Neera

di Flower of Eternity
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


CAPITOLO PRIMO

Tutta questa storia iniziò perché a Neera non fu concesso un mezzo di trasporto.
Prova concreta di come il destino in generale ed il caso in particolare amino sollazzarsi con le nostre esistenze, facendole cozzare l’una contro l’altra come tante biglie colorate, splendide eppure fragili.
Ma torniamo a Neera.
Se vi foste affacciati da una qualsiasi finestra del grande palazzo dirimpetto alla sua scuola – quell’edificio che un tempo, forse, era stato marrone – l’avreste vista uscire insieme agli altri studenti, allo scoccare della campanella dell’ultima ora.
Una giovane dai morbidi capelli neri, con grandi e vispi occhi del medesimo colore incastonati in un visino allegro, pulito. Ragazza ordinaria, con il giusto numero di amici e corteggiata dal giusto numero di ragazzi. Se i suoi genitori l’avessero dotata di un mezzo di trasporto, forse la sua vita avrebbe avuto tutto un altro corso, e lei si sarebbe innamorata di un anonimo alunno del quinto anno, con il quale avrebbe messo su famiglia una volta trovato un lavoro decente, vivendo un’esistenza mestamente felice.
Ma i suoi genitori non gliel’avevano concesso.
Eppure lo aveva chiesto. Eccome! Lo aveva preteso, supplicato, implorato.
Ma nulla. Non un motorino, nemmeno uno straccio di bicicletta. Uno stramaledetto monopattino. Non era necessario, a loro giudizio.
Per riportare a casa la loro figliola, in fondo, erano necessari solo venti minuti di cammino; e non aveva poi molta importanza il fatto che la zona ove Neera si avventurava ogni giorno pullulasse di certi soggetti che non sarebbero stati raccomandati nemmeno dalle loro stesse madri.
L’importante era non guardare in faccia a nessuno, non rispondere a nessuno e proseguire dritti per il proprio cammino. Una cosa così facile, no? Oh, sì. Facile come ricevere una randellata in testa una volta girato l’angolo.
Ma che ne potevano capire, mamma e papà? Loro avevano un’auto a testa.
E così la nostra giovane, decisamente poco felice, continuava a tornare a casa con i propri piedi, tutti i giorni alla stessa ora, zampettando come un cuccioletto indifeso per le grigie strade di quella grande città.
Commuovente, nella sua dolce bellezza ancora a metà strada tra il mondo dell’infanzia e quello dell’età adulta, con una colorata cartella appesa alle spalle, ed una cartellina stretta al petto, i lunghi capelli che ricadevano attorno al viso tenuto basso. Una quindicenne come tante altre, fresca quanto una rosa in pieno sboccio.
Anche quel giorno, come sempre, prese la sua strada, salutando allegramente un gruppo di compagne di classe. Dopo quattro lunghe ore pomeridiane passate nel triste e scadente laboratorio di cui era dotata la sua scuola, un liceo artistico che molti fondi riceveva dal comune, sprecandone ben pochi nel miglioramento delle sue strutture, Neera avvertiva una qual certa forma di stanchezza. Si avviò di buona lena, i jeans un po’ troppo larghi che le sformavano le magre gambe.

Fu in quel frangente che conobbe la sua Bestia.

Il sole, un freddo e pacato sole invernale, andava lentamente tramontando, abbandonando a se stessa la grande, brulicante area cittadina che aveva visto nascere e crescere la nostra protagonista; rosse ombre si protesero lungo le sporche, trascurate strade che lei attraversava con passo rapido, tingendole di un colore sanguineo.
Quella zona era, sulla scala del degrado, di appena pochi gradi più in basso rispetto al quartiere ove abitava lei; pullulava di persone che mettevano paura ed angoscia al solo guardarle, cosa che Neera evitava accuratamente di fare, proseguendo ostentatamente per la sua strada. Pareva quasi che la Vita si fosse dimenticata di quegli abitanti, abbandonandoli senza scrupoli alla ben più triste cugina Esistenza.
I palazzi, ognuno il gemello più brutto dell’altro, affiancati come tanti soldatini storpi, osservavano lo scorrere della vita, la loro lunga ed imponente fila interrotta qua e là da qualche piccolo, oscuro, nero, maleodorante vicolo.
Quel tipo di vicoli, tanto per intenderci, ove non mandereste neppure il vostro peggior nemico, a meno che non desideriate per lui un’originale ed elaborata morte indotta da una serie di malattie che l’umanità probabilmente credeva sconfitte da secoli.
Fu proprio nei pressi di uno di questi vicoli che Neera, passandovi innanzi forse per puro caso, udì quel suono che cambiò il corso della sua vita. Per sempre.
Un suono anonimo, a dire il vero, paragonabile a quello provocato dalla caduta di un grande sacco pieno di patate. Nulla che potesse far presagire ad un grande avvenimento e che, anzi, per un attimo, le diede l’impulso di allontanarsi più velocemente che poteva.
Ferma di fronte a quel vicolo, lei si guardò attorno, domandandosi se qualcun altro avesse udito quel rumore. Che era risuonato chiaro e limpido alle sue orecchie, bloccandola all’istante. Il suono di qualcosa che cadeva. Un corpo, magari.
Forse qualcuno stava male, là dentro. Uno di quei ragazzi che bevevano troppo, fumavano troppo e che, soprattutto, si iniettavano troppa di quella certa sostanza nelle vene.
Forse stava morendo, solo ed abbandonato da tutti.
Neera si guardò attorno ancora una volta, come in cerca di complicità con qualche casuale passante. Ma nessuno era abbastanza vicino a lei, o abbastanza interessato alla sua persona. In quella sporca e depressa zona della città, ognuno viveva una grigia esistenza a sé stante, cellula impazzita di una società incapace di restituirle una qual certa forma di decoro.
Sospirando indecisa, la giovane tornò a fissare l’interno buio del vicolo, mentre la sottile ombra della sua figura femminile veniva proiettata alle sue spalle, circondata ed accarezzata dalla luce del sole morente.
Forse c’era davvero qualcuno che stava morendo…
Probabilmente avrebbe fatto meglio a proseguire per la sua strada, sperando che altri entrassero in quella brutta e spaventosa stradina, e rinvenissero il malato. O il morto, a seconda del caso.
Ovviamente, dato che era un’adolescente che sapeva benissimo qual’era il comportamento più responsabile da tenere, ma che, nella maggior parte di casi, tendeva a fare esattamente l’opposto di ciò che il buon senso le consigliava caldamente, ella entrò di qualche passo dentro il vicolo, quasi fagocitata dalla sua ombra.
E lo vide.
Lei flebilmente illuminata dai pochi raggi che riuscivano a raggiungere il principio del vicolo, lui avvolto nell’ombra: fu così, il loro primo incontro. Dapprima lo scambiò sul serio per un ubriacone, o per un drogato. Ripiegato su se stesso, il corpo fasciato in stracci lerci e puzzolenti, quel poveretto se ne stava a terra, mugolando debolmente. I capelli, il cui colore lei non seppe distinguere con chiarezza a causa della semioscurità di quel luogo, ricadevano scomposti sul viso, coprendolo e celandolo alla sua vista.
Tenendo la grande cartellina che conteneva i suoi disegni stretta al petto, come se fosse stata un piccolo ed inutile scudo, Neera rimase a lungo in silenzio, trattenendo il respiro, osservando quella creatura, un piede proteso all’indietro e pronto alla fuga.
«Tu… tutto bene?» tartagliò timidamente, non sapendo perché il solo scorgere quel corpo umano le avesse dato i brividi. Al suono della sua voce, la persona misteriosa mosse di scatto il capo, parte del viso ancora tenuta nascosta dai capelli. «Se ti senti male, posso chiamare un’ambulanza…»
«Mi cerca.» fu l’ansimante risposta che l’uomo le fornì, con voce roca e debole. «Mi cerca!» con quello che parve un immenso sforzo, lui si puntellò a terra, riuscendo ad alzarsi in ginocchio; cosa che allarmò Neera, sempre più preoccupata per la propria incolumità che di quella della persona cui aveva pensato di prestare soccorso.
«Io non…» balbettò la poverina, mentre l’essere si rialzava in piedi. Era più alto di lei, dal fisico snello e slanciato. Gli occhi che si andavano abituando alla penombra, la giovane riuscì a distinguere i tratti di quella porzione di viso che lui le offriva. Un ragazzo. Era solo un ragazzo. «Chi ti cerca?»
Lui fece un paio di passi verso la ragazzina, osservandola con attenzione, come se volesse valutarla, o giudicarla. Il cono di pallida luce che a malapena raggiungeva il principio del vicolo finalmente lo accolse, svelandolo appieno. Era molto più alto di lei, tanto che, nel vederlo avvicinare, Neera fu costretta a ripiegare il capo verso l’alto per osservarne il volto.
Un volto che quasi la fece urlare.
La cartellina cadde a terra con un suono sordo, abbandonata dalle mani della fanciulla che, in un gesto atavico, corsero verso la bocca di lei, coprendola. Forse per impedire all’urlo che voleva uscirne di trovare la libertà.
«Non guardarmi così.» accusò il ragazzo, anche se con rassegnazione, coprendo con un gesto stizzito la parte destra del viso, orrendamente sfigurata. I biondi capelli, sporchi e spenti, ricadevano a ciuffi disordinati sino all’altezza degli occhi azzurri, quasi glaciali. «Aiutami…»
Cos’altro avrebbe dovuto fare? Lo aiutò.

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


CAPITOLO SECONDO

«Un momento…» la voce di Boe risuonò di quel particolare accento saccente che gli sfuggiva quando, per un motivo o per l’altro, lui si ritrovava posto di fronte ad una faccenda a dir poco incomprensibile. «Cerchiamo di capire la situazione. Rispiegami tutto.»
Neera strinse il cellulare con forza, voltandosi per tre quarti e spiando il suo nuovo protetto attraverso la folta coltre della propria chioma, scivolata in avanti a causa della statura curva assunta dalla ragazza per compiere quella telefonata.
«Sfigurato.» sussurrò. «Non lo so, Boe. Mi ha chiesto aiuto…»
«E tu lo hai portato a casa tua?!» esplose finalmente lui, preoccupato. Era di un paio d’anni più grande di lei, Boe, e non esitava a comportarsi nei suoi confronti come un adulto apprensivo.
«No, certo che no.» rispose Neera, scandalizzata da quell’accusa.
«Ah!» ed il ragazzo parve calmarsi.
«In cantina, l’ho portato.» ebbe però il dispiacere di precisare la giovane.
«Ah.» fu l’unico commento di Boe, che questa volta, però, risuonò di una nota decisamente più cupa. «Senti. State lì. Tu trova un’arma, per difenderti. Io arrivo subito!» e chiuse frettolosamente la comunicazione, lasciando la poverina sola.
«Un’arma?» ripeté, perplessa, alzando poi il viso, e fissando ancora una volta quel misterioso individuo raccolto per la strada solo una mezz’ora prima.
Lo sconosciuto si guardava attorno, incuriosito ed interessato. Non vi era un grande ordine, in quella stanza. Anzi. Eletto da tempo come luogo per le creazioni artistiche di Neera, quella cantina, ormai, basava la propria composizione interamente sulle inafferrabili leggi del caos.
Un’arma. Perché Boe le aveva consigliato di procurarsi un’arma? Da che lo aveva preso con sé, conducendolo come una madre alle prese con un figliolo obbediente e pacifico, lui le era parso tutto, tranne che pericoloso. Sempre che non fosse un pazzo psicolabile; eventualità che, quando lo aveva visto così spaurito e solo, e lo aveva invitato a seguirla, non le era purtroppo sovvenuta alla mente.
«Il mio amico arriverà tra poco.» annunciò timidamente, mettendo da parte quelle riflessioni decisamente poco rassicuranti.
Il misterioso ragazzo la fissò per un attimo con quei suoi occhi di ghiaccio, senza commentare la sua affermazione. Poi, tornò ad osservare i barattoli di vernice, i pennelli, i modellini, le sculture e tutto ciò che, nel corso del tempo, la giovane aveva ammassato sugli scaffali della cantina.
Ogni volta che lui la fissava, e scandagliava la sua figura con quelle iridi tanto belle da risultare spaventevoli, lei si sentiva valutata e giudicata. Ed aveva il fondato sospetto che i voti sulla sua persona raramente superassero la sufficienza.
«Se… se intanto vuoi raccontarmi chi è che ti seguiva… potrei chiamare la polizia.» aggiunse Neera, titubante. Non sapeva bene perché, ma aveva il fondato sospetto che chiamare le autorità non sarebbe stata la cosa migliore. «O, insomma, se hai bisogno di qualcosa… chiedi pure.»
Ancora una volta, ebbe il suo sguardo addosso. «Davvero?» chiese il giovane, parlando per la prima volta da che lei lo aveva raccolto per la strada come un vecchio fagotto.
«Davvero.» annuì la ragazza, chiedendosi a quale richiesta lui potesse aver mai pensato, dato il brillio quasi ingordo che gli sfavillò negli occhi. D’istinto, allungò la mano verso il suo banco da lavoro, afferrando e stringendo un letale… pennello numero quindici.
«Mi piacciono tanto le mele.» se ne uscì infine quel misterioso ragazzo.

