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Nel
salone della Tana c'era un orologio dalle lancette sbeccate.
Da quando
non partecipava più alle ronde, ogni sera Harry vi si sedeva davanti, con una
tazza di caffè in una mano e una piuma nell'altra, e il ticchettio che scandiva
le sillabe scarabocchiate sulla carta da lettere.
«Non
riapriranno Hogwarts» esclamò Ginny,
entrando nella stanza. «Il Ministero l'ha chiusa definitivamente».
Harry
sollevò appena il capo. «Era prevedibile».
«Questa è
la prova che Weber c'entra qualcosa coi Dissennatori!
Magari è lui stesso a controllarli!»
«Di certo
non fa niente per respingerli» rimbrottò Harry, riprendendo a scrivere.
«Sì, ma,
Harry! Sta facendo passare per una cosa buona la chiusura di Hogwarts. Dice che i ragazzi saranno più sicuri a casa, con
le loro famiglie a proteggerli!»
«Dice
anche di mettere a disposizione delle squadre di Auror
per tenere sotto controllo la situazione, ma in realtà non si è ancora visto
nessuno. Gli unici a fare qualcosa siamo noi».
Quando
alzò lo sguardo, Ginny lo stava fissando – gli occhi
leggermente sgranati, le labbra dischiuse, screziate dai capelli rossi. Da
quant'era che non le diceva di amarla?
«Noi non
possiamo più andare avanti così, Harry» mormorò lei, scuotendo il capo. «Siamo
gli unici a fare qualcosa, sì, però non so se riesumare l'Ordine della Fenice
sia stata una buona idea...»
La sedia
slittò indietro, cigolando, e Harry si issò in piedi. «Non pensi mai a quante
persone sarebbero morte in questi anni senza l'Ordine?» ringhiò, battendo i
pugni sul tavolo.
«E tu non
pensi mai ai tuoi figli? Non pensi mai ai tuoi nipoti? Sono solo ragazzi,
maledizione!»
«Sono
ragazzi in gamba».
Lo
dovevano essere, perché nessuno di loro era ancora morto.
«Anche
Fred era un ragazzo in gamba» soffiò Ginny, strofinandosi
gli occhi con la manica del maglione. «Ma questo non l'ha salvato».
Harry si
lasciò cadere sulla poltrona, il petto improvvisamente scosso da rauchi colpi
di tosse. Ginny rimase immobile, ritta in piedi, nel
lato opposto della stanza. Non gli chiese che cosa avesse, non gli chiese se
fosse uno dei suoi soliti attacchi: era fredda, come congelata accanto alla
tromba delle scale. Non si accorse neanche che suo marito, insieme alla saliva,
sputava sangue.
«Gin...»
rantolò, coprendosi la bocca con un fazzoletto.
«Più ci
teniamo lontano da questa storia, meglio sarà per tutti» lo interruppe lei,
storcendo le labbra tanto da scoprire i denti. «Basta fare gli eroi, Harry,
basta. Il nostro tempo è passato, ora non stiamo più giocando con le nostre
vite, ma con quelle dei nostri figli... con la sua: la Profezia era
chiara.» Poi si allungò verso l'appendiabiti per afferrare il giubbotto.
«Dove
vai?» domandò lui, sforzandosi di modulare la voce. «Dopo il Coprifuoco non
bis...»
«Manca il
latte» sillabò Ginny, cacciando le braccia nelle
maniche rattoppate della giacca. «Secondo te con cosa dovrebbero fare colazione
i ragazzi?»
«Non
essere sciocca. Non puoi...»
«Io mi
Smaterializzerò all'angolo del supermercato, ci entrerò, comprerò due cartoni
di latte parzialmente scremato e tornerò indietro. Tutto qua: né più, né
meno».
Nel
momento stesso in cui sbatté la porta dietro di sé, la lancetta col suo nome si
spostò da “a casa” a “in pericolo”.
A warning to the people.
The good and the evil.
This is war.
To the soldier, the civilian,
the martyr, the victim. Thisis war.
___
Un avvertimento alle persone.
Al buono e al cattivo.
Questa è la guerra.
Al soldato, al civile,
al martire, alla vittima.
Questa è la guerra.
Questo pomeriggio chiude
ufficialmente la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts,
ormai inattiva dal giorno in cui un gruppo di Dissennatori
è riuscito a penetrare le sue difese, il diciotto aprile di tre anni or
sono.
«È un inutile dispendio di
denaro» dichiara il Primo Ministro della Magia Richard Weber. «La struttura non
è più idonea a ospitare dei ragazzi, i professori sono – mi duole ammetterlo –
poco qualificati, e la vecchia preside è una donna troppo coinvolta
emotivamente per poter fare la scelta giusta. Sono dovuto intervenire per porre
fine a questa situazione, chiudendo definitivamente Hogwarts».
A questo punto tutti vi
chiederete dove verranno istruiti i ragazzi, ma non temete: il Ministro ha una
risposta anche a questo quesito.
«È già in cantiere il
progetto di una scuola all'interno del Ministero stesso. Di questi tempi le
misure di sicurezza sono più che fondamentali, e il Ministero è una roccaforte
inattaccabile: la minaccia dei Dissennatori non
sarebbe più un problema».
Finalmente! I provvedimenti
di R. Weber sono una ventata d'aria fresca in una torrida giornata estiva. In
un periodo tanto oscuro della storia della magia, quasi paragonabile agli anni
in cui la minaccia del Signore Oscuro incombeva imminente, è fondamentale che
una figura tanto autorevole come quella del Ministro sia un punto di
riferimento, e non un'ombra dalle idee mutevoli ed incerte. Le botteghe
chiudono, le persone si rintanano in casa ed escono solo se strettamente
necessario e nel primo pomeriggio, l'unica fascia oraria ritenuta veramente
sicura (a tal proposito, ricordiamo che il coprifuoco è stato anticipato alle
sette del pomeriggio): i Dissennatori stanno
irrimediabilmente condizionando la comunità magica. Perché non si siano ancora
manifestati davanti a Babbani, rimane ancora un
mistero; fino ad ora hanno aggredito dodici maghi e otto streghe, ma non un
singolo essere non magico.
Articolo a cura di Gregory Smith, la
Gazzetta del Profeta.
*
A Rose piacevano le ronde
notturne.
Sentire l'adrenalina
scorrere nelle vene, il cuore battere frenetico nel petto, il legno ruvido
della bacchetta tra le dita. Per Rose le ronde notturne erano appaganti quasi
quanto mangiare una coppa di gelato d'estate, con trentotto gradi all'ombra –
non che alla Tana avesse mai fatto così caldo, ovviamente, però immaginava che
la soddisfazione fosse la stessa.
Forse più delle ronde
stesse, le piaceva il momento della preparazione: rilassare i
muscoli, sgranchirsi le dita, recitare mentalmente gli incantesimi... il tutto
in solitudine, nella sua stanza.
«Mi vuoi spiegare perché ti
metti una camicia sopra la maglietta?»
Il problema era che le
piaceva un po' meno il suo compagno di ronda.
«Perché mi va» sbottò Rose,
acre, infilando i bottoni nelle asole. «E poi non capisco cosa non vada nella
mia camicia» aggiunse, notando il modo accigliato con cui la osservava.
ScorpiusMalfoy non era fastidioso, no: ScorpiusMalfoy era peggio di fastidioso.
Rose ancora non si
capacitava del motivo per cui Teddy glielo avesse
affibbiato, sebbene potesse vagamente immaginare che la propria totale
inattitudine a scomparire e riapparire come una fatina, unita al fatto che Scorpius fosse uno dei pochi dell'Ordine a sapere
effettuare una Materializzazione congiunta, c'entrasse qualcosa.
«Assolutamente niente se
vuoi sembrare un boscaiolo. E io non voglio uscire con un boscaiolo».
«Allora sei fortunato,
perché non uscirai con un boscaiolo, ma ci lavorerai».
«Sicura? Potremmo fare un
salto al caffè all'angolo prima del Coprifuoco...»
Rose roteò gli occhi,
sbuffando rumorosamente.
ScorpiusMalfoy era anche più che insistente, tanto da
riproporle tutte le sere la stessa identica domanda, senza sforzarsi nemmeno di
cambiare il modus operandi.
«Se mi metto anche le
bretelle e prendo la vecchia accetta dal capanno la smetterai di
chiedermelo?»
Scorpius parve
veramente rifletterci un istante, e Rose pensò che se avesse saputo che
bastavano solo un paio di bretelle a tenerlo lontano, se le sarebbe procurate
cinque anni addietro. Poi lui fece spallucce.
«Ovviamente no, Rosie». Si buttò a peso morto sul letto, con le braccia
incrociate dietro la testa. «Punto allo sfinimento: prima o poi cederai al mio
charme».
ScorpiusMalfoy era indubbiamente peggio di fastidioso e più che
insistente a tal punto da far spazientire anche Tosca Tassorosso,
però c'era un altro difetto che spiccava tragicamente sopra gli altri.
«Quando tu avrai dello
charme Albus si potrà definire aggraziato».
Lui fece un mezzo
sorriso.
«Io ce lo vedo Al con un
tutù».
Era irrimediabilmente perso
di Rose Weasley.
*
«Quella zona pullula di Dissennatori!»
Dominique misurava la
stanza a piccoli passi, rapidi, le mani tra i capelli scompigliati, il respiro
affannato. Sembrava un animale braccato.
James si rilassò contro lo
stipite della porta, sbuffando.
«Secondo te perché la
pattugliamo io e Teddy?»
«Perché volete farvi
ammazzare?»
«È solo una fottutissima
ronda, Dom. Teddy va lì tutte le sere».
«Sì, ma ci va... andava con
tuo padre!»
«Io e Teddy
ce la caveremo, e tu lo sai» borbottò, infilandosi le mani nelle tasche dei
jeans. «Avanti, qual è il vero problema?»
Dominique piantò le braccia
sulla scrivania, una matita rotolò sul pavimento.
«Non sai che cosa
significhi rimanere qui, al sicuro, mentre ve ne andate in giro per Londra a
respingere i Dissennatori». Si inginocchiò per
raccogliere la matita, ma poi si sedette sulla moquette, aggiustandosi alla ben
e meglio le pieghe della gonna. «Vorrei solo essere più utile» mormorò piano,
con un fil di voce.
James le si accovacciò
vicino, allungando una mano verso la sua guancia per scostarle una ciocca di
capelli dietro l'orecchio. Profumava di mare la pelle di Dominique. Non solo di
salsedine, ma anche di spiaggia e crema solare: quell'odore tipico del mare
d'estate.
«Ma tu lo sei, razza di
sciocca. È solo che se iniziassimo a mandare quindicenni allo
sbaraglio...»
«Rose e Scorpius
hanno diciassette anni e da due anni pattugliano DiagonAlley!» sibilò allora Dominique, ritraendosi.
«Avanti, Jamie! So che sei tu a non volermi fare
uscire da qua. Teddy mi insegnerebbe anche subito a
evocare un Patronus, ma tu glielo impedisci».
«Anche Al ne ha diciassette
e rimane con te tutte le sere, a studiare. Abbiamo bisogno di voi, abbiamo
bisogno di qualcuno che si occupi della parte... teorica delle
missioni. Da quando Liz è scomparsa non possiamo
permetterci di perdere degli altri strateghi».
«Teddy
ti può assicurare che gli sto dando del filo da torcere negli ultimi
allenamenti» ribadì Dominique. «Eppure rimango a prender polvere sui libri e
con i libri! Potrei esservi d'aiuto».
