’impetuosità di quel nuovo bacio non avrebbe potuto donargli soddisfazione più grande.
 

*****

 
Non ho mai pensato alla mia vita come un dono. Vivere era più un dovere, forse. L’unico obbligo a cui credevo di dover far fronte. Non per gli altri, ma per me stesso. Ad un certo punto, comunque, la necessità di chiedere al cielo una fine quantomeno dignitosa divenne ai miei occhi l’unica soluzione possibile.
 
I giorni si susseguivano, gli uni sugli altri. Sempre gli stessi. Il dolore si univa alle umiliazioni, mentre le settimane diventavano mesi… e i mesi anni. La sofferenza si trasformava in rabbia. La rabbia in rassegnazione. La rassegnazione in desiderio di morte.
 
Non volevo uccidermi. Credo mi sia sempre mancato il coraggio, in fondo, per un atto così drastico. Solo che chiudevo gli occhi, la sera, tra quelle quattro mura dallo stomachevole odore di sperma, e chiedevo al cielo: “Ti prego… fai che domani non arrivi. Permettimi di non vedere il nuovo giorno, e con esso l’inutilità della mia abominevole vita”.
 
Passarono due anni e mezzo da quella prima supplica, ma nessun Dio prestò mai ascolto alla mia voce. L’oscurità scivolava sul mio letto, ogni sera, ma io non riuscivo quasi a distinguere la differenza tra giorno e notte oramai. Le ombre dei peccati altrui si erano impadronite del mio cuore già da troppo tempo. Che differenza poteva fare, per me, che fuori ci fosse il buio o il sole?
 

- Poi conobbi lui -

 
Una promessa che mi spezzò il respiro, slittando attraverso la fitta nebbia delle mie reticenze, fino a dissolverle completamente. La sua vicinanza rimase costante nella mia vita, così calda e protettiva da restituirmi il sorriso. Percepivo il suo dolore, così differente eppure così simile al mio. Le ferite che si trascinava dietro erano talmente profonde da farmi piangere.
 
Fu così che mi resi conto di amarlo, sotto voce, tra le lenzuola pulite e gli abiti nuovi. Quella notte non vi furono preghiere, ma solo l’inaspettata consapevolezza… che il suo sorriso fosse diventato la cosa più importante che possedevo.
 
Lasciai l’appartamento alle prime luci dell’alba, come da abitudine. Avvertivo un turbinio di emozioni in fondo al cuore. Qualcosa di indefinito, ma estremamente piacevole. Mi sentivo leggero, quasi stessi volando a cavallo di una nuvola, verso un sogno da tempo desiderato e mai raggiunto.
 
Mancavano pochi giorni ormai.
 
L’odore di pioggia si fondeva con quello dell’erba, mentre attraversavamo il parco del sesto distretto, diretti al luogo che per anni interminabili aveva rappresentato la mia disumana prigione. Un incomprensibile formicolio mi attraversava la punta delle dita, ma alla causa di tanta trepidazione faticavo ancora a dare un nome. Con il senno di poi posso dire… che quelli furono i giorni più incredibili di tutta la mia vita.
 
La speranza di un’esistenza migliore soffocava ogni altra cosa, compresa la sempre più radicata idea che il mio salvatore stesse diventando per me fin troppo importante.
 
Lui mi sedeva accanto, offrendomi il suo braccio come sostegno. Non sono mai riuscito a dirgli grazie. Le parole mancavano quando mi stava vicino, e anche se tentavo disperatamente di negarlo, comprendevo bene quali sentimenti la sua persona suscitasse nel mio animo. Fu quella la mattina in cui Jihun si prodigò, senza preavviso, in un radicale quanto imbarazzante consiglio.
 
“Non farlo” disse, talmente severo da farmi tremare. Cercai i suoi occhi, ma erano puntati sulla strada. Byung si era appisolato, con la testa poggiata al sedile e la fronte aggrottata. Era stata una dura giornata quella appena trascorsa. Esporre Jinki alle possibili conseguenze che il loro piano avrebbe generato lo rendeva irrequieto e sfortunatamente insonne.
 
