Filles d'Acier

di Dira_
(/viewuser.php?uid=35716)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Thoughtless // Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Unless // Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Careless // Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Fearless // Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Homeless // Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Cloudless // Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Thoughtless // Capitolo I ***


 





When I jerk away from holding hands with you
I know these habits hurt important parts of you
Remember when I was sweet and unexplainable
Nothing like this person, unlovable
(Back in your head, Tegan & Sara)
 
 
10 Agosto 2023
Francia, Normandia, vicino a Le Havre.
Villa Parkinson.
 
Le Fresie quell’anno erano particolarmente rigogliose.
Violet le guardava tra l’ammirato e il soddisfatto, mentre opportunamente vestita si apprestava a passare in rassegna il giardino della casa materna.
L’estate era ormai agli sgoccioli e si stava avvicinando l’ultimo, campale anno scolastico. Non era ancora riuscita ad assimilare il fatto che in meno di un anno tutto sarebbe finito e lei sarebbe stata finalmente considerata pronta per il mondo al di là delle mura bianche di Beaux-Batons.
Era strano, ma supponeva che vi sarebbe venuta a patti.
Staccò con le cesoie ben affilate una rosa, posandola sul cestino che la sua Elfa personale le stava allungando sopra la testa bitorzoluta. Sua madre le amava rosse, ed era sua premura non farle mai mancare un mazzo di esse al mattino.
Fece un sospiro: i loro rapporti si erano fatti tesi da quando, a Maggio, aveva rotto il suo fidanzamento con Mathieu Allard. Visto il motivo – ovvero il fatto che il porco avesse tentato di usarle violenza - non poteva rimproverarla, ma non era affatto contenta che l’occasione di unirsi ad una delle più influenti famiglia di Francia fosse sfumata.
Credo stia già tramando per farmi conoscere qualcun altro…
Non le avrebbe dato molta noia quel pensiero, dato che non era la prima né l’ultima Purosangue che si sarebbe sposata tramite matrimonio combinato, se un paio di cose non fossero venute alla luce proprio a causa della rottura del fidanzamento. Prima di tutte, la sua intenzione di sposarsi con un ragazzo.
Le piacevano le ragazze, e reprimere per il resto della sua vita ciò che era o limitarlo alle porte chiuse di una stanza … era inevitabile, eppure le dava un senso di desolazione profonda.
Inoltre, la sua attrazione per esse, aveva preso una tenace e inopportuna direzione; Dominique Weasley, figlia d’arte, Capitano e Prefetto della Casa dei Fiordalisi, bella come il sole e matta come un cavallo.
A proposito di quella barbara, incivile …
Inspirò bruscamente, ignorando lo sguardo preoccupato dell’Elfa.
… stupida, selvaggia, idiota.
Non la vedeva dall’ultimo giorno di scuola, quando si erano frettolosamente salutate prima che sua madre arrivasse a reclamare la sua completa e devota attenzione. L’altra non era parsa particolarmente infastidita dal commiato insoddisfacente anche se le aveva promesso di venirla a trovare prima dell’inizio della scuola.
Sì. Certo. Perché l’ho vista. Tutti i giorni. Tutte le ore.
Tagliò con ferocia l’ennesima rosa, gettandola nel paniere di vimini o forse sulla testa dell’Elfa.
Era arrabbiata. Arrabbiata e delusa. Certo, sapeva bene che la Weasley passava gran parte delle sue vacanze in Romania a rischiare di farsi divorare dai draghi. Sapeva anche che la riserva in cui soggiornava era tagliata fuori dal mondo, sia magico che babbano.
Ma a quest’ora dovrebbe esser tornata.
Era stata un’ingenua; conosceva Dominique da sette anni e sapeva quanto fosse svagata nei rapporti interpersonali. Si dimenticava puntualmente che c’erano degli obblighi sociali da rispettare e soprattutto delle promesse che andavano mantenute con certe categorie di persone.
Tipo la ragazza che ti sei baciata per un mese prima che arrivasse l’estate a separarci.
“Porta le rose in casa, Silvy.” Sbuffò all’Elfa. “Come al solito, disponile nel salottino privato di mia madre.” Guardò il sole e indovinò ad occhio l’ora. “Dovrebbe alzarsi a breve.”
“Sì Padroncina Violet! Silvy va subito!” Squittì Smaterializzandosi con uno schiocco. Violet a quel punto, si concesse un lungo sospiro prima di crollare – seppur graziosamente – su una delle panchine di ferro battuto che si alternavano lungo il viale che collegava la casa al  ‘giardino all’inglese’.

Amava il giardino di casa sua, l’unico posto di villa Parkinson (fu Goyle) dove si sentisse a suo agio. Le sue stanze erano sì belle e luminose – i quartieri suoi e di sua madre davano al sole quasi tutti i mesi dell’anno - ma arredate secondo gusto di quest’ultima, sin troppo opulento. Inoltre l’intera struttura era decisamente britannica, in uno stile gotico pesante, che poco si armonizzava con la dolcezza franca del paesaggio.
Si sistemò l’orlo della leggera veste estiva che prediligeva quando lavorava in giardino; sua madre non la approvava, chiamandola ‘la tua sottoveste da contadina’ ma a lei ricordava quelle viste nelle illustrazioni di vergognosi libri babbani che Jenny le aveva prestato al secondo anno in gran segreto. Non glieli aveva mai ridati.
Orgoglio e Pregiudizio?
Aveva amato quel libro e aveva trovato molte similitudini tra quella vecchia società babbana e la loro.
Non credo si comportino più così, i babbani. Ma noi? Praticamente identici.
Aveva risparmiato quel discorso alle amiche per paura di turbarle o, ancor peggio, di farle spettegolare. Ne aveva parlato con Dominique invece, e l’altra gli aveva confermato le teorie.
 
“Sicuro, sono molto più avanti di noi da quel punto di vista! Ma se guardi bene, vale anche per i maghi e le streghe che non sono Purosangue über alles come te.”
“Sarebbe a dire?”

“Per dirti, se ti mettessi a parlare di matrimoni combinati ai miei cugini, in Inghilterra, ti riderebbero in faccia. Il mondo Babbano ci ha sorpassato di dieci leghe da almeno due secoli buoni, ma anche quello magico sta entrando nell’ordine di idee che le vesti e le carrozze non sono più tanto funzionali. A parte per le feste al Ministero, nessuno in Inghilterra si sogna di mettersi più quei tuniconi da monaco ormai. I miei cugini indossano i pantaloni, che io sappia.”
“Fanno parte delle nostre tradizioni però.”
“Bah! Le tradizioni sono noiose.”
 
Quel genere di ragionamenti erano quanto di più lontano le fosse stato insegnato. Non solo lontano, ma diametralmente opposto. Ne aveva fatti molti, con Dominique, nel loro posto segreto – ovvero la Radura degli Unicorni.
A volte si chiedeva se non ci fosse qualcosa di più di ciò che toccava con mano nel suo mondo chiuso di Beaux-Batons e in quello ancora più esclusivo che la aspettava a casa.
Era questo probabilmente ad averla attratta tanto di Dominique. Dominique la ribelle, Dominique la selvaggia. Dominique che era libera come l’aria e forse per questo non si sentiva in dovere di farsi sentire con nessuno quando partiva. Neppure con lei.
Sospirò di nuovo, alzandosi la veletta del cappello di paglia, doveroso quando il sole picchiava anche sulla coste dell’Alta Normandia¹. Era stata un’estate calda, insolitamente poco piovosa.
Voglio tornare a scuola…
Le mancavano le sue amiche, l’uniforme azzurra di seta, le chiacchiere divertenti e i piccoli, succosi pettegolezzi che le davano il buongiorno al mattino. Le mancava la Sala Comune, le belle decorazioni di stucco dorato e il parco incantato in una perenne primavera rigogliosa. Morgana, le mancavano persino le lezioni!
E ti manca lei.
Non che stessero assieme, certo. Stare assieme avrebbe comportato una serie di domande, risposte poco piacevoli e obblighi che Violet non voleva e non poteva assumere.
Ciononostante la Weasley aveva il dovere di mantenere le sue promesse.
Fu con quello stato d’animo che prima di pranzo prese una delle civette della voliera e spedì una lettera. Un biglietto che neppure firmò. Tanto non serviva. 
 
Quando pensi di venire a trovarmi? Ti ricordo che hai fatto una promessa.
Erano solo parole?
 
Quando lo ebbe spedì però se ne pentì. Era forse darle troppa importanza?
Sì, ma vuoi averla qui, giusto?
Decise di non pensare più all’intera faccenda per tutta la giornata. Del resto aveva ben altro da fare. Per prima cosa i compiti e poi misurarsi il nuovo guardaroba in vista dell’anno scolastico – il sarto era venuto apposta da Le Havre.
Per finire, sua madre; sua madre che di lì a pochi mesi si sarebbe sposata. Non era una notizia che l’aveva colta impreparata. Già dall’anno prima aveva subodorato qualcosa, date le frequenti visite di un distinto funzionario del Ministero che era stato tacciato di essere ‘un semplice, caro amico’.
Pansy Parkison, vedova Goyle adesso era incinta. Violet l’aveva appreso al suo arrivo e aveva dovuto congratularsi con tutti i crismi e farsi baciare le guance dal bellimbusto biondiccio e impomatato in questione.
Proprio il suo tipo.
C’era un matrimonio da preparare e anche se Violet era stata esonerata dai preparativi (‘Devi pensare alla scuola tesoro, non posso certo oberarti di questioni così stressanti’) doveva comunque essere sempre presente per i mille, piccoli capricci.
Come in quel momento. Seduta nel suo salottino privato, le stava leggendo il giornale quotidiano ad alta voce, mentre questa era adagiata su una chaise longue guardando il vuoto assorta. Sospettava che a sua madre più che le notizie interessasse darle qualcosa da fare che la tenesse nelle sue immediate vicinanze.
Quest’anno, per celebrare il venticinquennale della Battaglia di Hogwarts verrà rivisitata l’antica competizione del Tremaghi, che coinvolgerà l’Istituto Durmstrang, l’Accademia Beaux-Batons e l’omonima scuola di magia e stregoneria scozzese…” Lesse, facendo subito dopo una piccola smorfia.
“Voglio proprio sapere chi sarà l’idiota a competere in un torneo sanguinario e volgare come quello … È un vero scandalo che la vostra Preside vi abbia aderito anche se, immagino, non avesse poi molta scelta. Senza l’Accademia il Tremaghi non ha senso di esistere.” Commentò sua madre con una smorfia gemella. “Ho assistito all’ultimo, mia cara, e fu un vero e proprio fallimento dal principio alla fine. Te ne ho mai parlato?”
“Sì, mamma.” 
Violet, dall’atteggiamento della madre,  sapeva che stava per arrivare una delle loro amabili chiacchierate, in cui usciva sempre con presagi poco simpatici sul suo futuro di strega libera.
“… Ti ricordi di Scorpius Hyperion tesoro?” Esordì quando Violet era certa che ormai si fosse addormentata al suono volutamente monotono della sua voce. 
“Sì, certo.” Posò la piuma che fungeva da segnalibro tra le pagine. Come volevasi dimostrare. “Il figlio dei Malfoy, vero?”

Sua madre la graziò di un breve sorriso. “Sì, proprio lui. Giocavate spesso assieme da bambini.”
Violet si astenne dal farle notare che più che altro si rotolavano a terra tirandosi i capelli e mordendosi vicendevolmente, incitati dai di lui degni compari, Nott e Zabini. “Mi ricordo.”

“È diventato proprio un bel ragazzo. Ho visto una sua foto di recente, me l’ha spedita Daphne, sua zia.”
Detta anche La Meretrice.

Non avrebbe mai capito i rapporti interpersonali di sua madre; chiamava tutti amici ma finiva inevitabilmente per parlar male di uno con un altro. E viceversa. Certo, anche nella sua ristretta cerchia di amiche qualche pettegolezzo scappava, ma mai troppo cattivo. Dominique la chiamava ‘ottica del branco’, con suo gran fastidio.
Però un po’ ha ragione.
“Davvero?” Continuò sulla china della neutralità. Tanto sapeva perfettamente dove sarebbe andato a finire il discorso.
“Dovresti scrivergli e riprendere i rapporti, Daphne mi dice che è terribilmente simpatico e a modo…”
Ecco, appunto.
Guardò verso la finestra intrappolando tra le labbra un sospiro esasperato. Inarcò le sopracciglia quando vide un puntino apparire nel sole decrescente del pomeriggio. Un puntino in mezzo al cielo; non certo un aereo babbano, né tantomeno una scopa. 
“Non lo vedo da anni mamma … non saprei cosa scrivergli.” Se non era una scopa o un mezzo di locomozione aerea babbana, allora cosa? Qualche animale?  
La vedova fece un verso scocciato, riottenendo la sua attenzione. “Non fare la sciocca! Alla vostra età gli argomenti di conversazione si trovano sempre!”
Magari posso chiedergli se ha ancora l’abitudine di appiccicare Bolle Bollenti sui vestiti delle ragazze.
“Hai ragione mamma. Gli scriverò stasera.” Si spostò verso la finestra. Da lì aveva una visuale migliore ed era decisamente un animale quello che solcava il cielo in direzione di casa sua.
Un’aquila. 
E c’era una sola persona, in tutta la scuola, capace di addomesticare un rapace del genere.
Dominique aveva un’aquila come Famiglio.
“Se non hai niente in contrario vorrei farlo adesso.” Disse precipitosamente. “Intendo dire, scrivere la lettera a Scorpius…”
Sua madre sorrise con aria di approvare la sua repentina iniziativa. “Certo cara, va’ pure. Lasciami il giornale, vuoi?”

Glielo porse e poi scappò in camera. Come si aspettava – come sperava – l’aquila era fuori dalla sua finestra con una pergamena arrotolata attorno alla zampa. Intimorita aprì le imposte e slegò la lettera mentre il rapace la scrutava con i grandi occhi cerchiati d’oro. Dominique l’aveva salvata trovandola nel bosco, presa in una delle trappole che il Guardiacaccia della scuola usava per evitare che quelle della sua specie facessero massacro dei cerbiatti del bosco. Ne sapeva tanto perché l’aveva curata e addestrata proprio nell’ultimo mese di scuola, con lei presente.
 
“Osserva Piggie, vedi il piumaggio marrone a chiazze bianche? Ne ha tante, quindi è un esemplare giovane.”
Era incredibile come il rapace e Dominique avessero instaurato una connessione così completa nel giro di una settimana neppure. L’aquila era stata diffidente i primi giorni, riducendo le mani dell’altra ad una confusione di tagli e beccate, ma questa non si era mai arresa, continuando a parlarle come se fosse in grado di capirla. E alla fine l’aveva capita davvero, perlomeno le sue buone intenzioni. L’animale l’aveva infatti ricompensata con una fiducia sconfinata, a vedere come prendeva cibo dalle sue mani e la seguiva ovunque nel bosco.

“Come si chiama?”
“È un aquila anatraia maggiore, o clanga!”
“Che nome orribile… Scegliene un altro!”
Una risata. “Guarda che è il nome scientifico, come viene catalogata dagli esperti.”

“Sì, ma dalle un nome poverina!”
“Ce l’ha, l’ho chiamata Vianne. Ti piace?”
“Meglio di Clanga…”
Un’altra risata.


Non aveva mai capito perché la sua reazione al nome le avesse scatenato un’ilarità ancora maggiore.

Chi capisce quella sciroccata si merita un Ordine di Merlino Prima Classe.
L’aquila, raggiunto il suo scopo, spiccò immediatamente il volo. Violet lesse.
 
Piggie, all’entrata del bosco, vicino al cancello della tua proprietà.
Sono qui.
 
Ingoiò un’esclamazione, guardandosi allo specchio. I capelli le stavano bene e così il leggero vestito azzurro che indossava, uno dei suoi preferiti.
Certo che per arrancare nel bosco…   
Diede un’occhiata alla pendola del camino. Aveva ancora una manciata di ore prima che venisse servita la cena. Si cambiò quindi rapidamente con il vestito bianco che usava per far giardinaggio. Nessuno avrebbe notato uno strappo o qualche macchia d’erba.
(Arrossì, pensando a come se la sarebbe fatta di lì a poco)
Percorse la strada più breve, costeggiando il bosco con il cuore che le risuonava come una grancassa da concerto. Vide l’aquila volteggiare e capì che le stava indicando la direzione.
Mica sono stupida, questa è casa mia, so dove andare!
La seguì comunque e si infilò trai molti Cedri del Libano che avviluppava l’entrata rendendola quasi invisibile persino ad occhio magico.
Dominique era lì. La vide immediatamente, perché dove era lei l’aria si faceva stranamente più densa, quasi concentrata. Doveva essere un atavismo Veela di cui quella sciroccata non si rendeva conto.
Ma io sì.
La ragazza offrì il braccio al rapace, coperto da una polsiera di cuoio, e quello vi si posò con uno stridio venendo ricompensato da un bocconcino che trangugiò soddisfatto.
Dominique Weasley.
Vestita come se dovesse rotolarsi nel fango – jeans babbani tutti strappati e una vecchia maglietta di cui non si leggevano più le scritte. Intravedeva due nuovi piercing al viso dall’ultima volta che si erano viste. Dal colore brillante sulla pelle del collo era chiaro avesse aggiunto i tatuaggi alla sua collezione di stranezze.
L’unica cosa salvata dalla furia sciattona erano i capelli; dovevano esser passati per le mani di un MagiParrucchiere perché avevano una parvenza d’ordine, lunghi sul davanti e rasati sulle tempie.
Completamente fuori dalle righe come al solito…
Quest’ultima parve accorgersi della sua presenza perché squadernò il suo comprovato sorriso strafottente. “Ehilà Piggie!” Aveva il viso bruciato da sole e lentiggini ovunque.
Le stanno bene…
Violet si sentì la bocca secca, ma non si lasciò scoraggiare dalla momentanea afasia. “Ti ho detto centinaia di volte di non chiamarmi così. Imparerai mai?” Chiese nel suo tono più glaciale.
L’altra ridacchiò. “No, non credo. Mi piace troppo la faccia che fai!” Ribatté senza scomporsi. “Ripeto. Ciao Piggie, come stai?”
Violet sospirò sentendo che aveva già voglia di affatturarla. Era sempre così con Dominique; il suo stato d’animo oscillava tra l’irritazione, l’ammirazione e l’inevitabile attrazione. “Impegnata.” Scrollò le spalle incrociando le braccia al petto. “Al momento, molto impegnata. Mia madre si sta per sposare.”
“Ho sentito.” La sorprese. Diede un bacio sul becco dell’aquila e la lasciò volare via, slegandosi la polsiera e mettendola poi nel tascapane che aveva a tracolla. Aveva scordato come ogni movimento di quella matta esprimesse sicurezza. Aveva scordato quanto lo trovasse affascinante.

“Come hai saputo …”
“Del matrimonio di tua madre?” Scrollò le spalle. “Ne parlavano V e la mia quando sono uscita.” Intendeva sua sorella e sua madre. Violet percepì una punta di fastidio, ma lasciò correre.

“Come sei arrivata qui?”
“Con Arod.” Vedendo che non ricordava, sbuffò. “Il mio Granian³, un cavallo alato? Ma tranquilla, è fuori dalla proprietà  con un incantesimo di Disillusione. Mi ritirerebbero la patente⁴ se non lo usassi.”
“Quando sei tornata?” Era quello che voleva sapere.
Da quanto sei qui e non sei venuta a trovarmi?
Dominique sbadigliò, stiracchiandosi. “Sono tornata in treno stamattina. Detesto le Passaporte Continentali.” Fece una smorfia significativa prima di scivolare lungo il tronco del cedro a cui l’aveva trovata appoggiata. Nascose un secondo sbadiglio dentro una mano. Apprezzò lo sforzo anche se vi si sganasciò dietro.
Selvaggia …
Aveva una voglia incredibile di baciarla, ma si astenne. Del resto Dominique non aveva fatto un solo passo verso di lei.
Magari è qui per dirmi che non le interesso più.
La sua annosa e stupida insicurezza veniva fuori nei momenti meno opportuni. Naturalmente aveva imparato a reprimerla dietro la favolosa facciata della stronza, ma spesso non funzionava. Curiosamente in concomitanza con la presenza della testa platinata di fronte a lei.
Mi sei mancata dannazione. Ma a te non importa niente, non è vero?
“Beh?” La riscosse di colpo quest’ultima. “Mi hai mandato un Gufo.” Le spiegò alla sua espressione sorpresa. “Parlava di una promessa…”
“Che tu non ricordi.” Ritorse aspra. “Non che me lo aspettassi.”

“Non ho detto che non me la ricordo.” Si grattò la nuca con un mezzo sorriso. “Sono qui, no? Sono venuta a trovarti. Come promesso.”
“È Agosto.”
“Non ho specificato quando!”
Morgana, se la detestava. E la voleva baciare. L’aveva già detto?

Non potendola battere a parole – La Weasley era l’unica persona a disarmarla verbalmente – fece retrofront, in direzione della sua casa, della sua stanza, del suo cuscino e di una crisi di pianto frustrato.
Dominique si alzò fluida come un gatto e l’afferrò per il polso. “Eh, no!” Inarcò le sopracciglia con un sorriso divertito. “Mi fai venire qui con ventiquattro ore di treno all’attivo e poi te ne vai?”
“Non ti ho chiesto io di venire!” Cercò di divincolarsi ma, come al solito, la presa dell’altra era salda come un maglio d’acciaio, anche se non altrettanto dolorosa. “Per quanto mi riguarda potevi restartene a casa!”
“Non si dicono le bugie, Piggie…” Se ne stava lì e la guardava come se fosse la cosa più buffa del mondo. Aveva voglia di affatturarla malamente, ma finì per afferrarla per quell’orrore di maglietta e tirarla giù – era assurdo che una ragazza fosse così alta! – per un bacio goffo, a bocca chiusa. La sentì ridacchiare persino nel bacio, prima di ricambiare. A dovere.

Era ora, stupida bifolca!
Riusciva ad insultare anche quando era nel bel mezzo di un momento di tenerezza. Sì, perché per quanto Dominique sembrasse il genere di persona che quando si muoveva lo faceva solo con il rischio di travolgere qualcosa, quando baciava lei sembrava farci attenzione.
Era un’idea stupida, ma la sensazione era quella. E la faceva sentire bene. Speciale.
Poi, perché ovviamente doveva rompere l’incanto del momento, la suddetta le sbadigliò in faccia.
“Metti una mano davanti alla bocca!”
“Ho sonno.” Fu la placida replica. “Non so bene cosa sia il jet-lag, ma credo di averlo.”
Neanche lei lo sapeva, ma ad una seconda occhiata notò grosse occhiaie sul viso dell’altra. “Non hai dormito nella cuccetta?” Spiò.

“Diciamo che non mi andava di chiedere soldi ai miei per un biglietto trans-continentale. Costano un sacco.”  
“Ma hai viaggiato in treno o no?”
“Sopra c’ero.”

Violet intuì dove l’altra voleva andar a parare con tutta quella evasività. “In che diavolo di modo hai viaggiato?”
“Mi sono nascosta nel vagone merci.” Fu la serenissima ammissione. “Ho incontrato dei ragazzi ungheresi a Bucarest che mi han detto che volevano arrivare fino alla Spagna così e mi sono accodata, anche se poi son scesa prima. Non è stato male, ho dormito in posti peggiori.” Si sedette di nuovo come se trovasse la terra il più comodo dei materassi. Dal suo punto di vista forse era così. “Stamattina mi è toccato spiegare tutto ai miei però. Sai che divertimento, c’era pure Vicky…” Borbottò. “ Uno pensa di far loro un favore a non spender galeoni…”
“Forse non volevano violassi la legge. Forse.” Ipotizzò sentendo uno strano moto di contentezza animarla dentro. Aveva avuto una giornata stancante eppure aveva trovato il tempo per lei. Le aveva mandato un Gufo e lei era venuta.

Sono una persona orribile a pensarlo?
“Non sono una tipa da fronzoli, Piggie.”
“Se per fronzoli intendi un materasso credo che tu abbia dei problemi. Il che non è poi una novità.” La vide ridacchiare e sorrise anche lei, di rimando. “Forse dovresti prendere una pozione. Per la tua schiena. Dovrei avere qualcosa…” Non si era accorta fosse tanto provata dal viaggio a prima vista.

Forse perché eri presa a prendertela con lei?
Il senso di colpa – Morgana, se odiava quella sensazione – le strisciò addosso. A diciassette anni sapeva accorgersi quando le sue azioni potevano esser definite capricci. Che poi decidesse di glissare era un altro paio di maniche.
“Niente pozione.” Scosse la testa l’altra. “Mi basta una dormita come si deve.” Si stese tra le radici del cedro. “Se non ti spiace, approfitto della bella ombra del tuo giardino.” Non era una richiesta, era una constatazione. Violet avrebbe dovuto irritarsi, perché che visita era, se poi dormiva?
Ma è qui, no?
Sospirò, sedendosi accanto a lei e controllando che fosse in un un posto che non le avrebbe lasciato macchie sulla veste. “Per cuscino intendi utilizzare una radice, Donna delle Foreste?”
Dominique socchiuse gli occhi. “Se hai idee migliori…”

Violet arrossì; aveva già avuto un’esperienza che, per quanto fosse stata fallimentare dal lato emotivo, le aveva insegnato come rapportarsi con un’altra ragazza. Ma Dominique era diversa da Louise. Da qualsiasi altro essere umano, a dirla tutta. A volte era capace di esser beffarda fino a ferire, altre volte le mostrava una dolcezza insospettabile, ma spontanea, come prenderla per mano al ritorno dalla radura degli unicorni o strofinare il viso contro la curva del suo collo. Era quell’imprevedibilità nel suo comportamento a metterla sempre sulla difensiva; non sapeva mai cosa aspettarsi.
Tuttavia al momento sembrava innocua. La prese quindi per una spalla e la fece distendere cosicché la sua testa le riposasse in grembo. Finse di non notare l’occhiata sorpresa dell’altra.
“Penso di essere più comoda di una radice di legno.” Replicò guardando ovunque tranne che nella sua direzione.
“Sei morbida.” Fu la simpaticissima replica. Avrebbe voluto tirarle i capelli o perlomeno un pizzicotto, ma lasciò perdere.
Non si è fatta neppure un’ora di sonno nel letto di casa sua per venire da te.  
Sii carina per una volta. Forse se lo merita.
“Non intendevo dire che sei grassa, solo che mi piace questa posizione. Non fare quella faccia arrabbiata!”
Violet inspirò racimolando la poca pazienza di cui i suoi geni l’avevano dotata. “Grazie per averlo specificato.” Sbuffò facendola ridacchiare. Sentì poi la mano dell’altra sulla sua guancia.
Non. Arrossire.
“Hai i capelli sciolti. Finalmente, poveretti. Tenuta estiva?”
La mano era ruvida sui polpastrelli ed era piuttosto certa, anche se non aveva quell’angolo di visuale, che le unghie fossero rovinate e mangiucchiate.
L’unica debolezza di Dominique Weasley. Si mangia le unghie.
“Hai la mano di un coltivatore di patate.” Sentì mancare un battito – avvisaglia di infarto? – quando la mano scivolò lungo il profilo del viso e poi lungo la curva del collo. Dominique era una tipa fisica. Per lei il contatto umano era più o meno equivalente ad una lunga conversazione a cuore aperto. Durante l’unico mese che era stato loro concesso prima delle vacanze si era ritrovata l’altra continuamente nel suo spazio vitale con il risultato di avere foglie nei capelli e un po’ ovunque alla fine di ogni loro incontro.
Le aveva dato meno fastidio di quanto pensasse. Meno che niente, in effetti.

“Lavora per due mesi con i draghi e poi dimmi se hai manine da principessa… O se hai ancora le mani, se è per questo.”   
Violet le prese la mano, intrecciandola alla sua. Da quella posizione intravedeva, sotto il cotone liso della maglietta che il tatuaggio si estendeva fino a metà avambraccio. “Carino … cos’è, uno di quegli orrendi lucertoloni?”
“Trai vari.” Sogghignò ad occhi chiusi. “È una specie di rito di passaggio farsi tatuare qualcosa, alla riserva. Per chi ci lavora, si intende … a me l’han fatto perché sono diventata maggiorenne. E perché tanto finirò a lavorar là comunque.” Si scostò la maglietta per fargli vedere il resto della fantasia. C’erano dei fiori, dei draghi e altri simboli che Violet ignorava ma dovevano far parte del Segreto Codice dei Pazzi Guardiani di Draghi. “Forte, eh? Due settimane per farmelo!”
“Stupefacente.” Ironizzò senza che l’altra si scomponesse di una virgola. Il suo sarcasmo doveva esser una reazione positiva in confronto a quella che dovevano aver avuto le donne della sua famiglia.
Ce la vedo Madame Weasley a trillare deliziata di fronte a tanto orrore. Permanente poi.
“È opera di un tipo turco che prima di diventare un Guardiano era un MagiTatuatore. I soggetti però li ho scelti io.” Era contenta come una bambina e Violet si trovò nella stramba posizione di non poter dire niente per smontare quell’entusiasmo genuino.
Sospirò ad ogni buon conto. “Madame Maxime te li farà Disilludere, lo sai?”
“Che ci provi.” Fu l’ovvia replica. Sbadigliò di nuovo. “Sono distrutta. Quanto posso rimanere così? Perché mi piace.”
Quell’ammissione, così poco da lei, era indubbiamente una confessione. Violet sorrise, passandole le dita nei capelli sottilissimi e chiari. Con vergogna, si accorse che avrebbe potuto toccarglieli per ore.
“Non ho piani fino all’ora di cena.”
Dominique fece un sospiro contento. Era così naturale nelle sue esternazioni che Violet la invidiava. Da quando era nata aveva sempre dovuto star bene attenta a cosa comunicare, come e quanto. L’altra evidentemente non doveva mai aver avuto quel problema.
O non se l’è proprio posto.
“A proposito di piani. Tra un paio di giorni è il compleanno di mia sorella, m’ero scordata di dirtelo…” Spalancò di colpo gli occhi e la guardò quel suo strano modo disagiante. “Sei invitata.”
Aveva detto forse qualcosa sulla sua dannata imprevedibilità?
 
 
****
 
15 Agosto 2023
Francia, Bocche del Rodano²  
Villa Delacour
 
Dominique pensava fosse del tutto normale invitare qualcuno al compleanno di sua sorella.
Per intendersi, quando gliel’aveva chiesto, l’altra aveva replicato che non c’erano problemi anche se l’aveva detto un po’ perplessa.
In ogni caso, ai compleanni di sua sorella c’era talmente tanta gente che una persona in più, o una in meno era percepita più o meno come la rotazione terrestre.
Non percepibile, appunto.
Non aveva pensato granché alle motivazioni per cui, di punto in bianco, aveva voluto che Violet venisse. Mentre riposava con la testa sulle sue ginocchia aveva pensato che di sicuro sarebbe stato difficile vederla un’altra volta prima dell’inizio della scuola.
Quella stronza di sua madre la tiene reclusa in casa da quando non ha più Allard che la accompagna in giro, a sentire Mael.
“Dom!” Si sentì chiamare dal piano di sotto. Era proprio Mael, uno dei primi ad arrivare a quel genere di feste e uno degli ultimi ad andarsene. Non ricordava il nome del ragazzo con cui si stava frequentando al momento. Basile? Bastien?
Bah, tanto lo cambierà prima della fine dell’estate.
Si affacciò dalla bocca delle scale. Se poteva evitare di mischiarsi alla folla colorata e completamente scema degli amici di sua sorella fino all’ultimo era meglio. “Che c’è?”
“È arrivata la Parkinson-Goyle.” Le fece cenno dietro di sé. “Vienitela a prendere prima che cominci a far la stronza.”
Dominique sbuffò; era consapevole del fatto che l’altra si comportasse in modo abbastanza orrendo con l’intero creato a parte le amiche e sua madre, della quale era terrorizzata. Quello che non riusciva a capire era come tutti potessero prendere le sue esternazioni come offese vere.

È un po’ come un gatto che soffia perché non ti conosce. Non è che lo fa perché ti voglia graffiare sul serio, la maggior parte delle volte lo fa perché non sa che fare.
Scese le scale a due a due e si trovò in un batter d’occhio all’ingresso. Violet era lì, con il leggero mantello estivo che portavano tutte le Purosangue a rischio di schiattar di caldo, e un vestito lungo fin sotto le ginocchia che, indosso a lei, si sarebbero disintegrato nel giro di un nanosecondo. Ma aveva i capelli sciolti. Dominique sorrise.
Sorrise e poi smise di farlo quando si accorse che Violet  non stava sorridendo a lei, ma a sua sorella che da brava festeggiata era andata ad accoglierla, ringraziandola per il regalo che già teneva tra le mani.
“Grazie mille Violet, non dovevi!”
“Figuriamoci, mi sembra il minimo visto l’invito…” Sorrideva. Piggie. Che mediamente di fronte alle altre ragazze aveva la smorfia di chi stava contemplando qualcosa di disgustoso.
Ha gusti difficili. Peccato che Vic rientri nei gusti di chiunque abbia un paio d’occhi.
Violet era, come molti prima di lei, totalmente rimbecillita dall’aria luminosa che sua sorella emanava dalla sua nobilissima ed elegantissima persona. Era talmente palese che se avesse avuto un cartello al collo con su scritto ‘Sto sbavando su Victoire Weasley’ sarebbe passata inosservata, a confronto.
“Ora che non sta più con quell’animale di Allard con chi sta?” Le chiese Mael. “Frequenta qualcuno?”
Forse non era così palese. Lo era per lei però, e provò il confuso desiderio di far Evanescere sua sorella.
Ugh.
“Piggie!” Esclamò facendola quasi sobbalzare, e inevitabilmente arrossire. Trovava adorabile il modo in cui diventava paonazza e gonfiava le guance quando era indignata. Come le aveva detto secoli prima, sembrava un buffo porcellino d’india. E quell’espressione la faceva solo con lei.
“Ah, eccoti qua!” Sbuffò Victoire alzando gli occhi al cielo. “Mostra alla tua amica dove posare il mantello invece di nasconderti in camera.”
“Non mi stavo nascondendo, mi stavo volutamente isolando dal tuo mondo scintillante.” Ribatté mentre Violet guardava dall’una all’altra. Sicuro si doveva chiedere come potessero esser sorelle, al di là dei colori simili. La afferrò per un polso. “Andiamo Piggie!”
Quella le scoccò un’occhiata che prometteva una morte lenta e dolorosa. Si frenò dall’insultarla e tirarle un calcio probabilmente solo perché in presenza di altre persone.
Tra cui la Perfetta Vic.
Quando furono in camera però smise di trattenersi – c’era riuscita un sacco visto il carattere che si ritrovava. Era ammirevole.
“Sei scema?!” Sbottò tirandole una spinta. “Che bisogno c’era di portarmi su come una specie di sacco di patate? È il compleanno di tua sorella, che ti salta in mente…”
Dominique aveva scoperto che poteva farla stare zitta semplicemente baciandola. Non che utilizzasse spesso quel metodo, per quanto soddisfacente fosse. In realtà la divertiva da matti sentirla borbottare come un vecchio calderone. Quasi sempre.
Violet soffocò un’esclamazione, ma ricambiò il bacio. Su quello si poteva star sicuri, a Piggie piaceva baciarla quanto piaceva a lei. Poi si staccò puntandole le mani sulle spalle.
Sembrava confusa, anche se meno infuriata. “Si può sapere che diavolo ti prende?”
Dominique non aveva ben chiaro lei stessa cosa le fosse preso. In effetti normalmente l’avrebbe lasciata in balia del suo imbarazzo nei confronti della sua famiglia prima di trarla in salvo.
Sarebbe stato divertente, ma…
“Volevo farti vedere camera mia!” Si risolse a dire stringendosi nelle spalle.
“E c’era bisogno di farlo come se ne andasse della tua vita?” Alzò gli occhi al cielo  guardandosi poi intorno. Dall’espressione era piuttosto chiaro cosa ne pensasse. “Carina…” Inarcò le sopracciglia. “C’è esploso dentro qualcosa?”
Dominique ridacchiò, sentendosi meglio. Il che era piuttosto bizzarro.
Il loro rapporto, a dirla tutta, lo era; era ormai venuta a patti con il fatto che la ragazza minuta e collerica che si trovava di fronte le piacesse. Violet era una ragazza intelligente, molto meno impostata sui Sacri Dettami Purosangue di quanto non mostrasse al mondo intero. Le piacevano i fiori e le cose carine, come i cuccioli di unicorno. Era morbida e sempre profumata, e le piaceva toccarla e baciarla anche se di sesso non ne avevano proprio parlato, dato che Violet si era rifiutata di ‘concedersi’ – parola da lei usata – in mezzo ad un bosco.
Nonostante tutti i suoi capricci le piaceva. Di controcanto, sapeva che dietro tutti gli insulti che le rivolgeva, Violet era affezionata a lei. O perlomeno attratta.   
Quello che sapeva di loro finiva lì e a dirla tutta, non che si fosse fatta tante domande in merito.
A scuola i pettegolezzi su di loro erano ovviamente scoppiati dopo che si era sparsa la notizia del suo salvataggio ai danni di Allard. Erano scoppiati, espansi e poi spariti, come capitava quando si sceglieva oculatamente di non alimentarli. Ormai neppure Mael trovava materiale per sparlar di loro, si limitava a guardarle con l’aria di chi la sapeva lunga.
Violet non voleva che facessero niente in pubblico e a lei stava bene. Non era tipa da vivere in simbiosi con un’altra persona e trovava un po’ idiote le coppie che sembravano vivere l’uno nella bocca dell’altro.
Però in realtà mi sa che sono io a non capirci niente, altro che Mael.
Aveva finito per parlarne con suo zio Charlie: aveva eletto quel parente tanto simile a lei a consigliere personale sin dalla veneranda età di tre anni, quando le aveva portato un libro illustrato sui draghi guadagnandosi il suo amore imperituro.
 
“A te piace questa ragazza Domi?”
“Sì, te l’ho detto. È … buffa. Non è come le altre, non è mai noiosa.”
“E tu piaci a lei. Ma non state assieme.”
“No, perché …”
“Perché?”

“Eh, boh. Che ne so. Il sogno di sua madre è vederla sposata ad un Bel Purosangue di razza con un mucchio di Galeoni in banca. Credo che non abbia tutta ‘sta voglia di deluderla, ecco.”
 
Suo zio lì per lì non le aveva detto niente e dopo aver riflettuto un paio di giorni – non era tipo da sparare la prima cosa che gli veniva in mente tanto per farsi grosso di fronte ai nipoti, lei specialmente – le aveva consigliato di farsi la seguente domanda e rispondersi da sola.
Cosa vuoi da Violet?
Cosa voleva. Piggie le piaceva, si divertiva con lei. Victoire due anni prima le aveva detto nero su bianco di lasciarla perdere, ancor prima che il loro rapporto tramutasse in quello che avevano adesso. Ma non aveva senso. Si lasciava perdere qualcosa che non ti piaceva fare. Non qualcuno con cui ti piaceva stare.
“Dovremo scendere.” La riscosse l’altra, con le braccia incrociate al petto. Aveva ancora le guance rosse e i capelli scompigliati dal bacio. La fermò con una mano quando tentò di avvicinarsi di nuovo. “Dico sul serio, Nicky!” Se la chiamava in quel modo le passava la voglia di non darle retta. Curioso. “Sono venuta alla festa di tua sorella … non posso sparire per tutto il tempo!”
“Perché no? Io lo faccio sempre! Non è che mia sorella si strappi i capelli o che … È letteralmente assalita dalla gente che la festeggia, non se ne accorgerà neanche!”
“Non è questo il punto, non è così che si comporta un’ospite!” Ritorse spazientita. “Non puoi invitarmi alla festa e farmi stare nella tua stanza. Le persone potrebbero parlare … e ce ne sono decisamente di pericolose, a quanto ho potuto vedere.”

A me però non frega niente di queste pericolosissime persone.
Si sentiva innervosita, e questo non le piaceva. Forse era ancora il jet-lag o roba simile. Di sicuro. Doveva dormire di più, in quei giorni tra il sistemarsi, recuperare familiarità con Arod e star dietro al bisogno di Louis di averla di nuovo accanto aveva tralasciato di frequentare il suo letto. Fece una smorfia. “Come ti pare. Se vuoi andare, vai.”
“Come vai?” Sgranò gli occhi. “Tu non vieni?”
“Non mi piacciono gli amici di V … e ora che lei e Teddy si sono mollati stare con loro è ancora più palloso.” Si strinse nelle spalle e si buttò sul letto sfatto. Doveva dargli una sistemata da mesi, secondo sua madre. “Vai pure, io resto qui.”
Violet sembrava aver la faccia di una che aveva una fattura sulla punta della bacchetta. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma subito la richiuse. “Sei impossibile!” Gridò prima di lasciare la stanza e sbattersi la porta dietro.
Dominique sospirò.
Che casino che fa … Volevo solo passare un po’ di tempo con lei.
Si accorse in quel momento che era quello il motivo per cui aveva invitato Violet, non ce n’erano altri.  
Si ficcò il cuscino sotto la nuca e si impose di dormire, visto che quel jet-lag proprio non voleva saperne di passare. Del resto, si sentiva di cattivo umore come non mai.
 
 
****
 
Violet aveva voglia di dar fuoco all’intera proprietà degli Weasley-Delacour.
Sì, perché si sentiva profondamente a disagio e un falò le avrebbe proprio calmato i nervi.
A parte gli scherzi, a disagio si sentiva sul serio; dalla festeggiata era stata fornita di cocktail con ombrellino che lanciava piccole scintille magiche, ma il loro rapporto si era interrotto lì dato che Victoire era stata in seguito trascinata via dalla moltitudine di invitati che rideva, parlava, ballava e genericamente sembrava spassarsela un mondo.
Non conosceva nessuna di quelle persone, per quanto alcune le avesse incrociate per anni in Costa Azzurra, dove aveva trascorso le vacanze durante il suo fidanzamento con Allard. Ma era il genere di gente che non andava a genio a sua madre – nuovi ricchi o parvenu, come amava chiamarli. Vide tra di loro anche star del Quidditch e attori di teatro.
Gentaglia, tesoro, gentaglia…
A Violet in realtà sembravano tutto fuorché quello; gli amici della sorella di Dominique sembravano semplicemente persone capaci di godersi la vita senza farsi troppo fisime.
Sicuramente non sono Purosangue.
Si sentì dare un colpetto sul fianco e si voltò pronta ad incenerire il villano che aveva osato toccarla in un punto così poco decoroso.
Si trovò di fronte il sorriso bianchissimo del fratellino di Dominique, Louis. Aveva persino più lentiggini della sorella e i capelli rossi come se fossero stati infilati nella lava. L’espressione beffarda però era tutta di Dominique, anche se declinata in una monelleria che dovevano avergli detto fosse irresistibile a giudicare dalla sicurezza con cui la ostentava.  
“Ciao Violet!” Esclamò dandole del tu come se si parlassero da anni. “Come mai stai da sola?” La domanda esprimeva tutta l’ingenuità dei suoi dodici anni e non se la sentì di esser sarcastica.
“Non conosco nessuno.” Fece spallucce come se non ci fosse una moltitudine di gente attorno a lei a cui si poteva presentare tranquillamente.
“Dov’è Domi?” Nervo scoperto. Violet serrò le labbra e il ragazzino, stranamente, parve capire l’antifona. “Ah, ti ha lasciata sola, eh? Ma non te la prendere, a volte fa così, le feste di Vicky non le piacciono.” Dal nulla tirò fuori una singolare aria da uomo di mondo. “Ti faccio compagnia io, bellezza!”
Bellezza?

Violet non poté fare a meno di mettersi a ridere. Non con cattiveria però, perché chiunque avesse detto a quel nanetto che aveva un faccino irresistibile aveva avuto ragione in pieno.
Registrò il fatto che, come Dominique, non sembrava particolarmente turbato dalla sua ilarità. Quegli Weasley avevano una faccia di bronzo invidiabile.
“Ti rivolgi così a tutte le amiche di tua sorella?” 
“Nah, solo a quelle carine!” Ghignò con aria saputa. “Tu sei la più carina, lo dice anche lei!”
Violet arrossì a quel complimento indiretto, anche se non riusciva ad immaginare Dominique che le faceva un apprezzamento del genere, nemmeno sotto i fumi del Veritaserum.

“E che altro dice di me?”
Louis si strinse le spalle, ficcandosi in bocca una tartina appellata dal vassoio di un cameriere vicino. “Non tanto, non è che sia una chiacchierona, se non si tratta di parlare di qualche bestia strana.” La guardò da sotto in su. “Ti va di essere la mia dama stasera? Io sono bello, tu sei bella. Saremo una coppia perfetta!”
Però, a sfacciataggine è un campione.
Violet non si sentiva particolarmente irritata però. La verità era che star sola ad una festa di estranei era una delle cose più mortificanti al mondo, e persino quel ragazzino impertinente poteva trasformarsi in un’ancora di salvezza.
E poi pare che Dominique con lui parli.
Gli sorrise prendendogli la mano che gli porgeva fiducioso. O sicuro di sé. Con gli Weasley-Delacour il confine era molto sottile, l’aveva imparato per esperienza. “Con molto piacere.”
 
Parlare con Louis, un dodicenne che si credeva un piccolo dio sceso in terra, era stato più divertente del previsto. Il piccoletto era un intrattenitore nato, ed esser nato con due sorelle doveva averlo temprato agli atteggiamenti femminili. Violet si era lasciata rifornire di tartine e cocktail e aveva ascoltato il suo fiume di chiacchiere, metà in francese e metà in un inglese del tutto approssimativo.
“Sei sicura che non vuoi essere la mia ragazza?” La apostrofò per forse la decima volta. “Ti tratterei bene!”
“Ne sono certa.” Bevve un sorso dal suo Melatini. Era un cocktail babbano – cos’altro poteva esser servito ad una festa a maggioranza Mezzosangue? – ma anche maledettamente delizioso. “Hai dodici anni.”
“Ma crescerò!” Fu la rapida risposta, mentre si dondolava sulla staccionata a cui era appoggiati i tavoli di cibarie. “Se è l’età un problema puoi sempre aspettarmi!”

“E non crescere?”
“Aspettare che cresca io!” Fece un sorriso furbo. “Sarò ancora meglio tra un paio d’anni!”
Violet ridacchiò. Tutti quei cocktail le avevano fatto un po’ girare la testa, ma essendo abituata a dover gestire i molti drink offerti alle serate in cui sua madre la trascinava riusciva comunque a mantenere un contegno decoroso.
Certo che non è proprio il massimo esser brilla e farti tener compagnia da un dodicenne ad una festa di sconosciuti a maggioranza Nati Babbani e Mezzosangue … Cosa penserebbe tua madre? Cosa penserebbero Jenny e le altre?
Fece una piccola smorfia, affogandola nel sapore dolce del suo calice.
È colpa di quella bifolca. Se fosse stata qui…
“Stai bene, Violet?” Le chiese il ragazzino con aria preoccupata. Non si era accorta di aver atteggiato il viso alla sua classica smorfia infastidita.
“Sì, certo.” Tentò un sorriso, vedendo Mael Delacour guardarla da lontano e parlottare a bassa voce con altri tipi.
Come se non mi accorgessi quando qualcuno sparla di me… Principianti.
“Vuoi Domi, vero?” Louis fece un lungo sospiro teatrale. “È ovvio che la mia dama non pensa a me!”
Violet presa da uno strano moto di tenerezza – non era mica di pietra come vociferano quelli come Mael! – gli arruffò i capelli fulvi. “Sono qui e non con altri ragazzi, no?”
Louis fece un gran sorriso. “Vero!” Guardò verso casa sua e, ad occhio e croce, verso la stanza della Bifolca. “Non so che le sia preso … Di solito poi scende, anche solo per far piacere a Vicky.” Borbottò.
Violet sorrise. “Ti piace tua sorella, eh?”
Louis annuì con entusiasmo genuino, dimostrando che dietro tutte quelle maniere da piccolo Casanova rimaneva un dodicenne come tanti. “Sì, è la migliore sorella del mondo!” Le assicurò. “Le voglio tanto bene!”
Violet pensò improvvisamente al bambino in arrivo a casa sua; sarebbe riuscito ad amarlo con la semplicità con cui i fratelli Weasley si volevano bene? Dubitava. Avrebbe voluto, ma le mancava il requisito principale per essere una buona sorella maggiore.

La mancanza di invidia? Che diciamocelo, Violet, è decisamente il tuo peccato capitale.
L’invidia era il motore ultimo di molto di ciò che provava. E non poteva dire di non provarla anche per quella famiglia perfetta.
Altro che la mia. Una vedova che sta sposarsi già incita e una figlia a cui piacciono le donne.
“Sarà ancora stanca per il viaggio, scenderà.” Lo consolò poco convinta mentre una fitta di ansia le contorse lo stomaco. Della Weasley si potevano dire molte cose, ma non che fosse viziata. Aveva un buon carattere. Eppure quel giorno si era comportata in modo scortese, brusco e sopratutto menefreghista.
Che diamine le è preso?
Non poteva mettersi a decifrare anche i malumori di Dominique, oltre quelli di sua madre. Era troppo.
“Non è il viaggio…” Scosse la testa il ragazzino. “Cioè forse, anche, ma secondo me è quell’altra cosa…”
Violet batté le palpebre. Che altro si era inventata quella testa platinata?

“Quale altra cosa?” 
Il ragazzino la guardò stupito, quasi non si aspettasse di vederla completamente ignara.
Non le piacque. Affatto.
“Beh, ma che Domi si candida al Torneo Tremaghi quest’anno, no?”
 
 
La porta della sua camera si aprì di schianto. Dominique, immersa nel dormiveglia, scattò a sedere sul materasso pronta a qualsiasi evenienza, da sua sorella pronta a trascinarla per i capelli alla festa alla fine del mondo.
Che è più o meno la stessa cosa.
Certo non si sarebbe immaginata di trovarsi di fronte Violet che la guardava come se volesse darle fuoco con un Incendio. Ed era diversa dalle solite occhiate che le lanciava. Stavolta sembrava infuriata sul serio.
E ora che ho fatto? Dormivo!
“Quando avevi intenzione di dirmelo?” Le sbraitò contro senza darle il tempo di emettere un suono, o tantomeno una domanda.
“Eh?” Le uscì poco intelligentemente. Ma non era colpa sua se l’altra parlava per enigmi. “Di che parli?”
“Sai benissimo di che sto parlando!”
“No?” Batté le palpebre confusa. Per lei le ragazze erano davvero uno strano mondo. Sapeva di appartenervi, naturalmente, e per alcuni versi preferiva di gran lunga il suo sesso a quel caos rumoroso e poco sveglio che era l’universo maschile. In alcune cose si sentiva irrimediabilmente donna. Ma il sottointeso – arte muliebre secondo sua sorella – le sfuggiva.

O forse era proprio Piggie che non capiva.
“Il Tremaghi!” Sbottò. “Il dannatissimo Tremaghi che è stato rimesso in piedi quest’anno! Quel Torneo con tre prove, tre maghi, tre scuole e il trecento per cento di possibilità di essere ammazzati!”
“Ah, quello.” Capì finalmente. Sospirò, perché a lei era sembrato talmente naturale pensare ad iscriversi che aveva deciso nel giro di una giornata.
Dopotutto mamma è stata una Campionessa.
Non aveva la certezza matematica che sarebbe stata scelta per concorrervi, di più. Era la migliore della sua scuola, i Galeoni in premio erano tanti e già sapeva come li avrebbe spesi.
I miei primi soldi, senza che peschi da cassaforte dei miei.
“Perché sei arrabbiata?” Si strinse nelle spalle. “Comincerà tutto a Ottobre, anche se le selezioni…”
“Dovevi dirmelo!” Ripeté come se fosse quello il punto focale dell’intera faccenda. Forse lo era. Anzi, a giudicare dall’espressione dell’altra lo era di sicuro. “Sono venuta a saperlo da tuo fratello!”