James non riusciva a
sopportarla quando faceva così. Dominique era tanto intelligente quanto
cocciuta, e quella era davvero una pessima combinazione: se voleva qualcosa
riusciva ad ottenerla, indipendentemente dal fatto che fosse veramente stupido voler
rischiare la propria vita ogni notte.
Non
si rendeva conto dei salti mortali che aveva dovuto fare per escluderla dai
turni notturni? Di quante ronde si era addossato per permetterle di rimanere al
sicuro un po' più a lungo del dovuto?
«Teddy
non ti insegnerà ad evocare un Patronus» asserì
infine, brusco, e lei scattò in piedi.
«Non puoi relegarmi al
Quartier Generale per tutta la vita!»
James le afferrò i polsi,
strattonandola accanto a sé, facendola cadere pesantemente sulle ginocchia, con
una smorfia contrita in viso.
«Teddy
non ti insegnerà ad evocare un Patronus» ripeté.
Sapeva che se ne sarebbe pentito non appena avesse insistito per seguirlo.
«Perché sarò io a farlo».
*
Teddy era
accigliato.
Albus se ne
era accorto da come correggeva la postura di Lysander,
dal suo cipiglio eccessivamente corrucciato; come se fisicamente fosse lì, ma
mentalmente da tutt'altra parte. Poi aveva intravisto le rughe attorno ai suoi
occhi, perché Teddy si era passato una mano tra i
capelli verde muschio – quel pomeriggio la sua tinta era semplicemente
inguardabile –, e allora Albus aveva capito che
doveva essere preoccupato per qualcosa di serio, perché l'ultima volta che
aveva notato quelle rughe Rose era finita al San Mungo e Teddy
non sapeva come dirglielo.
Un'ora e mezza dopo lo
sorprese in cucina, a vuotare una bottiglia di vino annacquato in un boccale da
birra. Quando si accorse che Albus lo stava fissando,
richiuse immediatamente la bottiglia col tappo di sughero e la ripose nella
credenza.
«Devo risollevare il morale
delle truppe» dichiarò Teddy, con un sorriso sulle
labbra, innocente e colpevole al contempo.
Albus si
avvicinò di qualche passo
«Mi sembra un po' poco per
tutti». «Anche io faccio parte delle truppe».
«Non dovresti...»
«Mi passeresti un po' di
succo di zucca dal frigo?» lo interruppe Teddy,
prendendo a sciabordare quell'intruglio con un cucchiaino. «Mia nonna me lo
preparava tutte le sere. Me ne dava un goccio e dormivo tutta la notte come un Diricawl in letargo».
Albus si
sporse oltre la sua spalla, per poi ritrarsi di scatto.
«Ba che diabibe
è quedstarobba?» strillò,
col naso tappato tra l'indice e il pollice.
«Brandy, un goccio di vino,
un po' di zucchero, e se di grazia me lo concede anche mezzo bicchierino di
succo di zucca» affermò Teddy, tanto orgoglioso che Albus non riuscì proprio a dirgli che avrebbe potuto
intossicare qualcuno se quella brodaglia faceva tanto schifo quanto
puzzava.
Albus allungò
una mano verso la sua spalla, ma prima che potesse anche solo sfiorare la pelle
nuda – Teddy era l'unico che poteva pensare di
andarsene in giro con una canotta – lasciò ricadere il braccio lungo il
fianco.
«Va tutto bene?» gli
domandò infine, appoggiandosi con la schiena contro il muro.
«Certo che sì. Mi puoi
passare anche un po' di zucchero?»
«Quando menti ti si
afflosciano i capelli».
Teddy lo scrutò
a lungo; gli tolse gli occhi di dosso solo per sbirciare la propria immagine
riflessa nel vetro del forno. Subito dopo riprese a fissarlo e a mulinare il
cucchiaio nel boccale, senza rispondergli. «Al, non credo che...»
«C'entra mio padre?» lo
interruppe Albus. «Che c'è? Sono abbastanza grande
per altro ma non per essere messo al corrente di quello che succede là
fuori?»
Il cucchiaino sfuggì dalle
mani di Teddy. «Non ho detto questo».
«A me sembrava che volessi
andare a parare proprio lì, invece».
Non gli piaceva discutere
in generale, e ancor di meno con Teddy. Eppure a
volte la sensazione di essere solo il fratello del suo migliore amico si
faceva troppo opprimente, lo accecava – o accecava la sua capacità di giudizio,
senza la quale non era mai andato granché lontano.
In quelle ultime settimane
finivano sempre per polemizzare su qualsiasi cosa, anche quando avrebbero
dovuto stare in perfetto silenzio. Sta attento, il pavimento
scricchiola. Non vorrai mica farti sentire da Harry? Per Albus erano deleteria quella situazione, una spina nel
fianco. Come se non fosse già abbastanza difficile distrarsi per qualche
ora.
Teddy si fermò
per un istante, poi riprese immediatamente a rimestare con più veemenza. «Cerco
solo di tenerti lontano da questo schifo» sospirò, guardandolo sottecchi.
Albus si
avvicinò e ghermì il suo polso, avvolgendovi attorno la mano. «Quando... quando
vorrai, Teddy. Me lo dirai quando vorrai».
Il pollice di Teddy accarezzò il dorso della sua mano, lentamente,
leggermente.
«Sei disarmante, Al» disse
in un soffio, chiudendo gli occhi. «Sei veramente disarmante».
«È per questo che ti
piaccio, no?»
Albus lo disse
a fatica, probabilmente anche balbettando, veicolando quell'insicurezza che gli
attanagliava lo stomaco. Teddy sapeva essere un
boccone amaro nel campo sentimentale: mai una volta si era sbilanciato, mai una
volta gli aveva detto di volergli bene. Se non fosse stato per quell'altro per
cui era abbastanza grande, Albus
avrebbe spergiurato di non essere niente per lui.
Teddy sorrise,
uno di quei sorrisi di circostanza che sfoderava quando non sapeva che dire, e
riprese a sfiorarlo con le dita. Durò solo un attimo, poi si riscosse e sciolse
bruscamente la stretta.
Poco dopo Nik spalancò la porta.
«Ne hanno ucciso un altro, Teddy» annunciò, immobile sulla soglia. «I Dissennatori hanno ucciso un altro membro del Ministero».
It's the moment of truth and the moment to lie.
The moment to live and the moment to die.
The moment to fight, the moment to fight. ___
È il momento della verità e il momento di mentire.
Il momento di vivere e il momento di morire.
Il momento di combattere, il momento di combattere.
Abbiamo qui con noi il capo
della Divisione Auror, George McDonald, al quale
porremo alcune delle domande che ci sono state inviate in Redazione.
Innanzitutto,
perché il Ministero non è ancora riuscito a sedare le orde di Dissennatori che, al calar del sole, infestano le vie dei
Villaggi Magici e dei quartieri malfamati della Londra Babbana?
Beh, la risposta è
semplice: non possiamo respingere Dissennatori a
vita. Per un periodo, come ricorderete bene, abbiamo provato a disporre sul
campo delle squadre di Auror perché proteggessero le
vostre famiglie, ma è stato tutto inutile. Le decine di creature catturate sono
state isolate, ma non esiste un modo a noi conosciuto per annientarle:
semplicemente le si respinge con un Incanto Patronum. Per ciò, al momento,
stiamo lavorando per risalire alla causa, alla sorgente, e capire perché di
punto in bianco i Dissennatori sono praticamente
impazziti.
Credete
che le misure di precauzione prese dal Ministro si riveleranno efficaci?
Credo che si stiano
rivelando efficaci già da due anni e mezzo. Tutte le sfortunate vittime sono
state assalite perché non avevano rispettato il Coprifuoco, per tanto, secondo
una delle leggi componenti lo Statuto d'Emergenza, il loro decesso e la loro
perdita di senno non sono responsabilità del Ministero. Il Primo Ministro detta
le regole, ma è nel nostro interesse rispettarle.
Parlando
di provvedimenti, è giunta una lettera anonima a proposito delle Squadre
Speciali – uno dei miglioramenti forse più necessari alla ripresa dell'economia
–, in cui viene espressa una perplessità riguardo al fatto che esse sono solo
diurne. Come fa notare l'anonimo lettore, i problemi sopraggiungono di notte,
dopo il Coprifuoco, e non durante il giorno...
Le Squadre Speciali sono
indubbiamente uno dei servizi più utili che la Divisione Auror
offre, sono d'accordo. Grazie a loro possiamo impossessarci nuovamente della
nostra vecchia routine e andare a lavorare senza preoccuparci dei bambini
rimasti a casa, però, per i motivi precedentemente spiegati, preferiamo
concentrare le forze dove sono più utili, ovvero nella Divisione Ricerca.
Grazie
dell'esauriente risposta. [...]
Intervista a cura di CatDerose.
*
Il freddo penetrava nelle
ossa. C'era ancora la nebbia, fitta, che rendeva l'aria rarefatta e pungente,
difficile da respirare. Gli sembrava di essere ritornato agli inverni in cui
andava in montagna con James, solo che in campeggio non era mai scappato il
morto – sebbene il senso di responsabilità di Ron fosse alquanto discutibile.
D'altronde era per quello che gli stava simpatico.
Quella era la parte
migliore delle vacanze, anche migliore del mese a casa dei Potter: aveva sempre
aspettato con ansia la settimana bianca – così la chiamava Harry – fino a che,
grazie a una brillante idea di James, non si erano uniti a loro anche Bill,
Dominique e Victoire. Louis, all'epoca, era troppo
piccolo per dormire in una tenda, a detta di Fleur.
Gli sembrava che quei ricordi appartenessero a decenni addietro, alla sua
infanzia o, in momenti come quello, in cui si trovava a guardare negli occhi un
cadavere, all'infanzia di qualcun altro. Di sicuro, non avrebbe mai detto che
l'ultima volta che aveva campeggiato era stato nel gennaio del 2020, appena tre
anni prima.
«È il quinto in tre mesi».
James scosse la testa. «Non è un caso, e dubito che i Dissennatori
abbiamo preso di mira i dipendenti del Ministero perché non avevano altro da
fare».
Teddy si chinò sul corpo
gelato, coperto dalla brina, e ne spazzò via un po' coi polpastrelli per
scoprire le palpebre. Poi le sollevò con due dita, scoprendo le iridi.
Grigie.
«È stato baciato anche lui»
sentenziò, facendo correre le mani sulla camicia, scostando lembi di tessuto in
fretta e sbirciando la pelle intirizzita. «Non ci sono lividi o graffi, la
bacchetta è ancora sul comodino. Non ha avuto il tempo di prenderla: l'hanno
colto di sorpresa...»
James si sporse oltre la
porta, sbirciando irrequieto il camino. «Dobbiamo muoverci» mormorò, senza
distogliere lo sguardo dal soggiorno. «Gli Auror
compariranno da quel camino a minuti, e se ci trovano qui non voglio neanche
pensare quello che farebbe Weber».
«Terrebbe tuo padre per le
palle» rispose Teddy, continuando imperterrito l'ispezione.
Ai tempi della specializzazione
in Medimagia aveva una malsana passione per i film
gialli, quelli Babbani.
Non era mai riuscito a
finire un libro di quel genere – di qualsiasi genere, a dire il vero –, perché
dopo aver letto il prologo scorreva solo distrattamente le pagine, fino ad
arrivare agli ultimi capitoli. Coi film invece non poteva imbrogliare. O almeno
non aveva potuto fino a che non era riuscito a capire come funzionasse un
lettore DVD, e quanto fosse ingegnosa l'opzione “selezione scene”.
Comunque, aveva imparato
fondamentalmente due cose passando i suoi pomeriggi davanti alla televisione: i
dettagli più banali sono sempre i più significativi, e, nonostante tutti dicano
il contrario, l'assassino non è mai il maggiordomo.
