All is fair in war and love

di Marty_E_Lara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Nuovo inizio, stessa vita ***
Capitolo 3: *** La scuola ***
Capitolo 4: *** Il presente è frutto del passato ***
Capitolo 5: *** Le conseguenze del dolore ***
Capitolo 6: *** Sensazioni ***
Capitolo 7: *** Desidero di meglio ***
Capitolo 8: *** Cosa succede?! ***
Capitolo 9: *** Le imperfezioni ti rendono perfetta ***
Capitolo 10: *** Rivelazioni ***
Capitolo 11: *** Sedute spiritiche ***
Capitolo 12: *** Terribili errori ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


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Sento sul mio corpo una sensazione di sicurezza; il morbido lenzuolo mi avvolge, fievoli raggi di luce illuminano la stanza e l’odore di caffè riesce a farmi svegliare completamente: tutto è così perfetto, se non mi ricordassi che tra poche ore inizierà un nuovo capitolo della mia vita. Ho 14 anni e oggi comincio le superiori; sono molto agitata, non conosco nessuno e la scuola si trova lontano da casa. Sono sempre stata una persona socievole e altruista, ma il pensiero di dover iniziare tutto –fare amicizia, conoscere i professori, orientarmi nella scuola- mi spaventa molto, forse perché ho paura di non riuscire a tirar fuori la vera Lara. Mi alzo dal letto e in quel momento sento un leggero brivido salirmi sulla schiena, l’agitazione si fa sentire anche allo stomaco. Infilo le ciabatte e vado in bagno.

L’acqua della doccia è calda e riesco a rilassarmi, vorrei stare qui per ore, ma devo sbrigarmi: non posso fare tardi il primo giorno. A malincuore esco dalla doccia e mi sento molto pesante, ma allo stesso tempo libera. Mi avvolgo nell’asciugamano, color celeste, e mi asciugo; quando mi sento asciutta, lascio cadere l’asciugamano a terra e prendo i vestiti, molto semplici: una camicia colorata e dei jeans.
Esco dal bagno e sento subito mia madre urlare il mio nome, così rispondo prontamente:

« STO ARRIVANDO! »

Non riesco a nascondere il tono scocciato, ma mia madre non sembra accorgersene.
Prendo la cartella con dentro solamente una penna e un quaderno per gli appunti poi mi dirigo verso la cucina per fare colazione:

«Devi sbrigarti o farai tardi, anzi, farò tardi io a lavoro» mi dice senza nemmeno un buon giorno e l’unica cosa che riesco a dirle, o meglio sussurrarle, è un ‘ok’.
Mangio due biscotti, bevo un po’ di latte e corro subito in macchina, dove mi sta aspettando mia madre.
Ecco che accende il motore e il mio cuore fa’ un balzo per l’agitazione, devo stare tranquilla quindi è meglio concentrarsi sul paesaggio mentre ascolto un po’ di musica.
Il viaggio sembra non finire più e sono passati appena cinque minuti, meglio così, vorrei che il tempo si fermasse proprio lasciandomi tra i miei pensieri.
Arriviamo a un ulteriore semaforo, questa città ne è piena!

Alzo lo sguardo e noto che nella macchina di fianco alla mia c’è un uomo con una ragazza molto carina: capelli rossi, delicatamente mossi, occhi che da questa distanza sembrano verdi o azzurri e un foulard che risalta il colore dei suoi occhi; la cosa che colpisce maggiormente, però, è una cicatrice in pieno volto, molto grossa: parte dall’occhio sinistro e finisce nel centro della guancia, la trovo molto inquietante.
Il semaforo è verde, si riparte.
Trascorrono più o meno altri dieci minuti ed eccomi finalmente a scuola, l’enorme scuola: scendo dalla macchina e saluto velocemente mia madre.
Vado verso la folla di ragazzi e li seguo, capendo la meta solo una volta entrata in ‘’auditorium’’: devono dividerci nelle varie classi.
Mi siedo e attendo il mio nome; ecco che lo pronuncia:

<< Lara Costa >>

Scendo gli scalini e vado nel gruppo indicato dal docente.
Incrocio gli sguardi di quei ragazzi che presto saranno i miei compagni di classe, tra tutti noto una ragazza dal viso familiare, credo sia la ragazza che ho visto di sfuggita al semaforo, la riconosco unicamente dalla cicatrice.
Il professore ci porta all’aula 251, sarà la nostra classe temporaneamente; mi vado a sedere nella seconda fila centrale e proprio la ragazza con la cicatrice si siete vicino a me, un po’ titubante: siamo entrambe imbarazzate e ci guardiamo di sfuggita.
Spero di legare con lei.



**angolo dell'autrice Lara*
allora, che ne pensate?? Arriverà presto il capitolo della mia amica Martina,
recensite *.*

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Capitolo 2
*** Nuovo inizio, stessa vita ***


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Un volto indefinito ma spaventoso. Un essere umano della peggior specie, un mostro che deve essere odiato anche dalla propria madre. Non sono sicura che una creatura capace di questo sia umana.
Le urla di mia madre, il sangue nella camera da letto dei miei genitori e lui, pieno del loro sangue, mi fissa pieno d’odio. Mio padre mi ordina di scappare, ma sento le gambe pesanti e non riesco a muovermi. In poco tempo mi è vicino, ben presto la paura lascia spazio al dolore.


Un clacson sulla superstrada mi strappa dal mio incubo, ricordo di parecchio tempo fa. Sono passati molti anni, alcuni dettagli sono andati svanendo, ma la cicatrice mi brucia ancora come allora.
Il lenzuolo è fradicio, sono bagnata dalla testa i piedi e tremo come una foglia al vento. Sento sbattere alla porta, tre colpi secchi: questa è la mia sveglia, nessun buongiorno, nessuna colazione pronta. Mi libero dalle coperte, indosso un paio di jeans blu chiaro e una maglietta bianca. Infilo un paio di orecchini con un pendente a forma di farfalla, nove braccialetti semplici e mi trucco leggermente. Una persona “normale” sarebbe agitata, sbaverebbe il mascara o non riuscirebbe a sfumare bene il colore, ma sono una ripetente della prima superiore e ho ben altri problemi che mi angosciano. Cerco il mio foulard: devo coprire i lividi su collo e spalle.
Apro la finestra, il cielo non rispecchia molto il mio umore. Mi lascio solleticare il viso dall’aria fresca del mattino, se fossi in montagna sentire un profumo di natura, invece avverto solo puzza di smog. Mi metto la cartella in spalla, per i primi giorni il suo peso sarà sopportabile. Indugio un po’, in questa camera posso ancora sentire il delicato profumo di mia madre.

«Màrtìnà!»
Mi chiama mio padre, già ubriaco di prima mattina. Corro alla scrivania e indosso una collana con il crocefisso: che dio mi aiuti.

                  ***
Sono seduta in macchina, la radio è rigorosamente spenta e mio padre fuma senza abbassare il finestrino. Odio il fumo, odio l’alcool, odio che mio padre non passi alla fase successiva del dolore. Anch’io ho sofferto molto, ma non ho assunto comportamenti autolesionisti e soprattutto ho cercato di renderlo fiero di me. Non è facile ottenere buoni profitti a scuola –una delle poche cose che possono rendere felice un padre come il mio- se devi controllare che tuo padre non vada in coma etilico, oppure se devi uscire a prendergli le sigarette o peggio andare a casa di qualche suo “amico” per della marijuana; ogni maledettissimo momento della giornata lo perdo dietro a mio padre.  Quando gli ho detto che sono stata bocciata mi ha fissato per qualche secondo e poi è tornato a bere; la sera, finiti gli alcolici, è salito in camera mia e mi ha picchiato con la cintura. Ho ancora i segni sulla schiena.
Certe cose lasciano ferite profonde nell’animo, il corpo guarisce completamente ma l’anima no.

«Dopo scuola non venire a casa»
Quelle parole mi strappano alle mie riflessioni dolorose. Ho la gola secca e le parole non riescono a uscirmi dalla bocca.

