Waking Up In Texas

di whateverhappened
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di ranch e di cowboy ***
Capitolo 2: *** Di galli e di cavalli ***
Capitolo 3: *** Di canzoni e balle di fieno ***
Capitolo 4: *** Di asini reali e cieli stellati ***
Capitolo 5: *** Di confessioni e baci ***
Capitolo 6: *** Di scoperte e chiarimenti ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Di ranch e di cowboy ***


 

 

 

 



Se c'era una cosa di cui Sebastian non aveva decisamente sentito la mancanza, quella era l'aeroporto di San Antonio. O, per meglio dire, qualsiasi cosa avesse a che fare con San Antonio. O con il Texas. O con suo nonno. Non aveva mai creduto nel karma o in tutte quelle idiozie per cui ti capita quello che ti meriti in base al tuo comportamento, ma evidentemente le maledizioni che aveva ricevuto pressoché da chiunque negli ultimi anni stavano avendo il loro effetto: Sebastian stava vivendo un incubo. Seduto sulla sua valigia appena fuori dall'aeroporto, tentando di contenere la sua irritazione per essere finito in quel posto quando avrebbe dovuto essere a Parigi, stava aspettando da ormai venti minuti che suo nonno si degnasse di andarlo a prendere. Quando riconobbe la sua figura in quella di un uomo al volante di un pick-up che decisamente aveva vissuto giorni migliori, quasi si pentì di aver pregato che arrivasse presto.

«Ragazzo» lo salutò l'uomo, scendendo dall'auto e andando a recuperare parte del bagaglio del nipote.

«Nonno» rispose Sebastian con lo stesso tono, caricando l'ultima valigia nel retro del veicolo. Notò come suo nonno non apparisse invecchiato di un giorno dall'ultima volta che l'aveva visto, forse giusto qualche capello bianco in più.

«Fatto buon viaggio?» Si informò l'uomo senza troppo entusiasmo. A quanto pareva nemmeno lui era particolarmente contento della presenza di Sebastian.

«Nella norma. Ho dormito quasi tutto il tempo».

Sebastian vide suo nonno annuire e capì che la loro conversazione non sarebbe andata avanti fino a che non fossero giunti al ranch. Non che se ne lamentasse: non amava particolarmente le chiacchiere inutili, proprio come suo nonno. Quella era una delle poche ragioni per cui avrebbe potuto gradire la compagnia dell'uomo, o quanto meno tollerarla. Non erano mai stati uniti o altro, ma per un mese avrebbero potuto coesistere, forse. Vivere ognuno la propria vita senza infastidirsi a vicenda, incontrandosi solo per i pasti. Sì, avrebbero potuto farcela.

«Non è proprio come la tua Parigi, eh» la voce del nonno lo fece sussultare. Non si era nemmeno reso conto di stare osservando gli ampi spazi attorno a loro, che, no, decisamente non assomigliavano ai panorami a cui si era abituato.

«Giusto qualche palazzo in meno» rispose, tentando di soffocare il tono sferzante quanto più possibile. L'uomo sorrise, quel sorriso ironico che gli aveva passato in eredità.

«Oh, non preoccuparti, tornerai presto in mezzo alla vita».

«Un paesino sperduto nell'Ohio non è propriamente vita, nonno. Non come la intendo io» Sebastian non poté evitare di alzare un sopracciglio, scettico: suo nonno non poteva davvero paragonare Parigi a quella specie di collegio che avrebbe frequentato da settembre.

«Ovvero bei ragazzi disponibili?» Ridacchiò l'uomo e Sebastian non poté fare a meno di guardarlo sorpreso. La sua sessualità non era mai stata un mistero in famiglia, ma era sempre valsa la regola del “non chiedere, non dire”: tutti sapevano, ma nessuno si riferiva mai apertamente al fatto che Sebastian fosse gay. Men che meno suo nonno. Con il tempo si era fatto l'idea che l'uomo fosse contrario e non dicesse nulla per non dar dispiacere a sua figlia, madre di Sebastian. Dalla tranquillità con cui aveva fatto quel commento, però, non sembrava affatto turbato dalla sua sessualità.

«Non fare quella faccia, ragazzo. Non me ne frega niente di chi ti sogni la notte finché non mi dai grattacapi, capito? Non ho alcuna intenzione di chiamare tua madre in Russia per farti fare una lavata di capo».

Sebastian annuì. Non avrebbe dato problemi, già lo sapeva, non quando la conseguenza sarebbe stata una telefonata intercontinentale con sua madre. In fondo sarebbe rimasto in Texas solamente un mese, dopo di che avrebbe avuto un intero anno per fare tutto quello che voleva, anche se in posto sperduto come l'Ohio. Si sorprese quando suo nonno fermò l'auto: non si era nemmeno reso conto che erano arrivati al ranch proprietà della sua famiglia da ormai tre generazioni. Sua madre era nata lì, lui stesso vi aveva trascorso qualche estate da bambino, ma non vi tornava da almeno cinque anni.

«Ho chiesto a Mary Anne di prepararti la camera degli ospiti: è un po' più grande di quella che usavi quando eri piccolo. O vuoi dormire lì?»

Sebastian scosse la testa. «No, va bene quella degli ospiti, grazie».

Senza dire altro suo nonno afferrò i bagagli e li portò in casa, mentre Sebastian si guardava intorno. Doveva ammetterlo: ricordava pochissimo del ranch. Negli anni trascorsi a Parigi non aveva quasi mai pensato a quel posto, se lo faceva ricordava il pony che sua nonna gli aveva regalato e l'altalena che lo zio Frank aveva appeso al ramo di un grosso albero. Chissà se c'era ancora, si chiese. Aveva totalmente dimenticato gli enormi spazi intorno alla casa, la stalla che dava alloggio ad almeno una ventina di cavalli, l'odore nell'aria. Si riscosse quando sentì dei passi alle sue spalle.

«Immagino vorrai riposarti. La camera è al primo piano in fondo a sinistra, se non te lo ricordassi. Ci vediamo a cena, sette e mezza».

Sebastian non rispose, limitandosi ad accettare silenziosamente il consiglio del nonno. Non aveva realizzato quanto fosse stanco, sembrava quasi che le quindici ore di volo si stessero facendo sentire solo in quel momento. Si addormentò non appena toccò il cuscino.

 

Quando Sebastian aprì gli occhi, fuori era già buio. Doveva aver dormito diverse ore. Cercò a tentoni il cellulare, che confermò i suoi sospetti: erano già le dieci, tanti saluti alla cena. Sapeva che suo nonno non lo avrebbe aspettato per mangiare, probabilmente non gli aveva neanche tenuto da parte qualcosa, ma il suo stomaco non era affatto d'accordo con l'idea di saltare quel pasto prezioso. Brontolava sonoramente e, in tutta onestà, Sebastian poteva dire di capirlo: era dalla mattina del giorno precedente che non mangiava qualcosa che poteva definirsi cibo.

Si trascinò fuori dalla sua stanza, attraverso i corridoi silenziosi della casa. Non volava una mosca. Scese le scale in punta di piedi senza sapere perché, in quel momento gli sembrava la cosa più giusta da fare. Non che avesse paura di farsi sentire da suo nonno, che probabilmente si era già addormentato di fronte al televisore, era più un riflesso inconscio.

Quando arrivò in cucina si bloccò di colpo. Si era aspettato di trovarla deserta, a quell'ora anche Mary Anne, la domestica, doveva aver finito di lavorare. Di certo non aveva mai pensato di trovarvi un ragazzo – un bel ragazzo, per giunta – rilassato sulla sedia che era sempre stata sua di diritto. Sebastian lo squadrò: con quella camicia scozzese e gli stivali da cowboy sembrava essere appena uscito da una pubblicità turistica del Texas, gli mancava giusto il cappello. Ci mise appena qualche secondo a individuarlo sulla sedia accanto a quella occupata e, a quel punto, non poté trattenere una smorfia.

«Il cavallo dove lo hai parcheggiato?» Non poté fare a meno di chiedere, la sua voce trasudava ironia.

Il ragazzo si voltò, squadrandolo da capo a piedi. «Fuori dal saloon» rispose con lo stesso tono.

«Sei seduto sulla mia sedia, straniero».

«Vuoi ingaggiare un duello all'ultimo sangue? Sarei libero domani a mezzogiorno».

«Non duello con nessuno prima di saperne il nome. Sai, devo appuntarlo sulla lista delle mie vittorie».

Il ragazzo si alzò scuotendo la testa divertito. «Tu devi essere il nipote di Carl. Io sono Thad, señor. E credo che sarò io a segnarmi il tuo nome».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tanti auguri, Nick! :D

In realtà non è questa grande sorpresa, ma oh, voleva farsi scrivere! Spero che ti piaccia comunque (:

 

Un grazie particolare a Vals, che ha realizzato il magniiiiifico banner (no, scusate, è fighissimo! Ammettetelo!) e che ha letto in anteprima quello che ho scritto per adesso, così come Rin. E ha anche trovato il titolo XD

Ho pronto solo un altro capitolo, poi mistero! Mwahahahaha!

 

Buon compleanno, Nì <36

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Capitolo 2
*** Di galli e di cavalli ***




 

Stava passeggiando per gli Champs-Élysées con Jacques, quel bel ragazzo che aveva conosciuto l'ultima volta che era andato al Louvre, quando un suono irritante iniziò a perforare l'aria. Era insistente, riempiva le sue orecchie in modo tale che non riusciva a sentire quello che Jacques gli stava sussurrando. Sebastian iniziò a guardarsi intorno, stupito che nessuno reagisse a quel rumore. Il profilo del viale alberato andava sfocando, mentre il suono diveniva sempre più acuto e davanti a lui spariva l'immagine dell'Arco di Trionfo. Sebastian tentò disperatamente di non lasciare andare la mano di Jacques, ma quel suono lo attirava sempre più a sé e alla fine lo strappò del tutto dal ragazzo. Aprì gli occhi, impastati dal sonno, ma quel rumore continuava a perforargli la mente. Il suo cervello, ancora intontito, gli suggerì la ragione ma non poteva essere... da quando c'erano galli mattinieri a Parigi? La risposta gli piombò addosso come un macigno: non era più in Francia, ma in un ranch texano dove, ovviamente, di animali ce n'erano in abbondanza.

Si sedette mugugnando insulti verso tutte le circostanze che lo avevano portato lì e che lo avrebbero trattenuto per troppo tempo. Ricordò tutti gli eventi del giorno prima, dal lungo volo intercontinentale al dialogo con quello strano ragazzo in cucina. Decise di focalizzare l'attenzione sul giovane. Doveva avere circa la sua età, ma non avrebbe potuto dire molto altro al suo riguardo. Sapeva il suo nome, certo, ma non si era sbottonato con altri dettagli. Aveva chiamato suo nonno per nome, però, e da quanto sapeva l'uomo permetteva a ben poche persone di rivolgersi a lui come Carl e non come “signor Hill”. Di certo, quindi, suo nonno si fidava di Thad – così aveva detto di chiamarsi. Stava già pensando a come chiedere spiegazioni a suo nonno quando quello spalancò la porta bruscamente.

«In piedi, ragazzo! Qui non si fa la bella vita come da dove vieni tu, preparati in fretta» con la stessa velocità con cui era entrato, Carl se n'era già andato prima che Sebastian potesse ribattere.

Di malavoglia il ragazzo si vestì, prima di scendere per la colazione. Trovò la cucina animata da un chiacchiericcio che lo stupì: credeva che in quella casa vivessero solamente lui, il nonno e Mary Anne. Si diede mentalmente dello stupido quando scoprì chi stava parlando: seduto, di nuovo, sulla sua sedia c'era Thad che discuteva divertito con Carl.

«Buongiorno, señor» lo salutò quello non appena si accorse della sua presenza, fingendo di togliersi un cappello. Sebastian si limitò a rivolgergli una smorfia, prima di sedersi a capotavola.

«Oh, vedo che hai già conosciuto Thad» disse suo nonno, prima di prendere una forchettata di quelle che avevano tutta l'aria di essere uova strapazzate. «Mi aiuta a mandare avanti il ranch».

«Ho avuto questo onore, sì» rispose Sebastian, rifiutando con un gesto della mano il piatto di uova e bacon che gli stava porgendo Mary Anne. In Francia mangiava solo croissant a colazione, l'idea di ingerire quelle cose gli rivoltava lo stomaco.

«Non fare tanto il delicato, ragazzo, ti serve energia. Avrai da faticare oggi. Cosa hai in serbo per mio nipote, Thad?»

A quelle parole Sebastian alzò la testa di scatto. «Scusa?»

Carl sorrise. «Oh, tua madre non ti ha detto che quando abbiamo deciso che saresti stato con me e non con tuo padre ci siamo anche accordati che mi avresti aiutato col ranch? In fondo tutto questo un giorno sarà tuo, ragazzo, devi pur iniziare a capire come tirarlo avanti».

Sebastian sentì la gola secca. Sua madre non gli aveva nemmeno accennato alla possibilità di trascorrere quel mese con suo padre e, in tutta onestà, avrebbe preferito non saperlo.