***

Robert la osservò perplesso. «Dodici?» ripeté, come se sentire quel numero sulle proprie labbra potesse rendere il dato più realistico. «Ha mangiato dodici mele?»
«Ed una banana.» annuì Neera, prendendo la giacca del suo trafelato ospite, e sistemandola su un appendiabiti posto all’ingresso. I suoi genitori, entrambi impegnati nel portare avanti una piccola attività commerciale in comune, non tornavano mai a casa prima delle sette di sera. Per fortuna.
«Dodici mele ed una banana. Mio Dio.» commentò Robert, detto Boe, passandosi una mano tra i corti capelli neri. Era un ragazzo bassotto ma dal sorriso solare, con scintillanti occhi verdi che spesso brillavano di una luce maliziosa, soprattutto quando lui se ne usciva con una delle sue pagliacciate. Come in quel momento. «Dev’essere un maniaco. Un maniaco divoratore di frutta!» Neera alzò gli occhi al cielo, lasciandosi sfuggire un sorriso.
A scuola, Boe era considerato una specie di piccolo genio. Ormai al quarto anno di studi, egli era uno dei pochi allievi veramente dotati di talento: una specie di mago del disegno, ammirato e corteggiato da molti.
Dotato, per contraltare, di un carattere borioso ed attaccabrighe: Boe concedeva ben a poche persone qualcosa di più di un saluto – o, nel caso di avvenenti fanciulle, qualcosa più di una serata insieme – mantenendo assai ristretta la schiera degli amici fidati. Al momento, essi si riducevano a due significativi soggetti: il primo, Den, ovvero il suo cane.
Ed il secondo, Neera.
L’aveva presa sotto la sua protettiva ala sin dal primo anno, Dio solo sapeva perché. Forse l’aveva trovata piccola e fragile, un pulcino tutto nero immobile e timido tra le nuove leve. O forse aveva letto in lei qualcosa che agli altri continuava a sfuggire. Un mistero, quello, che neppure Neera aveva saputo risolvere.
Le piaceva, essere amica di Boe. Perché Boe le piaceva. In tutti i sensi del termine.
«In ogni caso, piccola donnola pazza, lo sai che non portare a casa gli sconosciuti è un consiglio che svetta tra le prime posizioni della famosa hit parade Come Non Farsi Ammazzare Dal Primo Che Passa?»
Neera recuperò di distrattamente un paio di pere, nel caso il suo Maniaco della Frutta avesse desiderato sedare altre voglie. «Stava in quel vicolo, e mi pregava di aiutarlo.» spiegò per l’ennesima volta, avviandosi in sua compagnia verso la propria cantina, ove aveva abbandonato, seppur per poco, quello strano ospite. «Tu che avresti fatto, al mio posto?»
«Gli avrei tirato un calcio nei denti.»
«Mmh.» commentò la ragazza, evidentemente trovando poco carina quella soluzione.
Aprì la porta della cantina, e discese con attenzione quelle scale in legno scricchiolante degne del migliore film horror. Boe richiuse l’uscio alle loro spalle, notando immediatamente il nuovo arrivato: alto e ben piantato, se ne stava in un angolo della stanza, seduto all’interno di un cerchio formato da torsoli di mele. E da una buccia di banana.
Quando quell’ospite così particolare si accorse di lui, sobbalzò sorpreso, alzandosi in piedi di scatto, come pronto alla fuga.
Neera lo fermò nell’unico modo che aveva appreso: mostrandogli le pere. Le quali risultarono una gradevole distrazione per il misterioso biondo.
«Lui è Boe.» tartagliò Neera. «Te lo avevo detto, che lo chiamavo…»
«Credo che trovi più interessante la pera.» commentò Robert, inarcando entrambe le sopracciglia nel tentativo di studiarlo.
In effetti, non aveva tutti i torti: preso il frutto dalle mani di Neera, egli cominciò a rosicchiarlo con voracità, sporcandosi del suo succo.
«La prossima volta, presentagli il tuo amico tovagliolino.» ironizzò il nuovo arrivato. «Per la miseria, ma che gli è successo alla faccia?» domandò poi, quando notò ciò che deturpava parte del viso dello sconosciuto.
Furono parole evidentemente poco gradite, dal momento che il pazzo Divoratore di Frutta alzò appena un occhio azzurro, fulminandolo rabbioso. Lasciò cadere il resto della pera a terra, allontanandosi da loro. Rivolse la propria attenzione ad una ben poco attraente crepa nel muro, evidentemente offeso.
«Hai la delicatezza di un… di una cosa molto indelicata!» sibilò Neera, la quale, poverella, in quanto a battute di spirito non era messa bene quanto il suo caro amico. Raggiunse il biondo, tentennante, non sapendo bene se sfiorargli la spalla con una carezza comprensiva, o se offrirgli un’altra pera. «Scusalo. Non dirà altro.» e volse un tale sguardo a Robert, da fargli desiderare sepoltura immediata. «Girati, ti prego. Non ti guarderemo in modo strano. Vero, Boe?»
«Vero.» confermò l’interpellato, dal momento che, visto il tono autoritario che lei aveva messo in quella domanda, l’unica altra risposta possibile sarebbe stata “Sissignora!”.
«Bene, bravo.» chiocciò Neera, quando finalmente il biondo decise di farla contenta, abbandonando le proprie riflessioni architettoniche sulla crepa e tornando a guardarli. Ma non resistette, il poverino, dal calarsi ancora una volta un ciuffo di capelli biondi sul viso, per nasconderne, almeno in parte, la parte sfigurata. «Bene. Ti presento Boe.»
«Ehilà.» se ne uscì il moro, manco fosse stato ad un party con tanto di cocktail in mano.
«A volte sembra pazzo, ed in effetti lo è. In realtà si chiama Robert.» spiegò ancora la giovane. «Ma gli piace essere chiamato Boe in onore…»
«In onore del grande Boe, protagonista in incognito dei Simpson!» lui si abbandonò ad un sospiro estatico, come una sfegatata fan che, d’improvviso, si ritrova con il proprio idolo tra le lenzuola. «Colui Che Diffonde l’Alcoolismo. Che persona nobile! Un giorno sarò come Boe.» ed annuì convito.
«Adesso è in uno di quei momenti in cui sembra pazzo e, in effetti, lo è.» si ritenne in dovere di precisare Neera, anche se le sue labbra si curvarono un sorriso affettuoso. La presenza di Robert, brillante ed ai limiti della sanità mentale, come sempre, la stava aiutando a gestire quella situazione altrimenti molto difficile. «Io sono Neera. Ed ora, vuoi dirmi almeno il tuo nome?» lo supplicò non solo con la voce, ma anche con i propri occhi, ora imploranti quanto quelli di un cucciolo.
Un attacco cui era impossibile resistere, anche per un dissociato sociale deturpato a vita come quel biondo. «Adam Rick Jack.» rispose finalmente lui, tenendo lo sguardo basso.
Robert fischiò piano. «Infanzia difficile, eh?» fu il suo unico commento, del quale si pentì immediatamente, soprattutto quando Neera lo invitò con una sola occhiata a cospargersi il capo non di cenere, ma di un ben altro materiale sempre di derivazione organica.

