Panna e Cioccolato

di neesama
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cos'è questa cosa che sento dentro? ***
Capitolo 2: *** I tuoi occhi non li dimenticherò mai... ***
Capitolo 3: *** Sorrido per te... ***
Capitolo 4: *** Un battito... solo mio! ***
Capitolo 5: *** Torna da me... Spiegamelo. ***
Capitolo 6: *** Vieni, ti mostro un pezzo del mio cuore… ora so come chiamarlo… ***
Capitolo 7: *** E' davvero giusto così? ***
Capitolo 8: *** La realtà ti segue sempre e ti schiaffeggia come gli pare e piace. ***
Capitolo 9: *** Dobbiamo parlare. ***



Capitolo 1
*** Cos'è questa cosa che sento dentro? ***


Saaaaaalve! Si, ok, forse dovrei suicidarmi perchè inizio la quarta ff senza averne terminata una ma... dovevo farlo. Beh, ultimamente era stato difficile scrivere. Non ci riuscivo quasi più. Voi direte: ma cosa? ma se hai postato ecc e poi son belli i cap ecc... grazie di cuore per questo ma, davvero, era diventato difficile. Periodo orribile e snervante, e stavo così male che non riuscivo a fare nulla. Poi ho conosciuto tantissime persone belle che mi hanno alleggerito il cuore, e una, la mia cara 2min a cui è dedicata questa ff, mi ha fatto venir voglia di scrivere questa. è stato stranissimo, ma ho sentito qualcosa dentro smuoversi e sono partita in quarta. Mi sento meglio e mi tremano le mani perchè questa è come una rinascita! Mi batte così forte il cuore che mi sento male XD ecco, per farvi capire che ci tengo in maniera speciale, come a "senti che bel rumore" quindi grazie a chi la legge, recensisce, o la mette tra le preferite. E grazie soprattutto a 2min che mi sta seguendo a manetta con questa ff!! Tesoro, è tutta tua!! TVB ♥♥♥




Stava per arrivare nuovamente l’inverno, l’autunno invece era già arrivato da un po’. Era così strano, colorato di rosso e giallo, le note sfumature marroni che s’intrecciavano con le altre creando colori così belli ma che sapevano anche di qualcosa di triste, di un qualcosa che doveva finire.

Era autunno da un bel po’ e un giovane di nome Lee Taemin, vent’anni appena compiuti, era già titolare di una pasticceria. Non era “una” pasticceria qualsiasi, ma “la” pasticceria. Sì, perché era la più rinomata di tutta Seoul. Keulim & Chokollis, questo era il nome. Ed è la migliore ancora oggi, forse anche più di allora, di quando la gestivano loro.

Keulim & Chokollis era dei suoi nonni, pasticceri anche loro da anni ed avevano tramandato il lavoro anche al loro unico figlio. Solo che sfortunatamente lui morì di una grave malattia e poco dopo morì anche la moglie, debilitata e straziata dal dolore per aver perso il compagno della sua vita.

A nulla era valso cercare di riprendersi per quel figlio che lei e suo marito avevano avuto quindici anni prima, Taemin. Si lasciò semplicemente divorare dal dolore perché senza di lui, senza suo marito, non riusciva a vivere.

Succede qualche volta e chi ne paga le conseguenze sono i figli.

Taemin soffrì tanto per i suoi genitori, e data l’età critica tutti pensarono, psicologi compresi, che avrebbe odiato sua madre. Invece lui cercò di capirla. Cercò di capire quel sentimento che l’aveva spinta a lasciarsi andare. E cercò anche di dargli un nome.

Anche se comunque era un po’ confuso, con l’amore incondizionato dei nonni riuscì in qualche modo a diventare grande, forte. Ed all’età di vent’anni era già un uomo bello e fatto.

Bellissimo, non solo bello… bello è un puro e semplice eufemismo. E anche molto, molto affascinante… eppure aveva sempre quel dolce sorriso, come talvolta lo sguardo da ragazzino che in fondo in fondo ancora un po’ era.

Molte clienti andavano lì solo per vedere il suo sorriso, per guardarlo, per parlarci e qualcuna anche per provarci. Ma a lui non interessava nulla e non dava modo a nessuna di loro di avvicinarsi alla sua sfera intima, perciò come provavano a fare un passo verso di lui, dovevano subito farne altri due indietro.

Non gli era mai realmente importato di intraprendere una relazione, soprattutto dopo quello che era successo ai suoi genitori. Non che ne soffrisse ancora, anzi, aveva superato tutto abbastanza bene grazie ai nonni. Ma non era ancora riuscito a comprendere quel sentimento che li legava così tanto da morire l’una per l’altro. Non lo comprendeva e nemmeno lo cercava.

A lui interessava solo quello che aveva sempre fatto: i dolci.

Aveva studiato per poter essere pasticcere e lo era diventato.

Ma l’amore per quelle creazioni ce l’aveva dentro…

Li amava tanto… per lui creare qualcosa con le mani significava arte o forse anche qualcosa di più grande e indefinito. Era qualcosa di sublime poter vedere le decorazioni fatte con la frutta, o magari con la glassa, improvvisandosi pittore di una torta e creare qualcosa che risultava stupefacente anche per gli occhi.

Sì, perché in un dolce non è importante solo il gusto, ma anche la vista. Un dolce deve piacere prima con l’occhio, rasserenare, farti capire che è buono…

Deve saper conquistare.

Proprio come gli occhi di una persona…

Taemin pensava questo. E trasmetteva amore nel suo creare dolci, quasi avessero un anima propria una volta fatti. Per lui ce l’avevano, per lui i dolci erano e sono ancora oggi un qualcosa che parla d’amore.

Ma allora non sapeva che si chiamasse amore.

Oggi sa dire amore, ma allora diceva “qualcosa di grande che ti fa stare bene”

Solo che allora non riusciva a capire il perché di questo, lui sapeva che era così e basta. E non gli era nemmeno pesato per un solo secondo il fatto di dover uscire presto la mattina e rincasare tardi la sera per preparare quei dolci che amava.

Forse d’amore gli bastava solo quello, lui ne era più che convinto.

Anzi, a lui bastava quel qualcosa di grande per stare bene.

***

Anche quella mattina, come ogni mattina, s’era alzato presto. Sorriso sulle labbra, occhi vispi e felici, doccia veloce e poi corsa, dall’appartamento in cui viveva da solo, fino alla pasticceria. Il sole era appena sorto, in quella mattina d’autunno, e lui sorrideva alzando la saracinesca.

Aveva aperto la pasticceria e, come al solito, attendeva l’arrivo dei clienti abituali. In molti venivano a fare colazione lì da anni e lui li conosceva praticamente tutti.

Ma di clienti nuovi, grazie al fatto che era la migliore pasticceria di tutta Seoul, ne arrivavano a bizzeffe. Ed erano sempre tanti.

Stranamente quella mattina fu tranquilla. Taemin si aggirava beatamente di là in laboratorio a controllare i suoi dolci, qualche cioccolatino e anche le cialde preparate da mettere sopra le torte, quando il suono dolce di quei campanellini, che aveva appeso alla porta, annunciò l’ingresso di due nuovi clienti.

Uscì dal laboratorio, dove c’erano tre suoi collaboratori, a passo svelto. Serviva sempre lui tutti, ci teneva troppo, perché voleva servire lui ogni pezzo di sé. In fondo quelle creazioni, erano tutte sue idee e prima che i collaboratori ci potessero mettere le mani sopra, lui doveva controllare tutto e spiegare ogni singola cosa.

“Arrivo!” annunciò allegramente, finché vide quei due giovani sedersi ad uno dei tanti tavolini per fare colazione.

***

“Jonghyun muoviti!!” sbuffò girandosi, con l’aria un po’ spazientita “Ho fame e poi dobbiamo andare a comprare le tende nuove!” continuò subito dopo per convincere il suo ragazzo a fare più svelto.

“Dai Kibumie rilassati, poi chissenefrega delle tende mh?” rispose in una maniera un po’ strana, ma Kibum cercò di non badarci più di tanto.

“A me importa, sono orribili!”

“Questo lo dici tu!”

“Jong, fanno schifo!”

“A me piacciono! Non capisco perché vuoi cambiare ogni cosa di casa mia!”

“Non è che voglio cambiare ogni cosa di casa tua… ma sai ci abito anch’io e mi sembra di essere un ospite…” e finché lo disse s’affiancò al suo ragazzo e lo guardò. E Jonghyun parlò, guardando di fronte a sé, senza sostenere lo sguardo del ragazzo che aveva a fianco.

“Forse dovevamo aspettare ancora un po’ per andare a vivere insieme…”

Kibum si bloccò a quelle parole. Sgranò gli occhi e si sentì girare la testa. Ma fu solo per un attimo, si riprese e continuò a camminare vicino a lui, mentre il suo sguardo triste si poggiava sull’asfalto. Era inutile, lo sapeva bene anche lui, da quando erano andati a convivere qualcosa non andava più bene.

Si erano raffreddati, si erano allontanati un po’ e a chi toccava fare il passo era sempre e solo Kibum. Sì, perché a lui sembrava che a Jonghyun andasse bene così. Sembrava che a volte non gli importasse nulla di niente. E soprattutto di lui.

Jonghyun dava per scontato il suo amore. Se qualcosa non andava, faceva finta di nulla e diceva sempre quella maledetta frase “Forse dovevamo aspettare ancora un po’ per andare a vivere insieme”. Sembrava quasi fosse la sua frase preferita.

E ogni volta per Kibum era una pugnalata al cuore.

Jonghyun non si era mai reso conto di quanto Kibum l’amasse, di quante cose facesse per lui. In fondo era un po’ così: pensava di dimostrargli amore, invece non gli dimostrava un bel niente.

Non un fiore, non una lettera, neanche un regalo. Kibum ci soffriva, ma pensava che fosse normale dopotutto. Ormai erano tre anni che erano insieme, e convivevano da sei mesi, le carinerie si lasciano ai primi tempi, questo almeno se lo ripeteva di continuo per farsene una ragione, anche se gli dispiaceva.

Eppure la nota stonata che sentiva nel profondo del suo cuore, non lo lasciava tranquillo.

Si stava mordendo il labbro nervosamente e ancora una volta Jonghyun non se n’era accorto. Tremava anche di freddo ma neppure di quello s’era accorto. Stava arrivando l’inverno e forse… forse stava arrivando anche al cuore di Kibum, così stanco e stremato.

Aveva battuto tanto tempo forte per Jonghyun, ma poi non erano riusciti ad alimentare sempre il fuoco dell’amore. Tre anni, ma il freddo dell’inverno stava spegnendo quel fuoco. Kibum in quel preciso istante si chiese se mai avrebbe potuto alimentare di nuovo quel fuoco, insieme al ragazzo che aveva sempre pensato fosse l’uomo della sua vita.

Ma non ne era poi così sicuro.

Eppure lo voleva tanto.

***

Lo vedeva tremare e lo voleva abbracciare. Sapeva di averlo ferito con quella frase idiota che gli usciva fin troppo spesso ultimamente, ma non aveva il coraggio di farlo.

Si erano staccati un po’ e lo sapeva fin troppo bene. Ma non era in grado di risanare quella ferita, non era in grado di accorciare quella distanza che li separava. Non ci riusciva. Non si sentiva sereno e non sapeva nemmeno il perché. Certo, il lavoro non l’aiutava e nemmeno che la sua ex si facesse risentire.

Anzi, forse era quello che più l’angosciava. L’aveva rivista, lei gli voleva parlare e… era scappato un bacio. Al quale lui aveva risposto. Ma poi si era sentito un grande pezzo di merda e l’aveva mandata al diavolo. Lui amava Kibum però era da quel giorno che si era bloccato.

Era stato quel giorno che gli aveva chiesto di convivere, probabilmente preso da quel senso di colpa. Era stato quel giorno che Kibum aveva fatto le valigie ed era andato da lui. Ma era stato l’inizio del declino.

Non aveva significato alcuno quel bacio, era stato solo un bacio campato all’aria, forse lei, con la sua voglia di fare la stronza, aveva fatto qualcosa per confonderlo e alla fine c’era riuscita.

Ma se ami una persona veramente non la tradisci…

Oppure no?

Può succedere comunque, anche se la ami?

Probabilmente sì. In fondo era solo un bacio. Ma se lo chiedeva ogni tanto il perché lui aveva risposto alle telefonate della sua ex ed era andato a quell’incontro. E anche perché alla fine aveva risposto a quel fottutissimo bacio.

E tutto si stava disintegrando. Non voleva perderlo, lo amava, però aveva paura. Troppa. Ed era finito col negargli ogni dolcezza, facendo ricadere la colpa su di lui.

Anche quando facevano l’amore era abbastanza meccanico, ma sembrava fossero soddisfatti entrambi. Eppure il qualcosa che non andava c’era sempre, anche lì. Doveva e voleva fare qualcosa, ma non ci riusciva.

Voleva farlo, ma le uniche parole che gli uscivano erano le solite e per giunta idiote. Forse l’avrebbe perso, ma non riusciva a muovere un solo passo verso di lui, e questo lo faceva incazzare a morte. Si incazzava anche con Kibum, spesso così troppo remissivo e senza carattere.

Sapeva che non ne aveva colpa e sapeva perfettamente che se lui era dolce e remissivo, lo faceva per lui. Però quando incrociava i suoi occhi con una piega così dannatamente triste, voleva sprofondare, perché lo faceva soffrire.

Ci sarebbe stato mai il momento in cui sarebbe riuscito a riconquistarlo? Sentiva anche lui l’inverno avvicinarsi, stretto in quella giacca un po’ troppo sottile ormai. Aveva freddo, ma non sapeva come scaldarsi.

Aveva freddo anche lui ma non sapeva come scaldarlo.

Avevano freddo entrambi e non avevano capito che bastava stringersi per sentirsi al caldo.

Magari stringersi con una parola, con un ti amo.

Quello che da tempo nessuno dei due diceva più.

***

Due soli passi ed arrivarono lì, di fronte alla famosa pasticceria di Seoul. Non c’erano mai andati e, stranamente, Kibum aveva deciso di andarci proprio quel giorno.

Forse avevano bisogno di staccare, di fare qualcosa di diverso, di farsi una coccola, di poter dedicarsi un po’ a loro, e quello sicuramente era un inizio.

Da quanto tempo non uscivano da soli? I sabati e le domeniche uscivano sempre in compagnia di amici, oppure si rintanavano in casa, magari uno sul divano e l’altro? A fare pulizie. Non era poi così difficile capire chi dei due stava sul divano e chi faceva le pulizie.

Fu Jonghyun ad aprire la porta, e ci provò a fare qualcosa, sforzandosi di ricacciare dentro quei sensi di colpa e provando a dire basta. Una cosa piccola in realtà, magari banale, ma comunque sempre un piccolo inizio.

Tenne aperta la porta e lo fece entrare.

Le guance di Kibum si colorirono un po’ per quel gesto inaspettato. Si sorprese davvero e lo guardò con gli occhi di un cucciolo impaurito. Da quanto aspettava un piccolo gesto da parte sua? E per quanto poco fosse, comunque aveva sentito meno freddo.

Tremava ancora, l’inverno non avrebbe potuto sconfiggerlo solo con un po’ di calore, ma forse, se entrambi fossero stati in grado di alimentare di nuovo quel fuoco insieme, forse sarebbe stato anche meglio di prima.

A volte per ritrovarsi bisogna perdersi.

A volte ti trova qualcun altro.

Ma non era il loro caso, almeno nessuno dei due lo credeva possibile…

O forse speravano solo che non succedesse…

***

Era un locale bellissimo. Era un posto che trasmetteva calore ed in qualche modo serenità, oltre che semplicità. Era semplice in qualsiasi cosa, a cominciare dalla vetrina dov’erano esposti i dolci fino ad arrivare all’arredamento. E poi le pareti. Non era un posto così grande, ma abbastanza per contenere più tavolini, ma di certo sembrava più grande con quel colore. Non era un colore forte, era un giallo tenue, un giallo con striature arancio e rosa. Da lontano non si vedeva, ma si percepiva un colore totalmente diverso da quello che era in realtà.

Un miscuglio di tre colori.

Le sedie invece erano verde chiarissimo, pastello, ed i tavolini di una tonalità gialla chiarissima.

Sembrava un prato, un giorno di sole, quel calore che anche d’inverno non ti abbandona mai. Una farfalla che vola leggera di fiore in fiore, una dolce carezza che si posa sul cuore.

Caldo, amore, conforto.

Una sensazione bellissima.

Si sedettero al secondo tavolo, quello vicino alla colonna dove subito dietro c’era l’espositore dei cioccolatini. Da poteva vedere ogni tipo di dolce!

Jonghyun e Kibum si sedettero uno di fronte all’altro e si guardarono un attimo negli occhi.

Un accenno di sorriso e poi comparve lui…

“Prego, cosa volete ordinare?” esclamò sorridente e allegro quel ragazzo bellissimo dai capelli tinti. Il suo sguardo si spostò prima su quello di Jonghyun, sempre sorridendo, e poi su quello di Kibum.

E quando i loro occhi s’incrociarono, qualcosa successe.

Una scossa, un brivido.

Caldo.

Sole.

Primavera.

Profumo di qualcosa di dolce.

Taemin e Kibum.

Rimasero a fissarsi per un tempo forse breve, forse lungo. Qualcosa l’incatenò, qualcosa gli impediva di separarsi.

Uno sguardo che cambia improvvisamente il senso della tua vita.

Un qualcosa di totalmente diverso.

Cos’è questa cosa che sento dentro?

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Capitolo 2
*** I tuoi occhi non li dimenticherò mai... ***


Ciao a tutte!! Eccomi col secondo capitolo jojòxlzszsan Ecco, sono emozionata di nuovo!! Innanzitutto ringrazio chi ha recensito, chi lo farà e anche chi l'ha messa tra le preferite-seguite-ricordate. Poi volevo dedicarla alla mia piccola 2min che l'ha letto in anteprima e mi ha detto di fare veloce LOL e poi a Lee Fei Taemin che ne è stata entusiasta *___* grazieeeeeee!! E poi ci tenevo a fare una cosa: MILLE AUGURI DI BUON COMPLEANNO KIBUMIEEEEE!! ♥♥♥ E poi... forse il cap è un pò incasinato ma spero che vi piaccia!! Un bacione e vi ringrazio tantissimo di cuore!! mega chuuuu a tutte ♥♥♥

Lo guardò ancora. Quegli occhi… erano così diversi da tutti quelli che aveva visto fino ad allora. E di occhi ne aveva visti talmente tanti che quantificarne il numero sarebbe stato impossibile.

D’altronde, con tutti i clienti, sia abituali che nuovi, che andavano lì, era davvero impossibile ricordarseli.

Ma quelli lì no.

Erano diversi.

Avevano un qualcosa che li rendeva totalmente diversi dagli altri. Un taglio molto particolare, dolce ma allo stesso tempo intrigante, meravigliosamente passionali e tristi. Sì, quel colore scuro aveva una nota triste dentro.

Erano due perle scure.

O forse due meravigliosi opali neri.

Ma era sicuro, quegli occhi avevano anche altre mille note colorate. Solo che quella triste prevaleva e… si sentì triste anche lui. E non sapeva nemmeno come aveva fatto, in un solo istante, a sentirsi così profondamente attratto da quegli occhi.

Dovette sforzarsi per riprendere il controllo di sé, perché probabilmente era stato imbambolato fin troppo tempo.

Quegl’occhi… non se li sarebbe scordati mai più.

Ne era certo.

***

Cioccolato.

Questo pensava Kibum guardando i suoi occhi. Erano belli e dolci, un taglio così tenero che s’imprimeva a forza in un viso da uomo. Un uomo così affascinante. Anche i suoi occhi affascinavano, proprio per quel netto contrasto tra l’uomo che si mostrava di fronte a lui e quella dolcezza che traspariva.

Chissà se era dolce come ogni cosa, lì dentro?

E quel tono caldo, nella profondità del suo sguardo, rispecchiava perfettamente il posto in cui si trovavano. Rispecchiava tutto ciò che era… caldo, sole, primavera.

Si riscosse per un istante, sentendo il rumore della sedia di fronte a sé muoversi. Jonghyun non aveva notato il loro sguardo, o forse… forse aveva fatto finta di non notarlo. Forse si sarebbe meritato una pugnalata alla schiena, ben peggiore di uno sguardo, come aveva fatto lui con la sua ex a Kibum.

“Che ci consiglia di buono?” gli chiese facendo finta di nulla.

“Beh, qui è tutto buono!” gli rispose sorridendo “Però posso dirvi che abbiamo delle specialità che sono: Fior di crema e frutta, una pasta speciale ripiena di crema ai frutti di bosco e torta panna e cioccolato” ma quest’ultima l’esclamò guardando quel ragazzo dagli occhi di opale.

Kibum lo guardò, si perse nuovamente in quegli occhi e balbettò “t-torta… p-panna e c-cioccolato, per me…” e subito abbassò lo sguardo perché inspiegabilmente il suo cuore aveva perso un battito e aveva sentito le guance andare a fuoco. Magari solo un po’, ma… se fosse stato abbastanza perché Jonghyun se ne accorgesse?

Di litigi con lui ne aveva già abbastanza, discussioni ce n’erano state fin troppe in sei mesi di convivenza e voleva rimanere sereno, almeno per un po’.

Già prima aveva fatto un piccolo passo verso lui, non voleva di certo che tutto si rovinasse a causa di uno sguardo con uno sconosciuto!

Lo sconosciuto più bello che avesse mai visto.

Lo sconosciuto dagli occhi color cioccolato.

Lo sconosciuto che portava, nei suoi occhi, un calore che non se ne sarebbe andato mai.

“Io invece prendo la pasta speciale! E un caffè… tu Kibum?”

“Io… lo prendo anch’io il caffè…” esclamò con ben poca convinzione, guardando il suo ragazzo.

“Permettimi di portarti dell’altro…” gli disse dolcemente, cercando il suo sguardo. E Kibum lentamente si girò e lo guardò. I loro occhi s’incatenarono nuovamente e quella forza misteriosa non permise a nessuno dei due di staccarsi.

“C-cosa?” balbettò, non sapendo cos’altro prendere.

