I'd Just As Soon Kiss A Wookie

di Sophie Hatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'd Just As Soon Kiss A Wookie ***
Capitolo 2: *** Sorry, sweetheart. I haven't got time for anything else ***
Capitolo 3: *** "Comunque presto ce ne andremo." "E anche tu te ne andrai..." ***



Capitolo 1
*** I'd Just As Soon Kiss A Wookie ***


1 - “I’d Just As Soon Kiss A Wookie”




I am nothing more than
A little boy inside
That cries out for attention,
Yet I always try to hide
cause I talk to you like children,
Though I don’t know how I feel
But I know I’ll do the right thing
If the right thing is revealed

(Staind, “Epiphany”)
 





Buffo che quasi non consideri affatto una fortuna l’essere sopravvissuto.
Dal momento in cui avevo rimesso piede nella base, dopo aver affidato Luke alle cure dei paramedici ed essermi scrostato il ghiaccio residuo di dosso, tutti gli ufficiali di grado inferiore o superiore al mio mi hanno battuto almeno una volta una vigorosa pacca sulla spalla, congratulandosi con me per il mio coraggio e per lo scampato pericolo. In realtà, penso volessero soltanto lavarsi la coscienza per avermi dato del pazzo furioso nel momento in cui avevo deciso di saltare in groppa al mio Tauntaun e avventurarmi in quella tempesta di neve crepuscolare per andare a salvare un uomo che, secondo le normali probabilità di sopravvivenza, avrebbe dovuto essere già spacciato.
Solo lei non ha osato sfiorarmi con un dito.
Non una stretta di mano, un colpetto sull’avambraccio, un lieve tocco sulla scapola, soltanto uno sguardo muto e tagliente, le labbra strette, serrate in una linea sottile, un muscolo lievemente contratto sulla guancia destra. Mi è sembrato che avesse gli occhi lucidi, ma sono quasi sicuro di essermi sbagliato. Figurarsi se sua altezza reale potrebbe concedersi di apparire debole ed emozionata di fronte a me. Tutto ciò che le è uscito di bocca è stato un grazie pronunciato con un filo di voce; successivamente, senza quasi lasciarmi nemmeno il tempo di risponderle con un ironico “Non c’è di che”, è corsa via dietro la barella di Luke, camminandogli a fianco mentre gli accarezzava i capelli e gli sussurrava parole di dolce conforto all’orecchio. Io, disgustato da quella scena così drammaticamente stucchevole, non ho fatto altro che ritrarmi nell’ombra, salutare Chewbacca cercando di evitare lo strangolamento e andare a chiudermi nella cabina di pilotaggio del Falcon. Ho trascorso lì circa un’ora senza quasi muovere un muscolo, fissando il vuoto con la fronte aggrottata e la bocca semichiusa, mentre mi sentivo formicolare il cervello nel tentativo di non pensare a niente. Dire che mi aspettavo un abbraccio commosso è forse troppo, ma almeno un segno d’affetto, una frase gentile, non le sarebbero costati poi così tanto.
Ho cominciato a spaventarmi, chiedendomi per quale motivo ho compiuto un simile gesto di folle eroismo gratuito. Perché volevo davvero salvare Luke da morte certa, o perché mi aspettavo di essere idolatrato da lei per il mio atto di provvidenziale coraggio? Tutti qui hanno preso a trattarmi da tempo come uno di loro, uno di quelli che agisce per il bene universale in nome di un innato altruismo intriso di generosità, ma la verità è che probabilmente sono rimasto lo stesso Han Solo che contrabbandava per Jabba de’ Hutt, quello che in vita sua non ha mai fatto niente per niente.
Tuttavia di questa crisi esistenziale, a dire la verità, in fin dei conti mi importa ben poco; quello che davvero mi interessava era sentirmi per una volta oggetto della sua ammirazione. Non perché io abbia bisogno di ricevere la sua approvazione per ogni mio gesto, e nemmeno perché il mio ego smisurato sente la necessità di essere adulato da una persona che non ha mai riconosciuto i miei meriti. No, è che semplicemente avrei voluto ricevere un indizio del fatto che lei nutra un qualche tipo di squallido e patetico sentimento nei miei confronti, dato che per me disgraziatamente è così: provo qualcosa per lei, qualcosa che mi vergogno perfino ad ammettere con me stesso e che sicuramente non ho mai provato prima nel corso della mia vita di perfetto egoista. Ad ogni modo, considerato che entro poco tempo mi toccherà partire senza nemmeno la certezza di poter fare ritorno su questo stramaledetto pianeta di ghiaccio, avrei gradito da parte sua un minimo di conforto, di sollievo dalle mie ridicole pene.
E invece, niente di niente.
È corsa da Luke, dopo avermi a malapena degnato di uno sguardo e di una parola a mezza voce. Nonostante ci fossi anch’io a rischiare di morire assiderato là fuori. Evidentemente, però, il sottoscritto è totalmente indegno di ricevere il suo affetto prezioso.
Sono talmente irritato che potrei rischiare di prendere a calci la mia stessa nave, motivo per cui decido di allontanarmi e di andare a vedere come sta Luke. So bene che probabilmente la troverò lì al suo capezzale ad osservarlo con le lacrime agli occhi, ma ormai il mio autolesionismo ha raggiunto limiti tali che questa è solo una bazzecola al confronto. Magari potrò anche divertirmi a bersagliarla con battutine sarcastiche per farle notare quanto sia stata impietosamente ingrata nei miei riguardi, così poi la farò irritare e finiremo per litigare di nuovo, insultandoci come d’abitudine. Ma almeno la smetterà di stare col fiato sul collo a Luke.
Chiamo Chewie e ci avviamo tutti e due verso l’area medica, senza scambiare una parola. So che mi sta tenendo d’occhio con aria preoccupata perché percepisce la mia evidente frustrazione, ma non ho voglia di parlarne e lui lo sa. Ha notato che ormai da un po’ di tempo sono strano, che da quando ho deciso che era il momento di abbandonare questo branco di ingenui sognatori per andare a salvarmi la pelle da Jabba sono diventato ancora più irritabile del solito, che tutte le volte che Leia mi passa davanti io mi irrigidisco e assumo un’espressione cupa. Ma non ha senso abbandonarsi a confidenze sconsolate, non risolverebbe assolutamente niente: io continuerei ad avere una pericolosa taglia sulla testa, e lei a non ricambiare i miei sentimenti.
Mi faccio indicare seccamente il luogo in cui hanno portato Luke, e pochi attimi dopo faccio il mio ingresso trionfale in una stanza asettica in cui il mio amico galleggia privo di coscienza in una vasca piena di chissà quale liquido, un respiratore che lo tiene in vita e un droide medico che assiste all’intera operazione producendo occasionali brontolii meccanici. Lei è lì, come previsto. Non emette un suono né muove un solo muscolo, fino a quando non le rendo manifesta la mia presenza camminando verso di lei, mentre tento inutilmente di ostentare una fredda indifferenza. Getto prima un’occhiata fugace a Luke, rabbrividendo per lui: non ho mai tollerato nessun genere di cure mediche, nemmeno nelle condizioni di salute peggiori, e se fossi stato io quello che delirava a faccia in giù nella neve con le membra congelate, credo che avrei preferito rimanerci piuttosto che farmi manipolare da una serie di assurdi macchinari. Meglio lui che me, insomma. Faccio un altro paio di passi e mi affianco a Leia, tenendo le mani incrociate dietro la schiena, domandandomi quale potrebbe essere l’argomento più adatto con cui dare avvio alla conversazione. Le condizioni di Luke? Scontato. La sua freddezza nei miei confronti? Irriverente. I miei sentimenti per lei? No, non posso davvero pensare di dirglielo, suonerei assurdo alle mie stesse orecchie.
Però forse la sua espressione sbalordita mi procurerebbe un briciolo di sciocca soddisfazione.
“Come sta?” ho optato per l’ipotesi scontata, considerata la potenziale pericolosità delle altre due: una mi avrebbe portato a sgolarmi con grida di rabbia, l’altra a polverizzare in un solo istante tutta la dignità che ancora posso vantarmi di possedere.
“È fuori pericolo, per fortuna,” mi risponde, con un insolito calore. Evidentemente sentiva il bisogno di qualcuno su cui sfogare il suo sollievo, non ha importanza se anche si tratta di una persona che detesta.
“Magnifico.”
Un pizzico di sarcasmo mi sfugge. Non era proprio mia intenzione – o forse sì. Al diavolo. Purtroppo non sono in grado di correggere il tiro. Incrocio le braccia sul petto e appoggio il peso sulla gamba sinistra, sforzandomi di non gettarle più di un’occhiata di sbieco.

