The Guilty Ones

di Charlotte Doyle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Incontriamoci a Serpeverde ***
Capitolo 2: *** 2 - La signora Malfoy a Hogwarts ***
Capitolo 3: *** 3 - Chiquitita ***
Capitolo 4: *** 4 - Perché ci piace lo spelling e Hare Kreacher ***
Capitolo 5: *** 5 - E ora siamo noi i colpevoli ***



Capitolo 1
*** 1 - Incontriamoci a Serpeverde ***


Fanfiction scritta per hp_ficexchange su LiveJournal, sulle richieste di Fuchsia.

Le richieste erano le seguenti:

1. Dalle 3 alle 5 cose che vorresti ricevere: Narcissa Malfoy, Mrs Purr, una Mary Sue un po' schizzata
2. Dalle 3 alle 5 cose che non vorresti ricevere: no Post-Hogwarts, no Draco/Ginny, no Fenrir Greyback
3. Rating: qualunque

Il titolo della storia è tratto da un brano del musical Spring Awakening, che ha debuttato a Broadway alla fine del 2006. Tuttavia la mia fanfiction non ha nulla a che vedere con il suddetto musical, se non forse per l'atmosfera.

Un ringraziamento a Kit_05, che ha lanciato l'exchange; a Fuchsia, per la traccia; e ai miei beta-reader, Juuhachi Go, Andrew e soprattutto Diletta, che mi ha salvato da una crisi di nervi nel bel mezzo della scrittura (prematura) del capitolo finale.

Il titolo del capitolo è una parodia di Incontriamoci a St. Louis (Meet Me in Saint Louis), famoso musical degli anni ’40 diretto da Vince Minnelli, con Judy Garland. Nessun collegamento reale con il testo, in ogni modo (sempre che a Hogwarts non si tenga una fiera annuale in primavera).

Altre note a fine capitolo.




The Guilty Ones
Una fanfiction (di)sgraziata di CharlotteDoyle

1 – Incontriamoci a Serpeverde

“Draco, io non penso che sia così grave,” disse Pansy, prendendo una mano di lui tra le sue e portandosela sul grembo. “Anzi, potrebbe anche essere vantaggioso. Per te, dico.”
Draco liberò la mano e scosse la testa. “Non puoi capire,” disse.
Pansy si rabbuiò in volto.
“È sempre così, non è vero? Non posso capire. Non mi vuoi mai dire niente, perché ‘non posso capire’. Mi fai male, Draco. Vorrei che tu-“
“Ah, smettila di lamentarti,” disse lui, alzandosi. “Vado a farmi un giro.”
E scomparve dietro la porta di pietra della Sala Comune.

Una passeggiata era quello che gli serviva. Ma appena fuori dal territorio di Serpeverde trovò sua madre di guardia, rigida, le braccia conserte.
“Che cosa ci fai qui?” disse la donna al figlio. “Torna indietro.”
“No,” disse Draco. “Faccio quello che voglio.”
Fece per oltrepassarla, ma lei gli afferrò un braccio e lo portò di fronte a sé per guardarlo in faccia.
“Purtroppo non è così. Ho il potere di costringerti a fare quello che voglio io, qui dentro,” disse. “E lo farai, Draco. Torna nel tuo dormitorio. Mettiti a dormire.”
E poi aggiunse, debolmente: “Sarai stanco.”
Imprecando sottovoce (la donna sembrò scandalizzarsi, ma lui non ci fece caso), il ragazzo fece dietrofront e si diresse di nuovo verso la Sala Comune di Serpeverde.
Non aveva voglia di dover spiegare qualcosa a Pansy, quindi una volta entrato puntò direttamente alla sua stanza, senza guardare in faccia nessuno.
Lì c’era solo Theodore Nott, un libro aperto tra le mani, che non degnò il suo compagno della minima attenzione. Draco lo ringraziò dentro di sé per questo, e si affrettò a ficcarsi sotto le coperte. Dormire, sì: forse era quella l’unica soluzione.

Questa scena fortemente melodrammatica vorrebbe fare da prologo alla nostra storia, ma senza spiegare niente di quello che è successo nel mezzo. Cosa fosse avvenuto perché Draco e Narcissa si ritrovassero a Hogwarts, nel settembre 1997, dopo l’attacco dei Mangiamorte alla scuola, sembra creare un motivo di forte disturbo per la trama.

Riprendiamo dunque da Il Principe Mezzosangue, pag. 536 (versione italiana):

"(...) Io posso aiutarti, Draco..."
"Non può, invece," ribattè Malfoy. "Nessuno può aiutarmi. Mi ha detto che se non lo faccio mi ucciderà. Non ho scelta."
"Passa dalla parte giusta, Draco. Possiamo nasconderti meglio di quanto tu possa immaginare. E, cosa più importante, manderò dei membri dell'Ordine da tua madre stanotte, per nascondere anche lei. Tuo padre per ora è al sicuro ad Azkaban... Quando verrà il momento potremo proteggere anche lui... Passa dalla parte giusta, Draco... tu non sei un assassino..."
Malfoy fissò il Preside, sbalordito.
"Ma sono arrivato fino a qui, no?" disse lentamente. "Credevano che sarei morto, e invece sono qui... Ho la bacchetta in pugno... Lei è qui, a chiedermi pietà..."
"No, Draco" ribatté Dumbledore, tranquillo. "È la mia pietà, non la tua, che conta adesso."
Malfoy non parlò. Aveva la bocca aperta, e la mano con la bacchetta tremava ancora. Harry credette di vederla abbassarsi...

A quanto pare, la generosa offerta era ancora valida settimane dopo, quando i Malfoy furono costretti ad accoglierla pur di sfuggire alla morte per mano di Lord Voldemort.
Tutto merito di Potter, che garantì per loro nonostante uno fosse stato complice della morte di Dumbledore, e l’altra della morte di Sirius Black.
Tutto merito di Potter, che aveva un cuore tanto grande.
Puah.

*

Ma erano salvi, e dunque niente più importava ormai: lui e sua madre non dipendevano più dalla pioggia e il bel tempo di Voldemort; avrebbero potuto rimanere nascosti e felici per sempre.

Nei suoi sogni.

Nella realtà, l'estate a casa Tonks era stata insopportabile, e Draco non vedeva l'ora di tornare a scuola. La zia Andromeda, traditrice del suo sangue, si era offerta di nasconderli per riabilitarsi nei confronti della Famiglia, e Narcissa aveva bene accettato questa cosa, tanto che la prima volta che si erano rincontrate dopo tanti anni l'una si era buttata tra le braccia dell'altra. Sentendole parlare in seguito, Draco aveva sospettato che in realtà sua madre non avesse mai troncato realmente i rapporti con sua sorella: la zia sapeva tutto di lui, dal suo numero di scarpe al nome della sua ragazza. Avendo chiesto spiegazioni a proposito, gli fu risposto che la zia Andromeda era una sensitiva, ma ovviamente lui non ci credette, perché era stato detto con il tono che si usa con i bambini piccoli quando li si prende in giro.
Ecco, il fatto che sua madre facesse comunella con la zia proprio non gli piaceva, soprattutto quando lui era il centro delle loro discussioni.
L'altra cosa che non gli piaceva era il marito di zia Andromeda, il Sanguesporco. Prima di tutto non sapeva come chiamarlo (non si sarebbe mai abbassato a "zio"), e poi conversare con lui lo metteva a disagio: Ted Tonks aveva quell'aria bonaria da cetriolino sottaceto che dà le pacche sulle spalle non appena si presenta l'occasione, e Draco aveva delle spalle molto fragili. Inoltre, di lui sapeva solo che coltivava funghi magici, e non è che questo lo aiutasse, visto che aveva individuato subito la prima consumatrice di quei funghi: sua cugina.
No, Nymphadora non la poteva proprio soffrire. Aveva imparato a odiarla sin da quando lo avevano ficcato nella stanza ch’era della ragazza prima che andasse a vivere da sola, e questo significava che Draco la notte si ritrovava a fare incubi terribili, dove la voce di Lord Voldemort doppiava i cantanti dei gruppi di bassa lega figuranti sui poster che la cugina aveva lasciato appesi al muro. Oltretutto lei aveva preso quel suo accordo con l’Ordine come una sorta di conversione mistica, e adesso era così contenta di avere un cugino che ogni volta che veniva a casa cercava di attaccare bottone per fare amicizia.
“Conosci questo gruppo? Se vuoi ti faccio ascoltare un disco.”
Davvero, a prescindere dalle buone intenzioni, carissima cugina. NO, non li voglio ascoltare i tuoi maledetti dischi!
Questo almeno fin quando anche lei non si mise nei guai con la famiglia. Ed era stato l'unico sollievo di Draco: da quando Nymphadora si era presentata con il suo nuovo ragazzo a cena, Andromeda e Narcissa avevano smesso di preoccuparsi di lui e avevano preso a discutere solamente di quanto fosse poco sano che una ragazza tanto promettente finisse per rovinarsi la vita per amore di uno che, non solo era un lupo mannaro, non solo aveva il doppio della sua età, ma neanche aveva l'ombra di un quattrino in tasca. Che futuro avrebbe potuto darle?
Non fosse stato per il suo stato continuo di completa apatia, Draco avrebbe anche partecipato volentieri ai "minuti d'odio". Avrebbe voluto fornire tutti i particolari della personalità disturbata di Remus Lupin quando insegnava a Hogwarts: di come fosse solito dare la cioccolata agli studenti per ingraziarseli, e anche di come passasse pomeriggi interi da solo con Potter, che allora, come lui, aveva solo tredici anni.
Ma era rimasto zitto, e aveva goduto dei litigi madre-figlia che si svolgevano di settimana in settimana.
Non che i rapporti tra lui e Narcissa fossero migliori, intendiamoci: ma quantomeno loro non urlavano. Non così spesso. D’accordo, diciamo che per litigare aspettavano di essere da soli, se no si limitavano a chiudersi in un dignitoso silenzio. Da quando suo padre non c’era, si era ritrovato a pensare Draco, sua madre si prendeva un po’ troppa confidenza con lui, che già, be’, tanto valeva non ascoltarla proprio.
Sua madre era sempre stata solita perdonargli tutto, e quindi ci rimase male quando, arrivato il primo settembre, lui pronto a tornare a scuola (miracolosamente riaperta grazie all’aiuto di una persona molto influente), lei lo salutò con tanta freddezza, quasi non ne avesse voglia. Insomma, litigi a parte, erano pur sempre in guerra. Uno dei due avrebbe potuto, puff, sparire all’improvviso, e allora perché mantenere vivo il rancore di una discussione finita male?
Stava quasi per farsi un esame di coscienza, quando scoprì che in realtà non sarebbero rimasti separati tanto a lungo. Anzi, eccoli già riuniti.

