Filles d'Acier di Dira_ (/viewuser.php?uid=35716)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Thoughtless // Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Unless // Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Careless // Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Fearless // Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Homeless // Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Cloudless // Capitolo VI ***
Capitolo 1 *** Thoughtless // Capitolo I ***
When I jerk away from holding hands with you
I know these habits hurt important parts of you
Remember when I was sweet and unexplainable
Nothing like this person, unlovable
(Back in your head, Tegan & Sara)
10 Agosto 2023
Francia,
Normandia, vicino a Le Havre.
Villa
Parkinson.
Le Fresie
quell’anno erano
particolarmente rigogliose.
Violet le guardava tra
l’ammirato e il soddisfatto, mentre opportunamente vestita si
apprestava a
passare in rassegna il giardino della casa materna.
L’estate era ormai
agli
sgoccioli e si stava avvicinando l’ultimo, campale anno
scolastico. Non era
ancora riuscita ad assimilare il fatto che in meno di un anno tutto
sarebbe
finito e lei sarebbe stata finalmente considerata pronta per il mondo
al di là
delle mura bianche di Beaux-Batons.
Era strano, ma supponeva che
vi sarebbe venuta a patti.
Staccò con le
cesoie ben
affilate una rosa, posandola sul cestino che la sua Elfa personale le
stava
allungando sopra la testa bitorzoluta. Sua madre le amava rosse, ed era
sua
premura non farle mai mancare un mazzo di esse al mattino.
Fece un sospiro: i loro
rapporti si erano fatti tesi da quando, a Maggio, aveva rotto il suo
fidanzamento con Mathieu Allard. Visto il motivo – ovvero il
fatto che il porco
avesse tentato di usarle violenza - non poteva rimproverarla, ma non
era
affatto contenta che l’occasione di unirsi ad una delle
più influenti famiglia
di Francia fosse sfumata.
Credo
stia già tramando per farmi conoscere qualcun
altro…
Non le avrebbe dato molta
noia
quel pensiero, dato che non era la prima né
l’ultima Purosangue che si sarebbe
sposata tramite matrimonio combinato, se un paio di cose non fossero
venute
alla luce proprio a causa della rottura del fidanzamento. Prima di
tutte, la
sua intenzione di sposarsi con un ragazzo.
Le piacevano le ragazze, e
reprimere per il resto della sua vita ciò che era o
limitarlo alle porte chiuse
di una stanza … era inevitabile, eppure le dava un senso di
desolazione
profonda.
Inoltre, la sua attrazione
per
esse, aveva preso una tenace e inopportuna direzione; Dominique
Weasley, figlia
d’arte, Capitano e Prefetto della Casa dei Fiordalisi, bella
come il sole e
matta come un cavallo.
A
proposito di quella barbara, incivile …
Inspirò
bruscamente, ignorando
lo sguardo preoccupato dell’Elfa.
…
stupida, selvaggia, idiota.
Non la vedeva
dall’ultimo
giorno di scuola, quando si erano frettolosamente salutate prima che
sua madre arrivasse
a reclamare la sua completa e devota attenzione. L’altra non
era parsa
particolarmente infastidita dal commiato insoddisfacente anche se le
aveva
promesso di venirla a trovare prima dell’inizio della scuola.
Sì.
Certo. Perché l’ho vista. Tutti i giorni. Tutte le
ore.
Tagliò con
ferocia l’ennesima
rosa, gettandola nel paniere di vimini o forse sulla testa
dell’Elfa.
Era arrabbiata. Arrabbiata e
delusa. Certo, sapeva bene che la Weasley passava gran parte delle sue
vacanze
in Romania a rischiare di farsi divorare dai draghi. Sapeva anche che
la riserva
in cui soggiornava era tagliata fuori dal mondo, sia magico che babbano.
Ma
a quest’ora dovrebbe esser tornata.
Era stata
un’ingenua;
conosceva Dominique da sette anni e sapeva quanto fosse svagata nei
rapporti
interpersonali. Si dimenticava puntualmente che c’erano degli
obblighi sociali
da rispettare e soprattutto delle promesse che andavano mantenute con certe categorie di persone.
Tipo
la ragazza che ti sei baciata per un mese prima
che arrivasse l’estate a separarci.
“Porta le rose in
casa,
Silvy.” Sbuffò all’Elfa. “Come
al solito, disponile nel salottino privato di
mia madre.” Guardò il sole e indovinò
ad occhio l’ora. “Dovrebbe alzarsi a
breve.”
“Sì Padroncina Violet! Silvy va subito!”
Squittì Smaterializzandosi con uno
schiocco. Violet a quel punto, si concesse un lungo sospiro prima di
crollare –
seppur graziosamente – su una delle panchine di ferro battuto
che si
alternavano lungo il viale che collegava la casa al ‘giardino
all’inglese’.
Amava il giardino di casa
sua,
l’unico posto di villa Parkinson (fu
Goyle) dove si sentisse a suo agio. Le sue stanze erano sì
belle e luminose – i
quartieri suoi e di sua madre davano al sole quasi tutti i mesi
dell’anno - ma
arredate secondo gusto di quest’ultima, sin troppo opulento.
Inoltre l’intera
struttura era decisamente britannica, in uno stile gotico pesante, che
poco si
armonizzava con la dolcezza franca del paesaggio.
Si sistemò
l’orlo della
leggera veste estiva che prediligeva quando lavorava in giardino; sua
madre non
la approvava, chiamandola ‘la tua sottoveste da
contadina’ ma a lei ricordava
quelle viste nelle illustrazioni di vergognosi libri babbani che Jenny
le aveva
prestato al secondo anno in gran segreto. Non glieli aveva mai ridati.
Orgoglio
e Pregiudizio?
Aveva amato quel libro e
aveva
trovato molte similitudini tra quella vecchia società
babbana e la loro.
Non
credo si comportino più così, i babbani. Ma noi?
Praticamente identici.
Aveva risparmiato quel
discorso alle amiche per paura di turbarle o, ancor peggio, di farle
spettegolare. Ne aveva parlato con Dominique invece, e
l’altra gli aveva
confermato le teorie.
“Sicuro,
sono molto più avanti di noi da quel punto di
vista! Ma se guardi bene, vale anche per i maghi e le streghe che non
sono Purosangue
über
alles come te.”
“Sarebbe a dire?”
“Per
dirti, se ti mettessi a parlare di matrimoni
combinati ai miei cugini, in Inghilterra, ti riderebbero in faccia. Il
mondo
Babbano ci ha sorpassato di dieci leghe da almeno due secoli buoni, ma
anche
quello magico sta entrando nell’ordine di idee che le vesti e
le carrozze non
sono più tanto funzionali. A parte per le feste al
Ministero, nessuno in
Inghilterra si sogna di mettersi più quei tuniconi da monaco
ormai. I miei
cugini indossano i pantaloni, che io sappia.”
“Fanno
parte delle nostre tradizioni però.”
“Bah!
Le tradizioni sono noiose.”
Quel genere di ragionamenti
erano quanto di più lontano le fosse stato insegnato. Non
solo lontano, ma
diametralmente opposto. Ne aveva fatti molti, con Dominique, nel loro
posto
segreto – ovvero la Radura degli Unicorni.
A volte si chiedeva se non
ci
fosse qualcosa di più di
ciò che
toccava con mano nel suo mondo chiuso di Beaux-Batons e in quello
ancora più
esclusivo che la aspettava a casa.
Era questo probabilmente ad
averla attratta tanto di Dominique. Dominique la ribelle, Dominique la
selvaggia. Dominique che era libera come l’aria e forse per
questo non si
sentiva in dovere di farsi sentire con nessuno quando partiva. Neppure
con lei.
Sospirò di nuovo,
alzandosi la
veletta del cappello di paglia, doveroso quando il sole picchiava anche
sulla
coste dell’Alta Normandia¹. Era stata
un’estate calda, insolitamente poco
piovosa.
Voglio
tornare a scuola…
Le mancavano le sue amiche,
l’uniforme azzurra di seta, le chiacchiere divertenti e i
piccoli, succosi
pettegolezzi che le davano il buongiorno al mattino. Le mancava la Sala
Comune,
le belle decorazioni di stucco dorato e il parco incantato in una
perenne
primavera rigogliosa. Morgana, le mancavano persino le lezioni!
E
ti manca lei.
Non che stessero assieme,
certo. Stare assieme avrebbe comportato una serie di domande, risposte
poco
piacevoli e obblighi che Violet non voleva e non poteva
assumere.
Ciononostante la Weasley
aveva
il dovere di mantenere le sue
promesse.
Fu con quello stato
d’animo
che prima di pranzo prese una delle civette della voliera e
spedì una lettera.
Un biglietto che neppure firmò. Tanto non serviva.
Quando
pensi di venire a trovarmi? Ti ricordo che hai fatto una promessa.
Erano
solo parole?
Quando lo ebbe
spedì però se
ne pentì. Era forse darle troppa importanza?
Sì,
ma vuoi averla qui, giusto?
Decise di non pensare
più all’intera
faccenda per tutta la giornata. Del resto aveva ben altro da fare. Per
prima
cosa i compiti e poi misurarsi il nuovo guardaroba in vista
dell’anno
scolastico – il sarto era venuto apposta da Le Havre.
Per finire, sua madre; sua
madre che di lì a pochi mesi si sarebbe sposata. Non era una
notizia che
l’aveva colta impreparata. Già dall’anno
prima aveva subodorato qualcosa, date
le frequenti visite di un distinto funzionario del Ministero che era
stato
tacciato di essere ‘un semplice, caro amico’.
Pansy Parkison, vedova Goyle
adesso era incinta. Violet l’aveva appreso al suo arrivo e
aveva dovuto
congratularsi con tutti i crismi e farsi baciare le guance dal
bellimbusto biondiccio
e impomatato in questione.
Proprio
il suo tipo.
C’era un
matrimonio da preparare
e anche se Violet era stata esonerata dai preparativi (‘Devi
pensare alla scuola tesoro, non posso certo oberarti di
questioni così stressanti’) doveva
comunque essere sempre presente per i
mille, piccoli capricci.
Come in quel momento. Seduta
nel
suo salottino privato, le stava leggendo il giornale quotidiano ad alta
voce,
mentre questa era adagiata su una chaise
longue guardando il vuoto assorta. Sospettava che a sua madre
più che le
notizie interessasse darle qualcosa da fare che la tenesse nelle sue
immediate vicinanze.
“Quest’anno,
per celebrare il venticinquennale della Battaglia di
Hogwarts verrà rivisitata l’antica competizione
del Tremaghi, che coinvolgerà
l’Istituto Durmstrang, l’Accademia Beaux-Batons e
l’omonima scuola di magia e
stregoneria scozzese…” Lesse, facendo
subito dopo una piccola smorfia.
“Voglio proprio
sapere chi
sarà l’idiota a competere in un torneo sanguinario
e volgare come quello … È un
vero scandalo che la vostra Preside vi abbia aderito anche se,
immagino, non
avesse poi molta scelta. Senza l’Accademia il Tremaghi non ha
senso di
esistere.” Commentò sua madre con una smorfia
gemella. “Ho assistito
all’ultimo, mia cara, e fu un vero e proprio fallimento dal
principio alla
fine. Te ne ho mai parlato?”
“Sì,
mamma.”
Violet,
dall’atteggiamento
della madre, sapeva
che stava per
arrivare una delle loro amabili chiacchierate, in cui usciva sempre con
presagi
poco simpatici sul suo futuro di strega libera.
“… Ti
ricordi di Scorpius
Hyperion tesoro?” Esordì quando Violet era certa
che ormai si fosse
addormentata al suono volutamente monotono della sua voce.
“Sì, certo.” Posò la piuma
che fungeva da segnalibro tra le pagine. Come
volevasi dimostrare. “Il figlio dei
Malfoy, vero?”
Sua madre la
graziò di un
breve sorriso. “Sì, proprio lui. Giocavate spesso
assieme da bambini.”
Violet si astenne dal farle notare che più che altro si
rotolavano a terra
tirandosi i capelli e mordendosi vicendevolmente, incitati dai di lui
degni
compari, Nott e Zabini. “Mi ricordo.”
“È
diventato proprio un bel
ragazzo. Ho visto una sua foto di recente, me l’ha spedita
Daphne, sua zia.”
Detta anche La Meretrice.
Non avrebbe mai capito i
rapporti interpersonali di sua madre; chiamava tutti amici ma finiva
inevitabilmente per parlar male di uno con un altro. E viceversa.
Certo, anche
nella sua ristretta cerchia di amiche qualche pettegolezzo scappava, ma
mai
troppo cattivo. Dominique la chiamava ‘ottica del
branco’, con suo gran
fastidio.
Però
un po’ ha ragione.
“Davvero?”
Continuò sulla
china della neutralità. Tanto sapeva perfettamente dove
sarebbe andato a finire
il discorso.
“Dovresti
scrivergli e
riprendere i rapporti, Daphne mi dice che è terribilmente
simpatico e a modo…”
Ecco,
appunto.
Guardò verso la
finestra
intrappolando tra le labbra un sospiro esasperato. Inarcò le
sopracciglia
quando vide un puntino apparire nel sole decrescente del pomeriggio. Un
puntino
in mezzo al cielo; non certo un aereo babbano, né tantomeno
una scopa.
“Non lo vedo da
anni mamma … non
saprei cosa scrivergli.” Se non era una scopa o un mezzo di
locomozione aerea
babbana, allora cosa? Qualche animale?
La vedova fece un verso
scocciato, riottenendo la sua attenzione. “Non fare la
sciocca! Alla vostra età
gli argomenti di conversazione si trovano sempre!”
Magari
posso chiedergli se ha ancora l’abitudine di
appiccicare Bolle Bollenti sui vestiti delle ragazze.
“Hai ragione
mamma. Gli
scriverò stasera.” Si spostò verso la
finestra. Da lì aveva una visuale
migliore ed era decisamente un animale quello che solcava il cielo in
direzione
di casa sua.
Un’aquila.
E c’era una sola
persona, in
tutta la scuola, capace di addomesticare un rapace del genere.
Dominique aveva
un’aquila come
Famiglio.
“Se non hai niente
in
contrario vorrei farlo adesso.” Disse precipitosamente.
“Intendo dire, scrivere
la lettera a Scorpius…”
Sua madre sorrise con aria di approvare la sua repentina iniziativa.
“Certo
cara, va’ pure. Lasciami il giornale, vuoi?”
Glielo porse e poi
scappò in
camera. Come si aspettava – come sperava –
l’aquila era fuori dalla sua
finestra con una pergamena arrotolata attorno alla zampa. Intimorita
aprì le
imposte e slegò la lettera mentre il rapace la scrutava con
i grandi occhi cerchiati
d’oro. Dominique l’aveva salvata trovandola nel
bosco, presa in una delle
trappole che il Guardiacaccia della scuola usava per evitare che quelle
della
sua specie facessero massacro dei cerbiatti del bosco. Ne sapeva tanto
perché
l’aveva curata e addestrata proprio nell’ultimo
mese di scuola, con lei
presente.
“Osserva
Piggie, vedi il piumaggio marrone a chiazze
bianche? Ne ha tante, quindi è un esemplare
giovane.”
Era incredibile come il rapace e Dominique avessero instaurato una
connessione
così completa nel giro di una settimana neppure.
L’aquila era stata diffidente i
primi giorni, riducendo le mani dell’altra ad una confusione
di tagli e
beccate, ma questa non si era mai arresa, continuando a parlarle come
se fosse
in grado di capirla. E alla fine l’aveva capita davvero,
perlomeno le sue buone
intenzioni. L’animale l’aveva infatti ricompensata
con una fiducia sconfinata,
a vedere come prendeva cibo dalle sue mani e la seguiva ovunque nel
bosco.
“Come
si chiama?”
“È
un aquila anatraia maggiore, o clanga!”
“Che nome orribile… Scegliene un altro!”
Una risata. “Guarda che è il nome scientifico,
come viene catalogata dagli
esperti.”
“Sì,
ma dalle un nome poverina!”
“Ce
l’ha, l’ho chiamata Vianne. Ti piace?”
“Meglio
di Clanga…”
Un’altra risata.
Non aveva mai capito perché la sua reazione al nome le
avesse scatenato
un’ilarità ancora maggiore.
Chi
capisce quella sciroccata si merita un Ordine di
Merlino Prima Classe.
L’aquila,
raggiunto il suo
scopo, spiccò immediatamente il volo. Violet lesse.
Piggie,
all’entrata del bosco, vicino al cancello della tua
proprietà.
Sono
qui.
Ingoiò
un’esclamazione,
guardandosi allo specchio. I capelli le stavano bene e così
il leggero vestito
azzurro che indossava, uno dei suoi preferiti.
Certo
che per arrancare nel bosco…
Diede un’occhiata
alla pendola
del camino. Aveva ancora una manciata di ore prima che venisse servita
la cena.
Si cambiò quindi rapidamente con il vestito bianco che usava
per far
giardinaggio. Nessuno avrebbe notato uno strappo o qualche macchia
d’erba.
(Arrossì,
pensando a come se
la sarebbe fatta di lì a poco)
Percorse la strada
più breve,
costeggiando il bosco con il cuore che le risuonava come una grancassa
da
concerto. Vide l’aquila volteggiare e capì che le
stava indicando la direzione.
Mica
sono stupida, questa è casa mia, so dove andare!
La seguì comunque
e si infilò trai
molti Cedri del Libano che avviluppava l’entrata rendendola
quasi invisibile
persino ad occhio magico.
Dominique era lì.
La vide
immediatamente, perché dove era lei l’aria si
faceva stranamente più densa,
quasi concentrata. Doveva essere un atavismo Veela di cui quella
sciroccata non
si rendeva conto.
Ma
io sì.
La ragazza offrì
il braccio al
rapace, coperto da una polsiera di cuoio, e quello vi si
posò con uno stridio
venendo ricompensato da un bocconcino che trangugiò
soddisfatto.
Dominique
Weasley.
Vestita come se dovesse
rotolarsi nel fango – jeans babbani tutti strappati e una
vecchia maglietta di
cui non si leggevano più le scritte. Intravedeva due nuovi
piercing al viso
dall’ultima volta che si erano viste. Dal colore brillante
sulla pelle del
collo era chiaro avesse aggiunto i tatuaggi alla sua collezione di
stranezze.
L’unica cosa
salvata dalla
furia sciattona erano i capelli; dovevano esser passati per le mani di
un
MagiParrucchiere perché avevano una parvenza
d’ordine, lunghi sul davanti e
rasati sulle tempie.
Completamente
fuori dalle righe come al solito…
Quest’ultima parve
accorgersi
della sua presenza perché squadernò il suo
comprovato sorriso strafottente.
“Ehilà Piggie!” Aveva il viso bruciato
da sole e lentiggini ovunque.
Le
stanno bene…
Violet si sentì
la bocca
secca, ma non si lasciò scoraggiare dalla momentanea afasia.
“Ti ho detto centinaia di
volte di non chiamarmi
così. Imparerai mai?” Chiese nel suo tono
più glaciale.
L’altra
ridacchiò. “No, non
credo. Mi piace troppo la faccia che fai!” Ribatté
senza scomporsi. “Ripeto.
Ciao Piggie, come stai?”
Violet sospirò
sentendo che
aveva già voglia di affatturarla. Era sempre così
con Dominique; il suo stato
d’animo oscillava tra l’irritazione,
l’ammirazione e l’inevitabile attrazione.
“Impegnata.” Scrollò le spalle
incrociando le braccia al petto. “Al momento,
molto impegnata. Mia madre si sta per sposare.”
“Ho sentito.” La sorprese. Diede un bacio sul becco
dell’aquila e la lasciò
volare via, slegandosi la polsiera e mettendola poi nel tascapane che
aveva a
tracolla. Aveva scordato come ogni movimento di quella matta esprimesse
sicurezza. Aveva scordato quanto lo trovasse affascinante.
“Come hai saputo
…”
“Del matrimonio di tua madre?” Scrollò
le spalle. “Ne parlavano V
e la mia quando sono uscita.”
Intendeva sua sorella e sua madre. Violet percepì una punta
di fastidio, ma
lasciò correre.
“Come sei arrivata
qui?”
“Con
Arod.” Vedendo che non
ricordava, sbuffò. “Il mio Granian³, un
cavallo alato? Ma tranquilla, è fuori
dalla proprietà con
un incantesimo di
Disillusione. Mi ritirerebbero la patente⁴ se non lo usassi.”
“Quando sei
tornata?” Era
quello che voleva sapere.
Da
quanto sei qui e non sei venuta a trovarmi?
Dominique
sbadigliò,
stiracchiandosi. “Sono tornata in treno stamattina. Detesto le Passaporte
Continentali.” Fece una smorfia significativa
prima di scivolare lungo il tronco del cedro a cui l’aveva
trovata appoggiata.
Nascose un secondo sbadiglio dentro una mano. Apprezzò lo
sforzo anche se vi si
sganasciò dietro.
Selvaggia
…
Aveva una voglia incredibile
di baciarla, ma si astenne. Del resto Dominique non aveva fatto un solo
passo
verso di lei.
Magari
è qui per dirmi che non le interesso più.
La sua annosa e stupida
insicurezza veniva fuori nei momenti meno opportuni. Naturalmente aveva
imparato a reprimerla dietro la favolosa facciata della stronza, ma
spesso non
funzionava. Curiosamente in concomitanza con la presenza della testa
platinata
di fronte a lei.
Mi
sei mancata dannazione. Ma a te non importa niente,
non è vero?
“Beh?”
La riscosse di colpo
quest’ultima. “Mi hai mandato un Gufo.”
Le spiegò alla sua espressione
sorpresa. “Parlava di una promessa…”
“Che tu non ricordi.” Ritorse aspra. “Non
che me lo aspettassi.”
“Non ho detto che
non me la
ricordo.” Si grattò la nuca con un mezzo sorriso.
“Sono qui, no? Sono venuta a
trovarti. Come promesso.”
“È Agosto.”
“Non ho specificato quando!”
Morgana, se la detestava. E la voleva baciare. L’aveva
già detto?
Non potendola battere a
parole
– La Weasley era l’unica persona a disarmarla
verbalmente – fece retrofront, in
direzione della sua casa, della sua stanza, del suo cuscino e di una
crisi di
pianto frustrato.
Dominique si alzò
fluida come
un gatto e l’afferrò per il polso. “Eh,
no!” Inarcò le sopracciglia con un
sorriso divertito. “Mi fai venire qui con ventiquattro ore di
treno all’attivo
e poi te ne vai?”
“Non ti ho chiesto
io di
venire!” Cercò di divincolarsi ma, come al solito,
la presa dell’altra era
salda come un maglio d’acciaio, anche se non altrettanto
dolorosa. “Per quanto
mi riguarda potevi restartene a casa!”
“Non si dicono le bugie, Piggie…” Se ne
stava lì e la guardava come se fosse la
cosa più buffa del mondo. Aveva voglia di affatturarla
malamente, ma finì per
afferrarla per quell’orrore di maglietta e tirarla
giù – era assurdo che una
ragazza fosse così alta! – per un bacio goffo, a
bocca chiusa. La sentì
ridacchiare persino nel bacio, prima di ricambiare. A dovere.
Era
ora, stupida bifolca!
Riusciva ad insultare anche
quando era nel bel mezzo di un momento di tenerezza. Sì,
perché per quanto
Dominique sembrasse il genere di persona che quando si muoveva lo
faceva solo
con il rischio di travolgere qualcosa, quando baciava lei sembrava farci attenzione.
Era un’idea
stupida, ma la
sensazione era quella. E la faceva sentire bene. Speciale.
Poi, perché
ovviamente doveva
rompere l’incanto del momento, la suddetta le
sbadigliò in faccia.
“Metti una mano
davanti alla
bocca!”
“Ho sonno.” Fu la placida replica. “Non
so bene cosa sia il jet-lag, ma credo
di averlo.”
Neanche lei lo sapeva, ma ad una seconda occhiata notò
grosse occhiaie sul viso
dell’altra. “Non hai dormito nella
cuccetta?” Spiò.
“Diciamo che non
mi andava di
chiedere soldi ai miei per un biglietto trans-continentale. Costano un
sacco.”
“Ma hai viaggiato
in treno o
no?”
“Sopra c’ero.”
Violet intuì dove
l’altra
voleva andar a parare con tutta quella evasività. “In che diavolo di modo hai
viaggiato?”
“Mi sono nascosta
nel vagone
merci.” Fu la serenissima ammissione. “Ho
incontrato dei ragazzi ungheresi a
Bucarest che mi han detto che volevano arrivare fino alla Spagna
così e mi sono
accodata, anche se poi son scesa prima. Non è stato male, ho
dormito in posti
peggiori.” Si sedette di nuovo come se trovasse la terra il
più comodo dei
materassi. Dal suo punto di vista forse era così.
“Stamattina mi è toccato
spiegare tutto ai miei però. Sai che divertimento,
c’era pure Vicky…” Borbottò.
“ Uno pensa di far loro un favore a non spender
galeoni…”
“Forse non volevano violassi la legge. Forse.”
Ipotizzò sentendo uno strano moto di contentezza animarla
dentro. Aveva avuto
una giornata stancante eppure aveva
trovato il tempo per lei. Le aveva mandato un Gufo e lei era venuta.
Sono
una persona orribile a pensarlo?
“Non sono una tipa
da
fronzoli, Piggie.”
“Se per fronzoli intendi un materasso credo che tu abbia dei
problemi. Il che
non è poi una novità.” La vide
ridacchiare e sorrise anche lei, di rimando. “Forse
dovresti prendere una pozione. Per la tua schiena. Dovrei avere
qualcosa…” Non
si era accorta fosse tanto provata dal viaggio a prima vista.
Forse
perché eri presa a prendertela con lei?
Il senso di colpa
– Morgana,
se odiava quella sensazione – le strisciò addosso.
A diciassette anni sapeva
accorgersi quando le sue azioni potevano esser definite capricci. Che
poi
decidesse di glissare era un altro paio di maniche.
“Niente
pozione.” Scosse la
testa l’altra. “Mi basta una dormita come si
deve.” Si stese tra le radici del
cedro. “Se non ti spiace, approfitto della bella ombra del
tuo giardino.” Non
era una richiesta, era una constatazione. Violet avrebbe dovuto
irritarsi, perché
che visita era, se poi dormiva?
Ma
è qui, no?
Sospirò,
sedendosi accanto a
lei e controllando che fosse in un un posto che non le avrebbe lasciato
macchie
sulla veste. “Per cuscino intendi utilizzare una radice,
Donna delle Foreste?”
Dominique socchiuse gli occhi. “Se hai idee
migliori…”
Violet arrossì;
aveva già
avuto un’esperienza che, per quanto fosse stata fallimentare
dal lato emotivo,
le aveva insegnato come rapportarsi con un’altra ragazza. Ma
Dominique era
diversa da Louise. Da qualsiasi altro essere umano, a dirla tutta. A
volte era
capace di esser beffarda fino a ferire, altre volte le mostrava una
dolcezza insospettabile,
ma spontanea, come prenderla per mano al ritorno dalla radura degli
unicorni o
strofinare il viso contro la curva del suo collo. Era
quell’imprevedibilità nel
suo comportamento a metterla sempre sulla difensiva; non sapeva mai
cosa
aspettarsi.
Tuttavia al momento sembrava
innocua. La prese quindi per una spalla e la fece distendere
cosicché la sua
testa le riposasse in grembo. Finse di non notare l’occhiata
sorpresa
dell’altra.
“Penso di essere
più comoda di
una radice di legno.” Replicò guardando ovunque
tranne che nella sua direzione.
“Sei
morbida.” Fu la
simpaticissima replica. Avrebbe voluto tirarle i capelli o perlomeno un
pizzicotto, ma lasciò perdere.
Non
si è fatta neppure un’ora di sonno nel letto di
casa sua per venire da te.
Sii
carina per una volta. Forse se lo merita.
“Non intendevo
dire che sei grassa, solo che mi
piace questa
posizione. Non fare quella faccia arrabbiata!”
Violet inspirò
racimolando la
poca pazienza di cui i suoi geni l’avevano dotata.
“Grazie per averlo
specificato.” Sbuffò facendola ridacchiare.
Sentì poi la mano dell’altra sulla
sua guancia.
Non.
Arrossire.
“Hai i capelli
sciolti. Finalmente,
poveretti. Tenuta estiva?”
La mano era ruvida sui
polpastrelli ed era piuttosto certa, anche se non aveva
quell’angolo di
visuale, che le unghie fossero rovinate e mangiucchiate.
L’unica
debolezza di Dominique Weasley. Si mangia le
unghie.
“Hai la mano di un
coltivatore
di patate.” Sentì mancare un battito –
avvisaglia di infarto? – quando la mano
scivolò lungo il profilo del viso e poi lungo la curva del
collo. Dominique era
una tipa fisica. Per lei il contatto umano era più o meno
equivalente ad una
lunga conversazione a cuore aperto. Durante l’unico mese che
era stato loro
concesso prima delle vacanze si era ritrovata l’altra
continuamente nel suo
spazio vitale con il risultato di avere foglie nei capelli e un
po’ ovunque
alla fine di ogni loro incontro.
Le aveva dato meno fastidio di quanto pensasse. Meno che niente, in
effetti.
“Lavora per due
mesi con i
draghi e poi dimmi se hai manine da principessa… O se hai
ancora le mani, se è
per questo.”
Violet le prese la mano,
intrecciandola alla sua. Da quella posizione intravedeva, sotto il
cotone liso
della maglietta che il tatuaggio si estendeva fino a metà
avambraccio. “Carino
… cos’è, uno di quegli orrendi
lucertoloni?”
“Trai
vari.” Sogghignò ad
occhi chiusi. “È una specie di rito di passaggio
farsi tatuare qualcosa, alla
riserva. Per chi ci lavora, si intende … a me
l’han fatto perché sono diventata
maggiorenne. E perché tanto finirò a lavorar
là comunque.” Si scostò la
maglietta per fargli vedere il resto della fantasia. C’erano
dei fiori, dei draghi
e altri simboli che Violet ignorava ma dovevano far parte del Segreto
Codice
dei Pazzi Guardiani di Draghi. “Forte, eh? Due settimane per
farmelo!”
“Stupefacente.”
Ironizzò senza
che l’altra si scomponesse di una virgola. Il suo sarcasmo
doveva esser una
reazione positiva in confronto a quella che dovevano aver avuto le
donne della
sua famiglia.
Ce
la vedo Madame Weasley a trillare deliziata di fronte a
tanto orrore. Permanente poi.
“È
opera di un tipo turco che
prima di diventare un Guardiano era un MagiTatuatore. I soggetti
però li ho
scelti io.” Era contenta come una bambina e Violet si
trovò nella stramba
posizione di non poter dire niente per smontare
quell’entusiasmo genuino.
Sospirò ad ogni
buon conto. “Madame Maxime
te li farà Disilludere, lo
sai?”
“Che ci
provi.” Fu l’ovvia
replica. Sbadigliò di nuovo. “Sono distrutta.
Quanto posso rimanere così?
Perché mi piace.”
Quell’ammissione,
così poco da
lei, era indubbiamente una confessione.
Violet sorrise, passandole le dita nei capelli sottilissimi e chiari.
Con vergogna,
si accorse che avrebbe potuto toccarglieli per ore.
“Non ho piani fino
all’ora di
cena.”
Dominique fece un sospiro
contento. Era così naturale nelle sue esternazioni che
Violet la invidiava. Da
quando era nata aveva sempre dovuto star bene attenta a cosa
comunicare, come e
quanto. L’altra evidentemente non doveva mai aver avuto quel
problema.
O
non se l’è proprio posto.
“A proposito di
piani. Tra un
paio di giorni è il compleanno di mia sorella,
m’ero scordata di dirtelo…”
Spalancò di colpo gli occhi e la guardò quel suo
strano modo disagiante. “Sei
invitata.”
Aveva detto forse qualcosa
sulla sua dannata imprevedibilità?
****
15
Agosto 2023
Francia,
Bocche del Rodano²
Villa
Delacour
Dominique pensava fosse del
tutto normale invitare qualcuno al compleanno di sua sorella.
Per intendersi, quando
gliel’aveva
chiesto, l’altra aveva replicato che non c’erano
problemi anche se l’aveva detto
un po’ perplessa.
In ogni caso, ai compleanni
di
sua sorella c’era talmente tanta gente che una persona in
più, o una in meno
era percepita più o meno come la rotazione terrestre.
Non
percepibile, appunto.
Non aveva pensato
granché alle
motivazioni per cui, di punto in bianco, aveva voluto che Violet
venisse.
Mentre riposava con la testa sulle sue ginocchia aveva pensato che di
sicuro
sarebbe stato difficile vederla un’altra volta prima
dell’inizio della scuola.
Quella
stronza di sua madre la tiene reclusa in casa da
quando non ha più Allard che la accompagna in giro, a
sentire Mael.
“Dom!”
Si sentì chiamare dal
piano di sotto. Era proprio Mael, uno dei primi ad arrivare a quel
genere di
feste e uno degli ultimi ad andarsene. Non ricordava il nome del
ragazzo con
cui si stava frequentando al momento. Basile? Bastien?
Bah,
tanto lo cambierà prima della fine dell’estate.
Si affacciò dalla
bocca delle
scale. Se poteva evitare di mischiarsi alla folla colorata e
completamente
scema degli amici di sua sorella fino all’ultimo era meglio.
“Che c’è?”
“È
arrivata la
Parkinson-Goyle.” Le fece cenno dietro di sé.
“Vienitela a prendere prima che
cominci a far la stronza.”
Dominique sbuffò; era consapevole del fatto che
l’altra si comportasse in modo
abbastanza orrendo con l’intero creato a parte le amiche e
sua madre, della
quale era terrorizzata. Quello che non riusciva a capire era come tutti
potessero prendere le sue esternazioni come offese vere.
È
un po’ come un gatto che soffia perché non ti
conosce. Non è che lo fa perché ti voglia
graffiare sul serio, la maggior parte
delle volte lo fa perché non sa che fare.
Scese le scale a due a due e
si trovò in un batter d’occhio
all’ingresso. Violet era lì, con il leggero
mantello estivo che portavano tutte le Purosangue a rischio di
schiattar di
caldo, e un vestito lungo fin sotto le ginocchia che, indosso a lei, si
sarebbero disintegrato nel giro di un nanosecondo. Ma aveva i capelli
sciolti.
Dominique sorrise.
Sorrise e poi smise di farlo
quando si accorse che Violet non
stava
sorridendo a lei, ma a sua sorella che da brava festeggiata era andata
ad
accoglierla, ringraziandola per il regalo che già teneva tra
le mani.
“Grazie mille
Violet, non
dovevi!”
“Figuriamoci, mi
sembra il minimo
visto l’invito…” Sorrideva. Piggie. Che
mediamente di fronte alle altre ragazze
aveva la smorfia di chi stava contemplando qualcosa di disgustoso.
Ha
gusti difficili. Peccato che Vic rientri nei gusti
di chiunque abbia un paio d’occhi.
Violet era, come molti prima
di lei, totalmente rimbecillita dall’aria luminosa che sua
sorella emanava
dalla sua nobilissima ed elegantissima persona. Era talmente palese che
se
avesse avuto un cartello al collo con su scritto ‘Sto sbavando su Victoire Weasley’
sarebbe passata inosservata, a
confronto.
“Ora che non sta
più con quell’animale
di Allard con chi sta?” Le chiese Mael. “Frequenta
qualcuno?”
Forse non era
così palese. Lo
era per lei però, e provò il confuso desiderio di
far Evanescere sua sorella.
Ugh.
“Piggie!”
Esclamò facendola
quasi sobbalzare, e inevitabilmente arrossire. Trovava adorabile il
modo in cui
diventava paonazza e gonfiava le guance quando era indignata. Come le
aveva
detto secoli prima, sembrava un buffo porcellino d’india. E
quell’espressione la
faceva solo con lei.
“Ah, eccoti
qua!” Sbuffò
Victoire alzando gli occhi al cielo. “Mostra alla tua amica
dove posare il
mantello invece di nasconderti in camera.”
“Non mi stavo
nascondendo, mi
stavo volutamente isolando dal tuo mondo scintillante.”
Ribatté mentre Violet
guardava dall’una all’altra. Sicuro si doveva
chiedere come potessero esser
sorelle, al di là dei colori simili. La afferrò
per un polso. “Andiamo Piggie!”
Quella le scoccò
un’occhiata
che prometteva una morte lenta e dolorosa. Si frenò
dall’insultarla e tirarle
un calcio probabilmente solo perché in presenza di altre
persone.
Tra
cui la Perfetta Vic.
Quando furono in camera
però
smise di trattenersi – c’era riuscita un sacco
visto il carattere che si
ritrovava. Era ammirevole.
“Sei
scema?!” Sbottò tirandole
una spinta. “Che bisogno c’era di portarmi su come
una specie di sacco di
patate? È il compleanno di tua sorella, che ti salta in
mente…”
Dominique aveva scoperto che
poteva farla stare zitta semplicemente baciandola. Non che utilizzasse
spesso
quel metodo, per quanto soddisfacente fosse. In realtà la
divertiva da matti
sentirla borbottare come un vecchio calderone. Quasi sempre.
Violet soffocò
un’esclamazione, ma ricambiò il bacio. Su quello
si poteva star sicuri, a
Piggie piaceva baciarla quanto piaceva a lei. Poi si staccò
puntandole le mani
sulle spalle.
Sembrava confusa, anche se
meno infuriata. “Si può sapere che diavolo ti
prende?”
Dominique non aveva ben
chiaro
lei stessa cosa le fosse preso. In effetti normalmente
l’avrebbe lasciata in
balia del suo imbarazzo nei confronti della sua famiglia prima di
trarla in
salvo.
Sarebbe
stato divertente, ma…
“Volevo farti
vedere camera
mia!” Si risolse a dire stringendosi nelle spalle.
“E c’era
bisogno di farlo come
se ne andasse della tua vita?” Alzò gli occhi al
cielo guardandosi
poi intorno. Dall’espressione era
piuttosto chiaro cosa ne pensasse.
“Carina…” Inarcò le
sopracciglia. “C’è
esploso dentro qualcosa?”
Dominique
ridacchiò,
sentendosi meglio. Il che era piuttosto bizzarro.
Il loro rapporto, a dirla
tutta, lo era; era ormai venuta a patti con il fatto che la ragazza
minuta e collerica
che si trovava di fronte le piacesse. Violet era una ragazza
intelligente,
molto meno impostata sui Sacri Dettami Purosangue di quanto non
mostrasse al
mondo intero. Le piacevano i fiori e le cose carine, come i cuccioli di
unicorno. Era morbida e sempre profumata, e le piaceva toccarla e
baciarla
anche se di sesso non ne avevano proprio parlato, dato che Violet si
era
rifiutata di ‘concedersi’ – parola da lei
usata – in mezzo ad un bosco.
Nonostante tutti i suoi
capricci le piaceva. Di controcanto, sapeva che dietro tutti gli
insulti che le
rivolgeva, Violet era affezionata a lei. O perlomeno attratta.
Quello che sapeva di loro
finiva lì e a dirla tutta, non che si fosse fatta tante
domande in merito.
A scuola i pettegolezzi su
di
loro erano ovviamente scoppiati dopo che si era sparsa la notizia del
suo
salvataggio ai danni di Allard. Erano scoppiati, espansi e poi spariti,
come
capitava quando si sceglieva oculatamente di non alimentarli. Ormai
neppure Mael
trovava materiale per sparlar di loro, si limitava a guardarle con
l’aria di
chi la sapeva lunga.
Violet non voleva che
facessero
niente in pubblico e a lei stava bene. Non era tipa da vivere in
simbiosi con
un’altra persona e trovava un po’ idiote le coppie
che sembravano vivere l’uno nella
bocca dell’altro.
Però
in realtà mi sa che sono io a non capirci niente,
altro che Mael.
Aveva finito per parlarne
con
suo zio Charlie: aveva eletto quel parente tanto simile a lei a
consigliere
personale sin dalla veneranda età di tre anni, quando le
aveva portato un libro
illustrato sui draghi guadagnandosi il suo amore imperituro.
“A
te piace questa ragazza Domi?”
“Sì,
te l’ho detto. È … buffa. Non
è come le altre, non
è mai noiosa.”
“E tu piaci a lei. Ma non state assieme.”
“No, perché …”
“Perché?”
“Eh,
boh. Che ne so. Il sogno di sua madre è vederla
sposata ad un Bel Purosangue di razza con un mucchio di Galeoni in
banca. Credo
che non abbia tutta ‘sta voglia di deluderla, ecco.”
Suo zio lì per
lì non le aveva
detto niente e dopo aver riflettuto un paio di giorni – non
era tipo da sparare
la prima cosa che gli veniva in mente tanto per farsi grosso di fronte
ai
nipoti, lei specialmente
– le aveva
consigliato di farsi la seguente domanda e rispondersi da sola.
Cosa
vuoi da Violet?
Cosa voleva. Piggie le
piaceva, si divertiva con lei. Victoire due anni prima le aveva detto
nero su
bianco di lasciarla perdere, ancor prima che il loro rapporto
tramutasse in
quello che avevano adesso. Ma non aveva senso. Si lasciava perdere
qualcosa che
non ti piaceva fare. Non qualcuno con cui ti piaceva stare.
“Dovremo
scendere.” La
riscosse l’altra, con le braccia incrociate al petto. Aveva
ancora le guance
rosse e i capelli scompigliati dal bacio. La fermò con una
mano quando tentò di
avvicinarsi di nuovo. “Dico sul serio, Nicky!” Se
la chiamava in quel modo le
passava la voglia di non darle retta. Curioso. “Sono venuta
alla festa di tua
sorella … non posso sparire per tutto il tempo!”
“Perché
no? Io lo faccio
sempre! Non è che mia sorella si strappi i capelli o che
… È letteralmente assalita
dalla gente che la festeggia, non
se ne accorgerà neanche!”
“Non è questo il punto, non è
così che si comporta un’ospite!” Ritorse
spazientita.
“Non puoi invitarmi alla festa e farmi stare nella tua
stanza. Le persone
potrebbero parlare … e ce ne sono decisamente di pericolose,
a quanto ho potuto
vedere.”
A
me però non frega niente di queste pericolosissime persone.
Si sentiva innervosita, e
questo non le piaceva. Forse era ancora il jet-lag o roba simile. Di
sicuro.
Doveva dormire di più, in quei giorni tra il sistemarsi,
recuperare familiarità
con Arod e star dietro al bisogno di Louis di averla di nuovo accanto
aveva
tralasciato di frequentare il suo letto. Fece una smorfia.
“Come ti pare. Se
vuoi andare, vai.”
“Come vai?” Sgranò gli
occhi. “Tu non vieni?”
“Non mi piacciono
gli amici di
V … e ora che lei e Teddy
si sono
mollati stare con loro è ancora più
palloso.” Si strinse nelle spalle e si
buttò sul letto sfatto. Doveva dargli una sistemata da mesi,
secondo sua madre.
“Vai pure, io resto qui.”
Violet sembrava aver la
faccia
di una che aveva una fattura sulla punta della bacchetta.
Aprì la bocca per
dire qualcosa, ma subito la richiuse. “Sei
impossibile!” Gridò prima di
lasciare la stanza e sbattersi la porta dietro.
Dominique
sospirò.
Che
casino che fa … Volevo solo passare un po’ di
tempo
con lei.
Si accorse in quel momento
che
era quello il motivo per cui aveva
invitato Violet, non ce n’erano altri.
Si ficcò il
cuscino sotto la
nuca e si impose di dormire, visto che quel jet-lag proprio non voleva
saperne
di passare. Del resto, si sentiva di cattivo umore come non mai.
****
Violet aveva voglia di dar
fuoco all’intera proprietà degli Weasley-Delacour.
Sì,
perché si sentiva
profondamente a disagio e un falò le avrebbe proprio calmato
i nervi.
A parte gli scherzi, a
disagio
si sentiva sul serio; dalla festeggiata era stata fornita di cocktail
con
ombrellino che lanciava piccole scintille magiche, ma il loro rapporto
si era
interrotto lì dato che Victoire era stata in seguito
trascinata via dalla moltitudine
di invitati che rideva, parlava, ballava e genericamente sembrava
spassarsela
un mondo.
Non conosceva nessuna di
quelle persone, per quanto alcune le avesse incrociate per anni in
Costa
Azzurra, dove aveva trascorso le vacanze durante il suo fidanzamento
con Allard.
Ma era il genere di gente che non andava a genio a sua madre
– nuovi ricchi o parvenu,
come amava chiamarli. Vide tra
di loro anche star del Quidditch e attori di teatro.
Gentaglia,
tesoro, gentaglia…
A Violet in
realtà sembravano
tutto fuorché quello; gli amici della sorella di Dominique
sembravano semplicemente
persone capaci di godersi la vita senza farsi troppo fisime.
Sicuramente
non sono Purosangue.
Si sentì dare un
colpetto sul
fianco e si voltò pronta ad incenerire il villano che aveva
osato toccarla in
un punto così poco decoroso.
Si trovò di
fronte il sorriso
bianchissimo del fratellino di Dominique, Louis. Aveva persino
più lentiggini
della sorella e i capelli rossi come se fossero stati infilati nella
lava.
L’espressione beffarda però era tutta di
Dominique, anche se declinata in una
monelleria che dovevano avergli detto fosse irresistibile a giudicare
dalla
sicurezza con cui la ostentava.
“Ciao
Violet!” Esclamò dandole
del tu come se si parlassero da anni. “Come mai stai da
sola?” La domanda
esprimeva tutta l’ingenuità dei suoi dodici anni e
non se la sentì di esser sarcastica.
“Non conosco
nessuno.” Fece
spallucce come se non ci fosse una moltitudine di gente attorno a lei a
cui si
poteva presentare tranquillamente.
“Dov’è
Domi?” Nervo scoperto.
Violet serrò le labbra e il ragazzino, stranamente, parve
capire l’antifona.
“Ah, ti ha lasciata sola, eh? Ma non te la prendere, a volte
fa così, le feste
di Vicky non le piacciono.” Dal nulla tirò fuori
una singolare aria da uomo di
mondo. “Ti faccio compagnia io, bellezza!”
Bellezza?
Violet non poté
fare a meno di
mettersi a ridere. Non con cattiveria però,
perché chiunque avesse detto a quel
nanetto che aveva un faccino irresistibile aveva avuto ragione in
pieno.
Registrò il fatto
che, come Dominique,
non sembrava particolarmente turbato dalla sua ilarità.
Quegli Weasley avevano
una faccia di bronzo invidiabile.
“Ti rivolgi
così a tutte le
amiche di tua sorella?”
“Nah, solo a
quelle carine!”
Ghignò con aria saputa. “Tu sei la più
carina, lo dice anche lei!”
Violet arrossì a quel complimento indiretto, anche se non
riusciva ad
immaginare Dominique che le faceva un apprezzamento del genere, nemmeno
sotto i
fumi del Veritaserum.
“E che altro dice
di me?”
Louis si strinse le spalle,
ficcandosi in bocca una tartina appellata dal vassoio di un cameriere
vicino.
“Non tanto, non è che sia una chiacchierona, se
non si tratta di parlare di qualche
bestia strana.” La guardò da sotto in su.
“Ti va di essere la mia dama stasera?
Io sono bello, tu sei bella. Saremo una coppia perfetta!”
Però,
a sfacciataggine è un campione.
Violet non si sentiva
particolarmente irritata però. La verità era che
star sola ad una festa di
estranei era una delle cose più mortificanti al mondo, e
persino quel ragazzino
impertinente poteva trasformarsi in un’ancora di salvezza.
E
poi pare che Dominique con lui parli.
Gli sorrise prendendogli la
mano che gli porgeva fiducioso. O sicuro di sé. Con gli
Weasley-Delacour il
confine era molto sottile, l’aveva imparato per esperienza.
“Con molto
piacere.”
Parlare con Louis, un
dodicenne che si credeva un piccolo dio sceso in terra, era stato
più
divertente del previsto. Il piccoletto era un intrattenitore nato, ed
esser
nato con due sorelle doveva averlo temprato agli atteggiamenti
femminili.
Violet si era lasciata rifornire di tartine e cocktail e aveva
ascoltato il suo
fiume di chiacchiere, metà in francese e metà in
un inglese del tutto
approssimativo.
“Sei sicura che
non vuoi
essere la mia ragazza?” La apostrofò per forse la
decima volta. “Ti tratterei
bene!”
“Ne sono certa.” Bevve un sorso dal suo Melatini.
Era un cocktail babbano –
cos’altro poteva esser servito ad una festa a maggioranza
Mezzosangue? – ma anche
maledettamente delizioso. “Hai dodici anni.”
“Ma crescerò!” Fu la rapida risposta,
mentre si dondolava sulla staccionata a
cui era appoggiati i tavoli di cibarie. “Se è
l’età un problema puoi sempre
aspettarmi!”
“E non
crescere?”
“Aspettare che
cresca io!”
Fece un sorriso furbo. “Sarò ancora meglio tra un
paio d’anni!”
Violet ridacchiò.
Tutti quei
cocktail le avevano fatto un po’ girare la testa, ma essendo
abituata a dover
gestire i molti drink offerti alle serate in cui sua madre la
trascinava
riusciva comunque a mantenere un contegno decoroso.
Certo
che non è proprio il massimo esser brilla e farti
tener compagnia da un dodicenne ad una festa di sconosciuti a
maggioranza Nati
Babbani e Mezzosangue … Cosa penserebbe tua madre? Cosa
penserebbero Jenny e le
altre?
Fece una piccola smorfia,
affogandola nel sapore dolce del suo calice.
È
colpa di quella bifolca. Se fosse stata qui…
“Stai bene,
Violet?” Le chiese
il ragazzino con aria preoccupata. Non si era accorta di aver
atteggiato il
viso alla sua classica smorfia infastidita.
“Sì,
certo.” Tentò un sorriso,
vedendo Mael Delacour guardarla da lontano e parlottare a bassa voce
con altri
tipi.
Come
se non mi accorgessi quando qualcuno sparla di me…
Principianti.
“Vuoi Domi,
vero?” Louis fece
un lungo sospiro teatrale. “È ovvio che la mia
dama non pensa a me!”
Violet presa da uno strano
moto di tenerezza – non era mica di pietra come vociferano
quelli come Mael! –
gli arruffò i capelli fulvi. “Sono qui e non con
altri ragazzi, no?”
Louis fece un gran sorriso.
“Vero!” Guardò verso casa sua e, ad
occhio e croce, verso la stanza della
Bifolca. “Non so che le sia preso … Di solito poi
scende, anche solo per far
piacere a Vicky.” Borbottò.
Violet sorrise.
“Ti piace tua
sorella, eh?”
Louis annuì con
entusiasmo
genuino, dimostrando che dietro tutte quelle maniere da piccolo
Casanova
rimaneva un dodicenne come tanti. “Sì,
è la migliore sorella del mondo!” Le
assicurò. “Le voglio tanto bene!”
Violet pensò improvvisamente al bambino in arrivo a casa
sua; sarebbe riuscito
ad amarlo con la semplicità con cui i fratelli Weasley si
volevano bene?
Dubitava. Avrebbe voluto, ma le mancava il requisito principale per
essere una
buona sorella maggiore.
La
mancanza di invidia? Che diciamocelo, Violet, è
decisamente il tuo peccato capitale.
L’invidia era il
motore ultimo
di molto di ciò che provava. E non poteva dire di non
provarla anche per quella
famiglia perfetta.
Altro
che la mia. Una vedova che sta sposarsi già
incita e una figlia a cui piacciono le donne.
“Sarà
ancora stanca per il
viaggio, scenderà.” Lo consolò poco
convinta mentre una fitta di ansia le
contorse lo stomaco. Della Weasley si potevano dire molte cose, ma non
che
fosse viziata. Aveva un buon carattere. Eppure quel giorno si era
comportata in
modo scortese, brusco e sopratutto menefreghista.
Che
diamine le è preso?
Non poteva mettersi a
decifrare anche i malumori di Dominique, oltre quelli di sua madre. Era
troppo.
“Non è
il viaggio…” Scosse la
testa il ragazzino. “Cioè forse, anche, ma secondo
me è quell’altra
cosa…”
Violet batté le palpebre. Che altro si era inventata quella
testa platinata?
“Quale altra
cosa?”
Il ragazzino la
guardò
stupito, quasi non si aspettasse di vederla completamente ignara.
Non le piacque. Affatto.
“Beh, ma che Domi
si candida
al Torneo Tremaghi quest’anno, no?”
La porta della sua camera si
aprì di schianto. Dominique, immersa nel dormiveglia,
scattò a sedere sul materasso
pronta a qualsiasi evenienza, da sua sorella pronta a trascinarla per i
capelli
alla festa alla fine del mondo.
Che
è più o meno la stessa cosa.
Certo non si sarebbe
immaginata di trovarsi di fronte Violet che la guardava come se volesse
darle
fuoco con un Incendio. Ed era
diversa
dalle solite occhiate che le lanciava. Stavolta sembrava infuriata sul
serio.
E
ora che ho fatto? Dormivo!
“Quando avevi
intenzione di dirmelo?”
Le sbraitò contro senza darle il tempo di emettere un suono,
o tantomeno una
domanda.
“Eh?” Le
uscì poco
intelligentemente. Ma non era colpa sua se l’altra parlava
per enigmi. “Di che
parli?”
“Sai benissimo di
che sto
parlando!”
“No?” Batté le palpebre confusa. Per lei
le ragazze erano davvero uno strano
mondo. Sapeva di appartenervi, naturalmente, e per alcuni versi
preferiva di
gran lunga il suo sesso a quel caos rumoroso e poco sveglio che era
l’universo
maschile. In alcune cose si sentiva irrimediabilmente donna. Ma il
sottointeso
– arte muliebre secondo sua sorella – le sfuggiva.
O forse era proprio Piggie
che
non capiva.
“Il
Tremaghi!” Sbottò. “Il
dannatissimo Tremaghi che è stato rimesso in piedi
quest’anno! Quel Torneo con
tre prove, tre maghi, tre scuole e il trecento per cento di
possibilità di
essere ammazzati!”
“Ah,
quello.” Capì finalmente.
Sospirò, perché a lei era sembrato talmente
naturale pensare ad iscriversi che
aveva deciso nel giro di una giornata.
Dopotutto
mamma è stata una Campionessa.
Non aveva la certezza
matematica che sarebbe stata scelta per concorrervi, di più.
Era la migliore
della sua scuola, i Galeoni in premio erano tanti e già
sapeva come li avrebbe
spesi.
I
miei primi soldi, senza che peschi da cassaforte dei
miei.
