Che i trentasettesimi Hunger Games abbiano inizio!

di SimonWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Parata ***
Capitolo 2: *** Le sei sedie ***
Capitolo 3: *** Il primo abbraccio ***
Capitolo 4: *** Evelyn Troop ***
Capitolo 5: *** Ricordi di vecchi Hunger Games ***
Capitolo 6: *** Tre famiglie ***
Capitolo 7: *** L'immagine ***
Capitolo 8: *** Parità tra i distretti? ***



Capitolo 1
*** La Parata ***


La gente è già disposta in file ordinate, sono tutti pronti. Uno dei pacificatori ci conduce verso la piazza passando per l’intero Distretto, al Palazzo di Giustizia. Io, con gli altri ragazzi e le altre ragazze della mia età, mi trovo praticamente all’inizio della parata. Ognuno di noi, almeno oggi, indossa i suoi vestiti migliori; almeno oggi, certo. Capitol City sarà estasiata per la nuova Mietitura. Io vesto sempre con i soliti stracci ma fortunatamente David ieri mi ha prestato uno dei suoi completi per l’occasione. Sono completamente vestito di grigio, i pantaloni di seta grezza sono più scuri della maglietta a maniche corte di seta. Nel distretto 7, David è il ragazzo più ricco. Suo papà è uno dei quattro tributi sopravvissuti dall’inizio degli Hunger Games, quindi la sua famiglia vive agiata nel Villaggio dei Vincitori. David è l’unica persona in tutto il distretto che da parte mia merita tutta la fiducia e sincerità possibile. Anche se a volte cerca di sembrare contento della propria vita, in realtà è arrabbiato con Capitol City quasi quanto me. Hanno portato suo padre alla pazzia causando il divorzio, se così si può chiamare dato che non è mai stato firmato niente dai suoi genitori. Alcune sere dormo a casa sua, in una stanza vicina a quella di suo padre, dove lo sento piangere chiamando una certa Rose. Credo sia stata un altro tributo di questi Giochi insensati. D’altronde, preferisco star con qualcuno almeno la sera. Capitol City mi ha portato via tutto, tranne una casa piena di topi e insetti. Ha mangiato in un sol boccone la mia famiglia. Mio padre. Mia madre. Mio fratello. Avevo non più di quattro anni quando un hovercraft schiacciò il bosco Verde Legnoso, seppellendo alcuni Taglia-Legna che erano rimasti a lavorare fino a tardi, compresi i miei pochi parenti. Taglia-Legna, è così che ci chiamano i Pacificatori di Capitol City. Taglia-Legna, niente di più. Siamo solo lavoratori e il massimo che Capitol City fece per noi, fu ricostruire artificialmente la parte del bosco incenerita dall’hovercraft.  Ricordo ancora come era la mia vita prima della disgrazia. Ogni pomeriggio, dopo scuola, David veniva a casa mia e mia mamma, sempre sorridente e piena di vita nonostante le difficoltà, era sempre felice di prepararci quella poca merenda, anche a costo di restare lei senza cena. Non si comportava così solo con noi, era così con tutti nel Distretto. Tutti la amavano per la sua gentilezza e spensieratezza; sapeva trovare il buono in ogni situazione. Anche mio padre trattava bene David. Trascorrevano lunghi pomeriggi a parlare di pini e betulle senza mai annoiarsi; io, talvolta, non li capivo. Tra me e me pensavo – È sempre la solita betulla, il solito albero! – Forse ero semplicemente geloso del fatto che non riuscivo a parlare con gli estranei come faceva lui. Però gli voglio comunque bene, forse per lo stesso motivo. Mi  ha fatto sempre sentire a mio agio, anche quando la mia famiglia è stata carbonizzata. Lui era accanto a me. Lui ha visto bruciare il bosco con me. Lui ha pianto con me. Ma se c’è qualcosa per cui io devo veramente ringraziarlo è il fatto che mi abbia insegnato ad usare l’ascia. Senza di lui, ora sarei morto di fame. Se invece c’è qualcosa che non gli invidio, è la capacità di fingere. Sono un ottimo attore. Riesco sempre a sorridere e più che altro, lo faccio per ricordare i gesti di mia madre. Posso stare un giorno intero senza versare una lacrima in ricordo dei vecchi tempi. Ma dopo esigo il mio spazio. Arrivo a casa, percorro il corridoio che porta in camera mia. E lì è finita. Guardo le foto della mia famiglia sul comodino di quercia. Piango. Urlo. Prendo a calci il muro chiedendomi perché sia accaduto a me. I pacificatori credo che abbiano pietà di me, per questo mi lasciano in pace. Tutti gli altri vengono maltrattati senza ritegno appena parlano dopo l’ora di coprifuoco, quando la città muore. Ciò che alimenta la mia stupida vita è solo l’odio che provo nei confronti di Capitol City. Mi hanno strappato l’infanzia, portandomi via i genitori; mi hanno strappato l’adolescenza, a causa di questi stupidi Giochi della Fame; e quando crescerò, se arriverò a diciannove anni, diventerò un Taglia-Legna che lavorerà per tutta la vita e sparirà come un’anima di cui nessuno ricorda il nome. La cosa che mi fa star peggio è che tutte le persone del Distretto mi sorridono e mi salutano solo per pena. Solo pochi mi guardano storto quando passo. Io so chi sono quelle persone e so anche cosa stanno pensando: - Poteva andarci lui a morire nell’arena! Non ha motivo di stare qui! Avrebbe potuto risparmiarci le sofferenze! – E come biasimarli? I trentasettesimi giochi stanno per cominciare e i vincitori per ora solo solamente quattro. Ogni anno vediamo Pamela Eirra, l’accompagnatrice del Distretto 7 pescare i nomi dei Tributi che andranno, di solito, incontro a morte certa. È una sofferenza per tutti i presenti assistere ai pescaggi. Urla e pianti fanno scuotere la piazza. Tutti vogliono sparire, lasciare quel mondo ingiusto che ci manda a morire. Per cosa? Ah, certo. Capitol City. Con Lui. Il Presidente Ice. Ci guarda come se fossimo marionette, come se le nostri morti fossero il suo divertimento. Anzi, non come se fossero. Perché tutti sanno che lo sono.

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Capitolo 2
*** Le sei sedie ***