“Beh, bene.” Replicò cauta. Le sembrava di maneggiare un uovo di drago di fronte a Mamma Drago. Un passo falso e sarebbe stata divorata. “Senti, ma che te lo dicessi oggi o tra un mese, quando inizierà la scuola e sarà tutto più concreto, mi dici cosa cambia? Forse è meglio dopo, no?”
“Dovevo essere la prima a saperlo!”
“Perché?”
Violet alla sua domanda ammutolì di colpo, boccheggiando. Chiaro come il sole che non sapesse quale Snaso avesse l’oro⁵. Aveva però anche un’aria ferita, da come si mordeva il labbro e si fissava le scarpe.
“Perché … perché … beh, pensavo ci tenessi a me!” Si risolse a dire con tono rabbioso.
Dominique sapeva di dover fare qualcosa di fisico, che le riusciva meglio esprimersi in quel modo che mettersi a fare lunghi discorsi sentimentali. Complice però l’irritazione che continuava a sobbollirle dentro come un brutto, brutto magma, non si mosse dal letto.
“Ci tengo a te.” Disse invece. “Ma non capisco questo cosa c’entri nel dirlo prima a te o qualcun altro. Ne ho parlato alla mia famiglia solo perché volevo evitare che a mia madre o a Vì prendesse un infarto … e poi volevo il loro appoggio.”
“E non vuoi il mio?”

Cosa vuoi da Violet?
La voce di suo zio Charlie le si conficcò nelle sinapsi, pacata e piena di una verità che non riusciva ad afferrare. Dominique si sentì improvvisamente sopraffatta, ed era la prima volta che provava quella sensazione di soffocamento. Non le piaceva.
Non capiva cosa avesse voluto intendere suo zio, non capiva le occhiate preoccupate di sua sorella né quando Mael le chiedeva ansioso se fosse proprio sicura di voler avere a che fare con la Parkinson-Goyle, quella stronza.
Per finire, non capiva Violet. Voleva i suoi baci, le sue carezze, ma poi, uscite dalla radura degli unicorni o dalla sicurezza di un posto con nessuno attorno, la respingeva. Voleva delle cose da lei, ma poi non sapeva spiegarle perché le volesse.
Che diavolo.
Era tutto troppo stancante, e rimpiangeva quando la cosa più complicata a cui doveva pensare erano i compiti Aritmazia.  
Tuttavia c’era una parte di sé che non voleva che Violet avesse quell’espressione ferita. Quando stava con lei sentiva che doveva proteggerla. Da cosa non ne aveva idea ora che Allard era solo un brutto ricordo, ma quella sensazione era lì e non se n’era più andata.
Manco adesso.
“Se vuoi darmi il tuo appoggio…” Tentò. “… non è che mi spiace, ecco.”
Non era la risposta giusta, lo capì subito da come l’altra fece una smorfia.

“Così non va.” Disse a bassa voce. “Dominique, non … non funziona.”
Cosa?

Batté le palpebre senza sapere cosa rispondere. Forse sua sorella l’avrebbe saputo, forse Mael. Lei proprio no.
“Te ne vai per più di due mesi, non mi mandi neanche una lettera e poi … non mi fai sapere niente delle tue decisioni! Questa è una cosa importante, un torneo interscolastico, fuori dalla Francia! Starai via tutto l’anno se verrai messa nella delegazione dei Campioni, lo sai?” Stinse la stoffa di quel bel vestito tra le dita, spiegazzandolo. Non pareva le importasse. “Non funziona.” Ripeté.
“Ma cosa?”
Noi due!” Sbottò di colpo. Ispirò bruscamente e le vide qualcosa tremare e luccicare sulle sue lunghe ciglia nere. Non le piaceva vederla piangere, la faceva sentire un’idiota incapace. Il che era semplicemente intollerabile dal suo punto di vista.

“Siamo noi due che non funzioniamo… Non riusciamo a stare dieci minuti senza litigare, siamo troppo diverse. E poi, anche volendo, non…”
A me piace litigare con te.

Però forse quella non era cosa da dire. Processò l’ultima frase, e ricordò cosa avesse detto a suo zio Charlie. “E poi non potremo stare assieme sul serio?” Le suggerì. “Questo non dipende da me o dalla mia famiglia. Ma dalla tua.” Ritorse e percepì una vaga nota soddisfatta nella sua voce. Tutte quelle sensazioni la facevano sentire come se qualcuno la stesse scrollando tenendola per i piedi.
Rimpiangeva la solitudine dei Carpazi. Lì non c’era niente che la facesse sentire così incasinata dentro.
Negli occhi di Violet passò un lampo cupo. “Grazie per avermelo ricordato.”
“Non c’è di che.” Replicò. “Allora, beh. Se non funzioniamo pazienza. Ci vediamo a scuola.”

Stavolta l’altra impallidì talmente tanto che credeva sarebbe svenuta. Di nuovo quella fitta di dispiacere e desiderio di mettere le cose apposto.
A posto cosa, poi?
Violet le voltò le spalle e corse via, senza neanche premurarsi di chiudere la porta. Sentì poi lo schiocco di una Smaterializzazione al piano inferiore. Se n’era andata.
Quindi è così che si mollano le persone …  
Dopo un tempo che le parve piuttosto lungo, tanto che il sole era tramontato dietro le colline, vide sua sorella stagliarsi contro lo stipite della porta.
“Dov’è la tua amica?” Le chiese. La guardò bene in viso e dovette notare qualcosa perché se la trovò immediatamente seduta sul ciglio del letto. “Cos’è successo?” Le chiese con singolare tono d’urgenza nella voce.
“Abbiamo deciso che non andava.” Riassunse, dato che non era mai stata brava nei racconti.
Dovette bastare perché Victoire si morse le labbra. “Ma stavate assieme allora?”
“No.” Era la verità, ma non le piaceva dirla, il che era bizzarro perché la verità non le aveva mai fatto niente di male. Fino a quel momento.
Sua sorella si sporse per toccarle il braccio. Lo ritrasse. “Ne vuoi parlare?”
“No.”
V non era una stupida. Quando era ad Hogwarts era stata smistata a Corvonero, la casa dei cervelloni per eccellenza. Era una tipa dritta, dietro tutte quelle moine e sfarfallii di ciglia.  Ma soprattutto, sapeva quando starsene zitta. Si chinò per darle un bacio sulla tempia, come ormai nemmeno la loro comune madre si azzardava a fare. Trovò quindi giusto punirla buttandola quasi a terra per abbracciarle la vita e seppellirci il viso: la seta del suo vestito all’ultima moda profumava del suo costosissimo profumo da cento galeoni a goccia, ma di fondo c’era l’odore di sua sorella, familiare e quindi tranquillizzante. Victoire non protestò.
“Domi…” Sospirò invece accarezzandole le spalle. Non si abbracciavano da quando erano bambine, ma Dominique scoprì che non era cambiato niente. “ … Andrà meglio, te lo prometto. Fidati, che di relazioni fallimentari ne so più io che tu con i tuoi lucertoloni.”
“Questo proprio no, sorella. Mi sento insultata.”
“Ad ognuno il suo campo, sorellina. Sta’ zitta e fatti consolare.”
Dominique stavolta non trovò nulla da ribattere.

 
 
****
 
 
Note:

No, ma si comincia bene! :D
A parte gli scherzi, abbiate fiducia, siamo solo all’inizio, e chi ha letto Ab Umbra Lumen sa come va’ a finire quindi … Godetevi il viaggio! Il favoloso banner, mi preme dirlo, è stato realizzato dalla favolosa Daphne Kerouac, la stessa che ha curato il banner della mia pagina autore. Grazie girl!

Qualche precisazione: questa storia può essere letta solo come seguito di Dom is not a boy’s name che fa parte a sua volte della Doppelgaenger’s Saga, nome altisonante per designare la mia grave forma di grafomania.
Per la canzone qui.

 
1. Alta Normandia: regione della Francia settentrionale. Il suo capoluogo è Rouen, altra città importanti sono Le Havre e Evreux. Le coste a Nord sono bagnate dal Canale della Manica.
Ho pensato che molto probabilmente i Goyle, se hanno mai avuto proprietà in Francia, le abbiano avute quanto più possibile vicino all’amata Inghilterra. E alla stessa Madame Pansy non sarà dispiaciuto vedere le coste di Albione dalle finestre di camera sua. ;)  
2. Bocche del Rodano: dipartimento (in italiano sarebbe provincia) della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Tecnicamente la Provenza a cui si riferiscono spesso Teddy e gli altri non esiste più, in quanto ai nostri giorni la Francia è divisa (dai babbani!) in tutt’altro modo. Come ben si sa, i maghi rimangono sempre un po’ indietro rispetto ai cambiamenti geo-politici dei babbani.
Per maggiori informazioni sulle mie pippe mentali in merito qui una comoda mappina data da quella cosa meravigliosa che è Google Maps. Ho abbozzato anche dove potrebbe essere Beaux Batons e la Riserva dei Draghi, ma non fateci troppo affidamento.
3. Granian (o Granio): razza di cavalli alati della stessa taglia dei loro cugini in uso trai babbani. L’unica differenza, a parte le ali, è la velocità che possono raggiungere in volo, molto elevata. Il colore del mantello è grigio, e Dom ne possiede un esemplare, maschio da quando ha dodici anni.
4. Patente: si riferisce alla Patente che deve essere richiesta per la detenzione del suddetto all’Ufficio Creature Magiche del Ministero di riferimento, in questo caso francese. La patente è necessaria per poter tenere varie razze di animali magici, dal Crup all’Ippogrifo e viene rilasciata dopo che il mago o la strega ha dimostrato di sapersene prendere cura e, soprattutto, di saperlo occultare agli occhi dei Babbani con un Incantesimo di Disillusione, da applicare quotidianamente.
Probabile che Dominique l’abbia ottenuta più tardi dei suoi dodici anni, e prima fosse affidato ai genitori. (Info su ‘Gli animali fantastici: dove trovarli’)
5. Non sapeva quale Snaso avesse l’oro: versione magica (da me inventata) di ‘non sapeva che pesci prendere’.
Questa invece è l’aquila che ha come famiglio. Questa particolare razza di aquile è famosa per essere adatta alla falconeria e per la sua fedeltà al padrone.
Per il nome del pennuto invece dovrete ancora aspettare, perché sì, ha un significato. ;)
(No, non c’entra niente l’omonima città.)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Unless // Capitolo II ***



 
And through a fractal on that breaking wall, I see you, my friend, and touch your face again.
Miracles will happen as we trip, but we're never gonna survive, unless we get a little crazy.
(Crazy, Alanis Morrisette)
 
 
1 Settembre 2023
Provenza, Accademia di Magia Beaux Batons
Salotto dei Prefetti.
 
I soffitti stuccati di Beaux-Batons erano famosi in tutta la Francia magica. Gli archi giganteschi si aprivano su un trionfo marittimo di onde e sirene, quest’ultime più simili all’immaginario babbano che alla realtà magica. Violet le aveva trovate sempre trovate infantili, ma belle.
La saletta in cui si riunivano i Préfets ad ogni inizio dell’anno per decidere la scaletta scolastica aveva quel tipo di affreschi e in più, grandi finestre luminose che davano sul lago opposto alla foresta incantata. Essendo stata la prima ad arrivare si sedette su una delle poltroncine, anch’esse d’oro e bianco laccato – i colori primari della scuola oltre l’azzurro – e aspettò.
Non aveva più sentito Dominique e davvero, stavolta andava bene così; non poteva dire di non aver provato a seguire il suo cuore ma, come diceva sempre sua madre, seguirlo non le aveva portato che seccature.
Dispiaceri. Grane. Rabbia.
Serrò appena le labbra, lisciandosi la gonna dell’uniforme e trovando conforto nella seta che la vestiva; Dominique era adatta ad una relazione quanto un cavallo a sedere ad un tavolo durante un brunch.
Stupida io a pensare che avrebbe potuto funzionare…
Ad ogni buon conto, la scuola era iniziata da una manciata di ore e non l’aveva ancora vista. Non era difficile evitarla, se voleva. Facilissimo in realtà. Non era la prima volta che la cancellava dalla sua vita, ma sarebbe stata l’ultima.
Tra meno di un anno finiremo la scuola, e chi la rivedrà più? Se ne andrà in Romania ad accudire i suoi mostri alati.
Sentì la porta aprire e chiudersi e alzò lo sguardo, ricomponendosi. Fu una buona pensata perché si trattava di Mael Delacour, che si guardò attorno prima di individuarla e lanciarle un’occhiata cauta.
“Oh, Violet, buongiorno.” Non si addentrò nei convenevoli, e lo apprezzò. Non che fossero amici. “Ci siamo solo noi?”   
“A te, Delacour. È presto, alcuni saranno staranno ancora disfacendo i propri bagagli.” Replicò prima di fingere che la sua entrata fosse stata del tutto ininfluente e riportare la sua attenzione oltre le finestre, sul lago.
Mael si sedette di fronte a lei, togliendo una pergamena e la propria piuma dalla borsa. Lo sentì poi schiarirsi la voce nel tentativo di stabilire un contatto visivo: voleva parlarle? Lo ignorò. Una cosa erano i convenevoli, un’altra una vera conversazione.
Scoprì che era meno facile del previsto; i due cugini dall’eredità Veela erano distanti come il giorno e la notte, in quanto ad atteggiamento e obbiettivi futuri, ma si somigliavano nel portamento e in certe espressioni.
Faceva male.
“Cosa vuoi?” Lo apostrofò. Mael scrollò le spalle. Sembrava la stesse studiando, l’idiota.
“Nulla in particolare.”
“Sei un pessimo bugiardo, Delacour.” Ribatté infastidita. “Non mi stupirei se ci fossi tu dietro il ritardo degli altri.” Alla sua espressione sconcertata, inarcò le sopracciglia. “Siamo sicuri che l’ora dell’appuntamento fosse questa? Perché chi me l’è venuta a riferire era uno dei tuoi amichetti. Non era Leroux? Sebastien?”
Mael arrossì, colto, come si soleva dire, con la mano sulla bacchetta. “Io… oh, va bene!” Sbuffò. “Sai di che si tratta!”
“No, illuminami.” Si appoggiò meglio alla sedia, anche se una morsa le stringeva lo stomaco. I due cugini erano molto vicini, per quanto sembrasse assurdo che un tipo schizzinoso come Mael si accompagnasse ad una scalmanata come la Weasley. Non era passato neppure un mese dalla loro rottura, e c’era una parte di lei che sperava che quel tipetto lezioso si fosse impicciato dei loro affari.

Così saprò come sta. Non che mi importi. Affatto. Solo per sapere se glien’è importato qualcosa.
“Si tratta di Dom.” Un piccolo moto di soddisfazione le scorse quietamente dentro. “Voi … Insomma, cosa…?” Balbettò, aggrottando le sopracciglia. Quindi non sapeva. Era una fortuna che Dominique avesse tenuto il segreto, ma al tempo stesso Violet se ne dispiacque.
Sei stupida? È molto meglio che il vostro flirt sia nato e morto senza nessun testimone.
Hai idea di cosa succederebbe se uno come Mael sapesse che ti piacciono le ragazze? Sua cugina poi?
“Perché non lo chiedi a lei? Tra poco dovrebbe esser qui.” Lo stuzzicò sapendo di fare un gioco pericoloso. Sentiva uno strano scontento dentro da quando aveva abbandonato la casa degli Weasley.
Neppure indossare di nuovo l’uniforme e rivedere le amiche lo aveva scacciato. Era un inquietudine sottile, che le scorreva sottopelle senza tregua e ogni tanto esplodeva, facendole prendere decisioni discutibili come alludere a qualcosa che avrebbe in realtà dovuto nascondere.
“Si è ritirata dalla carica.” La sorprese. “Con il fatto che vuole concorrere al Tremaghi non avrà tempo per occuparsi di altre faccende, specie se se ne andrà via per tutto l’anno scolastico.”
Violet cercò di dominare la mortificazione. Anche quella volta, aveva saputo delle intenzioni della Weasley solo a decisioni prese.

Però stavolta ha tutto il diritto di non mettertene a parte. Non siete più niente.
“E tu? Pensavo fossi nella rosa dei candidati. Ti sei già arreso?”  
“Tengo aperte le mie possibilità. Non punto su un solo cavallo.” Replicò con una lieve smorfia. “E non posso rinunciare ad una carica come questa. Non ho certezze che verrò scelto. Dom invece…”
Rimasero in silenzio, perché non c’era bisogno di dire altro.

Dominique si è messa a giocare alla roulette rossa con il suo futuro. L’idiota.
Ma era proprio quello a renderla tanto affascinante.
“Cos’è successo tra te e lei?” Il ragazzo si fermò, quasi ripensandoci. “Cosa succede tra te e lei da sette anni? È chiaro che ci sia qualcosa.”
“Ed è chiaro che non siano affari tuoi.” Rimbeccò incrociando le braccia al petto.

Stupida, stupida. Si accorgerà che ti stai mettendo sulla difensiva.
Mael si morse l’angolo di un labbro. “No, è vero.” Ammise stupendola. “Ma Dominique è mia cugina, e mi sono sempre preoccupato per lei. Non è che abbia molta coscienza di sé, e di solito va bene, ma …” Indurì improvvisamente lo sguardo, in un’espressione che non gli aveva mai visto addosso. Sembrava quasi un maschio. “Se le hai fatto qualcosa…”
Io? Io le ho fatto qualcosa?

Violet rimase in silenzio, ingoiando il grumo di rabbia che le bruciava in gola: quando vivevi fin dall’infanzia con bene in mente che non era appropriato esprimere emozioni, imparavi a farlo sul serio.
“Weasley mi sembra il genere di persona in grado di badare a se stessa, a tua differenza.” Ritorse salace. “A che tacca della cintura sei arrivato? Dovresti chiedere una medaglia al Ministero per la costanza con cui cambi letto senza mai aver contratto qualcosa di spiacevole tra le lenzuola.”
Mael avvampò di rabbia e fece per ribattere, ma entrarono gli altri Prefetti a rompere l’idillio.
Violet li salutò meccanicamente; se Delacour aveva intuito qualcosa, non era grazie a Dominique. Dubitava che quella sciroccata si fosse lamentata con il cugino una sola volta in vita sua, specialmente su una ragazza. L’altro doveva aver fatto due più due, rendendosi conto che faceva quattro.
La vostra improvvisa amicizia, il fatto che sei stata invitata alla festa di sua sorella e che poi l’hai abbandonata in tutta fretta…
Avrebbe dovuto essere terrorizzata all’idea che Delacour sapesse, ma non lo era. Lo sarebbe stata, forse, quando avrebbe finito di sentirsi il cuore a pezzi.
La dimenticherai. Il mondo è pieno di ragazze che ti capiranno alla perfezione e con cui avrai un rapporto splendido, sereno e al sicuro dagli occhi e dal giudizio di chicchessia.
Ragazze che, come te, sanno apprezzare il valore della discrezione e della muta compagnia. Non bifolche che ti considerano materiale buono solo per sfogare qualche istinto confuso.
Perché era chiaro che la Weasley fosse consapevole del proprio orientamento sessuale come un Troll era consapevole che la Francia magica era governata da un presidenzialismo.  
Era un pensiero che aveva fatto spesso in quel periodo. Avrebbe dovuto tirarla su di morale e invece aveva ottenuto l’effetto contrario. Così aveva smesso di pensarci e si era immersa a piene mani nei compiti che ci si aspettavano da lei; figlia devota, studentessa diligente, amica pettegola e stronza di rara levatura.
Eppure …
Eppure aveva la sensazione di essere costretta, come un piede dolorante in una scarpa non della sua taglia.
Dominique ti ha fatto camminare a piedi nudi. Sembrava scomodo, ma ora è peggio, vero?
Ascoltò a malapena la riunione. Sapeva che sarebbe dovuta intervenire per evitare colpi di testa troppo Babbanofili, specialmente nella scelta del tema di Natale. Sapeva che doveva infilarsi in una fastidiosissima diatriba con Delacour e un’agguerrita minoranza che avrebbe sostenuto che era arrivato il momento di aggiornarsi.
Non fece nessuna di quelle cose, e poté percepire le occhiate piene di stupore da parte degli altri.
Non le interessava. Pensava piuttosto all’ultima conversazione avuta con sua madre prima che partisse.
 
“Hai scritto a Scorpius?”
“… Sto aspettando la sua risposta.” Non era vero, e si era segnata mentalmente di scrivergli quella sera stessa. Del resto aveva avuto ben altro da fare in quei giorni. Come piangere tutte le sue lacrime sulla rottura della storia più sbagliata del mondo magico e, aveva idea, pure di quello babbano.
“Ho avuto modo di sentirmi con sua nonna, Lady Narcissa. Mi ha detto che al momento non è promesso a nessuna. Ti ho già dato la sua foto?”
“Sì, mamma.”
“È davvero un bel ragazzo, e i suoi genitori sono miei amici di lunga data. Una bella famiglia, solida, la più antica della nobiltà magica britannica. Secoli di storia e di sangue puro, Violet. Scorpius, poi, è l’unico erede. Sarei felice se diventaste intimi nei prossimi mesi.”
“Mamma…” Non aveva potuto metterla più chiara, almeno in termini Purosangue.

Persino sua madre si era resa conto di essersi spinta troppo in là con le allusioni, perché le aveva sorriso. “Non sto dicendo nulla, tesoro. Solo che dopo la delusione che abbiamo avuto con Allard quello che ti ci vuole è un corteggiatore che te lo faccia dimenticare. Un po’ di civetteria fa’ sempre sentire meglio una ragazza, no?”
 
Non va affatto bene…
Aveva spedito quella lettera ma non le importava nulla di ricevere la risposta. Era certa che dall’altra parte c’era un ragazzo altrettanto risentito, costretto dai propri parenti a comporre complimenti affettati e domande sterili.
Le dava la nausea.
Si riscosse di colpo quando sentì la porta aprirsi e il familiare rumore di tacchi schioccanti irrompere nella saletta. Si alzarono tutti all’entrare della Preside.
“Seduti ragazzi.” Si sedette a capo del tavolo mentre uno dei ragazzi le scostava la sedia, alta quasi il doppio di lui. “Il verbale della riunione?”
“Eccolo Madame.” Rispose sollecito Mael, allungandoglielo: in quanto segretario spettava a lui il compito di portare su pergamena le loro decisioni.
La strega inforcò gli occhiali e lessò con attenzione ogni singolo intervento e proposta. Violet la ammirava per l’impegno indefesso con cui non delegava mai, ma agiva sempre in prima persona. Quella sarebbe stato la prima volta in decenni in cui avrebbe lasciato l’Accademia nelle mani dei docenti e si vociferava che stesse lavorando dall’anno prima perché nulla fosse lasciato al caso durante la sua assenza.
“Bene, non ho nulla da obbiettare.” Disse infine. “Leggerò con più attenzione e vi farò avere una nota per la prossima riunione.” Soggiunse, ridando la pergamena a Mael. “Adesso, una questione di ordine pratico. Come sapete, quest’anno parteciperemo al Torneo Tremaghi.” Quietò con un immediato cenno il levarsi di mormorii eccitati. “Per quanto riguarda la selezione interna dei Campioni, la scelta è già stata presa e vi verrà comunicata questa sera in refettorio.”
Si sono candidate solo la Weasley e quella lagna dell’Azoulay, più qualche idiota accecato dalla fama e poco realista sulle sue possibilità. Non c’è neppure, una competizione.

“Per la scelta degli accompagnatori invece…” E qui lasciò correre uno sguardo complessivo su tutti loro, la rosa degli studenti meritevoli. Poco importava che metà di loro avessero aspirato alla carica solo per poter indossare la spilla dorata e farsene bello agli occhi degli altri. “ Vorrei che consideraste seriamente alla possibilità di far parte della delegazione. Siete gli studenti migliori della scuola, ed è questa l’immagine che vogliamo portare ad Hogwarts.”
Tutti si dissero d’accordo ma alcuni, dagli sguardi che si lanciarono tra di loro, erano ben poco felici di esser messi di fronte ad una scelta che, se declinata con un sì avrebbe portato a mesi lontano dalla Francia.
Sì, davvero difficile scegliere tra la comodità dell’Accademia e l’ignoto di una gelida scuola scozzese. Chissà se usano pellicce e clave per agghindarsi…   
“Conti già il mio assenso, Madame.” Esordì Mael, presto seguito da un paio d’altri Prefetti. Ma Violet non si sbagliava, la preside guardava soprattutto nella sua direzione.
Comprensibile, pensò compiaciuta, sono il vessillo di Beaux-Batons, in quanto ad eleganza, portamento ed eloquio …
Poi si rese conto che si stava incensando da sola come avrebbe fatto precisamente Dominique. Fece una smorfia e sospirò. “Madame, alcuni di noi devono consultarsi con i propri genitori prima di prendere decisioni del genere.” Ci furono un paio di vigorosi assensi da parte del lato Purosangue del tavolo. “Può darci un paio di giorni per attendere le loro risposte?”
“Non più tardi di domani.” Fu la replica netta. “La nostra delegazione partirà la mattina del tre.”
Due giorni. Perché i Campioni del Torneo possono avere mesi per decidere e noi solo quarantotto ore?

Poi capì: il poco tempo era dovuto al fatto che nessuno, oltre agli aspiranti Campioni, si era proposto di partire.
E chi avrebbe voglia, ripeto, di lasciare la meravigliosa Francia per l’inospitale, arretrata, Scozia?
Per far da bella statutina, poi.
In ogni caso anche se aveva ottenuto un giorno per rifletterci, da parte sua la decisione era già presa. Non le sarebbe servivo scrivere a sua madre per sapere la sua opinione – o meglio, per sapere come si doveva agire in merito.
Ad Hogwarts c’era Scorpius Hyperion Malfoy.
 
****
 
“La carrozza è una figata atomica, Domi!”
Qualsiasi cosa Louis volesse dire con figata atomica, rendeva bene l’idea. Dominique alzò lo sguardo verso la carrozza gigante a forma di casa o la casa a forma di carrozza gigante, era indecisa tra le due terminologie. Con quella avrebbero viaggiato fino alla Scozia e in quella avrebbero dormito per tutta la durata del Tremaghi.
Un po’ le dispiaceva, perché a sentire Victoire, Hogwarts era un posto da paura in cui vivere e aggirarsi.
“Sì Lu, proprio una roba del genere.” Convenne arruffando i capelli al fratellino venuto a salutarla.

C’era una gran eccitazione di bauli, Famigli, amici e saluti commossi fuori dal cancello, dove la carrozza era stata parcheggiata. Dominique doveva ancora sistemare il suo baule – viaggiava leggera lei – ma non se ne preoccupava. Si stava godendo il suo addio speciale a Beaux Batons, che avrebbe rivisto solo per la cerimonia del Diploma.
Addio ai monti, alle valli, alla foresta, agli unicorni, ai raid in cucina, a quella volta che ho distrutto una balaustra di marmo giocando Quidditch Indoor, mai capito che volesse dire…
“Domi!” La riscosse sua sorella. Victoire, la bella Victoire aveva finalmente trovato la sua vocazione. Ovvero assistente della professoressa di Incantesimi. Ne erano rimasti tutti stupiti, ma lei no. In questo lei e La Perfettissima si somigliavano: aveva bisogno di qualcosa di concreto tra le mani per star bene.
E meno male che alla fine se n’è accorta.
“Eh.” La apostrofò con uno sbuffo. Sapeva che stava per arrivare la ramanzina. Quella per lettera se l’era già sorbita la sera prima da sua madre.
Victoire le aggiustò la giacca dell’uniforme, lisciandone una piega con aria critica. “Mi raccomando…”
Dominique si tappò le orecchie con le mani e le sorrise allegramente. “No-o. Andiamo sorella, già calata nella parte della professorina?” Domandò, beandosi dell’aria contratta dell’altra, che era ovvio stesse trattenendo una risata, nel tentativo di sembrare responsabile.
Sì, tu. Quando sei tornata dall’Inghilterra, dopo aver scoperto che Teddy adesso va ad ometti hai passato una settimana a Parigi, e dubito, dalle foto che ho scovato sotto il tuo letto, che ti si possa definire responsabile, sorellina…
Ma non lo disse, perché le voleva bene. “Sta’ tranquilla.” Disse invece. “Terrò alto l’onore degli Weasley francesi.”
“Vorrei ben dire.” Sospirò, lanciando uno sguardo alle sue spalle. Sembrò riconoscere qualcuno, stupirsene e poi far di tutto per non farglielo notare. Si spostò pure per oscurarle la visuale.
Uh?
“Domi, lo sai che … Insomma, che in delegazione c’è anche Violet?” Disse infine, forse rendendosi conto che tanto l’avrebbe scoperto da sola.
“Sì, lo so.” Replicò tranquilla. “Me l’ha detto Mael. È stata una delle poche Sangu-pur a proporsi.”
“Ah.” Le lanciò un’occhiata bizzarra. “E a te … sta bene?”
“Può fare quello che vuole, è un paese libero.” Replicò perplessa. “Certo, lo trovo strano dato che ha sempre detto che l’Inghilterra le fa schifo, ma avrà i suoi motivi. Oppure ha preso una botta in testa.”
Victoire fece un lungo sospiro. Sembrava delusa dalla sua risposta, anche se non capiva il perché.

Piggie può fare ciò che vuole. Voglio dire, non è perché ci siamo mollate che dobbiamo stare a chilometri l’una dall’altra o non frequentare gli stessi posti.
Normalmente la gente fa così?
Sentì il pollice infilarlesi in bocca e ne morse l’unghia, strappando l’ennesima, povera e innocente, cuticola. Sarebbe ricresciuta. “Vì, è okay.” Le assicurò. “Non ne facciamo un romanzo in tre atti. Non è che tutti si rinchiudono in camera ad ascoltare Je ne Regrette Rien a volume altissimo per un mese di fila. Tipo te.”
Sua sorella avvampò, lanciandole un’occhiataccia. “Mi sto preoccupando per te, testa matta.”
Dominique la abbracciò di slancio, anche per evitare che continuasse a tentare di metterle a posto l’uniforme. “Ed io ti dico che non ce n’è bisogno. Ho ben altre cose a cui pensare.” Ed era vero. Il Torneo sembrava averli raggiunti già lì. Sentiva l’aria elettrica, percorsa da scariche di eccitazione ed adrenalina. Era una sensazione forte, buona. Le piaceva.
Victoire ricambiò brevemente l’abbraccio, prima di tirarsi indietro per darle un’occhiata complessiva. Sorrise. “Sei una forza, Domi. Distruttrice, a volte, ma se c’è qualcuno che può vincere il Tremaghi, quella sei tu.” Dichiarò.
“Naturale che sarò io.” Le strizzò l’occhio, perché commuoversi per l’ovvio era sciocco. Venne poi placcata dall’altra piccola forza in miniatura della famiglia.
“Domi, non te ne andare!” Esclamò Louis con gli occhioni pieni di lacrime. Era un attore consumato, Poil de Carotte. “Mi annoierò a morte senza di te!”
Si chinò alla sua altezza e scrollandolo un po’ per le spalle. “Non dire cavolate.” Ghignò. “In mia assenza dovrai esser tu quello Weasley e matto.”

“Anche no.” Si inserì Victoire aggrottando le sopracciglia. “Louis, non osare darle retta.”
Il dodicenne fece un lieve sorriso incrinato, guadagnandosi un’occhiata commossa della sorella maggiore. “Sarò troppo triste per combinare guai…”
Piccolo, stupendo, grandioso bugiardo – pensò con affetto arruffandogli quei capelli impossibili, ben diversi dal fenotipo Delacour. Rossi, spessi e anglosassoni al cento per cento. Glieli invidiava un po’. “Vedi di riprenderti invece, con un Weasley in Accademia non esiste che non esploda qualcosa entro la fine del mese, chiaro?”

“Sissignore!”
“Dominique!”
Rise, imitata dall’altro, che stava già pensando come tener fede alla promessa dall’espressione monella che aveva dipinto in viso. La abbracciò poi, stritolandola come si conveniva tra fratelli e sorelle. “Scrivimi tutti i giorni.” Le ordinò. “Se non lo fai giuro che mi comporto bene!”
“Ci proverò, sai che non son tipa da Gufo.” Gli diede una pacchetta sulla schiena. “Qualche messaggio da portare ai cugini?”

“Mh.” Considerò grattandosi il mento. “Rosie è diventata piuttosto carina dall’ultima volta che l’ho vista, ma Lily è proprio uno schianto. Le chiedi se è fidanzata?”
“Louis…” Sospirò Victoire, ormai rassegnata al fatto di avere fratelli che andavano oltre la possibilità di esser recuperati. “Mi raccomando, Domi, cerca di non metterti nei guai.”
“È proprio quello che non ho intenzione di fare.” Le rispose, lasciandola interdetta su cosa avesse o meno promesso. Vide poi Louis – pure lui! – guardare oltre le sue spalle e fare il suo Comprovato Sorriso da Conquistatore.

“Violet!” Esclamò liberandosi dal suo abbracciò e superandola. “Ciao! Sei venuta a salutare Dominique?”
Se c’era un Dio delle Gaffe, in quel momento si stava accarezzando la barba compiaciuto, a giudicare dall’espressione di profondo imbarazzo dipinta sul viso di Piggie.  A dirla tutta, neanche lei si sentiva troppo a suo agio.
Uh? Cos’è questa sensazione spiacevole? Orrore!
Inaspettatamente, Violet non eluse il discorso ignorando suo fratello o peggio, rispondendogli con acredine. Invece fece un piccolo sorriso conciliante. “Ciao Louis.” Quindi si conoscevano? Forse alla festa. Louis aveva il pallino di voler conoscere chiunque entrasse nel suo campo visivo. “No, parto anche io. Sono nella delegazione.”
“Eh?” Il dodicenne fece una comica smorfia addolorata. “Non anche tu! Quest’anno sarà orribile! Dai, l’Inghilterra è brutta, resta qui! Non possono andarsene tutte le belle ragazze!”
Violet rise – eh? – e scosse la testa. “Mi dispiace.” Fece poi un mezzo sorriso impacciato, e Dominique ricordò in un flash come fosse lo stesso che le rivolgeva dopo essersi baciate, quando non era arrabbiata con lei per qualcosa.
“Domi, quelle unghie, ti stanno sanguinando…” Mormorò con riprovazione sua sorella, prima di fare la faccia di chi aveva capito. Le guardò e poi tacque fissandola con aria dispiaciuta.
Dispiaciuta di cosa?  
“Uffa!” Sbuffò il dodicenne. “Beh, almeno sono più tranquillo … Se ci sei tu che badi a mia sorella, dico.”
 
 
Sembrava una di quelle irritanti pieces teatrali dove i dialoghi sembravano puntare verso la commedia degli inganni. O un unico, imbarazzante, sottointeso.
Sì, ma noi ci siamo lasciate.
Non che potesse rispondere così, naturalmente. Louis neppure sapeva che lei e sua sorella avevano avuto una storia. Nessuno lo sapeva.
A parte Victoire Weasley, che la guardava come se volesse darla in pasto ad una Manticora. Era quasi tranquillizzante però.
Perlomeno ne ha parlato con qualcuno …
Stava tentando in tutti i modi di non guardare verso Dominique, ma non era facile dato che la dannata sembrava volerle fare un dipinto a memoria. Finì per lanciarle un’occhiata. I loro sguardi si incrociarono, ma non riuscì a sostenerlo per più di qualche secondo.
È tutta colpa tua. Io ci ho provato … Non hai neanche realizzato che stessimo assieme, vero?
Per te era tutto un gioco. Non hai mosso un dito quando me ne sono andata.
È evidente, non ti importava.
Quella serie di pensieri ebbero il potere di deprimerla, aggiungendosi al già poco lieto stato d’animo con cui si accomiatava da quella che era stata la sua casa per sette lunghi anni.
“Devo andare. Ho ancora il mio baule da far caricare, e delle persone da salutare.” Sorrise al ragazzino. “Buon anno scolastico.”
Louis ricambiò l’augurio con un mezzo sorriso perplesso. Non capiva forse perché fosse sceso quel gelo improvviso. Lei sì, fin troppo bene.

Violet voltò le spalle ai tre fratelli e tornò in mezzo alla calca. Fece in modo che il suo baule fosse caricato con tutte le attenzioni, e si fece dare il numero della sua stanza. La carrozza era infatti talmente grande da poter esser divisa in piccole stanze da due, massimo tre persone. Arrivò alla sua che scoprì con scorno essere tripla.
Altre due persone con cui passare mesi nello spazio vitale che ne farebbe star comoda al massimo una.
Meraviglioso.
Si sarebbe pentita della sua scelta se in realtà ne avesse fatta una: non appena sua madre aveva saputo dell’intera faccenda le aveva scritto immediatamente, sostenendo che non vi era occasione migliore per conoscere il figlio dei Malfoy.
‘Così non dovremo aspettare un loro invito per tornare in Inghilterra. È destino tesoro, me lo sento’
Meraviglioso. Davvero meraviglioso.
Si sedette sul letto, godendosi la momentanea assenza di altre forme di vita. Da quel momento in poi avrebbe contato quei momenti sulle dita di una mano. Finì poi per stendercisi – era una brandina, a dirla tutta – e premere il viso sul cuscino fresco di bucato. Almeno aveva lo stesso odore di fiori che c’era a scuola.
In realtà il disagio peggiore sarebbe stato avere a che fare con la Weasley. La loro delegazione infatti, a detta della Madame, si sarebbe mossa come un solo uomo per la maggior parte del tempo.
Chiuse gli occhi, sentendo le ciglia umide. Poteva far finta che fosse una rottura come ce n’era tante, e lo era, ma non si sentiva come quando aveva lasciato Louise in Costa Azzurra. Aveva provato tristezza, aveva pianto, ma tenendo a mente che era una storia destinata a durare lo spazio di un’estate.
(Senza contare che razza di stronza si fosse poi rivelata la sua Prima Volta.)
Con Dominique era diverso.
Non ho mai pensato avessimo una data di scadenza. Avrei dovuto forse, ma…
Sentì dei passi pesanti fuori dalla porta, e scattò sul letto, lanciando un veloce Incantesimo Decongestionante agli occhi. Era diventata bravissima con quella particolare magia. Quando la porta si aprì  era già voltata di spalle, presa ad osservare gli ultimi commiati e la Preside che intimava a tutti di salire.
 
Piggie?
 
Violet si voltò a rallentatore e, come in una commedia scritta da uno scrittore mediocre, Dominique si stagliava, alta e stupenda come sempre, sullo stipite della porta.
“Ma dormi qui anche tu?”
 
Pessima. Davvero una pessima svolta di trama.
 
****
 
Dominique non era mai stata ad Hogwarts, ma adesso capiva perché, a distanza di anni, sua sorella la rimpiangesse tanto.
Era un posto magico. E descriverlo così non era esser banali, era un mero dato di fatto. Le imponenti mura del castello sembravano traspirare la forza quieta di centinaia di anni, in cui ogni singola pietra aveva contribuito a formare la gioventù magica britannica.
Ovviamente Dominique sapeva poco o nulla di tutto quello, si limitava a fissare con un vago sorriso eccitato le merlature e le infinite finestrelle che si aprivano sulla foresta sterminata alle loro spalle e l’altrettanto sterminato lago, scuro e limaccioso al punto giusto.
Wow. Peccato non esser rimasti nella vecchia, cara Inghilterra. 
Mael accanto a lei sospirò, stringendosi nella leggera giacca dell’uniforme, inadatta a quel tempo umido e in odore di pioggia.
“Morgana, che freddo!” Sibilò stringendosi le braccia al petto. “Quando pensano di farci entrare?”
“Si stanno preparando per il nostro arrivo, ninfetto, datti pace.” Replicò pratica, chiedendosi se sarebbe stato possibile fare un giro della foresta quella sera stessa. Sapeva che c’era un guardiacaccia, ma il vero cicerone che avrebbe voluto era Rubeus Hagrid, mezzo gigante che si diceva conoscesse quell’intrico di alberi come le tasche del suo pastrano.
Perlomeno così mi ha detto Hugo quest’estate.
I lamenti di Mael non erano però i soli. Tutti si lamentavano in vari gradi di insofferenza, tranne ovviamente la Preside che era sparita all’interno del castello una ventina di minuti prima.
“Ma quanto ci mette?” Si lamentò ancora suo cugino, stavolta approvato da gesti e sguardi.
Dominique lanciò un’occhiata verso Violet. Stringeva le braccia al petto e aveva una linea sottile e seccata al posto delle labbra, ma era l’unica a non aver espresso verbo. Guardava il castello con la tipica aria di chi stava rimuginando troppo.
Ah, vero, i suoi genitori sono inglesi, sono andati qui … Chissà se ci conosce qualcuno.
Sicuro avrà meno problemi con la lingua di molti di noi.
Era un pensiero noioso, e lo abbandonò subito, non appena vide la Preside tornare in compagnia di un omone nerboruto e vestito di quelle che sembravano pellicce di volpe cucite assieme.
Hagrid!
Fece un mezzo sogghigno quando raggiungendoli, l’ex-guardiacaccia la notò e sorrise di rimando dopo aver salutato l’intirizzita delegazione. “Ah, ci abbiamo una Weasley, anche. Domi, la sorella di Vicky, vero?” La apostrofò.
“In persona.” Convenne. “La mia fama mi precede?”
“Uno Weasley si riconosce a naso, anche se non ci ha i capelli rossi!” Rise l’uomo. “Ci piace la nostra scuola?”
“La adoro.”  
“Hagrìd, credo sia il momonto di farli entrare, n’est pas?” Lo apostrofò la Preside, con l’aria paziente di chi conosceva da anni la persona che aveva di fronte a sé.
“Sicuro! Venite ragazzi, da questa parte … Ah, restate sulla strada sterrata, che ci ha piovuto di questi giorni e vi inzaccherate tutti sennò!”
Dominique rise delle espressioni smarrite dei compagni. Era chiaro che tra l’accento e il parlare sgrammaticato avessero capito poco o niente.

Mael la squadrò devastato. “Se qui parlano tutti così siamo fregati. Ma che lingua è?” Pigolò.
“Tranquillo, Hagrid è un’eccezione, più o meno capirai tutti.” Lo rassicurò e inevitabilmente finì per incrociare lo sguardo con Violet, che invece doveva aver capito alla perfezione.

Vide l’angolo di un sorriso bagnarle le labbra, ma poi distolse subito lo sguardo e lo piantò verso il castello, convenendo in francese ad una rimostranza di una vicina.
La Preside tolse tutti di impaccio e tradusse diligentemente. Poi, fu tempo di muoversi.

 
 
La Sala Grande di Hogwarts era completamente diversa dalla loro e Dominique l’amò all’istante. Ricordava i racconti della sorella, ma rendevano solo un quinto di ciò che era veramente. Gli stendardi delle quattro Case della scuola che beccheggiavano coloratissimi ad un vento di fattura magica, i tavoli di legno scuro e lustro ospitavano un brulicare di teste rosse, scure e bionde vestite di splendide, comode uniformi monocolore diverse solo nei cravattini, usati sia per i maschi che per le femmine. Con quelle, pensò, andare nella foresta doveva essere una passeggiata. Per finire, ben quattro lugubri fantasmi aleggiavano nel tripudio di candele, unica illuminazione.
Grande!
Dominique, incasellata in fila con gli altri, con la schiena dritta e al braccio dell’unico maschio più alto di lei, si sentiva un po’ a casa.
“Guarda il soffitto, Domi!” Esclamò Mael a bassa voce, tenendo le labbra strette per non rischiar di romper l’armonia della loro entrata.
“È incantato per riflettere il tempo atmosferico che c’è fuori. Forte, eh?” Lo apostrofò di rimando, senza preoccuparsi di esser troppo discreta. Si sentì infatti strattonare dal suo cavaliere. “Rifallo e ti spezzo il gomito.” Lo avvertì gentilmente, vedendolo poi impallidire.
La gente non sa apprezzare chi notifica con sincerità.
Era una fila estremamente azzurra, lo sapeva, molto compatta e leziosa. Al loro entrare vide negli occhi degli hogwartsiani stupore, ammirazione e rimbecillimento nel caso dei maschi. Represse un suono esasperato.
Morgana, se odio queste smancerie!
Si tirò un po’ su di morale quando individuò i cugini nella marea di britanni; Rose dai capelli color castagna, la faccia buffa – faceva delle smorfie esilaranti e inconsapevoli – e il fulvo Hugo dall’intelligenza da asso e la goffaggine da anatroccolo. Poi arrivarono i fratelli Potter, la cui unica somiglianza era non somigliarsi affatto. C’era Lils, la più piccola, l’anomalia del Clan, bassina, gran tette, senza una singola lentiggine e con i capelli rossi come le scaglie di un Petardo Cinese. C’era Sissy il Serpeverde-oh-Merlino-sul-serio?con l’aria perenne della principessa in pericolo. C’era però un motivo se era finito dov’era finito, considerando che nessuno cugino sano di mente lo aveva mai maltrattato, non senza incappare in qualche strambo e macabro incidente.
Infine Jamie il maggiore, dai capelli arruffati, l’aria spavalda e una voglia di far casino che poteva solo spingerla a stringergli la mano ad ogni festa comandata. Ora quella voglia s’era un po’ spenta da quando aveva scoperto che era il motivo per cui Teddy aveva deciso di passare ufficialmente agli uomini, ma non poteva neppure fargliene una colpa.
Comunque, non dovrebbe già essersi diplomato?
Forse era venuto lì per Ted. Lo salutò con un cenno della testa, e l’antico quasi-cognato ricambiò con un sorriso alzando la mano in risposta. Aveva i capelli di nuovo multicolor. Sembrava felice.
Buon per te, Teddy.
Vide poi le cugine guardare nella sua direzione, stupirsi – di cosa poi? – e ridacchiare per una battuta di Lily. Ricambiò con un occhiolino e per poco il suo cavaliere non la trascinò via di peso.
Gli sorrise, premendo le dita sui bicipiti e facendogli ingoiare un gemito dolorante. “Lo vuoi proprio perdere questo gomito, Coso?” Ma non l’avrebbe fatto sul serio: la Preside vigilava costantemente sul suo comportamento. Durante il viaggio aveva passato più tempo a correggerle modi di dire e di fare che a tutti gli altri messi assieme.
Evvabbeh che vuoi fare bella figura … ma c’è bisogno di rompere tanto? So come ci si comporta!
Più o meno.

Si sedettero finalmente ad uno dei tavoli, quello della Casa di sua sorella, la riconobbe dai colori.
Dominique tirò un sospiro di sollievo, sperando che l’altra delegazione arrivasse in fretta, che aveva una gran voglia di tornare alla carrozza e liberarsi di quell’orrendo cappellino che la Preside l’aveva obbligata a portare. C’erano volute una trentina di forcine e tanta magia per farglielo rimanere in testa.
Che poi, da quando è una colpa amare i capelli corti? Sono comodi!
Quando anche Durmstrang si fu seduta, e i tipi del Ministero finirono di ciarlare, Dominique si permise di guardare verso la Coppa. Il fuoco che vi balugginava all’interno era quasi ipnotizzante. Lo fissò finché non le fecero male agli occhi, poi prese a mangiare di buon gusto. Il cappello le dava il prurito.
Fallo per la gloria. Fallo per la gloria.
Nella foga di tagliare una costoletta diede bruscamente una gomitata alla sua vicina, una tizia inglese.
“Scusa.” Borbottò distratta.
“Sei la sorella di Victoire Weasley, Dominique?” Le chiese la corvonero senza dar segno di essersela presa. Dominique alzò lo sguardo perplessa, prima di ricordarsi che dovevano esserci tipe della sua età che dovevano aver visto La Perfettissima calcare quei pietrosi corridoi.
“In persona.” Confermò alla tipa che la guardava con tranquilla curiosità, invece che con il timore reverenziale di cui la omaggiavano i suoi vicini, maschi.
Dev’essere per i miei capelli … ah, no. Ho il fottuto cappello.
“Io sono Morag.” Le tese la mano. “Mi ricordo di Victoire, parlava spesso di una sorella che amava i draghi.” Vedendo che non recepiva, parve rendersi conto di aver tralasciato qualcosa. Roteò gli occhi al cielo. “Scusami, … Morag MacFusty.” Si presentò nuovamente.
A Dominique si accese un Lumos in testa. Gliela strinse immediatamente “Dei MacFusty delle Ebridi?”

La ragazza sorrise. “Gli unici pazzi a tenere in piedi una riserva in uno sputo di isole, già.” Aveva una fila di denti dritti da copertina di StregaOggi e lineamenti altrettanto indicati, ma a ben guardarla anche il viso abbronzato e segni di vecchie scottature sulle mani. I sintomi del Guardiano c’erano tutti. La stretta poi, forte e salda, era quello più evidente.
Si voltò completamente verso la scozzese, dando le spalle ad un offesissimo Mael a giudicare dal suono indignato che si sentì esclamare dietro. Forse era perché le stava parlando?
“Non sapevo ci fossero tipe della mia età nella vostra riserva. L’ho visitata a Marzo di due anni fa con mio zio Charlie, ma non ti ho vista.”
“Beh, è normale, sai com’è.” Indicò con un cenno della testa lo stendardo sopra di loro. “La scuola. E poi metà della mio clan abita nella Skye¹, vicino a Portree. Solo mio zio Aodhàn e i miei cugini vivono nella riserva. Io ci vado quando posso, soprattutto d’estate. È loro che hai visto ?” Dominique annuì. “Comunque ho conosciuto Charlie. Che tipo…” Fece un sorrisetto. “… tosto Per stare in Romania devi esserlo, credo.” Sembrava una chiacchierona e aveva un accento così marcato che se non avesse avuto parenti inglesi non avrebbe capito neanche una parola di quei suoni pastosi e contratti, ma non le dava o fastidio. Dopotutto, erano i concetti ad essere importanti, e quelli li capiva.
“Che t’ha detto di me?”
Morag inarcò le sopracciglia sorpresa, poi ridacchiò. “Sì, è vero … mi ha parlato tanto di te. Cose buone.” Aggiunse subito. “È un peccato che non ci siamo viste quando sei venuta. Mi ha detto che saremo andate d’accordo.” Proclamò tranquilla. “Penso che potrebbe aver ragione.”
Dominique non aveva mai ricevuto una richiesta di amicizia così schietta. Scoprì che le piacque, perché il nero su bianco era una cosa che la metteva immediatamente di buon’umore.
Niente doppi sensi, strani silenzi e occhiate incazzate.
Sorrise di rimando. “Penso anch’io.”  
 
Violet aveva visto finalmente il famigerato Scorpius Hyperion.
Se in foto aveva l’aria del perfetto principino Purosangue che ricordava, dal vivo era un personaggio ben più esuberante. L’aveva visto confabulare animatamente al tavolo dei Grifondoro – le pareva si chiamassero.