«Da dove sono entrati i Dissennatori?» chiese d'un tratto, scrutando attentamente
la stanza. «La finestra là in fondo, sopra il calorifero, ha le inferiate,
mentre le altre hanno tutte le tapparelle abbassate. Quindi, a meno che non
abbiano imparato a suonare il campanello, qualcuno deve averli fatti entrare».
«Senti, Teddy, sta volta la
notizia ci è giunta in ritardo. Non mi pare ci sia niente di diverso rispetto
alle altre vittime: il modus operandi è lo stesso. Ora ci conviene tornare a
casa e far fare qualche ricerca a Dominique e...»
«Dominique... Cosa vuoi che
faccia Dominique fino a che continui a trattarla come se non fosse capace di
intendere o volere? La tieni sotto una cappa di vetro».
«Ma cosa dici? È ancora una
bambina, ha solo quindici anni!»
«Se sei costretto a
crescere diventi adulto anche a quindici anni, James, e tu dovresti saperlo
bene: tuo padre ce lo ripeteva sempre. E poi c'è bisogno che ti
ricordi cosa facevamo noi a quindici anni?»
«Niente. Abbiamo iniziato a
sedici ad andare di pattuglia con mio padre».
Teddy fece schioccare la
lingua sul palato, accennando un sorriso. «E sia» disse. «Dominique compie
sedici anni a gennaio, l'otto se non sbaglio...»
«Il cinque» lo corresse
James, gelido come l'aria rarefatta che si respirava in quella stanza.
«Il cinque, ancora meglio.
Allora che avrai da ridire? Che è troppo carina per pattugliare? Che con quegli
occhioni azzurri rischierebbe di attirare dei
malviventi? Il cinque gennaio porrò fine personalmente all'infanzia prolungata
di Dominique Weasley».
«Spero tu stia scherzando».
«Non sono mai stato tanto
serio».
«Non oserai...»
«Andiamo, amico! Che hai?
Perché continui a proteggere quella ragazza? Sembri quasi ossessionato da tua
cugina» borbottò ridendo. «Già, ossessionato».
«Non è ossessione,
Teddy. Hai presente quando tieni a qualcuno e non vuoi che gli accada niente?
Oh, evidentemente no, perché altrimenti non la costringeresti a rischiare la
pelle!»
Albus. Il
suo viso ancora da bambino, i tratti immaturi, i capelli corvini: non provò
nemmeno a immaginare l'espressione di James se gli avesse detto che se la
faceva con suo fratello.
«Non si tratta di
costringere: lei muore dalla voglia di venire con noi» asserì infine.
«Dom non sa quello a cui va
incontro».
«E allora lascia che lo
scopra».
«No».
«Non hai scelta: sono io
che organizzo i turni e gli allenamenti, ergo sono io che decido chi fa
cosa».
«Da quando sei diventato un
despota?»
«Da quando ti fai tanti
scrupoli per una delle tue innumerevoli cugine? Roxanne
ha dieci anni, inizia a fare il buon samaritano con lei e lascia crescere
Dominique. Che ha di tanto speciale quella ragazza? Lo vorrei tanto
sapere».
«Parli proprio tu! Dovresti
sapere meglio di me che le discendenti delle Veela
sanno esercitare un particolare ascendente sugli uomini» ironizzò. «Catalizzano
l'attenzione».
«Lo so bene» mentì Teddy:
in realtà, lui, non aveva mai sperimentato il mitico fascino di Victoire. «Ma credo proprio che nel tuo caso l'attenzione
di cui parli sia di diversa natura. O almeno lo spero, amico, altrimenti ti
porto direttamente dal mio Medimago di
fiducia».
James scrollò le spalle e
fece una risatina. «Ma non dire cavolate».
Teddy, che non aveva smesso
per un attimo di maneggiare il corpo, agitò la bacchetta in aria, e il suo
mantello prese a volteggiare nell'aria fino a posarsi sulle sue spalle. «Ho
finito» dichiarò dopo essersi allacciato i nastri della cappa. «Nik ci aspetta di sotto?»
«Sì, appena fuori. Ah,
Teddy, una cosa».
«Uhm?»
«Albus,
di anni, ne ha quasi diciotto».
Teddy s'irrigidì. «Albus è utile sui libri, Dominique no. Vorresti far
pattugliare anche tuo fratello?»
«No, è l'ultima cosa che
vorrei dover stare in pensiero anche per lui. Mi stavo solo chiedendo perché
lui fosse esente dalla leva obbligatoria».
Teddy sentì il sangue
gelarsi nelle vene. Alle volte James gli dava la sensazione di sapere
più di quanto non dicesse.
«Non ne è esente» precisò,
balbettando appena. «È solo che è più utile come stratega: è morigerato,
prudente. Mi aiuta più di quanto non pensi». Sbuffò dell'aria dal naso, costringendosi
a sorridere. «Se non fosse per lui, ideerei piani folli, delle missioni
suicide».
James dischiuse le labbra
per dire qualcosa, ma poi le serrò nuovamente, sentendo uno schiocco provenire
dal salone.
*
«Solo una Burrobirra, Rose! Che ti costa?»
Scorpius affrettò il passo
e Rose fece altrettanto.
«Circa dieci falci, se non
ricordo male» sbuffò irritata, mentre scendeva rapidamente le scale. «E un paio
di mesi da uno psicoterapeuta, perché sono certa che rimarrei tanto
traumatizzata da avere gli incubi. Ti immagini? Vi sveglierei tutti nel cuore
della notte urlando: “Ah! Scorpius! Burrobirra!
No!”»
«È un sì?»
Rose si fermò di colpo,
facendolo quasi inciampare, e incrociò le braccia sotto al seno, con aria
scettica. «Secondo te?»
«È un “lo prenderò in
considerazione”».
Rose non ribadì, si limitò
a scoccargli un'occhiata di disappunto e a riprendere a discendere i gradini
più velocemente, nella speranza che la scarsa coordinazione della Seccatura lo
portasse a cadere rovinosamente e a rompersi una gamba: nel migliore dei casi,
avrebbe avuto un paio di notti di pace e tranquillità.
«Rosie?»
«Che c'è?»
«Vieni se te la pago io la Burrobirra?»
«No!» lo liquidò in malo
modo, alzando la voce. «Non se ne parla neanche!»
«Esecrabile? Sai cosa vuol
dire esecrabile?» esclamò sbigottito.
«Sono andata a cercarlo sul
dizionario apposta per te. Non trovi che ti rappresenti alla perfezione?»
«Trovo assurdo che tu ti
sia disturbata ad andare a cercare una parola e non ad accettare di bere una Burrobirra con me! Dammi almeno una speranza!»
Rose scosse la testa. «È
appena morta una persona, non mi sembra il caso di pensare a queste
sciocchezze».
Scorpius afferrò l'orlo
della sua giacca, trattenendola. «Muoiono persone tutti i giorni, Rosie» mormorò, addolcendo lo sguardo. «Muoiono di
vecchiaia, di malattia, in un incidente o perché uno stronzo con troppo potere
decide che sono d'intralcio, ma noi non possiamo smettere di vivere insieme a
loro».
Rose vacillò appena,
dondolandosi sull'orlo dello scalino, con la mano ben salda attorno al
corrimano. Lo fissò un istante, il tempo che si concesse per inquadrare ciò che
aveva detto – e, considerata la latente saggezza di Scorpius, capire chi avesse
realmente dato vita a quel pensiero.
Lui era così: un po'
vecchio saggio della tribù, un po' bambino in fasce, un po' idiota, un po'
ragazzo con delle idee... beh, con delle idee, punto. In una parola: incoerente.
O una Mina vagante, l'unico soprannome che aveva un retrogusto
affettuoso tra quelli che Rose gli aveva affibbiato.
Anche Idiota non
era così tanto offensivo, dopotutto.
«Muoviamoci» borbottò
infine, saltando gli ultimi gradini della rampa. «Se qualcuno ci becca ancora
qua sono cazzi».
Fuori dalla Tana i campi
erano soffocati da erbe infestanti e dal freddo di novembre.
Era difficile pensare che
proprio lì, fino a qualche anno addietro, al posto delle sterpaglie ci fosse un
prato curato, puntellato qua e là da qualche macchia di terreno spoglio; Rose
ricordava ancora quando, per il compleanno di James, Harry ed Hermione avevano
montato un'altalena tra i due alberi più robusti: ora rimanevano due tronchi
spogli e una trave marcia, che penzolava da una corda sfilacciata e
consunta.
«Meno male, Lysander e Lorcan non sono ancora
arrivati» sospirò Scorpius. Si sistemò di fronte a quel che rimaneva
dell'altalena, col fare stanco e sonnolento di chi è stato buttato giù dal
letto nel cuore della notte. Il terzo turno, l'ultimo prima che le luci del
mattino sopraggiungessero, era il più duro. «Così puoi rimanere qualche minuto
a fissare il mio corpo statuario» aggiunse, alludendo all'aria seccata con la
quale Rose lo stava fissando.
Scorpius era un ragazzo moderatamente
carino, abbastanza alto, dai capelli biondo pallido, tanto chiaro da sembrare
sbiadito. Erano però i suoi occhi, azzurri, slavati, a far cadere decine di
ragazze ai suoi piedi – questo secondo la sua controvertibile opinione.
Oltretutto, Rose, le suddette “decine di ragazze”, non le aveva mai viste: ad
esclusione di Marianne Simon al quarto – e per loro anche ultimo – anno di
scuola ad Hogwarts, nessuna aveva mai manifestato interesse nei suoi confronti.
Se la ricordava chiaramente, Marianne: era alta, secca, con la faccia
interamente coperta di lentiggini e crespi capelli castani. La ragazza non
aveva nemmeno provato a chiedere a Scorpius di uscire: a scuola tutti sapevano
che lui aveva inspiegabilmente occhi solo per Rose Weasley, troppo impegnata a
scontare punizioni per poter escogitare un modo più o meno cortese per
rifiutare le sue avances.
«Di ritorno dalla ronda,
dovremmo fermarci davanti a quel vecchio palazzo, quello disabitato da anni»
disse Scorpius. Per un attimo, Rose temette che il fine di quella proposta
fosse un appuntamento romantico. «I gufi lasciano ancora una copia del Cavillo
là davanti. Voglio tenermi aggiornato sui Cinciduli
Africani: ho letto un paio di settimane fa che si stavano spingendo a nord,
verso l'Italia».
«E tu credi a queste
sciocchezze? Avranno scambiato un branco di orate per quei cosi lì».
«Le orate sono pesci
d'acqua dolce. E poi i pesci mica si muovono in branco!»
«Come no?»
Fortunatamente la comparsa
di Lysander e Lorcan
stroncò sul nascere un noioso battibecco sui pesci.
«Tutto tranquillo stasera»
asserì Lysander. «L'unica cosa anomala è questo
insopportabile freddo. Perché mai a novembre si dovrebbe gelare?»
«Perché non siamo nella tua
amata Amazzonia, Lys» disse Rose, dandogli un leggero
pugno sulla spalla. «Ma in Inghilterra».
Nel girarsi Lysander fece volteggiare il mantello, che si impigliò in
un rovo e si lacerò; da una tasca interna scivolò fuori una lettera
accuratamente ripiegata.
Rose si chinò a terra e la
raccolse. «Ti è caduta» bofonchiò mentre gliela porgeva.
Lysander si
irrigidì. Dietro di lui, Lorcan assunse
un'espressione indecifrabile. Erano due gocce d'acqua, i gemelli Scamandro: medesimi capelli scuri, occhi grigi, tratti
decisi. Le labbra erano l'unico attributo che permetteva di distinguerli:
egualmente sottili, quelle di Lysander erano
perennemente piegate in un sorriso, mentre quelle di Lorcan
diritte, rigide. Sembravano modellate nell'acciaio.