“Perché
sei arrabbiata?” Si
strinse nelle spalle. “Comincerà tutto a Ottobre,
anche se le selezioni…”
“Dovevi dirmelo!” Ripeté come se fosse
quello il punto focale dell’intera
faccenda. Forse lo era. Anzi, a giudicare dall’espressione
dell’altra lo era di
sicuro. “Sono venuta a saperlo da tuo fratello!”
“Beh,
bene.” Replicò cauta. Le
sembrava di maneggiare un uovo di drago di fronte a Mamma Drago. Un
passo falso
e sarebbe stata divorata. “Senti, ma che te lo dicessi oggi o
tra un mese,
quando inizierà la scuola e sarà tutto
più concreto, mi dici cosa cambia? Forse
è meglio dopo, no?”
“Dovevo essere la
prima a
saperlo!”
“Perché?”
Violet alla sua domanda
ammutolì di colpo, boccheggiando. Chiaro come il sole che
non sapesse quale
Snaso avesse l’oro⁵. Aveva però anche
un’aria ferita, da come si mordeva il
labbro e si fissava le scarpe.
“Perché
… perché … beh,
pensavo ci tenessi a me!” Si risolse a dire con tono
rabbioso.
Dominique sapeva di dover
fare
qualcosa di fisico, che le riusciva
meglio esprimersi in quel modo che mettersi a fare lunghi discorsi
sentimentali. Complice però l’irritazione che
continuava a sobbollirle dentro
come un brutto, brutto magma, non si mosse dal letto.
“Ci tengo a
te.” Disse invece.
“Ma non capisco questo cosa c’entri nel dirlo prima
a te o qualcun altro. Ne ho
parlato alla mia famiglia solo perché volevo evitare che a
mia madre o a Vì
prendesse un infarto … e poi volevo il loro
appoggio.”
“E non vuoi il mio?”
Cosa
vuoi da Violet?
La voce di suo zio Charlie
le
si conficcò nelle sinapsi, pacata e piena di una
verità che non riusciva ad
afferrare. Dominique si sentì improvvisamente sopraffatta,
ed era la prima
volta che provava quella sensazione di soffocamento. Non le piaceva.
Non capiva cosa avesse
voluto
intendere suo zio, non capiva le occhiate preoccupate di sua sorella
né quando
Mael le chiedeva ansioso se fosse proprio sicura di voler avere a che
fare con
la Parkinson-Goyle, quella stronza.
Per finire, non capiva
Violet.
Voleva i suoi baci, le sue carezze, ma poi, uscite dalla radura degli
unicorni
o dalla sicurezza di un posto con nessuno attorno, la respingeva.
Voleva delle
cose da lei, ma poi non sapeva spiegarle perché le volesse.
Che
diavolo.
Era tutto troppo stancante,
e
rimpiangeva quando la cosa più complicata a cui doveva
pensare erano i compiti
Aritmazia.
Tuttavia c’era una
parte di sé
che non voleva che Violet avesse quell’espressione ferita.
Quando stava con lei
sentiva che doveva proteggerla. Da cosa non ne aveva idea ora che
Allard era solo
un brutto ricordo, ma quella sensazione era lì e non se
n’era più andata.
Manco
adesso.
“Se vuoi darmi il
tuo
appoggio…” Tentò.
“… non è che mi spiace, ecco.”
Non era la risposta giusta, lo capì subito da come
l’altra fece una smorfia.
“Così
non va.” Disse a bassa
voce. “Dominique, non … non funziona.”
Cosa?
Batté le palpebre
senza sapere
cosa rispondere. Forse sua sorella l’avrebbe saputo, forse
Mael. Lei proprio
no.
“Te ne vai per
più di due
mesi, non mi mandi neanche una lettera e poi … non mi fai
sapere niente delle
tue decisioni! Questa è una cosa importante, un torneo
interscolastico, fuori
dalla Francia! Starai via tutto l’anno se verrai messa nella
delegazione dei
Campioni, lo sai?” Stinse la stoffa di quel bel vestito tra
le dita,
spiegazzandolo. Non pareva le importasse. “Non
funziona.” Ripeté.
“Ma
cosa?”
“Noi due!”
Sbottò di colpo. Ispirò
bruscamente e le vide qualcosa tremare e luccicare sulle sue lunghe
ciglia
nere. Non le piaceva vederla piangere, la faceva sentire
un’idiota incapace. Il
che era semplicemente intollerabile dal suo punto di vista.
“Siamo noi due che
non
funzioniamo… Non riusciamo a stare dieci minuti senza
litigare, siamo troppo
diverse. E poi, anche volendo, non…”
A me piace litigare con te.
Però forse quella
non era cosa
da dire. Processò l’ultima frase, e
ricordò cosa avesse detto a suo zio
Charlie. “E poi non potremo stare assieme sul
serio?” Le suggerì. “Questo non
dipende da me o dalla mia famiglia. Ma dalla tua.” Ritorse e
percepì una vaga
nota soddisfatta nella sua voce. Tutte quelle sensazioni la facevano
sentire
come se qualcuno la stesse scrollando tenendola per i piedi.
Rimpiangeva la solitudine
dei
Carpazi. Lì non c’era niente che la facesse
sentire così incasinata dentro.
Negli occhi di Violet
passò un
lampo cupo. “Grazie per avermelo ricordato.”
“Non c’è di che.”
Replicò. “Allora, beh. Se non funzioniamo
pazienza. Ci
vediamo a scuola.”
Stavolta l’altra
impallidì
talmente tanto che credeva sarebbe svenuta. Di nuovo quella fitta di
dispiacere
e desiderio di mettere le cose apposto.
A
posto cosa, poi?
Violet le voltò
le spalle e
corse via, senza neanche premurarsi di chiudere la porta.
Sentì poi lo schiocco
di una Smaterializzazione al piano inferiore. Se n’era andata.
Quindi
è così che si mollano le persone …
Dopo un tempo che le parve
piuttosto lungo, tanto che il sole era tramontato dietro le colline,
vide sua
sorella stagliarsi contro lo stipite della porta.
“Dov’è
la tua amica?” Le
chiese. La guardò bene in viso e dovette notare qualcosa
perché se la trovò immediatamente
seduta sul ciglio del letto. “Cos’è
successo?” Le chiese con singolare tono
d’urgenza nella voce.
“Abbiamo deciso
che non
andava.” Riassunse, dato che non era mai stata brava nei
racconti.
Dovette bastare
perché
Victoire si morse le labbra. “Ma stavate assieme
allora?”
“No.”
Era la verità, ma non le
piaceva dirla, il che era bizzarro perché la
verità non le aveva mai fatto
niente di male. Fino a quel momento.
Sua sorella si sporse per
toccarle il braccio. Lo ritrasse. “Ne vuoi parlare?”
“No.”
V non era una
stupida. Quando era ad Hogwarts era stata smistata a Corvonero, la casa
dei
cervelloni per eccellenza. Era una tipa dritta, dietro tutte quelle
moine e
sfarfallii di ciglia. Ma
soprattutto,
sapeva quando starsene zitta. Si chinò per darle un bacio
sulla tempia, come
ormai nemmeno la loro comune madre si azzardava a fare.
Trovò quindi giusto
punirla buttandola quasi a terra per abbracciarle la vita e seppellirci
il
viso: la seta del suo vestito all’ultima moda profumava del
suo costosissimo
profumo da cento galeoni a goccia, ma di fondo c’era
l’odore di sua sorella,
familiare e quindi tranquillizzante. Victoire non protestò.
“Domi…”
Sospirò invece accarezzandole
le spalle. Non si abbracciavano da quando erano bambine, ma Dominique
scoprì
che non era cambiato niente. “ … Andrà
meglio, te lo prometto. Fidati, che di
relazioni fallimentari ne so più io che tu con i tuoi
lucertoloni.”
“Questo proprio
no, sorella.
Mi sento insultata.”
“Ad ognuno il suo
campo,
sorellina. Sta’ zitta e fatti consolare.”
Dominique stavolta non trovò nulla da ribattere.
****
Note:
No, ma si comincia bene! :D
A parte gli scherzi, abbiate fiducia, siamo solo all’inizio,
e chi ha letto
Ab
Umbra Lumen sa come va’ a finire quindi
… Godetevi il viaggio! Il favoloso banner, mi preme dirlo, è stato realizzato dalla favolosa Daphne Kerouac, la stessa che ha curato il banner della mia pagina autore. Grazie girl!
Qualche precisazione: questa
storia può essere letta solo come seguito di Dom
is not a boy’s name che fa parte a sua
volte della Doppelgaenger’s
Saga, nome altisonante per designare la mia grave
forma di
grafomania.
Per la canzone qui.
1. Alta
Normandia: regione della Francia settentrionale. Il suo
capoluogo è Rouen, altra città importanti sono Le
Havre e Evreux. Le coste a
Nord sono bagnate dal Canale della Manica.
Ho pensato che molto
probabilmente i Goyle, se hanno mai avuto proprietà in
Francia, le abbiano
avute quanto più possibile vicino all’amata
Inghilterra. E alla stessa Madame
Pansy non sarà dispiaciuto vedere
le coste di Albione dalle finestre di camera sua. ;)
2. Bocche
del Rodano: dipartimento (in italiano sarebbe provincia)
della regione
Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Tecnicamente la Provenza a cui si
riferiscono
spesso Teddy e gli altri non esiste più, in quanto ai nostri
giorni la Francia
è divisa (dai babbani!) in tutt’altro modo. Come
ben si sa, i maghi rimangono
sempre un po’ indietro rispetto ai cambiamenti geo-politici
dei babbani.
Per maggiori informazioni
sulle mie pippe mentali in merito
qui una comoda mappina data da quella cosa
meravigliosa che è Google
Maps. Ho abbozzato anche dove potrebbe essere Beaux Batons e la Riserva
dei
Draghi, ma non fateci troppo affidamento.
3. Granian
(o Granio): razza di cavalli alati della stessa taglia dei
loro cugini in uso trai babbani. L’unica differenza, a parte
le ali, è la
velocità che possono raggiungere in volo, molto elevata. Il
colore del mantello
è grigio, e Dom ne possiede un esemplare, maschio da quando
ha dodici anni.
4. Patente:
si riferisce alla Patente che deve essere richiesta per la
detenzione del suddetto all’Ufficio Creature Magiche del
Ministero di
riferimento, in questo caso francese. La patente è
necessaria per poter tenere
varie razze di animali magici, dal Crup all’Ippogrifo e viene
rilasciata dopo
che il mago o la strega ha dimostrato di sapersene prendere cura e,
soprattutto, di saperlo occultare agli occhi dei Babbani con un
Incantesimo di
Disillusione, da applicare quotidianamente.
Probabile che Dominique
l’abbia ottenuta più tardi dei suoi dodici anni, e
prima fosse affidato ai
genitori. (Info su ‘Gli animali
fantastici: dove trovarli’)
5. Non
sapeva quale Snaso avesse l’oro: versione magica
(da me
inventata) di ‘non sapeva che pesci prendere’.
Questa invece è
l’aquila che ha come famiglio. Questa
particolare razza di aquile è famosa per essere adatta alla
falconeria e per la
sua fedeltà al padrone.
Per il nome del pennuto
invece
dovrete ancora aspettare, perché sì, ha un
significato. ;)
(No, non c’entra
niente
l’omonima città.)
|
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Capitolo 2 *** Unless // Capitolo II ***
And through a fractal on that breaking wall, I
see
you, my friend, and touch your face again.
Miracles will happen as we trip, but we're
never gonna survive, unless we get a
little crazy.
(Crazy, Alanis Morrisette)
1
Settembre 2023
Provenza,
Accademia di Magia Beaux Batons
Salotto
dei Prefetti.
I soffitti stuccati di
Beaux-Batons erano famosi in tutta la Francia magica. Gli archi
giganteschi si
aprivano su un trionfo marittimo di onde e sirene,
quest’ultime più simili
all’immaginario babbano che alla realtà magica.
Violet le aveva trovate sempre trovate
infantili, ma belle.
La saletta in cui si
riunivano
i Préfets ad ogni
inizio dell’anno per
decidere la scaletta scolastica aveva quel tipo di affreschi e in
più, grandi
finestre luminose che davano sul lago opposto alla foresta incantata.
Essendo
stata la prima ad arrivare si sedette su una delle poltroncine,
anch’esse d’oro
e bianco laccato – i colori primari della scuola oltre
l’azzurro – e aspettò.
Non aveva più
sentito
Dominique e davvero, stavolta andava bene così; non poteva
dire di non aver
provato a seguire il suo cuore ma, come diceva sempre sua madre,
seguirlo non
le aveva portato che seccature.
Dispiaceri.
Grane. Rabbia.
Serrò appena le
labbra,
lisciandosi la gonna dell’uniforme e trovando conforto nella
seta che la vestiva;
Dominique era adatta ad una relazione quanto un cavallo a sedere ad un
tavolo
durante un brunch.
Stupida
io a pensare che avrebbe potuto funzionare…
Ad ogni buon conto, la
scuola
era iniziata da una manciata di ore e non l’aveva ancora
vista. Non era
difficile evitarla, se voleva. Facilissimo in realtà. Non
era la prima volta
che la cancellava dalla sua vita, ma sarebbe stata l’ultima.
Tra
meno di un anno finiremo la scuola, e chi la
rivedrà più? Se ne andrà in Romania ad
accudire i suoi mostri alati.
Sentì la porta
aprire e
chiudersi e alzò lo sguardo, ricomponendosi. Fu una buona
pensata perché si
trattava di Mael Delacour, che si guardò attorno prima di
individuarla e
lanciarle un’occhiata cauta.
“Oh, Violet,
buongiorno.” Non
si addentrò nei convenevoli, e lo apprezzò. Non
che fossero amici. “Ci siamo
solo noi?”
“A te, Delacour.
È presto,
alcuni saranno staranno ancora disfacendo i propri bagagli.”
Replicò prima di
fingere che la sua entrata fosse stata del tutto ininfluente e
riportare la sua
attenzione oltre le finestre, sul lago.
Mael si sedette di fronte a
lei, togliendo una pergamena e la propria piuma dalla borsa. Lo
sentì poi schiarirsi
la voce nel tentativo di stabilire un contatto visivo: voleva parlarle?
Lo
ignorò. Una cosa erano i convenevoli, un’altra una
vera conversazione.
Scoprì che era
meno facile del
previsto; i due cugini dall’eredità Veela erano
distanti come il giorno e la
notte, in quanto ad atteggiamento e obbiettivi futuri, ma si
somigliavano nel
portamento e in certe espressioni.
Faceva male.
“Cosa
vuoi?” Lo apostrofò. Mael
scrollò le spalle. Sembrava la stesse studiando,
l’idiota.
“Nulla in
particolare.”
“Sei un pessimo bugiardo, Delacour.”
Ribatté infastidita. “Non mi stupirei se
ci fossi tu dietro il ritardo degli altri.” Alla sua
espressione sconcertata,
inarcò le sopracciglia. “Siamo sicuri che
l’ora dell’appuntamento fosse questa?
Perché chi me l’è venuta a riferire era
uno dei tuoi amichetti. Non era Leroux?
Sebastien?”
Mael arrossì, colto, come si soleva dire, con la mano sulla
bacchetta. “Io… oh,
va bene!” Sbuffò. “Sai di che si
tratta!”
“No, illuminami.” Si appoggiò meglio
alla sedia, anche se una morsa le
stringeva lo stomaco. I due cugini erano molto vicini, per quanto
sembrasse
assurdo che un tipo schizzinoso come Mael si accompagnasse ad una
scalmanata
come la Weasley. Non era passato neppure un mese dalla loro rottura, e
c’era
una parte di lei che sperava che quel tipetto lezioso si fosse
impicciato dei
loro affari.
Così
saprò come sta. Non che mi importi. Affatto. Solo
per sapere se glien’è importato qualcosa.
“Si tratta di
Dom.” Un piccolo
moto di soddisfazione le scorse quietamente dentro. “Voi
… Insomma, cosa…?”
Balbettò, aggrottando le sopracciglia. Quindi non sapeva.
Era una fortuna che
Dominique avesse tenuto il segreto, ma al tempo stesso Violet se ne
dispiacque.
Sei
stupida? È molto meglio che il vostro flirt sia
nato e morto senza nessun testimone.
Hai
idea di cosa succederebbe se uno come Mael sapesse
che ti piacciono le ragazze? Sua
cugina poi?
“Perché
non lo chiedi a lei?
Tra poco dovrebbe esser qui.” Lo stuzzicò sapendo
di fare un gioco pericoloso. Sentiva
uno strano scontento dentro da quando aveva abbandonato la casa degli
Weasley.
Neppure indossare di nuovo
l’uniforme e rivedere le amiche lo aveva scacciato. Era un
inquietudine
sottile, che le scorreva sottopelle senza tregua e ogni tanto
esplodeva,
facendole prendere decisioni discutibili come alludere a qualcosa che
avrebbe
in realtà dovuto nascondere.
“Si è
ritirata dalla carica.”
La sorprese. “Con il fatto che vuole concorrere al Tremaghi
non avrà tempo per
occuparsi di altre faccende, specie se se ne andrà via per
tutto l’anno
scolastico.”
Violet cercò di dominare la mortificazione. Anche quella
volta, aveva saputo
delle intenzioni della Weasley solo a decisioni prese.
Però
stavolta ha tutto il diritto di non mettertene a
parte. Non siete più niente.
“E tu? Pensavo
fossi nella
rosa dei candidati. Ti sei già arreso?”
“Tengo aperte le
mie
possibilità. Non punto su un solo cavallo.”
Replicò con una lieve smorfia. “E
non posso rinunciare ad una carica come questa. Non ho certezze che
verrò
scelto. Dom invece…”
Rimasero in silenzio, perché non c’era bisogno di
dire altro.
Dominique
si è messa a giocare alla roulette rossa con
il suo futuro. L’idiota.
Ma era proprio quello a
renderla tanto affascinante.
“Cos’è
successo tra te e lei?”
Il ragazzo si fermò, quasi ripensandoci. “Cosa
succede tra te e lei da sette anni?
È chiaro che ci sia
qualcosa.”
“Ed è chiaro che non siano affari tuoi.”
Rimbeccò incrociando le braccia al
petto.
Stupida,
stupida. Si accorgerà che ti stai mettendo
sulla difensiva.
Mael si morse
l’angolo di un
labbro. “No, è vero.” Ammise stupendola.
“Ma Dominique è mia cugina, e mi sono
sempre preoccupato per lei. Non è che abbia molta coscienza
di sé, e di solito
va bene, ma …” Indurì improvvisamente
lo sguardo, in un’espressione che non gli
aveva mai visto addosso. Sembrava quasi un maschio.
“Se le hai fatto qualcosa…”
Io? Io le
ho fatto qualcosa?
Violet rimase in silenzio,
ingoiando il grumo di rabbia che le bruciava in gola: quando vivevi fin
dall’infanzia con bene in mente che non
era
appropriato esprimere emozioni, imparavi a farlo sul serio.
“Weasley mi sembra
il genere
di persona in grado di badare a se stessa, a tua differenza.”
Ritorse salace. “A
che tacca della cintura sei arrivato? Dovresti chiedere una medaglia al
Ministero per la costanza con cui cambi letto senza mai aver contratto
qualcosa
di spiacevole tra le lenzuola.”
Mael avvampò di
rabbia e fece
per ribattere, ma entrarono gli altri Prefetti a rompere
l’idillio.
Violet li salutò
meccanicamente; se Delacour aveva intuito qualcosa, non era grazie a
Dominique.
Dubitava che quella sciroccata si fosse lamentata con il cugino una
sola volta
in vita sua, specialmente su una ragazza. L’altro doveva aver
fatto due più
due, rendendosi conto che faceva quattro.
La
vostra improvvisa amicizia, il fatto che sei stata
invitata alla festa di sua sorella e che poi l’hai
abbandonata in tutta fretta…
Avrebbe dovuto essere
terrorizzata all’idea che Delacour sapesse, ma non lo era. Lo
sarebbe stata,
forse, quando avrebbe finito di sentirsi il cuore a pezzi.
La
dimenticherai. Il mondo è pieno di ragazze che ti
capiranno alla perfezione e con cui avrai un rapporto splendido, sereno
e al
sicuro dagli occhi e dal giudizio di chicchessia.
Ragazze
che, come te, sanno apprezzare il valore della
discrezione e della muta compagnia. Non bifolche che ti considerano
materiale
buono solo per sfogare qualche istinto confuso.
Perché era chiaro
che la
Weasley fosse consapevole del proprio orientamento sessuale come un
Troll era
consapevole che la Francia magica era governata da un presidenzialismo.
Era un pensiero che aveva
fatto spesso in quel periodo. Avrebbe dovuto tirarla su di morale e
invece
aveva ottenuto l’effetto contrario. Così aveva
smesso di pensarci e si era
immersa a piene mani nei compiti che ci si aspettavano da lei; figlia
devota, studentessa
diligente, amica pettegola e stronza di rara levatura.
Eppure
…
Eppure aveva la sensazione
di essere
costretta, come un piede dolorante
in
una scarpa non della sua taglia.
Dominique
ti ha fatto camminare a piedi nudi. Sembrava
scomodo, ma ora è peggio, vero?
Ascoltò a
malapena la
riunione. Sapeva che sarebbe dovuta intervenire per evitare colpi di
testa
troppo Babbanofili, specialmente nella scelta del tema di Natale.
Sapeva che doveva infilarsi in una
fastidiosissima diatriba
con Delacour e un’agguerrita minoranza che avrebbe sostenuto
che era arrivato il
momento di aggiornarsi.
Non fece nessuna di quelle
cose, e poté percepire le occhiate piene di stupore da parte
degli altri.
Non le interessava. Pensava
piuttosto all’ultima conversazione avuta con sua madre prima
che partisse.
“Hai
scritto a Scorpius?”
“…
Sto aspettando la sua risposta.” Non era vero, e si
era segnata mentalmente di scrivergli quella sera stessa. Del resto
aveva avuto
ben altro da fare in quei giorni. Come piangere tutte le sue lacrime
sulla
rottura della storia più sbagliata del mondo magico e, aveva
idea, pure di
quello babbano.
“Ho
avuto modo di sentirmi con sua nonna, Lady
Narcissa. Mi
ha detto che al momento non è promesso a nessuna. Ti ho
già dato la sua foto?”
“Sì,
mamma.”
“È davvero un bel ragazzo, e i suoi genitori sono
miei amici di lunga data. Una
bella famiglia, solida, la più antica della
nobiltà magica britannica. Secoli
di storia e di sangue puro, Violet. Scorpius, poi, è
l’unico erede. Sarei
felice se diventaste intimi nei prossimi mesi.”
“Mamma…” Non aveva potuto metterla
più chiara, almeno in termini Purosangue.
Persino
sua madre si era resa conto di essersi spinta
troppo in là con le allusioni, perché le aveva
sorriso. “Non sto dicendo nulla,
tesoro. Solo che dopo la delusione che abbiamo avuto con Allard quello
che ti
ci vuole è un corteggiatore che te lo faccia dimenticare. Un
po’ di civetteria
fa’ sempre sentire meglio una ragazza, no?”
Non
va affatto bene…
Aveva spedito quella lettera
ma non le importava nulla di ricevere la risposta. Era certa che
dall’altra
parte c’era un ragazzo altrettanto risentito, costretto dai
propri parenti a
comporre complimenti affettati e domande sterili.
Le dava la nausea.
Si riscosse di colpo quando
sentì la porta aprirsi e il familiare rumore di tacchi
schioccanti irrompere
nella saletta. Si alzarono tutti all’entrare della Preside.
“Seduti
ragazzi.” Si sedette a
capo del tavolo mentre uno dei ragazzi le scostava la sedia, alta quasi
il
doppio di lui. “Il verbale della riunione?”
“Eccolo Madame.” Rispose sollecito
Mael, allungandoglielo: in quanto
segretario spettava a lui il compito di portare su pergamena le loro
decisioni.
La strega inforcò
gli occhiali
e lessò con attenzione ogni singolo intervento e proposta.
Violet la ammirava
per l’impegno indefesso con cui non delegava mai, ma agiva
sempre in prima
persona. Quella sarebbe stato la prima volta in decenni in cui avrebbe
lasciato
l’Accademia nelle mani dei docenti e si vociferava che stesse
lavorando dall’anno
prima perché nulla fosse lasciato al caso durante la sua
assenza.
“Bene, non ho
nulla da
obbiettare.” Disse infine. “Leggerò con
più attenzione e vi farò avere una nota
per la prossima riunione.” Soggiunse, ridando la pergamena a
Mael. “Adesso, una
questione di ordine pratico. Come sapete, quest’anno
parteciperemo al Torneo
Tremaghi.” Quietò con un immediato cenno il
levarsi di mormorii eccitati. “Per
quanto riguarda la selezione interna dei Campioni, la scelta
è già stata presa
e vi verrà comunicata questa sera in refettorio.”
Si sono candidate solo la Weasley e
quella lagna dell’Azoulay, più qualche idiota
accecato dalla fama e poco
realista sulle sue possibilità. Non c’è
neppure, una competizione.
“Per la scelta
degli
accompagnatori invece…” E qui lasciò
correre uno sguardo complessivo su tutti
loro, la rosa degli studenti meritevoli. Poco importava che
metà di loro
avessero aspirato alla carica solo per poter indossare la spilla dorata
e
farsene bello agli occhi degli altri. “ Vorrei che
consideraste seriamente alla
possibilità di far parte della delegazione. Siete gli
studenti migliori della
scuola, ed è questa l’immagine che vogliamo
portare ad Hogwarts.”
Tutti si dissero
d’accordo ma
alcuni, dagli sguardi che si lanciarono tra di loro, erano ben poco
felici di
esser messi di fronte ad una scelta che, se declinata con un
sì avrebbe portato
a mesi lontano dalla Francia.
Sì,
davvero difficile scegliere tra la comodità
dell’Accademia e l’ignoto di una gelida scuola
scozzese. Chissà se usano
pellicce e clave per agghindarsi…
“Conti
già il mio assenso, Madame.”
Esordì Mael, presto seguito da
un paio d’altri Prefetti. Ma Violet non si sbagliava, la
preside guardava
soprattutto nella sua direzione.
Comprensibile,
pensò compiaciuta, sono il
vessillo di
Beaux-Batons, in quanto ad eleganza, portamento ed eloquio …
Poi si rese conto che si
stava
incensando da sola come avrebbe fatto precisamente Dominique. Fece una
smorfia
e sospirò. “Madame,
alcuni di noi
devono consultarsi con i propri genitori prima di prendere decisioni
del
genere.” Ci furono un paio di vigorosi assensi da parte del
lato Purosangue del
tavolo. “Può darci un paio di giorni per attendere
le loro risposte?”
“Non
più tardi di domani.” Fu
la replica netta. “La nostra delegazione partirà
la mattina del tre.”
Due giorni. Perché i Campioni del
Torneo
possono avere mesi per decidere e
noi
solo quarantotto ore?
Poi capì: il poco
tempo era
dovuto al fatto che nessuno, oltre agli aspiranti Campioni, si era
proposto di
partire.
E
chi avrebbe voglia, ripeto, di lasciare la
meravigliosa Francia per l’inospitale, arretrata, Scozia?
Per
far da bella statutina, poi.
In ogni caso anche se aveva
ottenuto un giorno per rifletterci, da parte sua la decisione era
già presa.
Non le sarebbe servivo scrivere a sua madre per sapere la sua opinione
– o
meglio, per sapere come si doveva agire in merito.
Ad
Hogwarts c’era Scorpius Hyperion Malfoy.
****
“La carrozza
è una figata
atomica, Domi!”
Qualsiasi cosa Louis volesse
dire con figata atomica, rendeva
bene
l’idea. Dominique alzò lo sguardo verso la
carrozza gigante a forma di casa o
la casa a forma di carrozza gigante, era indecisa tra le due
terminologie. Con
quella avrebbero viaggiato fino alla Scozia e in quella avrebbero
dormito per
tutta la durata del Tremaghi.
Un po’ le
dispiaceva, perché a
sentire Victoire, Hogwarts era un posto da paura in cui vivere e
aggirarsi.
“Sì Lu, proprio una roba del genere.”
Convenne arruffando i capelli al
fratellino venuto a salutarla.
C’era una gran
eccitazione di
bauli, Famigli, amici e saluti commossi fuori dal cancello, dove la
carrozza
era stata parcheggiata. Dominique doveva ancora sistemare il suo baule
–
viaggiava leggera lei –
ma non se ne
preoccupava. Si stava godendo il suo addio speciale a Beaux Batons, che
avrebbe
rivisto solo per la cerimonia del Diploma.
Addio
ai monti, alle valli, alla foresta, agli
unicorni, ai raid in cucina, a quella volta che ho distrutto una
balaustra di
marmo giocando Quidditch
Indoor, mai capito che volesse dire…
“Domi!”
La riscosse sua
sorella. Victoire, la bella Victoire aveva finalmente trovato la sua
vocazione.
Ovvero assistente della professoressa di Incantesimi. Ne erano rimasti
tutti
stupiti, ma lei no. In questo lei e La
Perfettissima si somigliavano: aveva bisogno di qualcosa di
concreto tra le
mani per star bene.
E
meno male che alla fine se n’è accorta.
“Eh.” La
apostrofò con uno
sbuffo. Sapeva che stava per arrivare la ramanzina. Quella per lettera
se l’era
già sorbita la sera prima da sua madre.
Victoire le
aggiustò la giacca
dell’uniforme, lisciandone una piega con aria critica.
“Mi raccomando…”
Dominique si
tappò le orecchie
con le mani e le sorrise allegramente. “No-o.
Andiamo sorella, già calata nella parte della professorina?”
Domandò, beandosi dell’aria contratta
dell’altra,
che era ovvio stesse trattenendo una risata, nel tentativo di sembrare
responsabile.
Sì,
tu. Quando sei tornata dall’Inghilterra, dopo aver
scoperto che Teddy adesso va ad ometti hai passato una settimana a
Parigi, e
dubito, dalle foto che ho scovato sotto il tuo letto, che ti si possa
definire responsabile,
sorellina…
Ma non lo disse,
perché le
voleva bene. “Sta’ tranquilla.” Disse
invece. “Terrò alto l’onore degli
Weasley
francesi.”
“Vorrei ben
dire.” Sospirò,
lanciando uno sguardo alle sue spalle. Sembrò riconoscere
qualcuno, stupirsene
e poi far di tutto per non farglielo notare. Si spostò pure
per oscurarle la
visuale.
Uh?
“Domi, lo sai che
… Insomma,
che in delegazione c’è anche Violet?”
Disse infine, forse rendendosi conto che
tanto l’avrebbe scoperto da sola.
“Sì, lo
so.” Replicò
tranquilla. “Me l’ha detto Mael. È stata
una delle poche Sangu-pur a
proporsi.”
“Ah.” Le
lanciò un’occhiata
bizzarra. “E a te … sta bene?”
“Può
fare quello che vuole, è
un paese libero.” Replicò perplessa.
“Certo, lo trovo strano dato che ha sempre
detto che l’Inghilterra le fa schifo, ma avrà i
suoi motivi. Oppure ha preso
una botta in testa.”
Victoire fece un lungo sospiro. Sembrava delusa dalla sua risposta,
anche se
non capiva il perché.
Piggie
può fare ciò che vuole. Voglio dire, non
è
perché ci siamo mollate che dobbiamo stare a chilometri
l’una dall’altra o non
frequentare gli stessi posti.
Normalmente
la gente fa così?
Sentì il pollice
infilarlesi
in bocca e ne morse l’unghia, strappando
l’ennesima, povera e innocente,
cuticola. Sarebbe ricresciuta. “Vì, è
okay.” Le assicurò. “Non ne facciamo un
romanzo in tre atti. Non è che tutti si rinchiudono in
camera ad ascoltare Je ne Regrette Rien
a volume altissimo
per un mese di fila. Tipo te.”
Sua sorella
avvampò,
lanciandole un’occhiataccia. “Mi sto preoccupando
per te, testa matta.”
Dominique la
abbracciò di
slancio, anche per evitare che continuasse a tentare di metterle a
posto l’uniforme.
“Ed io ti dico che non ce n’è bisogno.
Ho ben altre cose a cui pensare.” Ed era
vero. Il Torneo sembrava averli raggiunti già lì.
Sentiva l’aria elettrica,
percorsa da scariche di eccitazione ed adrenalina. Era una sensazione
forte,
buona. Le piaceva.
Victoire ricambiò
brevemente
l’abbraccio, prima di tirarsi indietro per darle
un’occhiata complessiva.
Sorrise. “Sei una forza, Domi. Distruttrice, a volte, ma se
c’è qualcuno che
può vincere il Tremaghi, quella sei tu.”
Dichiarò.
“Naturale che
sarò io.” Le
strizzò l’occhio, perché commuoversi
per l’ovvio era sciocco. Venne poi
placcata dall’altra piccola forza in miniatura della famiglia.
“Domi, non te ne
andare!”
Esclamò Louis con gli occhioni pieni di lacrime. Era un
attore consumato, Poil de Carotte.
“Mi annoierò a morte
senza di te!”
Si chinò alla sua altezza e scrollandolo un po’
per le spalle. “Non dire
cavolate.” Ghignò. “In mia assenza
dovrai esser tu quello Weasley e matto.”
“Anche
no.” Si inserì Victoire
aggrottando le sopracciglia. “Louis, non osare darle
retta.”
Il dodicenne fece un lieve sorriso incrinato, guadagnandosi
un’occhiata
commossa della sorella maggiore. “Sarò troppo
triste per combinare guai…”
Piccolo, stupendo, grandioso bugiardo
– pensò con affetto arruffandogli quei capelli
impossibili, ben diversi dal
fenotipo Delacour. Rossi, spessi e anglosassoni al cento per cento.
Glieli
invidiava un po’. “Vedi di riprenderti invece, con
un Weasley in Accademia non
esiste che non esploda qualcosa entro la fine del mese,
chiaro?”
“Sissignore!”
“Dominique!”
Rise, imitata dall’altro, che stava già pensando
come tener fede alla promessa
dall’espressione monella che aveva dipinto in viso. La
abbracciò poi,
stritolandola come si conveniva tra fratelli e sorelle.
“Scrivimi tutti i
giorni.” Le ordinò. “Se non lo
fai giuro che mi comporto bene!”
“Ci proverò, sai che non son tipa da
Gufo.” Gli diede una pacchetta sulla
schiena. “Qualche messaggio da portare ai cugini?”
“Mh.”
Considerò grattandosi il
mento. “Rosie è diventata piuttosto carina
dall’ultima volta che l’ho vista, ma
Lily è proprio uno schianto. Le chiedi se è
fidanzata?”
“Louis…”
Sospirò Victoire,
ormai rassegnata al fatto di avere fratelli che andavano oltre la
possibilità
di esser recuperati. “Mi raccomando, Domi, cerca di non
metterti nei guai.”
“È proprio quello che non
ho
intenzione di fare.” Le rispose, lasciandola interdetta su
cosa avesse o meno
promesso. Vide poi Louis – pure lui! – guardare
oltre le sue spalle e fare il
suo Comprovato Sorriso da Conquistatore.
“Violet!”
Esclamò liberandosi
dal suo abbracciò e superandola. “Ciao! Sei venuta
a salutare Dominique?”
Se c’era un Dio
delle Gaffe,
in quel momento si stava accarezzando la barba compiaciuto, a giudicare
dall’espressione di profondo imbarazzo dipinta sul viso di
Piggie. A dirla
tutta, neanche lei si sentiva troppo
a suo agio.
Uh?
Cos’è questa sensazione spiacevole? Orrore!
Inaspettatamente, Violet non
eluse il discorso ignorando suo fratello o peggio, rispondendogli con
acredine.
Invece fece un piccolo sorriso conciliante. “Ciao
Louis.” Quindi si
conoscevano? Forse alla festa. Louis aveva il pallino di voler
conoscere chiunque
entrasse nel suo campo visivo. “No, parto anche io. Sono
nella delegazione.”
“Eh?” Il
dodicenne fece una
comica smorfia addolorata. “Non anche tu!
Quest’anno sarà orribile! Dai,
l’Inghilterra è brutta, resta qui! Non possono
andarsene tutte le belle
ragazze!”
Violet rise – eh? – e scosse la testa.
“Mi dispiace.”
Fece poi un mezzo sorriso impacciato, e Dominique ricordò in
un flash come
fosse lo stesso che le rivolgeva dopo essersi baciate, quando non era
arrabbiata con lei per qualcosa.
“Domi, quelle
unghie, ti
stanno sanguinando…” Mormorò con
riprovazione sua sorella, prima di fare la
faccia di chi aveva capito. Le guardò e poi tacque
fissandola con aria
dispiaciuta.
Dispiaciuta
di cosa?
“Uffa!”
Sbuffò il dodicenne.
“Beh, almeno sono più tranquillo … Se
ci sei tu che badi a mia sorella, dico.”
Sembrava una di quelle
irritanti pieces teatrali dove i
dialoghi sembravano puntare verso la commedia degli inganni. O un
unico,
imbarazzante, sottointeso.
Sì,
ma noi ci siamo lasciate.
Non che potesse rispondere
così, naturalmente. Louis neppure sapeva che lei e sua
sorella avevano avuto
una storia. Nessuno lo sapeva.
A parte Victoire Weasley,
che
la guardava come se volesse darla in pasto ad una Manticora. Era quasi
tranquillizzante però.
Perlomeno
ne ha parlato con qualcuno …
Stava tentando in tutti i
modi
di non guardare verso Dominique, ma non era facile dato che la dannata
sembrava
volerle fare un dipinto a memoria. Finì per lanciarle
un’occhiata. I loro
sguardi si incrociarono, ma non riuscì a sostenerlo per
più di qualche secondo.
È
tutta colpa tua. Io ci ho provato … Non hai neanche realizzato
che
stessimo assieme, vero?
Per
te era tutto un gioco. Non hai mosso un dito quando
me ne sono andata.
È
evidente, non ti importava.
Quella serie di pensieri
ebbero il potere di deprimerla, aggiungendosi al già poco
lieto stato d’animo
con cui si accomiatava da quella che era stata la sua casa per sette
lunghi
anni.
“Devo andare. Ho
ancora il mio
baule da far caricare, e delle persone da salutare.” Sorrise
al ragazzino.
“Buon anno scolastico.”
Louis ricambiò l’augurio con un mezzo sorriso
perplesso. Non capiva forse
perché fosse sceso quel gelo improvviso. Lei sì,
fin troppo bene.
Violet voltò le
spalle ai tre
fratelli e tornò in mezzo alla calca. Fece in modo che il
suo baule fosse
caricato con tutte le attenzioni, e si fece dare il numero della sua
stanza. La
carrozza era infatti talmente grande da poter esser divisa in piccole
stanze da
due, massimo tre persone. Arrivò alla sua che
scoprì con scorno essere tripla.
Altre
due persone con cui passare mesi nello
spazio
vitale che ne farebbe star comoda al massimo una.
Meraviglioso.
Si sarebbe pentita della sua
scelta se in realtà ne avesse fatta una: non appena sua
madre aveva saputo
dell’intera faccenda le aveva scritto immediatamente,
sostenendo che non vi era
occasione migliore per conoscere il figlio dei Malfoy.
‘Così
non dovremo aspettare un loro invito per tornare
in Inghilterra. È destino tesoro, me lo sento’
Meraviglioso.
Davvero meraviglioso.
Si sedette sul letto,
godendosi la momentanea assenza di altre forme di vita. Da quel momento
in poi
avrebbe contato quei momenti sulle dita di una mano. Finì
poi per stendercisi –
era una brandina, a dirla tutta
– e
premere il viso sul cuscino fresco di bucato. Almeno aveva lo stesso
odore di
fiori che c’era a scuola.
In realtà il
disagio peggiore
sarebbe stato avere a che fare con la Weasley. La loro delegazione
infatti, a
detta della Madame, si sarebbe
mossa
come un solo uomo per la maggior parte del tempo.
Chiuse gli occhi, sentendo
le
ciglia umide. Poteva far finta che fosse una rottura come ce
n’era tante, e lo
era, ma non si sentiva come quando aveva lasciato Louise in Costa
Azzurra.
Aveva provato tristezza, aveva pianto, ma tenendo a mente che era una
storia
destinata a durare lo spazio di un’estate.
(Senza contare che razza di
stronza si fosse poi rivelata la sua Prima Volta.)
Con Dominique era diverso.
Non
ho mai pensato avessimo una data di scadenza. Avrei
dovuto forse, ma…
Sentì dei passi
pesanti fuori
dalla porta, e scattò sul letto, lanciando un veloce
Incantesimo Decongestionante
agli occhi. Era diventata bravissima con quella particolare magia.
Quando la
porta si aprì era
già voltata di spalle,
presa ad osservare gli ultimi commiati e la Preside che intimava a
tutti di
salire.
“Piggie?”
Violet si voltò a
rallentatore
e, come in una commedia scritta da uno scrittore mediocre, Dominique si
stagliava, alta e stupenda come sempre, sullo stipite della porta.
“Ma dormi qui
anche tu?”
Pessima. Davvero una pessima
svolta di trama.
****
Dominique non era mai stata
ad
Hogwarts, ma adesso capiva perché, a distanza di anni, sua
sorella la
rimpiangesse tanto.
Era un posto magico. E
descriverlo così non era esser banali, era un mero dato di
fatto. Le imponenti
mura del castello sembravano traspirare la forza quieta di centinaia di
anni, in
cui ogni singola pietra aveva contribuito a formare la
gioventù magica
britannica.
Ovviamente Dominique sapeva
poco o nulla di tutto quello, si limitava a fissare con un vago sorriso
eccitato le merlature e le infinite finestrelle che si aprivano sulla
foresta
sterminata alle loro spalle e l’altrettanto sterminato lago,
scuro e limaccioso
al punto giusto.
Wow.
Peccato non esser rimasti nella vecchia, cara
Inghilterra.
Mael accanto a lei
sospirò,
stringendosi nella leggera giacca dell’uniforme, inadatta a
quel tempo umido e
in odore di pioggia.
“Morgana, che
freddo!” Sibilò
stringendosi le braccia al petto. “Quando pensano di farci
entrare?”
“Si stanno
preparando per il
nostro arrivo, ninfetto, datti pace.” Replicò
pratica, chiedendosi se sarebbe
stato possibile fare un giro della foresta quella sera stessa. Sapeva
che c’era
un guardiacaccia, ma il vero cicerone che avrebbe voluto era Rubeus
Hagrid, mezzo
gigante che si diceva conoscesse quell’intrico di alberi come
le tasche del suo
pastrano.
Perlomeno
così mi ha detto Hugo quest’estate.
I lamenti di Mael non erano
però
i soli. Tutti si lamentavano in vari gradi di insofferenza, tranne
ovviamente
la Preside che era sparita all’interno del castello una
ventina di minuti prima.
“Ma quanto ci
mette?” Si
lamentò ancora suo cugino, stavolta approvato da gesti e
sguardi.
Dominique lanciò
un’occhiata
verso Violet. Stringeva le braccia al petto e aveva una linea sottile e
seccata
al posto delle labbra, ma era l’unica a non aver espresso
verbo. Guardava il
castello con la tipica aria di chi stava rimuginando troppo.
Ah,
vero, i suoi genitori sono inglesi, sono andati qui
… Chissà se ci conosce qualcuno.
Sicuro
avrà meno problemi con la lingua di molti di
noi.
Era un pensiero noioso, e lo
abbandonò
subito, non appena vide la Preside tornare in compagnia di un omone
nerboruto e
vestito di quelle che sembravano pellicce di volpe cucite assieme.
Hagrid!
Fece un mezzo sogghigno
quando
raggiungendoli, l’ex-guardiacaccia la notò e
sorrise di rimando dopo aver
salutato l’intirizzita delegazione. “Ah, ci abbiamo
una Weasley, anche. Domi,
la sorella di Vicky, vero?” La apostrofò.
“In
persona.” Convenne. “La
mia fama mi precede?”
“Uno Weasley si
riconosce a
naso, anche se non ci ha i capelli rossi!” Rise
l’uomo. “Ci piace la nostra
scuola?”
“La
adoro.”
“Hagrìd,
credo sia il momonto
di farli entrare, n’est pas?”
Lo
apostrofò la Preside, con l’aria paziente di chi
conosceva da anni la persona
che aveva di fronte a sé.
“Sicuro! Venite
ragazzi, da
questa parte … Ah, restate sulla strada sterrata, che ci ha
piovuto di questi
giorni e vi inzaccherate tutti sennò!”
Dominique rise delle espressioni smarrite dei compagni. Era chiaro che
tra
l’accento e il parlare sgrammaticato avessero capito poco o
niente.
Mael la squadrò
devastato. “Se
qui parlano tutti così siamo fregati. Ma che lingua
è?” Pigolò.
“Tranquillo, Hagrid è un’eccezione,
più o meno capirai tutti.” Lo rassicurò
e
inevitabilmente finì per incrociare lo sguardo con Violet,
che invece doveva
aver capito alla perfezione.
Vide l’angolo di
un sorriso
bagnarle le labbra, ma poi distolse subito lo sguardo e lo
piantò verso il
castello, convenendo in francese ad una rimostranza di una vicina.
La Preside tolse tutti di impaccio e tradusse diligentemente. Poi, fu
tempo di
muoversi.
La Sala Grande di Hogwarts
era
completamente diversa dalla loro e Dominique l’amò
all’istante. Ricordava i
racconti della sorella, ma rendevano solo un quinto di ciò
che era veramente.
Gli stendardi delle quattro Case della scuola che beccheggiavano
coloratissimi
ad un vento di fattura magica, i tavoli di legno scuro e lustro
ospitavano un
brulicare di teste rosse, scure e bionde vestite di splendide, comode
uniformi
monocolore diverse solo nei cravattini, usati sia per i maschi che per
le
femmine. Con quelle, pensò, andare nella foresta doveva
essere una passeggiata.
Per finire, ben quattro lugubri fantasmi aleggiavano nel tripudio di
candele,
unica illuminazione.
Grande!
Dominique, incasellata in
fila
con gli altri, con la schiena dritta e al braccio dell’unico
maschio più alto
di lei, si sentiva un po’ a casa.
“Guarda il
soffitto, Domi!”
Esclamò Mael a bassa voce, tenendo le labbra strette per non
rischiar di romper
l’armonia della loro entrata.
“È
incantato per riflettere il
tempo atmosferico che c’è fuori. Forte,
eh?” Lo apostrofò di rimando, senza
preoccuparsi di esser troppo discreta. Si sentì infatti
strattonare dal suo
cavaliere. “Rifallo e ti spezzo il gomito.” Lo
avvertì gentilmente, vedendolo
poi impallidire.
La
gente non sa apprezzare chi notifica con sincerità.
Era una fila estremamente
azzurra, lo sapeva, molto compatta e leziosa. Al loro entrare vide
negli occhi
degli hogwartsiani stupore, ammirazione e rimbecillimento nel caso dei
maschi.
Represse un suono esasperato.
Morgana,
se odio queste smancerie!
Si tirò un
po’ su di morale
quando individuò i cugini nella marea di britanni; Rose dai
capelli color castagna,
la faccia buffa – faceva delle smorfie esilaranti e
inconsapevoli – e il fulvo
Hugo dall’intelligenza da asso e la goffaggine da
anatroccolo. Poi arrivarono i
fratelli Potter, la cui unica somiglianza era non somigliarsi affatto.
C’era
Lils, la più piccola, l’anomalia del Clan,
bassina, gran tette, senza una
singola lentiggine e con i capelli rossi come le scaglie di un Petardo
Cinese.
C’era Sissy il Serpeverde-oh-Merlino-sul-serio?con
l’aria perenne della principessa in pericolo. C’era
però un motivo se era
finito dov’era finito, considerando che nessuno cugino sano
di mente lo aveva
mai maltrattato, non senza incappare in qualche strambo e macabro
incidente.
Infine Jamie il maggiore,
dai
capelli arruffati, l’aria spavalda e una voglia di far casino
che poteva solo
spingerla a stringergli la mano ad ogni festa comandata. Ora quella
voglia
s’era un po’ spenta da quando aveva scoperto che
era il motivo per cui Teddy
aveva deciso di passare ufficialmente agli uomini, ma non poteva
neppure
fargliene una colpa.
Comunque,
non dovrebbe già essersi diplomato?
Forse era venuto
lì per Ted.
Lo salutò con un cenno della testa, e l’antico
quasi-cognato ricambiò con un
sorriso alzando la mano in risposta. Aveva i capelli di nuovo
multicolor. Sembrava
felice.
Buon
per te, Teddy.
Vide poi le cugine guardare
nella sua direzione, stupirsi – di cosa poi? – e
ridacchiare per una battuta di
Lily. Ricambiò con un occhiolino e per poco il suo cavaliere
non la trascinò
via di peso.
Gli sorrise, premendo le
dita
sui bicipiti e facendogli ingoiare un gemito dolorante. “Lo
vuoi proprio
perdere questo gomito, Coso?” Ma non l’avrebbe
fatto sul serio: la Preside
vigilava costantemente sul suo comportamento. Durante il viaggio aveva
passato
più tempo a correggerle modi di dire e di fare che a tutti
gli altri messi
assieme.
Evvabbeh
che vuoi fare bella figura … ma c’è
bisogno di
rompere tanto? So come ci si comporta!
Più o meno.
Si sedettero finalmente ad
uno
dei tavoli, quello della Casa di sua sorella, la riconobbe dai colori.
Dominique tirò un
sospiro di
sollievo, sperando che l’altra delegazione arrivasse in
fretta, che aveva una
gran voglia di tornare alla carrozza e liberarsi di
quell’orrendo cappellino
che la Preside l’aveva obbligata a portare. C’erano
volute una trentina di
forcine e tanta magia per farglielo rimanere in testa.
Che
poi, da quando è una colpa amare i capelli corti? Sono
comodi!
Quando anche Durmstrang si
fu
seduta, e i tipi del Ministero finirono di ciarlare, Dominique si
permise di
guardare verso la Coppa. Il fuoco che vi balugginava
all’interno era quasi
ipnotizzante. Lo fissò finché non le fecero male
agli occhi, poi prese a
mangiare di buon gusto. Il cappello le dava il prurito.
Fallo
per la gloria. Fallo per la gloria.
Nella foga di tagliare una
costoletta diede bruscamente una gomitata alla sua vicina, una tizia
inglese.
“Scusa.”
Borbottò distratta.
“Sei la sorella di
Victoire
Weasley, Dominique?” Le chiese la corvonero senza dar segno
di essersela presa.
Dominique alzò lo sguardo perplessa, prima di ricordarsi che
dovevano esserci
tipe della sua età che dovevano aver visto La
Perfettissima calcare quei pietrosi corridoi.
“In
persona.” Confermò alla
tipa che la guardava con tranquilla curiosità, invece che
con il timore
reverenziale di cui la omaggiavano i suoi vicini, maschi.
Dev’essere
per i miei capelli … ah, no. Ho il fottuto
cappello.
“Io sono
Morag.” Le tese la
mano. “Mi ricordo di Victoire, parlava spesso di una sorella
che amava i
draghi.” Vedendo che non recepiva, parve rendersi conto di
aver tralasciato
qualcosa. Roteò gli occhi al cielo. “Scusami,
… Morag MacFusty.” Si presentò
nuovamente.
A Dominique si accese un Lumos in testa. Gliela strinse immediatamente
“Dei
MacFusty delle Ebridi?”
La ragazza sorrise.
“Gli unici
pazzi a tenere in piedi una riserva in uno sputo di isole,
già.” Aveva una fila
di denti dritti da copertina di StregaOggi e lineamenti altrettanto
indicati,
ma a ben guardarla anche il viso abbronzato e segni di vecchie
scottature sulle
mani. I sintomi del Guardiano c’erano tutti. La stretta poi,
forte e salda, era
quello più evidente.
Si voltò
completamente verso
la scozzese, dando le spalle ad un offesissimo Mael a giudicare dal
suono indignato
che si sentì esclamare dietro. Forse era perché
le stava parlando?
“Non sapevo ci
fossero tipe
della mia età nella vostra riserva. L’ho visitata
a Marzo di due anni fa con
mio zio Charlie, ma non ti ho vista.”
“Beh, è
normale, sai com’è.”
Indicò con un cenno della testa lo stendardo sopra di loro.
“La scuola. E poi
metà della mio clan abita nella Skye¹, vicino a
Portree. Solo mio zio Aodhàn e
i miei cugini vivono nella riserva. Io ci vado quando posso,
soprattutto
d’estate. È loro che hai visto ?”
Dominique annuì. “Comunque ho conosciuto
Charlie. Che tipo…” Fece un sorrisetto.
“… tosto Per stare in Romania devi
esserlo, credo.” Sembrava una chiacchierona e aveva un
accento così marcato che
se non avesse avuto parenti inglesi non avrebbe capito neanche una
parola di
quei suoni pastosi e contratti, ma non le dava o fastidio. Dopotutto,
erano i
concetti ad essere importanti, e quelli li capiva.
“Che
t’ha detto di me?”
Morag inarcò le
sopracciglia
sorpresa, poi ridacchiò. “Sì,
è vero … mi ha parlato tanto di te. Cose
buone.”
Aggiunse subito. “È un peccato che non ci siamo
viste quando sei venuta. Mi ha
detto che saremo andate d’accordo.”
Proclamò tranquilla. “Penso che potrebbe
aver ragione.”
Dominique non aveva mai
ricevuto una richiesta di amicizia così schietta.
Scoprì che le piacque, perché
il nero su bianco era una cosa che la metteva immediatamente di
buon’umore.
Niente
doppi sensi, strani silenzi e occhiate
incazzate.
Sorrise di rimando.
“Penso anch’io.”
Violet aveva visto
finalmente
il famigerato Scorpius Hyperion.
Se in foto aveva l’aria del perfetto principino Purosangue
che ricordava, dal
vivo era un personaggio ben più esuberante.
L’aveva visto confabulare animatamente
al tavolo dei Grifondoro – le pareva si chiamassero.
Sembrava un tipo piuttosto
anonimo con quei capelli troppo chiari e il volto spigoloso. Certo, era
abbastanza
alto da essere annoverato tra la gioventù
‘prestante’, ma rispetto ad Allard
era bruttino. E quando parlava gesticolava troppo: aveva rischiato
più volte di
cavare un occhio al moretto senza uniforme con cui stava
chiacchierando.
Così
sarà lui che dovrò circuire con le mie esperte
arti femminili.
Nascose una smorfia
sarcastica
e si sedette al tavolo che corrispondeva allo stendardo bronzo-blu.
Pecoranera,
forse? No, vi era dipinta un aquila. Non se lo ricordava.