Mi riprendo dai miei pensieri e per sbaglio, picchio contro David che è proprio in parte a me e mi guarda con aria di rimprovero. Non ne capisco il motivo ma poi mi giro. Ci sono pacificatori che fanno da catene sui due lati della strada, in modo che nessuno provi a scappare. Stupidi. Anche se scappi il tuo nome può essere estratto comunque. Le dimensioni del Distretto sono piuttosto ridotte ed è impossibile fuggire senza essere trovati in poche ore. Guardo nuovamente i Pacificatori. Non sono tutti del Distretto 7. Ne conosco solo pochi; la maggior parte è molto giovane. Che siano qui per imparare il mestiere prima di laurearsi? La maggior parte di loro ha paura. Si vede perché scattano al minimo movimento. Ne indico uno a David. Lui deve aver già intuito le mie intenzioni perché comincia a fare uno strano fischio con la bocca. Nessuno si accorge che è lui perché riesce a produrlo tenendo le labbra chiuse, come un ventriloquo. Subito, uno stormo di Ghiandaie si precipita sulla folla, causando il disordine. Molti Pacificatori spaventati cadono a terra, gli altri che sanno dello scherzo che qualcuno fa ripetutamente in ogni occasione importante prendono a sparare per aria, terrorizzando le Ghiandaie. Fuggono spaventate e mentre i Pacificatori urlano di sistemarci velocemente, guardo David, anche lui divertito. Quando siamo di nuovo in marcia, mi accorgo che la strada è ancora lunga. Abbiamo sorpassato il bosco, ora siamo davanti alla casa di David. Suo padre è in ritardo come gli altri anni, ma rispetto ad altri giorni sembra tirato a lucido, anche se nei suoi occhi si scorge una scintilla di paura, come ogni anno. Credo non abbia ancora dimenticato la sua Mietitura. Aspetta dinanzi al cancello d’oro della sua villa, fino a quando tutti i ragazzi non sono passati. Quindi è il turno dei Vincitori. Vorrei guardare indietro per vedere se ci sono tutti e quattro ma non oso, ora che i Pacificatori guardano nella mia direzione, o forse in quella di David. Ci scambiamo un rapido sguardo, che sa ben poco di innocente, e continuiamo a camminare.
Adesso stiamo procedendo sulla ghiaia, segno che siamo entrati nelle Zone, come le chiamiamo noi. Le Zone non sono altro che le case dei Taglia-Legna, piccole e buie, completamente fatte di legno. In alcune case non esiste il pavimento, c’è solo una distesa di ghiaia.
Noto la mia piccola casa e la guardo con gli occhi pieni di lacrime. In quella casa stanno tutti i miei ricordi. E poi, potrebbe essere l’ultima volta che la vedo. Continuiamo a procedere, casa dopo casa, porta dopo porta. Man mano i ragazzi lanciano rapide occhiate alle proprie dimore. La penseranno come me. Ormai il Palazzo di Giustizia non è lontano. Cominciano i primi mormorii in lontananza, genitori che non vorranno perdere i propri figli urlano ma vengono immediatamente zittiti da un colpo secco. In queste circostanze sono vietati gli spari ma la canna del fucile sul cranio va più che bene.
Ora si possono intravedere le prime mattonelle della piazza, che formano una grande albero, che per rami ha piccole frecce che puntano tutte verso il Palazzo di Giustizia. La piazza non è mai un luogo bello. Sempre piena di Pacificatori e amici del sindaco. Ah sì, mi ero dimenticato del sindaco. Il buon vecchio Snow, arrivato da Capitol City per condannarci tutti. È semplicemente patetico, con quella sua rosa nella tasca. Ma oggi la vista del Palazzo di Giustizia, la sua amabile casa, è coperta dal palco che ospita sei sedie, un microfono, un tavolo e due bocce di vetro, piene di bigliettini. Sussulto nel vederle ma cerco di spingere la paura dentro di me. David trema visibilmente.
Prima di raggiungere la postazione dei ragazzi di sedici anni, un Pacificatore ci ordina di fermarci e poi ci separa in due file. Io sono in quella di sinistra, David in quella di destra. Come se fossero fantasmi, avanzano i quattro vincitori. Rush, il padre di David. L’anziano Josh. I fratelli Ros: Lucy e Daniel. Prendono posto sulle prime quattro sedie del palco. Un nuovo sguardo mi fa notare che tutto il palco è di un verde intenso, sedie e pavimento di foglie brillano sotto il sole.
La quinta sedia viene occupata dal sindaco Snow, che, come se fosse completamente distaccato dal distretto, ci guarda con diffidenza, ma mostrando un gran sorriso. Sento la rabbia montarmi da dentro. Vorrei urlargli che è un falso ma preferisco il silenzio all’intervento di uno dei Pacificatori. Appena lui prende posto, il cielo comincia a rannuvolarsi. Snow tira un rapido sguardo alla grande nuvola che copre il sole e su quella faccia disumana compare un piccolo sorriso di soddisfazione.
Infine vediamo salire la spumeggiante Pamela Eirra che per l’occasione si è messa un vestito blu mare con disegnati sopra tantissimi pesci variopinti. Stranamente, non indossa parrucche. I suoi capelli azzurri ricadono sulle grosse spalle. (Qualcuno urla – Signora cara, ha sbagliato Distretto! – oppure – Il Distretto 4 si trova più a Sud! – ma tutti vengono immediatamente zittiti da colpi di fucili.)
Sarà per il suo peso o per il suo enorme Ego, ma ad ogni passo il palco scricchiola pericolosamente. Facendo finta di non sentire niente, Pamela lascia perdere la sedia e raggiunge il microfono. Alla sua postazione, ci manda un enorme sorriso e ci fa cenno di avvicinarci con la mano grassoccia. Obbediamo. Mentre cammino conto nervosamente quante volte il mio nome è inserito nella boccia di vetro dei maschi. Ho sedici anni, quindi ho cinque biglietti. Negli ultimi anni ho chiesto tre tessere. Un totale di otto possibilità di essere estratto. E’ poco, ma comunque meglio di altri. Conosco un ragazzo che ha chiesto dieci tessere all’anno per tutta la sua numerosa famiglia. Ora ne ha un totale di settantasette. David ne ha solo cinque, ovviamente non ha bisogno di tessere.
Pamela ci invia un nuovo grande sorriso ma nessuno ci fa caso. Tutti sono con gli occhi chiusi. Alcuni pregano, altri sussurano – Non io, non io, per favore – , anche i più forti non sanno a cosa pensare per allontanare il pensiero dell’arena. Io penso che questo è solo un brutto sogno e che questa sera sarò a casa di David a mangiare.
Ora Pamela sta cominciando a parlare. Tutti aprono gli occhi e li puntano con odio nella sua direzione. – Buongiorno e benvenuti! Non so voi ma io non sto più nella pelle! Non vedo l’ora di sapere chi saranno i Tributi che andranno a.. – Un colpo di tosse la ferma. Il sindaco Snow le lancia un’occhiata severa. Ovviamente, non vorrà aspettare ulteriore tempo prima di raggiungere il suo pranzo. Pamela lo guarda con aria da persona vissuta e riprende – Ehm.. Come stavo dicendo, benvenuti alla Mietitura per i trentasettesimi Hunger Games! – nella sua voce c’è un tono d’eccitazione. Questo aumenta il nostro disprezzo. Ora dovrebbe iniziare il discorso dei Giorni Bui e della bontà di Capitol City ma, come gli altri anni, non sto ad ascoltare. Ora che i pacificatori saranno impegnati a congratularsi tra di loro per l’enorme bontà che Pamela sta attribuendo loro, posso girarmi. A pochi metri da me ci sono i bambini più piccoli, tutti con le lacrime agli occhi per la loro prima Mietitura. Ora guardo in parte a me. Dopo David e altri maschi si trovano le ragazze. Ne scorgo una particolarmente impaurita. Non deve aver più di dodici anni. Ha un vestito azzurro spento e due ciabatte. Capelli rossi e occhi castano chiaro. Sta piangendo e una sua compagna la consola con qualche abbraccio. Da un suo sguardo la riconosco. Mi si spezza il cuore. Un’altra orfana dell’incendio che uccise i miei. C’era anche lei al funerale collettivo. Vorrei correrle incontro e dirle che questo è tutto un sogno ma all’improvviso si ferma e gira il volto in direzione di Pamela. Mi giro anche io, nel momento in cui dice – Che la Mietitura abbia inizio! – .

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Capitolo 3
*** Il primo abbraccio ***


