What if?

di Lemon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** | Breathe | ***
Capitolo 2: *** | Forgive | ***
Capitolo 3: *** | Try | ***



Capitolo 1
*** | Breathe | ***


Titolo: What if?
Autore: Lemons
Rating: Giallo ( Per ora C: )
Avvisi: Slash, What if?
Genere: Malinconico, Romantico, Angst
Avviso: John Lennon né tutte le persone citate in questa storia non mi appartengono e bla bla bla. Se non vi piace lo slash vi sconsiglio di leggere, ciau.
Paring: Lennon/McCartney ( <3 )
Riassunto: Quando John aprì lentamente gli occhi sentì una mano che stringeva debolmente la sua e un peso che gli premeva sul busto. Inizialmente pensò che fosse Yoko, in realtà non sapeva neanche cosa pensare, ma si stupì quando vide la chioma scura del suo amico Paul McCartney. 
Note dell’autrice:NON LO SO VI PREGO NON MI UCCIDETE. Era da un bel po' che mi ronzava questa idea di John che non moriva sul colpo e boh, ho scritto. Spero vi piaccia, recensite che non mangio nessuno.
 
| Breathe |
 
Quando John aprì lentamente gli occhi sentì una mano che stringeva debolmente la sua e un peso che gli premeva sul busto. Inizialmente pensò che fosse Yoko, in realtà non sapeva neanche cosa pensare, ma si stupì quando vide la chioma scura del suo amico Paul McCartney. 
Schiuse le labbra e fece per parlare, ma dalle sue labbra sottili non uscì un suono. Così si limitò a guardarsi intorno nella stanza bianca. Dalla finestra spalancata riusciva a intrevedere un sole tiepido ed accennato, mentre un venticello smuoveva le tende, facendole danzare leggiadre avanti e indietro. Accanto al suo letto vi era un comodino con sopra una pila di lettere grande così e a decorare la stanza decine e decine di mazzi di fiori variopinti con messaggi d'incoraggiamento inpilati dentro. Il suo breve viaggio della stanza tornò su McCartney che singhiozzava silenziosamente su di lui, i capelli più corti di quello che si ricordava gli coprivano il viso bagnato dalle lacrime. John sentì un sussulto al cuore e gli venne voglia di stringerlo a sè con delicatezza e baciargli la fronte, sussurrandogli che andava tutto bene, come svariate volte si era ritrovato a fare nel mezzo della notte negli anni della gioventù. Ma andava realmente tutto bene? Da quanto era lì? Come ci era finito? L'ultimo ricordo che aveva era avvolto nel buio, vicino a casa sua. Socchiuse gli occhi e riuscì ancora a udire una voce chiamarlo: «Hey, Mr. Lennon!». Un brivido gli percosse la schiena e s'irrigidì, chiudendo completamente gli occhi.
Lennon ebbe un sussulto appena sentì il peso che gli premeva sul ventre diminuire. La mano calda di Paul gli sfiorò la guancia. «John» Lo sentì sussurrare e il suo cuore fece una capriola. Da quanto tempo era che non sentiva la sua voce chiamarlo in quel modo? Rabbrividì e McCartney continuò a parlare con voce tremante. «Ti prego, svegliati. Se non vuoi farlo per me, allora fallo per il resto del mondo». Il più piccolo lo guardava intensamente con gli occhi verdi spalancati e colmi di lacrime. Profonde occhiaie gli marcavano gli occhi ed era incredibilmente pallido, da mesi ormai era ridotto a uno straccio.
A dirglielo fu Linda, il viso dispiaciuto e gli occhi lucidi, sapeva quanto John contasse per suo marito. Quando Paul lo seppe credette fosse uno scherzo, oppure un incubo. Così, nel cuore della notte, McCartney si era infilato il giaccone ed una sciarpa, uscendo nel freddo di quel maledetto dicembre. Aveva un incredibile paura. Con le mani tremanti si era messo al volante. Era a New York per pura casualità, inoltre qualche giorno prima si era sentito con l'amico John e avevano deciso di incontrarsi e andare a bere qualcosa insieme. Sarebbe stato il giorno dopo. Era stato il primo ad arrivare e ad entrare nella sua stanza. Non c'era neanche Yoko, lei aveva assistito alla scena ed era rimasta sconvolta, gli avevano detto. Beh, aveva pensato Paul, io l'ho appena saputo e credo che sto per avere un'attacco di cuore.
McCartney fu risvegliato dai suoi ricordi dalla mano di John che stringeva, seppure debolmente, la sua. Lui aprì gli occhi color nocciola e lo guardò, specchiandosi in quelli lucidi dell'amico. «Beh, cos'è quella faccia? Credevo che volessi che mi svegliassi» Sussurrò, accennandogli un sorriso, il più rassicurante possibile. L'altro sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta, quello che accadeva con ricorrenza nei suoi sogni si era avverato