«Potrai tornare dopo le quattro del pomeriggio, se tardi un solo minuto…»

«Non tarderò!»
Non gli lascio finire la frase e rispondo prontamente. Mi tengo sembra pronta a evenienze simili: in cartella ho soldi, cellulare, un cambio di abiti e i miei antidepressivi.
Arriviamo al semaforo e fino a quando la macchina non è immobile, trattengo il fiato e prego in silenzio. Ogni attimo è scandito dal battito accelerato del mio cuore, non presto molta attenzione all’autovettura accanto alla nostra. Verde, si parte.
Percorriamo le strade troppo velocemente, non ricordo nemmeno più come guida mio padre da sobrio. Nel cielo, timide nuvole vengono sospinte dal vento con delicatezza; vorrei essere una di loro: una semplice molecola d’acqua. Dopo un tempo infinito, ma relativamente breve, arrivo davanti a scuola. Mi lascio sfuggire un sospiro, saluto mio padre ed esco all’aria aperta. Cammino non troppo rapidamente, desiderio solo passare inosservata, ma con la cicatrice è praticamente impossibile.
Tutti gli altri sono stati accompagnati da un genitori, alcuni addirittura da entrambi, io da nessuno. È triste a dirsi, ma sono felicissima così.
Non sopporto stare in mezzo alla gente, ho bisogno di spazio, così mi appoggio alla scala antincendio che si trova circa dieci metri lontano dall’ingresso e dalla folla. Fisso l’orologio: la scuola dovrebbe aprire a minuti.

«Come si fa ad andare in giro conciate così?»

«Io mi venderei un rene per pagare l’intervento plastico»

Due ragazzine, le classiche donne facili, si fanno sentire di proposito: mi fissano senza mascherarlo, alzano molto il tono di voce e mi guardano con espressione schifata. Indosso le cuffie dell’ipod, sparo la musica a tutto volume e quando passo davanti a loro, sposto i capelli dietro alle orecchie per far notare che sto sentendo la musica. Non voglio darle considerazione né soddisfazioni.
Percorro questi corridoi per la seconda volta da primina, sarà anche l’ultima: o passo in secondo o la faccio finita, e non parlo di scuola.
Veniamo radunati in auditorium, l’aria è pesante e fa molto caldo.

«Martina Angelica De Santis»
È il mio nome, ogni volta che devo pronunciarlo perdo tre anni di vita. Mi alzo e scendo le scale, andando a mettermi accanto a quelli che saranno i miei nuovi compagni di classe. Una ragazza dagli occhi molto belli e dai capelli morbidi mi fissa, da quando ho questa cicatrice ho addosso l’attenzione di tutti.
Percorriamo i corridoi, a me familiari, e arriviamo all’aula 251. I banchi sono unici, per due persone, ne cerco uno completamente libero ma ormai è troppo tardi. Mi vado a sedere accanto alla ragazza che prima mi fissava, è l’unica che mi ispiri simpatia. Ci scambiamo uno sguardo, entrambe ci sentiamo fuori posto.



**angolo dell'autrice Martina**
Eccomi qui! Dai prossimi capitoli non racconteremo le stesse situazioni da entrambi i punti di vista, state tranquilli xD
che ne pensate del mio capitolo? fatevi sentire con le recensioni!
Grazie e adesso leggete il capitolo della mia socia e migliore amica xD

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Capitolo 3
*** La scuola ***


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buona lettura, da Lara


Stare qui, seduta in un banco vicino a questa ragazza, mi fa’ sentire più tranquilla; non so’ perché, ma le sensazioni che provavo prima sembrano essersi affievolite, non sparite, ma ridotte.
Vorrei parlarle, ma è come se qualcosa mi blocchi, forse timidezza? No, non sono quel tipo di persona.

«Piacere, io sono Lara, come ti chiami?»
 Domando cercando di avere un contatto visivo, ma riesco a catturare il suo sguardo per pochi secondi.

«Martina»
Sussurra, sempre con lo sguardo basso, sarà imbarazzata.
 
La voce del mio nuovo professore di matematica mi rimbomba nelle orecchie, è acuta e molto fastidiosa; vorrei solo ritornare indietro di tre mesi e rigodermi l’estate, essere al mare e sentire il rumore delle onde infrangersi sulla sabbia, il vento fresco sulla pelle, il profumo di salsedine, ma è impossibile: dovrò aspettare altri nove mesi nei quali potrà succedere di tutto.
Nessuno parla, tutti ad ascoltare le assurde regole che il professore sta dicendo: non fare questo, non fare quello, stare attenti a questo e a quell’altro; bisogna solo studiare, studiare e solo studiare.

*Driiin*
Il suono della campanella, le due stressanti ore sono finite, ora è il momento dell’intervallo che dura solo dieci minuti.
Mi alzo in piedi e… realizzo solo adesso di non sapere cosa fare.
Martina ha tirato fuori un libro e sta leggendo, le altre si sono radunate tutte in un gruppo e a me non va’ di raggiungerle: sembrano le tipiche ragazzine che se la menano, forse mi sbaglio, ma al primo impatto ho questa sensazione.

«Martina, cosa stai leggendo di interessante? »

Cerco di iniziare una conversazione e magari di fare amicizia.

«Tutto su demoni, vampiri, licantropi e altre creature sovrannaturali»
 Risponde, continuando a leggere.

«Sembra interessante »
 Insisto, voglio parlare con lei.

« Bè, interessante non è la parola giusta, è molto… illuminante»
 Finalmente mi guarda e fa’ un  mezzo sorriso. I suoi occhi sono verdi, finalmente l’ho capito, un colore meraviglioso che non avevo mai visto prima. E’ una ragazza particolare, non solo per la cicatrice.
Mancano cinque minuti e l’intervallo finirà, non voglio stare qui in questa aula ancora per due ore, voglio uscire! Qui, però, è un labirinto.

«E’ molto grande questa scuola, non credi? Ci servirà molto per ambientarci!»
Dico, assumendo un tono spiritoso.

«Io sono stata bocciata, la conosco perfettamente!»
Risponde con tono più alto e mi guarda ancora.

«Oh mi dispiace! Avresti comunque voglia di farmi fare un giro per i corridoi? Se vado da sola mi perdo e non torno più indietro, poi mi danno per dispersa, ti immagini? ‘’Ragazza scompare a scuola’’ »
RIESCO A FARLA RIDERE! Ha un sorriso meraviglioso, denti bianchissimi e il suono della risata è molto coinvolgente.

«Va bene! Ma tra poco dobbiamo tornare, l’intervallo finisce!»
Si alza e nasconde il suo libro, cosa molto strana, ma non ci bado molto.
Andiamo verso la porta e poi svoltiamo a destra verso il corridoio principale, dove si trovano tutte le seconde, terze e quarte.
Camminiamo, tutte e due in silenzio, fin quando è lei a parlarmi:

«Spero ti troverai bene in questa scuola»

«Si, lo spero anche io!»
Rispondo sorridendo. Penso che questa ragazza diventerà presto mia amica, il suo modo di fare è molto strano, ma è proprio questo che mi piace.


***

Sono immersa nei miei pensieri quando sento un suono familiare, credo sia la campanella che segnala la fine dell’intervallo.

«ANDIAMO! Siamo distanti dalla nostra classe»
Mi dice Martina, toccandomi la spalla. Ci dirigiamo verso l’aula con passo svelto e all’improvviso sento qualcuno venirmi addosso, spalla contro spalla, è un ragazzo; i nostri sguardi si incontrano: i suoi occhi sono fantastici, un blu molto scuro e profondo che mi fa’ pietrificare, i lineamenti del suo viso sono molto dolci e le sue labbra carnose, i capelli sono neri e corti, mi sembra di vedere un angelo.

«Scusami»
Mi dice frettoloso, ma con un tono meraviglioso. Arriviamo in classe, io e Martina ci sediamo al nostro posto; quel ragazzo mi è rimasto in testa, la sua voce, i suoi occhi, TUTTO.
Non riesco a concentrarmi, è un pensiero fisso.

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Capitolo 4
*** Il presente è frutto del passato ***


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La mattinata scolastica è stata… “riposante”; finalmente sono potuta stare un po’ in pace. La scuola non mi piace, ma almeno mi da l’occasione di stare lontana da mio padre.

Questi compagni di classe mi sembrano decisamente migliori, nessuno mi ha chiesto della cicatrice o del perché non mi faccia un intervento di chirurgia plastica: è già un risultato buono.
Ripetere un anno dovrebbe farmi sentire una fallita, ma non mi sento così.
Sarà un anno meno pesante, se così si può dire, perchè le pretese dei prof sono le stesse e ho avuto un anno per abituarmi.
Non sono una secchiona, le uniche materie “arabe” sono matematica e inglese; la prima non garba a molti, la seconda è un problema del mio cervello: non ho orecchio per le lingue.