“Tu stai… bene?”
Distolgo lo sguardo dal corpo di Luke che galleggia inerte nella vasca, fissando Leia dritto negli occhi con un’espressione apertamente stupita. Per un attimo sono davvero pronto a illudermi che si stia sinceramente preoccupando per me, ma poi, per grazia dei Sith, il mio onnipresente scetticismo interviene a riportarmi con i piedi per terra.
“Mi reggo in piedi senza problemi, non lo vedi?” rispondo, questa volta calcando intenzionalmente il sarcasmo nel mio tono di voce. Lei storce la bocca in un’espressione di disgusto, distogliendo lo sguardo da me.
“Hai ragione, non so proprio perché ho perso tempo a domandartelo.”
Già, è la stessa cosa che mi chiedo anch’io. Non vedo perché senta ancora il bisogno di sbrigare simili formalità tra di noi; non sono così stupido da illudermi che le importi veramente qualcosa della mia salute, quando fino ad ora non si è staccata un momento dal capezzale di Luke.
“Ti ringrazio comunque per il sincero interessamento,” borbotto a denti stretti, anche se probabilmente avrei fatto meglio a trattenermi; mi ero proposto di imboccare la strada delle frasi di circostanza, non quella dello scontro aperto.
“Cosa pretendevi, di essere riverito regalmente?”
Oh, è riuscita a cogliere l’ironia della mia affermazione. Magnifico. Non la facevo così sagace. Ormai sono nei guai fino al collo, tanto vale che prosegua su questa linea di condotta.

“No, Principessa, sono ben consapevole del fatto che questo genere di onori è applicabile solo a te,” le rispondo, forzando i toni e incrociando più strettamente le braccia, mentre sento l’irritazione invadermi da capo a piedi.
“E allora per quale motivo sei venuto qui ad attaccarmi?”
“Perché ritenevo che per aver salvato la vita al tuo protetto meritassi qualcosa di più dei tuoi freddi ringraziamenti.”
Devo riconoscerlo, non sono mai stato particolarmente furbo nell’intuire quando è il momento più opportuno per lasciar cadere una discussione e ritirarmi in un dignitoso silenzio, reprimendo il mio bisogno innato di avere sempre l’ultima parola, soprattutto nei casi in cui il mio interlocutore è una principessa altezzosa e saccente che risponde ad ogni mia provocazione con scoppi di rabbia assolutamente entusiasmanti. L’unico effetto collaterale di questa mia mancanza è che in certi casi le sue reazioni risultano essere particolarmente dannose per il sottoscritto, soprattutto nei momenti in cui intervengo a forzare la mano mentre lei è evidentemente sotto pressione. Questa è proprio una di quelle volte, perciò posso soltanto sospirare in modo quasi impercettibile e osservarla stringere le labbra e fissarmi con uno sguardo infuocato che mi provoca un’ambigua eccitazione, nella mia sostanziale impossibilità di mantenermi serio di fronte a lei.
“Non mi sembra né il luogo né il momento adatto per le tue discussioni infantili, Han,” mi dice, nel classico tono secco e perentorio di chi non ammette repliche. Sarò anche un caso senza speranze, ma adoro vederla arrabbiata. Forse perché è l’unico tipo di occasione in cui giunge pericolosamente vicina a perdere il controllo. Senza contare che mi manda in visibilio quando pronuncia il mio nome in quel modo. Come ha fatto ieri, quando mi ha rincorso fuori dalla sala comandi, per dirmi che credeva che sarei rimasto…
“Per te non esistono mai un luogo e un momento adatti,” rispondo, a denti stretti. Non ho più voglia di discutere. Il ricordo della discussione del giorno prima ha risvegliato in me una serie di sensazioni spiacevoli che non desideravo rivivere proprio ora, in un momento in cui mi sarebbe fondamentalmente necessario mantenere la mia superiorità distaccata.
“Senti, ti siamo tutti estremamente grati per quello che hai fatto, ma ogni tanto mitigare le tue manie di protagonismo ti farebbe soltanto bene…”
“E a te farebbe bene smetterla di nasconderti dietro quel plurale di convenienza. Se tu mi sei grata, perché non me lo dici chiaramente?”
La sto provocando oltre ogni limite, ma in questi giorni mi risulta impossibile trattenermi. Potrei sparire completamente dalla circolazione non appena lascerò questo blocco di ghiaccio, potrei rimetterci la pelle nel tentativo di salvarmela, e morirei con il rimpianto di non averle mai gridato in faccia quanto la odio per aver giocato spietatamente con i miei sentimenti.
“L’ho già fatto, ma evidentemente deve esserti sfuggito,” replica lei, inarcando un sopracciglio. Io mi pianto saldamente sulle gambe, affrontandola a viso aperto.
“Ed è il massimo di cui sei capace?”
“Non riesco a capire che pretese tu abbia!”
“Perché evidentemente le tue capacità affettive si esauriscono del tutto nei confronti del ragazzino.”
Questo non avrei dovuto dirlo, nella maniera più assoluta. La mia pretesa di ottenere la rivincita dopo la delusione di ieri è decisamente legittima, ma non doveva tradursi in termini simili. Magnifico, Han. Le hai espressamente detto che sei geloso marcio di Luke, complimenti davvero. Ora puoi anche scordarti di condurre il gioco.
“Ti comporti come un bambino,” sentenzia lei, in tono tagliente. Io mi stringo nelle spalle, sforzandomi di ostentare la massima noncuranza di cui sono capace. Sono estremamente bravo a fingere, è una delle mie scarse caratteristiche che mi sono utili quando mi devo tirare fuori dai guai.
“Dovresti provare ad ascoltarti, sei… un vero idiota.”
Si mette sempre d’impegno quando si tratta di insultarmi, credo che dovrei considerarlo un vero onore.
“Perfetto, la prossima volta mi metterò da parte e lascerò che sia qualcun altro ad addentrarsi in una bufera di neve con cinquanta gradi sotto zero.”
In questo momento, la parte più nera della mia coscienza mi sta sibilando all’orecchio che forse davvero l’ho fatto soltanto perché speravo nella sua calorosa riconoscenza.
“Nessuno ti ha chiesto di farlo.”
Si sta infervorando sul serio, e io non riesco a fare altro se non crogiolarmi in questo ennesimo diverbio, dando sfogo a tutte le mie esigenze di impulsività.
“Hai ragione, ma d’ora in poi mi chiamo fuori. La parte dell’eroe non mi soddisfa nemmeno un po’,” sentenzio, fiero di me stesso.
“Sicuramente ti si addice molto meno rispetto a quella del mercenario arrogante.”
“Ammettilo, è proprio questo che ti piace di me.”
“Ora basta, Han, sparisci!”
Con le guance imporporate di un rossore violento, gesti bruschi poco consoni per una persona del suo rango e il fuoco negli occhi tipico di quando riesco a pungerla sul vivo, Leia mi spinge verso l’uscita in preda ad una furia incontrollata. Io assecondo i suoi gesti, troppo sorpreso e inebetito per opporre una qualche resistenza, e come reazione di conseguenza mi sfugge dalla gola una risata incredula. In una debolissima frazione di secondo riesco anche a concentrarmi sulla pressione delle sue mani a contatto con la mia schiena, ma arriviamo troppo presto alla porta perché la sensazione possa risultare apprezzabile.
Mi volto di scatto, aggrappandomi allo stipite della porta, fermo in piedi davanti a lei, mentre mi sforzo di ergermi in tutta la mia altezza per sovrastarla e intimidirla, in realtà riuscendo soltanto a sentirmi avvampare per la pericolosa vicinanza che ho involontariamente instaurato tra me e lei.
Per un attimo la tensione trionfa, pesando su di noi come una cappa di nebbia e facendoci rimanere immobili l’uno di fronte all’altra, senza proferire una sola parola, gli sguardi che faticano ad incrociarsi. Ed è in quell’attimo che realizzo l’entità del mio impellente desiderio di baciarla. Istintivamente terrorizzato dalla prospettiva di compiere un gesto così fuori controllo, spingo la testa all’indietro come per allontanarmi quel tanto che basta da raggiungere una distanza di sicurezza dalle sue labbra, dopodiché la fisso dritto negli occhi e mi concedo un’espressione di sorridente e sfacciata malizia atta soltanto a farla sentire in imbarazzo.
“Ti sarei grato se prima di cacciarmi tu potessi restituirmi il Wookie,” le dico, scandendo le parole su una tonalità volutamente provocante. Lei mi restituisce uno sguardo a metà fra il velenoso e l’imbarazzato.
“Certo, se tu volessi attuare il tuo proposito di baciarne uno, posso sempre lasciartelo a disposizione per il tempo che ti serve…”
La porta mi si chiude in faccia con uno scatto secco. Rimango a fissarla a labbra strette per qualche secondo, nel disperato tentativo di scacciare dalla mia testa tutte quelle fastidiose voci interiori che continuano a darmi dello stupido. Trascorso questo breve lasso di tempo, Chewie mi compare davanti cogliendomi nella mia perfetta immobilità, e solo allora riesco a riscuotermi e a ridarmi un contegno.
“Ok, amico, andiamocene via,” gli dico, senza attendere conferma. Mentre mi incammino per i corridoi semivuoti, il rauco ruggito del mio fedele compagno peloso mi risuona alle spalle con insistenza. Sospirando, mi blocco su due piedi e mi volto a guardarlo.
“No, non ho esagerato. È lei che non si può permettere di trattarmi così.”
Lo sguardo che Chewie mi riserba non è proprio così concorde e sostenitore come mi aspettavo. In risposta ricevo un ruggito sommesso, indagatore, dubbioso.