“Un the nero… la bevanda non deve rovinare il sapore della torta, deve solo esaltarlo. Me lo permetti?” continuò con quel tono dolce che trasmetteva calore.

Era come se gliel’avesse sussurrato sulle labbra. In quell’istante Kibum si sentì talmente spiazzato che riuscì a far segno di sì solo con la testa, finchè ancora lo guardava.

E Taemin l’aveva guardato ancora.

Gli aveva sorriso.

Kibum si era emozionato di nuovo e aveva abbassato lo sguardo.

E lui se n’era andato.

***

Era sparito dietro al bancone per preparare tutto. Gli dava le spalle e Kibum, alzando un po’ lo sguardo, facendo finta di guardare gli altri dolci, notò la sua schiena.

Ampia, nonostante fosse magro. E anche se stava curvo si percepiva la sua forza. Quella camicia… gli calzava fin troppo bene e si poteva intravvedere qualche accenno di muscolo.

Ci pensò un attimo, facendo il confronto tra i due ragazzi, e anche Jonghyun dal lato fisico poteva dirsi perfetto. Forse.

“Kibum, che guardi?”

“Chissà… se quei dolci li fa lui…”

“Che te ne frega scusa?”

“Eh? No è che… beh è giovane! Pensi che li faccia?”

“Non lo so, e nemmeno m’interessa…”

Lo guardò stupito e forse… forse aveva capito. Si morse il labbro e abbassò lo sguardo mormorando un debole “Scusa…” e Jonghyun si sentì nuovamente un pezzo di merda.

Ti faccio sempre del male, qualsiasi cosa dica.

Non so come fare… non so cosa dirti.

Eppure ti amo. E sono stato uno stronzo allora.

Lo sono anche adesso.

Ed ho visto come ti guardava… ho visto come lo guardavi.

E mi ha fatto male.

Ma lo merito, non è vero?

Avrebbe voluto allungare la mano verso di lui, prendergliela, stringerla e dirgli qualcosa. Invece non fece assolutamente nulla, aumentando così ancora la distanza tra di loro.

Eppure prima aveva fatto un piccolo passo in avanti.

E subito dopo ne aveva fatto uno ben più grande indietro.

Anzi, due.

Si diede dell’idiota ancora, pensando alla persona più importante della sua vita, lì davanti a lui, con lo sguardo triste a causa sua. Era così difficile convivere con quel maledetto senso di colpa. Eppure era così facile amare Kibum.

Perché lui era così speciale che forse… forse davvero non si meritava un coglione come lui che alle lusinghe di una stronza ci era cascato.

Di cos’aveva bisogno alla fine? Non lo sapeva nemmeno lui. Non sapeva perché c’era cascato in quel bacio senza significato o forse… forse aveva bisogno di quel bacio, di cadere in quel precipizio, per capire quanto amava Kibum?

Aveva davvero bisogno di perdersi in un buco nero

per capire il suo amore per lui?

Forse perché a volte, l’amore di Kibum era così grande e sicuro, che lui si spaventava.

E se non ti amassi come mi ami tu?

Quell’insicurezza lo spaventava. E aveva cominciato a mettersi alla prova. Aveva risposto a lei, alle sue chiamate. Aveva fatto i confronti. E Kibum ne usciva vincitore. Anche quando lei l’aveva baciato e lui da stronzo aveva risposto.

Aveva capito. Lo amava da morire.

Ma era stato uno stronzo,

perché per le sue stupide insicurezze chi ne faceva le spese era Kibum.

Perché sì, lo voleva sempre vicino, ma non riusciva a stargli vicino… non dopo quel bacio. Voleva fare l’amore con lui, ma riusciva solo ad essere una macchina. Non riusciva a sbloccarsi per quella stronzata che aveva fatto, ma forse si meritava di sentirsi in colpa per tutta la vita.

E se te lo dicessi?

Ma lei non l’ho sentita più.

E non voglio sentirla più.

Se te lo dicessi, cosa faresti?

Allungò una mano e prese quella di Kibum tra le sue, trovando un po’ di coraggio “Scusami, a volte sono un coglione ma…”

Kibum sorrise, ma quel gesto non riuscì ad infondergli lo stesso calore del gesto che gli aveva fatto prima.

Sentiva qualcosa di strano e non capiva cos’era.

***

Gli stava per portare l’unica torta che faceva solo lui. L’unica che nessuno aveva mai toccato perché non l’aveva mai permesso a nessuno. Sentiva che aveva qualcosa di speciale perché l’aveva creata pensandoci e sentendo “quel qualcosa di grande che ti fa stare bene” ma che era ben più grande, molto più grande rispetto a tutte le altre.

Tutte le altre erano ricette dei suoi nonni. Le creava e sentiva “quel qualcosa di grande”, questo sì, ma quella… quella era lei. Per lei provava molto di più.

E la stava per donare a lui. Se ci pensava bene quella torta non la consigliava mai. Si limitava a darla a chi la chiedeva, senza far capire quanto facesse parte di lui. Perché era una parte importante di lui.

Lei era un pezzo di quel qualcosa di grande che non riusciva a definire.

E voleva darla a lui.

Ma non sapeva il perché.

***

E tu? Cosa sei? Perché sento qualcosa di strano?

È tutto così diverso da prima.

Sono sicuro che i tuoi occhi non li dimenticherò mai.

Si gira per prendere la torta e la pasta. Le poggia in piatti diversi, ben divise per non inquinare il sapore di una e dell’altra. Soprattutto di lei. Di lei che sa sempre un qualcosa in più delle altre.

Prende anche il caffè, già dentro la tazzina. Lo poggia sul piattino e sul vassoio, come quel the nero. L’ha tenuto poco in infusione, perché altrimenti conterrebbe troppa teina. Non è molto colorato, ma lo è il giusto per far si che quella torta, anzi, la torta, non perda nessuna sfumatura di sapore.

Lui deve sentire tutto.

Non appena tutto è sistemato s’avvia verso di loro, alzando per l’ultima volta lo sguardo. Lo guarda di nuovo e non sa capire cosa sia quella cosa talmente strana che sente.

Forse curiosità?

***

Sono lì che si guardano. Ogni tanto Kibum è costretto ad abbassare lo sguardo perché il freddo dell’inverno, quello del suo cuore, si sta avvicinando.

Vorrebbe sentire il calore provenire dalla sua mano, ma non lo sente. E si sente male. Lo sente anche lui che quella distanza è aumentata, ma non sa cosa fare.

I primi passi li fa sempre lui.

Ma poi arriva lui, quel ragazzo dagli occhi di cioccolato, ed improvvisamente stacca la mano.

E Jonghyun ci rimane male.

***

Arrivò al tavolino a passo spedito e sicuro, com’era lui da un bel po’ di tempo ormai. Poggiò delicatamente il vassoio sul tavolo. Prima porse la torta a Kibum, sbirciando ogni linea del suo viso perché voleva catturarne ogni particolare e scoprire se, anche il suo viso, come i suoi occhi, potesse contenere una nota triste.

Forse ce l’aveva.

La pelle bianca come la panna…

Ma aveva una nota troppo triste.

Aveva quella sfumatura di giallo, quella nota triste dell’autunno… quella nota che segna il dolore. Il dolore di una fine? Perché forse stava arrivando l’inverno anche in lui?

Sbirciò anche il viso dell’altro ragazzo, finchè gli poggiava la pasta ed il caffè di fronte. Di lui non gli importava poi molto, ma notò qualcosa anche in lui.

E sentì un qualcosa di strano dentro di sé, nel momento in cui Kibum guardò la torta e sorrise, perché gli occhi del ragazzo di fronte, probabilmente il suo ragazzo, s’incantarono a guardarlo.

Cos’è?

***

“Wow! È bellissima!” esclamò Kibum, ed in quell’attimo la nota triste, che il ragazzo tanto bello aveva visto poco prima, sparì.

“Spero che ti piaccia…” gli disse il proprietario della pasticceria in tono dolce, forse un po’ troppo, mentre la sua bocca si spiegava in un sorriso. Un sorriso così bello che colpì Kibum, non appena si girò a guardarlo.

Ed il freddo dell’inverno venne spazzato via in un istante,

nel momento in cui gli occhi di Kibum si poggiarono

su quella bocca meravigliosa e sorridente.

Kibum rimase a bocca aperta un attimo e poi guardò nuovamente la torta. Non poteva guardarlo, non poteva lasciarsi trasportare da quel sentimento strano, da quel calore che gli aveva pervaso il cuore.

Però… mi piacerebbe…

Ma che sto dicendo?!

Anche Jonghyun guardò la sua pasta, e non appena quel ragazzo, che gli dava leggermente fastidio, ritornò dietro al bancone, incominciò a mangiare.

“Mmm… è proprio buona!” esclamò masticando il primo boccone, facendo una faccia buffa al suo ragazzo.

Kibum sorrise, però… però si sentiva ancora calamitato da quel ragazzo. Sentiva quasi il bisogno viscerale di sbirciarlo con la coda dell’occhio, proprio come faceva Taemin là dietro.

Ma non lo fece, mentre Taemin sì. Taemin lo guardava, anzi, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.

Taemin doveva capire.

***

Kibum prende la forchettina da dolce e l’appoggia su quella torta bellissima che, in qualche modo, lo ha già fatto sentire meglio. È così bella… tutta ben curata… è una torta che sicuramente colpisce!

Nulla è lasciato al caso, si vede… quei riccioli di cioccolato adagiati su delle lacrime, sempre di cioccolato, che cadono, sporcando dolcemente quella dolce nuvola bianca… la panna…

Preme leggermente la forchettina e finalmente prende un pezzo di torta. Lo mette in bocca e… gli si apre un mondo nuovo.

Come prima, o forse molto di più, sente qualcosa.

Il calore, ma soprattutto…

L’amore. Quello vero, puro.

Sente una sensazione strana,

e non riesce a non farlo.

Si gira e lo guarda e lui gli sorride.

Taemin ha capito, Kibum ha sentito quel qualcosa di grande che mette dentro a quella torta.

Kibum sa che si chiama amore, Taemin ancora no.

***

“Che succede Kibum?” glielo chiese notando la sua espressione. L’aveva visto girarsi e aveva visto come quello là gli aveva sorriso.

“Eh? Nie-niente… è davvero buona!” balbettò Kibum, tornando a mangiare quella torta che sapeva di buono. E non solo di gusto.

“Anche la mia, vuoi assaggiare?”

“N-no…” rispose, prendendo quella tazza e sorseggiando il the. Non gli bruciò la gola, era assolutamente perfetto. E si girò di nuovo. Guardò quel ragazzo per un attimo e guardò quella torta…

È perfetta… come te?

Mi piacerebbe sapere come sei…

***

Finirono la colazione non troppo velocemente, concedendosi quella coccola di cui avevano bisogno. Quando si alzarono, si diressero verso la cassa per pagare.

“Pago io!” esclamò Kibum rivolgendosi al suo ragazzo “Ho voluto io questa colazione, perciò… tu sta buono, ok?”

“Come vuoi…” rispose lui, accennando un sorriso al quale Kibum rispose con uno timido.

Taemin s’avvicinò alla cassa e batté non troppo velocemente quei tasti. Non gliela fece pagare la torta, non volle.

“La prima è gratis.”gli disse “Ti è piaciuta?” glielo chiese con quel sorriso che fece sentire la meraviglia del sole di primavera nel cuore di Kibum.

“Sì, è buonissima oltre che bellissima…” tirò fuori dal portamonete quei pochi soldi che gli doveva e glieli diede “Piacerebbe anche a me saper fare un dolce così buono…”

“Ne hai mai fatti?”

“Sì, ma ho perso la mano… non li so più fare, non riesco più…”

“Devi metterci qualcosa di grande che ti fa stare bene per riuscire a farli…”

“Forse… non ce l’ho quel qualcosa di grande…” gli disse tristemente.

“Perché?” gli chiese lui stupito. Se l’hai sentito, significa che ce l’hai. Avrebbe voluto dirgli.

“Ah.. niente, non è niente…” gli rispose sorridendo triste. Ma a Taemin quel sorriso triste non sfuggì.

“Verrai anche domani?” gli chiese il giovane pasticciere e Kibum sorrise.

“Spero di sì, mi sono sentito bene…”

“Allora ti aspetto, a domani”

“Ciao! A domani…”

Kibum si diresse verso l’uscita e, insieme a Jonghyun, oltrepassò quella porta ritornando in quella via che li aveva visti freddi e tristi. Lui li vedeva ancora, anzi… lo guardava ancora.

Qualcosa però era cambiato, magari solo un po’, ma era successo.

“Hey Jong, ti va se torniamo ancora a fare colazione qui?” gli chiese accennando un sorriso, sentendo il piccolo calore di poco prima invadergli l’anima ed il corpo “La torta era proprio buona…”

“Ti va proprio così tanto?” gli chiese, anche se un po’ infastidito.

“Mhmh sì… mi piacerebbe, è un bel posto… si sta bene…”

“Se ci tieni possiamo ritornare…” glielo disse sforzandosi, però lo fece. Doveva, per lui. In fondo se lo meritava.

“Dici sul serio?!”

“Sì, perché no? È piaciuto anche a me… Anche se quello…”

“Quello?”

“Ti ha guardato…”

“Sei un idiota…” disse ridendo, però davvero, in quell’attimo Jonghyun riuscì ad avvicinarsi. Quei due passi indietro che aveva fatto prima, furono scavalcati da quello grande, in avanti, fatto da quella confessione.

E Jonghyun riuscì a prenderlo per mano.

Sentì di nuovo un po’ di calore, ma Kibum non riuscì a scordarsi di quella torta,

né tantomeno di lui.

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Capitolo 3
*** Sorrido per te... ***


Eccomi col cap 3! Volevo postarlo oggi ma... è successa una cosa e non sono riuscita a finirlo prima. Beh eccolo qui, ma temo che il risultato non sia quello sperato. Lo dedico a tutte stavolta, però una nota particolare la riservo sempre a 2min e Lee Fei Taemin che mi seguono e sostengono davvero tanto e pure alla mia piccol Diiva che si è appassionata subito!! Ecco... grazie di cuore per quello che fate!! Vi mando un mega chuuuu ♥♥♥

Ancora la schiena ricurva, ma sempre forte e virile, mentre con le mani si appoggiava alla vetrina dove c’erano i dolci. Li aveva presi e poggiati dolcemente sul vassoio.

Ancora piegato, stava incartando quei cinque piccoli dolci che la solita signora gli chiedeva. Le sorrise, ma di certo non sorrise come aveva fatto con lui.

A te ho fatto vedere il mio vero sorriso.

Per te io ho sorriso…

Ci pensava ancora, ed era sicuro che ci avrebbe pensato per tutto il giorno a quel ragazzo, sentendo quella cosa stranissima dentro di lui. Per la prima volta, in tutta la sua vita, qualcun altro era al centro dei suoi pensieri, qualcun altro che non fossero quel pezzo di vita: i suoi dolci.

Non poteva non pensarci, e non riusciva nemmeno a non confrontare il sé stesso di quando era con gli altri ed il sé stesso da quando aveva visto lui.

Da quando gli aveva sorriso.

Da quando aveva visto due opali neri.

Da quando aveva visto il timido calore della primavera nel suo sorriso…

Da quando lui aveva sentito il suo “qualcosa di grande che ti fa stare bene”

Sorrise di nuovo alla signora, porgendole il pacchettino nel quale erano contenute le sue paste, ma lei non notò nulla di diverso in lui.

Batté i tasti della cassa, le porse lo scontrino e ricevette i soldi. E tutto fu normale, così in linea con tutto quello che succedeva gli altri giorni… ma con lui era stato così tremendamente diverso, perché qualcosa era davvero successo.

Con lui era cambiato tutto.

Con lui si era sentito… diverso?

Forse con lui… aveva sentito la stessa cosa della torta…

Della sua torta…

E guardò ancora fuori, pensando che pochi minuti prima quel Kibum se n’era andato via per mano quel ragazzo. E non gli era piaciuto. Ed aveva anche sentito un piccolo accenno di dolore allo stomaco. Lui non aveva mai avuto male allo stomaco, lui era sempre stato bene, almeno lì. Certo, le influenze se le beccano tutti prima o poi. Ma quella cosa lì… era diversa. Era troppo diversa.

Era forse un male dell’anima?

O come dicono gli altri un male del cuore?

Forse sarebbe meglio dire il male del cuore…

Ma lui non poteva saperlo… non ancora.

***

Sorrideva timidamente per mano con lui, sentiva il suo calore provenire dalla sua mano, ma pensava anche a quell’altro calore. Quello del cioccolato, dei suoi occhi. Quello che aveva sentito . Era così diverso da quello di Jonghyun… non sapeva nemmeno se potesse fare realmente un confronto.

Eppure gli venne in mente di farlo.

Però si sentì uno stronzo e cercò di non pensarci più.

“Andiamo a casa Jong, fa un po’ freddo…” glielo disse accennando un sorriso e stringendosi un po’ di più a lui, cercando di capire, di sentire, di vedere come reagiva a quel contatto di cui Kibum stesso aveva paura.

Paura di essere rifiutato.

Perché molte volte, ad un contatto di cui Kibum aveva bisogno, Jonghyun si staccava. Reagiva stranamente dicendo “dai, non siamo più fidanzatini…” e Kibum, ogni fottuta volta ci rimaneva male.

Malissimo.

Ma quella volta Jong non si ritrasse, anzi. Guardò un po’ in giro e lo strinse, baciandolo sulla testa. E per farlo dovette sforzarsi perché il senso di colpa lo distruggeva ma in fondo se lo meritava.

Non poteva permettere che Kibum soffrisse sempre a causa sua, e allora ci provò. Se prima aveva fatto un passo grande in avanti, se davvero doveva mettere a tacere quei sensi di colpa che gli distruggevano la vita, se davvero ci teneva a lui, doveva fare qualsiasi cosa per lui.

“Andiamo a prendere le tende…”

“Che cosa?!” esclamò a bocca a perta, ma lui continuò dolcemente.

“Le tende… andiamo dai…”

“Ma Jong…” Kibum protestò guardandolo tristemente. Perché aveva capito. Lo faceva solo perché gli aveva fatto male con quel discorso prima, non perché ne avesse realmente voglia. E Kibum si sforzò di sorridere e continuò “Lascia stare, vanno bene così…”

“No, voglio cambiare! Kibum, facciamolo…”

“Jong, non ha senso…” abbassò lo sguardo “non devi fare qualcosa perché ti senti in colpa… devi farlo solo se lo vuoi.”

E Jonghyun si sentì ancora più triste. Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa per cambiare il passato, tornare indietro e non fare l’idiota qual’era. Era davvero possibile spaventarsi per un amore grande come quello di Kibum?

Lui da bravo idiota qual’era, s’era spaventato.

E aveva fatto quello che aveva fatto.

“Ora voglio, lo voglio davvero… voglio farlo per te!”

“E per te?”

“Perché pensi a me ora?”

“Io… penso a te sempre... l’ho sempre fatto e…” stava per dire avrei voluto farlo per sempre, accorgendosi subito dopo di quel verbo sbagliato che stava per dire. Non era più al presente.

Avrei voluto farlo per sempre è diverso da io voglio farlo per sempre.

E fa male da morire.

“Perché, ora non voglio davvero più?”

E faceva paura, faceva così tanta paura che Kibum si sentì spiazzato. Distrutto, ma non poteva dirglielo. Lo abbracciò forte e si violentò la mente, chiudendo gli occhi.

Io voglio farlo per sempre!

Io voglio farlo per sempre!

Io voglio farlo per sempre!

“Allora andiamo, facciamolo… prendiamole e cambiamo qualcosa, che ne dici?”

“Sì… andiamo”

Sorrise, ed insieme si diressero in quel negozio. Se avevano bisogno di qualcosa di nuovo, avrebbero potuto cominciare almeno da lì. Qualcosa per ritrovarsi pian piano, qualcosa che gli permettesse di rimarginare quella distanza, quella crepa… quel qualcosa di grande che li aveva allontanati troppo.

Magari qualcosa di caldo.

Magari qualcosa… che potesse ricordare la primavera.

Magari… qualcosa che ricordasse… quella primavera…

Quella che aveva visto poco prima,

quella che si era impressa nel suo cuore…

oppure… oppure?

***

Guardava Kibum scegliere le tende, ce n’erano tante eppure lui era indeciso. Anche se era sempre stato bravo a scegliere. Il suo gusto era impeccabile, eppure nei suoi occhi c’era dell’indecisione.

Gli faceva male vederlo così, però… non riusciva a non pensarci. Non riusciva a non odiarsi. Ed anche il quel momento la distanza aumentò di nuovo.

Sono stato io a ridurti così.

Ti ho fatto così tanto male da ridurti ad uno straccio.

Anche prima, nonostante tutto, i tuoi occhi erano tristi…

Sto cercando di fare qualcosa ma…

Ce la faremo vero?

Dobbiamo farcela!

Forse dovrei perdonarmi per andare davvero avanti?

Forse dovrei dirtelo per ricominciare davvero?

Ho paura… ho paura di perderti…

Jonghyun lo sapeva fin troppo bene. Aveva solo due possibilità: dirglielo e rischiare di perderlo oppure non dirglielo e rischiare di perderlo comunque. Perché col suo comportamento l’aveva allontanato fin troppo e la tristezza del suo sguardo era devastante.

Faceva male ed era tanta.

Troppa.

Troppa per lui, troppa per il suo cuore. Troppa per un idiota che non aveva saputo capirsi e capire quanto fosse importante Kibum, che non aveva saputo capire che certe azioni, certi sbagli, ricadono su di te come una spada che ti trafigge.

Non sai dove, non sai come.

Ti trafigge.

Può non colpire nessun organo vitale e ti puoi salvare.

Può prendere un arteria e farti morire all’istante, dissanguato.

Può prendere una vena e farti dissanguare piano…

fino a farti morire lentamente.

Ma a questa può esserci rimedio, solo se arriva qualcuno a tamponare l’emorragia e poi a suturare la ferita.

Ma se la ferita rimane aperta… se continua a sanguinare…

Non ti potrai salvare.

***

“Sto ancora sanguinando vero?

E non mi sono reso conto di come, quella spada

Abbia trafitto anche te.

Perché tu eri lì, davanti a me… così dolce ed indifeso, col tuo amore incondizionato

Pronto a difendermi.