La campanella di fine lezione è sempre la più amata, è una cosa intrinseca negli studenti. Esco di fretta, saluto Lara e infilo la felpa per non farmi pizzicare dal vento.
Cammino a passo svelto, la musica nelle orecchie non eccessivamente alta: non mi piace isolarmi troppo dal mondo, lo faccio solo tra le quattro mura della mia camera. La canzone finisce, per circa dieci secondi il mio udito è completamente invaso dal rumore del traffico, poi parte la canzone “Eccoti di Max Pezzali” e sul mio viso si disegna un enorme sorriso: questa canzone mi fa pensare al mio lui…


Era una giornata come un’altra; mia madre era morta ormai da due anni ed io ero uscita dalla fase di “estraniazione dal mondo”. Avevo indossato un’orrenda maglietta fucsia e un paio di jeans stropicciati. Non avevo idea che di li a poco tempo avrei incontrato l’uomo della mia vita.
Camminai un po’ senza meta, mani in tasca e occhi con del trucco appena accennato.

La seconda volta che passai davanti alla stessa pizzeria, attirando l’attenzione di un uomo dall’aria pericolosa, decisi di avventurarmi un po’ più lontano: sfuggire dal mio percorso pianificato mi avrebbe reso meno vulnerabile, così credevo, con l'ingenuità dei miei 12 anni. Dopo più di un’ora e mezza avevo i piedi distrutti, un borbottio allo stomaco e molta stanchezza. Pensavo di aver preso una scorciatoia, invece mi ritrovai in una piccola via senza uscita; c’era solo una biblioteca, realizzai che potessi riposarmi un po’ e magari, con gli spicci che avevo, prendermi dell’acqua e qualcosa da mangiare.
Il mio ingresso fu avvisato da un campanellino, una signora con grossi occhiali, profonde rughe e folti capelli grigi mi salutò. Feci un giro senza badare ai libri e mi fiondai su un distributore di merendine. Digitai il numero “16” per l’acqua e il “24” per delle patatine. Prima ancora di sedermi, avvertii un brivido sulla schiena: mi girai e incontrai un paio di occhi azzurri e profondi come l’atlantico. Era vicino a uno scaffale, in mano teneva un grande volume e non smetteva di fissarmi.
«Perché la fame colpisce all’improvviso»
Feci una leggera risata, mi vergognai per la battuta squallida, ma invece anche lui sorrise e mi invitò a sedermi vicino a lui. Gli adulti fanno suggestione, di solito, ma con lui ho subito sentito un profondo legame.

Per un po’ parlammo del più e del meno, mi raccontò del suo lavoro da infermiere, della capo sala, dei pazienti, di sua madre… e qui scoppia a piangere. Non mi alzai, non iniziai a fare la matta –reazioni abituali per me se si parlava di mia madre-. Rimasi seduta e gli raccontai tutto. Gli dissi perfino i miei assurdi sospetti, cioè che non fosse un essere umano, e fu il primo a non darmi della pazza.
“«Leggi qui, ci sono le prove dell’esistenza di demoni, licantropi, vampiri… Un religioso non è etichettato come pazzo, quindi nemmeno noi dobbiamo esserlo»”
Nemmeno noi.


La suoneria del mio cellulare mi strappa dai miei ricordi, faccio scivolare la mano in tasca e leggo il nome sullo schermo: “Frederick”. Un sorriso mi disegna le labbra, deve aver sentito che pensavo a lui.

«Amore! Com’è andato il primo giorno?»

«Vuoi sapere la parte più bella?»

«Certo, quale?»

«Questa»
Una risata briosa e seducente interrompe momentaneamente la discussione.

«Devi correre a casa?»
Riprende lui, come se mi rivolgesse una domanda retorica.

«No, mio padre mi ha ordinato di non presentarmi a casa prima delle quattro, forse potrei…»

«Certo, vieni pure! Ti preparo da mangiare»

«Quando potremmo uscire di casa, insieme, e andare a mangiare una pizza o qualcosa del genere?»

«Dobbiamo aspettare i tuoi diciotto anni»

«Potremmo anche sembrare fratello e sorella, basterebbe limitare le dimostrazioni d’affetto»

«Non usare quel tono da cane bastonato, pensi che a me faccia piacere non poterti portare al cinema, a cena fuori, oppure camminare mano nella mano per le vie di Milano…»

«Scusami, non volevo…»

«Tranquilla tesoro, ti preparo il tuo piatto preferito»

«Tu sei tutto ciò di cui ho bisogno per sopravvivere»
Chiudo la telefonata e metto il cellulare al suo posto, nella mia tasca destra. Sono molto emozionata all’idea di vederlo, è passato troppo tempo dal nostro ultimo incontro.
Con la mente altrove non mi accorgo di essere pericolosamente vicina a un ragazzo: gli vado addosso e per poco non cado a terra.

«Scusami! Non volevo!»

«Stai attenta puttana!»
Come si permette? Gli uomini hanno questa parola troppo sulla lingua.

«Ma stai zitto che tua madre lavora nella mia stessa strada!»
Il suo viso diventa rosso, gli occhi castani si stringono e le labbra assumono un’espressione minacciosa. Alza la sua mano, è intenzionato a colpirmi.

«Hey Simone, ti ha chiesto scusa la ragazza»
Un ragazzo vestito di nero si intromette nella discussione. Simone abbassa la mano e fissa il nuovo ragazzo con terrore. La cicatrice stranamente mi brucia, ho l’istinto di scappare.
Simone borbotta qualcosa di incomprensibile. Il ragazzo venuto in mio soccorso sussurra qualcosa all’orecchio dell’altro: il maleducato chiede scusa, o qualcosa di simile, e si allontana velocemente. Inizia a piovigginare: mi stringo nella felpa, ringrazio questo ragazzo e mi affretto ad andare da Frederick.




**angolo di Marty*
chi sarà questo ragazzo? perchè Simone ha reagito così?
saprete tutto, a tempo debito xD

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Capitolo 5
*** Le conseguenze del dolore ***


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buona lettura da Lara


Non me la sento di ritornare a casa con mia madre, non riuscirei a sopportarla dopo questa giornata stressante di scuola, ma devo per forza andare.
Saluto Martina ed esco frettolosamente dall’aula perché devo prendere il pullman, una cosa che odio con tutta me stessa: gente che ti lancia occhiate strane, ti critica per ogni cosa, dover stare tutti ammassati gli uni sugli altri, in un piccolo spazio, e soprattutto dover sopportare le ragazze che urlano come delle oche.
Scendo le scale, correndo, ma mi ritrovo una massa di persone davanti che mi rallenta; piano piano riesco ad andare avanti e ad uscire dalla scuola, ritrovandomi nel parcheggio dei pullman: cerco il mio.
Z 183
E’ il secondo pullman a destra, il più pieno.
Entro e mi faccio largo, cercando di raggiungere un palo per aggrapparmi, ma è impossibile con tutte queste persone. Per fortuna una ragazza si è fatta più avanti, permettendomi di appoggiarmi al finestrino: la ringrazio in silenzio; a questo punto poso la cartella e mi metto le cuffiette con volume al massimo, cercando di distrarmi e di non sentire tutte quelle urla e quei pettegolezzi.
Il ‘’viaggio’’ verso casa dura più o meno 15 minuti, ho tutto il tempo per pensare e rilassarmi con la musica, anche se è molto difficile con tutte queste persone che spingono e mi vengono addosso. Riesco a farmi catturare del tutto dalla musica, mi perdo in pensieri e riflessioni…

 
Chissà cosa sta facendo mia madre, non mi avrà nemmeno preparato il pranzo scommetto.
Noi due non abbiamo un buon rapporto da quando ha divorziato da mio padre, tutto da quel giorno è più difficile e sembra non esserci uscita; lei, però, non si mette nemmeno d’impegno per ristabilire i rapporti con me. Sembra quasi fregarsene, pensa solo a se stessa: esce tutte le sere con le sue ‘’amiche’’, frequenta mille uomini e li porta anche a casa senza disturbarsi a presentarci; dopotutto, però, sarebbe inutile: per mia madre loro sono ‘’una botta e via’’.
Non che mio padre sia una persona migliore: non vuole più vedere né me  né mia madre.
NESSUNO SA’ IL MOTIVO.
E’ solo colpa sua se mamma ha deciso di lasciarlo: lui la tradiva con la vicina di casa, non che sua compagna attuale.
Mia madre pensa di superare il dolore uscendo spensieratamente con le amiche e facendo sesso con il primo che capita, questo è un problema sua, ma poi riversa le sue frustrazioni su di me, come se io fossi la causa del suo stato emotivo.