Tutta la sua felicità ed eccitazione erano di un’incredibile ironia. Pamela prova un sentimento di gioia così grande che sembra irradiare di un blu acceso tutto il palco. Dal microfono fea due passi, accompagnati da sonori scricchiolii, in direzione delle bocce di vetro. Pamela non contiene più l’eccitazione. I Vincitori hanno un’espressione neutra, ad esclusione di Rush. Il sindaco Snow sta fermo, una gamba accavallata all’altra con le mani che tengono il ginocchio. La sua rosa è più bianca e più fresca che mai. Io piango, dentro di me. Mi giro per vedere le reazioni dei ragazzi. David è fermo, con gli occhi chiusi. Cerca di trattenere il respiro; forse vuole provare a soffocarsi. I ragazzi più piccoli adesso urlano di dolore guardando i loro genitori, che guardano a loro con un’espressione di incredibile malinconia. Quelli più grandi sembrano imitare David. Solo quelli più spavaldi tengono gli occhi aperti, puntati nella direzione di Pamela, ma con sguardo vacuo. Poi guardo anche oltre ai ragazzi, ai genitori. Alcuni mi stanno fissando. Vorrei sparire. So cosa vogliono.
-Partiamo dai ragazzi quest’anno! – dice Pamela, sempre con lo stesso tono che sa di estate e felicità.
Si avvicina lentamente alla boccia dei ragazzi e con un fremito di eccitazione, pesca un biglietto che si trova al centro della boccia di vetro. Nell’aprirlo, il suo volto si illumina e i suoi occhi assumono una starna forma, come se fossero quelli di un pesce. Poi, a pieni polmoni urla.
– David Impos ! – dichiara con grande fermezza. La sua eccitazione è al massimo anche se cerca di nasconderlo. Il suo viso si dipinge di un rosa acceso.
Mi guardo intorno disorientato, felice perché quel nome non sia il mio. Poi mi accorgo dell’atrocità della situazione quando il compagno che avevo vicino si allontana da me, va in mezzo alla piazza, sale le scale del palco verde e raggiunge Pamela. Il suo volto è rigato da profonde lacrime. Non riesce a trattenere i singhiozzi mentre Pamela lo abbraccia, ricordandogli quale onore è essere un tributo. Subito dopo si sente un grande tonfo. Rush, il padre di David, si accascia a terra ululante. Non posso sopportare questa scena. L’unica persona che mi vuole veramente bene se ne sta andando a morire per il divertimento della gente di Capitol City. Anzi. La mandria di Capitol City. Non sono persone. Chi desidera Giochi come questi non può essere una persona. Sono animali. Il pianto mi trafigge.
–  VOGLIO PRENDERE IL SUO POSTO! – urlo con tutto il fiato che ho in gola.
Pamela mi guarda con aria interrogativa, poi chiede, con il tono più gentile che possa trovare, mentre salgo sul palco:
– Tu cosa vuoi fare? –
Mai nel Distretto 7 era stato chiesto di prendere il posto di un Tributo pescato a sorte, tantoché avevano anche abolito la cortese forma di richiesta “Ci sono Volontari?”. Lo sgomento iniziale è incredibile. Guardo tra la folla. I ragazzi sollevati. Le ragazze ancora tese. Alcuni genitori mi guardano come se fosse l’ultima volta che mi avrebbero visto. Altri mi guardano con un’espressione soddisfatta, mascherata da una finta smorfia. Ma il volto che più mi colpisce, è quello di David, sul palco. Mi giro e lo trovo che mi fissa. In bocca stampato un piccolo sorriso di sollievo, ma negli occhi uno sguardo vitreo che, probabilmente, sta chiedendo perché fosse capitato a lui, e poi a me. Come se avesse perso tutte le sue forze, se ne sta lì fermo e rigido a guardarmi intensamente, fino a quando Pamela non gli chiede di andarsene. Ma la Mietitura non può ancora continuare. A mia insaputa, qualcuno dal dietro mi afferra per le spalle e mi fa girare. È Rush. Mi guarda per nemmeno un secondo e poi mi abbraccia.
Un abbraccio. È il primo che ricevo da quando mia mamma se ne è andata. Senza capirne la dinamica, mi metto a piangere. Non sono solo lacrime di tristezza. Non sono solo lacrime di una piccola felicità. Queste sono lacrime che svuotano, come quelle che io verso la sera, nella mia stanza, guardando le foto della mia famiglia.
Quando Rush si risiede, volgo un ultimo sguardo agli adulti. Le persone che prima provavano un buon sentimento nel vedermi tra i Tributi, adesso hanno il fiato mozzato. Magari pensano a cosa sarebbe potuto capitare ai loro figli, se fossero stati nella mia stessa situazione. Era anche ora. Distolgo lo sguardo da loro perché mi trovo davanti alle Bocce di vetro e Pamela è costretta a spostarmi. Un nuovo silenzio che sa di morte scende sulla folla.
– Ora è il turno delle ragazze – dice e sorride alla parte restante della folla. La sua eccitazione si è consumata in gran parte dopo questa scena, ma niente le fa dimenticare quanto possano essere elettrizzanti i Giochi. Prende un biglietto che si trova abbastanza in fondo.
Prima che possa dire il nome, guardo tra la folla e ritrovo la piccola ragazzina dai capelli rossi. Vorrei di nuovo esserle vicino per consolarla, quando mi accorgo di non ricordare neppure il suo nome.
– Sarah Smel! Ecco a voi il secondo Tributo! –
Ecco quale è il nome.

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Capitolo 4
*** Evelyn Troop ***


La piccola Sarah scoppia in un pianto che sembra non terminare mai. Prima prova a correre verso sua madre ma tre pacificatori la portano sul palco e la sistemano sulla sedia di Pamela. La madre prova a raggiungerla ma sviene dopo che un pacificatore la colpisce alle costole. La bambina fortunatamente non la vede perché è coperta da Snow che le sussurra qualcosa. Non capisco e non voglio nemmeno sapere cosa le sta dicendo. La sua diabolicità non interferirà con l’innocenza della bambina. Poi, come se un tram mi travolgesse, la guardo e capisco di essere il suo compagno di Distretto. Provo una grandissima pena nell’immaginarmela nell’arena. Così piccola e indifesa. Non sarebbe capace di difendersi e nemmeno di uccidere. Non può, è troppo ingenua. Mi giro verso il pubblico e guardo con rabbia le ragazze. Come fanno a starsene lì così, nel vedere una bambina che non avrà più di dodici anni andare in contro alla morte? Sto per urlare qualche insulto ma una voce femminile mi trattiene.