Sembrava un tipo piuttosto anonimo con quei capelli troppo chiari e il volto spigoloso. Certo, era abbastanza alto da essere annoverato tra la gioventù ‘prestante’, ma rispetto ad Allard era bruttino. E quando parlava gesticolava troppo: aveva rischiato più volte di cavare un occhio al moretto senza uniforme con cui stava chiacchierando.
Così sarà lui che dovrò circuire con le mie esperte arti femminili.
Nascose una smorfia sarcastica e si sedette al tavolo che corrispondeva allo stendardo bronzo-blu. Pecoranera, forse? No, vi era dipinta un aquila. Non se lo ricordava.
Tra di lei e la Weasley c’era l’intera delegazione, ma sfortunatamente era ancora a tiro d’occhio. La vide contemplare per un noiosissimo tempo infinito la Coppa – le sue intenzioni erano talmente cristalline da essere imbarazzanti – e poi gettarsi sull’unto cibo britannico come la selvaggia che era. Nella foga tirò persino una gomitata ad una delle studentesse di QualunqueFosseQuellaCasa. Quella invece di prendersela squadernò un gran sorriso e prese a ciarlare a raffica.
Gli inglesi sono tutti così espansivi?
Ne dubitava. Dominique sembrò però gradire quel fiume di chiacchiere, da come diede le spalle alla loro delegazione per rispondere. Si conoscevano, forse?
Ha amici in qualsiasi parte del globo e di qualsiasi razza, etnia, estrazione sociale e magica… Può essere.
Si strinsero la mano. No, se si stavano presentando era ovvio non si conoscessero. La ragazza sembrava piuttosto carina con quei capelli castani, mossi e i lineamenti delicati. Belle labbra. Anche un bel fisico da quel che ne poteva dedurre con un tavolo a nasconderle metà del corpo. Sportivo.
Violet allontanò con un gesto brusco il proprio piatto ancora vuoto. Le venne lanciata qualche occhiata ma nessuno parve stupirsi del suo gesto.
Lo sapevano tutti che a Violet Parkinson-Goyle rodeva sempre per qualcosa.
 
****
 
4 Settembre 2023
Scozia, Hogwarts, Sala Grande.
 
Stare ad Hogwarts non era poi così diverso che stare in Francia. Le lezioni, scoprì Dominique dopo una mattina passata a bearsi dei suoni della lingua inglese, non erano diverse, né i professori sembravano più inflessibili. L’unica discrepanza percepibile era il clima, umidiccio e piovoso persino ad estate appena finita. Gli altri ne avevano risentito molto, ma non lei, abituata al clima impietoso delle alture rumene. Aveva infatti passato tutto il pomeriggio del giorno prima con Hagrid, negli infiniti viottoli e sentieri della meravigliosa Foresta Proibita – con un nome così, doveva essere favolosa per forza.
Hogwarts le piaceva un casino.
L’unica pecca era forse il cibo, dato che pesante e condito com’era risultava indigesto alla maggior parte di loro, lei compresa. Ma il suo stomaco conservava una buona memoria delle cene alla Tana e riusciva a scansare la maggior parte della roba indigeribile in favore di zuppe di legumi e arrosto.
“Detesto il cibo inglese… è così grasso²!” Sibilò Mael, seduto accanto a lei, con uno sguardo così affranto che un paio di Corvonero femmine trattennero il fiato, commosse. “E fa un freddo micidiale. Perché non ci hanno detto che faceva così freddo? La Scozia è orribile.”
“Se non la pianti di piagnucolare qualche inglesina vorrà farti da balia scatenando un incidente diplomatico… Tieni a freno i tuoi poteri, ninfetto. 
“Sei solo invidiosa perché sono più Veela di te!”
“Sei anche più femminile di me, ma evito di fartelo notare.”
Dominique rise dell’espressione infuriata di Mael che, per quanto fosse una ragazzina, detestava gli venisse detto in faccia. Non fece però in tempo ad attaccare la sua cena che si trovò sua cugina Rose impalata davanti.
“Hai un minuto?”
Sapeva che doveva rifuggire la marea di beghe che l’altra portava scritto in fronte, ma non ci fu modo. Fu così tirata via dal tavolo e praticamente spinta nell’angolo più solitario della sala.
Evvabbeh.
Rose era la cugina che più gli era simpatica, a dirla tutta. Aveva il cervello fino, ma soprattutto un gran cuore dietro tutte quelle smorfie e occhi roteanti dall’esasperazione. Un po’ maestrina, ma in gamba.
Le ricordava Violet.
“Mi devi dire se conosci una persona… una certa Violet.”
Nominavi il Troll, e spuntava la clava. Dominique drizzò le orecchie, sentendo uno strano fastidio attraversarla come una scossa elettrica.
Come fa a conoscerla?
Piggie in quei due giorni aveva rifuggito le lezioni condivise con gli hogwartsiani, preferendo rimanere in carrozza con lo sparuto gruppo di studio individuale che la Preside aveva dovuto concedere in cambio di una delegazione corposa. Non ce la vedeva proprio a stringere amicizia con una come sua cugina.
“Pare che sia una specie di probabile moglie combinata per Scorpius. Sai, approvata dall’intera Casata dei Malfoy…”
Scorpius? Il SimpaticoMalfoy?
Era la fiamma di Rose e questo spiegava l’aria lugubre che si portava dietro come una sposa novella avrebbe fatto con il proprio velo.
Il che spiegherebbe finalmente la presenza di Piggie qui. È venuta a caccia di rampolli.
La scossa elettrica si ripresentò facendole fare una smorfia. Naturalmente non erano più fatti suoi cosa Violet decideva di fare della sua vita.
Non che lo fossero manco prima. M’aveva fatto capire chiaro e tondo che si sarebbe comunque sposata con qualcuno sponsorizzato da sua madre.
Poi si accorse che l’altra aspettava una risposta. “Beh… Non è il genere di persona con cui mi accompagno a scuola, ma è a posto, credo.” Era il massimo che poteva dirle, date le contingenze.  
“Definiscimi a posto.”
Dominique sbuffò; Rose era come un Crup quando ci si metteva. Non avrebbe mollato la presa finché non le avrebbe dato le risposte che cercava. “Non so, non la conosco bene…” Cominciò riluttante. Poi finì per dire più di quanto avrebbe dovuto. “So che è Purosangue, che i suoi genitori sono inglesi e che si sono trasferiti in Francia quando lei non era ancora nata. Pare che giri la voce che abbiano avuto problemi con il Ministero all’epoca di Voldemort. È nel club di Florigrafia.”   
Ah.” Rose sembrava aver perso ogni spinta loquace. Non era la sola. Aveva una gran voglia di riprendere a farsi i fatti propri. Come aveva sempre fatto. I fatti propri erano una gran cosa.
“E com’è fatta? È carina?”
“Che ne so! Non guardo le ragazze!” Sbottò brusca. Che non era manco vero, e si stupì di quella sua uscita idiota. Ma Rose non sembrò avvedersene, forse troppo presa nelle sue paturnie.

Voglio andare a cena, mangiare, scrivere il mio nome in un dannato pezzo di pergamena e buttarlo dentro il Calice. Lasciami andare!
Vedendo che l’altra non si muoveva di un millimetro le indicò dove si trovava.  
“Quella lì. Capelli neri, treccia lunga.”
Osservò Rose impallidire, neanche si fosse trovata a dover competere con una Veela. Piggie, con i suoi chiletti di troppo, il naso a patata e il carattere terrificante non lo era, e lo sosteneva a ragion veduta.  
A lei però era sempre piaciuta un sacco.  
E mi piace ancora.
L’idea che si fosse trovata un altro spasimante, o che ne cercasse uno la riempiva di un malessere collerico. Non le piaceva l’idea di vederla con uno come Malfoy, un tipo ganzo, non un coglione come Allard. L’aveva conosciuto e le era piaciuto a pelle. Non poteva avercela con Malfoy perché sì. Era frustrante.
Victoire aveva detto che sarebbe andata meglio. Vero, non si sentiva più come se qualcuno le avesse tirato una Pluffa in faccia, c’erano momenti in cui le sembrava assurdo aver avuto una storia, la sua prima storia, con Violet Parkinson-Goyle.
E c’erano momenti come quello, dove si ricordava perché.  
Vide Rose scappare senza una parola. “Rosie!” La richiamò indietro, più per posa che per reale voglia.
La troverà Sissy o qualcun altro… Io proprio con queste cose non ci so fare. S’è visto, no?
Tornò al tavolo, guardando il foglietto con schizzato sopra il suo nome. L’avrebbe messo nel Calice e da lì sarebbero ufficialmente partite le danze.
Semplice. Lineare. Alla grande.
Mael le lanciò un’occhiata, rinunciando ad una sicura lamentela che gli si stava formando sulle labbra. “Domi, che hai?” Le chiese. “Hai parlato con tua cugina ed hai cambiato espressione.”
“Nulla?” Sapeva di esasperare tutti con quella sua indifferenza. Ma che altro avrebbe dovuto fare? Lamentarsi e piangere non avrebbe riportato le cose a posto. Per quanto ne sapeva, certe cose si rompeva e basta.
Mael scosse la testa. “Non è nulla. C’entra Violet?” La guardò in faccia e sgranò gli occhi. “Oh, Morgana … c’entra Violet.” Aggrottò le sopracciglia. “È perché si dice in giro che voglia trovarsi un marito inglese?”
Ah, lo sa. Beh, cosa Mael non sa di chiunque?
Dominique sospirò. Non capiva perché la gente avesse sempre tutta quella smania di commentare i sentimenti altrui. Si rigirò il foglio di carta tra le dita, stropicciandolo, tastandone la grana.

“Avete … cioè, c’è stato qualcosa tra di voi? Perché con l’anno scorso e quella brutta storia con Allard…”
Fu costretta a parlare anche se non voleva. “Se ti azzardi a dire un’altra parola con l’intenzione di dirlo a chiunque, giuro che ti rendo una ninfetta.”
Non era per lei, naturalmente. Era per Piggie. E si sentiva doppiamente stupida per quello.

Ma vuoi proteggerla, no?
Mael si fece serio. “Se me lo chiedi tu, non aprirò bocca neanche sotto maledizione.”
Era vero. Mael poteva essere il gazzettino della scuola, ma era anche una delle poche persone della cui fedeltà era certa. Suo padre era schizzato via alla velocità della luce non appena, alla sua nascita, sua zia Gabrielle gli aveva confessato il loro essere magici. Poteva sembrare frivolo ed eccessivo nelle sue esternazioni, ma non avrebbe mai tradito l’unica famiglia che aveva, i Delacour.
“Bene, te lo sto chiedendo.” Fece una pausa. “Ti serve una confessione scritta?”
Mael inspirò. “Però … non state più…?”
“No.”

Suo cugino le prese la mano e gliela strinse, con sua sorpresa. Non avevano mai avuto quel tipo di gestualità con lei, forse intuendo che sarebbe stata mal riposta. “A te non è passata, te lo leggo in faccia.” Decretò. “Ne eri…” Fece una pausa poi abbassò la voce ad un sussurro. E meno male che aveva le orecchie buone. “Ne sei innamorata?”
Dominique non aveva tanta esperienza nei rapporti interpersonali, Mael e sua sorella sì. Era così pronta a giurare che quei due biondi ne capissero più di lei. Non che ci volesse tanto, pensò anche.

Si poteva non capirci un accidente, ma si poteva comunque provare. E lei, provava.
“Se è normale faccia ancora un male del diavolo dopo quasi un mese, sì.”
Mael ebbe l’insolito tatto di non aprire bocca e dire la solita sequela di banalità che sciorinava a chiunque, del loro gruppo di amici, venisse mollato. Si limitò a stringerle ancora la mano e forse pregare che non gliela stringesse di rimando, dato che la sua presa non era così mollacciona.
“Domi, ma cos’è successo esattame…”
Cazzo, adesso basta!

Si liberò e si diresse verso il Calice. Vi gettò il foglio di carta e si godette gli applausi dei presenti quando la fiamma azzurra ebbe un guizzo e lo inglobò senza problemi. Era quello il motivo per cui era lì. Punto.
Altri pensieri non erano proprio ammessi. Erano stupidi, l’avrebbero deconcentrata e non era ammissibile che perdesse colpi e rischiasse di perdere quel maledetto Torneo.
Doveva proprio mettersi a cercar marito?
Tornata al tavolo, si trovò di fronte Morag. La riconobbe al volo, anche se non aveva una gran memoria per le facce. Però, di fronte alla marea di persone che le si era presentata e che le era stata presentata dai cugini, quella corvonero spiccava.
I futuri Guardiani si riconoscono a naso.
“Messo il biglietto?” La apostrofò facendole spazio sulla panca. Dominique pensò che poteva anche lasciare la sua roba in consegna a Mael. Non aveva voglia di tornare da lui e affrontare la conversazione di prima. Affatto. “L’ho messo anche io.” Soggiunse. “Anche se non so quante possibilità posso avere contro Malfoy, la piccola Chang e McLaggen … Merlino, magari su quest’ultimo sì!” Sbuffò divertita.
“Malfoy ha messo il suo nome nel Calice?” Fantastico, era anche un Campione. La Vedova Nera – così l’aveva battezzata e non c’era stato uno che non le avesse dato ragione -  doveva essere in sollucchero all’idea che Piggie proponesse le sue grazie ad un tipo del genere.
Ma che mi importa…
Morag la scrutò. “Non ti  è simpatico?” Chiese neutra.
“No, è un tipo a posto.” Si sentì in dovere di chiarire. Non voleva essere segnata nella schiera dei detrattori di un tipo a cui avrebbe offerto una vagonata di Burrobirre, questo solo perché Piggie lo voleva come marito. “È che …” Sbuffò. “Senti, niente in contrario a fare due chiacchiere. Ma possiamo parlar d’altro? Qualunque cosa.”
Morag battè le palpebre, poi annuì. “Nessun problema.” Schiettezza femminile. Dunque esisteva. “So che ogni estate vai in Romania.” Fece un gran sorriso. “Voglio sapere tutto.”
Dominique sorrise di rimando.
 
****
 
Alla fine la Weasley era stata scelta come Campionessa.
Non era stato esattamente sorprendente. Del resto era la migliore, almeno in quanto a prestanza fisica, e aveva la testa nella Coppa, a differenza di tutti loro che si barcamenavano tra la pessima cucina e il freddo abbacinante di quelle terre inospitali.
Violet si gettò uno scialle di mussola sulle spalle, guardando dal piccolo ovale che fungeva da finestra. Dalla carrozza si potevano vedere il Lago Nero e una grossa porzione del Castello: la torre di Grifondoro gli era stata detta fosse quella che si ergeva più alta e illuminata di tutte.  
Sentì alle sue spalle la sua compagna di stanza lamentarsi dei nodi che l’umidità le causava ai capelli, mentre si spazzolava alla ristrettissima toeletta che era stata loro concessa.  
Dov’è finita quella stupida?
Dopo il banchetto in Sala Grande e la scelta del Calice, Dominique era sparita per la Pesa delle Bacchette – rito necessario per controllare che le bacchette dei Campioni fossero adeguate per le prove che avrebbero dovuto affrontare.
Sarebbe dovuta tornare in carrozza, ma non l’aveva fatto. O meglio, vi era tornata subito dopo, ma il tempo di un paio di brindisi con loro ed era scappata con Delacour, spiegando che doveva festeggiare anche con i cugini.
Quelle due notti trascorse in viaggio erano state insopportabilmente tranquille. Dominique si era messa a letto, aveva augurato a lei e alla loro compagna la buonanotte e poi era crollata come un sasso in fondo ad un pozzo asciutto.
L’unica che ha passato la notte con gli occhi sbarrati nel vuoto sono io.
“Tra poco spengo la luce.” La informò l’altra, posando pettine e forcine nel suo beauty. “Pensi che la Weasley tornerà o rimarrà a dormir fuori?”
“Perché dovrebbe rimanere?”  

“I suoi cugini sono quasi tutti di quel Grifondoro … Dicono siano i casinisti della scuola. Forse ha festeggiato troppo.” Fece un mezzo sorrisetto. “Di certo non sarebbe la prima volta, no? Lei, Delacour sono famosi per questo.”
Violet non rispose, preferendo serrare le braccia al petto e contemplare l’oscurità plumbea del lago. Sembrava una tavola d’ossidiana. Non era un brutto spettacolo, a dirla tutta. C’era una certa grazia selvaggia in quei luoghi, ben diversa dall’ordine morbido in cui era immersa l’Accademia.
Comprensibile che le piaccia tanto questo posto. Accento a parte, sembra nata qui.
Chiuse gli occhi, facendo un breve sospiro. “Sì, chiudi pure la luce.” Sospirò. “Vengo a letto anch’io.”
Mentre la compagna scivolava agevolmente nel Regno di Orfeo, Violet non riusciva a distogliere lo sguardo dalla finestrella che, dal suo letto, puntava direttamente sulla luna, meno di un quarto, ma non per questo meno luminosa. Era una luna violenta, ben diversa dall’ambrata falce che vedeva a Beaux-Batons.
Sentì un tramestio improvviso, e capì che la Weasley era rientrata. La sentì togliersi le scarpe e il rumore del cuoio del suo giubbotto lanciato a terra: serrò gli occhi, mentre il respiro accelerava di pari passo con il cuore.
Aveva cercato in tutti i modi di spiegare alla Preside che non voleva condividere la stanza con quella bifolca casinista, ma non c’era stato verso di modificare quella sistemazione.
Anzi, aveva scoperto che a metterle assieme non era stato il caso, ma la donna stessa.
 
“Non siete amiche, forse?”
“Decisamente no Madame. Mi creda, è un disagio per me stare in sua compagnia.”
“Di questo mi dispiace. Devo dunque chiedertelo come un favore.”
“… In che senso?”

“Dominique è una ragazza molto …” E qui aveva fatto una pausa densa di sottointesi, virando poi verso un eufemismo. “… vivace. È una delle papabili Campionesse, quella con più possibilità. Non vederlo sarebbe miope da parte mia.”
“Ma?” C’era sempre quella dannata particella sospesa, in quel genere di discorsi.

Ma è un individualista e spesso prende decisioni egoiste, d’impulso. Quello che dobbiamo evitare, sia io che te, come Prefetto, è che metta la scuola in cattiva luce.”
Aveva sentito un piccolo moto di insofferenza. Dominique era sì un’irresponsabile, ma non in modo stupido. Non avrebbe mai remato contro l’Accademia. Poteva detestare le uniformi, il galateo e le buone maniere che tentavano di inculcarle da sette anni, ma
amava la loro scuola quanto l’amava lei.

“Pensa che potrebbe farlo?”
“Penso che non se ne renderebbe conto. Tu hai influenza su di lei, Violet.”
“Mi rincresce deluderla
Madame, ma…”
“Lei si fida di te.” L’aveva interrotta con lo sguardo di chi era assolutamente certo di qualcosa. Violet non aveva potuto ribattere. “Ha bisogno di qualcuno accanto che non sia completamente abbagliata dalla sua personalità tanto da non vederne i difetti.”

Li vedo eccome i suoi difetti, ma non è questo il punto.

Si finse addormentata quando la sentì avvicinarsi al letto. I movimenti erano lenti, estremamente attenti, troppo.
Ha bevuto. Tanto.
Non aprì gli occhi. L’ultima cosa che voleva era avere una conversazione, dopo settimane, quando l’altra era ubriaca.
Dominique sorpassò la sua brandina e si fermò poco distante. Violet la vide guardare lo stesso panorama che aveva contemplato lei poco prima. Aveva un’espressione assorta, riflessiva, non da lei eppure capace di renderla ancora più bella.
“Piggie, guarda che so che sei sveglia.” La sorprese, parlando a bassa voce. Non erano le sole là dentro. “Il ritmo del respiro è diverso quando si dorme.”
Dannazione.

Spalancò gli occhi, tirandosi a sedere. “Hai bevuto.” La accusò non trovando altro modo per dar sfogo al grumo di sentimenti che si portava dietro dalla festa di Victoire Weasley. “Se ti avesse beccato la Madame …”
“Mi avrebbe fatto il culo, lo so.” Ammise placidamente, infilandosi i pollici nei passanti dei suoi amati jeans logori. “Il decoro dell’Accademia e blablabla.”
“Non prendere sottogamba cose del genere, stupida! Siamo in una scuola straniera e rappresentiamo chi è rimasto a casa, pensi che il tuo atteggiamento sarà scusato?” Sbottò prima di fare un enorme sospiro all’evidenza che non avrebbe istillato nell’altra il minimo senso di colpa. “Hai bisogno di qualcosa?”
L’altra scrollò le spalle, tornando nella contemplazione dell’esterno. Violet sentì che le stava montando un gran malditesta addizionato al voler sbattere la testa contro il muro. “Allora perché mi hai svegliato?”
“Non stavi dormendo.”
“Dove sei stata?” Le uscì contro la sua volontà, ma perfettamente in linea con i suoi pensieri.

“A festeggiare con i miei cugini e altra gente.” Si passò una mano trai capelli. Stavano tornando di una lunghezza femminile e presto dunque sarebbero stati impietosamente tagliati.
“Altra gente come i Corvonero?”
Come quella spilungona con le labbra da Incantatrice?
Dominique non sembrò aver recepito il sottointeso. “Sai, la fratellanza con gli studenti di altre scuole è un po’ il motivo per cui siamo qui. Sto fraternizzando, a differenza della maggior parte di noi.” Fece una pausa. “Ma tu lo sai bene.”  
Violet si sentì arrossire. Che sapesse di Malfoy e delle sue intenzioni in merito? Le pareva assurdo che fosse andata a cercare pettegolezzi su di lei. Ma non impossibile.“Non so di cosa tu stia parlando.” Replicò. “E comunque non sono affari tuoi.”
Qualcosa di molto simile, troppo simile ad un’espressione ferita esplose sul viso dell’altra.
… Non azzardarti. Non…
“Non fa una piega. Buonanotte.” Fece per ribattere ma Dominique uscì come un terremoto dalla stanza, tirandosi la porta dietro e quasi svegliando la loro dormiente compagna. 
 
Mael fu svegliato da qualcosa di pesante che gli piombò nel letto quasi vi fosse stato scaricato. Fece per difendersi quando riconobbe i capelli argentati e l’odore familiare di sapone e cuoio di sua cugina.
“Domi?”
“Fammi dormire da te.” Disse senza mezzi termini. Aveva il respiro che sapeva di succo di zucca e vino elfico. Normale: l’aveva vista bere in modo consistente alla festa organizzata dai Potter Weasley per festeggiare sia lei che Malfoy. Non si era preoccupato però, visto che erano brindisi allegri, in compagnia dei cugini e di un paio di tipe di Corvonero.

“Hai perso la strada per camera tua?”
“No, Violet.”
Mael si scostò senza una parola, preparandosi ad una serie di lunghe, lunghe notti in cui avrebbe dormito sul ciglio del letto.
 
****
 
 
 
Note:
 
Come avrete notato, sto seguendo pedissequamente le vicende di AUL. Solo, diciamo, da un punto di vista diverso. ;)
La canzone è questa qui. L’ho riascoltata dopo tanto tempo. È favolosa.
 
1. Skye, isola: fa parte dell’arcipelago delle Ebridi Interne. Amministrativamente è compresa nella regione scozzese delle Highlands. I principali centri urbani sono Portree e Sconser. Gli abitanti sono famosi per l’alta incidenza con cui parlano lo scozzese gaelico, quasi una seconda lingua. La presenza di esseri umani nell’intera area delle Ebridi è minima e vi sono grandi aree in cui la natura prospera selvaggia e indisturbata. Qui per maggiori informazioni.
Una nota a proposito del clan McFusty: viene riportato ne ‘Animali fantastici: come trovarli’. I suoi appartenenti si occupano da generazioni dei draghi nativi di quelle regioni, ovvero i Neri delle Ebridi. Qui per info.
2. Il dialogo dell’intera scena è riportato, con pochissime differenze, dal capitolo XIII di Ab Umbra Lumen.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Careless // Capitolo III ***




I cut the arrow from your neck / Stretched you beneath the tree

I covered us with silver leaves /We lied, we can't go on
This is the time and this is the place to be alive
(Wine Red, The Hush Sound)
 
 
10 Ottobre 2023
Scozia, Hogwarts, Carrozza di Beaux Batons.
 
Quel mese era volato via come se fossero stati pochi giorni.
Violet era stata completamente inglobata nella routine di Hogwarts e, con suo grande stupore ormai si trovava a parlare più inglese che francese. Del resto, la sua stessa delegazione dopo il primo impatto sembrava aver capito che gli attuali compagni non li avrebbero capiti se non si fossero sbrigati ad imparare le poche basi di quella lingua pietrosa.
Doveva ammettere però che gli scozzesi erano stati sin da subito volenterosi in spiegazioni e in tentativi di instaurare un rapporto, a differenza dei durmstranghiani, chiusi e serrati quasi dovessero proteggere la loro unicità di gente del Nord. Persino lei si era ritrovata a scambiare battute e sorrisi con gli autoctoni, e li aveva trovati molto meno rozzi di quanto non credesse, specialmente in casa Serpeverde. Aveva infatti riconosciuto e chiacchierato con Michel Zabini e Loki Nott, che ricordava come i paggetti di Scorpius, adesso entità singolari e ben separate, il primo un damerino elegante e il secondo un ghignante stronzetto dagli occhi bicolore. Li aveva trovati più interessanti dei suoi compagni di scuola.
Forse anche perché parlano inglese, e ammettilo, l’inglese ti piace.
Più diretto, più efficace. E poi … con chi hai parlato sempre e solo inglese?
Quelle riflessioni la prendevano ancora alla sprovvista e le facevano male ad ogni ora del giorno e della notte – soprattutto di quest’ultima. Anche in quel momento, mentre si stava preparando per le lezioni mattutine, non poté fare a meno di posare le forcine del suo chignon e guardarsi sconsolata allo specchio.
Non riusciva a togliersela dalla testa.

Dominique in compenso sembrava averla felicemente dimenticata, pienamente coinvolta nel suo ruolo di Campionessa.  
Che ti aspettavi?
Sarebbe stata più serena e avrebbe pensato molto meno a quella sciroccata, se le cose con Scorpius Malfoy fossero invece andate lisce.
Non c’era stato il minimo progresso da quando si erano presentati al suo arrivo, il giorno dopo il banchetto inaugurale. Scorpius, quando si era presentata, era parso contento di vederla, o aveva finto molto bene. Era stato il resto del dialogo che l’aveva sconvolta.
 
“Hai fatto un buon viaggio?”
Il tono di voce era il linea con ciò che si aspettava. Un inglese pulito, dato che ai Purosangue, in Inghilterra, era proibito parlare il dialetto della loro zona di provenienza. Quello che la confondeva era il taglio di capelli. A vederlo da vicino, sembrava sin troppo simile a quello esibito da molti dei suoi compagni Nati Babbani.
“Sì, grazie. Hai ricevuto ma lettre?” L’accento francese – falso come l’oro dei Leprecauni – avrebbe aiutato a fargli credere alla storia della sciocca bambolina francese.  
“Ah-ah.” Il secondo campanello d’allarme era stato il trascinarsi di quelle due sillabe. Decisamente rozzo. “Però senti … a me con le ragazze piace esser chiaro.” Il sorriso era simpatico. Simpatico e sciolto e ben poco manieroso. Non assomigliava a quello di Mathieu, né a quello di Zabini e Nott. “Ti spiace, Violet?”
“No, credo … credo di no?” Si era trovata a balbettare come una stupida. Aveva subito sorriso, inserendo un gran sbattere di ciglia. “È un pregio, in un ragazzo.”
L’altro aveva annuito. “Precisamente. Il fatto è che … parliamoci fuori dai denti, sappiamo benissimo perché stiamo avendo questa conversazione, vero? I nostri parenti l’hanno sponsorizzata da morire.” Non le aveva dato il tempo di ribattere. “Sei una ragazza carina, mi sembri anche in gamba … ma non mi interessa.”
“Scusa?” Le era uscito spontaneo e anche molto irritato. L’altro aveva avuto un guizzo divertito nello sguardo, quasi avesse trovato divertente la sua reazione.

“Non mi interessa.” Aveva ripetuto. “Se vuoi che siamo amici come hai scritto per lettera, nessun problema, volentieri. Ho un mucchio di amiche. Non vado d’accordo con i ragazzi, sono troppo fantastico.” Aveva blaterato con un sospiro esagerato e teatrale. “Però sono innamorato e fedele, e questa non è una condizione che cambierà da qui ai prossimi mille anni.” Iperboli, parole in dialetto – peraltro non del Wiltshire, da dove proveniva – capelli assurdi, la mimica disinvolta…
Sembra … sembra un Nato Babbano!
“Sei … sei stato molto chiaro. Questo lo aprezzo.” Aveva recuperato un minimo di dignità e di accento esotico, cercando di sorridere anche se le veniva da urlare. Come osava essere così sfacciato?
E soprattutto, come osa ammettere ad alta voce che non gli importa di quello che i nostri genitori si aspettano da noi?
“Allora saremo amici.” Gli tese la mano, con il suo miglior tono invitante. L’altro replicò, e doveva ammetterlo, quel sorriso, così spontaneo e luminoso, era bello. Non le smuoveva assolutamente nulla, ma la incuriosiva. Com’era possibile che all’erede di una delle famiglie più antiche, classiste e razziste fosse permesso comportarsi in quel modo?
 
Di fronte a tutti poi?
Per distrarsi l’aveva studiato a lungo in quel mese. Non aveva avuto molto tempo da spendere in sua compagnia, dato che anche lui era nella rosa dei Campioni ufficiali, ma l’aveva guardato da lontano, per vedere se quella sua spontaneità fosse a portata di tutti.
Lo era, ed anche di più. L’aveva visto buffoneggiare con un paio di ragazze della sua Casa, scherzare con altri, sorridere a molti. Aveva scoperto da Zabini che il suo migliore amico era il moretto seduto accanto a lui la sera della scelta dei Campioni. James Sirius Potter, il primogenito del famoso Salvatore dei Due Mondi, diplomatosi l’anno prima.  
Scorpius le era sembrato molto legato alla famiglia Potter-Weasley, a giudicare dal fatto che fosse sempre in compagnia di almeno uno dei suoi esponenti, in particolar modo di una scialba ragazza castana. Quando l’aveva scritto a sua madre, quella aveva replicato categoricamente che ciò non era possibile.
Sì, come quando le ho detto che era a Grifondoro. Ma è un dato di fatto. C’è.
Sua madre era impaziente, lo capiva dalle lettere sempre più incalzanti e ravvicinate che le scriveva.
C’era un motivo: avrebbe partorito a Gennaio, e si sarebbe sposata a Dicembre.
Vuole avermi in dirittura di matrimonio, cosicché io sia lontana da casa e sistemata quando lei ricomincerà la sua nuova vita da zero, con una nuova famiglia, migliore.
Lei e sua madre non avevano mai parlato di suo padre e Violet non l’aveva mai conosciuto, essendo morto poco dopo la sua nascita per una malattia contratta in guerra. Sapeva di aver ereditato da lui il suo naso a patata e la tendenza ad ingrassare, tutto lì. Non avevano neppure una foto in casa. Lui e sua madre si erano sposati solo per poter unire quel poco che restava delle loro rispettive fortune.
Era patetico. Era triste e patetico esser figlia di un’unione simile.
Normale che mamma voglia rifarsi una vita con una famiglia che stavolta ha scelto lei.
Fissò l’ultima forcina della sua acconciatura e sospirò. Tutti quei pensieri non le facevano bene, ma come poteva impedirsi di averne? Era come se Hogwarts, con i suoi costumi rilassati e la presenza massiccia di cultura Babbana la mettesse tutti i giorni di fronte ad uno stupefacente fatto compiuto.
Il mondo è molto diverso da come lo intendo io.
Quella fu l’ultima riflessione che ebbe, perché la porta si spalancò ed entrò Dominique. Da giorni dormiva in camera di Delacour e tornava solo per prender qualcosa dal bagaglio.  
“Oh, ehi!” La apostrofò con aria stupita. Non doveva essersi aspettata di trovarla in camera. “Tutto a posto?”
Quella domanda, fatta con sincera preoccupazione, la lasciò spiazzata. Non si era accorta di aver fatto trasparire qualcosa, oltre fastidio, quando si era voltata per accoglierla. “Sì.” Replicò sentendo con orrore che la voce le tremava.  
“Hai una faccia…” Fece un passo nella sua direzione e Violet si sentì invasa. Era così che percepiva la presenza di Dominique ultimamente. Si ritrasse sulla sedia.
“Sto bene.” Ripeté alzandosi in piedi e svicolando verso la finestrella. “Ero solo persa nei miei pensieri.”
“Questo l’avevo notato.” Fu la replica tranquilla. “E prima che tu lo dica, lo so che non sono affari miei.” Decretò raggiungendo il piccolo armadio distinto in tre scomparti separati, comunque spaziosi grazie ad un incantesimo di Estensione Irriconoscibile.  

“Appunto, quindi…”
Però questa è anche camera mia.” Ritorse, sempre con quel tono discorsivo capace di mandarla su tutte le furie in un secondo. “Se fai quella faccia piagnucolosa, falla quando non ci sono. Altrimenti le mie domande te le devi beccare per forza.”

Violet ci mise più di qualche secondo per decifrare quella frase in apparenza insultante. “Ti stai preoccupando per me?”
“Non ho smesso di farlo.”
L’aveva detto voltata verso l’armadio, come se discorresse del tempo, eppure a Violet parve di vedere un lieve irrigidirsi nella sua postura. La prova finale fu vedere come si fosse ficcata immediatamente le unghie sotto i denti.
Dannazione…
Era un disastro. Quell’intera situazione lo era, e a lei  mancava da impazzire Dominique.
Non è che ammettendolo si risolva nulla, ma comunque…
La bifolca non capiva nulla di sentimenti, era un’egocentrica fissata solo sui suoi obbiettivi ed aveva una carattere imprevedibile come un cavallo imbizzarrito, ma era pur sempre Nicky, la sua Nicky.
Era impossibile cancellare quei loro sette anni di alti e bassi. Ci aveva provato, ma aveva fallito ogni volta. La Weasley era una linea parallela e non c’era verso di farla convergere, né tantomeno allontanare da lei. Era sempre lì, all’angolo della visuale e la mandava a pezzi non poterla toccare, baciare, sentire. 
“Sto bene.” Ripeté, addolcendo il tono. “In ogni caso, sarei io a doverti fare questa domanda.”
L’ombra di un sorriso passò sul viso dell’altra. “Come vuoi che stia? Alla grande. Sto facendo ciò che voglio.”
“Ci credo.”

Ci fu una breve pausa, densa di sottointesi, pause e passato. Dominique si era raddrizzata, aveva preso ciò che doveva prendere e stava per andarsene.  
“Io…” La bocca le si mosse da sola, e Dominique inarcò le sopracciglia.
“Dom, tutto a posto?”  
Era la prima volta che Violet vedeva da vicino l’Odiosa Corvonero che si era presentata sfacciatamente all’altra la sera del banchetto. A detta delle voci di corridoio, lei e la sua ex-ragazza erano diventate inseparabili.
“Ohi Mòr.” L’apostrofò la sciroccata. “Ho finito. Stavo chiacchierando con…” Fece un gesto verso di lei. “… Violet.” Concluse stranita, quasi  trovasse strano chiamarla col suo nome di battesimo.
Idiota.
“Ciao, piacere di conoscerti.” Salutò la scozzese con un accento così forte da essere quasi incomprensibile. “Morag MacFusty.”
“Chiedo scusa?” Disse infatti sentendo l’irritazione investirla come un tifone. “Non ho capito una parola.” Sputò velenosa. Era bella, quella Morag. Aveva gli occhi azzurri e il naso dritto e neppure un filo di grasso superfluo. Era tutto quello che non sarebbe mai stata.
La scozzese la guardò sorpresa, ma fu Dominique, stranamente, a prendere la parola. “Piggie è di cattivo umore, non farci caso Mòr.” Sbuffò. “È una condizione naturale.”   
La sta proteggendo!

L’irritazione era così forte che sentì un groppo occluderle la gola. “Non naturale. Naturale solo in tua presenza.” Ritorse afferrando la borsa con i libri e tirandosela al petto come se fossero una perfetta armatura. Non lo era, e lei si sentiva ridicola e ferita.
È la tua ragazza? È la tua ragazza adesso?
Le sembrava assurdo che Dominique fosse abbastanza consapevole da potersene trovare una, ma poteva aver fatto capire all’altra di non essere indifferente al fisico femminile. Non sarebbe stato assurdo  che la scozzese fosse gay. Di certo pareva molto interessata.
Non è impossibile, solo improbabile. Un po’ come la vostra storia, no?
Se ne andò, marciando via impettita, ma con l’orgoglio ancora intatto. Sempre avere l’ultima parola in una discussione, era una massima di sua madre di cui aveva fatto tesoro.
Scese le scale e, quando non vide nessuno, sfogò tutta la sua frustrazione lanciando la cartella contro il muro color pan di zucchero. Inspirò, espirò, ritornò in sé.
Era sempre più difficile.
 
****
 
Ritrovarsi Piggie alla lezione di Cura delle Creature magiche poteva essere definito solo come bizzarro.
Eppure era lì, impeccabile nel suo chignon da vedova addolorata. Aveva notato come fosse inorridita quando aveva realizzato che le scarpe le stavano affondando nel fango, e aveva anche notato come stesse discosta di una buona spanna da lei.
E ora che ho fatto?
Non le rivolgeva la parola, non la infastidiva con la sua presenza eppure l’altra sembrava avercela con lei a nastro continuo.
Mi hai mollata tu!
Era ufficiale: la sua lezione preferita in suolo inglese era appena diventata un discreto schifo.
Sbuffò, scambiando qualche parola con gli unici altri due compagni di Beaux Batons che condividevano quelle lezioni. Non servì aspettar molto comunque: gli hogwartsiani, rispettivamente serpeverde e grifondoro, apparvero dal folto della foresta.
Dominique riconobbe subito Rose, seguita da Sissy e dal cugino-acquisito-o-qualcosa-del-genere Thomas: chiudeva Malfoy. Dominique avrebbe voluto rispondere sinceramente al sorriso che le rivolse quest’ultimo, ma era a lui che Violet aveva immediatamente guardato, tutta impettita e pronta alle moine.
Sfoderò comunque la sua migliore aria amichevole, perché non era una smorfiosa dal carattere impossibile, lei. Non la lodavano tutti per la sua indole accomodante, forse?
“Ohè!” Salutò il gruppetto in avvicinamento. Thomas era l’unico a non sorridere, ma si ricordava fosse un mezzo stronzo, quindi era normale. “Lezioni all’aperto, le mie preferite!” 
Per tutta risposta vide sua cugina impallidire. Ma non a causa della sua affermazione, quanto piuttosto per la direzione che aveva preso il suo sguardo.
Piggie? Ancora?
Beh, non hai tutti i torti … Chissà quanto avrà fatto la gatta morta, con il tuo biondo.
Fu Scorpius a prendere la parola e fare le presentazioni e Violet rispose con una delle sue stupide frasi manierose.
Fingeva. Fingeva di brutto, ma nessuno sembrava accorgersene.
Neanche le piaci, biondo. Non le piaci, sicuro come il sole che sorge e tramonta sempre nello stesso posto. Le piaccio io. Ma evidentemente, non basta.
La cosa peggiore era rendersi conto che non aveva senso stare male per una situazione che non aveva sbocchi. I sentimenti erano un gran casino, e lei si sentiva come se un drago avesse deciso di usarla come stuzzicadenti.
Certo, non sempre. Non pensava continuamente a Piggie. Aveva gli allenamenti mattutini, la preparazione alla Prima Prova da fare con Mael, auto-elettosi suo Assistente, le lezioni da seguire, e le ramanzine della Madame da sorbirsi. Poi c’erano anche le parti belle. Passare del tempo con i cugini e l’amicizia di Morag, che era proprio una tipa grandiosa, con una gran chiacchiera e voglia di parlare di draghi per ore.
Però c’erano dei momenti in cui il viso di Piggie, i suoi occhi neri e brillantissimi, le entravano dentro come una lama.
Era la prima volta in vita sua che non si sentiva abbastanza.
Era stato proprio Mael, Mael che tanto detestava Violet per il suo sentirsi superiore senza motivo, ad averla messa di fronte alla cruda verità.
 
“La Parkinson ha avuto paura. Semplice.”
“Paura di che?”

“Paura di sua madre, di perdere le sue amicizie … Sai quante Purosangue che hanno relazioni omosessuali ci sono? Femmine, intendo?”
“Dovrei?”
“Appunto. È la domanda che si fanno tutti. E la risposta è nessuna.”

“… Perché?” Non ci capiva niente di quel mondo assurdo. Meglio, non aveva mai voluto capirci niente perché le sembrava insensato, con tutte quelle regole, imposizioni ed etichette.
Ridicolo. Eppure Piggie vi era immersa fino al collo.
“Perché le ragazze di buona famiglia possono fare solo una cosa. Sposarsi e sfornare eredi, possibilmente maschi, che portino avanti il cognome di famiglia.” Mael aveva sospirato. “Certo, nessuno vieta loro di farsi un amante, o un amichetta, ma non possono certo portarli fuori dal letto.”
“Fa schifo.”
“Già, ma è così e basta. Violet è l’unica erede della sua famiglia, almeno finché la Vedova non partorirà. Per quanto la trovi odiosa…”

“Per quanto…”
“Per quanto la trovi odiosa, è assurda la pressione che deve avere sulle spalle in questo momento. Quando sua madre si sposerà prenderà il cognome del marito, e non la vorrà trai piedi. Sarebbe una situazione scomoda.” Sospirò. “Per questo è alla ricerca disperata di qualcuno che se la sposi e le dia il suo cognome. La famiglia Parkinson-Goyle dopo il matrimonio non esisterà più. Capito?”

“… Piggie deve trovarsi qualcuno che la mantenga?”
“Come ogni brava Purosangue, già.” Aveva convenuto una seconda volta, con una smorfia simpatetica. “Non potrebbe mai stare con te Dom, non alla luce del sole. Sua madre la ripudierebbe, e per un Purosangue non c’è onta peggiore. Oltre al fatto che finirebbe in mezzo ad una strada.”
“In mezzo…”
Mael aveva annuito. “Si dice che la Vedova Nera abbia intestato tutti i beni di famiglia a suo nome. Il padre è morto, e non credo le abbia lasciato una gran dote,
se gliel’ha lasciata. Se la ripudia, è fregata, non le rimane un Galeone.”
Poteva credere al cugino: Mael era il gazzettino ufficiale della scuola, e se c’era qualcuno che sapeva come erano lavati i panni sporchi altrui, era lui.
“Non credo mi abbia piantato per paura di sua madre.” Aveva obbiettato però. “Ha detto che non funzionavamo.”
“Sì, è un modo carino per dire che non volevate le stesse cose. Lei vuole discrezione, segreti, porte chiuse. E tu…”
C’era stata una lunga pausa in cui Mael l’aveva guardata meditabondo. Aveva apprezzato che non si fosse mostrato troppo stupito dalle sue ammissioni e confessioni. Sapeva che lo era.

“… E tu Dom, tu cos’è che volevi?”
 
Era già la seconda persona che le faceva quella domanda, ma stavolta aveva un’idea un filino più chiara dell’intera faccenda.
Voglio lei. E non voglio dividerla con nessuno.
Ma rimaneva l’impossibilità che questo suo desiderio si avverasse. Ci arrivava da sola a capire che non poteva pretendere un granché, se l’altra non era intenzionata a cedere su quello stupido punto della segretezza. 
Mandare affanculo tutto e tutti era una cosa che poteva fare solo Piggie, ma più la guardava cinguettare con Scorpius nonostante lo calcolasse sentimentalmente come un ciottolo, più capiva che non l’avrebbe mai fatto.
L’ha fatto una volta per salvarti dall’espulsione, ma non lo farà ancora.
Non ora che sembra avercela a morte con te. Ovvio, no?
 
****



Dominique era stata del tutto inopportuna. Quando aveva fatto un banalissimo commento sull’odore metifico che emanava la bestia che stava loro di fronte – la loro lezione - l’altra le aveva rifilato quell’orrore di nomignolo.

Si era sentita scottare le guance, perché in presenza di Scorpius, e Morgana solo sapeva cosa avrebbe potuto pensar di lei.
Non che le fregasse un granché della sua opinione, a dirla tutta, ma non era quello il punto.
Doveva convincerlo ad abbassare le difese, e perlomeno accettare un the con lei. Questo avrebbe calmato sua madre almeno per un paio di giorni. La sua ultima lettera, risalente a pochi giorni prima, tra le varie ansiose domande, suggeriva una probabile venuta in terra d’Albione nel caso non si fosse concretizzato nulla entro Natale.
Morgana, no. No, no, no. Mia madre qui no.
Poi la pazza si era offerta volontaria per salutare l’Ippogrifo e Violet aveva cancellato con un colpo di spugna tutte le precedenti riflessioni.
Conosceva la tendenza di Dominique a gettarsi a capofitto nel pericolo mortale, ma vederla avanzare verso quella bestia terrificante, dotata di becco acuminato e artigli da fiera, le fece defluire il sangue dalle guance. Si appoggiò con nonchalance ad una pietra quando vide che la creatura non sembrava affatto contenta della presentazione – una riverenza, far fare una riverenza a quella sciroccata era come tentare di far ballare il valzer ad uno Schiopodo!
“Tutto a posto?” Si sentì chiedere. Era uno dei cugini di Dominique, un ragazzino dagli enormi occhi chiari e l’aria ben più spaventata di lei. Forse per darsi coraggio, ben strano metodo, aveva afferrato il maglione di un compagno e lo teneva stretto in pugno.
Sembrava aver voglia di vomitare e chiedeva a lei se stava bene?Che razza di espressione doveva avere?
“Sì, grazie.” Mormorò distogliendo lo sguardo. L’altra si era intanto messa in sicurezza e Violet si permise di respirare di nuovo.
Stupida bifolca. Farmi preoccupare … Non devi osare farmi preoccupare!  
Fissò lo sguardo su Scorpius, il secondo pretendente al trono di Pazzo del Giorno, dato che a lui dovevano andare tutte le sue attenzioni. Notò quindi che la scialba Potter-Weasley aveva l’aria di chi poteva svenire da un momento all’altro.
Non sarà mica lei, la misteriosa dama del suo cuore?
Sembrava una sciattona, di quelle che ritenevano più proficuo ingobbirsi sui libri che tentare di integrare ad una buona media un aspetto presentabile.
Almeno ha un bel seno.
Ad ogni buon conto, Scorpius riuscì a salire in groppa alla bestia terrificante.
Era un buon risultato. Doveva approfittarsi dell’euforia del ragazzo appena fosse sceso.
L’occasione fu propizia, perché rimasero sostanzialmente soli dopo che la lezione fu sciolta. Lo vide andare verso Zabini e Nott e scambiarvi qualche parola. Vedendolo poi affrettarsi verso il castello, gli sbarrò la strada.
“Hai programmi per questo fine settimana?” Gli chiese in perfetto inglese. Era stufa di inscenare la commedia della svampita bambolina francese. Amava la lingua che le aveva dato i natali.
Scorpius si bloccò, con aria sorpresa. “Come, scusa?”
“Programmi. Per questo fine settimana.” Ripeté scandendo bene le parole. I maschi erano così stupidi. Non che certe ragazze fossero da meno. Scacciò via quel pensiero con esasperazione. “Ho sentito parlare molto bene di Hogsmeade da mia madre… Quindi. Hai programmi?”

“Sì. Sopravvivere alla mia adolescenza.” Ancora quel sorriso disarmante. Lo era sul serio. “Scusa, adesso dovrei proprio andare… ci vediamo, ehm, tipo dopo.” Aggiunse.
“Tipo dopo quando?” Lo incalzò piazzandogli un dito sul petto. Doveva portare dei risultati o la sua presenza ad Hogwarts sarebbe stata inutile. E dolorosa. Se non poteva avere ciò che voleva, chi voleva, doveva almeno non essere un fallimento in altri campi.

“Sai che dobbiamo parlare di quella cosa.”
“Ma adesso?”

“Sì, adesso.”
“Sai come la penso. No.
Si stava spazientendo, ma anche lei era stufa di quel gioco. In fondo non chiedeva molto. “Alla faccia della brutalità, Lord Malfoy…” Si guardò attorno prima di scivolare in un francese cospiratorio. L’altro lo capiva, e poteva evitare che altri capissero loro.“Sai che non è così semplice.”
Lo è, basta dire di no.

Com’era possibile che la pensasse in quel modo? Apparteneva ad una delle casate più oltranziste di tutta Europa, isole incluse. Violet era confusa, arrabbiata e sì, non riusciva a capire come un ragazzo che doveva aver avuto la sua stessa, identica educazione si comportasse come…
Come se potesse scegliere.
“Senti, non ho tempo per pensare a queste cavolate da Purosangue.” 
Cavolate?” Le guance di Violet si tinsero di un rosso violento. Si dimenticò del francese e al diavolo la recita. “Abbiamo dei doveri verso le nostre famiglie!”
L’altro le scoccò un’improvvisa occhiata dura. Violet si sentì morire il fiato in gola, perché vi lesse biasimo, pena ed esasperazione.  
“Non sposerò te in futuro, come non sposerò nessuna stramaledetta Purosangue sponsorizzata!” Sbottò spostandola quasi di peso. In realtà la toccò appena, ma a Violet sentì come se l’avesse colpita dritta allo stomaco.
Non era lo sfogo di un rampollo esasperato dalle richieste pressanti dei parenti. Era la decisione di una persona consapevole di ciò che diceva. Lo guardò andare via come se avesse degli inferi alle calcagna e non tentò di fermarlo, perché non voleva certo risultare patetica.
Lo sei comunque.
Era rimasta sola nella piccola radura e nessuno la attendeva, né alla carrozza né al castello. Trovò quindi perfettamente scusabile sedersi sul muretto a secco e non fare nient’altro fino al tramonto.
 
****
 
14 Ottobre 2023
Scozia, Hogwarts. Apparentemente, le serre di Erbologia.
 
Violet aveva capito che le serre erano un buon posto per starsene con i suoi pensieri non appena vi aveva messo piede.
Il club di Florigrafia essendo composto principalmente da lei e alcune delle ragazze della delegazione si era ricomposto anche in quelle fredde lande, e Violet, finito l’incontro, si era offerta di riportare attrezzi e piantine nelle serre. Poi, non se n’era più andata.
Fuori da quel buon odore di erba e di fiori c’era la realtà. C’era sua madre, le sue lettere, il rifiuto di Scorpius e, ultima ma non ultima, Dominique.
Era stanca. Il suo umore, già non propriamente solare, era scivolato in un abisso di nervosismo e risposte salaci. Ormai la gente la evitava neppure avesse la Spruzzolosi.
Accarezzò le foglie della sua orchidea, che aprì la corolla soddisfatta, come un gatto avrebbe fatto le fusa.
Non aveva risposto alle ultime tre lettere di sua madre. Non era stata una mossa intelligente. A Dicembre ci sarebbe stato il matrimonio e lei sarebbe dovuta tornare in Francia, secondo i piani di sua madre, piena di buone notizie circa il suo prossimo fidanzamento con il rampollo dei Malfoy.
Ma io, mamma … Perché non pensi mai a quel che voglio io?
Era spaventata dal corso che stavano prendendo i suoi pensieri, ma non sapeva come farli rientrare nel solco della ragionevolezza. Così, vigliaccamente, lasciava le tre lettere chiuse nel suo baule.

Anche se la situazione non ti aggrada, mia cara, cosa puoi fare in merito? Rifiutarti di assecondare tua madre? Non ti pare un po’ tardi per cominciare?
Chiuse gli occhi, serrando le mani contro il tavolino. Sentiva il legno ruvido premerle sui palmi, fare male. Se avesse continuato di quel passo le si sarebbe infilata qualche scheggia nella pelle. Non le importava.
 
“Ehi, va tutto bene?”
 