Tra di lei e la Weasley
c’era
l’intera delegazione, ma sfortunatamente era ancora a tiro
d’occhio. La vide
contemplare per un noiosissimo tempo infinito la Coppa – le
sue intenzioni
erano talmente cristalline da essere imbarazzanti – e poi
gettarsi sull’unto
cibo britannico come la selvaggia che era. Nella foga tirò
persino una gomitata
ad una delle studentesse di QualunqueFosseQuellaCasa. Quella invece di
prendersela
squadernò un gran sorriso e prese a ciarlare a raffica.
Gli
inglesi sono tutti così espansivi?
Ne dubitava. Dominique
sembrò però
gradire quel fiume di chiacchiere, da come diede le spalle alla loro
delegazione per rispondere. Si conoscevano, forse?
Ha
amici in qualsiasi parte del globo e di qualsiasi
razza, etnia, estrazione sociale e magica… Può
essere.
Si strinsero la mano. No, se
si stavano presentando era ovvio non si conoscessero. La ragazza
sembrava
piuttosto carina con quei capelli castani, mossi e i lineamenti
delicati. Belle
labbra. Anche un bel fisico da quel che ne poteva dedurre con un tavolo
a
nasconderle metà del corpo. Sportivo.
Violet allontanò
con un gesto
brusco il proprio piatto ancora vuoto. Le venne lanciata qualche
occhiata ma
nessuno parve stupirsi del suo gesto.
Lo sapevano tutti che a
Violet
Parkinson-Goyle rodeva sempre per qualcosa.
****
4
Settembre 2023
Scozia,
Hogwarts, Sala Grande.
Stare ad Hogwarts non era
poi
così diverso che stare in Francia. Le lezioni,
scoprì Dominique dopo una
mattina passata a bearsi dei suoni della lingua inglese, non erano
diverse, né
i professori sembravano più inflessibili. L’unica
discrepanza percepibile era
il clima, umidiccio e piovoso persino ad estate appena finita. Gli
altri ne avevano
risentito molto, ma non lei, abituata al clima impietoso delle alture
rumene.
Aveva infatti passato tutto il pomeriggio del giorno prima con Hagrid,
negli
infiniti viottoli e sentieri della meravigliosa Foresta Proibita
– con un nome
così, doveva essere favolosa per
forza.
Hogwarts le piaceva un
casino.
L’unica pecca era
forse il
cibo, dato che pesante e condito com’era risultava indigesto
alla maggior parte
di loro, lei compresa. Ma il suo stomaco conservava una buona memoria
delle
cene alla Tana e riusciva a scansare la maggior parte della roba
indigeribile
in favore di zuppe di legumi e arrosto.
“Detesto il cibo
inglese… è
così grasso²!”
Sibilò Mael, seduto accanto a lei, con uno sguardo
così
affranto che un paio di Corvonero femmine trattennero il fiato,
commosse. “E fa
un freddo micidiale. Perché non ci hanno detto che faceva
così freddo? La
Scozia è orribile.”
“Se non la pianti
di piagnucolare qualche
inglesina vorrà farti da balia scatenando un incidente
diplomatico… Tieni a
freno i tuoi poteri, ninfetto.”
“Sei solo
invidiosa perché
sono più Veela di te!”
“Sei anche
più femminile di me, ma evito di
fartelo notare.”
Dominique rise
dell’espressione
infuriata di Mael che, per quanto fosse una ragazzina, detestava gli
venisse
detto in faccia. Non fece però in tempo ad attaccare la sua
cena che si trovò
sua cugina Rose impalata davanti.
“Hai un
minuto?”
Sapeva che doveva rifuggire
la
marea di beghe che l’altra portava scritto in fronte, ma non
ci fu modo. Fu
così tirata via dal tavolo e praticamente spinta
nell’angolo più solitario
della sala.
Evvabbeh.
Rose era la cugina che
più gli
era simpatica, a dirla tutta. Aveva il cervello fino, ma soprattutto un
gran
cuore dietro tutte quelle smorfie e occhi roteanti
dall’esasperazione. Un po’
maestrina, ma in gamba.
Le ricordava Violet.
“Mi devi dire se
conosci una
persona… una certa Violet.”
Nominavi il Troll, e
spuntava
la clava. Dominique drizzò le orecchie, sentendo uno strano
fastidio
attraversarla come una scossa elettrica.
Come
fa a conoscerla?
Piggie in quei due giorni
aveva rifuggito le lezioni condivise con gli hogwartsiani, preferendo
rimanere
in carrozza con lo sparuto gruppo di studio individuale che la Preside
aveva
dovuto concedere in cambio di una delegazione corposa. Non ce la vedeva
proprio
a stringere amicizia con una come sua cugina.
“Pare che sia una
specie di
probabile moglie combinata per Scorpius. Sai, approvata
dall’intera Casata dei
Malfoy…”
Scorpius?
Il SimpaticoMalfoy?
Era la fiamma di Rose e
questo
spiegava l’aria lugubre che si portava dietro come una sposa
novella avrebbe
fatto con il proprio velo.
Il
che spiegherebbe finalmente la presenza di Piggie
qui. È venuta a caccia di rampolli.
La scossa elettrica si
ripresentò facendole fare una smorfia. Naturalmente non
erano più fatti suoi
cosa Violet decideva di fare della sua vita.
Non
che lo fossero manco prima. M’aveva fatto capire
chiaro e tondo che si sarebbe comunque sposata con qualcuno
sponsorizzato da
sua madre.
Poi si accorse che
l’altra
aspettava una risposta. “Beh… Non è il
genere di persona con cui mi accompagno
a scuola, ma è a posto, credo.” Era il massimo che
poteva dirle, date le
contingenze.
“Definiscimi a posto.”
Dominique sbuffò;
Rose era come
un Crup quando ci si metteva. Non avrebbe mollato la presa
finché non le
avrebbe dato le risposte che cercava. “Non so, non la conosco
bene…” Cominciò
riluttante. Poi finì per dire più di quanto
avrebbe dovuto. “So che è Purosangue,
che i suoi genitori sono inglesi e che si sono trasferiti in Francia
quando lei
non era ancora nata. Pare che giri la voce che abbiano avuto problemi
con il
Ministero all’epoca di Voldemort. È nel club di
Florigrafia.”
“Ah.”
Rose sembrava
aver perso ogni spinta loquace. Non era la sola. Aveva una gran voglia
di
riprendere a farsi i fatti propri. Come aveva sempre fatto. I fatti
propri
erano una gran cosa.
“E
com’è fatta? È carina?”
“Che ne so! Non guardo le ragazze!”
Sbottò brusca. Che non era manco vero, e si
stupì di quella sua uscita idiota. Ma Rose non
sembrò avvedersene, forse troppo
presa nelle sue paturnie.
Voglio andare a
cena,
mangiare, scrivere il mio nome in un dannato pezzo di pergamena e
buttarlo
dentro il Calice. Lasciami andare!
Vedendo
che l’altra non si muoveva di un millimetro le
indicò dove si trovava.
“Quella
lì. Capelli neri,
treccia lunga.”
Osservò
Rose impallidire, neanche si fosse trovata a dover competere con una
Veela.
Piggie, con i suoi chiletti di troppo, il naso a patata e il carattere
terrificante non lo era, e lo sosteneva a ragion veduta.
A
lei però era sempre piaciuta un sacco.
E mi piace ancora.
L’idea che si
fosse trovata un
altro spasimante, o che ne cercasse uno la riempiva di un malessere
collerico.
Non le piaceva l’idea di vederla con uno come Malfoy, un tipo
ganzo, non un coglione come Allard.
L’aveva
conosciuto e le era piaciuto a pelle. Non poteva avercela con Malfoy perché sì. Era
frustrante.
Victoire aveva detto che
sarebbe andata meglio. Vero, non si sentiva più come se
qualcuno le avesse
tirato una Pluffa in faccia, c’erano momenti in cui le
sembrava assurdo aver
avuto una storia, la sua prima storia, con Violet Parkinson-Goyle.
E c’erano momenti
come quello,
dove si ricordava perché.
Vide Rose scappare senza una
parola. “Rosie!” La richiamò indietro,
più per posa che per reale voglia.
La
troverà Sissy o qualcun
altro… Io proprio con queste cose non ci so fare.
S’è visto, no?
Tornò al tavolo,
guardando il
foglietto con schizzato sopra il suo nome. L’avrebbe messo
nel Calice e da lì
sarebbero ufficialmente partite le danze.
Semplice.
Lineare. Alla grande.
Mael le lanciò
un’occhiata,
rinunciando ad una sicura lamentela che gli si stava formando sulle
labbra.
“Domi, che hai?” Le chiese. “Hai parlato
con tua cugina ed hai cambiato
espressione.”
“Nulla?”
Sapeva di esasperare
tutti con quella sua indifferenza. Ma che altro avrebbe dovuto fare?
Lamentarsi
e piangere non avrebbe riportato le cose a posto. Per quanto ne sapeva,
certe
cose si rompeva e basta.
Mael scosse la testa.
“Non è nulla.
C’entra Violet?” La guardò in
faccia e sgranò gli occhi. “Oh, Morgana
… c’entra
Violet.” Aggrottò le sopracciglia.
“È perché si dice in giro che voglia
trovarsi un marito inglese?”
Ah,
lo sa. Beh, cosa Mael non sa di chiunque?
Dominique sospirò. Non capiva perché la
gente avesse sempre tutta quella
smania di commentare i sentimenti altrui. Si rigirò il
foglio di carta tra le
dita, stropicciandolo, tastandone la grana.
“Avete
… cioè, c’è stato
qualcosa tra di voi? Perché con l’anno scorso e
quella brutta storia con
Allard…”
Fu costretta a parlare anche
se non voleva. “Se ti azzardi a dire un’altra
parola con l’intenzione di dirlo
a chiunque, giuro che ti rendo una ninfetta.”
Non era per lei, naturalmente. Era per Piggie. E si sentiva doppiamente
stupida
per quello.
Ma
vuoi proteggerla, no?
Mael si fece serio.
“Se me lo
chiedi tu, non aprirò bocca neanche sotto
maledizione.”
Era vero. Mael poteva essere
il gazzettino della scuola, ma era anche una delle poche persone della
cui
fedeltà era certa. Suo padre era schizzato via alla
velocità della luce non
appena, alla sua nascita, sua zia Gabrielle gli aveva confessato il
loro essere
magici. Poteva sembrare frivolo ed eccessivo nelle sue esternazioni, ma
non
avrebbe mai tradito l’unica famiglia che aveva, i Delacour.
“Bene, te lo sto
chiedendo.”
Fece una pausa. “Ti serve una confessione scritta?”
Mael inspirò.
“Però … non
state più…?”
“No.”
Suo cugino le prese la mano
e
gliela strinse, con sua sorpresa. Non avevano mai avuto quel tipo di
gestualità
con lei, forse intuendo che sarebbe stata mal riposta. “A te
non è passata, te
lo leggo in faccia.” Decretò. “Ne
eri…” Fece una pausa poi abbassò la
voce ad
un sussurro. E meno male che aveva le orecchie buone. “Ne sei innamorata?”
Dominique non aveva tanta esperienza nei rapporti interpersonali, Mael
e sua
sorella sì. Era così pronta a giurare che quei
due biondi ne capissero
più di lei. Non che ci volesse tanto, pensò
anche.
Si poteva non capirci un
accidente, ma si poteva comunque provare. E lei, provava.
“Se è
normale faccia ancora un
male del diavolo dopo quasi un mese, sì.”
Mael ebbe
l’insolito tatto di
non aprire bocca e dire la solita sequela di banalità che
sciorinava a
chiunque, del loro gruppo di amici, venisse mollato. Si
limitò a stringerle ancora
la mano e forse pregare che non gliela stringesse di rimando, dato che
la sua
presa non era così mollacciona.
“Domi, ma
cos’è successo
esattame…”
Cazzo, adesso basta!
Si liberò e si
diresse verso
il Calice. Vi gettò il foglio di carta e si godette gli
applausi dei presenti
quando la fiamma azzurra ebbe un guizzo e lo inglobò senza
problemi. Era quello
il motivo per cui era lì. Punto.
Altri pensieri non erano
proprio ammessi. Erano stupidi, l’avrebbero deconcentrata e
non era ammissibile
che perdesse colpi e rischiasse di perdere quel maledetto Torneo.
Doveva
proprio mettersi a cercar marito?
Tornata al tavolo, si
trovò di
fronte Morag. La riconobbe al volo, anche se non aveva una gran memoria
per le
facce. Però, di fronte alla marea di persone che le si era
presentata e che le
era stata presentata dai cugini, quella corvonero spiccava.
I
futuri Guardiani si riconoscono a naso.
“Messo il
biglietto?” La
apostrofò facendole spazio sulla panca. Dominique
pensò che poteva anche lasciare
la sua roba in consegna a Mael. Non aveva voglia di tornare da lui e
affrontare
la conversazione di prima. Affatto.
“L’ho messo anche io.” Soggiunse.
“Anche se non so quante possibilità posso
avere contro Malfoy, la piccola Chang e McLaggen … Merlino,
magari su
quest’ultimo sì!” Sbuffò
divertita.
“Malfoy ha messo
il suo nome
nel Calice?” Fantastico, era anche
un
Campione. La Vedova Nera – così l’aveva
battezzata e non c’era stato uno che
non le avesse dato ragione - doveva
essere in sollucchero all’idea che Piggie proponesse le sue
grazie ad un tipo
del genere.
Ma
che mi importa…
Morag la scrutò.
“Non ti è
simpatico?” Chiese neutra.
“No, è
un tipo a posto.” Si
sentì in dovere di chiarire. Non voleva essere segnata nella
schiera dei
detrattori di un tipo a cui avrebbe offerto una vagonata di Burrobirre,
questo solo
perché Piggie lo voleva come marito. “È
che …” Sbuffò. “Senti, niente
in
contrario a fare due chiacchiere. Ma possiamo parlar d’altro?
Qualunque cosa.”
Morag battè le
palpebre, poi
annuì. “Nessun problema.” Schiettezza
femminile. Dunque esisteva. “So che ogni
estate vai in Romania.” Fece un gran sorriso.
“Voglio sapere tutto.”
Dominique sorrise di rimando.
****
Alla fine la Weasley era
stata
scelta come Campionessa.
Non era stato esattamente
sorprendente. Del resto era la migliore, almeno in quanto a prestanza
fisica, e
aveva la testa nella Coppa, a differenza di tutti loro che si
barcamenavano tra
la pessima cucina e il freddo abbacinante di quelle terre inospitali.
Violet si gettò
uno scialle di
mussola sulle spalle, guardando dal piccolo ovale che fungeva da
finestra. Dalla
carrozza si potevano vedere il Lago Nero e una grossa porzione del
Castello: la
torre di Grifondoro gli era stata detta fosse quella che si ergeva
più alta e
illuminata di tutte.
Sentì alle sue
spalle la sua
compagna di stanza lamentarsi dei nodi che
l’umidità le causava ai capelli,
mentre si spazzolava alla ristrettissima toeletta che era stata loro
concessa.
Dov’è
finita quella stupida?
Dopo il banchetto in Sala
Grande e la scelta del Calice, Dominique era sparita per la Pesa delle
Bacchette
– rito necessario per controllare che le bacchette dei
Campioni fossero
adeguate per le prove che avrebbero dovuto affrontare.
Sarebbe dovuta tornare in
carrozza, ma non l’aveva fatto. O meglio, vi era tornata
subito dopo, ma il
tempo di un paio di brindisi con loro ed era scappata con Delacour,
spiegando
che doveva festeggiare anche con i cugini.
Quelle due notti trascorse
in
viaggio erano state insopportabilmente tranquille. Dominique si era
messa a
letto, aveva augurato a lei e alla loro compagna la buonanotte e poi
era
crollata come un sasso in fondo ad un pozzo asciutto.
L’unica
che ha passato la notte con gli occhi sbarrati
nel vuoto sono io.
“Tra poco spengo
la luce.” La
informò l’altra, posando pettine e forcine nel suo
beauty. “Pensi che la
Weasley tornerà o rimarrà a dormir
fuori?”
“Perché dovrebbe rimanere?”
“I suoi cugini
sono quasi
tutti di quel Grifondoro … Dicono siano i casinisti della
scuola. Forse ha
festeggiato troppo.” Fece un mezzo sorrisetto. “Di
certo non sarebbe la prima
volta, no? Lei, Delacour sono famosi per questo.”
Violet non rispose,
preferendo
serrare le braccia al petto e contemplare
l’oscurità plumbea del lago. Sembrava
una tavola d’ossidiana. Non era un brutto spettacolo, a dirla
tutta. C’era una
certa grazia selvaggia in quei luoghi, ben diversa
dall’ordine morbido in cui
era immersa l’Accademia.
Comprensibile
che le piaccia tanto questo posto.
Accento a parte, sembra nata qui.
Chiuse gli occhi, facendo un
breve sospiro. “Sì, chiudi pure la
luce.” Sospirò. “Vengo a letto
anch’io.”
Mentre la compagna scivolava
agevolmente nel Regno di Orfeo, Violet non riusciva a distogliere lo
sguardo
dalla finestrella che, dal suo letto, puntava direttamente sulla luna,
meno di
un quarto, ma non per questo meno luminosa. Era una luna violenta, ben
diversa
dall’ambrata falce che vedeva a Beaux-Batons.
Sentì un
tramestio improvviso,
e capì che la Weasley era rientrata. La sentì
togliersi le scarpe e il rumore
del cuoio del suo giubbotto lanciato a terra: serrò gli
occhi, mentre il
respiro accelerava di pari passo con il cuore.
Aveva cercato in tutti i
modi
di spiegare alla Preside che non voleva condividere la stanza con
quella
bifolca casinista, ma non c’era stato verso di modificare
quella sistemazione.
Anzi, aveva scoperto che a
metterle assieme non era stato il caso, ma la donna stessa.
“Non
siete amiche, forse?”
“Decisamente
no Madame. Mi creda, è un disagio per me stare in
sua
compagnia.”
“Di questo mi dispiace. Devo dunque chiedertelo come un
favore.”
“… In che senso?”
“Dominique
è una ragazza molto …” E qui aveva
fatto una
pausa densa di sottointesi, virando poi verso un eufemismo.
“… vivace. È una
delle papabili Campionesse, quella con più
possibilità. Non vederlo sarebbe
miope da parte mia.”
“Ma?” C’era sempre quella dannata
particella sospesa, in quel genere di
discorsi.
“Ma
è un individualista e spesso prende
decisioni egoiste, d’impulso. Quello che dobbiamo evitare,
sia io che te, come
Prefetto, è che metta la scuola in cattiva luce.”
Aveva sentito un piccolo moto di insofferenza. Dominique era
sì un’irresponsabile,
ma non in modo stupido. Non avrebbe mai remato contro
l’Accademia. Poteva
detestare le uniformi, il galateo e le buone maniere che tentavano di
inculcarle da sette anni, ma amava
la
loro scuola quanto l’amava lei.
“Pensa
che potrebbe farlo?”
“Penso
che non se ne renderebbe conto. Tu hai influenza
su di lei, Violet.”
“Mi rincresce deluderla Madame,
ma…”
“Lei si fida di te.” L’aveva interrotta
con lo sguardo di chi era assolutamente
certo di qualcosa. Violet non aveva potuto ribattere. “Ha
bisogno di qualcuno
accanto che non sia completamente abbagliata dalla sua
personalità tanto da non
vederne i difetti.”
Li vedo eccome i suoi difetti, ma non
è
questo il punto.
Si finse addormentata quando
la sentì avvicinarsi al letto. I movimenti erano lenti,
estremamente attenti,
troppo.
Ha
bevuto. Tanto.
Non aprì gli
occhi. L’ultima
cosa che voleva era avere una conversazione, dopo settimane, quando
l’altra era
ubriaca.
Dominique
sorpassò la sua
brandina e si fermò poco distante. Violet la vide guardare
lo stesso panorama
che aveva contemplato lei poco prima. Aveva un’espressione
assorta, riflessiva,
non da lei eppure capace di renderla ancora più bella.
“Piggie, guarda
che so che sei
sveglia.” La sorprese, parlando a bassa voce. Non erano le
sole là dentro. “Il
ritmo del respiro è diverso quando si dorme.”
Dannazione.
Spalancò gli
occhi, tirandosi
a sedere. “Hai bevuto.” La accusò non
trovando altro modo per dar sfogo al
grumo di sentimenti che si portava dietro dalla festa di Victoire
Weasley. “Se
ti avesse beccato la Madame …”
“Mi avrebbe fatto
il culo, lo
so.” Ammise placidamente, infilandosi i pollici nei passanti
dei suoi amati
jeans logori. “Il decoro dell’Accademia e blablabla.”
“Non prendere
sottogamba cose
del genere, stupida! Siamo in una scuola straniera e rappresentiamo chi
è
rimasto a casa, pensi che il tuo atteggiamento sarà
scusato?” Sbottò prima di
fare un enorme sospiro all’evidenza che non avrebbe istillato
nell’altra il
minimo senso di colpa. “Hai bisogno di qualcosa?”
L’altra
scrollò le spalle,
tornando nella contemplazione dell’esterno. Violet
sentì che le stava montando
un gran malditesta addizionato al voler sbattere la testa contro il
muro.
“Allora perché mi hai svegliato?”
“Non stavi
dormendo.”
“Dove sei stata?” Le uscì contro la sua
volontà, ma perfettamente in linea con
i suoi pensieri.
“A festeggiare con
i miei
cugini e altra gente.” Si passò una mano trai
capelli. Stavano tornando di una
lunghezza femminile e presto dunque sarebbero stati impietosamente
tagliati.
“Altra gente come
i
Corvonero?”
Come
quella spilungona con le labbra da Incantatrice?
Dominique non
sembrò aver
recepito il sottointeso. “Sai, la fratellanza con gli
studenti di altre scuole
è un po’ il motivo per cui siamo qui. Sto fraternizzando,
a differenza della maggior parte di noi.” Fece una pausa.
“Ma tu lo sai bene.”
Violet si sentì
arrossire. Che
sapesse di Malfoy e delle sue intenzioni in merito? Le pareva assurdo
che fosse
andata a cercare pettegolezzi su di lei. Ma non
impossibile.“Non so di cosa tu
stia parlando.” Replicò. “E comunque non
sono affari tuoi.”
Qualcosa di molto simile, troppo simile ad un’espressione
ferita
esplose sul viso dell’altra.
…
Non azzardarti. Non…
“Non fa una piega.
Buonanotte.”
Fece per ribattere ma Dominique uscì come un terremoto dalla
stanza, tirandosi
la porta dietro e quasi svegliando la loro dormiente compagna.
Mael fu svegliato da
qualcosa
di pesante che gli piombò nel letto quasi vi fosse stato
scaricato. Fece per
difendersi quando riconobbe i capelli argentati e l’odore
familiare di sapone e
cuoio di sua cugina.
“Domi?”
“Fammi dormire da te.” Disse senza mezzi termini.
Aveva il respiro che sapeva
di succo di zucca e vino elfico. Normale: l’aveva vista bere
in modo
consistente alla festa organizzata dai Potter Weasley per festeggiare
sia lei
che Malfoy. Non si era preoccupato però, visto che erano
brindisi allegri, in
compagnia dei cugini e di un paio di tipe di Corvonero.
“Hai perso la
strada per
camera tua?”
“No,
Violet.”
Mael si scostò
senza una
parola, preparandosi ad una serie di lunghe, lunghe notti in cui
avrebbe
dormito sul ciglio del letto.
****
Note:
Come avrete notato, sto
seguendo pedissequamente le vicende di AUL. Solo, diciamo, da un punto
di vista
diverso. ;)
La canzone è
questa
qui. L’ho riascoltata dopo tanto tempo. È favolosa.
1. Skye,
isola: fa parte dell’arcipelago delle Ebridi
Interne.
Amministrativamente è compresa nella regione scozzese delle
Highlands. I
principali centri urbani sono Portree e Sconser. Gli abitanti sono
famosi per
l’alta incidenza con cui parlano lo scozzese gaelico, quasi
una seconda lingua.
La presenza di esseri umani nell’intera area delle Ebridi
è minima e vi sono grandi
aree in cui la natura prospera selvaggia e indisturbata. Qui
per maggiori informazioni.
Una nota a proposito del
clan McFusty: viene riportato ne
‘Animali
fantastici: come trovarli’. I suoi appartenenti si occupano
da generazioni dei
draghi nativi di quelle regioni, ovvero i Neri delle Ebridi.
Qui per info.
2. Il dialogo
dell’intera
scena è riportato, con pochissime differenze, dal capitolo
XIII di Ab Umbra
Lumen.
|
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Capitolo 3 *** Careless // Capitolo III ***
I cut the arrow from your neck / Stretched you beneath
the tree
I covered us with silver leaves /We lied, we
can't go
on
This is the time and this is the place to be
alive
(Wine Red, The Hush Sound)
10
Ottobre 2023
Scozia,
Hogwarts, Carrozza di Beaux Batons.
Quel mese era volato via
come
se fossero stati pochi giorni.
Violet era stata
completamente
inglobata nella routine di Hogwarts e, con suo grande stupore ormai si
trovava
a parlare più inglese che francese. Del resto, la sua stessa
delegazione dopo
il primo impatto sembrava aver capito che gli attuali compagni non li
avrebbero
capiti se non si fossero sbrigati ad imparare le poche basi di quella
lingua
pietrosa.
Doveva ammettere
però che gli
scozzesi erano stati sin da subito volenterosi in spiegazioni e in
tentativi di
instaurare un rapporto, a differenza dei durmstranghiani, chiusi e
serrati
quasi dovessero proteggere la loro unicità di gente del
Nord. Persino lei si
era ritrovata a scambiare battute e sorrisi con gli autoctoni, e li
aveva trovati
molto meno rozzi di quanto non credesse, specialmente in casa
Serpeverde. Aveva
infatti riconosciuto e chiacchierato con Michel Zabini e Loki Nott, che
ricordava come i paggetti di Scorpius, adesso entità
singolari e ben separate,
il primo un damerino elegante e il secondo un ghignante stronzetto
dagli occhi
bicolore. Li aveva trovati più interessanti dei suoi
compagni di scuola.
Forse
anche perché parlano inglese, e ammettilo,
l’inglese ti piace.
Più
diretto, più efficace. E poi … con chi hai
parlato
sempre e solo inglese?
Quelle riflessioni la
prendevano ancora alla sprovvista e le facevano male ad ogni ora del
giorno e
della notte – soprattutto di quest’ultima. Anche in
quel momento, mentre si
stava preparando per le lezioni mattutine, non poté fare a
meno di posare le
forcine del suo chignon e guardarsi sconsolata allo specchio.
Non riusciva a togliersela dalla testa.
Dominique in compenso
sembrava
averla felicemente dimenticata, pienamente coinvolta nel suo ruolo di
Campionessa.
Che
ti aspettavi?
Sarebbe stata più
serena e
avrebbe pensato molto meno a quella sciroccata, se le cose con Scorpius
Malfoy
fossero invece andate lisce.
Non c’era stato il
minimo
progresso da quando si erano presentati al suo arrivo, il giorno dopo
il
banchetto inaugurale. Scorpius, quando si era presentata, era parso
contento di
vederla, o aveva finto molto bene. Era stato il resto del dialogo che
l’aveva sconvolta.
“Hai
fatto un buon viaggio?”
Il
tono di voce era il linea con ciò che si aspettava. Un
inglese pulito, dato che ai Purosangue, in Inghilterra, era proibito
parlare il
dialetto della loro zona di provenienza. Quello che la confondeva era
il taglio
di capelli. A vederlo da vicino, sembrava sin troppo simile a quello
esibito da
molti dei suoi compagni Nati Babbani.
“Sì,
grazie. Hai ricevuto ma lettre?”
L’accento francese – falso come l’oro dei
Leprecauni – avrebbe aiutato a fargli
credere alla storia della sciocca bambolina francese.
“Ah-ah.”
Il secondo campanello d’allarme era stato il
trascinarsi di quelle due sillabe. Decisamente rozzo.
“Però senti … a me con le
ragazze piace esser chiaro.” Il sorriso era simpatico.
Simpatico e sciolto e
ben poco manieroso. Non assomigliava a quello di Mathieu, né
a quello di Zabini
e Nott. “Ti spiace, Violet?”
“No,
credo … credo di no?” Si era trovata a balbettare
come una stupida. Aveva subito sorriso, inserendo un gran sbattere di
ciglia.
“È un pregio, in un ragazzo.”
L’altro aveva annuito. “Precisamente. Il fatto
è che … parliamoci fuori dai
denti, sappiamo benissimo perché stiamo avendo questa
conversazione, vero? I
nostri parenti l’hanno sponsorizzata da morire.”
Non le aveva dato il tempo di
ribattere. “Sei una ragazza carina, mi sembri anche in gamba
… ma non mi
interessa.”
“Scusa?” Le era uscito spontaneo e anche molto
irritato. L’altro aveva avuto un
guizzo divertito nello sguardo, quasi avesse trovato divertente la sua
reazione.
“Non
mi interessa.” Aveva ripetuto. “Se vuoi che siamo
amici come hai scritto per lettera, nessun problema, volentieri. Ho un
mucchio
di amiche. Non vado d’accordo con i ragazzi, sono troppo
fantastico.” Aveva
blaterato con un sospiro esagerato e teatrale.
“Però sono innamorato e fedele,
e questa non è una condizione che cambierà da qui
ai prossimi mille anni.”
Iperboli, parole in dialetto – peraltro non del Wiltshire, da
dove proveniva – capelli
assurdi, la mimica disinvolta…
Sembra … sembra
un Nato
Babbano!
“Sei
… sei stato molto chiaro. Questo lo aprezzo.”
Aveva
recuperato un minimo di dignità e di accento esotico,
cercando di sorridere anche
se le veniva da urlare. Come osava essere così sfacciato?
E soprattutto, come osa
ammettere ad alta voce che non gli importa di quello che i nostri
genitori si
aspettano da noi?
“Allora
saremo amici.” Gli tese la mano, con il suo
miglior tono invitante. L’altro replicò, e doveva
ammetterlo, quel sorriso,
così spontaneo e luminoso, era bello. Non le smuoveva
assolutamente nulla, ma
la incuriosiva. Com’era possibile che all’erede di
una delle famiglie più
antiche, classiste e razziste fosse permesso comportarsi in quel modo?
Di
fronte a tutti poi?
Per distrarsi
l’aveva studiato
a lungo in quel mese. Non aveva avuto molto tempo da spendere in sua
compagnia,
dato che anche lui era nella rosa dei Campioni ufficiali, ma
l’aveva guardato
da lontano, per vedere se quella sua spontaneità fosse a
portata di tutti.
Lo era, ed anche di
più.
L’aveva visto buffoneggiare con un paio di ragazze della sua
Casa, scherzare
con altri, sorridere a molti. Aveva scoperto da Zabini che il suo
migliore
amico era il moretto seduto accanto a lui la sera della scelta dei
Campioni.
James Sirius Potter, il primogenito del famoso Salvatore dei Due Mondi,
diplomatosi
l’anno prima.
Scorpius le era sembrato
molto
legato alla famiglia Potter-Weasley, a giudicare dal fatto che fosse
sempre in compagnia
di almeno uno dei suoi esponenti, in particolar modo di una scialba
ragazza
castana. Quando l’aveva scritto a sua madre, quella aveva
replicato
categoricamente che ciò non era possibile.
Sì,
come quando le ho detto che era a Grifondoro. Ma è
un dato di fatto. C’è.
Sua madre era impaziente, lo
capiva dalle lettere sempre più incalzanti e ravvicinate che
le scriveva.
C’era un motivo:
avrebbe
partorito a Gennaio, e si sarebbe sposata a Dicembre.
Vuole
avermi in dirittura di matrimonio, cosicché io
sia lontana da casa e sistemata quando lei ricomincerà la
sua nuova vita da
zero, con una nuova famiglia, migliore.
Lei e sua madre non avevano
mai parlato di suo padre e Violet non l’aveva mai conosciuto,
essendo morto
poco dopo la sua nascita per una malattia contratta in guerra. Sapeva
di aver
ereditato da lui il suo naso a patata e la tendenza ad ingrassare,
tutto lì.
Non avevano neppure una foto in casa. Lui e sua madre si erano sposati
solo per
poter unire quel poco che restava delle loro rispettive fortune.
Era patetico. Era triste e
patetico esser figlia di un’unione simile.
Normale
che mamma voglia rifarsi una vita con una
famiglia che stavolta ha scelto lei.
Fissò
l’ultima forcina della
sua acconciatura e sospirò. Tutti quei pensieri non le
facevano bene, ma come
poteva impedirsi di averne? Era come se Hogwarts, con i suoi costumi
rilassati
e la presenza massiccia di cultura Babbana la mettesse tutti i giorni
di fronte
ad uno stupefacente fatto compiuto.
Il
mondo è molto diverso da come lo intendo io.
Quella fu l’ultima
riflessione
che ebbe, perché la porta si spalancò ed
entrò Dominique. Da giorni dormiva in
camera di Delacour e tornava solo per prender qualcosa dal bagaglio.
“Oh,
ehi!” La apostrofò con
aria stupita. Non doveva essersi aspettata di trovarla in camera.
“Tutto a
posto?”
Quella domanda, fatta con
sincera preoccupazione, la lasciò spiazzata. Non si era
accorta di aver fatto
trasparire qualcosa, oltre fastidio, quando si era voltata per
accoglierla.
“Sì.” Replicò sentendo con
orrore che la voce le tremava.
“Hai una
faccia…” Fece un
passo nella sua direzione e Violet si sentì invasa. Era
così che percepiva la
presenza di Dominique ultimamente. Si ritrasse sulla sedia.
“Sto
bene.” Ripeté alzandosi
in piedi e svicolando verso la finestrella. “Ero solo persa
nei miei pensieri.”
“Questo l’avevo notato.” Fu la replica
tranquilla. “E prima che tu lo dica, lo
so che non sono affari miei.” Decretò raggiungendo
il piccolo armadio distinto
in tre scomparti separati, comunque spaziosi grazie ad un incantesimo
di
Estensione Irriconoscibile.
“Appunto,
quindi…”
“Però questa
è anche camera mia.”
Ritorse, sempre con quel tono discorsivo capace di mandarla su tutte le
furie
in un secondo. “Se fai quella faccia piagnucolosa, falla
quando non ci sono.
Altrimenti le mie domande te le devi beccare per forza.”
Violet ci mise
più di qualche
secondo per decifrare quella frase in apparenza insultante.
“Ti stai
preoccupando per me?”
“Non ho smesso di
farlo.”
L’aveva detto
voltata verso
l’armadio, come se discorresse del tempo, eppure a Violet
parve di vedere un
lieve irrigidirsi nella sua postura. La prova finale fu vedere come si
fosse
ficcata immediatamente le unghie sotto i denti.
Dannazione…
Era un disastro.
Quell’intera
situazione lo era, e a lei mancava
da
impazzire Dominique.
Non
è che ammettendolo si risolva nulla, ma comunque…
La bifolca non capiva nulla
di
sentimenti, era un’egocentrica fissata solo sui suoi
obbiettivi ed aveva una
carattere imprevedibile come un cavallo imbizzarrito, ma era pur sempre
Nicky, la sua Nicky.
Era impossibile cancellare
quei loro sette anni di alti e bassi. Ci aveva provato, ma aveva
fallito ogni
volta. La Weasley era una linea parallela e non c’era verso
di farla convergere,
né tantomeno allontanare da lei. Era sempre lì,
all’angolo della visuale e la
mandava a pezzi non poterla toccare, baciare, sentire.
“Sto
bene.” Ripeté, addolcendo
il tono. “In ogni caso, sarei io a doverti fare questa
domanda.”
L’ombra di un
sorriso passò
sul viso dell’altra. “Come vuoi che stia? Alla
grande. Sto facendo ciò che
voglio.”
“Ci credo.”
Ci fu una breve pausa, densa
di sottointesi, pause e passato. Dominique si era raddrizzata, aveva
preso ciò
che doveva prendere e stava per andarsene.
“Io…”
La bocca le si mosse da
sola, e Dominique inarcò le sopracciglia.
“Dom,
tutto a posto?”
Era la prima volta che
Violet
vedeva da vicino l’Odiosa Corvonero che si era presentata
sfacciatamente
all’altra la sera del banchetto. A detta delle voci di
corridoio, lei e la sua
ex-ragazza erano diventate inseparabili.
“Ohi
Mòr.” L’apostrofò la
sciroccata. “Ho finito. Stavo chiacchierando
con…” Fece un gesto verso di lei.
“… Violet.” Concluse stranita, quasi trovasse
strano chiamarla col suo nome di battesimo.
Idiota.
“Ciao, piacere di
conoscerti.”
Salutò la scozzese con un accento così forte da
essere quasi incomprensibile.
“Morag MacFusty.”
“Chiedo
scusa?” Disse infatti
sentendo l’irritazione investirla come un tifone.
“Non ho capito una parola.”
Sputò velenosa. Era bella, quella Morag. Aveva gli occhi
azzurri e il naso
dritto e neppure un filo di grasso superfluo. Era tutto quello che non
sarebbe
mai stata.
La scozzese la
guardò
sorpresa, ma fu Dominique, stranamente, a prendere la parola.
“Piggie è di
cattivo umore, non farci caso Mòr.”
Sbuffò. “È una condizione
naturale.”
La sta proteggendo!
L’irritazione era
così forte
che sentì un groppo occluderle la gola. “Non
naturale. Naturale solo in tua
presenza.” Ritorse afferrando la borsa con i libri e
tirandosela al petto come
se fossero una perfetta armatura. Non lo era, e lei si sentiva ridicola
e
ferita.
È
la tua ragazza? È la tua ragazza adesso?
Le sembrava assurdo che
Dominique fosse abbastanza consapevole da potersene trovare una, ma
poteva aver
fatto capire all’altra di non essere indifferente al fisico
femminile. Non sarebbe
stato assurdo che
la scozzese fosse gay.
Di certo pareva molto interessata.
Non
è impossibile, solo improbabile. Un po’ come la
vostra storia, no?
Se ne andò,
marciando via
impettita, ma con l’orgoglio ancora intatto. Sempre avere
l’ultima parola in
una discussione, era una massima di sua madre di cui aveva fatto tesoro.
Scese le scale e, quando non
vide nessuno, sfogò tutta la sua frustrazione lanciando la
cartella contro il
muro color pan di zucchero. Inspirò, espirò,
ritornò in sé.
Era sempre più
difficile.
****
Ritrovarsi Piggie alla
lezione
di Cura delle Creature magiche poteva essere definito solo come bizzarro.
Eppure era lì,
impeccabile nel
suo chignon da vedova addolorata. Aveva notato come fosse inorridita
quando
aveva realizzato che le scarpe le stavano affondando nel fango, e aveva
anche
notato come stesse discosta di una buona spanna da lei.
E
ora che ho fatto?
Non le rivolgeva la parola,
non la infastidiva con la sua presenza eppure l’altra
sembrava avercela con lei
a nastro continuo.
Mi
hai mollata tu!
Era ufficiale: la sua
lezione
preferita in suolo inglese era appena diventata un discreto schifo.
Sbuffò,
scambiando qualche
parola con gli unici altri due compagni di Beaux Batons che
condividevano quelle
lezioni. Non servì aspettar molto comunque: gli
hogwartsiani, rispettivamente
serpeverde e grifondoro, apparvero dal folto della foresta.
Dominique riconobbe subito
Rose, seguita da Sissy e dal cugino-acquisito-o-qualcosa-del-genere
Thomas: chiudeva Malfoy. Dominique avrebbe voluto rispondere
sinceramente al
sorriso che le rivolse quest’ultimo, ma era a lui che Violet
aveva
immediatamente guardato, tutta impettita e pronta alle moine.
Sfoderò comunque
la sua
migliore aria amichevole, perché non era una smorfiosa dal
carattere
impossibile, lei. Non la lodavano
tutti per la sua indole accomodante, forse?
“Ohè!”
Salutò il gruppetto in
avvicinamento. Thomas era l’unico a non sorridere, ma si
ricordava fosse un
mezzo stronzo, quindi era normale. “Lezioni
all’aperto, le mie preferite!”
Per tutta risposta vide sua
cugina impallidire. Ma non a causa della sua affermazione, quanto
piuttosto per
la direzione che aveva preso il suo sguardo.
Piggie?
Ancora?
Beh,
non hai tutti i torti … Chissà quanto
avrà fatto
la gatta morta, con il tuo biondo.
Fu Scorpius a prendere la
parola
e fare le presentazioni e Violet rispose con una delle sue stupide
frasi
manierose.
Fingeva. Fingeva di brutto,
ma
nessuno sembrava accorgersene.
Neanche
le piaci, biondo. Non le piaci, sicuro come il
sole che sorge e tramonta sempre nello stesso posto. Le piaccio io. Ma
evidentemente, non basta.
La cosa peggiore era
rendersi
conto che non aveva senso stare male per una situazione che non aveva
sbocchi.
I sentimenti erano un gran casino, e lei si sentiva come se un drago
avesse
deciso di usarla come stuzzicadenti.
Certo, non sempre. Non
pensava
continuamente a Piggie. Aveva gli
allenamenti mattutini, la preparazione alla Prima Prova da fare con
Mael,
auto-elettosi suo Assistente, le lezioni da seguire, e le ramanzine
della Madame da sorbirsi. Poi
c’erano anche le
parti belle. Passare del tempo con i cugini e l’amicizia di
Morag, che era
proprio una tipa grandiosa, con una gran chiacchiera e voglia di
parlare di
draghi per ore.
Però
c’erano dei momenti in
cui il viso di Piggie, i suoi occhi neri e brillantissimi, le entravano
dentro
come una lama.
Era la prima volta in vita
sua
che non si sentiva abbastanza.
Era stato proprio Mael, Mael
che tanto detestava Violet per il suo sentirsi superiore senza motivo,
ad
averla messa di fronte alla cruda verità.
“La
Parkinson ha avuto paura. Semplice.”
“Paura di che?”
“Paura
di sua madre, di perdere le sue amicizie … Sai
quante Purosangue che hanno relazioni omosessuali ci sono? Femmine,
intendo?”
“Dovrei?”
“Appunto. È la domanda che si fanno tutti. E la
risposta è nessuna.”
“…
Perché?” Non ci capiva niente di quel mondo
assurdo.
Meglio, non aveva mai voluto capirci niente perché le
sembrava insensato, con tutte
quelle regole, imposizioni ed etichette.
Ridicolo.
Eppure Piggie vi era immersa fino al collo.
“Perché
le ragazze di buona famiglia possono fare solo
una cosa. Sposarsi e sfornare eredi, possibilmente maschi, che portino
avanti
il cognome di famiglia.” Mael aveva sospirato.
“Certo, nessuno vieta loro di
farsi un amante, o un amichetta, ma non possono certo portarli fuori
dal
letto.”
“Fa
schifo.”
“Già, ma è così e basta.
Violet è l’unica erede della sua famiglia, almeno
finché la Vedova non partorirà. Per quanto la
trovi odiosa…”
“Per
quanto…”
“Per quanto la trovi odiosa, è assurda la
pressione che deve avere sulle spalle
in questo momento. Quando sua madre si sposerà
prenderà il cognome del marito,
e non la vorrà trai piedi. Sarebbe una situazione
scomoda.” Sospirò. “Per
questo è alla ricerca disperata di qualcuno che se la sposi
e le dia il suo
cognome. La famiglia Parkinson-Goyle dopo il matrimonio non
esisterà più.
Capito?”
“…
Piggie deve trovarsi qualcuno che la mantenga?”
“Come
ogni brava Purosangue, già.” Aveva convenuto una
seconda volta, con una smorfia simpatetica. “Non potrebbe mai
stare con te Dom,
non alla luce del sole. Sua madre la ripudierebbe, e per un Purosangue
non c’è
onta peggiore. Oltre al fatto che finirebbe in mezzo ad una
strada.”
“In
mezzo…”
Mael aveva annuito. “Si dice che la Vedova Nera abbia
intestato tutti i beni di
famiglia a suo nome. Il padre è morto, e non credo le abbia
lasciato una gran
dote, se gliel’ha lasciata. Se la ripudia,
è fregata, non le rimane un Galeone.”
Poteva
credere al cugino: Mael era il gazzettino
ufficiale della scuola, e se c’era qualcuno che sapeva come
erano lavati i
panni sporchi altrui, era lui.
“Non
credo mi abbia piantato per paura di sua madre.”
Aveva obbiettato però. “Ha detto che non
funzionavamo.”
“Sì, è un modo carino per dire che non
volevate le stesse cose. Lei vuole
discrezione, segreti, porte chiuse. E tu…”
C’era stata una lunga pausa in cui Mael l’aveva
guardata meditabondo. Aveva
apprezzato che non si fosse mostrato troppo stupito dalle sue
ammissioni e
confessioni. Sapeva che lo era.
“…
E tu Dom, tu cos’è che volevi?”
Era già la
seconda persona che
le faceva quella domanda, ma stavolta aveva un’idea un filino
più chiara
dell’intera faccenda.
Voglio
lei. E non voglio dividerla con nessuno.
Ma rimaneva
l’impossibilità
che questo suo desiderio si avverasse. Ci arrivava da sola a capire che
non
poteva pretendere un granché, se l’altra non era
intenzionata a cedere su
quello stupido punto della segretezza.
Mandare affanculo tutto e
tutti era una cosa che poteva fare solo Piggie, ma più la
guardava cinguettare
con Scorpius nonostante lo calcolasse sentimentalmente come un
ciottolo, più
capiva che non l’avrebbe mai fatto.
L’ha
fatto una volta per salvarti dall’espulsione, ma
non lo farà ancora.
Non
ora che sembra avercela a morte con te. Ovvio, no?
****
Dominique era stata del tutto
inopportuna. Quando aveva fatto un banalissimo commento
sull’odore metifico che
emanava la bestia che stava loro di fronte – la loro lezione - l’altra le aveva
rifilato quell’orrore di nomignolo.
Si era sentita scottare le
guance, perché in presenza di Scorpius, e Morgana solo
sapeva cosa avrebbe
potuto pensar di lei.
Non che le fregasse un
granché
della sua opinione, a dirla tutta, ma non era quello il punto.
Doveva convincerlo ad
abbassare le difese, e perlomeno accettare un the con lei. Questo
avrebbe
calmato sua madre almeno per un paio di giorni. La sua ultima lettera,
risalente a pochi giorni prima, tra le varie ansiose domande, suggeriva
una
probabile venuta in terra d’Albione nel caso non si fosse
concretizzato nulla
entro Natale.
Morgana,
no. No, no, no. Mia madre qui no.
Poi la pazza si era offerta
volontaria per salutare l’Ippogrifo e Violet aveva cancellato
con un colpo di
spugna tutte le precedenti riflessioni.
Conosceva la tendenza di
Dominique
a gettarsi a capofitto nel pericolo mortale, ma vederla avanzare verso
quella
bestia terrificante, dotata di becco acuminato e artigli da fiera, le
fece
defluire il sangue dalle guance. Si appoggiò con nonchalance
ad una pietra
quando vide che la creatura non sembrava affatto contenta della
presentazione –
una riverenza, far fare una
riverenza
a quella sciroccata era come tentare di far ballare il valzer ad uno
Schiopodo!
“Tutto a
posto?” Si sentì
chiedere. Era uno dei cugini di Dominique, un ragazzino dagli enormi
occhi
chiari e l’aria ben più spaventata di lei. Forse
per darsi coraggio, ben strano
metodo, aveva afferrato il maglione di un compagno e lo teneva stretto
in
pugno.
Sembrava aver voglia di
vomitare e chiedeva a lei se stava bene?Che razza di espressione doveva
avere?
“Sì,
grazie.” Mormorò
distogliendo lo sguardo. L’altra si era intanto messa in
sicurezza e Violet si
permise di respirare di nuovo.
Stupida
bifolca. Farmi preoccupare … Non devi osare
farmi preoccupare!
Fissò lo sguardo
su Scorpius, il
secondo pretendente al trono di Pazzo del Giorno, dato che a lui
dovevano
andare tutte le sue attenzioni. Notò quindi che la scialba
Potter-Weasley aveva
l’aria di chi poteva svenire da un momento
all’altro.
Non
sarà mica lei, la misteriosa dama del suo cuore?
Sembrava una sciattona, di
quelle che ritenevano più proficuo ingobbirsi sui libri che
tentare di
integrare ad una buona media un aspetto presentabile.
Almeno
ha un bel seno.
Ad ogni buon conto, Scorpius
riuscì a salire in groppa alla bestia terrificante.
Era un buon risultato.
Doveva
approfittarsi dell’euforia del ragazzo appena fosse sceso.
L’occasione fu
propizia,
perché rimasero sostanzialmente soli dopo che la lezione fu
sciolta. Lo vide
andare verso Zabini e Nott e scambiarvi qualche parola. Vedendolo poi
affrettarsi
verso il castello, gli sbarrò la strada.
“Hai programmi per
questo fine
settimana?” Gli chiese in perfetto inglese. Era stufa di
inscenare la commedia
della svampita bambolina francese. Amava la lingua che le aveva dato i
natali.
Scorpius si
bloccò, con aria
sorpresa. “Come, scusa?”
“Programmi. Per questo fine settimana.”
Ripeté scandendo bene le parole. I
maschi erano così
stupidi. Non che certe ragazze
fossero da meno. Scacciò
via quel pensiero con esasperazione. “Ho sentito parlare
molto bene di
Hogsmeade da mia madre… Quindi. Hai programmi?”
“Sì.
Sopravvivere alla mia adolescenza.” Ancora
quel sorriso disarmante. Lo era sul serio. “Scusa, adesso
dovrei proprio
andare… ci vediamo, ehm, tipo dopo.” Aggiunse.
“Tipo dopo quando?” Lo
incalzò piazzandogli un dito sul petto. Doveva
portare dei risultati o la sua presenza ad Hogwarts sarebbe stata
inutile. E
dolorosa. Se non poteva avere ciò che voleva, chi
voleva, doveva almeno non essere un fallimento in altri
campi.
“Sai che dobbiamo
parlare di quella
cosa.”
“Ma adesso?”
“Sì,
adesso.”
“Sai come la
penso. No.”
Si stava spazientendo, ma anche lei era stufa di quel gioco. In fondo
non
chiedeva molto. “Alla faccia della brutalità, Lord Malfoy…” Si
guardò attorno prima di scivolare in un francese
cospiratorio. L’altro lo capiva, e poteva evitare che altri
capissero loro.“Sai
che non è così semplice.”
“Lo è, basta dire di no.”
Com’era possibile
che la
pensasse in quel modo? Apparteneva ad una delle casate più
oltranziste di tutta
Europa, isole incluse. Violet era confusa, arrabbiata e sì,
non riusciva a
capire come un ragazzo che doveva aver avuto la sua stessa, identica
educazione
si comportasse come…
Come
se potesse scegliere.
“Senti, non ho
tempo per
pensare a queste cavolate da Purosangue.”
“Cavolate?”
Le guance di Violet si tinsero di un rosso violento. Si
dimenticò del francese e al diavolo la recita.
“Abbiamo dei doveri verso le
nostre famiglie!”
L’altro le
scoccò un’improvvisa occhiata dura.
Violet si sentì morire il fiato in gola, perché
vi lesse biasimo, pena ed
esasperazione.
“Non
sposerò te in futuro,
come non sposerò nessuna stramaledetta Purosangue
sponsorizzata!” Sbottò
spostandola quasi di peso. In realtà la toccò
appena, ma a Violet sentì come se
l’avesse colpita dritta allo stomaco.
Non era lo sfogo di un
rampollo esasperato dalle richieste pressanti dei parenti. Era la
decisione di
una persona consapevole di ciò che diceva. Lo
guardò andare via come se avesse
degli inferi alle calcagna e non tentò di fermarlo,
perché non voleva certo
risultare patetica.
Lo
sei comunque.
Era rimasta sola nella
piccola
radura e nessuno la attendeva, né alla carrozza
né al castello. Trovò quindi
perfettamente scusabile sedersi sul muretto a secco e non fare
nient’altro fino
al tramonto.
****
14
Ottobre 2023
Scozia,
Hogwarts. Apparentemente, le serre di
Erbologia.
Violet aveva capito che le
serre erano un buon posto per starsene con i suoi pensieri non appena
vi aveva
messo piede.
Il club di Florigrafia
essendo
composto principalmente da lei e alcune delle ragazze della delegazione
si era
ricomposto anche in quelle fredde lande, e Violet, finito
l’incontro, si era
offerta di riportare attrezzi e piantine nelle serre. Poi, non se
n’era più
andata.
Fuori da quel buon odore di
erba
e di fiori c’era la realtà. C’era sua
madre, le sue lettere, il rifiuto di
Scorpius e, ultima ma non ultima, Dominique.
Era stanca. Il suo umore,
già
non propriamente solare, era scivolato in un abisso di nervosismo e
risposte
salaci. Ormai la gente la evitava neppure avesse la Spruzzolosi.
Accarezzò le
foglie della sua
orchidea, che aprì la corolla soddisfatta, come un gatto
avrebbe fatto le fusa.
Non aveva risposto alle
ultime
tre lettere di sua madre. Non era stata una mossa intelligente. A
Dicembre ci
sarebbe stato il matrimonio e lei sarebbe dovuta tornare in Francia,
secondo i
piani di sua madre, piena di buone notizie circa il suo prossimo
fidanzamento
con il rampollo dei Malfoy.
Ma
io, mamma … Perché non pensi mai a quel che
voglio io?
Era spaventata dal corso che stavano prendendo i suoi
pensieri, ma non
sapeva come farli rientrare nel solco della ragionevolezza.
Così,
vigliaccamente, lasciava le tre lettere chiuse nel suo baule.
Anche
se la situazione non ti aggrada, mia cara, cosa
puoi fare in merito? Rifiutarti di assecondare tua madre? Non ti pare
un po’
tardi per cominciare?
Chiuse gli occhi, serrando
le
mani contro il tavolino. Sentiva il legno ruvido premerle sui palmi,
fare male.
Se avesse continuato di quel passo le si sarebbe infilata qualche
scheggia
nella pelle. Non le importava.
“Ehi,
va tutto bene?”
La voce maschile la fece
violentemente sussultare. Era inglese, un maledetto ragazzo inglese. Si
voltò
per scacciarlo con una rispostaccia e si trovò di fronte
Scorpius Hyperion.
“Ciao.”
Le disse abbozzando un
sorriso, con le mani indolentemente ficcate nelle tasche
dell’uniforme. Dov’era
la sua cravatta?