 
Mi stacco dai miei pensieri, notando che siamo alla terza fermata: la mia è la quarta, quindi sarà meglio che mi prepari a scendere; mi manca ancora un lungo tratto di strada, sembra che questa tortura non abbia mai fine.
Guardo fuori dal finestrino mentre spegno la musica e a un tratto il pullman si ferma: sono arrivata.
Mi faccio largo tra le persone e scendo di fretta da quell’inferno. Finalmente sono libera e l’aria fresca mi accarezza il viso.
Appena scendo mi dirigo verso la piazza e noto che c’è una donna che mi guarda. A una prima impressione non la riconosco, ma poi capisco chi è: MIA MADRE.
 
«Cosa ci fai qui?»
Domando, assumendo un tono serio.
«Devo incontrare Paola qui al bar per bere un caffè, tu vai a casa a piedi ti raggiungo dopo, quando ho voglia»
Per la cronaca, Paola è la sua migliore amica da più di 10 anni.
«Pensavo mi fossi venuta a prendere, ma sono stata una sciocca: tu non faresti mai una cosa del genere, FIGURIAMOCI!>>
Inizio a ridacchiare nervosamente.
«Muoviti vai a casa altrimenti…»
Cerca di minacciarmi, ma non mi fa paura.
«Altrimenti cosa? Non ho detto o fatto niente di male! Ora vado via e ti lascio alla tua amica che evidentemente è più importante di TUA FIGLIA!»
  Rispondo urlando, attirando l’attenzione di molti passanti.
Lei rimane in silenzio ed io mi avvio verso casa con gli occhi lucidi per il nervoso, o forse per la tristezza di avere una madre che non mi dimostra mai amore.

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Capitolo 6
*** Sensazioni ***


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«Quel figlio di…!»

«Non pensiamoci adesso»
Avvicino le mie labbra alle sue, ho bisogno di quel contatto. Rick si ritrae, deludendo le mie aspettative.

«Se lo avessi davanti…»
Mi si disegna un grande sorriso, adoro quando fa il protettivo; afferro la sua mano, morbida e calda.

«Se non ci fossi tu…»
Sussurro, lasciando la frase in sospeso. Ci guardiamo intensamente negli occhi; potrei sprofondare nell’immensità delle sue iridi azzurre, con striature che variano dal verde acqua al cobalto. La sua bocca è seducente e perfetta, il naso non potrebbe essere migliore nemmeno con la chirurgia plastica, i capelli corvini incorniciano un viso disegnato dalla perfezione e dall’equilibrio di madre natura. Definirlo perfetto è riduttivo.

«Ci sarò sempre per te»
Mormora quelle parole e poi si appropria delle mie labbra. Appoggia una mano sulla mia nuca, come per impedirmi di sottrarmi a quel vortice di emozioni. Mi metto sopra di lui, incornicio il suo volto con le mie mani; le nostre lingue iniziano una danza in perfetta armonia. All’inizio sono baci dolci, leggeri, ma presto la passione diventa travolgente. Mi sfila la maglietta, è delicato ma veloce. Le sue mani corrono sul mio corpo, ogni centimetro della pelle che sfiora prende fuoco. Gli tolgo la maglietta, finalmente posso osservare quel corpo scolpito alla perfezione. Dopo qualche secondo mi slaccia il reggiseno, ma non provo alcun tipo di imbarazzo. La sua bocca si stacca dalla mia, percorre il mio collo e indugia sui miei seni, per poi tornare indietro. Senza distogliere lo sguardo da quegli occhi ammalianti, gli slaccio la cintura e gli tolgo i pantaloni. Il divano inizia a essere scomodo, mi afferra saldamente e mi conduce nella sua camera. Ci mettiamo sul letto, io sopra e lui sotto. Frederick non potrebbe essere più romantico di così: mi riempie di baci, carezze, rispetta i miei tempi e non mi forza mai. Ci togliamo gli ultimi, ingombranti, indumenti. Penetra in profondità: i nostri corpi sembrano due parti nate per essere unite. Siamo avvolti in un vortice di passione, potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale e noi resteremmo all’oscuro di tutto.
 
(flashback):


«Leggi qui, ci sono le prove dell’esistenza di demoni, licantropi, vampiri… Un religioso non è etichettato come pazzo, quindi nemmeno noi dobbiamo esserlo»

«Quindi… anche tu ci credi?»
«Certamente, fin da bambino. Adoro anche guardare film horror»

«Io da quando guardo una serie televisiva non posso vedere quel genere di film senza ridere. Non so perché»
Scoppia in una risata allegra, ma cerca di contenersi per rispettare il silenzio del luogo.

«Ti riferisci a Supernatural?»
Esclama, di punto in bianco. Mi spiazza, rimango qualche secondo di troppo a specchiarmi nei suoi occhi.

«Lo conosci?»
Borbotto alla fine, con voce leggermente impastata.

«Se lo conosco? Lo venero!»

«Pure io!»
Sulle labbra mi si disegna un sorriso, è bello trovare qualcuno con cui hai tanto in comune. Nel locale cala un marcato silenzio, scandito dal tic-tac frenetico e fastidioso di un orologio. Orologio. Oddio, ma è tardissimo!

«Scusami…?»

«Frederick, mi chiamo Frederick»

«Devo proprio andare, si è fatto tardi»
Leggo una nota di tristezza nel suo sguardo, stranamente mi sento le guancie calde. Sicuramente sono arrossita.

«Che peccato, passa qualche volta, magari possiamo riprendere il discorso»
La sua voce è appena udibile, ma le sue parole rimbombano nella mia testa.
Cammino a passo spedito verso casa, ma i miei pensieri corrono a un paio di occhi dai riflessi meravigliosi.


 
Quei ricordi spariscono nella mia mente appena mi rendo conto che anche adesso sono in ritardo. I miei occhi corrono alla sveglia, dovevo essere a casa dieci minuti fa.  

«Cazzo! Ti avevo detto che dovevo essere a casa alle quattro»
Mi alzo dal letto e cerco in giro i miei vestiti, mentre Rick mi guarda con espressione dolce.

«Sei felice?! Mio padre mi distruggerà!»

«No, non lo farà: non ho ancora tolto l’ora legale»
Con la mano destra indica il comodino con sopra la sveglia.

«L’ho fatto io!»
La sua espressione, il suo sorriso, si incurvano.

«è stata colpa mia Rick»
Frederick si alza e prende le chiavi della macchina.

«Ti accompagno io»

«Io sono già vestita, scappo amore. Tranquillo, so tenere testa a mio padre»
Gli do un veloce bacio sulla bocca, lui mi raccomanda di chiamarlo in caso avessi bisogno. Mi precipito in strada, cammino molto velocemente e cerco di farmi forza.


***


Dopo un tempo che mi pare infinito, arrivo davanti al portone del mio palazzo: alto sette piani, con lunghi balconi, baciato dalla luce del sole in orari sbagliati. Un tempo doveva essere bianco, ma ormai è diventato grigio; nelle giornate invernali, di quelle nuvolose senza precipitazioni, il grigio del palazzo si confonde con il cielo a tal punto che risulta impossibile, per chi non ci abita, constatare quanti piani abbia effettivamente.
Tiro fuori le chiavi e dopo due giri faccio scattare la serratura, mi ritrovo sul pianerottolo e il portinaio mi saluta. Prendo l’ascensore, ho il respiro corto e sento il cuore martellarmi nelle orecchie. Ecco, forse, come devono sentirsi i condannati a morte.
Dopo un tempo lunghissimo, ma allo stesso tempo breve, arrivo all’ultimo piano. Le porte dell’ascensore si aprono e non sono per niente pronta ad affrontare mio padre. Cammino con passo leggero, appoggio l’orecchio alla porta e sento un silenzio quasi irreale. Deglutisco rumorosamente, inserisco le chiavi nella serratura e apro la porta. Entro con molta delicatezza, mi guardo intorno e non vedo nessuno. Appoggio la cartella a terra, purtroppo non riesco ad attutire del tutto il fracasso che produce.
Non vedo nessuno, ma sento una presenza. Il respiro è diventato molto affannoso, sento i muscoli rigidi e un brivido lungo tutto il corpo. Non riesco a resistere un secondo di più: mi chiudo la porta alle spalle e corro via, giù per le scale e lontano da questo edificio.