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


CAPITOLO TERZO

«Tesoooro!» urlò la voce di Boe, assumendo un’intonazione decisamente poco virile. Lui si affacciò dal bagno, con il dito mignolo puntato verso l’alto, imitazione perfetta di una sofisticata cameriera inglese. «Il bagnetto è pronto!»
E’ comprensibile, quindi, come quel richiamo, anziché incitare Adam Rick Jack a raggiungere il piano superiore, lo fece retrocedere di qualche passo, preoccupato.
«Perché l’ho fatto venire?» uggiolò Neera, scuotendo il capo con aria depressa. «Boe» chiamò poi, rivolta verso il secondo piano della sua abitazione. «Potresti tornare nel magico pianeta dell’eterosessualità?»
«Certo, mio tenero confettino!» rispose la sua voce, e va precisato che essa non fu per niente virile.
«Non ti preoccupare.» lei, imbarazzata dal comportamento del suo migliore amico, afferrò gentilmente il ragazzo per un braccio, cosa che lo fece sobbalzare sorpreso. «Gli piacciono le ragazze, eccome! Vedessi quante ne ha…» e qui la sua voce assunse una lieve nota più amara.
Già, Boe era pieno di ragazze. Tutte sue amanti.
Tranne lei. Lei era una sua amica. L’unica.
«Perché mi volete lavare?» chiese il biondo, strappandola da quelle tristi riflessioni. La sua voce era gentile, delicata, un modo di parlare che mai si sarebbe potuto associare a quell’inquietante ragazzone dal viso sfigurato. «Sto bene, così.»
«Non molto.» si costrinse ad essere sincera Neera, anche se con un certo imbarazzo. «Ora ti dai una bella sciacquata, poi ti darò qualche vestito di papà! E poi…» ma tacque, incerta.
Calò il silenzio tra loro.
«E poi mi nasconderai?» domandò infine lui, implorante. «Lo farai?»
«Ma perché? E da chi?» chiese una volta di più la ragazza, ignorando gli ululati estatici di Boe a proposito della morbidezza della schiuma che si era formata nella vasca da bagno.
«Lo farai?» ripeté il giovane.
«Io…» e di nuovo ebbe quegli occhi azzurri addosso, glaciali e perforanti come due laser. Neera si ritrovò ad annuire senza neppure rendersene conto, non sapendo se essere più spaventata o più perplessa da quella situazione. «Sì. Ma mi racconterai tutto, Adam? Cioè, Rick. Voglio dire… come ti chiamo?»
Lui le concesse il primo dei suoi sorrisi, che si allargò lentamente sul suo volto, spuntandogli dalle labbra come un animaletto tanto grazioso quanto raro, ed illuminandogli piacevolmente il viso. «Scegline uno.» le propose. «Anche se io preferisco Adam.»
«Allora Adam.» decise immediatamente Neera, sorridendogli di rimando.
Fu Boe, senza neppure rendersene conto, ad interrompere quel bel momento: «Ragazziiih! L’acqua è una meraviglia! Uh, uh, uh!» canticchiò e ridacchiò, sempre meno rassicurante. «No, il bagno non lo faccio.» decise all’istante Adam, logicamente spaventato dalla prospettiva di doversi tuffare in una vasca con nei pressi un individuo come Robert. Neera si abbandonò ad una risata divertita.
«Vieni. Abbaia ma non morde.» lo consolò, tirandoselo dietro, su per le scale. Adam aprì la bocca per spiegare che non era tanto preoccupato per i morsi di Boe, quanto per altre cose che avrebbe potuto ricevere da lui contro la propria volontà, ma la richiuse subito dopo, forse perché deliziato dalla piccola risata di lei. «Fate in fretta, tra un’ora dovrebbero tornare i miei genitori!»
La casa di Neera era piccola, ma graziosa. Tenuta in ordine da una madre amorevole e precisa, essa appariva come una delicata miniatura antica, con ogni cosa in ordine ed in armonia con l’ambiente circostante.
Raggiunsero l’unico bagno dell’abitazione, all’interno del quale Boe era in attesa. «Bene!» enunciò lui, uscendo con fare spiccio dalla stanza e piazzandogli una spugna in mano. «Acqua calda, schiuma schiumosa e - ad occhio e croce – tanto sporco da grattare. Buon lavoro!» lo spinse dentro, chiudendo la porta, contro la quale si appoggiò.
Attesero in silenzio qualche minuto, forse in attesa di una richiesta d’aiuto da parte del misterioso Adam. Che non venne. Evidentemente, egli aveva chiari tutti i concetti ordinatigli da Robert.
«Hai ragione.» borbottò infine lui, tornando improvvisamente serio, e fissando gli astuti occhi verdi sulla sua amica. «E’ strano forte.»
«Continua a dire che devo nasconderlo.» sospirò la giovane, preoccupata. «Ha quei segni in faccia… non so cosa possa essergli capitato! Mi fa pena.» ammise poi, in un sussurro.
«E vorresti nasconderlo nella tua cantina a vita? Non esiste.» commentò il ragazzo, più pratico. «Io dico: laviamolo, vestiamolo e portiamolo ad una centrale di polizia. Sapranno cosa fare.» Dall’interno del bagno, giunse un preoccupate suono, simile a quello provocato da una grossa pietra lanciata in una piccola pozzanghera. «Oppure… lasciamo che anneghi.» Boe si concesse una terza possibilità, con un ghigno.
«Ma io gli ho promesso di tenerlo qui. Di nasconderlo!» protestò debolmente Neera, indecisa e preoccupata per quella situazione assolutamente al di fuori delle possibilità di una ragazzina come lei. «Non posso rimangiarmi la parola.»
«Tzé!» fu lo sbrigativo commento del moro. «Sai quante parole mi sono rimangiato, io? Ho persino promesso a Kelly di sposarla, se fosse uscita con me! E ti pare che io mi sia sposato con Kelly?»
«No, ma suo fratello ti ha quasi rotto il naso.»
«Colpo bassissimo e veramente perfido, il tuo.» incassò lui, storcendo le labbra in un sorriso meno allegro dei precedenti.
«Ma meritato.» fece notare Neera, ottenendo così un altro punto partita.
«Ad ogni modo» riprese frettolosamente Boe. «se lui proverà a romperti il naso… poi dovrà vedersela con me. Tu ricordi il numero di fratture che, alla fine, riportò proprio il caro fratello di Kelly, no?» ed esibì il peggiore dei suoi sorrisi, quello che lo faceva somigliare ad una specie di folletto psicotico in procinto di una strage.
«Solo perché hai trovato quella sbarra di ferro per terra.» fu il nuovo commento di Neera, che strappò una smorfia divertita a Boe.
Altri suoni d’acqua giunsero dal bagno.
«Avrà capito che non è una piscina, vero?» disse il ragazzo, squadrando preoccupato l’uscio, dietro al quale il rumore di schizzi si ripeté, come se, intenta a fare un bagno, vi fosse stata una papera.
«Magari prova a controllare come sta.» propose Neera, leggermente in ansia.
«Va bene.» annuì lui, abbassando la maniglia ed affacciandosi nella stanza. «Ehi, John Jay Jack!» chiamò giulivo, con quella solita faccia che chiamava a gran voce dei grandi schiaffi.. «Come va il… OH, DIO!»
«Che c’è?» balbettò Neera, il cui pudore le impedì di spiare a sua volta l’interno del bagno. «Sta male?»
«Dio. Oh, Dio. Dio!» ripeté Boe, come una cantilena. Cercò a tentoni il braccio della ragazza alle sue spalle, e la costrinse a sporgersi a sua volta verso la vasca ove era immerso il giovane. «Guarda!» la implorò, cercando forse qualcuno che confermasse ciò che lui aveva visto, e gli confermasse la sua, seppur labile, sanità mentale.
Neera guardò. E si portò ancora una volta le mani alla bocca, come aveva fatto durante il suo primo incontro con quello spaventoso ragazzo biondo.
«Cielo…» sussurrò terrorizzata, osservando l’arto destro di lui, una grigia e fredda struttura metallica terminante in una mano apparentemente umana. Altre placche di metallo erano presenti sul corpo del ragazzo, fissate qua e là come orride pezze, alternate alla carne.
Lei lo guardò, tremante.
E poi vide solo il buio. Cadde a terra, priva di sensi.



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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


CAPITOLO QUARTO

«Mettiti quei cazzo di pantaloni, deficiente!» berciò una voce maschile.
«Ma… io…» l’interdetta risposta apparteneva ad un’altra voce, sempre maschile, anche se più gentile e cauta.
«Sia mai che vedendo il tuo pendolo al vento non svenga di nuovo!» precisò la prima voce, dura. Neera riaprì gli occhi in quel momento, guardandosi attorno con fare confuso. Intravide chinato su di sé Boe, intento a studiarsela con quei suoi occhi verdi ed attenti. Poco lontano, Adam stava lottando non poco con le sue braghe, cercando di infilarle il più velocemente possibile. Lei mugolò, confusa.
«Tutto bene, piccola. Sei picchiata a terra.» la rassicurò Robert, con voce bassa e carezzevole. «Non ti facevo così impressionabile, però!» la prese bonariamente in giro, notando lo sguardo smarrito dell’amica e cercando così di rassicurarla con il suo solito umorismo.
L’aiutò a sedersi, cosa che lei fece con accurata lentezza, per evitare un nuovo capogiro. Finalmente rivestitosi di quel minimo che la decenza richiedeva, Adam li raggiunse, esibendo ancora quel torso nudo costellato da placche metalliche, e quel braccio per metà mosso da macchinari sconosciuti alla scienza umana.
«Ti ho fatto paura.» il ragazzo la osservò affranto, i lunghi capelli biondi che, come sempre, gli spiovevano sulla parte sfigurata del viso, celandola per quanto possibile al resto del mondo. «Mi dispiace.»
Sorprendentemente, non fu Neera a consolarlo, ma Robert stesso. «Non sei tu.» il moro sorrise con fare strafottente, carezzando appena i lunghi capelli neri dell’amica. «Sai, è una ninfomane psicologicamente complessata, e al solo vedere corpi maschili nudi… perde i sensi! Pensa che, nelle notti di luna piena…»
«Idiota!» lo rimbrottò lei, finalmente esplodendo in una risata debole e stentata. «Fatemi alzare, mi sembra d’essere la Bella Addormentata!»
Entrambi sorrisero di quella battuta, Boe perché Neera tutto poteva sembrare, tranne che una debole principessina vittima di un incantesimo e Adam non certo per l’umorismo in sé, ma per il semplice fatto di vederla stare meglio.
Quando fu nuovamente in piedi, la giovane fissò con un misto di orrore e curiosità il petto e la schiena del suo pazzesco ospite, girando attorno al poverino e facendolo sentire come una specie di manzo da esposizione. Ma lui rimase in silenzio, la schiena ritta e lo sguardo nel vuoto, permettendole quella conoscenza che, per quanto lei lo aveva già aiutato, era quanto meno legittima.
«Chi… chi ti ha fatto questo?» sussurrò infine Neera, non azzardandosi a toccarlo.
Adam rimase a lungo in silenzio, il tempo necessario per far sì che lei supponesse che anche quella domanda non avrebbe ricevuto risposta. Poi, sorprendentemente, parlò: «Il mio Creatore.» «Biblico.» se ne uscì Boe, mugolando dal dolore quando l’amica, trovandosi sfortunatamente accanto a lui, gli pestò ferocemente un piede.
«Il tuo Creatore? Non capisco.» Neera fissò con estrema serietà il giovane dai capelli biondi, come se in quel volto sfigurato vi fosse stata, incisa nelle carni, la risposta ai propri dubbi. «Tuo padre, intendi?»
«Padre?» ripeté confusamente Adam, evidentemente non comprendendo quella parola.
In quel momento, un rumore dal piano di sotto li fece sobbalzare tutti e tre. Fu davvero il rumore peggiore che avrebbero potuto udire, poiché quel suono era il preannuncio di un’immane tragedia. Precisamente, ciò che li terrorizzò come dei conigli fu una voce. Una voce che disse: «Neera? Sono a casa!»
«Mia madre!» uggiolò la giovane, cercando disperatamente aiuto negli sguardi dei due ragazzi in sua compagnia. «Oh, mio Dio! Non può trovare un bagno così ridotto con un ragazzo… così…»
«… Così ridotto.» completò per lei Boe, esibendo il solito ghigno da bastardo dotato della patente internazionale dei bastardi. «Bene, prevedo arresti domiciliari per te… e denuncia alla polizia per lui…» sospirò poi, lisciandosi il mento con una mano per convincere il suo cervello a fornirgli una qualche via di fuga.
I passi della madre di Neera raggiunsero le scale che conducevano al piano di sopra. «Sei di sopra, Neera?» chiese la donna, con quella voce così innocente e fiduciosa che hanno tutte le madri prima di scoprire una delle marachelle peggiori che la figlia potrebbe combinare.
«Oh, Dio!» guaì ancora una volta la ragazza, evidentemente non trovando niente di meglio da fare.
«Ci penso io.» stabilì infine Boe, acchiappando Adam per un braccio e sistemandolo dietro la porta semiaperta. «Non parlare, non fiatare e, se puoi, dimenticati di respirare!» ordinò perentorio, ed il biondo, che poi tanto scemo non era, comprese immediatamente la situazione, annuendo con sguardo serio.
«Credi davvero che non guarderà lì dietro?» soffiò terrorizzata Neera, mentre la voce di sua madre la richiamava ancora una volta, con un flautare che le ricordò in modo inquietante un qual certo Barbablù.
«Non guarderà» l’assicurò Robert. «Perché avrà altro da guardare.» e, detto ciò, si tuffò nella vasca da bagno. Frugò un po’ nell’acqua, cercando spugna e saponetta; quindi, prese ad insaponarsi le ascelle. Canticchiando.
Se Neera si fosse trovata davanti un enorme elefante rosa a macchie rosse intento a cantare la Marsigliese, non avrebbe potuto avere un’espressione più sorpresa di quella che esibì in quel momento. «Ma che accidenti…?» agonizzò.
Sua madre arrivò proprio in quel momento. Sorrideva, povera donna. E quel sorriso le si congelò sulle labbra, come se qualcuno l’avesse trasformata in una fotografia.
Era una signora bassa e dalle forme morbide, con gentili occhi verdi e gli stessi capelli neri di Neera. Una creatura pacifica ed amichevole, che andava in escandescenza assai di rado. Anche se, quando ciò avveniva, conveniva predisporsi alla difesa dotandosi di almeno un bunker antiatomico.
Al momento, ella risultò troppo sorpresa per poter anche solo ponderare un eccesso di rabbia. «Buongiorno!» cinguettò Boe, tutto contento, continuando ad insaponarsi ed a sfregarsi con la spugna, manco fosse stato un cocker alla toletta. «Come va?»
«Neera?» chiese immediatamente soccorso sua madre, forse per avere spiegazioni circa la scena innanzi ai suoi occhi, o forse per avere un altro essere umano che confermasse la veridicità della suddetta scena.
«Ehm…» fu il commento della figliola, cosa che fece masticare una silenziosa bestemmia a Boe, frustrato dalla totale incapacità dell’amica di fabbricare menzogne degne di questo nome.
«Sto facendo un esperimento!» spiegò così lui, mentre Adam, dietro alla porta, spiava attentamente la donna appena entrata, in effetti troppo impegnata a fissare basita Robert per poter badare allo sconosciuto a torso nudo così vicino a lei. «Per un quadro.» specificò. «Voglio…» quasi a Neera parve di udire il rumore delle rotelle della testa di Boe, lanciate a velocità folle. «Voglio rielaborare in maniera allucinatamente espressionista l’ormai obsoleta mania borghese di farsi il bagno nudi.» e sorrise giulivo, apparendo in tutto e per tutto simile ad un pazzo.
«Ah.» sussurrò la donna, mentre le sue, di rotelle, stavano lentamente arrendendosi di fronte a quell’accozzaglia di termini che, anche se mischiati in modo diverso, avrebbero ugualmente avuto un significato alquanto oscuro. «Capisco. Ma… perché nella… mia vasca da bagno…?»
«E’ così borghese, lavarsi ognuno nella propria vasca!» trillò Boe, con sguardo da ubriaco allegro.
«Borghese, già.» ripeté Neera, ritenendo fosse il momento di uscirsene con un commento incisivo.
Sua madre osservò il ragazzo tornare a sfregarsi con la sua spugnetta. Lo fissò mentre lui, evidentemente in preda ad un momento di acuta creatività, intavolava una conversazione con la stessa, e scosse il capo, depressa. «Te lo avevo detto, che in quella scuola ci andavano solo i matti.» sospirò, rivolta alla figlia.
«Beh… almeno non sono dei borghesi privi di senso estetico.» ridacchiò in modo alquanto isterico Neera. «Non… non preoccuparti, mamma. Pulisco io, qui.»
«Vorrei ben sperare!» rispose lei, uscendo poi dal bagno con due dita premute sugli occhi evidentemente stanchi. Se stanchi dalla giornata di lavoro o dalla visione di un amico della figlia intento a fare il bagno vestito nella sua vasca, non è dato sapersi.
Quando la madre fu lontana, Neera quasi si afflosciò dal sollievo. «Santo cielo. Meno male che sei matto da legare!» sospirò, appoggiando appena la porta del bagno, e liberando Adan dal suo nascondiglio.
Boe uscì dalla vasca da bagno, schizzando acqua come un orso bruno al termine della pesca dei salmoni. «Sto congelando.» pigolò. «Accidenti, John Kayman Clevor, mi devi un favore grosso come una casa!»
Adam sorrise, con riconoscenza. «E’ vero.» ammise solo, mentre Neera quasi si rompeva l’osso del collo per porgere il più in fretta possibile un asciugamano all’amico. Boe vi ci si avvolse, quasi tremando.
«Ehm» azzardò a quel punto la giovane. «Mamma ora sarà in cucina, credo. E… ed io dovrei riportare Adam giù di sotto, in cantina…»
«Non si era detto di portarlo dalla polizia?» borbottò il moro, asciugandosi per quanto gli era possibile. A quelle parole, il ragazzo che Neera aveva misericordiosamente raccolto dalla strada s’irrigidì, puntando uno sguardo disperato su di lei.
«Non lo porterò dalla polizia fino a che non avrò capito chi gli ha… attaccato tutto quel ferro.» stabilì Neera, ed i suoi occhi dardeggiarono assai pericolosamente Boe, il quale richiuse la bocca appena spalancata per ribattere. «Per questa notte lo nasconderò. E domani… beh, domani vedremo. » Tacque, sospirando stancamente. «Più che altro, al momento il vero problema è: come lo porto giù di sotto, senza che mamma lo veda?»
Il silenzio cadde su tutti e tre. Neera rifletteva, Boe pure ed Adam, invece, studiava quella giovane che lo aveva appena graziato da una cacciata di casa, sorridendole con inconsapevole tenerezza. Infine, fu Robert a prendere la parola. Come sempre, del resto. «Sai… cercare di entrare in un forno… è una cosa maledettamente antiborghese…» buttò lì.
Neera alzò su di lui occhi stupiti, e si trattenne a stento dal ridere. «Oh, sì.» commentò. «Hai perfettamente ragione...»
Dieci minuti dopo, la madre di Neera un po’ strillò ed un po’ implorò. Oppure fece le due cose contemporaneamente, osservando basita il migliore amico della figlia intento ad incastrarsi nel forno della sua cucina, ovviamente non ottenendo grandi risultati.
Nel frattempo, mentre Robert continuava ad acquistarsi a rate un bel soggiorno in una clinica di igiene mentale, Neera scivolò giù per le scale in compagnia di Adam, riuscendo finalmente a celarlo di nuovo nella propria cantina.