“Cosa
vuoi?” Non aveva voglia
di esser gentile con qualcuno che aveva contribuito a sconvolgerle la
testa al
punto da farle dubitare della giustezza dei suoi piani.
L’altro fece
spallucce. “Sono
qui per vedere il Professor Paciock … Sai, per la Prima
Prova. Ma non dire che
te l’ho detto. Sei la concorrenza.” Le
strizzò l’occhio.
Violet fece una smorfia.
“Non
preoccuparti di questo.” Andò al lavabo dove fece
scorrere l’acqua per ripulire
gli strumenti. Erano già puliti, ma doveva trovare qualcosa
da farsi visto che
l’altro non dava segno di volersene andare. “Non
sono una sostenitrice della
nostra Campionessa.”
“Però vi conoscete.”
Violet gli scoccò un’occhiata valutatrice.
Sembrava non rimanere mai serio,
sempre con un sorrisetto all’angolo delle labbra. Era
disagiante.“Andiamo nella
stessa scuola da sette anni.” Rispose neutra, strofinando le
cesoie con un
incantesimo di pulizia che le avrebbe rese uno specchio. “Hai
qualcosa di interessante
da dirmi o possiamo concludere?”
Scorpius le fece un
sorrisone,
sembrando deliziato dalla sua risposta.
Ma
se ti ho appena risposto male!
“Credo di doverti
delle
scuse.” La spiazzò completamente. Le si
avvicinò, fermando con un colpo di
bacchetta l’acqua e il lavaggio degli attrezzi già
lindi. “Qualche giorno fa
sono stato scortese.”
“Solo?” Riprese sangue freddo, allontanandosi di
nuovo per avvicinarsi alla sua
amata orchidea.
Scorpius inarcò
le
sopracciglia. “Un cafone.” Stimò.
“Un buzzurro. Un volgare idiota. Un rozzo
guascone. Un deficiente. Un cretino…”
Violet lo ascoltò snocciolare una serie di insulti che mai
avrebbe pensato di
rivolgergli. Ma che aveva un po’ pensato. Sentì
uno strano prurito alla gola.
Le veniva da ridere.
“Mi dispiace,
Violet.” Allargò
le braccia con aria disarmata. “Quando qualcuno comincia a
parlare di beghe
Purosangue divento intrattabile!”
“Tu sei
un Purosangue.”
“Verissimo.” Convenne. “Però
non sono della generazione dei miei genitori. Non
ho le loro stesse idee in materia di amore e matrimonio … Su
un sacco di cose
non la penso come loro e non lo trovo un difetto.”
La testa di Scorpius
funzionava in modo anormale rispetto a quanto si era aspettata. Non
riusciva a
capire se le piacesse o meno, ma certo la incuriosiva. E spaventava
nella
stessa misura.
Nel mentre, trovò
del tutto
sensato sedersi su uno degli scalini di pietra che dividevano una
sezione di
colture dall’altra. Scorpius la imitò, ma non si
sentì infastidita dal
trovarselo così vicino. Profumava di pulito – cosa
da non sottovalutare in un
maschio di quell’età – e manteneva una
rispettosa distanza.
“Non ti
capisco.” Ammise infine
dopo averlo squadrato un po’. Il ragazzo non aveva battuto
ciglio, quasi vi
fosse abituato. “Sei cresciuto come me. Mi ricordo bene
quanto fosse severo tuo
padre. Anche tua nonna è …”
“Della vecchia
scuola, già.”
La interruppe. Guardò verso il tetto a vetri che rifletteva
un cielo terso. Il
cielo in Scozia, quando si degnava di far bel tempo, era di un azzurro
che
faceva male a guardarlo. “Il fatto è che se non
avessi mai parlato chiaro, se
non gli avessi mai detto che ciò che volevo per
me, avrei finito per far del male sia loro che a me
stesso.”
“In che
senso?”
Si grattò una
guancia,
pensieroso. “Le nostre famiglie vengono fuori da un periodo
buio della storia
magica.” La voce divenne seria, e così
l’espressione. “Hanno fatto degli errori
e hanno cercato di rimediare, ma sta a noi essere il cambiamento.
Cambiarli,
anche. Essere diversi, no?”
Violet si morse le labbra.
Sua
madre non aveva tentato di rimediare ad un bel niente e lei di certo
non era in
grado di cambiare proprio nessuno, figurarsi quest’ultima.
“Ne hai parlato
con tuo
padre?”
Scosse la testa con un singolare sorrisetto rassegnato.
“Soprattutto con mia
madre e mia nonna. Papà non è un gran
chiacchierone. Però mi stima. Questo
credo conti.” Concluse con aria sicura. Era chiaro adesso:
Scorpius aveva tanta
forza perché la sua famiglia lo amava, traspariva dai suoi
discorsi, ma anche
dalla serenità del suo sguardo.
Doveva essere bello, essere
accettati.
“Io…”
Inspirò per incamerare
ossigeno e coraggio. Le sudavano le mani e si sentiva il cuore in gola.
Non
aveva mai parlato di certe cose, con nessuno. Ma sentiva, aveva il bisogno di parlarne, e Scorpius, che
ricordava come un moccioso pestifero che le attaccava le Bolle Bollenti
sui
vestiti, era lì.
C’era qualcosa
nella sua
espressione aperta che…
Forse aveva solo bisogno di
buttare
fuori quel grumo di emozioni che le pesava sul petto e le faceva venir
voglia
di urlare e piangere ad ogni piè sospinto.
“Io non parlo di
queste cose
con mia madre. Io e lei non … non parliamo. Da quando mi
ricordo è lei che
parla, ed io ascolto. Non credo sia mai accaduto il contrario. Lei
vuole delle
cose per me, cose del tutto ragionevoli visto chi siamo e che posto
occupiamo
nella società…”
“Ma?” Scorpius inclinò la testa da un
lato. “Guarda che il ma
si sente.”
“Non…” Le parole le si erano bloccate in
gola, e Morgana, se facevano male.
Scorpius sospirò ma non smise di sorridere. “Posso
tirare ad indovinare?” Le
chiese gentilmente. “Io non credo che tu ti voglia fidanzare
con me. Sbaglio?”
“…
No.” Chiuse gli occhi, ma
nessun fulmine giudicante venne ad incenerirla, né una
Maledizione della Casta
dei Veri Purosangue venne a seccarla.
In effetti, non successe
niente.
“Che caso, neanche
io!”
Ridacchiò Scorpius. “Senti, non abbiamo stipulato
un Patto Infrangibile, né i
nostri genitori hanno firmato uno di quegli orridi contratti che si
usavano in
passato per impegnare ragazzini che sapevano giusto sbavarsi
addosso.” Batté le
mani con aria conclusiva. “Direi che siamo a posto, no?
Dì a tua madre che non
ti interesso, e…”
“Non posso.” Lo seccò, sentendo lo
stomaco stringersi in una morsa. Il resto
delle frasi gliele vomitò praticamente addosso.
“Se non sarai tu, cercherà
qualcun altro, mi costringerà ad incontrarlo, a scrivergli
lettere e a
frequentarlo. Non importa cosa ne pensi io, ma solo come lo
giudicherà lei.
È già successo, succederà
ancora.”
“Allora potresti cercare un tipo che ti
piaccia.” Le suggerì. Non sembrava
particolarmente turbato dal suo
principio di crisi isterica. “Certo, decidere di sposarsi adesso è un filino
demodé, per non parlare del fatto che sia folle,
ma potresti sempre puntare su un fidanzamento mooolto lungo.”
“Non
capisci!” Sbottò
alzandosi in piedi. Si sentiva il respiro corto, e le veniva da
rimettere. Come
può capire, le diceva una vocina, se non lo sa?
Come poteva capire se non sapeva che era innamorata di una persona che
aveva il
suo stesso sesso? Anche se non fosse stata Dominique, sarebbe stata
comunque
una ragazza.
Scorpius le
scoccò un’occhiata
sorpresa. “Allora spiegami.”
“Non siamo
amici.” Era ormai
inutile reggere la commedia. Doveva difendersi. Scorpius sembrava un
bravo
ragazzo, un rarissimo esempio di maschio con un cervello funzionante,
ma non
poteva vuotare il sacco con un sostanziale sconosciuto quando non
l’aveva fatto
neppure con le sue amiche più strette.
Sì,
immagina come reagirebbero.
“Diventiamolo
allora!” La
spiazzò. “Scoprirai che sono un confidente
favoloso.”
“… Mi
stai prendendo in giro?”
Scorpius sorrise.
“Per niente.
Non credere, non sei l’unica che ha fatto i compiti a casa.
Anche io ho
studiato te.”
Violet rimase ufficialmente
senza parole.
L’inglese si
abbracciò le
ginocchia, in una posa così buffa e adorabile che sarebbe
sembrato un bambino,
se non fosse stato alto più alto di Dominique. Quindi molto. “So cosa significa non
avere nessuno con cui parlare …” Non
era affatto un buffone esagitato. Non con quel tono consapevole.
“Non ci
insegnano che agli amici si può dire tutto. Invece
è vero, si può. Adesso ho
delle persone fantastiche con cui posso dar di matto senza paura che me
lo
rinfaccino o mi accoltellino alle spalle. È una sensazione
grandiosa, credimi.”
Le tese la mano. “Ti piacerebbe provarla?”
Era una questione di
fiducia. Peccato
che l’unica volta in cui l’aveva concessa era
finita con il cuore spezzato. Ma
Scorpius non era Dominique, e quel posto pullulava di occhi, orecchie e
nessun
amico.
Prima di crollare e
scoppiare
in lacrime di fronte ad un perfetto sconosciuto, poteva almeno tentare
di
conoscerlo e sapere se poteva.
Gli prese la mano ed
accennò
ad un sorriso. “Se provi ad ingannarmi sei morto,
Malfoy.”
Sua madre sarebbe inorridita sentendole formulare una frase
così rozza.
Scorpius invece fece una mezza risata e le strinse la mano di rimando.
“Direi che
è un buon inizio!”
****
3
Novembre 2023
Scozia,
Hogwarts, Lago Nero. Mattina.
Dominique
decelerò il ritmo della
corsa quando vide Morag farle cenno con la mano seduta dove, a regola,
avrebbe
dovuto esserci Mael con acqua fresca, asciugamani e la tabella dei
tempi.
Jogging
Babbano. Niente di meglio per svegliare il
corpo la mattina. Stasera sulla scopa e poi in Sala Duelli.
Era una routine che stava
dando i suoi frutti. Sentiva il fisico meno appesantito dal cibo
britannico, i
muscoli tendersi ad ogni suo minimo comando e i riflessi più
ricettivi. Partiva
comunque da una buona base, avendo sempre fatto attività
fisica.
Quidditch
e poi
corsa-all’ultimo-respiro-per-non-essere-divorata alla
Riserva. Direi che non mi
si può considerare una persona pigra.
Si avvicinò alla
scozzese che,
intabarrata in un pesante stoffa tartan dai colori autunnali le
sorrideva
tranquilla. Le tese un thermos. “Ho pensato fosse meglio
qualcosa di caldo,
pieno di zucchero e vitamine. È una ricetta MacFusty,
prova!” La incoraggiò.
Dominique
trangugiò metà del
contenuto, gradendolo moltissimo. Mael era favoloso nelle ricerche e
nello
sfogliare libroni pieni di frasi complicate, ma un po’ meno
nel supporto
atletico.
“Merci.”
La ringraziò sovrappensiero. “Grazie.”
Si corresse poi. Si
sedette accanto a lei schiaffandosi un asciugamano sul viso e
detergendosi il
sudore. “Dov’è Mael?”
“L’ho lasciato scappare … Pareva avesse
un appuntamento da com’era agitato.”
Spiegò allegra. “Mi ha lasciato detto di dirti che
ti aspetta in biblioteca, dopopranzo.”
Dom sbuffò sonoramente infilandosi il berretto di lana per
evitare di prendersi
un raffreddore a poche settimane dalla Prima Prova. “Roba da
matti.” Commentò
calcandoselo bene in testa. “È compito suo
affogare nella polvere e nelle
pergamene. Non capisco quest’ansia di coinvolgermi!”
“Beh, non sei tu la Campionessa?”
“E non
è lui l’Assistente?”
Ritorse facendo ridacchiare l’altra. Sorrise: Morag le
piaceva. Era sempre di
buon’umore, pronta alla battuta e non si straniva per le sue
uscite dirette
fino alla brutalità. Le piaceva passare del tempo con lei, a
chiacchierare o fare
i compiti – non era un asso nell’inglese scritto e
Mòr le dava una mano,
essendo una Corvonero nell’anima.
Davvero, le piaceva.
“Che intenzioni
hai per il tuo
compleanno? È questo fine settimana, no?” Le
chiese strappandola alle sue
riflessioni.
Si strinse nelle spalle.
“Non
so … di solito faccio cose in grande stile, roba da paura,
ma qua non siamo
all’Accademia e non so come funziona per le feste. Penso che
lascerò
organizzare tutto ai miei cugini. Quella piccola, la rossa, ci si
diverte da
matti.”
“Sono quasi tutti a Grifondoro, no? La festeggerete nella
loro Sala Comune
allora.” Considerò. “Vedrai che non ti
deluderanno. Le feste migliori sono da
loro!”
Dominique annuì.
Aveva voglia
di festeggiare, naturalmente. Diciotto anni, un anno esatto dalla sua
maturità magica.
Era stato un anno folle per molti versi.
Ma
grazie ad una sola persona.
Fece un lungo e scornato
sospiro, bevendo quel che restava del bibitone energizzante.
“Ehi, stiamo
parlando del tuo
compleanno, non di un funerale!” Le venne data una gomitata
amichevole. “Ti
secca non festeggiarlo con i tuoi soliti amici?”
Tirò ad indovinare.
“Nah, è
okay … Voglio dire,
una festa è una festa e son contenta di passarla con i miei
cugini e con voi
britanni.” No, non esisteva che non avrebbe festeggiato. E si
sarebbe
divertita, si conosceva. Aveva solo bisogno di essere in mezzo al
casino per
cambiare di colpo umore. Solo che di solito anche i giorni che
precedevano
l’evento erano grandiosi.
Non
stavolta.
Morag la guardò
valutativa.
Oltre ad essere dritta, aveva anche un cervello di
prim’ordine – o non avrebbe
vestito bronzo e blu. “C’è qualcuno che
dovrebbe esserci e non c’è? Dico, in
particolare.”
Non aveva mai parlato a Mòr di Violet. Aveva sviscerato la
questione con Mael,
ma mai con la sua nuova amica. Non perché non si fidasse
– era una cosa a
pelle, Mòr era affidabile, punto
– ma
perché continuava ad aver paura di tradire
Piggie.
Son
proprio cretina.
“Si tratta della
mia ex.”
Doveva chiamarla così, no? Le sembrava una definizione
ridicola. “Visto quanto
le sto sull’anima al momento, se la invito potrebbe staccarmi
la testa a suon
di maledizioni.”
E comunque Violet non era
mai
venuta al suo compleanno, in sette anni che la conosceva.
Chissà perché, ogni
volta che compiva gli anni, era sempre nel periodo in cui la detestava
cordialmente.
Morag accolse la notizia
senza
battere ciglio, esattamente come sembrava far tutto. “Lo
immaginavo.” Disse con
un lieve sorriso. “Che ti piacessero le ragazze,
intendo.”
“Ah sì?”
Ridacchiò
scuotendo la testa.
“Mai sentito parlare di gaydar?
È una
definizione Babbana e trovo sia geniale. In pratica le persone gay
riescono a
riconoscere altre persone gay. È una specie di istinto,
sesto senso … chiamalo
come vuoi, ma se c’è una stanza piena di persone
etero, stai pur sicura che il gaydar
ti fa scovare quello gay.”
Dominique fece il punto
della
situazione, spogliando le chiacchiere dell’altra per andare
al succo del
discorso. Mael le diceva sempre fosse tarda, ma lì
c’era tanto sottointeso da
costruirci una casa. “Ti piacciono le ragazze?” Si
risolse infine.
Morag si mise a ridere.
Sembrava divertita ed era evidente che si fosse persa qualcosa.
“Sì, Dom, mi
piacciono.”
Ah,
ecco. Tirato ad indovinare.
“Mi sa che questo gaydar non me l’han messo in
stock
quando sono nata…” Ammise un po’
sconcertata. Non capiva niente degli
orientamenti altrui. Non le era mai interessato, perché non
ve n’era motivo.
Non
è come se cambiassero la vita a me. A
meno che
a me non siano interessati.
Le sovvenne un dubbio.
“Ti
piaccio?” Le uscì. Ecco, erano quelle il genere di
esternazioni che le
rimproveravano sempre tutti, a partite da sua madre per finire con
Piggie. Non
sapeva mediare, non collegava bocca e cervello, era inopportuna. Tutte
palle:
il mondo sarebbe stato un posto di gran lunga migliore se tutti
avessero messo le
cose nero su bianco. Più chiaro di sicuro.
Morag anche stavolta non
diede
segno di turbamento. “Sì, Dom, mi
piaci.” Ripeté restringendo il campo.
Su
di me.
“Ah.”
Non sapeva bene cosa
dire. Quello era nero su bianco, ma
non sapeva come ribatterle. Non aveva mai pensato all’altra
come … beh, come
aveva pensato a Violet. Non proprio, insomma. Si rendeva conto di
quanto fosse
attraente, e ammetteva che qualche pensiero ce l’aveva pure
fatto, stuzzicata
da Mael e le sue domande circa l’evolversi del loro rapporto.
Come
al solito, tutti capiscono tutto prima di me, in
sto frangente. Che seccatura!
“Non ti ho voluta
conoscere
per questo.” Esordì Morag pacata.
“Charlie mi aveva parlato di te, e quando ho
saputo che c’era il tuo nome in delegazione mi sono
incuriosita. Lo ammetto,
magari un po’ di castelli in aria me li sono fatti quanto ti
ho vista.” Abbozzò
un sorriso soffiandosi sui guanti per scaldarsi le mani. “
… ma è diventando
tua amica che ho capito che volevo qualcosa di più. Ha
senso?”
Dominique
inspirò. “Non so che
dire.” Optò per la sincerità,
perché si sentiva la testa confusa.
Morag annuì.
“Non mi aspetto
una risposta adesso. Del resto credo di averti presa completamente di
sorpresa…” E non sapeva quanto! “Volevo
che lo sapessi e questo mi è sembrato
il momento giusto. Devo dire che mi hai tolto le parole di
bocca.” Aggiunse
divertita. “Non potevo mica mentire!”
Non aveva senso continuare a star male per Violet a giudicare da come
si era
dedicata ad ingraziarsi Malfoy. Li aveva visti spesso assieme, in
quell’ultimo
mese, sempre lontano da sguardi altrui. Sembravano amichevoli in
maniera del
tutto innocua, ma lei sapeva.
“Molti lo fanno,
Mòr. Dire un
sacco di palle e insabbiare tutto è la specialità
di un sacco di gente.”
La scozzese la guardò seria. “Non la
mia.” Poi si sporse e la baciò. Diretta e
immediata, nessun tentennamento. Dominique non si ritrasse come istinto
le
comandava impietosamente. Le passò piuttosto un braccio
attorno alla vita,
sentendo la ruvida stoffa della stola di tartan pizzicarle i
polpastrelli.
Non era come baciare Violet,
affatto.
Non che Morag baciasse male,
ma non c’era la stessa arrendevolezza. Piggie sembrava sempre
avere una voglia
matta di lasciarsi andare, e da rigida maestrina che era diventava
tutta
morbida e tenera. Le piaceva un sacco quella trasformazione e le faceva
venir
voglia di stringerla come avrebbe fatto con un animaletto di pezza.
Merda.
Stai baciando Mòr! Datti una regolata!
La
sua coscienza aveva più cervello di
lei, dacché riportò la sua attenzione sulla
scozzese .
Quando si staccarono era
piuttosto certa di dover dir qualcosa, ma Morag la anticipò.
“Beh … direi che
sono invitata alla tua festa, no?”
Dominique sorrise appena,
annuendo. “Sicuro che lo sei.”
****
5
Novembre 2023
Scozia,
Hogwarts, Carrozza di Beaux Batons.
Era il compleanno della
Weasley e lei non era stata invitata.
Non che se lo aspettasse,
beninteso: Dominique le aveva fatto recapitare l’invito solo
i primi due anni, poi
aveva rinunciato. Aveva senso dato che di solito, nel periodo in cui
cadevano i
rispettivi compleanni ce l’avevano l’una con
l’altra.
E
questa è la settima volta.
Doveva essere andata a
prepararsi dai cugini, dacché non l’aveva vista in
camera. Non si era
incrociate perché era volutamente
tornata a ridosso della cena, preferendo rimanere nelle serre come
ormai amava
fare.
Scorpius aveva evitato di
parlare dell’argomento e gli era stata grata. O meglio, aveva
tentato qualche
accenno ma alla sua faccia doveva aver capito che non era il caso di
parlare
della Weasley con lei.
Avrà
pensato che la odio.
Non la odiava. Era proprio
quello il punto.
Era patetica, ma senza un
invito le era stato insegnato che non restava che rimanere a casa, nel
suo caso
in una carrozza a forma di zucca.
Sfogliò
distrattamente il
libro che stava leggendo quando sentì bussare alla porta.
“Avanti.”
Doveva essere la
loro compagna di stanza, sufficientemente educata da annunciarsi ogni
volta.
La
Bifolca entra e basta.
Invece era Delacour. Per la
sorpresa non riuscì neanche a mostrarsi infastidita. Era
vestito a festa, con
una camicia talmente attillata che non lasciava nulla
all’immaginazione,
compreso il piercing al capezzolo che aveva tanto fatto discutere
l’anno prima.
“Devo
parlarti.” Esordì senza
mezzi termini. “Hai un minuto?”
Violet inarcò le
sopracciglia.
“Ti sembra che sia nel bel mezzo di qualcosa?” Fu
soddisfatta di vederlo
arrossire a disagio.
Sono
in vestaglia da notte, sono seduta sul letto ed ho
un libro e una tisana sul comodino.
Mi
prendi in giro?
Mael si richiuse la porta
alle
spalle, e andò a sedersi sul letto che avrebbe dovuto
ospitare la cugina.
“Si tratta di
Dom.”
“Come ti ho già detto all’inizio
dell’anno scolastico, se hai delle domande su
di lei, falle a lei.”
“Su di lei ho certezze.” La spiazzò.
“È su di te che ho domande.”
Violet si morse le labbra, posando il libro sul comodino e afferrando
la tazza.
Ne diede un consistente sorso per darsi contegno. E coraggio.
“Stai diventando
fastidioso, Delacour … Non siamo mai stati amici,
né tantomeno confidenti. Per
quale motivo dovrei rispondere ad un ficcanaso?”
Il ragazzo fece una smorfia.
“Perché si dà il caso che questo
ficcanaso si preoccupi. E se non mi importa di
te, mi importa di mia cugina. Non è felice.”
“Infelice?” Fece
un suono divertito,
sgradevole persino a lei. “Quell’idiota
è incapace...”
“Falla finita!” La seccò con rabbia
facendola ammutolire. “Lo so benissimo che
tieni a lei, quindi piantala di fare la stronza e parliamo
seriamente!”
Violet serrò le
dita sulla
tazza smaltata, sentendosele bruciare, dato che la tazza era tenuta
bollente da
un Incantesimo Riscaldante. “Anche se fosse … non
sembra affatto. Si comporta come
al solito.”
Mael si risedette, dato che per l’impeto si era alzato in
piedi. Erano così
teatrali, in quella famiglia. “Forse.” Ammise.
“Infelice per come lo può essere
Dom. Non è che sia precisamente una campionessa di
auto-analisi.”
Violet si limitò
ad un rigido
segno di assenso. Non riusciva a capire quanto l’altro fosse
a conoscenza di
quello che era intercorso tra lei e la Weasley. Molto, a giudicare da
come la
squadrava, come se cercasse di far collidere l’immagine che
aveva di lei – la
stronza giudicante e ipocrita – con la tipa che aveva
suscitato interesse nella
ragazza dei draghi.
“Senti, non sono
qui per
chiederti niente … ma Dom sta avendo un sacco di pressione
addosso, e ho paura
che prima o poi scoppierà facendo qualcosa di idiota. La
conosci, è imprevedibile.”
Lei è sotto pressione? Almeno lei
la
situazione in cui si trova l’ha voluta!
Ma non poteva lamentarsi, considerando il fatto che aveva
fatto carte false
per nascondere a tutti la sua misera situazione familiare. Se lo
sarebbe tenuto
dentro il più possibile. Rimase quindi in silenzio e lo
lasciò continuare.
“Non è
di pietra, okay?”
Soggiunse il ragazzo. “Sembra che le scivoli tutto addosso, e
per molte cose è
così, beata lei, ma non tutte. Non con te.”
“Cosa mi stai chiedendo, Delacour?” Sentiva il
cuore in gola: doveva sapere.
Sapeva di loro due.
Strano a dirsi, ma non si sentiva atterrita … il batticuore
era dovuto al sollievo.
Lo
sa. Lo sa, qualcun altro lo sa e il mondo non è
finito. È ancora al suo posto.
Mael ebbe
un’esitazione, poi
alla fine parlò. “Ti sto chiedendo di venire alla
festa e parlarle. Vi evitate
da più di due mesi, e non sta funzionando.”
“E se io non
volessi avere più
niente a che fare con lei?” Stava tirando la corda. Delacour
poteva benissimo
mandarla al diavolo e andare a dire a sua cugina che si era messa con
una
stronza che l’aveva già dimenticata, magari
colorando con dettagli circa la sua
infedeltà.
Io
lo farei.
Fortunatamente Mael sembrava
propenso alla pazienza, perché sbuffo. “Fammi il
favore, Parkinson. Da quando
una come te è a letto alle dieci di sera, in vestaglia come
una qualsiasi
Azoulay? Tra l’altro, neppure Sylvie è in
carrozza, ma alla festa. Renditi
presentabile e andiamo.”
“Non sono stata
invitata.” Era
la sua ultima resistenza. Labile, perché Mael
scrollò le spalle, alzandosi e
aprendo l’armadio. Avrebbe dovuto protestare per
quell’impicciarsi sfacciato,
ma la verità è che voleva
andare a
quella maledetta festa.
“Se vuoi un buon
motivo per
venire, c’è un'altra pretendente alla
corona.” Esordì dal nulla.
“… Scusa?”
“Non fare la finta
tonta.”
Fece una smorfietta divertita, scorrendo il suo guardaroba a colpi di
bacchetta. “Sto parlando della scozzese di cui non si capisce
una parola.”
Sospirò, facendole levitare di fronte un paio di vestiti.
Aveva buon gusto, il
ninfetto. Quello aveva sempre dovuto riconoscerglielo.
“Quindi stanno
assieme…”
“No, ma sono assieme alla festa.”
Fece un sorrisetto assolutamente odioso. “Dom è
confusa. Certo, non posso dire
che sia indifferente alla MacFusty, ma ha ancora in testa
te.” Fece spallucce
andando a spulciare la sua scatola dei gioielli. Avrebbe dovuto
mozzargli le
mani ma era più interessata a quello che gli usciva dalle
labbra.
Che
ti piaccia o meno, è l’unico che riesce a
decifrare
quel puzzle platinato.
“Come fai a
saperlo?”
“Dom parla nel
sonno quando è
tesa, lo fa da quando siamo bambini.” Roteò gli
occhi al cielo. “E non so se ti
è sfuggito, ma mi frega il letto da settimane.”
“Parla
… di me?”
“No, snocciola
equazioni di
Aritmazia!” Sbuffò esasperato. “Vuoi
muoverti? Vorrei essere alla festa prima
di mezzanotte se non ti spiace! Non esiste
che mi perda il fine serata!”
Violet decise che obbedire era l’unica cosa sensata da fare,
se non altro per
far smettere l’altro di svolazzare per la sua stanza e
toccare le sue cose.
Non
si è dimenticata di me per sostituirmi con quella
spilungona tutta labbra.
Non
l’ha fatto!
La festa era una specie di
caos applicato alla dimensione terrena.
La Sala Comune del
Grifondoro
non era grande, ma piena di divani, poltrone, sedie, tavoli e con un
caminetto
gigantesco, fornito di panche e sedili. Detto questo,
l’intero ambiente
strabordava di persone, cibo, bevande e musica.
Era una follia e Violet ebbe
il subitaneo istinto di indietreggiare per poi darsela a gambe. Quella
festa
non aveva nulla di quelle dell’Accademia, certo movimentate,
ma comunque
irreggimentate in una serie di regole di buona condotta che persino
Dominique doveva
seguire per poter festeggiare.
Regole
qui … Quali
regole?
Mael
l’afferrò con grazia
sottobraccio, chinandosi a parlarle all’orecchio.
“Non azzardarti a scappare.
Sei qui, ed hai una missione!” Le sibilò.
“Che ti importa se
torniamo
assieme o meno?” Rintuzzò schiaffeggiando via la
mano. “Neanche ti piaccio!”
“Già, ma piaci a lei, anche se Morgana solo sa
perché. Diversamente da alcune
famiglie, nella nostra vogliamo veder felici le persone che
amiamo.” Ritorse, e
Violet penso a sua madre. Guardò verso Mael per capire se si
stesse riferendo a
lei, e se invece di insultarla avesse tentato di dirle che comprendeva
la sua
situazione. Il ragazzo però guardava un punto nella folla e
sorrideva sognante.
Ah,
una delle sue conquiste …
“Devo andare. Per
venirti a
prendere ho lasciato delle cose in sospeso. Cerca Dom, di sicuro
è qui in giro.”
Le fece un sorrisetto e poi lasciò la presa, sparendo nella
calca.
Grazie
tante per
niente.
Non era del tutto vero, ma
ora
che era lì non sapeva che fare. Vedeva molti dei suoi
compagni di scuola, ma
non aveva voglia di avvicinarsi a loro per farsi riempire di occhiate e
magari
domande.
Prese un profondo respiro.
La
musica era assordante, e indubbiamente babbana, un genere che Dominique
doveva
apprezzare a giudicare dal rumore prodotto.
I looked 'round, and I knew
there was no turning back¹
My mind raced, and I thought
what could I do?
Prima di tutto doveva
trovare
qualcosa da bere, qualcosa di forte
e
poi sarebbe andata a cercare la sciroccata. Con un po’ di
fortuna i cocktail
sarebbero stati tanto corretti da scioglierle la lingua e scacciare la
voce, nella
sua testa, che le urlava che stava facendo una cosa estremamente
stupida.
Curiosamente, quella voce
aveva il tono di sua madre.
“Violet?”
L’istinto di
abbracciare
Scorpius, salvifico come la fine di un’ora di lezione
insopportabile, fu
fortissimo. Si fermò appena in tempo limitandosi ad un
sorriso. “Ciao.”
“Non ti avevo vista prima! Voglio dire …
Pensavo…” Aggrottò le sopracciglia.
Era vestito come un Babbano allo stadio terminale, jeans e camicia
color sabbia
su uno strano gilet da cameriere. Stava maledettamente bene.
“Pensavi che
odiassi la
festeggiata e non volessi venire?” Scosse la testa.
“Una festa è una festa, e a
quanto pare voi del Grifondoro sapete fare le cose in grande.”
L’altro fece un gran sorriso, bevendosi la diversione come
fosse acqua. “Visto
che roba? Adoro gli Weasley. Come sanno organizzar le feste
loro…” Sospirò
sognante, ma tornò subito nei ranghi. “Comunque.
Ti posso tentare con qualcosa da bere? È tutto estremamente
alcolico!”
Educazione Purosangue. Dite ciò che
volete, ma non ha prezzo.
“Molto
volentieri.” Convenne.
“Ti aspetto qui.”
“Ti trovo un posto
a sedere!”
Si voltò verso un ragazzino che ad occhio e croce non doveva
star lì, data
l’età. “Tu, non azzardarti a sfiorare
quel bicchiere e alzati da quella
poltrona. Si deve sedere una lady!”
Lo apostrofò con un tono inequivocabilmente Malfoy.
“Sono un Prefetto e sono il
tuo Campione!” Concluse.
Violet, seduta comodamente nel posto lasciato vuoto, gli rivolse
un’occhiata
divertita. “Sei solito fare il bullo?”
“Se mi vedesse la
mia ragazza
mi farebbe a pezzi.” Ghignò di rimando.
“È così onesta.”
“Chi è
la tua ragazza? È qui
in giro?”
“Segreto
segreto!” Ridacchiò,
prima di sparire nella folla esattamente come aveva fatto Mael. Violet
sprofondò nella comoda poltrona.
All alone in an empty room, I don't know how we
ended up here
I don't know but it's never been so clear³
“Dai, non posso
darti il mio regalo in mezzo a tutti!”
Dominique non aveva ben chiaro del perché fosse finita nel
dormitorio delle
ragazze del Quinto anno di Grifondoro, ma di sicuro Morag ce
l’aveva, visto che
ce l’aveva portata lei.
La stanza era deserta e
Dominique individuò a colpo
sicuro il letto di sua cugina Lils. Era quello con più
cuscini, con più peluche
e con più poster attaccati alla parete. La cuginetta doveva
soffrire di horror vacui o qualcosa
del genere. Poi
si ricordò di riportare l’attenzione sulla ragazza
di fronte a lei.
Morag era carina quella
sera, con i capelli acconciati
e un vestito a fiori, forse un po’ inadatto a quelle
temperature glaciali.
Pur
vero che dentro Grifondoro sembra di stare in una sauna turca.
“Perché,
esplode?” Chiese perplessa, facendo ridere
l’altra. Avevano bevuto entrambe abbastanza, e Mòr
non era certo un peso
piuma.
Beh,
sangue scozzese non mente. Io sono brilla, lei sembra stare alla
grande.
“Secondo te, ti
regalerei qualcosa di pericoloso in
una scuola?”
Replicò divertita,
ingrandendo con la bacchetta un pacchettino che tirò fuori
dalla borsetta che
aveva dietro. “Vorrei diplomarmi entro la fine
dell’anno, grazie!”
Dominique lo
scartò immediatamente. “Ehi, è
fantastica!” Esclamò sbalordita, trovandosi di
fronte ad una maglietta delle
Pride of Portree, nei classici colori viola e giallo².
“Dietro
è autografata da tutte le giocatrici.” Le
indicò. “Mia sorella Mairead è Portiere
nelle riserve e le ho chiesto il
favore. Mi hai detto che tu e tuo padre le collezionate,
quindi…”
“È
grandiosa!” Le fece un doveroso gran sorriso.
“Grazie Mòr!”
La scozzese lo
ricambiò ma le sembrò quasi delusa. Poi
si illuminò di colpo. “Perché non te la
provi?”
Dominique batté
le palpebre perplessa. Per quel che ne
sapeva t-shirt del genere erano incantate per prendere automaticamente
la
misura di chi le indossava, proprio perché prodotte in
serie, quindi le sarebbe
stata bene per forza. “Okay!” Acconsentì
però, perché quella maglietta era
davvero una figata e Hugo e Malfoy
sarebbero crepati di invidia a vederla.
Si tolse la maglietta che
indossava e la gettò a caso
dietro di sé. Lily gliel’avrebbe portata il giorno
dopo. E di colpo si trovò
Morag praticamente addosso. Senza il praticamente, la stava baciando.
Dominique non aveva certo voglia di protestare dato che il bacio era
piacevole,
Mòr era calda e la sua testa già fluttuava un bel
po’. Si lasciò quindi passare
le mani lungo i fianchi, e rabbrividì perché
l’altra aveva le mani fredde.
“Mi
dispiace…” Le sorrise intuendo il motivo.
“… Mi
piacciono i tuoi tatuaggi, a proposito.” Soggiunse prima di
riprendere con
l’esplorarle il collo.
Dominique serrò
gli occhi, mentre il cervello le
esplodeva in un milione di schegge impazzite. Era piacevole, era
maledettamente
piacevole e Mòr diceva sempre la cosa giusta, quella che
voleva sentirsi dire,
quella dritta. Nel concetto
‘la
ragazza perfetta per me’ ci rientrava in
pieno.
Eppure.
Le schegge impazzite si
ricompattarono di colpo e un
solo nome, un solo viso fece un discreto frontale con la sua coscienza.
E non era quello di
Mòr.
Piggie.
Merda. Merda!
Afferrò
le braccia dell’altra e la staccò bruscamente.
Non era giusto, e sapeva che si stava comportando da idiota, lo intuiva
dalla
faccia sbalordita di Mòr. Supponeva che gemere e lasciarsi
spingere sul letto
fosse qualificabile come un assenso.
“Scusa…
Scusa.” Ripeté. “Non posso.”
Strizzò gli occhi
ma quell’immagine non voleva sapere di cancellarsi.
Praticamente saltò giù dal
letto ed afferrò la prima maglietta che incontrò
per la sua strada.
“Dom,
aspetta!” Tentò di richiamarla, ma no, assolutamente no. Si gettò
fuori dalla
camera a rotta di collo, sentendosi un’idiota. Come si
reagiva a tutto quello?
Fece le scale
all’inverso. Nella folla si sarebbe
calmata, avrebbe preso qualcosa di tassativamente analcolico da bere e
l’avrebbe piantata di voler sbattere la testa contro un muro.
Forse non era
così grandioso essere lei.
Ultimamente,
Torneo a parte, per un cazzo.
Svoltato il tornante che
faceva le scale prima di
entrare in sala, quasi andò a sbattere contro qualcuno di
basso, qualcuno che
era una ragazza, aveva i capelli scuri, era un po’ rotondetta
e…
Fu certa di avere le
allucinazioni quando si trovò di
fronte Violet. Ma non era
così
sbronza, non se era capace di darsela a gambe dalla Ragazza Perfetta.
Piggie la fissò
sconcertata, quasi trovasse assurdo
trovarsela di fronte. Eppure era vestita a festa, e la festa era la
sua. “Nicky,
cosa…” L’aveva chiamata Nicky.
“… Che
è successo, stai bene?”
Trovò
perfettamente sensato
afferrarla per una mano e trascinarla via.
Sì,
ora sì.
So can you see the branches hanging over me?
Can you see the love you left inside of me?
Dominique doveva essere
definitivamente impazzita.
Non che normalmente fosse
una persona considerabile
sana di mente, ma stavolta si era superata: se l’era trovata
di fronte quando,
alla ricerca disperata di un bagno – Scorpius era
un’ospite perfetto, ma non
sapeva quando fermarsi – aveva risalito le scale del
dormitorio femminile. Era
rimasta sorpresa, ma la sorpresa si era trasformata in sconcerto
quando, alzando
gli occhi dalla ridicola maglietta che indossava, l’aveva
vista in faccia.
L’altra non era
una che perdeva il controllo, per
quanto fosse sopra le righe. Ma erano le sue righe, il suo controllo.
Alla luce
delle candele invece le era sembrata stravolta.
Poi l’aveva
afferrata ed aveva letteralmente
circumnavigato la folla festante per uscire dal quadro che delimitava
l’ingresso del Grifondoro. E continuava a correre,
trascinandosela dietro.
Violet non avrebbe potuto
liberarsi neanche se avesse
voluto.
“Weasley!”
Sbottò infine, quando si trovarono in un punto imprecisato e
buio della scuola,
inquietante da morire. “O ti fermi o ti schianto! Dove diavolo stiamo andando?”
Ci fu un lungo silenzio.
Poi, la serenissima risposta
della folle. “Non ne ho la minima idea.”
“Ma sei scema?!”
“Può
essere.”
L’affermazione ebbe il potere di zittirla. Da quando la
sciroccata, sempre in
delirio di onnipotenza, ammetteva di essere l’idiota che in
effetti era?
“Si può
sapere che ti prende?”
“… Ho
bisogno d’aria. Parecchia.” Mormorò.
“Solo che
non so come uscire dal castello.”
Violet rilasciò
un lungo sospiro. “Idiota.
Per tua fortuna qui ci sono già
stata per le lezioni di Florigrafia. Riconosco la targa
dell’aula, è quella dei
Duelli.”
“Usciamo?” Non poteva vederla in viso con quel buio
ma il tono era stranamente
mite. Troppo mite.
Non
farmi preoccupare, idiota!
“Sì,
usciamo. Ma non ti azzardarti a tirarmi come se
fossi un cavallo!”
Uscire fu possibile solo
grazie a Scorpius e alla sua
logorrea. Mentre la riforniva di drink con un tasso alcolico
imbarazzantemente
basso, le aveva spiegato la scorciatoia che doveva prendere, la porta
di
servizio che doveva trovare e la Parola d’ordine che doveva
pronunciare per
tornare alla carrozza. In realtà doveva saperla anche
Dominique visto che era
la festeggiata e presumibilmente sarebbe tornata ben oltre il
coprifuoco, ma
l’altra non emise suono.
Okay,
cos’ha? Cos’hai? È la tua festa!
Uscirono su una piccola
corte che dava su un ponte di
legno che a sua volta le avrebbe portate al limitare della Foresta, ad
un
centinaio di metri dalla carrozza. Non era un posto ridente, ma era una
via di
fuga, ed era fuori.
Certo,
se non fosse che …
“Piove. Di nuovo.”
Fece una smorfia. “Finiremo per ammuffire.”
Dominique non rispose e,
invece di ripararsi sotto il
porticato di pietra, si diresse all’aperto. Inutile dire che
dopo tre secondi
esatti era fradicia fino all’osso. “Vieni qui, ti
prenderai un malanno!”
L’altra la
ignorò, sedendosi sul bordo rialzato del
pozzo che si ergeva al centro dell’ambiente.
Morgana,
se la odio. La odio! Che sia messo agli atti.
Si lanciò un
incantesimo impermeabile sui vestiti e
poi la seguì, fermandosi di fronte a lei. Non
l’aveva mai vista con
quell’espressione scombussolata addosso. Né aveva
mai visto le sue unghie
ridotte tanto male. Realizzò che Mael aveva ragione,
Dominique non era una
super-donna, né tantomeno qualche stramba creatura
impermeabile ai sentimenti e
alla tensione.
Si inginocchiò
alla sua altezza. “Nicky, che succede?”
Non poteva pretendere glielo dicesse, neppure era riuscito a farlo
quando si
frequentavano, ma … “Per favore,
dimmelo.”
L’altra rimase in
silenzio tanto a lungo, a fissarla,
che poteva essere solo stata bloccata da un Incantesimo di Pastoia. E
invece.
“Se non ci vuoi
stare, potresti per favore uscire
dalla mia testa?”
Se ne usciva con frasi
assurde. Perché era
assurda. Ed era precisamente questo
che amava di lei. L’essere sopra ad ogni schema, convenzione
e buon senso.
Fermò una mano
dalla sua corsa verso la bocca e gliela
strinse tra le sue, portandosela al petto. Ad una come Dominique non
bisognava
dire ‘mi batte forte il cuore, quindi cerca di capire cosa
provo io’. Bisognava
mostrarglielo.
“Non voglio uscire
dalla tua testa, sarebbe poco
conveniente. Tu sei nella mia.” Tentò anche un
piccolo sorriso, anche se stava
cominciando a diluviare e l’incantesimo le stava riducendo un
disastro il
trucco e i capelli. “Capisci quello che intendo?”
“Sì, ma
hai detto che non funzioniamo … Non faccio
che farti arrabbiare, o renderti triste. Non è quel che
voglio, ma pare che sia
in grado di far altro.” Aggrottò le sopracciglia.
“Mi dispiace.”
Violet le strinse la mano
per paura che l’altra si
divincolasse dalla sua presa. Non lo fece. “Sei una scema, e
non sei granché
sensibile.” Esordì. “Ma non è
solo colpa tua … Mi rendono triste e mi fanno
arrabbiare un sacco di altre cose che non riguardano te. Non
…”
“Non voglio che diventi Lady Malfoy.
Mi piace Scorpius, non voglio volergli affatturare le palle.”
La interruppe,
quasi non l’avesse sentita. Ma l’aveva sentita
eccome.
Scorpius
tra ‘le altre cose’ è
ciò che la spaventa di più?
“Non
sposerò Scorpius. Non mi sposerò.” Ed
era vero,
lo realizzò in quel momento, anche se non sapeva come
avrebbe fatto ad attuare
quella risoluzione. “Devi solo … devi solo avere
pazienza.” Chiederle una cosa
del genere era come tentare di far sedere un Troll per il the delle
cinque, ma
doveva provarci.
“So che non ti sto
dando nessuna rassicurazione, ma
devi fidarti di me … Altrimenti…” Non
voleva finire con un nulla di fatto
quella sera, non con l’altra che la guardava, per una
sacrosantissima volta,
come se fosse il centro del suo mondo.
“L’altrimenti
l’ho già provato. Non è
male.” La fermò. Violet si impose di non chiedere oltre,
anche se lo voleva, perché era certa che la Maledetta
Corvonero c’entrasse e
che una fattura fosse doverosa. Ma non voleva rovinare il momento con
una crisi
di gelosia in piena regola.
“Ah
sì?”
“Sì, ma
non è te. Io voglio te.”
…
Oh.
Baciami.
Maledizione, baciami adesso.
Dominique non leggeva certo
nel pensiero dato che era
a malapena in grado di leggere le intenzioni manifeste altrui. Eppure
fu piuttosto intuitiva
ad intendere il significato dietro la sua espressione e il fatto
–
abbastanza vergognoso – che si fosse leccata
le labbra.
Si baciarono e fu, beh.
Bagnato,
freddo e perfetto.
La tirò a
sé perché se se ne fosse andata via di nuovo
l’avrebbe schiantata. O uccisa. Sentì la stoffa
fradicia della maglietta dell’altra
sotto le sue dita, ma non le importò di bagnarsi nel suo
abbraccio. Non le
importava un accidenti di niente – neppure di pensare con il
lessico di una
Nata Babbana.
Dominique la spinse a sedere
a terra nell’impeto del
bacio. Definitivamente il suo povero vestito era stato rovinato. Non
era un
problema.
Non voleva essere pulita,
asciutta, etero e
impeccabile quando la rendeva così felice essere tutto il
contrario.
Take my breath as your own
Take my eyes to guide you home…
****
Note:
Vi avevo promesso la svolta, and that’s
it!
Forse non è la coppia più importante della mia
sciocca saga, ma sono
divertentissimi da scrivere!
Nel prossimo capitolo: La Prima Prova, Natale e il Ballo del Ceppo!
La canzone del capitolo è questa
Per chi si fosse persa Morag
MacFusty su fb qui.
No, poi una come Violet non si deve preoccupare. xD
1.Qui
la canzone. Come ho detto su fb, Domi’s Song.
2.Qui
la maglietta in questione. Le Pride of Portree sono la squadra
ufficiale delle
Ebridi, presumibile dunque che Morag non solo tifi per loro, ma abbia
anche
qualche parente in squadra. Qua
invece la maglietta che indossava prima
Dom.
3.Qui
la canzone.
|
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Capitolo 4 *** Fearless // Capitolo IV ***
Take me now baby here as I am, pull me close,
try and understand
Desire is hunger, is the fire I breathe and
love is a banquet on which we feed
(Because the night, Patti Smith)
24 Novembre 2023
Scozia,
Hogwarts, Carrozza di Beaux Batons.
Sette
di mattina.
A Violet piaceva avere una
serie di abitudini ben radicate: le davano più sicurezza di
qualsiasi altra
cosa.
Così, quando lei
e Dominique
avevano finalmente raggiunto un punto di incontro – che si
era manifestato nel
rotolarsi in una corte di pietra e beccarsi un’infreddatura
durata due giorni
per parte sua – era nata una nuova routine.
Ogni mattina la Weasley si
alzava all’alba per i suoi allenamenti e lei, non appena la
sentiva muoversi con
la solita grazia da Erumpent, faceva lo stesso in segreto. Quando
sentiva la
porta della stanza chiudersi andava in bagno, si faceva una doccia e si
rinfrescava come ogni ragazza avrebbe dovuto fare appena aperti gli
occhi. Poi
si infilava di nuovo a letto ed attendeva.
Quella mattina, la mattina
della
Prima Prova, non fu diversa. La prova si sarebbe tenuta verso le undici
e
Dominique si era svegliata ancora prima, quando ancora non era sorto il
sole.
Violet, assonnatissima, aveva espletato il suo rituale prima di
infilarsi tra
le coperte ancora calde di sonno e svenire, letteralmente.
Qualche ora dopo la
risvegliò
ciò che la risvegliava ogni glorioso giorno, ovvero
l’insinuarsi della
sciroccata nel suo letto, ancora fresca di doccia e con pochi e
relativi
vestiti addosso.
“Almeno asciugati
i capelli, cretina…”
Borbottò, stavolta insonnolita sul serio. Le
passò le dita tra le ciocche
irregolari e ancora umide. “La magia ti ha concesso una
bacchetta, usala.”
La risposta fu un premere
dei
denti, non forte, poco sotto l’orecchio. Violet
trasformò il gemito in dirittura
di arrivo in un ben più dignitoso sospiro. “Nicky,
dico sul serio, mi stai
infradiciando il letto.”
Sentì un basso
brontolio, poi
uno smuoversi scomposto e una brezza calda in direzione del comodino.
“Mai
contenta, eh Piggie?” Le sussurrò. Era una fortuna
che la loro compagna di
stanza avesse il sonno pesante, perché Violet dovette
ingoiarsi un suono a metà
tra una risata e un urletto quando l’altra le
sfiorò il fianco con le dita per
sollevare la stoffa della camicia da notte e toccare la pelle nuda.
Dominique non aveva problemi
con la fisicità. Sin da quando la conosceva non aveva mai
avuto remore ad
entrare come una furia nel suo spazio vitale e stravolgerlo. Anche
durante
l’intimità la solfa non cambiava, ma Violet aveva
notato come l’aspetto
irruento della faccenda si smorzasse notevolmente.
Chi
l’avrebbe mai detto che la Weasley non nascesse con
le istruzioni per tutto?
A
quanto pare sarò la sua prima volta.
Non era male reggere lo
scettro dell’esperienza, almeno in quell’aspetto.
Le passò le dita sul collo e
poi sul viso, facendole alzare lo sguardo per incontrare il suo.
“Mi è stato
detto che prima di una performance sportiva è meglio evitare
qualsiasi tipo di
contatto intimo con i propri partner.”
“Cioè?”
“Esci dal mio letto.”
“Non mi pare un
gran furbo chi
l’ha detto.” Fu la replica svelta, senza che si
muovesse di un millimetro. “Un
gran frustrato piuttosto.”
Violet ridacchiò, riconoscendole una parte di ragione.
“Tra mezz’ora devi
incontrarti con Mael in fondo alle scale.” Le
ricordò paziente. “Senza contare
che i tuoi genitori ti aspettano per colazione. Me l’hai
detto tu ieri sera,
ricordi?”
“Oh beh,
aspetteranno!” Fu la risposta
prima di schiacciarla trai cuscini e baciarla allegramente.
Fu con le labbra che le
formicolavano e il respiro piuttosto corto che riuscì a
indossare la vestaglia
ed eludere la presa dell’altra. “Stasera.
L’adrenalina sfogala sul campo.” Le
ordinò facendo un passo indietro perché
l’altra era già pronta a spingerla contro il muro,
a giudicare dallo sguardo.
Selvaggia.
Dominique fece una smorfia
scontenta, poi si sedette a gambe incrociate sul letto, perfettamente a
suo
agio nella sua castissima mise di
solo intimo.
…
Ti diverti a provocarmi?
Era del tutto possibile.
Infatti subito dopo le fece il suo famigerato sorrisetto.
Beh?
Violet si morse un labbro,
perché sarebbero passati mille anni, ma quella dannata
faccia da schiaffi
l’avrebbe messa sempre a disagio. “Cosa?”
Borbottò.
“La mia ovvia vittoria la dedicherò a
te.”
Si sentì
avvampare come se
qualcuno le avesse gettato carboni ardenti sulle guance.
L’altra, per tutta
risposta,
si mise a ridere. “Morgana, se certe frasi ti fanno questo
effetto dovrei
dirtele più spesso … Sei così
buffa!”
“Razza di idio-…” Non fece in tempo ad
urlare -
per fortuna, dato che avrebbe svegliato la loro
inopportuna compagna di
stanza – che Dominique si sporse con un movimento fluido e le
afferrò i polsi,
tirandosela addosso. Le crollò tra le braccia come un sacco
di patate, non
essendo lei la dannata Campionessa dell’Accademia. Sul bacio
che ne conseguì poté
però farsi valere.
“…
idiota.” Concluse sulle sue
labbra, beandosi dell’espressione vagamente persa
dell’altra.
Si riprese subito
però, e il
sorrisetto da schiaffi tornò in tutto il suo bianco
splendore. “Ehi, guarda che
dico sul serio.” Inarcò le sopracciglia.
“Sei la mia ragazza, no?”
Quella denominazione aveva
un
suono così dolce e perfetto
che
Violet non se la prese per esser caduta nella trappola di quel koala
platinato.
“Certo che sono la tua ragazza.” Non era
un’allucinazione, alla sua risposta
Dominique si era illuminata. Trai suoi molti pregi c’era
mostrare senza pudore quando
era contenta. Le stampò un bacetto sulle labbra.
“E a proposito di questo, devo
darti una cosa.”
“Cosa? Darmi?” La squadrò perplessa.
“Beh, qualcosa ci sare…” Si
fermò alla sua
occhiata assassina. “… non intendevo quella
cosa.” Ghignò. “Sei una
pervertita, Piggie.”
Io?
Sì, magari appena appena…
Le diede un colpetto sulla
fronte. “Da quando sei diventata così sfacciata,
tonta?”
“Sfacciata da
sempre, e lo sai
benissimo Piggie.” Fece
rotolare il
nomignolo sulla lingua con evidente soddisfazione. “Solo che
non avevo la persona
giusta a cui indirizzare certe
sfacciataggini.”
Le uscivano frasi talmente
adorabili e insieme irritanti che … “Aspetta un
secondo.” Si risolse a dire,
sciogliendosi dal suo abbraccio e dirigendosi verso la toeletta.
Frugò nel suo
portagioie dopo avergli tolto gli Incantesimi di Protezione e
trovò quel che
cercava.
Magari era sciocco, magari
era
una cosa che solo una Purosangue come lei, con la testa imbevuta di
racconti e riti
che avevano secoli poteva pensare, ma la sera prima le era sembrata
un’idea …
carina.
Le porse uno dei suoi
orecchini
di ametista, un piccolo acquisto che aveva fatto senza la supervisione
di sua
madre in una delle tante vacanze in Costa azzurra. Erano i suoi
preferiti.
Dominique scrutò
il palmo
della propria mano. “È un orecchino.”
Constatò.
“Molto acuta, Weasley.” Sbuffò.