«E cosa dovrei fare?» Domandò irritato.

«Darai una mano a Thad, ti dirà lui che cosa fare. Oggi devo andare a Austin, tornerò questa sera. Vedi di non fare casini».

Sebastian osservò suo nonno alzarsi e andarsene senza ulteriori saluti. Non che ne aspettasse, suo nonno era fatto così.

«Come hai detto che ti chiami?» Chiese Thad, richiamando la sua attenzione.

«Sebastian».

«Dovrai toglierti quella camicia» Thad indicò l'indumento bianco.

Sebastian ghignò, giocherellando con il primo bottone. «Con piacere. Apprezzo i tipi diretti...»

Thad scoppiò a ridere. «Ti piacerebbe, sì! Ma non la stai togliendo per me, ma per qualcun altro».

«Interessante! Non mi tiro indietro per una cosa a tre».

Thad rise di nuovo, dandogli una pacca sulla spalla mentre si alzava. «Terrò a mente. Ora vai a metterti qualcosa meno da fighetto parigino e raggiungimi in cortile».

Sebastian ghignò, seguendo con lo sguardo il ragazzo che usciva dalla cucina. Proprio come la sera precedente si ritrovò a pensare che Thad sarebbe stato perfetto per qualche servizio fotografico sulla vita in Texas: fra camicia scozzese, stivali e cappello da cowboy gli mancava giusto un lazo fra le mani. Magari lo avrebbe visto più tardi, Sebastian non si sentiva di escluderlo. Inoltre sembrava essere una persona interessante: lo intrigava. Sorrise fra sé, mentre saliva le scale verso la sua camera.

Quando, pochi minuti dopo, Sebastian uscì in cortile ci mise poco ad individuare Thad. Il ragazzo era di fianco alla staccionata che separava la casa dai campi di proprietà di suo nonno, teneva due cavalli per le redini. Thad lo squadrò, scuotendo la testa quando notò la sua maglietta.

«Meno male che dovevi vestirti meno da fighetto parigino».

«L'ho fatto, ma sarò sempre magnifico perché lo stile è parte di me. Non è colpa mia, sono nato così».

«Come la modestia, vedo».

«La modestia è da perdenti. So di essere migliore di tre quarti della popolazione, perché dovrei far finta di niente e mettermi al loro livello?»

Thad alzò un sopracciglio. «Educazione, magari?»

«Io sono educatissimo con le persone che reputo adatte alla mia compagnia» Sebastian rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo, guadagnandosi un'altra occhiata dubbiosa da parte di Thad.

«Se lo dici tu. Vedi di farti andare a genio Zeus, allora, sa come gestire chi non lo tratta con gentilezza».

Sebastian osservò Thad mentre accarezzava delicatamente il muso del cavallo più vicino a lui, totalmente nero. Notò come il ragazzo avesse un'espressione del tutto serena, come se in quel momento non potesse esserci nulla di meglio di quel ranch e di quel cavallo che si muoveva tranquillo sotto il suo tocco. Il pensiero di quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che si era sentito così in pace con il mondo sfiorò la mente di Sebastian, ma il ragazzo lo scacciò come una mosca molesta.

«E cosa dovremmo fare io e Zeus? Scagliare fulmini sulle pecore che scappano?» Domandò con tono annoiato, osservando il cavallo. Era davvero grande, non assomigliava minimamente a quel bel pony che aveva da bambino.

«Quasi» sorrise Thad. «Ci sono da radunare le pecore, vanno portate nel recinto dall'altra parte del ranch. Io starò davanti e tu chiuderai, va bene? Ci sono i cani, ma dovrai comunque darci un occhio. Pensi di riuscirci?»

Sebastian fece una smorfia, guardando Thad come se avesse appena detto l'idiozia del secolo. «A radunare pecore? Non ci vuole Einstein per farlo».

Senza aspettare alcuna risposta, strappò dalle mani dell'altro le redini del cavallo nero. Ignorando gli avvertimenti di Thad, che lo invitava ad avvicinarsi con cautela a Zeus dato che non lo conosceva, Sebastian montò in sella con movimenti rapidi e secchi. Zeus, tuttavia, reagì con la stessa velocità e, appena un attimo dopo, si alzò sulle zampe posteriori e Sebastian cadde a terra con un tonfo sordo. Zeus, ignorando del tutto le lamentele del sedicente fantino, cavalcò tranquillamente verso i campi.

«Stai... bene?» Thad si avvicinò a Sebastian tentando inutilmente di trattenere le risate.

«Sì» bofonchiò quello in risposta.

«Ti avevo detto di andare con calma con Zeus! Sei stato troppo brusco».

Sebastian non rispose, ignorando la mano che Thad gli stava porgendo per aiutarlo ad alzarsi. Posò le mani a terra e immediatamente percepì che qualcosa non andava: il terreno non avrebbe dovuto essere così... morbido e viscido. Capì cos'era successo dall'espressione di Thad: il ragazzo stava davvero tentando di non ridergli in faccia, lo sforzo gli aveva colorato il volto di rosso, ma soprattutto aveva ritirato la mano alla velocità della luce.

«Dimmi che non è successo» sussurrò, sperando che Thad gli dicesse che no, non aveva appena posato le sue mani su escrementi di cavallo, era tutto uno scherzo.

«Non posso, amico. Devi discuterne con Zeus: quello è senza dubbio un suo ricordino!»

«Dannato cavallo! Dannato ranch! Dannato Texas!»

Thad scoppiò nuovamente a ridere vedendo Sebastian dirigersi verso la casa a passo di carica, gesticolando a braccia larghe per impedire che le mani sporche toccassero qualche altra parte del suo corpo. Quel ragazzo era strano, molto più di quanto non gli avesse anticipato Carl. Se non altro, pensò, avrebbe movimentato un po' le sue giornate.

 

Sebastian tornò da Thad solo dopo aver fatto tre docce e disinfettato le mani almeno una decina di volte. L'idea di restare in camera fino all'ora di cena lo aveva stuzzicato, ma era certo che suo nonno sarebbe venuto a saperlo e anche solo l'idea che potesse chiamare sua madre lo innervosiva. Non credeva che Thad sarebbe andato a riferirgli nulla, era come una sensazione inconscia, ma non conosceva abbastanza il ragazzo per poter rischiare. Quando lo raggiunse vide che gran parte delle pecore erano già state portate al recinto, ne rimaneva solo qualcuna che proprio non ne voleva sapere di muoversi.

«Quanti strati di pelle hai rimosso? Cinque o sei?» Gli gridò Thad non appena lo notò. Sebastian si irritò quando vide che il ragazzo sembrava sul punto di ricominciare a ridere.

«Non c'è niente di divertente. È la cosa più disgustosa del mondo e a te sembra normale. Ma come vivete?» Rispose seccato Sebastian. Con sua grande sorpresa, però, Thad non parve minimamente colpito dalle sue parole, anzi, scoppiò a ridere.

«Vieni dalla Francia, Sebastian! Lì mangiano le lumache! Questa è la cosa più disgustosa del mondo!»

«Veramente sono considerate un piatto prelibato» rispose Sebastian, non troppo convinto. Non lo avrebbe mai ammesso, ma fino all'incidente di quel pomeriggio aveva davvero considerato mangiare lumache una delle cose più rivoltanti in assoluto. Ma non c'era bisogno di dare ragione a Thad.

«Anche il caviale, ma sempre di uova di pesce si tratta. No, grazie, meglio una bistecca».

«Non mi sarei aspettato niente di diverso da un texano».

«Cos'hai contro il Texas, ragazzo? È anche la tua terra» la voce di Carl, alle spalle di Sebastian, lo fece sussultare. Si voltò in tempo per vederlo scendere dallo stesso pick-up con cui era andato a prenderlo all'aeroporto.

«Ciao, Carl. Facevamo solo conversazione» si intromise Thad, Sebastian non poteva davvero dire di esserne dispiaciuto.

«Allora, com'è andata? Ha fatto il ragazzino delicato?» Carl continuò a parlare con Thad, facendo appena cenno verso di lui. Sebastian strinse i pugni, detestava quando la gente parlava di lui come se non fosse presente, ma quello aveva poca importanza perché suo nonno stava per scoprire che non aveva praticamente alzato un dito durante tutta la mattina. Se fosse tornato quella sera, come aveva detto, forse avrebbe potuto riscattarsi in qualche modo, ma no, aveva dovuto rientrare in anticipo.

«No» Sebastian strabuzzò gli occhi a quella semplice parola. «No, è stato d'aiuto. Ha solo avuto qualche problema con Zeus, ma niente di grave».

Sebastian tentava di nascondere la sorpresa mentre ascoltava Thad, ma non gli fu possibile. Ringraziò mentalmente le circostanze che lo avevano portato ad essere alle spalle del nonno, era certo che se in quel momento si fosse voltato avrebbe capito dalla sua espressione che Thad stava mentendo. Thad stava mentendo per lui e lo faceva con una tranquillità disarmante. Fece appena caso a suo nonno che si allontanava, tutta la sua attenzione era focalizzata sul ragazzo che aveva davanti.

«Perché l'hai fatto?» Chiese, non appena Carl fu rientrato in casa. Doveva sapere.

«Un semplice “grazie” va bene» rispose Thad, sorridendogli.

«Perché?» Insistette però Sebastian, la determinazione dipinta sul suo volto.

Thad scrollò le spalle. «Non lo so. Immagino perché altrimenti avrebbe chiamato tua madre e tu non sembri entusiasta dell'idea di sentirla».

Sebastian alzò un sopracciglio, fingendo noncuranza. «Sei anche psicologo? Non lo sapevo».

Thad tornò a guardarlo, serio. «Non serve un pezzo di carta per capire che hai problemi con i tuoi: scatti non appena Carl nomina tuo padre e ti fai scuro quando viene fuori tua madre. Non so niente di te, ma so cosa vuol dire avere problemi coi propri genitori».

Prima che Sebastian potesse ribattere, Thad si incamminò verso la casa. Non sembrava arrabbiato, ma Sebastian avrebbe potuto giurare di aver toccato un nervo scoperto. Scosse la testa, avrebbe dovuto ignorare Thad e i suoi problemi. Sarebbe stata la soluzione migliore, ma non riusciva a smettere di pensare alla tranquillità con cui il ragazzo lo aveva sostenuto. Aveva mentito al suo capo e Sebastian conosceva suo nonno, se fosse venuto fuori Thad avrebbe potuto persino essere licenziato, Carl credeva molto nel rapporto di fiducia che aveva con i suoi collaboratori. Non avrebbe dovuto interessargli, in fondo non conosceva nemmeno Thad, ma non poteva negare a se stesso di essere curioso a proposito del ragazzo. Sapeva che se ne sarebbe pentito, ma quando la sua curiosità veniva stuzzicata non c'era modo di fermarlo.

Sebastian sospirò, scuotendo la testa, prima di seguire Thad all'interno della casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chapter two, people! :D

Solito ringraziamento a Vals e Rin che hanno letto in anteprima e contengono le mie pare mentali da “sto mandando Sebastian OOC, vero? Vero che è così? Lo rovinerò, lo so!” XD

Una piccola precisazione, ma neanche così piccola: tutto ciò che so a proposito di ranch l'ho appreso dalle sorelle McLeod, che stanno in Australia e non in Texas, e da qualcosa che ho letto su internet. Quindi sì, scriverò molte stupidate su quello che fanno Sebastian e Thad, chiudete un occhio ;)

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Di canzoni e balle di fieno ***


Erano passate due settimane da quando Sebastian era arrivato al ranch di suo nonno. Era riuscito ad abituarsi al gallo sotto alla sua finestra che, ogni mattina, lo svegliava con ben poca delicatezza. Aveva imparato a convivere coi modi rudi di Carl e aveva ormai preso un buon ritmo con il lavoro. Persino Zeus si era abituato alla sua presenza e gli concedeva l'onore di cavalcarlo, tranne quando era di malumore, in quei casi continuava a disarcionarlo come il primo giorno. In quelle due settimane si era adattato alla vita texana, per quanto gli sembrasse ancora assurdo. Ma ancora Sebastian sentiva di non avere capito tutto di quel luogo: ancora non era riuscito a decifrare Thad.

Da quel primo giorno di lavoro in cui Thad aveva in qualche modo preso le sue difese, i due ragazzi erano stati praticamente sempre insieme. Carl aveva apprezzato che il nipote avesse lavorato e soddisfatto le sue richieste, quindi aveva stabilito che da lì a quando sarebbe partito per l'Ohio Sebastian avrebbe lavorato esclusivamente con Thad. Sebastian non aveva mosso alcuna obiezione, in parte perché l'idea di trascorrere le sue giornate con quel ragazzo misterioso lo stuzzicava, in parte perché avrebbe rischiato di finire a dar da mangiare a dei maiali in compagnia di qualche uomo di Neanderthal, meglio non rischiare. Aveva sperato di riuscire a scoprire per quale motivo Thad non avesse parlato con Carl, ma lui non si era sbottonato e, dopo due settimane, a Sebastian sembrava di non conoscerlo più del primo giorno.