«Cosa mi è successo?» Domandò subito dopo Lennon, sotto lo sguardo incredulo di Paul che avvicinò una mano al suo viso, toccandoglielo. «Sei vero?» Disse in un sussurro, sbattendo velocemente le ciglia e John rise. «Certo che sono vero!». Appena finì di parlare Paul posò il viso sul suo petto, prendendo a lacrimare mentre il cantante lo guardava senza capire, ascoltando i suoi singhiozzi e le poche parole che riusciva a sbiascicare tra una lacrima e l'altra. Poi si alzò e fece per andarsene. «Vado a chiamare un dottore» Aveva detto semplicemente, dandogli le spalle, ma John lo afferrò con le poche forze che aveva per il polso. «Rimani con me»
I loro sguardi s'incrociarono e Paul sussultò, sgranando gli occhi. "Non t'innamorare di nuovo, Paul, tanto ne rimani fregato" Si disse, perdendosi comunque negli occhi nocciola della persona che in passato aveva così tanto amato. Riprese posto sulla sedia e si grattò la nuca in imbarazzo, era da così tanto tempo che non gli parlava. «Era l'otto dicembre, quasi le undici di sera e..» McCartney fu interrotto da John. «Che mese siamo?»
«Aprile» Rispose il più piccolo e riprese a parlare, con voce leggermente tremante. «Stavi tornando a casa dopo aver fatto visita a Sean, tuo figlio, quando davanti al Dakota un folle... ti ha sparato» Disse, rabbrividendo. «Dicevano che non ce l'avresti fatta, John, dicevano che saresti morto» Aggiunge e si strofinò il dorso della mano contro il viso, asciugandosi le lacrime. Vi fu un silenzio di sguardi, Lennon era sconvolto e una domanda gli sorse spontanea, scivolando via dalle sue labbra. «E Yoko?». Yoko, certo, pensò Paul incrociando le braccia al petto, sua moglie che praticamente veniva a fargli visita una volta o due alla settimana. La sopportazione per quella donna per McCartney era arrivata ai limiti. Veniva raramente e portava dei fiori, guardava John e se ne andava in silenzio. "Se fossi stato io la persona che John aveva scelto di amare fino alla fine di certo non mi sarei comportato in questo modo" Pensò e si grattò il mento pensieroso e subito dopo si rese conto che in tutti quei mesi, lui c'era sempre stato. "Proprio come sei fossi io, la persona che John ama" Si disse ed arrossì da solo, scuotendo poi la testa. «Non so dov'è» Rispose all'amico, facendo spallucce e si mordicchiò la pelle attorno un'unghia. «Era qui fino un attimo fa, io sono arrivato adesso» Mentì. Dopotutto lo amava ancora e non voleva vederlo triste, assolutamente no. Ed era quello il problema: in tutto quel tempo in cui non si erano sentiti era stato incredibilmente male, senza John che lo accarezzava, senza John che lo stringeva con quella delicatezza che lo faceva sentire una principessa, senza John che lo baciava, senza John e le sue pazze idee sessuali. Senza John e basta. 
Era rimasto a soffire in silenzio, mentre lo vedeva diventare un uomo assieme ad un'altra persona. Eppure dovevano invecchiare insieme, l'aveva detto lui. "Staremo insieme per sempre" Gli sussurrava all'orecchio tante di quelle volte, facendolo sempre rabbrividire. Poi, invece, si è innamorato di qualcun'altro, ironica la vita, no?
«Sì?» Chiese l'altro, sorridendo. Oh quanto amava quel sorriso. «Sì» Annuì McCartney e guardò fuori dalla finestra, quando Linda entrò nella stanza, stupendosi di ciò che i suoi occhi vedevano. «John!» Esclamò felice e si avvicinò al letto, incredula, voltandosi poi verso Paul. «Amore, ti avevo portato il cambio, ma a quanto pare oggi puoi anche tornare a casa» Gli disse e si chinò a baciarlo a stampo sulle labbra. Lennon sentì una morsa di gelosia al petto e voltò lo sguardo, capendo subito dopo quello che la donna aveva appena detto. «Paul ha dormito qui?» Chiese colpito, non se lo aspettava proprio e lei annuì, facendo arrossire Paul che provava a zittirla. «Non solo oggi. Oh, John, hai proprio un vero amico, ti è stato accanto ogni volta che poteva... al contrario di Yoko» Disse lei e Paul si alzò di scatto. «Linda, puoi lasciarci un attimo soli?»