«Grazie» mormorò Lysander, riappropriandosi della lettera. Solo allora Rose
notò che non era intestata; si poteva però intravedere la scrittura fitta e
ordinata vergata all'interno del sottile foglio di pergamena. «Sono proprio un
imbranato».
«Già» convenne Scorpius con
un tono stranamente acido. «E noi siamo in ritardo. Rosie?»
Senza aspettare una sua
risposta le arpionò la mano, conficcandole le unghie nel palmo, e girò su se
stesso.
Ogni volta che si
Smaterializzava con Rose, Scorpius aveva paura di farle del male.
Ad intermittenza si
sentivano voci ovattate e delle inferiate che si chiudevano; qualcuno si
affacciava anche, per poi trincerarsi nuovamente dentro. Sarebbe bastato
quello, o il rumore di un ramo secco spezzarsi sotto la suola delle scarpe, per
non arrivare interi a destinazione. Lo tranquillizzava un poco il fatto che Teddy
gli avesse insegnato esattamente cosa fare nel caso di uno Spaccamento, ma non
era sicuro di riuscirci mentre Rose sbraitava epiteti decisamente poco
lusinghieri nei suoi confronti.
Ciò nonostante, non aveva
altra scelta: nell'Ordine bisognava arrangiarsi. C'era chi seguiva una scia di
omicidi, chi rimaneva alla Tana a fare ricerche – di preciso su cosa Scorpius
non l'aveva ancora capito – e chi trasportava da un punto all'altro della città
una ragazza petulante.
Non che gli
dispiacesse.
«Dio santo, sto per
vomitare» rantolò Rose, piegandosi in due.
«Ormai dovresti esserci
abituata, non è la prima volta».
«Che vuoi che ti dica?
Soffro il mal di Materializzazione» masticò Rose, asciutta, rimettendosi in
piedi. «Potevi almeno avvisarmi, non ero psicologicamente pronta».
«Quando imparerai
a...»
«Quando imparerò a
Materializzarmi, ti ripeto, non avrò più bisogno di... di... di te». Rose si
voltò lentamente, impugnando la bacchetta. «Hai sentito?»
«Cosa?» domandò Scorpius,
passandosi una mano dietro la nuca. «C'è un silenzio tombale, qua».
Rose gettò il capo in
avanti e si legò i capelli con l'elastico che teneva attorno al polso, poi aprì
la zip della giacca e se la sfilò, allacciando le maniche in vita. Era l'unica
a non portare il mantello: la vecchia giacca di pelle di suo padre aveva
un'aria più vissuta, diceva.
«Ma sei ammattita?» berciò
lui. «Si crepa di freddo, come puoi...»
«Sssht!»
lo zittì Rose, indicando col capo la vetrina di un vecchio negozio, coperta da
assi di legno e lenzuola ingiallite incastrate tra le tavole per tappare le
fessure. «Là dentro c'è qualcuno».
«Sarà solo un ratto»
obbiettò Scorpius, nella speranza di allontanarsi in fretta di lì. Alle
ragazze avrebbero dovuto fare schifo i ratti, no?
«Bene, è nostro compito
verificarlo».
Prima che potesse
avvicinarsi alla vetrata, un ruggito squarciò il silenzio, seguito dal
frastuono secco del legno che si spezza. Rose indietreggiò, schivando i chiodi
e le schegge.
«Questo l'hai
sentito?»
«Magari è una
pantegana».
Nel momento stesso in cui
Scorpius pronunciò quella frase, qualcosa scardinò la
barricata e si lanciò in strada, ruggendo. E quelqualcosa aveva
la testa di leone e gli zoccoli.
«Ti sembra una pantegana?»
sibilò Rose, impugnando saldamente la bacchetta.
Scorpius rimase immobile.
«Non, muovere, nemmeno, un, passo» scandì, ghermendole il polso. «Sai che cos'è
quella?»
«Secondo te io ho mai
aperto un libro che non fosse difesa contro le Arti Oscure?»
«È una Chimera,
Rose. Una Chimera». Sfilò la bacchetta dal mantello in un movimento
forzatamente lento, senza distogliere gli occhi dalla creatura. «Cinque X su
cinque, è una nota ammazzamaghi, impossibile da
addestrare...»
«Stupeficium!»
Il lampo rosso si schiantò
contro la vetrina del negozio, sollevando una nuvola di fuliggine.
Quando la polvere si posò a
terra e Rose abbassò la bacchetta, la Chimera era già scomparsa.
*
Dominique era rannicchiata
sul davanzale della finestra, con un taccuino poggiato precariamente sulle
ginocchia strette al petto.
Non le era mai piaciuto
particolarmente stare in prima linea, a dir la verità, però nemmeno essere
completamente ignorata le andava molto a genio. Tutti avevano di meglio da
fare, un compito da svolgere, una missione da portare a termine. Neanche Rose
c'era più per lei: se ne stava tutto il giorno ad esercitarsi con un manichino
di legno, uno di quelli che Teddy usava per farla allenare.
Fra gli altri innumerevoli
cambiamenti, c'era – al primo posto, in verità – James.
Lui era l'unico che le
prestava attenzione, e forse lo faceva fin troppo; da quando si era unita
all'Ordine della Fenice, era cambiato: era diventato prudente. Sì, il ragazzo
che in pieno inverno saltava da uno scoglio all'altro col rischio di cadere in
mare e fracassarsi il cranio era diventato prudente, addirittura cauto, tanto
da impedirle di prender parte alle ronde.
«È pericoloso» le
rispondeva ogni volta, ma Dominique non capiva perché gli altri dovessero
rischiare mentre lei se ne stava a leggere dei libri che si stavano rivelando
totalmente inutili – come e chi controllasse
i Dissennatori rimaneva un punto interrogativo,
nonostante avesse saccheggiato le librerie di Diagon
– e Notturn – Alley.
Mise da parte il
quadernetto e saltò giù dal davanzale; scoccò un ultima occhiata al cortile –
James sarebbe dovuto rientrare più di un'ora fa –, poi si diresse verso il
letto che condivideva con Rose. Il lato della cugina era ancora tiepido, le
coperte sfatte e il lenzuolo sudaticcio: Rose aveva dormito un paio d'ore prima
di uscire di ronda. Dominique sgusciò sotto alla trapunta, rabbrividendo al
contatto col materasso gelido; dopo qualche secondo rotolò dall'altra parte del
letto e si sporse verso il comodino. Aprì l'anta e ficcò la mano nel mucchio di
vestiti che vi erano accatastati, fino a che non sentì sui polpastrelli la
consistenza morbida del pile.
La felpa di James era blu,
coi bordini bianchi e i bottoni neri. Gliel'aveva prestata un paio di giorni
prima, quando erano usciti a fare una passeggiata nel retro della Tana.
Dominique era uscita solo con un maglioncino, palesemente troppo leggero per
una giornata tanto fredda; una parte di lei, quella calcolatrice e maliziosa,
sapeva di averlo fatto apposta. Se prima James aveva solo un occhio di riguardo
nei suoi confronti, adesso si poteva dire che studiasse metodicamente ogni sua
espressione, ogni suo gesto, per prevedere tutte le sue necessità. Questo,
sebbene da una parte fosse estremamente irritante, dall'altra non poteva non
farla sentire importante: così, quando James si era sfilato la felpa imbottita
e gliel'aveva poggiata sulle spalle, Dominique ne aveva approfittato per
rannicchiarsi accanto a lui.
Era diventato cauto anche
su quelle piccolezze. Quando c'era qualcuno nei paraggi si teneva a debita
distanza, risultando quasi troppo distaccato, a disagio, ma da soli era tutta
un'altra storia: James ritornava a essere Jamie, il bambino che si buttava
dagli scogli, solo più protettivo e con un'ombra di barba.
Dominique aveva un ricordo
nitido della sua infanzia, forse reso più chiaro dal senso di disagio che le
aveva attanagliato lo stomaco: sua madre, ritta in piedi, con uno sguardo
insolitamente duro, mentre chiedeva – imponeva – a James di
andare nella stanza degli ospiti. Stavano dormendo nello stesso letto, stretti
sotto alle coperte, con le gambe e le braccia intrecciate. Solo
ripensandoci a distanza di anni, Dominique si rese conto di quanto fosse
sconveniente.
Improvvisamente la porta si
spalancò, e la luce fioca emanata da una bacchetta illuminò la stanza.
«Svegliati. Abbiamo un
problema» ansimò Albus, facendole cenno di seguirlo.
«Un grosso problema, oserei dire».
Dominique scivolò fuori dal
letto e infilò i piedi nelle pantofole. «Che è successo?»
«Gli Auror
hanno beccato Teddy, James e Nik». Albus appoggiò una mano sulla maniglia della porta. «E
Weber ha convocato mio padre al Ministero».
To the right, to the left.
We will fight to the death.
To the Edge of the Earth.
It's a brave new world. It's a brave new world.
____
A destra, a sinistra.
Combatteremo fino alla morte.
Fino al limite della Terra.
È un nuovo mondo coraggioso.
È un nuovo mondo coraggioso.
[...]Adam
Miller, sessant'anni, membro del Wizengamot,
scomparso tre giorni or sono. La sua fotografia è la numero 4. Chiunque avesse
sue notizie può rivolgersi alla Divisione Auror.
Annunci della Gazzetta del Profeta, sezione:
persone scomparse.
*
La luce del sole filtrava
attraverso le persiane abbassate.
L'odore di pelle e legno
era pungente, fastidioso quasi quanto il continuo picchiettare dell'anello di
Weber sulla scrivania. La pietra incastonata nella montatura d'oro rifletteva
dei triangoli colorati sul soffitto, che vibravano al minimo spostamento del
gioiello. Per comprare un anello del genere a Ginny,
Harry avrebbe dovuto risparmiare per anni, se non di più; forse non ci sarebbe
mai neanche riuscito, visto che aveva lasciato il suo lavoro come Auror per dedicarsi solo ai ragazzi e alle ronde.
Metti a
rischio la vita dei tuoi figli, dei tuoi nipoti. Sangue del tuo sangue.
Gli pareva quasi di
sentirla, sua moglie, mentre gli sputava contro accuse su accuse. Non voleva
nemmeno immaginare cosa gli avrebbe fatto se fosse capitato qualcosa ai suoi
ragazzi.
Già, i suoi ragazzi,
non più i loro. Ormai erano figli solo di Ginny:
Harry aveva rinunciato a rivestire la figura di padre anni addietro. Non puoi
essere genitore e capo senza scrupoli al tempo stesso, non se uno dei tuoi
figli scende ogni notte in campo e l'altro scandaglia libri dichiarati illegali
dal Ministro. Mentre la bambina... La bambina doveva rimanere nascosta, al
sicuro.
«Non trova buffo che noi
due non ci siamo mai incontrati di persona?» Weber intrecciò lentamente le
dita, congiungendo i palmi. «Sono contento che si sia presentata finalmente
l'occasione».
Harry si sporse sulla
scrivania. «Dov'è mio figlio?»
Aveva qualcosa di
magnetico, Weber. Forse erano i capelli spettinati, gli occhi castani, caldi,
che sembravano avvolgerti, o la voce pastosa: era così ammaliante da esser
asceso alla carica più alta del Mondo Magico in qualche anno.
«Già, giusto» borbottò il
Ministro. «Beh, che dire? Ogni famiglia ha la sua pecora nera. Ai miei tempi si
usava uscire di nascosto per andare ad incantare le scope dei vicini, di questi
giorni invece deve andare di moda farsi trovare accanto a un morto».