***


Non so perché corro ancora, sono lontana da casa mia ormai.
Quella sensazione… non era la prima volta che la provavo. Mi sforzo di ricordare, ma è tutto inutile: dimenticare, o non ricordare una cosa è talmente frustrante!
L’aria è fresca, mi distoglie dai miei pensieri e mi accorgo di essermi persa.
Intorno a me è pieno di villette, chissà quanto mi sono allontanata dal mio appartamento. Vedo una casa, non ha niente di particolare, ma qualcosa di strano mi spinge a soffermare la mia attenzione su di essa. Prima che mi renda conto, ho schiacciato il citofono sovrastato da un paio di cognomi: Costa e Fambri.



*angolo dell'autrice Marty**
che ne pensate? grazie della lettura, lasciate una recensione già che ci siete *-*

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Capitolo 7
*** Desidero di meglio ***


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buona lettura da Lara!



Entro in casa e vengo sommersa da un odore di alcol e fumo:  sbatto bruscamente la cartella per terra a causa del nervoso.Odio tutto questo, perché non posso avere una vita normale?
Attraverso il salotto e mi ritrovo davanti alla porta del bagno; due secondi prima di aprirla, però, il mio sguardo si posa involontariamente sulla cucina.
Non l’avessi mai fatto.
Lattine di birra e porta-ceneri strapieni ovunque: ecco da dove viene questo sgradevole odore; mia madre non cambierà mai e a questo punto ho paura di aprire il bagno, ma devo farlo.
Poso la mano sulla maniglia bagnata, chissà da quale sostanza, ed entro.
Non posso evitare di sgranare gli occhi: l’odore è ripugnante, la carta igienica sparsa qua e là, il muro passato da bianco a giallo. Questo bagno è tremendamente disgustoso.
Tutto questo, non so per quale motivo, mi fa’ tornare in mente alcuni ricordi del passato...
 
‘’preferirei morire piuttosto che restare un attimo in più con te!’’
Disse mio padre.
Io piangevo e non sapevo cosa fare, le urla di mia madre mi rimbombavano nella testa e le porte che sbattevano mi facevano sentire così male.
Due valige fatte in cinque minuti e poi se ne andò, fu l’ultima volta che lo vidi.
 
Senza che me ne renda conto, una lacrima mi scende sulla guancia e va a finire sulle mie labbra.
Questa casa è la mia vita, adoro tutto di essa, ma per colpa di qualcuno sto iniziando ad odiarla e a desiderare di andarmene.
Voglio mangiare, ma per farlo devo prima pulire. Inizio dalla cucina, dove io e papà facevamo colazione insieme, tutte le mattineda soli, perché mamma doveva iniziare a lavorare presto.
La fame mi è passata, credo a causa di quest’odore ripugnante. Ho pulito tutto, ormai; allora, forse, la colpa è dei ricordi dolorosi.

SONO LE 16.00.
Salgo le scale ed entro nella mia camera. L’ho dipinta insieme a mamma e papà, il colore l’ho scelto io: rosa pallido, molto delicato.
Accendo il computer e mi siedo sulla mia sedia, di un colore sbiadito. Un tempo era Blu. Pensare a quel colore mi porta alla mente il ‘’ragazzo dagli occhi blu’’.
Vorrei sapere tanto il suo nome, domani magari lo cercherò a scuola con l’aiuto di Martina.
A proposito di Martina, devo cercarla su Facebook.
Mi connetto a internet e apro la pagina; inserisco mail e password ed entro.
Digito: Martina Angelica De Santis
 
TROVATO SOLO UN RISULTATO.

E’ lei, la riconosco dall’immagine; clicco su ‘’aggiungi agli amici’’ e, aspettando che mi accetti, guardo alcune sue foto.
E’ sempre molto bella, poi i suoi occhi mi fanno impazzire: in un foto si vedono proprio bene, sono verdi con riflessi che variano dal cobalto al verde smeraldo.

Scorro le foto e nel frattempo mi sento strana, come se qualcuno mi stesse fissando; istintivamente mi giro di scatto, ma non c’è nessuno.
Continuo a guardare lo schermo del computer e dopo poco mi accorgo di un piccolo particolare: in ogni immagine, vicino a Martina, compare una figura, anzi, una piccola luce blu.
E’ in ogni foto, strano, chissà cos’è; sarà un difetto della macchina fotografica, oppure il suo angelo custode.
Inizio a ridere: non credo molto a queste cose, ma vengo ‘’fermata’’ dal suono del campanello.
Chi sarà a quest’ora?

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Capitolo 8
*** Cosa succede?! ***


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Passano pochi minuti prima che una voce al citofono, leggermente alterata, mi faccia tornare con i pensieri al presente.


«Chi è?»

Questa voce mi risulta familiare, nella mia mente si disegna la figura di una ragazza incantevole: occhi come il ghiaccio, capelli dolcemente ricci di un caldo color cioccolato e una bocca perfetta.
Costa… Lara! Sono davanti alla casa della mia nuova compagna di classe.

«Sono io… Martina»

«Martina?», passa qualche secondo prima che aggiunga altro: «Vieni pure»

Un rumore appena udibile e il cancello si apre. Entro, titubante, e subito sono accolta da un odore gradevole di fiori; vorrei tanto abitare in una villetta così bella.
La porta d’ingresso si apre e spunta la chioma castana di Lara; i suoi occhi, glaciali come l’artico, riescono a trasmettere comunque molto calore.
Mi viene in contro, sul suo viso traspare sorpresa mista ad allegria.

«Che… sorpresa. Cosa ci fai qui?»

Deglutisco rumorosamente, distolgo lo sguardo per la prima volta e cerco di trovare una spiegazione sensata. Passano i minuti, scanditi dal battito del mio cuore. Alla fine è lei a rompere il silenzio, per fortuna.

«Che maleducata che sono, avanti entra»

Mi invita dentro casa ed io la seguo. Non so darle una risposta perché non la conosco nemmeno io, non capisco quale parte di me stessa mi ha spinto a citofonare a casa sua.
Appena varco la porta, vengo accolta da un pungente odore di candeggina, avranno da poco pulito casa. Con lo sguardo accarezzo ogni particolare, ogni dettaglio: tutto è in perfetta armonia, colori delicati e arredamento sofisticato.

«Possiedi una casa… bellissima»

Riesco a dire solo questo, alla fine. Lara mi rivolge un delicato sorriso, ma riesco a notare un velo di tristezza.

«Tutto okay?»

Il suo sguardo corre un attimo in direzione della cucina, ma velocemente ritorna a fissarmi.
Apre la bocca, ma le parole le muoiono in gola. Una lacrima le riga il volto, istintivamente mi avvicino a lei e la stringo in un abbraccio. I suoi capelli emanano un dolce profumo, come di ciliegia. Chiudo gli occhi e sono percossa da una sensazione molto strana, come una corrente elettrica. Sotto le palpebre, il buio si trasforma piano, piano in un’immagine sempre più nitida:
 
Il corridoio della scuola, una sensazione di smarrimento, un’emozione che scaturisce dalla novità di quello che circonda la propria persona.
Queste non sono le mie emozioni, non provo più questo genere di sensazioni perché ormai la scuola è diventata parte della mia routine.

 Vedo il mondo con gli occhi di Lara, com’è possibile? Sono brava a capire le persone, a immedesimarmi in loro, ma mai fino a questo punto. La mia attenzione –anzi quella di Lara- è catturata da un ragazzo, non faccio in tempo a identificarlo che il paesaggio intorno a me cambia:
Mi ritrovo in una cameretta, la mia cameretta.
Qualcuno urla, io piango e prego qualcuno di venire a salvarmi...



«Hey! Mi senti? Devo chiamare un’ambulanza?!»
Apro gli occhi a fatica, mi rendo conto di essere in terra e Lara mi sovrasta. Non sono in pericolo, nessuno urla e posso riprendere a respirare in modo normale.
"Cosa cavolo è successo?"

«Cos'è... successo?»
Chiedo, con voce leggermente impastata.

«Mi stavi abbracciando e all'improvviso sei svenuta»

Svenuta? Non ricordo di aver perso i sensi.

«Sicura di star bene?»

«Si»
Dico seccamente, mentre mi alzo da terra.

«Perdonami, non sarei dovuta presentarmi così, di punto in bianco. Sei stata già molto gentile a invitarmi dentro casa»
La saluto frettolosamente ed esco di casa, prima di scoppiare in un pianto nervoso. Ho bisogno di aria fresca, ma il vento che mi travolge è troppo caldo.
Cosa mi sta succedendo?