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Capitolo 2
*** | Forgive | ***


| Forgive |
 
«Scusa» Disse Paul appena la moglie lasciò la stanza. Si sedette sul bordo del letto facendo attenzione a non dare fastidio all'amico e si coprì il viso con le mani. Lennon lo guardò interrogativo. Cosa significava ciò che aveva detto Linda? «Avrei dovuto dirtelo subito, senza mentirti» Aggiunse e si scoprì il viso, voltandosi a guardare John negli occhi, che lo fissava confuso. «Qual'è il problema?» Chiese il maggiore, arrancando una mano verso il comodino, dove erano posati i suoi occhiali e se l'infilò. Macca si passò una mano tra i capelli e sospirò rumorosamente. «Sai qual'è il problema?! Il problema è che ti amo ancora, stupido di un Lennon» Rispose, dopo un lungo silenzio. «Il problema è che dopo tutto quello che mi hai fatto io continuo ad amarti. Che ho fatto di tutto per dimenticarti ma, appena ho sentito che un folle ti ha sparato, ho avuto paura di perderti.» Disse McCartney e sorrise amaramente. «E m'illudo. Perché tu hai lei e non hai bisogno di me» Lennon sgranò gli occhi e schiuse le labbra, facendo per parlare ma si rese conto che non aveva nulla da dire, non sapeva cosa dire. «Mi dispiace» Si limitò a sussurrare con un filo di voce, chinando il viso e mordicchiandosi il labbro inferiore. A Paul sfuggì un risolino nervoso. «Ti dispiace? Me lo dici adesso, dopo tutte quelle giornate, nottate insonni passate a piangere contro uno stupido cuscino e tu dov'eri? Tra le braccia di... quella» Improvvisamente tutti i sentimenti che McCartney si era tenuto dentro furono finalmente liberati. «Ti credevo quando dicevi che saremmo stati insieme per sempre. Mi sono detto: "Cazzo Paul, lui è quello giusto", poi sei venuto da me e mi hai detto, me lo ricordo ancora come fosse ieri, "Noi due non possiamo avere un senso, abbiamo chiuso"» Paul guardò l'altro freddamente negli occhi. John era rimasto con le labbra schiuse a fissarlo ammutolito. «Vedo che stai zitto, mh? Per te era tutto un gioco?» Aggiunse il minore, scuotendo la testa, deluso. 
«A-Assolutamente no!» Esclamò Lennon, facendo un cenno negativo con il capo. «Io ti ho amato veramente e...» Fece una breve pausa, poi alzò il viso, puntando gli occhi nocciola sui quelli di Paul, più scuri di quello che si ricordava. «... Ti amo ancora. Un sentimento così grande non sparisce facilmente, Paul» L'altro sospirò e si alzò. Non voleva controbattere, significava solo riaprire una vecchia ferita che difficilmente era riuscito a curare. «Ti chiamo un dottore» Disse freddamente lui e prima che John potesse controbattere uscì dalla stanza, lasciandolo solo con i suoi pensieri.
Lennon si portò le mani davanti al viso, coprendoselo e per una volta, dopo chissà quanto tempo, si sentì solo. Incredibilmente solo con quattro cicatrici stampate sul corpo. Non c'era nessuno per lui in quel momento, non c'era Yoko, non c'era Sean, non c'era Julian, non c'era Cynthia, non c'era Paul, non c'erano i Beatles, non c'era sua madre, non c'era suo padre. Nessuno. Tenne gli occhi chiusi e vi fece sopra appena pressione con la punta delle dita, facendo comparire nella sua mente immagini indistinte e dai colori sgargianti. Poi sospirò e si sistemò il cuscino, incantandosi a contemplare il vuoto con sguardo perso. I suoi occhi percorsero tutta la stanza, troppo luminosa per i suoi gusti. John si girò e posò i piedi a terra, dopo mesi. Sorregendosi al palo della flebo si alzò e quando si vide allo specchio gli venne da piangere, ma doveva essere forte, lui era John Lennon, un uomo grande e cresciuto. Deglutì a vuoto e fece qualche goffo passo, percependo la freddezza delle piastrelle dell'ospedale sulla propria pelle nuda. Lennon si avvicinò alla finestra e si soffermò a guardare il cielo leggermente nuvoloso della sua New York. Dopo molti anni non si sentì più sicuro in quel luogo, dove pazzi e maniaci armati si aggiravano senza pudore. Si appoggiò al davanzale e chinò appena il viso, notando i vari cartelli e fiori rimasti nell'asfalto del parcheggio. "Resisti John" Recitavano. Lui sospirò profondamente e chiuse le tapparelle, tornando con stanca lentezza al lettino dell'ospedale. John si sentiva impotente, confuso, in colpa, triste, deluso ma anche felice di avercela fatta. Quel miscuglio di emozioni gli stringevano il petto, facendogli provare una fitta dolore al cuore, così, in balia da emozioni contrastanti chiuse lentamente gli occhi, abbandonandosi ad un sonno inquieto. 
 