Quel pomeriggio non avevano molto lavoro da fare: le pecore dovevano essere tosate e a quello pensava altra gente, con somma gioia di Sebastian. Si erano così ritrovati a stendersi al sole nella zona più tranquilla del ranch, dove un tempo c'era l'altalena che ricordava Sebastian. Ricordava come lui e sua sorella si nascondessero dietro quegli alti alberi sotto cui adesso era stato sistemato un tavolo da picnic.

«Mangiate spesso qui?» Si ritrovò a chiedere Sebastian. Thad, sdraiato accanto a lui, sollevò il cappello che gli copriva il viso e lo guardò incuriosito.

«No, mai. Carl lo ha fatto mettere per le visite della famiglia, quindi lo usa solamente quando tuo zio Frank viene con sua moglie».

«Ah» rispose semplicemente Sebastian, abbassando il viso ad osservare il terreno. Non ricordava l'ultima volta che aveva mangiato con tutta la famiglia, era probabile che ci fosse ancora sua nonna, mancata sette anni prima. Non vedeva suo zio da allora.

«Non so se dovrei dirtelo, ma penso che tuo nonno sia molto dispiaciuto del fatto che voi non veniate mai. Quando parla di voi...» Thad si interruppe, cercando lo sguardo di Sebastian. «Quando parla di tua madre o di quando tu e tua sorella eravate piccoli ha un'espressione particolare. Nostalgica, direi».

Sebastian scrollò le spalle. «Non è certo colpa mia».

«Non l'ho mai detto».

Sebastian alzò un sopracciglio. «No, ma lo fai capire molto bene. Tu e mio nonno. Come se fosse colpa mia se da un giorno all'altro ci siamo trasferiti a Parigi!»

Thad sorrise, cercando di calmare l'irritazione di Sebastian. «È stata colpa tua, però, l'essere diventato un fighetto di città».

«Magari mi sono stancato» ghignò Sebastian, osservando Thad. «Magari non voglio più avere a che fare con gente dell'alta società, forse mi sono stufato dei miei giocattolini altolocati».

«Uptown girl! She's been living in her uptown world, I bet she's never had a backstreet guy, I bet her mama never told her why...» Thad iniziò a cantare, riconoscendo in parte le parole pronunciate da Sebastian. Con sua grande sorpresa l'altro ragazzo sorrise, seguendolo.

«I'm gonna try for an uptown girl! She's been living in a white bread world, as long as anyone with hot blood can...»

«And now she's looking for a downtown man, that's what I am!»

Sebastian notò che Thad cantava con un gran sorriso in volto. Lo aveva già visto felice, naturalmente, ma mai come in quel momento: sembrava quasi che vivesse per quel momento. Il sorriso non abbandonava mai le sue labbra, né i suoi occhi: Sebastian doveva ammettere che non era mai stato tanto affascinante come in quel momento.

«And when she knows what she wants from her time, and when she wakes up and makes up her mind...»

Sebastian amava cantare. A Parigi aveva persino seguito un corso di canto con grande dedizione, salvo non presentarsi al saggio finale della scuola. Non che avesse avuto paura del palcoscenico, anzi, era piuttosto certo che avrebbe buttato giù la sala a suon di applausi, semplicemente non aveva voluto. Il canto era quel mondo in cui andava a rifugiarsi quando aveva bisogno di staccare la spina, il suo antistress, un luogo dove solo Sebastian Smythe poteva entrare. Il fatto che in quel momento stesse cantando senza alcuna remora insieme a Thad aveva quasi dell'assurdo, ma in qualche modo non lo sorprendeva. Voleva solo continuare la canzone, lasciarsi trasportare dal gran sorriso di Thad e dimenticare Parigi, sua madre e tutto il resto.

Quando la canzone, inevitabilmente, finì i due rimasero in silenzio per qualche minuto. Thad iniziò a giocherellare con il cappello, mentre Sebastian non riusciva a distogliere lo sguardo dal tavolo da picnic poco lontano.

«Non sapevo sapessi cantare» fu Thad a rompere il silenzio. Sebastian si voltò verso di lui, un sorriso ironico a increspargli le labbra.

«Nemmeno io, se per questo. Non fai così schifo».

Thad scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «Lo so! Non faccio affatto schifo. Sappi che non riuscirai a farmi credere il contrario, Jeff ci prova da una vita e ancora non ha avuto successo».

Sebastian sussultò, sorprendendosi appena un'istante dopo di quella reazione così insolita. «...Jeff?»

Thad annuì, sorridendo. Sebastian strinse i pugni, per poi mordersi la lingua per l'assurdità dei suoi stessi comportamenti. Aveva visto Thad sorridere per le cose più svariate, non ultima una canzone, non vedeva per quale motivo quella volta dovesse essere diverso.

«Jeff, sì. È il mio migliore amico, facciamo entrambi parte del Glee Club della nostra scuola».

Sebastian ignorò la conclusione di Thad, concentrandosi esclusivamente sulle prime parole, mentre si sentiva all'improvviso più rilassato. Quand'era che aveva artigliato il bordo della sua maglia?

«Il tuo migliore amico?»

Thad annuì. «Da anni. È un completo idiota! Dovresti conoscerlo, scommetto che riuscirebbe a toglierti quel sorrisetto da schiaffi e a farti fare una vera risata!»

«Sembra un tipo interessante» il tono era abbastanza piatto, ma Thad lo ignorò. Non aveva smesso un attimo di sorridere da quando questo fantomatico Jeff era entrato nella loro conversazione.

«Decisamente! È una forza della natura. Adesso che c'è Nick, poi, è impossibile fermarlo... Oh, scusa. Nick è il suo ragazzo» spiegò, notando l'espressione confusa di Sebastian. «È arrivato a scuola l'anno scorso e ha subito legato con Jeff. Parola mia, non ho mai visto due persone avvicinarsi così in fretta come loro. Il giorno prima non sapevano nemmeno dell'esistenza l'uno dell'altro, quello dopo erano inseparabili».

Sebastian lo guardò confuso. «Quindi, aspetta... Questo Jeff è il tuo migliore amico, quindi facevate tutto insieme, giusto? Poi è arrivato questo Nick e ha iniziato a stare lui con Jeff?»

«Non è proprio così, ma ecco...»

«A me sembra abbastanza semplice: ti ha rubato il tuo migliore amico. Dovresti riprendertelo» Thad scoppiò a ridere e Sebastian lo guardò sinceramente dubbioso. Il suo ragionamento aveva senso, eccome se ne aveva.

«Non funziona così, Sebastian. Non è una cosa alla “prenderò ciò che è mio con il fuoco e con il sangue”».

«Certo che no, tu non sei un Targaryen. Dovresti ossigenarti i capelli prima di poter anche solo pensare di esserlo».

«Non ti facevo fan di Game of Thrones, sai? Se si guardano i capelli, poi, è Jeff il Targaryen».

«Biondo?»

Thad annuì. «Comunque non mi dà fastidio che trascorra il suo tempo con Nick. Forse all'inizio ero un po' geloso, ma nulla di importante. Jeff se lo merita, è un bravo ragazzo. Inoltre Nick lo rende felice».

Sebastian fece una smorfia. «Che discorso buonista».

«Non è vero...» Sebastian non riusciva a decifrare l'espressione di Thad, sembrava quasi preoccupato. «Non è questione di essere buonisti, davvero. Voglio dire: quando tieni a una persona, quando ci tieni davvero, l'unica cosa che vuoi è che sia felice. Un po' come fanno le madri, no?»

«Non credo sia una verità universale» rispose secco, tornando a rivolgere lo sguardo al tavolo da picnic poco lontano.

«Dovrebbe. E tu dovresti parlare di tua madre, visto che ti turba così tanto».

Sebastian gli rivolse un'occhiata carica di rabbia, Thad poteva quasi tastare l'astio. «Non mi turba affatto e, ad ogni modo, non sono affari tuoi».

«No, certo! Non hai nessun problema con lei, non diventi il re del silenzio non appena Carl o qualcun altro la nomina! Non vorresti staccarmi la testa solo per aver tirato fuori il discorso. No, certo».

«Non ti staccherei mai la testa: quando stai fermo e zitto, sai essere un bel vedere» ghignò, ma Thad poteva ancora vedere la rabbia nel suo sguardo nonostante l'ironia. «Ora, se hai finito di fare lo strizzacervelli e vuoi renderti utile in altro modo, bene, altrimenti torna a tosare pecore».

Thad lo osservò alzarsi ed allontanarsi. Camminava tranquillo, all'apparenza, ma poteva vedere come stringesse i pugni con forza. Si sorprese di come fosse arrivato a notare quei dettagli in una persona che conosceva da così poco tempo, eppure non aveva avuto difficoltà a capire il linguaggio corporeo di Sebastian: intuiva quando era arrabbiato, quando era stanco, quando era turbato, ma ancora non aveva trovato un modo per interagire con lui. Si morse il labbro, irritato: odiava la frustrazione che provava per non essere capace di legare con il ragazzo, non avrebbe mai dovuto essere così. Non avrebbe mai dovuto preoccuparsi.

 

Thad arrivò in cucina quasi correndo, sapendo come Carl detestasse i ritardi per la cena. Era un uomo molto preciso e detestava perdere del tempo prezioso per colpa di altri. Aveva imparato a sue spese che ritardare ad un pasto con l'uomo voleva dire mangiare da soli: Carl Hill non aspettava nessuno. Si sorprese, quindi, quando trovò la tavola ancora sparecchiata. Carl era seduto al suo solito posto e si massaggiava le tempie.

«Carl?» Domandò, dubbioso. L'uomo gli rivolse un'occhiata veloce.

«Ah, Thad. Siamo in ritardo per la cena. Mio nipote non dà segno di vita e Mary Anne è preoccupata. Pensavo che fosse cambiato, che avesse imparato qualcosa, invece è lo stesso ragazzino viziato di prima...»

Thad sussultò: Sebastian non era ancora tornato? Erano passate ore da quando l'aveva visto l'ultima volta. Doveva essere davvero arrabbiato per non rientrare a casa, sapendo che suo nonno avrebbe potuto reagire male. Si morse il labbro, decidendo rapidamente.

«Che idiota che sono!» Si passò una mano sulla nuca, come sempre quando era a disagio. A Carl non sfuggì il gesto.

«Che hai fatto?»

«Avrei dovuto riferire a Mary Anne che io e Sebastian non mangiamo qui stasera, ma me ne sono dimenticato. Ero venuto appunto a prendere dei sandwich...»

«Cosa vuol dire che tu e Sebastian non mangiate qui?» L'espressione di Carl, da tesa, si fece divertita. L'uomo si voltò verso di lui, sorridendo complice. Thad non capì immediatamente, ma quando realizzò arrossì di colpo.

«Cos- No! No, Carl, non è quello che pensi! No!»

Carl scoppiò a ridere, battendogli ripetutamente una mano sulla spalla. «Su, ragazzo, smettila di arrossire come una scolaretta! So bene che mio nipote è un bel ragazzo e, fra tutti quelli che potrebbe portarmi a casa, di te non mi lamenterei affatto».

«No, davvero! È una bella serata, si vedono bene le stelle...» Improvvisò Thad, tentando di ignorare il calore che sentiva crescere sulle guance.

«Romantico!»

«...Ha detto che doveva fare non so che ripasso di astronomia, così ho deciso di approfittarne anch'io. Manca poco alla scuola» lasciò cadere la battuta di Carl, ma l'uomo continuava a guardarlo divertito.

«Certo, certo. Come vuoi tu. Le regole le sai: non si fa niente dentro casa e quando rientri chiudi a chiave. Divertiti, ragazzo, e dì a mio nipote che approvo la sua scelta».

Se possibile, Thad arrossì ancora di più. Salutò rapidamente Carl e si precipitò fuori di casa, lontano dalle battute del suo datore di lavoro. Battute infondate, oltretutto, perché fra lui e Sebastian non c'era nulla di più di un pacifico rapporto di lavoro. Coesistevano, magari con qualche dialogo un po' spinto e un'ironia pungente, ma non c'era nulla di più di una semplice convivenza. Non poteva nemmeno definirlo suo amico, deciso com'era a non farsi conoscere da Thad. Bastava vedere come si era comportato quella sera: pur di non parlare era sparito nel nulla per ore e ore, costringendolo a mentire per lui. Si morse il labbro, doveva essere onesto, almeno con se stesso: Sebastian non gli aveva mai chiesto di coprirlo con suo nonno, quella era già la seconda volta che lo faceva di testa propria.

Sellò rapidamente Zeus, sperando che la cavalcata lo aiutasse a schiarirsi la mente e a dimenticare l'imbarazzante dialogo appena avuto con Carl. Gli fu subito chiaro che non sarebbe stato così: ad ogni passo gli tornavano in mente momenti in cui aveva preso le parti di Sebastian, in cui aveva scherzato, riso con lui. Si era giustificato dicendosi che era il nipote del suo capo, era praticamente obbligato a trovarlo simpatico, ma la preoccupazione che gli stava annodando lo stomaco non faceva parte del pacchetto. Non poteva più negarlo: Sebastian era sparito da ore e lui stava per dare di matto.