La voce maschile la fece violentemente sussultare. Era inglese, un maledetto ragazzo inglese. Si voltò per scacciarlo con una rispostaccia e si trovò di fronte Scorpius Hyperion.
“Ciao.” Le disse abbozzando un sorriso, con le mani indolentemente ficcate nelle tasche dell’uniforme. Dov’era la sua cravatta?
“Cosa vuoi?” Non aveva voglia di esser gentile con qualcuno che aveva contribuito a sconvolgerle la testa al punto da farle dubitare della giustezza dei suoi piani.
L’altro fece spallucce. “Sono qui per vedere il Professor Paciock … Sai, per la Prima Prova. Ma non dire che te l’ho detto. Sei la concorrenza.” Le strizzò l’occhio.
Violet fece una smorfia. “Non preoccuparti di questo.” Andò al lavabo dove fece scorrere l’acqua per ripulire gli strumenti. Erano già puliti, ma doveva trovare qualcosa da farsi visto che l’altro non dava segno di volersene andare. “Non sono una sostenitrice della nostra Campionessa.”
“Però vi conoscete.”
Violet gli scoccò un’occhiata valutatrice. Sembrava non rimanere mai serio, sempre con un sorrisetto all’angolo delle labbra. Era disagiante.“Andiamo nella stessa scuola da sette anni.” Rispose neutra, strofinando le cesoie con un incantesimo di pulizia che le avrebbe rese uno specchio. “Hai qualcosa di interessante da dirmi o possiamo concludere?”

Scorpius le fece un sorrisone, sembrando deliziato dalla sua risposta.
Ma se ti ho appena risposto male!
“Credo di doverti delle scuse.” La spiazzò completamente. Le si avvicinò, fermando con un colpo di bacchetta l’acqua e il lavaggio degli attrezzi già lindi. “Qualche giorno fa sono stato scortese.”
“Solo?” Riprese sangue freddo, allontanandosi di nuovo per avvicinarsi alla sua amata orchidea.

Scorpius inarcò le sopracciglia. “Un cafone.” Stimò. “Un buzzurro. Un volgare idiota. Un rozzo guascone. Un deficiente. Un cretino…”
Violet lo ascoltò snocciolare una serie di insulti che mai avrebbe pensato di rivolgergli. Ma che aveva un po’ pensato. Sentì uno strano prurito alla gola. Le veniva da ridere.

“Mi dispiace, Violet.” Allargò le braccia con aria disarmata. “Quando qualcuno comincia a parlare di beghe Purosangue divento intrattabile!”
“Tu sei un Purosangue.”
“Verissimo.” Convenne. “Però non sono della generazione dei miei genitori. Non ho le loro stesse idee in materia di amore e matrimonio … Su un sacco di cose non la penso come loro e non lo trovo un difetto.”

La testa di Scorpius funzionava in modo anormale rispetto a quanto si era aspettata. Non riusciva a capire se le piacesse o meno, ma certo la incuriosiva. E spaventava nella stessa misura.
Nel mentre, trovò del tutto sensato sedersi su uno degli scalini di pietra che dividevano una sezione di colture dall’altra. Scorpius la imitò, ma non si sentì infastidita dal trovarselo così vicino. Profumava di pulito – cosa da non sottovalutare in un maschio di quell’età – e manteneva una rispettosa distanza.
“Non ti capisco.” Ammise infine dopo averlo squadrato un po’. Il ragazzo non aveva battuto ciglio, quasi vi fosse abituato. “Sei cresciuto come me. Mi ricordo bene quanto fosse severo tuo padre. Anche tua nonna è …”
“Della vecchia scuola, già.” La interruppe. Guardò verso il tetto a vetri che rifletteva un cielo terso. Il cielo in Scozia, quando si degnava di far bel tempo, era di un azzurro che faceva male a guardarlo. “Il fatto è che se non avessi mai parlato chiaro, se non gli avessi mai detto che ciò che volevo per me, avrei finito per far del male sia loro che a me stesso.”
“In che senso?”
Si grattò una guancia, pensieroso. “Le nostre famiglie vengono fuori da un periodo buio della storia magica.” La voce divenne seria, e così l’espressione. “Hanno fatto degli errori e hanno cercato di rimediare, ma sta a noi essere il cambiamento. Cambiarli, anche. Essere diversi, no?”
Violet si morse le labbra. Sua madre non aveva tentato di rimediare ad un bel niente e lei di certo non era in grado di cambiare proprio nessuno, figurarsi quest’ultima.  
“Ne hai parlato con tuo padre?”
Scosse la testa con un singolare sorrisetto rassegnato. “Soprattutto con mia madre e mia nonna. Papà non è un gran chiacchierone. Però mi stima. Questo credo conti.” Concluse con aria sicura. Era chiaro adesso: Scorpius aveva tanta forza perché la sua famiglia lo amava, traspariva dai suoi discorsi, ma anche dalla serenità del suo sguardo.

Doveva essere bello, essere accettati.
“Io…” Inspirò per incamerare ossigeno e coraggio. Le sudavano le mani e si sentiva il cuore in gola. Non aveva mai parlato di certe cose, con nessuno. Ma sentiva, aveva il bisogno di parlarne, e Scorpius, che ricordava come un moccioso pestifero che le attaccava le Bolle Bollenti sui vestiti, era lì.
C’era qualcosa nella sua espressione aperta che…
Forse aveva solo bisogno di buttare fuori quel grumo di emozioni che le pesava sul petto e le faceva venir voglia di urlare e piangere ad ogni piè sospinto.
“Io non parlo di queste cose con mia madre. Io e lei non … non parliamo. Da quando mi ricordo è lei che parla, ed io ascolto. Non credo sia mai accaduto il contrario. Lei vuole delle cose per me, cose del tutto ragionevoli visto chi siamo e che posto occupiamo nella società…”
“Ma?” Scorpius inclinò la testa da un lato. “Guarda che il ma si sente.”
“Non…” Le parole le si erano bloccate in gola, e Morgana, se facevano male.
Scorpius sospirò ma non smise di sorridere. “Posso tirare ad indovinare?” Le chiese gentilmente. “Io non credo che tu ti voglia fidanzare con me. Sbaglio?”

“… No.” Chiuse gli occhi, ma nessun fulmine giudicante venne ad incenerirla, né una Maledizione della Casta dei Veri Purosangue venne a seccarla.
In effetti, non successe niente.
“Che caso, neanche io!” Ridacchiò Scorpius. “Senti, non abbiamo stipulato un Patto Infrangibile, né i nostri genitori hanno firmato uno di quegli orridi contratti che si usavano in passato per impegnare ragazzini che sapevano giusto sbavarsi addosso.” Batté le mani con aria conclusiva. “Direi che siamo a posto, no? Dì a tua madre che non ti interesso, e…”
“Non posso.” Lo seccò, sentendo lo stomaco stringersi in una morsa. Il resto delle frasi gliele vomitò praticamente addosso. “Se non sarai tu, cercherà qualcun altro, mi costringerà ad incontrarlo, a scrivergli lettere e a frequentarlo. Non importa cosa ne pensi io, ma solo come lo giudicherà lei. È già successo, succederà ancora.”
“Allora potresti cercare un tipo che ti piaccia.” Le suggerì. Non sembrava particolarmente turbato dal suo principio di crisi isterica. “Certo, decidere di sposarsi adesso è un filino demodé, per non parlare del fatto che sia folle, ma potresti sempre puntare su un fidanzamento mooolto lungo.”

“Non capisci!” Sbottò alzandosi in piedi. Si sentiva il respiro corto, e le veniva da rimettere. Come può capire, le diceva una vocina, se non lo sa? Come poteva capire se non sapeva che era innamorata di una persona che aveva il suo stesso sesso? Anche se non fosse stata Dominique, sarebbe stata comunque una ragazza.
Scorpius le scoccò un’occhiata sorpresa. “Allora spiegami.”
“Non siamo amici.” Era ormai inutile reggere la commedia. Doveva difendersi. Scorpius sembrava un bravo ragazzo, un rarissimo esempio di maschio con un cervello funzionante, ma non poteva vuotare il sacco con un sostanziale sconosciuto quando non l’aveva fatto neppure con le sue amiche più strette.
Sì, immagina come reagirebbero.
“Diventiamolo allora!” La spiazzò. “Scoprirai che sono un confidente favoloso.”
“… Mi stai prendendo in giro?”
Scorpius sorrise. “Per niente. Non credere, non sei l’unica che ha fatto i compiti a casa. Anche io ho studiato te.”
Violet rimase ufficialmente senza parole.
L’inglese si abbracciò le ginocchia, in una posa così buffa e adorabile che sarebbe sembrato un bambino, se non fosse stato alto più alto di Dominique. Quindi molto. “So cosa significa non avere nessuno con cui parlare …” Non era affatto un buffone esagitato. Non con quel tono consapevole. “Non ci insegnano che agli amici si può dire tutto. Invece è vero, si può. Adesso ho delle persone fantastiche con cui posso dar di matto senza paura che me lo rinfaccino o mi accoltellino alle spalle. È una sensazione grandiosa, credimi.” Le tese la mano. “Ti piacerebbe provarla?”
Era una questione di fiducia. Peccato che l’unica volta in cui l’aveva concessa era finita con il cuore spezzato. Ma Scorpius non era Dominique, e quel posto pullulava di occhi, orecchie e nessun amico.
Prima di crollare e scoppiare in lacrime di fronte ad un perfetto sconosciuto, poteva almeno tentare di conoscerlo e sapere se poteva.
Gli prese la mano ed accennò ad un sorriso. “Se provi ad ingannarmi sei morto, Malfoy.”
Sua madre sarebbe inorridita sentendole formulare una frase così rozza. Scorpius invece fece una mezza risata e le strinse la mano di rimando.

“Direi che è un buon inizio!”
 
 
****
 
3 Novembre 2023
Scozia, Hogwarts, Lago Nero. Mattina.
 
Dominique decelerò il ritmo della corsa quando vide Morag farle cenno con la mano seduta dove, a regola, avrebbe dovuto esserci Mael con acqua fresca, asciugamani e la tabella dei tempi.
Jogging Babbano. Niente di meglio per svegliare il corpo la mattina. Stasera sulla scopa e poi in Sala Duelli.
Era una routine che stava dando i suoi frutti. Sentiva il fisico meno appesantito dal cibo britannico, i muscoli tendersi ad ogni suo minimo comando e i riflessi più ricettivi. Partiva comunque da una buona base, avendo sempre fatto attività fisica.
Quidditch e poi corsa-all’ultimo-respiro-per-non-essere-divorata alla Riserva. Direi che non mi si può considerare una persona pigra.
Si avvicinò alla scozzese che, intabarrata in un pesante stoffa tartan dai colori autunnali le sorrideva tranquilla. Le tese un thermos. “Ho pensato fosse meglio qualcosa di caldo, pieno di zucchero e vitamine. È una ricetta MacFusty, prova!” La incoraggiò.
Dominique trangugiò metà del contenuto, gradendolo moltissimo. Mael era favoloso nelle ricerche e nello sfogliare libroni pieni di frasi complicate, ma un po’ meno nel supporto atletico.
Merci.” La ringraziò sovrappensiero. “Grazie.” Si corresse poi. Si sedette accanto a lei schiaffandosi un asciugamano sul viso e detergendosi il sudore. “Dov’è Mael?”
“L’ho lasciato scappare … Pareva avesse un appuntamento da com’era agitato.” Spiegò allegra. “Mi ha lasciato detto di dirti che ti aspetta in biblioteca, dopopranzo.”
Dom sbuffò sonoramente infilandosi il berretto di lana per evitare di prendersi un raffreddore a poche settimane dalla Prima Prova. “Roba da matti.” Commentò calcandoselo bene in testa. “È compito suo affogare nella polvere e nelle pergamene. Non capisco quest’ansia di coinvolgermi!”
“Beh, non sei tu la Campionessa?”

“E non è lui l’Assistente?” Ritorse facendo ridacchiare l’altra. Sorrise: Morag le piaceva. Era sempre di buon’umore, pronta alla battuta e non si straniva per le sue uscite dirette fino alla brutalità. Le piaceva passare del tempo con lei, a chiacchierare o fare i compiti – non era un asso nell’inglese scritto e Mòr le dava una mano, essendo una Corvonero nell’anima.
Davvero, le piaceva.
“Che intenzioni hai per il tuo compleanno? È questo fine settimana, no?” Le chiese strappandola alle sue riflessioni.
Si strinse nelle spalle. “Non so … di solito faccio cose in grande stile, roba da paura, ma qua non siamo all’Accademia e non so come funziona per le feste. Penso che lascerò organizzare tutto ai miei cugini. Quella piccola, la rossa, ci si diverte da matti.”
“Sono quasi tutti a Grifondoro, no? La festeggerete nella loro Sala Comune allora.” Considerò. “Vedrai che non ti deluderanno. Le feste migliori sono da loro!”

Dominique annuì. Aveva voglia di festeggiare, naturalmente. Diciotto anni, un anno esatto dalla sua maturità magica. Era stato un anno folle per molti versi.
Ma grazie ad una sola persona.
Fece un lungo e scornato sospiro, bevendo quel che restava del bibitone energizzante.
“Ehi, stiamo parlando del tuo compleanno, non di un funerale!” Le venne data una gomitata amichevole. “Ti secca non festeggiarlo con i tuoi soliti amici?” Tirò ad indovinare.
“Nah, è okay … Voglio dire, una festa è una festa e son contenta di passarla con i miei cugini e con voi britanni.” No, non esisteva che non avrebbe festeggiato. E si sarebbe divertita, si conosceva. Aveva solo bisogno di essere in mezzo al casino per cambiare di colpo umore. Solo che di solito anche i giorni che precedevano l’evento erano grandiosi.
Non stavolta.
Morag la guardò valutativa. Oltre ad essere dritta, aveva anche un cervello di prim’ordine – o non avrebbe vestito bronzo e blu. “C’è qualcuno che dovrebbe esserci e non c’è? Dico, in particolare.”
Non aveva mai parlato a Mòr di Violet. Aveva sviscerato la questione con Mael, ma mai con la sua nuova amica. Non perché non si fidasse – era una cosa a pelle, Mòr era affidabile, punto – ma perché continuava ad aver paura di tradire Piggie.

Son proprio cretina.  
“Si tratta della mia ex.” Doveva chiamarla così, no? Le sembrava una definizione ridicola. “Visto quanto le sto sull’anima al momento, se la invito potrebbe staccarmi la testa a suon di maledizioni.”
E comunque Violet non era mai venuta al suo compleanno, in sette anni che la conosceva. Chissà perché, ogni volta che compiva gli anni, era sempre nel periodo in cui la detestava cordialmente.
Morag accolse la notizia senza battere ciglio, esattamente come sembrava far tutto. “Lo immaginavo.” Disse con un lieve sorriso. “Che ti piacessero le ragazze, intendo.”
“Ah sì?”

Ridacchiò scuotendo la testa. “Mai sentito parlare di gaydar? È una definizione Babbana e trovo sia geniale. In pratica le persone gay riescono a riconoscere altre persone gay. È una specie di istinto, sesto senso … chiamalo come vuoi, ma se c’è una stanza piena di persone etero, stai pur sicura che il gaydar ti fa scovare quello gay.”
Dominique fece il punto della situazione, spogliando le chiacchiere dell’altra per andare al succo del discorso. Mael le diceva sempre fosse tarda, ma lì c’era tanto sottointeso da costruirci una casa. “Ti piacciono le ragazze?” Si risolse infine.
Morag si mise a ridere. Sembrava divertita ed era evidente che si fosse persa qualcosa. “Sì, Dom, mi piacciono.”
Ah, ecco. Tirato ad indovinare.
“Mi sa che questo gaydar non me l’han messo in stock quando sono nata…” Ammise un po’ sconcertata. Non capiva niente degli orientamenti altrui. Non le era mai interessato, perché non ve n’era motivo.
Non è come se cambiassero la vita a me. A meno che a me non siano interessati.
Le sovvenne un dubbio. “Ti piaccio?” Le uscì. Ecco, erano quelle il genere di esternazioni che le rimproveravano sempre tutti, a partite da sua madre per finire con Piggie. Non sapeva mediare, non collegava bocca e cervello, era inopportuna. Tutte palle: il mondo sarebbe stato un posto di gran lunga migliore se tutti avessero messo le cose nero su bianco. Più chiaro di sicuro.
Morag anche stavolta non diede segno di turbamento. “Sì, Dom, mi piaci.” Ripeté restringendo il campo.
Su di me.
“Ah.” Non sapeva bene cosa dire. Quello era nero su bianco, ma non sapeva come ribatterle. Non aveva mai pensato all’altra come … beh, come aveva pensato a Violet. Non proprio, insomma. Si rendeva conto di quanto fosse attraente, e ammetteva che qualche pensiero ce l’aveva pure fatto, stuzzicata da Mael e le sue domande circa l’evolversi del loro rapporto.
Come al solito, tutti capiscono tutto prima di me, in sto frangente. Che seccatura!
“Non ti ho voluta conoscere per questo.” Esordì Morag pacata. “Charlie mi aveva parlato di te, e quando ho saputo che c’era il tuo nome in delegazione mi sono incuriosita. Lo ammetto, magari un po’ di castelli in aria me li sono fatti quanto ti ho vista.” Abbozzò un sorriso soffiandosi sui guanti per scaldarsi le mani. “ … ma è diventando tua amica che ho capito che volevo qualcosa di più. Ha senso?”
Dominique inspirò. “Non so che dire.” Optò per la sincerità, perché si sentiva la testa confusa.
Morag annuì. “Non mi aspetto una risposta adesso. Del resto credo di averti presa completamente di sorpresa…” E non sapeva quanto! “Volevo che lo sapessi e questo mi è sembrato il momento giusto. Devo dire che mi hai tolto le parole di bocca.” Aggiunse divertita. “Non potevo mica mentire!”
Non aveva senso continuare a star male per Violet a giudicare da come si era dedicata ad ingraziarsi Malfoy. Li aveva visti spesso assieme, in quell’ultimo mese, sempre lontano da sguardi altrui. Sembravano amichevoli in maniera del tutto innocua, ma lei sapeva.

“Molti lo fanno, Mòr. Dire un sacco di palle e insabbiare tutto è la specialità di un sacco di gente.”
La scozzese la guardò seria. “Non la mia.” Poi si sporse e la baciò. Diretta e immediata, nessun tentennamento. Dominique non si ritrasse come istinto le comandava impietosamente. Le passò piuttosto un braccio attorno alla vita, sentendo la ruvida stoffa della stola di tartan pizzicarle i polpastrelli.

Non era come baciare Violet, affatto.
Non che Morag baciasse male, ma non c’era la stessa arrendevolezza. Piggie sembrava sempre avere una voglia matta di lasciarsi andare, e da rigida maestrina che era diventava tutta morbida e tenera. Le piaceva un sacco quella trasformazione e le faceva venir voglia di stringerla come avrebbe fatto con un animaletto di pezza.
Merda. Stai baciando Mòr! Datti una regolata!
La sua coscienza aveva più cervello di lei, dacché riportò la sua attenzione sulla scozzese . 
Quando si staccarono era piuttosto certa di dover dir qualcosa, ma Morag la anticipò. “Beh … direi che sono invitata alla tua festa, no?”
Dominique sorrise appena, annuendo. “Sicuro che lo sei.”
 
****
 
5 Novembre 2023
Scozia, Hogwarts, Carrozza di Beaux Batons.
 
Era il compleanno della Weasley e lei non era stata invitata.
Non che se lo aspettasse, beninteso: Dominique le aveva fatto recapitare l’invito solo i primi due anni, poi aveva rinunciato. Aveva senso dato che di solito, nel periodo in cui cadevano i rispettivi compleanni ce l’avevano l’una con l’altra.
E questa è la settima volta.
Doveva essere andata a prepararsi dai cugini, dacché non l’aveva vista in camera. Non si era incrociate perché era volutamente tornata a ridosso della cena, preferendo rimanere nelle serre come ormai amava fare.
Scorpius aveva evitato di parlare dell’argomento e gli era stata grata. O meglio, aveva tentato qualche accenno ma alla sua faccia doveva aver capito che non era il caso di parlare della Weasley con lei.
Avrà pensato che la odio.
Non la odiava. Era proprio quello il punto.
Era patetica, ma senza un invito le era stato insegnato che non restava che rimanere a casa, nel suo caso in una carrozza a forma di zucca.
Sfogliò distrattamente il libro che stava leggendo quando sentì bussare alla porta.
“Avanti.” Doveva essere la loro compagna di stanza, sufficientemente educata da annunciarsi ogni volta.
La Bifolca entra e basta.
Invece era Delacour. Per la sorpresa non riuscì neanche a mostrarsi infastidita. Era vestito a festa, con una camicia talmente attillata che non lasciava nulla all’immaginazione, compreso il piercing al capezzolo che aveva tanto fatto discutere l’anno prima.
“Devo parlarti.” Esordì senza mezzi termini. “Hai un minuto?”
Violet inarcò le sopracciglia. “Ti sembra che sia nel bel mezzo di qualcosa?” Fu soddisfatta di vederlo arrossire a disagio.
Sono in vestaglia da notte, sono seduta sul letto ed ho un libro e una tisana sul comodino.
Mi prendi in giro?
Mael si richiuse la porta alle spalle, e andò a sedersi sul letto che avrebbe dovuto ospitare la cugina.
“Si tratta di Dom.”
“Come ti ho già detto all’inizio dell’anno scolastico, se hai delle domande su di lei, falle a lei.”
“Su di lei ho certezze.” La spiazzò. “È su di te che ho domande.”
Violet si morse le labbra, posando il libro sul comodino e afferrando la tazza. Ne diede un consistente sorso per darsi contegno. E coraggio. “Stai diventando fastidioso, Delacour … Non siamo mai stati amici, né tantomeno confidenti. Per quale motivo dovrei rispondere ad un ficcanaso?”

Il ragazzo fece una smorfia. “Perché si dà il caso che questo ficcanaso si preoccupi. E se non mi importa di te, mi importa di mia cugina. Non è felice.”
Infelice?” Fece un suono divertito, sgradevole persino a lei. “Quell’idiota è incapace...”
“Falla finita!” La seccò con rabbia facendola ammutolire. “Lo so benissimo che tieni a lei, quindi piantala di fare la stronza e parliamo seriamente!”

Violet serrò le dita sulla tazza smaltata, sentendosele bruciare, dato che la tazza era tenuta bollente da un Incantesimo Riscaldante. “Anche se fosse … non sembra affatto. Si comporta come al solito.”
Mael si risedette, dato che per l’impeto si era alzato in piedi. Erano così teatrali, in quella famiglia. “Forse.” Ammise. “Infelice per come lo può essere Dom. Non è che sia precisamente una campionessa di auto-analisi.”

Violet si limitò ad un rigido segno di assenso. Non riusciva a capire quanto l’altro fosse a conoscenza di quello che era intercorso tra lei e la Weasley. Molto, a giudicare da come la squadrava, come se cercasse di far collidere l’immagine che aveva di lei – la stronza giudicante e ipocrita – con la tipa che aveva suscitato interesse nella ragazza dei draghi.
“Senti, non sono qui per chiederti niente … ma Dom sta avendo un sacco di pressione addosso, e ho paura che prima o poi scoppierà facendo qualcosa di idiota. La conosci, è imprevedibile.”
Lei è sotto pressione? Almeno lei la situazione in cui si trova l’ha voluta!
Ma non poteva lamentarsi, considerando il fatto che aveva fatto carte false per nascondere a tutti la sua misera situazione familiare. Se lo sarebbe tenuto dentro il più possibile. Rimase quindi in silenzio e lo lasciò continuare.

“Non è di pietra, okay?” Soggiunse il ragazzo. “Sembra che le scivoli tutto addosso, e per molte cose è così, beata lei, ma non tutte. Non con te.”
“Cosa mi stai chiedendo, Delacour?” Sentiva il cuore in gola: doveva sapere. Sapeva di loro due.
Strano a dirsi, ma non si sentiva atterrita … il batticuore era dovuto al sollievo.

Lo sa. Lo sa, qualcun altro lo sa e il mondo non è finito. È ancora al suo posto.
Mael ebbe un’esitazione, poi alla fine parlò. “Ti sto chiedendo di venire alla festa e parlarle. Vi evitate da più di due mesi, e non sta funzionando.”
“E se io non volessi avere più niente a che fare con lei?” Stava tirando la corda. Delacour poteva benissimo mandarla al diavolo e andare a dire a sua cugina che si era messa con una stronza che l’aveva già dimenticata, magari colorando con dettagli circa la sua infedeltà.
Io lo farei.
Fortunatamente Mael sembrava propenso alla pazienza, perché sbuffo. “Fammi il favore, Parkinson. Da quando una come te è a letto alle dieci di sera, in vestaglia come una qualsiasi Azoulay? Tra l’altro, neppure Sylvie è in carrozza, ma alla festa. Renditi presentabile e andiamo.”
“Non sono stata invitata.” Era la sua ultima resistenza. Labile, perché Mael scrollò le spalle, alzandosi e aprendo l’armadio. Avrebbe dovuto protestare per quell’impicciarsi sfacciato, ma la verità è che voleva andare a quella maledetta festa.
“Se vuoi un buon motivo per venire, c’è un'altra pretendente alla corona.” Esordì dal nulla.
“… Scusa?”

“Non fare la finta tonta.” Fece una smorfietta divertita, scorrendo il suo guardaroba a colpi di bacchetta. “Sto parlando della scozzese di cui non si capisce una parola.” Sospirò, facendole levitare di fronte un paio di vestiti. Aveva buon gusto, il ninfetto. Quello aveva sempre dovuto riconoscerglielo.  
“Quindi stanno assieme…”
“No, ma sono assieme alla festa.” Fece un sorrisetto assolutamente odioso. “Dom è confusa. Certo, non posso dire che sia indifferente alla MacFusty, ma ha ancora in testa te.” Fece spallucce andando a spulciare la sua scatola dei gioielli. Avrebbe dovuto mozzargli le mani ma era più interessata a quello che gli usciva dalle labbra.

Che ti piaccia o meno, è l’unico che riesce a decifrare quel puzzle platinato.
“Come fai a saperlo?”
“Dom parla nel sonno quando è tesa, lo fa da quando siamo bambini.” Roteò gli occhi al cielo. “E non so se ti è sfuggito, ma mi frega il letto da settimane.”
“Parla … di me?”
“No, snocciola equazioni di Aritmazia!” Sbuffò esasperato. “Vuoi muoverti? Vorrei essere alla festa prima di mezzanotte se non ti spiace! Non esiste che mi perda il fine serata!”
Violet decise che obbedire era l’unica cosa sensata da fare, se non altro per far smettere l’altro di svolazzare per la sua stanza e toccare le sue cose.

Non si è dimenticata di me per sostituirmi con quella spilungona tutta labbra.
Non l’ha fatto!
 
 
La festa era una specie di caos applicato alla dimensione terrena.
La Sala Comune del Grifondoro non era grande, ma piena di divani, poltrone, sedie, tavoli e con un caminetto gigantesco, fornito di panche e sedili. Detto questo, l’intero ambiente strabordava di persone, cibo, bevande e musica.
Era una follia e Violet ebbe il subitaneo istinto di indietreggiare per poi darsela a gambe. Quella festa non aveva nulla di quelle dell’Accademia, certo movimentate, ma comunque irreggimentate in una serie di regole di buona condotta che persino Dominique doveva seguire per poter festeggiare.
Regole qui … Quali regole?
Mael l’afferrò con grazia sottobraccio, chinandosi a parlarle all’orecchio. “Non azzardarti a scappare. Sei qui, ed hai una missione!” Le sibilò.
“Che ti importa se torniamo assieme o meno?” Rintuzzò schiaffeggiando via la mano. “Neanche ti piaccio!”
“Già, ma piaci a lei, anche se Morgana solo sa perché. Diversamente da alcune famiglie, nella nostra vogliamo veder felici le persone che amiamo.” Ritorse, e Violet penso a sua madre. Guardò verso Mael per capire se si stesse riferendo a lei, e se invece di insultarla avesse tentato di dirle che comprendeva la sua situazione. Il ragazzo però guardava un punto nella folla e sorrideva sognante.

Ah, una delle sue conquiste …
“Devo andare. Per venirti a prendere ho lasciato delle cose in sospeso. Cerca Dom, di sicuro è qui in giro.” Le fece un sorrisetto e poi lasciò la presa, sparendo nella calca.
Grazie tante per niente.
Non era del tutto vero, ma ora che era lì non sapeva che fare. Vedeva molti dei suoi compagni di scuola, ma non aveva voglia di avvicinarsi a loro per farsi riempire di occhiate e magari domande. 
Prese un profondo respiro. La musica era assordante, e indubbiamente babbana, un genere che Dominique doveva apprezzare a giudicare dal rumore prodotto.
 
I looked 'round, and I knew there was no turning back¹
My mind raced, and I thought what could I do?
 
Prima di tutto doveva trovare qualcosa da bere, qualcosa di forte e poi sarebbe andata a cercare la sciroccata. Con un po’ di fortuna i cocktail sarebbero stati tanto corretti da scioglierle la lingua e scacciare la voce, nella sua testa, che le urlava che stava facendo una cosa estremamente stupida.
Curiosamente, quella voce aveva il tono di sua madre.
“Violet?”
L’istinto di abbracciare Scorpius, salvifico come la fine di un’ora di lezione insopportabile, fu fortissimo. Si fermò appena in tempo limitandosi ad un sorriso. “Ciao.”
“Non ti avevo vista prima! Voglio dire … Pensavo…” Aggrottò le sopracciglia. Era vestito come un Babbano allo stadio terminale, jeans e camicia color sabbia su uno strano gilet da cameriere. Stava maledettamente bene.

“Pensavi che odiassi la festeggiata e non volessi venire?” Scosse la testa. “Una festa è una festa, e a quanto pare voi del Grifondoro sapete fare le cose in grande.”
L’altro fece un gran sorriso, bevendosi la diversione come fosse acqua. “Visto che roba? Adoro gli Weasley. Come sanno organizzar le feste loro…” Sospirò sognante, ma tornò subito nei ranghi. “Comunque. Ti posso tentare con qualcosa da bere? È tutto estremamente alcolico!”
Educazione Purosangue. Dite ciò che volete, ma non ha prezzo.

“Molto volentieri.” Convenne. “Ti aspetto qui.”
“Ti trovo un posto a sedere!” Si voltò verso un ragazzino che ad occhio e croce non doveva star lì, data l’età. “Tu, non azzardarti a sfiorare quel bicchiere e alzati da quella poltrona. Si deve sedere una lady!” Lo apostrofò con un tono inequivocabilmente Malfoy. “Sono un Prefetto e sono il tuo Campione!” Concluse.
Violet, seduta comodamente nel posto lasciato vuoto, gli rivolse un’occhiata divertita. “Sei solito fare il bullo?”

“Se mi vedesse la mia ragazza mi farebbe a pezzi.” Ghignò di rimando. “È così onesta.”
“Chi è la tua ragazza? È qui in giro?”
“Segreto segreto!” Ridacchiò, prima di sparire nella folla esattamente come aveva fatto Mael. Violet sprofondò nella comoda poltrona.
 
All alone in an empty room, I don't know how we ended up here
I don't know but it's never been so clear
³
 
“Dai, non posso darti il mio regalo in mezzo a tutti!”
Dominique non aveva ben chiaro del perché fosse finita nel dormitorio delle ragazze del Quinto anno di Grifondoro, ma di sicuro Morag ce l’aveva, visto che ce l’aveva portata lei.

La stanza era deserta e Dominique individuò a colpo sicuro il letto di sua cugina Lils. Era quello con più cuscini, con più peluche e con più poster attaccati alla parete. La cuginetta doveva soffrire di horror vacui o qualcosa del genere. Poi si ricordò di riportare l’attenzione sulla ragazza di fronte a lei.
Morag era carina quella sera, con i capelli acconciati e un vestito a fiori, forse un po’ inadatto a quelle temperature glaciali.
Pur vero che dentro Grifondoro sembra di stare in una sauna turca.
“Perché, esplode?” Chiese perplessa, facendo ridere l’altra. Avevano bevuto entrambe abbastanza, e Mòr non era certo un peso piuma. 
Beh, sangue scozzese non mente. Io sono brilla, lei sembra stare alla grande.
“Secondo te, ti regalerei qualcosa di pericoloso in una scuola?” Replicò divertita, ingrandendo con la bacchetta un pacchettino che tirò fuori dalla borsetta che aveva dietro. “Vorrei diplomarmi entro la fine dell’anno, grazie!”
Dominique lo scartò immediatamente. “Ehi, è fantastica!” Esclamò sbalordita, trovandosi di fronte ad una maglietta delle Pride of Portree, nei classici colori viola e giallo².
“Dietro è autografata da tutte le giocatrici.” Le indicò. “Mia sorella Mairead è Portiere nelle riserve e le ho chiesto il favore. Mi hai detto che tu e tuo padre le collezionate, quindi…”
“È grandiosa!” Le fece un doveroso gran sorriso. “Grazie Mòr!”
La scozzese lo ricambiò ma le sembrò quasi delusa. Poi si illuminò di colpo. “Perché non te la provi?”
Dominique batté le palpebre perplessa. Per quel che ne sapeva t-shirt del genere erano incantate per prendere automaticamente la misura di chi le indossava, proprio perché prodotte in serie, quindi le sarebbe stata bene per forza. “Okay!” Acconsentì però, perché quella maglietta era davvero una figata e Hugo e Malfoy sarebbero crepati di invidia a vederla.
Si tolse la maglietta che indossava e la gettò a caso dietro di sé. Lily gliel’avrebbe portata il giorno dopo. E di colpo si trovò Morag praticamente addosso. Senza il praticamente, la stava baciando. Dominique non aveva certo voglia di protestare dato che il bacio era piacevole, Mòr era calda e la sua testa già fluttuava un bel po’. Si lasciò quindi passare le mani lungo i fianchi, e rabbrividì perché l’altra aveva le mani fredde.
“Mi dispiace…” Le sorrise intuendo il motivo. “… Mi piacciono i tuoi tatuaggi, a proposito.” Soggiunse prima di riprendere con l’esplorarle il collo.
Dominique serrò gli occhi, mentre il cervello le esplodeva in un milione di schegge impazzite. Era piacevole, era maledettamente piacevole e Mòr diceva sempre la cosa giusta, quella che voleva sentirsi dire, quella dritta. Nel concetto ‘la ragazza perfetta per me’ ci rientrava in pieno.
Eppure.
Le schegge impazzite si ricompattarono di colpo e un solo nome, un solo viso fece un discreto frontale con la sua coscienza.
E non era quello di Mòr.
Piggie. Merda. Merda!
Afferrò le braccia dell’altra e la staccò bruscamente. Non era giusto, e sapeva che si stava comportando da idiota, lo intuiva dalla faccia sbalordita di Mòr. Supponeva che gemere e lasciarsi spingere sul letto fosse qualificabile come un assenso.
“Scusa… Scusa.” Ripeté. “Non posso.” Strizzò gli occhi ma quell’immagine non voleva sapere di cancellarsi. Praticamente saltò giù dal letto ed afferrò la prima maglietta che incontrò per la sua strada.
“Dom, aspetta!” Tentò di richiamarla, ma no, assolutamente no. Si gettò fuori dalla camera a rotta di collo, sentendosi un’idiota. Come si reagiva a tutto quello?
Fece le scale all’inverso. Nella folla si sarebbe calmata, avrebbe preso qualcosa di tassativamente analcolico da bere e l’avrebbe piantata di voler sbattere la testa contro un muro.
Forse non era così grandioso essere lei.
Ultimamente, Torneo a parte, per un cazzo.
Svoltato il tornante che faceva le scale prima di entrare in sala, quasi andò a sbattere contro qualcuno di basso, qualcuno che era una ragazza, aveva i capelli scuri, era un po’ rotondetta e…
Fu certa di avere le allucinazioni quando si trovò di fronte Violet. Ma non era così sbronza, non se era capace di darsela a gambe dalla Ragazza Perfetta.
Piggie la fissò sconcertata, quasi trovasse assurdo trovarsela di fronte. Eppure era vestita a festa, e la festa era la sua. “Nicky, cosa…” L’aveva chiamata Nicky. “… Che è successo, stai bene?”
Trovò perfettamente sensato afferrarla per una mano e trascinarla via.
Sì, ora sì.
 
So can you see the branches hanging over me?
Can you see the love you left inside of me?


Dominique doveva essere definitivamente impazzita.
Non che normalmente fosse una persona considerabile sana di mente, ma stavolta si era superata: se l’era trovata di fronte quando, alla ricerca disperata di un bagno – Scorpius era un’ospite perfetto, ma non sapeva quando fermarsi – aveva risalito le scale del dormitorio femminile. Era rimasta sorpresa, ma la sorpresa si era trasformata in sconcerto quando, alzando gli occhi dalla ridicola maglietta che indossava, l’aveva vista in faccia.
L’altra non era una che perdeva il controllo, per quanto fosse sopra le righe. Ma erano le sue righe, il suo controllo. Alla luce delle candele invece le era sembrata stravolta.
Poi l’aveva afferrata ed aveva letteralmente circumnavigato la folla festante per uscire dal quadro che delimitava l’ingresso del Grifondoro. E continuava a correre, trascinandosela dietro.
Violet non avrebbe potuto liberarsi neanche se avesse voluto.
Weasley!” Sbottò infine, quando si trovarono in un punto imprecisato e buio della scuola, inquietante da morire. “O ti fermi o ti schianto! Dove diavolo stiamo andando?”
Ci fu un lungo silenzio. Poi, la serenissima risposta della folle. “Non ne ho la minima idea.”
“Ma sei scema?!”

“Può essere.”
L’affermazione ebbe il potere di zittirla. Da quando la sciroccata, sempre in delirio di onnipotenza, ammetteva di essere l’idiota che in effetti era?

“Si può sapere che ti prende?”
“… Ho bisogno d’aria. Parecchia.” Mormorò. “Solo che non so come uscire dal castello.”
Violet rilasciò un lungo sospiro. “Idiota. Per tua fortuna qui ci sono già stata per le lezioni di Florigrafia. Riconosco la targa dell’aula, è quella dei Duelli.”
“Usciamo?” Non poteva vederla in viso con quel buio ma il tono era stranamente mite. Troppo mite.

Non farmi preoccupare, idiota!
“Sì, usciamo. Ma non ti azzardarti a tirarmi come se fossi un cavallo!”
Uscire fu possibile solo grazie a Scorpius e alla sua logorrea. Mentre la riforniva di drink con un tasso alcolico imbarazzantemente basso, le aveva spiegato la scorciatoia che doveva prendere, la porta di servizio che doveva trovare e la Parola d’ordine che doveva pronunciare per tornare alla carrozza. In realtà doveva saperla anche Dominique visto che era la festeggiata e presumibilmente sarebbe tornata ben oltre il coprifuoco, ma l’altra non emise suono.
Okay, cos’ha? Cos’hai? È la tua festa!
Uscirono su una piccola corte che dava su un ponte di legno che a sua volta le avrebbe portate al limitare della Foresta, ad un centinaio di metri dalla carrozza. Non era un posto ridente, ma era una via di fuga, ed era fuori.
Certo, se non fosse che …
“Piove. Di nuovo.” Fece una smorfia. “Finiremo per ammuffire.”
Dominique non rispose e, invece di ripararsi sotto il porticato di pietra, si diresse all’aperto. Inutile dire che dopo tre secondi esatti era fradicia fino all’osso. “Vieni qui, ti prenderai un malanno!”
L’altra la ignorò, sedendosi sul bordo rialzato del pozzo che si ergeva al centro dell’ambiente.
Morgana, se la odio. La odio! Che sia messo agli atti.
Si lanciò un incantesimo impermeabile sui vestiti e poi la seguì, fermandosi di fronte a lei. Non l’aveva mai vista con quell’espressione scombussolata addosso. Né aveva mai visto le sue unghie ridotte tanto male. Realizzò che Mael aveva ragione, Dominique non era una super-donna, né tantomeno qualche stramba creatura impermeabile ai sentimenti e alla tensione.
Si inginocchiò alla sua altezza. “Nicky, che succede?” Non poteva pretendere glielo dicesse, neppure era riuscito a farlo quando si frequentavano, ma … “Per favore, dimmelo.” 
L’altra rimase in silenzio tanto a lungo, a fissarla, che poteva essere solo stata bloccata da un Incantesimo di Pastoia. E invece.
“Se non ci vuoi stare, potresti per favore uscire dalla mia testa?”
Se ne usciva con frasi assurde. Perché era assurda. Ed era precisamente questo che amava di lei. L’essere sopra ad ogni schema, convenzione e buon senso.
Fermò una mano dalla sua corsa verso la bocca e gliela strinse tra le sue, portandosela al petto. Ad una come Dominique non bisognava dire ‘mi batte forte il cuore, quindi cerca di capire cosa provo io’. Bisognava mostrarglielo.
“Non voglio uscire dalla tua testa, sarebbe poco conveniente. Tu sei nella mia.” Tentò anche un piccolo sorriso, anche se stava cominciando a diluviare e l’incantesimo le stava riducendo un disastro il trucco e i capelli. “Capisci quello che intendo?”
“Sì, ma hai detto che non funzioniamo … Non faccio che farti arrabbiare, o renderti triste. Non è quel che voglio, ma pare che sia in grado di far altro.” Aggrottò le sopracciglia. “Mi dispiace.”
Violet le strinse la mano per paura che l’altra si divincolasse dalla sua presa. Non lo fece. “Sei una scema, e non sei granché sensibile.” Esordì. “Ma non è solo colpa tua … Mi rendono triste e mi fanno arrabbiare un sacco di altre cose che non riguardano te. Non …”
“Non voglio che diventi Lady Malfoy. Mi piace Scorpius, non voglio volergli affatturare le palle.” La interruppe, quasi non l’avesse sentita. Ma l’aveva sentita eccome.

Scorpius tra ‘le altre cose’ è ciò che la spaventa di più?
“Non sposerò Scorpius. Non mi sposerò.” Ed era vero, lo realizzò in quel momento, anche se non sapeva come avrebbe fatto ad attuare quella risoluzione. “Devi solo … devi solo avere pazienza.” Chiederle una cosa del genere era come tentare di far sedere un Troll per il the delle cinque, ma doveva provarci.
“So che non ti sto dando nessuna rassicurazione, ma devi fidarti di me … Altrimenti…” Non voleva finire con un nulla di fatto quella sera, non con l’altra che la guardava, per una sacrosantissima volta, come se fosse il centro del suo mondo.
“L’altrimenti l’ho già provato. Non è male.” La fermò. Violet si impose di non chiedere oltre, anche se lo voleva, perché era certa che la Maledetta Corvonero c’entrasse e che una fattura fosse doverosa. Ma non voleva rovinare il momento con una crisi di gelosia in piena regola.
“Ah sì?”
“Sì, ma non è te. Io voglio te.”
… Oh.
Baciami. Maledizione, baciami adesso.
Dominique non leggeva certo nel pensiero dato che era a malapena in grado di leggere le intenzioni manifeste altrui. Eppure fu piuttosto intuitiva ad intendere il significato dietro la sua espressione e il fatto – abbastanza vergognoso – che si fosse leccata le labbra.
Si baciarono e fu, beh.
Bagnato, freddo e perfetto.
La tirò a sé perché se se ne fosse andata via di nuovo l’avrebbe schiantata. O uccisa. Sentì la stoffa fradicia della maglietta dell’altra sotto le sue dita, ma non le importò di bagnarsi nel suo abbraccio. Non le importava un accidenti di niente – neppure di pensare con il lessico di una Nata Babbana.
Dominique la spinse a sedere a terra nell’impeto del bacio. Definitivamente il suo povero vestito era stato rovinato. Non era un problema.
Non voleva essere pulita, asciutta, etero e impeccabile quando la rendeva così felice essere tutto il contrario.
 
Take my breath as your own
Take my eyes to guide you home…

 
 
****
 
 
Note:

Vi avevo promesso la svolta, and that’s it!
Forse non è la coppia più importante della mia sciocca saga, ma sono divertentissimi da scrivere!
Nel prossimo capitolo: La Prima Prova, Natale e il Ballo del Ceppo!
La canzone del capitolo è questa

Per chi si fosse persa Morag MacFusty su fb qui. No, poi una come Violet non si deve preoccupare. xD


1.Qui la canzone. Come ho detto su fb, Domi’s Song.
2.Qui la maglietta in questione. Le Pride of Portree sono la squadra ufficiale delle Ebridi, presumibile dunque che Morag non solo tifi per loro, ma abbia anche qualche parente in squadra. Qua invece la maglietta che indossava prima Dom.
3.Qui la canzone.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Fearless // Capitolo IV ***



 
Take me now baby here as I am, pull me close, try and understand
Desire is hunger, is the fire I breathe and love is a banquet on which we feed
(Because the night, Patti Smith)
 
 

24 Novembre 2023

Scozia, Hogwarts, Carrozza di Beaux Batons.
Sette di mattina.
 
A Violet piaceva avere una serie di abitudini ben radicate: le davano più sicurezza di qualsiasi altra cosa.
Così, quando lei e Dominique avevano finalmente raggiunto un punto di incontro – che si era manifestato nel rotolarsi in una corte di pietra e beccarsi un’infreddatura durata due giorni per parte sua – era nata una nuova routine.
Ogni mattina la Weasley si alzava all’alba per i suoi allenamenti e lei, non appena la sentiva muoversi con la solita grazia da Erumpent, faceva lo stesso in segreto. Quando sentiva la porta della stanza chiudersi andava in bagno, si faceva una doccia e si rinfrescava come ogni ragazza avrebbe dovuto fare appena aperti gli occhi. Poi si infilava di nuovo a letto ed attendeva.
Quella mattina, la mattina della Prima Prova, non fu diversa. La prova si sarebbe tenuta verso le undici e Dominique si era svegliata ancora prima, quando ancora non era sorto il sole. Violet, assonnatissima, aveva espletato il suo rituale prima di infilarsi tra le coperte ancora calde di sonno e svenire, letteralmente.
Qualche ora dopo la risvegliò ciò che la risvegliava ogni glorioso giorno, ovvero l’insinuarsi della sciroccata nel suo letto, ancora fresca di doccia e con pochi e relativi vestiti addosso.
“Almeno asciugati i capelli, cretina…” Borbottò, stavolta insonnolita sul serio. Le passò le dita tra le ciocche irregolari e ancora umide. “La magia ti ha concesso una bacchetta, usala.”
La risposta fu un premere dei denti, non forte, poco sotto l’orecchio. Violet trasformò il gemito in dirittura di arrivo in un ben più dignitoso sospiro. “Nicky, dico sul serio, mi stai infradiciando il letto.”
Sentì un basso brontolio, poi uno smuoversi scomposto e una brezza calda in direzione del comodino. “Mai contenta, eh Piggie?” Le sussurrò. Era una fortuna che la loro compagna di stanza avesse il sonno pesante, perché Violet dovette ingoiarsi un suono a metà tra una risata e un urletto quando l’altra le sfiorò il fianco con le dita per sollevare la stoffa della camicia da notte e toccare la pelle nuda.
Dominique non aveva problemi con la fisicità. Sin da quando la conosceva non aveva mai avuto remore ad entrare come una furia nel suo spazio vitale e stravolgerlo. Anche durante l’intimità la solfa non cambiava, ma Violet aveva notato come l’aspetto irruento della faccenda si smorzasse notevolmente.  
Chi l’avrebbe mai detto che la Weasley non nascesse con le istruzioni per tutto?
A quanto pare sarò la sua prima volta.
Non era male reggere lo scettro dell’esperienza, almeno in quell’aspetto. Le passò le dita sul collo e poi sul viso, facendole alzare lo sguardo per incontrare il suo. “Mi è stato detto che prima di una performance sportiva è meglio evitare qualsiasi tipo di contatto intimo con i propri partner.”
“Cioè?”
“Esci dal mio letto.”

“Non mi pare un gran furbo chi l’ha detto.” Fu la replica svelta, senza che si muovesse di un millimetro. “Un gran frustrato piuttosto.”
Violet ridacchiò, riconoscendole una parte di ragione. “Tra mezz’ora devi incontrarti con Mael in fondo alle scale.” Le ricordò paziente. “Senza contare che i tuoi genitori ti aspettano per colazione. Me l’hai detto tu ieri sera, ricordi?”

“Oh beh, aspetteranno!” Fu la risposta prima di schiacciarla trai cuscini e baciarla allegramente.  
Fu con le labbra che le formicolavano e il respiro piuttosto corto che riuscì a indossare la vestaglia ed eludere la presa dell’altra. “Stasera. L’adrenalina sfogala sul campo.” Le ordinò facendo un passo indietro perché l’altra era già pronta a spingerla contro il muro, a giudicare dallo sguardo.
Selvaggia. 
Dominique fece una smorfia scontenta, poi si sedette a gambe incrociate sul letto, perfettamente a suo agio nella sua castissima mise di solo intimo.
… Ti diverti a provocarmi?
Era del tutto possibile. Infatti subito dopo le fece il suo famigerato sorrisetto.
Beh?
Violet si morse un labbro, perché sarebbero passati mille anni, ma quella dannata faccia da schiaffi l’avrebbe messa sempre a disagio. “Cosa?” Borbottò.
“La mia ovvia vittoria la dedicherò a te.”
Si sentì avvampare come se qualcuno le avesse gettato carboni ardenti sulle guance.
L’altra, per tutta risposta, si mise a ridere. “Morgana, se certe frasi ti fanno questo effetto dovrei dirtele più spesso … Sei così buffa!”
“Razza di idio-…” Non fece in tempo ad urlare -  per fortuna, dato che avrebbe svegliato la loro inopportuna compagna di stanza – che Dominique si sporse con un movimento fluido e le afferrò i polsi, tirandosela addosso. Le crollò tra le braccia come un sacco di patate, non essendo lei la dannata Campionessa dell’Accademia. Sul bacio che ne conseguì poté però farsi valere.

“… idiota.” Concluse sulle sue labbra, beandosi dell’espressione vagamente persa dell’altra.
Si riprese subito però, e il sorrisetto da schiaffi tornò in tutto il suo bianco splendore. “Ehi, guarda che dico sul serio.” Inarcò le sopracciglia. “Sei la mia ragazza, no?”
Quella denominazione aveva un suono così dolce e perfetto che Violet non se la prese per esser caduta nella trappola di quel koala platinato. “Certo che sono la tua ragazza.” Non era un’allucinazione, alla sua risposta Dominique si era illuminata. Trai suoi molti pregi c’era mostrare senza pudore quando era contenta. Le stampò un bacetto sulle labbra. “E a proposito di questo, devo darti una cosa.”
“Cosa? Darmi?” La squadrò perplessa. “Beh, qualcosa ci sare…” Si fermò alla sua occhiata assassina. “… non intendevo quella cosa.” Ghignò. “Sei una pervertita, Piggie.”

Io?
Sì, magari appena appena…

Le diede un colpetto sulla fronte. “Da quando sei diventata così sfacciata, tonta?”
“Sfacciata da sempre, e lo sai benissimo Piggie.” Fece rotolare il nomignolo sulla lingua con evidente soddisfazione. “Solo che non avevo la persona giusta a cui indirizzare certe sfacciataggini.”
Le uscivano frasi talmente adorabili e insieme irritanti che … “Aspetta un secondo.” Si risolse a dire, sciogliendosi dal suo abbraccio e dirigendosi verso la toeletta. Frugò nel suo portagioie dopo avergli tolto gli Incantesimi di Protezione e trovò quel che cercava.
Magari era sciocco, magari era una cosa che solo una Purosangue come lei, con la testa imbevuta di racconti e riti che avevano secoli poteva pensare, ma la sera prima le era sembrata un’idea … carina.
Le porse uno dei suoi orecchini di ametista, un piccolo acquisto che aveva fatto senza la supervisione di sua madre in una delle tante vacanze in Costa azzurra. Erano i suoi preferiti.
Dominique scrutò il palmo della propria mano. “È un orecchino.” Constatò.
“Molto acuta, Weasley.” Sbuffò. “E sì, ha un gemello ma tanto su quelle povere orecchie non hai qualcosa che possa essere coordinato con qualcos’altro, quindi non si noterà.” Cercò di controllare il rossore diffuso che le stava salendo al viso. “Secoli fa, quando i maghi si sfidavano a duello, ed erano duelli all’ultimo sangue, le proprie spose o…” Niente da fare sapeva di essere dello stesso colore dello stendardo dei Grifondoro, almeno a giudicare dall’aria esilarata dell’altra. “… o fidanzate davano loro qualcosa che gli apparteneva. Un orecchino, un fazzoletto. Cose simili. Per proteggerli. È … un portafortuna.”

