Panna e Cioccolato di neesama (/viewuser.php?uid=181516)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cos'è questa cosa che sento dentro? ***
Capitolo 2: *** I tuoi occhi non li dimenticherò mai... ***
Capitolo 3: *** Sorrido per te... ***
Capitolo 4: *** Un battito... solo mio! ***
Capitolo 5: *** Torna da me... Spiegamelo. ***
Capitolo 6: *** Vieni, ti mostro un pezzo del mio cuore… ora so come chiamarlo… ***
Capitolo 7: *** E' davvero giusto così? ***
Capitolo 8: *** La realtà ti segue sempre e ti schiaffeggia come gli pare e piace. ***
Capitolo 9: *** Dobbiamo parlare. ***
Capitolo 1 *** Cos'è questa cosa che sento dentro? ***
Saaaaaalve!
Si, ok, forse dovrei suicidarmi perchè inizio la quarta ff senza averne
terminata una ma... dovevo farlo. Beh, ultimamente era stato difficile
scrivere. Non ci riuscivo quasi più. Voi direte: ma cosa? ma se hai
postato ecc
e poi son belli i cap ecc... grazie di cuore per questo ma, davvero,
era
diventato difficile. Periodo orribile e snervante, e stavo così male
che non
riuscivo a fare nulla. Poi ho conosciuto tantissime persone belle che
mi hanno
alleggerito il cuore, e una, la mia cara 2min a
cui è dedicata questa ff, mi ha fatto venir
voglia di scrivere questa. è stato stranissimo, ma ho sentito qualcosa
dentro
smuoversi e sono partita in quarta. Mi sento meglio e mi tremano le
mani perchè
questa è come una rinascita! Mi batte così forte il cuore che mi sento
male XD
ecco, per farvi capire che ci tengo in maniera speciale, come a "senti
che
bel rumore" quindi grazie a chi la legge, recensisce, o la mette tra le
preferite. E grazie soprattutto a 2min che mi sta seguendo a manetta
con questa
ff!! Tesoro, è tutta tua!! TVB ♥♥♥
Stava per arrivare nuovamente l’inverno,
l’autunno invece era già arrivato da un po’. Era così strano, colorato
di rosso e giallo, le note sfumature marroni che s’intrecciavano con le
altre creando colori così belli ma che sapevano anche di qualcosa di
triste, di un qualcosa che doveva finire.
Era autunno da un bel po’ e un giovane di
nome Lee Taemin, vent’anni appena compiuti, era già titolare di una
pasticceria. Non era “una” pasticceria qualsiasi, ma “la” pasticceria.
Sì, perché era la più rinomata di tutta Seoul. Keulim & Chokollis,
questo era il nome. Ed è la migliore ancora oggi, forse anche più di
allora, di quando la gestivano loro.
Keulim & Chokollis era dei suoi nonni,
pasticceri anche loro da anni ed avevano tramandato il lavoro anche al
loro unico figlio. Solo che sfortunatamente lui morì di una grave
malattia e poco dopo morì anche la moglie, debilitata e straziata dal
dolore per aver perso il compagno della sua vita.
A nulla era valso cercare di riprendersi per
quel figlio che lei e suo marito avevano avuto quindici anni prima,
Taemin. Si lasciò semplicemente divorare dal dolore perché senza di
lui, senza suo marito, non riusciva a vivere.
Succede qualche volta e
chi ne paga le conseguenze sono i figli.
Taemin soffrì tanto per i suoi genitori, e
data l’età critica tutti pensarono, psicologi compresi, che avrebbe
odiato sua madre. Invece lui cercò di capirla. Cercò di capire quel
sentimento che l’aveva spinta a lasciarsi andare. E cercò anche di
dargli un nome.
Anche se comunque era un po’ confuso, con
l’amore incondizionato dei nonni riuscì in qualche modo a diventare
grande, forte. Ed all’età di vent’anni era già un uomo bello e fatto.
Bellissimo, non solo bello… bello è un puro e
semplice eufemismo. E anche molto, molto affascinante… eppure aveva
sempre quel dolce sorriso, come talvolta lo sguardo da ragazzino che in
fondo in fondo ancora un po’ era.
Molte clienti andavano lì solo per vedere il
suo sorriso, per guardarlo, per parlarci e qualcuna anche per provarci.
Ma a lui non interessava nulla e non dava modo a nessuna di loro di
avvicinarsi alla sua sfera intima, perciò come provavano a fare un
passo verso di lui, dovevano subito farne altri due indietro.
Non gli era mai realmente importato di
intraprendere una relazione, soprattutto dopo quello che era successo
ai suoi genitori. Non che ne soffrisse ancora, anzi, aveva superato
tutto abbastanza bene grazie ai nonni. Ma non era ancora riuscito a
comprendere quel sentimento che li legava così tanto da morire l’una
per l’altro. Non lo comprendeva e nemmeno lo cercava.
A lui interessava solo
quello che aveva sempre fatto: i dolci.
Aveva studiato per poter
essere pasticcere e lo era diventato.
Ma l’amore per quelle
creazioni ce l’aveva dentro…
Li amava tanto… per lui creare qualcosa con
le mani significava arte o forse anche qualcosa di più grande e
indefinito. Era qualcosa di sublime poter vedere le decorazioni fatte
con la frutta, o magari con la glassa, improvvisandosi pittore di una
torta e creare qualcosa che risultava stupefacente anche per gli occhi.
Sì, perché in un dolce non è importante solo
il gusto, ma anche la vista. Un dolce deve piacere prima con l’occhio,
rasserenare, farti capire che è buono…
Deve saper conquistare.
Proprio come gli occhi
di una persona…
Taemin pensava questo. E trasmetteva amore
nel suo creare dolci, quasi avessero un anima propria una volta fatti.
Per lui ce l’avevano, per lui i dolci erano e sono ancora oggi un
qualcosa che parla d’amore.
Ma allora non sapeva che
si chiamasse amore.
Oggi sa dire amore, ma
allora diceva “qualcosa di grande che ti fa stare bene”
Solo che allora non riusciva a capire il perché di questo, lui sapeva che
era così e basta. E non gli era nemmeno pesato per un solo secondo il
fatto di dover uscire presto la mattina e rincasare tardi la sera per
preparare quei dolci che amava.
Forse d’amore gli
bastava solo quello, lui ne era più che convinto.
Anzi, a lui bastava quel
qualcosa di grande per stare bene.
***
Anche quella mattina, come ogni mattina,
s’era alzato presto. Sorriso sulle labbra, occhi vispi e felici, doccia
veloce e poi corsa, dall’appartamento in cui viveva da solo, fino alla
pasticceria. Il sole era appena sorto, in quella mattina d’autunno, e
lui sorrideva alzando la saracinesca.
Aveva aperto la pasticceria e, come al
solito, attendeva l’arrivo dei clienti abituali. In molti venivano a
fare colazione lì da anni e lui li conosceva praticamente tutti.
Ma di clienti nuovi, grazie al fatto che era
la migliore pasticceria di tutta Seoul, ne arrivavano a bizzeffe. Ed
erano sempre tanti.
Stranamente quella mattina fu tranquilla.
Taemin si aggirava beatamente di là in laboratorio a controllare i suoi
dolci, qualche cioccolatino e anche le cialde preparate da mettere
sopra le torte, quando il suono dolce di quei campanellini, che aveva
appeso alla porta, annunciò l’ingresso di due nuovi clienti.
Uscì dal laboratorio, dove c’erano tre suoi
collaboratori, a passo svelto. Serviva sempre lui tutti, ci teneva
troppo, perché voleva servire lui ogni pezzo di sé. In fondo quelle
creazioni, erano tutte sue idee e prima che i collaboratori ci
potessero mettere le mani sopra, lui doveva controllare tutto e
spiegare ogni singola cosa.
“Arrivo!” annunciò allegramente, finché vide
quei due giovani sedersi ad uno dei tanti tavolini per fare colazione.
***
“Jonghyun muoviti!!” sbuffò girandosi, con
l’aria un po’ spazientita “Ho fame e poi dobbiamo andare a comprare le
tende nuove!” continuò subito dopo per convincere il suo ragazzo a fare
più svelto.
“Dai Kibumie rilassati, poi chissenefrega
delle tende mh?” rispose in una maniera un po’ strana, ma Kibum cercò
di non badarci più di tanto.
“A me importa, sono orribili!”
“Questo lo dici tu!”
“Jong, fanno schifo!”
“A me piacciono! Non capisco perché vuoi
cambiare ogni cosa di casa mia!”
“Non è che voglio cambiare ogni cosa di casa
tua… ma sai ci abito anch’io e mi sembra di essere un ospite…” e finché
lo disse s’affiancò al suo ragazzo e lo guardò. E Jonghyun parlò,
guardando di fronte a sé, senza sostenere lo sguardo del ragazzo che
aveva a fianco.
“Forse dovevamo aspettare ancora un po’ per
andare a vivere insieme…”
Kibum si bloccò a quelle parole. Sgranò gli
occhi e si sentì girare la testa. Ma fu solo per un attimo, si riprese
e continuò a camminare vicino a lui, mentre il suo sguardo triste si
poggiava sull’asfalto. Era inutile, lo sapeva bene anche lui, da quando
erano andati a convivere qualcosa non andava più bene.
Si erano raffreddati, si erano allontanati un
po’ e a chi toccava fare il passo era sempre e solo Kibum. Sì, perché a
lui sembrava che a Jonghyun andasse bene così. Sembrava che a volte non
gli importasse nulla di niente. E soprattutto di lui.
Jonghyun dava per scontato il suo amore. Se
qualcosa non andava, faceva finta di nulla e diceva sempre quella
maledetta frase “Forse dovevamo aspettare ancora un po’ per andare a
vivere insieme”. Sembrava quasi fosse la sua frase preferita.
E ogni volta per Kibum
era una pugnalata al cuore.
Jonghyun non si era mai reso conto di quanto
Kibum l’amasse, di quante cose facesse per lui. In fondo era un po’
così: pensava di dimostrargli amore, invece non gli dimostrava un bel
niente.
Non un fiore, non una lettera, neanche un
regalo. Kibum ci soffriva, ma pensava che fosse normale dopotutto.
Ormai erano tre anni che erano insieme, e convivevano da sei mesi, le
carinerie si lasciano ai primi tempi, questo almeno se lo ripeteva di
continuo per farsene una ragione, anche se gli dispiaceva.
Eppure la nota stonata che sentiva nel
profondo del suo cuore, non lo lasciava tranquillo.
Si stava mordendo il labbro nervosamente e
ancora una volta Jonghyun non se n’era accorto. Tremava anche di freddo
ma neppure di quello s’era accorto. Stava arrivando l’inverno e forse…
forse stava arrivando anche al cuore di Kibum, così stanco e stremato.
Aveva battuto tanto tempo forte per Jonghyun,
ma poi non erano riusciti ad alimentare sempre il fuoco dell’amore. Tre
anni, ma il freddo dell’inverno stava spegnendo quel fuoco. Kibum in
quel preciso istante si chiese se mai avrebbe potuto alimentare di
nuovo quel fuoco, insieme al ragazzo che aveva sempre pensato fosse
l’uomo della sua vita.
Ma non ne era poi così
sicuro.
Eppure lo voleva tanto.
***
Lo vedeva tremare e lo voleva abbracciare.
Sapeva di averlo ferito con quella frase idiota che gli usciva fin
troppo spesso ultimamente, ma non aveva il coraggio di farlo.
Si erano staccati un po’ e lo sapeva fin
troppo bene. Ma non era in grado di risanare quella ferita, non era in
grado di accorciare quella distanza che li separava. Non ci riusciva.
Non si sentiva sereno e non sapeva nemmeno il perché. Certo, il lavoro
non l’aiutava e nemmeno che la sua ex si facesse risentire.
Anzi, forse era quello che più l’angosciava.
L’aveva rivista, lei gli voleva parlare e… era scappato un bacio. Al
quale lui aveva risposto. Ma poi si era sentito un grande pezzo di
merda e l’aveva mandata al diavolo. Lui amava Kibum però era da quel
giorno che si era bloccato.
Era stato quel giorno che gli aveva chiesto
di convivere, probabilmente preso da quel senso di colpa. Era stato
quel giorno che Kibum aveva fatto le valigie ed era andato da lui. Ma
era stato l’inizio del declino.
Non aveva significato alcuno quel bacio, era
stato solo un bacio campato all’aria, forse lei, con la sua voglia di
fare la stronza, aveva fatto qualcosa per confonderlo e alla fine c’era
riuscita.
Ma se ami una persona
veramente non la tradisci…
Oppure no?
Può succedere comunque,
anche se la ami?
Probabilmente sì. In fondo era solo un bacio.
Ma se lo chiedeva ogni tanto il perché lui aveva risposto alle
telefonate della sua ex ed era andato a quell’incontro. E anche perché
alla fine aveva risposto a quel fottutissimo bacio.
E tutto si stava disintegrando. Non voleva
perderlo, lo amava, però aveva paura. Troppa. Ed era finito col
negargli ogni dolcezza, facendo ricadere la colpa su di lui.
Anche quando facevano l’amore era abbastanza
meccanico, ma sembrava fossero soddisfatti entrambi. Eppure il qualcosa
che non andava c’era sempre, anche lì. Doveva e voleva fare qualcosa,
ma non ci riusciva.
Voleva farlo, ma le uniche parole che gli
uscivano erano le solite e per giunta idiote. Forse l’avrebbe perso, ma
non riusciva a muovere un solo passo verso di lui, e questo lo faceva
incazzare a morte. Si incazzava anche con Kibum, spesso così troppo
remissivo e senza carattere.
Sapeva che non ne aveva colpa e sapeva
perfettamente che se lui era dolce e remissivo, lo faceva per lui. Però
quando incrociava i suoi occhi con una piega così dannatamente triste,
voleva sprofondare, perché lo faceva soffrire.
Ci sarebbe stato mai il momento in cui
sarebbe riuscito a riconquistarlo? Sentiva anche lui l’inverno
avvicinarsi, stretto in quella giacca un po’ troppo sottile ormai.
Aveva freddo, ma non sapeva come scaldarsi.
Aveva freddo anche lui
ma non sapeva come scaldarlo.
Avevano freddo entrambi
e non avevano capito che bastava stringersi per sentirsi al caldo.
Magari stringersi con
una parola, con un ti amo.
Quello che da tempo
nessuno dei due diceva più.
***
Due soli passi ed arrivarono lì, di fronte
alla famosa pasticceria di Seoul. Non c’erano mai andati e,
stranamente, Kibum aveva deciso di andarci proprio quel giorno.
Forse avevano bisogno di staccare, di fare
qualcosa di diverso, di farsi una coccola, di poter dedicarsi un po’ a
loro, e quello sicuramente era un inizio.
Da quanto tempo non uscivano da soli? I
sabati e le domeniche uscivano sempre in compagnia di amici, oppure si
rintanavano in casa, magari uno sul divano e l’altro? A fare pulizie.
Non era poi così difficile capire chi dei due stava sul divano e chi
faceva le pulizie.
Fu Jonghyun ad aprire la porta, e ci provò a
fare qualcosa, sforzandosi di ricacciare dentro quei sensi di colpa e
provando a dire basta. Una cosa piccola in realtà, magari banale, ma
comunque sempre un piccolo inizio.
Tenne aperta la porta e
lo fece entrare.
Le guance di Kibum si colorirono un po’ per
quel gesto inaspettato. Si sorprese davvero e lo guardò con gli occhi
di un cucciolo impaurito. Da quanto aspettava un piccolo gesto da parte
sua? E per quanto poco fosse, comunque aveva sentito meno freddo.
Tremava ancora, l’inverno non avrebbe potuto
sconfiggerlo solo con un po’ di calore, ma forse, se entrambi fossero
stati in grado di alimentare di nuovo quel fuoco insieme, forse sarebbe
stato anche meglio di prima.
A volte per ritrovarsi
bisogna perdersi.
A volte ti trova qualcun
altro.
Ma non era il loro caso,
almeno nessuno dei due lo credeva possibile…
O forse speravano solo
che non succedesse…
***
Era un locale bellissimo. Era un posto che
trasmetteva calore ed in qualche modo serenità, oltre che semplicità.
Era semplice in qualsiasi cosa, a cominciare dalla vetrina dov’erano
esposti i dolci fino ad arrivare all’arredamento. E poi le pareti. Non
era un posto così grande, ma abbastanza per contenere più tavolini, ma
di certo sembrava più grande con quel colore. Non era un colore forte,
era un giallo tenue, un giallo con striature arancio e rosa. Da lontano
non si vedeva, ma si percepiva un colore totalmente diverso da quello
che era in realtà.
Un miscuglio di tre
colori.
Le sedie invece erano verde chiarissimo,
pastello, ed i tavolini di una tonalità gialla chiarissima.
Sembrava un prato, un giorno di sole, quel
calore che anche d’inverno non ti abbandona mai. Una farfalla che vola
leggera di fiore in fiore, una dolce carezza che si posa sul cuore.
Caldo, amore, conforto.
Una sensazione
bellissima.
Si sedettero al secondo tavolo, quello vicino
alla colonna dove subito dietro c’era l’espositore dei cioccolatini. Da
poteva vedere ogni tipo di dolce!
Jonghyun e Kibum si sedettero uno di fronte
all’altro e si guardarono un attimo negli occhi.
Un accenno di sorriso e
poi comparve lui…
“Prego, cosa volete ordinare?” esclamò
sorridente e allegro quel ragazzo bellissimo dai capelli tinti. Il suo
sguardo si spostò prima su quello di Jonghyun, sempre sorridendo, e poi
su quello di Kibum.
E quando i loro occhi s’incrociarono,
qualcosa successe.
Una scossa, un brivido.
Caldo.
Sole.
Primavera.
Profumo di qualcosa di
dolce.
Taemin e Kibum.
Rimasero a fissarsi per un tempo forse breve,
forse lungo. Qualcosa l’incatenò, qualcosa gli impediva di separarsi.
Uno sguardo che cambia
improvvisamente il senso della tua vita.
Un qualcosa di
totalmente diverso.
∞
Cos’è questa cosa che
sento dentro?
|
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Capitolo 2 *** I tuoi occhi non li dimenticherò mai... ***
Ciao
a tutte!! Eccomi col secondo capitolo jojòxlzszsan ♥
Ecco, sono
emozionata di nuovo!! Innanzitutto ringrazio
chi ha recensito, chi lo farà e anche chi l'ha messa tra le
preferite-seguite-ricordate. Poi volevo dedicarla alla mia piccola 2min che
l'ha
letto in anteprima e mi ha detto di fare veloce LOL e poi a Lee Fei Taemin che
ne è stata entusiasta *___* grazieeeeeee!! E
poi ci tenevo a fare una cosa: MILLE AUGURI DI BUON COMPLEANNO
KIBUMIEEEEE!! ♥♥♥
E poi...
forse il cap è un pò incasinato ma spero
che vi piaccia!! Un bacione e vi ringrazio tantissimo di cuore!! mega
chuuuu a
tutte ♥♥♥
Lo guardò ancora.
Quegli occhi… erano così diversi da tutti quelli che aveva visto fino
ad
allora. E di occhi ne aveva visti talmente tanti che quantificarne il
numero
sarebbe stato impossibile.
D’altronde, con tutti i
clienti, sia abituali che nuovi, che andavano lì, era davvero
impossibile
ricordarseli.
Ma quelli lì no.
Erano diversi.
Avevano un qualcosa che
li rendeva totalmente diversi dagli altri. Un taglio molto particolare,
dolce
ma allo stesso tempo intrigante, meravigliosamente passionali e tristi.
Sì,
quel colore scuro aveva una nota triste dentro.
Erano due perle scure.
O forse due
meravigliosi opali neri.
Ma era sicuro, quegli
occhi avevano anche altre mille note colorate. Solo che quella triste
prevaleva
e… si sentì triste anche lui. E non sapeva nemmeno come aveva fatto, in
un solo
istante, a sentirsi così profondamente attratto da quegli occhi.
Dovette sforzarsi per
riprendere il controllo di sé, perché probabilmente era stato
imbambolato fin
troppo tempo.
Quegl’occhi… non se li
sarebbe scordati mai più.
Ne era certo.
***
Cioccolato.
Questo pensava Kibum
guardando i suoi occhi. Erano belli e dolci, un taglio così tenero che
s’imprimeva a forza in un viso da uomo. Un uomo così affascinante.
Anche i suoi
occhi affascinavano, proprio per quel netto contrasto tra l’uomo che si
mostrava di fronte a lui e quella dolcezza che traspariva.
Chissà se era dolce
come ogni cosa, lì dentro?
E quel tono caldo,
nella profondità del suo sguardo, rispecchiava perfettamente il posto
in cui si
trovavano. Rispecchiava tutto ciò che era… caldo, sole, primavera.
Si riscosse per un
istante, sentendo il rumore della sedia di fronte a sé muoversi.
Jonghyun non
aveva notato il loro sguardo, o forse… forse aveva fatto finta di non
notarlo.
Forse si sarebbe meritato una pugnalata alla schiena, ben peggiore di
uno
sguardo, come aveva fatto lui con la sua ex a Kibum.
“Che ci consiglia di
buono?” gli chiese facendo finta di nulla.
“Beh, qui è tutto
buono!” gli rispose sorridendo “Però posso dirvi che abbiamo delle
specialità
che sono: Fior di crema e frutta, una pasta speciale ripiena di crema
ai frutti
di bosco e torta panna e cioccolato” ma quest’ultima l’esclamò
guardando quel
ragazzo dagli occhi di opale.
Kibum lo guardò, si
perse nuovamente in quegli occhi e balbettò “t-torta… p-panna e
c-cioccolato,
per me…” e subito abbassò lo sguardo perché inspiegabilmente il suo
cuore aveva
perso un battito e aveva sentito le guance andare a fuoco. Magari solo
un po’,
ma… se fosse stato abbastanza perché Jonghyun se ne accorgesse?
Di litigi con lui ne
aveva già abbastanza, discussioni ce n’erano state fin troppe in sei
mesi di
convivenza e voleva rimanere sereno, almeno per un po’.
Già prima aveva fatto
un piccolo passo verso lui, non voleva di certo che tutto si rovinasse
a causa
di uno sguardo con uno sconosciuto!
Lo sconosciuto più
bello che avesse mai visto.
Lo sconosciuto dagli
occhi color cioccolato.
Lo sconosciuto che
portava, nei suoi occhi, un calore che non se ne sarebbe andato mai.
“Io invece prendo la
pasta speciale! E un caffè… tu Kibum?”
“Io… lo prendo anch’io
il caffè…” esclamò con ben poca convinzione, guardando il suo ragazzo.
“Permettimi di portarti
dell’altro…” gli disse dolcemente, cercando il suo sguardo. E Kibum
lentamente
si girò e lo guardò. I loro occhi s’incatenarono nuovamente e quella
forza
misteriosa non permise a nessuno dei due di staccarsi.
“C-cosa?” balbettò, non
sapendo cos’altro prendere.
“Un the nero… la
bevanda non deve rovinare il sapore della torta, deve solo esaltarlo.
Me lo
permetti?” continuò con quel tono dolce che trasmetteva calore.
Era come se
gliel’avesse sussurrato sulle labbra. In quell’istante Kibum si sentì
talmente
spiazzato che riuscì a far segno di sì solo con la testa, finchè ancora
lo
guardava.