“Salutate i nostri nuovi professori di Trasfigurazione e Difesa Contro le Arti Oscure,” aveva detto la professoressa McGonagall, che quell’anno era Preside. “Mary Dunn, Narcissa Malfoy.”
Con un allevamento di tonni avrebbe ottenuto meno bocche aperte.

Che poi, era una mania quella di assumere persone sempre più incompetenti per il ruolo. Da quando sua madre sapeva insegnare!?
Draco allora fece una cosa che non aveva mai fatto, neanche in tutti quegli anni di Dumbledore, pieni di buonismo e di castelli in aria: si alzò dal tavolo di Serpeverde, impassibile in volto, e fece la sua uscita indignata dalla Sala Grande.

Narcissa allora pensò: Mio figlio diventerà un attore famoso, un giorno.
E si appuntò di chiamare la sua vecchia amica Blanche Crawford per controllare che ci fosse un posto disponibile nei suoi corsi di teatro.

*

Quella notte Malfoy sognò un drago dorato che volava sul Grand Canyon. Lo vide scendere in picchiata, fino a schiantarsi contro il suolo.
Poi, eccolo davanti un grande fuoco. Attorno a lui una tribù di nativi americani; dicevano di essere Sioux. Il loro capo, uno stregone, si alzò in piedi e disse: “Avrò il tuo scalpo, Malfoy.”
E tutti gli indiani si alzarono e cominciarono a correre intorno al fuoco, cantando: “Avremo il tuo scalpo, Malfoy, augh!”
E lo stregone rideva, rideva.
Draco fece appena in tempo a riconoscere l’uomo come Theodore Nott.
Poi, niente più.
Bianco bianco bianco.


---

Note
1* Visto che utilizzo i nomi originali, l’unica cosa che ho cambiato dalla traduzione italiana è stato un “Silente”, modificato in “Dumbledore”.
2* La pioggia e il bel tempo: da La pluie et le beau temps, una raccolta di poesie di Jacques Prévert.
3* Ho scelto di tradurre il termine Mudblood (l’insulto per i maghi di origine Babbana) come Sanguesporco piuttosto che mezzosangue, per non confondere con i maghi nati da un mago e una Babbana o viceversa. È una traduzione piuttosto usata nel fandom italiano; Fangosangue sarebbe stata molto più vicino al termine originale, ma non lo usa nessuno e oltretutto fa morire dal ridere, piuttosto che inorridire.
4* L’idea dei funghi magici è mia, ma il fatto che sia Nymphadora la consumatrice mi è stata "suggerita" da Twinstar in una qualche discussione sul forum di EFP.

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Capitolo 2
*** 2 - La signora Malfoy a Hogwarts ***


Nota: ho modificato il genere perchè "Drammatico" dà un'idea sbagliata della storia che di presento. Speriamo di essere più chiari in questo modo.


The Guilty Ones
Una fanfiction (di)sgraziata di CharlotteDoyle

2 – La signora Malfoy a Hogwarts

Solo la mattina dopo, entrando in Sala Grande per la colazione, Draco si accorse di quanti pochi studenti fossero tornati a Hogwarts quell’anno.
Crabbe e Goyle non dovevano essere stati fortunati quanto lui, perché non erano tra quelli.
Be’, come se la scuola avesse potuto servir loro a qualcosa, pensò Draco con una smorfia.
Anche gli altri tavoli, in ogni modo, erano colmi di vuoti rilevanti. Primo fra tutti, mancava Potter con i suoi amici, cosa che Draco ritenne molto strana, ma che gli passò presto di mente.
Per tutti gli altri, però, si ritrovò a pensare, doveva essere proprio un sollievo che Potter non fosse lì. Un bersaglio in meno per Voldemort; nessuno pensava a questo punto che sarebbe tornato ad attaccare Hogwarts.
Non sapeva quanti dei suoi compagni conoscessero le sue colpe rispetto il primo attacco. Potter non aveva parlato, pensava che la colpa fosse di Snape e di Snape soltanto. Doveva sentirsi libero di comportarsi come se lui non avesse avuto mai nulla a che fare con i Mangiamorte?
Secondo Pansy sì. Be’, naturalmente Pansy non sapeva nulla di nulla, l’unica cosa che poteva fare era cercare di confortarlo appiccandosi al suo braccio ad ogni buona occasione.
Lo screzio del giorno prima – tutta colpa della ragazza, d’altra parte – non l’aveva minimamente scalfita. Era ancora lì, a tenergli il posto (come se ce ne fosse stato bisogno).
“Buongiorno, Draco,” disse con un sorriso mentre lui le si sedeva accanto. Poi gli schioccò un bacio sulla guancia.
“Buongiorno,” disse lui, ma non lo pensava veramente.
Sua madre non era ancora arrivata, il suo posto alla tavola degli insegnanti era vuoto. C’era solo quella professoressa Dunn, che nonostante la giovane età aveva tutta l’aria di essere una McGonagall-wannabe, insomma, di voler diventare un giorno come la nuova Preside.
Grandi aspirazioni.
Ma non era importante. Diciamocelo: la professoressa Dunn era lì solo per riempire un buco, nella nostra storia non avrà alcun ruolo.

“Ho fatto un sogno, stanotte,” diceva Pansy. “C’eravamo tu ed io, Daphne Greengrass e… Zabini? Mi dispiace che se ne sia andato a Beauxbatons. Be’, eravamo lì, nel giardino di casa mia, e… Draco, mi stai ascoltando?”
“Certo, Pansy,” disse lui, intento più che altro a mangiare.
“Bene. Non so cosa fosse successo, ma tu avevi un taglio sulla fronte, e usciva tutto sangue, e… oh, ciao, Nott,” disse, salutando il nuovo arrivato.
Theodore Nott prese posto davanti a lui e non disse niente. Rivolto verso il resto della Sala Grande, mentre i suoi due compagni erano di spalle alla stessa, scrutava gli altri tavoli con aria assente.
Doveva avere un sonno pazzesco. Sfido io, a passare una notte a leggere anziché dormire.
Draco si trovò a pensare poi che anche il padre di Nott era un Mangiamorte, ma che lo stesso il ragazzo era tornato a scuola per il suo settimo anno.
Per un momento, un sospetto terribile invase la sua mente.
Poi il nulla.
“Draco? Tutto a posto?” chiese Pansy.
Il ragazzo si scosse, e rivolto alla ragazza disse solo: “Ok.”
Pansy gli prese una mano sotto il tavolo, e gliela strinse forte. Draco allora riuscì ad accennare ad un sorriso sincero.
Non doveva riprendersela con Pansy, pensò. Lui non era mica di quei bruti che la facevano scontare alle ragazze; lui era un signore.
E Pansy è una ragazza tanto cara.
Ok, quelle erano parole di sua madre, non sue.
Dov’era? Il suo posto era ancora vuoto.
In un moto di esaltazione, Draco pensò di essersi immaginato tutto. Sua madre era ancora da sua sorella, non l’avrebbe rivista prima di Natale.
Forse.
I suoi sogni furono interrotti da Horace Slughorn che, ora nuovamente Direttore della Casa di Serpeverde, si apprestava a distribuire gli orari ai suoi studenti. Quest’anno le cose erano un po’ scombinate, perché gli esami dell’anno prima erano stati sospesi, e alcuni alunni avrebbero dovuto recuperare i G.U.F.O. con la sessione di esami invernale.
“Ah, ecco Draco Malfoy,” disse, ficcandogli in mano una pergamena. “Miss Parkinson… Nott…”
“Pensi che cambierà il suo atteggiamento con te, adesso che tua madre è tra gli insegnanti?” chiese Pansy, una volta che il professore si fu allontanato.
Ecco, come volevasi dimostrare. Tutti sogni, pensò Draco.
O un’allucinazione collettiva.
Scosse la testa.
“E’ un patetico grassone codardo,” disse. “Non me ne frega niente se preferisce adorare Potter.”
Nott gli lanciò un’occhiata di sottecchi. Draco non ne riuscì a comprendere il significato, ma la cosa lo turbò più di quanto non volesse.
Che cosa stava succedendo?

Quel giorno non aveva Difesa Contro le Arti Oscure, ma incontrò sua madre per il corridoio.
“Che cosa fai, mi pedini, Madre?”
“Draco, ti devo parlare,” disse lei.
Aggiunse: “Riguardo i tuoi voti.”
Il ragazzo spalancò gli occhi. Ah, no! L’anno era appena cominciato!
“… i tuoi voti dell’anno scorso.”
“Be’, Madre,” disse Draco. “Penso che tu sappia che io, l’anno scorso…”
Narcissa lo fulminò.
“Non voglio più sentirti nominare quei fatti, Draco. La professoressa McGonagall mi ha parlato, mi ha detto che ti ha dovuto mettere in punizione per non aver fatto i compiti.”
“Madre-“ cominciò Draco.
“No, fammi parlare,” disse lei. “E’ vero?”
“Sì,” disse lui. “Ma saprai che la McGonagall naturalmente è un po’… be’… fiscale-“
Narcissa lo fulminò nuovamente.
“Non voglio ascoltarti. Pretendo che non succeda più d’ora in poi, Draco.”
Lo disse cercando di imitare il più possibile il tono che usava Lucius quando voleva rimproverarlo. Draco non rimase affatto impressionato, lo trovò anzi piuttosto patetico.
Inoltre, da quando sua madre prendeva le parti degli insegnanti? Insegnanti seguaci di Dumbledore, oltretutto.
Non disse niente, tuttavia.
“Draco,” continuò lei. “Mi hai capito?”
Lui fece cenno di sì con la testa, seccato.
“E voglio che recuperi tutto il programma che hai perso lo scorso semestre,” disse Narcissa.
“Va bene,” disse lui. “Passerò il resto dell’anno in biblioteca a studiare!”
Il suo tono era evidentemente sarcastico, e Narcissa non la prese troppo bene.
“Non voglio che tu ti rivolga a me così,” disse.
Draco sentì un formicolio alle mani, ma ancora non rispose niente.
Sua madre fece un cenno con la testa, come a dire: “Bene!”, e fece per andarsene.
Draco allora disse, senza voltarsi verso di lei: “Perché non eri al tavolo dei professori questa mattina?”
Narcissa si fermò e sulle prime non disse niente.
Poi rispose:
“Non mi sono svegliata.”
Draco si allontanò con un ghigno.

D’altra parte Narcissa non aveva mai lavorato in vita sua, e non è che avesse questa gran voglia di farlo adesso. Aveva accettato solo perché era stata costretta, d’altronde ormai si era capito che quel posto a Hogwarts non lo voleva proprio nessuno. E lei non aveva intenzione di rimanerci più del necessario.