**Angolo dell'autrice**
ciao a tutti!
Scusate il ritardo, ma è stata una settimana terribile >_<
alla prossimaa!

 

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Capitolo 9
*** Le imperfezioni ti rendono perfetta ***


Chissà cos’aveva Martina oggi, mi sono parecchio preoccupata: era pallida e sembrava molto spaventata fin dall’inizio, mi sono sentita in obbligo di farla accomodare.

E poi, come ha fatto a trovare casa mia? Non mi sembra di averle dato il mio indirizzo… ma questi sono solo dettagli.

Spero solo che adesso stia meglio e che si sia ripresa.

 

Sono le 18.10 e sento il cancello sbattere; pochi secondi dopo la porta d’ingresso si spalanca e vedo una chioma rosso fiammeggiante entrare in casa. In un primo momento mi spavento, ma poi capisco che è mia madre dal suo avvisare, urlando, che è ritornata.

 

‘’Alla buon ora!’’

Rispondo al suo urlare; lei appoggia per pochi secondi il suo sguardo su di me e poi in silenzio si dirige verso la cucina

 

‘’hai messo a posto tu qui?’’

‘’si, chi altrimenti? Ti ricordo che in questa casa ci abitiamo solo io e te’’

Rispondo scocciata.

Salgo le scale per dirigermi verso il bagno, poiché voglio farmi una doccia, ma la sua voce mi blocca :

‘’ascolta, ma non mi dici niente della mia nuova acconciatura?’’

Rimango immobile: quando mai lei mi chiede un parere su quello che fa?

Mi volto lentamente e la guardo per qualche attimo.

‘’Se devo essere sincera ti preferivo prima… ora sembra che ti sia esploso qualcosa in testa!’’

Incomincia a ridere, ha una risata fastidiosa, quasi finta, ed io, indifferente, mi volto e continuo a salire le scale.

 

***

 

Ho vizio di mettere la musica ogni volta che faccio la doccia, per rilassarmi.

‘’I’m beautiful in my way cause God makes no mistakes’’

Sorrido ogni volta che ascolto questo pezzo, mi ricorda che nessuno è perfetto ma siamo tutti fantastici.

Mi do’ l’ultima sciacquata e prendo l’asciugamano; esco dalla doccia e, tremolante, spanno il vetro per vedermi meglio. Mi asciugo velocemente e lascio i capelli bagnati per mia pigrizia, come al solito. Esco dal bagno e raggiungo la mia camera per vestirmi: metto il pigiama, caldo e avvolgente.

 

‘’mamma per caso hai cucinato qualcosa? Sto morendo di fame’’

Urlo, mentre scendo le scale.

‘’si, mentre facevi la doccia ho cucinato un po’ di pasta, è nel tavolo, vai a mangiare’’

‘’e tu non mangi?’’

Chiedo gentilmente. Lei sbuffa e con voce scocciata risponde

‘’cosa faccio io non ti importa ma per informarti, mangio fuori con le mie amiche, non aspettarmi!’’

Sembra che più io mi comporta bene e risponda correttamente lei mi tratti ‘male’, se invece sono io a rispondere con indifferenza e superficialità, lei mi tratta meglio; è strana, ma ormai ne sono abituata

‘’ok, tanto non lo avrei fatto.’’

 

Vado a mangiare quello schifo di pasta in bianco, ormai fredda, e subito dopo la stanchezza mi travolge. Sono solo le 20.35 ed io sto morendo di sonno, ma si può?!

 

Vado a letto, sotto il mio fantastico piumone caldo, e -dopo meno di 10 minuti- cado in un sonno profondo.

 

**

 

Mi guardo allo specchio, innervosita e seccata. Al diavolo i miei capelli, che non vogliono saperne di stare a posto.

Devo andare a scuola, sono in ritardo, ma sono ancora qui a cercare di domare questa chioma ribelle.

NON DEVO PIU’ ANDAR A LETTO CON I CAPELLI BAGNATI

La mia unica possibilità è legarli in una coda e sperare di avere un aspetto almeno presentabile.

 

Corro giù dalle scale ed esco dalla porta senza nemmeno aver fatto colazione: perderei il pullman.

 

Cuffie nelle orecchie, musica al massimo… Speriamo che oggi vada tutto bene.

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Capitolo 10
*** Rivelazioni ***


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Ormai cammino da ore e ancora non ho visto niente di familiare: mi sono persa, ormai è palese. Si è anche fatto buio, ma nonostante la mancanza dei raggi solari la temperatura è rimasta abbastanza mite. Il cielo è di un blu scuro, la luna piena viene coperta periodicamente da nuvole scure. I lampioni disperdono una luce fioca rendendo l’atmosfera ancora più spaventosa. Non ho paura del buio, ma di ciò che si può nascondere in esso.
Mi sento seguire, mi ripeto che è solo la suggestione, ma comunque corro a ripararmi sotto un lampione; la luce inizia a tremolare e la lampadina scoppia con un rumore sordo. Qualcuno appoggia la mano sulla mia spalla e in poco tempo tutto diventa scuro.

***

Mi ritrovo in una stanza dalle pareti bianche, davanti a me ci sono circa dodici persone sedute intorno a un tavolo dalla forma circolare.

«Martina, finalmente possiamo fare la tua conoscenza»
A parlare è stato un uomo dagli occhi blu, capelli corti, pelle pallida ed espressione statica.

«Dove sono? Chi siete voi? Come sapete il mio nome?»

Mi accorgo solo adesso di avere qualcuno alle spalle, mi volto di scatto e rimango esterrefatta: ho davanti il ragazzo che mi ha salvato da quel Simone, il tipo che ho visto con gli occhi di Lara, lo stesso che mi fa bruciare la cicatrice.

«Finalmente sei pronta a sapere la verità, i tuoi poteri si stanno attivando»
Questo ragazzo mi parla con voce dolce, nella mia testa viene etichettato come “individuo pericoloso”.

«Tu… stammi lontano!»
Faccio qualche passo indietro, andando a sbattere contro il muro; mi si blocca il respiro, lo fisso con sguardo terrorizzato: mi sento come un topo in trappola.

«Iezalel, non spaventarla. Martina, non vogliamo farti del male: io sono Elemiah e ti trovi davanti al “Consilii pro Defensio et Security”. Ormai avrai capito che non sei una persona comune»

«Consili-pro-Difens che?»

«è latino, ma ci torneremo dopo: abbiamo cose più urgenti di cui discutere»

«Io non voglio discutere di niente! Lasciatemi andare e non vi denuncerò»

«Sarebbe difficile fare altrimenti, visto che molti di noi esistono solo nelle leggende o nei testi sacri»
Interviene una donna, definirla bella è riduttivo: capelli biondi, occhi nocciola, labbra rosse e carnose, con un vestito nero elegante.
Per poco le sue parole non mi fanno uscire gli occhi dalle orbite, la mascella è sul punto di lussarsi. Dopo qualche secondo, prosegue:

«In questa stanza sono presenti i rappresentanti delle più forti specie del mondo: Elemiah e Iezalel sono angeli; io sono Anael, un arcangelo; Aamon è un demone; Isabella è un vampiro; Amanda un licantropo…»
La mia testa inizia a girare vertiginosamente, mi cedono le gambe e Iezalel mi afferra pochi secondi prima che cada per terra, priva di sensi.

***

Quando riapro gli occhi, mi trovo sdraiata sul mio letto; la luce filtra debolmente dalle tende, ma riesco a riconoscere una figura nella semi oscurità. Per qualche secondo ho sperato fosse tutto un incubo: sbagliavo.

«Hey, come ti senti? Mi dispiace molto, Anael non si ricorda mai che effetto fa sapere tutte quelle cose in una volta…»
Mi alzo di scatto, accendo la luce e adesso riesco a specchiarmi negli occhi blu di Iezael: al buio mi sento vulnerabile.

«Devo sapere, spiegami tutto, ora»

«Forse è più facile se te lo mostro»
Si avvicina e mi poggia due dita sulla fronte, sono travolta da un’infinità di informazioni.