E Taemin l’aveva
guardato ancora.
Gli aveva sorriso.
Kibum si era emozionato
di nuovo e aveva abbassato lo sguardo.
E lui se n’era andato.
***
Era sparito dietro al
bancone per preparare tutto. Gli dava le spalle e Kibum, alzando un po’
lo
sguardo, facendo finta di guardare gli altri dolci, notò la sua schiena.
Ampia, nonostante fosse
magro. E anche se stava curvo si percepiva la sua forza. Quella
camicia… gli
calzava fin troppo bene e si poteva intravvedere qualche accenno di
muscolo.
Ci pensò un attimo,
facendo il confronto tra i due ragazzi, e anche Jonghyun dal lato
fisico poteva
dirsi perfetto. Forse.
“Kibum, che guardi?”
“Chissà… se quei dolci
li fa lui…”
“Che te ne frega
scusa?”
“Eh? No è che… beh è
giovane! Pensi che li faccia?”
“Non lo so, e nemmeno
m’interessa…”
Lo guardò stupito e
forse… forse aveva capito. Si morse il labbro e abbassò lo sguardo
mormorando
un debole “Scusa…” e Jonghyun si sentì nuovamente un pezzo di merda.
Ti faccio
sempre del male, qualsiasi cosa dica.
Non so come
fare… non so cosa dirti.
Eppure ti
amo. E sono stato uno stronzo allora.
Lo sono
anche adesso.
Ed ho visto
come ti guardava… ho visto come lo guardavi.
E mi ha
fatto male.
Ma lo
merito, non è vero?
Avrebbe voluto
allungare la mano verso di lui, prendergliela, stringerla e dirgli
qualcosa.
Invece non fece assolutamente nulla, aumentando così ancora la distanza
tra di
loro.
Eppure prima aveva
fatto un piccolo passo in avanti.
E subito dopo ne aveva
fatto uno ben più grande indietro.
Anzi, due.
Si diede dell’idiota
ancora, pensando alla persona più importante della sua vita, lì davanti
a lui,
con lo sguardo triste a causa sua. Era così difficile convivere con
quel
maledetto senso di colpa. Eppure era così facile amare Kibum.
Perché lui era così
speciale che forse… forse davvero non si meritava un coglione come lui
che alle
lusinghe di una stronza ci era cascato.
Di cos’aveva bisogno
alla fine? Non lo sapeva nemmeno lui. Non sapeva perché c’era cascato
in quel
bacio senza significato o forse… forse aveva bisogno di quel bacio, di
cadere
in quel precipizio, per capire quanto amava Kibum?
Aveva davvero bisogno
di perdersi in un buco nero
per capire il suo amore
per lui?
Forse perché a volte,
l’amore di Kibum era così grande e sicuro, che lui si spaventava.
E se non ti amassi come
mi ami tu?
Quell’insicurezza lo
spaventava. E aveva cominciato a mettersi alla prova. Aveva risposto a
lei,
alle sue chiamate. Aveva fatto i confronti. E Kibum ne usciva
vincitore. Anche
quando lei l’aveva baciato e lui da stronzo aveva risposto.
Aveva capito. Lo amava
da morire.
Ma era stato uno
stronzo,
perché per le sue
stupide insicurezze chi ne faceva le spese era Kibum.
Perché sì, lo voleva
sempre vicino, ma non riusciva a stargli vicino… non dopo quel bacio.
Voleva
fare l’amore con lui, ma riusciva solo ad essere una macchina. Non
riusciva a
sbloccarsi per quella stronzata che aveva fatto, ma forse si meritava
di
sentirsi in colpa per tutta la vita.
E se te lo dicessi?
Ma lei non l’ho sentita
più.
E non voglio sentirla
più.
Se te lo dicessi, cosa
faresti?
Allungò una mano e
prese quella di Kibum tra le sue, trovando un po’ di coraggio “Scusami,
a volte
sono un coglione ma…”
Kibum sorrise, ma quel
gesto non riuscì ad infondergli lo stesso calore del gesto che gli
aveva fatto
prima.
Sentiva qualcosa di
strano e non capiva cos’era.
***
Gli stava per portare
l’unica torta che faceva solo lui. L’unica che nessuno aveva mai
toccato perché
non l’aveva mai permesso a nessuno. Sentiva che aveva qualcosa di
speciale
perché l’aveva creata pensandoci e sentendo “quel qualcosa di grande
che ti fa
stare bene” ma che era ben più grande, molto più grande rispetto a
tutte le
altre.
Tutte le altre erano
ricette dei suoi nonni. Le creava e sentiva “quel qualcosa di grande”,
questo
sì, ma quella… quella era lei. Per lei
provava molto di più.
E la stava per donare a
lui. Se ci pensava bene quella torta
non la consigliava mai. Si limitava a darla a chi la chiedeva, senza
far capire
quanto facesse parte di lui. Perché era una parte importante di lui.
Lei era un pezzo di
quel qualcosa di grande che non riusciva a definire.
E voleva
darla a lui.
Ma non sapeva il
perché.
***
E tu? Cosa
sei? Perché sento qualcosa di strano?
È tutto così
diverso da prima.
Sono sicuro
che i tuoi occhi non li dimenticherò mai.
Si gira per prendere la torta
e la pasta. Le poggia in
piatti diversi, ben divise per non inquinare il sapore di una e
dell’altra.
Soprattutto di lei. Di lei che sa sempre un qualcosa in più delle altre.
Prende anche il caffè, già
dentro la tazzina. Lo poggia sul
piattino e sul vassoio, come quel the nero. L’ha tenuto poco in
infusione,
perché altrimenti conterrebbe troppa teina. Non è molto colorato, ma lo
è il
giusto per far si che quella torta, anzi, la torta, non perda
nessuna
sfumatura di sapore.
Lui deve
sentire tutto.
Non appena tutto è sistemato
s’avvia verso di loro, alzando
per l’ultima volta lo sguardo. Lo guarda di nuovo e non sa capire cosa
sia
quella cosa talmente strana che sente.
Forse
curiosità?
***
Sono lì che si guardano. Ogni
tanto Kibum è costretto ad
abbassare lo sguardo perché il freddo dell’inverno, quello del suo
cuore, si
sta avvicinando.
Vorrebbe sentire il calore
provenire dalla sua mano, ma non
lo sente. E si sente male. Lo sente anche lui che quella distanza è
aumentata,
ma non sa cosa fare.
I primi
passi li fa sempre lui.
Ma poi arriva lui, quel
ragazzo dagli occhi di cioccolato,
ed improvvisamente stacca la mano.
E Jonghyun
ci rimane male.
***
Arrivò al tavolino a
passo spedito e sicuro, com’era lui da un bel po’ di tempo ormai.
Poggiò
delicatamente il vassoio sul tavolo. Prima porse la torta a Kibum,
sbirciando
ogni linea del suo viso perché voleva catturarne ogni particolare e
scoprire
se, anche il suo viso, come i suoi occhi, potesse contenere una nota
triste.
Forse ce l’aveva.
La pelle bianca come la
panna…
Ma aveva una nota
troppo triste.
Aveva quella sfumatura
di giallo, quella nota triste dell’autunno… quella nota che segna il
dolore. Il
dolore di una fine? Perché forse stava arrivando l’inverno anche in lui?
Sbirciò anche il viso
dell’altro ragazzo, finchè gli poggiava la pasta ed il caffè di fronte.
Di lui
non gli importava poi molto, ma notò qualcosa anche in lui.
E sentì un qualcosa di
strano dentro di sé, nel momento in cui Kibum guardò la torta e
sorrise, perché
gli occhi del ragazzo di fronte, probabilmente il suo ragazzo,
s’incantarono a
guardarlo.
Cos’è?
***
“Wow! È bellissima!”
esclamò Kibum, ed in quell’attimo la nota triste, che il ragazzo tanto
bello
aveva visto poco prima, sparì.
“Spero che ti piaccia…”
gli disse il proprietario della pasticceria in tono dolce, forse un po’
troppo,
mentre la sua bocca si spiegava in un sorriso. Un sorriso così bello
che colpì
Kibum, non appena si girò a guardarlo.
Ed il freddo
dell’inverno venne spazzato via in un istante,
nel momento in cui gli
occhi di Kibum si poggiarono
su quella bocca
meravigliosa e sorridente.
Kibum rimase a bocca
aperta un attimo e poi guardò nuovamente la torta. Non poteva
guardarlo, non
poteva lasciarsi trasportare da quel sentimento strano, da quel calore
che gli
aveva pervaso il cuore.
Però… mi
piacerebbe…
Ma che sto
dicendo?!
Anche Jonghyun guardò
la sua pasta, e non appena quel ragazzo, che gli dava leggermente
fastidio,
ritornò dietro al bancone, incominciò a mangiare.
“Mmm… è proprio buona!”
esclamò masticando il primo boccone, facendo una faccia buffa al suo
ragazzo.
Kibum sorrise, però…
però si sentiva ancora calamitato da quel ragazzo. Sentiva quasi il
bisogno
viscerale di sbirciarlo con la coda dell’occhio, proprio come faceva
Taemin là
dietro.
Ma non lo fece, mentre
Taemin sì. Taemin lo guardava, anzi, non riusciva a staccargli gli
occhi di
dosso.
Taemin doveva
capire.
***
Kibum prende la forchettina da
dolce e l’appoggia su quella
torta bellissima che, in qualche modo, lo ha già fatto sentire meglio.
È così
bella… tutta ben curata… è una torta che sicuramente colpisce!
Nulla è lasciato al caso, si
vede… quei riccioli di cioccolato
adagiati su delle lacrime, sempre di cioccolato, che cadono, sporcando
dolcemente quella dolce nuvola bianca… la panna…
Preme leggermente la
forchettina e finalmente prende un
pezzo di torta. Lo mette in bocca e… gli si apre un mondo nuovo.
Come prima, o forse molto di
più, sente qualcosa.
Il calore,
ma soprattutto…
L’amore.
Quello vero, puro.
Sente una
sensazione strana,
e non riesce
a non farlo.
Si gira e lo
guarda e lui gli sorride.
Taemin ha capito, Kibum ha
sentito quel qualcosa di grande
che mette dentro a quella torta.
Kibum sa che
si chiama amore, Taemin ancora no.
***
“Che succede Kibum?”
glielo chiese notando la sua espressione. L’aveva visto girarsi e aveva
visto
come quello là gli aveva sorriso.
“Eh? Nie-niente… è
davvero buona!” balbettò Kibum, tornando a mangiare quella torta che
sapeva di
buono. E non solo di gusto.
“Anche la mia, vuoi
assaggiare?”
“N-no…” rispose,
prendendo quella tazza e sorseggiando il the. Non gli bruciò la gola,
era
assolutamente perfetto. E si girò di nuovo. Guardò quel ragazzo per un
attimo e
guardò quella torta…
È perfetta… come te?
Mi piacerebbe sapere
come sei…
***
Finirono la colazione
non troppo velocemente, concedendosi quella coccola di cui avevano
bisogno.
Quando si alzarono, si diressero verso la cassa per pagare.
“Pago io!” esclamò
Kibum rivolgendosi al suo ragazzo “Ho voluto io questa colazione,
perciò… tu
sta buono, ok?”
“Come vuoi…” rispose
lui, accennando un sorriso al quale Kibum rispose con uno timido.
Taemin s’avvicinò alla
cassa e batté non troppo velocemente quei tasti. Non gliela fece pagare
la
torta, non volle.
“La prima è gratis.”gli
disse “Ti è piaciuta?” glielo chiese con quel sorriso che fece sentire
la
meraviglia del sole di primavera nel cuore di Kibum.
“Sì, è buonissima oltre
che bellissima…” tirò fuori dal portamonete quei pochi soldi che gli
doveva e
glieli diede “Piacerebbe anche a me saper fare un dolce così buono…”
“Ne hai mai fatti?”
“Sì, ma ho perso la
mano… non li so più fare, non riesco più…”
“Devi metterci qualcosa
di grande che ti fa stare bene per riuscire a farli…”
“Forse… non ce l’ho
quel qualcosa di grande…” gli disse tristemente.
“Perché?” gli chiese
lui stupito. Se l’hai sentito, significa
che ce l’hai. Avrebbe voluto dirgli.
“Ah.. niente, non è
niente…” gli rispose sorridendo triste. Ma a Taemin quel sorriso triste
non
sfuggì.
“Verrai anche domani?”
gli chiese il giovane pasticciere e Kibum sorrise.
“Spero di sì, mi sono
sentito bene…”
“Allora ti aspetto, a
domani”
“Ciao! A domani…”
Kibum si diresse verso
l’uscita e, insieme a Jonghyun, oltrepassò quella porta ritornando in
quella
via che li aveva visti freddi e tristi. Lui li vedeva ancora, anzi… lo
guardava
ancora.
Qualcosa però era
cambiato, magari solo un po’, ma era successo.
“Hey Jong, ti va se
torniamo ancora a fare colazione qui?” gli chiese accennando un
sorriso,
sentendo il piccolo calore di poco prima invadergli l’anima ed il corpo
“La
torta era proprio buona…”
“Ti va proprio così
tanto?” gli chiese, anche se un po’ infastidito.
“Mhmh sì… mi
piacerebbe, è un bel posto… si sta bene…”
“Se ci tieni possiamo
ritornare…” glielo disse sforzandosi, però lo fece. Doveva, per lui. In
fondo
se lo meritava.
“Dici sul serio?!”
“Sì, perché no? È
piaciuto anche a me… Anche se quello…”
“Quello?”
“Ti ha guardato…”
“Sei un idiota…” disse
ridendo, però davvero, in quell’attimo Jonghyun riuscì ad avvicinarsi.
Quei due
passi indietro che aveva fatto prima, furono scavalcati da quello
grande, in
avanti, fatto da quella confessione.
E Jonghyun riuscì a
prenderlo per mano.
Sentì di nuovo un po’
di calore, ma Kibum non riuscì a scordarsi di quella torta,
né tantomeno di lui.
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Capitolo 3 *** Sorrido per te... ***
Eccomi col cap
3! Volevo postarlo oggi ma... è successa una cosa e non sono riuscita a
finirlo prima. Beh eccolo qui, ma temo che il risultato non sia quello
sperato. Lo dedico a tutte stavolta, però una nota particolare la
riservo sempre a 2min e Lee Fei Taemin che mi seguono e sostengono
davvero tanto e pure alla mia piccol Diiva che si è appassionata
subito!! Ecco... grazie di cuore per quello che fate!! Vi mando un mega
chuuuu ♥♥♥
Ancora la schiena
ricurva, ma sempre forte e virile, mentre con le mani si appoggiava
alla vetrina
dove c’erano i dolci. Li aveva presi e poggiati dolcemente sul vassoio.
Ancora piegato, stava
incartando quei cinque piccoli dolci che la solita signora gli
chiedeva. Le
sorrise, ma di certo non sorrise come aveva fatto con lui.
A te ho fatto vedere il
mio vero sorriso.
Per te
io ho sorriso…
Ci pensava ancora, ed
era sicuro che ci avrebbe pensato per tutto il giorno a quel ragazzo,
sentendo
quella cosa stranissima dentro di lui. Per la prima volta, in tutta la
sua
vita, qualcun altro era al centro dei suoi pensieri, qualcun altro che
non
fossero quel pezzo di vita: i suoi dolci.
Non poteva non
pensarci, e non riusciva nemmeno a non confrontare il sé stesso di
quando era
con gli altri ed il sé stesso da quando aveva visto lui.
Da quando
gli aveva sorriso.
Da quando
aveva visto due opali neri.
Da quando
aveva visto il timido calore della primavera nel
suo sorriso…
Da quando
lui aveva sentito il suo “qualcosa di grande che
ti fa stare bene”
Sorrise di nuovo alla
signora, porgendole il pacchettino nel quale erano contenute le sue
paste, ma
lei non notò nulla di diverso in lui.
Batté i tasti della
cassa, le porse lo scontrino e ricevette i soldi. E tutto fu normale,
così in
linea con tutto quello che succedeva gli altri giorni… ma con lui era stato così tremendamente
diverso, perché qualcosa era davvero successo.
Con lui era cambiato
tutto.
Con lui si era sentito…
diverso?
Forse con lui… aveva
sentito la stessa cosa della torta…
Della sua
torta…
E guardò ancora fuori,
pensando che pochi minuti prima quel Kibum se n’era andato via per mano
quel
ragazzo. E non gli era piaciuto. Ed aveva anche sentito un piccolo
accenno di
dolore allo stomaco. Lui non aveva mai avuto male allo stomaco, lui era
sempre
stato bene, almeno lì. Certo, le influenze se le beccano tutti prima o
poi. Ma
quella cosa lì… era diversa. Era troppo diversa.
Era forse un male
dell’anima?
O come dicono gli altri
un male del cuore?
Forse sarebbe meglio
dire il male del cuore…
Ma lui non poteva
saperlo… non ancora.
***
Sorrideva timidamente
per mano con lui, sentiva il suo calore provenire dalla sua mano, ma
pensava
anche a quell’altro calore. Quello del cioccolato, dei suoi
occhi. Quello che aveva sentito lì. Era così
diverso da quello di Jonghyun… non sapeva nemmeno se
potesse fare realmente un confronto.
Eppure gli venne in
mente di farlo.
Però si sentì uno
stronzo e cercò di non pensarci più.
“Andiamo a casa Jong,
fa un po’ freddo…” glielo disse accennando un sorriso e stringendosi un
po’ di
più a lui, cercando di capire, di sentire, di vedere come reagiva a
quel
contatto di cui Kibum stesso aveva paura.
Paura di essere
rifiutato.
Perché molte volte, ad
un contatto di cui Kibum aveva bisogno, Jonghyun si staccava. Reagiva
stranamente dicendo “dai, non siamo più fidanzatini…” e Kibum, ogni
fottuta
volta ci rimaneva male.
Malissimo.
Ma quella volta Jong
non si ritrasse, anzi. Guardò un po’ in giro e lo strinse, baciandolo
sulla
testa. E per farlo dovette sforzarsi perché il senso di colpa lo
distruggeva ma
in fondo se lo meritava.
Non poteva permettere
che Kibum soffrisse sempre a causa sua, e allora ci provò. Se prima
aveva fatto
un passo grande in avanti, se davvero doveva mettere a tacere quei
sensi di
colpa che gli distruggevano la vita, se davvero ci teneva a lui, doveva
fare
qualsiasi cosa per lui.
“Andiamo a prendere le
tende…”
“Che cosa?!” esclamò a
bocca a perta, ma lui continuò dolcemente.
“Le tende… andiamo
dai…”
“Ma Jong…” Kibum
protestò guardandolo tristemente. Perché aveva capito. Lo faceva solo
perché
gli aveva fatto male con quel discorso prima, non perché ne avesse
realmente
voglia. E Kibum si sforzò di sorridere e continuò “Lascia stare, vanno
bene
così…”
“No, voglio cambiare!
Kibum, facciamolo…”
“Jong, non ha senso…”
abbassò lo sguardo “non devi fare qualcosa perché ti senti in colpa…
devi farlo
solo se lo vuoi.”
E Jonghyun si sentì
ancora più triste. Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa per cambiare il
passato,
tornare indietro e non fare l’idiota qual’era. Era davvero possibile
spaventarsi per un amore grande come quello di Kibum?
Lui da bravo idiota
qual’era, s’era spaventato.
E aveva fatto quello
che aveva fatto.
“Ora voglio, lo voglio
davvero… voglio farlo per te!”
“E per te?”
“Perché pensi a me
ora?”
“Io… penso a te
sempre... l’ho sempre fatto e…” stava per dire avrei
voluto farlo per sempre, accorgendosi subito dopo di
quel verbo sbagliato che stava per
dire. Non era più al presente.
Avrei
voluto farlo
per sempre è diverso da io voglio farlo per sempre.
E fa male da
morire.
“Perché, ora
non voglio davvero più?”
E faceva paura, faceva
così tanta paura che Kibum si sentì spiazzato. Distrutto, ma non poteva
dirglielo. Lo abbracciò forte e si violentò la mente, chiudendo gli
occhi.
Io voglio
farlo per sempre!
Io voglio
farlo per sempre!
Io voglio
farlo per sempre!
“Allora andiamo,
facciamolo… prendiamole e cambiamo qualcosa, che ne dici?”
“Sì… andiamo”
Sorrise, ed insieme si
diressero in quel negozio. Se avevano bisogno di qualcosa di nuovo,
avrebbero
potuto cominciare almeno da lì. Qualcosa per ritrovarsi pian piano,
qualcosa
che gli permettesse di rimarginare quella distanza, quella crepa… quel
qualcosa
di grande che li aveva allontanati troppo.
Magari qualcosa di
caldo.
Magari qualcosa… che
potesse ricordare la primavera.
Magari… qualcosa che
ricordasse… quella primavera…
Quella che aveva visto
poco prima,
quella che si era
impressa nel suo cuore…
oppure… oppure?
***
Guardava Kibum
scegliere le tende, ce n’erano tante eppure lui era indeciso. Anche se
era
sempre stato bravo a scegliere. Il suo gusto era impeccabile, eppure
nei suoi
occhi c’era dell’indecisione.
Gli faceva male vederlo
così, però… non riusciva a non pensarci. Non riusciva a non odiarsi. Ed
anche
il quel momento la distanza aumentò di nuovo.
Sono stato
io a ridurti così.
Ti ho fatto
così tanto male da ridurti ad uno straccio.
Anche prima,
nonostante tutto, i tuoi occhi erano tristi…
Sto cercando
di fare qualcosa ma…
Ce la faremo
vero?
Dobbiamo farcela!
Forse dovrei
perdonarmi per andare davvero avanti?
Forse dovrei
dirtelo per ricominciare davvero?
Ho paura… ho
paura di perderti…
Jonghyun lo sapeva fin
troppo bene. Aveva solo due possibilità: dirglielo e rischiare di
perderlo
oppure non dirglielo e rischiare di perderlo comunque. Perché col suo
comportamento l’aveva allontanato fin troppo e la tristezza del suo
sguardo era
devastante.
Faceva male ed era
tanta.
Troppa.
Troppa per lui, troppa
per il suo cuore. Troppa per un idiota che non aveva saputo capirsi e
capire
quanto fosse importante Kibum, che non aveva saputo capire che certe
azioni,
certi sbagli, ricadono su di te come una spada che ti trafigge.
Non sai dove, non sai
come.
Ti trafigge.
Può non colpire nessun
organo vitale e ti puoi salvare.
Può prendere un arteria
e farti morire all’istante, dissanguato.
Può prendere una vena e
farti dissanguare piano…
fino a farti morire
lentamente.
Ma a questa può esserci
rimedio, solo se arriva qualcuno a tamponare l’emorragia e poi a
suturare la
ferita.
Ma se la ferita rimane
aperta… se continua a sanguinare…
Non ti potrai salvare.
***
“Sto ancora
sanguinando vero?
E non mi
sono reso conto di come, quella spada
Abbia
trafitto anche te.
Perché tu
eri lì, davanti a me… così dolce ed indifeso, col
tuo amore incondizionato
Pronto a
difendermi.
Ma questo ti
sta uccidendo. Stai sanguinando molto più di
me…
Vorrei
bloccare io l’emorragia ma… siamo tutti e due
stanchi…
A terra,
distrutti… ed è colpa mia…
Avrei dovuto
difenderti, avrei dovuto parare il colpo…
avrei dovuto
Salvarti,
invece…
Invece sei
qui a terra con me…
Ti amo e
vorrei poterti salvare…”
***
Quelle tende non
volevano proprio saperne di farsi scegliere! Kibum continuava a
guardarle con
aria corrucciata, e nessuna di quelle ci stava bene in casa.