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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


CAPITOLO QUINTO

Non fu facile, per Neera, restare tranquilla e pacata per tutta la durata della cena.
A casa sua, ogni pasto serale era una specie di sacro rito, ripetuto con amore e pazienza dai tre occupanti di quella piccola ed ordinata abitazione. Esso aveva inizio quando suo padre, rientrando circa un’ora dopo la moglie, appendeva l’abito accanto all’uscio e salutava le due donne della sua vita con borbottii degni del miglior lavoratore stressato dalla società dei consumi. Dopo il suo arrivo, Neera si occupava di apparecchiare, badando bene a disporre tutto nel modo giusto: sua madre, infatti, per quanto buona e gentile che fosse, di fronte ad una tavola non addobbata secondo il suo gusto aveva la straordinaria facoltà di trasformarsi in un orrendo quanto pericoloso orco.
Non vi erano scuse: anche se avessero cenato a panini, sul tavolo avrebbero dovuto ugualmente essere presenti piatti fondi e piani, poggiati gli uni sugli altri ed asserragliati da un coltello sulla sinistra e da una forchetta sulla destra. I bicchieri andavano posizionati rovesciati, e guai a dimenticarsene. Il sottopentola? Al centro esatto della tavola, accanto al piccolo contenitore pieno di tovagliolini di carta. Poi vi era la caraffa per l’acqua, ed una più piccola contenente un po’ di quel vino che suo padre consumava durante il pasto. E sale, olio e pepe.
Boe definiva ciò una cosa pericolosamente borghese. Quando, a volte, si era fermato a cenare con la famiglia di lei, era rimasto a dir poco stupito nel vedere come i tre abitanti di quella casa tenessero in modo quasi maniacale al rito del pasto, consumandolo con lentezza e piacere, intenti a conversare tra di loro. Lui, cresciuto da una donna che vedeva una sera sì e dieci no, abituato a cene consistenti in panini pieni di Dio solo sapeva cosa consumati davanti al freddo intrattenimento della televisione, proprio non era riuscito a comprendere per quale misterioso motivo a casa di Neera fossero necessarie tante cerimonie per una cena.
A Neera, invece, quel piccolo ma grazioso rito non era mai spiaciuto. Fanciulla pacata e remissiva per natura, aveva appreso ed assimilato i modi di fare della sua famiglia sin da bambina, arrivando addirittura ad amare quei momenti di riunione serale, nei quali era sì vietato guardare la televisione, ma era altresì vietato criticare o indisporre qualcuno presente alla tavola. Durante le cene con i suoi genitori, ella poteva rilassarsi, ascoltandoli conversare del più del meno ed intervenendo qualche volta con osservazioni o domande.
Anche se per quella sera, purtroppo, la giovane proprio non riuscì a rilassarsi. In effetti, avendo la poverina uno ragazzo dalle placche metalliche fissate alla pelle nascosto nella propria cantina, il suo non riuscire a restare tranquilla avrebbe dovuto essere abbastanza comprensibile.
Ma non lo fu certo per la madre, all’oscuro dell’intera faccenda. «Non mangi più?» si preoccupò infatti, vedendo la figlia più intenta a giocherellare con il cibo nel suo piatto, che a consumarlo realmente.
«Non ho molta fame.» ammise con un sorriso Neera, meritandosi così un’occhiata da parte di suo padre: egli non apprezzava le figlie propense ad avanzare pasti. «Dovrei… finire dei compiti. Potrei alzarmi prima, per questa sera?» tentò quindi, glissando lo sguardo del genitore e mantenendo i propri occhi neri fissi in quelli della madre. La quale, seppur sospirando, annuì.
«Se non avessi perso tempo con Robert, oggi…» cominciò.
«Ma dovevo aiutarlo con i suoi, di compiti!»
«Beh, non mi pare avesse bisogno di quel grande aiuto. Nel forno ci si è infilato tutto da solo.»
«Che ha fatto?» trasecolò il genitore, osservando la propria pietanza con sguardo preoccupato: trattandosi di un pasticcio di carne, esso doveva essere stato cotto proprio nel forno in questione. «Si è infilato nel nostro forno.» spiegò con un sospiro la donna. «Prima, però, ha fatto il bagno vestito, blaterando qualcosa sull’arte e sulla borghesia.»
«Quel ragazzo» commentò l’uomo, scuotendo il capo con evidente disapprovazione. «Vedi che succede, se si fanno allevare i figli alle cantanti perennemente ubriache? Quella gli deve aver passato un po’ d’alcool quando ancora lo allattava dal seno!»
Non erano parole cattive, e Neera lo sapeva. Quelle erano, anzi, battute che Boe soleva fare in prima persona, per nulla vergognoso o preoccupato circa la posizione sociale della genitrice. Anzi, spesso sembrava ch’egli volesse ostentare tale particolare situazione, quasi godendo nello scatenare un piccolo scandalo emotivo nei suoi ascoltatori.
«Se non sbaglio, sua madre era una tua compagna di scuola, vero?» commentò con tranquillità la madre di Neera, sorseggiando un bicchiere d’acqua. «L’ho vista un paio di volte, e mi è sembrata una buona persona, tutto sommato.»
«Lo è. Lo era anche a scuola.» confermò suo padre, con serietà. «E siamo stati ottimi amici. Ma ciò non toglie che il figlio abbia risentito pesantemente di quel suo strambo stile di vita.»
«Beh, papà… tu giochi con le navi giocattolo.» ridacchiò Neera a quel punto. «E nessuno dice che sei strambo.»
«Quelli sono modellini. Modellini assolutamente perfetti, altroché!» ribatté a quel punto l’uomo, piccato. «Pensa che un collezionista ha valutato il mio ultimo lavoro…»
«Puoi alzarti da tavola, cara.» commentò a quel punto la madre, ridente.
«Grazie.» rise a sua volta Neera, accettando quell’invito giusto in tempo per evitare una nuova conferenza del genitore circa la magnificenza delle sue creazioni navali in scala uno a cento. «Posso portare con me un po’ di frutta? Magari la mangio mentre faccio i compiti.»
Sua madre annuì. «Sono rimaste solo un po’ di pere, però.» l’avvertì. «Non so come, ma le mele sono sparite tutte. Non è che Boe le trova borghesi, eh?»
«Glielo chiederò.»

