the sulfur's river (IL FIUME DI ZOLFO)

di dragon82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il posto segreto ***
Capitolo 2: *** il temporale ***
Capitolo 3: *** Charlie ***
Capitolo 4: *** il sergente Moore ***
Capitolo 5: *** la soffitta ***
Capitolo 6: *** il presagio ***
Capitolo 7: *** otto anni dopo ***
Capitolo 8: *** Sally ***
Capitolo 9: *** Madalene ***
Capitolo 10: *** domenica ***
Capitolo 11: *** il ritorno dell'incubo ***



Capitolo 1
*** il posto segreto ***


    IL FIUME DI ZOLFO

 

Già erano state sei le vittime in quell’anno e l’alone di terrore che avvolse la città aveva suscitato l’interesse della polizia federale e di tutti i giornali della nazione. La città dell’assassino bianco! Così era chiamata la cittadina di Saveran – venti chilometri a sud di Fairbanks – nello Stato dell’Alaska, all’inizio degli anni 50’. E da qui che inizia la mia storia e quell’incontro che ebbi nell’estate del 1955 cambiò totalmente la mia vita.

Mi chiamo Brian! Brian Vilmond, ed all’epoca ero solo un bambino: avevo dieci anni e vivevo con mio padre in un casolare in legno alle sponde di un fiumiciattolo che scorreva presso la fabbrica di plastica Morton, “uno che si era fatto i soldi sulle spalle della povera gente”(almeno così si diceva in città). Di mia madre non ricordo nulla, morì in un incidente stradale a pochi mesi dalla mia nascita e di lei mi rimane solo qualche vecchia fotografia ed i ricordi di mio padre. 

Richard Vilmond! Questo era il nome di mio padre: un uomo abbastanza scontroso che non aveva contatti con nessuno in città; eroe di guerra – decorato al valor militare alla fine della seconda guerra mondiale – unico sopravvissuto della sua compagnia nello sbarco in Normandia, un miracolo si potrebbe pensare, ma così non era per mio padre, per lui i miracoli non esistevano, aveva perso la fede in Dio durante la guerra e si era chiuso ancor più in sé stesso dopo la morte di mia madre. Il trauma psicologico che ebbe durante la missione non gli permise di continuare a svolgere alcuna mansione nel corpo dei marines e pertanto lo congedarono assegnandogli, come indennizzo, un vitalizio di cinquecento dollari che ricevevamo bimestralmente e che ci permetteva, anche se a stento, di sopravvivere. Unico suo passatempo era la caccia per la quale era disposto a perdere anche intere giornate. Mentre quelle volte che rimaneva a casa soffocava spesso le sue tristezze e le sue frustrazioni nell’alcool.

Non avevamo un buon rapporto e con quello che stava accadendo in città non mi permetteva quasi mai di uscire, anche se quasi sempre lo disobbedivo ed uscivo di nascosto dalla finestra della mia stanza per andare a giocare con Milo. Milo era un ragazzino di colore che abitava a poche centinaia di metri da casa mia, passava sempre le giornate per strada perché la sua famiglia era molto povera ed i suoi genitori per mantenere lui ed i suoi tre fratelli minori erano costretti a lavorare dodici ore al giorno, per pochi dollari, nella fabbrica di Morton. Mi tirava tutti i giorni dei sassolini alla finestra per farmi scendere a giocare, stando sempre attento a non farsi notare da mio padre. Giocavamo sempre vicino al fiume, anche se devo ammettere che non era il posto ideale per dei bambini: il fiume era un ammasso di fango e detriti, ed emanava un odore talmente maleodorante che era soprannominato il “fiume di zolfo”, soprattutto a causa degli scarichi della fabbrica di Morton che lo inquinavano. Però noi, dopotutto, eravamo abituati a quell’odore, e poi ci divertivamo un mondo ad arrampicarci sopra alcuni alberi che pendevano sul fiume: erano molto lontani dalle nostre abitazioni, ed erano dislocati in una radura a due chilometri di cammino verso est, nel tratto in cui il fiume curvava e si allargava, un angolo di bosco coperto dal sole e non visibile dalla strada la cui esistenza, per quella che era la nostra idea di ragazzini, era nota solo a noi due, perciò lo chiamavamo il posto segreto.

Milo era il mio migliore amico, ed anche se il destino quell’estate ci avrebbe separato non lo dimenticherò mai.

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Capitolo 2
*** il temporale ***


 

La mattina del 22 Luglio, sorpreso che Milo non mi fosse venuto a chiamare, mi affacciai dalla finestra della mia camera, situata al piano superiore della casa, – cui paesaggio che mostrava era semplicemente il fiume ed il piccolo sentiero sterrato e parallelo ad esso che ne costeggiava la sponda, nonché il bosco che si diramava dall’altro lato della riva –  sporgendomi a destra e sinistra al fine di individuare la sua sagoma, ma i miei occhi percepirono soltanto l’inizio di una giornata buia, una giornata in cui le nuvole non facevano penetrare neanche un raggio di sole e che sembravano volgersi ogni istante di più a mal tempo. Dopo un po’ di tentennamento e convintomi che la pioggia non sarebbe arrivata prima del pomeriggio, nonostante il mio tempo stesse per esaurirsi, decisi lo stesso di scavalcare, come al solito, il davanzale della finestra, scalare i circa tre metri che mi dividevano dal suolo utilizzando i mattoni che fuoriuscivano dalla parete esterna –  che da qualche anno era stata innestata a rafforzamento del fabbricato in legno (un muro piuttosto disconnesso dove gli innumerevoli punti di appoggio permettevano di arrampicarsi a piacimento anche ad un bambino come me) –   e di recarmi al posto segreto.

In effetti, Milo non era neanche lì, lo cercai a lungo con lo sguardo, ritenevo impossibile che quella mattina mi avesse dato buca, sapeva che le mie occasioni di uscire erano sempre più rare e neanche la giornata uggiosa poteva essere un motivo sufficiente per non ritrovarci al posto segreto. Se davvero non era venuto doveva essere accaduto qualcosa di grave. Poi, quando feci per andarmene mi sentii saltare alle spalle:

<< ehilà Brian! >> disse Milo con voce allegra;

<< mi hai fatto male stupido! Ma dove sei stato finora? >> gli chiesi;

<< sai, l’ho visto! >> disse;

<< cosa? >> domandai;

<< come cosa?! Non hai sentito le sirene della polizia stanotte? >>;

<< io veramente la notte dormo! >> risposi, con tono ironico;

<< l’assassino bianco ha fatto l’ennesima vittima, una donna stavolta, ed io ho visto il cadavere! >>;

<< dove? >> domandai;

<< nel vicolo dietro il ristorante di Tom! Era coperto da un telo bianco e c’erano un mucchio di poliziotti ed anche tanti giornalisti. >>;

<< allora non hai visto un bel niente! >> gli dissi;

<< No! Però mi hanno detto che è stata uccisa come gli altri: con sei coltellate nel petto e la lingua mozzata! >>;

<< bleah, che schifo! >> esclamammo contemporaneamente;

<< comunque tu sei matto! Non sai che è pericoloso andare sui luoghi del delitto? L’assassino rimane sempre nei paragi! >> almeno così ci dicevano gli adulti;

<< sai, il mio sogno è diventare un giornalista! >> mi rispose;

<< un giornalista? >>;

<< sì, un giornalista di cronaca nera! >>;

e ridendo gli risposi:

<< certo! Diventerai un grande giornalista, un giornalista “nero” di cronaca nera. >>;

<< sì, sì, bella battuta! Allora dimmi, tu cosa vorresti diventare? >>;

<< io diventerò un soldato, e difenderò la patria come mio padre! >> gli risposi.

Un lampo squarciò il cielo e dopo qualche secondo arrivò il tuono. Le prime gocce di pioggia iniziarono a scender giù e la prima me la sentii giungere sopra il naso:

<< sta iniziando a piovere, adesso devo andare, si è fatto tardi. Ci vediamo domani Milo! >>;

<< sicuro! A domani Brian! >>.

Tornai a casa di tutta corsa, anche se, dopo qualche goccia, la pioggia sembrò fermarsi, ma meglio correre, non era mia intenzione ritornare fradicio a casa. Mi affrettai a rientrare dalla finestra della mia stanza, quando vicino alla porta, nell’ombra, intravidi mio padre, doveva esser tornato prima del solito causa maltempo:

<< dove sei stato? >> mi urlò;

<< da nessuna parte! >> gli risposi;

<< se ti vedo ancora parlare con quel negro, giuro che ti rimango a digiuno per una settimana! >> urlò con voce ancora più alta.

Una luce accecante penetrò la finestra dall’esterno e quasi immediatamente un boato la seguì. Quel tuono era molto più imponente di quello sentito prima ma devo ammettere che ebbe un tempismo perfetto. Mio padre si interruppe e non continuò il suo sfogo. Si avvicinò alla finestra con aria timorosa, si affacciò e guardò verso il cielo. Le sue pupille si agitavano dall’alto in basso e viceversa, fissando per un istante le nuvole e per un altro istante il fiume cui acque sembravano piuttosto agitate. Chiuse gli occhi ed allungò il collo, al pari di un animale selvatico respirò profondamente ed  annusò l’aria quasi a voler percepire il pericolo incombente che stava raggiungendo quella terra. Si ritrasse, sgranchì il collo e contorse le spalle quasi infastidito da quella sensazione, poi, ancora girato di spalle, volse il suo sguardo verso di me fissandomi con la coda dell’occhio:

<< e adesso aiutami a sbarrare porte e finestre! Stanotte ci sarà una forte tempesta, speriamo che la casa regga! E domani non uscire per nessun motivo, altrimenti stavolta le prendi sul serio! >>.

I temporali estivi dalle mie parti erano frequenti e spesso erano anche molto violenti. Utilizzammo delle assi di legno, che mio padre aveva a portata di mano appena fuori casa in una piccola legnaia in pietra con copertura in tegole, costruita da lui stesso:

<< ne abbiamo meno dell’ultima volta!!!.. i soliti ladri del cazzo! >> pronunciò appena prese le assi.

Cercò di rimediare rafforzando quelle che aveva con i tocchi di legno avanzati dall’inverno precedente anche se questi erano rinsecchiti dalle ultime giornate di forte caldo. Il primo che prese gli conficcò una scheggia nel palmo della mano destra che gli fece versare sangue che a me in quel momento sembrò un litro:

<< ti prendo una medicazione!?! >> dissi di getto;

<< lascia stare non abbiamo tempo >> rispose mio padre, sminuendo sia l’incidente che il dolore.

Per lui subire qualche ferita non era una cosa grave, aveva visto tanti di quei corpi maciullati e doloranti in guerra che a confronto una scheggia nella mano gli sembrava il morso di una formica. Spesso a tavola mi accorgevo di qualche taglio o bruciatura subita durante le mattinate di caccia ma non ho mai visto sul suo corpo neppure una medicazione.

Pertanto quel giorno aiutai mio padre a serrare la casa fino a sera. Su ogni asse che fissavamo rimaneva su di essa il sangue della ferita di mio padre ed io ogni volta osservavo il suo volto alla ricerca di una smorfia di dolore trovandolo però sempre serio ed indifferente, turbato solo dal continuo peggiorare del tempo, dal frastuono dei tuoni e dal vento che soffiava sempre più violentemente. Ricordo bene anche che quando arrivammo nei pressi della soffitta mi spedì di corsa a letto. La soffitta era una specie di stanza da lavoro di mio padre dove non voleva che niente fosse messo fuori posto e pertanto mi era proibito entrarci, anche se devo ammettere che ero molto curioso di sapere cosa ci fosse al suo interno.

Quella notte la tempesta fu furibonda, non ce n’era mai stata una più cruenta, la casa tremava e sembrava volesse crollare da un momento all’altro. Non riuscii a chiudere occhio dalla paura, ma anche se sembrava non volesse finire, anche questa, come tutte le tempeste, finì.

La mattina seguente sentii battere alla finestra come al solito, mi avvicinai, ed abbassai con un paio di gomitate un’asse che non permetteva di affacciarmi aprendo così una fessura che permise di penetrare un fascio di luce intenso. Vi infilai gli occhi e vidi Milo tutto eccitato:

<< scendi presto! >> mi disse con voce bassa;

<< oggi non posso! Stavolta non la passo liscia con mio padre! >> risposi;

<< devi scendere assolutamente, stanotte è successo qualcosa di straordinario! >> insistette, girandosi, poi, verso il fiume;

<< cosa? >> domandai;

e poi alzando lo sguardo verso il fiume rimasi impietrito, non potevo credere ai miei occhi. Non preoccupandomi delle conseguenze, infilai le scarpe e mi catapultai  in corridoio ancora in pigiama, discesi i dodici scalini che mi dividevano dal piano inferiore come se fossero quattro, aprii la porta d’ingresso facendomi investire dalla splendida giornata e sorridente curvai la mia corsa al fine di portarmi verso il retro della casa lasciando la porta divaricata, e lì incrociai il sorriso di Milo che mi aspettava trepidante e che iniziò a correre al mio fianco evitando di interrompere la mia corsa. Mi avvicinai al fiume: l’acqua era diventata limpida e trasparente, tanto che addirittura si vedevano nuotare i pesci. Era troppo bello per essere vero- pensai- era come se la tempesta avesse depurato il fiume. Così incominciammo a correre a più non posso verso il posto segreto –  non si sentiva più quell’odore acre di sempre ma un odore piacevole e rilassante di gelsomino ed incenso – e quando arrivammo non ci meravigliammo affatto che fosse la zona più bella.

Ma quei bei momenti da lì a poco sarebbero destinati a finire.

 

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Capitolo 3
*** Charlie ***


Il giorno seguente ci incamminammo più contenti del solito verso il posto segreto:
<< se l’acqua non è troppo fredda, ci faremo un bel bagno stamattina! >> mi ripeteva Milo durante il tragitto.
Ma quando eravamo quasi per arrivare, in lontananza, scorgemmo una figura. Meravigliati incominciammo ad avvicinarci lentamente e molto curiosi di sapere chi fosse. Quando fummo abbastanza vicini vedemmo un uomo seduto in riva al fiume che pescava: poteva avere all’incirca una settantina d’anni, di corporatura robusta, una folta barba bianca e gli occhi azzurri come il cielo, indossava degli stivali di gomma tipici dei pescatori e sopra una specie di scialle marrone fatto di peli di non so quale animale; aveva già preso due pesci che ancora si muovevano nel cestello ed accanto a quest’ultimo un barattolo di miele già metà vuoto. Quando ci vide sorrise e alzò la mano per salutarci:
<< ehilà, cosa ci fate voi qui?! >> esclamò;
<< noi veniamo tutti i giorni a giocarci qui! >> risposi;
<< bene! Divertitevi quanto volete, ma state attenti a non far scappare i pesci, mi raccomando! >> ci disse con tono scherzoso.
Io e Milo un po’ indispettiti ci arrampicammo su un albero, ci sedemmo su un ramo uno accanto all’altro, e fissammo per tutto il tempo quel vecchio signore. Eravamo meravigliati e un po’ preoccupati, da quando avevamo scoperto il posto segreto, oltre a noi, fino ad allora non c’era mai stato nessun altro:
<< chissà! Forse lui è solo il primo! Con il fiume così pulito ne arriveranno sicuramente degli altri! >> esclamò Milo;
<< non è giusto! Così il nostro posto non sarà più segreto! >> risposi;
<< hai ragione! Dobbiamo fare qualcosa! >> esclamò volgendo lo sguardo verso il vecchio signore ed arricciando le sopracciglia;
ma ad un tratto lui ci rivolse nuovamente la parola:
<< e questo lo chiamate giocare?! >> esclamò ironicamente;
a quel punto Milo balzò dal ramo e si avvicinò al vecchio signore:
<< scusi signore, perché non va a pescare in un altro posto!? >> gli domandò con aria minacciosa;
io subito lo raggiunsi:
<< sì, è vero! Il fiume è così lungo, perché deve pescare proprio qui!? >> continuai;
<< oh, oh, che caratterini! Sapete, è una bellissima giornata per pescare! >> ci rispose;
<< in che senso? >> gli domandai;
<< ho un’altra canna! Vi va di pescare? >>;
rimanemmo un po’ spiazzati da quella domanda, poi, dopo aver pensato per forse tre secondi:
<< perché no!? >> rispondemmo guardandoci l’un l’altro.
Pescammo tutta la mattinata, non l’avevamo mai fatto ed eravamo davvero impacciati. Prendemmo in due un solo pesce, ma era talmente piccolo che decidemmo di ributtarlo nel fiume.
Di ritorno a casa pensavamo che era stato davvero divertente pescare e che Charlie- il vecchio signore- era veramente simpatico.

 

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Capitolo 4
*** il sergente Moore ***


Nei giorni seguenti ci recammo nuovamente a pescare con Charlie. Ricordo che aspettando che i pesci abboccassero, Charlie ci raccontava un mucchio di storie interessanti, in tutte le storie c’erano sempre dei personaggi buoni e cattivi e nonostante le difficoltà i buoni avevano sempre la meglio:

<< seguire la strada dell’onestà e della giustizia non è sempre facile, non è facile distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ma comportarsi come si deve nella vita è l’unico modo per accedere in Paradiso! >> ci ripeteva spesso Charlie, anche se non capivo cosa volesse dire.

Al quarto giorno, ritornando tranquillamente a casa, assorto nei miei pensieri, a pochi metri da casa, mi sentii afferrare alle spalle: era mio padre, emanava un forte odore di alcol – doveva essere del tutto ubriaco – ed aveva gli occhi talmente spiritati che faceva paura solo a guardarlo. Mi afferrò per un braccio e cominciò a trascinarmi verso casa:

<< sei uscito di nuovo brutta carogna, adesso ti faccio vedere io! >> mi urlava;

<< lasciami papà! Mi fai male! >> lo pregavo piangendo.