«Come hai fatto a trovarmi?»

La voce lo fece sussultare. Alzò lo sguardo dalle redini e notò che era arrivato al punto estremo della proprietà, la staccionata di confine era solo pochi metri più avanti. Era così impegnato a pensare che non si era neanche accorto che Zeus lo stava conducendo dritto alla sua meta. Sorrise: era naturale, Zeus era ormai il cavallo di Sebastian.

«Zeus» rispose infatti, scendendo dal cavallo e accarezzandogli il muso.

«È bello sapere che chi mi conosce meglio è un cavallo» ribatté Sebastian, alzando un sopracciglio, prima di tornare a sdraiarsi a terra.

«Non dire cazzate, ti avrei trovato comunque» Thad gli si sedette accanto, passandogli un sandwich e una bottiglietta d'acqua. «La prossima volta che vuoi fare escursioni avvisa, Mary Anne stava impazzendo».

Sebastian roteò gli occhi. «Certo, la cameriera».

«Governante. E anche tuo nonno, lui era... preoccupato».

«Sicuro, e gli asini volano. Probabilmente aveva già composto il numero di mia madre».

Thad si morse l'interno della guancia, deciso a non rivelare ciò che gli aveva detto Carl. «Pensi troppo male di lui».

«E cosa avrebbe detto?» Sebastian rise istericamente, fissando Thad come sfidandolo a rispondere.

«Di riferirti che hai buon gusto» disse dopo qualche istante, sorridendo. L'altro lo guardò confuso.

«E perché mai?»

«Ti ho coperto» spiegò. «Gli ho detto che mi ero dimenticato di riferire a Mary Anne che stasera avremmo mangiato fuori per vedere le stelle».

«Romantico» ghignò Sebastian. Thad sorrise nuovamente.

«Proprio quello che ha detto lui. A quanto pare è convinto che stiamo insieme o qualcosa del genere» rispose divertito, godendosi l'espressione stupita di Sebastian.

«A questo posso credere, dopo tutto so che vorresti dargli ragione... Chi non vorrebbe, visto che si tratta di me? Solo che mio nonno non direbbe mai che ho buon gusto».

Thad rise, alzando le mani in segno di sconfitta. «Okay, okay! Ha detto che “approva la tua scelta”».

«Questo mi torna già di più. Non pensavo che fosse diventato così... aperto».

Thad abbassò lo sguardo, lasciando che il silenzio calasse fra loro per qualche istante. La sua mente fu presa dai ricordi degli ultimi due anni, dagli eventi che erano successi. Sospirò, pensando che era giunto il momento: non sapeva se fosse giusto parlarne con Sebastian, visto che lui stesso era turbato da qualcosa, ma sapeva che aveva bisogno di parlare.

«Forse non lo era un tempo, non lo so, ma da quando sono qua io è sempre stato notevolmente aperto» Sebastian gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma rimase in silenzio, come ad invitarlo a continuare. «Mio padre lavorava qui, anche se dubito che tu te ne possa ricordare. Aveva un ruolo importante, Carl si fidava di lui. Poi, due anni fa, è cambiato tutto. Ho fatto coming out a casa...»

«Cosa? Mi stai dicendo che sei veramente gay?» Sebastian si sedette di scatto, fissando Thad come se gli avesse appena detto che era un alieno proveniente da Marte. L'altro scoppiò a ridere.

«Sono bisessuale. Pensavo l'avessi capito».

«Il mio gaydar dev'essere fuori uso» constatò Sebastian, facendo sorridere Thad.

«Forse deve solo riadattarsi alla gente americana».

«Forse... Mi piace questo risvolto nella storia, Drover. Potrebbe risultare piacevole...»

Thad scoppiò a ridere. «Certo, señor. Mio padre non reagì così bene quando glielo dissi...» Abbassò nuovamente lo sguardo, mordendosi il labbro. «Urlò e si arrabbiò, dovette intervenire mia madre. Gli disse che ero suo figlio, che doveva accettarmi, e in risposta lui se ne andò. Uscì sbattendo la porta e non tornò più. Quando venni a chiedere a tuo nonno se sapeva qualcosa lui mi disse che mio padre era passato a dare le dimissioni, fu allora che capii che non sarebbe più tornato. Chiesi a tuo nonno di assumermi – a casa serviva uno stipendio – e da allora l'estate lavoro qui. Dopo qualche mese da quell'avvenimento Carl mi chiese cosa fosse successo, glielo dissi e ricordo che non fece una piega alla mia confessione. Mi disse solo: “con chiunque tu ti metta, in questa casa non si fa niente”» sorrise, Carl gli aveva ricordato quelle parole proprio quella sera.

«Potremmo farci beccare da mio nonno mentre ci rotoliamo fra le balle di fieno... Tecnicamente la stalla non fa parte della casa».

«Sebastian!»

Per la prima volta in quelle due settimane, Thad vide Sebastian ridere. Lo aveva visto sogghignare, sorridere, persino mordersi le labbra per non dargli la soddisfazione di ridere ad una sua battuta, ma mai lo aveva visto così. Stava ridendo apertamente, del tutto rilassato e a suo agio accanto a lui. Forse Carl aveva ragione, forse Sebastian era cambiato, o forse aveva solo ricominciato a essere se stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E anche il (un?) capitolo un po' più serio è andato...

Capitolo di citazioni! Che non specificherò perché voglio vedere chi le coglie, muahahhahaha! No, in realtà una è canon, una è già specificata e l'altra sono davvero curiosa di vedere se la prende qualcuno. Lo dirò nel prossimo capitolo, promesso XD

Parlando di prossimo capitolo... Sono un po' in blocco, quindi non so se arriverà presto, farò il possibile (:

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Capitolo 4
*** Di asini reali e cieli stellati ***


Sebastian era stato svegliato in molti modi: aveva provato le grida in casa, le carezze di qualcuno, il semplice suonare di un orologio, persino un gallo; mai, però, il suo risveglio era stato così umido. Stropicciò la bocca mentre tentava di aprire gli occhi ancora impastati dal sonno, quando vi riuscì ci mise qualche secondo a capire cosa stesse succedendo: sopra di lui, Zeus gli stava leccando il viso. Saltò a sedere di scatto, facendo nitrire il cavallo, preso di sorpresa.

«Oh, sta' zitto, mi sono spaventato di più io!» Borbottò, tentando di ripulirsi la faccia più che poteva.

Da quando era arrivato al ranch, di certo quello era stato il risveglio più assurdo di tutti. Com'era stato possibile, poi? Non credeva che i cavalli sapessero fare le scale. Sebastian scosse la testa non appena si rese conto di aver formulato quel pensiero, assurdo anche per i suoi standard mattutini. Il suo cervello ci mise qualche secondo per ingranare, ma fu il male alla schiena a riportarlo alla realtà: solo dormire per terra avrebbe potuto ridurlo in quello stato e, sì, decisamente era quello il caso. Si voltò in cerca di qualcosa che gli potesse ricordare perché si trovasse lì e il suo sguardo cadde su qualcuno: sdraiato accanto a lui, un braccio allungato sulle sue gambe, Thad stava ancora dormendo profondamente. In un attimo gli tornò in mente tutto: la chiacchierata con il ragazzo, la cena sotto le stelle e come avessero parlato fino ad addormentarsi. Ricordò quanto avesse riso, quanto gli fosse venuto spontaneo farlo... Poteva dire con tranquillità che non passava una serata del genere con un ragazzo – solo divertendosi, senza secondi fini – da parecchio, troppo tempo. Si fermò qualche istante ad osservare l'espressione rilassata sul volto di Thad, che sorrideva nel sonno. Sembrava che stesse dormendo su un materasso di piume invece che sul duro terreno. Sebastian si ritrovò a sorridere a sua volta, prima di abbassarsi verso il ragazzo.

«Sveglia, bell'addormentato» gli sussurrò nell'orecchio. Sentì Thad muoversi appena.

«Mmm».

«Il sole è alto nel cielo, gli uccellini cinguettano...» Continuò, senza spostarsi di un millimetro. Thad si limitò a mugugnare lamenti. «E se non apri gli occhi ti leccherò la faccia come ha fatto Zeus con me».

A quelle parole, Thad strabuzzò gli occhi. «Sebastian?»

Il ragazzo in questione scosse la testa. «No, Biancaneve».

Thad si puntellò sui gomiti, tirandosi su quanto bastava per arrivare a fronteggiare il volto dell'altro. «Spiegherebbe tutto questo feeling con gli animali... Hai provato a parlare coi cerbiatti?»

Sebastian ghignò. «Sto parlando con un asino in questo momento».

«Ehi!» si lamentò Thad. «Ti ricordo che sono il tuo superiore, anche se sei il nipote del capo».

Sebastian alzò le mani in segno di resa, ma senza smettere di ghignare. «Quale affronto! Ti ho privato della tua posizione in questo magnifico regno».

A quell'affermazione Thad si tirò a sedere del tutto. «Esattamente. Non mi farò dare dell'asino da te, Sebastian, a meno che tu non voglia passare la tua giornata a spalare ricordini di Zeus... Ehi, dove stai andando?» Il ragazzo se ne stava infatti andando, apparentemente non ascoltando le parole di Thad. «Sebastian! Dai, non fare l'offeso! Non andartene!»

«...Da te?» Sebastian si voltò a fissarlo, di nuovo aveva un ghigno dipinto sulle labbra. Thad si ritrovò a pensare che quella fosse la sua espressione quotidiana, talmente sembrava naturale.

«Oh, grazie al cielo, iniziavo a pensare che fossi sordo, oltre che muto» ribatté, incrociando le braccia al petto. Se possibile, il ghigno di Sebastian crebbe.

«Te l'ho detto: sei un asino, solo che non pensavo fossi uno di quelli reali...»

Approfittando della sorpresa di Thad, evidente dalla sua espressione, Sebastian tornò ad incamminarsi verso la casa. Dall'altezza del sole – da quando aveva cominciato a osservarla? Aveva decisamente trascorso troppo tempo in quel posto – erano già in ritardo. Non sarebbe mai riuscito a evitare un rimbrotto di Carl, tanto valeva affrettarsi e riuscire a mangiare qualcosa per colazione. Sentì Thad affrettarsi alle sue spalle, probabilmente dopo aver fatto il suo stesso ragionamento, e un attimo dopo gli camminava di fianco.

«Andiam, andiam, andiamo a lavorar...» Lo sentì canticchiare e dovette mordersi un labbro per non scoppiargli a ridere in faccia. Thad non disse nulla, ma a giudicare dal suo sorriso doveva essersene accorto.

 

Thad entrò in cucina praticamente correndo, subito seguito da Sebastian, che quasi lo fece cadere quando gli andò a sbattere contro. Thad si era, infatti, bloccato appena un passo dopo la porta, notando Carl ancora seduto al tavolo. Guardò rapidamente l'orologio, pensando di aver sbagliato i calcoli, ma erano davvero le nove e Carl stava davvero sorseggiando una tazza di caffè. Cercò lo sguardo di Sebastian, trovandolo confuso quanto il suo. Vide il ragazzo scrollare le spalle, prima di spingerlo leggermente per poter entrare nella stanza.

«Buongiorno, nonno» disse con estrema tranquillità, prendendo una tazza e versandosi del caffè come se nulla fosse diverso da tutte le mattine. Lo imitò, ma i suoi gesti furono decisamente più nervosi.

«Sebastian, Thad... Avete dormito bene?» Carl stava ghignando esattamente come Sebastian aveva fatto poco prima. Thad gelò sul posto, capendo quale fosse il punto della domanda. Di nuovo si ritrovò a cercare lo sguardo di Sebastian, che però lo stava ignorando.

«Magnificamente» rispose, imitando l'espressione dell'uomo. Se Thad non avesse saputo che quei due erano nonno e nipote lo avrebbe di certo capito in quel momento: erano identici.

«E immagino che abbiate riposato a dovere...» Continuò Carl, quasi ammiccando. Thad arrossì di colpo: non era mai stato particolarmente timido, ma c'erano cose di cui proprio non poteva parlare con chiunque, soprattutto non con il suo capo. E anche se non erano vere, certo, come in quel caso.

«Mai riposato così bene, non negli ultimi mesi...» Rispose Sebastian, rivolgendogli un'occhiata eloquente. A quel punto Thad si riprese, scuotendo la testa con forza.

«No, no, no! Abbiamo solo parlato e guardato le stelle! Nient’altro!»

«The stars at night are big and bright, deep in the heart of Texas!» canticchiò Carl, prendendo di sorpresa entrambi i ragazzi, che lo guardarono stupiti. «Che c'è? Pensavate di essere gli unici a saper cantare? Tu, ragazzo, da chi credevi di aver preso? Decisamente non da quell'anima arida di tuo padre».

Istintivamente Thad si voltò verso Sebastian, preoccupato di come potesse reagire, ma lo trovò inespressivo. Lo vide scrollare le spalle con noncuranza, prima di tornare a bere il caffè. Carl ignorò il suo silenzio e si alzò come se nulla fosse successo.