Mi stringo nelle spalle, sfoderando un sorriso obliquo di mera consolazione.
“Ad ogni modo, non ti ha dato nessun bacio. Questo significa che preferisce me a un Wookie, per quanto si affanni ad affermare il contrario.”
Chewie mi guarda senza dire niente, reclinando la testa di lato.
“Senza offesa, è chiaro,” aggiungo, prima di tornare ad incamminarmi verso l’hangar principale. Riflettendoci in silenzio, giungo alla conclusione che forse la mia osservazione non è poi così campata in aria, dopotutto. Magari se me lo ripeto un paio di volte di seguito finirà per sembrarmi un’argomentazione convincente, e riuscirò a riacquistare un briciolo di sicurezza in me stesso.
 





Piccola nota su dove voglio andare a parare: a parte il puro piacere di scrivere su questa coppia che adoro follemente fin da quando avevo sì e no 9 anni, il mio scopo è quello di mettere a nudo le insicurezze di Han, le sue frustrazioni e il suo pessimismo riguardo al suo rapporto con Leia. Anche se spesso e volentieri questo suo modo di porsi lo conduce a fraintendere numerosi atteggiamenti di Leia nei suoi confronti. Si deve tener conto che il punto di vista è quello di Han, perciò non deve stupire se spesso Leia viene vista e intesa come una persona che pare non nutrire alcun interesse nei suoi confronti: Leia è contorta, non esprime mai i suoi sentimenti in modo diretto, e quando si sente forzata reagisce con una buona dose di cattiveria. Ergo, Han interpreta tutto nel modo peggiore possibile, si sente amareggiato e frustrato, e si crogiola in questa sua sorta di “ottusità”. Il mio progetto è quello di inserire al massimo quattro episodi in questa raccolta, tutti considerabili come dei missing moments di ESB o ROJ. Il prossimo sarà ambientato nel momento in cui Han, Leia, Chewie e 3BO sono sul Falcon nascosti nella cavità dell’asteroide e stanno tentando di riparare alla meglio il “pezzo di ferraglia”. Le altre due saranno ambientate una su Bespin, prima che Lando riveli il suo tradimento e loro finiscano nelle grinfie di Vader, l’altra subito dopo che Han è stato liberato e Jabba distrutto, mentre se ne stanno andando da Tatooine. Ultima cosa: ringrazio infinitamente Beatrice, che mi ha fatto da beta reader in modo egregio.

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Capitolo 2
*** Sorry, sweetheart. I haven't got time for anything else ***


2 - "Sorry, sweetheart. I haven't got time for anything else"






Come up to meet you,
Tell you I’m sorry,
You don’t know how lovely you are.
I have to find you,
Tell you I need you,
Tell you I’ll set you apart.
Nobody said it was easy, it’s such a shame for us to part.
Nobody said it was easy, no one ever said it would be this hard.
Oh, take me back to the start.

(Coldplay, “The Scientist”)