«Credevo avesse lavorato
per un po' tra gli Auror, dovrebbe saperlo dove si
trova».
Harry scattò in piedi e
batté i pugni sul tavolo. «È lampante che quell'uomo sia stato ucciso da un Dissennatore e non da un mago!»
Weber si rilassò sulla
poltrona, inarcando le sopracciglia. «Lo è, in effetti. Per questo suo figlio e
il suo figlioccio non sono finiti ad Azkaban».
Allungò il braccio, flettendo le dita verso la libreria a parete. Un sibilo
fendé l'aria, e qualche attimo dopo una bacchetta scura, nodosa, era tra le sue
mani. «Mi piacerebbe sentire la sua teoria, signor Potter: come mai, secondo
lei, i Dissennatori hanno iniziato a uccidere maghi
come se fossero carne da macello? Sono un tipo curioso, gliel'ho già detto? Morbosamente
curioso, oserei dire».
Harry sospirò. Aveva
passato notti insonne a pensare a quel piccolo e apparentemente insignificante
dettaglio: a chi interessava perché o percome? I Dissennatori
uccidevano, ora, punto e basta. Eppure c'era qualcosa che non
quadrava, un dannatissimo pezzo del puzzle che era stato incastrato in un posto
non suo.
«La Gazzetta sostiene che
sono semplicemente sfuggiti dalle mani del Ministero. Secondo la versione
ufficiale dell'accaduto, in passato i Dissennatori si
limitavano a portar via l'anima alle loro vittime perché il Ministero proibiva
loro di finirli» asserì cautamente, cercando di darsi un tono. «D'altra parte,
è singolare come questa informazione venga omessa in qualsiasi libro
sull'argomento».
«Come ben sa, i miei predecessori
ritenevano importante che la pericolosità dei Dissennatori
non venisse divulgata. Se tutti avessero scoperto fino a che punto si possono
spingere... Beh, avremmo dovuto senza dubbio trovare qualche altro metodo per
scongiurare eventuali evasioni o, peggio!, ribellioni. Uhm... maghi potenti, Mangiamorte, pazzi... Chi altri, se non i Dissennatori, si sarebbe mai avvicinato a loro? Lei
comprende senz'altro, Signor Potter. Tra l'altro, conosco bene l'articolo che
spiega l'accaduto: ho collaborato io stesso alla sua stesura». Increspò le
labbra in un sorriso lascivo. «Uhm, l'opinione della Gazzetta va presa
senz'altro per buona. Metterla in discussione sarebbe sconveniente, non trova?
D'altra parte, che motivo avrebbero quegli imparziali giornalisti di manipolare
la notizia?»
«Indubbiamente» sillabò
Harry. Falsa pista o suggerimento dettato dall'arroganza?
«Ma ora basta parlare di
queste sciocchezzuole. Vorrei sentire, ovviamente, come lei
giustifica la presenza di James Sirius Potter e Ted
Lupin in quella casa».
Harry arretrò di qualche
passo, le gambe improvvisamente molli. Girò la testa, per poter vedere oltre la
vetrata: James e Teddy erano seduti lì, scortati da
due Auror. «Sono due ragazzi fin troppo curiosi e
pericolosamente coraggiosi. Probabilmente hanno sentito delle urla o hanno
visto qualcosa di strano» rispose, senza distogliere gli occhi dalla sala
d'attesa.
Weber sospirò. «Lei è un
personaggio molto illustre: sarebbe sconveniente per entrambi – ha ancora
accaniti sostenitori, non creda – essere fiscali riguardo questa faccenda.
Andare a finire davanti al Wizengamot a combattere
una causa già persa in partenza non avrebbe senso, vero?»
Harry lo squadrò a lungo,
per riuscire a capire cosa stesse passando per la sua mente, quali fossero le
sue reali intenzioni – pensò anche di usare la Legilimanzia,
poi però escluse la possibilità a priori: solo un incosciente ci avrebbe
provato.
«Vero» convenne infine, con
voce strascicata.
Weber intrecciò le dita e
poggiò le mani sulle gambe accavallate, prendendo a fissare la sala d'aspetto
– a fissare James.
«Sa, questa storia ha anche
un risvolto alquanto buffo» disse dopo qualche momento, con un sorriso soltanto
accennato a deformargli le labbra. «Io non ho mai nominato i Dissennatori, o tanto meno detto che la vittima fosse un
uomo: eppure lei lo sapeva. Non lo trova buffo? Io sì, molto».
*
«Non mi serviva a niente la
tua sfilza di nozioni teoriche, Scorpius». Rose si
chinò a terra e fece scorrere la cerniera dello stivale lungo il polpaccio, per
poi calciarlo via scuotendo il piede. «Non so se l'hai capito, ma andiamo a NocturnAlley per respingere le
creature magiche che incontriamo, non per scriverci su un trattato!»
«Oh, scusami se prima d'ora
non ci eravamo mai ritrovati davanti a qualcosa che non fosse un Dissennatore!» rimbrottò Scorpius,
laconico. «E con una Chimera – una Chimera! Nota ammazzamaghi! -
dubito sia utile un Patronus!»
Scorpius aveva
paura di Rose quando ostentava fino a che punto fosse incosciente. Lei era
troppo impulsiva per soffermarsi a riflettere sulle conseguenze di un'azione
avventata – non che ci fosse molto da prevedere: quando ci si ritrova davanti
un essere come quello anche uno stupido capisce come andrà a finire.
Scorpius era più
assennato.
Rose pensava fosse un
difetto, mentre lui non era ancora riuscito a capire in quale dose il buon
senso fosse una qualità: avere paura può salvare la vita così come può
fottertela, paralizzandoti. Quel tipo di paura Scorpius
la conosceva bene, perché ogni notte si vedeva disteso a terra, coperto da una
spolverata di brina come quel corpo che gli aveva fatto vedere Teddy. Senza anima, senza vita, gli aveva
detto. Quando mangiava pesante, poi, gli capitava di immaginare anche Rose
accanto a sé, il suo petto immobile, e i suoi capelli rossi ingrigiti, e la sua
pelle tanto pallida da farla sembrare una bambola di porcellana. Era così reale
da spaventarlo a morte. Bambola di porcellana. Oh, se fosse stata
una Legilimens quantomeno decente e avesse captato
l'appellativo “bambola” accostato al suo nome l'avrebbe senz'altro schiantato:
fortunatamente, tanto era impedita con la magia a livello teorico quanto aveva
una propensione naturale per quello pratico. Come fosse possibile, rimaneva un
mistero.
«Sopratutto se il tuo Patronus è un gatto dalla coda spelacchiata, giusto?»
Scorpius si
riscosse. «Tibbs non ha la coda spelacchiata: è fatto così!»
«Non posso credere che il
tuo Patronus abbia un nome. Anzi, rettifico: non
posso credere che il tuo Patronus si chiami Tibbs».
«È in onore di mister
Tibbs, il gatto di mia nonna! Quante volte te lo dovrò ripetere?»
«Fantastico, allora meno
male che non ho mai avuto un falco domestico: conoscendo Hugo l'avrebbe chiamato
Biscottino, Ciambellina o qualcosa del genere. E lungi da me chiamare il mio Patronus col nome di un dolce».
«Dimenticavo che Hugo è
assuefatto agli zuccheri. È paradossale: vado più d'accordo con lui che con
te».
«Avete la mia benedizione:
scappate in America e sposatevi».
Scorpius si passò
una mano tra i capelli, visibilmente preoccupato. «Rose, a proposito del
discorso di prima...»
«Attacca e difenditi, il
concetto è sempre quello» commentò lei, facendo spallucce. «E se non riuscissi
a difenderti? Sei seriamente convinta di poter Schiantare una Chimera?» sibilò
incredulo. Gli bastò però notare la smorfia in cui Rose costrinse il viso – la
fronte corrugata, le sopracciglia arcuate – per capire che, contro ogni
ragionevole obbiezione, sì, ne era assolutamente certa. «Era una
domanda retorica» precisò allora.
Rose dischiuse la porta
dello sgabuzzino quel che bastava per lanciarci dentro gli stivali. «Sono
convinta che rimanere a guardarla negli occhi non sia gran che utile»
bofonchiò, strascicando i piedi fino al soggiorno. «Sono una ragazza d'azione,
io».
«Le ragazze d'azione sono
pericolosamente sconsiderate».
«Allora meno male che ci
sei tu a tenermi a freno». Con un gesto teatrale si asciugò il sudore dalla
fronte. «Perché meno impulsivo di te, non conosco nessuno».
«Solo perché non voglio
farti correre rischi inutili...»
«Sei troppo ansioso. So
quello che faccio».
«Lo spero».
Rose gli rivolse
un'occhiata contrita, come se volesse valutare quella sua ultima frase. Lo
faceva spesso, di recente: ogni qualvolta gliela riservava, Scorpius
sapeva di aver detto qualcosa che l'aveva colpita. Se in senso buono o meno,
non ne aveva la più pallida idea.
«Ti va una tazza di... di
qualcosa, non so cosa sia avanzato» propose, con un tono meno sfacciato del
solito. Aveva la netta sensazione che Rose non avrebbe rifiutato: nessuno
considererebbe un appuntamento bere un bicchiere di un liquido non ben
specificato a casa propria.
«Solo se alcolico: il vino
elfico concilia il sonno».
«Conosco un altro paio di
modi per conciliare il sonno, se ti interessa».
«Quando i Draghi sputeranno
caramelle» sbuffò Rose, aprendo la porta del soggiorno.
Non appena varcarono la
soglia, capirono che qualcosa non andava. Non solo perché Teddy
non era stravaccato sulla poltrona, ad aspettare che tutti tornassero interi
dalle ronde, ma anche perché lì, stretti l'uno accanto all'altro, c'erano Albus, sua madre e Dominique.
«Sono tornati?» balbettò Ginny, saltando in piedi come una molla. «Avete notizie?»
«Noi siamo appena arrivati»
rispose subito Rose, affiancando sua zia. «Che cos'è successo?»
La preoccupazione negli
occhi di Ginny fu più chiara delle spiegazioni che
seguirono.
*
Ginny aveva
costretto Dominique ad andare a letto dopo il secondo caffè della nottata:
quella, aveva detto, era la massima quantità di caffeina che una quindicenne
poteva assumere senza che corresse il rischio di diventare schizzata o che le
si bloccasse la crescita – e Dominique era già abbastanza bassa di suo. Albus l'aveva accompagnata in camera ufficialmente per
assicurarsi che fosse seriamente intenzionata a mettersi sotto le lenzuola,
ufficiosamente, però, era rimasto con lei, seduto sull'orlo del materasso e con
una coperta sulle ginocchia, per poter tenere d'occhio il vialetto dalla
finestra.
James ritornò solo alle
sette del mattino, ed era inequivocabilmente solo.
Quando Al lo riconobbe, il
suo cuore perse un battito – uno, due, tre, ventiquattro: in quel momento non
era di certo il conteggio delle proprie pulsazioni ad interessargli –, i
muscoli si rilassarono e si concesse di accomodarsi in una posizione meno
fastidiosa. Fino ad allora aveva passato la nottata col gomito di Dominique
conficcato tra le costole, come se torturare il proprio costato potesse
distrarlo dal pensare che suo fratello, Teddy e Nik erano, con tutta probabilità, in una cella di Azkaban.
Mezz'ora dopo, il terribile
cigolio della porta della stanza di Dominique la svegliò.
«Jamie!»
Dominique rovinò giù dal letto nel tentativo di liberarsi dalle coperte che le
imprigionavano le gambe, e attraversò la stanza zoppicando per lanciarsi contro
James, facendolo arretrare di qualche passo.