Ma questo ti sta uccidendo. Stai sanguinando molto più di me…

Vorrei bloccare io l’emorragia ma… siamo tutti e due stanchi…

A terra, distrutti… ed è colpa mia…

Avrei dovuto difenderti, avrei dovuto parare il colpo… avrei dovuto

Salvarti, invece…

Invece sei qui a terra con me…

Ti amo e vorrei poterti salvare…”

***

Quelle tende non volevano proprio saperne di farsi scegliere! Kibum continuava a guardarle con aria corrucciata, e nessuna di quelle ci stava bene in casa.

Non riusciva a vedercele in quella casa… la casa di Jonghyun. Anche se doveva dire la “loro casa” però si sentiva ancora ospite, nonostante quella improvvisa svolta.

Si voltò un attimo ed intravide una tendina, un po’ più piccola rispetto alle altre ma carina, con qualche nota colorata che tirava su il morale. Arancio, giallo, rosso… quella probabilmente sarebbe riuscita a dare un po’ di calore alla casa, magari a contrastare un po’ l’inverno… anche se… anche se aveva le note dell’autunno.

“Jong! ti piacciono queste?” gli chiese facendogliele vedere, allungando un po’ la mano.

“Mmh non male dai! Tu pensi che ci stiano bene?”

“Penso di sì…”

“Allora… andiamo! Abbiamo tutto il giorno per sistemarle bene!” gli rispose sorridendo. E Kibum si stupì di quel cambiamento. Non era radicale, ma era un cambiamento piccolo piccolo, che però sembrava potesse fare bene.

Eppure… c’era sempre un qualcosa che non andava.

Cercò di non badarci, cercò di far finta di nulla, di convincersi che era tutto frutto della sua immaginazione e andò a pagare quello che aveva preso.

Borsa alla mano, l’altra mano stretta in quella di Jonghyun, insieme s’avviarono di nuovo verso casa. Si guardavano entrambi di sottecchi ed ogni tanto accennavano un sorriso, molto timido però. Erano così vicini che a tratti potevano sentire il cuore dell’uno e dell’altro battere forte.

Batteva, tanto, e batteva l’uno per l’altro.

Solo che, più batteva, più veloce si dissanguavano.

Perché la ferita di entrambi era ancora aperta…

E Jonghyun lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene. Lo strinse a sé e lo baciò sulla bocca, spiazzando il più piccolo che rimase ad occhi aperti, a guardarlo per vedere se veramente stava succedendo quello lui, per tanto tempo, aveva sperato.

Stava succedendo veramente. Lui lo stava facendo e Kibum stava per cedere. Perché non immaginava una cosa simile, non immaginava di sentirsi bene con quel bacio inaspettato.

Solo che non si sentì proprio così bene come doveva sentirsi. Purtroppo la nota stonata c’era ancora, e risuonava dentro di lui dolorosamente. Non voleva andarsene, eppure era stato un gesto così bello che…

perché doveva esistere quella nota proprio lì?

Cercò di scacciarla, cercò di farlo, aggrappandosi a lui. Cercò di pensare solo ed esclusivamente a lui, ma era inutile.

C’era una cosa che continuava a sentire, una cosa diversa… che non sapeva nemmeno lui se doveva davvero scacciarla o meno.

Quel tono caldo, quella nota dolce

Di quegli occhi color

Cioccolato.

***

Per la prima volta, in tutti gli anni che lavorava lì dentro, sperò che il tempo passasse dannatamente veloce. Voleva finire di lavorare, voleva che tutti se ne andassero via, voleva controllare per l’ultima volta i dolci e tornare a casa a pensare.

Neanche a mangiare, ma a pensare. A pensare agli occhi di opale, alla loro tonalità triste. A pensare come aveva voluto dargli quella parte di sé e come lui l’avesse sentita.

Se mi hai capito, ce l’hai anche tu.

Io non so definirlo, ma tu sì…

Tu non sai tirarlo fuori, ma io sì…

Lo pensò finché, finalmente, finì la giornata lavorativa. Si tirò su il cappuccio per ripararsi dall’aria fredda e poi tirò giù la saracinesca, finché i suoi occhi s’incupirono. Aveva bisogno di rivedere i suoi occhi, aveva bisogno di rivedere lui.

Aveva bisogno di lui.

Ma aveva anche bisogno di capire, di pensare ancora. Di sentirsi dannatamente sconvolto e di offrirgli ancora una volta quella torta…

E anche di vederlo sconvolgersi di nuovo, perché… perché voleva capire e provare a definire “quella cosa grande che ti fa stare bene”.

Voleva rivederlo.

A passo svelto si diresse verso casa, mani in tasca, sguardo fisso e fiero. Non era tardi e, a quell’ora, la gente iniziava ad uscire. Era sabato sera e tutti a quell’ora, bene o male, uscivano per andare a mangiare o andare in discoteca dopo.

Chi in compagnia degli amici, chi da solo. Lui era solo, ma non gli importava. Lui stava dannatamente bene con i suoi dolci perciò tutta quella gente che vedeva attorno a sé non gli faceva né caldo, né freddo.

“Taemin?”

Una voce di donna lo bloccò, qualcuno l’aveva riconosciuto.

“Sì?” fu costretto a girarsi e la vide. Lei era una delle clienti abituali, una di quelle che andavano lì soprattutto per lui. Per vederlo, per il suo sorriso.

“Hai finito adesso?” le chiese un po’ civettuola, felice che non fosse dietro al bancone.

“Sì” fu la sua risposta un po’ meno gentile di quando si trovava in pasticceria. Ma non gli importava poi molto. Non voleva che qualcuno si avvicinasse a lui e non gliel’avrebbe permesso.

“Ah beh, ti andrebbe di unirti a noi?” chiese lei in tono gentile, facendo vedere il suo gruppo di amiche, avvicinandosi un po’, invadendo così la sua sfera intima.

“No. Non m’interessa. Domani mi alzo presto, devo lavorare e non m’interessa di uscire.”

“Ma! Un uomo così affascinante…”

“Non m’interessa di uscire, alla prossima, ciao!”

Girò su sé stesso e se ne andò, lasciando lì una delle tante che ci provava con lui, così, spiazzata, delusa e forse un po’ arrabbiata.

Lui… Non si era posto mai alcuna domanda.

Né se gli interessava, né cosa gli interessava.

Non fino a quel momento.

Non aveva mai guardato nulla con interesse. Ci pensò finché i suoi passi spediti, insieme alla sua aria sicura, lo portarono lì, a casa.

Il suo appartamento era grazioso ed era perfettamente identico alla pasticceria. Stesso miscuglio di tre colori alle pareti, un po’ più piccolo, con due camere da letto, un bagno e un salotto e cucina.

Doveva rimanerci solo lui lì e poi, forse un giorno chissà. Ma non ci aveva mai pensato prima.

Si guardò in giro e forse, per la prima volta, sentì che qualcosa non andava. Sentiva una specie di “piccolo vuoto” che nemmeno quel “qualcosa di grande che ti fa star bene”, riusciva a riempire.

E se ci pensava… gli mancavano quegli occhi.

Ed era sicuro che a lui sarebbe piaciuto tutto lì.

Se solo l’avesse visto…

Kibum…

Mi piace il tuo nome…

Anzi, arriva proprio lì…

Dove fino ad ora c’è stata sempre e solo lei…

Il passo sicuro lo portò fino alla sua camera da letto. Si spogliò e si preparò i vestiti puliti, come sempre e poi si diresse in bagno.

Aveva bisogno di fare una doccia, una lunga doccia rilassante… perché continuava a pensare a quegli occhi, quel viso triste che poi si era trasformato con la magia della sua torta che aveva la parte più nascosta di sé.

E poi il suo sorriso, e finalmente il suo nome.

Kibum.

***

Per tutta la mattina e buona parte del pomeriggio avevano sistemato le tende in casa. Avevano fatto un buon lavoro, tutto sommato, tra qualche sorriso e qualche scaramuccia che sembrava non ledere ancora di più a quella distanza che c’era tra di loro. Però, nonostante tutto, quelle tende non si trovavano così bene con il resto dell’appartamento.

E lì, dopo aver già cenato, dopo aver rimesso tutto apposto, anche se quella volta lo fecero insieme, entrambi si sedettero sul divano. Fu una serata diversa e in qualche modo meno fredda.

Forse.

Rimasero abbracciati per tutto il tempo, anche se Jonghyun continuava in qualche modo a tormentarsi e Kibum invece non riusciva a tranquillizzarsi. Forse le tende erano solo un pretesto, o forse no.

“Jong… avevi ragione, non ci stanno proprio…”

“No, vanno bene, davvero!”

“Tu dici? A me sembra che qualcosa non va…”

“Forse dovremmo cambiare anche dell’altro, non credi?”

“Ma… e poi? Andrà veramente bene se cambiamo tutto?”

E Kibum lo guardò con gli occhi infinitamente tristi finché pronunciava quelle parole. Perché forse davvero quelle tende non erano nient’altro che un’illusione, qualcosa che andava ben oltre a quello che in realtà erano.

Soffriva tanto e aveva paura di cambiare le cose anche lui, perché tutto avrebbe potuto distruggersi in un attimo. E la colpa era solo sua. Sua e soltanto sua, per quella maledetta cazzata.

Gli accarezzò il viso, sentendosi triste, perso, arrabbiato con sé stesso e si sdraiò sopra di lui, baciandolo disperatamente.

Voglio amarti, voglio provarci.

Sono stanco di farti del male, ma questa colpa, questa ferita…

Devo rimarginarla io…

Ci proverò… devo farcela!

Lo bacia, lo stringe… con la lingua gli invade la bocca disperatamente. Kibum fa una piccola smorfia e quella disperazione lo invade…

Ma non sembra essere bello…

Eppure hanno bisogno di provare a sentirsi, facendo… l’amore? Si cercano, si spogliano veloci in quel divano che li ha visti vicini molte volte, soprattutto per riappacificarsi… perché molte volte lo facevano solo per non perdersi troppo, anche se in realtà… niente si sistemava.

Le carezze… quelle vorrebbe fargliele più dolci possibile, però… però qualcosa non gli riesce e finisce per essere rude.

Jonghyun lo tocca come Kibum non si merita, ed in ogni centimetro di quel corpo candido come quella panna, ricade la sua maledetta colpa.

E finisce così… preparandolo, entrando in lui… amandolo, questo sì, ma non come merita realmente.

Lo ama con quel qualcosa che lo trattiene, con quel qualcosa che a Kibum fa del male…

E Kibum lo sente. Lui ci prova realmente ad amarlo. Cerca di andargli incontro, cerca di baciarlo dolcemente, cerca di trasmettergli l’amore… ma poi sente quella nota calda della primavera, sente la nota cioccolato tornargli alla memoria e… si punisce.

Si lascia sovrastare, si lascia devastare per quella colpa, per quel piccolo tormento che al mattino l’ha reso felice.

E Jonghyun lo devasta davvero, spinge troppo e forse lo sente. Forse sente quel calore che ha fatto star bene il suo Kibum, ma che non gli ha trasmesso lui.

Si odia per questo, perché è colpa sua… ma come sempre chi soffre è lui, è Kibum.

Ma ora stiamo soffrendo entrambi.

Per causa mia.

Io devo riconquistarti…

Entrambi, anche se un po’ faticosamente e dolorosamente vengono, dentro e fuori… ma non è stato come quelle prime volte… e forse questa è stata la volta più diversa dalle altre.

E non sono venuti insieme… non è più successo da allora. Non vorrebbero farci caso e non lo fanno… si baciano guardandosi negli occhi, scorgendo quella tristezza che ormai li accompagna sempre e si abbracciano… tentando di salvarsi.

***

Si erano alzati dal divano ed erano andati a letto, sdraiandosi ognuno dalla propria parte. La nota stonata però aveva continuato a risuonare insieme al battito del loro cuore. E poi Kibum l’aveva fatto. Si era girato e l’aveva abbracciato, poggiando le braccia sul suo addome e la testa sulla sua schiena.

Perché non la vedo più forte?

L’aveva pensato e si era addormentato, mentre lui gli accarezzava dolcemente la mano. E lui ripensava a prima e ripensava a quella maledetta cazzata. Ripensava a tutto e a come fare. Perché doveva sistemare tutto. Non poteva perderlo. Ed alla fine si era addormentato anche lui.

Anche un altro ragazzo, che abitava un po’ lontano da lì, si era addormentato con mille pensieri, ma erano diversi dai suoi, troppo diversi. Quel ragazzo si era addormentato pensando a quel desiderio forte di rivedere l’unica persona che gli aveva fatto pensare alla definizione esatta di “quel qualcosa di grande che ti fa star bene”.

***

Era già sveglio da un pezzo lui, la pasticceria appena aperta ed i dolci già in forno, pronti per essere guarniti quando Kibum e Jonghyun si svegliarono.

Erano le nove e Kibum preso da una strana ed irrefrenabile voglia di “qualcosa di dolce” decise di andare già lo stesso giorno lì, in quella meravigliosa pasticceria.

“Jong! Dai andiamo a fare colazione dove siamo andati ieri!”

“Eh?”

“Dai hai capito! Su… forza!”

“Mmh va bene…”

E si alzarono, preparandosi velocemente. Kibum sembrava leggermente più sereno, più felice e Jonghyun fu felice ma non riuscì a non sentirsi anche un po’ inquieto.

Quando andarono verso la pasticceria, tenendosi per mano, sorridendo e chiacchierando un po’ come ai vecchi tempi, sembrava quasi fosse ritornata l’armonia.

E poi arrivarono lì e Kibum sorrise aprendo la porta, entrando per primo in quel piccolo angolo di mondo in cui il sole ed il calore della primavera non se ne andava mai.

Ed alzò lo sguardo.

***

Taemin lo vede entrare, sta servendo delle persone.

La pasticceria è piena, ma quando incrocia i suoi occhi diventa vuota.

Sorride veramente, quel sorriso che sa riserverà solo a lui…

“Sei tornato, ti ho aspettato” sembra dirgli.

E Kibum lo capisce, ed il suo cuore perde ancora un battito.

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Capitolo 4
*** Un battito... solo mio! ***


Eccomi qui mie care col quaro capitolo! Ebbene è stato un pelino difficile scrivere questo, devo dire la verità e non sapevo nemmeno se andava bene D; così ho chiesto alla mia CYuuki_Onew un parere e lei... beh è rimasta entusiasta! Idem la piccola 2min!! Poi devo dire grazie a tutte voi che vi entusiasmate tanto per questo, perciò... Grazie!! Beh dato che è un capitolo particolare, volevo dedicarlo completamente a CYuuki_Onew perchè... beh tu lo sai! Perciò... ecco tutto tuo! Ti voglio bene!! E un bacione a tutte voi che mi seguite/recensite/mettete tra preferiti e seguiti ecc... grazieeeeee vi voglio bene! :* mega chuuuu a tutte!! ♥♥♥

Il cuore che perde un battito,

la tonalità dolce che gli scalda l’anima…

Il rossore del suo stesso viso…

E quel calore che invade il suo corpo…

***

Anche lui aveva sentito quella bolla d’aria salirgli all’esofago e dissolversi in gola finché serviva quella signora che gli stava parlando, ma che assolutamente non sentiva.

Ma non gli era mai successo.

Si emozionava tanto quando finiva di preparare una torta, ma con una persona non era mai successo.

Mai.

E di solito vedeva coppie composte da uomo-donna.

Eppure quella cosa strana gli succedeva con lui.

Eppure… gli succedeva con quel ragazzo dagli occhi di opale, con quella tonalità triste che voleva assolutamente togliere. E sentiva una cosa strana, che non sapeva spiegare…

Con lui avrebbe voluto dare un nome a quel

“qualcosa di grande che ti fa star bene”

***

Quel sorriso gli aveva preso l’anima, se ne rendeva conto e non sapeva cosa fare... Forse avrebbe dovuto fare dietro-front e andarsene, ma aveva voglia anche lui di rivederlo. Aveva voglia anche lui di riuscire ad esternare i suoi sentimenti.

Aveva bisogno di sentire il calore della primavera

sulla sua pelle…

Come una leggera brezza…

aveva bisogno di assaggiare di nuovo quella torta…

e sentire quell’amore puro che…

Da quanto tempo gli mancava sentire in quel modo l’amore? Ben sei mesi, o forse qualcosina di più. Forse, quello strano comportamento Jonghyun l’aveva già da prima, ma, vivendo in case separate, era un po’ più difficile notarlo.

Eppure Kibum lo sentiva che qualcosa non andava. Sembrava un po’ agitato… Certo, fare l’amore poi era più bello e di certo la quotidianità non lo rovinava quel momento magico.

Di una cosa però era certo: Jonghyun era un po’ insicuro. Non all’inizio però, quando l’aveva conquistato, anzi… era stato uno di quei ragazzi che ti corteggiano e ti fanno sentire la persona più importante della terra.

Aveva davvero fatto mille cose per lui: mazzi di rose, lettere, poesie, addirittura canzoni (perché a lui piaceva cantare e suonare) e qualsiasi altra cosa possibile pur di conquistarlo.

Kibum non era stato facile da conquistare, perché lui aveva sempre un po’ avuto paura dell’amore, di non essere all’altezza di una relazione. Invece poi si era ritrovato innamorato perso di quel ragazzo che per lui aveva fatto qualsiasi cosa possibile ed immaginabile.

Ritrovarsi tra le sue braccia, e baciarlo dopo una sola settimana di frequentazione, era stato il culmine della felicità, o almeno così credeva.

Non aveva assolutamente pensato a quanto potesse essere felice facendo l’amore con lui.

Quella era stata davvero la sensazione più bella della sua vita.

La più intensa ed emozionante.

Nient’altro l’aveva reso così felice, se non il loro amore.

Però tutta la meraviglia dei primi momenti era sciamata pian piano. Forse un po’ per volta, forse un po’ per quella paura che Jonghyun aveva di “non amarlo abbastanza”.

Sì, perché Jonghyun, sotto questo punto di vista, era un po’ debole. Lo amava ma non capiva mai quanto lo amava.

Se doveva quantificare l’amore che provava per lui diceva sempre “tantissimo”, però… aveva sempre quella strana sensazione che Kibum ne provasse sempre un po’ di più.

Jonghyun pensava che Kibum l’amasse “tantissimissimo” e quindi si sentiva in colpa.

Se il suo cervello, invece che pensare troppo, gli avesse dato l’uso della parola, della quale spesse volte faceva a meno, perché i suoi motoneuroni si rifiutavano di far muovere la lingua ed aprire la bocca, forse avrebbe potuto evitare certe cose.

Il problema era che, le uniche volte che ci provava a dire qualcosa di sensato, finiva sempre per dire l’esatto contrario di ciò che pensava e quindi Kibum ci soffriva.

Certo, poi iniziavano le mille domande e riusciva a capire ciò che in realtà Jonghyun voleva dirgli, ma intanto soffriva.

Perché alcuno maschi non riescono ad esprimersi.

Quasi tutti in realtà.

E da lì probabilmente era incominciato. Jonghyun si faceva troppi problemi, troppi.

Non riusciva a capacitarsi di quel “tantissimissimo” amore da parte sua, considerandosi uno fin troppo fortunato.

Ed aveva cominciato a dubitare del suo amore.

“tantissimo” era troppo poco in confronto a “tantissimissimo”.

Allora erano arrivate le chiamate da parte di quella stronza, quasi come una pseudo-benedizione ed aveva cominciato a mettersi alla prova. Non aveva capito realmente che si stava mettendo alla prova, ma l’aveva fatto.

Il bacio ne era una conferma.

Aveva capito che amava da morire Kibum e quindi…

anche il suo amore era “tantissimissimo”

ma erano incominciati i sensi di colpa.

Ed era precipitato in quel buco nero che ti fa lentamente morire.

***

L’aveva visto più che bene quel sorriso. Gli aveva dato fastidio, ma non aveva potuto farci assolutamente nulla. Poteva dargli fastidio, poteva sentire male nel vedere la reazione più che sorpresa del suo ragazzo, però... era la punizione che si meritava.

Devo davvero resistere?

Davvero non devo arrabbiarmi?

Ma lui… la sua faccia… il suo sorriso e…

Kibum.

A lui… a lui fa piacere?

Vorrei che lui si emozionasse solo con me…

***

Kibum è davanti, lui è dietro. Vede tutto, ma fa finta di nulla. Insieme si siedono al solito tavolino.

La pasticceria è un po’ più piena del giorno prima, ma quel ragazzo, quel ragazzo che ha qualcosa di strano che non gli piace, fa veloce nel servire i clienti.

Jonghyun lo intuisce, lo fa per Kibum.

Ed odia questo.

Però sente che può controllare questo loro avvicinamento. Almeno lo spera… Forse lo farà finché la sua colpa non verrà espiata, anche se è un rischio grande.

Non può dirlo a Kibum, non se la sente… Forse… forse se Kibum lo tradisse, se fosse solo un bacio, lui lo perdonerebbe, perché sarebbe alla pari…

O forse no, forse ne morirebbe.

Kibum..

che bacia…

quello.

L’immagine che gli si presenta davanti è peggio di quella spada che li ha colpiti.

Molto, molto peggio.

Forse solo adesso si rende conto di quanto grave è stato quello che ha fatto.

Forse adesso si odia più di prima.

Forse ha più paura di prima.

Forse… forse prenderebbe a pugni quello lì,

per difendere ciò che è suo…

la sua vita…

Ma ora, veramente, per la prima volta se lo dice:

“Perché non c’ho pensato prima di fare quella cazzata?”

Ed ora… è costretto ad attendere e a lottare per ciò che fino a poco prima

era sempre stato solo suo.

***

Si sedette lì, in quell’angolo di primavera colorata che gli piaceva tanto. Di fronte a lui c’era il suo ragazzo. Non sembrava molto felice di essere lì, però a Kibum fece piacere quello che aveva fatto.

Anche quel gesto, quello sforzo era bello e significativo.

Anche se… nel suo viso c’era una nota stonata…

Quella che vedeva sempre…

Ma in quel momento… era diventata più grande.

Si morse il labbro, finché il giovane, con le spalle ben dritte, si dirigeva verso di loro. Cercò di non guardare verso la sua direzione… anche se ne aveva voglia. Lui… quegli occhi dalla tonalità cioccolato, quella che ti fa sentire bene, voleva vederli di nuovo.