“Non capisco” tentai di sviarlo, ma la mia voce venne fuori talmente insicura da strappargli un sorriso. Non era divertito, bensì amareggiato. Riuscivo a percepirlo sulla mia pelle il suo sguardo rattristato, mentre parcheggiava silenzioso al limite del vialetto, ormai non più disposto a rimandare l’argomento.
 
“Sono spesso duro nei miei giudizi. Soprattutto con lui…” commentò a mezza voce, passando le dita tra i capelli con quello che mi parve un gesto tutt’altro che rilassato. “Anche quando porto avanti le mie teorie, però, so bene quanto la realtà differisca da ciò che dico”. Strinsi istintivamente le sopracciglia, più confuso che mai dalle sue parole. Mi parve un discorso assai enigmatico all’inizio, ma continuai a rimanere in silenzio, deviando lo sguardo fino al volto dormiente di Byung-Hee.
 
“Non ti ricambierà mai”.
 
 La durezza della sua affermazione mi penetrò i timpani, strozzando sul nascere quei sentimenti acerbi e probabilmente illusori. “Cerco di mantenerlo diffidente, imponendogli il mio punto di vista negativo. Non voglio che si strugga nell’attesa del suo giovane amore, ma… tutte le mie insinuazioni sulla possibilità che quel ragazzino non torni da lui sono solo miseri castelli di menzogne”.
 
Ogni parola gravava sul cuore, come fango e cemento, distruggendo tutto ciò che di irrealistico continuavo a fantasticare da giorni. Conoscevo la natura della sua pena. L’amore che gli avevano strappato continuava a vivere e crescere dentro di lui, ma mi rifiutavo di accettare l’idea di non poterne essere all’altezza.
 
“Non è stato l’unico ad uscirne a pezzi. Io li ho visti insieme, Abel” mormorò, mentre inafferrabili sfumature di dolore incrinavano la sua confessione. “L’inspiegabile certezza che il cuore di una persona ti apparterrà per sempre. Riesci ad immaginarlo?”
 
Lacrime amare offuscarono la vista. No, non riuscivo ad immaginarlo un amore incondizionato come il loro. Anni di attesa e di solitudine. Dolore, disperazione, rancore. Sapevo che Byung-Hee provava tutto questo, ma il fatto che continuasse ad aspettarlo… non dimostrava forse l’assoluta fiducia che continuava a riporre in quel ragazzo?
 
“Si ritroveranno. Ci sono legami che, semplicemente, non possono essere spezzati”.
 

*****

 
Starnutì rumorosamente, coprendo il volto con un fazzolettino pulito quando il suo coinquilino si voltò sorpreso ad osservarlo. “Hai preso il raffreddore?” si premurò immediatamente di informarsi il più grande, scostando la frangetta castana dai suoi dolci occhi imbarazzati. Taemin abbassò ritmicamente il capo, tentando invano di trattenere un nuovo starnuto.
 
“Mi sento un bambino con il naso a fontanella!” si lagnò, rosso in viso, sgusciando dall’abbraccio di Minho per paura di contagiarlo.
 
“Dove vai piccolo furfante?” risuonò allegro il richiamo del moro, che gli corse velocemente incontro, ignorando i suoi continui urletti di protesta. “Smettila di fare il difficile!” lo rimproverò, afferrandolo gentilmente per i polsi e riportandoselo vicino “Vieni qua…”
 
La felpa rossa, leggermente avvitata sui fianchi sottili, era stata perfettamente abbinata agli scarponcini di vernice e agli enormi guanti di lana. Minho scrutò con sguardo amorevole il tenero ragazzino che si agitava tra le sue braccia, spingendolo dolcemente verso una panchina poco distante. Adagiò a terra le buste della spesa, trascinandosi in grembo il più piccolo. La fronte era piuttosto accaldata, constatò, sfiorandola con le labbra dischiuse per verificarne la temperatura.
 
“Dovremmo tornare a casa” decretò infine, più che mai deciso a mettere a letto quella piccola peste.
 
“Abbiamo ancora delle cose da comprare” puntualizzò invece Taemin, sventolandogli sotto il naso la lunghissima lista compilata quella mattina “Il dentifricio sta per finire, e lo zucchero rimasto basterà giusto per un giorno o due” aggiunse, evitando accuratamente gli occhi divertiti del maggiore.
 