***

«Adesso sai tutto, Martina»
Mormora, togliendo le dita dalla mia fronte. Riapro gli occhi, sono a pochi centimetri da quelli blu del mio angelo custode.
«Hai fatto davvero tanto per me, mi hai protetto ogni giorno della mia vita, hai anche pianto per non essere riuscito a salvare mia madre da quel Cerbero, anche se non era nei tuoi compiti. Iezalel questo mi r…»

«Puoi chiamarmi Ian, è il nome umano che ho assunto»

«Okay, Ian, questo mi rende più difficile compiere il gesto che ho bisogno di fare. Mi dispiace»

«Di che parli?»

«Di questo»

Inizio a recitare un breve incantesimo per rispedirlo momentaneamente in paradiso. Devo nascondermi, ho bisogno di riflettere… L’unica su cui sento di poter fare affidamento è Lara.
Ian sparisce nel nulla, ma ho poco tempo: i miei poteri non sono ancora al loro massimo, “è necessario bere il sangue dei componenti del Consiglio affinché la rappresentante dell’umanità sviluppi il proprio potere di strega.”

***

Guardo l’orologio, Lara dovrebbe tornare da scuola a momenti. È pericoloso per me restare qui, sono vulnerabile, ma Ian mi ha trasmesso la conoscenza necessaria a tenermi lontana dai loro “radar”. Non so ancora bene cosa dirò a Lara, per ora ho solo bisogno di una casa sicura. "Mio padre è andato in una clinica riabilitativa e non me la sentivo di restare in quella casa, da sola" Potrebbe andare. Non è una vera bugia, più che altro una mezza verità.




**Angolo dell'autrice Marty**
Scusate il ritardo ! La scuola mi impegna molto <_<
che ne pensate?? lasciate una recensione, alla prossima!
Adesso leggete il capitolo della mia socia *-*

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Capitolo 11
*** Sedute spiritiche ***


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Questa scuola era stata progettata per essere un carcere e questo spiega molte cose: le numerosissime aule, i corridoi tutti uguali e le finestre sbarrate.
Entro in classe e mi dirigo al mio banco; la prima cosa che noto è l’assenza di Martina: sarà in ritardo? Appoggio la cartella e mi siedo, aspettando il suo arrivo.
 
La prima ora è sempre la più stressante: sei mezzo addormentato e i professori pretendono che ascolti attentamente la lezione. Quando si trattano di due ore consecutive di matematica, poi, è ridicolo pretendere che si riesca a seguire qualcosa!
Tento comunque di seguire quello che il professore ci sta dicendo, ma è uno sforzo vano: sono troppo stanca e avrei solo voglia di tornare nel letto. Sono passati venticinque minuti, quindi presumo che Martina non verrà; chissà come mai non è presente, glielo chiederò domani.
 
 
***
 
La giornata scolastica è passata in fretta, per fortuna.
 
Mentre mi dirigo verso casa, penso al ragazzo dagli occhi blu.
 
Chissà come si chiama, se ha una ragazza, se è simpatico o meno… spero di scoprirlo presto.
Il suo sguardo era così penetrante e non riesco a togliermelo dalla testa; voglio vederlo ancora, a tutti i costi.
 
Ho mille pensieri nella testa e non mi accorgo nemmeno di essere quasi arrivata a casa.
Intravedo il cancello di casa mia e noto che c’è una persona con delle valigie. Strizzo un po’ gli occhi per capire chi sia e la riconosco quasi immediatamente: Martina.
Mi avvicino con passo svelto per raggiungerla il più presto possibile.

 
<< Ciao Marti! Cosa ci fai qui? >>
Domando, sorridendole.
<< Avrei dovuto avvisarti ma non ne ho avuto il tempo… cioè…>>
Sembra molto confusa.
<< Cos’è successo? E perché quelle valigie?>>
<< Sai… mio padre è in una clinica riabilitativa e a casa sono da sola… volevo chiederti se… potevi, come dire, ospitarmi per qualche giorno?>>
<< CERTO! >>
Rispondo, entusiasta.
<< Oh, non so come ringraziarti, sei sempre molto gentile! Se non ci fossi tu…>>
 
Entriamo subito in casa e mi affretto a portare le sue valige nella camera degli ospiti; lei mi segue, con passo veloce.
 
<< Ti va’ bene questa camera? Naturalmente dobbiamo metterla un po’ in ordine, ma può andare>>
<< Si, è perfetta! >>
Mi lascia sempre d’incanto quando sorride, ha dei denti perfetti e la sua bocca è carnosa: un sorriso fantastico.
Usciamo dalla camera e andiamo in cucina per pranzare.
Dopo pranzo ci mettiamo a fare i compiti e poi guardiamo un po’ di televisione.
 Non c’è imbarazzo, mi trovo bene con lei. E’ diverso dal primo giorno di scuola, sembriamo essere entrambe al posto giusto nel momento giusto.
 
***
 
Cala la sera, ma nessuna delle due ha sonno così iniziamo a parlare.
 
<< A te piace qualcuno?>>
Domando.
<< Si, sono fidanzata >>
<< Oh beata te! Viene nella nostra scuola?>>
<< In verità lui ha 28 anni…>>
<< Wow, dev’essere bello stare con qualcuno di più grande, no? >>
Affermo con allegria, ma quando ci riflesso su, rimango abbastanza perplessa.
<>
 
Rimango un po’ in silenzio, facendo finta di pensare, ma in realtà so perfettamente chi mi piace.
 
<< Si… più o meno! Ho visto un ragazzo l’altro giorno a scuola e mi ha colpito tantissimo! Credo che mi piaccia… ma sfortunatamente non so il suo nome>>
Concludo, tristemente.
 
Martina resta in silenzio con aria pensierosa e, dopo un paio di secondi, sembra che le sia venuta un’idea.
 
<>
 
Ma dice davvero? SEDUTE SPIRITICHE?
 
<< Non ci credo molto a queste cose… ma se vuoi provarci, facciamolo!>>
Il livello della mia perplessità continua ad aumentare.
Esce dalla stanza per prendere il materiale necessario e, nel frattempo, io porto un tavolo al centro della camera.
 
<< Eccomi, sei pronta?>>
La vedo entrare con un bicchiere di vetro, dei foglietti con scritte sopra delle lettere e alcuni biscotti.
 
<< Scusa, ma a cosa servono i biscotti? >>
<< Oh, questi sono per noi, in caso ci venisse fame>>
Scoppio a ridere.
 
**
 
Siamo sedute intorno al tavolo. Martina mi ha detto che devo chiudere gli occhi e pensare attentamente all’immagine di quel ragazzo, ma prima di ubbidire nota che lei appoggia le mani sul bicchiere.
Penso così intensamente che mi sembrano passate ore, ma in realtà è trascorsa appena una manciata di minuti. Sono concentrata quando, a un tratto, sento il rumore delle porte sbattere e il tavolo tremare.
 
<< Oh Dio, Martina! Ho paura>>
La mia voce trema.
<< Non preoccuparti, l’ho fatto un sacco di volte, so cavarmela!>>
Lei ha un tono tranquillo e sereno.
Passano i minuti e a un certo punto sento un rumore simile a qualcosa di vetro andare in frantumi, sarà il bicchiere. Apro gli occhi di scatto e rimango pietrificata: Martina ha le mani ricoperte di sangue a causa del bicchiere rotto e i suoi occhi sono spalancati, come se avesse visto qualcosa di davvero spaventoso.
 
<< Oh cazzo, che succede? Dio santissimo, ferma sta seduta di merda! Vado a prenderti del disinfettante!>>
Lei non risponde, allora mi affretto a uscire dalla stanza e vado in bagno a prendere il necessario; quando torno, però, rimango ancor più sbalordita: le ferite sulle mani di Martina sono sparite e il bicchiere si è ricomposto.
 
Che cosa sta succedendo?

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Capitolo 12
*** Terribili errori ***


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Tutto è successo così in fretta, quasi non riesco a credere a quello che ho visto: Ian, il mio angelo custode, è il ragazzo misterioso che ha fatto innamorare la mia amica Lara. Maledizione, non avrei mai dovuto fare una seduta spiritica, ma come potevo sapere che il ragazzo misterioso era la creatura dalla quale mi sto nascondendo?
Sento appena le parole che mi rivolge Lara, mi arrivano distanti e confuse. La ragazza esce dalla stanza a passi svelti, ma sono troppo frastornata per seguire con lo sguardo il suo spostamento.
Dopo attimi che appaiono secoli, mi costringo a tornare lucida; la prima sensazione che mi arriva è di dolore, ho la mano insanguinata e ricoperta di vetri.