«Merlino, Dom, crepare soffocato da una Puffola
Pigmea non è il massimo» ansimò James col fiato smorzato, allontanandola un
po'.
Dominique incrociò le
braccia sotto al petto, con un espressione corrucciata in viso; allora James le
scompigliò i capelli chiari, ed entrò nella stanza, accompagnando la porta
dietro di sé.
Albus aveva
sempre pensato che Dominique fosse una ragazza strana. Passava dall'essere
euforica alla depressione più nera nel giro di qualche minuto, dall'adorare il Quidditch al trovarlo il più stupido degli sport, dal
venerare letteralmente James al pensare che fosse un totale idiota – ah! Come
la capiva in quel momenti –, dal mettersi uno di quei suoi maglioni rosa
confetto al provare la giacca di pelle di Rose. Ginny
sosteneva che fosse colpa degli ormoni e gli consigliava di ringraziare il
cielo che Lily fosse in campagna con nonna Molly, perché altrimenti avrebbero
dovuto gestire ben due neo adolescenti. In ogni caso, Albus trovava il fatto comunque strano: non si ricordava
che Rose o Liz avessero mai sofferto di schizofrenia,
eppure anche loro avevano avuto quindici anni. Solo dopo un po' aveva
realizzato che Rose doveva essere stata troppo impegnata a schiantare quei
vecchi manichini di legno per poter pensare al fisico che cambiava, ai brufoli
e agli sbalzi di umore, e a Liz non era mai
interessato niente altro che non riguardasse lo studio. Dominique, invece, non
era inquadrata come loro: non sapeva chi voleva essere, né come lo sarebbe
diventata.
Per questo, ormoni o no,
rimaneva più instabile di Scorpius a cavallo di una
scopa.
Instabile e volubile, un
po' come Teddy – solo che lui era troppo cresciuto
perché questo si potesse attribuire all'adolescenza.
Teddy.
«Dove sono papà, Nik e Teddy?» chiese Albus, scivolando giù dal letto.
James s'irrigidì e sgranò
gli occhi, inclinando leggermente la testa verso Dominique, come a imporgli il
silenzio finché ci fosse stata lì la cugina.
«Stanno arrivando. Si sono
fermati al Ministero per sbrigare delle faccende burocratiche». Passò un
braccio attorno alle spalle di Dominique e la sospinse verso il letto. «Non c'è
niente di cui preoccuparsi, Dom. Dormi ora».
«Okay, certo, ma...»
«Noi li aspetteremo in
piedi ancora un paio di minuti, se tardano ce ne andiamo a dormire».
Le sorrise, e se Dominique
non avesse provveduto da sola, Albus era sicuro che
quella sottospecie di mamma chioccia in cui si trasformava
James di tanto in tanto le avrebbe rimboccato le coperte.
Attraversato il corridoio,
James prese Albus per la manica della camicia e lo
trascinò giù per le scale, intimandogli di stare zitto. In soggiorno, Rose si
era addormentata accucciata sul divano. Scorpius le
si era seduto accanto, a una scrupolosa distanza: nel sonno, Rose scalciava
come un Ippogrifo imbizzarrito.
Quando entrarono in cucina,
James non gli rivolse nemmeno uno sguardo: piantò le braccia sul tavolo e puntò
gli occhi sul piano in legno, serrando i pugni attorno al bordo.
«Nik
non si trova più» sputò tra i denti, prima che Albus
gli domandasse per l'ennesima volta cosa fosse successo. «È andato in bagno e
da allora nessuno l'ha più visto. Teddy e papà lo
stanno cercando ovunque – anche in posti in cui probabilmente Nik non è mai stato in vita sua – perché non sanno dove
sbattere la testa. È come se si fosse volatilizzato». Si girò, iniziando a
girare per la cucina, e portò l'indice tra le labbra e il pollice tremolante a
sfiorare la barba poco curata sul mento. «D'altro canto, però, è impossibile
andarsene dal Ministero senza essere notati» bofonchiò, la voce distorta dalle
nocche che sfioravano la bocca semiaperta. «Eppure nessuno dice di averlo
incrociato e, casualmente, è scomparso poco dopo che Weber ci dicesse
ufficialmente che non eravamo imputabili e quindi non sotto la responsabilità
del Ministero...»
«Avete avvisato Neville?»
James si arrestò, lasciando
ricadere il braccio lungo il fianco. «Per dirgli cosa? Tuo figlio è scomparso?»
«Dubito voglia parlare del
tempo!»
James lo ignorò. «Liz poteva essere considerata un caso a sé stante, ma ora
che anche Nik...»
«Le persone non scompaiono
così, da un giorno all'altro. Non in tempi come questo. Solo perché non hanno
trovato il corpo, non significa che sia ancora...»
«Viva. Lo so. Ma Nik... Nik non è un topo da
biblioteca, non è come Liz. È abituato ai Dissennatori, li respinge senza problemi».
«James...»
«No, Al, fammi finire il
ragionamento».
«James...»
«Ti ho detto...»
«James». Teddy era sulla soglia della cucina, le mani coperte dai
guanti stringevano la bacchetta graffiata, consumata dal tempo, dagli
incantesimi e da James – quel solco sul manico, appena sotto l'intarsio a forma
di spirale, era tutto merito suo e di una delle zuffe ai tempi di Hogwarts.
James non sentì nemmeno
quel che disse Teddy: aveva già capito tutto dal modo
in cui lo stava guardando.
It's
a brave new world, from the last to the first.
____
A destra, a sinistra.
Combatteremo fino alla morte.
Dal confine della terra.
È un nuovo mondo coraggioso,
dall'ultimo al primo.
Il corpo di
NikolasPaciock è stato
rinvenuto questa notte. Il ventiduenne aveva infranto il Coprifuoco per motivi
tutt'oggi ignoti. La causa del decesso è l'attacco di un Dissennatore.
Parenti e amici si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni. […]
Pagina di
cronaca nera – resoconto a cura di Frederick Dubois.
*
Il primo
ricordo che Albus aveva di Teddy era la sua risata
sguaiata. Se lo ricordava mentre serrava le labbra, sforzandosi di non farlo,
perché, per Merlino, quando si lasciava andare lo sentivano tutti i residenti
nell'arco di cento metri, e il petto – e quello non riusciva proprio a evitarlo
– prendeva a sollevarsi e abbassarsi come se stesse singhiozzando. Rimaneva per
un po' così, scosso da singulti e con la bocca ermeticamente chiusa, poi però
arrivava sempre il rumore frastornante delle sue risa, calde, avvolgenti,
energiche.
Se lo
ricordava così, Teddy, con la camicia rimboccata fino al gomito, gli avambracci
scoperti, i capelli violacei e la cravatta rossa allentata, mentre scendeva dal
treno per Hogwarts col suo sorriso sghembo e una luce negli occhi che non aveva
mai visto in nessun altro.
«Lysander, Lorcan, voi due
pattugliate Brixton. Controllate ogni singolo vicolo,
rivoltatelo da cima a fondo: Rose mi ha detto che hanno visto una Chimera
l'altra notte, potrebbero essercene in circolazione delle altre».
Teddy era
sempre stata una persona esuberante, e aveva continuato a esserlo anche dopo
essersi iscritto a Medimagia, quando tutti si
aspettavano che la sua irruenza sarebbe stata sedata dai compagni di corso –
quelli che si portavano il dizionario tascabile nella tracolla. Le aspettative
di quei tutti che, evidentemente, non sapevano che Teddy il dizionario
lo lasciava a prender polvere a casa e una tracolla non l'avrebbe comperata
nemmeno sotto tortura, erano state ampiamente deluse. Lui era rimasto il solito
ragazzo perentorio, un po' troppo schietto, che si vergognava del proprio amore
per i libri e aveva il vizio del Rum.
Rose si
fermò accanto al camino, con una manciata di Metropolvere strabordante
dalle mani chiuse a coppa. «Che c'è?»
«Sparare
fatture a caso non è il modo migliore per difendersi» precisò Teddy, accennando
a un libro sul tavolo, accanto alle mappe sparpagliate.
Difesa
contro le Arti Oscure e Incantesimi – Volume I.
A modo suo
era anche premuroso, nonostante ci fosse anche chi l'avrebbe amorevolmente
soprannominato bastardo. Aveva una particolare propensione nel trovare le faccende da
sbrigare più impellenti e al contempo fastidiose, che, oltretutto, annunciava
provando un'innata soddisfazione.
Rose si
raggelò. «Stai scherzando, vero? Dimmi che stai scherzando».
Teddy
raccattò le carte e le impilò una sopra l'altra, mettendole da parte e distendendo
una mappa fitta di linee e parole abbozzate con una calligrafia incerta.
«Fa' come
dice Scorpius, almeno lui ha aperto un libro in diciassette anni e mezzo di
vita».
Rose si
morse la lingua e arpionò il braccio del proprio – sventurato – compagno, con la
stizza che trasudava dalla stretta ferrea. «La prossima volta che mi ritroverò
davanti a quella sottospecie di Capra Leone gli tirerò in testa uno dei
vostri preziosi libri».
«Non trovi
che leggerlo potrebbe rivelarsi un impiego più utile?»
«No, penso
proprio di no».
«Sai cosa
penso io? Penso che devi risparmiarmi una seccatura e andare ad ispezionare
anche la casa di quel membro del Wizengamot, Adam
Miller».
In quegli
anni Teddy era rimasto un ragazzo burbero, stronzo come quando aveva sedici anni
e con gli ormoni in subbuglio, ma aveva smesso di ridere in quel modo: giorno
dopo giorno, attimo dopo attimo, la scomparsa della sua risata era stata tanto
graduale da risultare impercettibile. Così s'era inasprito e, poco alla volta,
trasformato in una specie di comandante, mezzo stratega e mezzo allenatore,
flessibile come il palo di una staccionata. E ora sarebbe peggiorato. Catastroficamente
peggiorato.
«Sei
sicuro, Teddy?» s'intromise Scorpius, rimasto in silenzio fino ad allora. «Il
Ministero...»
«Il
Ministero tiene d'occhio me e James. Voi due non siete ancora sotto torchio:approfittatene».
Alzò il capo dalle carte, facendo rimbalzarelo sguardo da Rose a Scorpius, da
Scorpius a Rose. «Al minimo segno di pericolo, andatevene via».
Rose
mugugnò qualcosa a proposito del suo odio
spassionato nei confronti delle Missioni Burocratiche, quelle in cui
doveva annotare una sfilza di appunti per Harry e Teddy, ed entrò nel camino,
seguita da Scorpius.
«Tienila
d'occhio!»
La
raccomandazione di Teddy, coperta dalla secca pronuncia della loro
destinazione, si perse in una nuvola di pulviscolo verde.
Quando i
fratelli Scamandro se ne andarono, l'unica cosa
sensata che Teddy pensò di fare fu rintanarsi in soffitta con Albus.
Quel posto
puzzava di rancido e legno marcio, e proprio per questo non rischiavano di
incontrarci qualcuno. Non voleva pensare a niente: né a Nik,
né a James, né a Rose – quella ragazza si sarebbe fatta ammazzare, prima o poi
–, e Albus incarnava la distrazione perfetta. Il
fatto che, al contrario, per Albus lui fosse tutto
tranne che una distrazione era l'unico dettaglio che stonava: è difficile
sgomberare la mente quando i crucci della persona che si sta palpando sono
tanto asfissianti. A maggior ragione se la persona in questione ha gli occhi
sbarrati e non la smette nemmeno per un secondo di fissarti.
Cinque
minuti, diciassette occhiate e trentaquattro sospiri di disapprovazione dopo,
Teddy lo scostò bruscamente.