“Io credo che la tua unica preoccupazione siano i prodotti a fine pagina” lo canzonò Minho, scoppiando in una fragorosa risata quando le guance del suo dolce coinquilino presero velocemente fuoco. “Merendine e biscotti, mmh?” mormorò, ricordando il piccolo market poco lontano da casa “Li prendiamo sulla via di ritorno, non preoccuparti” concesse bonario, regalandogli un tenero buffetto sulla gote colorite.
 
“Non prendermi in giro!” piagnucolò Taemin, scansando con un gesto irritato le nuove carezze che il moro era stato in procinto di elargire. “Io mi preoccupavo anche di questa!” esclamò, puntando il ditino affusolato sulla quartultima riga della sua interminabile lista “Non dirmi che a te non interessa?” incalzò, sfrontato, sfoggiando un vittorioso sorriso quando fu il volto di Minho a divenire paonazzo.
 
“Andiamo!” decise per entrambi, afferrando la mano del suo gigante con frettolosa allegria “Per fortuna ho convinto omma a dirmi il nome del negozio!”
 

*****

 
Le dita tra i miei capelli si muovevano lente e leggere, soffermandosi con i polpastrelli sulla base della nuca, lì dove le sue carezze mi procuravano piacevoli brividi di desiderio lungo la schiena. Mossi istintivamente il capo incontro alla sua mano, e la bassa risata che seguì quel gesto involontario arricciò di rimando le mie labbra infastidite.
 
“Fallo ancora” soffiò sul mio orecchio, estremamente divertito nel suo tono sdolcinato e cantilenante. Sbuffai irritato, nascondendomi più infondo nel mio piccolo bozzolo di lenzuola e felpe ingombranti. “Continua a parlare. Non volevo che ti fermassi” precisò, forse dispiaciuto, stringendosi più forte alla mia schiena man mano che la distanza tra i nostri corpi diminuiva.
 
Sospirai in quel nuovo abbraccio, sconfitto in partenza dai suoi teneri occhioni da cucciolo. Spostai lo sguardo sul vetro appannato dalla pioggia, osservando mentalmente quanto avessi in realtà gradito quel temporale imprevisto e inizialmente criticato. Mi concedeva la possibilità di restare per tutto il giorno sotto le coperte, insieme all’insolente scimmione che proprio in quel momento aveva preso a punzecchiarmi  un fianco.
 
“Bummie?” si lamentava dolcemente, tirando in avanti le labbra carnose, così da mostrare un piccolo broncio tanto stupido quanto adorabile. L’indice e il pollice si chiusero con più forza attorno alla carne che avevano intrappolato, facendomi sussultare nuovamente sotto le sue torture.
 
“Sei insopportabile!” brontolai, fingendomi indignato, ma lui sorrise sulla mia guancia, depositandoci sopra tanti teneri bacetti appena accennati. Mi si strinse lo stomaco dinanzi al suo sguardo, in quel momento talmente vicino da costringermi a chiudere gli occhi.
 
“Ti posso baciare?” sussurrò timidamente, accarezzandomi le labbra con la dolce sensazione del suo respiro caldo e regolare. Annuii mestamente, irrigidendomi all’istante quando la sua bocca sfiorò gentile la mia, percorrendola subito dopo con la punta della lingua. Cedetti sognante alla sua muta richiesta, e del suo sorriso divertito riuscivo facilmente ad immaginarne ogni particolare.
 
Scivolò sul mio corpo, silenzioso e delicato, trattenendo il proprio peso sugli avambracci e piegando in avanti il busto. Jonghyun è sempre stato un tipo attento a queste piccole cose, come quando mi chiedeva improvvisamente di fare qualcosa per lui, magari recuperare un libro dalla sua stanza o spegnere il televisore, e quando tornavo a voltarmi tutti i panni appesi fuori erano stati magicamente raccolti.
 
Aveva la pelle intirizzita dal vento, perché magari le temperature si erano ulteriormente abbassate e fuori pioveva, ma non si lamentava di nulla né giustificava i propri gesti, sorridendo svenevole al mio sguardo interrogativo. Ricordo che un giorno gli chiesi: “Perché l’hai fatto? Stavo per raccoglierli io”. Lui allora mi aveva fissato, talmente buffo nella sua smorfia impacciata da farmi scappare un sorriso, e aveva risposto: “Oh, beh… non me ne ero accorto”.
 