Da bravo bambino, quel pomeriggio stesso Draco si recò in biblioteca. Non gli piaceva studiare, ma l’avrebbe fatto con la stessa intensità della Granger se questo fosse servito a qualcosa. Studiare, studiare, studiare… ottimo…
Si risvegliò per l’ora di cena.
“Oh, eccoti,” disse Pansy vistolo avvicinarsi al tavolo di Serpeverde in Sala Grande, alzandosi e indicandogli il posto che gli aveva riservato accanto a lei. (Sempre perché era utile, visto l’affollamento di quei giorni.)
Draco si sedette mentre ancora si stropicciava gli occhi. Sbadigliò.
“Cosa è successo?”
Draco sbadigliò un’altra volta.
Pansy sorrise.
Daphne Greengrass, davanti a loro, sbuffò.
Draco si accorse allora di essere seduto in mezzo alle amiche di Pansy. Vicino a Daphne c’era Tracey Davis, e dall’altro lato di Pansy sedeva Millicent Bulstrode. Inoltre, qua e là delle ragazze del sesto e quinto anno, che evidentemente volevano il favore delle più grandi.
Oh, no.
Lui aveva sempre seduto con Crabbe e Goyle; qualche volta vicino a Zabini, oppure a ragazzi più grandi, ma aveva sempre chiarito a Pansy che se voleva sedere vicino a lui, sarebbe stata lei a doversi spostare.
Non voleva avere quel chiacchiericcio intorno.
Chiacchiericcio che cominciò da subito.
Daphne cominciò a fargli domande a raffica su sua madre; fu Pansy a zittirla, perché Draco si rifiutò di risponderle. Tracey colse l’occasione per lamentarsi della professoressa Dunn, della professoressa Sprout e anche del professor Slughorn. Poi Millicent tentò di spiegare alle altre come aveva beccato Su Li e uno del terzo anno in una classe vuota a fare nonsisacosa.
In quel momento passò davanti loro Theodore Nott, ch’era appena arrivato per mangiare.
“Ehi, Nott!” esclamò Draco, ma quello non si girò, continuò dritto.
Draco, che pensava che l’avrebbe salvato dal pchu pchu pchu, assunse un’aria scocciata.
“Poveraccio,” disse Daphne Greengrass, con aria di chi sapeva.
“Grazie tante,” disse Malfoy, sarcastico.
“Non dicevo per te, dicevo per Nott,” disse la ragazza.
“Perché?” chiese una ragazza del quinto anno.
Le altre si guardarono tra loro un po’ a disagio.
“Non lo sai?” chiese Daphne, e poi guardò Draco intensamente.
Oh, sì, tira fuori un altro dei tuoi squallidi pettegolezzi, Greengrass, pensò.
“No, non lo so,” disse lui.
Daphne fece un sorriso di scherno e non disse niente.
Altre occhiate nervose.
“Be’?” disse il ragazzo.
“Tracey, dillo tu, che ci sei tanto amica,” disse Daphne, rivolgendosi alla ragazza bruna.
Tracey, che fingeva di aspettare annoiata la seconda portata, si voltò prima verso Daphne, e mimò un ‘Ah-ah’; poi verso Draco, svogliatamente, ignorando Pansy che scuoteva la testa.
“Suo padre è morto ad Azkaban quest’estate,” disse secca.
Volevano che rimanesse di pietra? D’accordo, eccolo, era rimasto di pietra. Adesso?
Azkaban.
“Oh, Draco,” disse Pansy, prendendogli le mani. Poi si voltò verso Daphne e Tracey e le fulminò con uno sguardo. Daphne alzò le spalle. Tracey guardava il suo piatto.
“Non voleva…” continuò Pansy. “Tuo padre starà senz’altro bene… lo sai, il signor Nott stava male, era stato ferito. È colpa del Ministero, hanno deciso di lasciarlo marcire, piuttosto che curarlo. Ma tuo padre… e poi è più gio-“
“Basta, Pansy,” disse lui, liberandosi dalla sua stretta.
Non ci doveva pensare, ecco tutto.
(E sì, lo sapeva benissimo che le amiche di Pansy lo odiavano. Era un cliché, no?)

*

Come doveva chiamarla? Madre? Professoressa Malfoy? Non avrebbe fatto ridere?
In realtà nessuno sembrava molto contento della cosa. Morto uno Snape se ne fa un altro (non che fosse morto davvero, ma noi diciamo così), e chi poteva favorire Malfoy più che la sua mamma?
La sua bella mamma.
Che Narcissa Malfoy fosse, all’età di quarantadue anni compiuti, ancora splendidamente attraente, non c’era dubbio.
Draco si poteva ritenere assai soddisfatto della cosa. Mai quanto Lucius, ma insomma, vuoi mettere con la madre dei pezzenti Weasley? (Che però, al contrario di sua madre, sapeva cucinare, questo lo dobbiamo dire.)
Be’, Draco non aveva considerato le conseguenze.
Nei giorni successivi, si trovò sul punto di fare fatture a metà della popolazione maschile di Hogwarts.
Prendi tre squallidi quindicenni che fanno apprezzamenti non molto carini sulla professoressa Malfoy al passaggio di suo figlio. Era un chiaro messaggio che diceva: “Eccomi, sono qui, Cruciami!”
(Come quell’orribile canzone dei Pollifanti, che naturalmente – ah – piacevano a sua cugina.)
“Draco, lo sai,” gli disse Pansy, tenendolo per un braccio. “La professoressa McGonagall ti ha avvertito, ti devi comportare bene…”
“Certo, certo, come no,” disse lui. “Ma se una notte gli dovessero spuntare delle antenne sulla testa…”
“… vorrà dire che gli alieni hanno invaso il pianeta.”
Non era stata Pansy a parlare, ma Lunatica Lovegood, proprio davanti a loro, il suo giornale fasullo tra le mani, occhiali scuri sul naso, i soliti orecchini-ravanello.
Draco non seppe cosa rispondere. (Oltretutto lui non era un tipo da science fiction, sembra così difficile da capire?)
Pansy, comunque, fece una qualche battutina cattiva sulla Corvonero, che però nel frattempo era già passata oltre.
“Non ho mai visto una persona più folle,” disse poi a Draco, mentre continuavano a camminare. “Be’, a parte Melinda Bobbin, naturalmente.”
Draco non rispose.
Erano arrivati all’aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
Sua madre, la sua nuova professoressa, era lì dentro ad aspettarli.
Fai finta di niente, Malfoy, boy, boy, get cool boy…
Avrebbe anche potuto far finta di sentirsi male, e andare in Infermeria. Sempre se sua madre non avesse ritenuto opportuno assisterlo. Allora no.
Si appuntò comunque di comprare un po’ di quelle Merendine per Nullafacenti inventate dai pezzenti “parliamo-in-sincronia” Weasley.
Ah, no, dal fattaccio della Polvere Buiopesto Peruviana si sarebbero rifiutati di vendere a lui o ai suoi amici alcunché, affari o non affari.
Oh, be’, era inevitabile.

“Hai visto, Draco?” disse Pansy, sistemandosi la borsa a tracolla. “Non è andata tanto male.”
Draco chiuse gli occhi. “Non girare il coltello nella piaga, Pansy,” disse.
Non stare gobbo, Draco!” disse Zacharias Smith mentre li oltrepassava, imitando la voce della madre.
Pansy lo guardò malissimo e fece per gridargli dietro qualcosa. O magari, lanciargli una qualche fattura. Ma Smith era già sparito.
“Ah, se lo becco…”
“Non eri tu che parlavi di ‘comportarsi bene’?” disse Draco allora.
“Tu devi comportarti bene, mica io!”
Ecco, ci mancava solo che a difenderlo ci pensasse una ragazza.
“Draco.”
La voce di sua madre. Narcissa Malfoy era uscita dall’aula di soppiatto e li aveva raggiunti.
“Che c’è?” disse lui.
“Possiamo parlare, per favore? Pansy, cara…”
“Certo, sign- professoressa Malfoy!” disse lei, in brodo di giuggiole. Lanciò un sorriso a Draco, che però non ricambiò; guardò sua madre intensamente per qualche secondo
Poi disse: “Devo fare i compiti. Mi dispiace.”
Prese per un braccio Pansy – che nel frattempo mortificava aveva assunto quell’espressione “non-dovrei-essere-qui” – e si dileguò con lei dietro la prima svolta del corridoio.

Per molti giorni non si parlarono.

*

19 settembre 1997
Caro Diario,

sono tanto preoccupata per Draco. Non credo che il problema stia solo nel fatto che sua madre è, be’, ecco, la nostra professoressa. Quella è una cosa che si supera.
È che lui non vuole parlare con lei, e non vuole parlare neanche con me. Certe volte mi sento triste, mi viene da pensare che il nostro rapporto non esiste se lui non si fida. E ho paura di farlo arrabbiare, a forza di insistere. (Ok, non ho paura di lui quando si arrabbia. È tanto tenero, invece! Ma non è questo il punto.)
Che cosa posso fare?

Tua,
Pansy

PS. Vorrei tanto che la Granger fosse qui. La signora Malfoy sarebbe capace di metterle una T solo per la sua presunzione!
PPS. Questo l’ho detto a Draco, ma lui non ha riso. Forse dovrei evitare di parlare di sua madre con lui.


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Note
1* Boy, boy, get cool boy: citazione da Cool, West Side Story. Non crediamo che Draco Malfoy sia effettivamente a conoscenza di questo musical, per quanto nel Mondo Magico possa esistere la sua versione in Serpeverde – Grifondoro.

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StoryGirl: Grazie mille per la recensione; personalmente il personaggio di Narcissa mi affascina moltissimo, e mi piace scrivere di lei :)

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Capitolo 3
*** 3 - Chiquitita ***


The Guilty Ones
Una fanfiction (di)sgraziata di CharlotteDoyle

3 – Chiquitita

Diverse settimane scivolarono addosso a Draco senza che lui neanche se ne accorgesse; senza che lui se ne volesse accorgere, perché il tempo aveva perso la sua funzione, e il ragazzo aveva perso la sua memoria. Da quanto non vedeva suo padre? Non lo sapeva, e anche se pensava a lui ogni tanto, ogni giorno, non riusciva ad immaginarlo ad Azkaban. Doveva essere da qualche parte, Altrove, ma non dentro una prigione a patire il freddo e la noia.
Anche le pene e gli orrori dell’anno trascorso sotto la pressione di Voldemort non erano che ricordi lontanissimi; no, la guerra non era finita, eppure lui se n’era tirato fuori; non c’era posto migliore di Hogwarts per costruirsi il proprio bozzolo e isolarsi dal resto del mondo.
La vita studentesca, d’altra parte, era una farsa, e gli stava scomoda come un vestito troppo piccolo per lui; e lui era abituato ad avere abiti su misura, di solito. Apatico come non mai, studiava svogliatamente e dormiva molto, anche se il più delle volte male. Nella sua mente, aveva già incolpato Crabbe e Goyle un paio di volte; adesso per lo più stava da solo, oppure con Pansy, che però era una ragazza.
Una ragazza che non riusciva a stare zitta.
“Tutto bene, Draco?”
Lui sospirò. “E’ inutile che tu mi chieda ogni volta come sto, Pansy,” disse. “Se sto male te lo dico, fine.”
Pansy accennò ad un sorriso e lasciò cadere il discorso.
Qualche minuto dopo, finito il pranzo, riprese.
“Vuoi fare qualcosa oggi? Ho pensato che visto che è sabato potremmo-“
“Non voglio fare niente,” tagliò corto lui. “Lasciami stare, per favore.”
E lei lo lasciò stare; lo salutò e se ne andò con le sue amiche. Non era la prima volta che si comportava così, e non sarebbe stata l’ultima. Pansy non se la prendeva mai più di tanto, le era stato fatto chiaro sin da principio che quella di Draco era una situazione difficile.