– Quando chiedete se ci sono volontari? –
Rimango spiazzato mentre vedo una ragazza bionda, con gli occhi verdi e molto carina che si sta facendo spazio tra la folla. Con aria di superbia sale sul palco.
– Ho chiesto quando chiedete se ci sono volontari! – ripete con tono arrogante.
Pamela, per la seconda volta, si ferma a fissarla con la bocca aperta. Ma non solo lei. Tutta la folla rimane spiazzata. Deve essere un duro colpo avere due volontari. Immagino già la reazione dei genitori. Si chiederanno se avevamo già intenzione di offrirci, e in tal caso che avremmo fatto meglio a dirlo immediatamente. Ma la maggior parte non si sta chiedendo quello. Guardano con aria interrogativa la ragazza. Mi volto e la fisso. Capisco lo sgomento della folla. Nessuno l’ha mai vista. Per quanto ne so io, potrebbe anche non essere del Distretto 7. Quando si accorge del mio sguardo, mi si avvicina e mi sussurra all’orecchio con aria provocante alcune parole.
– Saremmo ottimi compagni. –
Divento visibilmente rosso ma so che sta solo cercando di farmi abbassare la guardia. Vuole una preda più facile all’interno dell’arena.
Mentre si allontana, Sarah le si avvicina e la abbraccia; poi scende. E’ una scena così strana. L’accattivante bellezza della ragazza accanto all’innocente fanciullezza di Sarah.
Dopo essere scesa, corre incontro alla mamma, che in quel momento si sta riprendendo dalla botta.
– Posso sapere il tuo nome? – dicee Pamela con una nota di nervosismo nella voce.
– Evelyn. Evelyn Troop. – risponde la ragazza – E tu sei? – aggiunge, rivolta me, con la solita voce accattivante. I suoi occhi verdi mi perforano.
– Mark Shelt – rispondo in tono neutro.
Lei continua a fissarmi fino a quando non distolgo lo sguardo. Nessuno sta parlando. Tutte le attenzioni sono concentrate su noi due. Pamela fa un rumore assordante per arrivare al centro del palco. Credo che lo stia facendo apposta. Non sopporta che le si rubi la scena. Tossisce rumorosamente, come se un pezzo di metallo le si fosse incastrato in gola.
– Dopo tutte queste sorprese, possiamo annunciare i nomi dei tributi di quest’anno! Mark Shelt e Evelyn Troop! – sbraita cercando di richiamare a se qualche volto, ma tutti sono fissi ancora su di noi. Irrimediabilmente offesa si gira verso noi due e ci spinge via, verso la sua sedia. Inspira profondamente per gonfiare i polmoni e farsi più grande. Poi scalpita sul palco di legno che inizia ad ondeggiare. La maggior parte della gente finalmente si accorge di Pamela.
– E la mietitura dei trentasettesimi Hunger Games termina così – conclude e quasi piangendo scende dal palco e si ritira nel Palazzo di Giustizia.
I presenti ci guardano ancora per qualche secondo, prima che i Pacificatori li portino lontano dalla piazza. Guardo i rimasti. Il sindaco, Rush, Josh, Lucy, David e Evelyn. Io e lei ci guardiamo con aria interrogativa. Il sindaco Snow deve aver capito cosa ci stiamo domandando e con tono superiore ci chiede di seguire Pamela, nel Palazzo di Giustizia. Non ci sono mai stato, là dentro. Ogni volta che lo vedo, sento montare una grande nausea dallo stomaco fino alla gola. Dopotutto quella è la casa del Sindaco. Mentre scendiamo dal palco, Evelyn mi passa a fianco e mi sorpassa, sfiorandomi la mano. Mentre si muove davanti a me e non rimango intrappolato dai suoi occhi, mi accorgo che il suo vestito è rosa e praticamente trasparente. Distolgo lo sguardo per non farmi condizionare, mentre entro nel Palazzo di Giustizia. È completamente in marmo, quindi ogni mio passo rimbomba rumorosamente per il grande atrio. Davanti a noi si estende una lunga scalinata. Non vediamo altre stanze, quindi saliamo. Evelyn sempre davanti a me. Arrivati al termine della scalinata, le chiedo che strada prendere, dato che davanti a noi ci sono un’altra scalinata, tre porte e due corridoi, ma lei si limita a mettere il suo indice sulle mie labbra e con un rapido movimento della testa, mi indica una porta. Ascolto attentamente e sento piangere una persona. Ci avviciniamo cautamente e spiamo nella stanza. Vediamo due braccia grandi quanto due barili, portate alle guancie, completamente coperte di lacrime. Sappiamo che è Pamela ma non osiamo guardarla in uno stato così pietoso. Lei che vuole sempre apparire così bella e felice. Mi faccio coraggio e busso. Una voce sommessa ci singhiozza di entrare. Ci sono due poltrone che sembrano veramente comode. Io mi siedo davanti a Pamela, mentre Evelyn si sistema in quella in parte a lei. Sono così diverse. Pamela sembra un ippopotamo, Evelyn una farfalla.
– O-ora dovete decidere il vostro men-mentore – ci dichiara con gli occhi pieni di lacrime. Poi, si rimette a singhiozzare e ad ululare.
Non riesco a resistere a quella scena, così mi avvicino a lei e le faccio una piccola carezza incerta. Sembra riprendersi ma rimane cupa. Azzardo una domanda.
– Hai qualche consiglio da darci? Per il mentore. –
Quasi come se l’avessi consolata, mi sorride e con aria eccitata ci comunica parole veloci, che mi lasciano a bocca aperta.
– Potete scegliere chiunque, ma io non mi fiderei di Rush Impos! –