Entrati in casa mi schiaffeggiò facendomi cadere a terra, poi fece per togliersi la cinta dei pantaloni, ma quando fu lì per assestarmi il primo colpo, mentre io, terrorizzato, chiudevo gli occhi per non guardare, bussarono alla porta:

<< chi è? >> chiese mio padre;

<< Polizia! >> una voce rauca rispose dalla porta;

<< maledetti scocciatori! >> borbottò mio padre;

poi si rivolse verso di me:

<< per stavolta te la sei cavata! >> disse, mentre alla porta continuavano a battere;

<< vengo! Vengo! >> esclamò mio padre.

Quando aprì si presentò alla porta un uomo di mezz’età in divisa, con degli occhiali da sole enormi ed in bocca un sigaro, aveva una cicatrice in volto ben in vista e delle scartoffie in mano: era il sergente Victor Moore, un poliziotto che da quando tre anni prima si era fatto vivo per la prima volta l’assassino bianco era ossessionato da quell’uomo. Aveva setacciato da cima a fondo tutta la città più volte, ma non era mai riuscito a trovare nessun indizio, anche se una sera di due anni prima si trovò ad assistere ad un omicidio, ma non riuscì a vedere in faccia l’assassino che gli sfregiò il viso e scappò, lo inseguì per un isolato ma poi si dileguò nel vuoto. Da quella sera non si diede più pace. Era un uomo arrabbiato e disperato per non esser riuscito a salvare quella sera la vita di una persona che gli stava molto a cuore: la vita di sua moglie. Dopo l’accaduto, ricordava solo che impugnava una grossa forbice ed era un uomo di razza bianca, da qui l’appellativo “bianco” che fu  proprio lui ad affibbiargli. Non era la prima volta che si presentava a casa nostra ma quel giorno per me fu una vera fortuna:

<< come va signor Vilmond? >> domandò appena aperta la porta;

<< bene! Grazie sergente. Qualche novità sull’indagine? >> chiese mio padre, ostentando una finta gentilezza;

<< purtroppo niente! Quello non è un uomo, è il Diavolo in persona! >> rispose con voce seria;

<< mi meraviglio di lei! Non crederà veramente a queste cose? >> ribatté mio padre;

<< certo che no! Ma non è di certo una persona qualunque! Come fa a spiegare che nonostante in tre anni abbia commesso più di trenta omicidi, non abbia lasciato neppure uno straccio di prova: un’impronta digitale, l’impronta di una scarpa, nemmeno un misero capello, niente di niente; si dilegua in un attimo come fosse un fantasma senza neanche lasciare un odore per i cani della polizia. Mi creda quello è un vero demonio! >> rispose irritato;

<< io credo sia solo un uomo, e come tutti gli uomini, prima o poi, commetterà un errore, vedrà! >> continuò mio padre;

<< lo spero tanto! Io so che è qui!!... qui in città, ne sento la presenza: cammina tra di noi come se niente fosse ed entra in contatto ogni giorno con i nostri cari, ma arriverà il giorno in cui me lo ritroverò faccia a faccia, e quel giorno la pagherà per tutte le sue malefatte! >> rispose il sergente Moore;

<< glielo auguro sergente! Ma mi dica, cosa è venuto a cercare oggi a casa mia? >> chiese mio padre;

<< niente! In verità mi sono fermato perché mi era sembrato di aver sentito gridare. Ma mi sembra tutto a posto! >> rispose Moore;

<< sì! Tutto a posto sergente, era solo mio figlio che è scivolato per le scale! Sà, questi ragazzi vanno sempre di corsa e poi finiscono per farsi male. Comunque niente di grave, grazie dell’interessamento! >> continuò mio padre;

<< dovere signor Vilmond! E se vede qualcuno o qualcosa di sospetto non esiti a chiamare! >> esclamò Moore, voltandosi per andarsene;

<< ci può contare sergente! >> rispose mio padre chiudendo la porta.

Poi venne verso di me, si chinò e mi afferrò la testa con entrambe le mani:

<< Brian guardami bene negli occhi! Devi ubbidirmi! Ti ho visto stamattina al fiume con quel tuo amico! Non devi andarci più! Io lo faccio per il tuo bene, l’assassino potrebbe essere chiunque ed ovunque, e non voglio che ti accada niente di male! >> disse con voce amorevole.

Andai in camera mia di corsa, pensavo che non era giusto che mio padre non mi permettesse di  vedere più Milo, ma poi incominciai a farmi delle domande: “se quella mattina mio padre mi aveva visto al fiume, aveva scoperto anche il posto segreto?”; “come mai non aveva visto Charlie che era stato tutto il tempo con noi?”; e “perché aveva aspettato che mi avvicinassi a casa per farsi vivo?”. Ovviamente non riuscii a darmi delle risposte, ma comunque decisi che sarebbe stato meglio che per qualche giorno non mi fossi recato al posto segreto.

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Capitolo 5
*** la soffitta ***


Così fu. Nei due giorni successivi Milo mi venne a chiamare come al solito, ma lo convinsi che per un po’ sarebbe stato meglio se non fossi venuto al posto segreto, senza però dirgli nulla di mio padre. Mi diedi alla lettura per passare il tempo, una delle mie passioni da bambino, ereditata probabilmente da mia madre visto che mio padre di rado comprava al massimo un giornale e nemmeno lo sfogliava tutto. Ed in quei giorni notai che in un vecchio libro senza la copertina, tutto rovinato e con le pagine ingiallite dagli anni, trovato in fondo ad un baule in cantina, tra le cose appartenute a mia madre, c’era una storia molto simile a quelle raccontate da Charlie. Mi rallegrai della coincidenza e pensai che anche Charlie doveva aver letto quel libro, dopotutto era vecchio quanto lui, e mi sarebbe piaciuto farglielo vedere.

Il terzo giorno Milo non venne ad insistere come al solito. Proprio quel giorno che sarei potuto uscire senza problemi: la sera prima mio padre mi aveva avvisato che sarebbe stato tutta la giornata a caccia. Egli andava quasi tutti i giorni a cacciare con un vecchio fucile che teneva ben riposto in soffitta. Usciva al mattino molto presto, non oltre le 6:00, ed usufruiva del primo bus disponibile che portasse fuori città fin nei pressi dei boschi dislocati alle pendici della Black Mountain dove gli alci abbondavano in qualsiasi stagione e dove non vi era bisogno di permessi di nessun tipo. Amava mangiare ciò che aveva catturato, negli ultimi tempi costringeva anche me a nutrirmi con la carne provente della sua caccia, si pavoneggiava del fatto che per molti comprare carne in quel periodo era un lusso, mentre noi avevamo la possibilità di cibarcene gratis. Ricordo ancora lo sgradevole sapore di quella carne dura e stopposa che mangiavo, comunque, senza mai lamentarmi, grato agli sforzi di mio padre di volermi crescere nel migliore dei modi. A volte mi raccontava di aver ucciso qualche lupo che aveva tentato di assalirlo o aveva cercato di azzannare le prede dopo che il colpo di fucile le aveva rese impossibilitate a camminare, e ciò mi rendeva in un certo qual modo un po’ orgoglioso di lui e del suo coraggio, ma soprattutto dei rischi che si assumeva per procurarsi qualcosa di nutriente per entrambi.  Non aveva orari precisi di ritorno, di solito per le 12:00 stava a casa. Ma quella volta mi avvisò che avrebbe fatto più tardi- chissà poi perché?!- e quindi potevo uscire tranquillamente ed andare a pescare con Milo e Charlie. Però, quando fui lì per uscire, sentii un forte rumore provenire dal corridoio. A primo acchito, sapendo di essere solo in casa, mi spaventai e corsi fuori come un lampo. Una volta fuori, però, vidi un gatto che si aggirava sul tetto, ipotizzai che, una volta arrampicatosi sul tetto, fosse saltato dal lucernaio della torretta –  che si sopraelevava dalla casa e che mostrava dall’esterno la grandezza della stanza che rappresentava la soffitta – sul tetto del primo piano all’altezza del corridoio, provocando probabilmente il tonfo che avevo sentito prima. Dopo di ciò lo vidi incamminarsi verso il lato della casa rivolto a sud ed intrufolarsi al suo interno dalla finestra lasciata aperta della mia camera. Sollevato, decisi di rientrare per recuperarlo. Lo trovai che miagolava sul mio letto, lo presi in braccio e mi avviai verso le scale per uscire dalla porta stavolta, dato che non sarei mai stato capace di calarmi dalla finestra con quel gatto in braccio. Quando fui sul ciglio delle scale, da dietro, sentii una porta cigolare, mi girai e vidi la porta della soffitta aperta. Posai il gatto a terra e cominciai ad avvicinarmi molto lentamente verso la scala che portavano in soffitta, salii i tre gradini uno ad uno, fermandomi ad ogni passo e prendendo ogni volta un bel respiro prima di continuare, fino a trovarmi sull’uscio della porta- avevo il cuore in gola dalla paura- all’interno della stanza era buio pesto, incominciai ad entrare ancora più lentamente, quando all’improvviso, da dietro la porta:

<< BU’! >> qualcuno gridò;

<< AAAAHHHH!! >> urlai con tutto il fiato che avevo in gola;

finché  non sentii una mano che mi tappò la bocca. Poi si accese la luce:

<< cosa ti gridi stupido! Sono io, Milo! >>

<< sono quasi morto dallo spavento, lo sai!? Cosa ci fai tu qui? >> gli domandai a bassa voce;

<< visto che tu non vuoi più uscire, ho deciso di farti una sorpresa!.. ho visto tuo padre uscire molto presto stamattina! Molto più presto del solito! Sono entrato dalla finestra del seminterrato, rotta dall’anno scorso, quella che si apre con una spintarella! Ricordi la usavi anche tu!!.. non credevo fosse ancora rotta..ih ih >> mi disse con calma e sghignazzando, guardandosi intorno;

<< bella sorpresa! >> gli risposi ironicamente, dandogli uno buffetto sulla nuca;

<< ma cos’è questo posto? >> mi domandò, poi, Milo;

in effetti, preso dallo spavento, avevo quasi scordato di essere entrato in soffitta, e pensai che, visto che c’ero, era meglio non farsi sfuggire l’occasione di dare un’occhiata:

<< questa è la soffitta! L’unico posto della casa dove finora non avevo messo piede! Mio padre ci tiene molto a questo posto, quindi sta attento a non toccare nulla! >> risposi a Milo.

C’erano, ovviamente, molti attrezzi da caccia: notammo subito attaccato al muro un grosso coltello curvo con un manico enorme avvolto da una benda; su una scrivania con diversi cassetti c’erano riposte alcune vecchie fotografie di mio padre in divisa dei tempi della guerra, sempre in compagnia di alcuni commilitoni, ed un grosso barattolo di vetro con all’interno diverse caramelle scartate che sembravano ammuffite, Milo allungò subito la mano nel barattolo per prenderne una, ma io prontamente lo fermai:

<< ho detto di non toccare nulla! Deve rimanere tutto com’è! Non voglio che mio padre si accorga che sono entrato in soffitta! >> rimproverai Milo;

<< va bene! Va bene! Non ti scaldare però! Che sarà mai!? Una caramella in più, una in meno..non se ne accorgerebbe mica..e poi sembrano essere andate pure a male,puzzano di marcio..e poi non riesco neanche più a sfilarci la mano! >> ribatté Milo;

anche se in quel momento non lo ascoltavo, mi ero soffermato ad osservare una fotografia di mio padre: era giovanissimo, stava in posa sulla destra di un gruppo di militari con il braccio sulla spalla di un suo compagno, ed avevano entrambi un’espressione molto seria. All’improvviso sentimmo la porta d’ingresso aprirsi:

<< Brian! Sono io! Dove sei? >> gridò mio padre;

<< cavolo! E’ mio padre! Usciamo, presto! Se ci trova qui sono guai! >> dissi rivolgendomi a Milo con voce bassa;

<< aspetta Brian! Mi si è bloccata la mano nel barattolo! Aiutami! >>;

tirai il barattolo con tutta la mia forza ma non riuscivo a sfilarglielo, nel frattempo  sentivo i passi di mio padre che saliva i gradini che portavano di sopra. Non sapevo più che fare.

 

 

Una volta salito sopra, mio padre subito spalancò la porta della mia camera …. e mi trovò seduto sul letto a leggere:

<< ciao papà! Come mai sei tornato così presto? >> gli chiesi;

<< non sono affari tuoi! Perché non hai risposto? >> mi chiese a sua volta;

<< ero così tanto assorto a leggere che non ti ho sentito! >>  gli risposi;

poi si guardò intorno come per vedere se fosse tutto a posto, e mi disse:

<< bravo! Vedo che stai seguendo i miei consigli, anche stamattina non sei uscito! Continua così e vedrai che la bici che tanto volevi arriverà! >>;

<< dici davvero?! Grazie papà! >> risposi felice;

poi si girò per uscire, ma ad un tratto si rigirò e si avvicinò al letto, mentre io guardavo fisso il libro e sudavo freddo, mi strappò il libro dalle mani, lo rivoltò e me lo rimise tra le mani, io lo guardai e sorrisi come un cretino, lui non disse una parola e se ne andò chiudendo dietro di sé la porta. A quel punto tirai un sospiro di sollievo, mi affacciai sotto il letto dove c’era Milo che era stato tutto il tempo in silenzio con la mano ancora bloccata nel barattolo:

<< presto, esci! Se n’è andato! >> dissi a voce bassa;

Milo subito uscì:

<< toglimi questo barattolo, presto! >> mi chiese frettolosamente;

poi:

<< aspetta un attimo! E se tuo padre adesso va in soffitta?! >> continuò Milo;

<< maledizione! E’ vero! Speriamo di no! >> risposi impaurito.

Mi avvicinai alla porta ed aprii uno spiraglio per guardare in corridoio, mentre Milo cercava di togliersi il barattolo da solo bloccandolo a terra con un piede. In effetti mio padre, dopo essersi tolto il cappello in camera sua, si indirizzò verso la soffitta probabilmente per riporre il fucile che aveva ancora in spalla. Avevo capito che la sera prima mi aveva avvertito che avrebbe fatto più tardi solo per cogliermi di sorpresa quella mattina, ma in quel momento ciò che mi preoccupava di più è se si fosse accorto della mancanza del barattolo. Però, arrivato al principio della scala che portava in soffitta, gli si parò davanti il gatto che avevo lasciato prima in corridoio che quasi lo faceva inciampare:

<< e tu come sei entrato, brutta bestia?! >> sentii borbottare mio padre;

poi lo prese con una mano e si avviò di sotto per metterlo fuori la porta. Un vero colpo di fortuna- pensai- inoltre Milo era riuscito a liberarsi dal barattolo ma aveva fatto cadere un mucchio di caramelle. Ci affrettammo a raccoglierle ed a rimetterle dentro, anche se non fu un’impresa facile, visto che erano talmente appiccicose che non si staccavano dalle mani. Comunque riuscimmo abbastanza velocemente a mettere le cose a posto e corsi in soffitta a rimettere il barattolo al suo posto. Ritornai in camera mia proprio quando mio padre era risalito al piano di sopra. Rientrato in camera mi rivolsi verso Milo che era rimasto lì per paura di essere visto da mio padre mentre usciva dalla finestra:

<< adesso puoi andare! Mio padre è in soffitta! Ci vediamo domani al posto segreto, ho qualcosa da far vedere a Charlie! >>;

Milo non capì, ma comunque mi salutò e si affrettò ad uscire.

In soffitta mio padre notò il coperchio del barattolo aperto- un grosso errore da parte mia- ma fortunatamente non sospettò di nulla e lo richiuse pensando probabilmente che doveva averlo lasciato aperto lui stesso.

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Capitolo 6
*** il presagio ***


 
[All’improvviso Milo rientrò in camera mia, era affannato e spaventato:
<< aiutami Brian! Aiutami, ti prego! >> mi ripeteva debolmente;
incominciò a sputare sangue dalla bocca, gliene usciva talmente tanto che io nel tentativo di fermarlo ne avevo le mani sporche fino all’avambraccio. Poi incominciò a vomitare le caramelle di prima, e mentre vomitava ripeteva il nome di Charlie. Non sapendo più che fare mi diressi verso la porta nel tentativo di chiedere aiuto, ma scivolai con la faccia a terra nel sangue che nel frattempo aveva ricoperto quasi tutto il pavimento. Quando ad un tratto si spalancò la porta e si presentò mio padre sorridente col fucile puntato verso Milo:
<< dunque sei tu che prima è entrato in soffitta! >> disse istericamente;
poi sparò colpendo più volte nel petto Milo.].. Io gridai con tutte le mie forze..e mi svegliai nel cuore della notte. Un incubo..era stato soltanto un incubo … talmente reale che mi sentivo il sapore del sangue in bocca. Intanto in lontananza si sentivano risuonare le sirene della polizia, pensai che doveva essere successo qualcosa di brutto come la settimana scorsa, mi avvicinai col fiatone alla finestra per guardare di fuori ma scorsi solo qualche fievole luce in lontananza. Così mi riadagiai sul letto e mi riaddormentai, o almeno provai a farlo.
La mattina seguente aspettai con ansia che Milo venisse a chiamarmi, ma come temevo non si presentò. Poi pensai che, probabilmente, se quella notte c’era stato un altro omicidio, Milo doveva essersi recato sicuramente di nuovo sul luogo del delitto. Così mi incamminai da solo verso il posto segreto con la convinzione che Milo mi avrebbe raggiunto più tardi. Ma purtroppo così non fu. Arrivato nei pressi del posto segreto, vidi in lontananza un capannello di persone: erano poliziotti e giornalisti che coprivano la visuale di qualcosa o qualcuno che giaceva a terra. Mi avvicinai di corsa sul posto, ma appena arrivato nei pressi fui fermato da due agenti:
<< torna a casa piccolo! Non è il posto per un bambino questo! >> mi disse uno di loro.
Io feci finta di andarmene, invece rimasi nascosto, e cominciai a guardarmi intorno per vedere se nelle vicinanze si aggirasse Milo. Inoltre, quella mattina non era venuto neppure Charlie- chissà chi aveva avvisato del fatto la polizia, dato che al posto segreto, oltre a noi, non si recava mai nessuno!?!- poi vidi arrivare il sergente Moore:
<< il secondo omicidio in due settimane! Peraltro è anche un bambino! Stavolta ha davvero esagerato quel mostro! >> esclamò irritato Moore;
poi si avvicinò a fare delle domande a due persone che piangevano, di cui fino a quel momento non mi ero accorto della presenza: erano i genitori di Milo. Incominciai a capire la situazione. Anche se non volevo crederci uscii da dietro l’albero dove mi ero appostato e corsi urlando verso il cadavere, ed anche se qualcuno cercò di fermarmi, riuscii lo stesso ad arrampicarmi su uno di quegli alberi pendenti su cui io e Milo giocavamo spesso. E lì lo vidi: giacente a terra, con gli occhi spalancati ed il sangue che gli usciva dappertutto. Incominciai a piangere e gridare come un forsennato, un poliziotto riuscì ad afferrarmi e tirarmi giù, ma io mi divincolai e incominciai a correre verso casa. Nel frattempo Moore aveva osservato tutto il tempo la scena in silenzio e mentre mi allontanavo dal luogo del delitto mi fissava con uno sguardo incattivito e pensieroso.
 