«Vi voglio fuori fra dieci minuti» disse, prima di uscire e lasciarli soli.

Thad osservò l'uomo allontanarsi, le sue ultime parole continuavano a ripetersi nella sua testa, quasi obbligandolo a chiedere a Sebastian spiegazioni. Si voltò verso il ragazzo, che stava facendo colazione come se Carl non avesse detto nulla. Appariva del tutto tranquillo.

«Non ti dà fastidio che parli così di tuo padre?» gli chiese alla fine, troppo curioso per potersi trattenere. Sebastian alzò appena lo sguardo, non cambiando minimamente espressione.

«Perché dovrebbe?»

«Non ne parla proprio benissimo... Ed è tuo padre» Thad era colpito dalla decisione che vedeva sul volto di Sebastian, dalla fermezza delle sue parole.

«A te importerebbe se dicessero qualcosa su tuo padre?» Sebastian lo fissò dritto negli occhi e Thad tentennò: gli sembrò quasi che quegli occhi verdi gli scavassero la mente.

«Beh... No... Ma è diverso...»

Sebastian si alzò in piedi di scatto, facendo sussultare Thad. «Non sai niente di me, non puoi sapere se è diverso».

Thad non poté fare a meno di mordersi la lingua, incapace di rispondere alle parole dell'altro. Aveva ragione, lo sapeva: aveva capito che Sebastian aveva dei problemi con i genitori, ma aveva sempre dato per scontato che le loro situazioni fossero diverse. Totalmente diverse. Ma non era la consapevolezza di aver sbagliato a bloccare Thad su quella sedia, incapace di aprire bocca, ma la reazione di Sebastian. Lo conosceva da poco, ma in quelle due settimane mai era scattato in quel modo. Carl faceva spesso capire quanta poca stima avesse di suo genero e ogni volta Sebastian rimaneva in silenzio, del tutto inespressivo, come poco prima. Thad osservò il ragazzo dirigersi a passo spedito verso l'uscita, senza mai voltarsi a guardarlo, e all'improvviso capì. Capì che a Sebastian non interessava che suo padre venisse insultato, che sua madre non fosse mai al suo fianco, a quello era abituato... Fin troppo abituato. Ciò che lo destabilizzava, intuì Thad, era avere qualcuno che stesse dalla sua parte.

Quando raggiunse Sebastian al recinto delle pecore aveva ormai maturato un piano: poteva aver dedotto le cose più sbagliate, Sebastian poteva semplicemente essere la persona insopportabile che era stata nella maggior parte di quelle due settimane, ma Thad avrebbe almeno provato a grattare sotto quella superficie. Forse non sarebbe servito a nulla, forse Sebastian sarebbe ripartito esattamente come era arrivato, ma doveva tentare: lo doveva a quel ragazzo a cui aveva confidato per la prima volta la sua storia.

 

Sebastian aveva evitato Thad il più possibile quel giorno. Avevano lavorato insieme, certo, ma aveva mantenuto un mutismo inattaccabile per tutta la giornata. Thad aveva provato a parlargli, ma non aveva mai ottenuto neanche una sillaba in risposta. Aveva pensato che prima o poi si sarebbe stancato, ma il ragazzo era perseverante: aveva continuato a porre le domande più svariate per tutta la giornata, probabilmente pensando di prenderlo per sfinimento. Non c'era riuscito, ovvio, non bastava così poco per far crollare Sebastian Smythe.

Eppure Sebastian era turbato. Nel silenzio e nella tranquillità di quello che aveva scelto come suo rifugio, poteva ammettere a se stesso di essere stato sul punto di dire qualcosa a Thad. Solo per metterlo a tacere, aveva pensato, ma subito si era accorto che non sarebbe stata una buona idea: nel corso degli anni Sebastian aveva costruito una diga attorno a quei pensieri, a quei sentimenti che ora premevano per uscire. Thad era andato a risvegliarli e Sebastian sapeva che se avesse abbassato la guardia anche solo per un attimo non sarebbe più riuscito a fermarsi: tutti quei pensieri sarebbero venuti fuori come un fiume in piena, tanti saluti a quel muro che aveva costruito per non doverli affrontare. Sebastian non poteva permetterlo, non dopo tutti gli sforzi che aveva fatto. Thad, tuttavia, continuava a fare domande, a preoccuparsi, e la sua forza di volontà tentennava ogni volta che il ragazzo gli chiedeva qualcosa.

Sussultò quando gli cadde qualcosa in testa. Dopo un breve attimo di confusione, si accorse che si trattava di un panino: Thad era in piedi dietro di lui, sorridente, con in mano la cena come la sera precedente. Fece una smorfia, doveva immaginare che sarebbe comparso prima o poi.

«L'ho capito che non vuoi parlare, tranquillo» gli disse Thad prima che lui potesse aprire bocca. «Ma ti serviva una copertura per non tornare a casa. Mary Anne aveva già preparato un cestino... Ormai ci danno per fidanzati».

«Ti piacerebbe» commentò atono Sebastian, ignorando Thad che gli si sedeva accanto e iniziava a mangiare.

«Saresti tu quello fortunato».

Sebastian non rispose, lasciando che il silenzio cadesse fra loro. Non fu un problema finché non finirono la cena, ma il ragazzo sapeva che Thad non amava i silenzi come quello, carichi di tensione, che lo mettevano a disagio. Riusciva sempre a romperli, in qualche modo.

«Senti, Sebastian...» Iniziò a dire, infatti. «Io non ti obbligherò a dire niente, ma se decidessi di smettere di fare lo stronzo e di decidere di sfogarti io sono qui. E solamente Zeus saprebbe quello che ci siamo detti».

«Quanta grazia...» Ribatté con acidità, pur sapendo che non era necessaria. Thad non lo avrebbe giudicato né altro, lo vedeva dal suo sguardo, ma non era così semplice come voleva fargli credere il ragazzo. Anzi.

«Come ti pare. Io ho davvero un compito di astronomia da svolgere, quindi starò comunque qui. Sta a te decidere».

Senza aggiungere altro, Thad si sdraiò accanto a lui e si mise ad osservare il cielo stellato. Sebastian lo imitò per qualche minuto, ma più che dalle stelle il suo sguardo sembrava essere attratto dal ragazzo che aveva di fianco. Si ritrovò a guardarlo a intermittenza, ogni volta imponendosi di non tornare a fissarlo e ogni volta fallendo. Riuscì a scorgere un sorriso sulle labbra di Thad e fu certo che quella sarebbe stata la fine della quiete, ma il ragazzo non disse nulla. Era sicuro che Thad non sarebbe riuscito a mantenere il silenzio per più di dieci minuti, eppure dopo un'ora nessuno dei due aveva ancora aperto bocca. A Sebastian costava ammetterlo, perfino a se stesso, ma avrebbe preferito un blaterare senza senso al nulla: quel silenzio, quell'ambiente, davano troppo incoraggiamento ai suoi pensieri, che ora si rincorrevano nella sua mente senza sosta. Continuavano a scontrarsi contro quella barriera che lui stesso aveva costruito, ma che stava cedendo sempre più rapidamente. Era colpa di Thad, lo sapeva, erano state le sue stupide parole e la sua stupida confessione a mettere in moto tutto quello. Se si fosse fatto gli affari suoi, se lo avesse ignorato come tutti a quel punto Sebastian non sarebbe stato preso dai dubbi. E non sapeva come uscirne, non riusciva a pensare a un modo per far tornare tutto come prima.

«Sei nervoso per la scuola nuova?» La voce di Thad lo fece sussultare. Si ritrovò a sorridere perché alla fine aveva avuto ragione: Thad non sapeva proprio stare nel silenzio.

«No» rispose sinceramente. Thad si voltò a guardarlo, palesemente sorpreso.

«Nemmeno un po'? Quanti anni sono che non studi in America? Sarà stato diverso a Parigi...»

Sebastian scrollò le spalle. «Andavo in una scuola americana, funzionava esattamente come qui. Solo so meglio il francese».

Thad appariva ancora dubbioso. «Io non penso sarei così tranquillo. Ci sarà solo gente sconosciuta, sarai in collegio...»

«Meglio. Un nuovo inizio, un taglio netto... Poi è un collegio maschile, non so se mi spiego» nel pronunciare quelle parole, Sebastian ghignò, facendo ridere Thad.

«Sei incorreggibile».

«È per questo che mi amano, il fascino del conquistatore» alzò le mani come a rivendicare la propria innocenza, come se non fosse stato lui a crearsi un profilo del genere. Thad alzò un sopracciglio e Sebastian capì immediatamente che non era affatto convinto delle sue parole.

«Mi piacerebbe vederti all'opera, signor conquistatore».

A quelle parole Sebastian ghignò, avvicinandosi lentamente a Thad, che continuava a guardarlo con aria di sfida. Si fermò solo quando i loro visi furono vicini, separati da appena qualche centimetro, tanto che Sebastian poteva sentire il respiro di Thad.

«Oh, vorresti essere conquistato?» Gli sussurrò all'orecchio. Thad portò una mano sul suo petto, lasciandola vagare per qualche istante, giocando con i bottoni della camicia. Quando quella stessa mano lo allontanò, Sebastian strabuzzò gli occhi.

«Credo che tu debba aggiornare le tue tecniche di seduzione, señor. Questo non basta» gli disse divertito Thad, prima di tornare a sdraiarsi, fissando lo sguardo sulle costellazioni.

«Sei tu che non sai apprezzare la bellezza, Drover».

Thad scoppiò a ridere. «Non siamo in Australia, señor, non citare film a caso. È già la seconda volta».

«Oh, abbiamo un fan di Hugh Jackman!» ribatté divertito Sebastian. «In effetti tu non gli assomigli affatto. La scena della doccia con te sarebbe veramente pessima».

«Pessima?» Thad lo stava guardando come sfidandolo a ripetere l'offesa. Sebastian ghignò.

«Assolutamente orribile».

Sebastian vide Thad alzarsi di scatto e allontanarsi verso la piccola stalla a pochi metri da dove si erano accampati. Provò a richiamarlo, ma il ragazzo lo ignorò. Uscì solamente dopo diversi minuti, portando fra le braccia un grosso secchio. A colpire Sebastian, però, fu il petto nudo di Thad: il ragazzo si era, infatti, tolto la camicia. Sebastian ebbe solo qualche istante per osservare la figura di Thad, i suoi muscoli perfettamente definiti e dei pettorali davvero niente male. Si prese a sberle mentalmente quando percepì lo stomaco annodarsi: non era la prima volta che vedeva un ragazzo a petto nudo, anzi, cos'era quella reazione da ragazzina?

«Nessuno mi sfida in questo modo, señor» gli disse Thad, lanciandogli addosso la camicia. Sebastian l'afferrò al volo, tentando di riprendersi da quell'attacco di ormoni da tredicenne. Thad, di certo, non gli venne in aiuto: dopo avergli lanciato l'indumento, infatti, aveva preso in mano il secchio e Sebastian aveva capito immediatamente cosa stava per fare.

«Thad...» Tentò di fermarlo, ma il ragazzo gli rivolse un sorriso di sfida e lo ignorò del tutto.

Il cervello di Sebastian quasi urlò quando Thad si rovesciò addosso tutta l'acqua contenuta nel secchio, bagnandosi completamente. Sebastian avrebbe voluto dire qualcosa, commentare la scena con qualche uscita acida delle sue, ma qualsiasi suo pensiero si era spento alla vista dei capelli gocciolanti di Thad.

«Sempre pessima?» Rise Thad, avvicinandoglisi. Gli prese la camicia dalle mani, non senza lottare dato che l'aveva praticamente artigliata, e iniziò ad asciugarsi il viso.

«Oscena, Thad. Sei un attore orribile» rispose Sebastian, meno sferzante di quanto avrebbe voluto. Non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per capire che Thad stava sorridendo.

«Sì, certo... Come dici tu».

Sebastian non rispose, lasciando Thad a gongolare per aver avuto l'ultima parola. Era confuso e non poteva più far finta di niente, fingere che quel mese trascorso in Texas non fosse nulla. Lo aveva smosso, lo stava tuttora facendo, e ben più di quanto Sebastian avrebbe mai potuto immaginare. Non avrebbe mai dovuto andarci, non avrebbe mai dovuto incontrare Thad: ora tutto gli vorticava attorno e lui non aveva la minima idea di come fermarlo, di come tornare a essere la persona di prima. Non voleva pensare, non voleva avere quella voglia di sfogarsi con Thad, non voleva Thad.

O forse sì, e forse era quello il problema principale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera!

Scusate per il ritardo, ma Sebastian proprio non ne voleva sapere di farsi scrivere. Infatti questo capitolo non va da nessuna parte, date la colpa a lui XD

Citazioni! La parte sull'asino reale riprende una delle primissime scene di Merlin (Merthur <3) e spero che Rob apprezzi, visto che ama Merlin e Arthur tanto quanto Sebastian e Thad. “Drover” - che era una delle citazioni dello scorso capitolo – riprende il film Australia, da cui anche la scena della doccia (per chi non avesse visto il film, la scena è questa: http://www.youtube.com/watch?v=dVcYX9DV4tE).