«Così non
va» sbottò, rotolando fino al bordo del vecchio materasso cigolante su cui
stavano pomiciando come due ragazzini alle prime armi. E Albus
lo era, un ragazzino, ma Teddy non più.
Albus si lasciò cadere a peso morto, coprendosi il volto con le mani.
«Soggetto,
Teddy, soggetto» sbuffò laconico.
«Continui a
fissarmi, maledizione!»
«Quindi
sarei io a non andare?»
«Non... »
Teddy si umettò le labbra e distese le palpebre, la fronte, le sopracciglia.
«No, Al, no».
«Vuoi
parlare di Nik?»
«No»
lo interruppe con troppa enfasi – rabbia. «Non voglio. Cazzo, complimenti»
sibilò poi, inarcando la schiena per poter allacciare il bottone dei jeans. «Mi
hai rovinato gli unici dieci minuti in cui potevo almeno provare a pensare ad
altro».
«Solo dieci
minuti? Mi offendi».
«Non sono
in vena».
«Strano, di
solito sei tu quello ironico».
«E a te da
fastidio, o sbaglio?»
«Perché hai
dei problemi con la tua omosessualità?»
Teddy
rimase spiazzato per un momento, il tempo necessario per capire cosa gli avesse
realmente domandato.
«Cosa
diamine c'entra?»
Albus era rimasto sdraiato, con lo sguardo puntato sulle travi del
soffitto. Aveva gli occhi verdi e i capelli scuri, spettinati; assomigliava
così tanto ad Harry che a volte Teddy aveva l'impressione di baciare il proprio
padrino – e il pensiero era ben lontano dall'essere piacevole. Era
obiettivamentecarino, forse aveva un'aria da secchione con quegli occhiali che
portava quando doveva leggere, ma rimaneva comunque carino. Eppure, per quel
che ne sapeva, non aveva mai avuto una ragazza. Oppure non l'aveva mai voluta,
ipotesi più verosimile e, per un certo verso, anche più rassicurante. Anche se
questo, Teddy, non l'avrebbe mai ammesso.
«Sto
cercando di fare conversazione, visto che ogni volta che ci vediamo non
spiccichiamo neanche due parole» rispose atono, continuando a guardare il
soffitto.
«Sei fuori
luogo».
«Non sono
la tua puttana personale, Teddy. Non mi puoi chiamare solo quando hai bisogno
di una bambola gonfiabile con cui giocare».
«E parlare
del mio orientamento sessuale ti farebbe sentire meglio?»
«Parlare
mi farebbe sentire meglio. Vuoi discutere di Quidditch? Perfetto. Preferisci la
cronaca nera? Non è di certo un argomento felice, ma se è quello che vuoi...»
Teddy
sbatté la mano contro il muro e i gingilli – souvenir dei viaggi di zii e nonni
– posti precariamente su una mensola traballarono, la miniatura di una scopa
s'infranse sul pavimento.
«Sai cosa
significa baciare finalmente la ragazza che desideri da una vita e renderti
conto di non provare niente? Niente, niente di niente. Toccarla e capire
che quello che stai facendo è innaturale? E fingere, fingere, fingere...
Costruire un castello di carte con tutte le menzogne dette, vederlo crollare e
ogni maledettissima volta ericostruirlo con un'altra ragazza, e un'altra,
e un'altra ancora... Fino a capire che il vero problema non sono Victoire, Kate o Madison».
«Non c'è
niente di sbagliato in te» lo interruppe Albus,
scattando seduto. «Non c'è niente di sbagliato in noi. L'hai detto tu stesso: è
più innaturale smanacciareVictoire – o chi
per lei – che un ragazzo».
«Lo so, ma
devi capire che non tutti la prendono con la tua stessa filosofia».
«Sono gay,
mica in punto di morte. Non è la fine del mondo, potresti anche dirlo a
James...»
«Cosa?»
strillò Teddy. «Così lui lo direbbe a Dominique e, nel caso in cui non te lo
ricordassi, Victoire è sua sorella!»
«Non credo
che James si lascerebbe sfuggire il fatto che il suo migliore amico è
dell'altra sponda così facilmente!»
«Non si sa
mai. Diventa strano quando si tratta di Dominique, non ragiona».
«Uhm». Albus si distese di nuovo, sostenendosi il capo con la
mano. C'era una celata sfumatura di preoccupazione in quel mugugno. «James ha
iniziato a ragionare solo da un anno a questa parte».
«James non
ragiona ora. Ragionare significaanche ascoltare, e lui è sordo».
«È solo
prudente».
«No, Al, è
sordo e cieco, ma sfortunatamente non muto. Lui non sente quello che gli dico e
non vede ciò che gli accade davanti agli occhi, però continua a lamentarsi. Lo
preferivo prima dell'arrivo di Dominique».
«Non penso
che lei c'entri più di tanto nel suo cambiamento».
«Pensavo di
spedirla in Francia da sua sorella. Lì sarebbe al sicuro e non distrarrebbe
James».
«Come sei
melodrammatico. Non arriveremo mai a tanto».
«Non mi
piace tua cugina, Al, lo sai. Non mi hanno mai incantato le creaturine
come quella».
«Davvero?»
lo irrise Albus. «Se la guardi bene, ti accorgi che
Dominique è la copia sputata di Victoire».
«Al, Al,
Al...» sbuffò Teddy, con aria accondiscendente. «Hai la memoria breve? Ti ho
appena detto che mi faceva schifo farmi Victoire, più
di questo che vuoi? È già tanto essere posto un gradino sopra a una che ha
sangue Veela che scorre nelle vene». Allungò le dita
fino ai passanti della sua cintura, e lo strattonò un po' più vicino. «Ora,
possiamo ritenere la seduta psicologica conclusa e riprendere da dove eravamo
rimasti?»
Albus si lasciò spostare mollemente, senza opporre resistenza. «Tanto
per la cronaca, non credere che non mi sia accorto che mi hai rifilato la
dichiarazione di Tyler in American troubles* cambiando solo i nomi».
«Quarta
stagione, ottavo magifumetto*: il migliore».
*
«È la prima
nevicata della stagione».
I fiocchi
cadevano fitti, soffici, ma si scioglievano nelle pozzanghere e nella
fanghiglia prima di poter coprire la terra ancora smossa, e inzuppavano i
cappucci e le spalle dei cappotti: per essere neve, era decisamente annacquata.
Dominique
si strinse nel mantello, incassando il collo nelle spalle per coprirsi il viso
col colletto del maglione. Sarebbe voluta andare via dal cimitero il più in
fretta possibile – quel posto le metteva i brividi –, eppure James la teneva
ancorata lì, al fianco di quella tomba dove, al posto di una lapide, vi era
conficcata una lastra di legno incisa grossolanamente, una di quelle
provvisorie. Dopotutto, nessuno se lo aspettava. O forse sì, però tenere una
scorta di pietre tombali in soffitta doveva portare decisamente sfortuna.
E non
avevano di certo bisogno che la Sfortuna avesse un occhio di riguardo per loro.
«Hai
freddo?» le chiese James, squadrandola dalla testa ai piedi, come se il solo
tremore non fosse un sintomo già abbastanza evidente.
Dominique
si morse la lingua. C'erano sì e no dieci gradi, un vento tutt'altro che
piacevole che frustava la pelle scoperta, la neve che s'insinuava tra le toppe
dei vestiti e lei di certo non era Big Foot,
con diversi strati di pelliccia e tenerla calda, quindi sì, era palese
che avesse freddo, ma quello non era né il momento, né il luogo in cui fare del
sarcasmo.
«Andiamo a
casa?» si limitò a balbettare, sforzandosi di non battere i denti. «Non mi
sento più le dita dei piedi».
«Ti
accompagno e poi ritorno qua».
«Jamie...
per favore».
«Ci
metteremo un attimo, Dom».
«Jamie...»
«Neanche a
me piace Materializzarmi, però è il modo più veloce per muoversi».
«Non è per
quello, Jamie. Per favore, andiamo via. Tutti e due, insieme».
Una folata
di vento colpì il cimitero, i marmi secolari, la pelle arrossata del loroviso. Le
foglie marce erano disfatte sul sentiero, mischiate al pantano e alla ghiaia e
solcate da orme di scarpe da tennis e galoches; i
rami degli alberi rinsecchiti creavano ombre spigolose e scure sul prato
incolto: un quadro degno della notte del trentun ottobre.
La
inquietava quel posto, le dava la sensazione che un branco di creature bavose e
strepitanti potesse spuntare all'improvvisoda dietro l'angolo: voleva
andarsene in fretta di lì.
James
spostò il peso da un piede all'altro, dondolandosi leggermente, e cacciò le
mani nelle tasche dei pantaloni. «Tre righe sul giornale» soffiò, abbassando il
capo. «Lui... fino all'altro ieri dormiva nel letto accanto al mio, e ora...
ora quel letto è vuoto. Mi sveglio di notte e non ci credo ancora. Come faccio
a metabolizzare il fatto che del ragazzo con cui ho passato gli ultimi sette
anni della mia vita sia rimasto solo un trafiletto sulla Gazzetta?»
Lo disse
piano, come se dovesse assimilare lui stesso le proprie parole, senza
distogliere lo sguardo dalla lapide.
Dominique
posò la fronte contro la sua spalla, le mani strisciarono lungo il suo
mantello, e le nocche arrossate e le unghie bluastre si avvinghiarono attorno
all'orlo del collo del maglione.
«Andiamo a
casa. Magari non subito, se non te la senti. Possiamo fare una passeggiata nei
dintorni. Abbiamo un paio d'ore prima che faccia buio».
«Non ne ho
voglia. Trovo deprimenti tutti quei negozi transennati, la gente che corre a
destra e sinistra come formiche...»
«Okay, possiamo
rimanere ancora un po'. Ma solo un po', se no divento un cubetto di ghiaccio».
«... disse
colei che fino all'anno scorso se ne andava in giro con un maglioncino di
cotone a gennaio inoltrato. Da quando soffri il freddo?»
Dominique
si allontanò di qualche passo, quindi incespicò su una panchina. «C'è una
temperatura polare: non mi stupirei di incrociare qualche pinguino!»
«Dicembre
si avvicina, non ti puoi aspettare trentacinque gradi all'ombra».
«Sì, ma ciò
non toglie che si crepi comunque dal freddo».
«Dominique
Weasley, un po' di freddo non ha mai ucciso nessuno».
«James Sirius Potter, se facciamo a gara a chi ha il nome più
altisonante, sappi che mi hai già stracciata in partenza».
«Dicono che
porti fortuna avere il nome di persone morte, sai?»
«Ah, beh,
io avrei detto che portasse sfiga. Insomma, c'è... c'è... Ma che diamine è
quella roba?»
James si
voltò, appena in tempo per intravedere un leggero bancodi nebbia
farsi strada tra le vie lastricate del cimitero.
«Ora ci
mancava pure la nebbia...»
James
afferrò Dominique per la vita e la fece scendere dalla panca con ben poca
delicatezza.
«Jamie,
c-cosa...»
«Dissennatori».
Era
pomeriggio. Pomeriggio, pomeriggio, pomeriggio.
Doveva
essere diventato paranoico, sperava con ognifibra di se
stesso di essere diventato paranoico. I Dissennatori
non attaccavano di giorno, non l'avevano mai fatto. Perché mai, dopo quasi
quattro anni di assalti notturni, avrebbero dovuto iniziare ad uscire alla luce
del sole proprio quel giorno?
James
rallentò un poco il passo, fessurizzando gli occhi
per riuscire a vedere oltre la neve che cadeva ormai a fiotti: oltre i
cipressi, a qualche metro dalla siepe che delimitava l'entrata del cimitero,
una macchia scura si faceva sempre più vicina.