 
Una volta arrivato a casa, incrociai mio padre che era venuto  a conoscenza dell’accaduto, che quando mi vide non disse una parola, anzi, con una bottiglia di liquore in una mano ed il fucile nell’altra si apprestava ad andare a caccia. Io mi infilai nella mia stanza e mi buttai piangente sul letto. Dopo un po’ che ero lì sentii bussare alla porta, ma non mi preoccupai di andare a vedere chi fosse, in quel momento volevo essere lasciato solo e non mi andava di parlare con nessuno. Alla porta chiunque fosse, insistette per un po’, poi si arrese, ma dopo un po’ sentii dei rumori provenire dalla finestra. Sobbalzai dal letto e mi avvicinai con l’assurda convinzione di trovare Milo, ma appena affacciato mi ritrovai di fronte Moore che cercava di arrampicarsi:
<< Brian! Allora ci sei!? >> esclamò;
io mi spaventai, chiusi la finestra e corsi di sotto pensando che volesse farmi del male, ma appena aprii la porta per uscire me lo ritrovai nuovamente di fronte ansimante:
<< fermati Brian! Non voglio farti del male! >>;
io cercai comunque di superarlo, ma lui mi afferrò per una mano e mi prese in braccio per non farmi scappare:
<< lasciami! Lasciami! >> gli ripetevo, urlando e scalciando con tutte le mie forze;
lui mi tappò la bocca con una mano per non farmi più urlare:
<< adesso sta calmo! Non ti faccio niente! Ho bisogno solo di parlare un po’ con te! >> mi sussurrò nell’orecchio;
convinto delle sue buone intenzioni decisi di calmarmi:
<< bravo! Così va bene! Adesso ti rimetto giù. Mi prometti che non tenterai di scappare di nuovo >> mi chiese;
io gli risposi di sì facendo un cenno con la testa. Così lui mi appoggiò a terra, si chinò per raccogliere gli occhiali che gli erano caduti nel tentativo di tenermi fermo, e mi rivolse la parola:
<< so come ti senti! Certe volte la vita ti riserva momenti di fronte ai quali l’unica nostra reazione è la disperazione! Milo doveva essere una persona molto speciale per te, e nessuno potrà far tornare le cose com’erano prima, ma adesso Brian devi aiutarmi! Ti prego aiutami! La persona che ha fatto questo a Milo deve pagarla! So che è un momento difficile per te, ma devi cercare di reagire! >> mi disse Moore;
io in quel momento capii che stava soffrendo almeno quanto me, ma non sapevo davvero cosa dire. In effetti non sapevo nulla di cosa fosse successo quella notte, solo che avevo avuto un brutto presagio. E proprio pensando all’incubo di quella notte mi echeggiò nella mente Milo che esclamava il nome di Charlie, tanto che senza pensarci lo nominai a bassa voce davanti a Moore:
<< chi è Charlie? >> mi domandò subito Moore;
io rimasi in silenzio per qualche istante, dentro di me ero sicuro che una persona come Charlie non avrebbe mai potuto fare un cosa del genere a Milo, ma data l’insistenza di Moore decisi di raccontargli tutto.
Dopo che ebbi finito di parlare, e nonostante non ci fosse stato niente di anormale nel mio racconto, vidi Moore impallidire:
<< Brian, io sono nato e cresciuto in questa città e né il nome né la descrizione di quest’uomo mi sono familiari! Tu sei l’unico che ha visto il suo volto, devi aiutarmi a cercarlo! >> disse Moore.
Ero molto confuso ma gli occhi di quell’uomo in quel momento mi sembrarono sinceri, così decisi di starlo a sentire.
 
 
Fu una giornata molto lunga. Setacciammo il fiume per diversi chilometri per poi passare alle strade di Saveran dove Moore ossessionatamente faceva domande a tutti coloro che gli passassero sott’occhio, ma di quel Charlie sembrava che nessuno ne sapesse niente, tant’è che mi sembrò che Moore incominciasse a dubitare della mia buona fede.
Verso sera ci recammo nel distretto di polizia dove guardai e riguardai centinaia di foto segnaletiche ma, a confronto, un ago in un pagliaio sarebbe stato più facile da trovare:
<< sei stato bravo Brian! Ma adesso si è fatto tardi, và a casa a riposare, riprenderemo domani! >> a un certo punto mi disse Moore, ordinando poi ad un suo sottoposto di riaccompagnarmi a casa.
In effetti ero sfinito, ma il dolore per la morte di Milo era più forte della mia stanchezza. Così mi avviai verso casa con mille pensieri nella testa e nessuna voglia di dormire: mi ritornarono in mente tutti i bei momenti passati con il mio miglior amico; a tutta la sua voglia di vivere nonostante le difficoltà; al suo modo di fare sempre incurante del pericolo; al suo desiderio di diventare giornalista; e pensavo che non era giusto..non era giusto per niente che fosse toccato proprio a lui. Pian piano dentro di me il dolore e la disperazione stavano facendo spazio sempre di più alla rabbia. Cominciavo a capire come si sentissero mio padre e Moore: la morte della persona a cui tieni di più nella vita ti rende cattivo contro ogni tua volontà- ma non sapevo quanto mi sbagliavo.
 
 
Ritornato a casa trovai la porta dell’entrata socchiusa, entrai e guardai le scale per avviarmi di sopra, ma poi mi fermai: avevo visto mio padre seduto in fondo alla stanza nella penombra, aveva gli occhi metà chiusi come in un dormiveglia, era rimasto sveglio- o almeno aveva provato a farlo- fino a quell’ora. Così mi avvicinai silenziosamente con l’intento di avvisarlo del mio ritorno, anche se ero molto indeciso se svegliarlo o meno. Avvicinandomi vidi sul pavimento, accanto a lui, quella dannata bottiglia che aveva sempre con sé- quasi come se fosse un giorno speciale per bere- ma quando fui a due passi, all’improvviso si alzò di botto, e ancora mezzo intontito incominciò a delirare:
<< finalmente sei tornato, piccolo detective! Com’è andata? Scommetto male! Dopotutto quello stupido di Moore per affidarsi a te deve essere messo davvero male! >>;
allora io mi girai per andarmene:
<< domani io ci ritorno! >> dissi;
<< c’è ancora bisogno di me! >> continuai;
<< di te?! >> rise istericamente mio padre;
<< non farmi ridere! Tu domani non vai proprio da nessuna parte! Ci parlo io con quelli, non ti preoccupare! >>;
<< Invece no! Io ci vado e basta! >> risposi urlando con tutta la rabbia che avevo in corpo;
<< come ti permetti!? Non rispondere mai più con quel tono! E ricordati che la colpa è solo vostra! Io ti avevo avvertito che se continuavate a bazzicare sul fiume, prima o poi, sarebbe successo qualcosa di brutto! Ma l’unico che si è bruciato è quello stupido negretto! Dovresti ringraziarmi! Io ti ho salvato! >> gridò piangendo.
A quelle parole mi sobbalzò il cuore, mi rigirai verso di lui, e camminando all’indietro con le lacrime agli occhi mi vennero i peggiori pensieri, e facendo di no con la testa le parole mi uscirono da sole:
<< no! Sei tu!.. Sei tu!.. Sei tu l’assassino!.. Sei tu che hai ammazzato Milo! >>
<< cosa dici?! >> rispose mio padre sempre piangendo;
<< no..no..noooo! >> gridai;
e scappai fuori cominciando a correre con tutte le mie forze. Lui mi corse dietro, ma inciampò appena fuori casa: Quando si rialzò, aiutato dal buio, già ero fuori dalla sua vista, e sentivo solo le sue grida da lontano:
<< io ti ho salvato! Io ti ho salvato! >>.
Corsi lungo il fiume, l’unica strada che conoscessi a memoria nonostante l’oscurità, e nonostante la mia età non avevo paura per niente, in quel momento non avevo paura nemmeno della morte.
Arrivato nei pressi del posto segreto rallentai e alla vista dei nastri che circondavano il lembo di terra dove quella mattina giaceva esanime Milo rabbrividii, ma non fermai il mio andare, anzi, una volta arrivato sul punto mi soffermai meglio a guardare. Quando ad un tratto sentii la sua voce dall’alto che mi chiamava e mi invitava a salire sul ramo dove lui già era seduto, e alzando lo sguardo, per un attimo lo vidi, sorridente ed ancora vivo, ma l’illusione si dissolse in un istante col fruscio delle foglie mosse dal vento: niente era più brutta della realtà in quel momento.
Raccolsi comunque l’invito e salii sull’albero, dove rimasi per non so quanto tempo a piangere, e quando le lacrime si esaurirono sopraggiunse la stanchezza. Ma nel momento in cui stavo per cedere al sonno sentii un rumore provenire dal basso che mi fece di colpo riaprire gli occhi:
<< chi c’è? >> subito gridai;
ma nessuno rispose, e dopo un po’ un altro rumore da un’altra direzione:
<< c’è qualcuno? Chi sei? >> gridai di nuovo;
e poi ancora un altro rumore da più vicino, e questa volta intravidi una sagoma che aiutata dal buio si nascondeva dietro l’albero di fianco. Mi mancò il respiro, non riuscivo più a proferire parola. Mi venne subito di guardare ai piedi del mio albero per vedere se ci fosse qualcuno: volevo scendere..volevo andarmene. Ma prima di farlo aspettai ancora qualche minuto, in cui non sentii più nessun rumore, e questo mi sembrò ancora peggio. Alla fine mi decisi, scesi il più veloce che potevo e cominciai a correre ancora più velocemente. Allo stesso tempo cominciai a sentire dei passi che mi seguivano, li sentivo arrivare da tutte le direzioni: da dietro, avanti, destra, sinistra, e sembravano sempre piuttosto vicini, tanto che cominciai a disorientarmi e mentre correvo guardavo verso tutte le direzioni, ma stranamente nessuno si avvicinava. Così un attimo di distrazione mi fu fatale: inciampai e sentii un forte dolore alla caviglia. Con lo sguardo ancora rivolto a terra percepii qualcuno fermarsi davanti a me. Alzando un po’ lo sguardo vidi dapprima degli stivali di gomma e poi, alzando ancor di più la testa, capii chi era.
 
 
Era Charlie!Ritto e immobile davanti a me, che guardava davanti a lui nel vuoto senza dire una parola. Non sapevo che fare in quel momento, pensai solo a quello che mi aveva detto Moore, e tremavo di paura mentre, con gli occhi rivolti sempre verso di lui, mi trascinavo all’indietro aiutandomi con i gomiti ed il piede non dolorante. Ad un tratto Charlie abbassò lo sguardo e mi guardò, poi mi tese la mano:
<< Brian vieni con me! Non ti farò del male! >> disse con voce amorevole;
mi fece ancora più paura, e nonostante la caviglia slogata mi alzai e zoppicante cercai di scappare. Neanche feci due passi che mi sentii da dietro afferrare per i capelli:
<< tu hai bisogno di me! Tutti hanno bisogno di me! >> disse, ripetendo sottovoce la parola “tutti” mentre mi trascinava verso la sponda del fiume.
Non chiesi aiuto, ma cercai comunque di divincolarmi, anche se fu tutto inutile: era troppo forte per me. Arrivato all’argine mi avvicinò col viso a pelo d’acqua e incominciò a farfugliare delle parole in una lingua a me incomprensibile. Quando finì il suo rito mi spinse con la testa sotto come per affogarmi. Passarono dei secondi terribili in cui credevo di non farcela a trattenere più di tanto il fiato e che, prima o poi, avrei sicuramente ceduto al mio destino. Quando ad un tratto sentii un’altra mano afferrarmi sulla spalla e tirarmi con più forza fuori, facendomi sobbalzare a terra ed allontanandomi dalla sponda. Io un po’ intontito non capii subito cosa stava accadendo e inizialmente vedevo solo due ombre scontrarsi, e una di loro stava avendo la meglio: sicuramente tra i due c’era Charlie, ma l’altro non mi era ancora chiaro chi fosse. Quando le immagini mi furono più limpide, capii che era mio padre. Aveva messo in ginocchio Charlie che, ormai indebolito, sanguinava copiosamente dalla bocca e dalla fronte. Mio padre fece qualche passo indietro, prese il fucile che aveva in spalla, glielo puntò contro e sparò colpendolo più volte nel petto, cosicché il suo corpo si accasciò sul fianco e cadde nel fiume.
Io rimasi sconvolto dalla scena, e la reazione di mio padre non fu da meno, terrorizzato lasciò cadere il fucile a terra:
<< cosa ho fatto?! Cosa ho fatto!? >> ripeté più volte;
poi si avvicinò a me e mi prese in braccio- notai subito che aveva la mano sinistra ferita e intrisa di sangue- si riavvicinò al fucile, lo raccolse e incominciò a camminare con passo veloce verso casa senza girarsi nemmeno una volta all’indietro. Io, invece, col mento appoggiato sulla sua spalla, guardai ancora il punto in cui il corpo di Charlie era caduto in acqua, ma ormai già non si vedeva più.
Il giorno seguente non andai da Moore, come brutalmente mi aveva ordinato mio padre la sera prima, e così fu anche nei giorni seguenti, finché Moore non si disinteressò della mia collaborazione. Inoltre né io né mio padre raccontammo nulla dell’accaduto, al solo pensiero di rivivere quei momenti rabbrividivo dalla paura, e poi non volevo che si sapesse che mio padre avesse ucciso qualcuno, anche se quel qualcuno era un mostro. L’unica cosa certa è che da lì in avanti l’assassino bianco non si fece più vivo.

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Capitolo 7
*** otto anni dopo ***