Un’ora dopo cominciò a sentirsi davvero annoiato. Non sapeva dove fosse Pansy in quel momento, forse averla intorno avrebbe migliorato un po’ le cose; forse le avrebbe peggiorate, ma non di tanto – quantomeno si sarebbero smosse.
Uscì dalla Sala Comune di Serpeverde e decise di fare una passeggiata, sperando di incontrare la sua ragazza tra un corridoio e l’altro. Andò in Sala Grande, ma lì c’era solo la Weasley pezzente che teneva un comizio politico; scese alle Serre e trovò solo Longbottom che chiacchierava amabilmente con la Sprout.
Il mondo si è riempito di Grifondoro, pensò. E rientrò nei sotterranei.
Solo allora vide Nott. Furtivo, guardingo, lo vide svoltare alla fine di un corridoio che ignorava dove portasse.
D’accordo, Nott gli stava facendo paura. Passi per il fatto che non parlava mai con nessuno, passi per la sua imperturbabilità, aveva tutta l’aria di star nascondendo qualcosa.
E Draco seppe esattamente cosa quando il Marchio cominciò a bruciare.

Inutili erano state tutte le cure di quel De Witt; avrebbe dovuto essere del cinismo di Malocchio Moody, non c’è modo di scappare a Voldemort: se l’avesse voluto trovare per punirlo, l’avrebbe trovato, anche in capo al mondo.
Era una tregua quella che stava vivendo, se ne doveva rendere conto. Lui e sua madre sarebbero potuti morire da un momento all’altro, e Nott doveva essere l’esecutore.
Storse la bocca per il dolore e pensò che non c’era niente di nuovo sotto il sole, e che d’ora in poi, possibilmente, doveva evitare di stare a contatto con il suo unico compagno di stanza, con il quale un tempo – molto lontano – aveva pensato di poter stringere una vera amicizia.

Si diresse verso lo studio di sua madre. Il Marchio bruciava ancora, e lui aveva promesso di parlarne a lei prima che a chiunque altro, prima che a chiunque altro dell’Ordine.
Era un affare urgente.
Arrivato davanti alla porta bussò con impazienza.
Dall’altra parte, sentì la voce di Narcissa dire: “Chi è?”
“Madre,” disse lui.
“Oh, Draco!” sentì esclamare la donna. “Entra, caro.”

Era la prima volta che veniva lì da quando era lei in carica come professoressa di Difesa, e doveva ammettere che finalmente qualcuno aveva portato un po’ buon gusto a Hogwarts. La Umbridge aveva decorato la stanza in modo da renderla inguardabile; sua madre aveva rivoluzionato le cose, aveva tolto le tendine rosa e le foto dei gattini e tutto il resto, e aveva sostituito i mobili con altri stile liberty che Draco non aveva idea di dove potesse aver preso.
Il tavolino da tè, tuttavia, era rimasto. E lì seduta vi era una fanciulla sorridente!
Narcissa con un sorriso ampio lo venne ad accogliere all’entrata. Gli passò un braccio intorno alle spalle e lo baciò brevemente sulla fronte.
Il ragazzo sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Subito dopo, avvampò in viso.
“Draco,” disse Narcissa, con tono amabile. “Conosci Melinda Bobbin, vero?”
Il ragazzo si staccò dalla madre e, con una mano ben ferma sul braccio destro, un sguardo che cercava una veloce comprensione, disse soltanto: “Sì, la conosco.”
“Ciao, Draco,” disse la ragazza seduta al tavolino, alzandosi e porgendogli la mano. Narcissa sembrò ignorare il comportamento del figlio, ma gli lanciò un’occhiata perché partecipasse ai convenevoli.
Draco, tuttavia, rimase a tastarsi il Marchio Nero, e non strinse la mano di Melinda, che confusa dopo un poco si risedette.
Che cosa diceva Pansy a proposito di questa? Si chiese Draco.
“Vieni a sederti,” disse Narcissa. “Stavamo prendendo il tè.”
Il ragazzo avanzò di qualche passo, lentamente. Poi fu investito da un forte profumo di fiori, un profumo che sua madre non usava.
“Che olezzo di rose! Che profumo di viole!” diceva Pansy disgustata al suo passaggio, ecco cosa diceva.
Si sedette al tavolo perplesso, un po’ stordito, e subito fu colpito da un secondo Bolide.
I capelli di Melinda erano biondi, voluminosi, e luminosi!
E’ il dolore che mi sta provocando il Marchio, si disse. Devo avere le allucinazioni.
“C’è qualcosa che non va?” disse la ragazzina, che doveva avere su per giù quattordici, quindici anni.
Draco scosse la testa, come ipnotizzato dagli occhi di lei, blu elettrico à la Fremen.
“I capelli…” riuscì appena a dire.
Melinda cominciò a ridacchiare. “Ih ih ih!” fece. “Lo so, abbagliano tutti quando passo! Ih ih ih! E sono così al naturale, sai?”
Draco dovette distogliere lo sguardo per non rimanere cieco.
Nel frattempo, Narcissa aveva poggiato una mano sulla spalla sinistra della ragazza.
“Melinda, ricordati di rimanere composta, cara. E per ridere, una mano davanti alla bocca, ed evita di improvvisare.”
Melinda sorrise, si mise una mano davanti alla bocca e disse: “Uh!”, e poi: “Mi dispiace, signora Malfoy!”
Draco le guardava scandalizzato.
Oh, certo, mia madre sa effettivamente insegnare, ricordò. Le buone maniere.
Una cosa che Draco non aveva mai avuto la buona creanza di imparare con il giusto metodo, come bene sappiamo.
Poi, lo prese un moto di rabbia incontenibile. Cos’era tutta questa messinscena? Lui stava male, e sua madre lì a divertirsi, a giocare con una bambolina vivente, che oltretutto era fuori di testa?
“Oh, sì, siamo stati a Nizza quest’estate, era così favolettoso!” e batteva le mani; Narcissa le spiegò che non era il caso, e lei smise.
Altro che alieni!
Sua madre prendeva il tè con le bambole, da piccola. Lo sapeva, non poteva essere che così. Immaginò mentalmente la scena: lei prendeva il tè con le bambole, vestita di quei deliziosi abitini colorati scelti dalla nonna, e parlava e rideva immaginandosi signora nella grande società; alla zia Andromeda toccava servire, trattata alla stregua di un elfo domestico; ma si divertiva, proprio come si divertiva ora a servire quel Sanguesporco di marito.
Orrore. Orrore.
Infine arrivava Bellatrix, come una furia, e svelta a colpi di bacchetta (e neanche era entrata a Hogwarts) strappava via la testa a tutti i pupazzi. E Narcissa giù a piangere.
(Draco non lo sapeva, ma Bellatrix avrebbe avuto piacere di fare la stessa cosa anche alle sorelle. Questa però è un’altra storia.)
Dopo diversi discorsi senza senso, il figlio si riprese dal sogno ad occhi aperti, e cominciò a fissare la madre fino a quando questa non le diede la sua attenzione; disse, a voce bassa ma ferma: “Dovrei parlarti. Urgentemente.”
Narcissa fece finta di non capire per qualche secondo, e Draco sentì il bisogno di rompere qualcosa, ma poi la donna prese e disse a Melinda che si era fatto tardi, che doveva tornare nel suo dormitorio.
La ragazzina rise, batté di nuovo le mani, poi si alzò, salutò (non riuscì a stringere la mano di Draco nemmeno questa volta) e uscì.
Narcissa sospirò, soddisfatta.
“Cos’è questa storia?” disse Draco.
Narcissa si voltò verso di lui. “Oh, non pensi anche tu che sia tanto carina?”
Oh, no, pensò Draco. Un conoscente di Narcissa Malfoy avrebbe detto, a questo punto, che qualcuno le aveva fatto una qualche maledizione per farla impazzire, oppure che quella non era veramente la signora Malfoy, ma qualcun altro che si era sostituito a lei via Polisucco.
Diamine, un membro della sua famiglia non può essere così mieloso!
E invece Draco sapeva che era normale. L’aveva vista poche volte in questo stato, non sapeva perché le prendesse, ma davvero era qualcosa di spaventoso, che lo faceva scappare via a gambe levate.
Suo padre, davanti al problema, sospirava e rifuggiva il sorriso contento contento della moglie. Diceva a Draco: “Lo fa per farmi dispetto, lo so.”
Ma Lucius Malfoy adesso non era lì. Draco era spiazzato. Lo faceva per dar fastidio a lui?
Sua madre si sedette di nuovo davanti a lui, e continuò.
“Certo, è un po’ da raffinare, ma potrebbe venir su proprio bene,” disse. “Oltretutto la sua famiglia è ricca, si potrà permettere di tutto.”
E poi, sospirando: “Sai, ho sempre desiderato avere una bambina.”
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Ah, sì?” disse Draco alzandosi. “Bene!”
Cosa voleva dire, che avrebbe preferito quella, piuttosto che lui?
“Bene!” ripeté. “Tanto vale che me ne vada.”
E poi chi era lui, il suo migliore amico, per doverla ascoltare in questi deliri?
Narcissa si alzò con lui. “Aspetta,” disse. “Draco, dovevi dirmi qualcosa.”
“Lascia perdere.”
“No, Draco,” disse Narcissa, e ora era tornata seria. “Adesso mi dici perché sei venuto.”
“No!”
Si diresse verso la porta.
Narcissa gli si parò davanti.
“Me lo dici,” disse. “Perché già ti stai comportando male, non vieni a trovarmi per giorni, e poi quando ti fa comodo…”
“Quando mi fa comodo!” disse Draco. “E intanto tu prendi il tè con una… con una… con una Tassorosso!”
“Non te la voglio mica far sposare, Draco.”
“Cosa!?” disse il ragazzo.
“Era per passare un po’ di tempo. Avrei potuto passarlo con te, ma a quanto pare…”
“… non ci tengo, esatto, grazie!” disse lui.
E uscì sbattendo la porta.