Quando lei aprì la porta della cantina, Adam alzò la testa di scatto, rimanendo all’erta. Ma, vedendo la sagoma bassa e sottile della sua piccola salvatrice, sorrise impercettibilmente, tornando a rilassarsi.
Si era accomodato al centro della stanza, seduto come un vecchio giocattolo rotto e dimenticato, in paziente attesa del ritorno di lei. Scendendo le cigolanti scale, Neera si ritrovò a chiedersi quali pensieri potessero passare per la mente di quel giovane; e, soprattutto, se la mente stessa di lui fosse interamente umana o anch’essa formata in parte da quella tecnologia così strana e spaventosa.
Raggiunto il piano inferiore, lei accese il piccolo stereo che spesso accompagnava le sue ore creative, mantenendolo ad un volume piuttosto basso, ma sufficiente a coprire eventuali discorsi con Adam.
«Mi dispiace, ti ho fatto aspettare troppo?» si scusò. Esitò per un attimo nei pressi dell’unica sedia della stanza; quindi, facendo spallucce, si accomodò anch’ella sul pavimento, di fronte al giovane.
«Ho sentito una voce maschile.» considerò Adam, leggermente preoccupato. «Erano Guardie? Sono venuti a cercarmi?»
Lei rimase ancora una volta sorpresa dallo smarrimento e dalla paura negli occhi di quel giovane così misterioso e sfortunato. «No» lo rassicurò immediatamente, cercando di sorridergli. «Era solo mio padre.»
«Padre e madre sono coloro che danno la vita, vero?» considerò Adam, sorridendo leggermente. «E’ bello, avere un padre?»
«Molto.» fu costretta ad ammettere Neera. «Anche se è un po’ strano, il mio. Un giorno te lo presenterò. Ed il tuo Creatore, Adam? Com’è? Chi è?»
«Guarda» glissò lui, alzando solo in quel momento un volume che aveva tenuto aperto innanzi a sé, sul pavimento. «Ho letto questo testo. E’ affascinante.»
Neera, perplessa, abbassò lo sguardo. La lettura di quello strambo ragazzo meccanico si rivelò essere il suo libro di anatomia, da lei sfruttato nei primi mesi di scuola per apprendere le proporzioni del corpo umano. «Affascinante?» ripeté, consapevole del fatto che lui avesse cambiato argomento per evitare risposte sull’argomento Creatore.
«Il corpo umano è una creazione stupefacente.» ammise Adam, ammirato. «Anche se io trovo assai più ammirevoli creature come i giaguari, o le antilopi. E gli armadilli.»
«Definire l’anatomia di un armadillo ammirevole…» sorrise teneramente la ragazza, scuotendo il capo divertita. «Dove hai visto tutte queste cose?» domandò poi, fissandolo con attenzione. «Nel luogo da dove vieni vi erano molti libri?»
«Oh, no, nemmeno uno.» ammise il ragazzo, con un sospiro pieno di tristezza. «Ma c’era quel cubo, e quando il mio Creatore se ne andava, io e Juiliice…» ma si fermò, mordendosi la lingua, evidentemente pentito dal fatto di aver pronunciato quel nome.
«Adam» mormorò Neera, osservandolo con una piccola ombra di determinazione negli occhi. «Tu sai io che voglio aiutarti. E sai che non ti lascerò per la strada, perché sono sinceramente preoccupata per te. Ma non posso fare molto, se rifiuti di narrarmi cosa ti è accaduto. Dimmi chi è il tuo Creatore, chi è Juliice e spiegami cos’è… il cubo.»
«Il cubo lo hai anche tu.» rispose solo il giovane, evitando di fornire spiegazioni sugli altri due punti d’interesse della ragazza. «Nella stanza della tua casa con il divano e la poltrona.»
La fanciulla ci mise un po’ per elaborare le informazioni da lui ricevute. «La televisione» tradusse infine. «Guardavi la televisione! Lo facevi di nascosto?»
«Ce la prestava l’Uomo che Faceva la Guardia.» narrò Adam, annuendo. «Quando il Creatore ci lasciava soli. Mi piaceva tanto! Ho imparato molte cose, dalla televisione…»
«Che diamine puoi aver imparato dalla televisione?» commentò perplessa Neera. «Che Godzilla è più forte di King Kong?»
«La televisione è un Potente Mezzo Educativo.» la redarguì Adam, forse offeso per quei suoi dubbi. «Lo ha detto un Opinionista. Anche se bisogna prestare attenzione ai Bollini Rossi. Io non ho mai guardato nulla con il Bollino Rosso.» annunciò, con quella che, sorprendentemente, apparve come un’espressione fiera ed orgogliosa.
«Oh, Dio.» commentò solo Neera, celando con una mano il sorriso che le apparve sulle labbra. «E che altro hai imparato?» volle sapere, sinceramente divertita.
«Che i Veri Amici ti aiutano sempre, e che la Speranza non Muore Mai, e che i Biscotti Senza Zuccheri Non Fanno Ingrassare.» elencò Adam, contento. «Poi so che i Giovani D’Oggi sono Schiavi dei Telefonini, e che… oh!» esclamò con un sorriso, notando solo in quel momento le due pere che ella aveva portato con sé e tenute pazientemente in grembo. «Posso?» azzardò, osservandole con evidente desiderio.
«Certo.» sorrise la giovane, sorpresa ed intenerita da quei modi di fare capaci di scadere da un atteggiamento oscuro e misterioso ad uno infantile ed ingenuo. «Perché mangi così tanta frutta? Digerisci solo questa?»
«In realtà non ne ho un reale bisogno.» ammise Adam, imporporandosi un poco a causa del leggero imbarazzo che lo colse a quella confessione. Fu un effetto strano, vederlo arrossire, dal momento che il sangue, affluendo in quel volto solitamente pallido, accentuò in modo grottesco le cicatrici che lo sfiguravano. Neera abbassò gli occhi, con la scusa di porgergli un frutto. «Però la Frutta Fa Bene. Ed è Buona.»
Ella aggrottò le sopracciglia, avendo la strana e poco rassicurante sensazione di stare parlando un pazzo peggio di Boe. «Ma…» balbettò.
«Lo ha detto la signorina Greeler. Appare sul Canale Due tutte le mattine verso l’alba.» «Così tu mi hai divorato un’intera fruttiera perché quella ha detto che fa bene?» ricapitolò la povera Neera. «Adam! Non devi certo credere a tutto quello che vedi o senti in televisione!» insegnò, quasi come una sorella maggiore premurosa e protettiva.
«Perché no?» volle sapere egli, piegando il capo di lato. Addentò con gusto una pera, sorridendo poi felice nel masticarla. «Ho chiesto aiuto a te, e si è rivelata una scelta giusta. Quindi, la televisione ha sempre ragione.» concluse, con una logica alquanto schiacciante.
«Questo non…» ma ella si bloccò, osservandolo con i grandi occhi neri ora finalmente sgranati. «Come sarebbe a dire? Hai chiesto aiuto a me perché lo hai…?» s’interruppe, passandosi una mano tra i capelli e cercando di dare un senso alle informazioni sinora ricevute. «Un momento. In quale programma avresti ricevuto il consiglio di chiedere soccorso alla prima ragazzina che ti passa davanti?»
«Pink Princess Story» rispose con tranquillità il giovane. «Narra le avventure di una Principessa Smarrita dal Regno dei Sogni, che chiede soccorso ed ospitalità ad una ragazza giovane e dai capelli neri. Si fa così, quando si ha bisogno di aiuto. Si chiede alle giovani coi capelli neri.» le spiegò, con una serietà ed una convinzione tali da farlo quasi passare per un professore di sociologia. «Io ti vedevo passare tutti i giorni in quella strada, e ho capito che…»
«Pink Princess Story…» ripeté Neera, ormai apertamente scandalizzata. Non avrebbe mai conosciuto quel nome, se non fosse stato per la passione fumettistica di Boe. «E’ un cartone animato, Adam! Tu… tu hai chiesto aiuto a me… perché lo hai visto in un cartone animato?!»
«Sì.» concluse pacifico il ragazzo, gettando il torsolo della prima pera ed addentando la seconda.











Ed eccoci di nuovo qui, sperando di rendere felice qualche vecchio ed affezionato lettore. In primo luogo, mi scuso per aver interrotto così bruscamente la scrittura di questa storia, ma purtroppo la sua frenata è coincisa con un periodo un poco difficile della mia vita.
Sta continuando anche ora, nel silenzio, e si manifesta prevalentemente nello scrivere. Sono allergica, ormai.
Però non volevo lasciare incompiuta quest'opera. La proseguirò, credo diminuendo il numero dei capitoli, e cercando di spremermi il più possibile per ottenere da me stessa un risultato decente. Anche se ormai molte cose sono cambiate, il mio amore per le storie e per lo scrivere non è più lo stesso, e credo che troverete i prossimi capitoli non poco affaticati.
Di questo mi scuso in anticipo.
Flower of Eternity

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***


CAPITOLO SESTO




«Se continui a fare questa faccia, persino il bidello vorrà chiederti che accidenti di problema hai.» Robert le rivolse quella distratta predica nei giardini della loro scuola, senza nemmeno guardarla in faccia; fumando con fare ozioso una sigaretta dall’aria ritorta, il moro manteneva l’attenzione dei suoi vigili occhi verdi su Katrine Parsom, fanciulla all’ultimo anno che il rubacuori non aveva certo intenzione di lasciarsi sfuggire.
Neera cercò di scacciare dalla propria mente idee poco carine, quali fare lo scalpo a Katrine Parsom, annegare Katrine Parsom e, ultimo ma non ultimo, strappare la sigaretta dalle dita di lui, ficcargliela su per il naso e urlare nel contempo: “Allora, ti piace Katrine Parsom, vero?!”
Brutta cosa, ritrovarsi cotte e stracotte del proprio migliore amico. E’ davvero peggio dell’essere innamorati di, per esempio, il proprio vicino di casa fascinoso e carismatico. Perché se non altro il vicino di casa fascinoso e carismatico ha il buon gusto di evitare nei confronti della sua adoratrice confidenze riguardanti la propria vita privata.
Neera era consapevole della necessità di togliersi dalla testa il sentimento che la spingeva verso quel pazzo, irrequieto, incontenibile ragazzo. Solo che non ne era in grado.
E così, nonostante al momento fosse a scuola impegnata nel passare i dieci minuti della ricreazione parlando con il suo migliore amico del pazzo sconosciuto pieno di placche metalliche nascosto nella sua cantina, Neera non poteva impedire alla sua attenzione di catalizzarsi su Katrine Parsom, e sugli sguardi che Boe continuava a lanciarle, gli occhi socchiusi per le volute di fumo che salivano dalla sua sigaretta perdendosi nella gelida aria mattutina.
«Quale faccia?» domandò infine, acciuffando una ciocca dei propri lunghi capelli neri, e prendendo ad attorcigliarsela attorno ad un dito. Erano solitamente due le occasioni che richiedevano tale pratica antistress: un compito in classe di matematica particolarmente ostico, o Boe e le sue occhiate sensuali lanciate a tutte le ragazze della scuola, tranne che a lei.
Il suo migliore amico aggrottò le sopracciglia, lasciando cadere la sigaretta e spegnendola con un gesto preciso del piede, mentre l’ultimo sbuffo di fumo fuoriusciva dalle sue labbra. «La faccia» spiegò infine, paziente. «Di chi sta partecipando al funerale della vecchia zia, dopo aver assistito ad un buffo incidente che ha condannato a morte il cane, le due tartarughe ed i sette gatti di casa.»
Sempre poetico, Boe.
Neera si ritrovò a sorridere suo malgrado. «Sono solo preoccupata. L’ho lasciato a casa da solo.»
«Beh, i tuoi genitori lavorano fino al tardo pomeriggio, no?» commentò il ragazzo, facendo pacatamente spallucce. Lanciò un’ultima occhiata alla dannata Parsom, ed ella finalmente volse lo sguardo nella sua direzione; s’incrociarono per un attimo – verde nell’azzurro, lui gatto estroso e lei gatta morta – quindi la potenziale vittima del seduttore interruppe quel contatto, dando divertita di gomito alla propria migliore amica. Ancora una volta, il pensiero di Adam abbandonato tutto solo soletto fu cacciato in un angolo della mente di Neera, e prontamente sostituito da un piano per rendere calva Katrine. «Quindi non hai di che preoccuparti. Oh, certo, se dimentichiamo il fatto che è mentalmente instabile, che non sappiamo cosa sia né da dove venga, e che non abbiamo la certezza di ritrovare la tua casa intera, o magari in preda alle fiamme per un suo improvviso attacco di piromania»
«Scommetto che questa voleva essere una… rassicurazione?» azzardò la fanciulla dai capelli neri, scuotendo il capo mentre un’altra risata sfuggiva alle sue labbra. «Ho solo paura che… si senta solo. O che abbia fame. Non gli ho nemmeno comprato delle pere.»
«Ma non gli piacevano le mele?» interloquì lui, osservando Katrine che finalmente decideva di rientrare all’interno dell’edificio scolastico.
«Un po’ tutta la frutta in generale» raccontò Neera, i cui occhi azzurri si rifiutarono di osservare ancora la Parsom. «Mangia solo quella perché la televisione gli ha assicurato che fa bene.»
«Oh.» dato che la questione gli era nuova, finalmente lui si decise a riportare le proprie iridi verde smeraldo sull’amica, e ad osservarla a metà tra il perplesso e lo sconcertato.
«Ma in realtà pare non abbia necessità di nutrirsi, o così mi ha detto» proseguì lei.
«Quindi le mangia per gusto?» domandò ancora il ragazzo, cercando di raccapezzarsi in quel rigiro mentale che poteva addirittura fare a gara con certe follie ideate da lui stesso.
«No. Perché fanno bene! Capito?» spiegò ancora Neera.
«Sai cosa?» se ne uscì Boe, mentre la campanella che annunciava la fine della ricreazione prendeva pigramente a suonare. «Da ieri ad oggi i nostri discorsi hanno pesantemente perso punti nel campo della logica.»
«Ed anche le nostre vite» commentò la giovane, seguendolo poi verso le cinque scale in pietra che conducevano al vecchio e malridotto ingresso della loro scuola. «Ci vediamo all’uscita? Magari… vieni a casa mia, e vediamo un po’ cosa fare con lui…?»
«Volentieri. Ma non intendo spendere soldi in pere, banane, angurie, melograni, o altre cose salutiste raccomandate dal televisore.»
«Lo terrò presente.» e sorridendogli, lei gli diede le spalle. Una ragazzina semplice ed esile, così timida da non riuscire neppure a sussurrargli da quanto tempo era ormai innamorata di lui. Una fanciulla come tante altre, eppure per lui diversa.
Vedendola allontanarsi, Boe non poté certo immaginare che l’avrebbe rivista solo molte ore dopo, prigioniera di un pazzo.