Gli avvenimenti di quell’estate ebbero degli effetti catastrofici sul proseguo della mia vita. Negli anni successivi compressi la mia personalità sino a spegnermi, mi isolai da tutta la realtà che mi circondava fino a chiudermi in me stesso a tal punto che addirittura mi capitava di star in silenzio per giorni, soprattutto perché non avevo contatti con nessuno, tranne che con mio padre ed a scuola, quando mi chiedevano di parlare. Rimanevo per ore chiuso in camera mia, i miei unici passatempi erano fumare e guardare fuori dalla finestra, che quasi sempre facevo contemporaneamente.
Il rapporto con mio padre si può dire che peggiorò, anche se in effetti un vero e proprio rapporto non c’era affatto, non vi erano né momenti di scontro, né d’affetto, anche lui rimaneva quasi tutto il giorno a casa e ci incrociavamo solo a tavola. Aveva abbandonato la caccia da quella sera, in cui ripose il fucile in soffitta per l’ultima volta e ne sigillò la porta affinché nessun altro potesse più entrarvi. La ferita alla mano che si procurò scontrandosi con Charlie lo portò alla quasi menomazione, perché a causa della sua testardaggine non volle farsi visitare da nessun medico, e peraltro non ebbe nemmeno il buon senso di curarsi da sé , tant’è che la mano gli andò in cancrena e a malapena riuscì più a muoverla. Sembrava che gli dolesse costantemente, e anche se non la utilizzava mai, si cambiava la fasciatura (l’unica mai avuta in tutta la sua vita) tutti i giorni, come se la ferita non si fosse mai rimarginata. In ogni caso la mia stima nei suoi confronti crebbe parecchio. In casa mi occupavo io di tutte le faccende ed eseguivo senza storie tutti gli ordini che mi impartiva, e nonostante i suoi modi sempre burberi ed il suo costante sbraitare, non ho mai avuto modo di lamentarmi. Dopotutto era mio padre..la persona che mi ha donato la vita per ben due volte, perché senza di lui sarei stato sicuramente l’ennesima vittima dell’assassino bianco, e chissà poi quante altre dopo di me. Invece l’ultima, purtroppo rimase il povero Milo … già Milo, che nonostante fosse morto rimase la persona con cui comunicavo di più: quelle rare volte che mi recavo a trovarlo al cimitero di Saveran  chiacchieravo tantissimo sulla sua tomba, parlandogli di tutto quello che si stava perdendo ma anche di quanto fosse stato fortunato a non patire più le sofferenze della vita perché io che ero rimasto da questa parte mi reputavo il più disgraziato tra i due. Ovviamente dall’altra parte non ricevevo risposte o parole di conforto, ma a me andava bene così, mi bastava pensare che fosse vivo nei miei pensieri e nel mio cuore. E dopo mi sedevo sul prato davanti alla sua lapide, accendevo una sigaretta e mi godevo la pace di quel luogo che mi faceva stare bene come quando da piccolo mi recavo al posto segreto, e dopotutto ogni tanto avevo bisogno di un po’ di tranquillità senza nessuno che mi dicesse cosa dovessi fare.
Spesso la notte il suo pensiero ancora mi perseguitava, sognavo spesso Milo che sanguinante mi chiedeva aiuto. Un incubo ricorrente di quel bambino spaventato che chiedeva di non fargli del male, che voleva ancora vivere, che disteso a terra, stordito ed indebolito, cercava strenuamente di tener chiusa la bocca, mentre io senza poter far nulla, vedevo solo l’immagine di quelle mani che gliela divaricavano per estirpargli la lingua e l’anima, mentre l’immagine si  dissolveva avvicinandosi sempre di più verso l’interno della bocca sino a divenire tutto buio, ed a quel punto l’amaro risveglio in un’altra notte infame.
Per quanto riguarda la scuola, tralasciando il rendimento- dato che studiavo poco e i voti non erano dei migliori- raggiunsi comunque l’ultimo anno di liceo. Naturalmente quell’anno, come in quelli precedenti, non mi feci molti amici, anzi, si può dire tranquillamente nessuno. Le uniche persone che mi rivolgevano la parola erano Tim Scott- il capitano della squadra di football- ed i suoi amici..per prendermi in giro di solito. Mi consideravano un asociale e mi offendevano spesso chiamandomi piscia sotto e bugiardo, riferendosi al fatto che otto anni prima avevo mentito alla polizia sull’esistenza di un fantomatico Charlie, e poi non mi ero fatto più vedere per paura di essere punito. Ma anche se questo fardello lo portavo dietro da otto anni, non mi pesava per niente, anzi, forse Tim ed i suoi amici non erano gli unici a pensare quelle cose, ma almeno avevano il coraggio di dirmelo in faccia. Un altro personaggio interessante della mia scuola era Steven Morton, il ragazzo più ricco della città, figlio di Rude Morton, padrone di quella fabbrica di plastica dove una volta lavoravano i genitori di Milo. Frequentavamo lo stesso corso di scienze ed, in confronto a me, era un ragazzo che godeva di grande considerazione nella scuola: suo padre era finanziatore di molte iniziative umanitarie e di ricerca scientifica in tutto lo Stato ed aveva contribuito all’apertura di uno degli istituti più attrezzati della Nazione per la salvaguardia dell’ambiente proprio a Saveran, si diceva che il miracolo del fiume avvenuto  anni prima non era merito di fenomeni climatici, come io stesso pensai all’epoca, ma di un innovativo impianto di depurazione che egli stesso aveva fatto installare nella sua fabbrica. In realtà quello che mi interessava di Steven, non era la sua notorietà, bensì la ragazza che gli stava affianco dall’inizio dell’anno scolastico: Madalene Preston, figlia del reverendo della città e, a mio parere, la ragazza più bella che avessi mai visto..anche se in effetti non credo neanche che sapesse della mia esistenza e del fatto che mi recavo spesso a studiare in biblioteca solo perché sapevo che lei ci si recava da sola; ero ben consapevole che non mi avrebbe mai notato, però vederla per me era una delle poche cose che mi faceva sentire ancora vivo.
Quell’anno fu un anno di forti cambiamenti che mi resero un po’ meno grigia la vita a Saveran.

 

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Capitolo 8
*** Sally ***


Tutto iniziò con l’arrivo a circa tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico- precisamente il 20 novembre del 1963- di una nuova studentessa: Sally Velez, trasferitasi  dal Texas con la madre, a cui avevano offerto un posto di lavoro all’I.S.A.M.- istituto per la sicurezza ambientale morton- poiché era una ricercatrice scientifica con forti credenziali nel settore della salvaguardia dell’ambiente; anche lei era figlia unica con un solo genitore, aveva perso il padre in guerra, ma rispetto a me era una ragazza piena di vita. Anche lei si iscrisse al corso di scienze e quando si presentò alla classe mostrò grande socievolezza  e spigliatezza, scrutò l’aula da cima a fondo poi soffermò lo sguardo su di me che ero seduto all’ultimo banco, e si avvicinò:

<< è libero questo posto? >> disse, riferendosi a quello accanto al mio;

<< sì! >> timidamente risposi;

dopo che si fu accomodata si rivolse nuovamente a me presentandosi:

<< io mi chiamo Sally..Sally Velez! È un piacere conoscerti! Qual è il tuo nome? >> mi domandò;

ero un po’ spaesato, nessuno si era mai rivolto in quella maniera nei miei confronti, e mi sembrava impensabile che lo stesse facendo una ragazza, che- essendo anche carina- mi mise in forte soggezione. Comunque alla fine mi feci coraggio:

<< mi chiamo Brian Vilmond! Il piacere è tutto mio! >> risposi, ostentando una finta sicurezza;

<< bene Brian! Spero tu non sia così freddo come l’Alaska! Devo dire che Saveran non mi ha fatto una bella impressione..ma io so adattarmi molto bene! >> disse, mostrandomi confidenza;

<< buon per te! Ma non credo che troverai molti diversivi in questa città! >> risposi;

<< ah beh! In effetti qualcosa ho già trovato: l’unica cosa per cui è famoso questo luogo sono quegli omicidi irrisolti che si interruppero misteriosamente otto anni fa..infatti inizialmente ho contestato molto il trasferimento impostomi da mia madre.. ma questa nuova prospettiva mi ha suscitato grande interesse! >>;

effettivamente Saveran era ancora molto famosa per gli omicidi dell’assassino bianco, e le ricerche del mostro non si interruppero mai. Inoltre io ero a conoscenza di fatti di cui non era a conoscenza neppure la polizia, e mi sembrò davvero incredibile che una ragazza venuta da fuori ne venisse a parlare proprio con me, comunque non capivo da dove provenisse tutto quell’interesse:

<< non capisco cosa vuoi dire!? >> quindi le chiesi;

<< sai,  mi piacerebbe diventare una giornalista d’assalto! E non puoi negare che questo caso sia davvero eccitante! >> rispose;

mi venne da pensare subito a Milo: voleva diventare una giornalista e non si curava del pericolo..proprio come lui. Ma,poi, pensando alla fine che aveva fatto, rivolsi la faccia dall’altra parte e mi incupii:

<< non ci vedo niente di interessante! >> dissi freddamente;

notai che quella mia affermazione distaccata la lasciò un po’ perplessa, e nel momento in cui tentò di chiedermi spiegazioni, fummo interrotti:

<< voi laggiù!..avete finito di chiacchierare?!..Signor Vilmond sa dirmi lei di cosa stavamo parlando? >> urlò il professor Banks;

<< no signor Banks! >> risposi, alzandomi in piedi;

<< allora stia più attento..se vuole superare questo corso deve impegnarsi di più! >> mi rimproverò;

<< sì, mi scusi! >> continuai, risedendomi.

Non ci rivolgemmo più la parola fino alla fine delle lezioni, e anche dopo- senza motivo- la evitai, forse perché non mi andava di rivangare ricordi troppo dolorosi.

Il mattino seguente mi fermai, come al solito, nei pressi del campo da football che accostava la scuola: ero solito fumarmi una sigaretta dietro le gradinate degli spalti prima dell’inizio delle lezioni, e guardavo da lontano gli altri studenti che si riunivano in gruppetti mentre aspettavano che si aprissero le porte della scuola. Intravidi anche Sally che chiacchierava con un’altra ragazza e mi soffermai ad osservare le sue movenze: Sally aveva dei lunghi capelli neri che tirava in continuazione all’indietro, i tratti del suo viso, un po’ orientali, la rendevano molto affascinante, ma quello che mi colpiva di più era il suo sorriso che aveva scolpito sempre in volto e che non negava mai a nessuno. Mentre la stavo osservando, ad un tratto, girò lo sguardo e incrociò il mio, sorrise, salutò l’amica e si incamminò verso di me. Mentre si avvicinava pensai a mille cose da dirle e a quello che mi avrebbe chiesto, forse voleva riprendere il discorso interrotto ieri, e, anche se non mi andava, non avevo nessuna intenzione di evitarla di nuovo, so solo che il cuore incominciò a battermi forte. Ma quando fu a qualche metro da me mi si parò davanti Tim che me ne coprì la visuale:

<< ehi, piscia sotto! Non ti avevo detto di non farti più vedere vicino al campo?! Oltre che bugiardo sei pure sordo? >> esclamò acidamente;

<< sì, Tim! Adesso me ne vado! >> risposi con calma;

ma quando fui per fare il primo passo, lui mi spintonò:

<< dove credi di andare?! Ti serve una lezione demente! Gli asini si addestrano con le bastonate! >> esclamò minacciosamente;

inoltre si erano avvicinati altri due suoi amici che si erano piazzati alla sua destra ed alla sua sinistra, impedendomi ogni via di fuga. Nel frattempo Sally si era allontanata, ma prima di entrare nella scuola si era fermata vicino a Steven sussurrandogli qualcosa nell’orecchio. Intanto le offese di Tim si facevano sempre più pesanti:

<< sei solo feccia! Dovresti annegare nel fiume con quel cesso che ti ritrovi come casa! >>;

io ascoltavo con lo sguardo rivolto a terra, aspettando il momento in cui si sarebbe stancato, infondo alle offese ero abituato. Il suo obiettivo era quello di istigarmi, perché se avessi reagito sarebbe stato giustificato a darmele. Non ero mai arrivato a trovarmi in una situazione del genere, ed ero un po’ arrabbiato solo perché era successo davanti a Sally, in ogni caso sapevo che prima o poi avrebbe smesso, fino ad allora non era mai riuscito a tentarmi..già, fino ad allora:

<< e quella mummia di tuo padre è a casa a cambiarsi le bende?..Ah, ho capito! Quella non è una casa, è una bara! >> esclamò con cattiveria guardando gli amici e ridendo;

quelle parole mi irritarono parecchio, non avevano mai offeso mio padre e non si sarebbero dovuti permettere: alzai il volto minacciosamente e, mentre ancora aveva lo sguardo rivolto verso il compagno, lo colpii in faccia con un pugno facendolo cadere a terra. Gli altri due subito intervennero e mi bloccarono per le braccia riuscendomi a tenere fermo nonostante mi agitassi come un matto:

<< bastardo! Bastardo! >> ripetevo verso Tim;

Tim si rialzò e si asciugò con il dorso della mano il sangue che gli usciva dalla bocca:

<< questa me la paghi Vilmond! >> esclamò sferrandomi, poi, un pugno nello stomaco;

io mi accasciai e cominciai a tossire:

<< rialzatelo! Non ho ancora finito! >> continuò, rivolgendosi ai suoi amici;

i due subito eseguirono l’ordine, ma quando stava per assestarmi il secondo colpo:

<< fermo Tim! >> qualcuno gridò da dietro;

era Steven! Si avvicinò, pose la mano sul braccio di Tim come per bloccarlo e poi guardò me:

<< non lo vedi che è un rifiuto! Non  vale neanche la pena infierire! >> continuò;

<< stanne fuori Steve! Io questo oggi lo ammazzo! >> rispose Tim;

<< e tu vorresti sporcarti le mani del sangue di questo verme e rischiare anche di essere sospeso? Fa pure! Ma poi non dire che non ti avevo avvertito! Sono o non sono un tuo amico? >> disse Steven per dissuaderlo;

<< non mi importa! >> rispose dopo un attimo di esitazione;

così si preparò di nuovo per darmi il secondo colpo, ma all’improvviso i due che mi tenevano mi fecero cadere a terra:

<< cosa fate?! Rimettetelo su! >> li rimproverò Tim;

<< No! Se vuoi fallo da solo! A me non va di essere sospeso! >> rispose uno di loro;

Tim li guardò inferocito, poi mi guardò a terra:

<< al diavolo! >> esclamò schiaffeggiandomi sulla testa;

<< andiamo! >> continuò rivolgendosi ai due amici;

<< e per quanto ti riguarda, vedi di sparire dalla mia vista! >> rivolgendosi a me.

Steven intanto era rimasto lì a godersi la scena, e quando i tre si furono allontanati, si chinò e mi rivolse la parola:

<< ehi Vilmond! Per questa volta te la sei cavata! Ma non ringraziare me, ringrazia quel bel faccino della tua amica! E’ lei che mi ha pregato di intervenire in tuo soccorso! Sai quella ragazza mi piace molto! >> disse con malizia;

<< se la poteva risparmiare! >> risposi affannosamente;

<< sei  un lurido verme ingrato! Sai che potrei schiacciarti in un istante senza neanche sporcarmi le scarpe! Io non sono come quella testa bacata di Tim..io la uso come si deve la testa, se voglio ti posso far massacrare da qualcun altro ed essere pure premiato per questo! Io ho il potere! >> esclamò, mostrandomi tutto il suo disprezzo;

io lo guardai senza rispondergli, lui mi sorrise, si alzò, e se ne andò.

Quando mi ripresi, entrai in classe, e continuai la mia giornata come se niente fosse. Non vidi Sally per tutta la mattinata, fin quando all’ora d’uscita mentre riponevo le mie cose nell’armadietto, richiudendolo me la ritrovai di fronte, appoggiata con le spalle a quello di fianco al mio, con un libro stretto tra le braccia:

<< come va? >> subito mi chiese;

<< non sono affari tuoi! >> risposi, chiudendo il lucchetto ed andandomene;

a differenza di prima ero intenzionato ad evitarla di nuovo, ma lei mi seguì, parlandomi da dietro mentre camminavamo:

<< perché mi eviti da ieri? E perché quei tipi ce l’avevano tanto con te? >> mi domandò;

io a quel punto mi fermai e mi girai all’indietro verso di lei:

<< lasciami in pace! Nessuno ti ha detto che avevo bisogno di aiuto! Me la cavo da solo io! >> risposi arrabbiato, rigirandomi e riprendendo, poi, a camminare;

lei si fermò e mi guardò sconcertata mentre mi allontanavo. Ero consapevole che fosse curiosa di sapere da dove provenisse tutta quella mia rabbia, tra tutti gli studenti della scuola con cui aveva parlato ero l’unico che era rimasto indignato accennandomi degli omicidi dell’assassino bianco, infatti tutti gli altri con cui aveva parlato sembravano essersene completamente dimenticati, e d’altronde come dar loro torto, visto che all’epoca erano solo dei bambini, ma per me, naturalmente, era diverso. Così a mia insaputa si informò sul mio conto e venne a conoscenza di tutti i fatti accaduti otto anni prima, anche se nelle versioni più disparate: chi raccontava che io per scherzo avessi detto di aver visto l’assassino mentre uccideva un mio amico; chi diceva che avessi io stesso fatto cadere il mio amico da un albero e poi avessi fatto ricadere la colpa sull’assassino; vi era addirittura chi diceva confidenzialmente che secondo lui all’epoca potevo essere un complice dell’assassino, in pratica mi davano del baby-killer..in ogni caso tutte le informazioni portavano all’ultimo omicidio del bianco: l’assassinio di Milo, e Sally subito notò questo particolare.

 

Nel pomeriggio, rinchiuso come al solito in camera mia, seduto con le gambe incrociate sul letto, cercai per un po’ di studiare, ma rilessi la stessa pagina del libro di letteratura che avevo in mano non so quante volte.. continuavo a pensare a quello che era accaduto quella mattina e, soprattutto a Sally. Così, all’improvviso, ebbi uno scatto d’ira e scagliai il libro alla parete, mi alzai dal letto, presi il pacchetto di sigarette che avevo nella giacca riposta sulla sedia vicino alla porta, e mi avvicinai alla finestra per accendermene una. Affacciato alla finestra, mentre fumavo, ero solito osservare il fiume: mi rievocava ricordi felici, ma in fondo lo odiavo profondamente, su quel fiume era iniziato e finito tutto, e da quella notte non mi avvicinai mai più alle sue sponde; cercai di dimenticare anche il posto segreto, infatti non mi ci recavo da otto anni, non sarebbe stato più lo stesso ritornarci senza Milo..sarebbe stato solo come riaprire una vecchia ferita.. e peraltro a me non andava di soffrire, e di rendere vano lo sforzo di quegli anni di annullare ogni mio sentimento, anche se, in effetti, non ci sono mai riuscito completamente. Ero assorto nei miei pensieri, quando ad un tratto bussarono alla porta:

<< Briaaan! Stanno bussando! Va a vedere chi rompe a quest’ora!? >> gridò mio padre dalla sua stanza;

mi affrettai a terminare la sigaretta che ormai avevo quasi finito e la gettai fuori dalla finestra, poi corsi verso le scale per scendere di sotto ad aprire la porta:

<< sì papà, vado subito, non temere! >> risposi, transitando il corridoio.