Non riusciva a
vedercele in quella casa… la casa di Jonghyun. Anche se doveva dire la
“loro
casa” però si sentiva ancora ospite, nonostante quella improvvisa
svolta.
Si voltò un attimo ed
intravide una tendina, un po’ più piccola rispetto alle altre ma
carina, con
qualche nota colorata che tirava su il morale. Arancio, giallo, rosso…
quella
probabilmente sarebbe riuscita a dare un po’ di calore alla casa,
magari a
contrastare un po’ l’inverno… anche se… anche se aveva le note
dell’autunno.
“Jong! ti piacciono
queste?” gli chiese facendogliele vedere, allungando un po’ la mano.
“Mmh non male dai! Tu
pensi che ci stiano bene?”
“Penso di sì…”
“Allora… andiamo!
Abbiamo tutto il giorno per sistemarle bene!” gli rispose sorridendo. E
Kibum
si stupì di quel cambiamento. Non era radicale, ma era un cambiamento
piccolo
piccolo, che però sembrava potesse fare bene.
Eppure… c’era sempre un
qualcosa che non andava.
Cercò di non badarci,
cercò di far finta di nulla, di convincersi che era tutto frutto della
sua
immaginazione e andò a pagare quello che
aveva preso.
Borsa alla mano,
l’altra mano stretta in quella di Jonghyun, insieme s’avviarono di
nuovo verso
casa. Si guardavano entrambi di sottecchi ed ogni tanto accennavano un
sorriso,
molto timido però. Erano così vicini che a tratti potevano sentire il
cuore
dell’uno e dell’altro battere forte.
Batteva, tanto, e
batteva l’uno per l’altro.
Solo che, più batteva,
più veloce si dissanguavano.
Perché la ferita di
entrambi era ancora aperta…
E Jonghyun lo sapeva,
lo sapeva fin troppo bene. Lo strinse a sé e lo baciò sulla bocca,
spiazzando
il più piccolo che rimase ad occhi aperti, a guardarlo per vedere se
veramente
stava succedendo quello lui, per tanto tempo, aveva sperato.
Stava succedendo
veramente. Lui lo stava facendo e Kibum stava per cedere. Perché non
immaginava
una cosa simile, non immaginava di sentirsi bene con quel bacio
inaspettato.
Solo che non si sentì
proprio così bene come doveva
sentirsi. Purtroppo la nota
stonata c’era ancora, e risuonava dentro di lui dolorosamente. Non
voleva
andarsene, eppure era stato un gesto così bello che…
perché doveva esistere
quella nota proprio lì?
Cercò di scacciarla,
cercò di farlo, aggrappandosi a lui. Cercò di pensare solo ed
esclusivamente a
lui, ma era inutile.
C’era una cosa che
continuava a sentire, una cosa diversa… che non sapeva nemmeno lui se
doveva
davvero scacciarla o meno.
Quel tono
caldo, quella nota dolce
Di quegli
occhi color
Cioccolato.
***
Per la prima volta, in
tutti gli anni che lavorava lì dentro, sperò che il tempo passasse
dannatamente
veloce. Voleva finire di lavorare, voleva che tutti se ne andassero
via, voleva
controllare per l’ultima volta i dolci e tornare a casa a pensare.
Neanche a mangiare, ma
a pensare. A pensare agli occhi di opale, alla loro tonalità triste. A
pensare
come aveva voluto dargli quella parte di sé e come lui l’avesse sentita.
Se mi hai
capito, ce l’hai anche tu.
Io non so
definirlo, ma tu sì…
Tu non sai
tirarlo fuori, ma io sì…
Lo pensò finché,
finalmente, finì la giornata lavorativa. Si tirò su il cappuccio per
ripararsi
dall’aria fredda e poi tirò giù la saracinesca, finché i suoi occhi
s’incupirono. Aveva bisogno di rivedere i suoi occhi, aveva bisogno di
rivedere
lui.
Aveva bisogno di lui.
Ma aveva anche bisogno
di capire, di pensare ancora. Di sentirsi dannatamente sconvolto e di
offrirgli
ancora una volta quella torta…
E anche di vederlo
sconvolgersi di nuovo, perché… perché voleva capire e provare a
definire
“quella cosa grande che ti fa stare bene”.
Voleva rivederlo.
A passo svelto si
diresse verso casa, mani in tasca, sguardo fisso e fiero. Non era tardi
e, a
quell’ora, la gente iniziava ad uscire. Era sabato sera e tutti a
quell’ora,
bene o male, uscivano per andare a mangiare o andare in discoteca dopo.
Chi in compagnia degli
amici, chi da solo. Lui era solo, ma non gli importava. Lui stava
dannatamente
bene con i suoi dolci perciò tutta quella gente che vedeva attorno a sé
non gli
faceva né caldo, né freddo.
“Taemin?”
Una voce di donna lo
bloccò, qualcuno l’aveva riconosciuto.
“Sì?” fu costretto a
girarsi e la vide. Lei era una delle clienti abituali, una di quelle
che
andavano lì soprattutto per lui. Per vederlo, per il suo sorriso.
“Hai finito adesso?” le
chiese un po’ civettuola, felice che non fosse dietro al bancone.
“Sì” fu la sua risposta
un po’ meno gentile di quando si trovava in pasticceria. Ma non gli
importava
poi molto. Non voleva che qualcuno si avvicinasse a lui e non
gliel’avrebbe
permesso.
“Ah beh, ti andrebbe di
unirti a noi?” chiese lei in tono gentile, facendo vedere il suo gruppo
di
amiche, avvicinandosi un po’, invadendo così la sua sfera intima.
“No. Non m’interessa.
Domani mi alzo presto, devo lavorare e non m’interessa di uscire.”
“Ma! Un uomo così
affascinante…”
“Non m’interessa di
uscire, alla prossima, ciao!”
Girò su sé stesso e se
ne andò, lasciando lì una delle tante che ci provava con lui, così,
spiazzata,
delusa e forse un po’ arrabbiata.
Lui… Non si era posto
mai
alcuna domanda.
Né se gli interessava,
né cosa gli interessava.
Non fino a quel
momento.
Non aveva mai guardato
nulla con interesse. Ci pensò finché i suoi passi spediti, insieme alla
sua
aria sicura, lo portarono lì, a casa.
Il suo appartamento era
grazioso ed era perfettamente identico alla pasticceria. Stesso
miscuglio di
tre colori alle pareti, un po’ più piccolo, con due camere da letto, un
bagno e
un salotto e cucina.
Doveva rimanerci solo
lui lì e poi, forse un giorno chissà. Ma non ci aveva mai pensato
prima.
Si guardò in giro e
forse, per la prima volta, sentì che qualcosa non andava. Sentiva una
specie di
“piccolo vuoto” che nemmeno quel “qualcosa di grande che ti fa star
bene”,
riusciva a riempire.
E se ci pensava… gli
mancavano quegli occhi.
Ed era sicuro che a lui
sarebbe piaciuto tutto lì.
Se solo l’avesse visto…
∞
Kibum…
Mi piace il
tuo nome…
Anzi, arriva
proprio lì…
Dove fino ad
ora c’è stata sempre e solo lei…
∞
Il passo sicuro lo
portò fino alla sua camera da letto. Si spogliò e si preparò i vestiti
puliti,
come sempre e poi si diresse in bagno.
Aveva bisogno di fare
una doccia, una lunga doccia rilassante… perché continuava a pensare a
quegli
occhi, quel viso triste che poi si era trasformato con la magia della
sua torta
che aveva la parte più nascosta di sé.
E poi il suo sorriso, e
finalmente il suo nome.
Kibum.
***
Per tutta la mattina e
buona parte del pomeriggio avevano sistemato le tende in casa. Avevano
fatto un
buon lavoro, tutto sommato, tra qualche sorriso e qualche scaramuccia
che
sembrava non ledere ancora di più a quella distanza che c’era tra di
loro.
Però, nonostante tutto, quelle tende non si trovavano così bene con il
resto
dell’appartamento.
E lì, dopo aver già
cenato, dopo aver rimesso tutto apposto, anche se quella volta lo
fecero
insieme, entrambi si sedettero sul divano. Fu una serata diversa e in
qualche
modo meno fredda.
Forse.
Rimasero abbracciati
per tutto il tempo, anche se Jonghyun continuava in qualche modo a
tormentarsi
e Kibum invece non riusciva a tranquillizzarsi. Forse le tende erano
solo un
pretesto, o forse no.
“Jong… avevi ragione,
non ci stanno proprio…”
“No, vanno bene,
davvero!”
“Tu dici? A me sembra
che qualcosa non va…”
“Forse dovremmo
cambiare anche dell’altro, non credi?”
“Ma… e poi? Andrà
veramente bene se cambiamo tutto?”
E Kibum lo guardò con
gli occhi infinitamente tristi finché pronunciava quelle parole. Perché
forse
davvero quelle tende non erano nient’altro che un’illusione, qualcosa
che
andava ben oltre a quello che in realtà erano.
Soffriva tanto e aveva
paura di cambiare le cose anche lui, perché tutto avrebbe potuto
distruggersi
in un attimo. E la colpa era solo sua. Sua e soltanto sua, per quella
maledetta
cazzata.
Gli accarezzò il viso,
sentendosi triste, perso, arrabbiato con sé stesso e si sdraiò sopra di
lui,
baciandolo disperatamente.
Voglio
amarti, voglio provarci.
Sono stanco
di farti del male, ma questa colpa, questa
ferita…
Devo
rimarginarla io…
Ci proverò…
devo farcela!
∞
Lo bacia, lo stringe… con la
lingua gli invade la bocca
disperatamente. Kibum fa una piccola smorfia e quella disperazione lo
invade…
Ma non
sembra essere bello…
Eppure hanno bisogno di
provare a sentirsi, facendo…
l’amore? Si cercano, si spogliano veloci in quel divano che li ha visti
vicini
molte volte, soprattutto per riappacificarsi… perché molte volte lo
facevano
solo per non perdersi troppo, anche se in realtà… niente si sistemava.
Le carezze… quelle vorrebbe
fargliele più dolci possibile,
però… però qualcosa non gli riesce e finisce per essere rude.
Jonghyun lo tocca come Kibum
non si merita, ed in ogni
centimetro di quel corpo candido come quella panna, ricade la sua
maledetta
colpa.
E finisce così… preparandolo,
entrando in lui… amandolo,
questo sì, ma non come merita realmente.
Lo ama con quel qualcosa che
lo trattiene, con quel
qualcosa che a Kibum fa del male…
E Kibum lo sente. Lui ci prova
realmente ad amarlo. Cerca
di andargli incontro, cerca di baciarlo dolcemente, cerca di
trasmettergli
l’amore… ma poi sente quella nota calda della primavera, sente la nota
cioccolato tornargli alla memoria e… si punisce.
Si lascia sovrastare, si
lascia devastare per quella colpa,
per quel piccolo tormento che al mattino l’ha reso felice.
E Jonghyun lo devasta davvero,
spinge troppo e forse lo
sente. Forse sente quel calore che ha fatto star bene il suo Kibum, ma
che non
gli ha trasmesso lui.
Si odia per questo, perché è
colpa sua… ma come sempre chi
soffre è lui, è Kibum.
Ma ora
stiamo soffrendo entrambi.
Per causa
mia.
Io devo
riconquistarti…
Entrambi, anche se un po’
faticosamente e dolorosamente
vengono, dentro e fuori… ma non è stato come quelle prime volte… e
forse questa
è stata la volta più diversa dalle altre.
E non sono venuti insieme… non
è più successo da allora.
Non vorrebbero farci caso e non lo fanno… si baciano guardandosi negli
occhi,
scorgendo quella tristezza che ormai li accompagna sempre e si
abbracciano…
tentando di salvarsi.
***
Si erano alzati dal
divano ed erano andati a letto, sdraiandosi ognuno dalla propria parte.
La nota
stonata però aveva continuato a risuonare insieme al battito del loro
cuore. E
poi Kibum l’aveva fatto. Si era girato e l’aveva abbracciato, poggiando
le
braccia sul suo addome e la testa sulla sua schiena.
Perché non la vedo più
forte?
L’aveva pensato e si
era addormentato, mentre lui gli accarezzava dolcemente la mano. E lui
ripensava a prima e ripensava a quella maledetta cazzata. Ripensava a
tutto e a
come fare. Perché doveva sistemare tutto. Non poteva perderlo. Ed alla
fine si
era addormentato anche lui.
Anche un altro ragazzo,
che abitava un po’ lontano da lì, si era addormentato con mille
pensieri, ma
erano diversi dai suoi, troppo diversi. Quel ragazzo si era
addormentato
pensando a quel desiderio forte di rivedere l’unica persona che gli
aveva fatto
pensare alla definizione esatta di “quel qualcosa di grande che ti fa
star
bene”.
***
Era già sveglio da un
pezzo lui, la pasticceria appena aperta ed i dolci già in forno, pronti
per
essere guarniti quando Kibum e Jonghyun si svegliarono.
Erano le nove e Kibum
preso da una strana ed irrefrenabile voglia di “qualcosa di dolce”
decise di
andare già lo stesso giorno lì, in quella meravigliosa pasticceria.
“Jong! Dai andiamo a
fare colazione dove siamo andati ieri!”
“Eh?”
“Dai hai capito! Su…
forza!”
“Mmh va bene…”
E si alzarono,
preparandosi velocemente. Kibum sembrava leggermente più sereno, più
felice e
Jonghyun fu felice ma non riuscì a non sentirsi anche un po’ inquieto.
Quando andarono verso
la pasticceria, tenendosi per mano, sorridendo e chiacchierando un po’
come ai
vecchi tempi, sembrava quasi fosse ritornata l’armonia.
E poi arrivarono lì e
Kibum sorrise aprendo la porta, entrando per primo in quel piccolo
angolo di
mondo in cui il sole ed il calore della primavera non se ne andava mai.
Ed alzò lo sguardo.
***
Taemin lo
vede entrare, sta servendo delle persone.
La
pasticceria è piena, ma quando incrocia i suoi occhi
diventa vuota.
Sorride
veramente, quel sorriso che sa riserverà solo a lui…
“Sei
tornato, ti ho aspettato” sembra dirgli.
E Kibum lo capisce, ed il suo cuore
perde ancora un
battito.
|
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Capitolo 4 *** Un battito... solo mio! ***
Eccomi
qui mie care col
quaro capitolo! Ebbene è stato un pelino difficile scrivere questo,
devo dire
la verità e non sapevo nemmeno se andava bene D; così ho chiesto alla
mia
CYuuki_Onew un parere e lei... beh è rimasta entusiasta! Idem la
piccola 2min!!
Poi devo dire grazie a tutte voi che vi entusiasmate tanto per questo,
perciò... Grazie!! Beh dato che è un capitolo particolare, volevo
dedicarlo
completamente a CYuuki_Onew perchè... beh tu lo sai!
Perciò...
ecco tutto tuo! Ti voglio bene!! E un bacione a tutte voi che mi
seguite/recensite/mettete tra preferiti e seguiti ecc... grazieeeeee vi
voglio
bene! :* mega chuuuu a tutte!! ♥♥♥
Il cuore che
perde un battito,
la tonalità
dolce che gli scalda l’anima…
Il rossore
del suo stesso viso…
E quel
calore che invade il suo corpo…
***
Anche lui aveva sentito
quella bolla d’aria salirgli all’esofago e dissolversi in gola finché
serviva
quella signora che gli stava parlando, ma che assolutamente non
sentiva.
Ma non gli era mai
successo.
Si emozionava tanto
quando finiva di preparare una torta, ma con una persona non era mai
successo.
Mai.
E di solito vedeva
coppie composte da uomo-donna.
Eppure quella cosa
strana gli succedeva con lui.
Eppure… gli succedeva
con quel ragazzo dagli occhi di opale, con quella tonalità triste che
voleva
assolutamente togliere. E sentiva una cosa strana, che non sapeva
spiegare…
Con lui avrebbe voluto
dare un nome a quel
“qualcosa di grande che
ti fa star bene”
***
Quel sorriso gli aveva
preso l’anima, se ne rendeva conto e non sapeva cosa fare... Forse
avrebbe
dovuto fare dietro-front e andarsene, ma aveva voglia anche lui di
rivederlo.
Aveva voglia anche lui di riuscire ad esternare i suoi sentimenti.
Aveva bisogno di
sentire il calore della primavera
sulla sua pelle…
Come una leggera
brezza…
aveva bisogno di
assaggiare di nuovo quella torta…
e sentire quell’amore
puro che…
Da quanto tempo gli
mancava sentire in quel modo l’amore? Ben sei mesi, o forse qualcosina
di più.
Forse, quello strano comportamento Jonghyun l’aveva già da prima, ma,
vivendo
in case separate, era un po’ più difficile notarlo.
Eppure Kibum lo sentiva
che qualcosa non andava. Sembrava un po’ agitato… Certo, fare l’amore
poi era
più bello e di certo la quotidianità non lo rovinava quel momento
magico.
Di una cosa però era
certo: Jonghyun era un po’ insicuro. Non all’inizio però, quando
l’aveva
conquistato, anzi… era stato uno di quei ragazzi che ti corteggiano e
ti fanno
sentire la persona più importante della terra.
Aveva davvero fatto
mille cose per lui: mazzi di rose, lettere, poesie, addirittura canzoni
(perché
a lui piaceva cantare e suonare) e qualsiasi altra cosa possibile pur
di
conquistarlo.
Kibum non era stato
facile da conquistare, perché lui aveva sempre un po’ avuto paura
dell’amore,
di non essere all’altezza di una relazione. Invece poi si era ritrovato
innamorato perso di quel ragazzo che per lui aveva fatto qualsiasi cosa
possibile ed immaginabile.
Ritrovarsi tra le sue
braccia, e baciarlo dopo una sola settimana di frequentazione, era
stato il
culmine della felicità, o almeno così credeva.
Non aveva assolutamente
pensato a quanto potesse essere felice facendo l’amore con lui.
Quella era stata
davvero la sensazione più bella della sua vita.
La più intensa ed
emozionante.
Nient’altro l’aveva
reso così felice, se non il loro amore.
Però tutta la
meraviglia dei primi momenti era sciamata pian piano. Forse un po’ per
volta,
forse un po’ per quella paura che Jonghyun aveva di “non amarlo
abbastanza”.
Sì, perché Jonghyun,
sotto questo punto di vista, era un po’ debole. Lo amava ma non capiva
mai quanto lo amava.
Se doveva quantificare
l’amore che provava per lui diceva sempre “tantissimo”, però… aveva
sempre
quella strana sensazione che Kibum ne provasse sempre un po’ di più.
Jonghyun pensava che
Kibum l’amasse “tantissimissimo” e quindi si sentiva in colpa.
Se il suo cervello,
invece che pensare troppo, gli avesse dato l’uso della parola, della
quale
spesse volte faceva a meno, perché i suoi motoneuroni si rifiutavano di
far
muovere la lingua ed aprire la bocca, forse avrebbe potuto evitare
certe cose.
Il problema era che, le
uniche volte che ci provava a dire qualcosa di sensato, finiva sempre
per dire
l’esatto contrario di ciò che pensava e quindi Kibum ci soffriva.
Certo, poi iniziavano
le mille domande e riusciva a capire ciò che in realtà Jonghyun voleva
dirgli,
ma intanto soffriva.
Perché alcuno maschi
non riescono ad esprimersi.
Quasi tutti in realtà.
E da lì probabilmente
era incominciato. Jonghyun si faceva troppi problemi, troppi.
Non riusciva a
capacitarsi di quel “tantissimissimo” amore da parte sua,
considerandosi uno
fin troppo fortunato.
Ed aveva cominciato a
dubitare del suo amore.
“tantissimo” era troppo
poco in confronto a “tantissimissimo”.
Allora erano arrivate
le chiamate da parte di quella stronza,
quasi come una pseudo-benedizione ed aveva cominciato a mettersi alla
prova.
Non aveva capito realmente che si stava mettendo alla prova, ma l’aveva
fatto.
Il bacio ne era una
conferma.
Aveva capito che amava
da morire Kibum e quindi…
anche il suo amore era
“tantissimissimo”
ma erano incominciati i
sensi di colpa.
Ed era precipitato in
quel buco nero che ti fa lentamente morire.
***
L’aveva visto più che
bene quel sorriso. Gli aveva dato fastidio, ma non aveva potuto farci
assolutamente nulla. Poteva dargli fastidio, poteva sentire male nel
vedere la
reazione più che sorpresa del suo ragazzo, però... era la punizione che
si
meritava.
Devo davvero
resistere?
Davvero non
devo arrabbiarmi?
Ma lui… la
sua faccia… il suo sorriso e…
Kibum.
A lui… a lui
fa piacere?
Vorrei che
lui si emozionasse solo con me…
***
Kibum è davanti, lui è dietro.
Vede tutto, ma fa finta di
nulla. Insieme si siedono al solito tavolino.
La pasticceria è un po’ più
piena del giorno prima, ma quel
ragazzo, quel ragazzo che ha qualcosa di strano che non gli piace, fa
veloce
nel servire i clienti.
Jonghyun lo
intuisce, lo fa per Kibum.
Ed odia
questo.
Però sente che può controllare
questo loro avvicinamento.
Almeno lo spera… Forse lo farà finché la sua colpa non verrà espiata,
anche se
è un rischio grande.
Non può dirlo a Kibum, non se
la sente… Forse… forse se
Kibum lo tradisse, se fosse solo un bacio, lui lo perdonerebbe, perché
sarebbe
alla pari…
O forse no,
forse ne morirebbe.
Kibum..
che
bacia…
quello.
L’immagine
che gli si presenta davanti è peggio di quella
spada che li ha colpiti.
Molto, molto
peggio.
Forse solo
adesso si rende conto di quanto grave è stato
quello che ha fatto.
Forse adesso
si odia più di prima.
Forse ha più
paura di prima.
Forse… forse
prenderebbe a pugni quello lì,
per
difendere ciò che è suo…
la sua vita…
Ma ora,
veramente, per la prima volta se lo dice:
“Perché non
c’ho pensato prima di fare quella cazzata?”
Ed ora… è
costretto ad attendere e a lottare per ciò che
fino a poco prima
era sempre
stato solo suo.
***
Si sedette lì, in
quell’angolo di primavera colorata che gli piaceva tanto. Di fronte a
lui c’era
il suo ragazzo. Non sembrava molto felice di essere lì, però a Kibum
fece
piacere quello che aveva fatto.
Anche quel gesto,
quello sforzo era bello e significativo.
Anche se… nel suo viso
c’era una nota stonata…
Quella che vedeva
sempre…
Ma in quel momento… era
diventata più grande.
Si morse il labbro,
finché il giovane, con le spalle ben dritte, si dirigeva verso di loro.
Cercò
di non guardare verso la sua direzione… anche se ne aveva voglia. Lui…
quegli
occhi dalla tonalità cioccolato, quella
che ti fa sentire bene, voleva vederli di nuovo.
Ed anche il suo
sorriso.
Voleva che lui gli
sorridesse.
E voleva sentire
l’amore puro dentro quella torta,
Perché Kibum aveva
capito che di quella torta non avrebbe mai più potuto fare a meno.