“E sì, ha un gemello ma tanto su quelle povere
orecchie non hai qualcosa che possa essere coordinato con
qualcos’altro, quindi
non si noterà.” Cercò di controllare il
rossore diffuso che le stava salendo al
viso. “Secoli fa, quando i maghi si sfidavano a duello, ed
erano duelli
all’ultimo sangue, le proprie spose o…”
Niente da fare sapeva di essere dello
stesso colore dello stendardo dei Grifondoro, almeno a giudicare
dall’aria
esilarata dell’altra. “… o fidanzate
davano loro qualcosa che gli apparteneva.
Un orecchino, un fazzoletto. Cose simili. Per proteggerli. È
… un portafortuna.”
…
e un pegno d’amore. Ma non è necessario che tu
conosca questa parte della tradizione.
Se ne
stava quasi pentendo, quando
Dominique si tolse uno dei suoi Babbanissimi
piercing e lo sostituì col suo.
“Forte!” Le sorrise. “Come mi
sta?”
“Male, visto che
gli altri
sono terribili.” Deglutì il groppo di emozioni che
sentiva in gola. “Se me lo
perdi ti ammazzo.”
“Starà benissimo.” Le
assicurò, afferrandole improvvisamente la mano. Violet
ricambiò la stretta con forza. “Anch’io
starò benissimo.”
Fu una diretta conseguenza
di
quelle parole gettarsi sul letto e stringerla in un abbraccio.
L’altra ricambiò
accarezzandole i capelli come ad una bambina che stava per piangere. E
non era
quello il caso, assolutamente no.
“Ehi, ehi. Mica vado in guerra!”
“No?”
“Okay, magari solo un po’.” Convenne.
“Ma me la caverò alla grande. Come
sempre!”
“Promettimelo.”
Non che avesse molto senso, chiederle una cosa del genere quando stava
per
disputare un Torneo che era stato abolito proprio per l’alto
tasso di incidenti
e pericoli occorsi ai suoi concorrenti. Ma comunque…
Dominique, matta
com’era,
annuì come se stesse semplicemente andando a disputare una
partita di Quidditch.
“Nessun problema. Promesso.”
Violet, nonostante tutto, le
credette.
****
Violet non credeva nel
karma.
Era un concetto troppo Babbano per sfiorare i suoi pensieri.
Tuttavia, ne aveva sentito
parlare dalle chiacchiere delle amiche e si era fatta l’idea
che fosse una
bella spina nel fianco e che fosse programmato per stravolgerti la vita.
Per l’appunto,
solo il
maledetto avrebbe potuto farle sedere accanto la Maledetta Corvonero
durante la
Prova.
Violet si strinse nella
leggero mantello foderato di pelliccia bianca in dotazione con
l’uniforme e
scoccò un’occhiata irritata al mezzo chilometro di
stola di tartan che
minacciava di affogarla.
“Scusa!”
Esclamò quella con un
sorriso affatto dispiaciuto. Poi inarcò le sopracciglia.
“Ma tu…”
“Sì?” Articolò con freddezza,
tanto che due compagne accanto a lei subito
drizzarono le orecchie.
Imparate
ad esser più discrete, almeno! È la base di
una buona pettegola!
Morgana,
se odio le principianti.
“… Non
ci siamo già viste da
qualche parte?”
“Tipo in questa
scuola?” Le
suggerì come se fosse tarda. Purtroppo, a giudicare dai
colori che indossava,
non avrebbe dovuto esserlo. E non lo era.
“A parte a scuola
…” Schioccò
le dita. “Ah, ma certo! Sei la compagna di stanza di
Dom.”
“Già.”
Sillabò. “E tu sei la
scozzese.”
La ragazza fece un sorrisetto. “Allora ti
ricordi…”
Dannazione!
Essere presa in contropiede in quel modo era imbarazzante.
“Certo.” Si
riprese subito. “Hai bisogno di qualcosa?”
La Corvonero fece una
smorfia,
ma sembrava più divertita che irritata dalle sue risposte
poco amichevoli. “Volevo
solo fare due chiacchiere. In fondo, a quanto pare, mi capisci quando
parlo.”
… e due. Stai perdendo questa
battaglia,
mia cara. Meglio virare su un dignitoso silenzio.
Violet puntò
quindi lo sguardo
verso l’arena su cui i Campioni avrebbero disputato la gara.
Sperava che Dominique stesse
bene.
Ma
certo, come dovrebbe stare? È nel suo elemento
adesso. Ovvero ad un passo dalla morte.
In quelle tre settimane lei
e
l’altra avevano vissuto in un meraviglioso limbo protetto.
Dominique aveva i
suoi allenamenti a cui nessuno poteva partecipare tranne
l’Assistente. Era
stato così facilissimo passare del tempo assieme con la
compiacenza inaspettata
di Mael.
Un meraviglioso limbo che
aveva però i giorni contati. A Natale, e dunque al suo
ritorno in terra natia,
mancava solo un mese. Un mese preciso e avrebbe rivisto sua madre.
Aveva infine risposto alle
tre
lettere. L’aveva blandita, rassicurata circa i suoi progressi
nell’amicizia con
Malfoy – che non erano poi bugie. Quando si era sfogata con
Scorpius, il
ragazzo le aveva consigliato di parlarle faccia a faccia una volta
tornata.
Certo,
parlarle a tu per tu. Ma se non riesci neppure
ad accennarglielo per lettera…
Aveva promesso a Dominique
che
avrebbero vissuto la loro storia alla luce del sole, ma non aveva idea
di come
fare, non senza infliggere un terribile colpo al rapporto con sua
madre. La
amava nonostante tutto.
Per
non parlare di Jenny e delle altre …
Un groppo alla gola la
costrinse a schiarirsi la voce e concentrarsi sulla folla vociante,
sugli
striscioni e la musica suonata da una scoordinata banda condotta da un
tipo
senza maglietta e con il torace dipinto nei colori di Hogwarts
– non era il
moretto amico di Malfoy?
Questo
posto è folle.
Raddrizzò le
spalle e si
tamponò il naso con il fazzoletto – colpa di
quell’orrendo clima scozzese.
“Violet!”
Una voce infantile la fece sobbalzare sulla panca. Vide
spuntare dalla fila delle sue compagne una testa rossa contornata da
un’esplosione di lentiggini.
“Louis…?”
Esclamò, ricambiando
sorpresa l’abbraccio del ragazzino.
“Ciao
bellezza!” La salutò
spigliato. Aveva i capelli più lunghi, e piuttosto ricci.
Chissà se li aveva
così anche Dominique, se si fosse mai degnata di tenerli
più lunghi di qualche
ciocca impazzita.
“Ciao…
Sei qui per tua
sorella?” Realizzò. Il bambino annuì
allegro, sedendosi tra e lei e la
scozzese. Non l’aveva mai trovato così simpatico.
“Domi les va vaincre, quei due moche!”
Le assicurò in un buffo pastone di francese e inglese.
“Anche maman e
papà ne sono sicuri, Vic aussi!
Vic però n’a pas pu venir,
perché adesso insegna nella nostra scuola, sai? È
molto brava, Madame le ha dato un
sacco di responsabilità!”
“Louis, scegli una
lingua, o
farai una gran confusione.” Gli consigliò
divertita.
“Désolé!”
Sbuffò. “Non è facile, sai…
Mi sembra di avere la testa
divisa in due!” Continuò, chissà
perché, in inglese. Ma doveva essere
l’atmosfera, lei stessa si era trovata a parlarlo con
più facilità. “Sai che ho
detto a maman che voglio
trasferirmi
qui, quando Domi si sarà
diplomata? Qui
è forte. La gente grida,
urla e fa
cose assurde … Mi piace!” Chiocciò
querulo, con i vispi occhi azzurri.
Violet fece un lieve
sorriso,
accarezzandogli l’indomita testa ricciuta. Si chiese cosa i
loro azzimati
professori pensassero di quel nido di fiamme. La Fleurent, quella di
Storia
della Magia, non si era mai davvero ripresa dalla cresta di svariati
centimetri
che Dominique aveva sfoggiato al Quinto anno.
“Sì,
capisco quello che
intendi.” Gli disse. “Qui è molto
diverso dalla Francia, almeno, a certi
livelli…”
Per Mezzo Sangue e Nati Babbani. Per noi
Purosangue, a sentir Zabini e Nott, non cambia molto.
A
meno di non chiamarsi Scorpius Malfoy.
“Quali
livelli?” Vedendo che
tentennava nella risposta, passò subito ad un altro
argomento con l’incostanza
tipica dell’età. “Sai che da grande
voglio fare la rockstar? Sto imparando a suonare
la chitarra e tutti mi adoreranno!”
“Ma come, già non lo fanno?” Lo prese in
giro, facendolo ridere.
“Tu cosa vuoi fare
da grande?”
La domanda la spiazzò. Ci pensò un attimo, ma
data la sua situazione attuale, una
sola risposta le venne in mente e non trovò poi
così disdicevole dirla.
“Essere
felice.”
Louis aggrottò le
sopracciglia
confuso, poi la sua attenzione – la discontinuità
doveva essere un altro tratto
genetico Weasley-Delacour – fu calamitata da qualcosa in
mezzo al campo.
“Violet, regardez-la, stanno per
iniziare!”
Violet inspirò bruscamente. Era il durmstranghiano ad essere
entrato per primo
nell’arena. Dopo forse sarebbe stato il turno di Dominique.
Si sentì prendere
la mano dal
ragazzino. “Sta’ tranquilla, mia dama.”
Le comunicò con una comica aria seria.
“Ci penso io a tenerti la mano al posto di mia
sorella.”
“… Come
scusa?” Quella matta
aveva parlato di loro al fratellino
dodicenne?
E
perché non avrebbe dovuto?
La
sua coscienza stava cominciando a
diventare fastidiosa.
“Me l’ha
chiesto lei di
tenerti la mano e di dirti che non ti deve preoccupare
perché ha il tuo pegno.”
Louis fece spallucce. “Non ci ho capito niente, ma lei ha
detto che tu l’avresti
fatto!”
Allora
lo sa che cosa rappresenta quell’orecchino…
Strinse la mano a Louis, con
un dannato groppo alla gola, ormai suo fedele amico.
****
E poi fu il turno di
Dominique.
Il durmstranghiano aveva
sostenuto una prova spaventosa, talmente violenta che Violet aveva
chiuso gli
occhi più volte mentre il suo piccolo amico esprimeva a gran
voce sgomento ed
esaltazione assieme.
E poi, fu il turno di
Dominique.
Entrò
nell’arena a passo
sostenuto, con la fluidità rapida e misurata di chi aveva un
solo pensiero in
mente e su quello era focalizzato. Il suo maggior pregio era la
capacità di
concentrazione durante situazioni simili. Violet l’aveva
vista volare durante
le partite: era come se escludesse il mondo intero.
Si fermò
all’esatto centro
dell’arena e si scrocchiò il collo, un movimento
tutto suo che annunciava
preparazione sia mentale che fisica.
“Vai
Domi!” Strillò Louis applaudendo. Non fu
l’unico: assieme ai
ragazzi della delegazione c’erano molti hogwartsiani. Era
riuscita a farsi
amare anche dai rivali, a giudicare dal tifo corposo che la
investì.
Pur
vero che metà della sua famiglia appartiene a
quest’isola…
Violet sentì la
vibrazione del
legno sotto di sé: stavano dunque aprendo una delle gabbie.
Che
animale sarà? Cosa dovrà affrontare?
Ti
prego Morgana, veglia su di lei. Ti prego,
proteggila e dalle un po’ di buonsenso.
Non
mi importa che vinca. Solo, proteggila.
Serrò gli occhi e
poi li
riaprì sull’arena. Si sentì scivolare
il fiato dalle labbra quando identificò
la creatura che, guardinga, faceva i primi passi fuori
dall’ambiente che fino a
quel momento l’aveva contenuta. Era piccola, non
più grande di un animale di
taglia media, ma non era la dimensione il problema. Il problema era che
aveva
una dannata testa di leone e una coda che schioccava sibilante.
“Una
Manticora!” Esclamò
Louis. “Sono molto pericolose!”
Non era spaventosa come
l’Acromantula che aveva affrontato il precedente Campione, ma
chiunque si fosse
preso la briga di ascoltare una lezione di Cura delle Creature Magiche
sapeva
di cos’era capace.
La
testa di leone sputa fuoco mentre il veleno del
serpente è capace di uccidere all’istante.
Le veniva da vomitare.
Sapeva
che Dominique avrebbe rischiato molto, ma realizzarlo era terrificante.
“Sta’
tranquilla.” Louis le
prese una mano tra le sue, sedendosi composto, quasi avesse intuito la
sua poca
voglia di partecipare al tifo. “Domi è abituata ai
draghi! Sono molto più
grossi e cattivi, sai!”
Louis aveva ragione, ma non
voleva sentire discorsi razionali in quel momento.
Voglio
solo che finisca. Ora. Subito.
Sentì un boato
dalla folla e
calamitò lo sguardo sotto di lei. Dominique aveva tentato il
primo approccio e
la Chimera non aveva tardato ad attaccarla sputandole addosso una
vampata di
fuoco. Si rialzò da terra, fuori dall’aria di tiro
dall’animale, illesa.
Per
adesso.
“Le Chimere sono
veloci
nell’attacco, rispetto ad un drago…”
Disse la scozzese di fianco a loro.
Avrebbe potuto continuare a restarsene zitta, per quanto la riguardava.
“Sono
piccole, si spostano meglio.”
“Grazie per
l’informazione.”
Soffiò trai denti, sentendo l’impulso di tirarle
un ceffone.
“Non voglio farvi
preoccupare.” Sorrise appena, quasi avesse letto le sue
intenzioni. “L’ho detto
solo perché Dominique sa benissimo come cavarsela. Ha fatto
una serie di
allenamenti specifici.”
“Tu sei
Mòr!” Indovinò Louis.
“Sei quella scozzese? Ci ha scritto di te!”
Ah, sì?
Violet soffocò
l’impulso di
tirare a sé il ragazzino e intimare all’altra di
sparire. Dominique le aveva
parlato di quello che era successo e non
successo tra di loro.
Ti
dovrei insegnare a non provarci con le ragazze
altrui …
La Corvonero sorrise a
Louis.
“Anche lei mi ha parlato di voi e di te, Louis.” Se
l’avesse affatturata, con
tutto quel caos, nessuno l’avrebbe notato. Prima che potesse
seriamente
pensarci però, la loro attenzione venne nuovamente
calamitata verso l’arena.
Stavolta Dominique aveva tentato una nuova manovra di avvicinamento,
prendendo
dal fianco la Chimera. La creatura però, molto
più sveglia di quanto non
sembrasse, aveva finto di non capire
finché
non se l’era trovata a distanza di tiro. Poi aveva tirato.
Violet nascose il viso tra
le
mani quando vide la vampata deflagrare in direzione della sua ragazza.
Non
l’aveva schivato, era stato troppo repentino, non poteva averlo schivato.
“Violet, guarda!
Sta bene!” La
scrollò Louis. Era vero. Dominique doveva esser riuscita a
lanciare una
barriera e l’unica cosa che aveva preso fuoco era stata la
casacca che
indossava. La vide gettarla a lato e rimanere solo con la canottiera.
“Quella casacca
è ignifuga?”
Chiese a nessuno in particolare, temendo la risposta.
“Avrebbe dovuto.
Le fiamme
della Manticora però sono magiche … funzionano in
modo diverso. Credo anche che
sia stata colpita.” Fu l’Odiosa Corvonero a darle
la risposta che non voleva. Mentre
Louis era distratto
dalla sorella che si era intanto portata fuori tiro, si
voltò fissandola
apertamente.
“A che gioco stai
giocando?”
“Scusa?”
“Sai benissimo di
che parlo.” Replicò
irritata. “Sei sua amica, dovresti tifare per lei!”
La scozzese fece un mezzo
sorriso. “Lo sto facendo.” Fece una pausa.
“Sei la ex di Dom?”
Forse
si aspetta che neghi per proteggere la mia
reputazione? Così può andare a dirlo a Nicky?
Violet compose il viso in
una
delle sue famigerate smorfie altezzose. “Non ex, mia cara. Attuale.” Flautò
fregandosene delle conseguenze. Nicky stava rischiando
la pelle pochi metri sotto. Gliela doveva, quella piccola presa di
posizione.
Oltre a – Morgana, sua madre l’avrebbe uccisa
– segnare il territorio.
L’altra ci mise
poco a
riprendersi dal disappunto, dovette dargliene atto.
“Perlomeno adesso so perché
mi ha rifiutata.”
“Se stai
cercando…”
“Non sto cercando di mettermi tra voi due. So abbandonare una
partita, quando è
persa.” La sorprese. Era irritante constatarlo, ma
l’altra stava reagendo con
una dignità che le rendeva difficile le cose. “E
comunque…” Soggiunse.
“C’è
qualcosa di più importante a cui dovremo
dedicarci.” E indicò l’arena. Subito
dopo esplose un secondo boato: Dominique aveva tentato di mettersi in
sella
alla bestiaccia.
“Quell’idiota!” Esplose, saltando in
piedi. “Che diavolo sta facendo?!”
“Spettacolo!”
Ghignò Louis.
“La mia sorellona è un asso in questo!”
“No, è
pazza!”
“Una cosa non esclude l’altra.”
Ridacchiò Louis. “Vai
Domi!” Urlò poi con quanto fiato aveva
in gola.
Dominique non poteva
sentirli,
ma Violet sperò che percepisse comunque le loro, le sue
preghiere.
Ti
prego, ti prego, non fare la pazza … Vinci, se vuoi
vincere, ma fallo tutta intera, ti prego.
L’orecchino che le
aveva dato
non valeva niente, ma sperava fosse vera quella diceria secondo cui la
volontà
di un mago poteva creare una magia molto più potente che
quella lanciata da una
bacchetta. Sperava che la sua, di volontà, fosse tutta in
quell’orecchino.
Vinci
Nicky. Vinci.
Non si accorse di urlarlo
finché
non realizzò che Dominique doveva avercela fatta, con
l’ultima mossa fulminea
verso la creatura, immobilizzandola con un incantesimo brillante.
Louis le
abbracciò la vita.
“Ce l’ha fatta! La mia sorellona ce l’ha
fatta, Violet!”
Dominique, di fronte al
clamore del pubblico, non alzò le braccia al cielo come
codice non scritto
prevedeva. Fece un gesto che non aveva alcun senso per la moltitudine:
si portò
il dito all’orecchio destro, quello dell’orecchino,
e poi indicò la folla, la
sua delegazione, lei.
La
mia ovvia vittoria la dedicherò a te.
La Corvonero fece uno sbuffo
a
metà tra la rassegnazione e il divertimento. “Su
una cosa hai ragione,
francese.” Commentò. “È
pazza. Ma di te.”
Per la prima volta in vita
sua, Violet rise senza preoccuparsi che le si vedessero i denti, il
naso o che
potesse essere inappropriato. Rise e basta.
****
C’era qualcosa che
non andava.
Violet si strinse nel
mantello
mentre la nebbia saliva fitta attorno allo stadio: sapeva che il tempo
inglese
era brusco e repentino nel cambiare, ma lì si stava
esagerando.
Fino a pochi attimi fa c’era il
sole!
“Che
freddo!” Esclamò Louis,
stringendosi nel suo piccolo e perfetto cardigan verde bottiglia. Non
aveva
l’aria di tenere particolarmente caldo. Ma neppure il suo
mantello sembrava
assolvere alla funzione.
“Dannato clima
scozzese…”
“Non è il tempo.” Intervenne
l’Indigena – era un soprannome azzeccato per una
che faceva di cognome MacFusty – drappeggiandosi addosso la
stola di tartan.
“Non cambia così in fretta neppure nelle
isole.”
Violet non seppe cosa
ribattere.
La realtà era che, sebbene si fosse sentita allegra fino a
poco prima, in quel
momento le erano tornate in mente tutte i problemi che avrebbe dovuto
affrontare con sua madre. Un pensiero talmente repentino da essere
innaturale.
“Voglio andare dai
miei
genitori.” Borbottò il ragazzino con le braccia
strette al corpo. “… Vado da
loro!” Esclamò, saltando in piedi e dirigendosi
verso le scalette che
dividevano un settore dall’altro.
“Louis,
aspetta!” Non seppe
neppure perché glielo gridò, ma a posteriori fu
un guizzo d’istinto incredibilmente
lungimirante. Perché
accadde.
Ci fu una serie di grida,
dapprima isolate, ma che poi si propagarono ovunque. E la gente
cominciò a
muoversi, alzarsi, tirar fuori bacchette e la voce.
Che
sta succedendo?!
“Dissennatori!”
Sentì urlare
da qualcuno o dalla folla intera.
“Cosa?”
Sentì esclamare la
scozzese di fianco a lei. Ma la sua presenza era ininfluente, con Louis
che
stava venendo sballottato via da un gruppo di esagitati maghi dalle
tuniche
colorate. Stavano cercando di uscire come pesci presi nella rete, e il
dodicenne, magro e piccolo com’era, non era in grado di
sottrarsi alla presa. Si
dibatteva e la chiamava, sconvolto da quell’improvvisa piega
degli eventi.
“Louis!”
Scavalcò un paio di sue instupidite compagne che si
guardavano attorno come a cercare ordini – dov’era
la Madame? Ancora nella tenda dei
Campioni? – e raggiunse il
ragazzino, afferrandolo da sotto le braccia e tirandolo via dalla presa
ferra
di due enormi maghi che tentavano di scavalcarsi a vicenda.
Dannati
imbecilli! C’era un bambino e lo stavate
schiacciando!
“Perché
scappano?” Aveva
l’aria scossa e le lacrime agli occhi, ma sembrava star bene.
“Che succede?”
“Non lo
so.” Lo strinse al suo
fianco, trovando del tutto ragionevole tirar fuori la bacchetta, ma non
tenerla
di fronte a sé. Quella calca gliel’avrebbe
spezzata. “Andiamo a cercare i tuoi
genitori, assieme.” Decise. Non era così stupida
da tentare di uscire di lì con
le sue sole forze. Gli Weasley avevano la reputazione di gente pratica
e
dall’incantesimo facile. Sarebbe stata più al
sicuro in loro compagnia che in
quella dei suoi inesperti compagni.
Inesperti
come me.
Furono così
inevitabilmente
inglobati dal magma di persone che si muoveva verso le uscite.
Qualcuno,
professori e altri adulti, tentava di coordinare senza troppo successo.
Violet si strinse il
colletto
di pelliccia tra le dita. C’era troppo
freddo. L’ambiente avrebbe dovuto esser rovente, a causa dei
corpi accalcati,
invece sentiva freddo. Ed era lo stesso per il suo piccolo amico, che
si
stringeva a lei come a trarne conforto. Vi era ironia in quella
situazione:
mai, nella sua vita, avrebbe pensato che si sarebbe trovata a prendersi
cura di
un’altra persona.
Uno
Weasley, poi.
“Cerca di vedere
dove i metti
piedi.” Gli consigliò per non ordinarglielo.
“Non cadere.”
Louis annuì e serrò la presa sulla sua vita con
il rischio di sbilanciarla. Violet
inspirò: se fossero caduti sarebbe stato impossibile
rialzarsi, dato che quella
mandria di imbecilli li avrebbe calpestati senza troppe remore. Sentiva
spinte
e pressioni da ogni lato ed era maledettamente difficile mantenere
l’equilibrio.
Se
fossi da sola ti sarebbe più facile uscire …
Quel pensiero era terribile.
Eppure l’aveva pensato, perché aveva una sua dose
di ragionevolezza.
Violet serrò le
labbra, e lo
scacciò spaventata. Poteva essere molte cose, ma non un
mostro.
“Va tutto
bene.” Tentò un
sorriso, vedendo come le allegre lentiggini del bambino fossero quasi
sbiadite
nel pallore del volto. “Continua a camminare, siamo quasi
fuori.”
“Sì.”
Annuì deglutendo. “Ho …
ho paura.” Le confessò, ma senza smettere di
mettere un passo dietro l’altro,
ubbidiente.
“Ma come, un
Weasley che ha
paura?” Lo prese in giro. Quando sarebbero usciti? Quei
maledetti spalti
sembravano non finire mai. Si erano infilati nel corridoio di uscita,
ne era
sicura perché erano scesi, ed ora sopra la sua testa vedeva
l’architettura
interna degli spalti, ma non voleva dire molto. La gente attorno a lei
urlava,
chiamava altra gente, e c’era freddo, freddo ovunque.
Dissennatori
… non dovevano esser stati messi in
sicurezza anni fa?
“Non siete tutti
coraggiosi?”
Continuò, vedendo che il ragazzino sembrava trovare
interessantissime le sue
parole. O forse, lo distraevano. “E poi hai fatto una
promessa a tua sorella…”
“È … è vero!”
Esclamò ritrovando un po’ di colore alla menzione
di Dominique.
“Va bene, io … io sono coraggioso!”
“Vorrei ben vedere, una dama non può esser
lasciata sola ad affrontare certe
situazioni. Non è appropriato.” Non sapeva neppure
da dove le uscissero certe
parole, o la voglia di parlare. Louis in compenso sembrò
aver ritrovato un po’
di sicurezza, perché smise di aggrapparlesi alla vita.
Riuscirono ad uscire. Ma il
sollievo di riuscire finalmente a muoversi senza rischiare di esser
calpestati
da qualcuno fu breve. Fuori dallo stadio la nebbia era talmente spessa
e scura che
non si vedeva più in là di qualche centimetro.
La
nebbia scozzese è nera?
“Lumos.”
Nulla. Violet controllò la propria bacchetta ma era
perfettamente a posto, integra e lucida come sempre. Solo, non
funzionava.
Sentì il panico serrarle la gola, ma l’espressione
sconvolta del piccolo
Weasley la fece immediatamente rientrare nei ranghi.
Sono
io la persona adulta qui. Non posso esser io a
perdere la testa.
“Violet, che
succede? Perché
la bacchetta non funziona?” Guardò la sua,
altrettanto silente e priva di
magia. “Perché la magia non funziona?”
“Non
preoccuparti… andrà tutto
bene.” C’erano parole per arginare il terrore di
sentirsi privi di una parte di
sé stessi? Probabilmente no.
Sentiva dei suoni, voci e
sussurri tutto attorno. C’erano delle persone, ma non
riusciva a vederle.
Cosa
sta succedendo? Che ci sta succedendo?
Se solo ci fosse stato
qualcuno a cui chiedere, appoggiarsi, affidarsi. Mai, in vita sua, si
era
trovata a prendere decisioni da sola, senza qualcuno che gliele
consigliasse o
gliele imponesse come le uniche da prendere. Le mancava il fiato, ma al
tempo
stesso sentiva la mente lucida come mai prima di allora.
Dev’esser
questo che si prova ad esser padroni di se
stessi.
“Andiamo verso il
castello.” Era
la cosa più sensata da fare. “I tuoi genitori
staranno andando là.”
Louis annuì, stringendole la mano. Aveva il palmo caldo, a
sua differenza, che
si sentiva congelare. “Copriti
bene. Se
ti prendi un raffreddore poi come festeggerai a dovere con tua
sorella?” Tentò
di sorridere, stavolta fallendo miseramente. “Forza,
andiamo.”
Fu un attimo e un vento
gelido
le entrò dentro come avrebbe fatto una lama di coltello.
Violet si sentì girare
la testa e incespicò nei suoi stessi passi, come sua madre
l’aveva sempre
accusata di fare.
Goffa,
sciocca e inadatta Violet. Per essere una dama,
non vali neppure un centesimo.
Era come se ci fosse una
voce
nella sua testa. Sussurrava, sogghignava, rideva. Di lei.
Anonima
Violet. Dovresti obbedire a tua madre. È certo
meglio di pensare con la tua testa.
Una
delusione, un abominio che preferisce la compagnia
delle ragazze al tocco di un uomo.
Sentiva la testa piena di
quelle frasi, si accavallavano l’una sull’altra e
avevano la voce della Vedova,
composta nel tono sprezzante che usava solo per gli esseri che riteneva
inferiori.
Ti
ho dato tutto, un’educazione, una dote e le carte
giuste per rispettare il tuo cognome e il tuo lignaggio e tu preferisci
seguire
i tuoi patetici desideri? Quali desideri?
Stupida
e poco interessante come sei chi credi ti possa
amare, o desiderare?
Sciocca,
goffa e anonima Violet…
“Violet! Violet,
cos’hai?
Alzati! C’è qualcosa! Qualcosa di brutto! Dobbiamo
scappare!” Louis la stava
strattonando, ma non riusciva a muovere un muscolo: era come se il suo
corpo
fosse fatto di piombo.
“Alzati, dai,
alzati!” Perché
Louis non la lasciava in pace? Avrebbe dovuto abbandonarla, lei al
posto suo
l’avrebbe fatto, di certo. Ma era il fratello di Dominique,
ovvio che fosse cocciuto
come un Folletto.
Nicky…
Le aveva dedicato la sua
vittoria. Aveva fatto quella posa buffa, incomprensibile per chiunque
tranne
che per lei – e quell’insopportabile e intuitiva
scozzese.
Nicky le voleva bene, o non
si
sarebbe comportata in modo assurdo per quasi un mese, per poi esplodere
e
trascinarla in un cortile e baciarla in mezzo alla pioggia come se il
mondo
stesse per finire. Non si sarebbe illuminata ogni volta che le
confermava che
stavano assieme, né le avrebbe dedicato il suo risultato del
Tremaghi.
E
come fai a saperlo, te l’ha mai detto? Forse vuole
giocare con te come ha fatto Louise…
Non era possibile. Dominique
era un sacco di cose, molte delle quali estenuanti e insopportabili, ma
non era
una stronza. Era Nicky.
C’era anche
Scorpius, a pensarci bene. Quello stravagante ragazzone che le aveva
offerto
amicizia senza nessun tornaconto personale. Era stata così
sollevata quando
l’aveva visto superare le prova… e felice per lui,
anche. Senza nessun
tornaconto. C’era qualcuno che teneva a lei anche se era una
scialba,
insopportabile Purosangue piena di sé.
Visto
mamma?
Strizzò gli occhi
e li riaprì.
Il mondo era tornato a fuoco. “Ehi!”
Esclamò Louis, inginocchiato davanti a
lei, con tono sollevato. “Mi senti? Ci sei?”
“Sì, ci
sono…” Inspirò
bruscamente quando vide cosa
c’era alle
spalle del ragazzino sorridente.
Un
Dissennatore!
Li aveva visti solo in
figura,
ma non
c’erano dubbi. Il mantello pieno
di buchi e lercio, le mani scheletriche che spuntavano dalle maniche
come rami
secchi e il
cappuccio calato sul nulla.
Si alzò in piedi,
ignorando il
capogiro e spinse dietro a sé l’altro. Con orrore
si accorse di non sapere come
mandar via quella cosa orrenda, né si sentiva
sufficientemente in forze da
scappare. Si era ripresa, ma non era in grado di affrontare
alcunché.
Di colpo Louis si
divincolò
dalla sua presa e corse via. Era scappato, e non poteva che
comprenderlo.
Il Dissennatore parve
captare
la sua debolezza perché avanzò verso di lei. Le
sembrava di ricordare che quei
mostri si nutrivano della tristezza umana, scatenandola.
Non
ho paura. Non puoi farmi male, perché non ho paura.
Non più.
Afferrò la
bacchetta. Se non
poteva correre via, poteva almeno cercare di lanciare un segnale di
aiuto.
Fortunatamente, non ce ne fu bisogno perché un improvviso
lampo di luce
squarciò il nero profondo in cui era immersa: era argenteo e
aveva una forma
che non tardò ad identificare con un cigno.
Cosa…
Il Dissennatore
gettò una
sorta di sibilo stridulo, prima di scomparire nel nulla mentre dalla
nebbia
apparve una figura di donna.
“Violet!”
Era la voce di Louis, che spuntò dall’ampio e
ricco
mantello della strega; non era scappato quindi, era andato a cercare
aiuto!
Facendo qualche passo
esitante
nella loro direzione, riuscì ad identificare i suoi
salvatori. Erano in due
adesso e con sgomento si rese conto che li conosceva.
“Violet, quanto
tempo…” Le
sorrise Lady Astoria Malfoy. Sembrava perfettamente a suo agio in
quella
situazione allucinante, mentre il marito aveva la bocca tesa in una
linea irritata.
Probabilmente non era stato
lui a lanciare l’incantesimo.
“Lady Astoria,
Lord Malfoy.” Li
salutò, chiedendosi che genere di formalità fosse
appropriata in quei casi.
“Il tuo giovane
amico ci ha
segnalato la tua presenza.” Spiegò la strega,
quasi fossero nel bel mezzo del
the delle cinque. Ricordava fosse suo tratto tipico non sembrare mai
fuoriposto. “Come ti senti, cara?”
Violet, come suo solito, si
trovò a corto di parole.
“Meglio…?” Tentò sentendosi
un’autentica stupida. Ma
era salva, realizzò, era viva.
“Grazie… grazie Lady Astoria!”
Esclamò, e non le importò di incespicare con le
parole. Era viva.
La donna sorrise. “Sei cresciuta.” Le fece una
carezza che la riempì di uno
strano calore consolante. “Ti trovo bene.”
E fu altrettanto strano, ma
realizzò di colpo che si sentiva bene davvero.
****
“Noi andiamo a
cercare
Scorpius, cara.”
Violet quasi sobbalzò quando Lady Astoria le rivolse la
parola. Fino a quel
momento era stata completamente concentrata a cercare nella folla di
sfollati
il volto di Dominique.
Entrati ad Hogwarts erano
stati accolti da una moltitudine di persone che, infreddolite e
vocianti in più
gradi, si aggiravano per i corridoi del piano terra. Violet, reinserita
forzatamente in un clima vivace ne era rimasta stordita. Lo era
tutt’ora.
“Sì, va
… va bene. Io
accompagno Louis a cercare i suoi genitori.”
Replicò ricordando il suo compito
primigenio. Il dodicenne in compenso si era inerpicato sulla balaustra
che
portava al primo piano per avere una visuale migliore e Lord Malfoy lo
guardava
come se ritenesse quel gesto un affronto personale.
Mi
pare di ricordare che ce l’avesse con
gli Weasley, come mamma …
Lady Astoria invece sorrise
al
piccolo, accarezzandogli i capelli. “Ti prenderai cura della
tua amica, Louis?”
“Ci puoi giurare Astoria! Non abbandono una dama al suo
destino, che diamine!”
Replicò quello, di nuovo sfacciato, allegro e pieno di
lentiggini. Violet vide
con la coda dell’occhio Lord Malfoy incupirsi come se stesse
covando un
temporale.
Era ora di accomiatarsi.
“Vieni.”
Il ragazzino fece un
balzo e le fu subito accanto. Diversamente dalla sorella era molto
ubbidiente.
“Per Scorpius … Verrò a cercarvi appena
avrò portato Louis dai suoi genitori.”
Vedendo l’aria sorpresa della strega, arrossì.
Doveva aver pensato che si
fingesse preoccupata per via delle aspettative di sua madre circa il
loro fidanzamento.
“Siamo … Non è per…
È mio amico, e…” Balbettò
incoerente tanto che si beccò
pure le sopracciglia inarcate dell’uomo. Avrebbe voluto
scomparire.
La strega in compenso le
sorrise con aria divertita. “So che siete amici, mio figlio
me l’ha scritto.”
Le mise una mano sulla spalla. “Pensiamo di portarlo via
subito però … Non
credo ci incroceremo di nuovo. Ti farò scrivere nei prossimi
giorni, anche se
sono certa che Scorpius vi penserà da solo. Abbi cura di te,
cara. A presto.” Le
baciò la guancia prima di toccare il braccio del marito e
farsi portare via.
“Che
donna!” Esclamò Louis quando
furono fuori tiro. “Dev’essere figo
averla come moglie, eh?”
Anche come madre, se è per
questo…
“Andiamo a cercare
Ni… I tuoi
genitori.” Si distrasse.
“E anche Domi!” Assecondò il suo lapsus
con tranquillità. “Sei preoccupata per
lei, lo capisco!”
Eccome.
Chissà in che guai è riuscita a cacciarsi, data
la situazione…
“Proviamo in
infermeria?”
Suggerì il ragazzino zigzagando tra la confusione di persone
come se fosse nato
per quello. “Mia sorella di sicuro l’han portata
là … Non era conciata benissimo
finita la prova!” Aggiunse
sereno, quasi fosse abituato a sapere sua sorella nelle braccia della
Medimagia.
…
Non che abbia tutti i torti. Da che la conosco è
finita in un lettino più volte di quel che se ne possono
contare.
Violet seguì
così Louis.
Sbagliarono ad imboccare un corridoio solo una volta, poi arrivarono a
destinazione. L’infermeria era molto più grande
della loro, e ricolma di
Medimaghi, gli stessi che avevano presenziato alla prova. Violet
inspirò.
E
ora come la troviamo?
“Lasciatemi
uscire di qui rompicoglioni!”
Violet si guardò
con Louis, e
vide negli occhi dell’altro la stessa sorpresa. Solo una
persona poteva urlare e
farsi sentire per un’intera infermeria.
“Da quella
parte!” Esclamò
l’altro. “È lei! Mia sorella ha dei gran
polmoni!”
Ed è lei la rompicoglioni.
Ma evitò di
formulare quel
pensiero ad alta voce, non era appropriato. Anche se diamine, cosa
aveva da
urlare quella matta? Doveva esser circondata da personale medico e
servita come
una regina, visto il suo ruolo di Campionessa.
Come
se fosse quello il punto … Sai benissimo quanto
detesti esser obbligata a rimaner ferma in un posto quando il resto del
mondo
si muove. Va in risonanza, l’idiota.
Aggirarono una serie
infinita
di facce, persone e lettini. Violet vide con la coda
dell’occhio la scialba
Weasley, probabilmente la fidanzatina di Scorpius e Zabini, in
compagnia del
ragazzino dai grandi occhi verdi, più una serie di persone
di cui non le
importava nulla.
Louis scostò una
tendina e si
trovarono finalmente di fronte all’incarnazione di tutti i
suoi guai. Dominique
era seduta sul lettino o meglio, costretta
in quella posizione dalle braccia di Mael e del padre.
Nonostante fossero in due
facevano fatica a tenerla ferma; il padre addirittura tentava di
tenerle
lontano la bacchetta.
“Louis!”
Esclamò Madame
Weasley, rompendo la stasi comica della scenetta, alzandosi dalla sedia
su cui
doveva essersi lasciata scivolare senza forze, a giudicare da come fino
ad un
secondo prima avesse fissato Dominique in pieno sconforto.
“Maman!” Violet
concesse un breve
sorriso al loro abbraccio prima di concentrarsi sull’altra.
Dominique la fissava come se avesse appena visto Morgana in persona
ascendere
dall’Aldilà. Violet ci mise più di
qualche attimo a realizzare che era il suo
modo di mostrare sollievo.
“Per tutte le
palle di drago …
la folla non t’ha schiacciato!” Esclamò.
“Perché
avrebbe dovuto farlo?”
Replicò, indecisa se ordinarle di piantarla con quella
scenata o stritolarla in
un abbraccio persino più stretto di quello tra Louis e sua
madre.
“Beh, sei un
po’ nana…” Fu la
replica. Poi si voltò verso padre e cugino. “Va
bene, va bene … Adesso che è
qui e so che sta bene, potete mollarmi, faccio la brava.”
Strepitava tanto perché voleva
andare a
cercare me?
Il viso le prese completamente fuoco. “Non sono
nana, idiota, sei tu che
sei una gigantessa!” Borbottò tanto per dire
qualcosa, dato che tutti la
stavano squadrando come se fosse una creatura magica sotto spirito.
Tranne Mael
che invece sogghignava con l’aria di trovare quella
situazione deliziosa.
Va’
all’inferno.
“Meno male che
stai bene…”
Mormorò Dominique strappandola alle sue riflessioni. Poi di
colpo gli occhi le
si rovesciarono e crollò sul lettino con un tonfo sordo.
“Nicky!”
“È solo
svenuta.” Sospirò Madame
Weasley, mentre coccolava il
figlio sulle ginocchia. Non sembrava granché turbata da quel
repentino crollo
fisico. “Eravamo nel ben mezzo di una rivolta dei Goblin
finché non sei
arrivata tu, ma era pur sempre allo stremo delle forze. Per
fortuna.” Soggiunse
con un sospiro.
“Non è la prima volta che le succede,
sta’ tranquilla. Ha solo bisogno di dormir
sodo.” Si inserì Weasley Senior
con
aria rassicurante. Poi si rivolse alla moglie. “Merlino
Fleur, mi ha quasi
slogato un polso…”
“È naturale mon chere.”
Rispose questa
con un sorriso ultraterreno. “È il suo ottavo
Veela.”
“Un ottavo di pura
brutalità.”
Considerò Mael massaggiandosi le spalle. “Voleva
strapparmi le braccia!”
Aggiunse tornando al solito tono lagnoso.
“Su, su
…”
Violet ascoltò
quella serie di
dialoghi allucinati – che in bocca ai Weasley Delacour
sembravano però
perfettamente sensati - senza saper bene cosa fare. La sua presenza
lì non era
esattamente convenzionale. Dominique doveva aver parlato alla sorella
maggiore
e detto qualcosa al fratellino, ma per quanto riguardava i genitori?
Sapevano?
E se sì, quanto?
Fu Madame
Weasley a rivolgerlesi per prima. “Ti ringrazio per aver
protetto Lu …” Le sorrise con calore, sembrando
una di quelle Madonne Babbane.
Il suo stomaco fece un’immediata capriola e sperò,
davvero sperò di non essere
diventata più paonazza di quanto già non era.
“Te ne sono immensamente grata.”
“Non … non è stato nulla.”
Non sapeva come reagire alla riconoscenza, realizzò
con orrore. Nessuno le era mai stato grato per qualcosa di
più che prestito di
una Piuma. E quei casi comunque riguardavano le sue amiche, non certo
persone
che sua madre le aveva insegnato a disprezzare.
Peccato che tu sia innamorata persa della
loro figlia di mezzo.
“Io …
devo andare.” Si risolse
a dire. “Chiedo scusa, ma ho … delle cose da fare.
Buona giornata.” E se la
diede letteralmente a gambe. Aveva ripiegato in modo ridicolo, se ne
rendeva
conto, ma non aveva idea di come interfacciarsi con la famiglia della
sua
ragazza quando la suddetta era collassata su un lettino.
Weasley,
sarai la mia rovina!
Rallentò il passo
quando le
persone cominciarono a diradarsi. Appoggiò la schiena al
muro meravigliosamente
freddo di fronte al portone principale e chiuse gli occhi: non aveva
avuto
neppure un minuto per sé in quelle ore concitate. Se ne
prese dunque un paio.
E capì.
Capì che oltre
l’imbarazzo, il disagio, la stanchezza, non si era mai
sentita così forte.
Sorrise, solo per se stessa:
anche per lei, quel giorno, si era tenuta una prova. E sembrava avesse vinto.
****
Violet non era nervosa. Non
esattamente. A dirla tutta, il nervosismo non c’entrava
granché.
… Forse solo un
poco.
Seduta sul letto stava finendo di spazzolarsi i capelli per circa la
sesta
volta. Ormai erano talmente lisci che uno Zellino avrebbe potuto
scivolare in
linea retta fino alle punte.
E non era questo il punto.
Il punto era che si trovava
da
sola nella stanza, dopo aver saputo che la CompagnaSenzaNome - no, non
l’aveva
ancora imparato, doveva essere qualcosa come Tombard o Gerard o
… - era
stata portata a casa dai genitori
presenti alla Prova. Era sola e Dominique, come al solito, latitava.
Beh,
stavolta non è colpa sua … L’ultima
volta che
l’hai vista era esanime su un lettino
dell’infermeria.
Se si fosse sbrigata a
tornare, per la prima volta da mesi avrebbero trascorso una notte da
sole,
assieme. A dirla tutta, da che la conosceva dato che appartenevano a
dormitori
diversi.
Si sentiva elettrica, e non
riusciva a star ferma. Quello che era successo durante quella giornata
apocalittica invece che metterle stanchezza addosso aveva stimolato la
sua
adrenalina.
Non era una sensazione
brutta,
ma neppure piacevole. Più che altro frustrante.
Dove
diavolo è?
Fuori, calmate le acque e
riportato i Dissennatori al loro posto –
all’inferno supponeva – doveva star
succedendo il finimondo, diplomatico e non. Alei non interessava. Tutto
ciò che
voleva era vedere la sua ragazza.
Non
chiedo molto, mi sembra…
Quasi il Cielo avesse
risposto
alle sue preghiere sentì bussare alla porta. Poi
ricordò che l’altra non si era
mai comportata in modo così civile.
“Avanti.”
Si sentì quasi
ringhiare. Possibile?
A
quanto pare quest’adrenalina ha effetti singolari…
Spuntò la testa
biondissima di
Mael. “Oh, Parkinson … stiamo cercando di farci
portare qualcosa per cena da
Hogsmeade. Hai preferenze?”
“Sarebbe perfetto
se ti
levassi dai piedi.” Fu lesta a rispondere.
Il ragazzo la
guardò
indispettito, prima di notare il letto privo degli effetti personali
della
terza compagna. “Oh.” Emise con un rimarchevole
guizzo intuitivo. “Capisco.”
Vedendo i suoi desideri smascherati, avvampò.
“Delacour, fatti gli affari
tuoi!”
L’altro rise e per
una volta
non vi percepì reale malevolenza. “Suvvia,
Parkison, un po’ di controllo.”
Sembrava star cambiando idea
su di lei, e non aveva idea del perché. Scoprì
che le piaceva la sensazione di
non essere guardata con astio.
“Da che scranno
del Wizengamot!
Ne sai più tu di materassi e lenzuola
che l’Accademia intera!”
Esclamò di rimando, che certi schemi non
potevano cambiare tanto facilmente. Potevano smorzarsi,
però.
Mael fece un sorrisetto
malizioso. “A quanto si dice in giro, neppure tu potrai
vantare un vestito
bianco al tuo matrimonio. Sempre se ce ne sarà
uno.” Si appoggiò allo stipite
della porta. “Comunque Dom
sta
salutando i suoi adesso, poi arriva. Stanotte dormono ai Tre Manici di
Scopa.”
“Anche lei?” Il suo disappunto fu così
palese che l’altro scoppiò di nuovo in
una risata.
“Ehi, ascoltami
quando parlo …
Se li saluta significa che non starà con loro stanotte, ma
qui.”
Meditò di
tirargli il libro
che stava leggendo in quel periodo ma poi si frenò. Non era
ciò che il galateo
le aveva insegnato. Poi registrò quanto detto e si
frenò impietosamente dal
sorridere.
Doveva esser vera la voce
secondo cui l’amore ti riduceva in una pozza di idiozia.
“Immagino che
cenare sia
l’ultimo dei tuoi pensieri … Prenderò
qualcosa per voi e lo farò lasciare in
caldo. Mandami Dom a bussare quando avrete fame … di cibo.” Soggiunse prima di
schizzare via. Violet si rese conto
dopo qualche attimo di avere il sopracitato libro in mano.
Sospirò, sedendosi di
nuovo sul letto.
Era ufficiale,
l’attesa la
stava logorando. Sentì poi dei passi e fece appena in tempo
a dare un’ultima
occhiata allo specchio e lisciarsi la camicia da notte che Dominique
entrò
spalancando la porta.
“Ohi, ho visto
Mael che
scappava in corridoio, mica avrete di nuovo liti…”
Si fermò, squadrandola
attentamente. Morgana, si era guardata allo specchio, le sembrava fosse
tutto a
posto, aveva forse qualcosa incastrato trai denti?
“Cosa?”
Sbottò aggressiva, sentendo la familiare ondata di
inadeguatezza investirla.
Dominique sorrise di colpo.
“No, nulla … solo, chissà
perché, mi sei sembrata un po’ diversa quando sono
entrata.” Ghignò. “Poi hai ricominciato
a comportarti come la solita, vecchia
Piggie. Tutto regolare.”
“Stupida!”
L’accusò, ma senza
troppa rabbia. Dominique era istintiva come un animaletto.
Chissà se aveva
percepito il rimuginare incessante dei suoi pensieri e il formarsi di
certe
decisioni nella sua testa.
“La mia
Piggie!” Esclamò
divertita. Sembrava stare meglio; aveva una garza che le girava attorno
al
collo, fasciandoglielo e un paio di dita avevano fatto la stessa fine,
ma la
postura e l’atteggiamento erano strafottenti come al solito.
Per usare
l’espressione dell’altra, tutto regolare.
Morgana,
grazie … grazie per avermela protetta.
“Mi sono
classificata prima,
sai?” Allargò le braccia in maniera del tutto
teatrale. “Te l’avevo detto che
sarei stata la migliore!”
“Mai dubitarne…” Sospirò. Poi
si rese conto che l’altra era rimasta nella
stessa posizione. “Cosa?”
“Campionessa!”
Scandì allegramente, come se non fosse stata materiale
da Medimago fino a poche ore prima. Violet comunque non si sottrasse al
suo
dovere e le afferrò i lacci di una delle sue sgraziate felpe
babbane per
tirarla giù e baciarla. Dominique rispose in maniera
entusiasta e attenta come
sempre, ed era sorprendente, sul serio, che riuscisse ad utilizzare due
modalità in apparenza inconciliabili.
Ma ehi, è la
Weasley.
Poi la strinse e Violet si
trovò ad aspirare l’odore di foglie, bosco e
sapone neutro della sua felpa. “Nicky,
mi schiacci…” Si lamentò senza averne
davvero l’intenzione. “… abbracciare non
è sinonimo di stritolare.”
L’altra parve non
ascoltarla,
e fece invece un profondo respiro e sospiro. “Meno male stai
bene…” Mormorò, e
non c’era proprio niente di ironico in quel tono.
Violet strinse la presa di
rimando.
“Ma ti sei preoccupata per me?” Le uscì
piuttosto intelligentemente.
“No, Piggie
… ero certa che, con
l’aiuto esperto di un dodicenne, avresti affrontato
efficacemente una serie di
creature che non avevi mai visto in vita tua e di cui non sapevi
niente.” Fece
una pausa. “Senza contare che quei cadaveri ambulanti hanno
una predilezione
per chi ha problemi in famiglia o giù di lì, a
sentir mio zio Harry.”
Chiunque avesse detto che
aveva l’empatia di un fondo di calderone, non capiva
assolutamente nulla.
Dominique capiva ciò che le accadeva intorno, sia che le
fosse spiegato, sia
che fosse lasciato tra le righe.
O
forse, fa’ questo sforzo per te…
Violet si liberò dall’abbraccio solo per
passarle le dita sul collo
fasciato e poi sulle guance bruciate dalle efelidi. “In
effetti ne ho quasi
affrontato uno…” Ammise mentre un lampo di allarme
le passava nelle iridi
chiare dell’altra. “… ma per fortuna non
ero sola. Cosa pensavi di fare,
venendomi a cercare ferita com’eri?”
“L’eroina?”
Tentò con un
ghignetto un po’ stiracchiato ficcandosi le mani in tasca.
“Non era un’idea
grandiosa, lo so. Me ne sono venute di migliori.”
“Era
un’idea assolutamente
idiota, e tipica tua.” La rimbeccò facendola
sbuffare. “Ma se ho avuto una
minima possibilità con quel Dissennatore, e non è
vero che non ne so nulla, è
stato grazie a te.” Si godette l’espressione
sorpresa e il vago rossore –
arrossiva! Era capace di arrossire oltre le lentiggini! –
dell’altra. “Non farò
dei gran pensieri felici ultimamente, ma oggi ne ho fatti. Grazie anche
a te.”
Dominique batté
le palpebre. “È
perché sono la tua ragazza?”
“Sì, e
perché ti amo.” I libri
parlavano di batticuore, esitazioni, tentennamenti e preludi epici a
quelle tre
parole, ma Violet si trovò piuttosto tranquilla a dirle,
anche se era la prima
volta che lo faceva – con Louise, nonostante tutto, non le
erano neanche venute
in mente. Le uscirono dalle labbra con la stessa semplicità
con cui l’anno
prima aveva ammesso che voleva stare con lei.
Come
diavolo fai a rendere tutto così semplice, tu,
razza di folle e straordinaria strega?
L’altra
batté le palpebre
talmente tante volte che sembrava le si fosse conficcato qualcosa
nell’occhio,
ma Violet non pregò perché le rispondesse con una
frase simile o addirittura
migliore. Nicky era svelta come un lampo in certe cose e
drammaticamente lenta
in altre. I sentimenti appartenevano alla seconda categoria.
Non
significa che non ne provi …
Perché il sorriso
che le fece
certo non era di rifiuto o imbarazzo, tutt’altro.
“Forte…” Le uscì e Violet non
poté fare a meno di tirarle un colpo al braccio, esasperata.
“Forte?
La migliore risposta ad un ‘ti amo’ nella storia
delle
relazioni, davvero Weasley, sono sopraffatta.”
Non le rispose: invece tese
la
mano verso di lei. Poi, inaspettatamente, si bloccò.
“Posso toccarti?”
Non le aveva mai chiesto il permesso e proprio per questo
c’era un intero mondo
di non detto dietro il tono timido – quanto avrebbe voluto
registrarlo per
riascoltarselo per il resto della sua vita – che le
uscì.
Posso
entrarti nel sangue e rimanere lì e per il resto
della tua vita?
Lo
fa e poi, chiede il permesso. Creatura irritante.
Violet le prese la mano
stringendosela al petto. “È se non lo fai che
abbiamo un problema, Weasley…”
Lasciò una mano a premere sulla sua e l’altra
afferrò la zip della felpa e lì
rimase. Per il momento. “Quella tizia stanotte non
c’è…”
“Si chiama
Mathilde Lombard,
come fai a non ricordarti almeno il
suo cognome?” Ridacchiò, fissando però
la zip ancora chiusa. Aggrottò di colpo
le sopracciglia. “Vuol dire che siamo sole?”
Come aveva detto, lenta in
certe cose, estremamente veloce in altre.
La Prima Volta –
le pareva ci
volessero delle maiuscole da qualche parte – secondo molti
era un avvenimento
campale, roba da scuotere mari e monti, la Magia con la maiuscola e
così via.
Dominique aveva sempre
pensato
che, quando sarebbe successa a lei, l’avrebbe affrontata come
affrontava
qualsiasi novità: come qualcosa di curioso e che presto
sarebbe finito nel
dimenticatoio.
E invece no,
decretò passando
le dita sulla pelle liscia e morbida – sembrava una pesca!
– di Violet. L’altra
era scivolata nel dormiveglia poco dopo, esaurite tutte in una volta le
energie
di una giornata intera di avvenimenti. Non dormiva sul serio
però, lo capiva
dal ritmo del respiro e dal pulsare del cuore attraverso le vene. Le
cercò con
i polpastrelli e le percorse dal polso fino all’incavo del
gomito, con estrema
precisione. Le sembrava fosse importante.