Sembrava strano che qualcuno venisse a trovarci, era un evento straordinario già se qualche volta ricevevamo posta, non ricevevamo mai neanche visite da parenti, o meglio, non so nemmeno se ne avessimo qualcuno, mio padre non mi aveva mai parlato né di nonni né di zii, né tantomeno ho avuto la curiosità di chiederglielo. Anzi no..ora che ci penso bene, una volta da piccolo, notando un giorno di festa nella famiglia di Milo- che era notevolmente allargata,con cugini, zii, nonni e parenti fino alla terza generazione- preso da un pizzico d’invidia, mi capitò di domandargli se avevamo qualche parente pure noi, ma se non ricordo male la sua risposta fu che  c’era qualcuno, ma non abitavano a Saveran e non avevamo buoni rapporti con loro. L’unica cosa certa è che io avevo solo lui e lui aveva solo me, e fino ad allora ci era bastato. A questo punto bisognava vedere solo chi fosse, e appena aprii la porta me la ritrovai nuovamente di fronte con delle carte in mano: incominciò a farfugliare logorroicamente senza neanche salutarmi, dicendo qualcosa circa il fatto che non potevo comportarmi in quella maniera, non potevo far finta di non vederla, e non dovevo isolarmi sempre, in ogni caso era molto difficile comprendere quello che stesse dicendo in quel momento:

<< ehi, ehi, ferma un attimo! >> esclamai a voce alta nel tentativo di fermarla;

<< non mi lasci neanche entrare? >> a quel punto lei chiese in modo comprensibile;

inizialmente mi mostrai un po’ titubante, ma poi pensai che non ci sarebbe stato niente di male se l’avessi fatta accomodare per qualche minuto:

<< sì, certo entra pure! >>  risposi;

lei subito entrò e si accomodò sul divano,senza neanche glielo avessi indicato, e si guardò intorno:

<< carina casa tua! Diciamo.. molto caratteristica! >> esclamò, nel tentativo di essere gentile;

<< Allora? Cosa c’è? >> domandai, con l’intenzione di arrivare subito al sodo;

<< certo che sei proprio un orso! Se non l’avessi capito sono una ragazza! Non hai niente da bere? >> mi domandò a sua volta;

io la guardai un po’ indispettito, poi mi indirizzai verso la cucina e dopo un po’ ritornai con un succo d’arancia:

<< oh, ti ringrazio! Molto gentile! >> disse sorseggiando;

<< Allora? >> ridomandai;

<< non hai qualcosa di più forte? >> ridomandò a sua volta, sviando il discorso;

<< Allora?? >> quindi ripetei più forte;

<< ok! OK! Non ti scaldare! Ecco! >> rispose gettando le carte che aveva in mano sul tavolino di fronte al divano;

in realtà era un giornale di vecchia data, lo rivoltai verso di me, che ero in piedi dall’altro lato del tavolino e capii subito che parlava degli omicidi del bianco:

<< e quindi? >> allora le chiesi;

<< guarda meglio! Non noti niente di familiare? >> lei rispose;

era datato 31/07/1955 e parlava dell’omicidio Akwa- il cognome di Milo- non so come avesse saputo del mio legame con Milo, ma quel pomeriggio era venuta a cercare una reazione che io non avevo la soddisfazione di darle:

<< non capisco ancora!? >> allora dissi;

<< sei sicuro? >> continuò;

in effetti la mia voce non mostrò inganni, ma il mio corpo mi tradì spudoratamente, incominciai un po’ a tremare e senza volere stropicciai leggermente il giornale con entrambe le mani, e questo Sally subito lo notò, ma prima che lei mi rivolgesse qualche altra domanda:

<< prima di tutto come hai fatto a sapere dove abito? >> subito le chiesi;

<< ti ho già detto che diventerò una giornalista da prima pagina..per me gli archivi scolastici sono libri aperti! >> rispose pavoneggiandosi;

<< e il giornale come lo hai scovato? >> chiesi ancora;

<< sai, i Morton sono molto influenti in questa città! Mia madre lavora per Rude Morton ed  ha un’importante carica nella sua azienda! Ho chiesto a Steven se poteva permettermi di dare un’occhiata negli archivi della polizia di Saveran, e lui subito mi ha dato la sua disponibilità! Dopotutto i Morton condizionano parecchio anche le forze dell’ordine! >> rispose;

<< già Steven! Devi essergli molto amico!? >> esclamai;

<< in verità non lo sopporto per niente, ma devo dire che per la sopravvivenza in questa città può essere molto utile.. e poi, dovresti essergli grato per la faccenda di questa mattina, se non fosse stato per lui Tim ti avrebbe ridotto una poltiglia! >> ;

<< se proprio lo vuoi sapere lui è pure peggio! Ma adesso è meglio che tu vada a casa, tra un po’ farà buio e le strade di Saveran non sono tanto tranquille! >> le dissi, dirigendomi alla porta ed aprendola;

praticamente era un invito ad uscire da casa mia, anche per evitare altri discorsi che non mi andavano di intraprendere, e questo Sally lo capì:

<< io non ti capisco proprio! >> disse delusa, uscendo;

<< e non mi va che tu lo faccia!.. già t’ho detto di non immischiarti nelle mie faccende! >> risposi mostrando finta cattiveria.

Quando chiusi la porta mi sembrò di aver fatto l’errore più grande della mia vita, in effetti non faceva nulla di male..la sua unica colpa era quella di incuriosirsi a me ed al mio passato, cosa che fino ad allora non aveva interessato a nessun’altro, anzi, vi era chi mi giudicava senza conoscermi affatto..e pensai che forse avrebbe dovuto farmi piacere..ma poi, riflettendoci, pensai che forse era meglio così, contro il mio dolore ero solo e avrei dovuto combatterlo  per sempre da solo.

Mio padre intanto era uscito dalla sua camera e si apprestava a scendere:

<< chi era? >> mi chiese, appena sulle scale;

<< una scocciatrice, ma l’ho mandata via, non preoccuparti! >> risposi;

<< bene! Ma cosa voleva? >> chiese ancora;

<< mah, rappresentanza di elettrodomestici o qualcosa del genere.. non ho capito bene! >> risposi palesando disinteresse;

<< comunque tra dieci minuti si mangia.. tornando da scuola ho comprato delle patate, preparerò qualcosa con quelle! >> continuai;

<< hai comprato anche lo scotch come ti avevo chiesto? >> domandò mio padre;

<< no! Ma ne è rimasto un po’ nella credenza! >> risposi dalla cucina;

così prese la bottiglia che era rimasta nella credenza, ma al solo vederla si infuriò:

<< non mi basta! Cosa me ne faccio di queste due gocce?! >> strillò come un bambino;

e poi la sferrò a terra rompendola in mille pezzi. Io subito rientrai nel salotto:

<< calmati papà!.. Non dovresti agitarti così!.. E’ solo un po’ di liquore! >> dissi in crescendo;

ero consapevole che per mio padre bere era di fondamentale importanza, come per me isolarmi e fumare aiutava a comprimere la mia rabbia, affogare i dispiaceri della vita nell’alcol schiacciava la sua. In ogni caso a me non andava che bevesse anche se devo dire che non era un alcolizzato perché  non ne era sempre ossessionato, ma quella sera ebbe una reazione spropositata:

<< adesso esci e me ne compri una bottiglia.. senza storie! Hai capito?! >> urlò;

io di solito non ne facevo, ma quella sera mi ribellai:

<< te la comprerò domani..ora è tardi! >> risposi abbassando i toni;

quel mio atteggiamento irriverente lo innervosì ancora di più:

<< come ti permetti, moccioso?! >> urlò ancora più forte;

poi prese il collo della bottiglia di vetro rotta e mi si indirizzò contro. Io impaurito mi buttai all’indietro poggiando le spalle alla parete e lui arrivò a puntarmi il vetro fino alla gola, ma ad un tratto si arrestò di colpo e fece cadere l’arma a terra, poi si accasciò mostrando malore. Si gettò a terra a pancia sotto contorcendosi dal dolore e portandosi le mani sotto il corpo all’altezza dello stomaco, anche se non capivo bene cosa o dove gli dolesse:

<< papà cos’hai! Non fare così! Esco!..Esco! Se è questo che vuoi! >> dissi preoccupato;

poi ad un tratto il dolore si placò e tornò di colpo lucido, si alzò in piedi ed affannato e sudato si indirizzò verso le scale per salire di sopra:

<< perdonami Brian! Perdonami! >> esclamò appoggiandosi al corrimano appena prima di salire;

in quel momento avrei voluto dirgli qualcosa, ma le parole non mi uscirono. Così quando sentii che fu rientrato nella sua camera, mi adoperai per pulire il disordine che si era creato, e più tardi, quando mi ritirai in camera mia non potei fare a meno di sentire il lamentarsi sottovoce che proveniva dalla sua stanza, ma anche se per un momento mi venne lo scrupolo di bussare per chiedergli se aveva bisogno di qualcosa, poi ritirai la mano e mi rivolsi verso la mia stanza. Una volta entrato, accesi l’ennesima sigaretta della giornata e rimasi per un po’ alla finestra a pensare; in particolare sul fatto che in quel periodo qualcosa stava cambiando e i sentimenti di tutti si stavano intensificando: rabbia, intolleranza, sofferenza, disprezzo, cattiveria, ma anche gioia, amore e bontà, si erano accentuati visibilmente. L’atmosfera di Saveran  si stava trasformando, ma soprattutto io non mi sentivo più lo stesso.

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Capitolo 9
*** Madalene ***


Il giorno seguente, tornai a scuola ed evitai di rifermarmi nei pressi delle gradinate dello stadio, utilizzando quel tempo per fermarmi allo spaccio a comprare lo scotch che aveva sollevato il diverbio tra me e mio padre la sera prima. Arrivato a scuola, entrai dritto senza fermarmi, e mi indirizzai subito verso la classe. Passarono un paio d’ore dall’inizio delle lezioni, quando la signora Miller- l’insegnante di storia- fu invitata ad uscire fuori per una riunione eccezionale su convocazione del preside Warren. Quando la Miller fu uscita dalla classe, la perplessità si insinuò su i volti di tutti, e cominciò un mormorio di voci che ipotizzavano su quello che poteva essere accaduto. Passò un po’ di tempo dal suo ritorno e la classe fremeva di gioia per il tempo che passava e la lezione che arrivava al suo termine.. quando, a pochi minuti dal suono della campanella che annunciava la fine dell’ora di lezione, la Miller rientrò! Scioccata, prese lentamente le sue cose e ci comunicò della fine delle lezioni di tutta la giornata:
<< ragazzi, per oggi le lezioni sono terminate! Il preside Warren vi prega di spostarvi nello spiazzale antistante la scuola per una comunicazione da rivolgere a tutti gli studenti! >> disse;
molti studenti mostrarono gesti di assenso e contentezza per la lieta notizia, incuranti della comunicazione che ci avrebbe fatto pochi minuti più tardi il preside. Così una folla di studenti, inizialmente entusiasta e rumoreggiante, si recò davanti la scuola, e si zittì solamente quando Warren ci si presentò davanti con a seguito tutti gli insegnanti che, a capo chino, si fermarono pochi metri prima..invece Warren fece altri tre passi e si parò proprio di fronte al centro della massa di studenti. Aveva in mano un foglio che si apprestava a leggere.. così indossò gli occhiali e cominciò:
<< Oggi, venerdì 22 novembre 1963, aDallas in Texas il Presidente degli Stati Uniti d’America John Fitzgerald Kennedy è stato assassinato da ignoti. Il Presidente in visita nella città con la moglie Jacqueline è stato raggiunto alla testa da un colpo d’arma da fuoco mentre viaggiava sul sedile posteriore della limousine che lo trasportava per le strade della città. Noi cittadini di tutta la nazione ci uniamo al dolore della famiglia, e questa scuola, come tutte le scuole della nazione, rimarrà chiusa in segno di lutto oggi e la prossima settimana. Le lezioni riprenderanno lunedì 2 dicembre. >>  dichiarò con freddezza;
poi ripose il foglietto che aveva in mano, e nello sgomento generale, in un rigoroso silenzio, dismise gli occhiali e continuò il suo discorso con le lacrime agli occhi:
<< oggi è uno dei giorni più tristi che abbia mai vissuto il nostro Paese ed è dovere di tutti riflettere su quanto accaduto. Il Presidente Kennedy ha lottato per tutti noi e ha sostenuto fino alla morte i suoi ideali di Giustizia ed Eguaglianza per tutti gli uomini.. e credeva in voi!.. voi che siete la Speranza degli Stati Uniti,e a cui chiedo di lottare, come lui ha fatto per noi, affinché episodi del genere non debbano mai più accadere in futuro.  
La speranza di tutti è che i colpevoli di questo ignobile gesto siano consegnati al più presto alla giustizia.. e Dio, che li perdoni o meno, comunque renderà loro la giusta punizione, perché chi toglie la vita ad un suo simile non è degno di essere chiamato uomo.. la promessa che dovrete fare a voi stessi è di non diventare mostri simili perché “chi si macchia del sangue della morte brancolerà in eterno nell’oscurità del male e non potrà mai aver salva la sua anima!” >> terminò, invitandoci, poi, a tornare alle nostre abitazioni.