La cosa buona era che nel frattempo il dolore al braccio era svanito. Il Marchio Nero non bruciava più, e lui era ancora in salvo. O almeno sperava che fosse così.
La cosa cattiva, invece, che non riusciva a togliersi dalla testa sua madre, e continuava a rimuginare su tutte le cose che aveva detto.
E se la voleva tanto una bambina, perché non l’hanno fatta?
Ipocrita. Il suo più grande incubo da piccolo era che gli nascesse un fratellino.
Non sono geloso di mia madre!
Pensierini da prima elementare, ma Draco le elementari non le aveva fatte, dunque non poteva accorgersi che stava parlando come un bambino di cinque anni.
E poi, perché ha detto, ‘non la devi mica sposare, Draco’? Non bastava la nonna a parlare di matrimonio ed eredi?
Come se lui le ragazze non se le sapesse scegliere.

Entrò in Sala Comune; c’era solo Tracey Davis sdraiata a pancia in giù su un divanetto, intenta a leggere un giornale.
“Dov’è Pansy?” chiese.
Tracey alzò lo sguardo verso di lui svogliatamente. Qualcosa del suo volto lo colpì, in ogni modo, perché assunse subito un’espressione di sorpresa.
“Cavolo, che hai fatto?” disse. “Sembri allucinato, avrai mica preso qualcosa?”
E adesso, cos’era tutta questa confidenza?
“Ti ho chiesto dov’è Pansy,” disse lui seccato. “E comunque io non prendo niente,” aggiunse.
Patetica. Tracey era solo…
“E’ andata in biblioteca con Millicent per finire un tema,” disse Tracey, e tornò al suo giornale, senza degnarlo di un ulteriore sguardo.
… una patetica mezzosangue. Figlia di un mago e di una Babbana. Era stata furba, lo aveva nascosto loro per un paio di anni, ma poi lo avevano scoperto comunque. Se avesse avuto buon senso, avrebbe capito che non era il caso di parlare a lui in quel modo. Non se lo poteva permettere.
Draco piombò sulla poltrona accanto. Lei non se ne curò affatto, continuò a leggere imperterrita, mentre si mordicchiava le unghie di una mano.
Tracey era una mezzosangue.
Una mezzosangue!
“Davis?” disse Draco.
Tracey si alzò sui gomiti e lo fissò; con aria canzonatoria disse: “Come, Malfoy, sai addirittura il mio nome?”
Sapeva che non doveva farlo. Lo sapeva benissimo, ma lo fece lo stesso: si sporse dalla poltrona e prese a baciarla.
Due minuti dopo si trovavano entrambi sul divanetto.


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Note
1* Almeno secondo i piani iniziali di JKR, Tracey è una strega mezzosangue. (Vedi HP Lexicon)
2* à la Fremen: i Fremen sono la popolazione che abita il pianeta Arrakis (o Dune, dall’omonimo libro di Frank Herbert), e che per effetto della Spezia, che viene prodotta solo su tale pianeta, e con la quale sono sempre a stretto contatto, hanno gli occhi di un colore blu elettrico.
3* Che olezzo di rose! Che profumo di viole!: È una citazione da Ascolta il mio cuore di Bianca Pitzorno. Nell’originale (come molti di voi sapranno), non ha una connotazione esattamente positiva. Anche in seguito, Narcissa si riferirà a Melinda con altre parole prese in prestito dallo stesso libro.
4* Il titolo del capitolo è il nome di una canzone degli ABBA. Se pensate che sia orribile, ringraziate che piuttosto non sia stato intitolato “Dancing Queen”.


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Ancora, StoryGirl e Ashley, grazie per le recensioni, e grazie a tutti quelli che stanno seguendo questa storia :)

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Capitolo 4
*** 4 - Perché ci piace lo spelling e Hare Kreacher ***


The Guilty Ones
Una fanfiction (di)sgraziata di CharlotteDoyle

4a – Perché ci piace lo spelling

“Padrona Malfoy?”
Non seguirai gli ordini di Narcissa Malfoy. Non scambierai informazioni con lei. Non devi comunicare con lei, capito?
“Cosa mi hai hai portato, Kreacher?”
Neanche per le cose più futili.
“Ecco la Pozione Calmante, Padrona Malfoy.”
“Grazie, Kreacher.”
Poteva sempre servirla di sua volontà, no? Proprio come Dobby Lo Snaturato faceva con il suo padrone il signor Harry Potter.
E al diavolo le tre leggi dell’Elfodomestica.
(Dava la colpa a qualche circuito andato a fuoco. Ah, no, non siamo in Asimov?)

*

Premettiamo che anche a Serpeverde alcune cose vengono considerate davvero scorrette. Tradire la propria ragazza, purosangue di ottima famiglia, con una sua amica, che in tutto non arrivava alla seconda generazione di avi magici, era in effetti una di queste. Ma Draco non se ne curava, non ci pensava affatto; il senso di proibito che provava nel baciare una strega che aveva un genitore Babbano non aveva paragoni, lo caricava di eccitazione, lo faceva sentire un vero ribelle. (Con un Sanguesporco probabilmente sarebbe arrivato all’infarto, per l’emozione.)
Tracey, oltretutto, ci stava.
Be’, più o meno.

“Dove ti eri cacciata?”
“Accidenti, Malfoy, da quanto mi starai aspettando? Dieci minuti?” disse Tracey. “E se lo vuoi sapere, stavo cercando di liberarmi da Pan-“
Non ebbe il tempo per finire di dire il nome; lui si era già avventato su di lei. Tuttavia, Tracey non lo resse per molto questa volta: si staccò quasi immediatamente.
“Che foga,” disse. “Lasciami almeno respirare.”
“Perché devi sempre lamentarti?” disse Draco, massaggiandosi il gomito che aveva sbattuto contro il muro mentre la ragazza si liberava.
(Scegliere spazi angusti per gli incontri segreti era un’altra delle cose di quella relazione che lo avevano esaltato.)
“Guarda che me ne vado,” disse lei, inasprita. Fece per prendere la borsa che le era caduta a terra durante il primo attacco.
“Dài, Tressie…”
“Tracey.”
“Cosa?” disse Draco.
“Mi chiamo Tracey. Non Tressie,” disse lei.
“Lo so. T-R-A-C-E-Y.”
“Bravo, ora puoi entrare nello Spelling Bee,” disse la ragazza sarcastica.
Draco fece finta di non sentire – e probabilmente neanche capì cosa volesse dire Tracey, perché altrimenti, poco ma sicuro, se la sarebbe presa a morte – e si preoccupò solo di tornare a cingerle la vita.
“Ho sentito Bulstrode chiamarti così,” le disse all’orecchio.
Tracey non disse niente, e rimase immobile.
“Allora?” disse Draco, stringendola di più.
Tracey sospirò. “Senti,” disse. “Facciamo che per te sono solo Davis, d’accordo?”
Draco annuì sbrigativo.
Ripresero dal punto in cui avevano interrotto.

Un vero ribelle. E un vero latin lover!
“Devo andare,” disse Tracey ad un certo punto.
“Come?” chiese Draco, allarmato.
“Devo andare a scrivere a mia madre,” disse.
Fantastico, pensò Draco. Lei scrive alla madre.
“È da due giorni che rimando, e dopo ho Storia della Magia.”
Scrive alla madre Babbana!
Tracey fece per alzarsi; Draco la anticipò.
Disse: “Non puoi-?“
Tracey lo guardò come se fosse stato un bambino di sei anni.
“No, non posso,” disse, imitando i finti piagnucolii dell’altro. “Ci vediamo.”
Non riuscì a fare due passi.
“Dopo?”
Tracey si voltò seccata.
“Malfoy, non vivo in funzione di te, lo sai?”
Lui sgranò gli occhi. “Be’, che altro mai avrai da fare?”
“I compiti.”
E prese a camminare verso la Sala Grande.
“Possiamo farli insieme,” disse Draco seguendola.
“Tu li fai con Pansy,” gli ricordò lei.
“Be’…”
“Sospetterà qualcosa,” disse la ragazza. “Ci vediamo domani, d’accordo?”
Toh. Aveva abbozzato un sorriso. E chi se lo sarebbe aspettato?
“Ma Tressie…”
Non desisteva; lei si morse un labbro per non rispondergli.
Tracey-“ ricominciò.
Davis,” disse lei.
“Davis.”
Lei sospirò.
“Forse sarebbe stato meglio se fossi stato veramente gay,” disse.
Draco a quel punto si fermò. Per un momento non recepì; poi diventò pallido, lo sguardo perso nel nulla.
Rielaborò quello che Tracey aveva appena detto. Lui sarebbe stato… cosa?
La raggiunse in un momento e le si parò davanti, lo sguardo assassino.
“Chi è che mette in giro queste voci?” chiese, aggressivo. “Greengrass? Quella-“
Ma non lo disse.
Tracey scosse la testa.
“Pansy?”
Come poteva essere Pansy? Dopo tutto quello che-
La ragazza non accennò risposta, e scoppiò a ridere.
“Sei veramente divertente,” disse. E poi: “Siete tutti così bigotti, voi.”
“Noi chi?”
Noi Purosangue, naturalmente. È bello sentire che tutti sono un poco razzisti.
Tracey sorrise candidamente.
E lui la baciò di nuovo.

… in mezzo al corridoio che portava dalla Sala Grande al ritrovo di Serpeverde.
Si accorsero che stava giungendo qualcuno solo quando i passi si fecero più rumorosi d’improvviso, come se i tacchetti delle scarpe delle ragazze fossero battuti a terra con forza, inferociti.
Si staccarono, e videro Pansy pararsi davanti a loro.
La ragazza guardò solo Tracey, con odio.
Puttana,” disse, assecondando il migliore dei cliché.
Tracey non rispose che con un sorriso (non molto amichevole, per la verità). Poi si voltò verso Draco, sorrise anche a lui, girò i tacchi e se ne andò.
Pansy continuò a guardare nella direzione dell’altra, i pugni stretti.
Draco la fissava impietrito.
La ragazza se ne accorse, e rivoltasi verso di lui scosse la testa. “Non ti preoccupare, lo so che non è colpa tua,” disse.
Draco non ebbe modo di rispondere. (Neanche ci teneva, in realtà.)
“Tracey farebbe di tutto per irritarmi, è assurdo.”
“Pensavo che foste… amiche,” disse il ragazzo.
Pansy accennò ad una risata. “Puf!” disse. “Io non posso vedere lei e lei non può vedere me. Lo sanno tutti.”
Draco si fermò a pensare a tutte le volte che le aveva viste insieme.
“Naturalmente,” disse Pansy. “Ci parlo perché, poverella, altrimenti starebbe sempre sola, chi vorrebbe frequentare una mezzosangue come lei? Bisogna essere gentili con le persone meno fortunate di noi - be’, sempre che non ci facciano, come quella sgualdrina della Weasley. Ma a quanto pare la mia carità non è stata bene accolta, e allora ha cercato la tua… sei un ragazzo così buono, Draco!” e dicendo questo, si alzò sulle punte dei piedi per baciarlo sulla bocca, ed era un bacio – pensò Draco – che sapeva molto di rivalsa. Pansy stava marcando di nuovo il suo territorio.
Nello stesso momento, gli vennero in mente anche altre due cose:
a) Ci rinunciava ufficialmente, a capire le ragazze;
b) Tracey baciava molto meglio.