 

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Capitolo 5
*** Ricordi di vecchi Hunger Games ***


Rush? Il padre di David? Questo non è possibile! Ho riposto la mia fiducia in lui per molti anni, anche se tra noi non c’era lo stesso rapporto che io ho con David. Lui è un bravissimo uomo da quanto mi racconta il figlio. Anche se è vero che con lui passa pochissime ore al giorno. La scuola, i pomeriggi ad aiutare i Taglia-Legna, le serate a casa mia. Solo la notte è con lui.
Mi continuo a porre queste domande quando la risposta è ovvia. Rush è l’unico vincitore che parla male di Capitol City liberamente e in pubblico. Pamela è di Capitol City e il presidente Ice non avrà di certo dimenticato di farle sapere certe cose. In un certo senso mi riprendo, anche perché l’accompagnatrice e Evelyn mi stanno guardando, chiedendosi la causa della mia esitazione. Faccio un cenno del capo per assicurarle e Pamela riprende il discorso, con aria impaziente.
–Avete già qualche idea in proposito? Non posso scegliere io il vostro mentore! –
Con un rapido cenno del capo inizio a pensare alle varie possibilità. Rush, l’anziano Josh, Daniel e Lucy. Pamela ci ha detto di non scegliere Rush e io sono d’accordo con lei. Lo toglierei da David e non sopporterei di vederlo tutti i giorni come un capo. È molto insicuro anche se coraggioso. Poi non sopporterebbe di perdermi. O almeno, non lo sopporterebbe per David.  Perché io so che nell’arena troverò la morte.
L’anziano Josh è un tipo molto affidabile. È l’unico vincitore che si fa vedere in giro. Non è quasi mai solo. Aiuta i Taglia-Legna durante il pomeriggio e insegna ai bambini delle elementari la mattina. La sera è al Palazzo di Giustizia con il sindaco Snow ed i suoi amici. Insomma, un vincitore che sembra non essere mai cambiato, anche dopo i Giochi. L’unica cosa che è mutata in lui, è la precoce vecchiaia. Infatti non ha nemmeno cinquanta anni ma i solchi profondi sul suo viso danno un’idea della sua età completamente diversa. È un uomo molto forte e deciso. Solo in un’occasione l’ho sentito piangere. Era una mattina fredda d’inverno. La neve aveva cominciato a cadere lentamente, per poi diventare un’impetuosa tempesta. I Pacificatori furono costretti a far smettere di lavorare i Taglia-Legna, scortandoli alle proprie case. Poi anche loro stessi, si rifugiarono nel Palazzo di Giustizia. Io ero a casa di David e non mi fidavo a uscire. Stavamo giocando a carte sul suo tavolo di betulla quando le finestre si spalancarono per la tempesta, facendo volare le carte dal mazzo. Decidemmo di smettere e salimmo le scale che portavano al piano superiore, per riporle nel cassettone nella stanza di David. Per arrivare alla sua camera, passammo davanti alla stanza di Rush e sentimmo alcuni sussulti. Ci scambiammo uno sguardo eloquente e spiammo dalla porta. C’era Josh, in lacrime, sdraiato sul letto di Rush e quest’ultimo in piedi, davanti alla finestra. Josh disse poche parole sommesse.
– R-Rose. Lei è tornata. –
Rush si girò di scatto e portò le mani alla gola dell’altro uomo. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio e Josh sembrò terrorizzato più che mai. Per paura, io e David corremmo nella sala da pranzo al piano inferiore per riflettere sull’accaduto. Non avevamo il coraggio di assistere ad una scena simile. Spuntava fuori ancora Rose, quella donna sconosciuta.
Credo di non volere nemmeno l’anziano Josh. Il Distretto ha bisogno di lui, e non riuscirei a fidarmi di una persona che passa molto tempo con il Sindaco Snow e gente di Capitol City.
Rimangono i due fratelli, Daniel e Lucy. Vinsero due Hunger Games consecutivi, Lucy il nono e Daniel il decimo. La loro famiglia fu devastata da due Mietiture consecutive. La madre, all’estrazione di Daniel, fu colpita da un infarto e il padre morì con un cocktail di alcool e medicine. Rimasero soli a tenersi compagnia. Non escono spesso di casa e, a quanto raccontano i loro conoscenti, stanno molto tempo a letto, abbracciati. Si amano molto e, siccome tutti li credevano spacciati, fanno anche bene. Io non ho mai visto né lui né lei ad esclusione delle Mietiture. Lucy è una donna abbastanza alta, capelli rossi e occhi scuri. Daniel invece è meno alto, capelli e occhi scuri. Dalle voci che si sentono nel Distretto, hanno entrambi un carattere abbastanza forte, infatti non hanno mai versato una lacrima dopo i Giochi. La mia scelta sono certo che ricadrà su uno di loro due. Non li conosco e quindi per me sono sullo stesso piano. Devo affidarmi alle apparenze. Lucy sembra più sveglia.
– Io dico Rush – Evelyn rompe il silenzio, facendomi sobbalzare.
– Io dico Lucy – affermo in un tono che non ammette contraddizioni – Rush no –
– Se posso dire la mia – si intromette Pamela – va più che bene Lucy Ros –
Evelyn la fissa con uno sguardo pieno di disprezzo ma poi annuisce.
 – Se voi due siete d’accordo, va bene. Ma esigo almeno una spiegazione. Rush è stato l’unico con po’ di furbizia! Mark, ti ricordi almeno come hanno vinto gli altri campioni?
Ha ragione, non ne ho la minima idea; lei lo deve aver capito perché sulla sua bocca appare un sorriso beffardo.
– Daniel ha vinto perché ha tradito la sua compagna di Distretto. L’ha uccisa, le ha fatto ingoiare esplosivi e l’ha buttata tra i Favoriti rimasti in gioco. È stato a dir poco crudele.
 – Lucy si è aggiudicata molto cibo alla Cornucopia e non ha avuto problemi a farli durare per il tempo necessario. Si è appostata su un albero e ha aspettato fino a quando l’ultimo tributo non è morto di fame. Poi, è stata molto fortunata. Si è messa in un punto dove gli Strateghi non avevano aggiunto trappole o insidie.
– Josh si è arruffianato Capitol City. È entrato tra i Favoriti. Ha ucciso poche persone in modo molto originale se non pittoresco, come l’ha definito Ice. Secondo gli Sponsor ha vinto elegantemente. Il Presidente Snow l’ha fatto diventare un personaggio pubblico. La mattina insegna e il pomeriggio lavora tra la gente comune.
– Rush invece ha giocato da vero concorrente. è rimasto con i Favoriti per scoprire i loro segreti ed è entrato nelle loro teste, ha scoperto come pensavano. Poi è sparito fino a quando non sono rimasti dodici concorrenti. Riuscì a ucciderli da solo. Uno per uno. Anche soltanto con un bastoncino –
A quest’ultima frase aggiunge un sorriso sinceramente divertito.
Sarà per l’orgoglio, sarà per David. Ma io rimango della mia idea.
– La mia scelta ricade comunque su Lucy – affermo, raccogliendo tutta la sincerità possibile. Pamela annuisce di nuovo.
Il silenzio cade su di noi. Sentiamo il rumore del vento e degli uccellini che cantano, fuori dal bosco dei Taglia-Legna. Per la prima volta mi risento al sicuro. Ma ben presto questa mia pace si interrompe. Nel corridoio sentiamo alcuni passi. Qualcuno apre la porta: è il Sindaco Snow, con la solita rosa bianca nel taschino. Un profumo nauseabondo pervade l’intera stanza. Pamela, senza che lui le dica niente, si alza ed esce dalla stanza. Quando passa in parte a Snow, gli sussurra parole veloci, senza neanche voltarsi. Subito dopo, il Sindaco fa cenno a Evelyn di seguirla, mentre nella stanza entra David.