Sì, d’accordo. Lei gli aveva detto di restare confinato nella cantina. Ma gli aveva anche detto che i suoi genitori non sarebbero rientrati per molte ore, dunque se lui si fosse concesso un po’ di televisione non sarebbe morto nessuno, no?
« Pink Princess! Ho un regalo per te!»
La fanciulla nello schermo sorrise. Pink Princess: lunghi e fluenti capelli rosa, una splendida boccuccia rosa, occhi azzurri adornati con un elegante ombretto rosa, ed un vagone e mezzo di vestiti le cui tinte andavano dal rosa pesca al rosa caramella.
«Anche io ho un regalo per te: ti sto sorridendo.»
A gambe incrociate sull’elegante divano del salotto, Adam sorrise come un deficiente fatto e finito. Forse perché aveva capito la battuta, o forse perché la migliore amica di Pink Princess, quella ragazzina dai capelli neri e dal fisico esile, quella così simile a Neera, era scoppiata allegramente a ridere.
«Ti ho comprato una maglia, sciocca!»
Pink Princess accettò un pacchetto dalla sua migliore amica. Lo scartò con un sorriso emozionato, salvo poi restare a dir poco disgustata a causa del contenuto. «Oh… ma… ma è nera
«Beh, sì…»
«Sweety! Sai benissimo che io non potrei mai indossare qualcosa di nero!»
«Oh, Pink Princess! Quanto hai ragione! Quanto mi dispiace!»
Pink Princess rivolse un sorriso carico di dolcezza alla sua compagna un po’ tontolona e di certo cromaticamente ignorante. «Non importa. I veri amici accettano anche i regali più brutti. Anche quelli orribilmente neri
Adam, colpito da quella grande verità, in un moto di coscienza abbassò lo sguardo sui propri pantaloni.
Erano innegabilmente, tremendamente, dannatamente neri.

«Boe! Sei un grandissimo figlio di puttana!»
«Oddio, non esageriamo. E’ solo una cantante leggermente alcolizzata.»
A quella risposta pronta e pungente, Melly Sasco ridusse gli occhi neri come la pece a due sottili e pericolosissime fessure. Boe sapeva che quello era, nel novantanove percento dei casi, il momento che precedeva un sonoro ceffone, quindi badò bene ad abbassarsi prontamente quando la sottile e scura mano di lei volò in direzione della sua guancia destra. Lo mancò, e ciò le strappò un verso a metà tra il ruggito di un orso e lo strillo di un’arpia.
Melly Sasco, sua terzultima fiamma. Lo sapevano tutti da almeno due settimane che tra loro era finita; tutti, ovviamente, tranne la diretta interessata. Che, a notare dal respiro degno d’un toro pronto all’assalto, doveva essere stata informata da non molto della questione e sembrava non aver preso troppo bene la notizia, tanto che aveva inchiodato il suo maledetto ex ragazzo nel cortile che precedeva il cancello esterno della scuola.
«Mi hai tradito per Susy Bluepell?» abbaiò ancora, preparando un altro schiaffone da Guinnes dei primati. Boe decise che sarebbe stato meglio fissare quello, che i neri ed ammalianti occhi di lei. Nel farlo, casualmente, il suo sguardo cadde sulla massa di alunni diretta oltre il cancello della scuola; tra di essi, spiccava un uomo grassoccio e basso, intento ad accompagnare…
Oh, Dio.
Perché quello sconosciuto stava scortando Neera? E perché la sua mano destra restava ostentatamente premuta sulla schiena della fanciulla, mentre la destra le schiacciava una spalla? Se fossero stati in un telefilm, il moro non avrebbe esitato a definire tale situazione un possibile rapimento…
«E’ una vile menzogna» decretò infine, senza nemmeno prestare attenzione alla mano che la sua ex ragazza ancora teneva pronta a colpire. «Non ho mai baciato Susy. Se vogliamo dirla tutta, ti ho tradita con Margareth e con Lucinda.» detto ciò, evitò nuovamente il suo colpo, e si slanciò all’inseguimento della sua migliore amica nella massa di studenti che avanzavano con allegria verso l’uscita della scuola.
Ma Neera ed il suo misterioso accompagnatore erano troppo, troppo avanti rispetto a lui. E la folla non gli permetteva grandi movimenti; così, con la morte nel cuore, Boe non poté fare altro, se non osservare la giovane dai capelli neri venire sospinta all’interno di una sgangherata macchinina bianca.
Il suo proprietario si guardò attorno per un attimo. Nascose qualcosa nella manica del cappotto, un qualcosa di argentato che riflesse la luce morente del sole pomeridiano, quindi salì a sua volta sul mezzo. E partì, mentre Neera, quasi con disperazione, volgeva gli occhi azzurri su quella folla indifferente.
Boe fissò quello sguardo da bambina spaurita con fare vagamente confuso, come se appena colpito da un pugno dritto al naso. Non poteva essere successo davvero. Non sul serio.
Neera. Rapita. L’avevano rapita sotto il suo naso!
«E un’altra cosa, maledetto bastardo…» avendolo quasi raggiunto, Melly pensò bene di riaprire il suo forno, e di vomitare qualche altra idiozia circa la fedeltà e l’onestà. Ma non ottenne la benché minima attenzione da lui.
Come una furia, Boe spintonò tutti gli allievi che gli capitarono a tiro, e corse fuori dal cancello della scuola. Raggiunse il parcheggio delle moto, e balzò agilmente della sua, senza nemmeno pensare al casco.
Quando partì, con quegli occhi verdi degni d’un cacciatore solitario, e quell’espressione corrucciata sul viso, parve quasi un guerriero disposto a tutto, pronto anche ad abbattere le mura di una città, pur di recuperare la sua bella.
Ma dato che quel corpo fascinoso conteneva in primo luogo un cervello attento ed analitico, Boe neppure tentò di seguire le introvabili tracce di quell’auto ormai sperduta nel traffico.
Era un ragazzo attento ai particolari, Boe. E sapeva benissimo che avrebbe trovato modo di salvare Neera solo rivolgendosi ad una qual certa persona, al momento residente nella cantina della sua migliore amica.








Dunque, rispondo brevemente alla recensione di Glaucopide (perdonami se sbaglio il nick). Sì, il tuo consiglio è giusto, ma purtroppo per il punto cui sono arrivata, sono certa che o la storia la concludo ora, o non lo farò mai più. Quindi, cerco di dare tutta me stessa, sperando che piaccia ugualmente.

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Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***