La folla si sparpagliò e tutti tornarono alle proprie abitazioni, le reazioni degli studenti furono le più varie: vi era chi discuteva su come potevano essersi svolti i fatti; chi piangeva dal dolore come se gli fosse morto il padre; e chi non si era reso conto della gravità della situazione- come Tim ed i suoi amici- e continuava a sollazzarsi per la settimana di vacanza inaspettata. Per quanto mi riguarda non ebbi alcuna reazione particolare, mi avevano colpito soprattutto le parole del preside Warren, perché parlare di morte in questa città non è così facile, e nello specifico mi sembrò che l’ultima parte del suo discorso non si riferisse solo alla tragedia accaduta quella mattina ma all’assassinio in generale. Infatti mi pareva di ricordare che Warren avesse anch’egli perso qualcuno per mano del bianco: suo fratello  Cody Warren-tredicesima vittima del mostro. Le sue parole mi diedero la forte impressione di una provocazione nei confronti dell’assassino bianco, con l’avvertimento che se per lui non esisterà giustizia terrena, non avrà modo di salvarsi da quella divina.. ma Warren, a differenza mia, non sapeva che il bianco ormai non avrebbe più potuto far del male a nessuno, e molto probabilmente lui, come tanti, credeva che si nascondesse ancora in città, pronto un giorno a ricominciare.
Nei giorni seguenti si apprese che l’attentatore di quella mattina, un certo Lee Harvey Oswald, era stato immediatamente catturato, e poi ucciso due giorni dopo da uno squilibrato: Jack Ruby. I funerali del Presidente avvennero nello stesso giorno, il 25 novembre, e quel giorno fu dichiarato il lutto nazionale. Anch’io, come la maggior parte degli americani, assistetti quel giorno alle esequie tramite la televisione: ero a casa, e insieme a mio padre con un piccolo televisore in bianco e nero, che aveva comprato anni prima da un venditore ambulante, guardammo tutta la cerimonia ed il corteo finale che durarono in totale all’incirca tre ore. Non mi sono mai interessato di politica e conoscevo a malapena il nome del defunto Presidente, ma quel giorno pensai che doveva esser stato un grand’uomo se a tante persone stava così a cuore e se si era mobilitato mezzo Paese per  prostrargli l’ultimo saluto; mio padre invece ebbe una reazione rimessa, seduto per tutto il tempo, non disse una parola e sembrava che piangesse irritato mentre beveva il solito scotch, se ne bevve una bottiglia intera, e a dire il vero non ebbi il coraggio in quel momento di chiedergli cosa gli stesse passando per la testa, e preferii rimanerlo al suo silenzio ed al suo liquore.. in ogni caso, a suo modo, soffriva, e questo fu un lato del carattere di mio padre che vidi per la prima volta in vita mia.
Approfittai dei giorni di vacanza per recarmi al cimitero a trovare Milo, era da tanto che non ci andavo, e quella settimana mi ci recai per ben due volte: raccontai a Milo anche il motivo di quelle mie due visite così ravvicinate ma non mi sembrò tanto interessato al fatto che avessero assassinato il Presidente, dopotutto al suo funerale ci andò solo qualche stretto parente e nessun altro, e anch’io a causa del trauma che ebbi quello stesso giorno e per ordine di mio padre non mi ci recai, però a differenza degli altri che dopo poco tempo si dimenticarono del tutto della sua esistenza, io ero rimasto l’unico a tenere ancora in vita il suo ricordo.. infatti pensavo che dopo la partenza- a distanza di un anno dalla sua morte- dei suoi genitori con i fratelli da Saveran, si sarebbe sentito solo se qualcuno di tanto in tanto non gli avesse fatto visita, dopotutto, a differenza mia, era una persona a cui non piaceva stare solo, almeno così era da vivo ed io da vivo avevo intenzione di ricordarlo. Mi recai anche più di una volta in biblioteca a studiare- o meglio a far finta di farlo- per ammirare la bella Madalene che, oltre a Milo, era rimasta l’unica cosa per cui valeva la pena uscire di casa. E proprio in una delle mie scappate in biblioteca capii che le sorprese della vita non hanno mai fine. Ero seduto, come di solito, in un tavolo in fondo alla sala da dove, comunque, riuscivo a vedere, anche se un po’ decentrato, abbastanza chiaramente Madalene e dove non subivo il rischio di essere notato mentre la guardavo. Stavo per un po’ con gli occhi sul libro- che comunque non leggevo- e il resto del tempo su di lei: era bellissima, aveva dei capelli biondi lunghissimi che gli scendevano fin sulla schiena, gli occhi verde smeraldo al cui sguardo chiunque si sarebbe sciolto come neve al sole, una voce suadente che utilizzava pochissimo e che solo i pochi privilegiati che avevano la fortuna di starle accanto riuscivano a sentire più spesso, e da quel poco che si vedeva  aveva un corpo stupendo che copriva sempre con abiti molto lunghi che non permettevano di scorgere nessuna sua forma, ciò derivante, probabilmente, da un’educazione rigida basata su un forte senso del pudore, impostale dai genitori e soprattutto dal padre che, come già detto, era un uomo di chiesa. In poche parole un angelo.. che ogni tanto appariva in quel luogo mortale per allietare le mie giornate.. ma proprio mentre ero assorto ad ammirare quell’angelo, all’improvviso sentii sbattere di fronte a me dei libri sul tavolo:
<< che sorpresa! Anche tu in biblioteca?! >> esclamò Sally;
<< no! Ancora tu! Non ci posso credere! >> esclamai a mia volta, spazientito;
<< Saveran sarà pure grande ma ha soltanto questa biblioteca … e poi neanche io sono entusiasta di rivederti, ma questo tavolo è l’unico che ha posti ancora liberi.. quindi non vedo altra scelta! >>;
<< allora me ne vado io! >> risposi, facendo per andarmene;
<< certo che se rimani ad ammirare come un pervertito per tutto il tempo la Preston è inutile che tu rimanga qui a far finta di studiare..così non lo supererai mai il corso di scienze di Banks! >> continuò ironicamente, sorridendomi diabolicamente;
allora, imbarazzato, mi riaccomodai. Non riuscivo a capire come facesse ad intuire tutte quelle cose sul mio conto, ma in ogni caso colpiva sempre nel segno, e a me dava un fastidio tale che non mi andava di dargliela vinta:
<< come fai a pensare certe cose?!.. invece cosa dovrei dire di te che mi stai sempre tra i piedi! >> quindi chiesi in modo non troppo determinato;
<< a quanto pare ho colto nel segno!.. ma non preoccuparti terrò la bocca chiusa! >> rispose, facendo il gesto di zippare la sua bocca e sorridendo sarcasticamente;
il mio imbarazzo crebbe ancora di più, quindi presi il libro che avevo avanti e, fingendo di leggere, mi nascosi dalla sua vista sollevandolo all’altezza della faccia. Lei capì il mio imbarazzo e sghignazzò, io abbassai un po’ il libro per guardarla, mi imbronciai, e mi ricoprii nuovamente. Fissai senza senso quel libro per diversi minuti, mi sarebbe piaciuto che nel momento in cui l’avessi  riabbassato non l’avrei più trovata seduta a quel tavolo. Così calai leggermente il libro per scorgerla, ma con mia grande sorpresa non la trovai per davvero, così lo abbassai completamente e mi guardai intorno per vedere dove fosse finita, addirittura guardai sotto il tavolo, ma, poi, con mio grande sgomento, la avvistai al tavolo di Madalene. Le parlava con scioltezza come se si conoscessero da tempo, pensai, probabilmente che, essendo Madalene la ragazza di Steven, lei l’avesse dovuta già incontrare qualche volta tramite lui, con cui aveva già una certa confidenza. Cominciai a sudare freddo pensando che stessero parlando di me.. le rimase vicino per circa dieci minuti poi ritornò al mio tavolo.. a quel punto mi ricoprii il viso con il libro, volendo farle pensare di non essermi accorto di niente:
<< è inutile che fai finta di niente!.. Ti ho visto che guardavi!.. paura di qualcosa? >> mi chiese risedendosi;
“ma come fa?”, pensai:
<< cosa dici?! Perché dovrei aver paura?.. e poi cosa avrai avuto di tanto interessante da dirle?! >> risposi mostrando disinteresse, ma in realtà un po’ preoccupato e un po’ incuriosito;
<< perché? Ti interessa? >> domandò sempre sarcasticamente;
<< per niente! >> risposi, fissando il libro;
<< è davvero una ragazza molto dolce e carina.. e non vedo come uno scorbutico testone come te possa avere qualche chance con lei! >> disse, girandosi all’indietro per guardarla e poi voltando  lo sguardo verso di me;
<< perché ce l’hai tanto con me? Non credo di averti fatto niente di male.. se vuoi che ti ringrazi per la faccenda di Tim.. allora “grazie”! Ma ora cerca di uscire per sempre dalla mia vita! >> le risposi, in effetti, scorbuticamente;
lei non mi rispose per le rime come mi aspettavo e ritornò ai suoi studi, anch’io, più o meno, feci lo stesso e ritornai a leggere. Passò qualche minuto:
<< ha detto che sei un tipo interessante! >> all’improvviso disse, con la testa china sui libri;
io, invece, la guardai e, poi, imbarazzatissimo mi rimisi a leggere:
<< in che senso? >> allora le chiesi, anch’io con la testa abbassata sul mio;
<< nel senso che sei interessante.. cioè  che potresti piacerle se solo fossi meno chiuso e meno impegnato a sopravvivere nella tua piccola, insignificante realtà privata! >> rispose biasimandomi;
<< e questa è un’altra delle tue intuizioni del cavolo? >> le domandai ancora mostrandomi scontroso;
<< in verità gliel’ho chiesto! >> affermò con calma;
<< c..c.. cosa? >> esclamai alzando la voce ed alzandomi in piedi;
<< ssssshhhhhh!!! >> sentii provenire un po’ da tutte le direzioni;
avevo scordato di essere in biblioteca.. come se non bastasse l’imbarazzo che già stavo provando a causa di Sally:
<< tu cosa le hai detto? >> le chiesi incredulo, risedendomi ed abbassando più che potevo la voce;
<< beh.. le ho chiesto cosa pensasse di te, e lei molto carinamente mi ha risposto.. tutto qui! >>;
<< ti ha risposto? E cosa ti avrebbe detto? >> le domandai sempre più curiosamente;
<< prima hai detto che non avresti voluto saperlo.. perciò adesso non te lo dico! >> mi rispose dispettosamente;
in effetti per principio me ne sarei dovuto fregare- come di solito facevo con tutto e con tutti- ma, porca miseria, Madalene mi conosceva! E non solo.. aveva espresso anche un parere su di me. Non sapevo come ma dovevo trovare il modo di far parlare Sally, ma prima di ogni mia proposta:
<< facciamo un patto!.. tu mi dici che problema hai con me.. e io ti dico tutto! >> ad un  tratto mi propose Sally;
non volevo parlare del mio passato, né di quell’estate, né di Milo.. non volevo neanche mentirle.. e d’altronde volevo sapere cosa si fosse detta con Madalene, quindi cercai il modo di dirle qualcosa ma non di dirle tutto:
<< non mi va di parlare su ciò che accadde otto anni fa!.. ma se proprio insisti ti basti sapere che Milo Akwa era un mio amico.. il mio migliore amico! >> le risposi abbattuto;
<< ora capisco!.. Certo che deve essere stata dura per te.. mi dispiace veramente! >> disse sconfortata;
<< ma è vero che hai assistito all’omicidio e hai visto in faccia l’assassino? >> continuò prontamente;
la guardai un po’ perplesso- “cosa sta dicendo?”, pensai- ma, poi, mi rallegrai.. perché se questa era un’altra delle sue brillanti intuizioni, questa volta non c’aveva azzeccato per niente, ed anche per questo era meglio non farle trasparire nessun accenno di assenso o negazione, pertanto preferii portare il discorso su di lei:
<< adesso tocca a te!.. erano otto anni che non nominavo il nome di Milo davanti ad un’altra persona che non fosse la sua lapide.. e dovresti apprezzare il mio sforzo di aprirmi proprio davanti a te.. perciò non credi che adesso anch’io avrei diritto ad una risposta? >>;
<< ah.. certo.. scusami! Beh vediamo un po’.. le ho chiesto che cosa ne pensasse di te.. e lei  ha risposto … fammi ricordare un attimo.. ah sì! Pensa che sei un tipo misterioso con un so ché di fascino nascosto.. e, nonostante il tuo pallore, dopotutto sei anche carino! >> mi confessò;
dentro di me ero al settimo cielo, ma non dovevo farlo capire a Sally:
<< stai mentendo! Ti si legge in faccia! >> le dissi sbuffando;
<< pensala come vuoi!.. io te l’ho detto!.. Ora tocca nuovamente a te!.. Dimmi qualcos’altro! >> insistette;
<< perché? Tu hai qualcos’altro da riferirmi? >> le domandai;
<< ti ripeto che quello che dovevo dirti te l’ho detto! >> rispose;
<< allora anch’io non ho più niente da dirti! >> le dissi beffardamente;
questa volta ero stato io a prenderla in giro, e notai con mio grande piacere che ne rimase notevolmente scossa. Infatti si zittì per diversi minuti, ma io, consapevole che stesse per scoppiare, decisi di prendere la strada di casa. Così mi alzai, e aprendo la porta per uscire dalla biblioteca guardai per un’ultima volta Madalene. Fu a quel punto che lei sollevò la testa dal quaderno su cui stava scrivendo, come per prendersi una pausa, e voltò lo sguardo verso di me incrociando i miei occhi, poi sorrise compiaciuta e si rimise a scrivere.
 