«Non dovevo dirglielo, dovevo starmi zitto, stupido McCartney!» Paul camminava furioso per i corridoi dell'ospedale, passandosi una mano tra i capelli scuri. Appena era uscito dalla stanza di John si era sentito terribilmente in colpa, dopotutto si era appena svegliato dopo un coma abbastanza lungo e lui che aveva fatto? Gli aveva sputato addosso una parte dei sentimenti che si era tenuto dentro tutto quel tempo, mentre il suo amico lo guardava sconvolto. «Sbaglio sempre tutto» Sussurrò, calpestando con forza il pavimento, camminando nervoso, mentre varie infermiere si fermavano a guardarlo, scuotendo la testa, altre ridacchiavano e si scambiavano sguardi divertiti. «Si è svegliato» Disse al dottore appena entrò nel suo studio, guardandolo serio. 
Quando McCartney si accorse che aveva dimenticato nella stanza di John la propria borsa imprecò. No, non voleva vederlo di nuovo, magari si sarebbe perso nei suoi occhi color nocciola e si sarebbe incantato. Scosse la testa e guardò la porta della camera, dove non che una manciata di minuti fa era entrato il dottore a visitare il Lennon. "Fatti coraggio" Si disse, alzandosi ed aprì la porta con decisione, affrettando subito un «Scusatemi» Macca tenne il viso chino e prese la sua borsa, quando, rialzando gli occhi non potè fare a meno che notare le condizioni pietose del suo John, che suo di certo non era: il viso pallido e sciupato, contrassegnato dalle guance scavate. I capelli leggermente mossi erano stati portati indietro e i suoi occhi sembravano ancora più piccoli. Era seduto a petto nudo sul lettino e lo guardava con espressione vuota. Paul rabbrividì, notando quanto magro era l'unico uomo che aveva amato. L'addome coperto da bende, le quali arrivavano fino la schiena, dove erano gli erano stati afflitti i colpi di pistola. Notò subito quanto John sembrava debole. Piccolo e indifeso, sia fisicamente che mentalmente, completamente scosso. 
E improvvisamente sentì il bisogno di proteggerlo, forse, pensò l'ex bassista, ha bisogno veramente di me.