Ed anche il suo sorriso.

Voleva che lui gli sorridesse.

E voleva sentire l’amore puro dentro quella torta,

Perché Kibum aveva capito che di quella torta non avrebbe mai più potuto fare a meno.

***

S’era avvicinato e l’aveva guardato, ignorando completamente lo sguardo dell’altro ragazzo. Gli occhi d’opale s’erano fissati sui suoi e di nuovo aveva sentito la bolla d’aria partirgli dallo stomaco e dissolversi in gola.

Fece finta di nulla, di certo non poteva far vedere quello che provava e poi… non voleva perdersi il suo sguardo.

Era passato troppo tempo da quando l’aveva visto. Come quando doveva aspettare il tempo perché i dolci lievitassero. Doveva aspettare tanto e doveva avere pazienza. Però alla fine il risultato era stupefacente.

Come lo era il suo timido sorriso,

in quell’istante magico, in cui i loro occhi

s’erano nuovamente incatenati.

“Ciao!” gli disse con il suo vero sorriso “Sei tornato…”

“S-sì…” rispose balbettando, guardandolo un attimo.

“Ti porto la solita torta ed il solito the nero…” continuò lui e Kibum davvero non desiderava nient’altro, se non lei.

“V-va… b-bene…” rispose mentre quel giovane pasticcere si girò velocemente verso l’altro ragazzo, chiedendogli “E tu cosa vuoi?”, però lo fece con un sorriso così diverso da quello che aveva riservato a Kibum, che a Jonghyun fece rivoltare le viscere.

Avrebbe voluto dirgli: la stessa cosa sua. Però non ne ebbe il coraggio, quasi avesse paura di scoprire cosa in realtà si nascondeva dietro a quella torta.

“Prendo una pasta qualsiasi, decidi tu. Ed un caffè…”

“Subito…” rispose Taemin e si girò nuovamente verso il ragazzo dagli occhi di opale, regalandogli nuovamente il sorriso che ora davvero voleva dare solo a lui.

Solo a lui.

***

Le sue spalle nuovamente ricurve, la linea forte che denota la sua virilità. Un viso così da uomo, eppure la dolcezza di un bambino.

Gesti talmente semplici, quelli di posare le tazzine ed i piatti con le paste sul vassoio, che sembrerebbero non significare niente, eppure dicono tutto.

Dicono tutto di lui, ciò che è. Un uomo ormai. Forse non sa ciò che vuole, forse non ha nemmeno mai capito ciò che vuole.

Però forse adesso sa che vuole lui. No, non c’è un forse.

Vuole lui.

Jonghyun lo può solo intuire, ma adesso è il momento della verità. Può solo lasciare che un’altra spada lo colpisca, espiandolo dalle sue colpe oppure proteggersi, rendendosi conto che quella colpa graverà comunque su di sé.

E anche su di lui.

E lui arriva, col vassoio in mano, gli sorride con una nota che infastidisce Jonghyun e gli poggia dolcemente tutto davanti a loro.

Succede come il giorno prima solo che… in quegli occhi dalla nota calda di cioccolato, c’è qualcosa di diverso, qualcosa in più.

Forse se ne accorge anche Kibum?

Perché.. perché Kibum vede i suoi occhi e stavolta…

Il cuore perde nuovamente un battito.

Si sente più felice…

***

Non avrebbe mai pensato di provare una così strana sensazione con un perfetto sconosciuto. Eppure si ritrovava lì a mangiare la sua torta.

Quella torta che sa d’amore.

E lui?

Perché voglio vedere lui?

Perché alle sensazioni, come al cuore, non si può comandare. L’aveva capito. Forse si sarebbe punito ancora per quella sensazione bella che provava nel guardarlo negli occhi oppure per quella emozione che sentiva dentro al cuore.

Ma aveva anche capito che non poteva assolutamente fermarla. Non poteva, né voleva. Ne aveva così tanto bisogno che forse… forse non era male poter essere felici con quella cosa lì, l’importante era che non ne facesse le spese Jonghyun.

Penso sempre e solo a lui.

Anche ora…

Mi dico che l’importante è che non soffra lui!

Ma io?

Io che soffro da ben sei mesi?

Io che lo amo e non riesco a sentirlo vicino…

Io che provo ad avvicinarmi ma che c’è qualcosa che ci blocca.

Qualcosa che non capisco…

Vorrei che me lo dicessi Jonghyun.

O forse è solo l’insicurezza?

Ma ti ho fatto sempre capire come e quanto ti amo.

Forse non ti ho fatto capire cosa si prova quando non ci sono…

Forse dovrei allontanarmi, per poterti ritrovare…

Ma sono umano ed ho paura anch’io.

Se mi allontano troppo ci perdiamo davvero!

Eppure sto così male…

Ho bisogno di sentire il calore sulla mia pelle…

Ho bisogno di sentirmi vivo, perché questo macigno

mi schiaccia sempre di più.

Il cuore prima o poi smetterà di battere con questo enorme peso sopra…

Cosa devo fare Jonghyun?

Ho paura anch’io…

Forse… forse non mi ami più?

***

A volte cambiamo. A volte, pur di rendere felice una persona,

diventiamo ciò che non siamo.

Kibum era diventato così: compagno perfetto, ideale, quello che non chiedeva niente, quello che faceva tutto ed era tutto meraviglioso.

Non troppe coccole, anzi quasi nulle, non diceva nulla riguardo i regali che lui non faceva.

Aveva accettato tutto, per lui… Per lui aveva accettato l’essere così schiacciato da tutto quello che gli era attorno.

Non aveva mai pensato a sé stesso.

Ma era arrivato il momento di farlo…

Oramai era arrivato a quel punto lì.

Quel punto in cui o trovi qualcosa che ti salva,

cercando disperatamente te stesso

oppure… oppure?

E lui cercava disperatamente di salvarsi perché non voleva lasciare Jonghyun. Lo amava ma… ma.

C’era sempre quel ma di mezzo che non gli lasciava nessuna via di fuga.

O forse c’era.

Ma non era quella che voleva…

O forse si poteva fare comunque qualcosa…

Però bisognava trovare il coraggio di parlare e quel coraggio loro non ce l’avevano, perché sapevano bene che si sarebbero persi e probabilmente sarebbe stato per sempre.

Eppure qualcosa doveva accadere, qualcosa che li avrebbe forse fatti avvicinare, forse fatti ritrovare. Forse quel qualcosa li avrebbe ritrovati uniti, forse quel qualcosa avrebbe tamponato le loro ferite, li avrebbe fatti finalmente comprendere e li avrebbe visti come persone nuove.

E quel qualcosa era forse lui?

***

Kibum si sconvolse nuovamente assaggiando quella torta, e dovette guardare quel ragazzo che gli sorrise di nuovo.

Ma come fai?

Avrebbe voluto chiederglielo ma lui capì ugualmente. Ed il sorriso che gli regalò fu ancora più bello, fu ancora più meraviglioso, perché non riuscì a non farlo anche lui.

Kibum gli sorrise, veramente…

Sorrise col cuore che batteva un po’ di più…

Sorrise con una cosa strana che gli partiva dall’anima…

O forse dal cervello, che gli faceva capire quanto fosse meraviglioso.

Sorrise con gli occhi,

mentre la nota triste svaniva davvero…

***

Anche il cuore di Taemin cominciò a battere un po’ troppo veloce, sentendo quella dolce nota calda arrivargli all’anima e risuonare nel corpo.

O forse…

Se avesse potuto usare un paragone con cui esprimersi meglio, avrebbe detto: come quando mangio la torta che ha “quel qualcosa di grande che ti fa star bene”.

L’aveva sentito anche lui, riscoprendosi ancora più legato di prima a Kibum. La gente era sparita di nuovo, nonostante fosse lì, in quell’attimo davvero meraviglioso.

Ma fu ancora più meraviglioso guardarlo negli occhi ancora, mentre batteva i tasti della cassa, per quello scontrino dove il prezzo della torta sua non c’era.

Non ci sarebbe mai stato.

O forse lo fu ancora di più, mentre Kibum, porgendogli i soldi, si sentiva imbarazzato e felice allo stesso tempo.

Troppo batticuore, troppa dolcezza

in quell’attimo assolutamente perfetto.

Le sue guance colorate ne erano la testimonianza, finché gli occhi di Taemin si posavano su di esse e ancora su ogni linea del suo viso.

“Sono felice che sei tornato…” gli disse sorridendo dolcemente “Ti aspetterò ogni giorno…”

“A-anch’io… so-sono felice…” gli rispose sentendo il cuore troppo agitato, mentre le loro mani si toccarono.

“Torna…” gli disse guardandolo negli occhi, mentre Kibum provò a dire qualcosa ma non riuscì a dire nient’altro che un “V-vado…” balbettato e forse confuso?

Si perché qualcosa non andava.

Ma cosa?

Kibum aveva sentito dietro di sé qualcosa.

Il viso furente del suo ragazzo dietro di lui era la prova che aveva capito. Aveva capito fin troppo bene.

Jonghyun guardò il giovane pasticciere negli occhi, stringendo un po’ le labbra in una smorfia rabbiosa. Non disse nulla, ma forse fu sufficiente per Taemin, per capire cosa volesse dirgli.

Kibum invece, con lo sguardo basso, come se avesse commesso il più atroce dei delitti, uscì e si sentì uno stronzo. Ma di certo non si aspettava quello che di lì a poco sarebbe successo.

In mezzo alla strada, in mezzo alla gente, Jonghyun l’aveva preso, stretto a sé e baciato.

Non era soddisfatto di quell’avvertimento dato solo con gli occhi a quello che era diventato il suo rivale.

Così, fuori di lì, finché Kibum si stava per avviare verso casa, sperando solo che non litigassero nuovamente, Jonghyun aveva fatto quello che aveva fatto.

Lì, in mezzo alla strada.

Lì, dove tutti lo vedevano.

Lì davanti, dove lui li vedeva.

L’aveva baciato.

E finchè con un bisogno forte di sentirlo e la paura di perderlo, gli invase la bocca con la sua lingua, cercando di fargli sentire amore, Jonghyun aprì gli occhi e guardò il pasticciere, che, con uno sguardo fisso, ipnotizzato e forse… triste?, guardava la scena.

Voleva farglielo capire, doveva. Per lui Kibum era tutto e, anche se aveva sbagliato, poteva dargli la felicità con piccoli gesti, portandolo anche lì se necessario, ma una cosa quello là doveva capire, una sola.

Kibum è mio.

Solo mio.

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Capitolo 5
*** Torna da me... Spiegamelo. ***


Ciao a tutteeeee!! Eccomi col capitolo 5 che però diventa a rating rosso. Beh poi vedrete perchè. Ecco, vi ringrazio tanto per il fatto che mi seguite! E grazie anche per il sostegno!

Veniamo ai ringraziamenti speciali: Lee Fei Taemin. Grazie per tutto, il supporto,le chiacchierate, i consigli e gli incoraggiamenti. Ed i vaffanculo :''D e poi grazie anche perchè mi hai fatto venire voglia di "provare a cambiare carattere alle storie" vediamo se prende? Ci provo con questa u.u

Un grazie speciale va al mio Onew di ogni giorno, CYuuki_Onew che beh... cosa posso dirti se non grazie per quello che fai e di essermi vicina sempre? e Mio? èwé

E un grazie speciale va anche al mio Key, Diiva . Grazie di cuore per tutto quello che fai ciccia *A*.

Ovviamente Grazie infinite a tutte voi che mi seguite sempre e mi rendete una persona felice. Grazie, mega chuuu a tutte ♥♥♥



Si aspettava tutto tranne che quello.

Lì, in mezzo alla strada Jonghyun lo stava baciando. E non uno di quei baci a stampo che riceveva ultimamente, ma un bacio vero.

Quei baci che ti dai quando sei innamorato,

quei baci che ti fanno sentire vivo…

che ti fanno sentire amato.

Eppure quella magia, finché lui catturava la sua lingua rendendo il bacio molto profondo, non la sentiva più. Sentiva solo un peso sul cuore, un macigno, nonostante volesse con tutte le forze abbandonarsi a lui e a quel bacio che gli era mancato.

Purtroppo la nota stonata c’era sempre. Purtroppo lui sentiva ancora il “qualcosa che non va” lì, dentro al cuore, perché… c’era. E non sapeva come fare. Ma stava provando a rispondere al suo bacio.

Ma se lui mi stesse guardando?

Non riuscì a fare a meno di pensarci ed aprì gli occhi, guardando Jonghyun. E quello che vide lo lasciò letteralmente pietrificato.

Cos’era quella cosa strana che gli leggeva dentro?

Possessività…

Gelosia.

Rabbia.

Ma… amore?

Quello c’era?

Kibum era sicuro di non averne vista traccia in quell’attimo. Si sentì uno schifo, forse peggio. E non riuscì a non pensare al ragazzo dagli occhi con tonalità cioccolato, che portava con sé il sapore della primavera.

Lui forse… non sarebbe così…

Non sapeva nemmeno se sentirsi in colpa, almeno non dopo quello che stava facendo Jonghyun, perché…

Perché si stava sentendo un oggetto?

“J-Jonghyun, smettila…” gli disse spingendolo via con le mani, guardandolo tristemente e forse anche un po’ spaventato da quei sentimenti così privi di amore.

“Che c’è?!” gli rispose lui, tornando a guardarlo, con un misto tra l’infastidito e l’arrabbiato. Quello li stava guardando ancora. Ma Kibum non ci riusciva, non voleva “Basta, ci guardano tutti e…” cercò di spingerlo via ancora una volta.

Gli occhi sconvolti e arrabbiati si abbatterono su di lui “E cosa??!” continuò, stringendolo ancora per impedirgli di scappare.

“Non mi piace…” Lo guardò negli occhi, e pronunciò quelle parole con una tristezza fin troppo profonda e radicata dentro. Si liberò dal suo abbraccio con uno strattone e cominciò ad incamminarsi, a passo spedito, verso la loro casa.

Anche se non era poi così sicuro di volerci tornare.

Ma sì che voglio tornarci, solo che…

Solo che…

Solo che gli aveva dato fastidio e non gli era piaciuto proprio per niente, quel bacio che sapeva di tutto tranne che di amore. Quello che Jonghyun sembrava non provare più per lui.

Davvero non mi ami più?

Avrebbe voluto chiederglielo, ma gli faceva fin troppo male. Gli scese una lacrima amara, che solcò il suo viso e velocemente cercò di scacciarla via con la mano.

E cercò anche di non sentire quei passi dietro di lui, cercò di scacciare ogni rumore perché… gli aveva fatto di nuovo del male, l’aveva allontanato di più. Ed il freddo stava arrivando, perché il vento si abbatté sul suo viso, come sul suo corpo, facendolo tremare.

***

Perché ti sto facendo di nuovo questo?

Si sentì la persona più stupida sulla faccia della terra, finché lo seguiva e cercava di raggiungerlo. Perché doveva rovinare tutto con dei passi avanti, che in realtà passi non erano? Erano solo delle lotte per tamponare quella dannatissima ferita solo che non aveva davvero nessun strumento per farlo, o almeno, non si rendeva conto di quello che doveva fare.

Sarebbe bastato davvero poco, sarebbe bastato usare quel po’ di coraggio e liberarsi, causandogli così sì altro dolore, ma forse sarebbe riuscito davvero a risanare tutto.

O forse no.

Lo rincorse, col viso intriso di dolore per l’enorme cazzata che aveva fatto. Gli prese il braccio con una forza tale che temette di romperlo, perché temeva davvero che lui potesse andarsene in quell’istante.

Forse mancava poco. Forse no.

Quella ferita non aveva smesso di sanguinare.

“Kibum!” lo strattonò ancora, e lo costrinse a girarsi, finché vide quella sua smorfia di dolore devastargli il viso. Kibum era sempre stato meraviglioso, così meraviglioso che niente aveva potuto deturpare in qualche modo la sua bellezza. Nemmeno la dolcezza dei suoi occhi, nemmeno la delicatezza delle sue carezze.

Eppure la stupidità della colpa di Jonghyun

continuava a ricadere su Kibum.

“Kibum, fermati!!” lo strattonò di nuovo e Kibum dovette fermarsi, anche se non voleva.

“Cosa vuoi?!”

“Kibum, io… mi dispiace, sono stato un coglione…”

“Perché Jonghyun, perché?!”

“Io… quello ti stava guardando, ci provava e tu gli sorridevi!!”

“Jonghyun… io, a me piace quella torta e mi sentivo bene lì…”

Avrebbe voluto dirgli tu devi stare bene solo con me, ma in realtà era solo una grande cazzata. Non poteva stare bene con lui e lo sapeva. Ma avrebbe potuto fare di più, molto di più, per renderlo felice o almeno riprovare a renderlo felice. Magari incominciando proprio da lì.

Lo strinse a sé, mentre lui cominciò a piangere. Kibum in quell’istante provò a liberarsi di quel dolore, anche se sapeva fin troppo bene che non sarebbe sparito con delle semplici lacrime.

Faceva male, faceva così male che non riusciva nemmeno a parlarne. Non con lui. Non con lui che era la persona più importante della sua vita. Eppure ogni tanto si chiedeva se davvero ne valeva la pena provare a riscaldarsi.

Forse qualcosa si era inevitabilmente spezzato?

Forse sì.

E quella era la paura più grande di Kibum. Quella paura fottuta di quel per sempre che aveva immaginato con lui. Perché lui ci credeva tantissimo all’amore per sempre, anche se non si era mai reputato una persona all’altezza di una relazione stabile.

Però… però a quella nota calda di cioccolato ci pensava…

Come a quella torta.

***

Perché mi da fastidio? Perché questa cosa mi fa ribollire il sangue?

Perché sento una cosa strana e dolorosa allo stomaco?

Se lo stava chiedendo finché lo guardava negli occhi. Gli dava fastidio quel ragazzo che lo stava avvertendo, l’aveva capito fin troppo bene. Gli dava più fastidio di quelle ragazze che ci provavano con lui, ma non capiva veramente il perché.

Quel bacio poi… Aveva capito cosa volesse dirgli quel ragazzo abbastanza muscoloso ma più basso di lui, almeno così credeva! Perché lui fino ad allora non sapeva cosa significasse amare, anzi, sentiva solo quel qualcosa di grande che lo faceva star bene con lui, quel Kibum.

Lui, gli occhi di opale con la nota triste.

Aveva voglia di rivederlo, ogni singolo giorno a venire. Ed in quel momento, lì, con quella visione che gli faceva sentire qualcosa di strano, la gente, in pasticceria, nemmeno la vedeva più.

Avrebbe voluto rimanere solo. Avrebbe voluto andarsene a casa.

Avrebbe voluto pensare a quel vuoto che sentiva.

Però doveva continuare a lavorare, far finta che nulla fosse successo, e ricominciare a vedere le persone che erano di fronte a lui. Lo fece. Ci provò. E per la prima volta nella sua vita si sentì diverso in quella pasticceria.

Lui non c’era. C’erano però le sue torte.

E quel qualcosa di così grande che ti fa star bene.

Ma con lui… era di più.

L’aveva capito.

***

Stavano tornando a casa. Jonghyun lo teneva per la vita, in una presa un po’ più forte di quelle che aveva sempre avuto per lui. Quella mattina era cominciata così: allegria, colazione e?

Il masso che schiacciava inesorabilmente Kibum.

Non voleva però più pensarci e nemmeno Jonghyun. Volevano solo provare a ritrovarsi perché era troppo importante quello che avevano costruito. O almeno lo era tutto quello che avevano costruito fino a quel momento.

I passi svelti che li accompagnarono a casa erano frettolosi e forse anche un po’ troppo impauriti. Stretti ancora nell’abbraccio, vicini, forse troppo, ma bisognosi di così tanto affetto, ci arrivarono dopo poco.

Tanto.

Quando salirono le scale e finalmente poterono varcare la soglia di casa, Jonghyun lo guardò solo per un istante e lo prese tra le braccia. Un contatto forte e rude, un abbraccio che forse per Jonghyun voleva significare scusa, e poi lo portò a letto.

Ma per Kibum?

Cosa significava?

Kibum lo guardò finché, con i stessi sentimenti di prima Jonghyun si sdraiava sopra di lui e lo baciava. Irruento, possessivo. La sua lingua non riusciva a parlare d’amore ma continuò nel suo intento.

Ma Kibum?

Non sapeva, non capiva. Quello però che sentiva era che “non gli piacevano quei gesti che sapevano di tutto tranne di un qualcosa di dolce”, quel qualcosa di dolce di cui lui aveva bisogno, quel qualcosa di bello che poteva finalmente scaldarlo, quella cosa che avrebbe potuto far sì che si riavvicinassero.

Kibum strinse gli occhi, mentre una lacrima gli usciva. Continuava a pensarci, finché stavano per fare l’amore, continuava a pensarci finché le sue mani lo spogliavano, lì sopra al letto nel quale dormivano ogni notte.

Ma non erano gentili.

E lui aveva bisogno di dolcezza. Lui aveva bisogno di sentirsi amato. Jonghyun lo baciava, gli leccava il collo, gli accarezzava il petto, ma lui non riusciva a sentire amore.

Più andava giù, più sentiva che Jonghyun si allontanava. E Kibum stringeva i denti. Kibum si mordeva le labbra

Non ti sento più mio…

che sta succedendo?

Perché dev’essere così?

Jonghyun, ho paura!

Stringimi, ma sii dolce!

Non è dolce. Gli slaccia i pantaloni e glieli sfila, insieme ai boxer, accarezzandolo un po’ troppo velocemente ed in maniera rude.

Jonghyun sa benissimo che Kibum non si merita carezze così, eppure non riesce a fare in altra maniera.

È suo! E nessuno può toccarlo!

Lo prepara un po’ distrattamente, senza riuscire a scorgere i sentimenti della persona che ama. Lui lo ama ma… non riesce a sbloccarsi. Perché è per questo che è così.

Non riesco ad amarti come meriti perché ti ho tradito.

Fa tutto il contrario di quello che vorrebbe fare, fa tutto il contrario di quello che il cuore gli dice.

Lo penetra con un dito, poi con due. Non si accorge della smorfia di dolore sul viso di Kibum, né tantomeno di quella seconda lacrima che sta per scendere.