Uscito dalla biblioteca avevo il cuore a mille: Sally non mi aveva mentito, altrimenti Madalene non avrebbe mai potuto guardarmi fisso negli occhi e sorridere. Sotto l’arco sovrastante le scale che dall’ingresso della biblioteca mi avrebbero portato in strada, dapprima mi coprii bene infilando  guanti, sciarpa e sollevando il cappuccio della mia giacca sopra la testa, poi, prima di scendere, mi accesi una sigaretta sollevando gli occhi al cielo per ammirare quella splendida giornata di sole ... in realtà pioveva incessantemente da tre giorni, ed anche se la neve ancora non era scesa copiosa sulla città- come di solito in quel periodo già accadeva- il freddo pungente di Saveran già penetrava fin dentro le ossa.. ma il sole che io ammiravo non era quello che risiedeva fermo lì in alto nel cielo, ma quello cui immagine avevo ben fissata nei miei pensieri: aveva i capelli biondi, gli occhi verdi e sorrideva. Dopodiché scesi in strada e raggiunsi di corsa la fermata dell’autobus percorrendo un centinaio di metri verso sinistra: ero obbligato a prendere i mezzi pubblici poiché il fiume nelle cui vicinanze era situata la mia casa si trovava alquanto lontano dal centro della città, si poteva parlare di un principio di zona industriale, anche se l’unica industria nelle vicinanze era la fabbrica di plastica di Rude Morton; e d’altronde con i pochi soldi che riceveva mio padre non avevamo neppure la possibilità di permetterci un’automobile, anche se mi stavo adoperando- principalmente durante le vacanze di Natale ed estive- a mettere da parte un gruzzolo svolgendo dei lavori periodici per acquistarne una, magari anche di seconda mano. I miei lavori consistevano principalmente nello spalare la neve o- in estate- nello scarico di merci per i negozi di Saveran o qualsiasi lavoro pesante per cui avessero chiesto il mio intervento. Attesi l’autobus per mezz’ora, poi, una volta arrivato, salii e mi accomodai ad un posto accanto al finestrino da dove scorsi, transitando davanti all’ingresso della biblioteca, Madalene sotto un ombrello azzurro che, sul marciapiede, aspettava che la passassero a prendere. L’autobus impiegò circa quaranta minuti prima di raggiungere la mia fermata, però, mentre già da lontano si intravedeva la mia casa, ritornai in me e cominciai a pensare alle faccende che avrei dovuto svolgere da lì a pochi minuti, quando tutto d’un tratto mi ritornò in mente la spesa che avevo fatto nel tragitto per andare in biblioteca- fermandomi alla fermata precedente- e l’immagine del sacchetto che la conteneva sulla sedia di fianco a dov’ero seduto del tavolo della biblioteca. L’entusiasmo per l’episodio che era capitato in quella circostanza mi aveva del tutto confuso la mente a tal punto da aver scordato tutto il resto- spesa compresa- e così decisi di non scendere dall’autobus per tornare a casa- poiché già immaginavo la reazione che avrebbe potuto avere mio padre- e di continuare la corsa finché non fosse ripassato dalle parti della biblioteca. E così passarono altri quaranta minuti, in cui crebbe la mia agitazione, non solo per il ritardo che stavo avendo nel rincasare, ma anche per il fatto che l’orario di chiusura della biblioteca era previsto per le 19:00, e la fermata nei suoi pressi era prevista per le 18:55, per cui avrei avuto cinque minuti per percorrere i cento metri che dalla fermata portavano alla biblioteca, recuperare di corsa il sacchetto della spesa, convincendo il custode, che si apprestava a chiudere, che ci avrei messo un attimo, e ritornare fuori nel tentativo di riprendere l’autobus prima che ripartisse ed evitare il rischio di attenderlo per ulteriori quaranta minuti: praticamente una missione impossibile. Comunque dovevo provarci, e per farlo, durante il tragitto mi caricai fisicamente e psicologicamente: rimasi per tutto il tempo in piedi nei pressi dell’uscita e calcolai a mente ogni singolo movimento che avrei dovuto fare per terminare in tempo il mio percorso.. finché non arrivò il momento, scesi di corsa e, sempre di corsa raggiunsi le scale antistanti l’entrata della biblioteca, e già da lì vidi il custode che si apprestava a chiudere le due grandi ante d’ingresso.. così salii il più velocemente che potevo, ma nel momento in cui riuscii a toccare la maniglia della porta, lui dall’interno, un attimo prima, aveva innescato il primo scatto della serratura:
<< la scongiuro.. ho dimenticato una cosa all’interno! Ci metto un attimo.. apra per favore! >> lo pregai, bussando con la mano sul vetro della porta;
<< mi dispiace.. è chiuso! Ripassi domani! >> rispose,senza scomporsi e disinteressato al mio problema, guardandomi attraverso il vetro;
<< maledizione!! >> esclamai, dando un calcio nella porta;
poi mi girai, e come se non bastasse, vidi l’autobus andarsene:
<< perfetto!!.. Questa sì che è fortuna!! >> dissi irritato, tra me e me.
Quindi cominciai a scendere le scale lentamente, incurante del fatto che ormai ero fradicio dalla testa ai piedi, ed è da lì che, girando lo sguardo verso destra, rividi quell’ombrello azzurro: Madalene era ancora lì, o meglio, era lì ad aspettare da più di un’ora e mezza, e sembrava alquanto rattristita. Cominciò in me una lotta interna su come avrei dovuto comportarmi: incamminarmi per raggiungere casa, aspettare l’autobus che ripassasse, oppure- dato che  ormai non andavo più così di fretta- avrei potuto anche chiederle se aveva bisogno d’aiuto; dirle che era pericoloso stare lì da sola, con il buio che ormai già era calato sulla città, e magari se avesse bisogno di compagnia nel tragitto verso la sua casa che, dopotutto, era solo a tre isolati.. e se poi non avesse accettato, se anche lei mi considerava un asociale e non mi rivolgesse la parola.. forse era meglio andarsene, magari da lì a poco sarebbe passato Steven a prenderla e se mi avesse visto vicino la sua ragazza avrebbe potuto reagire anche male. Poi pensai a Sally ed alle sue parole, magari se mi fossi mostrato cortese avrei avuto l’onore di ricevere una sua risposta, così cominciai a scendere le scale verso destra e quando arrivai a qualche metro da lei, l’imbarazzo fu tale che non riuscii a proferire parola, aprivo la bocca ma da essa non veniva fuori nessun suono, e così per evitare figuracce feci per allontanarmi, quando all’improvviso lei si girò e mi notò:
<< aspetti qualcuno? >> mi chiese fievolmente;
non mi sembrava vero che mi avesse rivolto la parola, e rigirandomi verso di lei, cercai di risponderle, ma le parole mi uscirono un po’ pasticciate:
<< sì.. cioè voglio dire no.. è per la biblioteca, che ha chiuso proprio quando dovevo … ma anche l’autobus è in ritardo.. ma anch’io ho sbagliato i tempi.. no, comunque no! >> alla fine dissi più chiaramente;
<< ma ci conosciamo? >> mi chiese ancora;
in quel momento la vidi un po’ sconsolata così pensai che le fosse passato di mente il discorso fatto con Sally:
<< sono Brian.. Brian Vilmond! Frequentiamo lo stesso corso di letteratura!.. E sono un amico di Sally!..Beh proprio amici non siamo però.. diciamo che abbiamo degli interessi comuni! >> le risposi per darle un’idea;
<< Sally.. Sally?... Ah certo la ragazza che ho conosciuto prima! Ragazza simpatica! >>;
rimasi perplesso per il fatto che non la conoscesse già da prima, però era sicuro che avessero parlato di me:
<< è una tipa un po’ strana e parla anche tanto.. forse troppo.. e non si fa neanche tanto gli affari suoi, ma infondo ha anche qualche lato positivo!.. almeno penso, sai la conosco da poco!.. In ogni caso non so cosa ti abbia detto prima ma deve imparare ad essere un po’  meno invadente! >> le dissi nel tentativo di farle ricordare il dialogo avuto prima con lei, e quindi me;
<< per così poco! Non mi ha dato fastidio affatto! >> mi rispose accennando un sorriso;
<< certo.. certo! Dopotutto oggi come oggi capita sempre più spesso che siano le ragazze ad esprimere dei pareri sui ragazzi! >> esclamai stupidamente;
<< ragazzi?.. Assolutamente no.. mi ha chiesto soltanto degli appunti e nient’altro! >> mi rispose meravigliata;
quella iena di Sally mi aveva preso in giro facendomi cascare nel suo tranello.. ed io che stupidamente credevo che quella volta avessi vinto:
<< sì certo!.. Ti ha chiesto degli appunti.. solo degli appunti!.. Come faccio ad andare a pensare certe cose!.. Che stupido che sono! >> dissi nel tentativo di rimediare alla gaffe;
<< e poi.. su chi dovrei esprimermi?.. su di te forse?.. o su quello stupido di Steven che non conosce neppure il significato della parola “rispetto”? >> continuò, incominciando ad irritarsi;
<< scusami! Non credevo di offenderti! >> risposi intimidito;
lei a quel punto cambiò sguardo e ritornò dolce come poco prima:
<< no.. scusami tu! E’ un periodo un po’ così, e divento spesso irascibile per un non nulla! >>;
<< non credevo che anche tu potessi avere problemi! >> le confessai in tutta sincerità;
<< per chi mi hai preso! Non sono mica un dio.. anch’io come tutti i mortali ho le mie preoccupazioni! >> mi rispose dolcemente;
<< sarà.. ma dal mio punto di vista potresti essere paragonata ad una principessa!.. in alto ed irraggiungibile, imperscrutabile nelle sue preoccupazioni, amata da tutti non sapendo di essere amata.. e non sapendo che nessuno le negherà niente affinché tutti i suoi desideri  possano avverarsi! >> esclamai ingenuamente ed assorto in quello che stavo dicendo;
<< hai una bella fantasia! Purtroppo qui non ci sono né castelli né regni fatati.. e a quanto pare neanche principi azzurri! >> rispose guardandosi intorno;
poi mi guardò dritto negli occhi e mi sembrò che per un attimo arrossisse.  Senza che glielo chiedessi sollevò l’ombrello sopra la mia testa avvicinando il suo viso al mio:
<< ti stai bagnando tutto! >> esclamò sottovoce;
<< questo momento vale più di mille uragani! >> risposi ormai totalmente invaghito;
<< sai.. sei davvero simpatico.. non credevo potessero esserci ancora ragazzi così romantici in questa città?! >> disse sorridendo;
<< credo che a questo punto non passi più nessuno a prendermi! Ti va di fare due passi insieme fino alla chiesa?.. sai io abito.. >>;
<< lo so! >> risposi interrompendola;
<< mi va.. mi va senz’altro! >> continuai;
<< bene allora andiamo!.. a proposito io mi chiamo Madalene.. Madalene Preston.. e sono la figlia del reverendo Preston! >> si presentò, incominciando a camminare;
<< certo! Chi non conosce tuo padre a Saveran! >>;
<< però non ti ho mai visto in chiesa! >> disse un po’ ammonendomi;
<< in effetti fin da quando sono nato non ho avuto mai niente a che fare con la religione!.. vivo da sempre solo con mio padre a cui i dispiaceri della vita gli hanno fatto perdere la fede in qualsiasi cosa! >> risposi, ponendomi anch’io la domanda per la prima volta;
<< ciò non vuol dire che tu non possa avvicinarti a Dio!.. perché domenica non provi a venire..  se assisterai a qualcosa che non sia di tuo gradimento puoi sempre tornartene a casa! La casa del Signore è sempre aperta a tutti e nessuno ha l’obbligo di venire o restarci! >> esclamò con passione;
qualsiasi cosa mi avesse chiesto in quel momento l’avrei compiuta senza esitazione e per quell’invito non sarei stato mai capace di dirle di no, certamente avrei dovuto organizzarmi all’insaputa di mio padre poiché non credo avrebbe avuto una reazione positiva:
<< perché no?! C’è pur sempre una prima volta! Accetto! Accetto volentieri! >> quindi risposi.
Durante il tragitto chiacchierammo del più e del meno, soprattutto sui corsi che avevamo in comune a scuola, e solo verso la fine tornai con i piedi per terra, nel momento in cui Madalene nominò Steven:
<< ecco già si intravede casa mia! Se non fosse stato per te sarei morta di paura a camminare da sola per queste strade!.. Dovessi aspettare ogni volta Steven passerei le notti all’agghiaccio! >>;
<< già Steven! Il tuo ragazzo!? >> esclamai ricordandomene;
<< in realtà stiamo insieme da poco e non abbiamo avuto un gran periodo di corteggiamento.. in realtà il nostro fidanzamento mi è stato imposto da mio padre! >> esclamò sconfortata;
<< perché non ti sei ribellata? >> le domandai di getto;
<< perché dovrei? Infondo mio padre ha ragione.. è il figlio dell’uomo più ricco della città ed anche se può sembrare un po’ distratto, credo che infondo mi ami veramente! >> rispose ancora più sconfortata;
<< Siamo arrivati! Grazie di tutto! >> disse salutandomi ed avvicinandosi verso la porta di casa;
<< non c’è di che! >> risposi fievolmente, con la pioggia che mi ricominciò a bagnare;
rimasi lì fermo finché non fu arrivata sull’uscio della porta- nel tragitto si girò diverse volte a guardarmi- poi chiuse l’ombrello e mi guardò per un ultima volta. Così riaprì l’ombrello e ritornò a passo veloce verso di me:
<< tienilo tu! >> disse appena mi raggiunse, consegnandomi l’ombrello;
<< non posso.. >>;
<< ci tengo! >>continuò fermando le mie parole;
<< me lo restituirai domenica! >>.
Poi con uno scatto mi baciò sulla guancia e scappò di corsa verso casa. La descrizione di come mi sentissi in quel momento è inspiegabile, di sicuro non mi sentivo così felice da tantissimo tempo. Mi incamminai verso casa, incurante sia dell’orario sia del fatto che mi sarei ritirato senza la spesa, anzi ero felice di tutto quello che era successo e pensai che, nella sfortuna, quello era stato il giorno più fortunato della mia vita.
A piedi dalla biblioteca a casa mia ci si impiegava più di un’ora, quindi arrivai nei pressi di casa che erano passate da un pezzo le 20:00. Guardando casa, non so se mio padre fosse più preoccupato del fatto che non tornassi o più arrabbiato del fatto che non avesse ancora trovato la cena in tavola, in entrambi i casi, data la mia felicità, ero ben lieto di subirmi la sua ramanzina. Giunto fuori la porta, nel momento in cui mi apprestavo a bussare, sentii delle voci dall’interno che conversavano allegramente, non riuscivo a distinguere chiaramente le due voci, una doveva essere sicuramente quella di mio padre, ma con chi poteva essere a quell’ora a casa nostra?.. La mia preoccupazione si trasformò in curiosità quindi, da titubante mi mutai in ansioso e mi affrettai a bussare alla porta.
Chi mi aprì suscitò in me una sorpresa incredibile: era nuovamente Sally. Quando mi vide non mi lasciò neppure il tempo di manifestare la mia meraviglia:
<< alla buon’ora Brian!.. Ti stavamo aspettando! >> subito esclamò;
<< entra figliolo!.. Stavamo parlando proprio di te! >> disse allegramente mio padre dal divano su cui era seduto;
non mi aveva mai chiamato “figliolo” e non lo avevo mai visto così compiaciuto in presenza di un’altra persona:
<< da quanto tempo sei qui?.. Ma soprattutto cosa ci fai tu qui? >> domandai rivolgendomi a Sally;
<< più di un’ora!.. Sono uscita dalla biblioteca poco prima che chiudesse! >> rispose tranquillamente;
<< dai figliolo non fare lo scorbutico!.. se non fosse stato per la tua amica a quest’ora saremmo restati a digiuno! >> disse, poi, mio padre;
<< prima di tutto non è una mia amica!.. E poi non capisco cosa vuoi dire!? >> chiesi irritato;
<< avevi rimasto un sacchetto con degli alimenti su una sedia in biblioteca.. e mi sono presa la briga di portartelo a casa! >> rispose Sally, mostrandomi il sacchetto in questione, ormai, già metà svuotato;
<< ah ah ah!.. E ci ha preparato pure la cena!.. Una ragazza davvero generosa!.. Devo ammetterlo! >> continuava a compiacersi mio padre;
<< sì! Ma come facevi a sapere che fosse proprio il mio? >> le domandai;
lei a quel punto introdusse una mano nel sacchetto:
<< patate!! >> rispose mostrandomene una che aveva appena sfilato dal sacchetto;
<< l’altra volta se ne sentiva l’odore sin da fuori la porta!... Sai, sono una grande osservatrice.. dote fondamentale se voglio diventare la miglior giornalista del Paese! >> continuò;
<< Sally sei davvero un genio! Se solo mio figlio avesse metà della tua intelligenza sarebbe il primo della classe! >> disse mio padre intromettendosi;
<< ok, ok! Ti ringrazio, adesso credo che tu possa andare! >> le dissi;
<< niente affatto! Lei rimane a cena da noi!.. Con il benestare della signora Velez, ovviamente! >> mi interruppe mio padre;
io prima guardai sbigottito lui, poi guardai Sally:
<< vuoi dire che mio padre ha chiamato tua madre … n..n..non capisco? >> domandai confuso;
<< già!! >> lei rispose compiaciuta;
<< e tua madre ti permette di stare fuori fino a quest’ora senza dirti niente? >> domandai ancora molto confuso;
<< nessun problema! Comunque avrei dovuto cenare da sola.. mia madre è una persona molto impegnata, e non sta molto attenta a quello che faccio.. mi considera una ragazza molto responsabile! >> rispose in modo fiero;
non avevo scuse per non farla rimanere pertanto mi rassegnai:
<< ok.. allora, non avendo nulla da obiettare mio padre, sei la benvenuta! >> esclamai, infondo non troppo dispiaciuto;
<< un attimo! Come farai a tornare a casa, noi non abbiamo un’automobile e di certo non puoi aggirarti di notte per le strade della città! >> continuai, pensando a quest’eventualità;
<< non preoccuparti! Guarda fuori! >> disse indicandomi la finestra;
sul ciglio della strada era parcheggiata un’automobile, precisamente una Thunderbird nera del 63’ nuova di zecca:
<< Davvero stupenda! Ma non è la stessa macchina di Steven? Per caso è stato lui a prestartela? >> le chiesi;
<< no! Steven ne ha una identica! Infatti è stato il signor Morton a regalarne una dello stesso modello a mia madre! >>;
<< ora capisco! >> esclamai un po’ invidioso.
La serata continuò senza problemi, la cena fu squisita, e mio padre non  l’avevo mai visto sorridere con tanto gusto. Praticamente andava tutto a gonfie vele, finché Sally non mostrò il vero volto  della sua visita:
<< Abitate da parecchio in questa città? >> ad un certo punto chiese Sally;
già sapevo dove voleva andare a parare ma, comunque, non trovai il modo di bloccarla:
<< praticamente da sempre! >> le risposi, già un po’ preoccupato;
<< cosa sapete dirmi degli omicidi del bianco? >> domandò inarrestabilmente;
 a quel punto la faccia di mio padre divenne seria e lasciò cadere la posata che aveva in mano nel piatto, un alone di silenzio invase la stanza, ed io incominciai ad avere davvero paura della sua reazione: non volevo che mostrasse a Sally la sua vera natura di genitore scorbutico e violento ma, nell’eventualità, mi preparai al peggio. Sally invece rimase impassibile e, come se non avesse capito niente, rimase attenta in attesa di una risposta. Ma con mia grande sorpresa mio padre all’improvviso incominciò a sbragarsi dalle risate:
<< ah ah ah.. ormai sono otto anni che non si fa sentire..ah ah.. deve essere andato in pensione quell’imbecille..ah..ah.. >> esclamò sempre ridendo e mostrandosi ormai brillo;
<< mai possibile che nessuno sappia niente di questo tizio? >> domandò sconfortata Sally;
<< invece no! Io una volta l’ho visto! >> disse mio padre, ritornando serio, ma sempre con quella faccia vispa ed alticcia;
<< davvero? >> chiese eccitata Sally;
<< cosa dici papà? Non vedi che sei ubriaco? >> intervenni nel tentativo di non farlo parlare;
<< non sono ubriaco! Io l’ho visto davvero!.. Guarda Sally.. la vedi questa mano fasciata?! E’ stato lui a ridurmela in questo stato! >>;
<< ma signor Vilmond, lei prima mi ha detto che era stato a causa del morso di un cane lupo nel corso di una battuta di caccia! >>;
<< ah ah ah.. te ne sei ricordata! Credi davvero che se io avessi visto il bianco l’avrei lasciato scappare senza problemi: gli avrei piazzato un colpo di fucile giusto in mezzo agli occhi.. e credimi, neanche più la madre l’avrebbe riconosciuto! Ah ah ah.. hic! >>;
“meno male” pensai tra me e me, mio padre era ancora abbastanza lucido da tenere in pugno la situazione:
<< va bene papà! Adesso è meglio che vai a letto, si è fatto tardi! Anche Sally tra un po’ dovrà andare.. anche se ha un’automobile le strade sono pur sempre pericolose! >> esclamai nel tentativo di chiudere la serata;
<< Sì signore.. signor capitano! >> rispose spiritosamente mio padre;
<< è stato un piacere conoscerla signorina.. spero che tornerà a trovarci! >> salutò, baciandole la mano ed alzandosi dal tavolo per avviarsi di sopra;
<< il piacere è stato mio signor Vilmond! >> rispose Sally;
quando fu salito di sopra, certo che non c’avrebbe più potuto sentire, mi rivolsi verso Sally:
<< non so proprio cosa dire!? Finora non si è mai comportato in questo modo! >>;
<< non preoccuparti! E’ solo un uomo di mezz’età un po’ alticcio in una serata allegra.. è una brava persona.. non devi scusarti.. dopotutto anch’io mi sono divertita! >>;
<< non è quello! Solo che non ha il suo solito comportamento.. >>;
<< che comportamento? >> subito domandò;
<< che fai? Ricominci con le indagini?.. solo che è un po’ troppo mansueto per come lo conosco!.. Tutto qui! >> risposi infastidito;
<< scusami Brian, in questo periodo avrai pensato che sono un’ossessionata! Però quando mi metto in testa una cosa, non riesco più a togliermela! >>;
in quel momento mi venne da sorridere e nient’altro, mi sembrò davvero buffa:
<< cosa vedo?.. cosa vedo?.. Ma allora anche tu sai ridere?! >> chiese lieta;
<< in effetti non ne ho ragione di farlo quasi mai! In fondo per cosa si può ridere in questa città?! >> risposi spensierato;
<< mai sentito parlare di pessimisti cosmici?.. Beh penso che tu li batta tutti! >> affermò ilare;
mi venne nuovamente da sorridere. Inoltre, volontariamente, decisi di non dirle nulla di Madalene, non solo perché non volevo che conoscesse la causa del mio ritardo, ma soprattutto perché da una parte non ero affatto arrabbiato, dall’altra mi sembrava assurdo rimproverarla per il fatto che, anche se mentendomi, mi avesse dato la possibilità di conoscere il mio angelo e per avermi evitato guai peggiori con mio padre a casa.. non avrei mai pensato, d’altronde, che un giorno una ragazza sarebbe entrata a casa nostra, avrebbe fatto amicizia con mio padre, ci avrebbe preparato la cena e sarebbe stata lì a chiacchierare con me, cercando di spronarmi, nonostante fossi una causa persa:
<< vieni! Ti accompagno alla macchina.. questa volta però non è un invito ad uscire da casa mia, solo che si è davvero fatto tardi! >> le dissi, allora, indicando l’orologio alla parete che indicava quasi le 23:00;
<< Certo hai ragione! Andiamo! >> rispose consapevole che avessi ragione.
Fuori casa notammo che aveva smesso di piovere, così le feci compagnia sino all’auto senza prendere l’ombrello:
<< sai devo scusarmi!.. Davvero credevo che voi aveste avuto a che fare con il bianco.. ma mi sbagliavo.. mi sbagliavo da morire! >> ad un certo punto mi confessò mentre arrivavamo alla macchina;
<< non penso sia solo colpa tua! Le voci che girano sul mio conto sono abbastanza forvianti.. ma infondo ci sono abituato! >> le risposi tranquillizzandola;
<< allora.. buonanotte! >> mi augurò baciandomi di scatto sulla guancia ed infilandosi di fretta in macchina;
<< e cerca di ridere di più!.. sei più carino quando lo fai! >> continuò con la macchina già in moto;
<< buona … notte!! >> ricambiai, allibito mentre seguivo con lo sguardo la macchina che, ormai, già era partita.
“Giornata strana.. molto strana! Ma anche bella.. direi fantastica!”: fu l’unica cosa che pensai di ritorno a letto.