Ero fiero di me per averla fatta infuriare così. Davvero stupidamente fiero di me.
Solo che poi mi è passata. Mi sono avviato alle riparazioni tutto tronfio e orgoglioso del mio puntualissimo sarcasmo, ma mi è stata sufficiente una decina di minuti di lavoro lento e frustrante per cominciare a darmi dell’idiota fantademente. E ora, la situazione continua a peggiorare, sprofondando verso un baratro di cui stento a vedere il fondo.
Chiariamoci, il mio obiettivo è forse quello di negarmi ogni possibilità di successo con lei rovinandomi con le mie stesse mani? Perché è proprio questo che ho appena fatto. Sono perfettamente conscio del fatto che, quando la faccio infuriare così, le cose tra noi si riaggiustano davvero solo dopo molto, molto tempo. Primo, perché lei è una di quelle persone che sarebbe capace di portare rancore verso qualcuno per anni. Secondo, perché io sono troppo radicato sul mio piedistallo di superiorità virile per poter pensare di piegarmi a chiederle scusa. Terzo, perché passi la prima volta, passi anche la seconda, ma questa non è né la prima né la seconda volta. Sarà la millenovecentocinquantaseiesima, come minimo, da quando abbiamo avuto il piacere di conoscerci. Dunque, non posso nemmeno sperare in un moto di indulgenza eccezionale da parte sua. Leia è ancorata al suo piedistallo di superiorità almeno quanto lo sono io, se non di più. No, beh, non esageriamo. Di più non è possibile. Sono io l’uomo, in questa situazione.
Comunque, l’ho combinata grossa per l’ennesima volta. Il bello è che sono perfettamente cosciente di quello a cui vado incontro nel momento in cui le rispondo per le rime, ma sul momento non mi riesce mai di trattenermi. Il classico esempio di stupido e inerte vizio, di cui non si riesce a liberarsi con nessuno sforzo di volontà, per quanto ammirevole.
Ma adesso, che ne sia convinto o meno, mi risulterebbe più conveniente se riuscissi a rappacificarmi con lei, considerato che, appena avrò riparato questo trabiccolo e l’avrò scortata sana e salva fino al punto di rendez vous, dovrò dirigermi immediatamente verso Tatooine, pregando che Jabba non abbia già fatto allestire una sala delle torture unicamente riservata a me. È l’ennesima volta che me lo ricordo, ma i fatti sono questi: è possibile che ci lasci la pelle. E, diavolo d’un Sith, non posso lasciarcela senza aver almeno tentato di farle sapere quanto io… quanto io cosa? Andiamo, è ridicolo. Io sono ridicolo. Mi ricorderà come l’uomo più patetico che abbia mai tentato di corteggiarla. Ma almeno dovrò farle sapere che cosa mi ha fatto passare, con la sua ostinazione e la sua rabbia nei miei confronti. Dovrà saperlo e sentirsi in colpa per questo. Così, se davvero ci lascerò la pelle, almeno forse verserà qualche lacrima per il rimorso, se non per altro.
Farò in modo che mi abbia sulla coscienza, questa è una promessa a cui non intendo sottrarmi.
Sta di fatto che ora devo assolutamente escogitare qualcosa.
Prima di tutto, forse sarebbe meglio se incominciassi a ristabilire un dialogo, anche se forzato e imbarazzante. Perché se non ci provo nemmeno, a ristabilire un dialogo, potrei anche aspettare mille anni nella speranza che lo faccia lei, ma sarei davvero un povero illuso.
Bene, vediamo di mettere in atto questo buon proposito.
“Servirebbe una mano, di là,” esordisco, dopo essermi timidamente permesso di fare il mio ingresso nella cabina di pilotaggio, dove ci siamo lasciati giusto pochi minuti fa dopo quello scambio di frasi imbarazzanti. Ma è meglio evitare di pensarci, adesso. Anche perché ciò che sta accogliendo le mie parole è un silenzio ancora più imbarazzante di quello scambio di battute.
“Sempre se pensi di poter fare qualcosa.”
Forse sto suonando un po’ troppo presuntuoso. Meglio correggere il tiro. Non troppo, non voglio mica umiliarmi. Ma almeno un pochino, è necessario.

“Non si tratta di un lavoro difficile, c’è una valvola da saldare che penso possa fare al caso tuo…”
“Benissimo.”
Leia scatta in piedi, rigida come un automa. Si dirige verso di me senza nemmeno guardarmi in faccia. Alza gli occhi solo nel momento in cui è costretta a fermarsi di fronte a me, perché sto evidentemente bloccando la sua unica via d’uscita.