Possono due persone amarsi tanto ed essere così lontane?

Forse sì.

Sì.

Jonghyun si lubrifica con quello che ha ed entra. Non fa piano, no. Entra e spinge e Kibum si sente quasi male.

“T-ti p-prego… fai… fai piano…” lo implora tenendo gli occhi chiusi, senza nemmeno avere il coraggio di guardarlo, perché quella nota calda di cioccolato gli ritorna alla memoria e forse teme che… arrivi fin quando lui è dentro.

Non vuole, non deve e gira il viso.

Forse a Jonghyun non importa, forse lo vuole punire per una colpa che non ha commesso. O forse lo vuole punire per essere stato bene in quell’attimo senza di lui.

Perché non mi aiuti ad avvicinarmi a te?

Ho sbagliato, sto sbagliando…

ma aiutami! Aiutami!

Da solo non ce la faccio, anche se il casino l’ho combinato io…

Spinge più forte, mordendogli il collo. E si sente invadere l’anima di rabbia. Spinge ancora finché ansima sul suo orecchio e gli dice “Sei mio! Solo mio!”

E Kibum spalanca gli occhi, ormai colmi di lacrime. Lo guarda e vede nel suo sguardo qualcosa di triste e non capisce più niente. Già prima era difficile capire qualcosa, adesso invece… lo è ancora di più.

“Jong! M-mi fai.. mi fai male!!”

Gli urla addosso, e finalmente Jonghyun si ferma. Avrebbe tanto voluto dirgli un’atra cosa, la verità.

Sono sei mesi che mi fai del male!

Sono sei mesi che ci siamo allontanati!

Sono sei mesi che non sappiamo più rimanere vicini,

stringerci davvero, abbracciarci.

Dividiamo lo stesso tetto, lo stesso letto.

Eppure siamo così lontani che fa fin troppo male.

Non mi ami! Non mi ami!

Sono tuo? Sono un oggetto?

Nelle tue mani non c’è amore,

nei tuoi tocchi… sento solo l’angoscia

di un qualcosa che non vuoi perdere!

Kibum inizia a singhiozzare e Jonghyun esce. Lo guarda e capisce di nuovo di essere stato un pezzo di merda.

Lo prese tra le braccia mentre Kibum singhiozzava. “Scusami, sono uno stronzo!” ma si era già staccato da lui, e se l’era tirato addosso, stringendolo e accarezzandolo, sperando di poterlo tranquillizzare.

Ma non smetteva di piangere.

“Scusa, scusami… ti prego scusami!” continuava a stringerlo, continuava ad accarezzarlo ma niente in quell’attimo riusciva a dargli pace.

Però successe qualcosa, qualcosa come la disperazione che lo fece parlare.

“Perché Jonghyun? Perché?” gli urlò contro mentre le sue mani cercavano di spingerlo via. Più lui spingeva per allontanarlo, più Jonghyun cercava di stringerlo a sé.

Non allontanarti, per favore!!

“Scusami Kibum, scusami! Mi dispiace… ma sono geloso! Sono geloso, un bastardo geloso che non si sa controllare! Che s’incazza e che… che ha paura!”

“Jong! Non sono un oggetto! Non sono una bambola con cui puoi fare il bello ed il cattivo tempo! Perché? Me lo spieghi cosa c’è che non va?!”

“Non sei una bambola Kibum, cosa… come puoi pensare una cosa simile?!”

“QUESTO ME LO FAI SENTIRE TU!!” urlò di nuovo, mentre con un’ultima spinta lo allontanò da sé. Si alzò velocemente, col cuore in gola e le mani che tremavano perché aveva paura, gli faceva male, sentiva il cuore scoppiare e non sapeva più cosa fare.

Una ferita son si rimargina da sola.

Nessuno dei due sapeva cosa fare.

La ferita stava diventando uno squarcio.

Si stavano dissanguando.

Inesorabilmente.

Quella giornata fu talmente strana che nemmeno loro si resero conto di ciò che era successo. Un litigio? Forse. Uno seduto sul divano, l’altro che girava per casa. Nemmeno una parola, niente di niente. Neanche il coraggio di guardarsi negli occhi e do confrontarsi. Perché tutto, dopo quel dannato litigio, o quel che era, faceva male.

***

Il suo pomeriggio non fu dei migliori. Da quando li aveva visti in quel modo non aveva fatto nient’altro che pensare a quello. Nonostante i suoi dolci, nonostante le persone che andavano da lui, e che conosceva da anni, riuscì a combinare qualcosa. Il perché era semplice. Quella cosa gli aveva dato fastidio, provocandogli un dolore che via via si era fatto più forte, proprio lì, proprio alla bocca dello stomaco.

Non gliene fregava del dolore.

Era quella sensazione strana di vuoto a fargli impressione.

Quella sensazione strana se la portò anche a casa, dopo aver fatto tutto come le altre volte. Aveva controllato i dolci, la lievitazione ed il cioccolato pronto per essere incartato, quando uscì dal laboratorio e spense le luci.

Uscì, come sempre, dalla porta principale, chiudendo la saracinesca sbuffando.

Era la prima volta che lo faceva.

E se ne stupì.

Un’ondata di vento freddo lo colpì in pieno viso, costringendolo ad alzare il cappuccio e stringersi di più in quella felpa che ormai serviva poco. Serviva un cappotto, l’inverno stava arrivando, solo che stavolta lo sentiva anche lui.

A lui quegli occhi mancavano. A lui quegli occhi piacevano. A lui quegli occhi ispiravano una nota dolcissima, come quella della sua torta. A lui quegli occhi piacevano perché era sicuro che nascondevano “quel qualcosa di grande che ti fa stare bene” e voleva scoprirlo.

Solo che dovette ritornare a casa, ed eccetto quelle note colorate tipiche della primavera, in quell’appartamento, non c’era nessuno ad aspettarlo.

Si sentì triste.

Per la prima volta.

Fu triste anche la notte perché la passò a rigirarsi nel letto senza trovare nessuna risposta alla continua domanda che gli frullava in testa, guardando il nero che c’era lì attorno. Niente, non c’era più niente.

Ma c’era mai stato qualcosa lì, oltre ai suoi dolci?

No.

Probabilmente si stava rendendo conto di quanto fosse diverso tutto il mondo in cui viveva, da ciò che in realtà è.

Forse siamo nati per stare in due?

Perché mi sembra che… da soli non sia poi così… bello?

Ma io sono sempre stato con i miei dolci, mi sono sempre bastati loro.

Ora… che sta succedendo?

Ora… forse ti vorrei accanto a me.

Ma perché?

Sento anche con te il “qualcosa di grande che ti fa stare bene”.

Ma non so come chiamarlo.

Torna da me.

Spiegamelo.

***

Avrebbe voluto sdraiarsi vicino a lui ed abbracciarlo, tanto quanto Kibum avrebbe voluto che lui si sdraiasse vicino e l’abbracciasse. Ma non era successo. Kibum era là, a letto, viso spento che guardava la finestra. Vedeva nero, perché luce non ce n’era, sentiva freddo, perché calore non ce n’era.

Ma voleva lui e voleva anche lui.

Jonghyun rappresentava il suo grande amore, il suo pezzo di vita. Colui che amava e che non voleva lasciare perché si sentiva morire.

Come fai a lasciare una persona che ami?

Qualche volta succede di lasciarsi, nonostante l’amore che si prova l’uno per l’altro. Eppure Kibum non riusciva a pensarci di poter stare senza Jonghyun, ma di fatto quella ferita sanguinava sempre di più e niente era riuscito a tamponarla, anzi.

O almeno non per il momento.

Nemmeno Jonghyun voleva vivere senza Kibum, ma non riusciva ad avvicinarsi.

E non ci riuscì davvero, nemmeno quella dannatissima domenica sera, rimanendo a dormire sul divano. Se avesse saputo che Kibum piangeva probabilmente sarebbe andato da lui... Magari l’avrebbe stretto tra le braccia e l’avrebbe baciato, sciogliendo quel nodo alla gola, o forse aumentandone la resistenza, ma sarebbe comunque andato da lui.

Invece non fece nulla. Dormì lì sul divano, sentendo il freddo dell’inverno penetrare dentro di lui e avvicinarsi al cuore, infiammandolo.

Dolore. Questo sentiva.

E si sentiva quasi gelare, ma non poté far altro che riscaldarsi da solo, maledicendosi per le sue continue cavolate che stava combinando. Pianse.

***

S’addormentò tardi e si svegliò presto. La notte l’aveva passata tra mille incubi, e si era risvegliato sentendo il solito profumo di caffè, quello che Kibum faceva ogni giorno…

Solo che c’era qualcosa di strano in tutto quello. Ma forse era tutto strano. Kibum avrebbe potuto alzarsi dopo, invece si alzava sempre prima per fargli il caffè e stare con lui. Sì perché Kibum lavorava da casa, anche se quel lavoro non lo soddisfava appieno. Era un lavoro normale, o almeno così lui pensava.

Disegnava abiti per un giornale di moda.

Da casa non era difficile, si organizzava il lavoro e si gestiva tutto il tempo come voleva. Perciò che senso aveva, se non quello di amare profondamente Jonghyun, alzarsi il mattino presto e fargli compagnia?

Se ne rese conto in quell’attimo, mentre si alzava e si vestiva, finché lo guardava, e lui era là, con quegli occhi dannatamente tristi, preparargli la colazione.

“Io esco!” annunciò subito dopo, con lo sguardo spento e incredibilmente vuoto, finché si tirò su il cappuccio della felpa rosa, aggiustandosi ancor prima una pashmina che gli tenesse caldo un po’ il collo.

“Do-dove vai Kibum?” fu la sua domanda allibita perché lui non l’aveva mai fatto.

“Ho bisogno di una boccata d’aria…” gli rispose, un attimo prima di chiudersi la porta alle spalle, uscendo senza nemmeno guardarlo in faccia. Ma quello che voleva dirgli veramente era ben altro.

Ho bisogno di vivere.

Sto morendo.

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Capitolo 6
*** Vieni, ti mostro un pezzo del mio cuore… ora so come chiamarlo… ***


Ciao a tutte! Chiedo scusa del ritardo ma sto proprio da schifo in questi giorni! Non so nemmeno come scrivere e temo che il cap sia venuto male perciò... vi chiedo umilmente perdono!! Ecco grazie per il sostegno, vi mando un bacione grandissimo!! chuu ♥♥♥



Corse veloce giù per le scale.

“Lontano! Voglio andare lontano!”

Questo urlava nella sua mente, anche se molto lontano non poteva andare. O forse sì. Tanto, che senso aveva rimanere lì, in quella casa dove tutto ormai faceva male? Poteva andare dove voleva, rintanarsi in qualche buco della città, magari sotto un ponte, o in qualche chiesa…

Pregando? Forse.

Anche perché quella probabilmente era l’unica speranza che gli era rimasta, per poter sperare davvero di sistemare la situazione.

O forse…?

***

Guardo ovunque. I miei occhi vedono solo quello che c’è: rosso e le sue sfumature, giallo e le sue sfumature… marrone e le sue sfumature.

Alcuni amano questi colori… io invece no.

È solo l’inizio della fine.

Sono ovunque e ti fanno capire come tutto stia lentamente morendo. È proprio come un fuoco… Stesso colore, stesse sfumature… Come un fuoco quando si spegne. A mano a mano che non ha più nulla da bruciare, perde colore come perde calore…

Muore, lentamente. Come quelle foglie.

E quel fuoco è come l’amore.

L’inverno sta arrivando vero Jonghyun?

Perché io sento solo questo. Sento così tanto freddo che fa male. E non so, davvero, non so se ne vale la pena provare a scaldarsi.

Non dopo quello che è successo.

Mi ami? Me lo continuo a chiedere, ma forse… che importanza ha dopo tutto? Mi sento soffocare, ho bisogno di scappare. Tutto questo mi fa troppo male! Mi fa male quando ti vedo, mi fa male il tuo trattarmi da… bambola? Mi sento così.

Una bambola.

Senza anima.

Ma non lo sono, non lo sono neanche mai stato. All’inizio pensavo davvero di essere una persona non adatta alle relazioni stabili perché… beh avevo paura di non innamorarmi mai. È strano vero?

Eppure mi sono innamorato di te.

Di un uomo.

Ho sfidato tutti e non mi è interessato nulla.

L’avrei fatto ancora sai?

Quella volta ho litigato con mamma per ciò che ero, ciò che sono. Papà invece mi ha compreso e poi l’ha accettato anche lei. Ma anche allora ho provato questo dolore, questo freddo, solo che con lei poi è arrivata la primavera.

Ma con te?

Non so se arriverà mai…

Mi fa male, non voglio! Dio Jonghyun io volevo amarti sempre!Già… volevo… Perché dico volevo? Forse… forse non voglio più? Eppure… sento che dentro di me conservo ancora quella speranza… o forse…

Forse è solo l’effimera illusione di un qualcosa che vorrei ci fosse?

Si ritrovò di fronte a quel posto che avrebbe tanto voluto vedere, in cui era sicuro di sentirsi meglio. Erano passate ore da quando aveva lasciato casa sua, dove si era scordato anche il cellulare, ma non aveva di certo voglia di tornare indietro.

Era troppo presto.

Forse non era il posto che voleva vedere, ma quegli occhi dalla tonalità cioccolato che gli avevano trasmesso quel qualcosa di strano, bello, dolce… e il suo sorriso, capace davvero di riscaldarlo.

Primavera…

Era freddo, ed era quasi l’orario di chiusura. Tremava un po’, stretto in quella felpa e… ormai mancavano pochi minuti perché lui chiudesse, ma qualcosa gli diceva che doveva andare lì, e che forse non se ne sarebbe andato presto.

S’incamminò verso la pasticceria, muovendo a fatica le gambe. Non si era accorto di quanto fredde erano né di quanto freddo faceva realmente.

Erano quasi di ghiaccio.

Ma camminò ugualmente…

Il calore… era vicino.

***

Mancavano solo tre minuti alla chiusura. E gli sembravano dannatamente lunghi. Da quando lui era entrato lì dentro, tutto era diventato troppo lungo, più precisamente il tempo. Il tempo era diventato troppo lungo. I minuti sembravano ore.

Perché prima durava poco ed ora dura di più?

Sbuffò un attimo, volgendo lo sguardo al retro bottega. I suoi collaboratori andavano sempre a casa alle 12:30, non aveva voglia di tenerli lì oltre quell’orario. Non aveva senso e poi… Poi i suoi dolci li controllava solo lui!

Erano suoi.

Sbuffando si girò nuovamente verso l’esterno. Fuori non c’era il sole ed era già diventato più freddo. Il cappotto l’aveva messo quel mattino e, finché abbassò lo sguardo verso quella strada in cui il giorno prima l’aveva visto sparire… Lo vide.

Era lì, fermo, davanti la porta.

Lo guardava,

si guardavano.

Non sentì solo una bolla d’aria risalirgli l’esofago…

Ne sentì una ad ogni passo che fece per andare ad aprirgli la porta.

Passi veloci e sicuri.

Come lui e… come quello che sentiva.

Là fuori faceva freddo, troppo freddo. Lì dentro invece era caldo. I suoi occhi, occhi di opale, avevano quella dannata nota triste ancora più accentuata e quella pashmina troppo leggera non poteva coprirlo.

Aveva freddo.

Lui doveva scaldarlo…

Voleva.

Con quei passi decisi arrivò lì e quell’aria da uomo affascinante non l’aveva persa, anzi, era aumentata in quei pochi attimi. Eppure dentro si sentiva emozionato come un bambino, si sentiva così tanto emozionato che temeva che il cuore potesse scoppiare....

La mano tremo, ma riuscì comunque ad afferrare la maniglia della porta, sudando leggermente e poi l’aprì.

“Kibum, entra!” Il suo nome era dentro.

Gli sorrise, non sapeva nemmeno cosa aspettarsi da quell’incontro. Era emozionato… ed entrò. Tremava, stretto nella sua felpa, ma non aveva freddo. Fuori era freddo, tutto era freddo, ma non lo era più nell’attimo in cui incontrò i suoi occhi, che, ancora una volta, gli avevano fatto sentire quel calore.

Gli sorrise, si sorrisero…

E di colpo era già diventato primavera…

***

L’aveva visto sparire oltre la porta ed il suo cuore aveva cominciato a battere troppo forte nel petto. E gli faceva male, troppo.

Di colpo era già diventato inverno.

L’ondata gelida, che aveva sentito dentro di lui, non riusciva a scacciarla. Si era coperto più del solito e se n’era andato al lavoro.

La settimana era cominciata fin troppo male.

Aveva camminato più del solito, aveva fatto un giro più lungo per arrivare fino a lì, fino a dove lavorava per mantenersi, mantenere quella casa che prima, fino a che Kibum non era arrivato, gli era servita per… per stare con quella.

Scosse la testa, pensando alla diversità della situazione. Di quella che era tutto e nulla e di Kibum che era solo tutto.

Tutto e basta.

Sentì ancora più freddo, entrando lì dentro, in quell’edificio dove si occupava di immagazzinare milioni di scartoffie che non avrebbe saputo mai cosa in realtà fossero.

Forse c’era qualcos’altro che non avrebbe mai saputo.

Forse… l’avrebbe scoperto più avanti.

Non riuscì a non pensarci in ogni singolo istante di quella maledetta giornata, che era cominciata male, finché immagazzinava quelle cose. C’erano così tante cose che gettava dentro quei scatoloni, senza rendersi conto di quanto, per gli altri fossero importanti.

Un po’ come fa con Kibum.

Con quella colpa che si portava dentro, nello scatolone del suo cuore ci buttava dentro ogni cosa. Il dolore innanzitutto, per quella cosa che aveva fatto. La stupidità, che sentiva di avere in ogni singolo secondo della sua vita. Gli occhi di Kibum, perché non riusciva più a guardarlo davvero… e come il suo amore per lui.

E come dentro ci buttava quei sentimenti, il nastro che usava per chiudere quei pacchi era come la sua colpa.

Alcune cose le lasciava fuori.

Forse quelle più brutte…

O forse solo una:

La paura.

La paura di perderlo sigillava il suo cuore. Non gli permetteva di esprimersi come voleva, né tantomeno dirgli ciò che sentiva.

Anche se voleva.

Perché spesso la paura è molto più forte di noi.

Quasi sempre.

E non poté far altro che constatare quanto fosse vero, perché, quando ritornò a casa, la trovò vuota.

Non c’era lui.

Non c’era il solito profumino di cibo preparato con amore.

Non c’era nemmeno la pashmina…

Il cellulare era lì invece.

L’aveva lasciato a casa… forse non voleva farsi trovare.

Sospirò pesantemente, rendendosi conto di fino a che punto erano arrivati. Un punto morto, un punto triste. L’inverno era lì davvero. Niente sarebbe potuto tornare come prima a meno che non si decidesse di provarci davvero, come quel giorno.

Ma come avrebbe potuto farsi perdonare, dopo quello che gli aveva fatto la sera prima? Continuava a chiederselo, finché dovette prepararsi quel misero cibo che si era sempre preparato da solo prima di lui… perchè anche con quella, che ogni tanto girava per casa, doveva prepararsi da solo tutto.

Ma in fondo era normale. Solo con Kibum aveva apprezzato veramente le piccole cose della routine quotidiana, anche se aveva già iniziato a star male.

Solo con lui tutto era bello.

Ma aveva baciato quella.

Nonostante con lui tutto fosse bello.

“Sono il più grande coglione della terra… qualcosa devo fare, per lui, per noi. Non lo posso perdere, non ora. Devo aspettare che torni e poi… poi dovrò renderlo felice. Forse dovrei cominciare da qualcosa di speciale. Forse comincerò da quello…”

Sparecchiò la tavola con lo sguardo triste, la schiena curva, il cuore pieno e vuoto allo stesso tempo. Guardò ancora in giro, prima di uscire da quella casa che sapeva sempre un po’ di lui. Di Kibum.

Era triste.

Troppo triste quella casa senza Kibum.

Chiuse la porta a chiave e ritornò al lavoro, pensando a quella cosa speciale.

***

Si sedette nell’angolo di mondo dove il sole ed il calore primaverile non se ne andava mai, con lui vicino che continuava a fissarlo. Kibum si sentiva in imbarazzo, ma al tempo stesso aveva davvero bisogno di essere lì, di parlare con lui e di sentire veramente quel calore dentro…

“Kibum…” lo chiamò dolcemente, finchè s’appoggiava una mano sotto il mento, guardandolo. Lo vedeva, era in imbarazzo, con le gote leggermente arrossate e lo sguardo basso. “Sì?” fu la risposta accennata, finchè alzava i suoi occhi che…

la nota triste dov’è?

“Stai qui seduto, aspetta una attimo che chiudo!” Si alzò velocemente, sorridendogli e chiuse altrettanto velocemente la porta, mettendo il cartello “chiuso” e abbassando una piccola tapparella.

“Eccomi!” esclamò ritornando da lui e sedendosi vicino. Quella volta però fu diverso. Erano insieme, lì dentro, da soli. Finalmente avrebbero potuto parlarsi, magari conoscersi... e forse anche capire certe cose.

Balbettò nell’attimo in cui lui si sedette nuovamente accanto a lui. “C-ciao…” lo guardò, ed in quell’attimo spuntò quel meraviglioso sorriso che gli scaldava il cuore, seguito dal suo “Ciao…”

“So-sono venuto qui… per…” balbettò ancora, arrossendo un po’ più di prima, sicuro che quel caldo sole primaverile avesse già invaso ogni piccola parte del suo corpo.

“Per qualsiasi cosa tu sia venuto mi fa piacere…” gli rispose e lì Kibum sentì un altro colpo al cuore, più forte, diretto.

Ti fa piacere come fa piacere a me? Mi ascolterai… davvero?

“Posso dirtelo?” gli chiese titubante, ma la sua risposta tranquilla lo rasserenò e spiazzò al tempo stesso. Non sapeva in realtà, cosa provocava lui al cuore di quel ragazzo.

“Dimmi quello che vuoi…”

“Voglio sapere il tuo nome prima…”

“Taemin, mi chiamo Taemin, piacere…” disse allungando la mano verso di lui e Kibum l’afferrò, stringendola, e davvero qualcosa successe. S’incantarono a guardarsi, con quella presa salda che faceva sentire le emozioni dell’uno e dell’altro.