Grandissimo bugiardo che era il mio scimmione.
 
“Mi stavi dicendo che la prossima settimana arriveranno i tuoi” disse a mezza voce, portando una mano sul mio fianco e l’altra al cuscino poco distante. Lo afferrò per un angolo, trascinandolo premuroso fino a me.
 
“Grazie” mormorai di rimando, sollevandomi appena e adagiandoci sopra il capo. “Si, si fermeranno un paio di giorni. Forse qualcuno in più” confermai distrattamente, allungando due dita fino ai suoi capelli, per poi giocherellare pigramente con qualche ciuffo un po’ più lungo. Avvertii una sensazione di inconsapevole vittoria, quando anche lui abbassò involontariamente le palpebre, sospirando beato alle mie carezze.
 
“Fallo ancora” lo presi in giro, sfiorando il suo naso con il mio. Non riuscii nel mio intento di deriderlo perché lui, assai più accomodante di quanto io potessi mai sognarmi di diventare, si limitò a farsi più vicino, strofinandosi ancora una volta contro la mia mano e unendo le nostre fronti.
 
“Contento?” rispose, incrociando i miei occhi. Sorrise al mio sorriso, facendo aderire la sua guancia alla mia mentre tornava ad abbracciarmi. “Quando ha scoperto di te?” chiese, appena udibile, probabilmente insicuro di fronte all’idea di aprire nuovamente un argomento così delicato.
 
“Diversi anni fa. Lo incrociai per strada all’uscita da un locale. Avevo un tizio mezzo ubriaco allacciato al braccio, e l’insegna del posto dove mi trovavo non lasciava spazio ad equivoci” spiegai brevemente, senza provare la minima vergogna per le mie azioni passate.
 
Jonghyun sollevò rapidamente il capo, puntando i suoi occhi infastiditi direttamente nei miei. Corrugai la fronte, senza afferrare il motivo della sua irritazione. Quasi avvampai dalla vergogna quando la natura dei suoi pensieri divenne di colpo più chiara. “E-Era un a-amico!” balbettai, imbarazzato, agitando freneticamente le mani davanti al volto.
 
“Ne sei sicuro?!” indagò, unendo l’una all’altra le sue folte sopracciglia. La mascella si irrigidì ulteriormente, mostrando con lampante evidenza quanto quella rivelazione lo avesse sul serio disturbato. Decisi che, almeno per un altro po’, avrei potuto sfruttare quella sua debolezza per farci sguazzare dentro il mio ego compiaciuto.
 
“Suvvia Jongie, non puoi certo star qui a preoccuparti per tutte le storielle passeggere del mio passato, ti pare?” lo provocai, sempre più esaltato dalla possibilità di spingere fino al limite la sua innata gelosia nei miei confronti. “Era solo un tizio che ho frequentato per un po’. Nulla di che. Sai… qualche bacetto. Niente di spinto alla fine”.
 
“Qualche bacetto?!” ringhiò a denti stretti, serrando con eccessiva veemenza quella che fino a pochi minuti prima era stata una presa dolce ed infinitamente gentile. Forse sarò un po’ masochista, ma riconoscere in fondo ai suoi occhi quella debole fiammella alimentata dalla follia spinse ogni cellula autolesionista del mio corpo a portare avanti quella farsa.
 
“Si. Solo baci” insistetti, perfidamente orgoglioso della voglia di uccidere qualcuno che sentivo nascergli dentro “Una volta ha provato a spingersi più in là, ma mi sono tirato indietro” calcai ancora di più la mano, non riuscendo a trattenere più il mio sorriso vittorioso quando infine i suoi occhi parvero schizzare letteralmente fuori dalle orbite.
 
“Né scimmione, lo sai che ti adoro quando fai così?” cantilenai, ancora poco cosciente di quale reazione sconsiderata avessi in realtà messo in moto all’interno del suo cuore.
 
“Non provocarmi, Kibum!” tuonò, furioso del mio inganno. Tremai inconsapevolmente della sua irruenza, mentre l’intero peso del suo corpo mi ricadeva prepotente addosso, schiacciandomi contro il materasso senza possibilità di fuga.
 
“Impazzirei all’idea di saperti tra le braccia di un altro!”
 