Le citazioni dello scorso capitolo erano Australia, appunto, Game of Thrones e ovviamente Uptown Girl. Si può considerare citazione? XD È la loro prima (e tristemente unica) canzone!

Solito enoooorme ringraziamento a Vale per aver betato il capitolo (:

Ciao!

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Capitolo 5
*** Di confessioni e baci ***




Erano passati tre giorni dalla scenetta di Thad – Sebastian aveva cominciato a definirla in quel modo fra sé e sé, tentando di sminuire la reazione che aveva avuto alla visione del ragazzo totalmente bagnato. Quella notte non era riuscito a dormire più di mezz'ora di fila: continuava a svegliarsi in preda ad un'agitazione che non sapeva spiegarsi e che non si calmava affatto quando vedeva Thad sdraiato accanto a lui. Lo aveva maledetto più e più volte: il ragazzo dormiva sempre con una tranquillità invidiabile, mentre lui si sentiva tormentato come non mai.

Dopo tre giorni, Sebastian aveva ormai capito che qualcosa non andava. Aveva negato la realtà: Thad non era nessuno, solo una figura di passaggio nella sua vita, . Se ne sarebbe dimenticato dopo qualche mese. Non aveva senso sbattere la testa su questioni che lo riguardavano, . In fondo, da lì a pochi giorni non lo avrebbe più visto. Sebastian, però, si era subito accorto che non sarebbe stato così: Thad era stato infido, era riuscito ad infilarsi nella sua vita in un tempo così breve che Sebastian non se ne capacitava. Si era talmente abituato ad averlo intorno che quando non c'era andava a cercarlo e, per quanto Sebastian volesse negarlo, non poteva dire che una persona del genere fosse soltanto una figura di sfondo. E si era arrabbiato, si era infuriato con quel ragazzo che aveva osato avvicinarsi a lui. Thad, con la sua tranquillità e i suoi sorrisi, aveva minato le basi del muro che Sebastian aveva costruito per tenere fuori il mondo. L'acqua cheta distrugge i ponti, gli aveva sempre detto sua madre, ma solo in quel momento si era reso conto di quello che volesse dire. Sebastian avrebbe voluto urlargli addosso, gridargli quanto lo odiasse per aver messo così tanto in discussione il suo modo di vivere, quell'equilibrio che aveva raggiunto con così tanta difficoltà. Avrebbe voluto dirgli che era tutta colpa sua se ora era pieno di dubbi, ma una voce nella sua mente gli diceva che non era così: era lui che avrebbe dovuto insistere per non andare in Texas, che avrebbe dovuto ribellarsi alle condizioni di suo nonno, che avrebbe dovuto mantenere le distanze con quel ragazzo, anche se aveva un bel sorriso. Era lui quello da recriminare, Thad era semplicemente stato socievole.

Arrivato a quel punto, Sebastian si era ricordato di quell'unica lezione di psicologia che aveva seguito in Francia: un ragazzo della loro scuola aveva avuto un incidente e il preside aveva pensato che chiamare una psicologa a spiegar loro le cinque fasi del dolore li avrebbe aiutati a superare la cosa. Sebastian non aveva idea di chi fosse il ragazzo per cui tutti piangevano, ma aveva seguito con attenzione tutto quello che la dottoressa aveva spiegato. Dopo tre anni, si era ritrovato a ringraziare qualsiasi cosa lo avesse portato ad ascoltare quella lezione. Dopo aver negato, essersi arrabbiato e auto-recriminato, Sebastian si era reso conto che quelle tre fasi erano familiari. A quel punto era stato semplice mettere insieme le cose, risparmiandosi la fase della depressione e raggiungendo direttamente quella dell'accettazione: a lui interessava Thad ben più di quanto avesse voluto ammettere. Perché fosse arrivato a quella conclusione attraverso le fasi del dolore non gli era ben chiaro, forse era conseguenza della morte della sua dignità.

Non poteva interessargli Thad. Non poteva piacergli. Era solo un ragazzo che portava pecore da una parte all'altra del ranch di suo nonno, non era per nulla il suo tipo. Non era biondo né aveva brillanti occhi azzurri come Jacques, ma doveva ammettere che ben più di una volta si era perso ad osservare quei profondi occhi scuri. Non aveva mai pensato che Thad potesse essere qualcosa di più che un piacevole passatempo mentre era inchiodato in Texas, ma adesso che mancavano pochi giorni alla sua partenza incominciava a pensare che il ragazzo gli sarebbe mancato una volta trasferitosi in Ohio.

Sebastian sospirò, rigirandosi nel letto. La sveglia sul comodino segnava le cinque e mezzo, da lì a poco avrebbe dovuto alzarsi e incominciare una nuova giornata di lavoro. Non aveva praticamente chiuso occhio, non aveva idea di come avrebbe potuto resistere. Forse Thad avrebbe potuto coprirlo ancora...

Ancora.

Thad non lo aveva mai visto prima di quelle tre settimane, eppure già al primo giorno lo aveva coperto con suo nonno. Non solo, era andato avanti a farlo per tutto quel tempo e senza che Sebastian glielo chiedesse. A ben pensarci, non lo aveva neanche mai ringraziato a dovere. A quel pensiero, si ritrovò a sorridere: fino a un mese prima non avrebbe esitato a ringraziare Thad nella maniera a lui più congeniale, eppure in quelle tre settimane non ci aveva mai provato davvero. Sì, erano volate battute, perfino da parte di suo nonno, c'era stato quel breve momento alla stalla prima che Thad si facesse la doccia... ma nulla di serio. Sebastian quasi si sorprese nel notarlo: tre settimane a stretto contatto con un gran bel ragazzo e non era successo niente, poteva considerarlo un record. Ignorò la voce nel suo cervello che gli suggeriva che se non era successo niente probabilmente c'era la possibilità che a Thad tenesse davvero, forse non era uno dei tanti. La sveglia gli venne in soccorso, suonando proprio mentre quel pensiero molesto faceva di tutto per attirare la sua attenzione.

 

Thad era già in cucina quando Sebastian arrivò. Era più stanco di quanto avesse pensato, tanto che aveva percorso praticamente tutto il tragitto da camera sua a lì con gli occhi chiusi. Si passò le mani sul viso, tentando di svegliarsi.

«Brutta nottata?» domandò Thad, porgendogli una tazza di caffè e un muffin al cioccolato.

Sebastian seguì con lo sguardo i suoi gesti, prima di rivolgergli un'occhiata sorpresa. Fissò il muffin, ancora fra le mani dell'altro. Era il suo preferito, quello al cioccolato, specialmente a colazione quando aveva bisogno di ricordare a se stesso di non essere un morto vivente.

«Che c'è?» chiese Thad, notando la sua immobilità. «Prendi sempre questo, pensavo fosse quello che ti piace di più».

«Lo è...» confermò Sebastian, sempre fissando il dolce. Sua madre non sapeva quale fosse il suo muffin preferito, Thad lo aveva capito in meno di un mese.

«Sebastian, o prendi questo dannato muffin e fai colazione, o lo mangio io e ti lascio a digiuno fino a pranzo. Giuro che lo faccio»

«A te non piace» ribatté in automatico Sebastian, meravigliandosi delle sue stesse parole. «Tu fai il salutista e mangi quelli coi frutti di bosco. Lo mangeresti solo per irritarmi, io lo farei e ti renderei questa mattinata un inferno, quindi tu ti arrabbieresti e ti vendicheresti facendomi pulire le stalle. A quel punto troverei un modo per fartela pagare ulteriormente...»

«Okay, okay» lo interruppe Thad con un gesto della mano. «Mangiati questo accumulo di zuccheri e muoviti, che siamo già in ritardo».

Senza aggiungere altro, Thad recuperò il cappello e uscì dalla cucina a passi spediti. Sebastian lo osservò allontanarsi, il maledetto muffin ancora fra le sue mani. Sarebbe rimasto in Texas ancora pochi giorni, ma sapeva già che non sarebbero stati semplici.

 

Aveva osservato Sebastian tutta la giornata. A colazione era stato strano – più strano del solito, il che era tutto dire – e quel comportamento si era prolungato per tutta la mattina. Era taciturno, rispondeva a monosillabi e sorrideva appena alle battute di Thad. A pranzo, persino Carl si era accorto che qualcosa non andava. Non che avesse detto qualcosa, da quel punto di vista era estremamente simile al nipote, ma aveva lanciato a Thad un'occhiata che non aveva bisogno di spiegazioni. Se quella non fosse bastata, non appena Sebastian si era alzato da tavola, Carl gli aveva fatto cenno di andare a parlarci.

Thad non lo aveva fatto. Non che non volesse sapere cosa passasse per la testa di Sebastian, anzi, ma sapeva bene che il ragazzo non avrebbe aperto bocca nemmeno se lo avesse supplicato in ginocchio di dirgli che problema aveva. Probabilmente si sarebbe chiuso ancora di più, come aveva fatto in precedenza. Così Thad aveva deciso di stargli semplicemente attorno, continuando il lavoro come se fosse stata una giornata come tutte le altre, anche se l'assenza delle battute e le frecciatine di Sebastian era palpabile.

«Come mai non mi hai ancora chiesto niente, signor Freud?» domandò all'improvviso Sebastian. Dopo un pomeriggio trascorso quasi nel silenzio totale, Thad quasi si spaventò nel sentirlo parlare.

«Cosa?»

«Non fare l'idiota. Tutte quelle cazzate del “parla, sfogati, ti sentirai meglio” che mi propini ogni volta che sono di cattivo umore...»

«Perché, sei di cattivo umore?» tentò Thad, ma non era mai stato un buon attore e Sebastian non gli credette nemmeno per un istante.

«Come se non mi avessi fissato con il tuo sguardo da mamma chioccia per tutta la giornata».

«Io non ho uno sguardo da mamma chioccia!» ribatté Thad, offeso, ma Sebastian lo ripagò con un'imitazione di quella che doveva essere stata la sua espressione del giorno. Scoppiò a ridere, incurante della situazione.

«Tu hai uno sguardo da mamma chioccia, anche se devi perfezionarlo».

«Sicuro. Nella vita avrò molte occasioni per sfoggiarlo!»

Sebastian scrollò le spalle. «Non si sa mai cosa può riservarti il futuro. Potresti cambiare sesso e allora ti servirebbe: sembra che a tutte le donne piaccia avere uno sguardo da mamma chioccia».

Thad si ritrovò a ridere, perfino Sebastian abbozzò qualcosa di simile ad un sorriso. Se non altro, pensò Thad, sembrava più rilassato di dieci minuti prima. Adesso poteva provare a dire qualcosa.

«Mi hai ampiamente fatto capire che non vuoi parlare, quindi perché insistere?» gli disse, sperando che quel vago tentativo di psicologia inversa funzionasse. Non ci sperava, ormai aveva capito che la mente di Sebastian non funzionava come quelle di tutto il resto del mondo – se avesse capito come ragionava il ragazzo probabilmente gli avrebbero dato il premio Nobel.

«Mmm» fu l'unica risposta di Sebastian. Thad lo guardò confuso: nessuna battuta, nessuna negazione, perfino l'assenza di insulti era strana. Forse era un buon segno, forse poteva provare a scalfire il muro attorno al ragazzo. Forse.

«Quindi... Hai sentito tua madre? O tuo padre?»

Sebastian lo guardò confuso e Thad si morse la lingua. Non avrebbe mai dovuto chiedere, insistere perché Sebastian gli dicesse qualcosa che evidentemente non lo metteva a suo agio. Non era da lui che, da sempre, aveva evitato di invadere gli spazi altrui. Ma, non sapeva perché, con Sebastian era diverso. Con Sebastian voleva sapere, voleva conoscere quello che lo rendeva così strano. Voleva esserci.

«Ecco...»

Quando Sebastian iniziò a parlare, Thad percepì il suo stomaco annodarsi. Sebastian stava spiegando, si stava sfogando, e lo stava facendo con lui. Si stava fidando di lui.

Ora l'unica cosa da fare era mettere a tacere quella vocina nella sua mente che gli diceva che lui ne era felice.

 

«Hai sentito tua madre? O tuo padre?»

Le parole di Thad colpirono Sebastian come mai si sarebbe aspettato e, a ben pensarci, non aveva alcun senso visto che era da un mese che il ragazzo gli chiedeva di lasciarsi andare e raccontargli i problemi che aveva con i genitori. Paradossalmente, però, durante quella giornata Sebastian non si era mai ritrovato a pensare a quanto non volesse rivedere suo padre o a quali parole scegliere per dire a sua madre che con lui aveva sbagliato tutto. No, i suoi genitori erano rimasti fuori dal quadro e Sebastian non se ne era nemmeno accorto, troppo impegnato a pensare a quello stesso ragazzo che ora glieli aveva ricordati. Aveva ragionato su come Thad gli ispirasse un enorme senso di fiducia, ma non sul perché era arrivato a quel punto.