Tento di farle un sorrisetto ironico, ma mi sembra che mi sia uscita soltanto una smorfia tirata.
“Dov’è questa valvola?” mi chiede lei bruscamente, corrugando la fronte. Ma una punta di imbarazzo trapela dalla sua voce e le guance le si colorano di rosso, forse per questa nostra piacevole vicinanza momentanea, e io mi sento accelerare il battito cardiaco.
Potrei baciarla, così, senza preavviso, in effetti.
Ma non credo sarebbe una buona idea.
Dopo il modo in cui le ho risposto, è fortemente probabile che finirebbe per prendermi a schiaffi. Devo lavorarmela ancora un po’, prima di passare alla mossa più compromettente.
“Di là, vieni.”
Mi volto e le faccio strada, sentendomi avvampare. Sono proprio un codardo, non c’è che dire.
Mi fermo di colpo quando in mezzo alla distrazione mi accorgo di essere giunto a destinazione, e lei mi sbatte lievemente contro. Ci sto davvero facendo la figura dello stupido.
“Scusa,” le dico, voltandomi indietro e trovandomela ad una distanza pericolosamente ravvicinata. Lei stringe le labbra, gettandomi uno sfuggente sguardo di sottecchi.
“Beh… ecco, ci siamo. Questi sono gli strumenti che puoi usare… non sarà una cosa lunga, non preoccuparti.”
“Sta’ tranquillo, non mi lascio certo spaventare dal tuo pezzo di ferraglia.”
Il tono è lievemente secco, ma si è rivolta a me con la sua solita ironia di repertorio. Forse, dopotutto, sono riuscito a riguadagnare qualche punto.
Ma non ho il tempo di soffermarmi a gongolare un secondo, che lei ha già messo mano agli strumenti da lavoro e si accinge a dare inizio a ciò che ho usato come scusa per rivolgerle nuovamente la parola.
“Bene, allora, se è tutto a posto, ti lascio lavorare in pace,” le dico, frettolosamente, dopo aver notato che mi sta squadrando con perplessità. Mi volto di scatto e faccio per allontanarmi, quando sento risuonare la sua voce alle mie spalle.
“Per una volta hai capito quand’è che la tua presenza diventa inopportuna,” mi dice, sfoggiando il suo tipico sarcasmo irridente. Il sangue mi sale alla testa, stringo i pugni per contenere l’irritazione e ho già praticamente la risposta pronta sulla punta della lingua nel momento in cui mi volto di nuovo verso di lei, ma poi un lampo mi attraversa la mente e mi rendo conto che non devo ricaderci.
“Lieto di averti fatto un favore, Altezza,” rispondo, cercando di sfogare tutta la mia reattività nel modo in cui scandisco lentamente ogni sillaba. Dannazione. Era proprio necessario, dovermi costringere a umiliarmi in questo modo?
Mi allontano, senza darle il tempo di elaborare un’altra replica a cui so di non poter rispondere come vorrei. L’impazienza comincia a scorrermi dentro, pervadendomi da capo a piedi. Io non sono capace di aspettare, di fare le cose con calma. Io quello che voglio l’ottengo subito. Oppure, per meglio dire, cerco di ottenerlo subito. Forse, se mi comportassi veramente da uomo e agissi senza pensarci due volte, avrei più successo di quanto penso di poterne avere muovendomi con tutta questa cautela. Non credo di esserle poi così indifferente, da un punto di vista obiettivo. Ogni tanto, in passato, sono stato più che capace di farla surriscaldare come si deve. Forse mi sto semplicemente facendo annebbiare il cervello da tutta quella foga rabbiosa con cui lei tenta puntualmente di respingermi e che è in grado di ridurmi in uno stato pietoso, in cui comincio a non essere più tanto sicuro di quello che faccio. Prima di conoscerla non ero così. Non avevo problemi come questi e stavo ben attento a preoccuparmi di cose ben più serie e vantaggiose per me stesso. Perdermi in questo marasma di elucubrazioni senza né capo né coda non mi sta portando da nessuna parte, perché, nonostante ci sia la possibilità che io stia andando incontro alla morte, per ricordarmelo mi tocca fare uno sforzo, mentre per pensare a lei non ho bisogno nemmeno di compiere qualche associazione logica, in quanto ha conquistato l’assoluta priorità all’interno delle mie riflessioni.
Tuttavia, ci sono molti elementi che concorrono ogni volta a fiaccare le mie più nobili intenzioni nei suoi riguardi.
Primo fra tutti, il modo in cui si comporta con Luke.
Ogni volta che li vedo insieme, la loro complicità e sintonia lampanti mi colpiscono come una violenta sferzata in pieno volto. Fa male, perché mi rendo conto che io e lei non potremo mai condividere niente di simile, nemmeno con le migliori intenzioni. Perché c’è una diversità di fondo che è stata irrimediabilmente segnata fin dal momento in cui ci siamo conosciuti: Luke è stato quello con cui lei ha deciso di comportarsi gentilmente, quello che di colpe non ne aveva, quello ingenuo e dolce, quello di cui ci si poteva fidare. Io, invece, sono stato immediatamente marchiato come l’irresponsabile, l’arrogante, il mercenario, quello che rende le cose difficili, quello che osa mettere in discussione la sua autorità e che pertanto necessita di essere rimesso al suo posto. Ancora adesso, è così che stanno le cose. È così che lei si pone nei miei riguardi, tutte le volte che le capita di avere a che fare con me. Mai un momento in cui abbassi la guardia, in cui metta da parte il desiderio di farmi sentire inferiore a lei, di dimostrarmi chi è che comanda. Mi è sempre piaciuto questo rapporto così combattivo, perché nonostante tutto significa che ha trovato pane per i suoi denti e che nessuno fra tutte le sue numerose conoscenze aveva mai avuto la sfacciataggine necessaria a sfidarla così apertamente. Eppure, mi rendo conto che tutto questo rappresenta anche la nostra immane debolezza. Perché, se continuiamo a litigare così furiosamente, non ci sarà mai tempo per fare qualcos’altro.
Mi sono chiesto spesso che diavolo abbia Luke più di me, per essersi meritato il suo trattamento privilegiato. In quanto a coraggio, direi che siamo pari. Forse, addirittura, la mia innata avventatezza e la mia sfacciata fortuna mi concedono il privilegio di superarlo, in quanto spesso mi va talmente bene che ciò che ho fatto senza riflettere assume, a posteriori, i connotati di un atto di coraggio. Va bene, la fortuna forse non dipende da me, ma l’impulsività sì e anche la capacità di intuire quando è il momento giusto per metterla in pratica.
Forse è perché si dà l’aria di saper controllare quella mistica stupidaggine, la Forza. Dice di voler diventare un cavaliere Jedi, cosa che probabilmente esercita il suo fascino su una donna. Ma in termini di praticità è ridicolo. I cavalieri Jedi si sono estinti da almeno una ventina d’anni ed è inutile sognare di poterli resuscitare. Un solo cavaliere Jedi non può fare niente contro la flotta Imperiale.
O forse è perché lui è quello che compie le azioni più nobili. A ben pensarci, sono riuscito a guadagnarmi un vero sorriso da Leia solo nelle occasioni in cui ho agito per salvare stupidamente la pelle a qualcuno, come durante la battaglia di Yavin. Lì sì che mi ha dimostrato veramente un briciolo di affetto.
Ma forse l’ha fatto soltanto perché con il mio intervento ho salvato la vita proprio al suo Luke.
Ora è il momento di smetterla, però. Sto superando ogni soglia di patetismo mai intravista. Dopotutto, voglio bene al ragazzino. Non mi ha fatto niente di male e non si merita di essere bersagliato mentalmente con queste insinuazioni velenose. Il problema, alla fine, non è lui. Il problema è Leia. E se preferisce Luke a me, la responsabile è soltanto lei, anche se forse io ho vivamente collaborato per rendermi insopportabile ai suoi occhi.
Ma ecco che, per grazia dei Sith, qualcosa interviene ad interrompere le mie distrazioni.
Anche se non è niente di piacevole, anzi.
Mi allarmo nel sentire che un paio di colpi sembrano esplodere fin troppo vicino alla nostra posizione, però poi li percepisco allontanarsi e capisco che non c’è niente di cui preoccuparsi.
Nonostante tutto, il droide idiota si è bloccato come in preda ad una crisi di panico e Leia ha deposto la maschera protettiva per sporgersi timidamente al di fuori dello scomparto in cui sta lavorando, lanciandosi qualche occhiata nervosa intorno.
Io riemergo dagli abissi delle mie stupide riflessioni, dipingendomi in faccia un’espressione rassicurante.
“Va tutto bene, stanno solo cercando di stanarci,” annuncio, ostentando la mia calma più lucida. Forse dovrei sorridere, ma mi accorgo di non riuscirci e, piuttosto che esibire una smorfia ridicolmente forzata, è meglio che rinunci in partenza.
“Pensi che ritorneranno?”
“No, siamo troppo ben nascosti perché possano tirare a indovinare. Tieni in conto che hanno un intero campo di asteroidi da perlustrare alla nostra ricerca…”
Mi accorgo solo ora che mi ha rivolto la parola, e che non c’era traccia di durezza nella sua voce.
Quasi stento a crederci.
“Torna al lavoro, ferraglia dorata,” ordino, nel tentativo di riacquistare la padronanza di me. Incespicando, il droide protocollare si rimette prontamente a fare il suo lavoro, mentre io torno a concentrarmi su Leia. Subito dopo, mi rendo conto di non sapere affatto che cosa dire.
“Immagino che valga la stessa cosa anche per me,” mi dice lei, con aria lievemente ironica. Io mi sento colto alla sprovvista e nel tentativo di tergiversare sfoggio un sorriso obliquo che mi fa sentire tutt’altro che tranquillo.
“Beh, se preferisci puoi fare una pausa…” propongo, in tono vago, sforzandomi di suonare sicuro di me.
La guardo, e il suo volto è improvvisamente diventato una maschera di imbarazzo che sembra stia tentando disperatamente di reprimere.
“Se non ricordo male, avevi detto che non c’era tempo per fare qualcos’altro.”
I suoi occhi magnifici mi fissano con intensità per un solo, brevissimo attimo, dopodiché mi dà le spalle e torna a lavorare.
Io rimango lì, immobile, senza respirare.
Maledizione.
Senza nemmeno provare l’impulso di replicare, mi volto anch’io e mi allontano, a passi nervosi. Se continua così, io diventerò matto. Non riesco a trovare una dannata strategia che sia in grado di funzionare.
Forse dovrei gettare la spugna, rinunciare e andare a morire con serenità.
Perché non ho più pace da quando ho iniziato a pormi l’obiettivo di compiere un gesto decisivo con lei. Sono perennemente nervoso, non riesco a concentrarmi, dovrei riuscire a sistemare questo trabiccolo per tempo se non preferisco consegnare me stesso e i miei compagni di viaggio nelle mani dell’Impero…
Improvvisamente, il droide protocollare attira la mia attenzione.
“Signore… non so dove la sua nave ha imparato a comunicare, ma usa un linguaggio molto insolito. Credo che dica che il giunto di potenza sull’asse negativo è stato polarizzato. Temo che dovrà cambiarlo.”
L’irritazione mi sale al cervello seduta stante.
“Ma certo che dovrò cambiarlo,” rispondo, nel tono più arrogante e presuntuoso che sono in grado di sfoggiare. Come se lo sapessi già da me, senza che quello stupido pezzo di ferraglia dorata dovesse intervenire a farmelo presente.
Devo ammetterlo, ci sguazzo proprio con piacere nel mio caratteraccio.
“Tieni.”
Passo a Chewie un fascio di cavi, poi mi guardo le spalle e richiamo la sua attenzione.