Riconobbi una nota addolorata, tra le tonalità cupe e profonde di quella sorda minaccia. Non sono mai stato bravo a gestire le emozioni. Le mie in primis, e quelle degli altri ancora meno. Provai per un solo secondo ad immaginarmi nella sua posizione. Cosa avrei provato io… sapendolo con qualcun altro? Vederlo sorridere ad altri occhi, sorreggere altre mani, cercare altre labbra.
 
Arrivò dritta al cuore. La sensazione straziante di qualcosa di essenziale che ti viene strappato via. Unghie invisibili che lacerano senza rimorsi, trascinando con sé tutto ciò che di speciale rappresenta la persona amata nella tua vita. Serrai involontariamente le palpebre, dilaniato dalla colpa di quello stesso dolore che gli avevo egoisticamente inflitto.
 
“Perdonami” sbiascicai, inerme sotto il suo corpo, mentre le lacrime scivolavano addolorate lungo le guance, segnando la fine di quel gioco immaturo e involontariamente crudele. “Sono un idiota. Non volevo…” il primo singhiozzo mi morì in gola, soffocato dall’immeritata dolcezza dei suoi rimorsi.
 
“Sono io l’idiota...” mormorò, traboccante di sensi di colpa, liberandomi con un sospiro dal proprio peso. Mi spinsi veloce verso di lui, stringendolo ancora, pregandolo silenziosamente di non lasciarmi. Avrebbe voluto allontanarsi, lo avvertivo, forse dispiaciuto dalle sue reazioni, o magari disgustato dai miei egoistici intenti.
 
Piansi più forte, terrorizzato dal pensiero che i miei gesti potessero in qualche modo fargli perdere interesse nella mia persona. Jonghyun inspirò profondamente contro il mio collo, stringendomi finalmente a sé per poi cullarmi con comprensione.
 
“Non è successo niente. Ho reagito male, scusami” sussurrò timoroso, percorrendo la scia delle mie lacrime con la punta delle dita “Non piangere, Bummie. Solo un idiota potrebbe pensare di avere una storia di poco conto con uno come te” tentò di tranquillizzarmi, accarezzando dolcemente la mia schiena tremante, fin tanto che il mio pianto si placava e il respiro riacquistava serenità.
 
“Ci credi all’amore a prima vista?” mi chiese, talmente sottovoce che feci fatica ad udirlo “Sai, quando incroci una persona per strada, senza conoscerla o averle mai parlato, e te ne innamori perdutamente solo per la dolcezza del suo sguardo…”
 
“Non lo so” mormorai in risposta, e la mia voce venne fuori stridula e spezzata, ancora rammaricata per la stupidità delle mie azioni.
 
Sorrise gentilmente, allacciando i nostri occhi mentre tornava a sollevare le coperte sul mio corpo raggomitolato. Mi ero istintivamente stretto al suo fianco, talmente vicino da plasmare ogni centimetro di pelle al suo, troppo impaurito in quel momento dall’eventualità di vederlo andare via.
 
“Io riesco ad immaginarlo facilmente” replicò, accarezzando la mia schiena nuda con rinnovata dolcezza “Perché credo che chiunque si innamorerebbe di uno sguardo come il tuo…”
 

*****

 
La notte arrivò improvvisa, accarezzando il paesaggio circostante con il proprio mantello nero. I rami secchi degli alberi apparivano assai più solitari sotto la luce argentata della luna. Passi silenziosi e leggeri percorsero il piccolo vialetto, oltrepassando le siepi curate, inoltrandosi in quella boscaglia più o meno fitta, ad una decina di metri dalle recinzioni.
 
Il respiro, pesante ma regolare, si condensava rapido in piccole nuvolette dalla consistenza effimera. Esse difatti scomparivano veloci, risucchiate dalla stessa aria gelida che le aveva generate. La mano sul tronco tremò appena, e si ritrasse subito dopo, quasi scottata da quel fugace contatto.
 
La punta affilata accarezzò la corteccia, percorrendo con tacita determinazione quei piccoli simboli un tempo più chiari. Cosa sarebbe successo se li avesse lasciati scomparire? Si lasciò ferire dalla stessa crudeltà dei propri pensieri, trattenendo un impercettibile rantolo mentre tornava a serrare le palpebre. “Impossibile” sussurrò, appoggiandovi contro la fronte “Il tuo ricordo rimarrebbe comunque”.
 