“Mi fai il
solletico…” Mormorò
l’altra arricciando il naso come faceva quando doveva
segnalare al mondo intero
il suo fastidio. Trovava che fosse una smorfia adorabile, anche se Mael
l’aveva
classificata come snob. “Non riesci a dormire?” Le
chiese spalancando quegli
enormi occhi scuri. Erano quasi tondi. Dominique si chiese se avrebbe
potuto
tracciarne il contorno senza che l’altra le intimasse di non
ficcarle un dito
nell’occhio.
“No.”
Scosse la testa. Ti guardo, avrebbe
voluto aggiungere, ma
la cosa le sembrava piuttosto palese.
“Come fai ad avere
tutte
queste energie?” Sospirò l’altra
muovendosi per puntellarsi con il braccio al
cuscino. Venne poi presa da un pensiero. “Hai fame per caso?
Perché Mael ha
lasciato qualcosa in caldo anche per noi, credo. Se se
n’è ricordato, quella
testa vuota.”
“No, non ho fame. Sto bene.” Stava alla grande ed
era una sensazione tutta
diversa dal concetto ‘di star bene’ a lei
familiare. Non stava in quel modo
quando era in sella ad Arod, né quando segnava una rete per
i Bluets. Era una sensazione di
‘bene’
diversa persino da quella che aveva sentito quando, a quattordici anni,
suo zio
Charlie l’aveva lodata per esser riuscita ad avvicinare un
Lungocorno Rumeno
per curargli una zampa ferita. Non era migliore, né
inferiore. Solo, la faceva
sentire diversa in modo buono.
Violet, ignara dei suoi
ragionamenti, le passò le dita trai capelli e Dominique si
sentì un po’ meno
sveglia e un po’ più insonnolita.
“Quello che amo di te sono le tue eccellenti
doti comunicative.” Le disse. Sentì una lieve
esitazione nella pressione dei
polpastrelli, vicino all’orecchio. Esitava, per cosa?
“Sei sicura che … voglio
dire…” Ecco i famosi giri di parole alla Piggie.
Poteva girare in tondo per ore.
“Vorrei sapere se per te va sul
serio tutto bene.”
“Perché non dovrebbe?” Stava scivolando
nell’incoscienza e quelle domande non
avevano senso. Ma sapeva che per l’altra non era
così quindi si sforzò di non
crollare. “Guarda che mi è piaciuto fare
l’amore con te.”
Seguì un lungo
silenzio, tanto
che Dominique fu costretta ad aprire di nuovo gli occhi per controllare
di non
aver detto qualche cavolata. Violet la guardava con una di quelle sue
facce
buffe e incomprensibili. Non era arrabbiata però.
“Ho detto qualcosa di
sbagliato?” Si informò. Aveva imparato fosse una
buona giocata mettere le mani
avanti con chi rimuginava troppo.
Violet inaspettatamente le
sorrise. Era un sorriso segreto, che non faceva vedere a molti. Le
esplodeva
negli occhi più che nella bocca e li riempiva tutti. Era
favoloso.
Specie perché poi
era seguito
da un bacio coi fiocchi. Le sue aspettative non vennero disattese, e fu
onorata
anche di un extra sul naso. Sospettava le baciasse le lentiggini come
faceva
sua madre con suo padre. “Perché hai le
sopracciglia scure e i capelli chiari?”
E
poi sono io che faccio domande balorde…
Forse era una domanda che ne
nascondeva un’altra. Lei avrebbe risposto solo a quella
esplicita però.
Eccheccavolo,
non so leggere nei fondi di the.
“Perché
quando avevo dodici
anni ho preso in braccio un cucciolo di Dorsorugoso che ha ben pensato
di
digerire il suo pasto in faccia a me. Sputando fuoco.”
Violet ridacchiò. “Ti sono bruciate le
sopracciglia?”
“E mi sono
ricresciute così …
Non te n’eri mai accorta? È successo
nell’estate del Secondo.”
“Non ti sono mai
stata così
vicina quando eravamo piccole.” Ci passò un dito,
disegnandole. “Ti fanno
sembrare ancora più squinternata.”
Dominique
sbadigliò, facendo
spallucce dato che suonava come un complimento. “A te
piaccio, quindi non
dev’esser tanto male.” C’era da
rifletterci, sul fatto che Piggie fosse la
prima ragazza che conosceva – ben prima di Mòr
– che non l’avesse guardata come
una sorta di puzzle incomprensibile e lì si fosse fermata.
Certo, si arrabbiava
e fraintendeva puntualmente le sue intenzioni, ma si era sempre
sforzata, il
triplo rispetto ad una persona normale, visto tutte le cazzate
Purosangue di
cui l’avevano imbottita fin dalla nascita.
Era complicato, ma era un
complicato che tutto sommato filava liscio.
“Grazie.”
Trovò giusto dirle
alla fine del suo breve ragionamento, prima di seppellirle il viso
contro la
curva morbida del collo. Si sentì abbracciare e baciare poco
prima di
addormentarsi.
Sì, quel grazie
tutto sommato
ci stava alla grande.
Come
on now try and understand the way I feel when I'm in your hands
Take my hand and come undercover
****
Note:
Avevo promesso un mucchio di
roba in questo capitolo ma poi, al solito, la mia grafomania
è esplosa e son
riuscita solo a scrivere della Prima Prova. Vabbeh.
Prossimo capitolo! :D
Ad ogni buon conto, credo che con due capitoli dovrei riuscire a
chiudere e
poi, la terza parte.
(Suona minaccioso, lo so) Per chi vuole vedere il piccolo eroe di pelo
rosso, che diciamocelo, ha salvato la baracca in questo capitolo, ecco
un Louis
Weasley coi capelli ricci.
Il banner a questo giro
è stato
fatto dalla bravissima ClaireAnn_M
che diciamocelo, ha doti
grafiche di gran lunga
superiori alla sottoscritta. ;)
Una parola poi sul titolo,
che
mi son resa conto di non aver spiegato: come le francofone sapranno,
significa
‘ragazze
d’acciaio’, ma Prèvert (alla
cui poesia, al singolare, rimando)
lo intende con il doppio significato di ‘filo
d’acciaio’, dovuto all’assonanza
della parola fille con fil. I fili d’acciaio reggono
anche pesi
e carichi sostenuti. Da qui, il titolo. ;)
Questa
invece la canzone del capitolo. Dubito esista qualcuno che non la
conosca, comunque.
xD
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Capitolo 5 *** Homeless // Capitolo V ***
I can't ask for things to be still again / I can't ask
if I could walk through the world in your eyes
Longing for home again, but home is a feeling I
buried in you
(Breathe, Melissa Etheridge)
20
Dicembre 2023
Francia,
Parigi.
Violet non aveva la minima
voglia di trovarsi dove si trovava al momento.
Tuttavia comportarsi come
una
bambina capricciosa non avrebbe migliorato la situazione, considerando
che si
trovava di fronte alla raffigurazione vivente del capriccio, ovvero sua
madre.
La ormai prossima ex-vedova
Goyle nonché sua genitrice si stava provando qualcosa come
il ventisettesimo
abito matrimoniale e Violet, per quanto adorasse lo shopping come la
maggioranza delle donne sul pianeta, stava per avere un crollo di nervi.
La boutique, che si trovava
nella
via della moda magica di Parigi, a sua volta nascosta nel Marais¹, era rigurgitante
vestiti vaporosi, tuniche cerimoniali e
più moderni vestiti dal taglio babbano.
Sua madre, per quanto si
professasse Purosangue fino allo stremo, stava pescando solo dal
mucchio
Babbano.
Ironia…
Si fissò le mani,
facendo una
smorfia assertiva al ciarlare della compagna di occasione, ovvero
Sophie. Doveva
ammettere che non le era mancata affatto. Jenny forse un po’
di più, ma
comunque in quei mesi scozzesi non aveva rimpianto la presenza delle
due amiche
del cuore.
Questo
la dice lunga…
“Oh, questo
vestito le sta
benissimo, Madame Parkinson!”
Cinguettò Sophie, dandole di gomito. “Non
è vero Violèt?”
Si stampò il suo miglior sorriso sulle labbra.
“Davvero.” Conosceva Sophie da
quando aveva undici anni e sapeva interpretare quell’ansioso
sorriso che le
lasciava in mostra le gengive.
Pensa
che le stia da schifo.
…
da schifo. Ditemi che non ho appena pensato con il
lessico di Nicky. Ditemelo.
“Solo, mi
sembra…” Tentò
perché in fondo Sophie aveva ragione.
“Oh sì,
hai ragione tesoro, è
troppo pretenzioso!” La interruppe. “Mi porti
quello blu.” Intimò alla
servizievole commessa che, con gran soddisfazione di sua madre, si era
messa a
loro completa disposizione.
Così
avrà qualcosa da raccontare stasera ‘Sapete la
Vedova Goyle? Beh, è vero, sta per risposarsi! Con quella
pancia poi!’
Violet si fissò
le scarpe lucide,
studiando il volto distorto che vi si rifletteva. Era tornata a casa da
soli
tre giorni e già rimpiangeva Hogwarts. Le mancava persino il
clima orrendo e il
cibo pesante.
Beh,
non proprio … i ricordi che mi suscitano piuttosto.
La pioggia, ad esempio:
quando
diluviava persino Nicky desisteva dagli allenamenti. La sciroccata
tornava così
in camera zuppa come un pulcino, ma per l’ora del the.
Asciugata e rimbrottata
a dovere, finivano sempre per baciarsi e fare l’amore sotto
le coperte,
approfittando dell’assenza della Gerard. O Lombard.
Qualunque
sia il suo nome. O cognome.
Il cibo, anche: continuava
ad
essere insopportabile, ma proprio per questo ad ora di pranzo Scorpius
la
raggiungeva nelle serre, con sandwich e bottiglie di Burrobirra
sottratti nelle
cucine. A volte si univano a loro anche Michel e Loki, con una
varietà di scuse
e diversioni da far concorrenza al mago che aveva dato il nome alla
loro Casa.
Ma comunque, c’erano. Era divertente mangiare in quel modo
improvvisato, e
Violet aveva scoperto che la compagnia maschile, se giusta, poteva
anche essere
piacevole.
Alla fine si era confessata
all’altro.
Non aveva potuto farne a meno.
“Scorpius?”
Il ragazzo, con la bocca piena di sandwich al prosciutto aveva fatto
cenno di
parlare. Era tornato in Scozia da pochi giorni. Violet era venuta a
sapere da
Zabini quanto la faccenda dei Dissennatori l’avesse messo in
crisi. Non gli
aveva chiesto spiegazioni e si era limitata ad offrirgli la sua
compagnia. Era
bastata.
“Devo
dirti una cosa.”
“Uh-uh?” Fece un altro cenno convulso.
“’mi!” Bofonchiò deglutendo.
“Dimmi,
dimmi! Ti ascolto!”
“Mi
piacciono le donne.” Era sbottata fissando una
serie di sgargianti azalee. Per tutta risposta aveva sentito un gran
ruminare
dalle parti del ragazzo. E basta.
“Scorpius…?”
Questo
aveva deglutito l’ennesimo boccone. “Oh, dovevo
rispondere qualcosa?” Dovette accorgersi della sua aria
sbalordita, perché
sorrise con aria di scuse. “Allora … fantastico!
Un’altra cosa che abbiamo in
comune!”
“Non so se hai capito…”
“Sì che ho capito, sei lesbica.” Si era
stretto nelle spalle. “Le ragazze
Babbane si definiscono così.”
“Lo
so, ma tu … A te non dà fastidio?”
Il
biondo aveva bevuto un sorso di Burrobirra. La
beveva con la cannuccia, un particolare, questo, che gli era valso
prese in
giro feroci da parte di Zabini e Nott. E da lei. “Il mio
migliore amico James è
bisessuale, gli piacciono entrambi. Parecchio, a giudicare come
scannerizza
qualsiasi sedere gli passi davanti.” Replicò
schioccando la lingua. “Se non mi
sento a disagio con lui, come posso esserlo con te?”
Non
faceva una piega e Violet aveva provato il
subitaneo impulso di piangere dal sollievo. Non che si sarebbe
aspettata
giudizi o disgusto da uno come Scorpius…
Ma comunque … Non
sai mai cosa
aspettarti in questi frangenti.
“Quindi
stai con la Weasley francese?” Se ne era uscito
dal nulla. Violet l’aveva fissato con un’aria
assolutamente idiota, ne era
certa dato che l’altro si era messo a ridere.
“Buffo, no? Un’altra cosa che
abbiamo in comune!” Aveva smesso di sorridere per un attimo.
“Avevamo…”
“Scusa?”
“La ragazza dei miei sogni, quella di cui eri tanto curiosa.
È una Weasley, ma
britannica. Rose.”
Violet
si era trattenuta da chiedergli cosa ci trovasse
in quella scialba ragazzetta castana sempre seguita da una pila di
libri come
una fila di cuccioli festanti avrebbe seguito un osso, bel seno a
parte.
L’improvvisa serietà dell’altro non
glielo aveva permesso. “Perché ne parli al
passato?” Aveva chiesto invece. “Vi siete
lasciati?”
Il
grifondoro aveva fatto un sorriso mesto che
rispondeva egregiamente alla domanda. Si era però riscosso
subito. “A
proposito, tu di ragazze ne capisci, no?”
“… immagino di poter rispondere di
sì.”
“Ottimo! Allora mi devi aiutare!”
“A riconquistarla?”
“Oh, no! A farmi riconquistare!”
Hogwarts era fredda,
inospitale e per certi versi folle. Ma lì vi aveva trovato
tesori più preziosi
di quanti ne avesse mai collezionati in Francia.
“A che
pensi?” La riscosse
Sophie con un luccichio vorace negli occhi. Violet tremò al
pensiero di cosa
quella testolina frivola e piena di ricci stesse fraintendendo.
Penso
alla mia ragazza e ad un insospettabile, nuovo
amico. Non quel che ti aspetti.
“Hai incontrato
qualche
fascinoso scozzese in quel
posto?”
Fece una smorfietta affettata, di puro disprezzo. “Dicono si
vestano di una
strana stoffa fatta d’animali e mangino carne
cruda.”
“Hanno le uniformi come noi, veramente. E il cibo
è fin troppo cucinato.” La
corresse con un sospiro. Ma non poteva biasimarla: lei stessa prima
della
partenza aveva pensato di andare trai selvaggi.
E
invece… Temo che la selvaggia adesso sia io.
Separarsi da Dominique non
era
stato facile. L’altra avrebbe trascorso le vacanze nel
Devonshire e non sarebbe
tornata in Francia. Avrebbe quindi finito per vederla al Ballo del
Ceppo, non
prima. E finito quello, si sarebbero riviste solo a Gennaio.
Troppo,
troppo tempo.
Certo, era riuscita a strapparle la promessa di scriverle almeno per
scambiarsi
i regali alla Vigilia, ma conoscendola, non ci sperava
granché. Quella testa
matta avrebbe finito per dimenticarselo.
Non era stato facile
lasciarla
perché ormai, poco da fare, ne era dipendente. Nicky era
come una boccata di
aria fresca e in quel momento si sentiva soffocare nel suo costosissimo
vestito
di mussola scura, intrappolata tra la mole giunonica di Madame
Romilly, madre di Sophie anch’essa presente e quella
sovra-eccitata dell’amica.
“Sta pensando a
quel bel
giovanotto che ci hai mostrato in foto, forse?”
Chiocciò Madame Romilly.
Sua madre aveva già sponsorizzato Scorpius in lungo
e in largo? Violet sentì la nausea serrarle la bocca dello
stomaco.
“Se
così fosse potrei anche
perdonarla di non dare la giusta attenzione a sua madre.”
Ironizzò guardandola dritta
negli occhi.
Sua madre sospettava
qualcosa.
Quando si erano salutate al suo arrivo, l’aveva guardata a
figura intera per
poi decretare che la trovava ingrassata. Poi, prima che potesse
riaversi dalla
deliziosa accoglienza, aveva aggiunto qualcosa che le aveva fatto
gelare il
sangue.
“Ti
trovo cambiata, tesoro. Ma non credo sia il giovane
Malfoy. Hai forse trovato qualcuno che ti suscita maggiore interesse?
Se è così
devi dirmelo … Credo sia opportuno che lo conosca, non
credi?”
Naturalmente aveva negato,
limitandosi a dire che i rapporti tra Scorpius e lei non si erano
affatto
raffreddati – che era poi la verità.
Il problema è che
sua madre,
senza saperlo, era andata molto vicina alla verità.
C’era qualcuno che le
interessava molto di più di Scorpius e
dell’universo tutto in generale.
Il
problema, mamma, è che la conosci già.
“Stavo solo
pensando che il
blu è il tuo colore, mamma. Oltremare, come hai detto
tu.” Replicò con uno dei
suoi migliori sorrisi artefatti. L’altra parve accettare la
sua diversione e
seguita dalla solerte commessa sparì a provare il vestito
appena portatole.
La nausea non accennava a
passare. L’idea che sarebbero dovute trascorrere altre due
settimane, inframmezzate
solo dal Ballo del Ceppo, prima di tornare a scuola la faceva
impazzire. L’idea
che avrebbe dovuto attendere ad un matrimonio dove tutti avrebbero
lanciato
frecciatine circa il suo, ormai prossimo, la faceva impazzire. Tutto la faceva impazzire.
Come
resisto due settimane? Come faccio a fingere che
sia tutto come prima?
Quando non lo era. Amava
Dominique e voleva stare con lei alla luce del sole. Voleva poter esser
libera
di tenerla per mano e baciarla esattamente come facevano tutti gli
innamorati.
Voleva poter andare di fronte alla Corvonero e dirle in faccia
‘Questa è la mia ragazza, la mia meravigliosa,
folle
Campionessa, non la tua e non lo sarà mai’.
Voleva poter dire a Scorpius
quanto la facesse sentir bene la loro
neonata amicizia senza che sua madre, nella sua testa, si congratulasse
per
quel nuovo escamotage.
E infine, voleva essere
felice.
Già,
peccato tu debba prima passare per il Veritaserum
dei Veritaserum.
Sua madre, che al momento la
stava chiamando a gran voce, nel tono stizzito dei grandi nervosismi.
Fece un
sorriso di scuse alle due streghe e si diresse nei camerini di prova.
“Violet, vieni
qui!” Quella
stupida ragazzina deve aver rotto la cerniera del vestito! Controlla,
se è
rotto non lo pagheremo di certo!”
“Sì, mamma.” Sospirò in
automatico, entrando nel camerino. “Forse si è
solo
impigliata nella stoffa…”
“Controlla!”
Le intimò dandole
le spalle. Sua madre stava passando un periodo di forte tensione, se ne
rendeva
conto. Doveva organizzare il matrimonio insieme alla suocera
– una tipa che a
detta sua rappresentava il prodromo della pezzente salita alla ribalta
grazie
al suo bel visino -
oliare il perfetto
quanto fragile meccanismo delle amicizie perché non
sparlassero troppo alle sue
spalle e al tempo stesso badare ai malesseri della gravidanza.
Sì,
ma io?
Violet liberò la
cerniera con
un sapiente colpetto dell’unghia. Aveva avuto una buona
scuola con gli
impossibili jeans che la Weasley indossava come una seconda pelle.
“Quella vacca di
Marie…” Si
riferiva a Madame Romilly
ovviamente.
“… hai visto come mi ha guardata?
All’ottavo mese sembro più sottile di lei, il
che è tutto dire.”
“Sì, mamma.” Le sorrise quando
l’altra si voltò nella sua direzione.
“È a
posto, ora puoi toglierlo.”
Sua madre le fece una carezza. “Come farei senza di te,
tesoro? Sei il mio
gioiello più prezioso e quello di cui sono più
fiera.” Soggiunse
affettuosa, un tono che era parca a
dispensare. La faceva sempre sentire in colpa, ben prima che
realizzasse perché.
“Mamma…” Sentiva un groppo serrarle la
gola e aveva sia voglia di piangere che
pregare. “… c’è una cosa che
devo dirti.”
Doveva. Aveva fatto una promessa alla Weasley e, oltre a quello, era
stufa di
dover mantenere quella triste baracca degli inganni. Non solo,
rimanendo il
silenzio rischiava di trascinare anche Scorpius in quella situazione.
Non
voglio che mia madre cominci a parlar male di lui,
o della sua famiglia, perché è delusa dal fatto
che non andrà mai in porto tra
di noi.
Né
lui né Lady Astoria se lo meritano.
“Non
può aspettare?” La donna
stava già armeggiando con il vestito, togliendoselo a
fatica. “Ho ancora un’infinità
di vestiti da provare e poi
sai che stasera c’è la cena a casa di
Julius.” Ovvero il fidanzato. “Ti sei
ricordata di dire a Sylvie di prepararti l’abito color
crema?”
“Sì, mi
sono ricordata, ma…”
Era il momento perfetto, realizzò. Sua madre non la guardava
ed erano sole,
strette in una situazione dove l’altra non poteva fingere di
aver qualcosa da
fare per poi sfuggirle.
Che
è quello che ha fatto per questi tre giorni…
Sua madre sospettava
qualcosa.
Non poteva non sospettare, non era stupida. Il suo temporeggiare sulla
questione matrimonio era stato goffo, maldestro e fin
troppo palese.
“Allora ne
parleremo nei
prossimi giorni.” La fermò di nuovo. “A
proposito, stasera ricordati di spedire
un Promemoria Gufico ai Malfoy. Ho mandato l’invito, ma devo
avere ancora la
conferma.” Fece uno sbuffo, liberandosi infine del povero
vestito. Allargato
con la magia, Violet dubitava che sarebbe mai tornato nella forma
originale.
“Draco è sempre stato maledettamente pigro in
queste cose e il matrimonio con
quella sciacquetta della Greengrass non deve averlo
migliorato.”
“Per cosa?” Le uscì poco
intelligentemente.
“L’invito
al matrimonio,
Violet. È l’occasione perfetta per averli tutti
riuniti, e sarebbe un faux-pas non
invitarli, dato che presto
saremo tutti una grande…”
“No!”
Quel grido le
scoppiò nello
stomaco e le risalì fino alle labbra, anche se attutito. Ma
lo disse, perché sua
madre si voltò sorpresa.
“Come,
cara?” Le stava dando
la possibilità di rimangiarselo, di tornare sui suoi passi e
fare la brava
bambina.
Ho
affrontato un Dissennatore e ne sono uscita viva. Ho
detto alla ragazza che amo che la amo.
Sono
tutto fuorché una bambina.
“Ho detto no.” Si stupì dal
tono calmo che le uscì. “Non inviteremo i
Malfoy.”
“Violet…” La sorpresa di sua madre era
talmente evidente da averla lasciata
senza parole. “Cosa…”
“Non li inviteremo perché non diventeremo una
grande famiglia.” L’espressione della
donna era di pietra. Presto si sarebbe scongelata dalla sorpresa e
avrebbe
attaccato. Doveva sbrigarsi dunque. “Non voglio sposare
Scorpius.”
Sua madre fece un sorriso
meccanico, secco e inespressivo come il deserto. Era una smorfia. Era
stata
Nicky a dirle che solo gli esseri umani, in natura, scoprivano i denti
non con
l’intento di attaccare?
Dovrebbe
conoscere meglio mia madre. Quando sorride,
lei attacca.
“Mi hai
mentito.” Proclamò con
la stesso tono con cui avrebbe ordinato un the alla loro Elfa.
“Non c’è nessun
rapporto tra te e Scorpius?”
“Siamo amici.” Ribatté. “Siamo
buoni amici, credo, ma è tutto.” Avrebbe voluto
mordersi le labbra, torcersi le mani ma quelli erano segni di debolezza
e lei
non era debole. Non poteva esserlo, non in quel momento.
Sua madre fece un lungo
sospiro,
poi di nuovo un piccolo sorriso. La bocca dipinta di un rosso violento
le si
contrasse come un pugno. “Pensavo che ti piacesse da come me
ne parlavi. Non fa
nulla, troveremo qualcuno che sia più adatto. Anche se
certo, dopo gli Allard e
i Malfoy dovremo un po’ ridimensionare i
nostri…”
“Ho detto che non voglio!” Sbottò. Non
doveva alzare la voce, lo sapeva, le
ragazze a modo non lo facevano, era quasi un tabù.
Dovresti
vedermi quando strillo addosso a Nicky, mamma…
Mi manda ai pazzi sai, ma alla fine mi sento scarica e …
Morgana, che voglia ho
di baciarla.
“Non fare scenate,
hai idea di
dove siamo?” Le sibilò afferrandola per un braccio
e scrollandola. Non
abbastanza da farle male, ma da piccola era capace di congelarla sul
posto.
Il problema, supponeva,
è che
non era più quella bambina. “Non faccio scenate,
ma tu devi ascoltarmi.”
Replicò. Non aveva idea da dove le venisse quel coraggio. O
follia. Forse era
la vicinanza con la Weasley. Alla fine c’era riuscita,
l’aveva contagiata.
Un lampo irato trafisse le
iridi di sua madre, gli stessi occhi che tutti dicevano avesse
ereditato. “Ti
sto ascoltando.” Sillabò lanciando uno sguardo
alle sue spalle.
Mamma
… come fai a vivere sempre con la guardia alzata?
È orribile per me, e non credo sia tanto diverso per te.
“Non voglio
sposarmi…”
Inspirò. “… non voglio sposarmi con
Malfoy o qualsiasi altro ragazzo al mondo
perché mi sono innamorata. Di Dominique.”
Fu ricompensata da una
smorfia
esasperata. “Merlino, non dirmi che è un Nato
Babbano … So che tra voi ragazze
c’è questa deplorevole moda di incapricciarvi dei
Sangue Sporco, ma davvero …”
“Mamma, Dominique non è un nome da
ragazzo.”
“Prego?”
“Sto parlando di
Dominique
Weasley.”
Il silenzio di sua madre era più assordante che se le avesse
urlato contro come
faceva a volte con i loro elfi quando era di umore particolarmente
nero.
“È una
specie di scherzo,
Violet?”
Le venne quasi da ridere, il
che era assurdo o forse semplicemente isterico. “No, mamma,
non lo è. Io e lei
stiamo assieme.”
L’espressione di
sua madre era
vuota, anodina. Stava riflettendo velocemente, tentando di deformare la
realtà
per adattarla alla sua, di modo ché fosse comprensibile e
scusabile.
L’ha
sempre fatto. Sempre.
“Da quanto questa
sciocchezza
va avanti?”
Appunto. Violet si impose di
rimanere ferma. Non era Dominique che doveva difendere in quel momento,
ma sé
stessa. “Quello che sto cercando di dirti è che
non voglio trascorrere la mia
vita accanto ad un uomo.” Ribatté rifiutandosi di
farle condurre quella
conversazione. “Sono attratta dalle donne e non voglio
nasconderlo, né avere un
marito di copertura per poi cercarmi un amante.”
Le labbra di sua madre
tremavano di furia. “Questo tuo ragionamento … Non
c’è fondamento in qualche
fantasia da romanzo. Ho sempre saputo che un collegio a maggioranza
femminile
ti avrebbe fatto sviluppare qualche pensiero del genere. Ma sono solo
pensieri,
Violet, nulla di più.”
Come poteva negare
l’evidenza
di ciò che le diceva? Forse con la stessa
facilità in cui si era scordata il
nome di suo padre e il fatto che l’avessero concepita
assieme?
Era arrabbiata, e stufa.
L’aveva già detto? Forse non l’aveva
ancora dimostrato.
“Mamma, ho
superato la fase
dei pensieri saffici. Io li pratico.
Vado a letto con le donne.”
Lo schiaffo
arrivò secco e
puntuale come si era aspettata. Lo incassò senza un lamento,
senza una parola
anche se le lacrime le bruciarono le palpebre come acido.
“Sei
impazzita?!” Le urlò in
faccia, il volto deformato dall’ira. “Fa’
silenzio! Silenzio, prima che…”
“Che cosa?” Se urlava, poteva ben gridare anche
lei. “Prima che qualcuno ci
senta? Che qualcuno sappia che mi piace andare a letto con le
donne!?” Sua
madre era impallidita di colpo e davvero, voleva abbassare il tono, ma
non ci
riusciva. “Io amo una ragazza, mamma! Non voglio diventare
una bella statuina
per qualche idiota con più galeoni che intelligenza, non
voglio essere la
moglie terrorizzata di un uomo che mi usa solo per sfogare i suoi
istinti come
Mathieu … Non voglio essere infelice! Non
voglio essere te!”
In un solo colpo, aveva distrutto tutto il teatrino. In una sola mossa
aveva
tranciato di netto qualsiasi labile traccia di condivisione che
c’era tra lei e
la donna che le stava di fronte.
Sentì sua madre
che la
afferrava per le spalle, e si aspettò che la scuotesse, che
le urlasse contro.
Invece le crollò addosso come se qualcuno si fosse divertito
a toglierle la
terra sotto i piedi.
Era svenuta.
“Mamma!”
Chi le aveva tolto la terra sotto i piedi era lei.
****
L’Hopital
Pour Le Maladies Magiques era il fiore
all’occhiello della sanità magica
francese. Situato in quartiere decentrato di Parigi era la meta eletta
per chi,
nel Mondo Magico, doveva affrontare qualsivoglia tipo di cura o
inconveniente.
Violet stava fissando il
poster ammiccante di una Guaritrice che pubblicizzava una nuova gamma
di pappe
per neonati, ma non lo vedeva veramente. Non percepiva neppure la
presenza
nervosa di Sophie a lato e le chiacchiere incessanti di Madame
Romilly che, a quanto aveva più o meno intuito, stava
tentando
di rassicurarla.
“Sono molto comuni
i malori ad
un certo stato della gravidanza, Violèt
… Non devi assolutamente preoccuparti! Sono certa che i
Guaritori si staranno
prendendo cura di tua madre.”
Era colpa sua. Era tutta
colpa
sua e della sua stupida boccaccia. Quante volte le era stato detto che
non si
doveva mai lasciar andare le parole, non prima di aver controllato che
la
situazione fosse opportuna e l’interlocutore adatto?
Sua madre era incinta di otto mesi e lei le aveva scaricato
addosso l’equivalente di uno Stupeficium emotivo.
“Violèt…”
Tentò Sophie
toccandole un braccio. Si ritrasse bruscamente dal tocco ed
ignorò lo sguardo
impietosito che si lanciarono madre e figlia.
Perché
non sei rimasta zitta? Perché non hai aspettato?
Se
le succedesse qualcosa? Se succedesse qualcosa al
bambino?
Non poteva neanche pensare a
quell’eventualità. Sarebbe stato figlio di un
altro padre, ma pur sempre parte
del suo sangue. Aveva avuto modo di ammirare il rapporto che
intercorreva tra Nicky
e i suoi fratelli. Se ne vergognava, ma aveva spesso fantasticato di
poterne
avere uno simile con quella piccola vita in arrivo. Se fosse stata una
bambina
le avrebbe comprato la bambola più bella di Parigi, se fosse
stato un
maschietto sarebbe persino stata disposta ad entrare in uno di quegli
orribili
negozi di articoli da Quidditch.
Suo fratello o sua sorella
l’avrebbero
guardata mai con la stessa adorazione con cui Louis guardava le sorelle
maggiori? L’avrebbero mai stuzzicata e cercata al tempo
stesso come Nicky
faceva con Victoire?
Serrò le labbra
per non farsi
sfuggire nulla, neppure un sospiro. Le Romilly la fissavano
aspettandosi una
sua mossa, un suo singulto per piombarle addosso con discorsi,
rassicurazione e
soddisfazione morbosa.
Avrebbe voluto cacciarle ma
la
realtà era che non voleva rimanere sola. Sua madre aveva
varcato il lucido
portone di legno davanti a cui erano sedute quasi un’ora
prima. Poi era
arrivato il suo fidanzato, biondo e azzimato come sempre. Le aveva a
malapena
lanciato un’occhiata prima di sparire oltre quella maledetta
porta. Violet
sapeva che avrebbe dovuto seguirlo, ma non era riuscita ad alzarsi.
Cosa avrebbe fatto Nicky in
quel caso? Non solo l’avrebbe seguito, ma avrebbe fatto di
tutto per sapere le
condizioni della madre. Probabilmente avrebbe tirato in testa qualcosa
a
qualcuno, in caso non le fosse stato risposto adeguatamente.
Ma lei non era la Weasley, e
non lo sarebbe mai stata. Dunque, si sentiva perduta.
Sentì la porta a
molla aprirsi
con un cigolio e scattò in piedi. Il Fidanzato –
non riusciva a chiamarlo per
nome come sua madre avrebbe voluto – le raggiunse e Violet
tentò di leggere la sua
espressione, ma vide solo baffetti ben dritti e guance cascanti
“Come
sta?” Chiese allora.
“Mia madre sta bene? E il bambino?”
L’uomo fece un
breve cenno con
la testa. “Ha solo avuto un lieve mancamento … il
bambino sta bene.” Esordì. La
guardava in modo strano, come se fosse indeciso su che tono adottare in
sua
presenza. L’espressione che gli vibrava sulle labbra
però poteva esser solo
tradotta in un modo. Irritazione.
Non
ha voglia di parlarmi … Non sembra averne mai
avuta, ma adesso ancor meno.
Gliel’aveva detto,
realizzò,
sua madre aveva detto tutto a Baffi Impomatati. Il fremito del mento
sfuggente
era inequivocabile.
Disgusto.
Ti disgusto?
“Possiamo
vederla?” Si
intromise Madame Romilly.
“È
cosciente?”
“Lo è,
ma non vuole avere
visitatori in questo momento, ha bisogno di riposo.” Era lei
che guardava e
Violet capì al volo. Lo stesso non valse per Sophie che non
poteva sapere e che
comunque non aveva mai brillato per perspicacia.
“Ma Violet certo
potrà
entrare!” Esclamò e le fu quasi grata per
quell’impeto di fiducia.
Se
non mettesse in luce l’esatto contrario di ciò che
ha detto.
“Violet sa bene il
motivo per
cui non può entrare. Non è gradita.” E
quel tono era maligno, grondava
soddisfazione. Baffi Impomatati la detestava cordialmente, forse
perché
rappresentava l’ultimo filo che legava la sua promessa sposa
ad un’altra
casata, forse meno ricca, ma certo più antica e nobile della
sua, fatta di
commercianti di saggina per scope.
I
Goyle saranno morti con mio padre, ma facevano parte
dell’antica nobiltà magica del Galles.
Dubito
che chi vende paglia per scope possa esservi
anche solo paragonato…
“È mia
madre. Voglio sapere
come sta e se ha bisogno di qualcosa.” Sussurrò
sentendo la voce diventare
sottile come un alito di vento. Non aveva le forze per combattere anche
contro quell’uomo.
E
poi che senso ha combattere contro i mulini a vento?
“Non ha bisogno di
una figlia
che le causa dolore e vergogna.” Vide le Romilly assorbire
quelle parole come un
goloso avrebbe fatto incetta dal carrello dei dolci e le scottarono di
umiliazione, e rabbia. “Mi ha detto di dirti che, a meno che
tu non riconsideri
le affermazioni che hai fatto in sua presenza, non ha intenzione di
parlarti.”
Violet serrò i
denti in una
morsa dolorosa. “Non ho intenzione di farlo.” La
voce le tremava ma non poteva
tirarsi indietro, non a quel punto. Tirarsi indietro avrebbe
significato
guadagnarsi forse il perdono, ma anche perdere Dominique e tutto quello
che
aveva conquistato in quei mesi. “Le cose che ho detto le
penso.”
“Allora non sarai
persona
gradita al matrimonio. O a casa nostra, per quel che mi riguarda
… Pansy ha
bisogno di riposo e tranquillità nelle sue condizioni. Non
ti permetterò di
turbarla ulteriormente.”
Violet non rispose a quella
che le sembrava un’aperta provocazione. Doveva essere un
trionfo inaspettato,
per quel bastardo, liberarsi di lei senza troppi impicci. Forse amava
sinceramente sua madre, ma non aveva poi molta importanza dato che era
capace
di disprezzare lei con la stessa intensità. La stava
sfidando a gridare,
protestare, magari piangere.
Non
io. Sono Violet Parkinson-Goyle e non sono prona a
scenate o crisi isteriche.
Prese la borsa e
raddrizzò le
spalle. Non avrebbe permesso a quel pallone gonfiato di cacciarla, se
ne
sarebbe andata lei e l’avrebbe fatto con tutta la
dignità di cui era capace. Una
come Nicky avrebbe preteso udienza e l’avrebbe ottenuta anche
a costo di menar
la bacchetta per i corridoi…
Ma,
come ho già detto, io sono solo Violet.
Voltò le spalle
al terzetto
silenzio e, un passo dopo l’altro si diresse fuori
dall’ospedale.
Appena sentì il
marciapiede
sotto i piedi e non il legno scuro di cui era rivestito il pavimento
dell’ospedale le conseguenze di ciò che era
accaduto le piombarono addosso come
un macigno.
Sua madre non
l’aveva
ripudiata, ma era solo questione di tempo, a giudicare da
ciò che le era stato
comunicato. Non presenziare al matrimonio avrebbe significato scatenare
le
malelingue, e scatenarle significava, per Pansy ex Vedova Goyle, dover
dar
seguito ad una serie di inevitabili decisioni.
Se
non sei parte della famiglia, ne sei fuori.
Avrebbe perso tutto. Le
proprietà dei Parkinson-Goyle erano tutte intestate a sua
madre, e la loro casa
in Normandia era stata chiusa mesi prima ed era ora vuota, sia di
mobili che di
Elfi Domestici. Per finire, il suo baule e gli effetti personali che si
era
portata ad Hogwarts erano nella grande casa di Montparnasse che era
stata
comprata per la nuova famiglia.
Baffi
Impomatati sarà felice di poter riarredare la mia
stanza come meglio gli aggrada … Magari con il tavolo da
biliardo che non entra
nello studio.
Non aveva più un
posto dove
andare e possedeva solo ciò che indossava. Poteva forse
includere nel conto
pochi spiccioli nel portamonete e la sua bacchetta, ma era …
È
tutto qui.
Il lato emotivo e pratico
della faccenda erano spaventosi ed era certa di non averli ancora
interiorizzati del tutto. Ne era certa perché non aveva
ancora perso la testa.
Non
azzardarti a farlo. Non farti prendere dal panico.
Rifletti. Ti hanno cacciata di casa, ma non possono ritirarti da
scuola. È
obbligatoria. Devi resistere fino a quando non tornerai ad Hogwarts.
Lì
ci sarà Nicky, Scorpius …
E
come ci torni, in Scozia?
Non aveva i soldi per una
Passaporta, né tantomeno per il treno. Non aveva neppure
soldi per permettersi
una stanza in un albergo in attesa di quel giorno.
Non
rimanere ferma. Cammina, muoviti. Entra in un bar,
siediti, rifletti. Pianifica. Trova una soluzione.
Obbedì a quella
sorta di voce
interiore come se ne andasse della sua vita, e forse,
rifletté, era così. Entrò
in un locale qualsiasi e ordinò un caffè.
Poteva chiedere
ospitalità a
Jenny o a Sophie: non gliel’avrebbero negata anche se
avrebbero preteso, di
rimando, spiegazioni.
…
Certo, e quando gliene darai? Pensi che loro, o i loro
genitori vorranno ancora aiutarti?
Non poteva chiedere alle sue
amiche, c’era troppo margine di incertezza. Scorpius
l’avrebbe accolta a
braccia aperte invece, considerando che l’aveva invitata a
passare le feste da
lui.
Se
solo avessi accettato … Ormai è troppo tardi. E
poi,
chissà cosa ne penserebbero i suoi. Sono amici di mia
madre…
C’era, ultima ma
non tale, Dominique,
ma con lei veniva anche quella clan multiculturale che si ritrovava per
famiglia. L’istinto le urlava di cercare di contattarla
immediatamente.
Però…
Voleva sul serio far sapere
alla famiglia della sua ragazza che era in dirittura di esser
ripudiata? Voleva
davvero rischiare di trascinare persone sconosciute in una faida con
sua madre?
E soprattutto se la sentiva di dover affrontare i pregiudizi che
avrebbero
avuto nei suoi confronti? Sapeva che gli Weasley non avevano tanto in
simpatia
quelle come lei. Bastava vedere come consideravano Scorpius per via del
suo
cognome, ultima generazione a parte.
E
comunque, come hai intenzione di contattarla? Il tuo
Gufo è rimasto a Montparnasse. Non puoi permettertene uno
dell’ufficio postale.
Anche una chiamata via camino … Prima dovresti trovarne uno.
Il caffè
arrivò e lei lasciò
che si raffreddasse. Lanciò invece uno sguardo oltre la
vetrata agghindata in
toni natalizi. Fuori, una calca di maghi e streghe si affrettava per
gli ultimi
acquisti, donne cariche di pacchetti e bambini esagitati invadevano la
via
schiamazzando e facendo scoppiare botti magici.
Era Natale, anche se sua
madre
non voleva più avere niente a che fare con lei. Era Natale
anche se era lontana
chilometri dalle uniche persone che avrebbero potuta aiutarla e lo era
persino
se si sentiva la persona più sola al mondo.
Era orribile.
Era talmente orribile che
stava
avendo le allucinazioni. Le sembrava infatti di vedere Lady Malfoy
guardare una
vetrina dal lato opposto della strada. Poi realizzò che era davvero Lady Astoria. Gettò i
pochi zellini
che aveva sul tavolo ed si precipitò fuori.
La strega si
voltò sorpresa
quando la vide riflessa nella vetrina. Con lei c’era anche
una donna anziana, vestita
in tunica e mantello, moda di quasi trent’anni prima. Doveva
essere Lady
Narcissa. “Violet,
che sorpresa! Speravo
di incrociarti per gli acquisti natalizi.” Le sorrise
gentile. “Narcissa, ti ho
parlato di…” Il sorriso sembrò
congelarlesi sul volto, così come i convenevoli
di rito sulle labbra. “Tesoro, cos’è
successo?”
Capì che stava
singhiozzando
nel momento in cui le braccia della strega la tirarono con dolcezza
verso di
sé. Non
sapeva che il sollievo potesse
essere tanto doloroso.
****
Violet non aveva idea di
come
fosse arrivata a sedersi in una piccola sala da the
dall’arredamento inglese,
ma era piuttosto certa di essere ancora a Parigi. Tuttavia non
ricordava di
averne varcato la soglia, forse più presa a riempire di
lacrime il mantello di
Lady Astoria.
Serrando le dita sulla fine
porcellana
Worcester della tazza lasciò che quest’ultima
facesse levitare con un colpo di
bacchetta la teiera, per poi versarle salvifico Prince
of Wales² – banale, ma il suo preferito.
“Mi …
mi dispiace…” Balbettò. Etichettare
il suo comportamento come inappropriato era riduttivo. “Non
era mia intenzione
importunarvi…”
Sentì le dita sottili della donna premerle sul braccio in
una stretta
consolante. Differentemente da come aveva fatto con Sophie, non si
scostò.
“Non sono
così sciocca da
pensare che una ragazza scoppi in lacrime di fronte ad estranei senza
una buona
ragione.” Replicò tranquilla come se non le avesse
singhiozzato addosso per
quelle che le sembravano ore.
Era stata quella gentilezza
a
darle il colpo di grazia, ma non lo disse per paura che
l’altra la credesse
un’ingrata. Per evitare una nuova crisi di pianto si
voltò quindi verso Lady
Narcissa e con sgomento – e imbarazzo – si accorse
che c’era un’altra donna
seduta al tavolo con loro. Doveva esser coetanea di Lady Narcissa e
sebbene
fosse ben più patrizia dell’esile anziana seduta
accanto a lei, ne condivideva
alcuni tratti somatici. Considerando l’età,
dovevano esser cugine o sorelle.
L’anziana strega,
forse intuendo
la sua sorpresa, parlò. “Ti presento mia sorella
Andromeda.” Questa si produsse
in un sorriso contenuto ma Violet vide negli occhi scuri un guizzo di
curiosità.
Certo,
hai appena avuto una crisi isterica coi fiocchi…
Comprensibile sia curiosa.
“Io …
salve.” Inspirò appena,
suggendo the per darsi un contengo.
Riprenditi
prima che ti scambino per un’ubriaca.
Lady Astoria le
lanciò una
lunga occhiata indagatrice, ma diversamente dalle Romilly, non sembrava
aver
fame di informazioni. La stava semplicemente studiando. “Ti
senti meglio?” Le
chiese, e Violet annuì.
Doveva dare delle
spiegazioni,
ma sapeva da dove iniziare.
“Io …
devo chiedervi scusa per
il mio increscioso comportamento. È
stato…” Iniziò piena di buone
intenzioni,
ma fu fermata da uno sbuffo insoddisfatto da parte di Lady Andromeda.
“Oh, piantala con
le scuse,
ragazzina!” Con sgomento si accorse che quella signora
agghindata parlava in
dialetto. Quello londinese³ per giunta.“Sei una
Purosangue, no? Quelle come te
non scoppiano a piangere in pubblico se non succede qualcosa di
completamente
disastroso. Cos’è, ha chiuso il tuo sarto
preferito?”
Violet boccheggiò
senza sapere
che Snaso pescare, mentre Lady Narcissa arrossiva – un lieve
rosa sulle gote
pallide, niente di più. “Dromeda!”
Sibilò, mentre Lady Astoria tratteneva un evidente scoppio
di risa. “Ti prego,
cerca di controllarti e di ricordarti che sei una…”
“Tonks.”
Replicò quella con un
sorrisetto che non sarebbe sfigurato su Dominique, o Scorpius o una
genia
particolare di ragazzi ribelli. “Andromeda Tonks, Cissy, e
non ho intenzione di
passare ore a girare attorno al problema … Non quando devo
ancora trovare un
regalo per il mio Ted. Che la ragazzina parli.”
Decretò con il tono di un
giudice del Wizengamot.
“Violet, vedo che
sei
provata…” Riprese le fila del discorso Lady
Astoria, più conciliante. “Ma so
per esperienza che tenersi dentro un problema raramente aiuta a
risolverlo.”
Violet sentiva la gola secca
e
trovò del tutto legittimo bere l’ennesimo sorso di
the. Era sicura che non appena
avrebbe esposto il suo problema – che no, non era la chiusura
della sua sarta
d’elezione – sarebbe stata disprezzata. Le labbra
non le erano mai sembrate
tanto sigillate.
Lady Andromeda
schioccò la
lingua – la lingua?
– poi sospirò.
“Non è una cosa da nulla, vero?”
Indovinò. “Prima sei quasi svenuta addosso a
Tori, e non mi sembri una ragazzetta fiacca, di quelle che andavano
tanto di
moda quando avevo la tua età…” E qui
lanciò un’occhiata alla sorella che
ricambiò con un’occhiataccia. Si rivolse di nuovo
a lei. “Ragazza, Tori non si
alzerà se non avrà la certezza che è
tutto a posto. Queste Corvonero hanno il
pallino di dover sapere tutto.”
La donna fece un mezzo sorriso distratto. “È vero,
è proprio così … Oltre a
questo, mio figlio non mi perdonerebbe mai se non mi prendessi cura
della dama
che porterà al Ballo del Ceppo.”
“Mia
madre…” Le parole le
scivolarono fuori dalle labbra prima che potesse fermarle.
“Mia madre non mi
vuole più.”
Vide la consapevolezza
illuminare le tre streghe di colpo. Ovvio, erano Purosangue. Fu Lady
Andromeda
a parlare per prima. “Ti ha ripudiata?”
“Lo
farà. Lo farà appena si
sarà sposata, immagino …”
Serrò le dita sulla tazza. “Non vorrà
dare scalpore
prima del suo matrimonio.”
“Perché?” Fu Lady Narcissa a parlare, e
il tono era così freddo che sentì le
forze venir meno.
Ecco,
è appena cominciata.
“Cissy, che
importanza vuoi
che abbia? Diamine, si parla di ripudiare!”
Ribatté violentemente la sorella. Violet non svenne solo
perché sentiva la
presa gentile della madre di Scorpius ancora salda tra le sue dita. Lo
sapeva
che l’avrebbero disprezzata. Era così che
funzionava.
“Voglio solo
sapere che persona
abbiamo davanti, non mi sembra di chieder molto.”
Replicò la donna con calma.
“Violet, guardami.” Violet alzò lo
sguardo per riflettersi nelle iridi di
ghiaccio dell’anziana. Da giovane doveva essere stata
un’autentica bellezza
algida, di quelle capaci di inchiodare un mago alle sue promesse.
“Cos’hai
fatto per meritartelo?”
Niente.
Niente, assolutamente niente … Perché non me lo
merito!
Violet ispirò.
Poteva essere
spaventata, sola al mondo e improvvisamente nullatenente. Ma non
avrebbe
chiesto scusa per chi era. Non più.
“Amo.” Disse e forse fu un po’ troppo
teatrale, ma era pur sempre la verità. “Mi sono
innamorata e mia madre non
approva la mia scelta. Mi ha chiesto di rimangiarmi tutto, ed io ho
detto che
non potevo.”
Vide passare un forte
fremito nell’espressione
beffarda di Lady Andromeda. “Chi è il
ragazzo?” Il tono di voce si fece meno
categorico, più gentile. Comprensivo?
Se doveva finir ripudiata
dalla società in cui era cresciuta, tanto valeva portarsi
avanti con il lavoro.
“Io … non ho una particolare inclinazione verso i
ragazzi.”
Vi fu un breve silenzio e
Violet attese rassegnata che Lady Astoria la sciogliesse dalla stretta
per
guardarla con orrore. Non avvenne, anzi la rafforzò e la
guardò con gli stessi
occhi pronti e intelligenti del figlio. Scorpius poteva avere i colori
dei
Malfoy, ma la mimica era tutta Greengrass.
Lady Andromeda esplose di
colpo in una risata. “Dev’essere una
moda!” Esclamò divertita, ma non maligna. Anzi,
aveva cominciato a guardarla con aperta simpatia.
Ma…
Violet rimase senza parole.
“Per … per me non è una moda. Sono fatta così.”
Si sentì in dovere di chiarire, casomai pensassero al
capriccio da ragazzina
ribelle.
Lady Narcissa assunse
un’aria
esasperata. “Mia sorella adora farsi
fraintendere, non darle retta. Intendeva dire che ha un nipote, Ted
Remus, che
parimenti predilig…”
“È gay, Cissy.” Pareva che parlare
addosso alla sorella fosse una vera gioia
per la strega. “Teddy è gay. Se
c’è una parola intera per qualificare un
concetto perché non usarla?”
“È
Babbana.”
“Merlino, chiamiamo l’ufficio per l’uso
improprio della Parole Babbane allora!”
Violet osservò il
terzetto di
streghe. Non sembravano particolarmente turbate dalla sua rivelazione,
il che
aveva dell’assurdo perché ripudiare qualcuno era
un anatema tremendo nel Mondo
Magico. Un ripudiato era destinato ad essere ignorato e disprezzato da
tutti i
Purosangue con cui entrava in contatto.
Perché
non sta succedendo?
“Perché
… perché mi state
ancora parlando?” Si sentì tre paia
d’occhi puntati addosso e desiderò
scomparire nel divanetto. Quel tratto patetico del suo carattere non
sarebbe
mai venuto meno.
Vide Lady Andromeda guardare
verso la sorella, e viceversa. Poi le sorrise.
“Perché, parlo a titolo
personale, quando vivi come ho vissuto io ti passa la voglia di
giudicare.”
“Il mondo cambia,
è un assioma
che qualunque persona intelligente deve comprendere e far
suo.” Si sbilanciò
meno Lady Narcissa. Ma non guardava verso di lei, quanto piuttosto
verso la
sorella. Curioso. “Siamo in una società dove
attualmente le preferenze sessuali
e le decisioni prese in merito sono personali. Ripudiare qualcuno per
questo è
…” Fissò lo sguardo sul servizio da
the. “… sorpassato.”
“Oltre che
idiota.” Concluse
Lady Andromeda portandosi il the alle labbra.
Lady Astoria
annuì alle due
precedenti affermazioni. “Violet, qui sei tra amiche. Mio
figlio tiene a te ed
è sempre stato un ottimo giudice delle persone di cui si
circonda. Esserti
amica è un mio dovere di madre … e un mio piacere
come persona. Sei stata molto
coraggiosa, tesoro.”
Violet sapeva che stava per
rischiare una seconda crisi di pianto. Si sforzò di non
lasciare uscire più di
qualche lacrima che si asciugò comunque in fretta.
“Grazie…” Non trovava altro
da dire per esprimere ciò che le scoppiava nel cuore. Poteva
sperare comprensione
dai suoi coetanei ma mai, mai avrebbe pensato di trovarne tra streghe
di simile
levatura e lignaggio.
Lady Astoria non la
rassicurò
circa il fatto, altamente improbabile, che sarebbe stata perdonata e
ripresa nel
nido familiare. Non le chiese neppure se voleva che le facesse da
intermediaria
e sciocchezze simili. Grazie a Merlino, c’era gente che capiva. “Manderemo qualcuno a
prendere i tuoi bagagli.” Disse
invece. “Immagino tu li abbia lasciati a casa del promesso
sposo di tua madre.”
Violet batté le
palpebre.
“Come…?”
Lady Andromeda
schioccò di
nuovo la lingua, un gesto così poco Purosangue da farle
sospettare che non
fosse l’unica in quella stanza ad aver avuto problemi con il
suo lignaggio.
“Non fare la finta tonta. Pensi che dopo questo bel
discorsetto ti lasciamo
qui?” La scrutò da sotto in su quasi a volerla
pesare. “No, non saresti neppure
capace di cercarti una stanza in una locanda.”
Decretò infine.
“Non siete tenute
a…” Non
c’era verso che le facessero finire una frase,
perché Astoria scosse la testa.
“Credo di avere
una lontana
parentela con tua madre. Forse cugina di secondo grado?” Gli
occhi ebbero un
lampo divertito e, non si ingannò, ribelle. A ben vedere,
Scorpius non poteva
essere com’era senza qualche influenza in famiglia.
“Forse?”
La assecondò.
“Dunque, non posso
lasciare
che una mia lontana cugina abbia da soffrire un Natale in
solitudine.”
Che fosse vero o meno,
Violet
ebbe l’impulso di abbracciare la strega di fronte a lei.
“Non so come potrò mai
sdebitarmi…”
“Tieni Scorpius lontano dai regali fino alla Vigilia e
credimi, a Tori basterà.”
Ridacchiò Lady Andromeda.
****
24
Dicembre 2023
Inghilterra, Devonshire, la Tana.