***
S’era avvicinato e
l’aveva guardato, ignorando completamente lo sguardo dell’altro
ragazzo. Gli
occhi d’opale s’erano fissati sui suoi e di nuovo aveva sentito la
bolla d’aria
partirgli dallo stomaco e dissolversi in gola.
Fece finta di nulla, di
certo non poteva far vedere quello che provava e poi… non voleva
perdersi il
suo sguardo.
Era passato troppo tempo
da quando l’aveva visto. Come quando doveva aspettare il tempo perché i
dolci
lievitassero. Doveva aspettare tanto e doveva avere pazienza. Però alla
fine il
risultato era stupefacente.
Come lo era il suo
timido sorriso,
in quell’istante
magico, in cui i loro occhi
s’erano nuovamente
incatenati.
“Ciao!” gli disse con
il suo vero sorriso “Sei tornato…”
“S-sì…” rispose
balbettando, guardandolo un attimo.
“Ti porto la solita
torta ed il solito the nero…” continuò lui e Kibum davvero non
desiderava
nient’altro, se non lei.
“V-va… b-bene…” rispose
mentre quel giovane pasticcere si girò velocemente verso l’altro
ragazzo,
chiedendogli “E tu cosa vuoi?”, però lo fece con un sorriso così
diverso da
quello che aveva riservato a Kibum, che a Jonghyun fece rivoltare le
viscere.
Avrebbe voluto dirgli:
la stessa cosa sua. Però non ne ebbe il coraggio, quasi avesse paura di
scoprire cosa in realtà si nascondeva
dietro a quella torta.
“Prendo una pasta
qualsiasi, decidi tu. Ed un caffè…”
“Subito…” rispose
Taemin e si girò nuovamente verso il ragazzo dagli occhi di opale,
regalandogli
nuovamente il sorriso che ora davvero voleva dare solo a lui.
Solo a lui.
***
Le sue spalle nuovamente
ricurve, la linea forte che denota
la sua virilità. Un viso così da uomo, eppure la dolcezza di un bambino.
Gesti talmente semplici,
quelli di posare le tazzine ed i
piatti con le paste sul vassoio, che sembrerebbero non significare
niente,
eppure dicono tutto.
Dicono tutto di lui, ciò che
è. Un uomo ormai. Forse non sa
ciò che vuole, forse non ha nemmeno mai capito ciò che vuole.
Però forse adesso sa che vuole
lui. No, non c’è un forse.
Vuole lui.
Jonghyun lo può solo intuire,
ma adesso è il momento della
verità. Può solo lasciare che un’altra spada lo colpisca, espiandolo
dalle sue
colpe oppure proteggersi, rendendosi conto che quella colpa graverà
comunque su
di sé.
E anche su
di lui.
E lui arriva, col vassoio in
mano, gli sorride con una nota
che infastidisce Jonghyun e gli poggia dolcemente tutto davanti a loro.
Succede come il giorno prima
solo che… in quegli occhi
dalla nota calda di cioccolato, c’è qualcosa di diverso, qualcosa in
più.
Forse se ne
accorge anche Kibum?
Perché..
perché Kibum vede i suoi occhi e stavolta…
Il cuore
perde nuovamente un battito.
Si sente più
felice…
***
Non avrebbe mai pensato
di provare una così strana sensazione con un perfetto sconosciuto.
Eppure si
ritrovava lì a mangiare la sua torta.
Quella torta che sa
d’amore.
E lui?
Perché
voglio vedere lui?
Perché alle sensazioni,
come al cuore, non si può comandare. L’aveva capito. Forse si sarebbe
punito
ancora per quella sensazione bella che provava nel guardarlo negli
occhi oppure
per quella emozione che sentiva dentro al cuore.
Ma aveva anche capito
che non poteva assolutamente fermarla. Non poteva, né voleva. Ne aveva
così
tanto bisogno che forse… forse non era male poter essere felici con
quella cosa
lì, l’importante era che non ne facesse le spese Jonghyun.
Penso sempre
e solo a lui.
Anche ora…
Mi dico che
l’importante è che non soffra lui!
Ma io?
Io che
soffro da ben sei mesi?
Io che lo
amo e non riesco a sentirlo vicino…
Io che provo
ad avvicinarmi ma che c’è qualcosa che ci
blocca.
Qualcosa che
non capisco…
Vorrei che
me lo dicessi Jonghyun.
O forse è
solo l’insicurezza?
Ma ti ho
fatto sempre capire come e quanto ti amo.
Forse non ti
ho fatto capire cosa si prova quando non ci
sono…
Forse dovrei
allontanarmi, per poterti ritrovare…
Ma sono
umano ed ho paura anch’io.
Se mi
allontano troppo ci perdiamo davvero!
Eppure sto
così male…
Ho bisogno
di sentire il calore sulla mia pelle…
Ho bisogno
di sentirmi vivo, perché questo macigno
mi schiaccia
sempre di più.
Il cuore
prima o poi smetterà di battere con questo enorme
peso sopra…
Cosa devo
fare Jonghyun?
Ho paura
anch’io…
Forse… forse
non mi ami più?
***
A volte cambiamo. A
volte, pur di rendere felice una persona,
diventiamo ciò che non
siamo.
Kibum era diventato
così: compagno perfetto, ideale, quello che non chiedeva niente, quello
che
faceva tutto ed era tutto meraviglioso.
Non troppe coccole,
anzi quasi nulle, non diceva nulla riguardo i regali che lui non faceva.
Aveva accettato tutto,
per lui… Per lui aveva accettato l’essere così schiacciato da tutto
quello che
gli era attorno.
Non aveva mai pensato a
sé stesso.
Ma era arrivato il
momento di farlo…
Oramai era arrivato a quel punto lì.
Quel punto in cui o
trovi qualcosa che ti salva,
cercando disperatamente
te stesso
oppure… oppure?
E lui cercava
disperatamente di salvarsi perché non voleva lasciare Jonghyun. Lo
amava ma…
ma.
C’era sempre quel ma di
mezzo che non gli lasciava nessuna via di fuga.
O forse c’era.
Ma non era quella che
voleva…
O forse si poteva fare
comunque qualcosa…
Però bisognava trovare
il coraggio di parlare e quel coraggio loro non ce l’avevano, perché
sapevano
bene che si sarebbero persi e probabilmente sarebbe stato per sempre.
Eppure qualcosa doveva
accadere, qualcosa che li avrebbe forse fatti avvicinare, forse fatti
ritrovare. Forse quel qualcosa li avrebbe ritrovati uniti, forse quel
qualcosa
avrebbe tamponato le loro ferite, li avrebbe fatti finalmente
comprendere e li
avrebbe visti come persone nuove.
E quel qualcosa era
forse lui?
***
Kibum si sconvolse
nuovamente assaggiando quella torta, e dovette guardare quel ragazzo
che gli
sorrise di nuovo.
Ma come fai?
Avrebbe voluto
chiederglielo ma lui capì ugualmente. Ed il sorriso che gli regalò fu
ancora
più bello, fu ancora più meraviglioso, perché non riuscì a non farlo
anche lui.
Kibum gli sorrise,
veramente…
Sorrise col cuore che
batteva un po’ di più…
Sorrise con una cosa
strana
che gli partiva dall’anima…
O forse dal cervello,
che gli faceva capire quanto fosse meraviglioso.
Sorrise con gli occhi,
mentre la nota triste
svaniva davvero…
***
Anche il cuore di
Taemin cominciò a battere un po’ troppo veloce, sentendo quella dolce
nota
calda arrivargli all’anima e risuonare nel corpo.
O forse…
Se avesse potuto usare
un paragone con cui esprimersi meglio, avrebbe detto: come quando
mangio la
torta che ha “quel qualcosa di grande che ti fa star bene”.
L’aveva sentito anche
lui, riscoprendosi ancora più legato di prima a Kibum.
La gente era sparita di nuovo, nonostante fosse lì, in
quell’attimo davvero meraviglioso.
Ma fu ancora più
meraviglioso guardarlo negli occhi ancora, mentre batteva i tasti della
cassa,
per quello scontrino dove il prezzo della torta sua non c’era.
Non ci sarebbe mai
stato.
O forse lo fu ancora di
più, mentre Kibum, porgendogli i soldi, si sentiva imbarazzato e felice
allo
stesso tempo.
Troppo batticuore,
troppa dolcezza
in quell’attimo
assolutamente perfetto.
Le sue guance colorate
ne erano la testimonianza, finché gli occhi di Taemin si posavano su di
esse e
ancora su ogni linea del suo viso.
“Sono felice che sei
tornato…” gli disse sorridendo dolcemente “Ti aspetterò ogni giorno…”
“A-anch’io… so-sono
felice…” gli rispose sentendo il cuore troppo agitato, mentre le loro
mani si
toccarono.
“Torna…” gli disse
guardandolo negli occhi, mentre Kibum provò a dire qualcosa ma non
riuscì a
dire nient’altro che un “V-vado…” balbettato e forse confuso?
Si perché qualcosa non
andava.
Ma cosa?
Kibum aveva sentito
dietro di sé qualcosa.
Il viso furente del suo
ragazzo dietro di lui era la prova che aveva capito. Aveva capito fin
troppo
bene.
Jonghyun guardò il
giovane pasticciere negli occhi, stringendo un po’ le labbra in una
smorfia
rabbiosa. Non disse nulla, ma forse fu sufficiente per Taemin, per
capire cosa
volesse dirgli.
Kibum invece, con lo
sguardo basso, come se avesse commesso il più atroce dei delitti, uscì
e si
sentì uno stronzo. Ma di certo non si aspettava quello che di lì a poco
sarebbe
successo.
In mezzo alla strada,
in mezzo alla gente, Jonghyun l’aveva preso, stretto a sé e baciato.
Non era soddisfatto di
quell’avvertimento dato solo con gli occhi a quello che era diventato
il suo
rivale.
Così, fuori di lì,
finché Kibum si stava per avviare verso casa, sperando solo che non
litigassero
nuovamente, Jonghyun aveva fatto quello che aveva fatto.
Lì, in mezzo alla
strada.
Lì, dove tutti lo
vedevano.
Lì davanti, dove lui li
vedeva.
L’aveva baciato.
E finchè con un bisogno
forte di sentirlo e la paura di perderlo, gli invase la bocca con la
sua
lingua, cercando di fargli sentire amore,
Jonghyun aprì gli occhi e guardò il pasticciere, che, con uno sguardo
fisso,
ipnotizzato e forse… triste?, guardava la scena.
Voleva farglielo
capire, doveva. Per lui Kibum era tutto e, anche se aveva sbagliato,
poteva
dargli la felicità con piccoli gesti, portandolo anche lì se
necessario, ma una
cosa quello là doveva capire, una
sola.
Kibum è mio.
Solo mio. |
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Capitolo 5 *** Torna da me... Spiegamelo. ***
Ciao
a tutteeeee!! Eccomi col capitolo 5 che però diventa a rating rosso.
Beh poi
vedrete perchè. Ecco, vi ringrazio tanto per il fatto che mi seguite! E
grazie
anche per il sostegno!
Veniamo
ai ringraziamenti speciali: Lee Fei Taemin. Grazie ♥ per tutto, il
supporto,le chiacchierate, i consigli e gli incoraggiamenti.
Ed i vaffanculo :''D e poi
grazie anche perchè mi
hai fatto venire voglia di "provare a cambiare carattere alle storie"
vediamo se prende? Ci provo con questa u.u
Un
grazie speciale va al mio Onew di ogni giorno, CYuuki_Onew ♥ che beh... cosa
posso dirti se non grazie per quello che
fai e di essermi vicina sempre? e
Mio? èwé
E
un grazie speciale va anche al mio Key, Diiva ♥. Grazie di cuore
per tutto quello che fai ciccia *A*.
Ovviamente
Grazie infinite a tutte voi che mi seguite sempre e mi rendete una
persona felice.
Grazie, mega chuuu a tutte ♥♥♥
Si aspettava tutto
tranne che
quello.
Lì, in mezzo alla strada Jonghyun lo stava
baciando. E non uno di quei
baci a stampo che riceveva ultimamente, ma un bacio vero.
Quei baci
che ti dai quando sei
innamorato,
quei baci che ti fanno sentire vivo…
che ti fanno
sentire amato.
Eppure quella magia, finché lui catturava la
sua lingua rendendo il
bacio molto profondo, non la sentiva più. Sentiva solo un peso sul
cuore, un
macigno, nonostante volesse con tutte le forze abbandonarsi a lui e a
quel bacio
che gli era mancato.
Purtroppo la nota stonata c’era sempre.
Purtroppo lui sentiva ancora il
“qualcosa che non va” lì, dentro al cuore, perché… c’era. E non sapeva
come
fare. Ma stava provando a rispondere al suo bacio.
Ma se lui mi
stesse guardando?
Non riuscì a fare a meno di pensarci ed aprì
gli occhi, guardando
Jonghyun. E quello che vide lo lasciò letteralmente pietrificato.
Cos’era quella cosa
strana che gli leggeva dentro?
Possessività…
Gelosia.
Rabbia.
Ma… amore?
Quello c’era?
Kibum era sicuro di non averne vista traccia
in quell’attimo. Si sentì
uno schifo, forse peggio. E non riuscì a non pensare al ragazzo dagli
occhi con
tonalità cioccolato, che portava con sé il sapore della primavera.
Lui forse…
non sarebbe così…
Non sapeva nemmeno se sentirsi in colpa,
almeno non dopo quello che
stava facendo Jonghyun, perché…
Perché si stava sentendo
un oggetto?
“J-Jonghyun, smettila…” gli disse spingendolo
via con le mani,
guardandolo tristemente e forse anche un po’ spaventato da quei
sentimenti così
privi di amore.
“Che c’è?!” gli rispose lui, tornando a
guardarlo, con un misto tra
l’infastidito e l’arrabbiato. Quello li
stava guardando ancora. Ma Kibum non ci riusciva, non voleva “Basta, ci
guardano tutti e…” cercò di spingerlo via ancora una volta.
Gli occhi sconvolti e arrabbiati si
abbatterono su di lui “E cosa??!” continuò,
stringendolo ancora per impedirgli di scappare.
“Non mi piace…” Lo guardò negli occhi, e
pronunciò quelle parole con una
tristezza fin troppo profonda e radicata dentro. Si liberò dal suo
abbraccio
con uno strattone e cominciò ad incamminarsi, a passo spedito,
verso la loro casa.
Anche se non era poi
così sicuro di volerci tornare.
Ma sì che
voglio tornarci, solo
che…
Solo che…
Solo che gli aveva dato fastidio e non gli
era piaciuto proprio per
niente, quel bacio che sapeva di tutto tranne che di amore. Quello che
Jonghyun
sembrava non provare più per lui.
Davvero non
mi ami più?
Avrebbe voluto chiederglielo, ma gli faceva
fin troppo male. Gli scese
una lacrima amara, che solcò il suo viso e velocemente cercò di
scacciarla via
con la mano.
E cercò anche di non sentire quei passi
dietro di lui, cercò di
scacciare ogni rumore perché… gli aveva fatto di nuovo del male,
l’aveva
allontanato di più. Ed il freddo stava arrivando, perché il vento si
abbatté
sul suo viso, come sul suo corpo, facendolo tremare.
***
Perché ti
sto facendo di nuovo
questo?
Si sentì la persona più stupida sulla faccia
della terra, finché lo
seguiva e cercava di raggiungerlo. Perché doveva rovinare tutto con dei
passi
avanti, che in realtà passi non erano? Erano solo delle lotte per
tamponare
quella dannatissima ferita solo che non aveva davvero nessun strumento
per
farlo, o almeno, non si rendeva conto di quello
che doveva fare.
Sarebbe bastato davvero poco, sarebbe bastato
usare quel po’ di
coraggio e liberarsi, causandogli così sì altro dolore, ma forse
sarebbe
riuscito davvero a risanare tutto.
O forse no.
Lo rincorse, col viso intriso di dolore per
l’enorme cazzata che aveva
fatto. Gli prese il braccio con una forza tale che temette di romperlo,
perché temeva
davvero che lui potesse andarsene in quell’istante.
Forse mancava poco.
Forse no.
Quella ferita non aveva
smesso di sanguinare.
“Kibum!” lo strattonò ancora, e
lo costrinse a girarsi, finché vide quella sua smorfia di dolore
devastargli il viso. Kibum era sempre stato meraviglioso, così
meraviglioso che
niente aveva potuto deturpare in qualche modo la sua bellezza. Nemmeno
la
dolcezza dei suoi occhi, nemmeno la delicatezza delle sue carezze.
Eppure la stupidità
della colpa di Jonghyun
continuava a ricadere su
Kibum.
“Kibum, fermati!!” lo strattonò di nuovo e
Kibum dovette fermarsi,
anche se non voleva.
“Cosa vuoi?!”
“Kibum, io… mi dispiace, sono stato un
coglione…”
“Perché Jonghyun, perché?!”
“Io… quello ti stava guardando, ci provava e
tu gli sorridevi!!”
“Jonghyun… io, a me
piace quella
torta e mi sentivo bene lì…”
Avrebbe voluto dirgli tu devi
stare bene solo con me, ma in realtà era solo una grande cazzata.
Non
poteva stare bene con lui e lo sapeva. Ma avrebbe potuto fare di più,
molto di
più, per renderlo felice o almeno riprovare a renderlo felice. Magari
incominciando proprio da lì.
Lo strinse a sé, mentre lui cominciò a
piangere. Kibum in quell’istante
provò a liberarsi di quel dolore, anche se sapeva fin troppo bene che
non
sarebbe sparito con delle semplici lacrime.
Faceva male, faceva così male che non
riusciva nemmeno a parlarne. Non
con lui. Non con lui che era la persona più importante della sua vita.
Eppure
ogni tanto si chiedeva se davvero ne valeva la pena provare a
riscaldarsi.
Forse qualcosa si era
inevitabilmente spezzato?
Forse sì.
E quella era la paura più grande di Kibum.
Quella paura fottuta di quel
per sempre che aveva immaginato con lui. Perché lui ci credeva
tantissimo
all’amore per sempre, anche se non si era mai reputato una persona
all’altezza di
una relazione stabile.
Però… però a quella nota
calda di cioccolato ci pensava…
Come a quella torta.
***
Perché mi da
fastidio? Perché
questa cosa mi fa ribollire il sangue?
Perché sento
una cosa strana e
dolorosa allo stomaco?
Se lo stava chiedendo finché lo guardava
negli occhi. Gli dava fastidio
quel ragazzo che lo stava avvertendo, l’aveva capito fin troppo bene.
Gli dava
più fastidio di quelle ragazze che ci provavano con lui, ma non capiva
veramente il perché.
Quel bacio poi… Aveva capito cosa volesse
dirgli quel ragazzo
abbastanza muscoloso ma più basso di lui, almeno così credeva! Perché
lui fino
ad allora non sapeva cosa significasse amare, anzi, sentiva solo quel
qualcosa
di grande che lo faceva star bene con lui, quel Kibum.
Lui, gli
occhi di opale con la
nota triste.
Aveva voglia di rivederlo, ogni singolo
giorno a venire. Ed in quel
momento, lì, con quella visione che gli faceva sentire qualcosa di
strano, la
gente, in pasticceria, nemmeno la vedeva più.
Avrebbe voluto rimanere
solo. Avrebbe voluto andarsene a casa.
Avrebbe voluto pensare a
quel vuoto che sentiva.
Però doveva continuare a lavorare, far finta
che nulla fosse successo,
e ricominciare a vedere le persone che erano di fronte a lui. Lo fece.
Ci
provò. E per la prima volta nella sua vita si sentì diverso in quella
pasticceria.
Lui non c’era. C’erano però le sue torte.
E quel qualcosa di così
grande che ti fa star bene.
Ma con lui…
era di più.
L’aveva capito.
***
Stavano tornando a casa. Jonghyun lo teneva
per la vita, in una presa
un po’ più forte di quelle che aveva sempre avuto per lui. Quella
mattina era
cominciata così: allegria, colazione e?
Il masso che schiacciava
inesorabilmente Kibum.
Non voleva però più pensarci e nemmeno
Jonghyun. Volevano solo provare
a ritrovarsi perché era troppo importante quello che avevano costruito.
O
almeno lo era tutto quello che avevano costruito fino a quel momento.
I passi svelti che li accompagnarono a casa
erano frettolosi e forse anche
un po’ troppo impauriti. Stretti ancora nell’abbraccio, vicini, forse
troppo,
ma bisognosi di così tanto affetto, ci arrivarono dopo poco.
Tanto.
Quando salirono le scale e finalmente
poterono varcare la soglia di casa,
Jonghyun lo guardò solo per un istante e lo prese tra le braccia. Un
contatto
forte e rude, un abbraccio che forse per Jonghyun voleva significare
scusa, e
poi lo portò a letto.
Ma per Kibum?
Cosa significava?
Kibum lo guardò finché, con i stessi
sentimenti di prima Jonghyun si
sdraiava sopra di lui e lo baciava. Irruento, possessivo. La sua lingua
non
riusciva a parlare d’amore ma continuò nel suo intento.
Ma Kibum?
Non sapeva, non capiva. Quello però che
sentiva era che “non gli
piacevano quei gesti che sapevano di tutto tranne di un qualcosa di
dolce”,
quel qualcosa di dolce di cui lui aveva bisogno, quel qualcosa di bello
che
poteva finalmente scaldarlo, quella cosa che avrebbe potuto far sì che
si
riavvicinassero.
Kibum strinse gli occhi, mentre una lacrima
gli usciva. Continuava a
pensarci, finché stavano per fare l’amore, continuava a pensarci finché
le sue
mani lo spogliavano, lì sopra al letto nel quale dormivano ogni notte.
Ma non erano gentili.
E lui aveva bisogno di dolcezza. Lui aveva
bisogno di sentirsi amato.
Jonghyun lo baciava, gli leccava il collo, gli accarezzava il petto, ma
lui non
riusciva a sentire amore.
Più andava giù, più sentiva che Jonghyun si
allontanava. E Kibum
stringeva i denti. Kibum si mordeva le labbra
Non ti sento
più mio…
che sta
succedendo?
Perché
dev’essere così?
Jonghyun, ho
paura!
Stringimi,
ma sii dolce!
Non è dolce. Gli slaccia i
pantaloni e glieli sfila, insieme ai boxer, accarezzandolo un po’
troppo
velocemente ed in maniera rude.
Jonghyun sa benissimo che
Kibum
non si merita carezze così, eppure non riesce a fare in altra maniera.
È suo! E
nessuno può toccarlo!
Lo prepara un po’
distrattamente, senza riuscire a scorgere i sentimenti della persona
che ama.
Lui lo ama ma… non riesce a sbloccarsi. Perché è per questo che è così.
Non riesco
ad amarti come meriti
perché ti ho tradito.
Fa tutto il contrario di
quello
che vorrebbe fare, fa tutto il contrario di quello che il cuore gli
dice.
Lo penetra con un dito, poi
con
due. Non si accorge della smorfia di dolore sul viso di Kibum, né
tantomeno di
quella seconda lacrima che sta per scendere.
Possono due
persone amarsi
tanto ed essere così lontane?
Forse sì.
Sì.
Jonghyun si lubrifica con
quello che ha ed entra. Non fa piano, no. Entra e spinge e Kibum si
sente quasi
male.