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Capitolo 6
*** Tre famiglie ***


Snow è fermo sulla porta quando il ragazzo entra nella stanza. David gli passa in parte e “casualmente” gli urta contro. Guarda con incredibile disprezzo il Sindaco e si avvicina a passi lenti alla sedia su cui era sistemata Pamela. Non si siede. Rimane fermo, senza respirare. La stessa espressione vitrea impressa negli occhi. Io, carico di odio e senza neanche voltarmi, faccio un cenno a Snow e lui esce dalla stanza, chiudendo con estrema calma la porta. David, quasi a malincuore, si siede.
Tengo gli occhi fissi su di lui. Vorrei dirgli che gli voglio bene. Che lui è l’unica persona di cui mi fido. Che lui è tutto per me, è la mia famiglia. Che senza di lui io non sarei vivo. Che gli devo dire grazie per quello che ha fatto in tutti questi anni. Ma soprattutto vorrei dirgli che questi Hunger Games non ci separeranno. Che quando verrò ucciso, lo aspetterò sopra le nuvole e gli starò sempre accanto. Voglio dirgli tutte queste cose. Ma non so da dove iniziare. Lo guardo e quando lui ricambia, abbasso lo sguardo imbarazzato. Voglio fargli sapere cosa sto provando in questo momento ma le parole sono incastrate in gola.
–  Non dovevi –
È lui a rompere il silenzio. Queste parole percuotono l’aria e arrivano a colpirmi in piena faccia come un potente schiaffo. La mia malinconia si sta trasformando in rabbia. Poteva dire tutto. Ma non quelle due parole. Era ovvio che non dovevo! Ma lo volevo fare. Lo volevo per farlo sopravvivere almeno quest’anno. Per far sì che il suo carattere potesse contagiare anche qualcun’altro. Ma l’ho fatto veramente per quello? Certo. Per cosa altrimenti? Perché sono un sadico masochista? Perché voglio essere ucciso? No. Io mi sono offerto per un altro motivo. Solo adesso me ne accorgo. Voglio dimostrare qualcosa a me stesso. Che non sono il bastardo che tutti pensano. Che forse dentro di me c’è qualcosa di buono. Che non sono marcio. Che tutti si sbagliano. Che ho persone che mi vogliono bene. Che sono qualcuno. Guardo David con rabbia. Grande rabbia.  Inizio a fremere. Pugni serrati e occhi chiusi mentre nella mia testa vedo immagini di assassini, squartamenti, decapitazioni e morti cruente. Tutto questo perché mi sono offerto al suo posto. E lui cosa mi viene a dire? Non dovevi. Come se l’avessi fatto per lui. Voglio tirargli un calcio ma mi limito a sussurrare per poi urlargli contro.
–  Esci da questa stanza –
– C-cosa? –
–ESCI! ADESSO! –
Lui rimane fermo. Mi guarda. Una lacrime gli percorre la guancia. Questo è troppo.
Gli salto alla gola e dopo che è caduto dalla poltrona inizio a prenderlo a pugni. Gli colpisco il braccio. Lo stomaco. La trachea. Lo prendo in pieno viso.
– LA GENTE SI RICORDERA’ DI ME! IO SONO UNA PERSONA! IO HO QUALCUNO CHE MI VUOLE BENE! HO PERSONE CHE SI FIDANO DI ME! SONO UNA PERSONA! IO VOGLIO ESSERE TRATTATO COME TALE!  IO.. Io.. io sono una persona. La gente lo deve capire! – mi abbandono ai singhiozzi e anche la mia voce si abbassa bruscamente. Nel frattempo lui comincia a sanguinare dal labbro inferiore – Io sono qualcuno.. Io sono.. –
David mi prende il braccio che sta cercando di colpirgli l’occhio destro e lo abbassa. Io senza fare resistenza assecondo il suo gesto. Guardo David in faccia. Alcuni lividi si stanno facendo spazio sui suoi zigomi. Ora è la sua bocca a muoversi.
– Certo che tu sei qualcuno. Sei la persona più importante per me. L’unica persona che mi abbia veramente capito. – dice queste parole con tutta la sincerità possibile. Poi mi guarda anche lui, senza imbarazzo – Ti voglio bene, Mark –
Mi risistema sulla sedia e lì mi accascio in un pianto silenzioso. Tutta l’ansia che ho in corpo evapora, lasciandomi vuoto e solo come se fossi in un mondo che non mi appartiene, come se stessi vivendo una vita che non era destinata da me. Raccolgo un po’ di voce e cominciamo a parlare.
 –Scusa–
 –Ne avevi bisogno–
 –Forse. Ma non dovevo colpirti–
–Ti è servito?–
 –Mi ha lasciato addosso una strana sensazione. Mi sento meno spaventato–
 –Allora ti è servito–
Un nuovo silenzio si insinua tra di noi. Ora inizio a preoccuparmi per come mi sentirò nell’arena. Senza nessuno su cui contare.
–David?–
–Si?– 
–Quando me ne andrò, manterrai il patto che abbiamo fatto a quattro anni?–
 –Il patto dell’amicizia?–
–Si–
–Certo. Che amico sarei se no?–
–Ti ricordi in che circostanze l’abbiamo fatto?–
–Come dimenticarle..–
Sono certo che entrambi stiamo pensando alla stessa cosa.
Successe tutto in un attimo. Uno schianto e un incendio. L’hovercraft che sorvolava il cielo raggiunse troppo velocemente il terreno. La foresta fu totalmente schiacciata con un tonfo. Io ero a casa quando sentii quel rumore, pari a cento cannonate . Non capendo cosa era successo guardai fuori dalla finestra. Moltissime persone correvano avanti e indietro verso il bosco Verde-Legnoso e la piazza. I pacificatori sembravano essersi dileguati. La maggior parte della gente che correva teneva in mano secchi pieni di acqua, probabilmente presa in uno dei pozzi vicini alla piazza. Avevo quattro anni. Gli occhi di un bambino. Pensavo che un gigante delle montagne fosse caduto, creando quel gran rumore. Iniziai ad incupirmi quando le urla della gente si fecero strada per le vie dell’intero distretto. Così cominciai a piangere. Cominciai a cercare i miei genitori. Ma ben presto mi ricordai che erano a lavorare. Andai in camera di mio fratello. Il letto ancora disfatto, come suo solito. Tutti gli oggetti lasciati al loro solito posto. Il quaderno bianco su cui scriveva tutti i ricordi di tutti i giorni;  la cornice che immortalava Cassandra, la sua fidanzata, ancora sul comodino; quei piccoli oggetti che adorava tanto sulle mensole. Sentii un dolore al cuore mentre nella mia testa si faceva strada una strana sensazione, mai provata prima.
Uscii velocemente dalla piccola casa e andai a sbattere contro una persona. Mi ritrovai per terra, con gli occhi ancora lacrimanti. Cassandra mi prese in braccio e mi abbracciò, anche lei in lacrime. A passi lunghi e lenti si avviò verso il bosco. Le urla sempre più forti, la mia mentre sempre più annebbiata. Le lacrime continuavano a scendermi sulle guance, ormai completamente umide. Il cuore della fidanzata di mio fratello contro il mio. Battiti che suonavano all’unisono.
Quando mi mise per terra e mi fece voltare, rimasi stupito. Il bosco. Il mio bosco. Non più verde. Rosso. Fumi tossici salivano da quella che doveva essere la macchia verde. Cassandra continuamente scossa dai singhiozzi. Mi girai verso di lei, senza capire perché mi aveva portato in quell’orribile posto. Poi sentii qualcuno urlare.
– Abbiamo trovato altri corpi –
Avvertii la gente dietro di me trattenere il respiro.
– Bob Shelt – Mio padre.
– Mary Shelt – Mia madre.
– Simon Shelt – Mio fratello.
I nomi che disse erano molti, molti di più. Ma io riuscii ad avvertire solamente questi..
Dentro di me si smosse qualcosa.
Sentii una corazza avvolgermi l’anima. Come se fossi una perla, e la corazza una conchiglia. Non piansi. Se non riuscii o non potei? Questo ancora oggi non lo so. Sentii solo che Cassandra si accasciò a terra in parte a me. L’abbracciai e le dissi che loro erano ancora a casa ad aspettarci. Anche per un bambino quella consolazione pareva un’assurdità. Ma dovevo fare qualcosa per lei.
Passò un po’ di tempo. Non sapevo quanto ma ormai il sole stava scendendo, mettendo come al solito il distretto a tacere. Ma quella sera qualcuno era ancora in giro e i pacificatori non si erano ancora fatti vedere. Cassandra mi portò a casa sua. Costrinse i suoi genitori ad accettarmi nella famiglia ma questi provavano una strana avversione immotivata nei miei confronti. Fino a quando Cassandra sarebbe vissuta in quel luogo, io sarei stato al sicuro.
 Lei continuava a dirmi che assomigliavo in modo incredibile a mio fratello. Una volta, per quanto piccolo fossi, provò anche a baciarmi. Mi dimenai come un pazzo quando ci provò di nuovo e di nuovo. Ogni volta che questa situazione si ripeteva, la conclusione era sempre la stessa. Lei distesa sul suo letto a piangere ed a urlare.
Dopo appena tre mesi Cassandra fu estratta alla Mietitura. I suoi genitori non vollero che la salutassi. Così l’ultimo mio ricordo su di lei fu un suo abbraccio. E da quel giorno mi ritrovai a vivere solo, nella mia vecchia casa, cacciato dalla vita di Cassandra.
Quella mattina, la mattina in cui fu estratta Cassandra, conobbi David. Un bambino alto per la sua età, per la mia età. Fu lui ad avvicinarsi, dicendomi che la mattina dell’incendio, lui era tra la folla che portava l’acqua e che mi aveva visto abbracciato a quella ragazza in lacrime. Così ci mettemmo a parlare, a conoscerci. Mi regalò anche il cibo di cui avevo bisogno, ogni giorno. Ovviamente non sapevo ancora cosa erano gli Hunger Games e tantomeno che suo papà avesse cibo praticamente illimitato. Ma da quel giorno diventammo amici.
Eravamo piccoli e io non volevo perderlo. Non volevo che fuggisse come avevano fatto mia madre, mio padre, mio fratello o la sua fidanzata. Così, dopo non molto che lo conoscevo, lo presi in disparte e gli diedi una biro.
– Firma! – gli dissi, ponendogli due fogli di pergamena, molto rara nel nostro distretto.
– Questo è un accordo! – gli spiegai – Dice che noi saremmo amici per sempre.           
 Lui sorrise, poi li firmò entrambi. Uno me lo restituì e l’altro lo piegò con estrema cura e lo mise in tasca.
Riapro gli occhi e mi accorgo di essere sdraiato sul freddo pavimento di marmo.
– Quando si è piccoli, tutto è così dannatamente semplice ­–

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Capitolo 7
*** L'immagine ***