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Capitolo 10
*** domenica ***


Attesi con ansia la domenica, ma con mio grande rammarico la sera precedente iniziò la prima nevicata della stagione, ed ero già stato avvisato che la mattina seguente avrei dovuto darmi da fare in alcuni quartieri. Uno di quelli, però, era quello dove era situata la chiesa. Quindi cercai di organizzarmi per il meglio affinché rimanessi per ultimo quel quartiere e riuscissi a spalare la neve in tempo per l’inizio della funzione. Pertanto, la mattina del primo giorno del mese di dicembre mi svegliai di buon ora, mi incappucciai bene, presi gli attrezzi del mestiere ed uscii di casa che era ancora buio. La neve sulle strade non era altissima, ma comunque continuava leggermente a nevicare. Iniziai con Pickford town, per poi passare ad Helder road, ed ovviamente rimasi per ultimo l’Heritage dove poi sarei dovuto rimanere. Il mio lavoro consisteva principalmente nel liberare i passaggi dei viali delle abitazioni dei suddetti quartieri, fortunatamente, all’epoca non tutti possedevano un’automobile, e pertanto non avevano neppure un garage da cui farla uscire, quindi non ci si impiegava molto tempo nello spalare, ovviamente ciò che faceva la differenza era la quantità di lavoro commissionato poiché, guadagnando solamente due dollari a settimana per abitazione, se volevo che ne valesse la pena, dovevo necessariamente addossarmene parecchio. Portai con me anche l’ombrello azzurro di Madalene, ma, anche se fosse servito, non lo avrei aperto- e così fu- neanche per un secondo, anzi, lo appoggiavo sempre in luoghi ben distanti dall’intemperie.
Spalai neve ininterrottamente dalle 5:00 alle 9:00 del mattino, ed anche se stanchissimo, riuscii a terminare il lavoro proprio quando le prime persone iniziarono ad entrare in chiesa. Sfinito e sporco, entrai finalmente nell’edificio, rimasi la pala nel giardino dell’ultima abitazione ripulita, e portai con me solo l’ombrello, quasi perfettamente incolume, di Madalene. Appena entrato il disagio fu immediato: la chiesa era gremita, ed era rimasto solo qualche posto a sedere in fondo alla sala; vi era parecchia gente vestita a festa ed io, in effetti, non ero nelle condizioni ideali per mescolarmi tra quelle persone. Comunque mi feci coraggio, e mi sedetti su uno di quei posti liberi visti prima, con l’ombrello sempre ben stretto tra le mani. L’anziana signora affianco al quale mi accomodai mi squadrò dalla testa ai piedi e sembrava avere una faccia piuttosto disgustata, io lo notai e la guardai a mia volta facendo un gesto d’assenso:
<< buongiorno signora! >> le dissi togliendomi, poi, il cappello;
<< buongiorno giovanotto! >> rispose, sorridendomi ipocritamente.
Quando la funzione fu iniziata il disagio fu ancora più forte, non sapevo come si svolgesse il cerimoniale e, conseguentemente, non sapevo il comportamento che avessi dovuto tenere durante quest’ultimo. Iniziai un po’ ad imitare le persone che mi stavano accanto, anche se non conoscevo i testi delle orazioni, pertanto su quel punto decisi di stare in silenzio. Dall’altare il reverendo Preston, dapprima salutava tutti i fedeli ammonendoli di pregare e di credere nel Signore sempre ed in ogni circostanza bella o brutta, poi cominciò la lettura di alcuni sermoni della Bibbia. Io dal fondo della sala cercai con lo sguardo Madalene, convinto che fosse nelle prime file, poi con mia grande sorpresa la avvistai sul podio adiacente all’altare con altri ragazzi e ragazze che formavano il coro. Quando la vidi tutto il resto non contò più nulla,  se era bella al naturale quando studiava in biblioteca, figuriamoci vestita a festa di domenica, e un po’ come succedeva in biblioteca in cui un po’ studiavo ed il resto del tempo ero assorto ad ammirare Madalene, così fu anche in quella circostanza. Mi interessai attentamente solo ad una predica che mi colpì profondamente e di cui ricordo bene, ancor oggi, le parole del reverendo:
<< dal libro della Genesi 4, versi 1-18: Quando nacque Caino, Eva disse che ebbe un uomo dal Signore. Forse credeva che questi fosse la progenie promessa. In questo caso fu tremendamente delusa. Abele significa "vanità" quando credette di avere avuto la discendenza promessa con Caino, il cui nome indica "possesso", ella fu così soddisfatta di lui che un altro figlio fu considerato da lei come vanità. Osservate che entrambi i figli ebbero una chiamata. È volontà di Dio che ognuno abbia qualcosa da fare in questo mondo. I genitori devono far crescere i figli indirizzandoli al lavoro. "Dategli una Bibbia e una chiamata",  "e Dio sarà con loro!". Possiamo ritenere che Dio abbia ordinato ad Adamo, dopo la caduta, di spargere il sangue di animali innocenti e dopo la loro morte bruciare in parte o interamente i loro corpi col fuoco. Così la punizione che i peccatori meritano, la morte del corpo e la collera di Dio, del quale il fuoco è un emblema significativo, si riscontreranno poi nelle sofferenze di Cristo. Osservate che il culto religioso di Dio non è una invenzione recente. Fu così dall'inizio: è la vecchia buona via. Le offerte di Caino e di Abele furono diverse. Caino mostrò un cuore orgoglioso e incredulo e così lui e la sua offerta furono rifiutati. Abele si presentò come peccatore e secondo l'intendimento di Dio poiché il suo sacrificio esprimeva umiltà, ubbidienza e fede sincera. Pertanto ricercando le benedizioni del nuovo patto di misericordia mediante la discendenza promessa, il suo sacrificio ricevette un segno dell'accoglienza divina. Abele offrì con fede mentre Caino no. In tutti i tempi ci sono stati due tipi di adoratori che qui vediamo prefigurati in Caino e Abele: da un lato ci sono i religiosi orgogliosi e lontani dal vangelo della salvezza, che tentano di soddisfare Dio in modi del tutto personali, e umili credenti che camminano con Lui secondo la sua rivelazione. Caino si accese di ira maligna contro Abele. Perciò coltivò pure uno spirito cattivo di scontentezza e ribellione contro Dio. Dio conosce tutte le nostre passioni e le scontentezze peccaminose. Non c'è ira, invidia o irritazione che sfugga al suo occhio sempre vigile. Il Signore parlò a quest'uomo ribelle: se egli si fosse giustamente comportato sarebbe stato accettato. Alcuni interpretano questo come un'intimazione di misericordia. "Se non fai il bene, pecchi, cioè, mentre il peccato è ancora alla porta tu puoi ancora sopraffarlo". La stessa parola indica peccato e offerta per il peccato. "Sebbene tu non abbia fatto il bene, non disperare ancora perché il rimedio è vicino": Cristo, la grande offerta per il peccato è alla porta. E ben periranno nei loro peccati coloro i quali non andranno a quella porta a richiedere questa offerta per il peccato. L'accoglienza di Dio dell'offerta di Abele non cambiò il diritto di primogenitura, perché, quindi, Caino fu così arrabbiato? Le inquietudini peccaminose svaniscono conoscendo veramente e sinceramente le loro cause.
La malizia nel cuore portò a un assassinio con le proprie mani. Caino uccise Abele suo fratello, figlio di sua madre che egli doveva amare, suo fratello minore che doveva proteggere, un fratello buono che non gli aveva mai fatto alcun torto. Quali effetti mortali ebbe il peccato dei nostri progenitori e come i loro cuori si dovettero riempire di angoscia! Osservate l'orgoglio, l'incredulità e l'impenitenza di Caino. Egli nega il reato, come se potesse nasconderlo a Dio. Egli cerca di coprite un assassinio deliberato con una bugia deliberata. L'assassinio è un peccato che grida. Sangue chiama sangue, il sangue dell'assassinato il sangue dell'assassino. Quanta è grande e pesante una maledizione divina: essa va lontano e penetra in profondità! Solo in Cristo i credenti possono essere da Lui salvati per ricevere benedizioni! Caino fu maledetto non solo da Dio ma anche dalla terra. Egli ricevette la sua punizione laddove scelse la sua eredità e mise il suo cuore. Ogni creatura è per noi quello che Dio fa di essa, un conforto o una croce, una benedizione o una maledizione. La malvagità dei cattivi diventa una maledizione in tutto quello che essi fanno e su tutto ciò che essi hanno. Caino non si rattristò per il suo peccato ma per la punizione. Mostriamo grande durezza di cuore quando siamo più preoccupati delle nostre sofferenze che dei nostri peccati. Dio ha scopi santi e saggi nel prolungare anche le vite degli uomini molto cattivi. È cosa vana chiedersi in cosa consistette il segno messo su Caino. Era indubbiamente noto, sia come marchio di infamia sia come segno da Dio per coloro che avrebbero voluto uccidere Caino. Abele, pur essendo morto, ancora parlava. Egli denunciò la colpa atroce del suo assassinio: così ci avverte di soffocare le prime avvisaglie della collera e ci insegna che la persecuzione del giusto ci attende. Inoltre, c'è uno stato futuro e una eterna ricompensa con cui gioire per mezzo della fede in Cristo e del suo sacrificio meraviglioso. E ancora ci dice l'eccellenza della fede nel meraviglioso sacrificio e nel sangue dell'Agnello di Dio. Caino ha ammazzato suo fratello poiché le sue opere erano cattive mentre quelle di suo fratello sincere. A causa della conseguenza dell'inimicizia tra la Discendenza della donna e quella del serpente la guerra scoppiò come mai prima di allora. In questa guerra siamo tutti interessati e nessuno è neutrale: Gesù, il nostro capitano, ha dichiarato che chi non è con Lui è contro di Lui. Decidiamoci, dunque, a sostenere con pazienza la causa della verità e della giustizia contro Satana.
Caino se ne infischiò del timore di Dio e non si attenne più agli ordini divini. I religiosi ipocriti che dissimulano e giocano con Dio, sono giustamente lasciati a se stessi e alle loro vie scandalose. Cosicché essi gettano via quella forma di devozione alla quale essi dovevano obbedire e della quale essi ne negano la potenza. Caino uscì dalla presenza del Signore e non ritroviamo più che egli vi abbia mai fatto ritorno. La terra su cui Caino abitò fu chiamata "terra di Nod", che significa 'scossone' o 'tremito', e mostra così l'inquietudine e il disagio del suo spirito oppure la terra di un vagabondo: coloro che si dipartono da Dio non trovano riposo in nessun luogo. Coloro che sulla terra guardano alla città celeste hanno scelto di abitare in tabernacoli o tende, ma Caino, non interessandosi più a quella città, ne costruì una sulla terra. Così tutti coloro che sono maledetti da Dio cercano il loro fondamento e la loro soddisfazione quaggiù. >> pronunciò il reverendo Preston.
In seguito a quelle sue parole mi sembrò di aver avuto una Rivelazione: ilprimo assassino, la prima vittima, il bene, il male, ed ogni sentimento d’odio e d’amore era iniziato dal principio e per volere di Dio. L’unica scelta che noi poveri mortali abbiamo la possibilità di effettuare è da quale parte si vuol stare per giungere un giorno al cospetto di Dio, e ciò sarà valutato soltanto dalle nostre azioni in vita. In un certo qual modo ciò che pensai in quel momento rispecchiava alcune affermazioni già sentite, “onestà.. giustizia.. giusto.. sbagliato, comportarsi bene per accedere in Paradiso”, erano le parole di Charlie: ciò che diceva sempre a me e Milo dopo ogni suo racconto. Inoltre anche il linguaggio forbito che utilizzò il reverendo mi sembrò molto simile al suo. In quel momento, seppur non credendo che accomunasse qualcosa persone  o fatti, capii come la linea di confine tra bene e male sia incredibilmente sottile.
Non avrei mai creduto che la religione potesse esprimere in così chiaro modo i tanti aspetti della vita di ognuno, ed in particolare quel passo mi fece acquistare una consapevolezza mai avuta prima. Così pensai che mi sarei dovuto avvicinare di più ad essa, per avere la cognizione della vita che avevo cercato in tutti i modi di reprimere e una coscienza della verità più adeguata. Non cercai comunque quel contatto: quell’ambiente e quell’atmosfera mi recavano un disagio indefinibile, come se mi avessero scavato all’interno ed estorto tutto ciò che non avevo mai mostrato all’esterno. Anche fisicamente mi sentivo affannato e sudato nonostante il freddo.. e tutte quelle mie sensazioni, le quali non riuscivo a definire, mi portarono ad andare via senza neanche aspettare la fine della funzione per riparlare con Madalene. Pertanto rimasi l’ombrello sulla panca chiedendo a quella signora anziana che era di fianco a me di renderlo appena possibile alla figlia del reverendo, e senza neanche mi avesse rassicurato del fatto che l’avrebbe fatto, andai via di fretta, senza girarmi nemmeno una volta all’indietro, fino a casa. E una volta tornato a casa mi chiusi in camera, e ci rimasi per tutto il giorno, ero agitato e sconvolto, guardai il pacchetto di sigarette ma decisi di non fumare, mio padre, che in quei giorni sembrava più sereno del solito, non chiese il motivo del mio comportamento e sembrò capire il mio malessere: non saprei come definire ciò che mi colpì quel giorno, forse una crisi mistica, forse paura di non riuscire a trovare un’identità.. l’unica cosa certa è che a stare male non era il mio corpo, e se esiste un’anima era senz’altro quella a dolermi.

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Capitolo 11
*** il ritorno dell'incubo ***


Il giorno seguente ricominciò la scuola. Uscii di casa ancora molto nervoso per come mi fossi sentito il giorno prima, arrivai all’istituto che ancora non si era fatto orario per entrare, così pensai, come abitudine, di accendermi una sigaretta, questa volta da un luogo diverso che dai pressi dello stadio. Quando però me l’appoggiai tra le labbra, non l’accesi. Fu come fosse scattata una scintilla nella mia testa, e dal quel preciso istante decisi che non avrei più fumato, così rimisi la sigaretta nel pacchetto, lo accartocciai schiacciandolo tra le mani e lo gettai nel primo cestino che adocchiai.
Così aspettai senza fare nulla, e da lontano intravidi anche Madalene. Notai che mi aveva visto ma né si avvicinò né mi salutò, neppure da lontano.. ed io, comunque, feci lo stesso; il fatto è che stava con Steven e né a me, e, molto probabilmente, neppure a lei, andava di fargli sapere che ci fossimo conosciuti. Inoltre non intravidi neppure Sally, non sapevo se fosse in ritardo oppure avesse deciso di non venire affatto.. e scoprii che era giusta la seconda solo al corso di Banks, constatando che il suo posto era vuoto. Ebbi, invece, una piacevole sorpresa al corso di letteratura, che avevo in comune con Madalene. Sotto il mio banco trovai un bigliettino dove mi ringraziava di essere venuto e si dispiaceva che me ne fossi andato senza salutare, non era firmato ma si capiva chiaramente chi fosse, inoltre mi dava appuntamento nel giardino dietro la scuola dicendomi di avere qualcosa di importante da dirmi. Aspettai con ansia quel momento, e durante la lezione cercai insistentemente lo sguardo di Madalene, la quale era seduta sulla parte destra dell’aula due banchi davanti al mio, ma non si girò neppure una volta a guardarmi, forse per non destar sospetti, quindi mi convinsi di dover aspettare necessariamente la fine delle lezioni per capire cosa volesse dirmi, e d’altronde, forse, non m’interessava neppure ciò che avrebbe voluto dirmi, ero solo molto emozionato per il fatto che avrei avuto l’occasione di riparlarle di persona.
Così arrivò il momento, mi portai dietro la scuola nei pressi del giardino, dove ancora non c’era, quindi incominciai un po’ a guardarmi intorno, ma oltre al retro della scuola l’unica cosa visibile nei dintorni era la capanna degli attrezzi, posta nei pressi proprio del giardino. Passarono una decina di minuti, camminando nervosamente avanti e indietro, in cui pensai che mi avesse dato buca o avesse avuto dei problemi nel tragitto a venire, ma la realtà era un’altra! All’improvviso, nel mentre ero girato di spalle, sentii una porta cigolare.. la porta della capanna!.. così mi girai, ma guardandola, pensai che si fosse aperta per il vento o perché lasciata aperta dal custode, quando ad un tratto incominciai a sentire un rumore.. dapprima sbucò fuori una punta d’acciaio che qualcuno dall’interno sbatteva ripetutamente e con forza a terra, poi venne fuori quello a cui era attaccata quella punta … era un ombrello azzurro (subito riconobbi che era quello di Madalene)! … a primo acchito pensai fosse assurdo che Madalene fosse stata tutto quel tempo appostata dentro la capanna - a che scopo poi? – ed infatti dietro quell’ombrello non c’era Madalene … … uscì fuori Steven:
<< Vilmond!.. Vilmond!.. Vilmond >> pronunciò con tono compassionevole;
<< piaciuta la funzione ieri mattina??.. sai c’ero anch’io tra le prime file!! >> continuò;
non sapevo cosa rispondergli, pertanto rimasi in silenzio.
<< Non so!.. non so proprio come tu abbia avuto questo ombrello!!.. forse lo hai rubato??... oppure lo hai trovato??...mah!?!? comunque è azzardato venirlo a restituire proprio a casa della mia donna … non mi va che lei abbia a che fare con un verme come te!! >> disse con tono minaccioso;
a quel punto, consapevole che le sue intenzioni non erano delle migliori, decisi ancora di stare in silenzio, forse la cosa più importante era che davvero non sapesse che l’avessi conosciuta in quella serata di pioggia, poi feci due passi all’indietro e mi girai per andarmene … ma come se non bastasse, quando mi voltai mi ritrovai a bruciapelo Tim, che, neanche il tempo di farmi rendere conto della situazione, mi spintonò facendomi cadere a terra:
<< ehi Vilmond … stai di nuovo a rompere … questa volta Steven sta dalla mia!! … una bella lezione non te la toglie proprio nessuno oggi!! >> esclamò felice.
In pratica mi ritrovavo a terra, con Steven da una parte che maneggiava nervosamente l’ombrello di Madalene, dall’altra Tim che si sfregava eccitato i pugni.. ma in realtà in quel momento non provavo alcun sentimento di paura, solo amarezza per non aver potuto parlare con Madalene:
<< peccato aver gettato le sigarette, mi va proprio di fumare adesso!! >> dissi tra me e me, sbuffando;
quel mio atteggiamento indifferente innervosì ancor di più Tim:
<< non ti immischiare Morton… con questo piscia sotto io basto ed avanzo!! >> disse impaziente Tim;
<< fa pure!!... non era mia intenzione sporcarmi le scarpe oggi!! >> rispose Steven, acconsentendo.
Non m’importava di prenderle, ma in quel momento ci fu qualcosa che sconvolse di nuovo la mia vita, ancor peggio dei pugni di Tim. Appena si avvicinò, pronto per iniziare a colpirmi, un grido spaventoso giunse dai pressi del campo da football che ci fece gelare il sangue, e fecero distogliere l’attenzione dei due da me. E poi ancora altre grida ed esclamazioni di paura:
<< oh mio Dio!!! >> - << tiratelo giù Santo Cielo!! >>;
e ancora un altro grido da cui si riconobbe la voce di Madalene.
Appena la riconoscemmo, ci dimenticammo di quello che stava per accadere ed accorremmo sul campo.
 
La scena che ci si presentò davanti era talmente agghiacciante da giustificare l’inorridire di tutti i presenti (tranne uno). Quella scena non mi procurava alcuna emozione, e solo quando iniziai ad avvicinarmi riuscii a provare una sensazione: “la preoccupazione”.
Vi era una pozza di sangue ai piedi del tabellone del campo da football, che si faceva sempre più grande a causa del continuo gocciolare, e sopra, appeso ad una corda penzolava un corpo inerme, sgozzato ed impiccato, talmente sporco di sangue, che non si capiva da quale parte del corpo provenisse quel gocciolare. Quando iniziai ad avvicinarmi tutto intorno a me diventò silenzioso, nonostante il baccano e le urla degli altri studenti, la mia mente percepiva solo quel corpo e cercava di star attenta che quello che stava pensando fosse solo un’assurda immaginazione, ma la preoccupazione si realizzò a due passi da quel corpo.
Neanche mi accorsi chi fosse, notai solamente il sangue uscire dalla sua bocca e le ferite al petto, sgranai gli occhi e cominciai a sudare freddo. Lentamente allungai la mano verso la bocca, gliela aprii quel tanto che bastava per scorgerci dentro, e forse in quell’attimo si realizzò in me la paura Mancava!!

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