“T-ti p-prego… fai… fai
piano…”
lo implora tenendo gli occhi chiusi, senza nemmeno avere il coraggio di
guardarlo, perché quella nota calda di cioccolato gli ritorna alla
memoria e
forse teme che… arrivi fin quando lui è dentro.
Non vuole,
non deve e gira il
viso.
Forse a Jonghyun non importa,
forse lo vuole punire per una colpa che non ha commesso. O forse lo
vuole
punire per essere stato bene in quell’attimo senza di lui.
Perché non
mi aiuti ad
avvicinarmi a te?
Ho
sbagliato, sto sbagliando…
ma aiutami!
Aiutami!
Da solo non
ce la faccio, anche
se il casino l’ho combinato io…
Spinge più forte, mordendogli
il collo. E si sente invadere l’anima di rabbia. Spinge ancora finché
ansima
sul suo orecchio e gli dice “Sei mio! Solo mio!”
E Kibum spalanca gli occhi,
ormai colmi di lacrime. Lo guarda e vede nel suo sguardo qualcosa di
triste e
non capisce più niente. Già prima era difficile capire qualcosa, adesso
invece…
lo è ancora di più.
“Jong! M-mi fai.. mi fai
male!!”
Gli urla addosso, e finalmente
Jonghyun si ferma. Avrebbe tanto voluto dirgli un’atra cosa, la verità.
∞
Sono sei
mesi che mi fai del
male!
Sono sei
mesi che ci siamo
allontanati!
Sono sei
mesi che non sappiamo
più rimanere vicini,
stringerci
davvero,
abbracciarci.
Dividiamo lo
stesso tetto, lo
stesso letto.
Eppure siamo
così lontani che
fa fin troppo male.
Non mi ami!
Non mi ami!
Sono tuo?
Sono un oggetto?
Nelle tue
mani non c’è amore,
nei tuoi
tocchi… sento solo
l’angoscia
di un
qualcosa che non vuoi
perdere!
Kibum inizia a singhiozzare e
Jonghyun esce. Lo guarda e capisce di nuovo di essere stato un pezzo di
merda.
∞
Lo prese tra le
braccia mentre
Kibum singhiozzava. “Scusami, sono uno stronzo!” ma si era già staccato
da lui,
e se l’era tirato addosso, stringendolo e accarezzandolo, sperando di
poterlo
tranquillizzare.
Ma non smetteva di
piangere.
“Scusa, scusami… ti prego scusami!”
continuava a stringerlo, continuava
ad accarezzarlo ma niente in quell’attimo riusciva a dargli pace.
Però successe qualcosa,
qualcosa come la disperazione che lo fece
parlare.
“Perché Jonghyun? Perché?” gli urlò contro
mentre le sue mani cercavano
di spingerlo via. Più lui spingeva per allontanarlo, più Jonghyun
cercava di
stringerlo a sé.
Non
allontanarti, per favore!!
“Scusami Kibum, scusami! Mi dispiace… ma sono
geloso! Sono geloso, un
bastardo geloso che non si sa controllare! Che s’incazza e che… che ha
paura!”
“Jong! Non sono un oggetto! Non sono una
bambola con cui puoi fare il
bello ed il cattivo tempo! Perché? Me lo spieghi cosa c’è che non va?!”
“Non sei una bambola Kibum, cosa… come puoi
pensare una cosa simile?!”
“QUESTO ME LO FAI SENTIRE TU!!” urlò di
nuovo, mentre con un’ultima
spinta lo allontanò da sé. Si alzò velocemente, col cuore in gola e le
mani che
tremavano perché aveva paura, gli faceva male, sentiva il cuore
scoppiare e non
sapeva più cosa fare.
Una ferita
son si rimargina da
sola.
Nessuno dei due sapeva
cosa fare.
La ferita stava
diventando uno squarcio.
Si stavano dissanguando.
Inesorabilmente.
Quella giornata fu talmente strana che
nemmeno loro si resero conto di
ciò che era successo. Un litigio? Forse. Uno seduto sul divano, l’altro
che
girava per casa. Nemmeno una parola, niente di niente. Neanche il
coraggio di
guardarsi negli occhi e do confrontarsi. Perché tutto, dopo quel
dannato
litigio, o quel che era, faceva male.
***
Il suo pomeriggio non fu dei migliori. Da
quando li aveva visti in quel modo non aveva fatto
nient’altro
che pensare a quello. Nonostante i
suoi dolci, nonostante le persone che andavano da lui, e che conosceva
da anni,
riuscì a combinare qualcosa. Il perché era semplice. Quella cosa gli
aveva dato
fastidio, provocandogli un dolore che via via si era fatto più forte,
proprio lì,
proprio alla bocca dello stomaco.
Non gliene fregava del
dolore.
Era quella sensazione
strana di vuoto a fargli impressione.
Quella sensazione strana se la portò anche a
casa, dopo aver fatto
tutto come le altre volte. Aveva controllato i dolci, la lievitazione
ed il
cioccolato pronto per essere incartato, quando uscì dal laboratorio e
spense le
luci.
Uscì, come sempre, dalla porta principale,
chiudendo la saracinesca
sbuffando.
Era la prima volta che
lo faceva.
E se ne stupì.
Un’ondata di vento freddo lo colpì in pieno
viso, costringendolo ad
alzare il cappuccio e stringersi di più in quella felpa che ormai
serviva poco.
Serviva un cappotto, l’inverno stava arrivando, solo che stavolta lo
sentiva
anche lui.
A lui quegli occhi mancavano. A lui quegli
occhi piacevano. A lui
quegli occhi ispiravano una nota dolcissima, come quella della sua
torta. A lui
quegli occhi piacevano perché era sicuro che nascondevano “quel
qualcosa di
grande che ti fa stare bene” e voleva scoprirlo.
Solo che dovette ritornare a casa, ed eccetto
quelle note colorate
tipiche della primavera, in quell’appartamento, non c’era nessuno ad
aspettarlo.
Si sentì triste.
Per la prima volta.
Fu triste anche la notte perché la passò a
rigirarsi nel letto senza
trovare nessuna risposta alla continua domanda che gli frullava in
testa,
guardando il nero che c’era lì attorno. Niente, non c’era più niente.
Ma c’era mai stato
qualcosa lì, oltre ai suoi dolci?
No.
Probabilmente si stava rendendo conto di
quanto fosse diverso tutto il
mondo in cui viveva, da ciò che in realtà è.
Forse siamo
nati per stare in
due?
Perché mi
sembra che… da soli
non sia poi così… bello?
Ma io sono
sempre stato con i
miei dolci, mi sono sempre bastati loro.
Ora… che sta
succedendo?
Ora… forse
ti vorrei accanto a
me.
Ma perché?
Sento anche
con te il “qualcosa
di grande che ti fa stare bene”.
Ma non so
come chiamarlo.
Torna da me.
Spiegamelo.
***
Avrebbe voluto sdraiarsi vicino a lui ed
abbracciarlo, tanto quanto
Kibum avrebbe voluto che lui si sdraiasse vicino e l’abbracciasse. Ma
non era
successo. Kibum era là, a letto, viso spento che guardava la finestra.
Vedeva
nero, perché luce non ce n’era, sentiva freddo, perché calore non ce
n’era.
Ma voleva lui e voleva
anche lui.
Jonghyun rappresentava il suo grande amore,
il suo pezzo di vita. Colui
che amava e che non voleva lasciare perché si sentiva morire.
Come fai a lasciare una
persona che ami?
Qualche volta succede di lasciarsi,
nonostante l’amore che si prova
l’uno per l’altro. Eppure Kibum non riusciva a pensarci di poter stare
senza
Jonghyun, ma di fatto quella ferita sanguinava sempre di più e niente
era
riuscito a tamponarla, anzi.
O almeno non per il
momento.
Nemmeno Jonghyun voleva vivere senza Kibum,
ma non riusciva ad
avvicinarsi.
E non ci riuscì davvero, nemmeno quella
dannatissima domenica sera,
rimanendo a dormire sul divano. Se avesse saputo che Kibum piangeva
probabilmente sarebbe andato da lui... Magari l’avrebbe stretto tra le
braccia
e l’avrebbe baciato, sciogliendo quel nodo alla gola, o forse
aumentandone la
resistenza, ma sarebbe comunque andato da lui.
Invece non fece nulla. Dormì lì sul divano,
sentendo il freddo
dell’inverno penetrare dentro di lui e avvicinarsi al cuore,
infiammandolo.
Dolore. Questo sentiva.
E si sentiva quasi gelare, ma non poté far
altro che riscaldarsi da
solo, maledicendosi per le sue continue cavolate che stava combinando.
Pianse.
***
S’addormentò tardi e si svegliò presto. La
notte l’aveva passata tra
mille incubi, e si era risvegliato sentendo il solito profumo di caffè,
quello
che Kibum faceva ogni giorno…
Solo che c’era qualcosa di strano in tutto
quello. Ma forse era tutto
strano. Kibum avrebbe potuto alzarsi dopo, invece si alzava sempre
prima per
fargli il caffè e stare con lui. Sì perché Kibum lavorava da casa,
anche se
quel lavoro non lo soddisfava appieno.
Era un lavoro normale, o almeno così lui pensava.
Disegnava abiti per un
giornale di moda.
Da casa non era difficile, si organizzava il
lavoro e si gestiva tutto
il tempo come voleva. Perciò che senso aveva, se non quello di amare
profondamente Jonghyun, alzarsi il mattino presto e fargli compagnia?
Se ne rese conto in quell’attimo, mentre si
alzava e si vestiva, finché
lo guardava, e lui era là, con quegli occhi dannatamente tristi,
preparargli la
colazione.
“Io esco!” annunciò subito dopo, con lo
sguardo spento e incredibilmente
vuoto, finché si tirò su il cappuccio della felpa rosa, aggiustandosi
ancor
prima una pashmina che gli tenesse caldo un po’ il collo.
“Do-dove vai Kibum?” fu la sua domanda
allibita perché lui non l’aveva mai fatto.
“Ho bisogno di una boccata d’aria…” gli
rispose, un attimo prima di chiudersi
la porta alle spalle, uscendo senza nemmeno guardarlo in faccia. Ma
quello che
voleva dirgli veramente era ben altro.
Ho bisogno
di vivere.
Sto morendo.
|
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Capitolo 6 *** Vieni, ti mostro un pezzo del mio cuore… ora so come chiamarlo… ***
Ciao
a tutte! Chiedo scusa del ritardo ma sto proprio da schifo in questi
giorni! Non so nemmeno come scrivere e temo che il cap sia venuto male
perciò... vi chiedo umilmente perdono!! Ecco grazie per il sostegno, vi
mando un bacione grandissimo!! chuu ♥♥♥
Corse veloce giù per le
scale.
“Lontano!
Voglio andare
lontano!”
Questo urlava nella sua mente, anche se molto
lontano non poteva
andare. O forse sì. Tanto, che senso aveva rimanere lì, in quella casa
dove
tutto ormai faceva male? Poteva andare dove voleva, rintanarsi in
qualche buco
della città, magari sotto un ponte, o in qualche chiesa…
Pregando? Forse.
Anche perché quella probabilmente era l’unica
speranza che gli era
rimasta, per poter sperare davvero di sistemare la situazione.
O forse…?
***
Guardo ovunque. I miei occhi
vedono solo quello che c’è: rosso e le sue sfumature, giallo e le sue
sfumature… marrone e le sue sfumature.
Alcuni amano
questi colori… io
invece no.
È solo
l’inizio della fine.
Sono ovunque e ti fanno capire
come tutto stia lentamente morendo. È proprio come un fuoco… Stesso
colore,
stesse sfumature… Come un fuoco quando si spegne. A mano a mano che non
ha più
nulla da bruciare, perde colore come perde calore…
Muore,
lentamente. Come quelle foglie.
E quel fuoco
è come l’amore.
L’inverno
sta arrivando vero
Jonghyun?
Perché io sento solo questo.
Sento così tanto freddo che fa male. E non so, davvero, non so se ne
vale la
pena provare a scaldarsi.
Non dopo
quello che è successo.
Mi ami? Me lo continuo a
chiedere, ma forse… che importanza ha dopo tutto? Mi sento soffocare,
ho
bisogno di scappare. Tutto questo mi fa troppo male! Mi fa male quando
ti vedo,
mi fa male il tuo trattarmi da… bambola? Mi sento così.
Una bambola.
Senza anima.
Ma non lo sono, non lo sono
neanche mai stato. All’inizio pensavo davvero di essere una persona non
adatta
alle relazioni stabili perché… beh avevo paura di non innamorarmi mai.
È strano
vero?
Eppure mi
sono innamorato di
te.
Di un uomo.
Ho sfidato
tutti e non mi è
interessato nulla.
L’avrei
fatto ancora sai?
Quella volta ho litigato con
mamma per ciò che ero, ciò che sono. Papà invece mi ha compreso e poi
l’ha
accettato anche lei. Ma anche allora ho provato questo dolore, questo
freddo,
solo che con lei poi è arrivata la primavera.
Ma con te?
Non so se
arriverà mai…
Mi fa male, non voglio! Dio
Jonghyun io volevo amarti sempre!Già… volevo… Perché dico volevo?
Forse… forse
non voglio più? Eppure… sento che dentro di me conservo ancora quella
speranza…
o forse…
Forse è solo
l’effimera
illusione di un qualcosa che vorrei ci fosse?
∞
Si ritrovò di fronte a quel posto che avrebbe
tanto voluto vedere, in
cui era sicuro di sentirsi meglio. Erano passate ore da quando aveva
lasciato
casa sua, dove si era scordato anche il cellulare, ma non aveva di
certo voglia
di tornare indietro.
Era troppo presto.
Forse non era il posto che voleva vedere, ma
quegli occhi dalla
tonalità cioccolato che gli avevano trasmesso quel qualcosa di strano,
bello,
dolce… e il suo sorriso, capace davvero di riscaldarlo.
Primavera…
Era freddo, ed era quasi l’orario di
chiusura. Tremava un po’, stretto
in quella felpa e… ormai mancavano pochi minuti perché lui chiudesse,
ma
qualcosa gli diceva che doveva andare lì, e che forse non se ne sarebbe
andato
presto.
S’incamminò verso la pasticceria, muovendo a
fatica le gambe. Non si
era accorto di quanto fredde erano né di quanto freddo faceva
realmente.
Erano quasi di ghiaccio.
Ma camminò ugualmente…
Il calore… era vicino.
***
Mancavano solo tre minuti
alla chiusura. E gli sembravano dannatamente lunghi. Da quando lui era entrato lì dentro, tutto era
diventato troppo lungo, più precisamente il tempo. Il tempo era
diventato
troppo lungo. I minuti sembravano ore.
Perché prima
durava poco ed ora
dura di più?
Sbuffò un attimo, volgendo lo sguardo al
retro bottega. I suoi collaboratori
andavano sempre a casa alle 12:30, non aveva voglia di tenerli lì oltre
quell’orario. Non aveva senso e poi… Poi i suoi dolci li controllava
solo lui!
Erano suoi.
Sbuffando si girò nuovamente verso l’esterno.
Fuori non c’era il sole
ed era già diventato più freddo. Il cappotto l’aveva messo quel mattino
e, finché
abbassò lo sguardo verso quella strada in cui il giorno prima l’aveva
visto
sparire… Lo vide.
Era lì, fermo, davanti
la porta.
Lo guardava,
si guardavano.
Non sentì solo una bolla
d’aria risalirgli l’esofago…
Ne sentì una ad ogni
passo che fece per andare ad aprirgli la porta.
Passi veloci e sicuri.
Come lui e… come quello
che sentiva.
Là fuori faceva freddo, troppo freddo. Lì
dentro invece era caldo. I
suoi occhi, occhi di opale, avevano quella dannata nota triste ancora
più
accentuata e quella pashmina troppo leggera non poteva coprirlo.
Aveva freddo.
Lui doveva scaldarlo…
Voleva.
Con quei passi decisi arrivò lì e quell’aria
da uomo affascinante non
l’aveva persa, anzi, era aumentata in quei pochi attimi. Eppure dentro
si
sentiva emozionato come un bambino, si sentiva così tanto emozionato
che temeva
che il cuore potesse scoppiare....
La mano tremo, ma riuscì comunque ad
afferrare la maniglia della porta,
sudando leggermente e poi l’aprì.
“Kibum, entra!” Il suo nome era lì
dentro.
Gli sorrise, non sapeva nemmeno cosa
aspettarsi da quell’incontro. Era
emozionato… ed entrò. Tremava, stretto
nella sua felpa, ma non aveva freddo. Fuori era freddo, tutto era
freddo, ma
non lo era più nell’attimo in cui incontrò i suoi occhi, che, ancora
una volta,
gli avevano fatto sentire quel calore.
Gli sorrise, si
sorrisero…
E di colpo era già
diventato primavera…
***
L’aveva visto sparire oltre la porta ed il
suo cuore aveva cominciato a
battere troppo forte nel petto. E gli faceva male, troppo.
Di colpo era già
diventato inverno.
L’ondata gelida, che aveva sentito dentro di
lui, non riusciva a
scacciarla. Si era coperto più del solito e se n’era andato al lavoro.
La settimana era
cominciata fin troppo male.
Aveva camminato più del solito, aveva fatto
un giro più lungo per
arrivare fino a lì, fino a dove lavorava per mantenersi, mantenere
quella casa
che prima, fino a che Kibum non era arrivato, gli era servita per… per
stare
con quella.
Scosse la testa, pensando alla diversità
della situazione. Di quella
che era tutto e nulla e di Kibum che era solo tutto.
Tutto e basta.
Sentì ancora più freddo, entrando lì dentro,
in quell’edificio dove si
occupava di immagazzinare milioni di scartoffie che non avrebbe saputo
mai cosa
in realtà fossero.
Forse c’era
qualcos’altro che non avrebbe mai saputo.
Forse… l’avrebbe
scoperto più avanti.
Non riuscì a non pensarci in ogni singolo
istante di quella maledetta
giornata, che era cominciata male, finché immagazzinava quelle cose.
C’erano
così tante cose che gettava dentro quei scatoloni, senza rendersi conto
di
quanto, per gli altri fossero importanti.
Un po’ come
fa con Kibum.
Con quella colpa che si portava dentro, nello
scatolone del suo cuore
ci buttava dentro ogni cosa. Il dolore innanzitutto, per quella cosa
che aveva
fatto. La stupidità, che sentiva di avere in ogni singolo secondo della
sua
vita. Gli occhi di Kibum, perché non riusciva più a guardarlo davvero…
e come
il suo amore per lui.
E come dentro ci buttava quei sentimenti, il
nastro che usava per
chiudere quei pacchi era come la sua colpa.
Alcune cose le lasciava
fuori.
Forse quelle più brutte…
O forse solo una:
La paura.
La paura di perderlo sigillava il suo cuore.
Non gli permetteva di
esprimersi come voleva, né tantomeno dirgli ciò che sentiva.
Anche se voleva.
Perché spesso la paura è
molto più forte di noi.
Quasi sempre.
E non poté far altro che constatare quanto
fosse vero, perché, quando
ritornò a casa, la trovò vuota.
Non c’era lui.
Non c’era il solito
profumino di cibo preparato con amore.
Non c’era nemmeno la
pashmina…
Il cellulare era lì
invece.
L’aveva lasciato a casa…
forse non voleva farsi trovare.
Sospirò pesantemente, rendendosi conto di
fino a che punto erano
arrivati. Un punto morto, un punto triste. L’inverno era lì davvero.
Niente
sarebbe potuto tornare come prima a meno che non si decidesse di
provarci
davvero, come quel giorno.
Ma come avrebbe potuto farsi perdonare, dopo
quello che gli aveva fatto
la sera prima? Continuava a chiederselo, finché dovette prepararsi quel
misero
cibo che si era sempre preparato da solo prima di lui… perchè anche con
quella, che ogni tanto girava per casa,
doveva prepararsi da solo tutto.
Ma in fondo era normale. Solo con Kibum aveva
apprezzato veramente le piccole
cose della routine quotidiana, anche se aveva già iniziato a star male.
Solo con lui tutto era
bello.
Ma aveva baciato quella.
Nonostante con lui tutto
fosse bello.
“Sono il più grande
coglione della terra… qualcosa devo fare, per lui,
per noi. Non lo posso perdere, non ora. Devo aspettare che torni e poi…
poi
dovrò renderlo felice. Forse dovrei cominciare da qualcosa di speciale.
Forse
comincerò da quello…”
Sparecchiò la tavola con lo sguardo triste,
la schiena curva, il cuore
pieno e vuoto allo stesso tempo. Guardò ancora in giro, prima di uscire
da
quella casa che sapeva sempre un po’ di lui. Di Kibum.
Era triste.
Troppo triste quella
casa senza Kibum.
Chiuse la porta a chiave
e ritornò al lavoro, pensando a quella cosa
speciale.
***
Si sedette nell’angolo di mondo dove il sole
ed il calore primaverile
non se ne andava mai, con lui vicino che continuava a fissarlo. Kibum
si
sentiva in imbarazzo, ma al tempo stesso aveva davvero bisogno di
essere lì, di
parlare con lui e di sentire veramente quel calore dentro…
“Kibum…” lo chiamò dolcemente, finchè
s’appoggiava una mano sotto il
mento, guardandolo. Lo vedeva, era in imbarazzo, con le gote
leggermente
arrossate e lo sguardo basso. “Sì?” fu la risposta accennata, finchè
alzava i
suoi occhi che…
la nota
triste dov’è?
“Stai qui seduto, aspetta una attimo che
chiudo!” Si alzò velocemente,
sorridendogli e chiuse altrettanto velocemente la porta, mettendo il
cartello “chiuso”
e abbassando una piccola tapparella.
“Eccomi!” esclamò ritornando da lui e
sedendosi vicino. Quella volta
però fu diverso. Erano insieme, lì dentro, da soli. Finalmente
avrebbero potuto
parlarsi, magari conoscersi... e forse anche capire certe cose.
Balbettò nell’attimo in cui lui si sedette
nuovamente accanto a lui. “C-ciao…”
lo guardò, ed in quell’attimo spuntò quel meraviglioso sorriso che gli
scaldava
il cuore, seguito dal suo “Ciao…”
“So-sono venuto qui… per…” balbettò ancora,
arrossendo un po’ più di
prima, sicuro che quel caldo sole primaverile avesse già invaso ogni
piccola
parte del suo corpo.
“Per qualsiasi cosa tu sia venuto mi fa
piacere…” gli rispose e lì
Kibum sentì un altro colpo al cuore, più forte, diretto.
Ti fa
piacere come fa piacere a
me? Mi ascolterai… davvero?
“Posso dirtelo?” gli chiese titubante, ma la
sua risposta tranquilla lo
rasserenò e spiazzò al tempo stesso. Non sapeva in realtà, cosa
provocava lui
al cuore di quel ragazzo.
“Dimmi quello che vuoi…”
“Voglio sapere il tuo nome prima…”
“Taemin, mi chiamo Taemin, piacere…” disse
allungando la mano verso di
lui e Kibum l’afferrò, stringendola, e davvero qualcosa successe.
S’incantarono
a guardarsi, con quella presa salda che faceva sentire le emozioni
dell’uno e dell’altro.
Cosa sta
succedendo?
“P-piacere mio, K-Kibum.” balbettò
guardandolo, ma poi si riscosse, ritraendo
la mano ed abbassando lo sguardo. E partì, come un fiume in piena.