Lemons;
Sì, lo so, ci ho messo tanto ad aggiorare. Diciamo che dovevo essere dell'uomore giusto, è una di quelle cose che ti metti a scrivere solo quando ti senti triste. Non è molto, però spero vi piaccia :I
Ringrazio tutte per le recensioni, siete magnifiche.
 
Peace, Lemons.

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Capitolo 3
*** | Try | ***


| Try |

«Paul» Si sentì chiamare dalla debole voce di John. Voltò lentamente il viso e socchiuse gli occhi, alzando un sopracciglio, mentre si mordicchiava il labbro inferiore. «Ecco... P-Posso parlarti, dopo?» Chiese Lennon all'amico, guardandolo con una tale intensità, che Paul riuscì solo a balbettare un 'Va bene' accennato, facendo fatica a distogliere gli occhi dai suoi. 
Appena congedatosi dalla stanza, McCartney si lasciò abbandonare sulla sedia della sala d'aspetto, sollevando il viso e incantandosi a fissare un punto nel vuoto. Di cosa voleva parlargli John? Voleva dirgli che dopo la sfuriata di prima non voleva più vederlo? Si prese subito la testa tra le mani, il viso contorto in un espressione disperata. Mai avrebbe voluto deteriorare in tal modo il suo rapporto con John. Si maledì almeno un milione di volte mentalmente, promettendo a se stesso che appena avrebbe visto la figura del cantante avvicinarglisi, si sarebbe perdonato e lo avrebbe lasciato tornare con calma alla sua vita di tutti i giorni. Paul annuì con convinzione, approvando i propri pensieri, seppure sentiva ancora lo stomaco stretto in una morsa d'ansia. 

«John» Mimò il suo nome con le labbra, sbattendo ripetutamente le palpebre. Nella sua mente riaffiorava ancora l'immagine di quell'uomo che tanto aveva amato, che aveva sempre visto in forma, deciso ad andare avanti, ora ridotto in quel pietoso stato. McCartney si ricordava di come il suo amico era stato felice alla nascita di Sean, di come lo aveva visto in televisione a camminare in giro per il Central Park, saltellando, ridendo e firmando qualche autografo con la moglie a braccetto. Sembrava un bambino. L'ex bassista sorrise tra sé e sé ai propri ricordi felici, mordicchiandosi la pelle attorno un'unghia, rialzando lo sguardo non appena sentì la porta aprirsi, perdendo un battito di cuore. 
«L'ho spaventata? Mi dispiace, entri pure» Disse il dottore, guardandolo dall'alto e gli sorrise debolmente, senza dire altro, poi, svanì nel corridoio, dove il personale lavorava freneticamente, uscendo ed entrando in stanze varie. 
Paul raccolse il fiato e si alzo, ripetendosi mentalmente ciò che doveva fare. "Scusati e vattene, McCartney, scusati e vattene". Alzò lo sguardo verso la figura di Lennon, alzato davanti la finestra e le mani appoggiate sui fianchi, come era solito fare. Si avvicinò silenziosamente a lui e, prima che potesse sussurare una scusa, un semplice mi dispiace, si ritrovò stretto tra quelle ancora deboli braccia. John l'aveva lentamente attirato a sé e, appoggiando una mano sulla base della schiena ed una tra i capelli, lo aveva fatto adagiare a sé, come chissà quante volte aveva fatto in passato. 
Paul sentì subito il cuore accellerare, ed era certo che anche quello di John era impazzito in quel momento. Si strinse perciò il più possibile al corpo del cantante, accarezzandogli la schiena e potendo percepire la presenza delle ruvide bende. Paul chiuse gli occhi e deglutì a vuoto, sprofondando con il viso contro il suo petto, che sembrava fosse rimasto lo stesso di anni fa, caldo ed accogliente. 