*

Nei giorni successivi, Pansy fu carina come al solito. Faceva finta di niente, rivolgeva pure la parola a Tracey. (Lui invece non ci aveva più parlato.)
Solo, in alcuni momenti, mentre pensava che lui non la vedesse, si incupiva.
Draco avrebbe volentieri ignorato la situazione, ma ormai l’aveva vista; insomma, che cosa doveva fare? Evidentemente Pansy si aspettava che lui in qualche modo si fosse scusato, avesse chiesto perdono, e giurato amore eterno. Non ci sarebbe voluto niente: ‘Mi dispiace, Pansy’, e lei si sarebbe tutta ravvivata in volto, e si sarebbe data a lui completamente.
(Be’, no, non saltiamo subito alle conclusioni, adesso.)
Tuttavia, aveva un blocco alla gola, non riusciva a dire niente.
Ma non era un problema, bastava guardare guardare avanti piuttosto che nella sua direzione.
Andava tutto bene.

(E poi, perché si sarebbe dovuto scusare? Non era tutta colpa di Tracey?)

4b – Hare Kreacher

Andava tutto bene.
Splendidamente bene.
Tanto da riuscire ad inciampare in sua madre di prima mattina. Ma andava tutto bene, e questo neanche era un problema: ci riusciva Pansy, ci sarebbe riuscito anche lui, a far finta di niente; l’avrebbe salutata e sarebbe andato avanti.
“Buongiorno, Madre,” disse.
Narcissa sembrò interdetta. “Draco,” disse, ricambiando il saluto.
Lui riprese a camminare.
Poi, di nuovo la voce di sua madre.
“Draco, fermati, dobbiamo parlare.”
“Che cosa c’è?” disse seccato.
Narcissa sembrava non trovare le parole; un po’ si guardava le mani, un po’ guardava lui, non veniva a capo della sua indecisione. Sembrava mortalmente preoccupata.
Improvvisamente, un pensiero spaventoso.
“Si tratta di papà?” disse, cercando di non parlare con voce acuta.
Narcissa scosse la testa.
Draco respirò. Alzò gli occhi verso la madre, e sorrise con freddezza.
“Allora non mi interessa,” disse.
Sua madre non desistette.
“Draco,” disse.
“Senti, non ho voglia di starti a sentire, va bene?” disse lui, più nervoso. “Proprio non è il momento. Vai a parlare con… con quell’elfo orribile.”
“Draco.”
Lui rimase a guardarla a braccia conserte, con aria di sfida.
“Allora?” disse.
E allora Narcissa gli diede uno schiaffo.

Sciaff.
Per un momento perse la vista. Completamente. Vide tutto nero. Poi sentì un grande calore salirgli per le guance, anche quella che non era stata colpita. Bruciava forte. Lo schiaffo che aveva ricevuto da Granger anni prima non era niente, in confronto.
Si portò la mano sul viso, cominciò a massaggiarsi, a tastarsi dove faceva più male. Poi alzò gli occhi, e vide sua madre.
Sua madre, che non gli aveva mai messo le mani addosso, neanche una volta.
“E ne riceverai un altro, se mi parlerai nuovamente a quel modo!”
Sua madre che, nonostante i rimproveri, non gli aveva mai urlato contro.
Non poté far altro che rimanere in silenzio.
Lei lo prese per una mano e lo portò dentro una classe vuota. Era rossa in viso, e respirava a fatica; non aveva mai avuto un aspetto tanto scomposto davanti a lui.
Disse: “Adesso dimmi, Draco, ti ha fatto male di nuovo?”
“Che… che cosa?”
“Che cosa? Il Marchio Nero, che cosa altrimenti?!”
Il Marchio Nero.
No, non se n’era dimenticato. Ci ripensava ogni sera, osservando il letto di Nott dall’altra parte della stanza. Ma senza una grande passione, ecco. Come se fosse stato solo un sogno. Certo sospettava del suo compagno, ma non credeva più nel dolore che aveva provato quel giorno.
“No,” rispose. E poi: “Te… te ne eri accorta, allora.”
Narcissa non si addolcì a queste parole.
“Grazie per avermelo detto,” disse, con tono sarcastico.
Draco la guardò stralunato.
“Io ci ho provato,” disse. “Ma tu-“
Si bloccò. Narcissa si era coperta il viso con le mani, senza dire niente; piano, cominciò a scuotere la testa.
“Non so cosa ci sia di sbagliato in te, Draco,” disse lentamente. “Ma proprio non ti rendi conto… dell’importanza di certe cose.”
Questo era troppo.
“Perché, tu?!” disse il ragazzo.
Narcissa abbassò le mani. Tremava; non si sa se più di rabbia o più di pianto.
“Tu, tu non conosci le mie ragioni.”

*

No, adesso non riusciva più a dormire senza l’aiuto delle pozioni. Voldemort li stava cercando, era chiaro: Narcissa lo sapeva da sempre, lo sapeva da quando erano riusciti a fuggire. E poi, Draco si era presentato con il Marchio Nero che bruciava.
L’aveva capito solo quando se n’era andato via, ma non aveva avuto la forza di seguirlo. E non aveva avuto il coraggio di chiedere a Slughorn l’accesso ai dormitori di Serpeverde. (Non la trattava con la cordialità che aveva sempre dimostrato nei suoi confronti fino a tre anni prima, e lei non si sarebbe mai abbassata a chiedergli un favore.)
Avrebbe potuto comunque vedere suo figlio in molte altre occasioni, senza doverlo andare a cercare di forza (Draco lo odiava).
Potevano incrociarsi nei corridoi. (Evitavano accuratamente di fare gli stessi percorsi.)
Poteva vederlo ai pasti. (Nessuno si spostava dal suo posto a sedere.)
Poteva vederlo alle lezioni. (Una volta saltò lui, un’altra lei. Un’altra, ancora, si ignorarono.)
Non è che lei ci avesse rinunciato. Non ci aveva affatto rinunciato. Era urgente, doveva avvertire l’Ordine dei proseliti di Dumbledore, doveva… la loro vita era in pericolo, diamine, doveva farlo!

“Professoressa McGonagall,” disse, una volta entrata nel suo studio.
“Prego, Narcissa, siediti,” disse la nuova Preside. (Usava ancora il suo vecchio ufficio, ci era affezionata. Ah, no, non avrebbe mai avuto il coraggio di prendere quello di Dumbledore; no.)
Narcissa prese posto davanti a lei, e rimase in silenzio.
“Spero che tu stia meglio, adesso,” disse ancora la McGonagall.
Per saltare alcune lezioni aveva abilmente fatto la parte della malata. Ma stava male davvero, lei.
“Bene, grazie. Volevo parlare di Draco,” disse. “Mio figlio.”
“A che proposito?”
Si trattava di uno scambio di fredde parole, ma il tono della McGonagall si fece preoccupato qui. Anche lei si aspettava cattive notizie.
Narcissa desiderò tornare indietro sui suoi passi. Poi, uno svicolo utile.
“I suoi voti sono migliorati?”
L’avrebbe chiesto comunque, dopo.
La McGonagall tirò un sospirò di sollievo. “Sì, sono migliorati, Narcissa,” disse. “Ma perché non lo chiedi a lui?”
No, non di nuovo la vecchia solfa su le belle famiglie!
“Volevo sentirlo dire da un’insegnante,” disse la donna. Si alzò e porse la mano alla Preside, come per andarsene.
“Non mi devi dire nient’altro?” disse Minerva.
“Assolutamente.”

*

Tu non conosci le mie ragioni.
O le mie paure.
“Non sai assolutamente niente di me, Draco.”
Draco non rispose, così lei prese e lo lasciò solo.

Non riusciva ancora a tenere un passo regolare, e ancor di più, non un passo adatto alla sua persona. Doveva essere un disastro addosso, un vero orrore; avrebbe dovuto saltare la prima lezione che aveva per rifarsi il trucco.
Davanti al suo studio trovò l’orribile gatto del custode che faceva la guardia.
Che!, si sono messi a controllare se faccio il mio lavoro? Se non sto lavorando piuttosto per qualcun altro?
“Be’, togliti,” disse, una mano già sulla porta.
Il gatto - o meglio, la gatta, Mrs Norris – non si spostò di un centimetro.
Narcissa tirò fuori la bacchetta per minacciarlo.
“Lèvati, insomma!”
Ancora nulla.
Pensò a quale fattura fosse meglio lanciarle. Uno Schiantesimo, forse? Oppure un-
“Miao…”
Oh, davvero? Vuoi la guerra?
Dimenticò la bacchetta e calciò il gatto dritto sulla pancia.
“Miao!” fu il grido di dolore di Mrs Norris.
Insomma, Narcissa non portava le scarpe a punta per niente.

*

Draco decise che avrebbe saltato le lezioni della mattina, tanto erano inutili. La scuola era inutile in genere, non sapeva più perché ci fosse tornato.
Ah, ecco, sua madre. Era sua madre il motivo: lei voleva che finisse la scuola.
Dannazione.
Come aveva fatto suo padre a sposare una donna tanto stupida?
In quel momento, Theodore Nott entrò in dormitorio.
“Che ci fai tu qui?” disse Draco, rimanendo nella penombra delle tende del baldacchino.
Theodore lo guardò perplesso, e anche un po’ scocciato.
“E’ anche la mia camera, Malfoy,” disse.
“Lo so!” disse Draco. “Ma tu hai lezione, no? Hai sempre lezione, segui tutti i corsi-“
“No, non seguo tutti i corsi,” disse. “Ero venuto solo a prendere una cosa. Malfoy, vedi di calmarti.”
Frugò per un momento nel suo baule e poi lasciò la stanza, senza salutarlo.
Stranamente, era la conversazione più lunga che avessero avuto dall’inizio dell’anno. Si sentiva così tanto che era alterato? Be’, comunque poteva dirselo da solo, di calmarsi. Voleva stare un po’ in pace, non era proprio possibile? Detestava quella scuola. Detestava la sua politica per pezzenti: lui voleva avere una camera tutta per sé, ce li aveva i soldi, lui. Detestava l’arredamento e voleva rifarlo come piaceva a lui. Inoltre, detestava le ore di lezione con insegnanti incompetenti, gli orari impossibili, i troppi compiti. Soprattutto, detestava il cibo: il menu fisso senza opzioni, i piatti con poco sale, le bevande che si limitavano a acqua, tè, caffè, camomilla e succo di zucca. Il succo di zucca gli faceva schifo.
Anche se mai quanto il sapore delle lacrime.