“È meglio cambiare il giunto di potenza negativo,” gli dico, a mezza voce. Ci tengo ancora, a salvare il mio orgoglio.
Passo di fronte allo scomparto in cui sta lavorando il mio incubo regale, e non riesco a fare a meno di fermarmi a guardarla.
Possibile che di me non ne voglia davvero sapere?
Poi mi torna in mente una cosa, una cosa che avevo del tutto rimosso.

“Ma che ho fatto?!” esclamai, guardando Luke ad occhi spalancati. Lui mi fissò con un’espressione a metà fra l’apprensivo e l’incerto, dopodichè si strinse nelle spalle.
“Cerca soltanto… di essere carino. Non dico sempre, non saresti più tu… ogni tanto, però, non ti farebbe male.”
Mi aveva battuto un’amichevole pacca sulla spalla e se n’era andato, lasciandomi solo a riflettere su quello che era appena successo.
Ma ero fin troppo irritato con Leia per soffermarmi a riflettere sulle sue parole.

Devo fare qualcosa, e devo farlo subito. Non posso più permettermi altre esitazioni. È ora o mai più, e non posso concedermi il lusso di tirarmi indietro, pena la mia salute mentale.
Sospiro profondamente, e sollevo gli occhi da terra. Vedo che è in difficoltà nel reinserire la valvola e improvvisamente un lampo di genio mi attraversa la mente.
Cerca di essere carino.
Nessun problema. Ci riuscirò. Richiamando tutta la mia ben nota fiducia in me stesso, faccio un altro respiro profondo e mi avvicino discretamente, con l’intenzione di darle una mano.






Nota di fine one shot: ci tengo a ringraziare di nuovo Beatrice che mi ha ancora una volta fatto da beta, e ringrazio tutti quelli che hanno recensito la scorsa shot, non mi aspettavo che fosse così apprezzata: dato che ho un attimo di tempo per respirare in mezzo alla preparazione degli esami, vi rispondo individualmente qui sotto.
x Jenny76: ti ringrazio per l'apprezzamento. Smaniavo dalla voglia di scrivere una Han/Leia, dato che li shippo fin da quando ho visto Star Wars per la prima volta (il che risale a quando avevo più o meno otto anni, e non capivo la metà delle cose di cui parlava il film), e in più non sono mai riuscita a trovare in giro una fanfiction su di loro, a parte qualcuna in inglese di tanto tempo fa. Contentissima poi che tu condivida il modo in cui vedo Han: la sua insicurezza non emerge apertamente dal film, se non in rare occasioni, ma proprio per questo mi sono divertita ad analizzarla.
x Irene Bitassi: ti ringrazio, sentirmi dire che i personaggi risultano credibili mi fa ovviamente piacere, perché ho cercato di fare il possibile per costruire dei dialoghi coerenti con quelli del film, anche se certe battute restano impareggiabili. Spero proprio ti sia piaciuta anche la seconda shot.
x padmeskywalker: non me lo dire, adoro Han da quando ho visto Star Wars per la prima volta, è sempre rimasto il mio personaggio preferito. Grazie per i complimenti!
x Ellie: hai ragione, anch'io ho trovato veramente poche fanfiction su di loro. Infatti quando mi sono messa a scrivere non ero così sicura di trovare qualcun altro che li apprezzasse. Per fortuna invece qualcuno c'è ^^
x Eowyn Skywalker: ti ringrazio moltissimo, sono felice che ti abbia colpito. Ho sempre ritenuto Han un personaggio decisamente complesso e degno di essere analizzato, soprattutto per me che amo le fanfic introspettive. Era da tanto che volevo scrivere qualcosa su lui e Leia, e sono felice che sia stato apprezzato. E' vero che Han non lo dimostra, ma io sono davvero convinta che abbia una solida insicurezza di fondo: anche solo il fatto che ci abbia messo tre anni per dichiararsi lo dimostra. Insomma, se questa mia interpretazione del personaggio ti ha convinto, la cosa non può che farmi un immenso piacere.

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Capitolo 3
*** "Comunque presto ce ne andremo." "E anche tu te ne andrai..." ***


Nota di doverosa premessa: non credevo che avrei mai ripreso in mano questa mini-fanfiction, considerata la disastrosa mancanza di tempo che ormai mi sta facendo abbandonare praticamente tutto il mondo della scrittura. Poi quest’estate ho rivisto la vecchia trilogia, quasi per gioco e... mi sono di nuovo innamorata di questa coppia. Non c’è niente da fare, hanno radici troppo profonde nel mio debole cuore. Avevo già deciso anni fa che avrei scritto di questo momento, perciò non ho fatto altro che completare una vecchia idea. Come per gli altri capitoli, non si tratta di niente di più che di una storia d’amore; ma ho ricevuto delle recensioni talmente belle che, per quanto il tema sia banale, ho avuto modo di scoprire che c’è chi ama questi due personaggi tanto quanto me.

Se qualcuno decidesse quindi di avventurarsi nella lettura di questo stralcio arrugginito, ha già i miei ringraziamenti.

S.

 

 

 

 

 

 

3. “Comunque presto ce ne andremo.” “E anche tu te ne andrai...”

 

 

 

 

 

 

Don't make me sad, don't make me cry

Sometimes love is not enough and the road gets tough

I don't know why

Keep making me laugh,

Let's go get high

The road is long, we carry on

Try to have fun in the meantime

 

(Lana Del Rey, “Born To Die”)

 

 

 

 

 

 

 

Erano ormai trascorsi quasi un paio di giorni dal fattaccio, ma io ancora perseveravo nel sentirmi l’uomo più fortunato di tutti gli universi conosciuti.

Ci ripensavo in ogni momento, tutte le volte che per sbaglio posavo gli occhi su di lei – davanti a Chewie e agli altri cercavo di darmi un certo contegno, ma Sua Altezza sembrava comparirmi davanti ovunque, quasi lo facesse apposta – e perfino quando le ero lontano, nonostante le molte cose di cui avrei dovuto occuparmi in quegli attimi così densi di preoccupazioni. Ripensarci mi faceva sentire incredibilmente ottimista, quasi invincibile; fu un sollievo scacciare il pensiero fisso della taglia che pendeva sulla mia testa per sostituirlo con il ricordo della morbida sensazione che avevo provato nell’incontrare le sue labbra per la prima – e probabilmente unica – volta.

Avevo volontariamente rimosso la reminescenza della successiva fuga imbarazzata di lei, perché semplicemente non volevo guastarmi la vittoria. D’altronde, quell’idiota spaziale di un droide ci aveva interrotti in maniera molto poco delicata, perciò il fatto che lei avesse scelto di tagliare la corda era comprensibile. Era compito mio infliggergli un’adeguata punizione assegnandogli il triplo del lavoro da fare, essendo stato io ad aver avuto la malaugurata idea di assegnargli un compito di qualche genere anziché spegnerlo del tutto come in seguito aveva fatto lei.

Non era esagerato definirla una vittoria, pensai mentre mi liberavo con impazienza dei vestiti che avevo indosso, una volta chiusa alle mie spalle la porta del mio temporaneo alloggio su Bespin. Mi ci era voluto un anno per arrivarci, dodici mesi di frustrazioni, sconfitte, sarcasmo, derisioni, frasi taglienti, occhiate gelide, sguardi rabbiosi, negazioni e rifiuti. A onor del vero, nei minuti che avevano preceduto il suggellarsi del mio trionfo un qualche segnale di inversione di rotta mi era stato inviato: quando era caracollata fra le mie braccia in seguito a quello scossone, era evidentemente turbata. Rossa in viso, furente, sguardo altezzoso e camminata rigida, ma non era riuscita a mentire efficacemente come le altre volte. Inconsciamente dovevo essermene reso conto, considerando cosa mi ero spinto a fare dopo: qualcosa per cui, in un anno intero, mai avevo raccolto l’audacia necessaria.