Cosa sta succedendo?

“P-piacere mio, K-Kibum.” balbettò guardandolo, ma poi si riscosse, ritraendo la mano ed abbassando lo sguardo. E partì, come un fiume in piena.

“So che sembro stupido ma… non va per niente bene. Zero, non c’è niente che va bene. Tutto va storto… Non piace nulla di ciò che ho. Mi fa male, ogni singolo istante e… mi fa male soprattutto lui.”

“Il tuo ragazzo?”

“Sì… non riusciamo più a parlare e va tutto male. Mi sento un peso così grande sul cuore che non riesco a levarlo. Ho freddo, mi fa paura questa sensazione di gelo che si che è creata con lui… io…”

“Tu?”

“Io credevo fosse l’uomo della mia vita, invece… invece ora non lo so più. Vivere sotto lo stesso tetto è diventato angosciante. Eppure vorrei ancora che mi stringesse tra le braccia e mi dicesse che mi ama… ma non lo fa… se mi stringe, se mi stringe mi fa ancora più male di quando mi ignora… mi sento così schifosamente usato che non riesco a capire nulla… e non capisco nemmeno me…”

“Kibum?”

“S-scusa… i-io…” balbettò rendendosi conto di tutto quello che aveva detto, mentre lui era rimasto lì a guardalo incantato. E con una tranquillità, che nemmeno sapeva di avere, glielo chiese. Quello che per tanto tempo si chiedeva cosa fosse e che era sicurissimo che lui lo sapesse.

“Amare… cosa significa?”

“Da-davvero non lo sai?!”

Balbettò a quella domanda inaspettata. Proprio lui che amava i suoi dolci, non sapeva cosa significasse amare?

“No…” rispose sorridendo tranquillamente e Kibum, senza nemmeno comprendere il motivo della sua domanda che gli stava per fare, o forse sì, glielo chiese.

“Ma… non hai mai avuto una ragazza o un ragazzo?”

“No, ho sempre avuto i miei dolci. E per loro provo un qualcosa di grande che ti fa stare bene…”

Quella frase gli fece capire molte cose. La torta, quell’amore grande per quei dolci che faceva, il suo sorriso e… la nota cioccolata bellissima all’interno dei suoi occhi.

“E non sai come chiamarlo?”

“No!” esclamò sorridendo “Però sono sicuro che tu lo sai, ne?”

“P-penso… d-di… sì!” balbettò nuovamente, e lo guardò, arrossendo più di prima.

“Tu l’hai sentito la prima volta, mangiando la torta.”

“Tu ami i tuoi dolci vero?”

“Amare? Come una persona intendi?”

“Sì… quel qualcosa di grande che ti fa stare bene credo sia amore…”

“Non ne ho idea…”

“È bello?”

“Mmh sì…”

“È grande?”

“Sembra…”

“Come fai a non conoscere il concetto di amore?”

“Semplicemente nessuno me l’ha mai spiegato…”

“Oh… ma, non vedi i tuoi genitori abbracciarsi, baciarsi…?”

“Sono morti…”

Kibum, a quella risposta, si sentì un totale idiota. Nonostante il viso di lui, Taemin, così tranquillo e pacato durante la conversazione, soprattutto a quella domanda, non riuscì a non sentirsi idiota. Si sentì triste perché, per qualche motivo…

Con te non voglio sbagliare…

“Scusami… mi dispiace! Davvero io…”

“Non ti scusare, non soffro… però li vedevo essere felici ma non ho mai saputo i realtà che nome avesse quel qualcosa di grande che ti fa star bene…”

Però lo sento, più dei dolci… con te… qui.

“Ti va di provare a fare dei dolci con me?” gli chiese inaspettatamente e Kibum lo guardò sorpreso e sconvolto.

Io?? I dolci?? Ma…???

“Ah.. i-io… n-non li faccio da molto… n-non so se sono in grado di…”

“Ce la farai, tu lo sai no? Sai cos’è perciò… vieni con me…”

Non gli lasciò il tempo di rispondere no che lo prese semplicemente per mano, sconvolgendosi e sconvolgendolo per quel contatto così inaspettato e dolce… Forse anche troppo bello.

Bellissimo.

Quello che sentirono fu nient’altro che una scarica elettrica percorrere i loro corpi e quello che successe dopo fu l’incanto. Si guardarono negli occhi per un tempo così lungo che crederono davvero che i loro cuori stessero per impazzire da un momento all’altro.

Battevano veloce, tremavano le mani ad entrambi.

Ma si ripresero e Taemin, per la prima volta, portò una persona estranea nel suo laboratorio.

“Vieni, ti mostro un pezzetto della mia vita… anzi, un pezzo grande della mia vita…”

Ma quello che avrebbe dovuto realmente dirgli era:

“Vieni, ti mostro un pezzo del mio cuore… ora so come chiamarlo…”

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Capitolo 7
*** E' davvero giusto così? ***


Ciao a tutte, volevo chiedere scusa per il ritardo mega. Vi devo delle spiegazioni, com'è giusto che sia e anche delle scuse. Oltre al brutto periodo che stavo passando, dal quale cercavo di riprendermi, è avvenuto un lutto in famiglia. Ho perso mio fratello. Non era un fratello vero, di sangue intendo, ma acquisito, il marito di mia cugina. Avevamo un rapporto speciale e ci volevamo un bene dell'anima. Perciò è stato difficile riprendere a scrivere e... beh l'ultima one-shot che avevo scritto, l'ho scritta proprio il giorno prima. Perciò vi chiedo scusa del ritardo e sto andando avanti col resto, presto pubblicherò le altre e non vi farò attendere, promesso. Grazie per il vostro sostegno, un abbraccio forte. Chuu mega a tutte.

Ps: questo capitolo lo dedico a tutte le persone che mi sono state vicine. Grazie. ♥♥♥




La mano stretta alla sua, quel caldo della primavera che si propaga per tutto il corpo.

Taemin sente un qualcosa di strano, Kibum invece avvampa.

Lo trascinò nel suo laboratorio, proprio lì dietro, dove mai nessun altro era andato, se non quei collaboratori accuratamente scelti.

Non aveva mai smesso di tenere stretta la sua mano, come non aveva assolutamente intenzione di farlo. Voleva portarlo lì e capire “quel qualcosa di grande che ti fa stare bene” e dargli un nome, perché lui sapeva, sapeva davvero cos’era.

Taemin era sicuro, Kibum molto meno, lo si poteva intuire da quelle dolci gote arrossate che non sentivano più il freddo dell’inverno colpirle.

E fu proprio lì, vicino al bancone principale, dove Taemin aveva imparato a creare le sue opere d’arte, che il giovane pasticciere si girò verso di lui, tenendo sempre salda la sua mano.

Lo sguardo si posò subito nel suo, notando ancora una volta la dolcezza degli occhi di opale.

Ma non c’era la nota triste, così sorrise.

E sorrise anche Kibum.

Come se una dovesse seguire l’altra, prima una e poi l’altra, quelle bocche mostrarono dei meravigliosi sorrisi.

Forse… l’uno dipendeva dall’altro?

E come se fosse la cosa più naturale del mondo, i loro occhi s’incatenarono, come la volta precedente e forse anche di più. Brividi caldi attraversarono i loro corpi, mentre il sole spuntava nel viso di Kibum, un po’ arrossato e così incredibilmente dolce.

“Ora t’insegno a fare il pan di spagna, quello vero…”

“Co-come?”

“Quello vero, così poi potrai fare anche lei… ma prima devi imparare a fare lui…”

“Ma… io non credo di…”

“Tu puoi… devi solo volere.”

“È difficile Taemin…”

“Ti aiuterò io…”

“Beh, sei un pasticciere, tu puoi insegnare a chiunque…”

“No, lo posso insegnare a chi lo conosce… tu però mi devi dire il nome.”

“I-Il nome?”

“Sì, tu… lo sai…”

Kibum avvampò di nuovo, mentre le dita soffici di Taemin accarezzarono lente la sua mano. Lo guidò, in quel laboratorio, tanto grande e con l’isola in mezzo, così grande che ci poteva stare una persona sdraiata.

Poteva essere di qualsiasi colore, solitamente acciaio, invece erano banconi bianchi. Perché il bianco è puro, perché è qualcosa di estremamente rilassante ed in ogni caso avrebbe aiutato la lievitazione di quei dolci tanto particolari.

E poi… era come la panna.

E le gambe di quei tavoli erano marrone scuro, come il cioccolato.

Kibum le aveva notate e, sempre con la mano nella sua, s’aggirava lì. Quella dispensa grande color cioccolato, conteneva ogni cosa. Lo sapeva perché, dopo pochi attimi passati ad osservare tutto, Taemin l’aveva aperta ed aveva preso gli ingredienti necessari per il pan di spagna, poggiandoli sul bancone grande e bianco.

Kibum l’aveva guardato. S’era impresso ogni movimento, ogni sguardo, ogni piccolo particolare di lui perché… beh, perché lui era quel qualcosa che lo faceva stare bene, un po’ come la torta.

Più lo guardava, più gli piaceva ogni piccolo particolare di lui, a cominciare da quello sguardo da ragazzino, dal viso dolce apparentemente, ma così sicuro e da uomo, come la maniera di camminare e… la sua schiena ampia.

Sarebbe stato bellissimo ricevere un abbraccio.

Sarebbe stato altrettanto bello rifugiarcisi dentro…

Magari essere stretti lì…

Magari sentire un profumo dolce, ma da uomo.

Magari sentire la stretta infondere sicurezza,

magari sentire le mani avvolgere la sua vita,

anche se inesperte.

Però lo sapeva fare?

Sembrava di sì.

Anche se non l’aveva mai fatto.

Si gira e sorride… lo chiama dolcemente.

“Kibum…”

***

Aveva lavorato tutto il pomeriggio, ma non si era reso conto di quel dannato tempo che era passato velocemente.

Kibum, questo era il suo pensiero ricorrente in quel dannato pomeriggio che non aveva nessun senso. Aveva pensato continuamente ad ogni cosa, guardando quegli scatoloni ora pieni, ora vuoti e poi di nuovo pieni.

E aveva capito che per colmare quel vuoto che aveva lasciato con la sua stupida paura, doveva fare molto di più di ciò che in quel momento voleva fare.

“Ma l’importante è fare il primo passo!”

Questo si diceva e ripeteva più e più volte ad ogni istante che passava, in ogni attimo che riempiva quei scatoloni. Li riempiva con chissà quante cose importanti, per gli altri, ed era quello che doveva fare lui con Kibum.

La campanella che segnava la fine dell’orario lavorativo, non fu il primo passo ma fu semplicemente il “il prendere coraggio” per fare ciò che avrebbe dovuto fare molto prima.

Lo stava facendo. Era partito ed era andato in un negozio prima, in un altro poi… ed in un altro ancora.

Ed era stato difficile.

Era stato il primo passo, era stato un qualcosa di importante da fare e adesso… bisognava fare tutto il resto. Era tornato alle sei e Kibum ancora non c’era.

Si era spaventato.

Ma poi aveva fatto finta di nulla, sospirando, ed aveva sistemato quel mazzo di rose rosse al centro del tavolo, rigorosamente a gambo lungo. Erano dodici, ed era sicuro che anche se gliene avesse regalate mille, non sarebbero comunque bastate per dire ciò che provava per lui.

Si era diretto in cucina poi, prendendo quelle tovagliette giapponesi che a Kibum piacevano tanto, e le aveva messe lì, una di fronte all’altra per far sì che, una volta seduti, si guardassero.

Amava guardarlo, ma solo quando lui non se ne accorgeva, perché ogni sua espressione era così incredibilmente bella che gli faceva sentire quella sensazione che tutti chiamano “farfalle nello stomaco”.

Lui la sentiva sempre con Kibum, solo che ultimamente aveva così tanta paura di non sentirla che si agitava e davvero non la sentiva, facendolo diventare ancora più insicuro di ciò che già era.

Ma non era solo quello, era l’insieme delle cose.

Per far ritornare bello un vaso rotto, bisogna incollare ogni più piccolo pezzettino, incastrarlo perfettamente come fosse un puzzle, anche se… è possibile davvero aggiustare un vaso rotto?

Quando qualcosa si rompe, come il loro rapporto, come la fiducia, l’amore, come… quelle farfalle che non volavano più perché le ali erano rovinate, come puoi pretendere che tutto ritorni come prima?

Puoi amare, puoi amare da impazzire, ma quella lontananza, quel legame spezzato… non si può aggiustare.

Però Jonghyun voleva farlo.

Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa pur di non perderlo.

Ed aveva ricominciato a ricomporre il vaso,

partendo non proprio dal primo pezzo ma…

usando la colla migliore, quella ottima, mettendo poi su ogni piccola crepa

dei brillantini, segno che…

forse si sarebbe aggiustato e nonostante tutto Kibum avrebbe visto la parte migliore di quei segni dolorosi.

Forse.

Kibum, tu lo vuoi?

***

“Ne?”

Arrossisce e si morde il labbro, mentre gli occhi di opale si colorano di primavera.

Taemin li nota, come nota le sue dolci gote arrossate. Nota le sue labbra e, per la prima volta, sente il desiderio di baciare qualcuno. Baciarlo per assaggiarlo, per sentire se davvero può essere così dolce come sembra dal di fuori.

Le tue labbra sembrano dolcissime, come quel nettare di rosa.

Vorrei assaggiare la tua bocca…

Vorrei gustarne appieno il sapore e scoprire che quello che sento…

È come quello che provo per lei.

La mia torta.

E se fosse di più?

Mi piacerebbe, vorrei…

“Proviamo…”

Allunga una mano verso la sua, Kibum la stringe timidamente e Taemin l’attira verso sé.

Si erano guardati negli occhi e poi avevano cominciato a preparare la base per quella torta, perché per tutto ci voleva un tempo e anche cura, passione e dolcezza.

Aveva passato tutti gli ingredienti necessari per la torta a Kibum e l’aveva aiutato dicendogli come e cosa fare e l’aveva guardato, finché le sue mani delicate, ma sicure, si erano mosse seguendo ogni sua parola, mescolando gli ingredienti nella ciotola piano.

Non si era stupito Taemin di questo, anzi, ne era rimasto piacevolmente colpito, perché vedeva come muoveva le mani, come vedeva la sua espressione felice nel farlo.

Perché tu sai cos’è questo sentimento… e lo sai anche dare.

Vorrei che fosse per me…

L’avevano fatto insieme. Entrambi, su quel bancone, avevano lavorato fianco a fianco, sfiorandosi e addirittura toccandosi più volte.

Si erano guardati, imbarazzati e felici, continuando a mescolare il tutto e a metterlo nella tortiera subito dopo, infornandolo, mentre Taemin notava sempre più spesso le sue gote colorate di rosso, così calde e belle che quel viso dalla tonalità panna era diventato qualcosa di molto più che speciale.

Era di più.

È di più.

Molto.

Ed avrebbe voluto sul serio guardarlo per molto ancora, solo che il tempo era letteralmente volato e così si erano ritrovati un po’ impacciati e confusi, l’uno accanto all’altro, con i tre aiuto-pasticcere che dovevano arrivare di lì a poco.

Kibum, a quel punto, avrebbe voluto tornarsene a casa ma Taemin gliel’aveva impedito.

Era bastata un’occhiata.

Così, veloce, mentre si giravano.

Kibum aveva incrociato il suo sguardo a tratti dolcissimo come quella cioccolata, a tratti più serio e sicuro.

Non andartene, rimani qui con me.

Questo gli aveva detto. Questo aveva sentito e ne era rimasto colpito, così tanto che l’aveva guardato per un po’ troppo tempo e Taemin si stava avvicinando sempre di più.

Avrebbe voluto lasciarlo avvicinare.

Avrebbe voluto sentirlo.

Avrebbe voluto… baciarlo?

“Kibum, sono arrivati… ora ti porto qualcosa da mangiare”

“Non fa niente, tranquillo… Penso che sia giusto che vada ora!”

“No.”

“Eh?!”

“No, rimani. Qui, con me.”

Arrossì visibilmente, ma non ebbe tempo di guardare chissà dove e riprendersi, che i tre aiuto-pasticcere stavano già entrando, da quella porta che Taemin aveva già aperto.

Era impossibile non osservarlo, quell’aria così sicura era in netto contrasto da quella dolce che aveva dentro, con i dolci… e forse anche con Kibum.

Kibum l’aveva visto.

A Kibum piaceva quella sua aria dolce, ma da uomo.

Sicura, ma anche un po’ da bambino.

Forse… le sue braccia… potevano definirsi casa?

Probabilmente.

Ed il loro pomeriggio passò così, con un pan di spagna in forno, fatto da loro, con quella gente che andava e veniva lì dentro, ma che nessuno mai, nemmeno per un solo istante, aveva calamitato la vera attenzione di Taemin.

La sua attenzione era solo per Kibum.

E Kibum a volte se ne accorgeva, a volte no.

A volte diventava ancora più rosso di prima,

mentre cresceva la voglia di panna e cioccolato.

Taemin non s’immaginava che quella sera sarebbe stata davvero diversa da quella precedente. Se il giorno prima aveva sbuffato spazientito, guardando in ogni dove e camminando velocemente, quella sera invece non aveva la benché minima voglia di chiudere.

Chiudere significava lasciare Kibum.

Lui non voleva.

Non voglio, ma devo.

“Beh, Taemin, ti ringrazio… pensi che possa diventare un buon pasticcere?” sorrise, affiancandolo ed incamminandosi verso casa. Nessuno dei due sapeva dove abitava l’altro, però quella voglia di continuare a stare vicini gli aveva fatto fare quello.

“Lo sei già, devi solo essere più sicuro di te stesso. Però sei felice, senti anche tu quel qualcosa di grande che ti fa stare bene con loro… giusto?”

“Sì…” e sorrise, aggiustandosi alla bell’e meglio la pashmina rosa “Si chiama amore, Taemin, dovresti imparare a dirlo...”

“Imparerò”… magari con te. Lo fissò, per qualche istante negli occhi, abbozzando un dolce sorriso.

Era primavera.

“Ci vediamo domani, Kibum…”

“A domani, Taemin.”

Sorrisero entrambi nuovamente, dopo quell’istante che li aveva visti ancora così incatenati e, dopo un saluto un po’ imbarazzato e qualche tentennamento, si divisero per andare realmente a casa, quella vera.

Vera?

Cos’è questa strana cosa che sento con te?

Perché, sai… il cuore mi batte veloce.

Non riesco a fare a meno di girarmi e guardarti andare via.

Non è un addio, lo so.

Ma… perché non voglio che succeda?

Perché mi sento così bene?

***

Ormai erano le otto e mezza. Candele mezze consumate, cena quasi fredda e la casa desolatamente vuota. Vuota come la sua mente, vuota come il suo cuore.

O forse era pieno.

Tristezza, angoscia, dolore.

Dolore per un qualcosa di grande e disperatamente vuoto e pieno allo stesso tempo. Lo pensa e guarda triste tutto, mentre un rumore di serratura lo fa girare, e la porta si apre.

***

Aish! Kibum, smettila!

Questo aveva pensato finché ogni tanto si girava e lo sbirciava. Continuava a farlo ininterrottamente, che per poco non sbatté addosso ad un palo della luce.

Patetico. O forse no?

Di certo si diede dell’idiota e ringraziò il buon Dio, o chi ne fa le veci, che in giro non ci fosse nessuno, soprattutto lì, in quell’attimo, altrimenti sarebbe diventato ancora più rosso di ciò che già era.

E di quello che era stato tutto il pomeriggio.

E non era per il fatto che continuava a guardarlo, nemmeno a pensarlo. No, era tutto l’insieme delle cose, di quel pomeriggio così strano e bello, così caldo nonostante fosse inverno, di quelle spalle forti a cui voleva aggrapparsi, di quelle braccia forti da cui voleva essere stretto.

Casa.

Sentirsi a casa.

In quel posto lui si sentiva a casa.

E con Jonghyun?

Non si sentiva a casa.

Perché?

Kibum smise di pensarci e corse, per quei pochi metri che lo separava dalla casa vera, col cuore in gola. Voleva piangere, ma non ci riusciva. Perché… perché sentiva che la risposta a quella domanda, significava solo una cosa?

Non ci voleva pensare.

Jonghyun era quello che amava, quello con cui voleva passare il resto della sua vita! Pazienza tutto, Jonghyun non lo voleva lontano da sé! Però, Taemin era Taemin… Perché sentiva quella nota cioccolato posarsi sul cuore e non lasciarlo?

Perché sentiva che quella cosa tanto bella, poteva far male a Jonghyun?

A lui non voleva fare del male, anche se Jonghyun gli faceva del male.

Perché lo amava tanto!

Perché era tutto quello che voleva, no?

Le chiavi le infilò velocemente nella serratura, talmente tanto forte le girò che temette di spezzarle. Però non successe, la porta si aprì e vi si gettò dentro.

E, quando alzò lo sguardo, lo trovò lì, di fronte al tavolo da pranzo, con un’espressione stravolta.

Era distrutto dalle ore di lavoro, ma soprattutto da quelle ore di assenza di Kibum.

Ti ho fatto del male.

Troppo, non lo meriti.

Jonghyun, sono qui.

Sei tornato…

Perché mi fa male tutto questo?

Eppure sei qui.

Gli vola letteralmente tra le braccia, senza sentire nient’altro quel suo amore grande per lui ed il senso di colpa per la giornata appena trascorsa.

Senza di lui.

Per essere stato felice, senza di lui.

Lo guarda, mentre le sue mani lo stringono forte a sé, lo bacia e d’un tratto sembra che tutto il resto del mondo, oltre quella porta sia il nulla.

Jonghyun sente che, all’improvviso, qualcosa è cambiato e lo stringe ancora di più, baciandolo con foga e amore.

È come se qualcuno avesse tamponato l’emorragia.

Qualcuno o qualcosa.

Ma cosa?

Non esiste la cena, non esistono i fiori. Non esiste quel regalo che Jonghyun ha poggiato con cura nel posto dove Kibum mangia di solito.

Non esiste più niente.

Esistono loro.

I loro corpi si avvolgono, si baciano, si accarezzano in una danza sensuale e sembra che davvero, tutto il dolore che c’era prima, sia sparito in un secondo.