CAPITOLO SETTIMO

Quando sentì qualcuno infilare la chiave nella toppa della porta posta all’ingresso, Adam perse quasi un anno di vita per la paura di essere scoperto; ma una rapida occhiata al grande orologio appeso nel salotto della giovane gli ricordò che quello era l’orario in cui Neera gli aveva promesso di rientrare, e dunque il biondo poté rilassarsi. Anzi, fu addirittura felice di quel suono che annunciava finalmente la fine della sua solitudine.
Con un gran sorriso, simile ad un cagnolino abbandonato per tutta la giornata che trascorre trepidante gli ultimi istanti che lo separano dalla ricongiunzione con il suo amato padrone, il ragazzo dal volto sfigurato raggiunse la porta e rimase fedelmente in piedi innanzi ad essa, pronto ad accogliere la sua nuova e carissima migliore amica.
La prima cosa a raggiungerlo fu un pugno sulla mascella.
Poi arrivò anche il resto di Boe, un corpo di ragazzo mosso dalla furia che lo spintonò violentemente verso l’interno della casa, facendolo sbattere contro il muro. Frastornato per il primo colpo ricevuto, Adam quasi non si rese conto dell’arrivo del secondo, che lo raggiunse alla bocca dello stomaco. Boccheggiante, il poverino si piegò in avanti, beccandosi come bonus una ginocchiata in piena faccia.
Sangue schizzò dal suo naso, mentre Adam, ormai incapace d’intendere e di volere, si accasciava a terra, un braccio premuto sullo stomaco ed una mano sul naso rotto. Fu solo a quel punto che Boe si calmò il tempo sufficiente per richiudere la porta d’ingresso, e per puntargli contro un indice accusatore.
Ansante, il moro lo fissò con occhi verdi ora brillanti d’ira e di desiderio omicida. Mai nessuno, in tutta la sua breve vita, lo aveva portato ad un livello di furia lontanamente vicino a quello. Sembrava quasi che con Neera gli avessero strappato anche la ragione.
«Tu, gradissimo… stronzo!» urlò, e quell’accusa riempì di ulteriore confusione Adam. Incerto, ancora trafelato per il dolore procuratogli da quello che, sino al giorno prima, era stato un amico, egli tentò di rialzarsi in piedi, la mano sempre premuta sul naso ancora sanguinante. «E’ arrivato un bastardo, oggi a scuola, e ha rapito Neera. Un figlio di puttana grasso e con una macchina bianca. Tu sai chi è, vero? E’ un altro del Circolo degli Strani da cui sei uscito tu, vero? VERO?!»
Impietrito, il biondo non disse una parola. Ma i suoi occhi chiari si riempirono di paura, un terrore quasi ancestrale che lo spinse ad abbassare la mano dal suo naso ferito, ed a socchiudere le sottili labbra in un’esclamazione di sorpresa a stento trattenuta.
Boe ritenne quella una risposta sufficiente. Quasi con aria distratta, recuperò dal tavolino dell’ingresso un grosso e nerastro posacenere di vetro. In una casa di non fumatori come quella di Neera, un simile oggetto aveva semplicemente una funzione decorativa; al momento, però, visto il peso specifico dell’arnese in questione e la rabbia di colui che lo brandiva, il suo utilizzo avrebbe potuto subire un drastico cambiamento, con conseguenze non troppo felici per Adam.
«Se non mi rispondi ti ridurrò ad una poltiglia di sangue e metallo, e poi ti ficcherò su per il culo del tuo fottuto Creatore. Mi hai capito?!» ruggì ancora il moro, dimostrando una qual certa originalità e poesia nelle minacce. Oltre che una naturale predisposizione.
«Il… Creatore» balbettò allora Adam, quando l’altro prese a roteare pericolosamente il posacenere.
«Sì, lui, esatto! Ti ficco tutto su per il suo…»
«Il… Creatore. E’ stato… il Creatore
Boe tacque, e per la sorpresa smise anche di prepararsi a colpire il suo interlocutore con quell’arma degna d’un serial killer. «Quindi ho ragione, chi ha rapito lei cerca te! Ma come ha fatto ad arrivare a Neera?» commentò ancora, preoccupato. «Non importa!» stabilì poi. «Adesso tu, maledetto, mi porti dal tuo Creatore… subito!»
Adam esitò per un attimo, retrocedendo inconsapevolmente di un paio di passi. «Non voglio. Sono scappato. Non voglio tornare.» spiegò, con voce bassa, implorante. Se Neera fosse stata lì, si sarebbe sciolta in brodo di giuggiole, provando pietà e naturale trasporto verso di lui; ma Neera non c’era, qualcuno l’aveva rapita, e Adam non poteva nemmeno immaginare quanto stesse rischiando con un Boe così inferocito.
«Mi fai schifo» proclamò egli, le dita ancora arpionate attorno al posacenere. «Ieri, lei non ha esitato un solo attimo nel raccoglierti e nel portarti qui, a casa sua. Ed ora, rifiuti di salvarla da un guaio dove tu l’hai cacciata?!»
Colpire nel segno era un’arte innata di Robert. Gli veniva così istintivo e naturale, che riusciva a farlo anche senza nemmeno rendersene conto; come in quel momento, in cui aveva parlato più perché mosso dalla rabbia che da reale intenzione a farlo ragionare.
«E’… vero.» mormorò contrito Adam, sentendosi nientedimeno che un verme. Abbassò tristemente gli occhi, impegnato nella lotta della sua metà leale e sincera contrapposta a quel se stesso vigliacco ed impaurito che avrebbe preferito morire, piuttosto che fare ritorno all’abitazione del Creatore. «Pink Princess dice che…»
«No me ne frega un beneamato cazzo di quello che dice questa Pink Bitch! Muovi quel tuo metallico didietro!» berciò Boe.
Ma, a ben vedere, il ragazzo era già assai più sollevato dal fatto che Adam avesse appena deciso di aiutarlo, tanto che la sua mente, finalmente, si rese conto di un particolare davvero, davvero strano.
«Oh, Cristo. Perché indossi una gonna rosa?»
Adam sorrise debolmente. «Pink Princess dice che…»
«Dannazione! Pink Princess è un travestito col cervello di guano, okay? Ed ora muoviti!» gli abbaiò contro il moro, ormai psicologicamente destabilizzato dalla situazione in cui era finito.

«E così l’edificio è questo?» silenzio. Suono di conati. Altro silenzio. «Adam, cazzo! Non è il momento di vomitare, maledizione!» latrò allora Robert, per nulla sensibile alla nausea che aveva colto il suo giovane accompagnatore. Nausea che, ad onore del vero, gli aveva procurato lui stesso, costringendolo ad una corsa sulla sua moto degna del peggiore degli stuntmen. Una volta disceso nel luogo che gli aveva indicato come corretto, Adam si era trascinato sino ad uno dei muri portanti di un palazzo, e lì aveva dato sfogo ai suoi scombussolamenti interiori.
Era stato il primo giro in moto della sua esistenza; ed il biondo giurò a se stesso che mai, anche se costretto a scegliere tra la vita o la morte o qualcosa di peggio, ne avrebbe affrontato un altro. Poche persone al mondo avevano avuto l’onore di salire sulla grande e rumorosa moto di Robert. Di queste, nessuna, nonostante l’innegabile avvenenza del baldo guidatore, aveva mai espresso il desiderio di un secondo giro, per ovvi motivi quali lo spirito di sopravvivenza o la voglia di preservare la propria persona da traumi psicologici irreversibili.
Non che Boe fosse un conduttore di moto inesperto o incapace; ma era pazzo, innegabilmente pazzo, e questa particolare caratteristica all’interno di un contesto stradale poteva portare ad un brutto, bruttissimo decesso.
Immaginando la rabbia e la paura provate in quei momenti dal ragazzo, non è difficile intuire quanti giri della morte i due dovevano aver affrontato nel percorso che li aveva condotti sino a quel misterioso punto d’arrivo. Ovvero un portone in prossimità di quel palazzo che si affacciava sul famoso vicolo ove Neera aveva raccolto Adam solo il giorno prima.
«Alzati!» ringhiò il moro, afferrandolo rabbiosamente per un braccio. «Ci sono guardie in questo cazzo di edificio? Com’è strutturato? Dimmi qualcosa, maledizione!»
Adam boccheggiò, ripulendosi le labbra con il dorso della mano destra. Come se incerto nel riconoscimento del luogo in cui si trovava, percorse con lo sguardo il piccolo palazzo color topo che avevano innanzi, una costruzione semplice e molto vecchia. «Io… ero all’ultimo piano. C’è sempre una Guardia.»
Boe elaborò una tale e particolareggiata filastrocca di bestemmie che ci si sarebbe potuti aspettare la visita di San Michele in persona, armato di spada di fiamme ed intento a sbottare: “Ma che t’abbiamo fatto noi, eh?!”
«Potrei chiamare la polizia» commentò infine il moro, pensieroso. «Ma quel pazzo, sentendo le sirene, potrebbe fare qualcosa di dannatamente idiota. No, dobbiamo andare noi. Troverò un modo per convincere la guardia a farmi passare.»
«E quale modo?» domandò Adam, incerto, mentre l’altro lo afferrava saldamente per un polso, e se lo trascinava dietro.
«Secondo te?» replicò Boe, sorprendendosi non poco nel trovare il portone d’ingresso al palazzo completamente spalancato. «Ti baratterò in cambio di Neera. L’hanno rapita perché in qualche modo sanno che ti nascondeva, dunque vogliono te. E per quanto tu sia un cuccioletto dai grandi occhi che implorano coccole, ti assicuro che non esiterei mezzo minuto a scambiarti per lei!»
«Sì» rispose Adam, il cui tono tradì un certo dispiacere. «Lo capisco»
Robert, notato un cartello che indicava l’ascensore come NON FUNZIONANTE, s’inerpicò lungo una vecchia e consunta rampa di scale, continuando a trascinarsi appresso l’ora silenzioso ragazzo biondo. «E non fare quella faccia!» gli urlò ancora addosso, evidentemente poco propenso ad un’irruzione pacata e silenziosa. «Tu stavi per tradirla! Ti ho trascinato io qui! Con la forza!»
«Non con la forza» lo corresse solo Adam, la cui voce continuò ad essere bassa e triste.
«No?» ironizzò ferocemente Robert, continuando a salire le scale con l’impetuosità di uno tsunami. «E con cosa, allora?»
Adam rialzò gli occhi sul ragazzo che lo precedeva di uno scalino. «Con le parole. Mi hai ricordato che le devo un favore, dunque è giusto che io l’aiuti.» spiegò, non avendo forse ancora intuito quanto il suo compagno d’avventure fosse psicologicamente instabile in quel preciso e difficile momento.
Robert rimase per un attimo in silenzio, elaborando la risposta dell’altro. Sapeva che c’era qualcosa di maledettamente stonato, in essa, ma a costo di farsi venire un colpo proprio non riusciva ad intuire che cosa.
«Non credevo fosse una cosa difficile da ricordare. Lei ti ha nascosto in casa sua! E’ una faccenda che non si scorda facilmente, o sbaglio?» ribatté infine, dimostrando una volta di più che la bastardaggine innata mista ad una sovrannaturale intuitività sul dove colpire più dolorosamente un animo sono due qualità che Nostro Signore non dovrebbe mai unire in un unico soggetto.
E continuò a tirarlo su per le scale, senza un minimo di pietà o di comprensione, trascinando quel povero ragazzo verso un destino da cui lui era sfuggito con tutta la forza della propria disperazione. E dal quale ora stava tornando, cagnolino al guinzaglio di un giovane uomo angosciosamente rabbioso, povero figlio di esperimenti proibiti cui la libertà aveva concesso solo una misera giornata di respiro.







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Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo ***