*

“Mrs Norris? Mrs Norris, dove sei?” chiamava Filch preoccupato.
Da un nascondiglio, un vecchio elfo domestico teneva il gatto stretto, il muso chiuso affinché non lo si sentisse miagolare.
Lo aveva afferrato proprio mentre cercava di riprendersi dal volo che gli aveva fatto fare la padrona Malfoy.
Il padrone Potter aveva forse detto che non poteva giocare con gli animali di Hogwarts?
Lo avrebbe portato nelle cucine, e messo a congelare insieme alle carni di vitello e di maiale. A padron Potter forse sarebbe piaciuto, il gatto dell’orrido Magonò in salsa…


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Note
1* Lo Spelling Bee è un tipo di gara molto in voga nelle scuole anglosassoni (e non solo nelle scuole), dove ai partecipanti è richiesto di fare lo spelling di determinate parole, più o meno difficili a secondo del livello del contest. È possibile che nel Mondo Magico esista una versione dove si scandiscono le lettere delle formule degli incantesimi, ma questo non ci interessa al momento.
2* Non preoccupatevi, alla fine il gatto non è stato cucinato.

Al solito, grazie StoryGirl per la recensione :)

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Capitolo 5
*** 5 - E ora siamo noi i colpevoli ***


Ringrazio StoryGirl e tutti quelli che, anche in silenzio, hanno seguito questa fanfiction (che, meraviglia delle meraviglie, è arrivata seconda al sondaggio per la migliore storia del ficexchange!). StoryGirl: spero che l'ultimo capitolo sia di tuo gradimento. Per quanto mi riguarda, spero che anche nel post Deathly Hallows riuscirò a scrivere qualche storia che metta alla luce i personaggi minori, se non i meno popolari (Narcissa, al contrario di Pansy, in genere è molto amata).



The Guilty Ones
Una fanfiction (di)sgraziata di CharlotteDoyle

5 – E ora siamo noi i colpevoli

Decise che quel sabato mattina avrebbe seguito Theodore. Tenne d’occhio l’altro Serpeverde per tutta la colazione – Nott aveva lo sguardo perso nel vuoto, oppure guardava il suo piatto, e non mangiava.
“Draco?”
Notò che Pansy lo stava osservando con curiosità; si accorse che aveva fissato Theodore, un ragazzo, per lungo tempo.
“Non sono gay,” disse veloce.
Pansy rimase perplessa.
“Ah,” disse. Si fece un po’ crucciata. “Questo lo sapevo.”
Sembrò sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma poi rimase in silenzio.
Draco si sentì molto stupido.
Tornò a cercare Nott con gli occhi, ma riuscì solo ad incrociare lo sguardo annoiato di Tracey Davis. Nott prima era seduto davanti a lei; ora non c’era più!
Aveva aspettato il primo momento di distrazione per fuggire!

*

Dal diario di Pansy, quarto anno:
24 ottobre 1995


Caro Diario,
penso che Draco sia un paranoico.

Tua,
Pansy

*

“Draco?”
Il ragazzo chiuse gli occhi e cercò di fare mente locale.
“Cosa c’è, Pansy?” chiese.
La ragazza scosse la testa, lanciando un’occhiata fugace a Tracey Davis. “No, niente,” disse. Dopo poco si alzò di scatto. “Scusami,” disse, lo sguardo basso. “Devo… andare.”
E fuggì via in direzione dei dormitori di Serpeverde.
Draco non perse tempo a chiedersi che cosa fosse preso alla ragazza; si alzò anche lui e andò incontro a Tracey Davis.
Non fece in tempo ad aprire bocca che anche lei fece per scappare. Lui le bloccò la strada.
“Ah, no,” disse la ragazza. “Meglio non peggiorare le cose.”
“Che cosa?” disse Draco. “Davis, ti voglio chiedere solo un’informazione.”
Lei lo fissò diffidente, le braccia conserte.
“Dove è andato Nott?” disse Draco.
“Cosa!?”
Draco ripeté gesticolando con le mani, impaziente.
“Theodore Nott, hai visto, stava davanti a te? Dove è andato?”
“E che ne so io?”
“Pensavo, Greengrass dice che siete amici-“
“Oh, davvero!” disse lei. “Quindi anche tu adesso credi a quello che dice Daphne, non è così?”
“Non è questo il punto,” disse Draco.
“No?”
“Ti ho chiesto solo dove fosse andato,” disse lui.
“Se anche lo sapessi…”
“Dunque lo sai!” disse lui.
Tracey sospirò.
“In biblioteca; me lo ha detto prima di andarsene,” disse. “Ma questo non significa che siamo amici. Soprattutto, non nel senso che intende Daphne, visto che io non sono come te.”
Draco la fissò per un momento, non capendo.
“Come me?” disse. “Cosa vuoi dire?”
Tracey non rispose niente per un po’. Poi, cominciò a scuotere la testa, esasperata. “Renditi conto che imbecille che sei, non le hai neanche chiesto scusa, sono giorni che-”
A Pansy? Sì, sta parlando di lei. Un momento!
“Senti chi parla! Tu l’hai fatto solo per dispetto nei suoi confronti!”
Tracey lo guardò con occhi sbarrati.
“Allora? Che c’è?”
“Te l’ha detto lei, questo?” chiese.
Draco annuì, guardandola con disgusto.
Tracey s’era scurita in volto, ma non abbassava lo sguardo.
“E’ meglio che tu ci creda, allora,” disse. “Vattene, Malfoy. E lascia in pace Theodore, ha altro a cui pensare…”
Quando Draco si voltò, lei aggiunse: “Sempre che non ti piaccia, naturalmente.
Decise che dopo aver pedinato Nott, si sarebbe messo all’opera per scoprire chi aveva messo in giro quella voce su di lui.

*

Dal diario di Pansy, terzo anno:
13 marzo 1994


Caro Diario,
(…) Se anche Draco fosse gay, non importerebbe. Io gli vorrei bene lo stesso! (…)

Pansy

*

Nott era seduto ad un tavolo nella Sezione Giornali, e stava sfogliando senza grande interesse una copia ingiallita de La Gazzetta del Profeta. Draco pensò di nascondersi dietro ad uno scaffale per osservarlo.
Non è qui per leggere giornali, pensò. Sicuramente ha qualcosa da nascondere.
Nott infatti lanciava spesso un’occhiata in giro, per controllare che non arrivasse nessuno.
Sotto il giornale aveva qualcosa, Draco non riusciva a vedere bene. Quando Nott tirò fuori una piuma, capì che si trattava di una pergamena bianca. Il ragazzo si mise a scrivere qualcosa; gettò il giornale da una parte, ne prese un altro, lo sfogliò ancora facendo gran rumore.
A che gioco stava giocando?
Tap, tap, tap. Dei passi provenienti da dietro di lui; si nascose dietro una poltrona. Si sporse abbastanza per vedere che era solo Luna Lovegood, diretta anche lei nella Sezione Giornali. Non appena ebbe girato l’angolo, Draco si alzò e si mise di nuovo a osservare Nott dallo scaffale. Lovegood era entrata in scena, e Nott sembrava molto nervoso.
“Ciao, Theodore Nott,” disse la ragazza.
“Lovegood.”
Draco vide Luna tirare fuori una copia del suo giornale dalla borsa, posarlo sul tavolo dove era seduto Theodore, e poi voltarsi verso lo scaffale opposto al suo, in cerca di qualcosa.
Nott la fissava, e non andava più avanti con il suo lavoro.
Luna si girò verso di lui.
“Oggi sono solo venuta a portare l’ultima copia de Il Cavillo per archiviarla, Madama Pince l’ha registrata subito” disse. “Però ero sicura che mancasse anche il numero del marzo scorso…”
“Invece c’è?” chiese Nott, vago.
Luna sorrise. “Oh, sì. Doveva averla presa qualcuno per leggerla, non avevo controllato il registro dei prestiti l’altra volta. Tu c’eri l’altra volta, vero?”
Il ragazzo annuì.
“Che strano, veniamo sempre in biblioteca negli stessi orari,” disse lei.
Nott scostò lo sguardo, facendo finta di niente; Draco avvertì il suo disagio, e cominciò a spaventarsi.
“Che cosa stai facendo, oggi?” chiese allora Luna a Theodore.
“Oh,” disse lui, e tirò fuori la pergamena appuntata a mo’ di prova. “Sto facendo una ricerca per Storia della Magia.”
Mostrò anche le vecchie copie de La Gazzetta del Profeta.
“Bello, il Movimento Distruzionista,” disse Luna. “Anche mio padre ne fa parte.”
Theodore si grattò una guancia, perplesso. Anche Draco era perplesso, in realtà: il Movimento Distruzionista era cosa di oltre duecento anni prima, ma non gli importava. Che cosa diavolo stava facendo Nott?
“Tuo padre… nel 1782?”
Luna rise. “Oh, no, naturalmente no! Io dico quello che esiste oggi.”
Attualmente non esistevano Movimenti Distruzionisti, anche Theodore lo sapeva benissimo.
“Ho… ho capito,” disse.
Luna allora sistemò l’ultima copia de Il Cavillo nello scaffale.
“Adesso vado, mi sta aspettando Ginny Weasley,” disse. Si diresse verso l’uscita della Sezione (Draco si preparò a nascondersi di nuovo. Ah, no, ma era veramente necessario?). “Ci vediamo, Theodore.”
“Ciao,” disse lui. E un momento dopo: “Luna?”
La ragazza si voltò. “Sì?”
“Volevo…” Si schiarì la voce. “Volevo dirti, per l’altra volta…”
Luna scosse la testa, e fece un gran sorriso. “Non importa, Theodore. Lo so che non intendevi… fare quello che hai fatto. Non devi preoccuparti.”
Theodore non disse niente; sembrava disperato.
“Ciao, allora,” disse Luna.
“Ciao.”
Luna se ne andò. Passando davanti a Draco (che alla fine non si era preoccupato di nascondersi), lo salutò cortesemente: “Ciao, Draco Malfoy.”
Il ragazzo non le rispose.
Fossi matto. Dovessi finire pure io a inventarmi le ricerche per Storia della Magia per venire in biblioteca nei suoi stessi orari, o a passare le notti insonni, e i pasti senza mangiare, con lo sguardo perso nel vuoto… ah, no, diretto verso il tavolo di Corvonero, ovvio! E io che pensavo a Voldemort! Dicono che io sia patetico; io ribatto: questo è patetico.
Aspettò qualche secondo, il tempo che Luna uscisse dalla biblioteca, e poi andò diritto nella Sezione Giornali, parandosi davanti a Theodore Nott, il quale, accortosi della presenza dell’altro per il saluto della ragazza, non si era messo a raccogliere le sue cose e piuttosto era rimasto ad aspettarlo.
Draco lo fissò furibondo.
“Luna Lovegood?!” fu l’unica cosa che gli uscì di bocca. “Luna Lovegood?!” ripeté.
“Sono affari miei,” disse Nott.
“Luna Lovegood,” disse Draco, a mo’ di spiegazione. “E’ stata una di quelli che ha messo in prigione i nostri padri!”
“Vuoi che non lo sappia?” rispose Nott. Cominciò a sistemare le sue cose nella borsa, seccato.
Draco inspirò profondamente. “Bene, stai facendo tutto questo perché vuoi vendicarti di lei, allora. È stata lei ad uccidere tuo padre, è comprensibile. Nott?”
L’espressione di disgusto sul volto dell’altro era spaventosa, quasi disumana.
Cosa voleva dire? ‘Mi fai schifo, Draco Malfoy’?
“Lei,” disse Theodore, piano, con voce strozzata, “Mi piace davvero.”
Era così, dunque.
Gli diede le spalle e fece per andarsene, ma poi ancora una volta si voltò, e disse: “E a proposito, Malfoy: l'unico responsabile della morte di mio padre... è stato mio padre. E mio padre soltanto.”
Draco rimase a guardare Nott che raggiungeva l’uscita della biblioteca e si dileguava.
Cosa sarà mai, si disse. E’ solo uno Cid mancato. Le sue parole non hanno alcun senso.
E allora perché si sentiva tanto inquieto?