«Ecco...» iniziò a dire, pronto a fermare sul nascere qualsiasi tentativo di conversazione. Thad, però, lo stava fissando e quegli occhi lo invitavano a parlare. Sebastian sospirò, se avesse potuto li avrebbe cancellati dal mondo, quei dannati occhi scuri.

«In realtà...»

Sebastian era combattuto. Avrebbe dovuto dire a Thad che no, non aveva sentito i suoi genitori e, no, non voleva parlare con lui di cose che non dovevano interessargli. Avrebbe dovuto dirglielo una volta per tutte, così che il ragazzo lo lasciasse in pace quegli ultimi giorni. Avrebbe davvero dovuto farlo, ma lo sguardo di Thad sembrava così sincero, così disinteressato che non era più così sicuro di che cosa voleva fare. Forse parlare con qualcuno era quello che gli serviva per capire come agire nei mesi a seguire e Thad sembrava così ben disposto ad ascoltarlo... E non lo avrebbe più visto dalla settimana successiva, non avrebbe dovuto sopportare inutili consigli quotidiani su come appianare la situazione.

«In realtà, non ho sentito nessuno dei due, stavo solo pensando alla situazione in generale...»

Non era vero. Stava pensando a Thad, ma quello di certo non lo avrebbe detto e poco importava che ciò significava iniziare tutto il racconto con una bugia. In fondo, Thad non lo sapeva, no?

«Non vedo mio padre da due anni» iniziò a dire, rivolgendo lo sguardo a Zeus che mangiava a qualche metro da loro.

«Da quando sei andato a Parigi?» domandò Thad, a voce bassa, quasi temendo che Sebastian cambiasse idea.

«I miei si sono separati sei anni fa» continuò Sebastian, ignorando la domanda. Sapeva che se si fosse fermato non avrebbe più detto nulla. «All'epoca vivevamo a New York, mio padre è di lì. Io avevo dodici anni e Sadie, mia sorella, undici. Mio padre era sempre al lavoro e mia madre non riusciva più a sopportare la situazione; non litigavano, però, in casa c'era sempre un silenzio quasi glaciale. È esploso tutto quando ho detto che mi piaceva un ragazzino in classe con me. Non sapevo neanche cosa volesse dire “fare coming out”, ma evidentemente fu quello che feci e mio padre non apprezzò la cosa. Mia madre è sempre stata dalla mia parte su questa cosa, mi ha difeso fin dal primo giorno, e forse fu per quello che iniziarono le litigate... Urlavano in continuazione, rinfacciandosi tutto. Finì tutto quando offrirono a mia sorella, che fa danza classica da che sa camminare, di entrare a far parte della scuola di balletto di Parigi. Era un'opportunità unica per Sadie, che vive per la danza, e mia madre accettò subito. Ci fu una grande litigata anche per quello, ma alla fine mio padre prese la palla al balzo e semplicemente non ci seguì. Fu allora che mi trasferii a Parigi, cinque anni fa. Mio padre non è mai venuto a trovarci, l'unica volta che lo vidi – due anni fa, appunto – fu quando mia madre obbligò me e Sadie a stare con lui per una settimana. “È vostro padre” disse, “non potete non vederlo mai”. Non che a me interessasse, aveva messo in chiaro cosa provasse per me, ma Sadie ci teneva e alla fine acconsentii. Ci ignorò per quasi tutta la settimana, portandoci una sola sera ad una cena, salvo poi lasciarci al ristorante a metà per un improvviso impegno di lavoro. Da allora, nemmeno Sadie vuole più parlarci. Per dirgli che era stata presa nel balletto russo, gli ha mandato una e-mail. Ah, a proposito, è per quello che mi sono ritrovato a spalare cacca di cavalli: Sadie ha avuto successo e mia madre ha improvvisamente deciso che poteva seguire un solo figlio, l'altro avrebbe dovuto tornarsene in America e tanti saluti. Fine della storia».

Quando finì di parlare si accorse che Thad era seduto accanto a lui. Era in silenzio, non aveva provato a rifilargli nessuna frase di circostanza, e di questo gli era grato. Certo, non aveva detto tutto, non aveva menzionato le litigate che lui aveva avuto con suo padre. Non aveva parlato delle volte in cui Sadie, prima della cena di due anni prima, gli aveva rinfacciato di essere la causa della separazione dei loro genitori. Non aveva detto molte cose, eppure sentiva che in un certo senso Thad poteva comprenderle comunque.

«Sai, New York è sopravvalutata» disse Thad d'un tratto. «Non credo che ti sia perso molto non continuando a vivere lì».

Con sua grande sorpresa, Sebastian si ritrovò a sorridere. Quello di Thad era un commento idiota, fatto per alleggerire la situazione, ma era vero: se fosse rimasto a New York non avrebbe vissuto a Parigi, che aveva amato. Non avrebbe conosciuto Jacques, né Luc, né François. Non sarebbe tornato in Texas – e per quanto odiasse ammetterlo, gli era mancato – e cosa da non sottovalutare, non avrebbe mai conosciuto lo stesso Thad.

«È solo una città...» scherzò di rimando, finalmente voltandosi verso l'altro ragazzo, che lo stava fissando con un gran sorriso in volto. «Molto meglio un ranch con dei cavalli, il cielo sereno e un bel cowboy...»

Sebastian quasi non si rese conto di aver portato una mano alla nuca di Thad, non finché non attirò il ragazzo verso di sé. Non pensò a quanto appena successo, a tutto quello che era accaduto, lasciando che tutta la sua attenzione venisse reclamata dalle morbide labbra di Thad. Sentì la sua sorpresa prima che si lasciasse andare, che lo abbracciasse a sua volta.

Lo baciò incurante di tutto, lo baciò perché da lì a tre giorni sarebbe andato dall'altra parte del Paese e non avrebbe più potuto farlo. Lo baciò perché era giusto, perché Thad era giusto.

Si lasciò baciare perché tutto, in quel momento, sembrava perfetto.

 

 

 

 

 

 

 

...Ieee?

Sono in ritardo di praticamente un mese, ma fra un blocco che non riusciva a farmi scrivere nulla, le vacanze e il caldo micidiale sono riuscita a concludere solamente oggi. Spero di essermi fatta perdonare almeno :D [Nota del giorno dopo: concludere il capitolo! XD La storia dovrebbe finire col prossimo, maaaassimo massimo un altro ancora]

Di buono c'è che non ho nessun commento da fare XD

Come al solito, grazie mille a Vals per le correzioni (:

 

 

 

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Capitolo 6
*** Di scoperte e chiarimenti ***




Svegliarsi quella mattina era stato più difficile di quanto avesse pensato. Abituato ad essere svegliato dal canto del gallo di suo nonno, Sebastian non era riuscito a scattare in piedi con la sola suoneria del suo cellulare. Gli era servito l'allegro vociare degli studenti in corridoio per aprire finalmente gli occhi, riscoprendo quell'ambiente che sarebbe stato casa sua nei nove mesi successivi.

Non sarebbe stato facile, Sebastian lo sapeva. La stanza era piccola per due persone e, anche se quella notte aveva dormito da solo, sapeva che il suo compagno sarebbe arrivato in giornata. Sebastian odiava condividere i propri spazi, abituato com'era a stare sempre per conto proprio, e l'unico lato positivo che vedeva nella situazione era la possibilità di trovarsi un sosia di Brad Pitt in camera.

O uno come Thad.

Sebastian scacciò il pensiero non appena gli venne alla mente, sperando che con esso se ne andasse anche quella strana sensazione allo stomaco che aveva da quando aveva preso il volo per l'Ohio. Thad era stato una bella parentesi, ma ora erano in due Stati diversi, separati anche dal fuso orario, e a nulla sarebbe servito ricordarlo.

Da quel giorno sarebbe iniziato un nuovo capitolo della sua vita, era tempo di archiviare quelli vecchi.

 

Dalton Academy.

Quando sua madre gli aveva detto il nome della scuola dove si sarebbe trasferito, Sebastian era scoppiato a ridere. Aveva un nome così serio, neanche fosse la scuola migliore d'America, e Sebastian dubitava fortemente che in un posto come l'Ohio potesse esistere qualcosa di diverso da una fila di trattori e qualche covone di paglia. Ma era la scuola che aveva frequentato suo zio – chissà poi perché suo nonno lo aveva spedito in Ohio a fare il liceo – e sua madre non aveva voluto sentire ragioni.

Ogni preconcetto era caduto nel momento stesso in cui aveva visto la scuola. Non era un fienile, anzi, l'edificio era in stile europeo. Gli interni, poi, erano curati così al dettaglio che nessuno avrebbe mai potuto dubitare che fosse una scuola privata. In un liceo normale non c'erano certo lampadari di cristallo e divanetti di pelle, giusto? La divisa, poi, era elegante, alquanto diversa da quella da marinaretto che si era immaginato.

Starebbe bene a Thad...

Sebastian si schiaffeggiò mentalmente per quell'ennesimo pensiero sul ragazzo. Gli tornava alla mente decisamente più spesso di quanto avrebbe voluto – non voleva ricordarlo affatto, a essere sincero. Evidentemente, però, il suo cervello aveva ben deciso di prenderlo in giro e andare contro ai suoi desideri. Doveva decisamente distrarsi.

«Tu devi essere Sebastian» sentendosi chiamare, si voltò con un gran sorriso in volto.

«In persona».

«Piacere, io sono Nick» il ragazzo, un po' più basso di lui, gli porse la mano. «Abbiamo praticamente gli stessi corsi, quindi il preside mi ha detto di farti fare un giro per conoscere la scuola».

Sebastian annuì. L'edificio era davvero molto grande, una mano non gli avrebbe fatto male. Nick, poi, era davvero un bel ragazzo: capelli scuri, occhi chiari e un gran sorriso in volto. Lo sguardo gli cadde sulla spilla che Nick aveva appuntato alla giacca.

«Oh» gli disse il ragazzo, notandolo. «È la spilla dei Warblers, il glee club della scuola. Magari hai visto qualcosa sui volantini».

«Sì, ho letto. Accettate nuovi membri?» Lo chiese d'impulso, senza pensarci realmente. Non aveva mai realmente cantato con qualcuno, se non con Thad qualche settimana prima. Non sapeva neanche cosa volesse dire stare in un glee club.

Nick, però, sembrò non notare i suoi dubbi di fondo. Gli sorrise apertamente, annuendo. «Sicuro! Le selezioni sono pomeriggio, se vuoi».

«Selezioni?» chiese Sebastian alzando un sopracciglio. «C'è così tanta gente che vuole entrare nel glee club?»

«Oh, sì. Come diceva Blaine, il nostro principale cantante, alla Dalton i Warblers sono come rock star!»

Sebastian annuì, prima di seguire Nick in un'aula che, secondo il suo orario, doveva essere quella di francese.

Alla fine dell'ora, Sebastian aveva deciso che avrebbe partecipato alle selezioni. Cantare con Thad era stato divertente e gli aveva fatto dimenticare, per quei cinque minuti, tutti i drammi che gli affollavano la mente. Non era certo se il merito fosse della canzone, o se fosse tutto dovuto a quel ragazzo, ma avrebbe provato comunque.

Forse, si disse, lo avrebbe anche aiutato a togliersi definitivamente dalla testa Thad.

 

Sebastian arrivò alla sala prove dei Warblers all'ultimo minuto, come faceva sempre. Odiava dover aspettare, era più forte di lui. La trovò piena di ragazzi e, davvero, non si sarebbe aspettato una calca simile per un gruppo che cantava a cappella. Individuò Nick su un divanetto poco lontano dalla porta, accanto a lui c'era un posto vuoto.

«'Giorno» lo salutò, sedendoglisi accanto senza neanche chiedere se fosse libero. Dallo sguardo che Nick gli lanciò, non lo era. Non si preoccupò di alzarsi.

«Ciao» rispose Nick, limitandosi a guardarlo male per qualche istante. Quel ragazzo era gentile quasi in maniera irritante, considerò Sebastian.

«Allora, che si fa? Si aspetta che un proiettore ci illumini o qualcosa del genere?»

Nick sorrise alla battuta. «Si canta una canzone e il Consiglio decide se farti entrare o meno nei Warblers. Adesso che Wes si è diplomato immagino che saranno meno severi».

«Il Consiglio?»

Nick fece cenno a una cattedra dall'altra parte della sala, dove erano seduti due ragazzi e una sedia era ancora vuota. «I Warblers non hanno un insegnante responsabile o qualcosa del genere. Abbiamo un Consiglio di tre studenti che decide le canzoni e via dicendo. Non è male come cosa, riusciamo a decidere quasi tutto con delle riunioni».

«Ed è abitudine del Consiglio arrivare in ritardo?» Sebastian indicò la sedia vuota. Nick sorrise e scosse la testa.

«No, affatto. Prima di ogni selezione abbiamo l'abitudine di fare una piccola esibizione per voi reclute. Quest'anno partecipa anche il mio ragazzo».