«Mi dovrò ricordare di usare un bicchiere di plastica la prossima volta»
Dopo pochi secondi avverto una strana sensazione di calore invadere la mano ferita: senza che ne abbia davvero il controllo, la ferita si rimargina e il bicchiere, non appena lo sfioro con lo sguardo, torna integro.

«Aaaaaah!»
Un urlo agghiacciante cattura completamente la mia attenzione, una terribile paura si fa largo nella mia mente.
Mi alzo di scatto, diretta verso la porta, ma nella stanza fa il suo ingresso Lara. La ragazza mi fissa, con sguardo esterrefatto, mentre rivolge la sua attenzione al bicchiere sul tavolo e alla mia mano, non più ferita.

«Ch… Ma… La tua mano, il bicc…»
Farfuglia frasi sconnesse, io non ho il tempo di spiegarle tutto quanto.

«Hai sentito? Da dove proveniva?»
Lara mi guarda con aria interrogativa, capisco da questo che l’urlo l’ho sentito solo io. Sto per aprire bocca, ma una fitta al torace mi toglie il respiro; la mia amica non sembra avere la forza di formulare una qualche parola, ma si preoccupa quando passano i secondi e non accenno a riprendere fiato.

«Marty, Marty che succede?»

«N-niente. Trova un posto sicuro e rimani nascosta»
Lara non accenna a muoversi; fissa le mie labbra –forse quasi cianotiche- e il suo sguardo fa capire che non è davvero presente; sono costretta a spingerla leggermente e finalmente sembra destarsi dal suo stato quasi catatonico.
Con passi leggeri esco dalla camera da letto; gli attacchi dolorosi che avverto al torace sono sempre più intensi, quasi mi sento svenire. Con molta fatica arrivo in cucina e accendo la luce, ma presto si fulmina la lampadina e piombo nella quasi totale oscurità.

«Salve Mary, è un piacere vederti di persona finalmente. Non hai avvisato solo Iezalel della tua presenza, ma anche me»
Incontro la figura di un uomo dai capelli neri, gli occhi bianchi, una sottile barbetta scura e un vestito elegante; ha una voce tagliente come un coltello, la sua presenza stona nell’atmosfera intima e privata della cucina: la sua estraneità all’ambiente è palese.
Mi passano davanti agli occhi parecchie informazioni, tutti gli avvenimenti che Iezalel-Ian mi ha inserito nel subconscio. Riesco a capire che la creatura nella stanza è un demone, ma le eccessive informazioni mi fanno perdere i sensi.
 


Lentamente si disegna un viso sotto le mie palpebre chiuse; definirlo perfetto sarebbe riduttivo, un eufemismo, sarebbe un reato capitale.
Non sono solo le iridi azzurre, con striature che variano dal verde acqua al cobalto, e nemmeno i capelli corvini, molto luminosi, a rendere quel viso la migliore creazione di madre natura: l’amore, l’affetto che provo per lui rende ogni sua molecola perfetta ai miei occhi.
Frederick è l’uomo della mia vita, non mi stupisce che la mia mente trovi riparo in lui, nella sua immagine così ammaliante e confortante.
Mi ritrovo a pensare ai nostro momenti di intimità, ma una risata sadica rovina la quiete generata dal suo ricordo.
Frederick, cioè la sua immagine nella mia mente, si volta verso di me e tutto intorno è oscuro.
«Credevi davvero che un uomo, così bello e affascinante, potesse rischiare tutto per te? Sei più stupida di quanto potessi mai sperare!»
Il demone scoppia a ridere, mentre dai miei occhi cominciano a cadere copiose lacrime amare: sono sicura che anche il mio corpo sta piangendo, tutt’uno con l’anima.
«È bastato ordinare a un mio Cerbero di uccidere quella puttana di tua madre per spingerti tra le braccia di un qualsiasi uomo. Mi sono impegnato a organizzare tutto: ho scelto un bel involucro di carne, mi sono spacciato per un infermiere con un interesse per il sovrannaturale, ma sarebbe bastato un qualunque essere di sesso maschile, dotato di un pene, e ti saresti aperta come una sgualdrina»
Covo un rancore così intenso da destarmi dal sonno.
 


Apro gli occhi in maniera fulminea, scattando in piedi con la stessa velocità.

«Tu! Lurido pezzo di…»
Inizio a urlargli contro, ma non riesco a fare nemmeno un passo verso di lui: mi sbatte con violenza contro muro, ridendo di gusto, mentre continua il discorso iniziato nella mia mente. «Ho rovinato l’unica cosa bella della tua vita, rivelandoti che fosse solo una mia macchinazione per privarti della tua forza e lasciarti nuda come un verme, nuda come tutte le volte che mi pregavi di spingere di più. Adesso non hai difese, non hai luoghi tranquilli nella tua mente dove rifugiarti: ti piegherò al mio volere, lurida puttana»
Con un piccolo movimento della mano fa muovere dei coltelli e me li impianta all’altezza dell’avambraccio. Urlo di dolore, cerco di sfuggire all’agonia, ma nella mia mente trovo ugualmente uno straziante tormento.
«Cosa ti dicevo? Ahah! Ti piegherò e la farò pagare cara a quelli stronzi del Consiglio!»

«D-di che st-stai parlando?»
Biascico, in preda a dei dolori atroci.

«Io sono il grande Aeshma, ero uno di loro, ma mi hanno esiliato! Per colpa di quelli abbomini mi chiamano "il portatore di sciagure", "il maligno", "il padrone della falsità", solo perché mi sono lasciato andare alla passione carnale con…»
Aeshma si interrompe quando sente rumore di passi alle sue spalle; qualche attimo e si volta, nello stesso momento in cui appare Lara, sulla soglia della cucina.

«Mio dio! Martina, stai bene? Tu chi sei?! Esci da casa mia! Stronzo, ti ho det»
Un leggero movimento da parte del demone e Lara cade in terra, con il collo spezzato. L’immagine della mia amica, inerme sul pavimento, mi provoca un dolore paragonabile a quello fisico.

«No! Lara, ti prego no! Tu! Tu sei un bastardo, un pezzo di merda! Te la farò pagare!»
Mi agito, ma il dolore per i coltelli impiantati si acuisce in maniera così violenta da farmi venire una fortissima nausea.

«Mary, Mary…»

«Io non sono Mary!»

«Sei proprio una stupida a sbraitare contro la creatura che avrà in mano la tua vita, da adesso in poi»

 
**Punto di vista: Ian/Iezalel**

Non avrei mai creduto che fosse così ingenua quella ragazza, nessun’altra rappresentante dell’umanità aveva ripudiato la protezione angelica (prima di aver compiuto il rito per l’acquisizione dei poteri magici).
Katia, la precedente rappresentante dell’umanità, aveva violato una delle regole più sacre del Consiglio facendo sesso con Aeshma, ma non era mai arriva a una simile umiliazione a carico di un angelo.

«I giovani d’oggi…»
Borbotto, mentre mi immergo nell’acqua sacra per riacquisire in fretta il contatto con la mia protetta. Non ho bisogno di instaurare un rapporto profondo con il potere mistico di questo luogo: Martina sta stabilendo un contatto con me, tramite un’improvvisata seduta spiritica.
Non perdo tempo e seguo il filo invisibile che mi condurà a lei.

 
«Dannazione!»
Sono in una casa in cui si sente chiaramente il passaggio di una forza demoniaca.

«Non avrei dovuto farle acquisire tutte quelle informazioni! Mi ha indebolito in una maniera tale da permette a Aeshma, un demone di quarto ordine, di arrivare prima di me!»
Sbraito, mentre analizzo ogni particolare, ma la prima cosa che noto è la più terribile: l’omicidio di una giovane donna.
Velocemente mi avvicino al suo corpo, rimanendo qualche secondo a osservarla: i suoi morbidi capelli adesso sono spenti e le ricadono sul volto, le palpebre sono chiuse, il collo è deformato.
Una strana fitta allo stomaco, un dolore, si fa strada dentro di me e senza esitazione sfioro quella fronte delicata. Le sue ferite guariscono, in meno di un secondo.
Apre gli occhi e incontro uno sguardo seducente, non posso che lasciarmi ammaliare da quella ragazza; lei adesso risplende anche di una luce angelica: far resuscitare un umano lo "marchia", adesso sarà per sempre un’aiutante del paradiso.

«Cosa ci fai tu qui? Io… Ma io ero morta»

«Tranquilla Lara, raccontami cosa è successo e insieme sistemeremo le cose»



 

**Angolo dell'autrice Marty**
Allora, che ne pensate? :)
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