“So che sembro stupido ma… non va per niente
bene. Zero, non c’è niente
che va bene. Tutto va storto… Non piace nulla di ciò che ho. Mi fa
male, ogni
singolo istante e… mi fa male soprattutto lui.”
“Il tuo ragazzo?”
“Sì… non riusciamo più a parlare e va tutto
male. Mi sento un peso così
grande sul cuore che non riesco a levarlo. Ho freddo, mi fa paura
questa
sensazione di gelo che si che è creata con lui… io…”
“Tu?”
“Io credevo fosse l’uomo della mia vita,
invece… invece ora non lo so
più. Vivere sotto lo stesso tetto è diventato angosciante. Eppure
vorrei ancora
che mi stringesse tra le braccia e mi dicesse che mi ama… ma non lo fa…
se mi
stringe, se mi stringe mi fa ancora più male di quando mi ignora… mi
sento così
schifosamente usato che non riesco a capire nulla… e non capisco
nemmeno me…”
“Kibum?”
“S-scusa… i-io…” balbettò rendendosi conto di
tutto quello che aveva
detto, mentre lui era rimasto lì a guardalo incantato. E con una
tranquillità, che
nemmeno sapeva di avere, glielo chiese. Quello che per tanto tempo si
chiedeva
cosa fosse e che era sicurissimo che lui lo sapesse.
“Amare… cosa significa?”
“Da-davvero non lo sai?!”
Balbettò a quella domanda inaspettata.
Proprio lui che amava i suoi
dolci, non sapeva cosa significasse amare?
“No…” rispose sorridendo tranquillamente e
Kibum, senza nemmeno
comprendere il motivo della sua domanda che gli stava per fare, o forse
sì,
glielo chiese.
“Ma… non hai mai avuto una ragazza o
un ragazzo?”
“No, ho sempre avuto i miei dolci. E per loro
provo un qualcosa di grande che ti fa stare bene…”
Quella frase gli fece capire molte cose. La
torta, quell’amore grande
per quei dolci che faceva, il suo sorriso e… la nota cioccolata
bellissima
all’interno dei suoi occhi.
“E non sai come chiamarlo?”
“No!” esclamò sorridendo “Però sono sicuro
che tu lo sai, ne?”
“P-penso… d-di… sì!” balbettò nuovamente, e
lo guardò, arrossendo più
di prima.
“Tu l’hai sentito la prima volta, mangiando
la torta.”
“Tu ami i tuoi dolci vero?”
“Amare? Come una persona intendi?”
“Sì… quel qualcosa di grande che
ti fa stare bene credo sia amore…”
“Non ne ho idea…”
“È bello?”
“Mmh sì…”
“È grande?”
“Sembra…”
“Come fai a non conoscere il concetto di
amore?”
“Semplicemente nessuno me l’ha mai spiegato…”
“Oh… ma, non vedi i tuoi genitori
abbracciarsi, baciarsi…?”
“Sono morti…”
Kibum, a quella risposta, si sentì un totale
idiota. Nonostante il viso
di lui, Taemin, così tranquillo e pacato durante la conversazione,
soprattutto a
quella domanda, non riuscì a non sentirsi idiota. Si sentì triste
perché, per qualche
motivo…
Con te non
voglio sbagliare…
“Scusami… mi dispiace! Davvero io…”
“Non ti scusare, non soffro… però li vedevo
essere felici ma non ho mai
saputo i realtà che nome avesse quel qualcosa di grande che ti fa star
bene…”
Però lo
sento, più dei dolci…
con te… qui.
“Ti va di provare a fare dei dolci con me?”
gli chiese inaspettatamente
e Kibum lo guardò sorpreso e sconvolto.
Io?? I
dolci?? Ma…???
“Ah.. i-io… n-non li faccio da molto… n-non
so se sono in grado di…”
“Ce la farai, tu lo sai no? Sai cos’è perciò…
vieni con me…”
Non gli lasciò il tempo di rispondere no che
lo prese semplicemente per
mano, sconvolgendosi e sconvolgendolo per quel contatto così
inaspettato e
dolce… Forse anche troppo bello.
Bellissimo.
Quello che sentirono fu nient’altro che una
scarica elettrica percorrere
i loro corpi e quello che successe dopo fu l’incanto. Si guardarono
negli occhi
per un tempo così lungo che crederono davvero che i loro cuori stessero
per impazzire da un momento all’altro.
Battevano veloce,
tremavano le mani ad entrambi.
Ma si ripresero e Taemin, per la prima volta,
portò una persona
estranea nel suo laboratorio.
“Vieni, ti mostro un pezzetto della mia vita…
anzi, un pezzo grande
della mia vita…”
Ma quello che avrebbe dovuto realmente dirgli
era:
“Vieni, ti mostro un pezzo del
mio cuore… ora so come chiamarlo…”
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Capitolo 7 *** E' davvero giusto così? ***
Ciao a tutte, volevo chiedere scusa per
il ritardo mega. Vi devo delle spiegazioni, com'è giusto che sia e
anche delle scuse. Oltre al brutto periodo che stavo passando, dal
quale cercavo di riprendermi, è avvenuto un lutto in famiglia. Ho perso
mio fratello. Non era un fratello vero, di sangue intendo, ma
acquisito, il marito di mia cugina. Avevamo un rapporto speciale e ci
volevamo un bene dell'anima. Perciò è stato difficile riprendere a
scrivere e... beh l'ultima one-shot che avevo scritto, l'ho scritta
proprio il giorno prima. Perciò vi chiedo scusa del ritardo e sto
andando avanti col resto, presto pubblicherò le altre e non vi farò
attendere, promesso. Grazie per il vostro sostegno, un abbraccio forte.
Chuu mega a tutte.
Ps:
questo capitolo lo dedico a tutte le persone che mi sono state vicine.
Grazie. ♥♥♥
La mano
stretta alla sua, quel
caldo della primavera che si propaga per tutto il corpo.
Taemin sente
un qualcosa di
strano, Kibum invece avvampa.
Lo trascinò nel suo laboratorio, proprio lì
dietro, dove mai nessun
altro era andato, se non quei collaboratori accuratamente scelti.
Non aveva mai smesso di tenere stretta la sua
mano, come non aveva
assolutamente intenzione di farlo. Voleva portarlo lì e capire “quel
qualcosa
di grande che ti fa stare bene” e dargli un nome, perché lui sapeva,
sapeva
davvero cos’era.
Taemin era sicuro, Kibum molto meno, lo si
poteva intuire da quelle
dolci gote arrossate che non sentivano più il freddo dell’inverno
colpirle.
E fu proprio lì, vicino al bancone
principale, dove Taemin aveva
imparato a creare le sue opere d’arte, che il giovane pasticciere si
girò verso
di lui, tenendo sempre salda la sua mano.
Lo sguardo si posò subito nel suo, notando
ancora una volta la dolcezza
degli occhi di opale.
Ma non c’era la nota
triste, così sorrise.
E sorrise anche Kibum.
Come se una dovesse seguire l’altra, prima
una e poi l’altra, quelle
bocche mostrarono dei meravigliosi sorrisi.
Forse… l’uno dipendeva
dall’altro?
E come se fosse la cosa più naturale del
mondo, i loro occhi s’incatenarono,
come la volta precedente e forse anche di più. Brividi caldi
attraversarono i
loro corpi, mentre il sole spuntava nel viso di Kibum, un po’ arrossato
e così
incredibilmente dolce.
“Ora t’insegno a fare il
pan di spagna, quello vero…”
“Co-come?”
“Quello vero, così poi
potrai fare anche lei… ma prima devi imparare a fare lui…”
“Ma… io non credo di…”
“Tu puoi… devi solo
volere.”
“È difficile Taemin…”
“Ti aiuterò io…”
“Beh, sei un
pasticciere, tu puoi insegnare a chiunque…”
“No, lo posso insegnare
a chi lo conosce… tu però mi devi dire il
nome.”
“I-Il nome?”
“Sì, tu… lo sai…”
Kibum avvampò di nuovo, mentre le dita
soffici di Taemin accarezzarono
lente la sua mano. Lo guidò, in quel laboratorio, tanto grande e con
l’isola in
mezzo, così grande che ci poteva stare una persona sdraiata.
Poteva essere di qualsiasi colore,
solitamente acciaio, invece erano
banconi bianchi. Perché il bianco è puro, perché è qualcosa di
estremamente
rilassante ed in ogni caso avrebbe aiutato la lievitazione di quei
dolci tanto
particolari.
E poi… era come la panna.
E le gambe di quei
tavoli erano marrone scuro, come il cioccolato.
Kibum le aveva notate e, sempre con la mano
nella sua, s’aggirava lì.
Quella dispensa grande color cioccolato, conteneva ogni cosa. Lo sapeva
perché,
dopo pochi attimi passati ad osservare tutto, Taemin l’aveva aperta ed
aveva
preso gli ingredienti necessari per il pan di spagna, poggiandoli sul
bancone
grande e bianco.
Kibum l’aveva guardato. S’era impresso ogni
movimento, ogni sguardo,
ogni piccolo particolare di lui perché… beh, perché lui era quel
qualcosa che
lo faceva stare bene, un po’ come la torta.
Più lo guardava, più gli piaceva ogni piccolo
particolare di lui, a
cominciare da quello sguardo da ragazzino, dal viso dolce
apparentemente, ma
così sicuro e da uomo, come la maniera di camminare e… la sua schiena
ampia.
Sarebbe stato bellissimo
ricevere un abbraccio.
Sarebbe stato
altrettanto bello rifugiarcisi dentro…
Magari essere stretti lì…
Magari sentire un
profumo dolce, ma da uomo.
Magari sentire la
stretta infondere sicurezza,
magari sentire le mani
avvolgere la sua vita,
anche se inesperte.
Però lo sapeva fare?
Sembrava di sì.
Anche se non l’aveva mai
fatto.
∞
Si gira e
sorride… lo chiama
dolcemente.
“Kibum…”
***
Aveva lavorato tutto il pomeriggio, ma non si
era reso conto di quel dannato
tempo che era passato velocemente.
Kibum, questo era il suo pensiero ricorrente
in quel dannato pomeriggio
che non aveva nessun senso. Aveva pensato continuamente ad ogni cosa,
guardando
quegli scatoloni ora pieni, ora vuoti e poi di nuovo pieni.
E aveva capito che per colmare quel vuoto che
aveva lasciato con la sua
stupida paura, doveva fare molto di più di ciò che in quel momento
voleva fare.
“Ma
l’importante è fare il
primo passo!”
Questo si diceva e ripeteva più e più volte
ad ogni istante che
passava, in ogni attimo che riempiva quei scatoloni. Li riempiva con
chissà
quante cose importanti, per gli altri, ed era quello che doveva fare
lui con
Kibum.
La campanella che segnava la fine dell’orario
lavorativo, non fu il
primo passo ma fu semplicemente il “il prendere coraggio” per fare ciò
che
avrebbe dovuto fare molto prima.
Lo stava facendo. Era partito ed era andato
in un negozio prima, in un
altro poi… ed in un altro ancora.
Ed era stato difficile.
Era stato il primo passo, era stato un
qualcosa di importante da fare e
adesso… bisognava fare tutto il resto. Era tornato alle sei e Kibum
ancora non
c’era.
Si era spaventato.
Ma poi aveva fatto finta di nulla,
sospirando, ed aveva sistemato quel
mazzo di rose rosse al centro del tavolo, rigorosamente a gambo lungo.
Erano
dodici, ed era sicuro che anche se gliene avesse regalate mille, non
sarebbero
comunque bastate per dire ciò che provava per lui.
Si era diretto in cucina poi, prendendo
quelle tovagliette giapponesi
che a Kibum piacevano tanto, e le aveva messe lì, una di fronte
all’altra per
far sì che, una volta seduti, si guardassero.
Amava guardarlo, ma solo quando lui non se ne
accorgeva, perché ogni
sua espressione era così incredibilmente bella che gli faceva sentire
quella
sensazione che tutti chiamano “farfalle nello stomaco”.
Lui la sentiva sempre con Kibum, solo che
ultimamente aveva così tanta paura
di non sentirla che si agitava e davvero non la sentiva, facendolo
diventare ancora
più insicuro di ciò che già era.
Ma non era solo quello,
era l’insieme delle cose.
Per far ritornare bello un vaso rotto,
bisogna incollare ogni più
piccolo pezzettino, incastrarlo perfettamente come fosse un puzzle,
anche se… è
possibile davvero aggiustare un vaso rotto?
Quando
qualcosa si rompe, come
il loro rapporto, come la fiducia, l’amore, come… quelle farfalle che
non
volavano più perché le ali erano rovinate, come puoi pretendere che
tutto
ritorni come prima?
Puoi amare,
puoi amare da
impazzire, ma quella lontananza, quel legame spezzato… non si può
aggiustare.
Però Jonghyun voleva
farlo.
Avrebbe voluto fare
qualsiasi cosa pur di non perderlo.
Ed aveva ricominciato a
ricomporre il vaso,
partendo non proprio dal
primo pezzo ma…
usando la colla
migliore, quella ottima, mettendo poi su ogni piccola
crepa
dei brillantini, segno
che…
forse si sarebbe
aggiustato e nonostante tutto Kibum avrebbe visto la
parte migliore di quei segni dolorosi.
Forse.
Kibum, tu lo
vuoi?
***
“Ne?”
Arrossisce e
si morde il
labbro, mentre gli occhi di opale si colorano di primavera.
Taemin li nota, come nota le
sue dolci gote arrossate. Nota le sue labbra e, per la prima volta,
sente il
desiderio di baciare qualcuno. Baciarlo per assaggiarlo, per sentire se
davvero
può essere così dolce come sembra dal di fuori.
Le tue
labbra sembrano
dolcissime, come quel nettare di rosa.
Vorrei
assaggiare la tua bocca…
Vorrei
gustarne appieno il
sapore e scoprire che quello che sento…
È come
quello che provo per lei.
La mia torta.
E se fosse
di più?
Mi
piacerebbe, vorrei…
∞
“Proviamo…”
Allunga una
mano verso la sua,
Kibum la stringe timidamente e Taemin l’attira verso sé.
Si erano guardati negli occhi e poi avevano
cominciato a preparare la
base per quella torta, perché per tutto ci voleva un tempo e anche
cura,
passione e dolcezza.
Aveva passato tutti gli ingredienti necessari
per la torta a Kibum e l’aveva
aiutato dicendogli come e cosa fare e l’aveva guardato, finché le sue
mani
delicate, ma sicure, si erano mosse seguendo ogni sua parola,
mescolando gli ingredienti
nella ciotola piano.
Non si era stupito Taemin di questo, anzi, ne
era rimasto piacevolmente
colpito, perché vedeva come muoveva
le mani, come vedeva la sua espressione felice nel farlo.
Perché tu
sai cos’è questo sentimento…
e lo sai anche dare.
Vorrei che
fosse per me…
L’avevano fatto insieme. Entrambi, su quel
bancone, avevano lavorato
fianco a fianco, sfiorandosi e addirittura toccandosi più volte.
Si erano guardati, imbarazzati e felici,
continuando a mescolare il tutto
e a metterlo nella tortiera subito dopo, infornandolo, mentre Taemin
notava
sempre più spesso le sue gote colorate di rosso, così calde e belle che
quel
viso dalla tonalità panna era diventato qualcosa di molto più che
speciale.
Era di più.
È di più.
Molto.
Ed avrebbe voluto sul serio guardarlo per
molto ancora, solo che il
tempo era letteralmente volato e così si erano ritrovati un po’
impacciati e
confusi, l’uno accanto all’altro, con i tre aiuto-pasticcere che
dovevano
arrivare di lì a poco.
Kibum, a quel punto, avrebbe voluto
tornarsene a casa ma Taemin
gliel’aveva impedito.
Era bastata un’occhiata.
Così, veloce, mentre si
giravano.
Kibum aveva incrociato il suo sguardo a
tratti dolcissimo come quella
cioccolata, a tratti più serio e sicuro.
Non
andartene, rimani qui con
me.
Questo gli aveva detto. Questo aveva sentito
e ne era rimasto colpito,
così tanto che l’aveva guardato per un
po’ troppo tempo e Taemin si stava avvicinando sempre di più.
Avrebbe
voluto lasciarlo
avvicinare.
Avrebbe
voluto sentirlo.
Avrebbe
voluto… baciarlo?
“Kibum, sono arrivati…
ora ti porto qualcosa da mangiare”
“Non fa niente,
tranquillo… Penso che sia giusto che vada ora!”
“No.”
“Eh?!”
“No, rimani. Qui, con
me.”
Arrossì visibilmente, ma non ebbe tempo di
guardare chissà dove e
riprendersi, che i tre aiuto-pasticcere stavano già entrando, da quella
porta
che Taemin aveva già aperto.
Era impossibile non osservarlo, quell’aria
così sicura era in netto
contrasto da quella dolce che aveva dentro, con i dolci… e forse anche
con
Kibum.
Kibum l’aveva visto.
A Kibum piaceva quella
sua aria dolce, ma da uomo.
Sicura, ma anche un po’
da bambino.
Forse… le sue braccia…
potevano definirsi casa?
Probabilmente.
∞
Ed il loro pomeriggio passò così, con un pan
di spagna in forno, fatto
da loro, con quella gente che andava e veniva lì dentro, ma che nessuno
mai,
nemmeno per un solo istante, aveva calamitato la vera attenzione di
Taemin.
La sua attenzione era
solo per Kibum.
E Kibum a volte se ne
accorgeva, a volte no.
A volte diventava ancora
più rosso di prima,
mentre cresceva la
voglia di panna e cioccolato.
Taemin non s’immaginava che quella sera
sarebbe stata davvero diversa
da quella precedente. Se il giorno prima aveva sbuffato spazientito,
guardando
in ogni dove e camminando velocemente, quella sera invece non aveva la
benché
minima voglia di chiudere.
Chiudere significava
lasciare Kibum.
Lui non voleva.
Non voglio,
ma devo.
“Beh, Taemin, ti ringrazio… pensi che possa
diventare un buon
pasticcere?” sorrise, affiancandolo ed incamminandosi verso casa.
Nessuno dei due
sapeva dove abitava l’altro, però quella voglia di continuare a stare
vicini gli
aveva fatto fare quello.
“Lo sei già, devi solo essere più sicuro di
te stesso. Però sei felice,
senti anche tu quel qualcosa di grande
che ti fa stare bene con loro… giusto?”
“Sì…” e sorrise, aggiustandosi alla bell’e
meglio la pashmina rosa “Si
chiama amore, Taemin, dovresti imparare a dirlo...”
“Imparerò”…
magari con te. Lo
fissò, per qualche istante negli occhi, abbozzando un dolce sorriso.
Era
primavera.
“Ci vediamo
domani, Kibum…”
“A domani,
Taemin.”
Sorrisero entrambi nuovamente, dopo
quell’istante che li aveva visti ancora
così incatenati e, dopo un saluto un po’ imbarazzato e qualche
tentennamento,
si divisero per andare realmente a casa, quella vera.
Vera?
Cos’è questa
strana cosa che
sento con te?
Perché, sai…
il cuore mi batte
veloce.
Non riesco a
fare a meno di
girarmi e guardarti andare via.
Non è un
addio, lo so.
Ma… perché
non voglio che
succeda?
Perché mi
sento così bene?
***
Ormai erano le otto e mezza. Candele mezze
consumate, cena quasi fredda
e la casa desolatamente vuota. Vuota come la sua mente, vuota come il
suo
cuore.
O forse era pieno.
Tristezza, angoscia,
dolore.
Dolore per
un qualcosa di
grande e disperatamente vuoto e pieno allo stesso tempo. Lo pensa e
guarda
triste tutto, mentre un rumore di serratura lo fa girare, e la porta si
apre.
***
Aish! Kibum,
smettila!
Questo aveva pensato finché ogni tanto si
girava e lo sbirciava.
Continuava a farlo ininterrottamente, che per poco non sbatté addosso
ad un
palo della luce.
Patetico. O forse no?
Di certo si diede dell’idiota e ringraziò il
buon Dio, o chi ne fa le veci, che in giro non ci
fosse nessuno, soprattutto lì, in quell’attimo, altrimenti sarebbe
diventato
ancora più rosso di ciò che già era.
E di quello che era
stato tutto il pomeriggio.
E non era per il fatto che continuava a
guardarlo, nemmeno a pensarlo.
No, era tutto l’insieme delle cose, di quel pomeriggio così strano e
bello,
così caldo nonostante fosse inverno, di quelle spalle forti a cui
voleva
aggrapparsi, di quelle braccia forti da cui voleva essere stretto.
Casa.
Sentirsi a casa.
In quel posto lui si
sentiva a casa.
E con Jonghyun?
Non si sentiva a casa.
Perché?
Kibum smise di pensarci e corse, per quei
pochi metri che lo separava dalla
casa vera, col cuore in gola. Voleva piangere, ma non ci riusciva.
Perché…
perché sentiva che la risposta a quella domanda, significava solo una
cosa?
Non ci voleva pensare.
Jonghyun era quello che amava, quello con cui
voleva passare il resto
della sua vita! Pazienza tutto, Jonghyun non lo voleva lontano da sé!
Però,
Taemin era Taemin… Perché sentiva quella nota cioccolato posarsi sul
cuore e
non lasciarlo?
Perché sentiva che
quella cosa tanto bella, poteva
far male a Jonghyun?
A lui non voleva fare
del male, anche se Jonghyun
gli faceva del male.
Perché lo amava tanto!
Perché era tutto quello
che voleva, no?
Le chiavi le infilò velocemente nella
serratura, talmente tanto forte
le girò che temette di spezzarle. Però non successe, la porta si aprì e
vi si
gettò dentro.
E, quando alzò lo sguardo, lo trovò lì, di
fronte al tavolo da pranzo,
con un’espressione stravolta.
Era distrutto dalle ore di lavoro, ma
soprattutto da quelle ore di
assenza di Kibum.
∞
Ti ho fatto
del
male.
Troppo, non
lo
meriti.
Jonghyun,
sono qui.
∞
Sei tornato…
Perché mi fa
male
tutto questo?
Eppure sei
qui.
∞
Gli vola letteralmente tra le
braccia, senza sentire nient’altro quel suo amore grande per lui ed il
senso di
colpa per la giornata appena trascorsa.
Senza di lui.
Per essere
stato felice,
senza di lui.
Lo guarda, mentre le sue mani lo stringono
forte a
sé, lo bacia e d’un tratto sembra che tutto il resto del mondo, oltre
quella
porta sia il nulla.
Jonghyun sente che, all’improvviso, qualcosa
è
cambiato e lo stringe ancora di più, baciandolo con foga e amore.
È come se
qualcuno
avesse tamponato l’emorragia.
Qualcuno o
qualcosa.
Ma cosa?
Non esiste la cena, non
esistono i fiori. Non esiste quel regalo che Jonghyun ha poggiato con
cura nel
posto dove Kibum mangia di solito.
Non esiste
più
niente.
Esistono
loro.
I loro corpi si avvolgono, si
baciano, si accarezzano in una danza sensuale e sembra che davvero,
tutto il
dolore che c’era prima, sia sparito in un secondo.
È questione di poco e si
ritrovano a letto, stesi l’uno sopra l’altro. I baci diventano roventi,
se
Kibum li paragona ad un certo tipo di baci, direbbe che sono come i
primi,
quelli da innamorati, quelli dove non vedi l’ora di toccarti e di
amarti, di
essere un tutt’uno.