«Sono stato proprio una testa di cazzo, uh?» Lennon fu il primo a parlare, scompgliandogli leggermente i capelli, gesto che fece immediatamente arrossire il minore dei due, che scosse freneticamente la testa, portandosi entrambe le mani sul petto. «No!» Replicò all'istante, mordendosi l'angolo della bocca. «Davvero, è colpa mia, John, non dovevo andarti contro in quel modo. Cristo, ti eri appena risvegliato!» Esclamò quindi subito dopo, grattandosi la nuca con un leggero imbarazzo, guardando l'altro negli occhi. 
Sul viso di John si stese un piccolo sorriso, poi deglutì a vuoto e si rivoltò a fissare fuori dalla finestra. Si sentiva davvero così solo da dopo tanto di quel tempo. John fissava fuori dalla finestra, seguendo con lo sguardo gli uccelli che volavano di qua e là, liberi. Aveva paura, paura di uscire fuori, improvvisamente tutto per lui non era sicuro come una volta. Non era come la Beatlemania, cos'era successo al mondo di pace di cui aveva cantanto quasi dieci anni addietro? 
«Volevo chiederti una cosa, Paul» Parlò dopo un lungo silenzio, passato a contemplare le luci dell'instancabile Manhattan. Paul si limitò ad annuire con il capo, sporgendosi appena e piazzandosi tra la finetra e l'amico, in modo da poterlo guardare negli occhi. «Beh, ecco, vedi..» Iniziò, balbettando appena, e Paul pensò che era semplicemente l'essere più adorabile al mondo. «Non me la sento di tornare al Dakota. Potrei rimanere da te per un po'? Ovviamente se non ti do disturbo, solo qualche giorno, prometto» Sussurrò infine tutto d'un fiato, guardandolo speranzoso. 

McCartney sobbalzò a quella richiesta tanto disperata e bisognosa, non sapendo cosa rispondere. La sua parte buona avrebbe immediatamente risposto di sì, senza neanche pensarci, mentre c'era comunque il Paul ferito ed amareggiato, sorpreso dal rifiuto dell'amico di tornarsene a casa dalla moglie. Entrambi avevano paura, in quel momento. 
Paul aveva paura di ciò che sarebbe potuto accadere, aveva paura del modo in cui ancora amava John e mai avrebbe voluto che succedesse qualcosa con lui. "Paul ama Linda, John ama Yoko, così che è giusto, è così che deve andare" Si disse più volte, ma ormai aveva già parlato, senza neanche rendersene conto. 
«Certo che puoi rimanere, quanto vuoi».
Gli occhi del maggiore di illuminarono subito e le sue braccia andarono subito a cingere il corpo dell'amico in uno stretto e dolce abbraccio, pieno di gratitudine, mentre gli sussurrava che sarebbe rimasto poco e che non avrebbe dato alcun problema. Paul avrebbe preferito di gran lunga sentire semplicemente due parole, cinque lettere, ma si accontentò. 

Una volta ritrovatosi davanti la porta d'uscita dell'ospedale, John si voltò verso Paul, ancora impaurito da quello che era il mondo esterno. Allungò la mano verso la sua e gliela strinse, mordensosi il labbro inferiore. 
«Non lasciarla andare per nessuna ragione al mondo, ti prego» Disse. 
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WHAT IF IS BACK, SONS OF BITCHES! 
Aehm, ciauciauciau. 
Del tipo che sono sicura che questo capitola non verrà cagato nessuno, hm-mh. 
Avevo proprio bisogno di un po' di McLennon, sono un po' giù di corda, gli ultimi giorni, diciamo più che altro le ultime ore.
Perché non c'è la scuola a tenermi la testolina impegnata? AAAAAAA UFFJDKFJKD. 
Però vabbeh, non parliamo di me. 
Sono contenta che nell'arco di tempo in cui non ho aggiornato, nessuno m'abbia copiato l'idea del John che torna in vita, yeye. 
Oh, durante questo capitolo piangevo come una fontana, perché boh, John e Paul sono così belli insieme, il mio OTP 5evah en evah.
Perdono per il capitolo leggermente corto, ero così motivata e alla fine dkfjdkjfkdf. Mi farò perdonare, già. 

Stay awesome, McLennon shippers. 



Peace, Lemons. 

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