Prima che
potesse dire niente, una sottile lastra di ghiaccio coprì l'asfalto sotto ai
loro piedi, incollando la suola delle scarpe a terra.
Quella
doveva essere colpa della neve, del cambiamento climatico: i Dissennatori non potevano ghiacciare le strade. Portavano
con sé un po' di freddo, ma non gelavano l'asfalto.
«Oh,
cazzo...»
A meno che
non se andassero in giro in compagnia, a decine.
«Jamie...»
James si
guardò attorno. Non potevano Smaterializzarsi, il cimitero era protetto. Le
cancellate erano alte – troppo per poter essere scavalcate –, in ferro
battuto, costeggiate da siepi di due metri e mezzo: avrebbe potuto bruciare la
siepe, causare uno di quegli incedi che vanno a finire sulla Gazzetta la sera
stessa, e sfondare le sbarre in qualche modo, magari con un Bombarda Maxima. Forse avrebbe funzionato, forse no.
Tempo, non
aveva abbastanza tempo.
«Jamie!»
Trentatré,
approssimativamente. Li aveva contati in fretta, a due a due, indietreggiando
di qualche passo man mano che la cifra aumentava. Suo padre gli aveva
raccontato di essere riuscito a respingerne tanti – non aveva
specificato quanti, però –, ma James non era Harry Potter, il ragazzo
sopravvissuto, colui che aveva ucciso Voldemort e
messo fine a un'era segnata dal terrore. Non era capace neanche lontanamente in
grado di evocare un Patronus che avrebbe protetto sia
se stesso che Dominique da trentatré Dissennatori.
Avrebbe
dovuto farsi spiegare da suo padre come aveva fatto, a cosa aveva pensato.
«JAMIE!»
Dominique si aggrappò al suo braccio. La sua voce doveva essere acuta, forse
disperata, ma James la percepì come ovattata. «Cosa diamine facciamo, Jamie? Cosa
diamine facciamo?!»
James non
ne aveva idea: per quel che ne sapeva al momento, l'ipotesi più accreditata li
dava per morti in quel cimitero. Ma questo, a Dominique, non poteva di certo
dirlo.
«Jamie, per
Merlino!»
James lo
sapeva che Dom era troppo piccola per certe cose, lo sapeva che suo padre non
avrebbe dovuto permetterle di entrare nell'Ordine, lo sapeva, cazzo, che prima
o poi le sarebbe successo qualcosa. Sapeva anche che si sarebbe fatta male per
colpa sua: quella sensazione che lo accompagnava ogni volta che usciva con
Dominique era un presagio, un monito, e lui non l'aveva ascoltato. Stupido,
stupido, stupido.
Quando la
sentì scoppiare a piangere avrebbe voluto dirle: «Mi dispiace, non volevo
finisse così». Non lo fece, non ne ebbe il coraggio.
Come si può
dire a una ragazzina che sta per morire? Come poteva, James, dire a Dominique –
Dominique, non una qualunque: l'aveva vista crescere, sua cugina, ed era
cresciuto insieme a lei – che di lì a qualche minuto il suo cuore avrebbe
smesso di battere? Niente ragazzo, niente primo bacio, niente prima volta,
niente lavoro, niente famiglia: niente futuro, niente di niente. Nero, vuoto.
Strofinò il
palmo della mano destra contro i pantaloni e impugnò la bacchetta, poi prese la
mano di Dominique.
«Quali
incantesimi ti riescono bene?»
«N-non so» balbettò Dominique. «Non me ne viene in mente
nessuno. Ho paura, Jamie, ho paura».
James posò
le mani sulle sue spalle e la scosse debolmente. «Concentrati, Dom, concentrati
e andrà tutto bene. Sai padroneggiare uno Stupeficium?»
«Sì, ma non
serve a niente coi Dissennatori!»
«Infatti
non lo userai contro di loro». James si abbassò alla sua altezza, assicurandosi
che Dominique fosse lucida, che lo stesse ascoltando attentamente, e indicò la
cancellata del cimitero. «Dovrai Schiantarequelle sbarre. Qualsiasi
cosa succeda, non ti voltare. Non importa se mi sentirai urlare, se quell'orda
di Dissennatori mi verrà addosso o quant'altro: tu
non ti voltare. Hai capito?»
Dominique
singhiozzò più forte. «No, Jamie, non puoi...»
«Dom,
guardami». Le alzò il mento con due dita e piantò gli occhi nei suoi. «Ti fidi
di me?»
«Non è
questione di fiducia, Jamie, non ti lascerò morire così! No!»
«Rispondi».
«James, ci deve
essere un'uscita secondaria!»
«Non c'è,
Dom, siamo circondati da quella cancellata. Quindi ora fa come ti dico, per
favore».
«No, no,
Teddy sa che siamo qui...»
«Non se ne
accorgerebbe in tempo, Merlino! Prima d'ora i Dissennatori
non avevano mai attaccato di giorno. Dom, guardami, non piangere». Catturò con
la punta del pollice una lacrima. «Ti fidi?»
«Ciecamente,
ma...»
«Allora
corri più veloce che puoi, ti porterò via di qui».
James non
credeva a quello che aveva appena detto, ma l'importante era che lo facesse
Dominique.
*
«Harry?»
Teddy batté
debolmente le nocche sulla porta socchiusa ed entrò nello studio, senza
attendere una risposta.
Harry sbuffò,
infastidito, e ingoiò un sorso di un liquido giallognolo dall'odore
pestilenziale, poi poggiò il bicchiere sulla scrivania e si lasciò cadere sulla
poltrona.
«Qualcosa
non va, Teddy?»
Teddy si
appoggiò allascrivania, evitando magistralmente l'occhiata di disappunto del
padrino. «Voglio sapere cosa sta succedendo. Subito. Non domani, tra un
mese, un anno o quando cazzo crederai che sarò pronto. Ora».
Harry
contrasse le dita, lunghe e nodose come quelle di un vecchio. Aveva tolto tutti
gli specchi da casa: non voleva vedersi ridotto nello stato penoso in cui si
era ridotto. «Modera il linguaggio» lo ammonì. «Non mi sembra il cas...»
«Non me ne
fotte niente del linguaggio! Fin'ora ho aspettato, ho spalato tutta la merda
che ci hai buttato addosso e ho fatto finta di niente. Ma non posso più andare
avanti così, non ora che Nik è morto! Cazzo, freddato
in un vicolo, e non so neanche perché lo hanno ammazzato! Ho scelto io
di andare con lui e James, sono stato io a volerlo con me: era sotto la mia
fottutissima responsabilità».
«Non è
colpa tua».
«Non ho mai
detto che fosse colpa mia. Dico solo che voglio sapere cosa sta succedendo
veramente. Non mi bevo la storia dei Dissennatori
sfuggiti dal controllo del Ministero, non sono un idiota».
«Questa è
l'unica spiegazione plausibile, al momento».
«E allora
cosa c'entra Weber? Sento te e Ginny che ne parlate spesso: perché?»
«Teddy,
smettila. A tempo debito ti dirò tutto, ma non adesso. Sei sconvolto».
«Ora
è giunto questo fantomatico tempo debito».
«Se ti
dicessi quel che so – cosa che, per inciso, non ho alcuna intenzione di fare –
rimarresti estremamente insoddisfatto».
Teddy
attraversò la stanza fino a piazzarsi davanti a lui, e lo prese per il bavero
della camicia, forzandolo ad alzarsi.
«Levami le
mani di dosso, Teddy» sillabò Harry lentamente, ostentando un tono di voce
neutro, troppo per uno che, con ogni probabilità, sta per prendersi un pugno in
faccia. «Non fare niente di cui potresti pentirti».
«Io
sto con quei ragazzi tutto il giorno, io li spingo a superare i loro
limiti, io li porto d'urgenza al San Mungo quando qualcosa va storto! E
non so neanche perché lo faccio. Perché tu dici che è la cosa giusta?
Non ho più ventidue anni e la foga di fare l'eroe, non sono più un coglione che
si beve ogni sillaba che esce dalla tua bocca. Per cosa stiamo combattendo
davvero? Perché non ti stai sbattendo per capire perché Nik
è morto? Cazzo, ma da che parte stai veramente? Non me ne fotte niente se sarò insoddisfatto!»
Teddy serrò la stretta attorno al suo colletto, per poi scioglierla e spingere
Harry sulla poltrona. Gli diede le spalle e tirò un calcio al divano, facendolo
slittare contro la parete. «Quindi ora, Harry, mi dirai tutto quello che c'è da
sapere. Immediatamente».
Il problema
di Teddy era sempre stato quello: non riusciva a rispettare la gerarchia. Non
capiva che se gli si taceva qualcosa, era perché non si riteneva necessario che
lo sapesse: Harry sapeva quello che facevasin da quando aveva undici
anni, e non gli sembrava di aver mai deluso le aspettative di nessuno. Era
riuscito laddove molti prima di lui avevano miseramente fallito, aveva ucciso
il mago oscuro più potente di tutti i tempi, mentre ora stava cercando di
vederci chiaro nella faccenda dei Dissennatori. E
l'unico modo per farlo, ovviamente, era indagando.
«Con questo
tuo stupido gesto ti sei giocato tutto» sibilò Harry, dopo aver preso la
bacchetta dal tavolino da tè accanto alla poltrona. «Sei più immaturo di un
bambino. Che credevi di fare? Di picchiarmi a sangue e sperare che ti dicessi che
succede davvero là fuori? Credevi davvero che avrei cantato come un uccellino?
Oh, ma certo! Pensavi che ti avrei svelato le mie teorie su Weber! Già, mi pare
giusto: l'aiuto di un ragazzo egocentrico, egoista e avventato è quello che mi
serve».
Fu un attimo,
un movimento troppo rapido perché Harry potesse accorgersene: Teddy sfilò la
bacchetta da un passante dei pantaloni e gliela puntò contro.
«Parla.
Subito».
Harry fu
certo che, se qualcuno non si fosse Materializzato in salotto, Teddy non
avrebbe esitato a scagliargli contro un Imperio.
Note varie ed eventuali
Ecco qua il quarto
capitolo.
Beh, al solito
interrompo sul più bello *schiva i pomodori*, ma non prendetevela con me: è colpa di The
Vampire Diaries e tutti quegli altri stupendi
telefilm che fanno questo scherzetto. Sono una povera vittima contagiata.
Bon, veniamo alle note
vere e proprie:
-American troubles è una serie fittizia di mia invenzione
composta da varie stagioni. Ho pensato che nel mondo magico ci fosse una sorta
di corrispettivo del nostro fumetto con le immagini animate, ma, al solito,
sono solo congetture elaborate dalla mia testolina.
-Visto che Harry e Hermione nel settimo libro non si Materializzano
direttamente nel cimitero, ho pensato che questi fossero soggetti a un qualche
tipo di protezione.
-Forse
non tutti l’avrete notato perché, nelle storie sulla NG, è alquanto insolito
come avvertimento, però è presente l’OOC. Non riguarda ovviamente i
personaggi della New Generation, bensì Harry, Hermione e Ginny. Più in là sarà
motivato, ma sempre di OOC si tratta.
-Ho
cambiato font e impaginazione. Come scoprirete andando più avanti, sono una
maniaca dell’html XD Ho inoltre deciso che, man mano che posterò i capitoli
successivi, eliminerò le note d’autrice dei passati per una questione di
ordine. Nell’epilogo saranno poi postate tutte.
Grazie a tutte coloro
che hanno commentato o semplicemente letto! Leggere le vostre recensioni mi fa
veramente piacere.