Però
Jonghyun si
stacca dal bacio e glielo dice:
“Non farlo mai più”
E stavolta il macigno che
sentono entrambi è a causa di Kibum, almeno questo è ciò che crede. Non
ha la
forza di rispondergli e lo guarda solamente smarrito, come se avesse
commesso
un delitto talmente atroce da non meritare nemmeno uno sconto di pena.
Ma se l’ha
fatto,
un motivo c’era.
Non te ne
accorgi
Jonghyun?
Jonghyun non lo capisce, o forse serve solo
per
mettere a tacere la sua coscienza. La parola che doveva dire a Kibum
era
“scusami tu”.
È così
difficile?
Scusami tu
Kibum , per
tutto.
E Kibum trema, finché Jonghyun
lo bacia di nuovo, ma non trema d’amore, trema d’angoscia. Kibum piange
dentro,
forse anche un po’ fuori, ma Jonghyun ha gli occhi chiusi e nemmeno
stavolta si
accorge delle sue lacrime.
“Scusami tu”
sarebbe
stato sufficiente per distruggere la distanza.
L’averlo
compreso,
l’avrebbe fatta diminuire.
O forse
sparire.
Il “non
farlo mai
più” significa che è colpa tua.
E Kibum lo
sa.
“Sono io la
causa
di questo?”
Diventa di colpo un gattino
impaurito tra le sue braccia, quelle che credeva fossero la sua casa,
quelle
che dovevano farlo sentire al sicuro.
Invece ora
si sente
una merda.
Ha paura. I sentimenti si sono
bloccati lì, in mezzo al cuore. Non si muovono, sono chiusi lì dentro e
non se
ne vanno, non si esprimono, non escono.
Ed è stato
Jonghyun, anche stavolta.
Come quelle
carte,
li ha buttati dentro ad uno scatolone e chiuso saldamente.
Però Kibum ci prova, ci prova
lo stesso, anche se fa male. Prova ad abbandonarsi a lui, ma tutto ciò
che
sente è solo un corpo pieno di muscoli contratti, un corpo che ora, in
questo
preciso momento, non sente il piacere di una carezza.
È un corpo
vuoto?
No, è pieno.
Pieno
di dolore.
Quando un dito entra, Kibum
prova a rilassarsi, ma fa male. Fa male il cuore, con quei dannati
sentimenti
bloccati.
Ed è lo stesso quando entra
lui. Il cuore fa più male di prima. Ci prova ancora, sforzandosi ancora
più di
prima, ma sente di nuovo dolore.
Jonghyun non
se ne
accorge.
Kibum pensa
che sia
colpa sua, perciò resiste.
“Questa è
una
punizione, è solo colpa mia!”
Lo pensa incessantemente
durante tutto il rapporto, lo pensa più volte al secondo per… per cosa?
Perché
non riesce a fare altro.
E pensa a
Taemin.
Si da la
colpa, ma
lui lo rende felice.
Il cuore è
leggero
lì, ma qui?
Stavolta si concentra di nuovo
e pensa al suo ragazzo, alla sua colpa e a quello che deve fare per lui
e
allora ci riprova. Non escono sentimenti, ma riesce in qualche modo a
camuffare
tutto, sentendo un po’ di piacere e soprattutto dando piacere a lui.
E quando
Jonghyun raggiunge
l’orgasmo, gli sembra quasi impossibile.
La sua colpa
è
stata espiata, lui ha sbagliato, ma ha pagato.
Diventerà
migliore,
e non si merita molto da Jonghyun.
Non si
merita ciò che
pretende, non merita niente.
Forse è
meglio non
ricevere nulla, è giusto così.
Ma… allora
perché?
“Mi
basteranno le briciole,
sarò felice solo con qualche dolce… niente più”
Ma pensa a
Taemin.
∞
Perché ci
penso?
Cosa vuol dire amore?
|
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Capitolo 8 *** La realtà ti segue sempre e ti schiaffeggia come gli pare e piace. ***
Eccomi
qui...vi ringrazio di cuore per avermi seguito. Questo è il cap più
lungo di Panna e Cioccolato e credo, anzi spero di... farne ancora
altri. Grazie a Niky e Giu per aver letto in anteprima!! vi voglio bene
♥♥♥
L’Amore
è un sentimento forte, così tanto forte da chiuderti lo stomaco.
L’Amore…
è qualcosa di bello, qualcosa che ti lega ad una persona,
e
ti impedisce di rimanere senza di lei.
L’Amore
è quando… ovunque tu vai, con quella persona, ti senti a casa.
L’Amore
sei tu.
~
Una
lacrima scivola fuori dall’occhio sinistro, s’infrange contro il
cuscino
candido. Un colore banale, almeno lo è sempre stato per lui. Un non
colore,
ecco cos’è il bianco.
Ma
fa male anche questo ora.
Fa
male quel qualcosa che non è, quel qualcosa che non comprende, quelle
briciole
a cui tenta di aggrapparsi con tutte le forze.
Quel
qualcosa che pensa di non meritare.
“Fai
male anche tu…”
Non
lo dice, ma sa che qualcosa dentro di lui lo pensa. Non sa se è la
coscienza, o
il suo “io” come lo chiamano gli psicologi.
Lo
definisce semplicemente qualcosa.
Una
voce, ecco.
Mentre
lo pensa, guarda il ragazzo che dorme di fianco a lui. Adesso, fa paura
persino
allungare una mano e sfiorarlo, seppur delicatamente. Dorme tranquillo
lui, ma
Kibum no. Kibum pensa… pensa e non dormirà. Non questa sera almeno, non
adesso…
non in questo istante in cui ogni pensiero arriva e lo tormenta.
Le
palpebre si abbassano, ed un'altra lacrima esce. Non sa nemmeno lui
cosa sia
quella sensazione, ma sono già le cinque di mattina e lì, in quel
maledetto
istante, non si sente a casa.
“L’Amore
è quando… ovunque tu vai, con quella persona, ti senti a casa.”
E
chi l’ha detto?! Eh? Chi?!
Kibum
vorrebbe urlarlo, lì, in quel momento, ma… sa bene che è vero.
Lo
sa, ma non lo ammette.
E
così anche una terza lacrima cade.
Stavolta
arriva anche il sonno, stavolta arriva un qualcosa a dargli pace, a
mettere a
tacere quella voce che gli dice la verità, quella voce che non vuole
sentire.
Quella voce che sa tutto ma che per ora non può venire a galla.
Il
sonno gli occupa tutta la mattina, ma non è un sonno tranquillo.
Piange
anche nel sonno.
***
Si era girato più volte
nel
letto, aveva cambiato posizione con una tranquillità incredibile
durante tutta
la notte, senza sapere che la persona che amava più di sé stesso, era
lì che lo
guardava, con delle lacrime che gli rigavano il viso.
Quand’era sorto il sole,
però,
s’era strofinato gli occhi, s’era alzato e, come se tutto il peso di
quella
colpa se ne fosse andato, aveva fatto le sue cose. In bagno prima,
colazione
poi… senza Kibum.
Ma
allora perché senza di lui?
“Non
posso disturbarlo, dorme così bene…”
Si era detto questo, ma in
realtà qualcosa lo tormentava ancora e non sapeva cos’era. Un piccolo
masso,
piccolissimo, ma pesante, si era fermato lì, sulla bocca dello stomaco.
Gli aveva impedito di
finire
la colazione e l’aveva costretto a far ritorno in camera. Ogni passo,
che
solitamente lui faceva lungo, era breve e pieno di pensieri.
Ogni passo lo riportava a
pensare alla sera prima, al proprio cuore, a quei sentimenti chiusi
dentro.
Pensava a come avevano fatto l’amore, se così si poteva ancora
chiamare, e
sentì crescere quel sasso dentro di sé.
Ad
ogni passo diventava sempre più grande.
Ad
ogni passo era sempre più difficile respirare.
Ad
ogni passo si rendeva conto che la voragine… non era mai stata chiusa.
~
Apre
piano la porta della loro camera da letto. A piedi nudi si dirige verso
il loro
letto, Kibum è lì, di lato, che dorme.
Non
aveva pensato a lui, almeno finché non era più riuscito a mandare giù
il
boccone.
Si
avvicina lentamente, così tanto che gli sembra di andare a rallentatore
e, dopo
pochi attimi, si ritrova seduto accanto a lui.
È
rannicchiato su sé stesso, è coperto dal piumone, quello verde e giallo
che non
gli era mai piaciuto poi tanto. Il respiro regolare fa capire a
Jonghyun che
Kibum è nel mondo dei sogni, allunga una mano e… questa s’appoggia
delicatamente sul viso.
La
carezza è lenta, dolce, ma così timorosa.
Da
quando la sua mano trema, appena si appoggia sul suo viso?
Jonghyun
non ha mai visto la propria mano tremare.
Lo
accarezza di nuovo, sempre piano, e vede che da quell’occhio esce una
lacrima.
Una spada gli trafigge il cuore, un’altra volta, intuendo quale sia la
causa.
Sé
stesso.
“Ho
sbagliato di nuovo, gli ho fatto del male ancora.”
E
se ci ripensa, ricorda il corpo di Kibum un po’ più rigido tra le sue
braccia,
più rigido delle altre volte.
Si
sente un pezzo di merda.
Toglie
di colpo la mano dal viso del suo ragazzo e se l’appoggia sul suo, così
dannatamente colpevole.
Gesti
non fatti, parole non dette.
Parole
sbagliate, anche se sussurrate.
La
ferita sanguina di più.
“Stiamo
morendo davvero.”
Si
alza di colpo e s’infila i calzini, le scarpe ed esce di casa,
dirigendosi al
lavoro, con un macigno ben più grande di prima sullo stomaco.
***
Si era svegliato alle
11:34.
Neanche aveva fame, ma per lo meno era riuscito a dormire un po’. Aveva
tirato
su quel piumone e aveva guardato quella stanza. Ogni angolo sapeva di
tutto,
tranne che di casa sua.
Era stato desolante ancora
una
volta e aveva deciso di non pensarci, provarci almeno, dato che la
giornata si
prospettava lunga.
S’era alzato, non aveva
nemmeno infilato le ciabatte ed era corso in bagno. La maglietta ed i
boxer
erano finiti a terra, la voglia di raccoglierli non c’era, ed era
andato
dritto, sotto la doccia.
“È
quello che ci vuole…”
Pensò in quell’attimo,
mentre
con un colpo di mano, l’acqua divenne praticamente calda e gli bagnò il
viso.
Ogni singola goccia bruciante percorse prima il suo viso, poi il suo
corpo.
Bruciava.
Il viso si arrossava, come il resto del corpo.
Ma doveva. Doveva sentire
quel
calore bruciargli la pelle, fargli del male e poi? Cosa doveva sentire
poi?
Non
avrebbe più voluto sentire niente.
Niente
dolore, niente pensieri.
Niente
lacrime amare.
Tempo qualche minuto e se
ne
uscì profumato, con la pelle che scottava. L’accappatoio, quello blu di
Jonghyun, l’avvolse ma non gli trasmise nessuna sensazione e forse era
anche
peggio di sentire “qualcosa di diverso”.
Freddo?
Nemmeno più quello.
Fece una smorfia di
dolore, si
portò entrambe le mani sulla fronte e uscì velocemente dal bagno.
Doveva fare
qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non pensare.
Un paio di boxer a caso,
come
la maglietta e lo stesso per i pantaloni. Tutto a caso, lui che, almeno
per i
vestiti, non badava alla casualità.
Stavolta
il cellulare lo portò con sé.
Ma
arrivò un messaggio, forse come una benedizione.
~
────
1 иυσνσ мєѕѕαggισ ✉
To:
Kibummie
From:
Jongie
Non
torno per pranzo…
***
────
1 иυσνσ мєѕѕαggισ ✉
To:
Jongie
From:
Kibummie
Ci vediamo stasera.
~
L’orologio
a forma di sole segnava le 12:03. Taemin aveva
sbuffato una sola volta e non per il suo lavoro, non per quelle persone
che
continuavano a sorridergli e alle quali sorrideva. No, non per loro.
Kibum
non era ancora arrivato.
Forse
non sarebbe andato lì, quel
giorno.
Magari
nemmeno quello successivo.
Giusto
un minuto pieno zeppo di tristezza che la porta si
aprì e, di fronte gli occhi di Taemin, comparve lui.
I
suoi occhi di opale, con la tonalità cioccolato, erano
rimasti spenti fino a che non avevano incontrato quelli di Taemin.
Fuori
di lì nient’altro aveva
importanza.
Lì
dentro invece c’era il calore,
quello vero.
Lì
c’era la primavera.
~
“Ciao,
Taemin…”
“Ciao
Kibum, non vedevo l’ora di
vederti!”
“A..anch’io…”
Le
gote di Kibum si colorano di
rosso, lo sguardo si abbassa. Adesso lì, anche se si morde le labbra,
non
riesce a sentirsi in colpa.
O
forse un po’ sì?
No,
non adesso.
Si
guardano entrambi, di nuovo,
ed incomincia il loro nuovo giorno insieme, lì in quella pasticceria
che sa
solo di primavera. Il tempo si ferma, in quell’attimo in cui i loro
occhi si
incontrano, in quel momento in cui i loro cuori battono veloce.
Loro
due li sentono bene.
A
poco a poco, la gente se ne va,
è ora di pranzo ormai… lì dentro rimangono solo loro due. Ancora si
morde le
labbra, Kibum, ma… è felice.
Lo
sente lì dove prima sentiva
freddo.
Sente
caldo.
Lo
sente anche Taemin.
Dopo
poco si rifugiano nel
laboratorio, come fosse la cosa più naturale del mondo che Kibum sia
lì,
cominciando così a preparare la base per quella torta.
Sempre
lei.
Sempre
con quel “qualcosa di
grande che ti fa star bene”.
~
I
loro sorrisi erano come i raggi di sole in primavera, le
loro mani erano come i primi fiori sbocciati. Erano forti e man mano
che gli
ingredienti venivano mescolati dalle loro mani, finché l’uno era
accanto
all’altro, qualcosa diventava sempre più grande.
Complicità.
E
forse non solo quello. Senza il
forse.
Il
tempo era scorso talmente veloce che nessuno dei due se
n’era accorto. Stava per mescolare il cioccolato alla panna ma non era
riuscito
bene il miscuglio, così con una piccola smorfia dolce, Kibum aveva
smesso di preparare
tutto.
Taemin
aveva riso.
“Ci
vuole un po’ di tempo…”
Gliel’aveva
sussurrato all’orecchio, facendolo arrossire,
baciandogli subito dopo quella guancia talmente tanto calda che…
sembrava
essere arrossata dal sole, andandosene di là ad aprire ai suoi
aiuto-pasticere.
Erano
già arrivati e loro due
nemmeno avevano mangiato.
Ma
a nessuno dei due importava. Non ci fecero caso perché ad
entrambi importava solo stare vicini, sentendosi invadere da una
sensazione fin
troppo bella, così difficile da spiegare a parole.
Kibum
rimase lì, seduto ad un tavolino, mentre Taemin serviva
le persone e, di tanto in tanto, lo guardava, perdendosi in quegli
occhi di
opale che, dal momento in cui erano arrivati lì, incrociando il caldo
sole di primavera,
non avevano più la nota triste.
***
Ci
aveva pensato tutta la mattina, come fosse una canzone che
continuava a ritornargli in mente.
Alla
fine la odi, ma lui non
voleva odiare Kibum.
Voleva
solo scacciare quell’orribile sensazione di vuoto o di
pieno… pieno di angoscia. Dopo avergli toccato la guancia, dopo aver
capito
ancora una volta la stupidità dei suoi gesti, s’era sentito ancora più
dentro
la voragine.
Non
c’era scampo.
Ma
dovevano salvarsi.
Non
aveva toccato nulla di quello che c’era sopra il tavolo
la sera prima, ed in quell’attimo si chiese se Kibum avesse visto i
regalo. In
fondo era ancora là, al suo posto. Chissà se aveva mangiato, chissà se…
stava
bene.
Non
si piange nel sonno se si sta
bene.
Kibum
non stava bene.
Non
voleva più vedere Kibum
piangere.
Non
voleva più farlo piangere.
Era
stato molto più semplice, a mezzogiorno e mezzo, non
ritornare a casa, non vederlo, non scontrarsi con i suoi occhi
sofferenti.
Eppure prima o poi ci avrebbe dovuto fare ritorno.
Finito
la giornata lavorativa, gli mancò ancora una volta il
coraggio di tornare e se ne andò al solito bar, dove beveva una birra
insieme
agli amici.
Aveva
incontrato Minho, con cui aveva bevuto e chiacchierato
per una buona ora e poi aveva rivisto la stronza, che, nonostante si
stesse facendo
il suo nuovo ragazzo, continuava a lanciargli qualche sguardo languido.
Se
n’era accorto anche Minho e, affettuosamente, gli aveva
dato una pacca sulla spalla.
“Jonghyun,
non ti fare il sangue amaro per quella… vai a casa
da Kibum, rimanere qui non ti fa bene.”
“L’ho
tradito con quella.”
“Sei
pentito?”
“Sì.”
“Torna
a casa. Pensarci non ti farà star meglio, ma forse…
dovresti dirlo a Kibum.”
“E
rischiare di perderlo?!”
“E
così non rischi di più? Quante volte dovrai venire a bere
qui, guardare quella e punirti per il tuo errore? Lo stai facendo
pagare anche
a Kibum.”
“Non
voglio perderlo.”
“Torna
a casa Jonghyun e sii sincero con lui.”
“Credi
che mi perdonerà?”
“Hai
solo un modo per scoprirlo.”
“Ho
paura.”
“Tutti
abbiamo paura di qualcosa.”
Minho
gli sorrise e Jonghyun gli fu grato di questo. Lui
c’era sempre, c’era stato anche in quel momento. Da quanti anni gli era
vicino?
Sette. Era sempre stato il suo migliore amico e sempre l’aveva aiutato.
Lo
fa anche ora. Ora che Jonghyun
si sente un pezzo di merda.
Ma
i veri amici ti stanno vicino
sempre.
Soprattutto
nei momenti in cui tu
ti senti una merda.
“Io
sono davvero un pezzo di
merda.”
~
Inserì
le chiavi di casa nella toppa e le girò velocemente.
Credeva di trovarlo lì, invece non c’era. Non se l’aspettava, anzi.
Solitamente
lui era lì, con la cena pronta, con un sorriso dolce in viso, la tv
accesa e un
profumo dolce nell’aria.
Quello
però era delle candele
profumate.
A
Kibum piacevano tanto, perché non sopportava sentire
l’odore del cibo in casa. A Jonghyun invece non dispiaceva affatto
l’odore del
cibo, ma aveva sempre trovato molto carino il vedere la candela accesa
e
sentirne il profumo, ritrovandosi poco dopo le braccia di Kibum attorno
al collo
e le sue labbra sulle proprie.
Ma
questo era prima.
Prima
del bacio con la stronza.
A
poco a poco, dopo, aveva iniziato a dargli fastidio il
profumo, la luce fioca e anche quel bacio che non credeva di meritare.
Ma
non era solo un bacio?
Non
si dava pace, ma aveva
resistito per tutto quel tempo.
E
adesso?
Adesso…
ogni cosa sembra
orribile.
Si
sedette di fronte al posto vuoto di Kibum. Sguardo perso,
mani sotto il mento, fissava quel vuoto cercando di ricordare ogni
momento.
Tutte
le volte che Kibum gli aveva sorriso lì, tutte le volte
che l’aveva guardato imbronciato e poi si alzava, andando a sedersi
sulle sue
gambe e baciandolo subito dopo.
Tutte
le volte che erano stati un
“noi” ed ora invece… cos’erano?
Ora
siamo tu ed io.
***
Aveva
cominciato a sudare freddo non appena Taemin l’aveva
salutato e si erano divisi. Aveva già voglia di rivederlo ma… Jonghyun?
Non
corse stavolta, forse… andava bene così. In qualche modo
aveva cominciato a pensare che, se si fosse ritagliato un piccolo
angolo di
casa che non fosse realmente la casa in cui viveva, tutto sarebbe
andato meglio.
Non
sapeva però come c’era arrivato a quella conclusione, ma
l’aveva fatto, forse tra un ingrediente e l’altro.
Con
Taemin stava bene, ma con Jonghyun doveva viverci. Si
amavano, dopotutto. Perciò gli serviva qualcosa per star bene, se
nient’altro
lo faceva star bene.
Stai
cercando di scappare dai
problemi, Kibum?
“Voglio
solo essere un po’
felice… tutto qui.”
Lo
disse sussurrando, il suo pensiero, entrando in casa… la
porta era aperta. Non ci fece molto caso, ma quando vide Jonghyun
seduto lì,
con lo sguardo spento, si sentì gelare il sangue.
Rabbrividì
e si bloccò lì, tra
l’entrata ed il tavolo della minuscola sala da pranzo.
Di
certo non s’aspettava che Jonghyun si girasse e gli
facesse mezzo sorriso, come non si aspettava di sorridere a sua volta e
riuscire ad avvicinarsi e abbracciarlo.
Si
stavano abbracciando.
Si
stavano stringendo un po’ più
forte del solito.
Taemin,
allora fai bene.
***
È
sempre questa la sensazione.
Sento
di perderti, poi ti
ritrovo.
Ti
perdo e poi ti ritrovo ancora.
È
tutto così strano, ma se ti
guardo negli occhi,
se
ti guardo davvero…
sento
che la tua felicità non
dipende da me.
Mi
fa male.
Ma
in fondo… lo merito.
~
“Dove
sei stato Kibum?”
Erano
giorni ormai che rincasava tardi e quel giorno Jonghyun
voleva starci anche a pranzo con lui. Non voleva passare solo la sera
con lui,
voleva recuperare anche le piccole abitudini del pranzo, magari
aggiungendo un
qualcosa di bello e dolce.
Non
gli aveva mai chiesto nulla del fatto che la sera
ritornasse col sorriso sulle labbra, sapendo che non era merito suo,
anche se tra
di loro, in qualche modo, era tutto
migliorato.
Erano
stati cinque giorni all’insegna della dolcezza
ritrovata di Kibum. Baci, coccole, qualche tenerezza davanti alla tv e
anche finché
facevano l’amore.
La
voragine si stava richiudendo?
Perché
mai avrebbe dovuto dirgli del tradimento? Stava
ritornando tutto alla normalità e Jonghyun non voleva distruggere nulla
con una
verità brutta e scomoda e, in fondo, avrebbe anche potuto tenere dentro
di sé quel
pezzo di verità senza importanza. Solo che gli dava fastidio vederlo
con un
sorriso che non era causato da lui.
Al
di là della sua fottuta colpa
e dei meriti che non aveva, era geloso.
Tanto.
Tantissimissimo,
così vedeva il suo
amore alla pari di quello di Kibum.
***
Kibum,
stava per andarsene, quel venerdì mattina era in
ritardo. Taemin si sarebbe di certo preoccupato non vedendolo arrivare.
Non
gli piaceva mancare al suo appuntamento. Sembrava così
strano ma, nel giro di pochissimi giorni, quella meravigliosa
sensazione di
sentirsi a casa era diventata irrinunciabile.
Forse
lui lo era
diventato.