CAPITOLO OTTAVO

«Oh. Siete già qui?»
Compitamente, Neera riabbassò la tazza da tè che teneva tra le bianche, sottili e delicate mani. Rivolse poi un sorriso dolce e sincero ai due nuovi arrivati, restando educatamente seduta al tavolino in plastica bianca su cui l’uomo accomodato dirimpetto alla sua ospite aveva imbastito un elegante tè delle cinque.
Sembrava in perfetta salute: i capelli, solito velo nero e morbido, ricadevano sulla sua schiena, e gli abiti non presentavano alcun segno di maltrattamento. Sorrideva tranquillamente, gli occhi blu brillanti come al solito e… stava bevendo del tè mentre consumava pasticcini dall’aria invitante.
La mascella di Robert quasi decise di sganciarsi dal resto dello scheletro, e di andare allegramente a rotolare sull’asettico pavimento di quello strano ed inquietante laboratorio.
Vi erano entrati senza particolari difficoltà, dal momento che la guardia millantata da Adam era misteriosamente risultata assente, lasciando non poco perplesso il giovane dal volto sfigurato. Ma Robert aveva deciso di vedere in quella stranezza un dono del cielo, e se l’era trascinato all’interno di quel piccolo appartamento che Adam gli aveva infine indicato come la porta del suo Creatore. Quindi, baldanzosi e gonfi d’adrenalina come due guerrieri pronti alla battaglia finale, i gloriosi salvatori di Neera avevano attraversato le poche stanze di quel laboratorio bianco e spettrale, ritrovandosi poi innanzi a quella scena a dir poco destabilizzante.
«Ma…» agonizzò il povero Boe, indicando la sua migliore amica con l’arguzia di un contadino che, di ritorno dai campi, si ritrova coinvolto in un Incontro Ravvicinato del Terzo Tipo.
Neera piegò il capo di lato, studiando con i grandi occhi blu i suoi due amici appena arrivati. Ovviamente, il suo sguardo non poté evitare di soffermarsi su un particolare decisamente stonato «Perché Adam ha una gonna rosa?» domandò infatti, perplessa.
Adam arrossì. «L’ho presa in prestito in casa tua. E’ bella.» spiegò, lievemente impacciato. Sembrava assai a disagio in quel luogo, tanto che teneva le braccia incrociate all’altezza del ventre, come se piegato dal dolore; o dalla paura.
La – poca – logica di Robert decise di ribellarsi alla situazione. «Ma tu…» tentò ancora, indicando dapprima la sua migliore amica, poi il tavolino imbandito, e poi l’uomo grassoccio che sedeva innanzi a lei. «Stai… prendendo il tè…»
Adam sospirò. «Lo sapevo che sarebbe finita così…» commentò con aria da martire fatto e finito, attirandosi addosso uno sguardo scandalizzato da parte del suo baldo compagno di salvataggio.
«Sai che farlo sapere anche a me» starnazzò il moro, con una voce ora decisamente degna di una signora quarantenne isterica. «Non avrebbe fatto tanto schifo?!»
«Farti sapere cosa?» s’incuriosì l’altro. Teneva il capo basso, i biondi ciuffi della sua disordinata chioma che gli ricadevano innanzi al viso, celandolo quasi del tutto alla vista dell’uomo grassoccio. Una vista apparentemente miope e distratta, ma in realtà attentamente concentrata su di lui, simile a quella di un vecchio gatto che, seppur ormai non più agile come una volta, non manca di osservare ogni minimo movimento del povero topolino davanti al suo naso.
«Che lui non le avrebbe fatto niente!» rispose Robert, con il tono di chi sta enunciando cose a dir poco ovvie, come che l’acqua sia calda o il cielo blu.
«Ah» comprese allora il giovane sfigurato, rialzando appena lo sguardo sul moro, e preoccupandosi non poco per la sua salute quando ne notò il viso paonazzo, tipico di chi sta per avere un bruttissimo infarto giovanile. «Ma tu non me l’hai chiesto…» fece allora notare, strizzando poi le palpebre ed alzando disperato le mani al volto quando vide che Boe era nuovamente pronto a riempirlo di pugni.
«Robert!» esclamò scandalizzata Neera. «Non picchiarlo, poverino!»
«Poverino?! Che accidenti ti hanno infilato in quel tè?!»
«Mentre vi aspettavamo, abbiamo deciso di fare merenda» prese parola l’uomo grassoccio, parlando in quel momento per la prima volta, forse per calmare i bollenti spiriti del nuovo arrivato. La sua voce era paciosa, solare, e Robert si ritrovò a ponderare che, nei rari momenti in cui aveva pensato al Creatore, certamente non se lo era immaginato così.
«Avete fatto merenda» ripeté solo il ragazzo, mentre la sua povera mente, con disperazione, tentava di riattaccare per mezzo di una colla superforte i frammenti della realtà. «Neera, accidenti a te… non hai pensato che avrebbe potuto avvelenarti?»
«Oh, no, nemmeno per un secondo!» ammise la giovane, sbattendo un paio di volte le palpebre, con innaturale calma. Sembrava quasi offesa per l’insinuazione di lui. «Ha una pistola, quindi credo che avrebbe fatto molto prima con quella, se avesse voluto uccidermi, no?»
Boe la guardò come se, improvvisamente ed inspiegabilmente, avesse desiderato prendere a pugni anche lei. Ed Adam ritenne quel cambiamento di rotta una cosa positiva, almeno per se stesso.
«Santo Cielo» commentò a quel punto Neera, studiando meglio il viso del suo biondo amico. «Cosa ti è successo al naso?!»
Il giovane dal volto ora più sfigurato che mai puntò un indice accusatore sul ragazzo moro in piedi accanto a lui e pigolò semplicemente: «Boe mi ha picchiato.»
«Cosa? Robert!» esclamò allora la poverina, scandalizzata per la seconda volta.
«Ehi! Fermi tutti!» il moro abbaiò quel comando con la voce instabile di chi pondera che prendere a pugni ogni cretino presente nella stanza sarebbe solo un’inutile perdita di tempo, e che dare fuoco all’edificio tutto potrebbe rivelarsi una pratica tanto energicamente economica quanto liberatoria. «Non osare dire Robert con quel tono da mamma scandalizzata, tu! Ti hanno rapito davanti al cancello della scuola, ed io sono venuto qui a salvarti! Ho picchiato questo cretino perché non aveva la minima intenzione di muovere un passo per aiutarmi!»
Improvvisamente, Neera arrossì. Le sue guance si colorarono di una meravigliosa tonalità purpurea, facendola somigliare non poco ad una bambolina in porcellana dalle gote perfettamente dipinte. «Lo hai picchiato… per me?» ripeté in un bisbiglio sorpreso, gli occhi ora lucidi e colmi di una strana emozione.
Adam aveva già visto quell’espressione. Pink Princess l’aveva nella meravigliosa puntata in cui il suo Grande Amore, Blue Prince, si era avventurato nel terribile Mondo degli Incubi per salvarla e riportarla al castello, ove si erano poi sposati nel nome dell’Amore Eterno.
Per un attimo, gli occhi azzurro ghiaccio del ragazzo si ersero da quell’atteggiamento di penitente remissione, spiando dapprima Neera, e poi Robert. Lei, così emozionata. E lui, capace di distruggere interi palazzi pur di recuperarla. C’era qualcosa di proibito e segreto, tra loro, che Adam non comprese; ma, inspiegabilmente, lo invidiò.
«Certo che l’ho picchiato!» rispose semplicemente Boe, ficcandosi le mani nella tasche dei suoi jeans sformati. «E se adesso qualcuno non mi spiega qualcosa» proseguì nella sua fiera protesta. «Io giuro che picchierò anche te. Sono stato chiaro?!»
«Assolutamente» annuì l’uomo grassoccio, serio. «Vuoi del tè?»
«NO!»

***

«Perché l’hai fatto entrare lì dentro?» Boe lo domandò con voce cupa. Si era da poco accomodato accanto a Neera, e le aveva passato un braccio attorno alle spalle; tenendola stretta a sé, incurante del suo ormai diffuso rossore, aveva continuato a fissare l’uomo grassoccio mentre egli costringeva gentilmente Adam ad entrare in una specie di capsula gigante.
Al momento, il biondo giaceva all’interno di essa, i tratti ridisegnati dalla luce bluastra che regnava in quella specie di bara trasparente, gli occhi chiusi e l’aria di chi sta godendosi una sacrosanta dormita. Sembrava rilassato, sperduto in un mondo magico e fatato; eppure, nonostante ciò, la sua espressione non aveva perduto quella solita ombra di tristezza.
«Solo così posso ricaricargli le batterie» spiegò l’uomo grassoccio, donando una pacca quasi affettuosa alla superficie trasparente della grande capsula, e tornando poi ad accomodarsi innanzi ai suoi due ospiti. «Sono davvero dispiaciuto di averti spaventato, ragazzo. A mia discolpa, posso solo dire che ieri mi sono spaventato tanto quanto voi, quando ho scoperto che Adam era sparito.»
«Più che sparito, direi scappato» ammise Robert, e le sue dita si strinsero maggiormente attorno alla spalla di Neera, peggiorando di non poco la situazione cromatica del suo viso. «E, se proprio vuoi saperlo, era terrorizzato al solo pensiero di venire nuovamente acciuffato da te, dal suo Creatore. Ci ha impedito di rivolgerci alla polizia. Ha voluto essere nascosto.»
«Non fatico a crederci» ammise egli, dispiaciuto. «Ma posso giurarvi su tutto ciò che ho di più caro che mai, in tutta la mia vita, ho fatto del male ad Adam. Mai.»
«Davvero?» ironizzò ancora il moro, mentre la ragazza seduta accanto a lui, persa com’era nelle sensazioni del braccio di Robert attorno alle sue spalle, e del calore di lui premuto contro il suo corpo, si limitava ad ascoltare passivamente quello scambio. «Quando abbiamo visto com’è ridotta la sua faccia o le placche di metallo su tutto il corpo, chissà perché ci siamo fatti un’idea diversa. Non sono un esperto di etica, o di legislazione legata al mondo della medicina, ma posso ritenermi abbastanza certo del fatto che quello che hai combinato sul corpo di Adam non è legale. Né, tanto meno, umanamente accettabile»
«No. Ti sbagli» protestò egli, tacitato da un nervoso gesto della mano di Robert.
«Ma questo ora non ha importanza. Tu hai il suo Esperimento alla Frankenstein, io ho ritrovato la mia amica. Siamo pari, dimentichiamoci l’uno degli altri e non rivediamoci mai più.» stabilì in modo perentorio, liberando Neera dalla sua presa ed afferrandole un polso mentre tentava di rialzarsi.
«Frankenstein» ripeté l’uomo grassoccio con un mormorio quasi disperato. «Ho idea che… non avresti potuto operare una scelta migliore nel paragone.»
«Già, in quanto a pazzia credo che tu e Victor (*) ve la battiate bene.» commentò Robert, come sempre poetico e diplomatico. «Con permesso» aggiunse, cercando ancora d’indurre la sua migliore amica a rialzarsi.
«Aspetta» protestò però lei, dispiaciuta. Anche se colui che la stava traendo in salvo era il ragazzo sei suoi sogni, Neera comprese che nemmeno quello l’avrebbe potuta indurre a lasciare Adam solo. «E’ vero, mi ha rapita ma… è stato gentile con me. Voglio dire, quando ha abbassato la pistola. E… mi ha promesso che quando voi foste arrivati, mi avrebbe raccontato tutta la verità. Io voglio saperla, Boe! Cos’è successo a quel povero ragazzo?» domandò allora, rivolta all’uomo grassoccio.
Egli sospirò con dispiacere, rivolgendo un’occhiata al ragazzo ora placidamente addormentato nella grande capsula trasparente, una creatura immersa in una luce azzurrina quasi eterea. «Vi ha detto… come si chiama?» domandò.
«Sì» rispose gentilmente Neera, ed anche i suoi occhi così innocenti e gentili corsero al corpo del povero biondo rinchiuso in quella prigione. «Adam Rick Jack»
«E’ da lì che ho intuito quanto lei sia sadico» ritenne opportuno intervenire Boe, che forse era rimasto serio già per troppo tempo.
«Adam Rick Jack» ripeté l’uomo, abbassando gli occhi. Erano neri e piccoli, uno sguardo spento ed affaticato, chiaro segno di una difficile lotta interiore. «Adam… Rick… Jack. I nomi di coloro cui lui deve la vita.»
«Perché non ho voglia di sapere cosa intende dire?» commentò Robert, con voce quasi lamentosa.
«I nomi» proseguì lo scienziato, portandosi le mani all’altezza del grembo, e stropicciandole incerto. «Dei… cadaveri… che ho usato per creare lui
Il silenzio divenne padrone incontrastato dell’ambiente. Gli occhi verdi di Boe guizzarono in direzione dello scienziato, colmi di un sentimento scandalizzato. Neera, invece perse improvvisamente colore, tanto che dovette appoggiarsi contro lo schienale del piccolo divanetto per non perdere i sensi. E lo scienziato, quasi con disperazione, non osò guardare nessuno di loro.
«Lei è pazzo» mormorò infine Robert, con voce bassa, quasi degna di un luogo sacro. «E’ uno stramaledetto pazzo…»







* Viktor Frankenstein, appunto il dottore che diede vita al mostro tanto amato dal cinema.






Oggi mi prendo un piccolo spazio personale, per ringraziare coloro che ancora seguono e recensiscono questa storia. Ovviamente, è un racconto senza troppe pretese, ma non sapete quando piacere mi faccia leggere le vostre opinioni, cosa vi piace dei personaggi e cosa non vi piace. E’ come condividere qualcosa di prezioso con degli amici speciali, quindi vi ringrazio davvero dal profondo del cuore.
Nel prossimo capitolo, ahimé, non avremo modo di ghignare tanto con le uscite di Boe o con le pazzie di Adam, ma… diciamo che finalmente la verità verrà svelata. Almeno in parte.
Augurandomi di non annoiarvi troppo da costringervi a lasciare questa storia, vi auguro una buona giornata.
Un bacio,
Flower of Eternity

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