… e un pegno d’amore. Ma non è necessario che tu conosca questa parte della tradizione.
Se ne stava quasi pentendo, quando Dominique si tolse uno dei suoi Babbanissimi piercing e lo sostituì col suo. “Forte!” Le sorrise. “Come mi sta?” 
“Male, visto che gli altri sono terribili.” Deglutì il groppo di emozioni che sentiva in gola. “Se me lo perdi ti ammazzo.”
“Starà benissimo.” Le assicurò, afferrandole improvvisamente la mano. Violet ricambiò la stretta con forza. “Anch’io starò benissimo.”

Fu una diretta conseguenza di quelle parole gettarsi sul letto e stringerla in un abbraccio. L’altra ricambiò accarezzandole i capelli come ad una bambina che stava per piangere. E non era quello il caso, assolutamente no. “Ehi, ehi. Mica vado in guerra!”
“No?”
“Okay, magari solo un po’.” Convenne. “Ma me la caverò alla grande. Come sempre!”

“Promettimelo.”
Non che avesse molto senso, chiederle una cosa del genere quando stava per disputare un Torneo che era stato abolito proprio per l’alto tasso di incidenti e pericoli occorsi ai suoi concorrenti. Ma comunque…

Dominique, matta com’era, annuì come se stesse semplicemente andando a disputare una partita di Quidditch. “Nessun problema. Promesso.”
Violet, nonostante tutto, le credette.
 
****
 
Violet non credeva nel karma. Era un concetto troppo Babbano per sfiorare i suoi pensieri.
Tuttavia, ne aveva sentito parlare dalle chiacchiere delle amiche e si era fatta l’idea che fosse una bella spina nel fianco e che fosse programmato per stravolgerti la vita.
Per l’appunto, solo il maledetto avrebbe potuto farle sedere accanto la Maledetta Corvonero durante la Prova.
Violet si strinse nella leggero mantello foderato di pelliccia bianca in dotazione con l’uniforme e scoccò un’occhiata irritata al mezzo chilometro di stola di tartan che minacciava di affogarla.
“Scusa!” Esclamò quella con un sorriso affatto dispiaciuto. Poi inarcò le sopracciglia. “Ma tu…”
“Sì?” Articolò con freddezza, tanto che due compagne accanto a lei subito drizzarono le orecchie.

Imparate ad esser più discrete, almeno! È la base di una buona pettegola!
Morgana, se odio le principianti.
“… Non ci siamo già viste da qualche parte?”
“Tipo in questa scuola?” Le suggerì come se fosse tarda. Purtroppo, a giudicare dai colori che indossava, non avrebbe dovuto esserlo. E non lo era.  
“A parte a scuola …” Schioccò le dita. “Ah, ma certo! Sei la compagna di stanza di Dom.”
“Già.” Sillabò. “E tu sei la scozzese.”
La ragazza fece un sorrisetto. “Allora ti ricordi…”
Dannazione!
Essere presa in contropiede in quel modo era imbarazzante. “Certo.” Si riprese subito. “Hai bisogno di qualcosa?”

La Corvonero fece una smorfia, ma sembrava più divertita che irritata dalle sue risposte poco amichevoli. “Volevo solo fare due chiacchiere. In fondo, a quanto pare, mi capisci quando parlo.”
… e due. Stai perdendo questa battaglia, mia cara. Meglio virare su un dignitoso silenzio.

Violet puntò quindi lo sguardo verso l’arena su cui i Campioni avrebbero disputato la gara.  
Sperava che Dominique stesse bene.
Ma certo, come dovrebbe stare? È nel suo elemento adesso. Ovvero ad un passo dalla morte.
In quelle tre settimane lei e l’altra avevano vissuto in un meraviglioso limbo protetto. Dominique aveva i suoi allenamenti a cui nessuno poteva partecipare tranne l’Assistente. Era stato così facilissimo passare del tempo assieme con la compiacenza inaspettata di Mael.
Un meraviglioso limbo che aveva però i giorni contati. A Natale, e dunque al suo ritorno in terra natia, mancava solo un mese. Un mese preciso e avrebbe rivisto sua madre.
Aveva infine risposto alle tre lettere. L’aveva blandita, rassicurata circa i suoi progressi nell’amicizia con Malfoy – che non erano poi bugie. Quando si era sfogata con Scorpius, il ragazzo le aveva consigliato di parlarle faccia a faccia una volta tornata.
Certo, parlarle a tu per tu. Ma se non riesci neppure ad accennarglielo per lettera…
Aveva promesso a Dominique che avrebbero vissuto la loro storia alla luce del sole, ma non aveva idea di come fare, non senza infliggere un terribile colpo al rapporto con sua madre. La amava nonostante tutto.
Per non parlare di Jenny e delle altre …
Un groppo alla gola la costrinse a schiarirsi la voce e concentrarsi sulla folla vociante, sugli striscioni e la musica suonata da una scoordinata banda condotta da un tipo senza maglietta e con il torace dipinto nei colori di Hogwarts – non era il moretto amico di Malfoy?
Questo posto è folle.
Raddrizzò le spalle e si tamponò il naso con il fazzoletto – colpa di quell’orrendo clima scozzese.
Violet!” Una voce infantile la fece sobbalzare sulla panca. Vide spuntare dalla fila delle sue compagne una testa rossa contornata da un’esplosione di lentiggini.
“Louis…?” Esclamò, ricambiando sorpresa l’abbraccio del ragazzino.
“Ciao bellezza!” La salutò spigliato. Aveva i capelli più lunghi, e piuttosto ricci. Chissà se li aveva così anche Dominique, se si fosse mai degnata di tenerli più lunghi di qualche ciocca impazzita.
“Ciao… Sei qui per tua sorella?” Realizzò. Il bambino annuì allegro, sedendosi tra e lei e la scozzese. Non l’aveva mai trovato così simpatico.
“Domi les va vaincre, quei due moche!” Le assicurò in un buffo pastone di francese e inglese. “Anche maman e papà ne sono sicuri, Vic aussi! Vic però n’a pas pu venir, perché adesso insegna nella nostra scuola, sai? È molto brava, Madame le ha dato un sacco di responsabilità!”
“Louis, scegli una lingua, o farai una gran confusione.” Gli consigliò divertita.
Désolé!” Sbuffò. “Non è facile, sai… Mi sembra di avere la testa divisa in due!” Continuò, chissà perché, in inglese. Ma doveva essere l’atmosfera, lei stessa si era trovata a parlarlo con più facilità. “Sai che ho detto a maman che voglio trasferirmi qui, quando Domi si sarà  diplomata? Qui è forte. La gente grida, urla e fa cose assurde … Mi piace!” Chiocciò querulo, con i vispi occhi azzurri.
Violet fece un lieve sorriso, accarezzandogli l’indomita testa ricciuta. Si chiese cosa i loro azzimati professori pensassero di quel nido di fiamme. La Fleurent, quella di Storia della Magia, non si era mai davvero ripresa dalla cresta di svariati centimetri che Dominique aveva sfoggiato al Quinto anno.
“Sì, capisco quello che intendi.” Gli disse. “Qui è molto diverso dalla Francia, almeno, a certi livelli…”
Per Mezzo Sangue e Nati Babbani. Per noi Purosangue, a sentir Zabini e Nott, non cambia molto.

A meno di non chiamarsi Scorpius Malfoy.
“Quali livelli?” Vedendo che tentennava nella risposta, passò subito ad un altro argomento con l’incostanza tipica dell’età. “Sai che da grande voglio fare la rockstar? Sto imparando a suonare la chitarra e tutti mi adoreranno!”
“Ma come, già non lo fanno?” Lo prese in giro, facendolo ridere.

“Tu cosa vuoi fare da grande?” La domanda la spiazzò. Ci pensò un attimo, ma data la sua situazione attuale, una sola risposta le venne in mente e non trovò poi così disdicevole dirla.
“Essere felice.”
Louis aggrottò le sopracciglia confuso, poi la sua attenzione – la discontinuità doveva essere un altro tratto genetico Weasley-Delacour – fu calamitata da qualcosa in mezzo al campo.
“Violet, regardez-la, stanno per iniziare!”
Violet inspirò bruscamente. Era il durmstranghiano ad essere entrato per primo nell’arena. Dopo forse sarebbe stato il turno di Dominique.

Si sentì prendere la mano dal ragazzino. “Sta’ tranquilla, mia dama.” Le comunicò con una comica aria seria. “Ci penso io a tenerti la mano al posto di mia sorella.”
“… Come scusa?” Quella matta aveva parlato di loro al fratellino dodicenne?
E perché non avrebbe dovuto?
La sua coscienza stava cominciando a diventare fastidiosa.   
“Me l’ha chiesto lei di tenerti la mano e di dirti che non ti deve preoccupare perché ha il tuo pegno.” Louis fece spallucce. “Non ci ho capito niente, ma lei ha detto che tu l’avresti fatto!”  
Allora lo sa che cosa rappresenta quell’orecchino…
Strinse la mano a Louis, con un dannato groppo alla gola, ormai suo fedele amico.
 
****
 
E poi fu il turno di Dominique.
Il durmstranghiano aveva sostenuto una prova spaventosa, talmente violenta che Violet aveva chiuso gli occhi più volte mentre il suo piccolo amico esprimeva a gran voce sgomento ed esaltazione assieme.
E poi, fu il turno di Dominique.
Entrò nell’arena a passo sostenuto, con la fluidità rapida e misurata di chi aveva un solo pensiero in mente e su quello era focalizzato. Il suo maggior pregio era la capacità di concentrazione durante situazioni simili. Violet l’aveva vista volare durante le partite: era come se escludesse il mondo intero.  
Si fermò all’esatto centro dell’arena e si scrocchiò il collo, un movimento tutto suo che annunciava preparazione sia mentale che fisica.
Vai Domi!” Strillò Louis applaudendo. Non fu l’unico: assieme ai ragazzi della delegazione c’erano molti hogwartsiani. Era riuscita a farsi amare anche dai rivali, a giudicare dal tifo corposo che la investì.
Pur vero che metà della sua famiglia appartiene a quest’isola…
Violet sentì la vibrazione del legno sotto di sé: stavano dunque aprendo una delle gabbie.
Che animale sarà? Cosa dovrà affrontare?
Ti prego Morgana, veglia su di lei. Ti prego, proteggila e dalle un po’ di buonsenso.
Non mi importa che vinca. Solo, proteggila.
Serrò gli occhi e poi li riaprì sull’arena. Si sentì scivolare il fiato dalle labbra quando identificò la creatura che, guardinga, faceva i primi passi fuori dall’ambiente che fino a quel momento l’aveva contenuta. Era piccola, non più grande di un animale di taglia media, ma non era la dimensione il problema. Il problema era che aveva una dannata testa di leone e una coda che schioccava sibilante.
“Una Manticora!” Esclamò Louis. “Sono molto pericolose!”
Non era spaventosa come l’Acromantula che aveva affrontato il precedente Campione, ma chiunque si fosse preso la briga di ascoltare una lezione di Cura delle Creature Magiche sapeva di cos’era capace.
La testa di leone sputa fuoco mentre il veleno del serpente è capace di uccidere all’istante.
Le veniva da vomitare. Sapeva che Dominique avrebbe rischiato molto, ma realizzarlo era terrificante.
“Sta’ tranquilla.” Louis le prese una mano tra le sue, sedendosi composto, quasi avesse intuito la sua poca voglia di partecipare al tifo. “Domi è abituata ai draghi! Sono molto più grossi e cattivi, sai!”
Louis aveva ragione, ma non voleva sentire discorsi razionali in quel momento.
Voglio solo che finisca. Ora. Subito.
Sentì un boato dalla folla e calamitò lo sguardo sotto di lei. Dominique aveva tentato il primo approccio e la Chimera non aveva tardato ad attaccarla sputandole addosso una vampata di fuoco. Si rialzò da terra, fuori dall’aria di tiro dall’animale, illesa.
Per adesso.
“Le Chimere sono veloci nell’attacco, rispetto ad un drago…” Disse la scozzese di fianco a loro. Avrebbe potuto continuare a restarsene zitta, per quanto la riguardava. “Sono piccole, si spostano meglio.”
“Grazie per l’informazione.” Soffiò trai denti, sentendo l’impulso di tirarle un ceffone.  
“Non voglio farvi preoccupare.” Sorrise appena, quasi avesse letto le sue intenzioni. “L’ho detto solo perché Dominique sa benissimo come cavarsela. Ha fatto una serie di allenamenti specifici.”
“Tu sei Mòr!” Indovinò Louis. “Sei quella scozzese? Ci ha scritto di te!”
Ah, sì?

Violet soffocò l’impulso di tirare a sé il ragazzino e intimare all’altra di sparire. Dominique le aveva parlato di quello che era successo e non successo tra di loro.   
Ti dovrei insegnare a non provarci con le ragazze altrui …
La Corvonero sorrise a Louis. “Anche lei mi ha parlato di voi e di te, Louis.” Se l’avesse affatturata, con tutto quel caos, nessuno l’avrebbe notato. Prima che potesse seriamente pensarci però, la loro attenzione venne nuovamente calamitata verso l’arena. Stavolta Dominique aveva tentato una nuova manovra di avvicinamento, prendendo dal fianco la Chimera. La creatura però, molto più sveglia di quanto non sembrasse, aveva finto di non capire  finché non se l’era trovata a distanza di tiro. Poi aveva tirato.
Violet nascose il viso tra le mani quando vide la vampata deflagrare in direzione della sua ragazza. Non l’aveva schivato, era stato troppo repentino, non poteva averlo schivato.
“Violet, guarda! Sta bene!” La scrollò Louis. Era vero. Dominique doveva esser riuscita a lanciare una barriera e l’unica cosa che aveva preso fuoco era stata la casacca che indossava. La vide gettarla a lato e rimanere solo con la canottiera.
“Quella casacca è ignifuga?” Chiese a nessuno in particolare, temendo la risposta.
“Avrebbe dovuto. Le fiamme della Manticora però sono magiche … funzionano in modo diverso. Credo anche che sia stata colpita.” Fu l’Odiosa Corvonero a darle la risposta che non voleva. Mentre Louis era distratto dalla sorella che si era intanto portata fuori tiro, si voltò fissandola apertamente.
“A che gioco stai giocando?”
“Scusa?”
“Sai benissimo di che parlo.” Replicò irritata. “Sei sua amica, dovresti tifare per lei!”  
La scozzese fece un mezzo sorriso. “Lo sto facendo.” Fece una pausa. “Sei la ex di Dom?”  
Forse si aspetta che neghi per proteggere la mia reputazione? Così può andare a dirlo a Nicky?
Violet compose il viso in una delle sue famigerate smorfie altezzose. “Non ex, mia cara. Attuale.” Flautò fregandosene delle conseguenze. Nicky stava rischiando la pelle pochi metri sotto. Gliela doveva, quella piccola presa di posizione. Oltre a – Morgana, sua madre l’avrebbe uccisa – segnare il territorio.
L’altra ci mise poco a riprendersi dal disappunto, dovette dargliene atto. “Perlomeno adesso so perché mi ha rifiutata.”
“Se stai cercando…”
“Non sto cercando di mettermi tra voi due. So abbandonare una partita, quando è persa.” La sorprese. Era irritante constatarlo, ma l’altra stava reagendo con una dignità che le rendeva difficile le cose. “E comunque…” Soggiunse. “C’è qualcosa di più importante a cui dovremo dedicarci.” E indicò l’arena. Subito dopo esplose un secondo boato: Dominique aveva tentato di mettersi in sella alla bestiaccia.
“Quell’idiota!” Esplose, saltando in piedi. “Che diavolo sta facendo?!”

“Spettacolo!” Ghignò Louis. “La mia sorellona è un asso in questo!”
“No, è pazza!”
“Una cosa non esclude l’altra.” Ridacchiò Louis. “Vai Domi!” Urlò poi con quanto fiato aveva in gola.

Dominique non poteva sentirli, ma Violet sperò che percepisse comunque le loro, le sue preghiere.
Ti prego, ti prego, non fare la pazza … Vinci, se vuoi vincere, ma fallo tutta intera, ti prego.
L’orecchino che le aveva dato non valeva niente, ma sperava fosse vera quella diceria secondo cui la volontà di un mago poteva creare una magia molto più potente che quella lanciata da una bacchetta. Sperava che la sua, di volontà, fosse tutta in quell’orecchino.
Vinci Nicky. Vinci.
Non si accorse di urlarlo finché non realizzò che Dominique doveva avercela fatta, con l’ultima mossa fulminea verso la creatura, immobilizzandola con un incantesimo brillante.
Louis le abbracciò la vita. “Ce l’ha fatta! La mia sorellona ce l’ha fatta, Violet!”
Dominique, di fronte al clamore del pubblico, non alzò le braccia al cielo come codice non scritto prevedeva. Fece un gesto che non aveva alcun senso per la moltitudine: si portò il dito all’orecchio destro, quello dell’orecchino, e poi indicò la folla, la sua delegazione, lei.
La mia ovvia vittoria la dedicherò a te.
La Corvonero fece uno sbuffo a metà tra la rassegnazione e il divertimento. “Su una cosa hai ragione, francese.” Commentò. “È pazza. Ma di te.”
Per la prima volta in vita sua, Violet rise senza preoccuparsi che le si vedessero i denti, il naso o che potesse essere inappropriato. Rise e basta.
 
****
 
C’era qualcosa che non andava.
Violet si strinse nel mantello mentre la nebbia saliva fitta attorno allo stadio: sapeva che il tempo inglese era brusco e repentino nel cambiare, ma lì si stava esagerando.
Fino a pochi attimi fa c’era il sole!

“Che freddo!” Esclamò Louis, stringendosi nel suo piccolo e perfetto cardigan verde bottiglia. Non aveva l’aria di tenere particolarmente caldo. Ma neppure il suo mantello sembrava assolvere alla funzione.
“Dannato clima scozzese…”
“Non è il tempo.” Intervenne l’Indigena – era un soprannome azzeccato per una che faceva di cognome MacFusty – drappeggiandosi addosso la stola di tartan. “Non cambia così in fretta neppure nelle isole.”

Violet non seppe cosa ribattere. La realtà era che, sebbene si fosse sentita allegra fino a poco prima, in quel momento le erano tornate in mente tutte i problemi che avrebbe dovuto affrontare con sua madre. Un pensiero talmente repentino da essere innaturale.
“Voglio andare dai miei genitori.” Borbottò il ragazzino con le braccia strette al corpo. “… Vado da loro!” Esclamò, saltando in piedi e dirigendosi verso le scalette che dividevano un settore dall’altro.
“Louis, aspetta!” Non seppe neppure perché glielo gridò, ma a posteriori fu un guizzo d’istinto incredibilmente lungimirante.  Perché accadde.
Ci fu una serie di grida, dapprima isolate, ma che poi si propagarono ovunque. E la gente cominciò a muoversi, alzarsi, tirar fuori bacchette e la voce.
Che sta succedendo?!
“Dissennatori!” Sentì urlare da qualcuno o dalla folla intera.
“Cosa?” Sentì esclamare la scozzese di fianco a lei. Ma la sua presenza era ininfluente, con Louis che stava venendo sballottato via da un gruppo di esagitati maghi dalle tuniche colorate. Stavano cercando di uscire come pesci presi nella rete, e il dodicenne, magro e piccolo com’era, non era in grado di sottrarsi alla presa. Si dibatteva e la chiamava, sconvolto da quell’improvvisa piega degli eventi.
Louis!” Scavalcò un paio di sue instupidite compagne che si guardavano attorno come a cercare ordini – dov’era la Madame? Ancora nella tenda dei Campioni? – e raggiunse il ragazzino, afferrandolo da sotto le braccia e tirandolo via dalla presa ferra di due enormi maghi che tentavano di scavalcarsi a vicenda.
Dannati imbecilli! C’era un bambino e lo stavate schiacciando!
“Perché scappano?” Aveva l’aria scossa e le lacrime agli occhi, ma sembrava star bene. “Che succede?”
“Non lo so.” Lo strinse al suo fianco, trovando del tutto ragionevole tirar fuori la bacchetta, ma non tenerla di fronte a sé. Quella calca gliel’avrebbe spezzata. “Andiamo a cercare i tuoi genitori, assieme.” Decise. Non era così stupida da tentare di uscire di lì con le sue sole forze. Gli Weasley avevano la reputazione di gente pratica e dall’incantesimo facile. Sarebbe stata più al sicuro in loro compagnia che in quella dei suoi inesperti compagni.
Inesperti come me.
Furono così inevitabilmente inglobati dal magma di persone che si muoveva verso le uscite. Qualcuno, professori e altri adulti, tentava di coordinare senza troppo successo.
Violet si strinse il colletto di pelliccia tra le dita. C’era troppo freddo. L’ambiente avrebbe dovuto esser rovente, a causa dei corpi accalcati, invece sentiva freddo. Ed era lo stesso per il suo piccolo amico, che si stringeva a lei come a trarne conforto. Vi era ironia in quella situazione: mai, nella sua vita, avrebbe pensato che si sarebbe trovata a prendersi cura di un’altra persona.
Uno Weasley, poi.
“Cerca di vedere dove i metti piedi.” Gli consigliò per non ordinarglielo. “Non cadere.”
Louis annuì e serrò la presa sulla sua vita con il rischio di sbilanciarla. Violet inspirò: se fossero caduti sarebbe stato impossibile rialzarsi, dato che quella mandria di imbecilli li avrebbe calpestati senza troppe remore. Sentiva spinte e pressioni da ogni lato ed era maledettamente difficile mantenere l’equilibrio.

Se fossi da sola ti sarebbe più facile uscire …  
Quel pensiero era terribile. Eppure l’aveva pensato, perché aveva una sua dose di ragionevolezza.
Violet serrò le labbra, e lo scacciò spaventata. Poteva essere molte cose, ma non un mostro.
“Va tutto bene.” Tentò un sorriso, vedendo come le allegre lentiggini del bambino fossero quasi sbiadite nel pallore del volto. “Continua a camminare, siamo quasi fuori.”
“Sì.” Annuì deglutendo. “Ho … ho paura.” Le confessò, ma senza smettere di mettere un passo dietro l’altro, ubbidiente.
“Ma come, un Weasley che ha paura?” Lo prese in giro. Quando sarebbero usciti? Quei maledetti spalti sembravano non finire mai. Si erano infilati nel corridoio di uscita, ne era sicura perché erano scesi, ed ora sopra la sua testa vedeva l’architettura interna degli spalti, ma non voleva dire molto. La gente attorno a lei urlava, chiamava altra gente, e c’era freddo, freddo ovunque.
Dissennatori … non dovevano esser stati messi in sicurezza anni fa?
“Non siete tutti coraggiosi?” Continuò, vedendo che il ragazzino sembrava trovare interessantissime le sue parole. O forse, lo distraevano. “E poi hai fatto una promessa a tua sorella…”
“È … è vero!” Esclamò ritrovando un po’ di colore alla menzione di Dominique. “Va bene, io … io sono coraggioso!”
“Vorrei ben vedere, una dama non può esser lasciata sola ad affrontare certe situazioni. Non è appropriato.” Non sapeva neppure da dove le uscissero certe parole, o la voglia di parlare. Louis in compenso sembrò aver ritrovato un po’ di sicurezza, perché smise di aggrapparlesi alla vita.

Riuscirono ad uscire. Ma il sollievo di riuscire finalmente a muoversi senza rischiare di esser calpestati da qualcuno fu breve. Fuori dallo stadio la nebbia era talmente spessa e scura che non si vedeva più in là di qualche centimetro.
La nebbia scozzese è nera?
Lumos.” Nulla. Violet controllò la propria bacchetta ma era perfettamente a posto, integra e lucida come sempre. Solo, non funzionava. Sentì il panico serrarle la gola, ma l’espressione sconvolta del piccolo Weasley la fece immediatamente rientrare nei ranghi.
Sono io la persona adulta qui. Non posso esser io a perdere la testa.
“Violet, che succede? Perché la bacchetta non funziona?” Guardò la sua, altrettanto silente e priva di magia. “Perché la magia non funziona?”
“Non preoccuparti… andrà tutto bene.” C’erano parole per arginare il terrore di sentirsi privi di una parte di sé stessi? Probabilmente no.
Sentiva dei suoni, voci e sussurri tutto attorno. C’erano delle persone, ma non riusciva a vederle.
Cosa sta succedendo? Che ci sta succedendo?
Se solo ci fosse stato qualcuno a cui chiedere, appoggiarsi, affidarsi. Mai, in vita sua, si era trovata a prendere decisioni da sola, senza qualcuno che gliele consigliasse o gliele imponesse come le uniche da prendere. Le mancava il fiato, ma al tempo stesso sentiva la mente lucida come mai prima di allora.
Dev’esser questo che si prova ad esser padroni di se stessi.
“Andiamo verso il castello.” Era la cosa più sensata da fare. “I tuoi genitori staranno andando là.”
Louis annuì, stringendole la mano. Aveva il palmo caldo, a sua differenza, che si sentiva congelare.  “Copriti bene. Se ti prendi un raffreddore poi come festeggerai a dovere con tua sorella?” Tentò di sorridere, stavolta fallendo miseramente. “Forza, andiamo.”

Fu un attimo e un vento gelido le entrò dentro come avrebbe fatto una lama di coltello. Violet si sentì girare la testa e incespicò nei suoi stessi passi, come sua madre l’aveva sempre accusata di fare.
Goffa, sciocca e inadatta Violet. Per essere una dama, non vali neppure un centesimo.
Era come se ci fosse una voce nella sua testa. Sussurrava, sogghignava, rideva. Di lei.
Anonima Violet. Dovresti obbedire a tua madre. È certo meglio di pensare con la tua testa.
Una delusione, un abominio che preferisce la compagnia delle ragazze al tocco di un uomo.
Sentiva la testa piena di quelle frasi, si accavallavano l’una sull’altra e avevano la voce della Vedova, composta nel tono sprezzante che usava solo per gli esseri che riteneva inferiori.
Ti ho dato tutto, un’educazione, una dote e le carte giuste per rispettare il tuo cognome e il tuo lignaggio e tu preferisci seguire i tuoi patetici desideri? Quali desideri?
Stupida e poco interessante come sei chi credi ti possa amare, o desiderare?
Sciocca, goffa e anonima Violet…
“Violet! Violet, cos’hai? Alzati! C’è qualcosa! Qualcosa di brutto! Dobbiamo scappare!” Louis la stava strattonando, ma non riusciva a muovere un muscolo: era come se il suo corpo fosse fatto di piombo.
“Alzati, dai, alzati!” Perché Louis non la lasciava in pace? Avrebbe dovuto abbandonarla, lei al posto suo l’avrebbe fatto, di certo. Ma era il fratello di Dominique, ovvio che fosse cocciuto come un Folletto.
Nicky…
Le aveva dedicato la sua vittoria. Aveva fatto quella posa buffa, incomprensibile per chiunque tranne che per lei – e quell’insopportabile e intuitiva scozzese.
Nicky le voleva bene, o non si sarebbe comportata in modo assurdo per quasi un mese, per poi esplodere e trascinarla in un cortile e baciarla in mezzo alla pioggia come se il mondo stesse per finire. Non si sarebbe illuminata ogni volta che le confermava che stavano assieme, né le avrebbe dedicato il suo risultato del Tremaghi.
E come fai a saperlo, te l’ha mai detto? Forse vuole giocare con te come ha fatto Louise…
Non era possibile. Dominique era un sacco di cose, molte delle quali estenuanti e insopportabili, ma non era una stronza. Era Nicky. C’era anche Scorpius, a pensarci bene. Quello stravagante ragazzone che le aveva offerto amicizia senza nessun tornaconto personale. Era stata così sollevata quando l’aveva visto superare le prova… e felice per lui, anche. Senza nessun tornaconto. C’era qualcuno che teneva a lei anche se era una scialba, insopportabile Purosangue piena di sé.
Visto mamma?
Strizzò gli occhi e li riaprì. Il mondo era tornato a fuoco. “Ehi!” Esclamò Louis, inginocchiato davanti a lei, con tono sollevato. “Mi senti? Ci sei?”
“Sì, ci sono…” Inspirò bruscamente quando vide cosa c’era alle spalle del ragazzino sorridente.
Un Dissennatore!
Li aveva visti solo in figura, ma  non c’erano dubbi. Il mantello pieno di buchi e lercio, le mani scheletriche che spuntavano dalle maniche come rami secchi e  il cappuccio calato sul nulla.
Si alzò in piedi, ignorando il capogiro e spinse dietro a sé l’altro. Con orrore si accorse di non sapere come mandar via quella cosa orrenda, né si sentiva sufficientemente in forze da scappare. Si era ripresa, ma non era in grado di affrontare alcunché.
Di colpo Louis si divincolò dalla sua presa e corse via. Era scappato, e non poteva che comprenderlo.
Il Dissennatore parve captare la sua debolezza perché avanzò verso di lei. Le sembrava di ricordare che quei mostri si nutrivano della tristezza umana, scatenandola.  
Non ho paura. Non puoi farmi male, perché non ho paura. Non più.
Afferrò la bacchetta. Se non poteva correre via, poteva almeno cercare di lanciare un segnale di aiuto. Fortunatamente, non ce ne fu bisogno perché un improvviso lampo di luce squarciò il nero profondo in cui era immersa: era argenteo e aveva una forma che non tardò ad identificare con un cigno.
Cosa…
Il Dissennatore gettò una sorta di sibilo stridulo, prima di scomparire nel nulla mentre dalla nebbia apparve una figura di donna.
Violet!” Era la voce di Louis, che spuntò dall’ampio e ricco mantello della strega; non era scappato quindi, era andato a cercare aiuto!
Facendo qualche passo esitante nella loro direzione, riuscì ad identificare i suoi salvatori. Erano in due adesso e con sgomento si rese conto che li conosceva.
“Violet, quanto tempo…” Le sorrise Lady Astoria Malfoy. Sembrava perfettamente a suo agio in quella situazione allucinante, mentre il marito aveva la bocca tesa in una linea irritata.
Probabilmente non era stato lui a lanciare l’incantesimo.
“Lady Astoria, Lord Malfoy.” Li salutò, chiedendosi che genere di formalità fosse appropriata in quei casi.
“Il tuo giovane amico ci ha segnalato la tua presenza.” Spiegò la strega, quasi fossero nel bel mezzo del the delle cinque. Ricordava fosse suo tratto tipico non sembrare mai fuoriposto. “Come ti senti, cara?”
Violet, come suo solito, si trovò a corto di parole. “Meglio…?” Tentò sentendosi un’autentica stupida. Ma era salva, realizzò, era viva. “Grazie… grazie Lady Astoria!” Esclamò, e non le importò di incespicare con le parole. Era viva.
La donna sorrise. “Sei cresciuta.” Le fece una carezza che la riempì di uno strano calore consolante. “Ti trovo bene.”

E fu altrettanto strano, ma realizzò di colpo che si sentiva bene davvero.
 
****
 
“Noi andiamo a cercare Scorpius, cara.”
Violet quasi sobbalzò quando Lady Astoria le rivolse la parola. Fino a quel momento era stata completamente concentrata a cercare nella folla di sfollati il volto di Dominique.

Entrati ad Hogwarts erano stati accolti da una moltitudine di persone che, infreddolite e vocianti in più gradi, si aggiravano per i corridoi del piano terra. Violet, reinserita forzatamente in un clima vivace ne era rimasta stordita. Lo era tutt’ora.
“Sì, va … va bene. Io accompagno Louis a cercare i suoi genitori.” Replicò ricordando il suo compito primigenio. Il dodicenne in compenso si era inerpicato sulla balaustra che portava al primo piano per avere una visuale migliore e Lord Malfoy lo guardava come se ritenesse quel gesto un affronto personale.
Mi pare di ricordare che ce l’avesse con gli Weasley, come mamma …  
Lady Astoria invece sorrise al piccolo, accarezzandogli i capelli. “Ti prenderai cura della tua amica, Louis?”
“Ci puoi giurare Astoria! Non abbandono una dama al suo destino, che diamine!” Replicò quello, di nuovo sfacciato, allegro e pieno di lentiggini. Violet vide con la coda dell’occhio Lord Malfoy incupirsi come se stesse covando un temporale.

Era ora di accomiatarsi.
“Vieni.” Il ragazzino fece un balzo e le fu subito accanto. Diversamente dalla sorella era molto ubbidiente. “Per Scorpius … Verrò a cercarvi appena avrò portato Louis dai suoi genitori.” Vedendo l’aria sorpresa della strega, arrossì. Doveva aver pensato che si fingesse preoccupata per via delle aspettative di sua madre circa il loro fidanzamento. “Siamo … Non è per… È mio amico, e…” Balbettò incoerente tanto che si beccò pure le sopracciglia inarcate dell’uomo. Avrebbe voluto scomparire.
La strega in compenso le sorrise con aria divertita. “So che siete amici, mio figlio me l’ha scritto.” Le mise una mano sulla spalla. “Pensiamo di portarlo via subito però … Non credo ci incroceremo di nuovo. Ti farò scrivere nei prossimi giorni, anche se sono certa che Scorpius vi penserà da solo. Abbi cura di te, cara. A presto.” Le baciò la guancia prima di toccare il braccio del marito e farsi portare via.
“Che donna!” Esclamò Louis  quando furono fuori tiro. “Dev’essere figo averla come moglie, eh?”
Anche come madre, se è per questo…

“Andiamo a cercare Ni… I tuoi genitori.” Si distrasse.
“E anche Domi!” Assecondò il suo lapsus con tranquillità. “Sei preoccupata per lei, lo capisco!”

Eccome. Chissà in che guai è riuscita a cacciarsi, data la situazione…
“Proviamo in infermeria?” Suggerì il ragazzino zigzagando tra la confusione di persone come se fosse nato per quello. “Mia sorella di sicuro l’han portata là … Non era conciata benissimo finita la prova!” Aggiunse sereno, quasi fosse abituato a sapere sua sorella nelle braccia della Medimagia.
… Non che abbia tutti i torti. Da che la conosco è finita in un lettino più volte di quel che se ne possono contare.   
Violet seguì così Louis. Sbagliarono ad imboccare un corridoio solo una volta, poi arrivarono a destinazione. L’infermeria era molto più grande della loro, e ricolma di Medimaghi, gli stessi che avevano presenziato alla prova. Violet inspirò.
E ora come la troviamo?
 
“Lasciatemi uscire di qui rompicoglioni!”
 
Violet si guardò con Louis, e vide negli occhi dell’altro la stessa sorpresa. Solo una persona poteva urlare e farsi sentire per un’intera infermeria.
“Da quella parte!” Esclamò l’altro. “È lei! Mia sorella ha dei gran polmoni!”
Ed è lei la rompicoglioni.

Ma evitò di formulare quel pensiero ad alta voce, non era appropriato. Anche se diamine, cosa aveva da urlare quella matta? Doveva esser circondata da personale medico e servita come una regina, visto il suo ruolo di Campionessa.
Come se fosse quello il punto … Sai benissimo quanto detesti esser obbligata a rimaner ferma in un posto quando il resto del mondo si muove. Va in risonanza, l’idiota.
Aggirarono una serie infinita di facce, persone e lettini. Violet vide con la coda dell’occhio la scialba Weasley, probabilmente la fidanzatina di Scorpius e Zabini, in compagnia del ragazzino dai grandi occhi verdi, più una serie di persone di cui non le importava nulla.
Louis scostò una tendina e si trovarono finalmente di fronte all’incarnazione di tutti i suoi guai. Dominique era seduta sul lettino o meglio, costretta in quella posizione dalle braccia di Mael e del padre.
Nonostante fossero in due facevano fatica a tenerla ferma; il padre addirittura tentava di tenerle lontano la bacchetta.
“Louis!” Esclamò Madame Weasley, rompendo la stasi comica della scenetta, alzandosi dalla sedia su cui doveva essersi lasciata scivolare senza forze, a giudicare da come fino ad un secondo prima avesse fissato Dominique in pieno sconforto.
Maman!” Violet concesse un breve sorriso al loro abbraccio prima di concentrarsi sull’altra.
Dominique la fissava come se avesse appena visto Morgana in persona ascendere dall’Aldilà. Violet ci mise più di qualche attimo a realizzare che era il suo modo di mostrare sollievo.

“Per tutte le palle di drago … la folla non t’ha schiacciato!” Esclamò.
“Perché avrebbe dovuto farlo?” Replicò, indecisa se ordinarle di piantarla con quella scenata o stritolarla in un abbraccio persino più stretto di quello tra Louis e sua madre.
“Beh, sei un po’ nana…” Fu la replica. Poi si voltò verso padre e cugino. “Va bene, va bene … Adesso che è qui e so che sta bene, potete mollarmi, faccio la brava.”
Strepitava tanto perché voleva andare a cercare me?
Il viso le prese completamente fuoco. “Non sono nana, idiota, sei tu che sei una gigantessa!” Borbottò tanto per dire qualcosa, dato che tutti la stavano squadrando come se fosse una creatura magica sotto spirito. Tranne Mael che invece sogghignava con l’aria di trovare quella situazione deliziosa.

Va’ all’inferno.
“Meno male che stai bene…” Mormorò Dominique strappandola alle sue riflessioni. Poi di colpo gli occhi le si rovesciarono e crollò sul lettino con un tonfo sordo.
“Nicky!”
“È solo svenuta.” Sospirò Madame Weasley, mentre coccolava il figlio sulle ginocchia. Non sembrava granché turbata da quel repentino crollo fisico. “Eravamo nel ben mezzo di una rivolta dei Goblin finché non sei arrivata tu, ma era pur sempre allo stremo delle forze. Per fortuna.” Soggiunse con un sospiro.
“Non è la prima volta che le succede, sta’ tranquilla. Ha solo bisogno di dormir sodo.” Si inserì Weasley Senior con aria rassicurante. Poi si rivolse alla moglie. “Merlino Fleur, mi ha quasi slogato un polso…”
“È naturale mon chere.” Rispose questa con un sorriso ultraterreno. “È il suo ottavo Veela.”  

“Un ottavo di pura brutalità.” Considerò Mael massaggiandosi le spalle. “Voleva strapparmi le braccia!” Aggiunse tornando al solito tono lagnoso.
“Su, su …”
Violet ascoltò quella serie di dialoghi allucinati – che in bocca ai Weasley Delacour sembravano però perfettamente sensati - senza saper bene cosa fare. La sua presenza lì non era esattamente convenzionale. Dominique doveva aver parlato alla sorella maggiore e detto qualcosa al fratellino, ma per quanto riguardava i genitori? Sapevano? E se sì, quanto? 
Fu Madame Weasley a rivolgerlesi per prima. “Ti ringrazio per aver protetto Lu …” Le sorrise con calore, sembrando una di quelle Madonne Babbane. Il suo stomaco fece un’immediata capriola e sperò, davvero sperò di non essere diventata più paonazza di quanto già non era. “Te ne sono immensamente grata.”
“Non … non è stato nulla.” Non sapeva come reagire alla riconoscenza, realizzò con orrore. Nessuno le era mai stato grato per qualcosa di più che prestito di una Piuma. E quei casi comunque riguardavano le sue amiche, non certo persone che sua madre le aveva insegnato a disprezzare.
Peccato che tu sia innamorata persa della loro figlia di mezzo.

“Io … devo andare.” Si risolse a dire. “Chiedo scusa, ma ho … delle cose da fare. Buona giornata.” E se la diede letteralmente a gambe. Aveva ripiegato in modo ridicolo, se ne rendeva conto, ma non aveva idea di come interfacciarsi con la famiglia della sua ragazza quando la suddetta era collassata su un lettino.
Weasley, sarai la mia rovina!
Rallentò il passo quando le persone cominciarono a diradarsi. Appoggiò la schiena al muro meravigliosamente freddo di fronte al portone principale e chiuse gli occhi: non aveva avuto neppure un minuto per sé in quelle ore concitate. Se ne prese dunque un paio.
E capì. Capì che oltre l’imbarazzo, il disagio, la stanchezza, non si era mai sentita così forte.
Sorrise, solo per se stessa: anche per lei, quel giorno, si era tenuta una prova. E sembrava avesse vinto.
 
 
****
 
Violet non era nervosa. Non esattamente. A dirla tutta, il nervosismo non c’entrava granché.
… Forse solo un poco.
Seduta sul letto stava finendo di spazzolarsi i capelli per circa la sesta volta. Ormai erano talmente lisci che uno Zellino avrebbe potuto scivolare in linea retta fino alle punte.

E non era questo il punto.
Il punto era che si trovava da sola nella stanza, dopo aver saputo che la CompagnaSenzaNome - no, non l’aveva ancora imparato, doveva essere qualcosa come Tombard o Gerard o … -  era stata portata a casa dai genitori presenti alla Prova. Era sola e Dominique, come al solito, latitava.
Beh, stavolta non è colpa sua … L’ultima volta che l’hai vista era esanime su un lettino dell’infermeria.
Se si fosse sbrigata a tornare, per la prima volta da mesi avrebbero trascorso una notte da sole, assieme. A dirla tutta, da che la conosceva dato che appartenevano a dormitori diversi.
Si sentiva elettrica, e non riusciva a star ferma. Quello che era successo durante quella giornata apocalittica invece che metterle stanchezza addosso aveva stimolato la sua adrenalina.
Non era una sensazione brutta, ma neppure piacevole. Più che altro frustrante.  
Dove diavolo è?
Fuori, calmate le acque e riportato i Dissennatori al loro posto – all’inferno supponeva – doveva star succedendo il finimondo, diplomatico e non. Alei non interessava. Tutto ciò che voleva era vedere la sua ragazza.
Non chiedo molto, mi sembra…
Quasi il Cielo avesse risposto alle sue preghiere sentì bussare alla porta. Poi ricordò che l’altra non si era mai comportata in modo così civile.
“Avanti.” Si sentì quasi ringhiare. Possibile?
A quanto pare quest’adrenalina ha effetti singolari…
Spuntò la testa biondissima di Mael. “Oh, Parkinson … stiamo cercando di farci portare qualcosa per cena da Hogsmeade. Hai preferenze?”
“Sarebbe perfetto se ti levassi dai piedi.” Fu lesta a rispondere.
Il ragazzo la guardò indispettito, prima di notare il letto privo degli effetti personali della terza compagna. “Oh.” Emise con un rimarchevole guizzo intuitivo. “Capisco.”
Vedendo i suoi desideri smascherati, avvampò. “Delacour, fatti gli affari tuoi!”

L’altro rise e per una volta non vi percepì reale malevolenza. “Suvvia, Parkison, un po’ di controllo.”
Sembrava star cambiando idea su di lei, e non aveva idea del perché. Scoprì che le piaceva la sensazione di non essere guardata con astio.
“Da che scranno del Wizengamot! Ne sai più tu di materassi e lenzuola  che l’Accademia intera!” Esclamò di rimando, che certi schemi non potevano cambiare tanto facilmente. Potevano smorzarsi, però.   
Mael fece un sorrisetto malizioso. “A quanto si dice in giro, neppure tu potrai vantare un vestito bianco al tuo matrimonio. Sempre se ce ne sarà uno.” Si appoggiò allo stipite della porta. “Comunque Dom sta salutando i suoi adesso, poi arriva. Stanotte dormono ai Tre Manici di Scopa.”
“Anche lei?” Il suo disappunto fu così palese che l’altro scoppiò di nuovo in una risata.

“Ehi, ascoltami quando parlo … Se li saluta significa che non starà con loro stanotte, ma qui.”
Meditò di tirargli il libro che stava leggendo in quel periodo ma poi si frenò. Non era ciò che il galateo le aveva insegnato. Poi registrò quanto detto e si frenò impietosamente dal sorridere.
Doveva esser vera la voce secondo cui l’amore ti riduceva in una pozza di idiozia.
“Immagino che cenare sia l’ultimo dei tuoi pensieri … Prenderò qualcosa per voi e lo farò lasciare in caldo. Mandami Dom a bussare quando avrete fame … di cibo.” Soggiunse prima di schizzare via. Violet si rese conto dopo qualche attimo di avere il sopracitato libro in mano. Sospirò, sedendosi di nuovo sul letto.
Era ufficiale, l’attesa la stava logorando. Sentì poi dei passi e fece appena in tempo a dare un’ultima occhiata allo specchio e lisciarsi la camicia da notte che Dominique entrò spalancando la porta.
“Ohi, ho visto Mael che scappava in corridoio, mica avrete di nuovo liti…” Si fermò, squadrandola attentamente. Morgana, si era guardata allo specchio, le sembrava fosse tutto a posto, aveva forse qualcosa incastrato trai denti?
Cosa?” Sbottò aggressiva, sentendo la familiare ondata di inadeguatezza investirla.
Dominique sorrise di colpo. “No, nulla … solo, chissà perché, mi sei sembrata un po’ diversa quando sono entrata.” Ghignò. “Poi hai ricominciato a comportarti come la solita, vecchia Piggie. Tutto regolare.”
“Stupida!” L’accusò, ma senza troppa rabbia. Dominique era istintiva come un animaletto. Chissà se aveva percepito il rimuginare incessante dei suoi pensieri e il formarsi di certe decisioni nella sua testa.
“La mia Piggie!” Esclamò divertita. Sembrava stare meglio; aveva una garza che le girava attorno al collo, fasciandoglielo e un paio di dita avevano fatto la stessa fine, ma la postura e l’atteggiamento erano strafottenti come al solito. Per usare l’espressione dell’altra, tutto regolare.
Morgana, grazie … grazie per avermela protetta.
“Mi sono classificata prima, sai?” Allargò le braccia in maniera del tutto teatrale. “Te l’avevo detto che sarei stata la migliore!”
“Mai dubitarne…” Sospirò. Poi si rese conto che l’altra era rimasta nella stessa posizione. “Cosa?”

Campionessa!” Scandì allegramente, come se non fosse stata materiale da Medimago fino a poche ore prima. Violet comunque non si sottrasse al suo dovere e le afferrò i lacci di una delle sue sgraziate felpe babbane per tirarla giù e baciarla. Dominique rispose in maniera entusiasta e attenta come sempre, ed era sorprendente, sul serio, che riuscisse ad utilizzare due modalità in apparenza inconciliabili.
Ma ehi, è la Weasley.
Poi la strinse e Violet si trovò ad aspirare l’odore di foglie, bosco e sapone neutro della sua felpa. “Nicky, mi schiacci…” Si lamentò senza averne davvero l’intenzione. “… abbracciare non è sinonimo di stritolare.”
L’altra parve non ascoltarla, e fece invece un profondo respiro e sospiro. “Meno male stai bene…” Mormorò, e non c’era proprio niente di ironico in quel tono.
Violet strinse la presa di rimando. “Ma ti sei preoccupata per me?” Le uscì piuttosto intelligentemente.
“No, Piggie … ero certa che, con l’aiuto esperto di un dodicenne, avresti affrontato efficacemente una serie di creature che non avevi mai visto in vita tua e di cui non sapevi niente.” Fece una pausa. “Senza contare che quei cadaveri ambulanti hanno una predilezione per chi ha problemi in famiglia o giù di lì, a sentir mio zio Harry.”
Chiunque avesse detto che aveva l’empatia di un fondo di calderone, non capiva assolutamente nulla. Dominique capiva ciò che le accadeva intorno, sia che le fosse spiegato, sia che fosse lasciato tra le righe.
O forse, fa’ questo sforzo per te
Violet si liberò dall’abbraccio solo per passarle le dita sul collo fasciato e poi sulle guance bruciate dalle efelidi. “In effetti ne ho quasi affrontato uno…” Ammise mentre un lampo di allarme le passava nelle iridi chiare dell’altra. “… ma per fortuna non ero sola. Cosa pensavi di fare, venendomi a cercare ferita com’eri?”

“L’eroina?” Tentò con un ghignetto un po’ stiracchiato ficcandosi le mani in tasca. “Non era un’idea grandiosa, lo so. Me ne sono venute di migliori.”
“Era un’idea assolutamente idiota, e tipica tua.” La rimbeccò facendola sbuffare. “Ma se ho avuto una minima possibilità con quel Dissennatore, e non è vero che non ne so nulla, è stato grazie a te.” Si godette l’espressione sorpresa e il vago rossore – arrossiva! Era capace di arrossire oltre le lentiggini! – dell’altra. “Non farò dei gran pensieri felici ultimamente, ma oggi ne ho fatti. Grazie anche a te.”
Dominique batté le palpebre. “È perché sono la tua ragazza?”
“Sì, e perché ti amo.” I libri parlavano di batticuore, esitazioni, tentennamenti e preludi epici a quelle tre parole, ma Violet si trovò piuttosto tranquilla a dirle, anche se era la prima volta che lo faceva – con Louise, nonostante tutto, non le erano neanche venute in mente. Le uscirono dalle labbra con la stessa semplicità con cui l’anno prima aveva ammesso che voleva stare con lei.
Come diavolo fai a rendere tutto così semplice, tu, razza di folle e straordinaria strega?
L’altra batté le palpebre talmente tante volte che sembrava le si fosse conficcato qualcosa nell’occhio, ma Violet non pregò perché le rispondesse con una frase simile o addirittura migliore. Nicky era svelta come un lampo in certe cose e drammaticamente lenta in altre. I sentimenti appartenevano alla seconda categoria.
Non significa che non ne provi …
Perché il sorriso che le fece certo non era di rifiuto o imbarazzo, tutt’altro. “Forte…” Le uscì e Violet non poté fare a meno di tirarle un colpo al braccio, esasperata.
Forte? La migliore risposta ad un ‘ti amo’ nella storia delle relazioni, davvero Weasley, sono sopraffatta.”
Non le rispose: invece tese la mano verso di lei. Poi, inaspettatamente, si bloccò. “Posso toccarti?”
Non le aveva mai chiesto il permesso e proprio per questo c’era un intero mondo di non detto dietro il tono timido – quanto avrebbe voluto registrarlo per riascoltarselo per il resto della sua vita – che le uscì.

Posso entrarti nel sangue e rimanere lì e per il resto della tua vita?
Lo fa e poi, chiede il permesso. Creatura irritante.
Violet le prese la mano stringendosela al petto. “È se non lo fai che abbiamo un problema, Weasley…” Lasciò una mano a premere sulla sua e l’altra afferrò la zip della felpa e lì rimase. Per il momento. “Quella tizia stanotte non c’è…”
“Si chiama Mathilde Lombard, come fai a non ricordarti almeno il suo cognome?” Ridacchiò, fissando però la zip ancora chiusa. Aggrottò di colpo le sopracciglia. “Vuol dire che siamo sole?”
Come aveva detto, lenta in certe cose, estremamente veloce in altre.
 