Non si era trattato di un bacio svogliato o forzato, di questo ne ero certo; avevo fatto attenzione ad essere molto delicato, di modo che lei non potesse respingermi per via della mia irruenza, come accadeva di solito nei nostri scontri verbali. Con un inevitabile ghigno mi domandai se quel bacio fosse stato sufficiente a farla eccitare, dopodiché mi infilai dentro la vasca di acqua calda riempita in fretta per darmi una ripulita prima di andare a dormire.

Ero terribilmente stanco, ma finii per rimanere a mollo lì dentro per almeno un’ora. Con tutto quello che era successo dopo, non avevo ancora avuto il tempo necessario per metabolizzare completamente l’accaduto. Tuttavia, il rapporto con lei mi aveva talmente consumato i visceri da necessitare di una simile pausa di riflessione.

Avrei dovuto farlo molto tempo prima, questa fu la conclusione a cui giunsi. Tuttavia, a dispetto di ogni apparenza, ero sempre stato certo che mi avrebbe respinto. Per via di Luke, ma anche perché non ero il suo tipo. Soprattutto per questo, forse. All’inizio era solo un dubbio, poi era diventata una solida convinzione che aveva ridotto al minimo ogni gesto carino nei suoi confronti e accentuato a dismisura le risposte sarcastiche con cui mi divertivo a prenderla in giro. Non puntavo più a piacerle, semplicemente a schermarmi contro il suo disprezzo e a salvare la mia dignità; se qualcuno si fosse accorto di quello che in realtà provavo per lei – qualcuno in grado di comunicare con altre persone, quindi Chewie non contava – sarebbe stata la mia fine. Altro che leggendario contrabbandiere e formidabile pilota; tutti avrebbero iniziato a vedermi come un banale rammollito. E alle donne non piacciono i rammolliti. Per questo Jabba doveva incatenare le sue schiave per tenersele vicine – ma questo era un altro discorso.

Se non ci fossero stati tutti quei sistemi di emissione di vapore bollente, l’acqua sarebbe stata completamente fredda nel momento in cui mi decisi finalmente ad uscirne. Passai immediatamente attraverso i pannelli di asciugatura istantanea, altrimenti avrei corso il rischio di rimanere lì per un’altra ora, fradicio e tremante. Non riuscivo più a concentrarmi sulla realtà, cosa che mi rendeva estremamente patetico ai miei stessi occhi, ma da cui non sapevo come riprendermi.

Mi infilai gli abiti da camera, una semplice camicia pulita e un paio di calzoni neri, rivolgendo un pensiero di gratitudine a quella vecchia faina di Lando Calrissian per quell’ospitalità così inaspettatamente calorosa. Dopo giorni e giorni in fuga dalle navi imperiali a bordo del Falcon, un po’ di comodità non poteva che essere estremamente gradita – perfino a quello stupido droide, probabilmente. Quantomeno, avrebbe smesso per un po’ di lamentarsi dei sistemi operativi della mia nave.

Quando bussarono alla porta, portai istintivamente una mano alla fondina. L’attimo dopo scossi la testa e andai ad aprire con calma; gli alloggi avevano serrature di sicurezza e microcamere rivolte all’esterno, segno che Lando non era esattamente uno sprovveduto.

Tuttavia, pensavo fosse lui a trovarsi al di là della soglia, o tutt’al più Chewie; non ero preparato a ricevere una visita regale, e invece mi toccò constatare che proprio di quello si trattava.

Non potevo mostrarmi insicuro, perciò le aprii immediatamente, sfoggiando un sorriso accogliente e cordiale.

“Ehi, tutto bene?”

“A dire il vero non saprei...” – voleva un bacio di buonanotte? – “...non ho visto rientrare 3BO.”

Certo, era ovvio che non potevo aspettarmi niente di meglio. Che stupido povero illuso.

“Neanche io l’ho visto,” risposi. “Ma non ti preoccupare, starà sicuramente ammorbando qualche suo simile con le sue chiacchiere in sei milioni di lingue qua intorno. Se proprio si è perso, domani mattina andremo a cercarlo. Non abbiamo fatto molta strada per arrivare fin qui, la città è piccola. Ma non farlo notare a Lando, potrebbe offendersi.”

Cercai di farla ridere, ma non ottenni granché. Ripensai ai salamelecchi di Lando e mi domandai con astio se Leia preferisse la sua compagnia, ma scacciai quel pensiero subito dopo; non era il momento adatto per simili riflessioni.

“Spero solo stia bene. Domattina andrò a chiedere in giro.”

Annuii in segno di approvazione.

“Stai tranquilla, non potrebbero mai prenderlo come ostaggio. È talmente noioso e fastidioso che lo lascerebbero subito libero.”

Questa volta ottenni un sorriso un po’ più convincente. Non potei fare a meno di gongolare interiormente.

“La tua... stanza è ok?”

“Sì, ha l’aria molto comoda.”

“Degna di una principessa?”

“Han, io non sono più la principessa di un bel niente. Il mio pianeta è stato distrutto, pertanto non vivo più in palazzi lussuosi e non indosso più abiti regali da un bel po’ di tempo, ormai.”

“Io ti preferisco così.”

Lanciai quel complimento con una sorta di noncuranza sfacciata, appoggiandomi blandamente allo stipite della porta. Mi sembrò vederla arrossire lievemente, ma avevo la testa talmente annebbiata da non poterne essere sicuro.

Decisi tuttavia di fidarmi del mio istinto e di piantarla con le paranoie.

“Beh, se vuoi entrare possiamo discutere dei nostri prossimi spostamenti, non appena gli uomini di Lando avranno riparato il Falcon saremo liberi di andarcene... meglio parlarne al riparo da orecchie indiscrete, però.”

Lei si gettò qualche furtiva occhiata intorno, poi sembrò decidere che come scusa le andava bene.

Entrò in fretta, senza mostrare indecisione o tradire emozioni troppo forti, evitando semplicemente di guardarmi negli occhi per quegli attimi che le ci vollero a varcare la soglia. Improvvisamente, sentii defluire tutta la stanchezza che mi aveva assalito fino a un attimo prima: di colpo ero sveglio, i muscoli in tensione, il cervello in pieno funzionamento. Dovevo assolutamente stare attento a ciò che dicevo, non volevo più farla irritare; il mio obiettivo ora era colpire definitivamente nel segno, farle capire che ero davvero io l’uomo giusto.

In fondo, se lei non ci avesse creduto almeno un po’, al posto di un bacio mi sarebbe arrivato un sonoro ceffone. Di sicuro, per quanto all’apparenza Leia fosse minuta, ne era perfettamente capace.

E invece almeno in qualcosa l’avevo colpita, anche se non ero un cavaliere Jedi con la spada e l’armatura ma semplicemente un essere umano qualsiasi che cercava di non farsi portare via la testa dai cacciatori di taglie.

“Il rendez-vous ormai è saltato da un pezzo. Dato che non eravamo presenti, non siamo stati messi al corrente di dove i nostri si siano attualmente spostati. Pensi di poterti mettere in contatto con qualcuno degli ammiragli della flotta? Se non sono tanto lontani, forse faremmo prima ad unirci a loro...”