Fissare il fuoco le aveva
sempre calmato i nervi ma in quel caso la faccenda era seria e non
c’era fiamma
che tenesse. Era una sensazione nuova, segamentalizzare – che
sì chiamava così,
poche storie.
Ovviamente, il fulcro di
tutte
le sue convulsioni cerebrali era Piggie. Piggie che al momento era
ospite dei
Malfoy. Piggie che non era andata al matrimonio di sua madre, dato che
il
giorno dello stesso le aveva spedito una lettera dal Wiltshire.
Le aveva risposto
pretendendo
spiegazioni e la seconda lettera era stata solo una riga di inchiostro.
‘Ti
spiegherò
tutto quando ci vedremo. Ricordati di spedirmi il regalo,
tonta’.
Sto
cazzo.
Sapeva, a livello viscerale,
che c’era qualcosa che non andava, che l’altra
stava avendo dei problemi e sì
okay, non voleva parlarne via Gufo – dannate Purosangue e le
loro fisime da
fine ottocento! – ma almeno accennarle qualcosa…
Stava diventando scema.
Brontolò qualcosa
trai denti,
intellegibile persino a se stessa mentre sentiva il peso delle
testoline di
Lucy e Molly sulle ginocchia. L’unico motivo per cui non era
già su una scopa e
che nell’alzarsi avrebbe svegliato quei due piccoli tifoni
– quanto erano
diverse da quel noiosone del padre! – e al ritorno, per tale
pensata, la sua
testa sarebbe stata infilata su una picca da Nonna Molly in persona.
Sentì qualcuno
sedersi accanto
a lei ma lo ignorò. La serata era passata piuttosto
velocemente in realtà, tra
cibo, scherzi e una lotta a palle di neve all’ultimo sangue.
Ma adesso che
tutti erano andati a letto, o quasi, non c’era verso di non pensare.
“Vuoi che le porti
a letto?”
Era Lils, in tutta la sua aria da adorabile ragazzina innocente, falsa
come uno
Zellino falso. Beveva Eggnog bollente e sembrava persino più
pensierosa di lei.
“Se riesci a non
svegliarle.
Se si riattivano, vanno avanti per tutta la notte.”
Replicò facendola
ridacchiare.
“Sei
l’unica che riesce a
domarle.” Le offrì la tazza e Dominique ne bevve
un paio di sorsi rinfrancanti.
La ricetta di Nonna Molly era segreta e, si diceva, protetta da
incantesimi
secolari. “Il che è comprensibile, visto che di
solito hai a che fare con i
draghi.”
“I draghi son più tranquilli di loro,
garantito.” Ghignò di rimando. “Penso
che
zia Audrey mi pagherebbe fior di Galeoni, se vivessi qui.”
La conversazione si spense perché non era particolarmente
interessante.
“Stasera sei un po’ strana.” Disse Lily
dopo un breve silenzio in cui entrambe
fissavano le fiamme. “Cioè, più del
solito.”
“Ah-ah?”
“Ah-sì.”
Le fece il verso. “Di solito a quest’ora sei
crollata come
loro e dobbiamo farti levitare fino in camera.” Le
ricordò. “Invece sei
sveglia. Pensieri?” Indovinò puntellandosi il
mento con una mano e sporgendosi
verso di lei. “Puoi parlarmene, sono un asso nel dare
consigli.”
“Sei un’impicciona.”
“Anche, ma una cosa non esclude l’altra.”
Le picchiettò un braccio con
un’unghia. “Dai Domi, è cosa rarissima
vederti struggere!”
“Non mi strutto!”
Esclamò, prima di
dare un’occhiata ai due mostriciattoli gemelli. Dormivano
come se non vi fosse
domani. Le invidiò. “Non so manco che vuol
dire…” Soggiunse arruffandosi i
capelli depressa.
“Struggo.”
La corresse con
aria divertita. L’avrebbe presa a schiaffi.
“È che vederti di cattivo umore è
raro come un’eclissi di sole.”
“Ecco, e ti sei chiesta perché nessuno mi ci vede
mai? Forse perché mi stanno lontani.”
La minacciò. Non c’era Mael e
neppure Victoire, entrambi in Francia, il primo dalla madre e la
seconda con la
nuova fiamma. Non poteva sfogarsi ed era piuttosto irritante. Anche sua
cugina
lo era.
Devo
solo capire quale delle due cose mi stia più
sull’anima.
“Guarda che si
vede che
vorresti essere altrove … e dubito che sia per il Ballo di
domani, anche se so
che non ci vuoi andare.” Lily si raggomitolò sulla
poltrona come avrebbe fatto
un gatto sonnolento. “Anche quando giocavamo a palle di neve
ti sei bloccata a
guardare il nulla siderale. Però sempre nella stessa
direzione. È vero, no, che
hai un senso dell’orientamento pazzesco?”
“Adesso ti prendo
a schiaffi.”
Le comunicò perché era onesto notificare certi
impulsi. L’altra non si scompose
di una virgola e questo la rendeva sua cugina al cento per cento. Solo
quel
gruppo di ragazze con cui condivideva i geni sapeva che certe sue
esternazioni
raramente diventavano fisiche.
“Se vuoi ti aiuto…”
Scandì inarcando le
sopracciglia. “Metto a letto le gemelle e ti lascio andare
dove devi andare. Ti
copro anche con gli altri. Dico che stasera vieni a dormire da me al
Mulino.”
“Lo scopriranno, genio.”
Lily scosse la testa ed esibì uno di quei sogghigni che
potevano essere
definiti tra l’insinuante e il platealmente inquietante.
Inquietavano un po’
anche lei. “Mi sottovaluti, Dom. Molto.”
La proposta era troppo
allettante
perché potesse respingerla senza colpo ferire.
“Cosa vuoi in cambio?” Che c’era
evidentemente qualcosa in palio per la Rossa, o non si sarebbe
prodigata tanto.
“Dirmi da chi vai
mi sembra il
minimo, no?”
Dominique ci pensò su. Lily avrebbe finito per saperlo prima
o poi, dato che
non pianificava di tenerlo nascosto. Avevano deciso, quando avevano
ufficializzato, che chi avrebbe chiesto avrebbe avuto risposta onesta e
sincera. Ed in effetti, era quello che l’altra stava facendo.
Chiedere.
Oh,
beh.
“Dalla mia
ragazza.” Poi
aggiunse. “Si chiama Violet, Violet Parkinson-Goyle.
È quella che svolazza
sempre attorno a Malfoy e che sembra voglia impalmarselo. Non
vuole.”
Gli occhi di Lily si
accesero
di soddisfazione. “Lo sapevo!”
Esclamò battendo le mani, ma abbassando subito il tono di
voce. Le due progenie
di Satana avevano notoriamente il sonno leggero. “Sapevo che
doveva esserci
qualcosa di passionale tra voi due… Tutta quella tensione
quando ti
rimproverava per aver minacciato Poliakoff!” La
guardò brutalmente negli occhi.
“Quindi ti piacciono le ragazze?”
“Così
pare.”
“Fate sesso?”
Se lei era libera di essere rude con Lily, per tacito accordo
l’altra era
libera di essere la maniaca che di solito fingeva – male - di non essere. “No, a
letto giochiamo a MazzoBum. Certo che
lo facciamo.” Sbuffò. “Mi dai o no una
mano con ‘ste due?” Le chiese
riscuotendola dalla contemplazione del suo trionfo. “Vorrei
arrivarci prima di
domattina, nel Wiltshire.”
“Ah, allora
è dai Malfoy!” Si
alzò e si stiracchiò. Le scoccò una
sinistra occhiata di sottecchi. “Quindi
ti servirà sapere come trovare il
loro Manor. È ultra protetto da incantesimi e barriere.
Jamie mi ha spiegato come
farlo Apparire, ma è davvero
complicato.”
Dominique sospirò, mentre l’altra prendeva in
braccio Lucy, canticchiando
qualcosa a mezza bocca. Quella non emise un sospiro, continuando
pacifica a
dormire. La stava forse ipnotizzando?
Comunque…
“…
Cos’altro vuoi in
cambio?”
“Com’è
far sesso con una
ragazza?”
“Ma che problema
hai?”
“Sei tu quella che
non sa come
andare dalla sua ragazza.” Cinguettò.
“Quelle che ho io sono informazioni.”
Dominique roteò gli occhi al cielo.
****
Violet osservò
Scorpius
attizzare pigramente il fuoco con la bacchetta.
“Altro distillato?” Le chiese Loki, agitandole la
bottiglia davanti al naso.
Fece una smorfietta e l’allontanò con la punta
delle dita.
“Ubriacone.”
“Bacchettona.” Fu la replica serena, prima di
versarsene l’ennesimo bicchiere e
trangugiarlo con uno schiocco soddisfatto delle labbra.
“Non osare
finirlo… A me
spetta l’ultima goccia, come da accordi.”
Flautò Michel, togliendosi la
sigaretta babbana dalle labbra e agitando il cristallo vuoto tra le
dita. Erano
seduti in circolo davanti al fuoco del salottino privato di Scorpius,
sprofondati
in comode poltrone di cuoio scuro. A dirla tutta, il padrone di casa era al momento spalmato
sul costoso tappeto
arabo e canticchiava a mezza voce quella che aveva tutta
l’aria di essere una
canzonetta babbana. Violet aveva intuito dal comportamento degli altri
che era
cosa nota e normale il fatto che non reggesse qualcosa di
più forte della
Burrobirra.
“Malfoy?”
“Passo, ci voglio
arrivare coi
miei piedi in camera.” Sorrise distratto Scorpius.
“Non che adesso ne sia in
grado, beninteso. Il mondo fluttua.”
Violet aveva passato una Vigilia insolita. Insolita perché,
anche se si era
svolta nella classica declinazione Purosangue, cena inamidata e lo
scartare dei
regali allo scoccare della mezzanotte, l’aveva passata con
estranei, con
Scorpius, la sua famiglia e la singolare presenza di Nott e Zabini. Non
aveva
chiesto perché non festeggiassero a casa loro e di rimando i
ragazzi non
avevano fatto domande sulla sua presenza e la mancanza di regali da
parte di
sua madre.
Era un tacito accordo, per
quelli come loro, parlare il meno possibile di cose serie e quanto
più
possibile di sciocchezze. Violet non l’aveva mai apprezzato
tanto.
Forse
perché per Sophie e Jenny la discrezione è cosa
sconosciuta.
Scorpius stesso non aveva
curiosato. Quando si era materializzata dentro i cancelli della
proprietà,
accompagnata dalle tre Lady di casa, il ragazzo, venuto ad accoglierle,
le
aveva sorriso smagliante e senza fare una sola domanda si era
dichiarato
entusiasta di averla come ospite. Non sapeva se Lady Astoria
l’avesse
avvertito, ma rimaneva il punto.
Rose
Weasley è una ragazza fortunata.
Sorrise a
quest’ultimo, che
ricambiò gattonando fino a lei. Le posò poi la
testa in grembo con un sospiro.
“Si sta comodi…”
Lo dice anche Dominique.
“Sì, ma
non è posto che ti
competa.” Sbuffò spingendolo via. “Cosa
penserebbe la tua ragazza?”
“Nulla, sa che il
mio cuore e
altri organi sono votati interamente a lei.”
Piagnucolò rotolando via. “E poi,
non è la mia ragazza, al momento.”
“Ancora con quella storiella della riconquista del Malfoy
offeso?” Chiese
Zabini che tutto sapeva di tutti. “Sul serio, portatela a
letto e basta. A
cos’altro ti può servire una creatura
così irritante?”
Violet afferrò
Scorpius per il
bavero della giacca prima che si avventasse scoordinato verso Zabini.
“È la
stessa domanda che ci facciamo parlando con te, Michel.”
Celiò e l’altro
accettò la stoccata con un lieve cenno della mano.
“Lascialo in pace.”
“Mammina Violet!” Ghignò Loki i cui
occhi, alla luce del fuoco, apparivano
ancor più diversi. “Ve lo ricordate quando prese a
calci Mike perché aveva dato
un pugno sul naso al suo prezioso biondino?”
Michel fece una smorfietta
sofferente. “Merlino, fosti così rozza! E cosa ti
uscì dalle labbra!”
Violet arrossì.
“Sono certa che
te le fossi meritate.”
“Parkinson-Goyle,
madrina
delle ingiustizie!” Tornò alla carica il moretto,
più brillo di tutti loro
messi assieme ma comunque assai più contegnoso del
canticchiante Malfoy. “Mi
ricordo la strigliata che ti fece tua madre per esserti comportata come
un rude
maschiaccio.”
Violet serrò le
labbra,
sentendo una fitta allo stomaco. Naturalmente Nott non poteva sapere,
quindi
prendersela non aveva senso. Sentì un colpetto sulla gamba
ed incrociò lo
sguardo di Scorpius. Anche da brillo doveva aver percepito il suo
irrigidirsi.
“Ho bisogno di prendere una boccata
d’aria.” Esordì alzandosi in piedi.
“Queste
tue sigarette babbane sono nauseanti, Michel.”
“Fammi causa.” Replicò l’altro
tirando una voluttuosa boccata.
Violet uscì dal
salotto del
piccolo complesso di camere che apparteneva a Scorpius e scese le
scale. Il
parco del Manor le piaceva moltissimo: aveva un giardino italiano di
rara
bellezza che lo esaltava in forme perfette, adesso imbiancate di neve.
Fece
qualche passo per il viale principale, stringendosi le braccia al
petto. Era
freddo, e sciocca com’era si era dimenticata di portarsi
dietro il mantello.
Sua madre non si era fatta
sentire e così le sue amiche. Non che si sarebbe aspettata
lettere o offerte di
sostegno da Sophie e Jenny, e già poteva immaginare di esser
diventata
l’argomento scottante del loro circolo di conoscenze.
Tuttavia…
Tuttavia aveva sperato che
l’avrebbero
almeno cercata, anche solo per chiedere spiegazioni.
Ci
conosciamo da quando abbiamo undici anni… Le conosco
da quando conosco Nicky.
Le mancava Dominique. Aveva
voglia di averla lì, di abbracciarla e farsi consolare. Ma
al tempo stesso
sapeva che se si fosse appoggiata completamente all’altra le
avrebbe fatto un
torto.
È
la mia ragazza. Non mia madre, non la mia ancora di
salvezza…
Aveva bisogno di far
chiarezza
dentro di sé prima di poterle parlare dell’intera
faccenda.
Lady Astoria le aveva
assicurato che Lord Malfoy avrebbe cercato di mettersi in contatto con
la
Gringott per sapere se fosse rimasto qualcosa nella camera blindata dei
Goyle.
Violet non era particolarmente fiduciosa, tuttavia aveva acconsentito a
quella
ricerca.
Se
la camera alla Gringott non è stata data a qualcun
altro, forse non è completamente vuota… Forse.
Voleva essere in grado di
reggersi con le sue gambe per quando avrebbe rivisto Dominique.
Perché l’altra
era libera, fiera e indipendente. Voleva vincere il Tremaghi per
devolvere il
premio alla riserva dei draghi dove sarebbe andata a lavorare finita la
scuola
e le aveva parlato di come volesse trasferirsi in Romania, di come
avesse
intenzione di vivere solo contando sulle sue forze e i suoi talenti.
Quant’è
diverso da come sono stata cresciuta io … Il
mio obbiettivo avrebbe dovuto esser prender marito e non lavorare un
giorno
solo della mia vita, come si addiceva al mio status sociale e al mio
cognome.
Ora
le cose sono diverse.
Lady Astoria
l’aveva pregata
di non preoccuparsi, che i Malfoy l’avrebbero aiutata in
virtù dell’amicizia
che nutrivano per lei. Lo stesso avevano fatto Lady Narcissa e Lady
Andromeda.
Persino Lord Malfoy non aveva mosso obiezioni – nel senso che
durante la sua
permanenza l’aveva più o meno ignorata.
Era loro grata, ma sapeva
che
non avrebbe potuto aggrapparsi alla loro benevolenza per sempre.
Vorrà
dire che finita la scuola lavorerò. Anche se non
idea dove, visto che non so far nulla.
Sospirò
profondamente e sentì poi
che qualcosa le veniva adagiato sulle spalle. Sobbalzò e si
trovò di fronte
Scorpius che le porgeva il suo mantello. “Guarda che se ti
ammali sono nei
guai. Con chi ballo domani?”
“Ma non eri
ubriaco?”
“Infatti son
strisciato fin
qui.”
Violet ricambiò
il sorriso.
“Sono più resistente di quanto sembri, Piccolo
Principe.”
“Bene allora, ti
lascio alle
tue riflessioni.” Dalla tasca della mantello si tolse una
lettera, porgendogliela.
“Questa è arrivata adesso e
c’è il tuo nome sopra.”
Ghignò. “Piggie?”
“Quell’idiota!”
Esclamò di
getto mentre il cuore le accelerava bruscamente. Di colpo, non sentiva
più
tanto freddo. Strappò la lettera, chiusa con semplice scotch
magico: aveva un
bel dire che voleva presentarsi a Nicky forte e sicura di
sé. Il punto è che
voleva vederla. Punto.
Piggie,
Davanti
ai cancelli di questo posto gigantesco. Sto
qua.
PS: Non ti arrabbiare, ho il regalo.
“Come si esce di
qui senza
essere fulminati da qualche incantesimo?” Il povero ragazzo
barcollò
vistosamente alla sua aggressione e fu costretta ad afferrarlo per le
spalle
prima che cadesse sedere a terra. Sì, era decisamente
brillo. “Rispondimi!”
“Puoi uscire
tranquillamente,
il problema è entrare!” Esclamò
battendo le palpebre perplesso. “Ma c’è
Dom?”
Ridacchiò intuendo da solo la risposta.
“Tranquilla, basta che tu la prenda per
mano e passerete dalle barriere senza problemi. Le abbiamo incantate
per
includere anche la tua presenza.”
Violet gli ficcò
la lettera in
mano e non lo salutò neppure. Semplicemente, corse via.
****
Dominique aveva acceso un
fuoco con i pochi ramoscelli che era riuscita a racimolare in quella
blanda
distesa di neve e pietre che componeva i dintorni di Casa Malfoy
– o il Manor,
o comunque si chiamasse. Anche fornita di giubbotto, felpa e berretto
si
sentiva congelare svariate parti del corpo e aveva il terrore di
perderne
altre. Sperava solo che quella insopportabile snob di Piggie si
sbrigasse.
Son
dovuta venire a cercarla io, che diamine … Speriamo
che abbia letto il Gufo altrimenti mi troveranno congelata e
piangeranno la mia
precoce dipartita. Dominique Weasley, morta così figa e
così giovane…
Pensando non si accorse del
cambiamento avvenuto alle sue spalle, ovvero della materializzazione di
un
cancello che sembrava fatto di nebbia, né tantomeno della
persona che vi passò
attraverso.
“Nicky…”
Le bastò quel nomignolo per alzarsi in piedi e voltarsi di
scatto. Violet era
lì, in uno di quei mantelli che coprivano fino ai piedi e
foderati di morbida
pelliccia di qualche povero, innocente animaletto. Pareva uscita da un
party di
gran lusso a giudicare dall’acconciatura e il leggero trucco,
permesso a quelle
come lei solo in rarissime
occasioni
di festa.
In aperto contrasto con la
sua
aria snob – l’aveva detto che
gliel’avrebbe trovata spalmata addosso come burro
su un toast – c’era invece l’espressione
dei suoi occhi. Erano gli occhi di una
bambina che si era persa, precisi sputati. Le ricordavano quelli di
Louis
quando a cinque anni aveva avuto la brillante idea di smarrirsi sotto
la torre
Eiffel durante una gita di famiglia nel mondo Babbano.
Dominique non era tipa che
pretendeva spiegazioni. Si limitò ad allargare le braccia.
“Qui.” Disse. “Vieni
qui.” L’altra evidentemente non aspettava altro
perché le corse incontro e le
gettò le braccia al collo, stringendola come se una delle
due dovesse partire
per la guerra. “Che succede?” Chiese ispirando il
leggero profumo di shampoo
costoso. “Piggie, dimmi che succede,
dov’è che ti fa male?”
La sentì
ridacchiare contro la
sua spalla per poi alzare il viso. Non si ingannava, aveva gli occhi
lucidi e
grandi come Boccini. Aveva pianto. “Da nessuna parte, stupida
… Che razza di
domanda è?”
“Una
domanda.” Le passò le
dita sulle guance, trovandole bollenti. Nessun dubbio, aveva pianto. In
compenso l’altra vi si appoggiò grata, quasi vi
trovasse sollievo. “Perché non
sei in Francia?”
Violet si morse un labbro.
“Forse è vero che qualcosa mi fa
male…” Ammise piano. Non le diede il tempo di
chieder delucidazioni che aggiunse. “Non saresti dovuta
venire. Con questo
tempo … e poi cos’hai detto alla tua
famiglia?”
“Ho chi mi copre.
Sai, paga
avere due miliardi di cugine.” Si strinse nelle spalle. Poi
fece una smorfia,
che l’ultima frase proprio non le era piaciuta.
“Che vuol dire che non dovevo
venire? Mi mandi lettere che non spiegano un cazzo e
t’aspetti anche che me ne
stia buona ad aspettare?”
Violet esitò, poi
scosse la
testa. “No, non si può dire che la pazienza sia il
tuo forte.”
“Specie se si tratta di te, Piggie.”
Replicò beandosi della sua aria
deliziosamente confusa. Le prese la mano e gliela strinse.
“Ti conosco dal
primo anno, so che ti faresti tagliare un braccio prima di mostrare che
sei un
essere umano fallibile come tutti noi, ma …”
“Ma sei la mia ragazza.” La anticipò
stringendogliela di rimando. “Lo so, mi
dispiace essere stata misteriosa, è solo
che…”
“È una faccenda grossa? Spiegami!”
L’altra per tutta risposta si martoriò le labbra.
Dominique trovò quindi del
tutto legittimo chinarsi per baciargliele e mettere fine a quel
supplizio.
Violet rispose immediatamente, prendendole il viso tra le mani e
ricambiando
con un entusiasmo che fece quasi girare la testa ad entrambi.
La sua di sicuro.
“Morgana, quanto
mi sei mancata…”
Sussurrò leccandosele, ogni traccia della leggera tinta per
labbra che usava sparita.
Dominique ne sentiva il sapore.
“È un
po’ il punto di tutta la
faccenda.” Sospirò facendola ridacchiare.
“Senti, se dobbiamo parlare facciamo
al caldo. Sempre che non venga fritta da qualche protezione che i
Malfoy hanno
messo a casa loro … In tal caso preferisco congelarmi il
culo.”
Violet ridacchiò
di nuovo,
prendendole la mano. “Sei con me Weasley, sono il tuo
lasciapassare per il
mondo Purosangue.”
Dominique ghignò. “Da sempre, pare.”
Violet sorrise. “Da sempre.”
****
Violet non aveva idea di
come
interpretare l’espressione di Dominique. Le aveva raccontato
tutto, senza
risparmiarsi nei dettagli.
Fa
male, Nicky. Hai ragione tu, fa davvero male.
Al momento erano stese sul
letto della sua stanza, una delle innumerevoli deputate agli ospiti del
Manor.
I suoi piedi nudi sfioravano i jeans ancora freddi
dell’altra. Le diede un
colpetto sul ginocchio. “Nicky?”
“Vorrei
affatturare tua madre.
Ma gravemente.” Borbottò prima di arruffarsi i
capelli, gesto che equivaleva ad
una serie di imprecazioni. “È una stronza. Per
eufemizzare.”
“Non ha agito diversamente da qualsiasi madre Purosangue di
mia conoscenza…”
Più o meno…
“Non importa! Non
posso
credere che ti abbia … Insomma!” Sbottò
scattando a sedere. Le diede
addirittura le spalle, quasi cercasse di distrarsi per non fare gesti
inconsulti.
“Per favore Nicky, non parliamone più.”
La blandì carezzandole la schiena. “È
una decisione che può prendere e l’ha presa.
È tutto.”
“Non puoi
ripudiarla tu?”
Violet scoppiò a
ridere e,
anche se non c’era nulla di divertente in
quell’affermazione, le passò la
voglia di piangere. Abbracciò la schiena
dell’altra e posò il viso sulla ruvida
stoffa di quella felpa raccapricciante – una taglia da uomo,
addirittura. “Me
la caverò.” Quelle roboanti affermazioni erano il
modo dell’altra di mostrarle
preoccupazione e doveva quindi rassicurarla. “Come vedi, non
sono sola. I
Malfoy mi hanno ospitato e si sono offerti di continuare a farlo
finché non sarò
in grado di provvedere a me stessa.” Sospirò.
“Non che voglia vivere della loro
carità vita natura durante … Penso che non appena
mi sarò diplomata mi cercherò
un lavoro.”
Dominique non disse niente e
Violet si chiese, non senza apprensione, cosa frullasse in quella testa
matta. “È
lei che ci ha perso, Piggie.” Disse infine
guardandola da sopra la spalla, seria. “Se non riesce a
vedere la persona che
sei diventata ci ha perso enormemente
e quando se ne accorgerà ballerò sulla sua
tomba.”
“Come farà ad accorgersene se è
morta?” Le chiese divertita, dandole un lieve
bacio sulla nuca. “Ma grazie.” Magari era patetico,
ma sapere che Dominique la
riteneva degna di stima la faceva sentire meglio sul serio. Fece un
sorrisetto.
“E comunque, che persona sono diventata?”
“Una strafiga, si capisce.” Ghignò
voltandosi verso di lei. “Sei sempre stata
tosta, ma adesso sei figa.”
“È una cosa di cui essere fiere?”
“Totalmente,
Piggie.
Totalmente.” Confermò con un cenno solenne della
testa. “Oh, a proposito.
Regali? Mi sa che è passata la Mezzanotte!”
“Il tuo te l’ho spedito, quindi parliamo del mio,
suppongo.” Inarcò le
sopracciglia. “Giusto?”
“Giusto,
giusto…” Ridacchiò l’altra
alzandosi in piedi e andando a frugare nelle tasche del suo giubbotto
di pelle
– le aveva detto si chiamasse chiodo.
Le lanciò un pacchettino che riuscì a prendere al
volo solo perché se lo
aspettava. “Auguri!”
“Essere un
po’ più formale non
ti ucciderebbe, sai.” Sbuffò scuotendo la testa e
scartandolo ansiosamente. Era
il primo regalo che si facevano e aveva il sapore di qualcosa di importante.
Speriamo
non mi abbia regalato qualcosa di
raccapricciante o animale…
Il pacchettino, incartato
malamente con troppo scotch e poca carta, rivelò contenere
un orecchino.
Solitario. Era una pietra rossa con riflessi bruniti piuttosto
particolari.
Bello, ma senza il suo compagno.
“Nicky,
dov’è l’altro?” Chiese
perplessa.
L’altra si sedette
di nuovo di
fronte a lei, incrociando le gambe. “Non
c’è visto che questa pietra non va mai
a coppia e non può essere tagliata a meno che tu non abbia
una lama forgiata
dai Folletti. Non credo tu ne abbia una, anche se forse i
Malfoy…” Stava
blaterando e Violet aveva idea che lo stesse facendo per mascherare
l’imbarazzo.
“Cos’era
prima di diventare un
orecchino?” La interruppe.
L’altra fece una
smorfia. “È
una pietra … cioè, era
una Pietra di
Drago. Allo stato inerte com’è adesso si chiama
Pietra Focaia. Si trova dentro
la trachea di un esemplare adulto ed è il catalizzatore che
gli fa sputare
fuoco.” Si grattò la fronte, arricciando il naso.
“L’ho trovata quand’ero
piccola durante un appostamento con mio zio Charlie. È raro
trovarle perché di
solito i draghi vanno a morire lontano da qualsiasi sentiero battuto
e… se ne
trovi una sei proprio un tipo fortunato. Così mi
dissero.”
“È il
tuo portafortuna?”
Indovinò. Non era più grande di
un’unghia, eppure era capace di far sputare
fiamme ad un drago per decine di metri. Era impressionante, decisamente
il talismano
perfetto per una come la Weasley.
“È il
tuo adesso.” Scrollò le
spalle e fece un sorrisetto obliquo. “A me non serve
più.” Prima che potesse
obbiettare che era una Campionessa e che di fortuna ne aveva bisogno in
continuazione, l’altra le chiuse la mano su cui aveva posato
l’orecchino.
Violet sentì pungere leggermente la chiusura contro la
pelle, ma non si
lamentò.
“Nicky, sei
sicura? Dopotutto,
è…”
“Ho te.”
Fece spallucce. “Ho
te e il tuo orecchino.” Che per inciso non le aveva ridato.
Non che glielo
avesse mai chiesto indietro. “Scambio equo.”
“Non so se
definirti romantica
o l’esatto contrario.” Ora sì che le
veniva da piangere, ma glissò preferendo
concentrarsi sull’indossare quello strambo pegno
d’amore di quell’altrettanto
stramba ragazza.
Non era il suo solito
Natale.
Non c’era sua madre, i regali sotto l’albero della
sua infanzia, né le feste
cerimoniose a cui era invitata fino a Capodanno. C’era invece
un maniero un po’
scuro ma pieno di persone sorprendenti e gli occhi azzurri e sinceri
della
Weasley. Andava bene. Non era perfetto, forse, ma era proprio quello il
punto.
Le baciò la punta
del naso
lentigginoso. “Buon Natale sciroccata.”
“Buon Natale anche a te, Piggie.”
****
Note:
E il Ballo del Ceppo?
Flashback! Giuro! Ad ogni buon conto, devo finire con il prossimo
capitolo, e
quindi perdonatemi la mancanza della scena, che recupererò
comunque. In qualche
modo. Credo.
Qui
la canzone del capitolo.
1. Marais:
quartiere di Parigi, che mantiene l’architettura
pre-rivoluzionaria. È uno dei quartieri più alla
moda della città e ospita
decine di boutique e atelier di giovani artisti emergenti. Quale
quartiere
migliore in cui inserire una via magica chic?
Qui
per maggiori
info.
2. Prince
of Wales: the nero proveniente dalla Cina, servito
solitamente in tarda mattinata o primo pomeriggio accompagnato dai
tipici scones britannici. Il
principe Eduardo
fu il primo a concedere alla Twinings il diritto di produrlo, dato che
era ‘his own personal
brand’.
3. Dialetto:
Violet si riferisce al cockney, il dialetto parlato a
Londra, nato e sviluppatosi nell’East End. Ovviamente
Andromeda non è una east enders,
ma agli orecchi di una
ragazza che ha visto Londra solo un paio di volte, una donna che ha un
forte
accento londinese e un linguaggio colorito può sembrare
tale. Questo
un assaggio più o meno corretto di come suona.
|
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Capitolo 6 *** Cloudless // Capitolo VI ***
We will run and scream, you will dance with me
We’ll fulfill our dreams and
we’ll be free
We will be who we are and we’ll heal
our scars
Sadness will be far away
(Learn me right, Mumford&Sons feat.
Birdie)
2 Gennaio 2024
Inghilterra,
Londra, Diagon Alley. Pomeriggio.
“Ordina un altro
caffè.”
“Piggie, se ne ordino un altro o finisci per saltare in aria
o corri in bagno.
È già il terzo che prendi.”
“Fatti i fatti tuoi!”
“Eh, appunto.”
Violet scoccò un’occhiata incendiaria a Dominique,
la quale per tutta risposta
si limitò a mostrarle la lingua.
“Arriverà.” Le assicurò con
certezza irritante.
“Vuoi calmarti e smetterla di agitarti come un
Billywig?”
“Come posso
calmarmi?” Replicò
rimestando cupamente con il cucchiaino nella tazza ormai vuota.
“Se il Signor Malfoy
non trova nulla nella camera blindata dei Goyle sarò
ufficialmente
nullatenente!”
Dominique bevve l’ultimo sorso della sua burrobirra
aromatizzata allo zenzero –
il sapore era disgustoso.
“E andare fuori di
testa ancor
prima di saperlo ti serve a…?”
“La fai facile
tu…” Borbottò.
Quella mattina a colazione Lord Malfoy le aveva annunciato che avrebbe
avuto
una risposta circa la sua situazione finanziaria. Avevano quindi
fissato un
appuntamento per quel pomeriggio nella caffetteria vicino alla Gringott
in cui
si trovava al momento in compagnia della sciroccata.
Non
so quanto Lord Malfoy sarà felice di sapere che mi
sono portata dietro Nicky, ma…
Non
era riuscita a non chiedere il suo
supporto e del resto l’altra non gliel’aveva
negato, acconsentendo in un giro
stretto di posta Gufica – Vianne, la sua aquila, era veloce
come un
fulmine.
Ad un occhio esterno la
Weasley
poteva sembrare fin troppo rilassata dato che si parlava di una
questione tanto
importante come il suo futuro. Eppure quell’atteggiamento
invece di
innervosirla – magari un pochino lo faceva comunque
– la distraeva. Chissà se
Nicky ne era consapevole?
Dubitava. Era una creatura
talmente incurante dell’effetto che faceva sugli altri che
non si era neppure
accorta di quanti, al Ballo del Ceppo, le erano ronzati attorno
finchè, vedendo
la MacFusty farsi un po’ troppo ardita nelle chiacchiere, non
aveva deciso di
requisirla e tenersela accanto per tutta la serata.
Vestita
decentemente, con i tatuaggi Disillusi e pettinata
sembrava quasi femminile … Quasi perché poi ha
rovinato tutto bevendo e
mangiando come un Battitore ungherese.
Il Ballo del Ceppo era stata
una grata parentesi in quel mare di incertezza e avrebbe ricordato per
anni il
proprio vestito perfetto, il ballo di apertura con Scorpius e
l’atmosfera
incantata.
Meglio
che me lo marchi a fuoco in mente perchè
probabilmente è stato l’ultimo ballo ufficiale a
cui ho partecipato.
“La
faccio facile perché lo è.”
L’altra la
riscosse dai suoi pensieri. “Non finirai in mezzo ad una
strada.” Si strinse
nelle spalle. “Né io né RaggiodiSole ti
lasceremo culo a terra.”
Violet inspirò.
“Non è questo
il punto.” Raccolse granelli di zucchero sparsi sul tavolo
con la punta delle
dita. “Non voglio … non voglio pesare sulle spalle
di nessuno, tantomeno sulle vostre!”
Dominique sbuffò
alzando gli
occhi al cielo. “Voi Sang-pur!
Ce
l’avete dentro l’esser melodrammatici …
Pensi che mi peserebbe più aiutarti che
saperti nei guai?”
“Nicky, non voglio
parlare di
questo.” Tagliò corto. Sua madre non si era fatta
sentire dal giorno della loro
lite. Era passato quasi un mese e si doveva esser sposata come doveva
esser
ormai prossimo il parto. Aveva tentato di mandarle dei Gufi, ma erano
tornati
tutti indietro comprensivi di timbro ‘Lettera
Rifiutata’. Ogni timbro era stata
una pugnalata, ma non aveva smesso di insistere.
È
mia madre. Le voglio bene, anche se pare non serva a
molto.
Sentì la mano di
Dominique
chiudersi sulla sua. Alzò lo sguardo e la vide guardarla in
silenzio, come al
solito parca di parole e rassicurazioni.
È
proprio questo che mi piace di lei. Non affoga gli
altri nei discorsi inutili.
“Sto
bene.” Le sorrise ricambiando
la stretta. “Grazie.” Le accarezzò il
dorso della mano con il pollice. Sentiva
le lacrime premere per uscire ergo
era necessario cambiare discorso. “Non mi hai raccontato
com’è andata
l’intervista al Profeta via camino. Era questa mattina,
vero?”
Dominique strinse una
risatina
trai denti. “Una pila di stronzate. Mi aspettavo mi
chiedessero roba tecnica
tipo la mia preparazione o le tabelle di marcia,
all’intervista per la Prima
Prova han fatto così. Invece stavolta metà delle
domande sono state da posta
del cuore. La giornalista però era diversa, era una
vecchiaccia con la
permanente.” Sbuffò esasperata. “Pensa
che si è fatta un film assurdo, dove io
mi impalmavo RaggioDiSole prima che mi tradisse per Rosie. Ti
pare?”
Violet sorrise appena di
rimando. “E tu cos’hai risposto? Le hai detto di
noi?”
Forse
un anno fa sarei andata nel panico all’idea. Ma
tanto, cosa può succedermi adesso? Che venga ripudiata?
Due
volte?
Dominique fece un
sorrisetto.
“Ho detto che erano cazzi miei. Anche se di quelli qua se ne
vedon pochi.”
“Nicky!” Esclamò trattenendo una risata.
“Non avrai detto così!”
“Pure di peggio!” Esclamò allegra.
“Sono una Campionessa del Tremaghi, che mi
chiedano cose inerenti al Torneo, non cosa faccio sotto le
lenzuola.”
“Quindi non hai
specificato?”
Dominique si strinse nelle
spalle. “Avrei dovuto? Non voglio che l’Inghilterra
intera si faccia i fatti
nostri.”
Insolitamente matura …
Sorrise. “Giusto, ma non hai paura che la fantasia
fervida di quella
giornalista finisca per accoppiarti con Luzhin?”
L’altra fece una
smorfia
inequivocabilmente schifata. “Lì sarebbe proprio
strafarsi di Bevanda della
Pace, Piggie. Solo a quella scema della Rossa può piacere un
tipo simile.” Si
appoggiò con i gomiti al tavolino e si sporse verso di lei.
“A me piace roba
diversa. Tanto per cominciare, deve essere una rompiboccini di prima
qualità.”
Violet la imitò;
dava una
strana ebbrezza percepire le occhiate delle persone scivolare loro
addosso e
potersene fregare. “Stai giocando con il fuoco, Weasley. Ti
ricordo che ho una
bacchetta.” La minacciò, divertendosi a vedere
come l’altra ne sembrasse
intrigata.
Razza
di matta…
“Senza
contare che devono assomigliare
ad un porcellino d’India.” Continuò
imperterrita. “Specie quando si arrabbiano
e arricciano il naso.”
“Hai oltrepassato
il segno.”
Esultò interiormente al brevissimo, ma presente, lampo
allarmato negli occhi
dell’altra, che era meno indolente di quanto non dimostrasse
all’universo
mondo. Poi si sporse e anche se odiò il sapore di Burrobirra
sulle labbra dell’altra
fu disposta a soprassedere.
Sentì un lieve
battere sul
legno del tavolo. Nocche. Alzò lo sguardo e con orrore si
accorse che Lord
Malfoy era di fronte a loro. Sperava non da molto anche se
l’aria scocciata era
piuttosto indicativa.
“Io …
mi scusi. Non…” Balbettò
incoerente, tirandosi via da Dominique in tutta fretta.
“Se eri altrimenti
impegnata,
avresti dovuto avvertire.” Le fece notare, grondando gelo.
“Ci stavamo
baciando, mica
facevamo sesso sul tavolino.” Replicò Nicky.
“Comunque abbiamo finito.”
Violet sentì
l’immediato
impulso di affogarsi nella prima superficie liquida disponibile.
Imbecille!
Stai parlando con il mago con il sangue più
puro d’Inghilterra!
… non che te ne fregherebbe qualcosa, ma
comunque…
L’avrebbe
presa a ceffoni su quella
zucca vuota, ma ormai le parole erano state allegramente pronunciate.
Lord
Malfoy fece una smorfia, come se si trovasse di fronte ad uno
spettacolo del tutto
desolante, ma si sedette nella sedia rimasta libera.
“Prende
…prende qualcosa?”
Aveva sempre provato soggezione verso l’uomo che stava loro
di fronte, sin da
quando era bambina. Era forse il suo essere alto e avere il viso sempre
atteggiato in un cipiglio giudicante, o forse il fatto che sua madre
l’avesse
terrorizzata a dovere su chi fosse e cosa avesse fatto durante la
Seconda
Guerra Magica. Forse entrambe le cose.
Questi scosse la testa.
“Ho
poco tempo. In questi giorni la situazione in ufficio è fin
troppo calda per
lasciarla nelle mani di conclamati incompetenti.”
“È per
via della faccenda dei Dissennatori?”
Chiese Dominique. “Dev’essere un bel macello per la
Cooperazione Magica
Internazionale!”
Lord Malfoy le lanciò una lunga occhiata penetrante alla
quale l’altra rispose
mantenendo lo sguardo. “Tu devi essere Dominique
Weasley.” Pronunciò le parole
come se dovesse metterle in guardia da qualche malattia rara ed
esotica.
“Se legge i
giornali, lo sa. Io
e suo figlio ci siamo ogni tre per due.” Replicò
l’altra. “Ma non faccia caso a
me, siamo qui per Violet.”
Violet?
Sentirsi chiamare per nome
di
battesimo dall’altra era sempre strano, ma forse dava la
misura di quanto
Dominique avesse compreso la serietà di
quell’incontro. Era confortante e
preoccupante al tempo stesso.
L’uomo non
rispose, dandole
però nuovamente attenzione. “Oggi ho avuto la
risposta dalla Gringott. Non è
stato semplice, dato che sulle camere altrui i Folletti sono
estremamente
riservati.”
“Avrei potuto accompagnarla…”
Tentò, prendendo coraggio. “Forse la presenza di
un membro della famiglia…”
“Tua madre sarebbe venuta a saperlo nel giro di poche ore e
ti avrebbe
interdetto l’accesso.” Replicò
infastidito, quasi fosse ovvio. Non lo era
affatto.
“Può
fare … può fare una cosa
del genere?”
“Ho avuto modo di
visionare il
testamento di Gregory, alla sua morte.” Giusto, suo padre si
chiamava Gregory.
“Una clausola spiegava in modo piuttosto esplicito che tutte
le proprietà dei
Goyle sarebbero passate sotto la tutela e supervisione della sua
vedova. Tu sei
solo una co-intestataria.” Di fronte alla sua aria perplessa
sospirò.
“Significa che per avere accesso alla camera è
necessaria la presenza fisica
tua e di tua madre. Viceversa, non è necessario.”
“Cioè in pratica la Vedova Nera può
mangiarsi il patrimonio tutta da sola e
Violet deve chiedere il permesso anche per prendere uno
Zellino?” Si inserì
Dominique.
Lord Malfoy le
scoccò
un’occhiataccia, ma poi annuì.
“Precisamente.”
Violet serrò le
labbra. Era
così dunque. Anche se era rimasto qualcosa non poteva avervi
accesso. Era
desolante, ma al tempo stesso sentiva una rabbia cocente scaldarle lo
stomaco e
il viso. Sua madre aveva sempre controllato la sua vita, e quella era
l’ennesima prova del fatto che la considerasse parte delle
sue proprietà.
Ad
una proprietà non serve certo avere il controllo…
Sentì la mano di
Dominique toccarle
la gamba. Non si era accorta che durante la conversazione si fosse
spostata
vicino a lei. Gliene fu grata. “Quindi cosa è
rimasto?”
“Non molto, ma
abbastanza da
poter essere utilizzato per condurre una vita dignitosa.
Sfortunatamente tua
madre ha sempre avuto talento nello sperpero. Non so quanto quella
somma
rimarrà invariata, nei prossimo anni … o
mesi.”
“Non
c’è proprio modo per
avervi accesso?” Insistette. Non poteva arrendersi al primo
ostacolo. Non con
la Weasley che la guardava perlomeno. “Sono una Goyle, mi
sembra impossibile…”
“Non ho detto che è impossibile.” La
interruppe quasi trovasse la sua mancanza
di ricettività insopportabile. “Tua madre non
prevedeva di doverti ripudiare.”
Doveva proprio sembrargli ottusa a giudicare dallo sbuffo impaziente.
“Se perdi
il cognome Parkinson e tutto ciò che comporta anche a
livello legale, divieni solo una
Goyle, come tu stessa hai
detto. Non rimane più nessuno di quel ramo della tua
famiglia. È esatto?” Violet
si limitò ad annuire. “Bene. Questo significa che
avrai un diritto di
prelazione sulla somma in quanto ultima
erede dei Goyle. È una scappatoia, e neppure delle
più geniali, ma bloccherà
le pretese di tua madre in maniera irreversibile.”
“Ma non mi ha
ancora
ripudiato…” Mormorò. “Credo
che dovrebbe arrivarmi notifica…”
Ne aveva parlato con Lady Andromeda. Con lei perché alla
fine aveva scoperto il
motivo di tanta empatia.
È
stata ripudiata dalla sua famiglia, i Black. Per
questo ci tiene tanto a dire che è una Tonks. Una Tonks come
l’uomo che ha
sposato attirandosi le ire della sua intera Casata.
Le aveva spiegato in modo
dettagliato cosa sarebbe successo e le era stata grata per non aver
tentato di
indorare la pillola.
“Non
è la fine del mondo, ragazzina. O meglio, è la
fine del mondo per come l’hai conosciuto fin’ora.
Farà schifo all’inizio, ti
sentirai togliere la terra sotto ai piedi ad ogni passo, ma poi
migliorerà. Se
hai accanto delle persone fidate sarà ancora meglio. Fanne
tesoro, perché
adesso sono loro la tua famiglia. E credimi, possono essere tanto
meglio.”
Lo
sono.
Guardò verso
Dominique che
ricambiò l’occhiata con un mezzo sorriso dei suoi.
“Se vuoi avere
quella somma, tua
madre deve ripudiarti.” Il mago la scrutò come un
ragazzino viziato avrebbe
dissezionato un Vermicolo. “Credo che tu non voglia passare
il resto della tua
vita a piangere dietro le gonne di mia moglie, o mi sbaglio?”
Violet avvampò,
ma
l’umiliazione fu breve perché dovette afferrare
per un polso alla propria
ragazza prima che scattasse in piedi, bacchetta alla mano.
“Nicky!” Sibilò.
“Giù!”
Lord Malfoy stirò
un
sorrisetto inequivocabilmente maligno. “Una cosa che non si
può contestare ad
uno Weasley è la sua fedeltà animale.”
“Stronzo…” Borbottò
Dominique, incerta tra lo scattare o lasciar correre. “Se
ti fa tanto schifo prenderti cura di Violet dillo. Ci penso io, a
lei!”
Violet sentì le
guance
scottare di un sentimento tutto diverso da quello precedente. Strinse
il polso
dell’altra con forza. “Non voglio approfittarmi
della gentilezza della vostra
famiglia ancora a lungo, no.” Replicò sostenendo
lo sguardo dell’uomo come
meglio poté.
“Bene,
perché hai preso una
decisione quando hai rifiutato il volere di tua madre.” Si
alzò in piedi,
aggiustandosi il ricco mantello. “Mio figlio e mia moglie
hanno simpatia per la
tua caparbietà. Ti chiederei dunque di non deludere le loro
aspettative e
continuare per la strada che ti sei scelta. Le mezze decisioni sono
sempre
pessime consigliere.”
Violet anche stavolta lesse le intenzioni dietro le parole. Sembrava
che Lord
Malfoy si esprimesse solo in quella maniera.
“Grazie.” Inspirò. “Le
farò sapere
se ci saranno aggiornamenti sulla mia situazione. Posso ritenere di
poter
contare sul suo aiuto dunque?”
L’uomo
arricciò le labbra.
“Temo che non sia nelle mie possibilità
rifiutarmi.” Detto questo le salutò con
un secco cenno della testa ed uscì dal locale in uno
svolazzare di vesti.
“Ma li fanno
stronzi in serie
o cosa?” Esplose Dominique, finalmente libera.
“Vaffanculo!”
“Devi leggere tra
le righe…”
Sospirò abbandonandosi sulla sedia. Non si era accorta di
essersi irrigidita
tanto. “Mi ha appena dato apertamente il suo
appoggio.”
“Apertamente un cazzo.” Borbottò
l’altra poco convita. “Io almeno non l’ho
percepita così. Anche se non parlo il purosanguese.”
Violet soffocò
una risatina,
scuotendo la testa. “Mi ha detto che è disposto a
darmi una mano, qualora
decida di prendere definitivamente le distanze da mia madre. Credo lo
faccia
soprattutto per farle dispetto, ma … rimane il
fatto.”
Dominique
aggrottò le
sopracciglia meditabonda. “Ma tu che vuoi fare?”
Violet sospirò.
La verità era
che non ne aveva la minima idea. Certo, le era chiaro che sua madre non
voleva
più avere
niente a che fare con lei.
Però
… non mi ha ancora ripudiato. Se facessi il primo
passo e le chiedessi di farlo…
Sarebbe come ammettere che io non
voglio più avere niente a che fare con
lei?
“Non voglio
perdere mia
madre.” Mormorò guardandosi le mani e non vi era
scritta nessuna soluzione, né
una risposta ai suoi dubbi. Erano solo mani. Mani che sua madre diceva
avesse
preso da lei – per fortuna, aggiungeva sempre.
Dominique
schioccò le labbra.
“Se non vuoi perderla, allora devi cercarla.”
“Non risponde alle
mie
lettere!”
“Alle lettere si
può anche non
rispondere, ma di persona è diverso. Devi parlarci faccia a
faccia Piggie.
Certa roba non si può affidarla ad una pergamena.”
Violet chiuse gli occhi,
mentre dietro le palpebre le sfilavano la cascata di
possibilità che un
incontro tra di loro avrebbe portato. “Se andassi a trovarla
potrebbe anche non
ricevermi … e se volesse, potrebbe finir male. Siamo su
posizioni troppo
diverse al momento.” Nascose il viso tra le mani.
“Se non faccio nulla rimango
in stallo, ma se forzo le cose rischio di esser ripudiata. Che razza di
situazione.”
Dominique le diede un
colpetto
con la gamba, più simile ad un calcio che altro. Le
scoccò un’occhiataccia e
quella sorrise disarmante. “Fa’ quel che ti senti.
In qualche modo troveremo una
soluzione.”
“Nicky, non funziona così…”
Si premette le dita sulle palpebre sentendole
pesanti, stanche. Tutta quella faccenda le stava succhiando
più energie di un
Dissennatore.
E
non parlo per metafore ma per esperienza diretta.
Dominique si strinse nelle
spalle. “Quello che ho detto a FacciaDaStitico lo intendo. Mi
prenderò cura di
te, quindi vai tranquilla.” Disse senza strani sogghigni o
ammiccamenti o prese
in giro. Quando era seria, lo era completamente.
“Non ho intenzione
di vivere
sulle tue spalle specie se per farlo devo andare a vivere in mezzo ai
draghi.”
Replicò per mantenere un minimo di controllo sulla sua
inadeguata voglia di
singhiozzare come una bambina tra le braccia dell’altra.
“E poi, possiamo
parlare del futuro quando ne avrò uno che valga la pena di
esser menzionato?”
Replicò innervosita. Non poteva mettersi a pensare anche
all’eventualità di un
loro rapporto a distanza una volta finita la scuola.
L’altra
annuì. “Come vuoi.
Però ricordati che t’ho detto.” Le
picchiettò il naso con un dito, facendoselo
poi schiaffeggiare via di buon grado. “Ricordatelo.”
“Sì.” Sorrise suo malgrado.
“Domani non sarò raggiungibile. Ci vedremo
direttamente ad Hogwarts.”
“Perché?”
“Perché
per una volta,
Weasley, hai ragione. Devo riuscire a parlare con mia madre.”
****
4
Gennaio 2024
Scozia,
Hogwarts. Carrozza di Beaux Batons.
Dominique si era stufata di
ascoltare il ciarlare infinito della giornalista di fronte a lei, la
quale tentava
di rimediare al fiasco della precedente intervista –
sì, era la stessa vecchia
insopportabile.
Del resto però
non poteva far
altro che ascoltare e smozzicare qualche risposta dato che Mael
vigilava
impietoso.
Lecchino
della Madame…
Gli rivolse una smorfia, al
quale il ragazzo ricambiò con un’occhiataccia.
La partenza per Durmstrang
era
imminente, questione di poche ore, e Violet non era ancora arrivata.
Non
è che sua madre l’ha rapita e rinchiusa in qualche
torre altissima?
Era partita per Parigi in
cerca di una riconciliazione, anche se non glielo aveva detto
apertamente.
Poteva capirlo, poteva persino se la madre in questione era una stronza
di rara
entità.
Il problema non era capire.
Era sopportare che Violet non
fosse
lì.
“I nostri lettori
si chiedono
cosa si nasconda nel cuore appassionato della Campionessa di
Durmstrang. È
stata ventilata l’ipotesi di un legame speciale con il
Campione di Hogwarts…”
Ancora?
“Devo mimarvelo?
Scorpius mi
fa lo stesso effetto di un tronco di legno!”
Sbottò scandagliando lo spazio
erboso di fronte alla carrozza. Quasi tutta la delegazione era ormai
arrivata,
persino la Lombard, forse convinta dalle pressioni della Preside a fare
marcia
indietro nel suo proposito di abbandonare il Torneo.
E
addio sesso.
“Qualche piccolo
indizio per i
tuoi fan?” La voce della giornalista sembrava disperata. La
ignorò.
“Dominique deve
finire di fare
i suoi bagagli.” Le venne in soccorso il cugino.
“Se non ha altre domande…”
Poi Violet
arrivò. La vide
scendere da una delle carrozze trainate dai Thestral che venivano usate
per
muoversi all’interno dei terreni della scuola. Indossava
già l’uniforme e il
mantello regolamentare della scuola e con un colpo di bacchetta fece in
modo
che i bagagli le levitassero dietro.
Piggie!
“Scriva
quel che le pare, tanto so che
già lo fate.” Liquidò la giornalista
prima di dirigersi verso la sua ragazza.
“Ehi!” L’apostrofò.
Violet batté le
palpebre, quasi
fosse sorpresa dalla sua presenza. Sembrava persa in pensieri tutti
suoi.
“Nicky.” Rispose. Poi
l’afferrò per il bavero della giacca
dell’uniforme. Per
un attimo Dominique pensò che l’avrebbe
schiaffeggiata data la furia con cui
l’aveva afferrata. Invece la fece abbassare e la
baciò.
Woh!
Violet era una gran
baciatrice, anche se nessuno l’avrebbe mai sospettato dietro
quell’aria inflessibile
e fredda. Grandiosa sì, ma soprattutto riservata.
Peccato
che qua siamo di fronte a tutta la delegazione,
la Preside e una giornalista del Profeta.
La strega in questione
infatti
emise una specie di esclamazione colorita, a giudicare da quel che
sentì nelle
retrovie. Forse era scattato anche qualche flash ma non era sicura. Non
che le
importasse granché.
Violet in compenso aveva gli
occhi enormi e l’aria furiosa. “Sai che mi hai
appena baciato, in linea
teorica, di fronte ad un’intera nazione?” Le parve
giusto notificare.
“Per quanto mi
importa, lo
posso fare anche di fronte a tutto il mondo Weasley.” Fu la
risposta.
Non
credo sia andata tanto bene. Non credo sia andata per niente.