Ci rialziamo e ci sistemiamo sulle poltrone. Ormai mancherà poco allo scadere del tempo che ci è stato concesso. Guardo David, per quella che potrebbe essere l’ultima volta. Provo grande rimorso per tutto quello che è appena accaduto.
In quel momento la porta della stanza si spalanca, lasciando spazio a Evelyn.
– Pamela ci sta cercando! Si può sapere quanto tempo ci hai impiegato?! –
Vedere lei distruggere quell’atmosfera quasi familiare mi fa imbestialire.
 – Sto arrivando, principessa –
Il mio sarcasmo le fa guizzare gli occhi verdi serpentini. Tira un rapido sguardo a David, che la sta fissando come un ebete, e abbandona la stanza. Lui mi si avvicina e mi picchia contro.
– Non sarà poi così male! –
Detto questo mi fa l’occhiolino ed esce anche lui dalla porta. Pochi minuti fa l’avrei preso di nuovo a pugni ma ora decido di godermi a fondo questi ultimi attimi di spensieratezza, perché so che non ritorneranno.
Prima di uscire tiro un ultimo sguardo alla stanza. Per quanto il palazzo di giustizia mi provochi un’immensa nausea, questo piccolo salotto ha ospitato uno dei miei ultimi momenti felici con il mio migliore amico.
Mi giro e faccio per andarmene ma urto contro una piccola sagoma blu che si trova per terra. Come se gli avessi tirato un calcio, quella scivola fino a raggiungere Evelyn che in quel momento si trova in mezzo all’atrio che si affaccia sulle scale. Lei raccoglie con aria incuriosita quello che si rivela un quadernino. Lo porta all’altezza del viso e comincia a guardare la copertina.
– Cos’è? Il tuo diario segreto? Ci scrivi i tuoi tanti amori qua dentro? –
– Non so neanche cosa sia – rispondo usando il mio solito neutro.
– Strano, perché qui c’è scritto Shelt, non è il tuo cognome? ­–
In quel momento lo riconosco. Quello è il diario di mio fratello. Una delle poche cose a cui teneva veramente. Non l’ho nemmeno sfiorato da quando lui è morto.
– DAMMELO SUBITO! –
Lei, con un ghigno di soddisfazione lo apre e inizia a leggere avida di sapere. Le corro addosso per prendere il diario ma lei all’ultimo momento lo sposta e io le frano addosso. Fortunatamente lei atterra sui gomiti e io, sopra di lei, sulle braccia. Sul suo viso compare un piccolo ghigno, mentre io non riesco a staccare gli occhi dai suoi. Come se stessi lottando contro me stesso, provo a distogliere lo sguardo ma sento le sue pupille agganciate alle mie. Quel verde così intenso.
– Ti vuoi spostare o dobbiamo stare così per tutto il giorno? –
Le sue parole mi feriscono senza una precisa motivazione. Mi alzo, a malincuore. Sposto gli occhi al di là di Evelyn, dove trovo Pamela che sta uscendo da una porta, con dietro Lucy, la nostra mentore.
Riusciamo a scambiarci solo un rapido saluto imbarazzato prima che Lucy scenda le scale ed esca dal palazzo.
Pamela viene vicino a noi e ci indica di seguirla. Obbediamo in silenzio. Scendiamo le scale e usciamo dal portone del palazzo di giustizia. Qui ci aspetta un furgoncino, come quello che usano i Taglia-Legna per trasportare piccoli tronchi. In lontananza ne vediamo un altro molto simile al nostro. Credo che sia quello di Lucy.
 – Salite, forza! –
Pamela ci indica il piccolo furgone. A me fa molto piacere salirci sopra. Mi ricorda quando ero piccolo. Aiutavo i miei genitori a caricare piccoli rametti per il focolare.
– Su quel coso?! –
Il tono irritato di Evelyn è impossibile da non riconoscere.
– Accontentati, principessa –
Pamela sale vicino al conducente mentre Evelyn, con una smorfia indefinita, mi precede e sale dietro con me. Ci sediamo uno di fronte all’altra. Lei continua a guardarsi intorno con aria schifata. Io invece trovo un senso di pace tra questo odore di legna e schegge di tronchi. Mi sento come se stessi andando a casa. Come se questo furgoncino mi stesse portando alle zone, dove abito io. Come se mi stesse portando dalla mia famiglia. Mio padre con i suoi stupidi discorsi sugli alberi. Mia madre con la merenda appena fatta. Mio fratello con quella stupida ossessione per i suoi oggetti.
Il diario.
Ho lasciato il diario al palazzo di giustizia!
Mi guardo in giro per capire dove sono. Siamo in viaggio da pochi minuti e quindi il palazzo non è distante. Mi alzo in piedi e chiedo scusa ai presenti. Dopodiché salto giù dal piccolo furgone. Inizialmente perdo l’equilibrio e cado, ma poi mi rialzo e corro in direzione del palazzo. Chissà cosa si saranno chiedendo Evelyn e Pamela, anche se credo che la ragazza abbia già intuito le mie intenzioni.
Fortunatamente per la strada non ci sono pacificatori, sono tutti in stazione.
Dannazione. Ho calcolato male il tempo. Il palazzo è più distante di quanto pensassi. Continuo a correre. Il mio respiro si fa sempre più forte, fino a sovrastare il suono dei miei passi contro la ghiaia. Quando scorgo l’edificio, sul mio viso fa capolinea un piccolo sorriso di soddisfazione.
Le porte non sono ancora state chiuse. Bene, posso entrare.
Non faccio nemmeno caso al rumore dei passi mentre salgo le scale.
Riesco a scorgere la piccola sagoma blu in mezzo all’atrio del primo piano. Tiro un sospiro di sollievo. Mi avvicino lentamente, per riprendere fiato.
In parte a me, una porta si apre. Un profumo nauseabondo pervade l’intera stanza.
 – Sei Mark, giusto? –
Mi giro con il terrore impresso negli occhi. La confusione in testa. La nausea nello stomaco.
Il Sindaco Snow mi sta guardando.
Provo a sostenere lo sguardo ma quando sento il vomito arrivarmi in gola abbasso la testa come un vigliacco.
– Sei il tributo di quest’anno, vero? – riprende lui.
Annuisco senza rivolgergli lo sguardo.
– Puoi guardarmi. Non mordo. –
Non ne sono così sicuro.
Ma il suo tono si sta facendo più freddo, quindi mi conviene ascoltarlo.
Alzo la testa. Ora gli vedo chiaramente gli occhi. Freddi e inespressivi. Come ghiaccio.
– Il treno sta per partire. E tu non sei sopra. Vuoi creare uno scandalo a Capitol City? O stai già cercando di crearti un’immagine? –
Deficiente. Tutto quello che pensa lui esclusivamente l’apparire e gli interessi di Capitol City.
– Avevo dimenticato questo –
Gli rispondo con odio e rabbia. Poi gli indico il diario. Lui chiude gli occhi e sussurra qualcosa. Riesco a cogliere soltanto un semplice – Patetico –
Tengo il diario ben saldo tra le mani. Faccio per andarmene ma Snow mi ferma.
– Hai bisogno di un passaggio. Seguimi –
Deglutisco. Sto per vomitare. Ho troppa paura addosso per fare qualsiasi cosa. Tremo come una foglia.
 – Devi seguirmi se vuoi arrivare in tempo –
Il suo tono si fa più autoritario. I miei piedi cominciano a camminare autonomamente, portandosi dietro il resto del mio corpo.
Saliamo una nuova rampa di scale. Giriamo a destra dove si erge una piccola scala a chiocciola. Usciti da quella, inizio a sentire un rumore assordante. Come se mille ventilatori stessero funzionando contemporaneamente.
Non capisco fino a quando Snow apre una porta di ferro. Sono sul tetto del palazzo di giustizia. Davanti a noi c’è quello che credo sia l’hovercraft del Sindaco.
Non riesco a contenere lo stupore. Snow mi vuole portare alla stazione con un hovercraft? Per quanto mi provochi ripugnanza, credo che Snow lo stia facendo per me. Vuole crearmi un’immagine.

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Capitolo 8
*** Parità tra i distretti? ***