È questione di poco e si ritrovano a letto, stesi l’uno sopra l’altro. I baci diventano roventi, se Kibum li paragona ad un certo tipo di baci, direbbe che sono come i primi, quelli da innamorati, quelli dove non vedi l’ora di toccarti e di amarti, di essere un tutt’uno.

Però Jonghyun si stacca dal bacio e glielo dice:

“Non farlo mai più”

E stavolta il macigno che sentono entrambi è a causa di Kibum, almeno questo è ciò che crede. Non ha la forza di rispondergli e lo guarda solamente smarrito, come se avesse commesso un delitto talmente atroce da non meritare nemmeno uno sconto di pena.

Ma se l’ha fatto, un motivo c’era.

Non te ne accorgi Jonghyun?

Jonghyun non lo capisce, o forse serve solo per mettere a tacere la sua coscienza. La parola che doveva dire a Kibum era “scusami tu”.

È così difficile?

Scusami tu Kibum , per tutto.

E Kibum trema, finché Jonghyun lo bacia di nuovo, ma non trema d’amore, trema d’angoscia. Kibum piange dentro, forse anche un po’ fuori, ma Jonghyun ha gli occhi chiusi e nemmeno stavolta si accorge delle sue lacrime.

“Scusami tu” sarebbe stato sufficiente per distruggere la distanza.

L’averlo compreso, l’avrebbe fatta diminuire.

O forse sparire.

Il “non farlo mai più” significa che è colpa tua.

E Kibum lo sa.

“Sono io la causa di questo?”

Diventa di colpo un gattino impaurito tra le sue braccia, quelle che credeva fossero la sua casa, quelle che dovevano farlo sentire al sicuro.

Invece ora si sente una merda.

Ha paura. I sentimenti si sono bloccati lì, in mezzo al cuore. Non si muovono, sono chiusi lì dentro e non se ne vanno, non si esprimono, non escono.

Ed è stato Jonghyun, anche stavolta.

Come quelle carte, li ha buttati dentro ad uno scatolone e chiuso saldamente.

Però Kibum ci prova, ci prova lo stesso, anche se fa male. Prova ad abbandonarsi a lui, ma tutto ciò che sente è solo un corpo pieno di muscoli contratti, un corpo che ora, in questo preciso momento, non sente il piacere di una carezza.

È un corpo vuoto?

No, è pieno. Pieno di dolore.

Quando un dito entra, Kibum prova a rilassarsi, ma fa male. Fa male il cuore, con quei dannati sentimenti bloccati.

Ed è lo stesso quando entra lui. Il cuore fa più male di prima. Ci prova ancora, sforzandosi ancora più di prima, ma sente di nuovo dolore.

Jonghyun non se ne accorge.

Kibum pensa che sia colpa sua, perciò resiste.

“Questa è una punizione, è solo colpa mia!”

Lo pensa incessantemente durante tutto il rapporto, lo pensa più volte al secondo per… per cosa? Perché non riesce a fare altro.

E pensa a Taemin.

Si da la colpa, ma lui lo rende felice.

Il cuore è leggero lì, ma qui?

Stavolta si concentra di nuovo e pensa al suo ragazzo, alla sua colpa e a quello che deve fare per lui e allora ci riprova. Non escono sentimenti, ma riesce in qualche modo a camuffare tutto, sentendo un po’ di piacere e soprattutto dando piacere a lui.

E quando Jonghyun raggiunge l’orgasmo, gli sembra quasi impossibile.

La sua colpa è stata espiata, lui ha sbagliato, ma ha pagato.

Diventerà migliore, e non si merita molto da Jonghyun.

Non si merita ciò che pretende, non merita niente.

Forse è meglio non ricevere nulla, è giusto così.

Ma… allora perché?

“Mi basteranno le briciole, sarò felice solo con qualche dolce… niente più”

Ma pensa a Taemin.

Perché ci penso?

Cosa vuol dire amore?

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Capitolo 8
*** La realtà ti segue sempre e ti schiaffeggia come gli pare e piace. ***


Eccomi qui...vi ringrazio di cuore per avermi seguito. Questo è il cap più lungo di Panna e Cioccolato e credo, anzi spero di... farne ancora altri. Grazie a Niky e Giu per aver letto in anteprima!! vi voglio bene ♥♥♥



L’Amore è un sentimento forte, così tanto forte da chiuderti lo stomaco.

L’Amore… è qualcosa di bello, qualcosa che ti lega ad una persona,

e ti impedisce di rimanere senza di lei.

L’Amore è quando… ovunque tu vai, con quella persona, ti senti a casa.

L’Amore sei tu.

~

Una lacrima scivola fuori dall’occhio sinistro, s’infrange contro il cuscino candido. Un colore banale, almeno lo è sempre stato per lui. Un non colore, ecco cos’è il bianco.

Ma fa male anche questo ora.

Fa male quel qualcosa che non è, quel qualcosa che non comprende, quelle briciole a cui tenta di aggrapparsi con tutte le forze.

Quel qualcosa che pensa di non meritare.

“Fai male anche tu…”

Non lo dice, ma sa che qualcosa dentro di lui lo pensa. Non sa se è la coscienza, o il suo “io” come lo chiamano gli psicologi.

Lo definisce semplicemente qualcosa.

Una voce, ecco.

Mentre lo pensa, guarda il ragazzo che dorme di fianco a lui. Adesso, fa paura persino allungare una mano e sfiorarlo, seppur delicatamente. Dorme tranquillo lui, ma Kibum no. Kibum pensa… pensa e non dormirà. Non questa sera almeno, non adesso… non in questo istante in cui ogni pensiero arriva e lo tormenta.

Le palpebre si abbassano, ed un'altra lacrima esce. Non sa nemmeno lui cosa sia quella sensazione, ma sono già le cinque di mattina e lì, in quel maledetto istante, non si sente a casa.

“L’Amore è quando… ovunque tu vai, con quella persona, ti senti a casa.”

E chi l’ha detto?! Eh? Chi?!

Kibum vorrebbe urlarlo, lì, in quel momento, ma… sa bene che è vero.

Lo sa, ma non lo ammette.

E così anche una terza lacrima cade.

Stavolta arriva anche il sonno, stavolta arriva un qualcosa a dargli pace, a mettere a tacere quella voce che gli dice la verità, quella voce che non vuole sentire. Quella voce che sa tutto ma che per ora non può venire a galla.

Il sonno gli occupa tutta la mattina, ma non è un sonno tranquillo.

Piange anche nel sonno.

***

Si era girato più volte nel letto, aveva cambiato posizione con una tranquillità incredibile durante tutta la notte, senza sapere che la persona che amava più di sé stesso, era lì che lo guardava, con delle lacrime che gli rigavano il viso.

Quand’era sorto il sole, però, s’era strofinato gli occhi, s’era alzato e, come se tutto il peso di quella colpa se ne fosse andato, aveva fatto le sue cose. In bagno prima, colazione poi… senza Kibum.

Ma allora perché senza di lui?

“Non posso disturbarlo, dorme così bene…”

Si era detto questo, ma in realtà qualcosa lo tormentava ancora e non sapeva cos’era. Un piccolo masso, piccolissimo, ma pesante, si era fermato lì, sulla bocca dello stomaco.

Gli aveva impedito di finire la colazione e l’aveva costretto a far ritorno in camera. Ogni passo, che solitamente lui faceva lungo, era breve e pieno di pensieri.

Ogni passo lo riportava a pensare alla sera prima, al proprio cuore, a quei sentimenti chiusi dentro. Pensava a come avevano fatto l’amore, se così si poteva ancora chiamare, e sentì crescere quel sasso dentro di sé.

Ad ogni passo diventava sempre più grande.

Ad ogni passo era sempre più difficile respirare.

Ad ogni passo si rendeva conto che la voragine… non era mai stata chiusa.

~

Apre piano la porta della loro camera da letto. A piedi nudi si dirige verso il loro letto, Kibum è lì, di lato, che dorme.

Non aveva pensato a lui, almeno finché non era più riuscito a mandare giù il boccone.

Si avvicina lentamente, così tanto che gli sembra di andare a rallentatore e, dopo pochi attimi, si ritrova seduto accanto a lui.

È rannicchiato su sé stesso, è coperto dal piumone, quello verde e giallo che non gli era mai piaciuto poi tanto. Il respiro regolare fa capire a Jonghyun che Kibum è nel mondo dei sogni, allunga una mano e… questa s’appoggia delicatamente sul viso.

La carezza è lenta, dolce, ma così timorosa.

Da quando la sua mano trema, appena si appoggia sul suo viso?

Jonghyun non ha mai visto la propria mano tremare.

Lo accarezza di nuovo, sempre piano, e vede che da quell’occhio esce una lacrima. Una spada gli trafigge il cuore, un’altra volta, intuendo quale sia la causa.

Sé stesso.

“Ho sbagliato di nuovo, gli ho fatto del male ancora.”

E se ci ripensa, ricorda il corpo di Kibum un po’ più rigido tra le sue braccia, più rigido delle altre volte.

Si sente un pezzo di merda.

Toglie di colpo la mano dal viso del suo ragazzo e se l’appoggia sul suo, così dannatamente colpevole.

Gesti non fatti, parole non dette.

Parole sbagliate, anche se sussurrate.

La ferita sanguina di più.

“Stiamo morendo davvero.”

Si alza di colpo e s’infila i calzini, le scarpe ed esce di casa, dirigendosi al lavoro, con un macigno ben più grande di prima sullo stomaco.

***

Si era svegliato alle 11:34. Neanche aveva fame, ma per lo meno era riuscito a dormire un po’. Aveva tirato su quel piumone e aveva guardato quella stanza. Ogni angolo sapeva di tutto, tranne che di casa sua.

Era stato desolante ancora una volta e aveva deciso di non pensarci, provarci almeno, dato che la giornata si prospettava lunga.

S’era alzato, non aveva nemmeno infilato le ciabatte ed era corso in bagno. La maglietta ed i boxer erano finiti a terra, la voglia di raccoglierli non c’era, ed era andato dritto, sotto la doccia.

“È quello che ci vuole…”

Pensò in quell’attimo, mentre con un colpo di mano, l’acqua divenne praticamente calda e gli bagnò il viso. Ogni singola goccia bruciante percorse prima il suo viso, poi il suo corpo.

Bruciava. Il viso si arrossava, come il resto del corpo.

Ma doveva. Doveva sentire quel calore bruciargli la pelle, fargli del male e poi? Cosa doveva sentire poi?

Non avrebbe più voluto sentire niente.

Niente dolore, niente pensieri.

Niente lacrime amare.

Tempo qualche minuto e se ne uscì profumato, con la pelle che scottava. L’accappatoio, quello blu di Jonghyun, l’avvolse ma non gli trasmise nessuna sensazione e forse era anche peggio di sentire “qualcosa di diverso”.

Freddo? Nemmeno più quello.

Fece una smorfia di dolore, si portò entrambe le mani sulla fronte e uscì velocemente dal bagno. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non pensare.

Un paio di boxer a caso, come la maglietta e lo stesso per i pantaloni. Tutto a caso, lui che, almeno per i vestiti, non badava alla casualità.

Stavolta il cellulare lo portò con sé.

Ma arrivò un messaggio, forse come una benedizione.

~

──── 1 иυσνσ мєѕѕαggισ

To: Kibummie
From: Jongie


Non torno per pranzo…

***

──── 1 иυσνσ мєѕѕαggισ

To: Jongie
From: Kibummie

Ci vediamo stasera.

~

L’orologio a forma di sole segnava le 12:03. Taemin aveva sbuffato una sola volta e non per il suo lavoro, non per quelle persone che continuavano a sorridergli e alle quali sorrideva. No, non per loro.

Kibum non era ancora arrivato.

Forse non sarebbe andato lì, quel giorno.

Magari nemmeno quello successivo.

Giusto un minuto pieno zeppo di tristezza che la porta si aprì e, di fronte gli occhi di Taemin, comparve lui.

I suoi occhi di opale, con la tonalità cioccolato, erano rimasti spenti fino a che non avevano incontrato quelli di Taemin.

Fuori di lì nient’altro aveva importanza.

Lì dentro invece c’era il calore, quello vero.

Lì c’era la primavera.

~

“Ciao, Taemin…”

“Ciao Kibum, non vedevo l’ora di vederti!”

“A..anch’io…”

Le gote di Kibum si colorano di rosso, lo sguardo si abbassa. Adesso lì, anche se si morde le labbra, non riesce a sentirsi in colpa.

O forse un po’ sì?

No, non adesso.

Si guardano entrambi, di nuovo, ed incomincia il loro nuovo giorno insieme, lì in quella pasticceria che sa solo di primavera. Il tempo si ferma, in quell’attimo in cui i loro occhi si incontrano, in quel momento in cui i loro cuori battono veloce.

Loro due li sentono bene.

A poco a poco, la gente se ne va, è ora di pranzo ormai… lì dentro rimangono solo loro due. Ancora si morde le labbra, Kibum, ma… è felice.

Lo sente lì dove prima sentiva freddo.

Sente caldo.

Lo sente anche Taemin.

Dopo poco si rifugiano nel laboratorio, come fosse la cosa più naturale del mondo che Kibum sia lì, cominciando così a preparare la base per quella torta.

Sempre lei.

Sempre con quel “qualcosa di grande che ti fa star bene”.

~

I loro sorrisi erano come i raggi di sole in primavera, le loro mani erano come i primi fiori sbocciati. Erano forti e man mano che gli ingredienti venivano mescolati dalle loro mani, finché l’uno era accanto all’altro, qualcosa diventava sempre più grande.

Complicità.

E forse non solo quello. Senza il forse.

Il tempo era scorso talmente veloce che nessuno dei due se n’era accorto. Stava per mescolare il cioccolato alla panna ma non era riuscito bene il miscuglio, così con una piccola smorfia dolce, Kibum aveva smesso di preparare tutto.

Taemin aveva riso.

“Ci vuole un po’ di tempo…”

Gliel’aveva sussurrato all’orecchio, facendolo arrossire, baciandogli subito dopo quella guancia talmente tanto calda che… sembrava essere arrossata dal sole, andandosene di là ad aprire ai suoi aiuto-pasticere.

Erano già arrivati e loro due nemmeno avevano mangiato.

Ma a nessuno dei due importava. Non ci fecero caso perché ad entrambi importava solo stare vicini, sentendosi invadere da una sensazione fin troppo bella, così difficile da spiegare a parole.

Kibum rimase lì, seduto ad un tavolino, mentre Taemin serviva le persone e, di tanto in tanto, lo guardava, perdendosi in quegli occhi di opale che, dal momento in cui erano arrivati lì, incrociando il caldo sole di primavera, non avevano più la nota triste.

***

Ci aveva pensato tutta la mattina, come fosse una canzone che continuava a ritornargli in mente.

Alla fine la odi, ma lui non voleva odiare Kibum.

Voleva solo scacciare quell’orribile sensazione di vuoto o di pieno… pieno di angoscia. Dopo avergli toccato la guancia, dopo aver capito ancora una volta la stupidità dei suoi gesti, s’era sentito ancora più dentro la voragine.

Non c’era scampo.

Ma dovevano salvarsi.

Non aveva toccato nulla di quello che c’era sopra il tavolo la sera prima, ed in quell’attimo si chiese se Kibum avesse visto i regalo. In fondo era ancora là, al suo posto. Chissà se aveva mangiato, chissà se… stava bene.

Non si piange nel sonno se si sta bene.

Kibum non stava bene.

Non voleva più vedere Kibum piangere.

Non voleva più farlo piangere.

Era stato molto più semplice, a mezzogiorno e mezzo, non ritornare a casa, non vederlo, non scontrarsi con i suoi occhi sofferenti. Eppure prima o poi ci avrebbe dovuto fare ritorno.

Finito la giornata lavorativa, gli mancò ancora una volta il coraggio di tornare e se ne andò al solito bar, dove beveva una birra insieme agli amici.

Aveva incontrato Minho, con cui aveva bevuto e chiacchierato per una buona ora e poi aveva rivisto la stronza, che, nonostante si stesse facendo il suo nuovo ragazzo, continuava a lanciargli qualche sguardo languido.

Se n’era accorto anche Minho e, affettuosamente, gli aveva dato una pacca sulla spalla.

“Jonghyun, non ti fare il sangue amaro per quella… vai a casa da Kibum, rimanere qui non ti fa bene.”

“L’ho tradito con quella.”

“Sei pentito?”

“Sì.”

“Torna a casa. Pensarci non ti farà star meglio, ma forse… dovresti dirlo a Kibum.”

“E rischiare di perderlo?!”

“E così non rischi di più? Quante volte dovrai venire a bere qui, guardare quella e punirti per il tuo errore? Lo stai facendo pagare anche a Kibum.”

“Non voglio perderlo.”

“Torna a casa Jonghyun e sii sincero con lui.”

“Credi che mi perdonerà?”

“Hai solo un modo per scoprirlo.”

“Ho paura.”

“Tutti abbiamo paura di qualcosa.”

Minho gli sorrise e Jonghyun gli fu grato di questo. Lui c’era sempre, c’era stato anche in quel momento. Da quanti anni gli era vicino? Sette. Era sempre stato il suo migliore amico e sempre l’aveva aiutato.

Lo fa anche ora. Ora che Jonghyun si sente un pezzo di merda.

Ma i veri amici ti stanno vicino sempre.

Soprattutto nei momenti in cui tu ti senti una merda.

“Io sono davvero un pezzo di merda.”

~

Inserì le chiavi di casa nella toppa e le girò velocemente. Credeva di trovarlo lì, invece non c’era. Non se l’aspettava, anzi. Solitamente lui era lì, con la cena pronta, con un sorriso dolce in viso, la tv accesa e un profumo dolce nell’aria.

Quello però era delle candele profumate.

A Kibum piacevano tanto, perché non sopportava sentire l’odore del cibo in casa. A Jonghyun invece non dispiaceva affatto l’odore del cibo, ma aveva sempre trovato molto carino il vedere la candela accesa e sentirne il profumo, ritrovandosi poco dopo le braccia di Kibum attorno al collo e le sue labbra sulle proprie.

Ma questo era prima.

Prima del bacio con la stronza.

A poco a poco, dopo, aveva iniziato a dargli fastidio il profumo, la luce fioca e anche quel bacio che non credeva di meritare.

Ma non era solo un bacio?

Non si dava pace, ma aveva resistito per tutto quel tempo.

E adesso?

Adesso… ogni cosa sembra orribile.

Si sedette di fronte al posto vuoto di Kibum. Sguardo perso, mani sotto il mento, fissava quel vuoto cercando di ricordare ogni momento.

Tutte le volte che Kibum gli aveva sorriso lì, tutte le volte che l’aveva guardato imbronciato e poi si alzava, andando a sedersi sulle sue gambe e baciandolo subito dopo.

Tutte le volte che erano stati un “noi” ed ora invece… cos’erano?

Ora siamo tu ed io.

***

Aveva cominciato a sudare freddo non appena Taemin l’aveva salutato e si erano divisi. Aveva già voglia di rivederlo ma… Jonghyun?

Non corse stavolta, forse… andava bene così. In qualche modo aveva cominciato a pensare che, se si fosse ritagliato un piccolo angolo di casa che non fosse realmente la casa in cui viveva, tutto sarebbe andato meglio.

Non sapeva però come c’era arrivato a quella conclusione, ma l’aveva fatto, forse tra un ingrediente e l’altro.

Con Taemin stava bene, ma con Jonghyun doveva viverci. Si amavano, dopotutto. Perciò gli serviva qualcosa per star bene, se nient’altro lo faceva star bene.

Stai cercando di scappare dai problemi, Kibum?

“Voglio solo essere un po’ felice… tutto qui.”

Lo disse sussurrando, il suo pensiero, entrando in casa… la porta era aperta. Non ci fece molto caso, ma quando vide Jonghyun seduto lì, con lo sguardo spento, si sentì gelare il sangue.

Rabbrividì e si bloccò lì, tra l’entrata ed il tavolo della minuscola sala da pranzo.

Di certo non s’aspettava che Jonghyun si girasse e gli facesse mezzo sorriso, come non si aspettava di sorridere a sua volta e riuscire ad avvicinarsi e abbracciarlo.

Si stavano abbracciando.

Si stavano stringendo un po’ più forte del solito.

Taemin, allora fai bene.

***

È sempre questa la sensazione.

Sento di perderti, poi ti ritrovo.

Ti perdo e poi ti ritrovo ancora.

È tutto così strano, ma se ti guardo negli occhi,

se ti guardo davvero…

sento che la tua felicità non dipende da me.

Mi fa male.

Ma in fondo… lo merito.

~

“Dove sei stato Kibum?”

Erano giorni ormai che rincasava tardi e quel giorno Jonghyun voleva starci anche a pranzo con lui. Non voleva passare solo la sera con lui, voleva recuperare anche le piccole abitudini del pranzo, magari aggiungendo un qualcosa di bello e dolce.

Non gli aveva mai chiesto nulla del fatto che la sera ritornasse col sorriso sulle labbra, sapendo che non era merito suo, anche se tra di loro, in qualche modo, era tutto migliorato.

Erano stati cinque giorni all’insegna della dolcezza ritrovata di Kibum. Baci, coccole, qualche tenerezza davanti alla tv e anche finché facevano l’amore.

La voragine si stava richiudendo?

Perché mai avrebbe dovuto dirgli del tradimento? Stava ritornando tutto alla normalità e Jonghyun non voleva distruggere nulla con una verità brutta e scomoda e, in fondo, avrebbe anche potuto tenere dentro di sé quel pezzo di verità senza importanza. Solo che gli dava fastidio vederlo con un sorriso che non era causato da lui.

Al di là della sua fottuta colpa e dei meriti che non aveva, era geloso.

Tanto.

Tantissimissimo, così vedeva il suo amore alla pari di quello di Kibum.

***

Kibum, stava per andarsene, quel venerdì mattina era in ritardo. Taemin si sarebbe di certo preoccupato non vedendolo arrivare.

Non gli piaceva mancare al suo appuntamento. Sembrava così strano ma, nel giro di pochissimi giorni, quella meravigliosa sensazione di sentirsi a casa era diventata irrinunciabile.

Forse lui lo era diventato.