Non
lo sapeva, non voleva chiederselo e forse era meglio…
anche se… stava davvero bene con Taemin. Non sentiva più così tanto
freddo,
forse nemmeno lo sentiva più.
L’inverno
se n’era andato?
Era
a testa bassa in quell’attimo, stava armeggiando col
cellulare per vedere se Jonghyun gli aveva mandato quel messaggio,
uguale a
quello dei giorni prima, invece… dovette alzare la testa, perché la
porta si
aprì praticamente un attimo dopo aver sentito le chiavi girare nella
toppa.
Manda
giù a vuoto.
Sbianca
e suda freddo.
Fa
un sorriso forzato.
Jonghyun
entra con un mazzo di
fiori in mano.
Lo
vede e s’incupisce, il mazzo
penzola dalla sua mano.
“C-che
fai qui, Jonghyun?”
“Sono
venuto a pranzo.”
“Ma…
non tornavi a casa gli altri
giorni…”
“Volevo
stare con te. È
sbagliato?”
“No,
no… non lo è ma…”
“Ma
cosa, Kibum?”
La
gelosia sta prendendo il sopravento,
Jonghyun s’arrabbia. Lo guarda serio e Kibum… non sa cosa dire.
“Stavo
per uscire…”
“Ah
sì? E dov’è che vai ogni
giorno?”
“Non…
credo t’importi…”
“Invece
sì, non te l’avrei
chiesto, non ti pare?”
“Non
serve che ti scaldi,
Jonghyun…”
“Vai
da quel pasticcere, vero?!”
“Jonghyun…
ti ho detto che non ti
deve importare!”
“VAI
DA QUEL FIGLIO DI PUTTANA,
VERO?!”
“Jonghyun!!
Smettila!!”
“NON
SMETTO UN CAZZO KIBUM!! TI
RENDE COSì TANTO FELICE?!”
“Sì!
SONO FELICE… VOGLIO AVERE UN
Po’ DI…”
“FORZA,
DAI VAI DA LUI… COSì IO
VADO DALLA MIA AMICHETTA!!”
“Ma…
cosa… cosa stai dicendo
Jong?!”
“LEI
NON SI FA PROBLEMI A
BACIARMI!”
“Io…
mi faccio… problemi? Che
intendi dire… ci ha provato?!”
“No,
ci siamo baciati, ed è stato
bello sai?!”
Si
blocca, lo guarda. Manda giù a
vuoto e… Non dice niente… sa solo che la ferita ha smesso di
sanguinare. Non
c’è più sangue. È morto in quel preciso istante.
Lo
spera. Vuole essere morto.
Ma
perché allora fa così male?
Perché
il cuore batte ancora e fa
male da morire?
Scuote
la testa, guarda a terra.
Fa un sorriso così triste che in quell’istante a Jonghyun si ferma il
cuore.
Kibum scoppia in lacrime, singhiozza e non si ferma.
Ecco
perché.
Ecco
perché è tutto finito.
È
finito, vero?
È
finito.
È
da allora, vero?
Da
allora tutto è cambiato.
Ma
chi sono?
Chi
sono io? Perché… perché fa
così male?
Perché
mi devo sentire in colpa?
Gli
da una spinta ed esce di casa
correndo. Il mazzo di fiori che Jonghyun teneva tra le mani, cade a
terra e si
rovina… i petali sono sparsi ovunque, ma non se ne accorge. Kibum se
n’è andato
e quei fiori lì a terra sono solo tutto quello che c’era, rovinato per
sempre
da quel suo gesto, da quelle sue parole.
Aveva
lasciato parlare la gelosia.
Ancora
una volta aveva permesso a
sé stesso di ferire Kibum che non aveva nessuna colpa. L’aveva trattato
come un
traditore, quando era il primo ad aver tradito a causa dei suoi assurdi
pensieri.
Lui
l’aveva tradito veramente,
mentre Kibum aveva solo cercato di essere felice, facendo qualcosa che
gli
piaceva. Si era anche rasserenato in quei giorni, cercando di scacciare
una
colpa che non aveva.
Jonghyun
s’inginocchia a terra.
Guarda quei fiori e capisce veramente che ora è tutto finito. Non ci
saranno
altre possibilità.
I
fiori sono rovinati, non si
possono aggiustare. E lo stesso il loro amore. È questo, vero? Era la
fine.
Minho lo sapeva? No, conosce anche lui Kibum e… che direbbe ora?
Jonghyun
prende il cellulare e
non sa come fa a chiamarlo. Non vede niente perché piange. Piange così
tanto
che gli sembra un incubo quello che sta vivendo, un maledetto incubo.
Si sente
soffocare, e peggio ancora pensa a Kibum, a quello che sta passando ora
che è
scappato.
“MINHO!!”
“JONGHYUN!
CHE SUCCEDE?!”
“SONO
UNA MERDA, GLIEL’HO DETTO,
SONO STATO UN BASTARDO, GLIEL’HO DETTO!!”
“DIO
MIO, MA CHE… E’ SUCCESSO?”
“E’
SCAPPATO… GLIEL’HO DETTO COME
IL PEGGIORE DEGLI STRONZI!”
“Jonghyun…
cosa intendi?!”
“GLI
HO DETTO… CHE L’HO BACIATA E…CHE
E’ STATO BELLO!! PERCHE?! PERCHE’ L’HO FATTO?!”
“Jonghyun…
arrivo.”
***
Ti
aspetti di tutto,
tranne
che il tuo migliore amico
si comporti da idiota.
Anche
se lo conosci da anni, non
pensi che possa fare una cosa simile.
Jonghyun
è un’idiota.
Ma
come sempre, Minho corre in
suo aiuto, non può lasciarlo da solo. Non può. È una persona
fondamentale nella
sua vita.
Parte
velocissimo in macchina,
quella sua vecchia carretta che non ha ancora potuto cambiare, ma che
arriva
sempre a destinazione.
Arriva
dopo poco, anche se
salterà il pranzo. Non importa… per lui… per lui va bene qualsiasi
cosa. Sale
veloce le scale e lo trova lì a terra, inginocchiato, col viso
stravolto.
Piange.
Piange così tanto che
Minho, per la prima volta si sente impotente. Si avvicina, però,
s’inginocchia
anche lui e lo prende tra le braccia.
Piange
insieme a lui.
Perché
il tuo dolore è il mio?
***
Non
sa descrivere ciò che prova
in questo istante. Corre. Corre solamente per scappare a quella verità
così
triste. Vorrebbe tanto seminarla, vorrebbe tanto che la verità
inciampasse e
non lo seguisse più.
Ma
sai una cosa? La realtà ti
segue sempre e ti schiaffeggia come gli pare e piace.
La
realtà lo sta schiaffeggiando.
Le
guance sono talmente rosse che
fanno impressione.
Potrebbe
essere il freddo, anche
perché è senza giacca, ha solo una fottuta maglia in pile. Nemmeno la
pashmina
ha con sé, è tutto all’ingresso.
Ma
lo sente quel freddo
d’inverno?
No.
Non
è quell’inverno che sente.
Non
ha nemmeno la forza di
urlare, anche se le lacrime scendono e non si fermano. Vorrebbe non
pensarci,
corre e basta. Corre nell’unico posto che lo rende davvero felice.
Rischia
quasi di venire
investito, attraversando la strada. Sente il cuore battere e fare male,
sente i
polmoni bruciare, sente il dolore consumargli il corpo…
Arriva
fino alle gambe. Arriva
fino al cervello.
Ha
bisogno di un abbraccio.
Ha
bisogno di calore.
E
arriva in quel posto. Si ferma
lì, davanti l’entrata, giusto il tempo che Taemin lo veda e
s’irrigidisca.
Perché
Taemin già aveva capito
che qualcosa era successo.
L’ha
capito subito.
La
pasticceria, grazie al cielo è
vuota, ma non fa nemmeno in tempo a superare il bancone che Kibum entra
dentro.
La sua espressione ferita, il suo dolore, il tremore del suo corpo, gli
occhi
di opale con la nota dolorosa dentro, lo distruggono.
È
come se avesse ricevuto un
pugno in pieno stomaco.
Non
riesce a respirare.
Eppure
mantiene quell’espressione
forte, quella da uomo, nonostante quel suo viso da bambino e Kibum non
vuole
fare nient’altro se non aggrapparsi a lui, perché Taemin, in poco
tempo, è
diventato tutto ciò di cui aveva bisogno.
Taemin
allarga le braccia e Kibum
si getta letteralmente dentro.
Piange.
Taemin,
con le sue braccia, lo
stringe.
Kibum
s’aggrappa, si sente a
casa.
Ha
perso Jonghyun, ma ha un posto
dove si sente al sicuro.
Un
bacio tra i capelli, Taemin lo
trascina in laboratorio.
Kibum,
dopo qualche attimo si
riprende… lì... c’è calore, lì sta bene. È tutto così strano e…
terribile?
Eppure in qualche modo riesce a tranquillizzarsi, perché lì… lì è a
casa. Si
stacca dall’abbraccio, come se avesse bisogno di respirare.
Poggia
le mani sul bancone,
guarda il ripiano senza realmente vederlo, senza vedere cosa c’è lì
sopra. Deve
farlo, deve dirlo.
Deve
parlare e tirarlo fuori,
deve urlare al mondo, a lui, ciò che sente, ciò che fa male… perché il
cuore fa
male, segno che ancora non è morto.
Però
lì fa meno male, lì… è tutto
diverso.
“Mi
ha tradito… con la sua ex.”
Nemmeno
si accorge delle lacrime.
Guarda di nuovo il nulla e sente un macigno schiacciargli la schiena.
Vorrebbe
dire qualcosa, invece si gira solamente e lo guarda.
Guarda
Taemin che non dice nulla.
Lo guarda e ad un certo momento la testa si svuota, va in panne. Non
riesce
neppure a capire come si deve sentire.
Taemin
fa un passo, poi un altro.
Lo guarda serio, ma con una nota dolcissima di cioccolato negli occhi.
Quello
buono, quello di cui mai ti stancheresti.
Appoggia
una mano sotto il mento
di Kibum, lo scruta con attenzione.
In
questo attimo lo capisce
meglio di chiunque altro.
È
come un bambino, quando perde i
suoi genitori.
È
un amore diverso, ma è sempre
amore.
È
quel qualcosa di grande che ha
conosciuto, ma l’ha sentito con i suoi genitori.
Sente
che vuole dargli qualcosa
di grande, perché i suoi occhi sono troppo belli per versare lacrime,
sono
troppo belli per perdere quella meravigliosa nota calda degli opali più
belli.
Sente
con lui qualcosa che lo
rende pieno, sente qualcosa di più rispetto a “lei”.
Non
sa se è giusto, né se è
sbagliato.
Non
sa nemmeno come si fa, sa
soltanto che vuole farlo.
Le
sue labbra raggiungono quelle
di Kibum, si poggiano leggere sulle sue.
Rimane
lì per un tempo indefinito
e Kibum…
Chiude
gli occhi, sentendo la dolcezza
di quella torta, di lei che…
Ha
“quel qualcosa di grande che ti
fa stare bene”.
Sente Amore.
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Capitolo 9 *** Dobbiamo parlare. ***
Che dire, sono
anni, letteralmente, che non posto. Sono cambiate così tante cose che
non so nemmeno da dove cominciare. Partiamo dal mio blocco dello
scrittore, che mi ha travolto dopo la morte della persona che, per me,
era mio fratello. Non è stato la causa scatenante ma anche uno dei
motivi per i quali ho smesso. Non mi dilungherò oltre, spero di potervi
regalare qualcosa con questo nuovo capitolo di panna e cioccolato e
spero di potervi regalare qualcos altro ancora. Grazie a chi mi segue
ancora. Di cuore, grazie. <3 <3 <3
Jonghyun
stava letteralmente impazzendo dal dolore e non solo per il fatto che
lo aveva letteralmente distrutto, ma soprattutto per il fatto che gli
aveva buttato quella atroce verità addosso, quel macigno che avrebbe
dovuto tenersi dentro come punizione per non aver saputo superare le
sue paure da solo.
Invece
non aveva fatto un cazzo; era stato in grado solamente di aggiungere
altro dolore a quello già presente, come se ce ne fosse stato
bisogno, ed oltretutto lo aveva fatto nel peggiore dei modi.
Se
proprio doveva confessare quella verità, avrebbe dovuto creare un
momento opportuno, invece gliel'aveva gettata addosso in un modo che,
umanamente, era stato molto più che vergognoso. Nemmeno le braccia
del suo migliore amico di sempre lo avevano aiutato a stare meglio.
Minho
lo stringeva, lo accarezzava, ma nulla riusciva a calmarlo. Piangeva,
piangeva come quando un bambino perde qualcosa di prezioso, quando
sente che gli manca la terra sotto i piedi.
Piangeva
e si sentiva terribilmente perso.
Minho,
dal canto suo, non poteva far altro che rimanere lì; sapeva che
Jonghyun era idiota, ma tutta la sua vita non si riduceva solo alle
cazzate che aveva fatto. Erano pesanti e non vi era alcun dubbio,
però non era solo una persona idiota. Doveva crescere, maturare,
capire.
Sospirò,
mentre la mano passava tra i suoi capelli. I singhiozzi che
scuotevano il corpo del maggiore vibravano fin dentro il corpo
dell'altro, che sentiva un dolore simile al suo.
E
se gliel'avessi detto, chissà cos'avrebbe pensato di me.
Aveva
il gusto più dolce che avesse mai sentito; assomigliava tanto a quel
dolce insieme fatto di panna e cioccolato, morbido, ma con quella
nota forte che si sentiva proprio in fondo, come quando la torta si
scioglie in bocca e scende in gola, lasciando quel sapore che
difficilmente se ne va.
Aveva
il sapore di un abbraccio, del calore calore di una carezza, la
dolcezza di un qualcosa che Kibum aveva scordato. Perché lui, di
casa, ne aveva provato veramente una sola e forse...
Si
rifiutò di pensare in quel momento, poiché le loro labbra erano
ancora impegnate a toccarsi con estrema lentezza. La mano di Kibum si
poggiò sul petto del minore; lenta e delicata si spostò per
accarezzare quel petto che era ben più ampio di ciò che avrebbe mai
immaginato.
E
poi era così sicuro di sé che era riuscito a far mettere da parte
la paura a Kibum per qualche meraviglioso istante.
Taemin
aprì gli occhi lentamente, puntandoli immediatamente in quelli di
opale del ragazzo che ancora teneva stretto, rimanendo in silenzio.
Si stava beando del momento senza dover necessariamente interromperlo
con la voce.
Ma
Kibum, con gli occhi smarriti che correvano sui suoi, boccheggiò
appena. Cos'erano quelle emozioni che sentiva dentro?
E quelle labbra? Quegli occhi
che stava ancora osservando, nei quali ci si stava letteralmente
perso?
Notò
il lieve sorriso aprirsi nel viso del più giovane, e
la mano gentile di Kibum, dal petto, scivolò delicatamente sul collo
e sulla guancia, donando una meravigliosa sensazione di calore a
Taemin.
«
Forse… forse dovrei andare a casa. »
ma quale casa. La sua casa si era miseramente sgretolata sotto i
piedi dopo aver saputo del tradimento. Si morse il labbro talmente
forte che credette di sanguinare, ma il più piccolo, veloce e sempre
con delicatezza, col pollice, liberò da quella morsa il labbro di
occhi di opale.
«
Forse dovresti restare. »
sussurrarono le sue labbra, le
mani ancora strette in una presa sicura.
Forse
aveva ragione lui, pensò
Kibum in quel momento, non
avrebbe potuto
affrontare Jonghyun ed anzi,
forse non lo voleva nemmeno. Era stato un fulmine a ciel sereno ed
aveva freddo lì fuori. All'improvviso si era scatenata una tormenta
nel suo mondo ed aveva corso fino a che non aveva trovato un riparo
caldo, sicuro e non aveva voglia di andarsene da lì.
Il
freddo lo avrebbe ucciso nuovamente, nonostante sapesse benissimo che
avrebbe dovuto affrontare le ultime macerie rimaste; annuì, e gli fu
grato per averlo accolto nel suo mondo, regalandogli un sorriso
dolce, di quelli che ultimamente non faceva più.
Conscio
di quella pace, di quel calore, poggiò la fronte sul petto del
giovane che mai aveva smesso di stringerlo, dimenticandosi
dell'inverno fuori da quella porta.
Continuare
a struggersi nel dolore non avrebbe cambiato nulla di quello che era
successo. Smise di piangere, cercò di scostarsi di dosso l'amico
senza accorgersi di come Minho stesse male.
«
Devo… devo cercarlo e spiegarli tutto… »
mormorò tra uno singhiozzo e l'altro, cercando di tirarsi su,
lasciando il più giovane lì a terra a guardarlo; non poteva
spiegargli nulla, sarebbe stato sciocco. Avrebbe portato con sé il
proprio dolore, condividendo, invece,
quello dell'amico. Era
lui che aveva bisogno, adesso.
Minho
si alzò da terra e cercò di sorreggerlo; essendo più alto riusciva
a prenderlo per le spalle ed a tenerlo su con poco sforzo.
«
Non adesso, Jonghyun. »
«
Non adesso? NON. ADESSO? E QUANDO, EH? QUANDO! »
lo sguardo carico d'odio e la spinta che gli aveva assestato, fecero
capire al ragazzo quanto fosse disperato il più grande. Lo capiva,
sentiva un dolore lacerante squarciargli il cuore ma sapeva, -
fortunatamente era più lucido -, che sarebbe la più grande cazzata
che poteva fare.
Credeva
davvero che Kibum si sarebbe lasciato trovare? Ed anche se fosse,
avrebbe voluto parlargli? No, con ogni probabilità.
Prese
un respiro e lo guardò negli occhi. Cercò di mantenere uno
sguardo serio e deciso, convinto che nessuna delle proprie emozioni
sarebbe trasparita dai propri occhi, anche se, in realtà non era
così e si vedeva benissimo. Jonghyun, però, in quel momento era
decisamente troppo accecato dal proprio dolore per poter preoccuparsi
di qualcuno che non fosse lui stesso e Kibum.
Kibum,
Kibum. Dov'era Kibum? E se fosse andato là?
Avrebbe
di certo perso la testa, avrebbe spaccato tutto perché no, non
voleva fosse da lui, ma sapeva benissimo che non c'era altro
posto dove sarebbe andato.
Era
questo che si meritava? Sì, se lo meritava. E per quanto si
ostinasse a pensare che Kibum non poteva essere da quel ragazzo, il
suo cuore glielo aveva già detto che era esattamente così.
In
un moto d'ira prese la prima cosa a caso, un porta foto, con la loro
foto, e lo scagliò contro il muro, frantumandolo.
Ecco,
quella era la realtà, quello era ciò che aveva fatto ben sei mesi
prima, con quel bacio che la
sua ex gli aveva dato, a cui
aveva risposto, a quella verità che aveva sputato addosso a
Kibum ferendolo a morte.
Lo
aveva ucciso lui ed ora pretendeva anche di riportarlo in vita? Dopo
tutto il male che gli aveva fatto? La verità era che sapeva
benissimo di non meritarlo, perché l'amore era rispettare la persona
che aveva accanto, ma le sue insicurezze lo avevano portato a cercare
rassicurazioni in ogni cosa, persino in quel momento.
Lo
amava. Lo amava come non aveva mai amato nessuno e come forse non
avrebbe amato più nessuno, e come tutti gli idioti se ne accorgeva
troppo tardi.
Non
aveva solo aperto una voragine, l'aveva fatta diventare talmente
grande da rendere impossibile risanarla.
«
Non posso… non posso perderlo. »
si chinò a prendere la loro foto coperta da vetri e gli parve di
vedere solamente quello che era stato e quello che non era più.
La
pulì con le mani che tremavano e, senza accorgersene, ritornò a
piangere silenziosamente.
«
Sono stupido.»
Sei
stupido, Jonghyun. Non ti accorgi di niente. Non ti sei mai accorto
di niente.
Ore
lente,
ore
veloci.
Ore
di dolore,
ore
di semplice dolcezza.
Ore
d'angoscia,
ore
di tenerezza.
Minho
guardava il suo migliore amico senza proferire parola; solamente lo
sguardo preoccupato vagava in ogni dove, alla ricerca di un punto in
cui aggrapparsi, per poterlo aiutare a riprendersi.
Era
estremamente difficile farlo e ciò non faceva altro che crescere il
suo senso d'impotenza. Eppure era lì, non lo aveva lasciato solo
nemmeno un momento, si stava comportando come il migliore degli amici
anche se c'era qualcos altro di più grande.
Gli
faceva così male da togliergli il respiro, eppure non aveva mostrato
nulla, se non lo sguardo triste e delle lacrime traditrici che
Jonghyun non aveva saputo interpretare.
La
porta di casa s'aprì verso le 22:56, quando Jonghyun ormai aveva
perso il senno mille volte, e milleuna era ritornato in sé e sempre
più triste, più disperato, più confuso.
Il
volto di Kibum gli parve quasi un'apparizione: era seduto sulla
sedia, rannicchiato e con i gomiti sul tavolo, mani sul viso - e
l'amico seduto sul divano, in attesa assieme a lui-, quando sentì il
rumore della porta che s'apriva.
Si
alzò di scatto e con gli occhi sgranati guardò verso l'ingresso,
col cuore martellante che gli era finito in gola.
«
Ki.. Ki… » balbettò senza
ritegno, mentre il ragazzo entrava piano, in punta di piedi quasi,
come se stesse attento a non rompere qualcosa. Ma cosa? Era già
tutto rotto lì attorno e non solo i fiori a terra o il portafoto.
No, non era quello che era rotto, era quello che c'era tra di loro
che si era sgretolato come se fosse stato un muro fine di sabbia.
Sospirò,
si sistemò la pashmina ma non si tolse la giacca – non sua,
gliel'aveva prestata il giovane pasticcere – e lui stesso provò un
misto tra vergogna e disagio, che gli fece mordere il labbro
inferiore. E poi c'era Minho, che sapeva tutto, ma di Kibum non
sapeva niente e forse non avrebbe mai saputo niente.
Lo
salutò con un cenno del capo, al quale il moro rispose con una lieve
smorfia della bocca, alzandosi pronto ad uscire dalla scena ed anche
dalla vita dei due.
«
E' meglio che vada. » disse, e
con un lieve cenno della mano, salutò entrambi. Jonghyun lo guardò,
ma non disse nulla, probabilmente troppo preso dal suo grande amore
che, finalmente, aveva lì davanti. Avrebbe voluto dire tante cose,
avrebbe voluto parlare e raccontargli tutto.
Forse
era arrivato veramente il momento di dire ogni cosa, parlare,
spiegare come si era sentito lui allora, quali erano quelle
insicurezze, e forse, ma solo forse, avrebbero potuto recuperare ogni
cosa.
Magari
con una colla speciale che rende le crepe più belle, in un vaso
rotto. Magari insieme avrebbero raccolto quei cocci e creato un vaso
più bello, particolare perché pieno di storia e di sentimenti.
O
magari avrebbero buttato tutto, come si sarebbe meritato davvero.
Jonghyun
si umettò le labbra, pronto a parlare dopo aver preso un enorme
respiro, ma fu Kibum a fermarlo. I suoi occhi erano ancora tristi,
persi, le sue labbra erano forse pronte a dire quello che non si
voleva sentire dire, ma non lo fermò.
«
Dobbiamo parlare, Jonghyun. Di tutto. »
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