Riprese con parsimoniosa attenzione il proprio lavoro, tirando su il colletto della giacca quando infine il vento divenne più testardo. Poche lacrime scivolarono sulle guance, accompagnando i sottili riccioli di legno fino al terreno sconnesso. La suoneria del cellulare, allegramente derisoria tra la silenziosa tristezza di quel pianto strozzato, gli riempì ben presto le orecchie, infastidendolo.
 
Il dorso della mano sfregò indelicato la scia umida del suo sfogo solitario, cancellandone ogni traccia. Avrebbe voluto gettarlo lontano quel palmare, furioso della poca considerazione con la quale lo aveva ridestato dai propri ricordi. Poi il nome sul display divenne lentamente più chiaro, costringendolo a ricredersi. No. A quella persona avrebbe risposto.
 
“Ciao” disse solamente, piegando tristemente una gamba, fin quando la terra umida non imbrattò gli abiti sportivi e la mano ancora libera.  “Che ci fai sveglio a quest’ora?”.
 
“Non lo so. Forse un presentimento. Non ti piace circondarti di molte persone. Ho pensato… che magari avessi bisogno di qualcuno con cui fare quattro chiacchiere”.
 
Le parole di Kibum erano premurose, completamente concilianti con il tono armonioso utilizzato per pronunciarle. Byung-Hee sospirò, portando indietro i capelli “Cosa te lo fa credere?” rispose, abbassando le palpebre quando la voce del più piccolo tornò a farsi sentire.
 
“Non è facile spiegarlo, ma… so che è così”.
 
Avrebbe potuto raccontare a Kibum i propri timori? Probabilmente no. Non era ancora pronto a farlo. Sollevò lentamente il capo, portando gli occhi al cielo, nuovamente inghiottito dalla malinconica consapevolezza della propria natura solitaria. Le prime stelle facevano capolino da dietro le nuvole, puntellando con il loro romanticismo il velo buio di quella notte di metà Novembre.
 
Una chiamata di tre minuti, il cui silenzioso contenuto venne spezzato solo dal flebile alternarsi dei loro respiri. Non c’era molto da dire. Kibum aveva intravisto la sua sofferenza attraverso le poche parole che avevano segnato il loro scambio di battute, e di questo Byung-Hee non si era affatto sorpreso. Quel ragazzino dai capelli biondi nascondeva una certa maestria nel saperlo leggere.
 
“Ci sei ancora?” domandò il più grande alla fine, portando lo sguardo sulla propria tenuta, le cui luci del primo piano risultavano ancora accese. Jihun e Abel dovevano essere nello studio.
 
“Sono qui”.
 
“Non è mia abitudine parlare molto. Non riuscirei ad esprimerlo quello che provo, ma… tu sembri capirlo ugualmente per cui… non ce ne sarà bisogno. C’è qualcosa che devo fare. Qualcosa che aspetto da molto tempo. Una volta ero determinato. Convinto della mia causa e dell’obiettivo da raggiungere” riprese lentamente fiato, arricciando le labbra quando del pacchetto di sigarette non trovò traccia “Poi gli anni sono passati, e i dubbi non mi risparmiano”.
 
“Quanto credi in lui?”
 
Kibum lo aveva interrotto, ponendogli quella domanda con una serietà tale da spezzargli il respiro. Il peso sul cuore risalì lento la gola, serrandoci intorno i propri artigli. Byung-Hee schiuse le labbra, ma nessun suono ne venne fuori.
 
“Quanto credi in questa persona? Perché… è di una persona che stiamo parlando, vero?”
 
La gelida consapevolezza dei propri sentimenti gli attanagliò lo stomaco, percorrendo testarda ogni vena e ogni muscolo, fino ad esplodergli in testa come il più devastante dei pensieri. Si propagò veloce, avvolgendogli l’anima, obbligandolo a serrare i pugni attorno all’umido terriccio sul quale si trovava seduto. Nuove lacrime incrinarono la sua risposta. Inarrestabili come il pulsare del suo cuore. Amare più delle precedenti.
 

“Non smetterò mai di credere in lui”

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