Mi resi conto che Leia non mi stava ascoltando. Si era seduta sul letto, china su se stessa, lo sguardo perso in qualcuna delle sue riflessioni. Avevo lasciato acceso il minimo indispensabile dell’illuminazione presente nella camera, eppure anche così riuscivo a vederla con estrema chiarezza: era bellissima, e io non potevo fare niente per non pensarlo. Probabilmente se l’era già sentito dire un milione di volte, quindi io sarei stato solo l’ennesimo cretino a cui non dare credito; ma chissà quanti l’avevano vista così, con una semplice veste di seta color corallo e una cappa leggera, quasi impalpabile, posata sulle spalle. Chissà quanti l’avevano ammirata con le lunghe trecce semidisfatte, il volto stanco dopo giorni di inseguimenti e di fughe, senza mai un attimo di pace.

Finalmente, dopo qualche secondo, mi parlò.
“Perché ti dai tanto da fare per me? Potrei chiedere una nave al tuo amico Lando e trovare da sola la flotta, se davvero ti fidi di lui. E tu potresti fare ciò che dovevi fare prima di perdere tempo ancora... per colpa mia.”

Ma che razza di domanda era? Fui quasi tentato di spazientirmi, ma poi riuscii a controllare quell’impeto e le risposi con calma e un sorriso ben piazzato.

“Tesoro, se io me ne fossi andato quando dovevo farlo tu ora saresti sepolta sotto le rovine della base di Hoth o peggio, prigioniera di Vader. Il mio aiuto ti è servito e, per quanto ti piaccia non dipendere da nessuno, accettalo ancora per qualche giorno. Ti scorterò fino al contingente ribelle più vicino, poi sbrigherò le mie faccende. Ho aspettato fino ad ora, ormai non cambia poi molto.”

Già, pensai dentro di me, ormai sei un uomo morto, Han Solo. Jabba ci si pulirà i denti con il denaro che gli porterai.

“Solo perché sono una donna non significa che non possa cavarmela da sola...”

“Non voglio che ti accada nulla di male. Non voglio più discuterne, e se davvero non ti senti più una principessa non puoi darmi ordini, Altezza.”

Lei si rabbuiò.

“Ti ho detto di non chiamarmi così.”

“Ti accontenterò se accetti le mie condizioni. Altrimenti, a che sarebbe servito tutto quel mirabolante salvataggio sulla Morte Nera di un anno fa?”

Sembrava passato un secolo, da allora. Ricordai improvvisamente che avevo detto a Luke “non so se ucciderla o innamorarmi di lei”, senza sapere che avevo già optato per la seconda scelta. Fin da allora ce l’avevo avuta in testa; non mi sembrava vero di aver trovato una donna così bella e di carattere, così irritante e seducente allo stesso tempo.

Lei mi fissò a lungo, con una strana espressione, che non le avevo mai visto rivolgere a me. Sembrava... angosciata.

“Non devi andare. Se resti con i Ribelli, i cacciatori di taglie non potranno avvicinarsi. Glielo impediremo noi.”

“Purtroppo sono più furbi di quanto credi. Non avrò certezze, fino a che non avrò pagato i miei debiti.”

In realtà, sapevo che stavo andando a morire. Ma non potevo dirglielo, e neppure volevo. Finalmente, a poco a poco, stavo riuscendo a farle ammettere il vero motivo per cui non voleva lasciarmi andare.

“Non riesco ad essere così ottimista come lo sei tu, Han,” mi disse, scuotendo la testa.

Probabilmente quelle erano le ultime ore che mi restavano da passare con lei. Dovevo cercare di rendermene conto, altrimenti sarei rimasto lì e non avrei fatto niente, come avevo fatto per un anno intero prima di trovare il coraggio necessario per avvicinarmi oltre i trenta centimetri di distanza di sicurezza.

Mi sedetti accanto a lei e le posai una mano sulla spalla, cercando di essere amichevole.

“Non ti preoccupare, andrà tutto magnificamente.”

Sapevo mentire benissimo all’occorrenza, ero sempre stato bravo; ma aver dovuto imparare a celare i sentimenti che provavo per lei non era servito ad altro che migliorarmi.

“Sono tanto stanca,” mormorò Leia, appoggiando la testa al mio braccio. Le accarezzai goffamente i capelli, cercando di scacciare tutti i pensieri che mi affollavano la mente. Quella frase poteva voler dire tutto e niente: che era stanca di lottare, di vivere, di essere in conflitto con me, di sopportarmi, di detestarmi.

Ma ormai avevo preso confidenza, perciò mi lanciai.

Prima le sfiorai la testa con le labbra, poi le sollevai il viso con decisione e non mi feci molti scrupoli nel baciarla con più ardore di quanto avessi osato la prima volta. Tanto ormai mi ero scoperto, era inutile giocare ancora a far finta che lei mi fosse indifferente. Sapeva benissimo che non era successo tutto quanto perché l’ennesimo scossone dell’asteroide ci aveva fatti scontrare casualmente proprio in quella posizione. Potevo accusarla di tutto, ma non d’ingenuità.

Non mi arrivò nessuno spintone, perciò lo interpretai come un segnale favorevole. All’inizio era incerta e potevo quasi giurare che avesse smesso di respirare, ma poi, lentamente, iniziò a sciogliersi.

Sapevo come riuscirci, del resto.

Per tutto il tempo trascorso dalla prima volta che ci eravamo incontrati, avevo fatto di tutto per non darle l’idea di essere un tipo romantico. Sguardi sfacciati, parole impudenti e gesti rudi erano sempre stati all’ordine del giorno. Ma ora intendevo stupirla in ogni senso: iniziai a carezzarle lievemente la testa, poi scesi lungo la schiena, infine decisi di azzardare e le passai l’altra mano su un fianco.

Lei si staccò, ma continuò a rimanere a pochissimi centimetri di distanza. Ci avevo visto giusto, non stava respirando. Ora riprendeva fiato, tremando leggermente.

Mi scostai per non opprimerla, ma anche per guardarla meglio. Sembrava che l’avessi sorpresa davvero. Mi scrutava ad occhi spalancati, turbati.

“Ti sei sempre comportato come se non te ne importasse niente...” sussurrò, confusa. Sulle prime rimasi perplesso. Come diamine aveva potuto non cogliere tutti i segnali che mi ero inevitabilmente e stupidamente lasciato scappare, pur maledicendomi ogni volta, nel corso di tutti quei mesi trascorsi a contatto con lei?

Poi le sorrisi sfacciatamente.

“Allora significa che so fingere bene”, replicai.

Mi aspettavo, a quel punto, che mi domandasse perché l’avevo fatto. Sarebbe stato tutto molto più semplice se mi fossi dichiarato fin dall’inizio. Non ero esattamente sicuro su quale fosse stato il motivo principale: il mio orgoglio, la convinzione che le piacesse Luke, il pensiero che teoricamente non avrei dovuto fermarmi a lungo con i Ribelli e che prima o poi avrei levato le tende, o forse il fatto che lei era una Principessa Senatrice della Repubblica che non aveva nessuna ragione al mondo per trovare interesse in un contrabbandiere dei bassifondi.

Le mie congetture, però, si rivelarono errate. Dopo un attimo di pausa, stavolta, incredibilmente, fu Leia a baciarmi.

Mentre mi adagiavo delicatamente sul letto insieme a lei, scacciando finalmente ogni pensiero sul futuro angosciante che mi attendeva, mi ritrovai a considerare che quella di fermarsi a Bespin era stata davvero una grande idea.

 

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