A Sebastian non sfuggì il cambio di espressione di Nick al solo nominare il suo ragazzo. Non si era messo a sorridere dal nulla o qualche altra idiozia da adolescente, ma si era rilassato all'istante e la felicità era ben visibile sul suo volto. Si chiese se tutti apparissero così da innamorati, gli sembrava impossibile che i suoi genitori potessero essere stati così, una volta. Scosse la testa, tentando di allontanare il pensiero dei genitori.

«Congratulazioni» disse, tentando di apparire contento per qualcuno che neanche conosceva. «Come si chiama?»

«Jeff» sorrise. «Ti piacerà, è un completo idiota. Lo riconoscerai subito, comunque, è quello biondissimo».

Le parole di Nick fecero sussultare Sebastian, che non riuscì a fermare la scia di ricordi di appena due settimane prima.

Jeff è il mio migliore amico, facciamo entrambi parte del glee club della nostra scuola...

È un completo idiota! Dovresti conoscerlo, scommetto che riuscirebbe a farti fare una vera risata...

Nick è il suo ragazzo...

Se si guardano i capelli, poi, è Jeff il Targaryen...

Sebastian deglutì a vuoto, mentre il sospetto si faceva sempre più pressante nella sua mente. Non era possibile che si trattasse della stessa persona, non poteva essere. Si voltò di nuovo verso Nick.

«Senti...» Iniziò a dire, sperando di non sembrare pazzo. «Non è che il migliore amico di Jeff si chiama Thad?»

«Come lo sai? Oh, guardali, sono arrivati!» Nick, improvvisamente agitato, indicò verso la porta.

Sebastian gelò sul posto. Non si ricordò nemmeno più dei sospetti, delle parole di Nick, perché Thad era lì.

Thad era lì e gli stava sorridendo come se nulla fosse, come se non gli avesse mentito per un mese facendogli credere che non si sarebbero più visti.

Thad era lì e lui aveva una dannata voglia di prenderlo a sberle.

«Hey there Delilah, what's it like in New York City...» Iniziò a cantare Thad, raggiungendo il centro della stanza e cercando nuovamente il suo sguardo.

Sai, New York è sopravvalutata...

«I'm a thousand miles away, but girl tonight you look so pretty, yes you do... Times Square can't shine as bright as you, I swear it's true...».

Non credo che ti sia perso molto non continuando a vivere lì...

Sebastian si accorse appena del cambio di voce – Jeff doveva aver preso il posto di Thad – e ancor meno degli sguardi sorpresi che gli lanciava Nick, accanto a lui. La sua mente era totalmente impegnata a trovare modi per farla pagare a Thad per avergli taciuto qualcosa di così importante.

 

Quando Sebastian sentì una mano posarsi sulla propria spalla, non si sorprese nemmeno. In fondo, quella era la scuola di Thad, che sicuramente ne conosceva ogni angolo, e lui era lì solo da un giorno. Come poteva pensare di nascondersi? Non che volesse nascondersi da Thad, certo, ma se avesse voluto farlo, era certo che Thad lo avrebbe comunque trovato.

«Ehi» gli disse piano il ragazzo. Non rispose. «Sebastian, dai, parlami».

«Sei uno stronzo».

«Esagerato!»

Sebastian si voltò a fronteggiare Thad. Da come reagì l'altro, fu certo di avere un'espressione sconvolta. «Mi hai fatto sputare la verità sui miei perché tanto poi non ci saremmo più rivisti, peccato non sia così!»

«Io non ti ho obbligato a fare o dire nulla» rispose serio Thad, facendo infuriare ancora di più Sebastian.

«No, certo, no! Tu sei troppo buono, vero? Tu e i tuoi dannati sorrisi e quel maledetto comportamento gentile, il coprirmi con mio nonno... E per tutto il tempo sapevi che saremmo stati a scuola, che avresti potuto sfruttare tutto!»

Thad scosse la testa. «Questo è ingiusto, Sebastian, e lo sai anche tu. Non farei mai qualcosa del genere».

«No? E perché no? Perché dovrei fidarmi? Un mese, Thad, un mese siamo stati insieme praticamente ogni minuto della giornata... Non hai trovato il tempo di dirmi che saresti stato anche tu alla Dalton?»

«Io volevo, ma poi...» Si interruppe, mordendosi il labbro. Sebastian alzò un sopracciglio.

«Ma poi cosa, Thad? Cosa? Zeus ti ha mangiato la lingua?»

«Poi... Poi questo

Prima che Sebastian potesse reagire, Thad portò entrambe le mani al volto del ragazzo. Il suo tocco era gentile, ma abbastanza fermo da non far muovere Sebastian mentre le loro labbra andavano ad unirsi. Sebastian poteva sentire l'urgenza di quel bacio, il desiderio, la voglia di Thad di vivere a pieno quell'attimo. Ci mise appena qualche istante a rispondere, a portare le mani fra i capelli di Thad, ad assaporare quel momento.

Lo sentì sorridere sulle sue labbra quando si separarono, le loro fronti ancora unite. Il respiro di Thad gli faceva il solletico, ma non importava.

«Sei entrato nei Warblers, comunque».

«Non avevo dubbi: mi faccio il capo».

 

Quando, quella sera, Sebastian raggiunse Thad a cena fu certo di essere radiografato da chiunque fosse seduto a quel tavolo. Guardò Thad con un sopracciglio alzato, ma quello si limitò a scrollare le spalle.

«Sebastian, giusto?» Jeff, seduto accanto a Thad, lo stava guardando con un sorriso inquietante.

«Jeff» rispose atono, sedendosi di fronte a Thad.

«Dimmi, Sebastian... Che intenzioni hai con il mio buon amico Thad?»

Sebastian si impose di non scoppiare a ridere a quella scenetta. Nick, di fianco a lui, sembrava impegnato nello stesso sforzo.

«Jeff, smettila» intervenne il diretto interessato, ma venne subito messo a tacere da un gesto della mano dell'altro.

«No. Io e Nick abbiamo passato un mese a sentirti blaterare a proposito di questo Sebastian, dei suoi occhi e dei suoi capelli... Se permetti, abbiamo tutto il diritto di sapere che vuole fare».

Sebastian si voltò divertito verso Thad, che era diventato rosso fino alla punta delle orecchie. «I miei capelli, eh?»

«E le cene al chiaro di luna, Jeff! Non scordarle!» Aggiunse Nick, che aveva ormai ceduto e rideva ai danni del povero Thad, sempre più rosso.

«Voi dovreste essere i miei migliori amici» borbottò imbarazzato Thad, lo sguardo fisso sul piatto della cena.

«Appunto perché lo siamo, Thad caro, ci informiamo. Non vogliamo certo vederti triste per un señor qualsiasi!»

Alla menzione del suo soprannome, anche Sebastian si concesse una risata. Thad era sul punto di scavare una fossa e sotterrarcisi, l'imbarazzo evidente dalla sua espressione.

Sebastian era ancora arrabbiato con lui, non poteva negarlo. Avrebbero dovuto parlare, chiarirsi. Avrebbero dovuto capire cosa provavano l'uno per l'altro e solo l'idea che fossero coinvolti dei sentimenti terrorizzava Sebastian. Avrebbero dovuto imparare a convivere anche in quell'ambiente, con altre persone attorno. Avrebbero dovuto pensare a molte cose, lui e Thad, ma vedendo la scena che aveva di fronte Sebastian non poté fare a meno di dimenticarle per un attimo e godersi il momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera!

E ormai siamo giunti alla conclusione: il prossimo capitolo sarà l'epilogo, dopo di che niente più Texas... Mi mancheranno :'(

Come al solito ringrazio Vals che ha betato alla velocità della luce, gentilissima :D E ringrazio anche Somo, che mi ha suggerito la canzone da far cantare a Thad e Jeff - “Hey There Delilah” dei Plain White T's, per chi non la conoscesse.

E nulla, spero vi sia piaciuto (:

A settimana prossima per l'epilogo!

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Capitolo 7
*** Epilogo ***




Un mese dopo

 

Nick era la voce principale di quella canzone, era il suo primo assolo. Quando lo aveva ottenuto si era messo a saltellare per la stanza, prima di buttarsi a peso morto sopra Jeff e baciarlo come se in quella stanza non ci fosse stato nessun altro a parte loro. Sebastian aveva riso, insieme a tutti gli altri, ed aveva cercato di concentrarsi esclusivamente sulla gioia dell'amico, senza riuscirci. La verità, allora come in quel momento, era che quella canzone era sua e di Thad. Nick la sapeva interpretare meravigliosamente, certo, ma erano lui e Thad il cuore.

«And when she knows what she wants from her time... And when she wakes up and makes up her mind...»

La voce di Nick, chiara e decisa, riempiva la stanza. Quella era la prima vera esibizione dei Warblers di quell'anno e gli avevano detto che farne parte era un gran privilegio, dato che era entrato nel club solo da poco tempo. Sebastian non aveva ribattuto nulla, limitandosi a sorridere in maniera inequivocabile a Thad, terza voce di quella canzone.

Ancora non poteva credere all'intera situazione: solo un mese prima era in Texas, arrabbiato col mondo, a cantare insieme a Thad in mezzo al nulla. Ora era alla Dalton, circondato da un gruppo di matti a cantare di nuovo quella canzone, di nuovo con Thad. Un mese prima si sarebbe detto pronto a conquistare tutti gli studenti della Dalton, ora era insieme a quel ragazzo che non la smetteva di sorridere come un idiota alla professoressa di francese.

Insieme. Sebastian non poteva davvero credere che lui fosse diventato il ragazzo di qualcuno, ma Thad si era insinuato pian piano nella sua vita con quel suo maledetto cappello da cowboy ed era stato impossibile scacciarlo.

Quando la canzone finì, Sebastian si avvicinò a Thad. Stava parlando con un ragazzo vestito peggio di suo nonno, che a quanto aveva sentito doveva essere il famoso Blaine Anderson. Non era male, si ritrovò a pensare, e solo un mese prima ci avrebbe probabilmente provato fino alla morte. Ora voleva solo staccargli quel braccio che aveva passato attorno alle spalle di Thad.

«Oh, ciao!» lo salutò quello, sorridendo. «Tu devi essere il famoso Sebastian».

Sebastian alzò un sopracciglio, voltandosi verso Thad, che stava tentando di nascondersi senza successo.

«Famoso?»

«Già, il buon Thad non ha smesso un secondo di parlare di te l'ultima volta che siamo usciti» rispose Blaine, incurante del rossore sempre più evidente sulle guance dell'amico. Sebastian sorrise.

«Lo fa spesso, a quanto ho capito. Che devo dire, sono affascinante!»

«E modesto» aggiunse Thad, guadagnandosi un sorriso divertito da parte di Sebastian.

«Mi ami per questo».

«Nei tuoi sogni!»

Sebastian stava per ribattere quando Blaine si intromise. «Che ne dite di un caffè al Lima Bean?»

Tutti annuirono, con grande sorpresa di Sebastian. Solo lui aveva fatto caso al nome del posto? Lima Bean. Lima. Due ore di macchina per un caffè, scherzavano? Stava per farlo notare a tutti – di certo la sua proposta per il bar vicino alla scuola sarebbe stata appoggiata – quando Thad gli afferrò un polso, facendolo allontanare dal gruppo.

«Che c'è?»

«Vanno tutti».

«E?» Thad lo guardò come se fosse stato idiota.

«Vanno tutti» ripeté.

«...Oh» Sebastian ghignò non appena capì le intenzioni di Thad. «Ehm, noi restiamo! Compito di biologia, sapete... Divertitevi!»

Sebastian ignorò le battute dei Warblers, il gruppo di ragazzi più pettegoli che avesse mai conosciuto. Seriamente, erano sempre pronti a beccare lui e Thad in qualsiasi angolo della scuola. Nick e Jeff, poi, erano sempre in prima linea, probabilmente desiderosi di vendetta per quando era toccato a loro quello stesso trattamento.

«Andiamo, señor?»

Sebastian sorrise, afferrando la mano di Thad e seguendolo nei corridoi.

In fondo non gli interessava vivere nella direzione del peggior giornale di pettegolezzi, come non gli interessava essere la base per molte battute. Non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, nemmeno a Thad, ma gli piaceva quel covo di matti. Gli piaceva trascorrere il suo tempo con loro, abbracciato a Thad. Era una sensazione strana, di calore, e gli ci era voluto più di un mese per capire cosa fosse.

Sebastian Smythe, per la prima volta da anni, era a casa.

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine, dunque.

...Piango ç.ç Mi mancheranno tantissimo, tutti. Anche se ho in mente un mini spinoff per non perderli del tutto di vista, quindi se vi interessa rimanete sintonizzati su queste reti (:

A conclusione della storia, ci tenevo a ringraziare Robs, la destinataria, che dall'inizio ha sempre avuto una parola carina per questa mia prima long Thadastian. Non sarebbe stata qui, senza di lei. Uguale per Vals, la santa beta, che mi ha convinto a pubblicare questo epilogo da solo (:

Ovviamente un ringraziamento enorme va anche a voi che avete letto e a chi ha recensito. Grazie, grazie davvero.

E nulla, spero che la conclusione vi sia piaciuta. Alla prossima!

whateverhappened

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