 
La Prima Volta – le pareva ci volessero delle maiuscole da qualche parte – secondo molti era un avvenimento campale, roba da scuotere mari e monti, la Magia con la maiuscola e così via.
Dominique aveva sempre pensato che, quando sarebbe successa a lei, l’avrebbe affrontata come affrontava qualsiasi novità: come qualcosa di curioso e che presto sarebbe finito nel dimenticatoio.
E invece no, decretò passando le dita sulla pelle liscia e morbida – sembrava una pesca! – di Violet. L’altra era scivolata nel dormiveglia poco dopo, esaurite tutte in una volta le energie di una giornata intera di avvenimenti. Non dormiva sul serio però, lo capiva dal ritmo del respiro e dal pulsare del cuore attraverso le vene. Le cercò con i polpastrelli e le percorse dal polso fino all’incavo del gomito, con estrema precisione. Le sembrava fosse importante.
“Mi fai il solletico…” Mormorò l’altra arricciando il naso come faceva quando doveva segnalare al mondo intero il suo fastidio. Trovava che fosse una smorfia adorabile, anche se Mael l’aveva classificata come snob. “Non riesci a dormire?” Le chiese spalancando quegli enormi occhi scuri. Erano quasi tondi. Dominique si chiese se avrebbe potuto tracciarne il contorno senza che l’altra le intimasse di non ficcarle un dito nell’occhio.
“No.” Scosse la testa. Ti guardo, avrebbe voluto aggiungere, ma la cosa le sembrava piuttosto palese.
“Come fai ad avere tutte queste energie?” Sospirò l’altra muovendosi per puntellarsi con il braccio al cuscino. Venne poi presa da un pensiero. “Hai fame per caso? Perché Mael ha lasciato qualcosa in caldo anche per noi, credo. Se se n’è ricordato, quella testa vuota.”
“No, non ho fame. Sto bene.” Stava alla grande ed era una sensazione tutta diversa dal concetto ‘di star bene’ a lei familiare. Non stava in quel modo quando era in sella ad Arod, né quando segnava una rete per i Bluets. Era una sensazione di ‘bene’ diversa persino da quella che aveva sentito quando, a quattordici anni, suo zio Charlie l’aveva lodata per esser riuscita ad avvicinare un Lungocorno Rumeno per curargli una zampa ferita. Non era migliore, né inferiore. Solo, la faceva sentire diversa in modo buono.

Violet, ignara dei suoi ragionamenti, le passò le dita trai capelli e Dominique si sentì un po’ meno sveglia e un po’ più insonnolita. “Quello che amo di te sono le tue eccellenti doti comunicative.” Le disse. Sentì una lieve esitazione nella pressione dei polpastrelli, vicino all’orecchio. Esitava, per cosa? “Sei sicura che … voglio dire…” Ecco i famosi giri di parole alla Piggie. Poteva girare in tondo per ore. “Vorrei sapere se per te va sul serio tutto bene.”
“Perché non dovrebbe?” Stava scivolando nell’incoscienza e quelle domande non avevano senso. Ma sapeva che per l’altra non era così quindi si sforzò di non crollare. “Guarda che mi è piaciuto fare l’amore con te.”

Seguì un lungo silenzio, tanto che Dominique fu costretta ad aprire di nuovo gli occhi per controllare di non aver detto qualche cavolata. Violet la guardava con una di quelle sue facce buffe e incomprensibili. Non era arrabbiata però. “Ho detto qualcosa di sbagliato?” Si informò. Aveva imparato fosse una buona giocata mettere le mani avanti con chi rimuginava troppo.
Violet inaspettatamente le sorrise. Era un sorriso segreto, che non faceva vedere a molti. Le esplodeva negli occhi più che nella bocca e li riempiva tutti. Era favoloso.
Specie perché poi era seguito da un bacio coi fiocchi. Le sue aspettative non vennero disattese, e fu onorata anche di un extra sul naso. Sospettava le baciasse le lentiggini come faceva sua madre con suo padre. “Perché hai le sopracciglia scure e i capelli chiari?”
E poi sono io che faccio domande balorde…
Forse era una domanda che ne nascondeva un’altra. Lei avrebbe risposto solo a quella esplicita però.
Eccheccavolo, non so leggere nei fondi di the.
“Perché quando avevo dodici anni ho preso in braccio un cucciolo di Dorsorugoso che ha ben pensato di digerire il suo pasto in faccia a me. Sputando fuoco.”
Violet ridacchiò. “Ti sono bruciate le sopracciglia?”

“E mi sono ricresciute così … Non te n’eri mai accorta? È successo nell’estate del Secondo.”
“Non ti sono mai stata così vicina quando eravamo piccole.” Ci passò un dito, disegnandole. “Ti fanno sembrare ancora più squinternata.”
Dominique sbadigliò, facendo spallucce dato che suonava come un complimento. “A te piaccio, quindi non dev’esser tanto male.” C’era da rifletterci, sul fatto che Piggie fosse la prima ragazza che conosceva – ben prima di Mòr – che non l’avesse guardata come una sorta di puzzle incomprensibile e lì si fosse fermata. Certo, si arrabbiava e fraintendeva puntualmente le sue intenzioni, ma si era sempre sforzata, il triplo rispetto ad una persona normale, visto tutte le cazzate Purosangue di cui l’avevano imbottita fin dalla nascita.
Era complicato, ma era un complicato che tutto sommato filava liscio.
“Grazie.” Trovò giusto dirle alla fine del suo breve ragionamento, prima di seppellirle il viso contro la curva morbida del collo. Si sentì abbracciare e baciare poco prima di addormentarsi.
Sì, quel grazie tutto sommato ci stava alla grande.
 
 
Come on now try and understand the way I feel when I'm in your hands
Take my hand and come undercover
 
****
 
 
Note:


Avevo promesso un mucchio di roba in questo capitolo ma poi, al solito, la mia grafomania è esplosa e son riuscita solo a scrivere della Prima Prova. Vabbeh.
Prossimo capitolo! :D
Ad ogni buon conto, credo che con due capitoli dovrei riuscire a chiudere e poi, la terza parte.
(Suona minaccioso, lo so) Per chi vuole vedere il piccolo eroe di pelo rosso, che diciamocelo, ha salvato la baracca in questo capitolo, ecco un Louis Weasley coi capelli ricci.
Il banner a questo giro è stato fatto dalla bravissima ClaireAnn_M che diciamocelo, ha doti grafiche di gran lunga superiori alla sottoscritta. ;)
Una parola poi sul titolo, che mi son resa conto di non aver spiegato: come le francofone sapranno, significa ‘ragazze d’acciaio’, ma Prèvert (alla cui poesia, al singolare, rimando) lo intende con il doppio significato di ‘filo d’acciaio’, dovuto all’assonanza della parola fille con fil. I fili d’acciaio reggono anche pesi e carichi sostenuti. Da qui, il titolo. ;)
Questa invece la canzone del capitolo. Dubito esista qualcuno che non la conosca, comunque. xD

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Homeless // Capitolo V ***


 
 

I can't ask for things to be still again / I can't ask if I could walk through the world in your eyes

Longing for home again, but home is a feeling I buried in you
(Breathe, Melissa Etheridge)
 
 
20 Dicembre 2023
Francia, Parigi.
 
Violet non aveva la minima voglia di trovarsi dove si trovava al momento.
Tuttavia comportarsi come una bambina capricciosa non avrebbe migliorato la situazione, considerando che si trovava di fronte alla raffigurazione vivente del capriccio, ovvero sua madre.
La ormai prossima ex-vedova Goyle nonché sua genitrice si stava provando qualcosa come il ventisettesimo abito matrimoniale e Violet, per quanto adorasse lo shopping come la maggioranza delle donne sul pianeta, stava per avere un crollo di nervi.
La boutique, che si trovava nella via della moda magica di Parigi, a sua volta nascosta nel Marais¹, era rigurgitante vestiti vaporosi, tuniche cerimoniali e più moderni vestiti dal taglio babbano.
Sua madre, per quanto si professasse Purosangue fino allo stremo, stava pescando solo dal mucchio Babbano.
Ironia…
Si fissò le mani, facendo una smorfia assertiva al ciarlare della compagna di occasione, ovvero Sophie. Doveva ammettere che non le era mancata affatto. Jenny forse un po’ di più, ma comunque in quei mesi scozzesi non aveva rimpianto la presenza delle due amiche del cuore.
Questo la dice lunga…
“Oh, questo vestito le sta benissimo, Madame Parkinson!” Cinguettò Sophie, dandole di gomito. “Non è vero Violèt?”
Si stampò il suo miglior sorriso sulle labbra. “Davvero.” Conosceva Sophie da quando aveva undici anni e sapeva interpretare quell’ansioso sorriso che le lasciava in mostra le gengive.

Pensa che le stia da schifo.
… da schifo. Ditemi che non ho appena pensato con il lessico di Nicky. Ditemelo.   
“Solo, mi sembra…” Tentò perché in fondo Sophie aveva ragione.
“Oh sì, hai ragione tesoro, è troppo pretenzioso!” La interruppe. “Mi porti quello blu.” Intimò alla servizievole commessa che, con gran soddisfazione di sua madre, si era messa a loro completa disposizione.
Così avrà qualcosa da raccontare stasera ‘Sapete la Vedova Goyle? Beh, è vero, sta per risposarsi! Con quella pancia poi!’
Violet si fissò le scarpe lucide, studiando il volto distorto che vi si rifletteva. Era tornata a casa da soli tre giorni e già rimpiangeva Hogwarts. Le mancava persino il clima orrendo e il cibo pesante.
Beh, non proprio … i ricordi che mi suscitano piuttosto.
La pioggia, ad esempio: quando diluviava persino Nicky desisteva dagli allenamenti. La sciroccata tornava così in camera zuppa come un pulcino, ma per l’ora del the. Asciugata e rimbrottata a dovere, finivano sempre per baciarsi e fare l’amore sotto le coperte, approfittando dell’assenza della Gerard. O Lombard.
Qualunque sia il suo nome. O cognome.
Il cibo, anche: continuava ad essere insopportabile, ma proprio per questo ad ora di pranzo Scorpius la raggiungeva nelle serre, con sandwich e bottiglie di Burrobirra sottratti nelle cucine. A volte si univano a loro anche Michel e Loki, con una varietà di scuse e diversioni da far concorrenza al mago che aveva dato il nome alla loro Casa. Ma comunque, c’erano. Era divertente mangiare in quel modo improvvisato, e Violet aveva scoperto che la compagnia maschile, se giusta, poteva anche essere piacevole.
Alla fine si era confessata all’altro. Non aveva potuto farne a meno.
 
“Scorpius?”
Il ragazzo, con la bocca piena di sandwich al prosciutto aveva fatto cenno di parlare. Era tornato in Scozia da pochi giorni. Violet era venuta a sapere da Zabini quanto la faccenda dei Dissennatori l’avesse messo in crisi. Non gli aveva chiesto spiegazioni e si era limitata ad offrirgli la sua compagnia. Era bastata.

“Devo dirti una cosa.”
“Uh-uh?” Fece un altro cenno convulso. “’mi!” Bofonchiò deglutendo. “Dimmi, dimmi! Ti ascolto!”

“Mi piacciono le donne.” Era sbottata fissando una serie di sgargianti azalee. Per tutta risposta aveva sentito un gran ruminare dalle parti del ragazzo. E basta.
“Scorpius…?”
Questo aveva deglutito l’ennesimo boccone. “Oh, dovevo rispondere qualcosa?” Dovette accorgersi della sua aria sbalordita, perché sorrise con aria di scuse. “Allora … fantastico! Un’altra cosa che abbiamo in comune!”
“Non so se hai capito…”
“Sì che ho capito, sei lesbica.” Si era stretto nelle spalle. “Le ragazze Babbane si definiscono così.”

“Lo so, ma tu … A te non dà fastidio?”
Il biondo aveva bevuto un sorso di Burrobirra. La beveva con la cannuccia, un particolare, questo, che gli era valso prese in giro feroci da parte di Zabini e Nott. E da lei. “Il mio migliore amico James è bisessuale, gli piacciono entrambi. Parecchio, a giudicare come scannerizza qualsiasi sedere gli passi davanti.” Replicò schioccando la lingua. “Se non mi sento a disagio con lui, come posso esserlo con te?”  
Non faceva una piega e Violet aveva provato il subitaneo impulso di piangere dal sollievo. Non che si sarebbe aspettata giudizi o disgusto da uno come Scorpius…
Ma comunque … Non sai mai cosa aspettarti in questi frangenti.
“Quindi stai con la Weasley francese?” Se ne era uscito dal nulla. Violet l’aveva fissato con un’aria assolutamente idiota, ne era certa dato che l’altro si era messo a ridere. “Buffo, no? Un’altra cosa che abbiamo in comune!” Aveva smesso di sorridere per un attimo. “Avevamo…”
“Scusa?”
“La ragazza dei miei sogni, quella di cui eri tanto curiosa. È una Weasley, ma britannica. Rose.”

Violet si era trattenuta da chiedergli cosa ci trovasse in quella scialba ragazzetta castana sempre seguita da una pila di libri come una fila di cuccioli festanti avrebbe seguito un osso, bel seno a parte. L’improvvisa serietà dell’altro non glielo aveva permesso. “Perché ne parli al passato?” Aveva chiesto invece. “Vi siete lasciati?”
Il grifondoro aveva fatto un sorriso mesto che rispondeva egregiamente alla domanda. Si era però riscosso subito. “A proposito, tu di ragazze ne capisci, no?”
“… immagino di poter rispondere di sì.”
“Ottimo! Allora mi devi aiutare!”
“A riconquistarla?”
“Oh, no! A farmi riconquistare!”

 
Hogwarts era fredda, inospitale e per certi versi folle. Ma lì vi aveva trovato tesori più preziosi di quanti ne avesse mai collezionati in Francia.
“A che pensi?” La riscosse Sophie con un luccichio vorace negli occhi. Violet tremò al pensiero di cosa quella testolina frivola e piena di ricci stesse fraintendendo.
Penso alla mia ragazza e ad un insospettabile, nuovo amico. Non quel che ti aspetti.
“Hai incontrato qualche fascinoso scozzese in quel posto?” Fece una smorfietta affettata, di puro disprezzo. “Dicono si vestano di una strana stoffa fatta d’animali e mangino carne cruda.”
“Hanno le uniformi come noi, veramente. E il cibo è fin troppo cucinato.” La corresse con un sospiro. Ma non poteva biasimarla: lei stessa prima della partenza aveva pensato di andare trai selvaggi.

E invece… Temo che la selvaggia adesso sia io.
Separarsi da Dominique non era stato facile. L’altra avrebbe trascorso le vacanze nel Devonshire e non sarebbe tornata in Francia. Avrebbe quindi finito per vederla al Ballo del Ceppo, non prima. E finito quello, si sarebbero riviste solo a Gennaio.
Troppo, troppo tempo.
Certo, era riuscita a strapparle la promessa di scriverle almeno per scambiarsi i regali alla Vigilia, ma conoscendola, non ci sperava granché. Quella testa matta avrebbe finito per dimenticarselo.

Non era stato facile lasciarla perché ormai, poco da fare, ne era dipendente. Nicky era come una boccata di aria fresca e in quel momento si sentiva soffocare nel suo costosissimo vestito di mussola scura, intrappolata tra la mole giunonica di Madame Romilly, madre di Sophie anch’essa presente e quella sovra-eccitata dell’amica.
“Sta pensando a quel bel giovanotto che ci hai mostrato in foto, forse?” Chiocciò Madame Romilly. Sua madre aveva già sponsorizzato Scorpius in lungo e in largo? Violet sentì la nausea serrarle la bocca dello stomaco.
“Se così fosse potrei anche perdonarla di non dare la giusta attenzione a sua madre.” Ironizzò guardandola dritta negli occhi.
Sua madre sospettava qualcosa. Quando si erano salutate al suo arrivo, l’aveva guardata a figura intera per poi decretare che la trovava ingrassata. Poi, prima che potesse riaversi dalla deliziosa accoglienza, aveva aggiunto qualcosa che le aveva fatto gelare il sangue.
 
“Ti trovo cambiata, tesoro. Ma non credo sia il giovane Malfoy. Hai forse trovato qualcuno che ti suscita maggiore interesse? Se è così devi dirmelo … Credo sia opportuno che lo conosca, non credi?”
 
Naturalmente aveva negato, limitandosi a dire che i rapporti tra Scorpius e lei non si erano affatto raffreddati – che era poi la verità.
Il problema è che sua madre, senza saperlo, era andata molto vicina alla verità. C’era qualcuno che le interessava molto di più di Scorpius e dell’universo tutto in generale.
Il problema, mamma, è che la conosci già.
“Stavo solo pensando che il blu è il tuo colore, mamma. Oltremare, come hai detto tu.” Replicò con uno dei suoi migliori sorrisi artefatti. L’altra parve accettare la sua diversione e seguita dalla solerte commessa sparì a provare il vestito appena portatole.
La nausea non accennava a passare. L’idea che sarebbero dovute trascorrere altre due settimane, inframmezzate solo dal Ballo del Ceppo, prima di tornare a scuola la faceva impazzire. L’idea che avrebbe dovuto attendere ad un matrimonio dove tutti avrebbero lanciato frecciatine circa il suo, ormai prossimo, la faceva impazzire. Tutto la faceva impazzire.
Come resisto due settimane? Come faccio a fingere che sia tutto come prima?
Quando non lo era. Amava Dominique e voleva stare con lei alla luce del sole. Voleva poter esser libera di tenerla per mano e baciarla esattamente come facevano tutti gli innamorati. Voleva poter andare di fronte alla Corvonero e dirle in faccia ‘Questa è la mia ragazza, la mia meravigliosa, folle Campionessa, non la tua e non lo sarà mai’. Voleva poter dire a Scorpius quanto la facesse sentir bene la  loro neonata amicizia senza che sua madre, nella sua testa, si congratulasse per quel nuovo escamotage.
E infine, voleva essere felice.
Già, peccato tu debba prima passare per il Veritaserum dei Veritaserum.
Sua madre, che al momento la stava chiamando a gran voce, nel tono stizzito dei grandi nervosismi. Fece un sorriso di scuse alle due streghe e si diresse nei camerini di prova.
“Violet, vieni qui!” Quella stupida ragazzina deve aver rotto la cerniera del vestito! Controlla, se è rotto non lo pagheremo di certo!”
“Sì, mamma.” Sospirò in automatico, entrando nel camerino. “Forse si è solo impigliata nella stoffa…”

“Controlla!” Le intimò dandole le spalle. Sua madre stava passando un periodo di forte tensione, se ne rendeva conto. Doveva organizzare il matrimonio insieme alla suocera – una tipa che a detta sua rappresentava il prodromo della pezzente salita alla ribalta grazie al suo bel visino  - oliare il perfetto quanto fragile meccanismo delle amicizie perché non sparlassero troppo alle sue spalle e al tempo stesso badare ai malesseri della gravidanza.
Sì, ma io?
Violet liberò la cerniera con un sapiente colpetto dell’unghia. Aveva avuto una buona scuola con gli impossibili jeans che la Weasley indossava come una seconda pelle.
“Quella vacca di Marie…” Si riferiva a Madame Romilly ovviamente. “… hai visto come mi ha guardata? All’ottavo mese sembro più sottile di lei, il che è tutto dire.”
“Sì, mamma.” Le sorrise quando l’altra si voltò nella sua direzione. “È a posto, ora puoi toglierlo.”
Sua madre le fece una carezza. “Come farei senza di te, tesoro? Sei il mio gioiello più prezioso e quello di cui sono più fiera.”  Soggiunse affettuosa, un tono che era parca a dispensare. La faceva sempre sentire in colpa, ben prima che realizzasse perché.
“Mamma…” Sentiva un groppo serrarle la gola e aveva sia voglia di piangere che pregare. “… c’è una cosa che devo dirti.”
Doveva. Aveva fatto una promessa alla Weasley e, oltre a quello, era stufa di dover mantenere quella triste baracca degli inganni. Non solo, rimanendo il silenzio rischiava di trascinare anche Scorpius in quella situazione.

Non voglio che mia madre cominci a parlar male di lui, o della sua famiglia, perché è delusa dal fatto che non andrà mai in porto tra di noi.
Né lui né Lady Astoria se lo meritano.
“Non può aspettare?” La donna stava già armeggiando con il vestito, togliendoselo a fatica. “Ho ancora un’infinità di vestiti da provare e poi sai che stasera c’è la cena a casa di Julius.” Ovvero il fidanzato. “Ti sei ricordata di dire a Sylvie di prepararti l’abito color crema?”
“Sì, mi sono ricordata, ma…” Era il momento perfetto, realizzò. Sua madre non la guardava ed erano sole, strette in una situazione dove l’altra non poteva fingere di aver qualcosa da fare per poi sfuggirle.
Che è quello che ha fatto per questi tre giorni…
Sua madre sospettava qualcosa. Non poteva non sospettare, non era stupida. Il suo temporeggiare sulla questione matrimonio era stato goffo, maldestro e  fin troppo palese.
“Allora ne parleremo nei prossimi giorni.” La fermò di nuovo. “A proposito, stasera ricordati di spedire un Promemoria Gufico ai Malfoy. Ho mandato l’invito, ma devo avere ancora la conferma.” Fece uno sbuffo, liberandosi infine del povero vestito. Allargato con la magia, Violet dubitava che sarebbe mai tornato nella forma originale. “Draco è sempre stato maledettamente pigro in queste cose e il matrimonio con quella sciacquetta della Greengrass non deve averlo migliorato.”
“Per cosa?” Le uscì poco intelligentemente.

“L’invito al matrimonio, Violet. È l’occasione perfetta per averli tutti riuniti, e sarebbe un faux-pas non invitarli, dato che presto saremo tutti una grande…”
No!

Quel grido le scoppiò nello stomaco e le risalì fino alle labbra, anche se attutito. Ma lo disse, perché sua madre si voltò sorpresa.
“Come, cara?” Le stava dando la possibilità di rimangiarselo, di tornare sui suoi passi e fare la brava bambina.
Ho affrontato un Dissennatore e ne sono uscita viva. Ho detto alla ragazza che amo che la amo.
Sono tutto fuorché una bambina.
“Ho detto no.” Si stupì dal tono calmo che le uscì. “Non inviteremo i Malfoy.”
“Violet…” La sorpresa di sua madre era talmente evidente da averla lasciata senza parole. “Cosa…”
“Non li inviteremo perché non diventeremo una grande famiglia.” L’espressione della donna era di pietra. Presto si sarebbe scongelata dalla sorpresa e avrebbe attaccato. Doveva sbrigarsi dunque. “Non voglio sposare Scorpius.”

Sua madre fece un sorriso meccanico, secco e inespressivo come il deserto. Era una smorfia. Era stata Nicky a dirle che solo gli esseri umani, in natura, scoprivano i denti non con l’intento di attaccare?
Dovrebbe conoscere meglio mia madre. Quando sorride, lei attacca.
“Mi hai mentito.” Proclamò con la stesso tono con cui avrebbe ordinato un the alla loro Elfa. “Non c’è nessun rapporto tra te e Scorpius?”
“Siamo amici.” Ribatté. “Siamo buoni amici, credo, ma è tutto.” Avrebbe voluto mordersi le labbra, torcersi le mani ma quelli erano segni di debolezza e lei non era debole. Non poteva esserlo, non in quel momento. 

Sua madre fece un lungo sospiro, poi di nuovo un piccolo sorriso. La bocca dipinta di un rosso violento le si contrasse come un pugno. “Pensavo che ti piacesse da come me ne parlavi. Non fa nulla, troveremo qualcuno che sia più adatto. Anche se certo, dopo gli Allard e i Malfoy dovremo un po’ ridimensionare i nostri…”
“Ho detto che non voglio!” Sbottò. Non doveva alzare la voce, lo sapeva, le ragazze a modo non lo facevano, era quasi un tabù.

Dovresti vedermi quando strillo addosso a Nicky, mamma… Mi manda ai pazzi sai, ma alla fine mi sento scarica e … Morgana, che voglia ho di baciarla. 
“Non fare scenate, hai idea di dove siamo?” Le sibilò afferrandola per un braccio e scrollandola. Non abbastanza da farle male, ma da piccola era capace di congelarla sul posto.
Il problema, supponeva, è che non era più quella bambina. “Non faccio scenate, ma tu devi ascoltarmi.” Replicò. Non aveva idea da dove le venisse quel coraggio. O follia. Forse era la vicinanza con la Weasley. Alla fine c’era riuscita, l’aveva contagiata.
Un lampo irato trafisse le iridi di sua madre, gli stessi occhi che tutti dicevano avesse ereditato. “Ti sto ascoltando.” Sillabò lanciando uno sguardo alle sue spalle.
Mamma … come fai a vivere sempre con la guardia alzata? È orribile per me, e non credo sia tanto diverso per te.
“Non voglio sposarmi…” Inspirò. “… non voglio sposarmi con Malfoy o qualsiasi altro ragazzo al mondo perché mi sono innamorata. Di Dominique.”
Fu ricompensata da una smorfia esasperata. “Merlino, non dirmi che è un Nato Babbano … So che tra voi ragazze c’è questa deplorevole moda di incapricciarvi dei Sangue Sporco, ma davvero …”
“Mamma, Dominique non è un nome da ragazzo.”
“Prego?”

“Sto parlando di Dominique Weasley.”
Il silenzio di sua madre era più assordante che se le avesse urlato contro come faceva a volte con i loro elfi quando era di umore particolarmente nero.

“È una specie di scherzo, Violet?”
Le venne quasi da ridere, il che era assurdo o forse semplicemente isterico. “No, mamma, non lo è. Io e lei stiamo assieme.”
L’espressione di sua madre era vuota, anodina. Stava riflettendo velocemente, tentando di deformare la realtà per adattarla alla sua, di modo ché fosse comprensibile e scusabile.
L’ha sempre fatto. Sempre.
“Da quanto questa sciocchezza va avanti?”
Appunto. Violet si impose di rimanere ferma. Non era Dominique che doveva difendere in quel momento, ma sé stessa. “Quello che sto cercando di dirti è che non voglio trascorrere la mia vita accanto ad un uomo.” Ribatté rifiutandosi di farle condurre quella conversazione. “Sono attratta dalle donne e non voglio nasconderlo, né avere un marito di copertura per poi cercarmi un amante.”
Le labbra di sua madre tremavano di furia. “Questo tuo ragionamento … Non c’è fondamento in qualche fantasia da romanzo. Ho sempre saputo che un collegio a maggioranza femminile ti avrebbe fatto sviluppare qualche pensiero del genere. Ma sono solo pensieri, Violet, nulla di più.”
Come poteva negare l’evidenza di ciò che le diceva? Forse con la stessa facilità in cui si era scordata il nome di suo padre e il fatto che l’avessero concepita assieme?
Era arrabbiata, e stufa. L’aveva già detto? Forse non l’aveva ancora dimostrato.
“Mamma, ho superato la fase dei pensieri saffici. Io li pratico. Vado a letto con le donne.”
Lo schiaffo arrivò secco e puntuale come si era aspettata. Lo incassò senza un lamento, senza una parola anche se le lacrime le bruciarono le palpebre come acido.
“Sei impazzita?!” Le urlò in faccia, il volto deformato dall’ira. “Fa’ silenzio! Silenzio, prima che…”
“Che cosa?” Se urlava, poteva ben gridare anche lei. “Prima che qualcuno ci senta? Che qualcuno sappia che mi piace andare a letto con le donne!?” Sua madre era impallidita di colpo e davvero, voleva abbassare il tono, ma non ci riusciva. “Io amo una ragazza, mamma! Non voglio diventare una bella statuina per qualche idiota con più galeoni che intelligenza, non voglio essere la moglie terrorizzata di un uomo che mi usa solo per sfogare i suoi istinti come Mathieu … Non voglio essere infelice! Non voglio essere te!
In un solo colpo, aveva distrutto tutto il teatrino. In una sola mossa aveva tranciato di netto qualsiasi labile traccia di condivisione che c’era tra lei e la donna che le stava di fronte.  

Sentì sua madre che la afferrava per le spalle, e si aspettò che la scuotesse, che le urlasse contro. Invece le crollò addosso come se qualcuno si fosse divertito a toglierle la terra sotto i piedi.
Era svenuta.
Mamma!
Chi le aveva tolto la terra sotto i piedi era lei.

 
****
 
L’Hopital Pour Le Maladies Magiques era il fiore all’occhiello della sanità magica francese. Situato in quartiere decentrato di Parigi era la meta eletta per chi, nel Mondo Magico, doveva affrontare qualsivoglia tipo di cura o inconveniente.
Violet stava fissando il poster ammiccante di una Guaritrice che pubblicizzava una nuova gamma di pappe per neonati, ma non lo vedeva veramente. Non percepiva neppure la presenza nervosa di Sophie a lato e le chiacchiere incessanti di Madame Romilly che, a quanto aveva più o meno intuito, stava tentando di rassicurarla.
“Sono molto comuni i malori ad un certo stato della gravidanza, Violèt … Non devi assolutamente preoccuparti! Sono certa che i Guaritori si staranno prendendo cura di tua madre.”
Era colpa sua. Era tutta colpa sua e della sua stupida boccaccia. Quante volte le era stato detto che non si doveva mai lasciar andare le parole, non prima di aver controllato che la situazione fosse opportuna e l’interlocutore adatto?
Sua madre era incinta di otto mesi e lei le aveva scaricato addosso l’equivalente di uno Stupeficium emotivo. 
“Violèt…” Tentò Sophie toccandole un braccio. Si ritrasse bruscamente dal tocco ed ignorò lo sguardo impietosito che si lanciarono madre e figlia.
Perché non sei rimasta zitta? Perché non hai aspettato?
Se le succedesse qualcosa? Se succedesse qualcosa al bambino?
Non poteva neanche pensare a quell’eventualità. Sarebbe stato figlio di un altro padre, ma pur sempre parte del suo sangue. Aveva avuto modo di ammirare il rapporto che intercorreva tra Nicky e i suoi fratelli. Se ne vergognava, ma aveva spesso fantasticato di poterne avere uno simile con quella piccola vita in arrivo. Se fosse stata una bambina le avrebbe comprato la bambola più bella di Parigi, se fosse stato un maschietto sarebbe persino stata disposta ad entrare in uno di quegli orribili negozi di articoli da Quidditch.  
Suo fratello o sua sorella l’avrebbero guardata mai con la stessa adorazione con cui Louis guardava le sorelle maggiori? L’avrebbero mai stuzzicata e cercata al tempo stesso come Nicky faceva con Victoire?
Serrò le labbra per non farsi sfuggire nulla, neppure un sospiro. Le Romilly la fissavano aspettandosi una sua mossa, un suo singulto per piombarle addosso con discorsi, rassicurazione e soddisfazione morbosa.
Avrebbe voluto cacciarle ma la realtà era che non voleva rimanere sola. Sua madre aveva varcato il lucido portone di legno davanti a cui erano sedute quasi un’ora prima. Poi era arrivato il suo fidanzato, biondo e azzimato come sempre. Le aveva a malapena lanciato un’occhiata prima di sparire oltre quella maledetta porta. Violet sapeva che avrebbe dovuto seguirlo, ma non era riuscita ad alzarsi.
Cosa avrebbe fatto Nicky in quel caso? Non solo l’avrebbe seguito, ma avrebbe fatto di tutto per sapere le condizioni della madre. Probabilmente avrebbe tirato in testa qualcosa a qualcuno, in caso non le fosse stato risposto adeguatamente.
Ma lei non era la Weasley, e non lo sarebbe mai stata. Dunque, si sentiva perduta.
Sentì la porta a molla aprirsi con un cigolio e scattò in piedi. Il Fidanzato – non riusciva a chiamarlo per nome come sua madre avrebbe voluto – le raggiunse e Violet tentò di leggere la sua espressione, ma vide solo baffetti ben dritti e guance cascanti
“Come sta?” Chiese allora. “Mia madre sta bene? E il bambino?”
L’uomo fece un breve cenno con la testa. “Ha solo avuto un lieve mancamento … il bambino sta bene.” Esordì. La guardava in modo strano, come se fosse indeciso su che tono adottare in sua presenza. L’espressione che gli vibrava sulle labbra però poteva esser solo tradotta in un modo. Irritazione.
Non ha voglia di parlarmi … Non sembra averne mai avuta, ma adesso ancor meno.
Gliel’aveva detto, realizzò, sua madre aveva detto tutto a Baffi Impomatati. Il fremito del mento sfuggente era inequivocabile.
Disgusto. Ti disgusto?
“Possiamo vederla?” Si intromise Madame Romilly. “È cosciente?”
“Lo è, ma non vuole avere visitatori in questo momento, ha bisogno di riposo.” Era lei che guardava e Violet capì al volo. Lo stesso non valse per Sophie che non poteva sapere e che comunque non aveva mai brillato per perspicacia.
“Ma Violet certo potrà entrare!” Esclamò e le fu quasi grata per quell’impeto di fiducia.
Se non mettesse in luce l’esatto contrario di ciò che ha detto.
“Violet sa bene il motivo per cui non può entrare. Non è gradita.” E quel tono era maligno, grondava soddisfazione. Baffi Impomatati la detestava cordialmente, forse perché rappresentava l’ultimo filo che legava la sua promessa sposa ad un’altra casata, forse meno ricca, ma certo più antica e nobile della sua, fatta di commercianti di saggina per scope.
I Goyle saranno morti con mio padre, ma facevano parte dell’antica nobiltà magica del Galles.
Dubito che chi vende paglia per scope possa esservi anche solo paragonato…
“È mia madre. Voglio sapere come sta e se ha bisogno di qualcosa.” Sussurrò sentendo la voce diventare sottile come un alito di vento. Non aveva le forze per combattere anche contro quell’uomo.
E poi che senso ha combattere contro i mulini a vento?
“Non ha bisogno di una figlia che le causa dolore e vergogna.” Vide le Romilly assorbire quelle parole come un goloso avrebbe fatto incetta dal carrello dei dolci e le scottarono di umiliazione, e rabbia. “Mi ha detto di dirti che, a meno che tu non riconsideri le affermazioni che hai fatto in sua presenza, non ha intenzione di parlarti.”
Violet serrò i denti in una morsa dolorosa. “Non ho intenzione di farlo.” La voce le tremava ma non poteva tirarsi indietro, non a quel punto. Tirarsi indietro avrebbe significato guadagnarsi forse il perdono, ma anche perdere Dominique e tutto quello che aveva conquistato in quei mesi. “Le cose che ho detto le penso.”
“Allora non sarai persona gradita al matrimonio. O a casa nostra, per quel che mi riguarda … Pansy ha bisogno di riposo e tranquillità nelle sue condizioni. Non ti permetterò di turbarla ulteriormente.”
Violet non rispose a quella che le sembrava un’aperta provocazione. Doveva essere un trionfo inaspettato, per quel bastardo, liberarsi di lei senza troppi impicci. Forse amava sinceramente sua madre, ma non aveva poi molta importanza dato che era capace di disprezzare lei con la stessa intensità. La stava sfidando a gridare, protestare, magari piangere.
Non io. Sono Violet Parkinson-Goyle e non sono prona a scenate o crisi isteriche.
Prese la borsa e raddrizzò le spalle. Non avrebbe permesso a quel pallone gonfiato di cacciarla, se ne sarebbe andata lei e l’avrebbe fatto con tutta la dignità di cui era capace. Una come Nicky avrebbe preteso udienza e l’avrebbe ottenuta anche a costo di menar la bacchetta per i corridoi…
Ma, come ho già detto, io sono solo Violet.  
Voltò le spalle al terzetto silenzio e, un passo dopo l’altro si diresse fuori dall’ospedale.  
Appena sentì il marciapiede sotto i piedi e non il legno scuro di cui era rivestito il pavimento dell’ospedale le conseguenze di ciò che era accaduto le piombarono addosso come un macigno.
Sua madre non l’aveva ripudiata, ma era solo questione di tempo, a giudicare da ciò che le era stato comunicato. Non presenziare al matrimonio avrebbe significato scatenare le malelingue, e scatenarle significava, per Pansy ex Vedova Goyle, dover dar seguito ad una serie di inevitabili decisioni.
Se non sei parte della famiglia, ne sei fuori.
Avrebbe perso tutto. Le proprietà dei Parkinson-Goyle erano tutte intestate a sua madre, e la loro casa in Normandia era stata chiusa mesi prima ed era ora vuota, sia di mobili che di Elfi Domestici. Per finire, il suo baule e gli effetti personali che si era portata ad Hogwarts erano nella grande casa di Montparnasse che era stata comprata per la nuova famiglia.
Baffi Impomatati sarà felice di poter riarredare la mia stanza come meglio gli aggrada … Magari con il tavolo da biliardo che non entra nello studio.
Non aveva più un posto dove andare e possedeva solo ciò che indossava. Poteva forse includere nel conto pochi spiccioli nel portamonete e la sua bacchetta, ma era …
È tutto qui.
Il lato emotivo e pratico della faccenda erano spaventosi ed era certa di non averli ancora interiorizzati del tutto. Ne era certa perché non aveva ancora perso la testa.
Non azzardarti a farlo. Non farti prendere dal panico. Rifletti. Ti hanno cacciata di casa, ma non possono ritirarti da scuola. È obbligatoria. Devi resistere fino a quando non tornerai ad Hogwarts.
Lì ci sarà Nicky, Scorpius …
E come ci torni, in Scozia?
Non aveva i soldi per una Passaporta, né tantomeno per il treno. Non aveva neppure soldi per permettersi una stanza in un albergo in attesa di quel giorno.
Non rimanere ferma. Cammina, muoviti. Entra in un bar, siediti, rifletti. Pianifica. Trova una soluzione.
Obbedì a quella sorta di voce interiore come se ne andasse della sua vita, e forse, rifletté, era così. Entrò in un locale qualsiasi e ordinò un caffè.
Poteva chiedere ospitalità a Jenny o a Sophie: non gliel’avrebbero negata anche se avrebbero preteso, di rimando, spiegazioni.
… Certo, e quando gliene darai? Pensi che loro, o i loro genitori vorranno ancora aiutarti?
Non poteva chiedere alle sue amiche, c’era troppo margine di incertezza. Scorpius l’avrebbe accolta a braccia aperte invece, considerando che l’aveva invitata a passare le feste da lui.
Se solo avessi accettato … Ormai è troppo tardi. E poi, chissà cosa ne penserebbero i suoi. Sono amici di mia madre… 
C’era, ultima ma non tale, Dominique, ma con lei veniva anche quella clan multiculturale che si ritrovava per famiglia. L’istinto le urlava di cercare di contattarla immediatamente.
Però…
Voleva sul serio far sapere alla famiglia della sua ragazza che era in dirittura di esser ripudiata? Voleva davvero rischiare di trascinare persone sconosciute in una faida con sua madre? E soprattutto se la sentiva di dover affrontare i pregiudizi che avrebbero avuto nei suoi confronti? Sapeva che gli Weasley non avevano tanto in simpatia quelle come lei. Bastava vedere come consideravano Scorpius per via del suo cognome, ultima generazione a parte.
E comunque, come hai intenzione di contattarla? Il tuo Gufo è rimasto a Montparnasse. Non puoi permettertene uno dell’ufficio postale. Anche una chiamata via camino … Prima dovresti trovarne uno.
Il caffè arrivò e lei lasciò che si raffreddasse. Lanciò invece uno sguardo oltre la vetrata agghindata in toni natalizi. Fuori, una calca di maghi e streghe si affrettava per gli ultimi acquisti, donne cariche di pacchetti e bambini esagitati invadevano la via schiamazzando e facendo scoppiare botti magici.
Era Natale, anche se sua madre non voleva più avere niente a che fare con lei. Era Natale anche se era lontana chilometri dalle uniche persone che avrebbero potuta aiutarla e lo era persino se si sentiva la persona più sola al mondo.
Era orribile.
Era talmente orribile che stava avendo le allucinazioni. Le sembrava infatti di vedere Lady Malfoy guardare una vetrina dal lato opposto della strada. Poi realizzò che era davvero Lady Astoria. Gettò i pochi zellini che aveva sul tavolo ed si precipitò fuori.
La strega si voltò sorpresa quando la vide riflessa nella vetrina. Con lei c’era anche una donna anziana, vestita in tunica e mantello, moda di quasi trent’anni prima. Doveva essere Lady Narcissa.  “Violet, che sorpresa! Speravo di incrociarti per gli acquisti natalizi.” Le sorrise gentile. “Narcissa, ti ho parlato di…” Il sorriso sembrò congelarlesi sul volto, così come i convenevoli di rito sulle labbra. “Tesoro, cos’è successo?”
Capì che stava singhiozzando nel momento in cui le braccia della strega la tirarono con dolcezza verso di sé.  Non sapeva che il sollievo potesse essere tanto doloroso.
 
****
 
Violet non aveva idea di come fosse arrivata a sedersi in una piccola sala da the dall’arredamento inglese, ma era piuttosto certa di essere ancora a Parigi. Tuttavia non ricordava di averne varcato la soglia, forse più presa a riempire di lacrime il mantello di Lady Astoria.
Serrando le dita sulla fine porcellana Worcester della tazza lasciò che quest’ultima facesse levitare con un colpo di bacchetta la teiera, per poi versarle salvifico Prince of Wales² – banale, ma il suo preferito.
“Mi … mi dispiace…” Balbettò. Etichettare il suo comportamento come inappropriato era riduttivo. “Non era mia intenzione importunarvi…”
Sentì le dita sottili della donna premerle sul braccio in una stretta consolante. Differentemente da come aveva fatto con Sophie, non si scostò.

“Non sono così sciocca da pensare che una ragazza scoppi in lacrime di fronte ad estranei senza una buona ragione.” Replicò tranquilla come se non le avesse singhiozzato addosso per quelle che le sembravano ore.
Era stata quella gentilezza a darle il colpo di grazia, ma non lo disse per paura che l’altra la credesse un’ingrata. Per evitare una nuova crisi di pianto si voltò quindi verso Lady Narcissa e con sgomento – e imbarazzo – si accorse che c’era un’altra donna seduta al tavolo con loro. Doveva esser coetanea di Lady Narcissa e sebbene fosse ben più patrizia dell’esile anziana seduta accanto a lei, ne condivideva alcuni tratti somatici. Considerando l’età, dovevano esser cugine o sorelle.
L’anziana strega, forse intuendo la sua sorpresa, parlò. “Ti presento mia sorella Andromeda.” Questa si produsse in un sorriso contenuto ma Violet vide negli occhi scuri un guizzo di curiosità.
Certo, hai appena avuto una crisi isterica coi fiocchi… Comprensibile sia curiosa.  
“Io … salve.” Inspirò appena, suggendo the per darsi un contengo.
Riprenditi prima che ti scambino per un’ubriaca.
Lady Astoria le lanciò una lunga occhiata indagatrice, ma diversamente dalle Romilly, non sembrava aver fame di informazioni. La stava semplicemente studiando. “Ti senti meglio?” Le chiese, e Violet annuì.
Doveva dare delle spiegazioni, ma sapeva da dove iniziare.
“Io … devo chiedervi scusa per il mio increscioso comportamento. È stato…” Iniziò piena di buone intenzioni, ma fu fermata da uno sbuffo insoddisfatto da parte di Lady Andromeda.
“Oh, piantala con le scuse, ragazzina!” Con sgomento si accorse che quella signora agghindata parlava in dialetto. Quello londinese³ per giunta.“Sei una Purosangue, no? Quelle come te non scoppiano a piangere in pubblico se non succede qualcosa di completamente disastroso. Cos’è, ha chiuso il tuo sarto preferito?”
Violet boccheggiò senza sapere che Snaso pescare, mentre Lady Narcissa arrossiva – un lieve rosa sulle gote pallide, niente di più. “Dromeda!” Sibilò, mentre Lady Astoria tratteneva un evidente scoppio di risa. “Ti prego, cerca di controllarti e di ricordarti che sei una…”
Tonks.” Replicò quella con un sorrisetto che non sarebbe sfigurato su Dominique, o Scorpius o una genia particolare di ragazzi ribelli. “Andromeda Tonks, Cissy, e non ho intenzione di passare ore a girare attorno al problema … Non quando devo ancora trovare un regalo per il mio Ted. Che la ragazzina parli.” Decretò con il tono di un giudice del Wizengamot.

“Violet, vedo che sei provata…” Riprese le fila del discorso Lady Astoria, più conciliante. “Ma so per esperienza che tenersi dentro un problema raramente aiuta a risolverlo.”  
Violet sentiva la gola secca e trovò del tutto legittimo bere l’ennesimo sorso di the. Era sicura che non appena avrebbe esposto il suo problema – che no, non era la chiusura della sua sarta d’elezione – sarebbe stata disprezzata. Le labbra non le erano mai sembrate tanto sigillate.
Lady Andromeda schioccò la lingua – la lingua? – poi sospirò. “Non è una cosa da nulla, vero?” Indovinò. “Prima sei quasi svenuta addosso a Tori, e non mi sembri una ragazzetta fiacca, di quelle che andavano tanto di moda quando avevo la tua età…” E qui lanciò un’occhiata alla sorella che ricambiò con un’occhiataccia. Si rivolse di nuovo a lei. “Ragazza, Tori non si alzerà se non avrà la certezza che è tutto a posto. Queste Corvonero hanno il pallino di dover sapere tutto.”
La donna fece un mezzo sorriso distratto. “È vero, è proprio così … Oltre a questo, mio figlio non mi perdonerebbe mai se non mi prendessi cura della dama che porterà al Ballo del Ceppo.”

“Mia madre…” Le parole le scivolarono fuori dalle labbra prima che potesse fermarle. “Mia madre non mi vuole più.”  
Vide la consapevolezza illuminare le tre streghe di colpo. Ovvio, erano Purosangue. Fu Lady Andromeda a parlare per prima. “Ti ha ripudiata?”
“Lo farà. Lo farà appena si sarà sposata, immagino …” Serrò le dita sulla tazza. “Non vorrà dare scalpore prima del suo matrimonio.”
“Perché?” Fu Lady Narcissa a parlare, e il tono era così freddo che sentì le forze venir meno.

Ecco, è appena cominciata.
“Cissy, che importanza vuoi che abbia? Diamine, si parla di ripudiare!” Ribatté violentemente la sorella. Violet non svenne solo perché sentiva la presa gentile della madre di Scorpius ancora salda tra le sue dita. Lo sapeva che l’avrebbero disprezzata. Era così che funzionava. 
“Voglio solo sapere che persona abbiamo davanti, non mi sembra di chieder molto.” Replicò la donna con calma. “Violet, guardami.” Violet alzò lo sguardo per riflettersi nelle iridi di ghiaccio dell’anziana. Da giovane doveva essere stata un’autentica bellezza algida, di quelle capaci di inchiodare un mago alle sue promesse. “Cos’hai fatto per meritartelo?”
Niente. Niente, assolutamente niente … Perché non me lo merito!
Violet ispirò. Poteva essere spaventata, sola al mondo e improvvisamente nullatenente. Ma non avrebbe chiesto scusa per chi era. Non più. “Amo.” Disse e forse fu un po’ troppo teatrale, ma era pur sempre la verità. “Mi sono innamorata e mia madre non approva la mia scelta. Mi ha chiesto di rimangiarmi tutto, ed io ho detto che non potevo.”  
Vide passare un forte fremito nell’espressione beffarda di Lady Andromeda. “Chi è il ragazzo?” Il tono di voce si fece meno categorico, più gentile. Comprensivo?
Se doveva finir ripudiata dalla società in cui era cresciuta, tanto valeva portarsi avanti con il lavoro. “Io … non ho una particolare inclinazione verso i ragazzi.”
Vi fu un breve silenzio e Violet attese rassegnata che Lady Astoria la sciogliesse dalla stretta per guardarla con orrore. Non avvenne, anzi la rafforzò e la guardò con gli stessi occhi pronti e intelligenti del figlio. Scorpius poteva avere i colori dei Malfoy, ma la mimica era tutta Greengrass.
Lady Andromeda esplose di colpo in una risata. “Dev’essere una moda!” Esclamò divertita, ma non maligna. Anzi, aveva cominciato a guardarla con aperta simpatia.
Ma…
Violet rimase senza parole. “Per … per me non è una moda. Sono fatta così.” Si sentì in dovere di chiarire, casomai pensassero al capriccio da ragazzina ribelle.
Lady Narcissa assunse un’aria esasperata. “Mia sorella adora farsi fraintendere, non darle retta. Intendeva dire che ha un nipote, Ted Remus, che parimenti predilig…”
“È gay, Cissy.” Pareva che parlare addosso alla sorella fosse una vera gioia per la strega. “Teddy è gay. Se c’è una parola intera per qualificare un concetto perché non usarla?”

“È Babbana.”
“Merlino, chiamiamo l’ufficio per l’uso improprio della Parole Babbane allora!”

Violet osservò il terzetto di streghe. Non sembravano particolarmente turbate dalla sua rivelazione, il che aveva dell’assurdo perché ripudiare qualcuno era un anatema tremendo nel Mondo Magico. Un ripudiato era destinato ad essere ignorato e disprezzato da tutti i Purosangue con cui entrava in contatto.
Perché non sta succedendo?
“Perché … perché mi state ancora parlando?” Si sentì tre paia d’occhi puntati addosso e desiderò scomparire nel divanetto. Quel tratto patetico del suo carattere non sarebbe mai venuto meno.
Vide Lady Andromeda guardare verso la sorella, e viceversa. Poi le sorrise. “Perché, parlo a titolo personale, quando vivi come ho vissuto io ti passa la voglia di giudicare.”
“Il mondo cambia, è un assioma che qualunque persona intelligente deve comprendere e far suo.” Si sbilanciò meno Lady Narcissa. Ma non guardava verso di lei, quanto piuttosto verso la sorella. Curioso. “Siamo in una società dove attualmente le preferenze sessuali e le decisioni prese in merito sono personali. Ripudiare qualcuno per questo è …” Fissò lo sguardo sul servizio da the. “… sorpassato.”
“Oltre che idiota.” Concluse Lady Andromeda portandosi il the alle labbra.
Lady Astoria annuì alle due precedenti affermazioni. “Violet, qui sei tra amiche. Mio figlio tiene a te ed è sempre stato un ottimo giudice delle persone di cui si circonda. Esserti amica è un mio dovere di madre … e un mio piacere come persona. Sei stata molto coraggiosa, tesoro.”
Violet sapeva che stava per rischiare una seconda crisi di pianto. Si sforzò di non lasciare uscire più di qualche lacrima che si asciugò comunque in fretta. “Grazie…” Non trovava altro da dire per esprimere ciò che le scoppiava nel cuore. Poteva sperare comprensione dai suoi coetanei ma mai, mai avrebbe pensato di trovarne tra streghe di simile levatura e lignaggio.
Lady Astoria non la rassicurò circa il fatto, altamente improbabile, che sarebbe stata perdonata e ripresa nel nido familiare. Non le chiese neppure se voleva che le facesse da intermediaria e sciocchezze simili. Grazie a Merlino, c’era gente che capiva. “Manderemo qualcuno a prendere i tuoi bagagli.” Disse invece. “Immagino tu li abbia lasciati a casa del promesso sposo di tua madre.”
Violet batté le palpebre. “Come…?”
Lady Andromeda schioccò di nuovo la lingua, un gesto così poco Purosangue da farle sospettare che non fosse l’unica in quella stanza ad aver avuto problemi con il suo lignaggio. “Non fare la finta tonta. Pensi che dopo questo bel discorsetto ti lasciamo qui?” La scrutò da sotto in su quasi a volerla pesare. “No, non saresti neppure capace di cercarti una stanza in una locanda.” Decretò infine.
“Non siete tenute a…” Non c’era verso che le facessero finire una frase, perché Astoria scosse la testa.
“Credo di avere una lontana parentela con tua madre. Forse cugina di secondo grado?” Gli occhi ebbero un lampo divertito e, non si ingannò, ribelle. A ben vedere, Scorpius non poteva essere com’era senza qualche influenza in famiglia.
“Forse?” La assecondò.
“Dunque, non posso lasciare che una mia lontana cugina abbia da soffrire un Natale in solitudine.”
Che fosse vero o meno, Violet ebbe l’impulso di abbracciare la strega di fronte a lei. “Non so come potrò mai sdebitarmi…”
“Tieni Scorpius lontano dai regali fino alla Vigilia e credimi, a Tori basterà.” Ridacchiò Lady Andromeda.