*

Vagando per i corridoi di Hogwarts, senza una meta, si sentiva pieno di sconforto. Nott magari non c’entrava niente, ma lui era pur sempre in pericolo. Voldemort già una volta lo aveva chiamato, gli aveva detto: ‘Vieni, o sarò io che verrò a prenderti, ecco, sto arrivando.’
E si ritrovò a pensare: perché proprio a lui? E poi, con una certa cattiveria: non avrebbe potuto scegliere Nott, sin dal principio? Sarebbe stato più adatto, e Draco avrebbe potuto vivere un sesto anno tranquillo, pieno di svaghi. Se così fosse andata, in quello stesso momento magari si sarebbe ritrovato lì, ma da Caposcuola, non da piccolo criminale sorvegliato, e non avrebbe avuto bisogno di guardarsi le spalle dal Signore Oscuro, dalla McGonagall e da sua madre.

Senza volerlo, eppure volendolo fortissimamente, si ritrovò davanti alla porta del suo ufficio. Bussò; e poco dopo i passi, il rumore del chiavistello. “Chi è?” chiese la voce dall’altra parte.
“Draco,” disse lui.
La porta fu aperta, e sua madre era sulla soglia.
“Posso entrare?” disse lui, guardando in basso.
La madre si scansò per farlo passare e gli indicò la via con una mano. Draco fece qualche passo in avanti, poi aspettò di sentire Narcissa richiudere la porta. La donna armeggiò con la serratura per qualche secondo; allora lui si diresse verso la prima sedia che incontrò e si sedette, appoggiandosi con le braccia sul piano della scrivania.
Rimasero diversi minuti in silenzio, senza neanche guardarsi. La madre fece finta di controllare l’allineamento dei quadri sulle pareti.
Poi, una domanda la fece voltare.
“La porta,” disse Draco, che però aveva lo sguardo perso nel vuoto. “Perché non hai usato la magia?”
Narcissa, con tono piatto, rispose: “Non mi fido più.” Dopo un poco aggiunse: “Vuoi un tè, Draco?”
Il ragazzo dapprima si accorse che non stava ascoltando, che forse non aveva capito bene. Un tè?
“Sì,” disse. “Grazie.”
Si dimenticava sempre di dirlo.
Narcissa puntò la bacchetta verso la teiera poggiata su un mobile vicino; quella cominciò a fare tutto da sola. Narcissa spostò di nuovo l’attenzione su Draco. Lo scrutò con attenzione, fin nei minimi particolari. Il ragazzo, che l’osservava di rimando, ma con meno passione, rimase in silenzio.
“Ti senti male?” chiese la donna.
Draco si accigliò. “Perché?”
“Hai una pessima cera. Sei sicuro di aver dormito bene?”
Bisognava ricominciare di nuovo con la solita vecchia solfa? Draco non rispose.
“Il Marchio Nero?”
Draco scosse la testa. “Sto bene, Madre,” disse.
La teiera giunse sul tavolo insieme a due tazzine e due sottopiattini, e cominciò a servire il tè. I cucchiaini e lo zucchero, il latte, ed ecco che le tazzine presero i loro posti, davanti madre e figlio.
Draco afferrò la sua, cominciò a guardare il tè girarsi con grande interesse.

Quando dopo un lungo anno l’aveva rincontrata, sotto il dominio di Voldemort, non aveva avuto tempo di osservarla a lungo. Lei si era gettata addosso a lui e l’aveva stretto forte, e l’unica cosa che Draco poteva vedere era l’espressione infastidita di zia Bellatrix davanti a loro, che non si capacitava di come sua sorella potesse aver tanti riguardi per una delusione come lui. D’accordo, Bella era furiosa più per Snape che per Draco; ancora, però, lo slancio di Narcissa risultava ridicolo.
Draco aveva pensato a tutto questo, e aveva fatto suo quel pensieri, pur di evitare di sciogliersi tra le braccia della mamma, la quale non diceva niente e non piangeva, eppure voleva dimostrare tanto.
La sera lei era venuta a dargli la buonanotte, come era solita fare, e lo aveva abbracciato di nuovo, ancora più forte. Lui questa volta, in assenza di sguardi indiscreti, aveva ceduto, e aveva detto a sua madre: “Ti amo.”
Perché la salvezza li aveva portati tanto lontano da lì? Dumbledore era un mistificatore; no, non voleva salvarli, voleva solo distruggere la sua famiglia.
Perché Voldemort invece li teneva uniti. Il terrore, la pressione, la paura; era molto più facile amarsi davanti alla morte.

Il tintinnio della porcellana lo fece rinvenire da quei pensieri. Alzò lo sguardo, e vide sua madre tremare, e con lei tazzina e piattino.
“Che cosa…?”
Ma Narcissa interpose tra i loro sguardi una mano aperta per nascondersi, poi cominciò a singhiozzare, e scoppiò a piangere.
Draco vide la proiezione di se stesso alzarsi di scatto, farsi accanto a lei, scuoterla, chiedere cosa fosse successo. In realtà però rimase immobile, paralizzato, completamente ignaro sul da farsi.
Paralizzato, e pieno di orrore in petto. Inutile dire che non l’aveva mai vista così prima d’ora; lei era sempre stata brava a nascondere le sue emozioni: anche quando suo padre era stato sbattuto in prigione, lei era venuta a prenderlo a King’s Cross, e aveva fatto finta di niente per tutto il resto della giornata, parlando di Lucius come se fosse in vacanza.
Adesso invece piangeva.
“M-madre…?”
“Mi dispiace,” disse Narcissa, tra i singhiozzi. “Mi dispiace di non aver potuto fare per te quello che tuo padre avrebbe fatto, se fosse stato qui.”
Si fermò per un momento, ma poi riprese, con più forza. “Per te non volevamo questo, Draco. E io non sono riuscita a proteggerti da Lui, e adesso ti vedo così infelice, e mi sento terribilmente in colpa.”
In colpa.
Draco tornò con la mente al giorno dell’assassinio di Dumbledore, ma senza volerlo; l’unica cosa che voleva era dimenticare. No, non aveva fatto entrare i Mangiamorte a Hogwarts; non aveva mai rischiato di ammazzare nessuno, non il vecchio Preside né i due insulsi Grifondoro; non aveva avuto nessuna parte in quel piano; ma davvero! Era la guerra, era Voldemort, erano i suoi genitori; lui non aveva nessuna colpa.
Oppure l’aveva.
E allora tutte le sue scuse in merito si frantumarono come uno specchio; anche quelle di sua madre non ebbero più senso: cos’era altrimenti il Voto Infrangibile? Si chiese come qualcun altro riuscisse a preoccuparsi della sua vita più di quanto non lo facesse lui.
“Non è colpa tua,” disse allora.
Narcissa alzò lo sguardo e lo fissò.
Dracò continuò. “Be’, non solo tua. E’ anche colpa…”
Mia! Mia! Mia!
“…mia.”
Narcissa non disse niente.
“Aspetta, ho un fazzoletto,” disse Draco, frugandosi nella tasca. Si alzò e lo porse alla madre; quella lo prese, le mani si toccarono. Narcissa sorrise mentre si asciugava gli occhi.
“Draco, hai perso qualcosa?” disse poi, indicando un piccolo rotolo di pergamena, caduto a terra mentre lui tirava fuori il fazzoletto. Draco non si ricordava di averlo in tasca. Lo raccolse e lo aprì, e vi trovò qualche riga scritte nella grafia di Pansy.

Mi hai fatto male. Non volevo dirtelo, non volevo fartelo pesare, ma non ci riesco, mi dispiace. (…)

Avrebbe finito di leggerlo dopo; sapeva cosa doveva fare. Lo ripiegò e se lo mise di nuovo in tasca.
“Cos’era?” chiese la madre.
“Niente,” disse lui. “Devo riparare ad una cazz-“ La madre lo fulminò. “Ad una stupidaggine che ho fatto.”
“Tutto bene, comunque, sì?”
“Sì.”
E si apprestarono a bere il tè.

Fine.


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Note
1* Cos’era successo “l’altra volta” tra Theodore e Luna? E’ scritto nel mio drabble Theodore e Luna (2), che pubblico in contemporanea.
2* Testo intero del biglietto da Pansy:
Mi hai fatto male. Non volevo dirtelo, non volevo fartelo pesare, ma non ci riesco, mi dispiace. Ti voglio bene, davvero tanto. Ma a volte mi chiedo quanto rifletti su quello che dici e su quello che fai.
Non posso capire, io? L’unico che non capisce sei tu, Draco Malfoy.

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