Non lo sapeva, non voleva chiederselo e forse era meglio… anche se… stava davvero bene con Taemin. Non sentiva più così tanto freddo, forse nemmeno lo sentiva più.

L’inverno se n’era andato?

Era a testa bassa in quell’attimo, stava armeggiando col cellulare per vedere se Jonghyun gli aveva mandato quel messaggio, uguale a quello dei giorni prima, invece… dovette alzare la testa, perché la porta si aprì praticamente un attimo dopo aver sentito le chiavi girare nella toppa.

Manda giù a vuoto.

Sbianca e suda freddo.

Fa un sorriso forzato.

Jonghyun entra con un mazzo di fiori in mano.

Lo vede e s’incupisce, il mazzo penzola dalla sua mano.

“C-che fai qui, Jonghyun?”

“Sono venuto a pranzo.”

“Ma… non tornavi a casa gli altri giorni…”

“Volevo stare con te. È sbagliato?”

“No, no… non lo è ma…”

“Ma cosa, Kibum?”

La gelosia sta prendendo il sopravento, Jonghyun s’arrabbia. Lo guarda serio e Kibum… non sa cosa dire.

“Stavo per uscire…”

“Ah sì? E dov’è che vai ogni giorno?”

“Non… credo t’importi…”

“Invece sì, non te l’avrei chiesto, non ti pare?”

“Non serve che ti scaldi, Jonghyun…”

“Vai da quel pasticcere, vero?!”

“Jonghyun… ti ho detto che non ti deve importare!”

“VAI DA QUEL FIGLIO DI PUTTANA, VERO?!”

“Jonghyun!! Smettila!!”

“NON SMETTO UN CAZZO KIBUM!! TI RENDE COSì TANTO FELICE?!”

“Sì! SONO FELICE… VOGLIO AVERE UN Po’ DI…”

“FORZA, DAI VAI DA LUI… COSì IO VADO DALLA MIA AMICHETTA!!”

“Ma… cosa… cosa stai dicendo Jong?!”

“LEI NON SI FA PROBLEMI A BACIARMI!”

“Io… mi faccio… problemi? Che intendi dire… ci ha provato?!”

“No, ci siamo baciati, ed è stato bello sai?!”

Si blocca, lo guarda. Manda giù a vuoto e… Non dice niente… sa solo che la ferita ha smesso di sanguinare. Non c’è più sangue. È morto in quel preciso istante.

Lo spera. Vuole essere morto.

Ma perché allora fa così male?

Perché il cuore batte ancora e fa male da morire?

Scuote la testa, guarda a terra. Fa un sorriso così triste che in quell’istante a Jonghyun si ferma il cuore. Kibum scoppia in lacrime, singhiozza e non si ferma.

Ecco perché.

Ecco perché è tutto finito.

È finito, vero?

È finito.

È da allora, vero?

Da allora tutto è cambiato.

Ma chi sono?

Chi sono io? Perché… perché fa così male?

Perché mi devo sentire in colpa?

Gli da una spinta ed esce di casa correndo. Il mazzo di fiori che Jonghyun teneva tra le mani, cade a terra e si rovina… i petali sono sparsi ovunque, ma non se ne accorge. Kibum se n’è andato e quei fiori lì a terra sono solo tutto quello che c’era, rovinato per sempre da quel suo gesto, da quelle sue parole.

Aveva lasciato parlare la gelosia.

Ancora una volta aveva permesso a sé stesso di ferire Kibum che non aveva nessuna colpa. L’aveva trattato come un traditore, quando era il primo ad aver tradito a causa dei suoi assurdi pensieri.

Lui l’aveva tradito veramente, mentre Kibum aveva solo cercato di essere felice, facendo qualcosa che gli piaceva. Si era anche rasserenato in quei giorni, cercando di scacciare una colpa che non aveva.

Jonghyun s’inginocchia a terra. Guarda quei fiori e capisce veramente che ora è tutto finito. Non ci saranno altre possibilità.

I fiori sono rovinati, non si possono aggiustare. E lo stesso il loro amore. È questo, vero? Era la fine. Minho lo sapeva? No, conosce anche lui Kibum e… che direbbe ora?

Jonghyun prende il cellulare e non sa come fa a chiamarlo. Non vede niente perché piange. Piange così tanto che gli sembra un incubo quello che sta vivendo, un maledetto incubo. Si sente soffocare, e peggio ancora pensa a Kibum, a quello che sta passando ora che è scappato.

“MINHO!!”

“JONGHYUN! CHE SUCCEDE?!”

“SONO UNA MERDA, GLIEL’HO DETTO, SONO STATO UN BASTARDO, GLIEL’HO DETTO!!”

“DIO MIO, MA CHE… E’ SUCCESSO?”

“E’ SCAPPATO… GLIEL’HO DETTO COME IL PEGGIORE DEGLI STRONZI!”

“Jonghyun… cosa intendi?!”

“GLI HO DETTO… CHE L’HO BACIATA E…CHE E’ STATO BELLO!! PERCHE?! PERCHE’ L’HO FATTO?!”

“Jonghyun… arrivo.”

***

Ti aspetti di tutto,

tranne che il tuo migliore amico si comporti da idiota.

Anche se lo conosci da anni, non pensi che possa fare una cosa simile.

Jonghyun è un’idiota.

Ma come sempre, Minho corre in suo aiuto, non può lasciarlo da solo. Non può. È una persona fondamentale nella sua vita.

Parte velocissimo in macchina, quella sua vecchia carretta che non ha ancora potuto cambiare, ma che arriva sempre a destinazione.

Arriva dopo poco, anche se salterà il pranzo. Non importa… per lui… per lui va bene qualsiasi cosa. Sale veloce le scale e lo trova lì a terra, inginocchiato, col viso stravolto.

Piange. Piange così tanto che Minho, per la prima volta si sente impotente. Si avvicina, però, s’inginocchia anche lui e lo prende tra le braccia.

Piange insieme a lui.

Perché il tuo dolore è il mio?

***

Non sa descrivere ciò che prova in questo istante. Corre. Corre solamente per scappare a quella verità così triste. Vorrebbe tanto seminarla, vorrebbe tanto che la verità inciampasse e non lo seguisse più.

Ma sai una cosa? La realtà ti segue sempre e ti schiaffeggia come gli pare e piace.

La realtà lo sta schiaffeggiando.

Le guance sono talmente rosse che fanno impressione.

Potrebbe essere il freddo, anche perché è senza giacca, ha solo una fottuta maglia in pile. Nemmeno la pashmina ha con sé, è tutto all’ingresso.

Ma lo sente quel freddo d’inverno?

No.

Non è quell’inverno che sente.

Non ha nemmeno la forza di urlare, anche se le lacrime scendono e non si fermano. Vorrebbe non pensarci, corre e basta. Corre nell’unico posto che lo rende davvero felice.

Rischia quasi di venire investito, attraversando la strada. Sente il cuore battere e fare male, sente i polmoni bruciare, sente il dolore consumargli il corpo…

Arriva fino alle gambe. Arriva fino al cervello.

Ha bisogno di un abbraccio.

Ha bisogno di calore.

E arriva in quel posto. Si ferma lì, davanti l’entrata, giusto il tempo che Taemin lo veda e s’irrigidisca.

Perché Taemin già aveva capito che qualcosa era successo.

L’ha capito subito.

La pasticceria, grazie al cielo è vuota, ma non fa nemmeno in tempo a superare il bancone che Kibum entra dentro. La sua espressione ferita, il suo dolore, il tremore del suo corpo, gli occhi di opale con la nota dolorosa dentro, lo distruggono.

È come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco.

Non riesce a respirare.

Eppure mantiene quell’espressione forte, quella da uomo, nonostante quel suo viso da bambino e Kibum non vuole fare nient’altro se non aggrapparsi a lui, perché Taemin, in poco tempo, è diventato tutto ciò di cui aveva bisogno.

Taemin allarga le braccia e Kibum si getta letteralmente dentro.

Piange.

Taemin, con le sue braccia, lo stringe.

Kibum s’aggrappa, si sente a casa.

Ha perso Jonghyun, ma ha un posto dove si sente al sicuro.

Un bacio tra i capelli, Taemin lo trascina in laboratorio.

Kibum, dopo qualche attimo si riprende… lì... c’è calore, lì sta bene. È tutto così strano e… terribile? Eppure in qualche modo riesce a tranquillizzarsi, perché lì… lì è a casa. Si stacca dall’abbraccio, come se avesse bisogno di respirare.

Poggia le mani sul bancone, guarda il ripiano senza realmente vederlo, senza vedere cosa c’è lì sopra. Deve farlo, deve dirlo.

Deve parlare e tirarlo fuori, deve urlare al mondo, a lui, ciò che sente, ciò che fa male… perché il cuore fa male, segno che ancora non è morto.

Però lì fa meno male, lì… è tutto diverso.

“Mi ha tradito… con la sua ex.”

Nemmeno si accorge delle lacrime. Guarda di nuovo il nulla e sente un macigno schiacciargli la schiena. Vorrebbe dire qualcosa, invece si gira solamente e lo guarda.

Guarda Taemin che non dice nulla. Lo guarda e ad un certo momento la testa si svuota, va in panne. Non riesce neppure a capire come si deve sentire.

Taemin fa un passo, poi un altro. Lo guarda serio, ma con una nota dolcissima di cioccolato negli occhi. Quello buono, quello di cui mai ti stancheresti.

Appoggia una mano sotto il mento di Kibum, lo scruta con attenzione.

In questo attimo lo capisce meglio di chiunque altro.

È come un bambino, quando perde i suoi genitori.

È un amore diverso, ma è sempre amore.

È quel qualcosa di grande che ha conosciuto, ma l’ha sentito con i suoi genitori.

Sente che vuole dargli qualcosa di grande, perché i suoi occhi sono troppo belli per versare lacrime, sono troppo belli per perdere quella meravigliosa nota calda degli opali più belli.

Sente con lui qualcosa che lo rende pieno, sente qualcosa di più rispetto a “lei”.

Non sa se è giusto, né se è sbagliato.

Non sa nemmeno come si fa, sa soltanto che vuole farlo.

Le sue labbra raggiungono quelle di Kibum, si poggiano leggere sulle sue.

Rimane lì per un tempo indefinito e Kibum…

Chiude gli occhi, sentendo la dolcezza di quella torta, di lei che…

Ha “quel qualcosa di grande che ti fa stare bene”.

Sente Amore.

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Capitolo 9
*** Dobbiamo parlare. ***


Che dire, sono anni, letteralmente, che non posto. Sono cambiate così tante cose che non so nemmeno da dove cominciare. Partiamo dal mio blocco dello scrittore, che mi ha travolto dopo la morte della persona che, per me, era mio fratello. Non è stato la causa scatenante ma anche uno dei motivi per i quali ho smesso. Non mi dilungherò oltre, spero di potervi regalare qualcosa con questo nuovo capitolo di panna e cioccolato e spero di potervi regalare qualcos altro ancora. Grazie a chi mi segue ancora. Di cuore, grazie. <3 <3 <3



Jonghyun stava letteralmente impazzendo dal dolore e non solo per il fatto che lo aveva letteralmente distrutto, ma soprattutto per il fatto che gli aveva buttato quella atroce verità addosso, quel macigno che avrebbe dovuto tenersi dentro come punizione per non aver saputo superare le sue paure da solo.

Invece non aveva fatto un cazzo; era stato in grado solamente di aggiungere altro dolore a quello già presente, come se ce ne fosse stato bisogno, ed oltretutto lo aveva fatto nel peggiore dei modi.

Se proprio doveva confessare quella verità, avrebbe dovuto creare un momento opportuno, invece gliel'aveva gettata addosso in un modo che, umanamente, era stato molto più che vergognoso. Nemmeno le braccia del suo migliore amico di sempre lo avevano aiutato a stare meglio.

Minho lo stringeva, lo accarezzava, ma nulla riusciva a calmarlo. Piangeva, piangeva come quando un bambino perde qualcosa di prezioso, quando sente che gli manca la terra sotto i piedi.

Piangeva e si sentiva terribilmente perso.


Minho, dal canto suo, non poteva far altro che rimanere lì; sapeva che Jonghyun era idiota, ma tutta la sua vita non si riduceva solo alle cazzate che aveva fatto. Erano pesanti e non vi era alcun dubbio, però non era solo una persona idiota. Doveva crescere, maturare, capire.

Sospirò, mentre la mano passava tra i suoi capelli. I singhiozzi che scuotevano il corpo del maggiore vibravano fin dentro il corpo dell'altro, che sentiva un dolore simile al suo.



E se gliel'avessi detto, chissà cos'avrebbe pensato di me.



Aveva il gusto più dolce che avesse mai sentito; assomigliava tanto a quel dolce insieme fatto di panna e cioccolato, morbido, ma con quella nota forte che si sentiva proprio in fondo, come quando la torta si scioglie in bocca e scende in gola, lasciando quel sapore che difficilmente se ne va.

Aveva il sapore di un abbraccio, del calore calore di una carezza, la dolcezza di un qualcosa che Kibum aveva scordato. Perché lui, di casa, ne aveva provato veramente una sola e forse...

Si rifiutò di pensare in quel momento, poiché le loro labbra erano ancora impegnate a toccarsi con estrema lentezza. La mano di Kibum si poggiò sul petto del minore; lenta e delicata si spostò per accarezzare quel petto che era ben più ampio di ciò che avrebbe mai immaginato.

E poi era così sicuro di sé che era riuscito a far mettere da parte la paura a Kibum per qualche meraviglioso istante.

Taemin aprì gli occhi lentamente, puntandoli immediatamente in quelli di opale del ragazzo che ancora teneva stretto, rimanendo in silenzio. Si stava beando del momento senza dover necessariamente interromperlo con la voce.

Ma Kibum, con gli occhi smarriti che correvano sui suoi, boccheggiò appena. Cos'erano quelle emozioni che sentiva dentro? E quelle labbra? Quegli occhi che stava ancora osservando, nei quali ci si stava letteralmente perso?

Notò il lieve sorriso aprirsi nel viso del più giovane, e la mano gentile di Kibum, dal petto, scivolò delicatamente sul collo e sulla guancia, donando una meravigliosa sensazione di calore a Taemin.

« Forse… forse dovrei andare a casa. » ma quale casa. La sua casa si era miseramente sgretolata sotto i piedi dopo aver saputo del tradimento. Si morse il labbro talmente forte che credette di sanguinare, ma il più piccolo, veloce e sempre con delicatezza, col pollice, liberò da quella morsa il labbro di occhi di opale.

« Forse dovresti restare. » sussurrarono le sue labbra, le mani ancora strette in una presa sicura.

Forse aveva ragione lui, pensò Kibum in quel momento, non avrebbe potuto affrontare Jonghyun ed anzi, forse non lo voleva nemmeno. Era stato un fulmine a ciel sereno ed aveva freddo lì fuori. All'improvviso si era scatenata una tormenta nel suo mondo ed aveva corso fino a che non aveva trovato un riparo caldo, sicuro e non aveva voglia di andarsene da lì.

Il freddo lo avrebbe ucciso nuovamente, nonostante sapesse benissimo che avrebbe dovuto affrontare le ultime macerie rimaste; annuì, e gli fu grato per averlo accolto nel suo mondo, regalandogli un sorriso dolce, di quelli che ultimamente non faceva più.

Conscio di quella pace, di quel calore, poggiò la fronte sul petto del giovane che mai aveva smesso di stringerlo, dimenticandosi dell'inverno fuori da quella porta.




Continuare a struggersi nel dolore non avrebbe cambiato nulla di quello che era successo. Smise di piangere, cercò di scostarsi di dosso l'amico senza accorgersi di come Minho stesse male.

« Devo… devo cercarlo e spiegarli tutto… » mormorò tra uno singhiozzo e l'altro, cercando di tirarsi su, lasciando il più giovane lì a terra a guardarlo; non poteva spiegargli nulla, sarebbe stato sciocco. Avrebbe portato con sé il proprio dolore, condividendo, invece, quello dell'amico. Era lui che aveva bisogno, adesso.

Minho si alzò da terra e cercò di sorreggerlo; essendo più alto riusciva a prenderlo per le spalle ed a tenerlo su con poco sforzo.

« Non adesso, Jonghyun. »

« Non adesso? NON. ADESSO? E QUANDO, EH? QUANDO! » lo sguardo carico d'odio e la spinta che gli aveva assestato, fecero capire al ragazzo quanto fosse disperato il più grande. Lo capiva, sentiva un dolore lacerante squarciargli il cuore ma sapeva, - fortunatamente era più lucido -, che sarebbe la più grande cazzata che poteva fare.

Credeva davvero che Kibum si sarebbe lasciato trovare? Ed anche se fosse, avrebbe voluto parlargli? No, con ogni probabilità.

Prese un respiro e lo guardò negli occhi. Cercò di mantenere uno sguardo serio e deciso, convinto che nessuna delle proprie emozioni sarebbe trasparita dai propri occhi, anche se, in realtà non era così e si vedeva benissimo. Jonghyun, però, in quel momento era decisamente troppo accecato dal proprio dolore per poter preoccuparsi di qualcuno che non fosse lui stesso e Kibum.

Kibum, Kibum. Dov'era Kibum? E se fosse andato là?

Avrebbe di certo perso la testa, avrebbe spaccato tutto perché no, non voleva fosse da lui, ma sapeva benissimo che non c'era altro posto dove sarebbe andato.

Era questo che si meritava? Sì, se lo meritava. E per quanto si ostinasse a pensare che Kibum non poteva essere da quel ragazzo, il suo cuore glielo aveva già detto che era esattamente così.

In un moto d'ira prese la prima cosa a caso, un porta foto, con la loro foto, e lo scagliò contro il muro, frantumandolo.

Ecco, quella era la realtà, quello era ciò che aveva fatto ben sei mesi prima, con quel bacio che la sua ex gli aveva dato, a cui aveva risposto, a quella verità che aveva sputato addosso a Kibum ferendolo a morte.

Lo aveva ucciso lui ed ora pretendeva anche di riportarlo in vita? Dopo tutto il male che gli aveva fatto? La verità era che sapeva benissimo di non meritarlo, perché l'amore era rispettare la persona che aveva accanto, ma le sue insicurezze lo avevano portato a cercare rassicurazioni in ogni cosa, persino in quel momento.

Lo amava. Lo amava come non aveva mai amato nessuno e come forse non avrebbe amato più nessuno, e come tutti gli idioti se ne accorgeva troppo tardi.

Non aveva solo aperto una voragine, l'aveva fatta diventare talmente grande da rendere impossibile risanarla.

« Non posso… non posso perderlo. » si chinò a prendere la loro foto coperta da vetri e gli parve di vedere solamente quello che era stato e quello che non era più.

La pulì con le mani che tremavano e, senza accorgersene, ritornò a piangere silenziosamente.

« Sono stupido.»



Sei stupido, Jonghyun. Non ti accorgi di niente. Non ti sei mai accorto di niente.



Ore lente,

ore veloci.


Ore di dolore,

ore di semplice dolcezza.


Ore d'angoscia,

ore di tenerezza.



Minho guardava il suo migliore amico senza proferire parola; solamente lo sguardo preoccupato vagava in ogni dove, alla ricerca di un punto in cui aggrapparsi, per poterlo aiutare a riprendersi.

Era estremamente difficile farlo e ciò non faceva altro che crescere il suo senso d'impotenza. Eppure era lì, non lo aveva lasciato solo nemmeno un momento, si stava comportando come il migliore degli amici anche se c'era qualcos altro di più grande.

Gli faceva così male da togliergli il respiro, eppure non aveva mostrato nulla, se non lo sguardo triste e delle lacrime traditrici che Jonghyun non aveva saputo interpretare.

La porta di casa s'aprì verso le 22:56, quando Jonghyun ormai aveva perso il senno mille volte, e milleuna era ritornato in sé e sempre più triste, più disperato, più confuso.

Il volto di Kibum gli parve quasi un'apparizione: era seduto sulla sedia, rannicchiato e con i gomiti sul tavolo, mani sul viso - e l'amico seduto sul divano, in attesa assieme a lui-, quando sentì il rumore della porta che s'apriva.

Si alzò di scatto e con gli occhi sgranati guardò verso l'ingresso, col cuore martellante che gli era finito in gola.

« Ki.. Ki… » balbettò senza ritegno, mentre il ragazzo entrava piano, in punta di piedi quasi, come se stesse attento a non rompere qualcosa. Ma cosa? Era già tutto rotto lì attorno e non solo i fiori a terra o il portafoto. No, non era quello che era rotto, era quello che c'era tra di loro che si era sgretolato come se fosse stato un muro fine di sabbia.

Sospirò, si sistemò la pashmina ma non si tolse la giacca – non sua, gliel'aveva prestata il giovane pasticcere – e lui stesso provò un misto tra vergogna e disagio, che gli fece mordere il labbro inferiore. E poi c'era Minho, che sapeva tutto, ma di Kibum non sapeva niente e forse non avrebbe mai saputo niente.

Lo salutò con un cenno del capo, al quale il moro rispose con una lieve smorfia della bocca, alzandosi pronto ad uscire dalla scena ed anche dalla vita dei due.

« E' meglio che vada. » disse, e con un lieve cenno della mano, salutò entrambi. Jonghyun lo guardò, ma non disse nulla, probabilmente troppo preso dal suo grande amore che, finalmente, aveva lì davanti. Avrebbe voluto dire tante cose, avrebbe voluto parlare e raccontargli tutto.

Forse era arrivato veramente il momento di dire ogni cosa, parlare, spiegare come si era sentito lui allora, quali erano quelle insicurezze, e forse, ma solo forse, avrebbero potuto recuperare ogni cosa.

Magari con una colla speciale che rende le crepe più belle, in un vaso rotto. Magari insieme avrebbero raccolto quei cocci e creato un vaso più bello, particolare perché pieno di storia e di sentimenti.

O magari avrebbero buttato tutto, come si sarebbe meritato davvero.

Jonghyun si umettò le labbra, pronto a parlare dopo aver preso un enorme respiro, ma fu Kibum a fermarlo. I suoi occhi erano ancora tristi, persi, le sue labbra erano forse pronte a dire quello che non si voleva sentire dire, ma non lo fermò.


« Dobbiamo parlare, Jonghyun. Di tutto. »

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