 
 
****
 
24 Dicembre 2023
Inghilterra, Devonshire, la Tana.

 
Fissare il fuoco le aveva sempre calmato i nervi ma in quel caso la faccenda era seria e non c’era fiamma che tenesse. Era una sensazione nuova, segamentalizzare – che sì chiamava così, poche storie.
Ovviamente, il fulcro di tutte le sue convulsioni cerebrali era Piggie. Piggie che al momento era ospite dei Malfoy. Piggie che non era andata al matrimonio di sua madre, dato che il giorno dello stesso le aveva spedito una lettera dal Wiltshire.
Le aveva risposto pretendendo spiegazioni e la seconda lettera era stata solo una riga di inchiostro.
 ‘Ti spiegherò tutto quando ci vedremo. Ricordati di spedirmi il regalo, tonta’.
Sto cazzo.
Sapeva, a livello viscerale, che c’era qualcosa che non andava, che l’altra stava avendo dei problemi e sì okay, non voleva parlarne via Gufo – dannate Purosangue e le loro fisime da fine ottocento! – ma almeno accennarle qualcosa…
Stava diventando scema. 
Brontolò qualcosa trai denti, intellegibile persino a se stessa mentre sentiva il peso delle testoline di Lucy e Molly sulle ginocchia. L’unico motivo per cui non era già su una scopa e che nell’alzarsi avrebbe svegliato quei due piccoli tifoni – quanto erano diverse da quel noiosone del padre! – e al ritorno, per tale pensata, la sua testa sarebbe stata infilata su una picca da Nonna Molly in persona.
Sentì qualcuno sedersi accanto a lei ma lo ignorò. La serata era passata piuttosto velocemente in realtà, tra cibo, scherzi e una lotta a palle di neve all’ultimo sangue. Ma adesso che tutti erano andati a letto, o quasi, non c’era verso di non pensare.
“Vuoi che le porti a letto?” Era Lils, in tutta la sua aria da adorabile ragazzina innocente, falsa come uno Zellino falso. Beveva Eggnog bollente e sembrava persino più pensierosa di lei.
“Se riesci a non svegliarle. Se si riattivano, vanno avanti per tutta la notte.” Replicò facendola ridacchiare.
“Sei l’unica che riesce a domarle.” Le offrì la tazza e Dominique ne bevve un paio di sorsi rinfrancanti. La ricetta di Nonna Molly era segreta e, si diceva, protetta da incantesimi secolari. “Il che è comprensibile, visto che di solito hai a che fare con i draghi.”
“I draghi son più tranquilli di loro, garantito.” Ghignò di rimando. “Penso che zia Audrey mi pagherebbe fior di Galeoni, se vivessi qui.”
La conversazione si spense perché non era particolarmente interessante. “Stasera sei un po’ strana.” Disse Lily dopo un breve silenzio in cui entrambe fissavano le fiamme. “Cioè, più del solito.”

“Ah-ah?”
Ah-sì.” Le fece il verso. “Di solito a quest’ora sei crollata come loro e dobbiamo farti levitare fino in camera.” Le ricordò. “Invece sei sveglia. Pensieri?” Indovinò puntellandosi il mento con una mano e sporgendosi verso di lei. “Puoi parlarmene, sono un asso nel dare consigli.”
“Sei un’impicciona.”
“Anche, ma una cosa non esclude l’altra.” Le picchiettò un braccio con un’unghia. “Dai Domi, è cosa rarissima vederti struggere!”
“Non mi strutto!” Esclamò, prima di dare un’occhiata ai due mostriciattoli gemelli. Dormivano come se non vi fosse domani. Le invidiò. “Non so manco che vuol dire…” Soggiunse arruffandosi i capelli depressa.

“Struggo.” La corresse con aria divertita. L’avrebbe presa a schiaffi. “È che vederti di cattivo umore è raro come un’eclissi di sole.”
“Ecco, e ti sei chiesta perché nessuno mi ci vede mai? Forse perché mi stanno lontani.” La minacciò. Non c’era Mael e neppure Victoire, entrambi in Francia, il primo dalla madre e la seconda con la nuova fiamma. Non poteva sfogarsi ed era piuttosto irritante. Anche sua cugina lo era.

Devo solo capire quale delle due cose mi stia più sull’anima.
“Guarda che si vede che vorresti essere altrove … e dubito che sia per il Ballo di domani, anche se so che non ci vuoi andare.” Lily si raggomitolò sulla poltrona come avrebbe fatto un gatto sonnolento. “Anche quando giocavamo a palle di neve ti sei bloccata a guardare il nulla siderale. Però sempre nella stessa direzione. È vero, no, che hai un senso dell’orientamento pazzesco?”
“Adesso ti prendo a schiaffi.” Le comunicò perché era onesto notificare certi impulsi. L’altra non si scompose di una virgola e questo la rendeva sua cugina al cento per cento. Solo quel gruppo di ragazze con cui condivideva i geni sapeva che certe sue esternazioni raramente diventavano fisiche.
“Se vuoi ti aiuto…” Scandì inarcando le sopracciglia. “Metto a letto le gemelle e ti lascio andare dove devi andare. Ti copro anche con gli altri. Dico che stasera vieni a dormire da me al Mulino.”
“Lo scopriranno, genio.”
Lily scosse la testa ed esibì uno di quei sogghigni che potevano essere definiti tra l’insinuante e il platealmente inquietante. Inquietavano un po’ anche lei. “Mi sottovaluti, Dom. Molto. 

La proposta era troppo allettante perché potesse respingerla senza colpo ferire. “Cosa vuoi in cambio?” Che c’era evidentemente qualcosa in palio per la Rossa, o non si sarebbe prodigata tanto.
“Dirmi da chi vai mi sembra il minimo, no?”
Dominique ci pensò su. Lily avrebbe finito per saperlo prima o poi, dato che non pianificava di tenerlo nascosto. Avevano deciso, quando avevano ufficializzato, che chi avrebbe chiesto avrebbe avuto risposta onesta e sincera. Ed in effetti, era quello che l’altra stava facendo. Chiedere.

Oh, beh.
“Dalla mia ragazza.” Poi aggiunse. “Si chiama Violet, Violet Parkinson-Goyle. È quella che svolazza sempre attorno a Malfoy e che sembra voglia impalmarselo. Non vuole.”
Gli occhi di Lily si accesero di soddisfazione. “Lo sapevo!” Esclamò battendo le mani, ma abbassando subito il tono di voce. Le due progenie di Satana avevano notoriamente il sonno leggero. “Sapevo che doveva esserci qualcosa di passionale tra voi due… Tutta quella tensione quando ti rimproverava per aver minacciato Poliakoff!” La guardò brutalmente negli occhi. “Quindi ti piacciono le ragazze?”
“Così pare.”
“Fate sesso?”
Se lei era libera di essere rude con Lily, per tacito accordo l’altra era libera di essere la maniaca che di solito fingeva – male - di non essere. “No, a letto giochiamo a MazzoBum. Certo che lo facciamo.” Sbuffò. “Mi dai o no una mano con ‘ste due?” Le chiese riscuotendola dalla contemplazione del suo trionfo. “Vorrei arrivarci prima di domattina, nel Wiltshire.”

“Ah, allora è dai Malfoy!” Si alzò e si stiracchiò. Le scoccò una sinistra occhiata di sottecchi. “Quindi ti servirà sapere come trovare il loro Manor. È ultra protetto da incantesimi e barriere. Jamie mi ha spiegato come farlo Apparire, ma è davvero complicato.”
Dominique sospirò, mentre l’altra prendeva in braccio Lucy, canticchiando qualcosa a mezza bocca. Quella non emise un sospiro, continuando pacifica a dormire. La stava forse ipnotizzando?

Comunque…
“… Cos’altro vuoi in cambio?”
“Com’è far sesso con una ragazza?”
“Ma che problema hai?”
“Sei tu quella che non sa come andare dalla sua ragazza.” Cinguettò. “Quelle che ho io sono informazioni.”
Dominique roteò gli occhi al cielo.

 
****


Violet osservò Scorpius attizzare pigramente il fuoco con la bacchetta.
“Altro distillato?” Le chiese Loki, agitandole la bottiglia davanti al naso. Fece una smorfietta e l’allontanò con la punta delle dita.

“Ubriacone.”
“Bacchettona.” Fu la replica serena, prima di versarsene l’ennesimo bicchiere e trangugiarlo con uno schiocco soddisfatto delle labbra.

“Non osare finirlo… A me spetta l’ultima goccia, come da accordi.” Flautò Michel, togliendosi la sigaretta babbana dalle labbra e agitando il cristallo vuoto tra le dita. Erano seduti in circolo davanti al fuoco del salottino privato di Scorpius, sprofondati in comode poltrone di cuoio scuro. A dirla tutta, il padrone di casa  era al momento spalmato sul costoso tappeto arabo e canticchiava a mezza voce quella che aveva tutta l’aria di essere una canzonetta babbana. Violet aveva intuito dal comportamento degli altri che era cosa nota e normale il fatto che non reggesse qualcosa di più forte della Burrobirra.
“Malfoy?”
“Passo, ci voglio arrivare coi miei piedi in camera.” Sorrise distratto Scorpius. “Non che adesso ne sia in grado, beninteso. Il mondo fluttua.”
Violet aveva passato una Vigilia insolita. Insolita perché, anche se si era svolta nella classica declinazione Purosangue, cena inamidata e lo scartare dei regali allo scoccare della mezzanotte, l’aveva passata con estranei, con Scorpius, la sua famiglia e la singolare presenza di Nott e Zabini. Non aveva chiesto perché non festeggiassero a casa loro e di rimando i ragazzi non avevano fatto domande sulla sua presenza e la mancanza di regali da parte di sua madre.

Era un tacito accordo, per quelli come loro, parlare il meno possibile di cose serie e quanto più possibile di sciocchezze. Violet non l’aveva mai apprezzato tanto.
Forse perché per Sophie e Jenny la discrezione è cosa sconosciuta.
Scorpius stesso non aveva curiosato. Quando si era materializzata dentro i cancelli della proprietà, accompagnata dalle tre Lady di casa, il ragazzo, venuto ad accoglierle, le aveva sorriso smagliante e senza fare una sola domanda si era dichiarato entusiasta di averla come ospite. Non sapeva se Lady Astoria l’avesse avvertito, ma rimaneva il punto.  
Rose Weasley è una ragazza fortunata.
Sorrise a quest’ultimo, che ricambiò gattonando fino a lei. Le posò poi la testa in grembo con un sospiro. “Si sta comodi…”
Lo dice anche Dominique.

“Sì, ma non è posto che ti competa.” Sbuffò spingendolo via. “Cosa penserebbe la tua ragazza?”
“Nulla, sa che il mio cuore e altri organi sono votati interamente a lei.” Piagnucolò rotolando via. “E poi, non è la mia ragazza, al momento.
“Ancora con quella storiella della riconquista del Malfoy offeso?” Chiese Zabini che tutto sapeva di tutti. “Sul serio, portatela a letto e basta. A cos’altro ti può servire una creatura così irritante?”

Violet afferrò Scorpius per il bavero della giacca prima che si avventasse scoordinato verso Zabini. “È la stessa domanda che ci facciamo parlando con te, Michel.” Celiò e l’altro accettò la stoccata con un lieve cenno della mano. “Lascialo in pace.”
“Mammina Violet!” Ghignò Loki i cui occhi, alla luce del fuoco, apparivano ancor più diversi. “Ve lo ricordate quando prese a calci Mike perché aveva dato un pugno sul naso al suo prezioso biondino?”

Michel fece una smorfietta sofferente. “Merlino, fosti così rozza! E cosa ti uscì dalle labbra!”
Violet arrossì. “Sono certa che te le fossi meritate.”
“Parkinson-Goyle, madrina delle ingiustizie!” Tornò alla carica il moretto, più brillo di tutti loro messi assieme ma comunque assai più contegnoso del canticchiante Malfoy. “Mi ricordo la strigliata che ti fece tua madre per esserti comportata come un rude maschiaccio.”
Violet serrò le labbra, sentendo una fitta allo stomaco. Naturalmente Nott non poteva sapere, quindi prendersela non aveva senso. Sentì un colpetto sulla gamba ed incrociò lo sguardo di Scorpius. Anche da brillo doveva aver percepito il suo irrigidirsi. “Ho bisogno di prendere una boccata d’aria.” Esordì alzandosi in piedi. “Queste tue sigarette babbane sono nauseanti, Michel.”
“Fammi causa.” Replicò l’altro tirando una voluttuosa boccata.

Violet uscì dal salotto del piccolo complesso di camere che apparteneva a Scorpius e scese le scale. Il parco del Manor le piaceva moltissimo: aveva un giardino italiano di rara bellezza che lo esaltava in forme perfette, adesso imbiancate di neve. Fece qualche passo per il viale principale, stringendosi le braccia al petto. Era freddo, e sciocca com’era si era dimenticata di portarsi dietro il mantello.
Sua madre non si era fatta sentire e così le sue amiche. Non che si sarebbe aspettata lettere o offerte di sostegno da Sophie e Jenny, e già poteva immaginare di esser diventata l’argomento scottante del loro circolo di conoscenze.
Tuttavia…
Tuttavia aveva sperato che l’avrebbero almeno cercata, anche solo per chiedere spiegazioni.
Ci conosciamo da quando abbiamo undici anni… Le conosco da quando conosco Nicky.
Le mancava Dominique. Aveva voglia di averla lì, di abbracciarla e farsi consolare. Ma al tempo stesso sapeva che se si fosse appoggiata completamente all’altra le avrebbe fatto un torto.
È la mia ragazza. Non mia madre, non la mia ancora di salvezza…
Aveva bisogno di far chiarezza dentro di sé prima di poterle parlare dell’intera faccenda.
Lady Astoria le aveva assicurato che Lord Malfoy avrebbe cercato di mettersi in contatto con la Gringott per sapere se fosse rimasto qualcosa nella camera blindata dei Goyle. Violet non era particolarmente fiduciosa, tuttavia aveva acconsentito a quella ricerca.
Se la camera alla Gringott non è stata data a qualcun altro, forse non è completamente vuota… Forse.
Voleva essere in grado di reggersi con le sue gambe per quando avrebbe rivisto Dominique. Perché l’altra era libera, fiera e indipendente. Voleva vincere il Tremaghi per devolvere il premio alla riserva dei draghi dove sarebbe andata a lavorare finita la scuola e le aveva parlato di come volesse trasferirsi in Romania, di come avesse intenzione di vivere solo contando sulle sue forze e i suoi talenti.
Quant’è diverso da come sono stata cresciuta io … Il mio obbiettivo avrebbe dovuto esser prender marito e non lavorare un giorno solo della mia vita, come si addiceva al mio status sociale e al mio cognome.
Ora le cose sono diverse.
Lady Astoria l’aveva pregata di non preoccuparsi, che i Malfoy l’avrebbero aiutata in virtù dell’amicizia che nutrivano per lei. Lo stesso avevano fatto Lady Narcissa e Lady Andromeda. Persino Lord Malfoy non aveva mosso obiezioni – nel senso che durante la sua permanenza l’aveva più o meno ignorata.
Era loro grata, ma sapeva che non avrebbe potuto aggrapparsi alla loro benevolenza per sempre.
Vorrà dire che finita la scuola lavorerò. Anche se non idea dove, visto che non so far nulla.
Sospirò profondamente e sentì poi che qualcosa le veniva adagiato sulle spalle. Sobbalzò e si trovò di fronte Scorpius che le porgeva il suo mantello. “Guarda che se ti ammali sono nei guai. Con chi ballo domani?” 
“Ma non eri ubriaco?”
“Infatti son strisciato fin qui.”
Violet ricambiò il sorriso. “Sono più resistente di quanto sembri, Piccolo Principe.”
“Bene allora, ti lascio alle tue riflessioni.” Dalla tasca della mantello si tolse una lettera, porgendogliela. “Questa è arrivata adesso e c’è il tuo nome sopra.” Ghignò. “Piggie?
“Quell’idiota!” Esclamò di getto mentre il cuore le accelerava bruscamente. Di colpo, non sentiva più tanto freddo. Strappò la lettera, chiusa con semplice scotch magico: aveva un bel dire che voleva presentarsi a Nicky forte e sicura di sé. Il punto è che voleva vederla. Punto.
 
Piggie,
Davanti ai cancelli di questo posto gigantesco. Sto qua.
PS: Non ti arrabbiare, ho il regalo.

 
“Come si esce di qui senza essere fulminati da qualche incantesimo?” Il povero ragazzo barcollò vistosamente alla sua aggressione e fu costretta ad afferrarlo per le spalle prima che cadesse sedere a terra. Sì, era decisamente brillo. “Rispondimi!”
“Puoi uscire tranquillamente, il problema è entrare!” Esclamò battendo le palpebre perplesso. “Ma c’è Dom?” Ridacchiò intuendo da solo la risposta. “Tranquilla, basta che tu la prenda per mano e passerete dalle barriere senza problemi. Le abbiamo incantate per includere anche la tua presenza.”
Violet gli ficcò la lettera in mano e non lo salutò neppure. Semplicemente, corse via.
 
****
 
Dominique aveva acceso un fuoco con i pochi ramoscelli che era riuscita a racimolare in quella blanda distesa di neve e pietre che componeva i dintorni di Casa Malfoy – o il Manor, o comunque si chiamasse. Anche fornita di giubbotto, felpa e berretto si sentiva congelare svariate parti del corpo e aveva il terrore di perderne altre. Sperava solo che quella insopportabile snob di Piggie si sbrigasse.
Son dovuta venire a cercarla io, che diamine … Speriamo che abbia letto il Gufo altrimenti mi troveranno congelata e piangeranno la mia precoce dipartita. Dominique Weasley, morta così figa e così giovane…
Pensando non si accorse del cambiamento avvenuto alle sue spalle, ovvero della materializzazione di un cancello che sembrava fatto di nebbia, né tantomeno della persona che vi passò attraverso.
“Nicky…”
Le bastò quel nomignolo per alzarsi in piedi e voltarsi di scatto. Violet era lì, in uno di quei mantelli che coprivano fino ai piedi e foderati di morbida pelliccia di qualche povero, innocente animaletto. Pareva uscita da un party di gran lusso a giudicare dall’acconciatura e il leggero trucco, permesso a quelle come lei solo in rarissime occasioni di festa.

In aperto contrasto con la sua aria snob – l’aveva detto che gliel’avrebbe trovata spalmata addosso come burro su un toast – c’era invece l’espressione dei suoi occhi. Erano gli occhi di una bambina che si era persa, precisi sputati. Le ricordavano quelli di Louis quando a cinque anni aveva avuto la brillante idea di smarrirsi sotto la torre Eiffel durante una gita di famiglia nel mondo Babbano.
Dominique non era tipa che pretendeva spiegazioni. Si limitò ad allargare le braccia. “Qui.” Disse. “Vieni qui.” L’altra evidentemente non aspettava altro perché le corse incontro e le gettò le braccia al collo, stringendola come se una delle due dovesse partire per la guerra. “Che succede?” Chiese ispirando il leggero profumo di shampoo costoso. “Piggie, dimmi che succede, dov’è che ti fa male?”
La sentì ridacchiare contro la sua spalla per poi alzare il viso. Non si ingannava, aveva gli occhi lucidi e grandi come Boccini. Aveva pianto. “Da nessuna parte, stupida … Che razza di domanda è?”
“Una domanda.” Le passò le dita sulle guance, trovandole bollenti. Nessun dubbio, aveva pianto. In compenso l’altra vi si appoggiò grata, quasi vi trovasse sollievo. “Perché non sei in Francia?”
Violet si morse un labbro. “Forse è vero che qualcosa mi fa male…” Ammise piano. Non le diede il tempo di chieder delucidazioni che aggiunse. “Non saresti dovuta venire. Con questo tempo … e poi cos’hai detto alla tua famiglia?”
“Ho chi mi copre. Sai, paga avere due miliardi di cugine.” Si strinse nelle spalle. Poi fece una smorfia, che l’ultima frase proprio non le era piaciuta. “Che vuol dire che non dovevo venire? Mi mandi lettere che non spiegano un cazzo e t’aspetti anche che me ne stia buona ad aspettare?”
Violet esitò, poi scosse la testa. “No, non si può dire che la pazienza sia il tuo forte.”
“Specie se si tratta di te, Piggie.” Replicò beandosi della sua aria deliziosamente confusa. Le prese la mano e gliela strinse. “Ti conosco dal primo anno, so che ti faresti tagliare un braccio prima di mostrare che sei un essere umano fallibile come tutti noi, ma …”
“Ma sei la mia ragazza.” La anticipò stringendogliela di rimando. “Lo so, mi dispiace essere stata misteriosa, è solo che…”
“È una faccenda grossa? Spiegami!”
L’altra per tutta risposta si martoriò le labbra. Dominique trovò quindi del tutto legittimo chinarsi per baciargliele e mettere fine a quel supplizio. Violet rispose immediatamente, prendendole il viso tra le mani e ricambiando con un entusiasmo che fece quasi girare la testa ad entrambi.

La sua di sicuro.
“Morgana, quanto mi sei mancata…” Sussurrò leccandosele, ogni traccia della leggera tinta per labbra che usava sparita. Dominique ne sentiva il sapore.
“È un po’ il punto di tutta la faccenda.” Sospirò facendola ridacchiare. “Senti, se dobbiamo parlare facciamo al caldo. Sempre che non venga fritta da qualche protezione che i Malfoy hanno messo a casa loro … In tal caso preferisco congelarmi il culo.”
Violet ridacchiò di nuovo, prendendole la mano. “Sei con me Weasley, sono il tuo lasciapassare per il mondo Purosangue.”
Dominique ghignò. “Da sempre, pare.”
Violet sorrise. “Da sempre.”

 
****
 
 
Violet non aveva idea di come interpretare l’espressione di Dominique. Le aveva raccontato tutto, senza risparmiarsi nei dettagli.
Fa male, Nicky. Hai ragione tu, fa davvero male.
Al momento erano stese sul letto della sua stanza, una delle innumerevoli deputate agli ospiti del Manor. I suoi piedi nudi sfioravano i jeans ancora freddi dell’altra. Le diede un colpetto sul ginocchio. “Nicky?”
“Vorrei affatturare tua madre. Ma gravemente.” Borbottò prima di arruffarsi i capelli, gesto che equivaleva ad una serie di imprecazioni. “È una stronza. Per eufemizzare.”
“Non ha agito diversamente da qualsiasi madre Purosangue di mia conoscenza…”
Più o meno…

“Non importa! Non posso credere che ti abbia … Insomma!” Sbottò scattando a sedere. Le diede addirittura le spalle, quasi cercasse di distrarsi per non fare gesti inconsulti. 
“Per favore Nicky, non parliamone più.” La blandì carezzandole la schiena. “È una decisione che può prendere e l’ha presa. È tutto.”

“Non puoi ripudiarla tu?”
Violet scoppiò a ridere e, anche se non c’era nulla di divertente in quell’affermazione, le passò la voglia di piangere. Abbracciò la schiena dell’altra e posò il viso sulla ruvida stoffa di quella felpa raccapricciante – una taglia da uomo, addirittura. “Me la caverò.” Quelle roboanti affermazioni erano il modo dell’altra di mostrarle preoccupazione e doveva quindi rassicurarla. “Come vedi, non sono sola. I Malfoy mi hanno ospitato e si sono offerti di continuare a farlo finché non sarò in grado di provvedere a me stessa.” Sospirò. “Non che voglia vivere della loro carità vita natura durante … Penso che non appena mi sarò diplomata mi cercherò un lavoro.”
Dominique non disse niente e Violet si chiese, non senza apprensione, cosa frullasse in quella testa matta.  “È lei che ci ha perso, Piggie.” Disse infine guardandola da sopra la spalla, seria. “Se non riesce a vedere la persona che sei diventata ci ha perso enormemente e quando se ne accorgerà ballerò sulla sua tomba.”
“Come farà ad accorgersene se è morta?” Le chiese divertita, dandole un lieve bacio sulla nuca. “Ma grazie.” Magari era patetico, ma sapere che Dominique la riteneva degna di stima la faceva sentire meglio sul serio. Fece un sorrisetto. “E comunque, che persona sono diventata?”
“Una strafiga, si capisce.” Ghignò voltandosi verso di lei. “Sei sempre stata tosta, ma adesso sei figa.”
“È una cosa di cui essere fiere?”

“Totalmente, Piggie. Totalmente.” Confermò con un cenno solenne della testa. “Oh, a proposito. Regali? Mi sa che è passata la Mezzanotte!”
“Il tuo te l’ho spedito, quindi parliamo del mio, suppongo.” Inarcò le sopracciglia. “Giusto?”

“Giusto, giusto…” Ridacchiò l’altra alzandosi in piedi e andando a frugare nelle tasche del suo giubbotto di pelle – le aveva detto si chiamasse chiodo. Le lanciò un pacchettino che riuscì a prendere al volo solo perché se lo aspettava. “Auguri!”
“Essere un po’ più formale non ti ucciderebbe, sai.” Sbuffò scuotendo la testa e scartandolo ansiosamente. Era il primo regalo che si facevano e aveva il sapore di qualcosa di importante.
Speriamo non mi abbia regalato qualcosa di raccapricciante o animale…
Il pacchettino, incartato malamente con troppo scotch e poca carta, rivelò contenere un orecchino. Solitario. Era una pietra rossa con riflessi bruniti piuttosto particolari. Bello, ma senza il suo compagno.
“Nicky, dov’è l’altro?” Chiese perplessa.
L’altra si sedette di nuovo di fronte a lei, incrociando le gambe. “Non c’è visto che questa pietra non va mai a coppia e non può essere tagliata a meno che tu non abbia una lama forgiata dai Folletti. Non credo tu ne abbia una, anche se forse i Malfoy…” Stava blaterando e Violet aveva idea che lo stesse facendo per mascherare l’imbarazzo.
“Cos’era prima di diventare un orecchino?” La interruppe.
L’altra fece una smorfia. “È una pietra … cioè, era una Pietra di Drago. Allo stato inerte com’è adesso si chiama Pietra Focaia. Si trova dentro la trachea di un esemplare adulto ed è il catalizzatore che gli fa sputare fuoco.” Si grattò la fronte, arricciando il naso. “L’ho trovata quand’ero piccola durante un appostamento con mio zio Charlie. È raro trovarle perché di solito i draghi vanno a morire lontano da qualsiasi sentiero battuto e… se ne trovi una sei proprio un tipo fortunato. Così mi dissero.”
“È il tuo portafortuna?” Indovinò. Non era più grande di un’unghia, eppure era capace di far sputare fiamme ad un drago per decine di metri. Era impressionante, decisamente il talismano perfetto per una come la Weasley.
“È il tuo adesso.” Scrollò le spalle e fece un sorrisetto obliquo. “A me non serve più.” Prima che potesse obbiettare che era una Campionessa e che di fortuna ne aveva bisogno in continuazione, l’altra le chiuse la mano su cui aveva posato l’orecchino. Violet sentì pungere leggermente la chiusura contro la pelle, ma non si lamentò.
“Nicky, sei sicura? Dopotutto, è…”
“Ho te.” Fece spallucce. “Ho te e il tuo orecchino.” Che per inciso non le aveva ridato. Non che glielo avesse mai chiesto indietro. “Scambio equo.”
“Non so se definirti romantica o l’esatto contrario.” Ora sì che le veniva da piangere, ma glissò preferendo concentrarsi sull’indossare quello strambo pegno d’amore di quell’altrettanto stramba ragazza.
Non era il suo solito Natale. Non c’era sua madre, i regali sotto l’albero della sua infanzia, né le feste cerimoniose a cui era invitata fino a Capodanno. C’era invece un maniero un po’ scuro ma pieno di persone sorprendenti e gli occhi azzurri e sinceri della Weasley. Andava bene. Non era perfetto, forse, ma era proprio quello il punto.
Le baciò la punta del naso lentigginoso. “Buon Natale sciroccata.”
“Buon Natale anche a te, Piggie.”

 
****
 
 
Note:

E il Ballo del Ceppo?
Flashback! Giuro! Ad ogni buon conto, devo finire con il prossimo capitolo, e quindi perdonatemi la mancanza della scena, che recupererò comunque. In qualche modo. Credo.  

Qui la canzone del capitolo.
1. Marais: quartiere di Parigi, che mantiene l’architettura pre-rivoluzionaria. È uno dei quartieri più alla moda della città e ospita decine di boutique e atelier di giovani artisti emergenti. Quale quartiere migliore in cui inserire una via magica chic? Qui per maggiori info.
2. Prince of Wales: the nero proveniente dalla Cina, servito solitamente in tarda mattinata o primo pomeriggio accompagnato dai tipici scones britannici. Il principe Eduardo fu il primo a concedere alla Twinings il diritto di produrlo, dato che era ‘his own personal brand’.
3. Dialetto: Violet si riferisce al cockney, il dialetto parlato a Londra, nato e sviluppatosi nell’East End. Ovviamente Andromeda non è una east enders, ma agli orecchi di una ragazza che ha visto Londra solo un paio di volte, una donna che ha un forte accento londinese e un linguaggio colorito può sembrare tale. Questo un assaggio più o meno corretto di come suona.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cloudless // Capitolo VI ***







We will run and scream, you will dance with me

We’ll fulfill our dreams and we’ll be free
We will be who we are and we’ll heal our scars
Sadness will be far away
(Learn me right, Mumford&Sons feat. Birdie)



 
 
2 Gennaio 2024
Inghilterra, Londra, Diagon Alley. Pomeriggio.
 
“Ordina un altro caffè.”
“Piggie, se ne ordino un altro o finisci per saltare in aria o corri in bagno. È già il terzo che prendi.”
“Fatti i fatti tuoi!”
“Eh, appunto.”
Violet scoccò un’occhiata incendiaria a Dominique, la quale per tutta risposta si limitò a mostrarle la lingua. “Arriverà.” Le assicurò con certezza irritante. “Vuoi calmarti e smetterla di agitarti come un Billywig?”

“Come posso calmarmi?” Replicò rimestando cupamente con il cucchiaino nella tazza ormai vuota. “Se il Signor Malfoy non trova nulla nella camera blindata dei Goyle sarò ufficialmente nullatenente!”
Dominique bevve l’ultimo sorso della sua burrobirra aromatizzata allo zenzero – il sapore era disgustoso.

“E andare fuori di testa ancor prima di saperlo ti serve a…?”
“La fai facile tu…” Borbottò. Quella mattina a colazione Lord Malfoy le aveva annunciato che avrebbe avuto una risposta circa la sua situazione finanziaria. Avevano quindi fissato un appuntamento per quel pomeriggio nella caffetteria vicino alla Gringott in cui si trovava al momento in compagnia della sciroccata.
Non so quanto Lord Malfoy sarà felice di sapere che mi sono portata dietro Nicky, ma…
Non era riuscita a non chiedere il suo supporto e del resto l’altra non gliel’aveva negato, acconsentendo in un giro stretto di posta Gufica – Vianne, la sua aquila, era veloce come un fulmine. 
Ad un occhio esterno la Weasley poteva sembrare fin troppo rilassata dato che si parlava di una questione tanto importante come il suo futuro. Eppure quell’atteggiamento invece di innervosirla – magari un pochino lo faceva comunque – la distraeva. Chissà se Nicky ne era consapevole?
Dubitava. Era una creatura talmente incurante dell’effetto che faceva sugli altri che non si era neppure accorta di quanti, al Ballo del Ceppo, le erano ronzati attorno finchè, vedendo la MacFusty farsi un po’ troppo ardita nelle chiacchiere, non aveva deciso di requisirla e tenersela accanto per tutta la serata.
Vestita decentemente, con i tatuaggi Disillusi e pettinata sembrava quasi femminile … Quasi perché poi ha rovinato tutto bevendo e mangiando come un Battitore ungherese.
Il Ballo del Ceppo era stata una grata parentesi in quel mare di incertezza e avrebbe ricordato per anni il proprio vestito perfetto, il ballo di apertura con Scorpius e l’atmosfera incantata.
Meglio che me lo marchi a fuoco in mente perchè probabilmente è stato l’ultimo ballo ufficiale a cui ho partecipato.
 “La faccio facile perché lo è.” L’altra la riscosse dai suoi pensieri. “Non finirai in mezzo ad una strada.” Si strinse nelle spalle. “Né io né RaggiodiSole ti lasceremo culo a terra.”
Violet inspirò. “Non è questo il punto.” Raccolse granelli di zucchero sparsi sul tavolo con la punta delle dita. “Non voglio … non voglio pesare sulle spalle di nessuno, tantomeno sulle vostre!”
Dominique sbuffò alzando gli occhi al cielo. “Voi Sang-pur! Ce l’avete dentro l’esser melodrammatici … Pensi che mi peserebbe più aiutarti che saperti nei guai?”
“Nicky, non voglio parlare di questo.” Tagliò corto. Sua madre non si era fatta sentire dal giorno della loro lite. Era passato quasi un mese e si doveva esser sposata come doveva esser ormai prossimo il parto. Aveva tentato di mandarle dei Gufi, ma erano tornati tutti indietro comprensivi di timbro ‘Lettera Rifiutata’. Ogni timbro era stata una pugnalata, ma non aveva smesso di insistere.
È mia madre. Le voglio bene, anche se pare non serva a molto.
Sentì la mano di Dominique chiudersi sulla sua. Alzò lo sguardo e la vide guardarla in silenzio, come al solito parca di parole e rassicurazioni.
È proprio questo che mi piace di lei. Non affoga gli altri nei discorsi inutili.
“Sto bene.” Le sorrise ricambiando la stretta. “Grazie.” Le accarezzò il dorso della mano con il pollice. Sentiva le lacrime premere per uscire ergo era necessario cambiare discorso. “Non mi hai raccontato com’è andata l’intervista al Profeta via camino. Era questa mattina, vero?”
Dominique strinse una risatina trai denti. “Una pila di stronzate. Mi aspettavo mi chiedessero roba tecnica tipo la mia preparazione o le tabelle di marcia, all’intervista per la Prima Prova han fatto così. Invece stavolta metà delle domande sono state da posta del cuore. La giornalista però era diversa, era una vecchiaccia con la permanente.” Sbuffò esasperata. “Pensa che si è fatta un film assurdo, dove io mi impalmavo RaggioDiSole prima che mi tradisse per Rosie. Ti pare?”
Violet sorrise appena di rimando. “E tu cos’hai risposto? Le hai detto di noi?”
Forse un anno fa sarei andata nel panico all’idea. Ma tanto, cosa può succedermi adesso? Che venga ripudiata?
Due volte?
Dominique fece un sorrisetto. “Ho detto che erano cazzi miei. Anche se di quelli qua se ne vedon pochi.”
“Nicky!” Esclamò trattenendo una risata. “Non avrai detto così!”
“Pure di peggio!” Esclamò allegra. “Sono una Campionessa del Tremaghi, che mi chiedano cose inerenti al Torneo, non cosa faccio sotto le lenzuola.”

“Quindi non hai specificato?”
Dominique si strinse nelle spalle. “Avrei dovuto? Non voglio che l’Inghilterra intera si faccia i fatti nostri.”
Insolitamente matura …
Sorrise. “Giusto, ma non hai paura che la fantasia fervida di quella giornalista finisca per accoppiarti con Luzhin?”

L’altra fece una smorfia inequivocabilmente schifata. “Lì sarebbe proprio strafarsi di Bevanda della Pace, Piggie. Solo a quella scema della Rossa può piacere un tipo simile.” Si appoggiò con i gomiti al tavolino e si sporse verso di lei. “A me piace roba diversa. Tanto per cominciare, deve essere una rompiboccini di prima qualità.”
Violet la imitò; dava una strana ebbrezza percepire le occhiate delle persone scivolare loro addosso e potersene fregare. “Stai giocando con il fuoco, Weasley. Ti ricordo che ho una bacchetta.” La minacciò, divertendosi a vedere come l’altra ne sembrasse intrigata.
Razza di matta…
“Senza contare che devono assomigliare ad un porcellino d’India.” Continuò imperterrita. “Specie quando si arrabbiano e arricciano il naso.”  
“Hai oltrepassato il segno.” Esultò interiormente al brevissimo, ma presente, lampo allarmato negli occhi dell’altra, che era meno indolente di quanto non dimostrasse all’universo mondo. Poi si sporse e anche se odiò il sapore di Burrobirra sulle labbra dell’altra fu disposta a soprassedere.
Sentì un lieve battere sul legno del tavolo. Nocche. Alzò lo sguardo e con orrore si accorse che Lord Malfoy era di fronte a loro. Sperava non da molto anche se l’aria scocciata era piuttosto indicativa.
“Io … mi scusi. Non…” Balbettò incoerente, tirandosi via da Dominique in tutta fretta.
“Se eri altrimenti impegnata, avresti dovuto avvertire.” Le fece notare, grondando gelo.  
“Ci stavamo baciando, mica facevamo sesso sul tavolino.” Replicò Nicky. “Comunque abbiamo finito.”
Violet sentì l’immediato impulso di affogarsi nella prima superficie liquida disponibile.
Imbecille! Stai parlando con il mago con il sangue più puro d’Inghilterra!
… non che te ne fregherebbe qualcosa, ma comunque…
L’avrebbe presa a ceffoni su quella zucca vuota, ma ormai le parole erano state allegramente pronunciate. Lord Malfoy fece una smorfia, come se si trovasse di fronte ad uno spettacolo del tutto desolante, ma si sedette nella sedia rimasta libera.
“Prende …prende qualcosa?” Aveva sempre provato soggezione verso l’uomo che stava loro di fronte, sin da quando era bambina. Era forse il suo essere alto e avere il viso sempre atteggiato in un cipiglio giudicante, o forse il fatto che sua madre l’avesse terrorizzata a dovere su chi fosse e cosa avesse fatto durante la Seconda Guerra Magica. Forse entrambe le cose.
Questi scosse la testa. “Ho poco tempo. In questi giorni la situazione in ufficio è fin troppo calda per lasciarla nelle mani di conclamati incompetenti.”
“È per via della faccenda dei Dissennatori?” Chiese Dominique. “Dev’essere un bel macello per la Cooperazione Magica Internazionale!”
Lord Malfoy le lanciò una lunga occhiata penetrante alla quale l’altra rispose mantenendo lo sguardo. “Tu devi essere Dominique Weasley.” Pronunciò le parole come se dovesse metterle in guardia da qualche malattia rara ed esotica.  

“Se legge i giornali, lo sa. Io e suo figlio ci siamo ogni tre per due.” Replicò l’altra. “Ma non faccia caso a me, siamo qui per Violet.”
Violet?

Sentirsi chiamare per nome di battesimo dall’altra era sempre strano, ma forse dava la misura di quanto Dominique avesse compreso la serietà di quell’incontro. Era confortante e preoccupante al tempo stesso.
L’uomo non rispose, dandole però nuovamente attenzione. “Oggi ho avuto la risposta dalla Gringott. Non è stato semplice, dato che sulle camere altrui i Folletti sono estremamente riservati.”
“Avrei potuto accompagnarla…” Tentò, prendendo coraggio. “Forse la presenza di un membro della famiglia…”
“Tua madre sarebbe venuta a saperlo nel giro di poche ore e ti avrebbe interdetto l’accesso.” Replicò infastidito, quasi fosse ovvio. Non lo era affatto.

“Può fare … può fare una cosa del genere?”
“Ho avuto modo di visionare il testamento di Gregory, alla sua morte.” Giusto, suo padre si chiamava Gregory. “Una clausola spiegava in modo piuttosto esplicito che tutte le proprietà dei Goyle sarebbero passate sotto la tutela e supervisione della sua vedova. Tu sei solo una co-intestataria.” Di fronte alla sua aria perplessa sospirò. “Significa che per avere accesso alla camera è necessaria la presenza fisica tua e di tua madre. Viceversa, non è necessario.”
“Cioè in pratica la Vedova Nera può mangiarsi il patrimonio tutta da sola e Violet deve chiedere il permesso anche per prendere uno Zellino?” Si inserì Dominique.

Lord Malfoy le scoccò un’occhiataccia, ma poi annuì. “Precisamente.”
Violet serrò le labbra. Era così dunque. Anche se era rimasto qualcosa non poteva avervi accesso. Era desolante, ma al tempo stesso sentiva una rabbia cocente scaldarle lo stomaco e il viso. Sua madre aveva sempre controllato la sua vita, e quella era l’ennesima prova del fatto che la considerasse parte delle sue proprietà.
Ad una proprietà non serve certo avere il controllo…
Sentì la mano di Dominique toccarle la gamba. Non si era accorta che durante la conversazione si fosse spostata vicino a lei. Gliene fu grata. “Quindi cosa è rimasto?”  
“Non molto, ma abbastanza da poter essere utilizzato per condurre una vita dignitosa. Sfortunatamente tua madre ha sempre avuto talento nello sperpero. Non so quanto quella somma rimarrà invariata, nei prossimo anni … o mesi.”  
“Non c’è proprio modo per avervi accesso?” Insistette. Non poteva arrendersi al primo ostacolo. Non con la Weasley che la guardava perlomeno. “Sono una Goyle, mi sembra impossibile…”
“Non ho detto che è impossibile.” La interruppe quasi trovasse la sua mancanza di ricettività insopportabile. “Tua madre non prevedeva di doverti ripudiare.” Doveva proprio sembrargli ottusa a giudicare dallo sbuffo impaziente. “Se perdi il cognome Parkinson e tutto ciò che comporta anche a livello legale, divieni solo una Goyle, come tu stessa hai detto. Non rimane più nessuno di quel ramo della tua famiglia. È esatto?” Violet si limitò ad annuire. “Bene. Questo significa che avrai un diritto di prelazione sulla somma in quanto ultima erede dei Goyle. È una scappatoia, e neppure delle più geniali, ma bloccherà le pretese di tua madre in maniera irreversibile.”

“Ma non mi ha ancora ripudiato…” Mormorò. “Credo che dovrebbe arrivarmi notifica…”
Ne aveva parlato con Lady Andromeda. Con lei perché alla fine aveva scoperto il motivo di tanta empatia.

È stata ripudiata dalla sua famiglia, i Black. Per questo ci tiene tanto a dire che è una Tonks. Una Tonks come l’uomo che ha sposato attirandosi le ire della sua intera Casata.
Le aveva spiegato in modo dettagliato cosa sarebbe successo e le era stata grata per non aver tentato di indorare la pillola.
 
“Non è la fine del mondo, ragazzina. O meglio, è la fine del mondo per come l’hai conosciuto fin’ora. Farà schifo all’inizio, ti sentirai togliere la terra sotto ai piedi ad ogni passo, ma poi migliorerà. Se hai accanto delle persone fidate sarà ancora meglio. Fanne tesoro, perché adesso sono loro la tua famiglia. E credimi, possono essere tanto meglio.”
 
Lo sono.
Guardò verso Dominique che ricambiò l’occhiata con un mezzo sorriso dei suoi.
“Se vuoi avere quella somma, tua madre deve ripudiarti.” Il mago la scrutò come un ragazzino viziato avrebbe dissezionato un Vermicolo. “Credo che tu non voglia passare il resto della tua vita a piangere dietro le gonne di mia moglie, o mi sbaglio?”
Violet avvampò, ma l’umiliazione fu breve perché dovette afferrare per un polso alla propria ragazza prima che scattasse in piedi, bacchetta alla mano. “Nicky!” Sibilò. “Giù!”
Lord Malfoy stirò un sorrisetto inequivocabilmente maligno. “Una cosa che non si può contestare ad uno Weasley è la sua fedeltà animale.”
“Stronzo…” Borbottò Dominique, incerta tra lo scattare o lasciar correre. “Se ti fa tanto schifo prenderti cura di Violet dillo. Ci penso io, a lei!”

Violet sentì le guance scottare di un sentimento tutto diverso da quello precedente. Strinse il polso dell’altra con forza. “Non voglio approfittarmi della gentilezza della vostra famiglia ancora a lungo, no.” Replicò sostenendo lo sguardo dell’uomo come meglio poté.
“Bene, perché hai preso una decisione quando hai rifiutato il volere di tua madre.” Si alzò in piedi, aggiustandosi il ricco mantello. “Mio figlio e mia moglie hanno simpatia per la tua caparbietà. Ti chiederei dunque di non deludere le loro aspettative e continuare per la strada che ti sei scelta. Le mezze decisioni sono sempre pessime consigliere.”
Violet anche stavolta lesse le intenzioni dietro le parole. Sembrava che Lord Malfoy si esprimesse solo in quella maniera. “Grazie.” Inspirò. “Le farò sapere se ci saranno aggiornamenti sulla mia situazione. Posso ritenere di poter contare sul suo aiuto dunque?”

L’uomo arricciò le labbra. “Temo che non sia nelle mie possibilità rifiutarmi.” Detto questo le salutò con un secco cenno della testa ed uscì dal locale in uno svolazzare di vesti.
“Ma li fanno stronzi in serie o cosa?” Esplose Dominique, finalmente libera. “Vaffanculo!”
“Devi leggere tra le righe…” Sospirò abbandonandosi sulla sedia. Non si era accorta di essersi irrigidita tanto. “Mi ha appena dato apertamente il suo appoggio.”
“Apertamente un cazzo.” Borbottò l’altra poco convita. “Io almeno non l’ho percepita così. Anche se non parlo il purosanguese.”

Violet soffocò una risatina, scuotendo la testa. “Mi ha detto che è disposto a darmi una mano, qualora decida di prendere definitivamente le distanze da mia madre. Credo lo faccia soprattutto per farle dispetto, ma … rimane il fatto.”
Dominique aggrottò le sopracciglia meditabonda. “Ma tu che vuoi fare?”
Violet sospirò. La verità era che non ne aveva la minima idea. Certo, le era chiaro che sua madre non voleva più  avere niente a che fare con lei.
Però … non mi ha ancora ripudiato. Se facessi il primo passo e le chiedessi di farlo…
Sarebbe come ammettere che
io non voglio più avere niente a che fare con lei?
“Non voglio perdere mia madre.” Mormorò guardandosi le mani e non vi era scritta nessuna soluzione, né una risposta ai suoi dubbi. Erano solo mani. Mani che sua madre diceva avesse preso da lei – per fortuna, aggiungeva sempre.  
Dominique schioccò le labbra. “Se non vuoi perderla, allora devi cercarla.”
“Non risponde alle mie lettere!”
“Alle lettere si può anche non rispondere, ma di persona è diverso. Devi parlarci faccia a faccia Piggie. Certa roba non si può affidarla ad una pergamena.”
Violet chiuse gli occhi, mentre dietro le palpebre le sfilavano la cascata di possibilità che un incontro tra di loro avrebbe portato. “Se andassi a trovarla potrebbe anche non ricevermi … e se volesse, potrebbe finir male. Siamo su posizioni troppo diverse al momento.” Nascose il viso tra le mani. “Se non faccio nulla rimango in stallo, ma se forzo le cose rischio di esser ripudiata. Che razza di situazione.”
Dominique le diede un colpetto con la gamba, più simile ad un calcio che altro. Le scoccò un’occhiataccia e quella sorrise disarmante. “Fa’ quel che ti senti. In qualche modo troveremo una soluzione.”
“Nicky, non funziona così…” Si premette le dita sulle palpebre sentendole pesanti, stanche. Tutta quella faccenda le stava succhiando più energie di un Dissennatore.

E non parlo per metafore ma per esperienza diretta.
Dominique si strinse nelle spalle. “Quello che ho detto a FacciaDaStitico lo intendo. Mi prenderò cura di te, quindi vai tranquilla.” Disse senza strani sogghigni o ammiccamenti o prese in giro. Quando era seria, lo era completamente.
“Non ho intenzione di vivere sulle tue spalle specie se per farlo devo andare a vivere in mezzo ai draghi.” Replicò per mantenere un minimo di controllo sulla sua inadeguata voglia di singhiozzare come una bambina tra le braccia dell’altra. “E poi, possiamo parlare del futuro quando ne avrò uno che valga la pena di esser menzionato?” Replicò innervosita. Non poteva mettersi a pensare anche all’eventualità di un loro rapporto a distanza una volta finita la scuola.
L’altra annuì. “Come vuoi. Però ricordati che t’ho detto.” Le picchiettò il naso con un dito, facendoselo poi schiaffeggiare via di buon grado. “Ricordatelo.
“Sì.” Sorrise suo malgrado. “Domani non sarò raggiungibile. Ci vedremo direttamente ad Hogwarts.”
“Perché?”

“Perché per una volta, Weasley, hai ragione. Devo riuscire a parlare con mia madre.”
 
****

4 Gennaio 2024
Scozia, Hogwarts. Carrozza di Beaux Batons.
 
Dominique si era stufata di ascoltare il ciarlare infinito della giornalista di fronte a lei, la quale tentava di rimediare al fiasco della precedente intervista – sì, era la stessa vecchia insopportabile.
Del resto però non poteva far altro che ascoltare e smozzicare qualche risposta dato che Mael vigilava impietoso.
Lecchino della Madame
Gli rivolse una smorfia, al quale il ragazzo ricambiò con un’occhiataccia.
La partenza per Durmstrang era imminente, questione di poche ore, e Violet non era ancora arrivata.
Non è che sua madre l’ha rapita e rinchiusa in qualche torre altissima?
Era partita per Parigi in cerca di una riconciliazione, anche se non glielo aveva detto apertamente. Poteva capirlo, poteva persino se la madre in questione era una stronza di rara entità.
Il problema non era capire. Era sopportare che Violet non fosse lì. 
“I nostri lettori si chiedono cosa si nasconda nel cuore appassionato della Campionessa di Durmstrang. È stata ventilata l’ipotesi di un legame speciale con il Campione di Hogwarts…”
Ancora?
“Devo mimarvelo? Scorpius mi fa lo stesso effetto di un tronco di legno!” Sbottò scandagliando lo spazio erboso di fronte alla carrozza. Quasi tutta la delegazione era ormai arrivata, persino la Lombard, forse convinta dalle pressioni della Preside a fare marcia indietro nel suo proposito di abbandonare il Torneo.
E addio sesso.
“Qualche piccolo indizio per i tuoi fan?” La voce della giornalista sembrava disperata. La ignorò.
“Dominique deve finire di fare i suoi bagagli.” Le venne in soccorso il cugino. “Se non ha altre domande…”
Poi Violet arrivò. La vide scendere da una delle carrozze trainate dai Thestral che venivano usate per muoversi all’interno dei terreni della scuola. Indossava già l’uniforme e il mantello regolamentare della scuola e con un colpo di bacchetta fece in modo che i bagagli le levitassero dietro.
Piggie!
“Scriva quel che le pare, tanto so che già lo fate.” Liquidò la giornalista prima di dirigersi verso la sua ragazza. “Ehi!” L’apostrofò.
Violet batté le palpebre, quasi fosse sorpresa dalla sua presenza. Sembrava persa in pensieri tutti suoi. “Nicky.” Rispose. Poi l’afferrò per il bavero della giacca dell’uniforme. Per un attimo Dominique pensò che l’avrebbe schiaffeggiata data la furia con cui l’aveva afferrata. Invece la fece abbassare e la baciò.
Woh!
Violet era una gran baciatrice, anche se nessuno l’avrebbe mai sospettato dietro quell’aria inflessibile e fredda. Grandiosa sì, ma soprattutto riservata.
Peccato che qua siamo di fronte a tutta la delegazione, la Preside e una giornalista del Profeta.
La strega in questione infatti emise una specie di esclamazione colorita, a giudicare da quel che sentì nelle retrovie. Forse era scattato anche qualche flash ma non era sicura. Non che le importasse granché.
Violet in compenso aveva gli occhi enormi e l’aria furiosa. “Sai che mi hai appena baciato, in linea teorica, di fronte ad un’intera nazione?” Le parve giusto notificare.
“Per quanto mi importa, lo posso fare anche di fronte a tutto il mondo Weasley.” Fu la risposta.  
Non credo sia andata tanto bene. Non credo sia andata per niente.
“Spero che per te non sia un problema.” Aggiunse passandole le dita lungo lo stemma della scuola.
“E quando mai. Almeno quella Megera avrà le sue risposte e smetterà di rompermi l’anima.” Replicò perplessa. “Ma vuoi parlarne?”
Violet si morse le labbra, guardò oltre le sue spalle e evidentemente decise che se era pronta per un bacio spettacolare non era altrettanto pronta a rilasciare dichiarazioni in merito. “Prendi i miei bagagli.”
Dominique lanciò un’occhiata a Mael, intimandogli di sistemare le cose.
In qualche modo. Oh, fatti suoi. Vuol far l’assistente? Che assista!
Poi afferrò le borse e seguì la schiena rigida di Piggie all’interno della carrozza.
 