“Spero che per te
non sia un
problema.” Aggiunse passandole le dita lungo lo stemma della
scuola.
“E quando mai.
Almeno quella
Megera avrà le sue risposte e smetterà di
rompermi l’anima.” Replicò perplessa.
“Ma vuoi parlarne?”
Violet si morse le labbra,
guardò oltre le sue spalle e evidentemente decise che se era
pronta per un
bacio spettacolare non era altrettanto pronta a rilasciare
dichiarazioni in
merito. “Prendi i miei bagagli.”
Dominique lanciò
un’occhiata a
Mael, intimandogli di sistemare le cose.
In
qualche modo. Oh, fatti suoi. Vuol far l’assistente?
Che assista!
Poi afferrò le
borse e seguì
la schiena rigida di Piggie all’interno della carrozza.
Essere di nuovo di fronte
alla
Weasley era stato come riprendere a respirare. Per questo quando se
l’era vista
correre incontro sorridente non aveva potuto fare a meno di baciarla.
Quando
sei in apnea fai di tutto per risalire in superficie,
no?
Dominique sistemò
i suoi
bagagli in un angolo della stanza e poi si sedette sul suo letto,
facendo cenno
di affiancarla. Violet acconsentì docilmente. “La
Gerard?”
“Lombard.”
La corresse con uno
sbuffo divertito quanto rassegnato. “È in stanza
dal suo ragazzo. Le ho detto
di starci il più possibile fuori dai piedi e l’ho
trovata d’accordissimo. Non
siamo le uniche a voler avere un po’ di privacy,
sai.”
“Ottimo.” Si lisciò le pieghe della
gonna – inesistenti, ne era consapevole, ma
era un movimento quasi rassicurante – e inspirò.
“Non è andata bene.”
“Fin qui c’ero arrivata. Ora però
spiega.”
“Non
c’è molto da spiegare…”
E non c’era.
Arrivare
a Parigi tramite Passaporta era stato
facilissimo. Al centro Ufficio Smistamento Passaporte era stata accolta
da un
funzionario, vecchio amico dei Malfoy, che l’aveva messa su
una carrozza
diretta al quartiere magico di Montparnasse.
Ovviamente
dopo aver annunciato la sua presenza agli
Elfi della casa aveva dovuto aspettare un’umiliante
mezz’ora fuori dal portone
principale, alla mercé degli sguardi dei pochi passanti,
tutti rigorosamente
maghi e dunque probabilmente informati circa la sua
identità. Era riuscita ad entrare
solo grazie a Sylvie, la sua vecchia Elfa, che contraddicendo agli
ordini
ricevuti – si colpiva in testa con un mestolo ad ogni
piè sospinto, tanto che
aveva dovuto strapparglielo di mano – l’aveva fatta
entrare dalla porta di
servizio.
Come una ladra…
“Sylvie,
dov’è mia madre?”
“Nella
nursery padroncina Violet.” Aveva emesso un
lamento sconfortato. “Oh, Sylvie non doveva dirglielo, Sylvie
non è una buona
Elfa!” E prima che potesse fermarla si era diretta a testa
bassa verso lo
spigolo di un mobile. L’aveva dovuta tirare su quasi di peso
e farla rinvenire
con un veloce Innerva.
“Falla finita, te l’ho chiesto io!” Si
era morsa le labbra quando aveva
realizzato che Sylvie non ne avrebbe tratto grande beneficio.
Del resto, non sono
più la sua
padrona. Se mi chiama ancora così è solo per
abitudine.
Poi
aveva registrato la seconda parola pronunciata
dall’Elfa.
Nursery…
“Mia
madre ha … partorito?”
“Sì
Padroncina Violet!” Il volto sdentato della
creaturina si era aperta in un sorriso estatico.
“È un bel maschietto!”
Violet
aveva sentito lo stomaco stringersi in una
morsa. Sua madre non era tornata sulle sue posizioni neppure per
annunciarle la
nascita del bambino. Aveva inspirato salendo le scale. Adesso il suo
obbiettivo
era cambiato. “Voglio che mi porti nella nursery.”
L’Elfa aveva tentennato, mormorando una serie di
‘cattiva Sylvie, brutto Elfo’
tanto che Violet si era sentita a disagio. “Sylvie,
è un ordine.” Aveva
ripetuto e l’Elfa aveva finito per annuire facendole cenno di
seguirla.
La
Nursery era un tripudio di azzurro e bianco,
completamente inondata di luce. L’odore acuto di latte e
talco per neonati la
riempiva completamente. La culla era all’esatto centro della
stanza, ed era
incisa con lo stemma di famiglia di Baffi Impomatati, quasi fosse una
sorta di
altare per celebrarne la virilità.
Coglione.
Si
era avvicinata, sentendo una strana sensazione di
smarrimento scuoterla. Il neonato riposava tra cuscini di seta e
ninnoli d’argento
e oro, di quelli che si regalavano ad ogni nascita Purosangue. Aveva
una
leggera lanugine nera sulla testolina altrimenti glabra e i pugnetti
stretti
alla coperta. Aveva sorriso, accarezzandogliene uno con la punta
dell’indice. A
sorpresa, il piccolo glielo aveva afferrato, stringendolo con
insospettabile
forza. Solo un riflesso condizionato, avrebbe detto qualcuno, tipico in
una
creaturina senza coscienza, eppure Violet aveva sentito le lacrime
pungerle gli
occhi.
“Sylvie
… come si chiama?” Aveva chiesto
all’Elfa che
era rimasta in religioso silenzio accanto a lei. “Come si
chiama mio fratello?”
Prima
che potesse aver risposta però qualcuno era
irrotto nella stanza. Era Baffi Impomatati, rosso in viso e con la
bacchetta in
pugno. Dall’espressione conseguentemente sorpresa che gli
vide addosso era
chiaro che non si aspettasse la sua presenza.
“E
tu che diavolo ci fai qui?” Era sbottato. “Chi ti
ha
fatto entrare?” Si era rivolto verso l’Elfa
tremante. “Sei stata tu?”
“Sono
entrata da sola.” Era intervenuta. “La sicurezza
in questo posto lascia alquanto a desiderare.”
“Quale
parte del fatto che non sei la benvenuta nella
mia casa non ti è chiara?”
“La parte in cui nessuno mi informa della nascita di mio
fratello.” Non sapeva
da dove le veniva quel coraggio e soprattutto, la risposta pronta.
Forse dal
disprezzo che provava per l’uomo che aveva sposato sua madre.
Forse dalla
rabbia che covava dentro.
Questa non è solo
la tua
famiglia, ma anche la mia. Me l’hai tolta. Se non mi
disprezzassi tanto avresti
capito che mia madre ha bisogno anche di me.
Il
mago aveva avuto il buongusto di sembrare
imbarazzato, prima di fare una smorfia. “Tua madre ha pensato
non fosse
necessario informarti, visto le tue ultime prese di
posizione.”
“Cosa c’entra quel che ho detto con la nascita di
…” Aveva boccheggiato
realizzando che non ne sapeva ancora il nome. “Non so neanche
come si chiama!”
“Sebastien. Sebastien Julius Marchande.” Aveva
proclamato rigido e non era
riuscito a nascondere la soddisfazione. La soddisfazione di aver dato
un
cognome al frutto del suo matrimonio.
Un cognome diverso dal mio.
“Non
dirò nulla a Pansy di questo tuo sgattaiolare
senza permesso nella nostra casa … L’addolorerebbe
moltissimo.” Aveva fatto un
sorrisetto. “Date le contingenze, posso anche non sporgere
denuncia al
Ministero. Adesso però sei pregata di andartene.”
Violet aveva sentito il viso infiammarsi di umiliazione. Aveva voglia
di
prendere la bacchetta e schiantare quell’idiota, ma non aveva
senso anche se
Morgana, sarebbe stato bello. Aveva lanciato un’occhiata alla
culla. “Me ne
vado quando avrò parlato con mia madre.”
“Non è nello stato d’animo adatto per
ricevere visite. Specie dalla causa del
suo dispiacere.”
Aveva
sorriso amaramente. “Già, lo immaginavo.
Può
comunque riferirle un messaggio.” Non aveva aspettato che
controbattesse. “Le
dica che qualunque decisione prenda verso di me rimarrà mia
madre e Sebastien
mio fratello. È stata lei a dirmi che il sangue non
è una cosa che si può
gettar via come una bacchetta rotta.” Si era complimentata
con se stessa per la
voce ferma. “Le dica che tuttavia non ho intenzione di
lasciare Dominique e che
per questo motivo può disporre come meglio le aggrada del
nostro patrimonio.
Non lo voglio, non se per averlo devo rinunciare a chi amo, che sia lei
o la
ragazza con cui ho deciso di stare.”
Sapeva
che sua madre stava ascoltando. L’aveva capito dalla
porta secondaria, quella da cui Baffi Impomatati non era entrato. Era
socchiusa
e avrebbe potuto giurare di vedervi delle ombre al di là
dello spiraglio di
luce.
“È
tutto?” Aveva replicato infastidito l’uomo.
“Perché
non vorrei che il sonno di Bastien venisse guasta…”
“Me ne vado.” L’aveva interrotto. Aveva
fatto un’ultima carezza alla testolina
del neonato e poi era uscita scortata da Sylvie.
“Quindi alla fine
non hai
visto tua madre.” Esordì Dominique. Aveva
ascoltato, si era fatta un’idea e
alla fine della faccenda aveva solo una gran voglia di maledire qualche
culo.
Possibilmente
quello dei due novelli e stronzi
genitori.
“No, ma ho visto
abbastanza
per capire che non ha intenzione di scendere a patti. Che mi abbia
ripudiato o
meno è ininfluente.” Sospirò
continuando a lisciare le pieghe del tutto
inesistenti della sua gonna. “Forse sa che se mi ripudiasse
mi lascerebbe anche
la camera dei Goyle. Non è mai stata una sprovveduta in
queste cose… Se ci ha
pensato Lord Malfoy può averci pensato anche lei.”
Fece una breve pausa.
Sembrava stanca come se avesse appena corso per chilometri su un
terreno
accidentato. “Non lo so Nicky. So solo che non mi ha neanche
scritto per dirmi
come si chiamava mio fratello. Non mi ha ripudiata … mi ha
semplicemente
lasciata indietro.” Mormorò abbassando lo sguardo.
Aveva le ciglia lunghissime
e scure e quando lo si poteva notare non era mai un buon segno.
Il
dolore è un paese solitario.
Si limitò quindi
a passarle un
braccio attorno alla vita. Non ci mise molto prima che Violet le
crollasse
addosso scoppiando in singhiozzi. Non disse nulla, preferendo
stringerla. Le
parole erano importanti e andavano dosate. Non ripetute,
perché altrimenti
perdevano efficacia. Un po’ come gli incantesimi.
****
7 Gennaio 2024
Norvegia, Durmstrang.
“Un’ultima foto ai
Campioni stranieri!”
Dominique ricambiò lo sguardo esasperato di Scorpius mentre
si apprestavano
all’ennesimo barbosissimo set di fotografie fatte dal
MagiFotografo del Brev Magiske, la
versione norvegese
della Gazzetta del Profeta.
Sia la sua delegazione che
quella scozzese erano entrate ufficialmente a far parte di Durmstrang:
Durmstrang la fortezza nera, Durmstrang un che avrebbe dovuto essere
traboccante di gioventù magica e invece era soltanto
inquietante. Gioventù che
peraltro era tutto fuorché vitale a giudicare dagli
smorzanti fallimenti che
aveva collezionato cercando di attaccar bottone con i cosiddetti allievi.
Ed
io che pensavo che fosse la loro delegazione ad
esser composta da stronzi muti come tombe…
Son
tutti così!
Era una scuola di stampo
militare, le aveva spiegato Mael, ed era naturale che la disciplina
fosse
importante e l’espressività invece ingabbiata.
Ho
capito, ma che problema hanno? E poi, domandona da
un milione di Galeoni… Perché Luzhin non si sta
facendo le foto con noi?
C’era roba strana
sul fuoco,
che puzzava, e non riusciva a capire se fosse l’unica ad
avvertirlo. Aveva
tentato di sondare l’umore dei cugini al banchetto di
benvenuto della sera
prima, ma aveva avuto l’impressione che le dessero poco
retta, soprattutto Al.
Comprensibile
… hanno imbarcato una clandestina niente
male. La Rossa. È un miracolo che Sissy, protettivo
com’è, non abbia la schiuma
alla bocca.
Quanto le era piaciuta
Hogwarts e quanto poco le stava piacendo Durmstrang! Non si riteneva
una tipa di
tante pretese, ma la neve perenne e l’architettura asfittica
contribuivano a
disorientarla, e questo non le piaceva. Affatto.
“Bene,
abbiamo finito!” Annunciò in tedesco il
Magifotografo. “Grazie per la vostra
pazienza ragazzi!”
Scorpius batté le
palpebre,
guardando verso Tom che pareva volersi confondere con la tappezzeria
scura
della stanza, a giudicare da come si era sganciato
dall’insieme di persone
presenti.
Tizio
tetro.
“Ha detto che
abbiamo finito.”
Tradusse dal tedesco con aria annoiata. “Andiamo o faremo
tardi a lezione.”
Aggiunse da bravo topo da biblioteca qual’era.
“Oh …
sì!” Si riscosse il
biondo, prendendo il proprio mantello e indossandolo.
“Merlino, che freddo!”
“Non dirlo a
me.” Sbuffò Mael
stringendosi nella loro sin troppo leggera uniforme.
“È un miracolo se alla
fine del Tremaghi non avrò contratto la
tubercolosi!”
“Che roba è? Malattia?” Si
informò confuso Scorpius. Si voltò verso Dursley
che
fissava scocciato l’orologio che aveva al polso.
“Turbercolosi! Ha un suono
carino però!”
“È mortale e fortunatamente debellata dai paesi
sviluppati. Muoviti.” Brontolò
questo impaziente.
Dominique fu presa da un
pensiero immediato e come le sempre le capitava quando
l’argomento riguardava
Violet sentì la necessità di notificarlo.
“Ci penso io ad accompagnare
RaggiodiSole alla sua lezione, Tommy. Tu va’ pure.”
“Sai dove devi andare?” Replicò con
sussiego. Ogni volta che apriva bocca,
Dominique sentiva l’urgenza di tirargli un calcio nel sedere.
Chissà se era
l’unica. Ne dubitava.
“Mi stai chiedendo
se ho senso
dell’orientamento o se sono scema?” Ritorse la
domanda con vaghi intenti
minacciosi. Lo spilungone la fissò seccato, poi
lasciò perdere e se ne andò
senza salutare.
Uh,
che novità. Ma come fa Sissy a sorbirselo da più
di
dieci anni?
“È un
bel tipo, ma che
carattere orrendo…” Commentò Mael
tirando su con il naso. “… Non che il suo
ragazzo sia meglio. Tutto sorrisi, ma poi sotto sotto è una
serpe.”
“Chi è
il suo ragazzo? Ha un
ragazzo?” Cascò dalle nuvole. Da quando poi quella
manciata di ossa era
abbastanza sociale da trovarsi qualcuno?
Oh,
no … Aspetta momento. Chi altri può essere se
non…
ma son cugini!
Ah,
no, vero. Il Tenebroso è stato adottato.
“Lui e mini-Potter
stanno
assieme. Insieme insieme. Non te ne
eri resa conto?” Replicò Scorpius sorpreso.
“Non è che lo nascondano. A parte
ai loro genitori, credo, ma mi chiedo come dato che non sono
esattamente
discreti.” Considerò meditabondo.
“Chissà
a chi piace far cosa,
sotto le lenzuola.” Commentò Mael con un
sorrisetto lascivo. “Secondo me,
dietro tutta quell’aria snob, sotto sotto a Dursley piace
esser sco…”
“Troppe informazioni!” Esclamò il biondo
tappandosi le orecchie con le mani e
strizzando gli occhi. “C’è anche gente
etero qui, non traumatizzatemi a vita grazie!”
Dominique
rifletté: di quante
cose non si era mai resa conto o non le era interessato farlo, prima
che Violet
irrompesse nella sua vita?
Un
bel po’.
“Comunque…”
Quest’ultimo riprese
le fila del discorso. “C’è qualcosa di
cui vuoi parlarmi? Liberarti di Dursley
è stato un escamotage piuttosto manifesto.”
“Sì.”
Guardò verso Mael e
questo prese un’aria offesa. “Scusa Ninfetto, ma si
tratta di roba delicata.”
“So tenere un
segreto!”
“Ciao
Ninfetto.” Ridacchiò quando lo vide andar via
oltraggiato, trotterellando
con grazia per quei corridoi infiniti e bui. Sperò che non
si perdesse.
Scorpius infilò
le mani nelle
tasche dell’uniforme sbuffando via una ciocca di capelli.
“Sono tutto per te
bionda!” Le sorrise. Si diceva che le camere di tutte le
streghette
d’Inghilterra – più di qualche strega
adulta - contenessero almeno un
ritaglio del Profeta
contenente una sua foto. Violet aveva commentato che nessuna di loro
aveva
compreso che dietro quell’aria spensierata e quei sorrisi da
conquistatore si
nascondeva uno dei cuori più leali del pianeta.
Ci
tiene a lui … Sono amici sul serio, non come era
amica con quelle due oche di Sophie e Jenny.
Se
non può aiutarmi lui…
Perché la sua
ragazza non
stava reagendo bene
all’ultima visita
alla sua famiglia. Nasconderle la nascita del fratello era stata una
carognata
da oscar e l’aveva ferita nel profondo. Non che glielo avesse
mai detto, ma lo
capiva da come piangeva la notte nascondendo la faccia nel cuscino per
non
farsi sentire.
Prima
o poi glielo devo dire che ho il sonno
super-leggero…
Si sentiva impotente e
l’aria
di Durmstrang non aiutava. Avrebbe voluto portarla via in qualche bel
posto.
Magari
pieno di fiori, quelli che piacciono a lei. Ma
primo non siamo in stagione, secondo ho questo cazzo di Tremaghi sulle
spalle.
Doveva vincerlo. Vincerlo
non
solo avrebbe portato prestigio al suo nome – cosa di cui le
importava poco o
nulla – ma le avrebbe dato accesso al premio di
mille¹ Galeoni. Se una
consistente parte l’avrebbe data comunque a suo zio per la
Riserva, aveva
deciso che un po’ ne avrebbe tenuti per sé.
Per
Piggie. Si taglierebbe un braccio piuttosto che
accettare i Galeoni dai Malfoy o dalla mia famiglia, ma magari
questi…
Magari
gliela imbastisco dicendo che mi ha aiutato a
conquistarli.
Disse tutto questo
all’altro.
Scorpius ascoltò tutto con calma e quando ebbe finito
Dominique si rese conto
che forse era la prima volta che aveva parlato così tanto
con qualcuno.
Questo
tizio le confessioni te le tira fuori solo standoti
davanti. Inquietante.
“Tieni molto a
lei.” Sorrise,
dopo una breve pausa in cui si era seduti su un paio di anonimi scalini
che
portavano chissà dove. “Sono contento, Violet se
lo merita.”
“Bastasse questo.” Fece una smorfia.
“È solo che…” Si
bloccò, irritata da tutto
quel suo tentennare. Non si era mai sentita tanto incapace. Era
frustrante e
strano. “Non so come aiutarla. Ci provo, ma sembra non
funzioni un cazzo. Parla
poco, mangia niente e dorme per modo di dire. È
così da quando è tornata.”
“L’aiuto che puoi darle già glielo dai,
e credimi, funziona. Solo, per vederne
i risultati ci vorrà un po’.” Fece un
sospiro divertito. “Ma tu sei una tipa da
tutto e subito, eh?”
“C’è
altro al mondo?” Replicò
con uno sbuffo. “Che cavolo posso inventarmi per farla stare
meglio?”
“Niente di
risolutivo.” Non
era la risposta che voleva ma ad intuito capì che era
l’unica che avrebbe
ottenuto. “Forse distrarla.” Soggiunse pensieroso.
“Quel discorso che ci hai
fatto ieri sul fatto che questo posto t’inquieta …
Magari parlale di questo.
Della terribile Durmstrang! C’è tanto che sta
accadendo, sai.” Spiegò
abbracciando con un gesto delle mani lo spazio di fronte a loro.
“La Piccola
Potter che si imbuca, Dursley e la sua storia familiare …
Distraila,
coinvolgila in qualche trama oscura.” Si strinse nelle
spalle. “Con me e Rosie
ha funzionato. Ci siamo innamorati in mezzo ai guai.”
“Se lo dici
tu…”
“Intanto mi muoverò anch’io, o meglio lo
farà la mia famiglia, perché come sai
sono un piccolo Lord viziato.” Ghignò.
“Mia madre adora Violet e persino mia
nonna e zia Dromeda l’hanno presa in simpatia. Credo la
considerino un po’ come
un gattino che si è smarrito sulle loro
proprietà.”
“Sarebbe
fantastico se Piggie
non fosse così determinata ad evitare l’aiuto di
chiunque, sarebbe capace di
dormire sotto un ponte piuttosto.” Sbuffò di
nuovo, passandosi le dita tra le
ciocche davanti, di nuovo lunghe. “Credo sia riuscita a
venire a patti con il
fatto che dovrà dipendere da voi o da me fino al diploma, ma
poi…” Tutto quel
riflettere, ponderare e pensare non era da lei. Non sapeva se stava
facendo la
cosa giusta, o se c’era una cosa giusta
da fare.
Non era preparata e faceva
schifo rendersene conto.
Scorpius le diede una pacca
sulla spalla. “Le cose si aggiusteranno.”
Proclamò con una sicurezza che una
volta avrebbe avuto anche lei. Doveva esser Durmstrang, ad ammosciarla
tanto.
“Sai come dicono i Babbani? Tutto andrà bene, alla
fine. Se non va bene, vuol
dire che non è ancora la fine².”
Dominique non
poté fare a meno
di sorridere. Si alzò dopo aver ricambiato la pacca.
“Raggio di Sole Malfoy …
nomignolo migliore, non m’è mai venuto in
mente!”
****
13
Gennaio 2024.
Norvegia,
Durmstrang.
Durmstrang era peggio di
Hogwarts.
Non era solo una questione
di
impatto iniziale, che era stato pessimo anche con la scuola scozzese;
ma mentre
quest’ultima alla fine si era rivelata accogliente, per
Violet l’Istituto non
brillava certo per capacità di mettere a proprio agio.
Si sentiva perennemente con
gli occhi addosso e non era una sensazione scatenata dalla sua attuale
situazione familiare, una sorta di psicosi dovuta al sapersi ormai
priva di
ogni protezione dovuta al proprio cognome. Non era quello o meglio, non
solo.
Aveva scoperto con una certa
sorpresa di non essere l’unica a provarla. Anche Dominique e
Mael provavano la
stessa inquietudine e quest’ultimo si era premurato di far
sapere loro che
tutta la loro delegazione non vedeva l’ora arrivasse la Terza
Prova per poter
tornare tra le assolate mura dell’Accademia.
Ne avevano persino parlato
con
i cugini inglesi della sua ragazza, per quanto avesse trovato
quest’ultima idea
poco sensata. Si era ricreduta solo quando aveva visto che dietro
quelle loro
apparenti arie scialbe e poco reattive si nascondevano perlomeno due
menti di
un certo livello – il ragazzino dai grandi occhi da cerbiatto
e il tall, dark and handsome che
rispondeva
al nome Babbano di Dursley.
(Del resto, erano
Serpeverde.)
Era preoccupata per
Dominique,
andava da sé: la sciroccata era a malapena capace di badare
a se stessa in un
ambiente sereno e controllato come Beaux Batons.
Ho
il terrore di scoprire in che guai possa cacciarsi
qui.
Le era grata, le era grata
ed
era sempre più spaventosamente innamorata. Era per questo
che in quegli ultimi
giorni aveva fatto carte false per tenerla a distanza.
…
Sì, detto così sembra abbia perso il senno.
La verità era che
non voleva
appoggiarsi troppo a lei. Aveva il terrore che il suo buon carattere e
la
tranquillità con cui si sciroppava le sue rispostacce prima
o poi sarebbero
svaniti.
Si
stancherà di me e mi lascerà, esattamente come ha
fatto mia madre. E da questo, no, da questo non potrei
riprendermi…
Il problema principale, era
ovvio, era il futuro.
Parola
terribile se chiedete a me.
Finita la scuola sarebbe
stata
priva di obbiettivi concreti quanto di un posto dove andare.
Aveva seriamente considerato
l’idea di lavorare, ma le uniche cose che era capace di fare
erano disporre i
fiori in maniera graziosa, strimpellare il piano e ricamare
orribilmente. Il
bagaglio culturale medio di una buona sposina Purosangue, la prendeva
sempre in
giro Nicky: ma era la verità.
Nella
società di oggi vuol dire non saper far nulla.
Varcò la porta
della
biblioteca di Durmstrang, ricordandosi improvvisamente che
c’era andata per
tentare di studiare prima di cena. A volte si rendeva conto di fare le
cose
meccanicamente, per inerzia.
Aveva
ragione mia madre … Ho sempre la testa per aria.
Senza concretezza, come potrò sopravvivere là
fuori?
Intravide Delacour seduto ad
uno dei tavoli e pur di non restare sola con i suoi pensieri gli si
avvicinò.
“È libero questo posto?” Chiese
più per posa, visto che attorno a loro
studiavano al massimo una manciata di persone. Mael inarcò
le sopracciglia, ma
si limitò a spostarsi per farle spazio. Sembrava averlo
colto in un momento di
pausa, a giudicare dal fatto che attorno a sé avesse sparso
vari opuscoli informativi
come ‘Lavorare al Ministero, si
può?’
oppure ‘Ami le pozioni e strano!
Anche la
gente? Vieni a studiare Medimagia!’
Violet
ricordava di averli visti all’inizio
dell’anno affissi alla bacheca centrale della scuola.
A
quanto pare non sono l’unica che si preoccupa di
sapere che fine farà dopo il diploma …
Si era stabilita una
singolare
tregua tra di loro. Non erano amici, ma non poteva più
definirlo un suo
detrattore. Alla fine della storia, poteva solo dire che gli era grata
per non
essersi arreso con lei e Dominique.
Non
che lo farò mai.
“Hai
già fatto il saggio di Storia
della Magia?” Le chiese mettendo via i dépliant.
“La bibliotecaria mi ha detto
che qualcuno ha già preso la loro unica copia del Clarel, e
penso che sia stato
uno dei nostri. Francamente dubito che qui sappiano leggere il
francese.”
Violet ridacchiò, tirandolo fuori dalla sua borsa.
“Sì, l’avevo preso io. Mi
sono stupita di trovarlo in catalogo.” Glielo spinse davanti.
“Puoi prenderlo,
non mi serve più.”
Mael la fissò per un momento in silenzio, prima di afferrare
il tomo e
sfogliarlo distratto. “Non trovi sia strano?”
Considerò. “Che io e te parliamo
civilmente, intendo.”
“Non
più strano di riuscire ad
avere un rapporto funzionale con Nicky.” Ricambiò.
“Sia ben chiaro Delacour,
continuo a considerarti un superficiale vanesio.”
“Ed io una stronza.” Proclamò
l’altro. “Ma finché rendi felice mia
cugina, non
ho niente da ridire.”
Violet affilò il suo pennino, intingendolo poi
nell’inchiostro. Pochi attimi
dopo si trovò di nuovo a parlare. “Devi davvero
volerle bene…”
L’altro si strinse nelle spalle. “È mia
cugina, siamo cresciuti assieme come
fratelli. Il più delle volte le tirerei una scarpa dietro,
ma lo stesso vale
per lei. È famiglia.” Dovette leggerle qualcosa in
viso, perché esitò. “Ho
saputo della faccenda di tua madre … Mi dispiace.”
“Ti confermi un impiccione.” Disse senza livore,
con stanchezza. Doveva proprio
essere irreversibile ormai, se la voce era già sulla bocca
di tutti.
“Anche mio padre
mi ha
ripudiato…” Esordì e fece un sorrisetto
alla sua aria sbalordita. “Beh, non
proprio ripudiato in senso magico, era un Babbano. Mia madre lo conobbe
ad una
festa sulla spiaggia in cui lei e alcune sue amiche si erano imbucate.
Nove
mesi dopo nacqui io e lui sarebbe stato anche disposto a restare se non
fosse che
mia madre trovò corretto dirgli la verità sul
nostro mondo. Non fu più disposto.”
“Vi abbandonò per questo?”
“Ci
abbandonò perché non ci
accettava. Suona familiare?” Sospirò, appoggiando
una mano sulla guancia e
guardandola. “Non sei la sola ad avere un genitore che non si
può definire tale,
Parkinson.”
“Ma tu hai la
famiglia di tua
madre…”
“Vero, ma la cosa bella di una famiglia è che puoi
creartene una, se vuoi. Puoi
fare un sacco di cose adesso, spero tu te ne sia resa conto.”
Violet annuì. Da
quando aveva
deciso di abbandonare il sentiero che sua madre aveva tracciato per lei
non
faceva che incontrare ostacoli. Ma anche scoprire persone lungo quel
nuovo
percorso.
“Posso farne
così tante che
non so neanche da dove cominciare.” Ironizzò, ma
neppure troppo. “Temo che le
possibilità siano molteplici, ma le mie capacità
ristrette.”
Mael arricciò il naso, quasi trovasse quella frase
insensata. “Mi pare di
ricordare che hai un cervello, Parkinson, e quando non lo usi per
sputare
veleno, funziona piuttosto bene, altrimenti non ti avrebbero portato
qui come
studentessa modello dell’Accademia.”
Tirò fuori gli opuscoli da sotto il caos
di pergamene e libri. “Se non vuoi finire a servire ai
tavoli, potresti
continuare a studiare. Molti di noi lo fanno, e nel mondo Babbano
è quasi
scontato.”
“Sì, e con quali soldi?”
“Esistono le borse di studio.”
Scandì con lentezza,
quasi parlasse ad una ritardata. In effetti Violet si trovò
nella scomoda
posizione di non sapere di che diavolo stesse parlando.
L’altro fu lesto a
spiegare. “Se non hai soldi, alcune scuole di preparazione ti
pagano la retta.
Sei come un investimento per loro.” Sbuffò.
“Purosangue, cascate sempre dalla
scopa!” Glieli spinse praticamente in mano.
“Prendili se vuoi, tanto questi li
ho già scartati.”
“Hai già deciso?”
“Ho già
fatto domanda per l’Accademia
Magica di Arti Drammatiche a Londra.” Scrollò le
spalle. “Non che l’Inghilterra
mi faccia impazzire, ma è la migliore d’Europa ed
io voglio diventare un attore.”
Di
certo ne hai la teatralità.
Violet ne sfogliò
alcuni. Non
le era mai passato per la mente di rimanere sui libri anche dopo il
diploma;
del resto era raro che i Purosangue continuassero a farlo dopo i sette
anni
canonici.
Se
continui a studiare di solito lo fai per accedere ad
una professione … e la maggior parte della gente che conosco
ricopre la
posizione che ricopre solo perché ha un certo
cognome.
Senza contare che una volta
sposata non avrebbe avuto più motivo di sgobbare,
secondo sua madre.
“Parlano tutti di
Londra.”
Notò perplessa. “Meno male che non ti piace
l’Inghilterra.”
Mael avvampò, ma non fece in tempo a capire il motivo del
suo rossore che le
ritorse contro una domanda. “Londra è migliore di
Parigi per la formazione
magica post-scolastica. Tu vuoi seguire Nicky in Romania
invece?”
Violet deglutì.
Di fronte a
quella marea di opuscoli e ad una serie di idee che le si erano
affacciate alla
mente come ancore di salvezza, quel problema assumeva improvvisamente
rilevanza.
Voglio
davvero seguirla in Romania?
Se le fosse andata bene
avrebbe finito per trasferirsi al massimo
in un paesino dei Carpazi per aspettare che l’altra tornasse
ogni sera dalle
montagne. Dominique infatti le aveva spiegato quanto Bucarest fosse
distante
dalla Riserva. Molto, troppo.
E
quando sarò lì che farò tutto il
giorno? La
mogliettina in attesa?
“Non lo
so…” Mormorò
guardandosi le mani. “Voglio
stare
con lei.” Inspirò.
“Ma…”
“Se io dovessi vivere in una catapecchia sui Carpazi
impazzirei.” La anticipò
l’altro senza troppi peli sulla lingua. “Ci sono
stato solo una volta quando
avevo sei anni. Sono posti assurdi.”
Violet fece una smorfia, sentendo una morsa stringerle lo stomaco.
“Grazie per
l’incoraggiamento.”
“Guarda che
neppure Dom si
aspetta che tu la segua.” Replicò.
“È il suo sogno, non il tuo.”
Violet sentì
milioni di
campanelli di allarme suonarle nella testa. Era solo paranoia, lo
sapeva. Eppure. “Te
l’ha detto lei? Che non si
aspetta che la segua? Che lasci perdere?” Lo
incalzò.
“Ohi, ehi,
frena!” Esclamò
Delacour sbalordito. “Non ha detto niente del genere! Solo sa
che la vita di un
Guardiano di draghi è insostenibile per la maggior parte
delle persone … Non ti
farebbe mai vivere alla Riserva.” Si strinse nelle spalle.
“Potreste avere un
rapporto a distanza. Per quanto mi ha detto, molti Guardiani hanno le
proprie
famiglie in altri…”
“No.” Lo
bloccò. La sola idea di
avere Dominique solo per periodi di tempo brevi le faceva venire il mal
di
stomaco. Era sua, quella bislacca scema. Sua da poter vedere ogni
giorno,
toccare, baciare a fare l’amore.
Siamo
state distanti per troppo, stupido tempo. Non
deve più succedere.
Mael le lanciò
un’occhiata
valutativa. “Allora mi sa che hai un problema.”
Violet non rispose,
preferendo
infilare gli opuscoli al sicuro nella sua borsa per dedicarsi ai
compiti.
Un
problema? Che novità.
****
19 Gennaio 2024
Norvegia, Durmstrang.
Piggie si comportava in modo
strambo
ormai da settimane. La parentesi depressa e poco comunicativa in cui
era
piombata dopo l’incontro con sua madre era passata, per
fortuna. Aveva smesso
di piangere durante la notte, parlava di più e aveva ripreso
appetito, ma non
era quello il punto.
Il punto è che si
comportava
in modo strambo.
Prima di tutto, aveva preso
ad
interagire con i suoi cugini, riuscendo persino a scherzare con Rose
anche se
quest’ultima rimaneva cauta non avendo ancora compreso come
funzionava l’ironia
dell’altra. Aveva persino dato una mano ad organizzare la
festa di compleanno
di Al!
Questo detto, il problema
era
con lei. Quando ne aveva parlato con Scorpius le aveva detto di non
saperne
niente e Mael facendo invece una faccia allarmata le aveva chiesto se
si fosse
allontanata.
No,
per niente.
Continuavano a stare assieme
la maggior parte del tempo, e Violet si stava candidando ad essere la
ragazza
ideale. Stava dando una mano a Mael nelle ricerche della seconda Prova
e dopo
gli allenamenti la trovava sempre al limitar del bosco fornita di
asciugamani e
thermos. Aveva praticamente smesso di riprenderla e a letto era una
bomba. Perfetto,
su carta.
Se
non fosse che non è la solita Piggie, lagnosa, snob
ed irritabile come un Ippogrifo con le emorroidi.
C’era qualcosa che
frullava nella
testa dell’altra, qualcosa che le faceva fissare il vuoto
quando pensava di non
esser vista, ma morisse se riusciva a farselo dire.
Tralasciando
l’atmosfera e il problema con sua madre
cos’altro c’è?
Era irritante fare certi
pensieri durante una festa, ma così era. La
guardò: era carina da matti mentre
chiacchierava in maniera pacifica con Malfoy e Rosie.
Dominique pensò
che era un
buon momento per parlarle di quello che lei
stava facendo per risolvere la situazione. Ci aveva speso un
bel po’ di
tempo, un sacco di riflessioni e un fiume di inchiostro.
E
speriamo che non se la prenda perché ho coinvolto
anche Mòr. Ma come facevo altrimenti?
La raggiunse e le
posò una
mano sulla spalla. “Ehi Piggie.”
L’apostrofò. “Chiacchiere?”
“Cosa pensi si
faccia ad ogni
festa, a parte bere come fai tu?”
L’apostrofò senza livore, appoggiandosi a contro
di lei e passandosi le sue mani attorno alla vita. Con suo sommo
divertimento Rose
guardò l’operazione come avrebbe guardato
un’alce entrare in un bar e chiedere
del sidro. “A proposito, questi cocktail sono terrificanti.
Quanto li hai
corretti?”
“Molto.”
Rispose. “Dai,
vieni.”
L’espressione allarmata sul volto dell’altra non se
l’era sognata. “Puoi
aspettare? Stavo parlando.” Proclamò infastidita,
ovvero nel panico più totale.
Ecco,
lo sapevo che c’era qualcosa che non andava!
“No,
adesso.” Replicò
tranquilla. “Ci metterò solo un attimo
… Poi potrai continuare a dimostrare a
Rosie quanto sei simpatica.” La prese per un polso e la
trascinò via senza
troppi problemi.
Con
lei bisogna far così, o ci si mette di più che a
recitare tutte le guerre dei Folletti in rima baciata.
“Nicky!”
La ignorò, uscendo
fuori dalla saletta che Durmstrang aveva offerto loro per la festa.
Facendolo
incrociarono Lily che tornava dentro in tutta fretta.
Rossa
… ma che combini?
Non le importava. La
riluttanza di Piggie le dava da pensare e non le piaceva pensare a quel modo.
Perché
non mi dici che hai? È tua madre? Ha fatto di
nuovo la stronza, magari per lettera?
Si trovarono così
nel buio del
corridoio, illuminato fiocamente dalle torce. Violet aveva le braccia
conserte
e l’aria corrucciata, una fotocopia perfetta della ragazzina
snob che era una
volta. “Cosa c’è di così
importante che non può aspettare?” La
apostrofò
irritata.
Non ci girò
attorno. “È da un
po’ che ti comporti in modo assurdo con me.” Ci
pensò un po’. “È come se non
volessi che sappia a che pensi.” Concluse infine.
Violet fece una smorfia divertita. “Non ti ci vedo, come
Legimante.” Vedendo
che non abboccava scosse la testa. “Te l’ho detto
tante volte, non ho niente. Dai
torniamo dentro, sto congelando.” Si voltò, ma lei
fu più svelta. Sbatté una
mano sul portone e la fermò dall’aprirlo.
“Nicky!”
“Non mi piace
quando ti
comporti da perfettina. L’hai fatto per anni, e ci ha fatto
stare come cani. Ad
entrambe.” Le cose andavano dette. Non che aspirasse a
diventare una logorroica
del calibro di Mael, ma aveva scoperto che chiarire non era mai un
male. “So
che stai passando, ma è come se ti sforzassi di
…” Esitò. “Cavolo ne so, di
dimostrarmi che va tutto alla grande tra di noi. Non serve! Lo so che
mi ami e
tutto il resto.”
Non aveva idea se quel
discorso aveva un briciolo di senso, ma evidentemente per
l’altra sì perché la
vide avvampare e fissarla con gli occhi lucidi.
Merda!
Che ho combinato?!
“Nicky…”
Abbassò la testa e
fece un profondo sospiro. “Non voglio
perderti…”
“E chi se ne va?!” Che idee si era messa in testa?
“Senti, a questo proposito…”
“… ma non voglio venire in Romania. Voglio
trasferirmi a Londra e continuare a
studiare, magari con una borsa di studio. So che non è
giusto e che non ti
posso imporre la mia decisione, ma non posso vivere in quei posti, non
lo
sopporterei e diventerei insopportabile e finiremo per detestarci. Di
nuovo.”
Lo disse tutto di un fiato, in sussurro contratto, quasi cavasse le
parole da
un pozzo profondo.
Ah.
Però.
“Sul serio vuoi
continuare a
studiare? Ma non ti sei stufata?”
“Diversamente da
te, c’è gente
a cui piace possedere una cultu…” Si
bloccò, alzando lo sguardo di colpo.
Sembrava furiosa. “Hai capito quel che ti ho detto?”
“Sì, non vuoi vivere in Romania.”
Ripeté perplessa. “Ma è perfetto,
perché
neppure io ci vado. Londrà ti andrebbe bene?”
“… Scusa?” La faccia sbalordita di
Piggie era quella che adorava di più – forse
no, quella che faceva quando erano in prossimità di un letto
era meglio.
Comunque le faceva venir voglia di ridere.
Anche un po’ per
il sollievo.
Era
questo a farla comportare in modo strano? Era
preoccupata che finita la scuola le dicessi ‘tanti saluti, me
ne vado in
Romania, vieni se ti va’?’
Merda, non è carino.
“Avevo capito che
non saresti
venuta con me.” Esordì e fu con una certa
soddisfazione per le sue capacità
intuitive e organizzative che continuò.
“Così ho pensato che Londra sarebbe
stata un buon posto per entrambe finita ‘sta baracca. So che
ti piace … mi hai
raccontato che le poche volte che sei stata a Diagon Alley ti sei
divertita.”
“Sì, ma … i tuoi
draghi…”
“Mica stanno solo
in Romania!”
Ridacchiò, divertita da tanta ignoranza. Ma poteva
perdonarla. “Ho parlato con
mio zio Charlie e con Angus MacFusty, il nonno di Mòr, il
loro capofamiglia,
cioè, ci ha parlato lei e poi mi ha riferito visto che non
parla con gli inlanders, come li
chiama lui, ma
comunque…” Vedendo che l’altra stava
perdendo il filo del discorso, tagliò
corto. “Posso fare il mio apprendistato come Guardiana anche
alla riserva delle
Ebridi. Dalla Skye per Londra ci sono almeno tre Passaporte al giorno,
senza
contare i traghetti che attraccano in un posto chiamato Victoria
Embankment³,
mi sono informata. Sarà una passeggiata tornare!”
“Hai
pensato…” Violet iniziò e
poi tacque. La guardava sperduta, come se si trovasse di fronte ad uno
spettacolo impensabile.
Io
che programmo qualcosa di più immediato della mia
giornata? Grazie, eh!
“Hai trovato una
soluzione.”
Concluse. “Per entrambe.”
“E che altro avrei
dovuto
fare?” Sbuffò un po’ spazientita. Si
sarebbe aspettata un po’ più di lodi.
“Ti
ho detto che mi sarei presa cura di te, e non posso farlo se ti fa
schifo il
posto in cui viviamo o non stiamo sotto lo stesso Ministero.”
“È
pazzesco.” Mormorò mentre
un lento sorriso le si formava sulle labbra. “È
perfetto.”
Dominique fece una smorfia:
la
prendeva forse in giro? “Certo che è perfetto. Ci
ho pensato i…” Non le lasciò
terminare la frase, perché le prese il viso tra le mani e le
diede un bacio che
se fosse continuato avrebbe mandato in apnea entrambe.
Oh,
beh. Non moriremo di certo.
Quando si staccarono Violet
la
graziò di un altro paio di languidi baci, guardandola come
se le avesse appena
scaricata davanti una pentola d’oro. Glielo fece notare, e
l’altra rise. “Sei
tu la mia pentola d’oro, Weasley.” Le
tirò indietro quella stupida frangia
ormai totalmente asimmetrica. “… ma sei sicura?
Lavorare con tuo zio era il tuo
sogno.”
“Diventare una Guardiana è il mio sogno. Che lo
faccia alle Ebridi o nei
Carpazi non cambia.” Precisò. “E poi non
è che non possa andare a trovarlo, no?
Mi dai il permesso?” Le diede un pizzicotto sul sedere al
quale l’altra reagì
con un urletto e un conseguente schiaffo sul braccio. Si sorrisero, e
Violet
appoggiò la fronte contro la sua spalla.
“Vivrai dai tuoi
nonni alla
Tana?” Mormorò. “O…”
“Come se tu
potessi vivere in
un posto come la Tana! Ti verrebbe una reazione allergica. No, ci
prenderemo
una casa o roba del genere. Quando vincerò il Tremaghi,
perché lo vincerò, avrò
anche i soldi che ci servono, meno quelli che ho già
promesso a zio Charlie,
ovvio.”
“Io…”
Roteò gli occhi al cielo. Forse era vero che poteva
risultare un po’ sventata
nella sue decisioni, ma quelle erano decisioni a cui aveva pensato.
Quindi
dovevano esser grandiose. Decise di tagliare la testa alla Chimera.
“Non so se
hai capito Piggie, ma non ci lasceremo. Io e te siamo futuro. Magari un
giorno
vorremo maledirci a vicenda, ma non oggi. Queste sono le mie
intenzioni.”
Era talmente semplice da
esser
banale. Amava Violet, la voleva per sé dalla prima volta che
l’aveva vista,
impettita e piena di stizza ma con gli occhi più vivi che
avesse mai visto. Non
era questione di possederla per mostrarla in giro come avrebbe fatto un
maritino Purosangue. Una come Violet non stava bene chiusa in un bel
corpetto e
dentro una teca di vetro. Una come Violet stava bene viva,
come era in quel momento, con gli occhi che sembravano
immensi e il sorriso più
nudo del mondo.
E sotto sotto, era proprio
contenta di esser stata lei a capirlo per prima.
****
10
Agosto 2024
Francia,
Provenza, Bocche del Rodano.
Villa
Delacour.
Un anno esatto. A pensarci
bene era una cifra notevoli di giorni, messi uno di seguito
all’altro. Ma erano
i singoli eventi che l’avevano reso tanto spaventoso,
meraviglioso e
sorprendente.
Da anziana
l’avrebbe ricordato
come l’anno in cui il suo mondo era stato minato dalla
fondamenta, distrutto e
poi ricostruito.
Una
sorta di guerra, se si vuole.
Violet lasciava che i raggi
del sole le scaldassero piacevolmente le braccia e il viso, stesa su
una
coperta come una qualsiasi, volgare Babbana. Non le importava dato che
aveva
cuscini morbidi attorno a sé, un vestito che non le
impacciava i movimenti e la
ferma intenzione di prendere colore per far cessare le prese in giro
della
padrona di casa, ovvero Dominique.
Alla fine il loro ultimo
anno
non si era concluso con i buoni propositi per il loro futuro. Affatto.
Una
delle cugine di Dominique, una rossa con il cervello di una nocciolina,
aveva
pensato bene di farsi rapire dal padre squilibrato di Dursley.
C’era così stata
una folle spedizione per salvarla a cui ovviamente
aveva partecipato anche la sua ragazza.
Non ci aveva capito niente,
ma
nel compenso aveva patito ore ed ore di angoscia, prima di vedersela
tornare
mezza affumicata, sporca ma viva. Sorrise ricordando il bacio che si
erano
scambiate e la faccia stolida degli adulti Weasley, tra cui era
spiccato un
tizio rosso – forse uno zio? – che aveva esclamato
uno dei ‘miseriaccia’
più potenti che avesse mai
sentito.
Il Tremaghi, nonostante
avesse
perso Luzhin rivelatosi ingloriosamente un giovane mago oscuro, era
continuato.
Era continuato e, sorpresa delle sorprese, aveva visto la vittoria di
Dominique
a discapito di Scorpius e del sostituto Campione, un certo Radescu.
Cosa
che l’ha definitivamente mandata in delirio di
onnipotenza.
Dominique, finito il clamore
della vittoria, aveva però mantenuto ogni promessa.
Metà del premio l’aveva
consegnato nelle mani di suo zio e l’altra l’aveva
vincolata ad un contratto di
affitto per un appartamento di tre stanze a Diagon Alley, Londra. Con
l’autunno
si sarebbero ufficialmente trasferite e Madame
Weasley già inseguiva per ogni angolo della
proprietà la figlia con consigli
sull’arredamento. Al momento in effetti la sua ragazza era
fuggita per i campi
e non dava notizia di sé da ore.
Selvaggia.
E lei? Se qualcuno avesse
mai
scritto un libro su quel loro assurdo anno, quello sarebbe stato il
capitolo in
cui tirare le somme. Dopo il diploma aveva trascorso qualche giorno al
Malfoy
Manor in occasione del compleanno di Scorpius. Dopo essersi consultata
con Lady
Astoria aveva infine deciso di richiedere una borsa di studio alla
facoltà di
Magisprudenza. Declinando così ogni proposta di aiuto
finanziario da parte dei
Malfoy era piuttosto certa di essersi guadagnata la benevolenza
dell’arcigno
Lord Draco.
Una piacevole sorpresa era
poi
arrivata da Jenny. Quando erano tornati all’Accademia per la
Terza Prova nessuno
del suo vecchio circolo di amicizie l’aveva avvicinata,
tranne lei. Dopo una
lunga conversazione costellata di domande le aveva comunicato che per
lei non
cambiava nulla. Era già in programma una sua visita a Londra
per quell’autunno.
“Violet?”
La voce di Madame Fleur la riscosse
dal suo lento
appisolarsi. “Dovresti mettere un Unguento protettivo con le
pelle chiara che
hai. Rischi di diventare un peperone.”
“L’ho messo, grazie.” Sorrise. La
famiglia di Dominique l’aveva inglobata nella
sua routine con una tranquillità che aveva
dell’incredibile. Quando l’altra
l’aveva portata a casa per le presentazioni ufficiali,
più che sgomento alla
notizia della loro relazione c’era stato sollievo.
Bill Weasley le aveva confessato che la cosa che più temeva
sua moglie era che
Dominique finisse come Charlie, spersa in qualche landa desolata.
Saperla a
lavorare in una riserva vicina alla civiltà ed accasata
l’aveva rasserenata.
Visto
di chi stiamo parlando avere una ragazza e
dichiararsi gay è quasi piccolo-borghese.
“Ti è
arrivata una lettera.”
Gliela porse guardandosi attorno sconsolata. “Hai idea di
dove sia quella
sciagurata di mia figlia?”
“Nessuna, Madame.” La prese. Si
bloccò quando vide il sigillo impresso nella
ceralacca. Persino la strega le lanciò un’occhiata
attenta.
“Tutto
bene?”
Era il sigillo dei Marchand,
ovvero di Baffi Impomatati. L’aveva visto troppe volte tra la
corrispondenza
privata di sua madre per non riconoscerlo. “Sì
… sì, certo.” Balbettò
miseramente. “Io…”
“Ti lascio sola.” Intuì. Le mise una
mano sulla spalla, con la tipica
leggerezza Delacour che non era minimamente passata alla figlia di
mezzo. “Se
vedi Dom dille che la cerco. Da ore.”
Rimasta sola
strappò con un
colpo di bacchetta la chiusura. Ne scivolò fuori un riquadro
lucido che si
affrettò ad afferrare. Era una foto. Sentì un
groppo chiuderle la gola quando
vide che raffigurava Sebastien in braccio a sua madre, il piccolo
scalciante e
ridente e quest’ultima seria e composta come suo solito.
Mamma…
Fu un tutt’uno
alzarsi e
andare nelle stalle. Puzzavano terribilmente, ma avevano il pregio di
essere il
nascondiglio preferito dalla sua ragazza. Infatti la trovò
intenta a strigliare
il suo Granian e canticchiare una canzone a mezza bocca, sicuramente
insegnatagli da Louis, il quale stava muovendo i primi passi
nell’apologetico
sogno di diventare una rockstar – qualsiasi cosa fosse.
“Ehi!”
La apostrofò
voltandosi. La scrutò perplessa. “Mica sarai qui
per conto di mia ma’, ah?”
Ci rifletté su e,
come al solito
in presenza di Nicky, le vennero in mente una serie di idee folli. Tra
le
molte, scelse con cura la peggiore. “Stavi per uscire fuori
con Arod?”
“Sì,
perché?”
“Pensi che possa
venire lassù con
te?”
L’altra la
guardò come se le
fossero spuntate due corna ramose sopra la testa.
“Lassù…” Mormorò
sbalordita.
Si riprese immediatamente però ed esplose in una risata
tutta lentiggini. “Sicuro!”
Era l’idea
più scellerata che
le potesse venire in mente. Decisamente.
Il vento le gonfiava il
vestito leggero facendoglielo sbattere sulla gambe nude, le si stava
mozzando
il respiro e lassù
– adesso capiva
perché tutti ne parlavano come se fosse una parte di mondo a
sé – il cielo
sembrava più azzurro, più vicino e quindi
spaventoso. Dopo aver aperto gli
occhi – durante la salita aveva urlato e basta –
aveva colto lo scintillare del
manto del Granian. Ai raggi del sole era argento, come la pazza
capigliatura
della sua ragazza.
Con le braccia attorno alla
vita salda di Nicky era morire di paura e sentirsi viva. Ossimorico, ma
anche
l’amplificarsi di tutto ciò che aveva provato in
quell’ultimo anno. Una summa.
Una catarsi.
“Nicky,
più veloce!” Gridò
ritrovando di colpo la voce. “Va’ più
veloce!”
Dominique si
voltò,
scoccandole un’occhiata esilarata. “Chi
è la matta adesso, Piggie?”
Violet
rise. Aveva
detto al piccolo
Louis che da grande avrebbe solo voluto esser felice.
Ci stava
lavorando.
" Nothing here as worked out quite as I
expected."
"Most
things don't. But you know, sometimes what
happens instead is the good stuff."
(The
Best Exotic Marigold Hotel)
****
Note:
Finita questa piccola para-avventura. Devo ammetterlo, ho scritto
finalmente la
femslash che volevo. Iniziata con Dom
is not a boy’s name non poteva che
concludersi così! ;)
Le ritroveremo nella terza parte della saga, ma per ora metto un punto
a queste
due recalcitranti bambine. Mi han fatto divertire, e spero sia stato lo
stesso
per voi!
Per quanto riguarda il
banner,
ringrazio le ragazze di “Noi amiamo Dirareal’
(^//^) per avermi fornito la perfetta
immagine di sfondo da mixare con una Piggie sorridente.
Ora, le note più
tecniche …
Questa
la canzone del capitolo. Da leggere alla fine, ve la consiglio.
Sì, è nella
colonna sonora di Brave.
Sì, ho
adorato quel film e probabilmente lo vedrò in loop per i
prossimi
cinquant’anni. Voi no?
1. Mille
Galeoni: premio in denaro istituito per il Tremaghi del 1994.
Dubito che la valuta magica sia soggetta a svalutazioni, quindi credo
che tale
sia rimasto. Corrisponde circa a 6500 euro.
2. Frase detta, se internet
non sbaglia (e succede!) da John Lennon.
3. Victoria
Embankment: lungo tratto di strada che costeggia il Tamigi.
Collega la City of Westminster con la City of London, circondando il
cuore
della sponda nord della capitale. Da qui partono i traghetti e le
barche del London River Services.
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