I rumori sono assordanti ora che il dirigibile si sta alzando. L’aria prodotta dalle pale dell’hovercraft riuscirebbe benissimo a spostarmi se fossi nel suo raggio d’azione. I miei occhi continuano a seccarsi e sono costretto a chiudere ripetutamente le palpebre. I miei vestiti si muovono ondeggiando addosso al mio corpo.
Snow invece sembra impassibile. Gli occhi serpentini e freddi spalancati, la barba bianca e i capelli relativamente lunghi, completamente immobili. I vestiti come incollati.
Dopo tanti anni che lo vedo, riesce comunque a stupirmi. Negativamente.
Si volta nella mia direzione e sussurra parole che non riesco a cogliere. Mi avvicino e gli chiedo di ripetere.
– Gi.. at.. hov..cr.. –  
Non comprendo comunque. Ma ora che il profumo nauseabondo della rosa è stato messo a tacere, sento chiaramente l’odore del suo alito. Sangue.
Indietreggio spaventato.
Snow, senza capirne il motivo o fingendo molto bene, ripete alzando la voce accompagnando la frase con un gesto della mano.
– Gira attorno all’hovercraft –
Cercando di tenere le distanze tra me e il sindaco, mi muovo stando attento a non entrare in un turbine d’aria prodotto dalle ventole. Arrivo alla parte opposta del dirigibile e trovo una scaletta. Guardo il sindaco e lui annuisce. Appena aggrappato, una scarica elettrica mi paralizza e mi impedisce di muovermi. Come incollato sulla scala, raggiungo l’entrata. Un pacificatore mi aiuta ad entrare, mentre la scaletta mi libera da quella morsa. Subito dopo di me, appare il sindaco.
Dopo aver congedato il pacificatore, cammina in direzione di quello che sembra un atrio molto spazioso. Io, incerto sul da farsi, lo seguo. Dopo aver aperto la porta che dà sullo stanzone, Snow fa ancora qualche passo, per poi accomodarsi su una poltrona molto simile a quella del palazzo di giustizia. Ripeto i suoi movimenti e mi trovo a sedermi su una sedia per niente comoda, come fosse riempita di sassi. Sistemo malamente la schiena e, per non incontrare lo sguardo di Snow, fisso le mie gambe e le mie scarpe per qualche secondo. Poi il mio sguardo passa ai vestiti. La maglietta e i pantaloncini sono quelli di David. Mi mordo un labbro pensando al fatto che non glieli potrò mai più restituire. Lo considero come l’ultimo ricordo che avrò di lui.
– Allora, caro Mark –
Un brivido mi percorre la schiena. Quella voce penetrante e illusoria, suadente e manipolatoria. Il profumo della sua rosa va intensificandosi mentre Snow inizia il discorso. Deglutisco. Cerco di stare attaccato alla realtà mentre le sue parole cercano di portarmi in un limbo confusionale.
– Grande onore per te essere un tributo. Saprai sicuramente la gloria che riceveresti se diventassi il vincitore. E sicuramente.. –
– Io non vincerò. Non sarei in grado di uccidere. Nel migliore dei casi verrò ucciso nel bagno di sangue iniziale –
Non so che tattica adottare con Snow. Se iniziassi a mentire lui capirebbe. Inoltre credo che a forza di farmi paranoie per inventare bugie, lui potrebbe manipolarmi più facilmente. Nel dire la verità non trovo nulla di cui potrei pentirmi, dopotutto Snow non è un..
– Capostratega. Sai, Mark, quest’anno sono stato promosso a capostratega –
Perfetto. Ogni cosa sta andando per il meglio. Stavo per confessare al capostratega tutte le mie debolezze. Adesso cosa faccio? Mi sento in trappola. Chiuso in una stanza con Snow, con i suoi occhi freddi puntati su di me. Sento l’impulso di scappare e rivolgo gli occhi al finestrino. L’idea di buttarmi giù è folle. E impossibile, aggiungerei. Faccio un sospiro. Nel frattempo Snow continua.
– Mi sembra di capire che non hai voglia di parlare. Mettiamola in questo modo. Io posso aiutarti –
Le sue parole mi lasciano momentaneamente spiazzato. Snow, vuole aiutarmi? Lo fisso, dritto negli occhi.
– Lei..? – mi blocco.
Sul suo viso compare un ghigno di soddisfazione. Mette una gamba sopra l’atra e chiude le mani su un ginocchio.  
– Posso crearti quella che viene definita come.. immagine, direi. Posso favorire i tuoi punti di forza e eliminare dall’arena ciò che potrebbe causarti notevoli danni –
La prima emozione che provo è gioia. Vedo finalmente una possibilità di vittoria. Per la prima volta. Potrò tornare da David,  gli abiterò vicino e non sarò più costretto a dipendere da lui. Con l’aiuto del capostratega potrò trionfare. Ma un dubbio comincia ad assillarmi.
–  Scusi, ma la sua fama la precede. So che tipo di persona è lei. Cosa vuole in cambio? –  
Questa volta sono i miei occhi a lampeggiare pericolosamente.
– Prima di dirti ciò che voglio, propongo una promessa. Voglio che tra noi due non ci siano mai bugie. Tutto ciò che ci diremo sarà sempre e soltanto la verità  –
La verità. È questo che mi chiede. La pura e semplice verità. Reciproca.
– Accetto. Cosa vuole? –  
Comincia la farsa con voce lenta e profonda.
– In questi tempi la politica è un duro compito. Molti incapaci salgono al potere e pretendono di governare un intero stato. Varano leggi, impongono regole, amministrano intere popolazioni. Favoriscono la disparità, tengono il meglio solo per l’élite, apprezzano ciò che è da apprezzare e buttano ciò che è da buttare. Panem ha bisogno di rivoluzione. Ha bisogno di un nuovo leader. Un capo che conduca lo stato verso la pace. Un Presidente che sappia tener sotto controllo la situazione –
Una pace tra i Distretti. È questo che Snow vuole? Vuole compiere un rovesciamento politico, un ammutinamento al potere supremo, un colpo di stato. E io sto diventando una sua pedina. Sto diventando la sua nuova marionetta.
Mi tocca decidere. Burattino negli Hunger Games o in una rivolta? Se rifiutassi, il Sindaco mi eliminerebbe quasi certamente in modo lento e crudele per dare spettacolo a Capitol City. Se accettassi, uscirei sano e salvo dall’arena ma prenderei parte ad un colpo di stato. Sento i suoi occhi posati su di me. Capisco ora di essere la sua preda. Il sindaco ha puntato gli occhi su di me.
– A sua disposizione, a patto che lei preservi la mia incolumità all’interno dell’arena – dico, senza neanche esserne molto sicuro. Voglio soltanto uscirne vivo, per il momento. E seguo le mie priorità.
Il suo viso assume un’espressione indecifrabile. Un sorriso maligno al posto delle sottili labbra. La stessa vacua espressione fredda negli occhi.  Mi sto già pentendo.
– Mark, sapevo che avresti fatto la scelta giusta –
Deglutisco, tornando ad essere il ragazzo insicuro di prima, quello della mietitura.
– Cosa devo fare? –
– Ogni cosa a suo tempo. Ti saranno impartite le prime istruzioni sul treno e per il resto, non dovrai fare altro che attendere –
– Chi sa di questo piano? –
– Ooh, si vede che sei ancora inesperto – Una risata appena accennata lo ferma per un secondo, poi continua in tono estremamente serio – Non posso rischiare di far saltare in aria tutto quanto per la stupidità di un ragazzino. Pochi ne sono a conoscenza e tali devono rimanere. Non parlarne con nessuno e soprattutto non con… –
Un suono lo ferma.
– Avvisiamo il sindaco che siamo giunti a destinazione. Si prepari per l’atterraggio –
Guardo verso il finestrino e mi accorgo che effettivamente siamo arrivati alla stazione. Da sotto la gente ci guarda, alcuni bambini indicano l’hovercraft. Riesco a trovare anche Pamela, Lucy e Evelyn che si guardano intorno con aria spazientita. 
Mi rigiro e il sindaco è sparito. Al suo posto, in piedi c’è un pacificatore. Mi fa segno di alzarmi e mi porta alla scaletta per l’atterraggio. Dopodiché afferro la scaletta e la stessa carica di prima mi immobilizza. Scendo praticamente in parte al treno e quando la scaletta abbandona la morsa, io volo per un paio di metri, ma riesco ad atterrare sulle ginocchia.
Prima di entrare, volgo un ultimo saluto al distretto. Tutta le gente ci saluta come se fosse l’ultima volta che ci avrebbe visto. Tutti a parte David. È fermo e mi sorride. Mi fa un cenno con la mano per dirmi arrivederci. Gli rispondo allo stesso modo e, sotto spinta di Pamela, salgo sul treno.
– Forza, forza! Ma si può sapere dove eri finito? Meno male che non sei arrivato in ritardo, ma hai lasciato da sola la povera Evelyn! –
– La principessa se la cava benissimo da sola, direi –
– Amore mio, ero tanto disperata per te. Come avrei fatto senza il mio migliore amico? –
Il suo tono ironico non provoca altro che ilarità, per tutti i presenti. Anche Lucy scoppia in una fragorosa risata; Evelyn sorride alle sue stesse parole.
Pamela conduce noi tre, tributi e mentore, alle nostre camere. La prima è di Lucy, la seconda mia e la terza di Evelyn. Ci comunica che domani mattina avremo il nostro primo incontro per discutere di strategia e che domani pomeriggio arriveremo alla capitale.
Prima di andare a cena, mi ritiro nella mia stanza. Preferisco stare da solo per riflettere.  Appena entrato, un odore nauseabondo arriva a colpirmi nello stomaco. Percorro il piccolo corridoio che porta al bagno e alla camera da letto. In un vaso di cristallo appoggiato sul pavimento, se ne sta immobile una rosa bianca. Emana un particolare candore, una luce propria. È un avvertimento. Snow mi sta già guardando.


SPAZIO AUTORE
Salve a tutti! Questo capitolo devo dire che non mi piace per niente: è stato scritto di fretta e male! Per di più non sono riuscito nemmeno a descrivere come la pensavo veramente e non ho delineato Snow come doveva essere in realtà! Per favore, lasciatemi una recensione al fine di migliorare. Grazie mille a tutti i lettori!
Mason

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