Essere di nuovo di fronte alla Weasley era stato come riprendere a respirare. Per questo quando se l’era vista correre incontro sorridente non aveva potuto fare a meno di baciarla.  
Quando sei in apnea fai di tutto per risalire in superficie, no?
Dominique sistemò i suoi bagagli in un angolo della stanza e poi si sedette sul suo letto, facendo cenno di affiancarla. Violet acconsentì docilmente. “La Gerard?”
“Lombard.” La corresse con uno sbuffo divertito quanto rassegnato. “È in stanza dal suo ragazzo. Le ho detto di starci il più possibile fuori dai piedi e l’ho trovata d’accordissimo. Non siamo le uniche a voler avere un po’ di privacy, sai.”
“Ottimo.” Si lisciò le pieghe della gonna – inesistenti, ne era consapevole, ma era un movimento quasi rassicurante – e inspirò. “Non è andata bene.”
“Fin qui c’ero arrivata. Ora però spiega.” 

“Non c’è molto da spiegare…”

E non c’era.

Arrivare a Parigi tramite Passaporta era stato facilissimo. Al centro Ufficio Smistamento Passaporte era stata accolta da un funzionario, vecchio amico dei Malfoy, che l’aveva messa su una carrozza diretta al quartiere magico di Montparnasse.
Ovviamente dopo aver annunciato la sua presenza agli Elfi della casa aveva dovuto aspettare un’umiliante mezz’ora fuori dal portone principale, alla mercé degli sguardi dei pochi passanti, tutti rigorosamente maghi e dunque probabilmente informati circa la sua identità. Era riuscita ad entrare solo grazie a Sylvie, la sua vecchia Elfa, che contraddicendo agli ordini ricevuti – si colpiva in testa con un mestolo ad ogni piè sospinto, tanto che aveva dovuto strapparglielo di mano – l’aveva fatta entrare dalla porta di servizio.
Come una ladra…
“Sylvie, dov’è mia madre?”
“Nella nursery padroncina Violet.” Aveva emesso un lamento sconfortato. “Oh, Sylvie non doveva dirglielo, Sylvie non è una buona Elfa!” E prima che potesse fermarla si era diretta a testa bassa verso lo spigolo di un mobile. L’aveva dovuta tirare su quasi di peso e farla rinvenire con un veloce Innerva.
“Falla finita, te l’ho chiesto io!” Si era morsa le labbra quando aveva realizzato che Sylvie non ne avrebbe tratto grande beneficio.

Del resto, non sono più la sua padrona. Se mi chiama ancora così è solo per abitudine.
Poi aveva registrato la seconda parola pronunciata dall’Elfa.
Nursery…
“Mia madre ha … partorito?”
“Sì Padroncina Violet!” Il volto sdentato della creaturina si era aperta in un sorriso estatico. “È un bel maschietto!”
Violet aveva sentito lo stomaco stringersi in una morsa. Sua madre non era tornata sulle sue posizioni neppure per annunciarle la nascita del bambino. Aveva inspirato salendo le scale. Adesso il suo obbiettivo era cambiato. “Voglio che mi porti nella nursery.”
L’Elfa aveva tentennato, mormorando una serie di ‘cattiva Sylvie, brutto Elfo’ tanto che Violet si era sentita a disagio. “Sylvie, è un ordine.” Aveva ripetuto e l’Elfa aveva finito per annuire facendole cenno di seguirla.

La Nursery era un tripudio di azzurro e bianco, completamente inondata di luce. L’odore acuto di latte e talco per neonati la riempiva completamente. La culla era all’esatto centro della stanza, ed era incisa con lo stemma di famiglia di Baffi Impomatati, quasi fosse una sorta di altare per celebrarne la virilità.
Coglione.
Si era avvicinata, sentendo una strana sensazione di smarrimento scuoterla. Il neonato riposava tra cuscini di seta e ninnoli d’argento e oro, di quelli che si regalavano ad ogni nascita Purosangue. Aveva una leggera lanugine nera sulla testolina altrimenti glabra e i pugnetti stretti alla coperta. Aveva sorriso, accarezzandogliene uno con la punta dell’indice. A sorpresa, il piccolo glielo aveva afferrato, stringendolo con insospettabile forza. Solo un riflesso condizionato, avrebbe detto qualcuno, tipico in una creaturina senza coscienza, eppure Violet aveva sentito le lacrime pungerle gli occhi.
“Sylvie … come si chiama?” Aveva chiesto all’Elfa che era rimasta in religioso silenzio accanto a lei. “Come si chiama mio fratello?”
Prima che potesse aver risposta però qualcuno era irrotto nella stanza. Era Baffi Impomatati, rosso in viso e con la bacchetta in pugno. Dall’espressione conseguentemente sorpresa che gli vide addosso era chiaro che non si aspettasse la sua presenza.
“E tu che diavolo ci fai qui?” Era sbottato. “Chi ti ha fatto entrare?” Si era rivolto verso l’Elfa tremante. “Sei stata tu?”
“Sono entrata da sola.” Era intervenuta. “La sicurezza in questo posto lascia alquanto a desiderare.”
“Quale parte del fatto che non sei la benvenuta nella mia casa non ti è chiara?”
“La parte in cui nessuno mi informa della nascita di mio fratello.” Non sapeva da dove le veniva quel coraggio e soprattutto, la risposta pronta. Forse dal disprezzo che provava per l’uomo che aveva sposato sua madre. Forse dalla rabbia che covava dentro.

Questa non è solo la tua famiglia, ma anche la mia. Me l’hai tolta. Se non mi disprezzassi tanto avresti capito che mia madre ha bisogno anche di me.
Il mago aveva avuto il buongusto di sembrare imbarazzato, prima di fare una smorfia. “Tua madre ha pensato non fosse necessario informarti, visto le tue ultime prese di posizione.”
“Cosa c’entra quel che ho detto con la nascita di …” Aveva boccheggiato realizzando che non ne sapeva ancora il nome. “Non so neanche come si chiama!”
“Sebastien. Sebastien Julius Marchande.” Aveva proclamato rigido e non era riuscito a nascondere la soddisfazione. La soddisfazione di aver dato un cognome al frutto del suo matrimonio.

Un cognome diverso dal mio.
“Non dirò nulla a Pansy di questo tuo sgattaiolare senza permesso nella nostra casa … L’addolorerebbe moltissimo.” Aveva fatto un sorrisetto. “Date le contingenze, posso anche non sporgere denuncia al Ministero. Adesso però sei pregata di andartene.”
Violet aveva sentito il viso infiammarsi di umiliazione. Aveva voglia di prendere la bacchetta e schiantare quell’idiota, ma non aveva senso anche se Morgana, sarebbe stato bello. Aveva lanciato un’occhiata alla culla. “Me ne vado quando avrò parlato con mia madre.”
“Non è nello stato d’animo adatto per ricevere visite. Specie dalla causa del suo dispiacere.”

Aveva sorriso amaramente. “Già, lo immaginavo. Può comunque riferirle un messaggio.” Non aveva aspettato che controbattesse. “Le dica che qualunque decisione prenda verso di me rimarrà mia madre e Sebastien mio fratello. È stata lei a dirmi che il sangue non è una cosa che si può gettar via come una bacchetta rotta.” Si era complimentata con se stessa per la voce ferma. “Le dica che tuttavia non ho intenzione di lasciare Dominique e che per questo motivo può disporre come meglio le aggrada del nostro patrimonio. Non lo voglio, non se per averlo devo rinunciare a chi amo, che sia lei o la ragazza con cui ho deciso di stare.” 
Sapeva che sua madre stava ascoltando. L’aveva capito dalla porta secondaria, quella da cui Baffi Impomatati non era entrato. Era socchiusa e avrebbe potuto giurare di vedervi delle ombre al di là dello spiraglio di luce.
“È tutto?” Aveva replicato infastidito l’uomo. “Perché non vorrei che il sonno di Bastien venisse guasta…”
“Me ne vado.” L’aveva interrotto. Aveva fatto un’ultima carezza alla testolina del neonato e poi era uscita scortata da Sylvie.

 
“Quindi alla fine non hai visto tua madre.” Esordì Dominique. Aveva ascoltato, si era fatta un’idea e alla fine della faccenda aveva solo una gran voglia di maledire qualche culo.
Possibilmente quello dei due novelli e stronzi genitori.
“No, ma ho visto abbastanza per capire che non ha intenzione di scendere a patti. Che mi abbia ripudiato o meno è ininfluente.” Sospirò continuando a lisciare le pieghe del tutto inesistenti della sua gonna. “Forse sa che se mi ripudiasse mi lascerebbe anche la camera dei Goyle. Non è mai stata una sprovveduta in queste cose… Se ci ha pensato Lord Malfoy può averci pensato anche lei.” Fece una breve pausa. Sembrava stanca come se avesse appena corso per chilometri su un terreno accidentato. “Non lo so Nicky. So solo che non mi ha neanche scritto per dirmi come si chiamava mio fratello. Non mi ha ripudiata … mi ha semplicemente lasciata indietro.” Mormorò abbassando lo sguardo. Aveva le ciglia lunghissime e scure e quando lo si poteva notare non era mai un buon segno.  
Il dolore è un paese solitario.
Si limitò quindi a passarle un braccio attorno alla vita. Non ci mise molto prima che Violet le crollasse addosso scoppiando in singhiozzi. Non disse nulla, preferendo stringerla. Le parole erano importanti e andavano dosate. Non ripetute, perché altrimenti perdevano efficacia. Un po’ come gli incantesimi.
 
****

7 Gennaio 2024
Norvegia, Durmstrang.

Un’ultima foto ai Campioni stranieri!
Dominique ricambiò lo sguardo esasperato di Scorpius mentre si apprestavano all’ennesimo barbosissimo set di fotografie fatte dal MagiFotografo del Brev Magiske, la versione norvegese della Gazzetta del Profeta.  

Sia la sua delegazione che quella scozzese erano entrate ufficialmente a far parte di Durmstrang: Durmstrang la fortezza nera, Durmstrang un che avrebbe dovuto essere traboccante di gioventù magica e invece era soltanto inquietante. Gioventù che peraltro era tutto fuorché vitale a giudicare dagli smorzanti fallimenti che aveva collezionato cercando di attaccar bottone con i cosiddetti allievi.
Ed io che pensavo che fosse la loro delegazione ad esser composta da stronzi muti come tombe…
Son tutti così!
Era una scuola di stampo militare, le aveva spiegato Mael, ed era naturale che la disciplina fosse importante e l’espressività invece ingabbiata. 
Ho capito, ma che problema hanno? E poi, domandona da un milione di Galeoni… Perché Luzhin non si sta facendo le foto con noi?
C’era roba strana sul fuoco, che puzzava, e non riusciva a capire se fosse l’unica ad avvertirlo. Aveva tentato di sondare l’umore dei cugini al banchetto di benvenuto della sera prima, ma aveva avuto l’impressione che le dessero poco retta, soprattutto Al.
Comprensibile … hanno imbarcato una clandestina niente male. La Rossa. È un miracolo che Sissy, protettivo com’è, non abbia la schiuma alla bocca.
Quanto le era piaciuta Hogwarts e quanto poco le stava piacendo Durmstrang! Non si riteneva una tipa di tante pretese, ma la neve perenne e l’architettura asfittica contribuivano a disorientarla, e questo non le piaceva. Affatto.
Bene, abbiamo finito!” Annunciò in tedesco il Magifotografo. “Grazie per la vostra pazienza ragazzi!
Scorpius batté le palpebre, guardando verso Tom che pareva volersi confondere con la tappezzeria scura della stanza, a giudicare da come si era sganciato dall’insieme di persone presenti.
Tizio tetro.
“Ha detto che abbiamo finito.” Tradusse dal tedesco con aria annoiata. “Andiamo o faremo tardi a lezione.” Aggiunse da bravo topo da biblioteca qual’era.
“Oh … sì!” Si riscosse il biondo, prendendo il proprio mantello e indossandolo. “Merlino, che freddo!”
“Non dirlo a me.” Sbuffò Mael stringendosi nella loro sin troppo leggera uniforme. “È un miracolo se alla fine del Tremaghi non avrò contratto la tubercolosi!”
“Che roba è? Malattia?” Si informò confuso Scorpius. Si voltò verso Dursley che fissava scocciato l’orologio che aveva al polso. “Turbercolosi! Ha un suono carino però!”
“È mortale e fortunatamente debellata dai paesi sviluppati. Muoviti.” Brontolò questo impaziente.   

Dominique fu presa da un pensiero immediato e come le sempre le capitava quando l’argomento riguardava Violet sentì la necessità di notificarlo. “Ci penso io ad accompagnare RaggiodiSole alla sua lezione, Tommy. Tu va’ pure.”
“Sai dove devi andare?” Replicò con sussiego. Ogni volta che apriva bocca, Dominique sentiva l’urgenza di tirargli un calcio nel sedere. Chissà se era l’unica. Ne dubitava.

“Mi stai chiedendo se ho senso dell’orientamento o se sono scema?” Ritorse la domanda con vaghi intenti minacciosi. Lo spilungone la fissò seccato, poi lasciò perdere e se ne andò senza salutare.
Uh, che novità. Ma come fa Sissy a sorbirselo da più di dieci anni?
“È un bel tipo, ma che carattere orrendo…” Commentò Mael tirando su con il naso. “… Non che il suo ragazzo sia meglio. Tutto sorrisi, ma poi sotto sotto è una serpe.”
“Chi è il suo ragazzo? Ha un ragazzo?” Cascò dalle nuvole. Da quando poi quella manciata di ossa era abbastanza sociale da trovarsi qualcuno?
Oh, no … Aspetta momento. Chi altri può essere se non… ma son cugini!
Ah, no, vero. Il Tenebroso è stato adottato.
“Lui e mini-Potter stanno assieme. Insieme insieme. Non te ne eri resa conto?” Replicò Scorpius sorpreso. “Non è che lo nascondano. A parte ai loro genitori, credo, ma mi chiedo come dato che non sono esattamente discreti.” Considerò meditabondo.
“Chissà a chi piace far cosa, sotto le lenzuola.” Commentò Mael con un sorrisetto lascivo. “Secondo me, dietro tutta quell’aria snob, sotto sotto a Dursley piace esser sco…”
“Troppe informazioni!” Esclamò il biondo tappandosi le orecchie con le mani e strizzando gli occhi. “C’è anche gente etero qui, non traumatizzatemi a vita grazie!”

Dominique rifletté: di quante cose non si era mai resa conto o non le era interessato farlo, prima che Violet irrompesse nella sua vita?
Un bel po’.
“Comunque…” Quest’ultimo riprese le fila del discorso. “C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi? Liberarti di Dursley è stato un escamotage piuttosto manifesto.”
“Sì.” Guardò verso Mael e questo prese un’aria offesa. “Scusa Ninfetto, ma si tratta di roba delicata.”
“So tenere un segreto!”
Ciao Ninfetto.” Ridacchiò quando lo vide andar via oltraggiato, trotterellando con grazia per quei corridoi infiniti e bui. Sperò che non si perdesse.
Scorpius infilò le mani nelle tasche dell’uniforme sbuffando via una ciocca di capelli. “Sono tutto per te bionda!” Le sorrise. Si diceva che le camere di tutte le streghette d’Inghilterra – più di qualche strega adulta - contenessero almeno un ritaglio del Profeta contenente una sua foto. Violet aveva commentato che nessuna di loro aveva compreso che dietro quell’aria spensierata e quei sorrisi da conquistatore si nascondeva uno dei cuori più leali del pianeta.  
Ci tiene a lui … Sono amici sul serio, non come era amica con quelle due oche di Sophie e Jenny.
Se non può aiutarmi lui…
Perché la sua ragazza non stava reagendo  bene all’ultima visita alla sua famiglia. Nasconderle la nascita del fratello era stata una carognata da oscar e l’aveva ferita nel profondo. Non che glielo avesse mai detto, ma lo capiva da come piangeva la notte nascondendo la faccia nel cuscino per non farsi sentire.
Prima o poi glielo devo dire che ho il sonno super-leggero…
Si sentiva impotente e l’aria di Durmstrang non aiutava. Avrebbe voluto portarla via in qualche bel posto.
Magari pieno di fiori, quelli che piacciono a lei. Ma primo non siamo in stagione, secondo ho questo cazzo di Tremaghi sulle spalle.
Doveva vincerlo. Vincerlo non solo avrebbe portato prestigio al suo nome – cosa di cui le importava poco o nulla – ma le avrebbe dato accesso al premio di mille¹ Galeoni. Se una consistente parte l’avrebbe data comunque a suo zio per la Riserva, aveva deciso che un po’ ne avrebbe tenuti per sé.
Per Piggie. Si taglierebbe un braccio piuttosto che accettare i Galeoni dai Malfoy o dalla mia famiglia, ma magari questi…
Magari gliela imbastisco dicendo che mi ha aiutato a conquistarli.
Disse tutto questo all’altro. Scorpius ascoltò tutto con calma e quando ebbe finito Dominique si rese conto che forse era la prima volta che aveva parlato così tanto con qualcuno.  
Questo tizio le confessioni te le tira fuori solo standoti davanti. Inquietante.
“Tieni molto a lei.” Sorrise, dopo una breve pausa in cui si era seduti su un paio di anonimi scalini che portavano chissà dove. “Sono contento, Violet se lo merita.”
“Bastasse questo.” Fece una smorfia. “È solo che…” Si bloccò, irritata da tutto quel suo tentennare. Non si era mai sentita tanto incapace. Era frustrante e strano. “Non so come aiutarla. Ci provo, ma sembra non funzioni un cazzo. Parla poco, mangia niente e dorme per modo di dire. È così da quando è tornata.”
“L’aiuto che puoi darle già glielo dai, e credimi, funziona. Solo, per vederne i risultati ci vorrà un po’.” Fece un sospiro divertito. “Ma tu sei una tipa da tutto e subito, eh?”

“C’è altro al mondo?” Replicò con uno sbuffo. “Che cavolo posso inventarmi per farla stare meglio?”
“Niente di risolutivo.” Non era la risposta che voleva ma ad intuito capì che era l’unica che avrebbe ottenuto. “Forse distrarla.” Soggiunse pensieroso. “Quel discorso che ci hai fatto ieri sul fatto che questo posto t’inquieta … Magari parlale di questo. Della terribile Durmstrang! C’è tanto che sta accadendo, sai.” Spiegò abbracciando con un gesto delle mani lo spazio di fronte a loro. “La Piccola Potter che si imbuca, Dursley e la sua storia familiare … Distraila, coinvolgila in qualche trama oscura.” Si strinse nelle spalle. “Con me e Rosie ha funzionato. Ci siamo innamorati in mezzo ai guai.”
“Se lo dici tu…”
“Intanto mi muoverò anch’io, o meglio lo farà la mia famiglia, perché come sai sono un piccolo Lord viziato.” Ghignò. “Mia madre adora Violet e persino mia nonna e zia Dromeda l’hanno presa in simpatia. Credo la considerino un po’ come un gattino che si è smarrito sulle loro proprietà.” 

“Sarebbe fantastico se Piggie non fosse così determinata ad evitare l’aiuto di chiunque, sarebbe capace di dormire sotto un ponte piuttosto.” Sbuffò di nuovo, passandosi le dita tra le ciocche davanti, di nuovo lunghe. “Credo sia riuscita a venire a patti con il fatto che dovrà dipendere da voi o da me fino al diploma, ma poi…” Tutto quel riflettere, ponderare e pensare non era da lei. Non sapeva se stava facendo la cosa giusta, o se c’era una cosa giusta da fare.
Non era preparata e faceva schifo rendersene conto.
Scorpius le diede una pacca sulla spalla. “Le cose si aggiusteranno.” Proclamò con una sicurezza che una volta avrebbe avuto anche lei. Doveva esser Durmstrang, ad ammosciarla tanto. “Sai come dicono i Babbani? Tutto andrà bene, alla fine. Se non va bene, vuol dire che non è ancora la fine².”
Dominique non poté fare a meno di sorridere. Si alzò dopo aver ricambiato la pacca. “Raggio di Sole Malfoy … nomignolo migliore, non m’è mai venuto in mente!”


****
 
13 Gennaio 2024.
Norvegia, Durmstrang.
 
Durmstrang era peggio di Hogwarts.
Non era solo una questione di impatto iniziale, che era stato pessimo anche con la scuola scozzese; ma mentre quest’ultima alla fine si era rivelata accogliente, per Violet l’Istituto non brillava certo per capacità di mettere a proprio agio.
Si sentiva perennemente con gli occhi addosso e non era una sensazione scatenata dalla sua attuale situazione familiare, una sorta di psicosi dovuta al sapersi ormai priva di ogni protezione dovuta al proprio cognome. Non era quello o meglio, non solo.
Aveva scoperto con una certa sorpresa di non essere l’unica a provarla. Anche Dominique e Mael provavano la stessa inquietudine e quest’ultimo si era premurato di far sapere loro che tutta la loro delegazione non vedeva l’ora arrivasse la Terza Prova per poter tornare tra le assolate mura dell’Accademia.
Ne avevano persino parlato con i cugini inglesi della sua ragazza, per quanto avesse trovato quest’ultima idea poco sensata. Si era ricreduta solo quando aveva visto che dietro quelle loro apparenti arie scialbe e poco reattive si nascondevano perlomeno due menti di un certo livello – il ragazzino dai grandi occhi da cerbiatto e il tall, dark and handsome che rispondeva al nome Babbano di Dursley.
(Del resto, erano Serpeverde.)
Era preoccupata per Dominique, andava da sé: la sciroccata era a malapena capace di badare a se stessa in un ambiente sereno e controllato come Beaux Batons.
Ho il terrore di scoprire in che guai possa cacciarsi qui.
Le era grata, le era grata ed era sempre più spaventosamente innamorata. Era per questo che in quegli ultimi giorni aveva fatto carte false per tenerla a distanza.
… Sì, detto così sembra abbia perso il senno.
La verità era che non voleva appoggiarsi troppo a lei. Aveva il terrore che il suo buon carattere e la tranquillità con cui si sciroppava le sue rispostacce prima o poi sarebbero svaniti.
Si stancherà di me e mi lascerà, esattamente come ha fatto mia madre. E da questo, no, da questo non potrei riprendermi…
Il problema principale, era ovvio, era il futuro.
Parola terribile se chiedete a me.
Finita la scuola sarebbe stata priva di obbiettivi concreti quanto di un posto dove andare.
Aveva seriamente considerato l’idea di lavorare, ma le uniche cose che era capace di fare erano disporre i fiori in maniera graziosa, strimpellare il piano e ricamare orribilmente. Il bagaglio culturale medio di una buona sposina Purosangue, la prendeva sempre in giro Nicky: ma era la verità.
Nella società di oggi vuol dire non saper far nulla.
Varcò la porta della biblioteca di Durmstrang, ricordandosi improvvisamente che c’era andata per tentare di studiare prima di cena. A volte si rendeva conto di fare le cose meccanicamente, per inerzia.
Aveva ragione mia madre … Ho sempre la testa per aria. Senza concretezza, come potrò sopravvivere là fuori?
Intravide Delacour seduto ad uno dei tavoli e pur di non restare sola con i suoi pensieri gli si avvicinò. “È libero questo posto?” Chiese più per posa, visto che attorno a loro studiavano al massimo una manciata di persone. Mael inarcò le sopracciglia, ma si limitò a spostarsi per farle spazio. Sembrava averlo colto in un momento di pausa, a giudicare dal fatto che attorno a sé avesse sparso vari opuscoli informativi come ‘Lavorare al Ministero, si può?’ oppure ‘Ami le pozioni e strano! Anche la gente? Vieni a studiare Medimagia!
 Violet ricordava di averli visti all’inizio dell’anno affissi alla bacheca centrale della scuola.
A quanto pare non sono l’unica che si preoccupa di sapere che fine farà dopo il diploma …
Si era stabilita una singolare tregua tra di loro. Non erano amici, ma non poteva più definirlo un suo detrattore. Alla fine della storia, poteva solo dire che gli era grata per non essersi arreso con lei e Dominique.
Non che lo farò mai.
“Hai già fatto il saggio di Storia della Magia?” Le chiese mettendo via i dépliant. “La bibliotecaria mi ha detto che qualcuno ha già preso la loro unica copia del Clarel, e penso che sia stato uno dei nostri. Francamente dubito che qui sappiano leggere il francese.”
Violet ridacchiò, tirandolo fuori dalla sua borsa. “Sì, l’avevo preso io. Mi sono stupita di trovarlo in catalogo.” Glielo spinse davanti. “Puoi prenderlo, non mi serve più.”
Mael la fissò per un momento in silenzio, prima di afferrare il tomo e sfogliarlo distratto. “Non trovi sia strano?” Considerò. “Che io e te parliamo civilmente, intendo.”

“Non più strano di riuscire ad avere un rapporto funzionale con Nicky.” Ricambiò. “Sia ben chiaro Delacour, continuo a considerarti un superficiale vanesio.”
“Ed io una stronza.” Proclamò l’altro. “Ma finché rendi felice mia cugina, non ho niente da ridire.”
Violet affilò il suo pennino, intingendolo poi nell’inchiostro. Pochi attimi dopo si trovò di nuovo a parlare. “Devi davvero volerle bene…”
L’altro si strinse nelle spalle. “È mia cugina, siamo cresciuti assieme come fratelli. Il più delle volte le tirerei una scarpa dietro, ma lo stesso vale per lei. È famiglia.” Dovette leggerle qualcosa in viso, perché esitò. “Ho saputo della faccenda di tua madre … Mi dispiace.”
“Ti confermi un impiccione.” Disse senza livore, con stanchezza. Doveva proprio essere irreversibile ormai, se la voce era già sulla bocca di tutti.

“Anche mio padre mi ha ripudiato…” Esordì e fece un sorrisetto alla sua aria sbalordita. “Beh, non proprio ripudiato in senso magico, era un Babbano. Mia madre lo conobbe ad una festa sulla spiaggia in cui lei e alcune sue amiche si erano imbucate. Nove mesi dopo nacqui io e lui sarebbe stato anche disposto a restare se non fosse che mia madre trovò corretto dirgli la verità sul nostro mondo. Non fu più disposto.”
“Vi abbandonò per questo?”  

“Ci abbandonò perché non ci accettava. Suona familiare?” Sospirò, appoggiando una mano sulla guancia e guardandola. “Non sei la sola ad avere un genitore che non si può definire tale, Parkinson.”
“Ma tu hai la famiglia di tua madre…”
“Vero, ma la cosa bella di una famiglia è che puoi creartene una, se vuoi. Puoi fare un sacco di cose adesso, spero tu te ne sia resa conto.”

Violet annuì. Da quando aveva deciso di abbandonare il sentiero che sua madre aveva tracciato per lei non faceva che incontrare ostacoli. Ma anche scoprire persone lungo quel nuovo percorso.
“Posso farne così tante che non so neanche da dove cominciare.” Ironizzò, ma neppure troppo. “Temo che le possibilità siano molteplici, ma le mie capacità ristrette.”
Mael arricciò il naso, quasi trovasse quella frase insensata. “Mi pare di ricordare che hai un cervello, Parkinson, e quando non lo usi per sputare veleno, funziona piuttosto bene, altrimenti non ti avrebbero portato qui come studentessa modello dell’Accademia.” Tirò fuori gli opuscoli da sotto il caos di pergamene e libri. “Se non vuoi finire a servire ai tavoli, potresti continuare a studiare. Molti di noi lo fanno, e nel mondo Babbano è quasi scontato.”
“Sì, e con quali soldi?”

“Esistono le borse di studio.” Scandì con lentezza, quasi parlasse ad una ritardata. In effetti Violet si trovò nella scomoda posizione di non sapere di che diavolo stesse parlando. L’altro fu lesto a spiegare. “Se non hai soldi, alcune scuole di preparazione ti pagano la retta. Sei come un investimento per loro.” Sbuffò. “Purosangue, cascate sempre dalla scopa!” Glieli spinse praticamente in mano. “Prendili se vuoi, tanto questi li ho già scartati.”
“Hai già deciso?”

“Ho già fatto domanda per l’Accademia Magica di Arti Drammatiche a Londra.” Scrollò le spalle. “Non che l’Inghilterra mi faccia impazzire, ma è la migliore d’Europa ed io voglio diventare un attore.”
Di certo ne hai la teatralità.
Violet ne sfogliò alcuni. Non le era mai passato per la mente di rimanere sui libri anche dopo il diploma; del resto era raro che i Purosangue continuassero a farlo dopo i sette anni canonici.
Se continui a studiare di solito lo fai per accedere ad una professione … e la maggior parte della gente che conosco ricopre la posizione che ricopre solo perché ha un certo cognome.  
Senza contare che una volta sposata non avrebbe avuto più motivo di sgobbare, secondo sua madre.
“Parlano tutti di Londra.” Notò perplessa. “Meno male che non ti piace l’Inghilterra.”
Mael avvampò, ma non fece in tempo a capire il motivo del suo rossore che le ritorse contro una domanda. “Londra è migliore di Parigi per la formazione magica post-scolastica. Tu vuoi seguire Nicky in Romania invece?”

Violet deglutì. Di fronte a quella marea di opuscoli e ad una serie di idee che le si erano affacciate alla mente come ancore di salvezza, quel problema assumeva improvvisamente rilevanza.
Voglio davvero seguirla in Romania?
Se le fosse andata bene avrebbe finito per trasferirsi al massimo in un paesino dei Carpazi per aspettare che l’altra tornasse ogni sera dalle montagne. Dominique infatti le aveva spiegato quanto Bucarest fosse distante dalla Riserva. Molto, troppo.
E quando sarò lì che farò tutto il giorno? La mogliettina in attesa?
“Non lo so…” Mormorò guardandosi le mani. “Voglio stare con lei.” Inspirò. “Ma…”
“Se io dovessi vivere in una catapecchia sui Carpazi impazzirei.” La anticipò l’altro senza troppi peli sulla lingua. “Ci sono stato solo una volta quando avevo sei anni. Sono posti assurdi.”
Violet fece una smorfia, sentendo una morsa stringerle lo stomaco. “Grazie per l’incoraggiamento.”

“Guarda che neppure Dom si aspetta che tu la segua.” Replicò. “È il suo sogno, non il tuo.”
Violet sentì milioni di campanelli di allarme suonarle nella testa. Era solo paranoia, lo sapeva. Eppure. “Te l’ha detto lei? Che non si aspetta che la segua? Che lasci perdere?” Lo incalzò.
“Ohi, ehi, frena!” Esclamò Delacour sbalordito. “Non ha detto niente del genere! Solo sa che la vita di un Guardiano di draghi è insostenibile per la maggior parte delle persone … Non ti farebbe mai vivere alla Riserva.” Si strinse nelle spalle. “Potreste avere un rapporto a distanza. Per quanto mi ha detto, molti Guardiani hanno le proprie famiglie in altri…”
No.” Lo bloccò. La sola idea di avere Dominique solo per periodi di tempo brevi le faceva venire il mal di stomaco. Era sua, quella bislacca scema. Sua da poter vedere ogni giorno, toccare, baciare a fare l’amore.

Siamo state distanti per troppo, stupido tempo. Non deve più succedere.
Mael le lanciò un’occhiata valutativa. “Allora mi sa che hai un problema.”
Violet non rispose, preferendo infilare gli opuscoli al sicuro nella sua borsa per dedicarsi ai compiti.
Un problema? Che novità.
 
****

19 Gennaio 2024
Norvegia, Durmstrang.

 
Piggie si comportava in modo strambo ormai da settimane. La parentesi depressa e poco comunicativa in cui era piombata dopo l’incontro con sua madre era passata, per fortuna. Aveva smesso di piangere durante la notte, parlava di più e aveva ripreso appetito, ma non era quello il punto.
Il punto è che si comportava in modo strambo.  
Prima di tutto, aveva preso ad interagire con i suoi cugini, riuscendo persino a scherzare con Rose anche se quest’ultima rimaneva cauta non avendo ancora compreso come funzionava l’ironia dell’altra. Aveva persino dato una mano ad organizzare la festa di compleanno di Al!
Questo detto, il problema era con lei. Quando ne aveva parlato con Scorpius le aveva detto di non saperne niente e Mael facendo invece una faccia allarmata le aveva chiesto se si fosse allontanata.
No, per niente.
Continuavano a stare assieme la maggior parte del tempo, e Violet si stava candidando ad essere la ragazza ideale. Stava dando una mano a Mael nelle ricerche della seconda Prova e dopo gli allenamenti la trovava sempre al limitar del bosco fornita di asciugamani e thermos. Aveva praticamente smesso di riprenderla e a letto era una bomba. Perfetto, su carta.
Se non fosse che non è la solita Piggie, lagnosa, snob ed irritabile come un Ippogrifo con le emorroidi.
C’era qualcosa che frullava nella testa dell’altra, qualcosa che le faceva fissare il vuoto quando pensava di non esser vista, ma morisse se riusciva a farselo dire.  
Tralasciando l’atmosfera e il problema con sua madre cos’altro c’è?
Era irritante fare certi pensieri durante una festa, ma così era. La guardò: era carina da matti mentre chiacchierava in maniera pacifica con Malfoy e Rosie. 
Dominique pensò che era un buon momento per parlarle di quello che lei stava facendo per risolvere la situazione. Ci aveva speso un bel po’ di tempo, un sacco di riflessioni e un fiume di inchiostro.  
E speriamo che non se la prenda perché ho coinvolto anche Mòr. Ma come facevo altrimenti?
La raggiunse e le posò una mano sulla spalla. “Ehi Piggie.” L’apostrofò. “Chiacchiere?”
“Cosa pensi si faccia ad ogni festa, a parte bere come fai tu?” L’apostrofò senza livore, appoggiandosi a contro di lei e passandosi le sue mani attorno alla vita. Con suo sommo divertimento Rose guardò l’operazione come avrebbe guardato un’alce entrare in un bar e chiedere del sidro. “A proposito, questi cocktail sono terrificanti. Quanto li hai corretti?”
“Molto.” Rispose. “Dai, vieni.”
L’espressione allarmata sul volto dell’altra non se l’era sognata. “Puoi aspettare? Stavo parlando.” Proclamò infastidita, ovvero nel panico più totale.

Ecco, lo sapevo che c’era qualcosa che non andava!
“No, adesso.” Replicò tranquilla. “Ci metterò solo un attimo … Poi potrai continuare a dimostrare a Rosie quanto sei simpatica.” La prese per un polso e la trascinò via senza troppi problemi.
Con lei bisogna far così, o ci si mette di più che a recitare tutte le guerre dei Folletti in rima baciata.
“Nicky!” La ignorò, uscendo fuori dalla saletta che Durmstrang aveva offerto loro per la festa. Facendolo incrociarono Lily che tornava dentro in tutta fretta.
Rossa … ma che combini?
Non le importava. La riluttanza di Piggie le dava da pensare e non le piaceva pensare a quel modo. 
Perché non mi dici che hai? È tua madre? Ha fatto di nuovo la stronza, magari per lettera?
Si trovarono così nel buio del corridoio, illuminato fiocamente dalle torce. Violet aveva le braccia conserte e l’aria corrucciata, una fotocopia perfetta della ragazzina snob che era una volta. “Cosa c’è di così importante che non può aspettare?” La apostrofò irritata.  
Non ci girò attorno. “È da un po’ che ti comporti in modo assurdo con me.” Ci pensò un po’. “È come se non volessi che sappia a che pensi.” Concluse infine.
Violet fece una smorfia divertita. “Non ti ci vedo, come Legimante.” Vedendo che non abboccava scosse la testa. “Te l’ho detto tante volte, non ho niente. Dai torniamo dentro, sto congelando.” Si voltò, ma lei fu più svelta. Sbatté una mano sul portone e la fermò dall’aprirlo. “Nicky!

“Non mi piace quando ti comporti da perfettina. L’hai fatto per anni, e ci ha fatto stare come cani. Ad entrambe.” Le cose andavano dette. Non che aspirasse a diventare una logorroica del calibro di Mael, ma aveva scoperto che chiarire non era mai un male. “So che stai passando, ma è come se ti sforzassi di …” Esitò. “Cavolo ne so, di dimostrarmi che va tutto alla grande tra di noi. Non serve! Lo so che mi ami e tutto il resto.”
Non aveva idea se quel discorso aveva un briciolo di senso, ma evidentemente per l’altra sì perché la vide avvampare e fissarla con gli occhi lucidi.
Merda! Che ho combinato?!
“Nicky…” Abbassò la testa e fece un profondo sospiro. “Non voglio perderti…”
“E chi se ne va?!” Che idee si era messa in testa? “Senti, a questo proposito…”
“… ma non voglio venire in Romania. Voglio trasferirmi a Londra e continuare a studiare, magari con una borsa di studio. So che non è giusto e che non ti posso imporre la mia decisione, ma non posso vivere in quei posti, non lo sopporterei e diventerei insopportabile e finiremo per detestarci. Di nuovo.” Lo disse tutto di un fiato, in sussurro contratto, quasi cavasse le parole da un pozzo profondo.

Ah. Però.  
“Sul serio vuoi continuare a studiare? Ma non ti sei stufata?”
“Diversamente da te, c’è gente a cui piace possedere una cultu…” Si bloccò, alzando lo sguardo di colpo. Sembrava furiosa. “Hai capito quel che ti ho detto?”
“Sì, non vuoi vivere in Romania.” Ripeté perplessa. “Ma è perfetto, perché neppure io ci vado. Londrà ti andrebbe bene?”
“… Scusa?” La faccia sbalordita di Piggie era quella che adorava di più – forse no, quella che faceva quando erano in prossimità di un letto era meglio. Comunque le faceva venir voglia di ridere.

Anche un po’ per il sollievo.
Era questo a farla comportare in modo strano? Era preoccupata che finita la scuola le dicessi ‘tanti saluti, me ne vado in Romania, vieni se ti va?’
Merda, non è carino.

“Avevo capito che non saresti venuta con me.” Esordì e fu con una certa soddisfazione per le sue capacità intuitive e organizzative che continuò. “Così ho pensato che Londra sarebbe stata un buon posto per entrambe finita ‘sta baracca. So che ti piace … mi hai raccontato che le poche volte che sei stata a Diagon Alley ti sei divertita.”
“Sì, ma … i tuoi draghi…”

“Mica stanno solo in Romania!” Ridacchiò, divertita da tanta ignoranza. Ma poteva perdonarla. “Ho parlato con mio zio Charlie e con Angus MacFusty, il nonno di Mòr, il loro capofamiglia, cioè, ci ha parlato lei e poi mi ha riferito visto che non parla con gli inlanders, come li chiama lui, ma comunque…” Vedendo che l’altra stava perdendo il filo del discorso, tagliò corto. “Posso fare il mio apprendistato come Guardiana anche alla riserva delle Ebridi. Dalla Skye per Londra ci sono almeno tre Passaporte al giorno, senza contare i traghetti che attraccano in un posto chiamato Victoria Embankment³, mi sono informata. Sarà una passeggiata tornare!”
“Hai pensato…” Violet iniziò e poi tacque. La guardava sperduta, come se si trovasse di fronte ad uno spettacolo impensabile.
Io che programmo qualcosa di più immediato della mia giornata? Grazie, eh!
“Hai trovato una soluzione.” Concluse. “Per entrambe.”
“E che altro avrei dovuto fare?” Sbuffò un po’ spazientita. Si sarebbe aspettata un po’ più di lodi. “Ti ho detto che mi sarei presa cura di te, e non posso farlo se ti fa schifo il posto in cui viviamo o non stiamo sotto lo stesso Ministero.”
“È pazzesco.” Mormorò mentre un lento sorriso le si formava sulle labbra. “È perfetto.”
Dominique fece una smorfia: la prendeva forse in giro? “Certo che è perfetto. Ci ho pensato i…” Non le lasciò terminare la frase, perché le prese il viso tra le mani e le diede un bacio che se fosse continuato avrebbe mandato in apnea entrambe.
Oh, beh. Non moriremo di certo.  
Quando si staccarono Violet la graziò di un altro paio di languidi baci, guardandola come se le avesse appena scaricata davanti una pentola d’oro. Glielo fece notare, e l’altra rise. “Sei tu la mia pentola d’oro, Weasley.” Le tirò indietro quella stupida frangia ormai totalmente asimmetrica. “… ma sei sicura? Lavorare con tuo zio era il tuo sogno.”
“Diventare una Guardiana è il mio sogno. Che lo faccia alle Ebridi o nei Carpazi non cambia.” Precisò. “E poi non è che non possa andare a trovarlo, no? Mi dai il permesso?” Le diede un pizzicotto sul sedere al quale l’altra reagì con un urletto e un conseguente schiaffo sul braccio. Si sorrisero, e Violet appoggiò la fronte contro la sua spalla.

“Vivrai dai tuoi nonni alla Tana?” Mormorò. “O…”
“Come se tu potessi vivere in un posto come la Tana! Ti verrebbe una reazione allergica. No, ci prenderemo una casa o roba del genere. Quando vincerò il Tremaghi, perché lo vincerò, avrò anche i soldi che ci servono, meno quelli che ho già promesso a zio Charlie, ovvio.”
“Io…”
Roteò gli occhi al cielo. Forse era vero che poteva risultare un po’ sventata nella sue decisioni, ma quelle erano decisioni a cui aveva pensato. Quindi dovevano esser grandiose. Decise di tagliare la testa alla Chimera. “Non so se hai capito Piggie, ma non ci lasceremo. Io e te siamo futuro. Magari un giorno vorremo maledirci a vicenda, ma non oggi. Queste sono le mie intenzioni.”  

Era talmente semplice da esser banale. Amava Violet, la voleva per sé dalla prima volta che l’aveva vista, impettita e piena di stizza ma con gli occhi più vivi che avesse mai visto. Non era questione di possederla per mostrarla in giro come avrebbe fatto un maritino Purosangue. Una come Violet non stava bene chiusa in un bel corpetto e dentro una teca di vetro. Una come Violet stava bene viva, come era in quel momento, con gli occhi che sembravano immensi e il sorriso più  nudo del mondo.
E sotto sotto, era proprio contenta di esser stata lei a capirlo per prima.
 
****
 
10 Agosto 2024
Francia, Provenza, Bocche del Rodano.
Villa Delacour.
 
Un anno esatto. A pensarci bene era una cifra notevoli di giorni, messi uno di seguito all’altro. Ma erano i singoli eventi che l’avevano reso tanto spaventoso, meraviglioso e sorprendente.
Da anziana l’avrebbe ricordato come l’anno in cui il suo mondo era stato minato dalla fondamenta, distrutto e poi ricostruito.  
Una sorta di guerra, se si vuole.
Violet lasciava che i raggi del sole le scaldassero piacevolmente le braccia e il viso, stesa su una coperta come una qualsiasi, volgare Babbana. Non le importava dato che aveva cuscini morbidi attorno a sé, un vestito che non le impacciava i movimenti e la ferma intenzione di prendere colore per far cessare le prese in giro della padrona di casa, ovvero Dominique.
Alla fine il loro ultimo anno non si era concluso con i buoni propositi per il loro futuro. Affatto. Una delle cugine di Dominique, una rossa con il cervello di una nocciolina, aveva pensato bene di farsi rapire dal padre squilibrato di Dursley. C’era così stata una folle spedizione per salvarla a cui ovviamente aveva partecipato anche la sua ragazza.
Non ci aveva capito niente, ma nel compenso aveva patito ore ed ore di angoscia, prima di vedersela tornare mezza affumicata, sporca ma viva. Sorrise ricordando il bacio che si erano scambiate e la faccia stolida degli adulti Weasley, tra cui era spiccato un tizio rosso – forse uno zio? – che aveva esclamato uno dei ‘miseriaccia’ più potenti che avesse mai sentito.
Il Tremaghi, nonostante avesse perso Luzhin rivelatosi ingloriosamente un giovane mago oscuro, era continuato. Era continuato e, sorpresa delle sorprese, aveva visto la vittoria di Dominique a discapito di Scorpius e del sostituto Campione, un certo Radescu.
Cosa che l’ha definitivamente mandata in delirio di onnipotenza.
Dominique, finito il clamore della vittoria, aveva però mantenuto ogni promessa. Metà del premio l’aveva consegnato nelle mani di suo zio e l’altra l’aveva vincolata ad un contratto di affitto per un appartamento di tre stanze a Diagon Alley, Londra. Con l’autunno si sarebbero ufficialmente trasferite e Madame Weasley già inseguiva per ogni angolo della proprietà la figlia con consigli sull’arredamento. Al momento in effetti la sua ragazza era fuggita per i campi e non dava notizia di sé da ore.
Selvaggia.
E lei? Se qualcuno avesse mai scritto un libro su quel loro assurdo anno, quello sarebbe stato il capitolo in cui tirare le somme. Dopo il diploma aveva trascorso qualche giorno al Malfoy Manor in occasione del compleanno di Scorpius. Dopo essersi consultata con Lady Astoria aveva infine deciso di richiedere una borsa di studio alla facoltà di Magisprudenza. Declinando così ogni proposta di aiuto finanziario da parte dei Malfoy era piuttosto certa di essersi guadagnata la benevolenza dell’arcigno Lord Draco.
Una piacevole sorpresa era poi arrivata da Jenny. Quando erano tornati all’Accademia per la Terza Prova nessuno del suo vecchio circolo di amicizie l’aveva avvicinata, tranne lei. Dopo una lunga conversazione costellata di domande le aveva comunicato che per lei non cambiava nulla. Era già in programma una sua visita a Londra per quell’autunno.
“Violet?” La voce di Madame Fleur la riscosse dal suo lento appisolarsi. “Dovresti mettere un Unguento protettivo con le pelle chiara che hai. Rischi di diventare un peperone.”
“L’ho messo, grazie.” Sorrise. La famiglia di Dominique l’aveva inglobata nella sua routine con una tranquillità che aveva dell’incredibile. Quando l’altra l’aveva portata a casa per le presentazioni ufficiali, più che sgomento alla notizia della loro relazione c’era stato sollievo. Bill Weasley le aveva confessato che la cosa che più temeva sua moglie era che Dominique finisse come Charlie, spersa in qualche landa desolata. Saperla a lavorare in una riserva vicina alla civiltà ed accasata l’aveva rasserenata.

Visto di chi stiamo parlando avere una ragazza e dichiararsi gay è quasi piccolo-borghese.
“Ti è arrivata una lettera.” Gliela porse guardandosi attorno sconsolata. “Hai idea di dove sia quella sciagurata di mia figlia?”
“Nessuna, Madame.” La prese. Si bloccò quando vide il sigillo impresso nella ceralacca. Persino la strega le lanciò un’occhiata attenta.
“Tutto bene?”
Era il sigillo dei Marchand, ovvero di Baffi Impomatati. L’aveva visto troppe volte tra la corrispondenza privata di sua madre per non riconoscerlo. “Sì … sì, certo.” Balbettò miseramente. “Io…”
“Ti lascio sola.” Intuì. Le mise una mano sulla spalla, con la tipica leggerezza Delacour che non era minimamente passata alla figlia di mezzo. “Se vedi Dom dille che la cerco. Da ore.”

Rimasta sola strappò con un colpo di bacchetta la chiusura. Ne scivolò fuori un riquadro lucido che si affrettò ad afferrare. Era una foto. Sentì un groppo chiuderle la gola quando vide che raffigurava Sebastien in braccio a sua madre, il piccolo scalciante e ridente e quest’ultima seria e composta come suo solito.  
Mamma…
Fu un tutt’uno alzarsi e andare nelle stalle. Puzzavano terribilmente, ma avevano il pregio di essere il nascondiglio preferito dalla sua ragazza. Infatti la trovò intenta a strigliare il suo Granian e canticchiare una canzone a mezza bocca, sicuramente insegnatagli da Louis, il quale stava muovendo i primi passi nell’apologetico sogno di diventare una rockstar – qualsiasi cosa fosse.
“Ehi!” La apostrofò voltandosi. La scrutò perplessa. “Mica sarai qui per conto di mia ma’, ah?”
Ci rifletté su e, come al solito in presenza di Nicky, le vennero in mente una serie di idee folli. Tra le molte, scelse con cura la peggiore. “Stavi per uscire fuori con Arod?”
“Sì, perché?”
“Pensi che possa venire lassù con te?”
L’altra la guardò come se le fossero spuntate due corna ramose sopra la testa. “Lassù…” Mormorò sbalordita. Si riprese immediatamente però ed esplose in una risata tutta lentiggini. “Sicuro!”
 
Era l’idea più scellerata che le potesse venire in mente. Decisamente.
Il vento le gonfiava il vestito leggero facendoglielo sbattere sulla gambe nude, le si stava mozzando il respiro e lassù – adesso capiva perché tutti ne parlavano come se fosse una parte di mondo a sé – il cielo sembrava più azzurro, più vicino e quindi spaventoso. Dopo aver aperto gli occhi – durante la salita aveva urlato e basta – aveva colto lo scintillare del manto del Granian. Ai raggi del sole era argento, come la pazza capigliatura della sua ragazza.
Con le braccia attorno alla vita salda di Nicky era morire di paura e sentirsi viva. Ossimorico, ma anche l’amplificarsi di tutto ciò che aveva provato in quell’ultimo anno. Una summa. Una catarsi.
“Nicky, più veloce!” Gridò ritrovando di colpo la voce. “Va’ più veloce!”
Dominique si voltò, scoccandole un’occhiata esilarata. “Chi è la matta adesso, Piggie?”
Violet rise. Aveva detto al piccolo Louis che da grande avrebbe solo voluto esser felice.
Ci stava lavorando.
 




" Nothing here as worked out quite as I expected."
"Most things don't. But you know, sometimes what happens instead is the good stuff."
(The Best Exotic Marigold Hotel)



 
 
****
 
 
Note:

Finita questa piccola para-avventura. Devo ammetterlo, ho scritto finalmente la femslash che volevo. Iniziata con Dom is not a boy’s name non poteva che concludersi così! ;)
Le ritroveremo nella terza parte della saga, ma per ora metto un punto a queste due recalcitranti bambine. Mi han fatto divertire, e spero sia stato lo stesso per voi!

Per quanto riguarda il banner, ringrazio le ragazze di “Noi amiamo Dirareal’ (^//^) per avermi fornito la perfetta immagine di sfondo da mixare con una Piggie sorridente.
Ora, le note più tecniche …
Questa la canzone del capitolo. Da leggere alla fine, ve la consiglio. Sì, è nella colonna sonora di Brave. Sì, ho adorato quel film e probabilmente lo vedrò in loop per i prossimi cinquant’anni. Voi no?
1. Mille Galeoni: premio in denaro istituito per il Tremaghi del 1994. Dubito che la valuta magica sia soggetta a svalutazioni, quindi credo che tale sia rimasto. Corrisponde circa a 6500 euro.
2. Frase detta, se internet non sbaglia (e succede!) da John Lennon.
3. Victoria Embankment: lungo tratto di strada che costeggia il Tamigi. Collega la City of Westminster con la City of London, circondando il cuore della sponda nord della capitale. Da qui partono i traghetti e le barche del London River Services.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1195421